ENCICLOPEDIA
DELLA SARDEGNA
Volume 1
Abate - Bonifiche
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 1
ENCICLOPEDIA DELLA SARDEGNA
Volume 1: Abate-Bonifiche
Edizione speciale e aggiornata per La Nuova Sardegna
§ 2007 Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A.
Via Porcellana 9 - 07100 Sassari
dell’edizione originale
La Grande Enciclopedia della Sardegna
a cura di Francesco Floris
§ 2002 Newton & Compton Editori S.r.l.
Supplemento al numero odierno de La Nuova Sardegna
Direttore responsabile: Stefano Del Re
Amministratore delegato: Odoardo Rizzotti
Reg. Trib. di Sassari nº 4 del 19/6/1948
I contenuti della presente edizione speciale sono stati rielaborati, aggiornati, arricchiti e completati da La Nuova Sardegna. Tutti i diritti di copyright sono riservati. Nessuna parte di questo
volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio e televisione,
senza autorizzazione scritta dell’Editore. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2007
presso ILTE S.p.A., Moncalieri (TO)
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 2
ENCICLOPEDIA
DELLA SARDEGNA
a cura di
Francesco Floris
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 3
Per l’edizione speciale:
Opera a cura di Francesco Floris
Progetto e consulenza editoriale: Manlio Brigaglia
Coordinamento redazionale: Salvatore Tola
Progetto grafico e impaginazione: Edigeo s.r.l., Milano
Testi inediti: Mario Argiolas, Piero Bartoloni, Marcella Bonello Lai, Aldo Borghesi, Maria Immacolata Brigaglia, Manlio Brigaglia, Antonio Budruni, Paolo Cabras, Gerolama Carta Mantiglia,
Rita Cecaro, Ercole Contu, Fabrizio Delussu, Roberto Dessanti, Giovanni Dore, Piergiorgio Floris,
Federico Francioni, Piero Frau, Sergio Frau, Franco Fresi, Elisabetta Garau, Alberto Gavini, Giovanni Gelsomino, Michele Guirguis, Antonio Ibba, Marcello Madau, Giovanni Marginesu, Attilio
Mastino, Antonello Mattone, Lucia Mattone, Gianluca Medas, Francesco Melis, Paolo Melis, Giuseppe Meloni, Vico Mossa, Luciana Mulas, Anna Maria Nieddu, Francesca Nonis, Francesco
Obinu, Pietro Pala, Giampiero Pianu, Tomasino Pinna, Enrico Piras, Giuseppe Piras, Natalino
Piras, Giuseppe Podda, Valentina Porcheddu, Franco Porrà, Paolo Pulina, Marco Rendeli, Paola
Ruggeri, Sandro Ruju, Antonello Sanna, Barbara Sanna, Piero Sanna, Pietro Sassu, Tiziana Sassu,
Simone Sechi, Giuseppe Serri, Francesco Soddu, Piergiorgio Spanu, Antonio Tavera, Alessandro
Teatini, Marco Tedde, Eugenia Tognotti, Francesca Tola, Giovanni Tola, Salvatore Tola, Dolores
Tomei, Raimondo Turtas, Esmeralda Ughi, Luisanna Usai, Adriano Vargiu, Massimiliano Vidili,
Bepi Vigna, Gianna Zazzara, Raimondo Zucca
Consulenza iconografica: Giancarlo Deidda
Referenze iconografiche:
pag. 124: Archivio Alinari (Firenze)
pagg. 399, 400, 401: Archivio del Banco di Sardegna (Sassari)
pagg. 27, 41, 89, 136, 155, 160, 218, 222, 255a, 306, 403, 404, 425, 553a, 622: Archivio Edizioni Della
Torre (Cagliari)
pagg. 173a, 177, 335, 405, 579: Archivio ‘‘Nuova Sardegna’’ (Sassari)
pagg. 98, 126, 145, 188, 217, 253, 276, 308, 363, 601: Archivio Sergio Serra (Cagliari)
pagg. 19, 25, 28, 33, 34, 35, 45, 49, 50, 61, 67, 83, 87, 99, 132, 134, 137, 142, 143, 162, 164, 181, 182, 184, 189,
195, 202, 211, 213a, 223, 224, 257, 259b, 263, 265, 320, 362, 383, 397, 411, 418, 419, 421, 422, 423, 424, 431,
434, 438, 447, 456, 498, 505, 512, 520, 528, 529, 532, 535, 537, 544, 553b, 571, 576, 584, 608, 617, 618: De
Agostini Picture Library (Novara)
pagg. 37, 38, 51b, 52, 53a-b, 54, 112b, 119, 213a, 267, 292, 293, 294a, 303a-b-c, 377, 440: Giancarlo
Deidda (Cagliari)
pagg. 6, 29, 56, 57, 58, 68, 73, 106, 107, 108, 112a, 127a, 130, 150, 246, 256, 266, 272, 294b, 296, 300, 304,
305, 310, 316, 331, 334, 345, 395, 428, 439, 458, 462, 482, 485, 486, 488, 490, 507, 509, 510, 513, 539, 586, 589,
590, 591a, 593: Salvatore Pirisinu (Sassari)
pagg. 92, 138, 173b, 402, 533, 592: Tore Ligios
pag. 26: Ufficio Stampa della Regione sarda (Sassari)
Immagine di copertina: De Agostini Picture Library
Si ringraziano per la collaborazione tutti gli artisti, gli archivi fotografici e gli enti di conservazione che hanno dato permesso di riproduzione. L’Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A. è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche e testuali non individuate.
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Prefazione
Un’enciclopedia della Sardegna. Sembra facile: forse per l’idea che, dovendosi
confrontare con una realtà che è sostanzialmente limitata dai suoi stessi confini
geografici, non si corre il pericolo di lasciare fuori qualcosa d’essenziale (che è
un po’ l’ossessione di tutti quelli che si
mettono a fare un’enciclopedia); oppure
forse per la sensazione che uno dei modi
più efficaci per mettere ordine in questa
sorte di galassia con tutte le sue specificazioni è provare a stringerla in una sintesi afferrabile e governabile. E del resto
è un fatto che da quasi mezzo millennio la
cultura sarda (o, il più delle volte, piccoli
gruppi di intellettuali o addirittura intellettuali come impresa individuale) prova
a mettere mano a un’enciclopedia. Non
per niente quello che viene considerato
il primo grande intellettuale sardo, Giovanni Francesco Fara, provò a condensare in due opere, il De rebus Sardois e il
De Chorographia Sardinae, tutto il sapere
suo e dei suoi contemporanei di storia e
di geografia. A guardarle oggi due voci –
o, meglio, due volumi – di un’enciclopedia a venire.
Era la seconda metà del Cinquecento. Da
allora i tentativi si sono ripetuti. Ma, per
saltarli tutti, è stato soprattutto nella seconda metà del Novecento che l’idea è
stata ripresa, sotto lo stimolo, parrebbe,
di tre condizioni concorrenti: la prima è
la larga diffusione della cultura e della
lettura, non meno che le stesse facilitazioni tecnologiche alla produzione di libri anche di vasto respiro; la seconda, il
rinnovamento degli studi sull’isola che
sembravano richiedere una messa a
punto delle conoscenze fin allora acquisite come viatico a una diversa comprensione della realtà regionale; la terza, la
nascita della Regione autonoma, che
spronava a rimeditare l’intera vicenda
isolana e indagare gli aspetti più specifici
di quella che si sarebbe chiamata ‘‘l’identità’’ sarda.
Nei primi anni Cinquanta un’enciclopedia fu tentata da Marcello Serra: il verbo
‘‘tentare’’ vuole alludere all’approssimazione di un’indagine che si contentava di contenere i propri risultati in
qualche centinaio di pagine. Da allora
in poi enciclopedie (o, se si vuole, opere
di non grande mole ma con ambizioni
enciclopediche) si sono susseguite con
una certa frequenza, tutte con una qualche utilità, soprattutto in un tempo in
cui lo sviluppo inatteso del turismo moltiplicava la domanda di conoscenza, le
curiosità di centinaia di migliaia di
nuovi visitatori. La Grande enciclopedia
della Sardegna di Francesco Floris,
edita dalla Newton & Compton nel 2002,
è stata la prima a presentarsi connotata
dall’assetto ‘‘classico’’ dell’enciclopedia, che si basa sulla dimensione rilevante dell’opera e l’ordine alfabetico
dei lemmi; negli anni Ottanta, invece,
La Sardegna, tre volumi editi dalle Edizioni Della Torre a cura di Manlio Brigaglia con la collaborazione di Antonello
Mattone e Guido Melis, aveva scelto la
struttura tematica, commissionando a
oltre 120 specialisti italiani e stranieri
150 ‘‘articoli’’ sull’isola, suddivisi in sei
sezioni principali (la geografia, la storia,
la letteratura e l’arte, la cultura popolare, l’economia e la società, l’autonomia regionale). Il riferimento alle due
opere è d’obbligo: intanto perché l’enciclopedia Floris costituisce il nucleo di
questa ‘‘nostra’’ enciclopedia, e in secondo luogo perché una decina delle
ampie voci della enciclopedia Della
Torre – della cui generosa collaborazione la presente opera ha potuto avvalersi – è stata ricompresa nelle pagine
che seguono in corrispondenza di lemmi
particolarmente significativi (per fare
un esempio, dalla storia delle carte geografiche isolane allo Statuto sardo).
L’Enciclopedia della Sardegna che presentiamo al lettore ha l’ambizione di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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completare e – sia detto senza modestia –
superare tutti i tentativi precedenti: ordinata secondo l’ordine alfabetico, contiene intorno ai 12 000 lemmi nei quali è
indagato e sintetizzato ogni elemento di
qualche importanza che caratterizza l’universo regionale. Non più solo la storia
e la geografia, dunque, ma ogni parola
(se cosı̀ si può dire) di cui ci sia bisogno
per dar conto di quello che è sardo, tanto
nel passato più lontano quanto nel presente più vicino: cosicché la stessa enciclopedia Floris ha finito per raddoppiarsi nei lemmi e quasi quintuplicarsi
nel numero di pagine. Ne è nata un’opera del tutto nuova, come abbiamo l’orgoglio di pensare non sia mai esistita
prima di questa nella cultura sarda,
pure abituata a opere di grande mole (si
pensi soltanto alla somma delle voci
scritte dal padre Vittorio Angius a metà
Ottocento, su tutti i paesi della Sardegna: ma solo su quelli, limitatamente,
pur nella ampiezza della ricerca e nella
vastità della trattazione).
Questa aspirazione alla completezza è la
molla che ha mosso l’intera operazione: a
volte creando al curatore, occorre riconoscerlo, qualche imbarazzo quando, nel
proposito di dar conto anche della contemporaneità ancora non del tutto soppesata e definita, si è dovuto scegliere fra
una notizia forse appena consolidata e la
soppressione del rimando a un elemento
o un personaggio già sufficientemente radicati nello scenario sociale dell’isola. In
molti casi si è deciso di propendere per
questa seconda opzione, nel tentativo
non soltanto di dare a Cesare qual che è
di Cesare, ma anche di riconoscere a ciascuno di coloro che operano nell’isola – o,
nati nell’isola, lavorano fuori di essa – il
merito dovuto: degli eventuali errori e
delle inevitabili omissioni si potrà, al
caso, fare ammenda in futuri aggiornamenti, che si sperano. Nessuna esclusione, peraltro, è stata praticata pregiudizialmente: sia detto a scusante delle assenze di nomi e di dati, domandando indulgenza a chi dovesse sentirsene toccato. Questo ‘‘inseguimento’’ della realtà
sarda più vicina, dice il curatore, è stata
un’esperienza straordinaria: perché ha
messo in luce quanta novità ci sia oggi
nell’isola, quante cose si muovano e –
come diceva Emilio Lussu – quante altre
stiano per affacciarsi all’orizzonte.
Una seconda caratteristica che il curatore vorrebbe si riconoscesse all’opera è
la sua forte ‘‘sardità’’. È stato detto più
volte che noi sardi non possiamo non
dirci sardisti. «Il sardismo è il fuoco che
cova sotto la cenere», scriveva Lussu.
Questo sardismo (che è lo stesso – senza
stare a fare troppi distinguo – che animò
alle origini il moto rivendicazionista isolano) è soprattutto un sentimento: la
consapevolezza che le nostre radici affondano in un terreno antico, consolidato attraverso lunghe ere di stratificazioni, fatte di uomini prima ancora che
di cose. Senza assumerlo come punto
unico di vista, come prospettiva di giudizio obbligato, questo privilegiamento
delle ‘‘radici’’ identitarie può avere
mosso il curatore ad assegnare, qua e là,
a un fatto o a un personaggio maggiore
importanza (che in un’opera come questa si traduce in un maggiore numero di
righe della ‘‘voce’’ loro dedicata) di
quanto magari forse, secondo alcuni,
non meriterebbero. È un fatto, peraltro,
che l’incidenza che alcuni momenti
hanno avuto nella lunga vicenda dell’isola o la passione di patria che ha mosso
alcuni personaggi vengono riguardati,
in queste pagine, come i luoghi nodali
del modo ‘‘storico’’ di essere sardi. Nella
stessa ottica particolare attenzione è
stata riservata ai temi dell’ambiente, a
cominciare dalla flora e dalla fauna.
Questa enciclopedia non si pone alcun
intento pedagogico: semmai, ha una
aspirazione ‘‘didattica’’, nel senso di
opera dedicata soprattutto alla scuola e
ai giovani sardi, perché solo conoscendo
molto si può rinnovare e migliorare. È
l’augurio con cui affidiamo al lettore le
6000 pagine, i 10 volumi di questa nuova,
impegnativa iniziativa dell’Editoriale
‘‘La Nuova Sardegna’’.
l’Editore
VI
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Guida alla
consultazione
Ordine alfabetico
La sequenza alfabetica dei lemmi è stata
fissata trascurando i caratteri non alfabetici. Quando il lemma contiene una
virgola – come avviene nei nomi propri
di persona tra cognome e nome – l’ordinamento considera solo la parte del
lemma che precede la virgola, passando
alla parte successiva solo in caso di omografia:
*
– Voci dedicate ai santi. Subito dopo l’attacco del lemma e, se presente, il nome
al secolo, vengono indicate le varianti
sarde del nome che differiscono dall’italiano:
Lorenzo da Brindisi, san (Giulio Cesare
Russo; in sardo, Santu Lorenzu, Santu Lorentu, Santu Larentu, Santu Laurentu) ...
San Benedetto
San Carlo
Sanchez
Sanchez de Calatayud, Pietro
Sanchez Martinez, Manuel
Dopo l’esposizione generale della vita
e delle opere del santo sono spesso presenti i paragrafi In Sardegna, in cui si
citano i centri di cui egli è patrono e
dove possono essere descritti i suoi legami col mondo della storia o delle tradizioni sarde, e Festa, nel quale vengono elencate le date e le località che
hanno particolari ricorrenze dedicate
al suo culto:
Struttura delle voci
Il lemma è evidenziato in carattere neretto.
Per comodità alcuni lemmi di santi rimandano a quelli dedicati a un altro personaggio con cui i primi hanno avuto
rapporti e all’interno della cui voce
sono citati.
Nei casi di lemmi complessi è possibile
che sia presente una suddivisione in paragrafi. Per le voci di alcune categorie
specifiche la struttura è, generalmente,
la medesima.
*
Andrea, santo
...
In Sardegna Patrono di Birori, Giave, Gonnesa, Modolo, Sant’Andrea Frius, Sedini,
Sennariolo, Tortolı̀, Ula Tirso e Villanova
Truschedu. Dà il nome al mese di novembre, Sant’Andria. Patrono dei pescatori e
dei pescivendoli, invocato contro i tuoni e
per guarire gli animali dal mal di ventre. I
proverbi: «Po Sant’Andria si toccat sa pibizia» (Per Sant’Andrea si spilla, si assaggia,
il vino nuovo); «Seu cumenti sa perda de
Sant’Andria, beni stemmu e mellu stau»
(Sono come la pietra di Sant’Andrea, bene
stavo e meglio sto): persona che si adatta a
tutto.
Festa Si festeggia il 30 novembre; il 24
maggio a Sant’Andrea Frius. Sagre estive
e in altre date durante l’anno.
– Voci dedicate ai comuni. Vengono forniti alcuni dati essenziali come popolazione, superficie, posizione geografica,
suddivisioni amministrative e storiche
di appartenenza, seguiti dai paragrafi:
TERRITORIO, STORIA, ECONOMIA, DATI
STATISTICI, PATRIMONIO ARCHEOLOGICO (solo se rilevante), PATRIMONIO
ARTISTICO E CULTURALE (e AMBIENTALE, solo se rilevante), FESTE E TRADIZIONI POPOLARI.
– Voci dedicate a botanica e zoologia. Vengono di norma indicati i nomi scienti-
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Bonassai. È un formaggio a pasta ...
...
Precarietà dell’insediamento rurale
...
Villaggi abbandonati
GIUDICATO D’ARBOREA Nel giudicato
d’Arborea sono stati individuati i seguenti
villaggi abbandonati: 1. Abbagadda, villaggio che sorgeva ... 2. Almos, villaggio che
sorgeva ...
GIUDICATO DI GALLURA Nel giudicato
di Gallura sono stati individuati i seguenti
villaggi abbandonati: 1. Agiana ...
...
Villaggi i cui abitanti si trasferirono altrove ...
GIUDICATO D’ARBOREA ...
GIUDICATO DI GALLURA ...
...
fici delle specie citate e una classificazione sistematica generale. Nel caso in
cui il lemma faccia riferimento a specie diverse può essere presente un
elenco interno per rendere più semplice la consultazione. I nomi sardi, se
presenti, sono dati in corsivo e con l’eventuale specificazione del dialetto
tra parentesi:
Cicerchia Genere di piante erbacee perenni
della famiglia delle Leguminose, rappresentato in Sardegna da diverse specie, caratterizzate da fusti lunghi, spesso rampicanti: 1. la c. a foglie larghe (Lathyrus latifolius L.) ... 2. la c. porporina (Lathyrus articulatus L.) ... Nomi sardi: chérigu (logudorese); letı́tera (Sardegna centrale); piseddu,
pisu de coloru (campidanese); pisu de coloru (Sardegna meridionale).
– Voci dedicate a elementi del patrimonio
storico e tradizionale sardo. Il testo
viene spesso ordinato secondo paragrafi, attinenti alla categoria degli elementi trattati, o in elenchi:
– Voci dedicate alle famiglie storiche. Nel
caso in cui la famiglia si sia divisa in
più rami essi vengono solitamente
elencati distintamente:
Formaggi della Sardegna
...
&
IL FORMAGGIO NELLA STORIA
Fin dall’antichità il centro della produzione ...
& TIPI DI FORMAGGIO Attualmente i tipi
di formaggio sardo più diffusi sono:
Biancospino. È un formaggio ...
VIII
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Amat Illustre e antica famiglia ...
Ramo di Pietro. Pietro ereditò la baronia di
Sorso ...
Ramo di Francesco. Francesco continuò la
linea dei marchesi di Villarios ...
Ramo di Francesco (San Filippo). Da Francesco, figlio cadetto del marchese Gavino
di Villarios, discende ...
Rami collaterali. Attualmente, oltre al
ramo marchionale primogenito ...
A
Abate, Francesco Giornalista, scrittore (n. Cagliari 1964). Giornalista
presso ‘‘L’Unione sarda’’, svolge anche
attività di DJ nei locali da ballo dell’isola col nome di Frisco. Ha esordito
nella narrativa con il romanzo Mister
Diabolina (1998). Ha pubblicato poi Il
cattivo cronista (2003), e nel 2004 Ultima di campionato, rielaborazione del
soggetto cinematografico col quale
aveva vinto nel 1999 il premio di La
Maddalena intitolato a Franco Solinas.
parte della curatoria del Bonorcili;
scoppiate le guerre tra Aragona e Arborea, il suo territorio divenne uno dei
teatri delle operazioni militari e fu devastato. Alla fine del secolo XIV i suoi
abitanti lo abbandonarono e si rifugiarono a Sardara.
Abbasanta Comune della provincia di
Abbagadda Antico villaggio del Mandrolisai oggi scomparso; probabilmente era ubicato nel territorio di Atzara e aveva origini medioevali. Era
compreso nel giudicato d’Arborea e faceva parte della curatoria del Mandrolisai; quando il giudicato cessò di esistere nel 1409, era già in decadenza. Fu
compreso nel Regnum Sardiniae e ceduto in feudo ai Deana nel 1410. Nei
decenni successivi probabilmente si
spopolò e se ne perse memoria.
Abbas (o Santa Maria de is Acquas) Villaggio oggi scomparso che sorgeva nei
pressi di Sardara in prossimità dell’attuale stabilimento delle terme. Di origini romane, probabilmente derivava
dal centro di Aquae Neapolitanae sorto
lungo la strada che da Carales conduceva a Neapolis e conosciuto come stazione termale. Nel Medioevo fu compreso nel giudicato di Arborea e faceva
Oristano, compreso nel Comprensorio
n. 14, con 2885 abitanti (al 2004), posto a
315 m sul livello del mare nella parte
orientale dell’altipiano omonimo. Regione storica: Gilciber. Archidiocesi di
Oristano.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 39,85 km2 e confina con Norbello a
nord, Ghilarza a est, Paulilatino a sud e
Santu Lussurgiu a ovest. La distanza
dai nuclei abitati di Norbello e soprattutto di Ghilarza è molto ridotta, tanto
che si può parlare ormai di un unico
centro abitato. La campagna circostante, ricca di pascoli, di flora mediterranea e di ruscelli, si divide in due
parti: quella a ovest del paese, parte
dell’altipiano già citato, che si tiene
con scarsi rilievi poco sopra i 300 m di
altitudine; quella a oriente che, più
ricca di acque e di vegetazione, declina
verso la vallata del Tirso, nella parte
occupata dal lago artificiale Omodeo.
& STORIA La continuità degli insediamenti ci permette di ipotizzare un’origine romana di questo centro; proba-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbasanta
bilmente deriva dalla statio di Ad Medias posta sulla strada che conduceva
da Carales a Turris Lybisonis tra Forum
Traiani e Molaria, che sorgeva a sud
dell’attuale abitato in un territorio delimitato da due sorgenti (Funtana de
jossu e Funtana noa), ancora oggi riferimento dell’attuale abitato. In seguito
i monaci greci ne fecero un centro
della coltura del gelso e in età non precisabile entrò a far parte del giudicato
d’Arborea compreso nella curatoria
del Guilcier. Nel corso dei secoli successivi cominciò a essere individuato
col nome attuale, probabilmente riferito all’esistenza nel territorio di una
sorgente medicamentosa; crebbe di
importanza sino a divenire capoluogo
della curatoria. Nel secolo XIV, nel
corso della guerra tra Aragona e Arborea, probabilmente divenne teatro di
operazioni militari e nel 1378 fu addirittura compreso nel territorio che Pietro IV provocatoriamente concesse a
Valore de Ligia, sardo traditore. Come
è noto, fu una concessione senza effetto: A. continuò a rimanere saldamente in mani giudicali e nel 1388 vi si
tenne la corona dei rappresentanti degli altri villaggi della curatoria che precedette la stipulazione della pace tra
Aragona e Arborea. Caduto il giudicato, A. e l’intera curatoria entrarono
a far parte del Regnum Sardiniae, ma la
sua popolazione rimase ostile agli Aragonesi e continuò a guardare con simpatia il marchese d’Oristano che, avuto
in pegno nel 1412 il Guilcier come garanzia di una forte somma che aveva
prestato al re, cominciava a sperare di
poter avere il territorio in feudo. Non
fidandosi del Cubello, il re fece altre
scelte e cosı̀, nel 1417, A. entrò a far
parte del feudo concesso a Giovanni
Corbera. Nel 1426 il Corbera lo vendette a sua volta ad Antonio De Sena, i
cui discendenti se lo videro seque-
strare per debiti nel 1450. Subito dopo
il re consentı̀ a Salvatore Cubello, figlio secondogenito di Leonardo e signore del Canales, di occupare il Guilcier. Fu cosı̀ che A. fu inclusa nel
grande feudo di Salvatore e, quando
nel 1463 egli divenne marchese d’Oristano, entrò a far parte del marchesato
e ne seguı̀ le sorti. Perciò quando il
marchesato fu sequestrato a Leonardo
Alagon gli abitanti di A., unitamente a
tutta l’incontrada del Guilcier, chiesero al re di essere amministrati direttamente. Nel 1479 la richiesta fu accolta e il territorio del Guilcier divenne feudo reale (Parte Ocier Real);
A. prese a essere amministrata da funzionari regi e i suoi abitanti tenuti a
pagare i tributi feudali che erano previsti in Parte Ocier, e cioè il feudo in
denaro, il laor de corte in grano e orzo,
il diritto del vino e le decime in bestiame. A partire dal 1481 i suoi abitanti furono anche tenuti a prestare periodicamente la loro opera per la
Tanca Regia e a pagare il diritto di alcadı̀a. Nonostante il peso dei tributi
dovuti, l’ordinata amministrazione
reale, nei secoli successivi, favorı̀ la
crescita del villaggio e della sua economia, basata sull’allevamento e sull’agricoltura. L’abitato si strutturò progressivamente in un insieme di strade
irradiate attorno alla parrocchia di
Santa Caterina e abbellite da abitazioni private, costruite nei secoli XVI
e XVII e ornate o di loggia o di grandi
finestre incorniciate da elementi che
si richiamano all’arte gotica. Queste
costruzioni erano opera di abili picapedrers locali. Nello stesso periodo il villaggio si abbellı̀ anche con alcune
chiese come quella di Sant’Amadu,
nel Cinquecento, e quella di Santa Maria delle Grazie, nel Seicento. Nel
corso del secolo XVIII divenne un centro di produzione di tele di lino e di un
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Abbasanta
orbace prevalentemente rosso che veniva usato per il costume femminile.
Dopo che nella seconda metà del secolo vi furono introdotti il Consiglio comunitativo e il Monte granatico, la vita
politica del villaggio andò modificandosi e, sebbene la montagna di A. fosse
stata concessa in feudo nel 1778, negli
abitanti si faceva sempre più forte l’aspirazione a liberarsi dalla dipendenza feudale. Nella prima metà dell’Ottocento l’antico ordinamento del
Parte Ocier fu gradualmente abolito; a
partire dal 1807 A. fu amministrata
dalla prefettura di Oristano e nel 1821
inclusa in quella provincia; negli stessi
anni vi fu aperta la scuola elementare.
Nel 1838 giunse finalmente la sospirata abolizione dei feudi; dopo che,
con la ‘‘fusione perfetta’’ nel 1848 furono abolite le antiche province, il villaggio fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari. Nel descrivere il centro abitato, nella prima
metà dell’Ottocento, Vittorio Angius
scriveva tra l’altro: «Questo paese ha
molta amenità, e per gli olmi numerosi,
che vi frondeggiano, presentasi in
bella prospettiva ad una certa distanza. Il clima è caldo di estate, temperatissimo d’inverno, sola stagione in
cui vi piova, mentre nella primavera
non è cosa frequente che qualche piovicina cada a rallegrare i seminati.
Vengono esercitate da pochi individui
le necessarie arti meccaniche; le manifatture restringonsi alle tele di varia
qualità, ed al panno forese di vario colore, principalmente rosso-scuro per
le robe donnesche, e nero per le vesti
degli uomini. Sono in ciò impiegati 225
telai. Può dirsi che fiorisca l’agricoltura. Il territorio rassomiglia ad un trapezio, il quale tiene l’abitato alla parte
di levante: è atto alla coltura del grano,
orzo, fave, granone, lino ecc. L’ordinaria fruttificazione è del 10 per uno. At-
tendesi ancora con qualche studio alla
propagazione del bestiame. Le vacche
sono in numero 950, le pecore 3500, i
porci 500, i buoi 300, le vacche mannalite 200, i cavalli e cavalle 300, i somari
per la macinazione del grano 300, i majali 200. Pascono questi armenti e greggie nei terreni aperti durante la buona
stagione, poscia, specialmente le vacche, vengono introdotte nelle tanche. I
pastori stanno per lo più in capanne
ricoperte con la corteccia del sovero
[sughero], e vanno nel paese una volta
nella settimana per prendere le provvisioni di pane e vino, e recarvi lane,
pelli, cuoi e formaggi. Il prodotto del
bestiame in cacio e latte di poco supera
il consumo grande che ne fanno le famiglie dei pastori, il quale è maggiore
ordinariamente di quello che si fa nel
paese. Maggior vantaggio ottiensene
per la vendita dei capi vivi o al macello,
o ad altri pastori esteri». Quando nel
1859 furono ricostituite le province, A.
entrò a far parte di quella di Cagliari.
Nel corso del secolo XIX il paese si trasformò anche grazie alla ferrovia; fu
costruita la bella chiesa parrocchiale,
fu avviato lo sfruttamento della foresta
del monte Suzuri, tra le più importanti
dell’isola, e nello stesso tempo ebbe
maggiore incremento l’allevamento
dei cavalli. Agli inizi del secolo XX la
costruzione della diga del Tirso (inaugurata nel 1924) segnò un altro momento importante per la vita della comunità, anche per la presenza sul suo
territorio dell’importante cantiere di
Santa Chiara. Nel 1927, però, nel quadro della radicale razionalizzazione
del numero dei comuni voluta dal governo centrale, A. perdette l’autonomia e fu aggregata a Ghilarza; l’assurda
situazione – A. aveva già più di 2000
abitanti – durò fino al 1934, anno in cui
riacquistò l’autonomia e le furono acclusi come frazioni i centri di Domu-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbasanta
snovas Canales e Norbello (caduto il
regime, nel 1946 Norbello riprese la
propria autonomia). A. continuò a crescere: alle tradizionali basi della sua
economia si aggiunse il settore dei servizi e in particolare la creazione della
Scuola di polizia, la cui presenza divenne importante per il paese. Nel
1974, con la costituzione della provincia di Oristano, entrò a far parte di questa.
& ECONOMIA Ha un’economia basata
sulle attività agropastorali che vi sono
molto sviluppate; vi operano anche 182
imprese manifatturiere e commerciali
(ferro, alluminio, pelli, sughero),
aziende di trasporti (il paese vanta un
alto numero di camion); servizi: ospita
la Scuola di polizia e le relative caserme. Nel campo dell’allevamento,
non solo locale, è importante la presenza nel territorio della Tanca Regia
(=), una tenuta impiantata già in epoca
giudicale per l’allevamento dei cavalli,
e gestita oggi dall’Istituto per l’Incremento ippico di Ozieri. Artigianato.
Delle antiche tradizioni rimane ancora qualche traccia di attività tessile
in telai domestici.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 2815 unità,
di cui stranieri 11; maschi 1384; femmine 1431; famiglie 935. La tendenza
complessiva rivelava un aumento della
popolazione, con morti per anno 20 e
nati 27; cancellati dall’anagrafe 75 e
iscritti 85. Tra gli indicatori economici:
imponibile medio IRPEF 18 334 in migliaia di lire; versamenti ICI 1240;
aziende agricole 251; imprese commerciali 175; esercizi pubblici 20; esercizi
all’ingrosso 2; esercizi al dettaglio 58;
ambulanti 14. Tra gli indicatori sociali:
occupati 813; disoccupati 71; inoccupati 148; laureati 63; diplomati 334;
con licenza media 889; con licenza ele-
mentare 722; analfabeti 46; automezzi
circolanti 1097; abbonamenti TV 713.
Abbasanta – Il nuraghe Losa è uno dei più
imponenti e meglio conservati della
Sardegna.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio, abitato fin dall’epoca prenuragica, è ricco di dolmen, di domus de janas, di imponenti nuraghi e di resti di
epoca romana. Complesso di Losa (=):
&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbasanta
comprende il grande nuraghe, un villaggio nuragico utilizzato anche successivamente fino al periodo punicoromano; una Tomba di giganti; un
pozzo sacro; le tombe romane. Complesso di Aiga: raggiungibile con una
strada di penetrazione agraria che si
distacca dalla provinciale per Santu
Lussurgiu, comprende il nuraghe omonimo e una Tomba di giganti. Il nuraghe, uno dei più ragguardevoli della
regione, non è stato mai scavato, ma se
ne individua facilmente la struttura
complessa: sono almeno tre le torri minori che sorgono intorno a quella centrale; questa ha ancora intatta la sala al
piano terra e anche quella del primo
piano che, cosa piuttosto rara, presenta nelle pareti tre nicchie, da una
delle quali ha inizio uno stretto cunicolo che conduce a un piccolo vano accessorio. Complesso di Chirighiddu:
comprende due nuraghi e una Tomba
di giganti. Sos Ozzastros: è una Tomba
di giganti posta in prossimità del nuraghe Losa. Ha una singolare particolarità: infatti i lastroni della sua esedra
hanno bassorilievi raffiguranti mammelle; il complesso è imponente: ai
lati dell’ingresso sono visibili alcuni
gradini e ai lati del semicerchio corre
una banchina che consentiva di stare
in prossimità della tomba. Questa particolarità con ogni probabilità è legata
al rito dell’incubazione. Va ricordato
che il patrimonio archeologico di A.
comprende i nuraghi Ederosu, Izza,
Mura Lauros, Mura Tufai, Nurru,
Osoddeo, Pedra Carpida, Picinu, Pizzinnu, Riga, Sargas, Silva Nova, Trossailla, Zuras; le Tombe di giganti di
Cantaru, Mesu Enas, Mura de Sorighes, Mura Iddani, Mura Porchinas,
Perda Crappida, Sa Tanchitta, S’Atza,
S’Azzica, Scala ’e Cirdu, Su Cutzu,
Suei, Su Pranu, Su Tentorzu, Trannari;
i dolmen di Cannigedu ’e s’ena, Mesu
Enas, Mura ’e puzu, S’Angrone; le domus de janas di Chirighiddu, Mura Iddani, Mura Panu, Mura Porchinas, Su
Pranu; il pozzo sacro di Calegastas, e
reperti romani in varie località.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il patrimonio artistico di A. è costituito, oltre che dalle caratteristiche
strade del centro storico, da alcune
chiese di particolare interesse. Santa
Caterina è la chiesa parrocchiale, costruita nel Cinquecento in forme gotico-catalane sopra le rovine di un nuraghe. L’edificio andò progressivamente in rovina, sicché tra il 1870 e il
1876 fu radicalmente ristrutturato; attualmente conserva pochi elementi
che ricordano l’impianto originario e
nel complesso ha forme che richiamano lo stile rinascimentale. Interessante anche, dalla parte opposta della
piazza che le si apre davanti, un esempio di abitazione del Cinquecento, ornata da un loggiato le cui colonne sono
abbellite con motivi gotico-aragonesi.
A questo stile si ispirano anche portali
e cornici di finestre sparsi per tutto l’abitato, realizzati nel tempo dagli scalpellini locali utilizzando conci di trachite. Santa Maria delle Grazie, costruita nelle campagne vicine all’abitato nel secolo XVII, col tempo ha finito
per essere inglobata nel tessuto urbano. Ha un impianto a navata unica
completata dall’abside, la copertura è
a volta a botte. Santa Amada, costruita
in forme gotico-aragonesi nel secolo
XVI e successivamente restaurata, ha
l’impianto a una sola navata scandita
da archi sorretti da pilastri. Sant’Agostino è un santuario con muristenes e
parco, lungo la provinciale per Santu
Lussurgiu; di origine bizantina, era
probabilmente centro di un complesso
monastico i cui monaci svilupparono
l’agrumicoltura. Oggi meta di passeggiate, circondata da alcune residenze
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbiadori
di campagna, e utilizzata per una frequentata festa campestre (= Feste popolari).
Abbasanta – Il grande falò per la festa di
Sant’Antonio Abate, il 16 gennaio.
FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Delle antiche feste e tradizioni descritte dall’Angius a metà dell’Ottocento, poche sono state tramandate ai
nostri giorni. Sant’Antonio Abate si festeggia il 17 gennaio ed è l’occasione
per dare avvio al Carnevale; il momento culminante della festa giunge
quando vengono portati nella piazza
principale del villaggio alcuni grandi
tronchi d’albero cavi (tuvas) e incendiati mentre il pubblico presente
danza e canta intorno al falò e prende
parte a un’asta benefica di prodotti tipici (sa ditta). Sant’Amada: la festa si
svolge l’8 febbraio nella piazza antistante la chiesetta e rispecchia nella
sua struttura l’andamento di quella di
Sant’Antonio; infatti la sera della vigilia viene bruciato un grande albero
cavo (tuva) e dopo il vespro vi si svolge
un’asta di agnelli, capretti e altri prodotti tipici. Sant’Agostino si festeggia
il 28 agosto con una sagra che si svolge
nella chiesetta omonima a qualche chilometro dal paese; la chiesetta e le sue
cumbessı̀as si animano dopo che una
processione scortata da cavalieri e da
amazzoni vi trasferisce la statua del
santo da A.: il complesso rimane abitato per il periodo del novenario, du&
rante il quale i riti religiosi si alternano a balli e a corse di cavalli. Santa
Caterina d’Alessandria: la festa della
santa patrona si svolge il 25 novembre
con il concorso di molti visitatori; un
tempo era preceduta da una fiera che
durava tre giorni; attualmente dell’antica fiera non restano che poche bancarelle di prodotti tipici. Di grande suggestione sono invece i riti religiosi che
si svolgono in parrocchia e i festeggiamenti di contorno incentrati su manifestazioni di musica e canto tradizionali; si conserva anche la tradizione
del pranzo domestico con ‘‘porcetto’’ e
dolci di mandorle.
Abbiadori, L’ Località abitata della
Gallura, in comune di Arzachena, situata sul colmo di una breve collina
lungo la strada per Porto Cervo a 116
m sul livello del mare. Già abitata nel
secolo XVIII, quando vi si svilupparono alcuni stazzi che ospitarono
gruppi di pastori, ha avuto un notevole
impulso con lo sviluppo del turismo a
partire dalla seconda metà del Novecento. Nodo stradale obbligatorio a immediato ridosso della Costa Smeralda,
vi si sono sviluppati diversi centri residenziali e strutture di servizio.
Abbigliamento tradizionale Prima di
accennare alla situazione degli studi
relativi all’abbigliamento popolare
della Sardegna è forse il caso di spendere qualche parola a proposito dell’uso che si continua a fare (e che invece non si dovrebbe fare) della parola
costume (=) e dell’uso che non si fa (e
che invece si dovrebbe fare) dei termini ‘‘vestiario’’ (popolare) e ‘‘abbigliamento’’ (popolare). È vero che normalmente con questo termine ci si riferisce all’abbigliamento festivo e non a
quello giornaliero; tuttavia ciò non toglie che si tratti pur sempre di fogge di
vestiario e che l’uso del termine ‘‘costume’’ sia quanto meno equivoco in
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbigliamento tradizionale
considerazione del fatto che di esso ci
si serve quasi esclusivamente per indicare fogge di abbigliamento popolare:
proprio in questa limitazione d’uso sta
l’ambiguità del termine, ormai entrato
nell’uso corrente a indicare, con valenza negativa, modi ‘‘altri’’ di vestire
ammessi solo in occasione di spettacoli
cosiddetti ‘‘folcloristici’’ e comunque
in contrapposizione al comune modo
di vestire. Pare di riscontrare in questa
opposizione di termini un meccanismo
analogo a quello denunciato da L. Lombardi Satriani relativamente ai termini ‘‘ascesa’’ e ‘‘discesa’’ normalmente usati per indicare scambi di
temi folclorici dalla cultura subalterna
a quella dominante e viceversa; pare
insomma che – sia pure in diverso ambito – anche nella contrapposizione di
questi termini «operi, magari a livello
di inconscio, una concezione di superiorità / inferiorità, per cui ciò che attiene al mondo popolare, anche se per
molti aspetti importante, è comunque
inferiore» (rispetto al corrispondente
della classe egemone). D’altra parte il
solo termine ‘‘costume’’ evoca immagini e ricordi ben diversi da quelli connessi al termine ‘‘abbigliamento’’, richiamando il primo alla memoria
quanto meno (attualmente) fatti di folclore turisticizzato e in ogni caso connessi a concezioni di vita popolare
quali sono state elargite, spesso in
modo idilliaco e come rimpianto del
buon tempo antico, dai mezzi di comunicazione di massa, complici alcuni
studiosi di folclore. In realtà il permanere nell’uso della parola ‘‘costume’’
indica il perpetuarsi di una concezione del mondo popolare e delle sue
manifestazioni materiali che ha origini assai lontane: quelle stesse origini, tra l’altro, che nelle raccolte etnografiche di inizio secolo XX hanno portato al prevalere dello ‘‘strano’’, del
‘‘ricco’’ e dell’‘‘elaborato’’ sul comune
e alla supremazia dell’oggetto sull’uomo.
Abbigliamento tradizionale – Donne in
costume che danzano alla sagra di Sant’Efisio
di Cagliari.
Conseguentemente il mondo popolare
è stato visto esclusivamente come un
serbatoio amorfo, utile soltanto per il
prelievo di reperti di grande ricchezza,
varietà, originalità di forma; del vestiario non si è preso in considerazione alcuna quello giornaliero e da lavoro, assolutamente anonimo, ma quello festivo, ‘‘pittoresco’’, sgargiante di colori
e ricchissimo di gioielli; per fortuna in
questo quadro sono mancati – anche se
non del tutto – rimpianti per la scomparsa di tale abbigliamento. Ci si è posto soprattutto il problema delle origini di siffatti modi di vestire; si sono
tentati, in vari modi e in diversi tempi,
collegamenti con epoche e fogge più o
meno remote; si sono perfino sostenute – per quanto riguarda il vestiario
maschile – parentele assai strette con i
modi di vestire del periodo nuragico.
Anzi furono proprio alcuni capi del vestiario maschile a polarizzare l’attenzione degli studiosi, che non mancarono di fare sfoggio di erudizione a sostegno di teorie evidentemente precostituite. Il problema di fondo della questione, quello cioè del perdurare – per
alcune località – fin verso i primi decenni del secolo scorso di determinati
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbigliamento tradizionale
modi di vestire, non venne preso in
considerazione, per cui l’indagine
sulle manifestazioni materiali a livello
popolare altro non era che preistoria
vivente, scienza dei relitti, che in ambito popolare si mantenevano in vita
peraltro in forma languente. Non ci si
rese conto dell’insufficienza di una simile analisi né ci si chiese, soprattutto,
per quali motivi il vestiario tradizionale fosse ancora presente e in uso.
Non ci si rese conto che quando certi
fatti folclorici sopravvivono, come nota
C. Levi-Strauss, ne è causa non tanto la
viscosità storica, quanto la permanenza di una funzione che l’analisi del
presente deve permettere di svelare.
Abbigliamento tradizionale – Dettaglio di un
costume tradizionale del comune di
Maracalagonis, in provincia di Cagliari.
VESTIARIO POPOLARE MASCHILE In
linea di massima nel secolo XIX e nei
primi decenni del XX il vestiario popolare maschile appare costituito da indumenti base diffusi in quasi tutti i
centri dell’isola.
Copricapo Il copricapo comune è rappresentato dalla berritta, a forma di
sacco con angoli arrotondati, lunga 4060 cm; presente in quasi tutti i centri
dell’isola, pur se con lievi varianti, è
realizzata sia in orbace che in panno.
Il colore prevalente è il nero, ma si può
trovare anche in rosso, come ad esempio nel vestiario di Cagliari, San Vero,
&
Cabras, Sassari: in quest’ultimo centro,
anzi, la berritta veniva piegata e raccolta in tre cerchi sovrapposti (per questo detta a cecciu). Accanto al copricapo rosso coesisteva – ci si riferisce a
Sassari – quello nero (ad esempio degli
zappadori). A Cagliari la berritta era
normalmente rossa, a sacco ma di
forma già troncoconica (pescatori e miliziani); il copricapo rosso era comunque abbastanza diffuso in tutto il Campidano; si hanno peraltro notizie di
berrittas di colore marrone scuro usate
nell’Oristanese. In alcuni modelli campidanesi la berritta poteva terminare
con due linguette in corrispondenza
delle orecchie a guisa di ‘‘camauro’’:
questo berretto non veniva poggiato direttamente sui capelli ma sopra una
cuffia di pelle o di rete, che a sua volta
andava coperta da una calotta di
panno. Sopra la berritta, soprattutto
nel Campidano di Cagliari e a Iglesias,
i contadini mettevano durante il lavoro
un cappello a larghe tese di giunco o di
paglia, coperto di tela cerata nera oppure, secondo quanto riporta il Lamarmora, anche di cuoio o di feltro;
quando non usavano il cappello avvolgevano attorno al berretto uno o due
fazzoletti rossi che annodavano sotto il
mento. Il copricapo popolare di Teulada è invece rappresentato da un cappello di feltro grigio. La berritta, comunque, non è indumento esclusivo
della Sardegna; diffusa in quasi tutta
l’area mediterranea, la si può riconoscere nel fez orientale come nella berrettina catalana; anche in Portogallo,
in Sicilia e in Calabria si hanno copricapi simili.
Camicia Altro indumento del vestiario
maschile presente in tutti i centri dell’isola è la camicia. Il tessuto usato per
la confezione è di lino oppure di cotone; lino grossolano se la camicia fa
parte dell’abbigliamento quotidiano e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbigliamento tradizionale
da lavoro, lino piuttosto fine se l’indumento è destinato all’abito da festa. La
camicia maschile non differisce molto
da paese a paese; è sempre molto corta
ed è resa molto ampia da una fitta increspatura al collo, all’attaccatura
delle maniche e ai polsi. L’indumento,
aperto sul davanti, è privo di qualsiasi
decorazione o ricamo ad eccezione del
colletto e ha le maniche molto ampie
per consentire la massima libertà di
movimenti. Il colore della camicia è
quasi sempre il bianco, anche se non è
del tutto assente il beige e un leggero
celeste ottenuto in fase di lavatura. Le
camicie del Campidano differiscono
inoltre da quelle delle altre zone dell’isola per il colletto, che non consiste più
in una striscia ricamata ma in un colletto vero e proprio, molto alto, con
punte inamidate.
Corpetto Alla camicia viene sovrapposto il corpetto, che è un indumento aderente e arriva sino alla vita. Viene
chiuso sul davanti a doppio petto: i
lembi sovrapposti vengono fermati da
bottoni spesso d’argento. È sempre
confezionato con stoffe pregiate, limitatamente alla parte anteriore; la
parte posteriore, con una certa frequenza, è realizzata invece con tessuti
non pregiati. La struttura dell’indumento, con parte anteriore a vista, in
tessuti pregiati, e parte posteriore – coperta dal giubbetto – in tessuto commerciale non pregiato, richiama alla
memoria il panciotto francese – ritenuto l’antenato dell’odierno gilet –
della fine del secolo XVII.
Giubbetto Sopra il corpetto viene indossato il giubbetto, provvisto di maniche. La lunghezza di questo capo è
identica a quella del corpetto, arrivando entrambi gli indumenti sino
alla vita. Però, a differenza del corpetto, il giubbetto è tutto in tessuto pregiato in quanto destinato a rimanere
tutto in vista. Le maniche che, come si
è detto, sono lunghe possono essere
aderenti oppure ampie e squartate. Di
solito il giubbetto non è di un solo colore, ma presenta settori policromi ottenuti con tessuti diversi; ricami policromi a motivi floreali possono impreziosirne la parte anteriore.
Ragas Altro capo di abbigliamento di
uso pressoché generale è il gonnellino
nero indossato sopra i calzoni. Normalmente il termine con cui si indica questo indumento è ragas oppure cartzones de furesi (in logudorese). Ha area
di diffusione pansarda e strutturalmente non differisce molto da zona a
zona. Le ragas vengono confezionate
quasi sempre con orbace nero; non raramente però sono in panno di lana e di
colore rosso. Consistono in un rettangolo di tessuto fittamente pieghettato
o increspato su uno dei lati lunghi: si
presentano come un ampio gonnellino
nero (o rosso), che si allarga a ventaglio
sui fianchi e che viene sovrapposto ai
calzoni bianchi di lino. Anche per questo indumento maschile si è cercato, da
parte di alcuni studiosi, di risalirne
alle origini: come quasi sempre, anche
questa volta i precedenti sarebbero romani; infatti una delle versioni più
note è che le ragas, come il kilt scozzese
e le fustanelle balcaniche, non sarebbero altro che discendenza della
‘‘balza’’ che i soldati romani portavano
sotto la lorica. Il Lamarmora, in particolare, attribuisce all’indumento origini ed età rinascimentali. Sotto le ragas venivano indossati i calzoni bianchi, in genere molto ampi e lunghi, fermati in vita con nastri o con elastici.
Generalmente il tessuto usato per la
confezione è realizzato su telaio tradizionale usando lino bianco; non mancano peraltro località caratterizzate da
inverni rigidi – specialmente delle
zone interne – , nelle quali al posto del
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbigliamento tradizionale
tessuto di lino è presente l’orbace
bianco. Le estremità inferiori dei calzoni venivano infilate nelle uose oppure lasciate cadere fino a coprire
metà gamba.
Cappotto Sopra tutti gli indumenti cui
s’è fatto cenno poteva essere indossato
un cappotto nero di orbace, lungo fino
alle caviglie, comunemente denominato gabbanu (in logudorese). Posteriormente l’indumento presenta un
lungo spacco dalla vita sino all’orlo inferiore che ha il compito di non impacciare i movimenti nel cavalcare. Indumento utilissimo, veniva usato pressoché in tutta l’isola – poiché proteggeva
efficacemente dal freddo, dalla pioggia e dall’umidità – soprattutto dai contadini e dai pastori. Da notare che l’indumento è fornito di cappuccio conico
incorporato.
Gabbanella Simile al gabbanu, quanto
a struttura, è la gabbanella, lungo giaccone di orbace nero provvisto di cappuccio conico incorporato. Sostituisce
il gabbanu nei periodi caldi e, secondo
il Lamarmora, sarebbe stato diffuso in
Sardegna solo fra le classi subalterne
in quanto considerato indumento volgare e grossolano: la gabbanella (in alcune zone, specie nel Logudoro, denominata anche cappottinu) si presenta
però non raramente realizzata in
modo accurato con fodera interna e
guarnizioni di velluto di colore diverso
dal nero.
Uose Sono gli elementi che completano, insieme alle calzature, l’abbigliamento popolare maschile. Si ritrovano,
quanto a diffusione, in tutta l’isola e
sono realizzate normalmente in orbace
nero, anche se non mancano uose di
cuoio, come riferiscono lo Spano e altri
scrittori del secolo XIX; in tal caso
però esse vengono indicate, invece
che come cartzas, col termine di borzeghinos e vestiales. Per quanto riguarda
invece le calzature è da notare che in
alcuni centri non se ne faceva uso;
dove erano presenti erano di fattura
artigianale e venivano confezionate su
misura. A partire dalla fine dell’Ottocento il complesso ragas, calzoni di
lino e uose viene soppiantato dai calzoni di foggia corrente, piuttosto attillati, confezionati in orbace nero.
Mastruca Le prime notizie sul modo di
vestire dei sardi si concentrarono però
soprattutto su indumenti del vestiario
maschile che non facevano parte del
vestiario festivo, in particolare sulla
mastruca e sul collettu. La mastruca (il
termine mastruca non esiste nella lingua sarda, mentre è adoperato dagli
autori latini) è un indumento da lavoro
ottenuto con quattro pelli ovine intonse cucite fra loro in modo da formare un giubbotto senza maniche piuttosto lungo. L’indumento, che come si è
detto non fa parte del vestiario festivo
ma di quello da lavoro, soprattutto dagli autori latini viene inscindibilmente
legato alla Sardegna, e i sardi vengono
conseguentemente definiti mastrucati
in senso dispregiativo. Comunque la
mastruca con varie denominazioni
(peddes, pedde, best’e peddi, ervechina)
risulta ancora in uso in vaste aree dell’isola, ma in particolare nelle zone
centrali. Indumento da lavoro del pastore, è confezionata con pelli intonse
di pecora, di agnello, di montone e di
capra: le pelli, accuratamente conciate, vengono cucite fra loro in modo
che la parte anteriore risulti aperta
con due ampie aperture laterali in corrispondenza delle braccia. Il capo risulta pertanto molto ampio e viene
usato col vello all’interno durante l’inverno e col vello all’esterno durante
l’estate. Ovviamente – e ciò in considerazione del materiale impiegato,
esclusivamente di origine animale: anche le cuciture delle pelli vengono ese-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbigliamento tradizionale
guite con sottili strisce di pelle di gatto
o di cane opportunamente depilate, e
comunemente indicate come corriargios (in logudorese e nuorese) – l’indumento non può essere circoscritto e limitato, quanto a origine, alla sola Sardegna, ma appartiene a un’area ben
più vasta di quella mediterranea, perché verosimilmente doveva essere in
uso in tutte quelle zone a clima rigido
e con forti escursioni termiche in cui
veniva praticata la pastorizia.
Collettu Come la mastruca, anche il
collettu è confezionato con pelli; a differenza della best’e peddi, però, le pelli
del collettu sono tosate, sottoposte a
procedimento di conciatura ben più
accurato di quello della mastruca e
provengono soprattutto da animali giovani; spesso venivano usate anche
pelli di cervo. Per la confezione sono
normalmente richieste quattro pelli
(ovine), due per la parte posteriore e
due per quella anteriore, i cui lembi
risultano sovrapposti. Quanto a lunghezza il collettu non differisce molto
dalla mastruca, arrivando a coprire il
ginocchio; in vita è fermato da una
larga cintura che ha anche il compito
di tenere unite e sovrapposte le falde.
Da indumento semplice per il lavoro
contadino, quale dovette essere in un
primo tempo, il collettu divenne sempre più elaborato e impreziosito da ricami, fermagli, bottoni e gancere d’argento; non è da escludere che proprio
in questo processo di progressivo impreziosimento sia da ricercare una
delle più importanti cause che portarono alla precoce cessazione dell’uso
del capo di vestiario.
& VESTIARIO POPOLARE FEMMINILE
Anche per quanto riguarda il vestiario
femminile si hanno degli indumentibase essenziali che si riscontrano in
tutta l’isola.
Abbigliamento tradizionale – La festa di San
Pietro a Baunei. Uno dei copricapi femminili
più diffusi è il fazzoletto quadrato piegato a
triangolo: tessuto e nodo segnalano spesso il
luogo di provenienza.
Copricapo In Sardegna, fra le classi
popolari, il capo scoperto era ammesso
solo all’interno delle pareti domestiche e durante particolari lavori, mai
in pubblico: si può giustificare con
questo motivo il fatto che non esiste,
nell’isola, una sola località in cui il vestiario popolare femminile non preveda il copricapo. Uno dei copricapi
più diffusi è il fazzoletto quadrato piegato a triangolo: è il modo in cui viene
annodato che contraddistingue il
luogo di provenienza della persona
che lo indossa; oltre il modo in cui
viene messo intorno al capo, anche il
tessuto usato per la confezione è diverso: lana, cotone, seta, lino. Sopra il
fazzoletto possono essere sovrapposti
altri tipi di copricapo: spesso, in vaste
aree, al fazzoletto viene sovrapposta
una lunga benda bianca o nera di lino
(tiazola); in altre località assume un carattere cosı̀ elaborato con la sovrapposizione di altri fazzoletti che non è più
individuabile la forma originaria
(come per esempio a Sennori, Atzara,
Samugheo ecc.). Al fazzoletto può essere sovrapposto anche un altro fazzoletto, sempre quadrato, ma aperto e lasciato cadere liberamente sulle spalle,
di tulle bianco ricamato o di seta ricamata a ritaglio. Può essere sovrapposto
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Abbigliamento tradizionale
anche uno scialle oppure una mantiglia sagomata, di tessuto anche pesante, che copre il capo e parte dalle
spalle. Sotto il fazzoletto veniva indossata una cuffia che poteva essere anche di semplice tessuto bianco. In alcune località, però, per il tessuto usato
per la confezione e i ricami che l’adornano, la cuffia è molto preziosa (per
esempio, Desulo, Ollolai). Anche a Orgosolo la cuffia è in materiale pregiato,
ma nascosta da una benda di seta
grezza di colore giallo ocra (lionzu). Il
capo può essere coperto anche da una
gonna rivoltata sulle spalle e sui capelli.
Abbigliamento tradizionale – Caratteristica
del costume femminile di Orgosolo è la benda
gialla che copre la parte inferiore del viso.
Camicia Come si è già visto per la camicia maschile, anche quella femminile è sempre bianca, pur se qualche
volta si riscontra un leggero ‘‘azzur-
rino’’ o un colore paglierino. Il tessuto
normalmente è di lino, ma non manca
il cotone. Generalmente le camicie si
presentano molto ampie con una fitta
increspatura al collo, all’attaccatura
delle maniche e ai polsi. Il collo, nella
maggior parte del casi (escluso il Campidano, in cui si hanno altissimi colli di
pizzo), consiste in una sottile striscia di
tela fittamente ricamata ad ago. La camicia poteva essere impreziosita anche da ricami a intaglio oppure a sfilato sul petto, al collo e ai polsi. La confezione della camicia femminile era
molto complessa e veniva eseguita da
persone specializzate. Sul davanti
della camicia, in corrispondenza del
collo, sono praticate due asole entro le
quali si facevano passare gemelli d’oro
o d’argento. La camicia è una componente fra le più importanti del vestiario femminile: ad essa si è dovuto adattare il corsetto, che infatti, in molti
casi, si è allargato sul petto in modo da
metterla bene in mostra. L’ampia scollatura della camicia ha fatto ritenere a
molti scrittori che fu il clero, probabilmente, a imporre alle donne «una pezzuola che, benché svolazzante», ricopre «alquanto nudità che – come annota il Corbetta – riuscirebbero troppo
provocanti, e salva in qualche modo il
pudore»: per questo le danno anche il
nome di parapettu. La camicia è l’unico
indumento che anche nel periodo del
lutto non cambia colore, rimanendo
costantemente bianca quando gli altri
indumenti assumono il colore nero.
Corsetto Il corsetto è, al pari della camicia, indumento sempre presente nel
vestiario femminile sardo, ma diverso
quanto a struttura da zona a zona.
Nelle località vicino a Sassari è un busto a struttura rigida, confezionato generalmente con broccato e arricchito
da ricami, lustrini, perline e fili dorati
e argentati; tutta la superficie è rinfor-
12
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 20
Abbigliamento tradizionale
zata da steli di palma nana disposti paralleli e verticali e copre completamente la schiena e i fianchi.
Abbigliamento tradizionale – Il costume
tradizionale isolano è frutto di un lungo
lavoro di ago e di telaio.
Il busto, che sul davanti è molto scollato (i lembi rimangono distanti), è allacciato sopra il petto da nastri incrociati che passano attraverso numerosissime asole circolari. Può essere indossato sia sotto che sopra il giubbetto.
Anche nel Goceano si ha un tipo di busto a struttura rigida, ma molto più
corto. Il busto rigido usato nel Logudoro lo si ritrova in Italia e in Europa
già dal Cinquecento e restò in uso (a
parte un’interruzione durante la Rivoluzione francese) fino a quando nel
1905 Paul Poiret, il re della moda parigina, non propose l’abito chemisier
che andava indossato senza nessun bu-
sto. Anche in Sardegna esso fu uno dei
primi elementi del vestiario tradizionale, insieme alla camicia bianca e al
giubbetto, a essere sostituito con camicette colorate o addirittura con maglioni. L’uso del busto rigido o semirigido rimane in Sardegna limitato alla
sola zona settentrionale; in altre zone
dell’isola invece sopra la camicia
viene indossato un corpetto morbido,
aperto generalmente sul davanti; in
area nuorese il corpetto, a volte, è costituito da una stretta fascia, sostenuta
da sottilissime spalline, che passa sotto
il seno e termina sul davanti con due
punte.
Corittu Sopra il corpetto/busto viene
indossato un indumento denominato
in logudorese corittu e in nuorese tzippone. È una giacca di varia lunghezza
generalmente con lunghe maniche
strette e squartate, aperta sul davanti.
I materiali usati per la confezione sono
di solito pregiati (panno, velluto, broccato). A partire dal gomito – ci si riferisce soprattutto ad esempi di area logudorese e del Goceano – le maniche
sono guarnite con una serie di bottoni
generalmente d’argento.
Gonna La gonna del vestiario popolare è sempre molto lunga e, a parte
rarissimi casi, molto ampia; è costituita normalmente di due parti: una
anteriore liscia e una posteriore, che
ricopre anche i fianchi, molto ampia e
fittamente pieghettata. La parte anteriore è in genere un semplice rettangolo di stoffa al quale si sovrappone il
grembiule; essendo non in vista, è con
una certa frequenza confezionata con
tessuti diversi o meno pregiati del resto dell’indumento. Questa parte è collegata con quella posteriore per mezzo
di cuciture; il settore superiore, però, è
aperto per facilitare l’indossatura dell’indumento e viene chiusa con ganci e
nastri. Tutta l’attenzione viene river-
13
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 21
Abbigliamento tradizionale
sata sulla parte posteriore. L’ampia
stoffa viene fittamente increspata in
vita e pieghettata fino all’orlo inferiore. La vita e le aperture laterali sui
fianchi vengono arricchite da strisce di
tessuto diverso, colorato o ricamato. Il
bordo inferiore è quasi sempre guarnito da balze che possono essere alte
alcuni centimetri oppure possono addirittura arrivare fino a metà indumento: in genere si tratta di tessuto di
broccato a fiori policromi o di seta cangiante oppure ancora di raso o di velluto, ricamato a motivi floreali con fili
di seta policroma. Galloni dorati e argentati separano la balza dal resto
della gonna. In alcuni centri del Nuorese e dell’Ogliastra, come ad esempio
ad Aritzo, Tonara, Belvı̀, Gadoni, Baunei, la gonna è molto più stretta. Anche
i tessuti usati per la confezione sono
vari: soltanto nelle zone interne è rimasto l’orbace, mentre nelle altre località il tessuto usato è di produzione industriale. Un’altra caratteristica di
certe località è anche quella di far apparire la gonna più gonfia possibile sovrapponendo diverse gonne. Attualmente la gonna, limitatamente a molti
centri, è forse l’unico indumento del
vestiario tradizionale che fa registrare
una certa vitalità. Non si tratta, beninteso, della gonna con le caratteristiche
appena descritte, ma piuttosto di un
ibrido che, pur presentando elementi
comuni al capo andato in disuso, ne denuncia ancora e piuttosto chiaramente
il modulo di provenienza.
Grembiule Completa l’abbigliamento
femminile il grembiule. Si sovrappone
sulla parte anteriore della gonna che,
come si è detto, è liscia. Quanto alla
forma il grembiule varia da paese a
paese, esistendo nell’isola sia il modello triangolare sia quello di forma arrotondata. Gonna e grembiule si integrano a vicenda.
Abbigliamento tradizionale – Dettagli e
varianti nel costume tradizionale femminile.
INDIVIDUALITÀ E PARENTELE DEL
‘‘COSTUME’’ SARDO L’arcaicità delle
fogge e degli indumenti del vestiario
popolare sardo è la costante presente
in quasi tutti gli studi sull’abbigliamento popolare isolano, cosı̀ come anche i caratteri di individualità e di unicità di questo modo di vestire. La Sardegna risulta, in questo quadro, quasi
staccata dal contesto geografico e storico mediterraneo e dalle epoche più
recenti, per cui il vestiario popolare – e
in modo particolare quello maschile –
veniva presentato come fossile di un
lontanissimo passato. Eventuali particolarità tecniche di manifattura degli
indumenti che potevano fornire elementi per una corretta indagine sotto
l’aspetto storico e testimoniare invece
una antichità e una conseguente ‘‘nobiltà’’ piuttosto esigue non si sono te&
14
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 22
Abbigliamento tradizionale
nute nella dovuta considerazione e si è
preferito considerare l’indumento
quale doveva essere in un metastorico
‘‘prima’’.
Abbigliamento tradizionale – Particolari
dall’abbigliamento femminile.
Dalla ‘‘accertata’’ individualità delle
fogge di vestiario sarde rispetto a
quelle non sarde si giunse – il passo
era breve – a prendere atto della altrettanto marcata diversità esistente – nei
capi di abbigliamento – fra le varie località dell’isola (e ciò corrispondeva in
effetti alla realtà). Ciò che non rispondeva al vero fu la pretesa di attribuire a
ogni località un unico e particolare abbigliamento che dovrebbe costituire
un assoluto, quasi una divisa di tipo militaresco o una carta di identità ai fini
della individuazione della provenienza della persona. Un particolare
modo di vestire – sia esso festivo o
meno – non è invece da attribuire
esclusivamente a una località reclamandone poi caratteri di unicità rispetto ad altri centri, poiché spesso
due località si differenziano fra loro
quanto al vestiario solo per dettagli,
mentre è identica l’architettura di
base. Parimenti non corrisponde al
vero che ogni località abbia un proprio
unico abbigliamento: al contrario la
pluralità delle classi sociali, dei mestieri e delle capacità economiche riscontrabili in un qualsiasi centro e una
qualsiasi società classista avrebbe dovuto (o dovrebbe) indurre a meditare
sull’assurdità dell’ipotesi dell’esistenza di un unico tipo di abbigliamento indipendente dalle capacità
economiche delle varie componenti
sociali e quindi dalle capacità di acquisto di ciascuna di esse. Di fatto, per
ogni località esiste, sı̀, un modulo
base, ma insieme a una nutrita serie di
varianti che fa di ogni esemplare quasi
un modello unico. Gli esemplari di vestiario, pertanto, pur mantenendo uniformità di struttura e di componenti,
variano sia per materiali che per cromatismi; ed è soprattutto nella diversità dei materiali impiegati nella confezione che si ha la riprova del diverso
potere di acquisto delle varie componenti sociali e, nell’ambito di una
classe sociale, da individuo a individuo. Perciò in ambiente contadino
come in ambiente pastorale ci si troverà di fronte a capi di abbigliamento
simili e allo stesso tempo diversi tra
loro quanto a materiali, decorazioni e
accessori. Uno studio del vestiario popolare non può quindi che essere inquadrato in una visione materialistico-storica della società – in cui gioca
un ruolo predominante la divisione in
classi – e nel contesto storico nel quale
la Sardegna si è trovata nei diversi periodi. È ovvio che l’interesse di uno stu-
15
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 23
Abbigliamento tradizionale
dio sul vestiario è essenzialmente storico, poiché le particolari fogge di abbigliamento – soprattutto quelle festive – appartengono ormai al passato.
La data di cessazione dall’uso corrente
può essere collocata, grosso modo, tra
la fine del secondo e l’inizio del terzo
decennio del Novecento, col cambiare
delle condizioni – specialmente dopo
la prima guerra mondiale – che ne avevano perpetuato la vitalità e consentito
l’evoluzione nel tempo (intesa come capacità di assorbire materiali nuovi in
sostituzione di altri tradizionali). Questo per quanto riguarda l’abbigliamento festivo. Per quanto concerne
l’abbigliamento giornaliero si può osservare invece che la cessazione dall’uso di quest’ultimo non è stata netta;
si può anzi affermare che i nuovi modi
di vestire si sono fusi con quelli tradizionali dando vita a ‘‘ibridi’’ ancora
oggi in uso specialmente tra le persone
di una certa età e in particolari settori
dell’economia tradizionale, in special
modo nel comparto della pastorizia.
L’indagine sul vestiario popolare in genere (e della Sardegna, nel nostro caso)
investe direttamente il rapporto tra
classe dominante e classi subalterne,
perché le fogge si creano e si trasformano sul modello adottato dalle classi
detentrici del potere economico e politico e da esse passano a quelle subalterne. Si tratta, quindi, di un fenomeno
da studiare non nella sua staticità ma
nella sua dinamicità, in quanto frutto
di evoluzione indotta da fattori sia temporali che storici. E per lo studio di
questo processo in ambito sardo è utile
l’esame, oltre che dei documenti rappresentati dai capi di abbigliamento
vero e proprio, anche dei documenti
iconografici, delle fonti letterarie, di
quelle storiche, delle fotografie d’epoca e della testimonianza di persone
che hanno avuto modo di conoscere in
uso le fogge tradizionali di vestiario:
non sono inoltre da trascurare gli elementi ricavabili da un esame dei documenti giacenti presso i vari Archivi di
Stato della Sardegna, della penisola e
della Spagna e quelli ottenibili da un
accurato esame degli ex voto dei diversi santuari dell’isola.
Abbigliamento tradizionale – Altri particolari
del costume femminile.
FONTI Per quanto riguarda le fonti
letterarie – trascurando quelle fornite
dagli scrittori classici greci e latini –
&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 24
Abbigliamento tradizionale
esse partono dalla metà del Cinquecento con le poche notizie riportate da
Sigismondo Arquer nella sua Sardiniae
brevis historia et descriptio e con quelle
riportate dal Fara nel De corographia
Sardiniae pubblicato nel 1559. Al 1612
risale la Relacion al Rey don Philipe
nuestro Señor del canonico Martin Carrillo. Per il Settecento le fonti letterarie sono notevolmente più numerose in
quanto si dispone di un manoscritto
del 1759 (nella Biblioteca comunale di
Cagliari), dei lavori del Cetti (1774), del
Gemelli (1776), del Fuos (1780), del Madao (1792) e del Floris (fine secolo, manoscritto cartaceo). Il secolo XIX è
quello più ricco di notizie sull’abbigliamento popolare. Con l’Ottocento, infatti, si assiste a una ‘‘riscoperta’’ della
Sardegna con la pubblicazione di una
serie di libri di autori anche stranieri:
Mameli de’ Mannelli (1805), F. d’Austria-Este (1812), Mimaut (1825), Lamarmora (1826 e 1839), Saint Severin
(1827), Smyth (1828), Angius (in Casalis,
1833-1856), Valery (1837), Luciano
(1841), Monnier (1849), Bresciani
(1850), Delessert (1855), Forester
(1858), D’Elne (1863), Spano (1864),
Bouillier (1865), Domenech (1867), Von
Maltzan (1869), Mantegazza (1869), Bennet (1876), Corbetta (1877), Serafino
(1888), Bazzi (1889), Cionini (1889), Vuillier (1891), Chiesi (1893) e G. Deledda
(1894) – tanto per citare i più importanti. Molti di questi lavori sono rappresentati, soprattutto per quanto riguarda gli autori stranieri, dai cosiddetti ‘‘libri di viaggio’’. Le notizie sull’abbigliamento popolare riportate in
questi lavori sono spesso integrate da
disegni e litografie. Per quanto riguarda il Novecento sono da citare, fra
gli altri, i lavori di Enrico Costa e del
Bottiglioni, il Lawrence di Sea and Sardinia e numerosissimi articoli comparsi in riviste e quotidiani. Le fonti
iconografiche, della massima importanza ai fini di un’indagine sul vestiario popolare, sono rappresentate – ci si
riferisce alle più importanti – dalle tavole dei Ms 258 e 257 della Biblioteca
Universitaria di Cagliari, dalle litografie del volume di B. Luciano, dagli acquerelli di don Simone Manca di Mores
e dalle tavole pubblicate nella rivista
satirica cagliaritana ‘‘Il Buonumore’’,
oltre che dai dipinti ancora inediti appartenenti a collezioni private e biblioteche. Il Ms 258, cosı̀ chiamato per la
segnatura di riferimento della Biblioteca Universitaria di Cagliari, è stato
pubblicato da F. Alziator nel 1963 con
il titolo La Collezione Luzzietti (dal
nome dell’antiquario romano presso il
quale fu acquistato). Si compone di 48
acquerelli da attribuirsi probabilmente ad Agostino Verani, attivo a Torino negli anni tra il 1793 e il 1819. Il Ms
Raccolta di trenta costumi sardi particolarmente di Sassari e suoi dintorni disegnati dal vero negli anni 1825-1826 da G.
Cominotti è costituito, come dice il sottotitolo, da trenta tavole (di cui 29 acquerelli). Al Cominotti si devono anche
quasi tutte le tavole della prima edizione (1826) dell’Atlas che accompagnava il Voyage del Lamarmora; invece
le tavole annesse alla seconda edizione
del 1839 sono opera del torinese Enrico
Gonin (il Cominotti era deceduto a Torino nel 1833). La raccolta della rivista
‘‘Il Buonumore’’ consta di 43 tavole
pubblicate fra il gennaio e il novembre
1878 (in due tipi, uno in bianco e nero e
l’altro a colori); i disegni sono opera di
Giorgio Ansaldi, caricaturista noto con
lo pseudonimo di Dalsani. I disegni
della raccolta sono stati pubblicati nel
1968 da E. Putzulu sotto il titolo Costumi Sardi. La ‘‘Galleria di costumi
sardi’’ del ‘‘Buonumore’’. Ad E. Putzulu
e L. Piloni si deve inoltre la pubblicazione nel 1976 degli acquerelli eseguiti
17
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 25
Abdallah ibn Ziyad
tra il 1878 e il 1880 da don Simone
Manca di Mores; gli acquerelli, 63 in
tutto, furono dipinti e dedicati dal
Manca alla propria figlia Luigia maritata Riccio. Ulteriore e non trascurabile contributo iconografico rivestono
le tavole dell’Album di costumi sardi di
Enrico Costa, pubblicato a Sassari nel
1898 dal tipografo-editore Giuseppe
Dessı̀. Tutte le fonti iconografiche citate rappresenterebbero una sicura
fonte circa lo stadio evolutivo del vestiario popolare sardo delle località osservate se non sorgesse il dubbio che
gli autori, tutti di estrazione non popolare, abbiano guardato a questo particolare aspetto della Sardegna come a
espressioni di cultura per loro ‘‘altra’’.
Documenti ben più validi, in virtù dell’ambiente di fruizione cui il messaggio contenuto è diretto, rappresentano
le tavole votive dipinte esistenti presso
i santuari, in quanto il vestiario dei
protagonisti in esse rappresentati fa
parte, come ha scritto G.B. Bronzini,
«del racconto e del rito che esso insegna e irradia, ma deve anche servire a
far riconoscere come reali i personaggi
che vi agiscono»: ma un’indagine sulle
tavolette votive della Sardegna da
un’ottica demologica è ancora in gran
parte da fare. [GEROLAMA CARTA MANTIGLIA]
Abdallah ibn Ziyad Ammiraglio arabo
(sec. VIII). Comandante di una flotta
araba, nel 732 fu inviato da Abd ar-Raman dalla Spagna in Sardegna, ma non
ottenne risultati apprezzabili. Nel 734
tentò un altro sbarco, ma fu respinto
dagli abitanti di Cagliari.
Abd ar-Rahman ibn Habib Principe
della famiglia degli Omayyadi (sec.
VIII). Nipote del califfo Hisham, sfuggito alla strage della sua famiglia, dal
Maghreb dove si era rifugiato organizzò nel 752 una spedizione in Sardegna unitamente a suo fratello Abdal-
lah. Attaccandoli con una violenza
inaudita vinse la resistenza dei sardi e
impose loro il pagamento della giziah,
il tributo che i musulmani imponevano
alle popolazioni vinte e sottomesse.
Abealzu, cultura di Fase culturale
della preistoria sarda. Prende il nome
dall’omonima località delle campagne
di Osilo: risale all’Eneolitico medio ed
è databile entro il 2850 e il 2600 a.C. Le
sue testimonianze sono state ritrovate
a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; gli scavi successivi e i relativi
studi permettono di affermare che i
sardi di questo periodo (e di questa cultura) praticavano una modesta agricoltura e conoscevano la fusione del
rame. Avevano il culto degli antenati e
complesse abitudini funerarie; conoscevano la scarnificazione e la semicombustione dei cadaveri, che seppellivano a volte riutilizzando le domus de
janas. Gli elementi culturali rinvenuti
fanno pensare che la loro società fosse
governata da un’aristocrazia.
Abella Famiglia algherese di origine
catalana (secc. XIII-XVII). Le sue notizie risalgono ai tempi di Giacomo I
quando un Pietro si distinse nella conquista del Regno di Valencia. Uno dei
suoi discendenti, un Ferrer, si trasferı̀
in Sardegna con la spedizione dell’infante Alfonso e prese parte alla conquista di Iglesias. Proveniva dalla Sicilia, dove i suoi antenati si erano trasferiti dalla Catalogna nel 1282 al seguito
di re Pietro III. Suo nipote Nicola fu un
valoroso uomo d’armi che prese parte
alla battaglia di Sanluri e subito dopo
andò a stabilirsi ad Alghero. Nel 1420
ebbe in allodio i salti di Ruda e di Montemajore e nel 1422 fu nominato sostituto del procuratore reale del Logudoro. In seguito, insieme a molti altri
gentiluomini algheresi, prese parte
alla guerra contro Nicolò Doria. Suo figlio Francesco nel 1436 partecipò alla
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 26
Abete
conquista del castello di Monteleone e
come ricompensa ebbe in feudo le saline del Fangario nelle vicinanze di Alghero, il privilegio dell’esazione della
gabella del sale in città e altri privilegi
connessi al commercio del sale. I suoi
discendenti continuarono a possedere
il feudo accumulando ingenti ricchezze; dal 1573 presero parte ai parlamenti ed ebbero un ruolo di rilievo in
seno alla società algherese. Nel 1615
uno di essi, Giuliano, fu nominato reggente della Tesoreria generale del regno e nel 1620 ottenne il riconoscimento della nobiltà. Suo figlio Francesco, che nel 1617 era stato nominato capitano della guardia del governatore
del Logudoro, nel 1631 fu nominato capitano degli alabardieri del viceré e si
stabilı̀ a Cagliari. La sua discendenza
si estinse nella seconda metà del Seicento con un altro Nicolò che lasciò
erede sua figlia Maddalena, sposata
con Diego Tola.
Abella, Giuliano Gentiluomo algherese (sec. XVI-prima metà sec. XVII).
Nel 1615 fu nominato reggente della
Tesoreria generale del regno; partigiano del viceré Vives, ne sostenne
con energia l’orientamento politico
pro Olivares. Questa posizione lo fece
entrare in conflitto con il maestro razionale Ravaneda e con molti altri nobili algheresi.
Abete Genere di piante arboree sempreverdi della famiglia delle Pinacee
originarie dell’Europa centrale e meridionale montana. L’a. produce legno
tenero ed elastico e materiale per l’industria cartaria e conciaria. Non appartiene alla vegetazione spontanea
sarda, ma è stato introdotto nei rimboschimenti e nel verde pubblico delle
zone montane con le due specie più diffuse: 1. l’a. bianco (Abies alba), detto
cosı̀ per i riflessi argentei della sua
chioma piramidale verde scuro, rico-
noscibile dalla corteccia grigiastra,
dalle foglie aghiformi appiattite e dai
coni (strobili) lunghi ed eretti sul ramo;
Abete – Abete rosso.
2. l’a. rosso (Picea excelsa), che ha corteccia rossastra (da cui il nome), foglie
aghiformi con sezione poligonale, strobili lunghi appesi al ramo. Amatore
Cossu in Flora pratica sarda (1968) lo
segnala nelle zone montane soprattutto del Limbara (Tempio), ma si trova
anche nei rimboschimenti della Barbagia, del Mandrolisai, del MarghineGoceano; in Grandi alberi della Sardegna (1994), Siro Vannelli cita un esemplare di a. bianco nella foresta demaniale di Monte Pisano nel Goceano
(Bono) che, piantato durante il programma di rimboschimenti dell’ispettore forestale G. Sala negli anni 191516, ha raggiunto 25 m di altezza e 220 cm
di circonferenza. Lo stesso Vannelli segnala un esemplare di a. di Spagna
(Abies pinsapo) nel parco di villa Piercy
in località Badde Salighes (Bolotana)
che in un secolo di vita ha raggiunto 22
m di altezza e 350 cm di circonferenza.
Nomi sardi: abeti biancu (gallurese);
abetu (Sassari); pixi (Mandrolisai). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 27
Abigeato
Abigeato Termine giuridico usato per
definire il reato del furto di bestiame
praticato dai pastori. La sua esistenza
in Sardegna affonda nella notte dei
tempi, fino a diventare elemento ineliminabile e quasi consuetudinario
della società pastorale: il fenomeno (e
la sua stessa persistenza) sono giustificati dalla convinzione, diffusa nelle società pastorali, che il furto del bestiame posto in essere in stato di necessità non è da considerare come reato.
Sicuramente praticato già in età romana e tardoimperiale, era punito severamente. Per scoraggiarlo venne introdotta la pratica per cui ogni capo di
bestiame (specialmente le pecore, ma
anche i bovini) doveva essere contraddistinto da un particolare segno per indicarne il proprietario (tagli speciali
nelle orecchie delle pecore, marchi a
fuoco per buoi e cavalli). Nella legislazione giudicale il reato è definito meglio e adeguatamente sanzionato come
una pratica legata a forme di banditismo sociale e anche come modalità del
conflitto tra pastori e contadini per lo
sfruttamento della terra. In età aragonese l’a. fu considerato anche come
una forma di contestazione del sistema
feudale in cui il furto aveva l’obiettivo
di riequilibrare forme di sfruttamento
ritenute ingiuste; per venirne a capo fu
probabilmente allora che furono diffuse le compagnie dei barracelli con
compiti di polizia rurale e fu sancita la
pratica dell’incarica (responsabilità
collettiva di una comunità per un reato
che avesse provocato un danno a terzi).
Nel corso del secolo XVII l’a. fu largamente praticato, anche perché spesso
gli abigeatari trovavano protezione
presso alcuni signori feudali che finivano per trarre vantaggio dalla loro attività, quando non erano in prima persona i mandanti stessi del furto. La situazione non si modificò nel secolo
XVIII, anzi il reato si sviluppò spesso
anche in connessione con forme di contrabbando soprattutto in Gallura, dove
era favorito dalla vicinanza con la Corsica. L’amministrazione sabauda cercò
di porvi rimedio con la repressione e
con la regolamentazione minuta e obbligatoria della pratica della segnatura del bestiame (sinnadura). Questa
pratica in particolare avrebbe potuto,
se ben controllata, limitare il fenomeno, ma gli esiti, in un territorio vasto, poco abitato, non di rado montuoso, furono molto scarsi: i furti del
bestiame, la contraffazione dei segni,
il trasferimento clandestino dei capi
rubati continuarono a essere praticati
su larga scala. Ancora nel 1838 fu emanato un regolamento per la sua repressione; altre norme furono introdotte
nel Codice albertino e più tardi nel regolamento del 1898. Nell’ultimo regolamento, emanato nel 1947, fu affrontato il problema della prevenzione e furono istituiti nei comuni degli uffici
antiabigeato con il dichiarato obiettivo
di riuscire a modificare le antiche convinzioni che rendevano il fenomeno
cosı̀ diffuso. Nel corso degli ultimi decenni l’a. è stato visto sempre più nelle
sue connessioni sociali e variamente
interpretato; la più completa di queste
interpretazioni si deve ad Antonio Pigliaru nel suo La vendetta barbaricina
come ordinamento giuridico (1959), in
cui il fenomeno è studiato non tanto
come danno patrimoniale quanto
come offesa dalla quale può scattare
la vendetta. Le tesi di Pigliaru aprirono un lungo dibattito che si arricchı̀
dei contributi di Raffaele Camba, Nereide Rudas, Clara Gallini, Luca
Pinna, Gavino Musio e molti altri.
Come è noto, l’attuale ordinamento
giuridico ha abolito il reato derubricandolo a una forma particolare di
furto; questa scelta, che si fonda sull’i-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 28
Abilitazione ai parlamenti
dea che ormai l’abigeato abbia cessato
di rivestire la gravità sociale di un
tempo, per quanto riguarda la Sardegna lascia aperta la questione della
sua connessione con la pratica della
vendetta.
Abilitazione ai parlamenti Procedura
di identificazione e di certificazione
della legittimità dei titoli di ammissione ai parlamenti che si celebrarono
nel Regnum Sardiniae dal 1558 al 1698.
La procedura, che consisteva nella verifica della validità dei titoli di ammissione presentati dai vari partecipanti,
era posta in essere dal Comitato degli
abilitatori, una commissione composta
da sei membri (tre di nomina regia e tre
espressi dagli Stamenti) che procedeva nella fase di insediamento del
Parlamento a controllare la veridicità
dei documenti prodotti o delle pretese
dei partecipanti. La commissione fu
istituita per la prima volta nel 1554 su
istanza dello Stamento militare (quello
dei nobili), in seno al quale la verifica
della legittimità dei titoli di ammissione aveva una notevole importanza
perché serviva a confermare i privilegi
cui la condizione nobiliare dava adito.
Dall’esame degli atti parlamentari è
possibile vedere come gli abilitatori
procedevano e la ricchezza della documentazione prodotta rende oggi possibile ricostruire le vicende e la genealogia di buona parte delle famiglie nobili
sarde estinte o esistenti.
Famiglie abilitate nel parlamento Madrigal, 1558-1561 Alagon, Araolla, Armengol, Aymerich, Barcelo, Bellit,
Cano, Carcassona, Cardona, Cariga,
Carrillo, Carta, Casagia, Casalabria,
Castelvı̀, Cedrelles, Cervellon, De
Aquena, De Avendanya, De Gerp, De
Ogana, De Rebolledo, De Sena, Dedoni, Dell’Arca, Esgrechio, Figo, Galeace, Garau, Lacano, Lercaro, Manca,
Marongiu, Martinez, Minutili, Mora,
Pinna, Ravaneda, Roccamarti, Ruiz,
Sanna, Scano, Sellent, Tola, Virde.
Famiglie abilitate nel parlamento Coloma, 1573 Abella, Alagon, Aleo, Amat,
Andreu, Aragall, Aymerich, Bacallar,
Barbarà, Bellit, Bonfill, Busquets, Cadello, Canelles, Cano, Carcassona, Cariga, Carrillo, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Centelles, Cervellon,
Comprat, Corellas, Dedoni, De Gerp,
De Heredia, De Sena, Del Mestre, Dell’Arca, Esgrechio, Ferrà, Ferrer, Figo,
Fortesa, Gessa, Guiso, Gujò, Homedes,
Ledda, Limona, Manca, Marongio,
Martinez, Nin, Paliacio, Palou, Pasqual, Pilo, Porcella, Puliga, Ram, Ravaneda, Rebolledo, Roca, Roccamarti,
Rossellò, Ruiz, Sanjust, Sanna, Sasso,
Soliveras, Tavera, Tola, Torrella, Torresani, Virde, Zapata, Zatrillas.
Famiglie abilitate nel parlamento
Moncada, 1583 Abella, Alagon, Aragall,
Arquer, Aymerich, Barbarà, Barcelo,
Bellit, Bonfill, Busquets, Cano, Carcassona, Cardona, Cariga, Carta, Casagia,
Casalabria, Castelvı̀, Centelles, Cervellon, Clement, Comprat, Contena, Corellas, De Ferrera, De Gerp, De Sena, Dedoni, Delitala, Del Mestre, Dell’Arca,
Enna, Escharchoni, Esgrechio, Fara,
Ferrà, Ferrer, Figo, Fortesa, Franceschi, Grixioni, Gualbes, Guiso, Gujò,
Ledda, Limona, Lo Frasso, Madrigal,
Manca, Marongio, Martinez, Mercer,
Minutili, Mora, Moros y Molinos, Nin,
Otger, Paduano, Paliacio, Pasqual,
Pilo, Porcella, Porcu, Puig, Ram, Ravaneda, Rebolledo, Requesens, Roca,
Roccamarti, Rodriguez, Rosellas,
Ruiz, Sanjust, Sanna, Sasso, Scano,
Servent, Simon, Tavera, Tola, Torellas,
Torresani, Ursena, Virde, Zapata, Zatrillas.
Famiglie abilitate nel parlamento Borgia, 1613-1614 Abella, Ansaldo, Aragall, Barbarà, Bonet, Brondo, Busquets, Cano, Carcassona, Cariga, Car-
21
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 29
Abilitazione ai parlamenti
rillo, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Cervellon, De Aquena, De la
Bronda, De Sena, Deliperi, Delitala,
Dell’Arca, Del Mestre, Esgrechio, Fabra, Figo, Fois, Garau, Gaya, Grixioni,
Gujò, Guiso, Homedes, Hurtado, Jacomoni, Ledda, Lercaro, Manca, Margens, Martinez, Minutili, Moros y Molinos, Narro y Ruecas, Otger, Paduano,
Paliacio, Passamar, Pilo, Pira, Portugues, Puliga, Ravaneda, Ribadaneyra,
Rosellas, Sanna, Santa Cruz, Sasso,
Scano, Scarpa, Serra, Soliveras, Sussarello, Tavera, Tola, Tolo, Vacha, Velasquez, Virde, Zatrillas, Zonza.
Famiglie abilitate nel parlamento Vivas, 1623-1624 Abella, Alivesi, Barbarà, Barrueso, Bonanat, Bonet,
Brondo, Bruguitta, Busquets, Cani,
Cao, Capai, Carcassona, Cariga, Carta,
Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Cugia,
De Andrada, De Aquena, De la Bronda,
Del Mestre, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, De Roma, De Sena, De Silva,
Dexart, Esgrecho, Figo, Fortesa, Garau, Gaya, Gessa, Gualbes, Gujò, Hurtado, Jacomoni, Jagaraccio, Ledda,
Manca, Martinez, Masones, Melis, Melonda, Milia, Moncada, Montanacho,
Moros y Molinos, Nin, Novarro, Paduano, Pasqual, Perez, Pilo, Pinna, Pirella, Pitzolo, Porcella, Porcu, Rams,
Ravaneda, Roccamarti, Roig, Salazar,
Sanatello, Sanjust, Sanna, Santa Cruz,
Sasso, Satta, Serra, Soliveras, Sussarello, Tarragona, Tavera, Tibau, Tola,
Torrella, Vico, Zampello, Zapata, Zatrillas.
Famiglie abilitate nel parlamento
Bayona, 1626 Abella, Alivesi, Ansaldo,
d e A q u e n a , B a r b a r à , B a r r u e s o ,
Brondo, Busquets, Canelles, Cani,
Cano, Capai, Cariga, Carrillo, Carta,
Casagia, Casalabria, Castanyer, Castelvı̀, Cervellon, Coasina, Comprat,
Cugia, De Andrada, Del Rosso, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, De la Bronda,
De lo Zanche, De Roma, De Sena, De
Silva, Dexart, Del Mestre, Escarchoni,
Esgrechio, Ferrà, Figo, Fortesa,
Frasso, Garau, Gaya, Gessa, Grixioni,
Gualbes, Gujò, Guiso, Jacomoni,
Ledda, Lercaro, Manca, Manca Guiso,
Martinez, Masons, Melis, Melonda, Milia, Minutili, Moncada, Moros y Molinos, Nin, Otger, Paduano, Paliacio, Pasqual, Pilo, Pinna, Pira, Pirella, Pitzolo, Ponti, Porcella, Portugues, Puliga, Ravaneda, Requesens, Rocamarti, Rojg, Rosellas, Sanjust, Sanna,
Santa Cruz, Sasso, Satta, Scarpa,
Scano, Sese, Soler, Soliveras, Sussarello, Tavera, Tola, Tolo, Torrellas,
Usai, Virde, Zampello, Zapata, Zatrillas, Zonza.
Famiglie abilitate nel parlamento
Avellano, 1642-1643 Abella, Acorrà,
Aleo, Alivesi, Ansaldo, Asquer, Atzori,
Aymerich, Barbarà, Barrueso, Bonfant, Bonfill, Bruguitta, Brunengo, Canales, Cani, Cano, Cao, Capai, Capudoro, Cardia, Cariga, Carnicer, Carta,
Casagia, Casalabria, Castanyer, Castelvı̀, Castro, Cervellon, Coasina, Comella, Concu, De Amoga, De Aquena,
De Benedetti, De Bolea, Dedoni, De la
Bronda, Deliperi, Delitala, Dell’Arca,
Del Mestre, De Roma, De Sena, Dessı̀,
Dexart, Diana, Diaz, Escharchoni,
Esgrechio, Fadda, Ferrale, Figo, Fois,
Fortesa, Frasso, Furca, Gabella, Galcerin, Garau, Gaya, Gessa, Grixioni, Gualbes, Guiso, Gujò, Homedes, Hurtado,
Jagaraccio, Lado, Ledà, Ledda, Lercaro, Loreto, Madau, Mameli, Manca,
Marongiu, Marras, Marti, Martinez,
Martino, Masala, Masons, Melis, Melonda, Minutili, Moncada, Montanacho, Murtas, Natter, Nieddu, Nin, Novarro, Nurqui, Nuseo, Olives, Ordà, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Pasqual, Passamar, Peis, Petretto, Pilo,
Pinna, Piquer, Pira, Pischedda, Pixi,
Ponti, Porcella, Portugues, Puliga,
22
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 30
Abilitazione ai parlamenti
Quesada, Quigini, Ravaneda, Ribadaneyra, Riccio, Robles, Roger, Roig, Rosellas, Rosso, Salazar, Salvagnolo, Salvino, Sanjust, Sanna, Santus, Sardo,
Satta, Selles, Scarpa, Sellent, Serra, Sibello, Sini, Solar, Soler, Soliveras, Sotgiu, Sulas, Sussarello, Tanda, Tola,
Tolo, Torrellas, Trogu, Uras, Urru,
Usai, Vacca, Valentino, Vico, Virde,
Zampello, Zapata, Zatrillas, Zonza.
Famiglie abilitate nel parlamento Lemos, 1653-1655 Abella, Angioy, Aresu,
Asquer, Astraldo, Atzori, Bacallar, Barbarà, Barrueso, Bonfant, Brondo, Bruguitta, Cabizudo, Canales, Cao, Capai,
Carcassona, Cardona, Carta, Casagia,
Castelvı̀, Casu, Cattayna, Comprat,
Concu, Corrias, Curreli, De Avendanya, De Benedetti, De Bolea, Dedoni,
De la Mata, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, Del Mestre, De Montis, De
Roma, De Sena, Dexart, Diana, Diaz,
Escharchoni, Esgrechio, Espinosa,
Farris, Ferrale, Fois, Fortesa, Frasso,
Furca, Gabella, Galcerin, Garau, Gaya,
Gessa, Grixioni, Guiso, Gujò, Jacomoni, Jagaraccio, Ledda, Loreto, Madau, Manca, Marras, Martino, Martis,
Masala, Melis, Moncada, Montanacho,
Muciga, Mugiano, Murtas, Natter,
Nieddu, Nin, Nurqui, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passino, Peis,
Perez, Petretto, Pili, Pilo, Pinna, Pintus, Pitzolo, Pixedda, Pixi, Ponti, Portugues, Prunas, Py Brondo, Quesada,
Requesens, Riccio, Roger, Roig, Rosso,
Salazar, Salvagnolo, Sampero, Sanatello, Sanna, Santucho, Sardo, Satta,
Scarpa, Sedda, Sequi, Serra, Sini, Sotgiu, Sussarello, Tavera, Tibau, Tola,
Tolo, Torrellas, Trogu, Uras, Usai,
Vacca, Zonza.
Famiglie abilitate nel parlamento Carcassona, 1665-1668 Abella, Alagon,
Aleman, Alivesi, Angioy, Aresu, Asquer,
Astraldo, Atzori, Aymerich, Bacallar,
Bañolas, Barbarà, Bonfant, Bonfill,
Brondo, Brunengo, Cabizudo, Cadello,
Canales, Cani, Cao, Capai, Carcassona,
Cardia, Cardona, Carnicer, Carola,
Carta, Casagia, Castelvı̀, Casu, Cattayna, Cavassa, Cervellon, Comina,
Concu, Contena, Corrias, Cugia, De
Aquena, De Benedetti, De Castro, Dedoni, De Honetto, De la Mata, De la
Zonca, Deliperi, Delitala, Dell’Arca,
Delogu, De Montis, De Roma, De
Soussa, Del Mestre, De Sena, Dessy,
Dettori, Dexart, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Ferrà, Ferrale, Figo,
Fois, Fontana, Fortesa, Frasso, Fundoni, Galcerin, Gaya, Gessa, Grixioni,
Gujò, Guiso, Hurtado, Jacomoni,
Lante, Lecca, Ledà, Madau, Maggio,
Mallano, Manca, Marcello, Marongiu,
Marras, Martinez, Martino, Martis, Masala, Masons, Melis, Minutili, Moncada, Montanacho, Montells, Muciga,
Mugiano, Murtas, Nieddu, Nin, Nuseo,
Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passamar, Peis, Perez, Petretto,
Pilo, Pinna, Pintus, Pira, Pisquedda,
Pitzolo, Ponti, Portugues, Py Brondo,
Quesada, Riccio, Ripoll, Rocamarti,
Rocca, Roger, Roig, Rosso, Sahoni, Salvino, Sampero, Sanguineto, Sanjust,
Sanna, Santa Cruz, Sanatello, Santucho, Santus, Sasso, Satta, Sedda, Sellent, Serra, Scarpa, Sibello, Sini, Sistu,
Solar, Soler, Soliveras, Sotgiu, Sulas,
Sussarello, Tarragò, Tavera, Tibau,
Tola, Torrellas, Uras, Usai, Vacca, Valentino, Vico, Villador, Zampello, Zapata, Zatrillas, Zonza.
Famiglie abilitate nel parlamento Las
Navas, 1676-1678 Alagon, Aleman, Angioy, Aresu, Asquer, Astraldo, Atzori,
Aymerich, Barbarà, Bonfant, Bonfill,
Brunengo, Cadello, Cao, Capai, Carcassona, Cardia, Carnicer, Carola, Carta,
Casu, Catalan, Cervellon, Claveria, Comina, Concu, Contena, Corda, Corellas,
Corrias, Cugia, De Aquena, De Benedetti, De Castro, Dedoni, De Honetto,
23
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 31
Abilitazione ai parlamenti
De la Mata, Dell’Arca, Del Mestre, Deliperi, Delitala, Delogu, De Montis, De
Roma, De Sena, De Soussa, Dexart,
Dettori, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Farina, Ferrà, Ferret, Fois, Fontana, Frasso, Fundoni, Gaya, Gessa,
Grixioni, Gujò, Guiso, Gutierrez, Hurtado, Jacomoni, Lado, Ledà, Machin,
Madau, Mallano, Manca, Manno, Marcello, Marongiu, Marras, Marrocu,
Martinez, Martino, Martis, Masala, Melis, Minutili, Montells, Montesino, Muciga, Mugiano, Murtas, Natter, Nieddu,
Nin, Nuseo, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passino, Peis, Pellicer, Perez, Pes, Pilo, Pinna, Pintus,
Pira, Pisano, Pisquedda, Pitzolo, Puliga, Quesada, Requesens, Riccio, Ripoll, Rocamarti, Roig, Sahoni, Salaris,
Salazar, Salvagnolo, Sanjust, Sanna,
Santa Cruz, Santus, Satta, Scarpa,
Sedda, Sellent, Serra, Sibello, Sini, Sisternes, Solar, Soliveras, Sotgiu, Sulas,
Sussarello, Tarragò, Tibau, Tola,
Trogu, Uras, Usai, Vacca, Valentino,
Zampello, Zatrillas.
Famiglie abilitate nel parlamento
Monteleone, 1688-1689 Alciator, Alivesi, Angioy, Ansaldo, Aresu, Asquer,
Astraldo, Atzori, Auramo, Bacallar,
Barrueso, Bonfant, Bonfill, Borras, Busquets, Cadello, Calsinagio, Canelles,
Carcassona, Cardia, Carnicer, Carola,
Carta, Concu, Contena, Corrias, Cugia,
Cutis, De Benedetti, Dedoni, De la
Bronda, De la Mata, De Leon, Deliperi,
Delitala, Del Mestre, Del Vecchio, Dell’Arca, De Montis, De Roma, De Sena,
Dettori, Dexart, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Ferrà, Fois, Fontana,
Frasso, Frediani, Fundoni, Galcerin,
Gaya, Genoves, Grixioni, Guiso, Lado,
Lancia, Lecca, Ledà, Machocu, Madau,
Magio, Mallano, Mallas, Manca, Marongiu, Marrocu, Martinez, Martino, Martis, Martorell, Mayolo, Melis, Mereu,
Minutili, Moncada, Moyran, Muggiano,
Murgia, Muro, Murtas, Natter, Nin,
Nurra, Olives, Otger, Paderi, Paduano,
Paliacio, Passamar, Passino, Perez,
Pes, Pilo, Pinna, Pintus, Pirella, Pisano, Pitzolo, Portugues, Puliga, Py
Brondo, Quesada, Riccio, Ripoll,
Roca, Roig, Rollero, Rosso, Salaris, Salazar, Salvino, Santa Cruz, Santucho,
Satta, Scarpa, Sedda, Sellent, Serra,
Sini, Sisternes, Solar, Soler, Soliman,
Soliveras, Soro, Sotgiu, Sousa, Sulas,
Sussarello, Tarragò, Tibau, Tola, Uras,
Urru, Usai, Vacca, Villa, Zapata.
Famiglie abilitate nel parlamento
Montellano, 1698 Alciator, Aleman,
Alivesi, Angioy, Aquenza, Asquer,
Astraldo, Atzeni, Atzori, Aymerich, Bacallar, Barrueso, Bertolotti, Bologna,
Bonfant, Bonfill, Borras, Borro, Brunengo, Busquets, Cadello, Calsimagio,
Canelles, Cao, Carboni, Carcassona,
Cardia, Carnicer, Carola, Carquero,
Carroz, Carta, Casaleras, Castelvı̀, Catalan, Claveria, Concu, Coni, Contena,
Corrias, Cugia, Cutis, De Benedetti,
Dedoni, De la Mata, Del Mestre, Del
Vecchio, De Leon, Deliperi, Delitala,
De Martis, Demontis, Deplano, De
Roma, De Sena, Dell’Arca, Dettori, Dexart, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa,
Esquirro, Esteria, Farina, Figo, Fois,
Fontana, Frasso, Frediani, Fundoni,
Galcerin, Garruccio, Gaya, Genoves,
Grixioni, Guglielmo, Guiraldi, Guiso,
Gujò, Gutierrez, Hurtado, Jagaraccio,
Ladu, Lecca, Ledà, Ledda Sini, Machin, Machocu, Madao, Mallano, Mallas, Malonda, Manca, Marongiu, Marras, Marrocu, Martin, Martinez, Martorell, Masala, Masons, Maxia, Mayolo,
Melis, Minutili, Misorro, Moncada,
Montanacho, Muciga, Mugiano, Mulas,
Murgia, Murteo, Natter, Navarro,
Nieddu, Nin, Nurra, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Pani, Passino,
Perez, Pes, Piccolomini, Pilo, Pinna,
Pintus, Pirella, Pisano, Portugues, Pu-
24
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 32
Abis
liga, Py Brondo, Quesada, Ravaneda,
Riccio, Ripoll, Roca, Rodriguez, Roger,
Roig, Rollero, Rosso, Ruiz, Ruxoto, Sahona, Salaris, Sanatello, Sanjust,
Santa Cruz, Santucho, Santus, Sardo,
Satta, Scarpa, Sedda, Sellent, Serafino, Serra, Serralutzu, Servent, Sifola,
Sini, Sisternes, Solar, Soler, Solinas,
Soliveras, Soro, Sorribo, Sotgiu,
Soussa, Spiga, Sulas, Sulis, Sussarello,
Tatti, Tedde, Tola, Tolo, Trogu, Uras,
Urru, Usai, Vacca, Valentino, Valonga,
Villa, Vivaldi, Zapata, Zatrillas.
notevole interesse per gli archeologi:
Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda, ipotizzò che i bronzi ritrovati
potessero essere considerati parte degli ex voto di un tempio che sorgeva nel
territorio circostante; l’ipotesi non fu
però condivisa da altri archeologi, che
avanzarono l’idea che il deposito fosse
riferibile all’esistenza di una fonderia.
I bronzi, tra cui il famoso Capotribù,
l’Arciere, l’Eroe dai quattro occhi e altri,
vennero trasferiti al Museo archeologico di Cagliari. Nel 1931 nella località
fu ritrovato il villaggio nuragico omonimo, sicché a partire dal 1935 furono
condotti scavi sistematici che permisero di individuare un gran numero di
edifici destinati a differenti usi. Gli
scavi ripresero nel 1981 e una volta terminati permisero di stabilire che il
luogo era un santuario protosardo con
pozzi sacri, recinti per riunioni, vasche
per bagni e abluzioni, confermando sostanzialmente l’ipotesi dello Spano.
Abis, Alberto Pittore (n. Villaurbana
1915). Ha studiato nella Scuola d’Arte
di Oristano ed è stato allievo di Giovanni Ciusa Romagna. Combattente
nella seconda guerra mondiale, nel dopoguerra ha aderito alla corrente realista e si è imposto soprattutto come ritrattista; ha partecipato con successo a
numerose mostre anche nella penisola.
Abini – Dio guerriero in bronzo appartenente
al periodo nuragico.
Abini Importante sito archeologico
nelle campagne di Teti a circa 15 km
dall’abitato. Nel 1865 vi furono rinvenuti gli avanzi di un edificio nuragico
il cui ripostiglio conservava delle statuine in bronzo che destarono un
grande interesse tra gli studiosi; nel
1878, in successivi scavi, furono rinvenuti altri bronzi di grande importanza.
Le due scoperte fecero di A. un luogo di
Abis, Emanuela Urbanista (n. Cagliari
1952). Allieva di Pasquale Mistretta, ha
conseguito la laurea nel 1976 e si è dedicata alla carriera universitaria e alla
libera professione; attualmente è incaricata dell’insegnamento di Gestione
Urbana presso la Facoltà di Ingegneria
di Cagliari. Si è dedicata soprattutto
allo studio del recupero dei centri storici e della gestione dei servizi di interesse collettivo e dei trasporti. Dopo le
elezioni del 1994 è stata nominata assessore tecnico all’Urbanistica del Co-
25
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 33
Abis
mune di Cagliari nella prima giunta
Delogu e riconfermata dopo le elezioni
del 1998.
Lucio Abis – Presidente della Regione nel 1970,
è stato deputato e ministro in tre governi
nazionali.
Abis, Lucio Insegnante, uomo politico
(n. Oristano 1926). Consigliere regionale, senatore della Repubblica; è
stato uno dei maggiori esponenti
della Democrazia Cristiana sarda. Insegnante elementare, si è impegnato
fin da giovanissimo nell’attività politica e nel 1957 è stato eletto per la
prima volta consigliere regionale per
la DC. Successivamente è stato rieletto ininterrottamente fino al 1972
per altre tre legislature. In tutti questi anni è stato più volte assessore
nelle giunte guidate da Efisio Corrias
(al Lavoro e Pubblica Istruzione dal
dicembre 1963 all’agosto 1965 nella
terza giunta e dall’agosto 1965 al
marzo 1966 nella quarta giunta),
Paolo Dettori (Lavoro e Pubblica
Istruzione dall’aprile 1966 al febbraio
1967), Giovanni Del Rio (Rinascita dal
marzo 1967 al giugno 1969 nella prima
giunta e dall’agosto al dicembre dello
stesso anno nella seconda). Caduta la
seconda giunta Del Rio, dal febbraio
al dicembre 1970 ha guidato una sua
giunta bicolore composta da democristiani e socialisti. Nel 1972 si è dimesso dal Consiglio regionale per essere candidato al Parlamento; ormai
leader della DC oristanese, è stato
eletto senatore nel collegio di Oristano e rieletto ininterrottamente
fino al 1992. Anche da senatore ha ricoperto incarichi di governo: dal novembre 1974 all’agosto 1976 è stato
sottosegretario al Tesoro nel IV e V
governo Moro; dal marzo 1978 all’agosto 1979 sottosegretario al Bilancio
nel IVe V governo Andreotti; dall’agosto 1979 al novembre 1980 sempre sottosegretario al Bilancio nei due governi Cossiga. È stato dal giugno 1981
al novembre 1982 ministro per il Coordinamento delle politiche comunitarie nel I e II governo Spadolini e ancora ministro dal dicembre 1982 al
marzo 1983 nel V governo Fanfani. È
stato anche presidente della commissione Bilancio del Senato e responsabile nazionale della DC per i problemi
economici. A partire dal 1994 si è ritirato a vita privata.
Abozzi, Giuseppe Avvocato e uomo
politico (Sassari 1882-ivi 1962). Figlio
di Michele, nel primo dopoguerra partecipò anche lui al dibattito politico,
schierato sulle stesse posizioni liberal-giolittiane di suo padre. Con l’avvento del fascismo si ritirò a vita privata, dedicandosi completamente alla
sua professione. Riprese a occuparsi
di politica nel secondo dopoguerra e
nel vivace ambiente sassarese di quegli anni finı̀ per diventare uno dei più
autorevoli esponenti dell’Uomo Qualunque; nel 1946 fu eletto nell’Assemblea costituente, dove si dichiarò contrario all’autonomia della Sardegna.
Non fu però eletto deputato e nel 1948
si ritirò a vita privata.
26
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 34
Acacia
e assumendo un atteggiamento di dignitoso distacco dal fascismo.
Abrich Famiglia proveniente dalle Baleari (secc. XVI-XVIII). Approdò a Cagliari nel corso del secolo XVI. I suoi
componenti appartennero alla borghesia cittadina, esercitando tradizionalmente la professione di notai, e raggiunsero una discreta posizione economica che consentı̀ loro di acquistare la
scrivania del consolato di Cagliari. Nel
1630 rinunciarono ai loro diritti sulla
scrivania a favore del fisco reale, ottenendo come ricompensa il cavalierato
ereditario e la nobiltà. La famiglia si
estinse alla fine del secolo.
Abriu Antico villaggio che sorgeva viMichele Abozzi – Avvocato sassarese,
candidato da Giolitti alle elezioni politiche
del 1904 nel collegio di Sassari, sconfisse il
deputato dell’opposizione.
Abozzi, Michele Avvocato e uomo politico (Sassari 1856-ivi 1946). Completati
gli studi, esercitò la professione di avvocato e si interessò alla vita politica
della sua città; di idee liberali, fu eletto
consigliere e assessore del Comune di
Sassari dal 1885 al 1887. Legatosi a
Francesco Cocco Ortu, leader in Sardegna del gruppo giolittiano, fu avversario politico di Filippo Garavetti; nel
1904 fu eletto deputato per la XXII legislatura (fu anche presidente del Consiglio provinciale di Sassari dal 1905 al
1909). Rieletto deputato per le altre
due legislature fino al 1919, prese
parte assiduamente ai lavori parlamentari, interessandosi prevalentemente dei problemi economici dell’isola. Nel 1921, adottato dal Parlamento
il sistema proporzionale e istituito in
Sardegna un unico collegio elettorale,
non volle ricandidarsi. Riprese la sua
professione, tenendosi sempre in collegamento con Giolitti (morto nel 1928)
cino alla necropoli di Sant’Andrea
Priu, non lontano dall’attuale abitato
di Bonorva. Si formò nel periodo romano lungo la strada che da Carales
conduceva a Olbia ed ebbe un ruolo importante che conservò nel Medioevo,
quando era compreso nel giudicato di
Torres e faceva parte della curatoria
del Costavall. Ad A. infatti spesso il giudice riuniva la sua corona. In età non
precisabile passò ai Malaspina del
ramo di Villafranca che, all’estinzione
della famiglia giudicale, lo inserirono
nel loro piccolo stato feudale, ma nel
1308 lo cedettero in pegno al giudice
d’Arborea e in seguito non riuscirono
più a recuperarne il possesso. Dopo la
conquista aragonese A. fu incluso nel
Regnum Sardiniae e nel 1328 fu riconosciuto dal re d’Aragona come feudo di
Ugone II d’Arborea. Scoppiata la
prima guerra tra Mariano IV e Pietro
IV subı̀ gravi danni e si spopolò.
Acacia Genere di piante arboree della
famiglia delle Leguminose, cui appartengono circa 1200 specie distribuite
nelle zone tropicali e subtropicali dell’Australia e dell’Africa. Le foglie, normalmente di tipo composto-pennato,
vengono sostituite in molte specie da
27
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 35
Acanto comune
fillodi (cioè espansioni a forma di foglia del picciolo) stretti e allungati. I
fiori gialli, in genere primaverili, sono
raccolti in spighe di piccoli capolini
sferici. Il frutto è un legume secco e appiattito che matura alla fine della primavera o in autunno. Comunemente
conosciute come mimose, le specie appartenenti a questo genere sono state
introdotte nell’Ottocento nell’Orto Botanico di Cagliari. Il largo uso nei giardini e nel verde pubblico ne ha determinato una vasta diffusione. Le specie
più comuni, la A. dealbata Link (la classica mimosa dell’8 marzo) e la A. retinoides L. (A. floribunda o gaggı̀a, garzı́a
in sardo) crescono ormai spontaneamente ai bordi delle strade, creando
vistose macchie di colore con le loro
fioriture precoci (fine febbraio-primi
di marzo). Possono raggiungere i 10 m
di altezza, ma non sono particolarmente longeve. Delle altre specie, A.
melanoxylon R.Br., A. mollissima, A. saligna Wendl. e A. pychnantha Benth.,
sono segnalati esemplari nel verde
pubblico di Lanusei, Villacidro e Carbonia. L’A. horrida Willd., caratterizzata da lunghe spine, venne introdotta,
secondo Siro Vannelli, negli anni
Venti-Trenta del Novecento nella zona
di Capoterra ed è largamente diffusa
nel Campidano a formare siepi invalicabili. In campidanese viene chiamata
ammázza-marı́du. [MARIA IMMACOLATA
e cataplasmi per le sue proprietà antinfiammatorie ed emollienti. Le foglie
stilizzate sono tipiche nelle decorazioni del capitello corinzio. Comune,
anche in Sardegna, su terreni incolti e
ai bordi delle strade, preferibilmente
in ombra. Veniva piantata all’ingresso
delle abitazioni, con funzione apotropaica. Nomi sardi: acantu, erba de la
Maddalena (Sardegna settentrionale);
caldu imperiali (gallurese); folla de
ferru, folla de Santu Giorgi (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
BRIGAGLIA]
Acanto comune Pianta erbacea perenne della famiglia delle Acantacee
(Acanthus mollis L.). Fusto eretto, foglie grandi profondamente divise, lunghe fino a 60 cm, con un lungo picciolo.
Fiori bianchi persistenti, con venature
rossastre e labbro inferiore trilobato,
raccolti in spighe di 5 cm. Fioritura tra
aprile e luglio. Frutti a capsula con
semi neri. Se ne estrae una tinta gialla.
In fitoterapia viene usato per impacchi
Acanto comune – Particolare
dell’infiorescenza.
Accabadoris Termine derivante dal
verbo sardo acabar (in spagnolo ‘‘terminare’’) riferito a quelle persone che
in alcune zone della Sardegna praticavano l’eutanasia, di cui in età antica e,
in diverse zone del mondo, anche nel
Medioevo e in età più recente si cono-
28
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 36
Accademia di Belle Arti di Sassari
scevano tre forme: l’eutanasia eugenica (eliminazione del neonato che
presenta malformazioni gravi); l’eutanasia agonica (la facilitazione del trapasso per evitare agonie lunghe e dolorose); l’uccisione rituale dei vecchi che
fossero diventati pesi inutili per la comunità. Nelle sue due ultime forme,
essa rientra nelle più antiche tradizioni sarde e, mentre la pratica dell’eliminazione rituale dei vecchi – raccontata per la Sardegna da diversi autori classici, che la descrissero con diversi particolari (riso sardonico) – cessò
di essere praticata in tempi antichissimi, e comunque non determinabili
cronologicamente, l’eutanasia agonica
fu praticata nelle aree rurali dell’isola
almeno fino alla fine dell’Ottocento e
probabilmente anche oltre. Nel Logudoro, in Gallura e nel Nuorese la pratica veniva affidata ad alcune donne
(accabadoras) ed è ricordata da molti
autori del passato; nel Campidano, invece, era affidata a uomini (s’accabadori). Il loro era un compito istituzionale all’interno della comunità, perché l’eutanasia agonica era riservata a
quei malati (in genere anche molto anziani) la cui agonia si protraeva impedendo loro una morte dolce e serena.
Era una sorta di dolorosa pietas, coperta dal mistero e circondata di un
sentimento che oscillava fra religioso
rispetto e paura superstiziosa. Nulla si
sa sulle modalità di questa pratica, che
veniva portata a termine con discrezione e silenzio, né sono pochi gli studiosi della civiltà tradizionale isolana
che sostengono che l’esistenza delle a.
appartenga più alla sfera delle credenze popolari che alla storia. Nel Museo etno-antropologico di Luras ‘‘Galluras’’ si mostra peraltro, accompagnato da un interessante documento
dell’Ottocento, un mazzólu (in logudorese su mazzoccu), «una specie di
mazza ricavata da un ramo robusto (in
genere olivastro), tagliato ai due lati di
un ramo più sottile che fungeva da manico» (F. Fresi, Antica terra di Gallura,
1994): un colpo di mazzólu (ma anche
una semplice pressione con un cuscino) della fémina accabadòra (cosı̀ in
Gallura) portavano alla morte del malato. «La cosa più sorprendente – dice
il professor Bucarelli, autore di un attento saggio pubblicato di recente – ed
è anche la ragione sul perché del mistero e della reticenza che circonda la
figura dell’a., è che nessuna condanna
né istituzionale né religiosa sia mai
stata perpetrata nei suoi confronti.
Non esiste nessun documento a riguardo. Nessuna scomunica da parte
della Chiesa. L’a. era una figura rispettata, ritenuta necessaria».
Accabbadoris – Il mazzuolo delle mitiche
donne che ‘‘aiutavano’’ i vecchi a morire
(Museo ‘‘Galluras’’, Luras).
Accademia di Belle Arti di Sassari Ultima nata tra le venti accademie italiane; la sua fondazione risale al 1989.
Il corpo docente, ormai in gran parte
stabile, è costituito prevalentemente
da giovani insegnanti. Il direttore è Nicola Maria Martino, titolare della cattedra di Decorazione dell’Accademia
di Belle Arti di Roma. I regolamenti didattici, ancora in fase di definizione,
modificheranno in futuro l’attuale as-
29
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 37
Accardo
setto dell’Accademia e l’offerta formativa. Al momento gli indirizzi istituzionali sono quattro: Decorazione, Pittura, Scenografia e Scultura. Viene
inoltre attuato un corso di Comunicazione e Progettazione per la grafica
d’arte e per l’arte scenica del web. I
corsi sono suddivisi in un primo livello,
che ha la durata di un triennio, e in un
secondo livello che ha la durata di un
biennio.
Accardo, Aldo Storico (n. Iglesias
1950). Professore di Storia contemporanea nell’Università di Cagliari. Ha
studiato a Cagliari; dopo la laurea si è
dedicato alla ricerca, alla politica e al
giornalismo. Dal 1980 ricercatore di
Storia moderna presso l’Università di
Cagliari, poi professore associato, ha
collaborato con Girolamo Sotgiu nella
redazione della rivista ‘‘Archivio sardo
del movimento operaio contadino e autonomistico’’. Ha creato a Cagliari nel
1997 la Fondazione Istituto Storico
Giuseppe Siotto, di cui è direttore, e
fondato l’Istituto di Ricerche storicopolitiche intitolato a Girolamo Sotgiu.
Attivo promotore di iniziative per la
conoscenza storica, ha organizzato numerosi convegni e seminari e ha anche
pubblicato numerosi volumi e articoli
in riviste scientifiche. Tra i suoi scritti
più importanti, Trent’anni di amministrazione regionale in Sardegna, ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 8/10, 1977; Sul
dire la verità in politica: le regole della
storia in Gramsci in Studi in onore di
Paolo Spriano, ‘‘Annali della Facoltà di
Magistero dell’Università di Cagliari’’,
30, 1988; Della politica e delle lettere.
Giuseppe Manno, la bontà del letterato
in Giuseppe Manno politico, storico e letterato, 1989; Gli antifascisti sardi di
fronte al Tribunale speciale, 1990; Tra
filologia e nazionalismo: il modello storiografico e il pensiero politico di Pa-
squale Tola in Studi e ricerche in onore
di Girolamo Sotgiu, I, 1993; La personalità di G. Manno: illuminismo, neoclassicismo, romanticismo nell’opera del
primo storico moderno della Sardegna,
1994; La nascita del mito della nazione
sarda. Storiografia e politica nella Sardegna del primo Ottocento, 1996; Cagliari (con Maria Luisa Di Felice,
Franco Masala, Gianfranco Tore),
1996; L’isola della Rinascita. Cinquant’anni di autonomia in Sardegna (con
Pietro Maurandi e Leandro Muoni),
1998; La biblioteca di Giuseppe Manno,
1999; L’ultimo guizzo della fiamma morente: note sarde e ricordi in Giuseppe
Manno, Note sarde e ricordi, 2003.
Accardo, Francesco Funzionario,
economista (Bonorva 1914-Salò 1980).
Fratello di Salvatore2 . Studia giurisprudenza a Pisa, dove si laurea nel
1934. Consegue successivamente il diploma di perfezionamento in Scienze
economiche e commerciali. Nel 1938
entra nella pubblica amministrazione.
Nel 1945 è chiamato presso il Commissariato Industriale Alta Italia che
aveva il compito di curare la ricostruzione e la ripresa economica dell’Alta
Italia. Nel febbraio del 1948 viene chiamato presso la presidenza del Consiglio, dove svolge compiti di elaborazione dei programmi di ricostruzione
economica e di sviluppo nell’ambito
del Piano Marshall e del Piano Vanoni.
Partecipa a numerose missioni e trattative internazionali attinenti alla materia. Per anni è delegato del governo
italiano presso il Comitato di politica
economica dell’OCSE. All’inizio degli
anni Sessanta diventa direttore generale del Comitato Interministeriale
per la Programmazione Economica
(CIPE). Nell’ottobre del 1967 viene nominato direttore generale del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica. Nel 1959 è compo-
30
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 38
Accardo
nente del gruppo di lavoro (con Vincenzo Apicella, Vittorio Bachelet, Salvatore Bruno, Francesco Curato,
Glauco Della Porta, Salvatore Guidotti,
Francesco Passino, Carlo Ruini, Vincenzo Saba, Cesare Valle) che imposta
il Piano di Rinascita e redige il documento conosciuto come il ‘‘Rapporto
conclusivo’’. È insieme a Maccanico
l’estensore della legge 11 giugno 1962,
n. 588, che dà il via al Piano. Collabora
attivamente alla rivista ‘‘Il Bogino’’. Ha
svolto una intensa attività di ricerca e
di studio in materia economia, pubblicando saggi, note, articoli. Ha collaborato intensamente col ‘‘Mondo Economico’’. Nel 1953 ha redatto una monografia per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione.
Nel 1955 ha redatto uno studio per
l’OCSE. sulle strutture per il finanziamento degli investimenti industriali in
Italia.
Accardo, Giorgio Fisico (n. Pisa 1948).
Laureato in Fisica all’Università di
Roma ‘‘La Sapienza’’, è direttore del
Laboratorio di Fisica e Controlli ambientali dell’Istituto Centrale per il
Restauro. Insegna Fisica applicata al
restauro nella scuola di restauro dell’Istituto omonimo e nelle Università
della Tuscia e di Siena. Dal 1974 sviluppa nuove metodologie fisiche per
la soluzione di differenti problemi di
deterioramento, restauro e conservazione dei manufatti storico-artistici.
In particolare applicazioni microclimatiche ambientali per la conservazione degli affreschi di Giotto nella
Cappella degli Scrovegni di Padova,
l’Ultima Cena di Leonardo a Milano,
la cupola del Brunelleschi a Firenze,
la Tomba dei Rilievi a Cerveteri, e l’impiego di tecniche optoelettroniche per
consentire ai restauratori di operare
in modo non distruttivo anche all’interno delle statue bronzee, come nel
caso dei Bronzi di Riace. Nel 1984 ha
ideato un originale metodo per la documentazione metrica delle forme modellate e scolpite e la loro possibile ricostruzione materiale. Il procedimento permette di generare un modello digitale tridimensionale di una
scultura: a oggi al progetto ‘‘Forme da
toccare’’ si sono realizzati i modelli digitali 3D di molte opere fra cui il Satiro
danzante, i Bronzi di Riace, il Mosé di
Michelangelo e molte statue del Museo
archeologico di Napoli. Tra le pubblicazioni, oltre a numerosi articoli su riviste, il saggio Strumenti e materiali del
Restauro.
Accardo, Lucio Ammiraglio (n. Sassari
1945). Dopo l’Accademia Navale di Livorno, nel 1970 si è laureato in Ingegneria navale e meccanica. Nel 2000 è
stato promosso ammiraglio ispettore.
Prima di assumere la carica di capo
del V Reparto di Segredifesa è stato direttore generale dell’Ufficio italofrancese del Programma ‘‘Orizzonte’’
nonché rappresentante dell’Italia per
il programma ‘‘Fremm’’ (Fregata Europea Multimissione). È stato anche direttore dell’Arsenale della Marina militare di Messina, capo dei Dipartimenti Progetto Navi e Sistemi di Piattaforma del V Reparto dello Stato Maggiore della Marina, rappresentante nazionale in gruppi di lavoro della Nato e
vice-chairman nel gruppo di lavoro internazionale del ‘‘Det Norske Veritas’’
per la stesura di un registro navale per
navi militari (1997-99). È autore di pubblicazioni scientifiche, fra cui sei monografie e 24 articoli.
Accardo, Salvatore1 Uomo politico (n.
Sassari 1913). Nel primo dopoguerra,
fin dalla fondazione aderı̀ al Partito
Popolare divenendone uno dei dirigenti. Con l’avvento del fascismo cessò
formalmente di occuparsi di politica
anche se fu tra i più attivi organizzatori
31
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 39
Accardo
del Movimento laureati cattolici, tradizionalmente antifascista. Nel 1944 fu
tra coloro che concorsero a fondare la
Democrazia Cristiana a Sassari. Alcuni
suoi interventi nei giornali degli anni
del dopoguerra sono utili per comprendere i termini del dibattito politico di quei tempi.
Accardo, Salvatore2 Insegnante, scrittore (Bonorva 1912-Roma 2001). Dopo
la laurea alla Scuola Normale Superiore di Pisa milita nella FUCI e diventa amico di Giovanni Battista Montini. Vive due anni in Spagna nel periodo immediatamente precedente e
nel primo anno della guerra civile: qui
conosce Garcia Lorca e Pirandello.
Rientrato in Italia, insegna Lettere al
Liceo classico di Pisa e inizia a militare nel movimento dei Laureati cattolici. Dopo la guerra lavora nel Sindacato insegnanti medi e nell’Ufficio
scuola della DC, diventando amico di
Aldo Moro e Luigi Gui. Diventato quest’ultimo ministro della Pubblica Istruzione, è direttore generale e capo di
gabinetto, funzione che svolgerà anche
con i successivi ministri Misasi, Bodrato, Spadolini. Assume contemporaneamente anche la direzione generale
delle Accademie e delle Biblioteche:
trasferisce la Biblioteca Nazionale dal
Collegio Romano alla attuale sede da
lui fatta realizzare a Castro Pretorio.
Successivamente diventa direttore generale delle Belle Arti e collabora col
ministro Spadolini alla istituzione del
nuovo Ministero dei Beni culturali e
ambientali. È vicepresidente nazionale del Movimento Laureati di Azione
Cattolica durante la presidenza di Vittorio Bachelet. Ha collaborato con l’Università Lateranense e con l’Editrice
Studium. È stato consigliere della
Commissione RAI e del Centro Cattolico Cinematografico. Autore di numerose Lecturae Dantis, ha scritto molti
volumi, tra cui: Individuo, società e
Stato in Giuseppe Capograssi, 1993; Il
pensiero politico e il cattolicesimo democratico di Alessandro Manzoni, 1971; Capograssi e Manzoni, 1992; Una politica
per le istituzioni di alta cultura, 1971;
Capitoli danteschi, 1976. Ha scritto anche un saggio su L’istruzione secondaria
in rapporto all’ambiente economico e sociale della Sardegna, 1960.
Acciaro, Giancarlo Imprenditore, deputato al Parlamento (n. Porto Torres
1961). Imprenditore, titolare di un’agenzia di trasporti,è stato protagonista
del rilancio del Partito Sardo d’azione
nel Sassarese dopo il 1980 e ha ricoperto diverse cariche fino a essere
eletto segretario nazionale. Più volte
consigliere comunale di Porto Torres,
è stato eletto consigliere provinciale
dal 1985 e successivamente è stato assessore provinciale e vicepresidente
della Provincia. Eletto anche consigliere comunale e assessore a Sassari,
nel 1992 è stato eletto deputato per l’XI
legislatura; nel 1994 non è stato riconfermato.
Acciottu Scudiscio con spuntoni di
ferro che veniva usato per infliggere la
fustigazione pubblica a chi si fosse
macchiato di un particolare reato o al
condannato a morte mentre veniva accompagnato al luogo del supplizio. La
pratica, che fu introdotta in Sardegna
in età spagnola, fu mantenuta in periodo sabaudo fino all’abolizione della
tortura.
Accorrà Famiglia di probabili origini
spagnole (secc. XVI-XVIII). Compare
a Sassari nel corso del secolo XVI. Di
condizione borghese, molti dei suoi
membri esercitavano professioni liberali o si dedicavano alla carriera
ecclesiastica. Entro la fine del secolo
gli A. raggiunsero una considerevole
condizione e nei primi decenni del secolo successivo alcuni di loro otten-
32
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 40
Acero
nero importanti uffici pubblici. Nel
1641 uno di essi, il dottor Battista, fu
nominato tesoriere generale della
Sardegna e nel 1643 fu nobilitato e
ammesso allo Stamento militare durante il parlamento Avellano. La famiglia espresse altri distinti personaggi, ma si estinse agli inizi del secolo XVIII.
Accorrà, Pietro Andrea Teologo (Cagliari 1630-ivi 1669). Nato da una nobile famiglia di origine sassarese,
dopo aver compiuto i primi studi
presso il convento di Bonaria si fece
mercedario e si dedicò all’insegnamento della Teologia. Successivamente si trasferı̀ a Genova e di lı̀ a
Barcellona, dove visse per alcuni
anni segnalandosi per la profonda
preparazione e per le sue doti di oratore. Infine si stabilı̀ a Roma dove divenne maestro di Teologia; nel 1685
tornò a Cagliari e fu nominato rettore
degli studi del convento di Bonaria e
visitatore dei Mercedari per la Sardegna. Morı̀ lasciando molti scritti editi
e inediti, alcuni dei quali, pur non
avendo grandi pregi letterari, sono di
rilevante interesse per la storia degli
studi di teologia in Sardegna. Scritti:
Oracion evangelica de la Purissima
Concepción de Maria santissima, Señora nuestra, 1673; Oracion panegirica de los invictos martyres San Justo
y San Pastor predicada en su iglesia de
la Ciudad de Barcelona, 1674; Oracion
panegirica a la puresa de Maria Santissima en el istante primero de su concepción, 1686; El Feniz de Cerdeña renace
de sus cenizas. Oraciones postumas (a
cura di Matteo Contini), 1702.
Acero Pianta arborea della famiglia
delle Aceracee, che comprende circa
150 specie diffuse in tutto il mondo; di
medie dimensioni, può raggiungere i
6-10 m. In Sardegna solo l’a. minore, o
a. trilobo (Acer monspessulanum L.),
cresce allo stato spontaneo. Ha foglie
decidue semplici, trilobate, di 4-6 cm
e colore verde-scuro; infiorescenze a
corimbo prima erette poi pendenti;
petali e sepali gialli; fioritura ad
aprile in contemporanea alla fogliazione; i frutti sono formati da due samare unite (scient. disamare), ad angolo stretto, quasi parallele, di colore
rosso bruno.
Acero – Un esemplare di acero minore.
Vegeta, indipendentemente dal substrato, nei luoghi soleggiati delle
aree a quota più elevata, associato a
formazioni di leccio e roverella. Diffuso soprattutto sulla catena del Marghine e alle pendici del Gennargentu,
caratterizza il paesaggio con i suoi colori che vanno dal giallo chiaro della
primavera al marrone-rossiccio della
fase autunnale. Alcuni esemplari, tuttora esistenti, vengono segnalati sull’isola di Tavolara dall’Angius nel Dizionario del Casalis (1833-1856). All’interno della dolina di Tiscali alcuni aceri minori hanno raggiunto, a
causa del particolare microclima, dimensioni notevoli. Il suo legno, duro e
compatto, viene usato in ebanisteria
per la colorazione rossastra. Nelle
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 41
Acetabularia
campagne di Arzana, in località Cuile
Cogiudu, a Sadali, in località Pala Nuraxi, e a Seulo, in località Monte Perdedu, sono segnalati gli esemplari più
vecchi della Sardegna, che nella loro
plurisecolare esistenza hanno raggiunto 12-15 m di altezza e oltre 4 m di
circonferenza (Siro Vannelli, 1994).
Alla stessa famiglia appartengono: 1.
l’a. americano (Acer negundo L.), alto
sino ai 12 m, introdotto già dall’Ottocento (nel 1842 era in vendita a Villa
d’Orri) e diffuso, dall’ultimo dopoguerra, nel verde pubblico, con grossi
contingenti ad Alghero, Tempio, Iglesias, Villacidro, Oristano; 2. l’a. riccio
(Acer platanoides L.), alto sino a 12 m,
dalla caratteristica corteccia fessurata longitudinalmente, presente nel
Parco di Santa Maria a Macomer e in
quello dell’Ospedale traumatologico
di Iglesias; 3. l’a. montano (Acer pseudoplatanus L.), alto sino a 15 m, dalle
grandi foglie a 5 lobi, ha una diffusione, operata dai forestali, limitata
a zone montane: dei circa trecento
esemplari inseriti nel verde pubblico
di Macomer, Tempio, Lanusei e Ozieri
i migliori si trovano a Tonara. Nomi
sardi: áciaru (gallurese); áera (Marghine e Goceano); kóstighe (Sorgono);
linnu malu (Lula); múrta lavrı́na
(Orani); oládighe (logudorese). [MARIA
Acetabularia – I caratteristici verticilli
terminali.
Aceto = Degortes, Andrea
Acetosella Pianta erbacea perenne
cee (alghe verdi) della famiglia delle
Dasicladacee. Il tallo unicellulare si
fissa agli scogli di media e bassa profondità con rizoidi. I verticilli terminali, fertili, si riuniscono a formare il
caratteristico ombrellino. Nei mari
sardi è presente l’A. acetabulum, che
colonizza con i substrati rocciosi dell’infralitorale fotofilo. Meno comune
l’A. parvula. [MARIA IMMACOLATA BRIGA-
della famiglia delle Oxalidacee (Oxalis
pes-caprae L.), conosciuta come a.
gialla. Foglie trifogliate, pelosette e
macchiate di scuro, disposte in rosetta
basale. Fiori peduncolati, riuniti in
gruppi sino a 12 unità. Corolle a 5 petali
giallo intenso. Frutti a capsula allungata. Cresce da rizomi carnosi a bulbillo. Fiorisce a marzo-aprile, colorando di giallo limone i bordi delle
strade e i terreni incolti, preferibilmente umidi. Gli steli possono essere
succhiati (nella Sardegna settentrionale viene chiamata succiósa o succósa): il loro sapore acidulo è dovuto
alla presenza di ossalato di potassio.
Viene utilizzata per le proprietà astringenti, diuretiche e depurative. Il nome
campidanese alleluya, di derivazione
spagnola, è dovuto alla coincidenza
della fioritura con la Settimana santa.
In alcuni paesi del Cagliaritano i nomi
con cui è conosciuta sono legati al sapore: binu vórti o binigotti e pı́tzia-pı́tzia
(vino forte o aceto e pizzica-pizzica). Altri nomi sardi: argu, melaja. [MARIA IM-
GLIA]
MACOLATA BRIGAGLIA]
IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Acetabularia Genere di alghe clorofi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aconiti
Achenzas, Is Località abitata in territorio di San Giovanni Suergiu a poca
distanza dalla frazione di Palmas. È
un nucleo di case che si è sviluppato
nel corso del Novecento nei terreni di
proprietà della famiglia Achenza, da
cui attualmente il piccolo centro
prende il nome.
Achetta Nome con cui viene chiamato
il cavallo di piccola taglia, usato prevalentemente dai pastori e dai contadini
e destinato ai lavori in campagna e al
trasporto di carichi pesanti. Era il cavallo preferito da usare nei viaggi lunghi per la sua capacità di sopportare il
digiuno e la sete. L’a. non va confusa
con il quartaglio busto, più alto e più
pregiato, che probabilmente derivava
da un incrocio col cavallo arabo. Il Lamarmora (Viaggio in Sardegna, 1826)
dice che l’a. proviene dalla degenerazione degli achettoni o quartagli, «cosı̀
denominati perché la loro taglia non
supera il metro e mezzo», dai quali si
distingue quasi soltanto per la minore
taglia, «giacché conserva pressappoco
le stesse proporzioni e le stesse qualità». «Eppure tra questi cavalli – afferma – si trovano degli esemplari
molto ben fatti, che non superano di
molto la statura di un grosso mastino:
li si riunisce allora per fare dei graziosi
attacchi che erano un tempo assai ricercati dai principi del continente. Ma
in generale queste a. non sono cosı̀ piccole da non poter essere montate e caricate di pesi anche consistenti; il contadino sardo le utilizza comunemente
come cavalli da sella, e bisogna che sia
ben povero perché non ne abbia almeno una».
Achillea Pianta erbacea cespugliosa
perenne, appartenente alla famiglia
delle Composite (A. ligustica All.). Comunemente chiamato millefoglie. Fusto eretto, alto da 30 cm a 90 cm, con
foglie divise in piccole lacinie e om-
brelle compatte di piccoli fiori biancorosei. Fioritura a giugno-luglio. I frutti
sono acheni appiattiti e lisci. Frequente nei pascoli e terreni incolti dal
livello del mare sino ai 700-800 m.
Come l’A. millefolium (meno comune
in Sardegna), è largamente utilizzata
in fitoterapia e nella medicina popolare sarda. Gli impacchi a base di decotti di foglie sono usati per curare piaghe e ferite. I nomi sardi erba de corpu
apertu, erba de feridas, erba de fertas ne
testimoniano l’antico uso. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Achillea – Esemplari di Achillea millefolium.
Acino sardo Pianta erbacea perenne
della famiglia delle Labiate (Acinos
sardous Arrigoni) con rami prostrati e
tomentosi. Foglie ovali lanceolate con
breve picciolo. Fiori verticillati di colore violaceo all’ascella fogliare. Fioritura a maggio-giugno. Specie endemica sui rilievi calcarei del centro Sardegna, rientra nell’elenco delle piante
da sottoporre a vincolo di protezione in
base alla proposta di L.R. n. 184/2001.
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Aconiti (Akónites) Populus della Sardegna romana menzionato da Strabone. Il
geografo racconta che gli A., come altre
tribù indigene delle aree montane dell’isola (Parati, Sossinati, Bàlari), vivevano nelle caverne e, pur disponendo
di terreni adatti all’agricoltura, non li
coltivavano, ma si procuravano il ne-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Acorrà
cessario per mezzo di razzie compiute
a danno degli agricoltori di altre zone
della Sardegna e, via mare, arrivavano
a depredare le coste etrusche, soprattutto nel territorio di Pisa. Il racconto
dimostra, se non la facilità, almeno la
possibilità dell’accesso al mare per
queste comunità. Data la collocazione
dei Bàlari nella Sardegna nord-orientale e l’esercizio della pirateria fatto
dai quattro popoli ai danni degli abitanti dell’Etruria costiera, si può cautamente ipotizzare una localizzazione
di A., Sossinati e Parati nelle aree montuose prossime alle coste nord-orientali o orientali della Sardegna. Verosimilmente Strabone, menzionando le
attività di questi popoli, riferiva avvenimenti della fase finale del Principato augusteo, il che fa pensare che
essi dovettero contribuire al temporaneo passaggio dell’amministrazione
dell’isola dal Senato al princeps verificatosi intorno al 6 d.C. [PIERGIORGIO FLORIS]
Acorrà, Giuseppe Sacerdote (Cagliari,
prima metà sec. XVII-Oristano 1702).
Canonico della cattedrale di Cagliari,
nel 1679 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita: governò la diocesi fino al
1685, quando fu nominato arcivescovo
di Oristano.
Acquabona Miniera di piombo e argento situata tra Gennemari e Ingurtosu nelle campagne di Fluminimaggiore; i suoi filoni, di modesta entità,
iniziarono a essere sfruttati a partire
dalla metà dell’Ottocento. L’impianto
raggiunse lo sviluppo massimo intorno
al 1915-16, al principio della prima
guerra mondiale, quando arrivò a occupare fino a 150 operai. In seguito i
filoni si esaurirono e nel 1960 la produzione fu fermata; gli edifici delle officine, della laveria e dell’amministrazione andarono lentamente decadendo e soltanto nel 1980 furono intra-
presi nuovi scavi alla ricerca di altri
filoni da sfruttare; l’iniziativa non
dette alcun risultato e oggi il territorio
è sede di attività di allevamento.
Acquacadda Centro abitato della provincia di Carbonia-Iglesias, frazione di
Nuxis (da cui dista 3 km), con circa 500
abitanti, posto a 441 m sul livello del
mare in un territorio di colline al centro del Sulcis-Iglesiente. Regione storica: Nuxis. Diocesi di Iglesias.
& TERRITORIO Il territorio è quello tipico della regione, costituito da rilievi
non molto alti ma aspri, ricoperti di
macchia mediterranea e scarsa vegetazione arborea. Di tanto in tanto si apre
qualche tratto pianeggiante nel quale
è praticata l’agricoltura, come quello
che ha inizio qui e arriva sino a Narcao.
A breve distanza scorre il rio Mannu
che forma l’invaso artificiale di Bau
Pressiu. La frazione si trova nel punto
in cui dalla statale 293 proveniente da
Siliqua – e che passando per Nuxis raggiunge Giba – si distacca la traversa
che passando per Narcao e Perdaxius
conduce a Carbonia.
& STORIA La regione era nel Medioevo
completamente spopolata. Dopo la cessazione delle guerre tra Aragona e Arborea, e precisamente nel 1410, tornò
in possesso del re. Faceva allora parte
del grande feudo di Palmas (=). Nel secolo XVIII cominciò a essere frequentata da gruppi di pastori che inizialmente vi costruirono un furriadroxiu e
in seguito vi si stabilirono dando vita al
villaggio. La popolazione crebbe notevolmente tra Ottocento e Novecento,
quando tutta la zona fu interessata dall’estrazione di minerali (piombo e
zinco) in diverse località, di cui la più
nota era quella di Rosas. Attività che
sono state tutte abbandonate, come
mostrano gli impianti che si vedono
qua e là, dopo il secondo dopoguerra.
Nel 1853, quando era stato costituito il
36
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 44
Acquafredda
comune di Narcao, A. ne era divenuta
frazione; nel 1964 ne è stata staccata e
aggregata al comune di Nuxis.
villaggio e il castello passarono nelle
mani di Pisa, ma il villaggio cominciò
a decadere. Nel 1324, cessata la guerra
di conquista, il Comune ne perdette il
controllo: A. rimase come feudo ai
Della Gherardesca, ma il castello fu affidato a una guarnigione aragonese;
poco dopo riprese la guerra con Pisa e
con la pace del 1326 anche il villaggio,
oramai perduto dai suoi signori, fu affidato al castellano e cominciò a decadere. Ulteriori danni soffrı̀ a causa
della peste del 1348 e delle guerre tra
Aragona e Arborea, per cui si spopolò e
scomparve prima della fine del secolo.
Acquafredda – Il castello di Acquafredda,
costruito a guardia della valle del Sigerro,
nel 1257 fu assegnato ai Della Gherardesca del
ramo del conte Ugolino.
Acquafredda Antico villaggio di origine romana che sorgeva sul colle omonimo a breve distanza da Siliqua. Per la
sua ottima posizione strategica i Bizantini vi costruirono una fortezza che
aveva il compito di vigilare sul territorio circostante e favorirono l’insediamento di una comunità monastica. In
seguito passò al giudicato di Cagliari e
fu incluso nella curatoria del Sigerro;
continuò a essere un centro importante perché i giudici vi consentirono
l’insediamento di una comunità di Benedettini di San Vittore di Marsiglia e,
agli inizi del secolo XIII, vi fecero costruire il castello omonimo (=).
Quando il giudicato di Cagliari fu debellato, nella divisione del 1258 il villaggio fu incluso nei territori toccati ai
Della Gherardesca. Nel 1282 essi procedettero a una nuova divisione. A.
toccò al ramo del conte Ugolino che
trasformò e potenziò il castello. Alla
fine del secolo, il villaggio divenne teatro della guerra che i figli di Ugolino
scatenarono contro il Comune di Pisa
per vendicare la morte del padre.
Dopo la sconfitta del conte Guelfo, il
Castello di Acquafredda – In una posizione
di grande utilità strategica, il castello di
Acquafredda cominciò a decadere dopo la
battaglia di Sanluri.
Acquafredda, castello di Castello di
origine giudicale, dopo il 1257 passò ai
Della Gherardesca che ne potenziarono la struttura utilizzando anche il
castrum bizantino. Assegnato ai Della
Gherardesca del ramo del conte Ugolino, dopo la conquista aragonese l’edificio passò nelle mani del re e fu fatto
governare da un castellano. Negli anni
successivi divenne sede imprendibile
37
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 45
Acquaresi
di un presidio militare che durante le
guerre tra Mariano IV e Pietro IV consentı̀ agli Aragonesi di non soccombere
e mantenne la sua importanza militare
fino al termine delle operazioni. Dopo
la battaglia di Sanluri, nel 1410 fu concesso in feudo a Pietro Otger unitamente ai territori circostanti; la famiglia Otger nel 1488 vendette il feudo a
Giacomo Aragall e Pietro Bellit. Da
quel momento il castello, ormai disabitato, fu legato alle vicende del feudo e
delle famiglie che lo possedettero e nel
corso dei secoli andò in rovina, ma
quello che ne resta (avanzi del mastio
centrale, alcuni tratti delle mura di difesa, qualche cisterna) domina ancora
la pianura circostante verso lo sbocco
nel grande Campidano. Alla storia del
castello sono legate le tragiche vicende
sarde dei figli del conte Ugolino nella
loro disperata lotta contro Pisa.
Castello di Acquafredda – Quello che ne resta
(avanzi del mastio centrale e tratti delle mura)
domina la pianura circostante.
Acquaresi Miniera di piombo e zinco
posta nel territorio di Iglesias; il sito
iniziò a essere sfruttato in tempi antichi, ma l’impianto di attività su scala
industriale risale all’Ottocento. La
concessione apparteneva alla società
belga Vieille Montagne: nel 1921 fu
unita alle miniere di Masua e di Montecani, per cui tutti e tre gli impianti presero a sfruttare la massa minerale de-
nominata Marx. Negli anni Settanta fu
costruito un tunnel lungo 12 km che
consentı̀ di estendere una precedente
galleria ottocentesca mettendo in comunicazione Acquaresi con Masua e
consentendo il trasporto del minerale
sino al mare. Dei molti cantieri ormai
in rovina ne rimane aperto ancora uno
che attualmente è considerato il più
importante d’Italia per l’estrazione
del piombo e dello zinco.
Acquaro, Enrico Archeologo (n. Roma
1943). Formato alla scuola di Sabatino
Moscati, subito dopo la laurea ha dedicato la sua attenzione ai principali siti
di archeologia punica in Sardegna. A
partire dal 1968 ha preso parte agli
scavi di Antas, avviando da quel momento un profondo e proficuo contatto
scientifico con la nostra isola. Dopo
aver condotto una campagna di scavi a
Biserta, dal 1974 è tornato a lavorare in
Sardegna fino al 1985, dirigendo alcune campagne a Tharros, sempre in
stretto contatto col suo maestro. Negli
stessi anni si è sviluppata la sua carriera accademica; è professore ordinario di Archeologia fenicio-punica
presso l’Università di Bologna e dirige
l’Istituto per la Civiltà fenicia e punica
del CNR, che negli ultimi anni ha patrocinato la ripresa degli scavi a Tharros. Ha dedicato una parte considerevole della sua copiosa produzione
scientifica allo studio della nostra
isola. Tra i suoi scritti sulla Sardegna,
che sono una cinquantina, da ricordare, oltre le puntuali cronache annuali degli scavi tharrensi (1974-1984),
Antas: un nuovo centro punico in Sardegna, ‘‘Cultura e Scuola’’, XXVIII, 1968;
L’iconografia del rasoio punico in Sardegna, ‘‘Rivista di studi fenici’’, I, 1, 1973;
Le monete puniche del Museo archeologico nazionale di Cagliari, Catalogo,
1974; Amuleti egiziani ed egittizzanti
nel Museo archeologico nazionale di Ca-
38
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 46
Adato
gliari, 1975; I sigilli, gli amuleti in Anectoda Tharrica (con S. Moscati e M.L.
Uberti), 5, 1975; Sardegna, 1979; Olbia.
I campagna del 1977, ‘‘Rivista di studi
fenici’’, VII, 1, 1979; Olbia. II campagna
del 1978, ‘‘Rivista di studi fenici’’, VIII,
1, 1980; Madre mediterranea: civiltà fenicia, cartaginese e nuragica in Sicilia e
in Sardegna, 1980; La collezione punica
del Museo nazionale Sanna di Sassari,
‘‘Rivista di studi fenici’’, X, 1982; Arte e
cultura punica in Sardegna, con presentazione di S. Moscati, 1984; Progetto
Tharros (con M.T. Francisci, G.M. Ingo e
L.I. Manfredi), 1997.
Acta Curiarum Regni Sardiniae Atti
dei parlamenti del Regno di Sardegna.
Il progetto di curare la pubblicazione
dell’edizione integrale degli atti fu
promosso dal Consiglio regionale della
Sardegna nel 1984, dopo un lungo periodo di riflessione. L’iniziativa fu presentata nel seminario Acta Curiarum
Regni Sardiniae svoltosi a Cagliari tra
il 28 e il 29 novembre del 1984 e affidata
al coordinamento di un Comitato
scientifico del quale inizialmente facevano parte il presidente e i vicepresidenti pro tempore del Consiglio e i professori Alberto Boscolo, Bruno Anatra,
Guido d’Agostino, Antonello Mattone,
Giancarlo Sorgia, Girolamo Sotgiu e la
dottoressa Gabriella Olla Repetto. Col
tempo, dopo la morte dei professori
Boscolo, Sotgiu e Sorgia, la composizione del comitato scientifico si è modificata: attualmente ne fanno parte i
professori Anatra, Italo Birocchi, Maria Rosa Cardia, d’Agostino, Mattone,
Marco Tangheroni (deceduto nel 2004)
dell’Università di Pisa e Olla Repetto.
Per la pubblicazione degli Acta è stato
costituito un consorzio fra editori sardi
(Edi.co.s) che finora ha pubblicato gli
atti dei parlamenti seguenti (i numeri
sono quelli corrispondenti alla sequenza dei parlamenti nel prospetto
generale): 1. ‘‘Acta Curiarum Regni Sardiniae’’. Istituzioni rappresentative
nella Sardegna medioevale e moderna,
1986 e 1989; 2. Il Parlamento di Pietro IV
d’Aragona (1355), a cura di G. Meloni,
1993; 3. I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452), a cura di A. Boscolo con apparati di O. Schena, 1993;
5. I Parlamenti del viceré Giovanni Dusay e Ferdinando Girón de Rebolledo
(1499-1511), a cura di A. Maria Oliva e
O. Schena, 1998; 10. Il Parlamento del
viceré Giovanni Coloma barone d’Elda
(1573-1574), a cura di Leopoldo Ortu,
2005; 12. Il Parlamento del viceré Gastone de Moncada marchese di Aytona
(1592-1594), a cura di D. Quaglioni,
1997; 14. Il Parlamento del viceré Carlo
Borja duca di Gandı́a (1614), a cura di
G.G. Ortu, 1995; 16. Il Parlamento
straordinario del viceré Girolamo Pimentel marchese di Bayona (1626), a
cura di G. Tore, 1998; 18. Il Parlamento
del viceré Fabrizio Doria duca d’Avellano (1641-1643), a cura di G. Murgia,
2006; 23. Il Parlamento del viceré Giuseppe de Solı́s Valderrábano conte di
Montellano, a cura di G. Catani e C. Ferrante, 2004; 24. L’attività degli Stamenti
nella ‘‘Sarda rivoluzione’’ (1793-1796), a
cura di L. Carta, 2000.
Adato, Giulio Pittore (Campania, 1550
ca.-Cagliari 1633). A partire dal 1588 si
stabilı̀ in Sardegna e operò a Cagliari,
dove raggiunse molta notorietà e godette di grande considerazione. Nel
1611 fu tra gli arbitri della controversia
tra il Castagnola e il Perez; in seguito
lavorò col Bonocore e fu inviato in
Ogliastra da monsignor D’Esquivel
con l’incarico di studiare le raffigurazioni di San Giorgio. Tra le sue opere di
maggior rilievo ricordiamo la pala
delle Anime del Purgatorio nella parrocchia di Gesico, dipinta nel 1623, e il
Crocifisso tra i martiri, dipinto nel 1630
39
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 47
Addari
e collocato nella nicchia del sepolcro
dello stesso Esquivel.
Addari, Gerardo Giornalista e editore
(n. Nuragus 1944). Dopo la laurea in Pedagogia si è dedicato all’insegnamento
e al giornalismo, è giornalista pubblicista dal 1987. Nel 1990 ha fondato i periodici ‘‘Il Provinciale’’ e ‘‘L’Oristanese’’, di cui è direttore e editore,
dando cosı̀ impulso alla diffusione dell’informazione nella nuova provincia
del Medio Campidano.
Addari Rapallo, Chiarella Studiosa di
tradizioni popolari (n. Cagliari 1931).
Allieva di Alberto M. Cirese, dopo la
laurea si è dedicata alla ricerca e ha
intrapreso l’insegnamento presso l’Università di Cagliari. Ha approfondito
in particolare lo studio delle tradizioni
popolari sarde ed è autrice di alcuni
interessanti saggi tra i quali Pani tradizionali e arte effimera in Sardegna, in
collaborazione con Alberto M. Cirese,
Enrica Delitala e Giulio Angioni.
Addaris, Carmelo Atleta (n. San Sperate 1957). Membro della SASPO (Sardegna Sport), è l’atleta disabile sardo
che vanta i migliori risultati in campo
mondiale nell’atletica leggera. Dopo
aver vinto un argento e un bronzo nelle
Paraolimpiadi del 1976 a Toronto (slalom e 60 piani), ai campionati mondiali
che si svolgono nel 1987 a Stocke Mandeville conquista 2 medaglie d’oro (400
piani e staffetta 4x100) e 7 d’argento.
Nella stessa competizione stabilisce il
nuovo primato europeo della maratona. Alle Olimpiadi di Seul nel 1988
conquista tre medaglie di bronzo (slalom, 5000 m e staffetta 4x100). [GIOVANNI
TOLA]
Adde ’e Asile, S’ Necropoli preistorica
del tipo detto a domus de janas, in territorio di Ossi. Le tombe, scavate in una
parete rocciosa ben individuabile nel
territorio a sud del paese (lungo la
strada per Ittiri), sono state studiate
dagli archeologi sia perché in molti
casi a struttura complessa, sia perché
arricchite da particolari decorativi e
architettonici pregiati e in qualche
caso rari. Alcune cavità – sono tutte
scavate nella roccia calcarea – riproducono nel pavimento, nelle pareti e
nella parte superiore le caratteristiche
delle case dei vivi; in molti casi si riscontra il motivo della protome taurina, in altri la raffigurazione di strutture che saranno poi realizzate nelle
Tombe di giganti. Sono segnalate la
Tomba Maggiore, che conta almeno 18
celle secondarie, e quella detta delle
Finestrelle per la presenza di motivi
decorativi – unici nel loro genere – che
fanno pensare appunto alla raffigurazione di finestre o falseporte.
Addis, Filippo Scrittore e critico (Luras 1884-Sassari 1974). Frequentò il
Ginnasio a Tempio e continuò gli studi
prima a Torino, dove avviò la sua formazione letteraria e cominciò a scrivere sul ‘‘Fanfulla’’ e su altri giornali,
poi a Firenze e infine a Roma, dove si
laureò nel 1909. Subito dopo si stabilı̀ a
Sassari dedicandosi all’insegnamento
nelle scuole medie, alla narrativa, prevalentemente novelle, e alla saggistica
critica; non trascurò, però, anche altri
generi letterari. Il suo carattere schivo
e spigoloso lo portò a tenersi in disparte, a fuggire le manifestazioni ufficiali e i riti del mondo letterario. «A. –
ha scritto G. Marci (Romanzieri sardi
contemporanei, 1991) – i temi della sardità indaga, con spirito caustico e con
un approccio stracittadino dal quale gli
è reso difficile il rapporto con lo strapaese dei villaggi sardi, e con un gusto
del grottesco a volte troppo insistito».
Fu forse questo atteggiamento che gli
impedı̀ di raggiungere la fama che le
sue opere avrebbero meritato; la sua
cultura e la sua capacità di analizzare
con ironico distacco le cose della vita
40
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 48
Addis
ne fecero uno dei punti di riferimento
degli ambienti culturali sassaresi: collaborò a ‘‘Il Nuraghe’’ e ad altri periodici e tenne un atteggiamento di fronda
nei confronti del regime. Nel 1954 ottenne la medaglia d’oro dei benemeriti
della Pubblica Istruzione. Tra le sue
raccolte più importanti: Il divorzio,
1920; Giagu Iscriccia, 1925; Il fior di melograno, 1929; Le bestie dei miei amici: i
bipedi, 1932; Le bestie dei miei amici: i
quadrupedi, 1934; Il moro, 1936; Vecchia
Sardegna, 1939; Salvatore Farina (18461918), 1942; La sughera di Campanadolzu, 1950; Novelle di Sardegna, 1957.
Addis, Nicolò Scrittore (Nulvi 1915-La
Maddalena 1985). Sacerdote, esplicò il
proprio ministero dedicandosi prevalentemente all’insegnamento e alla
promozione di attività culturali. Profondo conoscitore della storia della
sua diocesi, a partire dagli anni Cinquanta le dedicò alcuni studi documentati; pubblicò anche alcune riflessioni religiose (Rosa mistica, 1969).
Giornalista e pubblicista dal 1966, collaborò a diversi giornali, tra cui ‘‘La
Nuova Sardegna’’, e diresse dal 1959 al
1964 il ‘‘Notiziario diocesano’’ di Ampurias e Tempio.
Addis, Ovidio Storico (Teulada 1908Cagliari 1966). Insegnante e fine intellettuale, aveva completato i suoi studi
a Roma, dove lo sorprese lo scoppio
della seconda guerra mondiale. Laureatosi in Lettere, tornò in Sardegna
nel 1941 e si stabilı̀ a Seneghe dove iniziò a insegnare nelle scuole elementari. Poco dopo si arruolò e prese parte
alle operazioni militari nel Nord
Africa; nel 1943 fu trasferito in Sardegna di stanza a Oristano. Subito dopo
l’8 settembre fu tra i protagonisti del
breve episodio di resistenza alle
truppe tedesche sul ponte del Tirso,
conclusosi con uno scontro a fuoco.
Ovidio Addis – L’intellettuale di Seneghe fu
uno degli animatori della cultura sarda negli
anni centrali del Novecento.
Nel dopoguerra si stabilı̀ definitivamente a Seneghe, dedicandosi ai suoi
studi e iniziando a raccogliere un’imponente biblioteca e molti preziosi documenti sulla storia della Sardegna. I
suoi interessi culturali furono molteplici: tra l’altro, a partire dal 1957, avviò la revisione dei dati sulla famiglia
giudicale arborense e tra il 1963 e il
1964 condusse due campagne di scavo
a Cornus. L’impegno culturale, però,
non gli impedı̀ di occuparsi di politica
e, sardista convinto, prese attivamente
parte alle vicende dell’amministrazione comunale di Seneghe; fu sindaco
dal 1964 al 1966. Alla sua morte lasciò la
sua biblioteca al comune d’elezione.
Dell’impegno di studioso testimonia la
serie di lavori a carattere storico da lui
lasciati, tra i quali vanno ricordati: Un
41
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 49
Addis Saba
sarcofago giudicale arborense, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXV, 1-2, 1957; Donnicalie in Sardegna nel periodo giudicale e la loro decadenza nel primo periodo aragonese in rapporto allo spopolamento conseguente alla occupazione,
in Atti del VI Congresso di storia della
Corona d’Aragona, 1959; Prima raffigurazione del suonatore di launeddas.
Stele nuragica in S. Lussurgiu, ‘‘Nuovo
Bollettino bibliografico sardo’’, VII, 4142, 1962; Il complesso paleocristiano di
Cornus, in Atti del XIII Congresso di storia dell’architettura, I, 1963, II, 1966.
Addis Saba, Marina Storica (n. Sassari
1930). Studiosa di storia contemporanea, dopo aver conseguito la laurea in
Lettere a Roma, dal 1985 al 2002 è stata
professore associato di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere
dell’Università di Sassari. Autrice di
numerose pubblicazioni, nel 1993 ha
vinto il premio ‘‘Walter Tobagi’’ con
una biografia su Anna Kuliscioff. Appassionata militante delle battaglie
femministe, ha dedicato diversi studi
ai problemi della Women’s History e
della partecipazione delle donne italiane alla Resistenza. Dei suoi scritti
su aspetti particolari del Novecento
sardo: Gioventù Italiana del Littorio,
1974; Emilio Lussu 1919-1926, 1977; Cultura a passo romano. Storia e strategia
dei littoriali, 1983; Stefano Siglienti:
dalla cospirazione alla Resistenza e Il
socialismo contadino di Francesco Fancello, tutti e due in L’antifascismo in
Sardegna (a cura di Manlio Brigaglia,
Francesco Manconi, Antonello Mattone, Guido Melis), 1986; Garibaldi
sardo di elezione, 1988; Un’amicizia
ideologica: Trentin e Lussu in L’uomo
dell’altipiano. Riflessioni, testimonianze, memorie su Emilio Lussu (a
cura di Eugenio Orrù), 2003; infine
una delicata autobiografia, Non recidere, forbice, quel volto, 2005.
Addis Tansu, Bastiano (detto il Muto di
Gallura) Famoso bandito (Tempio 1827-
Aggius 1858). Fu coinvolto nella faida
scoppiata ad Aggius, per una mancata
promessa di matrimonio, tra le famiglie dei Vasa e dei Mamia; schieratosi
con una delle due parti, con cui era imparentato, si trovò ad agire da sicario,
macchiandosi di alcuni omicidi per
cui, dopo la pacificazione tra le due fazioni, continuò a vivere alla macchia.
Fu ucciso a tradimento nel 1858, ma
non si posseggono notizie documentate
sulla sua morte. L’alone di leggenda
che presto circondò la sua fama (era
sordomuto dalla nascita, e anche questo particolare concorse a colpire l’immaginazione popolare) fu alimentato
anche da alcune opere letterarie dedicate alla sua vicenda: fra queste ebbe
grande successo Il muto di Gallura,
scritta dal popolare poligrafo sassarese Enrico Costa nel 1884.
Adelasia di Torres Giudicessa (?, inizi
sec. XIII-Burgos 1259). Figlia di Mariano II di Torres, nel 1219 sposò
Ubaldo Visconti junior e quando suo
fratello, il giudice Barisone III, fu assassinato nel 1235, trasmise al marito i
suoi diritti sul giudicato di Torres.
Quando però i due coniugi tentarono
di assumere il governo, il popolo di
Sassari si ribellò costringendoli alla
fuga. Poco dopo Ubaldo morı̀ e Adelasia, rimasta vedova, nel 1238 si risposò
con Enzo, uno dei figli naturali di Federico II. Il giovane principe era stato
per l’occasione nominato dall’imperatore ‘‘re di Sardegna’’ e si trasferı̀ nell’isola con il suo seguito. Trascorsi pochi mesi, però, nel 1239 il matrimonio
tra la matura giudicessa e il giovane
Hohenstaufen fallı̀; A. di T. fu abbandonata dal secondo marito che tornò
nella penisola per seguire le imprese
di suo padre. L’infelice sovrana trascorse l’ultima parte della sua vita nel
42
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 50
Ademprivi
castello di Burgos dove morı̀ nel 1259.
Intorno alla sua figura fiorirono numerose leggende: la più famosa è quella
che la vuole anche moglie (o amante)
di quel ‘‘donno Michele Zanche di Logudoro’’ citato da Dante (Commedia,
Inf., c. XIX), al quale viene anche attribuita la decisione di esiliarla nel castello di Burgos per usurparne il ruolo.
Su di lei scrisse una biografia tra storia
e romanzo il poligrafo sassarese Enrico Costa (Adelasia di Torres. Note critiche e divagazioni tra storie, cronache e
leggende del secolo XIII, 1898).
Ademprivi Il termine deriva dal catalano adempriu, ma l’etimologia resta
incerta: la più probabile è quella che
la fa derivare dall’espressione latina
ad manum privatam, che indicherebbe
l’abitudine (e in qualche misura il diritto consolidato dalla tradizione) a
usare come cosa propria, ‘‘privata’’, un
bene pubblico. Con questo termine infatti vengono indicate alcune forme di
godimento collettivo della terra diffuse in Sardegna e corrispondenti agli
usi civici. Consistevano nella facoltà di
godere dei pascoli, dei boschi, delle
stoppie, di seminare porzioni di terra
e di sfruttare i corsi d’acqua che gli abitanti dei villaggi avevano nei confronti
sia delle proprietà appartenenti al demanio reale o baronale o comunale che
di quelle private che non fossero recintate. Trovavano il loro fondamento in
consuetudini che si riallacciano ai
tempi più remoti della storia della Sardegna, che i Romani conobbero e rispettarono, come pure si mantennero
in età giudicale. Esse venivano praticate da tutti i membri di una comunità
nei vasti territori intorno ai villaggi
che servivano da supporto all’allevamento e ad attività agricole di interesse generale. L’uso collettivo della
terra pubblica era quindi il fondamento di questi diritti che continua-
rono a essere rispettati nel periodo
aragonese e spagnolo. La regolamentazione di questi usi o le limitazioni al
loro esercizio che i feudatari tentavano spesso di imporre furono causa
di violenti conflitti tra loro e i vassalli.
Ciò lo si può vedere dal tenore degli
accordi (accordiu) che spesso i feudatari facevano con dei privati per la concessione di terre pubbliche appartenenti al demanio feudale: in questi accordi (accordiu de saltu) venivano fatti
salvi i diritti ademprivili, che il concessionario si impegnava a rispettare. La
concessione a privati di beni appartenenti al demanio reale prevedeva
egualmente il rispetto degli ademprivi
ma, specialmente in quelle fatte nel
corso del secolo XVII, il principio non
venne rispettato e il concessionario di
fatto ne impedı̀ l’esercizio. Nel corso
del secolo XVIII i Savoia cominciarono
a limitarne l’esercizio e ne abolirono
alcuni nell’ambito dei territori pertinenti alle città. Alcuni problemi gli a.
li crearono dopo il 1820, quando fu applicata la legge delle chiudende;
quando poi furono aboliti i feudi il governo si trovò ad affrontare nuove difficoltà. Infatti i terreni dei disciolti demani feudali, sui quali vigevano i diritti ademprivili, costituivano la metà
di tutti i territori coltivabili nell’isola,
per cui la regolamentazione del loro
uso divenne un serio problema. A partire dal 1844 l’Amministrazione statale
tentò di eliminarli sia cercando di limitarli con una serie di atti normativi sia
dandone considerevoli porzioni in
concessione per opere di bonifica o favorendo in tutti i modi la formazione
della proprietà privata. I risultati raggiunti non furono rilevanti, per quanto
la legislazione restrittiva continuasse
a essere l’arma più efficace per raggiungere l’obiettivo: ancora oggi molti
comuni posseggono una parte dei ter-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 51
Ad Herculem
reni pubblici sui quali i cittadini esercitano diritti ademprivili. D’altra parte
la loro abolizione era elemento fondamentale della politica sabauda, volta a
liberare la terra da ogni vincolo consuetudinario per permettere la formazione di quella piccola borghesia agraria che era nei disegni dei governanti.
Dopo la Legge delle chiudende e l’abolizione del sistema feudale, fu la volta
degli a. L’operazione si compı̀ (per la
parte in cui si compı̀) in un lunghissimo
arco di tempo: la legge n. 1643 del 10
aprile 1854 abolı̀ i diritti d’a. sui boschi
del demanio dello stato; nel 1851 la
legge prediale pose un termine di 9
anni per procedere all’abolizione del
pascolo comune; la legge n. 2252 del 23
aprile 1865 dispose «l’abolizione degli
usi e diritti di a. e di cussorgia nell’isola di Sardegna». I comuni erano obbligati a vendere entro tre anni i terreni loro assegnati. La legge (già pronta
per l’approvazione nel 1859 ma poi rinviata per lo scoppio della guerra) era
stata oggetto d’un vasto dibattito: restano famosi, in proposito, gli articoli
di Carlo Cattaneo sul ‘‘Politecnico’’.
Nel gennaio 1863 la legge n. 1105 aveva
avviato la costruzione della rete ferroviaria sarda concedendo alla società
del finanziere Gaetano Semenza
200 000 ha di terreni ex ademprivili.
Ad Herculem Stazione sulla strada romana a Tibulla Sulcos, in passato identificata con Santa Vittoria di Osilo. In
realtà il toponimo sembra far riferimento a una stazione contigua (si noti
la preposizione ad) al tempio di Ercole
che doveva sorgere sull’Herculis insula, l’Asinara: recenti indagini hanno
riguardato ad esempio la località di
Cuile Etzi Minori presso Ercoli, sulla
costa orientale della penisola molto a
sud delle saline di Stintino, in una
delle aree più fertili della Sardegna.
Andrebbe dunque localizzata in co-
mune di Stintino, a 18 miglia da Turris
Lybisonis, oggi Porto Torres, e a 22 miglia da Erucium (di dubbia localizzazione). La localizzazione a Stintino obbliga a introdurre una rettifica ai dati
dell’Itinerario Antoniniano e a ipotizzare una variante o una deviazione laterale rispetto all’occidentale sarda.
[ATTILIO MASTINO]
Ad Medias Stazione stradale della via
a Tibula Carales, ricordata dall’Itinerario Antoniniano a 12 miglia da Molaria
(Mulargia) e a 15 miglia da Forum
Traiani (Fordongianus). Viene di consueto identificata con l’area del Nuraghe Losa di Abbasanta. Il toponimo antico forse indica la collocazione geografica al centro della strada, 110 miglia da Tibula e 103 miglia da Carales,
almeno se sommiamo i dati parziali
dell’Itinerario. La strada centrale
sarda da Molaria raggiungeva la Macopsisa di Tolomeo (si tratta forse di una
deformazione per Macomisa, nel senso
de ‘‘il luogo dell’uscita’’, l’attuale Macomer): una deviazione laterale conduceva a Bosa e Gurulis Vetus. I miliari
di San Pantaleo relativi a restauri effettuati già nell’età di Vespasiano ricordano il 55º e il 56º miglio da Turris;
resti di carraie sono stati segnalati
presso lo stabilimento Alas di Macomer; un altro miliario di Vespasiano è
stato ritrovato a Bonutrau; infine la
strada iniziava la discesa dall’altipiano, lungo Su Stradone Ezzu, fra
Cunzau de sa Matta e il rio Castigadu a
occidente di Macomer e più avanti in
località Serbagusa, Campusantu, Funtana ’e Figu, Su Cunventu (miliario
sulla strada vicinale Cogolatzu): al servizio della viabilità dovevano essere
impiegate alcune strutture di abitati,
come quella di Su Cunventu, alle pendici dell’altipiano, dove è stata localizzata una mutatio. Dopo aver superato il
rio Castigadu, la via raggiungeva Pa-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 52
Adon Sid Addir Babay
dru Nou; altre tracce di selciato sono
state segnalate nella Tanca Melkiorre
Murenu, presso Tossilo: si tratta di un
piano di carreggio largo 8 m, bombato
al centro, con solide fondazioni, utilizzato dalla moderna Strada Reale con
un percorso rettilineo fin quasi al nuraghe Losa di Abbasanta, dove si localizza Ad Medias, a 12 miglia, 18 km, da
Molaria. Da Abbasanta la strada puntava decisamente a sud (rispetto alla
S.S. 131 che tocca Paulilatino e Bauladu) e attraverso il territorio di Ghilarza e di Busachi lungo la valle del rio
Bauvenu raggiungeva il Tirso a Santa
Chiara. In questo tratto possediamo
ben quattordici miliari, che riportano
la numerazione delle miglia da Turris
Lybisonis ma talora anche da Carales e
che arrivano fino alla fine del secolo IV
con un’ultima testimonianza durante il
regno di Magno Massimo e di Flavio
Vittore. [ATTILIO MASTINO]
Adolfi, Mario Pittore (n. Bosa 1952). Diplomato all’Istituto d’Arte di Nuoro, ha
esordito prendendo parte alla prima
mostra collettiva nel 1968. Negli anni
seguenti ha esposto in mostre collettive e personali in Italia e all’estero.
Alcune sue opere sono presenti in collezioni pubbliche.
Adonide annua – Fiore.
Adonide annua Specie di pianta erbacea annuale della famiglia delle Ranuncolacee (Adonis annua L.). Ha fusti
ramosi e foglie divise in tre segmenti
lineari acuti. Fioritura a marzo-aprile
con fiori rossi terminali, con 5 sepali,
petali in numero variabile da 6 a 10 con
macchia nera alla base. Il frutto, un
achenio, presenta un becco acuto terminale. Cresce su terreni coltivati e ai
bordi delle strade. Nomi sardi: adoni;
ogu de bòi (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Adon Sid Addir Babay Dedica (in fenicio l’dn lsd ’dr b’by ‘‘Al signore Sid, padre potente’’), incisa su una base cilindrica utilizzata come supporto di una
statua in bronzo, rinvenuta nel 1967
presso il tempio di Antas. Numerose
altre iscrizioni di carattere votivo rinvenute nell’area del santuario documentano il culto tributato al dio Sid,
definito ‘‘signore potente’’, in connessione con l’epiteto Baby/Babay che
viene comunemente interpretato
come l’appellativo della massima divinità della Sardegna. L’epiteto, appartenente al sostrato linguistico sardo presemitico, dimostra l’avvenuto sincretismo col dio fenicio Sid all’interno di un
centro cultuale di primaria importanza nel quadro dell’intera religiosità
sarda. Infatti i dedicanti di alcuni ex
voto databili tra il secolo IV a.C. e il II
a.C. si dichiarano come appartenenti
al popolo di Cagliari e Sulci, a diretta
conferma, pertanto, del carattere ‘‘nazionale’’ del culto offerto al dio Sid, che
proseguirà anche nella successiva età
romana con la venerazione del Sardus
Pater (=). A favore dell’identificazione
col dio Sid, a sua volta continuatore diretto di una precedente divinità sarda
qualificata come ‘‘padre’’, converge
una nutrita serie di testimonianze numismatiche ed epigrafiche quali la moneta del praetor Azio Balbo coniata nel
38 a.C. con legenda Sard(us) Pater, l’anello aureo del secolo III d.C. con iscrizione Sidia Babi, forse un falso, e la
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 53
Adselona
nota iscrizione dell’epistilio del tempio di Antas databile tra il 213 e il 217
d.C., al tempo dell’imperatore Caracalla, su cui si legge Temp[l(um) D]ei
[Sa]rdi Patris Bab[i]. Ad un attento
esame delle testimonianze epigrafiche
e archeologiche è emersa, tra le principali prerogative della divinità, l’importanza delle qualità taumaturgiche e salutifere grazie a un particolare legame
con due divinità minori quali Shadrapha e Horon invocati dai fedeli in qualità di intermediatori tra il dedicante e
la massima divinità titolare del culto.
[MICHELE GUIRGUIS]
Adselona Località registrata nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate
(sec. VII) e, nella variante Adselola, nell’opera geografica di Guidone (secc.
XI-XII). In base alla sequenza fornita
da entrambe le fonti ad A. dovrebbe
corrispondere a un centro posto a settentrione lungo la strada che portava
da Carales a Turris Lybisonis. Citata subito dopo Turris (Turris Librisonis colonia Iulia nell’Anonimo Ravennate;
Turris Librisonis colonia Vilia in Guidone) è stata assimilata da Ettore Pais
ad Anglona; Ignazio Didu ha proposto
un’assimilazione con il toponimo Soliu
(da Ad Solia), abitato scomparso nelle
vicinanze di Sedini attestato nelle
fonti medioevali. [ANTONELLO SANNA]
Aeronike Servizi Aerei Ditta fondata a
Cagliari verso la metà degli anni Sessanta da un gruppo di piloti e tecnici
sardi, organizzati intorno all’aeroporto
di Cagliari-Elmas. Possiede un importante archivio di fotografie aeree planimetriche e panoramiche, di rilievi
topografici e aerei all’infrarosso.
Svolge inoltre servizio di vigilanza aerea delle coste e del territorio, e di prevenzione e controllo degli incendi boschivi.
un’autorità pubblica fissa un prezzo
politico per la commercializzazione
delle derrate alimentari per far fronte
a situazioni come carestie o assedi, ma
anche per scoraggiare la speculazione
sui prodotti alimentari. In Sardegna
l’a. ebbe una importanza notevole in
epoca spagnola soprattutto per quanto
riguarda il grano, la cui disponibilità
era considerata strategica; l’a., infatti,
una volta stabilito, scoraggiava gli speculatori e fissava anche l’acquisto che
le città erano autorizzate a fare nei villaggi di loro pertinenza della quantità
di grano da ammassare per un anno e
da tenere come riserva. L’a. veniva perfezionato nel mese di settembre di ogni
anno con una cerimonia solenne che si
svolgeva a Cagliari nelle sale della
Reale Udienza. Il viceré vi si recava in
gran corteggio, unitamente alle ‘‘prime
voci’’ degli Stamenti (=) e a tutti i giudici; nel corso della cerimonia veniva
letto il prezzo giornaliero del grano a
partire dal mese di luglio, in modo che
i presenti potessero farsi un’idea precisa della media annuale dei prezzi al
momento della mietitura. Subito dopo
il viceré si spostava in un’altra sala e i
funzionari presenti e le prime voci degli Stamenti aprivano tra loro la discussione per la determinazione dell’a. Quando la discussione era esaurita,
i presenti fissavano l’ammontare del
prezzo del grano con una votazione e
subito dopo lo comunicavano al viceré
che a quel punto rientrava nella sala.
Poco dopo il viceré pubblicava il nuovo
a., emanando un apposito pregone.
L’a., stabilito a difesa dei consumatori
della città, dava spesso luogo a speculazioni commerciali basate sulla differenza fra il prezzo d’a. e il prezzo del
mercato.
Afnio = Zoologia della Sardegna
Afforo Termine, derivato dal catalano
Africa romana Africa era per gli anti-
aforar, che definisce l’atto col quale
chi il territorio di Cartagine, ma la de-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 54
Africa romana
nominazione in età romana, dopo la distruzione di Cartagine nel 146 a.C., finı̀
per indicare l’attuale Maghreb (limitato dal mare Mediterraneo a nord,
dal golfo della Grande Sirte a est, dall’Oceano Atlantico a ovest), conquistato dai Romani e corrispondente
oggi ai territori della Libia occidentale, Tunisia, Algeria settentrionale e
Marocco. Ne restavano esclusi la Cirenaica e l’Egitto, di lingua greca e considerati parte dell’Oriente asiatico.
Dopo la vittoria di Cesare a Tapso nel
46 a.C. il regno di Numidia fu costituito
in provincia con il nome di Africa nova.
Augusto unificò le due province nel 27
a.C., affidando la nuova entità amministrativa, divenuta Africa proconsularis,
a un proconsole di rango senatorio. Nel
38 d.C. Caligola separò il potere civile
da quello militare, assegnando il secondo a un legato della III legione Augusta, preludio alla nascita della provincia di Numidia, organizzata però
solo al tempo di Settimio Severo. Con
la riforma di Diocleziano l’Africa proconsolare fu ripartita in tre circoscrizioni: Zeugitana o Proconsularis, Byzacena, Tripolitania. Dalla divisione
della Numidia sorsero la Cirtensis e la
Militiana, riunificate subito dopo da
Costantino. Tutti questi territori corrispondono oggi alla Libia, alla Tunisia e
all’Algeria nord-orientale. All’attuale
Algeria centro-occidentale e al Marocco corrispondevano invece in età
imperiale rispettivamente la Mauretania Caesariensis e la Mauretania Tingitana, territori lasciati in eredità dal re
Bocco ad Augusto alla vigilia della battaglia di Azio, trasferiti nel 25 a.C. a
Giuba II e costituiti in provincia dopo
l’uccisione del re Tolomeo a opera di
Caligola. Con Diocleziano dalla Caesariensis fu separata la Sitifensis.
SARDEGNA E CARTAGINE I rapporti tra
la Sardegna e le province romane del
Maghreb coprono un arco cronologico
lunghissimo. Già il mito del libico Sardus, figlio di Maceride (l’Ercole dei Libii), primo colonizzatore dell’isola secondo Pausania, è testimone di una
consuetudine antica di rapporti, che
rimonta a ben prima dell’età feniciopunica. Ancora in età storica Sardus
era venerato in Sardegna con l’attributo di Pater. Al di là del mito, i contatti
tra l’Africa e la Sardegna si svilupparono prima con l’arrivo dei Fenici e
poi con la dominazione cartaginese,
che sembra saldamente stabilita nei
trattati tra Roma e Cartagine e ancora
alla fine della prima guerra punica.
Nel corso della guerra dei mercenari,
che si sviluppò in Africa e in Sardegna
(238 a.C.), l’isola fu scossa da una rivolta anticartaginese nel corso della
quale un contingente cartaginese guidato da Bostare fu massacrato probabilmente nell’acropoli della città di
Carales. Le truppe inviate da Cartagine, ribellatesi al comandante Annone, che fu crocifisso, sottoposero a
supplizi i Cartaginesi che si trovavano
sull’isola. La rivolta fornı̀ ai Romani il
pretesto per occupare l’isola, anche se
sarebbero stati necessari due secoli
per soffocare nel sangue le rivolte
delle popolazioni dell’interno montuoso, in parte fedeli a Cartagine e
sempre sobillate da spie puniche, ma
soprattutto avverse a ogni forma di occupazione militare. La costituzione
della Provincia Sardinia nel 227 a.C.
non cambiò lo stato delle cose: per
tutto il corso della seconda guerra punica (218-202 a.C.) l’isola mantenne
rapporti di natura militare e commerciale con Cartagine, situazione che
condurrà all’infelice rivolta antiromana di Ampsicora appoggiato da Annibale nel 215 a.C.
I RAPPORTI CULTURALI I rapporti culturali tra Africa e Sardegna non cessa-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Africa romana
rono neppure dopo il 146 a.C., anno
della distruzione di Cartagine, favoriti
dalla comune lingua punica e dalla
presenza di mercanti africani nell’isola. Possediamo notizie di rapporti
commerciali, di scambi di popolazione, di contatti culturali che si estendono per tutta l’età romana, con la presenza di deportati africani in Sardegna, dagli alessandrini ed ebrei dell’età di Tiberio fino ai mauri e ai vescovi africani esiliati in età vandala.
Ci fu ad esempio sempre una certa costanza nei trasferimenti di popolazione fra Africa e Sardegna. A questo
fenomeno fa da pendant lo spostamento di sardi, specialmente militari,
nel Nord Africa: arruolati nei reparti
ausiliari (come la Cohors II Sardorum
o la Cohors Nurritanorum) o nella legio
III Augusta, erano rispettivamente di
stanza nella Mauretania Cesariense e
in Numidia. La ‘‘romanizzazione’’
della Sardegna conobbe fasi analoghe
alla romanizzazione del Nord Africa,
per le affinità strutturali dell’economia, legata principalmente all’agricoltura: somiglianza per le caratteristiche
del suolo e del clima, assenza di piogge
abbondanti, ampiezza di terre incolte
(subseciva), sviluppo delle proprietà
imperiali. Sardegna e Africa, insieme
alla Sicilia, furono cosı̀ considerate fin
dall’età della res publica i granai di
Roma. E se quella della produzione cerealicola restò prerogativa della Sardegna per tutta l’età imperiale, l’Africa, a partire dalla prima metà del secolo II d.C., sviluppò anche l’olivicoltura, attività che assicurò prosperità
fino all’avvento della dominazione
araba. Contestualmente si comprende
anche il perché dello sviluppo dei traffici commerciali, favoriti dalla breve
distanza fra le due terre: 280 km tra il
promontorio di Carales e l’Africa, percorribili in un giorno e una notte di na-
vigazione, come in occasione del viaggio di Cesare da Utica a Carales. La sopravvivenza di elementi culturali punici e indigeni si manifestò in Sardegna come in Africa nelle istituzioni cittadine. A Bitia ad esempio è rimasta
una dedica in lingua cananea all’imperatore Marco Aurelio (169-180) in cui si
ricorda una serie di opere pubbliche
realizzate in un anno individuato dal
nome di due sufeti. Cosı̀ in Africa città
sufetali sono attestate, sempre nelle
iscrizioni, a partire da Cesare fino alla
piena età imperiale. Inoltre numerosi
furono i centri sardi che mantennero il
nome punico in età romana (Magomadas, analoga al libico Macomades, in semitico forse ‘‘città nuova’’; Othoca,
‘‘città vecchia’’; Macomer-Macomisa,
‘‘luogo del monte, luogo dell’entrata/
dell’uscita’’), come diverse furono anche le sopravvivenze della religiosità
punica nell’isola. Emblematico è il
caso di Sid Babi, divinità africana venerata ad Antas e ricordata in una ventina di iscrizioni puniche. L’occupazione vandalica vide la Sardegna inserita all’interno dello stato africano: il
vescovo di Carales divenne il metropolita delle diocesi dei territori transmarini dell’Impero vandalo, che comprendeva anche la Corsica e le Baleari.
Tale orientamento africano della Sardegna fu confermato quando Giustiniano riconquistò Cartagine; allora la
Sardegna fu annessa alla prefettura
del pretorio e all’esarcato d’Africa bizantino. [ANTONELLO SANNA]
Africa romana, L’ Titolo sotto cui è posto l’importante convegno internazionale di studi che con cadenza annuale
(poi biennale) il Dipartimento di Storia
dell’Università di Sassari organizza a
partire dal 1983. Il convegno, ideato e
diretto dal professor Attilio Mastino,
consente di approfondire tutti gli
aspetti della presenza romana nell’A-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 56
Agalbursa di Bas
frica settentrionale e nel bacino mediterraneo, e in particolare di chiarire il
ruolo della Sardegna in età romana. Al
convegno prendono parte studiosi provenienti da tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo; i lavori si concludono con la pubblicazione (straordinariamente puntuale) degli Atti relativi, che ormai sono da considerare
uno strumento prezioso e insostituibile per studiosi specialisti e non (nel
XVII convegno, svoltosi a Siviglia, sono
stati presentati gli Atti del XVI, svoltosi
a Rabat nel 2004). Per le 17 edizioni
sono stati editi gli atti dei convegni
1983, 1984, 1985, 1986-87 (2 voll.), 1988
(2 voll.), 1989 (2 voll.), 1990 (2 voll.), 1991
(2 voll.), tutti a cura di A. Mastino; 1992
(3 voll., a cura di A. Mastino e P. Ruggeri), 1994 (3 voll., a cura di A. Mastino),
1996 (3 voll., a cura di A. Khanoussi, P.
Ruggeri, C. Vismara), 2000 (3 voll., a
cura di A. Khanoussi, P. Ruggeri, C. Vismara), 2002 (3 voll., a cura di A. Khanoussi, P. Ruggeri, C. Vismara), 2004 (4
voll., a cura di A. Akerraz, P. Ruggeri, A.
Siraj, C. Vismara).
diaco. Una figura fittile di Nora reca
sulla base la scritta Veneri Sacrum: si
tratta dunque di un ex voto consacrato
a Venus da un devoto. Infine dall’ager
di Turris Lybisonis deriva un timbro in
bronzo con l’iscrizione Veneris Obsequentis. Il timbro era destinato a esser
impresso su oggetti consacrati alla Venus Obsequens, un culto proprio dei liberti che facevano parte del populus
turritano. [VALENTINA PORCHEDDU]
Afrodite Divinità greca. Il culto di A. si
impianta nella Sardegna punica in
virtù del processo sincretistico tra la
dea greca e la dea semitica IshtarAstarte nota già nel secolo VII a.C. nel
tempio di Monte Sirai. Ad Antas nel
tempio di Sid-Sardus Pater figura una
testa di A. di scalpello argivo del 420
a.C. ca. In età romana possediamo a Carales la statuetta marmorea di A. anadiomene dalle terme di viale Trieste
(sec. II d.C.). Lo stesso tipo dell’A. è attestato a Turris Lybisonis, forse della
fine dell’età ellenistica. Un secondo
frammento di statuetta di marmo di A.
da Turris Lybisonis è riportato al secolo
II d.C. Da Neapolis viene una statuetta
acefala in marmo dell’A. urania, copia
romana del secolo I d.C. e rielaborazione ellenistica del capolavoro fi-
Afrodite – La dea in una statua romana in
marmo del secolo I d.C., copia da un originale
in bronzo di Doidalsas. (Collezione Ludovisi,
Roma)
Agalbursa di Bas Signora del giudicato d’Arborea (prima metà sec. XIIdopo 1186). Figlia di Ponzio de Cervera
visconte di Bas, nel 1157 divenne la seconda moglie dello sfortunato giudice
Barisone I d’Arborea; si stabilı̀ a Oristano accompagnata da un gruppo di
catalani, alcuni dei quali si fermarono
definitivamente in Sardegna. In particolare favorı̀ l’inserimento del fratello,
che si sposò con Sinispella, una delle
figlie che Barisone aveva avuto dalla
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 57
Agata
prima moglie, Pellegrina de Lacon.
Quando nel 1185 il marito morı̀, A. di
B. si trovò in una situazione difficile
perché una parte del patrimonio che
possedeva in Sardegna era stata ceduta a Pisa dal figliastro, il giudice Pietro, che per tentare di uscire dalla
grave crisi finanziaria nella quale il padre lo aveva lasciato nei confronti di
Genova si era alleato col comune toscano a cui aveva concesso anche una
parte del territorio del giudicato. A. di
B., sostenuta dal clan dei catalani, non
sentendosi tutelata dal figliastro si
recò allora a Genova per rinnovare la
vecchia alleanza e per trovare protezione. In questa circostanza ella fece
giurare il patto anche al nipote Ugo
Ponzio dichiarandolo suo erede: in
questo modo, alla sua morte, ne favorı̀
l’ascesa sul trono d’Arborea.
Sant’Agata – La santa martire raffigurata da
Francesco Lola. (Basilica di San Petronio,
Bologna)
Agata, santa Santa (Catania?, ?-ivi, 250
ca.). Martire, per secoli il luogo di na-
scita è stato rivendicato da Palermo. Il
suo culto è anteriore al secolo V,
quando a Roma il patrizio Ricimero
fece costruire la chiesa di Sant’A. dei
Goti nella Suburra, il quartiere abitato
da gente equivoca, forse perché secondo una leggenda la santa sarebbe
stata affidata a una prostituta. Gli atti
del martirio, apocrifi e privi di valore
storico, sono del secolo VI. Il pontefice
sardo Simmaco le dedicò una basilica
sulla via Aurelia, Gregorio Magno ne
introdusse il nome nel canone romano,
memoria obbligatoria ancora oggi. Giovane e bella, il console romano Quintiano (Quinziano, nella lettura latina
medioevale) sotto l’imperatore Decio
la domandò in sposa: «Non posso sposarti – gli disse A. – perché sono già sposata al Signore, a lui mi sono consacrata». Pur di averla il console si rivolse a una fattucchiera, Afrodisia, ma
filtri e malie non scalfirono la fede e la
purezza della giovane. L’amore di
Quintiano si trasformò in odio: dopo
averla minacciata la fece arrestare e
torturare. Sostituendosi al carnefice
le tagliò i seni: «Crudele tiranno – lo
rimproverò A. – , non ti vergogni di torturare in una donna quel seno dal
quale hai succhiato la vita?». In carcere le apparve San Pietro: la consolò
e le risanò le ferite. Martire sui carboni
accesi, a Catania, verso il 250-251.
L’iconografia la rappresenta con i seni
recisi. Protegge Catania dalle eruzioni
dell’Etna, invocata contro le devastazioni della lava e contro gli incendi, patrona delle balie, dei fabbricanti di
campane e dei gioiellieri. Culto in Sardegna diffuso dai Bizantini. Chiesa a
Quartu Sant’Elena (sec. XII); tela Sant’A. curata da San Pietro nella cattedrale di Cagliari, attribuita dagli storici del passato a Gherardo delle Notti
(1590-1656), dai contemporanei a un seguace di Artemisia Gentileschi (1597-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aggius
1651). Santadi deriverebbe da Sant’Ada, corruzione di Sant’Agata.
[ADRIANO VARGIU]
Agave – Pianta senza fusto introdotta in
Europa nel secolo XVII, l’agave è utilizzata
come pianta ornamentale.
a Cagliari, che alcuni dicono siano
state piantate in tempo di guerra per
scoraggiare l’atterraggio di paracadutisti nemici. I grandi fiori, visibili dalla
spiaggia del Poetto, si stagliano sul
profilo del promontorio. Nomi sardi:
ágavi (sassarese); aspárach de foch (algherese); erba de isprene (nuorese).
Aggius – La Valle della Luna è detta anche
Piana dei Grandi Sassi: sembra quasi il frutto
di un bombardamento di meteoriti.
Agave Pianta succulenta della famiglia
delle Amarillidacee (A. americana L.),
originaria dell’America centrale, dove
viene utilizzata per estrarre fibre per
cordame; dalla fermentazione delle foglie macerate si ricava la tequila. Il
nome deriva dal greco agaué (magnifica), per l’eleganza del suo portamento. Introdotta in Europa nel secolo
XVII, è utilizzata come pianta ornamentale. Pianta perenne, acaule (cioè
senza fusto), caratterizzata da un’espansa rosetta di 20-30 foglie basali.
Le foglie carnose, ensiformi, lunghe
anche 3 m, hanno margine e punta spinosi. Il colore e la larghezza delle foglie
cambia nelle diverse varietà coltivate.
Ha un’infiorescenza a pannocchia che
si apre su uno stelo alto diversi metri,
simile a un gigantesco asparago; ogni
pianta fiorisce una sola volta, dopo almeno 11 anni di vita, poi muore. La fioritura avviene in tarda primavera. Il
frutto è una capsula trivalve. Caratteristiche le agavi della Sella del Diavolo,
Aggius Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella III Comunità montana, con 1649 abitanti (al
2004), posto a 514 m sul livello del
mare nella Gallura interna, pochi chilometri a nord-ovest di Tempio Pausania. Regione storica: Gemini. Diocesi
di Tempio-Ampurias.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 82,77 km2 e confina con Trinità d’Agultu a nord, di Aglientu e Tempio Pausania a est, di Bortigiadas a sud, di Valledoria e Badesi a ovest. Di forma
grosso modo triangolare, occupa le
propaggini del massiccio del Limbara
digradanti verso il golfo dell’Asinara;
di natura costantemente granitica, alterna colline arrotondate a creste rocciose, tra le quali si apre di tanto in
tanto qualche vallata o qualche conca
pianeggiante. Rimangono ancora, oltre ai numerosi sughereti, tratti del bosco originario, popolato di lepri, pernici e cinghiali, mentre sulle cime più
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aggius
alte nidificano corvi, falchi e sparvieri.
Le comunicazioni si svolgono lungo alcune strade, tra le quali la statale 133,
che collegano Tempio alla costa e, in
misura oggi molto ridotta, dalla ferrovia delle secondarie Sassari-TempioPalau.
Aggius – Dal 1966 la Valle della Luna, già
attaccata dai cavatori di granito, è protetta
da vincolo paesistico.
& STORIA L’attuale centro è di origine
medioevale ed era incluso nella curatoria di Gemini del giudicato di Gallura. A partire dal 1288, con la fine del
giudicato, fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa. Dopo la conquista aragonese A. fu incluso nel Regnum Sardiniae, ma il suo territorio
era tutt’altro che pacificato: la resistenza dei suoi abitanti durò fino al
1330, quando l’esercito guidato da Raimondo Cardona riuscı̀ ad averne ragione. Nello stesso anno il villaggio fu
compreso, con quasi tutto il Gemini
alto, in un feudo concesso a Guglielmo
Pujalt. Continuò però a essere teatro
della guerra tra Doria e Aragona, e
quando alcuni anni dopo Pujalt morı̀
senza figli il conflitto non era ancora
chiuso. Nel 1347 fu dato in pegno a Giovanni d’Arborea perché lo pacificasse;
ma quest’ultimo fu arrestato dal fratello Mariano e il territorio fu amministrato dalla moglie Sibilla de Moncada,
ma di fatto era ormai abbandonato a se
stesso. Quando nel 1353 scoppiò la
guerra tra Aragona e Arborea e nel
1356 quella tra Aragona e Genova, A.,
come tutto il territorio del Gemini,
subı̀ gravi danni ma non si spopolò
completamente. Nel 1365, scoppiata la
seconda guerra tra Aragona e Arborea,
fu occupato dalle truppe arborensi e,
formalmente riconosciuto ai Carroz
eredi di Giovanni d’Arborea, rimase in
loro possesso fino alla battaglia di Sanluri. Finita la guerra, A. e il Gemini
passarono finalmente ai Carroz e nel
1479, per il matrimonio di Beatrice
con Pietro Maza de Liçana, il feudo
passò a questa famiglia. Estinti i Maza,
A. con tutto il Gemini fu conteso dai
loro eredi e finalmente, chiusa la lunga
lite giudiziaria, passò ai Portugal nel
1591. Per il matrimonio di Anna Portugal con Rodrigo De Silva, nel 1630 entrò
a far parte del marchesato d’Orani e
soffrı̀ dell’abbandono nel quale i nuovi
feudatari lasciarono il Gemini. Nel
corso del secolo XVII fu amministrato
dal regidor del marchesato d’Orani, fu
teatro di faide tra gruppi di famiglie di
pastori e perse di importanza. Il suo
vastissimo territorio si spopolò e fu
sempre più spesso rifugio di bande di
fuorilegge in un crescente clima di violenza che l’amministrazione feudale
non riuscı̀ a fermare. La situazione
non migliorò nel secolo XVIII, anzi le
sue vaste campagne divennero teatro
dell’azione di bande di contrabbandieri e di falsari particolarmente attivi
durante i primi decenni del governo
sabaudo. Nel 1771 vi fu istituito il Consiglio comunitativo e negli stessi anni
venne istituito il Monte granatico amministrato da una giunta, ma le tensioni non ebbero termine; nel 1821 fu
incluso nella provincia di Ozieri, e
poco dopo vi fu aperta una scuola elementare; nel 1831 passò a quella di
Tempio Pausania. Nel 1843 il villaggio
si liberò definitivamente dalla dipen-
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Aggius
denza feudale, continuando a far parte
della provincia di Tempio fino al 1848.
Abolite le province in seguito alla ‘‘fusione perfetta’’, fu dapprima compreso
nella divisione amministrativa di Sassari e in seguito a partire dal 1859 nella
ricostituita provincia di Sassari. Nello
stesso periodo il paese fu tormentato
dalla terribile faida tra le famiglie
Vasa e Mamia e dalle imprese del celebre bandito conosciuto come il Muto di
Gallura (= Addis Tansu, Bastiano). La
fine della dipendenza feudale però incise favorevolmente sulle condizioni
economiche del paese: nel corso dell’Ottocento vi si svilupparono l’allevamento del bestiame e la lavorazione
del sughero e le campagne si ripopolarono progressivamente. La crescita del
paese non si arrestò nemmeno quando
nel 1890 i suoi fiorenti vigneti furono
distrutti dalla fillossera.
ECONOMIA Ha una economia sviluppata, basata sulla pastorizia, sulla
estrazione e la lavorazione del granito
e del sughero e sulla tessitura dei tappeti; vi operano anche 88 imprese commerciali e turistiche. Artigianato. Ha
antiche tradizioni di produzione di
tappeti e di coperte di lana tessute su
telai domestici e attualmente da una
Scuola del tappeto; vi si producono anche oggetti di sughero.
&
Aggius – Il granito è una risorsa da sfruttare,
sebbene le leggi regionali ne limitino
giustamente l’estrazione.
DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1709 unità,
di cui stranieri 19; maschi 818; femmine 891; famiglie 662. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
28 e nati 12; cancellati dall’anagrafe 29
e iscritti 23. Tra gli indicatori econo-
&
Aggius – Per l’archeologo Giovanni Lilliu i
graniti della Valle della Luna sono simili a
«rottami di giganti divelti da un dio
vendicatore».
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aggius
mici: imponibile medio IRPEF 16 520
in migliaia di lire; versamenti ICI 608;
aziende agricole 116; imprese commerciali 117; esercizi pubblici 10; esercizi
al dettaglio 28. Tra gli indicatori sociali: occupati 526; disoccupati 56;
inoccupati 97; laureati 73; diplomati
255; con licenza media 457; con licenza
elementare 603; analfabeti 56; automezzi circolanti 1210; abbonamenti
TV 523.
Aggius – Nella campagna gallurese
l’allevamento ovino è ora esercitato
soprattutto da famiglie di pastori della
montagna interna.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel
suo vastissimo territorio sono presenti
nuraghi a Bultu, Paddeggiu, Serra
della Tegola, e alcune domus de janas.
Il più interessante tra i nuraghi è
quello di Izzana, situato lungo la strada
per Trinità d’Agultu. Fu costruito in
due tempi: il primo nucleo consiste in
uno pseudonuraghe, al quale in un secondo momento è stato aggiunto un nuraghe a torre. I due corpi sono collegati
tra loro da una cortina muraria, all’interno della quale è compreso un cortile. Le strutture sono pressoché intatte e consentono lo studio delle fasi
di sviluppo del monumento.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE La parte più caratteristica dell’abitato è costituita dal nucleo antico, formato da un gruppo di
costruzioni in granito raccolte attorno
&
a Santa Vittoria, la chiesa parrocchiale, che risale al secolo XVI; nel
corso dei secoli l’edificio ha subı̀to varie modifiche e gravi danni: pericolante, dal 1850 fu sottoposto a un radicale restauro nel corso del quale furono rifatti la facciata e il campanile.
L’interno è a una navata su cui si affacciano otto cappelle laterali, la copertura è a volta; custodisce un battistero
di legno opera di artigiani locali e una
tela degli inizi del secolo XX. A poca
distanza sorge Santa Croce: chiesa costruita nel secolo XVII prospiciente a
una scenografica piazzetta, fu restaurata ripetutamente nel corso dei secoli
fino al definitivo consolidamento avvenuto nel 1982. Ha una pianta rettangolare e la facciata abbellita da un campaniletto a vela, l’interno a una sola navata scandita da tre arcate, la copertura in legno; vi sono custoditi due altari lignei provenienti dalla chiesa di
San Francesco di Alghero e una bella
statua del Settecento. Altre chiese del
centro abitato sono: Nostra Signora d’Itria, costruita entro la prima metà del
secolo XVIII in conci di granito; l’interno ha una sola navata con copertura
in legno e custodisce una bella tela raffigurante la Madonna. La chiesa di Nostra Signora del Rosario, edificata nel
secolo XVI e restaurata nella prima
metà del secolo XVIII, sorge su una
rupe ai cui piedi si trova un recinto (lu
cunventu) probabilmente avanzo di un
antico convento di Francescani; sede
della Confraternita del Rosario, il suo
interno ha una navata e custodisce una
statua lignea del secolo XVII di buona
scuola. Le campagne un tempo contavano numerose altre chiese, tra le
quali sono da ricordare: San Lussorio,
posta su un colle a qualche chilometro
dall’abitato, fu costruita nel Medioevo,
quindi modificata radicalmente nel secolo XVIII; ha impianto a una navata,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aggius
la copertura in legno; all’esterno per la
sua semplicità quasi non si distingue
dalle altre costruzioni; San Pietro di
Ruda, dedicata a San Pietro Apostolo,
viene identificata col cognome della
persona che prese l’iniziativa di costruirla, agli inizi dell’Ottocento; circondata da alcuni alberi, ha struttura
semplicissima, col tetto a due spioventi e l’aggiunta, sul lato sinistro, di
alcuni locali accessori; la navata è divisa da tre archi in pietra che reggono
il tetto di legno e canne e nell’abside, di
fronte al piccolo altare, quattro nicchie
accolgono le statue, oltre che del titolare, dei Santi Giorgio, Margherita e
Stefano. Come riferisce Franco Fresi
(=) nel suo libro sui Banditi di Sardegna (1998), il sagrato fu teatro di un tentativo di rappacificazione tra le famiglie Vasa e Mamia, coinvolte in una gravissima faida; ma mentre Mariangiola
Mamia arrivò puntuale, accompagnata
da un gruppo di parenti, Pietro Vasa,
l’ex fidanzato col quale tentava di ristabilire il legame, mandò a dire che non
sarebbe venuto. E questo riaccese più
forte la faida. A. è molto ricco di verde,
anche al suo interno e nell’immediata
periferia: all’ingresso per chi arriva
dalla costa si trova una prima area di
verde pubblico, il Parco Capitza, tutto
di elci; quindi, lungo la via principale,
il Parco Alvinu, con fontana. All’uscita
ha inizio una Panoramica che passa tra
l’abitato e la celebre cresta di rocce
granitiche che lo domina. Si tratta dei
Monti di A., un insieme di punte granitiche non eccessivamente elevate che
racchiudono in una conca l’abitato e
contribuiscono a renderlo suggestivo;
i più noti sono il monte Sozza, ricco di
grotte, che nei secoli XVIII e XIX fu
rifugio di alcuni dei più famosi banditi
galluresi tra i quali il celebre Muto di
Gallura (= Addis Tansu, Bastiano) e
teatro di numerosi conflitti a fuoco. Le
grotte sono raggiungibili attraverso impervi sentieri e rampe di scale scavate
nella viva roccia; e il monte La Crucitta
o Tamburu, sul quale, secondo una tradizione antica, si sarebbe affacciato il
diavolo a minacciare di portare A. all’inferno, per cui gli aggesi avrebbero
deciso di piantare una croce sulla sua
cima per fugare l’incombente minaccia. Nella parte iniziale la Panoramica
è fiancheggiata dal Parco di Santa Degna, che comprende un piccolo lago
circondato di sentieri lastricati e panchine: è stato ottenuto contenendo le
acque di un modesto corso d’acqua
che, forse perché il maggiore della
zona, si chiama rio Mannu (‘‘grande’’).
Lo sbarramento è triplice, e cosı̀ sono
tre gli specchi d’acqua, l’ultimo dei
quali è popolato da cigni, oche e anatre
di varie specie. Tutt’intorno, e più ampiamente dalla parte opposta alla
strada, si stende il bosco, e i tratti lastricati continuano in sentieri per gli
appassionati del trekking. Progredendo lungo la Panoramica ci si collega alla strada per Trinità d’Agultu,
nella zona in cui si stende la celebre
Valle della Luna, o Piana dei Grandi
Sassi: a piccoli gruppi di alberi e ai
più numerosi spazi occupati dalla macchia si alternano emergenze di granito
che, lavorate dal vento e dalla pioggia,
hanno assunto le forme più strane e,
per quanto immobili, sembrano costituire una comunità, la comunità che
popola appunto questo villaggio lunare. «Sembrano – ha scritto l’archeologo Giovanni Lilliu – rottami di giganti divelti da un dio vendicatore
dalle guglie dei monti sovrastanti e rotolati al piano dove giacciono distesi
da millenni». Si riconosce facilmente,
tra le altre, la forma di una testa, dall’aspetto pensieroso, che l’inventiva popolare ha battezzato ‘‘di Platone’’ o
‘‘del Frate cappuccino’’. E, con un mi-
55
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 63
Agha Khan Karim IV
nimo di attenzione, si può individuare
qualcuno dei tafoni – le cavità della
roccia – che in passato venivano usati
come riparo, oppure anche come
tomba. Dal 1966 la Valle della Luna,
che era stata già attaccata dai cavatori
di granito, è protetta dal vincolo paesistico. A breve distanza il nuraghe Izzana, il più grande e importante della
Gallura, di cui si è detto.
logo Gavino Gabriel (=) che nel 1927 lo
fece esibire al Vittoriale di fronte a
D’Annunzio; il complesso in seguito arrivò ad avere notorietà internazionale.
Le feste popolari di maggiore rilievo
sono quelle della Madonna della pace,
che si svolge nella seconda quindicina
di maggio in campagna e dura due
giorni; è rinomata per i canti a cinque
voci nei quali vengono eseguite le antiche melodie galluresi (la tascia, la disispirata, la me’ brunedda ecc.) e i balli
tradizionali del vasto repertorio gallurese. La Madonna del Rosario e Santa
Vittoria (titolare della parrocchia, alla
quale è dedicata anche una festa il 15
maggio) si festeggiano nella prima domenica di ottobre come sante patrone.
Agha Khan Karim IV Principe musul-
Aggius – Il nuraghe Izzana è, col nuraghe
Maiori di Tempio, una delle poche torri
preistoriche edificate in Gallura.
TRADIZIONI E FESTE POPOLARI La
tradizione più antica e radicata è
quella dei canti e dei balli che un
tempo dava vita a numerosi complessi
corali tra i quali fu famoso il Coro di A.
fondato da Giuseppe Andrea Peru, nel
quale cantava il celebre Salvatore
Stangoni (=), detto ‘‘Il galletto di Gallura’’, e valorizzato dall’etnomusico-
&
mano (n. Parigi 1936). Guida della comunità degli Ismailiti, una delle sette
radicali degli sciiti. A partire dai primi
anni Sessanta del Novecento ha sviluppato l’importante progetto turistico
della Costa Smeralda, che è servito da
volano per il lancio del turismo sardo a
livello internazionale. Dopo aver dato
grande impulso al progetto con la costruzione di alcuni complessi di notevole pregio architettonico, la realizzazione di un marina tra i più attrezzati (e
più ricercati) del mondo, la fondazione
di un Yacht Club presto assurto a importanza internazionale e la creazione
della compagnia aerea ‘‘Meridiana’’,
alla fine degli anni Novanta il principe
si è disimpegnato dalla sua grande ‘‘invenzione’’, cedendo le proprie attività
ad altri imprenditori.
Agiana Antico villaggio di origini incerte. Nel Medioevo compare nel giudicato di Gallura compreso nella curatoria di Canhain probabilmente in un
territorio chiamato Canaran, non lontano dal luogo ove oggi sta Luras.
Estinti i Visconti, dal 1288 il villaggio,
che era un centro di modesta entità,
56
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 64
Aglientu
prese a essere amministrato direttamente da Pisa. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum
Sardiniae e fu riconosciuto tra i feudi
dei Catoni, che ben presto si ribellarono ai nuovi venuti. Agiana divenne
teatro del conflitto e nel 1330 fu devastato dalle truppe di Raimondo di Cardona e cominciò a spopolarsi. Alla
morte di Bartolo Catoni passò a Catonetto Doria, figlio di una sorella del defunto, e fu unito al feudo di Bacor. Continuò a essere teatro delle guerre successive e si spopolò completamente
prima della fine del secolo.
Aglientu – La spiaggia di Rena Majori (‘‘della
grande sabbia’’) è una delle più conosciute
della costa nord dell’isola.
Aglientu Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella III Comunità montana, con 1125 abitanti (al
2004), posto a 417 m sul livello del
mare nella Gallura settentrionale, a
nord di Tempio Pausania. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 148,56 km2 e confina a nord col mar
Mediterraneo, a est con Santa Teresa e
Luogosanto, più un’isola amministrativa di Tempio, a sud con Tempio, a
ovest con Aggius e Trinità d’Agultu. Ha
la forma grosso modo di un trapezio
che si va allargando verso la costa
(lunga 18 km), e si stende sulle ultime
propaggini settentrionali dei rilievi
galluresi, tutte di natura granitica, che
finiscono per lasciare lo spazio a una
stretta pianura litoranea. Le colture e i
pascoli si alternano a tratti di macchia
mediterranea e a qualche residuo del
bosco originario, costituito da lecci, sugheri e olivastri. Le comunicazioni
sono assicurate da due strade che si distaccano dalla statale 133 Tempio-Palau e, unendosi prima del paese, proseguono per la costa; e dalla litoranea Castelsardo-Santa Teresa, molto frequentata durante la stagione balneare.
Aglientu – La chiesetta campestre di San
Pancrazio è una delle più antiche del
territorio.
STORIA Il territorio dove oggi sorge
il comune di A. era incluso nella curatoria di Vignola ed era densamente popolato, come si può dedurre dalle
tracce evidenti di antichi abitati rintracciate nelle località di Tuttusoni, di
Contra Ruia e soprattutto di Montivargiu o Montiagliu. Tutti questi villaggi,
probabilmente durante il secolo XIV, a
causa delle guerre, della peste e degli
altri malanni di cui la Gallura soffrı̀
scomparvero. Il territorio fu aggregato
al vasto agro di Tempio, centro di cui
condivise la storia; nei secoli successivi era frequentato da pastori che periodicamente si incontravano vicino
&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aglientu
ad alcune chiese e che finirono per ottenere dall’amministrazione feudale
la concessione di vasti territori da dissodare e nei quali allevare il bestiame
(cussogghj). Nel corso del Seicento, sui
territori delle cussorge sorsero piccole
aggregazioni di capanne (stazzi), generalmente in prossimità di una chiesa,
che col tempo furono abitate stabilmente. Da uno di questi nuclei, più
esattamente dallo stazzo sviluppato attorno alla chiesa di San Francesco d’A.,
deriva il comune attuale. La chiesa fu
fatta costruire nel 1774 da Vittorio
Amedeo III in un vasto territorio frequentato da pastori nomadi che finirono per stanziarvisi dando vita a uno
stazzo che divenne il centro della cussorgia. La popolazione del nuovo villaggio crebbe nel corso dell’Ottocento
e la sua economia, soprattutto grazie
alle attività agricole e di allevamento,
si sviluppò notevolmente. Divenuto ormai un centro popoloso, San Francesco
d’A. nel 1959 fu staccato da Tempio e
costituito in comune autonomo; nel
1968 assunse il nome attuale. Nei decenni a partire dall’ultimo dopoguerra
è iniziato il processo di valorizzazione
della fascia litoranea, distante dal
paese una decina di chilometri: lo sviluppo edilizio ha interessato la frazione di Vignola Mare, affacciata su
un’ampia distesa di sabbia in forma di
arco, e una lunga serie di insediamenti, la maggior parte dei quali sono
abitati soltanto nella stagione delle vacanze; i più noti sono Portobello, Costa
Paradiso, Rena Majore.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’allevamento, sull’agricoltura,
sulle attività manifatturiere, sul commercio e sul turismo, e quindi in particolare sull’attività edilizia.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1078 unità,
di cui stranieri 29; maschi 558; fem-
mine 520; famiglie 477. La tendenza
complessiva rivelava un lieve aumento
della popolazione, con morti per anno
9, nati vivi 8; cancellati dall’anagrafe
18 e nuovi iscritti 26. Tra gli indicatori
economici: imponibile medio IRPEF
12 392 in migliaia di lire; versamenti
ICI 1876; aziende agricole 197; imprese
commerciali 88; esercizi pubblici 20;
esercizi al dettaglio 38; ambulanti 3.
Tra gli indicatori sociali: occupati 323;
disoccupati 37; inoccupati 66; laureati
17; diplomati 108; con licenza media
257; con licenza elementare 342; analfabeti 54; automezzi circolanti 510; abbonamenti TV 333.
Aglientu – La Gallura conta ancora quasi
duemila stazzi abitati, nonostante la
rarefazione del popolamento.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel
territorio sono individuabili i resti di
alcuni nuraghi e un insediamento del
Paleolitico a Lu Litarroni. Sono anche
individuabili i resti di alcuni villaggi
medioevali che meriterebbero di essere scavati e studiati.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il monumento di maggiore rilievo è la chiesa di San Francesco, ricostruita – tutta in granito, con
ampia e moderna facciata – negli anni
Sessanta in luogo di quella originaria,
eretta tra il 1774 e il 1776 per interessamento del re Vittorio Amedeo III che
inviò gli arredi direttamente da To&
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Aglientu
rino. Nel 1856 fu creata parrocchia. Ai
due ingressi del paese sono stati realizzati, valorizzando alberi cresciuti
spontaneamente, due piccoli parchi
verdi, mentre all’interno si trova una
bella e abbondante fontana, probabilmente uno degli elementi che indussero i primi abitatori a scegliere questo
sito; l’acqua confluisce in un grande lavatoio in granito, nel quale si recavano
sino a qualche tempo fa le donne del
paese. Altra chiesa è San Silverio, costruita nel 1938 in riva al mare, tra Vignola e punta di li Francesi, in concomitanza con la frequentazione del sito
da parte dei pescatori di Ponza: Silverio era un papa del primo Cristianesimo che, coinvolto nelle dispute sulla
natura di Cristo al tempo di Giustiniano e nelle conseguenti lotte di potere, si dovette dimettere e fu esiliato
a Ponza, dove è venerato. Di piccole
proporzioni, la chiesa ha l’impianto a
una navata e l’interno semplice e austero; su una parete la foto di Antonio
Peru e Rosa Mannoni, i benefattori che
promossero la costruzione. Non lontano da San Silverio (localmente Santu
Silvaru) sorge, all’interno di un Parco
naturalistico costiero, costituito da
una distesa di profumata macchia mediterranea, la torre di Vignola: eretta,
come tante altre, al tempo della dominazione iberica per la difesa dalle incursioni saracene, è in ottime condizioni, nella sua struttura tutta in granito; aperta al pubblico, consente di
godere, dall’alto della terrazza superiore, la vista di tutta la zona. Lungo la
strada per Santa Teresa si stende, oltre
le rocce di granito rosso del promontorio di Monti Russu, la celebre Spiaggia
di Rena Majori, che ha a ridosso un sistema di dune ricoperte di pineta.
Molto ampia, per quanto frequentata,
anche per la presenza nelle vicinanze
di numerosi villaggi turistici, non si
presenta mai affollata, neppure nel
culmine della stagione. San Biagio è
un’altra chiesa campestre, situata
sulla strada per Tempio Pausania a
qualche chilometro dall’abitato. Fu costruita nel Medioevo e nei secoli successivi andò in rovina; fu completamente ristrutturata nel 1967. Ha l’impianto a una navata e la copertura in
legno a capriate; al suo interno conserva una statua lignea del santo titolare del secolo XVI. San Pancrazio
sorge qualche chilometro a sud dell’abitato; costruita tra il secolo XVI e il
XVII in granito, ha una sola navata divisa in tre campate da archi a sesto
acuto. L’interno è disadorno, l’esterno
è caratterizzato da un portico in granito che corre lungo il fianco sinistro
dell’edificio.
Aglientu – La torre cinquecentesca di Vignola,
a ridosso del piccolo borgo marino di Vignola
Mare.
FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Una
delle più tipiche tradizioni è la festa di
San Paolo di lu laldu (‘‘del lardo’’) che si
svolge il 25 gennaio con larga partecipazione popolare; essa prevede la distribuzione del pasto a tutti i presenti
ed è caratterizzata dal canto dei gosos
in onore al santo secondo la più antica
tradizione degli abitanti originari. San
Biagio si festeggia nell’omonima chiesetta il 3 febbraio e nella terza domenica di maggio con una grande festa
&
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Aglio
campestre; altra festa campestre è
quella di San Pancrazio che si svolge
nella omonima chiesa il 12 maggio e si
ripete l’8 agosto abbinata a una caratteristica ‘‘sagra della salsiccia’’. A queste celebrazioni tradizionali è stata aggiunta in questi ultimi anni la festa del
turista, che si svolge nella piazza principale del paese, il primo o secondo sabato di agosto, per dare il benvenuto
agli ospiti. Prevede la degustazione di
prodotti tipici galluresi come pane,
salsiccia, formaggio, vino e dolci, e la
distribuzione di una piccola brocca in
terracotta che reca l’anno della manifestazione.
Aglio Denominazione comune di
pianta erbacea della famiglia delle Liliacee (Allium sativum L.). Originaria
dell’Asia centrale, è ora diffusa in tutte
le zone coltivate, per il suo uso in cucina e per le sue proprietà medicinali
(digestivo e disinfettante intestinale).
Sin dall’antichità i diversi popoli le
hanno attribuito poteri sia benefici
che malefici, facendola oggetto di credenze e superstizioni. Se ne utilizza il
bulbo prolifero, costituito da bulbilli
oblunghi (spicchi). Foglie lineari e allungate, a sezione cilindrica. Fiori
bianchi-rosati riuniti in ombrelle arrotondate. Frutto a capsula membranacea. In Sardegna sono diffuse diverse
specie spontanee: 1. il porraccio (Allium ampeloprasum L.), perenne, con
infiorescenze globose (6-8 cm) di fiori
dal rosa al rosso vinoso (maggio-settembre) all’apice di uno stelo lungo
sino a 180 cm, cresce sui campi incolti
e sulle garighe costiere; 2. l’a. di serpe
(Allium roseum L., in sardo allu de carróga, lett. ‘‘a. delle cornacchie’’), alto
sino a 30 cm, con foglie lineari con margine ruvido e fiori rosati dal lungo peduncolo riuniti in ombrelle dense (530), cresce nei terreni erbosi e nel sottobosco; 3. l’a. pelosetto (Allium subhir-
sutum L.), con foglie pelose, da cui il
nome comune, e fiori bianchi in ombrelle allargate, si trova sui terreni incolti e fiorisce tra aprile e giugno; 4.
l’Allium triquetrum L. (in sardo áppara,
porru ’e campu), riconoscibile per la
sezione triangolare dello stelo e per i
fiori bianco-verdi, campanulati e lungamente peduncolati, dai tepali appuntiti (aprile-giugno), cresce in luoghi ombrosi e umidi. Quest’ultima specie veniva usata nella medicina tradizionale per curare bronchiti, diabete e
dissenteria; ne viene consigliato l’uso
a persone ipertese o con problemi di
emorroidi; 5. l’a. maggiore (l’Allium nigrum L.), alto sino a 150 cm, con grandi
fiori rosa in ombrelle sferiche; 6. l’Allium parcifolium Viv., comune, è un endemismo sardo-corso (rientra nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta
di L.R. n. 184/2001); l’Allium sardoum
Moris è un raro endemismo sardo. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Agnesa, Giacomo Diplomatico (Sassari 1860-Roma 1919). Figlio di Giovanni Battista e Grazia Pittalis, prima
di lui la coppia aveva avuto, nel 1856, la
sorella Luisa che nel 1876 avrebbe sposato Michele Abozzi, protagonista della
vita politica sassarese dell’età giolittiana. Compie gli studi superiori al Collegio Moncalieri di Torino. Nel 1880 si
iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza
di Roma, dove si laurea nel 1884. Si colloca in questi anni una curiosa prova
letteraria giovanile, Variazioni sul
tema: la grotta di Alghero ossia l’antro
di Nettuno. Vive frattanto a Roma,
dove l’influenza del cognato Abozzi gli
vale una qualche entratura ministeriale. Nel 1887 è tra i candidati al concorso per cinque posti di volontario
nella carriera consolare presso il Ministero degli Esteri. Escluso dalla chiamata, può però sperare in un ripescag-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Agnese di Saluzzo
gio degli idonei, che avviene dopo varie lettere di raccomandazione (tra le
quali una di Francesco Cocco Ortu e
una di Giuseppe Giordano Apostoli).
Destinato al Cairo, non vi prende servizio (pare che questa sia una costante
della sua carriera: non andrà mai in
Africa!); già nel 1888 è nominato vicesegretario di 2ª classe e trasferito alla
carriera amministrativa a Roma,
presso il Ministero. Nel giugno 1889 è
promosso vicesegretario di 1ª classe e
trasferito nella importante divisione
‘‘Affari politici’’. Nell’agosto 1892 è
promosso segretario di 3ª classe. Nel
maggio 1896 segretario di 2ª classe.
Sembra che la rapida carriera di A. sia
favorita dall’avvento dei ‘‘crispini’’,
che per breve tempo riescono a impadronirsi del Ministero. Nel 1895 viene
creato l’ufficio ‘‘Eritrea e protettorati’’, che assume rango di divisione
ed è affidato a un crispino di ferro,
Primo Levi. A. è trasferito a quell’ufficio e anzi, quando Levi verrà messo in
disponibilità dopo la crisi di Adua, è
lui a sostituirlo sia pure come facente
funzioni. Da questo momento è di fatto
il funzionario a capo della politica coloniale, anche se dopo la delusione di
Adua quest’ultima sarà ristretta in una
semplice sezione degli Affari Politici.
Nel febbraio 1900 A., che si è legato a
Ferdinando Martini, viene però nominato ufficiale coloniale di 1ª classe e
messo a capo del neonato Ufficio coloniale, ricostituito con piena autonomia. Quando l’Ufficio diviene Direzione centrale per gli affari coloniali
(1905), ne assume la guida con la nuova
qualifica di direttore centrale. Ha sposato frattanto a Roma la contessa Callista Lovatelli. Figlia del conte Lovatelli
e della contessa Ersilia Caetani, Callista appartiene a una delle famiglie più
in vista della nobiltà romana (Ersilia è
l’animatrice del celebre salotto). Nel
1912, dopo la conquista della Libia,
viene istituito il Ministero delle Colonie. La direzione centrale è messa
(provvisoriamente) alle dipendenze
del nuovo Ministero. Nel 1912 A. è nominato direttore generale per gli affari
politici del Ministero delle Colonie.
Sant’Agnese – La santa in un dipinto del
Domenichino.
Agnese, santa Santa (m. Roma, 350
ca.). Romana, martire a dodici anni
verso il 350, sepolta nella via Nomentana. Celebrata da molti padri della
Chiesa. Il suo nome: forse dal greco hagné, nel significato di «pura, casta»,
perciò «patrona della castità»; o dal latino agna, agnella, perciò raffigurata
con un agnello (ma anche con una colomba recante nel becco un anello).
[ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 17 giugno a Sinnai.
Agnese di Saluzzo Figlia del marchese Manfredo II di Saluzzo (Saluzzo
1220-ivi, fine sec. XIII). Nel 1205 divenne la seconda moglie del giudice
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Agnocasto
Comita di Torres e si trasferı̀ in Sardegna; rimasta vedova nel 1218, tornò a
Saluzzo dove si dedicò alla creazione
di un monastero nel quale si ritirò.
fine del secolo si spopolò completamente.
Agnocasto Pianta arbustiva o arborea
della famiglia delle Verbenacee (Vitex
agnus-castus L.). Con rami a sezione
quadrangolare, può raggiungere 5 m
di altezza; foglie caduche, opposte, palmate, composte da 5-9 foglioline allungate, verde chiaro nella pagina superiore e bianche tomentose in quella inferiore; fiori dall’azzurro al viola, raramente bianchi, in lunghe spighe verticillate, ramificate alla base; frutto a
drupa quadripartita, con un unico
seme piccante, utilizzato anticamente
al posto del pepe, da cui il nome dialettale di pı́biri sardu. Cresce spontanea,
in associazione con tamerici e oleandri, lungo i corsi d’acqua e nelle zone
litoranee. Le intense fioriture estive,
che si possono protrarre sino a ottobre,
caratterizzano le vallate costiere. Antico simbolo di castità, nella medicina
tradizionale se ne usano le foglie per
curare piaghe e ferite; la polvere ricavata dai frutti essiccati ha un blando
effetto soporifero e calmante dei nervi.
Nomi sardi: sambúcu-pı̀biri (Sarrabus);
samúccu de frúmene (nuorese); samúcu de arrı́u (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Agoragui Antico villaggio di origine
medioevale compreso nel giudicato di
Gallura, faceva parte della curatoria di
Montangia. Dopo l’estinzione della dinastia dei Visconti fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa; conclusa la conquista aragonese mantenne un atteggiamento ostile nei confronti degli invasori e nel 1331 fu occupato da Raimondo Cardona che lo ebbe
in feudo. Alla sua morte il villaggio soffrı̀ a causa della peste e delle guerre tra
Aragona e i Doria, cosicché entro la
Sant’Agostino – Secondo la tradizione le
spoglie del grande santo furono portate
dall’Africa a Cagliari prima di essere sepolte
a San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia.
Agostino, santo Santo (Tagaste 354-Ippona 430). Padre della Chiesa, teologo
e filosofo. Nato il 13 novembre del 354 a
Tagaste, nella provincia africana della
Numidia, Aurelio A. compı̀ i suoi primi
studi nella città natale, completando la
sua formazione a Madaura e Cartagine,
in un ambiente intellettuale colto e raffinato, di lingua latina. Insegnante di
retorica nelle stesse città, si trasferı̀
dapprima a Roma e successivamente
a Milano, dove, tra il 384 e il 387, maturò la sua conversione al Cristianesimo, per la quale fu determinante il
rapporto con il vescovo Ambrogio; A.
intanto si distaccava progressivamente dagli interessi retorici, attratto
dalla filosofia e, successivamente,
dalla teologia. Ricevuto il battesimo a
62
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 70
Agostino
Milano nel 387, dopo una breve parentesi romana rientrò nel 388 in Africa,
stabilendosi a Tagaste dove scrisse numerose opere filosofiche. Giunto a Ippona nel 391 per fondarvi un monastero, inaspettatamente ottenne la consacrazione sacerdotale e, tra il 396 e il
397, venne eletto vescovo della stessa
città. Durante il suo lungo episcopato,
che tenne fino alla morte sopraggiunta
il 28 agosto del 430, l’attività pastorale
non lo distolse dal comporre un gran
numero di scritti di vario argomento,
affrontando in particolare temi dogmatici e teologici ed esprimendo in diverse opere uno spirito apologetico e
antiereticale. Nella sua copiosa produzione non si può fare a meno di ricordare i tredici libri delle Confessiones,
scritte tra il 397 e il 401, di contenuto
autobiografico, e il De civitate Dei, in
ventidue libri composti tra il 413 e il
426, opera dogmatica nella quale difende strenuamente la religione cristiana dalle accuse rivoltele dai pagani. [PIERGIORGIO SPANU]
Dottore della Chiesa per eccellenza –
uno dei ‘‘quattro dottori insigni’’, con
Ambrogio, Girolamo e Gregorio Magno
– , A. è soprattutto il grande maestro
nato nel mondo mediterraneo, quando
ancora il paganesimo persisteva e la
Chiesa ebbe una fioritura di scrittori
unici. «Su tutti – secondo Paul Hutchinson (1965) – primeggia il genio di
Sant’Agostino. La sua vita spirituale,
per anni, fu quanto mai instabile. Egli
provò le gioie della celebrità mondana
con i suoi successi giovanili come retore a Cartagine, a Roma e a Milano.
Passò attraverso i principali sistemi filosofici di allora e visse per alcuni anni
nell’eresia manichea, sperando di trovarvi la risposta ai problemi che assillavano la sua mente. Cedette alla sensualità, giovanissimo ebbe un figlio illegittimo e visse a lungo in concubi-
nato. Il suo avvicinarsi alla religione
cattolica fu lento fino a quando scoppiò
la sua crisi psicologica a Milano, la
quale culminò nella nota scena avvenuta in un orto di Cassiciaco, a nord di
Milano: A. sente una voce misteriosa,
simile alla cantilena di un fanciullo,
che ripete a modo di ritornello ‘‘Prendi
e leggi!’’ (Tolle et lege!). Egli ascolta l’invito aprendo a caso un manoscritto
contenente le lettere di San Paolo. I
suoi occhi si posano sulle parole:
‘‘Non vivete nelle gozzoviglie e nelle
ubriachezze, non nelle impudicizie,
non nella discordia e nell’invidia, ma
rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo e non prendetevi cura della carne
nelle concupiscenze’’ (Romani 13,13).
In quel momento A. trovò il suo porto
spirituale tranquillo. La sua attività
come scrittore, che prima aveva prodotto ben poco, diventa prodigiosa
dopo la conversione. Meno conosciuta,
ma altrettanto intensa fu la sua opera
come sacerdote e vescovo d’Ippona e,
durante anni burrascosi per il diffondersi delle eresie, come il personaggio
più importante dell’episcopato africano. I suoi libri ottennero un successo
immenso durante la sua vita e uno assai maggiore dopo la sua morte. Due di
essi sono notissimi anche oggi: uno, Le
Confessioni, è il resoconto del suo pellegrinaggio spirituale, e l’altro, La città
di Dio, è importante per le sue affermazioni filosofico-sociali e per il periodo
storico che riflette. Questo libro voluminoso, infatti, fu composto per rispondere alle molteplici obiezioni dei
pagani, che additavano il sacco di
Roma (410) e lo sfacelo graduale dell’Impero come segno evidente dei deleteri effetti sociali del cristianesimo».
Patrono dei teologi e dei tipografi.
In Sardegna Patrono di Alà dei Sardi e
Belvı̀. Giuseppe Cossu (1780) riporta la
notizia fantasiosa di una sua venuta a
63
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 71
Agricoltura
Cagliari, «dove si trattenne e fabbricò
un oratorio, compiendo il miracolo di
slungare una trave che non arrivava da
un muro all’altro: comandò a un frate,
alla presenza di tutti gli altri, che pigliasse da una parte la trave ed egli la
prese dall’altra, ‘‘Tira!’’, disse al compagno, e la trave si allungò permettendo cosı̀ di costruire la cappelletta».
Le sue reliquie furono trasportate in
Sardegna (504) da Feliciano vescovo
d’Ippona e da Fulgenzio vescovo di Ruspe, entrambi esiliati da Trasamondo,
re dei Vandali dal 496 al 523. Reliquie
custodite a Cagliari nella chiesa di
Sant’A. extra muros, demolita con l’annesso monastero tra il 1563 e il 1577.
Era una chiesa con rifacimenti goticocatalani, frequentatissima dal popolo
per l’acqua che filtrava dal terreno, ritenuta miracolosa, capace di preservare dai mali e guarire. Si è conservata
la cripta, diventata Coenaculum Augustinianum, al n. 12 del largo Carlo Felice. La traduzione dell’iscrizione latina: «Per circa 221 anni in questo
luogo furono seppellite le spoglie di
Sant’Agostino, qui trasportate per essere salvate dai saraceni. La meravigliosa acqua rimase tuttavia quale sollievo per gli infermi. Venera, o viandante, la tomba». Nella cattedrale di
Cagliari si conservano le vesti di Sant’A.: una tonacella o tunicella, una dalmatica e una cappa, o meglio un pluviale (da pluvia, mantello con cappuccio indossato per ripararsi dalla pioggia, diventato nel secolo XI veste liturgica). Ma sono vesti posteriori al tempo
in cui il santo visse. Sicuramente furono usate in qualche importante celebrazione in suo onore, perciò impropriamente dette di Sant’A. Sempre a
Cagliari, nella Pinacoteca Nazionale,
figura nei quadri cinquecenteschi di
Pietro e Michele Cavaro. Verso il 721725 Liutprando, re dei Longobardi,
dando prova di grande religiosità, riscattò a prezzo altissimo, forse dagli
Arabi o forse dai Bizantini, le reliquie
del santo, trasportandole a Pavia e facendole collocare nella basilica di San
Pietro in Ciel d’Oro, dove ancora oggi
sono custodite. Alcuni storici sostengono che Trasamondo avrebbe inviato
in Sardegna centoventi vescovi, altri
duecentoventi e altri ancora ben quattrocento. Anche se nell’Africa settentrionale ogni piccola contrada aveva
più vescovi, a pensarci bene il numero
è eccessivo, troppi vescovi per quei
tempi. Saranno stati una ventina, diventati numerosi nella fantasia degli
storici, i quali forse avranno contato
anche gli accompagnatori. Nel passato, la chiesa sarda ricordava l’11 ottobre la sua traslazione. Il proverbio:
«Po Sant’Agostinu, tirat su levantinu»
(Per Sant’Agostino, spira il levante).
[ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 28 agosto.
& SANT’AGOSTINO E LA SARDEGNA Alcuni secoli dopo la sua morte le spoglie
di Sant’Agostino dovettero essere trasportate in Sardegna, come testimoniano vari autori del secolo VIII e un
inventario del 1236 contenente la lista
delle reliquie presenti nella diocesi di
Pavia: da questa fonte risulta che il re
longobardo Liutprando (716-744), per
impedire che la nuova sepoltura del
santo venisse profanata dai pirati
arabi, fece trasferire le sue reliquie da
Cagliari a Pavia, collocandole nella
chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro. È
probabile che il corpo di A. fosse giunto
nell’isola non in età vandalica (fine secolo V-inizi VI), come è comunemente
ritenuto, ma piuttosto all’epoca della
conquista di Cartagine (698) e della definitiva caduta dell’esarcato bizantino
d’Africa (cui la Sardegna era annessa)
in mano agli Arabi. [PIERGIORGIO SPANU]
Agricoltura = Economia agricola
64
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 72
Agrume
Agrifoglio – Pianta ritenuta benefica sin
dall’antichità, viene utilizzata come pianta
ornamentale nel periodo natalizio, anche se
ciò ha provocato una sua notevole
rarefazione.
Agrifoglio Pianta arborea della famiglia delle Aquifoliacee (Ilex aquifolius
L.), alta sino a 10 m, con fusto eretto
unico o a ramificazioni parallele, corteccia liscia che varia dal verde al grigio con l’avanzare dell’età; le foglie
sono persistenti, coriacee e sempreverdi, con lamina ellittica, margine
spinoso o dentato nei rami bassi, liscio
in quelli più alti. Questo dimorfismo
fogliare, o eterofillı̀a, rappresenta una
forma di difesa dai morsi degli animali.
Fiori unisessuali, bianchi quelli femminili e rossastri quelli maschili, in infiorescenze all’ascella fogliare, su alberi diversi (primavera). I caratteristici frutti rossi durano sulla pianta da
settembre a dicembre inoltrato. Ritenuta sin dall’antichità una pianta benefica, viene utilizzato come pianta ornamentale nel periodo natalizio, anche per il bel contrasto tra il rosso acceso dei frutti e il verde cupo delle foglie lucide. Purtroppo quest’usanza ha
provocato una notevole rarefazione di
questa bellissima pianta. Ultimamente
essa si è diffusa nel verde urbano, anche nella variante a foglie screziate. Il
legno, duro e compatto, viene utilizzato
in ebanisteria. Le foglie hanno pro-
prietà diuretiche, antidolorifiche e
febbrifughe. Dalla corteccia si estrae
il vischio per la cattura di piccoli volatili. In Sardegna cresce spontanea
nelle zone montane umide, spesso in
associazione con roverelle, lecci e
tassi; con questi ultimi, l’a. viene considerato una specie relitta del Terziario.
Le formazioni più importanti si trovano nel Montiferru, Marghine, Goceano, Gennargentu e Sulcis-Iglesiente. In comune di Desulo, località
Sas Nevadas, è presente un boschetto
monospecifico con esemplari plurisecolari (alcuni hanno un fusto di oltre 5
m di circonferenza), che svettano in un
pendio ai margini della strada. A
Monte Perdedu, a quota 1150 m, Siro
Vannelli (1994) segnala un esemplare
di oltre 7 m di altezza, particolarmente
suggestivo quando, in autunno, la sua
chioma piramidale si colora del rosso
dei frutti. Nomi sardi: aláse (barbaricino); alásiu (logudorese); caracútu
(gallurese); colóstiu, golóstru (Sardegna centro-meridionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Agrume – La sagra degli agrumi a Muravera.
La coltura degli agrumi, in particolare degli
aranci, è molto diffusa nella Sardegna
meridionale.
Agrume Termine usato per indicare
sia le piante appartenenti prevalentemente al genere Citrus (sottofamiglia
delle Auranziacee, famiglia delle Rutacee) che i loro frutti. Vi appartengono
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 73
Agrupaciò Catalanistica
l’arancio, il limone, il mandarino, il cedro, il bergamotto. Le piante sono alberi o arbusti sempreverdi. I fiori bianchi, tendenti al rosato o al giallo a seconda delle specie, sono profumatissimi. Il frutto è un esperidio. Originari
della Cina e dell’India, dove venivano
utilizzati a scopo ornamentale o per l’estrazione di essenze profumate, gli
agrumi si diffusero nell’Europa mediterranea in epoche diverse: le prime
coltivazioni italiane furono avviate in
Sicilia nella seconda metà del Settecento. In Sardegna la coltura di agrumi
è diffusa soprattutto nel Campidano,
sia di Oristano che di Cagliari. Un particolare a., Citrus monstruosa, in sardo
sa pompı́a, viene coltivato a Siniscola.
Il frutto, dalla buccia bitorzoluta e irregolare, può superare i 600-700 g. Non
esistono notizie sulla sua origine, e
qualche botanico ipotizza si tratti di
un ecotipo (cioè una varietà tipica del
luogo). La coltivazione è stata tramandata e conservata perché il frutto è l’ingrediente fondamentale del dolce tipico di Siniscola (sa pompı́a intera), un
candito ottenuto facendo bollire nel
miele il frutto intero. Ritenuto un
dolce prezioso, veniva regalato come
simbolo sia di buon augurio che di riconoscenza. Con la buccia tagliata a
striscioline e cotta nel miele con scaglie di mandorle si ottiene un altro
dolce, s’aranzada. Il Ministero delle
Politiche agricole ha inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della
Sardegna sia il frutto che il dolce. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Agrupaciò Catalanistica Associazione culturale algherese. Fu fondata
nel 1902, e seguita nel 1906 dalla gemella ‘‘La Palmavera’’, entrambe
come espressione del movimento culturale detto del Retrobament, che si era
affermato negli stessi anni per salvaguardare e valorizzare – attraverso più
intensi contatti culturali con la Catalogna, l’antica patria ‘‘ritrovata’’ – il patrimonio su cui si fondava l’identità
linguistica e culturale della città. Le
due associazioni trovarono il sostegno
anche negli ambienti intellettuali
della Catalogna, che negli stessi anni
avevano dato vita al movimento della
Reinaxença catalana che, divenuto anche movimento politico, avrebbe portato in seguito la Catalogna all’autonomia. Fondatori della A.C. furono alcuni
dei più brillanti intellettuali algheresi
di quegli inizi di secolo: Carmen Dore,
Antonio Ciuffo, Joan Pais, Giovanni Palomba, Cipriano Cipriani e altri. L’A.C.,
secondo Rafael Caria, si sciolse ben
presto per dissidi interni.
Agugari Antico villaggio di ubicazione
sconosciuta. Appare dal secolo XIII
come centro facente parte del giudicato di Gallura, curatoria del Taras. A
partire dal 1288, estinta la dinastia giudicale dei Visconti, il villaggio, che secondo la stima del Panedda non aveva
più di 150 abitanti, fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa. Dopo
la conquista aragonese entrò a far
parte del Regnum Sardiniae e nel 1324
fu concesso in feudo a Ponzio di Vilaragut, ma i suoi abitanti mantennero un
atteggiamento ostile nei confronti del
feudatario, per cui nel 1331 fu occupato dalle truppe di Raimondo di Cardona. Quando poi riprese la guerra tra
Aragona e Genova A., nel 1333, fu assalito e devastato dai Doria. Pochi anni
dopo il Vilaragut morı̀ senza discendenti e il villaggio fu concesso a Guglielmo Pujalt, il cui possesso fu reso
problematico dalla prosecuzione della
guerra. Nei decenni successivi A. continuò a soffrire a causa della peste del
1347 e delle guerre, e si spopolò completamente entro la fine del secolo XIV.
Aguilò, Arnaldo Nobile di origine spagnola (Tarragona, prima metà sec. XIV-
66
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 74
Agus
?). Originario di Tarragona, dopo il
1355 ebbe la signoria di Santadi nel
Sols, ma non riuscı̀ a entrarne in possesso a causa dello scoppio della seconda guerra tra Mariano IV d’Arborea
e Pietro IV d’Aragona.
Agus, Fortunato Pittore, disegnatore e
incisore (n. Cagliari 1948). Ha esposto
per la prima volta a Roma ed è quindi
emigrato in Belgio, dove attualmente
opera: ha preso parte alla mostra dei
giovani artisti belgi (Bruxelles 1974) e
ha allestito personali a Spa, Liegi, Namur e in altri centri.
Gianni Agus – L’attore in una scena de La
donna nell’armadio di Ennio Flaiano al
Teatro Arlecchino di Roma (27 dicembre 1957).
Agus, Gianni Attore (Cagliari 1917Roma 1994). Attirato dal mondo del teatro, interruppe gli studi di giurisprudenza e si trasferı̀ a Roma dove frequentò il Centro sperimentale di Arte
Drammatica. Si fece notare per le sue
qualità e nel 1938 girò i suoi primi film
sotto la direzione di Carmine Gallone.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale la sua attività di attore riprese e
gli fece ottenere notevoli successi, oltre che nel cinema, nel teatro dove lavorò con le maggiori compagnie, alla
radio e alla televisione. Nella sua carriera fu interprete di un centinaio di
film tra cui Il cardinale Lambertini, Il
federale, I due marescialli. Lavorò in-
tensamente e con crescente popolarita
fino alla sua scomparsa.
Agus, Giuseppe Musicista (Cagliari
1722-Londra 1800). Studiò violino a Napoli per alcuni anni e nel 1742 rientrò a
Cagliari dove si impose per l’alto livello della sua preparazione. Entrò a
far parte della cappella musicale della
cattedrale; ma poiché l’ambiente cagliaritano non lo soddisfaceva, dopo alcuni anni si trasferı̀ a Londra, che era
allora considerata la capitale della
musica. Introdotto da alcuni suoi amici
conosciuti a Napoli, si fece notare per
la buona preparazione e cominciò a
scrivere le sue prime composizioni.
Nel 1750 pubblicò Sonata per violino e
basso op. 1 ed ebbe i primi successi. Si
specializzò in seguito nella composizione di danze per opera; nel 1761 le
sue composizioni vennero pubblicate
nella Opera Dance. Tra il 1768 e il 1788
pubblicò ben sette libri di musica per
danze d’opera; compose anche brani di
musica da camera e notturni, che gli
diedero fama europea; nel 1795 scrisse
i famosi Sei duetti italiani.
Agus, Italo Pittore (n. Cagliari 1933).
Completati gli studi presso l’Istituto
d’Arte di Macerata, è tornato nella sua
città natale dedicandosi all’insegnamento. Introdotto negli ambienti culturali della città, nel 1958 ha aderito al
movimento Studio 58, nato per far
uscire gli ambienti artistici dal tradizionale conformismo e nello stesso
anno ha allestito una mostra personale
al Cenacolo. In seguito ha fatto parte
del Gruppo di Iniziativa impegnandosi
nella ricerca di nuove dimensioni
espressive e affermandosi col suo stile
ispirato alle esperienze surrealistiche.
Agus, Milena Insegnante, scrittrice (n.
Genova, seconda metà sec. XX). Nata a
Genova da genitori sardi, è tornata in
Sardegna: abita a Cagliari, dove insegna. Dopo un paio di raccolte di rac-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 75
Agus
conti, ha pubblicato nel 2005 un romanzo, Mentre dorme il pescecane, che
ha ottenuto un buon successo di pubblico e di critica, seguito da un secondo
romanzo, Mal di pietre, 2006.
Agus, Serafino Scrittore (n. sec. XX).
Laureato in Giurisprudenza, si è dedicato all’insegnamento nelle scuole superiori della provincia di Cagliari. Da
molti anni si occupa della storia di
Monserrato, che ha ricostruito con pazienza e rigore. Tra i suoi scritti, Monserrato, una storia senza storia, 1990;
Arte e religione a Monserrato, 1996; Profilo storico di Usellus in Usellus, costume
popolare e matrimonio, 2000; Del consiglio di comunità della villa di Pauli
Pirri, 2002.
Agus, Tarcisio Intellettuale, uomo politico (n. Guspini 1950). Laureato in
Lettere e specializzato in archeologia
presso l’Università di Cagliari, ha fondato a Guspini il gruppo archeologico
‘‘Neapolis’’ di cui è presidente dal
1984. Ha condotto alcuni scavi, in particolare quelli di Genn ’e Cruxi in territorio di Arbus. Impegnato in politica
nei Democratici di Sinistra, dal 1992 è
stato per molti anni sindaco di Guspini.
È autore di alcuni pregevoli studi utili
per la ricostruzione della storia della
sua zona, fra i quali Identità di un paese,
Guspini (con G.P. Pusceddu), 1989; Flumentorgiu (Port’e Prama). Storia di una
tonnara (con A.P. Loi e M.N. Vacca),
1989; Guspini/Montevecchio, 1995.
Aidomaggiore Comune della provincia di Oristano, compreso nel Comprensorio n. 15, con 514 abitanti (al
2004), posto a 250 m sul livello del
mare ai margini dell’altipiano di Abbasanta, a pochi chilometri dalla conurbazione Abbasanta-Ghilarza-Norbello
e da Sedilo. Regione storica: Gilciber.
Diocesi di Alghero-Bosa.
Aidomaggiore – Il centro storico del paese ha
grandi portali d’ingresso nelle case d’età
spagnola.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 76
Aidomaggiore
TERRITORIO Il territorio si estende
per 41,33 km2 e confina con Borore e
Dualchi a nord, Sedilo a est, Ghilarza
a sud, Norbello a ovest. Ha la forma di
un trapezio che si va allargando verso
nord, e si estende in parte nell’altipiano di Abbasanta, più povero di vegetazione e adatto al pascolo, e in parte
sul versante occidentale dell’ampia
vallata del Tirso, più ricco di alberi e
di acque, e quindi più vocato all’agricoltura. La strada più importante che
tocca il paese – piuttosto isolato rispetto a quelli circostanti – è una secondaria che va dalla superstrada Abbasanta-Nuoro alla provinciale che
unisce Borore a Sedilo.
& STORIA L’attuale centro ha origini
romane: deriva da un pagus situato
lungo la strada per Macopsisa, l’attuale
Macomer, posto in prossimità del principale guado del Tirso; nel Medioevo,
compreso nel giudicato d’Arborea, faceva parte della curatoria del Guilcier.
Scoppiata la guerra tra Aragona e Arborea, nel 1378, unitamente all’intera
curatoria, fu infeudato provocatoriamente da Pietro IV a Valore de Ligia
che aveva tradito il giudice passando
al servizio degli Aragonesi. Si trattò di
un’investitura senza effetto perché il
villaggio rimase in mano al giudice; negli stessi anni fu costruita la chiesa parrocchiale dedicata a San Gavino. Caduto il giudicato, A. condivise a partire
dal 1417 le vicende feudali degli altri
villaggi del Guilcier fino alla confisca
del marchesato d’Oristano. Fu allora
incluso nel grande feudo reale del
Parte Ocier e dal 1481 i suoi abitanti
furono tenuti a prestare un servizio
personale nella Tanca Regia (=). Nei
secoli successivi essi svilupparono le
tradizionali attività nel settore dell’agricoltura e della pastorizia. Nel 1637
un gruppo di armati del paese accorse
a Oristano per liberarla dagli invasori
&
francesi: si distinsero nell’impresa, insieme ai compagni di Ghilarza, e per
questo le loro gesta furono ricordate
nel Parlamento del 1698. Le condizioni
generali del villaggio migliorarono nel
corso del secolo XVIII: nel 1771 vi fu
costituito il Consiglio comunitativo e
gli abitanti cominciarono ad aspirare
all’abolizione del vincolo feudale. Nel
1821 fu incluso nella provincia di Oristano e finalmente nel 1838 fu affrancato dalla dipendenza feudale. In quegli anni Vittorio Angius scriveva: «È
composto di 228 case con istrade un
po’ larghe, ma irregolari, e impraticabili nell’inverno pel molto fango [...]. Il
clima è caldissimo nella state, temperato nell’inverno: vi piove spesso, ma
raramente vi nevica: l’aria è poco salubre. Negli ultimi dı̀ della primavera
suol regnare di mattina la nebbia, e
non si dirada che tardi. Più densa è
nel novembre, di modo che bagna
come fa la rugiada. I seminati ne sentono gran danno quando sono in fiore, e
la sanità degli abitanti n’è ancora alterata. Non si esercitano in questo paese,
che da pochi, e assai macchinalmente
alcune arti meccaniche; le donne attendono alla tessitura delle tele e del
forese: vi sono in opera da 100 telai, ma
non si lavora più di quello che esigano i
propri bisogni. Vi sono un consiglio di
comunità, una giunta locale, una
scuola normale frequentata da 20 fanciulli». Successivamente, dopo la ‘‘fusione perfetta’’ della Sardegna con gli
stati di terraferma, nel 1848 furono soppresse le province e A. entrò a far parte
della divisione amministrativa di Cagliari che nel 1859 ritornò a essere provincia. Nella seconda metà dell’Ottocento, però, le condizioni del villaggio
cominciarono a decadere, e il suo isolamento determinò l’inizio di un lento
spopolamento; per giunta nel 1896 i
suoi vigneti furono distrutti dalla fil-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aidomaggiore
lossera. Agli inizi del Novecento la decadenza di A. era evidente, il villaggio
ebbe l’illuminazione elettrica solo nel
1934 e, paradossalmente, la formazione del lago Omodeo contribuı̀ a isolarlo ancor di più. Nel secondo dopoguerra il processo di decadenza e di
spopolamento si accentuò e quando,
nel 1974, fu incluso nella nuova provincia di Oristano la sua popolazione era
diminuita della metà rispetto agli inizi
del secolo.
& ECONOMIA Le principali attività
sono l’agricoltura e l’allevamento. Il
patrimonio ovino si compone di diverse migliaia di capi, e alcune migliaia ne conta quello bovino: si ha
quindi la produzione di latte, formaggio, carni; sono presenti anche alcune
imprese commerciali, ma una parte
consistente dei redditi è assicurata,
come avviene in questi centri a forte
tasso migratorio, dalle pensioni di anzianità. Al momento dell’insediamento
delle fabbriche petrolchimiche nella
vicina piana di Ottana, furono assunti
una trentina di lavoratori di A., ma con
la crisi intervenuta anche questa risorsa si è venuta riducendo. Artigianato. A. era un tempo, come si è visto
dalla testimonianza dell’Angius, un rinomato centro di tessuti ottenuti da antichi telai manuali: attualmente solo
poche anziane donne li sanno utilizzare.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 550 unità,
di cui stranieri 19; maschi 271; femmine 279; famiglie 220. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione con morti per anno
18 e nati 1; cancellati dall’anagrafe 21 e
nuovi iscritti 11. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
13 402 in migliaia di lire; versamenti
ICI 234; aziende agricole 119; imprese
commerciali 26; esercizi pubblici 3;
esercizi al dettaglio 8. Tra gli indicatori
sociali: occupati 177; disoccupati 23;
inoccupati 25; laureati 3; diplomati 65;
con licenza media 106; con licenza elementare 214; analfabeti 6; automezzi
circolanti 208; abbonamenti TV 178.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel
suo territorio sono identificabili numerosi siti che dimostrano come sia
stato intensamente utilizzato dall’uomo. In particolare sono stati individuati circa quaranta nuraghi: Abaeras,
Arculentu, Aghentu, Aspru, Attos, Benziddu, Bernardu Pala, Bolessene, Caddaris, Casas, Cunzados, Erighine, Fenugu, Frontelizzos, Lobaos, Maso Majore, Murafratta, Mura Ulmos, Ozilo,
Pizzinnu, Riu, Sa Bastia, Sa Jua, Sa
Mura, Sanilo, Sedinas, Sirbonica, Sorolo, Succhiau, Tenaghe, Tenalighe,
Toliana, Toringhene, Tosighene, Trailone, Trochesia, Tulinu, Uras, Zedde.
Tre le Tombe di giganti: Iscralloza,
Tanca ’e S’Ozzastru, Tanca ’e Su Gregu.
Di particolare interesse sono i complessi di Iscralotze e di Uras, entrambi
comprendenti un nuraghe e una
Tomba di giganti; e il complesso di Lobados con alcuni nuraghi.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il più interessante dei monumenti di A. è la chiesa parrocchiale di
Santa Maria delle Palme: costruita nel
Cinquecento in forme gotico-catalane,
è stata radicalmente ristrutturata nel
1867. All’interno, costituito da una
sola navata completata dal presbiterio,
si conserva un coro-altare ligneo del
secolo XVII. La facciata è semplice, arricchita dal timpano a lesene. All’estrema periferia dell’abitato sorge San
Gavino, chiesa di origini trecentesche
ristrutturata ripetutamente nel corso
dei secoli successivi e per l’ultima
volta negli anni Settanta del Novecento. Ha la struttura a croce latina e
conserva nel transetto un Cristo ligneo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aidu ’e Turdu
del Quattrocento. Vi è esposta una collezione di pezzi archeologici ritrovati
nel territorio del Comune, e nella suggestiva piazzetta sulla quale si affacciano alcuni betili, macine e altri frammenti scolpiti. Interessanti sono anche
numerose chiese che sorgono nelle
campagne. Quella di Santa Barbara ’e
Orraku, situata a pochi chilometri dall’abitato lungo la strada per Ghilarza,
di forme romaniche, fu la parrocchia
del villaggio scomparso di Ruinas. La
prima edificazione risale al Duecento
ed è dovuta a un certo Petru Murtinu,
collaboratore del priore di Santa Maria di Bonarcado. Quando il villaggio
fu abbandonato andò in rovina e solo
nel 1954 fu ricostruita in trachite rossa.
Nei pressi si trovano le piccole case
(cumbessı̀as o muristenes), una ventina,
di famiglie del paese. Quella dedicata
a Santa Giusta e Santa Greca è situata
su un altipiano panoramico a poca distanza dall’abitato; costruita nel Medioevo nel villaggio scomparso di Liqueri, venne distrutta da un fulmine e
fu fatta ricostruire nel secolo XVIII da
Demetrio Putzolu. La Vergine delle
Grazie è un santuario campestre a pochi chilometri dall’abitato; risale al secolo XIII ed è costituito da un edificio
circondato da muristenes.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Delle antiche tradizioni rimangono alcune feste popolari, in particolare
quella di Sant’Antonio Abate, che si
svolge il 17 gennaio con il consueto
falò in piazza che dà inizio al Carnevale. In questo periodo gli abitanti dei
quattro rioni – Corte ’e Susu, Corte ’e
Josso, Binzale e Muru ’e Cane – si riuniscono per eseguire un ballo tipico locale, sa cuintrozza, che non ha uguali
in tutta l’isola: un tempo guidato dal
canto, oggi segue la musica della fisarmonica diatonica e deve coinvolgere
non meno di trenta ballerini che ese-
guono una configurazione a serpentina
che poi si trasforma in una spirale. La
festa di Santa Greca e Santa Giusta si
svolge il 14 maggio nell’omonima chiesetta con il concorso di pellegrini che
vengono da tutto il Ghilarzese; appena
dieci giorni dopo, il 24 maggio, la festa
della patrona Santa Maria delle Palme
coinvolge tutta la comunità con riti religiosi e cerimonie civili di particolare
solennità. Nell’ultima domenica di
agosto si festeggia Santa Barbara
presso l’omonima chiesetta; le celebrazioni si protraggono per tre giorni
in un susseguirsi di riti e di manifestazioni folckloristiche. Al termine dell’estate, l’8 settembre, si festeggia la Vergine delle Grazie, nell’omonimo santuario; la sagra è preceduta da un novenario durante il quale vengono posti
all’asta (prozettu) da un banditore (su
procuratore) degli oggetti che servono
a finanziare la festa, avuti in dono dai
fedeli. La sagra culmina in una veglia
di preghiera (izadorgiu) nel corso della
quale il simulacro della Vergine viene
condotto nei diversi muristenes. Infine
è da ricordare la festa più antica della
quale si hanno notizie fin dal secolo
XVI, quella di Santa Lucia, che si
svolge il 13 dicembre presso le rovine
dell’omonima chiesetta.
Aidu ’e Turdu Località nel territorio
tra Bonorva e Torralba ove si svolse,
nell’agosto del 1347, durante la seconda delle ribellioni dei Doria contro
gli Aragonesi, una grande battaglia.
Per fermare i ribelli le truppe catalane
e quelle sarde guidate da Giovanni
d’Arborea, fratello del giudice, pochi
mesi prima avevano invaso i territori
della famiglia. Per resistere agli invasori, i Doria dei vari rami avevano chiesto aiuto a Genova e avevano riunito le
loro forze. Secondo la cronaca dei fatti
lasciataci dallo Zurita, la battaglia avvenne nella località omonima situata
71
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aiello
in prossimità di un passo nelle campagne di Bonorva lungo la strada che conduceva a Sassari. La battaglia si svolse
tra le truppe dei Doria, più numerose,
e quelle aragonesi. Lo scontro fu
cruento e i Doria riuscirono vincitori;
costò la vita a Gherardo e Monico Cervellon, figli del governatore della Sardegna, che morı̀ poco dopo per il dolore.
Aiello, Paolo Fotografo (n. Sassari
1961). Amante del mare e della vela – è
il creatore della ‘‘Regata della Vela Latina’’ di Stintino – inizia a fotografare
nella Sardegna dei primi anni Ottanta,
dedicandosi ai paesaggi e al mondo del
mare e della nautica, per periodici
come ‘‘Nautica’’, ‘‘Yacht Digest’’,
‘‘Mare Nostrum’’. Partecipa in seguito
alla fondazione dell’associazione culturale OGROS Fotografi Associati,
volta allo studio del mondo tradizionale sardo. Il suo archivio, di oltre
10 000 immagini, illustra i mestieri del
mare, tra cui la Tonnara.
Ailanto Pianta arborea della famiglia
delle Simarubacee (Ailanthus glandulosa Desm.). Conosciuto anche con il
nome di albero del paradiso, può raggiungere altezze di oltre 20 m. Ha
chioma ampia e densa, corteccia liscia
e striata longitudinalmente. Le foglie,
caduche, sono alterne e imparipennate, verde scuro nella pagina superiore, più pallide e pubescenti in
quella inferiore. I fiori, talora separati
su piante diverse, sono piccoli, verdastri e riuniti in pannocchie. Frutto a samara bialata: l’ottima germinabilità ne
ha facilitato la diffusione in tutta la
Sardegna. Originario della Cina, l’a. fu
introdotto negli orti botanici italiani
nella seconda metà del Settecento.
Nell’Ottocento è stato particolarmente
diffuso per sperimentare l’allevamento della sfinge dell’a., il lepidottero saturnide Philosamia cynthia, che
doveva sostituire il baco da seta minacciato da malattie epidemiche. In Sardegna è segnalato nei cataloghi a partire dal 1820. Molto diffuso (quasi infestante) nel verde pubblico e lungo le
strade statali, si riconosce, a inizio
estate, per il colore rossastro dei frutti.
Il suo polline è fortemente allergenico.
Nomi sardi: ailánti (sassarese); ilántu
(Sardegna settentrionale); nuxi furistéra (Sarcidano); olanda (Basso Campidano). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Aimone Sacerdote (sec. XII). Nei documenti compare come vescovo di Sulci a
partire dal 1162; usurpò alcuni benefici che erano stati concessi dai giudici
di Cagliari ai Benedettini di Montecassino. Nel 1163 fu convocato dall’arcivescovo Villano, inviato in Sardegna dal
papa per dirimere la questione.
Aiois, Is Località abitata in territorio di
Narcao lungo la strada per Acquacadda in prossimità della frazione di
Terrubia. Si è sviluppata nella seconda
metà dell’Ottocento in connessione
con le attività della miniera di Acquacadda. Attualmente è un’attiva borgata
agricola in fase di espansione.
Aipsa Edizioni Casa editrice fondata a
Cagliari nel 1993. Pubblica libri su Cagliari e sulla Sardegna mostrandone le
sfaccettature del patrimonio culturale: storia, poesia, memorialistica,
racconti, cinema, lingua e tradizioni.
Particolarmente curata la veste grafica, i volumi sono rivolti a un pubblico
vasto. Tra le collane: ‘‘Altre Storie’’, di
argomento letterario in italiano e in
sardo; ‘‘Minores’’, di narrativa; ‘‘Primopiano’’, di critica cinematografica;
‘‘Quaderni di storia e cultura locale’’;
‘‘Ricognizioni’’, che comprende monografie di approfondimento su aspetti
poco conosciuti della cultura; ‘‘Riquadri’’. [MARIO ARGIOLAS]
Airone1 = Zoologia della Sardegna
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 80
Alà dei Sardi
Airone2 Compagnia aerea sarda, fondata a Cagliari il 23 gennaio 1945 con
capitale iniziale 1 milione di lire. Rappresentò la voglia della Sardegna, che
si preparava ormai al tempo di pace, di
‘‘fare da sé’’. La società, cui partecipavano capitali privati e delle banche
sarde, commissionò alla FIAT due aerei G12L per il trasporto passeggeri
(costo 100 milioni di lire, altri due furono acquistati più tardi) e ottenne la
concessione per l’esercizio di alcune
linee fra la Sardegna e il continente,
con esclusione della più appetita Cagliari-Roma, mentre sulla Cagliari-Milano intervenne il divieto ministeriale
di fare scalo ad Alghero (la linea Milano-Alghero era stata data in concessione alla società Salpanavi). Il 14
aprile 1947 l’‘‘A.’’ inaugurava i suoi collegamenti tra Cagliari e Milano e
Roma, e tra Alghero e Roma. Nei primi
quattro mesi di esercizio – calcolava
più tardi la società – erano stati trasportati 4789 passeggeri, ma nel solo
luglio erano stati 1840. Mentre la società si apprestava ad avviare i collegamenti con Napoli e Palermo, il governo
decideva di rilanciare la compagnia di
bandiera (la LAI, Linee Aeree Italiane), scoraggiando la concorrenza.
Una serie di limiti posti ai servizi dell’‘‘Airone’’ (ma altrettanto accadeva
con altre società private) poneva rapidamente termine all’esperimento: il 31
dicembre 1948 l’‘‘A.’’ si fondeva, insieme ad altre tre linee aeree private,
con la LAI, dando vita alla ALI-Flotte
riunite, destinata a diventare l’Alitalia. Con la consorella ‘‘Sardamare’’, la
società di navigazione sarda nata in un
uguale contesto politico, economico e
‘‘ideologico’’, l’esperienza dell’‘‘A.’’
rappresenta un coraggioso tentativo
del mondo politico ed economico sardo
di risolvere con le proprie forze quella
che veniva chiamata la storica ‘‘stroz-
zatura’’ delle comunicazioni fra Sardegna e continente.
Aisaronenses Popolazione enumerata
tra quelle appartenenti alla Sardegna
da Tolomeo nei primi decenni del secolo II, il quale però non fornisce per
essa una precisa localizzazione. Gli A.,
quasi sicuramente di origine etrusca,
erano forse stanziati nell’attuale zona
di Posada. [ESMERALDA UGHI]
Aitroxia, santa Nome dato al simulacro della Madonna della Provvidenza,
ritrovato da un contadino mentre
arava ad Aitroxia, toponimo campidanese di Santa Vittoria, in territorio di
Suelli. Attualmente il simulacro viene
portato in processione, a Suelli, per festeggiare la Madonna delle Grazie.
[ADRIANO VARGIU]
Alà dei Sardi – Il centro storico del paese ha,
come molti centri della Sardegna nordorientale, architetture di granito a vista.
Alà dei Sardi Comune della provincia
di Olbia-Tempio, compreso nella VI Comunità montana, con 1948 abitanti (al
2004), posto a 663 m sul livello del mare,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 81
Alà dei Sardi
al confine con la provincia di Nuoro tra
Gallura e Barbagia di Bitti. Regione
storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri.
Alà dei Sardi – La festa presso la chiesa
campestre di San Francesco è una delle più
popolari della Sardegna.
TERRITORIO Il territorio si estende
per 188,60 km2. Ha forma trapezoidale
e confina a nord con Berchidda, Monti
e Berchiddeddu, isola amministrativa
di Olbia; e con Padru a est, Bitti a sud,
Buddusò a ovest. A occidente si allineano i Monti di Alà, una piccola catena a direzione grosso modo nord-sud
che culmina a 1077 m con la punta di
Senalonga; anche il resto della regione, tutto di natura granitica, è montuoso, con residui più o meno estesi
delle antiche foreste, mentre a sud del
paese si stende, mediamente intorno
ai 650 m, una parte dell’altipiano di
Buddusò, ricca di pascoli e sughereti.
& STORIA Il villaggio attuale, chiamato Alà fino al 1864, potrebbe essere
l’erede dell’insediamento romano di
Lathari, come sostiene lo Spano. Di
certo però il suo nome compare nel Medioevo: apparteneva al giudicato di
Torres ed era compreso nella curatoria
del Montacuto. Dopo l’estinzione della
famiglia giudicale A. e il Montacuto,
data la loro posizione, furono contesi
&
tra i Doria, gli Arborea e i Visconti; nel
periodo che seguı̀, alla fine del secolo
XIII, passò nelle mani degli Arborea
ma i Doria non rinunciarono a rivendicarne il possesso. Negli anni che precedettero la conquista aragonese,
quando Giacomo II d’Aragona preparò
diplomaticamente l’invasione della
Sardegna, nel 1308 ne investı̀ i Doria
riaccendendo cosı̀ i motivi dell’antica
rivalità con gli Arborea. Perciò il villaggio sembrò entrare a far parte del Regnum Sardiniae come feudo dei Doria,
ma quando nel 1325 essi si ribellarono,
il giudice d’Arborea fece nuovamente
occupare dalle sue truppe tutto il territorio. Negli anni successivi l’intera regione fu teatro del confronto armato
tra gli eserciti arborense e doriano e
fu devastata; per porre fine alla situazione, nel 1339 il re d’Aragona pensò di
investirne Giovanni d’Arborea suo fedele alleato. Però Mariano IV, quando
divenne giudice d’Arborea, pretese
l’obbedienza feudale di suo fratello
per il vasto dominio che controllava e,
poiché Giovanni riteneva di essere
vassallo del re d’Aragona, il confronto
tra i due si concluse tragicamente: Mariano non esitò a far arrestare il fratello. A. seguı̀ allora le sorti del Montacuto e, mentre Giovanni languiva in
prigione, il territorio, occupato da
truppe arborensi, divenne uno dei teatri del conflitto tra Aragona e Arborea e
continuò a essere devastato fino alla
fine della guerra. Nel 1410 il villaggio,
per quanto semispopolato, cadde in
mano del visconte di Narbona che solo
nel 1420 rinunciò ai propri diritti. Nel
1421 A. fu incluso con tutto il Montacuto nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Il rapporto con i nuovi
signori non fu dei migliori: nel 1458 i
suoi abitanti, esasperati dal peso dei
tributi, si ribellarono al feudatario ma
non riuscirono a modificare la loro si-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alà dei Sardi
tuazione. Nel periodo successivo A. fu
amministrato da un funzionario feudale residente a Ozieri e dovette sopportare il peso di una crescente dipendenza dal feudatario. Estinta la discendenza dei Centelles, dopo una lunga
lite il villaggio passò insieme al Montacuto dai Centelles ai Borgia; il numero
dei suoi abitanti nel corso del Cinquecento era sensibilmente aumentato e i
nuovi feudatari nel Seicento avviarono
la costruzione della parrocchiale dedicata alla natività di Maria; quindi, avvalendosi di una gerarchia di funzionari, spesso appartenenti a famiglie locali, definirono il sistema dei tributi
feudali, la cui riscossione però fu largamente evasa. I Borgia si estinsero
nel 1740 dopo una lunga lite tra eredi
e, nel 1767, A. fu incluso nel ducato del
Montacuto che toccò a Maria Giuseppa
Pimentel, erede dei Borgia e moglie di
Pietro Tellez Giron. Anche con i nuovi
feudatari A. non ebbe un rapporto facile; essi, infatti, risiedendo in Spagna,
fecero amministrare il feudo da funzionari senza scrupoli, il cui operato
esasperò gli abitanti che ormai anelavano allo scioglimento dal vincolo feudale. La popolazione del villaggio era
oramai cresciuta e le attività connesse
all’allevamento e alla pastorizia vi fiorivano; nel 1771 anche ad A. fu costituito il Consiglio comunitativo cosı̀, attraverso il nuovo organismo, la comunità sembrò ritrovare quella autonomia che l’amministrazione feudale
aveva fatto cessare. Tra il 1774 e il 1785
gli abitanti si rifiutarono apertamente
di pagare i tributi e nel 1795 presero
parte ai moti antifeudali. Le tensioni
continuarono anche nel 1810, tanto
che alcune terre del demanio feudale
furono arbitrariamente occupate;
quando poi nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Ozieri, divenne teatro di una frenetica costitu-
zione di tanche in seguito all’applicazione della Legge delle chiudende, ma
il suo tempestoso rapporto con i feudatari si chiuse solo col riscatto nel 1843.
Con la ‘‘fusione perfetta’’, nel 1848 fu
abolita la provincia di Ozieri e il villaggio fu incluso nella divisione amministrativa di Sassari. Quando poi nel 1859
le province furono ripristinate, entrò a
far parte della provincia di Sassari.
Questi alcuni tratti del quadro del
paese lasciato in quegli anni da Vittorio Angius: «L’abitato stendesi da 350
passi da levante a ponente, e 125 da
tramontana a mezzogiorno. Componesi
di 263 case: non vi fiorisce alcun’arte
meccanica, e la sola manifattura è
quella delle tele e del panno forese [orbace]. Vi ha un consiglio di comunità,
una giunta locale sul monte di Soccorso, ed una scuola normale frequentata da dodici fanciulli. Sono questi
paesani più negletti nel vestire, e più
rozzi dei loro circonvicini. In circostanze di allegrezza il solito divertimento è il ballo, cui dassi movimento
col canto in cadenza. [Il territorio] è
per la maggior parte montuoso e boschivo, e quindi più atto al pascolo,
che al seminario: non ostante in molti
siti, massime verso la parte meridionale, si semina grano ed orzo, il cui prodotto appena può essere sufficiente
alla sussistenza degli abitanti. Il pane
che mangia la maggior parte è di orzo.
Vi sono poche vigne più per trascuraggine degli abitanti, che per difetto di
terreno adatto. Per la opportunità dei
molti ruscelli abbonderebbero i legumi, però manca l’industria. Pastorizia: la maggior parte degli alaini sono
occupati in questa, e molti di essi vivono negli stazi, o casali, principalmente quelli che hanno le cussorgie
nella parte settentrionale del territorio presso alle terre di Monti. Le vacche, che in totale saranno 1500, i buoi
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alà dei Sardi
domiti e i giovenchi destinati all’agricoltura o al macello restano nelle tanche per molti mesi dell’anno. Si nutrono inoltre nel restante territorio
aperto più di 3000 pecore, 1500 porci, e
circa 3000 capre. Prendonsi cura i pastori di coltivare gli alveari e ne hanno
un gran numero, che passa forse i 4000,
i quali per l’abbondante frutto formano
una delle primarie risorse di questo
paese». L’impressione di isolamento è
confermata da un episodio riferito dal
Lamarmora nel suo Itinerario: passando per il paese nel 1823, ebbe un
contrasto col sindaco, che non voleva
vendergli alcuni cavalli, cosı̀ come imponeva un ordine scritto del viceré; ne
nacque un’accesa discussione, al culmine della quale l’uomo esclamò: «E
bene, signore, io ne farò le mie lagnanze, e ne scriverò a Madrid». Questo il commento dell’illustre viaggiatore: «Egli si figurava d’esser ancora
sotto la dipendenza degli Spagnuoli
che aveva cessato nel 1720, vale a dire
precisamente 103 anni avanti!». Nell’Ottocento si sviluppò ad A. la lavorazione del sughero e nel villaggio fu costruito uno stabilimento per i primi
trattamenti del prodotto grezzo.
& ECONOMIA L’economia è principalmente basata sulla pastorizia e sull’allevamento del bestiame; di particolare
rilievo restano le produzioni del formaggio e del miele. Vi operano anche
alcune imprese commerciali di piccola
entità; l’agricoltura è poco redditizia,
mentre negli ultimi decenni si è sviluppata l’estrazione del granito. Un buon
numero di operai locali è impiegato
nelle attività di forestazione e di protezione del patrimonio boschivo dagli incendi. Artigianato. Fino all’Ottocento
vi era una limitata attività tessile e vi
si produceva l’orbace; di queste antiche attività si è persa memoria.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1953 unità
di cui stranieri 8; maschi 1017; femmine 936; famiglie 712. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione con morti per anno
37 e nati 19; cancellati dall’anagrafe 15
e nuovi iscritti 19. Tra gli indicatori
economici: depositi bancari 17 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF
13 479 in migliaia di lire; versamenti
ICI 675; aziende agricole 303; imprese
commerciali 87; esercizi pubblici 14;
esercizi al dettaglio 30; ambulanti 9.
Tra gli indicatori sociali: occupati 486;
disoccupati 290; inoccupati 55; laureati 5; diplomati 68; con licenza media
576; con licenza elementare 784; analfabeti 105; automezzi circolanti 836;
abbonamenti TV 411.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu popolato fin dal periodo prenuragico ed è molto ricco di monumenti e di testimonianze. I principali
nuraghi sono quelli di Bedduto, Bucca
’e Mandra, Inione, Macheddine, Mathi,
Ponte Piri; di questi particolare rilievo
ha quello di Inione, trilobato, che sorge
tra Alà e Buddusò. Altri monumenti importanti sono il complesso di Sos Nurattolos, un tempio a megaron situato a
sud dell’attuale abitato non lontano da
alcune Tombe di giganti. È costituito
da un’aula lunga circa 6 m con accanto
una strana costruzione a doppio cerchio concentrico; l’intero complesso è
racchiuso da un recinto ellittico. L’archeologo Giovanni Lilliu, che lo ha visitato alcuni anni fa, ha registrato queste impressioni: «Appena arrivato,
sulle prime non riuscivo a scorgere le
varie strutture edilizie, neppure le più
vicine e sottostanti dell’insieme sviluppato nel pendio del monte, sino a
raggiungere il culmine delle aguzze
rupi di granito, tra grigio e rosato, illuminate da un pallido sole, sovrastanti
alle costruzioni. Sono queste, infatti,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alagon
innervate tra le rocce, fatte nella loro
stessa materia e dello stesso colore, in
pezzame litico misurato in modo da
non spiccare con artifizi rispetto al
contorno naturale, al punto che tutto
si confonde e si compatta in armonica
unità. Un esempio di luogo vissuto dagli uomini che progettarono il santuario con la percezione sensibile del substrato naturale e del rispetto dovuto e
l’autoidentificazione compiuta con la
ragione formalizzante». Da ricordare
ancora le rovine del santuario nuragico di Pedrighinosu e il complesso di
Alteri, che comprende il nuraghe omonimo e una Tomba di giganti. Infine a
Lathari, una località situata poco lontano dall’abitato, furono individuati
nel secolo XIX ruderi di un insediamento romano, probabilmente riferibili a una villa rustica; gli scavi effettuati hanno restituito alcuni bronzi,
monete di diversi periodi e ceramica
di vario tipo.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE La parte più antica dell’abitato si sviluppa ad anfiteatro con
abitazioni in granito a più piani; gli
edifici più rappresentativi sono la
chiesa della Natività di Maria, parrocchiale costruita nel 1619 in forme semplici; nel corso dei secoli successivi rovinò quasi completamente e fu chiusa
al culto. Fu restaurata e riaperta nel
corso del secolo XIX. Altra chiesa significativa è quella di San Giovanni
Battista del secolo XVIII, con interno
mononavato e abside semicircolare un
tempo decorato con un ciclo di affreschi oramai completamente scomparsi. Fino alla ricostruzione della
chiesa parrocchiale vi veniva custodita la statua di Sant’Agostino, patrono
del villaggio. Oggi rimane purtroppo
soltanto il ricordo di una conformazione caratteristica della roccia che
prendeva il nome di Lughia Rajosa, e
sorgeva ai margini dell’abitato: secondo una leggenda locale racchiudeva una fanciulla, Lucia, collerica e
bizzosa, pietrificata per vendetta dalle
fate (janas). Di grande interesse naturalistico e ambientale, al confine con la
provincia di Nuoro, la Foresta di Sas
Tumbas, di 244 ha, composta da lecci,
sugheri, pini mediterranei, corbezzoli
e ginepri.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Tra
le feste popolari la più frequentata è
quella che si svolge ai primi di ottobre
presso la chiesa campestre di San
Francesco. Dopo la messa celebrata all’aperto ha inizio un grande pranzo che
ha per piatti base quelli preparati con
la carne fornita dagli allevatori locali.
Da oltre trent’anni si tiene nel paese e
nel territorio circostante il Trofeo Alasport di cross, ossia di corsa campestre,
che vede la partecipazione, in una domenica di febbraio o marzo, dei maggiori campioni italiani e stranieri della
specialità e gode di grande stima negli
ambienti dell’atletica internazionale.
Alagna, Antonio Editore-tipografo (attivo a Cagliari dal 1848 al 1899). Secondo gli studi di Tiziana Olivari, pubblicò circa 150 titoli, per lo più di argomento religioso, tesi di laurea e dissertazioni universitarie. Il più famoso fu
l’Itinerario dell’isola di Sardegna di Alberto Lamarmora, tradotto (non integralmente) e commentato in 3 volumi
dal canonico Giovanni Spano, 1868.
Alagon Famiglia feudale aragonese
(secc. XI-XVIII). Le sue origini risalgono al secolo XI, quando un ramo si
trasferı̀ in Sardegna in seguito al matrimonio di Artale, signore di Sostago,
con Benedetta Cubello sorella dell’ultimo marchese di Oristano. Dal matrimonio nacquero, tra gli altri, Francesco, Leonardo e Salvatore che furono
tra i protagonisti della storia della Sardegna nella seconda metà del secolo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 85
Alagon
XV. Francesco sposò Antonia Catxa e
nel 1463 acquistò da Giacomo Aragall
il feudo di Villamar; nello stesso anno
ereditò dalla moglie la signoria della
scrivania della regia Governazione.
Nel 1464 cedette il feudo alla moglie
come risarcimento dotale e nel 1468 ottenne per sei anni le rendite di alcune
terre spopolate nel Sols, ma dopo il
1470 si lasciò coinvolgere nell’impresa
politica di suo fratello Leonardo, per
cui gli furono sequestrati i beni; morı̀
senza figli nel 1476. Leonardo (Oristano, 1436?-Xàtiva, Spagna, 1494) è ricordato come l’ultimo difensore della
libertà della Sardegna contro il dominio catalano-aragonese. Alla morte di
suo zio Salvatore Cubello ereditò il
marchesato di Oristano, il Parte Ocier,
il Parte Barigadu, la curatoria di Dore
e Bitti, il Marghine, il Mandrolisai, il
Goceano, il Costavall, l’incontrada di
Austis e la Barbagia di Ollolai, ma la
sua successione fu immediatamente ritenuta illegittima in base al diritto feudale sardo. In attesa di ottenere conferma dal re egli entrò in conflitto col
viceré Nicolò Carroz, la cui famiglia
era storicamente antagonista dei marchesi di Oristano e che avrebbe voluto
sequestrare i feudi. I due arrivarono
allo scontro armato e il Carroz fu sconfitto a Uras (primavera 1470). Si trattava in sostanza di una guerra feudale
simile ad altre di quel periodo ma, data
la posizione dei due contendenti e la
discendenza di L. dai giudici d’Arborea, essa coinvolse buona parte degli
altri nobili, feudali e non, che si schierarono a sostegno di una delle due
parti e finı̀ per assumere i caratteri di
una guerra di liberazione ‘‘nazionale’’
dei sardi. Per sanare la situazione divenuta oramai esplosiva intervenne lo
stesso sovrano, che nel 1473 riconobbe
i diritti di successione di L.; ma il Carroz continuò a mantenere un atteggia-
mento ostile per cui nel 1475 la guerra
riprese. Il marchese, ormai identificato come il continuatore della tradizione d’indipendenza degli Arborea,
nel 1477 fu dichiarato traditore e privato dei feudi. Per tutta risposta, egli
invase il Campidano ed estese l’occupazione a buona parte dell’isola, ma la
guerra si concluse tragicamente. Sconfitto nella famosa battaglia di Macomer
(19 maggio 1478), tradito dal capitano
della nave su cui si era imbarcato e
consegnato ai catalano-aragonesi,
venne condotto prigioniero in Spagna,
dove morı̀ dopo 16 anni di prigionia nel
castello di Xàtiva presso Valencia, il 3
novembre 1494. I suoi figli Giovanni,
Salvatore e Antonio, dopo essere stati
fatti prigionieri con lui, furono liberati
ma continuarono a vivere in Spagna; di
essi solo Antonio ottenne il perdono
reale, ma morı̀ in Spagna nel 1504
senza lasciare discendenza. L. ebbe anche alcuni figli naturali menzionati nel
suo testamento, ma essi non furono
coinvolti nelle vicende che distrussero
la famiglia: continuarono a risiedere
in Sardegna, dove si presume abbiano
lasciato discendenza. Salvatore fu il capostipite di una numerosa linea feudale; fece un buon matrimonio con Isabella de Besora erede dei feudi di
Parte Ippis e della Trexenta e nel 1470
avviò le trattative per acquistare l’intero patrimonio feudale dei Dedoni e
il feudo di Furtei dei Sanjust. Fu però
coinvolto nella rovina di suo fratello:
infatti, scoppiato il conflitto con i Carroz, sebbene con titubanza si schierò a
fianco di Leonardo e dopo la battaglia
di Macomer fu fatto prigioniero e rinchiuso anche lui a Xàtiva. Nel 1490 fu
rimesso in libertà e nel 1493 fu perdonato, ma non gli fu concesso di tornare
in Sardegna. Furono suoi figli Carlo e
Giacomo, che diedero vita a due distinti rami della famiglia, rispettiva-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alagon
mente quello del Barigadu e quello di
Villasor. Carlo, dopo il perdono del padre, 1507, ottenne un’indennità annua
vitalizia di 4000 reali valenzani; introdotto negli ambienti di corte al servizio
della nuova dinastia degli Asburgo, fu
nominato guardia del corpo di Carlo V,
che lo creò anche gentiluomo di camera. Tornato a Cagliari si legò agli
ambienti finanziari della città, cercando di investire vantaggiosamente i
capitali di cui disponeva e, costituita
una società con Nicolò Torresani, concorse all’acquisto dai Fabra dell’incontrada del Parte Barigadu. Nel 1520 i
due soci procedettero alla divisione
dei beni e a C. andò il Barigadu Susu
con Busachi, Fordongianus, Villanova
Truschedu, Neoneli, Ardauli, Sorradile e Bidonı̀; nello stesso anno, a conclusione del parlamento Vilanova, fu
nominato sindaco dello Stamento militare a Madrid. Morı̀ nel 1528, dopo aver
istituito un fedecommesso sul feudo al
suo unico figlio maschio, Carlo Dionigi, e le tre figlie Maria, Elena ed
Eleonora. Carlo Dionigi morı̀ nel 1547
senza lasciare discendenza e il feudo
toccò alla sorella Maria, moglie di Fabrizio de Gerp. Anche Giacomo fu coinvolto nella rovina della famiglia. Condotto con il padre e lo zio prigioniero in
Spagna, quando ottenne il perdono,
nel 1495, tornò in Sardegna alla morte
della madre. Qui si trovò invischiato
nella lite per il possesso dei feudi del
Gippi e della Trexenta, eredità materna; sebbene carico di censi e di ipoteche il patrimonio era vistoso, sicché
nel 1506 G. riuscı̀ a chiudere la lite con i
De Gerp, altri pretendenti, cedendo
loro una parte del Gippi e tenendo per
sé tutto il resto. Furono suoi figli Giacomo, alcaide di Cagliari, Carlo, arcivescovo di Oristano, e Blasco, che continuò la discendenza. G. fu anche un
valoroso guerriero tanto che nel 1537
ebbe il titolo di conte di Villasor. Alla
sua morte gli succedette il figlio Giacomo, che visse prevalentemente in
Spagna, dove aveva ereditato ingenti
sostanze dalla famiglia della madre,
una Madrigal. Dopo l’estinzione del
ramo di Carlo, nel 1579 avviò una lite
col fisco per la successione nel Barigadu Jossu e nel 1590 intentò un’altra
causa contro i Castelvı̀ e contro il fisco
per difendere le ragioni della sorella
Caterina vedova Cardona per il possesso dei feudi appartenuti ai Cardona. Nel 1594 ottenne il titolo di marchese e morı̀ nel 1597, poco prima della
definizione delle due liti; furono suoi
figli un altro Giacomo e Martino che
ereditò i feudi. Nello stesso anno, definite le due lunghe controversie, ottenne il Barigadu e il riconoscimento
dei diritti su Giave e Cossoine per sua
zia Caterina, che nello stesso anno gli
donò il feudo. Suo figlio Blasco Ilarione ottenne nel 1629 il titolo di conte
di Montesanto su Giave e Cossoine, da
assegnare al primogenito della famiglia durante la vita del marchese padre. Furono suoi figli Vincenzo, Pietro
e Blasco, tutti personaggi di rilievo
della vita politica isolana, interpreti
di una linea di fedeltà assoluta alla Corona, in grande rivalità con i Castelvı̀. I
suoi discendenti, scoppiata la guerra
di successione spagnola, si schierarono nel partito asburgico e ottennero
da Carlo III il titolo di Grande di Spagna con il marchese Artale, ultimo maschio della famiglia, che nel 1702 donò
i feudi all’unica figlia Emanuela, moglie di Giuseppe De Silva.
& GLI ALAGON NELLA STORIA DELLA
SARDEGNA La famiglia A. fu tra le più
ragguardevoli della nobiltà isolana tra
il 1450 e il 1700. Ecco qui di seguito alcuni cenni biografici dei suoi membri
più importanti.
Artale I Gentiluomo vissuto nel secolo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alagon
XV, signore di Sastago, vedovo di una
Fernandez de Heredia, sposò in seconde nozze Benedetta Cubello, sorella dell’ultimo marchese di Oristano,
e venne a stabilirsi in Sardegna, da
dove però faceva frequenti viaggi in
Spagna per amministrare i feudi che
ancora vi possedeva. Dal suo nuovo
matrimonio nacquero tra gli altri Francesco, Salvatore e Leonardo, che furono educati in Sardegna presso il palazzo di suo cognato e che divennero i
capostipite degli A. sardi. Morı̀ nel
1448.
Artale II Figlio maggiore di Leonardo. Animoso uomo d’armi, fu coinvolto nella guerra che il padre combatté contro Nicolò Carroz. Alla testa
di un reparto dell’esercito di suo padre
investı̀ Ardara nel gennaio del 1478, ma
fu sconfitto delle truppe reali e costretto a ritirarsi; pochi mesi dopo
trovò la morte, combattendo valorosamente a Macomer.
Artale III Marchese di Villasor, figlio
di Blasco, nel 1670 fu nominato generale della cavalleria miliziana. Aveva
fatto sposare l’unica figlia Emanuela a
Giuseppe De Silva, fratello del conte di
Cifuentes, per cui, scoppiata la guerra
di successione spagnola, abbandonò la
tradizionale fedeltà della famiglia alla
dinastia regnante e si schierò nel partito filoasburgico. Fu tra i principali
protagonisti della vita politica di quegli anni, per cui fu insignito del titolo di
Grande di Spagna. Nel 1717, dopo la
spedizione dell’Alberoni, fu costretto
a fuggire in Francia da dove non tornò
mai più. Morı̀ nel 1720.
Blasco I Conte di Villasor, figlio di Giacomo I, nato nel 1495. Era un valoroso
uomo d’armi: durante la prima fase
della guerra tra Carlo V e Francesco I
aveva combattuto per l’imperatore in
Italia. Per il suo valore fu creato gentiluomo di camera; tornato in Sardegna,
nel 1528 contribuı̀ alla cacciata dei
francesi da Sassari e subito dopo tornò
sul continente riprendendo a combattere nelle armate imperiali. Dapprima
fu in Francia, successivamente prese
parte alle operazioni in Germania, in
Fiandra e in Borgogna; nel 1535 partecipò alla spedizione contro Tunisi. Tornato definitivamente in Sardegna, nel
1537 fu creato conte di Villasor e nel
1538 nominato alcaide di Cagliari.
Come molti altri feudatari tentò di non
versare l’afforo, ma nel 1540 fu costretto a pagarlo; nel 1544 difese le coste del Cagliaritano da un’incursione
del pirata Barbarossa; nel 1545 fu inviato a Madrid come sindaco dello Stamento militare e nel 1552 fu nominato
governatore di Sassari. Morı̀ nel 1560.
Blasco II Marchese di Villasor, primogenito di Blasco Ilarione, nacque a Cagliari nella prima metà del secolo
XVII. Uomo d’armi, nel 1647 fu nominato comandante generale della cavalleria del Regno. Ereditati i feudi, prese
parte alla attività degli Stamenti e divenne un deciso avversario dei Castelvı̀. La rivalità tra le due famiglie
era antica ed egli si schierò su una linea di assoluta dipendenza dai voleri
della Corona: dopo il 1660, assoldate a
sue spese delle truppe, si recò in Catalogna per combattere contro i ribelli.
Tornato in Sardegna fu nominato commissario della cavalleria del Capo di
Sassari. Testimone delle tragiche vicende che portarono all’uccisione del
viceré Camarassa, fu l’interprete della
volontà di repressione imposta dal re,
contrapponendosi in maniera più
netta ai Castelvı̀. Il suo atteggiamento
durante il governo del duca di San Germano gli attirò l’odio di una parte dell’aristocrazia; in seguito tentò inutilmente di ottenere il titolo di Grande di
Spagna. Morı̀ nel 1698.
Blasco Ilarione Marchese di Villasor,
80
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 88
Alagon
figlio di Martino, nacque a Cagliari nel
1601. Convinto assertore delle idee dell’Olivares, combatté in Catalogna contro i ribelli e fu nominato maggiordomo
della regina. Tornato in Sardegna, nel
1635 avviò lo sviluppo di una serie di
tonnare e impiantò alcune saline;
nello stesso periodo fondò il villaggio
di Vallermosa. Prese parte all’attività
dei parlamenti diventando il capo del
partito che sosteneva la politica del re;
in antitesi ai Castelvı̀ fu il più deciso
sostenitore della tesi secondo cui non
si doveva negoziare preventivamente
l’ammontare del donativo. Morı̀ a Cagliari nel 1655.
Carlo Nato a Cagliari agli inizi del secolo XVI, figlio del conte Giacomo, fu
destinato alla vita ecclesiastica. Divenuto sacerdote fu nominato canonico
del capitolo di Cagliari facendosi notare per le sue qualità; nel 1537 fu nominato arcivescovo di Oristano e in
tale veste prese parte al concilio di
Trento. Morı̀ a Oristano nel 1554.
Giacomo I Gentiluomo, figlio di Salvatore, nacque a Cagliari alla fine del secolo XV. Prese parte con il padre alla
battaglia di Macomer e dopo la sconfitta fu portato prigioniero in Spagna.
Nel 1490 ottenne il perdono reale e si
pose al servizio del re, combattendo
per lui sotto Granada nel 1492. Nel
1495 tornò in Sardegna per raccogliere
l’eredità dei feudi del Gippi e della
Trexenta che sua madre Isabella de Besora gli aveva lasciato. Poiché il patrimonio era gravato da debiti e ipoteche
che la madre aveva dovuto contrarre
negli anni precedenti per far valere i
propri diritti, dovette imbarcarsi in
una lunghissima lite giudiziaria con
Eusebio de Gerp che, come erede di
Angela Beltran, rivendicava a sua volta
la successione. A causa dell’enorme
costo della lite nel 1506 i due giunsero
a un compromesso, dividendo fra loro
il Gippi; a G. rimase solo la parte meridionale con Villasor. Ripresa la lite nel
1514, solo nel 1518 il re confermò definitivamente la spartizione.
Giacomo II Conte e poi marchese di
Villasor, figlio di Blasco I e di una Madrigal, nacque nel 1550. Fu un uomo
accorto, abile amministratore dei beni
che possedeva in Sardegna e di quelli
che sua madre gli aveva lasciato in
Spagna. A partire dal 1579 tentò di recuperare anche i feudi appartenuti al
ramo di Carlo e nel 1590 difese i diritti
della sorella Caterina sul patrimonio
dei Cardona sardi. Nel 1594 ottenne il
titolo di marchese di Villasor e morı̀
poco prima che le liti da lui intraprese
fossero concluse.
Giacomo III Figlio primogenito di
Giacomo II, rinunciò ai propri diritti e
si fece gesuita, segnalandosi per la
pietà della sua vita. Morı̀ a Cagliari nel
1624 in odore di santità.
Leonardo Nato a Oristano nel 1436 dal
matrimonio di Artale di Sostago con
Benedetta Cubello, fu educato a Oristano; traferitosi giovanissimo in Spagna, sposò Maria de Morillo e frequentò la corte di Spagna, dove strinse
amicizia col futuro Ferdinando il Cattolico. Tornato in Sardegna, divenne
uno dei collaboratori dello zio, il marchese Antonio Cubello, che nel 1458 lo
inviò nuovamente in Spagna come suo
procuratore; durante il suo secondo
soggiorno ebbe modo di segnalarsi
combattendo nelle guerre contro i ribelli catalani e di rinsaldare l’amicizia
con Ferdinando. Nel 1463 Antonio Cubello morı̀: gli succedette come marchese di Oristano il fratello Salvatore
che, non avendo figli, si preoccupò di
assicurare la successione a L., che continuava a risiedere in Spagna. Quando
Salvatore Cubello morı̀, nel 1470, L.
tornò in Sardegna e ne raccolse l’eredità senza aspettare l’autorizzazione
81
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 89
Alagon
reale; per questo si trovò subito coinvolto in un’aspra controversia con Nicolò Carroz, viceré di Sardegna, che gli
contestava la successione nel marchesato e, poiché anche lui discendeva in
linea femminile dalla casa d’Arborea,
sperava di poter venire in possesso almeno di una parte dell’eredità del defunto marchese. Poiché Nicolò, avvalendosi del proprio ufficio, avrebbe voluto porre i feudi sotto sequestro, i due
arrivarono al confronto armato e L.
sconfisse il rivale nella battaglia di
Uras (14 aprile 1470). Negli anni successivi, per quanto le operazioni militari si interrompessero, il contrasto tra
i due non fu sanato, e mentre si attendeva che Giovanni II dipanasse la questione, in Sardegna l’atteggiamento di
L. fece rinascere il fremito nazionalitario mai peraltro sopito. Il re, preoccupato per la piega che la situazione
avrebbe potuto prendere e influenzato
dalle pressioni del figlio Ferdinando
che era intervenuto a favore di L., nel
1474 concesse a quest’ultimo l’investitura. Nonostante ciò l’antagonismo tra
L. e Nicolò non si placò, anzi nella seconda metà del 1475 il contrasto assunse il carattere di una guerra nazionale e coinvolse molti altri feudatari.
Come ai tempi di Mariano IV le truppe
di L. dilagarono verso Cagliari e saccheggiando e distruggendo giunsero
in vista della città. Dopo varie vicissitudini, nel 1477 L. fu dichiarato ribelle
e i suoi feudi furono confiscati, per cui
la guerra riprese investendo tutta la
Sardegna. Dopo alcuni scontri, L. fu
definitivamente sconfitto nella battaglia di Macomer (9 maggio 1478). Fallito
il tentativo di porsi in salvo oltre mare
per il tradimento del capitano della
nave su cui fuggiva, fu catturato con i
suoi familiari e condotto prigioniero in
Spagna. Rinchiuso nel castello di Xàtiva, una cittadina a sud di Valencia, vi
fu tenuto prigioniero per sedici anni, e
qui morı̀ il 3 novembre 1494. Sepolto
nella piccola cappella del grande castello (che i re d’Aragona avevano trasformato in una vera e propria fortezza
destinata a tenere prigionieri i loro nemici più temuti), neppure una iscrizione ricorda la sua presenza fra i più
famosi ribelli all’arroganza del potere.
Martino Marchese di Villasor, nato a
Cagliari nel 1575 da Giacomo II. Era il
secondogenito, ma dopo la rinuncia
del fratello Giacomo ereditò i feudi.
Nel 1597 chiuse le contese avviate dal
padre e cosı̀ entrò in possesso del Barigadu Susu che unı̀ al patrimonio di famiglia, aggiungendovi i feudi di Giave
e Cossoine che ebbe in dono dalla zia
Caterina. Morı̀ nel 1622.
Pietro Figlio del marchese Blasco Ilarione di Villasor, nacque a Cagliari nel
1633. Fattosi sacerdote, fu nominato
canonico della cattedrale di Cagliari e
si pose in evidenza per la sua cultura e
le sue qualità umane. Nel 1669 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita; raggiunta la sua diocesi, si adoperò per
migliorarne le condizioni. Nel 1672 fu
nominato arcivescovo di Oristano; governò l’archidiocesi fino al 1684,
quando fu trasferito a Majorca, dove
morı̀ alcuni anni dopo.
Salvatore Fratello di Leonardo, nacque a Oristano e qui fu allevato. Sposò
Isabella de Besora, erede dei feudi
della Trexenta e del Parte Ippis. Negli
anni che seguirono il matrimonio avviò
le trattative per acquistare il patrimonio feudale dei Dedoni e il feudo di
Furtei dai Sanjust. Scoppiata la guerra
tra Leonardo e Nicolò Carroz, con titubanza si schierò a fianco del fratello
provocando con la sua scelta una difficile situazione familiare, perché suo figlio Pietro si era schierato decisamente a fianco del Carroz. Nonostante
questo tormento, rimase fedele alla pa-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Albagiara
rola data, e sebbene il re lo invitasse a
staccarsi dal fratello offrendogli la
contea del Goceano, lo sostenne nell’ultima disgraziata fase della guerra.
Nel 1477 invase la Marmilla e nel 1478
fu alla battaglia di Macomer. Catturato
con Leonardo e gli altri familiari, fu
condotto anche lui prigioniero in Spagna e rinchiuso nel castello di Xàtiva.
Nel 1490 ottenne il perdono del re e fu
posto in libertà, ma gli fu impedito di
tornare in Sardegna.
Alagon, Carlo = Alagon
Alari Antico villaggio posto nel territorio di Allai in località Planu Alisa, poco
lontano dal paese. Nel Medioevo figura
compreso nel giudicato d’Arborea, curatoria del Parte Barigadu. Secondo
l’Angius sarebbe stato abbandonato
dai suoi abitanti, che trasferirono la
loro sede ad Allai.
Alaterno Pianta arbustiva della famiglia delle Rhamnacee (Rhamnus alaternus L.). Tipica della macchia spontanea, in associazione con lentisco,
corbezzolo ed erica, può crescere ad
albero di bel portamento quando trova
spazi aperti e liberi dalle altre essenze
più prepotenti. Cresce su terreni aridi
e su tutti i substrati, anche in prossimità delle coste. Ha foglie coriacee, alterne, con margine dentato, verde
scuro e lucido. Fiori gialli unisessuali,
su piante distinte, pendenti quelli maschili ed eretti quelli femminili. Fiorisce da febbraio ad aprile. I frutti,
drupe prima rosse poi nere, hanno potere purgativo. Il legno, giallo scuro,
viene utilizzato per lavori artigianali o
al tornio. L’a. era conosciuto come
pianta tintoria (varie tonalità di giallo)
sin dall’antichità. Chi soffre di itterizia
viene detto attasuráu, cioè del colore
dell’a. (in sardo tásaru). In alcuni paesi
sardi non si usa il legno dell’a. nel camino, perché si crede che faccia litigare chi vi sta vicino. Nomi sardi: ali-
dérru (sassarese); labru arésti (nuorese); laru masciu (Sardegna settentrionale); linna niédda (Sarcidano);
spásima (gallurese); tásaru (Sardegna
centro-meridionale). [MARIA IMMACOLATA
BRIGAGLIA]
Alba, Luciano Archeologo e speleologo
(n. sec. XX). Ha costituito il Centro Iglesiente di studi speleo-archeologici.
Profondo conoscitore del territorio,
ha approfondito gli studi relativi alla
cultura di Monte Claro e di Bonnanaro,
occupandosi in particolare della
prima fase dello sfruttamento delle miniere nell’Età del Bronzo. Fra i suoi numerosi scritti, I depositi archeologici
nelle grotte dell’Iglesiente, ‘‘Memorie
dell’Istituto italiano di Speleologia’’,
II, 1, 1982; Archeologia nel parco geominerario ambientale e storico dell’Iglesiente-Sulcis-Guspinese, in La Sardegna nel mondo mediterraneo. Atti del
IV Convegno internazionale di studi
geografico-storici, Sassari 1993, 1995;
Nuovo contributo per lo studio del villaggio neolitico di San Ciriaco di Terralba,
‘‘Studi Sardi’’, XXXII, 2000.
Albagiara – Pastore nei pressi della Giara di
Gesturi.
Albagiara Comune della provincia di
Oristano, compreso nella XVII Comunità montana, con 294 abitanti (al
2004), posto a 215 m sul livello del
mare ai piedi del versante nord-occidentale della Giara di Gesturi. Re-
83
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 91
Albagiara
gione storica: Parte Usellus. Diocesi di
Ales.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 8,95 km2. Ha grosso modo la forma
di un rettangolo allungato da nord a
sud e confina a nord con Sant’Antonio
Ruinas, a est con Assolo e un’isola amministrativa di Cabras, a sud con Gonnosnò e a est con Usellus. Si tratta di un
lembo di campagna pressoché pianeggiante, al confine con la Marmilla settentrionale tra la Giara e il monte Arci.
La viabilità è assicurata dalla statale
442, che unisce Uras a Laconi e passa
a poche centinaia di metri, mentre l’abitato è attraversato da una deviazione
che si dirige verso sud.
& STORIA L’attuale centro abitato è di
origine medioevale. Faceva parte del
giudicato d’Arborea ed era compreso
nella curatoria di Parte Usellus col
nome di Ollastra de Funtana o di Ollastra Usellus. Dopo la caduta del giudicato fu occupato dalle truppe del conte
di Quirra ed entrò a far parte del Regnum Sardiniae unitamente al restante territorio della curatoria. Nei
decenni successivi il conte avrebbe voluto continuare a possedere il Parte
Usellus, ma al territorio era interessato il marchese di Oristano; per evitare conflitti fu pertanto amministrato
direttamente da funzionari reali in un
clima di calma apparente. Quando
però, nel 1430, furono celebrate le
nozze tra Eleonora Manrique Lara, parente del re, e il conte di Quirra Berengario Bertran Carroz, il villaggio entrò
a far parte dei feudi concessi dal re alla
Manrique per costituire la sua dote. In
questo modo il villaggio fu compreso
nella contea di Quirra e nei secoli successivi ne condivise la storia; nel 1511,
dopo la morte della contessa Violante,
passò quindi dai Bertran Carroz ai
Centelles. I nuovi feudatari, che nel
1604 ottennero il titolo di marchese, si
preoccuparono di riorganizzare l’amministrazione del loro vastissimo
feudo dividendolo in dipartimenti che
finirono per conservare caratteristiche culturali differenti in relazione
alle loro tradizioni. Cosı̀ il villaggio e
tutto l’Usellus, probabilmente grazie
anche alla funzione che svolsero i vescovi di Ales, mantenne le sue caratteristiche tradizionali di centro di
grande produzione cerealicola. L’ultimo Centelles designò come suo erede
Francesco Pasquale Borgia e morı̀ nel
1674; la successione dei Borgia fu però
contestata dai Catalan, che dopo una
lunga lite riuscirono a venire in possesso del grande feudo nel 1726. La situazione del Regnum Sardiniae era
cambiata, ma le condizioni del paese
non subirono modificazioni: continuò
a essere amministrato dai funzionari
feudali in modo non eccessivamente fiscale. La lontananza dei feudatari, che
vivevano in Spagna, accentuò le aspirazioni alla liberazione dalla dipendenza feudale delle sue popolazioni,
le quali dopo il 1771 trovarono sostegno
con la costituzione del Consiglio comunitativo: in effetti la situazione era
molto confusa, tanto che quando il
feudo, nel 1766, fu ereditato da Giuseppa Catalan, si manifestò l’opposizione di Filippo Osorio. Nelle more
della lite, che si protrasse fino al 1798,
il re pensò di riscattare il feudo, ma il
suo progetto non venne realizzato per
cui il villaggio, quando nel 1805 gli Osorio vinsero la causa, dovette riconoscere i nuovi feudatari. Nel 1821 il villaggio fu compreso nella provincia di
Oristano e finalmente nel 1839 fu riscattato agli ultimi feudatari; dopo la
‘‘fusione perfetta’’ nel 1848, quando le
province furono abolite, fu incluso
nella divisione amministrativa di Cagliari. Questi alcuni dei dati e delle osservazioni registrati in questo periodo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Albagiara
da Vittorio Angius: «Questo comune
componesi di circa 88 famiglie, le quali
hanno complessivamente anime 320,
distribuite in maggiori maschi 98, femmine 100, e minori maschi 58, femmine
64. Le medie del movimento danno nascite 16, morti 13, matrimoni 3. Le malattie più frequenti sono infiammazioni d’addome, ostruzione, febbri intermittenti e perniciose. Nelle diverse
professioni si numerano agricoltori 90,
pastori 10, e applicati a vari mestieri
16; le donne lavorano in 74 telai. La
scuola primaria non suole avere più di
6 fanciulli. Il totale di quelli che san
leggere e scrivere non sorpassa i 15. È
coltivata un’estensione di terreno di
circa 1600 starelli, a vigna 90, a orto 6,
e resta incolta per prato una superficie
di circa 270 starelli. I buoi per l’agricoltura possono sommare a capi 100, le
vacche manse a 30, i cavalli 20, i giumenti a 75, quali pascolano nei prati,
nei chiusi e nelle terre incolte. Di bestiame rude si hanno vacche 45, capre
150, pecore 800. L’aria è veramente insalubre dalla fine di maggio all’autunno ben inoltrato, e i passeggeri devon andar con attenzione come in questa, cosı̀ nelle altre parti della valle
usellitana per scansar le febbri, che
possono essere mortifere». Quando
nel 1848 furono ripristinate le province, il villaggio fu assegnato alla provincia di Oristano: peraltro continuò la
propria esistenza di centro di produzione di cereali e la sua popolazione
continuò a essere tormentata dalla malaria, piaga secolare che ne aveva sempre condizionato lo sviluppo. Nel 1927
perse l’autonomia e divenne frazione
di Usellus; dopo l’eradicazione della
malaria le sue condizioni migliorarono
e la popolazione riprese a crescere,
per cui nel 1959 riprese la propria autonomia; nel 1962, dopo molte discussioni, e al fine di evitare omonimie, as-
sunse l’attuale denominazione; nel
1974 entrò a far parte della ricostituita
provincia di Oristano.
& ECONOMIA A. è centro tradizionale
di produzione di cereali; discreta la
produzione del formaggio; vi sono anche alcune imprese commerciali. Artigianato. In passato nel villaggio si sviluppava una certa attività tessile in telai domestici; la tradizione però non si
è conservata.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 292 unità,
di cui maschi 148; femmine 154; famiglie 122. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento con morti per
anno 3 e nati 2; cancellati dall’anagrafe
4 e nuovi iscritti 9. Tra gli indicatori
economici: imponibile medio IRPEF
13 241 in migliaia di lire; versamenti
ICI 127; aziende agricole 77; imprese
commerciali 14; esercizi pubblici 3;
esercizi al dettaglio 3. Tra gli indicatori
sociali: occupati 72; disoccupati 7;
inoccupati 79; laureati 3; diplomati 23;
con licenza media 91; con licenza elementare 93; analfabeti 17; automezzi
circolanti 94; abbonamenti TV 103.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio conserva numerose testimonianze archeologiche, tra cui i nuraghi
Bingias, Furisinu, Lea e San Lussorio.
Di particolare rilievo quest’ultimo, situato alle falde della Giara di Gesturi a
poca distanza dall’abitato. È circondato da un villaggio nuragico costituito
da un certo numero di capanne circolari utilizzate nel periodo del nuragico
finale e poi anche in quello tardopunico. Gli scavi condotti in questo sito
hanno restituito una buona quantità
di ceramica. La presenza di insediamenti di epoca romana è confermata
dai resti dell’antico abitato di Cuccuru
Ruda, lungo la strada per Assolo: tra le
rovine, che si estendono per circa un 1
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 93
Albaguana
ha, sono state rinvenute alcune tombe
e una moneta di bronzo di Agrippina.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’attuale abitato si è costituito
attraverso l’integrazione di quattro vicinati, San Pietro, Pinna Fiscura, Su
Forraxi e Planu Ibba, entro i quali è
disposto il reticolo delle tipiche case a
corte; il monumento più antico è la
chiesa di San Pietro, costruita nel secolo XVI in forme tardogotiche: fu la
prima parrocchiale del villaggio fino
alla costruzione di quella attuale di
San Sebastiano, e attualmente è inclusa nell’area del Cimitero. Nel 1690
fu rinnovata e abbellita grazie all’intervento di alcuni artigiani e artisti locali;
vi si custodisce un interessante retablo. La chiesa di San Sebastiano, l’attuale parrocchiale, fu costruita nel
corso del secolo XVII per venire incontro alle esigenze di una popolazione
aumentata. Ha una sola navata, completata da alcune cappelle laterali e
dal presbiterio; la copertura è in legno.
Le forme della facciata, con impianto
curvilineo e coronamento ad arco riflesso, sono di vaga impostazione barocca. Al suo interno sono conservati
un pulpito ligneo del secolo XVII, l’altare maggiore in marmo della fine del
Settecento e alcune statue lignee dei
secoli XVII e XVIII.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa patronale si tiene il 20 gennaio
ed è dedicata a San Sebastiano. Un’altra festa si celebra a fine settembre per
San Lussorio. In questa occasione, oltre alle cerimonie religiose, si svolgono
numerosi festeggiamenti civili, tra i
quali i balli in piazza e i canti popolari
dialettali. Le festa ha origine da un’antica tradizione in base alla quale il
santo, mentre veniva condotto a Fordongianus per esservi martirizzato, sarebbe stato incatenato a un albero ad
A.; in passato per l’occasione venivano
effettuate spettacolari corse a cavallo.
Albaguana Antico villaggio del giudicato di Gallura. Nel Medioevo appare
genericamente compreso nella curatoria dell’Unali; secondo la stima del Panedda, agli inizi del secolo XIV aveva
tra i 50 e i 100 abitanti; allo stato attuale
delle conoscenze non è possibile identificarne l’esatta ubicazione.
Albanella = Zoologia della Sardegna
Albareale, Giacomo Religioso (?,
prima metà sec. XV-Oristano 1458). Arcivescovo di Oristano nel 1454. Legato
ai Cubello, favorı̀ l’insediamento nel
marchesato dei frati minori osservanti, cui donò una chiesa vicino a Silı̀.
Alberà, Enrico Ufficiale di carriera
(Cagliari 1859-ivi 1941). Completati gli
studi nell’Accademia militare, percorse una brillante carriera. Scoppiata
la crisi tra Bulgaria e Turchia per il
controllo della Macedonia, nel 1904 fu
nominato comandante della missione
italiana nella regione; dopo alcuni
anni, nel 1909, divenne generale della
gendarmeria turca. Tornato in Italia,
prese parte alla guerra italo-turca
(1911-12) e alla prima guerra mondiale.
Albergoni, Giulio Scrittore, pittore (n.
Bitti 1941). Dopo avere studiato arte a
Sassari, è tornato al paese natale dove
ha insegnato Educazione artistica
nella scuola media e ha svolto contemporaneamente attività di pittore e scultore. Tra i suoi libri Quale memoria pro
so’ remitanos (con Natalino Piras),
1982; Sa memoria e i sos contos, 1991;
Pan’e mele, 1999; Calavrina. Saggio bilingue bittese, 1999; XXXV crejas. Le
chiese di Bitti, 2002.
Alberini, Giulio Cardinale (Fiorenzuola d’Arda 1664-Piacenza 1752). Consigliere mandato da Luigi XIV a Madrid al seguito di Filippo V, quando il
sovrano rimase vedovo della prima
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alberti
moglie si adoperò per farlo sposare con
Elisabetta Farnese. Dopo le nozze
(1715), grazie ai favori della nuova regina fu nominato cardinale e primo ministro. Fu la mente organizzativa della
spedizione che Filippo V inviò in Sardegna per riconquistare l’isola. L’impresa militare ebbe un successo completo e la Sardegna tornò nelle mani
del re di Spagna, ma la coalizione delle
grandi potenze, temendo che questa situazione turbasse l’equilibrio europeo, costrinse il re a cedere l’isola nel
1720. Fallito il suo progetto, A. fu costretto a tornare in Italia alla corte
pontificia. Legato pontificio in Romagna e poi a Bologna, fondò il collegio di
S. Lazzaro a Piacenza.
Albero di Giuda – Esemplari durante la
fioritura.
Albero di Giuda Pianta arborea spogliante della famiglia delle Leguminose (Cercis siliquastrum L.). Originaria delle regioni mediterranee orientali, è largamente diffusa in Sardegna:
viene coltivata nel verde urbano, in
orti e giardini, per la bellissima fioritura primaverile, di poco precedente
alla fogliazione. I piccoli fiori rosa intenso sono inseriti direttamente sui
rami, le foglie sono tondeggianti, lisce
sui due lati, i frutti legumi bruno-rossicci che persistono sulla pianta sino
all’inverno. Il nome volgare fa riferimento alla leggenda secondo la quale
Giuda, sopraffatto dal rimorso, si sarebbe impiccato a quest’albero. Il legno è impiegato in lavori di ebanisteria
e al tornio, grazie alla durezza e al bel
colore rosso venato di scuro. Nomi
sardi: áivure ’e Zuda (nuorese); silı́qua
a frori arrùbiu (campidanese); tilı́mba
furistèra (logudorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Alberti, Nino Giornalista (Cagliari
1873-Torino 1948). Nella giovinezza coltivò con successo studi musicali, cimentandosi con qualche buon risultato
anche nella composizione. Dotato di
buona cultura e di penna felice, passò
dalla critica musicale, che peraltro
seppe esercitare con equilibrio, alla
trattazione di numerosi aspetti della
vita culturale del suo tempo. Fu nominato redattore capo de ‘‘L’Unione
sarda’’ nel periodo in cui, a cavallo fra
Ottocento e Novecento, il giornale fu
diretto da Marcello Vinelli. Furono
anni felici, nei quali dalle colonne del
giornale seppe registrare fedelmente
gli umori e le tendenze della vita artistica e culturale di Cagliari durante la
belle époque. Dopo la prima guerra
mondiale si trasferı̀ a Torino dove collaborò come critico musicale a diversi
giornali nazionali, sempre molto apprezzato per la sua competenza. Alcuni
dei suoi numerosissimi scritti, di
grande eleganza formale, sono anche
utili documenti per la ricostruzione
della storia culturale dell’isola durante i primi decenni del Novecento.
Fra di essi, da ricordare: Barbagia,
scene sarde in un atto, 1901; Scene
sarde, versi e musica, 1902; Il maestro
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Alberti
Luigi Canepa, ‘‘L’Unione sarda’’, 1903;
Artisti di Sardegna. Il pittore Melkiorre
Melis, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1915;
L’opera dei nostri artisti nel nuovo palazzo comunale di Cagliari, 1915; Gli artisti di Sardegna dopo la guerra, ‘‘Il
Giornale d’Italia’’, 1919.
Alberti, Ottorino Pietro Religioso (n.
Nuoro 1927). Arcivescovo di Cagliari
dal 1987 al 2003. Nato da famiglia profondamente legata alle tradizioni della
città, seguı̀ studi di agraria presso l’Università di Pisa dove ebbe modo di
farsi notare, scoprendo addirittura un
enzima ignoto nei processi di fermentazione del vino. Dopo la laurea, però,
nel 1956 si fece sacerdote, dedicandosi
con fervore ad attività pastorali e a
studi sulla storia della diocesi di
Nuoro-Galtellı̀. Trasferitosi a Roma,
divenne segretario generale della Pontificia Università Lateranense; collaborò con ‘‘l’Osservatore Romano’’ e
scrisse alcuni volumi di teologia sul
rapporto tra scienza e fede che lo imposero all’attenzione generale per la
loro attualità e profondità. Nello stesso
periodo si dedicò agli studi di storia
della Chiesa dando importanti contributi a opere collettive sulla storia dei
Concili, sulla vita dei santi e sulla storia del Pontificio Ateneo. Questi studi
non gli impedirono di continuare a interessarsi di storia della diocesi di
Nuoro e Galtellı̀ e di approfondire alcuni aspetti della storia della Sardegna con amore e rigore scientifico insieme. Nel 1973 fu nominato vescovo di
Norcia e arcivescovo di Spoleto; preso
possesso della sua sede, diede un impulso notevole allo sviluppo delle due
diocesi. Nel 1987 fu nominato arcivescovo di Cagliari; ha retto la grande
diocesi con impegno, promuovendone
lo sviluppo sul piano pastorale e su
quello culturale e facendosi promotore del concilio plenario sardo; dopo
sedici anni, nel 2003, compiuti i 75
anni, ha lasciato il governo della diocesi. Tra i suoi numerosi scritti, da ricordare, oltre la frequente collaborazione a periodici sardi come ‘‘Frontiera’’ di Remo Branca e ‘‘Il Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, gli studi su
L’Unità del Genere umano nel magistero
della Chiesa, 1961; I vescovi sardi al concilio Vaticano I, 1963; La Sardegna nella
storia dei concili, 1964; Il Cristo di Galtellı̀, 1968; La sommossa de Su Connottu
del 1868. Una lettera di Pio IX che illumina una pagina di storia nuorese,
‘‘Frontiera’’, 4, 1968; Il Nuorese cuore
della Sardegna, 1972; Chiesa e società
sarda tra i due concili regionali 19241990, 1990; La diocesi di Galtellı̀ dall’unione a Cagliari nel 1495 alla fine del
secolo XVI, I, 1, 1993; Scritti di storia civile e religiosa della Sardegna, 1994; Le
confraternite di Genovesi in Sardegna,
in Sardegna, tra Medioevo ed età contemporanea, 2000. Importanti anche le
voci per la Bibliotheca Sanctorum,
1961-1970, sui santi Nicola, Trano, Pio
IX, Pompeiano, Rosa e Platano, Rosula, e quelle numerosissime, per il Dizionario dei Concili, 1963-1968.
Alberto Religioso (m. Torres, sec. XII).
Arcivescovo di Torres dal 1170 al 1178.
Monaco benedettino, nel 1170 rimise il
censo che il monastero di San Pietro di
Nurki doveva versare alla basilica di
San Gavino; durante il suo episcopato
l’Ospedale di San Leonardo di stagno
di Pisa ricevette in dono da Barisone,
giudice di Torres, la domus di Bosove
con il preciso impegno di costruirvi un
lebbrosario. [MASSIMILIANO VIDILI]
Alberto di Sicilia, santo (Alberto degli
Abati ) Santo (Trapani 1212-Messina
1307). Carmelitano, sacerdote, teologo,
a Messina, dove visse e morı̀ si dedicò
moltissimo alle conversioni. Il suo
culto è stato confermato nel 1457 e nel
1476. A Cagliari, nella chiesa della Ma-
88
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 96
Albizzati
donna del Carmine, è raffigurato nel
retablo attribuito a Francesco Pala
(1600 ca.). [ADRIANO VARGIU]
zione della Tunisia. Nella battaglia di
Lissa, durante la terza guerra d’indipendenza (1866), fu accusato di aver
fatto muovere in ritardo la sua flotta in
soccorso dell’ammiraglio Persano. Collocato a riposo, morı̀ dieci anni dopo a
Cassano Spinola.
Albis Titolo marchionale. Fu concesso
nel 1643 ai Manca Guiso in riferimento
al grande feudo da loro posseduto nel
Nuorese, che comprendeva i villaggi di
Orosei, Galtellı̀, Dorgali, Irgoli, Loculi,
Lula, Onifai. All’estinzione dei Manca
Guiso con la morte di Raffaele nel 1788
il feudo fu considerato devoluto. La sorella del defunto, Maddalena sposata
Amat, vi si oppose, e nel 1790 vide riconosciuto il suo diritto alla successione,
ma non fu in grado di pagare le somme
convenute col fisco per ottenere il possesso del feudo, per cui nel 1808 i villaggi furono definitivamente confiscati; alla famiglia Amat rimase solo il
titolo, col predicato di Albis.
Giovanni Battista Albini – Ammiraglio
maddalenino, fu decorato con la medaglia
d’oro al V.M. per il ruolo avuto nel 1860
nell’espugnazione di Ancona.
Albizzati, Carlo Archeologo (Milano
Albini, Giovanni Battista Conte, ammiraglio (La Maddalena 1812-Cassano
Spinola 1876). Figlio dell’ammiraglio
Giuseppe, seguı̀ la carriera del padre.
Entrato giovanissimo nella Marina militare del Regno di Sardegna, partecipò già nel 1848 alle operazioni nell’Adriatico, e nel 1849 fu a Oporto per riportare in patria la salma di Carlo Alberto. Nel 1860 partecipò all’espugnazione di Ancona e fu per questo decorato di medaglia d’oro al V.M. Nel 1862
tentò invano di dissuadere Garibaldi
dall’impresa che portò alla sconfitta
dell’Aspromonte. Nel 1864 comandò,
col grado di viceammiraglio, la squadra navale italiana inviata a Tunisi,
elaborando un piano (non preso in considerazione) per lo sbarco e l’occupa-
1880-ivi 1950). Iniziò la sua carriera accademica nell’Università di Messina.
Quando nel 1925 fu ricostituita la Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, fu chiamato a insegnarvi Archeologia ed Epigrafia greca e latina.
Dopo alcuni anni fu trasferito all’Università di Pavia, dove operò fino al 1947
per passare poi a quella di Milano. Autore di numerose pubblicazioni, durante il suo soggiorno in Sardegna studiò con interesse alcuni aspetti dell’archeologia sarda, tra cui le iscrizioni
della Grotta della Vipera. Tra i suoi
scritti riguardanti la Sardegna, da ricordare Osservazioni sopra la Grotta
della Vipera, ‘‘Annali della Facoltà di
Lettere e Filosofia della Università di
Cagliari’’, I-II, 1926-1927; Per la datazione delle figurine protosarde, ‘‘Historia’’, II, luglio-settembre 1928; Arche di
Sardegna, ‘‘Mediterranea’’, III, 9, 1929;
89
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 97
Albucio
A proposito dei bronzi sardi, ‘‘Historia’’,
IV, 2, 1930; Analecta, note sulla cronologia dei nuraghi, ‘‘Athaeneum’’, 1930; Il
mobile caratteristico della Sardegna,
‘‘Historia’’, IV, 6, 1930; Notula Sardonica, ‘‘Historia’’, IV, 1930.
Albucio, Tito Funzionario romano,
forse pretore in Sardegna nel 107 a.C.
e propretore nell’anno successivo.
Condusse azioni militari contro le popolazioni indigene ribelli. Cicerone,
commentando queste attività, pone
l’accento sulla differenza tra le azioni
militari condotte in Sardegna, per le
quali erano sufficienti un propretore
con una sola coorte ausiliaria, e quelle
condotte in Siria contro re potenti e milizie più agguerrite e preparate. In
questo modo Cicerone non solo metteva in evidenza la presunzione di A.,
che aveva osato celebrare a Carales
una sorta di trionfo privato, senza il
permesso del Senato, ma anche il fatto
che egli aveva avuto a che fare semplicemente con dei mastrucati latrunculi,
ovvero briganti vestiti di pelli, e non
certo con un esercito organizzato. Alla
fine del suo mandato, i sardi accusarono A. di concussione. Il processo avvenne probabilmente tra il 105 e il 104
a.C., ma l’orazione Pro Sardis, pronunciata dall’accusatore Giulio Cesare
Strabone, zio di Giulio Cesare, è andata
perduta. Nella fase iniziale del processo si tentò un’azione diversiva facendo presentare in veste di accusatore Cn. Pompeo Strabone (padre di
Pompeo Magno), che era stato suo questore, e dunque forse a conoscenza
delle azioni illegali commesse dal suo
superiore. Chiaramente, se fosse stata
accolta la sua candidatura ad accusatore, il processo si sarebbe orientato
fin dalle prime battute in modo scandalosamente favorevole a A. Fu invece accolta la richiesta di Giulio Cesare Strabone, cui seguı̀ l’accusa vera e propria.
Alla fine delle varie fasi del processo, il
pretore raccolse i voti dei membri
della giuria, che si espressero a maggioranza per la condanna. A. scelse l’esilio, con il divieto di rientrare in patria, pena la morte, e decise di recarsi
ad Atene, dove poté dedicarsi agli
amati studi di filosofia in perfetta serenità d’animo. [ESMERALDA UGHI]
Alburea Antica forma gallurese di
enigma-indovinello in versi, rimasto
in uso sino ad alcuni anni fa – secondo
lo studioso di tradizioni popolari Andrea Mulas, professore all’Università
‘‘La Sapienza’’ di Roma – soltanto
presso alcuni poeti di parlata gallurese
residenti a Luras. Chi formula l’indovinello dice tre versi: la soluzione sta in
un verso, in genere di tre parole, che
mescolate tre volte danno tre versi di
rima differente, da incastonare tra un
verso e l’altro della terzina ‘‘di sfida’’,
rispettandone il sistema di rime. Un
esempio può rendere meglio l’idea. È
un’a. composta dal poeta lurese Paolino Pirisinu davanti al noto studioso
Alfonso M. Di Nola: «M’hana nadu chi
Johnso’ / cando fit minore / ballaia sa
samba». Il verso-chiave è costruito
sulle parole Alfonso, professore, in
gamba, la soluzione è: «M’hana nadu
chi Johnso’ / professore in gamba est Alfonso / cando fit minore / Alfonso in
gamba est professore / ballaia sa samba
/ Alfonso est professore in gamba».
Straordinario reperto d’un mondo
analfabeta in cui il possesso della parola era tutto (v. A. Mulas, L’enigma poetico: l’«alburea» gallurese, 1987).
Alcaico Antico villaggio del giudicato
di Gallura compreso nella curatoria
della Balariana. Un tempo fiorente, cominciò a spopolarsi agli inizi del Duecento e fu abbandonato subito dopo la
metà del secolo.
Alcaide1 Funzionario che comandava
le guardie di un castello o di una for-
90
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 98
Alciator
tezza; in Sardegna compare per la
prima volta nel secolo XIV dopo la conquista aragonese. Era nominato direttamente dal re e aveva una funzione
differente rispetto a quella affidata al
castellano: il suo compito principale
consisteva nel custodire la fortificazione e in particolare le sue porte (a.
del Castello di Cagliari) con un’adeguata guarnigione. Col tempo la funzione della custodia delle porte divenne preminente e l’a. finı̀ per diventare il funzionario che regolava l’accesso alla fortezza anche mediante
l’imposizione di tributi; l’ufficio in alcuni casi fu concesso ereditariamente,
come ad esempio avvenne a Cagliari
con la famiglia Zapata, che ne trasse
notevoli profitti. A partire dalla seconda metà del secolo XVI, con la costruzione delle torri costiere destinate
alla difesa delle coste dalle incursioni
dei corsari barbareschi, fu istituita
una nuova figura di a. Il nuovo funzionario aveva compiti e ruolo radicalmente diversi rispetto a quelli dell’a.
tradizionale e i suoi doveri furono minutamente regolamentati. L’a. divenne
un funzionario militare nominato dal
viceré e posto a capo di una delle torri
più importanti o di un gruppo di torri
secondarie e vicine tra loro. Il suo compito era quello di comandare la guarnigione dislocata nelle torri che da lui
dipendevano, di provvedere al coordinamento delle operazioni di difesa in
caso di sbarco dei corsari e di coordinare l’azione dei miliziani che fossero
accorsi dai villaggi vicini. In tempo di
pace aveva anche il compito di reprimere il contrabbando.
Alcalde2 Termine del linguaggio giuridico spagnolo che in Sardegna era genericamente riferito a un giudice o a
un delegato di giustizia che aveva giurisdizione su una parte di territorio o
su un’attività o un ufficio (alcaldia o alcadı̀a).
Alcazar y Nero Famiglia feudale spagnola. Nel 1863 ereditò dai Masons i titoli di marchese dell’Isola Rossa, conte
di Montalvo, conte del Castillo, barone
di Posada, barone di Senis e signore
del castello della Fava, che la famiglia
nel corso dei secoli aveva ottenuto su
feudi sardi.
Alchechengi, Falso Piccolo cespuglio
dai rami legnosi, ricoperti di peli stellati. Appartiene alla famiglia delle Solanaceae (Physalis somniphera L.) e si
trova in pochissimi esemplari lungo un
corso d’acqua del Nuorese. I fiori piccoli, ascellari, fioriscono dai mesi
estivi sino a dicembre inoltrato. La
sua importanza è dovuta alle sue proprietà medicinali, oggetto di studi da
parte di botanici e biochimici. Si suppone che siano simili a quelle della
specie affine, Physalia alkekengi, presente soltanto in coltivazioni: gli infusi
e i decotti di steli e foglie hanno proprietà calmanti e antinfiammatorie. Il
frutto, una bacca rosso-arancio circondata da involucri membranosi e trasparenti, viene usato come guarnizione di pietanze e negli addobbi natalizi. Nome sardo: tutússu. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Alciator (o Alziator) Famiglia cagliaritana (sec. XVI-esistente). Compare nel
corso del secolo XVI come componente
della fiorente colonia ligure della
città; gli A. erano mercanti e alla fine
del Cinquecento figuravano tra i più
influenti membri dell’Arciconfraternita dei Genovesi. La posizione economica raggiunta dalla famiglia si deduce dall’ammontare delle contribuzioni che essi fecero alla colletta per
la costruzione della chiesa di Santa Caterina. Pur non essendo nobili, nel
corso del secolo XVII alcuni di essi ricoprirono importanti uffici pubblici,
91
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 99
Alcioni
come Giovanni Maria che nel 1639 fu
nominato coadiutore del maestro razionale. Fu probabilmente suo figlio, il
dottor Gaspare Valerio, curatore del
Regio Patrimonio e giudice della
Reale Udienza, che nel 1681 ottenne il
cavalierato ereditario. I suoi discendenti continuarono a risiedere a Cagliari e nel corso dei secoli espressero
alcune personalità di rilievo nella vita
pubblica e nella cultura, come Francesco Alziator (1909-1977).
edizione del concorso letterario nazionale per inediti ‘‘Junturas’’ di Orani
(opera pubblicata nel 2003). Ha scritto
anche un libro per ragazzi, Il segreto
della casa abbandonata (2004); e, in collaborazione con Antonimaria Pala, un
romanzo in sardo, Addia (2004), dove
l’uso del campidanese da parte sua e
del logudorese da parte del coautore è
introdotto per additare esplicitamente
la possibilità di una unificazione linguistica e la sostanziale unità della nazione sarda.
Aleardo Religioso (?, prima metà sec.
XIII-Oristano, 1268 ca.). Appartenente
all’ordine dei Francescani, era vescovo di Ragusa quando nel 1268 fu nominato arcivescovo di Oristano da Clemente IV. Giunto in Sardegna, vi morı̀
pochi mesi dopo.
Aledda, Aldo Saggista (n. Sassari 1946).
Paola Alcioni – Poetessa e narratrice in sardo
e in italiano, ha vinto il premio ‘‘Junturas’’ nel
2002 col romanzo La stirpe dei re perduti.
Alcioni, Paola Poetessa e scrittrice bilingue (n. Cagliari 1955). Ha compiuto il
suo apprendistato partecipando attivamente ai concorsi letterari in lingua
sarda e, utilizzando la variante campidanese, si è affermata nei maggiori,
quali il ‘‘Posada’’, il ‘‘Romangia’’ di
Sennori-Sorso e l’‘‘Ozieri’’. Anche la
sua prima affermazione come narratrice in lingua italiana è legata a un
premio letterario: col romanzo La
stirpe dei re perduti, una saga familiare
che ha per sfondo la Sardegna della dominazione iberica del Settecento e del
Novecento, ha vinto nel 2002 la prima
Funzionario dell’amministrazione regionale, studioso di problemi sociali,
per alcuni anni ha fatto parte della
commissione scientifica della Regione
incaricata di studiare il fenomeno dell’emigrazione sarda. Dal 1983 ha lavorato presso il Fondo Sociale istituito
dalla Regione per l’assistenza agli emigrati, dirigendolo per alcuni anni. Il
suo incarico gli ha permesso di incontrare le varie comunità sarde nel
mondo e di farsi una larga esperienza
del problema. Alcuni dei suoi scritti
sono di grande utilità per la ricostruzione della storia dell’emigrazione in
Sardegna. Ha anche insegnato Storia
dello sport all’Isef di Cagliari. Tra i
suoi scritti, Breve storia dello sport in
Sardegna, 1982; I sardi nel mondo,
1991; Nel sacro recinto di Olimpia. Per
una storia sociale dello sport, 1991; La
sfinge di carta, 1994, un arguto pamphlet sulla burocrazia della Regione
sarda ‘‘vista dal di dentro’’.
Aleffi, Giuseppe (detto Pino) Ufficiale
dei carabinieri (n. Asmara 1939). Dopo
92
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 100
Aleo
essersi diplomato è entrato nell’Arma
dei Carabinieri percorrendo una brillante carriera. Stabilitosi in Sardegna
nel 1966, ha ricoperto importanti incarichi fino a dirigere la Scuola allievi
carabinieri di Iglesias. Candidato nel
Polo delle Libertà, nel 1996 è stato
eletto deputato per la XII legislatura
repubblicana nel collegio di Guspini.
Nelle elezioni del 2001 non è stato riconfermato.
Alegre, Francesco Religioso (?, prima
metà sec. XIV-Villa di Chiesa 1364). Entrato nell’ordine domenicano, fu eletto
provinciale; nel 1359 fu nominato vescovo di Sulci da Innocenzo VI. Raggiunta la sua diocesi, si stabilı̀ a Villa
di Chiesa, che pochi anni dopo fu investita dalla seconda guerra tra Mariano
IVe Pietro IV.
Aleman Famiglia cagliaritana di origini genovesi (secc. XVII-XVIII). Trapiantata a Cagliari nel corso del secolo
XVII da Pietro, uno dei mercanti attirati in Sardegna dalle possibilità di investimenti vantaggiosi. Una volta radicato a Cagliari Pietro seppe intessere
utili alleanze con altre famiglie della
borghesia e fece studiare suo figlio Stefano che, dopo aver conseguito la laurea in Legge, entrò nella carriera giudiziaria e divenne assessore del vicario reale di Cagliari. Avvocato fiscale,
nel 1661 ottenne il cavalierato editario; nel 1668 sostenne la pubblica accusa nel processo contro il marchese
di Cea e nel 1669 fu nominato giudice
della Reale Udienza. La famiglia si
estinse nel 1734 con un Giovanni Battista.
Alemena, Bernardino Giurista (Cosenza 1861-ivi 1915). Può essere considerato uno dei fondatori della scuola
critica del diritto penale. Nel corso
della sua brillante carriera accademica ebbe una breve esperienza in Sardegna (nel 1898 insegnò Diritto e pro-
cedura penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari). Nell’anno successivo si trasferı̀
a Modena, ma del soggiorno in Sardegna rimane testimonianza in molti articoli che pubblicò ne ‘‘La Nuova Sardegna’’.
Aleo Famiglia cagliaritana di origini
catalane (secc. XVI-XVII). Le prime notizie risalgono agli inizi del secolo XVI:
di condizione borghese, raggiunse in
pochi decenni una posizione di rilievo
nella vita della città. Il primo personaggio noto di questo primo periodo fu
Salvatore, che nel 1510 fu nominato segretario ordinario della Luogotenenza
generale. Probabilmente era uno di
quei funzionari venuti dalla Spagna
per rendere più efficace l’amministrazione reale; i suoi figli furono personaggi di spicco nella vita di Cagliari e
radicarono definitivamente la famiglia in città. Di essi Michele prese
parte all’impresa di Tunisi e nel 1536
ottenne il riconoscimento della nobiltà; Francesco nel 1538 ereditò l’ufficio di segretario ordinario della Luogotenenza generale; Salvatore divenne
coadiutore del maestro razionale e nel
1544 fu nominato maestro razionale;
sposando una Margens si legò a una
delle più potenti consorterie dell’aristocrazia cagliaritana e alcuni anni
dopo ottenne il cavalierato ereditario.
Suo figlio Francesco nel 1564 fu ambasciatore di Cagliari presso Filippo II
per definire gli obblighi della città nei
confronti dell’amministrazione reale;
nel 1583 fu nominato coordinatore
della contabilità della città. Furono
suoi nipoti un altro Francesco, dotto
giureconsulto, e Giorgio, autore di importanti opere sulla Sardegna, col
quale la famiglia si estinse.
Aleo, Francesco Giureconsulto (Cagliari, seconda metà sec. XVI-ivi,
dopo 1641). Visse a Cagliari e dopo es-
93
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Aleo
sersi laureato si diede all’esercizio
della libera professione, raggiungendo una grande notorietà, per cui
fu chiamato a insegnare diritto all’Università di Cagliari, allora nella sua
fase di avvio. Studioso di valore, nel
1637 pubblicò il trattato Consilia diversorum auctorum in unum congesta
e successivamente numerose memorie i cui manoscritti sono attualmente
custoditi nella Biblioteca Universitaria di Cagliari, utili per lo studio della
cultura del secolo XVII in Sardegna.
Fra gli scritti legati alla sua attività di
avvocato, Por don Pedro Angel Mura
ciudadano de la mag. ciudad de Oristano contra Estevan Atzori de dicha
ciudad, 1636; Por Pedro Maria Aleman
mercader de la presente ciudad de Caller contra Hyeronimo Morteo heredero
de quondam Juan Baptista Morteo,
1640; Causa de visita y defença de ministros de iusticia, 1641.
Aleo, Giorgio Storico (Cagliari 16101685). Frate cappuccino, visse serenamente nella sua città dedicandosi agli
s t u d i di s t o r i a c h e p r e d i l i g e v a .
Quando era rettore del convento di S.
Benedetto, nel 1671, fu sospettato di
essere coinvolto nell’affare Camarassa, che aveva turbato gravemente
la vita politica della città alcuni anni
prima. Fu pertanto esiliato a Castel
Vetrano dal viceré duca di San Germano e per alcuni anni visse in Sicilia
dove portò a termine la stesura delle
sue due opere principali, Historia cronológica y verdadera de todos los sucesos y casos particulares sucedidos en la
Isla y Reyno de Sardeña del año 1637 al
año 1672, manoscritto Sanjust del secolo XVII, Biblioteca Universitaria di
Cagliari (dell’opera, composta fra il
1672 e il 1673, esiste ora anche una
traduzione a cura di F. Manconi, Storia cronologica e veridica dell’isola e
Regno di Sardegna dall’anno 1637 al-
l’anno 1672, 1998) e Sucessos generales
de la Isla y Reyno de Sardeña, che per
la sua morte non fu mai pubblicata.
Solo nel 1675 gli fu consentito di tornare a Cagliari e di riprendere la sua
vita tranquilla e i suoi studi. Sui Sucessos generales, che rivendicavano
«certi titoli patrimoniali della Chiesa
sarda a danno degli interessi della
Corona» spagnola (F. Manconi) cadde
l’interdizione del re che, aggiunta
alla previsione di alti costi editoriali,
ne impedı̀ la pubblicazione. F. Manconi cita anche una nota di Matteo
Luigi Simon secondo cui, in età sabauda, «gli agenti piemontesi ebbero
sempre cura di ritirare dalla circolazione tutti gli esemplari che poterono
procurarsi». Altrettanto accadde alla
Historia cronológica che pure – secondo Manconi – «è un documento
che permette all’indagine storica di
recuperare dati sconosciuti, di mettere a fuoco personaggi, titoli e cariche importanti per un approccio prosopografico, di conoscere piccole
realtà sociali ed umane rimaste in
ombra nelle carte degli archivi pubblici».
Alepus Famiglia valenzana (secc. XVXVI). Originaria di Morella, si trasferı̀
a Cagliari nel corso del secolo XV; era
di condizione borghese e nel 1505 uno
dei suoi membri fu eletto consigliere
della città. Poco tempo dopo la famiglia si trasferı̀ a Sassari imparentandosi con i Manca e nel 1526 ottenne il
riconoscimento della nobiltà con Francesco, fratello di Salvatore, arcivescovo di Sassari.
Alepus, Salvatore Religioso (Valencia,
inizi sec. XVI-Sassari 1566). Arcivescovo di Sassari dal 1524 al 1566. Uomo
di grande cultura e di profondo rigore
morale, nel 1524, all’età di circa 21
anni, fu nominato arcivescovo di Sassari con la clausola che sarebbe rima-
94
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ales
sto solamente amministratore dell’archidiocesi fino all’età di 27 anni, dopo
la quale fu ordinato vescovo. Legato al
viceré Antonio Cardona, lo sostenne
nella sua opera di riforma dell’amministrazione e di moralizzazione dell’ambiente politico, provocando cosı̀
la reazione delle consorterie nobiliari
di Sassari nei suoi confronti. Partecipò
alla prima (1545-1547) e alla seconda
(1551-1557) sessione del concilio di
Trento, dove si distinse per la sua dottrina; al suo ritorno ebbe dei contrasti
con alcuni canonici del capitolo turritano sanati grazie all’intervento di Pio
IV. Celebrò sinodi e compı̀ visite pastorali con l’intento di applicare le riforme tridentine. Compose diverse
opere, tra le quali l’Officium dei santi
martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario, del quale non è rimasta copia,
e alcuni discorsi. Scomparve nel 1566.
[MASSIMILIANO VIDILI]
Ales – Piazza Gramsci. Il monumento di Giò
Pomodoro ad Antonio Gramsci, che qui
nacque nel 1891.
Ales Comune della provincia di Oristano, sede della XVII Comunità montana, con 1599 abitanti (al 2004), posto a
194 m sul livello del mare alle falde
sud-orientali del monte Arci. Regione
storica: Parte Usellus. Sede della diocesi di Ales-Terralba.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 21,65 km2. Ha forma allungata nella
direzione da sud-est a nord-ovest e
confina a nord con Pau e Villa Verde, a
est con Usellus e Gonnosnò, a sud con
Baressa e Simala, a ovest con Pompu,
Morgongiori e Santa Giusta. Parte di
questa area è occupata dai rilievi del
monte Arci, tutto di origine vulcanica,
tra i quali le cime di Conca Mraxi, 672
m, Pitzu Teneru, 500, e Conca de Seda,
789. Numerosi i giacimenti dell’ossidiana, la pietra lavica molto ricercata
in epoca preistorica, mentre alle falde
del monte si annoverano importanti
sorgenti che danno vita ad alcuni corsi
d’acqua. Per il resto il territorio di A. è
occupato tutto da rilievi collinari. Il
paese è servito dalla statale 442 UrasLaconi, dalla quale in questo punto si
dipartono le secondarie per Sardara,
per Pau e Villa Verde e per il monte
Arci.
& STORIA L’attuale centro ha origini
altomedioevali ed è posto in posizione
strategica nel giudicato d’Arborea; l’abitato, protetto dal castello di Barumele, era compreso nella curatoria di
parte Usellus. Dopo che la città di Usellus decadde definitivamente, A. divenne il capoluogo amministrativo
della curatoria e, a partire dal 1195, la
sede della diocesi. Nei secoli successivi la sua importanza crebbe. Dopo la
caduta del giudicato d’Arborea, trascorsi i primi anni di tensione politica,
fu amministrato direttamente dalla
Corona e, prima del 1430, compreso
nei territori concessi in feudo a Eleonora Manrique, andata sposa a Berengario Bertran Carroz. In questo modo
A. entrò a far parte della contea di
Quirra e sotto i Bertran Carroz mantenne la sua importanza. Soprattutto
la contessa Violante II, che secondo
una tradizione amava risiedervi, avviò
la ristrutturazione della cattedrale dedicata a San Pietro. Nel secolo successivo A. passò dai Bertran Carroz ai Cen-
95
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Ales
telles, che dotarono la sua chiesa di
ricche suppellettili. Agli inizi del Cinquecento il paese era semispopolato:
sembra che la cattedrale fosse isolata,
nei decenni successivi però i nuovi feudatari e il vescovo ne favorirono il ripopolamento che alla fine del secolo si
poté dire concluso. I Centelles si estinsero nel 1676, lasciando eredi i Borgia;
fu in questo periodo che per impulso di
monsignor Diego Cugia la cattedrale fu
rifatta nelle forme attuali da Domenico Spotorno e furono costituite le
scuole vescovili. La successione dei
Borgia fu contestata dai Catalan che,
dopo una lunga lite, riuscirono a venirne in possesso nel 1726; dai Catalan
alla fine del secolo XVIII passò agli
Osorio; negli stessi anni vi furono istituiti il Consiglio comunitativo e la
giunta che governava il Monte granatico, istituzioni che contribuirono a
modernizzare la vita della comunità.
Nel 1821 A. divenne capoluogo di mandamento e fu compresa nella provincia
di Oristano, nel 1839 si riscattò dagli
ultimi feudatari. Abolite le province,
nel 1848, fu inclusa nella divisione amministrativa di Oristano fino al 1859. Di
questo periodo sono le osservazioni di
Vittorio Angius, dal tono prevalentemente negativo: «Vi sono da 280 case;
le vie sono senza selciato o lastrico,
polverose in estate quanto fangose in
inverno. Non vi è alcun palazzo rimarchevole, né pur l’episcopio, che è una
casa a pian terreno di poca comodità, e
indegna di alloggiare un personaggio
di alto grado. Il paese, cui fanno corona
cinque eminenze o piccoli colli, risentesi di molta umidità, cui aumenta un
ruscello che viene dalla montagna, Il
vento che più vi signoreggia è il scirocco. L’aria è infamata meritatamente
come una delle più insalubri. Quindi
più che i raffreddori, catarri e punte
dominano le febbri intermittenti, e
più spesso le perniciose. Pochi sono
che esercitino le arti più necessarie
agli usi della vita: vi è molta oziosità, e
piace soprattutto mendicare che procacciarsi coi propri sudori la sussistenza. Le donne, come in ogni altro
paese, attendono ai telai, il cui numero
non avanza di molto li 200. Quel che vi
abbia di meglio in questo luogo si è la
chiesa cattedrale e insieme parrocchiale. La maggior parte dell’alese è
atto al seminario, specialmente del
grano e delle fave; il restante fruttifica
più seminato a orzo, o a ceci. La vite
alligna da per tutto, e perciò si coltiva
da molti. Il bestiame pascola nei campi
e terreni incolti, e nel prato, a riserva
delle cavalle e delle capre, che per la
maggior parte dell’anno nutronsi in
territorio altrui. Il numero delle cavalle arriva a 100, dei buoi a 160, dei
tori a 100, delle pecore a 1400, delle capre a 1000, dei porci a 300». In seguito
A. fu compreso nella provincia di Cagliari fino al 1974, anno in cui, ricostituita la provincia di Oristano, tornò a
farne parte.
& ECONOMIA L’attività principale di A.
è tradizionalmente la produzione dei
cereali, vi è anche ben sviluppata la
frutticoltura; nel corso del secolo XX
infine è divenuta sede di numerose
piccole attività manifatturiere e ha
una discreta rete commerciale. Artigianato. Si ha memoria della esistenza
ad A. di un’antica tradizione dl ricamo
a filet che però attualmente sembra dimenticata. Oggi prevalgono l’edilizia e
le altre produzioni al servizio di questa.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1664 unità,
di cui stranieri 1; maschi 822; femmine
842; famiglie 580. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con
morti per anno 13 e nati 14; cancellati
dall’anagrafe 45 e nuovi iscritti 17. Tra
96
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 104
Ales
gli indicatori economici: depositi bancari 25 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 16 086 in migliaia di lire;
versamenti ICI 687; aziende agricole
251; imprese commerciali 104; esercizi
pubblici 1; esercizi all’ingrosso 3; esercizi al dettaglio 42; ambulanti 9. Tra gli
indicatori sociali: occupati 461; disoccupati 48; inoccupati 143; laureati 31;
diplomati 231; con licenza media 502;
con licenza elementare 476; analfabeti
86; automezzi circolanti 535; abbonamenti TV 506.
Ales – La cattedrale fu edificata in forme
barocche nel Seicento su disegno del genovese
Domenico Spotorno.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva numerose tracce del
periodo romano. Importante è anche
il sito in cui si trovano le rovine del castello di Barumele: l’edificio, che sorgeva su un colle a poca distanza dall’abitato, era un piccolo avamposto militare costruito in età giudicale, attualmente ridotto a pochi ruderi di una
torre a pianta ottagonale. Appartenne
alla contessa Violante Carroz e secondo la tradizione a una finestra del
castello venne trovato impiccato un
prete che si sarebbe suicidato per
amore di Violante; ma la donna fu imprigionata perché accusata di averlo
fatto uccidere.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il più importante mo&
numento del villaggio è la cattedrale
di San Pietro: costruita prima del secolo XI, fu sede del vescovo di Usellus; tra il secolo XIV e il XV l’edificio
fu inglobato in un altro di proporzioni
maggiori, che però crollò entro la fine
del Quattrocento. Agli inizi del XVI fu
ricostruito a opera della contessa
Violante Carroz, ma alla fine del secolo fu ancora una volta distrutto da
un incendio. In seguito fu ricostruito
e ha assunto le forme attuali con l’intervento dell’architetto Domenico
Spotorno a partire dal 1686. Annesso
alla cattedrale è il Museo diocesano,
le cui collezioni sono custodite in due
ambienti: la sacrestia dei canonici,
arredata con bei mobili intagliati del
Seicento, dove è custodito tra le altre
cose un magnifico crocifisso in legno,
insieme a paramenti dei secoli XVI,
XVII e XVIII; nell’Archivio capitolare, invece, sono custodite le argenterie di cui il Duomo è dotato, in
buona parte opera di botteghe sarde.
I pezzi di maggiore interesse sono un
reliquiario e un crocifisso astile del
secolo XV di scuola cagliaritana, un
calice gotico del Cinquecento, sempre di scuola cagliaritana, più anfore
e altri calici, arredi, candelabri, e ancora tre anfore olearie cesellate del
Seicento, opera dell’argentiere Giovanni Mameli, e numerose statue lignee dei secoli XVI e XVII. Sempre
accanto alla cattedrale sono il Seminario Tridentino e gli Archivi, ospitati in un palazzo costruito nel 1703 e
completato nel 1825; di particolare
interesse è l’Archivio Storico diocesano che comprende materiali provenienti dall’Archivio della Curia vescovile e da quello del Capitolo. Recentemente i fondi documentali dei
due archivi sono stati riordinati secondo criteri scientifici e aperti al
pubblico. Frequentatissimi da stu-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 105
Alesani
diosi e studenti universitari, contengono importanti documenti collocabili tra il secolo XV e il XIX, di grande
utilità per ricostruire la storia locale.
Attiguo al Duomo è anche l’oratorio
della Madonna del Rosario, costruito
anch’esso nel Seicento in forme baroccheggianti. L’interno è ricco di decorazioni marmoree e sormontato da
una cupola; la facciata è abbellita da
un campanile a vela, da due portali
architravati e da una grande finestra.
Altro interessante monumento di A. è
la piazza Gramsci, scenograficamente
disposta all’ingresso del paese per
chi arriva da Uras. Fu realizzata nel
1977, in occasione del quarantesimo
anniversario della morte del grande
intellettuale, a opera del celebre
scultore Giò Pomodoro. Tutta in pietra calcarea e granito di colore
chiaro, si presenta come un ‘‘piano
d’uso’’ popolato da simboli della civiltà e dell’economia locali; Gramsci,
che era nato in questo villaggio nel
1891, è ricordato con un cerchio di
pietra spezzato appoggiato su un basamento quadrato. Nella vicina frazione di Zeppara è stato aperto da
poco, nei locali ormai inutilizzati di
una scuola, l’interessante Museo del
giocattolo tradizionale della Sardegna, mentre nel nucleo principale ha
sede il Museo cinematografico di A.,
che raccoglie, oltre a pubblicazioni
sull’argomento, pellicole e macchine
da proiezione. Il paese è infine punto
di partenza per numerose escursioni
sul monte Arci, dove, oltre a visitare
le cave di ossidiana e raggiungere boschi e fonti di grande pregio naturalistico, si gode della vista sulle regioni
sottostanti.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Il patrimonio delle tradizioni popolari è
costituito principalmente dalla pratica del ballo e del canto che, molto
comune in passato, rivive attualmente in alcune feste popolari. Tra
queste quella di San Sebastiano, che
si svolge il 20 gennaio: per l’occasione
si tiene il tradizionale falò in piazza e
i presenti eseguono il ballu tundu. Caratteristica è anche la festa della Madonna di Acquafrida che si svolge
nella prima domenica di agosto in un
suggestivo parco sul monte Arci e culmina in una processione nel bosco cui
seguono interessanti manifestazioni
folcloristiche. Ad A. si tiene invece in
una data mobile di primavera quella
del Corpus Domini.
Alesani – Arma. Mercanti di origine ligure,
ottennero la nobiltà nel 1752.
Alesani Famiglia ligure (secc. XVIIXVIII). Si trasferı̀ a Cagliari alla fine
del secolo XVII e avviò in città una fiorente attività commerciale. Nel corso
del secolo XVIII raggiunse una posizione economica di particolare rilievo
e nel 1752 ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Raimondo; si
estinse alla fine del secolo.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ales-Terralba
cessore Giulio II nel 1503. [MASSIMILIANO VIDILI]
Alessandro, santo Santo (m. 250). Mar-
Alessandro III – Al secolo Rolando Bandinelli,
fu papa dal 1159 al 1181. Incisione.
tire cristiano di Alessandria d’Egitto,
carbonaio (perciò soprannominato ‘‘il
Carbonaio’’) a Comana nel Ponto, dove
si era trasferito dopo aver venduto i
beni ereditati dalla sua nobile e ricca
famiglia e distribuito il ricavato ai poveri. Da San Gregorio taumaturgo (213270) fu consacrato vescovo di Comana.
Sotto la persecuzione di Decio fu arrestato, incatenato, torturato, gettato
nella calce viva, che spense la sua vita
e consumò il suo corpo, il 12 dicembre
del 250. Compagno di martirio, Sant’Epimaco d’Alessandria. Qualche agiografo sostiene che morı̀ arso vivo sotto
Aureliano, imperatore romano dal 270
al 275, per essersi opposto al culto del
Sole. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 15 novembre a Guspini.
Alessandro III Papa dal 1159 al 1181
Alessandro Siciliano, santo Santo (m.
(Siena, 1110 ca.-Civita Castellana
1181). In reazione all’attribuzione del
titolo di rex Sardiniae a Barisone I d’Arborea nel 1164 e soprattutto della successiva infeudazione dell’isola ai Pisani nel 1165, A. III per la prima volta
rivendica la proprietà della Sardegna
in nome della Sede apostolica, nel
1167-68, quando scrive all’arcivescovo
di Genova rivelandogli la sua preoccupazione per un tentativo dei Pisani di
sottrarre la Sardegna «dominio et iurisdictioni Sancti Petri».
Tunisi 1312). Mercedario, morto sul
rogo, dopo aver redento un’infinità di
schiavi. È considerato protomartire
dei Mercedari di Cagliari. [ADRIANO VAR-
Alessandro VI Papa dal 1492 al 1503
(Xàtiva, Spagna, 1431-Roma 1503). Nel
1493 Ferdinando II, re d’Aragona, gli
presentò il suo progetto di riforma
della mappa ecclesiastica della Sardegna. Le trattative tra il papa e il re aragonese si protrassero a lungo: la revisione delle circoscrizioni ecclesiastiche fu sancita dal pontefice nel 1502
con una bolla che fu pubblicata dal suc-
GIU]
Ales-Terralba, diocesi di Diocesi nata
nel nel 1507, quando papa Giulio II unı̀
le diocesi di Ales e di Terralba. La
nuova diocesi ha giurisdizione sulle
chiese di Albagiara (Ollasta), Ales, Arbus, Baradili, Baressa, Collinas, Curcuris, Escovedu, Figu, Genuri, Gonnoscodina, Gonnosfanadiga, Gonnosnò,
Gonnostramatza, Guspini, Las Plassas,
Lunamatrona, Marceddı̀, Masullas,
Mogoro, Morgongiori, Pabillonis, Pau,
Pauli Arbarei, San Gavino Monreale,
San Nicolò d’Arcidano, Sardara, Setzu,
Siddi, Simala, Sini, Siris, Tanca Marchesa, Terralba, Tuili, Turri, Uras,
Usellus, Ussaramanna, Villacidro, Villanovaforru, Zeppara. Attualmente è
una diocesi suffraganea di Oristano; il
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ales-Terralba
vescovo risiede ad Ales in un palazzo
situato su un colle prospiciente la cattedrale. La diocesi ha 57 parrocchie.
VESCOVI DI ALES (USELLUS) STORICAMENTE CERTI
1. Murrellu, ricordato come vescovo
nel 1146 nel condaghe di Santa Maria
di Bonarcado. 2. Comita Pais, fu il
primo a portare il titolo di vescovo di
Ales e governò la diocesi dal 1164 al
1195. 3. Mariano, attestato nel 1206. 4.
Giovanni Marras, in carica tra il 1232 e
il 1237. 5. Roberto Drago, domenicano,
proveniva da Pisa; fu vescovo tra il
1312 e il 1320. 6. Giovanni, vescovo nel
luglio 1330. 7. Giovanni di Vieri, nel
1329 era stato eletto vescovo di Galtellı̀,
ma fu rimosso da papa Giovanni XXII
che nel 1330 lo nominò vescovo di Ales;
governò fino al 1367. 8. Giacomo, arciprete di Oristano, in carica dal 1367 al
1373, anno in cui fu nominato nunzio e
collettore pontificio da Urbano V. 9.
Cristoforo fu vescovo prima del 1396.
10. Gomezio è ricordato come vescovo
dopo Cristoforo. 11. Antonio De Roma,
nominato vescovo nel 1396, nel 1402 fu
trasferito per punizione al convento di
Santa Maria sopra Minerva in Roma.
12. Giacomo era vescovo di Strongoli,
da dove venne trasferito nel 1402; nel
1403 fu trasferito a Lavello. 13. Giovanni, trasferito nel 1403 da Lavello ad
Ales. 14. Pietro, dottore in Decretali, fu
nominato dall’antipapa Benedetto
XIII nel 1412; nel 1414 fu trasferito a
Cagliari e resse l’archidiocesi fino al
1422. 15. Pietro Spinola, benedettino
del monastero di Santa Maria (diocesi
di Parma), trasferito da Savona ad Ales
dall’antipapa Giovanni XXIII. 16. Bernardo Rubeo, minore e maestro in Teologia, governò la diocesi tra il 1418 e il
1421. 17. Giovanni da Campolungo, carmelitano e maestro in Teologia, resse
la diocesi tra il 1421 e il 1425. 18. Giacomo da Villanova, minore e vicario del
suo ordine in Sardegna, resse la diocesi tra il 1425 e il 1439. 19. Giovanni
Garsia, domenicano: la sua candidatura a vescovo fu presentata nel 1439
da Alfonso V, re d’Aragona, di cui era
confessore, al concilio scismatico di
Basilea, ma dopo pochi mesi fu sicuramente riconosciuto dalla Santa Sede.
Nello stesso anno il concilio avrebbe
voluto confermare un certo Bernardo
de Monester che era stato eletto dal capitolo; nel 1444 Giovanni Garsia fu trasferito a Siracusa. 20. Bernardo di Michele, domenicano e maestro in Teologia (forse lo stesso de Monester), resse
la diocesi dal 1444 al 1454; durante il
suo episcopato la diocesi di Ales fu
unita temporaneamente a quella di
Terralba. 21. Antonio de Vich, canonico di Dolia, governò la diocesi dal
1454 al 1455. 22. Giovanni de Magarola,
canonico del capitolo di Cagliari, fu vescovo dal 1457 al 1463. 23. Giovanni de
la Bona, nominato nel 1463, resse la
diocesi fino al 1484; fu nunzio e collettore pontificio e nel 1481-1482 partecipò al Parlamento riunito a Cagliari
da Ferdinando II, re d’Aragona. 24. Pietro Garsia, maestro in arti e teologia,
resse la diocesi tra il 1484 e il 1490,
anno in cui fu trasferito a Barcellona.
25. Michele Danyon, arcidiacono a Calatayud, fu nominato vescovo nel 1490 e
governò la diocesi fino al 1493. 26. Giovanni Crespo, eremitano di Sant’Agostino, vescovo di Castra dal 1490, nel
1493 fu trasferito ad Ales, che resse
fino al 1507. Nel 1503 la diocesi fu unita
definitivamente a quella di Terralba.
VESCOVI DI ALES E TERRALBA
1. Giovanni Sanna, inquisitore per la
Sardegna, fu nominato vescovo nel
1507; nel 1516 fu trasferito all’archidiocesi di Sassari, continuando a governare le due diocesi unite fino al 1521.
2. Andrea Sanna, nipote del precedente e canonico di Ales, nominato ve-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ales-Terralba
scovo nel 1521, nel 1522 succedette allo
zio anche come inquisitore; nel 1554 fu
trasferito all’archidiocesi di Oristano.
3. Gerardo de Doni, appartenente alla
famiglia dei signori di Gesturi, maestro
in Teologia e canonico di Cagliari, nel
1557 fu nominato vescovo e resse la diocesi fino al 1562. 4. Pietro Frago, di Uncastillo, dottore in Teologia a Parigi, fu
nominato nel 1562 e nel 1566 fu trasferito ad Alghero. 5. Michele Manriquez,
agostiniano, era vescovo titolare di
Tarso e ausiliare del vescovo di Segorbe; fu nominato ad Ales e Terralba
prima nel 1568 e resse la diocesi fino al
1572. 6. Giovanni Cannavera, minore
conventuale di Iglesias, maestro in
Teologia, governò la diocesi tra il 1572
e il 1573. 7. Giovanni Manca, sassarese,
appartenente a un ramo collaterale
della famiglia feudale, dottore in Diritto canonico; fu nominato nel 1574 e
resse la diocesi fino al 1585. 8. Pietro
Clement, portoghese, carmelitano e
dottore in Teologia, fu nominato nel
1585 e morı̀ nel 1600. 9. Antonio Surreddu, cagliaritano, dottore in Teologia, era vicario generale di Alghero
quando nel 1601 fu nominato vescovo;
scomparve nel 1605. 10. Lorenzo Nieto,
di Ortaz (diocesi di Toledo), benedettino e dottore in Teologia; fu nominato
nel 1606 e nel 1613 fu trasferito ad Alghero. 11. Diego de Borja, spagnolo, figlio naturale del duca di Gandı́a, minore osservante; fu nominato nel 1613,
morı̀ nel 1615. 12. Gavino Manconi, di
Sassari, maestro in Teologia; vicario
foraneo di Ploaghe, fu nominato nel
1616 e morı̀ nel 1634. 13. Melchiorre Pirella, di Nuoro, uomo di profonda cultura giuridica, dal 1620 vescovo di
Bosa, nel 1635 fu trasferito ad Ales e
Terralba; morı̀ nel 1637. 14. Michele
Beltram, di Castellón, fu nominato nel
1638 e governò mostrandosi sensibile
ai problemi sociali; morı̀ nel 1643. 15.
Antonio Manunta, di Sassari, dottore
in Teologia e canonico di Cagliari; fu
nominato nel 1644, morı̀ nel 1662. 16.
Giovanni Battista Brunengo, sassarese, dottore in utroque a Pisa; fu nominato nel 1663, morı̀ nel 1679. 17. Serafino Esquirro, canonico cagliaritano,
dottore in Teologia a Bologna; vescovo
di Bosa dal 1677, nel 1680 fu trasferito
ad Ales e Terralba e morı̀ nel 1681. 18.
Diego Cugia, di Cagliari, dottore in
utroque; vicario generale dell’archidiocesi di Cagliari, nel 1684 fu nominato vescovo di Ales e Terralba; diede
un impulso decisivo alla ricostruzione
del Duomo di Ales e scomparve nel
1691. 19. Francesco Masones y Nin, di
Cagliari, uomo di grande cultura, dottore in utroque a Roma e in Teologia a
Cagliari; decano e vicario capitolare di
Ales, fu nominato vescovo nel 1693 e
nel 1704 fu trasferito a Oristano. 20. Isidoro Masones y Nin, di Cagliari, dottore in utroque a Roma, era vescovo titolare di Cardicium quando nel 1704 fu
trasferito ad Ales e Terralba; morı̀ nel
1724. 21. Salvatore Ruju, nato a Cuglieri nel 1663, dottore in utroque a Sassari nel 1690; governò la diocesi dal
1727 al 1728. 22. Giovanni Battista
Sanna, nato a Sassari nel 1674, dottore
in utroque a Sassari; vicario generale
di Bosa, nel 1728 fu nominato vescovo
e scomparve nel 1736. 23. Antonio Giuseppe Carcassona, nato a Cagliari nel
1684, dottore in utroque a Cagliari; rettore dell’Università di Cagliari dal
1721 al 1727 e parroco di Gesico, nel
1736 fu nominato vescovo e scomparve
nel 1760. 24. Giuseppe Maria Pilo, nato
a Sassari nel 1717, maestro in Teologia
e provinciale dei Carmelitani, fu nominato vescovo nel 1761; morı̀ nel 1786.
25. Michele Antonio Aymerich de Villamar, nato a Cagliari nel 1738, dottore
in utroque a Torino; vicario generale e
capitolare a Cagliari, nel 1788 fu nomi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ales-Usellus
nato vescovo e morı̀ attorno al 1806. 26.
Giuseppe Stanislao Paradiso, nato a Cagliari nel 1747, dottore in Teologia a Cagliari e parroco di Gergei; vescovo di
Ampurias e Civita dal 1807, nel 1819 fu
trasferito ad Ales e Terralba e morı̀ nel
1822. 27. Antonio Raimondo Tore, nato
a Tonara nel 1781, dottore in Teologia a
Cagliari; vicario capitolare di Oristano, nel 1828 fu nominato vescovo di
Ales e Terralba e nel 1837 fu trasferito
alla sede di Cagliari. 28. Pietro Vargiu,
nato a Isili nel 1792, dottore in Diritto
civile a Cagliari e baccelliere in Teologia; vicario generale di Cagliari, nel
1842 fu nominato vescovo e morı̀ nel
1866. 29. Francesco Zunnui Casula,
nato a Fonni nel 1824, dottore in Teologia a Cagliari; vicario generale di
Nuoro, nel 1867 fu nominato vescovo
di Ales e Terralba e nel 1893 fu trasferito all’archidiocesi di Oristano. 30.
Palmerio Garau Onida, nato a Samassi
nel 1825, dottore in Teologia a Cagliari;
era parroco del suo paese quando nel
1894 divenne vescovo; morı̀ nel 1906.
31. Francesco Emanuelli, nato ad Andagna (diocesi di Ventimiglia) nel
1863; preside del Seminario di Cagliari, nel 1911 fu nominato vescovo e
scomparve nel 1947. 32. Antonio Tedde,
nato a Sorso nel 1906, parroco di San
Donato a Sassari; fu nominato nel
1948, morı̀ nel 1982. 33. Paolo Gibertini,
nato a Ciano d’Enza (Reggio Emilia)
nel 1922, benedettino sublacense e
abate del monastero di San Giovanni
Evangelista (Parma); nel 1983 fu nominato vescovo e nel 1989 divenne arcivescovo di Reggio Emilia e Guastalla; durante il suo episcopato la titolatura
della diocesi cambiò in Ales-Terralba.
34. Antonino Orrù, nato a Sinnai nel
1928, parroco di San Benedetto a Cagliari; nominato vescovo nel 1990, è andato in pensione nel 2004. 35. Giovanni
Dettori, nato a Nule nel 1940, parroco
di Ardara e vicario della diocesi di
Ozieri; nominato vescovo di Ales-Terralba nel 2004. [MASSIMILIANO VIDILI]
Ales-Usellus, diocesi di Diocesi istituita nella seconda metà del secolo XI
con la creazione della provincia ecclesiastica di Arborea, ma il suo primo vescovo noto è attestato al 1146. Comprendeva le parrocchie di Ales, Almos,
Atzeni, Baradili, Baressa, Barumele,
Cilixia, Curcuris, Escovedu (Iscopediu), Figu, Gesturi, Gonnosnò, Las
Plassas, Lunamatrona, Ollastra (Albagiara), Pau, Pauli Arbarei, Setzu, Siddi,
Sini, Tuili, Turri, Usellus, Ussaramanna, Ussarella, Villanovaforru,
Villa Verde (Bannari), Zeppara.
Alfa Casa editrice con sede a Quartu
Sant’Elena. Fondata da Gianfranco
Pinna nel 1977, ha esordito con la pubblicazione del periodico ‘‘Sa Republica sarda’’, quindi è passata alle riviste e ai libri di narrativa e saggistica
con l’obiettivo di far accrescere «la coscienza etnica ed etica e di appartenenza alla comunità sarda». È particolarmente attenta ai temi del sardismo e
pubblica una collana di quaderni didattici, riuniti nella collana ‘‘S’Iscola’’,
nei quali viene usata la lingua sarda.
[MARIO ARGIOLAS]
Alfano, Paolo Argentiere (Napoli?, seconda metà sec. XVIII-Sassari, dopo
1810). Portato forse in Sardegna dai genitori napoletani – un Michele Angelo
Alfano, suo fratello, è documentato nel
1778 – divenne un argentiere molto ricercato. Sono sue tre anfore olearie
conservate nel Tesoro della cattedrale
di Bosa (ma secondo Renata Serra egli
fu in questo caso solo importatore).
Suoi lavori si trovano a Castelsardo, in
Planargia, nelle Baronie e nel Montiferru, eseguiti fra il 1784 e il 1810.
Alfieri di Cortemiglia, Giovanni Battista Viceré di Sardegna (Asti, inizi sec.
XVIII-Cagliari 1763). In carica dal 1762
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alfonso IV il Benigno
al 1763. Cadetto di una famiglia di tradizioni feudali, fu avviato alla carriera
delle armi; si mise in luce combattendo
nelle guerre per l’equilibrio europeo e,
a coronamento di una brillante carriera, nel 1758 fu nominato governatore di Cuneo. Dimostrò di possedere
grandi capacità di governo ed equilibrio, per cui nel 1762 fu nominato viceré di Sardegna. Raggiunta la sua
nuova sede, si rese subito conto della
frattura che esisteva tra i funzionari
piemontesi e la nobiltà e il clero sardi
e si convinse della necessità di avviare
una mediazione per evitare che la situazione precipitasse. La sua opera
però fu frenata a causa della malaria;
caduto gravemente ammalato, chiese
di essere dispensato dal servizio, ma
morı̀ a Cagliari mentre si apprestava
all’imbarco per il ritorno.
Alfonsino Nome con cui è indicata la
prima moneta coniata in Sardegna dagli Aragonesi. Se ne conoscono di due
tipi: l’a. d’argento e il suo sottomultiplo, l’a. minuto (ci volevano 18 a. minuti
per un a. d’argento). Gli a. d’argento furono coniati nella zecca di Iglesias a
cominciare dal 1325 per Giacomo II,
Alfonso IV, Pietro IV e Giovanni I fino
al 1396; anche gli a. minuti inizialmente furono coniati a Iglesias e in seguito a Cagliari per gli stessi sovrani.
Nel 1387 gli a. minuti vennero svalutati
del 10%. Si conoscono anche i mezzi a.
d’argento, coniati per Pietro IV a Iglesias e per Giovanni I a Cagliari, e infine
gli a. reali, coniati per Alfonso V a Cagliari tra il 1416 e il 1458.
Alfonso, Carmelo Giornalista (n. Alghero 1933). Giornalista sportivo, ha
esordito come inviato de ‘‘L’Unione
sarda’’ e de ‘‘L’Informatore del Lunedı̀’’; dopo una parentesi a ‘‘Tuttoquotidiano’’ è entrato alla RAI; giornalista professionista dal 1976, è presidente dell’Unione Stampa Sportiva.
Ha pubblicato un libro, Mussiadu. Storie, storielle e fatti veri del pugilato
sardo, 2003.
Alfonso IV il Benigno Re d’Aragona e
di Sardegna (?, 1299-Barcellona 1336).
Figlio di Giacomo II, aveva 20 anni
quando nel 1319 suo fratello primogenito Giacomo rinunciò ai propri diritti
ed egli fu proclamato erede al trono e
luogotenente dei regni della Corona
d’Aragona. Quando era ancora principe ereditario (l’infante Alfonso) fu
posto da suo padre a capo della spedizione che nel 1323 avviò la conquista
catalana della Sardegna. La flotta da
sbarco, composta da più di ottanta
navi di vario tipo e forte di 11 000 tra
cavalieri, fanti e balestrieri, partı̀ da
Portfangòs il 30 maggio del 1323 e,
dopo una breve sosta a Palma di Majorca, il 12 giugno giunse in vista delle
coste della Sardegna, dove, nel golfo di
Palmas, lo attendeva il suo alleato, il
giudice Ugone II d’Arborea. Sbarcò
nella spiaggia di Canyelles il 13 successivo e subito dopo pose l’assedio a Iglesias, mentre una parte consistente
della flotta al comando dell’ammiraglio Francesco Carroz si diresse verso
Cagliari per effettuare un altro sbarco.
L’assedio di Iglesias mostrò da subito
la difficoltà dell’impresa che, nonostante le dedizioni formali di Sassari,
dei Doria e dei Malaspina, a causa
della lungaggine delle operazioni e di
un attacco di dissenteria che si diffuse
tra i soldati, minacciò di far fallire l’operazione. Caduta per fame dopo più
di sette mesi Iglesias, A. nel febbraio
del 1324 si diresse verso Cagliari, dove
frattanto l’ammiraglio Carroz aveva
impiantato il campo fortificato di Bonaria. Mentre il suo esercito si muoveva faticosamente, un esercito pisano
di soccorso era sbarcato in prossimità
di Maddalena Spiaggia e si dirigeva
minacciosamente verso Cagliari per li-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 111
Alfonso V il Magnanimo
berarla dall’assedio. La novità costrinse A. IVad affrontare una battaglia
campale con i nuovi venuti: lo scontro
si verificò il 29 febbraio nella località
di Lutocisterna, in prossimità di Elmas, e l’esercito reale ebbe la meglio.
La vittoria, cui seguı̀ la distruzione
delle navi d’appoggio pisane a opera
del Carroz, rese possibile l’assedio di
Cagliari, che si concluse con la capitolazione della città il 19 giugno 1324.
Poco dopo A. IV lasciò l’isola per tornare in patria, dove fu accolto trionfalmente dall’anziano genitore. Divenne
re d’Aragona e di Sardegna alla morte
di suo padre nel novembre del 1327;
aveva ereditato una situazione difficile: infatti in Sardegna si era appena
conclusa la seconda fase della guerra
con Pisa ed erano ancora in corso combattimenti contro i Doria che si erano
ribellati, la spedizione per la conquista
della Corsica era fallita e in Aragona si
trovò a dover fare i conti con l’aristocrazia che pretendeva di ottenere privilegi maggiori e una più ampia autonomia. Negli anni che seguirono governò subendo l’influenza della seconda moglie e fu principalmente impegnato in una estenuante guerra con
Pisa e con Genova per il controllo del
Mediterraneo occidentale; epicentro
del conflitto fu la Sardegna, per il cui
possesso i suoi eserciti dovettero ancora lottare duramente. Morı̀ nel gennaio del 1336, quando ancora il conflitto con Genova non era chiuso.
gnò con molta decisione nella conquista della Corsica e nella definitiva liquidazione dei diritti di Guglielmo III
di Narbona, erede della casa d’Arborea e ancora giudice incoronato. Radunato un potente esercito, nel 1420 si
trasferı̀ in Sardegna da dove investı̀ la
Corsica e avviò e concluse la trattativa
col visconte di Narbona per la cessione
definitiva dei diritti che quest’ultimo
vantava ancora sul giudicato d’Arborea. Mentre nel 1421 era intento nella
celebrazione a Cagliari del Parlamento, fu protagonista di un evento
che mutò radicalmente la sua vita. Infatti fu adottato dalla regina Giovanna
II di Napoli e dichiarato suo erede in
contrapposizione a Luigi d’Angiò.
L’adozione, sebbene fosse stata seguita
da un ripensamento della matura e volubile sovrana, gli fece comprendere
quale importanza avrebbe potuto
avere per lui e per la Corona d’Aragona
l’acquisizione del Regno di Napoli.
Questa sua intuizione lo portò nel 1432
a spostarsi definitivamente in Italia,
da dove intraprese un lungo periodo
di guerre e di sacrifici che nel 1442 lo
portò alla conquista di Napoli. Fin dal
1436 si era staccato dall’Aragona e
dalla Sardegna, che aveva di fatto affidato al fratello Giovanni.
Alfredo Religioso (sec. XI). Arcivescovo
di Cagliari nel secolo XI; a lui il giudice
Orzocco Torchitorio donò nel 1070 alcune ville nella curatoria del Campidano.
Alfonso V il Magnanimo Re d’Aragona
Alga Nome sotto cui vengono raggrup-
e di Sardegna (?, 1396-Napoli 1458). Figlio di Ferdinando I di Trastamara, divenne re d’Aragona e di Sardegna alla
morte di suo padre nel 1416. Uomo
dalla personalità complessa e dalla indomabile energia, quando salı̀ sul
trono aveva poco più di vent’anni ma
una discreta esperienza politica, maturata alla scuola di suo padre. Si impe-
pati organismi molto più vari come
aspetto e habitat rispetto alla comune
idea di a. come vegetale acquatico. Ci
sono del resto molte piante marine che
vengono chiamate alghe nel linguaggio
corrente e sono invece Fanerogame,
come la Posidonia oceanica. In generale, sono organismi eucarioti autotrofi, privi di veri tessuti conduttori e
104
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 112
Alga
di organi pluricellulari differenziati,
che vivono prevalentemente in ambienti acquatici o umidi. Le alghe presentano i più diversi tipi di organizzazione cellulare, dimensione, ciclo vitale e riproduttivo. In base all’organizzazione cellulare si possono distinguere in: 1. alghe unicellulari, singole
cellule in genere flagellate che agiscono come individui indipendenti; 2.
alghe coloniali, aggruppamenti di individui unicellulari, più o meno coordinati fra loro. Alcune colonie sono avvolte in una comune guaina mucillaginosa; 3. alghe sifonali, organismi unicellulari plurinucleati, derivati da divisioni di nuclei non seguite da divisione cellulare, che possono raggiungere dimensioni notevoli; 4. alghe pluricellulari, organismi costituiti da più
cellule, uninucleate o plurinucleate, a
forma filamentosa (ramificata o no) oppure più o meno laminare o espansa. Ci
può essere specializzazione tra le varie
parti dell’individuo, deputate all’ancoraggio al substrato o alla funzione fotosintetica. Le alghe comprendono organismi di dimensioni da microscopiche
(ad esempio le Diatomee) a giganti
(come alcune alghe brune o Phaeophyta, con fronde lunghe fino a oltre
60 m e peso complessivo fino a diversi
quintali). Le alghe sono organismi fotosintetici: tutte sono dotate di clorofilla
a, ma questa è associata nei vari gruppi
con pigmenti accessori diversi, da cui
derivano le diverse colorazioni predominanti in ciascun gruppo. Le alghe
verdi sono di solito le più superficiali;
nelle acque più profonde dominano le
alghe rosse. La maggior parte delle alghe vivono nell’acqua, ma al pari di
funghi e batteri si possono trovare praticamente in ogni tipo di ambiente
umido (specialmente le forme unicellulari). La classificazione delle alghe è
controversa. Si tratta di un gruppo si-
curamente polifiletico (cioè che non
deriva da un antenato comune), in cui
vengono distinte in genere sette divisioni. Le quattro divisioni Phaeophyta,
Chrysophyta, Cryptophyta e Pyrrhophyta vengono riunite da alcuni nel
grande gruppo delle Chromophyta (alghe giallo-brune). Tutte rientrano nell’eterogeneo regno dei Protisti, che
comprende i viventi eucarioti a organizzazione cellulare meno complessa.
Quello delle Chlorophyta (alghe verdi)
è il gruppo che presenta la maggiore
diversità di organizzazione vegetativa,
ciclo vitale e ambiente di vita. Comprende forme unicellulari (sia flagellate che immobili), coloniali e pluricellulari. Molte caratteristiche depongono a favore dell’ipotesi che i progenitori acquatici delle piante terrestri
fossero organismi simili ad alghe
verdi. Alcune alghe verdi, in simbiosi
con funghi, danno vita ai licheni. Le
Phaeophyta (alghe brune) comprendono forme filamentose e pluricellulari. L’interesse di questo gruppo risiede nel fatto che comprende le alghe
di dimensioni maggiori e quelle che
presentano la maggiore complessità
nell’organizzazione vegetativa. Sono
costituite da un tallo nel quale si possono distinguere delle strutture simili
a foglie, fusti e radici. Le Rhodophyta
(alghe rosse) comprendono organismi
unicellulari, filamentosi o pluricellulari, alcuni con pareti incrostate di carbonato di calcio (per esempio nelle alghe coralline, importanti costituenti
delle barriere coralline). Sono alghe
di ambiente marino e si trovano fino a
oltre 200 m di profondità. Nella maggior parte delle alghe rosse pluricellulari è presente un peculiare tipo di alternanza di generazioni. Le Chrysophyta comprendono le diatomee (Bacillariophyceae), il gruppo più numeroso di alghe. Si tratta di organismi
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Alghero
unicellulari privi di flagelli, racchiusi
in una parete silicea a forma di scatola
con coperchio (frustulo). Le divisioni
Euglenophyta, Pyrrophyta e Criptophyta comprendono forme unicellulari
flagellate, con caratteristiche per certi
aspetti intermedie tra microrganismi
vegetali e animali. Le alghe unicellulari costituiscono una porzione importantissima del plancton, base della catena alimentare negli ambienti acquatici. Come organismi fotosintetici, sono
i principali produttori primari negli
ecosistemi marini. Si stima che oltre
la metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera sia prodotto dalle alghe unicellulari marine. Dai depositi di diatomee (Chrysophyta) si ricava la farina
fossile, utilizzata come abrasivo per levigature di precisione. Dalle pareti di
alghe rosse e alghe brune si ricavano
vari tipi di gelatine usate nell’industria alimentare e cosmetica, come
emulsionanti e stabilizzanti, e nei laboratori come substrati di coltura (agar).
Benché le pareti delle cellule della
maggior parte di alghe non possano essere digerite dall’uomo, alcune alghe
vengono consumate come alimento, in
particolare nei paesi asiatici (kombu,
nori). Alghe macroscopiche vengono
utilizzate come fertilizzanti. Nei mari
sardi sono presenti tutte le specie di
alghe tipiche del Mediterraneo. [MARIA
IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Alghero Comune della provincia di
Sassari, compreso nel Comprensorio
n. 1, con 40 111 abitanti (al 2004), posto
a 7 m sul livello del mare in una magnifica posizione della costa nord-occidentale, su uno sperone che chiude
nella parte meridionale l’omonima
rada. Regione storica: Alghero. Sede
della diocesi di Alghero-Bosa.
Alghero – Il golfo di Alghero è chiuso a nord
dagli imponenti promontori di capo Caccia e
punta Giglio.
TERRITORIO Il territorio si estende
per 224,43 km2. Ha forma grosso modo
di un semicerchio affacciato sul mare e
confina a nord con Sassari, a est con
Olmedo e Putifigari, a sud con Villanova Monteleone, a ovest col Mare di
Sardegna, nel quale a nord si addentrano, racchiudendo la rada di Porto
Conte, le punte del Giglio e di capo Caccia. La parte centrale di questa vasta
area è pianeggiante e quindi, dopo gli
interventi di riforma agraria che
l’hanno interessata, molto adatta all’agricoltura. Nei pressi della costa alcuni corsi d’acqua formano lo stagno
di Calich. Nella parte meridionale le
quote si sollevano nei primi rilievi del
paese di Villanova, in quella settentrionale in quelli della Nurra: zone entrambe che sono in parte ricoperte di
vegetazione spontanea e da fasce di forestazione, e si prestano per il restante
al pascolo per l’allevamento brado. A
differenza di quanto avviene nella
&
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Alghero
maggior parte del restante territorio
dell’isola, questo di A. è popolato a
tratti da abitazioni sparse degli agricoltori, che le hanno occupate in seguito ai lavori di spietramento e bonifica eseguiti a più riprese. Sono nate in
questo modo anche alcune borgate, le
più importanti delle quali sono Santa
Maria La Palma, che ha natura completamente agricola; e Fertilia (oltre 1000
abitanti), che oltre a fungere da centro
di servizi per gli agricoltori ha un piccolo porto ed è meglio inserita nelle attività turistiche del litorale. Si tratta
infatti di una ‘‘città di fondazione’’ rimasta dal periodo fascista, che conserva, nella circoscritta area del centro, l’aria incerta – e in parte anche irreale – di una borgata in bilico tra la
vocazione urbana, quella rurale e
quella marittima.
Alghero – La costa della città ‘‘catalana’’ è
interrotta da numerose cale: qui sopra, una
piccola baia a Porto Conte.
Le strade di accesso confluiscono nella
piazza della chiesa parrocchiale, dedicata a San Marco, da cui si apre la via
principale: un viale di palme che si dirige verso la costa, delimitato da perfetti allineamenti di palazzi muniti di
portici. Subito dopo si apre una grande
terrazza affacciata sul mare, con la vista su A., sovrastata da un leone di San
Marco opera di Giuseppe Silecchia. Le
strutture edilizie sono, secondo lo storico dell’arte Franco Masala, quelle comuni ad altre città che abbiamo ereditato dal ventennio fascista: ispirate
cioè a un «classicismo ripulito di ogni
elemento superfluo per contare soltanto su forme semplici». Enrico Valsecchi, che ha raccontato la storia dell’insediamento, ricorda che la prima
pietra venne posata l’8 marzo del 1936,
alla presenza del sottosegretario di
Stato alla Bonifica integrale. L’intento
era allora di portare qui un buon numero di contadini dell’agro ferrarese
che agli occhi del regime erano piuttosto inquieti, oltre che troppo numerosi
in una regione sovrappopolata. Ma la
guerra, oltre che interrompere i lavori,
avrebbe modificato il progetto: si affacciò infatti il problema di dare nuova
sistemazione ai profughi che si allontanavano in massa dalle terre della Venezia Giulia e dell’Istria assegnate dai
trattati di pace alla Jugoslavia. Alcune
famiglie arrivarono alla spicciolata e si
sistemarono alla meglio negli edifici
non ancora ultimati; nel maggio del
1948 450 giuliani arrivarono tutti insieme a bordo di 13 motopescherecci
che, partiti da Chioggia il 19 aprile,
avevano faticosamente doppiato la penisola. Prendeva cosı̀ vita la nuova comunità che, tra le vocazioni che si prospettavano, avrebbe scelto quella agricola, distribuendosi per buona parte
nei poderi ricavati nella piana circostante. A. è collegata con Sassari, oltre
che con la vecchia statale 127 bis, attraverso la 291 e un tratto di secondaria
che attraversa Olmedo; ed è già costruita una parte di una nuova direttissima più adeguata alla mole del traffico che unisce due centri cosı̀ popolosi. Altre due strade si dirigono da A.
verso nord, una raggiunge Porto Torres
(la ‘‘strada dei due mari’’), l’altra segue
la linea di costa e si collega alle secon-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
darie che attraversano la Nurra ‘‘di
fuori’’; e due si snodano anche verso
sud: una lungo la bellissima costa sino
a Bosa, l’altra, la statale 292, per Villanova Monteleone e Pozzomaggiore. Il
collegamento con Sassari è assicurato
anche da una linea ferroviaria a scartamento ridotto, una delle più frequentate di questo settore. Il porto, che si
trova praticamente all’interno della
città, è utilizzato dai pescherecci e
dalle imbarcazioni da diporto, mentre
le navi di maggiore tonnellaggio devono gettare l’ancora nella rada di A. o
in quella di Porto Conte. Infine l’aeroporto, posto a una decina di chilometri
a nord, assicura a tutta la Sardegna
centro e nord-occidentale i collegamenti con le maggiori destinazioni nazionali e internazionali; e viene ovviamente utilizzato per voli speciali e
charter collegati ai flussi turistici.
Alghero – Ai piedi di capo Caccia si trova
l’isola di Foradada (‘‘forata’’, per un vasto
arco che vi si è formato).
STORIA Secondo quanto afferma
Giuseppe Manno (=) la città fu fondata
dai Doria agli inizi del secolo XII sul
&
territorio del Nulauro, passato nelle
loro mani dopo che la famiglia si era
imparentata con i giudici di Torres.
Probabilmente la sua fondazione è da
attribuire alla necessità di ripopolare
un territorio a quei tempi quasi deserto; in breve divenne un importante
centro commerciale e, dopo l’estinzione della famiglia giudicale, quando
i Doria presero a reggere i loro domini
sardi come uno stato indipendente, la
città assunse un ruolo politico importante. Con il suo territorio fu teatro
della guerra tra Genovesi, Pisani e Arborea e nel 1283 fu attaccata per terra
da Mariano d’Arborea e per mare da
una squadra pisana; quindi, dopo
quasi un mese, fu costretta a capitolare. I Doria però riuscirono dopo
poco tempo a tornarne in possesso, la
abbellirono e vi promossero l’insediamento di alcuni ordini religiosi. Dopo
che la Sardegna fu conquistata dagli
Aragonesi la conservarono, anche se
le ricorrenti lotte tra i vari rami della
famiglia ne resero problematico il possesso. Cosı̀ nel 1350 i figli di Bernabò
Doria vendettero la loro quota di diritti
sulla città a Pietro IV d’Aragona e nel
1353 gli altri ‘‘condomini’’ cedettero i
restanti diritti a Genova; le circostanze
resero inevitabile il conflitto per la definizione del possesso. La città, dopo
un lungo assedio e dopo la celebre battaglia di Porto Conte, fu conquistata
dalle truppe di Pietro IV. Frattanto era
scoppiata la prima guerra tra Pietro IV
e Mariano IV: i Doria si allearono col
sovrano arborense e dopo pochi mesi
poterono rientrare in città; si ebbe ancora un brevissimo periodo di dominio
arborense, quindi la città entro la fine
dell’anno tornò definitivamente in
mani catalano-aragonesi. In breve fu
ripopolata da abitanti catalani e trasformata in città reale con gli stessi privilegi che aveva Barcellona. Negli anni
108
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
seguenti divenne uno dei capisaldi
della terribile guerra tra Aragona e Arborea che devastò l’isola fino al 1409;
cinta dalle sue fortificazioni, crebbe
aprendosi anche all’apporto di molti
stranieri; nel 1391 resistette a un assedio di Brancaleone Doria e nel 1412 a
un tentativo di conquista del visconte
di Narbona. Nel corso del secolo XV
continuò a svilupparsi, i suoi abitanti
ottennero la conferma dei loro privilegi e l’esclusiva nella pesca del corallo; la città si abbellı̀, furono costruite la cattedrale in forme gotico-catalane, la chiesa e il convento di San
Francesco e numerosi palazzi di famiglie eminenti. Negli stessi anni ebbe
inizio la rivalità con Sassari e nel 1503
A. ottenne ufficialmente lo status di
città reale, ed ebbe quindi il suo Consiglio municipale e le sue magistrature.
Nello stesso anno fu elevata a sede di
diocesi; contestualmente crebbe l’attività del porto, che con gli anni divenne
lo scalo più importante della Sardegna
settentrionale; nel 1527 i suoi abitanti
resistettero orgogliosamente a un tentativo di conquista francese. Nel 1541
A. ricevette la visita di Carlo V, che
ispezionò il suo sistema fortificato; il
sovrano mostrò molta benevolenza nei
confronti della popolazione, facendo
nascere la leggenda del cavalierato
concesso a tutti i suoi abitanti. Nella
seconda metà del secolo XVI la città si
abbellı̀ ulteriormente: furono costruite alcune altre chiese, fu completata la costruzione della cattedrale; anche alcuni nuovi palazzi divennero la
residenza di distinte famiglie nobili
che contribuirono con la loro presenza
a elevarne il tono. Nello stesso periodo
fu completato e potenziato il suo sistema di mura e di torri e sviluppate le
attività portuali; nel 1612 vi si stanziarono i Gesuiti. Purtroppo però nel
corso del XVII la città cominciò a deca-
dere, le attività portuali languivano e,
per di più, la popolazione fu dimezzata
a causa della grave peste del 1652.
Quando nel 1720 la città passò alla
nuova dinastia dei Savoia, la sua decadenza era totale. I nuovi sovrani pensarono a restaurare le mura e con una
serie di appropriati interventi ne rilanciarono l’economia; furono sviluppate soprattutto le attività di pesca, in
particolare quella del corallo, e la popolazione riprese a crescere. Nel 1771
anche il suo Consiglio comunale fu riformato e dopo un fugace tentativo di
coinvolgimento nei moti angioyani nel
1796 la sua vita riprese senza ulteriori
scosse. Nel 1807 A. divenne sede di prefettura e quando, nel 1821, furono istituite le province divenne capoluogo di
provincia; nello stesso anno, però, la
sua tranquillità fu scossa da una sommossa popolare causata dalla carestia
che ebbe purtroppo tragiche conseguenze e tristi strascichi giudiziari. Di
qualche anno più tardi è l’autorevole e
circostanziata testimonianza di Vittorio Angius: «Le strade sono ben selciate, e di una certa regolarità, con canale sotterraneo per le feccie. Le principali sono la detta di Monteleone, che
muove da Porta-terra, e va dritta alla
parte contraria delle mura; quella di
Bonaria, che comincia dalla cattedrale, e va a terminare nella chiesa
della Misericordia, costeggiando la
bella piazzetta dell’episcopio; quindi
la piazza del mare, dove è il palazzo
municipale, e tra altri belli edifizi l’antichissima casa Albis, dove stette Carlo
V, quando vi approdava con la spedizione destinata contro la reggenza di
Algeri. In generale le case sono benissimo costrutte, comode, eleganti, a tre,
quattro, e cinque piani [...] Le arti necessarie e di comodità sono in uno
stato mediocre; non vi è stabilimento
alcuno di manifattura. D’instituzioni
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
di beneficenza non v’ha che il solo
ospedale governato dai religiosi di
San Giovanni di Dio, con due sale, una
per li maschi con sei letti, l’altra per
altrettante donne, e un solo camerino
per gli alienati. Questi frati appena
hanno pel loro sostentamento; si spera
però che saranno fra breve in grado di
porgere maggiori soccorsi alla languente umanità, e prender cura di
maggior numero [...] Stabilimenti d’istruzione. Scuole normali. Sono le medesime frequentate da 76 fanciulli, ma
meno assomigliano a ciò che esser debbono le scuole normali, che alle scuolette antiche, dove solo insegnavasi a
leggere e scrivere. Scuole regie di grammatica latina, e belle lettere. Oltre gli algheresi, vi concorrono alcuni giovani
dei paesi vicini, in numero totale 50: il
metodo dell’insegnamento, come nelle
altre del regno, domanda una saggia riforma. Scuole di filosofia. Sono frequentate da circa 20 giovani, ai quali si spiegano le materie che corrono in una od
in altra delle due Università. Vi è inoltre una scuola di chirurgia pochissimo
frequentata. Il locale delle scuole è
bello e comodo nell’antico collegio dei
gesuiti. Ai maestri, professori, prefetto, direttore spirituale, e supplitore
si danno gli assegnamenti della regia
cassa, che sono però tenui, eccetto
quello che fu fatto sull’azienda civica
al professore di Chirurgia, che è di
scudi sardi 200 (lire nuove 960). Seminario tridentino. Fu fondato da monsignor Delbecchi, ed è ancora governato
con le sue regole. Vi sono 12 piazze
franche. L’edifizio è cosı̀ angusto, che
20 giovani appena vi possono restar comodi, e nondimeno ve ne sono ammessi 30 [...] Risulta dai libri di chiesa,
che ordinariamente all’anno la quantità dei matrimoni ascende a circa 70;
delle nascite a 380, delle morti a 150. Il
numero delle famiglie va probabil-
mente a 1800, delle quali 92 nel contado; la popolazione intera va a 7207,
di cui 350 anime nella campagna. Si
suol vivere anche oltre il settantesimo
anno; le più frequenti malattie sono le
infiammazioni, e le febbri intermittenti, cagionate dall’aria insalubre
dello stagno Càliche, per quelli che vi
si avvicinano in istagione pericolosa, o
dal trasporto dei miasmi per li più
cauti, che le colgono in Alghero. Il
clima è temperato, la quantità annua
della pioggia forse non giugnerebbe a
15 pollici. Vi è rara la nebbia, i mezzigiornali ed i levanti cagionano molta
umidità [...] Cereali. In questi viene occupata la maggior parte dei terreni coltivati, e si suol annualmente seminare
tra grano, orzo, e fave circa rasieri 1800
(litri 309,960), tra cicerchie, fagiuoli,
granone, lino ras. 1000 (litri 1722); dei
primi generi in anno di media fertilità
si possono avere in totale circa rasieri
18,000, di cui una buona parte, con
quanto in simil genere proviene dai
paesi vicini, si vende agli esteri; mentre gli altri prodotti ritengonsi ai propri bisogni. Orti. Non trascurasi la coltivazione degli erbaggi e frutti ortensi,
che sono moltiplici e copiosi. Ne restan
provveduti anche i vicini paesi, e Sàssari ancora, dove la maturità non è
come qui precoce. Ritraesi non piccol
lucro dai medesimi, quando nella stagione della pesca del corallo, e delle
sardelle, gran concorso vi sia di feluche estere, come spesso avviene. Vigneto. Tra le regioni vinifere della Sardegna tiene uno dei primi posti l’algherese. Moltissime varietà di uve si possono distinguere, e sono da 22 le scelte
e più pregiate. Si fanno quindi vini di
molte specie, ed oltre al nero e bianco
ordinario, si vantano come pareggiabili ai più famosi vini dell’Europa meridionale il moscàto, il giròne, la mònica, la malvagı̀a, il turbàto. La quan-
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Alghero
tità ordinaria avanza a 7000 botti (litri
3,500,000). Riescono questi vini molto
soavi al gusto, di conforto allo stomaco,
di molto gradimento nelle mense del
continente, e già cominciano a divenir
famosi. Solamente da 100 botti se ne
brucieranno in acquavite, il superfluo
alla consumazione del paese vendesi
dentro e fuori dell’isola. Oltre dei vini,
stimatissime sono le uve passe, e in
confronto col miglior zibibbo del commercio per niente scapitano. Vendesene una competente quantità, e se ne
fanno dei graditi presenti. Frutteti. Innumerevoli sono le piante e gli alberi
fruttiferi di molte diverse specie, che
allignano nelle tenute, e nei giardini.
Gli agrumi vi riescono di buon gusto; il
gelso vi prospera, ma non curasi di propagarlo, e percepirne il vantaggio che
si potrebbe, se quivi abitassero contadini più industriosi. L’indaco, secondo
le fatte esperienze, viene molto felicemente. Egli è dell’olivo che si fa maggior conto, onde che il numero di queste piante va ogni anno crescendo per
l’innesto di 2 a 3000 piantoni d’olivastri. Tra quelli che sono in campagna,
e quei di città hannosi da 10 molini e
torchi per la fabricazione dell’olio; e
facendosene più che necessario sia al
consumo, ottengonsi considerevoli
somme [...] Selvaggiume. Abbondano i
cinghiali, daini, lepri e volpi, e vi è
pure qualche martora. In paragone
però è più copiosa la caccia dei volatili,
pernici, anitre, folaghe, merli, quaglie,
piccoli fagiani, stornelli, colombi, e altre specie gradite ai cacciatori, e ai palati dilicati. Più allettamento delle altre ha la caccia delle specie acquatiche
nello stagno. Nei monti di Capocaccia,
che per una linea tirata per la loro sommità quasi secondo il meridiano sono
tagliati a picco, abitano moltissime
aquile reali, e quivi, e pure nelle roccie
della Foradàda, e dell’isola Piana vi
hanno nido varie specie, e copioso numero di colombacci, corvi marini ecc.,
onde pare venisse il nome a questo promontorio [...] Commercio del porto di Alghero. Vi frequentano le bandiere francese, napoletana, toscana e nazionale.
Estraggonsi formaggi, lane, pelli,
grano, vini di ogni specie, olio, sardelle, alici, corallo, e scorza di soveri.
L’estero provvede di tele, panni, saje,
stoffe, cappelli, berrette, calzette,
carta, caccao, caffè, zucchero, pepe,
ed altre droghe; legname, ferro, rame,
terraglie, e molti altri generi di necessità e di lusso tanto pei cittadini, che
per li paesani dei vicini villaggi. Questo commercio vi fa approdare da 40 a
50 bastimenti [...] Pesca del corallo.
Spesso vi è gran concorso per questa
pesca, e ne ha gran vantaggio, non solo
per la qualità, che passa per lo migliore
del Mediterraneo, ma ancora per la
quantità. Nell’anno 1828 pescavano
barche algheresi 41, napoletane 190,
toscane 32, genovesi 27, in totale 290,
ed ebbero rotoli di corallo scarto,
chiaro, e terraglio rotoli: gli algheresi
9840, i napoletani 53,200, i toscani 8960,
i genovesi 4050». La borghesia algherese, sempre più consapevole della
propria forza politica, prese parte al
movimento di idee che portò alla metà
del secolo alla ‘‘fusione perfetta’’ della
Sardegna con gli stati di terraferma.
Poco dopo, come è noto, la provincia
di A. fu soppressa e la città entrò a far
parte come capoluogo di mandamento
della divisione amministrativa di Sassari. Nel 1859 passò definitivamente
nella ricostituita provincia di Sassari;
nel 1861 cessò di essere considerata
piazzaforte ed ebbe un’ulteriore
espansione al di fuori della tradizionale cinta urbana: un’espansione che
è continuata fino ai nostri tempi, sostenuta dal crescente ruolo turistico della
città.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 119
Alghero
Alghero – Il nuraghe Palmavera, costruito
prima del 1000 a.C. e più volte riattato, è il più
importante del territorio.
ECONOMIA Quando si pensa ad A. si
immagina che la sua vita sia legata
esclusivamente al turismo, mentre in
realtà le opportunità offerte dal territorio e dalla sua posizione sul mare
consentono una serie molteplice di attività, alcune delle quali si collegano in
maniera diretta con le attività di accoglienza, mentre altre si muovono più
autonomamente. Ci sono intanto le opportunità offerte dai terreni agricoli,
che danno luogo a ottime produzioni
orticole; molto diffusa la viticoltura,
che dà vita a due importanti aziende
vitivinicole: quella di Santa Maria La
Palma e la notissima Sella & Mosca (=).
Ci sono poi le risorse che vengono dal
mare, il pesce e il corallo. Senza contare lo sviluppo che ha avuto negli ultimi decenni, in un centro cosı̀ popo&
loso, il settore terziario, che comprende tra l’altro due ospedali, il Civile e il Marino; quindi gli uffici, i trasporti ecc. Artigianato. La città ha
un’antica tradizione della lavorazione
del corallo che continua ancora oggi,
insieme all’oreficeria. Alcune lavorazioni artigianali e piccolo industriali,
legate in parte all’edilizia ma anche
alla navigazione, stanno trovando sede
nella nuova zona produttiva di San
Marco, posta poco oltre l’aeroporto.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 40 574
unità, di cui stranieri 570; maschi
19 621; femmine 20 953; famiglie
14 512. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione con morti per anno 349 e nati
321; iscritti all’anagrafe 790 e nuovi
iscritti 798. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 341 miliardi di
lire; imponibile medio IRPEF 17 656
in migliaia di lire; versamenti ICI
21 180; aziende agricole 1424; imprese
commerciali 1814; esercizi pubblici
286; esercizi al dettaglio 891; ambulanti 139. Tra gli indicatori sociali: occupati 11 722; disoccupati 1662; inoccupati 2564; laureati 1393; diplomati
6927; con licenza media 11 800; con licenza elementare 11 199; analfabeti
809; automezzi circolanti 16 700; abbonamenti TV 10 747.
Alghero – Vista dei bastioni Marco Polo, con
uno scorcio della torre di San Giacomo.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 120
Alghero
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di siti archeologici di
grande rilievo. Da ricordare tra i primi
la Grotta Verde, detta anche Grotta dell’Altare a causa dei ruderi della chiesa
di Sant’Erasmo che rimangono al suo
interno. Si trova a capo Caccia ed è un
sito di grande importanza per lo studio
della preistoria sarda. Un altro sito di
grande rilievo è la necropoli di Anghelu Ruju, un complesso di domus de
janas collocabile tra il 2500 e il 1800
a.C. e posto al confine delle tenute
della Sella & Mosca, in un punto molto
ben raggiungibile lungo la ‘‘strada dei
due mari’’. Alcuni pannelli suggeriscono il percorso da compiere e riferiscono i numeri romani e le lettere con i
quali gli archeologi hanno contrassegnato le tombe che, in numero di ben
38, fanno di questo il gruppo di domus
de janas più esteso dell’isola. La scoperta avvenne per caso nel 1903: la fecero alcuni operai che cercavano pietre per costruire una casa; una prima e
una seconda sequenza di scavi furono
curate da Antonio Taramelli, allora direttore dell’Ufficio delle Antichità
della Sardegna, che riportò alla luce
31 ipogei; intervenne più tardi Doro
Levi, che ne scoprı̀ quattro; e infine,
nel 1967, Ercole Contu ne individuò ancora tre. Questo territorio, che per la
bontà del clima e la fertilità del terreno
era intensamente popolato sin dai
tempi antichi, non offriva pareti rocciose verticali o oblique per aprirvi,
come càpita in tanti altri luoghi, gli ingressi delle tombe: non c’era altra
scelta che scendere in profondità nella
roccia, che è costituita da arenaria calcarea praticabile con lo scavo, compiuto a quei tempi con scalpelli e rustici picconi di pietra dura. Ed è proprio sulla base di come è ricavato l’ingresso che gli ipogei vengono divisi in
due gruppi: quelli più modesti, e dalle
&
strutture meno regolari, che si raggiungono attraverso un pozzetto; quelli
più grandi, curati e dalle strutture regolari, ai quali si accede invece lungo
un corridoio – anch’esso scavato – , a
volte anche piuttosto lungo, che ha inizio con una gradinata e si conclude all’ingresso della tomba. All’interno questa ha sempre un ambiente maggiore,
destinato ai riti e alle preghiere, sul
quale si affacciano le cellette che ospitavano i defunti. Tra le più importanti
la A, con modanature che riprendono
motivi delle case dei vivi; la XX bis, con
alcune riproduzioni della protome taurina, posta a protezione dei trapassati;
la III, che comprende ben 11 vani. Le
ceramiche e gli altri oggetti rinvenuti
nel corso degli scavi sono al Museo di
Cagliari, in piccola parte in quello di
Sassari; ma le riproduzioni dei più importanti, insieme a numerosi pannelli
esplicativi, si possono vedere nel piccolo museo aperto nella vicina azienda
vinicola Sella & Mosca. Altra importante necropoli è quella di Santu Pedru
situata sulla strada per Ittiri vicino all’omonimo colle; si tratta di un complesso di circa 10 domus de janas risalenti alla cultura di Ozieri (=). La più
nota di queste domus è la Tomba dei
vasi tetrapodi con una decina di ambienti intercomunicanti che riproducono l’abitazione di un personaggio potente del periodo. Dall’ingresso, posto
al ciglio della strada, si accede al vano
principale. Si potranno cosı̀ vedere le
due colonne centrali, la falsaporta di
fronte e le piccole aperture che immettevano nelle sepolture circostanti, alcune sovrastate dal motivo delle doppie corna. Qui furono trovati i due vasi
tetrapodi (a quattro piedi) che sono
conservati al Museo di Sassari e hanno
dato il nome a questa sepoltura principale. Le altre sono sparse poco al di
sopra, sul fianco soleggiato della col-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
lina, dove si sale senza particolari difficoltà. Di grande interesse scientifico
è anche la Tomba di San Giuliano. Si
tratta di una tomba a poliandro situata
nell’omonima località. Risale al periodo della cultura di Bonnanaro (=) e
ha le fiancate costruite con muri a
secco; ha restituito ossa appartenenti
a più di cinquanta individui. Nel vasto
territorio di A. sono stati individuati
circa venti nuraghi: Baraté, Benecuados, Bonaleci, Coros, Cubalciada, Fighera, Flumentorgiu, Giorba, Majore,
Monte Doglia, Monte Siseri, Mura Casas, Nuragattoli, Ortu, Palmavera, Pulpargius, Risola, Sa Mandra de Sa Lua,
Sant’Imbenia, Serra Ona. Di tutti il più
caratteristico è il complesso di Palmavera, posto lungo la strada per Porto
Conte, non lontano dal mare; si tratta
di un nuraghe polilobato ottenuto dal
rifascio di una torre primitiva e di un
villaggio nuragico che durante gli scavi
ha reso numerose suppellettili del Nuragico medio e recente. Il complesso
delle capanne posto attorno al nuraghe
sembra rispondere a un disegno urbanistico: vi è anche una capanna più
grande detta Sala delle riunioni. Infine
di grande rilievo per lo studio dell’antichità dell’intero territorio di A. è il
complesso di Sant’Imbenia: in una località affacciata sulla rada di Porto
Conte sorgono un nuraghe segnalato
dal Pinza nel 1903 e un villaggio nuragico con alcune capanne circolari. Il
sito è stato scavato sistematicamente
dal 1980 e ha restituito una grande
quantità di materiali nuragici e fenici
che dimostrano i contatti commerciali
tra i Fenici e i Sardi a partire dal secolo
VIII a.C. Il villaggio continuò a essere
abitato nei secoli successivi, almeno
fino al secolo IX d.C. Nelle sue vicinanze fu costruita una chiesetta in
forme bizantine.
Alghero – Torre di San Giacomo, detta anche
‘‘torre dei cani’’.
PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Fino alla metà dell’Ottocento A. fu una città fortezza o, come
è stato detto, ‘‘una fortezza in forma di
città’’; questo suo passato incide in
modo determinante, oltre che sul suo
tessuto urbanistico, sulla consistenza
del suo patrimonio artistico e culturale.
&
Alghero – Veduta della chiesa di Valverde.
LE MURA Da questo punto di vista uno
dei monumenti più significativi è ciò
che resta delle sue Mura, il cui impianto fu avviato ai tempi dei Doria.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
Esse furono cura costante delle amministrazioni che si succedettero fino a
quando la città cessò di essere considerata una piazzaforte. Nel secolo XIV la
cinta aveva ventisei torri e due porte;
dopo il 1417, con il contributo in denaro
e lavoro dei cittadini, questa cinta
ebbe i primi restauri; tra il 1426 e il
1459 fu ancora consolidata. Agli inizi
del secolo XVI, però, le mura apparvero del tutto inadeguate a confrontarsi con le nuove artiglierie per cui,
nel 1513, Gerardo Zatrillas fu chiamato
a sovrintendere alla loro ristrutturazione. Il lavoro non era stato ancora
portato a termine quando, nel 1541,
giunse in città Carlo V; in seguito, nella
seconda metà del secolo, sfruttando la
presenza in Sardegna di Rocco Cappellino e dei due fratelli Palearo Fratino,
fu finalmente avviata una radicale ristrutturazione della cinta. Si pensò di
allargarne il perimetro e di renderla
adatta all’impatto dei proiettili di artiglierie sempre più potenti; il progetto
fu elaborato da Rocco Cappellino, rivisto da Jacopo Palearo Fratino ed eseguito da suo fratello Giorgio entro il
1575. Furono cosı̀ costruiti i bastioni
della Maddalena, di Montalbano e dello
Sperone; nel Seicento però la cinta
andò in rovina e la crisi finanziaria del
regno impedı̀ qualsiasi intervento. Nel
corso del secolo XVIII i Savoia procedettero al restauro, ma ormai questo
tipo di sistema fortificato andava perdendo efficacia e gli amministratori
della città presero a considerarlo un
inutile limite all’espansione urbanistica. Cosı̀ nel 1861 il Consiglio comunale chiese di poter demolire le mura
per consentire una più ordinata crescita della città e, quando nel 1867 A.
cessò di essere considerata una piazzaforte, ebbero inizio le demolizioni. Nel
corso del secolo sparirono cosı̀ i bastioni dello Sperone e della Madda-
lena con le relative cortine. Nel superstite complesso sono di particolare rilievo la torre degli ebrei, costruita nel
secolo XIV con il contributo della comunità ebraica allora residente in
città, e conosciuta anche come Porta
Reial. Costituiva l’ingresso alla città
dal lato terra ed era inserita nel complesso delle mura. È a due piani, all’interno le volte conservano i tipici elementi dell’architettura catalana e le
troniere per i cannoni. Con i Savoia
prese a essere chiamata Porta a Terra;
salvata dalle demolizioni ottocentesche, attualmente sorge isolata ed è
spesso utilizzata per mostre. La torre
dell’Esperò Reial, detta anche dello
Sperone, è ciò che rimane dell’omonimo bastione affacciato sul mare
dopo le demolizioni ottocentesche. Costruita nel secolo XIV, fu ristrutturata
dopo il 1570 assumendo l’aspetto attuale: è circolare e consta di due
grandi ambienti sovrapposti comunicanti attraverso una scala a chiocciola
ricavata nello spessore delle murature. La torre prende anche nome, insieme all’adiacente ‘‘piazzetta’’ frequentatissima dai giovani, da Vincenzo
Sulis (=), il tribuno cagliaritano che vi
trascorse suo malgrado una parte consistente della sua vita. Nato nel 1758,
era cresciuto a Cagliari e aveva avuto
una giovinezza movimentata; quindi,
divenuto notaio e benestante, aveva
preso parte attiva alle agitazioni di
fine secolo: dalla reazione al tentativo
d’invasione da parte dei francesi alla
cacciata dei Piemontesi del 28 aprile
1794. Sempre al centro degli avvenimenti, pronto a ingaggiare armati a
proprie spese, aveva assunto grande
potere, tanto che i Savoia ritennero di
interpellarlo quando, nel 1799, discutevano se rifugiarsi nell’isola in seguito all’invasione degli stati di terraferma. Egli fu pronto a dimostrare la
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
sua devozione, tanto da staccare i cavalli dalla carrozza reale per trainarla
insieme a un gruppo di compagni; ma il
suo potere era troppo per essere tollerato: accusato di aver progettato una
congiura, venne processato e condannato al carcere a vita. Lo storico Francesco Loddo Canepa ha scritto che fu
vittima della ragion di stato. La prima
parte del suo soggiorno nella torre di
Alghero, iniziato nel 1800, fu relativamente piacevole; parte delle autorità
locali gli mostrava deferenza e aveva il
permesso di passeggiare per mezz’ora
al giorno sulla terrazza superiore. Ma,
ancora vigoroso e sempre inquieto,
non accettava quella condizione.
Esplorata da cima a fondo la grande –
e tetra – prigione, riuscı̀ arrampicandosi a trovare un punto debole nell’inferriata di una finestra e, come racconta nell’Autobiografia, aveva preparato un piano di evasione, che fu scoperto per la delazione di alcuni complici. Da allora fu costretto ad «una cattena al collo, con due anelli di ferro
alle gambe, che con la sua traversa inciaverata teneva strette ambe le
gambe»; visse «senza mai luce, senza
mai fuoco, senza mai poter leggere nissun libro». Il che non gli impedı̀ di
escogitare un nuovo tentativo di fuga,
e di attuarlo dopo aver finto di essere
stato colto da una paralisi; ma dopo
qualche giorno di latitanza dovette riconsegnarsi per evitare ritorsioni contro coloro che l’avevano aiutato. Erano
i primi giorni del 1812 e sperava, dopo
oltre dieci anni di detenzione, di ottenere la grazia; ma questa sarebbe venuta soltanto otto anni più tardi, in occasione del compleanno di Vittorio
Emanuele I. Nel dargli la notizia, i carcerieri gli raccomandarono di aspettare la sera per uscire, perché «dopo
tanti anni di rinzerro» il sole di luglio
avrebbe potuto accecarlo. Ma non riu-
scirono a trattenerlo e, «a costo di perdere la vista, e la vita ancora», si diresse verso la porta «con due ufficiali
alla braccetta» ed ebbe la gioia di constatare che era atteso con gioia: «Viddi
tutta la città d’A. uomini e donne tutti
sopra delle muraglie... gridando tutti
‘‘Evviva il Sulis’’... tanto gridavano
dalle muraglie e contrade, ed altrettanto gridavano dalle gallerie, balconi
e porte...».
LE CHIESE Altro importante elemento
del patrimonio artistico della città
sono le chiese, tra le quali primeggia
la cattedrale di Santa Maria. La costruzione ebbe inizio nel 1530, dopo che la
città era divenuta sede di diocesi, ma
dopo alcuni anni fu interrotta per mancanza di fondi; riprese nel 1562 e fu
completata con il concorso finanziario
della municipalità negli anni dell’episcopato di Antioco Nin e di Andrea Bacallar. La costruzione rispecchia la discontinuità dei tempi di fabbricazione:
mentre il presbiterio e le cappelle
hanno forme tardogotiche, il transetto
e l’aula sono rinascimentali, opera
probabilmente di architetti militari
che operavano in città in quegli anni.
Un ulteriore intervento si ebbe tra il
1661 e il 1667 quando furono ultimate
la volta a botte e la cupola, probabilmente con l’intervento dello Spotorno.
L’interno fu abbellito nel 1726 dall’Arienti e nella seconda metà del secolo
XVIII dal Massetti. Nel 1826 Giovanni
Battista Barabino vi collocò l’altare del
Santissimo Sacramento in forme neoclassiche. All’interno è collocato anche
il Monumento del duca di Monferrato
Maurizio Giuseppe di Savoia, morto
ad A. nel 1799, eseguito in forme neoclassiche da Felice Festa. La facciata,
anch’essa in stile neoclassico, fu costruita nel 1862 da Michele Dessı̀ Magnetti. La chiesa di San Francesco fu
costruita in forme gotico-aragonesi
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
nel terzo decennio del secolo XV sui
resti di una cappella più antica. Nel
corso dei secoli divenne il centro della
religiosità algherese e molte famiglie
dell’aristocrazia vi ebbero patronato e
cappelle. Nel 1593 il corpo centrale e
parte delle cappelle crollarono, ma la
chiesa fu ricostruita entro il 1598 con il
concorso finanziario delle famiglie patrone e con le rendite del convento.
Dell’edificio più antico rimangono
l’abside pentagonale con le cappelle
adiacenti, il chiostro rettangolare con
archi a tutto sesto poggianti su pilastri
cilindrici e il campanile esagonale terminante con guglia a gattoni. Quando
nell’Ottocento gli ordini religiosi furono sciolti, l’edificio fu chiuso e andò
in rovina, solo più tardi i frati riuscirono a tornarne in possesso e avviarono una radicale opera di restauro.
La chiesa di San Michele dei Gesuiti è
attigua al convento che l’ordine possedeva in città; la sua costruzione iniziò
dopo il 1589 e terminò solo nel 1675
sotto la direzione dello Spotorno. L’edificio ha una sola navata, due cappelle
laterali e la volta a botte ed è un esempio dello stile del ‘‘modonostro’’ che
l’ordine sviluppò in Sardegna. L’interno è impreziosito da altari lignei,
da stucchi e dorature tutti risalenti
alla fine del secolo XVII e di grande
pregio. Oltre alle tre chiese menzionate, che sono le più significative, va
ricordata quella di Sant’Antonio, costruita nel secolo XIV nel centro storico e dedicata in un primo tempo a
Santo Stefano. Nel 1640 fu assegnata
al vicino Ospedale di Sant’Antonio e
dedicata al santo, e subı̀ alcune modifiche che ne alterarono i caratteri originari. In seguito, nel corso dell’Ottocento, fu intitolata a San Giovanni di
Dio; attualmente è privata. E ancora
Santa Barbara, chiesa costruita nel secolo XV vicino alle mura nel vico inti-
tolato a Sant’Andrea, al quale era originariamente dedicata; nel secolo XVI
fu notevolmente ristrutturata e poco
dopo dedicata a Santa Barbara. Sconsacrata, è attualmente di proprietà di
privati. Va infine ricordato il Teatro civico, costruito tra il 1858 e il 1862 nella
piazza Vittorio Emanuele II. È opera
dell’architetto Franco Poggi e sostituı̀
il vecchio teatro che risaliva ai tempi
di Vittorio Emanuele I. Nelle forme
che riecheggiano uno stile neoclassico
di maniera ricorda il Teatro civico di
Sassari. Tra le attrazioni della città,
create anche tenendo conto dei flussi
turistici, è da ricordare anche il Mare
Nostrum Aquarium, una esposizione
di fauna marina mediterranea e di
fauna di acqua dolce situata in via XX
Settembre.
Nel territorio di A. si trova l’antico e
frequentato santuario di Nostra Signora di Valverde: sorge in una valle
ricca di vegetazione a qualche chilometro dalla città; fu costruito nel secolo XIV nel luogo dove secondo una
leggenda un monaco avrebbe trovato
una statua della Vergine. All’interno, a
una navata e abbellito da marmi settecenteschi, si trova un grande altare, anch’esso in marmo, restaurato di recente, e due statue collocate al di sopra: in alto la Madonna della Freccia,
cui il tempio era intitolato in origine,
in basso quella di Valverde, piccolissima, in terracotta, alta «un palmo ed
un quarto», come scriveva un sacerdote dell’Ottocento, ossia poco più di
30 cm. Don Antonio Nughes, rettore
del santuario, ha raccolto di recente in
un libro le notizie che si hanno, tra storia e leggenda, intorno a questo antico
e veneratissimo simulacro: si trovava
in origine in un’altra chiesa della
zona, della quale si sono perse le tracce
perché venne distrutta dai pirati saraceni. La statua era stata nascosta sotto
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
il Pilar, una colonna in granito che si
trova nel sagrato, e sarebbe stata la Madonna stessa, con un’apparizione, a
farla ritrovare. In un primo momento
fu portata in città, nella cattedrale, ma
fuggı̀ e fu ritrovata in questa, che considerava evidentemente la propria dimora. La devozione degli algheresi e
degli altri sardi venne cosı̀ aumentando, e la chiesa fu sempre più curata
e abbellita. Solo in occasione di avvenimenti o calamità gravi la Madonnina
è stata di tanto in tanto riportata ad Alghero, per venire incontro alla devozione del popolo. Adiacente alla chiesa
si trova un vasto edificio del Seicento
con la sacrestia e i locali che ospitano il
clero durante la festa. Poco oltre si
trova Sant’Efisio, una località nella
quale nella seconda metà del secolo
XVII i Gesuiti impiantarono un vasto
complesso che in seguito alla soppressione dell’ordine passò in mani private. Infine è da ricordare la chiesa di
Sant’Anna, situata anch’essa a qualche
chilometro dalla città, che fu costruita
in forme tardoromaniche alla fine del
secolo XIII con pianta a croce commissa completata da una piccola abside semicircolare. L’edificio fu ristrutturato nel corso dei secoli XVI e
XVII. Attualmente si conserva in forme
barocche.
LE TORRI Altro significativo elemento
del patrimonio culturale della città è il
sistema delle torri costiere, costruito a
partire dalla seconda metà del secolo
XVI per integrare la cinta delle mura
nella difesa del centro abitato e delle
spiagge. Le torri litoranee furono dislocate lungo il tratto di costa che si
stende tra il capo Marargiu a sud e la
punta Argentera a nord. Il complesso
era costituito da 12 torri (= Torri costiere), tra le quali alcune vanno ricordate in particolare. La torre di Poglina
sorge a poca distanza dalla chiesa della
Speranza (costruita nel secolo XIV e
successivamente ristrutturata) a sud
della città in prossimità di capo Ginestra. Fu costruita dopo il 1572 forse da
Rocco Capellino; aveva un impianto di
forma troncoconica alla base e cilindrica nella parte superiore, consta di
un solo piano e il suo attuale stato di
rudere ci impedisce di conoscere i
dati relativi al suo armamento e alla
funzione che assolveva nel sistema di
cui era parte. La torre di capo Galera,
costruita nel 1572, aveva compiti di segnalazione e di difesa; situata a nord
dell’abitato, è in ottime condizioni di
conservazione. Ha un impianto del
tutto simile a quello della torre di Poglina con la volta a cupola e ha un diametro interno di più di 11 m. Poco oltre,
all’imboccatura meridionale della
rada di Porto Conte, si trovava la torre
di punta Giglio, costruita dopo il 1572 e
attualmente distrutta. All’interno
della rada sono le torri di Porto Conte
e di Tramariglio, costruite rispettivamente nel 1572 e nel 1581: erano entrambe destinate in origine alla difesa
e potentemente armate; ancora oggi si
presentano in buone condizioni di conservazione. Hanno una forma rispettivamente troncoconica e conica e furono abbandonate nel corso del secolo
XIX. In prossimità di capo Caccia si
trova la torre di Buru, del 1572, anch’essa molto danneggiata. La sua
struttura è del tutto simile a quella
delle torri di Poglina e di capo Galera:
destinata alle funzioni di segnalazione
e di difesa, era adeguatamente armata.
Oltre la rada di Porto Conte, nel tratto
di costa che si stende fino all’insenatura di Porto Ferro, il sistema di torri
costiere che fa riferimento alla città
comprende le torri Pegna, Porticciolo,
Bantine ’e Sale, Airadu e Negra, che
svolgevano funzioni di segnalazione,
con la sola eccezione di quest’ultima
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Alghero
che svolgeva anche funzioni di difesa
nel litorale di Porto Ferro. La loro
struttura è simile a quella della torre
di Poglina, ma attualmente sono in cattivo stato di conservazione: quelle di
Bantine ’e Sale e di Airadu sono ridotte
allo stato di rudere.
Alghero – La torre di Buru, sotto capo Caccia
(1572). La costa algherese era protetta da una
fitta cortina di torri costiere.
LE GROTTE Numerose anche, oltre a
quelle rappresentate dalle spiagge e
dalle scogliere, le bellezze naturali
che punteggiano questo territorio. Tra
queste la già citata Grotta Verde con la
chiesa di Sant’Erasmo. La Grotta
Verde o Grotta dell’Altare (= Grotte) si
apre a capo Caccia: un tempo la si poteva raggiungere solo dal mare, attualmente è raggiungibile anche da un sentiero che iniziando dall’alto scende
lungo un costone roccioso; prende il
nome dalle stalattiti verdi di grande effetto di cui è piena. Al suo interno è la
chiesa di Sant’Erasmo, attualmente
allo stato di rudere. Al termine della
strada che conduce a capo Caccia ha
inizio invece l’Escala del Cabirol, una
lunga scalinata di 656 gradini che conduce sino al livello del mare, dove di
aprono le celeberrime grotte di Nettuno, cui i visitatori arrivano anche
con battelli che partono dal porto di A.
Molto grandi e suggestive, si dipanano
in una teoria di sale ricche di concrezioni. A breve distanza si trova l’‘‘Arca
di Noè’’, area istituita per la protezione
della flora e della fauna e aperta alla
visita; mentre dal versante opposto si
può salire lungo la strada per Villanova
Monteleone sino ai tornanti della Scala
Piccada: giunti al culmine si gode di
una vista straordinaria sulla città e le
campagne, sino all’inconfondibile
punta calcarea di capo Caccia.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Il
carattere più significativo delle tradizioni algheresi è rappresentato da
una serie di manifestazioni che si ricollegano alle origini iberiche della
popolazione; tra queste quella di
maggiore rilievo è il ciclo di cerimonie religiose conosciuto come i riti
della Settimana santa. Hanno inizio il
martedı̀ con la processione dei Misteri
che, partendo dalla chiesa di San
Francesco, si snoda per le strade del
centro storico, con suggestiva scenografia, fino ad arrivare alla cattedrale. Una grande folla accompagna
le sette statue dei Misteri che, scortate dalle confraternite in costume,
vengono al termine depositate in
Duomo. Il giovedı̀ si svolge la processione del Cristo dove l’effigie secentesca di un crocifisso ritenuto miracoloso viene portata dalla chiesa della
Misericordia fino alla cattedrale attraverso le vie del centro, che per-
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Alghero
corre scortata dall’Arciconfraternita
del Gonfalone e illuminata da una
suggestiva fiaccolata; durante il tragitto la processione si ferma quattordici volte per ricordare le tappe della
Via Crucis. Una volta giunti in Duomo
il crocifisso viene esposto accanto
alle statue dei Misteri. Nel pomeriggio del Venerdı̀ santo dalla chiesa
della Misericordia parte la processione detta del descravament, nella
quale molte dame velate da mantiglie
nere e confratelli col classico costume bianco scortano, portando i
simboli della Passione, il simulacro
della Mater dolorosa, mentre la Croce
col Cristo morto è scortata da dignitari in costume e sacerdoti; al tramonto il corteo giunge in Duomo
dove si svolge il descravament e al Cristo vengono tolti con grande pietà i
chiodi e la corona di spine. Quindi il
suo corpo, liberato dalla croce, è collocato nel feretro che viene condotto
per le vie del centro storico sino alla
chiesa della Misericordia, dove viene
deposto ai piedi dell’altare. Si è persa
invece la memoria della festa che gli
algheresi facevano nella notte tra il 5
e il 6 maggio di ogni anno per ricordare la loro vittoria sulle truppe del
visconte di Narbona, che nel 1412 avevano tentato di conquistare la città:
esse che culminavano nel canto di cobles, strofette polemiche contro i sassaresi (alleati del visconte), di cui si
conserva il testo. Una delle maggiori
feste popolari è quella in onore della
Madonna di Valverde, che si svolge
nella prima domenica dopo Pasqua
dopo il novenario, con il canto dei gosos tradizionali e con alcune cerimonie civili di grande suggestione. Si festeggiano anche San Giovanni Battista, il 24 giugno, e San Giovanni Bosco,
il 31 gennaio. Altra festa importante è
quella dedicata a Nostra Signora
della Mercede, che fu introdotta dai
Mercedari nel corso del secolo XVIII
e prevede due fasi: il 1º agosto ha
luogo una magnifica festa popolare
durante la quale si svolge una suggestiva processione a mare; il 26 settembre segue la parte religiosa della celebrazione. Sono da ricordare altre feste religiose di minore rilievo, tutte
incentrate sulla partecipazione popolare ai riti e alle manifestazioni folcloristiche. Tra queste la festa di Nostra Signora della Guardia che si tiene
l’ultima domenica di luglio; e quelle
dedicate alla Vergine Assunta il 15
agosto; a Sant’Agostino il 28 agosto;
alla Madonna di Loreto la prima domenica di settembre; a Nostra Signora della Mercede il 24 settembre;
e infine a San Michele, patrono della
città, il 29 settembre.
Alghero, diocesi di Diocesi suffraganea di Sassari istituita nel 1503 con la
traslazione dell’antica sede di Ottana,
alla quale erano state unite le diocesi
di Bisarcio e di Castra. Dal 1972 le diocesi di Alghero e di Bosa sono unite.
La giurisdizione del vescovo di Alghero si estende alle parrocchie di
Alà dei Sardi (dal 1503 al 1804), Alghero (dal 1503), Anela (dal 1503 al
1804), Bantine (dal 1503 al 1804), Benetutti (dal 1503 al 1804), Berchidda
(dal 1503 al 1804), Berchiddeddu (dal
1503 al 1804), Bidducara (dal 1503), Biduvé (dal 1503), Birori (dal 1503), Bolotana (dal 1503), Bono (dal 1503 al
1804), Borore (dal 1503), Borticoro
(dal 1503), Bortigali (dal 1503), Bottidda (dal 1503 al 1804), Buddusò (dal
1503 al 1804), Bultei (dal 1503 al 1804),
Burgos (dal 1503 al 1804), Dualchi (dal
1503), Esporlatu (dal 1503 al 1804), Illorai (dal 1503 al 1804), Lei (dal 1503),
Lunafras (dal 1503), Macomer (dal
1503), Monti (dal 1503 al 1804), Mulargia (dal 1503), Noragugume (dal 1503),
120
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 128
Alghero
Nughedu San Nicolò (dal 1503 al
1804), Nule (dal 1503 al 1804), Nuoro
(dal 1503 al 1779), Oniferi (dal 1503 al
1779), Orani (dal 1503 al 1779), Orgosolo (dal 1503 al 1779), Orotelli (dal
1503 al 1779), Oschiri (dal 1503 al
1804), Osidda (dal 1503 al 1804), Ottana
(dal 1503 al 1779), Ozieri (dal 1503 al
1804), Padru (dal 1503 al 1804), Pattada (dal 1503 al 1804), Sarule (dal
1503 al 1779), Silanus (dal 1503), Tula
(dal 1503 al 1804), Vesos (dal 1503).
VESCOVI DI ALGHERO
1. Pietro Parente, di Jaén, inquisitore
del Regno di Sardegna dal 1502, nel
1503 fu nominato vescovo; morı̀ nel
1514. 2. Giovanni de Loaysa, dottore
in Decretali; canonico di Zamora; nel
1514 fu nominato vescovo e nel 1525 fu
trasferito a Mondoñedo. 3. Guglielmo
Cassador, di Vic; uditore della Sacra
Rota, nel 1525 fu nominato vescovo e
morı̀ nel 1527. 4. Guglielmo Solis,
maestro di Teologia, in Curia; fu nominato vescovo nel 1527 e governò la
diocesi per pochi mesi. 5. Domenico
Pastorello, minore conventuale, nominato vescovo nel 1528, nel 1534
venne trasferito all’archidiocesi di
Cagliari. 6. Giovanni Renna, di Venezia, in Curia; nominato vescovo nel
1534, governò la diocesi fino al 1538,
anno in cui fu nominato arcivescovo
di Pamplona. 7. Durante de Duranti,
di Brescia, in Curia; nominato vescovo nel 1538, nel 1541 fu trasferito a
Cassano. 8. Pietro Vaguer, di Jaca, dottore in utroque a Salamanca; visitatore regio in Sardegna, nel 1541 fu nominato vescovo e resse la diocesi fino
al 1562. 9. Pietro Frago, era vescovo di
Ales-Terralba (=) quando nel 1566 divenne vescovo di Alghero; nel 1572 fu
trasferito a Jaca. 10. Antioco Nin, cagliaritano, dottore in Teologia; resse
la diocesi dal 1572 al 1576. 11. Andrea
Bacallar, cagliaritano, maestro in
Teologia e giudice di appellazioni;
nel 1578 fu nominato vescovo e nel
1604 divenne arcivescovo di Sassari.
12. Nicola Cannavera, di Iglesias, canonico di Ales, nel 1604 divenne vescovo e scomparve nel 1611. 13. Gavino Manca Cedrelles, appartenente
a un ramo dei Manca di Sassari, dottore in Teologia; vescovo di Bosa dal
1605, nel 1612 fu trasferito ad Alghero
e dopo un anno divenne arcivescovo
di Sassari. 14. Lorenzo Nieto era vescovo di Ales e Terralba quando nel
1613 fu trasferito ad Alghero; nel 1621
divenne arcivescovo di Oristano. 15.
Ambrogio Machin, di Alghero, mercedario e maestro in Teologia; era generale del suo ordine quando nel 1621 fu
nominato vescovo; nel 1627 divenne
arcivescovo di Cagliari. 16. Gaspare
Prieto, di Burgos, mercedario e maestro di Teologia; era generale del suo
ordine quando nel 1627 divenne vescovo; nel 1634 fu trasferito a Elna.
17. Cipriano Azcòn, di Lleida, dottore
in utroque, canonico di Saragozza; fu
nominato vescovo nel 1637 ma morı̀
nel 1639 prima di prendere possesso
della diocesi. 18. Antonio Nuseo, sassarese, dottore in Teologia a Pisa; arciprete e vicario generale della sua
archidiocesi, nel 1639 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1642. 19. Vincenzo
Agostino Claveria, coadiutore del vescovo di Valencia e vescovo titolare di
Petra; vescovo di Bosa dal 1639, nel
1644 fu trasferito ad Alghero e morı̀
nel 1652. 20. Francesco Boyl, di Alghero, mercedario, fu nominato vescovo nel 1653 e scomparve due anni
dopo. 21. Dionigi Carta-Senes, di Sedilo, minore osservante, fu nominato
vescovo nel 1657 ma morı̀ dopo pochi
mesi. 22. Salvatore Mulas Pirella, di
Nuoro, dottore in Teologia e parroco
di Nuoro; nel 1659 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1661. 23. Andrea Az-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 129
Alghero
nar, di Saragozza, eremitano di Sant’Agostino e maestro in Teologia; nominato vescovo nel 1663, resse la diocesi fino al 1671, anno in cui fu trasferito a Jaca. 24. Lussorio Roger, nato a
Cagliari nel 1616, dottore in utroque a
Bologna; fu nominato vescovo nel
1672 e morı̀ nel 1676. 25. Francesco Lopez de Urraca, vescovo di Bosa dal
1672, nel 1677 fu trasferito ad Alghero
e nel 1681 a Barbastro. 26. Ludovico
Diez de Aux y Almendariz, spagnolo
di Tudela, mercedario e provinciale
di Aragona, maestro in Teologia; vescovo dal 1681, nel 1686 fu nominato
arcivescovo di Cagliari. 27. Gerolamo
de Velasco, castigliano, benedettino e
maestro in Teologia; abate in diversi
monasteri, nel 1686 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1692. 28. Giuseppe di
Gesù Maria, da Madrid, agostiniano
scalzo e provinciale; nel 1693 fu nominato vescovo, ma morı̀ a Palermo nel
1694 prima di prendere possesso
della diocesi. 29. Tommaso Carnicer,
nato a Cagliari nel 1643, domenicano
e vicario generale nel Regno di Sardegna, maestro in Teologia; nel 1695 fu
nominato vescovo e morı̀ nel 1720. 30.
Giovanni Battista Lomellini, nato a
Carmagnola nel 1670, domenicano;
nominato vescovo nel 1726 e trasferito
a Saluzzo nel 1729. 31. Dionigio Gioacchino Belmont, nato nella diocesi di
Asti nel 1664, servita e provinciale a
Genova, maestro in Teologia, teologo
del re di Sardegna; nominato vescovo
nel 1729, morı̀ nel 1732. 32. Matteo
Bertollinis, nato a Mondovı̀ nel 1677,
dottore in Teologia e preside della Facoltà di teologia di Torino; nel 1733 fu
nominato vescovo e nel 1741 divenne
arcivescovo di Sassari. 33. Carlo Francesco Casanova, nato nella diocesi di
Ventimiglia nel 1695, dottore in Teologia presso il Collegio Romano e in
utroque a Macerata, vicario generale
di Rimini; nominato vescovo nel 1741,
nel 1751 fu trasferito all’archidiocesi
di Sassari. 34. Giuseppe Agostino Delbecchi, nato a Oneglia nel 1697, scolopio e generale; nel 1751 fu nominato
vescovo e nel 1763 fu trasferito all’archidiocesi di Cagliari. 35. Giuseppe
Maria Incisa Beccaria, nato nella diocesi di Alba nel 1726, dottore in utroque a Torino; nominato vescovo nel
1764, nel 1772 divenne arcivescovo di
Sassari. 36. Gioacchino Michele Radicati, nato a Saluzzo nel 1719, domenicano e maestro in Teologia; fu nominato vescovo nel 1772 e scomparve nel
1793. 37. Salvatore Giuseppe Mameli,
nato a Roma nel 1737, dottore in Teologia a Torino e in utroque a Cagliari;
professore presso l’Università di Cagliari, nel 1800 fu nominato vescovo e
morı̀ nel 1801. 38. Pietro Bianco, nato
a Sassari nel 1753, dottore in Teologia,
penitenziere e vicario generale a Sassari; nel 1805 fu nominato vescovo e
morı̀ nel 1827. 39. Filippo Arrica, nato
a Ploaghe nel 1784, dottore in Teologia a Torino; fu nominato vescovo nel
1832 e morı̀ nel 1839. 40. Efisio Casula,
di Oristano, uomo di grande cultura e
professore di Teologia presso l’Università di Cagliari; fu nominato vescovo nel 1842, ma poco dopo rinunciò. 41. Pietro Raffaele Arduino, era
vescovo di Carre e vicario apostolico
in Moldavia quando nel 1843 fu trasferito ad Alghero; morı̀ nel 1863. 42. Giovanni Maria Filia, nato a Bolotana nel
1808, dottore in utroque a Sassari, vicario generale e capitolare di Cagliari; fu nominato vescovo nel 1871 e
morı̀ nel 1882. 43. Eliseo Giordano,
nato a Sassari nel 1820, carmelitano,
dottore in filosofia e in teologia a Sassari, professore di Teologia morale,
parroco di Santa Maria in Traspontina (Roma) e procuratore generale
dell’Ordine; fu nominato vescovo nel
122
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 130
Alguer
1883 e morı̀ nel 1906. 44. Ernesto Maria Piovella, nato a Milano nel 1867,
oblato di Rho; vicario generale di Ravenna, nel 1907 divenne vescovo e nel
1914 fu trasferito a Oristano. 45. Francesco D’Errico, nato a Castel Baronia
(diocesi di Lacedonia) nel 1862, dottore in Teologia e in utroque a Roma e
parroco di Albano Laziale; fu nominato vescovo nel 1914 e morı̀ nel 1939.
46. Adolfo Ciuchini, nato a Gradoli
(Viterbo) nel 1881, mercedario e assistente e segretario generale, parroco
di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari; fu nominato vescovo nel 1939,
rinunciò nel 1967. 47. Francesco Spanedda, nato a Ploaghe nel 1910, vescovo di Bosa dal 1956 al 1979; amministratore apostolico e, dal 1970, vescovo di Alghero mentre era ancora
vescovo di Bosa; nel 1972 la Santa
Sede decretò l’unione personale
delle due diocesi di Alghero e di
Bosa; nel 1979 divenne arcivescovo di
Oristano.
Dal 1979 la titolatura della diocesi
cambiò in Alghero e Bosa e, dal 1986,
in Alghero-Bosa.
VESCOVI DI ALGHERO-BOSA
1. Giovanni Pes, nato a Cuglieri nel
1916, dottore in Teologia a Cuglieri e
ivi parroco; nominato vescovo nel
1979, si dimise nel 1993. 2. Antonio
Vacca, nato a Quartu Sant’Elena nel
1934, dottore in Teologia a Cuglieri,
parroco a Sestu e a Cagliari; nominato
vescovo di Alghero-Bosa nel 1993, amministratore apostolico dell’archidiocesi di Sassari nel 2004. [MASSIMILIANO
VIDILI]
Alghero, pace di Con questo nome è
conosciuto il trattato di pace tra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona, che pose fine alla prima guerra
tra i due sovrani. Il documento, firmato ad Alghero il 13 novembre del
1354, consentı̀ al re d’Aragona di en-
trare nella città il 16 dello stesso
mese.
Alghero, provincia di Circoscrizione
amministrativa creata nel 1821 nel
quadro delle riforme promosse da
Carlo Felice; era divisa in cinque
mandamenti: Alghero (comprendente, oltre al territorio dipendente
dalla città, il villaggio di Valverde);
Bonorva (con i villaggi di Bonorva,
Cossoine, Giave, Rebeccu, Semestene); Pozzomaggiore (con i villaggi
di Pozzomaggiore, Mara e Padria);
Thiesi (con i villaggi di Thiesi e Cheremule); Villanova Monteleone (con i
villaggi di Villanova Monteleone,
Monteleone Rocca Doria e Romana).
Fu soppressa nell’agosto del 1848 con
la ‘‘fusione perfetta’’ e inclusa nella
neocostituita divisione amministrativa di Sassari.
Alghero, trattato di Atto di fondamentale importanza per la storia
della Sardegna, fu firmato ad Alghero
il 17 agosto del 1420 tra Alfonso V e i
rappresentanti di Guglielmo III di
Narbona, ultimo giudice d’Arborea.
In base al trattato Guglielmo di Narbona rinunciava definitivamente a
tutti i suoi diritti dinastici sul giudicato d’Arborea e consegnava al re la
città di Sassari e gli altri territori occupati dalle sue truppe dietro la promessa del pagamento (a rate) della
somma di 100 000 fiorini d’oro, che
non fu mai versata per intero.
Algiroide = Zoologia della Sardegna
‘‘Alguer, L’’’ Rivista culturale. La sua
pubblicazione coincide con la ripresa
negli ambienti culturali del movimento conosciuto come il terzo Retrobament algherese, che ebbe inizio nel
corso degli anni Settanta del Novecento, quando in Spagna la Catalogna
raggiunse la propria autonomia e si
riaccese il dibattito sulle minoranze
linguistiche. L’evento provocò una ri-
123
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 131
Aliberti
presa del dibattito culturale ad Alghero, i cui intellettuali ebbero
scambi frequenti con intellettuali catalani; cosı̀ nel 1988 uscı̀ la rivista
‘‘L’Alguer’’, diretta da Giovanni Ibba,
e nel 1990 la Revista de l’Alguer. Periòdic de cultura dels paisos catalans, diretta da Rafael Caria.
glie carnosette a lamina astata o intera e infiorescenze apicali giallastre. Cresce in fitti cespugli nelle
zone costiere o salmastre, sui bordi
delle strade e in ambienti degradati.
Nomi sardi: álimu (campidanese);
berbéna (Baronie); éramu (gallurese).
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Aliberti, Giuseppe Giornalista (Cagliari, prima metà sec. XIX-ivi, fine
sec. XIX). Amico di Giovanni Battista
Tuveri (=), nel luglio del 1849, mentre
fervevano le polemiche che precedettero le votazioni per la III legislatura,
fondò a Cagliari ‘‘Il Setaccio’’, un periodico liberale ispirato alle posizioni del Tuveri, ma dopo il primo numero fu arrestato per violazione della
legge sulla stampa. Tra i suoi scritti,
Cittadini della Sardegna, 1849; Scritti
polemici sul resoconto del dibattimento
dei sassaresi del 1853, 1853.
Alighieri, Dante = Dante Alighieri
Alimione Pianta arbustiva perenne
della famiglia delle Chenopodiacee
(Halimione portulacoides (L.) Allen,
sin. Atriplex portulacoides/Obione portulacoides). Fusti legnosi, diffusi e
striscianti; foglie opposte ovate o lanceolate bianco-argentee; fiori glomerulari riuniti in pannocchie; frutti
formati da brattee sugherose tridentate. Fiorisce da luglio a ottobre e
fruttifica da ottobre a dicembre.
Pianta alofita (cioè adattata a vivere
in presenza di sale) molto diffusa in
Sardegna allo stato spontaneo, cresce
in luoghi salmastri in associazione
con la salicornia. Nell’Oristanese
viene chiamata zibba e si utilizza per
preparare sa merca, una pietanza a
base di muggini lessati in acqua di
mare e fatti insaporire con una copertura di foglie di a. Alla stessa famiglia
appartiene l’Atriplex halimus L.
(alimo o porcellana marina), molto ramificata, con rami lunghi intricati, fo-
Vittorio Alinari – Uno dei fondatori della
famosa agenzia fotografica, realizzò due
importanti campagne in Sardegna nel 1913
e nel 1914.
Alinari, Vittorio Fotografo fiorentino
(Firenze 1859-Livorno 1932). Appartenente alla famiglia degli Alinari, titolare della casa fotografica Fratelli
Alinari, fece due viaggi fotografici in
Sardegna tra il 1913 e il 1914. Il primo
consistette in una circumnavigazione
dell’isola (da Golfo Aranci a Cagliari e
poi risalendo lungo la costa occidentale); effettuata nel maggio del 1913 a
bordo dello yacht Il Trionfante, accompagnato dal pittore Guido Spadolini, padre del professor Giovanni, futuro presidente del Consiglio nell’Italia repubblicana, toccò anche Caprera, dove rischiò di essere cannoneggiato dalle postazioni della Marina poste a difesa dell’isola. Il secondo lo fece nell’aprile del 1914. Si
trattò di due soggiorni brevi ma molto
significativi, nei quali Alinari eseguı̀
124
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 132
Alivesi
delle bellissime fotografie che furono
la base del suo libro Diario di viaggio
in Sardegna, pubblicato nel 1915.
Aliri Antico villaggio che faceva parte
del giudicato di Cagliari, compreso
nella curatoria della Trexenta. Probabilmente sorgeva ai confini della
curatoria tra Guasila e Serrenti.
Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, A. dal 1258 fu compreso nel
terzo toccato ai conti di Capraia e da
loro passò al giudice d’Arborea. Nel
1295 il giudice Mariano II lasciò il territorio al Comune di Pisa, che però ne
entrò in possesso solo nel 1300; cosı̀ il
villaggio passò sotto il diretto controllo del Comune, che prese a sfruttarlo, provocando la diminuzione
della popolazione. Terminata la spedizione dell’infante Alfonso il territorio entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma, conclusesi nel 1326 le ostilità tra Pisa e Aragona, il villaggio fu
concesso come feudo al Comune di
Pisa. Negli anni che seguirono A. fu
amministrato con eccessivo fiscalismo dai funzionari del Comune, in un
clima politico di crescente tensione.
Quando nel 1353 scoppiò la prima
guerra tra Mariano IV e Pietro IV il
suo territorio fu gravemente devastato, ma in qualche modo Pisa contin u ò a c o n s e r v a r n e i l p o s s e s s o .
Quando però nel 1365 scoppiò la seconda guerra tra Arborea e Aragona,
Pisa ne perse definitivamente il controllo e A. si spopolò in seguito agli
sconvolgimenti di quella contesa.
Alisso odoroso Pianta erbacea prostrata della famiglia delle Crociferae
(Lobularia marittima (L.) Desv.), detta
anche filigrana. Ha foglie lunghe, lanceolate e tomentose, e infiorescenze
globose di fiori bianchi o bianco-rosati che fioriscono per tutta la primavera e l’estate; frutto a sı̀liqua ovale.
Cresce, formando densi pratelli, su
terreni rocciosi in prossimità delle
coste. Nomi sardi: alissu (Sardegna
settentrionale); filigranu (campidanese). Alla stessa famiglia appartiene
l’endemismo sardo Alyssum tavolarae
Briq., dai densi fiori gialli. Cresce
sulle rocce calcaree dei monti di
Oliena e Orgosolo, oltre che sulle
rupi dell’isola di Tavolara, da cui
prende il nome. È inserito nell’elenco
delle piante da sottoporre a vincolo di
protezione in base alla proposta di
L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Alivesi 1 Famiglia sassarese (secc.
XVI-XVIII). Nota fin dagli inizi del secolo XVI, quando un Angelo, nel 1507,
ottenne l’ufficio di collettore delle gabelle del diritto del vino di Sassari.
Nei decenni successivi la famiglia
raggiunse una notevole floridezza
economica e alcuni dei suoi membri
ottennero l’arrendamento delle gabelle di Sassari. Agli inizi del secolo
XVII era considerata tra le famiglie
più ragguardevoli della città e nel
1624 ottenne il cavalierato ereditario
con il dottor Giacomo proavvocato fiscale di Sassari. Sospeso nel 1626 dal
suo ufficio dal viceré marchese di
Bayona, fu difeso da suo figlio Giovanni Maria, giovane e valoroso avvocato che andava ponendosi allora in
luce e che divenne in seguito, a sua
volta, avvocato fiscale, ottenendo il riconoscimento della nobiltà nel 1641.
Fu padre di Giacomo, discutibile personaggio protagonista della cattura
dello sfortunato marchese di Cea. In
seguito le condizioni della famiglia
decaddero e gli A. si trasferirono ad
Alghero, dove si estinsero alla fine
del secolo XVIII.
Alivesi2 Famiglia di Ittiri (secc. XVIIIXX). Proprietari terrieri, ottennero il
125
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 133
Alivesi
cavalierato ereditario e la nobiltà nel
1809 con un Giovanni Andrea.
Quando però essi sbarcarono all’Isola
Rossa, li assalı̀ a tradimento mentre
dormivano e uccise Francesco Cao e
Gabriele Aymerich e fece arrestare il
marchese di Cea. Per questo il viceré
gli fece concedere i feudi di Siligo e
Banari sequestrati al marchese, ma le
popolazioni si ribellarono e non permisero che egli ne entrasse in possesso.
Alivesi, Giovanni Maria Giurecon-
Alivesi – Arma. Famiglia di Ittiri, ottenne la
nobiltà nel 1809.
Alivesi, Giacomo Figlio di Giovanni
(Sassari, prima metà sec. XVII-ivi,
dopo 1670). Era un giovane violento e
conduceva una vita scapestrata. Fu accusato di aver commesso molti omicidi, per cui dovette darsi alla macchia. In considerazione della famiglia
cui apparteneva, nel 1666 ottenne un
salvacondotto dal viceré Camarassa e,
lasciata la Sardegna, si stabilı̀ a Napoli. Dopo l’omicidio del viceré egli
giocò un ruolo importante e sinistro;
infatti, a causa del debito di riconoscenza che aveva nei confronti del defunto, fu costretto dal duca di San Germano, nuovo viceré impegnato a scovare e punire i colpevoli del misfatto,
ad avvicinare i capi della congiura per
spiarli e facilitarne la cattura. Con cinica destrezza egli riuscı̀ a convincerli
a tornare in Sardegna, facendo credere loro che nell’isola erano maturate
le condizioni di una rivolta generale.
sulto (Sassari, seconda metà sec. XVIivi, seconda metà sec. XVII). Nato dal
dottor Giacomo proavvocato fiscale, si
laureò in Legge a Pisa. Tornato in Sardegna si segnalò per la sua profonda
preparazione giuridica e si affermò
come uno dei migliori avvocati del suo
tempo. Quando suo padre, accusato di
aver commesso abusi nell’esercizio
delle sue funzioni, nel 1626 fu sospeso
dall’ufficio dal viceré Bayona, lo difese
scrivendo una memoria di alto livello
giuridico e di grande interesse per la
comprensione dei difficili rapporti tra
la Sardegna e l’amministrazione reale
in quegli anni. In seguito fu anche lui
nominato proavvocato fiscale e nel
1641 fu creato nobile; di lui rimangono,
oltre ad alcuni trattati, anche numerosi altri responsi e allegazioni che,
sebbene redatti in una forma modesta,
dimostrano la sua notevole preparazione. Tra gli scritti si ricordano l’Alegación juridica por el marqués de Valdecalzana don Yuda Thadeo Ponce de León
sobre su quidar devolutes a la real corona las villas de Itiri y Uri, 1763, e Causas de sospectu contra el marqués de
Bayona virrey de Cerdeña, s.d. (il manoscritto è conservato nella Biblioteca
Universitaria di Sassari).
Alivia, Gavino Studioso di economia
(Nulvi 1886-Sassari 1959). Era figlio di
Michele, notissimo professore della
Facoltà di Medicina di Sassari. Completati gli studi liceali a Sassari, si laureò in Giurisprudenza a Roma, dove
126
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 134
Allai
ebbe modo di approfondire studi di
economia alla scuola di Maffeo Pantaleoni. Tornato in Sardegna, divenne
funzionario della Camera di Commercio di Sassari (dove promosse anche la
pubblicazione del periodico ‘‘Bollettino degli interessi sardi’’) e, subito
dopo la fine della prima guerra mondiale, fondò l’Unione degli industriali.
Nel 1926 fu nominato presidente della
Banca Popolare di Sassari e nel giro di
pochi anni divenne segretario generale della Camera di Commercio, ufficio che ricoperse per molto tempo. Conoscitore profondo dei problemi della
Sardegna, muovendo da posizioni liberiste individuò l’incremento demografico come condizione necessaria per
avviare la rinascita economica dell’isola e fece conoscere le sue teorie anche all’estero, dove fu molto apprezzato. Caduto il fascismo (ai cui successi
iniziali a Sassari aveva contribuito con
la sua autorevolezza e il suo dinamismo), illustrò le sue proposte per lo sviluppo dell’isola anche ai rappresentanti del governo militare alleato e per
suo merito, tra il 1949 e il 1950, i problemi della Sardegna furono dibattuti
in Parlamento come questione di importanza nazionale. Studioso di alto livello (nel corso della sua vita riuscı̀ a
formare una grande biblioteca di argomento economico, donata poi, insieme
alle sue carte, alla Biblioteca comunale di Sassari), animò la vita culturale
di Sassari con la sua instancabile attività di promotore di convegni e di altre
importanti manifestazioni; fu anche
buon pianista e attento viaggiatore. Fu
autore di numerose opere di carattere
economico, alcune delle quali furono
tradotte in inglese e in altre lingue
straniere. Accolse e protesse Maurice
Le Lannou quando questi, ancora giovanissimo, giunse in Sardegna per redigere la sua tesi di dottorato. Fra le
altre sue opere ricorderemo: Per la libertà economica della Sardegna. L’industria e l’esportazione dei formaggi sardi,
1921; Bonifica e colonizzazione della
Sardegna al quinto convegno degli agricoltori meridionali per l’organizzazione
dei consorzi di bonifica, 1926; Economia
e popolazione della Sardegna settentrionale, 1931; Il popolamento della Sardegna, in Atti del Congresso internazionale
di geografia (Amsterdam), 1938; Il problema demografico economico della Sardegna centro-settentrionale, 1951.
Allai – I Romani realizzarono in Sardegna
una importante rete stradale: questo ponte è
uno dei monumenti della loro presenza.
Allai Comune della provincia di Oristano, compreso nella XV Comunità
montana, con 410 abitanti (al 2004), posto a 513 m sul livello del mare in una
zona a sud del medio corso del Tirso.
Regione storica: Parte Barigadu. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 27,38 km2. Ha forma grosso modo
circolare e confina a nord con Busachi,
a est con Samugheo, a sud con Ruinas,
127
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 135
Allai
a ovest con Siamanna e Fordongianus.
Si tratta di una regione di colline di
media altezza: il maggiore complesso
è quello del Grighini, a sud-ovest del
paese, che raggiunge i 673 m. Alla periferia del paese passa il fiume che porta
lo stesso nome: proviene da sud e dopo
pochi chilometri confluisce nel Tirso.
La strada principale è quella che collega Fordongianus con Samugheo.
& STORIA La formazione dell’attuale
centro abitato risale al Medioevo,
quando gli abitanti dei villaggi di Alari
e di Barbagiana, le cui origini non è
possibile determinare, si spostarono
da Planu Alisa (Olisa), per ragioni che
non conosciamo, stabilendosi nel sito
attuale. Il villaggio apparteneva al giudicato d’Arborea ed era incluso nella
curatoria del Parte Barigadu; caduto
il giudicato, A. entrò a far parte del Regnum Sardiniae ma la popolazione
continuò a mostrarsi ostile nei confronti dei nuovi venuti. Dopo anni di
grande tensione, nel 1412 fu ceduto
con buona parte del Barigadu a Leonardo Cubello che lo amministrò con
grande abilità facendo cessare la tensione e la diffidenza degli abitanti. Morendo egli lasciò l’intero territorio al
suo secondogenito Salvatore che,
quando nel 1463 divenne marchese
d’Oristano, lo annetté al marchesato.
Dopo che nel 1477 il grande feudo fu
confiscato a Leonardo Alagon A., nel
1481 entrò a far parte del feudo concesso a Gaspare Fabra. Il nuovo feudatario probabilmente avviò la costruzione della parrocchiale, ma nel 1519 i
suoi eredi vendettero il feudo a Nicolò
Torresani e Carlo Alagon. Nella divisione che i due fecero tra loro nel 1520
A., incluso nel Barigadu Jossu, toccò a
Nicolò Torresani. Nel 1558 il figlio di
quest’ultimo, Gerolamo, unı̀ il Barigadu Jossu al Canales formando un
grande complesso sul quale ebbe il ti-
tolo di conte di Sedilo; A. quindi entrò
a far parte della nuova entità ma mantenne immutato il suo carattere di
borgo isolato. Estinti i Torresani, nel
1598 passò ai Cervellon eredi della
contessa Marchesia. I nuovi feudatari
nel corso del secolo XVII imposero un
sistema di tributi gravoso che rese difficile la vita degli abitanti; morto il
conte Bernardino IV nel 1681 senza lasciare figli maschi, per il possesso del
feudo ebbe inizio una lunga lite tra il
fisco, che lo considerava devoluto, Isabella Manca Cervellon, sorella del defunto, e Guglielmo Cervellon, appartenente al ramo secondogenito della famiglia. Per l’animosità dei contendenti
e per le vicende della guerra di successione spagnola la lite non era ancora
chiusa quando le parti nel 1715 arrivarono a un compromesso che portò alla
divisione del grande feudo. A. insieme
a tutto il Barigadu Jossu toccò al figlio
di Isabella, Pietro Manca Guiso. I nuovi
feudatari, a loro volta, si estinsero nel
1788; per gli abitanti di A., che nel 1771
avevano costituito il Consiglio comunitativo, sembrò giunta la fine del tormento feudale: infatti il territorio del
Barigadu Jossu fu incamerato dal fisco. La loro però fu un’illusione di
breve durata perché nel 1790 Maria
Maddalena Manca Guiso, sorella dell’ultimo feudatario e sposata Amat, si
oppose al fisco e si impadronı̀ del
feudo impegnandosi a pagare una forte
somma. Poiché ella non fu in grado di
far fronte all’impegno, il fisco vendette
il territorio a Teresa Deliperi e nel 1791
il villaggio fu compreso in un nuovo
feudo, il marchesato di Busachi, appositamente costituito per la Deliperi. I
rapporti degli abitanti di A. con la marchesa però non furono buoni e quando
nel 1795 scoppiarono i moti antifeudali
essi si ribellarono, rifiutando per alcuni anni di pagare i tributi. Morta la
128
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 136
Allai
Deliperi le succedette la figlia Stefania Ledà, moglie del conte Andrea
Manca di San Placido, e cosı̀ A. passò
ai nuovi feudatari. Negli anni che seguirono i rapporti con i Manca non migliorarono. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano e nel
1838 fu finalmente riscattato agli ultimi feudatari. Quando dopo la ‘‘fusione perfetta’’ furono abolite le province, A. fu compreso nella divisione
amministrativa di Cagliari. In questi
anni giungeva in visita lo scrittore Vittorio Angius che lasciava, tra gli altri,
questi dati e impressioni: «L’abitato di
A. comprendesi in una superficie di
circa 398,60 ari, estensione troppo vasta per 132 case. È infelicemente situato nella valle, cui formano quattro
eminenze. Le strade sono cinque, le
quali non sono né selciate, né lastricate, ma perché è ermo il suolo, e
pende, non vi stagna mai acqua. La pastorizia e l’agricoltura sono le principali professioni di questi popolani,
che dei rispettivi articoli fanno commercio principalmente con Oristano.
Le donne, che sono assai laboriose, si
occupano in filare e tessere, e dei tessuti fanno smercio coi gavoesi, e altri
viandanti rivenditori erranti. I terreni
aperti coltivati sono atti alla semenza
d’ogni genere di granaglie, e sebbene
l’agronomia sia poco bene intesa, pure
a calcolo medio fruttificano il dieci per
uno. La coltivazione potrebbe di più
estendersi, se vi fosse maggior popolazione, e si imprendesse a dissodare la
cussorgia del Grighini, piena di boscaglie. I chiusi e le tanche sono in tanto
numero, che forse rinchiudono la metà
del territorio. Vi si semina, e più spesso
si lascia soda la terra per nutrirci il bestiame nell’autunno ed inverno. I lentischi in grandissima copia, le querce,
gli olivastri, i perastri trovansi sparsi
per queste chiudende». Nel 1859 A. en-
trò a far parte della ricostituita provincia; il suo carattere di borgo di collina
si accentuò nel corso dell’Ottocento e
della prima metà del Novecento: ciò
favorı̀ un progressivo spopolamento
che dopo il 1951 divenne più rapido. A
partire dal 1974 il villaggio è entrato a
far parte della ricostituita provincia di
Oristano, ma il processo di spopolamento non si è più arrestato.
& ECONOMIA Abbandonate quasi del
tutto le colture agricole, l’attività prevalente è quella dell’allevamento, che
determina la produzione di formaggi.
Alcuni posti di lavoro sono assicurati
dalle attività forestali. Artigianato.
Nel passato era centro di produzione
del ferro battuto e del legno intagliato,
e si produceva e tesseva il lino. Si ha
ancora memoria di queste attività artigianali soprattutto per quanto riguarda la tessitura, praticata dalle
donne con telai domestici.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 439 unità,
di cui stranieri 2; maschi 221; femmine
218; famiglie 188. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con
morti per anno 9 e nati 3; cancellati dall’anagrafe 4 e nuovi iscritti 1. Tra gli
indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 809 in migliaia di lire;
versamenti ICI 143; aziende agricole
59; imprese commerciali 21; esercizi
pubblici 2; esercizi al dettaglio 12; ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali: occupati 127; disoccupati 23; inoccupati
14; laureati 5; diplomati 46; con licenza
media 132; con licenza elementare 152;
analfabeti 21; automezzi circolanti 125;
abbonamenti TV 145.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel
territorio si contano alcune Tombe di
giganti e ben tredici nuraghi, alcuni
dei quali in rovina: Arassedu, Barbagiani, Codinedda, Ghenna Ilighi, Gisterra, Is Bidis, Loddù, Mannu, Oriolu,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 137
Allée couverte
Pranu Olisa, Prunas, Putzu Cresia,
Seda de Istellas. In regione Planu ’e
Teti restano le tracce di un centro di
colonizzazione romana.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Caratteristica è la
struttura urbanistica del villaggio che
si articola secondo un modello rimasto
immutato nel tempo, formato da strade
strette sulle quali si affacciano case a
corte in pietra. Il monumento più significativo è la chiesa parrocchiale dello
Spirito Santo, situata nel centro storico, che fu costruita nel secolo XVI in
forme tardogotiche. Originariamente
aveva un’unica navata scandita da archi a sesto acuto e completata dal presbiterio (capilla mayor) con le volte a
crociera. Successivamente ha subı̀to
notevoli rifacimenti che però non ne
hanno alterato i caratteri; la facciata
comprende un sontuoso portale e un
rosone riccamente adornato. Altro interessante monumento è il Ponte romano sul vicino fiume. Costruito in
conci di trachite, aveva quattro arcate;
nel 1157 era stato restaurato da Barisone I, successivamente era andato
nuovamente in rovina e di recente è
stato di nuovo sistemato; una passerella di legno che gli è stata sovrapposta consente di percorrerlo a piedi. I
monti del Grighini, ricoperti da alberi
e arbusti di corbezzolo, mirto, cisto, olivastro e quercia, presentano molti interessanti aspetti naturalistici, mentre
gli appassionati della caccia vi trovano
pernici, lepri e conigli. Dalla sommità,
chiamata Cuccuru Mannu, si gode la
vista delle alture circostanti e di ampie
parti del Campidano di Oristano, sino
al mare.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa maggiore, alla quale anche gli
emigrati cercano di essere presenti, è
quella che si svolge il 16 maggio, data in
cui, secondo la tradizione, avrebbe
avuto inizio la costruzione della chiesa
parrocchiale, per lo Spirito Santo e allo
stesso tempo per Sant’Isidoro, patrono
dei contadini, a ricordo delle tradizioni agricole ormai abbandonate. Oltre alle celebrazioni religiose si tengono i balli tradizionali, al suono dell’organetto, canti in sardo ‘‘a chitarra’’
e dimostrazioni di abilità da parte di
uomini a cavallo. La Beata Vergine del
Rimedio si festeggia l’8 settembre,
sempre con grande solennità, presso
la chiesa che le è dedicata, nell’immediata periferia del paese.
Allée couverte – Il corridoio delle Tombe di
giganti è considerato dagli archeologi come
uno sviluppo dell’allée couverte.
Allée couverte Termine che in francese significa ‘‘galleria coperta’’, usato
dagli archeologi per indicare una
struttura megalitica costituita da dolmen disposti in modo da formare un
corridoio coperto. Si tratta di un tipo
di sepoltura che comparve in Sardegna
nel Neolitico finale, quando si manifestò la cultura di Ozieri (3200-2400 a.C.).
Allo stato attuale sono state trovate in
poche località della Sardegna centrosettentrionale, in particolare: Alà dei
Sardi, località Doli Fichina; Austis, località Perda Longa; Berchidda, località
Taerra; Birori, località Tanca ’e Sa Marchesa; Bonorva, località Mura Cariasas; Buddusò, località Loelle e Sa Raighina; Bultei, località Su Coveccu; Lu-
130
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 138
Allodio
ras, località Ladas; Olzai, località
Sedda de s’Ascusorgiu e S’Adde ’e Asula;
Sindia, località Serrese.
Allegretti, Umberto Giurista (n. Cagliari 1934). Dopo la laurea in Giurisprudenza ha condotto importanti ricerche di diritto costituzionale e insegnato nella Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Cagliari, dove per
anni ha diretto gli istituti di Diritto
pubblico e di Filosofia del Diritto. I
suoi studi lo hanno portato ad approfondire i temi dell’autonomia regionale, di cui è divenuto uno dei massimi
esperti. Professore di ruolo nel 1972,
dopo alcuni anni nell’Università di
Siena attualmente insegna Diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze.
Tra i suoi scritti: Sardegna (voce del
Nuovissimo digesto italiano, 1968); La
specialità regionale al bivio, ‘‘Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari’’, XLIX, 1980; Il dibattito sulla
crisi e il rilancio dell’autonomia sarda,
‘‘Le Regioni’’, 1981.
Alliata Famiglia pisana originaria di
Calcinaia (secc. XIII-XIV). Le sue notizie risalgono al secolo XIII; i suoi membri erano mercanti impegnati in una
fitta rete di affari che li spingeva in
quasi tutti i porti del Mediterraneo occidentale. Inoltre, nel corso del secolo,
ricoprirono per molti anni importanti
uffici pubblici e presero parte attiva
alla vita politica del Comune. A partire
dalla seconda metà del secolo XIII un
ramo della famiglia cominciò a frequentare Cagliari, dove gli A. ebbero
casa nel quartiere di Castello. Con gli
anni la loro presenza si fece stabile e
alcuni dei membri della famiglia animarono i commerci della città; ma con
l’arrivo degli Aragonesi la famiglia abbandonò la Sardegna.
Alliata, Betto Mercante (Pisa, seconda
metà sec. XIII-ivi, dopo 1320). Fu inviato una prima volta in Sardegna da
suo padre nel 1289 a trattare i molti affari che la famiglia aveva nell’isola.
Con gli anni ebbe modo di mettersi in
luce anche come abile politico e prese
parte attiva sia alle fazioni del Comune
che alla vita della Cagliari pisana. Cosı̀
tra il 1296 e il 1331 fu eletto per sedici
volte anziano del Comune e nel 1304
anche capitano del castello: fu incaricato, unitamente ad altri, di correggere
il Breve di Villa di Chiesa (=). Prima del
1320 decise di abbandonare la Sardegna e diede disposizioni perché il cospicuo patrimonio che possedeva nell’isola fosse amministrato da alcuni
procuratori.
Alli Maccarani, Claudio Governatore
di Sassari (sec. XVIII). Nato da una nobile famiglia piemontese, si dedicò alla
carriera delle armi e fu nominato governatore di Sassari. Era altezzoso e
pieno di preconcetti nei confronti dei
sardi; il suo cattivo governo suscitò le
critiche dell’opinione pubblica cittadina. Egli infatti si era indebitamente
intromesso nell’amministrazione dell’azienda frumentaria e aveva approfittato della sua posizione per trarre
dalla situazione indebiti profitti. Per
questo, quando in occasione della
grande carestia del 1780 scoppiò a Sassari una pericolosa sommossa popolare nata dal sospetto che avesse speculato sull’approvvigionamento del
grano in accordo con il libraio-editore
Piattoli, fu oggetto di una violentissima
contestazione per cui fu rimosso dall’ufficio per ordine del re.
Allodio Termine giuridico usato nell’Alto Medioevo per indicare il possesso non feudale della terra. Il titolare
di una terra allodiale la possedeva liberamente senza averla ricevuta da alcuno e non era soggetto a vincoli o obbligazioni nei confronti di terzi. Sull’o-
131
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 139
Allodola
rigine degli alloderi è stata fatta l’ipotesi che probabilmente essi fossero i
discendenti dei conquistatori di un determinato territorio i quali, all’atto del
loro insediamento, si erano impadroniti di una parte di esso, detta comunemente ‘‘lotto’’ (alod). La natura del loro
rapporto con la terra li contrapponeva
ai feudatari, che tenevano la terra in
base a una concessione, erano cioè dei
beneficiari che dovevano sottostare a
una serie di vincoli fissati dal concedente. Nella Sardegna giudicale non
esisteva la distinzione tra alloderi e
feudatari: la terra apparteneva o al demanio pubblico o a proprietari privati
che probabilmente erano i discendenti
degli antichi latifondisti dell’età bizantina. L’istituto fu introdotto nella seconda metà del secolo XV e fu riferito
a un processo di trasformazione della
concessione feudale; il possessore del
territorio che ne è oggetto viene liberato da qualsiasi rapporto di dipendenza nei confronti del concessionario. La allodiazione è sempre disposta
con atto del sovrano: in base ad essa
l’allodero può disporre della terra
senza limiti, può venderla tutta o in
parte, può trasmetterla in eredità a
suo piacimento senza dover chiedere
preventivamente l’investitura e senza
dover osservare i servizi cui normalmente il signore feudale era tenuto.
La allodiazione trasformò quindi le
vecchie concessioni feudali fatte secondo il modello detto del mos Italiae,
e fu ottenuta dopo un periodo di lotta e
di contesa con l’amministrazione reale
grazie al quale i limiti dell’antica concessione vennero gradualmente estesi.
Cronologicamente il processo ebbe inizio negli anni tra il 1460 e il 1480, in un
momento di grande tensione, nel quale
l’anarchia feudale sembrava incontenibile. Entro questo ventennio tutti i
grandi feudi sardi furono trasformati
in a., ma i nuovi poteri attribuiti all’allodero non erano solo di natura patrimoniale. L’allodiazione, infatti, comportò anche il riconoscimento della
pienezza della giurisdizione in primo
e in secondo grado e la totale autonomia nell’imporre e riscuotere tributi di
qualsiasi natura. Il re si riservò nei
loro confronti il diritto di supremazia,
derivante dal vincolo personale che legava l’allodero al re e gli impediva l’esercizio di atti di sovranità.
Allodola = Zoologia della Sardegna
Alloro – Particolare del ramo con foglie e
drupe.
Alloro Pianta arborea sempreverde
della famiglia delle Lauracee (Laurus
nobilis L.), alta sino a 20 m. Foglie ellittiche lanceolate, con margine ondulato, fortemente aromatiche; pianta
dioica, a marzo-aprile produce fiori
unisessuali su piante distinte, giallini,
in corti racemi ascellari; i suoi frutti
sono drupe nere, lucide e peduncolate.
L’a. è spontaneo nella vegetazione
sarda, dove rappresenta una delle essenze identificative della macchia
(Lauretum), e cresce, senza mai raggiungere dimensioni notevoli, in luoghi umidi e ombrosi dalla costa sino ai
132
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 140
Almogavers
600 m di altitudine. Il legno, duro ed
elastico, è molto apprezzato in artigianato: gli oggetti che se ne ricavano conservano il profumo aromatico. Simbolo
di gloria e pianta sacra ad Apollo
presso i Greci, ha sempre goduto di
considerazione per le sue virtù medicamentose e culinarie. Dall’olio delle
foglie e delle drupe si ricava il ‘‘burro
di lauro’’, con cui si curano i dolori articolari. Le foglie, fatte bollire in acqua
con buccia di limone, sono un ottimo
digestivo e calmante dei dolori gastrici. Nella cucina tradizionale le foglie di a. sono utilizzate per insaporire
arrosti e conserve di olive e di pomodori secchi (sa pilarda). Vengono inoltre riposte insieme ai legumi secchi
per allontanare i parassiti. Un bell’esemplare di oltre 15 m si trova nella
piazza di Montevecchio (Iglesias), a ricordo dell’epoca d’oro dell’industria
mineraria in Sardegna (prima metà
del Novecento). Nomi sardi: aráru
(sassarese); labru (barbaricino); laru
(gallurese); lau (Sardegna centro-meridionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
‘‘Almanacco della Sardegna’’ Pubblicazione annuale curata dalla Associazione della Stampa Sarda. Nata nel
1966, è uno strumento indispensabile
per conoscere gli iscritti all’ordine dei
giornalisti ‘‘professionali’’ e a quello
dei ‘‘collaboratori’’. Aperto da saggi riguardanti i problemi della professione
o della Sardegna, contiene un inventario di tutti gli operatori della comunicazione nell’isola e un fitto indirizzario
delle istituzioni pubbliche sarde.
‘‘Almanacco di Cagliari’’ Pubblicazione annuale fondata e diretta da Vittorio Spano. Nonostante il carattere
prevalentemente divulgativo (si occupa di attualità, economia, politica e
storia), si è guadagnata nel tempo una
meritata stima, dovuta anche ai contributi di intellettuali di livello e di gior-
nalisti affermati tra i quali Francesco
Alziator, Bruno Anatra, Simonetta Angiolillo, Lucio Artizzu, Antonio Ballero, Ferruccio Barreca, Francesco Birocchi, Alberto Boscolo, Manlio Brigaglia, Myriam Cabiddu, Maria Rosa Cardia, Angelo Carrus, Gerolama Carta
Mantiglia, Francesco Cesare Casula,
Giuseppina Catani, i due Paolo Cau,
Alessandra Cioppi, Francesco Cocco,
Giuseppina Cossu Pinna, Mauro Dadea, Giuseppe Della Maria, Lorenzo
Del Piano, Paolo De Magistris, Paolo
Fadda, Mario Faticoni, Foiso Fois, Federico Francioni, Adriana Gallistru,
Giovanni Lilliu, Antonangelo Liori,
Francesco Manconi, Antonello Mattone, Giampaolo Mele, Piero Meloni,
Pasquale Mistretta, Salvatore Naitza,
Tiziana Olivari, Gabriella Olla Repetto, Tonino Oppes, Fernando Pilia,
Carlo Pillai, Antioco Piseddu, Giuseppe Podda, Vindice Ribichesu, Antonio Romagnino, Franco Ruggieri, Dino
Sanna, Vincenzo Santoni, Aldo Sari,
Maria Grazia Scano, Olivetta Schena,
Marcello Serra, Renata Serra, Sergio
Serra, Achille Sirchia, Carlino Sole,
Giancarlo Sorgia, Giovanna Sotgiu,
Marco Tangheroni, Cenza Thermes,
Giovanni Todde, Eugenia Tognotti, Antonio Trudu, Angelino Usai, Isabella
Zedda Macciò, Raimondo Zucca.
Almogavers Corpo militare speciale
(sec. XIV). Era costituito di fanti dotati
di armamento leggero e addestrati in
operazioni di particolare rischiosità,
da svolgere in situazioni difficili. Un
contingente di queste truppe fu aggregato al corpo di spedizione dell’infante
Alfonso in Sardegna e si rivelò determinante nella battaglia di Lutocisterna. Essi, infatti, avvalendosi del
loro armamento, costituito principalmente da lance, nel fervore della mischia riuscirono a disarcionare i pesanti cavalieri corazzati tedeschi che
133
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 141
Almos
erano il nerbo dell’esercito pisano e,
una volta atterrati, a sgozzarne un
gran numero con la daga.
Almos Antico villaggio del giudicato
d’Arborea, compreso nella curatoria
del Parte Montis. Cominciò a spopolarsi nel 1348 a causa della peste e negli
anni seguenti subı̀ ancora le conseguenze della peste del 1376, per cui i
suoi abitanti lo abbandonarono in
data non precisabile dopo il 1388,
anno in cui i suoi rappresentanti presero parte alle riunioni delle corone
che precedettero la firma della pace
con l’Aragona.
lette sumeriche), possiede tante proprietà medicamentose da essere chiamata ‘‘la pianta dei miracoli’’. Ricca di
elementi nutritivi essenziali e di importanti princı̀pi attivi (mucopolisaccaridi, vitamina A e C, aminoacidi ed
enzimi), concentrati nel tessuto gelatinoso delle foglie, ha sicuri effetti antinfiammatori e cicatrizzanti. I suoi possibili usi sono allo studio di biochimici e
medici, soprattutto riguardo a una sua
ipotizzata capacità antitumorale. Non
appartiene alla vegetazione spontanea
sarda, ma la sua coltivazione, sia a
scopo ornamentale che fitoterapico, si
sta diffondendo sempre più. Una notevole piantagione esiste nell’Orto Botanico di Cagliari, in associazione con altre piante esotiche nel ‘‘settore dei deserti’’; in primavera le lunghe spighe
rosse dei suoi fiori colorano i fianchi
scoscesi della rocca di Castelsardo.
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Alosa = Zoologia della Sardegna
Alpinismo Il CAI (Club Alpino Italiano)
Aloe – L’Aloe barbadensis è sfruttata per le
sue proprietà medicamentose.
Aloe Genere di piante succulente della
famiglia delle Liliacee, comprende
circa 300 specie che crescono nelle
zone costiere del Mediterraneo. La
più conosciuta è l’A. arborescens o A.
barbadensis L.: utilizzata nella farmacopea di tutte le civiltà (testimonianze
sono state trovate in papiri egizi e tavo-
nasce a Roma nel 1864, anno della
morte di Alberto Lamarmora, che fu sicuramente il primo vero alpinista che
abbia avuto a che fare con la Sardegna.
Nel suo lungo peregrinare per l’isola,
soprattutto per preparare la prima
carta geografica della Sardegna basata
sulle triangolazioni trigonometriche,
infatti, ne aveva scalato tutte le vette,
molte delle quali mai raggiunte prima
da piede umano. Forse è per la risonanza che ebbero le sue due opere descrittive della Sardegna e dei suoi rilievi, che già nel 1879 esistevano due
sezioni sarde del CAI, una a Sassari e
una a Cagliari, che organizzavano
escursioni in varie località montane.
Quella sassarese, poi, deliberò di costruire un rifugio sul Gennargentu: dedicato proprio al Lamarmora, venne
inaugurato solo nel 1901 dopo lo scioglimento delle due sezioni sarde e la
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 142
Altana
nascita del Club Alpino Sardo. L’attività
alpinistica vera e propria, comunque,
non riusciva a decollare, se si eccettua
nel 1922 la memorabile scalata del
Limbara e dei monti di Aggius da parte
di Guido Cibrario. Rinasceva, però, nel
1932, per interessamento del geologo
Silvio Vardabasso, la sezione del CAI
di Cagliari e l’anno successivo la sottosezione di Sassari. Ma le attività si limitavano alle solite escursioni e avevano un carattere elitario: non si esploravano le numerose grotte e, soprattutto, non si organizzavano scalate importanti, nonostante le tante montagne
adatte. Dopo la guerra e dopo le presidenze della sezione di Cagliari di Filippo Manunza e del generale degli Alpini Giuseppe Sanna, la grande svolta
si ebbe nel 1975 con Angelo Berio, che
coinvolse l’amministrazione regionale
e quelle locali, favorendo la nascita
della CNA (Commissione regionale
protezione natura alpina), del Gruppo
Naturalistico e del Gruppo Roccia. Berio tenne la presidenza fino al 1993 lasciando la carica all’avvocato Roberto
Cortis. L’anno successivo nasceva la
sottosezione di Nuoro, che nel 1997 divenne autonoma. Oggi le attività alpinistiche che si svolgono in Sardegna
coinvolgono i gruppi speleologici, gli
appassionati di free climbing (l’arrampicata – anche agonistica – sia assistita
che a mani nude), le escursioni, il trekking, il mountain bike (ciclismo montano) e le escursioni, per le quali nascono gruppi di guide per la visita alle
numerose grotte e ai siti più difficili.
L’attività si svolge con l’assistenza e la
vigilanza del Corpo Forestale dello
Stato, che in anni recenti è stato riorganizzato e nel quale si è curata sempre
di più la preparazione e la specializzazione del personale addetto alla salvaguardia della flora e della fauna sarde.
[GIOVANNI TOLA]
Giuseppe Altana – Pittore formatosi
all’Accademia Albertina di Torino, Giuseppe
Altana tornò nella natia Ozieri, operando con
successo pure da una posizione defilata.
Altana, Giuseppe Pittore (Torino 1886Ozieri 1975). Nato a Torino da famiglia
sarda, studiò in quella città, dove fu allievo di Giacomo Grosso all’Accademia
Albertina. Tornato in Sardegna, espose
per la prima volta al pubblico le sue
opere a Ozieri (1913) e progressivamente si inserı̀ nell’ambiente artistico
isolano; amico di Giuseppe Biasi,
prese parte al movimento della prima
‘‘Secessione’’. Espose alla Quadrien-
135
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 143
Altara
nale di Torino (1923) e in altre numerose mostre, ottenendo premi e riconoscimenti. Nel 1929 aderı̀ all’invito di
Biasi e sottoscrisse il documento costitutivo della ‘‘Famiglia Artistica
Sarda’’. In seguito continuò a risiedere
a Ozieri e, caduto il fascismo, prese
parte alla prima Triennale promossa
da Pietro Antonio Manca, svoltasi a
Tempio (1944). Negli anni seguenti continuò a dipingere intensamente, partecipando a numerose mostre. Ottenne
riconoscimenti soprattutto per le sue
incisioni.
tese di larga notorietà e si trasferı̀ in
Piemonte, dove si dedicò all’incisione.
In seguito risiedette a Milano, dove collaborò a molte riviste, soprattutto femminili, contribuendo alla loro illustrazione con disegni di grande eleganza.
Nella sua produzione gradualmente
abbandonò i soggetti sardi e si dedicò
ad altri soggetti con grande maestria;
separatasi dal marito, si cimentò in
una serie di disegni che furono poi realizzati in alcune ceramiche dalla
Lenci. Si affermò come creatrice di
moda, aprendo un proprio atelier. Dipinse inoltre le decorazioni di uno dei
saloni del transatlantico Conte Biancamano. Tornata in Sardegna, fu presente nella vita artistica isolana. A lei
e alle sorelle Elina e Lavinia è stata
dedicata nella primavera-estate 2005
una mostra, organizzata dalla Ilisso di
Nuoro, Le muse in salotto.
Altara, Igino Medico veterinario, con-
Edina Altara – Le sorelle Altara nel manifesto
della mostra loro dedicata a Sassari nel 2005,
Le muse in salotto, dalla nuorese Ilisso.
Altara, Edina Pittrice (Sassari 1898-Lanusei 1983). Allieva di Giuseppe Biasi,
prese parte al movimento del ‘‘Cenacolo’’ e dal 1915 al movimento della
prima ‘‘Secessione’’. Esordı̀ nel 1916 a
Sassari, introducendo in Sardegna la
tecnica del collage, allora sconosciuta,
con la quale si impose all’attenzione
generale. Negli stessi anni la sua innovativa creatività si manifestò anche
con l’invenzione di magnifici giocattoli
di legno, ottenendo un notevole successo a livello nazionale nel 1917. Nel
1922 si sposò con un incisore piemon-
sigliere regionale (m. 1976). Cattolico,
fu eletto consigliere regionale per la
DC nel collegio di Nuoro per la I legislatura. Non più rieletto, dopo il 1953
fece parte del consiglio d’amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno.
Direttore generale dei servizi veterinari del Ministero della Sanità, insegnò anche all’Università di Torino. La
sua attività scientifica è documentata
anche da oltre sessanta lavori.
Altasar Antico villaggio del giudicato
di Torres compreso nella curatoria di
Coros. Secondo alcuni sorgeva in prossimità dell’attuale abitato di Ittiri. Sue
notizie compaiono per la prima volta
agli inizi del secolo XII e quando fu celebrato il matrimonio di Corrado Malaspina, figlio del capostipite del ramo
dello Spino Fiorito, con Urrea, sconosciuta nobildonna sarda, A. entrò con
tutto il territorio del Coros a far parte
della dote di lei, passando cosı̀ in mano
ai Malaspina. Corrado e Urrea non eb-
136
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 144
Altea
bero figli, sicché entro il 1221 il loro
patrimonio sardo passò ai cugini del
ramo dello Spino Secco. Nei decenni
successivi A. passò spesso da uno all’altro rappresentante di questo ramo, che
dopo l’estinzione della dinastia giudicale di Torres aveva costituito un piccolo stato feudale. Dopo la conquista
aragonese, compreso nel feudo che
era stato riconosciuto ai Malaspina,
fece parte del Regnum Sardiniae; di
fatto però i Malaspina continuarono a
considerarsi sovrani del territorio e
quando nel 1325 scoppiò la rivolta dei
Doria essi vi aderirono, per cui nel
1330 il loro territorio fu invaso dalle
truppe di Raimondo Cardona. Il paese
divenne teatro delle operazioni militari e cominciò a spopolarsi. Quando
nel 1343 il marchese Giovanni Malaspina morı̀ lasciando erede Pietro IV,
A. passò almeno formalmente nel patrimonio reale; di fatto continuò a essere posseduto dai fratelli del defunto
in un clima di crescenti tensioni fino al
al 1353, anno in cui tutti i loro possedimenti furono sequestrati. In seguito il
villaggio fu danneggiato nel corso delle
guerre tra Aragona e Arborea e si spopolò completamente dopo il 1370.
Altea1 Pianta erbacea perenne della famiglia delle Malvacee (Althea officinalis L.), conosciuta anche con il nome di
malvone. Fusto eretto, con rami alterni, su cui si inseriscono foglie picciolate, ovali tri-pentalobate, ricoperte
di peluria biancastra. Fiori sessili,
bianchi rosati, in grappoli, fioritura da
maggio ad agosto. Il frutto è un achenio
composto. Spontanea, cresce lungo i
corsi d’acqua e i terreni incolti umidi,
sino a 1200 m di altitudine. Pianta
molto usata per le sue proprietà officinali: i decotti di foglie vengono utilizzati come antinfiammatori, astringenti
e rinfrescanti, il succo delle radici è un
ottimo lenitivo per l’arrossamento di
pelli delicate. Nomi sardi: mármara
fóina (Nuoro); narbònia (Sardegna centro-meridionale); pramariscu (Logudoro). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Altea – Come indica il suo nome latino,
l’Althaea officinalis è una pianta che
possiede alcune virtù curative.
Altea2 Famiglia sassarese (sec. XVIIesistente). È nota fin dal secolo XVII; i
suoi membri esercitavano tradizionalmente la professione di notai e nel
corso del secolo acquistarono la signoria utile della Tappa di insinuazione di
Sassari, riuscendo cosı̀ ad accumulare
considerevoli ricchezze. Nel 1744 con
il dottor Gerolamo, proavvocato fiscale
di Sassari, furono insigniti del titolo di
conti di Sant’Elia. Gerolamo ebbe un’unica figlia che, sposatasi con un Arborio Mella, fece passare il titolo alla famiglia del marito, che ancor oggi lo
porta.
Altea, Angelo Giornalista, deputato al
Parlamento (n. Nuoro 1951). Giornalista professionista dal 1981, nel 1994 è
stato eletto deputato per la XII legislatura per Rifondazione Comunista; nel
corso della legislatura è passato ai Comunisti Unitari e nel 1996 è stato riconfermato per la XIII legislatura.
137
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 145
Altea
1995; I gioielli d’arte in Sardegna, 1996;
La collezione d’arte della Provincia di
Sassari (con M. Magnani), 1996; Giuseppe Biasi (con M. Magnani), 1998; Pittura e scultura in Sardegna dal 1930 al
1960 (con M. Magnani), 2000; Stanis
Dessy (con Marco Magnani), 2002; Antonio Marras (con Alessandra Borgarelli), 2003.
Altic(ienses) Popolazione della Sarde-
Giuliana Altea – Docente di Storia dell’Arte
all’Università di Sassari, ha al suo attivo una
lunga serie di saggi su arte e artisti della
Sardegna contemporanea.
Altea, Giuliana Storica dell’arte (n.
Sassari 1958). Dopo la laurea si è dedicata all’insegnamento di storia dell’arte negli istituti di istruzione secondaria e dopo il 2000 ha intrapreso la
carriera universitaria. Attualmente è
professore associato presso la Facoltà
di Lettere dell’Università di Sassari.
Studiosa dell’arte contemporanea in
Sardegna, ha pubblicato (spesso in collaborazione con Marco Magnani) una
serie di importanti ricerche, tra cui
Stanis Dessy. Opere 1918-1982 (con M.
Magnani e P. Dessy), 1987; I fratelli Clemente e la vicenda delle arti applicate,
in Sassari tra liberty e decò, 1989; Nino
Siglienti. Un artista decò e la sua bottega
(con M. Magnani), 1989; Figure in musica: artisti sardi nel teatro e nell’editoria musicale del primo Novecento (con
M. Magnani e C. Murtas), 1990; Le matite di un popolo barbaro. Grafici ed illustratori sardi 1905-1935 (con M. Magnani), 1990; Un popolo di legno. Giocattoli artistici di Anfossi e Tavolara 19251939 (con M. Magnani), Catalogo della
mostra, 1991; Eugenio Tavolara (con M.
Magnani), 1994; Mauro Manca (con M.
Magnani), 1994; Pittura e scultura del
primo Novecento (con M. Magnani),
gna centrale conosciuta attraverso un
cippo terminale rinvenuto presso Bari
Sardo. [ESMERALDA UGHI]
Alto Commissariato per la Sardegna
Ufficio speciale per il governo dell’isola operante nel periodo 1944-1949.
Nel marzo del 1943, quando la pressione militare degli Alleati cominciò a
concentrarsi sull’Italia in preparazione dello sbarco in Sicilia, la Sardegna restò di fatto isolata; il governo costituı̀ allora nell’isola l’ufficio del Commissario straordinario per gli affari civili, nell’intento di coordinare le esigenze della popolazione civile dell’isola con quelle militari. L’ufficio era
in fase di avviamento quando, nel luglio dello stesso anno, cadde il fascismo e la Sardegna si trovò ancor più
isolata. Subito dopo l’armistizio l’isola
fu abbandonata dalle forze tedesche in
modo incruento e il 17 settembre fu occupata dagli Alleati e posta sotto l’Allied Military Government. Le operazioni militari di fatto avevano contribuito a isolare ancor di più la Sardegna, dove peraltro i gruppi antifascisti
andavano spontaneamente costituendo le prime aggregazioni politiche. Gli Alleati si resero conto allora
che occorreva facilitare i rapporti tra
la società civile dell’isola e gli occupanti, per cui suggerirono al governo
italiano l’istituzione di un ufficio dotato di poteri eccezionali che fosse in
grado di avviare questo compito. Cosı̀ il
27 gennaio 1944 col regio decreto luo-
138
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 146
Alvarez
gotenenziale n. 21 fu istituito l’A.C. per
la S., al quale furono delegate tutte le
funzioni del governo centrale (ma dopo
qualche mese gli vennero sottratte
quelle militari). Una volta insediato,
l’organismo si trasformò in poco tempo
da burocratico in politico e divenne il
principale fautore della rinata democrazia sostenendo, tra l’altro, il nascente dibattito sull’autonomia regionale e l’elaborazione dello statuto
della futura Regione sarda. Designato
a reggere l’ufficio fu il generale Pietro
Pinna di Pozzomaggiore, un brillante
ufficiale dell’Aeronautica che, prigioniero di guerra negli USA, era stato
scelto per la carica dagli stessi Alleati.
L’Alto Commissario operò dal 29 gennaio del 1944 fino all’elezione del
primo Consiglio regionale, maggio
1949. Già nel marzo 1944 fu affiancato
da una giunta di 6 membri, rappresentanti di ciascuno dei partiti del CLN (e
da un indipendente); nel dicembre
dello stesso anno la giunta fu sostituita
dalla Consulta regionale, il numero dei
cui componenti venne aggiornato di
tempo in tempo e, dopo le elezioni dell’Assemblea costituente (2 giugno
1946), rapportato alla composizione
percentuale dei risultati ottenuti nell’isola dai diversi partiti. Dopo l’elezione del primo Consiglio regionale
parte dei poteri che erano stati attribuiti all’Alto Commissariato passarono al rappresentante del governo
presso la Regione e allo stesso Consiglio regionale.
Altomonte, Giacomo Pittore romano
(sec. XVIII). Considerato da molti l’iniziatore del rococò in Sardegna, fu chiamato nell’isola nel 1718 per eseguire
alcuni affreschi nella chiesa di Serrenti e si affermò progressivamente
per la sua abilità e per la novità della
sua arte. La sua opera di maggiore respiro fu la decorazione della chiesa di
San Michele a Cagliari, che i Gesuiti gli
commisero; egli pose mano al grande
lavoro in collaborazione con Domenico
Colombino, e lo portò a termine negli
anni tra il 1720 e il 1722. Nello stesso
periodo eseguı̀ pregevoli dipinti per alcune altre chiese della città.
Aluda Antico villaggio del giudicato di
Cagliari, compreso nella curatoria
della Trexenta. Sorgeva non lontano
da Senorbı̀. Viene menzionato in documenti a partire dagli inizi del secolo
XIII e quando nel 1257 il giudicato di
Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, A. fu compreso nel terzo toccato
ai conti di Capraia. In seguito da loro
passò al giudice d’Arborea e nel 1295 il
giudice Mariano II lo trasferı̀ con tutta
la curatoria al Comune di Pisa, che
però ne entrò in possesso solo nel
1300; da quel momento il villaggio fu
amministrato direttamente da funzionari del Comune, che ne sfruttarono le
risorse facendone diminuire la popolazione. Dopo la conquista aragonese
il territorio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e, conclusesi nel 1326
le ostilità tra Pisa e Aragona, fu concesso in feudo al Comune di Pisa. Negli
anni che seguirono fu amministrato
con eccessivo fiscalismo in un clima
politico di crescente tensione e la sua
popolazione continuò a diminuire. Nel
1353, con la prima guerra tra Mariano
IV e Pietro IV, il suo territorio fu gravemente devastato, ma in qualche modo
Pisa continuò a conservarne il possesso. Quando, però, nel 1365 scoppiò
la seconda guerra tra Arborea e Aragona, Pisa ne perse definitivamente il
controllo e A. si spopolò in seguito al
conflitto.
Alvarez, Giovanni Religioso (Calatayud, Spagna,seconda metà sec. XVISolsona, Spagna, prima metà sec.
XVII). Entrato nell’ordine cistercense
si laureò in Teologia e fu nominato
139
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 147
Alvargiu
abate di Verucla nei pressi di Tarazona. Nel 1612 Paolo V lo nominò vescovo di Bosa, ma A. non accettò il trasferimento in Sardegna, fece prendere
possesso della diocesi al suo vicario e
nel 1613 ottenne il trasferimento a Solsona.
Alvargiu Antico villaggio del giudicato
di Gallura, compreso nella curatoria
della Montangia. La sua ubicazione
esatta non è però identificata. Era un
centro di modesta entità e dopo l’estinzione della dinastia giudicale dei Visconti fu amministrato da funzionari
del Comune di Pisa. Dopo la conquista
aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti
mantennero un atteggiamento di sfida
nei confronti degli Aragonesi che tentarono di sottometterli con la forza. La
situazione non mutò negli anni successivi per cui, scoppiata la guerra tra Genova e Aragona, nel 1330 fu assalito e
occupato dalle truppe di Raimondo
Cardona. Nel 1331 A. entrò a far parte
del feudo concesso al Cardona; dopo la
sua morte nel 1337 tornò in possesso
del re ma continuò a soffrire a causa
della peste del 1348 e delle guerre che
si susseguirono. Si spopolò completamente entro la fine del secolo XIV.
Alzavola = Zoologia della Sardegna
Alziator, Augusto Giornalista, garibaldino (Cagliari 1879-Argonne 1915). Iniziò gli studi nella città natale ma li completò a Genova. Fece le sue prime esperienze scrivendo su ‘‘Il resto del Carlino’’ di Bologna; fervente garibaldino,
divenne segretario di Peppino Garibaldi, che seguı̀ in Francia. Tornato in
Italia, quando scoppiò la prima guerra
mondiale vi prese parte e divenne uno
dei primi corrispondenti di guerra;
trovò morte eroica combattendo nelle
Argonne.
Alziator, Francesco Studioso di tradizioni popolari, scrittore (Cagliari 1909-
ivi 1977). Nato da una nobile famiglia
di antiche origini liguri, già da studente universitario si segnalò collaborando col suo professore Raffaele Ciasca alla Bibliografia Sarda (1931-1934) e
come collaboratore de ‘‘L’Unione
sarda’’ e di altri periodici. Nel 1932 si
laureò in Lettere e nel 1934 in Scienze
politiche; fin da quegli anni divenne
uno degli animatori della vita culturale della città e si affermò come giornalista di talento e studioso di tradizioni popolari. Scoppiata la seconda
guerra mondiale, vi prese parte; tornato in Sardegna dopo l’armistizio, fu
tra i fondatori dell’associazione Amici
del Libro e, cessate le operazioni militari, insegnò lettere in alcune scuole
medie superiori e riprese a collaborare stabilmente a diversi periodici.
Nel 1958 conseguı̀ la libera docenza in
Tradizioni popolari e dal 1969 ottenne
l’incarico dell’insegnamento della disciplina presso l’Università di Sassari.
Nella Biblioteca comunale di Sassari
‘‘scoprı̀’’ e valorizzò l’Autobiografia di
Vincenzo Sulis, curandone un’edizione critica. I suoi scritti sono numerosissimi. Fra questi la Storia della letteratura in Sardegna, pubblicato dalla
cagliaritana ‘‘La Zattera’’ dei fratelli
Cocco, ebbe un successo immediato,
suscitando anche aspre polemiche.
L’opera, infatti, aveva come unico antecedente la Storia letteraria di Sardegna
di Giovanni Siotto Pintor, edita più di
un secolo prima, sicché il tentativo di
un inventario generale della produzione letteraria isolana incontrò giudizi spesso fortemente critici, che s’appuntavano sulla disparità d’apprezzamento tra i diversi autori, sull’impostazione fortemente crociana (e dunque
attenta a enfatizzare le espressioni
più ‘‘liriche’’ dei testi esaminati) e
sulla sostanziale incomprensione
della poesia in lingua regionale. Oltre
140
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 148
Amadu
le opere sulle tradizioni popolari isolane (si veda l’indicazione qui sotto), la
sua firma appare in calce a una intensa
serie di articoli giornalistici, frutto soprattutto della sua collaborazione all’‘‘Unione sarda’’ (una parte di essi, dedicata alla ‘‘sua’’ Cagliari, fu raccolta e
pubblicata dopo la sua morte nel volume L’elefante sulla torre, a cura di Antonio Romagnino, 1982). Citando soltanto le opere più importanti, ricorderemo: Il teatro in Sardegna, in ‘‘Diorama della musica in Sardegna’’, 1937;
Typographica sarda. Su alcune questioni di storia della stampa in Sardegna, 1951; Il folklore sardo, con prefazione di P. Toschi, 1957 (riedito nel
1958); Picaro e folklore ed altri saggi di
storia delle tradizioni popolari, 1959; Cagliari. La città del sole, 1963; Verso una
storia dell’abbigliamento popolare in
Sardegna, 1964; Cratofanie ed epifanie
diaboliche del monte Arquerı̀, 1968; Elementi di tradizione popolare nel detto
del gatto lupesco, 1968; Superstrati di
tradizioni popolari intorno a un’edicola
del Duomo di Cagliari, 1968; Testi campidanesi di poesie popolareggianti, 1969;
Caratteri ed elementi della storia della
cultura in Sardegna, 1977; I giorni della
laguna, 1977; Attraverso i sentieri della
memoria, 1979; L’elefante sulla torre. Itinerario cagliaritano, prefazione di A.
Romagnino, 1982.
Amadasi Guzzo, Maria Giulia Archeologa (n. Roma 1940). Allieva di Sabatino
Moscati, si è specializzata nello studio
del periodo punico. Da quando ha fatto
parte della missione archeologica che
l’Università di Roma inviò a Monte Sirai per lavorarvi in collaborazione con
la Soprintendenza archeologica di Cagliari dal 1963 al 1968, i suoi rapporti
con la Sardegna sono stati frequenti.
Infatti ha lavorato agli scavi che annualmente interessarono il sito unitamente a Ferruccio Barreca e ad altri
studiosi sardi e stranieri. Attualmente
è professore ordinario di Semitistica
presso la Facoltà di Lettere dell’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma. Tra i
suoi scritti: La necropoli (con L. Brancoli), in Monte Sirai II. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, ‘‘Studi
semitici’’, XIV, 1965; L’abitato, in Monte
Sirai III. Rapporto preliminare della
missione archeologica dell’Università di
Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, XX,
1966; La zona C, in Monte Sirai IV. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e
della Soprintendenza alle Antichità di
Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, XXV, 1967;
Note sul dio Sid, in Ricerche puniche ad
Antas, 1969; Forme della scrittura fenicia in Sardegna, in Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi di
Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987;
Iscrizione punica a Cagliari, ‘‘Quaderni
della Soprintendenza archeologica
per le province di Cagliari e Oristano’’,
19, 2002.
Amadu, Francesco Sacerdote, storico
(n. Pattada 1921). Studioso attento e rigoroso, completati i suoi studi si fece
sacerdote e prese a lavorare con impegno nella diocesi di appartenenza. Col
tempo è stato nominato canonico della
cattedrale ed è divenuto cancelliere
diocesano. Studioso di storia locale, attento indagatore del passato della sua
città, è un punto di riferimento della
vita culturale ozierese; nel 1985 è stato
tra coloro che concorsero alla costituzione del Museo civico archeologico.
Tra i suoi scritti: La diocesi medioevale
di Bisarcio, 1963; I gremi della Sardegna, 1964; Ozieri e il suo territorio dal
neolitico all’Età romana, 1978; La dio-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 149
Amadu
cesi medioevale di Castro, 1984; Il movimento cattolico ad Ozieri (1871-1922),
1992; Pattada. Dalla Preistoria all’Ottocento, 1996; Ozieri cinquemila anni,
1997.
Amadu, Salvatore Insegnante, consigliere regionale (n. Sassari 1950). Laureato in Lettere, si è dedicato all’insegnamento e ha iniziato la sua attività
politica nella DC. Consigliere comunale e assessore del comune di Sassari
dal 1975 al 1991, nel 1989 è stato eletto
consigliere regionale del Partito Popolare per la X legislatura; passato nel
1994 al CDU e infine all’UDR, quando
Francesco Cossiga lo costituı̀ a livello
nazionale, è stato successivamente
sempre rieletto per l’XI e la XII legislatura. Nel corso della XII legislatura ha
fondato la Lista Amadu ed è divenuto
assessore regionale ai Trasporti nella
giunta Pili dal novembre 2001. Nel 2004
è stato rieletto consigliere regionale
per l’UDC.
Amanita – L’ovolo buono è uno dei funghi più
ricercati.
Amanita Genere di funghi a struttura
eterogenea, con marcata differenziazione tra gambo e cappello. Le lamelle
sono libere e distanti dall’inserzione.
Il velo che ricopre il fungo alla nascita
rimane come traccia sul cappello e alla
base del gambo (volva), dove è presente
anche un anello membranoso. Le spore
sono in genere bianche, tendenti all’ocra o al rosa, a seconda delle specie.
Comprende diverse specie, tutte velenose, ad eccezione dell’A. caesarea
Pers., l’ovolo buono, che si distingue
con sicurezza dalle altre solo quando
il cappello, rosso-arancio, liscio, è
aperto. Le lamelle e il gambo sono
giallo-oro. Cresce nelle radure riparate e soleggiate dei boschi di leccio,
erica e corbezzolo, con predilezione
per i substrati silicei. Ottimo crudo in
insalata, o rosolato con burro e parmigiano. Le altre specie presenti in Sardegna sono: 1. l’A. phalloides Link, mortale, dal cappello bianco-verde con sfumature olivastre, lamelle fitte bianche
e gambo dal grosso bulbo con volva,
molto diffusa nei boschi di leccio; 2.
l’A. verna Lamk., mortale, dal cappello
bianco sporco con sfumature ocra al
centro, gambo liscio con grosso bulbo
e volva ampia e membranosa, rara nei
boschi di castagno; 3. l’A. pantherina
Krombh., velenosa, riconoscibile dal
cappello marrone con verruche rugose
e irregolari biancastre, cresce ai margini della macchia alta o in vicinanza
di corsi d’acqua; 4. l’A. muscaria Hook.,
velenosa, il tipico fungo dell’iconografia delle fiabe, dal cappello rosso-arancio, ricoperto di verruche piramidali
bianche, ha lo stesso habitat del precedente. In Sardegna la stagione dei funghi è l’autunno, quando le temperature
ancora miti e le prime piogge creano le
condizioni ideali per la loro crescita. I
nomi sardi dei funghi sono genericamente antunna (Sardegna centrale e
Logudoro) o cardulinu (Campidano),
ma non esiste un nome specifico, anche perché sino a pochi decenni fa gli
unici funghi conosciuti e raccolti
142
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 150
Amat
erano il prataiolo e il cardoncello. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
due stele cufiche del Museo di Cagliari,
1864; Prime imprese degli Italiani nel
Mediterraneo, ‘‘Nuova Antologia’’, II,
1886.
Amarilla Termine, riferibile al colore
giallo della stoffa usata per le divise,
con cui venne indicata la guardia personale cui aveva diritto il viceré di Sardegna. Il corpo era costituito da un capitano, tradizionalmente appartenente alle migliori famiglie dell’aristocrazia sarda, e da dodici alabardieri.
Le divise gialle furono sostituite in periodo sabaudo con divise rosse dalla
foggia più moderna; il corpo fu abolito
nel 1848 dopo la ‘‘fusione perfetta’’.
Amat Illustre e antica famiglia feudale
Michele Amari – Lo storico e uomo politico
raffigurato in un’incisione.
Amari, Michele Storico (Palermo 1806Firenze 1889). Insigne arabista, di idee
repubblicane, amico del Mazzini, nel
1842 fu costretto ad andare in esilio.
Quando Ferdinando II nel 1848 concesse la Costituzione, tornò in patria,
fu eletto deputato e nominato ministro
delle Finanze. Nel 1849, però, l’improvviso voltafaccia del sovrano lo costrinse nuovamente ad andare in esilio
a Parigi, da dove poté far ritorno solo
nel 1860. Rientrato in patria insegnò
all’Università di Firenze; nel 1861 fu
nominato senatore e negli anni successivi fu più volte ministro. Nella sua vasta produzione scientifica si occupò
spesso di storia sarda; già nel 1858, esaminate le Carte d’Arborea, le giudicò
false. Nel 1862, quando era ministro
della Pubblica Istruzione, le attaccò
pubblicamente con notevole violenza.
Degli scritti riguardanti la Sardegna
andranno ricordati gli articoli Sopra
catalana (sec. XV-esistente). Probabilmente discendente dai conti sovrani di
Ampurias, si trasferı̀ in Sardegna nella
seconda metà del Quattrocento con un
Giovanni, cavaliere gerosolimitano,
nominato amministratore del marchesato di Oristano. Dopo molti anni, Giovanni si stabilı̀ ad Alghero, dove fu nominato governatore di Sassari e divenne uno dei più stretti collaboratori
del viceré Dusay; fece arrivare da Barcellona un suo cugino, Giacomo, figlio
cadetto di Pietro, signore di Castelbell,
giovane colto e di belle speranze. Giacomo, con l’aiuto del maturo cugino,
trovò nell’isola posizione e carriera,
sposò Isabella De Sena e ricoprı̀ importanti uffici nell’amministrazione
reale; nel 1502 fu nominato vicario
reale di Alghero e quando Giovanni
morı̀ (1506) fu nominato amministratore del marchesato di Oristano. Poco
dopo fu nominato governatore del Logudoro e nel 1507 sostituı̀ il Dusay nelle
funzioni di viceré, assumendo il titolo
di luogotenente generale del regno.
Fissò la residenza della famiglia ad Alghero, dove morı̀ nel 1524; l’unico suo
figlio Pietro si arruolò nell’esercito di
Carlo V e si segnalò nelle campagne di
143
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 151
Amat
Germania contro i protestanti; tornò
spesso in Sardegna dove si era sposato
con Brianda Cariga e nel 1538 si stabilı̀
definitivamente ad Alghero. I suoi figli
ricoprirono numerosi uffici pubblici e
si imparentarono con le migliori famiglie della città. Tra questi singolare è la
figura di Giovanni, uomo d’armi e
amico e compagno d’armi di Emanuele
Filiberto di Savoia. Suo figlio Francesco fu l’iniziatore delle fortune feudali
della famiglia grazie al suo matrimonio
con Angela Font, erede del piccolo
feudo di Lunafras, che nel 1600 passò
nelle sue mani. Negli anni successivi
ottenne anche il territorio di Villanova
del Rio e fu tra i più convinti sostenitori delle idee del viceré Vives. Nel
1642 ebbe il titolo di conte di Villanova
del Rio. Continuatore della sua opera e
delle sue idee fu il figlio Giovanni Battista, valoroso uomo d’armi che nel
1646 ottenne il titolo di marchese di
Villarios. Questi inoltre acquisı̀ dalla
sua terza moglie Maddalena Deliperi
Gambella anche il ricco feudo di Sorso;
i suoi figli, Pietro e Francesco, furono i
capostipiti di due rami della famiglia.
Ramo di Pietro. Pietro ereditò la baronia di Sorso e sposò Vittoria Petretto,
erede del feudo di Olmedo; fu abile politico e nel 1698 fu nominato governatore di Sassari. Nel 1709, con l’avvento
degli Asburgo, poiché era partigiano di
Filippo V, fu costretto a dimettersi e a
ritirarsi a vita privata. Passata la Sardegna ai Savoia, giurò fedeltà alla
nuova dinastia e ottenne nuovamente
l’ufficio di governatore di Sassari. Gli
ultimi anni della sua vita furono segnati dai molti dolori per la morte del
figlio prediletto Ignazio ma confortati
dall’impegno per l’educazione del nipote Pietro, erede designato del patrimonio di famiglia. Questi, dopo una
lunga vicenda giudiziaria, ebbe dalla
sua prima moglie Teresa Gujò anche il
feudo di Ossi e lo assegnò a uno dei suoi
figli, un Ignazio che morı̀ senza discendenza a Torino. Gli altri figli del barone
Pietro furono personaggi di rilievo al
servizio dei Savoia e raggiunsero posizioni considerevoli nella piccola corte
che la dinastia formò a Cagliari negli
anni della sua permanenza in Sardegna. Di essi, Luigi divenne generale
della guardia del re e fu insignito del
Collare dell’Annunziata; Giovanni fu
nominato primo scudiero del regno ed
ebbe anche lui il collare; Giuseppe ereditò i feudi e morı̀ lasciando erede Eusebia, che sposò Giovanni Amat di San
Filippo.
Ramo di Francesco. Francesco continuò la linea dei marchesi di Villarios,
prese parte all’attività del Parlamento
e si schierò con decisione nel partito
favorevole agli Alagon. Suo figlio Gavino sposò Caterina Tola erede della
contea di Bonorva e della baronia di
Pozzomaggiore. Dal matrimonio nacquero Antonio e Francesco. Antonio, il
primogenito, continuò la linea dei marchesi di Villarios ed ebbe dalla madre
anche i feudi di Bonorva e Pozzomaggiore; suo figlio, un altro Francesco, si
trasferı̀ a Cagliari, dove acquistò il Palazzo Masons, attuale residenza della
famiglia. La sua discendenza si estinse
nella prima metà del secolo XIX con un
Vittorio, la cui figlia, Genoveffa, sposò
il marchese Patrizi di Roma.
Ramo di Francesco (San Filippo). Da
Francesco, figlio cadetto del marchese
Gavino di Villarios, discende il ramo
degli Amat di San Filippo che attualmente rappresenta la famiglia. Egli infatti sposò Giuseppa Bacallar marchesa di San Filippo: dal matrimonio
nacque un Vincenzo che ereditò il titolo. Questi, a sua volta, ebbe il ricco
patrimonio feudale di sua moglie,
Maddalena Manca Guiso, cioè le signorie di Austis, Ussana, Bonvehı̀, Parte
144
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 152
Amat
Barigadu Jossu, Orosei e il titolo di
marchese di Albis; per conservare l’ingente patrimonio dovette sostenere
una lunga lite col fisco, ma morı̀ prima
che la questione fosse definita. Fu suo
figlio Giovanni che nel 1808 raggiunse
un compromesso col fisco in base al
quale cedette Orosei e il Planu ’e Murtas mantenendo tutto il resto. Sposò
Eusebia Amat, erede di Sorso e di Olmedo, e divenne cosı̀ uno dei più potenti feudatari della Sardegna. All’abolizione dei feudi, nel 1838, questo
ramo della famiglia seppe riscattare
vantaggiosamente il patrimonio feudale mantenendo un alto ruolo sociale
fino ai nostri giorni.
Rami collaterali. Attualmente, oltre al
ramo marchionale primogenito, vivono a Cagliari altri rami collaterali;
come si è detto, la famiglia possiede
ancora il Palazzo Amat già Masons.
L’edificio, che sorge a Cagliari in via
La Marmora all’angolo con piazza Indipendenza, fu acquistato dal marchese
Francesco di Villarios, figlio di una Masons, che nella seconda metà del Settecento si trasferı̀ a Cagliari e lo fece ingrandire. Vi risiedette con la sua famiglia e con quella del fratello Francesco
marchese di San Filippo; in seguito l’edificio passò a Vincenzo Amat di San
Filippo in occasione delle sue nozze
con Eusebia Amat, e da allora è la residenza della famiglia. Il palazzo fu ristrutturato alla fine dell’Ottocento dall’ingegner Edmondo Sanjust.
Amat, Antonio Religioso (Sassari, fine
sec. XVII-Bosa 1748). Vescovo di Bosa
dal 1746 al 1748. Era figlio del barone
Pietro di Sorso. Divenuto canonico, fu
nominato vicario apostolico di monsignor Bertollinis e nel 1727 fu creato
abate di San Giovanni di Sinis; fu nominato vescovo nel 1746 e morı̀ nel
1748. [MASSIMILIANO VIDILI]
Antonio Amat – Nobile sassarese, figlio del
barone di Sorso, si fece sacerdote: fu abate di
San Giovanni di Sinis e dal 1746 vescovo di
Bosa.
Amat, archivio Archivio appartenente
alla famiglia omonima. È considerato
uno tra i più importanti archivi privati
della Sardegna per quanto riguarda la
documentazione feudale. Comprende
tra l’altro 3100 documenti che coprono
i secoli XV-XIX e 271 pergamene databili tra il secolo XIV e il XIX. La documentazione, prevalentemente di origine notarile o giudiziaria, fu raccolta
agli inizi dell’Ottocento dal marchese
Vincenzo Amat di San Filippo ed è riferita all’amministrazione dei molti
feudi che la famiglia possedeva. Nell’archivio è anche custodita una parte
delle lettere del cardinale Luigi Amat,
relative agli anni 1848-1878.
Amat, Enrico Storico (Cagliari 1895-ivi
1977). Laureato in Scienze politiche,
per anni fu direttore dell’Ente comu-
145
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 153
Amat
nale di assistenza di Cagliari. Tipica figura di gentiluomo, si dedicò con passione allo studio della storia e della genealogia delle famiglie della nobiltà
cagliaritana. In anni di ricerca raccolse molto materiale di interesse storico e, morendo nel 1977, cedette al Comune una preziosa raccolta di documenti sulla storia del teatro. Tra i suoi
scritti: Il Sovrano Militare Ordine di
Malta e la Sardegna, in Atti del VI Congresso di storia della Corona d’Aragona,
1959; Un’iniziativa per un accordo fra il
Governo piemontese e la Santa Sede, in
La Sardegna nel Risorgimento, 1962.
Amat, Eusebia Gentildonna sassarese
(Sassari 1772-Cagliari 1808). Figlia ed
erede del barone Giuseppe Amat di
Sorso, sposò nel 1789 un lontano cugino, il marchese Giovanni Amat di
San Filippo, e si stabilı̀ a Cagliari.
Donna brillante e arguta, scrisse interessanti memorie genealogiche sulla
sua famiglia e su alcune altre famiglie
imparentate con gli Amat.
Amat, Francesco I Gentiluomo, uomo
d’armi (Alghero, seconda metà sec.
XVI-ivi, dopo 1642). Figlio di Giovanni,
seguı̀ le tradizioni militari della famiglia. Entrato giovanissimo nell’esercito di Filippo II combatté lungamente
nelle guerre di Fiandra e percorse una
brillante carriera. Dopo la morte del re
nel 1598 si congedò col grado di maresciallo di campo e tornò ad Alghero
dove nel 1600 fu nominato governatore.
Si fece benvolere dai concittadini e fu
abile nel curare gli affari di famiglia:
aveva avuto dalla moglie Angela Font il
piccolo feudo di Lunafras, un territorio nelle vicinanze di Alghero, al quale
unı̀ quello contiguo di Villanova del
Rio. Convinto sostenitore delle idee
dell’Olivares, le appoggiò con forza e
si adoperò per sviluppare le difese di
Alghero, arrivando a comprare di tasca
sua alcuni cannoni. Nel 1642 ebbe il ti-
tolo di conte di Villanova del Rio. Morı̀
poco dopo.
Amat, Francesco II Marchese di Villarios (Sassari, prima metà sec. XVIIICagliari 1793). Figlio del marchese Antonio, percorse una brillante carriera
militare fino a giungere al grado di comandante generale della cavalleria
miliziana del regno nel 1779. Poiché il
marchese di Laconi era lontano dall’isola, a partire dal 1777 esercitò le funzioni di ‘‘prima voce’’ dello Stamento
militare e per questo si trasferı̀ a Cagliari, dove acquistò il Palazzo Masons
appartenuto alla famiglia della madre.
Presiedette le riunioni dello Stamento
nel periodo 1792-1793, quando fu decisa la resistenza allo sbarco francese.
Quando poi nell’aprile del 1793 il marchese di Laconi tornò a Cagliari, cessò
dalle sue funzioni.
Amat, Giacomo Governatore di Sassari e del Logudoro (Barcellona, seconda metà sec. XV-Alghero 1524).
Giunse in Sardegna agli inizi del Cinquecento chiamato dal cugino Giovanni. Nel 1502 fu nominato vicario
reale di Alghero e dopo la morte di Giovanni, nel 1506, ereditò l’ufficio di ricevitore delle rendite del marchesato di
Oristano. Dimostrò di possedere ottime capacità per cui, nello stesso
anno, fu nominato governatore di Sassari e del Logudoro. In questa veste,
quando il viceré Dusay lasciò la Sardegna, assunse le funzioni di viceré interino. Prese parte personalmente alle
riunioni del Parlamento che era stato
convocato dal Dusay a Sassari, governando fino al 1508, anno in cui arrivò il
nuovo viceré Fernando Giron de Rebolledo.
Amat, Giovanni I Gentiluomo catalano
(Barcellona, metà sec. XV-Alghero
1506). Fu il primo rappresentante della
famiglia Amat in Sardegna; giunse nell’isola nella seconda metà del Quattro-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Amat
cento, nel periodo in cui Ferdinando il
Cattolico aveva avviato la riforma dell’amministrazione del regno affidandosi all’opera di Giovanni Dusay. Cavaliere gerosolimitano, gli fu affidata
l’amministrazione del marchesato di
Oristano; in seguito si stabilı̀ ad Alghero e venne nominato governatore
di Sassari e del Logudoro.
Amat, Giovanni II Uomo d’armi (Al-
Amat, Giovanni Battista Militare di
carriera, marchese di Villarios (Alghero, inizi sec. XVII-?, seconda
metà sec. XVII). Figlio del conte Francesco di Villanova del Rio, si dedicò
alla carriera militare. Nel 1630 prese
parte alla Guerra dei Trent’anni e
percorse una brillante carriera; nel
1640 combatté anche in Catalogna. Rimasto vedovo, tornò in Sardegna dove
fu nominato maestro di campo di Alghero; nel 1644 difese la città da un
attacco francese e, in memoria dell’impresa, gli fu concesso di tenere
un cannone nel suo palazzo. Nel 1646
fu creato marchese di Villarios e poco
dopo si sposò nuovamente con Maddalena Deliperi Gambella dalla quale
ebbe l’importante feudo di Sorso.
ghero, prima metà sec. XVI-?, fine
sec. XVI). Figlio di Pietro, militò nell’esercito di Carlo V e in seguito in
quello di Filippo II combattendo in
Fiandra, dove conobbe Emanuele Filiberto di Savoia e si legò a lui di profonda amicizia. Quando il duca avviò
la riconquista dei suoi stati, fu tra coloro che lo aiutarono senza riserve
combattendo lungamente al suo servizio, per cui nel 1570 fu da lui creato
cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro. Tornato in Sardegna, continuò a
impegnarsi con grande coraggio nella
difesa delle coste dalle frequenti incursioni dei corsari barbareschi:
mentre difendeva la sua città da una
di queste, nel 1582 fu catturato a Porto
Conte e portato prigioniero in Africa.
Dopo diverse vicissitudini, fu liberato
nel 1585 e, tornato in patria, fu nominato governatore di Alghero.
Amat, Giuseppe Barone di Sorso (Sas-
Amat, Giovanni III Marchese di San
Amat, Luigi I Comandante della guar-
Maurizio (Sassari, prima metà sec.
XVIII-Piemonte, inizi sec. XIX). Figlio di Pietro, barone di Sorso, nel
1788 fu nominato primo scudiero del
regno e, nel periodo della permanenza dei Savoia a Cagliari, si stabilı̀
a corte. Grazie alle sue grandi capacità politiche vi svolse delicate funzioni, divenendo uno dei principali
collaboratori del re, che gli concesse
il Collare dell’Annunziata. Dopo la restaurazione, nel 1815 fu nominato governatore di Tortona e creato marchese di San Maurizio.
dia del corpo del re (Sassari 1740-Cagliari 1807). Fratello del barone Giuseppe, entrato nell’amministrazione
reale si pose in luce per le sue notevoli
capacità per cui, quando i Savoia furono costretti a rifugiarsi a Cagliari, fu
nominato comandante della guardia
del corpo del re e svolse delicati compiti a corte guadagnandosi stima e considerazione. Nel 1802 fu testimone dell’atto di abdicazione di Carlo Emanuele IV; in seguito ebbe il Collare dell’Annunziata.
sari 1741-ivi 1807). Di idee reazionarie,
ebbe sempre rapporti piuttosto difficili con i suoi vassalli, che vessava continuamente. Cosı̀, quando nel 1795
scoppiarono i moti antifeudali, il suo
palazzo di Sorso fu devastato dagli insorti ed egli fu costretto a fuggire precipitosamente. Aveva sposato una
Zonza Vico erede del marchesato di Soleminis.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 155
Amat
Luigi II Amat – Monumento funebre. Nunzio a
Madrid, poi cardinale, nel 1853 Luigi II Amat
fu nominato cancelliere della Chiesa.
Luigi II Amat – Come cardinale ebbe la fiducia
di Pio IX negli anni difficili del Risorgimento.
Amat, Luigi II Cardinale (Sinnai 1796Roma 1878). Figlio del marchese Giovanni di San Filippo, fu destinato alla
carriera ecclesiastica. Entrò giovanissimo nella diplomazia pontificia: nel
1827 fu nominato arcivescovo di Nicea
e mandato come nunzio apostolico a
Napoli, dove dimostrò di possedere
grandi capacità. Tornato a Roma dopo
il 1831, fu inviato come nunzio a Madrid, dove fu testimone dei difficili momenti attraversati dalla Spagna. Nel
1837 fu creato cardinale e inviato
come legato a Ravenna con poteri anche su Bologna, Forlı̀ e Ferrara. Negli
anni della sua legatura dimostrò ottime capacità e grande equilibrio nell’affrontare le difficili tensioni politiche e sociali del territorio e si fece ben
volere dalle popolazioni. Vicino alle
posizioni di Pio IX, nel 1847 a Bologna
difese le aspirazioni nazionali anche
durante l’occupazione austriaca; nel
1853 fu nominato Cancelliere di Santa
Romana Chiesa e in seguito divenne
decano del Sacro Collegio.
Amat, Paolo Docente di Chimica organica (n. Cagliari 1934). Dopo la laurea si
è dedicato alla carriera universitaria.
Dal 1985 è professore di Chimica organica presso la Facoltà di Ingegneria
dell’Università di Cagliari. L’impegno
della ricerca scientifica gli ha consentito anche di dedicarsi con rigore a ricerche nel campo della storia della
chimica in Sardegna. Tra i suoi scritti
scientifici ricorderemo (segnalando a
parte un gustoso Glossario di Castello,
1955): La reale fabbrica delle polveri di
Cagliari e la produzione del salnitro in
Sardegna, ‘‘Bollettino bibliografico
della Sardegna’’, 10, 11, 12, 13, 19881990; Antichi ordinamenti dei farmacisti di Cagliari dei sec. XIVe XVII, ‘‘Atti e
Memorie dell’Accademia italiana di
Storia della Farmacia’’, VII, 1990.
Amat, Pietro I Gentiluomo, uomo
d’armi (Alghero, inizi sec. XVI-ivi
1547). Figlio di Giacomo, si dedicò alla
carriera militare e combatté valorosamente in Germania negli eserciti di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 156
Amat
Carlo V. Tornato in Sardegna dopo
molti anni, fu nominato vicario reale
di Alghero.
Amat, Pietro II Barone di Sorso (Sassari 1638-ivi 1729). Dotato di buone
qualità politiche, acquistò fama di persona prudente ed equilibrata. Nel 1698
fu nominato governatore di Sassari ed
esplicò la sua funzione con energia e
prudenza nel difficile momento seguito alla morte di Carlo II. Convinto
sostenitore di Filippo V, nel 1709 fu costretto a dimettersi e a ritirarsi a vita
privata. Negli anni che seguirono si occupò dell’amministrazione del suo patrimonio e promosse il popolamento di
Olmedo; nel 1717 fu tra i sostenitori
della spedizione dell’Alberoni. Passata la Sardegna ai Savoia, giurò fedeltà alla nuova dinastia e fu ancora
una volta nominato governatore di Sassari, riprendendo a governare con la
consueta misura e abilità. Morı̀ ultranovantenne nella sua città natale.
Amat, Pietro III Economista e geografo
(Cagliari 1822-ivi 1895). Lavorò per
anni nell’Archivio di Stato di Cagliari.
Nel 1867 fondò e diresse l’Annuario
Statistico e Calendario generale dell’isola di Sardegna, e fece parte della
commissione per la conservazione dei
monumenti della sua città. Divenuto
funzionario ministeriale si trasferı̀ a
Roma, dove visse per anni curando la
redazione della Bibliografia e della
Biografia dei viaggiatori italiani, che
gli diedero fama nazionale. Morı̀ dopo
essere tornato in Sardegna. Tra i suoi
scritti: Del commercio e della navigazione dell’isola di Sardegna nel sec. XIV
e XV, 1865; Il dialetto e le canzoni popolari della Sardegna per A. Bouillier,
1866; Delle colonie in Sardegna specialmente quelle stabilite sotto il governo sabaudo (1738-1824) e della convenienza di
promuovere la colonizzazione come
strumento principale di rifiorimento
economico dell’isola, 1867; Annuario
statistico e calendario generale dell’isola
di Sardegna, voll. 2, 1868; Bibliografia
dei viaggiatori italiani ordinata cronologicamente e illustrata, 1874; Biografia
dei viaggiatori italiani colla bibliografia
delle loro opere, 1882; Mappamondi,
carte nautiche, portolani ed altri monumenti cartografici specialmente italiani
dei secoli XIII-XVII (con G. Uzielli),
1882; Gli illustri viaggiatori italiani con
una antologia dei loro scritti, 1885; Della
schiavitù e del servaggio in Sardegna.
Indagini e studi, 1894; Economia politica in Sardegna, s.d.
Amat, Vincenzo I Marchese di San Filippo, senatore del Regno (Cagliari
1790-ivi 1869). Fu l’erede dell’intero
patrimonio feudale della famiglia, divenendo cosı̀ uno dei maggiori feudatari dell’isola. Nel 1827 fu nominato capitano generale della cavalleria miliziana del regno; attento interprete
delle istanze del suo tempo, comprese
che l’età feudale era giunta al tramonto: cosı̀, quando furono avviate le
procedure per il riscatto, seppe negoziarlo vantaggiosamente; ottenne una
considerevole rendita che investı̀ in
parte nello sviluppo di un’azienda a
Ussana. Nel 1848 fu nominato senatore
del Regno di Sardegna, ma per motivi
d’età e di salute non prese parte ai lavori dell’assemblea.
Amat, Vincenzo II Marchese di San Filippo, studioso di storia (Cagliari 1921ivi 1988). Nipote di Enrico, combatté in
Russia durante la seconda guerra mondiale. Intrapresa la carriera di funzionario amministrativo, non trascurò di
coltivare con rigore e competenza gli
studi storici e di curare con grande dedizione l’imponente archivio della famiglia, specializzandosi anche presso
la Scuola di Studi sardi dell’Università
di Cagliari. Tra i suoi scritti ricorderemo Riflessioni attorno alla storia di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 157
Amatore
Sardegna ed i rapporti tra Sardegna e
Aragona, 1978; Pretendenti e discendenti della casa d’Arborea, ‘‘Archivio
storico sardo’’, XXI1, 1980; Segni tabellionali in Sardegna 1409-1786, 1983; Un
epistolario inedito riguardante G. Garibaldi a Caprera, ‘‘Archivio storico
sardo’’, XXXIV, 1984; Notizie sull’archivio Amat, ‘‘Bollettino bibliografico
della Sardegna’’, 4, 1985; Su alcuni documenti riguardanti i rapporti tra gli
Stamenti e il popolo sardo, in Acta Curiarum Regni Sardiniae. Istituzioni rappresentative nella Sardegna medioevale
e moderna. Atti del Seminario di studi
Cagliari 1984, 1989.
Festa Si festeggia la terza domenica di
ottobre.
Amalrici, Giovanni Religioso (Agde,
Francia, seconda metà sec. XIV-Sorres
1344). Presbitero della cattedrale della
sua città, fu inviato da Clemente VI
come nunzio e collettore apostolico in
Sardegna dove operò con grande efficienza. Fu accusato di non aver molti
scrupoli nell’esazione dei tributi: nel
1342 il papa lo nominò vescovo di Sorres, togliendogli la responsabilità dell’esazione.
Amatore, santo Santo (sec. V-?). Per diversi studiosi la cristianizzazione della
Sardegna sarebbe stata favorita, involontariamente, dai re vandali, i quali
per sottrarre l’Africa all’influenza dei
cristiani non trovarono di meglio che
deportarli o esiliarli nell’isola. Fra gli
esiliati, anche Sant’A., del quale si conosce ben poco. Battezzato fanciullo,
maturò alla scuola del Vangelo. Sacerdote, vescovo di una città della Numidia, visse anni di persecuzioni e di terrore. Condannato all’esilio in Sardegna, salpò da Cartagine l’1 giugno del
484, insieme con i vescovi Bertorio e
Liberato, anch’essi africani e allontanati forzosamente. Organizzò nell’isola
una comunità cristiana, aiutato dal
diacono Amatello e dal suddiacono
Ferdinando. Sconosciuto l’anno della
morte. A Gesico il 30 novembre 1621 furono rinvenute le reliquie di A., Amatello e Ferdinando, attualmente custodite nella parrocchiale in un’urna marmorea. A. significa ‘‘devoto a Dio’’,
‘‘amico’’. La tradizione sarda lo vuole
protettore degli innamorati. E poiché
innamorarsi vuol dire perdere la testa,
scherzosamente Sant’Amatore è considerato il santo degli scemi, dei matti.
[ADRIANO VARGIU]
Sant’Ambrogio – Al santo sono dedicate in
Sardegna alcune chiese campestri, come
questa di Buddusò.
Ambrogio, santo Santo (Treviri, 339
ca.-Milano 397). Dottore della Chiesa,
nacque nelle Gallie, dove suo padre
era prefetto, da una famiglia aristocratica romana, la gens Aurelia. Il suo
nome per i pagani significava ‘‘immortale’’, per i cristiani «destinato alla vita
eterna, alla salvezza spirituale». Non
mancano gli elementi leggendari nelle
sue biografie: «Bimbo, giaceva in culla
all’aperto nel cortile del palazzo, uno
sciame d’api a un tratto discese sul
suo viso e alcune s’insinuarono, senza
ferirlo, nella bocca semiaperta. La nutrice spaventata accorse per scacciarle, ma il padre che passeggiava là
con la consorte e con la figlia Marcellina non volle che si disturbasse il prodigio. Poco dopo le api si sollevarono in
150
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ambrosini
aria a tanta altezza, che si sottrassero
all’occhio». Dopo la morte del padre, la
famiglia fece ritorno a Roma, dove
«Ambrogio studiò le lettere, si esercitò
nella poesia, apprese il greco, soprattutto si applicò all’eloquenza, arte indispensabile ai patrizi romani, ai quali
apriva le porte delle carriere civili, e si
perfezionò in diritto romano». Avvocato (365) a Sirmio, oggi Sremska Mitrovika, in Dalmazia; consularis (370)
della provincia Emilia-Liguria, che
aveva sede a Milano. Alla morte del vescovo ariano Aussenzio sorsero contrasti tra il popolo e i vescovi della regione
riuniti a Milano per eleggere il successore. Cattolici e ariani facevano di
tutto per compromettere l’ordine pubblico. Dovette intervenire A. Convocò i
faziosi, esortandoli alla pacificazione.
Mentre parlava, una tenera voce infantile gridò: «Ambrogio, Ambrogio vescovo!». E tutti, cattolici e ariani, ripeterono: «Ambrogio sia il nostro vescovo!». «Lui – scrive Enzo Fabiani
(1987) – per sottrarsi a questa responsabilità cercò di mostrarsi ingiusto e indegno, arrivando a introdurre la tortura nei processi e a portarsi donnacce
in casa. Ma fu inutile, e iniziò cosı̀ la
sua fantastica avventura di alto funzionario di Dio». Battezzato il 30 novembre del 374, fu consacrato vescovo il 7
dicembre dello stesso anno, data che la
Chiesa ha scelto per la festa. Pastore e
uomo di cultura, politico, consigliere
di diversi imperatori, prese posizione
contro il prefetto di Roma (374), che nel
Senato continuava a mantenere l’ara
pagana della Vittoria, negò all’imperatore Teodosio l’ingresso a Milano e la
comunione, imponendogli una penitenza pubblica per il massacro di Tessalonica, dove (390) per un ufficiale ucciso dalla popolazione l’imperatore
aveva fatto trucidare settemila persone. Fu avversario dell’arianesimo,
al punto da essere definito «martello
dell’arianesimo». Morı̀ a Milano il 4
aprile del 397, Sabato santo. «Fu un
grande vescovo – ancora Fabiani – ,
uno scrittore acuto e prolifico e anche
uno straordinario poeta religioso,
come dimostrano i suoi Inni. Ma non
fu, come comunemente si crede e si
scrive, l’inventore del cosiddetto ‘‘rito
ambrosiano’’: e cioè una particolare liturgia che ha alcune caratteristiche diverse da quella seguita nelle altre diocesi. Difatti, l’appellativo di ‘‘ambrosiano’’ non venne dato al rito milanese
perché Sant’A. ne è stato l’istitutore,
ma per il fatto che egli, che fu uno dei
più illustri vescovi di Milano, ne ha impersonato tutte le grandi tradizioni religiose e liturgiche. Del resto il nome si
trova per la prima volta nell’Ordo di
Giovanni Arcicantore di San Pietro, intorno al 680. Non inventore, dunque,
ma animatore di quella liturgia o rito
seguito nell’archidiocesi di Milano, in
alcune parrocchie bergamasche e novaresi, nonché in tre valli del Canton
Ticino, per un totale di quasi sessanta
comunità». Opere, le sue, esegetiche,
morali e ascetiche, dogmatiche, retoriche. È uno dei quattro dottori insigni
della Chiesa, con Agostino, Girolamo e
Gregorio Magno. Patrono di Milano,
degli apicoltori e degli spaccapietre. I
suoi simboli: un alveare, dolcezza della
sua eloquenza, e una frusta, forza della
sua eloquenza. [ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrono di Laconi e Monserrato.
Festa Si festeggia il 7 dicembre a Buddusò, Laconi e Monserrato.
Ambrosini, Ferruccio Pittore (n. Paulilatino 1944). Allievo di Stanis Dessy,
dopo gli studi a Sassari si è stabilito a
Cagliari dove insegna storia dell’arte e
ha il suo studio. Interpreta il mondo
tradizionale sardo con uno stile perso-
151
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 159
Ambu
nale, ha esposto a Pisa, Verona, Udine
e in molte altre città.
Ambu, Antonio Atleta (n. Cagliari
1938). Grande fondista, cresciuto a Cagliari, protagonista assoluto per più di
dieci anni nelle gare di fondo in Italia,
dai 5000 m piani alla maratona, fino
alle gare su strada, prima con i colori
delle Fiamme Oro, poi della Pro Sesto
e infine della Lilion SNIA di Varedo.
Detentore dei record nazionali dei
5000 m piani nel 1958 e nel 1965, dei
10 000 nel 1962 e nel 1965, campione italiano di maratona per ben sette volte di
cui sei consecutive (1964-1969), partecipò anche ai giochi olimpici del 1964
e del 1968 con discreti piazzamenti.
Nel 1967 conquistò anche il record italiano dell’ora percorrendo 19,532 km.
zione l’epigrafia latina e collaborò con
il Mommsen nella raccolta delle iscrizioni latine in Sardegna. Nel 1879 si interessò delle Carte d’Arborea, condividendo le posizioni dello studioso tedesco sulle Carte e polemizzando a lungo
col De Castro. Tornato a Torino, vi si
stabilı̀ e sposò Ester Boncompagni, ottenendo nel 1880 il rinnovo del titolo di
conte di Lamporo già appartenuto alla
famiglia della moglie. Nella nuova residenza continuò a collaborare con alcuni periodici, raggiungendo grande
notorietà. Tra i suoi scritti: La Sardegna provincia romana: saggio di studi
antiquari, 1874; Lettera sulle Carte d’Arborea in Mommsen e le Carte d’Arborea,
1878; Etimologia del vocabolo nuraghe,
‘‘Stella di Sardegna’’, V, 20-21, 1879.
Amedeo IX di Savoia, beato (Thonon-
[GIOVANNI TOLA]
Ambulau Piatto tipico della gastronomia sarda. Di origini molto antiche,
era diffuso nel Campidano di Cagliari
tra le famiglie dei contadini più poveri.
Si trattava di una minestra a base di
semola grossa di farina d’orzo.
AM&D Edizioni Casa editrice fondata a
Cagliari nel 1992 da Anna Maria Delogu e Stefano Pira. Le sue collane
sono a carattere storico e saggistico,
solo in parte narrativo: ‘‘Agorà’’ approfondisce aspetti poco conosciuti della
cultura sarda; ‘‘I Griot’’, riservata alla
narrativa e alla saggistica; ‘‘Percorsi’’,
di approfondimento storico e artistico
di alcuni aspetti della Sardegna. La
casa editrice si è occupata anche della
pubblicazione dei Libri dei privilegi
della città di Alghero. [MARIO ARGIOLAS]
Amedeo, Luigi Giornalista e archeologo (Sassari 1848-Torino 1923). Laureato in Giurisprudenza, si laureò anche in Filosofia a Torino, dove fu allievo di Ettore De Ruggiero. Tornato a
Sassari si dedicò al giornalismo e agli
studi di archeologia. Nominato ispettore degli scavi, studiò con molta atten-
les-Bains, Francia, 1435-Vercelli 1472).
Operatore di carità. Duca di Savoia dal
1465 al 1472, fu costretto a lasciare il
governo a sua moglie, perché affetto
da epilessia. Beatificato, per il suo spirito caritatevole, da Innocenzo XI
(1677). Patrono della Casa Savoia.
In Sardegna A Cagliari, cappella nella
chiesa di Sant’Anna: statua ottocentesca di marmo, scolpita a spese di Carlo
Felice da Andrea Galassi, il maggiore
scultore del purismo neoclassico in
Sardegna.
Festa Si festeggia il 18 aprile, in passato 30 marzo (data che certi calendari
continuano a riportare).
Amicarelli, Angelo Insegnante e uomo
politico (Cervaro 1879-Cagliari 1967).
Nacque a Cervaro (oggi provincia di
Frosinone). Cattolico impegnato, nell’immediato secondo dopoguerra fu
uno degli esponenti di punta della ricostituita DC in Sardegna. Consultore
regionale dal 1945, nel maggio del 1949
fu eletto consigliere regionale nel collegio di Cagliari per la I legislatura.
Come decano del Consiglio, il 28 mag-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 160
Amministratore delle Rendite reali
gio presiedette la prima seduta del
Consiglio, pronunciando il discorso ufficiale. Fu successivamente rieletto la
II e la III legislatura, fino al 3 luglio del
1962.
Amici del libro – L’associazione, fondata negli
anni finali della seconda guerra mondiale, è
la più longeva istituzione culturale privata di
Cagliari.
Amici del libro Associazione culturale
cagliaritana. Fondata da un gruppo di
intellettuali cagliaritani a Isili, subito
dopo lo sfollamento della città seguito
ai bombardamenti del 1943. La sua nascita si dovette soprattutto all’infaticabile impegno di Nicola Valle e al concorso di altri illustri studiosi, professionisti e insegnanti. Finita la guerra,
il sodalizio si trasferı̀ a Cagliari dove
continuò a operare animando la vita
culturale della città. Sotto la presidenza di Valle pubblicò per anni la rivista mensile ‘‘Il Convegno’’. Alla presidenza si sono succeduti, dopo la
morte di Valle, Antonio Romagnino e
Giuseppina Cossu.
Ammiano Marcellino Storico romano
(Antiochia, 330?-Roma?, dopo 400). Militare dell’esercito imperiale, con i Rerum gestarum Libri XXXI volle continuare le Historiae di Tacito, del quale
riprese in parte lo stile ma con un forte
gusto romanzesco e moraleggiante.
Dell’opera si conservano gli ultimi 18
libri (anni 353-378 d.C.); nel XXII libro
A.M. ricorda incidentalmente i Sardi,
in relazione ai giochi pubblici organizzati dall’edile Marco Emilio Scauro (58
a.C.), tanto spettacolari che per Cicerone avrebbero dovuto mutare l’opinione negativa che i provinciali avevano sul loro ex governatore: A.M. non
entra nei dettagli del processo e finisce
per confondere Scauro con il padre.
Più stringenti invece i riferimenti nei
libri XXVIII-XXIX: nel primo A.M. ci
informa che il fosco Massimino, già governatore della Sardegna, come prefetto dell’annona si era servito delle
capacità medianiche di un sardo (del
quale si sarebbe poi disfatto con l’inganno), in grado di parlare con le
anime dannate e di trarne auspici; nel
secondo, per dimostrare la crudeltà
del cristiano Valentiniano I, A.M. cita
l’episodio di Costanzo, incaricato delle
scuderie imperiali, che in Sardegna
aveva scambiato pochi cavalli destinati all’esercito e per questo era stato
lapidato. [ANTONIO IBBA]
Amministratore delle Rendite reali
Funzionario del Regnum Sardiniae,
creato al momento stesso della istituzione di questo. Era nominato direttamente dal re e aveva funzioni piuttosto
complesse, legate all’esazione delle
rendite di tutti i beni appartenenti al
patrimonio reale situati nell’isola. Nominato a tempo indeterminato, gli veniva corrisposto uno stipendio annuale; era coadiuvato da un organismo
detto Scribanı̀a, costituita da impiegati
esperti e abili, e rispondeva del proprio operato al maestro razionale.
Quando il Regnum nel 1353 fu diviso in
due circoscrizioni amministrative (il
Capo di Cagliari o di Sotto, e il Capo di
Sassari o di Sopra), l’ufficio venne
smembrato e da allora furono nominati
due amministratori reali, che operarono fino al 1413 quando fu istituito il
procuratore reale.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 161
Ammirato
Ammirato Famiglia pisana (secc. XIIIXIV). Venne trapiantata in Sardegna
nella seconda metà del secolo XIII con
un Bonaccorso che sposò una delle figlie di Ugone II d’Arborea. Dal matrimonio nacque Mariano, che fu molto
caro a suo nonno e venne allevato alla
corte arborense. Divenne un abile diplomatico e nel 1321 trattò a nome del
nonno la venuta degli Aragonesi in Sardegna, guadagnandosi la benevolenza
anche di Giacomo II. Nel 1328 Alfonso
IV gli donò la signoria di Trogodori e di
Sicci nella curatoria di Dolia e alcune
case nel Castello di Cagliari. Dal canto
suo il nonno gli donò la signoria di Arcidano nel Bonorcili. Dopo aver dato in
dote a sua figlia i propri feudi, morı̀ nel
1343 senza lasciare discendenza maschile.
Amoga Famiglia sassarese (secc. XVIXVII). Le sue notizie risalgono al secolo XVI; ottenne il cavalierato ereditario nel 1632 con un Giuseppe, i cui
figli nel 1643 furono ammessi allo Stamento militare. La famiglia continuò a
risiedere a Sassari, ma le sue condizioni andarono decadendo e probabilmente si estinse nel corso del secolo.
Amore, Antonio Pittore e scultore (n.
Catania 1918). Dopo una lunga residenza in Africa orientale (ci andò nel
1936, fu prigioniero fino al 1946: durante la prigionia in Kenya continuò a
dipingere e allestı̀ una mostra a Nairobi), si stabilı̀ a Roma e da qui, dopo
qualche anno, si trasferı̀ in Sardegna,
prima vicino ad Austis, poi ad Arborea,
diventando sardo d’adozione. Sardi
(ma non solo, perché c’è in lui una ininterrotta passione civile) sono i soggetti
di molti suoi quadri: «è questo ambiente, la figura fisica e antropologica
della Sardegna calcata fondamentalmente sull’identità pastorale – ha
scritto Giovanni Lilliu – che aiuta A. a
chiarirsi dentro, a muovere dall’uomo
sardo solitario per realizzare con la
sua ricerca pittorica un modello tale
da rendere centrale l’uomo nel suo insieme, con tutte le contraddizioni, a
elevare il dolore a denominatore comune».
Amoros, Giovanni Notaio (?, seconda
metà sec. XIV-Sassari, dopo 1438). Di
origine catalana, visse a Sassari nella
prima metà del secolo XV; possedeva
la signoria utile della scrivania della
Luogotenenza della città e nel 1435
ebbe l’infeudazione di alcuni salti
presso Bonarcado. Dopo la conquista
del castello di Monteleone alla quale
prese parte, nel 1438 ottenne il privilegio della generosità e fu in grado di recuperare i salti appartenuti alla famiglia di sua moglie, una Pinna, cui erano
stati tolti da Nicolò Doria. Morı̀ alcuni
anni dopo senza lasciare discendenti.
Ampelio Senatore romano forse originario della Sardegna (sec. IV). Il personaggio è ricordato in una lettera inviata da Aurelio Simmaco (anno 383 o
fra il 389-394) a Nicomaco Flaviano,
suo cugino e prefetto del pretorio: A.
con altri non meglio identificati senatores de Sardinia è accusato di aver
commesso un non precisabile crimen
che coinvolse collettivamente l’isola.
Potrebbe quindi trattarsi di grandi latifondisti locali che avevano abbandonato la penisola per rifugiarsi nelle
proprietà dalle quali derivava la loro
fortuna e che in Sardegna si erano
compromessi politicamente con l’usurpatore Magno Massimo (meno probabilmente con Eugenio): a Magno Massimo si era d’altronde sottomesso il governatore sardo. [ANTONIO IBBA]
Ampelodesma Pianta erbacea della
famiglia delle Graminacee (Ampelodesmos mauritanicus Poiret). Ha fusti
eretti e resistenti, foglie lineari lunghissime, taglienti ai margini, fiori piccolissimi pelosi, riuniti in una grande
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 162
Ampsicora
pannocchia laterale. Fiorisce in primavera e in estate. Tipica delle zone
aride, con formazione a steppa, in vicinanza delle coste. Le foglie vengono
utilizzate per cordame, mentre gli steli
(culmi) sono adoperati per costruire i
fondi di setacci, is ciulı́ris in campidanese, da cui il nome dialettale erba de
fai ciurı́lis. Lo spessore degli steli determina l’uso dei setacci: in quelli più
sottili vengono ‘‘scavati’’ i malloréddus,
i tipici gnocchetti. Altri nomi sardi:
carcúri (Alto Campidano); cruccúri
(Oristano). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Ampsicora – Princeps sardo-punico, capeggiò
la rivolta contro Roma durante la seconda
guerra punica. Sconfitto, secondo la
tradizione si uccise.
Ampsicora (o Amsicora) Princeps sardopunico (sec. III a.C.). È il personaggio
chiave della rivolta sardo-punica del
215 a.C. contro i Romani, incentrata
sulla città di Cornus, all’indomani
della vittoria cartaginese di Annibale
nella battaglia di Canne (2 agosto 216
a.C.). A., presumibilmente di origine
sarda e forse di lontana discendenza
numida, che per autorità e per ric-
chezza era il maggiore dei principes
sardo-punici, aveva ispirato l’invio a
Cartagine di una ambasciata delle civitates sarde ribelli ai Romani per ottenere un aiuto militare e porre termine
al loro dominio sulla Sardegna. Le comunità in rivolta, concentrate soprattutto nell’ambito rurale della Sardegna centro-occidentale, disponevano
come propria roccaforte dell’urbs di
Cornus, fondata dai Cartaginesi intorno all’ultimo venticinquennio del
secolo VI a.C. ma sviluppatasi verso i
secoli IV-III a.C., in rapporto alla diffusa integrazione tra elemento punico
(e libico) e i popoli indigeni. Per contrastare la rivolta Roma inviò in Sardegna nel 215 a.C. un esercito guidato da
Tito Manlio Torquato. Questi si portò a
Carales e da qui mosse alla volta del
territorio dei nemico, mentre A. si spostava all’interno per cercare alleati
presso i Sardi Pelliti, localizzati nel
Marghine, sede degli Ilienses, cui lo
stesso A. era legato per schiatta, se dobbiamo dar credito a Silio Italico. Lo
scontro tra i Romani e i Sardi, guidati
da Hostus (Josto), figlio di A., avvenne
nel territorio di Cornus, a sud della
città, e si risolse in una vittoria romana. Il conflitto fu riacceso dallo
sbarco dell’esercito cartaginese, comandato da Asdrubale il Calvo, in un
porto dell’Oristanese. Asdrubale si unı̀
ad A. e a suo figlio, che disponevano
degli effettivi sardi scampati alla
prima battaglia e delle truppe degli indigeni raccolte da A. Avviatosi lungo la
piana del Campidano, l’esercito di
Asdrubale e A., una volta lasciato alle
spalle il territorio dei rivoltosi, si
diede a devastare l’agro dei popoli alleati dei Romani, il Campidano centromeridionale, con l’obiettivo di raggiungere Carales. L’azione bellica sarebbe
stata coronata da successo se T.M. Torquato non si fosse mosso tempestiva-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 163
Ampurias
mente contro l’esercito nemico per
porre termine alle devastazioni. La
nuova battaglia ebbe effetti disastrosi
per i sardo-punici: si contarono sul
campo di battaglia dodicimila morti
tra sardi e soldati dell’esercito cartaginese, fra cui Hostus, che Silio Italico
immagina ucciso in un duello col poeta
Ennio; ben tremilasettecento furono i
prigionieri. A., fuggito alla morte in
battaglia con un modesto stuolo di cavalieri, si uccise nel cuore della notte
dopo aver appreso che anche il figlio
era tra i caduti. Gli altri superstiti della
grande battaglia guadagnarono la
rocca di Cornus, inseguiti da T.M. Torquato, che, dopo aver cinto d’assedio la
città, l’espugnò. [RAIMONDO ZUCCA]
Ampurias1 (o Inpuriu, Ampulie) Toponimo
che fa la sua comparsa a partire dal secolo XII in documenti che attestano l’esistenza, nell’Anglona, di una diocesi
suffraganea di Torres. Non è ancora
certa l’ubicazione del sito della sede
vescovile di A.; si sa soltanto che la cattedrale era intitolata a San Pietro, era
localizzata presso un fiume (da cui l’altro nome de Flumen) e la sede venne
traslata a Castellaragonese (oggi Castelsardo) nel corso del secolo XVI, a
causa dello spopolamento di A. La tradizione colloca questo centro alla foce
del Coghinas, presso la chiesa di San
Pietro a Mare; alcuni preferiscono ubicarla presso l’attuale Viddalba; altri
ancora, invece, localizzano la sede vescovile presso la chiesa di San Pietro di
Simbranos a Bulzi. Nelle fonti di età
classica non si ha alcuna attestazione
del toponimo e non è escluso che possa
trattarsi di una denominazione bizantina attribuita a un precedente centro
romano: forse Juliola, oppure Tı̀bula.
La bassa valle del Coghinas (Valledoria, La Muddizza, Santa Maria Coghinas, Viddalba), come anche l’entroterra di Castelsardo, restituiscono im-
portanti testimonianze di epoca romana e tardoantica: resti di edifici, necropoli, tratti di strade, oltre a numerosi rinvenimenti subacquei dal mare
antistante. Da Tibula e dal suo porto
partivano, secondo l’Itinerario Antoniniano, le strade per Carales attraverso
Olbia, Luguido e Turris. [PAOLO MELIS]
Ampurias2 Antico centro, presumibilmente situato sul litorale di Codaruina
in prossimità di Valledoria. Di probabili origini punico-romane, era sede di
una modesta attività portuale. Nel Medioevo era compreso nel giudicato di
Torres e faceva parte della curatoria
dell’Anglona. La sua importanza
crebbe nel secolo XI quando divenne
sede della diocesi e capoluogo della
curatoria. Nel corso del secolo XII fu
incluso nei territori che passarono ai
Doria in seguito ai matrimoni di alcuni
membri della loro famiglia con principesse della casa giudicale di Torres.
Estinta la famiglia giudicale, essi a partire dal 1272 inclusero l’Anglona nel
piccolo stato feudale che costituirono
nella Sardegna nord-occidentale.
Dopo la fondazione di Castelsardo (allora Castelgenovese) la sua attività portuale venne gradualmente meno e
quando poi la foce del Coghinas si impaludò, cessò del tutto. Cosı̀ A. si spopolò e alla fine del secolo XIII fu abbandonata e scomparve.
Ampurias 3 Famiglia (sec. XIV) dei
conti sovrani di Ampurias, nota nella
storia della Catalogna a partire dal secolo IX. Dopo la conquista della Sardegna, un figlio del conte Ugo V, Raimondo, si stabilı̀ nell’isola; egli aveva
rinunciato alla contea di A. ed era entrato nell’ordine degli Ospedalieri di
San Giovanni. Nel 1339 fu nominato castellano di Pedreso e capitano della
Gallura; ebbe alcuni figli naturali: uno
di essi, chiamato anche lui Raimondo,
si stabilı̀ in Sardegna fin dal 1333 e ot-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 164
Ampurias
tenne la signoria di alcuni feudi nel Sigerro. Essendo parente della moglie di
Giacomo d’Aragona, ottenne la promessa di successione in alcuni altri
feudi appartenenti a quest’ultimo, a
condizione che all’atto della sua morte
avesse pagato i relativi diritti al fisco,
ma quando Giacomo morı̀ Raimondo
non fu in grado di pagare e dovette rinunciare alla successione; nel 1351
ebbe altri feudi nella curatoria di Dolia, dei quali però perdette la disponibilità durante la prima guerra tra Pietro IVe Mariano IV d’Arborea. Nel 1362
fu nominato luogotente del governatore di Cagliari; furono suoi eredi i figli
Giovanni e Giacomo che, scoppiata la
seconda guerra tra Mariano IVe Pietro
IV, non riuscirono a conservare i feudi
e morirono entrambi senza discendenza prima del 1375.
Ampurias, diocesi di Diocesi suffraganea di quella di Sassari, fu costituita
verosimilmente da Alessandro II
(1061-1073). Entro i primi due decenni
del secolo XII fu teatro dell’imponente
espansione cassinese nel giudicato di
Torres. Nel secolo XVI le fu aggregata
la diocesi di Civita, per cui il vescovo
prese a risiedere per un certo periodo
dell’anno a Castellaragonese (l’attuale
Castelsardo) come vescovo di Ampurias e per il restante a Tempio Pausania come vescovo di Civita. Originariamente la giurisdizione della d. di A. si
stendeva sulle parrocchie dei villaggi
di: Ampurias, Bangio, Billikennor, Bolonianos (Bolothenis), Bulzi, Castelsardo, Casteldoria, Chiaramonti, Ficus, Flumine, Frexanu, Gavazana,
Laerru, Lessiganu, Martis, Monte Furcadu, Multedu, Nulvi, Odatelis, Optenano, Orria Manna, Orria Piccinna,
Ostiano de Enena, Ostiano de Monte,
Perfugas, Salassa, Santa Maria Coghinas, Sedini, Sevin, Simbranos, Solio,
Sordella, Speluncas, Tergu, Villalba. A
partire dal 1505, quando la diocesi fu
accorpata con quella di Civita e prese
dapprima il nome di Ampurias e Civita,
dal 1839 quello di Ampurias e Tempio e
dal 1986 quella di Tempio-Ampurias, la
sua giurisdizione comprendeva le parrocchie di: Aggius, Agiana, Aglientu,
Agugari, Albaico, Albargius, Ampurias,
Ariaguono, Aristana, Arzachena, Assuni, Bacor, Badesi, Balariana, Baredels, Bassacutena, Berchiddeddu,
Bortigiadas (Orticlada), Bulzi, Calangianus, Campo de Vinyes, Canahim,
Cannigione, Carana, Caresi, Castelsardo, Casteldoria, Chiaramonti, Cugnana, Erula, Golfo degli Aranci,
Laerru, La Maddalena, La Muddizza,
La Paliga, Larathano, Latinaco, Loiri,
Longonsardo, Luogosanto, Luras, Majore, Malassum, Martis, Moneta, Nuchis, Nughes, Nulvi, Olbia, Palau, Perfugas, Petresa, Porto Cervo, Pussolo,
San Pantaleo, San Pasquale, San Teodoro, Sant’Antonio di Gallura, Santa
Maria Coghinas, Santa Teresa Gallura,
Sedini, Siffilionis, Talaniana, Telti,
Tempio Pausania, Tergu, Terranova
(Olbia), Tisiennari, Trinità d’Agultu,
Verri, Valledoria, Viddalba, Villamajor
de Tertis.
VESCOVI DI AMPURIAS
1. Bono (fine sec. XI ca.-entro 1112). 2.
Nicola (1112-1127). 3. P. (1139 ca.-1142),
sembra fosse in contrasto con i monaci
benedettini. 4. Gilito (1149 ca.-1154
ca.). 5. Comita de Martis (1170 ca.-1179
ca.), prese parte al concilio Lateranense III. 6. Anonimo, di cui parla
come morto da poco Innocenzo III nel
1204. 7. Pietro, menzionato per il 1205.
8. Anonimo, prese parte al concilio Lateranense IV nel 1215. 9. G., reggeva la
diocesi nel 1230. 10. Anonimo, tra il
1233 e il 1238 citato quattro volte da
Gregorio IX. 11. Anonimo, citato tra il
1247 e il 1254 da Innocenzo IV. 12. Guglielmo, citato nel 1255. 13. Giovanni,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 165
Ampurias
citato nel 1269. 14. Summachio, citato
nel 1278. 15. Gonario (1283 ca.-1300 ca.).
16. Bartolomeo de Malague (1301-prima
del 21 settembre 1332), minore osservante. 17. Giacomo (1332-1333). 18. Anonimo, citato tra il 1342 e il 1345. 19. Arduino (1353-1355). 20. Bertrando (13551365), domenicano, era vescovo di Tiflis in Georgia quando nel 1355 fu nominato vescovo di Ampurias; nel 1365
fu trasferito a Larino. 21. Pietro di San
Martino (1365-prima del 16 maggio
1386), minore osservante. 22. Pietro,
nominato dall’antipapa Clemente VII
nel 1379, prese possesso della diocesi
nel 1386, la resse sino al 1387. 23.
Marco, fu nominato da papa Urbano VI
in antitesi a Pietro nel 1386. 24. Nicola,
fu nominato ancora da papa Urbano VI
nel 1386. 25. Egidio da Murello, minore
osservante e maestro di Teologia, fu
nominato dall’antipapa Clemente VII
nel 1393. 26. Pietro Corso, nominato da
papa Urbano VI, resse la diocesi dal
1395 al 1401, anno in cui fu trasferito
ad Ajaccio. 27. Pietro Benedetto di Giovanni, canonico di Bonifacio nominato
da papa Bonifacio IX; resse la diocesi
tra il 1401 e il 1413. 28. Tommaso di Bobbio (1413-1428), genovese. 29. Gavino
(1428-1443), canonico di Ampurias. 30.
Sisinnio (1443-1448), dottore in Decretali; ex vescovo di Sulci, fu trasferito a
Bisarcio. 31. Gonario Gaddulese (14481449), canonico di Ampurias. 32. Gileto
Esu (1449-1455), canonico di Ampurias.
33. Antonio de Alcalá, reggeva la diocesi nel 1457. 34. Nicola de Campo
(1458-1480). 35. Ludovico di Giovanni
(1480-1486), frate minore. 36. Diego de
Nava (1486-1493), eremitano, baccelliere in diritto.
VESCOVI DI AMPURIAS E CIVITA
1. Francesco Manno (1493-1511). 2. Ludovico Gonzalez (1513-1538), minore osservante. 3. Giorgio Artea (1538-1545),
da Lodi. 4. Ludovico de Cotes (1545-
1558) di Siviglia, agostiniano. 5. Francesco Tommaso de Taxaquet (15581572), majorchino. 6. Pietro Narro
(1572-1574) di Tarazona, benedettino,
trasferito a Oristano. 7. Gaspare Vincenzo Novella (1575-1578) valenzano,
laureato in Teologia, trasferito a Cagliari. 8. Michele Ruvios (1579-1586), cistercense, abate di Rueda. 9. Giovanni
Sanna (1586-1607) di Oristano, decano
di Ales. 10. Filippo de Marimon (16081613) valenzano, cavaliere di Montesa,
dottore in Teologia. 11. Giacomo Passamar (1613-1622) di Sassari, dottore in
Teologia; era parroco di Bonorva, trasferito a Sassari. 12. Giovanni de la
Bronda (1622-1633), dottore in Teologia; era canonico di Cagliari. 13. Andrea Manca (1633-1644) di Sassari, trasferito a Sassari. 14. Gavino Manca Figo
(1644-1652) di Sassari. 15. Gaspare Litago (1652-1656) cagliaritano, laureato
in Teologia ad Ávila; era vescovo di
Bosa, trasferito a Sassari. 16. Lorenzo
Sampero (1656-1669) sassarese, maestro di Teologia; era canonico a Cagliari. 17. Pietro Alagon (1669-1672) canonico di Cagliari; trasferito a Oristano. 18. Giuseppe Sanchis (16721673) maestro generale mercedario valenzano; trasferito a Segorbe. 19. Giovanni Battista Sorribas (1673-1678) valenzano, carmelitano e maestro di Teologia. 20. Giuseppe Acorrà (1679-1685)
cagliaritano, dottore in utroque; trasferito a Oristano. 21. Francesco Sampero
(1685-1688) sassarese, dottore in utroque a Bologna. 22. Michele Villa (16881700) sassarese, dottore in Teologia. 23.
Diego Serafino Posulo (1702-1718) domenicano di Cagliari; professore di
Teologia. 24. Angelo Galcerin (17271735) cagliaritano, minore conventuale, ministro provinciale dell’ordine, dottore in Teologia. 25. Giovanni
Leonardo Sanna (1736-1737) di Cuglieri; rettore dell’Università di Ca-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Amsicora S.G.
gliari e giudice delle appellazioni; trasferito a Bosa. 26. Vincenzo Giovanni
Vico (1737-1741) cagliaritano, dottore
in utroque; arciprete di Iglesias; trasferito a Oristano. 27. Salvator Angelo Cadello (1741-1764) cagliaritano, dottore
in utroque; cancelliere regio apostolico. 28. Pietro Paolo Carta (1764-1771)
di Silanus, dottore in utroque; vicario
generale di Sassari. 29. Francesco
Ignazio Guiso (1772-1778) cagliaritano,
dottore in utroque; vicario generale di
Cagliari. 30. Giovanni Antonio Arras
Minutili (1779-1784) nuorese, dottore
in utroque; vicario generale di Sassari.
31. Michele Pes (1785-1804) tempiese,
dottore in utroque; vicario generale di
Iglesias. 32. Giuseppe Stanislao Paradiso (1807-1819) cagliaritano, dottore
in Teologia; parroco di Gergei; trasferito ad Ales-Terralba. 33. Stanislao
Mossa (1823-1825) sassarese, dottore in
Teologia; parroco di San Donato di Sassari. Nel 1839 la diocesi prese il nome
di Ampurias e Tempio.
VESCOVI DI AMPURIAS E TEMPIO
1. Diego Capece (1833-1855) tempiese,
dottore in Teologia; parroco di Quartucciu. 2. Filippo Campus (1871-1887)
di Pattada, dottore in Teologia; parroco della cattedrale di Sassari. 3.
Paolo Pinna (1887-1892) di Pozzomaggiore; vescovo titolare di Europa e ausiliare di Alghero. 4. Antonio Maria
Contini (1893-1914) di Scano di Montiferro, dottore in Teologia; vescovo di
Ogliastra; rinunciò nel 1914. 5. Giovanni Maria Sanna (1915-1922) di Oristano, minore osservante; trasferito a
Gravina. 6. Albino Morera (1922-1950)
vercellese, dottore in Teologia. 7. Carlo
Re (1951-1961) missionario di Giaveno;
fu missionario in Kenya, vicario apostolico di Nyeri e amministratore apostolico di Meru. 8. Mario Ghiga (19611963) di Cuneo; parroco di Carloforte.
9. Giovanni Melis Fois (1963-1970) di
Sorgono, dottore in Teologia; vicario
generale di Oristano; trasferito a
Nuoro. 10. Carlo Urru (1971-1982) di
Todi, laureato in Lettere; rettore del
Seminario di Assisi; trasferito a Città
di Castello. 11. Pietro Meloni (19831992) sassarese, laureato in Lettere e
Teologia; professore nell’Università di
Sassari; trasferito a Nuoro. 12. Paolo
Atzei (1992-2004) di Mantova, minore
conventuale; padre provinciale per la
Sardegna; trasferito a Sassari. 13. Sebastiano Sanguinetti (2006-), di Lula,
vescovo di Ozieri.
Ampurias, Raimondo Luogotenente
del governatore di Cagliari (Catalogna,
prima metà sec. XIV-Cagliari 1365). Figlio naturale di fra Raimondo, lo seguı̀
in Sardegna dove si legò a Giacomo
d’Aragona, uno dei figli naturali del re
che vi aveva fissato la residenza, e nel
1340 ottenne il feudo di Cangellus nel
Sigerro. Poco dopo si trasferı̀ in Catalogna; prese parte alla guerra di Majorca
e fu nominato gentiluomo di camera
del re; dopo alcuni anni tornò in Sardegna e vi si stabilı̀ definitivamente. Essendo parente della moglie di Giacomo
d’Aragona, nel 1349 ottenne la promessa di successione nei feudi di Gergei e di Quartu appartenenti all’Aragona, ma non fu in grado di pagare i
diritti al fisco. Nel 1351 ebbe le signorie di Baratuli, di Sibiola e di Sicci, che
però perse nel 1353 durante la prima
guerra tra Arborea e Aragona. Nel
1362 fu nominato luogotenente del governatore di Cagliari; scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro
IV, i suoi feudi furono devastati.
Amsicora = Ampsicora
Amsicora S.G. Società sportiva cagliaritana. Fondata nel 1897 da un gruppo
di appassionati, è la prima società di
ginnastica nata in Sardegna, non a
caso un anno dopo la prima edizione
delle Olimpiadi moderne di Atene.
159
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 167
Anagallide
Dopo un avvio difficoltoso sotto la presidenza di Raffaele Garzia, arrivarono
i primi successi, soprattutto nella ginnastica, ma anche nell’atletica leggera.
Cosı̀ nel 1912 e poi nel 1920, ai Giochi
Olimpici di Stoccolma e poi di Anversa,
i ginnasti Francesco Loy e Michele Mastromarino conquistarono la medaglia
d’oro nel concorso generale a squadre.
E nel 1914 il giavellottista Fausto
Nieddu conquistò il titolo italiano.
la società acquistò negli anni Venti la
sede di viale Bonaria e nel 1923 l’area
di Ponte Vittorio, appena dismessa dall’amministrazione penitenziaria. I due
impianti, però, nonostante i grandi risultati ottenuti dalla società, finirono
per passare nelle mani del PNF fino al
1943. Negli anni successivi al conflitto
il campo e l’area di Ponte Vittorio ritornarono alla società rimanendone per
sempre la sede naturale. Nel 1948,
sotto la guida di Filippo Vado, l’A. S.G.,
presente già in numerose discipline,
iscrisse una squadra di studenti (del
Liceo ‘‘Dettori’’) al campionato di serie
B di hockey su prato e già due anni
dopo conquistava la promozione nella
massima serie. Da allora i suoi atleti
hanno conquistato una ventina di scudetti e numerosi titoli italiani juniores
e allievi nonché femminili. Si è formata cosı̀ una scuola che ha permesso
la nascita di altre squadre dell’hinterland cagliaritano, come l’Amatori e il
Suelli, attualmente protagoniste della
serie A. Continuano anche oggi i successi nelle altre discipline come l’atletica e la ginnastica. [GIOVANNI TOLA]
Anagallide Pianta erbacea annuale
Guido Costa – Il mitico presidente della società
sportiva Amsicora è rappresentato in questa
caricatura degli anni Venti del Novecento in
divisa da ginnasta.
Sotto la guida del mitico presidente
Guido Costa, che rimase in carica dal
1902 fino alla morte, avvenuta nel 1934,
della famiglia delle Primulacee (Anagallis arvensis L.), detta anche centonchio. Fusti prostrati a sezione quadrangolare, foglie ovate acuminate all’apice, fiori singoli, peduncolati all’ascella fogliare, di colore variabile dal
blu-viola al rosso, frutto a capsula sferica. Molto diffusa, cresce e fiorisce da
marzo a ottobre nei campi, sia incolti
che coltivati. In fitoterapia viene
usata, con cautela per la sua tossicità,
in infuso con azione diuretica ed espettorante, o per uso esterno come cicatrizzante. In Sardegna sono presenti altre tre specie affini: l’Anagallis foemina, molto diffusa, dai fiori azzurro
intenso, e due endemismi della Sardegna sud-occidentale, l’Anagallis crassi-
160
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 168
Anastasia
folia, dai delicati fiori biancastri, rara,
e l’Anagallis monelli L. Quest’ultima ha
un’intensa fioritura arancione, con
fiori più grandi, che caratterizza le garighe costiere. Spettacolari quelle dell’isola di San Pietro, in associazione
cromatica con un altro endemismo, la
pratolina delle scogliere (Bellium crassifolium L.). Nomi sardi: éiba di la Madonna (sassarese); elba de feridas (logudorese e nuorese); elba santa (Anglona); erba de puddas (Sardegna meridionale); sciua de cuôlu (Carloforte).
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Anagiride Pianta arbustiva, alta sino ai
3-4 m, della famiglia delle Leguminose
(Anagyris fetida L.). I rami giovani sono
ricoperti di peluria, le foglie, caduche,
sono composte trifogliate, tomentose
nella pagina inferiore, di colore verde
chiaro. I fiori, riuniti in racemi, sono
gialli con un petalo più corto (stendardo) macchiato di bruno. Fiorisce in
inverno. Il frutto è un baccello pendulo
e rigonfio. Sia il nome scientifico, che
l’altro nome volgare con cui è conosciuta, puzzolana, sono dovuti al pessimo odore che tutta la pianta emana.
Velenosa e infestante, si adatta a tutti i
substrati e vive indifferentemente
sulle coste come nei boschi sino a 600
m. Nella Sardegna meridionale si usavano le foglie tritate e mescolate all’albume d’uovo montato come rudimentale ingessatura per bloccare un arto
fratturato. Nomi sardi: fazorba (Marghine); giolva (gallurese); silı́qua crabı́na (Iglesiente); thilı́bba (Sarcidano).
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Anania, santo Santo (Orgosolo, ?-sec.
III). Martire nato, secondo la leggenda,
a Orgosolo. Funzionario romano, comes
equivalente a compagno, assessore. Da
comes è venuto il titolo araldico di
conte, perciò il santo popolarmente è
considerato un conte, nel significato
dell’organizzazione medioevale. Con-
vertitosi al Cristianesimo dopo aver
ascoltato una predica del vescovo Egidio, annunciò il Vangelo. Denunciato,
non volle sacrificare agli dei, come
prescriveva la legge, venne arrestato e
torturato. Con una sega gli tagliarono
le mani e le gambe. Decapitato che
aveva quarant’anni, nel secolo III,
ebbe compagno nel martirio il suo vescovo e maestro Egidio. Ritenuta medioevale la chiesa d’Orgosolo, dove nel
1623 furono rinvenute in una tomba romana le reliquie, con l’iscrizione del
nome del santo e la data del suo martirio, 3 luglio 300. «Erano sı̀ tombe romane – nel giudizio di Giovanni Spano
(1869) – ma cristiane, come dimostrano
i titoli. È però vera la falsa interpretazione che si è data alle iscrizioni». Le
reliquie sono conservate a Orgosolo,
nella chiesa dell’Assunta; alcune sono
state donate a Fonni, al santuario della
Madonna dei Martiri. Nel Seicento, durante la lotta tra gli arcivescovi di Cagliari e di Sassari per ottenere il titolo
di primate di Sardegna e di Corsica
(Orgosolo rientrava nei territori di appartenenza dell’arcivescovo di Sassari), si volle dare nazionalità sarda a
Sant’A. martire, che a Damasco battezzò Saul-Paolo. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia la seconda domenica di giugno a Orgosolo.
Anastasia, santa Santa (m. Sirmio
304). Martire a Sirmio, oggi Sremska
Mitrovica, in Dalmazia, sotto Diocleziano. A Roma, nei pressi del Circo
Massimo, nel secolo VI le venne dedicata una chiesa. Spesso confusa con la
figlia di San Pretestato, vergine martire a Roma dove si era recata per parlare con San Crisogono, del quale il padre era discepolo. Il Martirologio Romano ricordava tre sante di questo
nome.
In Sardegna Patrona di Buddusò e
Tissi. Culto introdotto dai Bizantini, è
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 169
Anastasio
associata a San Quirico e a Sant’Ambrogio. La chiesa di Sardara è stata costruita sopra un tempio nuragico a
pozzo (sec. X a.C.), nei pressi di una sorgente di acque curative, Sa funtana de
is dolus, che era fra le più importanti
dell’isola. In un martirologio sardo si
legge: «Nella chiesa dedicata a Sant’Anastasia, a Sardara, sono deposti i
corpi di San Severo e di San Luri». A
Quartu Sant’Elena il simulacro conservato nella chiesa di Santa Maria Cepola è cinque-secentesco. Nella tradizione sarda la santa avrebbe fasciato
Gesù appena nato: «Chie l’hat fascadu
est Santa Nastasia» (Chi l’ha fasciato è
Sant’Anastasia). [ADRIANO VARGIU]
sia, fine sec. VI ca.-?, 628). Monaco basiliano, martire in Persia assieme a settanta cristiani. Nacque verso la fine
del 500. Si chiamava Magundat, forse
sacerdote pagano, senz’altro praticò la
magia. Profondamente colpito dai
martiri cristiani, si convertı̀. Dopo il
catecumenato, fu battezzato a Gerusalemme con il nome di A. dal patriarca
Modesto. Basiliano, si recò a Cesarea
di Palestina, che era sotto i persiani.
Fu arrestato e incarcerato, battuto con
verghe di ferro. Predisse la fine di Cosroe, re di Persia dal 590 al 628. Trasferito a Barsiloe, subı̀ altre torture. Condannato a morire insieme con settanta
cristiani, venne strangolato e decapitato. Nel 640, sotto l’imperatore bizantino Eraclio, le sue reliquie furono trasportate da Cesarea a Roma. Nella liturgia latina è associato a San Vincenzo martire romano, e non spagnolo,
come erroneamente riporta qualche
agiografo. Il significato dei loro nomi:
Vincenzo, «colui che vince»; A., «risurrezione». Risurrezione di Gesù, certamente, ma anche risorgere alla salvezza e alla vita eterna, nome che i
primi cristiani davano ai pagani convertiti. Ben diciotto santi di questo
nome sono ricordati nel Martirologio
Romano. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 22 gennaio a Olzai.
Anatolia, santa Santa (m. Roma 250).
Sant’Anastasia – La santa in un affresco del
secolo XII conservato in una chiesa bizantina
di Cipro.
Festa Si festeggia il 25 dicembre; la
prima domenica di aprile a Quartu
Sant’Elena, l’11-12 luglio a Tissi, il 23
settembre a Buddusò, il 12 novembre a
Sardara.
Anastasio, santo Santo (Razech, Per-
Stando al significato del suo nome,
«punto dove sorge il sole», si tratterebbe di una santa d’origine orientale.
Martire; nata da una famiglia ricca, pagana, bella, giovanissima, fidanzata al
pagano Aureliano. Convertita, ruppe il
fidanzamento, donò i propri beni ai poveri e seguendo il Vangelo si dedicò
completamente al prossimo. Martire
sotto l’imperatore Decio, assieme a Vittoria, dopo aver subı̀to entrambe la tortura. Nel Martirologio Geronimiano e in
alcune leggende A., riportata anche
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 170
Anatra
con il nome di Finittı̀a, e Vittoria figurano sorelle: stessi genitori o sorelle di
fede? In altre leggende figurano amiche. Non compare nel Martirologio Romano. Vittoria dal 1969 è stata cancellata dal calendario. Abbandonato da
A., Aureliano disperato chiese aiuto a
Vittoria, la quale richiamò la sorella o
amica dicendole: «La vita è amore ed è
meraviglioso amare ed essere amati».
Rispose Anatolia: «Dio è il mio grande
amore». Vittoria si convertı̀. Dopo
averla rapita e portata in una villa di
campagna, anche Aureliano si convertı̀. Le due donne, denunciate e arrestate, finirono nel carcere di Rieti o di
Tora, dove convertirono la guardia Andrea e operarono molti miracoli. Compaiono entrambe nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.
[ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrona di Telti insieme a
Santa Vittoria.
Festa Si festeggia, insieme a Santa Vittoria, il 23 dicembre; la prima domenica di maggio a Telti, la terza domenica di settembre a Sassari.
Anatra, Bruno Storico (n. Tunisi 1937).
Divenuto ormai cagliaritano di fatto,
dopo la laurea si è dedicato alla ricerca
storica e all’insegnamento universitario, approfondendo lo studio della società sarda nell’Età moderna e della
demografia storica. Attualmente è professore ordinario di Storia moderna
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Cagliari e dirige il
dipartimento di Scienze Storiche. La
sua vasta produzione spazia anche su
temi che esulano dalla storia della Sardegna. Tra gli scritti sulla Sardegna ricorderemo I quinque librorum nei sinodi sardi, in Le fonti della demografia
storica in Italia, I, 1971-72; Problemi di
storia della Sardegna spagnola (con
Giuseppe Serri e Raffaele Puddu),
1975; I fasti della morte barocca in Sar-
degna tra epidemie e carestia, ‘‘Incontri
meridionali’’, 4, 1977; Dinamica demografica e mobilità matrimoniale in Sardegna tra il Settecento e il primo quarto
dell’Ottocento, ‘‘Annali della Facoltà di
Scienze politiche dell’Università di
Cagliari’’, V, 1980; Aspetti della congiuntura seicentesca in Sardegna, ‘‘Annali
della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, II, 23, 1983; Dall’unificazione aragonese ai Savoia, in La Sardegna medioevale e moderna, vol. X
della ‘‘Storia d’Italia’’ diretta da G. Galasso, 1984; Fonti ecclesiastiche per lo
studio della popolazione della Sardegna
centro meridionale (con Giuseppe Puggioni), 1984; I ceti dirigenti sassaresi nell’Età aragonese e spagnola, in Gli Statuti sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’età
moderna. Atti del Convegno di studi Sassari 1983 (a cura di Antonello Mattone e
Marco Tangheroni), 1986; Economia
sarda e commercio mediterraneo nel
Basso Medioevo e nell’Età moderna, in
Storia dei Sardi e della Sardegna (a cura
di Massimo Guidetti), III, 1989; I parlamenti sardi, in Atti del Congrés de Historia Istitucional Barcelona 1988, 1991;
Cagliari e il suo territorio, in La società
sarda in età spagnola (a cura di Francesco Manconi), I, 1992; Alghero e il Logudoro in epoca spagnola, in Alghero, la
Catalogna, il Mediterraneo. Storia di
una città e di una minoranza catalana
in Italia (XIV-XX secolo) (a cura di Antonello Mattone e Piero Sanna), 1994;
Storia locale in veste regionale: il caso
italiano, in Studi e ricerche in onore di
Giampaolo Pisu, 1996; Istituzioni e società in Sardegna e nella Corona d’Aragona (sec. XIV-XVII), 1997; Insula Christianorum. Istituzioni ecclesiastiche e
territorio nella Sardegna di antico Regime, 1997; Storia della popolazione in
Sardegna (con Giuseppe Puggioni e
Giuseppe Serri), 1997; Sale in Sardegna
163
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 171
Anchisi
nella prima età moderna (con Francesco Carboni), in Storia del commercio
del sale tra Mediterraneo e Atlantico,
1997; Come ranocchie di color terreo.
Oristano e il suo marchesato nella prima
età moderna, in Il Giudicato di Arborea e
Marchesato di Oristano. Proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale, I,
2000; Malessere politico e sociale nella
Sardegna mediterranea, in Banditismi
mediterranei, 2003.
Anchisi, Luigi (detto Gino) Esperto di
agricoltura, giornalista (Cagliari 1902Roma 1980). Dopo la laurea in Giurisprudenza divenne funzionario della
Camera di Commercio di Cagliari e
nel 1932 fu nominato direttore dei mercati della città. Contemporaneamente
collaborò all’‘‘Unione sarda’’ e fu l’animatore del ‘‘Lunedı̀ dell’Unione’’. Nel
1934 fu chiamato a Roma come caposervizio presso la Confederazione degli agricoltori acquistando grande notorietà. Nel 1944 fu consulente per l’agricoltura dell’Alto Commissario della
Sardegna e nello stesso anno fu nominato segretario generale dei Coltivatori diretti, ufficio che ricoprı̀ fino al
1962. Nel 1958 entrò nel comitato per
l’Agricoltura della Comunità Economica Europea e tra il 1964 e il 1966 ne
presiedette la commissione permanente.
Cossu per il suo romanzo storico Gli
Anchita e i Brundano (1882).
Ancis, Aldo Attore e regista (Cagliari
1912-ivi 1995). Entrò nel mondo teatrale molto giovane come interprete di
commedie dialettali. In seguito guidò
alcune filodrammatiche, imponendosi
anche come attore di teatro in lingua
italiana. Nel dopoguerra, con Lino Girau e altri, diede vita a indimenticabili
stagioni teatrali radiofoniche (soprattutto dai microfoni di Radio Sardegna),
che gli dettero fama nazionale e gli
consentirono di educare generazioni
di giovani attori.
Anchita, Salvatore Bandito (Sedini,
sec. XVII-ivi 1659). La sua famiglia era
rivale dei Brundano e si era impegnata
per anni in una terribile faida che
aveva causato molti morti. Mentre cercava di avere ragione del suo rivale
Francesco Brundano, era stato costretto a darsi alla macchia con lui; nel
1659 si trovarono in una grotta circondati dai soldati del re ed entrambi morirono combattendo contro di loro. La
vicenda della lunga faida fu presa ad
argomento dallo scrittore Gavino
Sant’Andrea – Raffigurazione del santo in un
mosaico del secolo XII della cattedrale di
Trieste.
Andrea, santo Santo (m. 60?). Apostolo
e martire, A., che significa ‘‘virile’’, nacque a Betsaida in Galilea, fratello maggiore di Simon Pietro, entrambi figli di
Giona della tribù di Neftali. Discepolo
di Giovanni Battista. «Un giorno Andrea – si legge nella Legenda aurea
scritta in latino tra il 1253 e il 1266 da
164
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 172
Anedda
Jacopo da Varagine o da Varazze – era
dal suo maestro Giovanni con un altro
discepolo e udı̀ dire da Giovanni:
‘‘Ecco l’agnello di Dio’’. Subito Andrea
e l’altro discepolo andarono a vedere
dov’era Gesù, e per tutto quel giorno
rimasero con lui. Poi Andrea trovò il
fratello Simone e condusse anche lui
da Gesù. Il giorno dopo tornarono a pescare, poiché Andrea e Simone erano
pescatori. Gesù chiamò Andrea e gli altri perché divenissero suoi discepoli:
‘‘Seguitemi e vi farò pescatori d’uomini’’. Quelli lasciarono tutto e non tornarono più al loro mestiere». A., protocleto, ‘‘primo chiamato’’, per i greci, secondo la tradizione avrebbe annunciato il Vangelo nell’Asia Minore e in
Etiopia. La passio lo mette a Patrasso
in Acaia. Molti i miracoli: cacciò sette
demoni che fuori della città di Nicea
uccidevano i passanti, risuscitò un giovane che era stato ucciso da sette cani.
Convertı̀ e battezzò anche la moglie di
Egea, proconsole romano in Acaia.
Egea comandò ai cristiani di sacrificare agli dei, Andrea lo affrontò dicendogli: «Hai meritato di essere giudice
qui in terra, ma è necessario che tu riconosca il giudice che è nei cieli e riconoscendolo tu lo veneri distogliendo
l’animo dal culto dei falsi dei». Egea lo
fece gettare in carcere e comandò a
ventun uomini di legarlo e sospenderlo
alla croce per le mani e i piedi perché il
supplizio avesse a durare più a lungo.
L’apostolo, vedendo la croce, la salutò,
l’abbracciò e la baciò: «Lieto e sicuro, o
croce, vengo a te e tu accoglimi benignamente perché sono il discepolo di
colui che su di te fu sospeso». Si tolse i
vestiti e li regalò ai carnefici. Legato
alla croce, visse per due giorni durante
i quali predicò a duecentomila persone. Il terzo giorno rese l’anima. Martire forse nel 60, sotto Nerone, su una
croce a forma di X, diventata ‘‘croce di
Sant’A.’’. Apparve in abiti da cavaliere
agli abitanti di Patrasso, per sostenerli
contro i Romani: perciò dai Bizantini è
considerato santo militare. Il suo corpo
imbalsamato fu traslato a Bisanzio nel
356, venne rubato e portato ad Amalfi
nel 1208-1210. La sua testa venne donata a Roma, alla basilica di San Pietro, nel 1462: da Paolo VI restituita nel
1964 alla Chiesa greco-ortodossa di Patrasso. Gli Atti di Sant’Andrea sono
scritti apocrifi, secoli II-III, di origine
gnostica.
In Sardegna Patrono di Birori, Giave,
Gonnesa, Modolo, Sant’Andrea Frius,
Sedini, Sennariolo, Tortolı̀, Ula Tirso
e Villanova Truschedu. Dà il nome al
mese di novembre, Sant’Andria. Patrono dei pescatori e dei pescivendoli,
invocato contro i tuoni e per guarire gli
animali dal mal di ventre. I proverbi:
«Po Sant’Andria si toccat sa pibizia»
(Per Sant’Andrea si spilla, si assaggia,
il vino nuovo); «Seu cumenti sa perda de
Sant’Andria, beni stemmu e mellu stau»
(Sono come la pietra di Sant’Andrea,
bene stavo e meglio sto): persona che
si adatta a tutto. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 30 novembre; il 24
maggio a Sant’Andrea Frius. Sagre
estive e in altre date durante l’anno.
Andreoni, Antonio Magistrato, senatore del Regno (Alghero 1866-Roma
1945). Dopo la laurea in Giurisprudenza entrò in magistratura, percorrendo una brillante carriera. Nel 1933
fu nominato senatore del Regno.
Anedda, Gianfranco Avvocato, deputato al Parlamento (n. Cagliari 1930).
Brillante penalista, è stato presidente
della Camera penale dell’isola e componente del Consiglio nazionale forense. Fin dal secondo dopoguerra si è
impegnato in politica nelle file del
MSI: consigliere comunale di Cagliari
dal 1964 al 1970, nel 1969 fu eletto per la
prima volta consigliere regionale nella
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 173
Anedda
VI legislatura e successivamente riconfermato fino al 1989 per altre tre legislature vivendo l’evoluzione del suo
partito dapprima in Destra nazionale e
successivamente in Alleanza Nazionale. Nell’aprile del 1992 fu eletto deputato e divenne sottosegretario alla
Giustizia nel primo governo Berlusconi; nel 1994 fu rieletto deputato per
la XII legislatura e successivamente riconfermato con crescente successo
elettorale. Non si è ricandidato per le
elezioni dell’aprile 2006.
Anedda, Giovanni Luigi Fotografo (n.
Sassari, sec. XX). Sassarese, si occupa
di fotografia professionale dal 1984,
dopo aver conseguito il diploma presso
il Dipartimento di Fotografia dell’Istituto Europeo di Design di Cagliari. È
redattore, pubblicista e fotografo della
rivista ‘‘Sardegna antica’’, nonché consulente per le immagini del Centro
Studi Culture Mediterranee di Nuoro.
È membro dell’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti ‘‘Tau Visual’’.
Anedda, Giuseppe Musicista (Cagliari
1912-ivi 1997). Si diplomò in violino al
Conservatorio e si specializzò in mandolino. Negli anni Trenta fondò e diresse il quartetto a plettro ‘‘Karalis’’,
facendosi notare per la qualità delle
sue esecuzioni, per cui nel 1938 e nel
1939 vinse il concorso nazionale per
mandolino. Nel dopoguerra suonò per
Radio Sardegna con crescente successo; successivamente si stabilı̀ a
Roma ed entrò a far parte del complesso ‘‘I virtuosi di Roma’’, fondato da
Renato Fasano, e dopo dodici anni iniziò la sua prestigiosa carriera di solista. Si è esibito nei maggiori teatri, raggiungendo una fama di livello mondiale.
Anedda, Josto Bruno Giornalista e
studioso di storia (Pola 1937-Cagliari
1975). Allievo di Paola Maria Arcari,
dopo essersi laureato in Scienze politiche a Cagliari si dedicò alla ricerca collaborando con la sua Facoltà. Si occupò principalmente di storia politica,
anche dopo essere diventato giornalista professionista. Il suo merito scientifico maggiore è il recupero del diario
politico di Giorgio Asproni, di cui iniziò a pubblicare l’edizione critica, prematuramente interrotta dalla morte
che lo colse a Cagliari a soli 39 anni.
Tra i suoi scritti ricorderemo Giorgio
Asproni e il clero sardo, ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, IX, 51-52,
1964; Il dilemma della guerra in Crimea
e la crisi della Sinistra secondo una memoria inedita di Giorgio Asproni, ‘‘Studi
economico-giuridici della Facoltà di
Giurisprudenza di Cagliari’’, XLV,
1965-1968; Vittorio Angius politico, 1969.
Anedda, Marina Fotografa (n. Cagliari,
sec. XX). Autrice di vari reportage etnografici sulla realtà della ‘‘vita di
paese’’, ha personalmente curato l’allestimento di mostre ed esposizioni già
a partire dal 1985. Un anno dopo lavora
come fotografa di scena per il documentario Le nozze: rituali di matrimonio nelle società tradizionali, e per Le
nozze in Sardegna del regista Gabriele
Palmieri. Vince, nel 1986, il primo premio della mostra-concorso regionale
sul ‘‘Lavoro Tradizionale Femminile’’
organizzata dall’ARCI a Ovodda, e, nel
1992, quello del concorso ‘‘Scorci e vita
del centro storico di Cagliari’’.
Anela Comune della provincia di Sassari, compreso nella VII Comunità
montana, con 763 abitanti (al 3 dicembre 2004), posto a 446 m sul livello del
mare, allineato tra i paesi de ‘‘Sa Costera’’, alla destra del medio corso del
Tirso. Regione storica: Goceano. Diocesi di Ozieri.
& TERRITORIO Il territorio comunale,
esteso per 36,96 km2, è allungato nella
direzione da sud-est a nord-ovest e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 174
Anela
confina a nord con Nughedu San Nicolò, a est con Bultei, a sud e a ovest
con Bono. Mentre da una parte giunge
a toccare le rive del fiume, dall’altra si
spinge sulle pendici della catena del
Marghine, ricoperta in parte da pregevoli boschi, sino a comprendere le
punte San Giorgio, 972 m, Su Enturzu,
1103 m, Masiennera, 1156 m, e Cherchidores, 1117 m. Il paese è toccato dalla
vecchia – e tortuosa – statale 128 bis,
alla quale si connettono nel giro di pochi chilometri le traverse in direzione
di Ozieri, Sassari e, sul versante opposto del Tirso, Benetutti e Nule.
Anela – Le domus de janas di Sos Furrighesos:
necropoli ascrivibile alla cultura di Ozieri
situata lungo un declivio roccioso a pochi
chilometri da Anela.
STORIA Verosimilmente A. ebbe origine da un insediamento romano di carattere militare e nel periodo bizantino mantenne la stessa funzione come
dimostra il complesso di Aneleto (=);
nel Medioevo entrò a far parte del giudicato di Torres e divenne il capoluogo
della curatoria del Goceano. Nel suo
territorio densamente popolato si insediarono i Camaldolesi, che nel 1162 costruirono la bella chiesa di Nostra Signora di Mesumundu, o delle Rose. A.
era un centro nel quale spesso si recavano i giudici per prendere parte a
spettacolari battute di caccia al cinghiale, esercizio in cui i suoi abitanti
&
erano maestri. Estinta la famiglia giudicale, il territorio fu conteso tra i Doria e gli Arborea e A. cominciò a perdere l’antica importanza. Nelle confuse fasi che precedettero la conquista
aragonese il re Giacomo II, alla ricerca
di possibili alleati, ne investı̀ i Doria
considerando l’intero Goceano come
parte del Regnum Sardiniae. Ma negli
anni che seguirono la conquista, essendosi i Doria ribellati, A. e il Goceano
furono occupati dalle truppe del giudice d’Arborea allora alleato degli invasori. Cosı̀ nel 1339 il villaggio fu compreso nella contea del Goceano, concessa a Mariano IV d’Arborea, e nei decenni successivi fu teatro della guerra
tra Aragona e Arborea; nel 1378, per
quanto oramai il territorio fosse nelle
mani del giudice d’Arborea, fu concesso dal re d’Aragona a Valore de Ligia, che aveva tradito il giudice. Finita
la guerra, nel 1410 A. passò al marchese
di Oristano, ma il Goceano non era ancora pacificato: la regione per anni
subı̀ gravi danni a causa delle devastazioni compiute da bande di fuorilegge
tra le quali la più famosa era quella di
Bartolo Manno (=). Nel 1422 Leonardo
Cubello lo assalı̀, sconfiggendolo, e acquisı̀ definitivamente la regione. Conclusasi nel 1478 l’epopea dei marchesi
d’Oristano, dal 1493 A. entrò a far parte
del patrimonio reale e non fu più infeudato. Nei secoli successivi fu amministrato da un funzionario reale ma la
sua decadenza continuò inesorabile.
Nel corso del secolo XVIII A. e il Goceano passarono alla nuova dinastia,
ma la sua condizione di feudo reale
non mutò; nel 1771 vi fu costituito il
Consiglio comunitativo e i suoi abitanti
nel 1796 presero parte attiva ai moti
antifeudali cosı̀ che, dopo la fine di
Giovanni Maria Angioy, subirono le
conseguenze di una dura repressione.
Nel 1821 il villaggio fu incluso nella
167
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Anela
provincia di Nuoro e nel 1838 finalmente liberato dalla dipendenza feudale; quando nel 1848 furono abolite
le antiche province, fu incluso nella
omonima divisione amministrativa. Di
questi anni la testimonianza di Vittorio
Angius: «Era nel Medio evo capoluogo di curatoria, o dipartimento;
ora, decaduto dal primiero stato, si annovera tra i paesi di terzo ordine. È situato nel declivio della montagna,
quasi alla tramontana di Bono. Non si
contano più di 130 case, abitate da 437
anime. Le strade sono irregolari, mal
tenute, ed al solito trovansi i letamai
nell’orlo del paese ad infettar l’aria,
che non sarebbe insalubre per altra ragione. V’è un consiglio di comunità,
una giunta locale sul monte di soccorso, ed una scuola normale, dove
concorrono fanciulli 2. La chiesa parrocchiale è dedicata ai santi martiri
Cosimo e Damiano: manca di sacri arredi, ed è tenuta poco decentemente.
In vicinanza havvi altra chiesa di antica costruzione, dove celebransi annualmente due feste. L’agricoltura si
fa con 40 gioghi. Vi sono poche vigne, e
nessuna di considerazione. Poca è la
quantità del bestiame che nutresi. Il
totale non oltrepassa i 3300 capi, divisi
in pecore n. 2500, vacche 150, capre
500, porci 100, cavalle 40, e qualche giumenti». Nel 1859 la provincia di Nuoro
fu abolita e subito dopo A. entrò a far
parte di quella di Sassari. Nel 1870 l’isolamento del paese si ridusse in parte
con l’apertura della strada nazionale,
nel 1893 con l’entrata in funzione della
linea ferroviaria delle secondarie che,
partendo da Chilivani, arrivava sino
alla Cantoniera del Tirso. Nel 1896 la
sua foresta di più di 1000 ha fu dichiarata invendibile e cosı̀ salvata dalla devastazione. In quegli anni la popolazione venne gradatamente aumentando, ma questa tendenza si ridusse
poi, nel corso del Novecento, in seguito
ai ricorrenti flussi migratori.
& ECONOMIA Ormai ridotte ai minimi
termini le attività agricole, ha preso il
sopravvento l’allevamento, soprattutto
di ovini ma anche di bovini e suini.
Sono cresciute anche qui le attività legate al settore terziario, all’edilizia e,
con la valorizzazione delle aree boschive, sono stati creati alcuni posti di
lavoro per la forestazione e la difesa
antincendio. Artigianato. È possibile
individuare un’antica tradizione di artigianato tessile che attualmente alcune donne mantengono viva con i telai manuali producendo pittoreschi
tappeti di piacevole effetto cromatico.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 861 unità,
di cui stranieri 8; maschi 421; femmine
440; famiglie 328. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con
morti per anno 16 e nati 5; cancellati
dall’anagrafe 19 e nuovi iscritti 16. Tra
gli indicatori economici: imponibile
medio IRPEF 12 788 in migliaia di
lire; versamenti ICI 409; aziende agricole 149; imprese commerciali 31;
esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio
20; ambulanti 6. Tra gli indicatori sociali: occupati 254; disoccupati 23;
inoccupati 64; laureati 21; diplomati
117; con licenza media 260; con licenza
elementare 301; analfabeti 14; automezzi circolanti 376; abbonamenti TV
268.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu abitato continuativamente a
partire dalla preistoria; conserva
quindi le domus de janas di Sos Furrighesos: una necropoli situata lungo un
declivio roccioso a pochi chilometri
dall’abitato e costituita da un gruppo
di 14 domus scavate nella roccia e
ascrivibili alla cultura di Ozieri. Il loro
interno è rifinito con particolare cura e
riccamente decorato con motivi a pro-
168
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 176
Anemone fiordistella
tomi taurine, alcune delle quali stilizzate e di grande effetto. Numerosi i nuraghi o resti di nuraghi: Castangia, Ferulas, Marione Ledda, Nunnaru, Orchinele, Orgodoli, Sa Pruna, Siana,
Siccadore, Su Pezzudoladu, Tambadu,
Torra, Tremene, Urchesiana, Urchinele. Per i secoli più recenti alcuni resti di epoca romana e di epoca bizantina. Il complesso archeologico medioevale di San Giorgio di Aneleto riveste
un’importanza di primo piano per la ricostruzione della storia di A. Il complesso sorge in località Funtana ’e Cresia e domina l’attuale abitato. In epoca
bizantina, attorno al secolo VI vi furono
edificati un castrum e la chiesa di San
Giorgio e il centro divenne il punto di
riferimento per l’intero territorio circostante. Nel corso del secolo VII la
fortezza fu abbandonata e col tempo
andò in rovina, solo durante gli scavi
del 1988 i suoi resti sono stati riportati
alla luce.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Nel centro urbano il
monumento di maggiore interesse è la
chiesa parrocchiale dedicata ai Santi
Cosma e Damiano, costruita in forme
semplici nel secolo XVI e più volte restaurata. I monumenti di maggiore rilievo che documentano l’importanza
della storia di A. sono però il santuario
di Nostra Signora di Mesumundu, costruito nel 1162 dai Cistercensi; è posto
a poca distanza dall’abitato ed è stato
restaurato recentemente, al suo interno sono conservate alcune statue lignee del secolo XVII. Altro importante
monumento è San Giorgio di Aneleto:
la chiesa sorgeva nelle vicinanze del
castrum omonimo e apparteneva ai
monaci basiliani; nel corso del secolo
XII fu donata ai Camaldolesi e in seguito definitivamente abbandonata.
Solo nella seconda metà del secolo XX
accanto ai ruderi dell’antica costru-
zione è stata ricostruita una cappella.
Di notevole importanza l’area boschiva o di forestazione che si estende
nelle vicini alture, costituita soprattutto da lecci, roverelle e sugheri; la
fauna annovera cinghiali e martore,
volpi e donnole, sparvieri e albanelle
reali. Numerose le sorgenti, che in alcuni casi danno vita ai corsi d’acqua
che si dirigono verso il Tirso.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni popolari si rinnovano nel
corso dell’anno con alcune feste religiose tra le quali quella di Sant’Antonio Abate, che si svolge il 16 e 17 gennaio col rituale falò in piazza, e quella
in onore dei santi patroni Cosma e Damiano che si tiene il 27 settembre. La
più caratteristica di queste feste è però
quella in onore di San Giorgio, che si
svolge nella suggestiva località di Aneleto a partire dalla prima domenica di
agosto e dura due giorni.
Aneleto Antico villaggio situato su una
montagna che sovrasta l’attuale abitato di Anela nel Goceano. Si sviluppò
in prossimità del castrum che nel secolo VI i Bizantini avevano fatto costruire per controllare il territorio circostante; fu probabilmente abbandonato quando, costituitosi il giudicato, i
suoi abitanti si stabilirono nel vicino
villaggio.
Anelo, Massimo Filosofo e teologo
(Cagliari 1615-San Raimondo, Spagna,
1685). Entrato nell’ordine domenicano, completò gli studi nella sua città.
Dopo aver insegnato per alcuni anni in
Sardegna, fu chiamato in Spagna e si
stabilı̀ a San Raimondo dove acquistò
fama e diresse per alcuni anni il locale
convento.
Anemone fiordistella Pianta erbacea
della famiglia delle Ranuncolacee (A.
hortensis L.), di 15-30 cm di altezza. Ha
foglie basali palmate tripartite; fiori
con petali allungati, dal lilla chiaro al
169
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 177
Anfibi
rosso-viola, e antere azzurre, su lunghi
steli flessibili. Molto diffusa, fiorisce in
primavera nei campi, nelle radure dei
boschi e ai bordi delle strade. Meno diffusa la specie affine, A. coronaria L.,
l’a. dei fiorai, con foglie basali lungamente incise e picciolate, fiori azzurro-viola con petali ellittici. Nomi
sardi: anémoni arésti, némula. [MARIA
IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Anfibi = Zoologia della Sardegna
Anfossi, Francesco (detto Cicito) Militante politico e giornalista (La Maddalena 1896-Sassari 1971). Militante socialista fin dal 1911, allo scoppio della
prima guerra mondiale manifestò idee
antimilitariste, per le quali nel 1915 fu
arrestato. Prosciolto, si arruolò e prese
parte alla guerra ottenendo anche una
medaglia al V.M. Nel dopoguerra si stabilı̀ a Roma e fu corrispondente de
‘‘l’Unità’’; nel 1924 fu costretto a emigrare clandestinamente in Francia e
da lı̀, nel 1927, si trasferı̀ in Argentina.
Inseritosi nel nuovo ambiente dove
operavano altri esuli sardi, nel 1929,
assieme al Brunetti e al Dettori, costituı̀ la Lega Sarda d’Azione e avviò la
pubblicazione del periodico ‘‘Sardegna Avanti’’. Nel 1930 fu espulso dall’Argentina e imbarcato su una nave
italiana diretta a Barcellona, dove
avrebbe dovuto essere consegnato alla
polizia italiana; quando la nave fece
sosta a Montevideo, riuscı̀ a fuggire e
si rifugiò in Uruguay. Da qui tornò in
Europa, stabilendosi a Bruxelles; nel
1934 si stabilı̀ nuovamente in Francia
dove, protetto dall’antifascista LIDU
(Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo),
si fermò dedicandosi ad attività commerciali e tra il 1936 e il 1938 organizzando soccorsi alla Spagna repubblicana. Rientrato in Sardegna alla fine
del secondo conflitto mondiale, si ritirò dalla attività politica.
Anfossi, Tosino Artista (Tempio 1892-
Sassari 1934). Fece le sue prime esperienze artistiche a Sassari negli anni
che precedettero la prima guerra mondiale. Scoppiato il conflitto, vi partecipò, fu ferito e rimase invalido; nel dopoguerra si laureò in Chimica a Cagliari dove conobbe Eugenio Tavolara,
col quale strinse un sodalizio artistico
che segnò il resto della sua breve vita.
Infatti, rinunciando a sfruttare professionalmente la sua laurea, a partire dal
1924 si stabilı̀ a Sassari e collaborò con
l’amico alla realizzazione dei famosi
‘‘pupazzi’’ di legno che inizialmente i
due produssero nello stabilimento di
Gavino Clemente; dopo il successo
delle loro creazioni alle mostre di
Monza e di Parigi, pensarono di sfruttare industrialmente quelle creazioni
che riproducevano con intenso realismo e insieme con linee geometricamente vicine alle contemporanee
esperienze dell’arte europea un
mondo sardo in miniatura di sorprendente efficacia. Si dedicò anche alla
scultura e al disegno decorativo. Morı̀
precocemente a Sassari, a 42 anni.
Anfossi, Video Pittore (n. Le Havre
1933). Figlio di Francesco (=), tornato
in Sardegna col padre, si è dedicato
precocemente alla pittura, tenendo la
sua prima personale a Tempio Pausania a diciassette anni. In seguito si è
stabilito a Sassari dove opera, inserendosi negli ambienti culturali della
città. A partire dal 1951 ha allestito numerose mostre personali e a preso
parte a collettive in Italia e all’estero,
ottenendo consensi dalla critica e dal
pubblico. «Frequentatore instancabile
di linguaggi sempre diversi – ha scritto
di lui Beba Marsano – , la sua pittura ha
acquistato nella fase più recente qualità timbriche più marcate». Numerosi
suoi lavori figurano in collezioni pubbliche e private.
Angelerio, Quinto Tiberio Medico
170
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 178
Angelo da Gerusalemme
(Belloforte, Calabria, 1532-Napoli
1617). Studiò a fondo la peste del 1582,
il suo manifestarsi ad Alghero e la sua
diffusione in tutta l’isola, descrivendone i caratteri e la storia con grande
acutezza scientifica nella sua Ectypa
pestilentis status Algheriae Sardiniae
anni LXXXII et III supra MD ad illustrissimum D. Michaelem de Moncada
regni proregem, pubblicata a Cagliari
da Canelles nel 1588.
visa e compone una musica sospesa
fra free jazz, punk noise, musica tradizionale sarda».
Angelica Casa editrice fondata nel
2005 a Tissi (Sassari). Per quanto nata
in Sardegna, intende dedicarsi a opere
a carattere non regionale, con la precisa volontà di diffonderle oltre Tirreno. Sino ad ora ha pubblicato opere
si narrativa, di saggistica e di letteratura per l’infanzia. [MARIO ARGIOLAS]
Angeletti, Pietro Pittore romano, acca-
Angelo (Angelo Custode, Angeli Cu-
demico di San Luca (attivo a Roma tra
il 1758 e il 1786). A partire dal 1760 ebbe
rapporti con la Sardegna, dove probabilmente soggiornò anche nel periodo
tra il 1761 e il 1769; di lui rimangono
alcuni dipinti: a Cagliari Le nozze di S.
Cecilia e S. Valeriano nel Duomo e il
Martirio di Sant’Eulalia nella chiesa
omonima, eseguito su commissione
della famiglia Belgrano. Altri tre oli si
trovano uno nel Duomo di Ales, eseguito su committenza del vescovo Pilo,
e gli altri due nella parrocchiale di Solarussa (S. Pietro in carcere e Il Miracolo
di S. Gregorio), in uno dei quali è stata
ravvisata la sua firma.
stodi). Angelo, dal greco ánghelos,
‘‘messaggero’’: agli Angeli, messaggeri
di Dio, annunciatori della volontà divina, intermediari tra Dio e gli uomini,
non sono mai mancate le preghiere.
Soprattutto per l’A. Custode non è mai
mancata la devozione, anche perché
«tutti e ciascuno – si legge nel Catechismo di Pio X – siamo affidati alle cure
di un Angelo, da ciò consegue la viva e
profonda devozione che dobbiamo
avere verso il nostro Angelo Custode».
La festa risalirebbe al 1411, alla città
spagnola di Valencia. Da Paolo V
(1608) è stata introdotta e fissata nel
Calendario Romano al 2 ottobre.
In Sardegna Sono molte le chiese e le
località dedicate all’A. o agli Angeli. A
Neoneli la leggenda vuole che la chiesa
campestre sia stata costruita per volere e su indicazione dell’arcangelo
Gabriele, apparso ad alcuni abitanti
del luogo. [ADRIANO VARGIU]
Festa La Sagra degli Angeli si festeggia la prima settimana di agosto; la seconda domenica di maggio a Olzai.
Angeli, Paolo Etnomusicologo, musicista (n. Palau 1960). Figlio di Gigi (n.
Pola 1943), conosciuto poeta in gallurese. Laureato in Etmomusicologia al
DAMS di Bologna, ha curato per conto
dell’ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico) il riordino scientifico e la digitalizzazione dell’Archivio
Mario Cervo (‘‘portuale, socialista, anticlericale’’) che ha raccolto migliaia di
registrazioni di esecuzioni di musica
popolare sarda. A. è anche inventore
di uno speciale tipo di chitarra, detta
‘‘chitarra sarda preparata’’ che ha incantato anche Paul Metheny. Questo
strumento «è un ibrido tra chitarra baritono, violoncello e batteria, dotato di
martelletti, pedaliere, 7 eliche, 14
pick-up: Angeli ci rielabora, improv-
Angelo da Gerusalemme, santo (o
Sant’Angelo di Sicilia, Sant’Angelo di Licata)
Santo (Gerusalemme 1185-Licata,
1220/1225). Ebreo, si convertı̀ e si ritirò
sul monte Carmelo, eremita e penitente, uno dei primi sacerdoti dei Carmelitani. Fu a Roma per chiedere al
pontefice Onorio III l’approvazione
della Regola scritta da Sant’Alberto
171
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 179
Angenior
per i nuovi frati. Predicando in Sicilia,
a Licata rimproverò un eretico, Berengario, il quale lo fece assassinare. Incerto l’anno, nel 1220 o nel 1225. Statua: raffigurato con la palma del martirio in una mano e il libro della Regola
nell’altra. A Cagliari, chiesa della Madonna del Carmine, è raffigurato nella
pala cinquecentesca di Girolamo Imperato.
In Sardegna Patrono di Osidda.
[ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 5 maggio; il 27 agosto a Osidda.
Angenior Località citata nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (sec.
VII) e, nella variante Agenorum, nelle
cronache del geografo Guidone (secc.
XI-XII). Era situata verosimilmente
tra Carales e Sulci, lungo la via a Caralibus Turrem. Le denominazioni tramandate dalle fonti non consentono di
identificare il centro, per il quale è
stata però suggerita da I. Didu una localizzazione nel Sulcis-Iglesiente,
forse in prossimità di Decimo o Siliqua, Corongiu o Villamassargia. Si suppone che l’itinerario pertinente ad A.
passasse per l’entroterra (attraversando la valle del Cixerri) piuttosto
che lungo la costa. L’ipotesi pare confermata dal rinvenimento di alcuni miliari, in uno dei quali, proveniente da
Santa Maria di Flumentepido (a occidente di Monte Sirai), si legge il nome
della strada: Caralibus Sulcos. [ANTONELLO SANNA]
Angiolillo, Simonetta Archeologa (n.
Torre Pellice 1945). Dopo la laurea si è
dedicata alla ricerca e all’insegnamento universitario. Attualmente è
professore ordinario di Archeologia e
Storia dell’Arte romana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Ha anche preso parte a
numerose campagne di scavo ed è autrice di importanti studi sulla civiltà
romana in Sardegna. Tra molteplici interessi di ricerca predilige lo studio
del mosaico in Sardegna, di cui è considerata il massimo esperto. Tra i suoi
scritti ricorderemo Due ritratti al Museo nazionale archeologico di Cagliari,
‘‘Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts’’, 1971; Una galleria
di ritratti Giulio Claudii da Sulci, ‘‘Studi
sardi’’, XXIV, 1975-1977; Mosaici antichi in Italia. Sardinia, 1981; La Sardegna dal Paleolitico all’età romana:
guida per schede ai siti archeologici
sardi, 1983; Cagliari, Villa di Tigellio.
Campagna di scavi 1980, ‘‘Studi sardi’’,
XXVI, 1981-85; L’arte della Sardegna romana, 1987; Alla ricerca di un tesoro
perduto. A proposito di un corredo di
preziosi rinvenuto a Olbia, in Sardinia
antiqua. Studi in onore di Piero Meloni
per il suo 70º compleanno, 1992; Bronzi
votivi di Età romana provenienti da Antas, in Carbonia e il Sulcis. Archeologia e
territorio, 1995.
Angioni Nome dato all’agnello nella varietà campidanese del sardo (in logudorese, anzone). Piatto tipico della cucina sarda, risale alla più antica tradizione pastorale: viene cucinato in tutte
le feste importanti, soprattutto per
quelle pasquali, arrostendo allo spiedo
l’agnello da latte. La preparazione di
questo piatto rimanda alla vita all’aperto che un tempo i pastori conducevano al seguito delle loro greggi transumanti; infatti l’agnello prescelto, infilzato in uno spiedo di legno aromatico,
viene arrostito all’aperto e servito in
grandi vassoi di sughero. Altrettanto
antichi sono altri modi di cucinarlo:
tra questi l’agnello in umido (Angioneddu a cassola), la cui preparazione
ha varianti nelle diverse zone dell’isola a seconda della disponibilità di ingredienti di pregio (cardi, carciofi,
pane e formaggio), che consentono di
172
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 180
Angioni
ottenere una sorta di stufato di notevole raffinatezza.
Giulio Angioni – Antropologo dell’Università
di Cagliari, si serve della sua conoscenza del
mondo sardo per i suoi romanzi.
Franco Angioni – Il generale Angioni, di
origini sarde, ha diretto la prima missione
dell’esercito italiano in Libano.
Angioni, Giulio Antropologo e scrittore
Angioni, Franco Ufficiale di carriera,
deputato al Parlamento (n. Civitavecchia 1933). Nato da famiglia sarda,
terminati gli studi medio superiori è
entrato all’Accademia militare divenendo ufficiale. Ha percorso una brillante carriera giungendo al grado di
generale; ha diretto la missione italiana in Libano e nel 2001 è stato
eletto deputato per l’Ulivo nel collegio del Lazio; fa parte della delegazione del Parlamento italiano presso
la NATO.
Angioni, Giovanni Impiegato, consigliere regionale (n. Cagliari, prima
metà sec. XX). Divenne consigliere regionale per il Movimento Sociale Italiano agli inizi della II legislatura, nel
novembre del 1953, subentrando ad Alfredo Pazzaglia nel collegio di Cagliari.
La sua permanenza in Consiglio fu
breve perché si dimise il 16 agosto
1954.
(n. Guasila 1939). Conseguita la laurea
in Lettere, per alcuni anni è rimasto
legato alla sua terra d’origine dedicandosi allo studio delle tradizioni popolari della Trexenta; ha avuto anche
esperienze sindacali e amministrative
nel territorio. I suoi studi, però, lo
hanno indirizzato anche all’insegnamento universitario: nel corso degli
anni ha avuto esperienze di insegnamento presso Università tedesche,
francesi e inglesi; attualmente è professore di Antropologia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, dove ha anche diretto l’Istituto
di Scienze antropologiche. È autore di
importanti scritti che hanno consentito di impiantare un costruttivo dialogo tra l’antropologia e la storia e le
altre discipline sociali, aprendo prospettive nuove alla comprensione del
passato. Da alcuni anni si è dedicato
alla narrativa, scrivendo racconti e alcuni romanzi di notevole valore lette-
173
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 181
Angioni
rario che lo hanno imposto all’attenzione generale della critica. Tra i suoi
scritti scientifici ricorderemo: Tre
saggi sull’antropologia dell’età, 1973;
Rapporti di produzione e cultura subalterna, 1974; Pani tradizionali e arte effimera in Sardegna (con Alberto M. Cinese, Enrica Delitala e Chiaretta Addari Rapallo), 1977; Sa laurea. Il lavoro
contadino in Sardegna, 1982; Rapporti
di produzione e cultura subalterna in
Sardegna, 1982; La festa di Santa Maria
d’agosto a Guasila, in Guasila, 1984; Il
sapere della mano. Saggi di antropologia del lavoro, 1986; I pascoli erranti.
Antropologia del pastore in Sardegna,
1989; Tutti dicono Sardegna, 1990;
Gente di miniera (con D. Colletti), 1999;
Eleonora d’Arborea e il Marchesato di
Oristano. Proiezioni mediterranee e
aspetti di storia locale, I, 2000. Tra le
opere di narrativa ricorderemo: A
fuoco dentro / ‘‘A fogu a intru’’, 1978; Arrichiteddu, 1980; Sardonica, 1983; La visita, 1988; Il sale sulla ferita, 1990; Un’ignota compagnia, Milano 1992; Lune di
stagno, 1993; Se ti è cara la vita, 1995;
L’oro di Fraus, 1998; Il gioco del mondo,
2000; Pane e formaggio e altre cose di
Sardegna, 2000; Millant’anni, 2002; La
casa della palma, 2002; Il mare intorno,
2003; Assandira, 2004; Alba dei giorni
bui, 2005.
Angioni, Mauro Avvocato, deputato al
Parlamento (Borore 1879-Cagliari
1969). Laureato in Giurisprudenza, si
dedicò alla professione di avvocato e
all’insegnamento della Procedura penale nell’Università di Cagliari. Impegnato in politica, nel 1914 lavorò alla
preparazione del Congresso dei sardi
a Castel Sant’Angelo. Prese parte alla
prima guerra mondiale e nel 1919 fu
eletto deputato nella lista dei Combattenti; sensibile al discorso del prefetto
Asclepia Gandolfo, successivamente
aderı̀ al fascismo e divenne segretario
della federazione di Cagliari. Nel secondo dopoguerra fu esponente di
spicco del movimento dell’Uomo Qualunque. I suoi numerosi scritti, apparsi
su quotidiani, offrono utile documentazione per la comprensione della storia del Novecento in Sardegna.
Angioni, Paolo1 Ufficiale di carriera
(n. Quartu Sant’Elena 1929). Dopo la
laurea in giurisprudenza è entrato
nella carriera della Polizia di Stato ricoprendo molti incarichi a Roma
presso il Ministero dell’Interno, a
Nuoro e a Cagliari raggiungendo il
grado di generale. Ha diretto per 24
anni il Centro di addestramento e di
istruzione professionale della Polizia
di Stato ad Abbasanta, ottenendo numerosi riconoscimenti per la sua professionalità.
Angioni, Paolo2 Ufficiale di carriera,
atleta (n. Cagliari 1938). Cavallerizzo
di grande levatura, dal 1963 è entrato
nel centro preolimpionico militare.
Nel 1964 ha preso parte alle XVIII
Olimpiadi a Tokyo conquistando la medaglia d’oro nell’equitazione; nel 1968
ha preso parte anche alle XIX Olimpiadi a Città di Messico. [GIOVANNI TOLA]
Angioni, Tore Scultore (n. Pula 1949).
Trasferitosi a San Sperate, ha conosciuto Pinuccio Sciola alla cui scuola
si è formato; attualmente risiede a Settimo San Pietro. Lavora con grande
maestria su pietra, bronzo e legno ma
anche, con notevole originalità, con il
cemento armato. Tra le sue opere la
Madre dell’emigrato, una statua gigantesca che ha realizzato a Taret in Algeria, il Presepio realizzato in cemento a
Settimo San Pietro e molte altre sistemate in diversi centri della Sardegna.
Angioni, Virgilio Sacerdote (Quartu
Sant’Elena 1878-Cagliari 1954). Dopo
aver preso i voti si pose in evidenza
per la sua profonda pietà e fu per anni
parroco di San Giacomo a Cagliari.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 182
Angioy
Successivamente fu nominato canonico della cattedrale; nel 1923 fondò a
Cagliari l’opera del Buon Pastore, affidandola a un ordine di suore da lui fondato. Mediante quest’opera pia promosse un’esperienza di grande significato sociale e religioso. A Cagliari il 17
marzo 1991 si è aperto il processo diocesano per la canonizzazione, chiuso il
1º giugno 1992 dopo aver ascoltato oltre
cinquanta testimonianze.
Angioy Famiglia originaria di Orani
(sec. XVI-esistente). Le sue notizie risalgono alla fine del secolo XVI. Nella
prima metà del secolo XVII ottenne i
privilegi del cavalierato ereditario e
della nobiltà per tre dei suoi membri.
Francesco Angioy Porcu ebbe il cavalierato ereditario e la nobiltà nel 1654,
ma la sua discendenza si estinse quasi
subito; Giovanni Leonardo e Pietro
Francesco, dai quali venne numerosa
discendenza.
Ramo di Giovanni Leonardo. Giovanni
Leonardo fu capitano della cavalleria
miliziana e nel 1651 difese Bosa da un
attacco di corsari. Nel 1630 ebbe il cavalierato ereditario e nel 1631 la nobiltà; aveva interessi anche a Cagliari,
dove i suoi figli si trasferirono rimanendovi fino alla fine del secolo. Agli
inizi del secolo XVIII uno di loro, Emanuele, si trasferı̀ a Iglesias, dove la famiglia prosperò. I suoi figli diedero
vita a due rami della famiglia: Antonio
Giuseppe continuò la linea detta dei
cavalieri Angioy di Iglesias variamente
diramata; Luigi, sposata una Ledà, si
trasferı̀ a Cagliari. Dal suo matrimonio
nacque Giuseppe, che fu subdelegato
patrimoniale di Oristano. Egli fu a sua
volta padre di un Pietro che sposò l’ultima dei conti Serra Boyl, per cui un
loro discendente, Giuseppe, nel 1929
ebbe rinnovato il titolo di conte; questo
ramo è ancora fiorente.
Ramo di Pietro Francesco. Pietro Fran-
cesco ebbe il cavalierato ereditario e la
nobiltà nel 1652; furono suoi figli Pietro Paolo e Giovanni Maria, che diedero vita ad altri due rami della famiglia. Da Pietro Paolo vennero i cavalieri Angioy che continuarono a risiedere a Orani; da Giovanni Maria discese il ramo che a sua volta si diramò
a Bono, Benetutti e Sassari. In particolare va ricordato suo figlio Pietro, che
si stabilı̀ a Bono: da lui nacquero Giovanni Maria, il famoso Alternos della
Sarda Rivoluzione, Giovanni Antonio
e Costantino, dai quali discesero gli
Angioy di Benetutti e di Sassari.
Angioy, Giovanni Maria1 Magistrato e
patriota (Bono 1751-Parigi 1808). Rimasto orfano di entrambi i genitori a sette
anni, fu educato dagli zii materni, entrambi sacerdoti, e avviato agli studi
che completò tra Sassari e Cagliari.
Laureatosi in Legge all’Università di
Cagliari, fece pratica legale e, vinto il
concorso, ebbe l’insegnamento di Pandette. Contemporaneamente divenne
giudice della Reale Udienza e assistente del reggente la Reale Cancelleria. Nel 1781 si sposò con una Belgrano,
figlia di un facoltoso commerciante cagliaritano, che gli portò una ricchissima dote che egli seppe vantaggiosamente investire; gli anni seguenti lo videro impegnato in attività imprenditoriali (impiantò una fabbrica di berrittas
e tentò, senza fortuna, la coltivazione
del cotone) e in un tormentato ménage
con la moglie, dalla quale ebbe tre figlie. Rimasto vedovo nel 1792, si dedicò
ai suoi affari e all’attività politica; di
idee liberali, a partire dallo stesso
anno si mise in evidenza nelle riunioni
dello Stamento militare, autoconvocatosi alla minaccia d’invasione di un
corpo di spedizione francese (gennaio
1793). Nonostante le sue idee progressiste, lo stesso A. aveva partecipato,
sulle coste del Sulcis, alla difesa dell’i-
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Angioy
sola. Convinto sostenitore di un programma di riforme costituzionali, divenne il leader del partito riformista
detto dei novatori in seno al Parlamento.
Giovanni Maria Angioy – L’Alternos, eroe
della Sarda Rivoluzione (1793-1796), in una
incisione di P. Ayres per il Dizionario
biografico degli uomini illustri di Sardegna
di Pasquale Tola (1837-1838).
Dopo la cacciata dei Piemontesi nell’aprile del 1794, con l’affermarsi del suo
partito assunse un ruolo di crescente
importanza politica a sostegno delle riforme e dell’abolizione dei feudi.
Quando nel luglio 1795 furono uccisi
dalla folla inferocita il Pitzolo e il marchese della Planargia, spaccatosi il
partito dei novatori rimase a capo dell’ala radicale; cosı̀ fu accusato di giacobinismo e considerato dagli stessi
amici moderati un pericoloso ‘‘rivoluzionario’’. Probabilmente molti allora
concepirono il progetto di allontanarlo
da Cagliari: cosı̀, quando Sassari alla
fine del 1795 cadde in mano ai contadini del Logudoro in rivolta (ma guidati dai due commissari degli Stamenti, Francesco Cilocco e Gioacchino
Mundula), il 3 febbraio del 1796 gli furono conferiti i poteri di Alternos del
viceré e fu inviato nella città turritana
per ristabilire la tranquillità nel Capo
di sopra. Dopo un viaggio nel quale si
fermò in diversi villaggi amministrando giustizia e pacificando avverse
fazioni, il 28 febbraio entrò in città salutato come un liberatore dai radicali e
da tutti coloro che avevano sostenuto il
moto antifeudale, diffusosi in diversi
villaggi dell’isola, soprattutto nel Logudoro, nel Meilogu e nel Sassarese.
Avviò un programma di governo in
base al quale fu favorita e legittimata
la stipulazione dei patti antifeudali in
diversi villaggi del Capo di sopra; gli
insorti gli chiesero di rappresentare le
loro posizioni presso il viceré (= Antifeudali, moti). A questo punto egli cominciò a essere considerato il loro
capo e in seno agli stessi Stamenti,
dove il partito dei moderati che lo avversava aveva preso il sopravvento, cominciò a farsi largo l’ipotesi di una sua
destituzione. Per fronteggiare i piani
dei suoi avversari, A., affidato il governo di Sassari a persone fidate, il 2
giugno si pose a capo di una colonna di
contadini, pastori e miliziani e iniziò la
sua marcia su Cagliari: visitò alcuni
villaggi del Logudoro, dove fu accolto
trionfalmente, e prese a scendere
verso il sud. Il 6 giugno sostenne un
primo scontro a fuoco a Macomer dove
gli abitanti opposero resistenza all’e-
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Angioy
sercito ‘‘liberatore’’: egli però riuscı̀ a
entrare in paese e a quel punto decise
di non arrestare la marcia. L’8 giugno
giunse a Oristano, bene accolto dalla
popolazione, e da qui inviò due lettere
al viceré, in cui gli proponeva un abboccamento per esaminare con lui la
situazione del Logudoro. Nello stesso
giorno, però, i suoi avversari, sempre
più persuasi che il suo era un disegno
che avrebbe portato alla proclamazione della repubblica, avevano convinto il viceré a destituirlo e a inviare
a Sassari un altro delegato. La sua marcia verso Cagliari era ormai finita: il 12
giugno iniziò a ritirarsi e, all’uscita da
Oristano, dovette sostenere una dura
battaglia. Mentre ovunque si scatenava
la reazione nei confronti dei suoi seguaci, il 15 rientrò a Sassari e dopo
una riunione notturna con i suoi più
fedeli seguaci prese la decisione di andare in esilio.
Giovanni Maria Angioy – Targa alla memoria
nella piazza di Sassari. Nella città furono
giustiziati molti suoi seguaci.
Il 16 s’imbarcò con i suoi collaboratori
a Porto Torres; sbarcò a Genova, da
dove però fu espulso come straniero.
Di qui, quindi, si spostò a Livorno, peregrinando poi in altre città italiane
con l’intenzione di farsi ricevere da
Napoleone, che però lo evitò. Il 30 otto-
bre il nuovo re Carlo Emanuele IV lo
invitò a Torino, perché voleva informarsi sulla situazione sarda; A. si trattenne in Piemonte fino alla fine di dicembre, ponendosi a disposizione del
re, che con ogni probabilità non aveva
più alcuna intenzione di ascoltarlo; nonostante questo ebbe alcuni colloqui
politici con esponenti del governo, ma
senza approdare ad alcun risultato
concreto. In Sardegna, frattanto, i suoi
avversari scatenavano la reazione contro i suoi seguaci; nell’agosto del 1797
fuggı̀ da Casale e si rifugiò a Genova, da
dove nel 1799 partı̀ per Marsiglia. Nel
maggio si stabilı̀ a Parigi: qui si erano
rifugiati altri sfortunati protagonisti
della Sarda Rivoluzione; con loro l’A.
cercò di esercitare pressioni per convincere prima il Direttorio e poi lo
stesso Napoleone a ritentare l’impresa
di occupare la Sardegna, le cui risorse
esaltò in una serie di Mémoires, utili
anche per le notizie (spesso ingegnosamente ‘‘falsificate’’ nella prospettiva
rivoluzionaria dello stesso A.) che contengono sulla situazione politica e sociale della Sardegna. Consumati i suoi
risparmi, visse poveramente a pensione presso la vedova del generale
Dupont nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés (qualche anno più tardi
la stessa signora giunse in Sardegna
per cercare di ottenere dalle figlie dell’A. gli arretrati dei suoi impegni, ma
senza ottenere di esserne ricevuta).
Morı̀ il 22 marzo 1808. Non si sa dove
sia stato sepolto, né ricerche anche recenti ne hanno trovato il nome nei registri di cimiteri e chiese parigini. Figura complessa, fatta oggetto di aspri
giudizi dall’opinione e dalla storiografia moderate (primo fra tutti gli autori
il Manno della Storia moderna della
Sardegna dall’anno 1773 al 1799), fu definito da Carlo Botta, nella sua Storia
d’Italia dal 1789 al 1814 (1824), «uomo
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Angioy
tanto più vicino alla virtù modesta degli antichi, quanto più lontano dalla
virtù vantatrice dei moderni».
candosi esclusivamente alla professione.
Angius, Gaetano Operaio, deputato al
Parlamento (n. Villanova Monteleone
1947). Operaio metalmeccanico militante nel PCI, ad appena trent’anni
nel 1976 venne eletto deputato per il
PCI nella VII legislatura nel collegio
di Sassari. In seguito non è stato riconfermato, ma ha continuato a ricoprire
importanti incarichi nel partito ed è
stato eletto diverse volte consigliere
comunale di Alghero.
Angius, Gavino Uomo politico (n. SasGiovanni Maria Angioy – L’ingresso
dell’Alternos a Sassari neI grande affresco di
Giuseppe Sciuti, nel Palazzo della Provincia
di Sassari.
Angioy, Giovanni Maria2 Deputato al
Parlamento (Cagliari 1909-ivi 2000).
Conseguita la laurea in Scienze politiche, si trasferı̀ in Africa, dove organizzò e sviluppò una grande azienda
agricola. Lo scoppio della seconda
guerra mondiale lo colse in Africa
dove, dopo il crollo dell’Italia, fu fatto
prigioniero dagli inglesi; riuscı̀ a tornare in Italia solo dopo sei anni. Stabilitosi in Sardegna, si inserı̀ nel dibattito politico schierandosi nelle file del
MSI. Nel 1953 fu eletto deputato per la
II legislatura e successivamente riconfermato fino al 1968 per altre due legislature.
Angioy, Walter Avvocato, consigliere
regionale (Cagliari 1918-ivi 2003). Combattente nella seconda guerra mondiale, nel dopoguerra si dedicò alla
professione e alla politica, schierato
nelle file del PLI. Consigliere comunale di Cagliari per quattro legislature,
fu più volte assessore; nel marzo del
1968 subentrò come consigliere regionale per la V legislatura all’on. Sanna
Randaccio, ma non fu riconfermato per
la VI. In seguito lasciò la politica dedi-
sari 1946). Funzionario di partito, consigliere regionale, deputato e senatore
della Repubblica. Laureato in Scienze
politiche, funzionario del PCI cui è
iscritto dal 1969, militante impegnato,
nel 1976 è stato segretario regionale.
Molto stimato da Enrico Berlinguer,
nel 1979 venne eletto consigliere regionale per l’VIII legislatura, nel 1984 è
entrato nella direzione nazionale del
suo partito e nel 1987 è stato eletto deputato per la prima volta nella X legislatura. Stabilitosi a Roma e impegnato in diversi incarichi di partito, a
livello nazionale ha seguito l’evoluzione del PCI in PDS e in DS, contestando a suo tempo la linea di Achille
Ochetto; negli stessi anni è stato continuativamente rieletto deputato fino al
1996, quando è diventato senatore. Attualmente è capogruppo dei senatori
DS al Senato, dopo essere stato presidente della commissione Finanze e
presidente di quella bicamerale per il
federalismo fiscale. È stato rieletto
nella consultazione dell’aprile 2006.
Angius, Salvatore Ingegnere, consigliere regionale (Cagliari 1900-ivi
1963). Cattolico impegnato, fu eletto
consigliere regionale per la DC per la
IV legislatura nel collegio di Cagliari.
Egli però morı̀ nel novembre del 1963, e
fu sostituito da Salvatore Campus.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Angius
Angius, Tullio Oculista (n. Iglesias
1906). Si laureò in Medicina presso l’Università di Cagliari nel 1932 e si dedicò alla carriera universitaria. Nel
1939 ottenne la libera docenza in Clinica Oculistica; dal 1940 diresse il Centro studi di ottica fisiologica della Marina militare a Pola, dove rimase fino
al 1943; tra il 1945 e il 1949 fu aiuto nella
Clinica oculistica di Parma e in seguito
docente di Ottica fisiologica; è autore
di numerose pubblicazioni che gli dettero notorietà a livello nazionale.
Angius, Ugo Scultore (n. Oristano
1941). Dopo aver completato gli studi
si è stabilito a Sassari, dove opera abitualmente. Ha preso parte a numerose
mostre collettive. Tra le sue opere più
note, un busto di Giuseppe Biasi in trachite rosa collocato in una scuola di
Sassari.
Angius, Vittorio Sacerdote, intellettuale (Cagliari 1798-Torino 1862). Storico, scrittore, deputato al Parlamento
subalpino. Entrato nell’ordine degli
Scolopi, completati gli studi si fece sacerdote. Dal 1832 fu nominato dapprima prefetto del collegio di San Giuseppe a Cagliari e successivamente direttore del Collegio di Sassari, dedicandosi con passione all’insegnamento e facendo le sue prime esperienze di letterato. A Sassari rimase
fino al 1837 svolgendo il suo compito
con un impegno che gli attirò la stima
generale. Le sue qualità e il profondo
interesse per la ricerca ne avevano
fatto un personaggio di spicco negli
ambienti culturali tanto che fu segnalato da Lodovico Baylle a Goffredo Casalis per la redazione delle voci sarde
del Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il
Re di Sardegna che l’abate torinese si
proponeva di pubblicare per l’editore
Maspero. Cosı̀ nel 1833, pur tra mille
difficoltà, iniziò a collaborare all’o-
pera, raccogliendo grazie anche a una
serie di lettere del Manno che lo raccomandavano alle autorità dei diversi
paesi le risposte alle schede che il Casalis gli inviava. Nel 1837 fu nominato
bibliotecario dell’Università di Cagliari e il suo rapporto col Casalis
mutò. Infatti fu lui stesso a redigere
personalmente le voci sarde del
grande Dizionario sulla base di uno
schema indicato dall’abate. Condusse
il suo lavoro fino al 1848, viaggiando
moltissimo per tutta la Sardegna per
raccogliere i dati statistici che gli servirono per redigere le voci della monumentale opera (solo le ultime voci, a
causa di suoi ritardi, sono opera redazionale). Negli stessi anni scrisse su
moltissimi argomenti, curando tutti i
generi letterari; dal 1838 al 1839 diresse a Cagliari il periodico di cultura
‘‘Biblioteca sarda’’. Lasciato l’ordine
nel 1842, in polemica soprattutto contro i metodi repressivi dell’educazione
impartita nelle scuole dei Padri scolopi, divenne sacerdote secolare. Attento alle trasformazioni in atto, seguı̀
con grande passione il dibattito sulla
‘‘fusione’’: eletto deputato al Parlamento subalpino, prese parte ai lavori
della Camera dal 1849 al 1853. Da
tempo si era ormai trasferito a Torino,
dove visse anche negli anni successivi,
in grande povertà nonostante l’intensa
collaborazione alla stampa quotidiana
e periodica piemontese. Nel 1844
aveva scritto, per la musica del maestro Giovanni Gonella, l’Imnu sardu
nazionale (il cui ‘‘Cunservet deus su re’’
ricalcava la battuta iniziale dell’inno
nazionale inglese), per il quale gli fu
assegnata da Carlo Alberto una pensione vitalizia, sfortunatamente soppressa per le difficoltà del bilancio
sardo dopo la sconfitta di Novara
(1849). La sua opera più importante resta l’insieme delle voci scritte per il Di-
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Angles
zionario del Casalis, che contiene anche tre tomi (bis-quater del volume
XVIII) interamente dedicati alla voce
‘‘Sardegna’’. Molti suoi versi o discorsi
sono invece di carattere fortemente occasionale. Tra i suoi scritti ricordiamo
Per le solenni esequie di S.M. Vittorio
Emanuele I celebrate in Cagliari li 4
marzo 1824, 1824; Nella celebre e lieta
inaugurazione del teatro civico di Sassari, al cav. Don Gaetano Pes dei marchesi di San Vittorio, versi, 1829; Inno a
Sardo Padre, fondatore del nome Sardo,
poemetto, 1831; Nel primo viaggio da
Genova in Sardegna del R. piroscafo
sardo l’Ichnusa comandato dal cav.
Seb. Sotgiu, carme, 1837; Lettera seconda all’estensore dell’‘‘Indicatore
sardo’’ sulla questione delle donne accoppatrici, 1838; Corografia antica della
Sardegna. Sistema stradale della Sardegna nell’epoca romana, in numerosi numeri della ‘‘Biblioteca sarda’’, 18381839; De laudibus Leonorae Arborensium reginae oratio, 1839; Notizie statistiche storiche dei quattro giudicati della
Sardegna, 1841; Cronografia del Logudoro dal 1294 al 1841 preceduta dalla descrizione degli antichi dipartimenti del
regno, 1842; I Tunisini all’isola di Sant’Antioco, 1843; Canzone a su re: conservet Deus su re musicata da G. Gonella,
‘‘L’Indicatore Sardo’’, 34, 1844; Leonora
d’Arborea o scene sarde degli ultimi lustri del sec. XIV, romanzo, 1847; Inno
sardo nazionale composto e dedicato al
Consiglio civico di Cagliari da Giovanni
Gonella capo musica, 1848; Cenno sulla
lingua dei Sardi, 1855; La presa di Sebastopoli, poema, 1856; Nuovi studi sul
problema aerostatico, 1857.
Angles, Giuseppe Religioso (Valencia
1530-Roma 1587). Vescovo di Bosa dal
1586 al 1587. Entrò giovanissimo nell’ordine dei Minori osservanti e si
pose in luce per la profondità della
sua cultura e le sue grandi capacità.
Dopo aver portato a termine alcuni importanti incarichi, fu inviato in Sardegna come commissario generale del
suo ordine; giunto nell’isola si pose in
evidenza e nel 1575 scrisse Flores theologicarum quaestionum in quartum librum sententiam che venne pubblicato
a Cagliari. Alcuni anni dopo fu chiamato a Roma, dove divenne precettore
di uno dei nipoti di Sisto V; il papa, che
ne apprezzava le qualità, nel 1586 lo
nominò vescovo di Bosa, ma non ebbe
modo di raggiungere la sua sede.
Anglesola Famiglia catalana (secc.
XII-XIV). Tra le più antiche della Catalogna, originaria di Montblanch, è conosciuta fin dal secolo XII. Due Anglesola, Guglielmo e Berengario Arnaldo,
presumibilmente fratelli, presero
parte alla spedizione dell’infante Alfonso. Guglielmo comandò uno dei reparti dell’esercito nelle operazioni di
conquista della Sardegna; si segnalò
durante l’assedio di Iglesias e alla battaglia di Lutocisterna; Berengario Arnaldo, subito dopo la conquista, ebbe la
signoria di Terranova con i territori
circostanti e alcuni villaggi che facevano parte della curatoria di Civita.
Probabilmente, però, egli non era un
buon amministratore: infatti dopo alcuni anni non poté impedire che il suo
feudo fosse venduto all’asta per far
fronte ai debiti che aveva contratto nei
confronti di un mercante. Dopo la sua
morte il re restituı̀ il grande feudo a
sua figlia Taurina, moglie di Bernardo
Senesterra.
Anglona Regione storico-geografica
della Sardegna settentrionale. Come
curatoria del giudicato di Torres aveva
una superficie di circa 470 km2 e si
estendeva su un territorio ricco e
molto fertile, posto ai confini con il giudicato di Gallura. Il suo territorio, in
parte coincidente con quello della diocesi di Ampurias, comprendeva la città
180
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Anglona
di Ampurias che ne era il capoluogo e i
villaggi di Bangios, Billikennor, Bolothenis, Bulzi, Chiaramonti, Coghinas,
Gavazana, Gistorlu, Laerru, Martis,
Multedu, Nulvi, Optentano, Orria
Manna, Orria Piccia, Ostiano de Ennena, Ostiano de Monte, Perfugas, Salassa, Sedini, Sordella, Speluncas, Villalba. Nel secolo XI il territorio passò
per matrimonio ai Doria, che vi fondarono la città fortificata di Castelgenovese (l’attuale Castelsardo), numerosi
altri castelli e ne promossero lo sviluppo.
Anglona – Paesaggi.
Dopo l’estinzione della dinastia giudicale, a partire dal 1272 i Doria ne
fecero una delle basi dello stato che
avevano costituito unificando tutti i
loro possedimenti della Sardegna
centro-settentrionale. Essi amministrarono congiuntamente il territorio
e quando, nel 1324, ebbe inizio la conquista aragonese si dichiararono vassalli del re d’Aragona, ottenendone
l’investitura feudale. Nel 1325 però
essi si ribellarono e scatenarono la
guerra contro i nuovi venuti; nel 1330
l’A. fu invasa dalle truppe di Raimondo Cardona e subı̀ gravi devastazioni. I Doria, però, aiutati da Genova
che negli stessi anni era entrata in
guerra con l’Aragona, resistettero e
conservarono il possesso dell’A. Poiché erano spesso in lite tra loro, il re
d’Aragona tentò di acquistare il territorio per unirlo al Regnum Sardiniae,
ma nel 1347 essi si ribellarono nuovamente. L’A. divenne ancora una volta
teatro delle operazioni militari, fu invasa dalle truppe del re collegate a
quelle del giudice d’Arborea e nuovamente devastata: una parte del territorio fu occupata da Giovanni d’Arborea, ma i Doria riuscirono ancora a
conservare il possesso di una parte
della curatoria. Scoppiata la guerra
tra Mariano IVe Pietro IVessi sembrarono soccombere attaccati anche
dalle truppe giudicali, ma quando la
guerra finı̀ tornarono in possesso del
territorio e nel 1357 ne furono nuovamente investiti dal re d’Aragona. L’A.
era allo stremo: i villaggi di Billikennor, Bolothenis, Gavazana, Multedu,
Optenano, Orria Manna, Orria Piccia,
Ostiano de Ennena, Ostiano de
Monte, Salassa, Sordella e Villalba si
spopolarono e furono abbandonati;
tuttavia la pace con l’Aragona sembrò
reggere anche perché la frattura col
giudice d’Arborea sembrava oramai
irreparabile. Quando scoppiò la seconda guerra tra Aragona e Arborea,
nel 1366 il territorio fu invaso dalle
truppe giudicali e in buona parte occupato. I Doria, guidati da Brancaleone, tentarono di resistere con
qualche successo, ma furono le inaspettate nozze tra lui ed Eleonora
d’Arborea a restituire l’A. ai Doria.
Fino alla battaglia di Sanluri la cura-
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Anglona
toria, occupata dalle truppe giudicali, divenne una delle basi della loro
presenza nel Logudoro; dopo Sanluri
il territorio fu occupato dal visconte
di Narbona che lo tenne fino al 1420.
Dopo la firma del trattato di Alghero,
Nicolò Doria tentò inutilmente di tornarne in possesso, ma nel 1421 l’A. fu
inclusa nel grande feudo concesso a
Bernardo Centelles.
Anglona, principato Feudo che comprendeva tutto il territorio dell’antica curatoria omonima, fu costituito
nel 1767 per Maria Giuseppa Pimentel nata dal matrimonio di Maria
Ignazia Borgia e Francesco Pimentel.
La costituzione del principato sancı̀
la fine della lite che a partire dal
1748 si era accesa tra il fisco e gli
eredi dei Borgia per la successione
nel grande stato d’Oliva. Il principato
d’Anglona passò ai Tellez Giron per il
matrimonio di Maria Giuseppa con
Pietro Tellez Giron. Alla fine del secolo XVIII fu teatro dei moti antifeudali. Nel 1838 fu riscattato ai Tellez
Giron.
Anguidda a craddaxiu incasada
Piatto tipico della cucina sarda. Di
origini antichissime, è espressione
delle tradizioni del mondo dei pescatori delle lagune sarde. Prevede la
cottura delle anguille ancora vive in
una capace caldaia di rame stagnato
(su craddaxiu), nella quale si fa bollire dell’acqua dolce, mista ad acqua
marina filtrata e insaporita da spicchi d’aglio e un ramoscello di corbezzolo (olioni). Le anguille da lessare
sono giovani, di piccola taglia e sottili; una volta lessate vengono scodellate in un grande tegame di coccio
(scivedda) e condite con olio d’oliva e
una spolverata di formaggio pecorino
piccante (incasada).
Anguilla = Zoologia della Sardegna
Anguria – Frutti.
Anguria (o cocomero) Pianta erbacea annuale, della famiglia delle Cucurbitacee (Cucumis citrullus L., sin. Citrullus
vulgaris). Ha fusto erbaceo, lungo e
strisciante, foglie pelose, picciolate,
fiori gialli a corolla campanulata. Il
frutto è un peponide con forma varia,
dallo sferico all’ovoidale, con buccia di
colore variabile, dal verde scuro al
biancastro striato, a seconda delle varietà (Crimson sweet e Sugar baby le più
diffuse). La polpa è rossa, o più chiara
in alcune qualità selezionate, di sapore
dolce per l’alto contenuto di zuccheri.
Le dimensioni del frutto sono variabili,
dai 5-8 kg delle varietà più tradizionali
(cocomero di Faenza, di Pistoia, napoletana), ai 2-3 delle varietà americane
più recenti. Originaria dell’Africa tropicale, venne introdotta in Europa ai
tempi delle crociate. Predilige i climi
caldo-umidi e i terreni profondi, con
una resa media di produzione di 5 kg/
m2 . Per l’alta percentuale di acqua
(circa il 95%) la polpa ha proprietà dissetanti, diuretiche e rinfrescanti; ha
inoltre un alto contenuto di vitamina
C, B1, B2 e di potassio. In Sardegna
viene coltivata nelle pianure costiere:
le angurie più rinomate sono quelle di
Arborea e della piana del Coghinas.
Nomi sardi: meloni forástiu (oristanese), forastı́gu (Ghilarza); patéca (Car-
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Anna
loforte); sı́ndria (Alghero, campidanese e gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Aniceto Liberto romano (prima metà
sec. I). Era uno schiavo della famiglia
imperiale. Incaricato di istruire il futuro imperatore Nerone, entrò in dimestichezza con lui e ottenne la condizione di liberto. Fu anche suo compagno di scelleratezze, aiutandolo a eliminare Agrippina e Ottavia. Nel 62 fu
accusato di falsa testimonianza ed esiliato in Sardegna; si stabilı̀ a Cagliari,
dove continuò a risiedere fino alla
morte.
Anime del Purgatorio (o Anime Purganti). La Commemorazione di tutti i fedeli defunti viene fatta risalire al secolo VII, dalla consuetudine dei primi
cristiani di pregare per essi, da Sant’Odilone di Cluny (?, 962 ca.-Souvigny
1049) fissata al 2 novembre.
In Sardegna popolarmente è la ‘‘Festa
dei morti’’. Le anime dei bambini, angioletti, sono is animeddas. Scomparsa
ormai sa xena de is animas o sa xena de
is mortus, la cena delle anime o la cena
dei morti: nelle case, la vigilia del 2 novembre, s’imbandiva la tavola per i defunti, perché i morti tornavano dai loro
cari, si sedevano, mangiavano e bevevano vino. Scomparsa anche la questua: i ragazzi, la mattina del 2 novembre, bussavano alle porte delle case dicendo Pos is animas!, Per le anime! Ricevevano pan’e saba e pabassinas, i
dolci della ricorrenza, noci e castagne,
anche denaro. Adesso i morti vengono
ricordati accendendo lumini rossi
nelle cappelle dei cimiteri. Tra conquiste spaziali e spazi sempre più ristretti
e invivibili, tra atroci alveari di cemento e fiumane di macchine, tra
guerre e barbarie urbana, tra edonismo ed egoismo, tra individualismo e
yuppismo, fiammelle accese per ricordare vite passate: «Tantu bonu Reden-
tori, / de is animas veru gosu, / donai s’eternu riposu, / a is animas, o Signori»
(Tanto buono Redentore – delle anime
consolazione, – date l’eterno riposo –
alle anime, o Signore). [ADRIANO VARGIU]
Festa A Laerru la prima domenica di
novembre. A Decimoputzu e a Villaputzu l’ultima settimana di ottobre. A
Sorso il 1º febbraio.
Anmic Sassari Società sportiva che si
dedica agli sport per i disabili. Nata
nel 1988 per favorire la diffusione dello
sport per i ‘‘diversamente abili’’, è presieduta da Angelo Vitiello. È divenuta
ben presto una realtà nel panorama
sportivo sardo in discipline come
bocce, tennis e pallacanestro. In questa disciplina, ottenuta la promozione
in A1 nel 1998, l’anno successivo si è
aggiudicata la Coppa Italia e nel 2000
il primo scudetto. Compie la grande
impresa nel 2002 aggiudicandosi la Supercoppa italiana, la Coppa Italia, la
Coppa dei Campioni e il terzo scudetto.
Nel 2004 vince il quinto scudetto consecutivo. [GIOVANNI TOLA]
Anna, santa (in sardo, Sa Mamma
manna) Santa (sec. I a.C.-?). Madre
della Madonna. I vangeli apocrifi del
ciclo mariano, soprattutto il Protovangelo di Giacomo, che si fa risalire alla
seconda metà del secolo II, mettono riparo, per cosı̀ dire, al problema della
genealogia della Madonna, inventandole un ceppo familiare di stirpe davidica. Genitori della Madonna sono A. e
Gioacchino. A. nacque a Betlemme nel
secolo I a.C.; figlia del sacerdote Mathan, sposò Gioacchino, ‘‘uomo giusto’’. «Non avendo generato posterità
in Isreaele – si legge nel Protovangelo
di Giacomo – Gioacchino, profondamente addolorato, si ritirò nel deserto,
piantando la sua tenda e per quaranta
giorni e quaranta notti digiunando. E
sua moglie Anna gemeva con due lamentazioni e piangeva con due com-
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Anna
pianti, dicendo: ‘‘Farò il lamento sulla
mia vedovanza e farò il lamento sulla
mia sterilità’’. Ed ecco che l’Angelo del
Signore apparve, dicendo: ‘‘Anna,
Anna, il Signore Iddio ha esaudito la
tua preghiera. Concepirai e partorirai,
e si parlerà della tua prole nel mondo
intero’’. E disse Anna: ‘‘Come è vero
che il Signore Iddio vive, se partorirò
un maschio o una femmina, lo presenterò al Signore Iddio mio, ed egli rimarrà al suo servizio per tutti i giorni
della sua vita’’. Ed ecco che arrivarono
due messaggeri e le dissero: ‘‘Ecco che
Gioacchino, tuo marito, viene con le
sue greggi’’. Infatti l’Angelo del Signore era disceso presso Gioacchino,
dicendogli: ‘‘Gioacchino, Gioacchino,
il Signore Iddio ha prestato ascolto
alla tua preghiera. Scendi di qui. Ecco
che tua moglie Anna ha concepito nel
suo seno’’. Ed ecco che Gioacchino arrivò con le sue greggi. Ed Anna stava
sulla Porta Aurea e vide Gioacchino arrivare con le sue greggi. E subito Anna
accorse e gli si appese al collo, dicendo: ‘‘Ora so che il Signore Iddio mi
ha grandemente benedetta. Ecco, infatti, che la vedova non è più vedova.
Ecco che io, la sterile, ho concepito
nel mio ventre’’. E Gioacchino riposò,
il primo giorno nella sua casa». A., dall’ebraico hannàh, significa ‘‘Dio ha
concesso la grazia’’. Nacque Maria, capolavoro di Dio, sorriso caduto dal labbro del Signore a beneficio dei mortali.
A. sopravvisse a Gioacchino per undici
anni e morı̀ all’età di 69 anni. Il suo
culto risale al secolo VI per la Chiesa
orientale, ai secoli VIII-IX per quella
occidentale, ma fu avversato fino all’XI. Esso si diffuse soprattutto dal
XIII con le crociate. Sono stati gli inglesi che per primi ne hanno celebrato
la festa (1378), su concessione di Urbano VI. Festa che il concilio di Copenaghen (1425) fissò nel giorno seguente
la festa della concezione della Madonna, diventata obbligatoria dal
1584. Dal 1969 i Santi A. e Gioacchino
vengono festeggiati insieme, il 26 luglio.
Sant’Anna – Il celebre dipinto di Leonardo da
Vinci riproducente la Vergine, il Bambino e
Sant’Anna. (Musée du Louvre, Parigi)
In Sardegna Patrona di Oniferi, Porto
Pino, Riola Sardo, Sant’Anna Arresi,
Sant’Anna di Marrubiu, Selegas e Tinnura. Per i sardi Sa Mamma manna è la
santa della fertilità, della prosperità e
dell’abbondanza: culto diffuso dai Bizantini. Protettrice delle partorienti,
patrona della madri e delle donne che
desiderano la maternità, delle vedove
e dei moribondi, ma anche delle lavandaie, delle ricamatrici, degli straccivendoli, dei fabbricanti di calze e di
guanti, tutti mestieri che avrebbe esercitato, dei minatori, dei tornitori e degli orefici. Invocata assieme a Santa
184
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 192
Annali di Giurisprudenza Sarda
Rosa e a Santa Lucia per la riuscita
della lavorazione del pane: «Sant’Anna e Santa Rosa, / sa manu mea
siat fruttuosa, / Santa Rosa e Santa Lughia, / sa manu mea fruttuosa siat»
(Sant’Anna e Santa Rosa, – la mia
mano sia fruttuosa, – Santa Rosa e
Santa Lucia, – la mano mia fruttuosa
sia). A Sant’A. è legato il detto «Sa fabbrica de Sant’Anna» (La fabbrica di
Sant’Anna), per un edificio o qualcosa
di cui non si vede la fine, dai lunghi,
interminabili lavori della chiesa cagliaritana di Sant’Anna. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 26 luglio; il lunedı̀
dopo Pentecoste a Oristano.
‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari’’ Rivista scientifica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Pubblicata con cadenza annuale
e diretta dal preside pro tempore della
Facoltà, ha iniziato a essere pubblicata
nel 1926. Nel corso dei decenni è diventata un importante strumento di cultura al quale, tra gli altri, hanno collaborato Carlo Albizzati, Simonetta Angiolillo, Francesco Artizzu, Carlo Aru,
Paolo Bernardini, Marcella Bonello
Lai, Alberto Boscolo, Sergio Bullegas,
Giorgio Cavallo, Giovanna Cerina, Raffaele Ciasca, Enrica Delitala, Raffaello
Delogu, Lorenzo Del Piano, Cecilia
Dentice di Accadia, Ignazio Didu, Lorenzo Giusso, Giovanni Lilliu, Francesco Loddo Canepa, Paolo Maninchedda, Attilio Mastino, Sandro Maxia,
Giuseppe Meloni, Piero Meloni, Alberto Mori, Bacchisio Raimondo
Motzo, Salvatore Naitza, Alberto Pala,
Roberto Palmarocchi, Letizia Pani Ermini, Giovanni Pirodda, Maria Luisa
Plaisant, Franco Porrà, Robert J. Rowland, Antonio Sanna, Maria Grazia
Scano, Renata Serra, Giovanni Solinas, Giancarlo Sorgia, Giovanna Sot-
giu, Marco Tangheroni, Gianfranco
Tore.
‘‘Annali della Facoltà di Magistero
dell’Università di Cagliari’’ Rivista
scientifica della Facoltà di Magistero
dell’Università di Cagliari. Iniziò le
sue pubblicazioni nel 1977, diretta dal
preside pro tempore della Facoltà. Nel
1998, dopo la trasformazione della Facoltà di Magistero, la rivista è intitolata
Annali della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Cagliari. Tra
i principali collaboratori vanno ricordati Aldo Accardo, Bruno Anatra, Joan
Armagué y Herrero, Francesco Artizzu,
Paola Atzeni, Francesco Carboni, Maria Rosa Cardia, Gabriella Da Re, Antonio Loi, Francesco Manconi, Giovanni Murgia, Laura Pisano, Franco
Porrà, Giovanni Runchina, Anna Saiu
Deidda, Giuseppe Serri, Gianfranco
Tore, Margherita Zaccagnini.
‘‘Annali della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari’’ Rivista scientifica della Facoltà di
Scienze politiche dell’Università di
Cagliari. Iniziò a essere pubblicata nel
1975 ed è diretta dal preside pro tempore della Facoltà. Tra i principali collaboratori vanno ricordati Paola Maria
Arcari, Bruno Anatra, Luisa d’Arienzo,
Myriam Cabiddu, Maria Rosa Cardia,
Maria Corrias Corona, Giovanni Cossu,
Anna Maria Gatti, Benedetto Meloni,
Tito Orrù, Gian Giacomo Ortu, Stefano
Pira, Virgilio Porcheddu, Giuseppe
Puggioni, Antonio Sassu, Giuseppe
Serri, Carlino Sole, Girolamo Sotgiu.
‘‘Annali di Giurisprudenza Sarda’’
Rivista giuridica, 1838-1842. Gli Annali, ‘‘compilati da una società di avvocati’’, furono pubblicati a Cagliari tra il
1838 e il 1842. Furono la prima rivista
giuridica pubblicata in Sardegna, direttore l’avvocato Simone Dessı̀. Alla
sua redazione concorsero anche il futuro ministro Cristoforo Mameli e altri
185
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 193
Anni
eminenti giuristi. Anche se ebbe un avvio stentato e in qualche occasione fu
sequestrata da parte dell’autorità, fu il
segno evidente del risveglio culturale
dell’isola negli anni che precedettero
la ‘‘fusione’’. Nel 1842, però, la rivista
dovette interrompere le pubblicazioni
per mancanza di fondi.
Anni, Mario Vignettista (Cagliari, fine
sec. XIX-ivi 1970). Autodidatta, nel
1910 aderı̀ alla Società degli Amatori e
Cultori d’Arte fondata dallo scultore
Eugenio Serra e dall’archeologo Antonio Taramelli. Nel 1912 espose per la
prima volta in pubblico le sue opere
prendendo parte alla mostra allestita
a Cagliari nella Passeggiata coperta.
Negli anni successivi si cimentò anche
nella pittura a olio e nel 1921 prese
parte alla Mostra regionale di Cagliari;
nel 1924 partecipò alla mostra itinerante organizzata sulla nave Italia.
Annibale Ammiraglio cartaginese (sec.
III a.C.). Comandante della flotta punica a Milazzo nel 260 a.C., rientrato a
Cartagine si trasferisce in seguito in
Sardegna e nel 258 a.C. è duramente
sconfitto a causa della nebbia dal console Caio Sulpicio Patercolo, forse al
largo dell’isola del Toro; con le navi superstiti si ritira quindi fra le mura di
Sulci, dove viene assediato dai Romani. Le truppe lo puniscono per il disastro con la crocifissione. Da non confondere con l’A. vincitore a Canne nel
216 a.C. e alleato di Ampsicora. [ANTONIO IBBA]
Annone Nome con cui sono ricordati
dalle fonti alcuni Cartaginesi legati
alla Sardegna: 1. valoroso ammiraglio
sconfitto dal console Lucio Cornelio
Scipione nel 259 a.C., forse al largo
delle coste di Olbia; 2. generale vittorioso sui Romani al largo della Sardegna nel 258 a.C. o, secondo altri, sulle
truppe del console Caio Sulpicio Patercolo sbarcate nel Sulcis; forse lo stesso
personaggio (o un omonimo) nel 240239 a.C. viene inviato con un esercito
per reprimere la ‘‘rivolta dei mercenari’’ ma, abbandonato dai soldati, è
catturato dai ribelli e crocifisso; 3. uno
dei principali capi della rivolta di Ampsicora, catturato da Tito Manlio Torquato nel 215 nella battaglia finale
forse presso Sardara. [ANTONIO IBBA]
Annuagras Toponimo citato nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate
(sec. VII) e, nella variante Annucagrus,
nelle cronache del geografo Guidone
(secc. XI-XII). Era registrato dal Ravennate subito dopo Bosa e Corni (ovvero Cornus; la successione è errata;
quella corretta è Cornus, Bosa), risultando cosı̀ localizzabile nella costa
nord-occidentale, lungo la strada che
portava da Carales a Turris Lybisonis.
Secondo l’interpretazione più comune
A. sarebbe da identificarsi con Nurachi. Ettore Pais vedeva in A. la località
di Magomadas, presso Bosa. Ignazio
Didu, rigettando entrambe le ipotesi,
ha supposto che A. corrisponda ai due
centri Carbia e Nure citati per il tratto
Bosa-Turris Lybisonis dall’Itinerario
Antoniniano. [ANTONELLO SANNA]
‘‘Annuario della Regia Università degli Studi di Cagliari’’ Pubblicazione
annuale dell’Università di Cagliari.
Fin dal 1852 fu preceduta dal Calendario della Regia Università degli Studi di
Cagliari, pubblicato però saltuariamente fino al 1869. L’‘‘Annuario’’ invece fu pubblicato con continuità dal
1870 al 1930 ed è una fonte preziosa
per la conoscenza della vita interna
dell’Ateneo cagliaritano con notizie
sui professori e sui corsi di studio.
‘‘Annuario della Regia Università di
Sassari’’ Pubblicazione annuale dell’Università di Sassari. Fu edita annualmente dal 1878 al 1930 ed è una
fonte preziosa per la conoscenza della
vita interna dell’Ateneo turritano con
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 194
Anonimo Ravennate
notizie sui professori e sui corsi di studio.
Anonimo Ravennate Geografo (sec.
VII). Ne viene tramandata la città di
origine ma non il nome. Intorno alla
metà del secolo VII compilò una Cosmographia, che era un elenco di toponimi della geografia del mondo antico.
Si è concordi che l’A.R. utilizzi nella
sua opera fonti preesistenti, in particolare itineraria (elenchi a uso del cursus
publicus, ossia il servizio postale, con
l’indicazione dei centri abitati di varie
dimensioni e dignità – città, stationes,
mansiones, mutationes – posti sulle vie
principali, con l’indicazione delle miglia che li distanziavano); l’opera compilativa potrebbe dunque rispecchiare, almeno in alcuni casi, una situazione ormai mutata, con strade e
strutture ad esse connesse talvolta
non più in uso nel momento in cui fu
composta la Cosmographia (Ravennatis
Anonymi Cosmographia et Guidonis
Geographica, ed. M. Pinder et G. Partnhey, Berlino 1860). Tra le fonti a sua disposizione per la Sardegna vi era certamente l’Itinerario Antoniniano, compilato probabilmente nell’età di Caracalla, un itinerario pluristratificato legato a vari scopi (prioritario doveva essere quello annonario), del quale l’opera dell’anonimo geografo di Ravenna sembra riflettere almeno tre
percorsi stradali. Il primo rappresenta
in sostanza la fusione dell’iter a Caralibus Sulcos (da Carales a Sulci, l’odierna
Sant’Antioco), documentato solo nei
miliari, con il tragitto a Tibula Sulcos
dell’Itinerario Antoniniano, che collegava il nord dell’isola con la città sulcitana: i centri toccati dal percorso dell’A.R. sono dunque Carales, Angenior,
Sulci, Sartiparia (identificabile con il
Sardipatris Templum di Antas), Neapolis, Othoca, Tharri (Tharros), Bosa, Annuagras (*Ad Nuragas, l’attuale Nura-
chi), Corni (Cornus), Turris Lybisonis
colonia Iulia, Adselona, Sacerci, e infine Vivio (che è possibile correggere
in Ulvio, ossia Olbia); è chiaro come
questo percorso collegasse gran parte
delle città antiche più importanti della
Sardinia, mentre solamente per i centri di Angenior, Adselona e Sacerci non è
possibile proporre alcuna identificazione. Il secondo itinerario, di carattere evidentemente militare, muoveva
da Carales verso Nora, ricordata come
praesidium, quindi ripercorrendo la
strada verso Carales risaliva a nord
lungo l’antico iter ab Ulbia Carales dell’Itinerario Antoniniano, toccando il
centro termale di Aquae calidae Neapolitanorum (presso le terme di Santa
Maria di Sardara), Eteri (praesidium di
dubbia localizzazione), e i Castra Felicia, identificati con Luguido presso
Oschiri. Un terzo e ultimo percorso conosciuto dall’A.R. si svolgeva ex alio latere rispetto alla parte occidentale dell’isola, lungo la Sardegna sud-orientale attraverso Assinarium (*Ad septimum miliarium, presso l’attuale centro di Settimo San Pietro, o in alternativa un insediamento non distante dall’attuale Quartu Sant’Elena), Saria
(Ferraria?), Sariapis, Sarpach (forse
identificabile con Sarcapos presso la
foce antica del Flumendosa), Carzanica, Custodia Rubriensis (presso Bari
Sardo), Piresse, Patrapanie, Ignovi:
quasi tutti i centri di questo itinerario
sono di difficile localizzazione. Chiude
il paragrafo sardo dell’A.R. un breve
elenco di fiumi: Borcani, Macco, Sulci
e Ortarionis, tra i quali solamente per il
terzo è possibile un’identificazione
con il Sólkoi limén della geografia tolemaica. La formula con la quale si apre
il paragrafo 26 del V capitolo della Cosmographia (quello che riguarda l’Insula quae dicitur Sardinia) sembrerebbe indicare comunque che la Sar-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 195
Anquesa
degna altomedioevale fosse caratterizzata da un’ampia densità di centri urbani di una certa dignità: un’isola dunque ricca di città, nonostante la sua limitata estensione e il suo particolare
assetto orografico, tra le quali l’Autore
dovette operare una scelta. In effetti
questo poteva essere l’assetto insediativo che l’isola aveva in età romana, ma
che era profondamente cambiato in
età tardoantica. [PIERGIORGIO SPANU]
loro discendenti presero parte a tutti
gli altri parlamenti. Nel corso del secolo XVII ricoprirono spesso importanti uffici a Sassari; alcuni si segnalarono negli studi di diritto ed ebbero
una posizione di rilievo in seno alla società sassarese. La famiglia si estinse
nel corso del secolo XVIII.
Anquesa Antico villaggio del giudicato
di Cagliari, compreso nella curatoria
del Gippi. Sorgeva poco lontano dalla
Villasor attuale. Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere,
nella divisione del 1258 fu compreso
nel terzo toccato ai conti di Capraia. Da
questi passò ai giudici d’Arborea, ma il
giudice Mariano II nel 1295 lo cedette
al Comune di Pisa che ne entrò in possesso nel 1300. Negli anni seguenti fu
amministrato da funzionari pisani e,
dopo la conquista aragonese, con la
pace del 1326 rimase in mano al Comune di Pisa compreso nel feudo del
Gippi che il Comune aveva accettato
dai vincitori. A. però andò spopolandosi; scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV Pisa ne perse il controllo. Fu gravemente danneggiato anche nelle guerre successive, per cui si
spopolò completamente e scomparve
prima della fine del secolo XIV.
Ansaldo Famiglia sassarese (secc. XVIXVIII). Originaria di Genova, è conosciuta fin dagli inizi del secolo XVI
con un Francesco che prese parte alla
spedizione di Carlo V ad Algeri. Suo figlio Gerolamo ottenne il cavalierato
ereditario ma morı̀ prima di essere armato; solo nel 1605 i figli, Giovanni Maria, Gavino e Francesco ottennero la
conferma del cavalierato ereditario e
la nobiltà. Nel 1613 furono ammessi
allo Stamento militare nel Parlamento
del duca di Gandı́a; successivamente i
Ansaldo – Lapide nella cappella funebre della
famiglia sassarese.
Ansaldo, Girolamo Gesuita (Sassari
1598-Roma 1652). Uomo di profonda
spiritualità, diresse per anni il collegio
di Sassari, dove insegnò Filosofia e
Teologia. In seguito fu nominato visitatore ad Alghero e in Gallura e provinciale dell’ordine in Sardegna. Nel 1651
si trasferı̀ a Roma dove assunse l’ufficio di procuratore dell’ordine. E qui
morı̀ l’anno dopo in odore di santità.
Ansaldo Pilo, Francesco Giurista
(Sassari, prima metà sec. XVII-?, fine
sec. XVII). Dopo la laurea presso l’Università di Pisa, insegnò per alcuni anni
Logica nello stesso Ateneo. Tornato a
Sassari, fu nominato vicario reale e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 196
Antas
nel 1637 luogotenente del governatore
del Capo di Sassari e del Logudoro.
Sebbene avesse fama di persona dotta
e prudente, nel 1676 fu accusato di aver
fomentato un’insurrezione ad Alghero:
rinviato a giudizio, si difese con perizia, fu assolto e continuò a svolgere
pubbliche funzioni. Nel 1686 fu inviato
come sindaco della sua città a Madrid
dove si trattenne alcuni anni. Fu autore di alcune opere di carattere giuridico che dimostrano la sua notevole
preparazione. Tra i suoi scritti ricorderemo una raccolta di Consilia edita a
Cagliari e Apologia al Rey nuestro señor
y a su sacro supremo y real consejo de la
Corona de Aragón 1676, 1698 (manoscritto Baille, nella Biblioteca Universitaria di Cagliari).
guerra tra Mariano IVe Pietro IV. Il villaggio, già provato per la peste del
1348, fu devastato durante la guerra e
nel 1365, scoppiata la seconda guerra
tra Aragona e Arborea, fu occupato
dalle truppe arborensi. Il processo di
spopolamento però non si arrestò e
nel corso del secolo il villaggio scomparve. Il suo territorio completamente
deserto, frequentato solo da pastori ormai immemori dell’antico passato, nel
1421 entrò a far parte del feudo concesso a Visconte Gessa i cui discendenti lo tennero fino all’estinzione
della famiglia; successivamente passò
per matrimonio agli Asquer ai quali fu
riscattato nel 1838. [FRANCESCO FLORIS]
Antas Antico villaggio situato nel territorio tra Iglesias e Fluminimaggiore.
Di probabili origini preromane, fu certamente abitato in età punica, romana
e bizantina; nel Medioevo faceva parte
del giudicato di Cagliari compreso
nella curatoria del Sigerro. Quando
nel 1257 il giudicato cessò di esistere,
nella divisione del 1258 entrò a far
parte del terzo assegnato ai Della Gherardesca che lo amministrarono sfruttandone le risorse minerarie. Come è
noto, per insanabili contrasti ereditari
e politici i territori che la famiglia possedeva in Sardegna furono divisi e A.
entrò a far parte del sesto toccato alla
discendenza del conte Ugolino. Dopo
l’uccisione di quest’ultimo e la conclusione della infelice guerra che i suoi
figli sostennero contro il Comune di
Pisa, nel 1295 il villaggio fu amministrato direttamente dal Comune, che
continuò a sfruttarne le miniere. Dopo
la conquista aragonese entrò a far
parte del Regnum Sardiniae e nel 1327
fu concesso in feudo a Doudo Soldani, i
cui discendenti ne persero il controllo
quando nel 1353 scoppiò la prima
Tempio di Antas – Solitario nella campagna di
Fluminimaggiore, il tempio fu luogo di culto
dalla preistoria nuragica all’età romana.
Antas, tempio di Tempio del Sardus
Pater edificato su un modesto rilievo
(363 m sul livello del mare) che costituisce l’estremità delle falde meridionali
del monte Conca S’Omu, nel territorio
di Fluminimaggiore, l’edificio si presenta orientato da sud-est a nord-ovest,
con l’accesso al podio mediante una
lunga scalinata. Questa gradinata insiste sull’area dell’originario tempio punico dedicato a Sid. Il tempio di Sid do-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 197
Antero
vette mantenersi sino a età tardorepubblicana (sec. I a.C.). Tale inquadramento cronologico è suggerito sia dal
frammento di ceramica a vernice nera
con l’iscrizione neopunica votiva graffita A(don) S(id), sia, soprattutto, dai
dati stratigrafici. Lo scavo dell’area di
culto ha evidenziato nel livello sottostante la pavimentazione in cocciopesto della gradinata del tempio romano,
elementi architettonici del precedente sacello punico (due capitelli ionici), un frammento di iscrizione cartaginese del secolo III a.C., un frammento di vaso a pareti sottili del secolo
II a.C. e un frammento di statuina di
Musa in marmo della seconda metà
del secolo II a.C. L’attribuzione della
costruzione del tempio del Sardus Pater al periodo augusteo si basa sia sull’analisi della struttura architettonica
e della sua decorazione, sia sul favore
che Ottaviano Augusto riservò al culto
di questa divinità locale (= Azio Balbo,
Marco). L’edificio di età romana, che
mantiene l’orientamento del precedente tempio punico, si articola in una
scalinata e nel podio elevato e si suddivide longitudinalmente in pronao,
cella e adyton bipartito; il pronao presenta quattro colonne sul prospetto e
due sui lati; le colonne, in calcare locale, hanno basi attiche e capitelli ionici; il tempio era inoltre coronato da
un frontone triangolare, già conosciuto
agli esploratori ottocenteschi. Tra il
217 e il 213 d.C. il tempio subı̀ un profondo restauro promosso sotto Caracalla, testimoniato dall’iscrizione dell’epistilio. La presenza del nome di Caracalla all’inizio dell’iscrizione è da interpretarsi come una associazione tra
il culto di una divinità indigena, quella
di Sardus Pater, e il culto imperiale.
[ESMERALDA UGHI]
Il monumento sorgeva in mezzo ai boschi di querce in una località posta
nelle campagne tra Fluminimaggiore
e Iglesias, probabilmente vicina al
luogo dove in passato aveva prosperato
il centro abitato, collegato al culto
della divinità cui il tempio era stato dedicato. Il tempio è di epoca romana, tetrastilo con dimensioni 23,25 x 9,25 m.
Tra il 1966 e il 1968 Ferruccio Barreca
vi condusse a termine uno scavo e scoprı̀ che il tempio romano avrebbe potuto essere quello del Sardus Pater,
contrariamente a quanto Tolomeo
aveva affermato indicando Neapolis
come sua sede. L’edificio portato alla
luce era stato preceduto da altri due
templi punici, dei quali gli scavi consentirono di ricostruire le vicende a
partire dal secolo VI a.C. Il primo tempio era dedicato a Sid, persona divina
di origine orientale; era costituito da
un modesto ambiente rettangolare costruito attorno a una roccia sacra utilizzata come altare. Nel secolo III a.C.
il tempio venne ricostruito in forme
egiziano-doriche con un vestibolo che
conduce a un ambiente tripartito; la
roccia sacra fu salvaguardata e compresa nella nuova costruzione. Il tempio subı̀ rifacimenti in epoca più tarda
e fu restaurato ancora durante il regno
di Caracalla, quando assunse le forme
attuali. Dopo la conclusione degli
scavi, tra il 1969 e il 1976, l’edificio fu
restaurato. In un’ulteriore campagna
di scavo, nel 1984, sono state scoperte
alcune tombe nuragiche che dimostrano come la località potrebbe essere
stata un sito di contatto tra Sardi e Fenici. [FRANCESCO FLORIS]
Antero, santo Santo (m. Roma 236).
Greco o della Magna Grecia, papa dal
21 novembre 235 al 3 gennaio 236, successore di San Ponziano. Martire a
Roma sotto Massimino, primo papa a
essere sepolto nel cimitero di San Callisto, sulla via Appia, dove nel 1854 è
stata ritrovata la lapide della sua
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 198
Antifeudali
tomba, traslato nella chiesa di San Silvestro a Campo di Marte. Alcuni storici
sardi sostengono che avrebbe «menato
vita romitica a Locus Sanctus, Luogosanto, nel tempo che San Ponziano era
esiliato in Sardegna e sarebbe stato
eletto in Sardegna, creatus in Sardinia». Scrive Giovanni Spano (1872):
«Allorché fu mandato in esilio San
Ponziano, l’avranno seguito presbiteri
e aderenti, tra questi vi sarà stato Antero, che non potendo vivere con lui si
sarà allontanato, vivendo a Luogosanto». In una tavola cinquecentesca
d’anonimo sardo, conservata nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, è raffigurato seduto nell’atto di scrivere. Nel
dipinto, l’iscrizione: «Antherus P.M.
Sardus Ecclesen», da qualche studioso
erroneamente tradotta «Sardo nativo
di Iglesias», anziché «Antero papa
martire della Chiesa sarda». [ADRIANO
VARGIU]
Antesumade Antico villaggio del giudicato di Cagliari situato nella curatoria del Sigerro. Quando il giudicato
cessò di esistere, nella divisione del
1258 il villaggio fu assegnato ai Della
Gherardesca, che alcuni anni dopo
procedettero a una nuova divisione all’interno della famiglia. A. toccò al
ramo del conte Ugolino. Alla fine del
secolo XIII, sconfitti i figli di Ugolino
che avevano attaccato il Comune di
Pisa per vendicare la morte del padre,
il villaggio passò nelle mani di Pisa.
Dopo la conquista aragonese cominciò
a decadere; negli anni seguenti soffrı̀ a
causa della peste del 1348 e delle
guerre tra Aragona e Arborea, per questo fu abbandonato prima della fine del
secolo.
‘‘Antheo’’ Rivista di archeologia e di
speleologia. Fondata negli anni Sessanta da Ottavio Olita, che la diresse
per alcuni anni, attualmente è diretta
da Roberto Sanna. Quadrimestrale,
consente di far conoscere a un pubblico anche di non specialisti i progressi della ricerca nei due settori.
Antico, Italo Pittore e scultore (n. Cagliari 1934). Ha iniziato a Cagliari i
suoi studi che ha completato a Napoli.
Tornato in Sardegna ha intrapreso la
carriera dell’insegnamento a Cagliari
e in seguito si è trasferito a Milano,
dove ha anche diretto il Liceo artistico
‘‘Boccioni’’. Ha esposto per la prima
volta nel 1954; in seguito ha preso parte
a collettive in Italia e all’estero e dal
1964 ha allestito mostre personali in diverse città italiane e straniere. Si è anche interessato di design per l’artigianato, esponendo sue interessanti creazioni nel campo dei tappeti.
Antifeudali, moti Sommosse popolari
della fine del secolo XVIII. Furono la
conseguenza dell’aspirazione che in
molte zone della Sardegna, a partire
dalla seconda metà del secolo XVIII,
si manifestò nelle popolazioni a liberarsi dalla dipendenza feudale, ormai
considerata gravosa e dannosa per lo
sviluppo di un’economia moderna.
Dopo che nell’isola si diffusero le notizie provenienti dalla Francia, i primi
moti antifeudali scoppiarono a Solanas, Donigala Fenughedu e Thiesi nel
1789 contro il marchese d’Arcais e il
duca dell’Asinara che erano tra i più
intransigenti difensori dei privilegi
feudali; in quest’occasione i vassalli si
limitarono a mostrare la loro insofferenza nei confronti dei soprusi dei feudatari. I moti ripresero nel 1793 e videro insorgere le popolazioni di Ittiri
e Uri, Ossi, Sennori, Sorso, Bulzi, Sedini, Nulvi, Osilo e Ploaghe, che chiesero il riscatto della loro dipendenza
mediante il pagamento di una somma
di denaro equivalente alla somma del
gettito dei tributi che dovevano ai rispettivi feudatari. Nel corso dell’anno,
però, il panorama politico fu turbato
191
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 199
Antioco
dal tentativo di invasione francese
(che, come è noto, fu respinto) e dai
fatti seguenti, conosciuti come la
Sarda Rivoluzione. Il susseguirsi incalzante degli avvenimenti non fece
cessare il malcontento dei vassalli,
anzi lo accentuò; si venne cosı̀ a creare
una situazione complessa e contraddittoria che portò i feudari ad assumere
posizioni differenti nel Capo di Cagliari e in quello di Sassari. I feudatari
cagliaritani, infatti, si mostrarono favorevoli a sospendere la riscossione
dei tributi feudali ritenuti illegittimi
dalle comunità, in attesa di una definizione del problema del riscatto; i feudatari sassaresi, invece, si mostrarono
intransigenti nei confronti delle richieste dei vassalli. L’intransigenza
portò i feudatari sassaresi a progettare
una secessione e a contrapporsi alla
mediazione con i vassalli proposta dal
viceré su pressione degli Stamenti. Il
governatore della città Santuccio arrivò addirittura a impedire la pubblicazione dell’editto con il quale il viceré
esortava a trovare una soluzione mediata tra le due parti. Per sconfessare
il Santuccio e consentire la pubblicazione dell’editto vicereale furono inviati verso Sassari in veste di ‘‘commissari’’ degli Stamenti due seguaci dell’Angioy, Francesco Cilocco e Gioacchino Mundula, i quali durante il loro
viaggio non si limitarono a imporre la
pubblicazione dell’editto ma si impegnarono anche in un’esplicita propaganda a favore dell’abolizione dei
feudi; in questo clima le sollevazioni
antifeudali ripresero a Usini, Ossi e
Thiesi, dove fu assalito e distrutto il palazzo del feudatario. Subito dopo i rappresentanti di Thiesi, Cheremule e
Bessude sottoscrissero un patto giurato nel quale, pur dichiarando la loro
fedeltà al re, affermarono di non voler
più riconoscere la dipendenza feudale
e di voler riscattare il villaggio. L’esempio fu rapidamente seguito in molti altri villaggi del Sassarese. La situazione
portò, alla fine dell’anno, alla marcia
di molte migliaia di contadini (13 000
secondo Giuseppe Manno) contro Sassari, che fu assediata e conquistata
mentre i feudatari fuggivano dalla
città. Per sedare il malumore popolare
fu inviato a Sassari lo stesso Angioy con
funzioni di Alternos e con l’obiettivo di
riequilibrare una situazione ormai
sfuggita di mano. Egli giunse a Sassari
il 28 febbraio del 1796 e si mise all’opera; la sua fama e le sue idee, però,
invece che placare l’inquietudine dei
vassalli la eccitarono ancor di più: tra
il marzo e l’aprile favorı̀ la stipulazione
di patti antifeudali in 32 villaggi del
Sassarese e di altre zone.
Antioco Religioso (sec. XIV-1412). Nel
1386 fu nominato vescovo da Urbano
VI. Scoppiato il Grande Scisma, nel
1389 non volle riconoscere come pontefice il papa avignonese Clemente VII,
che lo depose e lo sostituı̀. Fu reintegrato nel 1410 dall’antipapa Giovanni
XXIII.
Antioco, santo Santo (sec. I-126 ca.).
Africano della Mauritania, vide la luce
nel secolo I, discendente da una nobile
e ricca famiglia pagana, medico, fratello di San Platano. In greco il suo
nome significa ‘‘colui che combatte contro i carri’’. Si convertı̀, rinunciò ai propri beni, fu battezzato. Annunciò il Vangelo nelle province di Calatra e di Paciocra, sotto l’imperatore Adriano.
«L’imperatore – dice la leggenda – si
trovava in quelle province per un’ispezione militare e Antioco fu denunciato
a lui. L’imperatore gli ordinò di sacrificare agli dei, ma Antioco non ubbidı̀».
Arrestato e incarcerato, torturato:
«Straziato con uncini di ferro, messo
sul fuoco, immerso nella pece, lacerato
dalle fiere, sopravvisse miracolosa-
192
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 200
Antioco
mente, senza che un grido di dolore
uscisse dalle sue labbra». Abbandonato su di una barca in mezzo al mare,
approdò a Sulci, dove introdusse le
tonnare e dove fu eletto vescovo. Le popolazioni accorrevano a lui, i suoi miracoli ormai non si contavano più; preoccupate le autorità inviarono a Sulci
dei soldati, con l’ordine di tradurlo incatenato a Carales. Ma i soldati si convertirono e ne furono inviati altri. A.,
prima che arrivassero, mentre era assorto in preghiera morı̀: era il 13 novembre del 125, del 126 secondo altri,
del 127 secondo altri ancora. Non mancano gli studiosi che lo considerano
martire, decapitato insieme con il fratello Platano. Scrive Salvatore Armeni
(1970): «Nato nell’ultimo scorcio del I
sec. a Calatra o Paciocra, figlio di Rosa
e fratello di Platano, santi per tradizione, durante una visita dell’imperatore Adriano alla provincia romana
d’Africa viene sottoposto a interrogatorio. Il medico Antioco faceva troppi
proseliti alla Croce, compromettendo
l’autorità e il culto di Cesare. Dall’interrogatorio, prima carico di lusinghe,
si passò alle minacce e ai vari tormenti.
Si cercò di ucciderlo con tutti i mezzi,
ma in seguito venne exsilio mulctatus in
Sardegna, accompagnato su di una
barca dal soldato Ciriaco. Approdò ai
lidi sulcitani, dove in passato avevano
dominato i vari idoli dei protosardi, i
Ba’al e le Astarte dei Fenici, le Tanit
dei Punici. Vi trovò tutto l’Olimpo dei
Romani, con la loro sensualità, il loro
orgoglio e il loro egoismo. E con lui continuò l’avventura cristiana della nostra
isoletta, già iniziata con poco entusiasmo dai giudei cristiani relegati nel
Sulcis. Non sappiamo quanto durò l’apostolato di Antioco, il medico che curava le anime e i corpi. Sappiamo che
raggiunto dall’autorità romana, prima
di subire nuovi tormenti, morı̀ il 13 no-
vembre tra il 125 e il 127. Queste le notizie tratte dalla narrazione della vita,
come si trova nella forma attuale, nel
Breviario per la Chiesa di Sardegna.
Vita forse concretata solo verso l’XI secolo, probabilmente compilata dai monaci benedettini che avevano vari conventi nel Sulcis». Nella Passio Sancti
Antiochi martyris, codice membranaceo del secolo XVI (copia di una passio
del sec. XIII), conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, pubblicata
da Bacchisio Raimondo Motzo (1927),
non compare la data della morte. La
chiesa in suo onore, nella Sulci diventata Sant’Antioco è sorta sopra la caverna o grotta dove morı̀ di morte naturale o martire. In essa il 18 marzo 1615
furono rinvenute le reliquie del santo,
traslate nella cattedrale di Iglesias e
riportate a Sant’A. nel 1851 in seguito
a una sommossa popolare. Reliquie ritrovate nel famigerato periodo della
lotta tra gli arcivescovi di Cagliari e di
Sassari per ottenere il titolo di primate
di Sardegna e di Corsica. «Nel 1615 – la
nota è di Alberto Lamarmora (1860) –
allorché il furore di trovare dappertutto reliquie di santi s’impadronı̀ dei
sardi, si scopersero quelle di Sant’Antioco, ma siccome il borgo era senza
abitanti per timore dei musulmani, si
trasportarono a Iglesias. Nel 1851,
quand’ero comandante militare dell’isola, gli abitanti di Sant’Antioco si opposero che le reliquie del santo ritornassero a Iglesias, dopo la processione
festiva. Fecero tumulto, per cui io mandai con tutta fretta il vapore con truppa
e col giudice istruttore. Ma se nella
forma avevano torto, turbando l’ordine
pubblico, nel fondo avevano ragione,
perché nel 1615 allorché furono trovate le reliquie si specificò che le
stesse sarebbero traslocate in Iglesias
per timore della profanazione dei saraceni, fino a che Sant’Antioco reste-
193
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 201
Antioco
rebbe disabitato. Ora poi questo villaggio è molto popolato e può garantire
dagli insulti le reliquie e dall’altra
parte, dopo la conquista d’Algeri, non
vi è più da temere le invasioni barbaresche». Giovanni Spano (1868): «La lite
fu decisa in favore della popolazione di
Sant’Antioco, di modo che le reliquie
ora riposano colà. È curioso che queste
reliquie principiarono con una lite e
con una lite terminarono, poiché nel
1615, allorché, furono scoperte dall’arcivescovo cagliaritano, quello sassarese col capitolo promosse una lite
che durò molti anni, provando che le
reliquie di un Santo Antioco trovate a
Sassari fossero del vero Sant’Antioco
africano». Sulla storicità del santo che
ha dato il nome all’isoletta sarda Piero
Meloni (1975) si è cosı̀ espresso: «Si
possono affacciare solo deboli dubbi:
abbiamo infatti un’iscrizione mutila,
probabilmente dei secc. VII-VIII, ritrovata nella catacomba dell’antica
chiesa di Sant’Antioco, che sembra sia
da porre al IV-V sec., oggi murata nella
cattedrale d’Iglesias, la quale è anche
il documento più antico che riguarda
Antioco. In essa però egli è detto
‘‘santo’’, beatus sanctus Antiochus, probabilmente ‘‘vescovo’’, pontifex Christi,
ma non martire; eppure è evidente che
non si sarebbe taciuto questo titolo se
esso fosse spettato effettivamente. La
passione giunta a noi sembra maturata
nello stesso ambiente che produsse
quella di San Saturno e quindi non
prima del primo quarto del XII sec.:
essa ha tentato maldestramente di offrire particolari della vita di un santo
la cui personalità era ridotta a poco più
di un nome. Tutti i particolari fino alla
relegazione in Sardegna sono evidentemente ricavati da un’altra passione,
quella dell’omonimo Antioco di Sebaste, una città dell’Asia Minore, morto
decapitato sotto Adriano. Pure la falsi-
ficazione non è giunta fino al punto di
far morire A. di Sulci di morte violenta,
come l’omonimo di Sebaste: evidentemente era viva la forza della tradizione
che non lo considerava martire. Se pertanto Antioco può essere collocato fra i
santi della Sardegna e molto probabilmente fra i vescovi sardi, non lo può
essere certamente fra i martiri». È patrono della diocesi d’Iglesias e compatrono con Santa Maria del Regno di
quella d’Ozieri. La chiesa romanica
della distrutta città vescovile di Bisarcio, Sant’Antioco di Bisarcio, fu cattedrale dell’omonima diocesi, soppressa
nel 1503 e ricostituita nel 1803 con sede
e titolo d’Ozieri. E a Ozieri, nel Palazzo
vescovile, si conserva il simulacro del
santo, datato 1596. Nella Pinacoteca
Nazionale di Cagliari figura in una tavola di anonimo sardo cinquecentesco.
Nella religiosità popolare è invocato
contro il malocchio e contro il bruscolo
entrato nell’occhio: «Sant’Antiogu
Sant’Antiogu, / unu abbunzu / giutto in
s’ogu: / s’este mannu / bogamindelu, / s’este minore / inguttivelu» (Sant’Antioco
Sant’Antioco, – un bruscolo – ho nell’occhio: – se è grande – levatemelo, –
se è piccolo – inghiottitevelo). [ADRIANO
VARGIU]
In Sardegna Patrono di Atzara, Ozieri,
Palmas Arborea, Sant’Antioco e Ulassai.
Festa Si festeggia il Lunedı̀ dell’Angelo a Neoneli, Ollastra Simaxis,
Ozieri (dove viene festeggiato anche la
domenica che segue il 9 maggio) e Palmas Arborea, la seconda domenica
dopo Pasqua a Scano di Montiferro
(dove viene festeggiato anche l’ultima
domenica d’agosto) e Ulassai, quindici
giorni dopo Pasqua e il 10 agosto a Sant’Antioco, il secondo lunedı̀ dopo Pasqua a Girasole, Gonnesa, Mamoiada e
Mogoro, il 5 maggio ad Albagiara, Baunei, Dolianova, Escolca e Gavoi, il
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 202
Antiquarium turritano
primo sabato d’agosto a Ghilarza e Senorbı̀, il 5 novembre a Sennariolo e
Turri, l’11 novembre ad Atzara.
Antiquarium Arborense – Bruciaprofumi in
terracotta (sec. II a.C.).
Antiquarium Arborense Museo archeologico comunale di Oristano. Attualmente ospitato in via Parpaglia
nelle sale dell’omonimo palazzo acquisito dall’amministrazione comunale,
fu fondato nel 1938 grazie all’acquisto
suggerito all’amministrazione comunale da Doro Levi della collezione dell’avvocato Efisio Pischedda, ricca di
importanti reperti risalenti soprattutto al periodo punico. Ciò consentı̀
l’apertura di quello che allora divenne
il terzo museo pubblico della Sardegna
e poteva essere considerato la realizzazione del progetto di cui fin dal 1851
aveva parlato lo Spano per raccogliere
i reperti di Tharros e porre cosı̀ fine al
traffico degli speculatori che fin da allora feriva la sensibilità del grande archeologo. La collezione acquistata nel
1938 era stata iniziata dal Pischedda
nel 1876 ed era stata da lui arricchita
con acquisti e donazioni dai suoi
clienti e con la sua attività di scavo per
la quale era stato autorizzato dal governo nel 1891. Con gli anni era diventata la più grande raccolta privata
della Sardegna, che egli aveva ulteriormente incrementata con l’acquisto di
parte delle vecchie collezioni oristanesi appartenute al marchese d’Arcais
e ai conti Spano. Egli inoltre classificò
e sistemò la collezione in grandi bacheche che ornavano la sua casa di Oristano ed erano oggetto di studi di noti
archeologi come il Taramelli, il Pinza,
il Pais e altri. Preoccupato per il futuro
della sua creatura, nel 1910 il Pischedda, grazie alle premure del Taramelli, ottenne un decreto di vincolo; le
sue paure non erano infondate: infatti
quando nel 1930 morı̀, i suoi eredi pensarono di disperderla vendendola all’estero. Grazie all’esistenza del vincolo il disegno fu bloccato da Doro
Levi, allora soprintendente; egli sensibilizzò il comune di Oristano all’acquisto che, come si è detto, fu perfezionato
nel 1938. La prima sede del museo fu
un locale modesto, ma allo scoppio
della seconda guerra mondiale la collezione fu trasferita a Seneghe e custodita nell’antica casa del Pischedda
fino al termine del conflitto. I locali
dell’Antiquarium furono riaperti nel
1945 da Giuseppe Pau, nominato conservatore del museo; il ricco materiale
fu stipato in essi fino al clamoroso furto
del 1966, che impoverı̀ notevolmente la
collezione. Fu cosı̀ avviata la pratica
per il trasferimento del museo nell’attuale sede, inaugurata nel 1992 e successivamente intitolata a ‘‘Pepetto’’
Pau, autentico pioniere degli studi su
Tharros e Oristano.
Antiquarium turritano Museo archeologico posto ai margini dell’area archeologica romana di Porto Torres,
l’antica Turris Lybisonis, è ospitato in
un edificio a due piani non lontano
dalla stazione ferroviaria. All’interno
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 203
Antona Ruju
si trova un’ampia esposizione di oggetti rinvenuti nel corso delle numerose campagne di scavo condotte nei
resti dell’insediamento, nei suoi stabilimenti termali e nelle necropoli. Tra i
reperti di maggiore rilievo: un altare in
marmo dedicato alla divinità egiziana
Bast, la ricostruzione di un monumento funerario ornato con mosaici,
una raccolta di ceramiche di età imperiale e repubblicana.
Antona Ruju, Angela Archeologa (n.
Tempio Pausania 1949). Laureata in
Lettere, è entrata nella carriera delle
Soprintendenze archeologiche. Funzionario presso la Soprintendenza per
le province di Sassari e Nuoro, è autrice di numerosi lavori, prevalentemente riguardanti il periodo prenuragico e in particolare la cultura di
Ozieri. Tra i suoi scritti ricorderemo:
Arzachena: proposta di un itinerario archeologico, in Arzachena. Monumenti
archeologici. Breve itinerario, 1984; Passato e presente. Storia del Museo, in Il
Museo Sanna in Sassari, 1986; le schede
Il nuraghe Albucciu e i monumenti di
Arzachena, La Gallura in Età preistorica e protostorica, La necropoli di Li
Muri, Macciunitta, Monte Incappidatu,
in Il Nuraghe Albucciu e i monumenti di
Arzachena (con Maria Luisa Ferrarese
Cerruti), 1992.
Antonino, santo ( Antonino Pierozzi )
Santo (Firenze 1389-Montughi, Firenze, 1459). Arcivescovo. Battezzato
Antonio e chiamato A. perché piccolo
di statura, seguace di Giovanni Dominici, il beato fautore del ritorno alla
prima osservanza domenicana, povertà e obbedienza, entrò nell’ordine
domenicano (1405); sacerdote (1413),
priore in diverse città, vicario generale
degli osservanti. A Firenze ricostruı̀
(1436) il convento di San Marco, disegnato da Michelozzo Michelozzi e affrescato dal Beato Angelico, famoso an-
che per la Biblioteca di Niccolò Niccoli acquistata e donata al convento da
Cosimo de’ Medici. Prese parte al concilio di Firenze (1438) per l’unione con
gli orientali, il 13 marzo 1447 fu consacrato arcivescovo di Firenze. Riformatore del clero, padre dei poveri – «i poveri di messere Domine Dio», diceva –
per i quali istituı̀ (1442) i Buoni uomini
di San Martino, associazione al servizio dei bisognosi. Scrisse in italiano e
in latino. Morı̀ a Montughi il 2 maggio
1459, canonizzato da Adriano VI (1523),
il suo corpo incorrotto traslato a Firenze riposa nella chiesa del convento
di San Marco. Nel convento è stata conservata la sua cella, nel primo corridoio, dove fa bella mostra l’Annunciazione dell’Angelico. Il suo culto dal
1969 è limitato a calendari locali o particolari. «In terra miraculosu, / luminare de altu onore, / pregade a s’Altu Segnore, / Antoninu, santu gloriosu» (In
terra ricco di miracoli – luminare
d’alto onore – pregate, per noi, l’Alto
Signore, – Antonino, santo glorioso).
[ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrono di Donigala Fenughedu.
Festa Si festeggia il 10 maggio.
Antonio1 Religioso (?, seconda metà
sec. XII-Sorres, dopo 1240). Vescovo di
Sorres nella prima metà del secolo
XIII, fu coinvolto nelle lotte politiche
che dilaniarono il giudicato di Torres.
Amico di Michele Zanche, fu deposto
dal suo capitolo e sostituito; intervenne però il papa che nel 1240 gli
rese la diocesi.
Antonio 2 Religioso (Catalogna, seconda metà sec. XIII-Gerona 1330). Entrato nell’ordine dei Carmelitani, acquistò fama di teologo e di filosofo; nel
1316 fu nominato vescovo di Galtellı̀ e
prese possesso della sua diocesi. Conclusa la prima parte della conquista
aragonese, nel 1329 fu nominato vica-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 204
Antonio Abate
rio del vescovo di Gerona e lasciò la
Sardegna.
Antonio3 Religioso (?, seconda metà
sec. XIII-Bisarcio?, dopo 1323). Entrato nell’ordine dei frati minori, fu nominato vescovo di Hierapetra a Creta.
Nel 1323 Giovanni XXII lo trasferı̀ a Bisarcio; governò la nuova diocesi nei
difficili anni della conquista aragonese.
Sant’Antonio Abate – Antonio Abate è uno dei
santi più venerati in Sardegna anche per le
sue caratteristiche di santo ‘‘ausiliatore’’.
Antonio Abate, santo (in sardo, Sant’Antoni de su fogu, Santu Antoni de su
focu, Sant’Antoni de su tizzone, Sant’Antoni de su porcu, Sant’Antoni de
bennarzu, Sant’Antoni de ennalzu
abate) Santo (Coma, 250 ca.-356, monte
Qolzoum). Eremita. «Antonio – scrive
Jacopo da Varagine o da Varazze nella
sua Legenda aurea (1253-1266) – aveva
vent’anni quando sentı̀ leggere in una
chiesa queste parole di Gesù: ‘‘Se vuoi
essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e
dallo ai poveri; vieni, seguimi e avrai
un tesoro nel cielo’’. Dette ai poveri
ogni suo bene e andò a farsi eremita
nel deserto, dove ebbe a sostenere innumerevoli tentazioni». Nacque a
Coma, l’odierna Qemanel’Arous, nel
Medio Egitto, verso il 250-251, da una
ricca famiglia terriera. Morti i genitori,
vendette i suoi beni e diede il ricavato
ai poveri. Sistemò l’unica sorella in
una comunità cristiana e senza preoccuparsi del domani scelse il deserto:
solitudine, preghiera, austerità, sacrificio. Pane rammollito nell’acqua, con
un po’ di sale sopra, per cibo. Un cilicio
per veste. Una stuoia di giunchi per
letto e una pietra per cuscino. Lottò
contro il demonio e le tentazioni della
carne. Senza aver scritto regole di vita
monastica (era ‘‘illetterato’’) o aver incoraggiato altri a seguirlo, intorno a lui
si raccolsero molti discepoli, che contribuirono cosı̀ alla diffusione di una
vita ascetica e anacoretica, costituendo il più illustre nucleo del monachesimo orientale. Molti i miracoli attribuitigli, moltissime le leggende fiorite intorno alla sua figura. Lasciò il
deserto per due volte: per recarsi ad
Alessandria (nel 308 o nel 311) in aiuto
dei cristiani perseguitati da Massimino Daia, sperando di cogliervi la
palma del martirio; e su invito di Sant’Anastasio per esortare i cristiani a
mantenersi fedeli al concilio di Nicea
(325), contro l’arianesimo. Al patriarca
del monachesimo vengono attribuite
diverse opere: alcuni storici ne considerano autentiche solo sette giunte in
traduzioni latine e copte; altri solo una
lettera indirizzata all’abate Teodoro e
ai suoi monaci. Sant’Atanasio d’Alessandria nel 356-357 o nel 360-373
scrisse la Vita di Sant’Antonio, opera
sulla cui autenticità ormai non ci sono
più dubbi. Morı̀ il 17 gennaio 356 sul
monte Qolzoum, nei pressi del Mar
Rosso. Sulla sua tomba è sorto il monastero di Deir el-Arab. Reliquie ritrovate nel 561, traslate ad Alessandria,
successivamente a Costantinopoli e
nel secolo XI. in Francia. Dal secolo V
festeggiato il 17 gennaio dalla Chiesa
orientale (calendario siriaco, copto e
bizantino), dal IX anche dalla Chiesa
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 205
Antonio Abate
occidentale. Patrono degli agricoltori,
allevatori, macellai, salumieri, bottegai, droghieri, campanari.
In Sardegna Patrono della diocesi di
Ampurias e di Burgos, Castelsardo,
Decimomannu, Desulo, Monteleone
Rocca Doria, Posada, Sant’Antonio di
Gallura, Silanus e Tuili. A Cagliari,
nella chiesa a lui dedicata, si venera
un teschio, dalla religiosità popolare
ritenuto il teschio di Sant’Antonio.
Uno dei santi ausiliatori, santo terapeutico, ospedaliero celeste, invocato
per la salute del corpo, per le malattie
della pelle, soprattutto contro il ‘‘fuoco
sacro’’. Quel ‘‘fuoco’’ era già noto agli
Egiziani, ai Greci e ai Romani, citato
da Seneca e da Lucrezio: probabilmente si trattava di ergotismo canceroso, causato dal mangiare pane e cibi
preparati con farina di segale cornuta
attaccata dal fungo Claviceps purpurea.
Oggi si dà il nome di fuoco di Sant’Antonio all’herpes zoster, malattia cutanea
di natura oscura. Si chiama fuoco di
Sant’Antonio non perché, come qualcuno scrive, collegato all’usanza dei
falò della vigilia, ma perché nella
Francia medioevale gli attaccati dal
terribile flagello venivano ricoverati
in un ospizio intitolato al santo. Certo,
non mancano le leggende del santo padrone del fuoco: una volta nel mondo il
fuoco non c’era ed egli andò a rubarlo
all’inferno, accompagnato dal maialino suo compagno nella solitudine del
deserto. I diavoli lo temevano e, vedendolo, si affrettarono a chiudere la
porta. Il maialino riuscı̀ a entrare e
mise a soqquadro tutto l’inferno. I diavoli, disperati, non riuscendo a prenderlo, chiesero l’intervento del santo,
il quale ben felice entrò nel regno dei
dannati. Si riprese il suo maialino e
uscendo fece prendere fuoco al proprio bastone a forma di tau, portando
cosı̀ il fuoco agli uomini. Il maialino, il
porcellino: il popolo credeva che il
santo guarisse anche gli animali e cominciò a raffigurarlo mettendogli ai
piedi un porcellino, e a considerarlo
protettore degli animali in generale. O
forse l’idea della protezione degli animali verrebbe da primitive raffigurazioni del santo in lotta con i diavoli o
con un diavolo accanto in figura di
porco. In epoca medioevale faceva
parte dei quattro santi marescialli, con
Cornelio, Quirino e Uberto, addetti
alla cura dei cavalli e degli animali in
genere. Il bastone a forma di T, tau dei
Greci, il cosiddetto bastone di Sant’Antonio: era la croce, il simbolo della
croce. Era anche, munito di campanello, il bastone degli eremiti. Ricchissimo il folklore, dalle radici fortemente pagane. In suo onore si accendono ancora i falò, i fuochi: fogadonis o
fogaronis o fogallonis o foghidonis o fogulones, a seconda del luogo, sempre
benedetti dal sacerdote. Fuoco per
bruciare i mali dell’anno appena passato, fuoco purificatore e propiziatore,
simbolo di luce e di vita. Fuoco biblico.
Soprattutto il fuoco, cioè la vita, portata agli uomini dal santo. I falò sono
un momento comunitario, significano
festa, stare insieme: Sa festa manna
del villaggio agropastorale, dove gli uomini erano uniti nella gioia e nel dolore sotto il proprio campanile. Falò
beneauguranti di tuvas, i grandi tronchi d’albero, vuoti, che sembrano torri,
o di ollastu e sarmentu, olivastro e sarmento, o di sughero. A Ghilarza erano i
coscritti, sozius de sa leva noa, che avevano il compito di provvedere al falò.
Non manca la benedizione degli animali, dei carri agricoli e dei trattori.
Non mancano neppure i panini di Sant’Antonio o il pane di Sant’Antonio, offerto gratuitamente ai fedeli della
prima messa del 17 gennaio. Secondo
la leggenda il santo salvò dai diavoli il
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 206
Antonio da Padova
grano di un contadino e questi per ringraziarlo offrı̀ a tutti, nel giorno della
festa del santo, delle buone focacce. A
Mamoiada viene offerta la favata, fave
con lardo. In diversi paesi dell’isola il
17 gennaio segna l’inizio del Carnevale
(in altri il 1º e in altri ancora il 6 gennaio). Nella Sardegna, in passato, proteggeva anche i figli illegittimi. A Sant’A.A. è legato il detto: «Unu spizzuleddu a Sant’Antoni de su fogu» (Un
pezzettino a Sant’Antonio del fuoco)
col significato di «Stai mangiando?
Guarda che ci sono anch’io!»; viene
dall’usanza di bruciare un pezzo di
carta in onore del santo, bene sperando. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 17 gennaio; la domenica dopo Pasqua a Posada, la
prima domenica di settembre a Sant’Antonio di Gallura. Sagre estive e in
altre date durante l’anno.
Antonio da Padova, santo (in sardo,
Sant’Antoni de Padua, Sant’Antoni de
Paduana, Sant’Antoni paduanu, Sant’Antoni de su lillu) Santo (Lisbona,
1195 ca.-Arcella, Padova, 1231). Dottore
della Chiesa, nacque a Lisbona, dov’è
chiamato Sant’Antonio di Lisbona,
verso il 1191-1195. La madre, Maria,
era di stirpe regale, il padre, Martino
Bulhom, discendeva da Goffredo di
Buglione, ma non tutti gli storici concordano sulla discendenza paterna. Fu
battezzato con il nome di Fernando:
Fernando de Bulloês y Taveira de Azevedo. Quindicenne entrò nei canonici
regolari di Sant’Agostino, un ordine di
chierici in vita comunitaria. Colpito
dall’umiltà dei Francescani e soprattutto dall’arrivo in Portogallo dei cinque martiri Accursio, Adiuto, Berardo,
Ottone e Pietro, francescani poi decapitati in Marocco, «chiese d’indossare
la loro rozza tonaca stretta ai fianchi da
un pezzo di corda». Vestendo l’abito nel
1220, prese il nome di Antonio, in onore
di Sant’Antonio Olivares, patrono di
Coimbra, città dove si era trasferito.
Partı̀ per il Marocco, «nella terra dei
saraceni – come si legge nell’Assidua,
prima e anonima biografia sul santo –
per essere partecipe della corona dei
santi martiri, ma una febbre lo obbligò
al rientro e nel viaggio di ritorno una
tempesta spinse la nave sulle coste
della Sicilia». Qui sbarcato, si portò ad
Assisi e incontrò Francesco, il quale
aveva convocato «i suoi fratelli in un
grande raduno detto il Capitolo delle
stuoie» (1221). Fu aggregato alla provincia di Romagna, ordinato sacerdote
nel convento di Montepaolo, nei pressi
di Forlı̀, città dove «si rivelò predicatore». Francesco, che confidenzialmente lo chiamava «il mio vescovo, il
mio dottore», gli permise d’insegnare e
di tenere libri. In Francia dal 1225 al
1227, provinciale di Lombardia dal
1227 al 1230. Operatore di pace, da Gregorio IX definito ‘‘Arca del Nuovo Testamento’’ e ‘‘Scrigno della Sacra Scrittura’’, fiorirono i miracoli. Ebbe la sua
ultima dimora a Padova, dove scrisse
le sue opere. Mentre si trovava in ritiro
a Camposampiero, cercando di recuperare un po’ di forze, venne colto da
malore. Chiese di essere riportato a
Padova, morı̀ ad Arcella nel convento
delle Clarisse, il 13 giugno 1231. Forse
morı̀ di idropisia o forse di malaria. Riposa a Padova dov’è chiamato semplicemente ‘‘il Santo’’ nella celebre basilica a lui dedicata. Proclamato santo
da Gregorio IX il 30 maggio 1232, dichiarato doctor envangelicus da Pio
XII nel 1946. Autore di Commenti alla
Sacra Scrittura e di numerosi Sermones, sempre attuali per le istanze sociali e le riflessioni di fede. Quando
nel 1263 venne esumato il suo corpo,
San Bonaventura, che si trovava presente, vedendo «la lingua, incorrotta,
fresca e rubiconda che sembrava di un
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Antonio Maria da Esterzili
vivente, baciandola esclamò: ‘‘O lingua
benedetta, che sempre benedicesti il
Signore e lo facesti benedire anche dagli altri, chiaramente si vede quanto
hai meritato dinanzi a Dio’’». Nella
notte dell’Epifania del 1981 è avvenuta
l’ultima riesumazione delle reliquie:
dopo un accurato esame, una commissione scientifica ne ha ricomposto le
scheletro. Il 10 ottobre 1991 quattro
banditi armati e mascherati hanno rubato il reliquiario con il suo mento. È
stato ritrovato il 20 dicembre dello
stesso anno in un prato a Fiumicino,
mentre stava per essere spedito in
America meridionale, richiesto da un
boss della droga devoto al santo.
In Sardegna Patrono di Busachi, Cortoghiana, Fluminimaggiore, Lodé,
Sant’Antonio di Santadi, Vacileddi e
Villa Sant’Antonio. Il suo culto gareggia e spesso si confonde con quello di
Sant’Antonio Abate. Il santo che porta
il bambino Gesù in braccio e un giglio,
lillu, simbolo di purezza, in mano, protegge gli innamorati, il matrimonio, la
famiglia, gli orfani, i prigionieri. Per
eccellenza è il santo dei miracoli, il
santo dei poveri. Ancora oggi nei panifici e più in generale dove il pane viene
venduto non manca la cassetta del
‘‘pane di Sant’Antonio’’, il pane per i
poveri. A Padova il santo risuscitò un
bimbo di venti mesi, Tomasino, caduto
in una vasca e annegato. La madre,
corsa disperata dal santo, «promise di
dare ai poveri tanto grano quanto pesava la sua creatura». Cosı̀ è nata la tradizione del pane di Sant’Antonio. È anche invocato per il ritrovamento degli
oggetti smarriti o rubati: «Si quaeris
miracula» (Se cerchi i miracoli), «Sant’Antoni de Padua, / balente capitanu, /
sa cosa chi mi mancada, / mi la dades
prontamente» (Sant’Antonio da Padova, – valoroso capitano, – la cosa per-
duta – ridatemela prontamente).
[ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 13 giugno; la prima
domenica di giugno a Cortoghiana e
Villa Sant’Antonio. Sagre estive e in altre date durante l’anno.
Antonio Maria da Esterzili Scrittore di
teatro (Esterzili 1644-Sanluri 1727). Diventato monaco cappuccino, iniziò la
sua esperienza religiosa nel convento
che l’ordine aveva a Cagliari. Dopo alcuni anni, per motivi sconosciuti si stabilı̀ in quello di Sanluri, dove operò dal
1688 sino alla morte. Fu autore di numerose opere teatrali di argomento religioso, i cui personaggi parlano in
sardo, in castigliano e in latino a seconda del ruolo. «La lingua delle comedias è la castigliana per le didascalie;
e, per il testo, prevalentemente il sardo
campidanese con intrusioni catalane,
il logudorese per quanto riguarda i
personaggi dei pastori ed il castigliano
per il personaggio di Sant’Agostino,
per il suo servo e per le didascalie», ha
scritto Sergio Bullegas, che a lui ha dedicato un libro (La Spagna, il Teatro, la
Sardegna, 1996). Autore di una «trilogia sacra», che comprende la Conçueta
del nascimiento de Christo, la Comedia
de la Passión de Nuestro Señor Jesù
Christo (rappresentata a Cagliari dopo
il 1674: conta 31 233 versi), la Representación de la comedia del desenclaviamento de la Cruz de Jesu Christo nuestro
Señor. Questi lavori furono raccolti nel
Libro de comedias. Rimangono anche
versi religiosi e altre composizioni.
Apollinare, santo Santo (m. 200?). Vescovo martire, una leggenda del secolo
VII lo vuole compagno e discepolo di
San Pietro, dal quale ebbe l’incarico
di evangelizzare Ravenna. Il Martirologio Romano, sulla scia della leggenda,
lo riportava martire sotto Vespasiano.
Sacerdote itinerante originario d’Antiochia, sbarcato a Civitas Classis, il
200
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 208
Apollonia
porto di Ravenna, venne respinto dai
pagani. Dopo aver vagato per l’Oriente,
decise di tornare a Ravenna. Fu il
primo vescovo della città: morı̀ martire
forse nel 200, per aver fatto abbattere
una statua di Apollo. A Ravenna è titolare di due chiese del secolo VI: la basilica di Classe, dove sono custodite le
sue reliquie, e la chiesa di Sant’A.
Nuovo, famosa per il mosaico di Giustiniano. Dal 1969 il suo culto è limitato a
calendari locali o particolari. [ADRIANO
VARGIU]
Festa Si festeggia il 27 giugno e il 23
luglio a Sassari.
Apollo Divinità greca. Figlio di Zeus e
Leto, è uno fra gli dei più complessi
della mitologia greca. Sono innumerevoli le funzioni e gli attributi che lo caratterizzano: A. è il dio della salute che
allontana le sventure e protegge l’ordine del mondo e della giustizia; ma è
anche il dio che infonde forza agli uomini perché riescano a ottenere la vittoria e, per contro, interviene nei confronti dei malvagi arrecando morte e
calamità. A. è, soprattutto, annunciatore delle volontà di Zeus alle quali
ogni uomo si deve attenere. Conseguentemente, è il dio della profezia e
degli oracoli. La sua sede per eccellenza è Delfi, il massimo centro religioso della grecità. Sebbene Pausania
racconti di una statua bronzea del dio
eponimo Sardò figlio di Eracle, che i
Sardi fra i barbari d’Occidente inviarono presso il santuario di Delfi, e sebbene A. sia il padre di Aristeo, uno degli eroi giunti in Sardegna, il mito di A.
non conosce per questo dio rapporti diretti con l’isola. Il culto invece è presente nella Sardegna romana, dove il
dio appare con le sue caratteristiche
classiche oracolari e di dispensatore
di salute in una celebre iscrizione rinvenuta presso Villa San Pietro di Pula
ma riconducibile a Nora. In essa la de-
dica è rivolta ‘‘agli dèi e alle dee secondo l’interpretazione dell’oracolo
di Apollo Claro’’. Questo oracolo si trovava a Claro, in Lidia, nella costa occidentale dell’Asia Minore. Dediche
dello stesso tenore sono state scoperte
in Numidia, nella Mauretania Tingitana, in Dalmazia, presso gli antichi
centri di Gabii e di Marruvium in Italia
e in Britannia. Qui il dedicante è una
coorte ausiliaria di stanza nell’isola.
Sulla base del nome di quest’ultima (la
I Tungrorum) tutte le iscrizioni, ritenute coeve, vengono collocate al tempo
di Caracalla. Sarebbe stato questo imperatore, presumibilmente ammalato,
a disporre che dediche simili fossero
poste in diverse zone dell’Impero forse
sempre da reparti militari. Per il resto
il culto ad A. appare attestato in Sardegna solo per Carales, dove, secondo una
notizia della Passio di San Saturno, sarebbe esistita una Sacra Via quae dicebatur Apollinis, ‘‘una via sacra che veniva detta di Apollo’’. [ANTONELLO
SANNA]
Apollonia, santa (in sardo, Santa Polonia) Santa (sec. III). Martire, nacque ad
Alessandria d’Egitto da genitori cristiani. Quando nella città scoppiò una
rivolta contro i cristiani, capeggiata da
un ciarlatano, indovino maligno e pessimo poeta, A. vendette i propri beni
per soccorrere i perseguitati. In una
lettera del vescovo alessandrino Dionigi indirizzata a Fabio d’Antiochia si
legge: «Furono saccheggiate le case
dei cristiani. Presero la vergine Apollonia e le colpirono le mascelle, facendole uscire i denti. Poi, avendo dato
fuoco a un rogo, minacciarono di gettarla viva fra le fiamme, se non avesse
rinunciato alla sua fede e pronunciato
parole empie. Chiese che la lasciassero libera un momento, ciò ottenuto
saltò rapidamente nel fuoco e fu consumata». Aveva quarant’anni. Il suo gesto
201
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 209
Appiano
suscitò emozione dappertutto. Anche
Sant’Agostino trattò il suo caso, se era
lecito darsi la morte per non rinnegare
la fede, senza tuttavia prendere posizione. Il suo culto dall’Oriente si diffuse ben presto anche in Occidente.
Dal 1969 è limitato a calendari locali o
particolari.
all’epoca di A., veniva raccolta in 24 libri. Poco della trattazione si è conservato (dieci libri interi, sei frammentari); quanto resta denuncia la dipendenza da fonti in lingua latina, anche
se non deve essere escluso un rapporto
con lo stesso Polibio. La Sardegna vi
compare soprattutto nella narrazione
delle vicende relative alle guerre puniche. [GIOVANNI MARGINESU]
Aprea, Tito Musicista (Roma 1904-ivi
1989). Iniziò a Roma i suoi studi, che
terminò nel Conservatorio di Napoli;
successivamente si diede all’attività
concertistica come pianista, raggiungendo una discreta notorietà. Tra il
1927 e il 1937 diresse l’attività concertistica nel teatro di Tunisi, città nella
quale risiedette fino al 1937. Nel 1938
vinse la cattedra di pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia e tornò a
Roma. Nel 1963 si trasferı̀ a Cagliari,
dove dal 1965 diresse il Conservatorio.
Aprile, Giulio Scultore (seconda metà
Sant’Apollonia – Il martirio della santa
raffigurato da Guido Reni.
In Sardegna Culto diffuso dai Bizantini, è invocata contro il mal di denti
ed è patrona dei dentisti. Nel Museo
nazionale ‘‘G.A. Sanna di Sassari è raffigurata in una tela secentesca attribuita al pittore genovese Giovanni Battista Paggi. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 9 febbraio a Zeddiani.
Appiano Storico (Alessandria, 95 ca.-?,
161 ca.). Vissuto in Egitto e a Roma, autore di un’opera con impianto etnografico. Di carattere compilatorio, l’opera
rinunzia a un criterio di narrazione annalistica e, dalle origini di Roma fino
sec. XVII). Su commissione del governo spagnolo nel 1676 eseguı̀ a Genova il mausoleo di Martino il Giovane,
poi sistemato nella cattedrale di Cagliari in memoria del vincitore della
battaglia di Sanluri. L’opera fu portata
a termine in cinquanta pezzi e inviata a
Cagliari, dove fu ricomposta e collaudata nel 1680. In seguito egli fu autore
di alcuni altari per la chiesa di Quartu
Sant’Elena e nel 1685 fece dei lavori
nella torre di San Pancrazio.
Aprile, Scipione Scultore (seconda
metà sec. XVI). Originario di Napoli,
lavorava il marmo e il legno; presente
in Sardegna tra il 1580 e il 1603, nel
1586 eseguı̀ la statua di Emanuele Castelvı̀ per la chiesa di San Gemiliano in
Samassi; in seguito realizzò molte altre
statue, tra cui alcune per la fontana del
Rosello a Sassari, ora andate disperse.
Aquae calidae Neapolitanorum Stazione termale della strada a Caralibus
202
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 210
Aquae Ypsitanae
Turres. Situata tra Carales (Cagliari) e
Othoca (Santa Giusta), è documentata
in Tolomeo, nell’Itinerario Antoniniano
e nella Cosmographia dell’Anonimo
Ravennate che ne specifica la natura
termale (Aquae calidae Neapolitanorum), localizzata all’estremità meridionale del territorio di Neapolis,
presso Santa Maria is Aquas (Sardara).
L’utilizzazione delle fonti termali per
scopi terapeutici si dovette mantenere
ininterrottamente dall’età nuragica al
Medioevo, quando conosciamo il giudice d’Arborea Ugone II come fruitore
di quelle acque. Il complesso termale
romano, costituito da vari ambienti
voltati a botte, in opera cementizia con
paramenti a filari alternati di blocchetti in pietra e di laterizi, fu incorporato alla fine del secolo XIX nelle
terme moderne. Secondo una felice
ipotesi, dovrebbe provenire dalle
A.c.N. la dedica murata sul prospetto
della parrocchiale di San Gavino Monreale, posta a un deus sanctus, Aesculapius o Apollo, dal proconsole della Sardegna del 110-117 d.C., il senatore Gaio
Asinio Tucuriano, che era stato risanato dal dio. [RAIMONDO ZUCCA]
Aquae Lesitanae Centro termale romano presso Benetutti. Localizzato
presso le terme di San Saturnino, in
base alle coordinate della Geographia
di Tolomeo, unica nostra fonte per gli
Ydata Lesitana, in relazione alla documentazione archeologica ed epigrafica che rivela l’esistenza nel sito di
una stazione termale provvista di un
luogo di culto di Aesculapius. Tolomeo
nota l’esistenza di una città, Lesa, alla
stessa longitudine degli Ydata Lesitana, ma situata 10’ a sud. Ne deduciamo la probabile pertinenza delle
A.L. al territorio di Lesa. Il centro termale dovette essere raccordato mediante uno o più deverticula (strade secondarie) con la viabilità del territorio
e in particolare con la via ab Ulbia Carales per mediterranea, tra le stationes
di Caput Thyrsi e Sorabile, il cui tracciato scorreva a oriente delle Aquae.
Nel 1971, in occasione di lavori di riattamento del vecchio stabilimento termale di San Saturnino, furono messi
in luce resti delle terme romane e, in
particolare, di un ambiente interpretato come il tepidario, col pavimento
mosaicato. L’unico ambiente rilevabile
è una vasca circolare gradonata di modeste dimensioni. Si tratta di un vano
circolare, provvisto di vasca a quattro
ordini di gradini anulari. Inserito nel
contesto termale doveva esservi un
santuario consacrato al dio salutifero
per eccellenza Esculapio. A questo
luogo di culto possiamo riportare con
probabilità due fusti di colonne su
base in trachite grigia e tre are ugualmente in trachite color grigio depositate presso lo stabilimento termale attuale. La terza ara è dotata di una iscrizione sacra ad Aescolapius, il dio della
salute. [RAIMONDO ZUCCA]
Aquae Ypsitanae Centro termale romano presso Fordongianus. Sorto in
funzione delle scaturigini termali di
Caddas, ‘‘le (fonti) calde’’, localizzate
sulla riva sinistra del fiume Tirso, ai
piedi di una potente bancata trachitica. A prescindere dagli antecedenti
preromani, individuabili nel centro
(religioso e di mercato?) del populus
indigeno degli Ypsitani, nel sito di Caddas, dobbiamo collocare la fondazione
delle A.Y., ricordate da Tolomeo, entro
l’età augustea, con la triplice funzione
di ‘‘ville d’eaux’’, di nodo stradale della
via a Turre, la strada che si dipartiva
dalla colonia Iulia Turris Lybisonis e
che dalle Aquae si dirigeva a nord-est
verso Augustis (Austis), a sud-est in direzione della colonia iulia augusta Uselis, e di stanziamento militare della cohors I Corsorum. Il centro ebbe inizial-
203
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 211
Aquena
mente uno statuto indeterminato, benché possedesse schiavi dipendenti dal
fiscus imperiale (servi publici). Nell’età
traianea (98-117) fu elevato al rango di
forum, con la costituzione del Forum
Traiani, trasformato entro il periodo
severiano (antecedentemente al 212217) in civitas Foritraianensium. Il
culto delle acque, ampiamente sviluppato nella civiltà protosarda, suggerisce l’eventualità che gli Ypsitani lo potessero coltivare, in forme non determinate, presso quelle aquae ferventes
che, secondo Solino, oltre a possedere
virtù terapeutiche, si utilizzavano per
pratiche ordaliche. È possibile che il
culto indigeno delle acque si fondesse,
in età tardopunica o punico-romana,
con il culto di divinità salutari, come
sembrerebbe desumersi da due statuine in trachite, rinvenute nel 1899
nell’area, rappresentanti il dio egizio
Bes, che probabilmente era utilizzata
dai Punici per il loro dio guaritore Eshmun, ossia, nell’interpretazione grecoromana, Asclepio-Esculapio. Una
terza statuetta, ugualmente in trachite
grigiastra, rappresentava una divinità
femminile. Ne possiamo ricavare l’ipotesi che si prestava il culto a due divinità, una femminile, l’altra maschile.
Ad avvalorare questo culto idrico femminile sta una stelina timpanata, con
crescente lunare tra due astri, in trachite rosata, con dedica alla d(ea)
s(ancta) A(tecina) T(urobrigensis), posta
da Serbulu(s) in scioglimento di un
voto. Le divinità femminili principali
delle A.Y. erano le Nymphae, di cui possediamo ben otto dediche, incise su altari in trachite. [RAIMONDO ZUCCA]
Aquena Famiglia sassarese (secc. XVXVIII). Appartenente alla borghesia
mercantile di Sassari, è nota già nel secolo XV. Alcuni tra i suoi membri ebbero l’ufficio di console dei mercanti,
altri ricoprirono importanti uffici e
magistrature in città. Nel 1593 ottennero il cavalierato ereditario con un
Francesco, valoroso uomo d’armi, che
nel 1605 fu nominato luogotenente del
maestro razionale. I suoi figli appartennero allo Stamento militare (1613)
durante il Parlamento del duca di Gandı́a; uno di essi, Matteo, nel 1628 ottenne il riconoscimento della nobiltà.
I suoi discendenti presero parte a tutti
i parlamenti successivi; la famiglia si
estinse nel corso del secolo XVIII.
Aquena, Gavino1 Teologo e oratore
(Sassari 1600-Fiandre 1667). Francescano, divenuto sacerdote raggiunse
una notevole considerazione come
maestro di Teologia e come oratore. Si
trasferı̀ in Spagna dove fu nominato
predicatore di corte durante il regno
di Filippo IV. Negli ambienti di corte
divenne amico del viceré marchese di
Castelrodrigo, che quando fu nominato
governatore dei Paesi Bassi spagnoli lo
convinse a seguirlo. Scrisse diversi libri di argomento teologico. Si ricorda
di lui un Sermon en la fiesta de la milagrosa imagen de N.S. de Bolduque llamada la Dolzura, 1667.
Aquena, Gavino2 Religioso (Cagliari,
seconda metà sec. XVII-Bosa 1723).
Laureato in utroque a Roma, tornò a
Cagliari dove divenne giudice delle appellazioni e canonico della cattedrale.
Nel 1703 fu nominato vescovo di Bosa.
Aquena, Giovanni Battista Religioso
(Sassari, seconda metà sec. XVI-Bosa
1614). Laureato in utroque, nel 1613 fu
nominato vescovo di Bosa, ma morı̀
l’anno successivo.
Aquenza Famiglia sassarese (secc.
XVII-XVIII). Di origine gallurese, notizie di essa risalgono al secolo XVII. Ad
essa appartenne il celebre medico Pietro, che nel 1695 ottenne il cavalierato
ereditario e la nobiltà nel 1698. La sua
discendenza si estinse nel corso del secolo XVIII.
204
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 212
Arabe
Aquenza Mossa, Pietro Medico (Tempio 1750-Cagliari, inizi sec. XVIII). Allievo di Gavino Farina, si laureò a Sassari e successivamente completò i suoi
studi a Pisa, Roma, Firenze e Pavia. Pochi anni dopo si trasferı̀ in Spagna,
dove esercitò la professione conseguendo grande reputazione per le sue
capacità e per la sua preparazione. Fu
medico nell’Ospedale degli italiani a
Madrid. Tornato in Sardegna fu nominato protomedico; fu autore di importanti studi sulla malaria (la cosiddetta
‘‘intemperie’’), come il Tractatus de febre temperie sive mutacione vulgariter
dicta regni Sardiniae, et analogice aliarum mundi partium, in varios sermones
divisus, veterum et modernorum medicorum doctrinis illustratus, 1702.
Aquilegia Piccola pianta erbacea della
famiglia delle Ranuncolacee (A. nugorensis Arrigoni et Nardi). Pianta perenne, con rosetta basale da cui si dipartono fusti eretti e ramificati, foglie
bi-tripartite con margini arrotondati.
Il fiore (maggio-giugno) è azzurro-violetto, solitario sullo stelo, con sprone
uncinato; il frutto è un follicolo. Raro
endemismo, insieme alle specie affini,
A. barbaricina e A. nuragica Arrigoni et
Nardi, si trova soltanto in areali ristrettissimi, sui rilievi della Sardegna centrale. È inserita nell’elenco delle
piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n.
184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Arabe, spedizioni Termine riferito all’insieme delle incursioni effettuate
dagli Arabi in Sardegna nel periodo
che va dal 704 al 1014. Esse si svilupparono dopo che il loro dominio si fu consolidato in Africa settentrionale e in
seguito in Spagna, rendendo cosı̀ possibili le scorrerie di flotte che partivano dalle città costiere da loro controllate. La prima spedizione fu effettuata nel 704 da Abd el Aziz, che si pose
al comando di una flotta che partı̀ dall’Egitto. Gli invasori approdarono alle
coste sud-occidentali dell’isola, attaccarono Sulci e riuscirono a depredarla
senza che l’imperatore Tiberio II fosse
in grado di arrestarli; secondo le cronache arabe, nel suo viaggio di ritorno
la flotta naufragò davanti a Tunisi. Il
successo riportato dalla prima spedizione indusse i principi arabi a organizzarne delle altre con l’obiettivo di
depredare le ricche città costiere dell’isola e occuparla stabilmente. In particolare vanno ricordate: 1. Nel 711 la
spedizione voluta da Musa ibn Nasseir,
allora governatore di Tunisi, e condotta da uno dei suoi luogotenenti, Abdallah Ibn Murrah; questa volta gli invasori sarebbero riusciti a sbarcare a
Cagliari e avrebbero saccheggiato il tesoro del Duomo. 2. Un nuovo attacco,
anche questo proveniente dall’Africa
Settentrionale, fu organizzato dopo il
720 da Alahort, governatore dell’Africa
Settentrionale. Egli approfittò dell’estrema debolezza dell’Impero bizantino, ma ebbe conseguenze non molto
gravi. Secondo la tradizione, però, gli
abitanti di Cagliari, terrorizzati da possibili nuove incursioni, avrebbero consegnato al re Liutprando le reliquie di
Sant’Agostino. 3. Un’altra spedizione,
nel 732, fu organizzata da Abd er Rhaman, un principe della dinastia
omayyade nipote e luogotenente del
califfo Hisham. Egli inviò in Sardegna
Abdallah ibn Ziad, ma non ottenne risultati apprezzabili, per cui l’attacco fu
ripetuto contro Cagliari nel 734. Anche
questa volta gli abitanti della città riuscirono a resistere. 4. La spedizione
del 752 fu organizzata nuovamente da
Abd er Rhaman. Questa volta l’impresa
ebbe pieno successo: la resistenza dei
sardi fu vinta ed essi probabilmente furono costretti a pagare il tributo detto
giziah e a subire una parziale occupa-
205
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 213
Aragall
zione dell’isola. Questa sembra essere
durata poco: i sardi infatti riuscirono a
liberarsi aiutati dalle flotte bizantine.
5. Una spedizione organizzata dai
Mauri spagnoli nell’807 si concluse
con una loro pesante sconfitta. 6. La
spedizione organizzata da Abdallah,
un principe aglabita di Tunisi. Egli
tentò uno sbarco, ma energicamente
contrastato fu costretto a lasciare l’isola. 7. La spedizione organizzata da
Ziadat Allah, figlio di Abdallah,
nell’816. Egli riuscı̀ a sbarcare nell’isola e a depredare il territorio ma, secondo le fonti arabe, nel viaggio di ritorno una parte della sua flotta affondò
per una tempesta. 8. Il tentativo fatto
da Mohamed Tamiani nell’821 con una
flotta proveniente dalla Spagna e che,
ancora una volta, si concluse con la
sconfitta degli invasori. 9. Il tentativo
del califfo Al Mansur la cui flotta, al
ritorno dalla riuscita spedizione contro Genova, attaccò e danneggiò Torres. 10. L’ultimo tentativo, infine, fu effettuato nel 1014 dall’emiro di Denia
Mugâhid; in questa occasione lo sbarco
effettuato nelle vicinanze di Cagliari
riuscı̀. La città fu conquistata e gli
Arabi, dopo aver ucciso in battaglia il
giudice Malut, avanzarono nel Campidano con l’obiettivo di conquistare l’isola. I sardi però organizzarono la resistenza e con l’aiuto delle flotte di Genova e di Pisa, sollecitate dal pontefice, cacciarono definitivamente gli invasori.
Aragall Famiglia cagliaritana (secc.
XIV-XVIII). Era di origine aragonese,
stanziata in Catalogna a Seo de Urgell
fin dal secolo XIV; da uno dei suoi rami
proveniva un Giacomo, titolare di una
vasta attività commerciale, che si trasferı̀ a Cagliari agli inizi del secolo XV
al seguito di Martino il Giovane. Suo
figlio Ludovico, pur continuando a occuparsi degli affari di famiglia, radicò
definitivamente i suoi membri in Sardegna e lui stesso divenne uno dei protagonisti più importanti della politica
cagliaritana della prima metà del secolo. La sua ascesa politica e finanziaria fu in parte legata ai viceré Bernardo Centelles, Giacomo de Besora e
Francesco d’Erill, con i quali a diverso
titolo intrattenne relazioni. Dopo essere stato per alcuni anni vicario reale
di Cagliari, nel 1420 fu nominato governatore del Capo di Cagliari e Gallura e
divenne il luogotenente di Bernardo
Centelles; nello stesso anno ottenne in
feudo Domusnovas, Villamassargia e
Conesa. Poiché il Centelles era spesso
fuori della Sardegna, Ludovico finı̀ per
prendere in mano le redini del governo
divenendo un attento interprete della
politica reale. Seppe anche curare con
grande abilità gli interessi della famiglia, di cui estese le attività commerciali servendosi di navi mercantili di
sua proprietà e acquistando dai Dedoni due peschiere nello stagno di
Santa Gilla e due botteghe per la vendita del pesce. Accrebbe anche il patrimonio feudale: nel 1425 ottenne Nurallao e nel 1432 acquistò dal fisco il castello di Gioiosaguardia e tutti i territori circostanti. Egli unı̀ il nuovo acquisto a Domusnovas e Villamassargia,
dando cosı̀ vita al primo nucleo del
grande complesso che la famiglia andava costituendo nel Sulcis. Nel 1437
acquistò dai De Sena il feudo di Decimomannu e quello di Quartu, che però
cedette di lı̀ a poco a Cagliari. Le sue
fortune politiche continuarono con
Giacomo de Besora e quando, nel
1444, Francesco d’Erill fu richiamato
in patria governò direttamente l’isola
mostrando doti di grande equilibrio. I
suoi figli Giacomo e Filippo, intelligenti e abili continuatori della sua
opera, furono i capostipiti dei due
206
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 214
Aragall
rami nei quali la famiglia si divise
nella seconda metà del secolo XV.
Ramo di Filippo. Filippo, il primogenito, fu erede dei feudi e accrebbe la
consistenza del patrimonio di famiglia;
dopo la morte di Alfonso V fu tra i più
accesi sostenitori di Giovanni II, ma
morı̀ ancor giovane nel 1465; la sua
opera fu continuata dai due figli Antonio Giovanni e Giacomo, entrambi personaggi di rilievo. Giacomo nel 1470
aiutò il re a domare la ribellione in Catalogna armando una nave a proprie
spese: il re gli donò Palmas, Tratalias
e Perdaxius; tornato in Sardegna, nel
conflitto tra Leonardo Alagon e Nicolò
Carroz si schierò apertamente con il
secondo, sostenendolo finanziariamente. In seguito si recò ancora in Spagna dove prese parte alla guerra contro
i Mori di Granada e nel 1484 ebbe il titolo di barone di Gioiosaguardia. Al
suo ritorno nel 1485 acquistò dal cugino Pietro un vasto territorio nel Sulcis, un tempo densamente popolato, e
altri territori nel Sigerro, che unı̀ al
feudo di Palmas; subito dopo acquistò
dal cugino Michele altri territori nel
Sulcis e nel 1487 i villaggi di Piscinas,
Sigulis e Giba da Bartolomeo de Gerp.
Il suo feudo era ormai uno dei maggiori
della Sardegna meridionale: Giacomo,
già anziano, si faceva aiutare nell’amministrazione dal figlio Filippo; per
dargli continuità territoriale nel 1492 i
due fecero uno scambio di territori con
Nicolò Gessa e nel 1494 acquistarono
da Salvatore Bellit il castello di Acquafredda e i territori che da esso dipendevano, facendo cosı̀ raggiungere al loro
feudo il massimo della sua estensione.
Nel 1496 ottennero il riconoscimento
dell’antica nobiltà: il loro potere e le
loro fortune erano oramai al culmine.
Il giovane Filippo, dal canto suo, aveva
sposato Giovanna De Ferraria, erede
della baronia di Bonvehı̀, ponendo le
premesse per estendere l’influenza
della famiglia anche nel Logudoro.
Purtroppo, però, poco dopo il giovane
Filippo morı̀ nel fiore degli anni, lasciando erede un bambino, Pietro, gracile e di poca salute. Il vecchio Giacomo, affranto per la morte del figlio,
comprese che le condizioni di salute
del piccolo Pietro non avrebbero permesso una discendenza agli orgogliosi
baroni di Gioiosaguardia e decise perciò di vendere Acquafredda a Salvatore Bellit, sposato con la sua unica figlia; poco dopo morı̀, seguito a breve
distanza dal piccolo Pietro. Della discendenza di questo ramo rimaneva in
vita il solo Giovanni Antonio, influente
uomo di chiesa che in precedenza
aveva sostenuto l’espansione dei feudi
di suo fratello. A sua volta morı̀ nel
1515.
Ramo di Giacomo. Giacomo fu il capostipite del ramo non feudale della famiglia. Nominato governatore di Cagliari e Gallura come il padre, nel 1454
l’ufficio gli fu confermato a vita; esercitò le funzioni di viceré interino fino
alla nomina di Pietro Besalù governando con grande equilibrio fino al
1455. In particolare si preoccupò di far
vendere all’asta i feudi del ribelle Guglielmo Raimondo Moncada e dopo
l’arrivo del nuovo viceré si impegnò a
sostenere l’amministrazione reale.
Era sposato con Isabella, la figlia di
Pietro Bellit, un finanziere col quale
entrò in affari di vasto respiro, facendo
fruttare i capitali di cui disponeva.
Egli inoltre continuò la tradizionale attività economica della famiglia, dando
impulso ai traffici mediterranei delle
navi di sua proprietà. Anche la sua influenza politica sembrò aumentare
quando fu nominato viceré Giovanni
De Flors che, preferendo risiedere a
Sassari, gli lasciò praticamente mano
libera a Cagliari; dopo il 1471 anche
207
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 215
Aragall
lui puntò a costituirsi un grande feudo
con i territori spopolati del Sulcis
orientale, ma morı̀ nel 1475 lasciando
eredi i due figli Pietro e Michele. I due
non riuscirono a conservare il feudo e,
come abbiamo visto, lo dovettero vendere al cugino, il barone Giacomo di
Gioiosaguardia. Michele nel 1508 fu
nominato luogotenente del governatore di Cagliari e nel 1514 divenne luogotente del viceré Vilanova; morı̀ poco
dopo lasciando due figli: Pietro e Girolamo, personaggio di grande rilievo,
che nel 1532 divenne governatore del
Capo di Cagliari e Gallura. Nella sua
lunga vita esercitò ripetutamente le
funzioni di viceré interino e morı̀
molto vecchio nel 1580 lasciando erede
il figlio Giacomo. Questi divenne a sua
volta governatore del Capo di Cagliari,
assunse le funzioni di viceré interino e
morı̀ nel 1610 relativamente giovane,
lasciando un unico figlio, Diego, ultimo
personaggio della famiglia, che morı̀
nel 1646.
Aragall, Diego Uomo politico (Cagliari
1604-ivi 1646). Presidente del Regno
nella prima metà del secolo XVII. Ultimo maschio della famiglia, figlio di
un Giacomo, apparteneva al ramo non
feudale degli Aragall. Quando nel 1610
suo padre morı̀ era ancora bambino,
per cui l’ufficio di governatore fu affidato a Giovanni Zapata e in seguito a
Filippo Cervellon. Crescendo acquistò
fama di persona equilibrata: nel 1619
fu creato cavaliere di Santiago e nel
1622 finalmente riprese l’ufficio di governatore del Capo di Cagliari. Si legò
al viceré Vives e ne sostenne la politica; dopo la sua morte assunse le funzioni di viceré interino fino all’arrivo
di Pietro Saforteza. Nel 1631, dopo la
morte del Pimentel, assunse nuovamente le funzioni di viceré, ma fu accusato di aver male amministrato e costretto a recarsi a Madrid per rendere
conto del suo operato. Riconosciuto innocente, gli furono attribuite anche le
funzioni di Presidente del Regno e nel
1633 tornò nell’isola. Quando nel 1637,
durante la Guerra dei Trent’anni, la
Sardegna fu attaccata dai francesi,
egli guidò le truppe che respinsero l’attacco francese a Oristano; successivamente, temendo una nuova incursione,
nel 1638 fece costruire a Cagliari il bastione detto ‘‘del viceré’’ e vi fece apporre orgogliosamente lo stemma di famiglia. In seguito assunse funzioni interine per altre due volte.
Aragall, Giacomo I Gentiluomo (secc.
XIV-XV). Di origine catalana, giunse in
Sardegna agli inizi del secolo XV al seguito di Martino il Giovane; dopo la
morte del re nel 1410 acquistò i feudi
di Villamassargia e di Domusnovas,
che furono il nucleo originario delle
fortune feudali della famiglia.
Aragall, Giacomo II Gentiluomo (m.
1475). Figlio di Ludovico, fu il capostipite del ramo non feudale della famiglia. In società con Pietro Bellit, suo
suocero, nel 1460 acquistò da Gherardo
Dedoni il feudo di Villamar e da Giorgio Otger il feudo di Acquafredda. I
due, però, tra il 1463 e il 1464 sciolsero
la società, Giacomo cedette Acquafredda al Bellit e rivendette Villamar
a Francesco Alagon traendone un notevole guadagno. Nel 1471 investı̀ i suoi
capitali nell’acquisto di un vasto feudo
spopolato nel Sulcis, ma pochi anni
dopo incorse in una crisi finanziaria
per cui fu costretto a chiedere aiuto al
mercante cagliaritano Francesco Marimon, cui diede in pegno il feudo.
Aragall, Giacomo III Governatore del
Capo di Cagliari e Gallura (Cagliari
1544-ivi, 1610 ca.). Figlio di Girolamo,
anche lui appartenente al ramo non
feudale della famiglia, negli ultimi
anni della vita di suo padre lo aiutò acquistando fama di persona prudente
208
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 216
Aragona
ed equilibrata. Quando Girolamo morı̀,
nel 1580 divenne governatore del Capo
di Cagliari e Gallura. Nel 1603, prima
dell’arrivo del Sanchez de Calatayud,
esercitò le funzioni di viceré interino
e ancora una seconda volta lo fu nel
1610, prima dell’arrivo di Carlo Borgia,
ma morı̀ poco dopo ancora relativamente giovane.
Aragall, Giovanni Antonio Inquisitore
per la Sardegna (secc. XV-XVI). Fratello del barone Giacomo di Gioiosaguardia, canonico della cattedrale di
Cagliari, fu anche lui interprete fedele
della politica accentratrice di Giovanni II e sostenne abilmente il fratello nella sua politica feudale. Nel
1493 fu nominato abate di San Nicolò a
Oristano ed ebbe l’ufficio di procuratore del re, entrando in conflitto con
l’arcivescovo di Oristano, per cui dovette trasferirsi a Cagliari dove fu nominato inquisitore del Regno.
Aragall, Girolamo Governatore del
Capo di Cagliari (Cagliari, prima metà
sec. XVI-ivi 1580). Figlio di Michele,
nel 1532 divenne governatore del Capo
di Cagliari e pochi mesi dopo, morto il
viceré Martino Cabrera, assunse le funzioni interine in attesa di Antonio Cardona e governò con grande prudenza
fino al 1534. Per tutto il periodo successivo si tenne al di fuori delle tensioni
che si manifestarono attorno al Cardona, e quando nel 1539 quest’ultimo
si recò a Madrid assunse nuovamente
il governo col titolo di Capitano e Presidente del Regno. Guardò con sospetto gli Arquer e non seppe impedire
che l’opera del Cardona fosse compromessa. Quando il viceré tornò a Cagliari nel 1542 prese nuovamente a
esercitare le funzioni di governatore e
si tirò prudentemente in disparte, ma
quando, nel 1549, Antonio Cardona si
congedò definitivamente, assunse
nuovamente le funzioni interinali fino
al 1551, quando giunse il viceré Fernandez de Heredia. Assunse ancora
funzioni interinali nel 1556 in attesa
dell’arrivo del Madrigal e negli anni
successivi contribuı̀ a far arrestare Sigismondo Arquer. Tra il 1577 e il 1578
assunse per l’ultima volta le funzioni
interinali.
Aragall, Leonardo Religioso (?, sec.
XIII-Oristano 1306). Arcivescovo di
Oristano dal 1301 al 1306. Minore osservante, segretario e penitenziere del
cardinale vescovo di Sabina, fu nominato vescovo di Tricarico (Lucania) e
nel 1301 arcivescovo di Oristano da Bonifacio VIII. Si adoperò per migliorare
le condizioni della diocesi e nel 1302
celebrò un sinodo provinciale. Morı̀ a
Oristano prima del febbraio 1306. [MASSIMILIANO VIDILI]
Aragall, Luigi (o Ludovico) Gentiluomo
(Cagliari, seconda metà sec. XIV-ivi
1448). Nel 1414 fu nominato vicario
reale della città e nel 1420 governatore
del Capo di Cagliari e di Gallura; nello
stesso anno ottenne il feudo di Domusnovas e Villamassargia. Sebbene impegnato in complesse attività mercantili, negli anni successivi esercitò in diverse occasioni le funzioni di viceré interino nei periodi di assenza di Bernardo Centelles. Nel 1424 difese Cagliari da un attacco saraceno e nel
1428 da uno genovese. Continuò a esercitare funzioni interine durante i governi di Giacomo De Besora e Francesco Erill, mostrando di possedere notevoli capacità. Nel 1432 acquistò il castello di Giojosaguardia e i terreni circostanti e nel 1437 Decimomannu.
Aragna = Zoologia della Sardegna
Aragona Due diverse dinastie portarono il nome di A. La prima fu la dinastia dei conti di Barcellona che, in
quanto re d’A., nel 1297 furono investiti
con Giacomo II del Regnum Sardiniae
da papa Bonifacio VIII. La discen-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 217
Aragona
denza di Giacomo si estinse nel 1410
con la morte di Martino il Vecchio. La
seconda dinastia fu quella dei Trastamara, che ereditò il regno d’A. all’estinzione dei conti di Barcellona nel
1415 con Ferdinando, nuovo re di Sardegna. La dinastia dei Trastamara si
estinse nel 1516 con Ferdinando il Cattolico, che lasciò il Regno di Sardegna
in eredità agli Asburgo.
Aragona, Giacomo di Figlio naturale
di Giacomo II (Barcellona, fine sec.
XIII-Cagliari 1350). Nato dalla relazione di Giacomo con una dama siciliana tra il 1287 e il 1291 e cresciuto a
corte, prese parte alla spedizione dell’infante Alfonso insieme a Napoleone
d’Aragona, altro figlio naturale del re.
Si stabilı̀ a Cagliari e nel 1326 ebbe il
feudo di Barrali nella curatoria di Dolia, nel 1330 quello di Gergei nella curatoria di Siurgus e nel 1331 quello di
Quartu Jossu. Nel 1333 fu nominato
membro del Consiglio reale; dal 1337
al 1341 resse l’ufficio di vicario reale
di Cagliari e divenne luogotenente di
Guglielmo Cervellon. Dopo la tragica
morte di quest’ultimo, nel 1347 lo sostituı̀ nelle funzioni di governatore generale, riuscendo a riorganizzare l’esercito che dopo la battaglia di Aidu ’e
Turdu si era gravemente sfaldato.
Prossimo alla morte, senza figli, nel
1349 ottenne che Raimondo d’Ampurias, che aveva sposato una nipote di
sua moglie, potesse essere investito
dei suoi feudi, a patto che pagasse i
suoi diritti al fisco.
Aragona, Giovanni Religioso (?, prima
metà sec. XIV-Cagliari 1369). Minore
conventuale, fu nominato arcivescovo
di Cagliari nel 1354; nel 1355 prese
parte al parlamento di Pietro IVe resse
la diocesi negli anni successivi,
quando si andava preparando la seconda guerra tra Aragona e Arborea.
Aragona, Guglielmo Religioso (?,
prima metà sec. XIV-Terralba 1364).
Entrato nell’ordine domenicano fu assegnato al convento di Montesano;
dopo alcuni anni, nel 1356, Innocenzo
VI lo nominò vescovo e lo inviò erroneamente nella diocesi di Castra, allora occupata da un altro prelato. Immediatamente fu destinato alla diocesi
di Terralba, che governò negli anni
precedenti alla seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV.
Aragonez Famiglia sassarese (secc.
XVI-XVIII). Le sue notizie risalgono
alla seconda metà del secolo XVI,
quando viveva un Giovanni che divenne maestro razionale e morı̀ nel
1605. I suoi discendenti continuarono
a ricoprire importanti uffici a Sassari;
uno di essi è il dottor Giuseppe, assessore della Reale Governazione di Sassari e giudice della Reale Udienza dal
1760. Suo figlio, il canonico Giovanni
Battista, fu seguace e amico di Giovanni Maria Angioy.
Aragoni Famiglia cagliaritana (secc.
XV-XVII). Sue notizie risalgono al secolo XV; era di condizione borghese e
alcuni dei suoi membri furono eletti
consiglieri del castello. Nella seconda
metà del secolo XVI si pose in evidenza
il dottor Antioco, amministratore del
patrimonio reale, che nel 1568 ottenne
il cavalierato ereditario. La sua discendenza si estinse nel corso del secolo XVII.
Aramu, Angelo Gesuita, storico della
Chiesa (Cagliari 1890-Savona 1960).
Compiuti gli studi superiori, rispondendo a una prepotente vocazione nel
1912 entrò nella Compagnia di Gesù.
Sacerdote nel 1924, si fece notare per
la profondità della sua preparazione;
studioso della storia gesuitica, è autore
di una imponente opera sulla Storia
della Compagnia di Gesù in Sardegna,
1939. Negli anni Cinquanta, nel periodo più acceso delle polemiche tra
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 218
Arancio
DC e PC, scrisse anche alcuni pamphlet storico-politici che gli diedero notorietà nazionale.
Aramu, Francesco Pittore e incisore
(n. La Maddalena 1926). Ha completato
i suoi studi a Cagliari e dopo alcuni
anni si è trasferito a Roma, dove ha
fatto alcune esperienze come scenografo a Cinecittà. In seguito si è trasferito a Milano dove vive e opera da più
di cinquant’anni. Nella città lombarda,
dove ha allestito la sua prima personale, ha raggiunto notorietà, considerazione e riconoscimenti. Ha preso
parte a mostre in Europa e negli USA,
riscuotendo successi di critica.
ciale) possono essere spinosi; le foglie
ovate, lucide e consistenti, hanno un
picciolo alato; i fiori (zagare) sono
bianchi e profumati, singoli o riuniti
in infiorescenze. La fioritura è primaverile, mentre i frutti arrivano a maturazione nell’autunno successivo e continuano a maturare sino a inverno inoltrato, tanto che in alcuni casi i frutti
dell’anno precedente possono essere
sulla pianta durante la fioritura successiva.
Aramu, Mario Pilota militare (Cagliari
1900-Marmarica 1940). Ufficiale dell’Aeronautica, compiuti i suoi studi entrò nella carriera militare come ufficiale pilota. Fu uno dei trasvolatori
dell’Atlantico; subito dopo l’impresa
fu inviato in Cina a dirigere una scuola
militare per piloti. Scoppiata la seconda guerra mondiale, tornò in patria
e prese parte al conflitto col grado di
colonnello. Morı̀ in azione durante il
primo anno di guerra.
Aranciata Dolce tipico del Nuorese e
delle Baronie. Conosciuto fin dall’antichità, si presenta come una pasta di
scorza d’arancia e di miele. La sua
base è costituita dalla scorza dell’arancia essiccata e accuratamente tagliata
in listarelle, che vengono fatte cuocere
in una padella dove è stato fuso del
miele misto a lamelle di mandorle tostate. In passato, per la sua predisposizione a essere conservato a lungo, veniva portato nelle feste campestri o era
offerto durante l’inverno.
Arancio Pianta arborea della famiglia
delle Rutacee (Citrus aurantiun L.). È
un albero che raggiunge i 10 m di altezza, con chioma compatta e arrotondata. I rametti, in alcune cultivar (cioè
qualità ottenute con selezione artifi-
Arancio – Frutti dell’arancio amaro.
Il frutto, l’arancia, è un esperidio formato da una scorza (pericarpo) che varia dal giallo al rossastro a seconda
delle qualità; la polpa, divisa in spicchi, succosa, contiene acido citrico, vitamine (soprattutto C), zuccheri e sali
minerali. Resiste bene alla siccità, ma
richiede irrigazioni abbondanti per
una produzione ottimale. Originario
della Cina e del Giappone, l’a. fu intro-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 219
Araolla
dotto in Italia dagli Arabi nel secolo
XIV. Produce frutti in varietà amara,
dolce e sanguigna. Viene coltivato in
molte aree del Mediterraneo. In Sardegna è coltivato nelle piane costiere, soprattutto del sud. La produzione annua
della Sardegna è di circa 600 000 q, di
cui più di 500 000 q nella provincia di
Cagliari. Rinomate le arance di Milis,
nell’Oristanese, di San Sperate, nel
Basso Campidano, e di Muravera, nel
Sarrabus. In ognuna di queste località
si tiene una sagra degli aranci, con degustazioni dei frutti e dei prodotti tipici. Nomi sardi: arángu (campidanese); arántzu (logudorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Araolla Famiglia sassarese (secc. XVXVII). Le sue notizie risalgono al secolo XV; apparteneva alla borghesia e
alcuni dei suoi membri ricoprirono importanti magistrature in diverse occasioni. Gli A. ottennero il cavalierato
ereditario nel 1500; la famiglia si
estinse nel corso del secolo XVII.
Araolla, Girolamo Sacerdote e poeta
(Sassari, prima metà sec. XVI-Roma
1615). Dopo essersi laureato in Legge,
si fece sacerdote e fu nominato canonico di Bosa. Dopo alcuni anni si trasferı̀ a Bologna e infine divenne consultore del Santo Uffizio a Roma. Nel
poemetto Sa vida, su martiriu et morte
de sos gloriosos martires Gavinu, Brothu
e Gianuari, 1582, e nelle Rimas diversas
spirituales, 1597, fu tra i primi letterati
sardi a scrivere nella lingua regionale,
cercando anche – grazie alla sua intensa frequentazione dei classici latini
– di ‘‘ripulire’’ il sardo, imprimendo
alla varietà logudorese forza e chiarezza espressive. Secondo Raimondo
Turtas è probabile che sotto il nome di
A. vadano collocati due diversi individui, appartenenti, pure all’interno
dello stesso arco temporale, a due generazioni diverse. Al più giovane sa-
rebbero da attribuire il poema sui tre
martiri turritani e, in particolare, il
progetto di quella operazione di ‘‘classicizzazione’’ della lingua sarda che è il
maggior titolo di merito del personaggio; operazioni – sostiene Turtas – che
si addicono a un’età, sı̀, matura, ma non
– come risulterebbe a stare ai dati biografici di cui disponiamo – a un uomo
ormai vecchio (sarebbe stato coetaneo
di G.F. Fara) e, in qualche misura, ormai privo di quella creatività (poetica
e filologica insieme) che meglio si attaglia a una età meno avanzata.
Arata, Giulio Ulisse Studioso di arte
popolare (Piacenza 1885-ivi 1962).
Noto architetto, acquistò notorietà
progettando numerosi edifici pubblici
e privati in diverse città dell’Italia centro-settentrionale. Scrittore d’arte, fu
tra i fondatori del gruppo delle ‘‘Nuove
Tendenze’’. Mostrò un profondo interesse per l’artigianato sardo, che studiò a fondo in tutti i suoi aspetti e valorizzò anche su sollecitazione di Giuseppe Biasi, di cui era molto amico.
Nel 1919 elaborò con lui il progetto
della pubblicazione di un volume sull’arte rustica sarda e decise di trasferirsi nell’isola per raccogliere la documentazione necessaria. Giunto in Sardegna, in compagnia di Biasi e del pittore sassarese Mossa Demurtas viaggiò
da un centro all’altro raccogliendo
un’ingente quantità di materiale. L’atteggiamento svagato dei tre amici,
però, insospettı̀ un solerte graduato
dei Carabinieri di stanza a Sedilo, che
finı̀ per arrestare i tre credendoli dei
ladri; quando però fu chiarito l’equivoco, essi ripresero il loro giro. Il volume che ne risultò, Arte Sarda, scritto
con G. Biasi, ricco di fotografie documentarie e di piccole illustrazioni
dello stesso Biasi, fu pubblicato dal milanese Treves nel 1935: opera di
grande impegno editoriale, è il testo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 220
Arbatax
fondamentale di ogni ricerca sull’arte
popolare isolana. La nuova esperienza
e le discussioni di quel periodo con
Biasi lo convinsero anche della possibilità che alcuni prodotti dell’artigianato sardo potessero essere sfruttati
industrialmente. Sulla Sardegna
scrisse anche: Arte rustica sarda, ‘‘Dedalo’’, I, 11-12, 1922, e L’arte paesana
alla prima biennale di Monza, ‘‘Le Arti
decorative’’, I, 1, 1923.
è una pigna allungata, legnosa, con
grossi semi commestibili. Originaria
dell’Oceania, è arrivata in Sardegna
nella seconda metà dell’Ottocento: i
primi impianti vennero fatti nel verde
pubblico di Cagliari, dove spesso conferiscono, stagliandosi con la loro notevole altezza, un profilo caratteristico
ad alcuni scorci panoramici della città.
Utilizzata come pianta ornamentale
nel verde pubblico e privato di tutta l’isola, non ha mai dato semi fertili. In
alcune località sono stati inseriti anche esemplari di A. bidwillii Hook,
dalle caratteristiche foglie spiralate, e
di A. cookii R.Br., dal portamento colonnare. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Arave Antico villaggio del giudicato di
Torres, compreso nella curatoria della
Fluminargia. Sorgeva a poca distanza
dall’attuale abitato di Usini. Cominciò
a essere conosciuto a partire dal secolo
XI come centro popoloso ed economicamente fiorente. Dopo l’estinzione
della famiglia giudicale venne amministrato direttamente dal neo-istituito
Comune di Sassari, ma in seguito cominciò a decadere spopolandosi completamente entro la fine del secolo
XIII.
Araucaria – Originariamente non presente
nel vecchio mondo, è molto usata come albero
ornamentale.
Araucaria Pianta arborea sempreverde della famiglia delle Araucacee
(A. excelsa R.Br.), alta sino a 15-20 m.
Ha chioma piramidale, caratterizzata
dai palchi sovrapposti di rami, le foglie
sono squamiformi e aderenti al ramo. I
fiori, unisessuali, possono essere su
piante distinte o sulla stessa pianta,
sempre all’apice della chioma. Il frutto
Arbatax – Le Rocce Rosse sono l’elemento più
suggestivo del panorama.
Arbatax Centro abitato della provincia
dell’Ogliastra, frazione di Tortolı̀ (da
cui dista 5 km), con oltre 1400 abitanti,
posto a 10 m sul livello del mare su un
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 221
Arbatax
promontorio della costa orientale, a
brevissima distanza dal suo capoluogo.
Regione storica: Ogliastra meridionale. Diocesi di Lanusei.
Arbatax – Gli impianti di itticoltura si sono
sviluppati negli ultimi decenni, su impulso
dell’industria turistica.
TERRITORIO Il territorio è costituito
da una piccola penisola che, sporgendosi in mare dal litorale tra Baunei e
Bari Sardo, ha termine col capo Bellavista. La regione è pianeggiante, tanto
che nel retroterra si è formato lo stagno
di Tortolı̀, ma nei pressi della costa
svettano alcuni piccoli rilievi di natura
granitica, dai quali emergono i filoni di
porfido noti come Rocce rosse. La frazione è collegata a Tortolı̀ con una
breve deviazione della statale 125, ed
è raggiunta anche dalla linea ferroviaria delle secondarie proveniente da
Cagliari. Importanti il porto, che viene
utilizzato anche per le navi di linea
&
Sardegna-continente, e l’aeroporto, visto come importante strumento per lo
sviluppo turistico di una regione tradizionalmente isolata come l’Ogliastra.
& STORIA Il sito fu da sempre frequentato come porto; presumibilmente
dopo il secolo XIV fu abbandonato e
rimase deserto, utilizzato soltanto da
pastori e da corsari la cui presenza a
partire dalla seconda metà del secolo
XVI fu scoraggiata dalle torri costiere.
L’abitato attuale ha origini ottocentesche ed ebbe un deciso impulso
quando, con l’impianto della ferrovia,
le attività portuali ripresero regolarmente. Poco prima della metà del secolo si colloca la preziosa testimonianza che Vittorio Angius ha lasciato
nel Dizionario degli Stati sardi di Goffredo Casalis: «Il promontorio avanzandosi nel mar Tirreno, forma due
seni principali, aperti incontro uno al
greco, l’altro all’ostro-sirocco. Noteremo anzi tutto le torri e cappelle fabbricate su questo promontorio; nella
parte settentrionale la torre detta di
Albatass, e prossima la chiesa denominata di N.S. d’Aramo, con un palazzotto, che serve di caserma ai preposti
della dogana. Nella parte meridionale
v’è un’altra torre denominata di s. Gemiliano dalla chiesa dedicata al suddetto santo, che trovasi ad un 1/4 di miglio, quanto è lungo il colle che tiene
una ed altra, e forma un promontorio
il quale divide il seno indicato di s. Gemiliano da una cala aperta nello stesso
promontorio e detta Porto Fraile. Sulla
rupe del promontorio che più sporge a
levante, sul colle detto monte Turri, ergevasi la torretta, detta di Largavista,
la quale serviva per esplorare se nell’orizzonte apparissero navi sospette,
navi di barbareschi, e nel caso dar avviso alla popolazione per preparare le
loro armi, se accadesse che di notte o di
mattino i barbari tentassero invasione.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 222
Arbatax
La testa del suddetto promontorio è
larga miglia 13/4 dalla punta settentrionale (Punta Secada) alla punta meridionale (Capo s. Gemiliano), lunga
miglia 7/8, mentre il collo dov’è più angusto ha poco più di miglia 1/2 e si
stende a circa un miglio. Se in questo
promontorio e collo si trasferisse una
parte della popolazione di Tortolı̀, la
colonia troverebbe una situazione migliore, e senza dubbio prospererebbe
in breve per il comodo del commercio,
e diventerebbe una città notevole. Starebbe essa tra due porti, e se questi si
rendessero sicuri dalle rispettive traversie, il seno settentrionale dal greco,
il seno meridionale dal sirocco, appoggiando due gittate d’un mezzo miglio, o
d’un solo terzo, le navi vi avrebbero
due stazioni, e vi frequenterebbero assai spesso». Col passare degli anni A.
assunse il ruolo di porto dell’Ogliastra
e crebbe progressivamente di importanza. Nel 1960 vi fu impiantata una
grande cartiera attorno alla quale nel
1963 si sviluppò un nucleo di industrializzazione. L’estendersi delle attività
favorı̀, entro il 1964, un ulteriore sviluppo del porto che divenne anche terminale di linee passeggeri che collegano A. con Genova e con Civitavecchia. Il crescente sviluppo tende a saldare l’abitato di A. a quello di Tortolı̀, i
cui abitanti son soliti indicare il suo
agglomerato genericamente come
Portu.
& ECONOMIA La base della sua economia è costituita dal porto, che è il principale dell’Ogliastra; negli ultimi anni
attorno ad esso si stanno sviluppando
una zona industriale e l’aeroporto. Altro elemento che concorre a sorreggere l’economia di A. è rappresentato
dal turismo residenziale e di transito.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel
territorio circostante si identificano
alcune Tombe di giganti e alcune domus de janas.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Alcuni monumenti testimoniano la storia complessa del suo
territorio e quella recente dell’insediamento; tra tutti indubbiamente le
torri costiere sono i più significativi: si
tratta di tre torri che facevano parte
del sistema di difesa del tratto di coste
tra Santa Maria Navarrese e capo Palmera (= Torri costiere). Nell’ordine da
nord verso sud si trova per prima la
torre di A., costruita nel 1572, in ottimo
stato di conservazione, con una struttura troncoconica a due piani con ambienti voltati a cupola e comunicanti
con scala interna; il diametro interno
supera gli 8 m; era adibita alla difesa
pesante, potentemente armata e servita da una guarnigione. A poca distanza, in prossimità della punta del
capo omonimo, sorgeva la torre di Bellavista, costruita nel secolo XVII, adibita alle segnalazioni e ora ridotta a rudere. Infine la torre di San Gemiliano,
costruita anch’essa nel secolo XVII ma
ora ridotta in condizioni di conservazione scadenti; adibita alla difesa e
alle segnalazioni, ha una struttura
troncoconica e un diametro interno di
quasi 4 m; era armata da un cannone,
una spingarda e un adeguato numero
di fucili e aveva una guarnigione costituita da due soldati. Interessante anche la chiesa di San Gemiliano, costruita sul promontorio di capo Bellavista nel corso del secolo XX sulle rovine di una precedente chiesa del secolo XVI; è semplice, consta di un’aula
mononavata, la sua facciata è arricchita da un rosone e da un campanile
a vela. Va ricordata anche San Lussorio, una chiesa campestre costruita nel
secolo XVI in stile gotico-aragonese
con un impianto a una sola navata e la
copertura a volta; la facciata era arric-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Arbitrato della neve
chita da un campaniletto a vela. Nel
corso dei secoli successivi rovinò e nel
1902 fu necessario ricostruirla completamente. Infine San Salvatore, chiesa
che sorge alle falde del monte Genna
Craita nelle vicinanze del capo Bellavista. Fu costruita agli inizi dell’Ottocento probabilmente sopra le rovine
di un’antichissima chiesa bizantina;
ha una sola navata e la copertura in legno. La facciata è abbellita da un campanile a vela. Ma non va dimenticato
che il simbolo di Arbatax e dell’Ogliastra è costituito dalle Rocce rosse,
spuntoni di porfido rosso che emergono dal mare di fronte al capo Bellavista creando una suggestiva scenografia
e un piacevole contrasto. Il complesso
delle rocce ha dato luogo a numerose
leggende legate ai viaggi di Ulisse.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni del piccolo centro sono
espresse dalla festa popolare della Madonna Stella Maris che si svolge nella
prima domenica di luglio e durante la
quale, ai riti religiosi che si svolgono
nella omonima parrocchia (una chiesa
costruita nel 1966), si accompagnano
una suggestiva processione a mare e
numerosi giochi nautici e di pesca nel
rispetto delle tradizionali attività degli
abitanti del luogo.
Arbitrato della neve Raccolta e conservazione della neve, che in seguito
veniva adoperata nei mesi estivi, organizzata in alcuni paesi delle zone montane, dove le precipitazioni nevose
erano più abbondanti. In genere erano
usate ampie grotte sotterranee (nieras), dove era possibile pressare la
neve che vi veniva immagazzinata e
protetta con strati di paglia. L’umidità
del luogo e la possibilità che la temperatura fosse costantemente bassa rendevano probabile la trasformazione
della neve pressata in ghiaccio: questo
poi poteva essere tagliato in lastre e
trasportato nei mesi estivi nelle città o
dove si svolgevano feste campestri per
fabbricare con esso e con speciali sciroppi deliziosi sorbetti (carapigna).
L’amministrazione reale, a partire dal
secolo XVII, impose su questa attività
una gabella e in seguito la diede in appalto a privati cittadini che riuscirono
a trarne utili di notevole rilievo. L’appalto della neve fu regolarmente praticato dall’amministrazione fino al 1848.
Arboit, Angelo Insegnante e letterato
(sec. XIX-?). Dopo aver insegnato nel
Liceo di Modena nel 1860, si trasferı̀
dalla Toscana in Sardegna nel 1860 e
divenne un osservatore attento dell’isola e dei suoi problemi. Poco dopo
prese parte alla spedizione dei Mille
e, pur non tornando mai più in Sardegna, le rimase profondamente attaccato. Tra i suoi scritti ricorderemo: La
Sardegna e i principi reali d’Italia,
carme, 1862; Italia. Storia di un amore,
1872; I bagni, 1873; Amor normale,
1876; Storia di una colonia spontanea
in Sardegna, ‘‘Avvenire di Sardegna’’,
marzo-maggio 1889.
Arborea Comune della provincia di
Oristano, sede della XVI Comunità
montana, con 3999 abitanti (al 2004),
posto a 7 m sul livello del mare in una
fetta costiera della pianura campidanese a sud di Oristano. Regione storica: Campidano di Simaxis. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio si estende
per 115,50 km2. Ha forma grosso modo
rettangolare e confina a nord con
Santa Giusta, a est con Marrubiu e Terralba, a sud con gli stagni di Marceddı̀ e
San Giovanni, a ovest col Mare di Sardegna, che in questo tratto si addentra
nel golfo di Oristano. Si tratta di un
lembo di pianura costituita da depositi
alluvionali accumulatisi nel tempo su
una piattaforma d’argilla; per larga
parte è occupato dalle coltivazioni, sol-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 224
Arborea
tanto lungo le strade e nella fascia costiera si trovano gruppi di alberi, soprattutto eucalipti e pini, impiantati
al momento della bonifica. Le comunicazioni sono assicurate dalla statale
126, che nel dirigersi da Oristano verso
Guspini e Iglesias tocca il centro abitato; dalla vicina superstrada ‘‘Carlo
Felice’’ e, in misura minore, dalla ferrovia Cagliari-Chilivani, che tocca il vicino centro di Marrubiu, nonché dal
porto industriale di Oristano.
Arborea – Lo stemma dei giudici di Oristano,
con il caratteristico albero diradicato, ha qui
una citazione dalla Carta de Logu.
& STORIA Le origini di A. sono identificabili negli anni in cui, a partire dal
1919, fu costituita la Società Bonifiche
Sarde con lo scopo di bonificare il vasto
comprensorio che si stendeva a sud di
Oristano tra Marrubiu e Terralba, tutto
occupato dalla palude detta di Sassu.
Questa importante impresa in pochi
anni di intenso lavoro portò a termine
una grande opera di bonifica idraulica
e di trasformazione fondiaria che culminò con la colonizzazione dei territori ottenuti. Accertato che le acque
stagnanti provenivano dal rio Mogoro,
che scorre a sud del monte Arci, si
provvide a imbrigliarle con una diga e
a farle confluire nello stagno di San
Giovanni, comunicante col mare. Questi lavori, iniziati nel 1931, furono completati nel 1933; una volta che l’afflusso
delle acque era stato fermato, rimaneva da prosciugare la palude di
Sassu; a questo si provvide facendo
confluire con una serie di canali le acque stagnanti in una idrovora che le
pompava gettandole nel mare: ai 6000
ha già emersi se ne aggiunsero cosı̀ altri 3000 ha, portando a 9000 ha il totale
di quelli sottratti alle acque. Per mandare avanti questi lavori, progettati
dall’ingegner Giulio Dolcetta, furono
superate innumerevoli difficoltà, tra
le quali l’incombere della malaria,
che infieriva soprattutto sui tecnici e i
lavoratori provenienti dalla penisola.
Intanto, mentre si definivano le strade
e i poderi, venivano impiantati numerosi filari di eucaliptus destinati a riparare le colture dai venti provenienti
dal mare. Una volta costruite le abitazioni per i contadini, ebbe subito inizio
la coltivazione del granoturco, dell’erba medica, del tabacco, del riso,
del pomodoro. La grande iniziativa
rientrava alla perfezione nel piano di
bonifiche volute dal regime fascista,
cosı̀ che quando, il 31 dicembre 1931,
venne costituito il nuovo comune autonomo cui doveva fare capo questa
grande area agraria, gli fu dato il
nome di Mussolinia. Alla creazione
217
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 225
Arborea
del nuovo comune si era opposto
quello di Terralba, che perdeva cosı̀
una parte del suo territorio, ma le decisioni del governo furono applicate
ugualmente. L’abitato era concepito
con edifici progettati secondo un moderno schema urbanistico e al centro
di una rete di fattorie collegate da un’adeguata rete di strade e di stalle razionali per lo sviluppo di allevamenti di
bovini. Fu popolato con coloni provenienti prevalentemente dal Veneto e si
sviluppò rapidamente, imponendosi
come esempio di quanto si sarebbe potuto fare con le bonifiche. Nel 1944
prese il nome attuale e nel 1948 il comune definı̀ i confini del proprio territorio con quello di Terralba. Nel 1974
entrò a far parte della provincia di Oristano.
Arborea – Altra versione dello stemma dei
giudici d’Arborea. Da notare al centro l’albero
diradicato.
& ECONOMIA La fiorente economia è
basata sul funzionamento di poco
meno di 300 fattorie agrarie, cui fanno
capo da un minimo di 18 ha a un massimo di 30 ha di superficie agraria. Le
attività principali sono l’allevamento
del bestiame, che si basa su un patrimonio di diverse migliaia di capi vaccini ben selezionati; bestiame che vive
all’interno delle stalle, ed è alimentato
con foraggi e mangimi prodotti per
buona parte in proprio. Vengono poi le
colture orticole, tra le quali spiccano le
fragole e le angurie, che vengono commercializzate in tutto il territorio della
regione. Non ultime la coltivazione del
riso e della vite, e la produzione di
vino. Questa avviene nella Cantina sociale di Marrubiu, mentre sul territorio di A. si trovano altri consorzi per la
conservazione e la commercializzazione dei prodotti, in particolare una
latteria-caseificio molto attiva. A. è
per buona parte della Sardegna punto
di riferimento per il commercio delle
attrezzature e i prodotti in genere per
l’agricoltura; mentre la vivacità dell’economia locale ha condotto alla trasformazione di una originaria Cassa
Rurale Artigianale in una vera e propria banca di A.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 3943 unità,
di cui stranieri 5; maschi 1964; femmine 1979; famiglie 1078. La tendenza
complessiva rivelava una sostanziale
stabilità con morti per anno 19 e nati
25; cancellati dall’anagrafe 57 e nuovi
iscritti 51. Tra gli indicatori economici:
depositi bancari 31 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 17 071 in migliaia di lire; versamenti ICI 975;
aziende agricole 351; imprese commerciali 151; esercizi pubblici 21; esercizi
al dettaglio 51; ambulanti 5. Tra gli indicatori sociali: occupati 1403; disoccupati 81; inoccupati 147; laureati 56;
diplomati 437; con licenza media 1227;
con licenza elementare 1267; analfabeti 39; automezzi circolanti 1657; abbonamenti TV 898.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il sito
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 226
Arborea
archeologicamente più significativo è
S’Ungroni, una necropoli punica individuata nel 1930 nell’omonima località
durante i lavori per la bonifica. Gli
scavi hanno restituito molto materiale
tra cui ceramica di vario tipo, in particolare un vaso con la sagoma di un busto di fanciulla di età ellenistica, monete e chicchi di collane in pasta vitrea. Questi e altri materiali, già raccolti in alcune vetrine, visibili nei locali del Comune, sono ora conservati
nel MUB, Museo storico Comunale Bonifica di Arborea, inaugurato nel 2005
all’interno di un vecchio mulino intelligentemente restaurato.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’elemento più importante del patrimonio culturale è rappresentato dal centro storico, che si è
sviluppato secondo uno schema urbanistico pianificato in conformità delle
esigenze che il procedere della bonifica poneva. Il complesso è un esempio
di razionalità e distingue A. dalla maggior parte degli altri centri abitati
della Sardegna, anche perché è costituito prevalentemente dagli edifici destinati alla vita pubblica, mentre le abitazioni non si trovano, come di solito,
nelle vicinanze, ma sparse in tutto il
territorio. La strada principale si affaccia sulla grande piazza centrale –
l’elemento caratteristico di A. – dedicata a Maria Ausiliatrice e tenuta a
giardino, sulla quale sono disposte
molte costruzioni in stile liberty e in
stile neogotico di notevole eleganza.
Gli edifici più significativi sono quelli
delle scuole, della chiesa parrocchiale
e del Municipio nel quale è ospitata la
Biblioteca comunale. Percorrendo le
strade che tagliano con reticolato regolare l’ampio territorio si può osservare
il fervore delle attività agricole e si può
accedere alle fattorie, molte delle
quali vendono direttamente i loro pro-
dotti. La parte costiera è caratterizzata
da una lunga fascia sabbiosa, frequentata durante l’estate, a ridosso della
quale si stende una bella pineta. A
breve distanza un albergo, che è allo
stesso tempo un centro ippico, attira
in grande numero gli appassionati del
cavallo.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni popolari del piccolo centro
sono consegnate ad alcune feste popolari di notevole richiamo e di grande
significato; la più importante e la più
nota è certamente quella del Cristo Redentore, il patrono, che si festeggia
nella terza domenica di luglio. La festa
si riallaccia alla più autentica tradizione della fondazione di A. negli anni
della bonifica. I festeggiamenti durano
alcuni giorni e vedono il concorso di
gruppi in costume provenienti dall’Oristanese; le manifestazioni religiose
si alternano a quelle civili e tra queste
la più nota è la sagra delle angurie. Altra festa caratteristica è la sagra della
polenta che si svolge nella prima domenica di dicembre; istituita nel 1982,
vuole ricordare le origini venete dei
primi abitanti e culmina nella distribuzione in piazza di polenta cucinata secondo le ricette tradizionali venete. Altre feste popolari da ricordare sono
quelle di San Giovanni Bosco l’ultima
domenica di gennaio; la festa di Maria
Ausiliatrice che si tiene la domenica
più vicina al 24 maggio e infine il Corpus Domini che si festeggia tra maggio
e giugno. La maggior parte di queste
ricorrenze sono l’occasione per l’esposizione e la vendita dei prodotti e delle
merci legati all’agricoltura, dalle macchine agricole ai fertilizzanti, dal bestiame selezionato alle fragole.
Arborea, giudicato di Giudicato situato nella parte centro-occidentale
dell’isola, si formò come stato indipendente attorno al secolo X. Si sviluppava
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 227
Arborea
su un territorio di circa 4500 km2 per
un terzo pianeggiante e per il resto collinare e montuoso. Originariamente
era suddiviso in 15 curatorie: 1. Il Campidano Maggiore, con una superficie
stimata di 329 km2, costituiva il cuore
del giudicato. Si affacciava sul golfo di
Oristano: il suo territorio pianeggiante, fertile e densamente popolato,
confinava a nord con il Campidano di
Milis e a sud con quello di Simaxis.
Comprendeva la città di Oristano, capitale dello stato, e i villaggi di Baratili,
Boaczi, Cabras, Donigala, Fenoni, Fenughedu, Gippa, Massama, Nuracabra,
Nurachi, Nuraxinieddu, Petreveurra,
Piscopiu, Riola, San Giovanni di Sinis,
Siamaggiore, Sinipale, Sinuski, Solanas, Solarussa, Villalonga, Zeddiani,
Zerfaliu. 2. Il Campidano di Milis, con
una superficie stimata di 258 km2, si
stendeva a nord del Campidano Maggiore su un territorio prevalentemente
collinare dall’agricoltura molto sviluppata. Comprendeva i villaggi di Bauladu, Bonarcado, Barigadu, Calargia,
Milis e Mili Piccinnu, Narbolia, San
Vero Milis, Segassus, Seneghe, Solli,
Spinalba, Tramatza, Urasanna, Vesala
e Zippiriu. 3. Il Campidano di Simaxis,
con una superficie stimata di 262 km2,
si stendeva su un territorio pianeggiante e fertile a sud del Campidano
Maggiore; comprendeva i villaggi di
Bangios, Crabilis, Ollasta Simaxis, Palmas Arborea, Palmas de Ponte, Pani
Bonu, Santa Giusta, San Vero Congius,
Siamanna, Siapiccia, Silı̀, Simaxis, Simaxis Jossu, Simaxis di San Viuliano,
Villaurbana. 4. Il Bonorcili, con una superficie stimata di 279 km2, comprendeva un territorio molto fertile e dall’economia sviluppata, che si stendeva a
sud del Campidano di Simaxis con i villaggi di Arcidano Parvo, Arcidano Magno, Bonorcili, Marrubiu, Taverna,
Terralba, Uras, Zuradili. 5. Il Mon-
reale, con una superficie stimata di
749 km2, era la più estesa delle curatorie; si stendeva ai confini con il giudicato di Cagliari e comprendeva un territorio prevalentemente montuoso,
con i villaggi di Arbus, Cansella, Fluminimaggiore, Gonnosfanadiga, Guspini,
Monreale, Funtana Fenugu, Gulzi, Pabillonis, San Gavino Monreale, Sardara, Serru, Uta Passaris, Villa Atzei,
Villa Jaca. 6. La Marmilla, con una superficie stimata di 294 km2, si sviluppava su un territorio posto in posizione
strategica per l’accesso alle zone interne e ottimo per la produzione dei
cereali. Comprendeva i villaggi di Atzeni, Baradili, Baressa, Barumini, Cilixia, Genuri, Gesturi, Las Plassas, Lunamatrona, Mara Arbarei, Pauli Arbarei, Setzu, Siddi, Sini, Sitzamus, Tuili,
Turri, Ussaramanna, Ussarella, Villanovaforru, Villanovafranca. 7. Parte
Usellus, con una superficie stimata di
121 km2, si stendeva tra il Campidano
di Simaxis e la Marmilla su un territorio fertile e adatto alla coltivazione del
grano. Comprendeva i villaggi di Ales,
Bannari, Barumela, Curcuris, Escovedu, Funtana Figus, Gonnosnò, Ollasta, Pau, Usellus, Zeppara. 8. Il Parte
Montis, con una superficie stimata di
184 km2, comprendeva un territorio
collinare e densamente popolato situato tra il Bonorcili e il confine orientale del giudicato. Comprendeva i villaggi di Almos, Cracargia, Forru, Gemussi, Gozula, Gonnoscodina, Gonnostramatza, Margini, Masullas, Mogoro,
Morgongiori, Pardu, Pompu, Sedis de
Monte, Serzela, Simala, Siris, Tamis,
Terralba de Monte. 9. Il Parte Valenza,
con una superficie stimata di 356 km2,
si stendeva su un territorio prevalentemente montuoso posto a nord del Parte
Usellus, ai confini con la Barbagia.
Comprendeva i villaggi di Assolo,
Asuni, Coni Valenza, Fluminadu, Ge-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 228
Arborea
nades, Genoni, Isili, Laconi, Mogorella, Nurallao, Nuragus, Nureci, Orvinas, Ruinas, Sebollus, Senis, Villa Sant’Antonio. 10. Il Parte Barigadu, con
una superficie stimata di 298 km2, si
stendeva su un territorio montuoso situato alla destra del Tirso. Comprendeva i villaggi di Allai, Ardauli, Barbagiana, Bidonı̀, Busachi, Fordongianus,
Loddu, Moddamene, Montesanto
Josso, Neoneli, Nughedu Santa Vittoria, Sorradile, Sorrai, Ula Tirso, Villanova Truschedu. 11. Il Guilcier, con
una superficie stimata di 348 km2, si
stendeva su un territorio situato sulla
riva sinistra del Tirso. Comprendeva i
villaggi di Abbasanta, Aidomaggiore,
Boele, Boroneddu, Borzacheri, Domusnovas Canales, Ghilarza, Guilcer, Lestinghedu, Lighei, Norbello, Nordai,
Orena, Paulilatino, Ruinas, Sedilo,
Serla, Soddı̀, Suci, Tadasuni, Urri,
Ustedu, Zuri. 12. L’incontrada di Austis, con una superficie stimata di 114
km2, si stendeva su un territorio montuoso posto a nord del Parte Barigadu e
comprendeva i villaggi di Austis, Teti e
Tiana. 13. La Barbagia di Belvı̀, con
una superficie stimata di 211 km2, era
la più meridionale delle curatorie barbaricine e comprendeva i villaggi di
Aritzo, Belvı̀, Gadoni e Meana Sardo.
14. Il Mandrolisai, con una superficie
stimata di 339 km2, si stendeva su un
territorio montuoso posto a sud dell’incontrada di Austis e comprendeva i villaggi di Atzara, Desulo, Leonissa, Mandra Olisai, Ortueri, Samugheo, Sorgono, Spasulé. 15. La Barbagia di Ollolai, con una superficie stimata di 345
km2, si sviluppava su un territorio montagnoso posto ai confini del giudicato
di Torres e comprendeva i villaggi di
Crapedda, Fonni, Gavoi, Lodine, Mamoiada, Oleri, Ollolai, Olzai, Orrui,
Ovodda e Sarule.
Nel tempo, a queste curatorie, che co-
stituivano il nucleo tradizionale del
giudicato, se ne aggiunsero altre che i
giudici riuscirono a togliere al giudicato di Torres a partire dalla seconda
metà del secolo XIII. 1. Il Costavall, con
una superficie stimata di 518 km2 su un
territorio montuoso ai confini del Logudoro, venne acquistato nel 1308 dai
Malaspina. Comprendeva i villaggi di
Abriu, Bonorva, Campu de Locu, Coniato, Cote, Donnicaia, Frabicas, Monticleta, Rebeccu, Sagantia, Sanctu Simeon, Semestene, Terchiddu, Trullas
e Valles. 2. La Planargia, con una superficie stimata di 296 km2, si stendeva
su un territorio montagnoso posto a
nord del Montiferru; fu anch’essa acquistata dai Malaspina nel 1308. Comprendeva la città di Bosa e i villaggi di
Flussio, Modolo, Magomadas, Montresta, Nuraghe de Triganu, Salamatter,
Sindia, Sagama, Suni, Tinnura, Tresnuraghes. 3. Il Montiferru, con una superficie stimata di 296 km2 posti su un
territorio montuoso, fu acquistata a
metà del secolo XIII dopo l’estinzione
della dinastia giudicale di Torres.
Comprendeva i villaggi di Corrichina,
Cuglieri, Pittinuri, Sancta Vittoria,
Santu Lussurgiu, Scano di Montiferro,
Semura, Sennariolo, Settefontane, Silanus, Verro. 4. Il Goceano, con una superficie stimata di 430 km2 situati in
territorio montuoso ai confini meridionali del giudicato di Torres, fu annessa
agli inizi del secolo XIV. Comprendeva
i villaggi di Anela, Benetutti, Bono,
Borticoro, Bottidda, Bultei, Bulterine,
Burgos, Esporlatu, Illorai, Lorthia,
Nule, Usolvisi. 5. Il Marghine, con una
superficie stimata di 475 km2, comprendeva il territorio dominato dall’omonima catena di monti; fu annessa a
metà del secolo XIII dopo l’estinzione
della dinastia giudicale di Torres.
Comprendeva i villaggi di Birori, Bolotana, Bortigali, Borore, Dualchi, Gitil,
221
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 229
Arborio Mella di Sant’Elia
Lei, Lorisa, Macomer, Mulargia, Noragugume, Penna, Sanche, Sangiuliano,
Sauccu. 6. Il Montacuto, con una superficie stimata di 1735 km2 posti su un
territorio prevalentemente montagnoso, si stendeva fino ai confini del
giudicato di Gallura; fu annessa agli
inizi del secolo XIV dopo una lunga
lotta con i Doria. Comprendeva i villaggi di Alà dei Sardi, Ariscoblas, Bacuri, Balamune, Balanotti, Bantine,
Berchidda, Berchiddedu, Bidducara,
Biduvé, Bisarcio, Buddusò, Butule, Castra, Gatema, Golomeri, Ittireddu, Lerrono, Lexanis, Montis, Nughedu San
Nicolò, Nule, Nulvara, Orveis, Oschiri,
Osidda, Otti, Ozieri, Padru, Pattada,
Pira Domestica, Tula, Urra, Urvei. 7.
La Barbagia di Bitti, con una superficie stimata di 416 km2 posti su un territorio montuoso e non molto popolato,
fu acquisita nel secolo XIV e comprendeva i villaggi di Bitti, Dure, Gorofai,
Longu, Nuruli, Onanı̀ e Orune. 8. Il
Dore, con una superficie stimata di
906 km2, anch’essa posta su un territorio montagnoso e poco popolato, fu acquistata nel secolo XIV. Comprendeva i
villaggi di Cologone, Goltodolfe, Locole, Nuoro, Oddini, Oniferi, Orani, Orgosolo, Orotelli, Ottana e Sarule. Questi acquisti raddoppiarono praticamente la superficie del giudicato. Nel
primo periodo della sua esistenza la
capitale fu Tharros, in seguito Oristano
(Aristané), situata all’interno, lungo la
strada che univa Carales a Turris Lybisonis. Il giudicato nel corso dei secoli
fu governato da tre dinastie: i Lacon
Zori, che cominciano a essere conosciuti nel secolo XI e che si estinsero
agli inizi del secolo XII; i Lacon Serra,
che regnarono dal 1112 alla fine del secolo XII; i Bas Serra, che regnarono
ininterrottamente fino alla fine del secolo XIV; nell’ultimo confuso periodo
sul trono giudicale furono posti Fede-
rico e Mariano V Doria, nati dal matrimonio di Eleonora d’Arborea e Brancaleone, e Guglielmo III di Narbona.
Il giudicato cessò di esistere dopo la
battaglia di Sanluri nel 1410, quando
Leonardo Cubello rinunciò ai propri
diritti e accettò l’investitura del marchesato di Oristano.
Alberto Arborio Mella di Sant’Elia – Il prelato
sassarese fu cameriere segreto partecipante di
quattro papi. Raccolse in un libro le sue
memorie.
Arborio Mella di Sant’Elia, Alberto
Dignitario pontificio (Sassari 1880Roma 1953). Nato in una nobile famiglia sassarese, si laureò in Legge e s’avviò alla professione di avvocato nello
studio dell’avvocato Giovanni Zirolia.
Toccato dalla vocazione religiosa, studiò a Roma Filosofia e Teologia nell’Accademia dei Nobili ecclesiastici.
Ordinato sacerdote, nel 1912 fu chiamato alla Corte pontificia in qualità di
cameriere segreto partecipante. Inizia
cosı̀ un’esperienza che lo porterà –
222
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 230
Arbus
come capo del cerimoniale vaticano – a
conoscere e servire quattro pontefici e
che raccoglierà nel libro di memorie
autobiografiche Istantanee inedite degli ultimi quattro Papi, apparso postumo nel 1956. Quasi negli stessi anni
suo fratello Luigi occupava un’uguale
carica presso Casa Savoia. Lo stesso
Arborio Mella racconta, nel suo libro,
che una volta trovò Pio X che, con in
mano ‘‘La Tribuna’’ di Roma, gli chiese
se quell’altro Arborio che figurava, in
abito da gran cerimonia, in una foto del
giornale fosse suo parente. Arborio
Mella gli rispose che sı̀, che era suo fratello, e che faceva al Quirinale lo stesso
‘‘lavoro’’ che lui faceva in Vaticano. Allora il papa gli chiese che stipendio
prendesse lui, Alberto, e sentita la risposta disse sorridendo: «Con quei
sghei Suo fratello non si compra manco
i cilindri!».
naro alla stessa Corona in occasione
della spedizione di Gonsalvo di Cordova per la conquista del Napoletano
agli inizi del Cinquecento. Per sostenere la politica del re egli cedette anche tutti i diritti che aveva sulle saline
e per questi motivi, nel 1504, ebbe
come ricompensa la concessione in
feudo dell’Incontrada di Austis. Nel
1512 acquistò anche il feudo di Olmedo; alla sua morte, nel 1525, il feudo
fu ereditato da sua figlia Filippa, moglie di Diego De Sena, che ebbe una vita
lunghissima: morı̀ nel 1585, lasciando
Olmedo al figlio Francesco, anche lui
governatore di Sassari.
Arborio Mella di Sant’Elia, Luigi Cerimoniere del re, senatore del Regno
(Sassari 1873-Buenos Aires 1955). Vittorio Emanuele III lo nominò gran
maestro delle cerimonie di corte. Condusse una splendida vita tra la corte e
la sua elegante villa di Las Tronas ad
Alghero dove riceveva i reali (in particolare le principesse Maria e Giovanna), quando venivano in Sardegna,
spesso per battute di caccia al cinghiale. Nel 1939 fu creato senatore del
Regno. Dopo l’instaurazione della Repubblica e l’esilio di Umberto II emigrò in Argentina.
Arbosich Famiglia valenzana (sec. XV).
Trasferitasi in Sardegna, si stabilı̀ ad
Alghero dove aveva ottenuto l’appalto
ereditario per la riscossione delle gabelle del sale. Nel corso degli anni raggiunse una considerevole condizione
economica, specialmente con Matteo,
un uomo d’affari che aveva accumulato
un considerevole patrimonio. Egli fu in
grado di prestare ingenti somme di de-
Arbus – Veduta del centro abitato.
Arbus Comune della provincia del Medio Campidano, compreso nella XVIII
Comunità montana, con 6890 abitanti
(al 2004), posto a 331 m sul livello del
mare, in una conca formata dai rilievi
che si stendono a nord del massiccio
del Linas. Regione storica: Monreale.
Diocesi di Ales-Terralba.
& TERRITORIO Il territorio, esteso per
267,16 km2, si allunga in direzione da
nord a sud e confina a nord col mare
aperto, il golfo di Oristano e lo stagno
di Marceddı̀; a est con Guspini, a sud
con Gonnosfanadiga e Fluminimaggiore, mentre a ovest si affaccia sul
Mare di Sardegna con una costa lunga
ben 47 km. Si tratta di una superficie
ricoperta quasi per intero da monti e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 231
Arbus
colline che spesso nascondono filoni di
minerale; la loro altezza si riduce solo
a tratti nella fascia costiera e nella
parte settentrionale, dove si trovano la
frazione di Sant’Antonio di Santadi e il
poligono militare di capo Frasca. In alcuni tratti si conserva il manto boschivo originario, mentre una grande
parte del territorio, specie nella fascia
costiera, è ricoperta di macchia mediterranea. Una delle cime maggiori è
l’Arcuentu, 785 m, a nord dell’abitato,
caratterizzato da una bizzarra conformazione del profilo superiore. Il paese
è servito dalla statale 126, che si dirige
da Oristano verso Iglesias e dalla quale
si distaccano in questo punto una deviazione per Gonnosfanadiga e una che
raggiunge la costa.
Arbus – Litorale nei pressi di Marina di Arbus.
& STORIA L’attuale centro ha origini
medioevali; probabilmente fu fondato
nella seconda metà del secolo XIV; era
compreso nel giudicato d’Arborea e faceva parte della curatoria di Monreale.
Caduto il giudicato, A. unitamente a
tutto il Monreale fu incluso nel Regnum Sardiniae e fu occupato dalle
truppe di Berengario Bertran Carroz,
anche se il re poco prima di morire lo
aveva concesso in feudo a Garcia de
Ferrera. Berengario, approfittando
della situazione confusa seguita alla
morte di Martino il Giovane, non ritirò
le sue truppe e non consegnò il feudo al
Ferrera, che peraltro morı̀ poco dopo.
Il territorio divenne cosı̀ oggetto delle
contese tra il Bertran Carroz, che continuava a occuparlo, e Leonardo Cubello, che nel 1416 sembrò poterne entrare in possesso; nella contesa entrarono anche i Carroz d’Arborea, ma il re
nel 1421 preferı̀ infeudarlo a Raimondo Guglielmo di Moncada ai cui discendenti fu confiscato nel 1454 per essere venduto all’asta. Dopo alcune altre peripezie A. e il restante territorio
del Monreale furono acquistati nel
1464 da Pietro di Besalù con soldi prestatigli dal suocero, il conte di Quirra.
Egli non fu poi in grado di restituirli
per cui, dopo la morte del conte, si
fece avanti suo cognato, Dalmazio Carroz d’Arborea, che aveva sposato Violante Bertran Carroz, erede della contea di Quirra: con il pretesto di difendere gli interessi di sua moglie gli tolse
quasi tutto il territorio e cosı̀ A. entrò a
far parte della contea di Quirra. Morta
Violante nel 1511, il villaggio passò
quindi ai Centelles; i nuovi feudatari
fecero amministrare il Monreale da
un loro apparato burocratico e vi svilupparono un sistema di esazione fiscale piuttosto gravoso. Portarono a
termine la costruzione della chiesa
parrocchiale. I Centelles si estinsero
nel 1676 lasciando eredi i Borgia, la
cui successione fu contestata dai Catalan che, dopo una lunga lite, riuscirono
nel 1726 a venire in possesso dell’immenso feudo. Frattanto A. si era notevolmente sviluppato e si avviava a divenire uno dei maggiori centri della
produzione del grano: nel corso del se-
224
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 232
Arbus
colo XVIII il suo vidazzone fu sfruttato
intensamente. La sua lunga vicenda
feudale si andava esaurendo: dopo
che nel 1771 vi fu costituito il Consiglio
comunitativo, nel 1798 passò dai Catalan agli Osorio. Nel 1821 A. fu incluso
nella provincia di Iglesias e nel 1839 si
liberò finalmente dalla dipendenza
feudale; con la ‘‘fusione perfetta’’ la
provincia di Iglesias fu abolita e il villaggio fu incluso nella divisione amministrativa di Cagliari. Nel 1859 entrò a
far parte della ricostituita provincia di
Cagliari. Di questo periodo sono le notizie registrate da Vittorio Angius: «È
questo paese di figura allungata, posto
sopra una bassa collina, avendo dalla
parte dell’austro a poca distanza alcune piccole eminenze, altrove dei
monti di mediocre altezza. Il clima e
l’aria è ottima: il freddo tollerabile,
come il caldo: vi nevica di rado, vi
piove però con frequenza, poche volte
soffresi l’ingombro della nebbia, e temesi degli effetti dell’elettricità. Il numero delle case va a 670. Vi si esercitano varie arti meccaniche, e vi sono in
opera circa 600 telai per tele di varie
qualità, e panno forese [orbace], di cui
si fa grande smercio nei paesi vicini. Vi
è una scuola normale, dove concorrono
da 25 fanciulli. Si ha dai registri che
l’ordinario numero dei matrimoni sia
circa di 30; delle nascite 105; delle
morti 40. La vita si produce anche oltre
il settantesimo anno, e alcuni toccano
il secolo. La malattia più frequente è la
pleurisia. Le famiglie sono in numero
di 666; le anime 2762. Si suol seminare
di grano starelli cagl. 3000 (litr. 147,600)
che rende il 20 e 25 per uno nelle annate propizie. Si semina a proporzione
orzo, fave, e civaje [legumi in genere].
Oltre la cultura dei cereali si attende a
quella degli alberi fruttiferi: vi sono
già alcuni giardini d’agrumi ben tenuti, e che prosperano maravigliosa-
mente, e ne crescerà senza dubbio il
numero. I peri, noci, fichi, susini, albicocchi, peschi, e molte altre specie in
n. 25 rendono più amene le tenute. Gli
olivi vi prosperano come nei siti più a
loro natura conformi. Le vigne vengono felicemente, e uve di moltissime
qualità distinguonsi nei filari. La pastorizia coltiva le seguenti specie: pecore n. 4000, capre 5000, porci 800, vacche 2400, tori 600, buoi 1000, cavalle
800, cavalli domiti 300, e un piccol numero di giumenti». Nel corso del secolo XIX l’economia di A. si modificò
radicalmente; infatti vi si svilupparono notevoli attività minerarie, come
quelle di Ingurtosu e Montevecchio
(che fa capo al vicino comune di Guspini) e interessanti attività agricole.
Tra queste vanno ricordate l’azienda
agraria di Bidderdı̀, estesa per 5600
ha, creata dalla Ingurtosu; suddivisa
in poderi, fu affidata ad alcune famiglie bolognesi. La produzione del vino
Apollinaris e l’esportazione del sughero affiancarono l’attività mineraria. Nel corso della seconda metà del
secolo XX l’attività mineraria, entrata
precedentemente in crisi, scomparve
completamente modificando in modo
radicale l’assetto sociale e la cultura
di A. Da alcuni decenni il villaggio
punta sull’artigianato e sullo sviluppo
del turismo nella fascia costiera per rilanciare il proprio ruolo.
& ECONOMIA Era un tempo basata su
una intensa attività mineraria che
però oramai è cessata; ad essa si sono
sostituiti il turismo, che sfrutta le bellezze naturali del territorio, mentre l’agricoltura e la pastorizia vanno riprendendo il loro antico ruolo e il commercio conserva una relativa importanza.
Artigianato. A. era un antico centro di
produzione dell’orbace; questa tradizione è attualmente tenuta viva dall’opera di qualche donna che lo tesse a
225
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 233
Arbus
casa; il villaggio è anche rinomato per
la produzione dei coltelli tenuta viva
dall’attività di abili artigiani.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 7247 unità,
di cui stranieri 4; maschi 3600; femmine 3647; famiglie 2785. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
con morti per anno 81 e nati 40; cancellati dall’anagrafe 133 e nuovi iscritti 83.
Tra i principali indicatori economici:
imponibile medio IRPEF 15 115 in migliaia di lire; versamenti ICI 4217;
aziende agricole 572; imprese commerciali 314; esercizi pubblici 47; esercizi
all’ingrosso 3; esercizi al dettaglio 120;
ambulanti 9. Tra gli indicatori sociali:
occupati 1629; disoccupati 222; inoccupati 826; laureati 90; diplomati 754; con
licenza media 2439; con licenza elementare 2356; analfabeti 226; automezzi circolanti 2483; abbonamenti
TV 1954.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu popolato con continuità fin
dall’epoca nuragica, come dimostrano
i resti di alcuni nuraghi: Frucca, Is Cabis, Maccioni, Perdas Albas, Pranu,
Priogosu. Sono però individuabili anche numerosi siti punici e romani; in
epoca tardoimperiale vi sorgeva la miniera di Barbaxia che finı̀ per dare il
nome a una regione che si stendeva
fino a Fluminimaggiore e nella quale
furono deportati i Mauri africani.
Tracce di abitati più recenti, probabilmente medioevali, si trovano a Bidda
Erdi e a Bidda Sciatta. Di questo
grande patrimonio sono in particolare
da considerare la Tomba di giganti di
Bruncu Espis, situata in località Funtanazza; risalente al Nuragico finale,
fu però utilizzata anche successivamente, almeno fino al secolo V a.C. Ha
una facciata disposta su un fronte rettilineo che la distingue rispetto alle altre tombe, all’interno la galleria ha pa-
reti fortemente aggettanti. Altro monumento significativo è il Tempio punico
di capo Frasca, individuato nel 1967. Si
tratta di un sacello costruito con blocchi di arenaria, a pianta rettangolare,
lungo 12 m e largo 10 m; gli scavi hanno
restituito ceramiche di età punica e
monete. Il suo rinvenimento ha riacceso in parte la discussione sull’ubicazione del tempio del Sardus Pater che
la maggior parte degli studiosi ha individuato in quello di Antas. Suggestiva è
anche la villa romana marittima di
S’Angiargia, del secolo II d.C., situata
nell’omonima località della marina di
A. Scavata a partire dal 1980, presenta
un impianto incentrato su un portico
longitudinale che distingue alcuni ambienti di servizio dalla zona delle
terme, di cui rimane il frigidarium con
due vasche e il pavimento a mosaico
con motivi quadrangolari a foglie di
melograno.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE I monumenti più significativi del centro urbano sono le
chiese sedi delle due parrocchie. La
parrocchia storica si trova nella chiesa
di San Sebastiano, costruita nel corso
del secolo XVI e ristrutturata in forme
barocche entro la metà del XVII. È a
una sola navata sulla quale si affacciano alcune cappelle laterali che comunicano tra loro con archi. Al suo interno è conservata una croce in ottone
proveniente dal villaggio distrutto di
Serru i cui abitanti furono trucidati
nel 1611 nel corso di un’incursione di
corsari barbareschi; di notevole effetto
sono anche i decori marmorei del secolo XVIII quali la balaustra del presbiterio, opera dello Spiazzi, e il fonte
battesimale. La chiesa è ricca anche di
statue e di dipinti del Seicento e del
Settecento e conserva un piccolo tesoro di argenterie sacre. Sede dell’altra parrocchia è la chiesa della Beata
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 234
Arbus
Vergine Maria Regina, costruita nel
1970 da Antonio Zurrida; ha un impianto a unica navata e conserva al
suo interno alcune opere d’arte di artisti contemporanei. Altro monumento
significativo è il santuario della Vergine d’Itria che sorge in località Salto
Idda. Fu costruito nel 1650, sui resti di
un precedente edificio del Cinquecento, e in seguito subı̀ alcuni restauri
che si protrassero nel 1719 e nei decenni successivi; l’interno è a una sola
navata e conserva una statua del secolo
XIX. L’esterno è abbellito da un loggiato e accanto alla chiesa sorgono
due ambienti che ospitano gli obrieri
che organizzano la festa annuale. Al
centro del paese si trova anche il Museo del coltello, collocato in un’antica
casa padronale del centro storico e articolato in quattro sale; vi sono esposti
coltelli antichi e i prodotti dei migliori
artigiani attuali, mentre una sala ricostruisce il laboratorio del coltellinaio;
in questa è esposto un coltello lungo
più di 3 m e del peso di circa 80 kg, fino
a poco tempo fa il più grande del
mondo. La visita al museo, fondato dal
coltellinaio Paolo Pusceddu, è resa più
viva e interessante dal fatto che sorge
al fianco di un laboratorio nel quale si
producono tuttora coltelli. Elemento
caratteristico della cultura arburese
sono poi gli impianti dismessi delle
due grandi miniere di Montevecchio
(=) e di Ingurtosu (=) che sono attualmente divenuti di notevole importanza
per l’archeologia industriale. Quelli di
Montevecchio, situati a 7 km dal paese,
al centro di una vasta concessione mineraria, sono curati da una cooperativa di giovani e permettono di ricostruire tutti gli aspetti delle antiche lavorazioni e della vita dei minatori; oltre agli impianti, di particolare bellezza è il palazzo della direzione della
miniera che è diventato un centro mu-
seale e di attività culturale. Il complesso di Ingurtosu è costituito da un
villaggio con numerose costruzioni in
stile neogotico sviluppato lungo il pendio di un monte nella seconda metà
dell’Ottocento. Una qualche attrattiva
esercitano alcuni tratti di bosco che ricoprono ancora le zone montuose del
territorio; ma la maggiore attrattiva è
esercitata dalla lunga fascia costiera,
nella quale le scogliere si alternano
alle spiagge, mentre alcuni tratti sono
caratterizzati da distese di dune di
grande importanza naturalistica. Malgrado la presenza degli insediamenti
militari di capo Frasca e della colonia
penale di Is Arenas è stato possibile
dare vita per un lungo tratto alla cosiddetta Costa Verde, lungo la quale sono
sorti stabilimenti balneari e villaggi turistici.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni popolari rivivono in due feste: quella di San Sebastiano patrono si
tiene il 20 gennaio; è preceduta da tre
giorni di riti religiosi con la partecipazione corale dei vari rioni del paese
che predispongono ciascuno una catasta di legno collocandovi in cima un
ramo d’arancio; le cataste vengono accese contemporaneamente al tocco
dell’Ave mentre tra la folla dei presenti
si distribuiscono le arance; la giornata
si conclude con musiche e banchetti.
La festa di Sant’Antonio di Padova risale al 1760, si svolge il 13 giugno e
vuole probabilmente ricordare come
gli abitanti di un borgo scomparso,
Santadi, si rifugiassero ad A. portando
con sé una statua di Sant’Antonio. I festeggiamenti culminano in una processione che da A. si porta in località Sant’Antonio di Santadi, nelle campagne
di Guspini presso l’omonima chiesetta,
dove per giorni si svolgono riti religiosi
alternati a intrattenimenti e a musica e
balli. Altre manifestazioni minori sono
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 235
Arca
le feste della Beata Vergine d’Itria, che
si svolge la prima domenica dopo Pentecoste, e quella di San Lussorio, che si
tiene il 21 agosto.
Arca, Antoni Scrittore (n. Alghero
1956). Già negli anni dell’Università si
interessa della questione della lingua
e si appassiona alla storia locale. Ben
presto avvia assidui contatti con la cultura catalana d’oltremare partecipando a convegni, dibattiti e pubbliche
manifestazioni in tutti i paesi catalani
e, al contempo, organizzando analoghe
attività in Alghero e in Sardegna; oltre
a una intensa attività di traduttore dal
catalano all’italiano (Armangué, Arenas, Duarte, Martı́ i Pol, Martorell, Pla,
Sotorra, Vallverdú) e da altre lingue al
catalano (Cossu, Maraini, Masala). Ha
scritto poesie, canzoni, racconti e romanzi per poi approdare alla scrittura
per ragazzi e alla scrittura teatrale, lasciandosi guidare dalla motivazione
‘‘linguistica’’ del momento: molti suoi
libri sono per i bambini di Alghero, in
catalano; molti suoi testi teatrali sono
per il mercato sardo, in logudorese. Attualmente insegna Letteratura giovanile e Lingua catalana all’Università
di Sassari e i suoi saggi sono, necessariamente, in italiano. Ha all’attivo oltre un centinaio di titoli; ne ricordiamo
alcuni: Isabelleida, València 1991; Els
catalans no dormim mai, Tarragona
1992; Memòries d’un dia llarguı́ssim,
1993; Tres peces de teatre, 1993; Vedi,
voci, 1996; La Torre de l’Esperó, Barcellona 1996; Barceloneta, la història de
l’Alguer ensenyada als minyons, 1996;
Per una història del meu poble i de mi
mateix, Lleida 1998; Buc, Barcellona
2000; Bono d’Iknusa, Barcellona 2001;
Paris et ses femmes, Ajaccio 2002; El
ximple de Xina, Lleida 2002; Un genere
a parte, 2003; Sardegna, infanzia e letteratura oltre le sbarre, 2004; Fabulas. Per
una didattica della fiaba, 2005; Anima-
zione alla lettura. Teorie e tecniche,
2006; Alghero, città catalana d’Italia,
2006.
Arca, Giovanni Proto Nome sotto cui
viene tradizionalmente identificato
uno scrittore di storia sarda (Bitti
1562-Lodè 1599). Dopo aver iniziato a
studiare a Bitti, suo paese natale, entrò
come novizio nell’ordine dei Gesuiti e
completò gli studi a Cagliari. Di carattere difficile, sebbene fosse stato ordinato sacerdote nel 1592, fu trasferito a
Sassari. Poiché la sua insofferenza
sembrava ineliminabile, dopo una accurata e dolorosa istruttoria fu espulso
dalla Compagnia e tornò nel suo paese
natale, dove si dedicò con passione al
proprio ministero sacerdotale e agli
studi che prediligeva. Poco dopo divenne parroco di Lodé, ma il suo carattere lo rese protagonista di un nuovo
episodio di intemperanza per cui fu
sottoposto a processo. Secondo Raimondo Turtas, però, si tratta invece di
due personaggi distinti: 1. Proto Arca,
la cui opera principale sarebbe il De
bello et interitu marchionis Oristanei, di
recente edito a cura di Maria Teresa
Laneri; 2. Proto Giovanni Arca, originario di Bitti, che, battezzato con questi due nomi, li ridusse al solo Giovanni
quando, ordinato sacerdote, entrò
nella Compagnia di Gesù. Uscitone
dopo dieci anni, è autore dei tre libri
De Sanctis Sardiniae, pubblicato nel
1598, di un’opera De origine et fortitudine Barbaricinorum, edito nel 1972 a
cura di F. Alziator, e di diversi altri
studi ancora oggi inediti.
Arca, Pietro Funzionario, consigliere
regionale (n. Sorradile 1947). Funzionario della Camera di Commercio di
Oristano, impegnato fin da giovanissimo nella DC oristanese, nel 1981 ne
divenne segretario provinciale. Eletto
consigliere comunale DC di Oristano
nel 1985, è stato successivamente ri-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 236
Arcedda
confermato fino a oggi vivendo tutti i
travagli del suo partito. Dal 1990 al dicembre 1993 è stato sindaco della città,
guidando una coalizione di centro-sinistra; candidatosi al Consiglio regionale per la X legislatura non è stato
eletto, ma il 13 aprile del 1994 è subentrato ad Angelo Atzori nel collegio di
Oristano. Passato al CCD, non è stato
rieletto.
Arcais Marchesato (secc. XVII-XIX).
Costituito dalle peschiere di A. e dalle
rendite civili dei Campidani Maggiore,
di Milis e di Simaxis, fu creato nel 1767
per il mercante oristanese Damiano
Nurra (= Nurra3 ) e da lui trasmesso
per eredità al nipote Francesco Flores,
nato dal matrimonio di sua sorella Minecia con Giovanni Antonio Flores.
Arcari, Maria Paola Studiosa di storia
delle dottrine politiche (Friburgo 1907Roma 1967). Allieva di Giorgio Del Vecchio, si laureò a Roma nel 1930 e si dedicò con passione alla ricerca e all’insegnamento. Si pose in evidenza già
nei suoi primi lavori, che riguardarono
soprattutto i legami tra politica ed economia. In seguito cominciò a occuparsi
di Storia delle dottrine politiche ed
ebbe il primo incarico presso l’Università di Torino; nel 1939 fu chiamata a
insegnare Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Cagliari. Legatasi alla Sardegna, negli anni dell’immediato dopoguerra promosse lo
sviluppo delle Facoltà giuridiche di
cui, a partire dal 1947, fu ininterrottamente preside per vent’anni. Nello
stesso periodo si impegnò per ottenere
l’autonomia della Facoltà di Scienze
politiche. Tra i suoi scritti ricorderemo: I salari agricoli in Italia dal 1905
al 1933, in ‘‘Bollettino mensile di statistica agraria e forestale’’, 1934; Le elaborazioni della dottrina politica nazionale fra l’unità e l’intervento (18701914), 1934; Lineamenti di storia delle
dottrine economiche in rapporto all’idea
di stato, 1935; La Francia nell’opinione
pubblica italiana dal 1859 al 1870, 1939;
Storia delle dottrine politiche italiane,
1943; Il Quarantotto in Sardegna, in Il
’48 nella storia italiana ed europea, II,
1949; Sardegna, in Monografie regionali
della commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione, III, 1953; I
circoli viziosi dell’economia sarda,
‘‘Studi economico-giuridici’’, XIV,
1969.
Arce, Joaquı́n Italianista spagnolo (n.
Gijón 1932). Laureato in Filologia romanza si è dedicato all’insegnamento
universitario. È stato lettore di spagnolo presso l’Università di Bologna e,
dal 1950 al 1954, lettore a Cagliari e nel
1955 a Firenze. Tornato in Spagna, ha
insegnato italiano nell’Istituto commerciale di Madrid e successivamente
letteratura italiana presso l’Università
Complutense. Durante gli anni del soggiorno cagliaritano ha avviato uno studio profondo dei rapporti tra la cultura
spagnola e quella sarda, alle cui tematiche ha dedicato una parte considerevole della sua produzione. Tra i suoi
scritti: Presencia cultural de España en
Cerdeña, in ‘‘Alcalá Madrid’’, 1952; La
literatura Hispanica en Cerdeña, in ‘‘Archivium’’, VI, 1956; Inscripciones españolas inéditas del siglo XVIII en Cagliari
y su provincia, in Studi storici in onore
di F. Loddo Canepa, I, 1959; España en
Cerdeña. Aportaciones culturales y testimonios de su influjo, 1960 (tradotto nel
1982 da Luigi Spanu, La Spagna in Sardegna).
Arcedda Antico villaggio del giudicato
di Cagliari compreso nella curatoria
della Trexenta. Sorgeva nel territorio
dell’attuale Ortacesus. Quando nel
1257 il giudicato di Cagliari cessò di
esistere, A. nella divisione del 1258 fu
compresa nel terzo toccato ai conti di
Capraia e da loro passò al giudice d’Ar-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 237
Arcedi
borea. Il giudice Mariano II nel suo testamento (1295) lasciò il villaggio al Comune di Pisa, che però ne entrò in possesso solo nel 1300; da quel momento
passò sotto il diretto controllo di Pisa,
che ne sfruttò la produzione granaria.
Terminata la prima fase della conquista il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e fu concesso in feudo
a Guglielmo Serrani. Poco dopo però le
ostilità tra Pisa e Aragona ripresero:
con la pace del 1326 A. tornò a Pisa,
che lo tenne in feudo unitamente a
tutta la Trexenta. Negli anni che seguirono il villaggio fu amministrato con fiscale precisione dal Comune in un
clima politico di crescente tensione.
Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV fu occupato dalle
truppe giudicali, che lo tennero fino al
1409, e subı̀ gravi danni; tornato in possesso del re dal 1421 fu dato in amministrazione a Giacomo de Besora che dal
1436 lo ebbe in feudo. Con i discendenti
del De Besora la crisi di A. divenne
inarrestabile e nel corso del secolo XV
si spopolò e scomparve.
Arcedi Antico villaggio nelle campagne
di San Sperate. Era probabilmente di
origine romana: nel Medioevo faceva
parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Decimo.
Quando nel 1257 cessò di esistere il giudicato di Cagliari, nella divisione fatta
nel 1258 fu compreso nel terzo assegnato ai Della Gherardesca. In seguito
essi fecero una nuova divisione tra loro
e A. fu compreso nel sesto toccato ai figli del conte Gherardo del ramo dei
conti di Donoratico che, avendo giurato fedeltà al re d’Aragona, dopo la
conquista furono riconosciuti feudatari dell’intero territorio. Negli anni
che seguirono A. conobbe un periodo
di tranquillità e la sua comunità mantenne l’assetto che aveva avuto precedentemente alla conquista. Scoppiata
nel 1353 la prima guerra tra Mariano IV
e Pietro IV, fu sequestrato al conte Gherardo accusato di fellonia e subı̀ gravi
danni. Dopo il Parlamento del 1355 fu
dato in feudo a Gonario de Serra.
Quando nel 1365 riprese la guerra tra
Aragona e Arborea, il villaggio fu occupato dalle truppe giudicali e si spopolò
rapidamente, scomparendo prima
della fine del secolo.
Arcennor Antico villaggio del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Cabudabbas. Si trovava a poca
distanza dall’attuale abitato di Cossoine. Nel corso del secolo XII era entrato a far parte dei territori che i Doria
acquisirono in seguito ai matrimoni di
alcuni membri della loro famiglia con
principesse della dinastia giudicale.
Quando si estinse la dinastia giudicale
lo inclusero nel piccolo stato feudale
che avevano costituito nei loro possedimenti in Sardegna. Essi però nel
1323 si dichiararono vassalli del re d’Aragona per cui continuarono a tenere
A. come feudo del re d’Aragona. Il villaggio si ribellò nel 1325 e fu ripetutamente danneggiato dalla interminabile guerra. Spopolato, scomparve
prima della fine del secolo XIV.
Archelao, santo (in sardo, Santu Archelau, Santu Grillau) Santo (Forum
Traiani, sec. I-?, 100). Martire, nacque
a Forum Traiani, oggi Fordongianus,
da una famiglia pagana. Studiò a Carales, Cagliari, dove secondo la tradizione si sarebbe convertito. Ordinato
sacerdote dal vescovo Avendrace, annunciò il Vangelo nella sua città e
venne arrestato. Lapidato, dopo essere
stato torturato, il 29 agosto dell’anno
100, fu seppellito nella cripta della
chiesa di San Lussorio, a Fordongianus. Le sue reliquie rinvenute nel 1615
sono state traslate nel Duomo d’Oristano. «Sant’Archelao – secondo Salvatore Angelo Scintu (1873) – come sacer-
230
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 238
Archelao
dote e martire e come patrono della
diocesi d’Arborea era riconosciuto e
venerato anche prima dell’invenzione
del suo santo corpo e da tempo che eccede ogni memoria. Non esiste alcun
documento né tradizione che la diocesi
d’Arborea abbia venerato altro patrono tranne il sacerdote e martire
Sant’Archelao. In Fordongianus è ancora fresca e mai variata memoria che
prima dell’invenzione della sepoltura
del santo, ogni anno per la festa, che
pur come oggi si celebrava il 29 agosto,
si recava in Fordongianus un numero
di canonici del capitolo d’Oristano per
celebrarvi i vesperi e la messa solenne,
e che anzi una delle ragioni per cui
Fordongianus e gli altri comuni del circondario, dopo cinque giorni di resistenza, abbiano consentito al trasporto
in Oristano delle sante reliquie è stata
quella di risparmiare allo stesso capitolo il disagio e il pericolo di recarsi a
quel paese in stagione cosı̀ critica. La
festa di Sant’Archelao prima dell’invenzione e traslazione del santo corpo
si celebrava nel giorno del suo martirio
il 29 agosto: trovato il corpo, volendo
portare alla memoria dei posteri la
pomposa traslazione delle reliquie, si
fissò quel giorno che è l’11 febbraio per
la festa principale. Dopo sessantacinque anni, visto in pratica l’inconveniente, la festa principale si è restituita al giorno del martirio». «Archelao
– la nota è di Raimondo Zucca (1989) –
divenuto presbitero della Chiesa di Forum Traiani, testimoniò la propria
fede in un centro fondamentalmente
pagano, subendo il martirio mediante
lapidazione. La narrazione della sua
passio appare esclusivamente a partire
dal secolo XVII e più precisamente dal
1615, anno della inventio, ritrovamento, delle sue spoglie nella crypta
della chiesa di San Lussorio, sita al
margine della via a Turre Carales, a un
miglio romano a sud di Forum Traiani.
L’inventio del corpo del santo avvenne
nello stesso periodo in cui a Porto Torres, presso la basilica di San Gavino, e
a Cagliari, intorno alle chiese di San
Saturno e San Lucifero, i rispettivi vescovi avevano promosso ricerche archeologiche tese alla scoperta delle
spoglie dei martiri che si pensava fossero sepolti presso quelle antiche
chiese. La tomba del santo venne identificata sulla base dell’iscrizione sul lastrone trachitico della copertura: ‘‘Hic
iacet b.m. Archelaus presbiter obit
quarto Kalendas septembres’’. L’abbreviazione b.m., bona memoria, è diventata beatus martyr ed è stato aggiunto un anno, 100, scritto secondo la
numerazione araba prima ancora dell’introduzione in Europa della stessa
numerazione. Se effettivamente martire, Archelao poté patire il supplizio
non già sotto Traiano, epoca in cui Forum Traiani difficilmente poté avere
una comunità cristiana, bensı̀ durante
le persecuzioni del III o principio del
secolo IV (sotto Decio o ancor meglio
sotto Diocleziano), l’unico periodo per
il quale le testimonianze storiche ci documentano violente persecuzioni anche in Sardegna». Con la Madonna del
Rimedio è compatrono dell’archidiocesi d’Oristano. Ormai al passato remoto il carattere pagano della festa,
quando i malati si coricavano sulla
sua tomba, nella chiesa di San Lussorio, o si cospargevano con il fango formatosi sul pavimento per via dell’acqua penetrata durante l’inverno.
Fango ritenuto ottimo rimedio contro
tutti i mali. Scomparsi anche i riti dell’incubazione e del culto fallico. Una
scultura fallica si trova in una colonna
dell’abside all’esterno della chiesa.
[ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrono di Oristano.
231
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 239
Archeologia della Sardegna
Festa Si festeggia l’11 febbraio a Oristano, il 29 agosto a Fordongianus.
Archeologia della Sardegna Il concetto di a. quale scienza storica autonoma è abbastanza recente e vi si è arrivati con un processo di maturazione
che parte dalla seconda metà dell’Ottocento; in precedenza, a partire dal Rinascimento, l’a. era vista come una disciplina ausiliare della storia, della filologia e della storia dell’arte. L’interesse per l’antichità nasce in Italia nel
Quattrocento con scoperte occasionali
ma anche con ricerche intenzionali
che portano, per esempio, alla scoperta delle pitture della Domus Aurea
di Nerone.
& DAL CINQUECENTO AL SETTECENTO
In Sardegna la prima opera che mostra
attenzione per le vicende più antiche
dell’isola è il testo in latino, Sardiniae
brevis istoria et descriptio, scritto da Sigismondo Arquer per la Cosmographia
di Sebastian Münster edita a Basilea
nel 1550. L’Arquer, utilizzando le fonti
classiche, traccia la prima sintesi dei
dati concernenti le più antiche vicende dell’isola. Con questo autore si
ha, inoltre, la prima descrizione dei
nuraghi e l’individuazione della loro
funzione quali fortezze. L’opera dell’Arquer è poi ampliata da G. Francesco Fara con il De Rebus Sardois; anche
in questo testo ci si sofferma sui nuraghi, evidenziandone le caratteristiche
costruttive senza però esprimersi sulla
loro funzione (monumenti funebri o
torri). Nel Seicento gli studiosi (Dimas
Serpi, Miguel Carillo, Salvador Vidal,
Francesco De Vico, Giovanni Pintus)
si occupano dei nuraghi in modo limitato, soffermandosi soprattutto sui
temi dell’origine e della funzione di
questi edifici. Nel Settecento continuano i riferimenti storico-letterari
senza una precisa analisi critica. Appaiono però le prime rappresentazioni
grafiche per merito di G. Paolo Nurra e
di Francesco Cetti; quest’ultimo, in
particolare, ha rappresentato un nuraghe complesso nel quale si suole riconoscere il Santu Antine di Torralba.
& L’OTTOCENTO Ma è con l’Ottocento
che prende avvio l’a. in Sardegna;
dalla fase descrittiva del primo cinquantennio si passa ai primi scavi condotti con propositi scientifici. L’articolo I nuraghi, inserito da Vittorio Angius tra le voci del Dizionario storicogeografico del Casalis (1839), può essere considerato il primo studio di a.
nuragica. All’inizio dell’Ottocento l’attenzione per i nuraghi è presente anche in altri studiosi sardi e della penisola e soprattutto nella prestigiosa
opera di Alberto Lamarmora (1840).
Questo autore ha avuto il gran merito
di aver descritto con accuratezza e disegnato numerosi nuraghi e di averli
fatti conoscere alla letteratura archeologica internazionale. Il Lamarmora
ha analizzato e disegnato anche alcune
Tombe di giganti, le caratteristiche sepolture collettive delle genti nuragiche, e monumenti di epoca storica
come il teatro romano di Nora. A partire dalla metà dell’Ottocento si sviluppa la ricerca del primo vero archeologo sardo, il canonico Giovanni Spano.
È lui che esegue i primi scavi, evidenzia la stratigrafia dei depositi archeologici, inizia lo studio sistematico dei
reperti, arrivando a dare risposte critiche sui grandi temi della civiltà nuragica. Ciò avvenne, in particolare, dopo
la partecipazione dello stesso Spano al
Congresso internazionale di Preistoria
tenutosi a Bologna nel 1871. Per la sua
partecipazione a un congresso in cui si
discuteva dell’origine dell’uomo in
senso positivistico-evoluzionistico e
per la sua adesione ai concetti fondamentali espressi in quel congresso, lo
Spano si procura anche accuse di ere-
232
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 240
Archeologia della Sardegna
sia, ma imprime una svolta decisiva
alla ricerca archeologica in Sardegna.
Si devono allo Spano anche importanti
scoperte di materiali archeologici
come quelle dei lingotti egei di Serra
Ilixi-Nuragus e dei ripostigli di bronzi
figurati di età nuragica di Abini-Teti e
di Monte Arcosu-Uta. Tra i meriti dello
Spano va annoverata anche la creazione di due riviste: il Bullettino Archeologico Sardo e Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna. Opera fondamentale della fine dell’Ottocento è La
Sardegna prima del dominio romano di
Ettore Pais, in cui viene affermata una
netta distinzione tra civiltà nuragica e
civiltà fenicio-punica e riconosciuta
una civiltà paleosarda autonoma. Altri
contributi nello scorcio del secolo sono
quelli del padre Alberto Centurione
con le sue osservazioni di carattere
tecnico e topografico sui nuraghi, e soprattutto di Filippo Vivanet e di Filippo Nissardi, i quali avviano lo scavo
del nuraghe Losa di Abbasanta ed effettuano le prime esplorazioni nella
città di Nora scavando il tofet e le necropoli ipogeiche puniche. Ma l’Ottocento vede svilupparsi anche il grande
interesse per la città di Tharros: il promontorio di capo San Marco con le sue
ricche tombe ipogeiche puniche diventa oggetto, a metà del secolo, di un
sistematico saccheggio da parte di scavatori improvvisati. Il materiale è in
buona parte disperso in collezioni pubbliche e private e raggiunge anche
grandi musei stranieri quali il Louvre
e il British Museum. Di poco antecedenti e successivi all’opera di saccheggio sono i primi scavi sistematici a
opera dei funzionari del Museo di Cagliari (1844), del canonico Spano, del
Nissardi (1886-87), ispettore della Direzione degli scavi di Sardegna. L’Ottocento si caratterizza anche per lo sviluppo del collezionismo, che porta alla
costituzione di ricche raccolte di materiali preistorici e storici che confluiscono in seguito, per acquisto o donazioni, nel Museo di Cagliari. L’importante collezione Spano, ma anche altre
meno cospicue (Castagnino, Timon,
Caput, Cara, Vivanet) hanno permesso
il recupero di alcuni reperti di straordinaria importanza che sono ancora
oggi tra gli oggetti più significativi dell’esposizione museale cagliaritana.
& IL NOVECENTO Il secolo XX si apre
con un’opera di sintesi notevole, Monumenti primitivi della Sardegna di Giovanni Pinza. L’opera, del 1901, raccoglie i dati degli scavi e delle ricerche
effettuati fino ad allora in Sardegna,
ricorrendo per la prima volta anche all’ausilio delle immagini fotografiche;
valore essenziale dell’opera del Pinza
è quello di aver posto l’a. preistorica
sarda nel circuito della letteratura
scientifica nazionale e internazionale.
L’a. del Novecento è legata però al
nome di Antonio Taramelli, che dal
1903 al 1935 con indagini territoriali e
con scavi mirati fa conoscere un numero eccezionale di monumenti, tanto
che a tutt’oggi qualsiasi studio non può
prescindere dai suoi lavori. Giunto in
Sardegna dal 1902 come direttore incaricato e poi dal 1908 come direttore stabile del Museo archeologico di Cagliari
e degli Scavi e antichità della Sardegna, vi resta fino al 1933. La sua attenzione si è rivolta non solo ai nuraghi ma
anche ai monumenti e ai reperti di
epoca anteriore, anche se al suo nome
sono legate la scoperta e le prime indagini dei monumenti più significativi di
età nuragica: i nuraghi Palmavera di
Alghero, Lugherras di Paulilatino,
Santu Antine di Torralba, i villaggi di
Abini-Teti e Serucci-Gonnesa, il santuario di Santa Vittoria di Serri, i pozzi
sacri di Sant’Anastasia di Sardara e di
Predio Canopoli di Perfugas, per ci-
233
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 241
Archeologia della Sardegna
tarne solo alcuni. Al Taramelli si devono anche importanti scavi di ambito
punico e romano tra i quali quello di
180 ipogei della necropoli di Tuvixeddu a Cagliari. Il Taramelli si adopera per dare una sede prestigiosa ai
numerosi reperti che si erano andati
accumulando nella più importante
città dell’isola: nel 1904 venne inaugurato, in prossimità delle mura pisane e
della torre trecentesca di San Pancrazio, il Museo nazionale di Cagliari, progettato da Dionigi Scano. Proseguono
l’opera del Taramelli alcuni studiosi
di fama quali Doro Levi, che conduce
una serie di scavi sul villaggio nuragico
di Serra Orrios e nelle necropoli puniche di Olbia, e Salvatore Puglisi, al
quale si devono i primi scavi di ambito
preistorico in Gallura. Nel periodo dal
1933 al 1949 l’attività archeologica subisce un forte rallentamento. Dalla seconda metà del Novecento inizia una
nuova fase dell’a. in Sardegna, grazie
alla maggior tutela esercitata dallo
stato con la creazione di una Soprintendenza archeologica anche a Sassari
e all’ampliarsi del numero di cattedre
di a. negli Atenei sardi. Nel 1950, dopo
varie ricognizioni nell’isola, l’etruscologo Massimo Pallottino pubblica La
Sardegna nuragica, sintesi notevole
dei vari aspetti della società nuragica.
Dal 1937 opera Giovanni Lilliu, cui si
deve una serie consistente di scavi archeologici tra i quali spicca per ricchezza di dati forniti quello nel complesso di Su Nuraxi di Barumini. La
lunga attività di Lilliu tocca tutti i
campi della paletnologia sarda, in particolare quella nuragica, collegando
sempre le vicende della Sardegna con
quelle delle altre regioni del Mediterraneo ed evidenziando di volta in volta
le relazioni tra le culture sarde e
quelle extrainsulari. Il suo lavoro fondamentale è La civiltà dei Sardi, più
volte edita e aggiornata, in cui traccia
una sintesi della paletnologia sarda
dal Neolitico all’età dei nuraghi, ma
numerosissimi sono i suoi scritti sia di
carattere generale che su argomenti
specifici. Tra questi meritano menzione, in particolare, i volumi I nuraghi, torri preistoriche della Sardegna,
essenziale per la conoscenza dell’architettura nuragica, e Sculture della
Sardegna nuragica, in cui attraverso
un’attenta analisi stilistica delle figurine di bronzo viene fornito un quadro
della società nuragica. Ultimo grande
merito di Giovanni Lilliu è quello di
aver formato attraverso il suo insegnamento universitario, e in particolare
con la creazione della cattedra di Antichità Sarde, diverse generazioni di allievi che hanno operato e ancora conducono ricerche sia in ambito universitario sia presso le Soprintendenze
Archeologiche. Il Novecento vede anche il grande sviluppo delle ricerche e
dello studio delle testimonianze fenicio-puniche dell’isola. Dal 1956 al 1964
Gennaro Pesce, allora soprintendente
alle Antichità di Cagliari, riporta alla
luce parte dell’abitato e l’area del tofet
della città di Nora. Ma il grande impulso alla ricerca a Tharros e in altri
siti fenicio-punici è merito di Ferruccio Barreca, per lunghi anni soprintendente archeologo per le province di Cagliari e Oristano. Grazie anche alla
lunga collaborazione con l’Istituto per
la Civiltà fenicia e punica del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso
sono state effettuate approfondite indagini nel tofet di Tharros, nell’abitato,
nel tofet e nelle necropoli di Monte Sirai, nel tempio di Antas. Quale soprintendente per le province di Cagliari e
Oristano dal 1967, Barreca ha promosso, inoltre, numerose indagini in
contesti che vanno dal Neolitico antico
234
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 242
Archivi della Sardegna
sino all’Età medioevale. Gli anni compresi tra il 1957 e il 1968 sono caratterizzati anche da un’intensa attività di
tutela, conservazione, scavo archeologico, restauro nella città romana di
Turris Lybisonis, a opera del soprintendente Guglielmo Maetzke. Al suo successore alla guida della Soprintendenza sassarese, Ercole Contu, si deve
l’ampliamento e un nuovo ordinamento del Museo nazionale ‘‘G.A.
Sanna’’ (1973) di Sassari e numerosi
scavi, soprattutto di ambito preistorico, tra i quali spicca quello dell’altare megalitico di Monte d’Accoddi,
tra Sassari e Porto Torres. [LUISANNA
USAI]
Oggi l’attività nel campo dell’a. in Sardegna è affidata alle due Soprintendenze per i beni archeologici delle province di Cagliari e Oristano (Soprintendente Vincenzo Santoni) e delle province di Sassari e Nuoro (Soprintendente Francesco Nicosia, andato in
pensione nel 2006) e alle cattedre di a.
delle due Università di Cagliari e Sassari dove hanno insegnamento Simonetta Angiolillo, Annamaria Comella,
Carla Del Vais, Marco Giuman, Rossana Martorelli, Giuseppa Tanda, Giovanni Ugas (Cagliari), Piero Bartoloni,
Anna Depalmas, Maria Grazia Melis,
Alberto Moravetti, Giampiero Pianu,
Piergiorgio Spanu, Alessandro Teatini,
Barbara Wilkens (Sassari). Molti altri
studiosi, sardi e non sardi, si sono occupati dell’a. isolana. I loro nomi e la loro
opera sono ricordati sotto singole voci
nelle pagine di questa Enciclopedia.
l’opera di Santa Maria di Pisa. Quando
nel 1257 il giudicato cessò di esistere il
villaggio, nella divisione del 1258, fu
incluso nel terzo assegnato ai Visconti
e annesso al giudicato di Gallura.
Estinti i Visconti, fu amministrato direttamente da Pisa, che sfruttò le
grandi peschiere e le saline impiantate
nel suo territorio. Avviata la conquista
aragonese, il territorio fu investito
dalle operazioni militari e devastato
dalle truppe dell’ammiraglio Carroz;
cosı̀ A. entrò a far parte del Regnum
Sardiniae, ma i suoi abitanti continuarono a mantenere un atteggiamento
ostile nei confronti degli invasori. Il
villaggio subı̀ nuovi danni durante la
guerra tra Genova e Aragona e quando
nel 1353 scoppiò la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV si ribellò apertamente. Finita la guerra fu concesso
in feudo ai Dalmau che già possedevano una parte della curatoria, ma la
situazione non cambiò: quando la famiglia si estinse, nel 1362, il villaggio
era completamente spopolato.
Architano Parvo Antico villaggio di
probabili origini romane. Situato in
prossimità dell’abitato attuale di San
Nicolò d’Arcidano; nel Medioevo faceva parte del giudicato d’Arborea ed
era compreso nella curatoria del Bonorzuli. La sua popolazione diminuı̀
notevolmente a causa della peste del
1348; scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV, fu teatro delle operazioni militari e scomparve pochi
anni dopo.
Archiepiscopu Antico villaggio di ori-
Archivi della Sardegna La Sardegna è
gine altomedioevale nel giudicato di
Cagliari, compreso nella curatoria del
Colostrai. Aveva una certa importanza
perché probabilmente era il capoluogo
della curatoria; nel 1070 fu donato dal
giudice Orzocco all’arcivescovo di Cagliari, ma alla fine del secolo passò al-
ricca di materiali archivistici custoditi
in numerosi archivi pubblici e privati,
peraltro non tutti ordinati e accessibili. Si tratta di materiali prevalentemente posteriori al secolo XIV. I principali archivi sono:
Abbasanta: Archivio storico comunale,
235
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 243
Archivi della Sardegna
con documenti a partire dal secolo
XVIII; Archivio parrocchiale.
Aidomaggiore: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Albagiara: Archivio storico comunale.
Ales: Archivi della Curia e del Capitolo,
attualmente riordinati e aperti al pubblico; Archivio storico comunale, con
documenti dal secolo XIX e documenti
di Curcuris, Pau e Zeppara.
Allai: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Alghero: Archivio comunale; Archivio
della Curia arcivescovile; Archivio del
Capitolo metropolitano; Archivio Simon Guillot.
Arborea: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Arbus: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Ardauli: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Aritzo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Armungia: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Arzana: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Assemini: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Assolo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Asuni: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Atzara: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Austis: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Ballao: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Baradili: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Baratili San Pietro: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Baressa: Archivio storico comunale,
con anche i documenti del Comune di
Baradili; Archivio parrocchiale.
Bauladu: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Bidonı̀: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Berchidda: Archivio storico comunale;
Archivio dello scrittore Pietro Casu.
Bonarcado: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Boroneddu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Busachi: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Ula; Archivio
parrocchiale.
Bosa: Archivio comunale; Archivio del
Capitolo metropolitano.
Cabras: Archivio storico comunale, anche con documenti di Solanas; Archivio parrocchiale.
Cagliari: Archivio di Stato; Archivio
della Curia arcivescovile; Archivio del
Capitolo metropolitano; Archivio comunale; Archivio dell’Amministrazione provinciale; Archivio privato
Amat di San Filippo; Archivio dell’Arciconfraternita dei Genovesi; Archivio
dell’Arciconfraternita di Sant’Efisio;
Archivio dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza.
Carbonia: Archivio storico comunale.
Castelsardo: Archivio comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio
del Capitolo metropolitano.
Cuglieri: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Curcuris: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Desulo: Archivio Montanaru (pseudonimo del poeta Antioco Casula).
Fordongianus: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Ghilarza: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Boroneddu,
Norbello, Soddı̀, Zuri; Archivio parrocchiale.
Gonnoscodina: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Gonnosnò: Archivio storico comunale,
236
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 244
Archivi della Sardegna
anche con documenti di Figu e di Sini;
Archivio parrocchiale.
Gonnostramatza: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Iglesias: Archivio comunale; Archivio
della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano.
Isili: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Lanusei: Archivio comunale.
Laconi: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale; Archivio privato
Aymerich.
Mandas: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Marrubiu: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Masullas: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Pompu; Archivio parrocchiale.
Milis: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Mogorella: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Sant’Antonio
Ruinas; Archivio parrocchiale.
Mogoro: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Morgongiori: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Narbolia: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Neoneli: Archivio storico comunale,
con annesso Archivio della curia feudale; Archivio parrocchiale.
Norbello: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Domusnovas
Canales; Archivio parrocchiale.
Nughedu Santa Vittoria: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Nulvi: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Nuoro: Archivio di Stato; Archivio comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano.
Nurachi: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Nureci: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Nurri: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Oliena: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale; Archivio dei Gesuiti.
Ollastra: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Oristano: Archivio comunale, anche
con documenti di Donigala Fenughedu, Massama, Nuraxinieddu, Santa
Giusta, Silı̀; Archivio della Curia arcivescovile; Archivio del Capitolo metropolitano.
Osilo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Ozieri: Archivio storico comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio
del Capitolo metropolitano.
Palmas Arborea: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Pau: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Paulilatino: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Pompu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Riola Sardo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Ruinas: Archivio storico comunale, anche con documenti di Sant’Antonio
Ruinas; Archivio parrocchiale.
Samugheo: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Sanluri: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale; Archivio del castello Villasanta; Archivio del convento dei Cappuccini.
San Nicolò d’Arcidano: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Santa Giusta: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Santu Lussurgiu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
San Vero Milis: Archivio storico comu-
237
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 245
Archivio di Stato di Cagliari
nale, anche con documenti di Narbolia
e di Zeddiani; Archivio parrocchiale.
Sarroch: Archivio Manca di Villahermosa; Archivio parrocchiale.
Sassari: Archivio di Stato; Archivio comunale; Archivio della Curia arcivescovile; Archivio del Capitolo metropolitano; Archivio Ascione; Archivio
Garau; Archivio A. Segni.
Scano di Montiferro: Archivio storico
comunale; Archivio parrocchiale.
Sedilo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Seneghe: Archivio comunale, Archivio
Pili; Archivio parrocchiale.
Senis: Archivio storico comunale, anche con documenti di Assolo e di Nureci; Archivio parrocchiale.
Sennariolo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Senorbı̀: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Siamaggiore: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Siamanna: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Siapiccia e di
Villaurbana; Archivio parrocchiale.
Siapiccia: Archivio storico comunale.
Simala: Archivio storico comunale.
Simaxis: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Sini: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Siris: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Soddı̀: Archivio storico comunale, anche con documenti di Zuri; Archivio
parrocchiale.
Solarussa: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Siamaggiore;
Archivio parrocchiale.
Sorradile: Archivio storico comunale,
anche con documenti di Nughedu
Santa Vittoria; Archivio parrocchiale.
Suelli: Archivio parrocchiale; Archivio
Ruda di San Lorenzo.
Tadasuni: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Tempio Pausania: Archivio comunale;
Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano.
Terralba: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Tortolı̀: Archivio comunale, Archivio
della Curia vescovile.
Tramatza: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Tresnuraghes: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Ula Tirso: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Uras: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Usellus: Archivio storico comunale, anche con documenti di Escovedu e di Ollastra Usellus; Archivio parrocchiale.
Villacidro: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale; Archivio del
Seminario.
Villanova Truschedu: Archivio storico
comunale; Archivio parrocchiale.
Villa Sant’Antonio: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Villaurbana: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale.
Villa Verde: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Zeddiani: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Zerfaliu: Archivio storico comunale;
Archivio parrocchiale.
Archivio di Stato di Cagliari Archivio
erede di un’antica tradizione archivistica che rimanda a quando la città era
la capitale del Regnum Sardiniae. Le
prime notizie risalgono alla costituzione dell’Archivio Patrimoniale voluta da Filippo III nel 1618 come Archivio generale di tutti gli uffici patrimoniali del Regno e che raccolse i documenti dei più vecchi archivi a cominciare da quello del Razionale, istituito
nel 1332. Tra il 1755 e il 1763 prese il
238
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 246
Archivio di Stato di Nuoro
nome di Archivio Centrale e Generale
e si assunse il compito di raccogliere,
oltre che i documenti dei vecchi a., anche quelli correnti. Infine nel 1776, con
regio biglietto di Vittorio Amedeo III,
divenne Regio Archivio e fu ospitato
nell’edificio dell’ex convento di Santa
Croce dei Gesuiti. In esso furono conservati i documenti della cessata amministrazione spagnola, quelli relativi
all’amministrazione piemontese e i
provvedimenti normativi regi, viceregi
e delle altre autorità minori; inoltre
l’intendente generale vi depositò i documenti del periodo feudale. Nel 1846
si arricchı̀ ulteriormente perché vi
vennero depositati tutti i documenti
dell’Archivio Patrimoniale e quindi,
nel 1847, quelli relativi alle magistrature soppresse con la ‘‘fusione’’. Nasceva cosı̀ nel 1848 il suo nuovo assetto;
questo ingente patrimonio nel 1849 fu
spostato al piano terreno del Palazzo
regio, che però si rivelò inadeguato a
contenerlo convenientemente. Perciò
nel 1884 fu trasferito nella chiesa di
Santa Teresa (l’attuale Auditorium),
che venne appositamente adattata per
riceverlo e renderne possibile l’utilizzazione. Negli stessi anni fu avviata l’opera di riordino e di classificazione dei
documenti. Ciò fu possibile grazie all’opera di valenti archivisti tra i quali
vanno ricordati Gerolamo Azuni, che
compilò il primo elenco dei fondi; Giovanni e Ignazio Pillito, ai quali si deve
l’istituzione della scuola di paleografia. Nel 1902 Silvio Lippi, allora direttore dell’archivio, ne pubblicò l’inventario, ponendo a disposizione degli studiosi uno strumento di grande utilità.
Egli provvide inoltre a trasportare l’archivio dalla sede di Santa Teresa, dove
rimase fino al 1929, all’attuale palazzo
dell’archivio in via Sonnino. La sua
opera fu continuata da Raffaele di
Tucci e soprattutto da Francesco
Loddo Canepa: quest’ultimo ebbe il merito di salvare il patrimonio documentale dai bombardamenti e di provvedere, nel dopoguerra, alla ripresa dell’attività. Dopo il Loddo Canepa operarono alla guida dell’archivio apprezzati studiosi come Giovanni Todde e
Gabriella Olla Repetto. L’attuale direttrice è Marinella Ferrai Cocco Ortu.
L’archivio contiene importanti documenti: 333 pergamene, 202 940 documenti cartacei raccolti in più di 80 000
volumi di atti pubblici, deliberazioni,
pregoni, una biblioteca con 20 000 volumi e opuscoli. Attualmente il ricco
materiale documentario è ordinato in
fondi, i più importanti e interessanti
dei quali sono: 1. L’Antico Archivio Regio, che conserva i documenti più antichi relativi al periodo aragonese e spagnolo, riferiti a un arco di tempo che va
dal 1323 al 1717. Il materiale è disposto
per sezioni, regestato e catalogato. 2. Il
Regio Demanio, che comprende documenti riferibili al periodo che va dal
Cinquecento all’Ottocento. I documenti più interessanti riguardano le
scrivanie, i feudi e la Reale Udienza.
3. Archivio notarile, costituito dai documenti provenienti dalle Tappe di insinuazione della provincia di Cagliari e
relativi al periodo 1430-1869. 4. Archivio dei Catasti. 5. Corporazioni religiose
ed enti ecclesiastici. 6. Gli archivi delle
opere pie e degli Ospedali. 7. Le Miscellanee, che comprendono le Pergamene
(1300-1851) e gli statuti dei gremi. 8. Archivi di famiglie particolari e di privati
(Aymerich, Addis, Ballero, Cabras, Castoldi, Cossu Baylle, Floris, Gallini,
Manconi, Martini, Orrù, Sotgiu, Thorel
e molti altri).
Archivio di Stato di Nuoro Archivio
costituito tra il 1959 e il 1963, contiene
documenti provenienti da archivi di altre province relativi ai territori che furono inclusi nella provincia di Nuoro
239
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 247
Archivio di Stato di Oristano
quando fu costituita, nel 1927. Contiene anche i fondi dell’Archivio Notarile di Nuoro; i fondi degli uffici giudiziari; i fondi della prefettura, importanti per il primo quindicennio di vita
della cosiddetta ‘‘Provincia del Littorio’’; i fondi degli enti religiosi soppressi di Sennariolo, Bosa, Cuglieri,
Santu Lussurgiu; il fondo dell’Ufficio
del registro di Bosa; gli archivi della
famiglia Delitala di Orani; una raccolta di pergamene dal secolo XVI.
Archivio di Stato di Oristano Archivio
costituito nel 1974, quando fu ricostituita la provincia di Oristano; comprende i fondi provenienti dagli archivi notarili; il fondo della direzione
didattica; il fondo degli enti ecclesiastici soppressi; il fondo del Distretto
militare. Si tratta di un materiale non
molto consistente e in gran parte da
riordinare e classificare.
Archivio di Stato di Sassari Archivio
di antica origine. Ebbe vita travagliata,
infatti già nei secoli passati i documenti venivano riordinati e custoditi
in armadi, ma purtroppo buona parte
andò distrutta nel 1528, quando la città
fu saccheggiata dai francesi. In seguito
i documenti del Consiglio ripresero a
essere ordinati in appositi armadi, e
tra il 1684 e il 1687 venne compilato il
primo indice dei documenti custoditi
nell’Archivio del Comune. Nel secolo
successivo l’archivio continuò a svilupparsi presso il Comune; nel 1780, durante i moti della carestia, la Casa comunale fu invasa dai rivoltosi che ne
distrussero e dispersero una parte.
Nei decenni successivi si tentò di salvare ciò che restava e quando, nel 1834,
fu terminata la costruzione della
nuova Casa comunale, l’archivio vi fu
trasportato. I materiali rimasero in
una soffitta, ammonticchiati alla rinfusa, fino al 1878, quando fu inaugurato
Palazzo ducale. Nel 1879 Enrico Costa
intuı̀ l’importanza del Fondo antico
dell’Archivio, ma negli anni successivi
fu riordinato solo il Fondo moderno.
Finalmente nel 1895 lo stesso Costa
venne nominato archivista e iniziò l’opera di riordino e di catalogazione
delle carte che furono disposte in locali più idonei, e pubblicò anche un libro-inventario sui documenti conservati e la loro storia. Un ulteriore passo
fu fatto quando nel 1959 fu istituito l’A.
di S. di S. In esso confluirono, oltre che
i fondi storici del Comune, tutti i materiali provenienti da archivi di uffici
precedenti all’Unità e soppressi, ma
anche di quelli istituiti con la proclamazione del Regno d’Italia, nonché un
ingente fondo notarile, che conserva
documenti a partire dal secolo XVI. In
particolare sono da prendere in considerazione anche i fondi provenienti
dalla Reale Governazione relativi alla
giurisdizione civile e criminale dal
1667 al 1840; e inoltre il fondo storico
del Comune di Castelsardo; il fondo
reale di Alghero; il fondo delle giudicature di Alghero, Ploaghe, Porto Torres,
Villanova Monteleone; i fondi degli uffici giudiziari; i fondi degli enti religiosi soppressi di Alghero, Padria,
Ozieri, Pozzomaggiore; i fondi degli archivi privati delle famiglie Lavagna,
Manca di Mores e molti altri.
‘‘Archivio Sardo del Movimento Operaio Contadino e Autonomistico’’
Rivista fondata e diretta da Girolamo
Sotgiu a partire dal 1973; dopo la sua
scomparsa la pubblicazione è continuata a cura dell’Istituto di Ricerche
storico-politiche ‘‘Girolamo Sotgiu’’,
diretta da Bruno Anatra col titolo Archivio sardo di studi storici e sociali. Negli anni si è avvalsa della collaborazione di: Aldo Accardo, Marina Addis
Saba, Bruno Anatra, Francesco Artizzu, Paola Atzeni, Luigi Berlinguer,
Italo Birocchi, Manlio Brigaglia, Maria
240
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 248
Archivio storico del Comune di Cagliari
Rosa Cardia, Luciano Carta, Giovanna
Cerina, Mario Da Passano, Antonio Delogu, Lorenzo Del Piano, Maria Concetta Dentoni, Giuseppe Doneddu,
Francesco Floris, Federico Francioni,
Clara Gallini, Francesco Manconi, Raffaello Marchi, Luciano Marrocu, Antonello Mattone, Sandro Maxia, Guido
Melis, Costantino Murgia, Giovanni
Murgia, Claudio Natoli, Gian Giacomo
Ortu, Carlo Pillai, Paolo Pillonca, Stefano Pira, Giovanni Pirodda, Laura Pisano, Giampaolo Pisu, Giuseppe Puggioni, Maria Stella Rollandi, Anna
Saiu Deidda, Antonio Sanna, Piero
Sanna, Mirella Scarpa Senes, Renata
Serra, Giuseppe Serri, Carlino Sole,
Girolamo Sotgiu, Giovanni Todde, Eugenia Tognotti, Gianfranco Tore, Lucilla Trudu, Margherita Zaccagnini.
Archivio storico comunale di Sassari
Archivio comunale che conserva la documentazione storica cittadina sassarese. Quest’ultima è attualmente divisa in due grandi sezioni, Antica e Moderna, che rispecchiano con le dovute
eccezioni la partizione voluta alla fine
dell’Ottocento da Enrico Costa. Archivista del Comune di Sassari tra il 1895 e
il 1909, Enrico Costa ci ha anche lasciato una nitida fotografia delle traversie vissute dalle carte civiche. Alcune sono entrate nella memoria collettiva: per secoli, la città ha ricordato
la quema de los franceses, l’incendio appiccato dai francesi capeggiati da
Renzo Ursino nel 1528; anche la cosiddetta ‘‘rivolta del pane’’ del 1780 fu una
delle occasioni di massima dispersione dei documenti comunali, distrutti come emblema del potere dalla
folla affamata. Ma più di tutto pesarono la negligenza e il disinteresse dell’uomo, che lasciarono le carte civiche
in pasto ai ratti e preda degli agenti atmosferici. Si deve proprio all’opera di
Enrico Costa il recupero e il riordina-
mento del cosiddetto Archivio Antico
che abbracciava la documentazione
comunale dalle origini sino al 1848.
Nel corso del Novecento le aumentate
funzioni della macchina comunale e
l’assenza di una figura di assoluto prestigio come tutore della memoria della
città aprirono la strada a un lungo periodo di oblio per la documentazione
civica. Proprio per preservare la documentazione dalla dispersione e per garantirne un’idonea conservazione e valorizzazione, le carte della Sezione Antica vennero depositate nel 1969 presso
l’Archivio di Stato di Sassari. A partire
dal 2000 nell’ottica di un recupero
della memoria civica e della sua valorizzazione il Comune di Sassari ha
fatto rinascere il proprio Archivio Storico Comunale. Attualmente è ospitato
a Palazzo ducale, in attesa del trasferimento nella nuova sede ubicata nel palazzotto dell’ex Archivio Notarile. Custodisce la Sezione Moderna, con documenti a partire dal 1848, anno di promulgazione della legge istitutiva del
nuovo ordinamento comunale valido
per tutti i territori del Regno di Sardegna. Ogni ambito della vita cittadina
compresa tra la metà dell’Ottocento e
gli anni Sessanta del Novecento trova
eco in questo ricco patrimonio documentario, continuamente aggiornato.
La vita politico-istituzionale è testimoniata dai circa 400 volumi degli organi
deliberanti susseguitisi nel corso del
tempo al governo della città. A loro
volta, gli atti facenti parte del Carteggio
(oltre 5000 fascicoli) consentono di affrontare studi di storia urbana. L’Archivio si avvale anche di una ricca dotazione iconografica. Fanno parte dell’Archivio anche alcuni archivi aggregati di Opere Pie e istituzioni benefiche.
Archivio storico del Comune di Cagliari Archivio comunale. Conserva
241
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 249
Archivio storico sardo
un’ingente quantità di documenti da
quando, nel secolo XIV, fu costituito il
Comune. L’insieme dei documenti fu
custodito dapprima in cattedrale,
dove fino al Cinquecento il Consiglio
comunale si riuniva. Nel 1482 Ferdinando II ordinò che l’Archivio Comunale venisse riordinato, cosa che fu
possibile quando, nel corso del secolo
XVI, fu costruita la sede del Comune a
fianco della cattedrale. I documenti di
interesse storico riguardanti la vita
della città vi furono trasferiti ma rimasero accatastati alla rinfusa e, per
quanto a più riprese si fosse stabilito
di riordinarli, continuarono a giacere
nell’oblio. Nel 1782 finalmente Vittorio
Amedeo III istituı̀ l’ufficio di Archivista Civico, affidandone la direzione a
Giuseppe Corte, che ne diede una
prima sistemazione. Solo però nel
1896 Silvio Lippi, allora direttore dell’Archivio di Stato, portò a termine una
seconda e più razionale sistemazione.
Terminata la costruzione del nuovo Palazzo civico l’archivio fu sistemato in
via Roma, dove purtroppo fu danneggiato nei bombardamenti del 1943. Finita la guerra il materiale superstite fu
trasportato nel palazzo della Galleria
Comunale d’Arte, dove sotto la illuminata guida di Evandro Putzulu l’ingente materiale fu nuovamente riordinato e messo a disposizione degli studiosi; alla fine degli anni Novanta è
stato trasferito nei locali di via Koch.
Possiede un’ingente documentazione
relativa all’amministrazione della
città, al Consiglio generale, al Consiglio particolare, alle magistrature comunali. Contiene inoltre donazioni di
fondi documentali provenienti da privati, pergamene e collezioni di autografi di notevole valore.
‘‘Archivio storico sardo’’ Rivista fondata nel 1905 dalla Società storica
sarda, diventata dal 1935 l’organo della
Deputazione di Storia patria per la
Sardegna. Interruppe le pubblicazioni
a metà degli anni Sessanta a causa
della crisi della Deputazione, che per
anni fu gestita da un commissario. La
Deputazione fu ripristinata nel 1975 e
dal 1976 la rivista riprese a essere pubblicata. Strumento di grande utilità
per gli studi di storia della Sardegna,
ha avuto tra i suoi principali collaboratori: Ovidio Addis, Vincenzo Amat di
San Filippo, Antonio M. Aragò Cabanas, Luigi Arezio, Francesco Artizzu,
Carlo Aru, Osvaldo Baldacci, Enrico
Besta, Eusebio Birocchi, Raimondo
Bonu, Alberto Boscolo, Manlio Brigaglia, Luigi Bulferetti, Arnaldo Capra,
Francesco Cesare Casula, Raffaele
Ciasca, Rafael Conde y Delgado, Ercole Contu, Maria Corrias Corona,
Francesco Corridore, Pietro Maria
Cossu, Enrico Costa, Maria Mercedes
Costa Paretas, Luisa D’Arienzo, Sebastiano Deledda, Antonio Costanzo Deliperi, Lorenzo Del Piano, Vincenzo
Dessı̀, Raffaello Delogu, Raffaele Di
Tucci, Enrico Endrich, Antonio Era,
Luigi Falchi, Giulio Fara, Maria Luisa
Ferrarese Ceruti, Damiano Filia, Vittorio Finzi, Barbara Fois, Foiso Fois,
Francesco Giunta, Pier Enea Guarnerio, Aurea Javerre Mur, Alessandro
Lattes, Pier Silvestro Leicht, Alessandro Levi, Giovanni Lilliu, Caterina Limentani Virdis, Carlo Livi, Romualdo
Loddo, Francesco Loddo Canepa, Antonio Marongiu, Attilio Mastino, Josephina e Maria Dolores Mateu Ibars,
Antonello Mattone, Giuseppe Meloni,
Piero Meloni, Pietro Meloni Satta, Joachim Miret i Sans, Ugo Guido Mondolfo, Vico Mossa, Bacchisio R. Motzo,
Salvatore Naitza, Filippo Nissardi, Gabriella Olla Repetto, Tito Orrù, Ettore
Pais, Giovanni Patroni, Carlo Pillai,
Stefano Pira, Leonardo Pisano, Maria
Luisa Plaisant, Sebastiano Pola, Evan-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 250
Arciconfraternita dei Genovesi
dro Putzulu, Anna Saiu Deidda, Vicente Salavert i Roca, Ignazio Sanfilippo, Vincenzo Santoni, Olivetta
Schena, Francesca Segni Pulvirenti,
Renata Serra, Giuseppe Serri, Gioele
Solari, Ferran Soldevila, Carlino Sole,
Arrigo Solmi, Giancarlo Sorgia, Giovanna Sotgiu, Marco Tangheroni, Antonio Taramelli, Giovanni Todde, Gianni
Tore, Gianfranco Tore, Lucilla Trudu,
Raimondo Turtas, Federico Udina y
Martorell, Franco Venturi, Max Leopold Wagner, Ginevra Zanetti e Raimondo Zucca.
‘‘Archivio storico sardo di Sassari’’
Rivista culturale fondata nel 1975 a
Sassari dall’associazione Archivio storico sardo per iniziativa di Renato Pintus. Nel corso degli anni tra i suoi principali collaboratori sono stati: Giuliana Altea, Francesco Amadu, Pasquale Brandis, Luisa Coda, Antonio
Costanzo Deliperi, Attilio Mastino,
Vico Mossa, Dionigi Panedda, Wally
Paris, Renato Pintus, Geo Pistarino,
Massimo Pittau, Aldo Sari, Beppe Sechi Coppello, Giuseppina Tanda, Virgilio Tetti, Gianni Tore, Antonio Virdis,
Ginevra Zanetti.
Arciconfraternita dei Genovesi Sodalizio religioso chiamato ‘‘Arciconfraternita dei SS. MM. Giorgio e Caterina
dei Genovesi di Cagliari’’. Costituito a
Cagliari nel 1590 dai liguri che, per motivi di commercio, risiedevano nella
città, nacque come associazione laicale a scopo di culto, ma finı̀ poi per
essere l’organismo di tutela degli interessi della comunità ligure in Sardegna e in particolare a Cagliari. Inizialmente riunı̀ tutti i mercanti liguri o i
loro discendenti maschi, principalmente delle famiglie Ajraldo, Alciator,
Aschero, Astraldo, Beltrame, Bogliolo,
Cavassa, Conte, Divitia, Fenoglio, Fornari, Maglione, Martini, Moirano, Nater, Perossono, Piria, Prene, Regesta,
Seassaro, Solimano, Vione. Nel 1591 fu
riconosciuta da papa Gregorio XIV che
ne approvò gli statuti; era governata da
un Priore assistito da due guardiani,
eletti dalla Congregazione generale
dei soci col metodo dell’insaccolazione.
Gli eletti duravano in carica tre anni;
l’associazione finı̀ per diventare un
punto di riferimento anche politico
della comunità ligure e spesso fu in
conflitto con i gremi della città e con
lo stesso console di Genova. Nel 1599 i
confratelli decisero di costruire una
chiesa e di dedicarla ai Santi Giorgio e
Caterina; per raggiungere lo scopo organizzarono una colletta e con i fondi
raccolti acquistarono un’area lungo la
strada che dalla Marina portava in Castello. La costruzione della chiesa procedette lentamente: solo nel 1615 fu
portata a termine la sua struttura muraria; negli anni successivi fu arricchita con cappelle e arredi donati dalle
famiglie liguri più in vista. Finalmente
nel 1655 fu consacrata e aperta al culto.
Nel 1652 l’a. dei G. iniziò anche la costruzione dell’Ospedale ligure a fianco
della chiesa; nei secoli successivi la
vita del sodalizio continuò senza problemi. L’a. dei G. mantenne immutato
il suo carattere e, a partire dalla seconda metà del Settecento, entrarono
a farne parte alcune famiglie liguri che
si erano trasferite a Cagliari in tempi
più recenti. La chiesa fu abbellita con
opere d’arte e divenne uno dei punti di
riferimento della vita della città. Purtroppo nel 1943 fu bombardata e distrutta: solo alcune opere d’arte, gli arredi, gli argenti e i paramenti si salvarono. Con grande tenacia i confratelli
pensarono subito alla ricostruzione:
oggi il grande tempio che domina la
modernissima via Scano, divenuto ormai sede attuale dell’arciconfraternita, è il custode di una tradizione che
non tramonta.
243
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 251
Arciconfraternita di Sant’Efisio
Arciconfraternita di Sant’Efisio Sodalizio religioso costituito nel 1538 come
Confraternita di Sant’Efisio, nella
chiesa omonima, situata nel quartiere
di Stampace a Cagliari, con lo scopo di
curare il culto del santo. Nel 1618 con
bolla di Paolo V venne aggregato all’Arciconfraternita del Gonfalone della SS.
Vergine del Riscatto con sede in Roma,
che aveva il compito di raccogliere le
offerte per il riscatto degli schiavi, per
cui nella chiesa di Sant’Efisio fu introdotto il culto della Madonna del Riscatto. Il culto del santo e della Madonna veniva celebrato tutti gli anni;
dopo il voto della Municipalità di Cagliari del 1652, confermato nel 1656 per
la cessazione della peste, quello di
Sant’Efisio fu reso più solenne con l’organizzazione del pellegrinaggio della
statua del santo a Nora. Nel 1796 con
bolla di Pio VI la confraternita, in seguito al miracolo operato dal santo che
aveva difeso la città e l’isola dall’invasione francese del 1793, fu elevato ad
arciconfraternita e autorizzato ad aggregare altre Confraternite.
Arconte di Sardegna Nella burocrazia
dell’Impero bizantino il titolo di a.
venne attribuito ai governatori delle
province dell’Impero, ed equivaleva al
titolo romano di praeses o di judex. In
Sardegna venne conferito al comandante militare bizantino a partire dal
secolo VII. In un momento imprecisabile, quando cominciarono le incursioni arabe contro l’isola, comunque
entro il secolo VIII, essendo oramai divenuta la Sardegna una provincia periferica con problemi di governo eccezionali, l’a. cominciò a esercitare anche poteri civili. Nel secolo IX, quando
l’organizzazione dello stato giudicale
era ormai compiuta, il titolo venne riferito ai primi sovrani giudicali, la cui
potestà era estesa a tutta la Sardegna.
Arcu Antico villaggio del giudicato di
Cagliari, compreso nella curatoria di
Decimomannu. Sorgeva a nord dall’attuale abitato di San Sperate; era un
centro ricco e popoloso che nel 1089 fu
donato dal giudice Orzocco ai Vittorini
di Marsiglia. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione
del 1258 entrò a far parte del terzo toccato ai Della Gherardesca e quando alcuni anni dopo questi procedettero a
una nuova divisione tra loro fu assegnato ai discendenti del conte Gherardo. Presto cominciò a decadere, e
dopo il 1323 risultò completamente
spopolato.
Arcuentu Castello che sorgeva in cima
al monte omonimo in comune di Arbus.
La fortezza faceva parte del sistema difensivo che i giudici d’Arborea avevano sviluppato ai confini con il giudicato di Cagliari e aveva una funzione
prettamente difensiva. Nel 1164 lo sfortunato giudice Barisone I lo cedette,
assieme ad altri castelli, ai Genovesi
come garanzia del debito che aveva
contratto con loro per pagare all’imperatore Federico I Barbarossa la somma
che gli aveva richiesto per procedere
alla sua incoronazione come re di Sardegna. Rimasto in possesso dei Genovesi almeno fino al 1192, il castello
tornò nelle mani della famiglia giudicale; nei secoli successivi assolse a una
funzione strategica durante la guerra
tra Mariano IV e Pietro IV. Dopo la fine
della guerra fu abbandonato e andò in
rovina. Attualmente di tutto l’antico
complesso rimangono una cisterna e
una parte della cinta muraria, che melanconicamente testimoniano di una
passata grandezza.
Arculentu Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Colostrai. Sorgeva non lontano dall’abitato attuale di San Vito.
Quando nel 1257 il giudicato cessò di
esistere, nella divisione del 1258 A. fu
244
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 252
Ardali
incluso nel terzo assegnato ai Visconti
e annesso al giudicato di Gallura.
Estinti i Visconti, fu amministrato direttamente da Pisa. Avviata la conquista aragonese, il territorio fu investito
dalle operazioni militari e devastato
dalle truppe dell’ammiraglio Carroz.
Cosı̀ A. entrò a far parte del Regnum
Sardiniae, ma i suoi abitanti continuarono a mantenere un atteggiamento
ostile nei confronti degli invasori. Il
villaggio subı̀ forti danni durante la
guerra tra Genova e Aragona e, quando
nel 1353 scoppiò la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV, si ribellò apertamente. Finita la guerra fu concesso
in feudo ai Dalmau, che già possedevano una parte della curatoria, ma la
situazione non cambiò e quando la famiglia si estinse, nel 1362, il villaggio
scomparve.
Ardali Centro abitato della provincia
dell’Ogliastra, frazione di Triei (da cui
dista 3 km), con circa 100 abitanti, posto a 51 m sul livello del mare a valle del
suo capoluogo e di Baunei. Regione
storica: Ogliastra settentrionale. Diocesi di Lanusei.
& TERRITORIO Il territorio è collocato
in una posizione favorevole e riparata:
affacciato sull’ampia vallata del rio
Pramaera dalle ultime propaggini del
Supramonte di Baunei. È collegato soltanto attraverso una strada secondaria
che, distaccandosi dalla statale 125
Orientale sarda nei pressi di Baunei,
lo attraversa dopo aver toccato Triei, e
va quindi a ricongiungersi con la statale nei pressi di Lotzorai.
& STORIA Il villaggio ha origini medioevali; apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria
dell’Ogliastra; dopo la caduta del giudicato nel 1257, nella divisione del 1258
entrò a far parte dei territori assegnati
al giudicato di Gallura. Estinti i Visconti fu amministrato da funzionari
del Comune di Pisa; dopo la conquista
aragonese passò al Regnum Sardiniae
e nel 1324 fu concesso in feudo a Berengario Carroz. A causa della peste del
1348 i suoi abitanti cominciarono a diminuire; nel 1363 fu incluso nella contea di Quirra e, quando scoppiò la seconda guerra tra Aragona e Arborea, fu
occupato dalle truppe giudicali, che vi
si mantennero fino al 1409. Tornato in
possesso dei suoi antichi feudatari, nei
secoli successivi passò dai Bertran
Carroz ai Centelles. Cominciò allora a
decadere, anche perché, a causa del
vicino fiume difficile da guadare nei
mesi invernali, rimaneva completamente isolato; fu allora che gli abitanti
cominciarono a trasferirsi a Baunei. In
seguito dai Centelles passò ai Borgia e
successivamente ai Català e infine agli
Osorio, ai quali fu riscattato nel 1839.
Nel 1821 fu compreso nella provincia
di Lanusei e quando, nel 1848, questa
fu soppressa, entrò a far parte della divisione amministrativa di Nuoro come
frazione di Baunei; la sua popolazione
era oramai ridotta a poche decine di
abitanti. In questo periodo si colloca
l’importante testimonianza dello scrittore Vittorio Angius: «All’ostro-sirocco di Baunèi veggonsi le meschine
reliquie di questo già considerevol
paese. Ora è un piccol casale composto
di poveri tuguri mal costrutti, e dipendente da Baunèi. Siede sul piano ad
una temperatura calda anche d’inverno. Vi si patisce molto umido, ed è
frequente ingombro di crasse nebbie
esiziali. La popolazione numera circa
80 anime divise in 21 famiglie. In una
nota di censimento parrocchiale del
1805 si trovano inscritte solo 44 anime.
Gli è verso la metà del 1600, che li popolani di A., come è fama, troppo offesi
dalla cresciuta insalubrità dell’aria,
cominciarono a emigrare, ricoverandosi la maggior parte in Baunèi. A ri-
245
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 253
Ardara
durla a numero sempre minore concorrea la suddetta causa delle mortali intestine dissensioni. Non essendo allora alcuna forza nell’isola, la quale valesse a reprimere e spegnere la concitazione delle passioni, il furore cresceva con lo sfogo, una vendetta instigava all’altra, e vere guerre civili faceano svanire la popolazione, e desolavano i paesi. Avvi una piccola chiesa
sotto l’invocazione di s. Gioachino,
dove il viceparroco di Baunèi, se nol
vieta il fiume, suole portarsi nei dı̀ festivi a celebrare ed amministrare i sacramenti. La campagne di A. già aggregate all’agro baonese, sono amenissime, di forza stupenda nella vegetazione, e produttive di granaglie, vini e
pascolo. Vi potrebbe ancor maturare
qualche genere coloniale. Nella seminagione spandesi circa 100 starelli di
cereali e legumi, che si moltiplicano a
più che non meriterebbe la poca arte
che si adopera. Le vigne possono dare
circa 10 mila quartieri di vin generoso.
Il bestiame distinto nelle solite specie
di vacche, pecore e porci, è in piccol
numero, al quale se si aggiunga la
somma dei domestici, tori, majali, cavalli, vacche mannalite, e giumenti,
forse non otterrassi un totale di 1000
capi». Ricostituite nel 1859 le province, fu incluso nella provincia di Cagliari sempre come frazione di Baunei;
con la ricostituzione della provincia di
Nuoro, nel 1927 tornò a farne parte; nel
1960 fu staccato da Baunei e assegnato,
sempre come frazione, a Triei.
& ECONOMIA Le principali risorse
della sua economia sono l’agricoltura
e la pastorizia.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di nuraghi.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il principale monumento è la
chiesa di San Pietro, parrocchiale costruita nel corso del secolo XX in forme
architettoniche moderne; interessante anche la chiesa campestre di
Sant’Antonio che sorge a poca distanza
dall’abitato in località Mullò; si tratta
di un piccolo edificio mononavato costruito nel secolo XVI.
Ardara – La facciata della cattedrale
romanica di Santa Maria del Regno.
Ardara Comune della provincia di Sassari, compreso nella VI Comunità montana, con 832 abitanti (2004), posto a 296
m sul livello del mare, al bordo occidentale del pianoro conosciuto come
Campo di Ozieri. Regione storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri.
& TERRITORIO Il territorio, esteso per
38,07 km2, ha forma trapezoidale e confina a nord con Ploaghe e Chiaramonti,
a est con Ozieri, a sud con Mores, a
ovest con Siligo. Ha per la maggior
parte andamento pianeggiante, soltanto verso il lato occidentale presenta
alcuni piccoli rilievi; le cime maggiori
sono i monti Cheja, 410 m, e Binzana,
490. Il paese si trova a breve distanza
da due importanti vie di comunicazione, la ferrovia Sassari-Chilivani e
la superstrada Sassari-Olbia, ed è servito da una secondaria che, distaccandosi da quest’ultima, si dirama poi
verso Siligo, Mores e Chilivani.
& STORIA A. fu centro abitato in età
romana, appartenne poi al giudicato
di Torres e fece parte della curatoria
246
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 254
Ardara
detta di Oppia. Assunse una importanza notevole quando fu scelto, a partire da un certo periodo, come residenza dei giudici. Sembra che Giorgia,
sorella del giudice Comita I, agli inizi
del secolo XI vi abbia fatto costruire un
castello, essendo l’attuale Porto Torres
divenuta poco sicura a causa delle incursioni arabe. Più o meno nello stesso
periodo fu avviata la costruzione della
chiesa di Santa Maria del Regno che divenne cappella palatina; nei secoli
successivi il castello fu abbellito e divenne residenza abituale della famiglia giudicale, fino al tempo di Adelasia. Dopo la morte della giudicessa, il
villaggio cominciò a decadere e passò
con tutta la curatoria in mano ai Doria.
Nei primi decenni del secolo XIV il villaggio e il castello divennero uno dei
centri della loro strategia politica,
cosı̀ nel 1323, quando i Doria si consideravano ancora vassalli del re d’Aragona, entrarono a far parte del Regnum
Sardiniae; ma quando, poco tempo
dopo, si ribellarono, utilizzarono il castello come impianto strategico nel
corso delle loro guerre contro gli Aragonesi. Nel 1330 questi ultimi, guidati
da Raimondo Cardona, assalirono e
conquistarono il piccolo centro ma,
dopo tre anni, A. tornò in possesso dei
Doria. In particolare toccò a Damiano
Doria, che nel 1346 lo vendette al giudice d’Arborea; in seguito divenne teatro delle successive vicende della
guerra tra Aragona e Arborea fino alla
definitiva caduta del giudicato. Tornato nelle mani del re, il castello era
oramai in rovina e nel 1421 il villaggio
entrò a far parte del grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Nel 1442,
pressato da necessità finanziarie, il figlio vendette A., unitamente all’Oppia,
al mercante sassarese Franceschino
Saba. Rovinato finanziariamente, quest’ultimo non poté evitare nel 1455 il
sequestro del territorio che tornò al fisco. Durante la fase conclusiva della
guerra tra Leonardo Alagon e Nicolò
Carroz, nel 1477, poco prima della battaglia di Macomer, A. fu teatro di uno
scontro tra le truppe marchionali guidate da Artaldo Alagon e quelle reali,
che ebbero la meglio. Finita la guerra,
nel 1479 villaggio e curatoria furono
concessi a Giovanni Vilamarı̀, i cui discendenti, nel 1547, li vendettero ad
Antioco Virde. I nuovi feudatari vi promossero lo sviluppo dell’agricoltura e
dell’allevamento e riuscirono a conservare un buon rapporto con i vassalli;
estinti i Virde il feudo passò ai Manca.
Con questi ultimi la situazione di A.
cambiò: nel corso del secolo XVII il villaggio andò decadendo, la sua popolazione fu decimata dalla peste e fu male
amministrato da persone senza scrupoli che agivano per conto dei Manca.
Il comportamento di questi funzionari
accentuò il disagio della popolazione,
inoltre il villaggio fu gravemente colpito dalla peste del 1656 e si ridusse a
un insignificante villaggio con nemmeno 200 abitanti. Nel secolo XVIII il
suo rapporto con i feudatari si fece
sempre più teso e alla fine del secolo i
suoi abitanti presero parte ai moti antifeudali che culminarono nella distruzione del castello. Nel 1821 fu incluso
nella provincia di Ozieri e nel 1838 fu
finalmente riscattato ai Manca. Abolita
nel 1848 la provincia, il villaggio entrò
a far parte dapprima della divisione
amministrativa di Sassari e poi, nel
1859, dell’omonima provincia. Di quegli anni è la testimonianza di Vittorio
Angius: «L’aria passa per malsana; ma
certamente cosı̀ non era nei tempi antichi, quando vi sedevano i giudici; e non
lo sarebbe né anco al presente, se le
strade fossero selciate, e si desse lo
scolo alle acque, onde non istagnassero, se le sozzure delle case non si ver-
247
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 255
Ardara
sassero nel passaggio, se dall’orlo dell’abitato si togliessero tutti quei mucchi di letame. Sussistono 70 case; e vi
ha una sola strada principale trafficabile, perché posta sulla roccia. Le arti
praticate dagli abitanti sono l’agricoltura e la pastorizia; le donne lavorano
al telajo, ma in piccol numero. Si semina di più 100 starelli di orzo, 20 di
fave, 10 di lino, con minor quantità di
granone e civaje [legumi vari]. Spregiansi le patate, e si muore di fame. Il
terreno corrisponde l’otto per uno. La
vigna vi prospera: le uve sono di poche
ma buone qualità; quindi il vino riesce
buono. Vi sono tre spazi separati di
terra coperti da querce, soveri e da
qualche leccio: di queste selve ghiandifere la confinante all’Ozierese appellasi Tola e fa un corpo con la selva
di Mores. Nutronsi le solite specie di
bestiame, e sono in numero, le vacche
1000, che pascono nelle tanche; le pecore 5000, che errano per i pubblici pascoli; le capre 300; i porci 500; i cavalli
e cavalle 20. I pastori vivono per la
maggior parte dell’anno nelle loro capanne, in sos cuiles. I prodotti del bestiame si spacciano a Sassari. È da osservare che questo bestiame è degli
ozieresi, i quali avvassallati ad A. occupano la maggior parte del territorio».
& ECONOMIA Un tempo centro tradizionale di produzione di cereali e legumi – grazie anche alla natura del territorio – , A. vive oggi soprattutto dell’allevamento, che si basa su un consistente patrimonio zootecnico accresciutosi negli ultimi decenni anche
grazie al trasferimento di greggi e mandrie dal Goceano e dalla Barbagia. Il
latte viene conferito ai caseifici dei vicini paesi di Mores, Chiaramonti e
Thiesi.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 852 unità,
di cui stranieri 2; maschi 435; femmine
417; famiglie 313. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità con morti per anno 5 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 16 e nuovi iscritti
7. Tra i principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 342
in migliaia di lire; versamenti ICI 267;
aziende agricole 82; imprese commerciali 56; esercizi pubblici 8; esercizi al
dettaglio 22; ambulanti 1. Tra gli indicatori sociali: occupati 265; disoccupati 16; inoccupati 59; laureati 6; diplomati 67; con licenza media 240; con licenza elementare 281; analfabeti 18;
automezzi circolanti 340; abbonamenti
TV 199.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel
territorio si trovano numerose testimonianze della cultura nuragica, in particolare i nuraghi di Badde Austine,
Badde ’e Trudu, Canedis, Coloru, Congiari, Enas de Ruos, Figu Chia, Frusciu, Funtana Petralada, Mamusari,
Mannu, Mercuriu, Ozastru, Pedralada,
Pietro Cherchi, Pintadu, Pireda, Pittu,
Sa Idolza, S’Altiruta, Santedero, Su
Chercu, Terracados e alcune Tombe di
giganti. Di particolare interesse il nuraghe di Riu Runaghe, che si leva su
un’altura a breve distanza dal corso
d’acqua omonimo e dalla strada che
dal paese conduce verso Sassari; purtroppo è in rovina e per buona parte
interrato, ma a uno sguardo attento rivela un’interessante struttura complessa, probabilmente del tipo a due
torri con un cortile intermedio.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il monumento più importante,
che con la sua presenza ricorda l’illustre passato di A., è la chiesa di Santa
Maria del Regno, attualmente parrocchiale, che fu in età giudicale cappella
palatina della residenza che i giudici
di Torres avevano nel villaggio; fu costruita in forme romanico-lombarde,
utilizzando conci di basalto scuro, tra
248
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 256
Ardau
il 1065 e il 1107 da un architetto e da
maestranze che probabilmente venivano da Pisa. La chiesa è absidata e ha
tre navate scandite da colonne con basi
modanate e capitelli. La copertura
della navata centrale è lignea, quella
delle navate laterali a volta a crociera.
Il campanile, di pianta quadrata, è
mozzo ed è sormontato da una struttura a vela a due luci. All’interno si conservano tracce di affreschi del secolo
XII e si ha memoria che vi fossero custodite le tombe di molti dei giudici
turritani; vi si conserva anche un grandioso retablo posto dietro l’altare maggiore e dipinto nel 1515 da Giovanni
Muru e Martin Torube. Del passato giudicale sono anche i resti del castello
costruito come residenza dei giudici a
partire dal secolo XI; attualmente dell’intero complesso rimangono solo gli
avanzi di una torre ottagonale alta 12
m che doveva far parte di un complesso
di vaste proporzioni comprendente
vani di abitazione e ampi cortili. Dopo
l’estinzione della dinastia giudicale
l’edificio passò ai Doria e con la fine
delle guerre giudicali cominciò a decadere; nel secolo XVI Giovanni Francesco Fara lo considera ancora in discrete condizioni; in seguito la decadenza fu sempre più evidente anche
perché gli abitanti del villaggio lo utilizzarono come sito di estrazione di materiali adatti alla costruzione delle
loro belle case. Altro monumento è la
chiesa di San Pietro, che sorge su un
poggio alla periferia del villaggio; fu
edificata nella prima metà del secolo
XII in forme romaniche, crollò nel
1855 e fu ricostruita tra il 1909 e il
1910; ha un’unica navata absidata.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Ad A.
è attestata l’antica consuetudine degli
abitanti di dedicarsi ai balli e canti tradizionali, ma oggi se ne conserva solo
la memoria. Attualmente alcune di
queste tradizioni rivivono nelle feste
popolari, la più importante delle quali
è quella in onore di Nostra Signora del
Regno che si svolge il 9 maggio con una
serie di suggestivi riti nella chiesa
omonima e alcune manifestazioni folcloristiche. Altra festa è quella di San
Pietro che si svolge il 29 giugno.
Ardau, Giorgio Giurista (n. Cagliari
1914). Laureato a Roma nel 1936, subito
dopo si dedicò alla ricerca ed entrò
nella carriera universitaria; nel 1941
conseguı̀ la libera docenza in Diritto
del lavoro. In seguito divenne professore ordinario e insegnò in diverse
Università. Fu autore di pregevoli
scritti giuridici e collaboratore di numerose riviste scientifiche.
Ardau, Giuseppe Giornalista e scrittore (Cagliari 1893-Milano 1953). Si
fece notare giovanissimo con i suoi
primi lavori sui più disparati argomenti; a partire dal 1917, dopo Caporetto, fondò e diresse il periodico bisettimanale ‘‘Il popolo sardo’’, che per le
sue posizioni potrebbe essere definito
presardista e che uscı̀ fino al 1919 tra
mille difficoltà e ostilità di carattere
politico. In seguito aderı̀ al fascismo e
nel 1926 fondò e diresse la rivista ‘‘Fontana Viva’’, alla cui guida subentrò
Raffa Garzia. Poco dopo si trasferı̀ a
Milano, dove la sua opera di giornalista
e di scrittore, soprattutto di biografie
di personaggi storici e di letterati, gli
procurò rinomanza nazionale. Tra i
suoi scritti ricorderemo: Considerazioni generali sulla manutenzione delle
strade ordinarie, 1912; Brevi note sull’industria dei saponi, delle ossa, sulla
produzione degli olii nelle industrie
estrattive in Sardegna, 1921; Fra i quadri dell’Italia in marcia, 1928; L’eloquenza mussoliniana, 1929; Savonarola, dramma, 1932; Caterina dei Medici, dramma, 1933; Napoleonis Mater,
1936; Napoleone II, 1936; Francesco Cri-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 257
Ardau Cannas
spi, 1939; Vittorio Emanuele II e i suoi
tempi, voll. 2, 1939; Giuseppe Mazzini
apostolo d’Italianità, 1941; Carlo Pisacane, 1948.
Ardau Cannas, Battista Commediografo e incisore (Cagliari 1893-La Maddalena 1984). Singolare figura di intellettuale. Impiegato del telegrafo, da
autodidatta, nelle ore libere che il lavoro gli lasciava, prese a scrivere e a
dipingere con lo pseudonimo di BAC.
Come scrittore fu poeta di buon livello
e soprattutto autore di gustose commedie in sardo; si segnalò con le farse in
sassarese, Farendi in Turritana, rappresentata al Teatro civico di Sassari
nel 1917, della quale fu anche regista e
attore, e Candu lu diauru vi poni la
coda. Durante il periodo fascista fu costretto a scrivere in italiano commedie
e drammi piccolo-borghesi di non elevato livello, e collaborò con le riviste
‘‘Il Nuraghe’’ e ‘‘Fontana Viva’’. Nel secondo dopoguerra riprese con successo a scrivere in sassarese; di quegli
anni sono L’abagliu e La ruina. Fu più
volte premiato al concorso ‘‘Città di
Ozieri’’. Si dedicò anche alla pittura e
in particolare all’incisione, affermandosi a livello internazionale; ottenne
una medaglia d’oro alla mostra di
Roma nel 1932, un riconoscimento a
Varsavia nel 1936 e un premio alla mostra internazionale Post Office a Londra nel 1950.
Ardauli Comune della provincia di Oristano, compreso nella XV Comunità
montana, con 1091 abitanti (al 2004),
posto a 421 m sul livello del mare, sul
versante sinistro della vallata del Tirso
nel tratto occupato dal lago Omodeo.
Regione storica: Parte Barigadu. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio, esteso per
20,55 km2, ha forma grosso modo romboidale e confina a nord con Nughedu
Santa Vittoria e Sorradile, a est con
Neoneli, a sud con Ula Tirso, a ovest
con Ghilarza, lungo il lago. Si tratta di
una regione di colline, ultima parte
delle propaggini occidentali del massiccio del Gennargentu, che digrada a
tratti dolcemente a tratti bruscamente
verso la valle; con alcune parti molto
impervie, altre più praticabili che in
passato sono state sfruttate dagli agricoltori. Il paese è attraversato da una
strada secondaria che, distaccandosi
dalla statale 388 Oristano-Sorgono,
scende sino alla Ghilarza-Nughedu
Santa Vittoria nel punto in cui ha inizio
il grande ponte di Tadasuni sul lago.
& STORIA L’attuale abitato è di origine
medioevale, faceva parte del giudicato
d’Arborea ed era compreso nella curatoria del Barigadu. Caduto il giudicato,
venne a far parte del Regnum Sardiniae ma la sua popolazione si mostrava
ostile nei confronti dei nuovi venuti.
Dopo anni di grande tensione, nel 1412
sembrò dovesse essere ceduto con
buona parte del Barigadu a Leonardo
Cubello, ma il re nel 1413 preferı̀ infeudare A. a Pietro Steuyll. Questi però, a
causa dell’ostilità della popolazione,
sobillata – si dice – dal marchese d’Oristano, non riuscı̀ a entrarne in possesso
e dovette rinunciare. Nel 1417 fu nuovamente infeudato, assieme ad altri
villaggi, a Ludovico Pontons che nel
1425 vendette tutto al marchese d’Oristano. Il marchese amministrò il territorio con grande abilità facendo cessare la tensione e la diffidenza degli
abitanti e A. prese a prosperare; probabilmente negli stessi anni fu avviata la
costruzione della parrocchiale intitolata alla Vergine di Buoncammino. Morendo egli lasciò l’intero territorio al
suo secondogenito Salvatore che,
quando nel 1463 divenne marchese
d’Oristano, lo annetté al marchesato.
Dopo che nel 1477 il grande feudo fu
confiscato a Leonardo Alagon, nel
250
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ardauli
1481 A. entrò a far parte del feudo concesso a Gaspare Fabra. Successivamente, nel 1519, gli eredi dei Fabra lo
vendettero a Nicolò Torresani e a Carlo
Alagon. I due, nel 1520, fecero una divisione e A. fu incluso nel Barigadu
Susu, la parte toccata a Carlo Alagon,
la cui discendenza si estinse nel 1547
con Carlo Dionigi. Allora il villaggio
passò, unitamente al Barigadu Susu, a
Fabrizio de Gerp, marito della sorella
del defunto. I De Gerp si estinsero non
molto tempo dopo per cui, dopo una
lunga lite col fisco, nel 1597 A. passò in
mano ai marchesi Alagon di Villasor,
lontani parenti dei primi feudatari.
Agli inizi del Seicento il parroco, Sebastiano Dessı̀, lasciò il suo patrimonio
per la costruzione della nuova chiesa
parrocchiale che il suo successore iniziò a costruire nel 1630; ma più o meno
negli stessi anni le condizioni di vita
nel villaggio mutarono drasticamente;
i nuovi feudatari infatti aumentarono
il carico fiscale e A. soffrı̀ notevolmente della situazione. Nel 1703 Artale
Alagon lasciò il feudo a sua figlia Emanuela e cosı̀ A. passò dagli Alagon ai De
Silva, ai quali fu confiscato nel 1772.
Durante l’anno precedente era stato
istituito il Consiglio comunitativo e
sembrò giunto il momento di liberarsi
del giogo feudale; fu però un’illusione:
infatti, nonostante le resistenze della
popolazione, A. nel 1775 fu compreso
in uno dei nuovi feudi che erano stati
formati sul territorio del Barigadu.
Venne quindi a far parte del marchesato di Neoneli concesso a Pietro Ripoll, il quale nel 1776 entrò in conflitto
con gli abitanti del paese che si rifiutavano di pagare i tributi feudali ritenuti
troppo gravosi. Anche in seguito i rapporti con i Ripoll non migliorarono; nel
1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano e due anni dopo si andarono finalmente creando le condizioni
per il suo riscatto. Infatti la discendenza maschile dei Ripoll si estinse
nel 1823 e il feudo passò a Mariangela
Ripoll sposata con Carlo Sanjust di
Teulada: il feudo fu riscattato ai due
nel 1838. In questo periodo si collocano
i dati e le impressioni registrati da Vittorio Angius: «La sua situazione è in
eminenza un po’ inclinandosi al ponente, per lo che gode a questa parte
di un esteso orizzonte. Il clima ha del
freddumido per le continue nebbie che
vi si sollevano dalla vicina valle del
Tirso, il che è cagione che l’aria non
possa dirsi del tutto salubre. Le case
sono sparse senz’ordine; le strade
mancano di selciamento, non sono
però fangose, per essere scoperte le
roccie. Alla parte verso l’austro vi è la
comodità d’un passeggio. Vi è un consiglio di comunità, una giunta locale ed
una scuola normale frequentata da
dieci fanciulli. Le famiglie sono 201; il
totale degli abitanti 897. Le principali
occupazione di questi paesani sono l’agricoltura e la pastorizia. Le donne lavorano in 190 telai il forese [orbace]
per uso privato, le tele che sopravanzano ai loro bisogni si vendono nei
paesi circonvicini. Il paese è in buona
posizione per le operazioni rustiche,
perché quasi nel centro. La terra è
d’una mediocre fertilità in cereali;
d’orzo se ne potrà seminare un quarto
del quantitativo del grano; il lino e le
fave fruttificano meglio del grano, che
suol rendere in comune il sette. La vigna è più felice, quindi sovrabbonda il
mosto, e se ne vende assai al vicino
paese di Sedilo. Pascono nei piccoli
prati, e nel pabarile [il maggese] vacche 200, buoi 100, porci 300, capre 200,
pecore 2000, giumenti 100». Abolite la
province nel 1848, A. fu compreso nella
divisione amministrativa di Cagliari
fino al 1859, anno in cui passò alla omonima provincia. Nel 1974 tornò a far
251
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ardauli
parte della ricostituita provincia di
Oristano.
& ECONOMIA Il centro ha una discreta
tradizione nel settore dell’olivicoltura;
si producono anche piccoli quantitativi di ciliegie e di alcuni altri tipi di
frutta. Le coltivazioni annuali si sono
ridotte di molto rispetto al passato,
mentre si è esteso l’allevamento, soprattutto ovino, condotto tuttavia con i
metodi tradizionali.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1194 unità,
di cui stranieri 5; maschi 593; femmine
601; famiglie 506. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con
morti per anno 19 e nati 4; cancellati
dall’anagrafe 16 e nuovi iscritti 3. Tra i
principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 948 in migliaia
di lire; versamenti ICI 560; aziende
agricole 368; imprese commerciali 59;
esercizi pubblici 6; esercizi al dettaglio
18; ambulanti 4. Tra gli indicatori sociali: occupati 279; disoccupati 59;
inoccupati 62; laureati 21; diplomati
146; con licenza media 345; con licenza
elementare 455; analfabeti 74; automezzi circolanti 388; abbonamenti TV
428.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu popolato continuativamente
fin dalla preistoria come dimostrano le
domus de janas, i nuraghi e i resti di
insediamenti romani e bizantini. I
principali nuraghi sono Bingiales, Irighinzu, Monte Frau, Monte Idao,
Monte Piscano, Muruddu, Sighianzu;
le domus de janas Argiolas, Muruddu,
Scala Mugheres; di particolare interesse è il complesso di Su Casteddu de
Su Brogariu.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il monumento più caratteristico
del villaggio è la chiesa della Vergine
del Buon Cammino, parrocchiale posta
nella parte più antica dell’abitato; fu
costruita tra il 1620 e il 1680 in forme
gotico-catalane, ha una sola navata
sulla quale si affacciano quattro cappelle laterali per ogni lato. Di esse sei
hanno forma quadrata e sono coperte
con volta a botte, le due vicine al presbiterio hanno forma ottagonale e la
copertura a crociera; la facciata è arricchita da un elegante rosone e continua sui lati con due ali di muro sui
quali campeggiano altrettanti leoni in
pietra. Le membrature esterne e interne dell’edificio sono riccamente lavorate da abili artigiani locali (picaparders) in forme che richiamano quelle
altomedioevali. All’ingresso del paese
si trova la chiesa dedicata ai Santi Cosimo e Damiano: ha strutture settecentesche che si sono sovrapposte a un primitivo impianto d’epoca giudicale. Tra
questa e la parrocchia si trova un quartiere in cui le case sono state riportate
alle primitive strutture in pietra e le
strade lastricate e selciate. Nelle campagne è stata restaurata di recente la
chiesa di Sant’Antonio, e continua a essere oggetto di grande devozione
quella di San Quirico, affacciata da un
poggio sul lago lungo la strada di accesso al paese.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
ricorrenza più caratteristica nella
quale rivivono le tradizioni popolari è
la festa de Su coccoi che si svolge il 31
dicembre e si rifà a un’usanza antichissima incentrata sulla preparazione
notturna di un piccolo pane (su coccoi,
appunto) di semola decorato artisticamente: viene regalato ai bambini che
al mattino girano per le strade del
paese e bussano alle porte delle case
attirati dal profumo del pane appena
sfornato. Altra festa tradizionale è
quella della Madonna del Carmine che
si svolge nella terza domenica di maggio (festa ’e maju) con la sagra delle ciliegie e manifestazioni folcloristiche.
252
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 260
Ardoino
Si celebra anche, col tradizionale falò,
Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, e
per ben tre volte durante l’anno gli ardaulesi si recano in pellegrinaggio alla
chiesetta campestre di San Quirico: il
lunedı̀ di Pasqua, il 15 luglio e dal 16 al
24 agosto, per la festa maggiore preceduta dalla novena.
squer nel 1359. Scoppiata la seconda
guerra tra Mariano IVe Pietro IV, fu occupato dalle truppe giudicali che lo
tennero fino al 1409. Negli anni seguenti si spopolò e scomparve.
Ardinghelli, Scolario Religioso (Pisa?,
prima metà sec. XIII-Oristano 1299). Di
probabile origine pisana, fu eletto arcivescovo titolare di Tiro nel 1292 e successivamente arcivescovo di Oristano
nel 1296.
Ardizzone, Stefano Religioso (Sardegna, seconda metà sec. XIV-Borutta
1440). Probabilmente sardo, entrò nell’ordine dei Cistercensi e una volta ordinato sacerdote fu eletto abate di
Santa Maria di Paulis; nel 1428 fu nominato vescovo di Sorres da Martino V
e prese a risiedere a Borutta.
Ardo Antico villaggio di probabile origine romana. Sorgeva in prossimità di
Sassari e aveva una certa importanza;
nel Medioevo era compreso nel giudicato di Torres, curatoria della Fluminargia. Probabilmente il vescovo vi
aveva delle proprietà e spesso vi si celebravano dei sinodi. Estinta la dinastia dei giudici di Torres, il suo possesso fu disputato tra i Doria e il Comune di Sassari; in un primo momento
sembrò che i Doria dovessero prevalere, ma alla fine del secolo XIII il villaggio passò completamente nelle
mani dell’arcivescovo di Torres. Dopo
la conquista aragonese entrò a far
parte del Regnum Sardiniae e soffrı̀ durante la ribellione dei Doria. Nel 1339
fu dato in feudo a Berengario Rajadell,
ma continuò a essere al centro di tensioni politiche e cominciò a spopolarsi
a causa della peste del 1348. I suoi discendenti lo resero al fisco nel 1353, ma
dopo il Parlamento del 1355 A. fu nuovamente infeudato a Berengario Bi-
Pietro Raffaele Ardoino – Minore conventuale,
nel 1843 fu nominato vescovo di Alghero. Di
idee liberali, fu favorevole alla ‘‘fusione’’ del
1847.
Ardoino, Pietro Raffaele Religioso
(Alghero 1800-ivi 1863). Vescovo di Alghero dal 1843 al 1863. Minore conventuale, si dedicò giovanissimo all’attività missionaria. Nel 1838 fu nominato
vescovo di Carra, vicario della Moldavia e delegato apostolico di Atene; nel
1843 tornò in patria e fu nominato vescovo di Alghero. Insediatosi nella
nuova diocesi, diede impulso al suo
sviluppo soprattutto in campo sociale.
Di formazione liberale, fu attento osservatore delle tensioni sociali presenti nella diocesi; ciò lo portò a intervenire a sostegno dell’economia contribuendo a fondare la Cassa di risparmio e si impegnò anche perché fossero
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 261
Ardu
introdotti miglioramenti in altri
campi. Prese anche parte alle vicende
che portarono alla ‘‘fusione perfetta’’;
quando però si manifestò il problema
dell’abolizione delle decime, ebbe
qualche difficoltà politica. Tra i suoi
scritti, Lettera pastorale al clero e popolo della diocesi di Alghero sulle riforme concesse dal sovrano, 1847; Pastorale al clero e popolo della diocesi di Alghero per la concessione dello statuto,
1848; Lettera pastorale per l’elezione del
rappresentante al Parlamento nazionale, 1849. [MASSIMILIANO VIDILI]
Ardu Antico villaggio di origine medioevale che faceva parte del giudicato di
Cagliari ed era compreso nella curatoria del Sigerro. Dopo la caduta del giudicato, nella divisione del 1258 venne
assegnato ai Della Gherardesca e, dopo
la successiva divisione tra i due rami
della famiglia, al ramo del conte Ugolino, i cui figli ne perdettero il controllo nel 1298 quando, sconfitti nella
guerra contro il Comune di Pisa, furono costretti a cederlo alla città toscana. Dopo la conquista aragonese
nel 1324 fu concesso in feudo a Pietro
de Stagno, la cui vedova nel 1330 lo vendette a Raimondo de Entença. Quest’ultimo morı̀ pochi anni dopo senza
figli; il villaggio perse buona parte
della popolazione a causa della peste
del 1348 e scomparve definitivamente
prima del 1360.
Ardu Onnis, Efisio Antropologo (Cagliari, metà sec. XIX-ivi, dopo 1905). Si
interessò in particolare dell’origine
dei protosardi. Alla fine del secolo studiò i resti umani provenienti da alcuni
siti della Sardegna centro-settentrionale riferibili alla cultura di Ozieri e,
sulla base di un’affrettata conclusione,
costruı̀ un campione esplicativo in
base al quale, aderendo alle teorie di
Giuseppe Sergi sui ‘‘pigmei d’Europa’’,
affermò che i protosardi avevano una
statura media di 1,48 m per gli uomini e
di 1,37 m per le donne. La sua teoria in
seguito fu smontata da ulteriori studi.
Tra i suoi scritti ricorderemo: Contributo all’antropologia della Sardegna.
Nota I. Note d’antropometria, ‘‘Atti
della Società romana di Antropologia’’, III, 1896; Contributo all’antropologia della Sardegna. Nota II e III. Capacità craniche dei sardi, ‘‘Archivio per
l’Antropologia e l’Etnologia’’, XXVI, 12, 1896; Contributo all’antropologia
della Sardegna. Nota IV. Le varietà craniche, 1900; Anomalie fisiche e degenerazione nell’Italia barbara contemporanea, ‘‘Archivio per l’Antropologia e l’etnologia’’, XXXIII, 3, 1903; Gli Hetei Pelasgi in Sardegna, ‘‘Atti della Società
romana di Antropologia’’, I, 2-3, 1904.
Are, Antonio Luigi Avvocato e deputato (Orune 1855-Nuoro 1943). Conseguita la laurea si dedicò alla libera
professione divenendo un brillante
avvocato del foro di Nuoro. Si impegnò con passione in politica manifestando idee vicine a quelle di Francesco Cocco Ortu. Molto stimato dai concittadini, fu eletto per anni sindaco
della città e consigliere provinciale.
Nel 1904 fu eletto deputato al Parlamento, ma la sua elezione fu annullata; nel 1909 fu rieletto, ma l’elezione
fu annullata una seconda volta: prese
parte al turno di elezioni suppletive
che si svolsero di lı̀ a poco e finalmente riuscı̀ a entrare in Parlamento.
Al termine della legislatura non si ricandidò e si occupò esclusivamente
della professione.
Are, Diego Insegnante e scrittore
(Santu Lussurgiu 1912-ivi 2001). Fine
intellettuale, dopo la laurea si dedicò
per molti anni all’insegnamento della
Filosofia nelle scuole medie superiori. Durante la seconda guerra mondiale, rifiutatosi di aderire alla Repubblica di Salò, fu deportato nei la-
254
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 262
Are
ger tedeschi: fu compagno di prigionia di Giovannino Guareschi e altri
intellettuali di nome. Al ritorno raccontò le sue vicende nel libro memoriale Nebbie e girasoli. Un sardo nei
campi nazisti, ripubblicato con questo
titolo nel 1998. Di formazione cattolica, su posizioni olivettiane, si impegnò nel sociale, fondando con lo scrittore Antonio Cossu, un gruppo comunitario del Montiferru di ispirazione
olivettiana. Fu tra i protagonisti del
dibattito sulla Rinascita e tra il 1960
e il 1962 fece parte della redazione de
‘‘Il Bogino’’. Ritiratosi al suo paese
natale, trasformò in Liceo linguistico
una antica scuola superiore nata da
un lascito di privati. Tra gli altri suoi
scritti ricorderemo: Autonomia e Rinascita, ‘‘Il democratico’’, 1958; Perché diffidiamo della Regione, ‘‘Il democratico’’, 1958; Autonomia e solidarietà del Montiferru, 1959; Riflessioni
sociologiche sul Montiferr u, ‘‘Ichnusa’’, 26, 1968.
ordinario di Storia contemporanea
nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa; tra il 1972 e il
1973 è stato a Oxford come visiting
professor. Si è occupato soprattutto
di storia dei movimenti politici, dell’origine del sistema industriale in
Italia e della politica estera del nostro paese. Collabora a importanti periodici nazionali e cura per conto del
Ministero degli Esteri corsi di formazione per diplomatici. Nel quadro di
questa imponente produzione conosciuta anche in altri paesi europei e
in America, ha dedicato alcuni saggi
alla Sardegna tra cui: Carbosarda. Attese e delusioni di una fonte energetica
nazionale (con M. Costa), 1989, e Per
una moderna identità culturale, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XV, 1989.
Gregorio Are – La cacciata degli angeli ribelli
(part.), dipinto nella basilica di Fonni.
Are, Gregorio Pittore barbaricino
Diego Are – Insegnante a Roma e in Sardegna,
Diego Are ha lasciato un commovente diario
del suo internamento nei lager tedeschi (19431945).
Are, Giuseppe Studioso di storia economica (n. Orani 1930). Laureatosi
alla Normale di Pisa nel 1953, si è dedicato all’insegnamento universitario. Nel 1966 è diventato professore
(sec. XVIII). Era figlio di Pietro Antonio e per molti anni fu suo aiutante e
discepolo. A partire dal 1750 cominciò a operare da solo raggiungendo
una qualche notorietà. Sembra possano essere a lui attribuiti diversi cicli di affreschi, tra cui La bocca dell’Inferno eseguito a Orani nel 1757, la
Cacciata degli angeli ribelli, dipinto a
Fonni nel 1760. Le tracce della sua attività si perdono nella seconda metà
del secolo.
255
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 263
Are
tore di alcuni cicli di affreschi tra i
quali i più noti sono quello della chiesa
della SS. Trinità di Fonni, eseguito tra
il 1730 e il 1735, e quello della basilica
dei Martiri, sempre a Fonni; di lui si
conserva anche un dipinto nel Duomo
di Castelsardo. Nell’ultimo periodo
della vita operò con l’aiuto di suo figlio.
Areddu, Antonio Teologo e benefat-
Gregorio Are – Appartenente a una famiglia di
pittori, eseguı̀ un ciclo di dipinti nella basilica
dei Martiri a Fonni.
Are, Piero Funzionario, consigliere regionale (n. Ittiri 1932). Dopo la laurea
in Giurisprudenza si è dedicato alla
politica nella DC. È stato eletto ininterrottamente consigliere regionale dalla
V all’VIII legislatura. Durante la VI legislatura, il 7 agosto 1969 fu eletto vicepresidente del Consiglio in sostituzione di Giuseppe Masia, ma nel settembre 1973 si dimise perché entrò a
far parte della seconda giunta di Nino
Giagu De Martini come assessore all’Igiene e Sanità; fu riconfermato anche
nella giunta Del Rio come assessore
alle Finanze, artigianato e cooperazione (dicembre 1973); rimase in carica
fino al giugno del 1974 dando particolare impulso al settore dell’artigianato
artistico che in quegli anni, grazie anche a una accorta politica dell’ISOLA
(Istituto Sardo per l’Organizzazione
del Lavoro Artigiano), conosceva un
periodo di particolare consenso. Durante l’VIII legislatura, il 25 ottobre
1979 fu nuovamente eletto vicepresidente in sostituzione di Francesco
Asara; si dimise il 10 settembre 1982.
Are, Pietro Antonio Pittore barbaricino (prima metà sec. XVIII). Appartenente a una famiglia che vantava origini genovesi, visse in Barbagia nella
prima metà del secolo XVIII. Fu l’au-
tore (Mores 1807-Sassari 1855). Laureato in Teologia, fu viceparroco della
cattedrale di Sassari, poi parroco di
San Sisto. Scrisse una Memoria S. Benedictae martyris ejusque reliquarum
quae in ecclesia turritana coluntur: le
reliquiae, che si dicevano portate da
Roma, appartenevano probabilmente
a uno dei tanti cosiddetti ‘‘Corpi santi’’
trovati negli scavi del Seicento. Morı̀ a
48 anni mentre portava soccorso ai malati nell’epidemia di colera del 1855: è
ricordato in una lapide del Palazzo ducale di Sassari.
Areddu, Giuseppe Maria Avvocato
(Mores 1823-Sassari 1880). Laureato in
Giurisprudenza, esercitò la professione a Sassari. Dal 1860 al 1875 fu consigliere provinciale per il mandamento di Mores. Si batté perché la Provincia costruisse un suo grande palazzo di rappresentanza (come poi accadde) e nel 1866 appoggiò la richiesta
della Congregazione di carità di Ozieri
per dotare quella città di un Ospedale
civile circondariale. Morı̀, probabilmente a Sassari, nel 1880.
Aree di rilevante interesse naturalistico Numerose località che presentano sul loro territorio delle particolarità naturali con legge regionale del
giugno 1989 sono state dichiarate aree
di rilevante interesse naturalistico. In
particolare: 1. Bidda Mores (tra Capoterra e Sarroch); 2. Cascata di Su Turruno (Seulo); 3. Dune di Torre dei Corsari (Arbus); 4. Fiordo di Cugnana (Olbia); 5. Foresta di Badde Salighes (Bo-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 264
Arenas
lotana); 6. Foresta di Burgos (Burgos);
7. Foresta di Ispuligi de Nie (Baunei);
8. Foresta di Tuviois (Sinnai); 9. Grotta
di Santa Barbara (Gonnesa); 10. Grotta
di San Giovanni (Domusnovas); 11.
Monte Minerva (Villanova Monteleone); 12. Monte Moro (Arzachena);
13. Mularza Noa (Bolotana); 14. Sant’Antonio (Macomer); 15. Sa Spéndula
(Villacidro); 16. Spiaggia di Is Arutas
(Cabras).
Arenaria balearica – Oltre che in Sardegna,
è presente solo sulle altre isole tirreniche.
Arenaria balearica Pianta erbacea perenne della famiglia delle Cariofillacee (Arenaria balearica L.). Ha fusti sottili, intricati, striscianti, con foglie piccole, opposte e ovate; i fiori, solitari e
peduncolati, sono bianchi e fioriscono
tra fine primavera e inizio estate. Endemismo delle isole tirreniche, cresce
nei luoghi umidi; in Sardegna è diffusa
in vicinanza delle sorgenti montane,
con particolare predilezione per il substrato calcareo. È inserita nell’elenco
delle piante da sottoporre a vincolo di
protezione in base alla proposta di L.R.
n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Arenas Antico villaggio del giudicato
di Cagliari compreso nella curatoria
del Sols. Sorgeva in prossimità dell’abitato di Tratalias. Quando nel 1257 il
giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 entrò a far parte del terzo
assegnato ai Della Gheradesca. Questi,
a causa di contrasti familiari e di natura politica, alcuni anni dopo procedettero a un’ulteriore divisione tra
loro: A. fu incluso nel sesto toccato al
ramo del conte Ugolino; i figli del
conte, per vendicarne la morte, nel
1289 entrarono in guerra col Comune
di Pisa e nel 1295, dopo essere stati
sconfitti, persero il controllo del villaggio. Da quel momento fu amministrato
dal Comune dell’Arno, ma cominciò a
decadere spopolandosi. Dopo la conquista aragonese, oramai semideserto,
nel 1328 entrò a far parte del patrimonio riconosciuto a Pietro de Açen e in
seguito dei feudi di Alibrando de Açen,
a cui fu tolto nel 1366 quando quest’ultimo si schierò con il giudice d’Arborea
nella seconda guerra tra Aragona e Arborea. Negli anni successivi il villaggio
si spopolò completamente e scomparve. Il suo territorio, ridotto a una
landa deserta, divenne saltuario rifugio di pastori nomadi. Nel secolo XVIII
vi si sviluppò un boddeu (=) costruito
da alcuni pastori, che nel corso del secolo XIX si stabilizzò dando vita all’attuale frazione di Tratalias.
Arenas, Is1 Località turistica della provincia di Oristano situata lungo la costa
a nord del Sinis. Il suo territorio è coperto da una fittissima vegetazione e
da una fiorente pineta, opera di un recente rimboschimento. Purtroppo negli ultimi anni è stata oggetto di una
devastante lottizzazione turistica che
minaccia di alterarne gli equilibri.
(Siccome il romanzo di Giampaolo
Pansa, Ti condurrò fuori della notte,
1998, si svolge in gran parte in questa
zona della Sardegna – in realtà lungo il
tratto di litorale meno toccato da mano
umana – , quando fu pubblicato nella
‘‘Biblioteca della Nuova Sardegna’’ lo
stesso Pansa accettò gentilmente che il
257
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 265
Arenas
suo titolo venisse ‘‘sardizzato’’ in Notte
a Is Arenas, 2004).
Arenas, Is2 Miniera di piombo e zinco
attualmente in disuso, situata a circa
12 km da Iglesias nel bacino di San Benedetto. L’impianto fu creato nel corso
dell’Ottocento e raggiunse un notevole
livello di produzione. Cominciò a decadere nella prima metà del secolo XX e
fu fermato definitivamente dopo il
1960.
Arenas, miniera Miniera di piombo e
zinco posta nelle campagne di Fluminimaggiore nel comprensorio boscoso
di Oridda. L’impianto è strettamente
legato a quello di Malacalzetta. Cominciò a essere sfruttata alla fine del Settecento da Salvatore Fassio, che però
la cedette dopo alcuni anni a Luigi Rogier. Anche il Rogier poco dopo vi rinunciò e preferı̀ cederla a George Henfrey; questi nel 1883 ne incrementò la
produzione e scoprı̀ che nel sito vi era
abbondanza di zinco ma preferı̀ anche
lui passarla ad altri nel 1889 e nel 1891
pervenne alla Pertusola. La nuova società coltivò Su Pitzianti e Genna
Carru: due cantieri che, con alterne vicende, continuarono a essere sfruttati
fino al 1963. Agli inizi degli anni Settanta la miniera passò alla PiomboZincifera Sarda e continuò a essere
sfruttata fino al 1981.
Aresti, Tullio Analista chimico, consigliere regionale (n. Sanluri 1927). Sardista impegnato, nel 1984 è stato eletto
consigliere regionale per il PSd’Az nel
collegio di Cagliari per la IX legislatura, al termine della quale, però, non
è stato riconfermato.
Aresu Famiglia di Oristano (secc. XVIXVIII). Fin dal secolo XVI la famiglia
godeva di grande reputazione e possedeva un vasto patrimonio. Nel 1575 un
Giorgio ricopriva l’ufficio di procuratore reale e di collettore delle rendite
del marchesato d’Oristano; un suo di-
scendente, il dottor Giovanni Antonio,
nel 1634 ottenne il cavalierato ereditario e nel 1635 il riconoscimento della
nobiltà. A partire dal 1653 i suoi discendenti furono ammessi allo Stamento
militare e in seguito presero parte a
tutti gli altri parlamenti; la famiglia si
estinse nel corso del secolo XVIII.
Aresu, Giampiero Consulente del lavoro, consigliere regionale (n. Orroli
1950). Risiede e lavora nel suo paese
natale; ha militato da sempre nella Sinistra impegnandosi nel sociale: dopo
aver militato nel PCI, ha aderito a Rifondazione Comunista. Nel 1994 è stato
eletto consigliere regionale per Rifondazione Comunista nel collegio di
Nuoro per l’XI legislatura, ma nel
corso della legislatura è passato ai Comunisti Unitari; il 9 febbraio del 1998 è
stato eletto questore del Consiglio, rimanendo in carica fino al termine
della legislatura.
Aresu, Gian Domenico Sacerdote, venerabile (Tertenia 1605-Cabalian, Filippine, 1645). Diciassettenne entrò
nella Compagnia di Gesù, sacerdote,
maestro spirituale dei novizi. Il 25 giugno 1639 partı̀ missionario per le Filippine. Fu ucciso con una lancia mentre
predicava in chiesa da un filippino che
aveva rimproverato per aver lasciato
morire senza sacramenti la propria
madre. Agonizzante, non rivelò il
nome dell’assassino. I Gesuiti lo annoverano «fra i generosi atleti uccisi per
la fede», con il titolo di venerabile.
Aresu, Lina Scrittrice (n. Nuoro 1936).
Ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza
tra Jerzu e Lanusei; una volta frequentato il Liceo a Cagliari, si è trasferita a
Genova, dove ha compiuto gli studi universitari, e si è quindi stabilita in Liguria, dove ha insegnato filosofia per più
di quarant’anni. È redattrice del ‘‘Notiziario della Sarda Tellus’’, organo dei
sardi di Genova. Tra le sue numerose
258
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 266
Argentiera
opere, che vertono soprattutto sui miti,
la poesia e la letteratura di Sardegna,
Su moru in crobettura, 1993; Samuele
Stocchino. Vita breve di un bandito leggendario, 2003; Fondali. Percorsi sommersi di geografia letteraria in Sardegna, 2005.
Fu autore di alcuni trattati scientifici
e di numerose altre pubblicazioni comparse in riviste italiane e straniere.
Arezio, Luigi Storico (n. sec. XIX). Professore di Storia presso l’Università di
Cagliari, nel 1905 fu tra i soci fondatori
della Società storica sarda e fu eletto
nel direttivo. Dopo alcuni anni si trasferı̀ all’Università di Palermo. Tra i
suoi scritti di argomento sardo, Luciano Bonaparte nella rada di Cagliari
1810, 1899; Il cardinale Alberoni e l’impresa di Sardegna nel 1717, ‘‘Archivio
storico sardo’’, II, 1906; La Sardegna e
il trattato della quadruplice alleanza
nelle carte farnesiane di Napoli, ‘‘Archivio storico sardo’’, III e IV, 1907 e 1909;
La Sardegna e Alfonso il Magnanimo
dalla battaglia di Ponza alla pace con
Genova, ‘‘Archivio storico sardo’’, III,
1907.
Mario Aresu – Medico cagliaritano, creò la
Clinica medica generale che ora porta il suo
nome.
Aresu, Mario Clinico (Cagliari 1892Roma 1963). Si laureò nel 1916 e subito
dopo partı̀ volontario nella prima
guerra mondiale. Nel dopoguerra intraprese la carriera universitaria e nel
1929 fu nominato professore ordinario.
Dopo aver insegnato nelle Università
di Palermo e di Milano, dal 1934 si trasferı̀ a Cagliari dove si impegnò per
istituire la Clinica medica generale
che oggi porta il suo nome. Nel 1954 fu
eletto rettore dell’Università e dal 1955
al 1962 preside della Facoltà di Medicina; lasciò l’insegnamento nel 1963
pochi mesi prima di morire a Roma.
Argentiera – Tra Ottocento e Novecento fu il
centro minerario più importante della
Sardegna settentrionale.
Argentiera Centro abitato della provincia di Sassari, frazione di Sassari (da
cui dista 40 km), con circa 100 abitanti,
posto a 42 m sul livello del mare lungo
rilievi digradanti verso il litorale intorno ai resti di un notevole stabilimento minerario. Regione storica:
Nurra. Archidiocesi di Sassari.
& TERRITORIO Il territorio, non adatto
alle colture, se non alla pastorizia nella
parte interna, si compone di colline
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 267
Argentiera
rocciose da cui fino agli anni Sessanta
si estraevano piombo, zinco e argento.
La frazione è collegata alla città da una
strada provinciale che tocca le altre
frazioni rurali di Campanedda, La
Corte e Bancali e da un servizio giornaliero di pullman.
& STORIA Il luogo era conosciuto già in
epoca romana: sono stati trovati i resti
di piccoli forni per il trattamento del
materiale di estrazione. Ma il primo
documento ufficiale risale al 1131 ed è
un atto di donazione del sito da parte di
Gonario di Torres in favore della primaziale di Santa Maria di Pisa. Dopo
secoli in cui si ha prova che le estrazioni continuassero, le notizie successive ci portano al 1838 quando il romanziere Honoré de Balzac tentò una
speculazione, convinto della ricchezza
del giacimento, ma non riuscı̀ nell’intento. Nel 1867, grazie a una legge che
favoriva la ricerca mineraria, l’A. fu
data in concessione alla nobile Caterina Angela Tola di San Saturnino che
diede impulso alla miniera. Il maggiore sviluppo del centro avvenne
però sotto la direzione dell’ingegner
Eugenio Marchese della Compagnia
Generale delle Miniere: nei primi decenni del Novecento vi lavoravano oltre 400 operai. Tra le due guerre mondiali ebbe grande sviluppo il centro
abitato, dotato di tutti i servizi necessari, ma nel secondo dopoguerra la
produzione andò sempre diminuendo
fino alla chiusura degli impianti nel
1963. Negli anni Settanta fu tentata
una ristrutturazione edilizia a fini turistici che però, dopo varie vicissitudini
giudiziarie, fu abbandonata.
& PATRIMONIO CULTURALE E AMBIENTALE Le più antiche strutture abitative dell’Argentiera, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento, si trovano
nella zona di Miniera vecchia, nella
parte più interna della lunga vallata
sovrastante la baia di San Nicolò. A dominare le casupole operaie, la cui tipologia ricordava gli stazzi della Nurra,
era l’abitazione del direttore: qui fu
ospitato Quintino Sella quando, nel
1869, accompagnato dall’ingegner
Marchese, visitò la miniera. La casa
del direttore, insieme agli altri uffici,
venne poi spostata nel cosiddetto Centro-miniera, nei pressi delle officine e
della laveria. In uno spiazzo intermedio tra le due zone, di fronte alla imponente struttura del pozzo Podestà costruita nel 1890, stava la cantina, ovvero lo spaccio che serviva non solo la
borgata ma anche il vasto territorio pastorale che la circondava. Agli inizi del
Novecento venne realizzato il villaggio
di Cala Onano, situato sull’altura che
sovrasta la spiaggia di Porto Palmas;
l’insediamento, realizzato per ospitare
le prime famiglie e iniziare una nuova
strategia aziendale tendente al ‘‘fissaggio’’ della manodopera, fu indicato
come esemplare villaggio operaio
nella relazione della Commissione
parlamentare d’inchiesta sulle miniere sarde svoltasi in età giolittiana.
Tra le nuove strutture abitative realizzate nel ventennio fascista vanno segnalati il cinema, prospiciente la
spiaggia, il dopolavoro e la nuova residenza del direttore, tutte nel tipico
stile dell’epoca. Risale a quel periodo
anche la caratteristica laveria in legno,
uno dei più singolari monumenti dell’archeologia mineraria sarda: progettata dall’ingegner Audibert, entrò in
funzione nel 1936 dopo un periodo in
cui l’attività estrattiva era stata interrotta. Nella fase dell’immediato secondo dopoguerra, quando l’Argentiera raggiunse la punta massima di residenti, furono infine edificati sulla
collina sovrastante il quartiere denominato La Plata la nuova chiesa e un
moderno albergo operaio. Gli stabili-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 268
Argentieri sardi
menti e i pozzi della vecchia miniera
rappresentano, comunque, il patrimonio storico e culturale del piccolo centro, ma versano in uno stato di grave
abbandono e rischiano la distruzione.
A. ha le potenzialità per diventare un
centro turistico, anche grazie alla natura selvaggia dei dintorni e alla presenza di due belle spiagge, quella cui si
accede dalla vecchia laveria e quella
già citata di Porto Palmas, nelle cui vicinanze è sorto qualche anno fa un
grande camping. Il territorio è anche
ideale per le escursioni lungo la costa,
ricca di insenature e spiaggette incantevoli. [SANDRO RUJU]
Argentiera, miniera Miniera situata
nella Nurra. Sfruttava uno dei più antichi giacimenti di zinco, piombo e argento conosciuti in Sardegna. Conosciuta con ogni probabilità dall’epoca
romana e comunque dal Medioevo, rimase inattiva per secoli, ma agli inizi
dell’Ottocento le montagne di scorie di
lavorazione che erano nella località interessarono alcuni speculatori e attirarono anche Honoré de Balzac, che nel
1838, con la speranza di realizzare facili guadagni, vi fece un inutile e infelice viaggio. Pochi anni dopo, però, l’ingegner Candido Baldrucco individuò
le reali potenzialità del giacimento e
nel 1867 la miniera venne concessa
alla marchesa di San Saturnino, Caterina Angela Tola. La nobildonna ne avviò lo sfruttamento, affidando la direzione dello stabilimento all’ingegner
Gaudina. Nel 1880 l’attività diede i
primi risultati positivi: in seguito,
però, non essendo in grado di reperire
i capitali necessari, la marchesa cedette la miniera alla Società Sardo
Belga che avviò il miglioramento dei
suoi impianti. Pochi anni dopo la
Sardo Belga cedette la miniera a Luigi
De Laminne, il quale la vendette a sua
volta, vantaggiosamente, alla Compa-
gnia Generale delle Miniere diretta da
Eugenio Marchese. I nuovi proprietari
svilupparono l’estrazione e gli impianti furono completati con la costruzione di una laveria a Cumpigneddus;
per facilitare l’asporto del materiale le
gallerie vennero inoltre dotate di binari. A partire dal 1886 la Compagnia
Generale delle Miniere cedette la concessione alla società Correboi del finanziere genovese Podestà, che diede
vita a un vasto impianto che impiegava
più di trecento operai. L’estrazione
venne incrementata dalla scoperta
dello zinco; fu costruita un’altra laveria vicino al mare e nel 1911 fu aperto
un nuovo pozzo. L’impianto, però, entrò in crisi durante la prima guerra
mondiale per la mancanza degli operai, partiti per il fronte. Nel dopoguerra, attorno al 1920, l’attività riprese e fu costruito il pontile di San
Nicolò, che consentiva di caricare più
agevolmente il materiale. Nel 1924 la
Pertusola francese rilevò una parte
delle azioni della Correboi: ciò rese
possibile nel 1929 la ristrutturazione
della laveria. Intanto però la proprietà,
per il mutato clima politico, ebbe delle
difficoltà di rapporti con il governo.
Nel 1940 gli impianti vennero sequestrati e solo nel 1946 l’attività poté essere ripresa, ma ormai il filone andava
esaurendosi, sicché a partire dal 1963
l’impianto fu fermato e nel 1967 chiuso
definitivamente.
Argentieri sardi L’attività degli argentieri sardi, legata all’estrazione del minerale in loco, diede vita a un fiorente
artigianato. Abbiamo notizia di essa
già in epoca giudicale, ma solo nel
1331 fu regolamentata con l’emanazione di un privilegio che stabiliva che
gli a. di Cagliari, di Iglesias e del giudicato d’Arborea avrebbero dovuto apporre il marchio civico sugli oggetti da
loro realizzati a garanzia della rispon-
261
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 269
Argiolas
denza del prodotto al titolo dichiarato.
A quei tempi l’attività degli a. era concentrata in determinate zone delle
città: ad esempio a Cagliari era concentrata nel Carrer de los platers, l’attuale via Lamarmora, in Castello. Le
botteghe erano a conduzione familiare
e gli a. tendevano a mantenere segrete
le loro procedure, che trasmettevano
ai propri discendenti. Nel corso del secolo XV la disciplina venne estesa anche agli orafi di Alghero e nel corso dei
secoli successivi la loro attività si sviluppò ulteriormente. Nel secolo XVII
fu costituito a Cagliari il Gremio degli
argentieri e degli orafi che nel 1631 si
dette un proprio statuto. Lo statuto,
scritto in catalano, diviso in quaranta
capitoli, regolamentava tutta l’attività
di produzione degli oggetti d’argento, i
rapporti di lavoro e ogni altro aspetto
del lavoro degli a., ivi comprese le relazioni commerciali. Il contenuto dello
statuto rimase pressoché invariato
fino all’Ottocento: solo nel 1834 il suo
testo sarebbe stato tradotto in italiano.
Passata l’isola sotto l’amministrazione
dei Savoia, nell’ottobre del 1760 il viceré Tana di Santena emanò un pregone che integrava il contenuto degli
statuti dei gremi con norme dettate a
garanzia dei compratori dei prodotti e
delle lavorazioni. Fu stabilito che al
marchio civico che garantiva la qualità
avrebbe dovuto essere affiancato il
marchio del maggiorale che attestava
il titolo dell’argento. Nel 1768 un editto
di Carlo Emanuele III introdusse anche l’obbligo del marchio dell’assaggiatore regio, un funzionario governativo che controllava la rispondenza
alle norme dei prodotti degli a. L’attività venne regolata da questa normativa fino al 1873, quando entrò in vigore
la legge n. 806 che unificava il sistema
di garanzia dei metalli preziosi in Italia.
Argiolas, Antonio Ignazio Educatore
(Pirri 1834-Cagliari 1914). Ordinato sacerdote nel 1860, a 26 anni, dopo aver
insegnato filosofia e letteratura, si interessò ai problemi dei sordomuti. Nel
1871 si trasferı̀ a Milano dove si specializzò come educatore di sordomuti; tornato a Cagliari vi aprı̀ l’Istituto dei sordomuti che diresse per anni, guadagnando notorietà nazionale. In seguito
aprı̀ anche quelli di Bergamo e di Milano. Negli stessi anni i numerosi libri
che scrisse sull’argomento gli diedero
notorietà internazionale e riconoscimenti in molti paesi. Rientrato nella
sua città fu nominato canonico della
cattedrale e dottore aggregato della
Facoltà di Teologia. Tra i suoi scritti,
L’istituto dei sordomuti di Cagliari nel
suo terzo quinquennio (1893-1897),
1898; Il conte Giovanni Battista Viale
primo benefattore dei sordomuti cagliaritani, 1901; L’istituto dei sordomuti di
Cagliari nel suo quarto quinquennio
(1898-1902), 1902; L’istituto dei sordomuti di Cagliari nel suo quinto quinquennio (1903-1907), 1907.
Ariaguono Antico villaggio del giudicato di Gallura, compreso nella curatoria di Montangia. All’estinzione della
dinastia dei Visconti passò sotto il diretto controllo del Comune di Pisa a
partire dal 1288. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum
Sardiniae e nel 1324 fu concesso in
feudo a Michele Martinez de Poyo, ma
gli abitanti mantennero un atteggiamento ostile nei suoi confronti e nel
1329 furono addirittura accusati di
averlo ucciso. Scoppiata la guerra tra
Genova e Aragona nel 1330 il villaggio
fu assalito e conquistato dalle truppe
di Raimondo Cardona che lo fece radere al suolo e ne fece uccidere la maggior parte degli abitanti. Poco dopo,
però, si scoprı̀ che l’uccisore del Martinez era un altro catalano, per cui il Car-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 270
Aristana
dona ripopolò A. con i superstiti e se lo
fece infeudare nel 1331; alla sua morte
nel 1337 il villaggio tornò al fisco, ma
non si riprese più e cominciò a decadere. Scoppiata nel 1347 la seconda ribellione dei Doria, fu concesso in
feudo a Giovanni d’Arborea, che lo unı̀
ai suoi territori. Il villaggio però subı̀
altri danni e nel 1354 fu definitivamente abbandonato.
geva in località Restalias, non lontano
dall’attuale abitato di Berchidda. Era
di origini molto antiche. Nel Medioevo
faceva parte del giudicato di Torres ed
era compreso nella curatoria del Montacuto. Dopo l’estinzione della dinastia
giudicale di Torres il villaggio, unitamente al restante territorio, fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e
i giudici di Gallura e si spopolò. Alla
fine del secolo XIII, quando le truppe
arborensi lo occuparono stabilmente,
A. era oramai ridotto a poche case ma
le sue tribolazioni non erano finite. Nel
1308 i Doria, dichiaratisi alleati di Giacomo II che preparava la spedizione in
Sardegna, ne ottennero l’investitura e
dopo la conquista aragonese dal 1324
entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Ma nel 1325 i Doria si ribellarono
e il villaggio fu nuovamente occupato
da truppe arborensi e nel 1339 concesso in feudo a Giovanni d’Arborea.
In seguito, scoppiate le guerre tra Aragona e Arborea, diventò uno dei teatri
di guerra, subı̀ danni irreparabili e si
spopolò rapidamente.
Aristana Antico villaggio del giudicato
Arisaro – La fioritura avviene in inverno e
primavera.
Arisaro Pianta erbacea perenne della
famiglia delle Aracee (Arisarum vulgaris L.). Ha foglie sagittate, infiorescenza unica, verde con striature
scure, a spadice con spata tubulosa, allungata e ricurva. Il frutto è una bacca
verdastra. Fiorisce per tutto l’inverno
e la primavera, sia in terreni coltivati
che incolti, nei boschi e nella macchia
bassa, spesso in prossimità delle rocce.
Nomi sardi: arı́cchja di lépparu (gallurese); erba de pipas (campidanese);
folla origúda (Sulcis). [MARIA IMMACOLATA
BRIGAGLIA]
Ariscoblas Antico villaggio che sor-
di Gallura compreso nella curatoria di
Montangia. È situato nelle campagne
di Aglientu. Estinta la dinastia dei Visconti, dal 1288 fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa, per cui
dopo la conquista aragonese fu compreso dal 1324 nel Regnum Sardiniae. I
suoi abitanti, però, mantennero un atteggiamento ostile nei confronti degli
invasori, per cui, scoppiata la guerra
tra Genova e Aragona, si ribellarono e
nel 1331 il villaggio fu occupato dalle
truppe di Raimondo Cardona. Egli
poco dopo lo ottenne in feudo, ma
dopo la sua morte, avvenuta nel 1337,
il villaggio subı̀ altre devastazioni a
causa della guerra e cominciò a perdere popolazione anche per l’epidemia di peste del 1348. Negli stessi anni
263
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 271
Aristeo
fu infeudato a Giovanni d’Arborea e
dopo la prima guerra tra Aragona e Arborea si spopolò completamente. Entro la fine del secolo XIV era ormai
scomparso.
Aristeo Divinità greco-sarda. Figlio del
dio Apollo, A. è divinità al contempo
rustica e civilizzatrice. Generato dalla
ninfa Cirene fu allevato da Gea e dalle
Ore con nettare e ambrosia, divenendo
immortale. Dai Greci era venerato
come protettore dell’agricoltura e
della pastorizia. Secondo Sallustio e
Pausania si trasferı̀ in Sardegna a
causa del dolore provato per la morte
del figlio Atteone, sbranato dai cani di
Artemide, sdegnata per esser stata vista dal giovane nuda alla fonte Partenia. Nell’isola, dove il culto di A. rimonterebbe già al secolo VII a.C., egli
si caratterizza come benefattore divino
e inventore di arnesi e tecniche per l’agricoltura e la caccia; come scopritore
del miele e dell’olio d’oliva, della fermentazione del latte e della produzione del formaggio. Una figurina
bronzea di età nuragica (Museo
‘‘Sanna’’ di Sassari), rappresentazione
probabile dell’incarnazione locale del
benefattore divino, testimonierebbe
l’antichità di questo culto nell’isola. In
piena sintonia con l’iconografia arcaica greca relativa ad A., la statuina
ha sulle spalle una sacca con tre vasi
da mettere in relazione con i tre liquidi
donati agli uomini: miele, latte, olio.
[ANTONELLO SANNA]
Aristianis Nome bizantino della città
di Oristano, sopravvissuto nella forma
medioevale Aristanis. La sua derivazione dal nome dei praedia Aristana, i
terreni della famiglia degli Aristii in
età romana imperiale, è probabile,
mentre nelle false Carte d’Arborea Aristanis prendeva il nome da una inesistente Aristana principessa del giudicato d’Arborea. La prima fonte a men-
zionare Aristianis è la Descriptio Orbis
Romani di Giorgio di Cipro, che segna
il nuovo insediamento bizantino lungo
un itinerario che da Chrysopolis-Forum Traiani (Fordongianus) reca attraverso Aristianis alla limne (stagno) di
Cabras fino alla fortezza di Tharros
(Kastron tou Taron). Lo scavo del sagrato della cattedrale di Oristano, nel
1987, ha evidenziato un cimitero bizantino, che può agevolmente riferirsi a
una ecclesia forse già intitolata all’Assunta, destinata a divenire cattedrale
all’atto della traslazione della sede
episcopale tarrense in Oristano nella
seconda metà del secolo XI (nel 1070
secondo l’umanista sardo Giovan Francesco Fara). Altre presenze bizantine
sono state individuate nel corso dello
scavo della torre di Portixedda all’estremità nord-orientale della cinta
muraria medioevale: si tratta di ceramica graffita a pettine caratteristica
dei secoli VI-VII. Finalmente nel corso
dei recentissimi scavi nell’area centromeridionale del centro storico in corrispondenza della Porta Mari e della
torre di San Filippo si è acquisita, tra i
residui di un livello di riempimento
postmedioevale, una fibbia di bronzo
bizantina. Questi dati parrebbero indicare, in attesa di più ampi riscontri,
che Aristianis rappresentò da una fase
alto-bizantina un nuovo dinamico centro, dotato di forza propulsiva, al contrario della vecchia Othoca-Santa Giusta, al cui territorium dovette in origine
appartenere l’area di Oristano. [RAIMONDO ZUCCA]
‘‘Aristocrazia’’ Periodico culturale
fondato a Nuoro da Raffaello Marchi.
Cominciò a essere pubblicato nell’ottobre del 1947, ma cessò la sua attività
per mancanza di fondi nell’agosto del
1948. Raffinato intellettuale formatosi
negli ambienti artistici di Firenze,
Marchi voleva, con quel titolo, da una
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 272
Aritzo
parte affermare un nuovo concetto di
aristocrazia (slegato dal reddito, dalla
nascita e dalla collocazione sociale) e
dall’altra rinnovare polemicamente
l’ambiente culturale del capoluogo
barbaricino, che gli appariva ‘‘borghesemente’’ provinciale.
Aristolochia – Particolare durante la fioritura.
Aristolochia Pianta erbacea perenne
della famiglia delle Aristolochiacee
(A. rotunda L. ssp. insularis Nardi et
Arrigoni). Ha un fusto eretto o strisciante, liscio, su cui si inseriscono foglie sessili, con base cuoriforme e margine intero. Caratteristici i fiori: tubulosi, all’ascella fogliare, giallo-verdi,
con lembo terminale più scuro ricurvo.
Il frutto è una capsula globosa. Fiorisce in maggio-giugno. Endemismo
sardo-corso, cresce in luoghi rocciosi,
ai margini della macchia e in terreni
incolti. L’a. è inserita nell’elenco delle
piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n.
184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Aritzo Comune della provincia di
Nuoro, compreso nella XII Comunità
montana, con 1435 abitanti (al 2004),
posto a 796 m sul livello del mare, sul
versante occidentale del massiccio del
Gennargentu. Regione storica: Barbagia di Belvı̀. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio, esteso per
75,60 km2, ha forma allungata da occidente a oriente e confina a nord con
Belvı̀ e Desulo, a est con Arzana, a sud
con Seulo e Gadoni, a ovest con Meana
Sardo. Il paese è al centro di una zona
montuosa, ricca di boschi di castagni e
di noccioli, con conformazioni particolari di roccia come il Texile, una sorta
di ‘‘tacco’’ roccioso al culmine di un rilievo di forma conica. La punta più alta
è quella di Funtana Cungiada, 1458 m,
alle cui falde si conservava un tempo la
neve che è stata per molto tempo alla
base dell’economia locale. Il paese è
attraversato dalla tortuosa statale 295
che percorre questo lato della montagna collegandolo con Belvı̀ e Tonara a
nord, Gadoni e Laconi a sud.
& STORIA L’attuale abitato è di origine
medioevale, come dimostra la chiesa
parrocchiale che conserva elementi
del secolo XIII, ed era compreso nel
giudicato d’Arborea nella curatoria
della Barbagia di Belvı̀. La sua popolazione era costituita da pastori e rudi
guerrieri e godeva di una speciale indipendenza nei confronti dell’amministrazione giudicale; quando nel 1410 il
giudicato cadde A. entrò a far parte del
Regnum Sardiniae ma i suoi abitanti
continuarono a mantenere un atteggiamento di insofferenza nei confronti
della nuova situazione, provocando
tensione e un clima di insicurezza. Nonostante ciò, nel 1420 il villaggio e tutta
la Barbagia di Belvı̀ furono concessi in
feudo a Ferdinando Pardo che tentò di
instaurare un duro sistema fiscale. La
concessione fu mal tollerata dalla popolazione, che entrò ben presto in conflitto con i Pardo; cosı̀ essi nel 1450 pre-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 273
Aritzo
ferirono rinunciare alla concessione e,
vista la precarietà nella quale erano
costretti a operare, rendere il feudo al
fisco.
Aritzo – Panorama.
Il villaggio ebbe alcuni decenni di libertà: forse a questo periodo risale la
ristrutturazione della parrocchiale dedicata a San Michele; nel 1481 però il
territorio fu nuovamente infeudato ai
Pages, una famiglia di mercanti di origine provenzale. Questa seconda infeudazione provocò una nuova insurrezione generalizzata che nel 1496 costrinse i baroni alla rinuncia; in pochi
anni le popolazioni ottennero che il
territorio dell’antica curatoria fosse
incorporato nel patrimonio reale, privilegio che fu sancito definitivamente
nel 1507. A. e gli altri villaggi da quel
momento non furono mai più infeudati
e furono amministrati da un funzionario eletto tra i capifamiglia dei vari villaggi. Nei secoli successivi A. visse pacificamente, cominciando a guadagnarsi la fama di amena residenza alpestre e, specialmente nei periodi in
cui imperversava la peste, divenne rifugio di molti aristocratici cagliaritani.
Passata la Sardegna ai Savoia, la nuova
dinastia sembrò rispettare gli antichi
privilegi; nel 1767 però si verificò un
fatto nuovo e sconvolgente per i fieri
montanari: la riscossione delle rendite
civili del villaggio fu inclusa nel feudo
di Santa Sofia concesso ai Lostia come
signoria utile; ciò fece rinascere sopite
tensioni e vivaci proteste che però non
modificarono la situazione: i nuovi feudatari organizzarono la riscossione dei
tributi e in conseguenza di ciò avanzarono pretese di giurisdizione sul territorio. Nel 1821 il villaggio fu incluso
come capoluogo di mandamento nella
provincia di Oristano e finalmente nel
1838 si liberò dal vincolo feudale. Risalgono a questo periodo i dati e le osservazioni registrati da Vittorio Angius: «È composto l’abitato di 460
case, le quali occupano una non piccola superficie in figura d’un romboide. Le strade sono difficili, e troppo
sassose: nella direzione da tramontana
ad austro, in cui sono le principali, conservasi una certa regolarità. La primaria, detta Funtana ’e Idda, è quasi nel
mezzo e allungasi più di un miglio. Le
case sono formate ordinariamente di
tavole. Vi è inoltre una scuola normale
frequentata da 30 fanciulli. Occupazioni degli aritzesi. Essi in generale non
esercitano altro mestiere che di trasportare i prodotti del loro territorio
in tutti i punti dell’isola. Provengono
da A. le castagne, noci, nocciole, travi,
travicelli, tavole, doghe, cerchi. Agricoltura. Ad onta della bontà del terreno
giace quest’arte quasi negletta. Vedesi
dai passeggieri in questa regione quasi
il giardino della Sardegna, e una lussureggiante e vigorosa vegetazione, ma
poco o nulla di arte. Vi è un gran numero di pastori, massime di pecore e
vacche, Il numero del bestiame nelle
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aritzo
varie specie è approssimativamente
questo: cavalle 200, vacche 800, porci
1000, capre 2000, pecore 80 000; i gioghi
per l’agricoltura più di 100». Fonte non
secondaria di reddito era il commercio
della neve che, stipata in inverno in
grotte e costruzioni in legno, veniva
estratta, trasportata in casse di legno e
fornita poi durante l’estate per la refrigerazione in vari altri centri, tra i quali
Cagliari; gli aritzesi arrivavano in tutte
le sagre isolane per proporre sa carapigna, a metà tra il gelato e la granita,
preparata ugualmente con la neve
delle loro montagne. Quando nel 1848
furono abolite le province, A. fu compreso nella divisione amministrativa
di Cagliari che nel 1859 fu ricostituita
in provincia. Nel corso del secolo XIX
il villaggio, che seppe conservare il suo
notevole patrimonio di boschi, cominciò ad assumere il carattere di meta di
gradevoli soggiorni estivi e a essere apprezzato per la salubrità del clima: si
arricchı̀ cosı̀ di alcune belle costruzioni residenziali. Negli stessi anni
l’imprenditore Maurizio Norando impiantò un grosso vivaio tentando di
dare una dimensione industriale allo
sfruttamento delle castagne; nel 1927
fu compreso nella ricostituita provincia di Nuoro.
& ECONOMIA Mentre l’economia tradizionale era basata, come scriveva Angius, sulla produzione delle castagne,
delle nocciole e del legname, nonché
della neve, quella odierna ha come fondamento il turismo di collina e di montagna, che il paese ha saputo ben sviluppare dopo il primo avvio nei secoli
scorsi. Artigianato. Il villaggio è depositario di antiche tradizioni di lavorazione del legno, in particolare delle
cassapanche di castagno intagliate; attualmente abili artigiani producono
anche piccoli oggetti intagliati per uso
turistico. Alcuni giovani stanno poi ri-
lanciando la produzione estiva della
carapigna; si producono artigianalmente anche coltelli a serramanico,
un pregiato torrone e dolci tipici.
Aritzo – Su Texile, caratteristica formazione a
taccu.
DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1522 unità,
di cui stranieri 4; maschi 738; femmine
784, famiglie 540. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
23 e nati 8; cancellati dall’anagrafe 28 e
iscritti 17. Tra gli indicatori economici:
imponibile medio IRPEF 17 444 in migliaia di lire; versamenti ICI 742;
aziende agricole 281; imprese commerciali 113; esercizi pubblici 20; esercizi
all’ingrosso 1; esercizi al dettaglio 47;
ambulanti 18. Tra gli indicatori sociali:
occupati 456; disoccupati 37; inoccupati 143; laureati 35; diplomati 184;
con licenza media 503; con licenza elementare 528; analfabeti 43; automezzi
circolanti 501; abbonamenti TV 395.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio custodisce testimonianze di
epoca preistorica e di epoca punica e
romana che dimostrano che fu abitato
continuativamente. Nei pressi dell’abitato si trova un complesso di domus
de janas.
&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ariu
PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il maggiore elemento
del patrimonio culturale di A. è rappresentato dall’insieme di erte viuzze
che concorrono a formare il suo centro
storico nel quale sono conservate le tipiche case barbaricine costruite in
pietra schistosa e adornate da balconate in legno. Al centro sorge la chiesa
parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nel secolo XIV e recentemente rifatta per intero, tranne che
nella torre campanaria. Al suo interno
l’edificio è ricco di affreschi e di tele e
statue tra le quali quella di un San Cristoforo di scuola napoletana del 1606.
Altro elemento importante della cultura aritzese è la Raccolta Etnografica
costituita a cura del Comune e ospitata
in locali della scuola elementare; è articolata in due sezioni: la prima comprende i costumi della Barbagia di
Belvı̀ e del Mandrolisai (A., Belvı̀, Tonara e Desulo) nelle varianti della vita
quotidiana, delle nozze e del lutto; la
seconda sezione contiene gli strumenti
da lavoro dei vari mestieri e documenta la vita della comunità locale in
tutti i suoi aspetti. Ma turisti e villeggianti vengono a soggiornare nelle
case e nei numerosi alberghi di A. soprattutto per poter frequentare il suo
bellissimo territorio: numerose le passeggiate, in parte indicate con segnaletica, tra le quali quella sino alla base
del Texile e quelle lungo le pendici
della punta Funtana Cungiada, per vedere le antiche neviere.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
grande coesione culturale e l’attaccamento alle tradizioni si manifestano
principalmente in una serie di feste
popolari; la più nota di queste è indubbiamente la sagra delle castagne e
delle nocciole che si svolge negli ultimi
giorni di ottobre; fu istituita nel 1972 e
dura due giorni; ha lo scopo di promuo&
vere il commercio di questi due importanti prodotti ed è ricca di manifestazioni folcloristiche che richiamano
moltissimi turisti. Al patrono San Michele vengono dedicate giornate di festa l’8 maggio e il 29 settembre, con il
concorso corale della popolazione e
hanno un carattere prettamente religioso. Tipica festa che si richiama alle
tradizioni agricole è invece quella di
Sant’Isidoro che si svolge il 4 aprile
con il concorso di carri trainati da
buoi e addobbati con coperte e fiori.
La statua del santo, posta su un trattore, dopo aver percorso le vie del
paese, viene riportata in parrocchia
dove vengono benedetti gli strumenti
da lavoro.
Ariu, Giorgio Giornalista e atleta (n.
Cagliari 1946). Più volte campione nazionale e italiano di hockey su prato
con la squadra dell’Amsicora di Cagliari, intrapresa l’attività giornalistica è divenuto professionista nel
1972; nel 1973 ha fondato la rivista ‘‘Il
Cagliaritano’’; dal periodico hanno
avuto origine anche ‘‘Cagliari Calcio’’,
‘‘Terra Sarda’’ e altre pubblicazioni.
Nel settore della comunicazione ha
dato vita alla Gia Comunicazione, che
ha trovato un suo spazio nel campo dell’editoria in Sardegna, arrivando a
pubblicare oltre 130 titoli. È autore di
Sardegnatavola, 2002; La regina di Villacidro. 20 anni di atletica leggera, 2003.
Arixi Centro abitato della provincia di
Cagliari, frazione di Senorbı̀ (da cui dista 2 km), con oltre 400 abitanti, posto a
199 m sul livello del mare in un territorio collinare tipico di questa regione.
Regione storica: Trexenta. Archidiocesi di Cagliari.
& TERRITORIO Il territorio è ondulato
per una serie di rilievi non molto alti e
arrotondati che si prestano alle colture
tipiche della Trexenta, i cereali e la
vite. A breve distanza scorre il rio Can-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 276
Arixi
nisoni, uno dei principali affluenti del
Mannu, che si dirige verso sud. La frazione si trova lungo una strada secondaria che collega Senorbı̀ a San Basilio
e i paesi del Gerrei.
& STORIA Le origini di A. sono da collocare in periodo giudicale, quando
era compreso nella curatoria della
Trexenta. Agli inizi del secolo XII doveva avere una certa importanza ed
era sede di una notevole produzione
di vino; quando nel 1257 il giudicato di
Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, A., unitamente alla Trexenta, entrò a far parte del terzo spettante ai
conti di Capraia e da loro passò al giudice d’Arborea. Nel 1295 il giudice Mariano II lasciò il territorio al Comune di
Pisa, che però ne entrò in possesso solo
nel 1300; cosı̀ A. passò sotto il diretto
controllo di Pisa che ne sfruttò la produzione granaria e vinaria. Terminata
la spedizione dell’infante Alfonso, il
territorio entrò a far parte del Regnum
Sardiniae e A. fu concesso in feudo a
Guglielmo Serrani; poco dopo però le
ostilità tra Pisa e Aragona ripresero,
per concludersi nel 1326. La regione
della Trexenta fu concessa allora
come feudo al Comune di Pisa, cosı̀ A.
fu nuovamente unito all’antica curatoria. Negli anni che seguirono fu amministrato con fiscale precisione dai funzionari del Comune dell’Arno in un
clima politico di crescente tensione.
Quando nel 1353 scoppiò la prima
guerra tra Mariano IV e Pietro IV il suo
territorio fu gravemente devastato ma
in qualche modo Pisa continuò a conservarne il possesso. Quando però nel
1365 scoppiò la seconda guerra tra Arborea e Aragona il Comune ne perse
definitivamente il controllo e A. fu,
come tutta la Trexenta, occupato dalle
truppe giudicali e di fatto passò al giudice d’Arborea che ne conservò il possesso fino alla battaglia di Sanluri. Fu-
rono anni terribili ma, per quanto la
Trexenta si spopolasse quasi completamente, A., seppure ridotto a un piccolissimo villaggio, riuscı̀ a sopravvivere e dopo il 1409 tornò a far parte del
Regnum Sardiniae. Nel 1421 fu compreso nel territorio concesso in amministrazione a Giacomo de Besora, che
entro il 1434 ne ebbe l’investitura feudale. Estinti i De Besora, A. seguı̀ le
sorti del restante territorio e nel 1497
passò agli Alagon e fu compreso nel
feudo di Trexenta che i nuovi padroni
amministrarono unitamente al marchesato di Villasor. Nel corso del secolo XVI, quando gli Alagon riorganizzarono l’amministrazione del feudo, il
villaggio fu compreso nella circoscrizione di Senorbı̀ e continuò a essere
uno dei maggiori centri di produzione
del grano. Nel 1703 Artale Alagon donò
i suoi feudi all’unica figlia Emanuela
che li trasmise ai De Silva, la famiglia
del marito; sotto i nuovi feudatari A.,
nel corso del secolo XVIII, vide diminuire la sua produzione di grano e
cadde in una crisi profonda che determinò il progressivo calo della popolazione. Nel 1821 fu compreso nella provincia di Cagliari e nel 1838 fu finalmente liberato dalla dipendenza feudale. È di questi anni la puntuale testimonianza che lo scrittore Vittorio Angius ha lasciato nel Dizionario degli
Stati sardi di Goffredo Casalis: «Componesi di circa 95 case, ciascuna col
suo cortile. Le strade sono competentemente larghe. È un paese semplicemente agricolo, e si impiegano nella
coltura da 120 persone: altre manifatture non si conoscono, che quelle ordinarie del panno forese e delle tele, nel
che sono adoperati circa 50 telai. Vi è
un consiglio di comunità, una giunta
locale sul monte di soccorso, e una
scuola normale frequentata non più
che da una decina di fanciulli. In que-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 277
Arixi
sta popolazione si contano annualmente da 6 in 7 matrimoni, nascono 15
o venti, e muojono poco meno. Le malattie fatali sogliono essere le infiammazioni ai visceri, nella cura delle
quali sono assistiti da un salariato flebotomo. L’ordinario corso della vita è
al 60º, sebbene non poche persone vi si
trovino che oltrepassano l’85º, il che è
osservabile in una popolazione di 315
anime, spartite in 95 famiglie. La regione è molto accomodata alle viti: se
ne coltivano di quattro varietà, principalmente però pregiasi la malvagı̀a, di
cui raccogliesi una competente quantità, sebbene non vada del pari con
quella del Campidano. Il sopravanzo
della consumazione spacciasi nei
paesi vicini. Vi sono alberi di quasi
tutti i generi di frutta, che maturano in
questa latitudine, e che si coltivano in
Sardegna; il numero dei mandorli è superiore a quello di altre specie, e
quindi si ha qualche lucro portandone
ogni anno una buona quantità nella capitale [...] Il bestiame rude, che si alimenta, somma il grosso al numero di
100 le vacche, di 150 le cavalle, che vagano nelle montagne di San Basilio; il
minuto a 1000 pecore, le quali perir sogliono per raffreddore alle viscere, il
quale si presume cagionato dal pascolo, che coglie bagnato dalla rugiada
freddissima presso i pantani; al che
spesso si rimedia col vino caldo, o col
siero. Il bestiame domito somma i cavalli a 15, i giumenti a 60, i gioghi per
lavoro a 50. Mancando le selve manca il
selvaggiume, e solo abbondano i conigli, le lepri, e moltissime specie di volatili, comprensivamente alle beccaccie, quaglie, pernici, e colombacci: di
queste ultime specie, che sono numerosissime, si fa frequentemente caccia». Negli anni seguenti A. rimase legato amministrativamente a Cagliari,
ma le condizioni della sua economia
non si risollevarono e alla fine del secolo la fillossera distrusse anche le sue
vigne di Malvasia, un tempo rinomate.
Nel corso del secolo XX andò ulteriormente spopolandosi e nel 1927 perse la
sua autonomia per divenire frazione di
Senorbı̀.
& ECONOMIA La base della sua economia è costituita dalle attività agricole,
in particolare vi sono sviluppate, oltre
la cerealicoltura, la viticoltura (un
tempo la Malvasia di A. era famosa) e
la frutticoltura.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva i nuraghi Bruncu de
Nuraqumini, Sa Domu ’e S’Orcu e Cardulinu; vi si trovano anche tracce di un
insediamento romano in località Is
Mullonis, a breve distanza dall’abitato,
dove nel 1870 furono trovati i ruderi di
un pagus; in successivi scavi furono
rinvenuti embrici e ceramica di vario
tipo che documentano il livello di civiltà materiale del sito.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Gli unici monumenti che si trovano nell’abitato sono la chiesa di Sant’Antonio, parrocchiale di recente costruzione, e la chiesa di Santa Maria
Assunta, l’antica parrocchiale dalle
forme molto semplici.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
memoria delle antiche tradizioni del
villaggio è consegnata a due feste,
quella dell’Assunta, che si tiene il 15
agosto, e quella in onore di Santa Lucia
che si svolge in una chiesetta campestre il 13 settembre e si protrae per
due giorni; in passato vi si svolgeva
una piccola fiera.
Arixi, Biagio Poeta (n. Villasor 1943).
Vive e lavora a Roma, dove è ben introdotto negli ambienti letterari e si occupa di moda e di pubbliche relazioni.
Ha esordito nel 1978 con la raccolta
Amore: sale quotidiano, cui hanno fatto
seguito diverse altre raccolte di versi
270
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 278
Armentariu
che gli hanno dato notorietà in campo
nazionale e gli hanno fruttato il riconoscimento della critica. Tra i suoi scritti,
inoltre, le raccolte di versi Polvere
Nera, 1980; Diverse giovinezze, 1982;
Violenza immaginaria, 1984; Grandine,
1986; Le vie del cuore, 1993; e i romanzi
Figlio di vescovo, 1988; Lago d’oro di acqua chiara, 1992.
Arixi Magno Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria della Trexenta. Sorgeva nelle vicinanze di Arixi. Quando nel 1257 il
giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 A.M. fu compreso nei territori assegnati al terzo toccato ai Capraia; alla loro estinzione passò al giudicato di Arborea. Nel 1295 il giudice
Mariano II cedette il villaggio al Comune di Pisa, ma l’abitato andò rapidamente spopolandosi. Alla fine del secolo XIII era completamente deserto,
probabilmente gli ultimi suoi abitanti
si erano trasferiti ad Arixi.
Arlot, Re Termine di origine catalana
che significava letteralmente ‘‘birbone’’ e ‘‘vagabondo’’. Ai Re A. era affidata nelle città della Sardegna la gestione delle bische e delle case di malaffare in genere. Essi avevano il compito di disciplinare le modalità del
gioco e di dirimere le liti tra i frequentatori.
Armangué i Herrero, Joan Studioso
della lingua e cultura catalane (n. Barcellona 1960). Giunse in Sardegna nei
primi anni Novanta come lettore di lingua catalana presso la cattedra di Ignazio Delogu nella Facoltà di Lingue dell’Università di Sassari (durante il soggiorno a Sassari ha dato vita ad Alghero
all’Arxiu de tradicions populars), e poi
passò a Cagliari presso la cattedra di
Jordi Carbonell. Attualmente insegna
Lingua catalana presso quella Università. Ha compiuto una serie di ricerche
sui rapporti culturali fra Sardegna e
Catalogna. Ha curato un volume collettaneo sulla Storia dell’ulivo in Sardegna. Dalle origini al riformismo settecentesco, 2001, e pubblicato Tesori in
Sardegna (con L. Scala), 2001; La signora che investiva i bambini, 2002; e
Studi italo-catalani, 2004, bollettino
dell’Arxiu de tradicions populars.
Armaniach, Bernardino Giurista
(secc. XVI-XVII). Uomo di notevole
preparazione giuridica e di grande
abilità politica; per le sue qualità, nel
1620, la Municipalità di Cagliari gli affidò l’incarico di preparare un nuovo
regolamento civico che egli redasse in
breve tempo.
Armengol Famiglia di origine valenzana (sec. XVI). Si trasferı̀ in Sardegna
nel secolo XVI. Gli A. si stabilirono a
Oristano, dove acquistarono la signoria della vicaria della città con un Raimondo. Nel 1558 questi fu ammesso
allo Stamento militare; i suoi discendenti presero parte ai lavori di tutti i
parlamenti successivi, fino all’estinzione della famiglia avvenuta nel corso
dello stesso secolo XVI.
Armentariu Ufficiale giudicale. Il titolo di A. nel periodo più antico della
storia dei giudicati era riferito a funzionari investiti di compiti di amministrazione patrimoniale di varia natura
e di diversa competenza. Nelle fonti
documentali e in particolare nei condaghes sono identificabili diverse figure di a. Il più importante di questi
funzionari era l’a. de logu, considerato
in tutti e quattro i giudicati un personaggio che nell’organizzazione della
corte giudicale veniva subito dopo il
giudice; egli infatti aveva il compito di
sovrintendere agli interessi economici
dello stato e provvedere a controllare
l’esazione dei tributi. Per raggiungere i
suoi obiettivi si serviva dell’attività dei
curadores, che gli erano subordinati.
Figura di minore rilievo era l’a. de pe-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 279
Armeria
gugiare, che aveva il compito di amministrare il patrimonio privato (particolare, pegugiare) del giudice. Vi era poi
l’a. de domo, che era il funzionario posto ad amministrare la domus.
Armeria Genere di piante suffruticose
della famiglia delle Plumbaginacee.
Le armerie hanno fusti legnosi, foglie
lineari, acuminate, o lanceolate, fiori a
capolino su steli lunghi ed eretti. In
Sardegna sono presenti quattro specie,
tutte endemiche: 1. l’A. pungens Hoffmanns. et Link, lo ‘‘spillone delle
spiagge’’, la specie più diffusa, che tra
maggio e luglio ricopre con le sue fioriture rosa tutti i litorali sabbiosi; 2. l’A.
morisii, lo ‘‘spillone del Moris’’, con foglie più allargate e fiori rosati, che ha
un areale ristretto alle rocce calcaree
del Supramonte; 3. l’A. sulcitana Arrigoni, lo ‘‘spillone del Sulcis’’, con foglie
più sottili, quasi filiformi quelle interne, e fiori rosa in capolini allargati,
che cresce soltanto sui rilievi del Sulcis e sul monte Linas; 4. l’A. sardoa, con
la sottospecie tipica del Gennargentu
(A. sardoa ssp. genargentea Arrigoni),
lo ‘‘spillone di Sardegna’’, con foglie
lunghe e lineari e fiori rosa in capolini
minuti. Nome sardo: rosa marina. Ad
eccezione dell’A. pungens, le armerie
sono tutte inserite nell’elenco delle
piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n.
184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Armerin Famiglia cagliaritana (secc.
XVII-XVIII). Conosciuta dalla seconda
metà del secolo XVII, nel 1712 ottenne
il cavalierato ereditario con un Baldassarre, la cui discendenza si estinse nel
corso del secolo XVIII.
‘‘Armonia Sarda’’ Quotidiano cattolico
pubblicato a Sassari tra il 1904 e il 1906.
Fondato dal notaio Salvatore Daddi, fu
diretto da Giuseppe Carta, esponente
del mondo cattolico della città. Si propose all’opinione pubblica come anta-
gonista dei giornali laici, entrando
spesso in polemica soprattutto nei confronti de ‘‘La Nuova Sardegna’’. In occasione delle elezioni politiche del novembre 1904, quando i due contendenti
andarono al ballottaggio, Daddi ottenne dal papa la sospensione del non
expedit a favore del giolittiano Michele
Abozzi, che infatti riuscı̀ vincitore.
Armungia – Panorama del paese, costruito
intorno a un nuraghe.
Armungia Comune della provincia di
Cagliari, compreso nella XXI Comunità montana, con 563 abitanti (al
2004), posto a 366 m sul livello del
mare, in una zona di rilievi non molto
alti ma aspri presso la riva destra del
Flumendosa. Regione storica: Gerrei.
Archidiocesi di Cagliari.
& TERRITORIO Il territorio, esteso per
54,79 km2, ha forma trapezoidale e confina a nord con Ballao e Villaputzu, a
est ancora con Villaputzu, a sud con
Villasalto, a ovest con San Nicolò Gerrei. Si tratta, come si è detto, di colline
272
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 280
Armungia
che, pur non superando i 500-600 m,
hanno conformazione aspra, anche
perché separate dalle profonde incisioni scavate dal Flumendosa e dai
suoi affluenti: a nord del paese scorrono lo Spigulu e il Bintinoi. La natura
del terreno è mista di quarzi, arenarie
e scisti, la superficie è coperta in parte
da boschi, all’interno dei quali domina
il leccio. Per quanto riguarda le comunicazioni, il paese è collegato verso sud
e verso est con un circuito stradale che
unisce alcuni paesi che gli fanno corona, rompendo la solitudine di questa
parte sud-orientale dell’isola: Villasalto, Ballao, Silius e San Nicolò Gerrei.
& STORIA Secondo un’antica tradizione l’attuale centro deriverebbe da
un centro fortificato (Armusa) che si
sarebbe sviluppato in epoca romana
attorno al nuraghe che ancora oggi
campeggia al centro del paese e che
avrebbe svolto una funzione di contenimento delle scorrerie delle popolazioni dell’interno. Le prime notizie
certe su A. risalgono all’epoca giudicale, quando apparteneva al giudicato
di Cagliari ed era compreso nella curatoria del Gerrei, detta anche di Galilla.
Dopo che il giudicato di Cagliari cessò
di esistere e fu smembrato, nel 1257 fu
compreso nel terzo toccato ai conti di
Capraia e da loro passò al giudice d’Arborea. Nel 1295, però, il giudice Mariano lasciò col suo testamento il territorio al Comune di Pisa, che però ne
entrò in possesso solo nel 1300; cosı̀ il
paese passò sotto il diretto controllo
del comune toscano che l’amministrò
con grande fiscalità. Dopo la conquista
iberica il territorio visse momenti di
grande tensione e fu smembrato in alcuni feudi, A. fu incluso in un grande
feudo che nel 1333 fu concesso a Raimondo Zatrillas. Scoppiata la prima
guerra tra Mariano IVe Pietro IV le po-
polazioni, che mal tolleravano la presenza aragonese, si ribellarono e il territorio fu devastato, ma gli Zatrillas ne
conservarono comunque il possesso.
Scoppiata la seconda guerra tra Aragona e Arborea, nel 1366 il Gerrei fu
occupato dalle truppe giudicali che lo
tennero anche dopo la pace del 1388, e
precisamente fino al 1409, quando il
giudicato cessò di esistere. Tornato il
Gerrei nel Regnum Sardiniae, A. tornò
sotto il controllo degli Zatrillas che negli anni successivi governarono pacificamente il feudo. Ne riorganizzarono
l’amministrazione e definirono i rapporti con le comunità dei villaggi che
vi erano compresi; A. conobbe cosı̀ un
periodo di relativa tranquillità, anche
se nel 1652 soffrı̀ a causa della peste;
più o meno negli stessi anni fu avviata
la costruzione della parrocchiale dedicata all’Immacolata e il paese fu arricchito dal trasferimento di un gran numero di abitanti di Murdegu sopravvissuti alla peste. Nel corso del secolo
XVIII l’economia di A. si sviluppò notevolmente, soprattutto nel settore
della viticoltura, e nel 1771 vi fu costituito il Consiglio comunitativo che contribuı̀ a vivacizzarne la vita. Nel 1814,
estinti gli Zatrillas, il villaggio passò ai
Vivaldi Pasqua, ma ormai nella comunità andava radicandosi l’esigenza di
liberarsi dalla dipendenza feudale;
nel 1821 A. fu incluso nella provincia
di Isili e finalmente nel 1839 si riscattò
dagli ultimi feudatari. Sono gli anni nei
quali Vittorio Angius annotava: «Notabile è l’estensione dell’abitato, per li
piccoli giardini frammezzati. Ogni abitazione ha il suo bel pergolato, che con
li mandorli, noci e fichi, allori e aranci
rendono il luogo amenissimo e molto
delizioso. Delle arti meccaniche conosconsi appena da pochissime le più necessarie; le manifatture sono la sola
tela, e l’albagio [orbace] di varie qua-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 281
Armungia
lità, di cui moltissime pezze vendonsi
nella Trexenta, nel Campidano di Cagliari e nella curatoria di Seurgus. Vi è
una scuola normale dove concorrono
circa dieci fanciulli. All’anno si sogliono celebrare circa sei matrimoni,
nascono 35, muoiono 15. Le famiglie
sono 270, le anime 875. Possiede questa
comunità un territorio assai vasto di
circa 120 miglia quadrate in superficie
triangolare. Grandissimo frutto potrebbe percepirsi da cotanta estensione in massima parte coltivabile; ma
non si cura di aver oltre della sussistenza, e di arricchire. Si semina ordinariamente circa 720 starelli cagliaritani di grano (litri 35,424), che rende in
anno di mediocre fertilità dal 12 al 15
per uno; d’orzo starelli 200, onde si ha
più del 15; di fave 100, le quali producono anche il 25; di legumi 50, che rendono il 10; di lino se ne semina tanto
che il prodotto possa provvedere ai bisogni delle famiglie. Nutronsi cavalle,
vacche, capre, pecore e porci; però non
si bada a moltiplicare i capi a tanto,
quanto lo permettono le sussistenze locali. Il numero di ciascuna specie è al
presente come segue: pecore 2000, capre 2000, vacche 300, porci 300, cavalle
150. Si può vendere da 500 cantara di
formaggio (kg 20,325). Ordinariamente
lo comprano i negozianti sarrabesi».
Nel 1848 la provincia di Isili fu abolita
e il villaggio entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari, nel
1859 infine dell’omonima provincia.
Nella seconda metà del secolo la comunità attraversò una grave crisi a causa
dell’eccessiva pressione fiscale e, sebbene si tentassero alcune esperienze
nel settore minerario, cominciò a spopolarsi. La diminuzione della popolazione si è accentuata dopo la fine della
seconda guerra mondiale; attualmente
il villaggio, custode della memoria di
Emilio Lussu (nato qui nel 1890 e rima-
sto per tutta la vita affezionato a questo
che definiva «un piccolo villaggio di
montagna, tra quelli che la civiltà romana conobbe per ultimi»), sta tentando la carta dello sviluppo turistico.
& ECONOMIA La base dell’economia di
A. è rappresentata tuttora dall’agricoltura e dall’allevamento. Nel primo settore ha avuto incremento in questi ultimi decenni la viticoltura; mentre il
latte prodotto viene in parte lavorato
sul posto, in pare conferito al caseificio
di San Nicolò Gerrei. Artigianato. Abbandonate ormai le antiche forme di
produzione artigianale, sopravvivono
nel paese soltanto quelle legate all’attività edilizia.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 609 unità,
di cui maschi 300; femmine 309; famiglie 282. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 6 e nati 2;
cancellati dall’anagrafe 25 e iscritti 5.
Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 11 859 in migliaia di
lire; versamenti ICI 261; aziende agricole 196; imprese commerciali 45;
esercizi pubblici 3; esercizi al dettaglio
17. Tra gli indicatori sociali: occupati
161; disoccupati 26; inoccupati 44; laureati 2; diplomati 39; con licenza media
194; con licenza elementare 306; analfabeti 37; automezzi circolanti 219; abbonamenti TV 204.
& PATRIMONIOARCHEOLOGICO I nuraghi che si trovano nel territorio (Coili
de Bois, Palla, Perdu Schirru, Sarbatzi,
Scandariu) dimostrano la sua frequentazione in epoca molto antica; il più caratteristico è il Nuraghe A., situato al
centro dell’abitato. Di struttura monotorre, conserva un certo interesse, anche se privo degli ultimi filari superiori e restaurato su un fianco in seguito all’asportazione dei materiali,
per la sua posizione dominante al cen-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Arnaud
tro del paese e per la bellezza della
volta interna a tholos. Attraverso un andito di accesso con due garitte triangolari si giunge alla camera centrale, in
buono stato di conservazione, mentre
da una scala, il cui accesso si trova all’interno del vano centrale, si giunge
alla terrazza superiore.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Di grande interesse urbanistico è il centro storico, costituito
da un insieme molto esteso di case a
corte, ognuna delle quali comprende,
come ai tempi dell’Angius, un piccolo
giardino con alberi di differenti specie. Nel cuore dell’abitato si trova la
parrocchiale dedicata all’Immacolata,
chiesa costruita nel 1602 nell’area di
un antico cimitero. L’edificio ha forme
gotico-aragonesi, l’interno è semplice,
ha una sola navata e la volta a botte e
custodisce un bel fonte battesimale in
pietra finemente scolpita del 1706 e argenterie tra cui una lampada d’argento
del secolo XVIII. Altra chiesa interessante è quella di San Sebastiano, attualmente situata alla periferia del
paese; costruita nel secolo XVIII, ha
una sola navata e forme molto semplici. Molto interessante è anche il Museo S’omu de is Aı̀nas (la casa dei lavori), ospitato in diversi edifici che lo
integrano nel tessuto urbanistico; contiene una raccolta che documenta la
civiltà contadina e gli altri mestieri
nei loro vari aspetti, un antico laboratorio di fabbro e una sezione dedicata
alla vita e alle opere di Emilio Lussu.
Negli ultimi anni la ricerca di una
nuova vocazione turistica ha condotto
alla realizzazione di alcuni sentieri
che, inoltrandosi nel vario territorio
sui percorsi dei pastori e dei minatori
di un tempo, ne mettono in risalto le
risorse naturalistiche e paesaggistiche.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI A.
conserva la memoria delle sue tradizioni in alcune feste popolari tra le
quali quella di San Sebastiano che si
svolge alla fine di settembre, probabilmente per ricordare il trasferimento
ad A. degli abitanti di Murdegu, con il
coinvolgimento di tutta la popolazione
in un grande banchetto e balli tradizionali. In passato la ricerca dei cibi occorrenti al banchetto culminava in una
processione di ringraziamento degli
organizzatori che si fermavano di
fronte ai portoni delle famiglie che
avevano contribuito e cantavano pubbliche lodi in loro onore. La festa di
maggiore richiamo è però quella della
Vergine Immacolata, la quarta domenica di maggio: partecipano gli armungesi e molti abitanti dei paesi vicini;
anche in questo caso si tengono i tradizionali balli sardi, per i quali questo
paese era famoso sin dai secoli passati.
Vanno infine ricordate altre due feste
che si collegano direttamente alle più
antiche tradizioni popolari di A. Per
prima quella di Is animeddas, che si
tiene il 31 ottobre. Si tratta di una manifestazione molto antica che si riallaccia alle tradizioni popolari tipiche
del Gerrei. Per l’occasione, i bambini
che percorrono le strade del paese e
bussano alle porte chiedendo offerte
di pane, dolci e limoni (is animeddas),
vengono accolti con gioia e con le offerte riempiono un sacchetto che portano con sé; un tempo le offerte venivano raccolte e distribuite ai poveri
della comunità. La festa de Su trigu
cottu si svolge invece il 31 dicembre,
quando in diversi punti dell’abitato
viene distribuito il grano cotto e addolcito con miele, zucchero e sapa.
Arnaud, Guglielmo Religioso (sec.
XIV). Minore conventuale, fu nominato
vescovo di Galtellı̀ nel 1386 da Clemente VII, papa di Avignone, e nel
1388 suo nunzio in Sardegna.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 283
Arnosio
Roma subito dopo la laurea, divenne
redattore dell’‘‘Osservatore Romano’’.
Cattolico di idee liberali, nel 1913 fu
candidato nel collegio di Isili per l’elezione a deputato, sfidando le potenti
clientele del ministro Francesco Cocco
Ortu. Andò molto vicino al successo,
anche perché si parlò di brogli di cui
furono teatro i seggi elettorali di fede
coccortiana (di qui uno scontro fisico
con lo stesso Cocco che ci fu subito
dopo le elezioni). Finita la guerra aderı̀
al Partito Popolare Italiano e nel 1921
fu eletto deputato. Nel corso della legislatura concorse alla formazione della
Destra nazionalista di E. Martire, sicché nel 1923 dovette uscire dal PPI.
Non ricandidato nel 1924, lasciò la politica e si ritirò a vita privata.
Carlo Tomaso Arnosio – Piemontese, fu
nominato nel 1822 arcivescovo di Sassari, ma,
gravemente malato, dovette lasciare la sede
dopo pochi anni.
Arnosio, Carlo Tomaso Religioso (Carignano 1774-Alessandria 1828). Arcivescovo di Sassari dal 1822 al 1828.
Uomo di grande cultura ed erudizione,
fu nominato canonico della chiesa metropolitana di Torino e divenne dottore
in Teologia all’Università di Torino e
insegnante nel Seminario di Giaveno.
Nel 1822 fu nominato arcivescovo di
Sassari e governò l’archidiocesi con
grande equilibrio, impegnandosi soprattutto nella riforma del Seminario.
Subito dopo aver portato a termine la
sua seconda visita pastorale, minato da
un male incurabile tornò in Piemonte e
morı̀ dopo grandi sofferenze.
Aroca, Guido Avvocato, giornalista, deputato al Parlamento (Sassari 1881Roma 1969). Figlio di Alfonso, popolare
medico sassarese impegnato in politica nel gruppo radical-repubblicano,
alternò la professione di avvocato a
quella di giornalista. Trasferitosi a
Aroca, Mario Medico, poeta (Sassari
1876-Genova 1965). Era figlio di Alfonso, popolare medico sassarese, e
fratello maggiore di Guido. Laureato
in Medicina, si trasferı̀ a Genova ed entrò in servizio sui transatlantici. Ritiratosi a vita privata, si dedicò esclusivamente alla letteratura. Scrisse versi
di notevole efficacia in sassarese e in
italiano; usava lo pseudonimo di Marius Aper per le pagine di prosa, tra cui
le novelle Gocce di sangue e il notissimo
Cricrı̀ è immortale, e lo pseudonimo di
Brottu Sarippa per i versi dialettali, fra
cui I canti del pellita (1953). Nel 1959
vinse il secondo premio al ‘‘Città di
Ozieri’’. Morı̀ a Genova dove si era ritirato a vivere dal 1953.
Arquer Famiglia cagliaritana originaria del Regno di Valencia (sec. XVI). Si
trasferı̀ in Sardegna agli inizi del secolo XVI con un Pietro Giovanni, cavaliere, che probabilmente discendeva
da un’antica stirpe di cavalieri originaria di Ceret nel Roussillon e diramata
in Catalogna, Valencia e Majorca. Le
sue condizioni economiche però non
erano buone: fu procuratore generale
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 284
Arquer
di Pietro Maza de Liçana signore di Terranova; nell’esercizio del suo ufficio si
inserı̀ nell’intricata rete di affari della
famiglia contrapponendosi agli Aymerich, altri tradizionali amministratori
dei Maza. Suo figlio, il dottor Giovanni
Antonio, fu tra i protagonisti delle fazioni che dilaniarono l’aristocrazia cagliaritana nel corso del secolo; avvocato valente, si segnalò difendendo gli
interessi dell’arcivescovo di Sassari
Salvatore Alepus e nella causa per la
successione nel feudo di Thiesi. Si legò
ad Antonio Cardona e fu l’elemento di
coagulo del partito viceregio che propugnava la modernizzazione dell’amministrazione pubblica e la diminuzione dei privilegi dell’aristocrazia.
Gli fu anche affidato l’esame dell’amministrazione Carrillo e poiché sua figlia Petronilla era sposata a Gerolamo
Ram, fratello del maestro razionale e
nipote dell’arcivescovo Alepus, fu
coinvolto direttamente nelle diatribe
della successione dei Carrillo in contrasto con gli Zapata. La lite lo portò
cosı̀ a scontrarsi con gli Aymerich, tradizionali rivali della sua famiglia e
amici degli Zapata; dopo il primo allontanamento del Cardona, nel 1544 fu
arrestato, ma quando nel 1545 il viceré
tornò in Sardegna fu liberato, riabilitato e riconosciuto cavaliere. Riprese
cosı̀ la lotta contro i rivali e riuscı̀ a far
affidare a uno dei figli, Sigismondo,
l’amministrazione di una parte dei
beni dei Maza; oltre a Sigismondo entrò nella contesa anche l’altro dei suoi
figli Pietro Giovanni. Essi furono protagonisti della seconda fase delle faide
nobiliari cagliaritane e morirono nella
seconda metà del secolo senza lasciare
discendenza.
Arquer, Pietro Giovanni Giurista (sec.
XVI). Figlio di Giovanni Antonio fu
protagonista della faida nobiliare cagliaritana. Nel 1559 ferı̀ con la spada
Filippo Torrellas e fu costretto a rifugiarsi nella cattedrale per sfuggire ai
sicari della fazione degli Aymerich.
Nel 1564 fu nominato avvocato fiscale;
il suo nome è legato alla raccolta e al
commento dei capitoli dei parlamenti.
Egli infatti continuò l’opera del Bellit,
commentando i capitoli dei parlamenti Coloma e Moncada e pubblicandoli sotto il titolo di Capitols de cort del
stament militar de Sardenya ara novament restampats y de nou añadits ab
molta diligencia y curiositat reunits,
1591. Fu autore anche di altre opere di
carattere giuridico tra cui la Rubrica de
tots los reals privilegis concedits a la magnifica ciutat de Caller por los serenissimos Reyes de Aragò, 1603.
Arquer, Sigismondo Giurista e letterato (Cagliari 1530-Toledo 1571). Di notevole intelligenza, dopo essersi laureato a soli 17 anni a Pisa in utroque
iure e a Siena in Teologia, nel 1555
tornò a Cagliari dopo una serie di
viaggi e soggiorni in Svizzera e in Spagna e intraprese la carriera giudiziaria. Nel 1553 fu nominato avvocato fiscale e succedette nell’ufficio a Girolamo Olives. Sensibile ai programmi
di rinnovamento dell’azione amministrativa e di spirito rigoroso e intransigente, finı̀ per attirarsi l’ostilità delle
consorterie nobiliari del suo tempo,
delle quali cercò di limitare privilegi e
prepotenze. I nobili, sentendosi in pericolo per causa sua, cercarono in tutti
i modi di fermarlo. Essi infatti lo accusarono di malversazione costringendolo a fuggire: raggiunse nuovamente
la Spagna dove la principessa reggente
lo sciolse dalle accuse e lo fece tornare
nell’isola (1558). I suoi nemici puntarono allora sull’eresia: assolto una
prima volta dall’arcivescovo Parragues, nel 1562 fu fatto oggetto di una
nuova accusa presso l’inquisitore
Diego Calvo e cosı̀, nell’estate del
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 285
Arrampicata
1563, fu arrestato mentre ritornava in
Spagna. L’indizio principale era la sua
collaborazione, con un breve articolo
scritto mentre si trovava in Svizzera
(Sardiniae brevis historia et descriptio:
Tabula chorografica insulae ac metropolis illustrata), alla Cosmografia universalis di Sebastiano Münster, un francescano diventato protestante. Rinchiuso nelle carceri di Toledo sotto
l’accusa di eresia, qui rimase per quasi
otto anni, subendo molte torture. Alla
fine di una serie di interrogatori di diversi giudici venne condannato al rogo
– come scrive Raimondo Turtas nel suo
Storia della Chiesa in Sardegna dalle
origini al Duemila, 1999 – «come eretico
‘‘negativo’’ perché, pur negando di esserlo e proclamando invece la sua ortodossia cattolica, gli inquisitori erano
convinti che egli fosse sicuramente
eretico». E agli inquisitori «che gli facevano intravedere la possibilità di
aver ancora salva la vita a condizione
di ammettere l’eresia e chiederne
umilmente perdono, egli rispose che
se avesse acconsentito alla loro richiesta proprio nel momento in cui stava
‘‘per comparire davanti a Dio, che è la
stessa Verità, ciò sarebbe stato nient’altro che mentire per scampare alla
morte’’: se questa era la condizione per
vivere, era preferibile morire con la
coscienza tranquilla». Il giudizio di
Turtas è che «se in quel momento Sigismondo condivideva per davvero
quella fede religiosa per la quale gli
inquisitori lo accusavano e lo punivano
col rogo, egli non poteva scegliere un
modo più contorto e meno comprensibile per testimoniarlo di fronte alla
morte». Al termine del processo morı̀
sul rogo nel 1571. A. è uno dei personaggi più drammatici e insieme più
controversi della storia sarda. Sui suoi
reali sentimenti religiosi si è svolta a
fine Novecento una acuta polemica
fra due grandi specialisti come Raimondo Turtas (Antonio Parragues de
Castillejo arcivescovo di Cagliari e Sigismondo Arquer a confronto, ‘‘Archivio
storico sardo’’, 1998) e Massimo Firpo
(Alcune considerazioni sull’esperienza
religiosa di Sigismondo Arquer, in Studi
e ricerche in onore di Girolamo Sotgiu,
1993-1994). A M.M. Cocco dobbiamo
una interessante biografia (Sigismondo Arquer dagli studi giovanili
fino all’autodafè, 1987).
Arrampicata = Alpinismo
Arras Famiglia di proprietari di Bono
(secc. XVII-XIX). Le sue notizie risalgono al secolo XVII; nel 1732 un Nicolò
Arras Rubatta ottenne il cavalierato
ereditario e la nobiltà: furono suoi figli
Diego, canonico, Giovanni Antonio, vescovo, Taddeo e Margherita, madre di
Giovanni Maria Angioy. Fu Taddeo,
con il fratello Giovanni Antonio, che
provvide all’educazione dell’Angioy rimasto orfano ancora bambino; nel 1792
arruolò alcuni contingenti di miliziani
da inviare a Cagliari per provvedere
alla difesa dallo sbarco dei francesi ottenendo il grado di colonnello. Dopo la
sconfitta della linea politica del nipote, nel 1797, sospettato di cospirazione, fu arrestato e in seguito mandato
in soggiorno obbligato a Carloforte,
dove nel 1798 fu sorpreso dall’incursione dei corsari tunisini. Egli cercò di
organizzare la resistenza ma, sebbene
ferito, non riuscı̀ a impedire che i predoni deportassero buona parte della
popolazione. La famiglia si estinse con
suo figlio Giovanni Antonio nel corso
del secolo XIX.
Arras, Giovanni Antonio Religioso
(Nuoro 1717-Tempio 1784). Vescovo di
Ampurias e Civita dal 1779 al 1784. Si
laureò in utroque a Cagliari, subito
dopo fu nominato canonico del capitolo di Sassari. Nella curia turritana si
mise in luce per le sue grandi qualità e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Arriu
fu nominato vicario generale. Dopo la
morte della sorella Margherita e di suo
marito, genitori di Giovanni Maria Angioy, curò l’educazione del loro figlio;
nel 1779 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita. Lavorò con impegno nella
sua diocesi a migliorare le condizioni
del clero.
Arras Minutili, Giovanni Antonio Religioso (Nuoro 1717-Castelsardo?,
1784). Si laureò in utroque a Cagliari e
subito dopo fu nominato canonico di
Sassari dove divenne vicario generale.
Era fratello della madre di Giovanni
Maria Angioy di cui curò l’educazione;
nel 1779 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita, nella sua diocesi lavorò
con impegno a migliorare le condizioni
del clero.
Arrendamento Termine giuridico utilizzato in Sardegna nel periodo aragonese e spagnolo per indicare la procedura con la quale la riscossione o l’amministrazione dei diritti fiscali e delle
altre rendite veniva affidata a privati
che concorrevano, per aggiudicarsele,
a un vero e proprio appalto. L’aggiudicatario (arrendatore) infatti, in concorrenza con altri, acquisiva l’appalto
delle rendite dietro l’offerta all’amministrazione di particolari garanzie finanziarie, ad esempio garantendo il
pagamento anticipato delle annualità;
i suoi utili provenivano dalla riscossione diretta dei tributi. Nel corso del
secolo XV l’a. era assegnato per periodi variabili a seconda dell’importanza del tributo, e comunque mai per
periodi superiori ai dieci anni: esso comunque servı̀ ad avviare le fortune
economiche di molte famiglie. Nel
corso del secolo XVI e soprattutto nel
secolo XVII l’a. divenne una concessione vitalizia e spesso ereditaria, assumendo la forma di una vera e propria
concessione feudale.
Arri, Giovanni Antonio Epigrafista
(sec. XIX). Abate, uomo di grande cultura, fu profondo conoscitore dell’epigrafia; a partire dal 1830 collaborò con
l’Angius, che in quegli anni curava la
redazione dei suoi studi sui nuraghi.
Prese parte al dibattito sull’origine e
la funzione di quegli edifici, che considerò come torri dedicate al culto
astrale e solare, ipotizzando che fossero stati costruiti dai Fenici cananei
nel secolo XV a.C. Tra i suoi scritti sull’argomento, Lapide fenicia di Nora in
Sardegna, 1834; Lettera di Giannantonio Arri al chiarissimo cavaliere Alberto
della Marmora intorno ai Nurhag della
Sardegna, 1835.
Arrica, Filippo Religioso (Ploaghe
1783-Alghero 1839). Laureato in Teologia, fu parroco di Sant’Apollinare di
Sassari. Nel 1832 fu nominato vescovo
di Alghero; nel 1839 morı̀ in quella
città, dopo aver compiuto la visita pastorale alla diocesi nel 1838.
Arriu, Antonio Giuseppe Teologo (Guspini 1743-Cagliari 1876). Entrato nell’ordine degli Scolopi, insegnò per
molti anni grammatica a Oristano e in
seguito si trasferı̀ a Cagliari dove insegnò nel collegio di San Giuseppe, di cui
fu nominato rettore. Nel 1811 fu eletto
provinciale del suo ordine per la Sardegna. Fu autore di diverse opere e polemizzò col padre Giacinto Hintz che
insegnava Sacra Scrittura presso l’Università di Cagliari, del quale rifiutava il neo-millenarismo. Nel suo saggio su Le profezie che rimirano il finimondo deciferate contro i vani interpretamenti dei moderni chiliasti, 1805, dimostrò l’insufficienza delle basi teologiche di quanti, come i millenaristi,
professavano il ritorno di Gesù Cristo
e la fine dell’età degli uomini dopo un
periodo di mille anni (di qui il termine
di chiliasti, dal greco chı̀lioi, ‘‘mille’’,
applicato ai seguaci della teoria) che
avrebbe dovuto cedere il passo al Re-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Arrius
gno di Dio. La tesi, fondata su una particolare interpretazione dell’Apocalisse di San Giovanni, si era presentata
più volte nel Medioevo ed era stata
fatta propria, nel secolo XVI, dagli
Anabattisti.
Arrius, Giuseppe Maria Sacerdote
(sec. XVIII). Minore conventuale domenicano. Sul finire del 1792 fu nominato dal vescovo di Iglesias cappellano
militare delle truppe dislocate a Sant’Antioco per fermare il tentativo di
sbarco della flotta francese d’invasione. Nel 1793, quando gli invasori si
presentarono, animò la resistenza degli abitanti di Sant’Antioco, attirandosi
l’ammirazione generale al punto che la
truppa lo acclamò ispettore e comandante generale. A questo episodio dedicò un suo scritto, La campagna di Palmas del 1792-93, 1907.
Arru, Antonio Giuseppe Impiegato,
consigliere regionale (n. Calangianus
1921). Cattolico impegnato nella DC.
Candidato per la IV legislatura, il 20
febbraio 1963 è subentrato come consigliere regionale nel collegio di Sassari
a Francesco Deriu (dimissionario per
la candidatura al Senato). È stato successivamente rieletto nello stesso collegio per la V e la VI legislatura. Durante la VI legislatura fu questore del
Consiglio dal 7 agosto 1969, in sostituzione di Pietro Monni, dimissionario.
Arrubiolus Tipici dolci riconducibili
alla lavorazione tradizionale della ricotta di pecora. Di origine antichissima, un tempo venivano ottenuti dalla
ricotta fresca che il pastore era solito
portare a casa dall’ovile. Le donne di
casa la lavoravano con una spatola di
legno impastandola con farina, zucchero, scorza grattugiata d’arancia e
zafferano sciolto nell’acqua tiepida.
L’impasto ottenuto veniva tagliato in
tocchetti non più grandi di una noce
da far friggere nell’olio caldo, e subito
dopo spolverati di zucchero e serviti.
Artea, Giorgio Religioso (sec. XVI). Vescovo di Lodi, nel 1535 fu a Cagliari a
ossequiare Carlo V che partiva per la
spedizione in Tunisia; nel 1538 fu trasferito in Sardegna a reggere la diocesi
di Ampurias e Civita. Fu un prelato
molto attivo e compı̀ molte visite pastorali nella sua diocesi.
Arte Duchamp Casa editrice fondata a
Cagliari nel 1977 da Angela Grilletti,
come estensione dell’attività della
omonima galleria d’arte. L’esordio è
avvenuto con la pubblicazione del periodico ‘‘Arte Duchamp Notizie’’. Sono
seguite alcune opere di narrativa e soprattutto pregevoli pubblicazioni
d’arte. Rilevante attenzione è dedicata
alle originali opere dell’artista Maria
Lai: cartelle di grafica moltiplicata,
fac-simile delle fiabe per immagini,
carte e giochi per leggere l’arte visiva,
CD-Rom. [MARIO ARGIOLAS]
Artigianarte Editrice Casa editrice
fondata nel 1986 a Cagliari; pubblica
la collana ‘‘Biblioteca storico-ambientale’’ che affronta problemi di storia locale e di ambiente. Pubblica inoltre
importanti studi di alcuni noti intellettuali su argomenti di cultura sarda.
[MARIO ARGIOLAS]
Artigianato L’attività dell’artigianato
restò legata alla vita domestica e a
quella agropastorale, si può dire, con
lo stesso impegno che nel passato, fino
al primo quarto del Novecento. Produzioni di artigianato erano la casa con la
suppellettile, il carro e l’aratro, il piccolo mondo della capanna pastorale.
Nella casa erano andati sempre più affinandosi quegli arredi e quegli oggetti
che sembrano entrati nel sangue dei
sardi e che vengono apprezzati dai forestieri. In ogni dimora isolana si
ostentano o si conservano manufatti
che hanno perduto la loro funzione ori-
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pag. 288
Artigianato
ginaria, in virtù della loro forma e grazia particolari. Oggi non si producono
quasi più oggetti strettamente utilitari,
ma si continua nella tradizione, con
controllata modernità, a confezionare
quella suppellettile fortemente caratterizzata per l’arredo decorativo domestico come sono gli arazzi e i tappeti.
souvenir che hanno poco a che fare con
l’autentico, tradizionale artigianato
sardo. Nonostante questi fatti negativi
e, in genere, l’usura dovuta al progresso accelerato nell’ultimo dopoguerra, l’artigianato di qualità è ancora vivo, per merito di artisti sensibili
e di un ente regionale creato nel 1957,
espressamente dedicato, come dice la
sua denominazione, all’organizzazione
‘‘del lavoro artigiano’’ (ISOLA) e anche
il lavoro che si muove nel filone tradizionale rappresenta ancora una notevole attività economica capace di produrre una certa quantità di reddito.
Artigianato – La lavorazione del cuoio si è
sviluppata verso la fine dell’Ottocento
soprattutto nella Sardegna settentrionale
(Sassari e Bosa).
Fino a non molti anni addietro l’artigianato era in Sardegna un’occupazione, e insieme una passione, di tutti,
sia dell’uomo che della donna. Molti
modi artigiani sono ora completamente scomparsi; ne restano eccellenti documentazioni, oltre che nelle
case (specie del contado), nelle raccolte pubbliche e private e immagini
sparse in pubblicazioni. Nei primi decenni del secolo le produzioni cominciarono a essere conosciute anche
fuori dall’isola, specie nel periodo in
cui era di moda il folclore regionale.
Ma nel contempo si verificarono certe
deviazioni del gusto, originate dal malinteso concetto di uno ‘‘stile sardo’’,
poggiante sulla trasposizione di elementi tradizionali e l’abuso del nero:
sulla scia di queste abitudini nel ventennio fra le due guerre e i primi decenni del secondo dopoguerra sono
state immesse sul mercato produzioni-
Artigianato – La cassapanca di legno di
castagno, con il lato anteriore finemente
intagliato, era il mobile fondamentale della
casa sarda tradizionale.
LA CASA COME OGGETTO ARTIGIANO
Per comprendere meglio l’artigianato
giova partire dall’architettura rustica,
che è anch’essa una produzione di artigianato. La casa costituiva lo scrigno
dei rari mobili di legno intagliato, degli
oggetti di ferro e di rame, della cestineria, della ceramica, dei tessuti e dei ricami, dei gioielli, delle materie effimere, di manufatti di materie varie,
nonché dell’abbigliamento tradizionale: oggi i costumi sono riposti gelosamente negli antichi cassoni, ma una
volta inondavano la casa e venivano
confezionati in casa, come i ‘‘copricassa’’ e le tele ricamate. In passato
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Artigianato
l’artigiano provvedeva anche all’arredo delle chiese, e notevole è stato il
contributo degli orafi e degli argentieri, nonché quello delle donne, che
ricamavano paramenti e tovaglie d’altare. Le forme artigianali sono state affinate lentamente attraverso i secoli;
esse sono il risultato di una rigorosa
selezione, in cui è stato scartato tutto
quanto non fosse veramente funzionale. Ma molte non risalgono alla più
remota antichità, come potrebbero far
pensare o come generalmente si crede:
è una fatica ardua tentare di ricucire la
loro storia, anche per difetto di studi
sistematici interessanti la più vasta
area mediterranea. Nel passato non ci
furono vere ‘‘scuole’’, che creassero la
tradizione artigiana: il suo svolgimento e il suo rinnovamento erano dovuti a delle spinte che si verificavano
periodicamente, dovute alla sensibilità di persone colte, prelati e nobildonne. Delle arti popolari europee, le
produzioni artigianali della Sardegna
sono fra le più pure: esse mostrano
tutte il timbro peculiare e inconfondibile della regione, capaci di suscitare
sensazioni particolari, sia visive che
tattili. L’osservanza dell’utilità funzionale delle produzioni si avverte nella
generalità dei casi, ma non mancano
esemplari in cui si legge chiaramente
l’impronta della fantasia dell’artigiano-artista: accadeva quando l’artigiano, al di fuori dell’attività quotidiana volta alla ripetizione dei modelli
(come si avverte specialmente nella
produzione figulina), nei dı̀ di festa o
in occasioni eccezionali si impegnava
per fare un dono prezioso a un amico,
agli sposi o a un benefattore. L’architettura domestica è anch’essa una produzione di artigianato, di arte popolare.
Essa costituisce l’ambiente che accoglie quelle cose che si chiamano di artigianato; l’una e le altre si integrano a
vicenda, formando un tutto unico. La
casa presenta molte sfumature, nelle
diverse subregioni dell’isola, sia riguardo agli schemi planimetrici che ai
misurati spazi e al loro carattere. La
più compiuta espressione è la casa dei
Campidani: la ‘‘cucina’’ era l’ambiente
principale, densamente arredato; accanto ad essa era la ‘‘stanza del fieno’’,
con le pareti letteralmente ricoperte
di canestri, còrbule e setacci. Il caratteristico loggiato, sa lolla, ospitava panche e molte sedie vivaci, e talvolta anche il torchio e il telaio. La casa montanara, sviluppata in altezza, era caratterizzata invece da ampie balconate lignee a più piani, dalle colonnine intagliate; oltre ai cassoni intagliati, ubicati nell’ampia ‘‘cucina’’ (detta anche
sa domu de su fumu, la stanza del
fumo), c’erano i telai, i letti e il ‘‘canterano di Aritzo’’, con su in alto lo specchio.
Artigianato – Il sole e le pavoncelle sono
elementi caratteristici della decorazione del
fronte della cassapanca sarda.
IL LEGNO: I MOBILI E L’INTAGLIO Tra i
mobili e la suppellettile domestica faceva spicco il tradizionale cassone
nuziale, forse il pezzo che vanta maggiore antichità. Si è intravista in un
cofanetto di bronzo di età nuragica
l’immagine dell’arca di legno. Ancora
oggi la cassa nuziale o una piccola
cassa da viaggio non manca mai nella
casa sarda. Per la decorazione del pa-
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Artigianato
liotto si ricorreva alle fasce intagliate
che i mercanti barbaricini vendevano
a palmi ai falegnami dell’isola: le strisce di castagno intagliato ripetevano
all’infinito motivi geometrici; l’applicazione, senza principio e senza fine,
non poteva risultare ben inserita, con
gli attacchi imperfetti fra i lati orizzontali e verticali. Sempre apribile
dall’alto, il cassone è sollevato dal
suolo mediante supporti; serviva per
custodire un po’ di tutto. I due tipi,
quello di Aritzo o barbaricino, e
quello allungato, piuttosto basso, cosiddetto di Santu Lussurgiu, coesistono nella stessa area.Il legno veniva
lasciato allo stato naturale o veniva
dipinto in rosso con sangue di agnello
oppure in turchino o verdolino, con
essenze vegetali. Stando molto tempo
nella ‘‘stanza del fumo’’, finiva per annerirsi. Si prese, cosı̀, in tempi moderni, a dipingerle di quel colore
nero, di cui abusò il cosiddetto ‘‘stile
sardo’’ degli anni Venti e Trenta. Il
tipo detto di Santu Lussurgiu reca
alle estremità mensole intagliate aggettanti, con forti modanature di base
e appoggi a foggia di zampa di leone.
L’influenza di modi continentali è evidente. Nel tipo barbaricino, invece, i
modi sono rimasti bizantineggianti,
nella tipica scultura a nastro, trattata
a punta di coltello. La decorazione,
geometrica e floreale, è integrata immancabilmente da simboli, come il
Sole e la clessidra, nonché da uccelli
stilizzati. Mentre il paliotto è sempre
decorato, le altre facce sono sempre
lisce. In legno era originariamente
anche il letto. Le sue strutture venivano letteralmente celate da coperte,
trine e velari; tutt’attorno correva il
‘‘giraletto’’. I letti di ferro, dalle testate decorate da volute dipinte, si
diffusero nell’Ottocento. Accanto al
letto era la culla, anch’essa intagliata.
Il tavolo elaborato non era molto frequente; era quasi sempre semplice e
serviva per la confezione del pane e
per desinare. In Campidano, nelle cucine c’erano la mesiglia, bassa, e le sedie, anch’esse basse, di legno bianco,
decorate col fior del melograno e impagliate (fattura di Assemini). Frequente era la mostra dei piatti, detta
parastaggiu. Sedie e seggioloni, che
svolgevano gli stessi motivi decorativi
del cassone, erano frequenti nei centri di montagna, dove erano usati anche gli sgabelli fatti con tronchi di férula. Altri tipi di sedie, intagliate e dipinte in genere di rosso, sono di derivazione spagnola. L’attività degli intagliatori fu notevole ed eccellente nei
secoli XVII e XVIII: ne fanno fede gli
altari e i pulpiti intagliati e dorati, di
cui sono piene le chiese. Stalli corali e
arredi presbiteriali in genere attingono all’arte colta, raramente all’arte
popolaresca. Il telaio aveva spesso le
piantane e le congiunture orizzontali
intagliate; oggetti complementari –
ma anch’essi lavorati, spesso – erano
conocchie, naspi, fusi e spole. Altri
manufatti in legno erano taglieri, vassoi, mestoli, forchette, cucchiai, bicchieri, reggisetacci, bellissimi stampi
da pane e sigilli. Anche il corno si presta a essere intagliato: sono nate cosı̀
tabacchiere, fiaschette, porta-polvere da sparo, bicchieri, pipe, uncinetti per lavori donneschi. Bellissimi
manici di coltello sono tuttora fatti di
corno di montone (Pattada, Santu Lussurgiu, Desulo, Dorgali). Per le tabacchiere è stato impiegato anche l’avorio. I sardi hanno sempre intagliato,
scalfito e inciso. Hanno creato maschere carnevalesche, simulacri di
Santi e forme fantastiche, utilizzando
soprattutto il legno di pero.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Artigianato
Artigianato – La cassapanca intagliata,
spesso dipinta col sangue di bue, è un oggetto
essenziale dell’arredo domestico.
IL FERRO E IL RAME Collaboratore del
maestro di muro e del falegname era il
fabbro ferraio. Per la casa confezionava serrature fantasiose a forma di
animali o di cuore, maniglie con placca
traforata, battenti di porta a forma di
mostricciattoli e di simboli vari. Fabbricava speroni e morsi di bardatura
di cavallo. In tutte le cucine erano allineate, a parte, serie di schidioni, girarrosti, alari per caminetto; graticole e
treppiedi di ogni grandezza, padelle
per le caldarroste, e poi branchie, lucerne e piccoli oggetti, come le rotelle
dentate per la confezione del pane e
dei dolci. Cagliari e Sassari sono stati i
centri principali del ferro battuto, impiegato per roste, balconi, ringhiere di
scale, lampade e cancellate di chiese.
Il fabbro era spesso anche armaiolo.
Alcuni centri sono rimasti famosi per i
coltelli a serramanico (Pattada, Guspini, Arbus). Si conservano ancora ottime armi da caccia, decorate con gusto: il rivestimento poteva essere in
avorio scolpito oppure in lama di acciaio o di argento cesellato.
Artigianato – Il fabbro ferraio realizzava per la
casa serrature, maniglie, battenti di porta,
speroni e morsi di bardatura. Per la cucina
creava anche schidioni, girarrosti, graticole e
padelle.
Antichi archibugi sono forse modelli
moreschi: si fabbricavano a Dorgali e
a Tempio, che era famosa anche per le
armi bianche. La mostra del rame sbalzato completava l’insieme degli utensili di cucina. I ramai di Isili e di Gavoi
fabbricavano e smerciavano i loro manufatti in ogni angolo dell’isola: caldaie di varie dimensioni, un tipo standardizzato di braciere con bordatura e
paletta di ottone, forme per la confezione dei gatò e degli sformati. Il lattoniere fabbricava caffettiere di forme
bellissime, bidoni, padelle, oleatori,
tegami, lanterne a olio e lucerne.
L’INTRECCIO Oltre che nella cucina, i
recipienti di fieno occupavano spesso
una intera stanza, detta appunto
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Artigianato
‘‘stanza del fieno’’. L’arte dell’intreccio
risale alla più remota antichità, come
attestano alcuni bronzetti di età nuragica. Dai grandi recipienti per la conservazione del grano, di forma cilindrica, fatti di canna tessuta (lùscias), si
passa al piccolo canestro, piatto, per
purgarlo, al canestro più grande e al
crivello per vagliare la farina e al canestro ancor più grande per le forme di
pane. Cestini per deporre frutta secca
e fresca, per la biancheria, per il ricamo. Vengono impiegate essenze
umili: asfodelo (Barbagia di Ollolai,
Planargia), giunco e paglia di grano
(San Vero Milis, Sinnai), palma nana
(Castelsardo, Romangia). Mentre alla
confezione di questi cestini accudiscono le donne, i cestini di salice e
canna vengono di norma confezionati
dagli uomini, i quali intrecciano anche
le palme per la ‘‘Domenica delle
palme’’. Fra le manifatture di San
Vero Milis (còrbule e canestri), sono anche i crivelli per la farina, raffinatissimi, e le misure di giunco. Per nascondere l’occhiello della spirale dei cestini si dispone un dischetto di stoffa
sgargiante o di broccato (San Vero Milis e Sinnai). La decorazione si ottiene
impiegando strisce di tonalità diversa
dal fondo: nera o colorata, nei manufatti di Castelsardo e San Vero Milis, di
tonalità bruna in quelli di asfodelo,
mentre a Sinnai si impiega il cotone
color rosso o nero. I motivi sono costituiti da figure geometriche stellari intrecciate, da stilizzazioni floreali e faunistiche (l’uccello, il capriolo, il cervetto, il gatto). Nel Settecento, al motivo dei ‘‘rami di pero’’ venne aggiunto
quello della greca, nei cestini di asfodelo della Planargia, forse introdotto
dai Greci che colonizzarono Montresta.
Sono caratteristiche le panciute pòntine di Castelsardo, grandi cestini col
coperchio, di forma cilindrica o simili
a giare, che servivano per la conservazione della biancheria e dei fichi secchi. Qualche donna anziana lavora ancora la palma nana, però le castellanesi oggi impiegano di preferenza la
rafia e, purtroppo, anche i fili di plastica colorata. La rafia si lavora anche
a Ittiri e a Montresta.
Artigianato – La ceramica ha un’antica
tradizione in numerosi centri della Sardegna:
i principali sono Oristano, Assemini e Dorgali.
LA CERAMICA Parimenti antichissima
è l’arte figulina. I musei dell’isola mostrano una varietà veramente sorprendente di forme, risalenti alle età prenuragica e nuragica. Col trascorrere
dei secoli, la produzione è stata volta
alla ripetizione dei modelli essenziali
per la vita domestica: ripetizione che
la fa definire industria vera e propria.
Le forme ancora d’uso corrente risalgono però ai tempi della Magna Grecia
e di Roma. I centri, operosi fino ai nostri giorni, sono Oristano, Pabillonis,
Decimomannu, Assemini, Villaputzu,
Dorgali e Siniscola. Il centro principale era Oristano: è del 1692 uno statuto degli alforeros, cioè degli stovigliai, che occupavano un intero quartiere dei borghi. I manufatti sono recipienti per acqua, vino e olio: orci con o
senza coperchio, brocche e brocchette
a forma di anfora, di gallinelle e di
anello, fiaschette, barilotti, boccali,
bicchieri; stoviglie: piatti, tegami, pentole, casseruole, mastelli, mestoli, caf-
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Artigianato
fettiere; orci caratteristici e conche di
varie dimensioni; scalda-letto e
scalda-grembo in forme di frate e di
suora; scaldini e fornelli; cavallucci
decorativi che si disponevano sui tetti;
doccioni a forma di leone, tubi pluviali
e tazze da noria. Si fabbricavano anche
statuine decorative per gli esterni
delle chiese. Sono spesso forme non di
origine popolaresca, ma colta, come attestano certi vasi di fattura oristanese,
che sono stati avvicinati a quelli di Canosa. In tempi vicinissimi si è passati
alla ceramica vera e propria, per merito delle scuole d’arte: le botteghe dei
ceramisti sono numerose.
Artigianato – Un telaio verticale a Tonara.
Sia che produca tappeti o arazzi, il tessile in
Sardegna continua oggi con rinnovato vigore
una prestigiosa tradizione.
LA TESSITURA La fama dei costumi e
dei tappeti sardi ha varcato il mare. I
costumi rientrano fra i prodotti dell’attività artigiana, sia per la preparazione
dei tessuti che per la loro confezione,
basata sulla ripetizione tipica del manufatto artigianale. Di essi diremo solo
che non tutti sono antichi come generalmente si crede: alcuni indumenti
maschili sono antichissimi, mentre
buona parte di quelli femminili risalgono al Sei-Settecento. Il ‘‘tappeto’’ era
all’origine un copricassa o una coperta
da letto. Sia che adempia la funzione di
tappeto o di arazzo, il manufatto continua oggi con rinnovato vigore una prestigiosa tradizione. Altri capi d’una
volta erano la bisaccia e i collari per la
bardatura a festa dei cavalli e dei buoi.
L’arte della tessitura è ancora coltivata
in molti centri. I manufatti che eccellono di più per fantasia decorativa e
per vivacità del colore sono quelli di
Mogoro, Morgongiori, Samugheo. Ma
ogni centro vanta una propria caratteristica: dai grandi tappeti di Sarule e di
Nule al cosiddetto katalufa di Villanova Monteleone, dai tappeti di tonalità del rame di Isili alla vivacità dei
manufatti di San Vito e di Muravera. I
motivi decorativi sono numerosi: il cavallo e il cavaliere con la spada, gli
sposi a cavallo, i putti e i geni alati (i
cosiddetti ‘‘vescovi’’); la colomba, la
spiga, l’uva, il vaso fiorito, la fonte; oppure quelli di tradizione bizantina,
come il pavone; cosı̀, le aquile bicipiti,
le torri, i castelli, i leoni e i grifoni, di
derivazione araldica; e poi i simboli
magici, come i ricordati geni, il Sole,
la Luna, le stelle, la clessidra. Una tecnica particolare, detta a pibionis (acini
d’uva), applicata alle coperte da letto,
mostra le decorazioni compatte a rilievo. L’arte del ricamo è presente sia
in casa che in chiesa. In casa: tovaglie,
tovagliette, asciugamani, giralettus e
camicie bellissime; in chiesa: tovaglie
d’altare e pizzi di paramenti sacri. Le
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Artigianato
tecniche vanno dai merletti (bianco su
fondo colorato, in genere rosso ruggine) ai filet (a nodi, pizzo di Bosa), al
buratto. Le tele bianche sono ricamate
con lane e con sete policrome, in genere a due tinte, indaco e rosso ruggine
o giallo e marrone, che erano un tempo
ottenute con succhi vegetali. I motivi
decorativi sono i soliti: anche se certi
sono stati importati, come il leone, il
grifo, il liocorno, il timbro è peculiare.
Come la cittadina di Bosa per il filet,
Teulada è famosa per i tovagliati finissimi: in questo centro il fine ricamo faceva parte del costume maschile.
Artigianato – In molti paesi si tessono tappeti
tradizionali. Quelli di Nule (detti ‘‘a fiamma’’)
sono fra i più caratteristici.
I GIOIELLI I gioielli, ornamento complementare dei costumi, attestano il
gusto e l’attenzione per il proprio
aspetto sia dell’uomo che della donna.
Al gusto diffuso del monile ha fatto ri-
scontro sin dall’antichità l’attività di
un artigianato locale molto attento.
Artigianato – Gli arazzi di Mogoro sono famosi
per l’eleganza del disegno e la ricchezza della
loro policromia.
Già nel secolo XIV, gli argentieri, riuniti in ‘‘gremi’’, avevano fiorenti botteghe in Cagliari, Sassari, Oristano, Iglesias. I gioielli comprendono orecchini,
bottoni, anelli, gancere, collane, pendagli, catene, fibbie. Dopo il bottone di
filigrana, la collana è il gioiello più diffuso, d’oro e d’argento. Le catene, soprattutto quelle provenienti dall’area
barbaricina, decorate con misurato gusto da figure di cavalieri, cuori e uccelli, sono forse i gioielli che più rispecchiano la sardità di queste produzioni. Orecchini di semplice, elegante
fattura, raggiungono spesso anche elaborazioni interessanti, con incastonature di perle e di pietre. I rosari in filigrana (una tecnica che ha raggiunto un
alto grado di maturazione), decorati da
rosoni di varia geometria e dal crocifisso elaboratissimo, sono talvolta di
grandi dimensioni, e vengono appesi a
capo del letto. Portaprofumi e amuleti
contro il malocchio completano il corredo dei gioielli personali; fra gli oggetti da toeletta si distinguono gli spuligadentes, stuzzicadenti d’argento, decorati con perline, mostricciattoli, cavalieri, cuori con putti o con aquile. È
raro trovare incastonature di pietre
preziose; si cercavano solo effetti di co-
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Artigianato
lore. L’unica pietra da incastonatura
era il granato. Si usava il vetro colorato
e, spesso, la carta stagnola sotto il vetro
trasparente. Le collane si facevano anche col corallo, con i granatini e con le
perle. Oltre gli effetti di colore, interessavano spesso gli oggetti magici: si ricorreva contro il malocchio a un opercolo di conchiglia; contro la iettatura
in genere si usava la pietra nera, un
vetro detto nel Campidano sa sabeccia.
Pur non essendo agevole ricostruire la
storia dei gioielli e degli amuleti, essi
s’impongono per una impronta fortemente caratterizzata, che si può senz’altro definire sarda. L’attività degli
orafi e degli argentieri è stata notevole,
non solo nell’arte popolaresca, ma anche in quella colta: essi, tra i quali si
ricordano diversi nomi, hanno popolato le chiese di cartegloria, di candelabri, croci astili, custodie, reliquiari,
ostensori, tabernacoli. Né si deve trascurare il complesso, veramente notevole, degli ex voto che tappezzano i santuari più celebri: cuori, occhi, arti e
putti in lamina d’argento. Le Madonne
sono cariche di gioielli e di ex voto, tra
cui rosari molto belli e amuleti legati in
argento.
Artigianato – L’arazzo è uno dei prodotti più
caratteristici dell’arte della tessitura. Qui una
donna al telaio a Mogoro.
LA PLASTICA EFFIMERA I sardi hanno il
gusto della plastica, anche se di natura
effimera a causa della materia impie-
gata: la pasta di pane, di dolci, di formaggi, la palma e la cera. La donna, nel
confezionare soprattutto i pani da festa, emula l’artigiano; crea forme particolari per le cerimonie, per le feste e
per particolari ricorrenze. Specie nei
centri di montagna, è ancora in uso lo
stampo di legno, con decorazioni tratte
dal cassone nuziale. Fra i dolci, particolare cura veniva riservata al monumentale gatò della Candelora: quasi
sempre un’architettura composita (la
torre, il castello, il nuraghe o anche un
santo annicchiato) di mandorle tostate
e di zucchero o di miele. L’abilità della
mano femminile asseconda la fantasia
anche nella creazione di cavallucci,
uccelletti e trecce di cacio. La palma
operata – anch’essa una fatica effimera, durava tutt’al più un anno – sembrava una fantasia borrominiana, tutta
intrecci, ‘‘cuori’’ e infiocchettamenti.
Numerosi gli ex voto di cera: specie le
figure di bambini, derivati dai putti attraverso il barocco dell’Italia meridionale. Anche altre materie sono state
impiegate dall’artigiano. Fra le umili
essenze, non potevano mancare quelle
palustri. Le famose stuoie di Zeddiani
sono fatte col biodo, le bellissime capanne dei pescatori del Sinis e le imbarcazioni dello stagno di Cabras sono
fatte con una pianta detta crucuris.
Abilissimi sono i tessitori di canne di
Milis. Con le canne si fabbricavano alcuni giocattoli, tra cui i cavallucci e gli
schioppi, alcuni strumenti musicali a
fiato: pifferi, zufoli e il tipico strumento isolano, le launeddas a tre
canne. I cavallucci si facevano anche
con la férula, e sediette per bambine si
confezionavano con gli steli di asfodelo, tenuti a incastro. Il sughero ha
suggerito i tradizionali recipienti per
fiori, per il latte e i liquidi in genere,
fra i quali, molto diffuso, l’uppu, un mestolo con la tazza in sughero e il lungo
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Artizzu
manico di legno. Belle le antiche misure, anche per le soluzioni degli incastri, delle giunture e del bordo. Dai
nodi di sughero si facevano rustici bicchieri per acquavite. Di cuoio, oltre ai
finimenti per cavallo e per alcuni indumenti maschili, erano fatte cinghie larghe e istoriate; portamonete e portafogli si confezionano ancora a Dorgali.
Le zucche essiccate sono state da
tempo graffite per ottenere borracce
per contenere vino e acquavite o per
usarle come fiaschette per la polvere
da caccia. Il pastore graffiva con
grande pazienza, nelle lunghe ore di
sosta, scene religiose, scene di caccia
ed elementi geometrici e floreali. [VICO
MOSSA]
1958). Dopo la laurea, nel 1994, è diventata ricercatrice presso l’Università di
Cagliari. Studiosa di problemi storicogiuridici, lavora presso la Facoltà di
Scienze della Formazione. Tra i suoi
scritti, Aspetti della condizione servile
in Sardegna nel periodo giudicale,
1992; Attività imprenditoriali del Barone di San Miniato nell’argentiera di
Villa di Chiesa, ‘‘Annali della Facoltà di
Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari’’, n.s., XIX, 1996; Alcuni
aspetti della condizione femminile nella
legislazione statutaria sarda, ‘‘Annali
della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Cagliari’’, n.s.,
XXI, Cagliari 1998.
Artizzu, Francesco Storico (n. Cagliari
Artigianato – La Sardegna è stata sino a metà
del Novecento una delle regioni italiane più
importanti per la lavorazione delle pelli.
Artizzu, Elisabetta Storica (n. Cagliari
1923). Laureato in Lettere, si è formato
alla scuola di Alberto Boscolo e si è dedicato all’insegnamento universitario,
specializzandosi in Storia medioevale.
Temi preferiti della sua ricerca sono
stati i rapporti della Sardegna con
Pisa e l’evoluzione delle istituzioni medioevali. Professore ordinario presso
la Facoltà di Lettere di Cagliari, ha diretto per alcuni anni l’Istituto di Studi
storici. Spesso si è cimentato anche
nella divulgazione giornalistica. Tra i
suoi scritti, Registri e carte reali di Ferdinando I d’Aragona, ‘‘Archivio storico
sardo’’, XXV, 1-2, 1957; Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la
Sardegna e Pisa nel Medioevo, voll. 2,
1961-62; Liber fondachi. Disposizioni
del Comune pisano concernenti l’amministrazione della Gallura e rendite della
Curatoria di Galtellı̀, ‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari’’, XXIX, 1966; Pisani e
Catalani nella Sardegna medioevale,
1973; L’opera di Santa Maria di Pisa e la
Sardegna, 1974; Gli ordinamenti pisani
per il porto di Cagliari. Breve portus kallaretani, volume della collana ‘‘Fonti e
studi del Corpus membranarum itali-
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Artizzu
carum’’, V, n.s., 1979; Gli studi sulle istituzioni della Sardegna: situazione attuale e prospettive di ricerca, in La ricerca storica sulla Sardegna, ‘‘Archivio
storico sardo’’, XXXIII, 1982; Ricerche
sulla storia e le istituzioni della Sardegna medioevale, 1983; La Sardegna pisana e genovese, 1985; La disciplina dell’acqua e del fuoco negli statuti medioevali sardi, in Mediterraneo medioevale.
Scritti in onore di Francesco Giunta,
1989; Società e istituzioni nella Sardegna medioevale, 1995; L’opera di Santa
Maria di Pisa nel Giudicato Arborense in
Il Giudicato di Arborea e Marchesato di
Oristano. Proiezioni mediterranee e
aspetti di storia locale, I, 2000.
Artizzu, Ignazio Giornalista, consigliere regionale (n. Cagliari 1964). Figlio di Lucio, redattore per la RAI e
per Radio Cagliari, è stato assessore
comunale della sua città. Nel 2004 è
stato eletto consigliere regionale nella
lista di AN per la XIII legislatura.
Artizzu, Lucio Giornalista e scrittore
(n. Cagliari 1930). Fratello di Francesco, dopo aver conseguito la laurea in
Lettere si è dedicato al giornalismo.
Entrato nella redazione del ‘‘Quotidiano sardo’’, di ispirazione cattolica,
dal 1964 è diventato giornalista professionista. Successivamente è stato per
quindici anni responsabile dell’Ufficio Stampa della Regione sarda e ha
fondato e diretto ‘‘Il Messaggero
Sardo’’, mensile destinato agli emigrati sardi e ai loro problemi. Si è anche impegnato in politica ed è stato ripetutamente eletto consigliere comunale e a più riprese assessore comunale per la DC. Andato in pensione, si
è dedicato a opere di maggiore impegno, come la compilazione del Dizionario di Cagliari, 1996, e la traduzione
(dall’inglese) di opere di viaggiatori
stranieri, Sardegna 1911. Sensazioni di
un viaggio, di J.E. Crawford Flitch,
1998, e Sardegna, l’isola dei nuraghi, di
J.W. Tyndale, 1-2, 2003. Ha anche scritto
una simpatica Storia di Efisio martire in
Cagliari, 2001.
Aru, Carlo Storico dell’arte (Cagliari
1881-Torino 1954). Compiuti gli studi liceali al ‘‘Dettori’’ di Cagliari, si laureò
in Lettere a Roma con una tesi di storia
dell’arte discussa con Adolfo Venturi,
che sarebbe stato suo maestro. Tornato
in Sardegna nel 1909 come ispettore
presso la Soprintendenza ai Monumenti, iniziò una brillante carriera, dedicandosi alle ricerche sulla storia dell’arte sarda (nel 1914 recuperò e ricompose il Retablo dei Consiglieri di Cagliari, smontato nel 1889, documentandone l’attribuzione a Pietro Cavaro).
Collaborò con Dionigi Scano in numerosi lavori di restauro di monumenti
come la Trinità di Saccargia, San Pietro di Sorres a Borutta, Santa Maria di
Tratalias e la cattedrale di Santa Giusta: ma la sua impresa più importante,
fatta anche oggetto di aspre polemiche, fu, tra il 1923 e il 1925, il trasferimento della chiesa romanica di San
Pietro di Zuri dal sito originario a una
località più elevata, per impedire che
il monumento venisse sommerso dall’invaso del Lago Omodeo. Dal 1930 iniziò la carriera di soprintendente che lo
portò nelle sedi dell’Aquila, di Bari e
soprattutto di Torino, dove resse l’ufficio sino al 1942, meritando importanti
riconoscimenti. Durante la guerra
mise in salvo gran parte del patrimonio
artistico torinese e lo stesso Palazzo
Carignano. Lasciò numerosi scritti, legati anche all’attività di docente di Storia dell’Arte che aveva continuato a
svolgere in diverse Università italiane.
Alcuni scritti, Appunti per la storia
della pittura in Sardegna: pittori spagnoli del Quattrocento in Sardegna,
‘‘L’Arte’’, X, 1907; Storia della pittura in
Sardegna nel sec. XV, ‘‘Anuari de l’Isti-
290
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 298
Arui
tut d’Estudis catalans’’, IV, 1912; Raffaele Thomas e Giovanni Figuera pittori
catalani, ‘‘L’Arte’’, 3, 1920; Bartolomeo
Pellerano da Camogli, in ‘‘Bollettino
d’Arte’’, 1921; Elenco degli edifici monumentali delle province di Cagliari e Sassari, 1922; Una nuova opera di F. Figari.
La cappella Larco, ‘‘L’Unione sarda’’,
1922; La pittura sarda nei secoli XV e
XVI, in Atti del X Congresso internazionale di Storia dell’Arte di Roma (1912);
Identificazione di Giovanni Barcels, ‘‘Il
Nuraghe’’, I, 4, 1923; Maestro Pietro
Sardo, ‘‘Il Nuraghe’’, II, 14, 1924; La pittura sarda nel Rinascimento I. Le origini; Lorenzo Cavaro; La pittura sarda
nel Rinascimento II. I documenti d’archivio, ‘‘Archivio storico sardo’’, rispettivamente XVI, 1924 e XVIII, 1926; San
Pietro di Zuri, 1926; La serie di: Lineamenti storici della pittura sarda (Il Trecento catalano); L’indirizzo fiammeggiante nel Quattrocento spagnolo; Il
Maestro di Castelsardo; Giovanni Barcelo; L’ancona del presepio; Il retablo di
Sanluri; Pietro Cavaro sino al 1518; Il
Maestro di Castelsardo, ‘‘Annali della
Facoltà di Lettere e Filosofia della R.
Università di Cagliari’’, I, 1928; Un pittore sardo dell’Ottocento: Giovanni Marghinotti, ‘‘Italia Letteraria’’, 1930; Un
documento definitivo per l’identificazione di Giovanni Barcelo, ‘‘Annali della
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari’’, III, 1931; La pittura
sarda del Rinascimento, 1935.
Aru, Luigi Consigliere di Stato (Cagliari
1909-Roma 1984). Figlio di Carlo, si laureò in Legge a Roma con una tesi in
Diritto romano sostenuta con Pietro
Bonfante, di cui fu anche assistente volontario. Conseguita la libera docenza,
alla metà degli anni Trenta insegnò Diritto romano nell’Università di Cagliari e quindi di Torino. Provveditore
agli studi di Sondrio e poi di Modena,
nel maggio 1942 vinse il concorso per il
Consiglio di Stato. Qui compı̀ l’intera
sua carriera fino a quando nel 1979 fu
collocato a riposo con il titolo ufficiale
di presidente onorario del Consiglio di
Stato. Durante il servizio fece parte di
numerose, importanti commissioni
che preparavano progetti di legge per
la pubblica amministrazione, e fu
membro di molti consigli d’amministrazione (quello dell’Anas e quello
delle Ferrovie dello Stato, per citarne
solo due). Era considerato uno dei massimi specialisti italiani di legislazione
in materia sanitaria. Siccome aveva
continuato la sua attività di insegnante
universitario e soprattutto di ricercatore, ha lasciato una vasta bibliografia,
da un primo scritto del 1929 all’ultimo
lavoro sulla Gestione d’affari, del 1981.
Arui, Eugenio Pittore (Cagliari 1838-ivi
1878). Figlio di Raffaele, studiò sotto la
guida del padre e con lui lavorò nello
stabilimento litografico che aveva impiantato. Si fece notare per le sue
buone capacità nella tecnica della litografia e si cimentò anche in alcuni olii;
nel 1871 prese parte a una grande collettiva a Cagliari. Morı̀ però giovane
nel 1878, a soli 40 anni.
Arui, Raffaele Pittore (Cagliari, fine
sec. XVIII-ivi 1857). Studiò a Roma all’Accademia di San Luca dove fu allievo di Camuccini e di Ferdinando Cavalleri. Tornato in Sardegna, fu molto
attivo: dipinse alcuni olii e nel 1833 disegnò per Pasquale Tola una parte dei
ritratti inseriti nel suo Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, 1837. Attirato dallo sviluppo delle
tecniche di riproduzione dei disegni,
nel 1836 impiantò a Cagliari uno stabilimento per la litografia (da cui l’appellativo di ‘‘pittore litografo’’ con cui veniva indicato) e nel 1838 aprı̀ a sue
spese una scuola che purtroppo non
ebbe possibilità di svilupparsi. In seguito volse il suo interesse alla na-
291
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 299
Arullani
scente fotografia che fu introdotta anche a Cagliari, importata (nel 1844 dal
parigino Claudio Porrai) col dagherrotipo, e teorizzò la possibilità della sua
utilizzazione a sostegno della pittura.
gosanto e un’isola amministrativa di
Tempio Pausania.
Arullani, Vittorio Amedeo Storico
della letteratura e poeta (Asti 1866-ivi
1912). Dopo aver soggiornato in diverse
città d’Italia, nel 1897 fu nominato insegnante di lettere presso il Liceo
‘‘Azuni’’ di Sassari. Per due anni visse
in quella città; agli inizi del Novecento
si trasferı̀ a Cagliari, dove risedette più
a lungo e dove si pose in evidenza come
instancabile animatore culturale. A
questo periodo sono riconducibili alcuni dei lavori che dedicò alla Sardegna. Tra i suoi scritti, Di Pietro Delitala
e delle sue rime diverse, ‘‘Archivio storico sardo’’, VII, 1-4, 1911; Echi di poeti
d’Italia in Rime e rimatori sardi dal Cinquecento ai dı̀ nostri, ‘‘Archivio storico
sardo’’, VII, 1911; La storia letteraria di
Sardegna del Siotto Pintor e l’accanimento isolano contr’essa, ‘‘Atti della R.
Accademia delle Scienze di Torino’’,
XLVI, 1911.
Arxiu de tradicions populars Associazione culturale. Fondata ad Alghero
nei primissimi anni Novanta dal catalano Joan Armangué i Herrero (=), organizza convegni e cura una pubblicazione sui rapporti tra la Catalogna e la
Sardegna.
Arzachena Comune della provincia di
Olbia-Tempio, compreso nella III Comunità montana, con 11 535 abitanti
(al 2004), posto a 85 m sul livello del
mare nella frastagliata costa orientale
della Gallura. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias.
& TERRITORIO Il territorio, di forma
grosso modo trapezoidale, si estende
per 228,59 km2 e confina a nord con Palau, a est col mare Tirreno, a sud con
Olbia e Calangianus, a ovest con Luo-
Arzachena – La spiaggia di Liscia Ruia è una
delle spiaggie più famose nei 55 km della Costa
Smeralda.
Si tratta di una regione che alterna
tratti occupati da colline a vallate e
zone pianeggianti. Le cime maggiori
sono il monte Moro, 420 m, la punta Occhioni, 386, e il monte Canu, 395. Il
suolo, di natura tutta granitica, mostra
numerose formazioni rocciose, dalle
forme a volte molto caratteristiche,
mentre i tratti pianeggianti sono costituiti da sabbie dovute alla decomposizione della roccia. La vegetazione
spontanea comprende tratti di boscaglia composta da lecci, querce e olivastri e grandi estensioni di macchia mediterranea. Sono anche questi elementi che contribuiscono al fascino
della bellissima fascia costiera, frastagliata e lunga 70 km, che ha determinato in questi ultimi decenni una
svolta radicale nella vita di queste popolazioni. Il paese è attraversato dalla
statale 125 Orientale sarda, nel tratto
tra Olbia e Palau, frequentatissima
nella stagione estiva, dalla quale si distaccano le secondarie per le località
balneari da un lato, per i centri interni
di Tempio, Luogosanto e Bassacutena
dall’altro. Arzachena è toccata anche
dalla ferrovia a scartamento ridotto
Sassari-Tempio-Palau, che è stata limi-
292
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 300
Arzachena
tata ultimamente a un mero ruolo turistico.
Arzachena – L’Isuledda del Cannigione. Il
vasto territorio comunale si affaccia per
lunghi tratti sul mare e comprende molte
spiagge famose.
& STORIA Per quanto una tradizione
non documentabile la voglia erede
della statio romana di Turublum Minus, si deve ritenere che la fondazione
del centro risalga al Medioevo, quando
compare col nome di Arseguen; il villaggio apparteneva al giudicato di Gallura, era compreso nella curatoria di
Unali ed era considerato tra i più importanti del piccolo regno grazie a un
suo porto molto attivo. Terminata la
conquista dell’infante Alfonso, Arseguen e tutto l’Unali entrarono a far
parte del Regnum Sardiniae, ma la sua
popolazione continuò ad avere un atteggiamento di rifiuto nei confronti
dei nuovi venuti; quando la Gallura fu
investita dall’esercito di Raimondo di
Cardona nel 1330, Arseguen fu sottomessa e concessa in feudo a Francesco
Daurats, che tentò di conservarne il
possesso nei difficili anni della guerra
tra Genova e Aragona, quando il territorio fu assalito e devastato dai Doria.
Nel 1346 vendette il villaggio e tutto il
territorio a Giovanni d’Arborea, già signore del Fundimonte. Successivamente il territorio soffrı̀ delle conse-
guenze della guerra tra Aragona e Arborea e nel 1376 A. si spopolò completamente a causa della peste. Nel 1391
l’Unali fu nuovamente occupato dalle
truppe giudicali e continuò a subire
devastazioni. Finita la guerra era ridotto a una plaga deserta, in cui alcuni
pastori conducevano indisturbati una
vita nomade scandita dai ritmi della
transumanza. Il territorio fu riconosciuto come feudo ai Carroz, eredi di
Giovanni d’Arborea, e nel 1479, per il
matrimonio di Beatrice con Pietro
Maza de Liçana, il feudo passò a questa
famiglia. Estinti nel 1546 i Maza de Liçana, scoppiò tra i vari pretendenti
alla loro eredità una lunga lite che si
concluse nel 1571 con una divisione
che assegnò l’Unali ai Massa Ladron.
Il territorio, abbandonato a se stesso,
nella seconda metà del secolo subı̀ attacchi di corsari turchi e venne ulteriormente devastato. Nel 1604 fu unito
al ducato di Mandas e dopo l’estinzione
dei Massa Ladron passò a diverse altre
famiglie tutte residenti in Spagna. Durante questo lungo periodo il territorio
dove sorgeva l’antica Arseguen continuò a essere il regno dei pastori erranti; nel corso del secolo XVIII essi
cominciarono a stabilirvi la loro residenza dando vita ad alcuni stazzi e costruendovi nel 1716, e ricostruendo nel
1776, una chiesa dedicata alla Madonna, attorno alla quale si sviluppò
un piccolo abitato. Il nuovo centro,
che feudalmente dipendeva da Maria
Giuseppa Pimentel e da suo marito
Pietro Tellez Giron, entrambi residenti
in Spagna, fu aggregato come frazione
a Tempio Pausania. Nei decenni successivi continuò a crescere e nel 1821
fu incluso nella provincia di Ozieri, ma
nel 1831 entrò a far parte di quella di
Tempio Pausania. Tra il 1839 e il 1843
fu definito il suo riscatto dagli ultimi
feudatari e quando, nel 1848, furono
293
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 301
Arzachena
soppresse le province, fu compreso
nella divisione amministrativa di Sassari e nel 1859 nella provincia omonima.
suo sviluppo è stato continuo e inarrestabile.
& ECONOMIA Le attività tradizionali
dell’economia erano l’agricoltura e la
pastorizia, svolte soprattutto negli
stazzi, gli insediamenti nel territorio
tipici della Gallura; oggi, pur essendo
ancora praticate, hanno ceduto il primato ad altre importanti attività, tutte
centrate sul turismo: si va da tutte
quelle che sono legate all’edilizia ai
servizi dei più vari generi; dalle iniziative alberghiere al commercio in tutti i
suoi settori.
Arzachena – La caratteristica roccia di
granito tafonata di Monti Incappiddatu, detta
‘‘il fungo’’.
Nella seconda metà dell’Ottocento lo
sviluppo del villaggio ebbe un deciso
impulso grazie a una costante crescita
delle sue tradizionali attività agricole
e di allevamento; nel suo vasto territorio si stanziarono anche piccole comunità di pescatori. Ebbero allora inizio
le rivendicazioni per ottenere il distacco da Tempio Pausania: la lunga
lotta si concluse nel 1922, quando A. divenne comune autonomo con un amplissimo territorio (che ne fa uno dei
comuni più vasti d’Italia), in gran parte
affacciato su decine e decine di chilometri di coste di incomparabile bellezza. Ciò ha reso possibile nel secondo
dopoguerra una profonda trasformazione dei caratteri di A., che da borgo
agricolo è divenuto centro turistico di
primaria importanza: a partire dalla
creazione della Costa Smeralda (=) il
Arzachena – Lo stazzo, tipica casa-azienda
dell’insediamento disperso gallurese.
DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 10 448
unità, di cui stranieri 266; maschi
5315; femmine 5133; famiglie 3799. La
tendenza complessiva rivelava un aumento della popolazione, con morti
per anno 68 e nati 93; cancellati dall’anagrafe 220; iscritti 239. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 128
miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 15 390 in migliaia di lire; versamenti ICI 10 709; aziende agricole 343;
imprese commerciali 905; esercizi
pubblici 186; esercizi all’ingrosso 10;
esercizi al dettaglio 526; ambulanti 33.
Tra gli indicatori sociali: occupati
3331; disoccupati 503; inoccupati 305;
laureati 207; diplomati 1371; con licenza media 3000; con licenza elemen&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 302
Arzachena
tare 2771; analfabeti 249; automezzi
circolanti 5145; abbonamenti TV 2464.
Arzachena – Abitazioni rustiche ricavate nelle
rocce di granito tafonate.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di testimonianze di insediamenti prenuragici di notevole interesse scientifico. I più originali, per i
quali si parla di una cultura di Arzachena (=), sono costituiti dalle necropoli in forma di cerchi concentrici di
pietre infisse nel terreno. Tra queste
la più nota è la necropoli di Li Muri,
posta lungo la strada per Luogosanto:
le lastre infisse nel terreno delimitano
una superficie al centro della quale
sono collocati i vani di deposizione (ciste) in pietra, lunghi fino a 2 m, destinati a contenere i cadaveri in posizione distesa e forse dipinti di ocra
rossa. Gli scavi hanno restituito coppette in steatite e altre interessanti
suppellettili. Altri circoli d’epoca più
recente si trovano, oltre che a Li Muri,
a Macciunitta, punta Candela e Monti
Incappiddatu. Di particolare interesse
quella di Macciunitta, che sorge al centro di una collina artificiale e comprende un doppio cerchio di pietre infisse nel terreno, del diametro esterno
di 11 m, al centro del quale si trova la
camera per la deposizione, delimitata
ugualmente da pietre infisse e ricoperta da un lastrone di granito lungo
2,5 m. Altra tipologia diffusa nel terri-
&
torio sono le Tombe di giganti. Tra queste quella di Li Lolghi, posta a poca distanza dalla necropoli di Li Muri e edificata in due periodi diversi. In una
prima fase una sepoltura del tipo allée
couverte, lunga circa 4 m e circondata
da un giro di pietre fisse: questo edificio ha restituito ceramiche della prima
fase della cultura di Bonnanaro (=). In
una seconda fase, all’edificio fu sovrapposto il tumulo di una Tomba di
giganti lungo circa 14 m e preceduto
da un’esedra con una stele centinata
alta 4 m; in questo secondo edificio,
completato da una esedra in forma semicircolare destinata ad accogliere i
pellegrini, sono state trovate ceramiche della seconda fase della cultura di
Bonnanaro. Notevole anche la Tomba
di giganti di Coddu Ecchju, che ha un
tumulo lungo oltre 14 m. Notevole la
stele, alta 4 m e composta da due lastroni di granito. Interessante anche,
nei pressi dell’abitato, la conformazione della roccia nella quale culmina
il colle noto come Monti Incappiddatu:
si tratta di una sorta di fungo i cui bordi
sporgenti formano delle cavità (tafoni)
che furono usate nell’antichità come
riparo e come tomba. Il territorio di A.
vanta anche un tempio a megaron,
detto di Malchittu, che sorge su un
colle aspro dalla natura accidentata.
L’edificio è riconducibile al secolo X
a.C. e non ha recinto esterno, ha un perimetro ellissoide, è lungo circa 14 m e
largo 6 m, al suo interno sono alcune
nicchie per la custodia di ex voto. A
poca distanza da Malchittu è posto il
Nuraghe Albucciu che sorge lungo il
bordo della Orientale sarda, al bivio
per Cannigione (=); la sua struttura
mostra una singolare commistione di
ambienti che fanno pensare a una sua
costruzione in fasi diverse a partire dal
1500 a.C.; sembrerebbe infatti che a un
primo corpo, riconducibile alla tipolo-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 303
Arzachena
gia dello pseudonuraghe (=), siano
stati successivamente aggiunti due ambienti a tholos. Da una scala interna si
giunge a un primo piano che conserva
un vano probabilmente adibito ad abitazione da cui, con un’altra rampa, si
accede alla terrazza di copertura. Al
suo interno è stata trovata una statuina
in bronzo del secolo VII a.C. che fa pensare a una utilizzazione più tarda dell’edificio come favissa. E ancora il nuraghe La Prisciona, sulla collina di Capichera, che è composto da una torre
centrale alta oltre 6 m, intorno alla
quale sono i resti di altre strutture
complesse, tra le quali un bastione e
alcune torri minori.
Arzachena – Il nuraghe Albucciu è uno dei
cosiddetti ‘‘protonuraghi’’ o ‘‘nuraghi a
corridoio’’.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il patrimonio artistico di Arzachena è caratterizzato da numerose
chiese campestri che probabilmente
testimoniano delle fasi più antiche del
ripopolamento del suo vasto territorio.
In particolare vanno ricordate San Michele Arcangelo, che si trova a qualche
chilometro dall’abitato: si tratta di un
edificio di origini molto antiche, probabilmente medioevali, ma i diversi interventi di restauro che le sue strutture hanno subito nel corso dei secoli
ne impediscono una precisa datazione.
L’unico riferimento cronologicamente
certo è il 1650, anno in cui fu effettuato
uno dei suoi tanti restauri; ha un impianto rettangolare a una sola navata
e la copertura in legno, la facciata è arricchita da un campanile a vela. A poca
distanza dall’abitato è anche posta la
chiesa di San Giovanni Evangelista,
che sorge sulle rive del rio Arzachena;
fu costruita nel secolo XIX su un edificio precedente. È di modeste dimensioni con una sola navata rettangolare,
la copertura in legno di ginepro; la facciata ha due ingressi e culmina con un
campanile a vela. Al suo interno è conservata una statua del santo titolare
del secolo XVII. Interessanti sono anche le chiese dell’abitato, in particolare la chiesa di Santa Maria della
Neve, che fu eretta in parrocchia dal
re nel 1776 nel quadro di una politica
volta al ripopolamento di questi territori galluresi, e divenne la prima parrocchia del villaggio quando cominciò
a espandersi. Ha un impianto a una
sola navata scandita in campate delimitate da archi a tutto sesto e chiusa
da un presbiterio. All’esterno la facciata è in granito, abbellita da un
grande timpano e da un campanile a
pianta quadrata. Custodisce un altare
ligneo del secolo XVIII riccamente intagliato e con figure. Dopo il 1950 si è
avvertita l’insufficienza dell’antico
edificio e se n’è costruito uno nuovo e
più capiente, in forme d’architettura
razionale. Infine la chiesa di San Pietro, anch’essa costruita nel secolo
XVIII in forme semplici; quando il villaggio si diede un nuovo assetto urbanistico, nel 1934 fu demolita, per essere
poi ricostruita pochi anni dopo; al suo
interno custodisce una statua lignea
del secolo XVIII. A questo patrimonio
architettonico tradizionale si è venuto
aggiungendo nei decenni scorsi quello
creato sulla costa, per gli insediamenti
turistici: per dare vita alla Costa Smeralda furono chiamati a operare alcuni
296
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 304
Arzana
celebri architetti italiani e stranieri,
che hanno dato, nelle espressioni migliori, l’esempio di un’edilizia per le
vacanze raffinata e rispettosa dell’ambiente naturale.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
memoria delle tradizioni di Arzachena
è consegnata alla grande festa popolare di Santa Maria della Neve, una dei
tre patroni della cittadina, che si
svolge nella seconda domenica di maggio con grande partecipazione popolare e che è legata a una seconda fase
di festeggiamenti che si svolgono nella
terza domenica di settembre e sono dedicati anche agli altri due patroni, Sant’Antonio e Sant’Isidoro. Questa seconda fase, che vuole ricordare anche
la fondazione di Arzachena, dura tre
giorni ed è organizzata da un comitato
di cittadini (soprastanti) che provvedono alla sua buona riuscita; con gli
anni ha perso il suo carattere popolaresco (che nel 1828 il viaggiatore inglese W.H. Smith descrisse nel suo
Sketch of the present state of Island of
Sardinia, ora tradotto nella ‘‘Bibliotheca sarda’’ della nuorese Ilisso) e ha
assunto invece i caratteri della festa
religiosa; il momento culminante si ha
nella mattina della domenica, il secondo giorno della festa, quando un
ricco stendardo sormontato da una
croce d’argento viene portato da cavalieri che caracollano per tre volte attorno alla chiesa in un tripudio di folla.
Feste minori sono quelle di San Giovanni il 1º maggio e di San Michele l’11
maggio.
nota soprattutto per i suoi monumenti
funerari, in particolare quelli della necropoli di Li Muri, tra A. e Luogosanto:
si tratta di sepolture costituite da un
circolo di pietre con al centro una cista
formata da lastre di granito; di questo
singolare tipo di sepoltura sono stati
individuati una cinquantina di esemplari. Poiché non sono stati trovati resti scheletrici umani studiabili, non si
conosce quale fosse il rituale funerario, forse basato sull’esposizione dei
corpi all’azione degli agenti atmosferici prima dell’inumazione finale.
Quanto alla specificità di questa c., alcuni sono propensi a credere – ha
scritto Luisanna Usai (Gallura, 1991) –
che essa rappresenti piuttosto un
aspetto locale della C. di Ozieri. In
ogni caso la sua collocazione cronologica è da individuare nell’ambito del
Neolitico recente, in tempi che stanno
tra la fine del IVe l’inizio del III millennio a.C.
Cultura di Arzachena – Le tombe a circolo
di Li Muri caratterizzano questa cultura
(3200-2400 a.C.).
Arzachena, cultura di (o cultura dei Cir-
Arzana Comune della provincia dell’O-
coli megalitici, Cultura gallurese) Termine
gliastra, compreso nella X Comunità
montana, con 2730 abitanti (al 2004),
posto a 672 m sul livello del mare lungo
il versante orientale del massiccio del
Gennargentu. Regione storica: Ogliastra settentrionale. Diocesi di Lanusei.
& TERRITORIO Il territorio comunale
con cui viene comunemente indicata
una particolare forma di cultura circoscritta ai territori del comune di A. e a
quelli dei comuni di Luogosanto e Olbia. Riconducibile al Neolitico recente
e collocabile tra il 3200 e il 2400 a.C., è
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 305
Arzana
si estende per 162,60 km2 e si divide in
due parti: quella che si estende intorno
all’abitato ha forma allungata in direzione est-ovest e confina a nord col territorio di Villagrande Strisaili, a est
con Tortolı̀, a sud con Elini, Gairo e
Seui, a ovest con Aritzo e Desulo; c’è
poi un’area costiera, utilizzata di solito
per il pascolo invernale, che si trova
più a sud, al confine con la provincia
di Cagliari: a nord confina con un’analoga area di pertinenza di Lanusei, a
est col mare, a sud con Villaputzu, a
ovest con una parte staccata del territorio di Jerzu. Mentre quest’ultima è
una zona di colline compresa tra il litorale e il rio di Quirra, altezza massima i
589 m di Punta S’Accettori, l’altra va
dalla piana ogliastrina, 30 m sul livello
del mare, alla cima del Gennargentu,
punta La Marmora, 1834 m, inglobandone altre tra le maggiori del complesso montuoso: monte Idòlo, punta
de Aira e S’Armidda, tutte tra i 1200 e i
1300 m. Il paese è servito da una strada
secondaria che si dirama dalla direttissima 389 Nuoro-Lanusei; per altre
vie comunica con Elini, Tortolı̀ e gli altri centri della regione. A Elini passa
anche la ferrovia a scartamento ridotto
Cagliari-Mandas-Arbatax, che è utilizzata attualmente per usi esclusivamente turistici ed è percorsa dal cosiddetto ‘‘trenino verde’’.
& STORIA L’attuale villaggio ha origini
medioevali: apparteneva al giudicato
di Cagliari ed era compreso nella curatoria dell’Ogliastra. Quando il giudicato cessò di esistere e il suo territorio
fu smembrato, nel 1257 A. e l’Ogliastra
tutta entrarono a far parte del terzo assegnato ai Visconti che l’annetterono
al giudicato di Gallura. Dopo l’estinzione dei Visconti A., a partire dal
1288, fu amministrata da funzionari
del Comune di Pisa, ma i suoi abitanti
mantennero un minimo di autonomia.
Subito dopo la conquista aragonese,
dal 1324 entrò a far parte del Regnum
Sardiniae e nel 1325 fu concessa, assieme all’intera curatoria, a Berengario Carroz, costituendo il primo nucleo
della futura contea di Quirra. Negli
anni che seguirono anche gli abitanti
di A., unitamente a quelli degli altri villaggi della montagna, lottarono duramente contro i feudatari per conservare la loro autonomia ma Berengario,
alternando la repressione più dura
alla concessione di alcuni privilegi,
sembrò averne ragione. Quando però
nel 1353 scoppiò la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV, essi si ribellarono nuovamente; Berengario II riuscı̀
tuttavia a conservare il possesso del
territorio e nel 1363 ottenne il titolo di
conte di Quirra. Scoppiata poco dopo
la seconda guerra tra Arborea e Aragona, a partire dal 1366 A. e l’Ogliastra
furono occupati delle truppe giudicali
che vi mantennero l’occupazione fino
al 1409. Frattanto i Carroz, cui nominalmente il re aveva riconosciuto la titolarità del feudo, si erano estinti e nel
1383 A., pur continuando a rimanere
occupato dalle truppe giudicali, passò
ai Bertran Carroz, i quali riuscirono a
venirne in possesso dopo il 1409, in seguito alla caduta del giudicato d’Arborea. Nel 1416 gli abitanti di A. accettarono, insieme a quelli degli altri villaggi dell’Ogliastra, alcuni Capitoli di
grazia (=) che i nuovi feudatari concessero; i buoni rapporti con i Bertran
Carroz continuarono e nel 1452 ottennero altri privilegi. Estinti nel 1511 i
Bertran Carroz, A. passò ai Centelles; i
nuovi feudatari fecero amministrare
l’Ogliastra dalla loro burocrazia e vi
svilupparono un sistema di esazione fiscale piuttosto gravoso. La successione
del feudo ai Borgia fu contestata dai
Catalan che, dopo una lunga lite, nel
1746 riuscirono a venirne in possesso;
298
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 306
Arzana
negli stessi anni A., la cui popolazione
era diminuita, nel 1771 fu aggregata
come frazione a Baunei e dal 1801
passò dai Catalan agli Osorio. Nel 1821
fu inclusa nella provincia di Lanusei,
nel 1840 fu riscattata agli ultimi feudatari. Di questo periodo la preziosa testimonianza di Vittorio Angius: «Le
arti meccaniche di prima necessità
per gli usi della vita, e pei bisogni dell’agricoltura, sono trattate da pochi. Le
donne sono molto laboriose ed i loro
telai, che non sono meno del numero
delle famiglie, provvedono di tele di diversa qualità e di panno forese [orbace] non solo gran parte dell’Ogliastra, ma molti paesi ancora del Campidano di Cagliari. Il forese tingesi variamente con le erbe e radici che trovansi
nel territorio. Le famiglie sono presentemente in numero di 352, le anime
1497. Nutresi gran quantità di bestiame; quello che serve d’ajuto all’uomo nelle sue fatiche è delle seguenti specie e numero: buoi 235, cavalli 300, asini 150, i quali pascolano
nel prato comunale. Grande è poi il numero degli armenti e delle greggie, che
pascola nei salti del paese nella primavera, estate ed autunno, donde nell’inverno passa alle marine nei territorii
di Tortolı̀, Bari, Loceri e altrove. Le pecore saranno poco più di 30 000, le capre circa 20 000, i porci 556, le vacche
638. Coltivansi pure gli alveari, ma il
numero non eccede il migliajo. I prodotti delle greggie sono di ottima qualità; e d’eguale bontà, sebbene scarsi,
sono quei degli armenti. Si commercia
direttamente coi genovesi, ma più
spesso coi sensali ogliastrini e sarrabesi». Quando nel 1848 furono abolite
le province, A. entrò a far parte della
divisione amministrativa di Cagliari e
vi rimase fino al 1859, anno in cui fu
compresa nella omonima e ricostituita
provincia. Nel corso del secolo il paese
divenne un rinomato centro per la produzione del vino, ma nel 1894 i suoi vigneti furono distrutti dalla fillossera.
Quando nel 1927 fu ricostituita la provincia di Nuoro A. tornò a farne parte
fino al 2004, quando fu istituita la
nuova provincia dell’Ogliastra.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e soprattutto sull’allevamento. Tra i prodotti agricoli,
che si ricavano nelle parti meno elevate del territorio, si annoverano
quelli dell’olivo, la cui coltura si è sviluppata a partire dal secolo XVIII, e
della vite, dalla quale si ottengono ottimi vini di grande corpo. L’allevamento può contare ancora oggi su un
notevole patrimonio zootecnico, in
particolare ovino e caprino. Altre tipiche produzioni sono quelle dei prosciutti, apprezzati ormai anche fuori
della Sardegna, e naturalmente del
formaggio ovino e caprino. Negli ultimi decenni il villaggio è divenuto anche meta di un turismo residenziale
estivo grazie alla costruzione di alcuni
alberghi. E si sta lavorando attivamente per la valorizzazione delle essenze che crescono spontanee alle
falde del Gennargentu: se ne propone
per un verso l’utilizzazione per la preparazione di prodotti medicinali, per
l’altro si cerca di ritornare all’uso che
se ne faceva un tempo per colorare i
tessuti.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 2768 unità,
di cui stranieri 3; maschi 1354; femmine 1414; famiglie 1181. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione con morti per anno
29 e nati 23; cancellati dall’anagrafe 29
e iscritti 15. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 17 175
in migliaia di lire; versamenti ICI 565;
aziende agricole 726; imprese commerciali 126; esercizi pubblici 14; esercizi
299
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 307
Asara
al dettaglio 35. Tra gli indicatori sociali: occupati 774; disoccupati 80;
inoccupati 235; laureati 52; diplomati
252; con licenza media 1005; con licenza elementare 76; analfabeti 127;
automezzi circolanti 1127; abbonamenti TV 664.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva domus de janas e altre
vestigia prenuragiche e nuragiche
nelle località di Scusorgiu e Ruinas e
resti di insediamenti romani in località Bangius. I nuraghi si trovano nelle
località di Arredabba, Biddadeni, Gilorzi, Lua, Meurri, Perdu Loi, Pixina
Niedda, Ruinas, Sa Mela, Sa Pentuma,
Unturgiadore. Il sito più importante è
quello di Ruinas dove, oltre al nuraghe
e alle domus de janas, è stato individuato un villaggio nuragico situato a
1200 m sul livello del mare: consta di
circa duecento capanne dal diametro
variabile ed è uno dei più elevati della
Sardegna.
Arzana – Monumento ai caduti in guerra,
opera di Pinuccio Sciola.
PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il più significativo monumento di Arzana è la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, costruita in forme neoclassiche su progetto di Gaetano Cima tra il 1860 e il
1865 al posto della vecchia chiesa, grazie all’iniziativa dell’allora parroco
&
Stocchino. L’edificio è a croce latina e
ha una sola navata sulla quale si affacciano le cappelle laterali. Fu restaurato nel 1890. Al suo interno sono conservate alcune argenterie del secolo
XVII eseguite dall’argentiere cagliaritano Cannavera e alcune statue del secolo XVII. Molto ricco il patrimonio
ambientale che il territorio può vantare: le parti più interessanti sono disposte lungo la vallata del Flumendosa
e sulle pendici delle montagne, dove si
trovano ampi tratti di macchia mediterranea, nonché boschi in parte spontanei in parte frutto di recenti interventi di forestazione; sono popolati da
mufloni e cervi, pernici e conigli, cinghiali e aquile.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Tipiche manifestazioni della tradizione arzanese sono alcune feste popolari tra
le quali quella di San Vincenzo Ferreri,
che fu introdotta nel Seicento e si
svolge l’ultima domenica di agosto; è
considerata una delle feste più antiche
dell’Ogliastra. La statua, caricata su un
cocchio dorato, viene trasportata in
processione dalla parrocchiale fino all’omonima chiesetta campestre con la
scorta di cavalieri in costume e di suonatori di launeddas. I festeggiamenti
durano alcuni giorni. San Martino, invece, si festeggia l’11 novembre. Altra
manifestazione è quella del Porcino
d’oro; si tratta di una rassegna enogastronomica che si svolge a novembre
quando maggiore è la disponibilità dei
funghi porcini nei grandi boschi circostanti, una festa che attira moltissimi
turisti.
Asara, Francesco Funzionario, consigliere regionale (n. Tempio Pausania
1934). Cattolico, dopo la laurea in Giurisprudenza si è dedicato alla politica.
Per anni consigliere comunale a Olbia,
è stato eletto ininterrottamente consigliere regionale per la DC nel collegio
300
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 308
Asclepio
di Sassari dalla VI alla IX legislatura
(1969-1989). Durante la VII legislatura,
nel 1978 è stato eletto vicepresidente
del Consiglio regionale, rimanendo in
carica fino al termine della legislatura.
È stato riconfermato per l’VIII legislatura, ma nell’ottobre 1979 si è dimesso.
Nel corso della stessa legislatura è diventato assessore all’Igiene nella
giunta Rojch (23 luglio 1982-23 giugno
1984).
Asara, Sebastiano Insegnante, consigliere regionale (Arzachena 1918-La
Maddalena 1992). Cattolico, conseguita
la laurea in Lettere si dedicò all’insegnamento ed entrò in politica. Fu
eletto consigliere regionale per la Democrazia Cristiana nel collegio di Sassari ininterrottamente dalla III alla V
legislatura (1957-1974). Durante la III
legislatura fu eletto segretario del Consiglio regionale, ufficio nel quale fu riconfermato per la IV; per la V fu invece
eletto questore.
Asara Sanna, Giovanni Maria (noto
con lo pseud. Limbudu) Poeta dialettale
(Pattada 1823-ivi 1907). Autodidatta, di
professione faceva il sarto, e per qualche anno fece parte anche del Consiglio comunale del suo paese. Scriveva
in logudorese versi nei quali con ironia
esercitava la satira su fatti e personaggi del suo tempo. Morı̀ lasciando in
gran parte inedita la sua produzione;
solo nel 1971 una parte dei suoi versi è
stata pubblicata da Enzo Espa nel volume Cantones. Il motivo del suo
grande successo sarebbe, secondo lo
stesso Espa, da «individuare soprattutto nella lingua, in cui A.S. è stato veramente un maestro. Altri gli riconoscono di aver rinnovato i contenuti
della gara poetica, della quale ha rappresentato un modello, dettando i dispositivi logici della sua struttura. Altri sostengono che quasi nessuno,
come lui, è riuscito a descrivere in mi-
sura cosı̀ vasta e profonda il quadro
della vita di un paese».
Ascione, Mario Studioso di agronomia, uomo politico (Sassari 1897-ivi
1977). Deputato al Parlamento, consigliere nazionale. Dopo la laurea si dedicò all’insegnamento come professore di Tecnica agraria. Entrato in politica aderı̀ al fascismo, segnalandosi
come organizzatore dei sindacati dei
lavoratori del cuoio e quindi, trasferito
a Roma, dei contadini, sino a diventare
direttore generale del sindacato nazionale dei coltivatori. Come tale fu eletto
deputato nel 1929 e nel 1934, e nel 1939
entrò a far parte del Consiglio Nazionale dei Fasci e delle Corporazioni. Il
suo nome è legato alla bonifica della
Nurra, che contribuı̀ ad avviare nel
1934; nel 1936 fu il più attivo degli ideatori e dei realizzatori della colonizzazione di Fertilia, di cui è considerato il
fondatore. Come tale fu, fino alla caduta del fascismo, il presidente dell’Ente Ferrarese di colonizzazione.
Nel dopoguerra si ritirò a vita privata.
Le sue carte sono conservate presso il
Dipartimento di Storia dell’Università
di Sassari.
Asclepio Dio guaritore. Secondo Strabone, il culto sarebbe originario della
Tessaglia. Tuttavia in Omero A., principe tessalo, non ha statuto eroico, né
riveste alcun ruolo nelle pratiche mediche. Solo più tardi, stando a Pindaro,
A., semidio e guaritore, sarebbe nato
dall’incontro di Apollo con una mortale e sarebbe poi stato fulminato da
Zeus per aver riportato in vita un
morto. Dal secolo V a.C. A. diviene la
principale divinità guaritrice, soppiantando in quel ruolo lo stesso
Apollo. Ad Atene testimonianze letterarie ed epigrafiche datano l’introduzione del culto al 420 a.C., ma l’area di
diffusione interessa un ampio raggio
geografico dall’Asia Minore a Roma,
301
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 309
Asdrubale il Calvo
con il relativo impianto di santuari nei
quali hanno luogo le cure, somministrate dai sacerdoti. Espletati i riti ufficiali (sacrifici e offerte rituali), il malato è introdotto nel santuario e dorme
nel portico d’incubazione (=). Durante
la notte, grazie all’intervento di A., riceve prescrizioni utili alla guarigione
o si risveglia guarito. In Sardegna il
culto di A. è testimoniato da una importante dedica trilingue (greco, punico e
latino), rinvenuta in località San Nicolò Gerrei e databile approssimativamente al secolo II a.C. Dalle tre versioni del testo si ricava la vicenda del
dedicante: Cleone (il nome sembra denunziare un’origine greco-orientale),
preposto alle saline, sarebbe stato sanato da A. che compare con la singolare invocazione di Merre (di origine
discussa). Nella dedica greca, la presenza dell’espressione kata prostagma,
‘‘secondo la prescrizione’’ (del dio),
getta un fascio di luce sulle sanazioni
che anche nella località dovevano svolgersi con la pratica dell’enkimesis
(sonno) rituale durante il quale la divinità compariva al malato indicandogli
la cura. A. e le Ninfe salutari erano invocati nel santuario delle Aquae Ypsitanae sul Tirso (Forum Traiani). [GIOVANNI MARGINESU]
Asdrubale il Calvo Comandante delle
truppe cartaginesi in Sardegna nel 215
a.C. durante la seconda guerra punica.
Dopo un primo sanguinoso scontro tra
l’esercito romano al comando di Tito
Manlio Torquato e l’esercito dei rivoltosi sotto la guida di Hostus (Josto), giovane figlio del dux Sardorum Ampsicora, conclusosi con la sconfitta di quest’ultimo nel territorio dell’antico insediamento di Cornus, si svolse nell’estate del 215 a.C. la battaglia decisiva
che pose fine alle aspirazioni degli insorti. Il Senato cartaginese, sebbene
pressato dalle richieste di rinforzi da
parte di Annibale e dalla necessità di
potenziare il fronte spagnolo e sardo,
decise l’invio di un contingente in Sardegna ottemperando in tal modo alle
istanze avanzate da una delegazione
capeggiata da Ampsicora. Il comando
della flotta cartaginese, composta secondo alcuni autori dallo stesso considerevole numero di effettivi inviati
contemporaneamente in Spagna (60
navi da guerra, 12 000 fanti, 1500 cavalieri e 20 elefanti), fu affidato a un
Asdrubale, cui Calvo cognomen erat
(Livio). Costretto da una tempesta a riparare temporaneamente nelle Baleari, solo in un secondo momento l’esercito riuscı̀ a sbarcare in Sardegna e,
unitosi alle truppe guidate da Ampsicora, si diresse lungo il Campidano
verso la città di Carales, probabile
sede del praetor romano. Dopo le
prime incursioni effettuate nell’ager
Caralitanus e Neapolitanus si giunse finalmente a battaglia. Pesantemente
sconfitta la coalizione sardo-punica,
l’esercito di T.M. Torquato catturò
circa 3700 prigionieri, tra cui anche il
generale cartaginese. [MICHELE GUIRGUIS]
Asfodelo Pianta perenne della famiglia delle Liliacee (Asphodelus microcarpus Salzm. et Viv.). Ha fusto cilindrico, eretto, lungo sino a 150 cm, foglie
basali lineari, coriacee, a sezione
triangolare; infiorescenza a pannocchia, all’apice del fusto, con fiori bianchi venati di rosso scuro. Il frutto è una
capsula ovoidale, con semi neri (anticamente, i contadini traevano auspici
sull’annata dalle dimensioni dei semi
di a.). Fiorisce da febbraio a maggio.
Diffusissimo, infestante, è un indicatore di terreno degradato e intensamente sfruttato dal bestiame. Le sue
intense fioriture primaverili caratterizzano i campi incolti e a macchia
bassa di tutta l’isola.
302
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 310
Asinara
chità, come dimostrano ruderi di età
romana e veniva identificata col nome
di isola d’Ercole, Herculis insula.
Asfodelo – Il ‘‘fiore dei Campi Elisi’’ forma
grandi prati nella campagna sarda.
Negli ambienti costieri cresce l’Asphodelus fistulosus L., con foglie cilindriche, infiorescenza poco ramificata e
fiori con nervatura centrale rossa
molto marcata. Sul monte Albo (Lula)
è stato segnalato l’a. giallo (Asphodeline
lutea Rchb.) con foglie allargate alla
base e densa infiorescenza di fiori
gialli. I fusti (scapi) essiccati vengono
utilizzati per confezionare cesti, soprattutto in Planargia (Flussio) e nella
Barbagia di Ollolai. Dalle radici tuberose si ricava una colla per sellai; nella
medicina tradizionale, preparati a
base di radici di a. sono utilizzati come
emollienti e calmanti per affezioni
della pelle. Nomi sardi: arvútu (Baronia); cadrillóni (campidanese); irbútu
(nuorese); ischirı́a, iscraréu (logudorese); tarabúcciu (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Asinara Isola montuosa e granitica, la
più grande delle isole prospicienti la
Sardegna settentrionale, chiude a
ovest il golfo di Porto Torres (o dell’A.).
Possiede una superficie di 51,92 km2,
una lunghezza massima di 17,4 km e
una larghezza di 6,4 km (il perimetro è
di 45 km ca.). Era abitata fin dalla anti-
Costa Paradiso – Al centro del golfo
dell’Asinara, la località è caratteristica per le
sue rocce di granito rosso.
Nel Basso Medioevo si spopolò a causa
delle incursioni degli Arabi e spesso fu
teatro di episodi di guerra, come
quando nel 936 nelle sue acque si scontrarono una flotta genovese e una flotta
saracena. In età giudicale fu compresa
nella curatoria della Nurra e continuò
a rimanere semideserta fino alla
prima metà del secolo XII, quando il
giudice di Torres la concesse ai Camaldolesi, che vi stabilirono l’eremo di
Sant’Andrea. In poco tempo la comunità divenne centro di attrazione per
molte famiglie e cosı̀ il popolamento
dell’isola sembrò avviato, perché accanto all’eremo sorsero alcuni altri
piccoli centri in prossimità di Cala
Reale. Estinta la famiglia giudicale, i
Doria la inclusero nel loro stato e vi fe-
303
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 311
Asinara
cero costruire una torre di guardia; abbandonata dai Camaldolesi, fu frequentata da comunità di pescatori che
vi praticavano la pesca delle sardine.
Dopo la conquista aragonese, nel 1325
fu sequestrata ai Doria ribelli e nel
1328 concessa in feudo a Gallardo di
Mauleon, al quale però fu tolta nel
1331 per essere concessa alla città di
Sassari come territorio di pascolo e di
caccia. Durante le guerre tra Aragona e
Arborea fu occupata dalle truppe giudicali e continuò a essere uno dei teatri
delle operazioni militari, per cui rimase deserta.
Asinara – Cala Reale è uno dei più antichi
borghi abitati nell’isola.
Poco prima della battaglia di Sanluri
(1410) nelle sue acque si svolse una battaglia tra una flotta aragonese e una
genovese che giungeva in Sardegna a
soccorrere il visconte di Narbona; la
flotta genovese fu sconfitta e molti dei
suoi uomini, compreso l’ammiraglio,
furono catturati. Subito dopo la battaglia di Sanluri passò nelle mani del visconte di Narbona fino al 1420, anno in
cui tornò nelle mani del re. L’isola era
deserta e sostanzialmente indifesa e i
pescatori che la frequentavano stagionalmente non furono in grado di evitare che nel corso del secolo XV diventasse base per le flotte di corsari barbareschi. Nel secolo XVI vi furono costruite due torri di avvistamento e, per
quanto la città di Sassari, cui furono
riconosciuti gli antichi privilegi che
vantava sull’isola, regolamentasse l’utilizzazione stagionale dei suoi pascoli,
non si riuscı̀ a porre fine alle pericolose frequentazioni dei corsari. L’amministrazione delle torri, comunque,
avviò lungo le sue coste la costruzione
di alcune torri di difesa. La più antica
fu quella dell’Isola Piana, posta sull’omonima bassa isoletta tra le coste della
Sardegna e l’A.: edificata nel 1595, era
una costruzione cilindrica a due piani
con un diametro interno di quasi 11 m;
potentemente armata, aveva funzione
di avvistamento e di difesa. La situazione, però, non migliorò: l’isola divenne di fatto una base per le flotte corsare, per cui tra il 1609 e il 1610 nel
nord dell’isola furono costruite le altre
tre torri di Trabucado, Cala d’Oliva,
Cala d’Arena, con una struttura troncoconica e un diametro interno di circa 4
m; destinate alla difesa e alle segnalazioni, erano discretamente armate e
servite da guarnigione. La situazione,
però, si era fatta talmente critica da indurre il fisco a porre in discussione i
privilegi che la città vantava sull’isola
nel tentativo di infeudarla a chi fosse
stato in grado di rafforzarne le strutture, ma Sassari riuscı̀ sempre a spuntarla. Passata la Sardegna ai Savoia,
pur essendo stati riconosciuti a Sassari
gli antichi privilegi, si pensò di avviarne il popolamento; un primo progetto fu elaborato nel 1738 dal marchese Antonio Manca che voleva svilupparvi una scuola professionale per
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 312
Asparago
trovatelli e ripopolare l’isola con comunità di pastori e di contadini; il progetto però non ebbe seguito e l’isola
continuò a rimanere deserta. Nel 1768
l’A. fu concessa in feudo ai fratelli Velixandre di Aixai, ai quali fu anche dato
il titolo marchionale: i due ricchi mercanti vi avrebbero dovuto fondare una
colonia, ma anche questo tentativo
fallı̀ e nel 1769 i Velixandre furono dichiarati decaduti. Nel 1774 infine l’isola fu concessa ad Antonio Manca col
titolo di duca dell’A., ma anche quest’ultimo non ottenne grandi risultati;
furono comunque fondati tre piccoli
centri a Fornelli, Cala Reale e Cala d’Oliva. L’isola rimase ai Manca fino al
1838, quando i feudi furono aboliti.
Nel 1885 il governo decise di destinarla
a Stazione internazionale di quarantena marittima e, quasi contemporaneamente, a colonia penale all’aperto.
Questo costrinse i circa 200 abitanti
che si erano stanziati nell’isola (contadini e pastori, ma anche pescatori di
corallo e di tonni introdottivi al servizio di un Lomellini, imprenditore genovese, sin dal sec. XVIII) ad abbandonare le loro case. 45 famiglie decisero
di fissare la loro nuova dimora sulla
terraferma ma di fronte all’A., nel sito
detto Stintino (L’Isthintini, termine
dialettale riferito ai due stretti golfi,
‘‘gli intestini’’, ai lati della penisola
prescelta), mettendo a frutto i compensi e gli indennizzi per l’esproprio.
Tornata deserta, l’A. divenne il regno
delle capre e degli asini albini, sempre
utilizzata come lazzaretto e come colonia penale. Nei primi mesi del 1916,
destinata a ospitare, prigionieri, migliaia di austro-ungarici provenienti
dal fronte serbo, vi si sviluppò un’epidemia di colera che fece quasi mille
morti. Oltre al Lazzaretto l’isola, in località Cala Oliva, ospitò una colonia
penale, solo recentemente chiusa,
dopo essere stata, negli anni finali del
Novecento, anche un carcere di massima sicurezza per terroristi e mafiosi.
Attualmente le speranze dell’Asinara
sono riposte in un grande parco nazionale marino.
Asinara – Un numeroso gruppo di asinelli
bianchi, caratteristico della fauna dell’isola.
Asinello albino = Zoologia della Sardegna
Asoni, Virgilio Impiegato, consigliere
regionale (Lanusei 1934-ivi 2003). Militante del PSI, il 18 aprile 1979 è subentrato a Giovanni Nonne come consigliere regionale per il collegio di
Nuoro nella VII legislatura (1974-1979).
Asparago Genere di piante spinose
della famiglia delle Liliacee. Tutte le
specie sono caratterizzate da fusto legnoso, ramificato, ricoperto da cladodi
(rami trasformati) aghiformi, raccolti
all’ascella delle foglie trasformate in
spine; i frutti sono bacche sferiche. Le
specie presenti in Sardegna sono: 1. l’a.
bianco (Asparagus albus L.), con rami
biancastri e bacche rosse; 2. l’a. pungente (Asparagus acutifolius L.), con
rami intricati e spinosissimi, fiori (ottobre-novembre) e bacche verdi; 3. l’a.
marino (Asparagus aphillus L.), con
spine a fascetti e bacche nerastre, che
fiorisce ad autunno inoltrato; 4. l’Asparagus stipularis, con cladodi separati
su rametti corti, fiori verdi (aprile-giu-
305
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 313
Asproni
gno) e bacche nere. Gli asparagi crescono, indifferentemente dalla specie,
nelle macchie, vicino ai muri, tra le
siepi. Nella medicina popolare si riconoscono all’a. proprietà diuretiche e
aperitive. Vengono raccolti i turioni,
germogli teneri, apprezzati per il loro
sapore amarognolo. I piatti sardi tradizionali a base di asparagi (minestre,
frittate) utilizzano sempre asparagi
selvatici. Di recente si è avviata la coltivazione di asparagi commerciali a
Serrenti, dove in primavera si tiene
una sagra dell’a. Nomi sardi: ipáramu
(sassarese); sparáu (campidanese);
ziru di sparáu (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Giorgio Asproni – Il grande politico bittese fu
uno dei leader della Sinistra italiana durante
il Risorgimento.
Asproni, Giorgio Uomo politico e giornalista (Bitti 1809-Roma 1876). Deputato al Parlamento. Fu l’uomo più importante e più stimato della Sinistra
sarda nei decenni centrali dell’Ottocento; in quello stesso periodo fu anche uno dei leader più autorevoli del
movimento democratico italiano. Di
famiglia povera, fu mantenuto agli
studi da uno zio. Dopo la laurea in Diritto si fece sacerdote, diventando a 34
anni canonico penitenziere del capitolo di Nuoro. Nel 1847, maturato un
contrasto col suo vescovo, si allontanò
dalla Chiesa, pure restando profondamente religioso: uomo di grande coerenza morale, seguace di Mazzini, travasò nella vita politica gli ideali cui si
era formato. Collaboratore del ‘‘Pensiero Italiano’’ di Genova, radicalmente antipiemontese, nel 1848 fu
eletto per la I legislatura del Parlamento subalpino. Annullata l’elezione,
nel 1849 rinunciò al canonicato e nel
luglio di quell’anno venne eletto nel
collegio di Lanusei per la III legislatura. Stabilitosi a Genova e a Torino,
fu deputato nelle legislature dalla IV
alla XII (1849-1876, tranne che nella VI
e nell’VIII). Nemico di Cavour e della
monarchia, che riteneva colpevoli
delle condizioni in cui era tenuta la
Sardegna, collaborò intensamente
alla stampa democratica (‘‘Il Popolo’’
di Cagliari, ‘‘La voce della libertà’’ di
Torino). Partecipò alla spedizione dei
Mille come amico e consigliere di Garibaldi e nel 1864 fu chiamato a dirigere
‘‘Il Popolo d’Italia’’, organo dell’Associazione Unitaria Nazionale; nel 1861
fornı̀ a Mazzini i dati per gli articoli che
questi scrisse sulla Sardegna al diffondersi delle voci di una possibile cessione dell’isola alla Francia. E allo
stesso modo sollecitò Carlo Cattaneo a
riprendere sul ‘‘Politecnico’’ i suoi interventi a favore della Sardegna sul delicato tema dell’abolizione degli ademprivi (=). Negli anni Sessanta si occupò anche del movimento operaio italiano, su cui scrisse una serie di articoli in linea con le posizioni di Mazzini.
Nel 1865, stabilitosi a Napoli, conobbe
e frequentò Bakunin. Negli ultimi anni
306
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 314
Asquer
prese posizione in Parlamento contro
le limitazioni ai movimenti religiosi
(ma a favore della soppressione degli
enti ecclesiastici) e ribadı̀ la necessità
d’un sistema ferroviario per la Sardegna. Morı̀ il 30 aprile 1876, all’indomani della ‘‘rivoluzione parlamentare’’ che aveva portato la Sinistra al
governo del Paese. Furono decretati
tre giorni di lutto del Parlamento ed
ebbe onoranze solenni. Dal 1855 al
1876 tenne un quasi quotidiano Diario
politico, pubblicato fra il 1974 e il 1991
dalla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari a cura di Tito
Orrù e Carlino Sole. I sette volumi dell’opera sono uno dei documenti più interessanti sulla vita politica italiana
nel ventennio in cui fu scritto il Diario,
ricco di notizie, di notazioni e di giudizi
in cui si riflette il temperamento intransigente ed eticamente rigoroso
dell’autore. Un interessante inedito,
Compendio di storia della Sardegna, è
stato pubblicato a cura di T. Orrù nel
1981. Tra gli altri suoi scritti, tutti legati alla sua lunga attività politica: Invito al Capitolo di Nuoro per la celebrazione di una messa di requiem all’anima
dei fratelli lombardi trucidati dai barbari a Milano,‘‘L’Indicatore sardo’’,
1848; In difesa dell’opera della deputazione sarda, ‘‘Il Popolo’’, 1848; In mia
difesa, 1848; Risposta ai riscontri del senatore Alberto della Marmora, 1849; Lettera alla società degli operai, ‘‘Corriere
di Sardegna’’, 1862; Memoriale al presidente del Consiglio sulla condizione e sui
bisogni della Sardegna, ‘‘Gazzetta popolare’’, 1862; Ai suoi elettori del collegio di
Nuoro, 1867.
Asproni, Giorgio junior Ingegnere
(Bitti 1841-Iglesias 1936). Nipote di
Giorgio Asproni, cui fu strettamente e
profondamente legato, si chiamava in
realtà Mameli. Dopo essersi laureato
in Ingegneria mineraria a Torino tornò
in Sardegna e si legò a Giovanni Antonio Sanna. Dopo il 1870 contribuı̀ a risanare l’amministrazione della miniera di Montevecchio, che era stata
compromessa a causa della lunga lite
tra il Sanna e i Guerrazzi (su questo
scrisse alcuni opuscoli: Relazione sull’ispezione delle miniere e amministrazione di Montevecchio, 1869; Replica
alle lettere dei signori Francesco Michele
Guerrazzi, G. Sanna Sanna e F. Pellegrini, 1869; Risposta all’avvocato Francesco Domenico Guerrazzi, 1869). Nel
1883 rese possibile lo sviluppo delle
miniere di Rosas e dal 1885 assunse la
gestione della miniera di Seddas Moddizis, della quale dopo alcuni anni finı̀
per diventare proprietario. Seguı̀ con
molta attenzione i problemi sociali e
politici dell’Iglesiente, fondò la Scuola
Mineraria di Iglesias e fu eletto consigliere provinciale di Cagliari dal 1889
al 1898. Alcuni dei suoi scritti sono utili
per ricostruire la storia delle miniere
in Sardegna.
Asquer Famiglia di origine ligure (sec.
XVI-esistente). Presente a Cagliari
dalla seconda metà del secolo XVI,
quando alcuni dei suoi membri gestivano importanti commerci di grano.
Facevano parte dell’Arciconfraternita
dei Genovesi e come tali sottoscrissero
la colletta promossa dal sodalizio per
la costruzione della chiesa dei Santi
Giorgio e Caterina. Nel 1640 ottennero
il cavalierato ereditario e la nobiltà
con un Giovanni Battista, ricco mercante i cui traffici erano radicati in
tutta l’isola. Scoppiata la peste, egli si
rifugiò a Orani con la famiglia e vi morı̀
nel 1656; i suoi discendenti, pur continuando a occuparsi dei commerci
della famiglia, con il trascorrere dei
decenni si imparentarono con famiglie
dell’aristocrazia e furono ammessi allo
Stamento militare.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 315
Asquer
1774 portò a termine il ripopolamento
di Gonnesa entrando in conflitto con
Iglesias per l’esercizio dei diritti di
cui si è detto. I suoi figli Gabriele, Raffaele e Francesco diedero vita a tre
rami della famiglia, ma quello discendente da Raffaele si estinse nel corso
del secolo XIX.
Asquer – Arma. In origine famiglia di ricchi
commercianti, ebbe la nobiltà nel 1640.
Agli inizi del secolo XVIII uno dei
suoi nipoti, Ignazio, figlio di Francesco, sposata Eleonora Gessa, pose le
basi per l’acquisizione del feudo di
Fluminimaggiore; Eleonora, infatti,
era erede di vasti feudi spopolati nel
Sigerro dove Ignazio, a partire dal
1704, avviò il ripopolamento con coloni provenienti dal Terralbese. Egli
promosse cosı̀ la formazione di Fluminimaggiore e tentò di ripopolare
Gonnesa, affrontando però l’opposizione del comune di Iglesias che riteneva di poter esercitare diritti giurisdizionali sugli stessi territori. I
suoi figli si legarono ai Savoia e uno
di essi, Francesco, nel 1747 ottenne
anche il titolo di visconte e con una
serie di fortunate operazioni finanziarie migliorò le condizioni della famiglia. Gli succedette Gavino, che nel
Asquer – Un Francesco Asquer divenne
visconte nel 1747.
Ramo di Gabriele. Gabriele fu un brillante ufficiale di carriera. Si sposò con
una Angioy e si segnalò per aver avviato l’opera di bonifica di Piscina Matzeu. Nei decenni successivi, uno dei
suoi figli, un Agostino, bonificò la palude di Pirri; Giuseppe continuò la discendenza. Ebbe alcuni figli, tra cui un
altro Gabriele che fece una brillante
carriera militare e tra il 1907 e il 1918
fu anche consigliere comunale di Cagliari; da suo fratello Francesco nac-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Asquer
quero Giuseppe, che fu vicepresidente
del Consiglio regionale tra il 1949 e il
1961, e Filippo, imprenditore, agricolo,
i cui figli continuano la discendenza
del ramo.
Ramo di Francesco. Francesco, il primogenito, ricevette il feudo di Fluminimaggiore. Ebbe una avventurosa esistenza e numerosi figli; di essi il primogenito, un altro Francesco, nel 1839
trattò vantaggiosamente il riscatto del
feudo e con le somme ottenute continuò l’opera di bonifica di Piscina Matzeu. Anche lui fu padre di molti figli,
dei quali Gavino e Raffaele lasciarono
discendenza: Gavino fu padre di un altro Gavino, che sviluppò una fiorente
azienda agricola a Villamassargia e fu
valente pittore; Raffaele ereditò il titolo di visconte e si dedicò con successo all’agricoltura sviluppando una
grande azienda a Pula; tra i suoi numerosi figli il primogenito Francesco continuò la sua opera a Pula, ma morı̀ lasciando un’unica figlia sposata Aymerich; gli altri ebbero tutti numerosa discendenza che attualmente risiede a
Cagliari e a Varese.
Asquer, archivio Complesso di documenti che nel 1984 la famiglia Asquer
vendette all’Archivio di Stato di Cagliari. È costituito da 66 buste di carte
che coprono il periodo che va dal secolo XV al 1870: in genere atti relativi
all’esercizio dei diritti sul feudo di Fluminimaggiore, con molti documenti
appartenuti alla famiglia Gessa. Il
complesso comprende anche i documenti relativi all’amministrazione
delle altre proprietà immobiliari che
la famiglia possedeva a Cagliari e
quelli relativi all’azienda di Tuili.
Asquer, Francesco Maria Visconte di
Fluminimaggiore (Cagliari 1758-ivi
1832). Nel 1793 si segnalò nella difesa
di Cagliari contro i francesi, e poiché
era di idee liberali negli Stamenti si
schierò con l’Angioy. Per questo nel
1794 fu esiliato a Torino, lasciando
l’amministrazione del feudo al fratello
Gabriele, che però non fu in grado di
impedire che gli iglesienti cacciassero
da Gonnesa gli abitanti del villaggio.
Tornato in Sardegna nel 1798, riprese
a lottare per difendere Gonnesa ma,
sempre a causa delle sue idee, fu costretto a risiedere a Carloforte, dove
nel corso dello stesso anno fu catturato
nella famosa incursione dei corsari tunisini. Per il suo riscatto la famiglia
pagò 31 000 lire sarde. Tornato in Sardegna nel 1802, l’indomabile visconte
riuscı̀ a cacciare gli iglesienti da Gonnesa e si impegnò allo sviluppo del villaggio, che contribuı̀ a ripopolare.
Asquer, Gabriele Militare (Cagliari
1763-ivi 1815). Fratello di Francesco
Maria (=), ufficiale di carriera, si segnalò nella difesa di Cagliari dai francesi nel 1793. Negli anni successivi, durante l’assenza di suo fratello, difese
Gonnesa dai tentativi degli iglesienti
che volevano tornare in possesso dei
terreni occupati dalla comunità fondata dagli antenati. Nel 1807 ottenne il
permesso di avviare la bonifica di Piscina Matzeu, impiantando il grande
uliveto. Nel 1809 fu nominato comandante della provincia di Ozieri.
Asquer, Gavino1 Visconte di Fluminimaggiore (Cagliari 1719-ivi 1792). Personaggio politico di primo piano, continuò nell’opera di colonizzazione di
Gonnesa, che completò nel 1774. Egli
però dovette affrontare una lite giudiziaria con la città di Iglesias che pretendeva di esercitare funzioni giurisdizionali sul territorio sul quale era
sorto il nuovo villaggio. Con fermezza e
abilità riuscı̀ a vincere la resistenza di
Iglesias ma il suo fu un successo provvisorio, perché gli iglesienti continuarono a rivendicare i loro diritti.
Asquer, Gavino2 Imprenditore e pit309
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Asquer
tore (Cagliari 1893-ivi, 1978). Singolare
figura di gentiluomo, che fu insieme
fortunato imprenditore agricolo, pittore e incisore di un certo rilievo. Fu
allievo di Felice Melis Marini e completò i suoi studi a Firenze; si specializzò nella composizione di vedute di
piccole dimensioni che eseguiva con
grande abilità; di lui però rimane anche una Sacra Famiglia eseguita per la
chiesa di San Giuseppe in Castello a
Cagliari. Prese parte a numerose mostre in Sardegna e in varie città italiane con notevole successo.
Asquer, Giovanni Pittore (Cagliari
1891-ivi 1931). Si formò a Firenze e all’Accademia di Belle Arti di Roma. Tornato a Cagliari, si inserı̀ negli ambienti
artistici della città, ma dopo qualche
tempo si trasferı̀ nuovamente a Roma.
Nel 1925 tornò definitivamente nella
sua città, dove prese a operare intensamente; si fece conoscere soprattutto
come pittore sacro e come ritrattista.
Morı̀ relativamente giovane nel 1931.
Purtroppo molte delle sue opere sono
andate perdute durante i bombardamenti del 1943.
al 1961 e fu vicepresidente del Consiglio regionale. Morı̀ lasciando il suo vistoso patrimonio al Comune. Alcuni
dei numerosi scritti, apparsi principalmente nei giornali, oltre che testimoniare del suo impegno, sono utili per
la ricostruzione della storia sarda
della prima metà del Novecento. Tra
quelli dedicati a temi di storia del diritto e dell’economia, La Quarta Regia
dello stagno di Cagliari nella storia e nell’economia, ‘‘Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari’’, VI,
1914; Il giudice di appellazioni e gravami nel diritto ecclesiastico sardo,
‘‘Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari’’, VI, I, 1914; Lazzaro
risorge (a proposito dello stabilimento
Vi t t o r i o E m a n u e l e d i S a n l u r i ) ,
‘‘L’Epoca’’, 1919.
Asquer, Giuseppe Avvocato, consigliere regionale (Cagliari 1889-ivi
1962). Nacque a Cagliari da uno dei
rami collaterali della famiglia. Conseguita la laurea in Legge, si avviò alla
professione di avvocato, e attirato
dalla politica. Nel 1914 cominciò a collaborare con ‘‘L’Unione sarda’’, mettendo in mostra un carattere battagliero e orientamenti decisamente democratici. Nel dopoguerra aderı̀ al sardismo e assunse posizioni antifasciste,
per cui fu costretto a lasciare la politica. Riprese a occuparsene dopo la caduta del regime: nella scissione del
PSd’Az nel 1948 si schierò con Lussu
passando nel PSd’Az Socialista e in seguito aderı̀ al PSI. Fu eletto consigliere
regionale ininterrottamente dal 1949
Assemini – L’oratorio di San Giovanni,
edificato nei secoli IX-X, è uno dei monumenti
d’età bizantina meglio conservati.
Assemini Comune della provincia di
Cagliari, compreso nella XXIV Comunità montana, con 25 171 abitanti (al
2004), posto a 6 m sul livello del mare
nella parte più meridionale della pianura campidanese, a brevissima distanza da Cagliari. Regione storica:
Campidano di Cagliari. Archidiocesi
di Cagliari.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 117,50 km2 e si divide in
due parti: una, di forma allungata in
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Assemini
direzione nord-sud, che si stende intorno al nucleo abitato, confina col comune di San Sperate a nord, con Sestu
a est, con Cagliari e Capoterra a sud,
con Uta e Decimonannu a ovest; un’isola amministrativa, collocata a sudovest e incuneata tra i territori di Capoterra, Sarroch, Villa San Pietro, Santadi, Nuxis, Siliqua e Uta. Mentre la regione intorno al paese è un tratto tipico
di pianura alluvionale, fertile, ricca di
acque (è attraversata dal Flumini
Mannu che a sud del paese confluisce
nello stagno di Cagliari) e vocata all’agricoltura, l’isola amministrativa comprende parte dei primi contrafforti dei
rilievi del Sulcis-Iglesiente, nella zona
in cui si leva il monte Arcosu (948 m) e
si trova la pregevole area naturalistica
di Gutturu Mannu. Il paese rientra
nella grande conurbazione cagliaritana, ricca di vie di comunicazione ma
intensamente popolata e per questo
anche in parte congestionata. Le principali vie di accesso sono la superstrada 130 che unisce Cagliari a Iglesias e la ferrovia che, partendo da Cagliari, poco dopo A. si divide nei due
bracci che raggiungono rispettivamente Iglesias e Oristano. Strade minori conducono da qui a Sestu, a San
Sperate, a Villamassargia e verso la
zona industriale di Macchiareddu.
& STORIA Di probabili origini puniche, il villaggio in epoca romana era
situato lungo la strada che da Carales
conduceva a Sulci ed era ben conosciuto anche perché vi passava l’acquedotto che dal Cixerri portava l’acqua a Cagliari. A. mantenne la sua importanza in periodo bizantino quando
il suo abitato si sviluppò attorno alla
chiesa di San Giovanni; in seguito entrò a far parte del giudicato di Cagliari
e fu compreso nella curatoria di Decimomannu. Nel corso del secolo XI il
suo abitato si sviluppò ulteriormente e
fu avviata la costruzione della chiesa
parrocchiale dedicata a San Pietro;
era un centro rinomato per la produzione di vini pregiati e per la pratica
di un’orticoltura molto avanzata.
Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari
cessò di esistere e il suo territorio fu
smembrato, A. passò in possesso dei
Della Gherardesca che probabilmente
vi fecero costruire la chiesa romanica
di Santa Lucia. Nel 1282 i due rami
della famiglia, a causa dei loro insanabili contrasti, fecero tra loro una divisione e A. fu compreso nella parte toccata ai figli del conte Gherardo. Conclusa la conquista dell’infante Alfonso,
il villaggio fu incluso nel Regnum Sardiniae e sequestrato ai suoi antichi signori che però, dopo la conclusione
della pace del 1326, ne furono infeudati e ne recuperarono il possesso. Negli anni seguenti i suoi rapporti con i
Della Gherardesca furono buoni e la
vita della comunità, che contava su
una florida economia ed era molto numerosa, trascorreva tranquilla; durante la peste del 1348 però la sua popolazione fu quasi dimezzata. In seguito, scoppiata la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV, A. fu confiscato
ai Della Gherardesca e concesso in
feudo con altri villaggi a Francesco
Sant Clement, eminente cittadino di
Cagliari. A partire dal 1365 A. soffrı̀
per la ripresa della guerra tra Arborea
e Aragona, l’abitato fu semidistrutto, si
spopolò e fu occupato stabilmente
dalle truppe giudicali fino al 1409. Finita la guerra, tornò in possesso dell’amministrazione reale e, ormai completamente desolato, nel 1421 fu concesso ai Bertran Carroz che lo inclusero nel loro grande feudo di Quirra.
Estinti i Bertran Carroz nel 1511, passò
nelle mani dei Centelles che, come è
noto, provvidero a riorganizzare l’amministrazione del grande feudo di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Assemini
Quirra nel quale A. rimase compreso.
Nello stesso periodo l’abitato continuò
ad accrescersi e la sua economia a svilupparsi; nel corso del secolo XVI maestranze locali, prendendo spunto da
modelli catalani, vi costruirono la
chiesa parrocchiale di San Pietro. Nel
corso del secolo XVII il villaggio soffrı̀
per l’oppressione dei tributi feudali e a
causa della peste del 1652; estinti i
Centelles nel 1674, passò ai Borgia, la
cui successione però fu contrastata dai
Catalan. Tra le due famiglie si aprı̀ una
lunga lite giudiziaria che si concluse
nel 1726 quando A. e tutta la contea di
Quirra passarono finalmente nelle
mani dei Catalan. I nuovi feudatari
poco si interessarono di A., nei cui terreni però, nel corso del secolo XVIII, fu
fatto un esperimento di coltivazione
del tabacco e furono aperte alcune peschiere nello stagno di Santa Gilla.
Dopo la costituzione del Consiglio comunitativo nel 1771, approfittando
della lite tra l’ultima dei Catalan e gli
Osorio che pretendevano la successione nel feudo, la comunità cominciò
a vagheggiare il riscatto, ma al momento tutto fu inutile. Nel 1798 gli Osorio subentrarono ai Catalan e il vincolo
feudale continuò a pesare sulle popolazioni di A.; nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Cagliari e nel
1840 fu finalmente riscattato agli Osorio. È all’incirca di questo periodo la
testimonianza di Vittorio Angius:
«L’abitato avrà circa due terzi di miglio
in circonferenza, e 480 case. Sono costrutte a mattoni crudi, generalmente
senz’altro piano sopra il terreno,
hanno un cortile, e taluna anche un orticello contiguo. Le strade sono bastevolmente larghe, sebbene poco regolari, se eccettuisi la principale, che denominasi di Cagliari, per ciò che in
quella passano quanti da Decimomanno si dirigono alla capitale. La
maggior parte di questi paesani esercitano l’agricoltura e la pastorizia; altri
attendono alla pesca nel fiume e nel
vicino stagno; altri alla caccia; ed una
più piccola parte fanno a vasellai. Questi fabbricano con qualche arte delle
stoviglie grossolane, brocche, scodelle,
fiaschi, tegami, casseruole ed altri
vasi. Ne provvedono i villaggi vicini,
ma la maggior vendita si fa in Cagliari
nella vigilia della festività della Vergine del Carmine, dove concorrono coi
decimesi, che in gran numero sono applicati a questi lavori. La tessitura è
l’occupazione delle donne, e si lavora
in più di 400 telai. Malgrado siano questi molto semplici e rozzi, veggonsi
bene spesso dei tessuti che meritano
lode. Molte di queste, come sogliono
quelle dei paesi più vicini alla capitale, con molta frequenza vi si portano
a vendervi uova, pollame, formaggio
fresco ed altri oggetti. Il carattere morale è lodevole. Sono pacifici, laboriosi, sobri, insiememente pieni di vigore, armigeri, amanti della caccia: governano bene il cavallo, e sul medesimo sogliono anche far la caccia. Le
donne appajono modeste. Sono poche
che mangino a tavola coi mariti, se non
in occasione di qualche convito. Siedono ordinariamente ad altra mensa
con le figlie e con le serve: il qual costume troverassi ragionevole da chi conosca la condizione delle cose. Le famiglie ascendono a circa 495, l’intera
popolazione a 2025. Nascono nell’anno
circa 80, muojono 30, e si celebrano 18
matrimoni». Nel corso dell’Ottocento
A. continuò a far parte delle circoscrizioni amministrative di Cagliari e la
sua economia si evolvette: accanto
alle tradizionali attività dell’agricoltura se ne svilupparono delle altre artigianali, nel campo del legno e del
ferro, ed ebbe incremento anche
quella della ceramica; purtroppo nel
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Assemini
1899 i suoi vigneti furono distrutti dalla
fillossera. Nel corso del Novecento
hanno progredito sia l’economia che il
numero degli abitanti, un po’ per la
specializzazione nel campo agricolo e
per l’apertura delle vicine zone industriali, ma anche per l’inclusione tra i
centri abitati che fanno da corona a Cagliari e costituiscono tutti insieme una
continuità dell’urbanizzazione e un sistema economico integrato.
& ECONOMIA La base tradizionale dell’economia di A. rimane l’agricoltura: i
prodotti principali sono i cereali, gli
ortaggi, l’uva e il vino. Dalla seconda
metà del secolo XX un’intensa industrializzazione tende a modificare l’assetto tradizionale dell’economia. Altra
importante attività è rappresentata
dal turismo di transito (alberghi e ristoranti) e dall’industria dell’intrattenimento (locali notturni). Artigianato.
L’antica tradizione della lavorazione
delle stoviglie di terracotta e di ceramica negli ultimi decenni si è sviluppata enormemente e in alcuni casi è
giunta a un livello di vera e propria
arte; mentre si è persa completamente
la memoria dell’attività tessile che le
donne esercitavano nei telai domestici
producendo lavori di grande qualità
apprezzati anche a Cagliari.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 23 518
unità; di cui stranieri 192; maschi
11 762; femmine 11 756; famiglie 7912.
La tendenza complessiva rivelava un
aumento della popolazione con morti
per anno 115 e nati 249; cancellati dall’anagrafe 757 e iscritti 1037. Tra gli indicatori economici: depositi bancari
143 miliardi di lire; imponibile medio
IRPEF 17 909 in migliaia di lire; versamenti ICI 5979; aziende agricole 526;
imprese commerciali 780; esercizi
pubblici 62; esercizi all’ingrosso 13;
esercizi al dettaglio 337; ambulanti
107. Tra gli indicatori sociali: occupati
6038; disoccupati 992; inoccupati 1382;
laureati 226; diplomati 2321; con licenza media 7077; con licenza elementare 5728; analfabeti 704; automezzi
circolanti 7899; abbonamenti TV 4734.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva a Ischiois i resti di una
villa rustica di età imperiale e a Cuccuru Macciorri una necropoli tardopunica individuata dopo il 1960, in un sito
che oramai è parte del perimetro urbano. È costituita da un certo numero
di tombe a cassone ricoperte con lastre
di pietra. Gli scavi hanno restituito una
discreta quantità di ceramiche puniche e attiche a vernice nera del secolo
IVa.C.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il centro storico di A. conserva
ancora una grande quantità di case
campidanesi, tipiche costruzioni in
mattoni di fango crudo (làdiri) che si
aprono in una corte anteriore al fabbricato e che talora nella parte posteriore
hanno un orticello domestico. La costruzione è spesso completata da loggiati (lollas) poggianti su colonne di legno o di pietra, di grande suggestione.
Il muro esterno che racchiude queste
abitazioni è generalmente arricchito
da un grande portale ad arco che si
apre su strade sufficientemente larghe. A. conserva inoltre alcune chiese
di grande pregio architettonico tra cui
quella bizantina di San Giovanni Battista, costruita probabilmente tra la fine
del secolo IX e il corso del secolo X; ha
un impianto a croce greca iscritta in un
perimetro quadrato, è sormontata da
una cupola ed è coperta da volte a
botte. Nel 1098 il giudice Mariano Torchitorio II la donò al Duomo di San Lorenzo di Genova che la tenne fino al
secolo XIII. In seguito, prima della costruzione della chiesa di San Pietro, fu
per un certo tempo chiesa parroc-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Assenzio arbustivo
chiale. Al suo interno è conservato un
gruppo di marmi mediobizantini tra i
quali la famosa iscrizione di Torchitorio e Nispella. Altro importante monumento è la chiesa parrocchiale di San
Pietro, costruita in forme gotico-aragonesi nel corso del secolo XVI. Edificata
sul modello della chiesa di San Giacomo di Cagliari, l’opera ebbe inizio
nei primi decenni del secolo e fu eseguita in momenti diversi da maestranze locali che avevano assimilato
le essenziali tecniche costruttive da architetti catalani. Ha una sola navata
scandita da archi a sesto acuto sui
quali tra la fine del Cinquecento e il
Seicento furono aggiunte le cappelle
laterali. Sono infine di un qualche interesse architettonico San Cristoforo,
chiesa situata alla periferia del villaggio; fu costruita nel secolo XVII a una
sola navata completata dal presbiterio;
la facciata è del tipo a capanna ed è
arricchita da un campanile a vela. Ricordiamo ancora le chiese minori di
Sant’Andrea, costruita nel secolo
XVIII, e di Santa Lucia, di piccole dimensioni in stile romanico. Di grande
interesse è anche una costruzione militare conosciuta come Villa Asquer: si
tratta di una ‘‘casa-forte’’ costruita nel
secolo XVI e passata agli Asquer (=)
nell’Ottocento. Ha un impianto quadrangolare, le mura perimetrali sono
rinforzate da un basamento a scarpa e
da torrioni rotondi agli angoli. All’interno si trova una vasta corte con portico ad archi.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Ricco di tradizioni delle quali si conserva memoria era il patrimonio delle
tradizioni popolari di A.; in particolare
va ricordata la loro abitudine alla pratica della danza accompagnata dal
suono delle launeddas che nel pomeriggio di ogni domenica veniva praticata in una grande piazza con il con-
corso della gioventù che per l’occasione intonava piacevoli canti. La memoria di questo grande patrimonio di
tradizioni è conservata nel Matrimonio asseminese, una manifestazione
istituita nel 1973, che si svolge a luglio
nella chiesa di San Giovanni in una
cornice suggestiva. I protagonisti indossano i costumi tradizionali e il rito
nelle sue varie fasi ripropone i dettagli
di una cerimonia composta di una
lunga serie di antichissime usanze. Gli
sposi, dopo aver ricevuto la benedizione dalle rispettive madri, che lanciano nella loro direzione del grano,
del sale e delle monete, vengono accompagnati in chiesa da cortei di amici
in costume; giunti all’altare, nel momento culminante della cerimonia
vengono incatenati dai testimoni. Il gesto rappresenta l’indissolubilità del
matrimonio. Una volta terminata la cerimonia, i due vengono accompagnati
in corteo alla loro nuova abitazione e
qui ricevono s’arazzu che contiene petali di fiori e dolci. Altra grande festa
popolare è quella di Santa Lucia che si
svolge in due fasi, nella prima domenica dopo Pasqua e il 13 dicembre; la
prima fase dura tre giorni e alle cerimonie religiose si alternano manifestazioni folcloristiche che in passato
culminavano in una giostra a cavallo;
la seconda fase ha invece un carattere
esclusivamente religioso.
Assenzio arbustivo Pianta arbustiva
della famiglia delle Composite (Artemisia arborescens L.), detta anche artemisia. Ha rami eretti e pubescenti, foglie composte (scient. bipennatosette)
dal caratteristico colore bianco-grigiastro, fiori giallo-bruni raccolti in pannocchie apicali di capolini semisferici.
I frutti sono piccoli acheni intensamente profumati. Fiorisce in aprilemaggio e caratterizza con le sue macchie argentee i campi incolti e i bordi
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Assolo
delle strade. Aromatica, l’artemisia
viene usata per la preparazione di liquori e nella medicina popolare per le
proprietà stimolanti, digestive e vermifughe, simili a quelle dell’‘‘assenzio
vero’’ (Artemisia absithium L.), non presente in Sardegna. In prossimità delle
coste dell’arcipelago della Maddalena
e in ristrettissime zone della Sardegna
sud-occidentale è presente una specie
endemica della Sardegna e della Corsica, l’Artemisia densiflora Viv., inserita
nell’elenco delle piante da sottoporre
a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. Nomi sardi:
asséntu, athétu (nuorese); atténtu (gallurese e logudorese); séntzu (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Assessore Nell’ordinamento del Regnum Sardiniae era un funzionario
che aveva il compito di assistere i magistrati di nomina regia nello svolgimento delle loro funzioni. Aveva un
compito essenzialmente consultivo ed
era nominato, di regola, per un anno.
Assessore della Regia Governazione Erano due funzionari, assistenti uno del governatore del Capo di
Cagliari e Gallura e l’altro del Capo di
Logudoro. Duravano in carica cinque
anni e avevano compiti, oltre che di assistenza, di natura esecutiva; per assumere l’ufficio versavano cauzione ed
erano sottoposti al termine del quinquennio al giudizio di sindacatura.
Assinarium Centro registrato nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate
(sec. VII) e, nella variante Assimanrium, nelle cronache di Guidone (secc.
XI-XII). A. era localizzata con tutta probabilità lungo la direttrice che congiungeva Carales alla costa orientale
dell’isola. Pare dimostrarlo anche la
formula del Ravennate, ex alio latere,
usata per distinguere questa tratta dai
primi due percorsi già considerati
nella sua opera (quello che univa Cara-
les a Turris Lybisonis e quello che muoveva da Carales verso Nora). Non sarebbe allora valida l’ipotesi di Ettore
Pais che identificava A. con Assemini,
località in prossimità della regione del
Cixerri e dunque pertinente alla via a
Caralibus Sulcos. [ANTONELLO SANNA]
Assiolo = Zoologia della Sardegna
Associazione Mineraria Sarda Società costituita nel 1896 per iniziativa
di Anselmo Roux, doveva favorire lo
sviluppo degli studi relativi all’attività
mineraria. Potevano farne parte tutti
coloro che si occupavano dell’argomento; tenne le sue riunioni a Iglesias,
dapprima presso l’Istituto tecnico minerario, in seguito, dal 1904, nella sua
sede, una palazzina appositamente costruita. Nel corso degli anni fu presieduta dal Lambert, dal Ferraris, dal Cattaneo, dal Traverso e ancora dal Donegani. Nel 1919 aveva 175 soci e nel 1928
si diede un nuovo statuto.
Assolo Comune della provincia di Oristano, compreso nella XVII Comunità
montana, con 485 abitanti (al 2004), posto a 255 m sul livello del mare alle pendici settentrionali della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Valenza.
Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 16,32 km 2 : ha forma
grosso modo triangolare e confina a
nord con Sant’Antonio Ruinas, a est
con Senis e Nureci, a sud con un’isola
amministrativa di Cabras, a ovest con
Albagiara. Si tratta di suoli e rocce di
natura basaltica, a nord del paese, in
parte pianeggianti e vocati all’agricoltura, in parte costituiti dalle pendici e
da una parte della sommità della
Giara: un’area ricca di vegetazione,
lecci, corbezzoli, lentischi e abitata di
conseguenza da volpi, lepri e numerose varietà di volatili. Da queste pendici hanno origine alcuni piccoli corsi
d’acqua che si immettono nel rio Im-
315
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 323
Assolo
bessu, che scorre nella vallata e, dopo
un lungo e tortuoso percorso – durante
il quale diviene rio Mannu – , va a confluire nel Flumendosa. Il paese si trova
in posizione appartata, collegato con
due brevi traverse alla statale 442
Uras-Laconi, nel punto in cui se ne
stacca verso nord la traversa per Asuni
e Villa Sant’Antonio.
Assolo – Sa lolla, il caratteristico cortile a
loggiato della casa campidanese.
& STORIA Il villaggio attuale è probabilmente nato in periodo bizantino dall’insediamento romano di Santa Lucia;
in seguito fu compreso nel giudicato
d’Arborea e faceva parte della curatoria di Parte Valenza. Dopo la caduta del
giudicato fu compreso nel territorio
del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti, unitamente a quelli degli altri
villaggi della curatoria, mantennero
per alcuni anni un atteggiamento
ostile nei confronti degli Aragonesi,
istigati probabilmente dal marchese
d’Oristano che avrebbe voluto entrare
in possesso del territorio. Egli infatti,
approfittando delle necessità della dinastia, nel 1416 fu sul punto di riuscire
ad acquistare il territorio; il re però,
che sospettava del marchese, decise di
dividere la curatoria in alcuni feudi
pensando di controllarne meglio in
questo modo le popolazioni. Cosı̀ A.
nel 1417 fu incluso con altri villaggi
nel feudo concesso a Ludovico Pontons; questi nel 1421 rivendette il villaggio a Nicolò Boter cittadino di Cagliari, che però morı̀ poco dopo. Allora
la sua vedova, nel 1426, lo vendette all’asta a Pietro Joffre per recuperare la
propria dote. Lo Joffre, che si era anche sposato con la vedova, lo inserı̀ in
un feudo più vasto di cui, da quel momento, A. fece parte stabilmente. Dopo
la sua morte il villaggio passò per matrimonio ai Cardona che lo trasmisero
ai Besalù; nel 1486 Pietro Besalù vendette A. unitamente agli altri villaggi
che costituivano il feudo a Bernardino
Margens; la discendenza di questi ultimi si estinse nel 1541 e A. passò per
matrimonio ai Fogondo. Estinti questi
ultimi nel 1592, passò infine ai Nin che
nel corso del secolo XVII ne riordinarono l’amministrazione e arrivarono a
condizionare pesantemente la vita
della comunità. Scoppiata la guerra di
successione spagnola, essi furono costretti a fuggire in Spagna per cui A.
rimase per alcuni anni sotto sequestro;
passata la Sardegna ai Savoia, il villaggio e tutto il territorio del feudo tornarono ai Nin che tentarono di effettuare
nel suo territorio alcuni esperimenti
agricoli, ma senza successo. Nel 1821
fu incluso nella provincia di Oristano
e nel 1838 riscattato ai Nin, ultimi feudatari. Vittorio Angius annotava in
questo periodo: «L’abitato stendesi in
lungo circa 8 minuti. Le strade son
poco larghe, il piano è disuguale e sassoso, ed in istagioni piovose impraticabile anche per lo fango. Tutte le case
316
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 324
Assolo
hanno davanti un piazzale con un loggiato aderente, che dicesi lolla nel
Campidano de Parte Jossu, staulu nel
Campidano d’Oristano. La costruzione
è a pietre con fango, e non si usano i
mattoni crudi (làdiri). Le arti meccaniche vengono da pochi esercitate; l’unica manifattura è la solita delle tele e
del forese [orbace]. Si fanno pure delle
coltri, ma tutto serve per uso proprio.
Lavorasi in 140 telai. Si semina non
meno di starelli 700 di grano, 100
d’orzo, 180 di fave, e 10 di ceci. Piccola
è la seminagione del lino, e solo quanto
sia sufficiente ai bisogni. Poco si cura
la coltivazione delle erbe ortensi, e tra
le piante di questo genere pregiasi il
solo popone. Il vigneto è competentemente esteso; molte sono le varietà
delle uve. Gli è, avuto riguardo all’estensione del pascolo, non piccola la
quantità del bestiame, alla cui propagazione si studia. Quasi ogni casa comoda avrà due o tre mannalite [capre
domestiche]. Le vacche rudi sono divise in sei segni, ciascuno tra li 30 e 60
capi. I buoi per i lavori dell’agricoltura
non sono meno di 200, e con ogni giogo o
coppia si semina generalmente 6 starelli (ari 239,16). Le pecore sono distinte in 125 segni, cadauno di vario numero tra i 30 e i 70; le capre in segni 6,
dai 30 ai 70; i porci in segni 4, dai 20 ai
30 capi: in totale capi 3000, compresi i
cavalli, i majali, i giumenti». Abolite le
province, nel 1848 A. entrò a far parte
della divisione amministrativa di Cagliari, in seguito nel 1859 dell’omonima
provincia. Nel 1928 fu ridotto a frazione di Senis e solo nel 1945 riacquistò
l’autonomia; nel 1974 fu compreso
nella provincia di Oristano.
& ECONOMIA La sua economia è basata esclusivamente sulle attività dell’agricoltura e della pastorizia; in particolare la produzione dei cereali, la
frutticoltura e una modesta produ-
zione di formaggi di non eccelsa qualità. Artigianato. Non è stata mai del
tutto abbandonata la tessitura domestica, cosı̀ diffusa ai tempi dell’Angius:
sono ancora presenti alcune manifatture domestiche nelle quali si producono tappeti dai colori vivaci e tende.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 499 unità,
di cui stranieri 3; maschi 248; femmine
251; famiglie 178. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
3 e nati 5; cancellati dall’anagrafe 21 e
nuovi iscritti 3. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
13 648 in migliaia di lire; versamenti
ICI 171; aziende agricole 158; imprese
commerciali 16;esercizi pubblici 2;
esercizi al dettaglio 7. Tra gli indicatori
sociali: occupati 95; disoccupati 31;
inoccupati 36; laureati 4; diplomati 49;
con licenza media 145; con licenza elementare 171; analfabeti 34; automezzi
circolanti 140; abbonamenti TV 159.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio di A. è particolarmente ricco di
nuraghi, che sono individuabili nelle
località di Aradi, Fruscu, Guduli, Gurreddu, Mammuzzola, Monte Figu,
Moro, Orasas, Palanuedda, Pardu Cungiau, Planu Narbonis, Porcilis, Sa
Cirra, San Pietro, Santa Lucia, Sassaioni, Ungronis, Urasasa. La maggior
parte di essi orna come una cinta di difesa il bordo della Giara; di particolare
interesse è il complesso di Pardu Cungiau che comprende ben sei nuraghi
posti a breve distanza l’uno dall’altro,
prevalentemente in rovina, e gli avanzi
di un villaggio di incerta origine. Di
grande interesse è anche il nuraghe
detto Nuraxi ’e Moru, in località Riu ’e
Concas; si tratta di un nuraghe polilobato di grandi proporzioni che attende
di essere studiato con maggiore attenzione. Nel territorio sono identificabili
317
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 325
Assorgia
anche alcuni dolmen. Di grande interesse è anche la località di Santa Lucia,
all’incrocio della statale 442 con la deviazione per Asuni e Villa Sant’Antonio: vi si vede, nascosta tra gli alberi,
una chiesetta dal triplice portale e con
campanile a vela, dove gli abitanti di A.
vengono a settembre per fare festa. In
realtà gli scavi compiuti tutt’intorno in
varie epoche hanno rivelato che sorge
sopra i resti di un abitato romano, probabilmente appartenenti a una villa:
sono emersi mosaici, bronzi e monete
di diversi periodi, nonché un’iscrizione del secolo I nella quale si parla
di uno schiavo cresciuto nella casa del
suo padrone.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Di particolare interesse è il centro storico, costituito da
un complesso di viuzze fiancheggiate
dalle grandi case in pietra caratterizzate dal loggiato (lolla) tutt’intorno alla
corte che si affaccia alla strada con un
grande portale ad arco. Al centro dell’abitato si trova la chiesa di San Sebastiano, la parrocchiale costruita nel secolo XVIII: ha un impianto a una sola
navata e la copertura con volte a botte;
all’interno conserva tre altari in pietra. La chiesetta campestre di Santa
Lucia risale per il primo impianto al
periodo bizantino, ma fu completamente ricostruita nel secolo XIII in
forme romaniche. Nel corso dei secoli
successivi subı̀ molti danni e andò in
rovina; è stata ancora una volta ricostruita tra il 1920 e il 1922. Attualmente
ha un impianto a tre navate e una struttura che richiama l’impostazione romanica precedente. Notevoli, come si
è visto, i pregi naturalistici della zona a
monte dell’abitato, cui si può accedere
seguendo una strada costruita alcuni
anni fa.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Si ha
memoria di una singolare tradizione in
relazione ai balli che nei tempi andati
erano particolarmente amati dalla popolazione: non si svolgevano in piazza,
come abitualmente si faceva negli altri
villaggi, ma nelle case dei giovanotti
più ricchi, dove le ragazze venivano
condotte da un accompagnatore. La
più importante delle feste popolari è
quella di Santa Lucia che si svolge
nella seconda domenica di settembre
e che un tempo era famosa per il palio
che vi si correva attirando gli abitanti
degli altri villaggi; attualmente il momento culminante della festa è costituito da una solenne processione che
trasferisce la statua della santa dalla
parrocchiale all’omonima chiesetta.
Per le feste di Natale si confeziona ancora il grano cotto, su trigu cottu, che
viene insaporito con la sapa, mentre a
Pasqua si consumano le formaggelle e
dei pani di semola nei quali viene inserito per l’occasione un uovo, simbolo e
augurio di fertilità.
Assorgia, Antonio Geochimico (n.
Monserrato 1936). Dopo la laurea si è
dedicato all’insegnamento universitario. Professore associato nel 1980, attualmente insegna Geochimica e vulcanologia presso il Dipartimento di
Scienze della Terra dell’Università di
Cagliari. Tra i suoi scritti, Nuove conoscenze sulle grotte costiere del settore di
Cala Luna (con L. Bentini e C. Dernini),
1968; Sopra alcuni lembi di Tirreniano
in grotte costiere del Golfo di Orosei,
1968; Notizie geomorfologiche sul monte
Marganai di Iglesias con cenni sulle mineralizzazioni, ‘‘Speleologia Sarda’’,
III, 4, 1974; Alberto Lamarmora e il progresso delle conoscenze geologiche e minerarie della Sardegna nell’Ottocento,
1998; Lo sviluppo delle ricerche geologiche minerarie nella Sardegna dell’Ottocento (con R. Callia), 1999.
Assum Antico villaggio del giudicato di
Gallura, compreso nella curatoria di
318
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 326
Astesan
Montangia. Estinta la dinastia giudicale dei Visconti, a partire dal 1288 fu
amministrato dal Comune di Pisa.
Dopo la conquista aragonese passò al
Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti
non si piegarono ai nuovi venuti e scoppiata la guerra tra Aragona e Genova si
ribellarono apertamente, per cui il villaggio nel 1331 fu conquistato dalle
truppe di Raimondo Cardona, che subito dopo l’ottenne in feudo. Dopo la
morte del Cardona nel 1337, si spopolò
completamente entro la fine del secolo
XIV.
Astarte Ericina Divinità di origine fenicia (in fenicio ’štrt ’rk), il cui culto si
diffuse nei territori del bacino occidentale del Mediterraneo. L’appellativo della dea si deve all’esistenza dell’importante santuario della città di
Erice (Sicilia occidentale) fondato, secondo la tradizione classica, dall’eroe
eponimo Eryx, figlio di un re indigeno
e di Afrodite. Il tempio fu certamente
conosciuto fin dall’antichità, come traspare dalle testimonianze letterarie
greche e latine che insistono sull’antichità del culto tributatovi, sulla ricchezza e notorietà del luogo sacro nonché sull’eventualità che vi venisse praticato il noto rito della prostituzione
sacra. La conferma archeologica di
quanto si apprende dalle fonti è costituita da un’iscrizione punica dei secoli
III-II a.C., rinvenuta in Sicilia, che
menziona lrbt l’štrt ’rk ‘‘la Signora,
Astarte di Erice’’. Per quanto attiene
la Sardegna, un’iscrizione rinvenuta
sul promontorio di Sant’Elia nel 1870,
conservata attualmente a Cagliari, documenta il culto da porre in relazione
alla possibile esistenza di un santuario
extraurbano forse attivo già in età arcaica. Ciò anche se un’ipotesi alternativa proporrebbe la lettura [l’]štrt ’m
‘‘Astarte madre’’. Anche a Roma si assiste, con un tipico fenomeno di sincreti-
smo religioso, all’introduzione del
culto di A.E., il cui tempio venne edificato sul Campidoglio durante la seconda guerra punica. La devozione
nei confronti della Venere Erucina si
diffuse infine, a testimonianza della dimensione internazionale del culto, anche nel territorio della Campania e ancora a Cartagine, in un contesto culturale ormai pienamente romanizzato.
[MICHELE GUIRGUIS]
Asteroide di Sardegna (o buftalmo peloso) Pianta suffruticosa della famiglia
delle Asteracee (Buphthalmum inuloides Moris). Ha rami eretti o arcuati, che
raggiungono i 60 cm di altezza, legnosi,
con peluria grigiastra; foglie oblunghe,
spatolate quelle inferiori, lanceolate
quelle superiori; fiori (maggio-giugno)
in capolini gialli, solitari o in piccoli
gruppi radi; i frutti (giugno-agosto)
sono acheni tripartiti e dentati. Endemismo sardo, vive in un ristretto areale
sulle coste galluresi e sulle piccole
isole prospicienti. L’a. di S. è inserito
nell’elenco delle piante da sottoporre
a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. Predilige zone
sassose e soleggiate. Nome sardo: salvia bianca (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Astesan, Giacomo Giovanni Tommaso Religioso (Chambéry, prima
metà sec. XVIII-Oristano 1784). Arcivescovo di Oristano dal 1778 al 1784. Domenicano, dopo aver completato gli
studi insegnò per anni Teologia in diversi conventi dell’ordine. Divenuto
assistente generale, fu nominato vescovo di Nizza; in seguito, nel 1778, divenne arcivescovo di Oristano. Raggiunta la sua nuova diocesi rimase colpito dalle condizioni di arretratezza di
quelle popolazioni e si impegnò con
energia per migliorarle; si segnalò per
la carità e per l’impegno col quale so-
319
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 327
Astia
stenne la necessità di trasformare l’agricoltura.
Astia Antico villaggio del giudicato di
Cagliari, compreso nella curatoria del
Sigerro. Era situato sulle colline a est
di Villamassargia. Quando nel 1257 il
giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 entrò a far parte del terzo
assegnato ai Della Gherardesca che lo
donarono all’opera di Santa Maria di
Pisa. Dopo la conquista aragonese
passò al Regnum Sardiniae; assegnato
nel 1324 al castello di Gioiosaguardia,
fu fatto amministrare dal castellano e
destinato al mantenimento della guarnigione. Durante le guerre tra Aragona
e Arborea il villaggio, già semispopolato a causa della peste del 1348, si spopolò completamente e scomparve.
Astore = Zoologia della Sardegna
Astragalo Genere di piante arbustive
della famiglia delle Leguminose. L’a.
ha rami tortuosi, intricati, spinescenti;
le foglie, pari o imparipennate, hanno
5-15 paia di foglioline oblunghe o ovali,
tomentose nella pagina inferiore; fiori
ascellari, papilionacei; frutto piccolo
legume. Presente in Sardegna con tre
specie endemiche: 1. l’a. dragante
(Astragalus massiliensis Lam., in sardo
matzungára), endemismo sardo-corso,
cresce in fitti pulvini (cioè arbusti a cuscino) sulle coste esposte a maestrale
della Sardegna nord-occidentale; 2.
l’a. del Gennargentu (Astragalus genargenteus Moris), endemismo sardocorso, cresce solo sui rilievi calcarei
del monte Albo e del Supramonte, oltre
che sul Gennargentu, dove il Moris lo
classificò ai primi dell’Ottocento. Queste due specie sono inserite nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta
di L.R. n. 184/2001; 3. l’a. marittimo
(Astragalus maritimus Moris, in carlofortino osthrugàllu) cresce soltanto in
un ristretto areale sull’isola di San Pie-
tro, dove fu raccolto dallo stesso Moris
nel 1827, e viene considerato un paleoendemismo. È inserito nell’elenco
di piante di interesse comunitario. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Astraldo Famiglia cagliaritana (secc.
XVI-XVIII). Di origine genovese, le
sue notizie risalgono al secolo XVI,
quando un Francesco figura tra i sottoscrittori della colletta promossa dall’Arciconfraternita dei Genovesi per
la costruzione della chiesa dei Santi
Giorgio e Caterina nel 1595. Erano mercanti e con i loro traffici riuscirono ad
accumulare un considerevole patrimonio; nel 1644 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Salvatore coadiutore del maestro razionale. I suoi figli nel 1653 furono ammessi allo Stamento militare durante
il parlamento Lemos; i discendenti
presero parte in seguito a tutti gli altri
parlamenti. La famiglia si estinse nella
prima metà del secolo XVIII.
Asuni – Veduta del centro abitato.
Asuni Comune della provincia di Oristano, compreso nella XVII Comunità
montana, con 416 abitanti (al 2004), posto a 233 m sul livello del mare, in una
regione di colline a nord della Giara di
Gesturi. Regione storica: Parte Valenza. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 21,20 km 2 : ha forma
grosso modo quadrangolare e confina
320
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 328
Asuni
a nord con Samugheo, a est con Laconi,
a sud con Senis, a ovest con Ruinas e
Villa Sant’Antonio. Il paese è disteso su
una collina che è delimitata a ovest
dalla vallata del rio Bidissariu, a est
da quella dell’Imbessu; i due fiumi
poco più a nord si uniscono per proseguire poi, col nome di rio Mannu, sino
al Tirso. Si tratta di una regione tutta di
colline, a volte piuttosto erte nonostante la scarsa elevazione. La vegetazione spontanea è costituita per la
maggior parte da macchia mediterranea, soltanto in qualche parte si conserva qualche tratto dei boschi un
tempo molto estesi, mentre in alcune
altre zone è stato avviato il rimboschimento. Il paese è raggiungibile lungo la
strada secondaria che proviene da Samugheo e qui si divide in tre rami: uno
si dirige verso Meana Sardo, gli altri
due verso la statale 442 Uras-Laconi,
per raggiungerla rispettivamente nei
pressi di Assolo e nei pressi di Nureci.
& STORIA L’attuale abitato dovrebbe
essersi sviluppato da un villaggio nuragico sul quale si insediò un complesso
punico fortificato. In età romana il centro si evolvette ulteriormente e mantenne la sua importanza in periodo bizantino. Nel Medioevo fece parte del
giudicato d’Arborea e venne incluso
nella curatoria di Parte Valenza. Dopo
la caduta del giudicato, A. e il suo territorio entrarono a far parte del Regnum
Sardiniae, ma i suoi abitanti mantennero per alcuni anni un atteggiamento
ostile nei confronti degli Aragonesi,
probabilmente istigati dal marchese
d’Oristano che avrebbe voluto entrare
in possesso del territorio. Egli infatti,
approfittando delle necessità della dinastia, nel 1416 prestò all’amministrazione un grossa somma per cui fu sul
punto di riuscire ad acquistare il territorio; il re però, che sospettava di lui,
decise di dividere la curatoria in al-
cuni feudi, pensando di poter in questo
modo controllare meglio le popolazioni. Cosı̀ A. nel 1417 fu incluso con
altri villaggi nel feudo concesso a Ludovico Pontons; questi nel 1421 rivendette il villaggio ad Antonio De Sena il
quale lo accorpò al feudo di Nureci. Da
questo momento il destino feudale dei
due villaggi fu unito indissolubilmente; dopo complesse vicissitudini
nel 1477 furono confiscati al visconte
Antonio De Sena, che era stato condannato per fellonia dopo essersi schierato con Leonardo Alagon. Nel 1479 il
feudo fu donato a Enrico Henriquez, il
quale dopo pochi giorni vendette i due
villaggi ai Castelvı̀. Questi ultimi, a loro
volta, vendettero nel 1504 il feudo a
Pietro Erill, il cui figlio se ne disfece
nel 1541, vendendolo a Salvatore Aymerich; questi, abile uomo d’affari,
nel l544 lo rivendette vantaggiosamente a Bernardo Simò. Era destino
che A. dovesse ancora passare di
mano, e infatti nel 1545 il Simò vendette il feudo a Mattia Cavaller, la cui
figlia lo portò in dote a Emanuele Castelvı̀ del ramo di Serrenti. I Castelvı̀
ne riordinarono l’amministrazione introducendo il sistema della divisione
della popolazione in tre classi ai fini
del pagamento dei tributi fiscali in proporzione al reddito. Essi però si caricarono di debiti per cui nel 1664 si videro
mettere all’asta il feudo dai creditori;
riuscirono a resistere fino al 1701, anno
in cui il feudo fu acquistato dai Nin. A.
passò cosı̀ ai nuovi feudatari che nel
1749 lo vendettero a Michele Guillini.
Quest’ultimo nel 1753 vendette a sua
volta a Guglielmo Touffani, una singolare figura di mercante che nel 1758 fu
creato conte. A partire dal 1771 A. ebbe
il suo Consiglio comunitativo; negli
stessi anni vi fu anche costituito un
Monte granatico: due istituzioni che
modificarono radicalmente i caratteri
321
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 329
Asuni
della comunità. Il processo di trasformazione proseguı̀ nell’Ottocento; nel
1821 il villaggio fu compreso nella provincia di Isili e con la riforma di Carlo
Felice vi fu aperta una scuola elementare; nel 1839 fu finalmente riscattato
ai Touffani. Risalgono a questo periodo le notizie registrate da Vittorio
Angius: «Componesi di 115 case distribuite in strade irregolari, e non selciate. Sono circa 80 quei che attendono
all’agricoltura, 25 i pastori, 10 in totale
quei che lavorano da muratori, ferrari,
falegnami ecc. Lavorasi in 45 telai per
la provvisione domestica. Il particolar
commercio che esercitano gli asunesi
è della legna da fuoco, che trasportano
e vendono nei campidani d’Ales e di
Milis, e nei villaggi di Sanluri e Terralba. Vi è una scuola normale da 5 a 8
fanciulli, cui si insegna a leggere, scrivere e conteggiare, e nulla del catechismo agrario. Questa popolazione va in
sensibile aumento: mentre nel 1805 il
numero totale delle anime era di 344,
dopo 19 anni si computa di 550 in 120
famiglie. Si semina ancora [oltre il
grano] orzo, fave, ceci, e per l’ordinario
si ottiene il decuplo. Poche erbe ortensi sono coltivate, però di lino se ne
raccoglie da circa 60 cantara (chil.
2536,569). Le vigne hanno poche varietà di uve, e pare che la regione non
convenga a questa coltura. La somma
dei capi delle diverse specie di bestiame, alla cui propagazione attendesi, è ben mediocre. I buoi per l’agricoltura sono circa 210, le vacche 170, i
cavalli e cavalle 30, porci 60, capre 500,
pecore 1500». Una volta abolite le province, nel 1848 A. entrò a far parte della
divisione amministrativa di Cagliari e
vi rimase sino al 1859, quando fu compreso nella omonima provincia. Dopo
il 1950 iniziò un lento e inarrestabile
processo di spopolamento, molti dei
suoi abitanti emigrarono alla ricerca
di forme di lavoro non legate alle tradizionali attività agricole; nel 1974 fu incluso nella ricostituita provincia di
Oristano.
& ECONOMIA L’economia di A. è basata
esclusivamente sull’agricoltura e sulla
pastorizia; in passato vi era fiorente il
commercio della legna da ardere che
veniva tratta dalle foreste di cui il territorio era ricco.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 446 unità
di cui stranieri 5; maschi 224; femmine
222; famiglie 174. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
8 e nati 2; cancellati dall’anagrafe 20 e
nuovi iscritti 11. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
13 961 in migliaia di lire; versamenti
ICI 165; aziende agricole 49; imprese
commerciali 14; esercizi al dettaglio 7.
Tra gli indicatori sociali: occupati 103;
disoccupati 50; inoccupati 23; laureati
5; diplomati 36; con licenza media 160;
con licenza elementare 173; analfabeti
14; automezzi circolanti 122; abbonamenti TV 132.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva alcuni nuraghi (Casteddu, Nuraxi, Oru, Sant’Uanni,
S’Arcu) e alcune domus de janas sparse
in diverse località. Il sito più interessante però è la collinetta di San Giovanni, alla periferia del villaggio nella
vallata del rio Noeddas, dove è stata
identificata una fortezza punica costruita sopra i resti di un villaggio nuragico per difendere le vie di accesso
alla Barbagia. Nel secolo XVII vi fu costruita anche una chiesa dedicata a
San Giovanni che però nel 1763 fu distrutta da un incendio.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il monumento più significativo
della zona è il castello di Medusa, che
per la precisione fa parte del territorio
322
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 330
Atletica leggera
di Samugheo (=). In realtà si trova
molto più vicino ad A., ed è conosciuto
anche come Castello di A. Sorge a 5 km
dall’abitato, alla confluenza dei rii
Araxisi e Bidissariu, e un tempo si poteva raggiungere soltanto seguendo un
sentiero che si inerpica a partire da un
guado; solo di recente l’amministrazione comunale di Samugheo ha provveduto a collegarlo tramite una piccola
carrozzabile che ha inizio dalla strada
che collega i due paesi.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI In
passato era tradizionale il ballo dei
giovani in piazza nei giorni festivi,
mentre gli anziani di dedicavano al
gioco del rullo (is brillus) o alle carte;
attività di cui si è persa la memoria. La
più importante delle feste popolari è
quella di San Daniele, che si svolge il
13 ottobre presso la chiesetta campestre dedicata al santo; in passato la festa durava tre giorni, vi si correva un
palio che attirava anche gli abitanti
dei paesi vicini ed era occasione per
lo svolgimento di una piccola fiera. Si
fa festa anche per Santa Vitalia, dal 12
al 14 ottobre, e per Sant’Antonio Abate,
il 17 gennaio.
Ata ibn Rafi al-Hudhali Ammiraglio
arabo (secc. VII-VIII). Guidò la flotta
araba che nel 705 compı̀ la prima incursione in Sardegna. Salpata dall’Egitto,
la flotta, dopo una sosta a Tunisi, approdò a Sulci, dove compı̀ una razzia e
fece molti prigionieri. Sulla via del ritorno, però, fu sorpresa da una tempesta che la fece naufragare vicino a Tunisi, dove le navi furono fatte depredare dal califfo Musa.
Atanasio da Quartu Religioso, storico
(Quartu Sant’Elena, seconda metà sec.
XIX-?). Frate cappuccino, fu il primo
storico delle vicende dell’ordine in
Sardegna. Nel 1926 tradusse una parte
dell’opera storica dell’Aleo, relativa al
periodo 1637-1672. Di lui abbiamo inol-
tre delle Dissertazioni sui rigattieri di
Cagliari (manoscritto del sec. XIX, conservato nella Biblioteca Universitaria
di Cagliari) e una Miscellanea di notizie
(2 volumi manoscritti del sec. XIX, conservati nella Biblioteca Universitaria
di Cagliari), Notizie sull’Ordine serafico,
1903.
Atilia Pomptilla Matrona romana celebrata in una serie di iscrizioni incise
sulle pareti interne di un mausoleo funerario conosciuto come la Grotta
della Vipera scavato nel calcare del
colle di Tuvixeddu, a Cagliari. Le sedici epigrafi, quattordici delle quali in
versi, sono redatte in latino (9) e in
greco (7). Le iscrizioni, narrando l’atto
finale della vita di A.P., rivelano alcuni
suoi dati biografici. A.P., originaria di
Roma (urbis alumna), seguı̀ in Sardegna il marito L. Cassius Philippus, probabilmente costretto a trasferirsi nell’isola dalle autorità. A.P. visse forse
sino a 62 anni e morı̀, dopo 42 anni di
matrimonio, per aver offerto agli dei la
propria vita in cambio di quella del marito ammalato, ripetendo il sacrificio
dell’eroina Alcesti. Il mausoleo fu costruito a proprie spese dal marito e in
esso trovarono successivamente posto
anche i liberti della coppia. Le più recenti ricerche tendono a considerare
maggiormente plausibile una datazione del complesso funerario nei decenni centrali del secolo II. [PIERGIORGIO FLORIS]
Atletica leggera La pratica di questa
disciplina inizia in Sardegna nell’Ottocento sotto forma di competizioni militari, soprattutto di corsa e marcia. La
prima impresa che si ricordi è la Sassari-Cagliari del 1885, percorsa a piedi
(per scommessa) in tre giorni dal sottotenente di fanteria Attilio Pes. Altri
percorsi ‘‘classici’’ erano la CagliariMonastir e la Sassari-Ploaghe. Con la
nascita delle grandi società ginnasti-
323
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 331
Atte
che isolane, a cavallo dei due secoli e
sull’onda del successo delle Olimpiadi
moderne, si cominciano a organizzare
gare specialistiche di velocità, di salti
e di lanci. L’Amsicora e la Sef Torres
organizzano su campi di fortuna gare
improvvisate che ottengono un grande
successo, ma per avere degli stadi attrezzati si deve aspettare ancora qualche anno (1904 l’‘‘Amsicora’’ di Cagliari
e 1922 l’‘‘Acquedotto’’ di Sassari). Il battesimo ufficiale delle due società
sarde avviene nella famosa trasferta
di Venezia del 1907 assieme alla S.G.
Eleonora d’Arborea di Cagliari e la Iolao di Iglesias: le gare di atletica fanno
da contorno a quelle di ginnastica, ma
Giovanni Oggiano della Torres e Teodoro Honnorat dell’Amsicora si mettono in luce nei 1000 m e nella 20 km di
marcia. Nello stesso 1907 la Josto di
Sassari organizza i primi campionati
regionali, che poi si svolgeranno regolarmente ogni due anni alternativamente nelle due città. Sono anche frequenti le trasferte in Sardegna di
grandi podisti professionisti, come Domenico Barghini, che sfidano i migliori
sardi (e perfino i cavalli). L’Amsicora è
la prima società sarda a iscriversi (nel
1913) alla FISA (Federazione Italiana
Sport Atletici) che poi diventerà FIDAL: un suo atleta, Luigino Nieddu, si
laurea a Milano nel 1914 campione italiano di lancio del giavellotto. È il
primo sardo campione nazionale in
una specialità dell’a.l. Un altro sardo,
il sassarese Carlo Clemente, deterrà il
primato nazionale di questa specialità
dal 1920 al 1924 e sarà olimpionico ad
Anversa. In quell’anno Graziano Corona, nuorese dell’Arborea, batte il record italiano di salto in alto con la misura di 1,835 m. Nasce in questi anni
una grande tradizione dell’atletica
sarda che si esprimerà con gare a tutti
i livelli e con la nascita di società spor-
tive nei maggiori centri dell’isola e soprattutto in quelli minerari. Migliorano anche le tecniche di allenamento
e alcune specialità, come la marcia e la
corsa su strada, acquistano una grande
popolarità: anche perché gli stadi di
atletica in Sardegna sono veramente
pochi. Caduto il fascismo, che aveva accentrato nelle sue organizzazioni tutto
lo sport, e passata la guerra, si mettono
in luce numerosi campioni, tra cui Tonino Siddi, medaglia di bronzo alle
Olimpiadi di Londra del 1948 nella
staffetta 4x100 e più volte campione
italiano nelle gare di velocità. Negli
anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, quando l’atletica irrompe nella
scuola, sono da ricordare il grande decatleta iglesiente Franco Sar, recordman italiano e sesto alle Olimpiadi romane, il quattrocentista Adriano
Loddo e il fondista Antonio Ambu. Negli anni più recenti, con l’avvento del
professionismo, il movimento atletico
sardo ha subı̀to una crisi a favore degli
sport ‘‘ricchi’’ e di squadra, ma questo
non ha impedito l’organizzazione di
meeting internazionali come l’attuale
Terra Sarda di Cagliari e, negli anni
Settanta, l’Urigo di Sassari, e l’affermarsi di numerosi campioni come i velocisti Puggioni, Floris e Marras, i lunghisti Milko Campus, Nicola Trentin e
soprattutto Valentina Uccheddu, più
volte primatista italiana. Dagli anni Ottanta in poi si sono diffuse le gare per
amatori, quelle per i disabili e le maratone cittadine. Ad Alà dei Sardi si
svolge annualmente anche una gara internazionale di corsa campestre, il
Trofeo Alasport. Attualmente sono affiliate alla FIDAL 98 società, di cui 46 in
provincia di Cagliari. [GIOVANNI TOLA]
Atte Liberta dell’imperatore Claudio
(sec. I). Claudia Augusti liberta Acte,
schiava di origine asiatica, nata quasi
sicuramente in Bitinia, ottenne lo sta-
324
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 332
Atte
tus di liberta da Claudio e divenne successivamente personaggio femminile
di primo piano all’interno della corte
del successore Nerone. Nel 55 d.C., al
principio del cosiddetto ‘‘quinquennio
felice’’ (gli iniziali cinque anni di buon
governo neroniano, 54-58 d.C.), fu
molto vicina all’imperatore, allora diciottenne e sposato con l’aristocratica
Ottavia, diventandone l’amante. Questo rapporto, favorito dai precettori
del principe, il poeta Seneca e il prefetto del pretorio Afranio Burro, convinti che esso si traducesse nella possibilità per loro di esercitare una maggiore influenza sul giovane Nerone, fu
al contrario duramente osteggiato da
Agrippina, madre dell’imperatore.
L’intento dei due amici e consiglieri
del principe era di assecondare l’innamoramento per la liberta, facendo in
modo che Nerone, soggiogato dall’amore per Atte, si affrancasse da Agrippina escludendola dalla gestione del
potere. La liberta, grazie ai potenti appoggi, rinsaldò il proprio legame con
Nerone, che pensò addirittura di sposarla, superando l’intralcio costituito
dall’umile origine dell’ex schiava con
la creazione di una falsa ascendenza
regale risalente al re di Pergamo Attalo, morto quasi due secoli prima. Ad
ogni modo A. fu colmata di una serie di
doni, in particolare alcune proprietà
fondiarie nel Lazio (a Velletri), in Campania (a Pozzuoli), forse in Egitto e in
Sardegna (a Olbia), tratte con tutta probabilità dal patrimonio fondiario della
gens Domitia, alla quale apparteneva
l’imperatore. La disponibilità dei latifondi nell’area olbiense consentı̀ ad A.
di entrare in contatto con la realtà provinciale sarda forse sin dal 56 d.C.: non
è da escludersi, infatti, un suo ruolo attivo, al fianco di alcuni ricchi latifondisti isolani, nelle accuse di concussione
rivolte al procuratore Vipsanius Lae-
nas. Il legame fra Nerone e Poppea
coincise nel 58 d.C. con un primo temporaneo allontanamento di A. dalla
corte, per quanto la liberta, su indicazione di Seneca, si spendesse personalmente presso l’imperatore (59 d.C.)
per scongiurare il pericolo che egli intrecciasse un torbido rapporto con la
madre Agrippina, come paventavano i
suoi più fidati collaboratori. L’ascesa
di Poppea, culminata nel matrimonio
con l’imperatore nel 62 d.C., condusse
A. a preferire la via di un volontario
esilio in Sardegna, piuttosto che rimanere a Roma ad assistere al trionfo
della rivale in amore e mettere a repentaglio la propria vita. Nell’isola,
presso i latifondi di Olbia e forse di Mores (l’antica Hafa) che Nerone le aveva
donato, A. ebbe modo di sviluppare
straordinarie capacità imprenditoriali che le consentirono di far fruttare
il patrimonio di cui originariamente
disponeva. La liberta impiantò sicuramente nei possedimenti galluresi una
o più fabbriche per la produzione di
laterizi, in particolare mattoni bipedali contrassegnati dal marchio Actes
Aug(usti) l(iberta), destinati alla vendita e alla messa in opera in loco: molti
esemplari provengono infatti dalla
stessa Olbia (terme, Su Cuguttu, piazza
Regina Margherita, Acciaradolzu,
Isciamariana, via D’Annunzio, Bunale-Cabu Abbas) come pure da altre
località dell’isola (Casteldoria, Bolotana, Macomer, Mores, Cagliari e Ittireddu). A questa sorta di sviluppo produttivo favorito da A., con epicentro
nell’area gallurese, devono probabilmente collegarsi le officine da cui provengono l’embrice con il bollo su due
righi Claudii / Attici (necropoli di Olbia)
e uno con il bollo Ti. Claudii Lascivi
(Monti, località Castro), di proprietà di
persone legate a Nerone o alla liberta.
Ad A. va poi ricondotto un fenomeno
325
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 333
Atti dei Parlamenti Sardi
rilevante di promozione sociale, riguardante l’entourage che le fu accanto nel periodo del volontario esilio
olbiese: schiavi e schiave di origine
orientale, divenuti liberti grazie al suo
intervento, secondo quanto esplicitamente attestato dalla qualifica, ‘‘liberto di Atte’’, inserita nelle loro formule onomastiche. A. si trattenne in
Sardegna fino al 65 d.C., anno al quale
risale la costruzione di un tempietto,
dedicato a Cerere, voluto dalla liberta
per ringraziare la dea delle messi di
aver salvato Nerone dalla congiura di
Pisone. L’imperatore, secondo i piani
dei congiurati, doveva essere eliminato nell’ultimo giorno (19 aprile 65)
dei ludi circensi in onore di Cerere
(ludi caeriales). Fallita la congiura e
giunta la notizia in Sardegna, la liberta
volle rinnovare la sua fedeltà a Nerone
attraverso questo atto di devozione. Attualmente l’epistilio del tempietto, in
granito sardo, con la dedica a Cerere,
è custodito presso il Camposanto monumentale di Pisa. Ad A. si attribuisce
il busto di Nerone giovane rinvenuto a
Olbia, che potrebbe riferirsi al periodo
del ‘‘quinquennio felice’’. Nel 68, alla
morte di Nerone, fu probabilmente A.,
rientrata dalla Sardegna, a occuparsi
dei funerali e della sepoltura dell’imperatore sulla collina del Pincio.
[PAOLA RUGGERI]
Atti dei Parlamenti Sardi Sotto questa
denominazione (e anche Acta curiarum regni Sardiniae) si indica un complesso di documenti relativi all’attività
dei parlamenti del Regnum Sardiniae,
celebrati tra il 1355 e il 1793-96, di grandissima importanza per lo studio della
storia della Sardegna.
Atti del Parlamento di Pietro IV. Sono
degli atti del Parlamento celebrato a
Cagliari nel 1355; il manoscritto è conservato presso l’Archivio della Corona
d’Aragona a Barcellona con il titolo
Constituciones de las Cortes de Cerdeña.
Fu pubblicato a cura di Arrigo Solmi
nel 1910 nel VI volume di ‘‘Archivio storico sardo’’. Il manoscritto si trova anche presso l’Archivio di Stato e in
quello comunale di Cagliari. Altre copie sono state trovate da Giuseppe Meloni a Cagliari e a Barcellona e utilizzate per la loro pubblicazione nella collezione degli Acta Curiarum Regni Sardiniae (=), in corso di edizione a cura
del Consiglio regionale della Sardegna.
Atti dei Parlamenti di Alfonso V. Sono i
manoscritti dei parlamenti celebrati
da Alfonso V, presenti in diversi archivi, tra la Sardegna e la Spagna: 1.
Nell’Archivio di Stato di Cagliari si trovano gli atti delle riunioni relative alla
definizione del donativo, Diputazione
per l’esazione di cinquantamila fiorini
offerti a Sua Maestà nel Parlamento generale (1421-1426). 2. Gli stessi sono disponibili nell’Archivio della Corona
d’Aragona a Barcellona. 3. Gli stessi
sono presenti nell’Archivio delle Cortes Españolas a Madrid, rubricati
come Capitulos de Corte. 4. Nell’Archivio di Stato di Cagliari sono inoltre presenti i due volumi dei Donativi per incoronazione e maritaggi relativi ai periodi 1421-1426 e 1431-1432. Il secondo
di questi volumi è presente anche
presso l’Archivio della Corona d’Aragona ed è stato pubblicato dal Boscolo.
5. Un volume relativo al 1448 è a Barcellona, anch’esso pubblicato dal Boscolo. 6. Nell’Archivio comunale di Alghero sono presenti i capitoli della
città, pubblicati nel 1943 da Antonio
Era. 7. Il testo del manoscritto è presente anche nell’Archivio comunale di
Cagliari. 8. Nell’Archivio comunale di
Iglesias sono presenti i capitoli relativi
alla città. Pubblicati da Alberto Boscolo, sono stati riediti a cura di Olivetta Schena, 1993.
326
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 334
Atti dei Parlamenti Sardi
Atti del Parlamento Pérez Escrivá (14821483). Il manoscritto del Parlamento
celebrato a Cagliari da Ximén Pérez
Escrivá de Romanı́ è presente sia nell’Archivio di Stato che nell’Archivio
comunale di Cagliari. Nell’Archivio
della Corona d’Aragona è invece presente un volume relativo al periodo
1481-1485 ed è stato pubblicato dall’Era. Nell’Archivio delle Cortes di Madrid è presente in originale l’Indice de
documentos parlamentarios del 1482.
Atti del Parlamento Dusay-Rebolledo
(1497-1511). Il manoscritto dei parlamenti celebrati a Cagliari dal viceré
Dusay e dal suo successore Rebolledo
tra il 1497 e il 1511 è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari. Nell’Archivio comunale di Alghero sono presenti
i capitoli di corte richiesti dalla città.
Invece i Capitulos de Corte (1497) e i Documentos parlamentarios nell’originale del 1499 sono presenti nell’Archivio delle Cortes a Madrid. Sono stati
pubblicati a cura di Anna Maria Oliva
e Olivetta Schena, 1998.
Atti dei Parlamenti Villanova (15191523, 1528). Il manoscritto dei parlamenti celebrati a Cagliari dal viceré Vilanova, rispettivamente negli anni
1519, 1523 e 1528, è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari e in quello della
Corona d’Aragona a Barcellona. Nell’Archivio delle Cortes a Madrid sono
invece presenti i Capitulos de corte e i
documenti parlamentari originali del
1518 e del 1527.
Atti del Parlamento Cardona (1543). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré Antonio Cardona
nel 1543 è presente nell’Archivio di
Stato di Cagliari e in quelli dei comuni
di Cagliari e di Oristano. Lo stesso è
presente nell’Archivio della Corona
d’Aragona a Barcellona, dove è pure
presente il volume relativo al 1549. A
Madrid presso l’Archivio delle Cortes
sono invece presenti i Capitulos de
corte del 1545. Nell’Archivio di Simancas, infine, sono presenti le lettere di
convocazione del 1543.
Atti del Parlamento Heredia (1553-54). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari negli anni 1553 e 1554 dal viceré Fernandez de Heredia è presente
nell’Archivio di Stato di Cagliari e nell’Archivio della Corona d’Aragona a
Barcellona. È stato pubblicato da Giancarlo Sorgia. Presso l’Archivio delle
Cortes a Madrid, oltre agli atti del Parlamento, sono presenti gli indici dei capitoli di corte richiesti da Castelsardo e
i documenti parlamentari.
Atti del Parlamento Madrigal (15581561). I manoscritti dei parlamenti celebrati a Cagliari dal viceré Alvaro de
Madrigal tra il 1558 e il 1561 sono presenti presso l’Archivio di Stato di Cagliari e presso quello della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid nell’Archivio delle Cortes sono presenti i capitoli di corte del 1561 e i documenti
parlamentari del 1558. Nell’Archivio
di Stato di Cagliari è presente anche il
volume Ripartimento dei 15 000 ducati
conceduti da Papa Pio Va Filippo II.
Atti del Parlamento Coloma (1573-74). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré Juan Coloma tra il
1573 e il 1574 è presente nell’Archivio
di Stato di Cagliari e in quelli del Comune di Cagliari e della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid presso
l’Archivio delle Cortes sono presenti
gli atti parlamentari del 1573 e i capitoli di corte degli anni 1572 e 1573. È
stato pubblicato a cura di Leopoldo
Ortu, 2005.
Atti del Parlamento Moncada (1583). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré Michele Moncada
nel 1583 è presente nell’Archivio di
Stato di Cagliari e in quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Nell’Ar-
327
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 335
Atti dei Parlamenti Sardi
chivio delle Cortes a Madrid sono presenti gli Atti e l’indice dei capitoli di
corte.
Atti del Parlamento Moncada (15921594). Il manoscritto del Parlamento
celebrato a Cagliari dal viceré Gastone
Moncada tra il 1592 e il 1594 è presente
nell’Archivio della Corona d’Aragona a
Barcellona. Nell’Archivio delle Cortes
a Madrid sono presenti i Documentos
parlamentarios del 1593 e l’indice dei
capitoli di corte richiesti da Alghero. È
stato pubblicato a cura di Diego Quaglioni, 1997.
Atti del Parlamento Gandı́a (1613-14). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré Carlo Borgia duca
di Gandı́a tra il 1613 e il 1614 è presente
presso l’Archivio di Stato di Cagliari e
in quello della Corona d’Aragona a
Barcellona. A Madrid presso l’Archivio
delle Cortes sono presenti i documenti
parlamentari, i capitoli di corte richiesti da Sassari e da Alghero e quelli richiesti dai tre Stamenti. È stato pubblicato a cura di Gian Giacomo Ortu, 1995.
Atti del Parlamento Vivas (1622-24). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré Vivas tra il 1622 e il
1624 è presente presso l’Archivio di
Stato di Cagliari e quello della Corona
d’Aragona a Barcellona. A Madrid
presso quello delle Cortes sono presenti i documenti parlamentari del
1622-23.
Atti del Parlamento Bayona (1626). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré Bayona nel 1626 è
presente presso l’Archivio di Stato di
Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Avellano sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni
1627-1631 il Manual primer del servici y
donaciò graciosa que aquest Cap de Cal-
ler y Galura ha fet a sa Magestat; per
l’anno 1628 il Manual segundo del servici; per l’anno 1629 il Manual tercero
del servici; per gli anni 1630 e 1631 il
Manual cuarto del servici; per gli anni
dal 1632 al 1642 il Libro mayor del servici. È in corso di stampa a cura di Gianfranco Tore.
Atti del Parlamento Avellano (1641-43).
Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré duca di Avellano tra il 1641 e il 1643 è presente
presso l’Archivio di Stato di Cagliari e
quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Presso l’Archivio di Cagliari è
presente anche il Registro delle provvisioni sopra il donativo offerto nel Parlamento celebrato dal duca di Avellano nel
1642. A Madrid presso l’Archivio delle
Cortes sono presenti i documenti parlamentari dal 1640 al 1642. Per gli anni
successivi fino alla celebrazione del
parlamento Lemos sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per
gli anni 1642-1644 il Libre dels debits;
per l’anno 1643 il Libre dels debits; per
gli anni dal 1643 al 1650 il Manual dels
debits; per gli anni tra il 1643 e 1653 il
Libre dels debits; per l’anno 1645 il Manual dels debits; per gli anni dal 1665 al
1667 il Libre dels debits. È stato pubblicato a cura di Giovanni Murgia, 2006.
Atti del Parlamento Lemos (1653-54). Il
manoscritto del Parlamento celebrato
a Cagliari dal viceré conte di Lemos tra
il 1653 e il 1654 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello
della Corona d’Aragona a Barcellona.
A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti gli atti del Parlamento. Per gli anni successivi fino alla
celebrazione del parlamento Camarassa sono presenti nell’Archivio di
Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni 1655-1667
328
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 336
Atti di Governo
il Libre dels debits; per l’anno 1662 il Libre dels debits.
Atti del Parlamento Camarassa (16651668). Il manoscritto del Parlamento
celebrato a Cagliari dal viceré marchese di Camarassa tra il 1665 e il 1668
è presente presso l’Archivio di Stato di
Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Santisteban sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per
l’anno 1667 il Libre dels debits; per
l’anno 1669 il Libre dels debits; per
l’anno 1670 il Libre dels debits; per
l’anno 1672 il Libre dels debits; per
l’anno 1674 il Libre dels debits; per gli
anni tra il 1676 e il 1683 il Libre dels
debits.
Atti del Parlamento Santisteban (16771678). Il manoscritto del Parlamento
celebrato a Cagliari dal viceré Santisteban tra il 1677 e il 1678 è presente
presso l’Archivio di Stato di Cagliari e
quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino
alla celebrazione del parlamento Monteleone sono presenti nell’Archivio di
Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni tra il 1683 e
il 1685 il Libre dels debits; per gli anni
tra il 1686 e il 1688 il Libre dels debits. È
in corso di stampa a cura di Guido d’Agostino.
Atti del Parlamento Monteleone. Il manoscritto del Parlamento celebrato a
Cagliari dal viceré conte di Monteleone tra il 1688 e il 1689 è presente
presso l’Archivio di Stato di Cagliari e
quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino
alla celebrazione del parlamento Montellano sono presenti nell’Archivio di
Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni tra il 1688 e
il 1698 il Libre dels debits; per gli anni
tra il 1686 e il 1688 il Libre dels debits;
per gli anni tra il 1689 e il 1691 il Libre
dels debits; per gli anni tra il 1691 e il
1693 il Libre dels debits; per gli anni tra
il 1691 e il 1695 il Libre dels debits; per
gli anni tra il 1693 e il 1698 il Libre dels
debits.
Atti del Parlamento Montellano (16971698). Il manoscritto del Parlamento
celebrato a Cagliari dal viceré conte di
Montellano tra il 1697 e il 1698 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona
a Barcellona. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti i documenti parlamentari del 1696. Sono
stati pubblicati a cura di Giuseppina
Catoni e Carla Ferrante, 2004.
Per gli anni successivi fino alla cessazione del legame tra il Regno di Sardegna e la Corona di Spagna sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari
i seguenti volumi relativi al donativo:
per gli anni tra il 1698 e il 1712 il Libre
dels debits; per gli anni tra il 1700 e il
1702 il Libre dels debits; per gli anni tra
il 1701 e il 1703 il Libre dels debits; per
gli anni tra il 1703 e il 1705 il Libre dels
debits; per gli anni tra il 1705 e il 1706 il
Libre dels debits; per gli anni tra il 1706
e il 1707 il Libre dels debits; per gli anni
tra il 1707 e il 1708 il Libre dels debits;
per gli anni tra il 1708 e il 1709 il Libre
dels debits; per gli anni tra il 1709 e il
1710 il Libre dels debits; per gli anni tra
il 1709 e il 1715 il Libre dels debits; per
gli anni tra il 1713 e il 1714 il Libre dels
debits; per gli anni tra il 1715 e il 1717 il
Libre dels debits.
Atti del Parlamento del ‘‘Triennio rivoluzionario’’ (1793-1796). Il manoscritto
del Parlamento celebrato a Cagliari
nel ‘‘triennio rivoluzionario’’ è presente presso l’Archivio comunale di
Cagliari. È stato pubblicato a cura di
Luciano Carta, 2000.
Atti di Governo Complesso di docu329
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 337
Atti Governativi
menti riguardanti gli atti di governo
del Regno di Sardegna custoditi presso
la Biblioteca Universitaria di Cagliari.
Si tratta di tre raccolte di documenti, le
prime due ordinate da Lodovico Baylle
in molti anni di paziente ricerca in Sardegna e anche in molte città della penisola, la terza da Pietro Sanna Lecca. La
prima contiene documenti riferibili al
periodo spagnolo e più in particolare
ai secoli XVI e XVII; si tratta di prammatiche, gride, pregoni e altri documenti raccolti in 115 fascicoli. La seconda contiene circa 700 editti e pregoni riferibili al governo sabaudo per
gli anni tra il 1732 e il 1815, ed è ordinata in sei volumi. La terza contiene
tutti gli atti governativi della dinastia
sabauda fino al 1774 ed è raccolta in tre
volumi.
Atti Governativi Raccolta ufficiale degli atti di governo del Regno di Sardegna dal 1775. Furono pubblicati a Cagliari a opera della Stamperia reale a
partire dal 1836: Atti del Governo di Sardegna dal 1775 al 1820, voll. 3, 18361841; Atti del Governo di S.M. il re di Sardegna dal 1820 al 1839, voll. 3, 18391841; Atti del Governo di S.M. il re di Sardegna dal 1840 al 1846, 1847; Atti del Governo di S.M. il re di Sardegna dal 1848
al 1860, 1861.
Attili, Antonio Insegnante, deputato al
Parlamento (n. Tagliacozzo 1948). Laureato in Filosofia, professore presso il
Liceo di Ozieri dove risiede dal 1973;
militante nella Sinistra è stato ripetutamente eletto consigliere comunale
di Ozieri, dove è stato anche capogruppo dei Progressisti e assessore;
nel 1996 è stato eletto deputato per la
XII legislatura nel collegio di Porto
Torres-Ozieri. Si è battuto per far approvare i provvedimenti sulla ‘‘continuità territoriale’’ per la Sardegna.
Non è stato riconfermato nelle elezioni
del 2001, ma nella consultazione dell’a-
prile 2006 è stato nuovamente eletto
alla Camera dei deputati nella lista
dell’Unione.
Attitadoras Termine con cui erano
chiamate le prefiche, ossia le donne
estranee alla comunità familiare, che
a pagamento eseguivano le lamentazioni rituali attorno al morto. La forma
diffusa in Sardegna era quella dell’attitidu, un canto improvvisato (o ‘‘venduto’’ come tale) che veniva eseguito
dalle prefiche sedute attorno al letto
del morto accovacciate e disposte in
cerchio (s’inghiriu), vestite di nero, col
capo e la fronte coperti da un fazzoletto
nero. Cantavano ritmicamente, dapprima in tono flebile e poi con crescente intensità, evocando episodi salienti della vita del morto e lodandone
il carattere e la personalità. Il loro
canto accompagnava anche la traslazione della salma alla sepoltura. La lamentazione, oltre che evocare il ricordo, aveva la funzione di coinvolgere
emotivamente i presenti, di provocare
il rimpianto e il ricordo. Nei tempi antichi era un momento di una più complessa scenografia funebre che, accompagnata dal rintocco delle campane e da altre manifestazioni, chiamava in causa l’intera comunità cui il
morto apparteneva. A partire dall’Ottocento, fu progressivamente (e sempre più rigorosamente) scoraggiata
dalle autorità religiose. Era ritenuta
usanza non solo pagana ma, in molti
casi, anche pericolosa, perché s’attitidu poteva incitare alla vendetta se il
defunto non era morto di morte naturale; fu combattuta in particolare dai
missionari vincenziani: negli anni
Venti del Novecento il padre Giovanni
Maria Manzella fondò in diversi centri
dell’isola un’associazione le cui
iscritte si impegnavano a proibire, tra
le loro ultime volontà, la presenza
delle a.
330
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 338
Atzara
Attone Religioso (sec. XII). Vescovo di
Castra tra il 1168 e il 1176. Monaco camaldolese, governò la diocesi negli
anni del tormentato regno di Barisone
II e nel 1176, unitamente agli altri vescovi sardi, riconobbe l’arcivescovo di
Pisa Villano come primate della Sardegna.
nel 1973, a Düsseldorf nel 1972 e 1975, a
Monaco nel 1975, a Lugano 1978.
Un’importante sintesi della sua biografia artistica è raccolta in un rilevante
gruppo di opere donate alla città di
Bosa.
Atza, Antonio Pittore (n. Oristano
1925). Suoi maestri sono, nell’Istituto
d’Arte di Sassari, Filippo Figari, Salvatore Fara, ma soprattutto Stanis Dessy,
dal quale acquisisce padronanza tecnica, specie nel disegno, e conoscenza
della tradizione figurativa. Nel 1957
espone per la prima volta alla Galleria
‘‘Della Maria’’ di Cagliari. Nel 1958
partecipa alla Mostra degli Artisti
sardi al palazzo delle Esposizioni di
Roma. Viaggia per l’Europa a visitare
le città e i musei più importanti, Mosca,
San Pietroburgo, Vienna, Parigi, e soprattutto Barcellona, Madrid per conoscere Mirò, Picasso, Goya, Caravaggio,
Leonardo, Magritte. Nel 1960 scopre
alla Biennale di Venezia l’arte di Alberto Burri che conferma ad Atza che
l’arte è gioia creativa e insieme iconografia di sofferenza, che egli manifesta
nella produzione dei Blues, esposti per
la prima volta alla Galleria ‘‘L’Albatro’’
di Roma. Nello stesso anno a Cagliari
espone insieme allo Studio 58 le cosiddette ‘‘Sabbie’’, in cui le tele fanno da
supporto a grumi, crateri e sinuose cordonature di sabbia, incollata e colorata, come un fondo marino dalla luminosità fluorescente, creando un piccolo scandalo culturale. Dalla metà degli anni Sessanta inizia una nuova stagione: le tele si riempiono di arte surreale. Nel 1971 a Milano le sue opere
vengono scelte per illustrare la più popolare collana italiana di fantascienza,
espone a Mantova nel 1971 e 1972, a
Parma e Verona nel 1973, a Bologna
nel 1976 e 1978, in Europa a Barcellona
Atzara – La parrocchiale di Sant’Antioco.
La facciata conserva le originarie forme
tardogotiche.
Atzara Comune della provincia di
Nuoro, compreso nella XII Comunità
montana, con 1294 abitanti (al 2004),
posto a 540 m sul livello del mare, in
una regione di colline sul versante occidentale del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Mandrolisai.
Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 35,81 km2: ha forma allungata in direzione est-ovest e confina
a nord e a est con Sorgono, a sud con
Meana Sardo e a ovest con Samugheo.
Si tratta di una parte amena e fertile
della regione montuosa interna, dove i
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 339
Atzara
rilievi, che vanno dai 500 ai 700 m, sono
in genere arrotondati e privi di rocce
superficiali, e perciò adatti alla coltivazione, cosı̀ che a tratti di bosco originario si alternano ampie superfici coltivate, soprattutto a vite. Il paese è toccato dalla statale 128, che attraversa da
nord a sud questa parte interna dell’isola e crea il collegamento diretto con
Sorgono da una parte e Meana Sardo
dall’altra; nei pressi del paese se ne distaccano due traverse, una che conduce a Samugheo e Ortueri, l’altra a
Belvı̀ e Aritzo, cosı̀ che A. costituisce
un piccolo nodo stradale.
Atzara – Bernardo de Queiros fu uno dei
pittori spagnoli che frequentarono il paese nei
primi anni del Novecento.
& STORIA Il villaggio sembrerebbe di
origine molto antica: sarebbe infatti il
diretto erede della Villa Leonissa, un
centro di origini romane di difficile
identificazione. Nell’Età medioevale
era compreso nel giudicato d’Arborea
e faceva parte della curatoria del Mandrolisai. Caduto il giudicato, A. e tutto
il Mandrolisai entrarono a far parte del
Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti,
gelosi dell’antica libertà, tennero un
atteggiamento ostile nei confronti degli Aragonesi. Il luogotenente generale
allora, per pacificare la regione, nel
1410 concesse in feudo l’intera curatoria a Giovanni Deana, suocero di Leonardo Cubello. Cosı̀ A. si trovò compresa in un vasto territorio che sostanzialmente conservò i tradizionali legami con Oristano, e infatti quando, al
momento dell’estinzione dei Deana, il
feudo passò ai Cubello, questi ne rispettarono gli antichi privilegi.
Quando morı̀, nel 1427, Leonardo Cubello lasciò il territorio al suo figlio secondogenito Salvatore che nel 1463 lo
incluse nel marchesato d’Oristano.
Quando poi nel 1477 il marchesato fu
confiscato a Leonardo Alagon, A. passò
sotto il controllo diretto del re e nel
1507, con tutto il Mandrolisai, fu incorporato nel patrimonio reale. Da quel
momento la curatoria ebbe il privilegio
di essere amministrata da un ufficiale
reale scelto dai capifamiglia locali.
Nei secoli successivi il privilegio fu rispettato e la comunità crebbe; nel
corso del XVII vi si svilupparono la coltura del ciliegio e quella della vite. Nei
confusi anni che precedettero il passaggio della Sardegna ai Savoia, nel
1716 gli Asburgo concessero la riscossione delle rendite civili del Mandrolisai in feudo ai Valentino con il titolo di
contea di San Martino. Cosı̀ gli abitanti
di A., industriosi e noti per avere sviluppato proprio negli stessi anni l’attività della tessitura del lino, dovettero
amaramente prendere atto della violazione dei privilegi di cui godevano; cercarono di opporsi senza successo all’infeudazione ma nel 1740 dovettero
accettare il vincolo di una sia pur limi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 340
Atzara
tata giurisdizione feudale. L’antico attaccamento all’autonomia però non
venne meno: nel 1771 A. ebbe il suo
Consiglio comunitativo, che divenne
centro di resistenza al feudatario; negli stessi anni fu organizzato il Monte
granatico e fu costituito un monte di
soccorso per sopperire alle necessità
finanziarie degli abitanti. Il processo
di trasformazione continuò nell’Ottocento; nel 1821 il villaggio fu incluso
nella provincia di Oristano; poco dopo
vi fu aperta una scuola elementare alla
quale si aggiunse una scuola di latino e
finalmente, nel 1838, fu riscattato dalla
dipendenza feudale. Questi dati sono
confermati almeno in parte nel profilo
del paese steso in questi anni da Vittorio Angius, che tendeva a indicare per
ogni villaggio le possibili linee di sviluppo: «Allo stabilimento delle scuole
normali [elementari] è aggiunta una
scuola di grammatica latina. È assai
da deplorare che, mentre in questa popolazione non vi saranno meno di 50
fanciulli in età di poter apprendere, i
padri non abbiano cura di mandarli
alle lezioni del maestro normale, e che
quelli, i quali meglio la pensano, sieno
in maniera pochi, che soli 15 vi concorrano. Si crederà impossibile di persuaderli? La popolazione di A. nel 1805
sommava a 1014, nel 1826 a 1300, nel
1833 a 1250 anime, distribuite in 310 famiglie. Le terre in generale sono più
adatte all’orzo ed alle vigne che al
grano. Vero è che questo genere potrebbe fruttificare secondo i voti dei
contadini nel salto de Giossu, se essi
volessero preparar le terre come e
quando conviene; ma è troppo difficile
menarli fuori dalla via delle antiche
consuetudini. La sua attenzione [del
contadino atzarese] è rivolta principalmente alle vigne, che egli reputa il più
importante capo delle sue risorse. Le
uve quasi tutte sono nere: non si sa se il
vino sia tanto buono, quanto si vanta;
ma è certo che grandissima è la sua
quantità, la quale non solo basta al consumo prodigioso, che se ne fa nel
paese, ma ancora a provvedere ai villaggi circonvicini Desulo, Belvı̀, Aritzo,
Tonara, Ortueri, Samugheo, Busachi,
Allai, Fordongianus, ed a molti altri villaggi del Marghine e del Campidano,
nei quali luoghi non occorre festa in
cui non vadano cinque o più azzaresi
con altrettante botti di vino». Abolite
le province, nel 1848 A. fu inserita nella
divisione amministrativa di Nuoro
fino al 1859, quando entrò a far parte
della provincia di Cagliari. In quegli
anni il paese continuava a essere tra i
maggiori produttori di vino, ma alla
fine del secolo la fillossera distrusse i
suoi fiorenti vigneti. Con caparbia volontà i vigneti furono ricostituiti.
Quando, nel 1927, fu ripristinata la provincia di Nuoro, Atzara vi fu compresa.
Nella seconda metà del Novecento il
villaggio, pur subendo un certo calo demografico, ha mantenuto la vitalità
della sua economia e la vivacità delle
sue tradizioni.
& ECONOMIA Tradizionalmente la sua
economia è basata sulla viticoltura,
che fin dall’Ottocento faceva di Atzara
uno dei centri di maggiore produzione
di vino e che attualmente ha avuto un
rilancio con prodotti di grande qualità.
Altra attività di grande rilievo è la produzione del formaggio con metodi tradizionali. Artigianato. Vi si conserva
memoria delle antiche tradizioni di lavorazione dell’orbace e del lino di
grande qualità per cui l’abilità delle
donne di Atzara era famosa; perciò nel
recente passato è stata scelta come
sede di un centro pilota per la tessitura
gestito dall’ISOLA (Istituto Sardo per
l’Organizzazione del Lavoro Artigiano).
& DATI STATISTICI Al censimento del
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 341
Atzara
2001 la popolazione contava 1331 unità,
di cui stranieri 1; maschi 676; femmine
655; famiglie 416. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione con morti per anno
15 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 29 e
nuovi iscritti 15. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
14 308 in migliaia di lire; versamenti
ICI 442; aziende agricole 189; imprese
commerciali 74; esercizi pubblici 6;
esercizi al dettaglio 25; ambulanti 1.
Tra gli indicatori sociali: occupati 371;
disoccupati 64; inoccupati 71; laureati
16; diplomati 115; con licenza media
450; con licenza elementare 358; analfabeti 45; automezzi circolanti 417; abbonamenti TV 366.
Atzara – Nel costume tradizionale brilla il
verde, colore tipico dell’abbigliamento
popolare del Mandrolisai.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio annovera alcuni nuraghi (Abbagadda, Ligios, Mugaddu, Niu Crobu,
Sole, Surergeddu) tra i quali spicca
quello di Abbagadda: un edificio del
tipo monotorre situato vicino a una sorgente calda da cui prende il nome,
dalle caratteristiche particolarmente
interessanti e praticamente intatto.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’elemento di maggiore spicco
del suo patrimonio culturale è il centro
storico, costituito dai due quartieri
medioevali di Su Fruscu e di Sa Mon&
tiga ’e Josso, che si stendono nel cuore
del villaggio a destra e a sinistra della
strada principale. Entrambi conservano un insieme di viuzze che si innestano le une nelle altre dando luogo a
effetti scenografici di grande suggestione; il tessuto urbano è arricchito
da numerosi edifici che hanno porte e
finestre con cornici, architravi e altri
elementi decorativi di stile gotico-aragonese, un patrimonio dovuto a un’abile scuola di picaparders locali che
operarono nel corso del secolo XVII.
Di particolare pregio è il complesso di
edifici formati dalla chiesa di Sant’Antioco, la parrocchiale, costruita a cavallo tra il secolo XVI e il XVII da maestranze locali in forme gotico-catalane
tipiche dell’edilizia religiosa della
Sardegna cinquecentesca; l’edificio
ha tre navate con volte a sesto acuto
nella navata centrale e a tutto sesto in
quelle laterali. La facciata è abbellita
da un rosone a raggiera, ed è completato da un campanile a pianta quadrata, simile a quello di San Mauro di
Sorgono. Accanto alla chiesa sorgono
la Casa del parroco, con belle finestre
arricchite da cornici in trachite, e un
edificio risalente al secolo XVII, detto
de su conte, un palazzetto pretenzioso
dove, nel corso del secolo XVIII, risiedettero per un certo periodo i Valentino (=), feudatari del luogo. Di grande
interesse è anche la chiesa di San Giorgio, situata sempre nel centro storico:
ha forme molto semplici e fu la più antica parrocchiale del paese, conosciuta fin dal secolo XIII. A breve distanza dell’abitato sorge poi Santa Maria de Susu, una chiesetta che secondo
la tradizione fu la chiesa parrocchiale
di Villa Leonissa, l’antico centro dal
quale deriverebbe l’attuale paese. La
Pinacoteca di arte moderna e contemporanea è dedicata ad Antonio Ortiz
Echagüe, il più importante dei pittori
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Atzeni
spagnoli che all’inizio del Novecento
vissero e dipinsero ad A., fornendo –
secondo una ‘‘leggenda’’ della storia
dell’arte isolana – modelli fondamentali alla futura ‘‘pittura sarda’’.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Notevole è il patrimonio di tradizioni popolari di cui si conserva memoria; di
particolare interesse è la tradizione
del ballo che veniva accompagnato
dalla musica delle launeddas e quella
del canto a quattro voci (a tenore) che
erano ricorrenti nelle feste popolari;
molto diffuso nei giorni di festa era anche il gioco del rullo (de is brillus) antenato del gioco delle bocce. Questo patrimonio si rinnova nel corso di alcune
feste popolari tra le quali la sagra del
vino, che si svolge a maggio con crescente richiamo di visitatori. Tra le feste religiose la più antica è quella di
Santa Maria ’e Josso: la si celebra il 21
agosto presso l’omonima chiesetta con
la partecipazione degli abitanti di altri
paesi ed è occasione per l’esibizione di
gruppi folcloristici e di gare equestri
(pariglias).
Di genitori sardi, francescano ordinato
sacerdote nel 1967. Laureato in Teologia a Roma. Tornato in Sardegna, tra il
1968 e il 1973 ha diretto il Seminario di
Tempio. Tra il 1979 e il 1985 è stato parroco della chiesa di San Francesco a
Cagliari. Provinciale dell’ordine dal
1985, nel 1993 è stato nominato vescovo
di Tempio. Nel 2004 è stato trasferito a
Sassari. Ricercatore di storia del suo
ordine, è giornalista pubblicista dal
1989.
Atzeni1 Antico villaggio del giudicato di
Arborea compreso nella curatoria
della Marmilla. Sorgeva tra Baressa e
Simala. Anche dopo la conquista aragonese rimase nelle mani del giudice
d’Arborea, che nel 1339 ebbe dal re il
titolo di signore della Marmilla.
Quando però, a partire dal 1353, ebbero inizio le guerre tra Aragona e Arborea, il villaggio fu investito dalle
operazioni militari e, pur continuando
a rimanere sotto il giudice, subı̀ qualche danno. Dopo la caduta del giudicato fu occupato dalle truppe del conte
di Quirra che avrebbe voluto annettere
al suo feudo l’intero territorio, ma il re
nel 1421 incluse il villaggio nel feudo
concesso a Guglielmo Raimondo Moncada. Dopo il 1450 il feudo fu sequestrato ai suoi discendenti e A., che cominciava lentamente a decadere, fu infeudato ai Besalù, che nel 1477 lo dovettero cedere a Dalmazio Carroz. Da
quel momento A. entrò a far parte della
contea di Quirra, ma nel corso del secolo XVII la sua decadenza si accentuò
e nel 1724 i pochi abitanti rimasti si trasferirono a Baressa.
Atzeni2 Famiglia della borghesia caPaolo Atzei – Vescovo di Tempio dal 1993 al
2004, è l’attuale arcivescovo di Sassari.
Atzei, Paolo Religioso (n. Mantova
1942). Vescovo di Tempio dal 1993 al
2004, arcivescovo di Sassari dal 2004.
gliaritana (secc. XVII-XVIII). Di origini
molto antiche, i suoi membri, nel corso
del secolo XVII, furono ripetutamente
eletti consiglieri della città. Nel 1690
ottennero il cavalierato ereditario con
un Agostino, i cui discendenti furono
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 343
Atzeni
ammessi allo Stamento militare; nel
corso del secolo XVIII le condizioni
della famiglia decaddero.
Atzeni, Alfredo Funzionario, consigliere regionale (Sassari 1909-Nuoro
1999). Conseguita la laurea entrò nella
carriera del Ministero delle Finanze e
percorse una rapida carriera fino a direttore della Ragioneria provinciale di
Nuoro. Personaggio di rilievo nel
mondo cattolico, fu eletto ininterrottamente consigliere regionale per la DC
nel collegio di Nuoro dalla III alla VI
legislatura (1958-1971). Durante la IV
legislatura fu assessore agli Enti locali
nella terza giunta Corrias (dicembre
1963-agosto 1965), nella V assessore ai
Lavori pubblici nella giunta Dettori
(1966-1967); infine nella VI legislatura
(1969-1974) assessore alle Finanze, all’Industria e commercio, e al Lavoro e
Pubblica Istruzione rispettivamente
nelle giunte Del Rio (1969-1970), Giagu
(1971-1972) e Spano (1972).
Atzeni, Angelino Operaio, consigliere
regionale (n. Arbus 1926). Militante del
PCI; durante la V legislatura (19651969), in seguito alla morte di Antonio
Urracci, il 24 agosto 1965 subentrò
come consigliere regionale nel collegio di Cagliari.
Atzeni, Dante Funzionario, consigliere
regionale (n. Sant’Andrea Frius 1925).
Cattolico impegnato nella DC, venne
eletto consigliere regionale per il suo
partito nell’VIII e IX legislatura (19791989) nel collegio di Cagliari. Non rieletto per la X legislatura, quando nel
gennaio 1993 Giovanni Battista Zurru
si dimise gli subentrò fino alla fine
della legislatura.
Atzeni, Enrico Archeologo (n. Sant’Antioco 1927). Lasciati gli studi di medicina, si è dedicato allo studio dell’archeologia. Allievo di Giovanni Lilliu,
ha seguito il maestro nei suoi studi e, a
partire dal 1955, ha preso parte a nu-
merose campagne di scavo. Della sua
intensissima attività vanno ricordati
in particolare gli studi che lo condussero a prospettare una più probabile
periodizzazione della preistoria cagliaritana. Nel 1968-69 condusse scavi
a Pani Loriga per la parte preistorica;
altri, a partire dal 1969, ne avviò nel
complesso nuragico di Genna Maria a
Villanovaforru, dove per decenni ha
sviluppato un’interessantissima attività di studio dell’imponente materiale di scavo, creandovi un museo e
un laboratorio per il restauro. Sono anche da ricordare: la scoperta delle statue menhir di Laconi, da lui studiate
per trent’anni ed esposte nel museo di
cui ha curato l’allestimento, e la scoperta del complesso di Pranu Mutteddu. Parallelamente si è sviluppata
la sua carriera accademica, che lo ha
portato a succedere al suo maestro. Ha
insegnato Preistoria e protostoria
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Cagliari e ha diretto
la Scuola di specializzazione in antichità sarde. Tra i suoi scritti: Stazioni
all’aperto e officine litiche nel Campidano di Cagliari, ‘‘Studi sardi’’, XIVXV, 1958; I villaggi preistorici di San Gemiliano di Sestu e di Monte Olladiri di
Monastir presso Cagliari e le ceramiche
delle facies di Monte Claro, ‘‘Studi
sardi’’, XVII, 1962; Il dolmen ‘‘Sa Coveccada’’ di Mores e la tomba di giganti ‘‘Sa
Domu ’e s’Orku’’ di Quartucciu, ‘‘Studi
sardi’’, XX, 1968; Nuovi idoli della Sardegna prenuragica, ‘‘Studi sardi’’,
XXIII, 1975; Sardegna (con Giovanni
Lilliu), in Guida alla preistoria italiana,
1975; Le statue menhir di Laconi, in Sardegna centro-orientale dal Neolitico alla
fine del mondo antico, 1978; L’insediamento abitativo del settore F (con R. Forresu), in Cabras-Cuccuru S’Arriu. Nota
preliminare di scavo, ‘‘Rivista di Studi
fenici’’, X, 1982; Tombe eneolitiche nel
336
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 344
Atzeni
Cagliaritano, in Studi in onore di G. Lilliu per il suo 70º compleanno, 1985; Villanovaforru. Il nuraghe Genna Maria e
la ricerca preistorica in Marmilla, in
L’Antiquarium arborense e i civici musei
archeologici in Sardegna, 1988; Note
sulla necropoli megalitica di Pranu
Mutteddu (con D. Cocco), in La cultura
di Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni, 1989; La statuaria antropomorfa
sarda, in Statuaria antropomorfa in Europa dal Neolitico alla romanizzazione,
Atti del Convegno di Pontremoli 1988,
1994; Le statue menhir di Piscina ’e
Sali. Laconi-Sardegna in Actes du
2.ème colloque international sur la statuaire mégalitique, 1999; Le collezioni litiche preistoriche dell’Università di Cagliari, 2000.
Atzeni, Eulo Funzionario, consigliere
regionale (m. 1980). Storico provveditore agli studi di Cagliari, eletto consigliere regionale per la DC nel collegio
di Cagliari per la V legislatura (1966), si
dimise però il 2 ottobre 1967.
Atzeni, Francesco1 Storico (n. Monserrato 1949). Conseguita la laurea in Lettere si è dedicato alla ricerca storica e
all’insegnamento. Attualmente è professore di Storia contemporanea nella
Facoltà di Lettere dell’Università di
Cagliari. Si è dedicato in particolare
allo studio della storia dei partiti politici e del movimento cattolico in Sardegna. Tra i suoi scritti, La prima stampa
cattolica a Cagliari 1856-75, ‘‘Studi
sardi’’, XXIII, 1975; Il movimento cattolico in Sardegna agli inizi del ’900 e il
Circolo democratico cristiano Leone
XIII, ‘‘Studi sardi’’, XXIV, 1978; Aspetti
del movimento cattolico in Sardegna
dallo scioglimento dell’Opera dei Congressi alla fondazione del Partito popolare, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXI,
1980; Il movimento sindacale e cooperativistico bianco nella Sardegna meridionale (1914-1922), in Il sindacalismo
bianco tra guerra, dopoguerra e fascismo 1914-1926, 1982; Il movimento cattolico a Cagliari dal 1870 al 1915, 1984;
Combattentismo, fascismo e autonomismo nel pensiero di Camillo Bellieni
(con Lorenzo Del Piano), 1986; La
stampa cattolica e popolare sarda dalla
fine dell’Età giolittiana al fascismo, ‘‘Sociologia’’, XXI, 1-2-3, 1987; Il movimento repubblicano nella crisi del patto
di fratellanza, 1989; Intellettuali e politica tra sardismo e fascismo (con Lorenzo Del Piano), 1994; Salvatore Mannironi e il Partito popolare, ‘‘Archivio
storico sardo’’, XXXVIII, 1995; L’Azione
Cattolica in Sardegna dal 1871 agli anni
Settanta. I 120 anni dell’Azione Cattolica in Sardegna, 1995; Riformismo e
modernizzazione: classe dirigente e questione sarda tra Ottocento e Novecento,
2000.
Atzeni, Francesco2 Attore (n. Ussana
1940). Lavora come biologo presso l’Università di Cagliari, ma coniuga la sua
professione con l’impegno nel mondo
dello spettacolo, dove recita con il
nome d’arte di ‘‘Superarsenico’’. Ha
esordito nel 1958 e si è affermato come
cabarettista e come ideatore di fortunati programmi radiofonici e televisivi. Ha recitato anche nell’operetta.
Attualmente dirige un gruppo di giovani in un laboratorio teatrale.
Atzeni, Gianfranco Diacono, venerabile (Sassari 1935-Cagliari 1986). Sposato, due figli, impiegato, primo diacono permanente della Sardegna, consacrato a Cagliari il 21 novembre 1981.
Sempre disponibile e fedele all’impegno cristiano, totalmente e in umiltà al
servizio del prossimo. È stato avviato il
processo di canonizzazione.
Atzeni, Licio Operaio, consigliere regionale (m. 1998). Operaio e sindacalista, militante del PCI; fu eletto consigliere regionale per il suo partito nel
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 345
Atzeni
collegio di Cagliari per la IVe V legislatura (1961-1969).
Atzeni, Paola Antropologa (n. sec. XX).
Allieva di Mario Atzori, conseguita la
laurea presso l’Università di Cagliari
si è dedicata allo studio delle tradizioni popolari. Ha approfondito in particolare alcuni aspetti del mondo dei
minatori in Sardegna con una serie di
saggi di notevole interesse (Osservazioni sui canti politico-sociali dei minatori del Sulcis Iglesiente, ‘‘Archivio
sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, n. 4/5, 1975; I minatori. Storia locale e ideologia, 1978; Il
corpo e il lavoro in miniera, ‘‘Annali
della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, I, 1983; Il cibo, il corpo,
il lavoro nel ciclo di vita delle donne in
miniera, ‘‘Bollettino Repertorio dell’Atlante Demologico Sardo’’, 11, 1983; Il
corpo, i gesti lo stile. Il lavoro delle donne
in Sardegna, Cagliari 1989).
Atzeni, Raimondo Bandito (Arbus,
fine sec. XIX-?, metà sec. XX). Conosciuto come Panedda, trascorse la giovinezza lavorando onestamente come
contadino. Scoppiata la prima guerra
mondiale vi prese parte e fu ferito gravemente. Come conseguenza rimase
con un braccio anchilosato. Tornato al
suo paese, nel dopoguerra, si dice per
vendicare un presunto torto, si diede
alla macchia, compiendo molti delitti
e terrorizzando il Guspinese. Fu catturato nel 1928.
Atzeni, santo (in sardo, Sant’Atzei,
Sant’Azei) = Simmaco, san
Atzeni, Sergio Scrittore (Capoterra
1952-Carloforte 1995). Suo padre, Licio, è un dirigente del movimento operaio. Sua madre è ostetrica. Atzeni la
segue a Orgosolo, dove fa le scuole elementari e dove tornerà negli anni caldi
tra il 1968 e il 1970. Dal 1965 è a Cagliari, dove frequenta il Liceo classico
‘‘Siotto’’ (ne racconterà una variopinta
occupazione studentesca) e s’iscrive a
Filosofia. Pubblica il suo primo articolo a 14 anni: a lungo collaborerà alla
pagina sarda dell’‘‘Unità’’ e ai giornali
isolani (scriverà recensioni e racconti
sulla ‘‘Nuova Sardegna’’ dal 1975 al
1984). Nel 1976 vince un concorso all’ENEL, dove sarà – come dice lui – ‘‘digitatore di calcolatori elettronici’’.
Scrive racconti: con Gli amori, le avventure e la morte di un elefante bianco
vince al Mytfest del 1981 (l’anno dopo
esce sui Gialli Mondatori). Quando Sellerio gli pubblica, nel 1986, Apologo del
giudice bandito si licenzia e comincia
una vita da scrittore di professione,
spostandosi in diversi punti d’Europa,
facendo diversi mestieri (sarà pizzaiolo, giardiniere...) ma soprattutto il
traduttore e il consulente per le maggiori case editrici italiane. Dal suo secondo romanzo, Il figlio di Bakunin
(1991), Gianfranco Cabiddu trarrà un
film nel 1997. Il quinto passo è l’addio è
il terzo, edito da Mondadori. Il 6 settembre 1995, a Carloforte, si tuffa nelle
onde di un mare forse troppo agitato:
nessuno riesce a salvarlo. Pochi giorni
dopo la morte esce il suo quarto romanzo, Passavamo sulla terra leggeri
(edito da Mondadori, sarà ripubblicato
dalla Ilisso di Nuoro con introduzione
di Giovanna Cerina). Molte altre opere
sono state pubblicate postume: fra
queste gli straordinari racconti picareschi di Bellas mariposas, 1996, Raccontar fole, a cura di Paola Mazzarelli,
1999, e la raccolta Gli anni della grande
peste, Sellerio, 2003. Un suo volume di
poesie, Due colori esistono al mondo. Il
verde è il secondo, è stato curato da Giovanni Dettori, con introduzione di
Leandro Muoni, nel 1997. Cagliari è la
grande protagonista di molte pagine di
A.: «Debbo dire la verità – ha dichiarato una volta A. –: raccontare Cagliari
è stato uno dei motivi che mi ha spinto
338
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 346
Atzeri Vacca
a cercare di scrivere racconti. A un
certo punto mi è sembrato che non ci
fossero descrizioni di Cagliari fatte da
scrittori locali». Ma la Cagliari di A.
non è (e non solo per i settant’anni di
differenza) la Cagliari di David H. Lawrence: la sua – ha notato Giuseppe
Marci – «è una visione quasi pasoliniana che privilegia mondi sottoproletari e malavitosi ancora carichi di una
originaria forza indomita». Per raccontare questa città Atzeni s’inventa una
lingua che nasce, anche quando è tutta
italiana di lessico, dal dialetto cagliaritano, «un idioma straordinariamente
ricco – diceva – , adatto all’insulto, all’invettiva, al racconto buffo»: un dialetto che A. mescola all’italiano in
un’alchimia che gli permette di trarre,
dall’alambicco dello scrittore, un’evocazione appassionata e fortemente
convincente della ‘‘sua’’ città.
Atzeni, Virgilio Medico (Arbus 1898-ivi
1975). Conseguita la laurea nel 1929 a
Cagliari, esercitò la professione in diversi paesi e fu assistente volontario di
Medicina legale dedicandosi con passione alla ricerca. Contemporaneamente, interessato ai problemi della
cultura sarda, nel 1934 fondò la rivista
‘‘Cadossene’’ con Antonio Cabitza. Nel
1937, però, si trasferı̀ presso l’Ospedale
di Venezia e nel 1939 si specializzò a
Padova in dermatologia. Nel 1940
tornò in Sardegna impegnandosi come
medico condotto in alcuni centri fino
al 1944. Divenuto medico a Carbonia,
vi si stabilı̀ impegnandosi anche nell’organizzazione della DC. Il suo lavoro
non gli impedı̀ di coltivare un crescente interesse per la storia della medicina: aggregato al Centro di storia
della scienza e della tecnica di Roma,
a partire dal 1948 scrisse molti saggi e
articoli di storia della medicina. Andato in pensione, morı̀ nel suo paese.
Tra i suoi scritti, Relazioni tra i gruppi
sanguigni e i caratteri somatici, ‘‘Atti
della società tra cultori delle scienze
mediche naturali’’, 1, 1935; La Strige
nella leggenda e nella medicina popolare sarda, ‘‘Cadossene’’, III, 5-6, 1937;
Ospedali sardi nella Roma dell’Alto Medioevo, 1948; Una descrizione del morbo
gallico a metà del Cinquecento, 1948; Gli
eremiti sardi nella storia della medicina,
1949; Xenodochia in Sardegna dalle origini ai tempi di San Gregorio Magno,
1949; Templari e cavalieri di San Giovanni in Sardegna, ‘‘Humana Studia’’,
1950; Medicina e organizzazione sanitaria in Sardegna dall’Alto Medioevo al Rinascimento, 1950; Gaspare Torrella vescovo e medico sardo, ‘‘Humana Studia’’, 1950; Gli Hospitia dei Benedettini
in Sardegna, ‘‘Humana Studia’’, 1951;
Barbers y silurgians. Una pagina della
storia della chirurgia in Sardegna nel
periodo spagnolo, ‘‘Humana Studia’’,
III, 1953; Spunti di medicina primitiva.
Gli spiriti dei trapassati apportatori di
salute, di malattia, di morte, 1953; I due
solstizi nella pagologia sarda. Spunti di
medicina nelle religioni del fuoco e del
sole e nelle odierne celebrazioni dei due
solstizi, Atti del XIV congresso internazionale di storia della medicina, 1954;
Medici e organizzazione sanitaria in
Sardegna dell’Alto Medioevo, 1958; De
veterum Sardorum puerperio, 1959; La
medicina in Sardegna nell’alto Medioevo, 1960.
Atzeri Vacca, Francesco Giurista (Cagliari 1860-ivi 1932). Dopo la laurea si
dedicò alla professione di avvocato e
intraprese la carriera universitaria.
Iniziò la carriera come professore di
Diritto romano presso l’Università di
Parma, successivamente si trasferı̀ in
quella di Messina e infine tornò a insegnare a Cagliari, dove fu anche preside
della Facoltà di Giurisprudenza dal
1924 al 1926. Fu autore di numerose
339
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 347
Atzori
pubblicazioni che gli dettero notorietà
nazionale.
Atzori1 Famiglia borghese cagliaritana
(secc. XVI-XIX), i cui membri, fin dalla
seconda metà del secolo XVI, furono
eletti consiglieri del Castello. Nei secoli successivi molti A. divennero stimati professionisti e commercianti e
nel 1743 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Giacinto, ricco
commerciante. Tra i suoi discendenti
va ricordato Pasquale, che venne più
volte eletto consigliere capo di Cagliari
e fu tra i protagonisti delle riunioni stamentarie nel 1792; con lui la famiglia
estese i suoi interessi a Mandas, dove
amministrò il ducato come podatario
del feudatario. La sua discendenza si
estinse nel corso del secolo XIX.
Atzori2 Famiglia di Oristano (secc. XIIXIX). Era annoverata tra i majorales
del giudicato d’Arborea fin dal secolo
XII; quando dopo la battaglia di Sanluri il giudicato cadde, gli A. si schierarono con Leonardo Cubello e uno di
loro, un Guantino, abilissimo e ricco finanziere, fu tra i suoi principali collaboratori. Egli concluse per conto del
marchese buoni affari appaltando la
gestione di alcuni beni demaniali e la
riscossione dei diritti doganali. Nei secoli successivi, quando il marchesato
passò sotto la diretta amministrazione
del re, l’importanza della famiglia non
venne meno e i suoi discendenti occuparono una discreta posizione in seno
alla società oristanese, anche se le loro
condizioni economiche non si mantennero floride come in passato. Con un
Sisinnio furono riconosciuti nobili e
nel 1643 ammessi allo Stamento militare per nobiltà notoria; furono suoi figli Giuseppe e un altro Sisinnio, che
lasciarono entrambi discendenza. Sisinnio Junior, per il suo matrimonio
con Serafina Ponti, venne in possesso
della signoria della scrivania del vica-
riato di Oristano; dal loro matrimonio
nacque Giovanni Gavino che, scoppiata la guerra di successione spagnola, si schierò nel partito filoasburgico e, passata la Sardegna agli
Asburgo, fu nominato luogotenente
del maestro razionale di Oristano;
morı̀ nel 1730 senza figli. Giuseppe nel
1672 fu nominato vicario reale di Oristano. Furono suoi figli Giovanni Antioco e Giovanni Antonio, che durante
la guerra di successione spagnola si
schierarono nel partito asburgico sostenendo con ogni mezzo il passaggio
dell’isola a Carlo d’Asburgo. Per questo
motivo nel 1713 a Giovanni Antioco fu
concesso in feudo il villaggio di Cabras.
Il neo-feudatario, però, godette per
poco del beneficio concesso; infatti gli
abitanti di Cabras insorsero per difendere la loro plurisecolare autonomia e
nel 1714 riuscirono a riscattarsi. All’avvento dei Savoia i due fratelli dichiararono la loro fedeltà alla nuova dinastia
e Giovanni Antioco nel 1720 fu nominato vicario reale di Oristano. I suoi discendenti continuarono a mantenere
una distinta posizione in Oristano e si
estinsero nel corso del secolo XIX.
Atzori, Angelo Imprenditore, consigliere regionale (n. Isili 1940). Risiede
a Oristano, dove si è progressivamente
affermato come imprenditore nel
campo delle assicurazioni e dell’agricoltura. Cattolico, è stato eletto ininterrottamente consigliere regionale per
la DC nel collegio di Oristano dall’VIII
alla X legislatura. Nel corso dell’ultima legislatura, nell’aprile del 1994 si
è dimesso per candidarsi alla Camera
come esponente di uno schieramento
autonomo, l’Alleanza Autonoma Arborense, ma non è riuscito a farsi eleggere. È stato anche presidente della
Cantina sociale della Vernaccia.
Atzori, Antonio Sacerdote (Sassari,
prima metà sec. XVI-Bosa 1604). Cano-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 348
Atzori
nico e decano del capitolo della cattedrale di Cagliari, nel 1592 fu nominato
vescovo di Bosa.
Atzori, Fernando Pugile (n. Ales 1942).
Campione italiano dilettanti nella categoria pesi mosca nel 1963, quando
conquista anche il titolo mondiale militare. L’anno successivo si conferma
campione italiano e nello stesso anno
vince la medaglia d’oro ai Giochi del
Mediterraneo a Napoli, il titolo mondiale militare a Francoforte e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo, battendo il polacco Olech. Passato al professionismo, si laurea prima campione
italiano e poi, nel 1967, conquista il titolo europeo dei mosca battendo il
francese René Libeer. [GIOVANNI TOLA]
Atzori, Gianni Intellettuale (n. Oristano 1925). È uno dei personaggi più
rappresentativi del sardismo oristanese, ed è stato consigliere comunale
per il PSd’Az dal 1985 al 1990. Consigliere d’amministrazione dell’ESIT
(Ente sardo industrie turistiche) è un
attento studioso dei problemi delle minoranze etniche. Ha scritto Sardegna
lingua e comunicazione letteraria (con
G. Sanna), 1990.
Atzori, Giovanni Sacerdote (Cagliari,
seconda metà sec. XVI-Bosa 1626). Canonico e decano del capitolo della cattedrale di Cagliari, autore di numerosi
scritti di carattere religioso, alcuni dei
quali furono stampati. Nel 1624 fu nominato vescovo di Bosa, morı̀ nella sua
sede nel 1626.
Atzori, Maria Teresa Studiosa di linguistica (Gergei 1897-Cagliari 2000).
Dopo essersi laureata in Lettere a
Roma, si è dedicata con passione alla
ricerca e all’insegnamento. Ha insegnato per molti anni al Liceo ‘‘Dettori’’
di Cagliari; nel 1958 ha conseguito la
libera docenza in Linguistica sarda, e
successivamente ha ottenuto l’insegnamento di Glottologia presso la Fa-
coltà di Lettere dell’Università di Cagliari. Cattolica impegnata, nel secondo dopoguerra si è adoperata per
la costituzione della DC e, nonostante
i suoi impegni didattici, è stata eletta
più volte consigliere e assessore comunale di Cagliari tra il 1952 e il 1970. È
morta a 103 anni nei primi mesi del
2000. Numerosi lavori della sua imponente produzione scientifica rivestono
grande interesse per la storia della
Sardegna. In questa voce se ne può segnalare solo una minima parte: Glossario sardo antico. Documenti dei secoli
XI-XIV, 1953; Il digramma tz nell’onomastica e nella toponomastica sarda,
1985; Il Condaxi Cabrevadu. Annotazioni linguistiche al brogliaccio del convento di S. Martino, 1957; Il lessico medico del dialetto sardo campidanese, in
Atti del primo Congresso internazionale
di Dialettologia generale, Lovanio, 1960;
Il lessico medico del dialetto di Tempio,
1961; Le nozioni di anatomia del flebotomo e della medichessa popolare in dialetto sardo campidanese, 1965; L’onomastica sarda nei Condaghi, 1968; I proverbi dei pescatori cagliaritani, ‘‘Orbis.
Bulletin international de Documentation linguistique’’, XIX, 1, 1970; Cristianesimo e magia in Sardegna, ‘‘Quaderno degli annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, III,
1978; La Settimana Santa a Castelsardo. La tradizione del Luni Santu in
Studi in onore di Pietro Meloni, 1988.
Atzori, Mario Storico delle tradizioni
popolari (n. Cagliari 1936). Dopo aver
conseguito la laurea in Lettere ha intrapreso la carriera universitaria; ha
insegnato presso l’Università di Cagliari e nel 1980 è diventato professore
associato di Discipline demoantropologiche, dal 2004 professore ordinario
nella Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. È autore di molti lavori
che gli hanno dato notorietà nazionale.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Atzori
Tra i principali, Giochi infantili a Capoterra, ‘‘Bollettino del repertorio dell’Atlante Demografico Sardo’’, 3, 1971; Per
un’interpretazione del riformismo agrario settecentesco in Sardegna, ‘‘Studi
sardi’’, XXIII, 1975; Credenze e riti magici in Sardegna. Dalla religione alla
magia (con Maria Margherita Satta),
1980; Artigianato tradizionale della Sardegna. L’intreccio. Corbule e canestri di
Sinnai, 1980; Parentela, amicizia e reciprocità nelle disamistades della Sardegna tradizionale, ‘‘La Grotta della Vipera’’, XII, 36-37, 1986; Il selvatico nelle
tradizioni sarde. Uomini, maschere ed
esseri fantastici, 1988; Cavalli e feste.
Tradizioni equestri della Sardegna,
1988; Il Santo Cavaliere e l’Ardia. La festa di San Costantino a Pozzomaggiore,
1990; Olio sacro e profano. Tradizioni
olearie in Sardegna e in Corsica (con Antonello Vodret), 1995; Tradizioni popolari della Sardegna. Identità e beni culturali, 1997.
Atzori, Milvio Giornalista (Mandas
1935-Cagliari 2002). Laureatosi in Lettere nell’Università di Cagliari, intraprese la carriera giornalistica entrando nella redazione de ‘‘L’Unione
sarda’’. Giornalista professionista nel
1961, dopo il 1970 entrò a far parte della
redazione giornalistica della RAI di
Cagliari arrivando a dirigere per alcuni anni il ‘‘Gazzettino sardo’’.
Atzori, Villio Sindacalista, consigliere
regionale (n. Nuoro 1931). Dirigente
sindacale, giornalista pubblicista dal
1958, interprete delle esigenze sociali
delle classi più umili, è stato eletto consigliere regionale per il PCI nel collegio di Cagliari per l’VIII e IX legislatura (1979-1989).
Augerio Religioso (sec. XII). Monaco
cistercense, operò a lungo a Citeaux.
Fu vescovo tra il 1179 e il 1201 negli ultimi anni di regno di Barisone II e durante il regno di suo figlio Costantino
II. Quando Guglielmo I di Massa assalı̀
il giudicato d’Arborea, per il suo prestigio A. fu incaricato di esaminare su
quali basi il giudice di Cagliari pretendesse di impadronirsi dell’Arborea
senza il mandato del papa.
Augustis Centro romano della Barbària (Barbagia) sarda, attuale Austis.
Posto a 800 m di altitudine alle falde
sud-occidentali del Gennargentu, a
breve distanza da Sorabile (Fonni) e da
Forum Traiani (Fordongianus) e dalla
strada a Caralibus Olbiam per mediterranea. A. ricorda nel nome l’imperatore Augusto e testimonia la primitiva
romanizzazione della Sardegna interna, che già in età augustea fu probabilmente sede di un distaccamento
della cohors Lusitanorum (corte ausiliaria formata originariamente da Lusitani). Il toponimo moderno è chiaramente derivato da un’antica forma latina Augustis, conservatasi fino ai secoli XII-XIII (condaghe di Santa Maria
di Bonarcado), che richiama un intervento amministrativo dell’imperatore
Augusto nella fondazione di una mansio militaris (presidio di carattere militare). Più tardi, alla metà del secolo
XIV, sono attestati i toponimi Augustis
e Gustis. La forma latina sarebbe
quella di un ablativo plurale locativo,
anche se si è anche pensato a una
forma composta come Forum Augusti,
Vicus Augusti, Lucus Augusti. Le più recenti prospezioni archeologiche e i ritrovamenti di materiale ceramico
hanno evidenziato ad A. un insediamento di origine augustea sviluppatosi
nel corso dell’età giulio-claudia e con
continuità di vita sino a età tardoantica-altomedioevale e in pieno Medioevo. L’area funeraria era dislocata a
nord-est dell’attuale abitato di Austis,
dove oggi sorgono la scuola media, il
centro sociale e l’area sportiva. Da
questa necropoli proviene la stele fu-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aurelio Oreste
neraria in trachite del venticinquenne
Cn(aeus) Coruncanius Faustinus, databile al secolo I. In località Perda Litterada (pietra scritta) e nella vallata di
Pira Pateri, a 700 m dall’abitato, si stendeva una seconda necropoli, costituita
da tombe a cremazione, contrassegnate da grandi stele in granito locale.
I defunti sepolti in questa area funeraria e i loro parenti e amici che si occuparono di curarne la sepoltura appartenevano, come si ricava dai testi epigrafici, a categorie e gruppi sociali specifici: militari, liberti e liberte, e bambini morti a pochi anni. Con ogni probabilità la necropoli di Perda Litterada era destinata alle sepolture dei
militari di stanza presso il campo della
cohors Lusitanorum, che non è stato ancora individuato e che, come tutti gli
accampamenti di epoca giulio-claudia, doveva essere in terra e legno. I
militari e i civili di origine lusitana, al
seguito della cohors dislocata ad A., influenzarono la realtà locale sarda di
quel settore della Barbària unendosi
con donne del luogo e diffondendo probabilmente alcune loro forme di religiosità, come la devozione per la divinità lusitana Atecina Turobrigensis,
nota attraverso la dedica posta da Serbulus presso il santuario termale delle
Aquae Ypsitanae a Forum Traiani (Fordongianus). [PAOLA RUGGERI]
Augusto Imperatore romano (Roma, 63
a.C.-Nola, 14 d.C.). Caio Giulio Ottaviano, figlio del pretore Caio Ottavio e
di Azia (figlia di Azio Balbo), fu adottato da Cesare per testamento (44 a.C.);
triumviro con Antonio e Lepido, attraverso complesse vicende rimase l’unico signore di Roma e fu proclamato
dal senato Augusto, dapprima con il comando militare (imperium) temporaneo sulle province non ancora pacificate, poi con un imperium proconsulare
maius et infinitum vitalizio ed esteso a
tutte le province (23 a.C.). Negli accordi
di Bologna, Sardegna e Corsica venivano cedute a Ottaviano, ma il loro controllo fu reso precario dalle incursioni
della flotta di Sesto Pompeo, che nel 40
conquistò le due isole, scacciando il governatore Marco Lurio: pare che la
sola Carales si sia vanamente opposta
al legato di Pompeo, Menodoro; solo
nel 38 le due isole sarebbero tornate in
mano ad A., che in quell’occasione
avrebbe coniato le monete con l’effigie
del nonno Azio Balbo e del dio nazionale dei Sardi, il Sardus Pater. Forse in
questa fase, pur non essendosi mai recato in Sardegna, decise di premiare
Carales con il rango di municipio e di
fondare le colonie di Turris Lybisonis e
Uselis: queste promozioni non sono tuttavia ricordate nelle Res Gestae di A.,
che al contrario indicano la Sardegna
fra le province che giurarono fedeltà a
Ottaviano alla vigilia della battaglia di
Azio. Nel 27 a.C. A. decise di ritirare le
legioni stanziate in Sardegna e Corsica
e di cedere le isole al Senato; nel 6 d.C.,
tuttavia, spinto dai Sardi che praticavano la pirateria nel Tirreno e razziavano le pianure toscane, inviò per tre
anni delle truppe comandate da cavalieri; nel 13-14 d.C. l’isola fu infine governata da un pro legato di rango equestre. Risale probabilmente a questa
fase la separazione amministrativa fra
Sardegna e Corsica, lo stanziamento in
Sardegna di reparti ausiliari (sono
note le coorti dei Corsi, degli Aquitani,
dei Lusitani) e di una squadra della
flotta del Miseno, l’istituzione di una
praefectura civitatum, un prefetto militare che regolava i rapporti fra Roma e
le tribù della Barbària. [ANTONIO IBBA]
Aurelio Oreste Governatore della Sardegna (sec. II a.C.). Console nel 126 a.C.,
con il questore Caio Sempronio Gracco
viene inviato nell’isola contro le tribù
ribelli dei Sardi. Qui O. si trova ad af-
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Austis
frontare una difficile rivolta e una
grave carestia, forse legata alle scorrerie degli indigeni, che gli impone una
requisizione straordinaria di vettovaglie per le truppe, suscitando le proteste in Senato delle città sarde alleate
(crisi risolta dall’intervento personale
di Gracco). Le difficoltà della guerra
impongono inoltre una proroga del
suo mandato sino al 122 a.C. e la progressiva sostituzione di un contingente
militare stanco e forse troppo legato al
questore; al lungo soggiorno si riferisce probabilmente una mensa quadrata offerta dalla moglie di un L. Aurelius Orest. a un’anonima divinità. L’8
dicembre del 122 a.C. Oreste celebra a
Roma un trionfo ex Sardinia, segno che
si riteneva scongiurato il pericolo. [ANTONIO IBBA]
Austis Comune della provincia di
Nuoro, compreso nella XII Comunità
montana, con 944 abitanti (al 2004), posto a 737 m sul livello del mare, in una
regione di colline sul versante nord-occidentale del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Austis. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 50,72 km2: ha forma trapezoidale allungata da nord a sud e
confina a nord con Olzai, a est con Teti
e Tiana, a sud con Sorgono e a ovest con
Neoneli e Nughedu Santa Vittoria. È
una regione a metà tra la collina e la
montagna, di natura prevalentemente
granitica, segnata nella parte settentrionale dalla vallata del Taloro, le cui
acque formano in questo tratto il terzo
dei laghi artificiali che lo caratterizzano, prima che confluisca nel Tirso: il
Cucchinadorza. Il paese è servito da
alcune strade secondarie che lo collegano con Teti e Olzai a nord, con Sorgono a sud e con Nughedu Santa Vittoria e Neoneli a ovest.
& STORIA Il centro abitato è di origini
romane: probabilmente deriva da Augustis (=) una stazione militare edificata ai tempi di Augusto per controllare le scorrerie dei Barbaricini; dal
nome dell’imperatore deriva infatti
anche l’attuale toponimo. Mantenne
una certa importanza in periodo bizantino e nel Medioevo fu incluso nel giudicato d’Arborea con funzioni di capoluogo dell’omonima curatoria. Caduto
il giudicato, A. passò sotto il controllo
diretto del re che rispettò la sua sostanziale autonomia; nel 1461 fu però venduto al marchese di Oristano che lo incluse nel suo feudo. Dopo che nel 1477
il marchesato fu confiscato agli Alagon, nel 1478 A. fu incluso nel feudo
concesso a Pietro Pujades, che però
morı̀ senza eredi nel 1503. Nel 1504 il
villaggio fu compreso nel feudo concesso agli Arbosich; i nuovi feudatari
si interessarono dei problemi della comunità e intervennero con energia per
porre fine alle contese dei suoi abitanti
con i vicini per il controllo dei pascoli.
Nel 1525 A., con il matrimonio di Filippa Arbosich con un De Sena, passò a
questa famiglia. I nuovi feudatari avviarono la costruzione della chiesa dell’Assunta; alla fine del secolo, però, il
feudo passò ancora di mano: nel 1580,
con il matrimonio di Filippa De Sena,
il suo possesso pervenne ai Cervellon
che ne fecero la sede del funzionario
del governo baronale. Essi però amministrarono il feudo con un particolare
fiscalismo che rese difficili le condizioni degli abitanti. Agli inizi del secolo XVIII, con l’estinzione dei Cervellon, A. passò ai Manca Guiso che si
estinsero nel 1788 con un Raffaele.
L’evento fece sorgere negli abitanti,
che negli stessi anni si erano dotati del
Monte granatico e nel 1771 del Consiglio comunitativo, la speranza di liberarsi dal dominio feudale. L’illusione
fu breve; nel 1792 il villaggio pervenne
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Austis
agli Amat; nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e poco dopo vi fu
aperta una scuola elementare che funzionò con regolarità; finalmente nel
1838 si affrancò dalla dipendenza feudale. Questi alcuni dei dati e delle impressioni registrati in quel periodo da
Vittorio Angius: «Vi sono circa 125 case
mal costrutte, disposte in istrade
niente regolari, e non selciate. È questo uno dei paesi in cui commerciano i
gavoesi comprando tutte le pezze di
panno forese [orbace] che sono superflue ai bisogni delle famiglie. V’ha poi
due o tre che fanno d’armaroli, e falegnami, e nulla più in proposito di arti.
Il totale di questa popolazione è in quest’anno (1834) di anime 490 in 120 famiglie. Le terre sono più adatte all’orzo, e
perciò di questo genere si semina in
quantità maggiore, e se ne fa pane. Negli orti si coltivano cavoli gambusi, zucche, pomidoro e granone. Le vigne non
prosperano che in alcuni luoghi aprichi esposti a venti caldi. Poche sono le
varietà delle uve, il vino sente un po’ di
acerbo. Oltre le specie ghiandifere vi
frondeggiano con molto lusso i corbezzoli, le eriche, le filiree, il lentisco, il
mirto e vari altri generi di piante. La
pastorizia è molto lontana da quello
stato di floridezza cui potrebbe pervenire in un terreno cosı̀ adattato. Le specie sono le solite, cioè vacche, capre,
pecore, porci e cavalle; ma il numero
totale dei capi di ciascuna è ben meschino». Abolita la provincia di Oristano, nel 1848 A. entrò a far parte della
divisione amministrativa di Cagliari e
ci rimase fino al 1859, quando fu incluso nell’omonima provincia. Negli
stessi anni il territorio subı̀ un grave
danno poiché fu distrutta la magnifica
foresta di Monti Mannu, che nel 1856
era stata ceduta al conte Beltrami (=),
e pochi decenni dopo i suoi vigneti furono distrutti dalla fillossera. Fino al
1927 il villaggio rimase alla provincia
di Cagliari, ma, ricostituita la provincia di Nuoro, vi fu incluso.
Austis – Il paese è sorto sul sito di una statio
romana chiamata Augustis, in onore
dell’imperatore Augusto.
ECONOMIA Alla base dell’economia
di A. restano attività tradizionali come
l’agricoltura, lo sfruttamento dei prodotti delle ampie foreste che circondano l’abitato e soprattutto l’allevamento; di discreto livello è anche la
produzione del formaggio. Si è persa
la memoria della coltivazione dell’orzo
di cui parlava l’Angius, ma sta prendendo via via consistenza l’attività turistica, che fa leva sulle attrattive del
paesaggio montano e consiste nello sviluppo dell’iniziativa alberghiera e soprattutto di quella agrituristica. Artigianato. Di antica tradizione sono la lavorazione del legno e la produzione di
piccoli oggetti e di intagli; di buona
qualità erano i prodotti della tessitura
&
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Austis
del lino dei quali nell’Ottocento si faceva commercio; attualmente la tradizione è tenuta viva da poche anziane
donne.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 975 unità,
di cui stranieri 2; maschi 479; femmine
496; famiglie 418. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione con morti per anno
17 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 27 e
nuovi iscritti 13. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
15 035 in migliaia di lire; versamenti
ICI 288; aziende agricole 163; imprese
commerciali 42; esercizi pubblici 7;
esercizi al dettaglio 13; ambulanti 5.
Tra gli indicatori sociali: occupati 237;
disoccupati 60; inoccupati 103; laureati 23; diplomati 52; con licenza media 177; con licenza elementare 346;
analfabeti 41; automezzi circolanti
332; abbonamenti TV 255.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio fu abitato fin dalla preistoria
e conserva alcuni nuraghi a Badde Majolu, Istecori, Lughia, Turria. Di particolare interesse il villaggio nuragico di
S’Urbale, a pochi chilometri dall’abitato. Situato a quasi 900 m sul livello
del mare, il complesso è costituito da
più di cinquanta capanne circolari costruite con conci di granito e altro pietrame rozzamente lavorato e ascrivibili al Nuragico medio. Gli scavi in questo importante sito furono iniziati nel
1931 e interrotti dopo qualche anno; ripresi nel 1982, hanno riportato alla
luce una notevole quantità di ceramiche e di altri manufatti che hanno permesso di ricostruire la cultura materiale del villaggio in tutti i suoi aspetti.
Di grande interesse scientifico la
Perda Longa, un dolmen che sorge a
poca distanza dall’abitato; la costruzione è caratterizzata da una camera
rettangolare molto lunga e divisa in
due da una grande lastra trasversale;
al fondo della costruzione sono tracce
di muratura che delimitano la camera
e servivano da contenimento del tumulo di terra che all’origine copriva il
dolmen. Nelle località di Perda Litterada, Vigna Onnis e Sa Canna furono
rinvenuti nella seconda metà dell’Ottocento numerosi ruderi di età romana
che comprovano l’ipotesi che l’attuale
centro abitato derivi da un insediamento militare di età imperiale. Gli
scavi successivi hanno restituito una
gran quantità di ceramiche e di monete, lapidi funerarie, urne, iscrizioni
e bronzi.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’edificio di maggior
pregio è la chiesa della Madonna dell’Assunta, parrocchiale costruita nel
1567 su un edificio precedente, probabilmente risalente al Duecento e dedicato a Sant’Agostino. Nel corso dei secoli ha subı̀to diversi rifacimenti fino
all’ultimo nel 1950 che ne ha modificato i caratteri originari. Di particolare interesse all’interno il coro ligneo
riccamente intagliato risalente all’Ottocento. Sono interessanti anche alcune chiese campestri tra le quali
quella di Sant’Antonio da Padova che
sorge in località Sedda ’e Basiloccu,
poco oltre il lago Benzone (= Taloro)
in un ambiente di boschi di querce; fu
costruita nel 1669 e successivamente
modificata. Ha un impianto a una navata, la copertura in legno e la facciata
del tipo a capanna. Al suo interno si
conserva un altare barocco di legno intagliato di una qualche eleganza. L’edificio è circondato dalle muristenis. I
boschi intorno al paese conservano ancora in parte la ricchezza di specie di
cui parlava l’Angius. Molto famosa, tra
le conformazioni che caratterizzano gli
affioramenti del granito, la roccia di Sa
Crabarissa, che si trova non lontano
346
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 354
Automobilismo
dalla strada di penetrazione agraria
per il lago Cucchinadorza: fa pensare
a una donna con un fazzoletto sulla testa e la fantasia popolare ha elaborato
in proposito alcune leggende di pietrificazione.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni del villaggio si conservano
nella festa di Sant’Antonio di Basiloccu che, organizzata dai pastori nella
terza domenica di settembre, si svolge
nell’omonima chiesetta campestre. È
preceduta da un novenario al quale
prendono parte le famiglie degli organizzatori ed è caratterizzata dall’esecuzione di canti improvvisati in logudorese, barbaricino e campidanese
(muttos).
Austis, curatoria di Curatoria del giudicato di Arborea che si stendeva su un
territorio montuoso di circa 115 km2,
situato a nord del Parte Barigadu e incuneato tra la Barbagia di Ollolai a
nord e il Mandrolisai a sud. Comprendeva i villaggi di Teti, Tiana e Austis ed
era popolato da pastori e montanari.
Caduto il giudicato d’Arborea, dopo
un breve periodo in cui fu amministrata direttamente da funzionari
reali, nel 1461 fu inclusa nel marchesato di Oristano e nel 1478, dopo la sua
confisca, fu concessa a Pietro Pujades
che però morı̀ senza eredi nel 1503. Nel
1504 la c. fu concessa agli Arbosich;
essi intervennero con energia per
porre fine ai contrasti che i suoi abitanti avevano con i vicini per il controllo dei pascoli confinanti. In seguito
passò ai De Sena e nel 1580, per matrimonio, ai Cervellon, che ne riorganizzarono l’amministrazione. Nel corso
del secolo XVIII passò di mano frequentemente fino a pervenire agli
Amat.
Austria-Este, Francesco di = Francesco d’Austria-Este
Automobilismo L’11 ottobre del 1900
passa per le vie di Sassari la prima automobile. L’ha portata da Torino Primo
Zerbini, che negli anni successivi sarà
il rappresentante della Fiat in città. A
Cagliari nel 1902 arriva una francese
De Dion-Bouton di proprietà di Gerino
Bruciapaglia. Ma è dell’aprile-maggio
1904 il primo Tour della Sardegna in
automobile (una Isotta Fraschini),
ideato dal dottor Johnson, presidente
del Touring Club d’Italia. L’auto percorre tutta l’isola fino a Cagliari (dove
si svolge il Congresso del TCI), destando nelle popolazioni sgomento e
ammirazione. Ma già dal 1901 era stata
proposta l’istituzione di una linea automobilistica Sassari-Tempio-Palau,
che verrà inaugurata solo nel giugno
del 1908. Seguiranno poi nel 1911 la
Terranova-Orosei-Nuoro, la CagliariMuravera-San Vito e la Cagliari-Pula.
In Sardegna l’automobile si diffonde
molto lentamente, sono le Società ginnastiche che organizzano le prime
gare, soprattutto di regolarità: la prima
edizione della gara in salita ‘‘Scala di
Giocca-Osilo’’ è del 1926. Nello stesso
anno viene fondato il Reale Automobile Club Cagliari per iniziativa di
Dino Devoto, già rappresentante della
FIAT in città. L’attività sportiva automobilistica negli anni Trenta è molto
scarsa: è comunque da ricordare la
partecipazione al Circuito ‘‘Città di
Sassari’’ del 1938 di Pietro Ghersi,
campione di livello nazionale, vincitore su Alfa Romeo. Solo nel dopoguerra nascono alcune classiche; a
Sassari, accanto alla ormai tradizionale Scala di Giocca-Osilo, si organizzano il Circuito di Platamona e numerose gare di regolarità aperte a tutti,
vista la grande diffusione delle piccole
automobili, e una serie di gare in salita, soprattutto a partire dagli anni
Sessanta, grazie al grande lavoro degli
Automobile Club: la Alghero-Scala Pic-
347
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 355
Avellanis
cada, la Corongiu-Campuomu, la Iglesias-Sant’Angelo, con frequente partecipazione di piloti del continente. Purtroppo la Sardegna rimane fuori dalle
grandi manifestazioni sportive motoristiche perché non possiede neanche
un autodromo: il primo, dovuto alla caparbietà del pilota sassarese di gare in
salita Uccio Magliona, è stato inaugurato a Mores nel 2003 e intitolato al
marchese Franco di Suni, storico presidente dell’ACI di Sassari. Ma la manifestazione motoristica più importante dell’isola è il Rally della Costa
Smeralda, la cui prima edizione si
svolse nel 1978 e che dal 2004 è prova
del Campionato del mondo. Attualmente si svolgono anche altri rally minori, le ‘‘classiche’’ in salita, gli autoslalom e le gare di regolarità riservate
alle auto d’epoca, molte delle quali
giungono in gruppi numerosi da tutta
Europa, sull’onda del boom turistico
degli ultimi anni. [GIOVANNI TOLA]
Avellanis Antico villaggio del giudicato
di Torres, compreso nella curatoria del
Monteleone, che sorgeva nelle vicinanze di Villanova Monteleone. Faceva
parte dei territori che a partire dal secolo XII vennero in possesso dei Doria
in seguito ai matrimoni con la famiglia
giudicale di Torres. Quando la famiglia
giudicale si estinse, il villaggio entrò a
far parte del piccolo stato feudale che i
Doria stavano formando nella parte
nord-occidentale dell’isola. Nel periodo successivo continuò a rimanere
in loro possesso, ma quando nel 1324 i
Doria si ribellarono agli Aragonesi
subı̀ molti danni, cosicché prima della
metà del secolo XIV venne abbandonato.
Avena Genere di piante erbacee annuali della famiglia delle Graminacee
(A. fatua L., A. sterilis L., A. barbata
Brot.). Tutte le specie selvatiche sono
caratterizzate da culmi eretti, foglie
lanceolate, parallelinervie (come tutte
le monocotiledoni), infiorescenze a
pannocchie rade e pendenti con spighe caratterizzate da due lunghe reste.
Cresce abbondante tra aprile e giugno
nei prati, nei coltivi e sui bordi delle
strade; l’A. fatua è infestante nei campi
di grano. In alcune zone della Sardegna viene chiamata ténetilikértas, acchiappalucertole, perché i bambini
catturano le lucertole con lacci costruiti con i culmi freschi di a. I culmi
secchi sono utilizzati per costruire i cesti domestici, che un tempo erano
parte fondamentale della dote delle
spose e costituivano il cosiddetto
stréxu ’e fenu (lett. ‘‘il bagaglio di
fieno’’). La specie coltivata, A. sativa,
nota anche come biada, è largamente
diffusa e viene utilizzata come foraggio. È ricca di proteine e di grassi, oltre
che di carboidrati come tutti i cereali.
L’alta concentrazione di cellulosa la
rende poco utilizzabile nell’alimentazione umana. In Sardegna la produzione annua è di oltre 500 000 q per
30 000 ha, la maggior parte in provincia
di Sassari. Nella medicina popolare
viene usata con azione anticatarrale,
diuretica ed emolliente per la pelle.
Nomi sardi: aéna, éna (campidanese);
fenápu (nuorese); filiánu (gallurese).
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Avendrace, santo (in sardo, Santa
Tennera, Santu Tenneru) Santo (m. 77).
Nacque nel villaggio di Ippis o genericamente in un villaggio della regione
di Ippis o Gippi, sacerdote e vescovo
della diocesi di Cagliari dal 70 al 77.
Denunciato, su consiglio di un cavaliere cristiano si nascose in una grotta
sulle rive dello stagno occidentale di
Carales, Cagliari, lo stagno di Santa
Gilla. Per due anni visse in solitudine:
quotidianamente un cervo gli portava
da mangiare. Lasciò il rifugio per visitare, in abiti contadini, i villaggi della
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 356
Aventi
diocesi. Venne scoperto e denunciato a
Calidonio, preside romano. Partı̀ l’ordine di arresto, ma il vescovo ancora
una volta riuscı̀ a salvarsi, nascondendosi in una montagna. Gli apparve un
angelo e tornò al primo nascondiglio,
alla grotta sulle rive della laguna. Arrestato, torturato, decapitato nel 77, sepolto nel rifugio. Studiosi al passato remoto lo considerano «successore a Cagliari dei vescovi Siridione – o Sirindone o Siridonio – Bonifacio e Clemente», tutti vescovi, compreso A.,
senza riscontri attendibili. A., nome
proprio diffuso a Cagliari, è santo per
volontà popolare: antico il suo culto,
ma mai ufficializzato dalla Chiesa.
Nome d’impronta orientale, dall’etimologia oscura. I cagliaritani lo chiamano Santa Tennera, al femminile, e
usano il maschile Tenneru solo come
nome di battesimo. Altro suo nome è
San Venero: per qualcuno si tratterebbe di San Venero o Venerio o Venereo giunto a Carales dopo aver fatto l’eremita nell’isoletta di Palmaria, nel
mar Ligure. Sant’Avendrace o San Venero? Tenneru farebbe pensare più a
Venero (come Tennera a Beneria e a
Veneria, nomi che compaiono in epigrafi romane ritrovate in area cagliaritana). Secondo alcuni studiosi si tratterebbe dello stesso santo, secondo altri
di santi diversi. «Resta tuttavia non
chiara – scrive Francesco Alziator
(1963) – la contaminatio di Avendrace
con Venero-Venera; in via d’ipotesi è
pensabile o che Avendrace sia la trasformazione letteraria dell’indigeno
Venero o che si tratti di due tradizioni
diverse che il tempo o la fantasia popolare, il caso non è poi raro nelle leggende agiografiche, hanno poi riunito». Sulla grotta rifugio, martyrium e
sepolcro, è sorta la chiesa in suo onore.
Ancora ipotesi: forse tomba romana
riutilizzata dal cristiano Venerio, santo
per il popolo. Archeologi contemporanei sostengono invece che si tratta di
un santuario ipogeico d’origine punica, dedicato al culto delle acque. Ancora oggi dal pavimento della grotta filtra un’acqua dolce e tersa, nonostante
la vicinanza dello stagno. Perché non
un tempio dedicato a Venere? Da Venere a Venero il passo è breve. In Sardegna esisteva il villaggio di San Venero, distrutto nel Settecento, da Giovanni Spano (1858) identificato in Salvenero (San Michele). La Biblioteca
Universitaria di Cagliari possiede il libro stampato nel 1922, Sant’Avendrace
vescovo di Cagliari. Notizie sulla sua vita
e pratiche devote. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 21 settembre a Cagliari.
‘‘A Vent’anni’’ Periodico cagliaritano.
Pubblicato settimanalmente a Cagliari
dal 1º gennaio 1869 al 31 luglio 1870,
per iniziativa di un gruppo di studenti
universitari, annovera tra i suoi collaboratori il giovanissimo Ottone Bacaredda, futuro sindaco di Cagliari dal
1889 al 1921 e deputato al Parlamento,
Enrico Costa, Giovanni Baraca, Gavino
Nino, Gavino Musio e il poeta catanese
Vincenzo Riccardi di Lantosca, spesso
celati sotto pseudonimi. Periodico letterario, vicino alla Scapigliatura e al
Realismo, testimonia i nuovi fermenti
culturali che percorrono l’isola una
volta tramontati gli ideali del Risorgimento e del Romanticismo. Oltre alla
pubblicazione di prose e versi, particolare attenzione è rivolta alle novità culturali e ai numerosi problemi dell’economia e della politica della Sardegna.
Nonostante una iniziale presa di distanza dai partiti e dalle correnti politiche, non sono rari gli articoli di opposizione al governo, le cronache cittadine, oltre quelli di divulgazione scientifica in genere. [RITA CECARO]
Aventi, Francesco Studioso di pro349
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 357
Aventino
blemi agrari (Ferrara, prima metà sec.
XIX-?, seconda metà sec. XIX). Conte
della Roverella, imprenditore agricolo
conosciuto tanto per l’attenzione
scientifica ai problemi del mondo
agrario quanto per le bonifiche realizzate nel Ferrarese, collaboratore del
bolognese ‘‘Giornale d’Agricoltura’’,
fu in Sardegna nel maggio-giugno del
1869 ospite di Giuseppe Garibaldi che
in quel periodo elaborava un progetto
di colonizzazione della Sardegna. Il
viaggio lo portò prima a Caprera, poi
in varie città dell’isola fino a Cagliari.
Ne scrisse in Escursione agraria in Sardegna. Lettere 14 al prof. cav. Francesco
Luigi Botter (che era il direttore del
‘‘Giornale d’Agricoltura’’), 1869, e
tornò sul tema con l’articolo Colonizzazione di Sardegna, pubblicato nel 1871
sull’‘‘Avvenire di Sardegna’’. Era convinto che, con attenti studi e una razionale applicazione di investimenti (non
meno che delle tecniche agricole più
adatte), la Sardegna avrebbe potuto
mettere a frutto le sue potenzialità:
«La Sardegna degli Italiani – concludeva nel suo libro – ritornerebbe la Sardegna dei Romani, e la ricchezza nazionale riconoscerebbe ben presto in
essa la sua principale sorgente».
Aventino, santo (in sardo, Santu Aventinu, Santu Ventinu) Santo (Troyes, sec.
V/VI-?, 537/538). Nacque a Troyes in
Francia verso la fine del V o forse nel
secolo VI, discepolo di San Lupo vescovo della città, del quale divenne
economo fedele, prudente e caritatevole. Si ritirò su un’isoletta della
Senna, dedicandosi alla contemplazione e alla penitenza. Fondò un monastero, che affidò al discepolo San Fidolo. Invocato contro il mal di testa, patrono delle partorienti. A. e al femminile Aventina è nome proprio dell’area
cagliaritana. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia la prima domenica
dopo Pasqua nell’area cagliaritana.
Averla = Zoologia della Sardegna
Avetta, Adolfo Bibliotecario (Torino
1854-ivi 1943). Nel 1894 lasciò la carriera militare e fu nominato bibliotecario della Biblioteca universitaria di
Cagliari. In molti anni di permanenza
nell’isola si adoperò per potenziare le
strutture della biblioteca e per impostare la sistemazione del materiale bibliografico secondo criteri razionali.
Del suo sforzo rimane testimonianza
nel volume Storia della R. Biblioteca
universitaria di Cagliari dalle origini a
tutto l’anno 1893, estratto da una serie
di articoli pubblicati su ‘‘Il Popolo’’ nel
1894. Lasciata Cagliari, diresse le biblioteche universitarie di Padova, Catania, Pisa, Genova e Torino; andato in
pensione, continuò a occuparsi di
studi storici.
Avocetta = Zoologia della Sardegna
‘‘Avvenire di Sardegna, L’’’ Quotidiano di Cagliari (1871-1893). Pubblicato dal 1º gennaio 1871 al 31 dicembre
1893, è diretto da Giovanni De Francesco (Mongibello). Vi collaborano professionisti come Giuseppe Turco, Emilio
Spagnolo, Medardo Riccio, redattore
dell’‘‘Ora di Palermo’’ e poi direttore
della ‘‘Nuova Sardegna’’, Marcello Vinelli, futuro direttore dell’‘‘Unione
sarda’’, e Antonio Scano. Della redazione fanno parte inoltre Ottone Bacaredda, Felice Uda, Carlo Brundo, Dionigi Scano, Ugo Ranieri, Vittorio Delitala, mentre tra i collaboratori annovera numerose personalità della vita
pubblica sarda. È considerato il primo
quotidiano moderno nel mondo giornalistico isolano, per un nuovo modo
di fare informazione che collega le problematiche locali alla politica nazionale e anche internazionale, divenendo cosı̀ per oltre vent’anni l’opinion maker della vita cagliaritana. Il
350
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 358
Aymerich
sottotitolo, Giornale politico internazionale. Organo della colonia italiana nella
Tunisia, rivela l’attenzione prestata
alle aspirazioni italiane di espansione
contro quelle francesi, e il sostegno
agli investimenti dei capitali isolani,
di cui appoggia in particolare le imprese finanziarie di Pietro Ghiani Mameli, fondatore del Credito agricolo industriale sardo. Politicamente il giornale è schierato a sinistra e appoggia
la corrente legata a Zanardelli che in
Sardegna fa capo a Francesco Cocco
Ortu. Nelle elezioni politiche del 1874
sostiene Ghiani Mameli, il cui programma, aderente alla ‘‘Sinistra giovane’’, è pubblicato nel giornale. Dopo
il fallimento negli anni Ottanta di numerosi istituti di credito isolani e il tramonto politico di Ghiani Mameli, si avvicina al gruppo della ‘‘Casa nuova’’ di
Ottone Bacaredda, esponente della
nuova classe dirigente liberale che
avrebbe amministrato Cagliari a lungo.
Nelle elezioni del 1892 la polemica scatenata dal giornale proprio contro alcuni candidati del gruppo coccortiano
ne determina la fine: a seguito delle
querele in cui incorre, il De Francesco
è arrestato e condannato, e tutti i suoi
beni, compresa la tipografia, vengono
sequestrati. Il giornale è costretto cosı̀
a sospendere le pubblicazioni. Graficamente poco curato, ha una pagina
su cinque colonne e una composizione
uniforme in cui gli articoli si susseguono senza titoli. La quarta pagina è
interamente occupata dalla pubblicità
di ditte straniere, italiane e locali. [RITA
CECARO]
Avvocato dei poveri Avvocato preposto al patrocinio gratuito delle cause
dei poveri sia in sede civile che in
sede penale. Aveva l’obbligo di adempiere alla propria funzione con diligenza, poiché i procedimenti dovevano
essere espletati attraverso procedure
sommarie e possibilmente senza ricorrere ad atti strutturati. La carica compare a partire dal Cinquecento; nel
Seicento tutte le principali città regie
dell’isola ne avevano uno. Spesso apparteneva a famiglia nobile, anche perché talvolta l’ufficio consentiva a qualche giovane di avviare una brillante
carriera giudiziaria. Con l’avvento dei
Savoia i suoi compiti furono definiti
con precisione e nel Codice feliciano
fu stabilito che in ogni villaggio dovesse essere identificato un a.d.p.
Avvocato fiscale patrimoniale Magistrato che aveva il compito di tutelare
i diritti patrimoniali dello Stato. Esplicava i suoi compiti nelle vertenze che
venivano dibattute di fronte alla Reale
Udienza o alla Procurazione reale. Faceva parte del tribunale del Real Patrimonio e della Giunta patrimoniale, e,
unitamente al procuratore fiscale patrimoniale, interveniva in tutti i procedimenti nei quali fossero lesi o minacciati gli interessi del patrimonio reale.
Avvocato fiscale regio Magistrato posto al vertice dell’organizzazione dell’attività giudiziaria del Regno di Sardegna. Vigilava sull’andamento dell’amministrazione della giustizia e sul
funzionamento di tutti gli altri organismi giudiziari dell’isola. Come tale era
a diretto contatto col viceré e faceva
parte del Consiglio di Giustizia unitamente al reggente la Reale Cancelleria. Per espletare le proprie funzioni
si serviva di sostituti procuratori fiscali regi che dovevano essere presenti
nelle città regie o nei villaggi in cui esistesse un tribunale.
Avvoltoio = Zoologia della Sardegna
Aymerich Famiglia cagliaritana di origine catalana (sec. XIV-esistente). Le
sue notizie risalgono al secolo XIV,
quando viveva un Pietro che fu inviato
presso il re come sindaco della comunità del Castello. Nei decenni succes-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 359
Aymerich
sivi l’importanza commerciale della famiglia si accrebbe e alcuni dei suoi
membri svilupparono una fitta rete di
traffici soprattutto con la Sicilia. Agli
inizi del secolo XV era tra le famiglie
più influenti di Cagliari: possedeva
una cappella e dal 1454 Martino ebbe
l’ufficio ereditario di console dei siciliani con giurisdizione nelle liti che riguardavano i mercanti siciliani operanti a Cagliari. Dei suoi figli Giacomo,
eletto nel 1483 consigliere capo di Cagliari, Giovanni Nicolò eletto allo
stesso ufficio nel 1500, furono due importanti uomini d’affari. Pietro, il primogenito, ereditò l’ufficio di console
dei siciliani e fece un buon matrimonio
con una Fortesa; anche lui fu eletto
consigliere capo della città ed estese
gli interessi finanziari della famiglia;
introdotto nel fiorente mercato della
compravendita dei feudi, caratteristico di quegli anni, acquistò all’asta il
feudo di Gesturi. In seguito ottenne
l’appalto delle dogane reali e, entrato
in rapporti d’affari con la contessa Violante Carroz, signora di Quirra, ne divenne l’amministratore; infine nel
1486 acquistò il feudo di Mara. Tra i
suoi figli Gerolamo e Salvatore lasciarono discendenza.
Discendenza di Gerolamo. Gerolamo
continuò le attività commerciali della
famiglia. I suoi figli Pietro, Cristoforo e
Salvatore, vissuti nella prima metà del
Cinquecento, furono coinvolti nelle fazioni nobiliari del tempo e nel 1533 furono riconosciuti nobili. Pietro fu valoroso uomo d’armi; Salvatore continuò
ad avere rapporti con gli eredi dei Carroz, che lo nominarono governatore e
capitano generale dei loro feudi e gli
affidarono delicati affari di famiglia;
Cristoforo continuò la discendenza: fu
nominato vicario reale di Cagliari e
prese parte alle fazioni nobiliari con il
cugino Salvatore di Mara; questo ramo
si estinse con i suoi figli Pietro, Gerolamo e il canonico Giovanni.
Discendenza di Salvatore. Salvatore
ereditò il feudo di Mara e completò la
trasformazione sociale della famiglia.
Difese il possesso dei feudi acquistati
dal padre imbarcandosi in una lunga
lite giudiziaria contro i Dedoni che ne
volevano tornare in possesso. Morı̀ ancor giovane nel 1495. Suo figlio, un altro Salvatore, dimostrò di essere uomo
di grande levatura politica e rivestı̀
molti incarichi importanti; il figlio
Melchiorre fu un attento amministratore del feudo e, per porre fine alla crescente inquietudine dei vassalli, nel
1587 concesse loro alcuni Capitoli di
grazia con i quali regolamentò l’amministrazione del feudo. Suo figlio Ignazio si distinse nelle operazioni che portarono alla cacciata dei francesi da
Oristano nel 1637 e divenne uno dei
maggiori sostenitori del viceré Avellano. I rapporti con i vassalli però si
fecero nuovamente difficili; gli abitanti di Villamar si ribellarono, per
cui, nel 1642, Ignazio fu costretto a concedere loro nuovi Capitoli di grazia; nel
1644, come ricompensa per la fedeltà
dimostrata, fu creato conte. Il suo primogenito, un altro Melchiorre, che gli
succedette, continuò ad avere dei problemi con i vassalli, ma morı̀ senza lasciare discendenza; gli altri tre figli,
Demetrio, Silvestro e Salvatore, diedero vita ad altri tre rami della famiglia.
Ramo di Salvatore. Salvatore, che fu capitano di cavalleria in Catalogna, dopo
la morte del fratello divenne conte di
Villamar. Tentò, senza successo, alcuna speculazioni che compromisero
le sue finanze; per far fronte alla situazione tentò di far crescere le rendite
feudali, ma ciò inasprı̀ nuovamente i
suoi rapporti con i vassalli e nel 1663
fu costretto a concedere loro nuovi Ca-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aymerich
pitoli di grazia. Politicamente era legato a Bernardino Mattia Cervellon e
ne sostenne l’azione anche dopo l’uccisione del viceré Camarassa. Il viceré
duca di San Germano, allora, lo fece
arrestare e lo mandò in esilio in Spagna. Salvatore riuscı̀ a tornare in Sardegna solo nel 1676; negli anni seguenti acquistò il salto della Minerva;
morı̀ nel 1709, seguito dopo pochi mesi
dall’unico figlio Ignazio.
Ramo di Demetrio. Demetrio era il figlio terzogenito; dopo l’estinzione del
ramo di Salvatore tentò di far escludere dalla successione nei feudi di famiglia il nipote Gabriele, figlio dell’altro fratello Silvestro e di Francesca Zatrillas. Infatti riteneva che Gabriele
fosse inabilitato a succedere in quanto
il padre era stato incriminato del delitto di lesa maestà. Dopo aver tentato
di occupare con la forza il feudo, intraprese contro il nipote una lite che si
concluse a suo sfavore nel 1710. Negli
anni seguenti i due continuarono a litigare e solo dopo la morte di Demetrio,
avvenuta nel 1732, i figli rinunciarono
alle loro pretese. Alla fine del secolo
XVII, due dei suoi nipoti, un altro Demetrio e un Mariano, diedero vita ad
altre due linee di discendenza; da Demetrio derivò una linea di cavalieri Aymerich che continuò a risiedere a Cagliari e si estinse nel corso del secolo
XIX; Martino si stabilı̀ in Spagna, dove
i suoi discendenti vivono tuttora.
Ramo di Silvestro. Silvestro, secondogenito del conte Ignazio, è il capostipite di tutti gli Aymerich attualmente
viventi in Sardegna. Cavaliere brillante e di bell’aspetto, era l’amante di
Francesca Zatrillas quando fu misteriosamente ucciso il marchese Agostino Castelvı̀, suo marito. Quando,
dopo appena tre mesi dalla morte del
marchese, si sposò con la Zatrillas, fu
sospettato di aver tramato l’assassinio
unitamente alla vedova e per questo
trascinato in giudizio. Scagionato,
quando emerse che l’assassinio del Castelvı̀ era stato motivato da ragioni politiche, fu coinvolto nella congiura contro il viceré Camarassa che il marchese
di Cea, cugino dell’ucciso, riteneva responsabile dell’assassinio. Dopo l’uccisione del Camarassa fu imputato di
lesa maestà, per cui dovette fuggire
dalla Sardegna e vivere esule fino a
quando nel 1671 il marchese di Cea fu
indotto a tornare nell’isola. Egli lo seguı̀ nel viaggio, ma fu ucciso a tradimento subito dopo lo sbarco all’Isola
Rossa. Dal suo matrimonio nacque Gabriele, di cui si è detto; egli, dopo l’estinzione della linea primogenita, fu
dichiarato abile alla successione nel
feudo di Villamar, ma fu chiamato in
causa dallo zio Demetrio. Egli inoltre
si imbarcò in una lite per la successione nel Montiferru, eredità della madre, che si concluse senza successo nel
1714; morı̀ nel 1716, quando la lite con
Demetrio per Villamar non era conclusa. Dal suo matrimonio con Caterina Castelvı̀ erano nati diversi figli.
All’estinzione della linea principale
della sua famiglia Caterina rivendicò
la successione per i feudi di Laconi,
Sanluri e Ploaghe, che nel 1733 furono
definitivamente assegnati a Giuseppe,
suo figlio primogenito. Cosı̀ gli Aymerich entrarono in possesso del marchesato di Laconi, della baronia di Ploaghe, del viscontado di Sanluri, divennero prima voce dello Stamento militare ed ebbero anche il titolo di Grande
di Spagna. Furono figli di Giuseppe Michele, vescovo di Ales, e Ignazio, che
continuò la discendenza; egli si legò
alla dinastia sabauda e in alcune occasioni fu inviato a Torino come delegato
dello Stamento militare. Nel corso dei
secoli successivi la famiglia espresse
alcune eminenti personalità, tra cui il
353
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Aymerich
marchese Ignazio, vissuto nella prima
metà dell’Ottocento. Egli seppe trattare vantaggiosamente il riscatto dei
suoi feudi, sviluppò importanti attività
agricole e fu nominato senatore del Regno. Furono suoi figli Carlo, Enrico e
Giuseppe: da Carlo e da Enrico derivano due linee di cavalieri Aymerich
residenti a Cagliari e a Roma; da Giuseppe deriva l’attuale linea marchionale, fiorente a Cagliari, che ha
espresso alcune considerevoli personalità in differenti settori della vita
pubblica.
Aymerich, archivio Contiene documenti relativi all’amministrazione di
tutti i feudi della famiglia, documenti
relativi all’amministrazione dell’azienda di Laconi e documenti di natura
patrimomiale. Vicende familiari portarono alla scissione dell’archivio, che
è ora distribuito presso l’Archivio storico comunale (342 buste dei secoli XVXIX), l’Archivio di Stato di Cagliari (8
buste con documenti dal 1405 al 1723 e
157 pergamene dal 1470 al 1723) e l’Archivio storico comunale di Laconi (177
registri e 46 fascicoli dal 1801 al 1937).
Aymerich, Cristoforo Gentiluomo, vicario reale di Cagliari (Cagliari, prima
metà sec. XVI-ivi, seconda metà sec.
XVI). Cugino di Salvatore signore di
Mara e a lui legato, fu tra i protagonisti
delle fazioni nobiliari della città. Fu arrestato quando Girolamo Selles fu ferito; dopo la liberazione continuò a interessarsi degli affari di famiglia.
Aymerich, Giuseppe Matematico, attuale marchese di Laconi (n. Cagliari
1913). Dopo la laurea si dedicò all’insegnamento, dapprima nelle scuole superiori, successivamente divenne professore presso l’Università di Cagliari.
Nel 1974 fu preside della Facoltà di
Scienze e in seguito rettore dell’Ateneo per alcuni anni.
Aymerich, Ignazio I Conte di Villamar
(Cagliari 1601-ivi 1663). Fu tra i sostenitori delle idee del Vives; nel 1637 si distinse nell’azione contro i francesi che
avevano occupato Oristano. In seguito
sostenne la politica del duca d’Avellano e nel 1644 divenne il primo conte
di Villamar. Ebbe però burrascosi rapporti con i vassalli, ai quali dovette
concedere alcuni Capitoli di grazia.
Aymerich, Ignazio II Marchese di Laconi, senatore del Regno (Cagliari
1809- ivi 1881). Prima voce dello Stamento militare, trattò vantaggiosamente il riscatto dei suoi feudi. In seguito divenne un attivo imprenditore
agricolo. Nel 1847 fece parte della delegazione inviata a Torino per chiedere la ‘‘fusione’’; nel 1848 fu nominato
senatore del Regno. Esperto di agricoltura e interessato al problema delle
ferrovie in Sardegna, partecipò intensamente ai lavori dell’assemblea, sollevando tra i primi la questione sarda.
Nel 1869, da presidente dell’apposito
comitato costituito a Cagliari, si adoperò per la buona riuscita dell’inchiesta parlamentare sulle condizioni dell’isola. Fu anche eletto consigliere comunale e provinciale di Cagliari.
Aymerich, Michele Religioso (Cagliari
1732-Ales 1806). Vescovo di Ales e Terralba dal 1788 al 1806. Figlio del marchese Antonio Giuseppe, destinato alla
Chiesa, divenne canonico e decano del
capitolo di Cagliari e giudice del tribunale delle contenzioni; nel 1788 fu nominato vescovo di Ales e di Terralba.
Nel 1792 prese parte all’attività degli
Stamenti e fu incluso nella delegazione inviata a Torino per portare al re
le Cinque domande. Nel 1799 fu tra coloro che in seno agli Stamenti votarono
per l’abolizione dei privilegi del Regno.
Aymerich, palazzo Complesso abitativo di proprietà della famiglia omonima che comprendeva più edifici di
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Aymerich
origine medioevale collegati tra loro
nel Castello di Cagliari, sviluppantisi
in senso orizzontale da via Lamarmora
a via dei Genovesi. Il complesso nella
seconda metà dell’Ottocento fu affidato a Gaetano Cima perché lo ristrutturasse rendendolo unitario. L’architetto diede al tutto un’impronta neoclassica e risolse il problema rappresentato da una traversa che metteva in
collegamento le due strade costruendo
un portico pedonale (Portico Laconi).Il
palazzo rimase di proprietà Aymerich
fino al 1935; nel 1943 fu bombardato dagli Alleati e oggi è allo stato di rudere.
Aymerich, Pietro I Gentiluomo (Cagliari, prima metà sec. XVI- ivi 1492).
Fu console dei siciliani come suo padre Martino; abile uomo d’affari, nel
1480 fu eletto primo consigliere di Cagliari e pochi mesi dopo acquistò all’asta la signoria di Gesturi. Nel 1484 fu
nuovamente eletto consigliere capo di
Cagliari e si aggiudicò l’appalto delle
dogane reali; nel 1486, dopo aver felicemente composto un contrasto sui
confini di Gesturi con Violante Carroz,
divenne il suo uomo di fiducia e ne ottenne l’amministrazione della contea
di Quirra; nello stesso anno acquistò il
feudo di Mara.
Aymerich, Pietro II Gentiluomo (Cagliari, prima metà sec. XVI-ivi, dopo
1567). Fratello di Cristoforo, nobilitato
unitamente ai suoi fratelli nel 1533; fu
protagonista delle fazioni nobiliari. Organizzò l’assalto al convento di San Domenico durante il quale fu ucciso Girolamo Selles; in seguito si trasferı̀ a Sassari. Nella nuova residenza nel 1554 respinse un tentativo di sbarco francese
e nel 1567 fu nominato governatore
della città.
Aymerich, Salvatore1 Signore di Mara
(Cagliari 1493-ivi 1563). Alla morte precoce del padre, anche lui di nome Salvatore, fu posto sotto la tutela dello zio
Giovanni Niccolò. Uomo di notevole levatura politica e militare, fu dichiarato
nobile nel 1521 e nel 1524 fu inviato
come sindaco dello Stamento militare
a Madrid, dove riuscı̀ a ottenere l’esenzione della Sardegna dal pagamento di
un donativo richiesto in occasione
delle nozze delle infanti Caterina e Maria. Tornato in patria, questo successo
gli fece acquistare grande prestigio
personale presso le altre famiglie della
nobiltà emergente. A partire dal 1533 si
impegnò nella compravendita dei
feudi, guadagnando molto danaro; nel
1535 fu al seguito di Carlo V a Tunisi e
per il suo valore fu nominato governatore di La Goletta. Tornato a Cagliari,
divenne in breve il capo riconosciuto
della consorteria che si opponeva al viceré Cardona e agli Arquer. L’impegno
politico non lo distrasse dalla sua attività di compravendita di feudi e continuò a guadagnare ingenti somme. Al
culmine della potenza, fece trasferire
le ossa dei suoi antenati nella cappella
della Speranza che la famiglia possedeva dal secolo precedente; negli ultimi anni di vita dovette far fronte al
malcontento dei suoi vassalli.
Aymerich, Salvatore2 Conte di Villamar (Cagliari 1634-ivi 1708). Amico di
Bernardino Mattia Cervellon, ne sostenne l’azione politica subito dopo
l’assassinio del Camarassa, per cui fu
arrestato e mandato in esilio in Spagna
dal viceré duca di San Germano. Ottenne la grazia nel 1676 e nel 1680 combatté contro i ribelli in Catalogna.
Aymerich, Silvestro Secondogenito
del conte Ignazio (Cagliari 1647-Isola
Rossa 1671). Amante di Francesca Zatrillas, tre mesi dopo l’assassinio di
Agostino di Castelvı̀ la sposò, sicché
unitamente alla moglie fu accusato di
averne provocato la morte. Prese parte
alla congiura contro il vicerè Camarassa e dopo il suo assassinio fu co-
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Ayres
stretto a fuggire a Nizza. Nel 1671 seguı̀
il marchese di Cea nell’infelice tentativo di ritorno in Sardegna, ma fu ucciso a tradimento nell’Isola Rossa.
Ayres, Pietro Pittore (Cagliari 1805-Torino 1880). Lasciata la città natale, studiò all’Accademia di Belle Arti di Torino fino al 1829. Nel 1830 si stabilı̀ a
Firenze, dove studiò incisione. Nel
1832 si trasferı̀ nuovamente a Torino,
facendosi conoscere per i suoi disegni,
dei quali in particolare vanno ricordati
quelli dell’Armeria reale, che raccolse
col titolo Armeria di S.M. Carlo Alberto,
stampato nel 1840. Nel 1836 disegnò alcune tavole per Galleria Illustrata di
Roberto d’Azeglio e nel 1837 ne eseguı̀
alcune altre per il Dizionario biografico
sardo degli uomini illustri di Pasquale
Tola. Nel 1845 divenne socio ordinario
dell’Accademia Albertina e nel 1851 vi
fu chiamato come professore.
Azara, Antonio Giurista (Tempio 1883Roma 1967). Dopo la laurea in Giurisprudenza entrò nella carriera giudiziaria e fu destinato a Genova. Nel
1919 fu chiamato a Roma al Ministero
e si dedicò alla ricerca. Nel 1928 entrò
a far parte dell’Ufficio del Massimario
della Cassazione, collaborando con
Mariano D’Amelio. Negli stessi anni fu
autore di numerosi e importanti studi
giuridici; nel 1931 fu nominato direttore del Massimario. Nel 1942 divenne
presidente della seconda sezione della
Cassazione; cattolico impegnato, caduto il fascismo fu eletto senatore per
la DC dalla I alla IV legislatura repubblicana nei collegi della Sardegna.
Nella II legislatura fu ministro della
Giustizia dal 1953 al 1955 nel governo
Pella; in seguito rappresentò l’Italia
nell’assemblea della Comunità europea e alle Nazioni Unite; morı̀ quando
il suo quarto mandato parlamentare
non era ancora scaduto.
Azara, Maria Studiosa di tradizioni po-
polari (Roma 1919-ivi 1946). Appartenente a una famiglia di magistrati di
origine sarda, si laureò in Lettere nel
1940 alla ‘‘Sapienza’’ di Roma discutendo con Paolo Toschi una tesi sulle
Tradizioni popolari della Gallura. Dalla
culla alla tomba. Cosı̀ fu intitolato nel
1943 il volume con cui lo stesso Toschi
volle inaugurare la sua collana di
‘‘Studi e testi di tradizioni popolari’’.
«Siamo davanti a un lavoro organico,
condotto con rigoroso metodo scientifico e che, pur essendo di una giovanissima, ci appare degno della maturità e
della consumata perizia di un dotto»,
avrebbe scritto sulla ‘‘Nuova Sardegna’’ Salvator Ruju nel 1947. Purtroppo
A. era morta l’anno precedente, a 27
anni. Il libro è stato riproposto in edizione anastatica nel 2005 con una introduzione di Andrea Mulas.
Azaro, Giovanni Sacerdote (Sassari,
seconda metà sec. XIV-ivi 1442). Era
parroco di San Nicola di Sassari
quando nel 1412 fu nominato arcivescovo di Torres dall’antipapa Giovanni
XXIII; resse la diocesi fino al 1422.
Azio Balbo, Marco Nonno materno di
Augusto (sec. I a.C.). Fu propretore in
Sardegna, probabilmente nell’anno 60
a.C., e venne più tardi ricordato da Ottaviano attraverso la coniazione di monete che rappresentano nel dritto la
sua effigie e la legenda M. Attius Balbus
pr. e nel verso l’effigie del Sardus Pater
con la legenda Sard(us) Pater. L’emissione avvenne probabilmente dopo il
38, quando Sesto Pompeo perse la Sardegna e Ottaviano poté occuparla grazie al tradimento di Menodoro, legato
di Sesto: la moneta tende a esaltare
propagandisticamente la famiglia di
Ottaviano e il suo legame con il dio nazionale dei Sardi, venerato nel Sulcis.
[ESMERALDA UGHI]
Aznar, Andrea Religioso (Saragozza,
prima metà sec. XVII-Jaca, Spagna,
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Azuni
dopo 1671). Agostiniano, si fece notare
come maestro di Teologia e nel 1663 fu
nominato vescovo di Alghero. Resse la
diocesi con grande impegno e nel 1671
fu trasferito nella sede di Jaca, dove
morı̀ poco dopo .
Azuni Tipografia attiva a Sassari dal
1872 al 1899. Fondata nel 1872 dall’avvocato Luigi Piga fu poi proprietà di
Luigi Calchapuz e di Lodovico Manca
(1888). L’ultimo direttore, il milanese
Giovanni Gallizzi, la rilevò nel 1889.
Creata per stampare il primo quotidiano sassarese, ‘‘La Gazzetta di Sassari’’ (1872-1877), stampò anche altri
periodici, come ‘‘La Stella di Sardegna’’ (fondato e diretto da Enrico Costa,
uscı̀ in diverse riprese per sette anni
fra il 1875 e il 1886), e altri quotidiani,
come il ‘‘Gazzettino sardo’’, diretto
dallo stesso Costa, e ‘‘La Sardegna’’,
fondato dall’on. Giuseppe Giordano
Apostoli, che uscı̀ dal 1882 al 1892 (ma
a quel momento aveva da tempo una
tipografia propria). Secondo gli studi
di Tiziana Olivari, pubblicò circa 200
titoli, il più famoso dei quali fu il primo
volume del Sassari di Enrico Costa,
edito nel 1885.
Azuni, Domenico Alberto Giurista
(Sassari 1749-Cagliari 1827). Figlio del
farmacista Juan Asuny, italianizzò il
proprio cognome quando si trasferı̀ a
Torino. Studiò presso gli Scolopi e si
laureò in Giurisprudenza nel 1772 nell’Ateneo sassarese, dove ebbe per maestri gli illustri gesuiti Francesco Gemelli, Angelo Berlendis, Giuseppe Gagliardi. Esercitò per qualche tempo
l’avvocatura prima a Sassari poi, dal
1774, a Torino. Qui nel 1777 entrò nell’amministrazione delle Finanze: nel
1780 fu viceintendente generale a
Nizza e nel 1782 giudice del Consolato
del commercio in quella città. Da questo momento data il suo interesse per il
diritto del commercio e in particolare
del diritto marittimo, che ispirerà le
sue opere maggiori. La favorevole accoglienza del suo Dizionario universale
ragionato della giurisprudenza mercantile, pubblicato a Nizza in 4 volumi fra il
1786 e il 1788, gli procurò la nomina a
senatore del Regno e l’incarico da
parte di Vittorio Amedeo III di scrivere
il codice marittimo del Regno (il progetto, però, dovette essere abbandonato per l’incalzare degli eventi politici e militari). Nel 1792, sotto l’avanzata francese, dovette abbandonare
Nizza e rifugiarsi a Torino con la moglie (da cui dopo qualche tempo si sarebbe separato). Accusato di giacobinismo, a Torino non riuscı̀ trovare un impiego, e cosı̀ iniziò un lungo pellegrinaggio per l’Italia, bene accolto dagli
studiosi e iscritto a diverse Accademie,
ma sempre assillato dal bisogno. Un
più lungo soggiorno a Firenze e l’incontro con un mecenate toscano gli permisero di dare alle stampe la sua opera
più importante, il Sistema universale
dei principii del diritto marittimo dell’Europa, pubblicato in due volumi a
Parigi fra il 1795 e il 1796. Mentre il Dizionario era «un grande repertorio aggiornatissimo e informatissimo sulla
legislazione, usi, dottrine, giurisprudenza di tutta l’Europa» (cosı̀ F. Liotta
nella voce del Dizionario biografico degli Italiani), il Sistema ricapitolava il
diritto marittimo internazionale prima
in una sintesi storica e quindi in una
acuta trattazione posta sotto la luce
«del diritto delle genti universale»,
come scriveva. Dall’opera ricevette
nuova fama e dalla Francia l’incarico
di redigere la parte marittima del Code
de commerce napoleonico. A quel
punto si era trasferito a Parigi, dove ricevette la cittadinanza francese. Nel
1807 fu nominato presidente del tribunale d’appello di Genova e nel 1808
rappresentò la città come suo deputato
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Azuni
nel Corpo legislativo francese. Nel
1814, occupata Genova dagli inglesi, si
ritirò a vita privata, affrontando un altro periodo di grande povertà. Nel 1819
Vittorio Emanuele I lo nominò giudice
del Consolato del commercio di Cagliari e subito dopo, per interessamento del Manno, preside della Biblioteca Universitaria. Volle essere sepolto nella chiesa di Nostra Signora di
Bonaria; sulla lapide della tomba (che
doveva incontrare negli anni molte traversie) Lodovico Baylle lo definiva vir
omnigena eruditione praestantissimus.
Sassari gli dedicò una statua, opera del
genovese Carlo Rubatto (1862) e gli intitolò il Liceo classico (1865). A. scrisse
numerose altre opere, fra cui un Essai
sur l’histoire géographique, politique et
naturelle du royaume de Sardaigne,
pubblicata a Parigi nel 1778 e rielaborata e ampliata in una Histoire (1802),
fortemente criticata (in particolare dal
padre T. Napoli) per essere in gran
parte un centone di notizie attinte da
altri libri italiani e stranieri sull’isola.
L’opera fu tradotta in italiano da Giosue Muzzo, Sassari 1950, quando la società Sardamare intitolò all’A. la sua
prima nave. Della ventina di sue opere,
gran parte sono in francese, ciò ne facilitò la diffusione fra i lettori europei e
contribuı̀, nei testi dedicati alla Sardegna, a far conoscere l’isola natale. Suoi
inediti sono conservati nella Biblioteca Universitaria di Sassari.
Azuni, Gerolamo Archivista (Cagliari
1794-ivi 1870). Uomo di notevole preparazione e di grandi qualità, provvide
alla riorganizzazione dell’Archivio di
Stato di Cagliari; nel 1848 fu eletto deputato per la I legislatura, ma l’elezione non fu convalidata. Nel 1865
compilò il primo elenco dei fondi dell’Archivio di Stato di Cagliari.
Azzati, Antonio Editore-tipografo, libraio (Livorno, seconda metà sec.
XVIII-Sassari 1825). La sua tipografia
fu fondata nel 1799 come tipografia privilegiata, che aveva l’esclusiva della
stampa e della vendita di libri scolastici, degli atti ufficiali della Reale Governazione e delle pubblicazioni dell’Università di Sassari. Alla sua morte
(1825) fu gestita dalla vedova Caterina
e quindi dai figli, sino al 1850. Sotto la
direzione dell’ultimo di questi, Luigi,
fu pubblicato il periodico ‘‘Il Promotore’’, fondato e diretto da Francesco
Sulis, che uscı̀ per 8 numeri dal marzo
all’ottobre 1840 e fu soppresso su ordine del viceré per essersi occupato di
politica, esclusa al momento della concessione della licenza. Enrico Costa ricorda che nel 1844 lo stesso Luigi
stampò «in bella edizione e gran formato di pagine 159» il Dizionario universale di Giurisprudenza mercantile di
Domenico Alberto Azuni.
Azzei, Giovanni Antioco Vescovo di
Bisarcio-Ozieri dal 1804 al 1819, arcivescovo di Oristano dal 1819 al 1821
(Oristano 1761-ivi 1821). Ordinato sacerdote giovanissimo, dopo essersi
laureato in Teologia a Cagliari si fece
notare per le sue qualità e per la sua
profonda cultura. Durante il suo soggiorno a Cagliari scrisse anche versi di
un certo pregio, tra cui Nei solenni funerali di Vittorio Amedeo III, un panegirico stampato nel 1798. In seguito fu nominato canonico arborense e si trasferı̀
a Oristano dove per alcuni anni divenne vicario generale della diocesi;
nel 1804 fu nominato vescovo della ricostituita diocesi di Bisarcio-Ozieri
che resse fino al 1819, anno in cui fu
nominato arcivescovo di Oristano.
[MASSIMILIANO VIDILI]
Azzena, Antonio Alberto Giurista (n.
Sassari 1938). Dopo aver conseguito la
laurea in Giurisprudenza si è dedicato
alla carriera universitaria. Ha insegnato presso l’Università di Sassari
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Azzolina
fino al 1985, anno in cui è stato chiamato a insegnare Diritto amministrativo all’Università di Pisa. Profondo
studioso di diritto regionale, ha pubblicato sull’argomento importanti studi
come Espansione delle autonomie territoriali e specialità dell’ordinamento
sardo, 1979. Tra le altre sue opere: Coscienza autonomistica e sviluppo della
‘‘specialità’’. Verso un nuovo rapporto
Stato-Regione sarda, in Autonomismo
regionale: ideologia, politica, istituzioni,
1981; Servizi socio-sanitari nella regione
Toscana, 1981; I rapporti di cooperazione transfrontaliera nelle regioni ad
autonomia speciale, ‘‘Bolentino degli
interessi sardi’’, XXXVII, 2, 1983. Dal
novembre 1992 al settembre 1994 è
stato assessore regionale tecnico alla
Pubblica Istruzione.
Azzena, Giovanni Archeologo (n. Sassari 1958). Laureato all’Università ‘‘La
Sapienza’’ di Roma, si è specializzato
in Topografia e Urbanistica del Mondo
classico. Ha frequentato la Scuola per
Aerofotointerpreti dell’Aeronautica
militare. Dottore di ricerca nell’Università di Bologna, è professore associato di Topografia antica nella Facoltà di Architettura di Alghero dell’Università di Sassari. Tra i suoi scritti:
Atri, forma urbanistica, 1987; Tancas
serradas a muros. Tracce di incomunicabilità nel linguaggio archeologico,
‘‘Archeologia e calcolatori’’, 2004; Il territorio: sistemi di comunicazione e infra-
strutture, in Atlante del Lazio antico,
2004. Dal 2007 è soprintendente reggente delle Soprintendenze archeologiche di Cagliari e Sassari.
Azzena, Mario Avvocato, assessore regionale (Sassari 1889-Roma 1952). Figlio di Salvatore, importante industriale molitorio ed esponente del
gruppo garavettiano, alla ripresa della
vita democratica dopo la caduta del fascismo prese parte al dibattito politico
dalle colonne de ‘‘L’Isola’’. Conoscitore
profondo dei problemi dei trasporti e
del commercio, contribuı̀ a fondare a
Sassari la società Sardamare e nel
1951 fu nominato assessore regionale
tecnico ai Trasporti nella seconda
giunta Crespellani.
Azzolina, Liborio Insegnante (Piazza
Armerina 1872-Cagliari 1958). Studioso
di letteratura italiana, si trasferı̀ a Cagliari nel 1911, dedicandosi all’insegnamento di italiano e latino al Liceo
‘‘Dettori’’. Libero docente in Letteratura italiana, durante la seconda
guerra mondiale fu incaricato della
cattedra presso l’Università di Cagliari. Fu autore di accurati studi di letteratura pubblicati su diverse riviste
specializzate, tra i quali: I canti di Tullio Marcialis, ‘‘Il Nuraghe’’, I, 5, 1923;
‘‘Aurora sarda’’ di P. Casu, ‘‘Il Nuraghe’’, I, 8-9, 1923; Cagliari, ‘‘Il Nuraghe’’, III, 27, 1925.
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B
Baal Divinità ai vertici del pantheon fenicio (in fenicio B‘l). Originariamente
si tratta di un appellativo semitico
avente il significato di ‘‘possessore, signore, sposo’’. Benché la documentazione anteriore ne attesti l’uso anche
come nome proprio nelle città della costa siro-palestinese e nelle colonie fenicie del Mediterraneo occidentale,
tra cui la Sardegna, il termine designa
una divinità di primaria importanza
con caratteri ben definiti, legata ai fenomeni atmosferici e meteorologici. A
Ugarit B. Saphon, dal nome di un
monte della Siria settentrionale, è il figlio di Dagan e regna come dio della
tempesta, delle nuvole, dei lampi e dei
tuoni. Un ulteriore aspetto della complessa figura divina lo caratterizza
come dio della vegetazione che ritorna
nel mondo dei vivi dopo aver sconfitto
Môt (la Morte) in conformità alle credenze connesse con gli annuali cicli di
morte e rinascita della natura. Come
dio supremo di pantheon locali appare
associato a dei toponimi e luoghi di
culto come B. di Sidone e B. del Libano.
Numerosi attributi definiscono infine
le varie prerogative del dio e contribuiscono a evidenziare la complessità del
politeismo di origine fenicia: B. Addir,
B. Hammon e B. Shamem (=) furono
venerati nelle principali città del Le-
vante e dell’Occidente punico. [MICHELE
GUIRGUIS]
Baal Addir Divinità fenicia (in fenicio
B‘l ’dr ‘‘Signore potente’’). Attestato a
Biblo sul finire del secolo VI a.C. e più
diffusamente nell’Africa del Nord,
dove il culto prosegue fino a età ellenistica e alla prima età romana. Spicca
senza dubbio il carattere agrario e conseguentemente ctonio del culto tributato alla divinità. In Sardegna il dio è
associato al mondo dell’oltretomba e si
trova menzionato in un’iscrizione incisa su una coppa d’argento rinvenuta
nel tofet di Sulci, l’attuale Sant’Antioco. [MICHELE GUIRGUIS]
Baal Hammon Divinità fenicia (in fenicio B‘l hmn). La vocalizzazione del
nome si desume dalle trascrizioni greche e latine di epoca tarda e di ambito
nordafricano. A Tiro attorno al secolo
VI a.C. appare menzionato assieme al
dio Baal Saphon. L’etimologia del termine hmn è stata ricondotta al nome
del monte Amanus nella Siria settentrionale, dove il dio avrebbe avuto un
importante santuario. Un’ipotesi alternativa tende a riconoscervi il ‘‘Signore
della cappella domestica’’ o il ‘‘Signore
dell’altare dei profumi’’. Massima divinità del santuario tofet, assieme alla
dea Tinnit, ‘‘volto/manifestazione di
Baal’’, è il referente privilegiato delle
numerose iscrizioni rinvenute nelle
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baal Shamem
aree sacre della Sardegna, della Sicilia
e del Nord Africa. In età romana le peculiari prerogative del dio vengono trasposte nella figura del Saturno africano la cui venerazione godrà di una
grande diffusione nell’Africa romanizzata. Anche grazie all’identificazione
con questa ultima divinità è stato possibile evidenziare il carattere agrario
del culto tributato al dio B.H. cosı̀ come
le testimonianze provenienti dai tofet
punici lo caratterizzano, interlocutore
preferenziale delle aspettative dei fedeli. [MICHELE GUIRGUIS]
importante documento scoperto in
Sardegna. Un’iscrizione del secolo IV
a.C., incisa su dolomia e rinvenuta a
Cagliari in località Stampace nel 1877,
attesta l’esistenza di un tempio dedicato l’dn lb’šmm b ’ynsm ‘‘Al Signore
dei Cieli (che è) nell’Isola degli Sparvieri’’, localizzabile presso l’abitato di
Carloforte nell’odierna isola di San
Pietro, dove recenti indagini archeologiche iniziano a restituire le prime testimonianze rapportabili alle fasi arcaiche dell’insediamento. In questo
caso il nome della divinità è reso nella
forma contratta b’šmm ‘‘Bashamem’’. A
Cartagine, in una lunga iscrizione, l’invocazione al dio si trova in testa a un
gruppo formato da altre tre figure divine di importanza primaria sebbene
ciò non costituisca una prova inoppugnabile di una accordata supremazia
all’interno del pantheon metropolitano. Sempre da Cartagine si ha notizia
dell’esistenza di specifici sacerdoti addetti al culto della divinità. Nel Poenulus di Plauto è pronunciata, dal personaggio di Annone, l’esclamazione Balsamen a conferma della notevole diffusione del culto anche nella sfera della
religiosità popolare. [MICHELE GUIRGUIS]
Babaieca Termine con cui venivano in-
Baal Hammon – Statuetta in terracotta del
dio in trono. (Sec. IVa.C.; dal santuario reale
di Thinissut, Tunisia)
Baal Shamem Divinità di origine
orientale (in fenicio B‘l šmm ‘‘Signore
dei Cieli’’) venerata sin dal II millennio
a.C. in Anatolia e nella costa siro-palestinese, il cui culto si diffuse nel I millennio a.C. in maniera capillare soprattutto in ambito aramaico e fenicio. Il
culto prosegue in epoca più tarda e in
ambito coloniale, come si evince da un
dicati i dirupi dai quali, secondo un’antica tradizione, in un’uccisione rituale
venivano precipitati i genitori una
volta diventati vecchi e inutili.
Babay Suprema divinità maschile dei
nuragici: un dio salvifico, benefattore
e cacciatore il cui culto si mantenne
anche nell’estrema fase del declino
della civiltà nuragica. Il culto di B. in
età sardo-punica si fuse con quello di
Sid, figlio di Melquart, divinità salvifica e cacciatrice, che nel pantheon punico è posta subito dopo Baal e Tanit;
cosı̀ si strutturò il culto di Sid Babay, il
Sardus Pater del tempio di Antas.
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Bacallar
1703 conferı̀ a Vincenzo il titolo di marchese di San Filippo e di visconte di
Fuentehermosa. Con lui la famiglia si
estinse e i titoli furono ereditati dagli
Amat.
Bacallar, Anastasio Gentiluomo (Cagliari 1596-ivi 1621). Figlio di Pietro,
sposato giovanissimo a una Manca di
Sassari, ottenne l’ufficio di reggente la
Reale Tesoreria e sembrava destinato
a una brillante carriera amministrativa quando nel 1621 morı̀ improvvisamente a soli 25 anni.
Bacallar – Fra i Bacallar il più celebre fu
probabilmente Andrea, il vescovo di Alghero e
arcivescovo di Sassari. Qui lo stemma
familiare.
Bacallar Famiglia che secondo una tradizione non documentabile comparve
a Iglesias nel corso del secolo XIV, le
cui notizie genealogicamente certe
però risalgono al secolo XV con un Michele capitano di cavalli. Suo nipote
Vincenzo si trasferı̀ a Cagliari e nel
1541 ottenne la cittadinanza di Cagliari; era un personaggio di rilievo,
fratello di Andrea che fu nominato arcivescovo di Sassari nel 1604. I suoi nipoti ottennero il cavalierato ereditario
nel 1598 e nel corso del secolo XVII ricoprirono ripetutamente l’ufficio di tesoriere reale e si imparentarono con
alcune famiglie dell’aristocrazia. Nel
corso del secolo XVII i B. furono ammessi allo Stamento militare e presero
parte all’attività dei parlamenti; scoppiata la guerra di successione spagnola
rimasero fedeli a Filippo V, che nel
Andrea Bacallar – Vescovo di Alghero e
arcivescovo di Sassari, fu all’inizio del
Seicento uno dei sostenitori del cosiddetto
‘‘primato’’ della Chiesa sassarese.
Bacallar, Andrea Religioso (Cagliari,
prima metà sec. XVI-Sassari 1612). Vescovo di Alghero dal 1578 al 1604, arcivescovo di Sassari dal 1604 al 1612. Studiò a Roma nel Collegio Ungarico e fu
ordinato sacerdote. Tornato a Cagliari,
divenne decano del capitolo e per le
sue qualità fu nominato vescovo di Alghero nel 1578. Governò la diocesi fino
al 1604 promovendo l’insediamento
dei Gesuiti ad Alghero e l’adegua-
363
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 371
Bacallar
mento del clero alle direttive del concilio di Trento. Nel 1604 fu nominato
arcivescovo di Sassari; insediatosi nell’archidiocesi, proseguı̀ l’opera di riforma del clero e sostenne i Gesuiti.
Scoppiata la controversia sul primato
con l’archidiocesi di Cagliari, divenne
uno dei maggiori sostenitori del primato dell’archidiocesi turritana, ottenendo nel 1606 che la Sacra Rota si occupasse della questione. Uomo di profonda cultura, tradusse le opere di San
Giovanni Damasceno dal greco in latino. [MASSIMILIANO VIDILI]
1563 fu nominato luogotenente del
maestro razionale.
Bacallar, Paolo Vincenzo Uomo politico (Cagliari, seconda metà sec. XVIISpagna, dopo 1700). Fratello di Vincenzo IV, uomo di grande abilità politica, nel 1692 divenne governatore del
Capo di Sassari e del Logudoro. Resse
l’ufficio fino al 1696; in seguito, scoppiata la guerra di successione spagnola, poiché rimase fedele a Filippo
V fu costretto a fuggire in Spagna dove
morı̀ alcuni anni dopo.
Vincenzo Bacallar – Diplomatico, scrisse la
storia della Guerra di successione spagnola,
che aveva vissuto da vicino. Disegno di P. Ayres
per il Dizionario biografico degli uomini
illustri di Sardegna di Pasquale Tola (18371838).
Bacallar, Pietro Gentiluomo cagliaritano (Cagliari, seconda metà sec. XVIivi 1596). Figlio di Vincenzo I, uomo di
profonda e raffinata cultura raccolse
l’eredità dello zio monsignor Andrea e
del grande giurista Agostino Gualbes,
zio di sua moglie Guiomar, formando
cosı̀ il primo nucleo della grande biblioteca di famiglia. Morı̀ ancor giovane a Cagliari nel 1596.
Bacallar, Vincenzo I Gentiluomo (Iglesias, fine sec. XV-Cagliari?, dopo 1563).
Uomo di grande cultura, probabilmente laureato, entrò nell’amministrazione finanziaria del regno e, sposata una Dedoni, si trasferı̀ a Cagliari
dove nel 1541 ottenne la cittadinanza.
Nel 1551 fu nominato ricevitore del Riservato e per le sue qualità nel 1554 fu
eletto secondo consigliere della città;
frattanto la sua carriera nell’amministrazione finanziaria proseguı̀ e nel
Bacallar, Vincenzo II Religioso (Cagliari, seconda metà sec. XVI-ivi 1623).
Vescovo di Bosa dal 1615 al 1623. Nipote di Andrea, nel 1591 divenne dottore in utroque a Pisa e l’anno successivo sacerdote; fu nominato canonico a
Cagliari, dove divenne decano del capitolo negli anni in cui il confronto con
Sassari per il primato si fece più teso,
scontrandosi spesso con lo zio Andrea.
Nel 1615 fu nominato vescovo di Bosa.
[MASSIMILIANO VIDILI]
Bacallar, Vincenzo IV Letterato e diplomatico (Cagliari 1669-L’Aia 1726).
Compiuti gli studi nella sua città, nel
1702 fu inviato a Madrid per perfezionarsi e qui ebbe modo di mettersi in
luce soprattutto per le sue capacità e
per la sua grande cultura. Tornato in
Sardegna nel 1703, nominato capitano
delle Torri e, poco dopo, governatore
364
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 372
Bacaredda
del Capo di Cagliari, fu subito coinvolto nelle fazioni che dividevano l’aristocrazia sarda negli anni della guerra
di successione spagnola. Quando il
conflitto entrò nel vivo, egli si schierò
nel partito favorevole a Filippo V per
cui, dopo l’invasione austriaca, nel
1708 fu costretto a fuggire a Madrid
dove incontrò gli altri altri fuorusciti.
A corte ottenne credito e nel 1710
ispirò l’infelice tentativo di riconquista della Sardegna; negli stessi anni si
fece notare negli ambienti letterari
della capitale. Fallita l’impresa sarda,
tornò a corte distinguendosi per le sue
capacità diplomatiche; nel 1714 fece
parte della delegazione che trattò la
pace di Utrecht, successivamente fu
nominato ambasciatore a Genova.
Nella nuova sede, informato dal cardinale Alberoni dell’imminente spedizione in Sardegna, si adoperò per facilitare il ritorno dell’isola alla Spagna.
Fallita la spedizione, egli continuò la
sua missione a Genova divenendo negli anni successivi un punto di riferimento della politica spagnola in Italia.
Nel 1725 il re lo inviò come ambasciatore in Olanda ma morı̀ improvvisamente all’Aia nel 1726. Scritti principali: Los Tobias, edito a Madrid nel
1709, Comentarios de la guerra de
España y Historia del rey Phelipe V el
Animoso desde el principio de su reynado hasta la paz general del año de
1725, pubblicato a Genova nel 1725.
Bacallar, Vincenzo Anastasio III Gentiluomo (Cagliari 1621-ivi 1650). Figlio
di Anastasio, educato da sua madre e
sua nonna, succedette al padre nell’ufficio di reggente la Reale Tesoreria.
Uomo dotato di grandi capacità, rese
notevoli servizi all’amministrazione
reale durante i moti napoletani e fu
ammesso, primo della famiglia, allo
Stamento militare (= Stamenti). Prese
parte ai lavori del parlamento Avel-
lano e fu nominato cavaliere di Santiago; purtroppo però anche lui morı̀
giovanissimo nel 1650 a soli trent’anni.
Bacaredda Famiglia cagliaritana di
origine ligure (sec. XVIII-esistente).
Le sue notizie risalgono alla fine del
secolo XVIII; di condizione borghese i
B. nel corso del secolo XIX raggiunsero
una posizione ragguardevole esprimendo alcune distinte personalità tra
cui Ottone, uno dei più grandi sindaci
di Cagliari. Suo figlio Efisio fu brillante prefetto di carriera, e dopo il
1930 ottenne la nobiltà e fissò stabilmente la famiglia nella penisola. Attualmente i B. sono rappresentati dai
discendenti dei figli di Efisio, Aldo e
Mario.
Bacaredda, Antonio Funzionario, letterato (Cagliari 1823-Napoli 1904).
Compiuti gli studi, entrò nell’amministrazione delle dogane e percorse una
brillante carriera in diverse città del
continente, giungendo fino al grado di
dirigente superiore del Ministero
delle Finanze. Il suo lavoro non gli impedı̀ di dedicarsi alla letteratura; ispirandosi allo Scott e al Manzoni scrisse
numerosi drammi storici e alcuni romanzi storici di successo che ne fecero
un precursore rispetto agli altri romanzieri sardi che si dedicarono allo
stesso genere. Scritti principali: I misteri e un giuramento, dramma, 1847;
Pier Maria, dramma, 1848; Il mago, melodramma giocoso, 1856; Angelica, novella sarda, 1862; La crestaia, 1864;
Paolina, racconto, 1869; Monografia
sulla musica, ‘‘Rivista europea’’, 1870;
Vincenzo Sulis, bozzetto storico, 1871; Il
bene dal male, racconto, ‘‘Rivista europea’’, 1871; Sull’individualismo, ‘‘Rivista europea’’, 1874; Sull’orlo dell’abisso,
1881; La Sardegna sotto il reggimento
del Piemonte e dell’Italia, ‘‘Avvenire di
Sardegna’’, 1882; Nuvoloni, 1887; Religione e politica, 1903.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 373
Bacaredda
Bacaredda, Efisio1 (noto con lo pseud.
Emilio Bonfis) Scrittore (Cagliari 1824-ivi
1884). Padre di Ottone, scrisse preferibilmente sotto lo pseudonimo di Emilio Bonfis. Completati gli studi, entrò
nell’amministrazione delle finanze
percorrendo una brillante carriera
che lo portò a risiedere per anni a Genova e a Firenze. Gli impegni di lavoro
non gli impedirono di dedicarsi all’attività letteraria pubblicando alcune
opere di narrativa e di carattere storico. Morı̀ dopo essere tornato nella
sua città. Il suo scritto principale è Cagliari ai miei tempi, 1884.
Bacaredda, Efisio2 (o Ottorino) Musicista (Cagliari 1884-ivi 1950). Figlio di Ottone, conseguita la laurea in Legge entrò nella carriera del Ministero dell’Interno. Fu in diverse sedi tra cui Lucca,
Pavia, Parma, Napoli e raggiunse il
grado di prefetto. Uomo di grande sensibilità musicale, fu anche un ottimo
pianista e si esibı̀ spesso in concerti
pubblici in diverse città d’Italia.
Bacaredda, Ottone Avvocato, uomo
politico (Cagliari 1849-ivi 1921). Sindaco di Cagliari, deputato al Parlamento. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza nel 1871, fece le sue prime
esperienze letterarie e si affacciò al
mondo politico facendosi notare per le
sue qualità di oratore. Nel 1877 iniziò a
insegnare diritto all’Università e fece i
primi passi in politica; fu eletto consigliere comunale nel 1886, l’anno successivo fu nominato assessore nella
giunta di Emanuele Ravot. Assessore
fino al 1888, nel 1890 divenne sindaco,
iniziando cosı̀ l’esperienza più significativa della sua vita. Rappresentante
delle idee della borghesia emergente,
il suo governo segnò la rottura definitiva con il passato; tenne l’incarico
ininterrottamente fino al 1902, capeggiando sei giunte e dominando la vita
politica della città di cui guidò la tra-
sformazione urbanistica e sociale. Al
culmine del prestigio di amministratore, nel 1900, fu eletto deputato; non
soddisfatto dell’esperienza, si dimise
nel 1903 tornando a occuparsi dei problemi della città. Nel 1905 divenne
nuovamente sindaco e nel 1906, coinvolto nello sciopero contro il carovita
e i sanguinosi disordini che ne seguirono, sembrò vacillare per qualche
tempo (di quei giorni lasciò memoria
in un pamphlet ironicamente intitolato Ottantanove cagliaritano, 1909).
Nel 1911 fu ancora eletto sindaco;
tenne l’incarico fino al 1917 quando la
città a causa della guerra venne amministrata da un commissario prefettizio.
Rieletto sindaco nel 1920, morı̀ ancora
in carica. Vasta è la sua produzione letteraria della quale è in corso una edizione critica. Numerosi furono i suoi
studi di carattere politico: alcuni, oltre
che testimoniare della sua passione
politica, sono utili documenti per la
storia cagliaritana del secondo Ottocento. Scritti principali: Le fortificazioni della Sardegna, ‘‘Avvenire di Sardegna’’, 1872; Cuore di donna, racconto,
1872; Un uomo d’onore, racconto, 1873;
Roccaspinosa, 1874; La donna di fronte
alla legge penale, 1877; L’amico d’Infanzia, 1879; Bozzetti sardi, 1881; La libertà
civile nelle legislazioni antiche e moderne, 1882; Elementi di diritto commerciale, 1883; Casa Carniola, 1884; Poesie
dialettali, ‘‘Vita Sarda’’, 1891; Invito alle
signore sarde a fare una bandiera per la
corazzata ‘‘Sardegna’’, 1891; I nostri
maestri, ‘‘La stella di Sardegna’’, VII,
13, 1886; Inaugurandosi il vessillo del
circolo universitario di Cagliari, 1904;
Nel giubileo della società degli operai,
1905; Il movimento operaio e il nuovo
diritto, in Le nozze d’oro della società
operaia di Cagliari, 1905; La politica del
buon mercato nella storia economica
della Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’,
366
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 374
Bacco
1909; L’Ottantanove cagliaritano. Note
di cronaca, Valdés 1909; Discorso al consiglio provinciale, 1910; Lettera a proposito della ‘‘Canzone della Diana’’ di Gabriele D’Annunzio, ‘‘L’Unione sarda’’,
1911; Relazione del sindaco Ottone Bacaredda sull’opera dell’amministrazione comunale di Cagliari, 1914; La
gioia di vivere, 1922.
Bacciameo di Maglio Giureconsulto
pisano (sec. XIII). Con Simone Martelli
e Baccio Gondulini nel 1319 scrisse, su
incarico dei consoli del castello di Castro, il capitolo sui noli marittimi che
fu aggiunto al Breve del porto di Cagliari.
Bacciu, Filippo Religioso (Buddusò
1838-Ozieri 1914). Vescovo di BisarcioOzieri dal 1896 al 1914. Uomo di profonda spiritualità, dopo essere stato ordinato si laureò in Teologia a Sassari
nel 1863 e in Filosofia a Firenze; tornato in Sardegna, insegnò per molti
anni presso il Seminario di Sassari.
Nel 1875 fu nominato canonico della
cattedrale di Ozieri e nel 1896 vescovo
della diocesi. Diede impulso alle opere
di carità e fondò una congregazione di
religiose che da lui presero il nome di
suore Filippine. [MASSIMILIANO VIDILI]
Bacco, Carlo Prefetto di Cagliari (Correzzola 1841-?, dopo 1906). Laureato in
Giurisprudenza, intraprese la carriera
di funzionario del Ministero degli Interni. Dalla sede di Cuneo fu destinato
a quella di Cagliari nell’ultimo quarto
del secolo XIX, e da qui per molti anni
fu attento osservatore dei problemi
dell’isola. Dal 1893 al 1894 – in concomitanza con il dibattito intorno all’incarico affidato da Crispi al deputato
Francesco Pais Serra di redigere una
relazione sulle condizioni della sicurezza in Sardegna e sui suoi problemi
– fu prefetto di Cagliari, e nel 1898 si
fece promotore di una proposta di
legge speciale per la Sardegna che
ebbe un discreto successo e fece discutere a lungo; resse l’ufficio fino al 1895
quando fu destinato a Rovigo. Nel 1906,
da prefetto di Macerata, fu collocato su
sua richiesta a riposo. Scritti principali: Miglioramento agricolo ed igienico
della Sardegna, 1894; Proposta di una
legge speciale su pubblici lavori pel miglioramento agricolo e igienico della
Sardegna, 1894.
Bacco, Ginetto Archeologo (n. Busachi
1943). Divenuto funzionario della Soprintendenza archeologica di Cagliari
si è dedicato con passione alla ricerca.
Dal 1963 al 1968 ha lavorato con Vincenzo Santoni a Serucci, negli anni
successivi ha preso parte a numerosi
altri scavi: nel 1978 ha diretto con la
Mongiu gli scavi di viale Trieste a Cagliari. Dal 1982 al 1986 ha scavato l’importante nuraghe Piscu di Suelli.
Scritti principali: Busachi paese antico,
‘‘Frontiera’’, 1970; L’isolato A del villaggio nuragico di Seruci-Gonnesa. Lo
scavo della capanna n. 5 (con Vincenzo
Santoni), in Un millennio di relazioni
tra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987; Lo
scavo del nuraghe Candala di Sorradile.
Saggio preliminare. L’indagine stratigrafica (con Vincenzo Santoni), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 4, 1988; L’isolato A del villaggio
nuragico di Seruci-Gonnesa. Lo scavo
dei vani 3 e 6 (con Vincenzo Santoni),
‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari
e Oristano’’, 5, 1989; Soleminis. Documenti materiali di Età nuragica (con
Vincenzo Santoni), in Soleminis un
paese e la sua storia, 1991; Il complesso
nuragico di Su Monte in territorio di Sorradile (con Vincenzo Santoni), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeolo-
367
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 375
Baccu Locci
gica per le province di Cagliari e Oristano’’, 8, 1991; L’orizzonte neolitico superiore di Cuccuru S’Arriu di Cabras
(con Vincenzo Santoni e D. Sabatini),
in La cultura di Ozieri. La Sardegna e il
Mediterraneo tra il IV e il III millennio
a.C., 1997; Forum Traiani: il contesto
termale e l’indagine archeologica di
scavo (con P.B. Serra), in L’Africa Romana. Atti del XII Convegno di studi,
1998.
che sfruttò i giacimenti fino al 1927.
Negli anni successivi la miniera rimase inattiva per cui nel 1933 la concessione fu revocata alla società francese; nel 1935 però due imprenditori
romani ottennero il permesso di sfruttare l’arsenico. Quando i due si apprestavano a iniziare le loro attività, nel
1938 la concessione fu data alla Rumianca che, eliminati i due concorrenti, aprı̀ tre nuovi cantieri per l’estrazione dell’arsenico. Nell’immediato dopoguerra li potenziò attivando
anche un impianto di flottazione; nel
1952 fu messa in opera una teleferica
per facilitare il trasporto del materiale. Intanto cominciavano a manifestarsi delle perplessità sui metodi di
lavorazione e ben presto ne fu denunciata la pericolosità; lo sfruttamento
procedette però fino al 1965, quando
l’impianto fu abbandonato.
Baccu Locci – Miniera di piombo e arsenico nel
salto di Quirra, fu scoperta all’inizio
dell’Ottocento e sfruttata a partire dalla
seconda metà del secolo.
Baccu Talentinu Miniera di piombo e
Baccu Locci Miniera di piombo e di arsenico situata nel salto di Quirra alle
pendici del monte Cardiga; fu individuata nel 1812 dal sacerdote Carlo Negretti, che vi scoperse anche tracce di
una precedente utilizzazione risalente
al periodo romano. Il suo sfruttamento
iniziò nel 1866 a opera della società
Sardo Belga che aprı̀ gli impianti nelle
località di Su Spilloncargiu e di Su Spinosu per avviare lo sfruttamento dei
giacimenti di blenda e galena che vi si
trovavano. Nel 1873 la miniera passò
alla società dei De Laminne, che però
organizzò male i cantieri per cui gli impianti furono ceduti nel 1896 all’ingegner Emilio Jacob che già possedeva
alcune altre miniere in Sardegna. Egli
però cedette quasi subito la miniera a
una società francese, la Compagnia
Francese delle Miniere del Laurium,
rame situata in Ogliastra nei territori
del comune di Tertenia; le ricerche nel
sito ebbero inizio nel 1870 a opera della
Società di Lanusei che diede inizio anche alle attività di coltivazione. Nei decenni successivi la miniera continuò a
essere sfruttata e progressivamente
estese il raggio di intervento, giungendo al suo massimo sviluppo nel secondo dopoguerra quando arrivò a occupare fino a 200 operai. L’attività si
interruppe negli anni Settanta del Novecento.
Bachisio, san (in sardo, Santu Bachis)
Santo (m. 303?). Origini aristocratiche,
alto ufficiale dell’esercito, al servizio
di Massimiano. Diventato cristiano,
denunciato nel 303, non volle sacrificare agli dei, venne degradato e condotto per la città in abiti femminili.
Fatto arrestare dal prefetto Antioco,
dopo essere stato torturato con catene,
sferze e altri tormenti, fu decapitato.
Un’altra leggenda lo vuole martire a
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 376
Bacu Abis
Barbalisso, città siriana sulle sponde
dell’Eufrate, il 6 ottobre del 295. Suo
compagno di fede e di martirio, Sergio.
Entrambi sepolti nella chiesa di Sergiopoli in Siria. Ed entrambi patroni
dell’esercito per i Bizantini, i quali
per primi diffusero il culto dei santi militari, guerrieri, campioni nel difendere
la fede. San Bachisio non è riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, il
nome è proprio dell’area nuorese.
[ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrono di Bolotana insieme a Sant’Isidoro.
Festa Si festeggia il 10 maggio a Bolotana e Loceri (dove viene festeggiato
anche il 5 ottobre), la seconda domenica di maggio a Telti e Tempio Pausania, il 28-29 maggio a Onanı̀.
Bacor Antico villaggio di origini medioevali. Situato nel giudicato di Gallura,
faceva parte della curatoria di Balariana. Estinta la dinastia dei Visconti,
il villaggio venne in possesso del Comune di Pisa che lo fece amministrare
da propri funzionari. La loro eccessiva
fiscalità creò un notevole malcontento
tra gli abitanti, gelosi custodi della propria autonomia. Iniziata la guerra di
conquista, gli Aragonesi invasero il territorio e lo occuparono ma non riuscirono a piegare la sorda opposizione
della popolazione; essi inclusero B. in
un feudo riconosciuto ai Catoni che
però, dopo la rivolta del 1325, furono
cacciati da Sassari e privati del feudo.
Nel 1330 il villaggio fu occupato dalle
truppe di Raimondo Cardona e poco
dopo passò a Catonetto Doria, erede
dei Catoni. Egli si insediò nel possedimento ma nel 1332, scoppiata la guerra
tra Genova e Aragona, gli abitanti si ribellarono nuovamente. In seguito B.
visse momenti di grande confusione e
cominciò a spopolarsi; dopo la nuova
ribellione dei Doria del 1347, il re ritenne opportuno concedere tutto il ter-
ritorio in feudo a Giovanni d’Arborea.
Ma quando il giudice Mariano suo fratello pretese da lui l’omaggio feudale,
lo sventurato si rifiutò e per questo fu
fatto incarcerare. B. continuò a soffrire
a causa delle continue guerre e si spopolò rapidamente entro il 1356.
Bacu Antico villaggio di origine medioevale situato ai confini del territorio
comunale di Dolianova con quello di
Serdiana in località Cuccureddus; faceva parte del giudicato di Cagliari ed
era compreso nella curatoria di Dolia.
Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di
Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro
la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa che lo fece amministrare
da suoi funzionari. Dopo la conquista
aragonese, il villaggio nel 1324 entrò a
far parte del Regnum Sardiniae e nel
1328 fu concesso in feudo a Clemente
Salavert. Dopo la sua morte i discendenti nel 1342 lo vendettero a Giacomo
Camos. Nel 1348 si spopolò quasi completamente a causa della peste; poco
dopo il Camos cedette il villaggio, che
aveva conservato una parte della propria autonomia e che annualmente
eleggeva il suo majore, al fisco. Dopo
la celebrazione del Parlamento del
1355, B. fu nuovamente concesso in
feudo ai Montpavon, i quali, scoppiata
la seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV, non riuscirono a impedire che il
villaggio fosse danneggiato dalle operazioni militari e si spopolasse completamente entro il 1373.
Bacu Abis Centro abitato della provincia di Carbonia-Iglesias, frazione di
Carbonia (da cui dista 12 km), con oltre
1800 abitanti, posto a 85 m sul livello
del mare in un territorio di colline carbonifere dell’Iglesiente. Regione storica: Sulcis. Diocesi di Iglesias.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 377
Bacu Abis
& TERRITORIO Il territorio, collocato
nella parte settentrionale di quello comunale, ai confini con Gonnesa e Iglesias, è costituito di colline piuttosto
spoglie, ricoperte soprattutto di macchia mediterranea e gariga; è separato
da quelle in cui sorge Carbonia dalla
larga vallata del Cixerri. La frazione è
collegata per mezzo di una bretella alla
statale 126 nel tratto Iglesias-Carbonia,
dalla quale a questa altezza si distacca
la deviazione per il vicino litorale di
Portoscuso. La stazione ferroviaria è a
5 km, a Barbusi (=), lungo la linea Cagliari-Carbonia.
& STORIA Fin dagli inizi dell’Ottocento il territorio era conosciuto per
le sue potenziali possibilità estrattive
nel settore del carbone; ma la scoperta
del bacino risale al 1851 ed è attribuibile a Ubaldo Millo che nel 1853 ebbe la
prima concessione mineraria per B.A.
Egli costituı̀ una società mineraria ma
non fu in grado di avviare lo sfruttamento e nel 1873 cedette la concessione ad Anselmo Roux, che può essere
considerato il vero fondatore dell’insediamento. Egli costituı̀ la Società Anonima della Miniera di B.A. e diede
grande impulso allo scavo e allo sviluppo degli impianti riuscendo a concludere nel 1877 un contratto per la fornitura di carbone alle navi della Marina militare e collegandosi con la
Monteponi, che utilizzava il carbone
estratto nella miniera per i propri impianti. In questo periodo sorsero i
primi capannoni per il ricovero degli
operai e l’attività intorno alla miniera
si fece continuativa e stabile. Nei decenni successivi il piccolo impianto
continuò a essere produttivo; poi, a
partire dal 1933, quando gli eredi del
Roux cedettero la miniera alla Società
Mineraria Carbonifera Sarda, il piccolo centro ebbe un deciso impulso di
crescita. Nel 1935 il complesso fu con-
trollato dall’Azienda Carboni Italiani e
incluso nel piano per lo sviluppo urbanistico di Carbonia, inaugurata il 18 dicembre 1938. B.A., passato al nuovo comune da Gonnesa, cui faceva capo in
precedenza, assunse in questi anni la
fisionomia che attualmente ha, e il suo
sviluppo fu programmato; furono anni
di grande crescita dovuta alla politica
autarchica del governo e alle necessità
della guerra. Il villaggio assunse le caratteristiche di centro satellite rispetto a Carbonia, ma dopo la fine della
seconda guerra mondiale subı̀ un rapido processo di spopolamento a causa
della crisi delle miniere di carbone; gli
impianti furono chiusi e il sistema socio-economico di B.A. divenne sempre
più dipendente da quello di Carbonia;
ancora nel 1981 contava circa 2000 abitanti, ma dagli anni che seguirono il
processo di spopolamento non si è più
arrestato, anche se per il carbone
sardo sembra riaprirsi una stagione di
speranze.
& ECONOMIA La sua economia era basata sull’attività di estrazione della lignite nella vicina omonima miniera;
con la grande crisi del settore e il fermo
dell’attività estrattiva l’economia si è
integrata con quella della vicina Carbonia ed è basata sui servizi. Servizi.
La frazione è servita da autolinee per
Carbonia ed è collegata alla rete stradale principale; dispone della guardia
medica, della farmacia, della scuola
dell’obbligo.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di impianti minerari dismessi; in particolare di grande effetto
e importanza sono i resti del pozzo di
caricamento dell’omonima miniera.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il suo assetto urbanistico è conseguenza della programmazione con la
quale fu impostato lo sviluppo di Carbonia e ricorda quello della città ma-
370
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 378
Badas
dre e della vicina Cortoghiana (=). Di
particolare pregio la chiesa parrocchiale di Santa Barbara costruita nel
1938, con una sola navata, ingentilita
da un portico esterno: stilisticamente,
una libera rielaborazione di antichi
modelli medioevali.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
L’unica festa che si riallaccia alle tradizioni minerarie del centro è quella di
Santa Barbara, patrona dei minatori,
che si celebra nella seconda domenica
di agosto.
Bacuri Antico villaggio di origine medioevale che sorgeva a poca distanza
da Monti; faceva parte del giudicato di
Torres, compreso nella curatoria di
Montacuto. Estinta la famiglia giudicale di Torres, fu lungamente conteso
tra i Doria, gli Arborea e i giudici di
Gallura; alla fine del secolo XIII il villaggio fu occupato dalle truppe arborensi che sembrava dovessero poter arrivare a controllare l’intera regione.
La situazione però mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno
che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista
della Sardegna, nel 1308 ne ottennero
l’investitura; pur non rinunciando alle
proprie aspirazioni, gli Arborea dovettero prendere atto della nuova situazione. Con l’arrivo degli Aragonesi,
quando nel 1325 i Doria si ribellarono
al re, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea, allora alleato degli Aragonesi, conquistato e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei
Doria si combatterono aspramente
per il controllo del territorio e nel
1339 B. fu compreso nei territori che il
re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma quando Mariano
IV divenne giudice, pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale
e questi, avendo ottenuto il Montacuto
dal re, si rifiutò e per questo fu fatto
arrestare da Mariano. Negli anni che
seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV, B. subı̀ continue
devastazioni per cui andò spopolandosi.
Badas, Ubaldo1 Architetto (Cagliari
1904-ivi 1985). È considerato uno dei
maggiori tra gli architetti sardi del secolo XX. Dopo aver completato gli
studi entrò come assistente nell’Ufficio tecnico del Comune di Cagliari
dove lavorò per alcuni anni. Egli cosı̀
divenne l’artefice della sistemazione
urbanistica della passeggiata del Terrapieno di Cagliari, dei Giardini Pubblici e della Palazzina della Galleria
Comunale d’Arte, i cui lavori furono
deliberati nel 1928 e portati a termine
nel 1933; negli stessi anni portò a termine la cosiddetta ‘‘Casa del povero’’
in viale Fra Ignazio e la Scuola all’aperto ‘‘Mereu’’. A lui si deve inoltre il
Sacrario ai caduti della via Sonnino;
cessata la collaborazione con il Comune di Cagliari continuò a operare
come libero professionista, progettando numerosi altri palazzi di Cagliari. Nel secondo dopoguerra operò
a Sassari: a lui si devono la struttura
del Padiglione dell’Artigianato e altri
interessanti interventi. Ma il contributo dato alla nuova fase dell’artigianato sardo è rappresentato soprattutto
dalla collaborazione con Eugenio Tavolara, col quale progettò e guidò per
conto dell’ISOLA (Istituto Sardo per
l’Organizzazione del Lavoro Artigiano)
il rinnovamento dell’arte popolare isolana. Uomo dai molteplici interessi,
collaborò anche a ‘‘Mediterranea’’ e a
‘‘Fontana Viva’’ e dipinse numerosi
quadri, che però non volle mai esporre.
Badas, Ubaldo2 Archeologo (n. Cagliari 1937). Ha lavorato con Enrico Atzeni durante gli scavi del nuraghe e del
371
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 379
Badesi
villaggio di Genna Maria a Villanovaforru, diventando il suo principale collaboratore. Ha concorso ad allestire il
laboratorio di restauro e Museo archeologico di Villanovaforru che attualmente dirige. Scritti principali: Ceramica nuragica, in Territorio di Gesturi. Censimento archeologico, 1985;
Sommerso emerso. Rovine in archivio a
Villanovaforru, in La memoria lunga.
Le raccolte di storia locale dall’erudizione alla documentazione. Atti del Convegno di Cagliari 1984, 1985; I materiali
nuragici, in Gesturi, 1985; Genna Maria
Villanovaforru (Cagliari). I vani 10-18.
Nuovi apporti allo studio delle abitazioni di Corte Centrale, in Un millennio
di relazioni fra la Sardegna e i paesi del
Mediterraneo. Atti del II Convegno di
studi di Selargius 1986: la Sardegna nel
Mediterraneo tra il II e il I millennio
a.C., 1987; Villanovaforru (con Enrico
Atzeni), in I civici musei archeologici
nella provincia di Cagliari, 1988; Villanovaforru. Origine e finalità del Museo e
degli annessi e Villanovaforru. Guida al
percorso espositivo (con Enrico Atzeni,
Annamaria Comella e Cecilia Lilliu), in
L’Antiquarium arborense e i civici musei
archeologici della Sardegna, 1988;
Tomba ipogeica a Siddi loc. Scaba ’e Arriu (con E. Usai), in Atti del Congresso
internazionale su l’Età del rame in Europa, Viareggio 1987, ‘‘Rassegna di Archeologia’’, VII, 1988; Il nuraghe
Brunku Madugui di Gesturi: un riesame
del monumento e del corredo ceramico,
‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari
e Oristano’’, 9, 1992; Edifici nuragici: le
sopravvivenze archeologiche dell’aspetto originario e le proposte ricostruttive, in Esperienze e prospettive nel restauro delle costruzioni nuragiche, 1992.
Badesi Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella II Comunità montana, con 1852 abitanti (al
2004), posto a 102 m sul livello del
mare, sulle ultime propaggini delle
colline galluresi affacciate sulla parte
orientale del golfo dell’Asinara. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 27,38 km2 . Ha forma
grosso modo rettangolare e confina a
nord col mare e col territorio di Trinità
d’Agultu; a est ancora con Trinità e Aggius, a sud con Aggius e Valledoria, a
ovest con Valledoria e col mare. La natura granitica del suolo è più evidente
nella parte collinare della regione,
mentre nella parte costiera predominano le sabbie, che danno vita anche a
una zona di dune ricoperte di macchia
e a una spiaggia che si allunga sino alla
foce del Coghinas; nella piana che lambisce la riva del Coghinas si trovano
terreni alluvionali, molto fertili e
adatti all’agricoltura. Il paese è attraversato dalla strada secondaria che
proviene dall’interno, attraversando
Viddalba e alcune frazioni; da questa
prende l’avvio anche un collegamento
con Trinità d’Agultu; ma la strada più
importante è la Sassari-Santa Teresa
Gallura, che lambisce la periferia settentrionale; frequentatissima in estate
da villeggianti e turisti, viene gradatamente trasformata in scorrimento veloce; da quella parte ha inizio anche la
discesa che conduce a Badesi Mare.
& STORIA Il territorio su cui B. sorge
faceva parte nel Medioevo del giudicato di Gallura ed era compreso nella
curatoria di Montecarello. Nel secolo
XV era scarsamente frequentato e divenne completamente deserto dopo
che nel 1503 la diocesi di Ampurias fu
unita a quella di Civita. Il territorio fu
compreso nel vastissimo agro di Aggius
e per secoli frequentato da pastori erranti. Nel corso del secolo XVIII, come
vuole la tradizione, in località Li Pin-
372
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 380
Badesi
netti di lu Riu un certo Antonio Stangoni avrebbe costruito in prossimità
del rio Badu la sua casa, attorno alla
quale si formò uno stazzo che può essere considerato il nucleo storico di B.
La comunità ebbe incremento dai suoi
sette figli maschi, che occuparono il
territorio lasciandolo indiviso. La situazione rimase invariata per un paio
di generazioni, ma nel 1804 i 18 eredi
allora viventi ritennero di dover ricorrere a un atto pubblico che assegnasse
a ciascuno la sua proprietà; e cosı̀ fu
fatto, ma allo stesso tempo si stabilı̀ di
lasciare «comune per tutti» la regione
nella quale era sorto il primo nucleo
che poté cosı̀ svilupparsi. Nel corso
dell’Ottocento lo stazzo, che figura tra
le cussorge di Aggius, crebbe fino a raggiungere più di 600 abitanti ma era
privo, come dice una vecchia canzone
popolare, persino del camposanto e
della chiesa e dipendeva in gran parte
dalla più evoluta Trinità d’Agultu. Era
popolato prevalentemente da pastori,
rozzi e propensi alla violenza; nel corso
del secolo tuttavia si sviluppò e, con la
crisi economica della fine del secolo
che colpı̀ soprattutto l’allevamento, i
suoi abitanti seppero sfruttare le condizioni per un rilancio dell’agricoltura
che paradossalmente fece la fortuna
del villaggio. Nel corso del Novecento
il paese crebbe ulteriormente e nel
1969 ottenne finalmente l’autonomia
da Aggius. Nel 1971 la sua popolazione
superò i 1500 abitanti e nei decenni
successivi, grazie al turismo, ha continuato a crescere. Una eredità dell’insediamento sparso delle origini è la
presenza di tre frazioni, La Tozza, Muntiggioni e Azzagulta, allineate tutte
lungo la strada per Viddalba e affacciate, come il capoluogo, dalla collina
sulla piana del Coghinas.
& ECONOMIA La sua economia, in origine basata esclusivamente sull’alleva-
mento, oggi fa leva soprattutto sull’agricoltura, che viene praticata nella
piana del Coghinas e si concentra su
produzioni molto redditizie di pomodori e soprattutto di carciofi; buono anche lo sviluppo dell’olivicoltura e della
viticoltura, che si avvale della Cantina
sociale ‘‘La Marina’’ capace di produrre 2000 hl di un vino rinomato per
la sua robustezza. Ma l’elemento che
ha più movimentato la vita economica
di B. è stato in questi ultimi decenni
l’incremento dei flussi turistici, favoriti dalla presenza di un accogliente litorale sabbioso e dalla contiguità con
centri rinomati come Palau e Santa Teresa da un lato, Castelsardo e Stintino
dall’altro. B. può contare oggi su una
ricca serie di strutture ricettive che
vanno dagli alberghi (per un totale di
oltre 2500 posti letto) agli stabilimenti
balneari, dal campeggio a svariati ristoranti. Connesso al turismo opera un
certo numero di agenzie immobiliari,
imprese di costruzioni e altre attività
commerciali principalmente per la distribuzione dei beni di consumo. Vi
opera anche un’impresa per la lavorazione del granito.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1887 unità,
di cui stranieri 29; maschi 925; femmine 962; famiglie 692. La tendenza
complessiva rivelava una sostanziale
stabilità della popolazione, con morti
per anno 19 e nati 20; cancellati dall’anagrafe 21 e nuovi iscritti 19. Tra gli
indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 299 in migliaia di lire;
versamenti ICI 929; aziende agricole
275; imprese commerciali 134; esercizi
pubblici 8; esercizi all’ingrosso 2; esercizi al dettaglio 51; ambulanti 10. Tra
gli indicatori sociali: occupati 503; disoccupati 138; inoccupati 63; laureati
26; diplomati 214; con licenza media
479; con licenza elementare 577; anal-
373
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 381
Bados
fabeti 94; automezzi circolanti 794; abbonamenti TV 547.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di testimonianze del periodo romano, quando era percorso
dalla strada che dall’attuale Porto Torres conduceva verso la costa orientale;
in particolare, durante lo scavo di una
strada, fu trovato nel 1928 un ricco ripostiglio di monete romane.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’edificio più importante e certo tra i più antichi del paese
è la chiesa del Sacro Cuore, costruita
tra il 1897 e il 1900 su un terreno donato
da un certo Salvatore Stangoni per
sciogliere un voto. L’edificio, tutto in
granito, fu portato a termine tra mille
difficoltà economiche; la sua importanza crebbe negli anni successivi con
lo svilupparsi del villaggio e nel 1930 fu
dichiarato sede di una parrocchia autonoma rispetto a quella di Trinità d’Agultu. Di notevole valore naturalistico
le dune coperte di vegetazione – tra la
quale spiccano alcuni begli esemplari
di ginepro – che si stendono a ridosso
della spiaggia al di sotto del paese. La
parte più occidentale del litorale, battezzata di recente Baia delle Mimose, è
caratterizzata invece dalla presenza
della foce del Coghinas. Il Monti
Mannu, un piccolo rilievo che si leva a
3 km dal paese, ha valore naturalistico
perché ricoperto di lecci, sugheri e
macchia mediterranea, e paesaggistico perché offre un ottimo punto panoramico per osservare tutto il paesaggio sottostante, con la linea di costa e
oltre, sino all’articolato profilo dell’Asinara.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa patronale, dedicata al Sacro
Cuore, si svolge il 19 giugno e dura tre
giorni; si riallaccia alle tradizioni riconducibili ai tempi del primo sviluppo della comunità.
Bados, Bernardo Uomo d’armi (seconda metà sec. XIV). Appartenente a
una nobile famiglia catalana, si trasferı̀ in Sardegna nel 1360 per contribuire alla difesa dell’isola e ottenne alcune rendite sui feudi vacanti; nel 1362
ebbe in feudo Posada e Lodé ma, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV
e Pietro IV, non riuscı̀ a conservarne il
possesso. Dopo la ribellione di Alibrando de Açen fu nominato castellano
di Acquafredda, castello che era stato
confiscato al ribelle. Bernardo vi si stabilı̀ e lo difese con grande valore; morı̀
alcuni anni dopo senza eredi.
Baeza, Roderigo Hunno Umanista cagliaritano (sec. XVI). Di lui si sa poco:
secondo Francesco Alziator, che ne
studiò a fondo l’opera, potrebbe essere
stato un sacerdote. Egli fu l’autore dell’opera in versi Caralis Panegyricus,
importante per la conoscenza della Cagliari del tempo, rimasta manoscritta
nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e pubblicata dopo il 1950 dallo
stesso Alziator.
Baffico, Mario Regista cinematografico (n. La Maddalena 1907). Esordı̀ nel
giornalismo cinematografico scrivendo alcuni fortunati saggi; a partire
dal 1938 si impose all’attenzione generale dirigendo alcuni film tra cui Terra
di nessuno, Amanti senza peccato e
Trent’anni di servizio. Fu anche abile
documentarista e tra i primi a organizzare i cineclub in Italia. Tra i suoi
scritti principali, Profili di Hollywood.
Dei e semidei del ’900, 1930.
Bafico, Susanna Archeologa (n. sec.
XX). Dopo aver conseguito la laurea in
Lettere ha collaborato con la Soprintendenza archeologica per le province
di Sassari e Nuoro. Dal 1982 ha iniziato
a scavare nel villaggio nuragico di Sant’Imbenia presso Alghero continuando
anche negli anni successivi; attualmente è considerata tra i maggiori
374
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 382
Baggio
esperti del rapporto tra civiltà nuragica e Fenici. Nel 1988 ha concorso
alla costituzione della sezione archeologica del Museo del Logudoro-Meilogu a Torralba. Scritti principali: Materiale d’importazione dal villaggio nuragico di Sant’Imbenia, in Società e cultura in Sardegna nei periodi orientalizzante e arcaico. Rapporti fra Sardegna,
Fenici, Etruschi e Greci, 1986; Nuove acquisizioni cronologiche ed architettoniche sul nuraghe S. Antine di Torralba
(con G. Rossi), in Un millennio di relazioni tra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studio
di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C.,
1987; Il nuraghe di Santu Antine di Torralba. Gli scavi e i materiali (con G.
Rossi), in Il nuraghe di S. Antine in Logudoro-Meilogu, 1988; Torralba, la sezione prenuragica e nuragica (con G.
Rossi), in L’Antiquarium arborense e i
civici musei archeologici della Sardegna, 1988; Monte d’Accoddi e la cultura
d’Ozieri (con T. Mannoni, G. Rossi e S.
Tiné), in La cultura d’Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni. Atti del I Convegno di studi Ozieri 1986, 1989; Le ceramiche del Saggio XXIII di Monte d’Accoddi (con G. Rossi), in Monte d’Accoddi
e la cultura d’Ozieri, 1989; Una proposta
di attribuzione cronologica per le ceramiche decorate dal nuraghe Santu Antine di Torralba (con G. Rossi), in Un
millennio di relazioni fra la Sardegna e
i paesi del Mediterraneo. Atti del III Convegno di studi di Selargius 1987: la Sardegna nel Mediterraneo tra il Bronzo
medio e il Bronzo recente (XVI-XIII
sec.), 1992; Il villaggio nuragico di S. Imbenia ad Alghero. Nota preliminare (con
R. D’Oriano e F. Lo Schiavo), in Atti del
III Congresso Internazionale di Studi fenici e punici, I, 1995; Fenici e indigeni a
S. Imbenia (con I. Oggiano, D. Ridge-
way, G. Garbini), in I Fenici in Sardegna, 1997.
Bagedda, Bruno Avvocato, consigliere
regionale (n. Nuoro 1921). Dopo aver
conseguito la laurea è divenuto avvocato penalista tra i più apprezzati. Militante nella Destra è stato eletto consigliere regionale per il Movimento Sociale Italiano nel collegio di Nuoro per
la II e IV legislatura; l’impegno politico
non gli ha però fatto mai lasciare
quello professionale.
Bagella, Michele Economista (n. Sassari 1939). Si è laureato a Roma nel
1963 dedicandosi da subito alla ricerca
e all’attività accademica presso l’Istituto di Studi economico-finanziari
della stessa Università. Negli anni seguenti si è specializzato presso la
Scuola di studi europei e a Cambridge
dove si è fermato fino al 1970. Tornato
in Italia ha ottenuto l’incarico di Politica finanziaria presso l’Università di
Sassari dal 1971. Nel 1983 ottiene l’insegnamento alla LUISS di Roma e nel
1984 il trasferimento presso l’Università di Cagliari dove insegna fino al
1986. Nello stesso anno si trasferisce
presso l’Università di Tor Vergata a
Roma dove dal 1987 dirige il Dipartimento di Economia. Ha pubblicato numerosi volumi e articoli di carattere
economico.
Baggiani, Giorgio Musicista (n. Milano
1965). Milanese di nascita, si è però formato e diplomato in tromba al Conservatorio di Cagliari nel 1984; in seguito
si è specializzato a Parigi, a Nizza e a
Utrecht conseguendo numerosi altri
diplomi e attestati. Dal 1989 insegna
tromba a Cagliari e collabora con diversi complessi jazz; ha ottenuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale.
Baggio, Sebastiano Cardinale, arcivescovo di Cagliari dal 1969 al 1973
(Rosà 1913-Roma 1993). Laureatosi in
375
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 383
Baghino
Diritto canonico alla Gregoriana a
Roma, divenne sacerdote nel 1935. Entrato nella diplomazia vaticana percorse una rapida carriera: nel 1953 fu
nominato arcivescovo titolare di Efeso
e fu nunzio in Cile e in Brasile. Nel 1969
fu creato cardinale e nominato arcivescovo di Cagliari. Governò la diocesi
fino al 1973 quando fu trasferito a
Roma come prefetto della Sacra Congregazione dei vescovi.
Baghino, Eusebio Consigliere regionale (n. Sant’Antioco 1934). Dopo la
laurea in Agraria si è dedicato alla
vita politica militando nella Democrazia Cristiana. Nel 1969 è stato eletto
consigliere regionale per la DC nel collegio di Cagliari per la VI legislatura;
in seguito è stato ininterrottamente
rieletto nello stesso collegio per la VII,
VIII, IX e X legislatura fino al 1994. Negli anni del suo mandato è stato assessore ai Trasporti dal gennaio 1977 all’ottobre 1978 nella seconda giunta
Soddu, all’Ambiente dal dicembre
1978 al giugno 1979 nella terza giunta
Soddu; ancora assessore ai Trasporti
dall’ottobre 1979 al settembre 1980
nelle due giunte Ghinami e dal luglio
1982 al giugno 1984 nella giunta Rojch.
Nel 1989 durante la X legislatura è
stato eletto vicepresidente del Consiglio regionale, ma nel dicembre del
1991 si è dimesso per entrare a far
parte della giunta Cabras come assessore ai Lavori pubblici, incarico che ha
tenuto fino al dicembre 1992. I molteplici impegni istituzionali non gli
hanno impedito di divenire uno dei
leader della Democrazia Cristiana
sarda. Andreottiano, quando Andreotti
fu presidente del Consiglio è stato suo
consulente per gli affari relativi alla
Sardegna. Dopo una lunga parentesi
nel 2001 è stato eletto sindaco della
sua città natale.
Baglioni, Silvestro Fisiologo (Bel-
monte Piceno 1876-Roma 1957). Dedicatosi all’insegnamento universitario,
percorse una brillante carriera. A partire dal 1913 insegnò presso l’Università di Sassari e in seguito presso
quelle di Pavia e di Roma. Nel 1918 divenne membro corrispondente dell’Accademia dei Lincei. Appassionato
alla storia della musica, ha tra i suoi
scritti: I. Contributo alla conoscenza
della musica naturale; II. Strumenti
musicali sardi; III. Ulteriori ricerche
sulle launeddas, 1910-1911.
Bagnaria Termine genericamente riferibile alla parte di Cagliari dove in periodo punico-romano si svolgevano le
attività commerciali connesse alla vita
del porto. Corrisponde all’attuale
quartiere della Marina (=) dove i recenti scavi condotti nell’area della
chiesa di Sant’Eulalia hanno riportato
alla luce importanti testimonianze che
permettono di ricostruire, seppure a
grandi linee, la storia del quartiere e
della città a partire dal secolo III a.C.
ai giorni nostri.
Bagolaro (o spaccasassi) Pianta arborea
caducifoglia della famiglia delle Ulmacee (Celtis australis L.). Longevo, il b.
può raggiungere i 20 m di altezza. Viene
detto anche spaccasassi per la sua capacità di crescere e radicare sulle
rocce. Ha tronco dritto e molto ramificato, chioma arrotondata, corteccia liscia grigio cenere, foglie semplici, alterne, con lamina asimmetrica. Fiori
ermafroditi, verdastri e pelosetti,
poco vistosi, all’ascella fogliare. Frutti
globosi, molto appetiti dagli uccelli.
Fiorisce a marzo, subito dopo la fogliazione, e i frutti maturano in autunno. È
una pianta mellifera. Cresce spontaneo ai margini dei boschi o tra la macchia; predilige le zone più calde della
costa, ma si può trovare in ambienti
montani e freschi. Ha un’ampia diffusione sul monte Arci. Il legno, duro,
376
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 384
Baiocchi
compatto ed elastico, viene usato per
fare fruste e stecche da biliardo. In
Sardegna era ricercato per gli strumenti agricoli e per il giogo dei buoi. È
ottimo per fare legna e carbone. Il
frutto è commestibile e dal seme (usato
dai ragazzi come proiettile per cerbottana) si ricava olio. La corteccia viene
usata nell’industria conciaria e la radice in quella tintoria (giallo). Nella
medicina popolare si usa un decotto di
foglie come antiemorragico. Nomi
sardi: sugráxa (campidanese); sulzága
(Marghine e Planargia); ugliáke, urriáke (barbaricino). [MARIA IMMACOLATA
pan Cup e l’anno successivo fallisce di
un soffio l’ammissione ai Giochi Olimpici coreani (la squadra italiana viene
eliminata dalla fortissima URSS). Nel
1988, dopo aver totalizzato 119 presenze in Nazionale, torna a Sassari in
seno alla ‘‘Silvio Pellico’’, la squadra
che l’aveva lanciata. [GIOVANNI TOLA]
BRIGAGLIA]
Baiardo, Leila Poetessa, narratrice (n.
Castelsardo 1927). Sin da giovane ha
vissuto fuori della Sardegna; ha pubblicato alcune raccolte di versi che
per la loro delicatezza e musicalità
hanno attirato su di lei l’attenzione
della critica, L’inseguimento, 1976,
versi, e il romanzo Sogno d’amore,
1983, che lo storico della letteratura
Nicola Tanda (=) ha definito «una
sorta di beffardo Satyricon alle soglie
del Duemila».
Baiardo, Rosanna Atleta (n. Sassari,
sec. XX). Cresciuta nella gloriosa società di pallavolo ‘‘Silvio Pellico’’ di
Sassari, raggiunge con essa la serie B
e manca di un soffio l’ammissione alla
A2. Si trasferisce quindi nel continente
e viene convocata nella nazionale, con
la quale nel 1982 disputa i mondiali in
Perù. L’anno successivo partecipa ai
campionati europei e in seguito si aggiudica la medaglia d’oro ai Giochi del
Mediterraneo, disputati a Casablanca.
Dopo aver partecipato anche alle Universiadi, subisce un grave infortunio a
un ginocchio, ma si riprende e, sempre
con la Nazionale, partecipa nel 1985
alle Universiadi di Kobe in Giappone,
ai Mondiali di Praga e alla Coppa del
Mondo di Seul. Nel 1987 disputa la Ja-
Baia Sardinia – Baia Sardinia è un fitto
insediamento turistico fra la Costa Smeralda
e il Cannigione di Arzachena.
Baia Sardinia Insediamento turistico
situato a poca distanza da Arzachena
di cui è frazione, oltre il territorio della
Costa Smeralda; già compreso nella
provincia di Sassari, attualmente fa
parte della provincia di Olbia-Tempio.
Si sviluppò contemporanemanete alla
Costa Smeralda nel sito di Cala Battistone attraverso una serie di fitti interventi immobiliari, che hanno finito per
influire notevolmente sulla natura
della baia.
Bailey, Donald Michael Archeologo
inglese (n. sec. XX). Nel 1962 catalogò
le lampade provenienti da Tharros in
possesso del British Museum. Nel 1975
pubblicò un catalogo di tutte le lampade in possesso del Museo. Scritti riguardanti la Sardegna: Lamps from
Tharros in the British Museum, ‘‘Annual
of the British School at Athens’’, LVII,
1962.
Baiocchi, Lucia Archeologa (n. 1969).
377
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 385
Baiuli
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere nel 1991 si è specializzata in Archeologia. In seguito si è dedicata all’insegnamento negli istituti superiori.
Allieva di Enrico Atzeni, ha preso
parte a numerose campagne di scavo.
Scritti principali: L’industria ceramica
della stazione preistorica di Su Pranu
Mannu (Solanas Oristano), ‘‘Studi
sardi’’, XXX, 1996.
Baiuli, Arnaldo Arcivescovo di Torres
dal 1360 al 1367 (Torres, sec. XIV-Sassari 1367). Frate minore, fu nominato
arcivescovo di Torres nel 1360 da Innocenzo VI. Dopo la sua morte si legò a
papa Urbano V; quando scoppiò la seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV
e Sassari cadde in mano giudicale, poiché il pontefice riteneva possibile privare Pietro IV del titolo di re di Sardegna per concederlo a Mariano IV, fu da
lui inviato come nunzio presso il re d’Aragona a Genova. [MASSIMILIANO VIDILI]
Balaiano Castello che sorgeva sul colle
di San Leonardo nei pressi del villaggio di Luogosanto; fu probabilmente
costruito nel secolo XI dai giudici di
Gallura cui apparteneva. Nella prima
metà del secolo XII fu oggetto di una
lunga lite tra Costantino di Gallura e i
figli del giudice Comita Spanu, che
chiamarono come arbitro il giudice Barisone I d’Arborea. Nel corso del secolo
XIII perse di importanza e andò in rovina.
Balamune Antico villaggio che sorgeva
non lontano da Pattada; era di origine
romana e aveva una certa importanza
data la sua posizione lungo la strada
che conduceva a Castra. Nel Medioevo
era compreso nel giudicato di Torres e
faceva parte della curatoria del Montacuto. Estinta la dinastia dei giudici di
Torres, il villaggio fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici
di Gallura; alla fine del secolo XIII era
stato occupato dalle truppe arborensi
che sembrava dovessero arrivare a
controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della
Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, anche loro alleati
del re, presero atto della cosa ma non
rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Quando però nel 1325 i Doria si
ribellarono ai loro alleati, il villaggio
fu nuovamente occupato dalle truppe
del giudice d’Arborea e formalmente
annesso al Regnum Sardiniae. Negli
anni che seguirono l’esercito giudicale
e quello dei Doria si combatterono
aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 fu compreso nei territori
che il re d’Aragona concesse in feudo a
Giovanni d’Arborea. Quando divenne
giudice, Mariano IV pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale
che questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e fu per questo
fatto arrestare da Mariano. Negli anni
che seguirono, scoppiata la guerra tra
Mariano IVe Pietro IV B. subı̀ continue
devastazioni per cui andò spopolandosi.
Balanotti Antico villaggio di origini medioevali che sorgeva a poca distanza
dall’attuale lago del Coghinas; era
compreso nel giudicato di Torres ed
era situato nella curatoria di Montacuto. Estinta la dinastia dei giudici di
Torres, il villaggio fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici
di Gallura; alla fine del secolo XIII
venne occupato dalle truppe arborensi
che sembrava dovessero arrivare a
controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di alleati per
affrontare l’imminente conquista della
Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’inve-
378
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 386
Bàlari
stitura. Gli Arborea, anche loro alleati
del re, presero atto della cosa ma non
rinunciarono alle proprie rivendicazioni, per cui quando nel 1325 i Doria
si ribellarono contro gli Aragonesi, il
villaggio fu nuovamente occupato
dalle truppe del giudice d’Arborea e
formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si
combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 fu compreso nei territori che il re d’Aragona
concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma quando divenne giudice, Mariano IV pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale ma questi,
avendo ottenuto il Montacuto dal re, si
rifiutò e per questo fu fatto arrestare
da Mariano. Negli anni che seguirono,
scoppiata la guerra tra Mariano IV e
Pietro IV B. subı̀ continue devastazioni
per cui andò spopolandosi. Terminata
la guerra, entro la prima metà del secolo XV i suoi abitanti lo abbandonarono e diedero vita a piccoli agglomerati sparsi nel territorio, alcuni dei
quali come Giagone e Balascia ancora
abitati.
Bàlari Popolazione indigena ricordata
da Tito Livio in lotta contro i Romani
già dal secolo II a.C. Alla fine del 178
a.C. i B. si allearono con gli Iliensi che
erano dilagati nella zona di operazioni
dell’esercito romano, razziando le
campagne e le città costiere, atto che
provocò l’intervento di Tiberio Sempronio Gracco (padre dei tribuni della
plebe Tiberio e Caio Gracco), che tra il
177 e il 175 a.C. riuscı̀ a sedare i disordini; Plinio (Naturalis historia III, 7, 85)
li annovera tra i ‘‘più celebri popoli
della Sardegna’’ (celeberrimi populorum Sardiniae) insieme agli Iliensi e
ai Corsi; Strabone (V, 225) li identifica
come una delle quattro tribù delle
montagne insieme ai Parati, ai Sossi-
nati e agli Aconiti; secondo Pausania
(X, 17, 5-9) i B., che erano un popolo
originario della Libia o dell’Iberia, sarebbero stati alleati dei Cartaginesi al
momento della conquista dell’isola,
ma venuti a contesa con i Punici per le
spoglie avrebbero disertato dall’esercito cartaginese e si sarebbero ritirati
nei luoghi montuosi dell’isola; il loro
nome apparterrebbe alla lingua dei
Corsi, perché essi denominavano ‘‘bàlari’’ i fuggiaschi. Il racconto, seppur
articolato su paretimologie, potrebbe
comunque testimoniare la formazione
politico-cantonale di questo popolo,
forse enucleatosi da quello dei Corsi.
Le fonti non precisano i luoghi nei
quali avvennero gli scontri militari fra
Sardi e Romani, ma la scoperta di un
macigno di granito rosa, utilizzato
come cippo di confine, nell’alveo del
rio Scorraboi, che segna il confine attuale tra i territori comunali di Monti a
est e di Berchidda a ovest, ha provato
l’effettiva esistenza del popolo dei B. e
ha permesso di localizzare le sedi di
questa popolazione. Sul lato del macigno che guarda la riva destra del torrente è riportata l’iscrizione ‘‘Balari’’,
mentre sul lato che guarda verso sudest è riportata la decisione del prefetto
della provincia che pose il confine,
probabilmente segnato dal corso d’acqua, tra il territorio di questa popolazione, insediata evidentemente nelle
retrostanti alture, che culminano a
quota 1362 m nel monte Limbara, fino
al Coghinas – quindi tra il Montacuto,
l’Anglona e il Logudoro – in posizione
quanto mai strategica, a controllo di un
antico transito di fondovalle da nordest a sud-ovest, ricalcato in epoca romana dalla via Olbia-Luguido-MolariaForum Traiani-Carales, e le proprietà
romane, latifondi privati e imperiali,
che si estendevano nell’entroterra di
Olbia. [ESMERALDA UGHI]
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 387
Balariana
Balariana Antica curatoria del giudi-
Balastro, Giovanni Arcivescovo di Tor-
cato di Gallura. Situata nella parte
centro-settentrionale del giudicato,
non aveva sbocco al mare. Si estendeva
per una superficie valutabile in poco
più di 100 km2 di territorio collinoso e
molto fertile. Comprendeva i villaggi di
Bacor, Nuraghes, Santu Stevanu, Surake, Telargiu, Uranni, Vigna Maggiore, popolati da pastori e fieri montanari gelosi della propria autonomia.
Pertanto, dopo la conquista aragonese,
il territorio non si era completamente
pacificato; tuttavia fu diviso dagli Aragonesi in alcuni feudi, ma la nuova situazione esasperò maggiormente la volontà di resistere degli abitanti che
trovò facile esca nella ribellione dei
Doria. Cosı̀ essi si unirono ai ribelli e
costrinsero gli Aragonesi, durante la
campagna del 1330, a compiere un’incursione che arrecò danni e molte
pene ai villaggi che cominciarono cosı̀
a spopolarsi. Poiché la confusione e il
processo di spopolamento continuavano, di fronte alla nuova ribellione
dei Doria del 1347 il re pensò di concedere B. a Giovanni d’Arborea, fratello
del giudice Mariano IV, perché la pacificasse. Ma lo sfortunato principe fu
imprigionato da suo fratello il giudice
quando si rifiutò di prestargli obbedienza feudale; nel 1348, inoltre, il territorio soffrı̀ enormemente per la peste. In seguito, scoppiata nel 1353 la
prima guerra tra Mariano IV e Pietro
IV, fu occupato dalle truppe arborensi
e di fatto da allora amministrato come
una curatoria del giudicato d’Arborea.
Caduto il giudicato, il suo territorio,
oramai completamente spopolato, nel
1420 tornò a essere parte del Regnum
Sardiniae. Dell’intera antica curatoria
fu riconosciuto il possesso al ramo dei
Carroz, discendenti dello sfortunato
Giovanni d’Arborea, che lo unirono al
loro feudo di Terranova.
res dal 1296 al 1298 (m. 1298). Divenuto
frate francescano, si pose in evidenza
per le sue qualità e fu nominato vescovo di Nicosia. Nel 1296 Bonifacio
VIII lo nominò arcivescovo e lo inviò
in Sardegna nel tentativo di instaurare
rapporti costruttivi col Comune di Sassari. La sua permanenza nella nuova
diocesi però fu interrotta dalla morte
prematura.
Balbiano di Aramengo, Vincenzo Viceré di Sardegna dal 1790 al 1794
(Chieri 1729-Torino 1799). Appartenente a una famiglia di tradizioni feudali, entrò nella carriera militare che
percorse brillantemente; divenuto colonnello nel 1774 fu nominato governatore di Savigliano, nel 1779 governatore di Casale. Nel 1785 fu promosso
generale e nel 1789 governatore del
Monferrato. Nel 1790 fu nominato viceré di Sardegna; giunto nell’isola non
riuscı̀ a comprendere subito la profonda inquietudine che l’ambiente
sardo mostrava e si chiuse in se stesso
proprio nel momento in cui minacciosa si manifestava la possibile invasione francese. Convinto della ineluttabilità dell’occupazione francese, nel
1792 assunse un atteggiamento passivo
nei confronti dell’auto-convocazione
degli Stamenti e dei preparativi di difesa che febbrilmente furono fatti. Anche dopo la vittoria, quando oramai
l’inquietudine del mondo politico
sardo si era completamente manifestata, continuò a non comprendere i
termini del dibattito che si svolgeva in
seno agli Stamenti e cercò di ostacolare le richieste di revisione costituzionale. In conseguenza di questo fu travolto dai fatti del 28 aprile 1794 e costretto a lasciare l’isola. Tornato in Piemonte, nello stesso anno fu nominato
governatore di Saluzzo.
Balbina, santa (in sardo, Santa Bellina)
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 388
Baldacci
Santa (m. 130 ca.). Romana, figlia di
San Quirino, fu guarita da un male incurabile e convertita da Alessandro
III, papa dal 105 al 115. Secondo la tradizione, avrebbe custodito le catene di
San Pietro, portate a Roma dal padre
su incarico del pontefice. Morta misteriosamente verso il 130, dopo il martirio del padre (che fu sepolto nel cimitero di Pretestato: è il santo che i tedeschi chiamano Grein). Sulla sua tomba,
riportata alla luce nel 1867, il papa
Marco fece costruire una basilica
(336). Gli atti del suo martirio, scritti
da un non bene identificato Sant’Alessandro martire, sono tardivi, anacronistici, fantasiosi: «Quirino tribuno dell’imperatore Aureliano [il quale visse
dal 214 al 275 circa] ebbe l’incarico di
sorvegliare il prefetto Ermes, convertitosi al cristianesimo. Il prefetto fece
conoscere a Quirino e a sua figlia Balbina il messaggio evangelico e i due si
convertirono e furono battezzati. Denunciati e arrestati, dopo la tortura furono decapitati». Il Martirologio Romano riportava: «31 marzo, a Roma natale di Santa Balbina vergine, figlia del
beato Quirino martire. Fu battezzata
da papa Alessandro e scelse Cristo
come sposo in santa verginità. Dopo
aver completato il corso della sua vita
terrena fu sepolta sulla via Appia vicino al padre». Dal 1969 il suo culto è
limitato a calendari locali o particolari. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 31 marzo a Nughedu San Nicolò.
Balbo de Lo Famiglia di Bosa (secc.
XIV-XV). Le sue notizie risalgono al secolo XIV; nel 1428 ottenne il riconoscimento della generosità con un Nicolò
ripetutamente eletto consigliere della
città e suo rappresentante presso Alfonso V. La famiglia presumibilmente
si estinse nel corso del secolo XV.
Balbo di Vinadio, Prospero Uomo di
governo piemontese (Chieri 1762-Torino 1837). Di idee liberali, entrato giovanissimo nell’amministrazione reale,
nel 1789 fu nominato sindaco di Torino;
scoppiata la guerra con la Francia continuò a esplicare le sue funzioni ma nel
1800, dopo la battaglia di Marengo, dovette andare in esilio. In seguito accettò dai francesi l’ufficio di rettore
dell’Università di Torino e tornò in patria, ma quando nel 1814 Napoleone
cadde, incontrò diverse difficoltà nel
mutato clima della Restaurazione.
Egli tuttavia fu mantenuto in servizio:
nel 1816 fu mandato ambasciatore a
Madrid e nel 1818 fu nominato presidente del Consiglio della riforma. Travolto dai moti del 1821, fu collocato a
riposo; nel 1831 fu però richiamato in
servizio da Carlo Alberto. Molto interessato alla Sardegna, per le sue idee
si sentiva il continuatore dell’opera
del Bogino; in particolare si interessò
al problema del feudalesimo e studiò a
fondo la possibilità della sua abolizione; fu autore di una serie di relazioni sull’argomento.
Baldacci, Osvaldo Geografo (Sassari
1914-Roma 2007). Conseguita la laurea
in Lettere, ha insegnato per anni geografia presso l’Istituto nautico di Cagliari. Nel 1954 è stato chiamato a insegnare Geografia presso la Facoltà di
Lettere di quella Università. Nel 1957
si è trasferito a Bari, dal 1964 infine è
stato chiamato a insegnare presso l’Università di Roma. È considerato uno
dei massimi geografi italiani; alcune
delle sue numerosissime opere riguardano la Sardegna e sono importanti
per approfondire la conoscenza della
storia del paesaggio dell’isola. Scritti
riguardanti la Sardegna: Sulla Chorographia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara, ‘‘Archivio storico sardo’’,
XXII, 1941; I fondamenti geografici
dello sviluppo di Iglesias, ‘‘Studi sardi’’,
381
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baldassarre
V, 1-2, 1941; I nomi regionali della Sardegna, 1945; Il paese, ‘‘Il Ponte’’, 9-10,
1951; Appunti sulla tavola della Sardegna di Sigismondo Arquer, ‘‘Bollettino
della Società geografica italiana’’,
1951; La casa rurale in Sardegna, 1952;
La Sardegna nella Tavola peutingeriana, ‘‘Studi sardi’’, XIV-XV, 1958; Alcune considerazioni geografiche sulla
storia della Sardegna, in Studi storici in
onore di F. Loddo Canepa, II, 1959; La
casa tradizionale in Sardegna, in La
casa rurale in Italia, 1970; Una carta
geografica secentesca della Sardegna in
redazione spagnola, ‘‘Rivista geografica italiana’’, LXXX, 1973; La Sardegna nella cartonautica toscana del Seicento, in Scritti geografici in onore di
Aldo Sestini, 1982; L’Università di Cagliari e il suo contributo alla geografia
della Sardegna, in Studi di geografia e
di storia in onore di Angela Terrosu
Asole, 1996.
Baldassarre, Luciano Scrittore (sec.
XIX). Singolare personaggio che, in
conformità alla moda molto diffusa tra
gli intellettuali europei del tempo, visitò la Sardegna nel 1841 e vi si trattenne per un certo periodo con l’obiettivo di riscoprire e studiare una terra
considerata primitiva e sconosciuta.
Da questo suo viaggio trasse un libro
che godette di una certa notorietà,
Cenni sulla Sardegna, stampato a Torino da Botta nel 1841 e riccamente illustrato con tavole sui costumi sardi.
Baldino, Salvatore Oculista (Oristano
1887-ivi 1964). Si laureò a Napoli e conseguı̀ la libera docenza nel 1913; poco
dopo prese parte alla prima guerra
mondiale, durante la quale venne decorato; nel dopoguerra si stabilı̀ a Oristano ed esercitò la libera professione
con crescente successo imponendosi
come uno dei migliori oculisti della
Sardegna. Tra i suoi scritti: Il raddriz-
zamento delle immagini retiniche nella
percezione visiva, 1921.
Baldovino Giurisperito (sec. XIV). Personaggio della corte giudicale arborense negli anni del regno di Ugone
III; nel 1378 fu presente alla fase conclusiva del fallito tentativo di instaurare un’alleanza tra Ugone e Luigi I
d’Angiò, fratello di re Carlo V di Francia, in funzione antiaragonese.
Balenottera = Zoologia della Sardegna
Balestra, Pietro Arcivescovo di Cagliari dal 1900 al 1912 (Molini di Triora
1841-Cagliari 1912). Entrato nell’ordine dei Minori conventuali fu ordinato sacerdote nel 1863 e subito dopo
si laureò in Teologia. Per più di 20 anni
fu parroco di Albaro e in seguito fu nominato provinciale del suo ordine per
l’Irlanda e definitore perpetuo. Nel
1893 fu nominato commissario e visitatore per la Sardegna, ma nel 1895 divenne vescovo di Acqui; governò la
sua diocesi con zelo e fermezza e con
grande energia. Nel 1900, infine, fu nominato arcivescovo di Cagliari; negli
anni seguenti diede un deciso impulso
a tutte le attività pastorali e inoltre fu
nominato visitatore apostolico delle
diocesi di Bosa, Alghero e Ales, assumendo una posizione di primo piano
in seno al clero sardo. Scritti principali: Lettere pastorali al popolo della
città e dell’archidiocesi della città di Cagliari, 1901; Notificazione per la sacra
visita pastorale del 1902 per la riparazione del sacrilegio commesso a Pirri la
notte fra il 2 e il 3 aprile del 1902, 1902;
Additiones ad missale romanum pro Archidiocesi calaritana, 1906; Al clero e al
popolo della città e della diocesi di Alghero, Cagliari 1906; Regolamento per
gli esami ad Ordines del clero secolare e
regolare nell’Archidiocesi di Cagliari,
1907.
Balestrieri, Angelo Scienziato, patologo (n. Pescopagano 1935). Laureatosi
382
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 390
Ballao
in Medicina a Roma, si è dedicato alla
carriera universitaria. Dal 1969 risiede
a Cagliari; ha insegnato dapprima Malattie infettive e dal 1982 Patologia medica. Nel corso degli anni ha percorso
una prestigiosa carriera accademica
ricoprendo importanti incarichi: è
stato per lunghi anni preside della Facoltà di Medicina, presidente del corso
di laurea e ha diretto numerose scuole
di specializzazione. Attualmente è professore di Clinica medica; studioso di
patologia, è autore di numerose pubblicazioni apprezzate a livello internazionale.
concorso a fondare il raggruppamento
Federazione dei Socialisti e dei Democratici, e nel 1999 è stato riconfermato
per la XII legislatura, nel 2004 per la
XIII.
Balestrieri, Gaetano Insegnante, letterato (n. sec. XX). Agli inizi del Novecento diresse il convitto nazionale ‘‘Canopoleno’’ di Sassari e prese parte alla
vita culturale dell’isola. Tra i suoi
scritti, Del regio convitto nazionale Canopoleno di Sassari, 1907; La Sardegna
e l’unità italiana. Dicembre 1798-maggio 1814, ‘‘L’Unione sarda’’, 1910; Impressioni sulla Sardegna. Appunti storici, 1913.
Balestruccio = Zoologia della Sarde-
Ballao – Veduta del centro abitato.
Ballao Comune della provincia di Cagliari, compreso nella XXI Comunità
montana, con 951 abitanti (al 2004), posto a 90 m sul livello del mare, in un
punto in cui la vallata del Flumendosa
si fa più ampia e riceve un affluente di
destra, il rio Bintinoi e, poco oltre, da
sinistra, il Flumineddu. Regione storica: Gerrei. Archidiocesi di Cagliari.
gna
Balia, Peppino Consigliere regionale
(n. Mamoiada 1942). Dopo essersi laureato in Economia e Commercio, si è
dedicato alla vita politica nel Partito
Socialista Italiano. È stato consigliere
comunale di Nuoro, consigliere, assessore e vicepresidente della Provincia
di Nuoro; negli stessi anni ha vissuto
da protagonista il travaglio del PSI e
dopo aver aderito a Federazione Democratica dal novembre 1992 al dicembre 1993 è stato assessore tecnico all’Urbanistica nella giunta Cabras. Si è
dimesso ed è stato eletto consigliere
regionale per Federazione Democratica nel collegio di Nuoro per l’XI legislatura. Nel 1998, non aderendo alla
scelta di confluire nei Democratici di
Sinistra fatta da Antonello Cabras, ha
Ballao – Paesaggio nei dintorni del paese.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 46,68 km2. Ha la forma di
un triangolo allungato da ovest a est e
confina a nord con Escalaplano, a est
con Villaputzu e Armungia, a sud ancora con Armungia e San Nicolò Gerrei, a ovest con Silius. Il suolo è costi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ballao
tuito prevalentemente da calcari e scisti; si tratta in genere di colline di non
grande altezza, e tuttavia erte e scoscese; il paesaggio si fa più dolce in
prossimità della vallata del Flumendosa, che qui diventa una piccola
piana: una parte verde e ricca d’acqua
all’interno dell’area solitamente arida
e spoglia di questa parte dell’isola. B. è
attraversato dalla statale 387 che, proveniente da Cagliari, si dirige verso
Muravera, e che in questo punto si connette con la secondaria che arriva da
Escalaplano.
& STORIA Il villaggio è di probabili
origini romane: deriva da una mansio
fatta costruire alla confluenza del Flumendosa col Flumineddu per difendere le attività minerarie del territorio
dalle scorrerie degli abitanti delle
zone interne. Secondo la tradizione il
primo nucleo si formò attorno alla
chiesa di Santa Maria de Nuraxi e da
lı̀ si sarebbe spostato formando il villaggio attuale. Apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella
curatoria del Gerrei, detta anche Galilla. Dopo lo smembramento del giudicato, nella divisione del 1258 B. fu compreso nei territori assegnati ai conti di
Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro
la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa che lo fece amministrare
da suoi funzionari. Terminata la prima
fase della conquista aragonese, nel
1324 B. entrò a far parte del Regnum
Sardiniae. Ma i suoi abitanti, come
quelli di tutto il Gerrei, mantennero
un atteggiamento ostile nei confronti
degli Aragonesi e vissero momenti di
grande tensione, cosı̀ che, per consentirne un migliore controllo, B. fu incluso in un feudo abbastanza esteso
che nel 1333 fu concesso a Raimondo
Zatrillas. I rapporti col nuovo feudatario però non migliorarono e, scoppiata
la prima guerra tra Mariano IVe Pietro
IV, gli abitanti si ribellarono e presero
parte alla distruzione del castello di
Orguglioso (=). Finite le ostilità gli Zatrillas ripresero il controllo del territorio fino a quando scoppiò la seconda
guerra tra Aragona e Arborea: nel 1366
fu occupato dalle truppe giudicali che
lo tennero fino alla caduta del giudicato e lo amministrarono come se si
trattasse di territorio arborense; nel
1409 B. tornò a far parte del Regnum
Sardiniae e gli Zatrillas ne tornarono
in possesso. Negli anni successivi il villaggio, che probabilmente non superava i 168 abitanti, conobbe una relativa tranquillità e la comunità continuò a eleggere il suo majore. A partire
dal secolo XVI le cose mutarono: la popolazione crebbe e fu avviata la costruzione della parrocchiale dedicata a
Santa Maria Maddalena; B. iniziò allora una lunga contesa con Silius per il
controllo del territorio e spesso dovette subire violenze dai pastori ogliastrini che tendevano a occuparne i pascoli. Nello stesso periodo i feudatari,
pur non intervenendo direttamente a
dirimere questi contrasti, modificarono il loro rapporto con la comunità
e, una volta ottenuto un potere giurisdizionale più ampio, ebbero nel
1573 la disponibilità della foresta di
Murdega, di cui fecero una grande riserva di caccia e costrinsero i vassalli a
partecipare annualmente alle loro
cacce. La situazione di B., la cui popolazione continuò a crescere nella
prima metà del secolo XVII, non mutò:
i rapporti con i feudatari divennero anche più gravosi sia perché essi arrivarono a controllare l’elezione del majore, che sceglievano da una rosa di
probiuomini, sia perché aumentarono
il peso dei tributi feudali. Nel 1652 poi
il villaggio soffrı̀ a causa della peste;
terminata l’epidemia gli abitanti su-
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Ballao
perstiti di Villaclara, un villaggio che
sorgeva nei pressi dell’attuale abitato,
iniziarono a trasferirvisi stabilmente:
il processo di assimilazione delle due
comunità fu completato agli inizi del
secolo XVIII. In questo periodo le condizioni di vita si modificarono gradualmente, i rapporti con gli abitanti di Silius si normalizzarono e progressivamente anche i legami di dipendenza
dai feudatari si ridussero: nella seconda metà del secolo furono introdotti il Consiglio comunitativo e il majore elettivi, e fu organizzato il Monte
granatico. Le due istituzioni limitarono progressivamente i poteri del feudatario e avviarono in seno alla comunità la tendenza a una maggiore autonomia; la sua popolazione riprese a
crescere: nel 1781 assommava a 730
abitanti. Estinti gli Zatrillas nel 1814,
B. passò ai Vivaldi Pasqua. Nel 1821 fu
incluso nella provincia di Isili e nel
1839 fu riscattato agli ultimi feudatari.
In questo periodo Vittorio Angius annotava: «Vi è stabilita l’istruzione per i
giovinetti a leggere e scrivere, alle
prime regole aritmetiche; in luogo
però dei rudimenti dell’agronomia si
danno quelli della lingua latina. Il numero degli accorrenti è di 15. Si fabbricano in questo paese mattoni, tegole, e
se ne vende ai vicini paesi. La manifattura del panno forese [orbace] e del
lino impiega 190 telai. Non si fa però
più di quello che sia necessario al bisogno delle famiglie. La popolazione di
B. nel 1805 computossi di anime 812,
nel 1826 di 718, nel 1833 di 785 distribuite in 205 famiglie. Grande è la fertilità di questa terra in ogni genere di
cereali, e saria ancora più se maggiore
fosse la diligenza nei lavori. La somma
delle semenze non avanza in grano i
700, in orzo i 500, in fave i 300, in civaje
[legumi vari] i 50, in lino i 100 starelli.
La fruttificazione ordinaria e comune
del grano è al settuplo, dell’orzo all’ottuplo, degli altri generi poco meno.
Sebbene il bestiame sia in poca quantità, non numerandosi al presente più
di trecento capi vaccini, cento cavalli
rudi, millecinquecento capre, millequattrocento pecore, e duecentocinquanta porci, non pertanto il frutto è
considerevole, sı̀ perché il salto è abbondantissimo di erbe anche nell’inverno, e vi sono monti con molto pascolo per l’estate ed autunno; sı̀ perché
hannosi molte acque in istagioni ancora secche: onde che 100 pecore in B.
fruttano quanto duecento in altri paesi
del dipartimento; e ragione di ciò sia
che in B. si mungono le pecore e capre
sin dal novembre, mentre negli altri
luoghi ritardasi talvolta sino a marzo».
B. continuò a rimanere incluso nella
provincia di Isili fino al 1848, quando
fu incluso dapprima nella divisione
amministrativa e successivamente
nella provincia di Cagliari. Nel corso
del secolo si svilupparono le attività
minerarie di Corti Rosas e lo sfruttamento di cave di argilla e di caolino.
La crisi dell’attività mineraria (definitivamente interrotta negli anni Sessanta del Novecento) causò una diminuzione della popolazione che è gradatamente passata dai 1600 abitanti del
1961 alla popolazione attuale.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura, in particolare la
frutticoltura e la viticoltura, e sull’allevamento; quindi sul commercio e l’edilizia, mentre sono ancora attive alcune
cave di argilla e di caolino. Un tempo
lungo le rive del vicino Flumendosa veniva praticata la pesca, oggi si tenta la
carta della valorizzazione turistica dell’area.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1019 unità,
di cui stranieri 2; maschi 514; femmine
505; famiglie 373. La tendenza com-
385
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Ballao
plessiva rivelava una diminuzione
della popolazione con morti per anno
15 e nati 4; cancellati dall’anagrafe 31 e
nuovi iscritti 22. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
13 379 in migliaia di lire; versamenti
ICI 323; aziende agricole 124; imprese
commerciali 43; esercizi pubblici 2;
esercizi al dettaglio 17. Tra gli indicatori sociali: occupati 209; disoccupati
56; inoccupati 108; laureati 8; diplomati 55; con licenza media 332; con licenza elementare 317; analfabeti 78;
automezzi circolanti 277; abbonamenti
TV 308.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu abitato fin dall’epoca prenuragica e conserva numerose testimonianze di grande interesse archeologico. La più interessante è la fonte sacra di Funtana Coberta, situata a pochi
chilometri dall’abitato lungo la strada
per Escalaplano: è costituita da un vestibolo quadrato dal quale si accede a
una scala di circa 12 gradini che introduce nella tholos che ricopre il pozzo.
Tra i nuraghi spiccano quello chiamato Nuraxi, che è circondato dai resti
di un villaggio, e quello di Palastaris
che, posto su un colle a poca distanza
dall’abitato, domina la vallata e il corso
del Flumendosa; in questa posizione i
Punici costruirono nel secolo V a.C.
una cinta fortificata. Sono identificabili ancora le necropoli di periodo romano di San Pietro e di Santa Clara,
dove si trova anche il pozzo sacro di
Villaclara, dalle caratteristiche simili
a quelle di Funtana Coperta, e dove
sorgeva la mansio dalla quale si sviluppò il villaggio di Villaclara. Infine
nel territorio di B., in località Corti Rosas, si trovano i resti dell’omonima miniera di antimonio, importante sito di
archeologia industriale. Attorno alla
miniera sorsero nella seconda metà
dell’Ottocento alcuni edifici oggi abba-
stanza ben conservati, tra i quali la laveria.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’edificio più importante che l’abitato custodisce è la
chiesa di Santa Maria Maddalena, parrocchiale costruita nel secolo XVI in
forme gotico-aragonesi; nel corso dei
secoli era andata progressivamente in
rovina per cui nel secolo XIX fu decisa
una sua radicale trasformazione e fu
ricostruita nelle forme attuali. Del vecchio tempio si conserva una campana
databile al 1581. Di qualche interesse
sono anche le chiesette campestri di
San Pietro, di Santa Maria Cleofe e di
Sant’Elena che sono di età bizantina;
delle tre la più importante è quella di
Santa Maria Cleofe (Santa Maria de Nuraxi), attorno alla quale sorgeva l’antico villaggio di Nuraxi, strettamente
legato alla storia di B. Di particolare
suggestiva bellezza sono le campagne
della vallata del Flumendosa, ricche
di una magnifica vegetazione tipicamente mediterranea e di splendide
piantagioni.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Ricco e interessante è il patrimonio
di usanze e di feste popolari che la comunità custodisce. La più significativa tra le feste popolari è quella di
Santa Maria Cleofe che si svolge il lunedı̀ di Pasqua presso l’omonima
chiesetta. Momento culminante è la
solenne processione con la quale l’antica statua della Madonna, ritenuta
miracolosa, viene portata sul posto
dalla parrocchia tra canti e preghiere, scortata da cavalieri in costume. Prima che la processione faccia il suo ritorno viene impartita la
benedizione all’antico cimitero dove,
secondo la tradizione, riposano gli
antenati dei ballaesi attuali. Alla
base dell’attaccamento della comunità alla statua sta la leggenda se-
386
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 394
Ballero
condo la quale il simulacro cadde in
mano agli abitanti di Silius, i quali
però non riuscirono a spostarlo; la festa, oltre che le cerimonie religiose,
prevede balli al suono delle launeddas, la gara poetica e altre manifestazioni tipiche. Singolare era anche il
costume, rimasto ormai semplicemente un ricordo. L’abbigliamento
femminile era costituito da una camicia bianca dalla pettina ricamata e rifinita col pizzo, e dalla gonna plissettata di orbace rosso. Sopra la camicia
era indossato il busto (s’imbustu) di
stoffa; e la gonna era arricchita da un
grembiule (barras) di panno verde;
sul capo una cuffietta di filo nero
sulla quale stava un fazzoletto di
grandi proporzioni (su muncadori),
completato da un manto di forma simile al grembiule, anch’esso di panno
verde. L’abbigliamento maschile
comprendeva la camicia plissettata e
i calzoni di tela grezza; sopra la camicia si indossava la giacca (su collettu)
di panno, sopra i calzoni il gonnellino
di orbace nero e le ghette dello stesso
tessuto; l’abbigliamento era completato da una mastruca (best’e pedde)
senza maniche, fatta di pelli di
agnello.
Ballerina1 Pianta erbacea della famiglia delle Orchidacee (Aceras antropophorum (L.) R.Br.). Bellissima orchidea con foglie lunghe e lanceolate; i
fiori, raccolti in una fitta e lunga spiga,
sono gialli con striature verdi e rossastre. Il loro particolare aspetto, che li
fa assomigliare a una figura umana stilizzata, ha motivato il nome specifico,
che letteralmente significa ‘‘portatrice
di uomini’’. In Sardegna non è difficile
trovarla, tra aprile e giugno, nei prati e
nella macchia. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Ballerina2 = Zoologia della Sardegna
Ballerini, Giorgio Medico e atleta
(Roma, seconda metà sec. XIX-Perugia
1921). Fece i suoi studi a Cagliari dove
si laureò in Medicina; il suo impegno
scientifico non gli impedı̀ di praticare
con successo l’attività sportiva. Fu uno
degli iniziatori del calcio in Sardegna;
aderı̀ nel 1903 all’Amsicora, dove introdusse la pratica della ginnastica artistica divenendo maestro di alcune generazioni di atleti. La sua professione
in seguito lo fece allontanare da Cagliari. Morı̀ a Perugia dove dirigeva
l’Ospedale civile.
Ballero Famiglia ligure (sec. XVII-esistente). Trapiantata ad Alghero alla
fine del secolo XVII, i suoi membri
erano tradizionalmente impegnati in
attività commerciali e nell’esercizio
delle professioni liberali. Nel corso
del secolo XVIII accumularono una
considerevole fortuna e raggiunsero
una discreta posizione sociale in
quella che ormai era diventata la loro
città. Nel 1799 ottennero il cavalierato
ereditario e la nobiltà, che vennero
concessi a due fratelli, Benedetto e il
dottor Pietro. Quest’ultimo fu insignito
anche del titolo di conte ma non ebbe
discendenza; i figli di Benedetto, invece, furono i capostipite dei due rami
della famiglia tuttora fiorenti. Da
Francesco è venuto il ramo che continuò a risiedere ad Alghero tenendo
vive nella città le tradizioni della famiglia. Da Antonio discese invece il ramo
che si trasferı̀ a Cagliari; con suo figlio
Francesco, nel corso del secolo XIX, i
B. ereditarono dalla famiglia Ciarella
il titolo comitale. I figli di Francesco
formarono a loro volta due altri rami
della famiglia: Carlo continuò la linea
comitale, che si trasferı̀ a Torino dove
attualmente risiede; Antonio fu invece
il capostipite dei cavalieri B. di Cagliari.
387
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 395
Ballero
senza influssi sulla Deledda) Don Zua.
Storia di una famiglia nobile del centro
della Sardegna, 1884; Luigi Caldanzano, ‘‘L’Unione sarda’’, 1928 e La sagra
di San Mauro di Sorgono, ‘‘L’Unione
sarda’’, 1929.
Antonio Ballero – L’autoritratto del pittore
nuorese è una delle sue opere più conosciute.
(1907; Banco di Sardegna, Sassari)
Ballero, Antonio Pittore e scrittore
(Nuoro 1864-Sassari 1932). Esordı̀ giovanissimo come scrittore dando alle
stampe nel 1884 il suo primo romanzo.
Intorno ai trent’anni, spinto da Francesco Ciusa e da altri amici, iniziò a interessarsi di pittura e ben presto si impose per le sue notevoli capacità tecniche e per il modo di porsi nei confronti
del mondo sardo, che lo portò tra i
primi ad affrontare il tema dell’identità. Espose per la prima volta nel 1904
a Firenze, successivamente fu a Brera
nel 1908 e in altre città italiane ed europee. Dopo il 1920 soggiornò per alcuni anni a Venezia e a Milano e nel
1925 tornò in Sardegna. Negli ultimi
anni girò a lungo l’isola alla ricerca
delle sue bellezze paesaggistiche, tentando di darne un’interpretazione diversa da quella che ne davano Biasi e i
suoi allievi, negli stessi anni. Oltre il
romanzo (che non dovette restare
Antonio Ballero – Sos prinzipales de
Orgosolo. Nella sua pittura il folclore sardo
non ha niente di cartolinesco. (1928; collezione
privata)
Ballero, Benedetto Giurista, consigliere regionale (n. Villasalto 1944).
Conseguita la laurea in Legge si è dedicato alla carriera universitaria e alla
libera professione. Di cultura socialista, si è anche impegnato nella vita politica militando nel PSI. Dopo il 1992 ha
aderito a Federazione Democratica e
nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per la lista Sardegna Federazione Democratica per il collegio di Cagliari nell’XI legislatura. Nel novembre 1996 è stato assessore agli Affari
generali e alla riforma della Regione
nella terza giunta Palomba fino al giugno 1997; riconfermato nel quarto governo Palomba, ha retto l’incarico fino
al dicembre dello stesso anno. Dal gen-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Ballero de Candia
naio 1998 è stato assessore alla Pubblica Istruzione nella giunta Palomba
fino al giugno del 1999. Nel 1998, per
evitare la confluenza in DS proposta
da Antonello Cabras, ha contribuito a
fondare un nuovo schieramento socialista, ma non è stato rieletto per la XII
legislatura. Apprezzato studioso, è autore di molte pubblicazioni e ha diretto
per anni l’Istituto di Diritto pubblico
della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Cagliari. Diversi
suoi scritti sono direttamente collegati
ai problemi istituzionali della Regione
sarda: Il ruolo degli organismi comprensoriali nella legislazione della Regione
sarda sulle procedure per la programmazione, ‘‘Studi di diritto pubblico’’,
1980; Sardegna, ‘‘Archivio Isap’’, 1983;
Statuto sardo: attuarlo prima di una riforma, in Per un’altra Sardegna, 1984;
L’ordinamento regionale della Sardegna: autonomia e specialità tra norme
statutarie e realtà, 1986; Il settore distributivo in Sardegna, 1992.
Ballero, Francesco Avvocato, sindaco
di Cagliari (Cagliari 1878-ivi 1923). Discendente dal ramo cagliaritano della
famiglia; conseguita la laurea in Legge
si dedicò alla professione di avvocato,
divenendo uno dei maggiori avvocati
del suo tempo. Celebre la sua difesa di
Umberto Cao, accusato di essere stato
uno degli ispiratori dei moti di Cagliari
del 1906, attraverso il suo giornale ‘‘Il
Paese’’, fortemente critico nei confronti dell’amministrazione Bacaredda. Abile politico, fu eletto consigliere provinciale e consigliere e assessore comunale di Cagliari; per qualche anno fu anche sindaco della città.
Morı̀ improvvisamente nel 1923 a soli
45 anni.
Ballero, Pietro Alto funzionario sabaudo (Alghero, prima metà sec.
XVIII-Cagliari, dopo 1832). Dopo essersi laureato in Legge, ebbe modo di
porre in evidenza le sue qualità intellettuali e di ottenere diversi incarichi
amministrativi e giudiziari di crescente importanza. Nel 1794 si trasferı̀
a Cagliari, dove entrò a far parte della
segreteria del viceré Vivalda; nel 1795
fu nominato referendario del Consiglio di Stato, funzione che svolse in momenti difficili con grande equilibrio.
Negli anni seguenti proseguı̀ la sua
prestigiosa carriera amministrativa e
nel 1799, come riconoscimento della
stima di cui godeva, gli fu conferita la
nobiltà. Nel 1806 fu nominato vice intendente generale delle Finanze per il
Capo di Sassari; nel 1812 gli venne affidato l’ufficio di intendente generale
del Monte di riscatto col compito di
estinguere il debito pubblico; a sancire
le sue particolari benemerenze nel
1817 gli fu concesso il titolo di conte
per aver portato a termine con successo quel difficile compito. La biblioteca della Camera di Commercio di Cagliari conserva un suo manoscritto intitolato Discorso istorico, politico, legale
dei boschi e selve del regno di Sardegna.
Ballero de Candia, Antonio Avvocato
e poeta (n. Alghero 1927). Discendente
da un nipote del conte Pietro che aveva
piantato radici ad Alghero, dopo essersi laureato in Legge si è dedicato
con successo alla professione di avvocato. Animatore della vita culturale
della sua città, tra il 1950 e il 1960 ha
aderito al ‘‘Centro di studi algheresi’’,
preoccupandosi di rinnovare l’interesse per lo studio della lingua e delle
tradizioni catalane; nel 1961 è stato tra
gli animatori dei Jocs Florals, la grande
rassegna internazionale della letteratura in lingua catalana. È stato anche
più volte eletto consigliere comunale
della sua città. Il suo nome è legato a
delicate raccolte di versi con i quali ha
ottenuto riconoscimenti a Barcellona e
a Parigi e, nel 1962, il premio ‘‘Città di
389
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 397
Ballero Pes
Ozieri’’. Alla cultura e alla poesia della
sua città ha dedicato il volume Alghero,
cara de roses, 1961.
Ballero Pes, Antonio Giornalista e
scrittore (Cagliari 1905-Venezia 1976).
Appartenente al ramo cagliaritano
della famiglia. Interrotti gli studi per
l’improvvisa morte di suo padre, il
grande avvocato Francesco, a ventidue
anni si avviò alla professione di giornalista, entrando nella redazione de
‘‘L’Unione sarda’’ e iniziando cosı̀ un
rapporto destinato a durare un quarantennio, fino al suo collocamento in
pensione. Nel corso degli anni ideò e
diede vita a numerose, seguitissime rubriche, tra le quali è da ricordare Memorie di tempi lontani, in cui rievocò la
Cagliari della sua infanzia e della sua
giovinezza con struggente nostalgia e
insieme con grande senso storico. Nel
1964 vinse il premio di giornalismo
‘‘Iglesias’’. In seguito, andato in pensione, si ritirò a Venezia, da dove continuò a inviare al giornale ‘‘pezzi’’ di
grande livello. Il lungo elenco dei suoi
articoli copre un arco di 45 anni. Alcuni
dei suoi ricordi animano il volume Le
case di fango. Cagliari e altri scritti, pubblicato nel 1985.
Bernardo, che godevano di una discreta posizione alla corte dei re d’Aragona e che nel 1323 presero parte alla
spedizione in Sardegna armando la
nave sulla quale viaggiò l’infanta Teresa. Subito dopo la conquista furono
ricompensati con alcuni feudi e con
l’ufficio di maestro della zecca di Iglesias per Bernardo, la cui discendenza
però si estinse nel 1348 a causa della
peste. Anche la discendenza di Arnaldo si estinse a metà del secolo XIV.
Ballester, Arnaldo I Gentiluomo catalano (Barcellona?, fine sec. XIII-Sardegna 1338). Consigliere reale stimato
da Giacomo II, nel 1323 si impegnò, unitamente a suo fratello Bernardo, nella
preparazione della spedizione dell’infante Alfonso. Con una nave di sua proprietà provvide a trasportare in Sardegna l’infanta Teresa; dopo la conquista
fu ricompensato con le signorie di Soleminis, Sirio e Sehanno nella curatoria di Dolia e con quella di Mogor de
Liurus nella curatoria di Decimomannu. Il re gli concesse anche la salina di Mannari, posta in prossimità di
Bionis, nella Nurra, per la quale nel
1330 ebbe dei contrasti con Giacomo
Carroz.
Ballero Pes, Paolo Letterato (Cagliari
Ballester, Arnaldo II Gentiluomo cata-
1919-Siena 1972). Dopo la laurea entrò
nell’amministrazione universitaria
giungendo al grado di direttore generale dell’Università di Siena. Giornalista, poeta e romanziere, scrisse il
poema Notte marmarica, 1941; il saggio
Le chiese di Roma, 1950; la raccolta di
liriche Quando l’anima è nuda, 1958,
che gli fece vincere il premio della Presidenza del Consiglio; Memorie dall’isola, 1960, un altro volume di liriche; e
infine Carme secolare sardo, 1964.
lano (sec. XIV). Figlio di Arnaldo I, cresciuto negli ambienti di corte, dopo la
morte del padre ne raccolse l’eredità.
Nel 1344 fu inviato in Sardegna per liquidare i debiti che Alfonso IV aveva
lasciato nell’isola; nel 1346 fu anche
nominato collettore della decima, ma
il suo comportamento, poiché consegnava con ritardo le somme riscosse,
fece nascere dei sospetti nei suoi confronti e fu richiamato a corte per giustificarsi. Morı̀ pochi anni dopo senza
eredi.
Ballester Famiglia catalana originaria
di Barcellona (sec. XIV). Le sue notizie
risalgono al secolo XIII. Agli inizi del
secolo XIV vivevano i fratelli Arnaldo e
Ballester, Bernardo Maestro della
zecca di Iglesias (m. 1330). Fratello di
Arnaldo I, dopo la conquista ebbe la
390
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 398
Balmuth
signoria di Samatzai nella curatoria di
Nuraminis e nel 1326 fu nominato maestro della zecca di Iglesias. Svolse il
suo compito con grande efficienza, riuscendo a portare la zecca a un livello di
produzione ottimale.
Balletto, Giorgio Commercialista, consigliere regionale (n. Cagliari 1942). Subito dopo aver conseguito la laurea si è
dedicato all’insegnamento negli istituti superiori e alla libera professione.
Dopo il 1990 si è anche impegnato in
politica e nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per Forza Italia nel
collegio di Cagliari per l’XI legislatura;
riconfermato per la XII nel 1999 nello
stesso collegio, nel 2003 è divenuto assessore regionale nella giunta Masala.
Ricandidato per la XIII legislatura nel
2004, non è stato rieletto.
Balletto, Laura Storica (n. Genova
1945). Allieva di Geo Pistarino, dopo la
laurea in Lettere si è specializzata in
Paleografia e ha iniziato la carriera
universitaria. Nel 1976 ha insegnato all’Università di Sassari; nel 1984 è diventata professore associato di Paleografia; attualmente insegna Paleografia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Genova. Alcuni dei suoi numerosi studi sono dedicati all’approfondimento dei rapporti tra la Liguria
e la Sardegna nel Medioevo: Tra Sardegna e Porto Venere nel secolo XIII, ‘‘Archivio storico sardo di Sassari’’, II,
1976; Tra Cagliari e Ventimiglia alla
metà del Duecento, ‘‘Archivio storico
sardo’’, XXX, 1976; Studi e documenti
su Genova e la Sardegna nel secolo
XIII, ‘‘Saggi e documenti del Civico
Istituto colombiano’’, II, 1981; Documenti notarili liguri relativi alla Sardegna sec. XII-XII, in La Sardegna nel
mondo mediterraneo, Atti del primo
Convegno internazionale di studi geografico-storici, Sassari 1981, 1984; Pescatori di corallo marsigliesi in Sarde-
gna nel XIII secolo, in Pesca e pescatori
in Sardegna (a cura di Gabriella Mondardini), 1997.
Balma, Giovanni Antonio Religioso
(Pinerolo 1817-Cagliari 1881). Arcivescovo di Cagliari dal 1871 al 1881. Appartenente all’ordine degli Oblati, si
dedicò all’attività missionaria e dal
1845 fu inviato in Birmania dove dal
1848 fu vescovo di Tolemaide e vicario
apostolico. Nel 1853 si ammalò e fu costretto a tornare in Piemonte. Nel 1856
volle tornare in Birmania, ma dopo pochi mesi il riacutizzarsi del suo male lo
costrinse a dare le dimissioni e a stabilirsi a Torino. Nel 1865 fu inviato a
Ozieri come visitatore apostolico, nel
1870 partecipò al concilio Vaticano I.
Nominato arcivescovo di Cagliari,
diede impulso alle opere pastorali e al
miglioramento delle condizioni del
clero. Tra i suoi scritti: numerose Lettere pastorali al clero e al popolo della
città e archidiocesi di Cagliari, 18721881; Pubblicazione delle lettere apostoliche sull’identità dei corpi dei Ss. Ambrogio, Gervasio e Protasio, 1874.
Balmuth, Miriam S. Archeologa americana (1922-2004). Dopo la laurea si è
dedicata alla ricerca e all’insegnamento in alcune Università degli USA.
Giunta in Sardegna per motivi di studio, tra il 1975 e il 1978 ha condotto una
campagna di scavo nel nuraghe di Ortu
Comidu presso Sardara. Da allora è divenuta instancabile promotrice dell’interesse per l’archeologia della Sardegna negli ambienti accademici americani. Nel 1982, in collaborazione col
Rowland, ha promosso la prima sessione di studi sull’argomento svoltasi
presso l’Università del Michigan. Subito dopo è diventata professore di Antichità classiche e di archeologia alla
Tufts University di Medford, dove nel
1985 ha organizzato la seconda sessione di studi sull’archeologia sarda.
391
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 399
Balsamo
Tra i suoi scritti: Ancient copper and
bronze in Sardinia: Excavation and
analysis (con R. Tylecote), ‘‘Journal of
Field Archaeology’’, 3, 1976; Sardinian
Bronzetti in American Museums, ‘‘Studi
sardi’’, XXIV, 1977; Copper and bronze,
metallurgy in Sardinia, ‘‘Journal of historical metallurgy Society’’, 17, 1983;
Advances in Sardinian Archaeology, in
Crossroads of Mediterranean, vol. II di
‘‘Archeologia Transatlantica’’, 1984;
The Nuraghi of Sardinia. An Introduction, introduzione a Studies in Sardinian Archaeology, 1984; Nuraghe Ortu
Comidu (Sardara-Ca): preliminary Report of Excavations 1975-78, ‘‘Notizie
degli Scavi di Antichità’’, XXXVII,
1986; Ortu Comidu: excavation and laboratory, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di
Cagliari e Oristano’’, 11, 1994.
problemi del suo paese natale, ne è
stato ripetutamente sindaco, adoperandosi per lo sviluppo della comunità.
Per suo merito il piccolo centro dell’altipiano di Alà ha acquisito fama internazionale per le manifestazioni di atletica. Tra i suoi scritti: Alcuni monumenti inediti dell’altopiano di Buddusò
e Alà dei Sardi, ‘‘Studi sardi’’, XXII,
1973; Il santuario di Sos Nurattolos,
‘‘La Nuova Sardegna’’, 1974; Il pozzo sacro di su Posidu (Alà dei Sardi), ‘‘La
Nuova Sardegna’’, 1974; Una necropoli
prenuragica nelle campagne di Buddusò, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1975.
Balsamo, Luigi Bibliotecario e biblioteconomo (n. San Damiano d’Asti 1926).
Dopo la laurea ha iniziato a lavorare
come bibliotecario. Ha diretto la Biblioteca Universitaria di Cagliari dal
1961 al 1962 avviando il restauro della
sala settecentesca e dando inizio a una
più razionale sistemazione del materiale librario. Successivamente ha lavorato presso altre biblioteche e dal
1976 è divenuto professore universitario. Attualmente insegna Bibliografia e
biblioteconomia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di
Parma. Tra i suoi scritti tre riguardano
la Sardegna: La lettura pubblica in Sardegna. Documenti e problemi, 1964; I
primordi dell’arte tipografica a Cagliari,
‘‘La Bibliofilia’’, LXVI, 1, 1964; La
stampa in Sardegna nei secoli XV e XVI
con appendici documenti e annali, 1968.
Baltolu, Antonello Insegnante, amministratore pubblico (n. Alà dei Sardi
1932). Conseguita la laurea in Lettere,
si è specializzato in Studi sardi presso
l’Università di Cagliari. Sensibile ai
Honoré de Balzac – Venne in Sardegna a
cercare la fortuna nelle scorie delle miniere
d’argento.
Balzac, Honoré de Romanziere francese (Tours 1799-Parigi 1850). Il celebre scrittore francese ebbe un rapido
e tempestoso soggiorno in Sardegna. Il
tutto ebbe inizio nel 1837 quando incontrò a Genova un certo Pezzi che gli
prospettò la possibilità di arricchirsi
rapidamente sottoponendo a un ulteriore sfruttamento le scorie delle miniere d’argento esistenti in Sardegna
con l’impiego di tecniche più moderne
di quelle dell’estrazione originaria.
Convinto di aver trovato l’Eldorado,
dopo una frettolosa preparazione, ca-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 400
Banari
ricatosi di debiti, partı̀ alla volta della
Sardegna. Il viaggio fu faticoso: raggiunse l’isola passando per la Corsica
e il 12 aprile del 1838 giunse ad Alghero. Subito si diresse verso l’Argentiera alla ricerca delle mitiche scorie e
grande fu la sua delusione quando,
giunto sul posto, scoprı̀ che il Pezzi
(che gli aveva parlato dei ‘‘tesori’’
sardi) lo aveva preceduto e aveva ottenuto lui la concessione. Allora, viaggiando per cinque giorni a cavallo e in
diligenza, si diresse verso Domusnovas
dove sperava di trovare altre scorie.
Rimasto senza soldi, si spostò a Cagliari dove si accorse di non essere
molto conosciuto: non gli rimase che
ripartire pieno di delusione e di rabbia, rabbia che gli suggerı̀ ingiuste parole nei confronti della Sardegna (in
una delle cinque lettere alla futura moglie, madame Hanska, descrive giungle
in cui bisogna aprirsi la strada con il
machete e indigeni selvaggi e seminudi).
Banari Comune della provincia di Sassari, incluso nel Comprensorio n. 5, con
667 abitanti (al 2004), posto a 419 m sul
livello del mare, in una regione di colline pochi chilometri a sud di Sassari.
Regione storica: Meilogu. Archidiocesi di Sassari.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 21,27 km 2 : ha forma
grosso modo romboidale e confina a
nord con Florinas e Siligo, a est ancora
con Siligo, a sud con Bessude, a ovest
con Ittiri. Il suolo, che va da un’altitudine di 160 m a punte massime di 580, è
di natura per metà calcarea, per l’altra
metà basaltica e trachitica: pregiata la
trachite che veniva estratta un tempo e
impiegata nell’edilizia. Adatta all’agricoltura ma oggi sfruttata prevalentemente per l’allevamento, la campagna
è tagliata da alcuni corsi d’acqua che
fanno parte del bacino del Mannu di
Porto Torres. Tradizionalmente appartato rispetto alle vie di comunicazione
più importanti della zona, la SassariCagliari e la secondaria che passa per
Siligo e Thiesi, il paese è servito da una
strada che, staccandosi da quest’ultima, prosegue per diramarsi poi verso
Florinas, Ossi e Ittiri.
Banari – Giuseppe Carta vive e lavora fra
Genova e Siligo. Nel suo paese natale ha
creato la Fondazione Logudoro Meilogu,
impegnata nella promozione delle arti visive.
STORIA Sviluppatosi nel Medioevo,
B. faceva parte del giudicato di Torres
ed era compreso nella curatoria del
Meilogu. Era un centro importante anche per la presenza nelle sue campagne del monastero cistercense di Santa
Maria di Cea, la cui fondazione risale
al secolo XII. Dopo la morte della giudicessa Adelasia, passò unitamente all’intera curatoria in mano ai Doria che
lo inclusero nel piccolo stato feudale
che avevano formato. Essi seppero instaurare un buon rapporto con gli abitanti del villaggio che mantennero i
loro privilegi e la loro autonomia e vissero sostanzialmente in pace fino alla
conquista aragonese; i Doria si dichiararono vassalli del re d’Aragona e B.
entrò nel 1323 a far parte del Regnum
&
393
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 401
Banari
Sardiniae. Quando però nel 1325 si ribellarono e ne fecero una delle basi
della loro organizzazione militare, il
villaggio fu teatro della guerra e nel
1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e
devastato. Continuò a rimanere nelle
loro mani, subı̀ altri gravi danni durante la ribellione del 1347 e dopo l’epidemia di peste del 1348 si spopolò
quasi completamente: si calcola che
nella seconda metà del secolo avesse
non più di 50 abitanti. In seguito i Doria
si riavvicinarono al re d’Aragona, ma
quando nel 1365 scoppiò la seconda
guerra tra Mariano IV e Pietro IV il
paese, dopo un disperato tentativo di
resistenza da parte di Brancaleone Doria, fu occupato dalle truppe arborensi. Quando quest’ultimo sposò Eleonora d’Arborea, la situazione di B. cambiò, e continuò a essere amministrato
come un villaggio giudicale fino alla
caduta definitiva degli Arborea. Dopo
la battaglia di Sanluri cadde nelle
mani del visconte di Narbona che lo
tenne fino al 1420; tornato sotto controllo reale, nello stesso anno il villaggio entrò a far parte del grande feudo
concesso a Bernardo Centelles. Il figlio
di Bernardo nel 1442 vendette B. e Siligo a Cristoforo Manno che, a sua volta,
nel 1444 cedette i due villaggi a Nicola
Viguino. Il villaggio però non trovò
pace, infatti l’anno successivo il nuovo
feudatario vendette i due paesi a Serafino Montañans. Nel secolo seguente B.
continuò a passare di mano più volte, e
nel 1500 costituı̀ la dote di Giovanna di
Montañans quando questa si sposò con
Francesco Castelvı̀ del ramo sassarese
della famiglia; in quel periodo il villaggio si andava riprendendo e contava
una popolazione vicina ai 200 abitanti.
Da Giovanna e Francesco nacque Gerolamo che quando morı̀ lasciò a sua
volta tre figlie: Anna moglie di Fede-
rico Cardona, Maria moglie di Artale
Castelvı̀ del ramo cagliaritano, e Francesca, sposata con un Fabra. Negli anni
seguenti il villaggio fu oggetto di lunghe liti tra gli eredi delle tre signore e
nel 1535 passò nelle mani dei Cardona,
che a loro volta si estinsero nel 1590
con Gioacchino che designò sua erede
la moglie Caterina Alagon. La successione di quest’ultima fu però contestata dal fisco, che considerava il feudo
di cui B. faceva parte devoluto, e dai
Castelvı̀ del ramo di Laconi. Nel 1597
questi ultimi la spuntarono e B. divenne il centro di un feudo che fu assegnato al marchese di Laconi il quale ne
fece l’appannaggio per il suo secondogenito. Nel 1646 il nuovo feudo fu costituito in marchesato che prese il nome
di Cea dall’antico monastero cistercense, le cui memorie B. custodiva
nella chiesa di Santa Maria. I Castelvı̀
gravarono le sue rendite di ipoteche e
di debiti e quando nel 1669 il feudo fu
loro confiscato, a causa delle tristi vicende che li coinvolsero nell’assassinio del viceré Camarassa, la sua amministrazione era largamente deficitaria.
Alla confisca seguirono anni confusi,
B. fu infeudato a Giacomo Alivesi, il
traditore dell’ultimo marchese di Cea,
ma si trattò di investitura di breve durata perché il nuovo feudatario era
odiato dai vassalli. Il villaggio andò decadendo e fu decimato dalla peste:
nella seconda metà del secolo superava di poco i 200 abitanti. Nel 1699 fu
nuovamente infeudato ai Fortesa, che
per liberarsi dai debiti di cui era gravato lo fecero amministrare da persone senza scrupoli accentuando il disagio della popolazione. Nel 1740 essi
rinunciarono al feudo e nel 1741 B. fu
acquistato dai Musso col titolo di conti
di Villanova Montesanto. Era oramai
ridotto a villaggio senza importanza,
ma i suoi abitanti avviarono con
394
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Banari
grande impegno tutta una serie di attività che modificarono le sue condizioni generali e la popolazione riprese
a crescere al punto che nel 1781 B. toccava quasi i 1000 abitanti. Nel corso del
Settecento, però, il rapporto con i feudatari si fece sempre più teso anche
perché, con la costituzione nella seconda metà del secolo del Consiglio comunitativo e del Monte granatico, la
coscienza degli abitanti e la loro aspirazione a liberarsi dal vincolo feudale
si fecero sempre più decise, e alla fine
del secolo esplosero nei moti antifeudali ai quali essi presero parte con
grande impegno. Nel 1821 B. fu incluso
nella provincia di Alghero; nel 1839 fu
riscattato ai Musso. In questi anni Vittorio Angius scriveva: «Componesi di
350 case. Vi è una scuola normale di 35
giovinetti. Il censimento del 1832 diede
un totale di anime 1281, in famiglie 345.
Impiegansi nell’agricoltura gioghi 90, e
si semina per ordinario starelli di
grano 1400, d’orzo 150, di fave 100. Il
vigneto è in terreno felice. Il bestiame
domito, tra buoi, vacche mannalite e
giumenti, sommava nel 1833 a 600
capi; il rude a 3000». Abolita nel 1848
la provincia di Alghero, il villaggio rimase nella divisione amministrativa di
Sassari fino al 1859 e successivamente
entrò a far parte della omonima provincia. Nella seconda metà dell’Ottocento l’economia di B. sembrò avere
un deciso sviluppo, la viticoltura e l’allevamento fecero intravedere grandi
possibilità, la popolazione continuò a
crescere e alla fine del secolo oltrepassò i 1600 abitanti; la crisi di fine secolo però ebbe effetti pesanti, molte
fiorenti attività economiche furono
chiuse e il villaggio entrò in una crisi
profonda. Nei primi decenni del Novecento la situazione non migliorò e dopo
il 1960 la popolazione preferı̀ emigrare
massicciamente per sfuggire alla precarietà della propria condizione.
Banari – La chiesetta campestre di Santa
Maria di Cea era annessa a un convento
cistercense.
& ECONOMIA La sua economia è prevalentemente basata sull’agricoltura:
la cerealicoltura, la viticoltura e l’olivicoltura vi sono praticate a buon livello; di particolare qualità sono i vini.
Anche la pastorizia vi è sviluppata, discreta è la produzione di formaggi. Altro fattore dell’economia di B. sono le
attività commerciali e alcune modeste
attività imprenditoriali.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 699 unità,
di cui stranieri 3; maschi 345; femmine
354; famiglie 305. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento
della popolazione, con morti per anno
6 e nati 7; cancellati dall’anagrafe 11;
nuovi iscritti 12. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 3788
in migliaia di lire; versamenti ICI 472;
aziende agricole 113; imprese commerciali 47; esercizi pubblici 2; esercizi al
dettaglio 11. Tra gli indicatori sociali:
occupati 189; disoccupati 24; inoccupati 53; laureati 2; diplomati 78; con licenza media 196; con licenza elemen-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 403
Banca Agricola di Gallura
tare 293; analfabeti 20; automezzi circolanti 263; abbonamenti TV 242.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Sono
stati individuati i nuraghi Corona
Alta, Domu Pabaras, Monte Franca, Piraula e Sa Tanchitta, a dimostrazione
che il territorio era popolato in epoca
preistorica. Di particolare interesse le
domus de janas di Sa Tanca ’e su Rettore, un complesso di tre sepolture ipogeiche, e quelle di Monte Cunzadu.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Caratteristico è l’assetto urbanistico del villaggio, che è nato dalla fusione di tre nuclei di popolamento di
origine medioevale. Il primo, che costituisce il centro del paese, coincide con
il primo nucleo sorto intorno alla
chiesa di San Giacomo oggi scomparsa.
Il secondo rappresenta la parte alta del
paese e si è aggregato attorno alla
chiesa di San Michele, costruita nel secolo XII in forme romaniche e poco
dopo donata ai Camaldolesi che ne fecero una dipendenza dell’abbazia di
Saccargia. Aveva l’impianto a una navata completata dall’abside e la copertura in legno a capriate. Nel corso dei
secoli andò in rovina e fu ricostruita
nelle forme attuali nel 1892. Il terzo
abitato, infine, si è sviluppato nell’attuale parte bassa dell’abitato dove
sorge la chiesa di San Lorenzo, un
tempo affiancata da un convento: costruita in forme romaniche nel secolo
XIII come dipendente dall’abbazia di
Saccargia, in seguito divenne la parrocchiale del villaggio e nel corso dei
secoli subı̀ numerose modificazioni
che ne alterarono l’aspetto originario.
In particolare nel secolo XVIII fu ristrutturata radicalmente la navata,
mentre nel XIX la facciata fu rifatta in
forme neoclassiche. L’abitato è caratterizzato da strade ampie nelle quali
si affacciano alcune case del tipo a palattu, con una bella passeggiata pano-
ramica sulla vallata del monte Pelao.
In uno di questi eleganti palazzotti d’epoca spagnola ha sede la Fondazione
Logudoro Meilogu, che ospita una rassegna permanente delle arti visive
contemporanee sarde e nazionali e organizza sul territorio mostre annuali di
notevole importanza. A poca distanza
dall’abitato vi è la chiesa di Santa Maria di Cea che fu edificata in forme romaniche nel 1260 e annessa a un romitorio dei Vallombrosani. L’edificio ha
una sola navata e l’abside con la volta
a botte; la facciata, sobria ed elegante,
è sormontata da un campaniletto a
vela.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Festa principale del villaggio è quella di
San Lorenzo, patrono del paese, che si
svolge il 10 agosto. Si tratta della classica sagra paesana con i fuochi artificiali e il concorso di molte bancarelle a
ricordo di una piccola fiera che in passato vi si teneva. Altra festa importante
è quella di Santa Maria di Cea che si
svolge l’8 settembre presso l’omonima
chiesetta campestre e dura due giorni;
in passato era rinomata per le gare
equestri che vi si svolgevano. Da due
anni è ripresa anche la celebrazione
della festa di Sant’Antonio da Padova.
A queste manifestazioni tradizionali se
ne sono aggiunte di recente altre, come
importanti rassegne d’arte e di pittura
e una inedita sagra della cipolla (legata
a un prodotto tipico locale), nate dall’iniziativa di un pittore di larga notorietà, Giuseppe Carta, che si preoccupa di suscitare le energie intellettuali del paese, anche attraverso la
Fondazione Logudoro Meilogu (=) cui
ha dato vita.
Banca Agricola di Gallura Istituto di
credito attivo alla fine del secolo XIX.
Fondato nel 1877 in seguito all’entrata
in vigore della legge Castagnola del
1869 e abilitato all’esercizio delle ope-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 404
Banca Costa
razioni di credito agrario, aveva un capitale di circa 100 000 lire, di cui furono
versate solo 30 000 lire. Visse in maniera precaria per cinque anni, e
quando nel 1883 fu abolito il corso forzoso della lira, in poco tempo dovette
cessare le proprie attività.
Banca Agricola Industriale Arborense Istituto di credito agrario fondato nel 1872 con un capitale di 500 000
lire di cui solo 150 000 versate. Emetteva buoni agrari e solo in seguito si
occupò di depositi e di conti correnti;
la sua vita fu breve. Infatti, travolto
dalla crisi economica del 1887, fu costretto a chiudere gli sportelli per insolvenza.
dicò anche alla raccolta del credito che
gli consentı̀ di intraprendere altre attività di finanziamento a più largo respiro. Spinto dal governo, finanziò con
1 200 000 lire l’impresa della miniere
tunisine di Gebel Ressas, per cui fu gravemente provato dalla crisi del 1887.
Riuscı̀ comunque a sopravvivere fino
al 1898 ricorrendo all’aumento del capitale e ottenendo il sostegno della
Banca Nazionale. Nel 1898, però, fu posto in liquidazione e chiuse definitivamente gli sportelli nel 1906, dopo avere
restituito ai clienti tutti i risparmi depositati.
Banca Commerciale Sarda Istituto di
credito fondato a Sassari nel 1873 con
un capitale nominale di 2 milioni di
lire. Affidato alla direzione di Costantino Casella, nel 1878, dopo un avvio incerto, il capitale della banca fu ridotto
della metà, ma la sua esistenza continuò a essere precaria, cosicché non appena furono evidenti i segni della crisi
economica del 1887 fu costretto a cessare ogni attività.
Banca Commissionaria di Sassari
Istituto di credito fondato nel 1873 da
un gruppo di mercanti. Affidato alla direzione di Nicola Costa Podestà, aveva
come scopo fornire anticipazioni agli
operatori commerciali su prodotti,
merci e commissioni. Si trovò subito in
difficoltà: nel 1876 chiuse gli sportelli e
fu messo in liquidazione.
Banca Costa Istituto di credito opeBanca Agricola Sarda – Diritto e rovescio di
una banconota da 30 lire.
Banca Agricola Sarda Istituto di credito agrario voluto nel 1871 dal deputato e finanziere Giovanni Antonio
Sanna. Inizialmente abilitato alle operazioni di credito agrario, riscosse la
fiducia dell’opinione pubblica e si de-
rante a Sassari tra la prima metà del
secolo XIX e il 1901. Faceva capo alla
ditta genovese Costa che operava nel
settore delle conce in Sardegna già dal
1817. Per sostenere il volume dei propri affari la ditta, a partire dalla prima
metà dell’Ottocento, svolse alcune funzioni bancarie. Amministrata oculatamente, riuscı̀ a sopravvivere alla crisi
del 1887; nel 1901, però, per un’improv-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Banca di Sassari spa
visa crisi di liquidità fu costretta a
chiudere.
Banca di Sassari spa Istituto di credito costituito nel febbraio 1993, ha
una storia lunga e illustre. Esso infatti
trova le sue radici più antiche nella
Banca Cooperativa fra Commercianti
fondata a Sassari nel 1888 e posta sotto
la presidenza di Diego Brusco. L’istituto si prefiggeva di offrire credito ai
commercianti e agli impiegati del settore commerciale a condizioni particolarmente vantaggiose. Quando nel 1895
la presidenza fu assunta da Gervasio
Costa, fu avviata la riforma dello statuto, cosicché nel 1902 la banca assunse la denominazione di Banca Popolare Sassarese e continuò a crescere
moderatamente e a rafforzare il proprio capitale. Nel 1925 si estese ulteriormente grazie all’intervento finanziario dell’Unione Industriale e Commerciale sponsorizzato dall’economista Gavino Alivia. L’apporto finanziario fu decisivo per le sorti della banca:
tra il 1926 e il 1936 l’istituto crebbe in
modo notevole, guidato a partire dal
1927 dall’Alivia che ne divenne presidente. Nel 1936 egli fece votare una
nuova modifica dello statuto in seguito
alla quale la banca prese il nome di
Banca Popolare Cooperativa Autonoma di Sassari. Continuando a svilupparsi, nel 1948 prese il nome di Banca
Popolare di Sassari-Società Cooperativa a responsabilità limitata. Nel 1979
contava più di 7000 soci con utili annui
per 400 000 000 milioni, passando da
una dimensione provinciale a una regionale. Nel 1990 aveva più di 21 000
soci e un capitale sociale di 18 miliardi.
Ma la stessa crescita tumultuosa pose
nuovi problemi e a partire dal 1990 la
banca fu posta in gestione straordinaria. Dopo tre anni fu riportata alla gestione normale a costo di gravissimi sacrifici dei primitivi azionisti e incorpo-
rata nella B. di S. spa, società costituita
nel 1993 con l’adesione del Banco di
Sardegna.
Bancali Centro abitato della provincia
di Sassari, frazione di Sassari (da cui
dista 9 km), con circa 200 abitanti, posto a 92 m sul livello del mare in un territorio di bassi rilievi calcarei al confine con la Nurra. Regione storica: Fluminargia. Archidiocesi di Sassari.
& TERRITORIO Il territorio è quello tipico della zona di Sassari: un tavolato
calcareo digradante dolcemente verso
la costa settentrionale; questa zona
non particolarmente ricca d’acqua
aveva trovato in passato la sua vocazione nella coltura dell’olivo. La maggior parte della frazione si distende
lungo la strada Sassari-Argentiera, ma
da qualche tempo la frazione è collegata con la nuova superstrada per Alghero.
& STORIA Sorta in anni recenti come
agglomerato per i coloni di queste campagne, oggi la frazione ospita ancora
agricoltori, ma è divenuta luogo di abitazione anche per cittadini sassaresi
ed è sede di alcuni servizi e di qualche
iniziativa commerciale legata alla
città.
Banca Popolare Cooperativa di Cagliari Istituto di credito fondato nel
1884 per scontare cambiali ed effettuare operazioni e credito agrario a favore dei soci. Fu la prima banca cooperativa di credito costituita in Sardegna. Anche questo istituto, però, ebbe
vita breve e nel 1887 dovette chiudere
la sua attività.
Banca Popolare di Sassari Istituto
bancario che trae le sue origini dalla
Banca cooperativa fra commercianti,
costituita a Sassari nel 1888 con un modesto capitale sotto la presidenza di
Diego Brusco. Nel 1902 l’istituto assunse la denominazione di Banca Popolare Sassarese. Nel 1925 si estese fi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Banco di Sardegna
nanziariamente e continuò a crescere.
Verso la fine del secolo, entrata in crisi,
fu assorbita dal Banco di Sardegna (=),
che nel 1993 la ricostituı̀ in Banca di
Sassari spa.
Banco di Cagliari Istituto di credito
agrario fondato nel 1869, subito dopo
la promulgazione della legge Castagnola che, su ispirazione di Enrico Serpieri, istituiva il credito agrario. Si
prefiggeva di sostenere il commercio e
le attività marittime e tentò inutilmente di farsi attribuire le operazioni
di credito fondiario in Sardegna. Prevalentemente indirizzò la propria attività a sostegno dello sviluppo delle ferrovie sarde e gradualmente in questo
campo pretese di sostituirsi al gruppo
Semenza. Negli anni in cui il deputato
e finanziere cagliaritano Ghiani Mameli divenne l’amministratore della
società, il B. di C. sostenne lo sviluppo
del Credito Agricolo Industriale Sardo,
per cui quando ebbe inizio la crisi economica del 1887 fu il primo a trovarsi in
difficoltà. A causa della sfiducia di coloro che ne avevano appoggiato l’apertura, l’istituto fu costretto a circoscrivere la propria attività alla sola città di
Cagliari; in seguito, dopo pochi anni, fu
costretto a chiudere provocando gravi
danni a non pochi sottoscrittori.
Banco di Sardegna – Il Banco di Sardegna ha
ampliato la piccola rete di agenzie locali sino a
coprire l’intero territorio isolano.
Banco di Sardegna Istituto di credito.
La storia del B. di S., concepito come
istituto di diritto pubblico, è piuttosto
complessa. Nasce da un’esigenza già
manifestata negli anni Trenta quando
l’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna si trovò di fronte all’esigenza di
sviluppare ulteriormente le proprie attività bancarie e di dotare la Sardegna
di strumenti di credito adeguati al suo
sviluppo. L’idea non ebbe immediatamente seguito, probabilmente per le
vicende politiche legate al fascismo e
alla guerra; essa sembrò materializzarsi nel 1944, quando il B. di S. fu istituito con un decreto luogotenenziale
con il compito di sviluppare le possibilità produttive delle risorse economiche della Sardegna. Ma il nuovo istituto non fu in grado di operare, non
solo per la mancanza di capitali, ma
anche per le incertezze dei Governi
centrali in ordine alle norme da dettare per l’organizzazione del sistema
creditizio italiano. L’esigenza però rimase, anzi nel primo decennio del dopoguerra divenne sempre più evidente, anche perché con l’istituzione
della Regione autonoma e della Cassa
del Mezzogiorno apparve sempre più
necessaria la costituzione in Sardegna
di un moderno istituto di credito di diritto pubblico. La situazione fu sbloccata con la legge n. 298 dell’aprile 1953
delegata a promuovere lo sviluppo dell’attività creditizia nell’Italia meridionale. Con questa legge venne stabilita
la fusione dell’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna con il B. di S.: il
nuovo istituto avrebbe conservato la
denominazione di B. di S. e avrebbe
avuto la sede legale a Cagliari e quella
amministrativa a Sassari. Il lungo cammino del credito in Sardegna a cominciare dalle Casse ademprivili di Cagliari e di Sassari, dalle Casse provinciali di credito agrario di Cagliari e di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Banco di Sardegna
Sassari, dall’Istituto di Credito Agrario
per la Sardegna dai quali il nuovo istituto derivava era giunto al traguardo.
Infatti nel neonato B. di S. si sommavano le funzioni di banca di credito ordinario e quelle di istituto di credito
speciale per l’agricoltura in Sardegna.
I suoi organi erano un consiglio di amministrazione di nomina ministeriale
composto da 10 esperti di credito, in
seno al quale venivano individuati un
presidente e un vicepresidente, i cui
poteri erano amministrativi. L’organo
aveva la facoltà di delegare compiti
esecutivi a un consiglio ristretto costituito dal presidente, dal vicepresidente, da due consiglieri e dal direttore generale. Il B. di S., costituito
quindi con l’intervento diretto dello
stato, espanse rapidamente le proprie
attività, ma già dal 1955 sentiva la necessità di articolarsi con filiali e sedi
proprie su tutto il territorio regionale.
Per realizzare questo obiettivo si servı̀
delle Casse comunali di credito agrario, che erano state istituite fin dal
1928, e sulle quali, in base alla legge
del 1953, aveva avuto delegata dalla
Banca d’Italia la vigilanza. Cosı̀ nel
1962 il B. di S. ottenne l’autorizzazione
a istituire presso ciascuna Cassa comunale un proprio ufficio di corrispondenza. Un altro passo fu compiuto nel
1968, quando il B. di S. fu autorizzato
all’esercizio di tutte le forme di credito
consentite dalla legge; il sistema degli
uffici di rappresentanza a questo
punto facilitò il compito del Banco,
che dal canto suo cominciò ad aprire
proprie sedi e filiali in diversi centri
dell’isola e anche nella penisola e all’estero. Nel 1986 il B. di S. aveva 74 sportelli aperti accanto agli uffici di corrispondenza, che nel 1990 erano 316,
operanti su tutto il territorio della regione presso altrettante Casse comunali. Accanto a questa organizzazione
territoriale il B. di S. creò altre moderne strutture di credito, come la Sardaleasing, costituita nel 1979, e la Eptaconcors, costituita nel 1982. Ciò fu un
indubbio vantaggio per l’istituto in
quanto questi uffici finirono per agire
come veri e propri sportelli bancari anche nel Lazio, Toscana, Liguria e Lombardia.
Banco di Sardegna – La ‘‘pintadera’’, usata
fin dai tempi nuragici per ‘‘marcare’’ il pane, è
stata adottata come logo dal Banco di
Sardegna.
La crescita territoriale fu accompagnata dalla costituzione di sezioni di
credito speciali e da altre iniziative
creditizie mediante la costituzione di
società per azioni collegate. Cosı̀, in
pochi anni, accanto alla normale attività di credito ordinario il B. di S. costituı̀ tre sezioni di credito speciale: il
Credito agrario, il Credito fondiario e
la Sezione autonoma per il finanziamento di opere pubbliche e di impianti
di pubblica utilità. A questo punto il
consiglio di amministrazione sentı̀ la
necessità di una ristrutturazione delle
attività, cosı̀ nel 1992 il B. di S. fu trasformato in una spa che divenne la società capogruppo del Gruppo creditizio Banco di Sardegna. Agli inizi degli
anni Novanta, oltre alla trasformazione delle casse comunali in vere e
proprie agenzie del B. di S., per la legge
400
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 408
Bandino
n. 218 Amato-Carli, che imponeva agli
istituti di diritto pubblico di trasformarsi in società per azioni, nel luglio
1992 fu approvato un nuovo statuto e
nell’agosto nacque il Banco di Sardegna spa, le cui azioni vennero conferite
alla Fondazione Banco di Sardegna,
destinata a perseguire finalità di interesse pubblico e di utilità sociale. Nel
2001, infine, la Banca popolare dell’Emilia Romagna (BPER) ha acquisito
dalla Fondazione B.d.S. il 51% netto
del capitale sociale in azioni ordinarie.
Oggi il B. di S. fa parte del Gruppo
Banca popolare dell’Emilia Romagna,
costituito dal capogruppo e da altre 13
banche, mantenendo il carattere di
sub-holding nei confronti delle sue
controllate. Il B. di S. ha il 58% degli
sportelli bancari dell’isola, con i suoi
391 sportelli, di cui 16 nella penisola.
Banco di Sardegna – La sede centrale del
Banco di Sardegna a Sassari.
ziariamente fragile e nel 1876 fu posto
in liquidazione.
Bande, Francesco Fisarmonicista
(Bultei 1930-Sassari 1988). Inimitabile
suonatore di fisarmonica e di organetto diatonico, innovò profondamente il campo della musica e del ballo
tradizionale sardo. Attento osservatore del folclore, raccolse una discreta
collezione di oggetti, indumenti e strumenti musicali; morı̀ prematuramente
nel 1988. La sua collezione forma attualmente L’Esposizione etnografica
Francesco Bande; la sua sede di Sassari
è centro di manifestazioni folcloristiche.
Bandidori, su Figura tipica nei paesi
della Sardegna ancora fino alla metà
del secolo XX; era un dipendente comunale al quale venivano delegate alcune funzioni, la più importante delle
quali era quella di rendere noto alla
popolazione un bando dell’amministrazione comunale (ghettai su bandu).
Egli però poteva essere impegnato anche per comunicare alla popolazione
altre notizie di interesse pubblico o
per notificare a privatati avvisi dell’amministrazione comunale. Tradizionalmente espletava il proprio compito principale facendosi precedere
dal rullo del tamburo o dal suono di
una trombetta, al quale seguiva la comunicazione che generalmente ‘‘lanciava’’ in lingua sarda.
‘‘Bandiera Sarda, La’’ Settimanale.
Banco di Sassari Istituto di credito
agrario sorto nel 1871 in seguito alla
legge che istituiva il credito agrario;
fu diretto da Enrico Murtula, un banchiere che proveniva dalla Liguria.
Nella grande euforia che accompagnò
l’istituzione del credito agrario in base
alla ‘‘legge Castagnola’’, l’istituto ebbe
qualche iniziale successo e sembrò destinato a svilupparsi rapidamente. Ma
dopo soli quattro anni si rivelò finan-
Iniziò a essere pubblicato a Cagliari
nel 1881 e proseguı̀ fino al 1889. I redattori più importanti furono Arturo Santini, Enrico Dedoni e Giovanni Marcello.
Bandino Religioso (sec. XII). Arcivescovo di Torres dal 1196 al 1221 e vescovo di Solci dal 1221. Canonico della
cattedrale di Pisa, legato da profonda
amicizia ai Visconti, fu nominato arcivescovo di Torres nel 1196, ma presu-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 409
Bandinu
mibilmente non riuscı̀ a occupare la
cattedra, per cui continuò a rimanere
nella sua città. Fautore di Lamberto Visconti, nel 1221 venne consacrato vescovo di Solci da Mariano arcivescovo
di Cagliari, sulla cui diocesi gravava
l’interdetto pontificio a causa dei Visconti. B. ottenne il perdono da Onorio
III, intorno al 1225. Morı̀ subito dopo.
Bachisio Bandinu – Sociologo, fine
conoscitore delle zone interne, interprete e
studioso dei temi dell’identità.
Bandinu, Bachisio Antropologo (n.
Bitti 1939). Conseguita la laurea in Lettere si è dedicato per molti anni all’insegnamento nelle scuole medie, collaborando contemporaneamente alla
stampa sarda e nazionale. Per ragioni
di lavoro ha vissuto per alcuni anni in
Lombardia, insegnando e specializzandosi presso la Scuola superiore di
Comunicazioni dell’Università di Milano. È divenuto dal 1972 giornalista
pubblicista e ha approfondito i suoi
studi sulle tradizioni popolari. Tornato
in Sardegna, è diventato uno degli animatori più interessanti e originali del
dibattito attuale sull’identità, inserendosi nella prospettiva del dialogo tra
antropologia e scienze sociali aperta
da Giulio Angioni e Michelangelo
Pira. In particolare nelle sue opere B.
approfondisce il rapporto tra il mondo
tradizionale della pastorizia e la irrompente civiltà dei consumi e cerca
di dare una lettura adeguata al rapporto tra tradizione e innovazione.
Nel 1993 ha vinto il premio ‘‘Funtana
Elighes’’; nel 1999 è stato nominato direttore de ‘‘L’Unione sarda’’, e alla
guida del quotidiano ha tentato di
dare maggiore incisività alla sua concezione della realtà sarda. Attualmente è presidente della Fondazione
Sardinia. Dei suoi numerosi lavori alcuni sono da considerare anche un valido contributo per la lettura della storia contemporanea della Sardegna.
Tra gli altri: Il re è un feticcio (con Gaspare Barbiellini Amidei), 1976 (sull’antagonismo tra ‘‘civiltà’’ pastorale e
consumismo capitalistico); Costa Smeralda. Come nasce una favola turistica,
1980; Un sardismo da inventare, in Le
ragioni dell’utopia. Omaggio a Michelangelo Pira, 1984; Recenti trasformazioni dell’identità sarda, in Storia dei
Sardi e della Sardegna (a cura di Massimo Guidetti), IV, 1989; Narciso in vacanza, 1994; Il cavallo. Memorie, sogno,
storia (con Bebo Ardu e Lucio Gratani),
1995; Lettera a un giovane sardo, 1996;
Olbia città multietnica (con Giovanni
Murineddu ed eugenia Tognotti), 1997;
Visiones. I sogni dei pastori, 1998; Terra
de musas (con Paolo Pillonca), 2001;
Mario De Biasi (con Alfonso Gatto e Giuseppe Dessı̀), 2002; Identità-culturascuola (con Placido Cherchi e Michele
Pinna), 2003; Pastoralismo in Sardegna.
Cultura e identità di un popolo, 2006.
Bandita Termine con cui veniva indicato il diritto del feudatario di esigere
dai suoi vassalli un tributo che essi
erano tenuti a pagare quando portavano delle olive al frantoio baronale.
Questo balzello fu riconosciuto ancora
nell’Ottocento, ma quando il governo si
adoperò per sostenere lo sviluppo del-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 410
Banditismo
l’olivicoltura ne fu radicalmente trasformata la natura. Infatti i baroni furono obbligati a costruire frantoi con il
ricavato dall’esazione del tributo, e
qualora non avessero provveduto
venne data facoltà ai privati di impiantare i frantoi.
Banditismo – Foto di gruppo di carabinieri e
banditi dopo la battaglia di Morgogliai, nel
1899.
Banditismo Il fenomeno del banditismo ha un rilievo particolare nella storia della Sardegna. Il Codice promulgato sotto il regno di Carlo Felice
(1827) stabiliva che «erano riputati
banditi senza che fossero dichiarati
tali per pregone pubblico: i già condannati alla pena della galera; coloro che,
inquisiti di delitto importante simile
pena, fossero già stati citati per scolparsi, nonché coloro di cui fosse stato
decretato l’arresto dal giudice competente, qualora si dessero alla macchia
per sfuggire alla giustizia». Bandito,
quindi, è colui che si è sottratto volontariamente all’esecuzione di un comando della legge; nella realtà sarda
il bandito batte la campagna e commette altri delitti.
Da Roma alla Spagna Il fenomeno era
ben noto fin dai tempi dei Romani,
quando assunse caratteri di latente ribellione ‘‘nazionale’’ e un marcato carattere sociale. In periodo romano il b.
era soprattutto furto di bestiame e
spesso coloro che lo praticavano erano
pastori, abitanti delle montagne che
oratori come Cicerone chiamavano latrunculi mastrucati. Nel corso dei secoli successivi il fenomeno continuò a
manifestarsi ma divenne particolarmente evidente durante il periodo spagnolo. A partire dal secolo XVI, infatti,
le campagne erano corse da homines
facinorosos que van en quadrilla, vere e
proprie bande come quella di Manuzio
Fiore. Il fenomeno era di tale rilievo
che nel 1574 fu promulgata una Prammatica con la quale venivano prese misure per prevenire il formarsi delle
bande e soprattutto per reprimere il
favoreggiamento che (spesso da parte
degli stessi feudatari) rendeva possibile l’attività criminale. Nel corso del
secolo XVII il fenomeno delle bande
armate si sviluppò ulteriormente: le
campagne di Sassari, di Nuoro, del Goceano e della Gallura, anche grazie
alla natura dei luoghi, divennero teatro delle imprese di temibili bande che
ben presto furono in condizione di
compromettere gravemente l’ordine
pubblico.
Sotto i Savoia La situazione non si modificò con l’avvento dei Savoia, per cui
già dal 1720 fu necessario emanare i
primi provvedimenti per la repressione del fenomeno. Ma fu solo col viceré Rivarolo, il famoso estensore dell’odiato editto contro le barbe, che si
ebbe un intervento deciso in materia.
Il 13 marzo 1759 fu infine promulgato
un Regolamento per l’amministrazione
della giustizia nel Regno di Sardegna.
Nella seconda metà del secolo XVIII
in certe zone dell’isola (come la Gallura) il b. era legato al contrabbando;
per reprimerlo si fece ricorso anche ai
barracelli, che il governo sabaudo tendeva a militarizzare snaturandone la
funzione di polizia rurale. Un passo decisivo nella repressione si ebbe
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pag. 411
Banditismo
quando nel 1814 fu costituito il corpo
dei Carabinieri Reali, che consentı̀ di
diffondere nel territorio dei distaccamenti stabili appoggiati alle caserme.
Nel corso della prima metà del secolo
il b. assunse forme nuove: una di queste fu il radicarsi dello scontro tra
bande avverse che coinvolgevano i nuclei parentali dei banditi e che spesso
erano mosse da potenti famiglie che
volevano difendere particolari interessi o vendicarsi di torti subı̀ti; le cronache del tempo riportano notizie di
veri e propri conflitti che spesso si svolgevano all’interno dei paesi. Ai momenti di scontro si andarono alternando le famose paci, una pratica che
finı̀ per essere favorita dalle autorità e
che prevedeva il giuramento in chiesa
di tutti i membri delle fazioni avverse e
spesso di tutti i capifamiglia di interi
villaggi, seguito dalla concessione di
indulti e di salvacondotti da parte
delle autorità.
Banditismo – Uno spettacolo consueto nella
Sardegna pastorale di fine Ottocento: il corteo
dei banditi arrestati.
La ‘‘Caccia Grossa’’ La tranquillità
pubblica purtroppo non fu raggiunta:
nella seconda metà dell’Ottocento l’endemica crisi sociale, la povertà, le difficoltà di rapporti con le autorità, spinsero il b. a manifestarsi in altre forme.
In particolare veniva praticato da
bande costituite per l’occasione la bar-
dana, che era una spedizione armata
per depredare un villaggio, e la grassazione, una spedizione armata per bloccare un paese in vista della spoliazione
di un ricco proprietario: fatto il colpo
le bande si scioglievano, rendendo difficilissimo il compito degli inquirenti;
intorno al 1875 comparve per la prima
volta la pratica del sequestro di persona a scopo di estorsione. La violenza
e la paura si impadronirono delle campagne. L’indagine della commissione
parlamentare d’inchiesta, nel 1869, cominciò a rendere evidenti i legami tra
b. e situazione sociale, ma l’opinione
pubblica, profondamente turbata dalla
situazione, influenzò negativamente
gli interventi del governo. Cosı̀, mentre
si diffondeva l’idea, sostenuta dagli antropologi di scuola positivista come Alfredo Niceforo, che in Barbagia il b.
avesse radici non solo endemiche, ma
addirittura genetiche, cioè razziali,
dopo secoli di degradazione, alla fine
dell’Ottocento il governo non trovò di
meglio che inviare reparti dell’esercito nel Nuorese, impresa raccontata
da Caccia grossa, il libro dell’ufficiale
Giulio Bechi che suscitò aspre polemiche (non meno che interpretazioni
piuttosto frettolose). Alla fine dell’Ottocento si contavano in Sardegna 197
latitanti ed erano stati uccisi in conflitto 77 Carabinieri.
Il Novecento La situazione non migliorò nel corso del Novecento: anni
terribili furono il 1912 e gli anni Venti.
A nulla servı̀ la maggiore decisione dimostrata nei confronti del b. dal governo fascista e a nulla valse l’introduzione della pena di morte: alcuni dei
personaggi più famosi di tutta la storia
del b. sardo, come Samuele Stochino di
Arzana e i fratelli Pintori di Bitti, operarono durante il ventennio, prima di
cadere in conflitto o di essere giustiziati Nel secondo dopoguerra, negli
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bangiargia
anni tra il 1945 e il 1950, tornarono in
azione alcune bande e, dopo la stagione delle rapine stradali (di cui fu
protagonista Pasquale Tandeddu di Orgosolo), il fenomeno del sequestro di
persona ebbe una recrudescenza. Negli ultimi decenni, scomparso il b. tradizionale, il sequestro di persona divenne la forma più evidente dell’attuale evoluzione del b. in Sardegna
(350 casi fino agli anni Settanta). Nell’ultimo ventennio (1985-2006), peraltro, è stato registrato soltanto un numero ristrettissimo di episodi (meno
di 5), senza che sia stata messa in
campo una spiegazione scientifica dell’attuale remissione.
Banditismo – Anni Sessanta del Novecento:
una battuta delle forze dell’ordine dopo un
sequestro.
Bangargia Antico villaggio di origini
medioevali che era ubicato nelle campagne di Iglesias. Sorgeva in prossimità dei resti di un acquedotto romano
in grado di servire ancora la vicina
città; faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Sigerro. Caduto il giudicato, nella divisione del 1258 il villaggio fu compreso
nel terzo assegnato ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti familiari poco tempo dopo procedettero a
un’altra divisione. B. fu cosı̀ incluso
nella parte toccata al ramo del conte
Ugolino; fu amministrato dai funzio-
nari dei nuovi signori con precisione
fiscale; la sua struttura sociale fu conservata e i suoi abitanti continuarono a
eleggere annualmente il majore e, nel
complesso, furono coinvolti nello sviluppo di Villa di Chiesa (l’attuale Iglesias). Ma il conte Ugolino, che si era
impadronito del potere a Pisa, fu assassinato, probabilmente col concorso dei
cugini dell’altro ramo, per cui nel 1289
i figli dichiararono guerra al Comune.
La guerra fu combattuta nei territori
iglesienti e B. fu investito dalle operazioni, subı̀ dei danni e, quando i Della
Gherardesca furono sconfitti, dal 1295
passò sotto il controllo diretto di Pisa
che lo fece amministrare da suoi funzionari. Con l’arrivo degli Aragonesi,
nel 1324 il villaggio entrò a far parte
del Regnum Sardiniae. Nel 1327 fu concesso in feudo a Guglielmo de Riu, i cui
discendenti nel 1346 lo vendettero a
Raimondo Monterio, che però morı̀
senza eredi pochi anni dopo. Nel complesso furono anni difficili: la comunità di villaggio, pur mantenendo la
possibilità di eleggere annualmente il
majore, ebbe rapporti quasi conflittuali con i feudatari e nel 1348 fu drasticamente ridotta a causa della peste.
Nel 1352 il villaggio fu nuovamente infeudato a Pietro Martinez de Sarasa
che però ne perse la disponibilità
quando ebbe inizio la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV. Cessate le ostilità ne tornò in possesso, ma i suoi rapporti con i vassalli furono difficilissimi, per cui quando scoppiò la seconda delle guerre tra Mariano e Pietro essi si ribellarono. Il villaggio fu occupato dalle truppe giudicali e alla
fine del secolo XIVera già deserto.
Bangiargia Antico villaggio del giudicato di Cagliari compreso nella curatoria di Dolia. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del
1258 fu compreso nei territori asse-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bangio
gnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice
Mariano II, entro la fine del secolo
XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che
lo fece amministrare da suoi funzionari. Dopo la conquista aragonese il
villaggio entrò nel 1324 a far parte del
Regnum Sardiniae e nel 1332 fu concesso in feudo a Pietro Sant Clement.
B. negli anni seguenti visse tranquilla
e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore; nel 1348
perse buona parte della popolazione a
causa della peste. Pochi anni dopo,
scoppiata la prima guerra tra Mariano
IVe Pietro IV, il suo territorio fu invaso
dalle truppe giudicali e devastato. All’estinzione dei Sant Clement, nel 1365
il villaggio fu ereditato dai Cespujades
che poco dopo, scoppiata la seconda
guerra tra Mariano IV e Pietro IV, ne
perdettero il controllo. Il villaggio fu
occupato dalle truppe arborensi e danneggiato dalle operazioni militari; si
spopolò completamente entro i primi
anni del secolo XV.
Bangio Antico villaggio che sorgeva in
località Santo Spirito a pochi chilometri dall’attuale abitato di Perfugas. Di
probabile origine romana, si sviluppò
da un abitato sorto intorno a un impianto termale. Nel Medioevo entrò a
far parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria dell’Anglona. Nel
corso del secolo XII fu acquisito dai
Doria in seguito a uno dei matrimoni
con principesse della famiglia dei giudici di Torres. Dopo l’estinzione della
dinastia giudicale, i Doria lo inclusero
nel piccolo stato feudale che andavano
formando riunendo tutti i territori in
loro possesso. Nonostante le frequenti
liti ereditarie essi seppero instaurare
un buon rapporto con gli abitanti del
villaggio, che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia. Avviata la conquista aragonese, nel 1323 i Doria si di-
chiararono vassalli del re d’Aragona e
B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Quando però nel 1325 i Doria si
ribellarono, il villaggio divenne teatro
della guerra e nel 1330 fu occupato
dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito
subı̀ gravi danni durante la ribellione
del 1347 e per la peste del 1348; con la
popolazione ridotta al lumicino, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV
e Pietro IV fu occupato dalle truppe arborensi e dopo il 1388 si spopolò completamente.
Bangios1 Antico villaggio di origini medioevali ubicato nelle campagne di
Uri. Sorgeva in una località lungo le
rive del rio Mannu; faceva parte del
giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Coros. In seguito a un matrimonio, agli inizi del secolo XIII il villaggio entrò a far parte dei territori che
vennero in possesso dei Malaspina.
Quando la famiglia dei giudici di Torres si estinse essi lo inclusero nel loro
piccolo stato e lo governarono con
senso di giustizia, instaurando un
buon rapporto con i loro vassalli. All’arrivo dell’infante Alfonso nel 1323
essi gli prestarono omaggio e cosı̀ B.,
almeno formalmente, entrò a far parte
del Regnum Sardiniae. La sottomissione fu di breve durata: infatti,
quando nel 1325 i Doria si ribellarono,
li seguirono e combatterono contro gli
Aragonesi; cosı̀ nel 1330 B. fu assalita
dalle truppe di Raimondo Cardona e
subı̀ gravi danni. Negli anni successivi
cominciò a decadere e a spopolarsi, ma
continuò a rimanere in possesso dei
Malaspina fino al 1342, anno in cui il
marchese Giovanni, morendo senza
eredi, lo lasciò in eredità con tutto
quanto possedeva a Pietro IV d’Aragona. I fratelli del defunto, irritati, tentarono di resistere con le armi e il villaggio cadde nel caos. Dopo alterne vi-
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Bani
cissitudini B. fu sequestrato definitivamente ai Malaspina nel 1353; a quel
punto la sua popolazione era già ridotta a poche decine di abitanti. Nel
corso dei decenni successivi diventò
teatro delle guerre tra Aragona e Arborea, si spopolò progressivamente e
scomparve.
Bangios2 Antico villaggio di origine
medioevale facente parte del giudicato d’Arborea, compreso nella curatoria del Campidano di Simaxis. Un
tempo fiorente, cominciò a spopolarsi
dopo la peste del 1376 e prima della
fine del secolo XIV fu definitivamente
abbandonato dai suoi abitanti.
Bangiu de Aliri Antico villaggio di probabili origini romane che sorgeva nelle
campagne di Guasila. Sembra si sia sviluppato attorno a un impianto termale
e nel Medioevo fece parte del giudicato
di Cagliari compreso nella curatoria
della Trexenta. Nella divisione del
1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Entro la fine
del secolo XIII il giudice Mariano II lo
lasciò al Comune di Pisa, che lo fece
amministrare da suoi funzionari. Conclusa la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 il villaggio entrò a far
parte del Regnum Sardiniae, ma poco
dopo le ostilità con Pisa ripresero e si
conclusero definitivamente con la
pace del 1326. In base a questo trattato
B. de A. fu compreso nel territorio concesso in feudo allo stesso Comune; negli anni che seguirono Pisa amministrò
il villaggio con la sua tradizionale precisione fiscale, ma la struttura sociale
fu conservata e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il
majore. Nel complesso, però, i rapporti
della comunità con i Pisani non furono
buoni, sicché quando scoppiarono le
guerre tra Mariano IV e Pietro IV i suoi
abitanti si ribellarono cacciando i fun-
zionari pisani; scoppiata poi la seconda guerra, il territorio fu occupato
dalle truppe giudicali. Nel giro di pochi anni il villaggio decadde e si spopolò completamente.
Bangiu Donnico Antico villaggio di
origini medioevali situato nelle campagne di Ortacesus. Faceva parte del
giudicato di Cagliari, compreso nella
curatoria della Trexenta. Si era probabilmente sviluppato da una donnicalia
attorno ai resti di un edificio termale
romano; caduto il giudicato di Cagliari,
nella divisione del 1258 fu compreso
nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Entro la fine del secolo XIII il
giudice Mariano II lo lasciò al Comune
di Pisa, che lo fece amministrare da
suoi funzionari. Conclusa la prima
fase della conquista aragonese, nel
1324 il villaggio entrò a far parte del
Regnum Sardiniae e fu concesso in
feudo a Guglielmo De Petra. Le ostilità
con Pisa ripresero e si conclusero definitivamente con la pace del 1326. In
base a questo trattato B.D. fu compreso
nel territorio concesso in feudo allo
stesso Comune, per cui il De Petra dovette rinunciare alla sua concessione.
Cosı̀ B.D., negli anni che seguirono, riprese a essere amministrato da funzionari pisani con la tradizionale precisione fiscale, ma la struttura sociale fu
conservata e gli abitanti continuarono
a eleggere annualmente il majore. Nel
complesso, però, i rapporti della comunità con i Pisani non furono buoni, sicché quando scoppiarono le guerre tra
Mariano IVe Pietro IV i suoi abitanti si
ribellarono cacciando i funzionari pisani; scoppiata poi la seconda guerra,
il territorio fu occupato dalle truppe
giudicali. Nel giro di pochi anni il villaggio decadde e si spopolò completamente.
Bani Famiglia sassarese (sec. XV). Le
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 415
Bañolas
sue notizie risalgono al secolo XV; apparteneva all’oligarchia mercantile
che dominava la città e nel 1444 ottenne il cavalierato ereditario con un
Antonio. Si estinse nel corso del secolo.
Bañolas Famiglia originaria di Tarragona (secc. XVI-XVII). Nel corso del secolo XVI si stabilı̀ a Cagliari. Apparteneva alla borghesia: i suoi membri
erano prevalentemente commercianti
ma alcuni di loro ricoprirono uffici
pubblici. Tra la fine del Cinquecento e
gli inizi del Seicento la condizione
della famiglia migliorò ulteriormente
e nel 1658 ottenne il cavalierato ereditario con un Matteo, i cui figli furono
ammessi allo Stamento militare nel
1666 durante il parlamento Camarassa.
I loro discendenti presero parte ai lavori dei parlamenti successivi, ma si
estinsero alla fine del secolo XVII.
Bantine Centro abitato della provincia
di Sassari, frazione di Pattada (da cui
dista 2 km), con circa 150 abitanti, posto a 637 m sul livello del mare in un
territorio di mosse colline che si
stende tra il capoluogo e Ozieri. Regione storica: Montacuto. Diocesi di
Ozieri.
& TERRITORIO Il territorio è di natura
granitica, caratterizzato da un continuo susseguirsi di rilievi che raggiungono con le cime maggiori i 700 m. Anche qui le colture agricole che si tenevano nei decenni passati hanno ceduto
quasi tutto lo spazio all’allevamento. In
una delle valli sottostanti scorre un affluente del rio Mannu che va a gettarsi
nel lago Lerno. La frazione si trova alla
confluenza tra una strada secondaria
che proviene da Pattada e un’altra
che, distaccatasi dalla Statale 128 bis,
si dirige, dividendosi in due bracci,
verso Oschiri e il suo territorio.
& STORIA L’attuale villaggio deriva da
un insediamento del periodo romano.
Nel Medioevo faceva parte del giudi-
cato di Torres ed era compreso nella
curatoria del Montacuto Dopo l’estinzione della famiglia giudicale di Torres
fu conteso tra gli Arborea e i Doria e il
giudicato di Gallura. Alla fine del secolo XIII il villaggio era in mano alle
truppe arborensi che sembrava potessero controllare tutta la regione. La situazione fu però ribaltata quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno di
alleati che Giacomo II d’Aragona voleva coinvolgere nella conquista della
Sardegna, nel 1308 se ne fecero riconoscere il possesso e ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, che erano anche
loro alleati del re d’Aragona, presero
atto della nuova situazione ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli Aragonesi,
quando nel 1325 i Doria si ribellarono,
il villaggio fu investito nuovamente
dalle truppe del giudice d’Arborea,
conquistato e formalmente annesso al
Regnum Sardiniae. Gli anni che seguirono furono molto confusi: l’esercito
giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del
territorio e nel 1339 B. fu compreso nei
territori che il re d’Aragona concesse
in feudo a Giovanni d’Arborea. Poco
dopo Mariano IV, quando divenne giudice, pretese l’obbedienza feudale dal
fratello che, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si sentiva vincolato solo nei
suoi confronti e si rifiutò. Il rifiuto
ebbe conseguenze tragiche, perché si
concluse con l’arresto di Giovanni. Negli anni che seguirono, mentre lo sfortunato principe languiva in prigione,
scoppiata la guerra tra Mariano IV e
Pietro IV, il villaggio subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi
rapidamente; all’atto della pace del
1388 aveva poche decine di abitanti; in
queste condizioni continuò a rimanere
nelle mani del giudice d’Arborea. Terminata la guerra, dopo la battaglia di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bantine
Sanluri cadde nelle mani del visconte
di Narbona e solo nel 1420 tornò a far
parte del Regnum Sardiniae. Nel 1421
fu compreso nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles; nei secoli
successivi continuò a rimanere nella
contea d’Oliva e passò dai Centelles ai
Borgia, ai Pimentel e infine ai Tellez
Giron ai quali fu riscattato nel 1839.
Nel 1821 fu incluso nella provincia di
Ozieri; abolite le province, nel 1848 entrò a far parte della divisione amministrativa di Sassari. In questo periodo si
colloca la preziosa testimonianza che
lo scrittore Vittorio Angius ha lasciato
nel Dizionario degli Stati sardi di Goffredo Casalis: «Le case ancora sussistenti non sono più di 45. All’aspetto
delle medesime si congettura facilmente quanto sieno miseri gli abitatori. Non sono le famiglie in maggior
numero delle case, e le anime sommano (anno 1833) a 240. L’ordinario
corso della vita è al sessantesimo
anno; e tra le malattie dominanti devonsi notare principalmente le infiammazioni, le febbri periodiche e perniciose, le fisconie dell’addomine, le
scrofole, e la clorosi. Le donne s’occupano a filar lini e lane per panni ad uso
delle sole loro famiglie, li quali fabbricano in circa 14 telai di molta rozzezza.
Abbenché cosı̀ piccola sia la popolazione, vi è un consiglio per la cose comuni, una giunta sul monte di soccorso, ed una scuola normale frequentata da pochi fanciulli. Le terre sono
generalmente argillose o sabbiose, e si
è sperimentato essere più confacienti
all’orzo. Di questo si semina starelli
175 (litr. 8610), di grano 70 (litr. 3444), di
fave, lino e fagiuoli in totale circa 80
(litr. 280). Le uve non mai maturano
bene; quindi ai vini, che generalmente
sono bianchi, si dà una certa dose di
cotto o sapa, come si pratica per tutto
il Montacuto, e in altri climi di egual
temperatura. Se ne fanno circa 200 cariche, delle quali la maggior parte si
beve, l’altra si rende in mosto. Il totale
delle piante fruttifere è ben tenue. Le
specie sono fichi, peri e susini di poche
varietà. I totali dei capi di ciascuna
specie di bestiame solita educarsi si
possono esprimere in piccoli numeri. I
cavalli e cavalle sommavano (anno
1833) a 35. Pochi erano i segni delle vacche, che si avevano in società con altri
proprietari dei vicini villaggi; e parimenti e poco numerosi erano quelli
delle pecore, capre, e porci. Il selvaggiume grosso, come era da supporsi in
un territorio non montuoso, è molto
raro. La specie però delle volpi e delle
lepri è assai moltiplicata. Degli uccelli
sono i colombi la parte maggiore. Nei
tempi addietro coltivavansi gli alveari
con molta cura e lucro; ma da quando
alcuni invidiosi gittarono del tabacco
furtivamente nella massima parte dei
covili, che numerosissimi teneansi in
due possessi presso al paese, da allora
decadde questo ramo d’industria forse
per non più risorgere». Nel 1859,
quando furono ricostituite le province,
B. entrò a far parte di quella di Sassari.
Nel 1875 perse la propria autonomia e
fu aggregato come frazione al comune
di Pattada. Nei decenni che sono seguiti ha perso gradatamente popolazione, mentre gli abitanti rimasti
hanno seguito il trasformarsi dei modi
di vita e di produzione del territorio, in
particolare il ‘‘travaso’’ dall’agricoltura alla pastorizia.
& ECONOMIA La principale attività
economica del piccolo centro è rappresentata dall’allevamento del bestiame;
poco sviluppata è l’agricoltura. Artigianato. Come nella vicina Pattada si
pratica la lavorazione di pregiati coltelli a serramanico. Servizi. La frazione è collegata con autolinee a Pattada; dista da Sassari 63 km.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bantin ’e Sale
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio conserva numerose testimonianze archeologiche tra cui i nuraghi
Bisellà e Malzanittu, posti a poca distanza l’uno dall’altro e non lontani
dall’abitato.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il villaggio conserva un tessuto
urbanistico di tipo medioevale con
stradine tortuose; gli edifici di maggior
pregio sono la chiesa di San Giacomo,
parrocchiale costruita nel secolo XVII,
di piccole dimensioni, l’impianto a una
navata e la copertura con volta a botte,
e quella di San Pietro, costruita nel
XVII in forme tardogotiche, con impianto a una sola navata completata
dal presbiterio con copertura a volta a
vela e distinto dall’aula da un arco a
tutto sesto.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Usanza tradizionale molto radicata e
attrazione per molti visitatori era il
ballo che gli abitanti eseguivano soprattutto in occasione della festa di
San Giacomo, patrono del paese, nella
prima domenica di maggio. La festa,
con le ovvie trasformazioni dovute al
passare del tempo, si celebra ancora
oggi. Altra usanza molto diffusa era
l’attitidu, canto funebre celebrativo di
persone care estinte che in genere accompagnava la tumulazione della
salma.
&
Bantin ’e Sale Villaggio di origine romana che sorgeva non lontano dal lago
di Baratz. Nel Medioevo fu compreso
nel giudicato di Torres e fece parte
della curatoria della Nurra. In epoca
non precisabile passò per matrimonio
ai Doria, ma agli inizi del secolo XIII
era già completamente spopolato.
Barabino, Giovanni Scultore genovese
(prima metà sec. XIX). Tra il 1818 e il
1820 diresse la scuola di scultura dell’Accademia Ligustica, e nel 1824 realizzò a Genova, su commissione del ve-
scovo della città, l’altare del SS. Sacramento per la cattedrale di Alghero. Tra
il 1827 e il 1830 tornò a dirigere la
scuola di scultura.
Baraca, Giovanni Letterato e poeta
(Sorso 1843-ivi 1882). Legato agli ambienti della cultura sassarese della seconda metà del secolo XIX, fu amico di
Salvatore Farina e di Enrico Costa. Con
quest’ultimo collaborò anche alla redazione della rivista ‘‘Stella di Sardegna’’. Di idee repubblicane, collaborò
anche alla ‘‘Meteora’’ e, tra il 1872 e il
1873, alla ‘‘Giovane Sardegna’’. Scrisse
drammi storici e delicate poesie di
ispirazione carducciana, che pubblicava con molta difficoltà, tanto che le
due opere più rappresentative, il
dramma storico Tigellio e la raccolta di
Poesie, furono pubblicate postume a
cura degli amici. Morı̀ improvvisamente nel suo paese natale nel 1882, a
39 anni. Tra i suoi scritti, Piccola fronda
di poesie patriottiche, 1869; Eleonora
d’Arborea, ventidue anni di storia sarda,
1872; Seconda esposizione sarda agricola, artistica e industriale, 1873; Grassazioni in Sardegna, ‘‘Stella di Sardegna’’, III, 1876; Tigellio, scene storiche,
1885; Poesie, 1889.
Baraci Antico villaggio situato sull’altipiano di Guzzini tra Serri, Isili e Nurri.
La località era stata già occupata militarmente dai Cartaginesi, che vi impiantarono una fortezza nel secolo VI
a.C. e della quale sono state individuate tracce consistenti e una necropoli. In seguitò vi si sviluppò una statio
romana posta lungo la strada per Valentia. Nel Medioevo la statio si trasformò in un villaggio che fu incluso
nel giudicato di Cagliari, compreso
nella curatoria di Siurgus. Caduto il
giudicato, nella divisione del 1258 fu
incluso nei territori assegnati ai conti
di Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baradili
la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare
da suoi funzionari. Conclusa la prima
fase della conquista aragonese, nel
1324 il villaggio entrò a far parte del
Regnum Sardiniae e fu concesso in
feudo a Francesco Carroz, i cui discendenti lo unirono al feudo di Mandas.
Furono anni tranquilli, nei quali la piccola comunità continuò a eleggere il
suo majore e ad avere buoni rapporti
con i feudatari. Scoppiata la prima
guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il villaggio fu danneggiato, cominciò a spopolarsi e scomparve prima della fine
del secolo.
Baradili – Chiesa di Santa Margherita.
Baradili Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 17,
con 100 abitanti (al 2004), posto a 165 m
sul livello del mare, ai piedi del versante occidentale della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Montis.
Diocesi di Ales-Terralba.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 5,61 km 2 : ha forma
grosso modo quadrangolare e confina
a nord con Gonnosnò e Sini, a est con
Genuri e Turri, a sud con Ussaramanna, a ovest con Baressa. Pressoché
pianeggiante, il suolo è adatto all’agricoltura, ed è stato destinato cosı̀ a
lungo alla la coltivazione dei cereali
che ha indotto gli abitanti a suddividersi, per poter meglio seguire le col-
ture, nelle piccole e piccolissime comunità che caratterizzano questa regione. B. è attualmente con la sua popolazione il comune più piccolo della
Sardegna. Nei pressi del paese scorrono alcuni corsi d’acqua che scendono dalla Giara e si dirigono verso il
rio Mogoro. Le comunicazioni, una
volta smantellata la ferrovia a scartamento ridotto che attraversava questi
campi, sono assicurate dalla strada
che collega Villamar con Usellus, e
dalla quale si distaccano a breve distanza le traverse per Turri, Baressa,
Sini ecc.
& STORIA Il villaggio è di probabile
origine romana. Nel Medioevo fece
parte del giudicato d’Arborea ed era
incluso nella curatoria della Marmilla.
Nella fase finale delle guerre tra Aragona e Arborea il villaggio soffrı̀ a
causa delle operazioni militari che investirono il territorio; dopo la battaglia
di Sanluri, caduto il giudicato, entrò a
far parte del Regnum Sardiniae; aveva
non più di 50 abitanti. Fu per un breve
periodo occupato dalle truppe di Berengario Carroz che avrebbe voluto annetterlo al suo vasto feudo di Quirra;
ma il re, poco prima di morire, lo aveva
incluso, unitamente a buona parte
della Marmilla, nel vasto feudo concesso a Garcia Lupo de Ferrero e aveva
invitato Berengario ad andarsene. Le
circostanze però sembrarono aiutarlo,
e dopo la morte del re egli continuò a
occupare la Marmilla, tanto più che pochi mesi dopo Garcia Lupo morı̀ senza
lasciare eredi. Nel 1412, ponendo fine
alle sue aspirazioni, il nuovo re Ferdinando I lo costrinse a rendere i territori occupati, cosa che egli fece con
molta titubanza: cosı̀ nel 1421 B. entrò
a far parte del grande feudo concesso a
Raimondo Guglielmo Moncada, cui
però fu confiscato alcuni decenni
dopo. Dopo alterne vicende B. e l’in-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baradili
tera Marmilla furono acquistati all’asta da Pietro Besalù, uno dei generi
del conte di Quirra. Poiché non aveva i
denari sufficienti si era fatto prestare
delle somme da Simone Rubei di Cagliari che pagò negli anni successivi
con fatica grazie alle rendite feudali.
Nel 1459 le rendite gli furono sequestrate dal fisco perché moroso nei suoi
confronti, per cui non fu più in grado di
rendere il resto dei soldi dovuti al Rubei. Questi nel 1464 minacciò di far
vendere all’asta i due feudi per recuperare il credito; la situazione sembrò
precipitare ma il Besalù fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato ai territori che confinavano con
quelli di Quirra, saldò il Rubei e chiuse
la vicenda. Quando però il conte morı̀
egli si trovò nuovamente nei guai: infatti il nuovo conte di Quirra, Dalmazio
Carroz, che aveva sposato Violante, la
sorellastra di sua moglie, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente
tutta la Marmilla e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché il Besalù non fu in grado
di pagare, nel 1477 i due arrivarono a
un compromesso in base al quale riuscı̀
a conservare solo Barumini, Las Plassas e Villanovafranca. Cosı̀ B. entrò a
far parte del grande feudo di Quirra;
morta Violante II, passò ai Centelles,
ma nel lungo periodo in cui fu amministrato da questa famiglia, le condizioni
di vita non furono buone. I nuovi feudatari fecero amministrare la Marmilla da un regidor ma non esasperarono il carico fiscale, anche se limitarono notevolmente l’autonomia della
comunità modificando il sistema di individuazione del majore, che cessò di
essere elettivo. Si disinteressarono
però completamente delle condizioni
di vita degli abitanti e il villaggio si ri-
dusse a un pugno di casupole. L’ultimo
Centelles morı̀ nel 1676 lasciando
eredi i Borgia; la successione dei Borgia fu contestata dai Català che, dopo
una lunga lite, riuscirono a venire in
possesso del feudo nel 1726. Nel corso
del secolo le condizioni di vita di B. rimasero invariate, il rapporto di dipendenza dal feudatario si allentò, e in più
di un’occasione l’amministrazione
reale, approfittando della lontananza
dei feudatari, pensò di riscattarlo.
Frattanto nel 1766 il villaggio era passato dai Català agli Osorio; nel 1821 fu
compreso nella provincia di Oristano e
nel 1839 riscattato agli ultimi feudatari; le sue condizioni generali non si
erano modificate e la sua popolazione
superava di poco le 100 unità. Era il
tempo in cui Vittorio Angius annotava:
«Il numero delle case è di circa 20,
delle famiglie altrettanto, delle anime
112. In tutto il paese sono solamente
quattro rozzi e malconci telai, in cui le
donne fabbricano alcune canne di tela
grossolana, che non bastano al bisogno.
La superficie del Baradilese si calcola
in 5 miglia quadrate, in cui si potrebbero seminare circa 800 starelli. L’agricoltura fra questi paesani è men conosciuta che in altri paesi del dipartimento. I terreni bassi, quando si desse,
come è agevole, scolo alle acque che vi
si fermano negli inverni piovosi, sarebbero attissimi al frumento, granone,
fave e civaje [legumi]; gli altri sono
molto adattati all’orzo, alle viti, ai mandorli ecc. Si suole seminare annualmente di grano starelli 300, d’orzo 100,
di fave 10, di ceci 12, e meno di granone
e lenticchie. Nelle vigne si veggono
sette varietà di uve tra bianche, nere e
rosse. La qualità dei vini è pochissimo
pregiata per la pessima manipolazione
del mosto, e per non scernersi l’uve secondo che usano i più esperti. Il totale
degli animali che nutronsi, buoi da la-
412
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 420
Baradili
voro, cavalli, giumenti e pecore non supera i 150 capi. Poche case han pollaio». Abolite le province, nel 1848 il
villaggio fu compreso nella divisione
amministrativa di Cagliari fino al
1859, e successivamente nell’omonima
provincia. Nel 1927 perse l’autonomia
e fu aggregato a Baressa, ma la riacquistò nel 1958; nel 1974, costituita la provincia di Oristano, tornò a farne parte.
Attualmente il villaggio, privo di molti
servizi, lotta strenuamente per la sopravvivenza: la nascita di un bambino
viene festeggiata da tutta la comunità e
si studiano i modi per incoraggiare la
crescita della popolazione.
& ECONOMIA La sua economia è basata principalmente sull’agricoltura e
ha un qualche rilievo la viticoltura. Artigianato. Anche nell’intento di animare la modesta economia del paese è
stata avviata in questi anni la produzione di cruguxionis, ravioli ottenuti
utilizzando un’antica ricetta locale.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 107 unità;
maschi 56; femmine 51; famiglie 46. La
tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità della popolazione
con morti per anno 1, nati 1; cancellati
dall’anagrafe 1 e nuovi iscritti 0. Tra gli
indicatori economici: imponibile medio IRPEF 16 200 in migliaia di lire;
versamenti ICI 49; aziende agricole 43;
imprese commerciali 4; esercizi pubblici 1; esercizi al dettaglio 1. Tra gli
indicatori sociali: occupati 19; disoccupati 13; inoccupati 6; laureati 2; diplomati 3; con licenza media 39; con licenza elementare 37; analfabeti 9; automezzi circolanti 30; abbonamenti TV
36.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva vestigia nuragiche, la
più significativa delle quali è il nuraghe Candeu, presso le cui rovine sgorga
una sorgente che è considerata tra le
migliori dell’intera regione. Vi si trovano anche resti di un impianto termale romano alle sorgenti del rio Cilixia, non lontano dall’abitato.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’edificio di maggiore
pregio è la chiesa di Santa Margherita,
parrocchiale che è posta al centro dell’abitato e si affaccia su una grande
piazza. La sua costruzione fu iniziata
nel secolo XVIII e proseguı̀ con fatica
a causa della mancanza di fondi; fu
completata tra il 1922 e il 1935, anno in
cui fu costruito il campanile. Ultimamente si era ridotta in cattive condizioni ed è stata restaurata. Al suo interno conserva alcune pregevoli statue
in legno dei secoli XVIII e XIX. La
strada principale dell’abitato, che
passa a breve distanza, è stata di recente riportata a lastricato e acciottolato, e alcune abitazioni che vi si affacciano mostrano una pregevole facciata
in pietra a vista. Alla periferia è stato
realizzato un ampio e bel parco, con
servizi, impianti sportivi e giochi per
bambini, che è frequentato anche da
abitanti dei paesi vicini.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa tradizionale è quella dedicata a
Santa Margherita patrona del paese.
Sede della festa, che si svolge il 22 maggio, è la chiesa omonima; all’origine
del culto è la credenza che la santa interceda per i bambini che hanno difficoltà a parlare. Durante la cerimonia il
sacerdote fa bere a questi bambini dell’acqua benedetta in un calice d’argento. La festa un tempo era occasione
per manifestazioni di canto e di ballo,
attività nelle quali i baradilesi eccellevano.
Baradili, castello di Castello dominante Monastir eretto in periodo giudicale, probabilmente a difesa di Cagliari. Nel 1257, dopo la caduta del giudicato di Cagliari, passò sotto il con-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 421
Baragues
trollo diretto del Comune di Pisa e continuò ad assolvere la sua funzione strategica fino alla fine del secolo; dopo il
1308 non se ne hanno più notizie. Nei
secoli successivi andò in rovina: attualmente pochi ruderi affiorano dai detriti del crollo.
Baragues, Antonio Religioso (Spagna,
prima metà sec. XV-?, 1477). Arcivescovo di Cagliari dal 1471 al 1472. Appartenente all’ordine dei Domenicani,
uomo di grande pietà, fu nominato arcivescovo di Cagliari nel 1471. Egli raggiunse la sua diocesi e fu cosı̀ il primo
arcivescovo residente: i suoi predecessori Francesco Ferrer e Ludovico Fenollet, infatti, non erano mai giunti in
Sardegna e avevano fatto amministrare la diocesi dal canonico Michele
Caza. Dopo pochi mesi, nel 1472, si dimise e si ritirò a vita privata.
Barake Antico villaggio di origini punico-romane situato nella Nurra in
prossimità del lago di Baratz. Nel Medioevo faceva parte del giudicato di
Torres: si era sviluppato in stretta connessione con un monastero benedettino. Nel corso del secolo XII si andò
spopolando e agli inizi del secolo XIII
scomparve definitivamente.
Baralla Antico villaggio di origine medioevale, sorgeva nelle campagne di
Samassi in località Cuccuru Barrali:
faceva parte del giudicato di Cagliari,
compreso nella curatoria di Nuraminis. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu incluso nei territori assegnati ai conti di
Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro
la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare
da suoi funzionari. Dopo la conquista
aragonese, nel 1324 B. entrò a far parte
del Regnum Sardiniae e fu infeudato a
Guglielmo de Lauria, il quale morı̀
senza eredi poco tempo dopo. Nel 1331
fu nuovamente concesso a Pietro de
Açen, che nello stesso anno lo rivendette a Raimondo Desvall; il rapporto
dei suoi abitanti con i nuovi feudatari
fu difficile, ma continuarono a eleggere annualmente il loro majore e a
conservare una parvenza di autonomia, per cui riuscirono a mandare i
loro rappresentanti al Parlamento del
1355. Estinti i Desvall, gli eredi, dopo la
chiusura del Parlamento, vendettero il
villaggio al fisco. Scoppiata la seconda
guerra tra Mariano IV e Pietro IV B. fu
danneggiato dalle operazioni militari
e si spopolò completamente nei primi
anni del secolo XV.
Baratier, Edoardo Archivista e storico
(n. Marsiglia, sec. XX). Ha lavorato
presso gli Archives des Bouches du
Rhône di Marsiglia. Socio corrispondente della Deputazione di Storia patria della Sardegna, avviò lo studio
delle relazioni tra i Vittorini di Marsiglia e la Sardegna durante il Medioevo.
Negli anni Cinquanta prese anche
parte attiva ai convegni internazionali
di studi sulla Sardegna e scrisse alcuni
interessanti lavori di grande utilità.
Tra i suoi scritti: Marseille et la Sardaigne, in Histoire du commerce de Marseille, II, 1951; L’inventaire des biens de
propriété de Saint Saturnin de Cagliari
dépendant de l’abbaye Saint Victor de
Marseille, in Studi storici in onore di F.
Loddo Canepa, 1959; Les prieures sardes
de Saint Victor de Marseille, in Studi sui
Vittorini in Sardegna, 1963; Un episode
des relations entre Marseille, Pise et Oristano en 1227, in Studi storici e giuridici
in onore di Antonio Era, 1963.
Baratili San Pietro Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 13, con 1269 abitanti (al
2004), posto a 11 m sul livello del mare,
tra Oristano e le ultime propaggini del
massiccio del Montiferru. Regione sto-
414
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 422
Baratili San Pietro
rica: Campidano di Milis. Archidiocesi
di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 6,05 km2: è stretto e allungato in direzione nord-sud e confina a nord con San Vero Milis, a est
con Zeddiani, a sud con Oristano, a
ovest con Riola Sardo e Nurachi. Tutto
pianeggiante, il suolo è di natura alluvionale e adatto all’agricoltura: la sua
vocazione, ben nota agli intenditori, è
per la coltivazione della vite e la produzione della Vernaccia, alla quale l’economia del paese è strettamente vincolata. Nei pressi del paese scorre il
rio di Mare Foghe, che raccoglie le acque del Montiferru meridionale e le
trasporta nel vicino stagno di Cabras.
Le comunicazioni sono assicurate dal
reticolo di strade che caratterizza questa regione a nord di Oristano, in particolare da una secondaria che unisce
Riola Sardo a Zeddiani e in questo
punto si collega con un’altra che si dirige a sud per diramarsi verso Cabras e
Oristano.
& STORIA Di origine medioevale col
nome di Baratili, faceva parte del giudicato d’Arborea ed era compreso
nella curatoria del Campidano Maggiore. Fin dalle origini il villaggio
ebbe caratteristica di fiorente centro
agricolo; vi erano sviluppate soprattutto l’orticoltura in zone irrigate dette
iscas (‘‘striscia’’ di terra) ed era rinomato soprattutto per i fagioli, anche se
la coltura principale era fin dai primi
tempi quella della vite. Caduto il giudicato, nel 1410 B. entrò a far parte del
Regnum Sardiniae e poco dopo fu incluso nel nucleo originario del marchesato d’Oristano. Dopo che il marchesato fu confiscato a Leonardo Alagon, dal 1479 fu incluso nel patrimonio
reale e non fu più infeudato fino al secolo XVIII. Amministrato da funzionari reali, godette di una relativa tran-
quillità, si caratterizzò come centro di
produzione vinicola e la sua popolazione andò gradualmente aumentando; alla fine del secolo XVI contava
più di 100 abitanti. A partire dal XVII
divenne un rinomato centro di produzione della Vernaccia; nel corso del secolo però subı̀ due gravi calamità: nel
1647 una terribile invasione di cavallette e nel 1652 l’epidemia di peste che
toccò molti paesi del Mediterraneo. La
popolazione diminuı̀ drasticamente;
nel 1680 soffrı̀ anche per una grave carestia e si spopolò quasi completamente. Nel secolo XVIII le condizioni
di vita della piccola comunità si stabilizzarono e la popolazione cominciò
nuovamente a crescere. Nel 1767,
però, come tutti gli altri villaggi dei
Campidani di Oristano, B. tornò suo
malgrado sotto un feudatario: le sue
rendite civili furono concesse in feudo
a Damiano Nurra (= Nurra3 ) col titolo
di marchese d’Arcais. Da quel momento i suoi abitanti tentarono di liberarsi dal vincolo feudale con ogni
mezzo; la coscienza dell’ingiusta situazione nella quale si trovavano andò aumentando quando anche a B. furono
istituiti il Consiglio comunitativo e la
giunta del Monte granatico. Il loro rapporto col feudatario fu duro e difficile,
finché nel 1796 si rifiutarono di pagare
i tributi feudali e insorsero apertamente. Intanto il feudo nel 1806 fu ereditato dai Flores d’Arcais; nel 1821 fu
incluso nella provincia di Oristano e
nel 1838 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi anni Vittorio Angius
scriveva: «Ripetesi la sua origine da
due pecorai seneghesi i quali, come attesta l’antica tradizione, avendo qui
costrutto le loro capanne, crebbero
poi per numerosa prole; ignorasi l’epoca, che però pare molto remota dai
nostri tempi. È situato in pianura; le
strade sono irregolari, e non selciate.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 423
Baratili San Pietro
Pochissimi sono che esercitino alcune
delle arti meccaniche di prima necessità. Per la tessitura delle tele di lino a
solo uso domestico sono impiegati
cento telai. Vi è una scuola normale
frequentata da circa sette fanciulli. Si
annoveravano nell’anno 1833 117 famiglie e 438 anime. Le terre sono molto
adattate all’agricoltura, e specialmente alla vigna. Annualmente si suol
seminare starelli di grano 300, d’orzo
100 e di ceci 4. In anni di ubertà il grano
rende il decuplo, l’orzo il ventuplo, e
maggiore sarebbe il frutto se il contadino conoscesse meglio il suo mestiere. La vite fruttifica assai. Le uve
bianche son grosse e si mangiano fresche, ottime se siano appassite. I vini
sono di tre qualità: bianco comune,
vernaccia e vino nero. La quantità del
nero e bianco comune suol essere di
400 botti (litri 200 000), della vernaccia
botti 20 (litri 10 000). Se ne fa commercio con Oristano e coi paesi d’intorno;
non più d’un decimo si brucia per acquavite. I possessi, cinti tutti con fichi
d’India, non occupano che una quarta
di tutto il territorio. Vi si fa seminagione, e vi si tiene a pascolo il bestiame
alternativamente. Questo consiste
principalmente nei buoi che servono
all’agricoltura. I giumenti che si hanno
per la macinazione sono 100 in circa, i
cavalli 40, i majali pochissimi». Abolita
la provincia nel 1848, B. fu incluso
nella divisione amministrativa di Cagliari e vi restò sino al 1859, quando entrò a far parte della omonima provincia. Nel 1864 assunse il nome attuale;
nel 1927 perse l’autonomia per essere
aggregato a Riola Sardo e riuscı̀ a tornare comune autonomo solo nel 1945;
nel 1974 tornò a far parte della provincia di Oristano e il suo territorio comunale fu accresciuto di una parte di
quello di Riola Sardo.
& ECONOMIA La sua economia è ba-
sata sulla viticoltura, di particolare
pregio è la produzione della vernaccia
DOC nella locale Cantina sociale, che
ha una capacità di lavorazione di 1000
hl, e in quella dei Produttori Riuniti
che ha una capacità di 1500 hl. Discretamente sviluppate sono anche l’orticoltura e l’agrumicoltura. Di qualche
importanza sono le attività commerciali legate alla viticoltura e il nascente turismo che può contare su alcune aziende agrituristiche.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1303 unità,
di cui stranieri 2; maschi 638; femmine
665; famiglie 473. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento
della popolazione, con morti per anno
15, nati 11; cancellati dall’anagrafe 19;
nuovi iscritti 45. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
11 990 in migliaia di lire; versamenti
ICI 567; aziende agricole 120; imprese
commerciali 85; esercizi pubblici 4;
esercizi al dettaglio 18; ambulanti 3.
Tra gli indicatori sociali: occupati 336;
disoccupati 78; inoccupati 72; laureati
17; diplomati 108; con licenza media
371; con licenza elementare 397; analfabeti 29; automezzi circolanti 451; abbonamenti TV 344.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu frequentato a partire dal periodo punico, come dimostrano alcuni
reperti di età punica e romana.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto urbanistico è rimasto
quello tradizionale: lungo l’insieme di
strade irregolari si affacciano le case a
corte che un tempo erano costruite con
i làdiri, mattoni di argilla cruda e paglia, e oggi quasi completamente con
altri materiali. L’edificio di maggior
pregio è la chiesa di San Salvatore, parrocchiale costruita nel secolo XVIII in
forme baroccheggianti. Ha l’impianto
a una navata, completata dal presbite-
416
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 424
Baratuli
rio, e la copertura con volte a botte; la
facciata è articolata in due specchi da
paraste in pietra e culmina con un timpano. Poco distante sorge il campanile
a canna quadrata, sormontato da una
piccola cupola a cipolla.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
maggiore delle feste popolari è quella
in onore del patrono San Salvatore, che
si svolge nella parrocchiale il 6 agosto;
in passato culminava con spericolate
gare equestri cui concorrevano molti
cavalieri anche da altri paesi. Nella
stessa occasione gli abitanti si esibivano nel ballo sardo al suono delle launeddas e nei canti tradizionali; l’usanza era pratica molto radicata, e si
svolgeva in tutti i giorni festivi all’uscita della messa solenne; era questa
un’arte nella quale gli abitanti di B. eccellevano.
Baratuli1 Antico villaggio di origini medioevali, situato tra Iglesias e Domusnovas. Faceva parte del giudicato di
Cagliari, compreso nella curatoria del
Sigerro. Cessato il giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 il villaggio fu compreso nel terzo assegnato ai
Della Gherardesca, che per insanabili
contrasti tra i due rami della famiglia
poco tempo dopo procedettero a un’altra divisione. B. toccò cosı̀ al ramo del
conte Ugolino; fu amministrato dai
funzionari dei nuovi signori con precisione fiscale. La sua struttura sociale
fu conservata: i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore
e, nel complesso, furono coinvolti nel
processo di sviluppo delle attività minerarie, dalle quali trassero notevoli
vantaggi. In seguito il conte Ugolino,
che si era impadronito del potere a
Pisa, fu assassinato, probabilmente
col concorso dei cugini dell’altro
ramo, per cui nel 1289 i figli dichiararono guerra al Comune. La guerra fu
combattuta nei territori iglesienti e il
villaggio fu investito dalle operazioni,
subı̀ dei danni e, dopo che i Della Gherardesca furono sconfitti, dal 1295
passò sotto il controllo diretto di Pisa,
che lo fece amministrare da suoi funzionari. Con l’arrivo degli Aragonesi,
nel 1324 il villaggio entrò a far parte
del Regnum Sardiniae e nel 1327 fu
concesso in feudo a Guglielmo de Riu i
cui discendenti nel 1346 lo cedettero al
fisco, che nello stesso anno ne investı̀
Raimondo de Monterio, che però morı̀
senza eredi pochi anni dopo. Nel complesso furono anni difficili: la comunità di villaggio, pur mantenendo la
possibilità di eleggere annualmente il
majore, ebbe rapporti quasi conflittuali con i feudatari e nel 1348 fu drasticamente ridotta a causa della peste.
Nel 1352 il villaggio fu nuovamente infeudato a Pietro Martinez de Sarasa
che però ne perse momentaneamente
la disponibilità quando ebbe inizio la
prima guerra tra Mariano IV e Pietro
IV. Cessate le ostilità, ne tornò in possesso, ma i suoi rapporti con i vassalli
furono difficilissimi, per cui quando
scoppiò la seconda delle guerre tra Mariano IV e Pietro IV essi si ribellarono.
Il villaggio fu occupato dalle truppe
giudicali e alla fine del secolo XIV era
già deserto.
Baratuli2 Antico villaggio di origini medioevali situato a pochi chilometri dall’abitato attuale di Dolianova in località Balardi. Faceva parte del giudicato
di Cagliari, compreso nella curatoria
di Dolia. Dopo la caduta del giudicato
di Cagliari, nella divisione del 1258 fu
compreso nei territori assegnati ai
conti di Capraia che lo trasmisero al
giudice d’Arborea. Il giudice Mariano
II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò
al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Dopo la conquista aragonese nel 1328 fu concesso
in feudo a Michele Marquet. Negli anni
417
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 425
Baratuli Santu Sadorru
seguenti la vita del villaggio trascorse
tranquilla e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore.
Nel 1348 la sua popolazione diminuı̀ a
causa della peste: pochi anni dopo,
scoppiata la prima guerra tra Mariano
IVe Pietro IV, il suo territorio fu invaso
dalle truppe giudicali e devastato. I
Marquet, pur tra mille difficoltà, riuscirono a conservarne la disponibilità
anche se nel 1359 il suo territorio fu
devastato da Berengario Carroz che
aveva assalito il vicino villaggio di Donori. Scoppiata la seconda guerra tra
Mariano IV e Pietro IV, non poterono
impedire che il villaggio fosse conquistato e occupato dalle truppe giudicali,
ma nei decenni che seguirono si spopolò completamente.
ne perse la disponibilità nel corso
della seconda guerra tra Mariano IV e
Pietro IV, quando fu occupato dalle
truppe giudicali, e in pochi anni si spopolò.
Baratuli Santu Sadorru (o Scudargiu)
Baratz Unico lago naturale della Sar-
Antico villaggio di origini medioevali
che sorgeva vicino all’omonimo castello alle pendici del monte Olladiri.
Era compreso nel giudicato di Cagliari
e faceva parte della curatoria di Dolia.
Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati a i conti di
Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro
la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare
da suoi funzionari. Conclusa la conquista aragonese, nel 1324 fu concesso in
feudo a Giacomo Burgues. Negli anni
seguenti la sua esistenza trascorse
tranquilla e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore;
nel 1348, però, furono decimati dalla
peste. Pochi anni dopo, scoppiata la
prima guerra tra Mariano IV e Pietro
IV, il territorio fu invaso dalle truppe
giudicali e devastato. Poco dopo, concluso il Parlamento del 1355, i Burgues
cedettero il villaggio al fisco, che in
brevissimo tempo ne infeudò Giovanni
de Vacaduno. Il nuovo feudatario, però,
degna. Si trova in territorio di Alghero
ed è di piccole dimensioni. Offre una
ricca vegetazione e ospita numerose
specie rare di uccelli.
Baratz – Il lago nei pressi di Alghero è l’unico
naturale della Sardegna.
Barau de Murakessus Antico villaggio di origine medioevale. Faceva
parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Sols. Nel
1070, assieme ad altri villaggi, fu donato dal giudice Orzocco I all’archidiocesi di Cagliari, che probabilmente in
seguito ne perse la disponibilità ed entrò a far parte dei possedimenti dei De
Açen. Quando però il giudicato di Cagliari cessò di esistere, nella divisione
del 1258 fu compreso nel terzo toccato
ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia poco tempo dopo procedettero a
un’altra divisione tra loro. B. de M. fu
cosı̀ attribuito al ramo del conte Gherardo; la sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a
eleggere annualmente il majore e, nel
complesso, condussero una vita tranquilla. Quando, con l’arrivo degli Aragonesi nel 1324 entrò a far parte del Re-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Barbagia
gnum Sardiniae, i Della Gherardesca
ne furono investiti e continuarono a
possederlo. Nei decenni successivi i
loro rapporti con gli abitanti si fecero
tesi; questi nel 1348 furono decimati
dalla peste e i feudatari ne persero la
disponibilità nel corso della prima
guerra tra Mariano IV e Pietro IV
quando, dopo la condanna per fellonia
del conte Gherardo, B. de M. fu sequestrato e concesso ad Alibrando de Açen
che lo unı̀ ai suoi possedimenti. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV
e Pietro IV, dopo la ribellione di Alibrando e di suo figlio, il villaggio fu sequestrato. Occupato quindi dalle
truppe arborensi, presto cominciò a
spopolarsi.
Baravelli, Enrico Giornalista (secc.
XIX-XX). Collaborò con i principali
giornali della Sardegna, lasciando una
serie di articoli sotto forma di inchiesta, di carattere prevalentemente culturale, che ebbero il merito di far
uscire dal convenzionale la conoscenza di alcuni aspetti della Sardegna. Nel 1912, insieme col farmacista
tempiese Claudio Demartis, aveva avviato una linea automobilistica da
Nuoro a Terranova (l’attuale Olbia),
che meritò il plauso (e un poemetto) di
Sebastiano Satta. Tra i suoi scritti:
Contributo alla storia dei trasporti. Ricordo delle Reali, in ‘‘Catalogo della IX
Fiera campionaria della Sardegna’’,
1957; La Sardegna verso l’industrializzazione, ‘‘Cagliari economica’’, 3, 1958;
La gestione del Piano di rinascita della
Sardegna, ‘‘Il giornale del Mezzogiorno’’, 1960; Effemeridi sulla rinascita, 1961; Venti anni di autonomia,
‘‘Giornale del Mezzogiorno’’, 1970; Cronache della vecchia Gallura, 1971.
Barba, Giovanni Letterato (Sassari
1583-?, 1614). Dopo aver compiuto i
primi studi a Sassari, nel 1598 entrò
nell’ordine dei Gesuiti. Si pose in evi-
denza per la vivacità dell’ingegno e per
le sue grandi capacità oratorie. Morı̀
giovanissimo nel 1614. Tra i suoi scritti
si ricordano un trattato De arte retorica,
pubblicato a Barcellona nel 1610, e una
In solemni ingressu D. Gavini Manca de
Cedrelles archiepiscopi turritani oratio,
1614.
Barbabietola = Bietola
Barba di Giove Pianta arbustiva della
famiglia delle Leguminose (Anthyllis
barba-jovis L.). Alta sino ai 3 m, ha rami
lunghi ed eretti, con corteccia grigia,
squamata a strisce; le foglie, imparipennate, sono persistenti e bianco-argentee per la fitta peluria che le ricopre; i fiori sono riuniti in piccoli capolini globosi, gialli, e i frutti sono legumi
allungati con un solo seme. Fiorisce da
marzo a maggio. Cresce sulle rocce costiere, preferibilmente calcaree; in
Sardegna, allo stato spontaneo, si trova
soltanto sulle falesie e le rupi della costa nord-occidentale. Viene coltivata,
per il suo colore argentato e per la sua
resistenza ai venti salmastri, come
pianta ornamentale nei giardini in
prossimità del mare. [MARIA IMMACOLATA
BRIGAGLIA]
Barbagia – Paesaggio.
Barbagia Regione storica della Sardegna, situata nell’interno dell’isola. Deriva il suo nome dal latino Barbària,
‘‘regione abitata da Barbari’’, cioè da
popoli che non erano né latini né greci,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 427
Barbagia di Belvı̀
anzi estranei alla civiltà e alla cultura
latina: pertanto, riferito alla Sardegna
il termine Barbària indicava i territori
delle zone interne che i Romani non
riuscirono mai a pacificare completamente. Come si è detto, essi la individuarono col coronimo di Barbària, che
aveva una valenza negativa perché l’area si ergeva come un ostacolo capace
di frenare la loro penetrazione nell’isola; secondo Strabone era popolata
da una stirpe bellicosa e selvaggia che
formava una nazione a sé, un insieme
di tribù che genericamente chiamava
le civitates Barbariae. Nei secoli della
dominazione romana questo territorio
fu isolato e assediato: infatti per conseguire lo scopo fu costruita una strada
militare centrale, da Meana a Sorabile
(Fonni) attraverso Sorgono, Tiana e
Ovodda, e una secondaria che da Forum Trajani (Fordongianus) risaliva a
Colonia Augusta, e lungo il suo perimetro furono istituite un certo numero di
stazioni militari popolate da colonisoldati che avevano il compito di fermare le popolazioni dell’interno. Questo stato di cose permise di modificare
il rapporto tra loro e i Barbaricini; l’esistenza di questo che potremmo definire un confine elastico permise una
notevole circolazione della cultura e
della lingua. Col tempo i Barbaricini
assorbirono profondamente la lingua
e la cultura latine, talvolta fondendole
in modo originale col substrato nuragico di cui erano i tradizionali continuatori. Durante il regno di Giustiniano queste popolazioni furono cristianizzate dal pontefice Gregorio Magno, ma continuarono a conservare caratteristiche culturali e sociali assolutamente originali. Nel Medioevo il territorio fu compreso in parte nel giudicato d’Arborea (Ollolai, Belvı̀ e Mandrolisai), in parte nel giudicato di Gallura (Bitti) e in parte in quello di Ca-
gliari (Seulo), ma mantenne una sostanziale unità culturale. Dopo la conquista aragonese il territorio fu in
parte sottoposto alla diretta amministrazione del re e in parte concesso a
numerosi feudatari: i villaggi assunsero caratteristiche ben definite e si
svilupparono attorno alle chiese parrocchiali, custodi fieri della loro autonomia che soprattutto nel Mandrolisai
e nella B. di Belvı̀ si mantenne col privilegio dell’autogoverno fino al secolo
XVIII, quando anche queste due subregioni furono concesse in feudo. Nel
corso dei secoli le differenze culturali
tra le varie Barbagie si definirono, ma
forte è rimasto il carattere unitario
della cultura delle popolazioni, imperniata tradizionalmente sulla pastorizia. Nell’Ottocento alla pastorizia si
andarono affiancando l’agricoltura,
sviluppata soprattutto nel Mandrolisai
e nella B. di Belvı̀ e basata sulla viticoltura e la frutticoltura, l’artigianato, il
commercio e una timida attività mineraria. Attualmente la B., con la sua economia pastorale in espansione, costituisce il cuore alpestre della Sardegna
e sviluppa in modo sempre più incisivo
l’attività turistica: ma il nucleo del suo
fascino resta il nodo forte della sua ‘‘civiltà’’, conservata lungo i secoli.
Barbagia di Belvı̀ Antica curatoria del
giudicato d’Arborea, compresa nella
diocesi di Oristano. Come dice il Fara
nella sua Corographia, «ha un terreno
molto accidentato con monti elevatissimi, che sono rinomati per le castagne
e le noci; dove scorre il Flumendosa
insieme ad un altro fiume». Aveva una
superficie di 211 km2 e comprendeva i
villaggi di Aritzo, Belvı̀, Gadoni e
Meana. La popolazione costituita da
pastori godeva di una speciale indipendenza nei confronti dell’amministrazione giudicale. Quando nel 1410 il
giudicato cadde, dopo alcuni anni di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 428
Barbagia di Mandrolisai
tensione e insicurezza, la curatoria nel
1420 fu concessa in feudo a Ferdinando
Pardo, ma la sua popolazione entrò in
conflitto con i feudatari i quali nel 1450
preferirono rendere il feudo al fisco.
Da quel momento al 1481, il territorio
non fu più infeudato; nel corso dell’anno però fu nuovamente ceduto ai
Pages provocando una insurrezione
generalizzata che nel 1496 costrinse i
nuovi baroni a rinunciare all’investitura. In pochi anni l’antica curatoria
ottenne il privilegio di non essere mai
più infeudata e di essere amministrata
da un ufficiale eletto tra i capifamiglia
dei vari villaggi. Nel 1767 la riscossione
delle sue rendite civili fu inclusa nel
feudo di Santa Sofia concesso ai Lostia
e ciò fece rinascere sopite tensioni e
vivaci proteste che però non modificarono la situazione fino al 1838, anno in
cui finalmente cessò la sua dipendenza
feudale.
Barbagia di Belvı̀ – Il fiume Flumendosa nei
dintorni di Aritzo.
Barbagia di Bitti Antica curatoria del
giudicato di Gallura, compresa nella
disciolta diocesi di Galtellı̀. Era, come
dice il Fara nella sua Corographia,
«una regione montuosa, e più adatta
alle pecore che al grano». Aveva una
superficie di 416 km2 e comprendeva i
villaggi di Bitti, Dure, Gorofai, Longu,
Nuruli, Onanı̀ e Orune. Dopo la conquista gli Aragonesi non riuscirono a
piegare la resistenza della sua popolazione, per cui preferirono cedere in
feudo il territorio a Giovanni d’Arborea, loro fedele alleato. Mariano IV,
quando divenne giudice, pretese l’obbedienza feudale del fratello per il vasto dominio che controllava; si scatenò
tra i due un conflitto molto aspro, che si
concluse tragicamente: Giovanni finı̀
imprigionato nel 1348 e la curatoria seguı̀ allora le sorti degli altri domini dell’infelice principe. Mentre Giovanni
che rifiutava l’omaggio perché aveva
ricevuto il feudo direttamente dal re
languiva in prigione, il territorio, occupato da truppe arborensi, continuò a
essere devastato fino alla fine delle
guerre tra Arborea e Aragona. Nel
1410 la curatoria fu concessa in feudo
a Nicolò Turrigiti, i cui discendenti nel
1430 la cedettero al marchese d’Oristano. Dopo la confisca del marchesato, nel 1477 il territorio entrò a far
parte del vasto feudo della Sardegna
settentrionale riconosciuto al ramo
dei Carroz, erede di Giovanni d’Arborea. Estinti i Carroz, passò ai Maza de
Liçana nel 1479. Estinta quest’ultima
famiglia nel 1546, scoppiò una lunga
lite ereditaria, conclusa nel 1571 con
una divisione che assegnò il territorio
ai Portugal. Da questi ultimi nel 1584
passò ai De Silva per il matrimonio di
Anna Portugal con Rodrigo De Silva.
Nel 1617 il territorio fu unito amministrativamente al marchesato di Orani;
era semi-spopolato e teatro di furti di
bestiame e di audaci imprese di briganti. Nel corso del secolo XVIII i rapporti tra i suoi abitanti e la famiglia
feudale si guastarono e le popolazioni
spesso resistettero all’esazione dei tributi feudali. Nel 1838 la curatoria fu
riscattata nel quadro della politica sabauda di ‘‘eversione’’ del feudalesimo.
Barbagia di Mandrolisai = Mandrolisai
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 429
Barbagia di Ollolai
Beatrice, la quale nel 1499 cedette il
territorio a suo figlio Pietro Maza de
Liçana. A partire dal 1505 fu amministrata dal regidor del feudo di Mandas,
che si serviva di alcuni ufficiali minori
residenti a Ollolai, dove era stata costituita la curia baronale. La situazione
di dipendenza della B. di O. dal feudo
di Mandas durò fino al riscatto nel
1838.
Barbagia di Ollolai – Il Supramonte presso
Oliena.
Barbagia di Ollolai Antica curatoria
del giudicato di Arborea, compresa
nella disciolta diocesi di Santa Giusta.
Era un territorio interno al confine del
giudicato con quello di Torres; in cui,
come scrive il Fara nella sua Corographia, «si elevano il Corr’e Boi e altri
monti e verdeggiano fitti boschi e scaturiscono ricche sorgenti da cui s’originano molti fiumi». Comprendeva i villaggi di Fonni, Gavoi, Lodine, Mamoiada, Ollolai, Olzai, Ovodda. Aveva
una superficie di 345 km2 ed era abitata da popolazioni bellicose, dedite
prevalentemente alla pastorizia e alla
produzione del formaggio. Dopo la caduta del giudicato esse si mantennero
ostili nei confronti degli Aragonesi;
nell’intento di pacificare il territorio,
l’antica curatoria fu concessa in feudo
a Giovanni Deana, suocero del marchese d’Oristano. All’estinzione dei
Deana il territorio fu incluso nel marchesato d’Oristano, di cui fece parte
fino alla confisca. Allora la B. di O. fu
donata alla vedova di Nicolò Carroz
che trasmise il territorio a sua figlia
Barbagia di Seulo – Una miniera di rame
abbandonata.
Barbagia di Seulo Antica curatoria del
giudicato di Cagliari, compresa nella
disciolta diocesi di Suelli. Era, come
dice il Fara nella sua Corographia,
«aspra a causa di alti monti e refrattaria all’aratro per i folti boschi, perciò
bisognosa di frumento e notevole soltanto per l’abbondanza delle acque».
Aveva una superficie di 405 km2 e comprendeva i villaggi di Seulo, Ussassai,
Seui, Esterzili, Gersalai, Guidilasso,
Lessey, Sadali, Turbengentilis e Gennesi. Subito dopo la conquista il suo
territorio fu diviso in piccoli feudi e
concesso a diversi signori, ma nel no-
422
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Barbara
vembre del 1345 l’intero territorio
passò nelle mani di Nicolò Carroz.
Dopo la sua morte, la B. di S. passò a
Giovanni Carroz, che la unı̀ al feudo di
Mandas, al quale il territorio rimase
legato fino al riscatto dei feudi.
Barbagia di Seulo – Marchiatura a fuoco del
bestiame nei dintorni di Orroli.
Barbagiana Antico villaggio del giudicato d’Arborea, compreso nella curatoria del Parte Barigadu. Creduto di origine romana (Barbaria ianua), nel
corso del secolo XIV andò progressivamente spopolandosi e scomparve definitivamente agli inizi del secolo XV.
Barbagianni = Zoologia della Sardegna
Barbara, santa1 (in sardo, Santa Barbara, Santa Brabara, Sant’Arvara)
Santa (secc. III-IV). Martire, le fonti indicano diversi luoghi di nascita: Nicomedia, l’odierna Izmit, Eliopoli, Antiochia, Roma, persino la Toscana. Figlia
di Dioscoro o Dioscuro, ricco pagano, il
quale per difenderla dai molti pretendenti la chiuse in una torre di bronzo,
fatta costruire appositamente. Secondo una leggenda, prima di entrare
nella torre si battezzò immergendosi
tre volte in una piscina e dicendo: «Si
battezza Barbara, nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo». Secondo un’altra, nella torre le apparve
Gesù, confortandola, convertendola e
facendola battezzare da San Giovanni
Battista. Secondo un’altra ancora fu
convertita da Origene. Per la torre il
padre aveva predisposto due finestre,
ma la giovane ne fece costruire tre,
simbolo della Santissima Trinità. Il padre, quando la figlia gli rivelò di aver
abbracciato la fede cristiana, si armò
di coltello e cercò di ucciderla. Lei si
salvò passando miracolosamente fra le
pareti della torre. Cercò di farla sacrificare agli dei e di farle sposare un giovane nobile pagano: «Il Signore è la
mia fede – gli disse la figlia – il Signore
è il mio sposo, a lui ho offerto la mia
purezza». Fu denunciata e condotta
dallo stesso padre davanti al prefetto
Marciano, sotto l’imperatore Massimino il Trace (235-238). Condannata a
essere frustata e battuta a sangue. Torturata, le furono straziate le carni con
uncini di ferro. Decapitata dal padre
stesso, che volle eseguire la sentenza o
che prese il posto del carnefice per ordine del prefetto. Subito dopo aver reciso la testa della figlia un fulmine a
ciel sereno o un fuoco disceso dal cielo
lo incenerı̀. Diverse anche le date: 4 dicembre 235 o sotto Galerio, imperatore
dal 305 al 311. Il suo corpo fu traslato a
Torcello, l’isoletta della laguna veneta,
e poi a Venezia nella chiesa di San Giovanni Evangelista. La leggenda ricalca
quella di Danae, figlia di Acrisio re di
Argo e di Euridice: il padre la relegò in
una stanza sotterranea, dalle pareti di
bronzo, dopo aver appreso dall’oracolo
che sarebbe morto per mano di un eroe
nato dalla figlia. Zeus, trasformatosi in
pioggia d’oro, la raggiunse e dall’unione nacque Perseo. Il culto della
santa risale al secolo VIII; inserita fra
i santi ausiliatori in epoca medioevale,
nel 1969 è stata cancellata dal calendario. Patrona, per la folgore che incenerı̀ il padre, degli artiglieri, dei minatori e dei vigili del fuoco. Più in generale di coloro che hanno a che fare con
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Barbara
esplosivi o incendi. Patrona anche
della Marina militare: nelle navi da
guerra il deposito delle munizioni è
detto ‘‘santabarbara’’. È invocata contro la morte improvvisa, la mala morte,
che non permette al peccatore di pentirsi e di morire con i sacramenti.
San Giacomo, – voi portate le chiavi dei
lampi, – voi portate le chiavi del cielo, –
non toccate, salvate, – i figli d’altri
nelle case e nelle campagne, – Santa
Barbara e San Giacomo). [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 4 dicembre; la
terza domenica di luglio a Sinnai, la seconda domenica di agosto a Monteponi, il 20 agosto a Narcao, il 26 agosto
a Olzai. Sagre estive e in altre date durante l’anno.
Barbara, santa2 (in sardo, Santa Bra-
Santa Barbara – La santa in un dipinto di
Giovanni Antonio Boltraffio. (1467-1516;
Staatliche Museen, Berlino)
In Sardegna Patrona di Argentiera,
Bacu Abis, Furtei, Genoni, Gonnosfanadiga, Ingurtosu, Monteponi, Narcao
(insieme a San Nicola), Nureci, Olzai,
Senorbı̀, Sinnai, Villacidro e Villasalto.
Il suo culto è stato diffuso dai Bizantini. Con San Giacomo porta, custodisce, le chiavi dei lampi e del cielo:
«Santa Brabara e Santu Jaccu, / ’osu potais is crai’ de su ’ampu, / ’osu potais is
crai de su xelu, / no toccheis a fill’allenu, /
ne in domu ne in su satu, / Santa Brabara e Santu Jaccu» (Santa Barbara e
bara scabizzada, Sa Scabizzada) Santa
(Cagliari, metà sec. III-?). Convertita,
si ritirò con Santa Restituta in una
grotta nel quartiere di Stampace, pregando e aiutando i bisognosi. Denunciata, fu incarcerata e torturata, decapitata che aveva trent’anni. Il preside
romano, per evitare una sommossa
nella città, dov’era conosciuta e amata,
«fece eseguire la sentenza a Capoterra
– scrive Felice Putzu (1927) – nella località ancor’oggi chiamata Sa Scabizzada, ossia la decollata, dove scaturı̀
una sorgente d’acqua al momento del
martirio della santa». Sul martyrium è
sorta una chiesa, in epoca medioevale
diventata eremitaggio di monaci agostiniani. Reliquie rinvenute il 23 giugno 1620 a Cagliari, nella grotta dove
visse con Santa Restituta. «Ci pare affatto superfluo – scrive Francesco Alziator (1963) – porre in rilievo che ci
troviamo dinanzi al solito caso di duplicazione locale di un santo famoso,
della santa di Nicomedia, nel secolo
dei santi fabbricati a carrettate». Traduzione della lapide latina murata
nella chiesa campestre di Capoterra:
«In onore di Dio e della beata Barbara
martire, la presente chiesa è costruita
nell’anno dell’incarnazione del Signore 1281. Editto VIII del presule
Gallo, della Chiesa di Cagliari, e di
frate Guantino Hormiga governatore
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 432
Barbareschi
del luogo e dei suoi eremiti». Quando i
romiti l’abbandonarono, fu donata con
la chiesa di Santa Maria di Uta dall’arcivescovo di Cagliari ai Francescani
conventuali, i quali vi eressero un ospizio, superiore il venerabile Tomaso
Polla. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia la domenica dopo la
SS. Trinità a Capoterra.
celliere in diritto, venne ordinato sacerdote e fu per molti anni parroco di
Bitti, dimostrando notevoli doti pastorali. Nel 1563 fu nominato arcivescovo
di Oristano; si impegnò con grande decisione a migliorare le condizioni del
clero e a cercare di applicare i canoni
della Controriforma. Morı̀ prima del
1572.
Barbarà Famiglia catalana (secc. XVIXVIII). Si trasferı̀ in Sardegna agli inizi
del secolo XVI con un Michele che,
sposata una Santa Cruz, si stabilı̀ a Cagliari. I loro figli furono ammessi allo
Stamento militare nel 1578 durante il
parlamento Coloma e presero parte ai
suoi lavori; uno di essi, Adriano, fu anche nominato sindaco dello Stamento
militare a Madrid. Con i figli di suo nipote Antioco, nel corso del secolo XVII
la famiglia si divise in tre rami: Antonio nel 1635 tentò inutilmente di contendere ai Ledà il possesso dei feudi di
Ittiri e di Uri, ed ebbe discendenza,
estinta nella seconda metà del secolo
XVII; Francesco diede origine al ramo
che nella seconda metà del secolo XVII
si stabilı̀ a Mandas e si estinse agli inizi
del secolo XVIII; Gaspare diede origine a un altro ramo secondario che
continuò a risiedere a Cagliari, ma i
suoi membri finirono per gravitare su
Iglesias dove alcuni di loro ebbero l’ufficio di capitano della città; anche questo ramo si estinse entro la fine del secolo.
Barbarà, Antioco Gentiluomo cagliaritano (fine sec. XVI-prima metà sec.
XVII). Era un valoroso uomo d’armi
che nel 1594 si segnalò nella difesa di
Cagliari da una scorreria di corsari turchi. Nel 1606 fu nominato capitano di
Iglesias per due anni.
Barbarà, Girolamo Religioso (Cagliari, prima metà sec. XVI-Oristano,
prima del 1572). Arcivescovo di Oristano dal 1563 al 1572 ca. Divenuto bac-
Barbareschi – Le incursioni di pirati arabi e
barbareschi durarono più di mille anni, fino ai
primi decenni dell’Ottocento.
Barbareschi Termine con cui vennero
genericamente indicati i corsari musulmani che, a partire dal secolo XVI,
sostenuti dai Turchi, si insediarono
lungo le coste dell’Africa settentrionale impadronendosi di Algeri, Tunisi
e Tripoli, dove rovesciarono le antiche
dinastie e diedero vita a vere e proprie
città-Stato, formalmente dipendenti
dall’Impero ottomano, ma in realtà autonome e dedite esclusivamente alla
guerra di corsa. I B. erano Turchi provenienti dalle isole del Mediterraneo
orientale; moriscos provenienti dalla
Spagna e animati da profondo spirito
di rivalsa; schiavi cristiani, catturati e
islamizzati, che col tempo avevano conquistato posizioni di primo piano nella
comunità. L’attività principale di questi corsari erano l’assalto e la cattura
delle navi cristiane e le spedizioni
lungo le coste degli stati cristiani per
catturare schiavi da vendere nei mercati delle città barbaresche o per i
quali ottenere cospicui riscatti. Nume-
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pag. 433
Barbareschi
rose incursioni furono effettuate da
questi corsari lungo le coste della Sardegna. Le più importanti sono: 1. Nel
1509 Cabras fu saccheggiata da una
squadra di corsari che fecero molti prigionieri. Negli anni successivi gli attacchi a Cabras continuarono e i suoi
abitanti dovettero provvedere autonomamente a organizzare la propria difesa. 2. Nel 1514 sbarcarono sulle
spiagge di Siniscola e, attaccato il villaggio, fecero più di cento schiavi e uccisero molte persone. 3. Nel 1520 i corsari turchi sbarcarono sulle spiagge di
Sant’Antioco, Pula e Capo Carbonara e
impegnarono furiosi scontri con gli
abitanti dei villaggi che riuscirono a
respingerli, catturandone alcuni. 4.
Nel 1520 i Turchi sbarcati in Gallura
devastarono il villaggio di Caresi; nello
stesso anno attaccarono anche la marina di Oristano, Sant’Antioco, Pula e
Capo Carbonara, ma ovunque furono
respinti dalle popolazioni. 5. Nel 1525
i corsari turchi, approfittando del fatto
che la popolazione di Sant’Antioco era
impegnata nella festa del patrono,
sbarcarono ma furono ricacciati: tornarono in forze l’anno successivo, ma
mentre si apprestavano a sbarcare una
tempesta spazzò via la flotta; in questa
occasione molti corsari furono catturati. 6. Nel 1527 i Turchi attaccarono
Castellaragonese: occuparono l’Asinara ma furono successivamente respinti dai sardi; in seguito, sbarcati
nelle marine di Terralba, devastarono
molti villaggi del Bonorcili, facendo
fuggire la popolazione. 7. Nel 1538 il
corsaro Barbarossa giunse a saccheggiare la basilica di Porto Torres. 8. Nel
1540 i Turchi attaccarono e saccheggiarono Olmedo e fecero molti prigionieri.
9. Barbarossa tentò di assalire le coste
occidentali ma fu fermato da Blasco
Alagon; nel 1546, però, fatti sbarcare i
suoi uomini, devastò Uras e molte altre
località. 10. Nel 1549 fu attaccata e distrutta Orosei e i suoi abitanti furono
costretti a fuggire. 11. Nel 1552 i corsari
compirono sbarchi lungo le coste del
Sarrabus, del Sulcis e a Pula, ma ovunque furono contrastati e ricacciati in
mare dalle popolazioni. 12. Nel 1553 i
Turchi assalirono e saccheggiarono
Terranova e successivamente si diressero verso Bastia. 13. Nel 1556 i Turchi
attaccarono le coste della Gallura, le
marine di Sorso e del Logudoro, ma furono respinti. 14. Nel 1560 il corsaro
Occialı̀ operò diversi sbarchi lungo le
coste sarde, spargendo terrore nelle
popolazioni. Nel 1561 i Turchi tentarono di assalire Castellaragonese ma
furono respinti con perdite. Negli
anni successivi fino al 1566 le coste
sarde furono attaccate in più punti
tutti gli anni, vivendo una situazione
di estrema tensione. 15. Nel 1581 i corsari attaccarono Siniscola ma furono
respinti dagli abitanti guidati da Bernardino Puliga. 16. Il 1582 fu un anno
sfortunato: infatti furono attaccate Villanova Monteleone, dove furono fatti
cinquanta schiavi, e Quartu, dove furono catturate più di duecento persone, mentre gli altri abitanti fuggirono nei villaggi vicini. 17. Nel 1584 furono assalite e saccheggiate Gonnosfanadiga e Pabillonis, sorprese da un
gruppo di corsari che era sbarcato
nella marina di Arbus e si era inoltrato
all’interno. Nello stesso anno presero
terra nelle marine di Alghero, dove fecero più di cento prigionieri a Porto
Conte. 18. Nel 1617 una terribile incursione arrecò gravi danni a Sant’Antioco, a Teulada e a Pula, dove furono
catturati molti schiavi. 19. Nel 1621 i
corsari tentarono di invadere le
spiagge attorno a Cagliari e riuscirono
comunque a fare bottino e schiavi. 20.
C. tunisini tentarono di sbarcare a Funtanamare ma furono respinti dalle po-
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Barbaro
polazioni. 21. Nel 1762 fu attaccata l’isola di Serpentara dove furono fatti prigionieri i serventi della torre. 22. Nel
1765 i corsari sbarcarono a Porto Pino e
fecero molti prigionieri. 23. In una incursione tunisina lungo le coste del
golfo di Cagliari furono effettuati diversi sbarchi e catturate diverse persone. 24. Nel 1798 la clamorosa impresa dei corsari tunisini si concluse
con la cattura di buona parte della popolazione di Carloforte. 25. In una spedizione tunisina a Capo Carbonara furono catturati i serventi di due torri costiere. 26. Grave incursione tunisina a
Sant’Antioco, in cui furono catturati
144 abitanti condotti via come schiavi.
27. Nel settembre 1798 l’incursione
notturna di una flotta di corsari b. contro Carloforte fece oltre 800 prigionieri, portati come schiavi a Tunisi. Riscattati con grande fatica e grazie all’impegno diretto di Napoleone, poterono tornare in Sardegna solo nel
1803. Altre incursioni furono registrate
sino al 1815-1821. Nel corso dei secoli i
sardi svilupparono un sistema di difesa basato soprattutto sulle torri costiere, che fu completato sotto il regno
di Filippo II, e sulla presenza nelle acque dell’isola di una piccola squadra di
galere che stanziava a Cagliari (Capitana, Patrona e San Francesco). I primi
due decenni del secolo XIX registrano
una serie di scontri fra navi della Marina sarda e barbaresca nei mari intorno all’isola: in alcuni di questi si distinsero per valore (e anche per i danni
inferti agli aggressori) il nocchiero Tomaso Zonza, già segnalatosi in occasione del tentativo francese del 1793
contro La Maddalena, e il comandante
Vittorio Porcile. Solo nel 1816 (3 aprile)
l’ammiraglio inglese Exmouth, anche
come delegato del re di Sardegna, impose al bey di Algeri una convenzione
che lo vincolava a pacifiche relazioni
con il Regno di Sardegna. Dopo quella
di Algeri analoghi trattati furono firmati con le reggenze di Tunisi e Tripoli. Quelle firme chiusero i mille
anni di incursioni contro la Sardegna.
Barbaria = Civitates Barbariae
Barbaricini Antica popolazione della
Sardegna. Sulle sue origini si è sviluppato un lungo e vivacissimo dibattito in
parte ancora non chiuso. Secondo alcuni storici, i B. erano genericamente
gli abitanti della Barbària, quel complesso di territori della Sardegna interna oggi chiamato Barbagia. Secondo
altri, invece, sulla base di quanto afferma Procopio nel De bello vandalico,
i B. sarebbero stati un popolo dell’Africa settentrionale (Mauri) trapiantato in Sardegna per sfuggire all’invasione della loro terra da parte dei Vandali.
Barbariciridicoli Compagnia teatrale
costituita nel 1993 esclusivamente da
attori del Nuorese e diretti dal regista
Tino Belloni; si prefigge di promuovere la diffusione della cultura teatrale mediante la produzione di spettacoli teatrali, convegni, seminari e studio dei testi.
Barbaro Personaggio ricorrente in alcune passiones di martiri della Sardegna e della Corsica (sec. IV d.C.). In
questi racconti agiografici Barbarus è
il praeses che condanna a morte Gavino, Proto e Gianuario di Turris Lybisonis, Simplicio di Fausania e Saturno
di Carales, oltre a Devota, martirizzata
Corsica. Non si esclude che le passiones, compilate in diversi momenti e
tutte successive al secolo VI, abbiano
potuto riflettere parzialmente dati
reali, tra i quali si pone la storicità di
B. Questi poté ricoprire tra il 303 e il
304 la carica di governatore della Corsica e successivamente della Sardegna, ma in attesa del successore nel
primo incarico tenne contemporanea-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 435
Barbaro
mente il governo delle due isole (come
è riportato anche nella Passio Sancti
Saturni: «Barbarus accepit principatum Sardiniae atque Corsicae a Romanis regibus»). Secondo il racconto della
Passio di San Simplicio di Fausania
(Olbia). B., dopo aver condannato a
morte il martire, morı̀ a causa di una
tempesta nel tragitto marittimo mentre dalla Sardegna si recava in Corsica.
Non si esclude che il suo nome sia all’origine di una tradizione che, in un
momento imprecisato, portò a denominare ‘‘palazzo di Re Barbaro’’ un
grande edificio termale che si imponeva nel paesaggio urbano della Turris
Lybisonis romana e che probabilmente
in età bizantina venne trasformato in
struttura militare fortificata. [PIERGIORGIO SPANU]
tilene 1465-Costantinopoli 1546). Un
corsaro che operava al servizio del sultano ottomano Solimano il Magnifico
nel Mediterraneo occidentale nella
prima metà del secolo XVI. Di origine
cristiana, da giovane aveva praticato la
pirateria nell’Egeo. Abile guerriero e
spregiudicato politico, subentrò nel
dominio di Algeri al fratello Horuk,
che vi si era insediato nel 1515, costituendovi un piccolo principato personale. Dalla sua roccaforte arrivò a minacciare la presenza spagnola in Nord
Africa; per questo motivo Carlo V organizzò contro di lui una spedizione, ma
nel 1535 B. s’impadronı̀ di Tunisi e nel
1538 sconfisse Andrea Doria a Prevesa.
In seguito riuscı̀ a impadronirsi di
buona parte della costa del Nord
Africa, da dove le sue flotte ripresero a
tormentare per anni le coste della Sardegna.
Barbera Vino rosso da tavola. Ottenuto
Barbaro – Sotto il nome di Barbaro o, più
ancora, di Re Barbaro è ricordato a Porto
Torres il preside romano che perseguitò i
Martiri turritani. Le rovine di un importante
edificio sono chiamate ‘‘palazzo di Re
Barbaro’’.
Barbaro, Quinto Gabino Funzionario
romano (sec. III). Dopo aver ricoperto
diversi uffici fu nominato prefetto
della via Flaminia e successivamente
procuratore in Sicilia. Fu infine nominato proconsole e prefetto della Sardegna durante il regno di Settimio Severo, Caracalla e Geta tra il 198 e il 211.
Barbarossa Soprannome con cui era
conosciuto il celebre Khair ad-din (Mi-
dall’omonimo vitigno piemontese, introdotto nei territori del Parteolla alla
fine dell’Ottocento. Negli anni Cinquanta del Novecento veniva prodotto
dalla Cantina sociale del Parteolla a
Dolianova: raggiungeva una gradazione di 14 gradi e poteva essere invecchiato fino a cinque anni. Successivamente, fino alla fine degli anni Novanta la sua produzione è andata esaurendosi. Da qualche anno si è ripresa.
Barbera, Diego Teologo (Cagliari 1703ivi 1777). Scolopio, divenuto sacerdote
fu per anni preside del collegio di San
Giuseppe e successivamente nel 1751
provinciale del suo ordine; insegnò Filosofia presso l’Università di Cagliari.
Fu autore di alcuni trattati dei quali
rimane manoscritto quello di Summalisticae Institutiones.
Barberán, Girolamo Religioso (Cagliari, prima metà sec. XVI-Oristano
1572). Arcivescovo di Oristano dal 1563
al 1572. Ottenuto il baccellierato e poi
428
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 436
Barbusi
la licenza in Diritto canonico, venne ordinato sacerdote e fu per molti anni
pievano di Bitti, dimostrando notevoli
doti. Nel 1563 fu nominato arcivescovo
di Oristano; si impegnò con grande decisione a migliorare le condizioni del
clero e ad applicare i canoni del concilio di Trento, convocando un sinodo
provinciale nel 1566. [MASSIMILIANO VIDILI]
Barberis, Corrado Sociologo (sec.
XIX). Presidente dell’Istituto Nazionale di Sociologia rurale, nel 1972
ebbe l’incarico di condurre un’analisi
della condizione del pastore sardo per
conto della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della criminalità in Sardegna, e nel 2002 curò
un’indagine della Fondazione A. Segni
sui risultati della riforma agraria in
Sardegna. Tra i suoi scritti: Profilo sociologico del pastore, in Documenti della
Commissione parlamentare d’inchiesta
sui fenomeni di criminalità in Sardegna, II, 1982; La riforma fondiaria cinquant’anni dopo: Italia e Sardegna di
fronte all’Europa, in Per una storia
della riforma agraria in Sardegna (a
cura di Manlio Brigaglia), 2004.
Barberis, Mattia Avvocato piemontese
(sec. XIX). Difese le ragioni dei villaggi
del marchesato di Sedilo nei confronti
del marchese Delitala nella lite sulla
consistenza dei tributi feudali accesasi
al momento di fissare l’ammontare del
riscatto del feudo. La memoria, utile
per ricostruire la storia delle vicende
feudali del territorio e in parte anche
dell’isola, fu pubblicata col titolo Ragionamento avanti il Supremo R. Consiglio di Sardegna per i comuni di Sedilo,
Boroneddu, Norghittu, Soddı̀, Zuri, Tadasuni, Domusnovas come componenti
il marchesato di Sedilo e Canales contro
il marchese don Gerolamo Delitala,
1830.
Barbiera, Raffaello Giornalista (Vene-
zia 1851-Milano 1934). Conclusi gli
studi di legge si dedicò al giornalismo
e dal 1876 al 1882 fu redattore del ‘‘Corriere della Sera’’. Subito dopo passò all’‘‘Illustrazione italiana’’, nella cui redazione lavorò fino al 1917. Interessato
all’aneddotica storica del Risorgimento, scriveva in uno stile chiaro e
diretto soprattutto nelle biografie di
personaggi celebri; fu autore di numerose opere di grande divulgazione. In
uno dei suoi libri è ricordato Un cantante del Risorgimento: il marchese De
Candia e le sue avventure, in Voci e volti
del passato 1800-1900, 1920.
Barbieri, Raffaele Docente universitario (Portici 1913-ivi 1975). Ha diretto
per anni l’Istituto di Agronomia dell’Università di Sassari, nella Facoltà di
Agraria di cui fu uno dei fondatori; nel
1962 fu chiamato a far parte del comitato di esperti istituito per elaborare i
progetti del Piano di Rinascita. Tra i
suoi scritti, L’agricoltura sarda e le sue
possibilità di sviluppo, ‘‘Annuario dell’Università degli studi di Sassari’’
1957-58, 1958.
Barbusi Centro abitato della provincia
di Carbonia-Iglesias, frazione di Carbonia (da cui dista 5 km), con oltre 400
abitanti, posto a 119 m sul livello del
mare, affacciato sulla vallata del Cixerri dalle ultime propaggini dei rilievi del Sulcis. Regione storica: Sulcis. Diocesi di Iglesias.
& TERRITORIO Il territorio ha tenuto
in passato la frazione in bilico tra la
vocazione mineraria e quella agricola,
perché ai rilievi del Sulcis, aridi e spogli in superficie ma ricchi di minerali
nel sottosuolo, alterna le terre fertili e
ricche di acque dell’ampia vallata del
Troncia-Flumentepido (continuazione
a occidente di quella del Cixerri) che,
ormai nel tratto terminale, scorre a
breve distanza. Il villaggio è attraversato dalla strada trasversale che da Vil-
429
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 437
Barcelo
lamassargia conduce direttamente a
Carbonia, ma ha a brevissima distanza
anche la statale 126 nel tratto IglesiasCarbonia. A 3 km di distanza si trova la
stazione, lungo la linea ferroviaria proveniente da Cagliari.
& STORIA Sul territorio dove sorge il
villaggio attuale si era sviluppato nel
Medioevo un piccolo centro che faceva
parte del giudicato di Cagliari ed era
compreso nella curatoria del Sols.
Quando però ebbe termine l’esistenza
del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 il villaggio fu compreso
nel terzo toccato ai Della Gherardesca
che, per insanabili contrasti tra i due
rami della famiglia, poco tempo dopo
fecero un’altra divisione tra loro. B.
cosı̀ fu attribuito al ramo del conte
Gherardo; la sua struttura sociale fu
conservata, i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore
e, nel complesso, condussero una vita
tranquilla. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae; ma i Della Gherardesca ne furono investiti e continuarono
a possederlo. Nei decenni successivi i
loro rapporti con gli abitanti di B. diventaro tesi. La popolazione del villaggio nel 1348 fu decimata dalla peste e i
feudatari ne persero la disponibilità
nel corso della prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Si ebbe poi la condanna per fellonia del conte Gherardo,
e negli anni successivi il villaggio fu
duramente provato dalle vicende della
guerra e si spopolò completamente.
Nei secoli successivi il suo territorio
continuò a rimanere deserto, frequentato solo da pastori nomadi che nel
corso del secolo XVIII vi formarono un
primo insediamento, che è poi il medau da cui B. nel corso dell’Ottocento
si è sviluppato. Quando, dopo il 1935, fu
decisa la nascita di Carbonia, il villaggio era un piccolo centro di contadini
che fu toccato dal fervore delle attività
che crebbero a mano a mano che si intensificarono le attività estrattive legate alla creazione della città. Vi fu infatti avviata la costruzione di un moderno villaggio per minatori che si sviluppò rapidamente e che altrettanto
rapidamente entrò in crisi con la fine
del sogno carbonifero. Attualmente B.
è tornato a essere un piccolo centro
agricolo la cui vita è intimamente connessa con quella di Carbonia.
& ECONOMIA Base dell’economia del
villaggio è l’agricoltura.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio conserva testimonianze archeologiche che risalgono al periodo
punico e romano.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il villaggio mantiene il tessuto
urbanistico tipico dei piccoli centri
del Sulcis sviluppatisi dagli antichi
medaus; l’unico monumento di pregio
è la chiesa di Nostra Signora delle Grazie, parrocchiale costruita nel 1957.
Barcelo Famiglia sassarese originaria
di Montpellier (secc. XV-XVII). Si trasferı̀ a Sassari nella seconda metà del
secolo XV con il celebre pittore Joan. I
suoi discendenti ottennero il cavalierato ereditario nel 1567, ma si estinsero nel corso del secolo XVII.
Barcelo, Joan Pittore (Tortosa, metà
sec. XV-Sassari, inizi sec. XVI). Nel
1488 si stabilı̀ a Sassari, dove firmò un
contratto per un retablo per San Francesco di Alghero. Nel 1508 era di nuovo
a Barcellona, ma nel 1510 risulta a Sassari, dove si sposò. Da allora, tranne
che per brevi periodi, operò in Sardegna fino al 1516. Sentı̀ l’influenza della
pittura fiamminga e fu autore di retabli, tra cui quello della Visitazione, l’unica sua opera giunta a noi, dal San
Francesco di Stampace. Il retablo –
scrive Renata Serra – «rivela modi di
stretta osservanza valenzana, specie
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 438
Bardana
nel disegno della bulinatura sul fondo
d’oro».
Barchetta = Zoologia della Sardegna
Barcudi Antico villaggio del giudicato
getto di una tavola della ‘‘Tribuna illustrata’’ e contribuı̀ ad aumentare i pregiudizi dell’opinione pubblica ‘‘continentale’’ nei confronti della Sardegna.
di Cagliari. Faceva parte della curatoria del Campidano: un tempo fiorente,
cominciò a spopolarsi nel corso del secolo XIII e in breve tempo scomparve.
Bardana1 Termine (nell’antico toscano
gualdana, pare dal linguaggio militare
germanico) riferito a una cavalcata a
scopo di razzia. Era un tipico modo di
operare del banditismo pastorale
sardo. Balzò all’attenzione pubblica
nazionale soprattutto negli anni tra il
1880 e il 1918 anche per le descrizioni
che della b. fecero i giornalisti che si
occupavano della recrudescenza della
criminalità in Sardegna. La b. aveva
come obiettivo la rapina ai danni di un
ricco proprietario residente in uno dei
villaggi dell’interno. Veniva organizzata nei minimi particolari da gruppi
di banditi che infestavano le campagne, ai quali spesso si univano persone
insospettabili. L’azione prevedeva lo
spostamento notturno di un gruppo di
cavalieri armati lungo i sentieri impervi delle montagne, l’accerchiamento del villaggio e l’assalto all’abitazione della vittima prescelta e infine la
rapina (grassazione). Subito dopo i
componenti del gruppo lasciavano il
paese e, dopo aver diviso i frutti, si disperdevano. Le cronache riportano
episodi di violenze inaudite, descrivono conflitti a fuoco con conseguenze
terribili come quando i partecipanti a
una delle più famose bardane (quella
di Tortolı̀ nel novembre 1894, che diede
origine all’inchiesta sul banditismo in
Sardegna affidata dal governo Crispi al
deputato sardo Francesco Pais Serra),
nel ritirarsi preferirono staccare la testa a uno dei compagni morti per non
correre il rischio di essere identificati
attraverso lui. Il truce episodio fu og-
Bardana – Particolare durante la fioritura.
Bardana2 Pianta erbacea della famiglia delle Composite (Arctium minus
(Hill) Bernh.). Ha una grossa radice a
fittone e può raggiungere i 2 m di altezza; le foglie basali, grandi e raggruppate, sono cuoriformi, con pagina inferiore più chiara; quelle superiori, più
rade sul fusto, sono lanceolate; i fiori,
all’estremità dei fusti, sono capolini
sferici, rosso scuri, avvolti da squame
uncinate; i frutti sono acheni allungati,
con un ciuffo di peli. Fiorisce in estate.
Il nome sardo con cui viene chiamata
la b. nella Barbagia di Belvı̀, piga-pigheddu (lett. ‘‘prendi prendi’’), è dovuto alla capacità di fiori e frutti di attaccarsi con gli uncini al pelo degli animali. Cresce spontanea in zone sassose
e assolate, ma in Sardegna non si rinviene con facilità allo stato spontaneo.
Ha moltissime applicazioni in fitoterapia: le radici hanno proprietà diuretiche e depurative, le foglie sono digestive, cicatrizzanti e lenitive, macerate
in acqua e sale, dei dolori articolari.
431
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 439
Bardanzellu
Nomi sardi: cardajone (Sarcidano); cuscusone, isprone (logudorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Bardanzellu, Giorgio Avvocato e deputato al Parlamento (Luras 1888-Roma
1974). Dopo essersi laureato in Legge
si dedicò alla professione di avvocato;
dopo la prima guerra mondiale in cui
era stato ferito e dove fu decorato, dal
1919 si stabilı̀ a Torino e vi esercitò con
successo la sua professione impegnandosi anche in ricerche sulla storia
sarda: durante una di queste scoprı̀
nell’Archivio di Stato di Parma il manoscritto della Descrizione della Sardegna, stilato da Francesco d’AustriaEste nel 1812, curandone poi l’edizione
nel 1934. Più tardi si sarebbe occupato
delle Carte d’Arborea e da deputato ne
avrebbe proposto un nuovo esame. Di
convinte idee monarchiche, si inserı̀
nella realtà torinese dove venne stimato per la sua onestà e per le sue capacità. Dal 1934 al 1939 fu deputato al
Parlamento, ma i suoi difficili rapporti
con il gruppo dirigente del fascismo torinese lo esclusero dalla Camera dei
Fasci e delle Corporazioni. Caduto il
fascismo, fu epurato e costretto a tornare in Sardegna; alcuni anni dopo fu
riabilitato e poté riprendere la sua
professione e il suo impegno politico.
Aderı̀ al Partito nazionale monarchico
e fu cosı̀ eletto deputato dal 1953 al
1963 per la II e III legislatura repubblicana; prese parte con impegno all’attività parlamentare con numerose proposte di legge, alcune delle quali riguardanti la Sardegna. Tra i suoi
scritti: Il gover no di Mussolini,
‘‘L’Unione sarda’’, 1923; Bontempelli e
la Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’, 1931;
La Sardegna del 1812 in un documento
inedito, ‘‘L’Unione sarda’’, 1933; La
completa fusione della Sardegna al Piemonte in una lettera del conte di Cavour
e altri documenti inediti, ‘‘Rassegna sto-
rica del Risorgimento’’, XXIII, 1, 1936;
Il regno di Sardegna, ‘‘Rassegna storica
del Risorgimento’’, XXV, 1938; Domenico Millelire e la difesa della Sardegna
nel febbraio 1793, 1954; Porti e strade in
Sardegna, 1955; Rapporto tra Stato e Regione in Sardegna, 1955; Contributo alla
critica storica e paleografica delle carte
d’Arborea, ‘‘Archivi’’, XXII, 1955; La
contesa tra la Francia e il regno di Sardegna per le isole dell’Arcipelago della
Maddalena, ‘‘La Nuova Sardegna’’,
1959; Garanzie per Carbonia, ‘‘Pensiero
nazionale’’, 16, 1961. Le sue carte sono
conservate presso il Museo di Storia
del Risorgimento di Torino.
Bardanzellu, Mavi (pseud. di Maria Vittoria B.) Attrice cinematografica (n. Lu-
ras 1938). Appartenente a una importante famiglia gallurese, si è avvicinata
al cinema quasi per curiosità, ma finendo poi per interpretare molti ruoli
adatti alla sua severa bellezza latina.
Tra gli altri Pelle di bandito, di Piero
Livi (il regista olbiese che l’ha incoraggiata nei primi passi), La battaglia del
Sinai, di Maurizio Lucidi, Beatrice
Cenci, di Lucio Fulci (1969) e anche
uno western all’italiana, Carogne si nasce, di Alfonso Brescia.
Bardaxino, Giovanni Religioso (sec.
XIV). Vescovo di Dolia dal 1355 al 1362.
Appartenente all’ordine dei Minori
francescani; eletto vescovo nel 1355
dai canonici del capitolo doliense, la
sua elezione fu annullata dal papa per
vizio di forma. Superata l’opposizione
pontificia, prese possesso della diocesi
nel momento difficile che precedette
lo scoppio della seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Morı̀ prima del 4
aprile 1362.
Bardilio, san (o San Bardirio, San Baldilio;
in sardo, Santu Baldiri, Santu Bardili)
Santo catalano (San Baldiri) non riconosciuto dalla Chiesa, introdotto in
Sardegna nel Trecento: è rimasto il
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 440
Barega
nome, diffuso soprattutto a Dorgali e a
Galtellı̀, e un quadro a Cagliari nella
chiesa di San Lucifero. Giovanni Spano
nel 1861 segnalava i resti della sua
chiesa a Cagliari, ai piedi della collina
di Bonaria, definitivamente spazzati
via nel 1909: chiesa in origine dedicata
a Sancta Maria in Portu Gruttae o Santa
Maria di Portu Salis, ritenuta la più antica chiesa di tutta l’isola. Nelle Carte
d’Arborea si legge: «La chiesa venne
costruita nello stesso sito dove San
Paolo pose per la prima volta il piede
e predicò il Vangelo ai sardi e dove fino
all’VIII secolo, quando venne distrutta
dai saraceni, si venerava la pietra sopra la quale l’apostolo delle genti salı̀
per predicare la fede all’arrivo che
fece in Sardegna». Naturalmente San
Paolo non approdò mai nell’isola.
[ADRIANO VARGIU]
Bardoner, Pietro Uomo d’armi (sec.
XV). Appartenente a nobile famiglia
catalana che si trasferı̀ in Sardegna
nel 1360 per prendere parte alla difesa
dell’isola. Scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV vi prese parte con
valore e nel 1369 fu ricompensato con
la concessione di Cargeghe nella curatoria di Figulinas, di Corongiu in
quella di Dolia e di Vignola nel Taras.
A causa della guerra, però, egli non riuscı̀ a entrarne in possesso, perché i territori di quei villaggi erano occupati
dalle truppe giudicali.
Baredels Antico villaggio del giudicato
di Gallura, compreso nella curatoria
del Taras. All’estinzione della dinastia
dei Visconti, fu amministrato dal Comune di Pisa con propri funzionari.
Conclusa la prima fase della conquista
aragonese, nel 1324 entrò a far parte
del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti mantennero un atteggiamento
ostile nei confronti dei nuovi venuti.
Nel 1330 fu quindi investito dalla campagna condotta da Raimondo Cardona,
subı̀ gravi danni, e altri ne soffrı̀ a partire dal 1333 quando scoppiò la guerra
tra Genova e Aragona. La popolazione
cominciò ad abbandonarlo e in pochi
anni si spopolò completamente.
Barega Centro abitato della provincia
di Carbonia-Iglesias, frazione di Iglesias (da cui dista 5 km), posto a 110 m
sul livello del mare, affacciato dalle ultime propaggini dei rilievi dell’Iglesiente sulla vallata del Cixerri, che ha
le sue sorgenti a breve distanza. Regione storica: Sulcis. Diocesi di Iglesias.
& TERRITORIO Il territorio, che è
quello a sud del capoluogo, ha tenuto
in passato la frazione in bilico tra la
vocazione mineraria e quella agropastorale, perché ai rilievi dell’Iglesiente, aridi e spogli in superficie ma
ricchi di minerali nel sottosuolo, alterna le terre fertili e ricche di acque
della vallata del Cixerri. Il villaggio è
raggiungibile attraverso una sola
strada che ha inizio a Iglesias e giunge
a collegarsi, per poi avere termine,
dopo aver incrociato la bretella che a
sud di Iglesias collega la statale 130 con
la 126.
& STORIA Nel territorio di B. si sviluppò nel corso del Medioevo un popoloso agglomerato che faceva parte del
giudicato di Cagliari ed era compreso
nella curatoria del Sigerro. Dopo la caduta del giudicato, nella divisione del
1258, fu incluso nei territori assegnati
ai Della Gherardesca i quali, pochi
anni dopo, fecero tra loro una nuova
divisione. B. cosı̀ toccò al ramo del
conte Ugolino; venne amministrato
dai funzionari dei nuovi signori con
precisione fiscale. La sua struttura sociale fu conservata e i suoi abitanti
continuarono a eleggere annualmente
il majore e, nel complesso, furono coinvolti nel processo di sviluppo delle attività minerarie dalle quali trassero
433
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 441
Baressa
notevoli vantaggi. Come è noto il conte
Ugolino, che si era impadronito del potere a Pisa, fu assassinato, probabilmente col concorso dei cugini dell’altro ramo, per cui nel 1289 i figli dichiararono guerra al Comune. La guerra fu
combattuta nei territori iglesienti e il
villaggio fu investito dalle operazioni,
subı̀ gravi danni e, dopo che i Della
Gherardesca furono sconfitti, dal 1295
passò sotto il controllo diretto di Pisa.
Con l’arrivo degli Aragonesi il villaggio
entrò a far parte del Regnum Sardiniae
e nel 1324 fu concesso in feudo a Pietro
Cardona, i cui eredi nel 1338 lo resero
al fisco. Nello stesso anno il villaggio fu
nuovamente infeudato ad Alibrando
de Açen. Negli anni successivi i suoi
abitanti furono quasi dimezzati a causa
della peste e delle vicende della
guerra tra Aragona e Arborea. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV
e Pietro IV, il De Açen si ribellò e il villaggio fu confiscato; nel 1366 fu occupato dalle truppe arborensi che lo tennero fino alla battaglia di Sanluri. Tornato in possesso degli Aragonesi finı̀
per spopolarsi completamente e
quando, nel 1471, entrò a far parte dei
feudi degli Aragall, il territorio dove
un tempo sorgeva B. era deserto. Nei
secoli successivi il suo territorio continuò a rimanere disabitato, frequentato
solo da pastori nomadi che nel corso
del secolo XIX vi si stanziarono costruendovi un loro insediamento, un
boddeu, che ebbe una crescita a partire
dalla seconda metà del secolo con lo
sviluppo delle attività minerarie. La
piccola miniera che era stata aperta
nelle vicinanze ha continuato a essere
sfruttata fino alla seconda metà del
Novecento.
& ECONOMIA La base delle attività
economiche è stata storicamente l’attività mineraria; attualmente i pochi
abitanti sono prevalentemente dediti
all’allevamento e all’agricoltura.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Di
particolare interesse come sito di archeologia industriale sono gli impianti
dell’omonima miniera che fu sfruttata
a partire dall’Ottocento e chiusa definitivamente dopo il 1980.
Baressa – Veduta del centro abitato.
Baressa Comune della provincia di
Oristano, incluso nel Comprensorio n.
17, con 816 abitanti (al 2004), posto a 165
m sul livello del mare, in una zona di
colline a occidente della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Montis.
Diocesi di Ales-Terralba.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 12,55 km 2 : ha forma
grosso modo romboidale e confina a
nord con Ales e Gonnosnò, a est con Baradili e Ussaramanna, a sud con Gonnostramatza, a ovest con Gonnoscodina e Simala. Si tratta di una regione
di colline non molto alte (non arrivano
con le punte maggiori ai 300 m) alternate a tratti di pianura, relativamente
ricca di acqua perché attraversata da
alcuni dei fiumi che scendendo dalla
Giara si dirigono verso occidente, per
confluire oggi nel bacino realizzato nei
pressi di Mogoro. Le comunicazioni
sono assicurate da una strada secondaria che partendo da Simala si divide in
questo punto per raggiungere con due
434
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 442
Baressa
bracci la più frequentata VillamarUsellus.
& STORIA Il centro ha origini punicoromane. Nel Medioevo faceva parte
del giudicato d’Arborea ed era incluso
nella curatoria della Marmilla. A partire dal secolo XIII divenne un rinomato centro per l’olivicoltura: di questa antica attività rimane memoria in
un complesso di quasi mille olivi secolari situati in un terreno a poca distanza dal villaggio. Nella fase finale
delle guerre tra Aragona e Arborea il
villaggio soffrı̀ per le operazioni militari che investirono il territorio; dopo
la battaglia di Sanluri, a partire dal
1409 entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Il suo territorio era occupato
dalle truppe di Berengario Carroz che
avrebbe voluto annetterlo al suo
grande feudo di Quirra; il re però,
poco prima di morire, lo aveva incluso
nel vasto feudo concesso a Garcia Lupo
de Ferrero e aveva invitato Berengario
a rinunciare ai suoi progetti. Le circostanze invece sembrarono favorirlo, infatti dopo la morte del re egli continuò
a tenere la Marmilla, tanto più che pochi mesi dopo anche Garcia Lupo morı̀
senza lasciare eredi. Nel 1412, però, il
nuovo re Ferdinando I pose fine alle
sue aspirazioni e lo costrinse a rendere
i territori occupati, cosa che egli fece
dopo lunga esitazione. Cosı̀ nel 1421 B.
entrò a far parte del grande feudo concesso a Raimondo Guglielmo Moncada
al quale però fu confiscato alcuni decenni dopo, quando questi si rifiutò di
pagare un tributo al re. Dopo alterne
vicende B. fu acquistato all’asta da Pietro Besalù che acquisı̀ tutta l’antica curatoria. Pur essendo un uomo potente e
uno dei generi del conte di Quirra, poiché non aveva i denari sufficienti per
l’acquisto si era fatto prestare delle
somme da Simone Rubei di Cagliari.
Egli cominciò a rendere il denaro negli
anni successivi utilizzando le rendite
feudali; nel 1459 però queste gli furono
sequestrate dal fisco perché moroso
nei suoi confronti, per cui non fu più
in grado di rendere il resto del denaro
dovuto al Rubei. Quest’ultimo allora,
nel 1464, minacciò di far vendere all’asta il feudo: la situazione sembrò precipitare ma il Besalù fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato
ai territori che confinavano con quelli
di Quirra, gli prestò il denaro necessario. Quando il Rubei morı̀ la sua situazione diede il pretesto a Dalmazio Carroz, che era diventato conte di Quirra
dopo aver sposato Violante sorellastra
della moglie, per intervenire e impossessarsi del territorio. Infatti, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente
tutta la Marmilla e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché il Besalù non fu in grado
di pagare, nel 1477 i due arrivarono a
un compromesso in base al quale, mentre Besalù riusciva a conservare Barumini, Las Plassas e Villanovafranca, il
resto veniva acquisito dal conte di
Quirra. Cosı̀ B. entrò a far parte del
grande feudo di Quirra; morta Violante
II, passò ai Centelles; nel lungo periodo in cui il villaggio fu amministrato
da questa famiglia, le condizioni di vita
dei suoi abitanti non furono buone. I
nuovi feudatari infatti fecero amministrare la Marmilla da un regidor e, anche se non esasperarono il carico fiscale, limitarono notevolmente l’autonomia della comunità modificando il
sistema di individuazione del majore,
che cessò di essere elettivo. Si disinteressarono completamente delle condizioni di vita degli abitanti e il villaggio
si ridusse a un pugno di casupole fatiscenti e assolutamente indecorose; la
sua popolazione si aggirava attorno
435
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 443
Baressa
alle trecento unità. L’ultimo Centelles
morı̀ nel 1676 lasciando eredi i Borgia
la cui successione fu contestata dai Català che, dopo una lunga lite, riuscirono a venire in possesso del feudo nel
1726. Nel corso del secolo XVIII le condizioni di vita di B. rimasero quelle di
sempre, il rapporto di dipendenza dal
feudatario si fece molto più tenue e in
più di un’occasione l’amministrazione
reale, approfittando della lontananza
dei feudatari, pensò di riscattarlo.
Frattanto nel 1766 il villaggio era passato dai Català agli Osorio; ormai la sua
popolazione era quasi raddoppiata e
l’istituzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico fecero aumentare l’aspirazione a rompere definitivamente la dipendenza feudale.
Nel 1821 B. fu incluso nella provincia
di Oristano e nel 1839 fu riscattato agli
ultimi feudatari. In questo periodo Vittorio Angius ne ha tracciato questo ritratto: «La temperatura è dolce nell’inverno, ma nella estate ascende il 30º. Vi
nevica di rado, né si possono dire frequenti le tempeste. Le notti sono assai
umide, come in tutte le regioni vallive.
La nebbia ingombra spesso i campi
nelle stagioni temperate. Se la salubrità di quest’aria non può affermarsi,
è però lecito dire che non è delle più
micidiali. Le febbri intermittenti e perniciose e le infiammazioni sono le malattie ordinarie. Le morti si calcolano a
17 ca. l’anno. Nascono 28 e si celebrano
4 matrimoni. La vita si suol chiudere al
cinquantesimo. Le famiglie (anno
1833) erano 166, le anime 630. Le arti
meccaniche sono molto rozze. Le
donne lavorano in 110 telai panni di
lana e di lino per provvisione domestica. Si semina per l’ordinario starelli
di grano 650, d’orzo 180, di fave 170, di
ceci 25. La fruttificazione, calcolando
sopra un decennio, risulta del sette per
uno. Il lino produce poco, e la raccolta
può computarsi di 6000 manipoli per
anno. Metodi migliori triplicherebbero i prodotti, e forse sarebbero maggiori, come persuade la cognizione
della fecondità della terra in questo
clima. Le uve in massima parte sono
bianche, e di molta varietà. Nessuno o
pochissimo smercio fassi dei vini, e se
ne brucia per acquavite solo quanto sia
sufficiente alla consumazione interna.
La coltura degli orti è trascurata. Le
piante fruttifere distinguonsi nelle seguenti specie: olivi, peschi, pomi, ciliegi. Tenue è il numero di ciascuna, e
in paragone superano gli olivi. Delle
piante infeconde non si coltivano che i
soli pioppi per averne travi alla costruzione delle case. Le specie che si educano sono vacche, pecore e giumenti.
Nell’anno 1833 le vacche sommavano
a capi 35, i buoi e tori per l’agricoltura
a 200, le pecore a 2000, i giumenti a 60.
Si aggiungano circa 40 capi tra cavalli e
cavalle domite, e 60 majali. Al mezzodı̀
del paese nella distanza d’un miglio
scarso vedonsi le vestigie del distrutto
paese di Azzeni». Abolite le province
nel 1848, B. fu inserito nella divisione
amministrativa di Oristano, dove rimase fino al 1859, per essere successivamente compreso nella provincia di
Cagliari. Nel 1927 ebbe aggregati come
frazioni Baradili, Figu, Gonnosnò e
Sini per cui il suo territorio raggiunse
una considerevole estensione. Nel
1945 Sini riacquistò la propria autonomia; nel 1947 si staccarono Figu e Gonnosnò che costituirono un comune a sé;
infine anche Baradili riacquistò la
propria autonomia nel 1958; nel 1974,
costituita la provincia di Oristano,
tornò a farne parte.
& ECONOMIA La sua economia è basata principalmente sull’agricoltura:
vi è sviluppata la frutticoltura; tipica è
la coltura del mandorlo che è la maggiore della Sardegna; molto sviluppata
436
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 444
Baressa
è anche la pastorizia; vi sono alcune
piccole attività commerciali.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 869 unità,
di cui stranieri 1; maschi 447; femmine
422; famiglie 338. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
16 e nati 4; cancellati dall’anagrafe 16;
nuovi iscritti 9. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
12 241 in migliaia di lire; versamenti
ICI 337; aziende agricole 169; imprese
commerciali 49; esercizi pubblici 6;
esercizi al dettaglio 15; ambulanti 6.
Tra gli indicatori sociali: occupati 239;
disoccupati 45; inoccupati 54; laureati
8; diplomati 86; licenza media 266; con
licenza elementare 271; analfabeti 60;
automezzi circolanti 308; abbonamenti
TV 261.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio è ricco di nuraghi (Codinas,
Majori, Molsa, Sa Domu ’e S’Orcu,
Sensu), il più noto dei quali è quello di
Codinas attorno al quale si sviluppò in
età punica un insediamento che è stato
riscoperto nel 1940. Gli scavi hanno restituito ceramica punica e ceramica attica a figure rosse risalente al secolo V
a.C. Altro sito archeologicamente interessante si trova a sud dell’attuale abitato dove sono ancora rilevabili le
tracce del villaggio scomparso di Atzeni: per ricordarlo meglio gli abitanti
di B. vi hanno eretto di recente una
chiesa campestre, cosı̀ che la popolazione ha l’occasione di tornare di tanto
in tanto in una località dalla quale
molte delle attuali famiglie hanno
avuto origine.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il tessuto urbano è costituito da stradette tortuose sulle
quali si affacciano ancora numerosi
portali delle tipiche case a corte: da
qualche tempo si progetta di censirli e
valorizzarli, anche a scopo turistico.
L’edificio di maggior pregio è la chiesa
di San Giorgio, parrocchiale costruita
nel secolo XVI e successivamente rimaneggiata a più riprese. Ha un impianto a una sola navata sulla quale si
affacciano alcune cappelle laterali e il
presbiterio sopraelevato rispetto all’aula. Solo nel 1780 la chiesa fu coperta con l’attuale volta a botte. Al suo
interno conserva l’altare maggiore in
marmo, risalente al secolo XVIII,
opera dello Spiazzi, e alcune statue lignee tra le quali un bellissimo Cristo
morto del Seicento. Di particolare suggestione è il bosco di Mitza Frassu che
è posto alle falde del monte Figuferru:
ricco di querce e di suggestivi angoli, è
meta di passeggiate e di gite domenicali.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
feste popolari sono occasione per rinverdire le tradizioni della comunità: la
più nota e importante è quella di San
Giorgio, il patrono, che si svolge il 23
aprile e che ha preso il posto di quella
di Santa Rosalia che si svolge nella
prima domenica di settembre. La festa
di Santa Rosalia era un tempo la più
importante e richiamava molte persone anche dagli altri paesi; il suo momento culminante erano le gare equestri, con la partecipazione di molti cavalieri anche da altri villaggi, e i fuochi
d’artificio. Recentemente, in occasione della festa di San Nicolò da Tolentino che tradizionalmente si celebra il 10 settembre, è stata istituita la
sagra della mandorla che si svolge con
grande concorso di gente; per l’occasione vengono offerti al pubblico non
solo le mandorle ma anche i dolci che
se ne ricavano, e si tengono convegni
sulla valorizzazione di questa coltura,
che è stata molto incrementata in questi ultimi anni. Vengono anche aperte
le antiche corti dove per tre giorni rivi-
437
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 445
Barettas
vono le antiche botteghe, le officine e i
frantoi; e il centro storico si anima mirabilmente.
Barettas Antico villaggio di origine medioevale che sorgeva a nord-ovest del
castello di Gioiosaguardia. Faceva
parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Sols. Alla fine
del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nel terzo
toccato ai Della Gherardesca, che per
insanabili contrasti tra i due rami della
famiglia, poco tempo dopo, procedettero a un’altra divisione tra loro. B.
cosı̀ fu attribuito al ramo del conte
Ugolino e fu amministrato dai funzionari dei nuovi signori con precisione
fiscale. La sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a
eleggere annualmente il majore e, nel
complesso, condussero una vita tranquilla. In seguito il conte Ugolino, che
si era impadronito del potere a Pisa, fu
assassinato, probabilmente col concorso dei cugini dell’altro ramo, per
cui nel 1289 i suoi figli dichiararono
guerra al Comune. Il villaggio fu investito dalle operazioni, subı̀ dei danni e,
quando i Della Gherardesca furono
sconfitti, dal 1295 passò sotto il controllo diretto di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 entrò a
far parte del Regnum Sardiniae; nel
1328 fu concesso in feudo a Pietro de
Açen, i cui discendenti lo conservarono nei decenni successivi; ma, sebbene fossero sardi, i loro rapporti con
gli abitanti di B. furono sempre tesi. Il
villaggio nel 1348 fu decimato dalla peste; i feudatari ne persero la disponibilità nel corso della seconda guerra tra
Mariano IV e Pietro IV dopo la ribellione di Alibrando de Açen. Alcuni
anni dopo il villaggio era già completamente spopolato.
Giuseppe Baretti – Ritratto del celebre
letterato realizzato da Pierre Subleyras.
Baretti, Giuseppe Letterato (Torino
1719-Londra 1789). Cosmopolita, visse
fra Milano e Londra, viaggiando in diversi paesi europei. Il suo nome resta
legato soprattutto al quindicinale
‘‘Frusta letteraria’’, in cui sotto lo pseudonimo di Aristarco Scannabue polemizza con le tendenze della letteratura
contemporanea, praticamente inventando il genere della recensione-stroncatura. In una sua ampia opera, più
volte pubblicata e tradotta, An account
of the Manners a. Customs of Italy, with
observation of the mistakes of some travellers (edita per la prima volta a Londra nel 1768), dedica due capitoli, uno
al ‘‘Carattere dei piemontesi e di altri
popoli sudditi del Re di Sardegna’’ e
uno alla ‘‘Varietà del vestimento nelle
diverse provincie italiane’’. In una lettera ai fratelli del 2 dicembre 1770 B.
parla di un suo progetto (mai realizzato) di un viaggio in Sardegna, commissionatogli da un editore inglese
dietro compenso di 125 sterline.
438
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 446
Bari Sardo
Barigadu Antico villaggio del giudicato
d’Arborea. Compreso nella curatoria
del Campidano di Milis, era situato a
qualche chilometro da Milis al centro
di un territorio riccamente coltivato.
Nel 1302 fu donato dal giudice a Mariano Mameli. Nel corso del secolo,
però, prese a spopolarsi a causa della
peste e scomparve agli inizi del Quattrocento.
Barigadu, castello di (o castello di Monte
Santo) Castello fatto costruire forse dai
giudici d’Arborea sulla montagna che
sovrasta il Tirso e l’abitato di Sorradile, in posizione strategica a guardia
di un importante guado su una storica
via d’accesso al giudicato. Nel secolo
XIV era frequentemente residenza di
Mariano IV; dopo la caduta del giudicato il castello, disabitato a partire dal
1420, andò in rovina. Attualmente ne
rimangono pochi resti e la torre smozzicata detta di Brigariu.
Barigadu, curatoria di Antica curatoria del giudicato d’Arborea, situata
alla destra del Tirso. Aveva una superficie di 298 km2 e comprendeva i villaggi di Fordongianus, Villanova Truschedu, Allai, Ardauli, Busachi, Neoneli, Ula Tirso, Bidonı̀, Nughedu, Sorradile, e i villaggi distrutti di Alari,
Barbagiana, Loddu, Moddamene, Montesanto Jossu, Sorrai, tutti compresi
nelle diocesi di Oristano e di Santa
Giusta. Caduto il giudicato, la curatoria nel 1410 entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Il suo territorio, al
cui possesso aspirava il marchese d’Oristano, non era ancora completamente pacificato e il nuovo re di casa
Trastamara vedeva di cattivo occhio la
sua infeudazione a Leonardo Cubello.
Dopo anni di grande tensione, poiché
la Corona aveva bisogno di denaro e il
marchese di Oristano aveva fatto generosamente fronte all’esigenza, nel 1412
il B. gli fu ceduto in gran parte ed egli lo
incluse nel suo feudo, avviando la pacificazione delle popolazioni. Il re aveva
tenuto per sé Ardauli, Sorradile, Fordongianus e Bidonı̀, che però tra il
1413 e il 1417 concesse a Pietro Steuyl
e a Ludovico Pontons; lo Steuyl morı̀
senza eredi e il Pontons cedette i villaggi nel 1425 a Leonardo Cubello, che
cosı̀ unificò nelle sue mani l’intera curatoria. Quando nel 1427 Leonardo
morı̀, il B. passò in eredità al suo secondogenito Salvatore, il quale nel 1463 lo
unı̀ definitivamente al marchesato.
Dopo che il marchesato nel 1477 fu confiscato a Leonardo Alagon, nel 1481 il
B. fu concesso a Gaspare Fabra. Nel
1519 gli eredi dei Fabra vendettero il
feudo a Nicolò Torresani e Carlo Alagon, che nel 1520 divisero il territorio
in due subregioni: il B. Jossu, comprendente i villaggi di Busachi, Fordongianus e Allai toccò a Nicolò Torresani; il
B. Susu, comprendente i villaggi di
Neoneli, Ardauli, Sorradile, Bidonı̀,
toccò a Carlo Alagon. Nei secoli successivi e fino all’abolizione dei feudi il territorio dell’antica curatoria non fu mai
più riunificato.
Bari Sardo – L’antico borgo della Sardegna
centro-orientale fu costruito a una certa
distanza dal mare.
Bari Sardo Comune della provincia
dell’Ogliastra, compreso nell’XI Comunità montana, con 3879 abitanti (al
439
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 447
Bari Sardo
2004), posto a 51 m sul livello del mare,
a ridosso di una collina che lo divide
dalla costa orientale a sud di Tortolı̀.
Regione storica: Ogliastra meridionale. Diocesi di Lanusei.
Bari Sardo – La torre di Barı̀ faceva parte del
sistema di difesa costiera realizzato dagli
spagnoli alla fine del Cinquecento.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 37,53 km 2 : ha forma
grosso modo rettangolare e confina a
nord con Ilbono e Tortolı̀, a est con il
mar Tirreno, a sud con Gairo, a ovest
con Lanusei e Loceri. Si tratta di una
regione per buona parte pianeggiante,
per il resto occupata da colline di piccole dimensioni, alcune delle quali
conservano le tracce di un’antica attività vulcanica: il Lamarmora vi trovò
delle belle colonne basaltiche e un materiale adatto per la produzione delle
mole, allora utilizzate per la macina-
zione dei cereali. Il paese è attraversato dalla statale 125 Orientale sarda,
dalla quale si staccano in questo punto
la statale 390 che attraverso Loceri si
dirige verso Lanusei; e le secondarie
che conducono rispettivamente alle
spiagge di B. e a quelle di Marina di
Gairo.
& STORIA Il centro attuale, che un
tempo era conosciuto come Barı̀ (e ha
assunto il nome attuale per distinguersi dal capoluogo della Puglia), è di
origine medioevale: apparteneva al
giudicato di Cagliari ed era compreso
nella curatoria di Ogliastra. Quando il
giudicato fu smembrato nella divisione
del 1258, passò ai Visconti che l’annetterono con tutta l’Ogliastra al giudicato
di Gallura. Estinta la dinastia il villaggio passò sotto il controllo diretto di
Pisa che lo fece amministrare da propri funzionari in modo fiscale ma sostanzialmente rispettando le antiche
autonomie della comunità. Subito
dopo la conquista, che fu portata a termine faticosamente dall’ammiraglio
Francesco Carroz, il villaggio entrò a
far parte del Regnum Sardiniae. Nel
1325 fu concesso a Berengario I Carroz
e costituı̀ il primo nucleo della contea
di Quirra, formata nel 1363 da Berengario II Carroz. Nel corso del secolo i
suoi abitanti, unitamente a quelli degli
altri villaggi delle montagne, lottarono
duramente contro i feudatari e,
quando scoppiò la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV, si ribellarono
apertamente schierandosi col giudice.
In seguito, scoppiata la seconda
guerra, il territorio fu occupato (1366)
dalle truppe arborensi, e di fatto governato come se fosse di appartenenza
giudicale, fino al crollo dell’Arborea.
Nel 1410 B.S., la cui popolazione non
arrivava a 100 unità, tornò in mano a
Berengario Bertran Carroz erede degli
antichi conti di Quirra; era oramai in-
440
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 448
Bari Sardo
serito nel grande feudo di Quirra ed
ebbe sostanzialmente un rapporto accettabile col feudatario che nel 1416
concesse alcuni Capitoli di grazia che
sono da considerare il nucleo dei regolamenti dell’Ogliastra. Il felice rapporto con i feudatari, che consentı̀ di
conservare le antiche autonomie, creò
anche le condizioni per uno sviluppo
economico e sociale della comunità la
cui popolazione, alla fine del secolo,
crebbe sensibilmente. I Bertran Carroz
si estinsero nel 1511 con la morte della
contessa Violante II, e cosı̀ B.S. passò ai
Centelles; nel lungo periodo in cui il
villaggio fu amministrato da questa famiglia, le condizioni di vita dei suoi
abitanti non furono buone. I nuovi feudatari infatti fecero amministrare l’Ogliastra da un regidor e, pur non esasperando il carico fiscale, limitarono
notevolmente l’autonomia della comunità modificando il sistema di individuazione del majore che cessò di essere elettivo. Si disinteressarono però
completamente delle condizioni di
vita degli abitanti e il villaggio si trovò
esposto ai pericoli delle incursioni dei
corsari barbareschi. Infatti questi, approfittando della guerra tra Turchia e
Spagna, in più di un’occasione fecero
scorrerie lungo le sue spiagge danneggiando le fiorenti attività degli abitanti, il cui numero continuava a crescere; la sua popolazione, infatti, alla
fine del Seicento aveva superato i 900
abitanti. L’ultimo Centelles morı̀ nel
1676 lasciando eredi i Borgia, la cui
successione fu contestata dai Català
che, dopo una lunga lite, riuscirono a
venire in possesso del feudo nel 1726.
Nel corso del secolo XVIII le condizioni di vita di B. rimasero quelle di
sempre, il rapporto di dipendenza dal
feudatario si fece molto più lento, e in
più di un’occasione l’amministrazione
reale, approfittando della lontananza
dei feudatari, pensò di riscattarlo.
Frattanto nel 1766 il villaggio era passato dai Català agli Osorio; ormai la sua
popolazione superava i 1200 abitanti e
cominciò ad assumere un aspetto ordinato; più o meno negli stessi anni vi fu
costruita in forme baroccheggianti la
parrocchiale dedicata a Nostra Signora di Monserrato. L’istituzione del
Consiglio comunitativo e del Monte
granatico fecero crescere l’aspirazione a rompere definitivamente la dipendenza feudale; il tessuto sociale cominciò ad articolarsi con la comparsa
di notai, medici e altri professionisti.
Nel 1821 il villaggio fu incluso nella
provincia di Lanusei e nel 1840 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi
anni Vittorio Angius annotava: «La situazione è assai bassa. Quindi è facile
dedurre l’umidità del clima, la quale
rendesi maggiore dal piccol ruscello
che scorre in mezzo al popolato. La
temperatura è assai dolce nell’inverno, finché l’atmosfera è riscaldata
dal sole, assente questo sentesi con l’umido anche il freddo. Nell’estate i calori sono assai forti. La nebbia domina
in tutte le stagioni, ma è più nociva nell’estate ed autunno. Raramente nevica, e rompono tempeste di grandine
e fulmini. L’aria è grossa e malsana. Il
numero delle anime, come risultò nel
1855 dal censimento parrocchiale, era
di 1480, distribuite in 277 famiglie. Le
generali professioni sono l’agricoltura
e la pastorizia. Vi sono però dei fabbri
ferrai, alcuni per manifatture fine, ed
altri per opere grosse, dei quali si servono anche gli abitanti di alcuni dei vicini paesi; dei falegnami dell’arte
grossa, come dicono, i quali provvedono di arnesi d’agricoltura e di carri i
contadini del dipartimento, e alcuni
ancora del Campidano. Nella manifattura del panno lino e forese [orbace] si
impiegano circa 250 telai. La scuola
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 449
Bari Sardo
normale frequentasi da 20 fanciulli. Si
semina ordinariamente starelli di
grano 300, d’orzo 200, di fave 100, di granone, ceci, fagioli, cicerchie, piselli,
lenticchie in totale starelli 100. Il grano
suol rendere per uno l’8, l’orzo il 15, le
fave il 10, il granone il 5, le civaie [legumi] il 10, meno le lenticchie che
danno il 5. L’erbe ortensi che si coltivano sono lattughe, coppette, cipolle,
pomidoro, patate, aglio, bietola, indivia ecc.; le piante zucche, poponi, cocomeri, citriuoli, melingiane ecc. Nel generale il lino che si raccoglie somma a
30 000 manipoli. Nessun’altra terra e
clima apre più a proposito di questo
per le viti. Le varietà delle uve bianche, rosse e nere sono molte, che si distinguono coi nomi volgari di moscatello, cannonato, sinzillosu, bovali, vernaccia, semidano, verdolino, rosa, argumannu, apesorgia bianca e nera,
detta ancora triga, corniola, galoppu,
manzesu, nieddera, monica, girone,
moscatellone. Del moscatello, vernaccia e girone si fanno vini delicatissimi,
che passano col nome di vini bianchi. Il
galoppu ed argumannu si secca per uve
passe. L’apesorgia, ossia triga, si conserva fresca per la maggior parte dell’anno. Le altre uve servono pel vino
nero, che gode nel commercio di molta
riputazione. Si vende quasi tutti gli
anni ai genovesi, che lo trasportano in
vari porti. Se ne brucia ordinariamente poco per acquavite». Soppressa
nel 1848 la provincia di Lanusei, subito
dopo B.S. fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro; vi rimase fino al
1859, anno in cui fu inserito nella provincia di Cagliari; furono questi gli
anni in cui venne costruito il bel campanile ottagonale della parrocchiale.
Il villaggio rimase incluso nella provincia di Cagliari fino alla ricostituzione
di quella di Nuoro e nel 1862, una volta
fatta l’unità d’Italia, prese il nome at-
tuale. Le attività economiche e la possibilità di sfruttare il mare fecero aumentare ancora la popolazione; nel
1927, quando fu costituita la provincia
di Nuoro, B. entrò a farne parte. Negli
anni successivi due eventi determinarono una sua ulteriore crescita, in
primo luogo il progressivo sviluppo
delle attività turistiche che proiettarono definitivamente il villaggio verso
il mare, in secondo luogo la partecipazione al dibattito locale sulla formazione della provincia dell’Ogliastra,
che di recente si è concluso positivamente. Il paese è oggi dotato di guardia
medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario.
& ECONOMIA La sua attività economica è basata sull’agricoltura, in particolare sono molto sviluppate la viticoltura con la produzione di un buon vino,
l’olivicoltura e la coltura delle mandorle. Notevolmente sviluppate sono
le attività commerciali a integrazione
di una fiorente attività turistica in costante crescita. Attualmente il villaggio dispone di 5 alberghi. Artigianato.
In passato erano tradizionali la produzione dell’orbace e l’attività di tessitura della lana, della quale rimane memoria nell’attuale tessitura dei tappeti. Altre attività artigianali un tempo
rinomate erano quelle dei fabbri e dei
falegnami, noti per la fabbricazione
dei carri.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 3995 unità,
di cui stranieri 55; maschi 1950; femmine 2045; famiglie 1436. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
36 e nati 29; cancellati dall’anagrafe
103; nuovi iscritti 88. Tra gli indicatori
principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 322 in migliaia
di lire; versamenti ICI 1476; aziende
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bari Sardo
agricole 488; imprese commerciali 204;
esercizi pubblici 35; esercizi al dettaglio 72; ambulanti 10. Tra gli indicatori
sociali: occupati 999; disoccupati 166;
inoccupati 162; laureati 72; diplomati
176; con licenza media 1225; con licenza elementare 1102; analfabeti 181;
automezzi circolanti 1125; abbonamenti TV 952.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio possiede numerose testimonianze archeologiche tra le quali le
Tombe di giganti di Canali, le domus
de janas di Su Pranu e i numerosi nuraghi: Arbois, Boschinu, Gesperarci, Iba
Manna, Luculi, Mattale, Mindeddu,
Moru, Murei, Niedda, Sa Puliga, Sellersi, Su Crastu. Tra questi sono di particolare interesse i nuraghi di Sa Puliga e soprattutto quello di Mindeddu,
che è del tipo polilobato e conserva
tracce di un villaggio nuragico che sorgeva attorno alla torre principale.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il villaggio conserva un
tessuto urbanistico sviluppato attorno
alla strada principale, un tempo detta
de Mesu Bidda, sulla quale si intersecano le strade laterali, alcune delle
quali conservano l’antico selciato e
sulle quali si affacciano ancora le tipiche case in pietra che nell’impostazione ricordano quelle della Barbagia.
Sulla strada principale si apre una
ariosa piazza dove sorge la chiesa di
Nostra Signora di Monserrato, parrocchiale edificata in un lungo periodo a
partire dagli inizi del secolo XVII e terminata nel secolo XVIII. Inizialmente
l’edificio avrebbe dovuto ampliare una
vecchia chiesa preesistente che però,
col procedere della nuova costruzione,
finı̀ per essere demolita. L’edificio, a
croce latina, ha una sola navata, le
volte a botte e la cupola ottagonale che
poggia su un tamburo con finestre. Le
cappelle laterali furono completate
nel secolo XVIII, come pure tra il 1760
e il 1777 fu completato il presbiterio
con la scalinata d’accesso e furono acquistati a Napoli i marmi policromi
per le decorazioni interne, in particolare quelli dell’altare maggiore, opera
di Michelino Spiazzi. Nel 1780 la chiesa
fu pavimentata e furono realizzati alcuni altari delle cappelle laterali; agli
inizi dell’Ottocento il cagliaritano Giovanni Battista Franco edificò l’altare
di San Giovanni nel transetto. Il campanile, progettato dal Viana, fu edificato nel 1778 a cura del parroco Bernardino Pes. L’interno conserva alcune
statue lignee di scuola napoletana dei
secoli XVII e XVIII; un dipinto attribuito al Mainas e alcune tele di Francesco Massa (=); accanto alla chiesa è
stato costruito nel 1802 dall’architetto
Antonio Melis un bell’oratorio che richiama lo stile dell’edificio principale.
Poco distante dalla chiesa sorge il Palazzo rettorale di decorosa fattura settecentesca. Altro monumento di notevole valore è la torre di Sant’Antonio,
nella marina di Barı̀: costruita tra il
1590 e il 1594, alta più di 12 m e larga
11 m, fin dai primi anni della sua edificazione sostenne attacchi da parte di
corsari barbareschi; di particolare gravità quello del 1748; nel 1798 e nel 1830
fu radicalmente restaurata e restò attiva fin dopo il 1843. Di notevole bellezza sono le spiagge che fanno capo
alla marina di Barı̀; ricche di stagni pescosi, popolate da specie rare di animali, da anni sono la base principale
della crescente attività turistica.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Anche a B.S. le feste popolari scandite
lungo l’intero anno tramandano le
usanze e le tradizioni della comunità;
le più antiche tra queste sono quelle
della Madonna di Monserrato e di san
Girolamo che si svolgono rispettivamente l’8 e il 30 settembre. La festa
443
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 451
Barisone
della Madonna di Monserrato si svolge
nella parrocchia e dura tre giorni con
un denso programma di momenti folcloristici alternati a quelli religiosi.
La festa più suggestiva però è quella
in onore di San Giovanni Battista che
da una cinquantina d’anni si svolge
alla marina di Barı̀. La statua del santo
vi viene accompagnata e poi collocata
su un barcone, ha quindi luogo una
processione a mare, durante la quale
si svolge anche il rito propiziatorio di
su nénniri (= Nénniri), che consiste nel
gettare in mare le pianticelle coltivate
al buio secondo un’antichissima tradizione.
Barisone – Giudice di Gallura, continuò la
politica filopisana del padre. Costretto a
fuggire da una spedizione del giudice di
Torres, riuscı̀ a recuperare il giudicato.
Barisone Giudice di Gallura (seconda
metà sec. XII-1203). Figlio di Costantino III della famiglia dei Lacon Gunale, succedette a suo padre nel 1173 e
ne continuò la tradizionale politica filopisana. Quando Barisone II di Torres
si alleò con Genova, la Gallura fu invasa dagli eserciti turritani ed egli nel
1182 fu costretto a fuggire nell’Arborea
alla corte dello zio, il giudice Barisone
I che era fratello di sua madre e che lo
nominò curatore di Milis. Nel 1184
però riuscı̀ a recuperare la Gallura.
Barisone II Giudice di Torres (?, prima
metà sec. XII-Messina 1191). Figlio di
Gonario di Torres; quando nel 1147 suo
padre partı̀ per la crociata, ricevette il
governo del giudicato. Divenne giudice solo nel 1153, ereditando una situazione politica complessa a causa
delle forti tensioni interne che gli antichi nemici di suo padre alimentavano
fomentando forse una nuova ribellione; non migliori erano i suoi rapporti col giudice Barisone I d’Arborea,
tradizionale nemico della sua casa.
Egli però riuscı̀ a mantenere il controllo della situazione e per consolidare la propria posizione fece sposare
sua figlia Susanna con Andrea Doria,
aprendo cosı̀ nuove prospettive alla
sua politica. Era ancora legato a Pisa
quando nel 1163 suo fratello Pietro divenne giudice di Cagliari. Fu lui che
dovette sostenere la guerra contro Barisone I d’Arborea, che voleva cacciare
Pietro da Cagliari. Ma l’impeto delle
truppe arborensi si esaurı̀ rapidamente e i due fratelli dopo il 1163 ribaltarono la situazione militare, anzi, approfittando della debolezza del giudice oristanese invasero e devastarono
l’Arborea. In seguito, dopo che nel 1169
Genova e Pisa si riappacificarono sulla
base del ritorno dei confini dei giudicati allo status quo ante, B. II, istigato
dal genero, cominciò a ipotizzare di
rompere la tradizionale alleanza con
Pisa e di schierarsi con Genova. Nel
1186, addolorato per la morte della moglie, abdicò e lasciò l’isola. Morı̀ mentre si recava pellegrino in Terrasanta.
Barisone III Giudice di Torres (?, prima
metà sec. XIII-Sorso 1235). Figlio di
Mariano II, era poco più che un bambino quando suo padre morı̀. Salı̀ sul
trono nel 1232 sotto tutela di Orzocco
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 452
Barisone I d’Arborea
de Serra che esercitò funzioni di giudice di fatto governando con molta durezza e alienandosi le simpatie delle
grandi famiglie che finirono per ordire
una congiura. Cosı̀ il giovane giudice e
il suo tutore nel 1235 furono trucidati a
pugnalate durante una festa popolare
a Sorso, aprendo una grave crisi dinastica.
Barisone I d’Arborea Re di Sardegna
(Oristano, prima metà sec. XII-ivi
1184). Giudice d’Arborea della famiglia dei Lacon Serra, era figlio di Comita III. Nel 1146 succedette a suo padre, ereditando uno stato provato
dalle lunghe guerre e isolato diplomaticamente. Inizialmente sembrò sottostare alla politica egemonica di Pisa
che, sfruttando le buone relazioni che
in quel momento aveva con il papa e
con l’imperatore, aveva ottenuto per il
suo arcivescovo Villano il rinnovo
della legazia in Sardegna e organizzato il convegno intergiudicale di Bonarcado nel tentativo di estromettere
dall’isola Genova, la sua rivale di sempre. B. I d’A., però, dopo quel convegno, nel 1147 riprese la politica di suo
padre tentando di affrancarsi dall’egemonia pisana. Cosı̀ concepı̀ il progetto di inserirsi nel quadro della politica internazionale per rompere l’isolamento e per trovare alleati contro
Pisa; questo lo portò ad avvicinarsi
sempre più al conte di Barcellona Raimondo Berengario IV che, dal canto
suo, voleva cacciare gli Almoravidi
dalle Baleari. Per raggiungere il suo
scopo il giudice, nel 1157, ripudiata la
prima moglie Preziosa, sposò Agalbursa di Bas, nipote del conte di Barcellona, e cosı̀ gli fu possibile stringere i rapporti con i nuovi parenti.
Nel suo nuovo ruolo B. I d’A. cercò di
promuovere una grande alleanza antimusulmana nella quale far entrare
anche Pisa e il papa per liberare le
Baleari, ma il progetto fallı̀ a causa
delle nuove tensioni tra il papa e Federico Barbarossa, delle quali cercò
di approfittare Pisa per vedere riconosciuta la sua supremazia in Sardegna. Nel 1162 questo provocò una
nuova guerra tra Pisa e Genova, che
però furono costrette dall’imperatore
a far pace. In queste condizioni B. I
d’A. ritenne giunto il momento di riprendere il vecchio progetto di unificazione della Sardegna che era stato
di suo padre. Nel 1163 approfittò della
crisi dinastica apertasi con l’estinzione della dinastia giudicale di Cagliari per riprendere la guerra contro
il giudice di Torres e togliergli il Goceano e il Marghine. B. I d’A., per giustificare il proprio intervento, affermò di voler sostenere i diritti del
figlio del vecchio Torbeno di Cagliari,
anche lui chiamato Barisone, contro
le pretese di Pietro di Torres, fratello
del giudice turritano che si era impadronito del trono cagliaritano. Le sue
truppe invasero il giudicato di Torres,
costringendo Pietro a fuggire presso
suo fratello, ma l’impeto delle truppe
arborensi fu fermato quasi subito.
Poco dopo, però, istigato dai suoi parenti catalani e sostenuto finanziariamente da Genova, il giudice si fece
dare da Federico Barbarossa il titolo
di re di Sardegna dietro il pagamento
di una forte somma, quattromila marchi d’argento, all’imperatore. Cosı̀ il
10 agosto 1164 veniva solennemente
incoronato a Pavia, nella chiesa di
San Siro. Per restituire la somma ai
genovesi che gliela avevano prestata
B. I d’A. impegnò quasi tutte le rendite
del giudicato e fu tenuto a Genova
pressoché in ostaggio. Nel 1165, accompagnato dal console di Genova, si
presentò a Oristano per far ratificare
l’accordo dai majorales del giudicato,
ma l’impegno finanziario richiesto
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 453
Barisone II d’Arborea
era troppo forte per cui egli non riuscı̀
a saldare il suo debito e fu ricondotto a
Genova, mentre i giudici di Cagliari e
di Torres ne approfittarono per invadere l’Arborea e devastarne il territorio. Negli anni successivi, ‘‘scaricato’’
dall’imperatore che addirittura sanzionò la dipendenza dell’isola da
Pisa, e impossibilitato a intervenire,
continuò a essere trattenuto a Genova.
Nel 1171, quando le due repubbliche
trovarono autonomamente un accordo per liquidare i loro problemi
nell’isola, divenuto un peso inutile anche per i Genovesi fu autorizzato a
rientrare in patria. Tornato in Sardegna, con un territorio giudicale ridotto ai confini del 1147, si tenne in
disparte dagli avvenimenti politici e
solo nel 1180 tentò nuovamente di attaccare il giudice di Cagliari ma fu
sconfitto e costretto a ritirarsi.
Barisone II d’Arborea Giudice di Cagliari (m. prima del 1218). Figlio di Pietro I, quando suo padre nel 1195 fu deposto da Guglielmo di Massa, era ancora un bambino. Fu condotto a Cagliari, dove fu allevato. Dopo la morte
del padre il giudicato era nelle mani di
Guglielmo di Massa, che si era fatto
proclamare anche giudice d’Arborea
dal clero oristanese. B. II d’A., estromesso dal giudicato, continuò a vivere
a Cagliari, ma quando, nel 1214, Guglielmo morı̀, egli sposò l’altra delle
sue figlie, la giudicessa Benedetta, e assunse il titolo di giudice di Cagliari col
nome dinastico di Torchitorio IV. I due
entrarono in possesso anche della
metà del giudicato d’Arborea. La loro
unione fu allietata dalla nascita di Guglielmo, futuro giudice di Cagliari. B.
II d’A. II rimase sempre a fianco della
moglie nei difficili anni che seguirono
l’ascesa di Ubaldo Visconti; non seppe
però resistergli e morı̀ malinconicamente.
Barisone I Torchitorio – Figlio di Gonario
Comita de Gunale, ereditò i due giudicati di
Arborea e di Torres. Chiamò in Sardegna i
Benedettini di Montecassino.
Barisone I Torchitorio Giudice di Torres e d’Arborea (sec. XI). Appartenente
alla famiglia dei Lacon Gunale, era figlio di Gonario Comita de Gunale. Ereditò il governo dei due giudicati da suo
padre, che invece vi era arrivato per
elezione. Lasciò il governo del giudicato di Torres al suo figlio primogenito
Andrea Tanca, e tenne per sé il governo
dell’Arborea, trasferendosi a Oristano.
Probabilmente prima del 1065 Andrea
Tanca morı̀, e B. I T. fu costretto ad assumere come giudice di fatto il governo
di Torres per tutelare suo nipote Mariano I. Politico attento ai mutamenti
in atto nella società sarda, probabilmente per bilanciare la crescente presenza dei mercanti pisani, a partire dal
1063 favorı̀ la penetrazione dei grandi
ordini religiosi nel suo territorio. Per
questo inviò una lettera all’abate di
Montecassino, chiedendogli di mandare in Sardegna alcuni monaci con i
paramenti sacri e libri. L’esperimento
fallı̀ perché i monaci morirono in un
naufragio durante il viaggio; B. I T.,
però, rinnovò la domanda: questa volta
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baronie
i Benedettini giunsero in Sardegna
stanziandosi a Santa Maria di Bubalis
e a Sant’Elia di Montesanto nel 1065.
Nello stesso anno il giudice fece costruire Sant’Antioco di Bisarcio.
Barlia Pianta erbacea della famiglia
delle Orchidacee (B. robertiana (Loisel.) W.Greuter). Bellissima orchidea,
alta sino a 50 cm, con foglie basali larghe e lucide. I fiori, in dense spighe piramidali, sono viola-rosati, screziati di
verde e maculati di rosso scuro; il labello (cioè il petalo inferiore) è diviso
in 3-4 lobi. Diffusa soprattutto nella
Sardegna centro-settentrionale, cresce nelle radure e ai bordi delle strade,
dal livello del mare sino ai 1000 m. È
una delle orchidee più grandi della
Sardegna. (È norma di buona educazione naturalistica non raccoglierle).
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Barmela Antico villaggio di origini medioevali. Faceva parte del giudicato di
Cagliari, compreso nella curatoria del
Sols. Dopo la fine del giudicato, nella
divisione del 1258 fu compreso nel
terzo toccato ai Della Gherardesca che
per insanabili contrasti tra i due rami
della famiglia, poco tempo dopo, procedettero a un’altra divisione tra loro.
B. cosı̀ fu attribuito al ramo del conte
Gherardo, i cui membri nei decenni
successivi lo trascurarono, per cui il
villaggio decadde e scomparve prima
della fine del secolo XIII.
Barnett, Richard David Archeologo inglese (n. sec. XX). Specialista del periodo punico, dopo aver preso parte a
una campagna di scavo a Tharros, nel
1987 ha curato la pubblicazione del catalogo dei materiali provenienti dalle
tombe di Tharros in possesso del British Museum di Londra: The Excavation in Tharros. The burials: a Survey
and Analysis; Appendix: Cara’s Drawing’s of tombs; Tharros. Catalogue of a
tombs group.
Baronie – Colture agricole.
Baronie Regione storico-geografica
della Sardegna nord-orientale. Deve il
nome – che ha origine nel secolo XV – al
fatto di essere appartenuta a diverse
famiglie baronali. Il suo territorio corrisponde alla fascia costiera compresa
tra il litorale tirrenico e la parte settentrionale del Nuorese, che comprendeva un tempo due antiche curatorie,
aventi come capoluoghi rispettivamente Siniscola e Ferònia. Ai giorni
nostri si distinguono la Baronia di Siniscola a nord – gia chiamata di Posada –
e la Baronia di Orosei a sud. A differenziarle non è solo la storia, ma anche la
geografia. La prima è caratterizzata da
terreni schistosi, su cui domina la poderosa formazione giurassica del
monte Albo. Nella seconda, invece,
prevale una grande eterogeneità di
forme e di rilievi. Durante la dominazione spagnola, la malaria, l’impaludamento della pianura formata dal fiume
Cedrino sulla costa tirrenica e le ricorrenti incursioni barbaresche sulla costa (l’ultima, nel primo Ottocento, su
Orosei) determinarono l’abbandono
dei litorali e la mancata valorizzazione
agricola delle pianure e delle valli.
Nella seconda metà del Novecento, la
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 455
Baroschi
bonifica delle basse valli del Posada,
del Cedrino e della piana litoranea di
Orosei ha reso disponibili vaste aree
alla viticoltura e all’olivicoltura. Mandorleti e agrumeti (da cui proviene la
pompı̀a, grosso frutto dal succo acidulo
usato per produrre i canditi) prosperano nella piana costiera in cui si trova
il grosso centro di Siniscola, diventato
un centro turistico-balneare (nella frazione di Santa Lucia) assai frequentato
nella stagione estiva. Tra i luoghi di
forte richiamo turistico si segnala la
marina di Cala Gonone, vicino alla famosissima Grotta del Bue Marino in
territorio di Dorgali, cittadina rinomata anche per il suo vino Cannonau.
Altro importante centro del sud della
Baronia è Orosei, situato nella pianura
presso la foce del Cedrino. Alle sue
spalle un gruppo di paesi: Loculi, Irgoli, Onifai e Galtellı̀, antica sede vescovile, nei pressi del castello di Pontes che domina il corso del Cedrino
verso il mare. Tra i centri del nord
delle B., oltre a Siniscola e Lodè, si segnala Posada, importante scalo marittimo in epoca medioevale, suggestivamente dominato dalla possente torre
quadrata del castello della Fava (=).
Baroschi, Federico Ingegnere, consigliere regionale (n. Brescia 1940). Trasferitosi in Sardegna, risiedette a Iglesias fin da giovane; conseguita la laurea è divenuto apprezzato dirigente
minerario e si è dedicato alla politica
militando nel PSI. È stato consigliere,
assessore e presidente della Provincia
di Cagliari. Nel 1989 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel
collegio di Cagliari per la X legislatura.
Dopo il 1992 ha aderito a Federazione
Democratica; ricandidato per le regionali nel 1994, non è stato rieletto. In seguito è stato consigliere di amministrazione dell’Ente Minerario Sardo fino al
1998.
Barquer, Berengario Gentiluomo catalano (sec. XIV). Nel 1358 ebbe la concessione del feudo di Quarto Tocho, ma
quando nel 1363 scoppiò la seconda
guerra tra Mariano IV e Pietro IV ne
perse la disponibilità, perché il territorio fu occupato dalle truppe arborensi. Morı̀ pochi anni dopo senza discendenti.
Barracciu, Bernardino Missionario
(Oristano 1884-Cina 1940). Minore conventuale, scoppiata la prima guerra
mondiale divenne cappellano militare
della Brigata ‘‘Sassari’’. Nel dopoguerra si fece missionario e fu mandato in Cina, dove fu nominato prefetto
apostolico di Hin Gan; scoppiata la seconda guerra mondiale, morı̀ sotto i
bombardamenti giapponesi.
Barracciu, Francesca Consigliere regionale (n. Sorgono 1966). Nel 2004 è
stata eletta consigliere regionale per i
DS per la XIII legislatura.
Barracco, Leonardo Bandito (?, prima
metà sec. XIX-Seneghe 1881). Per anni
terrorizzò le popolazioni dell’Oristanese con i suoi ricatti e con la sua violenza, acquistando una fama leggendaria. Fu ucciso a Seneghe nel 1881 durante un conflitto a fuoco con i Carabinieri.
Barracellato Termine dall’etimologia
incerta riferito alle compagnie di polizia rurale tipiche della società contadina della Sardegna. Nacquero con
l’intento di difendere i villaggi dai
danni alle colture e dal furto del bestiame, col compito di individuare i
colpevoli e comunque indennizzare i
danneggiati. Storicamente le compagnie barracellari sono presenti dal secolo XVII, ma certamente analoghe
istituzioni sono individuabili nei secoli precedenti a cominciare dal periodo bizantino e giudicale. Nella
Carta de Logu, infatti, si trova il riferimento agli jurados de logu, che ave-
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Barrago
vano il compito di arrestare e consegnare al magistrato gli autori dei reati
contro la campagna. Secondo il Manno
da questi giurati derivarono le compagnie barracellari che si costituirono in
polizia rurale. Il funzionamento delle
compagnie venne regolamentato da
numerosi pregoni e col tempo la loro
costituzione divenne obbligatoria per
tutti i villaggi. A partire dalla fine del
secolo XVIII si affermò la tendenza a
militarizzare questi corpi, istituendo
una corrispondenza tra i miliziani e i
barracelli; questa tendenza si affermò,
per cui nel 1819 le compagnie furono
soppresse e sostituite dal corpo militare dei Cacciatori di Sardegna. Nel
1821, con la costituzione dei Cacciatori
provinciali, furono parzialmente reintrodotte, ma mantennero il loro carattere militare; con l’editto del 1836 furono ripristinate le antiche compagnie
barracellari come corpo di polizia rurale col compito di prevenire i furti di
bestiame e di vigilare sulle campagne.
Per alcuni anni le compagnie mantennero il loro carattere obbligatorio; solo
nel 1853 fu sancita la loro volontarietà.
In seguito, nel 1898, fu emanato un regolamento generale che lasciò ai comuni la libertà di valutare l’opportunità della costituzione della compagnia. Attualmente la materia è regolamentata dalla L.R. n. 348 del 1979.
Barracu, Francesco Maria Militare
(Santu Lussurgiu 1895-Dongo 1945).
Medaglia d’oro al V.M. nella guerra d’Abissinia, sottosegretario alla presidenza del Consiglio della Repubblica
Sociale Italiana. Non ancora terminati
gli studi superiori, nel 1914 parte volontario per la Cirenaica. Ufficiale nel
1918, prende parte alle operazioni in
Tripolitania. Nel 1920, sottotenente in
s.p.e. per merito di guerra, partecipa
alla spedizione di Corfù e, nel giugno
1926, alle operazioni del Gebel, nel
quadro della ‘‘riconquista’’ della Libia.
Scoppiata la guerra in Abissinia, viene
promosso capitano e comandante di
una banda di Dubat che prende il
nome di Banda Barracu. Come tale gli
vengono concesse una medaglia d’argento e quindi una di bronzo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale,
viene inviato in Africa Settentrionale,
dove viene nominato federale di Bengasi. Subito dopo l’8 settembre aderisce alla Repubblica Sociale Italiana e
viene nominato sottosegretario alla
presidenza del Consiglio, incarico che
terrà sino alla fine. Catturato insieme a
Mussolini il 27 aprile, viene fucilato il
giorno dopo sul lungolago di Dongo.
Per il suo comportamento nella battaglia dell’Ogaden nel corso della conquista dell’Abissinia, dove perde l’occhio sinistro, gli viene concessa la medaglia d’oro al V.M. con una motivazione che lo definisce «espressione purissima del forte popolo sardo, superba
figura di combattente e di valore leggendario [...] che ha al suo attivo una
lunga serie di azioni belliche ardimentose, condotte e risolte sempre brillantemente».
Barrago, Francesco Patologo (CaBaracellato – Gli uomini di questa storica
polizia rurale sarda sono qui ritratti in una
delle tavole dell’atlante del Voyage en
Sardaigne del Lamarmora (1826).
gliari 1834-Novara 1881). Dopo la laurea divenne medico militare e fu nominato professore di Chirurgia patologica all’Università di Cagliari, dove in-
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Barrai
segnò per molti anni. Propagatore dell’evoluzionismo, per difendere il darwinismo nel 1868 fu protagonista di
una clamorosa polemica col canonico
Francesco Miglior, sostenitore della
concezione aristotelica sull’origine
delle specie (alla polemica si riferisce
l’opuscolo All’enciclopedista del
Duomo, pubblicato nel 1869). Morı̀ a
Novara nel 1881, a soli 47 anni.
Barrai Famiglia di artisti cagliaritani
(secc. XIV-XVII). Abitante nel quartiere di Stampace, era conosciuta fin
dal secolo XIV; tra i personaggi più
noti vanno ricordati Sisinnio, maestro
argentiere che nel 1615 eseguı̀ il magnifico reliquiario di Sant’Antonio custodito nell’omonima chiesa di Cagliari, e Gaspare e Michele, entrambi
architetti, che costruirono la cappella
del Rosario nella chiesa di San Domenico a Cagliari.
Barrali Comune della provincia di Cagliari, incluso nel Comprensorio n. 21,
con 1094 abitanti (al 2004), posto a 140
m sul livello del mare in una regione di
basse colline situate, a nord di Cagliari, tra la pianura campidanese e i
maggiori rilievi del Sarrabus-Gerrei.
Regione storica: Trexenta. Archidiocesi di Cagliari.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 11,46 km 2 : ha forma
grosso modo romboidale e confina a
nord con Pimentel e Ortacesus, a est
con Sant’Andrea Frius, a sud con Donori, a ovest con Samatzai e Pimentel.
Si tratta di una regione adatta all’agricoltura e tradizionalmente vocata alla
coltivazione dei cereali. Il paese si
trova a ridosso del rilievo maggiore
della zona, il monte Uda, di 379 m, e
nei pressi scorre il rio Mannu che si
dirige verso lo stagno di Cagliari. La
maggiore via di comunicazione è la vicina statale 128, cui B. è collegato da
una secondaria che si congiunge più a
sud con Donori; molto minore oggi
l’importanza della ferrovia a scartamento ridotto Cagliari-Mandas, che
corre a un paio di chilometri dall’abitato (la stazione è in comune con Pimentel) ma viene ormai usata soltanto
a fini turistici.
& STORIA L’attuale centro abitato è di
origine medioevale: probabilmente si
è sviluppato in conseguenza dello spopolamento dei due vicini villaggi di
Onigo e Santa Lucia (=). Apparteneva
al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria della Trexenta.
Dopo che il giudicato di Cagliari fu debellato, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di
Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro
la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa che lo fece amministrare
da suoi funzionari; furono questi per B.
anni di relativa tranquillità. Conclusa
la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 il villaggio entrò a far
parte del Regnum Sardiniae ma poco
dopo le ostilità con Pisa ripresero e si
conclusero definitivamente solo con la
pace del 1326. In base al trattato di
pace B. fu compreso nel territorio concesso in feudo allo stesso Comune; negli anni che seguirono Pisa continuò ad
amministrare il villaggio, la cui popolazione non arrivava alle cinquanta
unità, con la tradizionale precisione fiscale; la sua struttura sociale però fu
conservata e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore.
Nel complesso i rapporti della comunità con i Pisani non furono buoni cosı̀
che, quando scoppiò la prima delle
guerre tra Mariano IV e Pietro IV, i
suoi abitanti si ribellarono cacciando i
funzionari pisani. Terminato il conflitto Pisa non riuscı̀ a recuperare il
territorio e, scoppiata la seconda
guerra, B. fu occupato dalle truppe giu-
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Barrali
dicali. Negli anni successivi il suo territorio subı̀ danni a causa della guerra
ma, per quanto la Trexenta si spopolasse quasi completamente, B. riuscı̀ a
sopravvivere. Caduto il giudicato d’Arborea il villaggio entrò a far parte del
Regnum Sardiniae; nel 1421 fu compreso nel territorio concesso in amministrazione a Giacomo de Besora; il
quale nel 1434 ottenne la trasformazione della concessione in feudo; il villaggio, che continuava a essere poco
più che un gruppo di casette, instaurò
un rapporto abbastanza tranquillo con
i feudatari, la cui discendenza si
estinse nel 1497. B. passò allora agli
Alagon, che lo amministrarono comprendendolo nel loro grande feudo di
Villasor. Nel corso del secolo XVI fu
amministrato dal regidor del feudo di
Villasor e compreso nella circoscrizione di Senorbı̀. Il potere del nuovo
ufficiale baronale era piuttosto ampio,
egli infatti arrivò a scegliere il majore
da una terna che cinque probiuomini
eletti dalla comunità indicavano. Nel
corso del secolo XVII gli Alagon introdussero altre novità che accentuarono
maggiormente la dipendenza del villaggio; ai fini della riscossione dei tributi feudali la sua popolazione fu divisa in quattro classi e tutti gli abitanti
furono tenuti a pagare in rapporto al
loro reddito. Per rendere possibile
questa operazione furono formate
delle liste (le ‘‘liste feudali’’) dalle
quali vennero escluse particolari categorie di persone (nobili, ecclesiastici,
laureati), creando una sostanziale situazione di ingiustizia. Entro la fine
del secolo fu costituita anche la compagnia barracellare che aveva il compito
di sorvegliare i territori coltivati. Alla
fine del secolo la popolazione non era
aumentata; frattanto il villaggio era
passato dagli Alagon ai De Silva, i loro
eredi, che continuarono a tenere il
feudo fino all’abolizione. Nel corso del
secolo XVIII furono costituiti il Consiglio comunitativo e il Monte granatico
e la popolazione, che andava progressivamente aumentando, sentiva sempre più marcata l’esigenza di liberarsi
dal vincolo di dipendenza feudale. Nel
1821 B. fu incluso nella provincia di Cagliari e nel 1839 riscattato unitamente
agli altri villaggi della Trexenta. Sono
gli anni in cui Vittorio Angius, impegnato nella compilazione del celebre
Dizionario curato da Goffredo Casalis,
scriveva: «Componesi di 75 case distribuite irregolarmente. Le strade sono
senza selciato, e non si cura di tenerle
monde. Nei primi anni del corrente secolo la popolazione sommava appena a
200 anime. Nell’anno 1833 si annoverarono famiglie 75 e anime 246. Il numero
ordinario dei nati è sotto i 10, e quanti
nascono tanti poco meno muoiono. Vestono nelle stesse maniere degli altri
campidanesi. Amano molto i balli, e volentieri passano lunghe ore in ozio,
bruciando tabacco. La temperatura è
calda, e l’umidità è assai sensibile
nelle notti: la nebbia domina in ogni
stagione, né prima si dirada che sia
l’atmosfera ben riscaldata dal sole;
poco danno o nulla credono patirne i
nativi, contro ciò che con più verità si
può dedurre dalla loro poco sana costituzione, dal colorito squallido e gialleggiante, e dalla brevità della vita. Il
Barralese nei tratti coltivabili sı̀ del
piano come del monte non potrebbe capire più di 1000 starelli di semenza (ari
3986), mentre la superficie può calcolarsi a 15 miglia quadrate. Le terre alla
parte di ponente sono delle altre più
idonee ai semi, e vi fruttifica bene il
frumento, l’orzo, le fave e le cicerchie.
Lungo il fiume potrebbe venir prosperamente anche la meliga, e maturarvisi il cotone, come persuade l’esperienza del 1821, fatta come in altri ter-
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Barrali
reni d’ordine vice-regio, e poi non più
ripetuta. L’ordinaria somma delle semenze va a starelli 570, cosı̀ spartiti,
che diansi ai solchi 250 di grano, 200
d’orzo, 100 di fave, 20 di cicerchie. La
raccolta suol computarsi da 5 in 6 mila
starelli. Gli orti producono cocomeri,
zucche, poponi, fagioli, cipolle. Di lino
se ne coltiva tanto che sia sufficiente ai
propri bisogni. I telai non sono più di
20. Poche sono le vigne, poche le varietà delle uve, il vino di mediocre
bontà, che non sempre basta alla consumazione».
& ECONOMIA La sua economia è basata soprattutto sull’agricoltura, dove
alla tradizionale coltivazione dei cereali si è aggiunta quella degli ortaggi,
delle piante da frutta e della vite; ancora presente la coltura del fico d’India, un tempo utilizzato come chiusura
degli appezzamenti di terra; vi si
svolge anche qualche modesta attività
commerciale.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1067 unità,
di cui stranieri 4; maschi 544; femmine
523; famiglie 332. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione, con morti per
anno 6 e nati 11; cancellati dall’anagrafe 22; nuovi iscritti 18. Tra gli indicatori economici: imponibile medio
IRPEF 15 245 in migliaia di lire; versamenti ICI 298; aziende agricole 137; imprese commerciali 30; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 11; ambulanti 8. Tra gli indicatori sociali: occupati 307; disoccupati 51; inoccupati 73;
laureati 3; diplomati 46; con licenza
media 363; con licenza elementare
293; analfabeti 49; automezzi circolanti
365; abbonamenti TV 261.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio è ricco di siti di notevole interesse archeologico. In località Molimentu sono state individuate tracce di
un’antichissima attività mineraria: in
particolare sono stati trovati alcuni pestelli di pietra, scanalati per essere
usati appunto per il trattamento dei
minerali, attualmente al Museo di Cagliari. Di qualche interesse sono anche
il nuraghe di Sa Domu de S’Orcu e soprattutto quello di Montiuda, posto in
posizione panoramica sopra l’omonimo colle.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Interessante è l’assetto urbanistico del paese, che ha conservato
quasi intatta la disposizione delle sue
case lungo le strade che formano il centro storico. Si tratta di case in pietra
abbellite da un pergolato, detto proprio su barrali, e precedute da un vasto
cortile che si affaccia verso l’esterno
con un portale in pietra: costruzioni tipiche della Trexenta, la cui singolare
disposizione dà al villaggio un carattere particolare. Al centro dell’abitato
è posta la chiesa parrocchiale di Santa
Lucia che, secondo una leggenda, sarebbe stata edificata al tempo della
fondazione del villaggio, dove prima si
trovava una fornace di calce, in seguito
all’apparizione della santa che ne
avrebbe chiesto la costruzione a una
fanciulla. Nel corso dei secoli l’edificio
andò in rovina ed è stato ricostruito
nelle forme attuali nel 1932.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa più importante si svolge nella
prima domenica di luglio in onore di
Santa Lucia, la patrona del paese, ed è
legata alla leggenda sull’origine della
costruzione della chiesa richiesta
dalla santa a una contadina. Si sarebbe
sviluppato poi intorno alla chiesa l’antico abitato, con le case caratterizzate
da pergolato. Per l’occasione è possibile ancora sentire i canti tradizionali,
nei quali un tempo gli abitanti del villaggio eccellevano, e vedere i tipici
balli sardi.
452
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 460
Barreca
Barranu, Benedetto Studioso di economia, consigliere regionale (n. Baunei 1949). Dopo la laurea in Scienze politiche ha insegnato diritto in alcune
scuole secondarie e si è dedicato alla
vita politica. Militante nel PCI dal 1971,
è stato eletto consigliere regionale per
il suo partito nel collegio di Nuoro per
l’VIII legislatura (1979-1984) ed è stato
riconfermato ininterrottamente nello
stesso collegio fino al 1992. Dall’agosto
1987 al giugno 1989 è stato assessore
agli Affari generali nella terza giunta
Melis. Nel novembre 1992 si è dimesso
da consigliere regionale per diventare
assessore alla Programmazione nella
giunta Cabras (fino al giugno del 1994).
Quindi è stato per qualche tempo presidente della SFIRS. Tra i suoi scritti,
Programmazione e zona franca, in Sardegna zona franca, 1980; Dalle autonomie regionali allo stato regionalista, in
‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 2022, 1984; Lo sviluppo incompiuto. Bilancio e prospettive dell’industrializzazione
in Sardegna, ‘‘Quaderni bolotanesi’’,
XXIV, 1998.
Barranu, Peppino Insegnante (Baunei
1919-Cagliari 1998). Sardista convinto,
subito dopo la caduta del fascismo,
quando nel 1943 riprese il dibattito politico, aderı̀ al PSd’Az manifestando
tendenze indipendentiste. Le sue posizioni furono però battute nel 1944 al
Congresso di Macomer, per cui rientrò
nel tradizionale federalismo espresso
dal suo partito. Dopo la scissione del
1948 non seguı̀ Lussu e si impegnò per
la riorganizzazione del partito guidandone la ripresa a Cagliari dove si era
trasferito come insegnante nelle
scuole medie. Nel 1951 sviluppò le sue
idee sul federalismo come via necessaria per l’evoluzione e lo sviluppo dell’autonomismo. In seguito si ritirò
dalla politica attiva continuando a la-
vorare nella scuola. Tra i suoi scritti,
Appello ai giovani, ‘‘Il Solco’’, 1944; Monopolio dell’autonomismo?, ‘‘Forza Paris’’, 1946; L’idea autonomistica in Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’, 1947; Sardismo, federalismo e separatismo, in Lotte
sociali, antifascismo e autonomia in
Sardegna (a cura di Gian Giacomo
Ortu), 1982.
Barreca, Ferruccio Archeologo (Roma
1920-Cagliari 1986). Romano di nascita,
divenne sardo di adozione; allievo di
Sabatino Moscati, studioso della civiltà
punica, dopo la laurea entrò nella carriera delle Soprintendenze archeologiche e alla fine degli anni Cinquanta
iniziò a lavorare in Sardegna, dove si
trasferı̀ definitivamente. Negli anni
successivi ebbe un profondo rapporto
di collaborazione con Moscati e diede
impulso ad alcune importanti iniziative di scavo nei principali siti dello
stanziamento punico nell’isola. Nel
1963 avviò i primi scavi a Monte Sirai
in collaborazione con l’Istituto per il
Vicino Oriente e con l’Università di
Roma; a metà anni Sessanta individuò
Pani Loriga e nel 1967 avviò lo scavo
del tempio di Antas. Nello stesso anno
fu nominato Soprintendente e continuò con maggiore energia a promuovere scavi e a riorganizzare l’attività
della Soprintendenza. Fu anche incaricato dell’insegnamento di Archeologia fenicia e punica presso l’Università
di Cagliari; nel 1978 riprese gli scavi a
Monte Sirai. Tra i suoi scritti: La mostra della civiltà punica in Sardegna
(con Gennaro Pesce), 1959; Antichità fenicio-puniche. Cenno informativo con
particolare riferimento alla Sardegna,
in Mostra della Civiltà punica in Sardegna, catalogo, 1960; Il retaggio di Cartagine. Sulci, 1960; La città punica in Sardegna, ‘‘Bollettino del Centro di studi
per l’Architettura di Cagliari’’, XVII,
1962; Gli scavi, L’area sacra (tophet), La
453
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 461
Barrili
necropoli, tutti in Monte Sirai I. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e
della Soprintendenza alle antichità di
Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 11, 1964; La
civiltà di Cartagine, 1964; Le fortificazioni. Descrizione generale, L’acropoli,
Le fortificazioni. Conclusioni e confronti, L’esplorazione lungo la costa sulcitana, tutti in Monte Sirai II. Rapporto
preliminare della missione archeologica
dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari,
‘‘Studi semitici’’, 14, 1965; Il mastio, Topografia dell’acropoli, Considerazioni
conclusive, tutti in Monte Sirai III. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e
della Soprintendenza alle antichità di
Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 20, 1966; Il
mastio, L’esplorazione topografica lungo
la costa orientale della Sardegna, tutti
in Monte Sirai IV. Rapporto preliminare
della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle
antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’,
25, 1967; Lo scavo nel tempio, in Ricerche puniche ad Antas, ‘‘Studi semitici’’,
30, 1969; Doce bronces nurágicos, Catalogo, 1971; La civiltà protosarda, 1972;
La Sardegna fenicia e punica, 1974; I
culti della Sardegna fenicio-punica,
1973-74; Il tempio di Antas e il culto del
Sardus Pater, 1975; Le fortificazioni fenicio-puniche in Sardegna, in Atti del
primo Convegno italiano sul vicino
Oriente antico, 1978; Scavi nel tofet di
Monte Sirai. Campagna 1979 (con S.F.
Bondı̀), ‘‘Rivista di Studi fenici’’, VIII,
1980; La Sardegna e i Fenici, in Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’Età
classica, 1981; Nuove scoperte sulla colonizzazione fenicio-punica in Sardegna, Phönizer in Western, 1982; L’archeologia fenicio-punica in Sardegna.
Un decennio di attività, in Atti del I Congresso internazionale di Studi fenici e
punici, Roma 1979, II, 1983; Fluminimaggiore. Località Antas, Tharros punica, Monte Sirai, Antas, Sulci punica,
Cagliari. Museo archeologico nazionale,
tutti in I Sardi. La Sardegna dal Paleolitico all’Età romana, 1984; Le ricerche
subacquee, in Nora. Recenti studi e scoperte, 1985; Phoenicians in Sardinia.
The Bronze Figurines, The Phoenician
and Punic Civilization in Sardinia, in
Studies on Sardinian Archaeology II,
Sardinian in the Mediterranean, 1986;
La civiltà-fenicio punica in Sardegna,
1986; Cartagine in Sardegna, 1986; Osservazioni sulla spiritualità e l’escatologia fenicio-punica, in Riti funerari e di
olocausto nella Sardegna fenicia e punica, 1989.
Barrili, Anton Giulio Scrittore, deputato al Parlamento (Savona 1836-Carcare 1908). Laureatosi in Lettere giovanissimo, si dedicò con passione al giornalismo. Di idee garibaldine, amico di
Nino Bixio, nel 1859 prese parte alla
seconda guerra di indipendenza nell’esercito sardo; nel 1866 fu garibaldino combattente durante la terza
guerra di indipendenza in Trentino.
Cessate le ostilità, riprese a scrivere,
occupandosi anche di critica letteraria, raggiungendo una certa notorietà.
Nel 1876 fu eletto deputato ma dopo tre
anni si dimise. Dal 1894 divenne professore di Letteratura italiana presso
l’Università di Genova, della quale divenne anche rettore nel 1904. Sulla
Sardegna scrisse in un Discorso nell’inaugurazione di un busto di Goffredo
Mameli, 1886; Scritti editi e inediti di
Goffredo Mameli, 1902.
Barrittas Gruppo musicale costituito
nel 1961. Fondato col nome di ‘‘Assi’’
da un gruppo di amici di Oristano e di
Santa Giusta che si riunivano nello storico Bar di Ibba di Oristano. Nel 1964
presero il nome di B. Il gruppo ruotava
intorno al cantante Benito Urgu ed
454
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 462
Bartolomei
ebbe i primi successi con Cambale
Twist e Wisky birra e Johnny Cola. Nel
1966 incisero il primo lp e si trasferirono a Roma, dove svilupparono il progetto della Messa Beat raggiungendo
notorietà internazionale, e quindi a
Milano, dove completarono il progetto;
nel 1974 tornarono in Sardegna, dove
continuarono la loro attività.
Barroi, Carmelo (conosciuto con lo
pseud. Poeta prurito ) Poeta in lingua
campidanese (Cagliari 1889-?). Fu versificatore abile ed elegante, autore di
numerose raccolte di versi tra cui:
Sempre avanti Savoia. Canzoni sarda
de sa guerra tra s’Italia e s’Austria,
1915; Pregheus cantendi po podi prestu
ottenni una paxi cun Vittoria de is armas
nostras e alleadas, 1918; Canzoni dialettali pro sa IV Italia Noa, 1922.
Barrueso Famiglia di origine valenzana (secc. XVII-XVIII). Agli inizi del
secolo XVII si trasferı̀ in Sardegna con
Michele, regidor della contea di Quirra
per conto del marchese Gioacchino
Centelles, e come tale nel 1624 prese
parte al parlamento Vivas. I suoi discendenti continuarono a risiedere a
Cagliari e a essere ammessi agli altri
parlamenti; di essi un altro Michele fu
nominato veedor del Regno di Sardegna nel 1652. Nel 1698 furono riconosciuti nobili con un Bartolomeo, ma si
estinsero nel corso del secolo XVIII.
Bartoli Nobile famiglia corsa (secc.
XVIII-XIX). Trapiantata in Sardegna
nel secolo XVIII, si stabilı̀ in Gallura.
Nel corso del secolo XIX si trasferı̀ in
alcuni centri del Logudoro ed espresse
distinte personalità.
Bartoli, Adolfo Filologo (Fivizzano
Massa 1833-Genova 1894). Terminati
gli studi, si trasferı̀ a Firenze dove divenne segretario dell’‘‘Archivio Storico Italiano’’ e collaborò col Vieusseux che lo stimava per le sue qualità
e per la sua preparazione. A partire dal
1869 ottenne l’incarico dell’insegnamento di Lettere presso la Scuola superiore di Commercio di Venezia e, dal
1874, presso l’Istituto di Studi superiori di Firenze. Si interessò con particolare competenza dei problemi di carattere storico-letterario avviando,
dopo il 1870, la pubblicazione di una
Storia della letteratura italiana della
quale però riuscı̀ a scrivere solo sette
volumi. Entrato nel dibattito sulle
Carte d’Arborea, nel 1876 ne denunciò
la falsità (le pagine su Le carte d’Arborea, nella Storia della letteratura italiana, II, pp. 389-416).
Bartolo, Guido Speleologo cagliaritano (n. sec. XX). Negli anni Settanta e
Ottanta ha animato l’attività dello Speleo Club di Cagliari, promuovendo importanti rilevazioni e studi interdisciplinari di molte cavità sotterranee in
diverse parti dell’isola. Tra i suoi
scritti, Il castello di Medusa. Ambiente,
leggende, grotte (con G. Muzzetto), 1991;
Sadali. Ambiente, tradizioni, grotte,
1995.
Bartolomei, Girolamo Militare, deputato al Parlamento subalpino (Tempio
1802-ivi 1876). Formatosi all’Accademia di Torino, intraprese la carriera
militare e partecipò alla prima guerra
di indipendenza. Rimase però legato a
Tempio, dove la famiglia possedeva vaste proprietà; nel settembre 1849 fu
eletto deputato ma rinunciò al mandato; rieletto nel dicembre del 1849
per la IV legislatura subalpina prese
parte ai lavori del Parlamento fino al
1853. Tornato a Tempio vi fu eletto sindaco, ma dopo alcuni anni si dimise.
Nel 1860 prese parte alla spedizione
dei Mille. Tornato in patria costituı̀
con alcuni mercanti piemontesi una
società per lo sfruttamento del sughero.
455
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 463
Bartolomeo
San Bartolomeo – Il santo in un rilievo del
secolo XV. (Museo di Torcello)
Bartolomeo, san (in sardo, Santu Bartumeu, Santu Bartolu, Santu Bertumeu, Santu Barzolu, Santu Baltolu,
Santu Porthulu, Santu Portolu, Santu
Azzolu, Santu Tomeu, Santu Natanieli)
Santo (sec. I). Apostolo, l’evangelista
Giovanni lo chiama Nathanaë’l, che significa ‘‘Dio dona’’, ‘‘Dio ha dato’’ e
probabilmente era il suo nome, mentre
B. bar-Tholmai o Tolmai o Talmay, nel
significato di ‘‘agricoltore, figlio dell’agricoltore Tholmai’’ (c’è chi traduce
‘‘figlio valoroso’’) il patronimico. Forse
fu Gesù che scelse di chiamarlo B.
L’apostolo Filippo lo condusse da
Gesù: «Filippo trova Natanaele e gli
dice: ‘‘Quello di cui hanno scritto
Mosè nella legge e i profeti, noi l’abbiamo trovato: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret’’. ‘‘Da Nazaret – gli
disse Natanaele – può venire qualcosa
di buono?’’. Gli dice Filippo: ‘‘Vieni e
vedi’’. [Natanaele era nato a Canaa in
Galilea ed era proverbiale la disistima
tra Canaa e Nazaret, villaggi vicini].
Gesù vede Natanaele venirgli incontro
e dice di lui: ‘‘Ecco un autentico israelita, in cui non c’è falsità’’. Gli dice Natanaele: ‘‘Donde mi conosci?’’. Gli rispose Gesù: ‘‘Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto sotto il fico’’. Gli rispose Natanaele: ‘‘Rabbı̀, tu sei il figlio
di Dio, tu sei il re d’Israele’’. Gli rispose
Gesù: ‘‘Perché ti ho detto che ti ho visto
sotto il fico credi? Vedrai cose ben più
grandi!’’» (Giovanni 1, 45-50). Le gesta
di Natanaele-B. sono legate a quelle
degli altri apostoli. Dopo l’Ascensione,
secondo una tradizione armena, predicò in India, coronando i suoi giorni
con il martirio. Fonti storiche lo riportano in Etiopia, Arabia, Mesopotamia e
Grecia. Accompagnò Matteo o Andrea
nella regione del Ponto e sulle rive del
Bosforo, e Filippo a Gerapoli. Convertı̀
il re Polimio e il fratello del re, Astiage,
ordinò di scorticarlo vivo conforme all’uso persiano. Forse fu anche crocifisso o decapitato. Le sue reliquie furono traslate in Armenia nel secolo
VII, a Lipari e a Benevento nel IX, a
Roma nella chiesa dedicatagli sull’isola Tiberina nel 983, il suo cranio a
Francoforte sul Meno nel 1238. Apocrifo il suo Vangelo o Apocalisse di San
Bartolomeo. Patrono dei malati in generale, dei macellai, pastori, conciatori, pellicciai, legatori, insomma di
quanti hanno a che fare con le pelli.
In Sardegna Patrono di Flussio,
Meana Sardo, Ossi e Usellus. A Cagliari, nella chiesa che ha dato il nome
al rione di San B., i macellai, che per
concessione spagnola pascolavano
fino al secolo scorso il bestiame nella
pianura circostante, organizzavano sa
festa manna del 24 agosto con il denaro
ricavato dalla vendita annuale degli
zoccoli e delle corna degli animali macellati. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 24 agosto; il Lunedı̀ dell’Angelo a Luras (dove viene
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 464
Barumele
festeggiato anche la seconda domenica
di maggio), l’8 luglio a Lanusei.
Bartoloni, Piero Archeologo (n. Roma
1943). Allievo di Sabatino Moscati, specializzato nello studio del periodo punico. Fin dal 1964, quando prese parte
per la prima volta agli scavi di Monte
Sirai con Ferruccio Barreca, ha avuto
intensi rapporti culturali e di lavoro
con la Sardegna. I suoi primi scavi a
Monte Sirai si conclusero nel 1965; negli anni successivi ha scavato la necropoli punica di San Sperate e ha lavorato
presso l’Istituto di Arte antica dell’Università di Urbino e in quello della Civiltà fenicio-punica del CNR. Nel 1980
ha ripreso gli scavi a Monte Sirai unitamente al Bondı̀, divenendo il massimo esperto della storia del sito. Continua tuttora a scavare e a coordinarvi
importanti campagne che, con ritmo
annuale, non cessano di riservare sorprese. Divenuto direttore dell’Istituto
del CNR, dal 1991 ha collaborato col
Bondı̀ anche ai nuovi scavi di Nora. È
professore di Archeologia fenicio-punica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Tra i suoi scritti: Il
villaggio, in Monte Sirai II. Rapporto
preliminare della missione archeologica
dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari,
‘‘Studi semitici’’, 1965; La necropoli di
San Sperate, in Monte Sirai IV. Rapporto
preliminare della missione archeologica
dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari,
‘‘Studi semitici’’, 25, 1967; Gli amuleti
punici del tofet di Sulcis, ‘‘Rivista di
Studi fenici’’, I, 2, 1973; La necropoli di
Nora (con C. Tronchetti), ‘‘Studi Fenici’’, 12, 1981; Contributo alla cronologia della fortezza fenicia e punica di
Monte Sirai, in Archeologie au Levant.
Récueil à la mémoire de Roger Saidah,
1982; La ceramica del tofet, in ‘‘Rivista
di Studi fenici’’, X, 1982; La ceramica
fenicia di Bithia. Tipologia e diffusione
areale, Atti del I Congresso internazionale di Studi fenicio-punici di Roma,
1983; Studi sulla ceramica fenicia e punica in Sardegna, ‘‘Collezione di Studi
fenici’’, 15, 1983; Le stele di Sulcis. Catalogo, 1986; Interazioni fenicie nel Mediterraneo centrale: l’Africa e la Sardegna
(con Enrico Acquaro), Gli interscambi
culturali e socio-economici fra l’Africa
settentrionale e l’Europa Mediterranea,
1986; Le relazioni tra Cartagine e la Sardegna nei secoli VII e VI a. C., ‘‘Egitto
Vicino Oriente’’, X, 1987; Le anfore fenicie e puniche di Sardegna, ‘‘Studia punica’’, 4, 1988; La tomba 54 della necropoli arcaica di Monte Sirai, ‘‘Quaderni
della Soprintendenza archeologica
per le province di Cagliari e Oristano’’,
4, 1988; Cuccureddus (con S. Moscati e
L.A. Marras), ‘‘Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei’’, XLII, 1988;
Nuove stele sulcitane (con S. Moscati e
C. Tronchetti), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 1989;
Monte Sirai (con C. Finzi), 1989; Sulcis,
1989; Monte Sirai (con S.F. Bondı̀ e L.A.
Marras), ‘‘Itinerari Fenici’’, 9, 1992;
L’insediamento fortificato di Monte Sirai, in Carbonia e il Sulcis. Archeologia
e territorio, 1995; Olbia e la politica cartaginese nel IV sec. a.C., in Da Olbı̀a a
Olbia: 2500 anni di storia di una città
mediterranea, I (a cura di Attilio Mastino e Paola Ruggeri), 1996; La penetrazione fenicia e punica in Sardegna.
Trent’anni dopo (con S. Moscati e S.F.
Bondı̀), in ‘‘Memorie dell’Accademia
dei Lincei’’, s. 9, vol. 9, 1, 1997; La necropoli di Bithia I, 1997; La necropoli di Tuvixeddu. Tipologia e cronologia della ceramica, ‘‘Rivista di Studi fenici’’,
XXVIII, 2000.
Barumele Nome di un castello e un villaggio dell’antica curatoria di Usellus.
Il castello sorgeva su un colle isolato
457
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 465
Barumini
che domina il territorio di Ales a poca
distanza dal paese. Quasi certamente
in origine era una delle tante fortezze
che i Bizantini fecero costruire a partire dal secolo VII per controllare e per
difendere il territorio. Più tardi i giudici d’Arborea utilizzarono la fortezza
bizantina e la trasformarono in castello con la funzione di baluardo posto
ai confini meridionali del loro stato
per controllare le vie di transito alle
zone interne. Col tempo attorno al castello si sviluppò anche un villaggio,
che completò un imponente complesso
fortificato che, dopo la conquista aragonese, continuò a restare in mano al
giudice d’Arborea. Ugone II d’Arborea
nel suo testamento del 1336 lo assegnò
a suo figlio Giovanni, lo sfortunato fratello di Mariano IV che finı̀ i suoi giorni
in prigione. Durante le guerre tra Aragona e Arborea, i possedimenti di Giovanni caddero in mano al giudice d’Arborea e il castello riprese la funzione
militare per cui era stato costruito; la
popolazione del villaggio, però, nel
corso del secolo XIV cominciò a diminuire. Finita la guerra, quando nel
1409 il giudicato cessò di esistere, il castello non ebbe più importanza militare; con tutto il territorio fu conteso
dal marchese di Oristano e dai Carroz
d’Arborea ma il re, che non si fidava di
Leonardo Cubello, preferı̀ farlo amministrare da funzionari reali. Prima del
1430, unitamente al villaggio oramai
semispopolato e a tutto il territorio, fu
infeudato a Eleonora Manrique che
andava sposa a Berengario Bertran
Carroz conte di Quirra. In questo
modo il complesso entrò a far parte
del patrimonio dei Carroz e fu spesso
loro dimora. L’ultimo periodo della sua
secolare esistenza è legato alle vicende
della contessa Violante II. Dopo il 1504
l’edificio non fu più abitato e andò in
rovina.
Barumini – Intorno a Su Nuraxi sorgeva un
vasto villaggio, che fu distrutto, insieme con il
nuraghe, verso il 650 a.C.
Barumini Comune della provincia del
Medio Campidano, sede della XXIV
Comunità montana, con 1388 abitanti
(al 2004), posto a 202 m sul livello del
mare in una regione di modesti rilievi
alle pendici meridionali della Giara di
Gesturi. Regione storica: Marmilla. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 26,57 km 2 : ha forma
grosso modo romboidale e confina a
nord con Tuili e Gesturi, a est ancora
con Gesturi e con Gergei, a sud con Villanovafranca e Las Plassas, a ovest con
Tuili. La maggior parte della superficie è costituita dalla fertile vallata del
rio Mannu, che si dirige verso sud per
gettarsi nello stagno di Cagliari; per il
resto comprende una serie di piccoli
altipiani, di natura soprattutto calcarea ma in parte anche trachitica e basaltica, che si prestano alla coltura sia
dei cereali sia alle piante da frutto. La
maggiore via di comunicazione è la statale 197, proveniente da Sanluri; da
questa si distacca verso oriente la secondaria che, attraversando Gergei ed
Escolca, si congiunge con la 128, e
verso occidente quella che attraverso
Tuili e vari altri centri minori raggiunge la Villamar-Usellus.
458
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 466
Barumini
Barumini – Nel 1997 l’imponente castellofortezza di Su Nuraxi è stato dichiarato
dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
STORIA Le origini dell’attuale villaggio risalgono al periodo nuragico e
la sua esistenza è documentabile continuativamente fino ai giorni nostri. Nel
Medioevo era compreso nel giudicato
d’Arborea, faceva parte della curatoria
della Marmilla ed era un centro importante e, sembrerebbe, conteso per la
sua posizione di confine tra Cagliari e
Arborea. Dopo l’arrivo degli Aragonesi, durante le guerre tra Aragona e
Arborea, il villaggio fu investito e soffrı̀
molti danni a causa delle operazioni
militari nell’ultima fase del conflitto.
Dopo la battaglia di Sanluri entrò a far
parte del Regnum Sardiniae; il suo territorio era occupato dalle truppe di Berengario Carroz che avrebbe voluto annetterlo al suo grande feudo di Quirra,
ma il re, poco prima di morire, lo aveva
incluso nel grande feudo concesso a
Garcia Lupo de Ferrero e aveva invitato Berengario a rinunciare ai suoi
progetti. Le circostanze invece sembrarono favorirlo, infatti poco dopo il
re morı̀ per cui egli continuò a tenere la
Marmilla; pochi mesi dopo sopraggiunse anche la morte di Garcia Lupo
senza eredi, tanto che credette di aver
raggiunto il suo obiettivo. Nel 1412 il
nuovo re Ferdinando I pose fine alle
sue aspirazioni e lo costrinse a rendere
i territori occupati, cosa che egli fece
&
con molta riluttanza. Cosı̀ nel 1421 B.
entrò a far parte del grande feudo concesso a Raimondo Guglielmo Moncada
al quale però fu confiscato alcuni decenni dopo, quando questi si rifiutò di
pagare un tributo al re. Dopo alterne
vicende il villaggio fu acquistato all’asta da Pietro Besalù che acquisı̀ tutta
l’antica curatoria. Pur essendo un
uomo potente e uno dei generi del
conte di Quirra, poiché non aveva i denari sufficienti per l’acquisto si era
fatto prestare delle somme da Simone
Rubei di Cagliari. Egli cominciò a rendere il denaro negli anni successivi utilizzando le rendite feudali; nel 1459
però queste gli furono sequestrate dal
fisco perché moroso, per cui non fu più
in grado di rendere il resto dei soldi
dovuti al Rubei. Quest’ultimo allora,
nel 1464, minacciò di far vendere all’asta il feudo: la situazione sembrò precipitare ma il Besalù fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato
ai territori che confinavano con quelli
di Quirra, gli prestò i soldi per pagare il
Rubei. Quando questi morı̀, la situazione diede il pretesto a Dalmazio Carroz, che era diventato conte di Quirra
per aver sposato Violante sorellastra
della moglie, per intervenire e portargli via il territorio. Infatti, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente
tutta la Marmilla e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché il Besalù non fu in grado
di pagare, nel 1477 i due arrivarono a
un compromesso in base al quale, mentre Besalù riusciva a conservare B.,
Las Plassas e Villanovafranca, il resto
fu acquisito dal conte di Quirra. Da
quel momento B. entrò a far parte di
un feudo a sé stante confermato ai discendenti del Besalù, che ereditavano
anche un’infinita quantità di debiti.
459
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 467
Barumini
Tentarono perciò di risollevare le sorti
della famiglia organizzando la riscossione dei tributi feudali. La popolazione – il villaggio allora superava i
500 abitanti – fu cosı̀ divisa in classi a
seconda del reddito e tutti furono costretti a pagare; la situazione non migliorò e i Besalù continuarono a gravare di censi e ipoteche le rendite del
villaggio rendendo la condizione dei
vassalli sempre più difficile. Nel 1539 i
Besalù si estinsero e nel 1541 il feudo
fu acquistato da Azore Zapata. Negli
anni successivi gli Zapata sembrarono
interessarsi del loro feudo; il villaggio
crebbe e fu avviata la costruzione della
parrocchiale. Gli Zapata continuarono
a possedere B., nel corso del secolo
XVII vi fecero costruire il Palazzo baronale e la chiesa di San Francesco attigua a un convento oggi scomparso.
Nel corso del secolo XVIII le cose cambiarono, i rapporti tra gli abitanti del
paese e il feudatario si fecero tesi a
causa dell’aumento del carico fiscale
e per la crescente aspirazione a liberarsi della dominazione feudale. Cosı̀
nel 1771, proprio quando fu istituito il
Consiglio comunitativo, essi si rifiutarono di pagare i tributi; la situazione
non migliorò nei decenni successivi.
Nel 1821 il villaggio fu inserito nella
provincia di Isili e fu finalmente riscattato ai feudatari nel 1839. In questi
anni Vittorio Angius scriveva: «La
temperatura è moderata d’inverno,
alta d’estate. Domina la nebbia e li
venti di levante ed austro. L’aria è insalubre: le malattie che più frequentemente affliggono queste popolazioni
sono le periodiche, e le pleurisie. L’ordinario corso della vita è al 55º [anno],
ed è raro vedere persone ottogenarie.
Le famiglie (anno 1833) erano 305, il numero degli abitanti 1130. Nascono 40,
muojono 30, e soglionsi contrarre circa
10 matrimoni. Delle arti meccaniche
quelle solamente sono esercitate che
rispondono alle prime necessità e comodità della vita, ed ai bisogni dell’agricoltura. In ogni casa è armato un telajo, ma non vi si lavora più di quanto
domandi il privato bisogno. Vi è un consiglio per l’amministrazione delle cose
comuni, una giunta locale per lo governo dell’azienda agraria, ed una
scuola normale frequentata da circa
25 fanciulli. Si semina ordinariamente
starelli di grano 1500, d’orzo 300, di
fave 250, di cicerchie 100, di lenticchie
10: talvolta il totale della seminagione
passa gli starelli 2500. Il grano, l’orzo,
le fave si moltiplicano il centuplo [decuplo?], le cicerchie rendono dal 5 al 10
per uno, le lenticchie dal 20 al 40. La
raccolta intera qualche volta va ai 30
mila starelli. Si semina poco lino. Le
viti vi prosperano, e se ne annoverano
circa dodici varietà, dalle quali ottienesi del vin nero gagliardo e insieme
assai soave, e quattro sorta di vini bianchi, cioè malvasia, semidàno, moscatello, barbarajina, molto potenti e sulfurei. La quantità che imbottasi si calcola in quartieri (misura uguale a litri
5) 640 000. Un ventesimo al più si potrà
bruciare per acquavite. Le piante fruttifere, che qua e là e lungo le siepi formate di fichi d’India veggonsi sparse, si
contengono nelle specie dei peri, mandorli, fichi, prugni, albicocchi, peschi,
aranci e limoni. In breve cresceranno
in quantità considerevole gli olivi, che
già cominciasi con molto studio ad attendere alla loro propagazione e coltivazione. Il bestiame, che educasi, consiste in vacche, pecore, majali, giumenti. Le vacche sommavano (anno
1833) a capi 350. Dalle medesime si
hanno i tori per i lavori agrari, che non
sono meno di 250 gioghi, che sono capi
500. Le pecore erano 1000, i majali 300,
i giumenti 220. Allevasi del pollame,
ma in quantità minore, che potrebbero
460
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 468
Barumini
avere. I prodotti del bestiame non sono
di molto superiori al necessario per la
popolazione. I formaggi non sono riputati». Negli anni seguenti B. continuò a
far parte della provincia di Isili fino al
1848, quando entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari.
Abolita la divisione nel 1859, il villaggio fu compreso nella provincia di Cagliari. Furono questi gli anni del
grande sviluppo della cerealicoltura e
si ebbe come conseguenza anche un
aumento considerevole della popolazione che ai primi del Novecento arrivò a superare le 2000 unità. Nel 1928
fu aggregato a B. il villaggio di Las Plassas come frazione, e come tale rimase
fino al 1947. In questi ultimi decenni,
con la crisi delle attività agricole, a
partire dal 1951 la popolazione di B. è
andata diminuendo; il centro comunque ha mantenuto la sua vivacità e ha
preso parte al dibattito sulla formazione delle nuove province, aderendo
a quella del Medio Campidano.
Barumini – La vasta massa architettonica di
Su Nuraxi, sepolta sotto la terra di un piccolo
colle, fu portata alla luce negli anni
Cinquanta del Novecento.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e sulla pastorizia;
di particolare rilievo è l’allevamento
ovino, per il quale si organizzano fiere
ed esposizioni volte soprattutto alla selezione e al miglioramento delle specie
utilizzate. Di una qualche importanza
sono anche le attività commerciali ma
soprattutto il turismo fondato sullo
sfruttamento dell’importante patrimonio archeologico. Il villaggio dispone
anche di un albergo e di 3 ristoranti.
Artigianato. Messe da parte le attività
tessili, puntualmente registrate dall’Angius, il paese annovera oggi soprattutto attività artigianali legate all’edilizia. Rimane soltanto qualche esponente dell’antica arte di impagliare le
sedie con materiali raccolti nei campi.
Servizi. Il paese dispone di guardia
medica, medico, scuola dell’obbligo,
Biblioteca comunale e sportello bancario.
Barumini – La complessa struttura di Su
Nuraxi alterna alte torri, possenti bastioni e
profondi cortili.
DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1432 unità,
di cui stranieri 1; maschi 715; femmine
717; famiglie 496. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
18, nati 14; cancellati dall’anagrafe 35;
&
461
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Barumini
nuovi iscritti 18. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
14 359 in migliaia di lire; versamenti
ICI 545; aziende agricole 280; imprese
commerciali 84; esercizi pubblici 10;
esercizi all’ingrosso 1; esercizi al dettaglio 36; ambulanti 6. Tra gli indicatori
sociali: occupati 388; disoccupati 57;
inoccupati 78; laureati 19; diplomati
165; con licenza media 420; con licenza
elementare 457; analfabeti 27; automezzi circolanti 476; abbonamenti TV
417.
Barumini – La chiesa di Santa Tecla,
costruita nel Quattrocento in forme goticoaragonesi: nel corso dei secoli successivi è
stata spesso restaurata, fino a un ultimo
radicale intervento nel secolo XIX.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è particolarmente ricco di monumenti preistorici, tra i quali l’imponente complesso nuragico di Su Nuraxi, che sorge alla periferia dell’abitato, lungo la strada per Tuili, e fu scavato da Giovanni Lilliu tra il 1950 e il
1957. Rappresenta una delle più complete e mirabili testimonianze della civiltà nuragica ed è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Il
nuraghe è del tipo polilobato ed è costituito da una torre centrale (mastio) a
tre camere sovrapposte, costruita tra il
secolo XVII a.C. e il XIII a.C. in blocchi
&
di basalto. In seguito, nel periodo del
Bronzo tardo, la torre centrale fu circondata da quattro torri unite da una
cortina muraria con un ballatoio superiore e servite da un cortile interno sul
quale si apre un pozzo. Più tardi, nell’Età del Ferro, il complesso venne rifasciato e al suo esterno fu costruito un
altro complesso fortificato eptalobato.
Attorno al nuraghe, a partire dal periodo del Bronzo tardo, si sviluppò anche un villaggio costituito da capanne
a impianto circolare di grande interesse, perché permettono di ricostruire molti aspetti della vita quotidiana in età nuragica. Il nuraghe era
strategicamente connesso a un sistema
di altri nuraghi che, a partire da quello
polilobato che è stato rinvenuto in occasione del restauro di casa Zapata, all’interno dell’abitato, si collegano in
un sistema che si sviluppa fino alla
Giara di Gesturi (=). Nel corso del secolo VII a.C. il complesso venne distrutto, successivamente però il villaggio continuò a essere utilizzato. Le sue
capanne furono modificate, apparvero
i primi rudimentali sistemi di canalizzazione delle acque; le ultime tracce
dell’insediamento giungono all’età romana. Ciò dimostra, unitamente ad altri insediamenti di età punica e romana che si trovano in altri punti del
territorio, la continuità della presenza
dell’uomo a B. Altro importante sito è
quello di Bau Marcusa, località prossima all’abitato nella quale nel 1940 è
stato individuato un insediamento punico con necropoli di tombe a fossa. Gli
scavi hanno restituito molte ceramiche puniche, matrici per pani sacri,
un guttus a vernice nera del secolo III
a.C. e monete di diversi periodi. Va infine ricordato il complesso di Is Bangius, sito archeologico di grande importanza ubicato in prossimità dell’abitato, in cui a partire dalla seconda
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Barumini
metà dell’Ottocento sono state identificate le rovine di un villaggio punicoromano. Gli scavi successivi hanno restituito resti di mosaici, vetri, lucerne,
alcuni bronzi e monete sardo-puniche.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto urbanistico del villaggio è di particolare interesse. Il suo
centro storico è costituito da un insieme di strade abbastanza ampie e disposte quasi a raggiera, sulle quali si
affacciano le tipiche case della Marmilla precedute da una grande corte
alla quale si accede di solito attraverso
un portale monumentale che la pone in
comunicazione con la strada; la facciata delle case è in genere ingentilita
da un loggiato (sa lolla). Al centro dell’abitato, prospiciente la piazza principale piacevolmente alberata, sorge un
complesso di edifici di pregio costituito dalla chiesa dell’Immacolata,
parrocchiale costruita nel secolo XVI
in forme gotico-catalane e successivamente rimaneggiata; del primitivo impianto rimangono alcune cappelle con
volte a crociera. Nel secolo XVII vi furono aggiunti il coro in forme rinascimentali completato da una cupoletta e
il campanile a canna quadrata. L’interno è a tre navate con copertura lignea e conserva numerosi interessanti
arredi tra cui un doppio trittico del
Cinquecento della scuola di Stampace,
un’ancona, alcune statue lignee dei secoli XV e XVI, la fonte battesimale, il
pulpito, l’acquasantiera e l’organo del
secolo XVIII. Sulla stessa piazza si affaccia Casa Zapata, residenza di campagna della famiglia dei feudatari di
B., costruita tra la fine del Cinquecento
e gli inizi del Seicento. La facciata ha
forme rinascimentali ed è ingentilita
da una scalinata di accesso; le finestre
e il portale sono inquadrati da colonne
in trachite secondo il modello del palazzo che, pressappoco nello stesso pe-
riodo, la famiglia aveva fatto costruire
a Cagliari. L’interno aveva alcune belle
sale finemente arredate e tappezzate;
alcuni anni dopo l’estinzione degli Zapata l’edificio è stato acquistato dal Comune e sottoposto a restauro. Durante
i lavori si è scoperto che, come già accennato, era stato edificato sopra un
nuraghe polilobato di enorme interesse. Questo è stato scavato e ripulito,
ed è visibile attraverso lastre di vetro.
Dall’estate del 2006 il Palazzo Zapata
ospita poi un nuovo museo: comprende
una sezione etnografica, che raccoglie
strumenti del lavoro contadino, e una
archeologica, dove si può vedere parte
dei reperti rinvenuti nel corso dello
scavo del nuraghe Su Nuraxi. Poco lontano è la chiesa di San Giovanni Battista prospiciente l’attuale parrocchia,
costruita nella seconda metà del secolo XIII in forme romaniche e consacrata nel 1316. Originariamente aveva
un’unica navata e la facciata in trachite rossa con un portale dall’arco semicircolare. Nel secolo XV fu ampliata
con l’aggiunta di una seconda navata
sul lato settentrionale della costruzione più antica. Il paese è ricco di altri
monumenti, tra i quali la chiesa di San
Francesco, situata nella parte alta dell’attuale abitato; fu fatta costruire nel
secolo XVII dagli Zapata, ha una sola
navata sulla quale si affacciano due
cappelle laterali sul lato sinistro. Nel
1660 all’edificio fu affiancato un convento di frati francescani. Va ricordata
anche la chiesa di Santa Tecla, costruita nel secolo XV in forme goticoaragonesi; all’interno ha una sola navata molto semplice, all’esterno la facciata è abbellita da due rosoni traforati. Nel corso dei secoli successivi è
stata spesso restaurata, fino a un ultimo radicale intervento nel secolo
XIX. La chiesa di San Nicola sorge su
una collina alla periferia del villaggio;
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 471
Bas
edificata in forme romaniche nella seconda metà del secolo XIII in conci di
arenaria e trachite, ha un’aula a una
sola navata. Nel Seicento fu ristrutturata, l’aula fu allungata, l’abside demolita. Il degrado dell’edificio continuò
nei secoli successivi e anche la facciata
crollò; attualmente è poco più che un
rudere. E infine la chiesa di Santa Lucia, campestre, costruita nel Seicento,
circondata da un loggiato con nove archi a sesto acuto sorretti da colonne intagliate; all’interno conserva un bel
pulpito ligneo.
Barumini – La cinquecentesca casa Zapata è
stata di recente restaurata riscoprendo anche
le strutture degli antichi edifici su cui fu
eretta.
FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Come in tutti i paesi della Sardegna anche a B. si conserva la memoria del
ricco patrimonio di tradizioni e di usi
che caratterizzavano un tempo la comunità: ad esempio quando nei giorni
festivi, all’uscita dalla messa principale, si svolgevano in piazza i balli al
suono delle launeddas. Le riunioni
erano occasione per esibire il costume
che era molto curato. L’abbigliamento
femminile era costituito da una camicia di cotone bianco, plissettata e con
la pettina e i polsini ricamati; la gonna
(sa unnedda) di tibet marrone-vinaccia, plissettata e guarnita di trine. Sopra la camicia si indossava il busto (su
groppetu) di broccato bianco a fiori
&
rossi bordato di velluto e guarnito di
trine; sopra la gonna andava il grembiule (su deventaliu) di raso nero a fiori
viola, guarnito con una frangia nera.
L’abbigliamento maschile comprendeva una camicia di cotone con pizzo
al collo e ai polsini chiusa da bottoni di
filigrana; i calzoni di tela bianca molto
larghi. Sopra la camicia si indossava il
gilet di panno nero; sopra i calzoni il
gonnellino di panno nero con trina dorata e le ghette dello stesso tessuto; in
capo la classica berritta. Attualmente
di questo patrimonio poco rimane
nella festa di San Sebastiano. È la festa
del santo patrono e si svolge il 20 gennaio. I riti religiosi vengono celebrati
nella chiesa parrocchiale, ma il momento culminante è costituito da un
falò (su foghidoni) preparato con la legna cercata dai giovani nelle campagne circostanti. Mentre la catasta brucia in piazza fanno da contorno spettacoli folcloristici e grandi bevute. La festa di Santa Lucia si svolge nella terza
domenica di luglio ed è organizzata da
un comitato paritetico di uomini scapoli e di sposati che girano per il paese
ricevendo in dono dalle giovinette i nastri (froccus) che serviranno a adornare
il gonfalone del santo; nei giorni della
festa si svolge una corsa di cavalli nelle
vicinanze del nuraghe Su Nuraxi.
Bas, Ugo Visconte di Bas (?, sec. XIIOristano 1185). Era fratello di Agalbursa, che seguı̀ in Sardegna quando
andò sposa al giudice Barisone I d’Arborea. Una volta giunto in Sardegna,
seppe inserirsi nella corte arborense
sostenuto da numerosi altri catalani
che seguirono i due. Ad Oristano egli
sposò Sinispella, una delle figlie che
Barisone I aveva avuto dalla sua prima
moglie. Dal loro matrimonio nacque
Ugo Ponzio. Morı̀ pochi mesi dopo lo
sfortunato Barisone I, quando ipotizzava la possibile successione sul trono
464
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Basilio
d’Arborea del figlio Ugo Ponzio che, essendo figlio di Sinispella, nata dal
primo matrimonio del giudice, secondo il diritto catalano aveva più diritto di Pietro alla successione.
Bashamem Forma contratta (in fenicio
B‘šmm) del nome della divinità Baal
Shamem (=), con caduta della consonante L, come si trova attestata nell’iscrizione di Cagliari contenente una
dedica al dio titolare del tempio edificato nella ’ynsm (isola degli Sparvieri),
l’attuale Carloforte. [MICHELE GUIRGUIS]
Basilide, san Santo. Parrocchia di Castiadas. Patrono della polizia penitenziaria. È stato scelto a patrono di Castiadas (=) perché il primo insediamento era avvenuto a opera di un
gruppo di carcerati, e si era venuta
quindi formando una grande colonia
penale.
Basilio, san (in sardo, Sant’Asile) Santo
(Cesarea di Cappadocia 330-?, 379).
Dottore della Chiesa. Famiglia di santi,
la sua: la madre Emmelia, il padre Basilio ‘‘l’Anziano’’, la nonna Macrina
‘‘l’Anziana’’, la sorella Macrina ‘‘la Giovane’’, i fratelli Pietro, vescovo di Sebaste, e Gregorio, vescovo di Nissa. Dal
padre educato alle lettere, studiò a Costantinopoli e ad Atene, dove conobbe
San Gregorio Nazianzeno. Nella sua
città insegnò retorica (356). Dopo aver
visitato i più celebri monasteri dell’Egitto, Siria, Palestina e Mesopotamia
decise di battezzarsi (358) e di ritirarsi
in un suo possedimento, formando una
comunità religiosa. C’è chi sostiene
che «intraprese il viaggio attraverso
gli asceti mediorientali, dopo aver ricevuto il battesimo». Sacerdote nel
362 o nel 364, vescovo di Cesarea nel
365 di fatto e nel 370 di diritto. Lottò
contro l’arianesimo. L’imperatore Valente nel 371 gli inviò il prefetto Modesto per costringerlo a comunicare con
gli ariani, con la minaccia di confiscar-
gli i beni, di esiliarlo, di torturarlo e di
condannarlo a morte. B. non venne
meno alle sue posizioni e al prefetto
non rimase altro che scrivere all’imperatore: «Noi siamo vinti, quell’uomo è
al di sopra delle minacce». «Per tre
volte – dice la leggenda – l’imperatore
cercò di scrivere l’ordine d’esilio e per
tre volte lo stilo si spezzò». Fondatore
di diversi monasteri. Soprattutto fondatore di Basiliade, ‘‘la città della carità’’, alle porte di Cesarea: ospedale,
lebbrosario, ospizio, orfanotrofio, laboratori e scuole artigianali. Morı̀ il 1º
gennaio 379. Pioniere della vita cenobitica, con il suo grande amico Gregorio Nazianzeno dettò nel 358 le Regole
per i suoi monaci. Autore di omelie, di
libri contro l’arianesimo, ricchissimo
il suo epistolario. Nel Discorso ai giovani sul modo di trar profitto dalla letteratura sono contenute chiare affermazioni sul valore educativo dei classici
pagani. Per la sua intensa attività, ancora in vita fu chiamato Magno,
Grande. A lui si deve anche la formulazione del dogma trinitario. San B. non
ha fondato un vero e proprio ordine,
ma in Occidente i monaci bizantini furono chiamati erroneamente basiliani.
Dal 1969 la Chiesa ricorda i Santi B. e
Gregorio Nazianzeno insieme, il 2 gennaio. Prima la festa di San B. cadeva il
14 giugno.
In Sardegna Patrono di Gonnosnò,
Sennori e Serri. È invocato contro i
brutti sogni. A Oristano, nella chiesa
di San Francesco d’Assisi, in una teca
d’argento si conserva il teschio del
santo. Molte reliquie conservate nell’isola, in special modo teschi, sono state
portate dai Bizantini. «Il teschio della
teca oristanese – secondo Felice Cherchi Paba (1963) – deve essere quello di
San Basilio vescovo di Amasea, detto
Basileos, fecondissimo oratore (intervenne al concilio di Ancira e di Neoce-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 473
Basilisco
sarea, 314), martire sotto Licinio nel
322. Decapitato e gettato in mare, la testa venne recuperata dai cristiani e religiosamente custodita». Nella stessa
chiesa, la statua trecentesca di Nino
Pisano per il popolo raffigurerebbe il
santo. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 1º gennaio a Gonnosnò, la terza domenica di giugno a
Sennori, il 1º settembre a Serri. Sagre
estive e in altri periodi durante l’anno.
Basilisco Pianta erbacea perenne
della famiglia delle Ombrellifere (Magydaris pastinacea (Lam.) Paol.). Le foglie basali sono molto grandi (anche 1
m), divise in lunghi segmenti dentati;
ha infiorescenze ad ampie ombrelle
bianche, emisferiche e terminali; i
frutti sono grandi, duri e costolati. Fiorisce in tarda primavera e caratterizza
con i suoi ombrelli bianchi i campi e i
bordi delle strade, soprattutto nella
Sardegna centro-meridionale. Le si attribuiscono, nella medicina popolare,
proprietà espettoranti. Nomi sardi: férula másciu (gallurese); ferulédda ’e coloras, ferulóni (logudorese); tùmbaru
fémina (Sardegna settentrionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Basket = Pallacanestro
Basoli, Lorenzo Religioso (Ozieri 1895Lanusei 1970). Vescovo di Ogliastra dal
1936 al 1970. Si laureò in Teologia nel
1918 e nello stesso anno fu ordinato sacerdote. Negli anni successivi resse alcune parrocchie e fu nominato censore
del Seminario diocesano. Nel 1936 fu
nominato vescovo di Ogliastra; resse
la diocesi con energia: nel 1970 fondò
l’Istituto magistrale di Lanusei e si
adoperò per lo sviluppo di alcune altre
istituzioni che concorsero a elevare le
condizioni generali della diocesi.
Prese parte al concilio Vaticano II.
Lorenzo Basoli – Vescovo di Ogliastra dal 1936
al 1970, promosse le istituzioni scolastiche e
l’applicazione delle norme del concilio
Vaticano II.
Basoli, Paola Archeologa (n. Padova
1945). Dopo la laurea è entrata nella
carriera delle Soprintendenze archeologiche. Attualmente è funzionario
presso la Soprintendenza archeologica per le province di Sassari e di
Nuoro. Ha studiato in prevalenza il territorio del Montacuto e di Ozieri; nel
1985 ha concorso all’allestimento del
Museo archeologico della città. Tra i
suoi scritti: L’archeologia (con Antonietta Boninu), in Il Monte Acuto.
L’uomo, la natura, la civiltà. Immagini
di una comunità montana, 1984; Ozieri
grotta di San Michele e di Santa Caterina, Castelsardo località Multedu, domus dell’Elefante, in I sardi. La Sardegna dal Paleolitico all’Età romana,
1984; Il megalitismo, Il territorio nella
466
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 474
Bassacutena
preistoria, Le grotte, Le domus de janas,
La cultura di Ozieri, in Il Museo archeologico di Ozieri, 1985; Ozieri (con Fulvia
Lo Schiavo, Luisa Campus Dettori,
Francesco Guido), in Il Museo di Villa
Sulcis, 1988; La cultura di Ozieri nel territorio di Ozieri. Considerazioni preliminari, in La Cultura di Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni, 1989; Il sistema insediativo nuragico nel Monte
Acuto: analisi preliminare dei fattori
geomorfologici e socio-economici (con
A. Foschi Nieddu), in Nuragic Architecture in its Military, Territorial and Socio-economic Context. Proceedings of
the First International Colloquium on
Nuragic Architecture at the Swedish Institute in Rome, XLVIII, ‘‘Acta Instituti
Regni Sueciae’’, 1989; Dipinti preistorici del reperto di Luzzanas (Ozieri). Tecniche di rilevamento, esame iconografico e inquadramento culturale, in
L’Arte in Italia dal Paleolitico all’Età
del Bronzo. Atti della XXVIII Riunione
scientifica dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria in memoria di Paolo
Graziosi, 1992.
Bassacutena Centro abitato della provincia di Olbia-Tempio, frazione di
Tempio Pausania (da cui dista 32 km),
con circa 600 abitanti, posto a 73 m sul
livello del mare. Regione storica: Gallura. Diocesi di Tempio-Ampurias.
& TERRITORIO Il territorio comprende
le colline granitiche litoranee della
Gallura, a poca distanza dal fiume Liscia. Il centro è collegato al suo capoluogo con autobus attraverso la S.S. 133
Tempio-Palau e dista 14 km da Arzachena, capitale della Costa Smeralda.
Negli ultimi tempi si registra una forte
spinta per la trasformazione di B. in
comune autonomo.
& STORIA Nel Medioevo il territorio su
cui oggi sorge B. era compreso nel giudicato di Gallura e faceva parte della
curatoria della Balariana, della quale
seguı̀ le vicende storiche fino al secolo
XVIII. Il territorio sul quale si era sviluppato il villaggio di Surake (=),
scomparso nel secolo XV, rimase per
secoli deserto, frequentato solo da pastori e da qualche carbonaio che sfruttava le grandi foreste di cui era coperto. Agli inizi dell’Ottocento era
compreso in una delle cussorge dipendenti da Tempio Pausania e proprio allora si formò il centro abitato attuale.
Pare che per l’esigenza che i carbonai
avevano di raccogliere la legna da lavorare essi facessero costruire un
grande capanno (Lu Baracconi), attorno al quale col tempo si sviluppò il
villaggio attuale, che continua a essere
frazione di Tempio Pausania.
& ECONOMIA La base dell’economia
del villaggio è costituita dalle attività
dell’agricoltura e in misura minore dai
prodotti della pastorizia. Sono presenti anche numerose cave di estrazione del granito che però non viene
lavorato sul posto, se non in parte. Da
qualche anno vi si sta sviluppando una
certa attività turistica, vista la vicinanza col mare (14 km) di Palau. Tradizionale è l’artigianato del sughero,
come in tutta questa parte della Gallura.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 696 unità,
di cui stranieri 2; maschi 348; femmine
348; famiglie 250. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità della popolazione, con morti per
anno 7 e nati 7; cancellati dall’anagrafe
13; nuovi iscritti 12. Tra gli indicatori
economici: imponibile medio IRPEF
14 019 in migliaia di lire; versamenti
ICI 317; aziende agricole 85; imprese
commerciali 28; esercizi pubblici 6;
esercizi al dettaglio 11; ambulanti 3.
Tra gli indicatori sociali: occupati 170;
disoccupati 23; inoccupati 38; laureati
4; diplomati 73; con licenza media 192;
467
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pag. 475
Bassacutena
con licenza elementare 239; analfabeti
20; automezzi circolanti 309; abbonamenti TV 184.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio di B. conserva qualche sito interessante riferibile alla cosiddetta cultura di Arzachena risalente al Neolitico recente. Il sito più interessante è
costituito dai resti del villaggio di Surake abbandonato nel secolo XV.
& PATRIMONIO ARTISTICO CULTURALE
E AMBIENTALE L’elemento più significativo del patrimonio artistico di B. è
costituito dalle chiese di Santa Maria,
di San Simplicio e di San Pietro che
sorgono vicine le une alle altre, nel
sito dello scomparso villaggio di Surake. La più nota delle tre è quella di
San Simplicio, costruita in località Lu
Macchjetu nel Medioevo e successivamente rimaneggiata. L’edificio attuale
è in granito ed è di ridotte dimensioni,
ha un impianto mononavato rettangolare e la copertura in legno a capriate.
All’interno conserva il pavimento originale in cotto e una statua di marmo
del secolo XVII. A poca distanza sorge
la seconda chiesa, Santa Maria di Lu
Macchjetu, anch’essa costruita nel Medioevo probabilmente dai Vittorini;
successivamente divenne la parrocchiale del villaggio di Surake. Spopolatosi il villaggio, la chiesa fu modificata
a più riprese e andò lentamente in rovina; nel 1971 fu radicalmente restaurata ma in modo discutibile. Ha il
corpo a una navata e la facciata sormontata da un timpano con due piccoli
campanili a vela; all’interno custodisce una statua in marmo. Infine la
chiesa di San Pietro, costruita nel secolo XIV a poca distanza da quella di
San Simplicio e probabilmente inclusa
nell’abitato di Surake: pianta a una
sola navata completata da un’abside;
nel corso dei secoli ha subı̀to molti
danni ed è andata completamente in
rovina. Vanno poi ricordate alcune altre chiese tra le quali quella di San Pietro Apostolo, fatta costruire nel 1931 da
Pio XI e ampliata nel 1936 per far
fronte alla crescita della popolazione.
Nel 1960 la chiesa fu eretta a parrocchia, nel 1964 fu ulteriormente ampliata e negli anni successivi dotata di
moderni arredi. Il patrimonio artistico
è completato dal tempio medioevale di
San Giovanni di Liscia, a qualche chilometro dall’abitato lungo le sponde
del fiume Liscia: fu costruito nel Medioevo ma nel corso dei secoli è stato
notevolmente modificato. L’interno è a
una sola navata con copertura in legno,
all’esterno la facciata è in granito abbellita da un piccolo campanile a vela.
Vi è poi San Giacomo Apostolo, chiesa
costruita nel 1666 dai Misorro in località Calcinagghju a sud dell’attuale
abitato. Nei secoli successivi è stata
spesso ristrutturata; al suo interno
conserva una statua in marmo del secolo XVII di fattura simile a quelle custodite nella cattedrale di Tempio. Infine sulla riva sinistra del Liscia, a
qualche chilometro dall’abitato, si
trova la chiesa dedicata a San Lussorio. Fu costruita nel 1860 probabilmente sui resti di una chiesa medioevale annessa a un convento benedettino anch’esso scomparso. Ha un impianto a una sola navata e la tradizionale copertura in legno.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa più interessante è quella dedicata a San Giovanni Battista che si
svolge il 24 giugno. Pur appartenendo
alla parrocchia di B., i partecipanti più
numerosi sono calangianesi, perché si
ricorda l’esodo di una popolazione
dalle rive del Liscia verso quella che
sarebbe diventata Calangianus. Addetta all’allestimento della festa è una
confraternita detta Trı́bbita che organizza l’evento per quattro anni conse-
468
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 476
Basso
cutivi. Dopo una messa celebrata dal
parroco di Calangianus, dalla chiesetta parte una processione che vuole
essere un omaggio alle antiche popolazioni e che raggiunge il vecchio cimitero, dove si trova una grande croce di
granito. In questa festa ci si diverte
nella più assoluta semplicità, cantando e ballando, in un’atmosfera che
tradizionalmente favoriva la conoscenza di ragazzi e ragazze per futuri
matrimoni. Altra festa importante è
quella dedicata a Nostra Signora delle
Grazie che si celebra la prima domenica di settembre e nella quale si cerca
di coinvolgere i turisti che si trovano
sulla vicina costa. Di notevole interesse è il patrimonio ambientale, in un
territorio aspro e ricchissimo di odorosa macchia mediterranea e di foreste, lungo l’ultimo tratto del corso del
Liscia. La zona di B. è anche stata
scelta per il percorso (nelle numerose
strade sterrate) del famoso Rally della
Costa Smeralda che si svolge ogni anno
in primavera ed è dal 1994 prova del
Campionato del mondo. L’evento attira
moltissimi appassionati, rappresentando cosı̀ una ulteriore spinta allo sviluppo turistico di questa zona interna
della Gallura.
Bassagoda Famiglia cagliaritana (sec.
XIV). Di origine catalana, le prime notizie risalgono al secolo XIV: occupava
una discreta posizione in città e nel
1376 ottenne il cavalierato ereditario
con un Berengario, luogotenente del
maestro razionale.
Bas Serra Terza dinastia dei giudici
d’Arborea (secc. XII-XV). Era di origini
catalane; le prime notizie risalgono al
secolo XI, quando viveva un Isarn signore di Ferran in Catalogna. Nei secoli successivi i suoi discendenti divennero castellani di Cervera e acquistarono il viscontado di Bas. Nella seconda metà del secolo XII uno di loro,
il visconte Ponzio, rapı̀ Almodis, una
delle sorelle del conte Raimondo Berengario di Barcellona suo sovrano.
Per quanto la cosa fosse sconveniente
e l’audace visconte col suo gesto avesse
rischiato molto, tutto finı̀ bene, come in
quei tempi non era infrequente: i due
si sposarono e ottenuto il perdono comitale contribuirono a elevare il rango
della famiglia. Dal matrimonio nacquero Ugo e Agalbursa, che si trasferirono in Sardegna legando definitivamente i Bas alla storia dell’isola. Agalbursa, infatti, divenne la seconda moglie dello sfortunato giudice Barisone I
d’Arborea re di Sardegna; Ugo, visconte di Bas, nel 1177 seguı̀ sua sorella
nell’isola e vi si stabilı̀ accompagnato
da un forte nucleo di catalani. Egli
sposò Sinispella, nata dal primo matrimonio di Barisone: dall’unione nacque
Ugo Ponzio, che può essere considerato il capostipite del ramo giudicale
della famiglia. Egli infatti, grazie a suo
padre e a sua zia, riuscı̀ a diventare giudice d’Arborea in condominio con i figli dello sfortunato Barisone. Col
tempo i suoi discendenti si impadronirono completamente del giudicato e
regnarono fino all’estinzione della famiglia. Nel secolo XIV, dopo l’arrivo in
Sardegna degli Aragonesi con i quali
inizialmente ebbero un rapporto poco
chiaro, si resero protagonisti della progressiva espansione del giudicato e
delle guerre che durarono per tutto il
secolo XIV. Il ramo giudicale si estinse
agli inizi del secolo XV con la morte
della grande Eleonora; della famiglia
sopravvisse un ramo discendente da
Nicola, fratello del giudice Mariano
IV, che aveva però assunto il cognome
di Cubello. Questo ramo, che dopo la
caduta del giudicato ebbe il titolo di
marchese d’Oristano, si estinse nel
1470 con un Salvatore.
Basso, Antonio Ufficiale di carriera
469
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 477
Basso Pittalis
(secc. XIX-XX). Valoroso combattente
della prima guerra mondiale, terminata la guerra venne nominato direttore generale dell’Artiglieria col compito di ammodernarne le dotazioni.
Nel 1940 fu nominato comandante
della Regione militare della Sardegna;
raggiunta la nuova sede, lavorò alacremente per adeguarne le difese. Sorpreso dall’armistizio, trattò con il comandante germanico, generale Lungerhausen, l’evacuazione pacifica
delle truppe tedesche dalla Sardegna.
Nel novembre del 1943 fu trasferito a
Napoli con un nuovo incarico ma nel
1944, accusato di omessa esecuzione
di ordini, proprio in conseguenza del
suo comportamento in occasione dell’armistizio, fu destituito, arrestato e
nel 1946 processato. Il processo si risolvette però con l’assoluzione. Su quegli
episodi il generale scrisse un opuscolo,
L’armistizio del settembre 1943 in Sardegna, 1947, e un articolo, L’azione del comando militare della Sardegna dopo
l’armistizio del settembre 1943, ‘‘La
Nuova Sardegna’’, 1947.
Basso Pittalis, Daniele Magistrato
(secc. XIX-XX). Dopo la laurea in Giurisprudenza entrò nella carriera giudiziaria. Alla fine del secolo divenne sostituto procuratore del re a Nuoro; in
questa veste egli, nel 1896, stilò una lucida relazione sullo stato della giustizia nel Nuorese pubblicata col titolo La
giustizia nel Nuorese, 1897. In seguito si
trasferı̀ a Cagliari, dove continuò la
carriera giungendo al grado di presidente della Corte d’appello nel 1908.
Bassu, Antonio Giornalista e scrittore
(n. Oliena 1938). Completati gli studi si
è dedicato al giornalismo. Professionista nel 1967, ha collaborato stabilmente con ‘‘La Nuova Sardegna’’, dove
per anni ha fatto parte della redazione
nuorese. È stato anche per venti anni
addetto stampa dell’Amministrazione
provinciale di Nuoro e ha vinto il premio ‘‘Federico Motta’’. Osservatore attento dei problemi sociali della sua
terra, è autore di alcuni romanzi di attualità (La malasorte; Una ragione per
vivere) nei quali analizza i problemi
più delicati dell’ambiente in cui vive.
Bastelica, Francesco Giurista (Sassari, seconda metà sec. XVI-ivi, prima
metà sec. XVII). Nato da una nobile famiglia di origine corsa, compiuti gli
studi fu nominato per la sua buona preparazione giuridica segretario del tribunale dell’Inquisizione in Sardegna.
Impegnato nella determinazione dei
limiti della propria giurisdizione, entrò spesso in conflitto con i rappresentanti dell’amministrazione reale. Nel
1613 fu addirittura arrestato e incarcerato; fu liberato solo grazie all’intervento del re dopo che fu riconosciuta
la sua innocenza. Fu tra i maggiori protagonisti della polemica sul primato
tra Cagliari e Sassari, interessandosi
al ritrovamento delle reliquie dei Martiri. Fu presente al ritrovamento delle
reliquie dei Martiri turritani e sui fatti
stilò una relazione (Relación sumaria
de la invención de muchos cuerpos santos en la iglesia en San Gavino de Torres,
1615), che è di grande utilità per ricostruire l’ambiente nel quale la polemica si svolse.
Bastelica, Marcantonio Poeta latino
vissuto a Sassari (sec. XVII). Fratello
di Francesco, dopo aver completato gli
studi fu impegnato in diversi uffici amministrativi. Rimasto vedovo entrò
nell’ordine dei Gesuiti e divenne sacerdote; si dedicò completamente all’insegnamento e compose un libro di
Odi sull’Immacolata concezione, dedicato a Urbano VIII.
Bastida, Arnaldo Mercante di Barcellona (sec. XIV). Era interessato al commercio del grano, e prima del 1330 aprı̀
una filiale della sua organizzazione a
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 478
Battaglia
Cagliari, estendendo la rete dei suoi
traffici a tutta l’isola. Nel 1330 acquistò
il feudo di Sorso e cominciò a pensare
di stabilirsi definitivamente in Sardegna ma, quando seppe che i Doria preparavano una nuova ribellione, nel
1346 vendette in tutta fretta il feudo e
abbandonò il progetto.
Bastonatieri Dipendenti militarizzati
alle dipendenze dell’amministrazione
delle torri. Avevano il compito di recarsi nei punti di vedetta identificati
lungo le coste e posti tra una torre e
l’altra o nei punti in cui non era stata
costruita una torre, fare servizio di vedetta ed eventualmente avvertire i villaggi o gli addetti alle torri di un eventuale avvistamento di navi barbaresche, di navi nemiche o comunque sospette. Per avere la certezza che svolgessero il loro compito, l’amministrazione delle Torri provvedeva a depositare nei punti di avvistamento alcuni
bastoni (da qui il loro nome) che essi
avevano il dovere di riportare indietro
per dimostrare di essersi recati sul posto e aver effettivamente svolto il loro
compito.
Batlle, Carmen Studiosa di storia medioevale (n. sec. XX). Catalana, allieva
prediletta del Vives, dopo la laurea si è
dedicata con impegno all’insegnamento universitario; attualmente insegna presso l’Università di Barcellona.
Profonda conoscitrice della crisi del
regno d’Aragona, a partire dal 1964 si è
occupata di problemi di storia della
Sardegna. Tra i suoi scritti: Noticia sobre los negocios de mercaderes de Barcelona en Cerdeña hacia 1300, in La Sardegna nel mondo mediterraneo, Atti del
I Convegno internazionale di Studi geografico-storici, Sassari 1978, 2 (a cura di
Manlio Brigaglia), 1981.
Batllori, Michel Storico (1909-2003).
Gesuita, nel 1958 fu nominato direttore
dell’‘‘Archivium Historicum Societatis
Jesus’’ di Roma. Il soggiorno romano
gli consentı̀ di studiare la storia dell’ordine in Italia, approfondendo cosı̀ problemi che riguardavano anche la Sardegna, in particolare la presenza della
Compagnia di Gesù a Sassari al momento della fondazione e dell’avvio
dell’Università degli studi. Tornato in
Spagna dopo alcuni anni, vi ha intrapreso una brillante attività accademica; è membro della Reale Accademia di Storia di Madrid. Tra i suoi
scritti: Les fundaciòns econòmiques
dels Jesuites a Sardenya durant el segle
XVI: el collegi de Sasser, in Atti del VI
Congresso di storia della Corona d’Aragona Cagliari 1957, 1959; Ensenyament
y finances a la Sardenya cincentista, in
Hispanic Studies in honour of I. Gonzalez Llubera, 1959; Sulla fondazione del
collegio di Sassari 1562: nel IV centenario dell’Università turritana, ‘‘Archivium historicum Societatis Jesus’’,
XXXI, 1962; L’Università di Sassari e i
collegi gesuitici in Sardegna: saggio di
storia istituzionale ed economica,
‘‘Studi sassaresi’’, III, I, 1969; La cultura de Sardenya, Sicylia i Napols al segle XVI en relaciò amb els Estats catalano-aragonesos, in Atti dell’VIII Congresso di storia della Corona d’Aragona,
1973; La cultura sardo-catalana nel Rinascimento, in I Catalani in Sardegna
(a cura di Jordi Carbonell e Francesco
Manconi), 1984; Sardenya i els estats italiàns de la Corona d’Aragò, refugi dels
austriacantes. 1714, el cas dels Jesuites
catalano-aragonesos, in Atti del XIV
Congresso di storia della Corona d’Aragona, II, 1995.
‘‘Battaglia’’ Settimanale fascista (Cagliari 1924-1925). Periodico di politica
e di cultura; profondamente antiliberale, esaltò la ‘‘marcia su Roma’’ ma
paradossalmente assunse un atteggiamento favorevole al decentramento
amministrativo, recependo in qualche
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 479
Battaglie combattute in Sardegna
modo l’influenza del movimento regionalista isolano del primo dopoguerra.
Stampato a partire dal luglio del 1924,
cessò le pubblicazioni nel febbraio del
1925; fu diretto da Raffaele Contu.
Battaglie combattute in Sardegna
Nel corso della sua millenaria storia
la Sardegna, anche in conseguenza
della sua stessa posizione geografica,
si trovò coinvolta nelle guerre che si
svolsero nel Mediterraneo. Cosı̀ l’isola
fu teatro di numerose battaglie combattute per terra e per mare, ciascuna
delle quali lasciò segni profondi. Le
più note sono:
Battaglia del Mare Sardonio Fu la battaglia navale che nel secolo VI a.C. decise le sorti della Sardegna e del Mediterraneo occidentale per i secoli successivi. Combattuta dalla flotta greca
dei focesi di Alalia contro le flotte dei
Cartaginesi e degli Etruschi alleati tra
loro, avvenne presumibilmente nel 535
a.C. al largo delle coste nord-orientali
della Sardegna e si concluse con la
sconfitta dei Greci. Fu l’evento che
escluse per sempre i Greci dal Mediterraneo occidentale e consentı̀ l’avvio
della colonizzazione punica della Sardegna.
Battaglia di Olbia Fu combattuta, tra il
259 e il 258 a.C., durante la prima
guerra punica tra una flotta romana comandata da Lucio Cornelio Scipione e
la guarnigione cartaginese di Olbia. In
questa occasione la città fu conquistata e Annone, il comandante cartaginese, ucciso mentre tentava disperatamente di difendere la città.
Battaglia di Sulci Poco dopo un’altra
flotta romana comandata da Caio Sulpicio Patercolo assalı̀ diverse località
puniche lungo la costa meridionale
dell’isola; per contrastarlo uscı̀ da
Sulci la flotta cartaginese che fu sconfitta; il comandante cartaginese Annibale riuscı̀ a rientrare in città col resto
della flotta ma fu condannato a morte e
crocifisso dai suoi stessi uomini.
Ribellione degli Iliesi e dei Corsi La
ribellione che coinvolse tutte le popolazioni dell’interno tra il 236 e il 235
a.C. fu un succedersi di infiniti episodi
di guerriglia che impegnarono duramente i Romani, guidati da Tito Manlio
Torquato.
Campagna di Spurio Corvilio Massimo
Per domare una nuova ribellione delle
popolazioni dell’interno una serie di
operazioni si svolse nel 233 a.C. e si
concluse con un successo romano.
Campagna di Manlio Pomponio Matone Ancora una volta Roma tentò di
venire a capo della resistenza dei
Sardi ribelli; le operazioni ebbero
luogo nel 232 a.C. e si conclusero con
un successo.
Battaglia di Cornus La battaglia fu
combattuta nel 215 a.C. tra le legioni
romane di Tito Manlio Torquato e i
sardo-punici ribelli guidati da Amsicora e da suo figlio Hosto. La battaglia
si inquadra nella fase più acuta della
seconda guerra punica quando, dopo
la battaglia di Canne (213 a.C.), la sconfitta di Roma sembrò inevitabile. Fu allora che i sardo-punici, aiutati dai Cartaginesi, si ribellarono; la battaglia, secondo una tradizione non documentabile, si svolse in località Torre del
Pozzo e si tradusse in una terribile
sconfitta per i sardi che lasciarono sul
campo 3000 morti tra i quali lo stesso
Hosto. Piegato dal dolore, Ampsicora,
inconsolabile per la morte del figlio, si
sarebbe ucciso.
Ribellione degli Iliesi e dei Balari Le
operazioni si svolsero tra il 181 e il 178
a.C. Per avere ragione degli insorti
Roma dovette impegnare consistenti
contingenti nella lunga estenuante
guerriglia.
Ribellione degli Iliesi Fu l’ultima
grande ribellione di questo popolo. Le
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 480
Battaglie combattute in Sardegna
operazioni, condotte da Tiberio Sempronio Gracco, furono violentissime.
Si svolsero tra il 177 e il 173 a.C. e si
sarebbero concluse con una battaglia
campale nella quale sarebbero morti
25 000 sardi. I superstiti sarebbero stati
portati a Roma, ma erano cosı̀ numerosi e (si dice) poco... appetibili che
non si riuscı̀ a venderli neppure a
prezzi particolarmente modesti. Di
qui l’appellativo di Sardi venales, a suo
tempo richiamato anche da Cicerone.
Ribellione del 162 a.C. Probabilmente
fomentata da Cartagine, fu circoscritta
e facilmente domata.
Ribellione del 126-122 a.C. Ebbe il carattere di una guerriglia che coinvolse
molte parti della Sardegna interna.
Ribellione del 115-111 a.C. Anche questa ebbe le caratteristiche della precedente.
Ribellione del 104 a.C. Fu l’ultima ribellione storicamente provata dei
Sardi contro i Romani.
Conquista dei Vandali nel 455 Dopo il
saccheggio di Roma, i Vandali fecero
sbarcare un forte contingente in Sardegna e conquistarono l’isola; negli
anni successivi l’imperatore Maggiorano tentò inutilmente di riconquistarla.
Riconquista romana della Sardegna
Nel 468 una spedizione romana comandata dal conte Marcellino riuscı̀ a sbarcare nell’isola e, grazie a una ribellione dei sardi, riuscı̀ a cacciare i Vandali che però, pochi mesi dopo, quando
Marcellino fu costretto a lasciare l’isola, la riconquistarono definitivamente.
Battaglia di Cagliari Tra i Vandali ribelli, comandati da Goda e Zazone, fratello di Gelimero nel 533, vinta da Zazone proprio nel momento in cui Belisario invadeva l’Africa, piegandola ai
Bizantini.
Conquista bizantina nel 534 Quando
Zazone lasciò la Sardegna per accorrere in Africa in soccorso di Gelimero
e fu sconfitto e ucciso, Cirillo sbarcò a
Cagliari con un forte contingente bizantino e, mostrata la testa di Zazone
ai Vandali che si erano asserragliati
nella città, li convinse ad arrendersi e
procedette all’occupazione dell’isola.
Battaglia di Olbia Nel 551, nella spedizione che condussero contro la Sardegna durante la guerra greco-gotica gli
Ostrogoti assalirono Olbia e distrussero il porto occupando l’isola. Successivamente resistettero vittoriosamente a un tentativo di riconquista bizantina guidato da Giovanni, che fu
sconfitto a Cagliari. Nel 552 dovettero
lasciare l’isola che fu occupata definitivamente dai Bizantini.
Spedizioni degli Arabi Tra il 702 e gli
inizi del secolo XI furono compiuti diversi sbarchi in Sardegna dagli Arabi
provenienti dal Nord Africa e dalla
Spagna (= Arabe, incursioni).
Spedizione di Mugâhid emiro di Denia
Mugâhid, conosciuto nella tradizione
sarda col nome di Museto, Musato, nel
1015 sbarcò in Sardegna e, dopo aver
sconfitto l’esercito giudicale e ucciso
con ogni probabilità un giudice, avviò
la conquista dell’isola. Nel 1016, però,
fu sorpreso e sconfitto in una grande
battaglia navale da una flotta formata
da navi pisane e genovesi, chiamate a
una sorta di crociata dallo stesso pontefice, e dovette abbandonare l’isola.
Secondo una vecchia cronaca araba,
nel 1018 sarebbe tornato in Sardegna,
avrebbe occupato una città costiera e
ne avrebbe fatto la sede della sua residenza, ingaggiando negli anni successivi una serie di battaglie con i sardi.
Nel 1026, però, avrebbe dovuto lasciare definitivamente l’isola.
Prima spedizione di Comita III d’Arborea nel giudicato di Torres Nel 1131
Comita III cercò di invadere e conqui-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Battaglie combattute in Sardegna
stare la parte del giudicato settentrionale, ma le sue truppe furono fermate
nel Logudoro entro il 1133.
Seconda spedizione di Comita III in Logudoro Intrapresa nel 1138, permise al
giudice di occupare una parte del Marghine ma fu scomunicato e morı̀ nel
1146 prima che la campagna fosse finita.
Spedizione di Barisone I re di Sardegna
in Logudoro Nel 1163 il giudice arborense condusse una campagna contro
Barisone II di Torres. Le sue truppe,
però, furono fermate quasi subito e la
spedizione fallı̀ sin dalle prime battute.
Battaglia del castello del Goceano
Combattuta nel 1194 attorno al castello
di Burgos da Guglielmo I di Lacon
Massa, giudice di Cagliari, e le truppe
di Costantino II di Torres, che furono
sconfitte. Il castello fu conquistato e
Prunisinda, moglie del giudice turritano, fu fatta prigioniera dal vincitore.
Prima battaglia di Santa Igia Si svolse
nel 1196, quando una flotta genovese,
penetrata nel golfo di Cagliari, assalı̀
Santa Igia e la espugnò; subito dopo,
però, i Genovesi lasciarono la Sardegna e Santa Igia tornò nelle mani di Guglielmo, che riprese l’offensiva in Arborea conquistando Oristano nel 1198.
Conquista di Cagliari Nel 1215 Ubaldo
Visconti condusse una spedizione contro Cagliari e costrinse la giudicessa
Benedetta a cedere la rocca del castello al Comune di Pisa.
Battaglia di Noracalbo Fu combattuta
nel 1219 tra le truppe dei Visconti e
quelle di Mariano di Torres che erano
penetrate nel giudicato di Cagliari per
soccorrere la giudicessa Benedetta. Le
truppe turritane furono pesantemente
sconfitte.
Seconda battaglia di Santa Igia Fu
combattuta tra il giudice Chiano di Cagliari e un contingente di truppe pi-
sane mandato in Sardegna a ristabilire
l’egemonia sull’isola. La battaglia si
svolse nell’ottobre 1256 e lo stesso giudice vi morı̀ combattendo valorosamente.
Assedio e distruzione di Santa Igia Nel
1257 contro il giudice di Cagliari Guglielmo III Cepola venne organizzata
una spedizione pisana guidata dalle famiglie del Comune dell’Arno interessate a espandersi nell’isola, i Capraia,
i Visconti e i Della Gherardesca. Il giudice morı̀ in battaglia e la città fu conquistata e distrutta; l’episodio segnò la
fine del giudicato di Cagliari.
Battaglia di Iglesias Nel 1294, quando
il contingente di truppe del conte
Guelfo della Gherardesca, che aveva
preso possesso dei territori toccatigli
in seguito alla divisione del giudicato
di Cagliari, entrò in lite con il Comune
di Pisa e attaccò Mariano III d’Arborea
che lo aveva sostenuto. Il conte Guelfo
fu sconfitto e costretto a cedere al Comune tutti i territori che possedeva in
Sardegna.
Prima battaglia di Sanluri Fu combattuta il 13 aprile 1323 tra le truppe del
giudice Ugone II d’Arborea e le truppe
del Comune di Pisa nella piana di Sanluri nella fase iniziale della guerra di
conquista aragonese. Le truppe giudicali sconfissero duramente quelle pisane e dilagarono nel Campidano di
Cagliari. La battaglia accelerò l’arrivo
della spedizione aragonese in Sardegna.
Sbarco aragonese in Sardegna e assedio
di Iglesias Lo sbarco dell’esercito aragonese di invasione, comandato dall’infante Alfonso, figlio di Giacomo II
d’Aragona, fu effettuato il 31 maggio
1323 sulla spiaggia di Canyelles nella
Sardegna sud-occidentale, nei pressi
del golfo di Palmas. Mentre il contingente aragonese poneva l’assedio a
Villa di Chiesa (Iglesias), che cadde
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Battaglie combattute in Sardegna
per fame il 7 febbraio 1324, la flotta
proseguı̀ verso il golfo di Cagliari, attestandosi sul colle di Bonaria.
Battaglia di Lutocisterna Fu la battaglia che segnò la svolta decisiva nella
guerra di conquista della Sardegna intrapresa dagli Aragonesi. Si svolse il 29
febbraio 1324 nelle vicinanze dello stagno di Santa Gilla tra i catalano-aragonesi dell’infante Alfonso e le truppe
del corpo di spedizione pisano appena
sbarcate e dirette a Cagliari per soccorrere gli assediati. Fu uno scontro
cruento: lo stesso infante, disarcionato
e salvato dal valore di un Santa Pau e di
un Cervellon, continuò a combattere
con grande determinazione per impedire che il vessillo aragonese cadesse
in mano ai nemici. L’esito della battaglia fu deciso dagli almogavers che
muovendosi con agilità sul terreno paludoso riuscirono a bloccare l’impeto
dei cavalieri pisani, molti dei quali furono sospinti nella zona della palude
dove trovarono morte orribile. I Pisani
superstiti, sconfitti, riuscirono a fatica
a guadagnare il castello dal quale nessuno aveva potuto muoversi a causa
del blocco messo dall’ammiraglio Carroz.
Battaglia di Monreale Fu combattuta
tra le truppe dell’infante Alfonso e
quelle dei difensori Pisani di Cagliari,
comandate da Manfredi Della Gherardesca. Si svolse il 28 aprile 1324 nella
piana che si stende tra il castello e il
colle di Monreale Bonaria, dove era
stato posto l’accampamento dell’infante. Lo scontro fu provocato da una
sortita dei Pisani che, avendo notato
che le porte dell’accampamento reale
sul colle di Bonaria erano aperte, uscirono dal castello al galoppo nel tentativo di sorprendere i nemici, ma furono
fermati e sconfitti dall’infante che, accortosi del pericolo, non si fece trovare
impreparato. Manfredi morı̀ per le fe-
rite riportate nello scontro. L’assedio
di Cagliari continuò e i Pisani furono
costretti a sottoscrivere la pace con gli
Aragonesi il 19 giugno 1324.
Battaglia del golfo di Cagliari Riprese
le ostilità tra Aragonesi, Doria e Pisa,
la battaglia navale del golfo di Cagliari
tra la flotta aragonese e la flotta genovese venuta a soccorrere i Pisani asserragliati nel castello fu combattuta il 24
dicembre 1325. La flotta genovese fu
sconfitta e gli Aragonesi cinsero d’assedio Cagliari per la seconda volta.
Dopo pochi mesi Lapola e Stampace
caddero e il 26 aprile 1326 fu stipulata
la pace definitiva tra Pisa e il re d’Aragona.
Battaglia di Ardara Fu combattuta il 5
novembre 1334 di fronte al castello di
Ardara tra le truppe dei Doria comandate da Brancaleone e le truppe catalane comandate da Raimondo Cardona. Lo scontro è riconducibile alla
guerra combattuta tra Genova e Aragona tra il 1330 e il 1336 per il controllo
del Mediterraneo occidentale, della
quale uno dei teatri fu appunto la Sardegna nord-occidentale. Allo scoppio
della guerra i Doria si ribellarono per
la seconda volta e ripresero a combattere contro gli Aragonesi; i territori del
loro piccolo stato furono invasi dalle
truppe comandate da Raimondo Cardona, che riuscirono a conquistare alcune piazzeforti doriane tra cui Sorres.
La battaglia, che fu combattuta proprio
quando Brancaleone tentò di riconquistare il perduto castello, si tradusse in
una dura sconfitta per i Doria: in essa
trovarono la morte parecchi personaggi, tra cui il fuoruscito sassarese
Pietro Tola. Ebbe come conseguenza
la resa del castello di Ardara.
Battaglia di Aidu ’e Turdu Il combattimento si inquadra nel contesto della
cosiddetta terza ribellione dei Doria
contro Aragona, dopo che le trattative
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Battaglie combattute in Sardegna
con Pietro IV per la vendita del loro
stato ai nuovi conquistatori dell’isola
erano giunte a un punto morto. Il conflitto ebbe come teatro i territori dello
stato doriano e i territori extragiudicali, il cui possesso era disputato tra
Doria, Arborea e Aragona. La battaglia
si svolse nell’agosto del 1347 nella omonima località conosciuta anche come
Aidu de Tidu; il toponimo Aidu ’e Turdu
si riferirebbe a un ‘‘passo dei tordi’’ posto sull’itinerario delle loro migrazioni. La località non è stata mai ben
precisamente identificata, ma si pensa
che si trovasse nelle campagne tra Bonorva e la piana sottostante. Qui si affrontarono le truppe dei Doria e le
truppe catalane, che furono duramente sconfitte. Dal racconto della
battaglia fatto dallo Zurita sembrerebbe che i Doria avessero teso un’imboscata alle colonne aragonesi approfittando della natura dei luoghi, intercettando cosı̀ di sorpresa l’esercito catalano che si dirigeva verso Sassari.
Nello scontro morirono Monico e Gherardo Cervellon, figli del governatore
della Sardegna Guglielmo, il quale a
sua volta morı̀ poco dopo per il dolore.
Battaglia di Quartu Fu combattuta
nell’ambito della prima guerra tra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona. Le truppe giudicali e quelle aragonesi si affrontarono nelle campagne
tra Quartu e Selargius. Lo scontro avvenne il 7 ottobre 1353: le truppe aragonesi erano guidate da Bernardo Cabrera e da Berengario Carroz, e si concluse con una grave sconfitta delle
truppe di Mariano IV, che in conseguenza furono costrette a ripiegare su
Sanluri.
Battaglia di Porto Conte Battaglia navale, fu combattuta nel contesto della
guerra tra Genova e Aragona per il controllo del Mediterraneo occidentale,
che ebbe la Sardegna tra i teatri princi-
pali, anche per la presenza dei Doria,
alleati di Genova. Lo scontro avvenne
il 25 luglio 1353 nella rada di Porto
Conte, di fronte ad Alghero, tra la flotta
aragonese, comandata da Bernardo
Cabrera, e la flotta genovese; obiettivo
dei contendenti era ottenere il controllo di Alghero. Si concluse con una
grave sconfitta genovese, che ebbe
come conseguenza la consegna di Alghero al re d’Aragona.
Battaglia di Oristano Detta anche di
Sant’Anna, fu combattuta nella omonima località presso Oristano alla fine
di maggio del 1368, nel quadro del secondo conflitto fra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona, tra le truppe
giudicali e le truppe aragonesi. Per fermare la dilagante avanzata delle
truppe giudicali era giunto in Sardegna un forte contingente di truppe al
comando di Pietro de Luna che immediatamente aveva cominciato ad avanzare minaccioso su Oristano dove si
erano chiuse le truppe arborensi. Mentre le truppe reali si disponevano per
l’assedio della città, le truppe di Mariano IV, durante la notte, uscirono
dalla città e accerchiarono i nemici.
La battaglia che ne seguı̀ fu cruenta:
gli Aragonesi furono sconfitti e lo
stesso De Luna perse la vita nello scontro unitamente a molti altri nobili.
Battaglia dell’Asinara Fu una battaglia navale combattuta tra una flotta
aragonese e una flotta genovese alla
fine di maggio del 1409, poco prima
della battaglia di Sanluri (vedi qui
sotto). Lo scontro si inquadra nella
fase finale della guerra tra Aragona e
Arborea per il controllo della Sardegna; dopo lo sbarco di Martino il Giovane a Cagliari, una flotta catalana al
comando di Giovanni di Santa Coloma,
che era stata inviata a presidiare i mari
del nord dell’isola, a causa di una bufera si rifugiò in una rada dell’isola
476
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 484
Battaglie combattute in Sardegna
dell’Asinara e casualmente avvistò la
flotta genovese che era comandata dall’ammiraglio Guglielmo Mollo. Le navi
genovesi, che procedevano senza alcuna misura di vigilanza, erano dirette
a Oristano per portare aiuto al giudice
Guglielmo di Narbona: assalite a sorpresa dalle navi catalane, furono disperse e duramente sconfitte. Nell’occasione molti marinai morirono e i prigionieri furono portati al Castello di
Cagliari.
Seconda battaglia di Sanluri È la battaglia decisiva per la storia della Sardegna moderna. Fu combattuta il 30
giugno 1409 tra le truppe del re Martino il Giovane e le truppe del giudice
d’Arborea Guglielmo di Narbona nella
piana di Sanluri in località Su bocidroxiu. Fu uno scontro durissimo, che
dopo fasi alterne si concluse con la ritirata dei sardi verso Oristano. Il borgo
di Sanluri fu di conseguenza preso dagli Aragonesi e i suoi abitanti passati a
fil di spada. Lo scontro, che militarmente non poteva ritenersi conclusivo,
ebbe però effetti decisivi sull’assetto
del giudicato e contribuı̀ a determinarne rapidamente la fine.
Battaglia di Uras Fu combattuta il 14
aprile 1470 tra le truppe regie comandate da Nicolò Carroz e quelle del marchese di Oristano Leonardo Alagon in
territorio di Uras. Lo scontro segnò l’inizio di lunghi anni di lotte tra Alagon e
Carroz a causa della successione nel
marchesato di Oristano. Vi furono
usate per la prima volta le artiglierie e
si concluse con la vittoria del marchese
di Oristano.
Battaglia di Mores Fu combattuta nell’ambito della guerra tra il marchese
d’Oristano Leonardo Alagon e Nicolò
Carroz. Si svolse il 29 gennaio 1478 tra
i soldati guidati da Artale Alagon e Giovanni De Sena che muovevano alla conquista del castello di Ardara e le
truppe sassaresi fedeli al re guidate
da Angelo Marongio. Gli assalitori furono intercettati nelle campagne di
Mores e duramente sconfitti.
Battaglia di Macomer Fu la battaglia
decisiva del conflitto tra Leonardo Alagon e gli Aragonesi. Dello scontro si ha
una relazione scritta da Bartolomeo de
Gerp, che ne fu testimone oculare: fu
decisa dalle abili mosse che Nicolò
Carroz fece compiere al proprio esercito nei giorni che precedettero lo
scontro. Infatti quando la mattina del
19 maggio 1478 i due eserciti si affrontarono in uno scontro campale, grazie a
questi movimenti preliminari l’esercito reale si trovò schierato in posizione più favorevole. Il combattimento
fu aspro e cruento, e al termine Leonardo Alagon, sconfitto, fu costretto a
fuggire, imbarcandosi a Bosa su una
nave che doveva portare in salvo lui,
suo fratello e i suoi figli. Tradito dal
comandante della nave e consegnato
agli Aragonesi, fu condotto in Spagna
e tenuto prigioniero nel castello di Xàtiva, nella regione di Valencia, dove sarebbe morto sedici anni dopo.
Battaglia di Sassari Durante la guerra
tra Carlo V di Spagna e Francesco I di
Francia un contingente di truppe francesi guidate da Andrea Doria e Renzo
Orsini, partite dalla Toscana nell’ottobre del 1527, sbarcò in Sardegna e dopo
aver vanamente assediato Castellaragonese e distrutto Sorso, il 30 dicembre
riuscı̀ a conquistare Sassari e a saccheggiarla. Gli invasori furono costretti a lasciare la città il 26 gennaio
1528 per il sopraggiungere dei soccorsi
(è tradizione che i soldati spagnoli ‘‘liberatori’’ avessero causato alle case e
alle persone più danni di quanti ne
avevano fatto gli occupanti nemici).
Battaglia di Oristano Durante la
Guerra dei Trent’anni, nel febbraio
1637, una flotta francese al comando
477
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 485
Battaglie combattute in Sardegna
del conte d’Harcourt e dell’arcivescovo di Bordeaux sbarcò sulle spiagge
del golfo di Oristano e riuscı̀ a conquistare e saccheggiare la città. Gli invasori furono intercettati e, sconfitti
dalle truppe accorse in aiuto della città
pochi giorni dopo, costretti a reimbarcarsi precipitosamente, subendo notevoli perdite.
Battaglia di Cagliari Durante la
guerra di successione spagnola (17001714), nell’agosto del 1708 una flotta anglo-olandese, dopo aver cannoneggiato pesantemente Cagliari, operò
uno sbarco di truppe che costrinsero i
difensori alla resa; in breve tempo l’isola passò a Carlo III d’Asburgo.
Battaglia di San Simplicio Nel corso
della spedizione che avrebbe dovuto liberare la Sardegna da Carlo III, organizzata nel 1710 dai fuorusciti sardi a
Madrid, un contingente sbarcato a Terranova (l’attuale Olbia) fu sconfitto
dalle forze inglesi presso la chiesa di
San Simplicio.
Spedizione dell’Alberoni Lo sbarco
delle forze di invasione, predisposte
dal cardinale Alberoni per riconquistare la Sardegna e restituirla a Filippo
V, ebbe inizio il 20 agosto 1717 e in poco
tempo raggiunse i suoi obiettivi.
Battaglia del golfo di Cagliari Nel quadro del progetto di occupazione della
Sardegna elaborato da Antonio Costantini e dal Saliceti, deputati alla Costituente francese, nella primavera del
1792, quando sulla scia dei successi militari ottenuti dalle truppe rivoluzionarie in Piemonte sembrò facile conquistare l’isola, furono progettate due distinte operazioni. La prima fu affidata
all’ammiraglio Truguet-Tréville che,
radunata una potente flotta a Tolone,
dopo aver imbarcato un corpo di spedizione salpò agli inizi di dicembre diretto verso la Sardegna. Ad attendere
gli invasori erano le difese rapida-
mente predisposte dagli Stamenti
sardi, immediatamente auto-convocatisi per l’occasione; il nerbo delle
truppe era rappresentato da fanteria e
da cavalleria locali delle formazioni
‘‘miliziane’’, che man mano affluivano
verso la Sardegna meridionale. Le navi
francesi arrivarono in Sardegna a fine
dicembre 1792 e il 29 dicembre sette
navi entrarono nella rada di Cagliari,
ma furono respinte dai cannoni di Sant’Elia. Allora la flotta si concentrò nel
golfo di Palmas e l’8 gennaio 1793
truppe da sbarco occuparono le isole
di San Pietro e Sant’Antioco. Dopo questo facile successo la caduta dell’isola
sembrò imminente; il 22 gennaio la
flotta si presentò nuovamente nelle acque del golfo di Cagliari e si schierò in
ordine di battaglia, mentre a terra si
intensificavano i preparativi di difesa.
Il 28 e il 29 gennaio la flotta operò un
primo bombardamento che provocò
molti danni ai fabbricati della Marina
e alle strutture portuali, ma anche i
cannoni dei forti colpirono ripetutamente gli assalitori. Il 14 febbraio fu
effettuato un secondo e più massiccio
bombardamento, e furono fatte sbarcare le truppe d’invasione lungo il litorale di Quartu e fatte avanzare nel territorio paludoso delle saline del Molentargius. Gli invasori finirono proprio di fronte alle truppe sarde disposte sul terreno che non consentiva
grandi movimenti, la disperata resistenza li fermò e dopo alcuni giorni li
costrinse a retrocedere sulla spiaggia.
Qui il 19 febbraio furono assaliti da un
corpo di miliziani a cavallo e clamorosamente sconfitti. Questo scontro finale, in cui i sardi furono agevolati anche dalla conoscenza del terreno (mentre i francesi, costretti a spostarsi al
buio, si trovarono a sparare alla cieca
o addirittura a danneggiarsi reciprocamente), è conosciuto anche come Bat-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 486
Battelli
taglia di Quartu o Battaglia di Sant
Lluc, dalla presenza di una chiesetta
dedicata a San Luca nella breve piana
alle spalle della spiaggia del Poetto.
Battaglia di La Maddalena Un secondo
tentativo di sbarco da parte di un corpo
di spedizione francese fu compiuto nel
quadro del progetto di occupazione
della Sardegna elaborato dal Costantini e dal Saliceti. Quando, sulla scia
dei successi militari ottenuti dalle
truppe rivoluzionarie in Piemonte,
sembrò facile conquistare l’isola, il
progetto prese corpo, seppure la sua
realizzazione si sia rivelata molto approssimativa. Il corpo di spedizione
formato in Corsica era di ridottissime
dimensioni per numero di navi e di uomini (in genere volontari di Marsiglia
liberati dalle carceri in cambio dell’arruolamento). Era comandato da Pietro
Colonna Cesari e tra i suoi ufficiali
aveva il giovane Napoleone Bonaparte,
appena ventitreenne, che comandava
l’artiglieria. Lo sbarco fu preparato, il
20 febbraio 1793, da un violento bombardamento che però non piegò la resistenza dei maddalenini e delle poche
truppe disponibili. Lo sbarco cominciò
il 24, ma le truppe miliziane sarde guidate da Giacomo Manca di Thiesi, grazie anche a un’intelligente iniziativa
del capo nocchiero Domenico Millelire, inflissero una grave sconfitta ai
Franco-corsi.
Battaglia di capo Malfatano Fu una
battaglia navale che si svolse il 28 luglio 1811 a sud-ovest del capo tra alcune navi della Marina sarda e tre
navi di corsari barbareschi. Lo scontro
fu fortuito, perché le navi barbaresche
erano reduci dall’aver attaccato e depredato una nave cristiana. Nello scontro, grazie all’ardimento di Vittorio
Porcile, le navi sarde ebbero la meglio:
due delle navi corsare furono catturate.
Battaglia di La Maddalena Fu combattuta il 13 settembre 1943 tra un gruppo
di soldati, marinai e Carabinieri italiani e truppe tedesche all’atto dell’esodo del contingente tedesco dalla Sardegna. Come è noto, dopo l’8 settembre
il comandante militare italiano e
quello tedesco si erano accordati per
lo sgombero pacifico della Sardegna;
l’episodio fu breve ma cruento (si registrarono 24 morti fra gli italiani e 8 tra i
tedeschi). Tra i morti italiani ci fu anche il capitano di vascello Carlo Avegno che aveva organizzato la ribellione
contro gli occupanti (già comandante
dell’Accademia navale di Livorno, gli
fu conferita la medaglia d’oro al V.M.
alla memoria). La battaglia di La Maddalena è uno dei primi episodi della
Resistenza italiana.
Battelli, Alcibiade Sindacalista (Gemmano 1875-?, dopo 1929). Emigrato da
giovane in Sudamerica, dove fece le
sue prime esperienze di giornalista e
si avvicinò al socialismo, nel 1903
giunse in Sardegna come segretario
della Lega di Resistenza fra i minatori
di Buggerru. In realtà operò in tutto il
bacino minerario, dove lavorò anche
tra il 1909 e il 1914, dopo una parentesi
a Porto Recanati. Nel 1914 divenne sindaco di Fluminimaggiore. Nel 1920
guidò i minatori sino a raggiungere un
vantaggioso accordo con le società minerarie. Fra i massimi esponenti del
sindacalismo riformista, adottò nei
confronti dei primi episodi di squadrismo fascista nell’Iglesiente un atteggiamento moderato e legalitario. Tornato sulla penisola, nel 1924 aderı̀ al
movimento socialista nazionale della
‘‘Gironda’’, che raccoglieva elementi
di varia provenienza ideologica, fiancheggiatori del fascismo. Nel 1927 viveva a Torino, iscritto al PNF e impiegato presso l’Alleanza cooperativa torinese. Tra i suoi articoli, alcuni pubbli-
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Battolu
cati sull’‘‘Unione sarda’’ fanno riferimento alle sue esperienze sindacali:
Nelle miniere dell’Iglesiente, 1906; Dopo
cinque anni intorno all’inchiesta sui minatori sardi, 1911; La vertenza dei battellieri di Carloforte, 1912; Miniere e minatori, 1913.
Battolu, Giovanni Operaio, consigliere
regionale (n. Oristano 1939). Militante
del PCI, è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di
Oristano per l’VIII legislatura (19791984). Successivamente non è stato riconfermato.
Batzella, Alan Naturalista (n. Cagliari
1947). Laureato in Architettura presso
l’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma, è
membro del direttivo regionale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e fa
parte del gruppo che si occupa della
progettazione del Parco del Gennargentu. Interessato alle tematiche ambientali, è stato per alcuni anni presidente del WWF Sardegna. Ha pubblicato: Baunei. Analisi e pianificazione di
un territorio di rilevante interesse ambientale 1998; Baunei selvaggia, 2000.
Batzone Famiglia sassarese (sec. XV).
Le sue notizie risalgono al secolo XV,
quando godeva di una discreta posizione sociale. Nel 1452 ottenne il cavalierato ereditario con un Giovanni.
Presumibilmente si estinse entro la
fine del secolo.
Bau de Cannas Antico villaggio di origine medioevale che faceva parte del
giudicato di Cagliari, compreso nella
curatoria di Sols. Sorgeva a est di Narcao alla confluenza dei torrenti Canne
e Canneddu. Nel 1070 il villaggio fu donato dal giudice Orzocco I all’archidiocesi di Cagliari, che probabilmente in
seguito ne perse la disponibilità; cosı̀
entrò a far parte dei possedimenti dei
De Açen. Quando però ebbe termine il
giudicato di Cagliari, nella divisione
del 1258 fu compreso nel terzo toccato
ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia, poco tempo dopo, procedettero a
un’altra divisione tra loro. B. de C. fu
allora attribuito al ramo del conte Gherardo; la sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a
eleggere annualmente il majore e, nel
complesso, condussero una vita tranquilla. Con l’arrivo degli Aragonesi,
nel 1324 entrò a far parte del Regnum
Sardiniae, ma i Della Gherardesca ne
furono investiti e continuarono a possederlo, anche se, nei decenni successivi, i loro rapporti con gli abitanti di B.
de C. diventarono tesi. La popolazione
del villaggio nel 1348 fu decimata dalla
peste e i feudatari ne persero la disponibilità nel corso della prima guerra
tra Mariano IV e Pietro IV quando,
dopo la condanna per fellonia del
conte Gherardo, fu sequestrato e concesso ad Alibrando de Açen che lo unı̀
ai suoi possedimenti. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro
IV, dopo la ribellione di Alibrando e di
suo figlio il villaggio fu sequestrato, ma
occupato dalle truppe arborensi cominciò a spopolarsi.
Baudi di Vesme, Benedetto Storico e
genealogista (Torino 1858-ivi 1919). Appartenente a un’antica famiglia feudale, si laureò in Ingegneria ma dopo
alcuni anni lasciò la sua professione
per dedicarsi alle ricerche di storia
medioevale, mostrando di possedere
una grande preparazione. Approfondı̀
in particolare gli studi genealogici.
Morı̀ nella sua città alla soglia dei sessant’anni. Tra i suoi scritti: Diplomi
sardi dell’arcivescovado di Cagliari,
‘‘Bollettino storico bibliografico subalpino’’, V-VI, 3, 1901; Diplomi sardi dell’arcivescovado di Cagliari, ‘‘Bollettino
storico bibliografico subalpino’’, V-VI,
4-5, 1901; Guglielmo di Cagliari e l’Arborea, ‘‘Archivio storico sardo’’, I, 1, 1905.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baudi di Vesme
Baudi di Vesme, Carlo Storico, uomo
politico (Cuneo 1809-Torino 1877). Deputato al Parlamento subalpino e senatore. Zio di Benedetto, si interessò anche lui degli studi di storia medioevale. Nel 1835 entrò a far parte della
Deputazione di Storia patria di Torino
e nel 1837, quando la sua fama di studioso era consolidata, dell’Accademia
delle Scienze. Negli stessi anni, trasferitosi in Sardegna, si interessò a fondo
del problema delle miniere sarde e diresse una grande azienda agricola che
aveva acquistato presso Serramanna.
Nel 1848 fu eletto deputato nel collegio
di Iglesias per la I legislatura, e ancora
rieletto per la III; nel 1850 fu nominato
senatore per meriti scientifici. Intanto
i suoi interessi per gli studi di storia lo
avevano condotto a occuparsi di storia
sarda; nel 1853, incaricato dall’Accademia delle Scienze di Torino di verificare l’autenticità del Ritmo di Gialeto,
finı̀ per convincersi dell’autenticità
delle Carte d’Arborea. Nonostante la
sua polemica col Mommsen e la commissione che aveva esaminato le carte,
nel 1874 fu nominato socio dell’Accademia delle Scienze di Berlino. Nello
stesso periodo divenne comproprietario della miniera di Monteponi che diresse con perizia. La sua opera principale sono le Considerazioni politiche ed
economiche sulla Sardegna, 1848. Come
ha scritto Maria Luisa De Felice, curandone la riedizione per la nuorese
Ilisso (2004), le Considerazioni, che
erano state commissionate a B. di V. da
Carlo Alberto quando l’abolizione del
Ministero per gli Affari di Sardegna (ottobre 1847) «rese palese l’intenzione
più volte enunciata di governare la
Sardegna nella stessa forma e con le
stesse leggi ‘‘del continente’’», nacquero «in un momento politico-istituzionale assai delicato»: B. di V., «persuaso della indifferibile unione tra le
due parti del Regno», intendeva «fornire al sovrano gli elementi più utili a
realizzare un programma di governo
che considerasse la ‘‘fusione perfetta’’,
l’accantonamento dei retaggi feudali e
l’introduzione di eventuali riforme
quali incentivi per il progresso economico dell’isola». Per questo fece seguire all’opera, una volta decisa la ‘‘fusione’’, una Appendice datata 22 gennaio 1848 che approfondiva l’esame di
alcune delle questioni già trattate. L’altra sua opera importante è l’edizione
del Breve di Villa di Chiesa, «lo statuto
cittadino redatto dai Pisani e mantenuto in vigore dai catalano-aragonesi
e dagli spagnoli» che lo stesso B. di V.
aveva scoperto nell’Archivio del Comune di Iglesias, «cogliendone subito
l’importanza per lo studio delle norme
che regolavano la vita cittadina e lo
sfruttamento dei filoni piombo-argentiferi». Del Breve, contenuto nel Codex
diplomaticus Ecclesiensis, pubblicato
postumo nel 1877, è stata edita di recente una ristampa (con introduzione
di Barbara Fois, 1997). Tra gli altri suoi
scritti: Contribuzioni regie, decime e
strade, 1849; Agli elettori delle provincie
di Sassari e di Iglesias, 1849; Rapporto
della Giunta accademica intorno alla
pergamena sarda contenente un ritmo
storico della fine del VII secolo, ‘‘Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino’’, II, XV, 1855; Codice d’Arborea donato alla Biblioteca universitaria dal
maggiore Cesare Guarnieri, 1864; Cenni
biografici sul comm. Pietro Martini,
‘‘Atti della Regia Accademia delle
Scienze di Torino’’, I, 1866; Tavola di
bronzo trovata in Esterzili illustrata dal
comm. Giovanni Spano, ‘‘Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino’’,
XXV, 2, 1867; Nuove notizie intorno a
Gherardo da Firenze e Aldobrando di
Siena e osservazioni intorno alla sincerità delle carte d’Arborea, 1869; Osserva-
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Baudi di Vesme
zioni intorno alla relazione sulla sincerità dei manoscritti d’Arborea pubblicata negli Atti della R. Accademia delle
Scienze di Berlino, ‘‘Archivio storico italiano’’, XII, 1870; Intorno ad una canzone e ad un sonetto italiani del secolo
XII e ad una canzone sarda tratti dalle
carte d’Arborea, 1870; Poscritta prima e
Poscritta seconda alle osservazioni intorno alla relazione sulla sincerità dei
manoscritti di Arborea, ‘‘Archivio storico italiano’’, III, XIV, 1871; Memoriale
presentato al prefetto della provincia di
Cagliari dalla Società Monteponi relativamente al diritto di questa alla concessione della miniera di calamina di Monteponi, 1875.
sud con Solarussa, a ovest con Tramatza. La parte pianeggiante è tra le
più adatte in Sardegna per l’agricoltura, mentre la parte collinare viene
utilizzata prevalentemente per il pascolo. A breve distanza dall’abitato
scorre il rio Cispiri che, una volta unitosi al Riu di Mare Foghe, va a sboccare
nello stagno di Cabras. B. si trova a brevissima distanza dalla superstrada Cagliari-Sassari, e dispone a poche centinaia di metri di una stazione ferroviaria collocata lungo la linea CagliariMacomer.
Baudi di Vesme, Luisa Giornalista
(Torino, sec. XX-?). Appartenente alla
stessa famiglia degli altri Baudi di Vesme, collaborò a molti periodici, impegnandosi particolarmente nelle problematiche della condizione femminile. Particolarmente interessata alla
Sardegna, se ne occupò in diverse occasioni, come dimostrano i suoi articoli pubblicati sull’‘‘Unione sarda’’:
Maria Teresa II regina di Sardegna,
1929; Un quadro che interessa la Sardegna, 1934; Il Cardinale Amat e i Borboni
di Parma, 1935; Un cardinale sardo legato pontificio nel ’48, 1935; Lettere di
Carlo Alberto sul suo viaggio in Sardegna, 1939.
Bauladu – Anche la solitaria campagna di
Bauladu, all’inizio della pianura dei
Campidani, è punteggiata di nuraghi.
Bauladu Comune della provincia di
Oristano, incluso nel Comprensorio n.
16, con 729 abitanti (al 2004), posto a 38
m sul livello del mare al confine tra il
Campidano e le prime propaggini delle
alture dell’Alto Oristanese. Regione
storica: Campidano di Milis. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 24,21 km 2 : ha forma
grosso modo rettangolare e confina a
nord con Milis, Bonarcado e Paulilatino, a est ancora con Paulilatino, a
& STORIA L’attuale villaggio è di origine medioevale, apparteneva al giudicato d’Arborea ed era compreso nella
curatoria del Campidano di Milis. Probabilmente era un centro il cui sviluppo fu legato alla grande abbazia di
Santa Maria di Bonarcado; nel secolo
XII fu infatti compreso nella donazione che il giudice fece alla comunità
di Camaldolesi che la gestiva. Perciò
essi sistemarono sul rio Zenu, che
scende dalle montagne di Santu Lus-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 490
Bauladu
surgiu ed era pescosissimo, una peschiera fluviale e vi impiantarono fiorenti vigne e orti. Caduto il giudicato
B., che contava poco più di 100 abitanti,
fu incluso nel 1410 nel nucleo originario del marchesato d’Oristano. Dopo
che il marchesato fu confiscato a Leonardo Alagon, dal 1479 il villaggio non
fu più infeudato fino al secolo XVIII.
Godette di una relativa tranquillità e
divenne centro di produzione vinicola,
in particolare, a partire dal XVII, della
Vernaccia. Nel corso del secolo perse
però una parte della popolazione a
causa della peste e il suo territorio
non più coltivato si coprı̀ di boschi e di
radure. Nel 1767 B., che non contava
più di 200 abitanti, con tutti gli altri villaggi dei Campidani di Oristano tornò
suo malgrado sotto un feudatario: le
sue rendite civili furono concesse a Damiano Nurra (= Nurra3 ) col titolo di
marchese d’Arcais. I suoi abitanti tentarono da allora in poi di liberarsi dal
vincolo con ogni mezzo e il loro rapporto col feudatario, nel quale erano
sostenuti dal Consiglio comunitativo,
fu duro e difficile. Addirittura nel 1796
si rifiutarono di pagare i tributi feudali
e il marchese dovette ricorrere alla
forza per far valere i propri diritti. Intanto il feudo nel 1806 fu ereditato dai
Flores d’Arcais; nel 1821 il villaggio fu
incluso nella provincia di Oristano e
nel 1838 fu riscattato ai suoi feudatari.
In questo periodo Vittorio Angius scriveva: «Si numerano all’anno 6 matrimoni, 25 nascite e 18 morti. Vivesi d’ordinario sino alli 50, e si suol soccombere per le febbri perniciose, e infiammazioni. Nell’anno 1800 le famiglie
sommavano a 105, le anime a 315. Nel
1826 il numero delle prime era 102,
delle seconde 373. Nel 1833 si ebbero i
seguenti numeri: famiglie 125, anime
525. Le terre sono attissime alla coltivazione del frumento, meliga, cotone,
patate, e potrebbero alcuni piani pantanosi diventar buoni risieri, se più
non giovasse dare scolo alle acque per
iscemare la malignità dell’aria, ed
esercitarvi altra coltura. La seminagione spende starelli di grano 900,
d’orzo 200, di fave 50, di meliga 20, di
fagioli 10, di lino 70. Ad eccezione delle
lattucche, cipolle e carcioffi, non coltivansi altre erbe e piante ortensi. Mancavano prima del 1828 le vigne. Ora non
sono che cinque, ma senza dubbio in
breve cresceranno a maggior numero,
mentre già si conosce che il terreno
ama questa specie. È da essere ammirato il vigore della vegetazione, vedendovisi dei tralci usciti da piante novelle protendersi oltre 4 m. I vini non
sono di minor bontà di quei che producon l’uve dei paesi a ponente, celebri
per questo genere; e se provvedasi con
metodi migliori, essendo la natura del
suolo, senza contrasto, più idonea a
questa coltivazione, potranno allora vivere nella concorrenza». Abolita nel
1848 la provincia, B. fu incluso nella
divisione amministrativa di Oristano,
nella quale rimase fino al 1859; negli
stessi anni la sua agricoltura fu rilanciata mediante lo sviluppo dell’olivicoltura e la reintroduzione della viticoltura. Nel 1859 entrò a far parte della
provincia di Cagliari. Nel 1927 perse
l’autonomia e fu aggregato come frazione a Milis; riuscı̀ a tornare comune
autonomo solo nel 1946; nel 1974 tornò
a far parte della provincia di Oristano.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e sull’allevamento
del bestiame; si coltivano soprattutto
cereali, ma verso il confine col territorio di Milis sono stati impiantati agrumeti e vigne. Vi operano anche alcune
modeste attività commerciali e imprenditoriali. Da qualche anno vi si
sta sviluppando l’agriturismo che dispone di 4 impianti con 30 posti letto.
483
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bauladu
Il villaggio è anche dotato di un albergo
con 12 posti letto e un ristorante sulla
S.S. 131.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 696 unità,
di cui stranieri 2; maschi 348; femmine
348; famiglie 250. La tendenza complessiva rivelava la stabilità della popolazione, con morti per anno 7 e nati
7; cancellati dall’anagrafe 13 e nuovi
iscritti 12. Tra i principali indicatori
economici: imponibile medio IRPEF
in migliaia di lire 14.019; versamenti
ICI 317; aziende agricole 85; imprese
commerciali 28; esercizi pubblici 6;
sercizi al dettaglio 11. Tra gli indicatori
sociali: occupati 170; disoccupati 23;
inoccupati 38; laureati 4; diplomati
123; con licenza media 192; con licenza
elementare 239; analfabeti 20; automezzi circolanti 209; abbonamenti TV
184.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio era popolato in età nuragica
come dimostrano i numerosi nuraghi
ancora visibili: Ainzu, Attus, Crabia,
Cresia, Maria Ennas, Martinzana, Maschergia, Mascherzedda, Montigu,
Mura Crabas, Mura ’e Sorighes, Mura
Procillis, Murafigus, Oes, Piraula,
Uràsa e Zrighidanu. Di particolare interesse sono il complesso di Zrighidanu, situato nella parte alta del territorio ai confini con quello di Paulilatino: è costituito dal nuraghe omonimo
e da una Tomba di giganti crollata nella
parte anteriore, la cui cella a corridoio
è lunga più di 10 m. Altro sito di grande
interesse è l’allineamento dei nuraghi
della valle di Bauladu che mette in comunicazione il litorale con l’altipiano
di Abbasanta e conserva la maggior
parte delle torri nuragiche erette a
guardia delle vie di accesso che un
tempo la percorrevano; il più imponente tra queste è il nuraghe Crabia, al
cui interno sono di particolare inte-
resse la scala di accesso ai piani superiori e la tholos. Vi è poi la Tomba di
giganti di Muraguada situata nella località omonima, a poca distanza dall’abitato: è costituita da un’esedra larga 8
m, dalla quale attraverso una porta si
accede al corpo della tomba lungo complessivamente 7,5 m e largo quasi 4 m.
Al suo interno si trova la camera funeraria, perfettamente conservata, le cui
mura sono costituite da ortostati su cui
poggiano filari di pietre più piccole. In
periodo romano sorgeva nella zona il
castrum di Turres che faceva parte
della rete difensiva della vallata del
Tirso.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il villaggio conserva nella rete
delle sue strade le tipiche case a corte,
che però si allontanano nelle forme da
quelle del Campidano. L’edificio più
significativo è la chiesa di San Gregorio Magno, costruita nel secolo XII in
forme romaniche; dipendeva dalla
chiesa di Santa Maria di Bonarcado e
aveva annesso un ospizio per Benedettini. In seguito, nel corso del secolo
XVIII, fu completamente ristrutturata;
nel 1792 fu resa autonoma e divenne
chiesa parrocchiale di Bauladu. Vi si
conserva una statua lignea dorata del
secolo XVII attribuita a scuola napoletana.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Un
tempo era radicata la tradizione del
ballo pubblico al suono delle launeddas che si svolgeva in occasione di tutte
le giornate festive all’uscita dalla
messa solenne. Di particolare interesse sono oggi la festa di San Giovanni
Battista, che si svolge il 24 giugno e alla
quale viene da qualche anno abbinata
la sagra della pecora organizzata dai
pastori del territorio, con distribuzione a tutti i presenti della tradizionale pecora bollita; quella di San Lorenzo, che si svolge il 10 agosto presso
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baunei
l’omonima chiesetta alla periferia del
paese, con balli pubblici e canti a chitarra; e quella campestre di Santa Vittoria, 15 maggio, con processione che si
dirige dal paese verso l’omonima
chiesa campestre con la partecipazione di giovani a cavallo che indossano i costumi tradizionali.
Baunei – Sa Perda Longa, ‘‘la pietra lunga’’,
è quasi un emblema della costa e del paesaggio
dell’Ogliastra.
Baunei Comune della provincia dell’Ogliastra, compreso nell’XI Comunità
montana, con 3828 abitanti (al 2004),
posto a 480 m sul livello del mare alle
pendici sud-occidentali di una imponente formazione montuosa conosciuta come Supramonte, che si spinge
fino al litorale con alte falesie. Regione
storica: Ogliastra settentrionale. Diocesi di Lanusei.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 216,45 km2 comprendendo anche la frazione di Santa Maria
Navarrese. Ha forma grosso modo rom-
boidale allungata da nord a sud e confina a nord con Dorgali, a est col mare
Tirreno, a sud con Lotzorai e Triei, a
ovest con Urzulei. Il Supramonte, per
la massima parte calcareo, caratterizza il paesaggio e determina da
tempo la scelta di una economia prevalentemente pastorale, cui si è aggiunta
in questi ultimi decenni l’iniziativa turistica. A ridosso dell’abitato si trova
l’altipiano di Golgo, noto anche per alcuni fenomeni carsici; per il resto le
parti più alte del rilievo, che vanno oltre i 900 m, si alternano alle profonde
vallate scavate dai corsi d’acqua, chiamate códule. Scarse le coltivazioni, il
bosco spontaneo si alterna con quello
di nuovo impianto e con i vastissimi pascoli. Il paese è attraversato dalla statale 125 Orientale sarda dalla quale si
distaccano, oltre alla secondaria per il
vicino paese di Triei, le deviazioni per
le località marine di Santa Maria Navarrese – frazione frequentatissima
nella stagione estiva – e Pedra Longa,
nonché, in corrispondenza dell’abitato, per l’altipiano di Golgo.
& STORIA Il centro attuale è di origine
medioevale: apparteneva al giudicato
di Cagliari ed era compreso nella curatoria di Ogliastra. Quando, nel 1258, il
giudicato fu smembrato B. passò ai Visconti che l’annetterono al giudicato di
Gallura; quando essi si estinsero il villaggio passò sotto il controllo diretto di
Pisa, che lo fece amministrare da propri funzionari in modo fiscale ma rispettando sostanzialmente le antiche
autonomie della comunità. Subito
dopo la conquista B. entrò a far parte
del Regnum Sardiniae. Nel 1325 fu concesso a Berengario I Carroz e costituı̀ il
primo nucleo della contea di Quirra,
che fu formata nel 1363 da Berengario
II Carroz. Nel corso del secolo i suoi
abitanti lottarono duramente assieme
a quelli degli altri villaggi delle monta-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 493
Baunei
gne contro i feudatari e, quando scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e
Pietro IV, si ribellarono apertamente
schierandosi col giudice. In seguito,
nel corso della seconda guerra, nel
1366 il territorio fu occupato dalle
truppe arborensi e di fatto governato
fino al crollo dell’Arborea come se
fosse di appartenenza giudicale. Nel
1410 B., la cui popolazione si aggirava
sulle 300 unità, tornò in mano a Berengario Bertran Carroz, erede degli antichi conti di Quirra. Era oramai inserito
nel grande feudo di Quirra e seppe instaurare un rapporto accettabile col
feudatario che nel 1416 concesse alcuni Capitoli di grazia che sono da considerare il nucleo dei regolamenti dell’Ogliastra. Il felice rapporto con i feudatari consentı̀ di conservare le antiche autonomie e creò le condizioni
per uno sviluppo economico e sociale
della comunità, la cui popolazione,
alla fine del secolo, crebbe sensibilmente arrivando a sfiorare le 400
unità.
Baunei – La chiesetta di San Pietro fu
costruita con le offerte dei pastori nelle vaste
solitudini dell’altipiano di Golgo.
I Bertran Carroz si estinsero nel 1511
con la morte della contessa Violante II,
cosı̀ B. passò ai Centelles. Purtroppo
nel corso del secolo XVI dovette far
fronte a diverse incursioni di pirati
barbareschi; questi, approfittando
della guerra tra Turchia e Spagna, in
più di un’occasione fecero scorrerie;
sbarcavano nella vicina spiaggia di
Santa Maria Navarrese e si inoltravano
nell’interno razziando e catturando diverse persone che riducevano in schiavitù. Nel lungo periodo in cui il villaggio fu amministrato dai Centelles le
condizioni di vita dei suoi abitanti non
furono buone; oltre che disinteressarsi
delle ricorrenti incursioni dei corsari
e degli effetti che provocavano, essi fecero amministrare l’Ogliastra da un regidor e limitarono notevolmente l’autonomia della comunità modificando il
sistema di individuazione del majore,
che cessò di essere elettivo. I Centelles
si estinsero nel 1674 con Gioacchino
che lasciò eredi i Borgia. La successione dei Borgia fu contestata dai Català che, dopo una lunga lite, nel 1726
riuscirono a venirne in possesso. Nel
corso del secolo XVIII la presenza di
alcune torri costiere riuscı̀ a dissuadere i predoni africani dal fare nuove
incursioni e la tranquillità fu finalmente raggiunta. Ma le condizioni di
vita di B. non subirono grandi cambiamenti; il rapporto di dipendenza dal
feudatario si fece molto più tenue, e in
più di un’occasione l’amministrazione
reale, approfittando di questa situazione, pensò di riscattarlo. Frattanto
nel 1766 dai Català il villaggio era passato agli Osorio; oramai la sua popolazione sfiorava i 1300 abitanti e il villaggio cominciò ad assumere un aspetto
ordinato. Nel 1770 Ardali (=) fu aggregato come frazione a B. L’istituzione
del Consiglio comunitativo e del Monte
granatico fecero aumentare l’aspirazione a rompere definitivamente la dipendenza feudale; nel 1821 il villaggio
fu incluso nella provincia di Lanusei e
nel 1840 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi anni Vittorio Angius annotava: «Le abitazioni sono (anno 1833)
350, delle quali nessuna considerevole,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Baunei
e la massima parte cosı̀ meschine, da
doversi più giustamente dir tuguri e
tane, che case. Tra quelli che praticano
i più ordinari e facili mestieri, sono assai numerosi i legnajuoli e segatori,
anzi è questa la principale come la più
lucrosa professione. Dei fabbri ferrai
alcuni attendono a lavorare opere gentili per questo e per altri paesi. Le
donne, quando sono spiccie da altre
più pressanti faccende, siedono a lavorare panno lano e lino ne’ telai, e di
questi se ne annoverano non meno di
300. Vi è stabilito un consiglio composto dalle più probe ed assennate persone per l’amministrazione delle cose
comuni, una giunta sull’azienda agraria o monte di soccorso, e per la istruzione una scuola normale, che frequentasi da circa 15 fanciulli. Rilevasi
dai libri di chiesa che ordinariamente
contraggonsi all’anno 10 matrimoni,
nascono 30 e muojono 20. Nel censimento ecclesiastico del 1826 il totale
delle anime presentavasi nel numero
1347; sette anni dopo le medesime sommavano a 1420, distribuite in 307 famiglie. L’agricoltura, sebbene poco favorita dalla località, potrebbe essere in
miglior grado se si sapesse profittare
di tutti gli spazi che la permettono, e
se una saggia industria si estendesse
ad altri oggetti fuor di quelli a cui si
mira. La seminagione (anno 1833) impiegava soli 300 starelli, dei quali 80 in
grano, 100 in orzo, 50 in fave e cicerchie, ed il restante in lino. La fruttificazione ordinaria ascende al decuplo.
Di lino se ne raccoglie circa 200 cantari
(un cantare chilogrammi 40,65). Le
donne, sopra il lino ed i legumi, coltivano alcune erbe e piante ortensi, in
che però non pongono molta diligenza.
Non si conosce ancora la moltiplice
utilità delle patate, e renderebbe a
questo popolo un gran servigio chi ne
insegnasse la coltura, alla quale molto
deve stimarsi confacciano queste terre
montane. Nella felice posizione, in cui
sono di riscontro al meriggio, vengono
molto prosperamente le vigne. La selva
è foltissima, largamente estesa, e forse
adombreggia per cinque seste l’area
territoriale. Una porzione dei baonesi
attendono alla pastorizia. Educano
vacche, capre, pecore, porci, e ciascuna specie nell’anno 1833 numerava
capi quanti qui notansi: 400 le vacche,
2500 le capre, 1500 le pecore, 500 i
porci: in somma delle somme circa
5000 capi, che prima della epizoozia
dell’anno precedente era forse maggiore del doppio. Gli animali domestici
sommavano a circa capi 800, come risultava da vacche mannalite o siano
domestiche, 100, da buoi per l’agricoltura 250, da majali 200, da cavalli e cavalle 150, da giumenti 100. Essendo
cosı̀ poco numerose le specie, piccoli
dovranno esserne i prodotti; e veramente nel detto anno la quantità dei
formaggi non fu maggiore di 200 cantara, quella delle lane non avanzò le
cantara 250, dei quali numeri appena
un terzo rispettivamente passò al commercio». Soppressa nel 1848 la provincia di Lanusei, subito dopo B. fu incluso nella divisione amministrativa
di Nuoro dove rimase fino al 1859, periodo in cui fu posto nella provincia di
Cagliari; in questi anni fu costruito il
bel campanile ottagonale della parrocchiale. Il villaggio rimase incluso nella
provincia di Cagliari fino alla ricostituzione di quella di Nuoro. Le attività
economiche e la possibilità di sfruttare
il mare fecero ulteriormente crescere
la popolazione; nel 1927, quando fu costituita la provincia di Nuoro, B. entrò
a farne parte. Negli anni successivi
due eventi determinarono una sua ulteriore crescita, in primo luogo il progressivo sviluppo delle attività turistiche che proiettò definitivamente il vil-
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Baunei
laggio verso il mare, in secondo luogo
la partecipazione al dibattito locale
sulla formazione della provincia dell’Ogliastra, recentemente conclusosi
in maniera felice.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e sulla pastorizia,
di particolare rilievo è la produzione
dei formaggi ovini e caprini; discreta è
l’attività del commercio e manifatturiera. Il settore di maggiore sviluppo
però è il turismo; il villaggio dispone
infatti di 6 alberghi con 180 posti letto,
un ristorante, un porticciolo turistico
con 300 posti barca a Santa Maria Navarrese e un impianto per il turismo
equestre ancora a Santa Maria Navarrese. Artigianato. In passato vi era tradizione di artigianato del legno e del
ferro; particolare importanza avevano
i lavori in ferro, rinomati anche nei villaggi vicini. Altra attività artigianale di
qualche pregio era la tessitura della
lana e del lino. Servizi. Il paese è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia; dispone di guardia
medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, scuola secondaria superiore,
Biblioteca comunale e sportello bancario.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 3959 unità,
di cui stranieri 22; maschi 1913; femmine 2046; famiglie 1480. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
43 e nati 18; cancellati dall’anagrafe 65;
nuovi iscritti 43. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
15 708 in migliaia di lire; versamenti
ICI 1132; aziende agricole 289; imprese
commerciali 185; esercizi pubblici 23;
esercizi al dettaglio 60; ambulanti 4.
Tra gli indicatori sociali: occupati 944;
disoccupati 361; inoccupati 291; laureati 62; diplomati 352; con licenza media 1097; con licenza elementare 1352;
analfabeti 123; automezzi circolanti
1280; abbonamenti TV 953.
Baunei – Il betilo accanto alla chiesetta
campestre di San Pietro testimonia l’antica
religiosità della montagna sarda.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio conserva numerose testimonianze archeologiche di grande importanza. Particolarmente numerosi sono
i nuraghi: Alvo, Campu Paule, Cugumaci, Fonnacesus, Genna Olidoni, Lastravò, Lopellai, Lopelle, Nieddu, Olovette Cannas, Orgodori, Perdusaccu,
Pianargia, Porta ’e Su Pressiu, S’Olluli,
Sa Tiria, Su Nuragheddu, Su Nuraxeddu, Su Nurazi; né mancano le
Tombe di giganti, generalmente poste
a poca distanza dai nuraghi: Alvo, Commidu Pira, Ertili, Fonnacesus, Olovette
Cannas, Orgodori, Perdusaccu, Planedda, S’Olluli, Su Scusorgiu. Di singolare interesse è il complesso di Golgo,
vasto altipiano dove l’omonima chiesetta è circondata dai nuraghi Alvo, Orgodori e Sa Tiria, ciascuno dei quali
conserva a poca distanza gli imponenti
&
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Baunei
resti di Tombe di giganti. Questo complesso fu studiato nell’Ottocento dal
canonico Marcello che vi rinvenne
una certa quantità di bronzetti e altri
utensili in bronzo: li inviò al canonico
Giovanni Spano e attualmente sono
conservati nel Museo archeologico di
Cagliari. La chiesa di San Pietro di
Golgo, di piccole proporzioni, fu costruita nel secolo XVIII, ha l’impianto
a una navata, la copertura in legno a
capriate; la facciata del tipo a capanna
si apre su un ampio spazio, circondato
dalle tipiche cumbessı̀as e delimitato
da giganteschi olivastri. A breve distanza si apre nel pianoro una voragine
profonda 295 m: creduta per lungo
tempo la bocca di un vulcano, dato che
si apre in un suolo basaltico, è dovuta
in effetti ai fenomeni carsici che hanno
interessato il sottosuolo, che è tutto
calcareo. Altro interessante sito è
quello di Ertili, che si trova vicino alla
chiesetta di San Giovanni nella vallata
di Gattonare: comprende una Tomba
di giganti di grandi proporzioni nella
quale il canonico Marcello trovò un
bronzetto; vicino alla tomba si trovano
resti di altre costruzioni da studiare e
che secondo la tradizione apparterrebbero al villaggio scomparso di Ertili. Di
singolare bellezza poi è il nuraghe Lopelle che si trova lungo la strada per
Dorgali a picco sulla conca di Triei; si
tratta di una costruzione imponente,
considerata la migliore del genere nell’intera zona. È interessante anche il
complesso di Olovette Cannas che si
trova a quasi 1000 m di quota su un altipiano ai confini tra B. e Urzulei e comprende, oltre all’imponente nuraghe
con annessa Tomba di giganti, le domus
de janas di Coa de Campus.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Il tessuto urbano di B.
si sviluppa a terrazze lungo un costone
aperto a una incantevole visione; sulle
sue strade si affacciano le suggestive
case in pietra del tipo barbaricino a
più piani, ingentilite dai balconi in legno (alcuni ancora conservati) e coperti da scaglie di sughero. L’edificio
di maggiore pregio è la chiesa di San
Nicola di Bari, costruita nel Seicento
in forme baroccheggianti e in tempi
passati intitolata a San Pietro Apostolo, che al suo interno conserva una
Circoncisione del pittore sardo Andrea
Lusso (=). La chiesa campestre di San
Giovanni è altrettanto suggestiva. Altro
monumento di pregio è Santa Maria
Navarrese, la chiesa che sorge a 10 km
dall’abitato su una spiaggia divenuta
nel corso del Novecento un’importante
località turistico-balneare. L’edificio
sarebbe stato fatto costruire da una
principessa, figlia del re di Navarra,
approdata nella località scampando a
una terribile tempesta; ha forme romaniche ma negli ultimi tempi è stato sottoposto a restauri che ne hanno modificato la conformazione originaria. All’origine aveva un impianto a tre navate scandite da cinque pilastri, la copertura era in legno a capriate. Tra il
1959 e il 1960 è stato ampliato e il suo
assetto originario venne alterato. Il
giorno di Ferragosto vi si svolge la festa
di Santa Maria del Mare con caratteristica processione a mare e l’esibizione
di gruppi in costume. A poca distanza
dalla chiesa, dominante sulla spiaggia
e sul mare, sorge la torre omonima costruita nel 1591 con compiti di segnalazione e di difesa, dotata di artiglierie e
servita da una guarnigione. L’edificio
fu teatro di imprese gloriose durante
alcuni sbarchi di corsari nel secolo
XVII e nel 1838 fu utilizzato dal Lamarmora come punto di rilevamento trigonometrico. Attualmente è in ottime
condizioni, conserva la robusta struttura troncoconica con un diametro interno di quasi 7 m. Al suo interno sono
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Baunei
ambienti disposti su due piani e coperti con volta a cupola sorretta da un
pilastro centrale. Nel suo vasto territorio B. conserva alcune delle località le
cui bellezze naturali sono da considerare tra le più suggestive della Sardegna: lungo le sue coste in direzione di
Dorgali vanno ricordate le magnifiche
calette di Cala Luna e di Cala Sisine
che si schiudono con spiagge incantevoli; esse sono difficilmente raggiungibili dalla terra e sono perciò in qualche
modo protette dall’indiscriminato assalto dei turisti. Ma soprattutto è da ricordare Cala Goloritzé, con il suo meraviglioso arco e la sua emozionante
solitudine. Sul versante meridionale
della costa è infine posta la immane
roccia di Agugliastra. Si tratta di una
roccia isolata a poca distanza dall’abitato, situata in una zona di difficile accesso che si leva a strapiombo sul mare
per 128 m creando una scenografia
spettacolare che caratterizza tutto il
tratto di costa che da Arbatax giunge a
B. Questo roccione, detto anche Perda
Longa, ha sempre colpito la fantasia
dei naviganti con la sua mole che incombe sul mare in assoluta verticalità
e probabilmente ha dato il nome all’intera regione Agugliastra (Ogliastra).
Non meno ricco di bellezze naturali è
l’interno; tra tutte va ricordato l’altipiano di Golgo con la voragine omonima, di cui si è detto. Al proprio interno conserva un’interessante fauna
tra cui il raro geotritone sardo. Merita
una citazione anche la foresta di Ispulixi de Nie, collocata in un anfiteatro
carsico che la protegge dai venti e che
consente la crescita di specie arboree
tipiche.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI A B.
si tramanda ancora la memoria di alcune antiche usanze, in particolare la
consuetudine del ballo pubblico al
suono delle launeddas; del canto delle
donne, attività nella quale un tempo le
fanciulle del villaggio erano particolarmente versate: coltivavano questa
dote per tutta la vita e, divenute anziane, continuavano a esercitarla
come prefiche (attittadoras).
Baunei – La festa di San Pietro anima una
volta l’anno il silenzio dell’altipiano di Golgo.
Peculiare di B. è anche la confezione
del pane di ghiande (=) che per lungo
tempo si è creduto un nutrimento per
buona parte della popolazione, ma è in
realtà il risultato di un ‘‘artigianato alimentare’’ tramandato nei secoli, sino a
meritare agli abitanti la fama di geofagi (‘‘mangiatori di terra’’; = Geofagia). Tra le feste di maggiore importanza quella di Santa Lucia, che si
svolge il 13 giugno nell’antica chiesa
di San Giovanni di Ertili; è organizzata
dai pastori che hanno i pascoli nei dintorni e si conclude con un banchetto
tradizionale che attira molte persone
anche di altri paesi. Ma la festa legata
a un’antica tradizione sulla fondazione
del villaggio, secondo la quale essa sarebbe dovuta a un capraio, è quella di
San Pietro: comprende la processione
con la statua del santo attraverso l’altipiano e culmina anch’essa con un
grande banchetto, nel corso del quale
vengono consumati piatti a base di
carne di capra. Si dice che già in passato si uccidevano per l’occasione 80
capre, e che le manifestazioni com-
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Baylle
prendevano un suggestivo palio attorno alla chiesa.
des géants en Sardaigne, 1885; Les bronzes de Teti et le fer en Sardaigne, 1885.
Bausani, Alessandro Islamista (n.
Bavosa = Zoologia della Sardegna
Baxo de Onigo Antico villaggio di ori-
Roma 1921). Fin da giovane si è dedicato allo studio dell’arabo e, conseguita la laurea nel 1943, agli studi del
pensiero religioso e della scienza
araba, di cui è considerato un grande
conoscitore a livello europeo. Ha intrapreso la carriera universitaria e dal
1971 è professore di Islamistica presso
l’Università di Roma; nel 1983 è stato
nominato accademico dei Lincei. Autore di numerosi trattati e articoli di
alto livello scientifico, ha dedicato
alla Sardegna l’articolo La Sardegna
nel Kitab i baviyye di Piri Reis, ‘‘Geografia’’, III, 1980.
gini medioevali che faceva parte del
giudicato di Cagliari, compreso nella
curatoria della Trexenta. Sorgeva tra
Barrali e Senorbı̀ vicino al monte
Onigu. Si era probabilmente sviluppato attorno ai resti di un edificio termale romano; caduto il giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di
Capraia che lo trasmisero al giudice
d’Arborea. Nei decenni successivi la
sua popolazione cominciò a venir
meno, e alla fine del secolo XIII il villaggio era completamente spopolato.
Bausteri Antico villaggio del giudicato
Baylle Famiglia cagliaritana (secc.
di Cagliari compreso nella curatoria di
Sols. Sorgeva poco a sud di Narcao.
Dopo la caduta del giudicato, nella divisione del 1258 fu incluso nei territori
assegnati ai Della Gherardesca, i quali,
pochi anni dopo, procedettero a una
nuova divisione. Il villaggio toccò ai discendenti del conte Gherardo che, all’avvento degli Aragonesi, si dichiararono loro vassalli, conservandone la disponibilità fino al 1353. Negli anni successivi B. fu duramente provato dalle
vicende della guerra e si spopolò completamente.
XVIII-XIX). Di origine provenzale, si
trapiantò in Sardegna nel corso del secolo XVIII. Di condizione borghese, entro la fine del secolo raggiunse una
considerevole posizione economica ottenendo la concessione per lo sfruttamento di alcune tonnare. Il benessere
economico e i matrimoni accelerarono
la trasformazione sociale della famiglia; a partire dalla seconda metà del
secolo i suoi membri ottennero ripetutamente rappresentanze consolari di
alcuni paesi europei e nel 1795 il cavalierato ereditario e la nobiltà. Si estinsero nel corso del secolo XIX.
Baux, Alphonse Studioso di mineralogia (sec. XIX). Legato da profonda amicizia a Leon Goüin, fu da lui interessato all’archeologia sarda. Studiò in
particolare i nuraghi e le Tombe di giganti del Sulcis-Iglesiente, cercando di
chiarire il problema delle loro origini.
Tra i suoi scritti: Essai sur les Nuragues
et les bronzes de Sardaigne (con Leon
Goüin), 1884; Grotte sépulcrale néolitique S’Orreri a Flumini Maggiore, in
‘‘Materiaux pour l’Histoire primitive
et naturelle de l’Homme’’, XVIII, 1884;
La pôterie des nuragues et des tombes
Baylle, Faustino Cesare Letterato e
storico (Cagliari 1771-ivi 1852). Compı̀ i
suoi studi nella città natale. Si laureò
in Legge giovanissimo nel 1790 e, entrato nell’ordine degli Scolopi, si fece
sacerdote. L’arcivescovo Melano di
Portula lo nominò suo cappellano e lo
creò delegato apostolico; alla pietà
univa non comuni doti di studioso e
profondità di cultura, per cui dopo il
1796 subentrò all’Angioy nell’insegnamento del Digesto all’Università. Alcuni anni dopo, convinto dell’inno-
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Baylle
cenza di Vincenzo Sulis, concorse alla
sua difesa attirandosi il risentimento
di Costantino Musio. Per diversi anni
parroco in alcune chiese della città, fu
nominato canonico della cattedrale.
Tutto faceva pensare che stesse per divenire vescovo, ma quando fu preconizzato vescovo di Ogliastra rinunciò
per umiltà. Molti suoi manoscritti, alcuni rimasti inediti, si conservano in
un fondo della Biblioteca Universitaria di Cagliari, dove sono anche depositate 72 sue lettere scritte fra il 1827 e
il 1832 a Vittorio Angius, che incoraggiò e seguı̀ nella sua preparazione
delle voci sarde per il Dizionario storico-geografico del Casalis. Tra i suoi
scritti: Discorso sull’invenzione della
stampa esposto in nove qualità di caratteri esistenti nella Regia Stamperia di
Cagliari l’anno 1778, 1778; Restituendosi il simulacro di Sant’Efisio alla sua
chiesa dopo la liberazione dalla flotta
francese, 1793; Al preclaro improvvisatore italiano Domenico Rossetti per la
pubblica accademia poetica estemporanea data dal medesimo nella gran sala
della Regia Università di Cagliari addı̀ 4
novembre 1799, 1799; Vicende tipografiche di Sardegna esposte in dodici qualità
di caratteri esistenti nella R. Stamperia
di Cagliari a. 1801, 1801; Discorso sull’invenzione della stampa e vicende tipografiche in Sardegna, 1801; In morte del
cardinale Cadello, 1807; Calende di novembre dell’anno 1817, 1818.
Baylle, Giovanni Cesare Amministratore (Livorno, prima metà sec. XVIIICagliari, fine sec. XVIII). Si trasferı̀ a
Cagliari dalla città natale per seguire
gli interessi che la famiglia aveva nelle
tonnare. A Cagliari si sposò e fu incaricato dal governo di impiantarvi il tribunale del consolato. Fu anche nominato podatario generale degli Stati d’Oliva e in seguito console di Spagna. Fu
molto vicino alle posizioni dell’Angioy
fino al 1795, schierato nel partito dei
novatori.
Baylle, Lodovico Studioso ed erudito
(Cagliari 1764-ivi 1839). Fratello di
Faustino Cesare, si laureò in Legge
nel 1783, a 19 anni. Per la sua erudizione e la profonda cultura fu chiamato a insegnare all’Università, ma
nel 1786 si trasferı̀ a Torino per seguire la carriera diplomatica, nominato addetto alla legazione spagnola
presso la corte sabauda. Da Torino seguı̀ le tormentate vicende politiche
della Sarda Rivoluzione su posizioni
vicine ai progressisti. Spinto dalla
passione per la ricerca storica, si spostò a Firenze, Pisa, Genova, Roma e in
altre città italiane: ovunque si procurò o trascrisse documenti che riguardavano la storia della Sardegna,
che acquistava o diligentemente copiava negli archivi, raccogliendo in
questo modo un’ingente quantità di
interessanti testimonianze sulle vicende dell’isola. A partire dal 1797
iniziò a pubblicare i suoi primi lavori
scientifici. Nel 1800 tornò a Cagliari
dove fu nominato censore dell’Università e console di Lucca. Qui riprese le sue ricerche storiche e ordinò il materiale che aveva raccolto
con l’intento di scrivere una storia
della Sardegna, ma non vi riuscı̀. Negli anni seguenti si dedicò anche alla
professione di avvocato e nel 1804 fu
nominato segretario a vita della
Reale Società Agraria ed Economica,
di cui compilò gli statuti. Nel 1807 fu
nominato console generale di Spagna, ma soprattutto continuò a lavorare presso la prestigiosa Società
Agraria fino al 1834, non interrompendo mai anche la sua prodigiosa attività di ricercatore e di sistematore
di documenti di interesse storico. Divenne cosı̀ un punto di riferimento
nella vita culturale della città e ot-
492
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 500
Baylle
tenne onorificenze e pubblici riconoscimenti. Alla sua morte lasciò all’Università la propria ricca biblioteca e
i numerosi e preziosissimi appunti.
Tra i principali scritti a stampa, De ecclesiastica jurisdictione. De episcopis,
1784; Lettera di Lodovico Baylle al barone Vernazza di Freney sopra il sigillo
di Gillito vescovo di Ampurias, 1796;
Sonetto a S.A.R. Carlo Felice di Savoia
capo fondatore della R. Società Agraria
ed Economica di Cagliari, 1806; Iscrizione romana illustrata, 1820; Iscrizione sulcitana illustrata, 1820; Discorso per l’avvento al trono di S.M. il
re Carlo Felice I detto nella solenne
pubblica adunanza della Società Agraria ed Economica di Cagliari tenuta il
15 luglio del 1821, 1821; Nella illuminazione della città di Cagliari in occasione dell’avvento al trono di S.M.
Carlo Felice I. Iscrizioni poste nel Palazzo civico, 1821; Nel compleanno di
Don Giacomo Pes di Villamarina, sonetto, 1827; Nel fausto arrivo a Cagliari di Sua Altezza Carlo Amedeo Alberto di Savoia il 18 aprile 1829, 1829;
Lezione intorno a un diploma di demissione militare dell’imperatore Nerva
ritrovato in Sardegna, ‘‘Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino’’,
XXXV, 1831; Nel solenne funerale di
S.M. Maria Teresa d’Austria celebrato
da monsignor Arcivescovo di Cagliari e
dal capitolo della primaziale in essa
chiesa il dı̀ 10 maggio 1832, 1832; Notizia d’un nuovo congedo militare dell’imperatore Adriano ritrovato in Sardegna, 1836; Sulla patria di Carlo Buragna, 1838.
Manoscritti della Collezione Baylle
della Biblioteca Universitaria di Cagliari 1. Iscrizione dei bassi tempi illustrata dal Cav. Baille. 2. Dissertazione
sulle armi di Sardegna. 3. Aggiunte
alla ‘‘Sardinia Sacra’’ del Mattei. 4. Appunti per la storia della tipografia
sarda. 5. Lettera di Lodovico Baylle al
barone Vernazza di Freney sopra il sigillo di Gillito vescovo di Ampurias. 6.
Notizie dello stato della Sardegna date
dopo il 1826. 7. Materiali per la illustrazione dei quattro giudicati di Sardegna. 8. Bozze d’illustrazione delle vicende della sarda tipografia. 9. Lavori
sopra i codici della Laurenziana di Firenze sulla nomenclatura dei paesi e
popoli di Sardegna. 10. Elenco, nella
più gran parte in ordine alfabetico,
delle persone colle rispettive loro qualificazioni, nonché dei luoghi più notevoli mentovati in tutte le carte che il
cav. Baille ragugnava per illustrare la
storia della Sardegna. 11. Sul documento in sardo della certosa di Firenze.
12. Sui calendari sardi. 13. Sul mosaico
della Sardegna. 14. Memorie e documenti di storia sarda. 15. Memorie e documenti di storia sarda. 16. Notizie riguardanti all’epoca dei pisani in Sardegna. 17. Notizie riguardanti all’epoca dei Pisani in Sardegna. 18. Frammento d’uno scritto ideato sull’antico
commercio di Sardegna. 19. Memoria
sopra una statua marmorea colossale
dissotterrata nella penisola di S. Antioco ed ora collocata nell’atrio della
R. Università di Cagliari. 20. Cenni sopra i concili di Sardegna. 21. Quadro
dei feudi, diritti regali ed effetti demaniali del regno di Sardegna alienati dal
1720 al 1774. 22. Sulle reliquie di Sant’Efisio. 23. Sull’innesto del vaiolo in
Sardegna. 24. Proposta di conferenze
per l’agricoltura. 25. Memorie e documenti di storia sarda. 26. Memorie e documenti di storia sarda. 27. Memorie e
documenti di storia sarda. 28. Memorie
e documenti di storia sarda. 29. Memorie e documenti di storia sarda. 30. Memorie e documenti di storia sarda (queste Memorie sono contenute nei portafogli III-VIII). 31. Bibliografia sarda.
32. Scritture varie relative ad uomini
493
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 501
Bayne Cope
illustri ed alla storia di Sardegna. 33.
Raccolta di iscrizioni sarde sparse nei
vari luoghi dell’Isola. 34. Raccolta di
carte concernenti la Sardegna. 35. Raccolta di carte concernenti la Sardegna.
36. Raccolta di carte concernenti la
Sardegna. Queste Raccolte sono contenute nei portafogli X-XII.
Bayne Cope, A.D. Archeologo inglese
(n. sec. XX). Collaborò alla redazione
del catalogo di Barnett-Mendleson,
classificando i sigilli e gli scarabei provenienti da Tharros in possesso del British Museum: Scarabs and Seals: scientific Examinations (con M. Bimson), in
A catalogue of material from Phoenician
and other tombs at Tharros in the British
Museum, 1987.
Bazama, Mustafà Funzionario diplomatico libico (n. sec. XX). Ha soggiornato in Sardegna negli anni Ottanta del
Novecento, interessandosi di editoria
destinata alla Libia e ai paesi di lingua
araba, alle cui esigenze era stato adattato un grande centro stampa alla periferia di Cagliari. Studioso di storia medioevale, ha approfondito con grande
impegno il problema dei rapporti tra la
Sardegna e il mondo arabo nell’Alto
Medioevo. Oltre ad alcuni articoli (Assemini e gli arabi, ‘‘L’Unione sarda’’,
1986, e Un toponimo sardo vuol dire
pace e convivenza: Nurallao, ‘‘Ichnusa’’, n.s., V, 5, 1986) ha pubblicato anche due volumi, Arabi e Sardi nel Medioevo, 1988, e Un’ipotesi sul declino
d’una grande e ricca Sardegna, 1989,
per i quali ha ottenuto speciali riconoscimenti.
Bazzoni, Gian Paolo Scrittore (n.
Porto Torres 1935). Appassionato cultore della lingua sassarese, ha scritto
vari testi teatrali rappresentati a Sassari e provincia. Tra le sue opere: la
raccolta di versi Cosi e passunaggi di
Posthudorra, 1995; Elementi di grammatica sassarese, 1999; il romanzo in
dialetto turritano Una frabigga di sogni, 2001; Dizionario fraseologico Sassarese-Italiano, 2001. Il volume di Teatro
in sassarese, 2006, raccoglie dieci sue
commedie.
Beatrice d’Arborea Figlia di Mariano
IV (Oristano 1342-Narbona, fine sec.
XIV). Nacque proprio nell’anno in cui
suo padre tornò in Sardegna; cresciuta
nella corte arborense, dopo la conclusione della prima guerra tra Mariano
VI e Pietro IV fu data in ostaggio per
garantire il trattato di pace. Nel 1363
fu chiesta in sposa dal visconte di Narbona; le nozze avvennero a Narbona
poco tempo dopo; dall’unione nacque
l’ultimo giudice d’Arborea, il visconte
Guglielmo.
Beatrice d’Este Moglie di Nino di Gallura (Ferrara, seconda metà sec. XIIIMilano, prima metà sec. XIV). Figlia
del marchese Obizzone II signore di
Ferrara, sposò il giudice Nino di Gallura, dal quale ebbe Giovanna di Gallura. Rimasta vedova nel 1298, nel
1300 si sposò una seconda volta con
Galeazzo Maria I Visconti signore di
Milano. Dal matrimonio nacque Azzo
I, signore di Milano, che, dopo la
morte della sorellastra, portò il titolo
di giudice di Gallura e, dedicando un
sepolcro monumentale alla madre in
una chiesa di Milano, memore dell’ammonimento attribuito da Dante a
Nino di Gallura («Non le farà sı̀ bella
sepoltura / la vipera che ’l milanese
accampa / com’avria fatto il gallo di
Gallura», Purg. VIII), fece scolpire
sul fronte della tomba tutti e due gli
stemmi, il gallo dei Visconti di Gallura e il ‘‘biscione’’ dei Visconti milanesi.
Beccaccia = Zoologia della Sardegna
Beccamoschino = Zoologia della Sardegna
494
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 502
Becco di gru
Laureato in Giurisprudenza, divenne
funzionario dell’allora ETFAS (ora
ERSAT) e si dedicò alla politica. Cattolico, ha militato nella DC, arrivando a
ricoprire incarichi nella direzione nazionale del partito. Nel 1972 è stato
eletto deputato per la VI legislatura repubblicana, ma successivamente non è
stato riconfermato. Nel 1979 è stato
eletto consigliere regionale per l’VIII
legislatura nel collegio di Cagliari e riconfermato successivamente per la IX
legislatura (1979-1989). Cessato l’impegno istituzionale, è stato presidente
dell’ESAF (Ente Sardo Acquedotti e
Fognature) e in seguito presidente dell’Azienda Mezzi Meccanici del porto di
Cagliari.
Becciu, Francesco Pittore (n. Ozieri
Felice Beccaro – Piemontese, fu vescovo di
Nuoro durante gli anni della seconda guerra
mondiale.
Beccaro, Felice Religioso (Grognardo,
seconda metà sec. XIX-?, seconda metà
sec. XX). Vescovo di Nuoro dal 1939 al
1947. Divenuto sacerdote, fu per anni
parroco di Ovada. Nel 1939 fu nominato vescovo di Nuoro. Resse la diocesi
nei difficili momenti della seconda
guerra mondiale. Nel 1946 fu trasferito
a San Miniato, ma continuò ad amministrare anche Nuoro fino al 1947.
Becciu, Angelo1 Vescovo, diplomatico
vaticano (n. Pattada 1948). Divenuto sacerdote, dopo la laurea è entrato nella
diplomazia vaticana; nel corso degli
anni ha lavorato presso le nunziature
della Nuova Zelanda, dell’Inghilterra,
della Francia e degli USA. Nel 2001 è
stato nominato vescovo dell’Angola e
di Saõ Tomé de Prince.
Becciu, Angelo2 Funzionario, uomo
politico (n. Serrenti 1939). Consigliere
regionale, deputato al Parlamento.
1929). Diplomato all’Istituto d’Arte di
Sassari, esordisce come pittore figurativo nei primi anni Cinquanta, e partecipa a varie mostre (Nuoro, III e IV Mostra d’Arte figurativa, 1995 e 1956;
Nuoro, ‘‘Premio Sardegna’’, 1957;
‘‘Premio Sassari’’, 1963; Cagliari,
‘‘Omaggio alla Resistenza’’, 1963). A
metà degli anni Settanta è vicino al
Gruppo A, con cui espone nel 1965 al
‘‘Cancello’’ di Sassari. La sua ricerca
punta, per mezzo di un calibrato dosaggio tonale del colore, delle superfici
corrose come vecchi intonaci, e di misurati accenni di scomposizione, all’evocazione di un mondo di immagini mitiche e arcaizzanti, filtrate dalla memoria. Ha dipinto grandi quadri per diverse chiese sarde, tra cui Santa Maria
di Betlem a Sassari e la parrocchiale
Sant’Elena di Benetutti.
Becco di gru Pianta erbacea annuale o
biennale della famiglia delle Geraniacee (Erodium cicutarium (L.) L’Her.). Le
foglie basali, a rosetta, sono composte e
pennate; i fiori, di diverse tonalità di
rosa, sono riuniti in piccole infiorescenze a ombrella; il frutto è un ache-
495
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 503
Bechi
nio peloso con becco allungato. Fiorisce tra febbraio e marzo e vegeta spontaneo nei terreni incolti e sassosi. Il b.
di g. corso (E. corsicum Léman) è un
piccolo arbusto con fusti legnosi, ricoperti di peluria. Le foglie, dal lungo
picciuolo, sono ovali con margine crenato (cioè con dentellature arrotondate), i fiori piccoli, rosa con venature
viola. Il frutto, ricoperto di peluria, è
un achenio con becco allungato. Fiorisce in tarda primavera. Endemismo
sardo-corso, cresce sulle rocce costiere del nord Sardegna. È inserito,
in base alla proposta di L.R. n. 184/
2001, nell’elenco di specie botaniche
da sottoporre a vincolo di protezione.
Nomi sardi: éiba ridózza (sassarese);
èlba fulchétta (gallurese); erba de agúllas (campidanese); orolózos (nuorese).
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Bechi, Giulio Militare e scrittore (Firenze 1870-Gorizia 1917). Nato da una
famiglia di piccola nobiltà, si dedicò
alla carriera militare. Dal 1895 al 1897
fu in Africa, e su quell’esperienza
scrisse Fra il bianco e il nero (1898). Nel
1899, come tenente del 67º reggimento
di fanteria, fece parte del corpo di spedizione inviato in Sardegna per reprimere il banditismo del Nuorese e delle
zone interne. Da quel soggiorno in Barbagia trasse i materiali per il libro Caccia grossa. Scene e figure del banditismo
sardo, che pubblicò nel 1900 a Milano,
sotto lo pseudonimo di ‘‘Miles’’: il che
non gli risparmiò furiose polemiche
con alcuni intellettuali sardi, offesi
per i suoi giudizi su quel mondo che
aveva conosciuto (l’avvocato nuorese
Ciriaco Offeddu lo sfidò a duello, e
tutto il chiasso gli costò due mesi di arresti nella fortezza fiorentina di Belvedere). Il libro fu ristampato da Treves
nel 1914; i nomi dei protagonisti (‘‘travisati’’ nella prima edizione) erano ora
quelli veri: «Il Croce dà un giudizio fa-
vorevole di questo romanzo – avrebbe
scritto Gramsci in una nota dei Quaderni del carcere a proposito di una sua
opera precedente, I seminatori – e in
generale dell’opera letteraria del B.,
specialmente della Caccia Grossa»,
che Gramsci giudicava «un libro da politicante e dei peggiori che si possa immaginare». «In fondo – ha scritto Manlio Brigaglia nella edizione recente
della ‘‘Bibliotheca sarda’’ della nuorese Ilisso (1997) – le cose che B. diceva
dell’isola erano le stesse che tanti
sardi, a cominciare dal Memoriale del
circondario di Nuoro alla commissione
parlamentare d’inchiesta del 1869,
avevano detto più volte e anche con
maggiore severità». Tornato alla carriera, B. scrisse una serie di romanzi,
ispirati alla vita militare e ai problemi
dell’esercito. Dopo la guerra di Libia,
rientrò in servizio nella prima guerra
mondiale. Morı̀ nel fronte di Gorizia
nella primavera del 1917 alla testa del
suo reggimento. Fu decorato di medaglia d’oro al V.M. alla memoria.
Bechi Luserna, Alberto Ufficiale di
carriera (Firenze?, fine sec. XIX-Macomer 1943). Figlio di Giulio, nel settembre del 1943 era capo di Stato Maggiore della Divisione Paracadutisti
‘‘Nembo’’ che, battutasi con grande
eroismo a El Alamein, dopo la caduta
della Tunisia era stata trasferita in Sardegna. Alla notizia dell’armistizio un
battaglione decise di seguire i tedeschi
che si ritiravano verso la Corsica per
continuare a combattere al loro fianco.
Quando il reparto abbandonò il suo accampamento, B.L. lo raggiunse a Castigadu, alle porte di Macomer, il pomeriggio dell’11 settembre. Secondo i verbali del processo celebrato a Napoli
nel dicembre 1950, quando incontrò il
capitano Alvino, uno dei comandanti
del battaglione, B.L. esclamò: «Ma che
siete matti?»; Alvino rispose: «Non
496
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 504
Bedos
siamo traditori», e quando B.L. accennò a scendere dalla macchina gli
sparò un colpo di pistola, subito seguito da una scarica di mitra di un altro
paracadutista. Il corpo di B.L., infilato
in un sacco di iuta, fu caricato su uno
dei camion con cui i paracadutisti ribelli risalivano verso Santa Teresa Gallura, e da qui fu lanciato in mare durante la traversata delle Bocche di Bonifacio. Alla sua memoria fu conferita
la medaglia d’oro al V.M.
Becker, Marshall J. Archeologo americano (n. sec. XX). Studioso dell’Età
del Bronzo in Sardegna, nel 1984 ha
preso parte alla I sessione sull’Archeologia della Sardegna organizzata da
Balmuth e Rowland presso l’Università del Michigan. Tra i suoi scritti: Sardinia and Mediterranean Copper Trade:
Political Development and Colonialism
in the Bronze Age, ‘‘Anthropology’’, IV,
1980; Sardinian stone moulds. An indirect means of evaluating Bronze Age Metallurgical Technology, in Studies in
Sardinian Archaeology, I, 1984; Cultural Uniformity during the Italian Iron
Age: Sardinian Nuraghi as Regional
Markers, in Sardinia in the Mediterranean: a Footprint in the Sea, Studies in
Sardinian Archaeology, 1992.
Bedaux Sistema di organizzazione
scientifica del lavoro. Prende il nome
dal suo ideatore, l’ingegner Charles B.
(1888-1949). Applicato in quasi tutte le
miniere sarde a partire dalla fine degli
anni Venti portò a una situazione di
tensione tra maestranze e proprietà.
Fu introdotto dall’ingegner Paul Audibert, responsabile tecnico della Pertusola, dapprima nella miniera di Ingurtosu e poi in quella di San Giovanni. Si
basava sulla possibilità di sottoporre i
minatori a un esame preventivo di attitudini, forze fisiche e psichiche nell’intento di stabilire preventivamente a
quale compito destinare ciascuno di
loro e migliorane cosı̀ la resa e le condizioni di sicurezza personale. Per rendere possibile l’operazione furono determinati coefficienti teorici di rendimento professionale da applicare
come parametri di riferimento al momento della selezione del personale. A
questo fine fu costituito nelle miniere
della società il gabinetto psico-tecnico
che fu affidato alla direzione dell’ingegner Brasseur, e tutti i nuovi assunti
furono sottoposti a visita psico-attitudinale creando molto malcontento nel
personale. Dopo un periodo di prova,
però, il sistema diede buoni frutti, perché la selezione preventiva non solo
consentı̀ di migliorare il rendimento,
ma anche di evitare o ridurre il numero degli incidenti sul lavoro, per
cui il sistema venne adottato anche
nelle altre miniere.
Bedos Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato
di Torres, compreso nella curatoria di
Figulinas. Sorgeva in prossimità di Codrongianos. Agli inizi del secolo XIII,
per un matrimonio, il villaggio entrò a
far parte dei territori che vennero in
possesso dei Malaspina. Quando si
estinse la famiglia dei giudici di Torres
essi lo inclusero nel loro piccolo stato e
lo governarono con senso di giustizia,
instaurando un buon rapporto con i
loro vassalli. Con l’arrivo degli Aragonesi nel 1323 essi prestarono omaggio
feudale all’infante Alfonso e cosı̀ B., almeno formalmente, entrò a far parte
del Regnum Sardiniae. La nuova situazione fu di breve durata: infatti i Malaspina, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, si schierarono al loro fianco
contro gli Aragonesi; cosı̀ nel 1330 il villaggio fu assalito dalle truppe di Raimondo Cardona e subı̀ gravi danni. Negli anni che seguirono cominciò a decadere e a spopolarsi ma continuò a rimanere in possesso dei Malaspina fino
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 505
Bejor
al 1342, anno in cui il marchese Giovanni, morendo senza eredi, lo lasciò
in eredità con tutto quanto possedeva
a Pietro IV d’Aragona. I fratelli del defunto, irritati, tentarono di resistere
con le armi al re e il villaggio cadde
nel caos. Dopo alterne vicende B. fu sequestrato definitivamente ai Malaspina nel 1353; la sua popolazione era
ridotta ormai a poche decine di abitanti. Nel corso dei decenni successivi,
scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, diventato teatro
delle operazioni, si spopolò completamente e scomparve.
Bejor, Giorgio Archeologo (n. Padova
1948). Specializzato in studi sull’età punico-romana, dal 1985 insegna presso
la Facoltà di Lettere dell’Università di
Pisa. Si è interessato alla Sardegna tra
il 1990 e il 1993, quando ha fatto parte
della missione di scavo dell’Università
di Pisa a Nora. Tra i suoi scritti: Alcune
questioni su Nora romana, in L’Africa
romana. Atti dell’VIII Convegno di
studi, 1991; L’abitato romano di Nora:
distribuzione, cronologie, sviluppi,
‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari
e Oristano’’, 9, 1992; Nora II. Riconsiderazioni sul teatro, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 10, 1994;
Romanizzazione ed evoluzione dello spazio urbano in una città punica: il caso di
Nora, in L’Africa romana. Atti del X Convegno di studi, 1994; Nora III. Appunti
sull’evoluzione urbana dell’area A-B e
delle Piccole Terme, ‘‘Quaderni della
Soprintendenza archeologica per le
province di Cagliari e Oristano’’, 11,
1995; Il settore nord occidentale. Ricerche su Nora I (anni 1990-1998), 2000.
Belgrano di Famolasco, Saverio Ingegnere militare (Torino, prima metà
sec. XVIII-ivi 1788). Discendente da
una famiglia di tradizioni feudali, uffi-
ciale di carriera, fu inviato in Sardegna nel 1761 con il compito di provvedere a restaurare e rimodernare il sistema delle fortezze dell’isola. Oltre
che di architettura militare, si interessò di architettura civile; nel 1765
realizzò il progetto del palazzo dell’Università e del Seminario di Cagliari, la
cui costruzione seguı̀ con impegno fino
alla sua partenza da Cagliari dopo il
1772; il suo nome è legato anche ad altre costruzioni.
Belladonna Pianta erbacea perenne
della famiglia delle Solanacee (Atropa
belladonna L.). Cespugliosa, ha fusto
eretto, alto sino a 150-200 cm, foglie
ovato-lanceolate, più appiattite quelle
superiori; i fiori, rosso-viola, sono campanulati; i frutti sono bacche nere lucide. Emana un caratteristico odore
sgradevole. Allo stato spontaneo è diffusa nei boschi, specie nel Marghine,
Goceano e Montiferru, con predilezione per i punti più freschi e umidi.
Velenosa, ha proprietà narcotiche e
anestetiche. I suoi princı̀pi attivi
(come l’atropina) vengono usati in medicina. Fiorisce da giugno a settembre.
[MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Belladonna – Particolare durante la fioritura.
Bellarosa Minore Area palustre cagliaritana situata accanto allo stagno
di Molentargius. Si formò nel 1952,
quando per salvare dall’inquinamento
le saline fu costruito un argine di salva-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 506
Bellieni
guardia. L’afflusso periodico di acque
fognarie favorı̀ lo sviluppo di foltissimi
canneti e di altra vegetazione che consentı̀ lo stanziamento di specie rare di
uccelli. Quando fu chiuso alla caccia
l’intero stagno divenne un’oasi faunistica, e nel 1993 per la prima volta vi
nidificarono i fenicotteri.
Camillo Bellieni – Storico, militante politico,
è considerato l’ideologo e il fondatore del
Partito sardo d’Azione (1921).
Bellieni, Camillo Ideologo politico,
fondatore del PSd’Az (Thiesi 1893-Napoli 1976). Da studente prese parte alla
prima guerra mondiale, e fu decorato
più volte. Nel dopoguerra proseguı̀ i
suoi studi laureandosi in Legge a Sassari e in Filosofia a Roma. Attirato dal
dibattito politico, fu tra coloro che si
adoperarono per la trasformazione
del movimento dei combattenti in partito, secondo la proposta approvata nel
Congresso di Macomer (agosto 1920)
della Federazione regionale sarda dell’Associazione Nazionale dei Combattenti: ma la proposta di una federazione di ‘‘partiti d’azione’’ regionali
che sarebbe dovuta nascere dal congresso nazionale dell’ANC fu respinta.
Cosı̀ si decise di dare vita nell’isola a
un partito, che si sarebbe chiamato, appunto, Partito Sardo d’Azione, che fu
fondato ufficialmente nel Congresso
di Oristano, nell’aprile del 1921, alla
vigilia delle elezioni politiche regionali in cui la lista dei Quattro mori
(adottati come stemma del partito) raccolse una straordinaria messe di consensi, vicina al 29,6% dell’elettorato,
ed elesse 4 dei 12 deputati della Sardegna al Parlamento. B., restio a scendere nella ‘‘rissa’’ elettorale, assunse
le più alte responsabilità nel partito,
di cui già nel 1924 fu eletto direttore
regionale. Si impegnò nell’opposizione al fascismo fino al 1925, quando
si trasferı̀ a Trieste come insegnante di
filosofia. Nel ventennio si tenne lontano dalla politica, ripiegando su un
impiego di segreteria all’Università di
Napoli, che gli permetteva di dedicarsi
agli studi di storia in cui si segnalò per
il rigore delle sue ricerche. Non interruppe, però, i legami col mondo sardo:
rimase socio corrispondente della Deputazione di Storia patria e continuò a
coltivare le vecchie amicizie. Caduto il
fascismo non rientrò da militante o da
dirigente nel suo vecchio partito, preferendo occuparsi prevalentemente
dei suoi interessi culturali. La sua bibliografia è molto vasta, anche perché,
oltre alle grandi opere storiografiche,
collaborò intensamente alla stampa
politica. I primi suoi articoli apparvero su ‘‘La Voce dei Combattenti’’,
giornale degli ex combattenti sardi:
fra gli altri, Per la Sardegna, 1919; In
tema di questione sarda, 1919; Idee e
programmi, 1919; Emilio Lussu, 1919; Il
partito dei combattenti, 1919; Programma politico-regionale, 1919; La
Sardegna di fronte al programma socialista, 1919; Il Partito Sardo d’Azione e le
499
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 507
Bellieni
necessità locali, 1920; L’ambiente sociale
sardo nel momento attuale, 1920; Il Partito sardo è un fatto compiuto, 1920; Relazione sul partito politico di rinnovamento, 1920; Sciogliete la Brigata Sassari! Lettera aperta a S.E. Ivanoe Bonomi, 1920; Il nostro movimento è anticattolico?, 1920; I sardi di fronte all’Italia, 1920; Perché non abbiamo nessuna
intenzione di iscriverci nel PRI, 1921;
Noi e i repubblicani, 1921; L’ambiente sociale sardo nel momento attuale, 1921.
Alla ‘‘Voce dei Combattenti’’, dopo la
nascita del partito, succedette ‘‘Il
Solco’’; tra gli articoli scritti per il giornale, Lineamenti di programma politico
secondo gli ordini del giorno approvati
al Congresso di Oristano, 1921; Per sfatare una stupida leggenda. Noi e l’unità
d’Italia, 1921; Il problema autonomistico, 1922; Fascismo e Sardegna, 1922;
Partito d’Azione e fascismo, 1922. Altri
articoli apparvero, negli anni 19221926, sui periodici democratici: Studi
regionali. Cultura e crisi spirituale
sarda, ‘‘La Critica politica’’, 1922; La
Sardegna in 200 anni di storia italiana,
‘‘Volontà’’, 1922; L’avvenire cooperativo
della Sardegna, ‘‘Volontà’’, 1922; Il problema autonomistico , ‘‘Il Popolo
sardo’’, 1923; Il pensiero politico del Partito Sardo d’Azione attraverso i suoi congressi, ‘‘Il Popolo sardo’’, 1923. In vista
delle elezioni politiche scrisse una
breve, stimolante biografia di Emilio
Lussu, per le edizioni de ‘‘Il Nuraghe’’,
1924. Altri articoli polemici accompagnarono l’ultima resistenza alla nascita della dittatura fascista: Autonomismo autorità e libertà, ‘‘Sardegna’’, I,
8, 1924; Il fascismo e i suoi metodi, ‘‘Il
Popolo sardo’’, 1924; Frenare gli entusiasmi. In merito al passaggio di Umberto Cao dal sardismo al fascismo,
‘‘Sardegna libera’’, 1924; L’associazione
nazionale dei combattenti, ‘‘Critica politica’’, 1925; Stati di spirito in Sarde-
gna, ‘‘Conscientia’’, 1925; Il Congresso
del Partito sardo d’Azione, ‘‘Il Solco’’,
1925; Il V Congresso del Partito sardo
d’Azione, ‘‘l’Unità’’, 1925. Il lungo saggio Lineamenti di una storia della civiltà
in Sardegna, ‘‘Il Nuraghe’’, II-IV, 19241926, anticipa le più impegnative
opere storiche, già da Il processo di
Scauro, pubblicato ne ‘‘Il Nuraghe’’, la
combattiva rivista ‘‘sardista’’ di Raimondo Carta Raspi; Attilio Deffenu e il
socialismo in Sardegna, 1925, è invece
un altro libretto biografico della collana ‘‘Le Avanguardie di Sardegna’’ in
cui era uscito l’opuscolo su Lussu. Con
il saggio su Enfiteusi, schiavitù, colonato in Sardegna all’epoca di Costantino, 1928, diventano più frequenti le
opere di storia. La Sardegna e i Sardi
nella civiltà del mondo antico, vol. 2,
1928-1931, è considerato il più importante dei suoi studi storiografici. Alle
opere sulla Sardegna romana (fatta eccezione per una biografia divulgativa
dedicata a Eleonora di Arborea, 1929)
appartengono i saggi su Difesa della
proprietà e reati rurali in Sardegna e
Dalmazia, ‘‘Il Nuraghe’’, VII, 4, 1929;
Capitatio plebeia e capitatio humana,
1931; Il Caput fiscale di Sardegna nel
basso impero, 1931; Decima e stipendium in Sardegna durante l’Età repubblicana, in Atti del Congresso nazionale
di Studi romani, III, 1931. Dopo un silenzio quasi ventennale, suoi scritti ricompaiono alla caduta del fascismo:
Palladio Rutilio Tauro Emiliano ritenuto sardo, ‘‘Il Solco’’, 1945; Trieste
1921, ‘‘Riscossa’’, 1945. Un ultimo
gruppo di articoli di curiosità (o analisi) storiche appare nella rivista
‘‘Shardana’’: La Sardegna dal XVIII
sec. ai giorni nostri. L’eredità iberica,
1946; Il governo militaresco del viceré
piemontese, 1946; Il rinascimento della
vita sarda e l’unificazione amministrativa col Piemonte, 1946; G.B. Tuveri e
500
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 508
Bellit
l’ambiente sardo nel Risorgimento,
1946; Dibattiti, voci e allarmi, 1946; Il
quarantennio prima della guerra mondiale, 1946; I primi consensi autonomistici, 1946; La crisi di trasformazione dell’economia isolana, 1946; Per un nuovo
partito, 1946; La produzione sarda alla
vigilia del conflitto mondiale 1914-18,
1947; La crisi fascista e le prospettive
per l’avvenire isolano, 1947. Sul numero
speciale de ‘‘Il Ponte’’, VII, 9-10, 1951,
dedicato alla Sardegna è presente con
due saggi: Il nome di Cagliari e la Galilea di Sardegna e Stratificazioni storiche nella civiltà della Sardegna antica.
Torna a collaborare alla rinata ‘‘Nuova
Sardegna’’: Quando i barbaricini ritornarono al paganesimo, 1954; I preti
sardi aborrivano la castità, 1956; Ambiente sociale e correnti ideali in Sardegna dal V sec. all’XI, 1956; Pagine di storia sarda, 1957; Correnti commerciali
sardo-marsigliesi, 1957; Le navi da corsa
longobarde assaltano le città sarde nel
591-598, 1957; Contro la munita fortezza
sarda s’infrangono le incursioni saracene, 1957; Le flotte di Pisa e di Genova
sgominarono i Saraceni, 1958; Le relazioni mediterranee nella Sardegna dal
secolo VI all’XI, 1958; Altre notizie e precisazioni sul movimento liberista nel
1913-14. Attilio Deffenu e Nicolò Fancello, 1965; I soldati sardi dalle trincee
della guerra mondiale alla realtà del dopoguerra nell’isola, 1967. Nuovi saggi
storici sono: La terminologia giuridica
nell’ordinamento medioevale sardo di
diritto pubblico, in Studi storici in onore
di Francesco Loddo Canepa, I, 1959; La
lotta politica in Sardegna dal 1848 ai
giorni nostri, in La Sardegna nel Risorgimento, 1962; L’attività diplomatica del
giudice di Sardegna intorno alla metà
del secolo IX, 1963; La Sardegna e i
Sardi nella civiltà dell’Alto Medioevo,
voll. 2, edito dal cagliaritano Fossataro
nel 1973, è l’altra sua opera di grande
impegno storiografico. L’antologia Partito sardo d’Azione e repubblica federale.
Scritti 1919-25 (a cura di Luigi Nieddu),
1985, offre un panorama particolarmente rappresentativo dei suoi interessi politici e delle sue scelte di storico.
Bellisai, Franco Intellettuale cagliaritano (Cagliari, prima metà sec. XX-ivi
1985). Fu tra gli ideatori e i fondatori
del Centro Universitario Teatrale, che
negli anni Sessanta del Novecento fece
fare un deciso salto di qualità alle attività teatrali in Sardegna.
Bellit Famiglia cagliaritana di probabili origini catalane (secc. XV-XVII).
Le sue notizie risalgono al secolo XV.
Apparteneva al ristretto numero delle
famiglie di origine mercantile che furono protagoniste di una fitta rete di
operazioni mobiliari e immobiliari
che caratterizzarono la vita economica
della città. Fin dagli inizi del secolo i B.
compaiono in possesso di ingenti risorse finanziarie e tra i protagonisti
dell’attività di compravendita dei
feudi caratteristica di quel periodo; il
primo personaggio di rilievo fu Pietro
che, collegato con gli Aragall, vendette
e acquistò feudi, accumulando un discreto patrimonio che alla fine comprendeva il vasto feudo di Nuraminis
e una parte del Sulcis. Dai suoi figli
Ludovico e Giacomo vissuti tra la seconda metà del Quattrocento e gli inizi
del Cinquecento, discesero due rami
della famiglia: da Giacomo discese il
ramo non feudale, che espresse alcune
interessanti personalità e si estinse
agli inizi del secolo XVII; Ludovico
continuò il ramo principale: agli inizi
del secolo XVI ereditò il patrimonio
feudale degli Aragall ed entrò a far
parte della cerchia ristretta dell’alta
aristocrazia cagliaritana. La sua discendenza si estinse tragicamente alla
fine del secolo XVI a causa di un nau-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bellit
fragio che aprı̀ una lunga contesa ereditaria.
Bellit, Antioco Barone di Acquafredda
(Cagliari, prima metà sec. XVI-Sassari,
1570 ca.). Figlio di Ludovico, pur essendo nato a Cagliari visse prevalentemente a Sassari, dove aveva sposato
Erilla Cariga. Abile uomo d’armi, fu nominato governatore di Castellaragonese e nel 1554 si distinse respingendo
con valore un attacco di pirati turchi.
In seguito fu nominato governatore del
Capo di Sassari e Logudoro e si adoperò per la diffusione dell’istruzione
pubblica, favorendo l’insediamento
dei Gesuiti in città. Nel 1563 ebbe in
dono le signorie di Ittiri e Uri, che
però nel 1564 donò alla sorella Elena
in occasione delle sue nozze con Agostino Gualbes. Morı̀ alcuni anni dopo.
Bellit, Arcangelo Minore conventuale
(Cagliari, prima metà sec. XVI-ivi, fine
sec. XVI). Figlio del barone Ludovico,
fu destinato alla vita religiosa. Divenuto monaco, si distinse per la sua notevole cultura, ma nel 1571 fu accusato
di essere luterano e fu incarcerato,
processato dall’Inquisizione e condannato al rogo. Subito dopo ritrattò e, grazie alle aderenze della famiglia, ebbe
la pena commutata nel carcere a vita.
del Regno di Sardegna, sicché nel 1572,
durante il parlamento Coloma, fu incaricato di raccogliere i capitoli di corte
approvati dai parlamenti sardi tra il
1421 e il 1558 e di commentarli con l’intento di renderne accessibile il complesso. La sua opera, Capitols de cort
del stament militar de Sardenya, 1572,
considerata la base delle successive
raccolte di atti parlamentari, si rivelò
di grande utilità.
Bellit, Giovanni Nobile cagliaritano
(Cagliari, metà sec. XVI-ivi 1597). Ultimo rappresentante maschio del
ramo feudale della sua famiglia. Figlio
del barone Antioco, gli succedette nel
possesso dell’immenso patrimonio
della famiglia, ma nel 1597, costretto a
tornare in patria durante l’inverno,
perı̀ miseramenente in un naufragio.
Egli lasciò erede un’unica figlia, Caterina, che però morı̀ a sua volta poco
dopo.
Bellit, Ludovico Barone di Acqua-
prima metà sec. XVI-?, fine sec. XVI).
Figlia del barone Salvatore e sorella di
Antioco, sposò Agostino Gualbes, e
quando morı̀ Caterina Bellit sua nipote
rivendicò il possesso del patrimonio
feudale per il proprio figlio Ludovico
Gualbes, entrando in lite con il fisco e
con suo nipote Salvatore II.
fredda (Cagliari, fine sec. XV-ivi 1526).
Figlio di Salvatore I, nel 1512 fu dichiarato erede del feudo di Giojsaguardia
appartenente alla famiglia di sua madre e nel 1519 ereditò anche il patrimonio feudale e i molti debiti di suo padre. Oculato e abile amministratore,
riuscı̀ a risanare la situazione patrimoniale della famiglia e a recuperare le
baronie di Monastir e Nuraminis. Poco
dopo esercitò il diritto di riscatto della
baronia di Acquafredda, unificando in
un unico grande feudo Acquafredda,
Palmas, Gioiosaguardia, Decimomannu, Villaspeciosa, Nuraminis e
Monastir.
Bellit, Francesco Giurista (Cagliari,
Bellit, Pietro Finanziere e mercante
prima metà sec. XVI-?, fine sec. XVI).
Figlio di Giacomo, uomo di profonda
cultura, oltre che occuparsi di diritto
amava scrivere anche versi con qualche successo. Conseguita la laurea,
studiò a fondo il sistema istituzionale
(Cagliari, prima metà sec. XV-ivi 1470).
Può essere considerato l’iniziatore
delle fortune della famiglia; nel periodo tra il 1454 e il 1460 fu tra i più
intraprendenti e fortunati protagonisti
della compravendita dei feudi in Sar-
Bellit, Elena Gentildonna (Cagliari,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bellomi
degna. Nel 1454, infatti, acquistò dai
Dedoni la signoria di Monastir e dagli
Aragall quella di Nurallao; nel 1455
estese i confini del feudo di Monastir
acquistando Sibiola e Baratuli dai Ferrer e Nuraminis dai De Sena, ottenendo sull’intero complesso il misto e
mero imperio. Abilmente fece sposare
sua figlia Isabella a Giacomo Aragall,
governatore di Cagliari, ed entrato con
lui in società, nel 1460 acquistò Asuni e
Nureci da Pietro Joffre; nel 1466, sempre in società con Aragall, riuscı̀ a liberarsi di Nurallao, Asuni e Nureci e con
i denari recuperati acquistò da Giorgio
Otger la baronia di Acquafredda. Negli
anni seguenti la sua posizione finanziaria si consolidò ulteriormente, tanto
da essere in grado di prestare ingenti
somme al conte di Quirra e al visconte
di Sanluri; nel 1464 liquidò l’Aragall
dall’affare di Acquafredda, che cosı̀ rimase completamente nelle sue mani.
Negli ultimi anni di vita, superata una
momentanea difficoltà economica,
fece con grande accortezza sposare il
figlio Salvatore con Ludovica Aragall,
figlia del barone Giacomo di Gioiosaguardia.
Bellit, Ranieri Gentiluomo cagliaritano
(sec. XVI). Figlio del barone Ludovico,
fu uno dei protagonisti della fronda
dell’aristocrazia cagliaritana nei confronti del viceré Cardona che ne voleva
limitare i privilegi. Amico di Salvatore
Aymerich, quando quest’ultimo fu accusato di falso in scritture egli fu coinvolto nel caso e indicato come l’autore
materiale della falsificazione, ma grazie alle pressioni di amici e parenti riuscı̀ a liberarsi dall’accusa. Nel 1567 fu
nominato governatore della Tanca Regia, dove con grande competenza promosse l’allevamento di cavalli di pregio. Nel 1575, conclusa una lunga lite
con gli Escarchoni, riuscı̀ a recuperare
il feudo di Marganai, ma, entratone in
possesso, si rese conto che le rendite
del piccolo feudo erano gravate dai debiti, per cui nel 1576 preferı̀ cederlo a
Michele Otger, il procuratore che lo
aveva assistito nel processo.
Bellit, Salvatore I Signore di Monastir
e di Nuraminis (Cagliari, metà sec. XVivi 1519). Figlio di Pietro, anche lui fu
un abile uomo d’affari e, come suo padre, tra il 1494 e il 1498 cedette vantaggiosamente la baronia di Acquafredda
al suocero Giacomo Aragall e con il ricavato acquistò il grande feudo di Nuramis, che unı̀ a quello di Monastir. In
seguito seppe sfruttare a suo vantaggio
l’imminente pericolo di estinzione
della discendenza maschile della famiglia di sua moglie; infatti nel 1504 riacquistò dal suocero la baronia di Acquafredda e negli anni seguenti, estinti gli
Aragall, tentò di entrare in possesso
del loro grande patrimonio per il suo
figliolo Ludovico, scontrandosi con il
fisco. La lite fu lunga e dispendiosa e
si concluse nel 1512, ma gli costò la confisca di Monastir.
Bellit, Salvatore II Gentiluomo (Cagliari, seconda metà sec. XVI-ivi, 1611
ca.). Figlio di Giacomo, all’estinzione
del ramo feudale della sua famiglia entrò in lite con Ludovico Gualbes rivendicando la successione al vistoso patrimonio. Sostenne la lite fino al 1600,
quando i due trovarono un accordo
sulla base del quale gli toccarono i
feudi di Monastir, Nuraminis e Acquafredda, già appartenenti alla sua famiglia. Morı̀ però a Cagliari nel 1611
senza lasciare discendenti.
Bellomi, Giovanni Rettore di Villa di
Chiesa (Pisa, seconda metà sec. XIIIivi, 1330 ca.). Cittadino pisano nato da
antica famiglia dell’oligarchia cittadina, era tradizionalmente vicino ai
Della Gherardesca. Si impegnò nella
vita politica della sua città e nel 1318
fu eletto tra gli Anziani del Comune.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bellonotto
Nel 1321 fu nominato rettore di Villa di
Chiesa e inviato in Sardegna: resse la
città nel difficile momento che precedette lo sbarco aragonese e l’assedio;
comprendendo l’imminenza del pericolo si preoccupò di rifornirla di viveri
e di apprestarne la difesa. Cessato il
suo mandato nel maggio del 1322, tornò
a Pisa. Fu ancora eletto per altre due
volte tra gli Anziani.
Bellonotto, Pietro Storico (n. sec. XX).
Approdò in Sardegna negli anni Venti
del Novecento come insegnante presso
il Liceo ‘‘Dettori’’ di Cagliari. Fu tra i
primi a studiare l’archivio dei Manca a
Villa d’Orri e a rendersi conto dell’importanza della documentazione disponibile, impegnandosi nello studio dell’opera di Stefano Manca di Villahermosa, cui dedicò una breve monografia, A proposito di un illustre cagliaritano a torto dimenticato, 1926, e alcuni
articoli, Un figlio della fedelissima Sardegna, ministro di casa Savoia, ‘‘Mediterranea’’, I, 1927; Il generale di Villahermosa nei suoi rapporti con Carlo Alberto, ‘‘Mediterranea’’, I, 1927.
Bellorini, Egidio Studioso del folclore
e letterato (Milano 1865-ivi 1946). Alla
fine del secolo XIX fu trasferito a Sassari come insegnante del Liceo
‘‘Azuni’’ e soggiornò in Sardegna per
alcuni anni. Attirato dalla letteratura
popolare sarda, la studiò a fondo e contribuı̀ a farla conoscere. Tra i suoi
scritti: Per la pronuncia di nomi in casa
nostra. La città di Nuoro in Sardegna,
‘‘Geografia per tutti’’, II, 1, 1892; Saggio
di canti popolari nuoresi, 1892; Folklore
sardo, 1893; Canti popolari amorosi raccolti a Nuoro, 1893; Ninne nanne e cantilene infantili raccolte a Nuoro, 1894.
Bellu, Giovanni Maria Giornalista e
saggista (n. Cagliari 1957). Professionista dal 1980, dopo alcuni anni nella redazione de ‘‘La Nuova Sardegna’’ è approdato a ‘‘La Repubblica’’, diven-
tando uno tra i più noti redattori del
quotidiano. In particolare è attento osservatore dell’evoluzione del costume
politico e della realtà degli ultimi decenni. Il suo nome è legato ad alcuni
libri di giornalismo investigativo che
gli hanno dato notorietà a livello nazionale. Tra i suoi scritti: Il crollo (con Sandra Bonsanti), 1983; Storie di terrorismo
da Feltrinelli a Sa Janna Bassa (con Roberto Paracchini), 1983; I giorni di Gladio. Come morı̀ la prima Repubblica
(con Giuseppe d’Avanzo), 1991; Sardegna fatti e persone 1993, 1994.
Giovanni Maria Bellu – Giornalista, ha
dedicato i suoi libri ai misteri politici
dell’Italia contemporanea.
Bellu, Pasquale Storico (n. Dualchi
1928). Divenuto sacerdote salesiano,
dopo aver conseguito la laurea si è dedicato alla ricerca e all’insegnamento
universitario. Ha approfondito in particolare lo studio della storia del movimento cattolico. Nel 1985 è diventato
professore associato di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere
dell’Università di Sassari. Tra i suoi
scritti: I cattolici alle urne. Chiesa e partecipazione politica in Italia dall’Unità
al patto Gentiloni, 1977; Prime esperienze di azione sociale in Sardegna nel
pensiero e nell’iniziativa del vescovo di
Ogliastra mons. Emanuele Virgilio,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 512
Beltrami
‘‘Bollettino dell’Archivio storico del
movimento sociale cattolico in Italia’’,
12, 1978; L’azione sindacale cattolica a
Sassari e provincia 1919-1922, in Il sindacalismo bianco tra guerra, dopoguerra e fascismo 1914-1922, 1982;
L’opera sociale di mons. Virgilio, ‘‘Bollettino dell’Archivio storico del movimento sociale cattolico in Italia’’, 17,
1982; Una provincia del Littorio: Nuoro
1927-1929, 1983; La nascita della Democrazia cristiana in Sardegna 1943-1944,
‘‘Sociologia’’, 1-3, 1987; La nascita della
Dc in Sardegna, in Storia della Democrazia cristiana, III, 1988; Mons. Virgilio
vescovo di Ogliastra e le istituzioni, ‘‘Bollettino dell’Archivio storico del movimento sociale cattolico in Italia’’,
XXIV, 1989; I cattolici nel primo Novecento in Sardegna, in Cattolici in Sardegna nel primo Novecento, 1989; Episcopato sardo e impegno politico dei cattolici nelle prospettive apertesi con la fine
della seconda guerra mondiale, in
Chiesa e società sarde tra due concili regionali 1924-1900, 1990; L’episcopato
sardo e l’impegno dei cattolici, in Popolari e democratici cristiani in Sardegna,
1992; Presenza salesiana in Sardegna,
1995; Le origini della Democrazia cristiana in Sardegna (1943-44), 1996.
di Alghero dal 1729 al 1732. Entrò nell’ordine dei Serviti e divenne maestro
in Teologia. Dopo l’ordinazione sacerdotale insegnò per anni nel Seminario
della sua città. Per le sue ottime qualità fu, in seguito, nominato consigliere
e teologo di Vittorio Amedeo II, re di
Sardegna, e padre provinciale del suo
ordine a Genova. Nel 1729 fu nominato
vescovo di Alghero, dove morı̀ probabilmente a causa della malaria. [MASSIMILIANO VIDILI]
Beltram, Michele Religioso (Castellòn,
Spagna, fine sec. XVI-Ales 1643). Vescovo di Ales e Terralba dal 1638 al
1643. Preso possesso della diocesi, si
mostrò sensibile ai problemi sociali
che affliggevano i suoi fedeli; in particolare cercò di porre rimedio alle conseguenze delle frequenti carestie dettando norme sull’ammasso dei grani e
dando impulso in questo modo ai Monti
frumentari, forma di credito agrario
con la quale si intendeva aiutare i contadini meno abbienti e sconfiggere l’usura: l’istituzione fu promossa anche
dai vescovi successivi e si radicò nella
diocesi. [MASSIMILIANO VIDILI]
Belly, Pietro Ufficiale piemontese
(prima metà sec. XVIII-1791). Completati gli studi, fu inviato in Sardegna
come sovrintendente delle miniere,
ereditando una situazione difficile a
causa dello sfacelo in cui il settore versava. Collaborò a lungo con il Mameli,
cercando di rilanciare la produzione,
soprattutto a Monteponi; individuò anche il giacimento di Ingurtosu. Nel
1762 assunse la direzione della fonderia di Villacidro, provvedendo alla sua
radicale ristrutturazione senza però
ottenere grandi risultati.
Belmont, Dionigi Gioacchino Religioso (Asti 1655-Alghero 1732). Vescovo
Luca Beltrami – L’architetto lombardo ritratto
in un’acquaforte di Luigi Conconi (1884).
Beltrami, Luca Architetto (Milano
1854-Roma 1933). Considerato il principale esponente dello stile detto‘‘neorinascimentale’’, completò la sua formazione a Parigi; tornato in patria si
occupò in primo luogo del restauro di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Beltrami
prestigiosi edifici antichi (tra il 1893 e
il 1906 restaurò il castello sforzesco di
Milano). Sempre più inserito nella vita
della sua città, di cui fu anche amministratore comunale, vi progettò numerosi edifici, tra i quali nel 1905 la sede
della Banca Commerciale Italiana.
Ebbe legami culturali con la Sardegna,
dove nel 1915 progettò la sede dalla
Banca Commerciale di Cagliari e in seguito quella della Camera di Commercio. Sulla Sardegna si ricorda un suo
articolo, Una chiesa demolita e ricostruita: San Pietro di Zuri in Sardegna,
‘‘Il Marzocco’’, 1927.
Beltrami, Pietro Uomo d’affari, deputato al Parlamento (Bagnacavallo 1812Firenze 1872). Di idee repubblicane,
prese parte ai moti che portarono alla
costituzione della Repubblica Romana, per cui dopo il 1849 fu costretto
a fuggire a Torino, dove si stabilı̀. Fortemente interessato ai problemi della
Sardegna, con il Bombrini e il sostegno
finanziario della Banca De la Rue e C.
di Genova e di un gruppo di banchieri
di Torino, nel 1856 presentò un progetto per la trasformazione fondiaria
di 60 000 ha di terre demaniali in Sardegna. Trovò l’appoggio del Cavour, ma
non riuscı̀ ad avere la concessione. In
seguito acquistò dal demanio alcune
foreste che disboscò senza criterio,
traendone utili enormi ma guadagnandosi l’appellativo di ‘‘Attila delle sarde
foreste’’. Dopo l’Unità fu eletto deputato per due legislature.
Beltran Famiglia cagliaritana (sec.
XV). Di origine catalana, le sue notizie
risalgono agli inizi del secolo XV; fu
protagonista di fiorenti attività mercantili e di complesse imprese finanziarie che in breve le fecero raggiungere una posizione di tutto rispetto in
seno alla società cittadina. Probabilmente il primo personaggio noto è un
Ferraro, che agli inizi del secolo rico-
priva anche l’ufficio di luogotente del
procuratore reale. Ma il personaggio di
maggior spicco fu Giovanni, probabilmente nipote di Ferraro, mercante tra i
più ricchi della città, che nel 1464 fu
anche lui luogotente del procuratore
reale; egli fece sposare la propria figlia
Angela con Galcerando de Besora, signore del Gippi e della Trexenta.
Beltran, Angela Gentildonna cagliaritana (metà sec. XV-fine sec. XV). Sposata con Galcerando de Besora, aiutò il
marito a risanare la propria difficile
situazione patrimoniale con il suo patrimonio per cui Galcerando, quando
morı̀ nel 1480, le lasciò in eredità il
Gippi, uno dei suoi feudi. Il testamento
fu impugnato dalla cognata Isabella,
sposata con Salvatore Alagon; nella
lunga lite Angela si fece difendere da
Bartolomeo de Gerp, un parente famoso giureconsulto. Una prima sentenza salomonicamente riconobbe la
fondatezza delle pretese di Isabella
ma anche il diritto di Angela a tenere
il feudo fino a recuperare l’ammontare
della dote che, a suo tempo, aveva consentito a suo marito di salvare il feudo.
La lite quindi era ancora aperta
quando Angela morı̀ alla fine del secolo.
Belvaysii, Guglielmo Religioso (sec.
XIV). Arcivescovo di Torres dal 1369 al
1371. Spagnolo, apparteneva all’ordine
dei Minori conventuali e, al momento
della nomina ad arcivescovo di Sassari
nel 1369, era già vescovo titolare di Nazareth. Prese possesso della sede poco
prima che la città cadesse in mano alle
truppe arborensi, durante la seconda
guerra tra il giudice e i catalano-aragonesi. Nel 1371 fu trasferito alla sede castigliana di Coria. [MASSIMILIANO VIDILI]
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 514
Belvı̀
Belvı̀ – Stazione ferroviaria.
Belvı̀ Comune della provincia di Nuoro,
compreso nella XII Comunità montana, con 740 abitanti (al 2004), posto a
660 m sul livello del mare alle pendici
occidentali della parte più alta del
massiccio del Gennargentu, tra Aritzo,
Tonara e Desulo. Regione storica: Barbagia di Belvı̀. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 18,10 km2: ha forma allungata da oriente a occidente e confina a nord con Tonara e Desulo, a est
e a sud con Aritzo, a ovest con Meana
Sardo nonché, per brevissimi tratti,
con Atzara e Sorgono. Il paese si trova
a breve distanza dal fiume di Occile –
che provenendo dal territorio di Desulo va a gettarsi nel Flumendosa – in
una parte valliva e particolarmente
amena della Barbagia, caratterizzata
da ricchezza di acque e di boschi (in
particolare di castagni e di noccioli)
ma anche di terreni adatti alle colture.
Le comunicazioni sono assicurate
dalla statale 295, che collega B. da un
lato col vicinissimo Aritzo, dall’altro
con Tonara e quindi con Nuoro, e dalla
quale si distacca a breve distanza la secondaria per Desulo e Fonni. B. è toccato anche dal tratto Mandas-Sorgono
della ferrovia a scartamento ridotto,
della quale si tenta il rilancio a scopi
turistici con il cosiddetto ‘‘trenino
verde’’, che si presta alla natura e alla
vocazione del territorio.
& STORIA L’attuale abitato è di origine
medioevale; apparteneva al giudicato
di Arborea ed era capoluogo dell’omonima curatoria. La popolazione costituita da pastori godeva di una speciale
autonomia nei confronti dell’amministrazione giudicale. Quando nel 1410 il
giudicato cadde entrò a far parte del
Regnum Sardiniae; gli anni che seguirono furono anni di tensione e insicurezza per B. Nel 1420 fu concesso in
feudo a Ferdinando Pardo; la concessione prevedeva il pagamento di pesanti tributi soprattutto per i pastori,
che costituivano la maggior parte della
popolazione, per cui il villaggio entrò
in conflitto con i feudatari. Il clima di
violenza crebbe con gli anni e nel 1450 i
Pardo preferirono rendere il feudo al
fisco. Il villaggio ebbe alcuni decenni
di libertà poi, nel 1481, fu nuovamente
infeudato ai Pages, provocando una insurrezione che nel 1496 costrinse anche i nuovi baroni a rinunciare al
feudo. In pochi anni B. ottenne il privilegio di non essere mai più infeudato;
nel 1507 fu incluso definitivamente nel
patrimonio regio e prese a essere amministrato da un ufficiale eletto tra i
capifamiglia dei vari villaggi dell’antica curatoria. Nei secoli successivi
tutti questi privilegi furono rispettati
e la comunità conobbe un periodo di
relativa tranquillità, e in queste condizioni la popolazione crebbe. Nel 1767
però B. si trovò di fronte a una spiacevole sorpresa: la riscossione delle sue
rendite civili fu inclusa nel feudo di
Santa Sofia concesso ai Lostia. Il villaggio reagı̀ all’ingiustizia e, proprio nel
momento in cui venivano istituiti il
Consiglio comunitativo e il Monte granatico, riemersero sopite tensioni e vivaci proteste che posero il villaggio decisamente in rotta con il feudatario.
507
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Belvı̀
Seguirono decenni di contrasti che
però non modificarono la situazione.
Nel 1821 il villaggio fu incluso nella
provincia di Oristano e nel 1838 finalmente cessò la sua dipendenza feudale. In questo periodo Vittorio Angius
scriveva: «Il clima è alquanto umido da
ciò, che la posizione sia in una concavità: il freddo è poco rigido anche nel
cuor del verno. L’aria è riconosciuta salubre. Le ordinarie malattie sono le
provenienti da costipazioni non curate: le acute vi sono rare. Il censimento parrocchiale del 1933 portava
famiglie 190, anime 816. Dei belviaschi
altri sono agricoltori, che sommeranno
a circa 60, altri viandanti che vettureggiano in numero di presso a 40; non più
di 30 attendono alla pastorizia, e ben
più pochi ad alcune delle arti di necessità. Le donne di questa terra al pari
che le aritzesi sono laboriosissime, e
s’impiegano nella coltura degli orti, e
nella ricolta dei frutti; dalle quali occupazioni quando che vachino girano
il fuso, o siedono ai telai, che sono circa
70. L’area territoriale si può computare
da circa 25 miglia quadrate. Il paese sta
alla estremità orientale. Tolte le parti
superiori dei monti, tutta la restante
superficie soffrirebbe i lavori dell’agricoltore. Si semina starelli di grano
350, d’orzo 100, di lino 130; e la moltiplicazione è spesso all’ottuplo, avvegnaché molto non si debbano lodare i metodi di coltivamento. Molto è rigogliosa
la vigna, ma poche volte matura i grappoli, onde i vini non godono alcuna riputazione. Le piante che non patiscono
d’una temperatura alquanto bassa vengono con molta prosperità per forma,
che ammira ogni viaggiatore nella
campagna di B. uno dei più ameni e
deliziosi giardini della Sardegna, per
ciò che sia la metà del territorio occupata da folte selve, di ciriegi, noci, noccioli, castagni, peri, pomi ecc. che sono
i primari produttori di questo paese.
Benché in queste fertilissime terre abbiavi una gran ricchezza di pascoli, tuttavia scarso è il numero delle specie e
dei capi. Nell’anno 1833 appena si annoveravano pecore 1000, capre 700,
gioghi da lavoro 70. All’incontrario il
selvaggiume vi è cosı̀ propagato che potrebbe offrire occupazione fruttuosissima ai cacciatori. Vi troverebbero
tutte le specie che popolano i principali boschi sardi, e tutti i generi ancora
dei volatili in ampi stormi, da quelli di
rapina ai gentili, onde si onorano le più
laute mense». Abolite le province nel
1848, B. fu incluso nel dipartimento
amministrativo di Cagliari dove rimase fino al 1859, quando fu compreso
nella provincia di Cagliari; nel 1927 entrò a far parte della provincia di Nuoro.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura: discreta la produzione di ciliegie e di nocciole; vi opera
qualche modesta attività manifatturiera, in particolare la produzione di
torroni e di un dolce tipico della zona,
la caschetta (=). Altro importante settore è costituito dal turismo che può
contare su 2 alberghi con 112 posti
letto. In passato esistevano inoltre
forme di commercio ambulante praticate dai viaggiatori o cavallanti che si
spostavano su cavallini magri e resistenti di fiera in fiera per vendere i
prodotti dell’artigianato del legno,
della tessitura o del ferro. Una categoria a parte di questi ambulanti erano i
cillonari, mercanti avventurieri che si
spostavano a piedi vendendo prodotti
di modesta qualità. Altra attività economica del passato che aveva una notevole importanza era il commercio e il
trasporto delle nevi (= Aritzo), nel
quale però gli abitanti di B. erano solo
parzialmente coinvolti. Artigianato. Di
antica tradizione sono l’artigianato del
legno, in particolare l’intaglio, e del
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Belvı̀
ferro. Un tempo le donne erano abilissime nella tessitura di manufatti di
lino e di lana di grande qualità, in particolare coperte e tappeti. Altra attività
artigianale un tempo sviluppata era la
fabbricazione di candele. Servizi. Il
paese dispone di farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario.
& DATI STATISTICI Al censimento 2001
la popolazione contava 788 unità, di cui
stranieri 7; maschi 386; femmine 402;
famiglie 255. La tendenza complessiva
rivela una lieve diminuzione della popolazione, con morti per anno 13 e nati
9; cancellati dall’anagrafe 13; nuovi
iscritti 11. Tra gli indicatori economici:
imponibile medio IRPEF 13 328 in migliaia di lire; versamenti ICI 331;
aziende agricole 132; imprese commerciali 63; esercizi pubblici 1; esercizi all’ingrosso 1; esercizi al dettaglio 16;
ambulanti 4. Tra gli indicatori sociali:
occupati 225; disoccupati 70; inoccupati 41; laureati 8; diplomati 71; con licenza media 301; con licenza elementare 255; analfabeti 15; automezzi circolanti 214; abbonamenti TV 187.
Belvı̀ – Il grazioso borgo montano ospita un
interessante Museo di Scienze Naturali.
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio possiede numerose vestigia
preistoriche, in particolare le domus
de janas di Gesarù, Lagasu, Nadalia,
Perda Lione, Perda Nerca, Occili e To-
&
nitzo. Di grande interesse è il rifugio
sotto roccia di Pitz ’e Pranu, nel quale
sono state rinvenute ceramiche della
cultura di Bonuighinu, risalenti cioè
al Neolitico medio.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE Suggestivo è l’assetto
urbanistico di B., sulle cui strade
strette, tortuose e scoscese si affacciano le tipiche case barbaricine a più
piani ingentilite da balconi di legno,
talvolta coperti di scaglie di sughero e
ornati da gerani rossi. In una di queste
case è ospitato il Museo di Scienze naturali: nato dalla donazione della ricca
collezione Petruso, è ospitato nella
casa che fu del donatore e negli ultimi
anni si è arricchito con altre donazioni.
L’esposizione, articolata in sezioni,
contiene una ricca documentazione
della flora e della fauna sarda, con
molti esemplari impagliati, e un’interessante raccolta di minerali; è completata da una biblioteca scientifica.
L’edificio di maggior pregio artistico
che il villaggio possiede è la chiesa di
Sant’Agostino, la parrocchiale, che
conserva qualche elemento gotico. I
villeggianti che frequentano il paese
lo apprezzano anche per la possibilità
di compiere passeggiate nei dintorni,
ricchi di acque e di vegetazione spontanea; tra le mete preferite la vallata di
S’Iscra, dove si trovano molti alberi da
frutto e orti, le pendici del caratteristico tacco calcareo Pitz ’e Pranu, simile a Su Texile di Aritzo, e la galleria
della ferrovia per Laconi, che si raggiunge con una camminata lungo i binari.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Ricco un tempo era l’insieme delle tradizioni che vennero tramandate quasi
integre fino a qualche decennio fa; tra
queste vanno ricordate l’abitudine al
ballo nella pubblica piazza al suono
delle launeddas o del piffero, che i gio-
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Bemporad
vani aprivano lentamente poi trascinando le fanciulle in un crescendo vorticoso; l’abitudine ad ascoltare gli improvvisatori di rime sciolte a tema; l’attitidu per ricordare le virtù dei morti; il
gioco della morra.
vicini, e della sagra delle ciliegie,
verso la metà di giugno.
Belvı̀ – Il costume di Belvı̀ è uno tra i più
colorati della Sardegna interna.
Belvı̀ – La processione di Santa Margherita è
una delle più popolari del folclore religioso
della Barbagia di Belvı̀.
Altra caratteristica di questo complesso mondo tradizionale era l’uso
abituale del costume. L’abbigliamento
femminile è costituito da una camicia
di tela bianca, dalla gonna plissettata
che, di orbace rosso per le occasioni di
gala, normalmente invece è nera. Sopra la camicia si indossano il corsetto
di tela fiorita e la giacca a bolero di orbace; sopra la gonna il grembiule di orbace; sul capo si porta una pezzolina
quadrata appuntata sotto il mento sopra la quale si sistema il fazzoletto.
L’abbigliamento maschile comprende
la camicia e i calzoni di lino; sopra la
camicia si indossa un giubbone di orbace generalmente rossiccio; d’inverno viene completato con un altro di
pelle di muflone senza maniche; sopra
i calzoni si indossano il gonnellino di
orbace nero e le ghette dello stesso tessuto. Gruppi in costume, che si esibiscono nei canti e nei balli, si possono
vedere in occasione della festa del patrono Sant’Agostino, che si tiene il 28
agosto col concorso di ospiti dai paesi
Bemporad, Marcello Giornalista
(Roma 1938-?). Dopo la laurea in Giurisprudenza si è dedicato al giornalismo
e ha percorso tutta la sua carriera alla
RAI, dapprima come giornalista radiofonico e quindi come giornalista televisivo. Ha diretto importanti trasmissioni ed è stato responsabile della
struttura di supporto alla radiofonia;
nel 1994 è subentrato a Giovanni Sanjust come direttore della sede RAI di
Cagliari.
Benavides de La Cueva, Francesco
Viceré di Sardegna dal 1675 al 1678
(sec. XVII). Marchese di Las Navas,
nato da una famiglia di grandi feudatari appartenente alla fazione legata
alla regina madre, nel 1675 fu nominato viceré di Sardegna. Preso possesso dell’ufficio governò con prudenza, tentando di comporre le tensioni che ancora laceravano la società
sarda dopo l’assassinio del Camarassa,
consentendo il ritorno in patria di alcuni dei personaggi precedentemente
esiliati. Nel 1676 convocò il Parlamento, i cui lavori si conclusero nel
1678; nello stesso anno fece la visita
del regno, trovando l’isola tranquilla
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Benedetto
dopo il difficile periodo precedente: di
questa visita lasciò una dettagliata relazione. Poco dopo fu nominato viceré
di Sicilia, per cui lasciò la Sardegna
senza completare il suo mandato.
Dopo alcuni anni, nel 1687, fu nominato viceré di Napoli.
Benci, Bencivegna Uomo d’armi toscano (sec. XIV). Alla fine del secolo
era al servizio del re d’Aragona; e
quando nel 1391 ripresero le ostilità
con gli Arborea era capitano di Villa di
Chiesa (l’attuale Iglesias). Tentò di difendere la città dalle truppe di Brancaleone Doria che l’avevano investita, ma
i cittadini si ribellarono e, aperte le
porte, fecero entrare i soldati giudicali, costringendolo a fuggire a Cagliari.
Benedetta d’Arborea Figlia di Ugone
III (Oristano, 1363 ca.-ivi 1383). Era la
primogenita del giudice arborense, e
quindi verosimilmente destinata a salire sul trono d’Arborea dopo la morte
di suo padre. Nel 1378 fu chiesta in moglie per Luigi d’Angiò nipote del re di
Francia, ma le trattative fallirono, probabilmente per l’enorme differenza di
età che c’era tra i due (il principe francese aveva appena un anno). Nella congiura del 1383 la sventurata principessa fu uccisa insieme a suo padre e
il suo corpo fu gettato in un pozzo.
Benedetto1 Vescovo di Bosa dal 1406 al
1407 (seconda metà sec. XIV-prima
metà sec. XV). Entrato nell’ordine dei
Benedettini, ricoprı̀ diversi incarichi
fino alla carica di abate di Sant’Eufemia presso Treviso. Nei difficili anni
dello scisma si era mantenuto fedele
all’obbedienza romana, per cui nel
1406 Innocenzo VII lo nominò vescovo
di Bosa; fu un atto politico importante
in quanto la diocesi faceva parte del
giudicato d’Arborea che sosteneva il
pontefice romano. Il suo successore fu
nominato nel 1407. [MASSIMILIANO VIDILI]
Benedetto2 Vescovo di Sorres dal 1344
al 1348 (sec. XIV). Apparteneva all’ordine domenicano e prima del 1344 era
stato nominato vescovo della diocesi
albanese di Prischtina, il cui territorio
fu invaso dai Turchi. Nel 1344 fu trasferito a Sorres e resse la sua nuova diocesi nei difficili anni che precedettero
lo scoppio della seconda ribellione dei
Doria contro l’Aragona. Negli anni
della sua permanenza in Sardegna
tentò di radicare il suo ordine nella
diocesi che reggeva; nel 1348, poco
dopo la battaglia di Aidu ’e Turdu, fu
trasferito a Chioggia. [MASSIMILIANO VIDILI]
Benedetto VIII Papa dal 1012 al 1024
(m. Roma 1024). È priva di fondamento
la notizia secondo la quale avrebbe voluto e organizzato l’intervento delle
flotte di Pisa e di Genova, che respinse
l’assalto di Mughâid alle coste sarde
nel 1015-1016.
Benedetto, Maria Ada Storica (n. sec.
XX). Si è dedicata alla carriera universitaria, divenendo professore ordinario di Storia del Diritto presso l’Università di Torino. Due suoi scritti riguardano la Sardegna: La fortuna di
Vico in Sardegna, ‘‘Atti dell’Accademia
delle Scienze di Torino’’, LXXXV, 19501951; Nota sulla mancata convocazione
del Parlamento sardo nel secolo XVIII,
‘‘Études’’, XXVI, 1963.
Benedetto, san (in sardo, Santu Benedettu, Santu Benedetto, Santu Eneittu,
Santu Benitu) Santo (Norcia, 480 ca.-?,
547). Nacque in Umbria da una famiglia aristocratica, la gens Anicia, Eutropio il padre, Abbondanza la madre.
Studiò a Roma, nel 500 fece parte della
comunità religiosa di Enfide, oggi Affile. Superiore del monastero di Vicovaro, dove i monaci tentarono di avvelenarlo. Eremita nella grotta di Sacro
Speco, nei pressi di Subiaco. Fondò nel
520 dodici monasteri di dodici monaci
511
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Benedetto di Cagliari
ciascuno. Si trasferı̀ a Casinum, Montecassino, costruendo nel 529, sul luogo
di un’antica torre e di un tempio d’Apollo, la grande abbazia. Scrisse nel
534 la Regula, un prologo e sessantatré
capitoli per i suoi monaci dal doppio
apostolato: «Ora et labora» (Prega e lavora). Croce e aratro per emblema dell’impegno religioso e sociale, la preghiera e il lavoro: «Il monaco è membro di una vera collettività, dedita al
lavoro e non solo alla preghiera. Lavoro manuale giornaliero e preghiera
collettiva esprimentesi nel coro». Il lavoro manuale e intellettuale come
mezzo per elevare lo spirito e come dovere, contro l’ozio causa di tentazioni e
nemico dell’anima. Pregare quindi e
lavorare, provvedendo al proprio sostentamento e a quello della comunità
d’appartenenza. Iniziava cosı̀ un nuovo
capitolo per il monachesimo occidentale. Fondò anche un monastero femminile, affidandone la direzione alla
sorella, Santa Scolastica. Taumaturgo,
molte le leggende sulla sua figura: «Sei
giorni prima di morire – scrive Gregorio Magno – si fece preparare la tomba.
Nel sesto giorno, malato, dopo aver ricevuto l’eucaristia, rese l’anima con le
mani alzate e con parole di preghiera».
Morı̀ il 21 marzo del 547, sepolto nell’abbazia di Montecassino, vicino alla
sorella Scolastica, morta poco tempo
prima. Protegge agricoltori, ingegneri,
speleologi, chimici, moribondi. Da
Paolo VI nel 1966 è stato proclamato
patrono d’Europa. Nel 1969 la sua festa, poiché cadeva in Quaresima, periodo nel quale non si potrebbero celebrare memorie obbligatorie, dal 21
marzo è stata spostata all’11 luglio, «in
cui si commemorava nel sec. VIII la
supposta traslazione delle ossa del
santo a Fleury».
In Sardegna È invocato per la buona
confessione. A Cagliari, nella chiesa a
lui dedicata, costruita nel 1643, ha dimorato, novizio, Sant’Ignazio da Laconi. Alla chiesa apparteneva la tela
secentesca del santo, ora nella Pinacoteca Nazionale della stessa città.
[ADRIANO VARGIU]
San Benedetto – Il santo risuscita un
fraticello. Particolare della predella
dell’Incoronazione di Maria di Lorenzo
Monaco.
Benedetto di Cagliari, san Santo
(secc. XI-XII). Monaco del monastero
benedettino cagliaritano di San Saturno. Fu vescovo di Dolia dal 1107 al
1112, carica che, diventato vecchio, abbandonò per tornare al proprio monastero, dove finı̀ i suoi giorni.
Benetti, Edoardo Intellettuale e giornalista (secc. XIX-XX). Operò a Sassari
e in Gallura nei primi decenni del Novecento. Era di idee socialiste, legato
al battagliero socialismo tempiese. Attento studioso delle origini della città,
ha lasciato una serie di interessanti articoli, Passeggiate archeologiche attraverso il Sulcis, ‘‘L’Unione sarda’’, 1904;
Le ville romane in Sardegna, ‘‘La Nuova
Sardegna’’, 1908; La colonia Gemellas e
le origini di Tempio, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1910; Sei giornate di uno storiografo tedesco nell’Anglona, ‘‘La Nuova
Sardegna’’, 1911; Boschi, agricoltura e
bacini montani, ‘‘La Lotta’’, 1913; La resurrezione di Ampurias, ‘‘La Lotta’’,
1913; Il sasso dell’Elefante e i simboli ar-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 520
Benetutti
caici dell’agricoltura, ‘‘Sardegna’’, I, 1,
1914; La Romania o Romandia sarda e
le origini di Sassari, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1919; Antica villa romana tra Sorso
e Castelsardo, ‘‘La Nuova Sardegna’’,
1921; Antiche strade della Sardegna,
‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Arte romana in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Bagni romani in Sardegna,
‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Promontorio della morte (Capo Falcone), ‘‘La
Nuova Sardegna’’, 1921; Averno omerico (Terme di Casteldoria), in ‘‘La
Nuova Sardegna’’, 1921; Longonis Sinus, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; La
torre di S. Lucia o Longone, ‘‘La Nuova
Sardegna’’, 1921; Nel Seicento sardo.
Una tragedia politica, ‘‘Fontana Viva’’,
I-II, 1926-27; La chiesa di S. Giorgio di
Leda in Perfugas, ‘‘L’Isola’’, 1927; Ebrei
e primi cristiani in Sardegna, ‘‘L’Isola’’,
1933. La sua opera più originale è il libro Omero e la Sardegna, pubblicato a
Sassari nel 1925, in cui è analizzata la
teoria secondo cui alcuni luoghi dell’Odissea prenderebbero ispirazione
da altrettanti luoghi della Sardegna.
qua che, riunitisi in uno dei tanti rio
Mannu (‘‘Grande’’), confluiscono nel
Tirso; importanti, nella piana a valle
del paese, le sorgenti termali di San Saturnino, sfruttate sin dall’antichità. Si
conservano tratti della vegetazione
originaria, costituita da querce, sughere, lecci e olivastri, il resto è utilizzato per le colture e soprattutto per il
pascolo. Il paese è attraversato da una
strada secondaria che, distaccandosi
dalla 128 bis (e dalla vicina e incompiuta direttissima di fondo valle per
Olbia) nel tratto tra Anela e Pattada, si
dirige verso Bitti.
Benetutti Comune della provincia di
Sassari, compreso nella VII Comunità
montana, con 2124 abitanti (al 2004),
posto a 406 m sul livello del mare, affacciato da oriente, insieme alla vicinissima Nule, sulla vallata del Medio
Tirso. Regione storica: Goceano. Diocesi di Ozieri.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 94,53 km 2 : ha forma
grosso modo triangolare, con una
punta allungata verso settentrione, e
confina a nord con Bultei e Nule, a est
con Orune, a sud con Nuoro, Orani,
Oniferi e Orotelli, a ovest con Bono e
Bultei. Si tratta di una regione in parte
valliva, come si è detto, in parte costituita da colline di non grande altezza:
le punte maggiori sono intorno ai 700
m. Vi corrono alcuni piccoli corsi d’ac-
Benetutti – Il centro è, con Nule, uno dei due
paesi del Goceano sorti sulla riva sinistra del
Tirso.
STORIA Il villaggio attuale è di origini medioevali: appartenne al giudicato di Torres e fu incluso nella curatoria del Goceano. Dovette essere un centro importante per la fama di cui godevano ancora le terme, già sfruttate in
epoca romana, e ancora densamente
popolato, come dimostrano i ruderi
dei due villaggi attorno alle attuali
&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Benetutti
chiese campestri di Nostra Signora di
Boloe e di Santa Barbara, entrambe in
forme cinquecentesche, e che probabilmente erano le parrocchiali di due
villaggi distrutti. Dopo l’estinzione
della famiglia giudicale di Torres, il
villaggio fu lungamente conteso tra i
Doria e gli Arborea; sembrò che dopo
il 1290 questi ultimi avessero la meglio
ma nel 1297 i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di alleati da coinvolgere
nella conquista della Sardegna che andava progettando, se ne fecero riconoscere il possesso e ne ottennero l’investitura. Dopo l’arrivo degli Aragonesi,
quando nel 1325 i Doria si ribellarono,
il villaggio fu investito nuovamente
dalle truppe del giudice d’Arborea allora alleato del re d’Aragona, conquistato e formalmente annesso al Regno
di Sardegna. Il suo possesso, con tutto
il Goceano, fu definitivamente riconosciuto al giudice d’Arborea e nel 1339 il
re d’Aragona concesse a Mariano IV il
titolo di conte del Goceano. Scoppiata
la guerra tra Mariano IV e Pietro IV fu
spesso teatro delle operazioni militari
e nel 1378, negli anni in cui il conflitto
si fece più aspro, il re d’Aragona provocatoriamente incluse B. nei territori
che aveva concesso in feudo al traditore Valore de Ligia. In realtà il villaggio continuò a rimanere in possesso degli Arborea fino alla caduta del giudicato, e dopo il 1409 fu concesso in feudo
al marchese d’Oristano. Di fatto il territorio non era ancora pacificato, infatti sembrava dovesse cadere nelle
mani del visconte di Narbona e negli
anni seguenti fu teatro di una continua
guerriglia della quale approfittò il bandito Bartolo Manno per invadere e devastare tutto il Goceano. Poiché la situazione non era controllabile dal marchese d’Oristano, nel 1421 sembrò dovesse entrare a far parte del grande
feudo concesso a Bernardo Centelles;
nel 1422 Leonardo Cubello invase il
territorio, sconfisse Bartolo Manno e
finalmente occupò il Goceano. Cosı̀ B.
dopo anni di tribolazioni pervenne ai
marchesi d’Oristano; dopo la ribellione di Leonardo Alagon, a partire
dal 1478, fu amministrato direttamente
da funzionari reali e nel 1493 fu definitivamente incluso nel patrimonio
reale; contava allora poco più di 350
abitanti. Dipendeva dal governatore
del Goceano che si serviva di funzionari per espletare le proprie funzioni.
Il rapporto tra i funzionari reali e la
popolazione però non fu mai tranquillo, anche perché lentamente fu
modificato il sistema di individuazione del majore, che finı̀ per essere
scelto dal governatore, e perché il carico fiscale era piuttosto pesante. Nel
secolo XVII la popolazione del villaggio cominciò a crescere e alla fine del
secolo contava otre 600 unità; la comunità tentò di riattivare le terme, la cui
memoria non si era persa, affidandole
alla famiglia Carta, e si impegnò nel miglioramento della chiesa parrocchiale
e di altre chiesette oggi in gran parte
scomparse. Nel secolo XVIII la popolazione aumentò ulteriormente anche
per l’apporto degli abitanti di Bortiocoro, che vi si trasferirono abbandonando il loro territorio. Il villaggio nel
corso del secolo cominciò a sperimentare le prime iniziative per lo sfruttamento del sughero ed ebbe il Consiglio
comunitativo e il Monte granatico che
contribuirono a vivacizzare la sua vita.
Nel 1821 il villaggio fu incluso nella
provincia di Nuoro. Qualche tempo
dopo Vittorio Angius forniva queste
notizie: «Le case sono circa 285, costrutte in gran parte a pietre granitiche, che è la rocca dominante. Le
strade sebbene irregolari sono belline:
mancano di selciato, ma non di meno
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Benetutti
poche ritengon l’acqua delle pozzanghere, sı̀ per la inclinazione, che per la
natura del suolo tutto sabbionoso. Le
generali professioni sono l’agricoltura
e la pastorizia. Nelle arti meccaniche
di necessità non si esercitano più di 20
persone. Le donne sono applicate nella
tessitura dei panni lani, e lini, in 200
telai; e producendo i lavori più che domandino i propri bisogni, mandano nel
commercio molte pezze. La scuola normale contava nel 1833 fanciulli 20. Al
ponente, in distanza di tre quarti d’ora,
nella regione denominata da una chiesetta, di costruzione antica, dedicata a
San Saturnino, trovansi le rinomate acque termali, le quali sorgono entro
un’area di circa 1000 piedi quadrati da
un terreno argilloso, coperto d’erbe e
di giunchi. Molte hanno libero il corso,
e scorrono a mescolarsi col vicino
Tirso, entrandoci dalla sponda sinistra; l’altre stagnano in molte pozze fetenti. Non si può definire il numero
delle scaturigini, da che per tutto dove
si scavi un poco entro l’area determinata vedesi l’acqua venir su. Il censimento parrocchiale del 1833 presenta
numero di famiglie 250, d’anime 1500.
Nascono per l’ordinario 40, muojono
30; la vita si suol protrarre al cinquantesimo, e contraggonsi 10 matrimoni.
Le malattie più frequenti sono di febbri periodiche e perniciose, infiammazioni, reumatismi, dolori articolari,
ostruzioni e flussioni. Nei funerali è
ancora in uso il compianto. Si semina
ordinariamente starelli di grano 500,
d’orzo altrettanto, di fave 100, di lino
egual misura, poco canape, e meno di
legumi. La fruttificazione media è il
settuplo. Coltivansi in alcuni orti lattughe, cavoli, poponi, cocomeri, e pomidoro. Le vigne sono molte, tuttavia corrispondon poco. Il vino è bianco, e
nulla pregiato. Quanto sopravanza
dalla consumazione distillasi in acqua-
vite. Il bestiame che educavasi per il
macello, per l’agricoltura e per altri
usi e bisogni umani sommava nell’anno
sopra segnato a capi 14 250, numero
molto inferiore all’ordinario, ed a tale
ridotto dall’epizoozia dell’anno antecedente. Nelle specie questa era la distribuzione: vacche capi 3000, pecore
8000, capre 600, cavalli e cavalle, compresi i domiti, 1300, porci 500, mannalite o vacche domestiche 150, buoi da
lavoro 300, majali 200, giumenti 200».
Dopo l’abolizione dei feudi B. fece
parte fino al 1859 della divisione amministrativa di Nuoro, subito dopo fu incluso nella provincia di Sassari. Il villaggio continuò a crescere e non risentı̀
della grande crisi economica della fine
dell’Ottocento. Nel corso della prima
metà del Novecento la sua popolazione
toccò i 3000 abitanti ma dopo il 1961, a
causa di una forte corrente migratoria,
diminuı̀ rapidamente.
& ECONOMIA L’economia del paese è
basata principalmente sull’agricoltura, in particolare la coltivazione di
cereali e di legumi, sulle attività dell’allevamento del bestiame e su modeste attività manifatturiere, soprattutto
nel settore edilizio, e commerciali. Da
qualche decennio funziona una moderna fabbrica di maglieria, che impiega un certo numero di operaie e lavora soprattutto per le grandi marche
nazionali e in diversi casi per il mercato estero. Un posto di rilievo nell’economia occupa anche l’impianto
delle terme che sta facendo sviluppare
un discreto turismo residenziale favorito dalla presenza di due alberghi con
136 posti letto e di un ristorante. Artigianato. Si è conservata l’antica tradizione della tessitura domestica del lino
e della lana; attualmente continua soprattutto la produzione di coperte e di
tappeti di splendida fattura. Servizi. B.
è collegato mediante autolinee agli al-
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Benetutti
tri centri della provincia e dista da Sassari 83 km. Dispone di guardia medica,
medico, farmacia, scuola dell’obbligo,
Biblioteca comunale e sportello bancario.
Benetutti – La parrocchiale del paese ospita il
ciclo di pitture del Maestro di Ozieri dedicato
all’‘‘invenzione della Croce’’ da parte di
Sant’Elena.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 2239
unità: maschi 1116; femmine 1123; famiglie 690. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione, con morti per anno 34 e nati
32; cancellati dall’anagrafe 22; nuovi
iscritti 17. Tra gli indicatori economici:
imponibile medio IRPEF 11 303 in mi-
gliaia di lire; versamenti ICI 852;
aziende agricole 207; imprese commerciali 149; esercizi pubblici 18; esercizi
al dettaglio 47; ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali: occupati 668; disoccupati 48; inoccupati 109; laureati 42; diplomati 217; con licenza media 639; con
licenza elementare 1611; analfabeti 39;
automezzi circolanti 862; abbonamenti
TV 589.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio era frequentato fin dalla
preistoria ed è particolarmente ricco
di siti archeologicamente interessanti;
si tratta di dolmen (Maone), di domus de
janas (Argiola de Furadu, Laranei,
Mandra ’e Giosso, Mercuriu, Minadorgiu, Nortatile, Salamodde, Sinnidere,
Molimentos, Montigiu Lolle, Sa Contonera, Sos Lados, Su Padru), di nuraghi
(Boddoi alto, Boddoi basso, Carvoneddu, Crastu ’e Cuccu, Lotta, Maria
Luisa, Noratile, Ogolo, Ogoro, Ortuine,
Ostula, Puddighinu alto, Puddighinu
basso, Revoste, S’Aspru, S’Ena ’e Cannas, S’Ena ’e Sedina, Salamanna, Salamodde, Sa Mandra de sa Giua, Sas Luzzanas, Serra ’e Coddos, Torodde, Zili),
di Tombe di giganti (Iscorra Boe, Merenda Ona, S’Ena ’e Sa Mela, S’Ena ’e
Sedina) e di tracce di insediamenti romani. Tra tutti sono di particolare interesse le domus de janas di Molimentos,
situate nella località omonima a breve
distanza dall’abitato. La necropoli,
scavata nella viva roccia, risale alla
cultura di Ozieri ma fu ancora utilizzata nel periodo della cultura di
Abealzu, 2300-2100 a.C. Risale a questo
periodo la grande quantità di ceramiche che fu trovata all’interno della
tomba durante gli scavi. Altro sito di
grandissima importanza è la Tomba di
Maone, sepoltura attribuibile al periodo della cultura di Ozieri, situata in
una valle a sud dell’abitato. Si tratta di
una piccola grotta scavata nella roccia
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 524
Benetutti
e integrata da un dolmen costituito da
due muretti a secco su cui poggia una
grande lastra. Gli archeologi la considerano un importante documento di
trapasso dalla sepoltura ipogeica del
tipo domus de janas a quella di tipo megalitico. Molto suggestivo è il complesso di Carvoneddu, sull’orlo del vallone del rio Mannu, costituito dall’omonimo nuraghe monotorre, imponente e ben conservato, e dal complesso di domus de janas di Su Padru,
scavate su una parete di granito in
prossimità di un guado del rio Mannu,
molto ben eseguite con porta e anticella di grande eleganza.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’assetto urbanistico è
di grande effetto e conserva l’antica
rete di strade sulle quali si affacciano
le tipiche case goceanine in granito, alcune delle quali pretenziosamente
arieggianti al palattu. Nel villaggio sorgono alcuni edifici di pregio: il più importante è senza dubbio la parrocchiale di Sant’Elena, costruita in
forme gotico-aragonesi nel secolo XV,
modificata e ingrandita tra la fine del
secolo XVI e gli inizi del XVII e infine
completata con alcune cappelle laterali in epoca più recente. L’interno è a
una navata coperta a volta ed è ricco di
affreschi del secolo XVIII sulle pareti
laterali, sulla volta del presbiterio e
sull’arco principale; la chiesa inoltre
custodisce una serie di tele provenienti dal Retablo di Sant’Elena del
Maestro di Ozieri, dipinto nel 1541, alcune altre tele del secolo XVII, tele del
pittore Francesco Becciu, e argenterie
del Seicento. Il campanile, costruito
nel 1670, è opera dello Spotorno (=).
Altra chiesa interessante è San Timoteo, costruita nel 1679 dalla famiglia
Canu che la dotò di un consistente patrimonio. Aveva un impianto mononavato e nel corso dei secoli subı̀ alcuni
restauri, in particolare nel Settecento
fu rifatta la copertura; all’interno custodisce una bella statua lignea. La
chiesa di San Salvatore fu costruita
alla periferia dell’abitato tra la fine
del XVI e gli inizi del secolo XVII, probabilmente sopra i resti di una chiesa
più antica. Ha una pianta mononavata
su cui si aprono il presbiterio e sette
cappelle laterali delimitate da archi a
tutto sesto; all’interno custodisce un
bel crocifisso ligneo del secolo XVII.
Belle e suggestive sono le chiese campestri. Per prima quella di Santa Barbara, che sorge a qualche chilometro
dall’abitato sopra le rovine di un nuraghe. Fu costruita probabilmente nel
Medioevo e ristrutturata nel secolo
XVII; ha un impianto a una navata, e i
muri perimetrali sono rinforzati da
speroni. Viene poi quella di Nostra Signora di Boloe, situata a qualche chilometro dall’abitato attuale: fu edificata
nel Medioevo nel villaggio omonimo
oggi scomparso; nel XVII subı̀ un radicale rifacimento assumendo le forme
attuali. Ma la testimonianza di maggiore rilievo per la storia di B. è costituita dal complesso termale di San Saturnino. Il sito si trova a qualche chilometro dal villaggio alla confluenza del
rio Mannu col Tirso, inserito in un vasto comprensorio di bonifica; il suo territorio è ricco di pozzi e sorgenti da cui
sgorgano acque solforose e cloruro-bicarbonato-sodiche utilizzate a scopi terapeutici da tempo immemorabile. Fin
dal 1839 è stato identificato da Giovanni Spano nell’antico centro termale
romano delle Aquae Lesitanae. Al momento erano visibili numerosi resti di
età romana; di questo attualmente rimane solo una piccola vasca rotonda.
Nel periodo altomedioevale vi si sviluppò un villaggio di cui nel 1984 è stato
individuato il cimitero con numerose
tombe bizantine, che hanno restituito
517
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Benigni
armi in ferro, borchie, fibbie e altre decorazioni di tipo militare risalenti ai
secoli VII-VIII, appartenenti probabilmente a soldati di stanza nel piccolo
villaggio. Nel secolo XII sulle rovine
di un nuraghe fu costruita la chiesetta
romanica di San Saturnino, in trachite
rosa. L’edificio, donato nel 1163 dal vescovo Attone ai Camaldolesi, ha una
sola navata e la copertura in legno a
capriate. Poco distante sorge il complesso delle terme, costituito da due
moderni stabilimenti molto frequentati. Diverse sorgenti all’aperto (anzos,
‘‘bagni’’) danno acque che la popolazione del luogo destina alla cura di differenti organi e parti del corpo. Nel
2006 il paese si è dotato di un’importante collezione comunale di arte contemporanea, in particolare di pittura
sarda, dono della famiglia SodduTanda e ad essa intitolata.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI L’antico patrimonio di usanze popolari era
dominato dalla rilevanza che aveva la
morte, considerata evento catastrofico
su cui scandire la vita delle famiglie e
della comunità. In particolare la morte
del capofamiglia aveva per la vedova
conseguenze terribili a causa dell’usanza detta su corruttu, in base alla
quale la poveretta si chiudeva a casa e
si lasciava deperire progressivamente
arrivando talvolta a non cambiarsi
nemmeno più d’abito; questa usanza
fu praticata fino agli anni precedenti
la seconda guerra mondiale. Rimane
memoria anche del compianto (attitidu) in onore dei morti che ancora
agli inizi del Novecento alcune donne
erano in grado di eseguire soprattutto
in occasione della morte di qualche
personaggio di rilievo. Delle molte feste popolari che un tempo scandivano
la vita del villaggio ancor oggi rimane
quella in onore della patrona Sant’Elena, da sempre la più importante: si
svolge il 18 agosto, richiama i molti
emigrati sparsi per il mondo e comprende balli in piazza, processioni in
costume, gare di poesia e altre manifestazioni collettive. Un tempo si teneva
una fiera e si celebravano molti momenti di canto e ballo; attualmente il
programma dei festeggiamenti ha
perso il suo carattere tradizionale. Vi
si possono comunque vedere i costumi
tradizionali in uso nel paese: in particolare quello femminile, costituito da
una lunga gonna a pieghe e da una caratteristica camicetta, detta sa blusa.
Ancora praticati i riti della Settimana
santa, che culminano con la cerimonia
de s’Iscravamentu, la Deposizione del
Cristo crocifisso che viene eseguita dagli appartenenti alla Confraternita di
Santa Croce; di rilievo anche le cerimonie del giorno di Pasqua, con le due
processioni, una con la Madonna e una
col Cristo risorto, che movendosi
prima in percorsi diversi e poi unendosi danno luogo al momento festoso
de S’incontru, salutato da nutrite salve
di fucileria (B. è paese di cacciatori;
quelli dediti alla caccia al cinghiale
sono divisi in gruppi detti ‘‘compagnie’’).
Benigni, Giovanni Giurista e uomo politico pisano (sec. XIV). Uomo di
grande preparazione e di grande abilità politica prese attivamente parte
alla vita pubblica della sua città e tra il
1294 e il 1347 fu per ben 24 volte anziano e fece parte del Consiglio dei
Savi. Iniziò la sua attività nel 1294 a Cagliari, dove fu giudice e assessore di
Castel di Castro; tornato in patria cominciò a essere eletto tra gli Anziani e
nel 1308 fu ancora inviato a Cagliari
come castellano. In seguito la sua
ascesa politica continuò: nel 1318 fu incaricato di trattare a Napoli la pace
con i comuni della Lega guelfa. Nello
stesso anno entrò a far parte per la
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 526
Berchialla
prima volta del Consiglio dei Savi e fu
incaricato di altre importanti missioni
diplomatiche.
Benini, Antonio Pittore romano (n. sec.
XX). Tra il 1875 e il 1876 eseguı̀ due oli
per il Palazzo municipale di Oristano,
Nozze di Eleonora e Brancaleone ed
Eleonora nell’atto di scrivere la Carta
De Logu, commissionati in occasione
delle celebrazioni in onore della giudicessa. Nel 1903 dipinse un terzo olio,
Promulgazione della Carta de Logu.
Benoit, Fernand Archeologo francese
(n. sec. XX). Interessato allo studio dei
rapporti tra la Francia e la Sardegna
nel periodo nuragico, per alcuni anni
diresse il Museo di antichità di Provenza, Corsica e Marsiglia. Tra i suoi
scritti: La Sardaigne nuragique, ‘‘Provencia’’, 1955; Le fonds sards du Musée
Barely a Marseille, in Atti del VI Congresso internazionale di Studi sardi, II,
1962; Les courants de civilisation en Méditerranée occidental à l’époque préromaine, ‘‘Rivista di Studi liguri’’, XXX,
1964.
Benveduti, Polidoro Bibliotecario
(Guscio 1891-?, dopo 1960). Intellettuale appartenente a una nobile famiglia originaria di Gubbio, uomo di vastissima cultura, dopo aver sperimentato in gioventù interessanti attività
nel campo imprenditoriale e dato vita
a molteplici esperienze culturali, a
partire dal 1931 si interessò di biblioteche e dei problemi connessi alla patologia del libro. Trasferito in Sardegna
alla fine degli anni Cinquanta, diresse
la Biblioteca Universitaria di Cagliari
tra il 1959 e il 1960 e prese parte alla
vita culturale della città; collaborò intensamene con il ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’ del Della Maria. Tra
i suoi scritti: Economia sarda nel sec.
XV, ‘‘Ichnusa’’, 15, 1956; Una relazione
storico-geografica sulla Sardegna del
1746 (con Pietro Leo), 12 puntate sul
‘‘Nuovo Bollettino bibliografico
sardo’’, II, 13-14; III, 15-16-17-18; IV, 1920-21-22-23-24, 1957-1959; Intorno all’effigie di E. D’Arborea, ‘‘Nuovo Bollettino
bibliografico sardo’’, V, 27, 1960.
Bérard, Victor Archeologo, studioso di
Omero (Morez, Francia, 1864-Parigi
1831). Appassionatosi ai poemi omerici
e in particolare all’Odissea (che considerava scritta, come l’Iliade, effettivamente da Omero, seppure in fasi e
‘‘parti’’ diverse), nelle sue Tables odysséennes ricostruı̀ i viaggi di Ulisse, provando a identificare in reali luoghi del
Mediterraneo le località toccate dall’eroe nel suo ritorno a Itaca. Fra queste,
indicò una serie di elementi che potevano portare a credere che la terra dei
Lestrı̀goni e la loro fonte Artacia (arktos = ‘‘orso’’) fossero presso il capo
d’Orso di Palau. Le sue teorie furono
diffuse in Sardegna da Edoardo Benetti (=) in diversi scritti, soprattutto
Omero e la Sardegna, 1925. Nel momento della creazione delle prime infrastrutture turistiche Vico Mossa (=)
suggerı̀ per la vicina costa intorno a
Porto Pozzo e Valle dell’Erica il nome
di ‘‘Costa dei Lestrı̀goni’’.
Berchialla, Vincenzo Religioso (Montelupo 1825-Cagliari 1892). Arcivescovo
di Cagliari dal 1881 al 1892. Appartenente all’ordine degli Oblati, fu ordinato sacerdote nel 1847. Nei primi
anni del suo apostolato, sorretto da
una immensa cultura e dalla conoscenza di molte lingue, si impegnò nel
lavoro culturale e nell’attività pastorale. Per motivi familiari lasciò temporaneamente la sua congregazione e si
ritirò ad Alba, dove fu nominato canonico onorario e dove continuò il suo
operato. Nel 1871 tornò nella sua congregazione e raggiunse notorietà nazionale con i suoi libri e con le sue conferenze per il clero. Nelle sue peregrinazioni gli capitò in più di un’occa-
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Berchidda
sione di andare a Cagliari, rimanendone favorevolmente impressionato.
Nel 1881 fu nominato arcivescovo di
Cagliari; governò la diocesi con dolcezza, comunicando il suo entusiasmo
a tutti e promuovendo in particolar
modo le vocazioni e la conoscenza
della dottrina cristiana. Altro importante risultato del suo episcopato fu la
riforma del calendario liturgico. Tra i
suoi scritti: Constitutiones et decreta
Synodi calaritanae, 1882; Novena in
onore di N.S. di Bonaria, 1882; Circolare
per l’inaugurazione di un nazional monumento alla Immacolata Vergine nella
piazza di questa città che s’intitola Madonna del Carmine, 1882; Additiones ad
breviarium romanum pro archidiocesi
calaritana, iuxta calendarium a S. Congregatione concessum anno 1883, 1884;
Vita compendiosa del Beato Salvatore
da Horta, 1887; Acta concilii provincialis calaritani anni 1886 mense maio,
1889; Statuta pro Capitulo ecclesiae Calaritanae, 1890; Lettere pastorali dal
1881 al 1892, 1892.
Berchidda – Paesaggio nei dintorni del centro
abitato.
Berchidda Comune della provincia di
Olbia-Tempio, compreso nella VI Comunità montana, con 3049 abitanti (al
2004), posto a 300 m sul livello del mare,
affacciato dalle pendici meridionali
del massiccio del Limbara sulla vallata
tracciata da alcuni dei corsi d’acqua
che vanno a gettarsi nel bacino artificiale del Coghinas. Regione storica:
Montacuto. Diocesi di Ozieri.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 201,88 km2: ha forma
grosso modo triangolare, con una
punta che si spinge verso sud; confina
a nord con Tempio Pausania e Calangianus, a est con Monti, a sud con Alà
dei Sardi e Buddusò, a ovest con
Oschiri. Il suolo si divide grosso modo
in due parti: quello montano, ricoperto
di bosco e macchia e solo in parte utilizzato per il pascolo; e quello di collina e di valle, impiegato per l’agricoltura e l’allevamento. Si tratta di un ambiente a natura prevalentemente granitica, che presenta in alcune parti notevoli pregi paesaggistici e naturalistici. A oriente e occidente del paese
scorrono corsi d’acqua che, scendendo
dal Limbara, si immettono in quelli
maggiori di fondo valle. La principale
via di comunicazione è la direttissima
Sassari-Olbia, che passa a breve distanza; nei pressi si trova anche la stazione di cui il paese dispone lungo la
linea ferroviaria Chilivani-Olbia.
& STORIA Il centro attuale è di origine
medioevale: apparteneva al giudicato
di Torres ed era incluso nella curatoria
di Montacuto. Sorse probabilmente nel
corso del secolo XI in prossimità dell’omonimo castello dal quale era difeso. Dopo l’estinzione della famiglia
giudicale B. e tutto il Montacuto furono
contesi tra i Doria, gli Arborea e i Visconti; alla fine del secolo XIII tutto il
territorio era presidiato da truppe arborensi, che sembrava dovessero arrivare a controllare l’intero Montacuto.
La situazione mutò quando i Doria,
sfruttando il bisogno che Giacomo II
d’Aragona aveva di trovare alleati per
l’imminente conquista della Sardegna,
nel 1308 ne ottennero l’investitura. Gli
Arborea, anche loro alleati del re, pre-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berchidda
sero atto della cosa ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni.
Quando però nel 1325 i Doria si ribellarono ai loro alleati, il giudice d’Arborea fece nuovamente occupare il villaggio dalle sue truppe e lo fece annettere formalmente al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si
combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 fu compreso nei territori che il re d’Aragona
concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Quando divenne giudice, Mariano
IV pretese l’obbedienza feudale dal
fratello ma questi, avendo ottenuto il
Montacuto dal re, si rifiutò e per questo
fu arrestato. Negli anni che seguirono,
scoppiata la guerra tra Mariano IV e
Pietro IV, B. subı̀ continue devastazioni
per cui andò spopolandosi e fu occupato dalle truppe arborensi fino alla
fine della guerra. Nel 1410 il villaggio,
per quanto semispopolato – la sua popolazione non arrivava alle cento unità
– , continuava a sopravvivere e cadde
in mano del visconte di Narbona che
solo nel 1420 rinunciò ai propri diritti.
Nel 1421 fu incluso con tutto il Montacuto nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Il rapporto con i nuovi
signori non fu dei migliori: i suoi abitanti nel 1458 si ribellarono perché
esasperati dal peso dei tributi ma non
riuscirono a modificare la loro situazione. Nella seconda metà del secolo i
Centelles inclusero B. nell’incontrada
del Montacuto e il villaggio fu amministrato da un regidor residente a Ozieri e
coadiuvato da una burocrazia di funzionari baronali che fecero assumere
al piccolo territorio i caratteri di uno
stato. I Centelles si estinsero nel 1569,
data nella quale si aprı̀ una lite ereditaria che durò fino al 1591: in questi
anni il feudo fu sequestrato e per un
certo tempo amministrato da funzio-
nari reali. Al termine B. passò ai Borgia, con i quali le condizioni della comunità non mutarono, anzi: nel corso
del Seicento si verificò un aumento del
potere del feudatario che arrivò a controllare direttamente l’elezione del
majore esautorando completamente la
comunità; per l’amministrazione preferı̀ appoggiarsi ai rappresentanti di
alcune famiglie di notabili locali che
gestirono il potere in modo sostanzialmente clientelare e ingiusto. Ciò si
rese possibile perché, nel corso del secolo, per l’esazione dei tributi feudali
erano state create le ‘‘liste feudali’’ dei
contribuenti in base al loro reddito: la
gestione di queste liste comportava
quindi non solo la determinazione del
carico fiscale per ciascuno ma anche
l’individuazione delle categorie degli
esenti. In genere gli esenti erano proprio i notabili locali che finirono per
formare delle élite vassallatiche legate
al feudatario; quando i Borgia si estinsero, nel 1740, il villaggio aveva circa
1000 abitanti ed esprimeva un profondo bisogno di liberarsi dalla dipendenza feudale. Intanto la sua struttura
sociale si andava modificando, le crescenti attività manifatturiere ne aumentavano il benessere e facevano apparire le prime scuole e i primi professionisti. Dopo una lunga serie di vicende ereditarie, nel 1767 il villaggio
fu incluso nel ducato del Montacuto
che toccò a Maria Giuseppa Pimentel,
erede dei Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron. B., come molti altri villaggi
del Montacuto, non ebbe un rapporto
facile con i nuovi feudatari che dalla
Spagna facevano amministrare il
feudo a funzionari senza scrupoli, cosı̀
tra il 1774 e il 1785 si rifiutò apertamente di pagare i tributi e nel 1795
prese parte ai moti antifeudali. Nel
1821 fu incluso nella provincia di
Nuoro, nel 1843 chiuse definitiva-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berchidda
mente il suo tempestoso rapporto con i
feudatari. Sono gli anni in cui Vittorio
Angius scriveva: «Le case sono 315,
per la massima parte con sole stanze
terrene. Le strade non corrono molto
irregolarmente su d’un terreno sabbionoso. Pare che in età rimote fosse maggiore che ora non sia questa popolazione, e si componesse di due rioni separati da un largo di 60 passi. La massima parte di questi popolani sono applicati all’agricoltura ed alla pastorizia. Non più di 15 persone lavorano il
ferro, il legname, il cuojo, e meno sono
ancora i muratori. Le donne lavorano
con molta assiduità tele e panno forese
[orbace], ed è generale l’industria e
l’attività, sı̀ che toltene appena venticinque circa famiglie mendiche, in
tutte le altre case si vede in opera il
telajo, e vivesi con qualche agiatezza. I
tessuti delle donne berchiddesi, sian
di lino che di lane, lingerie, coperte di
letto a diversi colori, in disegni non
spregievoli, sono assai più stimati che
quei d’altri paesi del dipartimento. La
scuola normale conta 15 giovanetti
(anno 1833), ai quali si insegna il catechismo agrario. La popolazione, compresi i pastori che costituiscono quasi
i due quinti del totale degli abitanti,
sommava nel 1833 a 1250 anime, distribuite in 311 famiglie. I nativi non sono
esenti da frequenti sconcerti di sanità,
e gli stranieri che vi si avvassallano
sono per li primi anni soggetti alle malattie solite delle arie poco salubri. Dominano nell’inverno le pneumoniti,
nell’estate le febbri periodiche e complicate. L’ordinario corso della vita è a
60 anni. Le terre sinora esercitate possono capire 2000 starelli di semenza;
ma se cresca l’industria si possono
quintuplicare. Il totale della seminagione tra grano, orzo, fave, lino, legumi
non sorpassa di molto gli starelli 675,
non compresa la piccola quantità che
gittano i pastori in sas cuilarzas, nei recinti dove siansi tenute le mandre nell’anno precedente. Si attende alla coltivazione delle erbe e piante ortensi, e
se ne provvede ai vicini villaggi Oschiri
e Monti. Le vigne sono alla parte verso
Oschiri non meno di 150. Il vino è poco
pregevole e si mescola con la sapa. Una
porzione se ne brucia per acquavite,
altra vendesi agli oschiresi. La ricchezza dei pastori notavasi nel 1833
con i seguenti numeri: vacche 1500, pecore 3000, capre 4000, porci 1500. Le
bestie domite o domestiche sommavano a 540 capi in questa distribuzione:
buoi per l’agricoltura 120, vacche mannalite o domestiche 100, majali 100,
giumenti 50, cavalli e cavalle 120. I berchiddesi sono lodati siccome quei che
cavalcano con molta destrezza. I formaggi sono ottimi, non usando questi
pastori di levarne il butirro. Si coltivano le api, e si ha gran numero di alveari sulla montagna presso gli ovili. Il
salvatico consiste in cinghiali e mufloni, volpi, lepri, martore; qualche
volta trovansi pure dei cervi. Dei volatili abbondano specialmente le pernici
e i colombi, nella palude e nel fiume
frequentano molte specie di uccelli acquatici. È prodigiosa la moltitudine
degli stornelli, ed è gravissimo il danno
che patiscono i proprietari delle vigne,
se non vi tengano persone ad atterrirli,
poiché le uve cominciano a maturare.
Pochi si dilettano della caccia». Nel
1848 B. fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro e vi rimase fino
al 1859 quando entrò a far parte della
provincia di Sassari, dove rimase fino
al 2004, data in cui passò a far parte
della provincia di Olbia-Tempio.
& ECONOMIA B. può contare su un’economia molto sviluppata, fondata soprattutto sull’allevamento e sulla conseguente produzione del formaggio
presso la Cooperativa La Berchiddese
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berchidda
(molto rinomati i formaggi filati, tra cui
le ‘‘perette’’ e il pecorino romano);
sulla viticoltura e quindi sulla produzione del vino, in particolare il famoso
Vermentino DOC e DOCG, nella locale
Cantina sociale che ha una capacità di
lavorazione annua di 12 000 hl. Vi è fortemente radicata anche la produzione
e la lavorazione del sughero. Da qualche anno vi si sta sviluppando una
forma di turismo culturale legata al festival Time in Jazz, di cui è animatore il
celebre trombettista, nato a B., Paolo
Fresu. Il paese dispone di 2 alberghi
con 50 posti letto e un agriturismo con
8 posti letto. Artigianato. Vi sono sviluppati l’artigianato del sughero e la
produzione di oggetti di legno intagliato; della grande tradizione dell’artigianato tessile che le donne praticavano producendo lini e lane di grande
pregio, ben conosciuti in tutto il territorio, è rimasta solo memoria. Altre
tradizioni artigianali scomparse sono
quella della lavorazione del cuoio e
quella della produzione di pettini da
telaio. Servizi. Il paese è collegato mediante autolinee agli altri centri della
provincia e con ferrovia alla rete regionale. Dispone di medico, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 3253 unità,
di cui stranieri 15; maschi 1601; femmine 1652; famiglie 1172. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
41; nati 19; cancellati dall’anagrafe 47;
nuovi iscritti 30. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 34 in miliardi
di lire; imponibile medio IRPEF 14 251
in migliaia di lire; versamenti ICI 1304;
aziende agricole 422; imprese commerciali 197; esercizi pubblici 26; esercizi
all’ingrosso 4; esercizi al dettaglio 59;
ambulanti 8. Tra gli indicatori sociali:
occupati 1049; disoccupati 100; inoccupati 163; laureati 51; diplomati 318; con
licenza media 926; con licenza elementare 1101; analfabeti 65; automezzi circolanti 1427; abbonamenti TV 1007.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva numerosi nuraghi (Castia, Columeddu, Mandras, Mandriane,
Mannu, Pitti Nalvoi, Sa Iscala Serrada,
San Giovanni Crabiles, San Michele,
Su Nuragheddu, Su Peddiu) molti dei
quali hanno restituito ceramiche e altri materiali della civiltà nuragica. Tra
questi vanno ricordati quello di Colomeddu, posto accanto alla cantoniera
di Zucconi, che è del tipo polilobato
con torrione centrale e bastione, e
quello di Piddiu, anch’esso del tipo polilobato, attorno al quale sono tracce
evidenti di un villaggio nuragico con
molte capanne che hanno restituito ceramiche e altri materiali, anche di età
romana.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’assetto urbanistico
conserva nel centro storico l’aspetto
tradizionale con le tipiche abitazioni
monocellulari in pietra e le strade tortuose. Di recente ha iniziato a funzionare nel paese il nuovo Museo del vino,
con annessa Enoteca regionale, due
strutture che si sposano alla perfezione con l’economia locale e attirano
turisti e gastronomi. Tra gli edifici di
maggiore interesse la chiesa di San Sebastiano: costruita presumibilmente
nel secolo XV e successivamente rimaneggiata, ha forme molto semplici. Interessanti anche gli oratori di Santa
Croce e della Madonna del Rosario,
dove operano le rispettive confraternite. Le campagne sono ricche di monumenti di un certo pregio, tra cui la
chiesa di San Marco, di modeste dimensioni, situata a pochi chilometri
dall’abitato; costruita in conci di granito nel Medioevo, ha subı̀to diverse
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 531
Berchidda
modifiche nel corso dei secoli. Ha un
impianto mononavato scandito da tre
archi e completato da un’abside semicircolare. Conserva un bassorilievo del
secolo XIII con la raffigurazione di due
leoni e una statua lignea del XVI. La
chiesa di San Michele, distante 7 km
dall’abitato, è un edificio molto antico,
di probabile origine bizantina. Fu ristrutturato ripetutamente nel corso
dei secoli. Attualmente ha una sola navata con la copertura in legno, all’esterno sul lato sinistro è affiancato all’edificio un portico (su poltigale). La
chiesa di Sant’Andrea, posta su una
collinetta a qualche chilometro dall’abitato, costruita nel Medioevo come
parrocchia del villaggio poi abbandonato di Resteblas, fu totalmente ricostruita dai Gesuiti nel secolo XVII. Ha
l’impianto a una navata, la copertura è
del tipo a capanna. Sulla facciata è
stato aggiunto un porticato. A poca distanza dall’abitato, in cima all’omonima collina, sta il castello di Montacuto che fu costruito nel secolo XI dai
giudici di Torres per difendere il territorio dalle incursioni galluresi. Nel
corso dei secoli successivi fu residenza
giudicale in diverse occasioni e dopo
l’estinzione della dinastia fu conteso
dai Doria, dagli Arborea e dai giudici
di Gallura e seguı̀ le sorti di B. e del
Montacuto; dopo il 1421, persa la sua
funzione militare, fu abbandonato e
decadde rapidamente. Attualmente rimangono alcune parti della muraglia
di cinta e poche altre cose. Dal paese
ha inizio una strada che si inoltra sulle
pendici del Limbara e consente di
giungere sino alla sommità, ma anche
di raggiungere punti panoramici e luoghi di partenza per passeggiate nell’ampio territorio. Nella parte bassa
del monte, a soli 4 km dal paese, si trova
un’area del demanio forestale ricca di
vegetazione e di acque sorgive, nella
quale si sta avviando il ripopolamento
faunistico con daini e mufloni. Il futuro
di questa zona è ora legato alla costituzione del Parco naturale del Limbara,
su cui peraltro il dibattito fra i comuni
interessati è ancora aperto.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
usanze tradizionali del villaggio erano
l’espressione della vita di una comunità di pastori e di contadini; in particolare in passato, poiché i pastori trascorrevano buona parte dell’anno
nelle pinnette (capanne di frasche appositamente costruite) che col tempo
finirono per diventare abitazioni stabili; forte era in loro il desiderio di tornare periodicamente in paese, specie
durante il Carnevale, periodo nel
quale oltre ai pubblici balli si esibivano cantori improvvisati di grande efficacia e talento. I pastori e i clan familiari spesso entravano in conflitto tra
loro coinvolgendo la comunità in faide
per sanare le quali a volte si ricorreva
al matrimonio fra gli esponenti delle
fazioni contrapposte. Di tutto questo
complesso patrimonio oggi non rimane
quasi più nulla, salvo che in alcune feste. Quella di San Marco si svolge il 25
aprile in campagna, su una collina che
offre la vista del lago Coghinas; è organizzata da una confraternita di operajos, e culmina con un grande banchetto
offerto a tutti i presenti. Altra occasione è la festa in onore dei santi patroni Sebastiano e Lucia che si svolge
nella prima domenica di settembre e
dura tre giorni. In questa occasione
vengono consumati i dolci tipici di B.
che si chiamano neuleddhas. Assume
aspetti caratteristici anche la celebrazione dei matrimoni, che avvengono
senza la trasmissione di inviti perché
tutta la comunità è invitata a partecipare. Tra i personaggi del paese che
hanno raggiunto maggiore notorietà
vanno ricordati il poeta improvvisa-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berchiddeddu
tore Francesc’Alvaro Mannu, vissuto
tra il Seicento e il Settecento, e il sacerdote Pietro Casu (=), poeta e scrittore
nonché studioso della lingua sarda e
autore di un vocabolario pubblicato
postumo.
Berchiddeddu Centro abitato della
provincia di Olbia-Tempio, frazione di
Olbia (da cui dista 16 km), con circa
1100 abitanti, posto a 256 m sul livello
del mare nella regione di Silvas ricca
di boschi e querce secolari, lungo la
strada per Alà dei Sardi, alle falde
della catena del Montacuto. Regione
storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri.
& TERRITORIO Il territorio di B. è collinare con rilievi di scarsa elevazione,
la cui massima espressione è la punta
Lu Casteddu (348 m). Lo stesso abitato
si trova sulla cresta di una collina che
domina i fiorenti pascoli dei dintorni, i
boschi di querce da sughero, i vigneti e
i frutteti. Per il suo clima mite il posto,
fino a non molti anni fa, era scelto dai
pastori delle montagne del sud per lo
svernamento.
& STORIA È probabile che l’attuale
piccolo centro sia sorto nella seconda
metà del secolo XVIII dallo sviluppo di
un luogo di residenza dei pastori transumanti. Questi provenivano dalle
montagne di Alà e del Nuorese e abitualmente frequentavano la zona collinare a ridosso di Olbia, inclusa nel
grande feudo di Terranova un tempo
appartenente ai Tellez Giron che risiedevano in Spagna. B. si sviluppò lentamente con un processo simile a quello
degli stazzi della Gallura. Molto importante, come sempre, è la testimonianza
che ne ha lasciato, intorno alla metà
dell’Ottocento, lo scrittore Vittorio Angius nel Dizionario degli Stati sardi: «È
un casale o stazione di pastori oriundi
in maggior parte dai villaggi di Calangiànos e Buddusò. È situato verso
greco di Alà, in distanza di due ore e
mezzo, nel declivio di un’amenissima
pianura, in faccia a mezzodı̀. Dalle rovine che veggonsi intorno si può dedurre esservi stata in altri tempi una
competente popolazione. Esistono tuttora delle mezze colonne di granito
delle tombe di antica forma con vasi
lacrimatorii: vedesi molto rottame di
mattoni e tegoli, ed appariscono delle
fondamenta. Vi sorge un’acqua salubre
e sufficiente al bisogno, e si riconoscono gli avanzi del fabbricato dell’antica fonte. Non vi è alcuna chiesa, e
questi pastori vanno quando possono a
compire gli atti di religione alle chiese
rurali dei vicini territori, e prendono i
sacramenti alcuni dalla parrocchia di
Alà, altri da quella di Buddusò. La popolazione può ascendere a 120 persone
distribuite in 30 famiglie. Nei crusos
(chiusi) seminano tanto di grano, orzo,
fave, legumi ecc., quanto basti ai loro
bisogni. La cinta di questi crusos altrimenti arvos è uno steccato di grossi travicelli contessuti con delle frasche.
Commerciano costoro coi viandanti
Galluresi e Sassaresi, o a meglio dire
concambiano i formaggi e le pelli con
gli articoli che sono loro necessari. Se
vi si costruisse una chiesetta, e vi si
mandasse un sacerdote, e si desse loro
un forte eccitamento all’industria agricola, in poco tempo prospererebbe la
popolazione, col riunirsele che farebbero tanti altri pastori che vivono fuori
d’ogni società». Solo recentemente B.
ha rotto l’isolamento con la costa, come
del resto le altre frazioni della zona, da
quando lo stesso comune di Olbia ha
avuto un grande sviluppo, soprattutto
dal punto di vista turistico.
& ECONOMIA L’economia del piccolo
centro è tradizionalmente basata sull’allevamento del bestiame bovino e
ovino, grazie ai ricchi pascoli dei dintorni, pressoché pianeggianti; di particolare rilievo è la produzione del for-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berengo Gardin
maggio. Per gli stessi motivi è sviluppata anche l’agricoltura e nelle foreste
circostanti si effettua la raccolta del
sughero, del quale esiste una tradizione locale di artigianato.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE A qualche chilometro dall’abitato attuale sorge la chiesa di San Tommaso Apostolo, di un certo interesse,
costruita nel secolo XIV con un impianto a navata unica. Successivamente subı̀ alcuni restauri e nel secolo
XVIII le furono aggiunte due navate laterali scandite da archi a tutto sesto. La
facciata è arricchita da un rosone finemente intagliato; l’interno custodisce
tre statue lignee del secolo XVII.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni di questo piccolo centro rivivono in due feste popolari. Quella di
San Tommaso, nella terza domenica di
maggio, è una festa campestre e dura
tre giorni; quella di Maria Immacolata,
che è la parrocchia di B., si svolge l’8
settembre. In questa occasione la parte
‘‘profana’’ della manifestazione comprende un ballo unico per la Sardegna:
lo scottis che, come dice la parola, pare
abbia origini scozzesi (ingl. Scottish) e
che ogni anno attira numerosi turisti
provenienti dalla costa, grazie anche
alle numerose e affermate aziende
agrituristiche della zona.
Berengo Gardin, Gianni Fotografo (n.
Santa Margherita Ligure 1930). È uno
dei fotografi più famosi del mondo, autore di reportage che hanno fatto
scuola. Ha esordito nel 1954 e da allora,
vivendo fra Roma, Venezia, Lugano,
Parigi e Milano (dove si è stabilito nel
1965), ha pubblicato libri e servizi su
ogni parte del mondo, da Morire di
classe, 1968, in appoggio alla campagna
di Franco Basaglia contro i manicomi,
a Un paese vent’anni dopo, 2002. Nel
2006 ha raccolto in volume le foto d’un
lungo Reportage in Sardegna (1968-
2006), con testi di Pino Corrias e Pasquale Chessa. «La Sardegna è cambiata. – dice – Sono cambiati gli uomini.
Ma il mare non è più un assedio. Ci
sono ancora quei boschi e quel vuoto
che ti prende l’anima».
Beretta, Gaetano Medico, deputato al
Parlamento (n. Quartu Sant’Elena
1921). Dopo aver conseguito la laurea
in Medicina si è dedicato alla libera
professione e alla vita politica nella
sua città natale. Cattolico impegnato,
ha militato nella DC e nel 1963 è stato
eletto consigliere provinciale di Cagliari e quasi contemporaneamente
deputato per la IV legislatura repubblicana. Non essendo stato riconfermato per la legislatura successiva, ha
continuato a impegnarsi nella sua professione e in seno al Consiglio comunale della sua città fino al 1970. Poco
dopo è uscito dalla DC e ha aderito per
alcuni anni al PSDI; all’inizio degli
anni Ottanta è tornato nel suo vecchio
partito, è stato rieletto consigliere comunale e, tra il 1991 e il 1993, è stato
sindaco di Quartu.
Berger, Allen N. Antropologo inglese
(n. sec. XX). Subito dopo la laurea, nel
1976 si recò in Sardegna per condurvi
una ricerca sul campo al fine di studiare l’evoluzione sociale della Barbagia, dandone conto nell’articolo Cos’è
la Barbagia? I problemi della definizione e della delimitazione di una zona
culturale, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XVI,
1990.
Bergeron, Robert Geografo francese
(n. sec. XX). Allievo di Maurice Le Lannou, è stato interessato dal maestro
allo studio della Sardegna; ha dedicato
alcuni suoi saggi all’analisi dei problemi dell’isola. Tra i suoi scritti: Problèmes de la vie pastorale en Sardaigne,
‘‘Revue de Géographie de Lyon’’, XLII,
4, 1967; L’evolution récente de l’économie sarde, ‘‘Revue de Géographie de
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berlinguer
Lyon’’, XLVIII, 1, 1973; Aménagements
de l’espace et conflits sociaux en Sardaigne centrale, ‘‘Hérodote’’, X, 1978.
Berlendis, Angelo Letterato e insegnante (Vicenza 1733-Cagliari 1792).
Entrò giovanissimo nell’ordine dei
Gesuiti; si pose in evidenza come
poeta elegante e come scrittore. Tra
il 1761 e il 1764 fu professore di retorica a Piacenza; nel 1765 fu chiamato
in Sardegna per contribuire alla riforma degli studi avviata dal Bogino.
Per tre anni si stabilı̀ a Sassari dove
avviò la riforma delle classi inferiori;
nel 1768 fu chiamato a insegnare nel
Collegio dei Nobili a Cagliari dove
ebbe anche la cattedra di Eloquenza
presso l’Università di Cagliari. Fu autore di liriche e raccolte di versi di
gusto classico; morı̀ tragicamente a
Cagliari nel 1792, precipitando da un
balcone. Tra i suoi scritti: Sardi liberata, tragedia, 1783; Liriche, 1784;
Stanze, sonetti e capitoli, 1785; Rimettendo il governo del regno di Sardegna
D. Angelo Solaro di Moretta a D. Carlo
Taone di Sant’Andrea, sonetto, 1787;
Per la pubblica festa da ballo pel N.U.
Leonardo Correr comandante della veneta nave ‘‘La Pallade’’ alle signore
dame di Cagliari, sonetto, 1789.
Berlinguer Famiglia sassarese (sec.
XVI-esistente). Le sue origini sono riferibili al secolo XVI quando compaiono alcuni personaggi che portano
il cognome Bilingeri o Bilingueri, la
cui genealogia si fa certa con un Antonio vissuto alla fine del secolo. Aveva
un discreto patrimonio fondiario che
gli consentiva di vivere agiatamente;
uno dei suoi figli divenne sacerdote,
suo nipote Domenico nel 1682 fu nominato clavario di Sassari e nel 1687 ufficiale della Nurra, fatto eccezionale
perché la carica era riservata ai nobili.
Il più famoso dei suoi numerosi figli fu
Gerolamo, noto avvocato e dal 1720 as-
sessore del vicario reale di Sassari.
Nel periodo successivo le condizioni
della famiglia migliorarono, e i B. furono in grado di estendere il loro patrimonio fondiario, dove, al passo con i
tempi, introdussero moderne tecniche
di coltivazione; per questo motivo nel
1777 Angelo, sacerdote, e il dottor Giovanni Salvatore, figli di Domenico, ottennero il cavalierato ereditario e la
nobiltà. Da Giovanni Salvatore discesero tutti i B. attuali. La famiglia, nel
corso del secolo XIX e del secolo XX,
espresse alcune distinte personalità in
tutti i campi della vita civile sassarese
e si imparentò con altre famiglie dell’aristocrazia cittadina. Alcuni suoi membri assursero a ruoli e notorietà in
campo nazionale.
Berlinguer, Caterina Letterata, giornalista (Sassari 1839-ivi 1909). Sorella
dell’avvocato Enrico I, fondatore de
‘‘La Nuova Sardegna’’, sposata Faccion, fu donna di grande personalità e
di spirito aperto. Nel 1875, cosa stupefacente per i tempi, fondò e diresse a
Sassari il periodico ‘‘La donna e la civiltà’’ (=), che può essere considerato
la prima pubblicazione sarda dedicata
a un pubblico femminile e ai suoi interessi. La rivista uscı̀ per due anni: B. vi
scrisse numerosi articoli sollevando
garbatamente il problema della condizione della donna. Quando dovette sospendere le pubblicazioni del giornale, che lei stessa sosteneva finanziariamente, continuò a prendere attivamente parte alla vita culturale della
città. Tra i suoi scritti su ‘‘La donna e
la civiltà’’, Alle donne sarde, I, 1, 1875;
Necessità dei giornali per l’uomo e per la
donna, I, 1, 1875; La sposa, I, 3, 1875;
Igiene dei bambini, I, 3-4, 1875; L’ampia
e profonda istruzione non devono spaventare nella donna, I, 6, 1875; Pensieri
sull’educazione, I, 1-2-3-4-7-10, 1876; Sonetto, II, 1, 1876.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berlinguer
Berlinguer, Edoarda Giornalista (Sassari 1848-Messina 1935). Sorella dell’avvocato Enrico I, fu tra le animatrici del movimento mazziniano sassarese. Un suo fratello, Fernando,
era stato implicato nei moti mazziniani nel processo che portò alla condanna a morte del caporale Pietro
Barsanti, a Pavia. Alla sua morte Michele Saba la ricordò come una militante «della schiera degli ardenti giovani che scrivevano ‘‘La Giovane Sardegna’’, palestra dei giovani isolani,
che confortò gli istanti ultimi del Maestro nella casa dei Rosselli a Pisa».
Fondò la rivista ‘‘La donna mazziniana’’, «ardente fucina che alimentava la Fratellanza Artigiana, la più
antica associazione di Mutuo Soccorso, creata a Sassari nel 1851 dai fedeli del Mazzini». Nel 1882, delegata
della sezione di Sassari al Congresso
nazionale delle Società operaie, si
schierò a favore dell’intransigenza
elettorale contro il parere della maggioranza e dei suoi stessi concittadini
delegati, che faceva capo al carismatico leader sassarese, Gavino Soro Pirino. Sposata a un Fagà, si trasferı̀ con
lui a Messina.
Berlinguer, Enrico I Avvocato e uomo
politico (Sassari 1850-ivi 1915). Di
idee radicali moderate, animò la vita
culturale sassarese di fine Ottocento;
nel 1891 fondò ‘‘La Nuova Sardegna’’
con Pietro Satta Branca e altri che
diedero vita all’associazione politico-culturale Unione popolare, che
sosteneva il gruppo politico che faceva capo al deputato Filippo Garavetti. Fu ripetutamente eletto consigliere e assessore comunale e consigliere provinciale del collegio di Benetutti. Morı̀ improvvisamente a Sassari nel 1915.
Enrico II Berlinguer – Il segretario del PCI al
voto il 7 maggio 1972.
Berlinguer, Enrico II Uomo politico
(Sassari 1922-Padova 1984). Deputato
al Parlamento. Figlio di Mario, compı̀
gli studi nel Liceo ‘‘Azuni’’ della sua
città. Nel 1943 aderı̀ al PCI e nel 1944
prese parte ai moti popolari conosciuti
come moti del pane, per cui fu arrestato
con l’accusa di essere uno degli organizzatori. Trasferitosi a Salerno (dove
aveva sede il governo di cui suo padre
faceva parte) e poi, nel 1944, a Roma,
entrò nella segreteria nazionale del
movimento giovanile del suo partito,
divenendone segretario nazionale dal
1949 al 1956. Tra il 1960 e il 1968 fece
esperienza di vertice negli organismi
del partito; nello stesso anno fu eletto
deputato per la V legislatura repubblicana. Nel 1972 divenne segretario nazionale e nel 1973 avviò la strategia del
‘‘compromesso storico’’, che prevedeva l’abbandono della concezione rivoluzionaria per la conquista del potere e la possibile collaborazione del
partito con altre forze democratiche e
popolari, a cominciare da quelle cattoliche. Nel 1976, recatosi a Mosca, coraggiosamente ribadı̀ l’indipendenza
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berlinguer
del partito italiano dalle scelte sovietiche; tornato in Italia riconobbe la Nato
e avviò il confronto politico con i cattolici nel tentativo di fare del partito una
grande forza democratica all’interno
della Sinistra europea. In questa ottica
il PCI appoggiò nel 1978 il governo Andreotti di ‘‘solidarietà nazionale’’,
come reazione al rapimento di Aldo
Moro (sostenendo in quella occasione
la necessità di rifiutare ogni trattativa
con le Brigate Rosse). Nel 1980, sotto la
pressione del partito, scontento degli
esiti del governo con la DC, lanciò la
politica di ‘‘alternativa democratica’’
e accentuò il distacco del PCI da Mosca. Morı̀ improvvisamente nel 1984. Si
calcola che ai suoi funerali, celebrati a
Roma, fu presente un milione di persone.
eletto parlamentare europeo. È stato
presidente del Comitato italiano di
Bioetica. È autore di alcuni saggi di
successo e di numerosissimi articoli
di carattere scientifico pubblicati in riviste italiane e straniere. Scritti principali: La medicina è malata (con Severino Delogu); Borgate di Roma; La macchina uomo; Sicurezza sociale; I duplicanti, 1992.
Berlinguer, Giovanni Medico, uomo
politico (n. Sassari 1924). Deputato al
Parlamento, senatore della Repubblica, europarlamentare. Fratello di
Enrico II, militante anche lui nel PCI
fin dal 1944, pur dedicandosi con passione alla ricerca scientifica e all’insegnamento universitario, si è sempre
impegnato anche nella vita politica.
Dopo aver conseguito la laurea in Medicina, ha iniziato la carriera accademica presso l’Università di Sassari per
trasferirsi presto in quella di Roma,
dove è divenuto professore ordinario
di Fisiologia e Igiene del Lavoro, occupandosi in particolare dell’approfondimento dei problemi della medicina
sociale, settore di cui è considerato
uno dei massimi esperti europei. Nel
1972 è stato eletto deputato per il PCI
nella VI legislatura repubblicana e in
seguito riconfermato fino al 1979; nel
1983 è stato eletto senatore per la IX
legislatura, riconfermato nel 1987.
Dopo aver aderito ai DS è stato uno
dei punti di riferimento della minoranza del partito. Nel 2003 è stato
Giovanni Berlinguer – Fratello di Enrico II,
fu anch’egli più volte eletto al Parlamento.
Berlinguer, Girolamo Militare (Sassari 1792-ivi 1867). Capitano dei Carabinieri, medaglia d’oro al V.M. per le
benemerenze accquisite nella lotta
contro il banditismo. A ventun anni
era sottotenente dei ‘‘Barracelli’’; passato col grado di luogotenente nei ‘‘Cavalleggeri di Sardegna’’, fu in seguito
promosso capitano e maggiore. Nel
1843 cessò il servizio attivo per passare
al Corpo Invalidi. Durante tutta la sua
carriera contribuı̀ coraggiosamente
alla difficile lotta contro i banditi che
infestavano il Sassarese. Con R.D. 14
novembre 1835 gli venne concessa la
medaglia d’oro al V.M. (la prima che
sia stata assegnata in Sardegna) per il
conflitto del 24-25 giugno 1835 contro il
bandito Canu, con questa motivazione:
«Per i segnalati servizi resi al governo
e gli importanti arresti da lui fatti, con
sommo coraggio, di facinorosi e ban-
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Berlinguer
diti, che infestavano le campagne dei
dintorni di Sassari, e particolarmente
quello eseguito nella notte dal 24 al 25
giugno 1835 con la massima intrepidezza in persona di Battista Canu, inquisito di proditorio omicidio sulla
strada maestra del sig. Felice Sinicorda, nel quale arresto riportò egli pericolose ferite di arma da fuoco sparategli dal soprannominato assassino al
momento del suo arresto».
Berlinguer, Ines Gentildonna sassarese (Sassari 1899-Roma 1998). Figlia
di Enrico I, sorella di Aldo e Mario,
crebbe in una famiglia dove si mangiava – è stato scritto – «pane e politica». Acute considerazioni sulla situazione politica mondiale si leggono in
effetti in alcune sue lettere, scritte
quand’era ancora quindicenne: le si
legge in un volume stampato dagli
amici e destinato a una circolazione limitata (Cosı̀, come sempre, fino alla fine,
Roma 1971), che raccoglie gran parte
del lungo epistolario con Stefano Siglienti, conosciuto (e subito amato)
nel 1913 e sposato nel 1924. Con Siglienti, B., che si era diplomata maestra elementare e aveva anche insegnato per qualche anno, si trasferı̀ a
Roma dove il marito era funzionario
del Credito fondiario sardo. La sua
casa divenne presto un punto di riferimento per gli antifascisti romani d’estrazione liberal-democratica. Durante la ‘‘lunga notte’’ di Roma, dopo
l’8 settembre, svolse diverse pericolose
missioni per conto della Resistenza:
fra l’altro, poco prima della liberazione di Roma riuscı̀ a far evadere da
Regina Coeli suo marito (arrestato nel
novembre 1943 come uno dei capi della
Resistenza) e Carlo Muscetta. Qualche
mese dopo Siglienti sarebbe stato nominato ministro delle Finanze nel secondo governo Bonomi. Negli ultimi
anni, dopo la morte del marito (1971),
nella sua casa sui colli romani si dedicò alla cura dei nipoti e alla stesura
di un diario (alcune pagine sono state
pubblicate in biografie sue o del nipote
Enrico). Solida narratrice, era anche
una fine e spiritosa poetessa in dialetto
sassarese. Suo figlio Sergio è uno dei
personaggi eminenti del mondo della
finanza italiana.
Berlinguer, Luigi Storico del diritto (n.
Sassari 1932). Figlio dell’avvocato Aldo
(e dunque cugino di Enrico II e Giovanni), dopo essersi laureato in Giurisprudenza si è dedicato all’insegnamento universitario.
Luigi Berlinguer – Professore di Storia del
Diritto italiano, è stato rettore dell’Università
di Siena e ministro della Pubblica Istruzione,
Università, Ricerca scientifica e tecnologica.
Militante nel PCI ha fatto le sue prime
esperienze come sindaco di Sennori;
nel 1963, mentre si trovava a Londra
per le ricerche che avrebbe poi condensato in un documentato volume sul
giurista sassarese Domenico Alberto
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Berlinguer
Azuni, è stato eletto deputato per la IV
legislatura repubblicana. Si è occupato intensamente dei problemi della
pubblica istruzione e dell’Università:
professore di Storia del Diritto italiano, ha insegnato presso l’Università
di Siena, di cui è stato a lungo rettore. È
stato poi ministro della Pubblica Istruzione, Università, Ricerca scientifica e
tecnologica nei governi Prodi e D’Alema, e come tale ha varato una riforma degli studi superiori e dell’istruzione universitaria, ma la brevità della
sua permanenza non gli ha permesso
di seguirne la realizzazione. Ritiratosi
dalla politica, dopo essere stato ancora
deputato dal 1994 al 2001, è stato eletto
al Consiglio superiore della Magistratura. Attualmente è responsabile della
Rete europea dei Consigli di Giustizia.
È autore di numerosi saggi scientifici e
di articoli di politica. Tra i suoi scritti:
Alcuni documenti sul moto antifeudale
sardo del 1795-96, in La Sardegna nel
Risorgimento, 1962; Domenico Alberto
Azuni e gli Stati Uniti d’America, ‘‘Studi
senesi’’, XIII, s. III, 1964; Domenico Alberto Azuni giurista e politico (17491827), 1966; Sui progetti del codice di
commercio del regno d’Italia 1807-1808.
Considerazioni su un inedito di D.A.
Azuni, 1970; Una riflessione sulla metodologia della storia in Sardegna, in ‘‘Archivio sardo del movimento operaio
contadino e autonomistico’’, 6-7, 1976;
L’autonomia sarda nel sistema italiano
delle autonomie, in La Sardegna. Enciclopedia (a cura di Manlio Brigaglia), II,
L’autonomia regionale, 1982; L’identità
storica della Sardegna contemporanea
(con Antonello Mattone), in La Sardegna, ‘‘Le regioni d’Italia dall’Unità ad
oggi’’ (a cura di L. Berlinguer e A. Mattone), 1998.
Berlinguer, Mario Avvocato, senatore
e deputato al Parlamento (Sassari
1891-Roma 1969). Padre di Enrico ju-
nior, dopo la laurea esercitò la professione di avvocato e si impegnò nella
vita politica della Sassari di inizio secolo. Di idee radicali, su posizioni salveminiane, tra il 1915 e il 1918 prese
parte al dibattito politico scrivendo su
‘‘La Nuova Sardegna’’ di cui il padre
era stato fondatore. Eletto deputato
nel 1924 nella lista dell’Opposizione
costituzionale che faceva capo a Giovanni Amendola, dopo il delitto Matteotti partecipò alla secessione dell’Aventino e nel 1925 fece parte del Comitato sassarese delle opposizioni che
pubblicò il giornale ‘‘Sardegna libera’’.
Negli anni successivi si tenne in disparte, dedicandosi esclusivamente
alla professione. Negli ultimi mesi
dalla dittatura redasse e fece circolare
un giornaletto clandestino antifascista, ‘‘Avanti Sardegna!’’, che incitava a
porre fine alla guerra e a ribellarsi ai
tedeschi. Riprese la vita politica dopo
la caduta del regime, costituendo il
Partito d’Azione in Sardegna; fu chiamato a far parte del governo Bonomi
come Alto Commissario aggiunto per
la punizione e gli illeciti del fascismo
(delle quattro sezioni, fu responsabile
di quella che indagava sui delitti politici). Dopo la proclamazione della repubblica fu senatore dal 1948 al 1953 e
deputato del PSI dal 1953 al 1968. Tra i
suoi scritti spiccano i due volumi, ricchi anche d’esperienza personale, sul
sistema giudiziario nel periodo fascista (La giustizia nel regime fascista,
1944, e La vita giudiziaria in Sardegna,
1945, recentemente ripubblicato col titolo Gli occhi sono d’acqua dalla casa
editrice Insula, 2006). Tra gli articoli
Per i giovani, ‘‘Riscossa’’, 1944; Autonomia regionale, ‘‘L’Unione sarda’’, 1944;
I partiti, ‘‘Riscossa’’, 1944; Avanti Sardegna!, ‘‘Riscossa’’, 1945; Vento di giustizia dal Nord, ‘‘L’Isola’’, 1945; La Sardegna deve farsi ascoltare, ‘‘Il Solco’’,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 539
Berlinguer
1945; Ferruccio Parri l’antimussolini,
‘‘Riscossa’’, 1945; Avanti Sardegna. Un
foglio clandestino isolano, ‘‘Sardegna’’,
1, 1946; Sono stato un pubblico accusatore, ‘‘Riscossa’’, 1946; La Sardegna e il
fronte popolare, ‘‘Sardegna avanti’’,
1948; Lo scempio di Carbonia, ‘‘Pensiero nazionale’’, VI, 1959.
sconi, carica che ha tenuto fino al gennaio del 1995.
Berlinguer, Paolo Avvocato, consigliere regionale (Sassari 1935-ivi
2002). Figlio di Aldo, fratello di Luigi,
dopo la laurea in Giurisprudenza si è
dedicato con successo alla libera professione e alla vita politica, militando
nel PCI. Nel 1974 è stato eletto consigliere regionale per il PCI nel collegio
di Sassari per la VII legislatura ed è
stato successivamente riconfermato
fino al 1984. Nell’ambito del suo mandato è stato assessore ai Trasporti dal
1980 al 1982 nelle due giunte Rais; lasciato il Consiglio regionale è stato
eletto consigliere comunale di Sassari,
ma nel 1989 si è dimesso e ha lasciato la
politica attiva. È morto a Sassari nel
2002.
Santa Bernadette Soubirous – Statua della
santa a Lourdes.
Berlinguer, Sergio Diplomatico di car-
Bernadette Soubirous, santa Santa
riera (n. Sassari 1934). Figlio di Aldo e
fratello di Luigi, dopo aver conseguito
la laurea in Giurisprudenza è entrato
nella carriera diplomatica che ha percorso brillantemente. Nel 1960 è divenuto consigliere diplomatico di Antonio Segni; successivamente, dopo una
breve parentesi all’Ambasciata italiana a Londra, è divenuto consulente
diplomatico di Francesco Cossiga dapprima al Ministero degli Esteri e dal
1985 al Quirinale, dove è diventato segretario generale della presidenza
della Repubblica. Nel 1992 è stato nominato consigliere di Stato e presidente della commissione incaricata di
trattare la revisione del trattato di
Osimo con la Croazia. Nel maggio del
1994 è stato nominato ministro senza
portafoglio nel primo governo Berlu-
(Lourdes 1844-Nevers, Francia, 1879).
Marie Bernarde, Bernadette nel diminutivo francese, nacque il 7 gennaio
1844. Famiglia numerosa e povera, la
sua. Analfabeta, parlava solo il dialetto
della Bigorre, «il linguaggio che la Signora biancovestita e con una fascia
azzurra usò per darle il suo messaggio
di preghiera e penitenza». Aveva quattordici anni quando l’11 febbraio 1858,
mentre raccoglieva legna con la sorella
e un’amica a Massabielle, appena fuori
dall’abitato di Lourdes, le apparve la
Madonna: «Signora, volete dirmi come
vi chiamate?». «Io sono l’Immacolata
Concezione». Seguirono altre diciotto
apparizioni. Lourdes, la grotta, l’acqua, i miracoli. Nel 1866 si ritirò nel
convento delle Suore dell’istruzione
cristiana e della carità di Nevers, dove
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 540
Bernardini
morı̀ il 16 aprile 1879. Sepolta nello
stesso convento, il suo corpo è rimasto
integro. Canonizzata da Pio XI (1933).
[ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 25 aprile ad Arzachena.
Bernardi, B. Ingegnere piemontese
(sec. XIX). Lavorò a lungo in Sardegna
con l’ingegner Giuseppe Cominotti. Osservatore attento della situazione dell’isola, in più di un’occasione intervenne con proposte e progetti nel tentativo di interessare l’opinione pubblica nazionale ai problemi della Sardegna, pubblicando un Cenno sulle condizioni attuali della Sardegna e suoi vari
miglioramenti possibili, specialmente
nelle vie di comunicazione (con G. Cominotti), 1849.
segnato nelle scuole ‘‘difficili’’ della
Barbagia, si è trasferito nel Lazio. Con
gli anni è divenuto un affermato scrittore di libri per ragazzi e di importanti
libri sulla condizione della scuola italiana. Per molti anni ha curato la pagina dei ragazzi di ‘‘Paese sera’’ e collabora con altri periodici nazionali.
Tra i suoi scritti: Un anno a Pietralata,
1963 (da cui è stato tratto un film televisivo di grande successo, col titolo Diario di un maestro, poi pubblicato anche
in volume, 1975); Tante storie sarde,
1991; La banda del bolide, 1992; Storie
di gente comune (con Tonino Mameli),
1993.
Bernardini, Gaetano Scultore romano
(sec. XIX). Nel 1869 aprı̀ a Sassari una
scuola di architettura e ornato, stipendiato dal Comune. Fu suo allievo il celebre intagliatore sassarese Giovanni
Clemente. Nonostante la buona frequenza e la sua utilità, la scuola fu
chiusa nel 1881.
Bernardini, Paolo Archeologo (n. Ca-
Albino Bernardini – Maestro elementare
prima in Sardegna e poi a Roma, ha
raccontato la sua esperienza in alcuni libri,
tra i quali Un anno a Pietralata.
Bernardini, Albino Pedagogista (n. Siniscola 1917). Conseguita l’abilitazione
magistrale a Nuoro, si è dedicato all’insegnamento nella scuola elementare,
cercando di dare nella sua professione
risposte ai problemi che l’ambiente gli
poneva. Combattente nella seconda
guerra mondiale, nel dopoguerra ha
accoppiato al suo impegno didattico
quello politico e civile. Dopo avere in-
gliari 1950). Conseguita la laurea in
Lettere è entrato nella carriera delle
Soprintendenze archeologiche. Attualmente lavora presso la Soprintendenza archeologica per le province di
Cagliari e di Oristano. Studioso della
civiltà fenicio-punica, nel corso degli
anni ha preso parte a numerose campagne di scavo, collaborando con Bartoloni in quelle più recenti a Monte Sirai. Tra i suoi scritti: Le aristocrazie nuragiche nei secoli VIII e VII a.C. Proposte
di lettura, ‘‘La Parola del Passato’’,
CCIII, 1982; La Sardegna, gli Etruschi e
i Greci (con C. Tronchetti), in Sardegna
preistorica. I Nuraghi a Milano, 1985;
Precolonizzazione e colonizzazione fenicia in Sardegna, ‘‘Egitto e Vicino
Oriente’’, IX, 1986; Le origini della presenza fenicia in Sardegna: perplessità e
considerazioni di metodologia, in Ricerca sugli antichi insediamenti fenici.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 541
Bernardino
Sardinian Coastal study Project, 1986;
S. Antioco. Area del Cronicario. Campagne di scavo 1983-84. Notizia preliminare (con C. Tronchetti), ‘‘Quaderni
della Soprintendenza archeologica
per le province di Cagliari e Oristano’’,
3, 1986; Sui materiali del tempio a pozzo
di Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro (con G. Tore), in Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi
di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C.,
1987; I leoni di Sulci, 1988; Le origini di
Sulci e Monte Sirai, in ‘‘Studi di Egittologia e di antichità puniche’’, 4, 1989;
Le importazioni greche a Sulci VIII-IV
sec. a.C., 1989; Dall’Età orientalizzante
all’intervento militare cartaginese 750550 a.C., in Sardegna archeologica, Catalogo della mostra, 1990; Micenei e fenici. Considerazioni sull’Età precoloniale in Sardegna, ‘‘Oriens antiquus’’,
XIX, 1991; I gioielli di Sulci, ‘‘Quaderni
della Soprintendenza archeologica
per le province di Cagliari e Oristano’’,
8, 1991; La facies orientalizzante in Sardegna: problemi di individuazione e di
metodologia, in Sardinia in the Mediterranean: a Footprint in the Sea, 1992; La
Sardegna e i Fenici. Appunti sulla colonizzazione, ‘‘Rivista di Studi fenici’’,
XXI, 1, 1993; Considerazioni sui rapporti tra la Sardegna, Cipro e l’area
Egeo orientale nell’Età del bronzo,
‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari
e Oristano’’, 1994; I Fenici lungo le rotte
dell’Occidente; La necropoli fenicia di
San Giorgio di Portoscuso; L’insediamento fenicio di Sulci; L’Età punica:
Cartagine in Sardegna; Il santuario di
Antas a Fluminimaggiore; Ricerche a
Tharros (con A. Peserico, G.M. Ingo, E.
Acquaro e G. Garbini), tutti in I Fenici
in Sardegna, 1997; Gli eroi e le fonti,
‘‘Quaderni della Soprintendenza ar-
cheologica per le province di Cagliari
e di Oristano’’, 19, 2002.
Bernardino Singolare personaggio vissuto a Cagliari agli inizi del secolo XIV.
Venne accusato di tradimento per aver
esclamato «Piaccia al diavolo che i Catalani arrivino» proprio nel giorno in
cui questi sbarcavano in Sardegna.
Considerato colpevole di segrete intese col nemico, fu condannato a morte
e decapitato.
Bernardino, Anselmo Giornalista
(prima metà sec. XX-?). Collaborò a
‘‘L’Unione sarda’’ ai tempi della direzione di Raffa Garzia, occupandosi dei
problemi della riforma elettorale. Negli anni successivi fu amico e collaboratore del Carta Raspi nella redazione
de ‘‘Il Nuraghe’’; condusse anche interessanti ricerche sull’amministrazione finanziaria nella Sardegna sabauda. Tra i suoi saggi principali, Tributi e bilanci in Sardegna nel primo ventennio della sua annessione al Piemonte
(1721-1740). Contributo all’illustrazione
della finanza sabauda nell’isola, 1921;
La finanza sabauda in Sardegna (17411847), 1924; Finanze delle città della Sardegna sabauda, in Scritti in memoria di
G. Prato, 1931; Progetto di riduzione
delle spese militari in Sardegna nel
1812, ‘‘Giornale degli Economisti’’,
1930.
Bernardino da Siena, san (in sardo,
Santu Bernardinu) Santo (Massa Marittima 1380-L’Aquila 1444). Della nobile
famiglia degli Albizzeschi, orfano a sei
anni, fu cresciuto da due zie a Siena.
Francescano dei Minori osservanti
(1402-1403), sacerdote, malgrado una
naturale raucedine e una voce flebile
gli venne affidato (1417) il ministero
della predicazione. Fu in molte città a
predicar pace, a riprendere vizi, a
esortare con l’esempio e la parola all’imitazione di Cristo, in alcune collaborò alla riforma degli statuti. Sempre
534
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 542
Bernardo
dalla parte dei poveri: «Di chi è la
colpa – era solito dire – se a volte i poveri bestemmiano?». Devotissimo alla
Madonna e al SS. Nome di Gesù. «Era
l’epoca, la sua – la nota è di Enzo Orlandi (1961) – , delle eresie, delle fanatiche predicazioni dei fraticelli. Sorgono profeti un po’ dappertutto e le
dottrine valdesi si spandono in mezza
Europa. È il tempo delle appassionate
prediche di San Bernardino da Siena,
che suscitano nel popolo, il quale vuol
vedere e toccare con mano, in tanta
confusione, qualcosa di santo, un cosı̀
straordinario fervore». Fece incidere
in oro le lettere JHS, monogramma di
Gesù, contornate da un cerchio di raggi
solari, fiammeggianti, su tavolette che
alla fine delle sue prediche faceva baciare ai fedeli. Accusato di eresia, sottomise i suoi sermoni alla Chiesa, che
solennemente li approvò in due processi (1427 e 1431). Siena, Ferrara e Urbino si contesero la sua elezione a vescovo, carica che rifiutò. Fondò qualcosa come trecento conventi, riformò
l’ordine, cercò dal 1421 al 1443 di riconciliare conventuali e spirituali. Prese
parte al concilio per l’unione della
Chiesa latina e di quella orientale. Fu
consigliere dei papi Martino V ed Eugenio IVe dell’imperatore Sigismondo.
Morı̀ a L’Aquila il 20 maggio 1444. Nella
città abruzzese, di cui è compatrono,
sono conservate le reliquie. Canonizzato da Niccolò V (1450). Patrono dei
predicatori e dei pubblicitari. Diverse
opere portano la sua firma, ma non
scrisse nulla. I suoi Sermones in latino
e le sue Prediche in italiano sono trascrizioni curate dal cimatore di panni
Benedetto di maestro Bartolomeo, che
assistette alle prediche tenute da B. da
S. per quarantacinque giorni consecutivi nella Quaresima del 1427 a Siena
nella piazza del Campo, e da anonimi
discepoli. Nella Pinacoteca Nazionale
di Cagliari, il Retablo di San Bernardino (1455-1456) è opera dei pittori catalani Joan Figuera e Rafael Thomas.
[ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrono di Mogoro.
Festa Si festeggia il 20 maggio.
San Bernardino da Siena – Il santo in un
dipinto di Paolo Morando.
Bernardo1 Religioso (?, prima metà
sec. XIV-Cagliari 1398). Vescovo di
Ploaghe dal 1361 al 1368, arcivescovo
di Torres dal 1368 al 1369, arcivescovo
di Cagliari dal 1369 al 1398. Era arcidiacono a Mazara del Vallo quando nel
1361 fu nominato vescovo di Ploaghe;
resse la diocesi negli anni che precedettero lo scoppio della seconda
guerra tra Mariano IV e Pietro IV e nel
1368 fu nominato arcivescovo di Torres
proprio mentre Sassari cadeva in
mano alle truppe arborensi. La sua
presenza nella diocesi turritana fu di
breve durata, probabilmente perché
non gradita ai conquistatori, e nel 1369
fu sostituito con il Belvaysi. Poiché a
Cagliari era morto Giovanni d’Ara-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 543
Bernardo
gona, fu nominato arcivescovo di Cagliari. Negli anni in cui resse la diocesi, si sviluppò il culto della Madonna
di Bonaria; egli però dovette affrontare le conseguenze dello scisma,
quando nel 1386 l’antipapa Benedetto
XIII nominò l’aragonese Diego come
suo antagonista a Cagliari.
Bernardo2 Religioso (Pisa?, seconda
metà sec. XII-Oristano?, dopo 1220).
Arcivescovo di Oristano dal 1200 al
1220. Era molto legato agli ambienti
politici della sua città natale. Divenuto
arcivescovo nel 1200, governò la diocesi per più di vent’anni, nel periodo
in cui Guglielmo di Massa, giudice di
Cagliari, si impossessò del giudicato
d’Arborea: B. ne assecondò la politica.
Nel 1206, dopo che Ugo Ponzio di Bas
ebbe sposato Preziosa, una delle figlie
di Guglielmo, favorı̀ il suo ritorno in
patria come condomino d’Arborea. Negli anni seguenti favorı̀ la penetrazione
di Pisa nell’Arborea e finı̀ per legarsi ai
Visconti. Dopo la scomunica di Ubaldo
e Lanfranco Visconti continuò ad appoggiare la loro politica, per cui nel
1220 fu anch’egli scomunicato da papa
Onorio III, che però nello stesso anno
lo assolse. [MASSIMILIANO VIDILI]
Bernardo3 Religioso (?, inizi sec. XIVCastra?, 1358). Vescovo di Castra dal
1342 ca. al 1358. Trovò la diocesi devastata dalla guerra tra Doria, Arborea e
Aragona per il controllo del Montacuto. Forse per questo rifiutò di pagare
le decime triennali e sessennali nonché i censi e le altre contribuzioni dovute alla Sede apostolica, incorrendo
nella scomunica. Nel 1344 venne incaricato di citare in giudizio un certo Pietro Ghisu che, usando falsi documenti
di elezione, era riuscito a farsi confermare vescovo di Galtellı̀. Nel 1356 in
Sede apostolica era giunta la falsa notizia della sua morte, che aveva portato
alla nomina di Guglielmo d’Aragona.
Visto l’errore, la nomina di Guglielmo
fu congelata in attesa che si liberasse
una sede (nel 1356 fu assegnato a Terralba). Bernardo morı̀ entro il 1358.
Bernardo, san Santo (Fontaine-les-Dijon, Francia, 1090/1091-Clairvaux
1153). A vent’anni entrò nell’abbazia di
Citeaux, Cistercium, fra i ‘‘monaci bianchi’’, che osservavano integralmente la
Regola di San Benedetto. I ‘‘monaci
neri’’ erano quelli del monastero di
Cluny, ricco e sfarzoso. A venticinque
anni fondò il monastero di Clairvaux
(Chiaravalle) nella Champagne. Fu
consigliere di re, papi e vescovi. Pose
fine allo scisma dell’antipapa Anacleto
II, sostenendo e facendo riconoscere il
pontefice Innocenzo II. Fece condannare come eretici Abelardo e Gilberto
Porretano vescovo di Poitiers. E fece
cacciare dalla Francia Arnaldo da Brescia. Promosse la seconda crociata
(1147-1149), il cui esito fu negativo, per
fronteggiare gli attacchi al Regno di
Gerusalemme. Combatté contro la
mondanità degli ordini religiosi, contro la mercificazione delle reliquie e
dei pellegrinaggi. L’ordine cistercense, sotto la sua direzione, divenne
una potenza non solo nell’ambito della
Chiesa, ma anche in quello politico. La
sua voce si levò persino contro le
grandi chiese romaniche e gotiche,
«immensamente alte – egli scrive nell’Apologia ad Guillelmum, Sancti Theodorici Abbatem – smisuratamente lunghe, eccessivamente larghe, sontuose
le decorazioni e stravaganti le pitture,
il cui effetto è di attrarre su di sé l’attenzione dei fedeli e di diminuire il
loro raccoglimento. A che serve quest’oro nel santuario? Splende la chiesa
nelle sue pareti, ma langue nella persona dei poveri; ricopre d’oro le proprie pietre, ma abbandona nudi i suoi
figli». Devotissimo alla Madonna,
Dante pone sulla sua bocca, al culmine
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 544
Beronicenses
della Divina Commedia, la preghiera
alla Madre di Dio: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio». Considerato un
grande scrittore, pur non essendo né
un pensatore né un teologo sistematico. Morı̀ a Chiaravalle il 20 agosto
1153. Canonizzato da Alessandro III
(1174), da Pio VIII (1830) proclamato
doctor mellifluus, per la sua eloquenza
dolce come il miele. Patrono degli apicultori.
nome di un santo o di una santa, perciò
il detto «Sonare i santi» per le campane che suonano a stormo. Essendo
compatrono di Genova, con San Giorgio martire, sempre a Cagliari l’Arciconfraternita dei Santi Giorgio e Caterina dei Genovesi custodisce una tela
secentesca, nella quale la Madonna gli
porge le chiavi della città ligure.
[ADRIANO VARGIU]
Bernat Famiglia catalana (secc. XIVXVI). Stabilitasi a Cagliari con un
Francesco alla fine del secolo XIV per
curare i propri commerci, finita la
guerra con gli Arborea, agli inizi del secolo XV, ottenne in feudo un vasto territorio sulle rive dello stagno di Santa
Gilla, dove si stava formando il villaggio di Elmas, di cui favorı̀ lo sviluppo.
Dei suoi figli Francesco nel 1509 fu luogotenente del Tesoriere generale e Gerolamo ereditò il feudo; morı̀ alla fine
del secolo XV, lasciando erede un’unica figlia, Anna, che vendette il feudo
a Girolamo Sanjust nel 1522.
Bernouilli, John Matematico (Basilea
San Bernardo – Dipinto di Miguel Cabrera
raffigurante il santo.
In Sardegna Il suo culto può considerarsi al passato. Giovanni Spano (1868)
ricorda una «tela dedicata al santo», da
lui commissionata a Giovanni Marghinotti per il convento dei Cappuccini di
Calangianus. A Cagliari, nella campana della cappella neoclassica dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio,
opera di Gaetano Cima, si legge: «San
Bernardo, 1847». Ogni campana portava e qualche volta ancora porta il
1710-ivi 1790). Nacque da una famiglia
di insigni scienziati. Nel 1748 succedette a suo padre nell’insegnamento
presso l’Università di Basilea. Scrisse
una ‘‘notizia’’ sugli stati del re di Sardegna, Die Staaten des Königs von Sardinien. Zusätze zur der neusten Reisebeschreibungen von Italien, pubblicato
a Lipsia nel 1777, che doveva servire da
guida ai giovani svizzeri che compivano il Grand Tour in Italia in quella
seconda metà del Settecento.
Beronicenses Antico popolo della Sardegna. Ricordati con le univer[sae] tribus su un’iscrizione latina di Sant’Antioco dedicata alla civitas Nea[poli]tanorum, i Beroni[cen]ses sono identificati 1, con i Sulcitani di Tolomeo; 2,
con i membri di un pagus di Sulci; 3,
con una confraternita locale; 4, con
una popolazione rurale insediata sulle
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 545
Berretta
terre di una ricca Beronice; 5, più verosimilmente con una comunità ebraica
originaria da Beronice (Bengasi) in Cirenaica, giunta in Sardegna in conseguenza delle rivolte giudaiche di età
traianea o adrianea o attratta dalla natura commerciale del porto sulcitano.
Attilio Mastino ha pensato a incolae
(stranieri) aggregati al municipio di
Sulci, ma dotati di una forte personalità giuridica. In effetti Sulci ha restituito copiose testimonianze di una comunità giudaica, forse organizzata attorno a un consiglio degli anziani (gerousı́a), che in età tarda occupa un’area
cimiteriale adiacente a quella cristiana. [ANTONIO IBBA]
Berretta, Gaetano Medico, deputato al
Parlamento (n. Quartu Sant’Elena
1921). Cattolico impegnato in politica,
nel 1963 è stato eletto consigliere provinciale di Cagliari e contemporaneamente deputato per la IV legislatura
repubblicana. Non riconfermato per
la legislatura successiva, ha continuato a impegnarsi nella sua professione e in seno al Consiglio comunale
della sua città fino al 1970. Dopo una
parentesi durata più di dieci anni, è
stato rieletto consigliere comunale e,
tra il 1991 e il 1993, sindaco di Quartu.
Berretta di prete = Fusaggine
Berria, Francesco Insegnante, consigliere regionale (n. Orune 1958). Dopo
aver compiuto i suoi studi all’Istituto
magistrale si è dedicato alla vita politica militando nelle file dei DS. Dal
1980 è stato eletto consigliere comunale e assessore alla Cultura nel suo
paese natale; in seguito è divenuto sindaco. Nel 1993 è stato eletto consigliere
regionale per il PDS nel collegio di
Nuoro per l’XI legislatura, ma non è
stato riconfermato nel 1998. Rieletto
sindaco, ha pubblicato con Giuseppe
Podda un libro dedicato al più famoso
dei suoi concittadini: La Sardegna rive-
lata. La lezione di Antonio Pigliaru,
2005.
Berry, Mario Commercialista, deputato al Parlamento (Gonnosfanadiga
1908-Lecce?, 1987). Dopo aver conseguito la laurea prese parte alla seconda guerra mondiale e nel dopoguerra aderı̀ alla DC impegnandosi
nel dibattito politico e nell’esercizio
della libera professione. Trasferito
nella penisola, fu eletto deputato per
il suo partito in una tornata suppletiva
della II e nella III legislatura (19531963). Cessato l’impegno istituzionale
divenne presidente dell’Istituto poligrafico dello Stato e consigliere d’amministrazione dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
Berta = Zoologia della Sardegna
Bertarelli, Luigi Vittorio Giornalista
(Milano 1859-ivi 1926). In gioventù
ebbe esperienze nel campo dell’imprenditoria e fu un appassionato ciclista. Nel 1894 il suo amore per il ciclismo lo portò a essere tra i fondatori del
Touring Club Italiano, sodalizio cui si
dedicò con grande amore. Dopo aver
ricoperto importanti incarichi sociali,
nel 1919 ne divenne presidente. Si adoperò per la pubblicazione delle guide
turistiche d’Italia; particolarmente interessato alla Sardegna, promosse
escursioni ciclistiche nell’isola, contribuendo cosı̀ a farla conoscere. Tra gli
scritti dedicati all’isola l’opera più importante è la guida, La Sardegna, pubblicata nel 1918 anche come segno di
gratitudine all’isola che aveva dato
tanti suoi figli all’Italia in guerra. Altri
articoli testimoniano il suo grande affetto per l’isola: Baronia, Ogliastra e
Barbagia. Una passeggiata nel dominio
dei latitanti sardi, ‘‘La Bicicletta’’, 1897;
La malaria in Sardegna, ‘‘Le Vie d’Italia’’, 1918; Stabilimento Vittorio Emanuele di Sanluri, Terra promessa, 1922.
Berti, Domenico Scrittore e filosofo,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bertoleoni
deputato al Parlamento (Cumiana
1820-Roma 1897). Conseguita la laurea
si dedicò alla carriera universitaria; fu
professore di Filosofia morale e autore
di numerosi saggi. Ebbe una lunghissima esperienza parlamentare: fu
eletto ininterrottamente deputato dal
1849 al 1894; nell’ambito del suo mandato si occupò con continuità dei problemi della Sardegna e contribuı̀, tra
l’altro, a impedire la soppressione dell’Università di Sassari.
sitò l’isola durante l’ultimo dei suoi
soggiorni in Sardegna, trovò il patriarca, che lo aiutò disinteressatamente nella caccia alle capre selvatiche, tipica selvaggina dell’isola. Tra i
due si instaurò un rapporto cordiale e
diretto: il re rimase colpito dal personaggio e dai modi di vita che la sua invidiabile autonomia gli consentiva; la
considerazione del sovrano giunse a
tal punto che, nel lasciare l’isola,
chiamò il B. ‘‘re di Tavolara’’.
Bertoldi, Vittorio Glottologo (Trento
1888-Roma 1953). Conseguita la laurea
in Lettere si dedicò alla carriera universitaria. Dal 1931 divenne professore di Glottologia presso la Facoltà di
Lettere dell’Università di Cagliari, nel
1935 si trasferı̀ all’Università di Napoli. Fu studioso attento del paleosardo e del sardo-punico. Tra i suoi
scritti: Antichi filoni della toponomastica mediterranea incrociantesi nella
Sardegna, ‘‘Revue de Linguistique romaine’’, IV, 1929; Sardo Punica. Contributo alla storia della cultura punica in
terra sarda, ‘‘La Parola del Passato’’, II,
4, 1947.
Bertoleoni Famiglia di pastori di Tavolara (sec. XVIII). Di origine corsa trapiantata nell’arcipelago della Maddalena a partire dal secolo XVIII. I B.
erano tradizionalmente pastori: uno
di essi, un Giuseppino, si trasferı̀ alla
fine del secolo a Tavolara, dove la famiglia possedeva dei terreni. Sulle ragioni del suo trasferimento a Tavolara
sono state fatte diverse ipotesi, la più
romantica e avvincente però è quella
riportata dal Lamarmora, secondo la
quale egli preferı̀ l’isolamento e l’assoluta libertà per sottrarsi alle conseguenze di una situazione di conclamata bigamia. Si stabilı̀ nell’isola allora deserta e continuò a risiedervi
con tutta la famiglia avuta dalla sua
compagna. Quando Carlo Alberto vi-
Bertoleoni – Nel piccolo cimitero marino la
tomba di Pietro Bertoleoni, che Carlo Alberto
chiamò ‘‘re di Tavolara’’.
La notizia fece il giro del mondo e
quello che forse era stato semplicemente un segno d’affetto di un sovrano
divenne un riconoscimento ufficiale.
Da allora i B. continuarono a portare
l’appellativo: la regina Vittoria volle
una loro fotografia che collocò accanto
a quelle delle altre famiglie reali del
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bertolini
mondo di cui aveva la collezione. Cosı̀
quello che oramai era divenuto un titolo continuò a essere portato dai discendenti di Giuseppino fino ai giorni
nostri.
Bertolini, Giulio Cesare Insegnante e
uomo di cultura (n. sec. XX). Giunto in
Sardegna dopo il 1870 per insegnare
presso il Liceo ‘‘Dettori’’ di Cagliari,
dotato di grande cultura e di ottime capacità oratorie, fu per anni tra i più vivaci animatori della vita culturale di
Cagliari. Tra i suoi scritti: Parole dette
agli allievi del Liceo in occasione dell’apertura del corso scolastico 1870-1871,
1870; Parole lette nella grande aula
della R. Università di Cagliari il marzo
1871 in occasione della festa letteraria,
1871; Nella festa letteraria del Liceo Dettori celebrata il 17 marzo 1872, 1872; Alcuni cenni sul libro ‘‘Viaggi in Sardegna’’ del Barone di Maltzan e versione
dell’intero capitolo sui Nuraghi, 1875;
Viaggio nell’isola di Sardegna con
un’appendice sulle iscrizioni sardo-fenicie di Sardegna del barone Enrico di
Maltzan, ‘‘Rivista sarda’’, I, II, 1875;
Compendio della storia nazionale della
Sardegna dal 687 al 1410, 1876.
Bertolinis, Matteo Vescovo di Alghero
dal 1733 al 1741, arcivescovo di Sassari
dal 1741 al 1749 (Mondovı̀, fine sec.
XVII-Sassari 1749). Uomo di grande
cultura, fu creato arciprete della cattedrale di Cuneo e alcuni anni dopo preside della Facoltà teologica di Torino.
Nel 1733 fu nominato vescovo di Alghero; giunse nella nuova sede intenzionato a promuovere un programma
di formazione del clero, che fu generalmente apprezzato, ma poco dopo ebbe
una controversia col capitolo della cattedrale riguardante l’ammontare di
una somma che pretendeva come rimborso per le spese affrontate per il trasferimento in Sardegna. Il contrasto
durò otto anni, assumendo toni spiace-
voli, e logorò i rapporti col clero compromettendo la sua attività pastorale.
Chiusasi la vicenda, probabilmente
per fugare ogni possibile altro dissidio,
nel 1741 fu nominato arcivescovo di
Sassari. Nella nuova sede (1747) ristrutturò radicalmente il Seminario.
Bertolio, Soleman Studioso e imprenditore piemontese (?, seconda metà
sec. XIX-Torino 1924). Laureato in Ingegneria mineraria e profondo conoscitore della geologia della Sardegna,
arrivò nell’isola attirato dalle prospettive di sviluppo dell’industria mineraria e finı̀ per diventare uno dei comproprietari della miniera di Montevecchio. Lasciò numerosi saggi, fra i quali
alcuni che riguardano la Sardegna:
Studio micrografico di alcune roccie dell’isola di San Pietro, ‘‘Bollettino della
Regia Commissione geologica italiana’’, 4, 1891; Aspetti geologici e minerari del suolo di San Pietro, ‘‘Bollettino
della Regia Commissione geologica
italiana’’, 1896; Contribuzione allo studio dei terreni vulcanici di Sardegna,
‘‘Bollettino della Commissione geologica Italiana’’, 2, 1896; Criterio per giudicare della continuazione in profondità
dei giacimenti zingiferi di Sardegna,
‘‘Resoconti dell’Associazione mineraria sarda’’, 7, 1896; Formations vulcaniques de Sardaigne, ‘‘Bulletin de la Societé Geologique de France’’, III, 1897;
Genesi dei giacimenti metalliferi di Monteponi, ‘‘Resoconti dell’Associazione
mineraria sarda’’, 6, 1898; Notizie sulle
galene fortemente argentifere e aurifere
della concessione Telle, ‘‘Resoconti dell’Associazione mineraria sarda’’, 1,
1909; Note sul sistema filoniano arburense, ‘‘Rassegna mineraria’’, XXXIII,
16, 1910; L’oro in Sardegna, ‘‘Resoconti
dell’Associazione mineraria sarda’’, 3,
1919.
Bertolotti Famiglia algherese (secc.
XVII-XIX). Le sue notizie risalgono al
540
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 548
Bertorio
secolo XVII. I suoi membri erano mercanti di un certo rilievo e nel 1684 uno
di essi, un Giovanni Battista, ottenne
l’appalto delle forniture militari. Questi nel 1693 fu creato nobile e cavaliere
ereditario; i suoi figli nel 1698 furono
ammessi allo Stamento militare e presero parte attiva al parlamento Montellano. I loro discendenti nel corso del
secolo XVIII risiedettero a Sassari e ricoprirono importanti uffici nell’amministrazione finanziaria. Agli inizi del
secolo XIX la famiglia si trasferı̀ sul
continente.
Bertolotti, Antonino Paleografo e ar-
la VI legislatura. Non riconfermato, è
stato nuovamente sindaco del suo
paese dal 1980 al 1981 e dal 1991 al
1994. Negli stessi anni è stato anche
presidente del Consorzio industriale
di Villacidro.
Bertolotti, Massimo Imprenditore e
consigliere regionale (n. San Gavino
Monreale 1960). Figlio di Ferruccio,
nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per Forza Italia nel collegio di
Cagliari per l’XI legislatura, ma non è
stato riconfermato.
Bertolotti, Rosilde Insegnante, poe-
chivista (Lombardone 1834-Mantova
1893). Dopo il diploma in Farmacia
conseguito a Torino nel 1856, entrò nell’Amministrazione statale. Nel 1870 si
trasferı̀ a Roma dove lavorò nell’Archivio di Stato; il suo nuovo lavoro gli consentı̀ di studiare una quantità di materiale inesplorato sull’arte dei secoli
XVI e XVII, avviandone la pubblicazione sistematica. Negli stessi anni
conseguı̀ la libera docenza in Storia
dell’Arte e nel 1880 fu nominato direttore dell’Archivio di Stato di Mantova,
dove si trasferı̀. A lui dobbiamo un documentato saggio sull’Esportazione di
oggetti di belle arti nella Liguria, Lunigiana, Sardegna e Corsica nei secoli
XVI, XVII e XVIII, 1876.
tessa (Sassari 1904-ivi 1975). Oltre che
alla professione di insegnante elementare si dedicò alla scrittura di racconti
in italiano, ma la sua memoria è legata
soprattutto all’attività di poetessa in
sassarese, per la quale ottenne riconoscimenti al premio letterario ‘‘Ozieri’’.
Le sue poesie sono raccolte nel volume
postumo Lassami fabiddà, 1976. Per
Aldo Cesaraccio B. sa «dare del dialetto un’immagine vibrante, sapida, allegra, senza bisogno di ricorrere al vocabolario del volgo»; mentre «la felicità dell’inventiva e dell’espressione»
che la contraddistinguono si avverte
maggiormente «in quello stile or lirico
or satirico, sempre vigoroso, essenziale, diritto allo scopo, che è caratteristico del sassarese vivo».
Bertolotti, Ferruccio Consigliere re-
Bertorio, san (in sardo, Santu Bertoriu,
gionale (n. Firenze 1936). Dopo aver
completato i suoi studi si è trasferito
in Sardegna, stabilendosi a San Gavino
Monreale. Cattolico impegnato, si è dedicato alla vita politica ed è stato eletto
nel Consiglio comunale di San Gavino:
dal 1960 al 1964 è stato assessore comunale e in seguito sindaco per tre volte,
dal 1964 al 1975, raggiungendo notorietà e divenendo uno dei leader della
DC nella zona. Cosı̀ tra il 1969 e il 1974 è
stato eletto consigliere regionale per il
suo partito nel collegio di Cagliari per
Santu Bertolu) Santo martire (Telepte,
Numidia, 452-?, 507). Sono gli anni, dal
477 al 484, del re dei Vandali Unnerico,
figlio di Genserico e suo successore:
perseguitò i cattolici, espropriò loro
terreni, case e chiese, li allontanò dai
posti pubblici e di responsabilità,
espose le donne alla pubblica derisione. Nel 484 Cartagine fu sede di una
disputa tra vescovi cattolici e ariani
sulla Trinità e la divinità di Gesù Cristo. Gli ariani, vinti sul piano dottrinale, non si piegarono e «mossero ca-
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Bertran Carroz
lunnie» contro i cattolici: in effetti le
«ragioni» erano più politiche che religiose. Ci furono violente persecuzioni.
Per ordine del re, i cattolici, nel termine di quattro mesi, dovevano passare all’arianesimo, pena l’applicazione delle disposizioni degli imperatori romani sugli eretici. Il 1º giugno
del 484 i vescovi ribelli furono in parte
decapitati e in parte esiliati. A B. toccò
la strada dell’esilio. Discendente da
un’illustre famiglia, battezzato ancora
fanciullo, sacerdote a trentadue anni,
poco dopo consacrato vescovo. Rifiutò
di passare all’arianesimo e venne esiliato in Sardegna, insieme con il presbitero Giustino e il fanciullo Fedele.
Sulla stessa nave, che partı̀ da Cartagine, furono imbarcati i vescovi Amatore e Liberato. Sbarcati in Sardegna,
secondo una leggenda «furono allietati
da una lettera del pontefice sardo Simmaco». Simmaco però fu papa dal 498
al 514, sicuramente durante il suo pontificato avrà scritto agli esiliati. B., Giustino e Fedele fondarono una comunità nel villaggio di Amydala, nella
Trexenta, sotto l’invocazione di Sant’Agata. Stroncati dalle fatiche, i tre non
vissero a lungo: Fedele «morı̀ che
aveva otto anni», Giustino verso il 505
e B. il 27 maggio del 507. Non per aver
versato il sangue per la fede, ma per le
sofferenze patite, B. è venerato come
martire. Il 26 maggio 1625 nel villaggio
distrutto di San Marco di Tradori,
«prodigiosamente segnalati da tre gigli, furono rinvenuti e riconosciuti per
mezzo di un’iscrizione marmorea con i
loro nomi, i corpi dei tre santi». Dal 20
maggio 1631 le reliquie sono custodite
e venerate nella parrocchiale di Samatzai. Nella stessa chiesa si conserva
una cronaca manoscritta sulla vita dei
tre santi: «Bertoriu santu, Giustinu e Fideli, pregant chi no tengat dannu Samatzai» (Bertorio santo, Giustino e Fe-
dele pregano affinché non abbia danni
Samatzai). [ADRIANO VARGIU]
In Sardegna Patrono di Samatzai.
Festa Si festeggia il 20 maggio.
Bertran Carroz Famiglia catalana originaria di Barcellona (secc. XIV-XVI).
Le sue notizie risalgono al secolo XIV,
quando nel 1383 un Berengario divenne il secondo marito della contessa
di Quirra Violante Carroz. Dal matrimonio nacquero alcuni figli, tra i quali
un secondo Berengario che prese a
usare il cognome materno e nel 1408
ereditò la contea di Quirra. La sua discendenza continuò a portare il cognome Carroz e nel corso del secolo
XV estese i confini del feudo, svolgendo un ruolo politico di primaria importanza in Sardegna. Si estinse agli
inizi del secolo XVI con la contessa
Violante II.
Bertran Carroz, Berengario Capitano
generale del Regno di Sardegna (Barcellona?, seconda metà sec. XIV-?,
1427). Figlio di Violante I Carroz e di
Berengario Bertran, nel 1408 ereditò
da sua madre la contea di Quirra e, unitosi al giovane re Martino, prese parte
alla sua spedizione in Sardegna al comando di un corpo militare autonomo.
Nel 1409 combatté nella battaglia di
Sanluri e con le sue truppe occupò la
Marmilla e altri territori appartenenti
al giudice d’Arborea nel chiaro intento
di annetterli alla contea di Quirra.
Dopo la morte di Pietro Torrellas, poiché nell’isola si era determinato un
vuoto di potere a causa della crisi dinastica, per volontà del municipio di Cagliari ebbe l’ufficio di rettore e capitano generale dell’isola, che governò
con determinazione cercando di approfittare della situazione per conservare il possesso dei territori occupati.
L’avvento dei Trastamara però fece venir meno i suoi progetti: fu costretto a
rendere al re i territori che aveva occu-
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Bes
pato. In seguito si distinse nella difesa
dell’isola dal visconte di Narbona. Nel
1415 fu nominato capitano generale
della Sardegna e della Corsica e nello
stesso anno acquistò una parte della
curatoria di Nora. Sposò Eleonora
Manrique Lara, alla quale furono concessi in dote i feudi di Uras, Parte Usellus e Parte Montis e di porzioni della
Marmilla e del Bonorcili. Vide cosı̀ realizzate le sue aspirazioni politiche, ma
le nuove annessioni furono una delle
cause della rivalità con i marchesi di
Oristano che, come eredi dei giudici
d’Arborea, ritenevano le annessioni
un’usurpazione.
Bertran Carroz, Giacomo Viceré di
Sardegna dal 1452 al 1455 (?, prima
metà sec. XV-Cagliari 1469). Conte di
Quirra, figlio di Berengario, passò la
giovinezza sotto la tutela di sua madre;
cresciuto negli ambienti di corte, si
legò a Giovanni II, del quale condivideva le idee e i programmi politici. Divenuto maggiorenne, fu nominato viceré di Sardegna nel 1452, ma per i
suoi metodi di governo, non appena
tentò di porre in pratica la politica accentratrice del re, entrò in conflitto
con i feudatari, per cui nel 1455 fu rimosso. Si trasferı̀ nuovamente a corte
dove fu nominato camerlengo nel 1458
e prese parte alla repressione dei moti
in Catalogna.
Bertran Carroz, Violante II Contessa
di Quirra (?, 1456-Barcellona 1510). Figlia di Giacomo, figura di donna inquieta e infelice, rimasta orfana ed
erede della contea di Quirra a quindici
anni, fu posta sotto la tutela di Nicolò
Carroz, un lontano parente dell’allora
viceré di Sardegna. Questi esercitò nei
confronti di Violante una forte pressione, costringendola a sposare il proprio figliolo Dalmazio, uomo violento e
ambizioso. Rimasta vedova nel 1479, si
sposò una seconda volta con Filippo de
Castre So, che a sua volta morı̀ nel 1482.
Da quel momento governò l’immenso
feudo da sola.
Berudu Arma sarda medioevale. Conosciuta anche come virga sardorum, era
costituita da una punta di ferro acuminata e tagliente, della lunghezza di 2530 cm, usata nelle campagne per la caccia a cavallo ancora nella prima metà
dell’Ottocento. Lo strumento, di cui si
ha notizia anche nei secoli precedenti,
era ritenuto un’arma micidiale che i
sardi sapevano usare con destrezza.
Era probabilmente disceso dall’antica
virga romana.
Bes Divinità egizia. Era il dio della fecondità, della musica, della danza e in
genere delle manifestazioni gioiose
della vita. In età ellenistico-romana venivano apprezzate le sue qualità di dio
della salute e della magia. Per questo
fu oggetto di un culto molto diffuso e
popolare. Nelle rappresentazioni conservate ha un aspetto grottesco di nano
tozzo e obeso, con volto largo incorniciato dalla barba, occhi grandi, orecchie tese, lingua che pende dalla
bocca, braccia piegate con le mani in
avanti o poggiate sulle gambe flesse;
reca spesso sul capo una corona di
piume. In Sardegna sono state rinvenute statue, statuette, terrecotte, amuleti e scarabei con l’iconografia attribuita al dio, soprattutto in siti interessati dalla presenza fenicio-punica; le
datazioni comunemente attribuite a
questi manufatti arrivano fino a età romana. L’esemplare più noto, scoperto
in un edificio templare di Bitia, consiste in una statua in arenaria sulla cui
superficie, in parte erosa, è rimasta
qualche traccia di un sottile strato di
stucco. La statua è caratterizzata da
una lastra rettangolare pesantemente
restaurata sul capo, riferibile a un copricapo non conservato. Il suo rinvenimento in un tempio in cui è stata ritro-
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Besalù
vata una stipe votiva con numerose statuette puniche, indicanti una richiesta
di guarigione (o un ringraziamento per
l’avvenuta sanatio) da parte dei dedicanti, ben si adatta alle caratteristiche
della divinità. La scultura è stata interpretata come un’opera di artigianato
punico fino ai primi anni Ottanta del
secolo XX; in seguito, uno studio approfondito basato sul confronto con l’iconografia del dio in età romana e sulla
consapevolezza della rarità della
grande statuaria punica ha abbassato
alla piena età imperiale la datazione
del pezzo. Senza escludere un’eredità
artistica di matrice punica, la statua è
stata rapportata al fervore del culto
isiaco in Sardegna. Esemplari analoghi provengono da Maracalagonis e da
Santa Gilla. [ALBERTO GAVINI]
Bes – Rappresentazione del dio risalente al
secolo IVa.C.
Besalù Famiglia catalana (secc. XVXVI). Di origini feudali, nel 1448 si trasferı̀ in Sardegna con un Pietro, nominato procuratore reale. In seguito, tra
il 1455 e il 1458 fu nominato viceré e
acquistò i feudi di Monreale e della
Marmilla, che però non riuscı̀ a pagare
e nel 1477 fu costretto a cedere quasi
completamente. A suo figlio Pietro II
rimasero Barumini e Las Plassas.
Sposò Paola Cardona, erede della baronia di Senis, ma la baronia fu venduta
per debiti nel 1486; le condizioni economiche della famiglia non si modificarono in seguito. Si estinse nel 1539
con un Paolo.
Besalù, Pietro I Viceré di Sardegna dal
1454 al 1458 (inizi sec. XV-fine sec. XV).
Gentiluomo catalano, era gran siniscalco del Regno di Sicilia quando nel
1448 si trasferı̀ in Sardegna per ricoprire l’ufficio di procuratore reale.
Funzionario scrupoloso e fedele interprete della politica reale, cercò di legarsi all’ambiente locale sposando una
delle figlie naturali di Giacomo Bertran Carroz conte di Quirra. Nel 1454,
quando suo suocero fu rimosso, fu nominato viceré; governò fino al 1458 tentando di moderare le prepotenze dei
feudatari, di affermare la supremazia
del potere regio e di dare impulso ad
alcune attività economiche, rilanciando le miniere. Egli tentò anche di
consolidare la propria posizione patrimoniale acquistando i feudi di Monreale e della Marmilla, e poiché non
aveva i denari sufficienti si fece prestare delle somme da Simone Rubei di
Cagliari, che rimborsò con fatica negli
anni successivi utilizzando le rendite
feudali. Nel 1459, però, le rendite gli
furono sequestrate dal fisco perché
moroso nei suoi confronti, per cui non
fu più in grado di rendere i soldi al Rubei che nel 1464 minacciò di far vendere all’asta i due feudi per recuperare il credito. La situazione sembrò
precipitare, ma B. fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato ai
territori che confinavano con i suoi di
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Bessude
Quirra, saldò il Rubei e chiuse la vicenda. Quando il conte morı̀ il B. si
trovò nuovamente in gravi difficoltà:
infatti il nuovo conte Dalmazio Carroz,
che aveva sposato Violante, la sorellastra di sua moglie, approfittando dello
stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474
occupò militarmente il territorio e gli
ingiunse di pagare le somme che gli
erano state prestate. Poiché B. non fu
in grado di farlo, nel 1477 i due arrivarono a un compromesso in base al
quale egli riuscı̀ a conservare solo Barumini, Las Plassas e Villanovafranca.
Besalù, Pietro II Signore di Barumini
(metà sec. XV-inizi sec. XVI). Figlio di
Pietro I, alla morte di suo padre ereditò il feudo rimasto in possesso della
famiglia e un’infinita quantità di debiti. Con il matrimonio con Paola Cardona, erede della baronia di Senis,
tentò di risollevare le sorti della famiglia, ma nel 1486 fu costretto dai creditori a vendere Senis. In seguito continuò a gravare di censi e ipoteche
quanto gli era rimasto.
Besana, Carlo Chimico (Ispra 1849Lodi 1929). Laureatosi in Chimica a Pavia, si dedicò all’insegnamento e all’approfondimento dei problemi tecnici dell’industria casearia. Acquistò
un notevole prestigio scientifico e nel
1880 fu chiamato a dirigere il caseificio
sperimentale di Lodi. Nella nuova
sede approfondı̀ ulteriormente lo studio dei problemi della lavorazione del
formaggio. Perfettamente inserito nell’ambiente di Lodi, fu eletto consigliere comunale e sindaco. Alla Sardegna dedicò un articolo, Sullo svolgimento dell’industria casearia in Sardegna, pubblicato nell’‘‘Annuario della
R. Sezione sperimentale di Caseificio
di Lodi’’ nel 1902.
Besson, Eugenio Giornalista (Cagliari, inizi sec. XIX-ivi 1859). Di idee
repubblicane, fu convinto sostenitore
della necessità di concedere l’autonomia alla Sardegna. Tra il 1854 e il 1856
collaborò a ‘‘La Favilla’’; nel 1857
fondò e diresse a Cagliari il settimanale ‘‘Il Flagello’’, di orientamento
mazziniano, la cui pubblicazione durò
pochi mesi. Subito dopo fu costretto all’esilio. Nel 1858 aveva dedicato un
breve saggio a Gaetano Cadeddu, sfortunato protagonista della cosiddetta
congiura di Palabanda del 1812.
Besson, Giampiero Antifascista (Cagliari 1922-Roma 1944). Studente universitario, vice-addetto sindacale e
membro del direttorio del GUF di Cagliari, nel settembre 1942 pronuncia
nella sede alcune invettive in sardo rivolte al ritratto del duce, che nel marzo
1943 il tribunale speciale giudica «atte
a deprimere la resistenza della Nazione di fronte al nemico», condannandolo a 10 anni di reclusione. Liberato
dopo il 25 luglio, muore durante l’occupazione tedesca.
Bessude Comune della provincia di
Sassari, compreso nella V Comunità
montana, con 475 abitanti (al 2004), posto a 447 m sul livello del mare alle pendici, come i vicini Siligo e Thiesi, del
monte Pelao. Regione storica: Meilogu. Archidiocesi di Sassari.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 26,84 km2: ha forma allungata da oriente a occidente e confina a nord con Banari e Siligo, a est
con Bonnanaro, a sud con Borutta e
Thiesi, a ovest con Ittiri. Il paese si
trova in una vallata ricca di acque ai
piedi del monte Pelao, un rilievo di
forma allungata che supera di poco i
700 m; di origine vulcanica, si conclude
con un altipiano che ha per bordo una
corona di rocce granitiche; tutto il resto del territorio è di natura mista vulcanica e calcarea, con terreni ondulati
un tempo utilizzati anche per l’agricol-
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Bessude
tura, oggi per larga parte adibiti a pascolo. Le comunicazioni sono assicurate da una strada secondaria che, distaccandosi poco più a nord dalla Sassari-Cagliari, tocca Siligo e, dopo aver
attraversato B., ha termine a Thiesi,
lungo la 131 bis che si dirige verso Alghero.
& STORIA L’attuale centro abitato è di
origini medioevali; apparteneva al giudicato di Torres ed era compreso nella
curatoria del Cabudabbas. Nel corso
del secolo XII venne in possesso dei
Doria, in seguito a uno dei matrimoni
che fecero con principesse della famiglia giudicale di Torres. Dopo l’estinzione dei giudici, essi inclusero il villaggio nello stato feudale che avevano
formato; instaurarono un buon rapporto con gli abitanti che mantennero
i loro privilegi e la loro autonomia e
vissero un periodo di pace fino alla
conquista aragonese. Allora i Doria si
dichiararono vassalli del re d’Aragona,
cosı̀ il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Quando però nel 1325
essi si ribellarono, il villaggio divenne
teatro della guerra e nel 1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da
Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348 e
si spopolò quasi completamente, continuando a rimanere sempre nelle mani
dei Doria che si riavvicinarono al re
d’Aragona. Fu un breve periodo, e infatti essi dopo il 1350 ripresero a combattere contro il re e contro il suo alleato il giudice d’Arborea; quando poi
scoppiò la seconda guerra tra Aragona
e Arborea, B. fu attaccato dalle truppe
giudicali e, nonostante la disperata difesa opposta da Brancaleone Doria,
conquistato dall’Arborea. Poco dopo
seguı̀ il matrimonio tra Brancaleone
ed Eleonora che modificò il quadro
delle alleanze e i Doria finirono per so-
stenere il giudicato. Caduto il giudicato d’Arborea nel 1410, B. e il restante
territorio continuarono a rimanere in
mano a Nicolò Doria fino alla caduta
del castello di Monteleone nel 1436. In
quell’occasione il villaggio soffrı̀ alcuni danni e, quando entrò finalmente
a far parte del Regnum Sardiniae, la
sua popolazione non superava le 200
unità. Subito dopo, unitamente a
Thiesi e Cheremule, fu incluso nel
feudo di Montemaggiore che venne acquistato dai Manca di Sassari. I rapporti della comunità con i feudatari
inizialmente furono tranquilli anche
se il carico fiscale era piuttosto pesante; agli inizi del secolo XVI, per il
matrimonio di Erilla Manca, i tre villaggi passarono ai Cariga. La popolazione di B. era cresciuta e i nuovi feudatari vi fecero costruire la chiesa parrocchiale dedicata a San Leonardo. Secondo una tradizione alla fine del secolo la sua popolazione sarebbe stata
quasi dimezzata dalla peste, ma il villaggio si sarebbe subito ripopolato con
gli abitanti superstiti dei vicini villaggi
di Ibilis e di Sultana che avevano subito la stessa sorte. I Cariga si estinsero
nel 1604 e Bessude passò ai Ravaneda,
discendenti da Elena Cariga; questi ultimi nel 1620 vi fecero costruire la
nuova parrocchiale di San Martino e
nel 1635 ottennero il titolo di marchesi
di Montemaggiore. Essi però modificarono radicalmente l’amministrazione,
arrivando a controllare la designazione del majore e facendo governare
B. da un fattore baronale che risiedeva
a Thiesi. Negli stessi anni aumentarono il carico dei tributi fiscali, facendo in modo che il loro pagamento
ricadesse su tutti in base al reddito di
ciascuno. Per questo il regidor provvide a formare le ‘‘liste feudali’’ e cosı̀
la popolazione fu divisa in tre categorie; a questo spietato sistema sfuggi-
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Bessude
vano solo nobili, cavalieri e sacerdoti,
che erano esentati dal pagamento
delle tasse. I Ravaneda si estinsero
nel 1726; dopo una complessa vicenda
ereditaria, che per un certo periodo
fece sperare agli abitanti la fine della
dipendenza feudale, i tre villaggi tornarono in possesso di un altro ramo
dei Manca, discendente dai primi feudatari; la popolazione frattanto aveva
nuovamente superato le 400 unità. Il
rapporto con i nuovi feudatari divenne
presto burrascoso a causa del loro fiscalismo e delle loro assurde pretese
in un periodo in cui la comunità andava riacquistando coscienza dei propri diritti con la costituzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico. Cosı̀ nel 1795 gli abitanti di B., esasperati, presero parte ai moti antifeudali ma subirono una pesante repressione. Nel 1821 il paese fu incluso nella
provincia di Alghero e nel 1839 finalmente ottenne il riscatto. Di questi
anni è la testimonianza di Vittorio Angius: «Il clima è poco da lodare e per la
umidità che cagionano l’acque che
scorrono per l’abitato, e per le pestilenti esalazioni che svolgonsi dalle immondezze stagnanti in alcune parti, e
dai letamai, e per lo calore che vi si
raccoglie nella estate quando non soffiano i venti che vi hanno libero il
flusso. Regnano di primavera e in inverno le infiammazioni, nell’estate e
autunno le febbri periodiche, le diarree, le dissenterie. La maggior parte
dei bessudesi dà opera alla coltivazione, un piccol numero attende alla
pastorizia, ed alcuni pochi si esercitano nelle arti meccaniche di prima
necessità, sebbene sia da dire che,
come sanno meno di queste, e meno
tempo vi impiegano che nella agricoltura, cosı̀ piuttosto nella classe degli
agricoltori che negli altri mestieri debbiansi computare. Nella tessitura im-
piegansi circa 140 telai. L’istruzione
normale è mal sistemata, né vi intervengono più di 20 fanciulli. Nel censimento parrocchiale dell’anno 1833 si
conobbe essere le famiglie 135, le
anime 634. Nascono per l’ordinario
nell’anno 35, muojono 20 e si celebrano
matrimoni 5. Si semina starelli di
grano 560, d’orzo 56, di fave 40, di lino
60. La fruttificazione ordinaria del
grano va al cinque, gli altri generi rendono qual più, qual meno. L’agricoltura è in pessime condizioni per molte
cause. La principale tiensi essere la
scarsezza dei buoi da lavoro, non essendo possibile che ai soli benestanti
tenere più coppie, mentre manca il pascolo, e manca il prato comunale che
non si è mai voluto assegnare dal barone. Le vigne sono 85, la maggior parte
divise e suddivise, onde anche i poveri
hanno la piccola loro proprietà. I prodotti dell’agricoltura, che sono i soli
che portansi nel commercio dai bessudesi, per l’ordinario si spacciano in
Sassari. Le specie dei fruttiferi sono
olivi, peri, pomi, susini, noci, nocciuoli, mandorli, fichi, persici, cotogni,
meligranati, sorbi, giuggioli, gelsi,
agrumi. In totale sommeranno a 9000
individui. Il bestiame che educasi è
delle specie solite, ma in piccola quantità. Nel 1833 si annoveravano cavalli e
cavalle domite 84, rudi 45, buoi da lavoro 140, vacche mannalite (domestiche) 35, rudi 150, giumenti 65, majali
85, porci rudi 0, pecore 500, le quali
prima dell’epizoozia dell’anno antecedente erano al triplo, capre 400. Totale
capi 1504». Soppressa nel 1848 la provincia di Alghero, B. fu incluso nella
divisione amministrativa di Sassari,
nella quale rimase fino al 1859; successivamente entrò a far parte della vera e
propria provincia di Sassari. Nel corso
dei decenni successivi l’economia del
villaggio sembrò potersi sviluppare so-
547
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 555
Bessude
prattutto nel settore dell’allevamento,
ma queste premesse si interruppero
bruscamente con la crisi di fine secolo.
Nel primo dopoguerra la situazione
sembrò stabilizzarsi ma, finita la seconda guerra mondiale, la popolazione
cominciò a emigrare alla ricerca di
condizioni di lavoro meno precarie e
più redditizie.
& ECONOMIA La sua economia, basata
tradizionalmente sull’agricoltura, in
particolare la cerealicoltura, l’olivicoltura e la viticoltura, ha fatto largo spazio negli ultimi tempi, soprattutto nelle
parti più alte e impervie del territorio,
all’allevamento del bestiame. Servizi.
Il villaggio è collegato con autolinee
agli altri centri della provincia e dista
32 km da Sassari. Dispone del medico,
della scuola dell’obbligo, della Biblioteca comunale e di uno sportello bancario.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 502 unità,
di cui stranieri 14; maschi 230; femmine 272; famiglie 203. La tendenza
complessiva rivelava un lieve aumento
della popolazione, con morti per anno
6; nati 3; cancellati dall’anagrafe 12;
nuovi iscritti 17. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF
14 793 in migliaia di lire; versamenti
ICI 279; aziende agricole 86; imprese
commerciali 24; esercizi pubblici 3;
esercizi al dettaglio 6; ambulanti 2.
Tra gli indicatori sociali: occupati 151;
disoccupati 10; inoccupati 21; laureati
7; diplomati 77; con licenza media 102;
con licenza elementare 207; analfabeti
10; automezzi circolanti 204; abbonamenti TV 161.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio di B. conserva numerosi nuraghi (Bilde, Cambino, Cheia, Crastu,
Cunzada ’e Cheia, Cugnola, Iscala de
Ilde, Monte Inzas, Monte Peiga, Mura
Idda, Sa Scala, San Teodoro), alcune
domus de janas (Pumari, S’Ena ’e Cannuia, Ziu Deu) e resti di tombe romane
(San Teodoro). Il sito di maggiore interesse è quello di S’Ena ’e Cannuia, un
gruppo di bellissime domus de janas
tra le quali è anche la Tomba dei Pilastri scolpiti, che ha l’interno adornato
da una serie di graffiti di grande effetto; nello stesso complesso sono alcune altre tombe dipinte con motivi color ocra. Interessante è anche il complesso di Fumari in località Monte Pelau che comprende il nuraghe omonimo, molto danneggiato, un complesso di domus de janas e una piccola
necropoli romana che ha restituito numerosi resti di suppellettili.
Altro sito importante ha come punto di
riferimento la chiesetta di San Teodoro, nei pressi della quale si trovano
l’omonimo nuraghe, molto ben conservato con tholos e corridoio d’ingresso, e
un complesso di tombe romane che
hanno reso molto materiale tra cui
una statuetta in bronzo.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’antico tessuto urbano del villaggio è stato conservato e gli conferisce un carattere particolare e pittoresco; l’abitato è disposto a gradoni alle
falde del monte Pelao, lungo le strade
si affacciano le case tipiche in pietra
del tipo a palattu; solo di recente si è
sviluppato a valle il nuovo quartiere di
Sa Sea, a carattere residenziale con
case con giardino e strade larghe e rettilinee. Il centro storico conserva la
chiesa di San Martino Vescovo, parrocchiale costruita nel 1620 in forme goticheggianti non lontano della vecchia
parrocchiale di San Leonardo. Ha una
sola navata completata dal presbiterio
con volte a crociera. All’interno è conservata una tela che raffigura il santo a
cui è intitolata la chiesa. A breve distanza sorge anche la chiesa di San
Leonardo edificata nel secolo XVI in
548
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 556
Betonica
forme tardogotiche: era probabilmente l’antica parrocchiale del villaggio andata in rovina nel corso dei secoli; nel Settecento era adibita a
chiesa del cimitero; è stata radicalmente restaurata nel 1984; conserva alcune volte a crociera e altri elementi
della struttura originaria. Di estremo
interesse è la chiesa di Santa Maria de
Nuraghes situata in regione Cunzadu
de Cheia a poca distanza dall’abitato.
Fu costruita nel secolo XIV ma andò in
rovina nel corso del XV. Ricostruita nel
XVI, fu successivamente ancora modificata; ha un impianto a una sola navata su cui s’affaccia una cappella laterale. All’esterno si affianca un portico;
secondo la tradizione la chiesa sarebbe stata la parrocchiale dell’antico
villaggio di Ibilis, abbandonato come si
è visto nel secolo XVI.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
feste più importanti sono quella del patrono San Martino, che si svolge l’11 novembre, e quella per l’Assunta, la domenica dopo Ferragosto.
Besta, Enrico Storico del diritto (Treviso 1874-Milano 1952). Nato da antica
famiglia valtellinese, si laureò a Padova e nel 1897 divenne professore di
Storia del Diritto italiano presso l’Università di Sassari, dove insegnò fino al
1904. Negli anni della sua permanenza
in Sardegna si dedicò con passione allo
studio dei documenti e dei problemi
del Medioevo sardo, animando la vita
culturale della città. Nel 1901 fondò la
rivista ‘‘Studi sassaresi’’. Trasferitosi a
Palermo, vi rimase fino al 1909 quando
fu chiamato a Pisa. Si fermò nella
nuova sede fino al 1924, acquistando
per il rigore dei suoi studi notorietà internazionale. Nel 1924 finalmente si
trasferı̀ a Milano, dove insegnò fino al
1949. Collocato fuori ruolo nel 1946,
nello stesso anno fu nominato socio
dell’Accademia dei Lincei. Ha lasciato
numerosi studi sul diritto della Sardegna medioevale, su cui anzi aveva pubblicato un volume proprio all’inizio del
suo soggiorno sassarese (Diritto sardo
nel Medioevo, 1898). Ma la sua opera
fondamentale restano i 2 volumi de La
Sardegna medioevale, editi a Palermo
nel 1908. Degli altri studi: Sardegna
feudale, ‘‘Annuario della R. Università
di Sassari’’, 1899; Frammenti di un antico statuto di Castelsardo, ‘‘Archivio
giuridico’’ del Serafini, LXII, 1899; Storia del giudicato di Cagliari al principiare del secolo XIII, ‘‘Studi sassaresi’’,
I, 1901; Nuovi studi su le origini, la storia
e l’organizzazione dei giudicati sardi,
‘‘Archivio Storico Italiano’’, XXVII, s.
V, 1901; Prefazione illustrativa della
Carta de Logu de Arborea, ‘‘Studi sassaresi’’, III, 1903-1904; Di alcune leggi e
ordinanze di Ugone III d’Arborea, 1904;
Rettificazioni cronologiche al primo volume del ‘‘Codex Diplomaticus Sardiniae’’, ‘‘Archivio storico sardo’’, I, 1905;
Carta de Logu di Arborea, ‘‘Studi sassaresi’’, III, I, 1905; Per la storia del giudicato di Gallura nell’undicesimo e dodicesimo secolo, ‘‘Atti della regia Accademia delle Scienze di Torino’’, XLII,
1906-1907; Il Liber judicum turritanorum con altri documenti logudoresi,
1906; Legislazione medioevale in Sardegna, 1908; Arborea, voce in Enciclopedia italiana, IV, 1929; I Condaghi di San
Nicola di Trullas e di Santa Maria di Bonarcado, 1937; Postille sopra il Condaghe di S. Nicolò di Trullas e di S. Maria
di Bonarcado, ‘‘Rendiconti del reale
Istituto lombardo di Scienze e Lettere’’, LXXI, 1938; L’attribuzione del cognome nella Sardegna medioevale, in
Studi in onore di Carlo Calisse, I, 1940.
Betonica Genere di piante della famiglia delle Labiate. In Sardegna sono
presenti due specie endemiche: 1. la
b. fetida, detta anche stàchide o stregona spinosa (Stachys glutinosa L.), pic-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 557
Bette
colo arbusto che cresce anche in Corsica e nell’arcipelago toscano; 2. la b.
corsa o stregona di Corsica (S. corsica.
Pers.), erbacea strisciante presente anche in Corsica. La prima ha fusti legnosi a sezione quadrata, foglie piccole
lanceolate, fiori biancastri con labbro
inferiore a 3 lobi, e fiorisce per tutta la
primavera in ambienti rocciosi e assolati; la seconda ha foglie ovate, arrotondate e pelosette, fiori abbondanti,
di colore giallastro, che ricoprono la
pianta, e predilige ambienti freschi e
umidi. Il nome ‘‘stregona’’ è legato alle
sue svariate proprietà e all’uso fattone
in tempi antichi da donne cui si attribuivano poteri magici. Il suo uso più
frequente era quello cicatrizzante, ma
in alcune zone della Sardegna si attribuivano alla b. capacità abortive. Entrambe le specie sono inserite, in base
alla proposta di L.R. n. 184/2001, nell’elenco di piante endemiche da sottoporre a vincolo di protezione. Nomi
sardi: bronzéddu (gallurese); erba de
bruscia (campidanese); locásu, lochésu
(nuorese); murghuéu, murghuléu (Sardegna meridionale). [MARIA IMMACOLATA
BRIGAGLIA]
Biacco = Zoologia della Sardegna
Biagi, Paolo Archeologo (n. Brescia
1948). Conseguita la laurea si è dedicato alla carriera universitaria. Nel
1988 professore associato di Preistoria
e protostoria, insegna presso la Facoltà
di Lettere dell’Università di Venezia. Il
suo nome è legato agli scavi condotti
tra il 1977 e il 1978 nella grotta Rifugio
di Oliena, su cui ha scritto una serie di
articoli: Notiziario: grotta Rifugio
(Oliena), ‘‘Rivista di Scienze Preistoriche’’, XXXIII, 2, 1978; La grotta Rifugio
di Oliena (con M. Cremaschi), in Sardegna centro-orientale dal Neolitico alla
fine del mondo antico, 1978; Scavi nella
grotta Rifugio di Oliena 1977-78. Caverna sepolcrale della cultura di Bonu
Ighinu (con M. Cremaschi), in Atti della
XXII Riunione scientifica dell’Istituto
italiano di Preistoria e Protostoria nella
Sardegna centro-orientale (1978), 1980;
La grotta Rifugio di Oliena: caverna-ossario neolitica, ‘‘Rivista di Scienze preistoriche’’, XXXV, 1980; I risultati degli
scavi del 1977-78 nella grotta Rifugio di
Oliena, in Actes du XX Congrès d’Anthropologie, 1981.
Biagio Arcivescovo di Torres dal 1202 a
Bette, Giovanni Francesco Viceré di
Sardegna nel 1717 (seconda metà sec.
XVII-prima metà sec. XVIII). Marchese di Leide, fu particolarmente vicino a Filippo V, che subito dopo lo
sbarco delle truppe in Sardegna, nel
1717, lo nominò viceré di Sardegna.
Egli giunse nell’isola alla fine di agosto
e come primo atto emanò un provvedimento di pacificazione generale, nell’intento di stabilizzare la conquista
che era ancora in atto. Poco dopo però
fu trasferito in Sicilia e fu sostituito da
José Armendariz, che invece instaurò
un durissimo regime repressivo, scatenando una ribellione generale per cui
fu costretto a richiamare l’editto del
predecessore.
circa 1214 (sec. XIII). Uomo di fiducia
di Innocenzo III, da questi nominato
notaio pontificio, forse per volontà
dello stesso pontefice divenne arcivescovo di Torres a partire dalla fine del
1202. Giunse in Sardegna entro il
marzo 1203. Longa manus di Innocenzo
III nell’isola, per tutta la durata della
sua carica si oppose alla politica dei
Pisani, che conculcava il potere dei
giudici, e svolse i compiti normalmente riservati al legato pontificio, anch’egli pisano. Riuscı̀ a ottenere entro
il 1205 che Comita di Torres, Elena di
Gallura e sua madre Odolina e Ugo
Poncio de Bas d’Arborea prestassero
giuramento di fedeltà alla Sede apostolica. Fece sı̀ che Guglielmo Mala-
550
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 558
Biagio
spina – cognato del giudice di Cagliari
Guglielmo di Massa – rinunciasse al
proposito di sposare Elena di Gallura,
che nei piani del pontefice avrebbe dovuto diventare la moglie di suo cugino
Trasamondo di Segni. B. non riuscı̀ a
impedire che la giovane sposasse alla
fine Lamberto Visconti entro la fine
del 1206. Nello svolgimento dei suoi
doveri subı̀ numerose minacce di
morte da parte dei Pisani, tuttavia non
morı̀ per loro mano, ma verosimilmente per cause naturali entro il 1214.
Biagio, san (in sardo, Santu Brai,
Santu Brau) Santo (Sebaste, Armenia,
sec. III-?, 316). Martire, nacque sotto
l’imperatore romano Licinio. Medico,
sacerdote, vescovo di Sebaste. Per
sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani, si nascose in una grotta, «continuando – si legge nella passio – la sua
duplice missione di vescovo e di medico, curando anche gli animali che a
lui accorrevano». Scoperto da alcuni
cacciatori, venne denunciato al preside Arcolao. Arrestato e processato,
non volle sacrificare agli dei, torturato,
condannato alla decapitazione. Mentre veniva condotto al martirio, una
madre con in braccio il figlio si fece
largo fra la folla. Disperata e piangente
depose il bambino ai piedi del vescovo,
supplicando: «Salvalo, una spina di pesce gli si è conficcata nella gola e lo sta
soffocando, salvalo!». Il vescovo mormorò una preghiera, pose le mani sul
capo del piccolo e lo benedisse alzando
gli occhi al cielo, e il bambino fu salvo.
«Se qualcuno – cosı̀ pregò prima di essere decapitato – avrà una spina o un
osso in gola o qualunque altra malattia
della gola e con fede chiederà il tuo
aiuto, o Signore, per mezzo del mio patrocinio, portando a testimonianza
quel che facesti per mezzo di me, tuo
servo, aiutalo». Culto diffuso dagli
orientali a partire dal secolo V, festa
l’11 febbraio, in Occidente dall’VIII.
Santo ausiliatore, in epoca medioevale, quando le sue reliquie erano diffuse dappertutto. Taumaturgo, invocato contro il mal di gola: leggenda a
parte, più probabilmente per il significato latino del suo nome, blaesus, balbuziente. Patrono dei laringoiatri, cantanti, banditori, suonatori di strumenti
a fiato, cardatori di lana (poiché fu torturato anche con i pettini di ferro per
cardare la lana) e materassai. In Germania invocato contro le emorragie e
le ulcere, per il significato del suo
nome, Blase, vescica. Protegge anche
il bestiame.
In Sardegna Patrono di Dolianova (insieme a San Pantaleo) e Villasor. È diffusissima la benedizione della gola e
l’offerta di un cero ai fedeli. La benedizione della gola avviene imponendo un
paio di candele incrociate, benedette
il giorno prima, la Candelora, sul collo
del fedele e invocando la protezione
del santo. Il cero viene offerto in ricordo d’una donna che andò a visitarlo
in prigione, portandogli del cibo e una
candela. Il suo culto nell’isola è arrivato con i Bizantini. Tradizionali in
area campidanese is pirichittus de
Santu Brai o is pistoccheddus de Santu
Brai, infelicemente tradotti ‘‘panini di
San Biagio’’ sulla scia dei panelli o panellini benedetti che nel continente si
distribuiscono nelle confraternite o in
certe feste. Si tratta di dolcetti che vengono distribuiti ai fedeli dopo la benedizione della gola. «T’acclamat dogni
credenti, / protettori generali, / ca de gutturu su mali, / sanas a dogna dolenti, /
grazia chi s’Onnipotenti, / ti cunzedit
cun onori» (Ti acclama ogni credente –
protettore generale – perché guarisci i
mali della gola – a chiunque ne soffra, –
grazia che l’Onnipotente – ti concede
con onore). A Loceri i fedeli portano in
chiesa, per essere benedetti, vasetti di
551
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 559
Biancareddu
strutto e ampolline d’olio, rimedi contro il mal di gola. A Lollove, pezzetti di
lardo cotti in caldaie. [ADRIANO VARGIU]
Festa Si festeggia il 3 febbraio. Sagre
estive e in altre date durante l’anno.
Biancareddu, Andrea Avvocato, consigliere regionale (n. Tempio Pausania
1966). Conseguita la laurea in Giurisprudenza si è dedicato alla libera professione. Entrato in politica, nel 1994 è
stato eletto consigliere regionale per
Forza Italia per l’XI legislatura nel collegio di Sassari. Nel 1999 è stato riconfermato per la XII legislatura e dal novembre del 2001 al 2003 è stato assessore all’Urbanistica nella giunta Pili.
Nel 2004 è stato riconfermato consigliere regionale per l’UDC nel collegio
di Sassari per la XIII legislatura, ma la
sua elezione è stata oggetto di un ricorso per incompatibilità e nel febbraio 2006 è stato dichiarato decaduto.
Gli è subentrato Renato Lai, primo dei
non eletti UDC nel collegio di OlbiaTempio.
Bianchi, Alberto Industriale (Milano
1876-Trieste 1951). Completò la sua formazione presso la Scuola chimica di
Mulhouse in Germania. Al suo ritorno
in Italia si dedicò all’attività industriale nel nascente settore della chimica. Conclusa la prima guerra mondiale, fu attirato dalla realtà mineraria
della Sardegna e nel 1928 fondò la Società chimica mineraria del Sulcis, che
avrebbe dovuto avviare la distillazione
della lignite. Negli anni seguenti impegnò ingenti capitali nell’impresa: la
fondazione di Carbonia sembrò creare
la possibilità di sfruttare il suo progetto, ma scoppiata la seconda guerra
mondiale fu costretto ad abbandonare
l’isola e il suo lavoro.
Bianchi, Nicomede Storico, senatore
del Regno (Reggio Emilia 1818-Torino
1886). Si stava perfezionando in Medicina quando nel 1848 fu preso dagli
eventi che causarono lo scoppio della
prima guerra di indipendenza. Entrato
nel governo provvisorio che si costituı̀
a Modena, nel 1849 dovette fuggire rifugiandosi a Nizza. Si stabilı̀ successivamente a Torino, dedicandosi allo
studio della storia con passione e capacità. Direttore dell’Archivio di Stato di
Torino, nel 1874 fondò il periodico ‘‘Curiosità e ricerche di storia subalpina’’,
confluito poi nella ‘‘Rivista storica italiana’’. Nel 1881 fu nominato senatore.
A lui si deve una voluminosa Storia
della monarchia piemontese dal 1773 al
1861, pubblicata in 4 volumi a Torino
nel 1885.
Bianchi, Ugo Storico delle religioni (n.
Arezzo 1922). Si è dedicato all’insegnamento universitario, diventando professore di Storia delle Religioni all’Università di Messina nel 1960. Dopo
dieci anni è passato in quella di Bologna e infine, dal 1974, a Roma. È vicepresidente dell’Associazione internazionale di Storia delle Religioni. Ha
scritto due saggi sul Sardus Pater: Sardus Pater, in Atti del Convegno di studi
religiosi sardi, 1963; Sardus Pater, in
‘‘Rendiconti dell’Accademia dei Lincei’’, XVIII, 1966.
Bianchi d’Espinosa, Rodolfo Cartografo militare (Napoli 1873-Milano
1964). Nato da antica famiglia di origine piemontese, percorse una brillante carriera raggiungendo il grado
di generale e fu un competente studioso di cartografia. Sulla Sardegna,
Sviluppo storico della cartografia della
Sardegna, in Atti del XII Congresso geografico italiano, 1935.
Bianco, Pietro Religioso (Sassari 1753Macomer 1827). Vescovo di Alghero dal
1805 al 1827. Si pose in evidenza per le
sue doti e per la memoria prodigiosa.
Allievo del padre gesuita Francesco
Gemelli, allora professore di Eloquenza all’Università di Sassari, di-
552
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 560
Biancospino
venne sacerdote e dottore in Teologia;
a partire dal 1785 insegnò Fisica sperimentale presso l’Università di Sassari.
Nel 1786 fu nominato canonico penitenziere e nel 1800 vicario generale
dell’archidiocesi. Nel 1805 fu nominato vescovo di Alghero e nel 1820 delegato apostolico per gli ordini regolari
in Sardegna. Lasciò numerose opere
manoscritte, in particolare panegirici,
orazioni e quaresimali. [MASSIMILIANO
VIDILI]
Il 1793 sardo in inedite corrispondenze
di parte piemontese conservate nel castello di Masino, in ‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 18, 1994; Cagliari regina. Immagini dell’azione piemontese in Sardegna nella seconda
metà del ’700, ‘‘Bollettino bibliografico
della Sardegna’’, 19, 1995; ‘‘Personaggi
distinti in ingegno e dottrina’’. Lettere di
Giovanni Spano all’Accademia delle
scienze di Torino, in P. Pulina e S. Tola,
Il Tesoro del Canonico. Virtù, vita e opere
di Giovanni Spano, 2005.
Biancospino – I caratteristici fiori bianchi.
Biancospino Piccola pianta arborea
Pietro Bianco – Sassarese, fu vescovo di
Alghero dal 1805 al 1827 e professore di Fisica
sperimentale all’Università di Sassari.
Bianco, Pietro Ausonio Insegnante,
storico (n. Sassari 1954). Dopo aver conseguito la laurea si è dedicato all’insegnamento nelle scuole secondarie; collabora a diversi periodici culturali e si
occupa di molteplici argomenti. Ha
fondato a Cagliari la casa editrice Condaghes e attualmente è presidente del
circolo sardo ‘‘Kinthales’’ di Torino.
Tra i suoi scritti: Su patriottu sardu a
sos feudatarios (con F. Cheratzu), 1992;
della famiglia delle Rosacee (Crataegus monogyna Jacq.). Da arbusto spinoso ad albero di dimensioni ridotte,
ha corteccia grigio-rossastra, foglie
con profonde divisioni in 4 o 5 lobi,
fiori bianchi riuniti in fitti corimbi; il
frutto è una bacca con colori dall’arancione al rosso-bruno. Con l’intensa fioritura bianca caratterizza le siepi e le
zone a macchia e a bosco degradato,
con preferenza per i substrati calcarei.
La fioritura è limitata quando cresce
all’interno dei boschi. È una specie
longeva e, anche se normalmente mantiene un portamento arbustivo, nel Supramonte di Orgosolo si trovano esemplari che superano gli 8 m di altezza. Il
legno, duro e compatto, è chiaro (dal
bianco al giallo-rossastro) e si utilizza
per lavori di tornitura. I fiori e i frutti
553
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 561
Biancu
hanno proprietà cardiotonica e ipotensiva. Nomi sardi: cararı́gghju (gallurese); croáxiu (campidanese); kalabrı́ke (nuorese); kaları́ghe (Goceano);
kalavrı́ke (Montiferru). [MARIA IMMACO-
bilmente, sperimentando anche tecniche di grande modernità.
LATA BRIGAGLIA]
Biancu, Antonio Consigliere regionale
(n. Baressa 1948). Cattolico impegnato,
fin da giovane ha militato nella DC e
quindi nel PPI. È stato sindaco del suo
paese natale una prima volta dal 1975
al 1981 e in seguito dal 1984 al 1994. Negli stessi anni dal 1990 è stato eletto
consigliere e assessore provinciale di
Oristano. Nel 1998 ha lasciato il PPI e
ha ederito ai Democratici e in seguito
alla Margherita. Nel 2001 è divenuto
consigliere regionale nel collegio di
Oristano per la XII legislatura, subentrando a Tonino Loddo eletto deputato.
Nel 2004 è stato riconfermato per la
XIII legislatura.
Biasi, Giuseppe Pittore (Sassari 1885Andorno Micca 1945). Nato da una famiglia veronese di origini aristocratiche, già da studente fu tra gli animatori
della vita culturale di Sassari. Dopo essersi laureato in Legge nel 1908, si
sentı̀ attratto dalla pittura, alla quale
si dedicò totalmente, e si trasferı̀ nel
Veneto per studiarla, acquisendo in
breve una robustissima formazione.
Nel 1909 prese parte alla Biennale di
Venezia con una piccola opera a tempera e pastello, Processione nella Barbagia di Fonni, che attirò l’attenzione
dei critici. Tornato in Sardegna, si stabilı̀ a Sassari dove raccolse attorno a sé
un gruppo di giovani artisti e letterati,
desiderosi di uscire dal chiuso provincialismo della pittura tradizionale. Negli anni successivi percorse i paesi
della Sardegna attirato dall’enorme
patrimonio delle tradizioni popolari.
Colse gli aspetti più vivi della tradizione e li interpretò e raffigurò mira-
Giuseppe Biasi – Il segretario galante. Il
pittore sassarese fu, nei primi decenni del
Novecento, l’inventore di un nuovo modo di
raccontare la tradizione isolana. (1912;
collezione privata)
Nel 1911 prese parte all’Esposizione
universale di Roma. A partire dal 1912
iniziò a produrre le prime incisioni (linoleografie a colori e xilografie), che lo
imposero all’attenzione nazionale, e
negli anni successivi, mentre la sua notorietà cresceva, instaurò rapporti con
le più vive fonti della cultura italiana
ed europea. Intanto si segnalava come
una delle personalità più interessanti
nel folto gruppo degli artisti sardi che
collaboravano come illustratori a giornali e periodici tra i più popolari fra i
lettori italiani. Nel 1913 prese parte
alla Secessione romana e poi ad altre
mostre e dibattiti in molte città italiane
fino al 1924 quando, spinto dal desiderio di conoscere, viaggiò molto in
Africa settentrionale, fino al 1928. Tornato in Italia, prese parte a mostre a
Napoli, Roma e in altre città. Difese
con scritti vivaci la sua idea dell’arte,
non di rado in polemica con altri intellettuali sardi. Si interessò con G.U.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 562
Biblioteca Comunale
Arata all’artigianato sardo, che considerava una forma di arte applicata di
grande significato, pubblicando un volume, Arte sarda, edito da Treves nel
1935, molto documentato ma soprattutto di grande eleganza editoriale.
Negli stessi anni eseguı̀ i celebri dipinti per la stazione ferroviaria di
Tempio Pausania e quelli per lo scalone del Palazzo di giustizia di Sassari
e affinò la sua arte misurandosi con le
più vive espressioni della cultura italiana ed europea. Finı̀ per stabilirsi a
Biella. Sospettato di essere fascista,
nei giorni confusi che seguirono il 25
aprile fu ucciso forse da partigiani ad
Andorno Micca. Tra i suoi scritti: il risentito e ironico Polemica sull’arte
sarda, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1929; La I
e la II quadriennale, i parenti poveri,
1935.
Bibiana, santa Santa (m. sec. IV). Figura leggendaria, figlia di genitori
santi martiri, Flaviano e Dafrosa, e sorella di Santa Demetria. Martire sotto
Giuliano l’Apostata (331-363). Nel 1969
è stata cancellata dal calendario universale. In passato era venerata a
Nuoro. Nell’isola ricorre spesso nei
canti popolari. [ADRIANO VARGIU]
Bibissa Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato
di Gallura, compreso nella curatoria di
Galtellı̀. Sorgeva nelle campagne di
Orosei. Estinta la dinastia dei Visconti,
il villaggio entrò in possesso del Comune di Pisa, che lo fece amministrare
da propri funzionari. La loro eccessiva
fiscalità creò un notevole malcontento
tra gli abitanti, gelosi custodi della propria autonomia. Iniziata la guerra di
conquista, gli Aragonesi, guidati dall’ammiraglio Francesco Carroz, invasero il territorio e lo occuparono, ma
non riuscirono a piegare l’opposizione
della popolazione. Nel 1327 B. fu riconosciuto possesso di Lorenzo de Çori,
un sardo che si era schierato con gli
Aragonesi, ma quando nel 1332 scoppiò
la guerra tra Genova e Aragona, il villaggio fu danneggiato; poco dopo il De
Çori morı̀ e gli succedette il figlio
Guido, il quale nel 1338 lo vendette a
Leonardo Dessı̀, cittadino di Oristano
che probabilmente era un prestanome
di Giovanni d’Arborea. Il Dessı̀ infatti
poco dopo lo vendette al principe arborense la cui triste storia è nota. Quando
nel 1353 scoppiò la prima guerra tra
Mariano IV e Pietro IV B. fu completamente abbandonato.
Biblioteca Arborense, Oristano Biblioteca che ha sede nel convento dei
Minori conventuali di Oristano, ed è
costituita da un importante fondo librario di grande rilievo storico. Tra i
pezzi più interessanti manoscritti, incunaboli e una raccolta di codici corali
miniati di grande importanza per ricostruire la storia della musica nel giudicato d’Arborea. Ha più di 6500 volumi.
Biblioteca Comunale, Alghero Biblioteca fondata nel 1852 grazie alla
donazione della raccolta appartenuta
al canonico Adagio; nel tempo si è andata arricchendo con altre donazioni
ed è diventata un importante riferimento per lo studio della lingua e della
cultura catalane in Sardegna. Attualmente possiede 40 000 volumi e numerosi incunaboli, manoscritti e cinquecentine.
Biblioteca Comunale, Cagliari Biblioteca la cui formazione ebbe avvio
nel 1866 con la donazione di Pietro
Martini che lasciò i suoi libri e quelli
di suo fratello Michele al Municipio
perché potesse dar vita a una biblioteca. Nei decenni successivi fu arricchita da altre donazioni come quelle
del Cossu Baylle e dei Birocchi, che
però rimasero inaccessibili per anni.
Infatti il Comune fu in grado di aprire
la biblioteca al pubblico solo nel 1895;
555
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 563
Biblioteca Comunale
nel corso del secolo XX la biblioteca fu
arricchita dalle donazioni di Ottone
Bacaredda, da quella dei Ballero, dell’importante fondo Sanjust e di molte
altre minori. Annessa all’Archivio, per
molti anni fu ospitata nella palazzina
della Galleria comunale ai Giardini
pubblici. Nel 2000 è stata spostata nei
moderni locali di via Koch. Attualmente possiede circa 100 000 volumi e
115 manoscritti di interesse storico.
Biblioteca Comunale, Nuoro Biblioteca, intitolata a Sebastiano Satta, che
nacque nel 1933 da un consorzio che il
Comune e la Provincia costituirono
per gestire i volumi donati dal canonico e storico Pietro Lutzu. In seguito
si è arricchita delle donazioni di importanti professionisti e uomini politici cittadini (Mannironi, Oggiano,
Monni, Mastino) e soprattutto della biblioteca e dall’archivio di Sebastiano
Satta, donati alla città da suo figlio Vindice. Negli ultimi anni un’accorta politica di acquisti ha sviluppato ulteriormente i fondi librari della biblioteca,
che oltre a curare il servizio di lettura
pubblica promuove iniziative culturali
di grande rilievo. Attualmente possiede circa 140 000 volumi e più di 150
manoscritti.
Biblioteca Comunale, Sassari Biblioteca costituita nel 1875 con l’acquisto
della biblioteca di Pasquale Tola, ceduta al Comune dal figlio Cosimo; tra
le molte altre carte la raccolta comprendeva incunaboli, cinquecentine e
manoscritti. Inizialmente i libri del
Tola furono depositati presso l’Università; tornati al Comune solo nel 1909,
furono uniti a un consistente fondo,
prevalentemente di opere di argomento sardo, che Enrico Costa aveva
costituito con le donazioni Ponzeveroni, Righi, Orrù e altri. Nel corso del
Novecento la biblioteca si arricchı̀ ulteriormente grazie alle donazioni di
Filippo Garavetti, di Gavino Alivia, all’importante donazione Pittalis e a
quelle di molti altri. Nonostante il continuo afflusso di materiale di grande
valore il Comune si disinteressò di
questo imponente patrimonio, tentando addirittura di cederlo all’Università. Solo nel 1979 – grazie anche all’indefessa applicazione di un bibliofilo di straordinaria tenacia, il medico
Gavino Perantoni Satta – è stato compiuto il lavoro di inventario, di schedatura e di sistemazione dei volumi che
oggi ammontano a più di 140 000. Trasferita alla fine degli anni Novanta del
Novecento nel Palazzetto d’Usini, razionalmente restaurato e adattato alle
esigenze del servizio al pubblico, è
molto frequentata. La direttrice è Cristina Cugia.
Biblioteca della Camera di Commercio, Cagliari Biblioteca fondata nel
1863, attualmente ospitata nei locali
del palazzo della Camera nel largo
Carlo Felice. Comprende più di 25 000
volumi di argomento prevalentemente
economico e giuridico e numerosi manoscritti di interesse storico, tra cui i
verbali della Reale Società Agraria ed
Economica.
Biblioteca della Facoltà teologica,
Cagliari Biblioteca ecclesiastica, la
più importante della Sardegna. Fu fondata nel 1927 dal padre Carlo Bazzola e
ospitata dapprima presso il Seminario
regionale di Cuglieri e successivamente trasferita a Cagliari. Possiede
più di 30 000 volumi, incunaboli, cinquecentine, riviste e manoscritti importanti per la storia ecclesiastica
della Sardegna.
Biblioteca del Seminario Arcivescovile, Cagliari Bilbioteca fondata nel
1775 da monsignor Melano di Portula e
ospitata nel palazzo del Seminario, allora attiguo a quello dell’Università.
Nel corso del secolo XIX fu arricchita
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 564
Biblioteca Universitaria
da alcune donazioni provenienti da
privati e da alcuni prelati di Cagliari;
la raccolta decadde nel corso del secolo XX a causa delle difficoltà economiche della diocesi e corse il rischio di
scomparire sotto i bombardamenti del
1943. Solo negli anni Settanta l’importante fondo librario fu trasportato nei
locali del nuovo Seminario, dove fu
classificato, riordinato e posto a disposizione del pubblico. Possiede più di
20 000 volumi, incunaboli, cinquecentine e libri rari, di cui recentemente è
stato pubblicato un catalogo.
‘‘Biblioteca sarda’’ Rivista mensile di
Cagliari pubblicata dal 1838 al 1839.
Cominciò a uscire dall’ottobre 1838, diretta da Vittorio Angius, che ne fu anche il principale redattore. Pubblicò
prevalentemente articoli di carattere
culturale di contenuto storico, letterario e scientifico. Purtroppo nel settembre 1839 non fu più possibile trovare
finanziamenti e l’Angius fu costretto a
interrompere le pubblicazioni.
Biblioteca Universitaria, Cagliari Biblioteca costituita nel 1764 con dotazioni provenienti da donazioni regie e
da lasciti di privati. Era ospitata nel
palazzo dell’Università, fu aperta al
pubblico nel 1792 con una dotazione di
8000 volumi; fu affidata alla direzione
di Giacinto Hintz perché la riordinasse
e la classificasse in modo adeguato.
Hintz morı̀ nel 1811 e negli anni seguenti la biblioteca decadde; solo nel
1820 fu affidata a Domenico Alberto
Azuni, che avviò la costituzione del
primo catalogo e ne arricchı̀ la dotazione. Nei decenni successivi la biblioteca fu diretta da due grandi studiosi
come Lodovico Baylle e Giovanni
Spano, che continuarono a svilupparla
e a potenziarla compatibilmente con le
scarse disponibilità finanziarie dell’Ateneo. Fu però con Pietro Martini, nominato bibliotecario nel 1842, che la
B.U. ebbe un notevole impulso; egli infatti compilò il catalogo alfabetico e introdusse un sistema di collocazione
dei volumi. Dopo di lui, per tutto l’Ottocento, la B.U. si arricchı̀ grazie ad altre
donazioni fatte da privati, tra cui
quelle del Falqui Pes nel 1864, del Timon nel 1866, e grazie all’acquisizione
delle biblioteche degli ordini religiosi
soppressi. In particolare diedero un
notevole contributo la biblioteca dei
Domenicani, quelle dei Mercedari e
degli Scolopi e soprattutto quella dei
Gesuiti, che comprendeva la storica biblioteca di Monserrato Rossellò. Nel
Novecento la B.U. continuò a crescere
e a essere riordinata e arricchita grazie all’intelligente opera di bibliotecari di grande prestigio tra i quali va
ricordata la dottoressa Bianca Bruno,
che la diresse tra il 1932 e il 1940, contribuendo a un radicale rinnovamento
delle sue strutture e dei locali. Scoppiata la seconda guerra mondiale fu
danneggiata dai bombardamenti, ma
grazie all’appassionata opera di Nicola Valle riprese nel dopoguerra il
suo cammino e nel corso dei decenni
fu potenziata e dotata di notevoli supporti grazie all’opera di Polidoro Benveduti, Luigi Balsamo e, in tempi più
recenti, Graziella Delitala e Giuseppina Cossu Pinna, cui è succeduta l’attuale direttrice Ester Gessa. I suoi locali vennero spostati nell’attuale palazzo del Seminario, contiguo a quello
della vecchia sede. Attualmente la
B.U. possiede più di 500 000 tra volumi
e opuscoli, 1700 riviste, 245 giornali,
245 incunaboli, più di 400 manoscritti
dal XII al secolo XX, 1560 volumi considerati rari ed è in grado di fornire
servizi al passo con i tempi. La biblioteca centrale è affiancata da importanti biblioteche di Facoltà e di Dipartimento; in particolare: la Biblioteca
della Facoltà di Giurisprudenza, si-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 565
Biblioteca Universitaria
tuata in viale Fra Ignazio; la Biblioteca
della Facoltà di Scienze politiche, situata in viale Fra Ignazio: da questa dipende la Biblioteca del Centro di documentazione europea, situata in via Nicolodi; la Biblioteca centrale della Facoltà di Economia e Commercio, situata in viale Fra Ignazio; la Biblioteca
della Facoltà di Lettere e Filosofia,
Scienze della Formazione e Lingue e
letterature Straniere, articolata in: 1.
Biblioteca Interfacoltà, situata in località Sa Duchessa; 2. Biblioteca interdipartimentale dei dipartimenti di Filologie e Letterature moderne, di Studi
storici, geografici e artistici, di Filosofia e Teoria delle Scienze umane, di
Scienze pedagogiche e filosofiche, situata in via Is Mirrionis; 3. Biblioteca
del Dipartimento di Scienze archeologiche e Storico Artistiche e della
Scuola di Specializzazione in Studi
Sardi, situata in piazza Arsenale, Cittadella dei Musei; 3. Biblioteca del Dipartimento di Filologia classica e Glottologia, situata in via Is Mirrionis; 4.
Biblioteca del Dipartimento di Linguistica e Stilistica, situata in via San
Giorgio, ex Clinica Medica; 5. Biblioteca del Dipartimento di Psicologia, situata in via Is Mirrionis. La Biblioteca
della Facoltà di Medicina e Chirurgia,
la cui Biblioteca centrale dell’area biomedica è situata nella Cittadella universitaria. La Bibilioteca della Facoltà
di Scienze matematiche, fisiche naturali e di Farmacia, articolata in: 1. Biblioteca del Dipartimento di Biologia
animale ed Ecologia, situata in viale
Poetto; 2. Biblioteca del Dipartimento
di Fisica, situata nella Cittadella Universitaria; 3. Biblioteca del Dipartimento di Matematica, situata in via
Ospedale; 4. Biblioteca del Dipartimento di Scienze botaniche, situata in
viale Sant’Ignazio; 5. Biblioteca del Dipartimento di Scienze chimiche-Chi-
mica inorganica e analitica, situata
nella Cittadella Universitaria; 6. Biblioteca del Dipartimento di Scienze
della Terra, situata in via Trentino; 7.
Biblioteca del seminario della Facoltà
di Scienze matematiche, fisiche e naturali, situata nella Cittadella Universitaria; 8. Biblioteca del Dipartimento
farmaco-chimico-tecnologico, situata
in via Ospedale. La Biblioteca della Facoltà di Ingegneria articolata in: 1. Biblioteca centrale della Facoltà di Ingegneria, situata in Piazza d’Armi; 2. Biblioteca di Architettura e Urbanistica,
situata in Piazza d’Armi; 3. Biblioteca
del Dipartimento di Geoingegneria e
Tecnologie ambientali, situata in
Piazza d’Armi; 4. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria Chimica e Materiali, situata in Piazza d’Armi; 5. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria del Territorio Sezione Geologia applicata e Geofisica applicata, situata in
Piazza d’Armi; 6. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria del Territorio.
Sezione idraulica, situata in Piazza
d’Armi; 7. Biblioteca del Dipartimento
di Ingegneria del Territorio. Sezione
Trasporti, situata in Piazza d’Armi; 8.
Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria elettrica ed elettronica, situata
in Piazza d’Armi.
Biblioteca Universitaria, Sassari Biblioteca originariamente di proprietà
del Comune. Era nata dalla fusione
della libreria dello Studio generale
del Municipio con quella di Alessio
Fontana, avvenuta tra il 1558 e il
1562. Il Comune provvedeva all’acquisto dei libri e alle spese per il suo funzionamento; dopo il 1765 passò alla
gestione diretta dell’Università. Nel
1775 si arricchı̀ della biblioteca dei
Gesuiti ed entro la prima metà dell’Ottocento di altre donazioni. Nel
1867 acquisı̀ le biblioteche degli ordini religiosi soppressi, in partico-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Biblioteche in Sardegna
lare quelle dei Serviti, dei Minori osservanti, dei Domenicani e dei Cappuccini. Nel 1893 ne fu nominato direttore Giuliano Bonazzi che la trasformò in un’ efficiente istituzione,
avviando la catalogazione. Il potenziamento della B.U. continuò per
tutto il secolo XX; attualmente possiede più di 200 000 volumi e opuscoli,
1500 periodici, 39 incunaboli, manoscritti, cinquecentine e libri rari. La
direttrice è Giuseppina Uleri. Anche
il sistema bibliotecario universitario
di Sassari è articolato, oltre che in Biblioteca centrale, in Biblioteche di
Facoltà e di Dipartimento, in particolare: Biblioteca per le Scienze giuridiche, politiche ed economiche ‘‘Antonio Pigliaru’’, situata in viale Mancini. Biblioteca della Facoltà di
Scienze matematiche fisiche e naturali articolata in: 1. Biblioteca dell’Istituto di Botanica, situata in via Muroni; 2. Biblioteca dell’Istituto di Fisica, situata in via Muroni; 3. Biblioteca di Fisiologia generale, situata in
via Muroni; 4. Biblioteca di Zoologia,
situata in via Muroni. Biblioteca della
Facoltà di Farmacia, situata in via Muroni; Biblioteca della Facoltà di Medicina e Chirurgia, situata in viale San
Pietro; Biblioteca della Facoltà di Medicina veterinaria, situata in via
Vienna; Biblioteca della Facoltà di
Economia, situata in località Serra
Secca; Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia, situata in via Zanfarino; Biblioteca della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, situata in
via Zanfarino; Biblioteca della Facoltà di Agraria, situata in via E. De
Nicola. Particolarmente ricca e attrezzata è la Biblioteca del Dipartimento di Storia, situata in viale Umberto I (Palazzo Segni).
Biblioteche in Sardegna – La Biblioteca
comunale di Porto Torres si segnala per la sua
attenzione ai lettori più giovani.
Biblioteche in Sardegna Il problema
della B. in S. è legato a quello dell’esistenza di un moderno sistema di lettura pubblica, che nell’isola ha avuto
uno sviluppo relativamente rapido.
Negli anni Sessanta, infatti, operavano
22 biblioteche di enti pubblici e 22 altre biblioteche popolari e parrocchiali, oltre le due Biblioteche Universitarie, e non esisteva un servizio di lettura pubblico. Con il graduale passaggio alla Regione autonoma delle competenze in materia di biblioteche il
loro numero ha avuto un incremento
notevole: nel giro di vent’anni le biblioteche degli enti pubblici sono diventate 232, ma soprattutto si è sviluppato
un moderno sistema bibliotecario che
consente la circolazione del libro praticamente sull’intero territorio regionale. Attualmente il quadro delle biblioteche degli enti pubblici è il seguente: Biblioteca dell’Amministrazione provinciale di Cagliari, vico XIV
San Giovanni, Cagliari; Biblioteca del
Consiglio regionale della Sardegna,
viale Trieste, Cagliari; Biblioteca della
Camera di Commercio, largo Carlo Felice, Cagliari; Biblioteca della Deputazione di Storia patria per la Sardegna,
via Cadello, Cagliari; Biblioteca dell’Archivio di Stato di Cagliari, via Gal-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Biblioteche in Sardegna
lura, Cagliari; Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e Artistici delle province di
Cagliari, e Oristano, Cagliari, via Caprera; Biblioteca dell’Ispettorato provinciale per l’Agricoltura, via Caprera
8, Cagliari; Biblioteca dell’Osservatorio di Fitopatologia, via Trento 50, Cagliari; Biblioteca del Presidio militare,
Cagliari. Ma l’elemento più rilevante
dello sviluppo del sistema di lettura
pubblica è costituito dalle biblioteche
comunali, che una volta aperte e fatte
funzionare divengono non solo un centro di lettura ma anche un luogo di diffusione e di promozione della cultura.
Esse sono elencate qui di seguito, divise fra le 8 province e ordinate secondo il numero di volumi posseduto.
& BIBLIOTECHE COMUNALI
Provincia di Cagliari
1. Cagliari, via dei Partigiani; attualmente ha una dotazione di 103 264 volumi ed è aperta; 2. Quartu Sant’Elena,
via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 31 490 volumi ed è aperta; 3.
Sestu, via Roma 21; attualmente ha
una dotazione di 29 635 volumi ed è
aperta; 4. Assemini, via I Coghe; attualmente ha una dotazione di 26 292 volumi ed è aperta; 5. Sinnai, via Colletta;
attualmente ha una dotazione di 25 809
volumi ed è aperta; 6. Isili, piazza San
Giuseppe; attualmente ha una dotazione di 22 026 volumi ed è aperta; 7.
Selargius, piazza Si ’e Boi; attualmente
ha una dotazione di 18 021 volumi ed è
aperta. 8. Vallermosa, via 1º Maggio; attualmente ha una dotazione di 11 510
volumi ed è aperta; 9. Orroli, via Cesare
Battisti; attualmente ha una dotazione
di 11 431 volumi ed è aperta; 10. Guasila, piazza del Popolo; attualmente ha
una dotazione di 11 332 volumi ed è
aperta; 11. Gergei, via Resistenza; attualmente ha una dotazione di 10 704
volumi ed è aperta; 12. Nuragus, via
Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 10 386 volumi ed è aperta; 13.
San Vito, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 10 339 volumi ed è aperta; 14. Decimomannu,
Palazzo comunale; attualmente ha una
dotazione di 10 200 volumi ed è aperta;
15. Teulada, piazza Parrocchia; attualmente ha una dotazione di 9532 volumi
ed è aperta; 16. Nurri, via Trento; attualmente ha una dotazione di 9330 volumi ed è aperta; 17. Villasimius, via
Vittorio Emanuele; attualmente ha
una dotazione di 9200 volumi ed è
aperta; 18. Villasor, via Roma; attualmente ha una dotazione di 9000 volumi
ed è aperta; 19. Seulo, via Aie; attualmente ha una dotazione di 8757 volumi
ed è aperta; 20. Settimo San Pietro, via
Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 8628 volumi ed è aperta; 21.
Mandas, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 8577 volumi ed è
aperta. 22. Decimoputzu, Cagliari; attualmente ha una dotazione di 8480 volumi ed è aperta; 23. San Basilio, via
Surcuri; attualmente ha una dotazione
di 8471 volumi ed è aperta; 24. Donori,
via Vittorio Emanuele; attualmente ha
una dotazione di 8467 volumi ed è
aperta; 25. Quartucciu, via Nazionale;
attualmente ha una dotazione di 8000
volumi ed è aperta; 26. Serdiana,
piazza Gruxi ’e Ferru; attualmente ha
una dotazione di 7636 volumi ed è
aperta; 27. San Sperate, via XI Febbraio; attualmente ha una dotazione
di 7328 volumi ed è aperta; 28. Villaspeciosa, piazza Municipio; attualmente
ha una dotazione di 7278 volumi ed è
aperta; 29. Armungia, viale Gramsci;
attualmente ha una dotazione di 7196
volumi ed è aperta; 30. Nurallao, Municipio; attualmente ha una dotazione di
7000 volumi ed è aperta; 31. Ussana,
piazza Mercato; attualmente ha una
dotazione di 6973 volumi ed è aperta;
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 568
Biblioteche in Sardegna
32. Sant’Andrea Frius, via Garibaldi;
attualmente ha una dotazione di 6682
volumi ed è aperta; 33. Silius, piazza
Municipio; attualmente ha una dotazione di 6582 volumi ed è aperta; 34.
Villaputzu, Palazzo comunale; attualmente ha una dotazione di 6218 volumi
ed è aperta; 35. Elmas, via dell’Arma
azzurra; attualmente ha una dotazione
di 5700 volumi ed è aperta; 36. Serri, via
Nazionale; attualmente ha una dotazione di 5500 volumi ed è aperta; 37.
Sarroch, piazza Repubblica; attualmente ha una dotazione di 5493 volumi
ed è aperta; 38. Villanovatulo, via Carlo
Alberto; attualmente ha una dotazione
di 5480 volumi ed è aperta; 39. Monastir,
via Progresso; attualmente ha una dotazione di 5428 volumi ed è aperta; 40.
Villasalto, via La Marmora; attualmente ha una dotazione di 5362 volumi
ed è aperta; 41. San Nicolò Gerrei, via
Umberto; attualmente ha una dotazione di 5331 volumi ed è aperta; 42.
Pula, piazza del Popolo; attualmente
ha una dotazione di 5249 volumi ed è
aperta; 43. Guamaggiore, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di
5200 volumi ed è aperta; 44. Siurgus Donigala, via Marconi; attualmente ha
una dotazione di 5034 volumi ed è
aperta; 45. Capoterra, corso Gramsci;
attualmente ha una dotazione di 5005
volumi ed è aperta; 46. Castiadas, località Olia Speciosa; attualmente ha una
dotazione di 4986 volumi ed è aperta;
47. Soleminis, via Sirios; attualmente
ha una dotazione di 4842 volumi ed è
aperta; 48. Maracalagonis, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di
4600 volumi ed è aperta; 49. Siliqua, via
Parini; attualmente ha una dotazione
di 4410 volumi ed è aperta; 50. Samatzai, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4309 volumi ed è aperta; 51.
Burcei, via Municipio; attualmente ha
una dotazione di 4304 volumi ed è
aperta; 52. Escalaplano, via Roma; attualmente ha una dotazione di 3868 volumi ed è aperta; 53. Escolca, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 3654 volumi ed è aperta; 54.
Barrali, via Cagliari; attualmente ha
una dotazione di 3452 volumi ed è
aperta; 55. Nuraminis, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di
3479 volumi ed è aperta; 56. Dolianova,
piazza Amendola; attualmente ha una
dotazione di 3378 volumi ed è aperta;
57. Gesico, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 3275 volumi ed è
aperta; 58. Goni, via Roma; attualmente ha una dotazione di 3000 volumi
ed è aperta; 59. Villa San Pietro, Palazzo comunale; attualmente ha una
dotazione di 3100 volumi ed è aperta;
60. Sadali, corso Umberto; attualmente
ha una dotazione di 2863 volumi ed è
aperta; 61. Domus de Maria, piazza Vittorio Emanuele; attualmente ha una
dotazione di 2800 volumi ed è aperta;
62. Ballao, piazza Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta;
63. Esterzili, Municipio; la sua attuale
dotazione non è nota ed è aperta; 64.
Monserrato, via Carbonara; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta.
65, Muravera, via Machiavelli; attualmente è chiusa; 66. Ortacesus, via
Roma; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta; 67. Pimentel, via Margherita; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta; 68. Senorbı̀, via Vittorio Emanuele; attualmente è chiusa.
69. Suelli, la sua attuale dotazione non
è nota ed è aperta; 70. Uta attualmente
è chiusa.
Provincia di Carbonia-Iglesias
1. Carbonia, Parco di Villa Sulcis; attualmente ha una dotazione di 39 735
volumi ed è aperta; 2. Iglesias, via
Gramsci; attualmente ha una dotazione di 25 655 volumi ed è aperta; 3.
Domusnovas, piazza G. Leccis; attual-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 569
Biblioteche in Sardegna
mente ha una dotazione di 14 852 volumi ed è aperta; 4. San Giovanni Suergiu, via Mazzini; attualmente ha una
dotazione di 11 455 volumi ed è aperta;
5. Portoscuso, via Galilei; attualmente
ha una dotazione di 11 352 volumi ed è
aperta; 6. Gonnesa, via Don Morosini;
attualmente ha una dotazione di 9870
volumi ed è aperta; 7. Giba, via Principe di Piemonte; attualmente ha una
dotazione di 9115 volumi ed è aperta; 8.
Tratalias, via Matteotti; attualmente
ha una dotazione di 7193 volumi ed è
aperta; 9. Carloforte, Municipio; attualmente ha una dotazione di 6800 volumi
ed è aperta; 10. Sant’Antioco, via XX
Settembre; attualmente ha una dotazione di 6240 volumi ed è aperta; 11.
Santadi, piazza Marconi; attualmente
ha una dotazione di 6070 volumi ed è
aperta; 12. Fluminimaggiore, via
Asquer; attualmente ha una dotazione
di 6000 volumi ed è aperta; 13. Sant’Anna Arresi, piazza Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 5759 volumi
ed è aperta; 14. Perdaxius, Municipio;
attualmente ha una dotazione di 5202
volumi ed è aperta; 15. Narcao, piazza
Marconi; attualmente ha una dotazione di 4750 volumi ed è aperta; 16.
Musei, via Enrico Fermi; attualmente
ha una dotazione di 4692 volumi ed è
aperta; 17. Villamassargia, via Santa
Maria; attualmente ha una dotazione
di 4300 volumi ed è aperta; 18. Calasetta, lungomare Cristoforo Colombo;
attualmente ha una dotazione di 4100
volumi ed è aperta; 19. Nuxis, viale Indipendenza; attualmente ha una dotazione di 3130 volumi ed è aperta; 20.
Villaperuccio, piazza IV Novembre; attualmente ha una dotazione di 1364 volumi ed è aperta; 21. Buggerru, via
Roma; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta; 22. Masainas, piazza
Cavour; attualmente è chiusa; 23. Pisci-
nas, via Piemonte; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta.
Provincia del Medio Campidano
1. Villacidro, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 25 218 volumi ed è aperta; 2. Serramanna, via
Giulio Cesare; attualmente ha una dotazione di 13 617 volumi ed è aperta; 3.
San Gavino Monreale, via Leonardo; attualmente ha una dotazione di 13 500
volumi ed è aperta; 4. Villamar, via
Roma; attualmente ha una dotazione
di 12 793 volumi ed è aperta; 5. Guspini,
via Velio Spano; attualmente ha una
dotazione di 12 154 volumi ed è aperta;
6. Serrenti, vico Regina Margherita; attualmente ha una dotazione di 10 980
volumi ed è aperta; 7. Lunamatrona,
via Adua; attualmente ha una dotazione di 8863 volumi ed è aperta; 8. Sardara, piazza Sant’Antonio; attualmente ha una dotazione di 8700 volumi
ed è aperta. 9. Villanovaforru, via Umberto I; attualmente ha una dotazione
di 8429 volumi ed è aperta; 10. Samassi,
via Veneto; attualmente ha una dotazione di 7764 volumi ed è aperta; 11.
Gonnosfanadiga, via Porru Bonelli; attualmente ha una dotazione di 7497 volumi ed è aperta; 12. Siddi, via Napoli;
attualmente ha una dotazione di 7431
volumi ed è aperta; 13. Tuili, via San
Pietro; attualmente ha una dotazione
di 6611 volumi ed è aperta; 14. Segariu,
via Dante; attualmente ha una dotazione di 5875 volumi ed è aperta; 15.
Pabillonis, via San Giovanni; attualmente ha una dotazione di 5438 volumi
ed è aperta; 16. Collinas, vico II Vittorio
Emanuele; attualmente ha una dotazione di 5179 volumi ed è aperta; 17.
Villanovafranca, piazza Martiri; attualmente ha una dotazione di 4638 volumi
ed è aperta; 18. Pauli Arbarei, via
Roma; attualmente ha una dotazione
di 3936 volumi ed è aperta; 19. Furtei,
via Parrocchia; attualmente ha una do-
562
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 570
Biblioteche in Sardegna
tazione di 3175 volumi ed è aperta; 20.
Setzu, via Chiesa; attualmente ha una
dotazione di 3051 volumi ed è aperta;
21. Turri, corso Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 2960 volumi ed è aperta; 22. Genuri, via Gaspare; attualmente ha una dotazione
di 2914 volumi ed è aperta; 23. Las Plassas, via Manzoni; attualmente ha una
dotazione di 2280 volumi ed è aperta;
24. Arbus, piazza Immacolata; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta;
25. Barumini, via San Francesco; la sua
attuale dotazione non è nota ed è
aperta; 26. Gesturi, via Sardegna; attualmente è chiusa; 27. Sanluri, attualmente è chiusa; 28. Ussaramanna, via
Dante; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta.
Provincia di Nuoro
1. Nuoro, piazza Asproni; attualmente
ha una dotazione di 139 931 volumi ed è
aperta; 2. Macomer, via Gramsci; attualmente ha una dotazione di 25 788
volumi ed è aperta; 3. Dorgali, corso
Umberto; attualmente ha una dotazione di 23 580 volumi ed è aperta; 4.
Siniscola, via Umberto; attualmente
ha una dotazione di 14 500 volumi ed è
aperta; 5. Bortigali, Municipio; attualmente ha una dotazione di 14 469 volumi ed è aperta; 6. Orgosolo, piazza Caduti in Guerra; attualmente ha una dotazione di 14 235 volumi ed è aperta; 7.
Orani, corso Italia; attualmente ha una
dotazione di 13 618 volumi ed è aperta;
8. Orune, piazza R. Gattu; attualmente
ha una dotazione di 12 820 volumi ed è
aperta; 9. Ollolai, via Lapoddi; attualmente ha una dotazione di 11 750 volumi ed è aperta; 10. Lodé, via Allende;
attualmente ha una dotazione di 10 687
volumi ed è aperta; 11. Sorgono, via
Umberto; attualmente ha una dotazione di 10 638 volumi ed è aperta; 12.
Onifai, via Mulas; attualmente ha una
dotazione di 10 075 volumi ed è aperta;
13. Fonni, piazza della Libertà; attualmente ha una dotazione di 10 000 volumi ed è aperta; 14. Tonara, via Sardegna; attualmente ha una dotazione di
10 000 volumi ed è aperta; 15. Orosei,
Municipio; attualmente ha una dotazione di 9833 volumi ed è aperta; 16.
Mamoiada, piazza Europa; attualmente ha una dotazione di 9149 volumi
ed è aperta; 17. Bitti, Municipio; attualmente ha una dotazione di 8500 volumi
ed è aperta; 18. Ottana, Municipio; attualmente ha una dotazione di 8236 volumi ed è aperta; 19. Orotelli, via Michelangelo Pira; attualmente ha una dotazione di 8044 volumi ed è aperta; 20.
Irgoli, via La Marmora; attualmente ha
una dotazione di 7454 volumi ed è
aperta; 21. Silanus, viale Gramsci; attualmente ha una dotazione di 7370 volumi ed è aperta; 22. Atzara, piazza
Scuole Medie; attualmente ha una dotazione di 7200 volumi ed è aperta; 23.
Ovodda, corso Italia; attualmente ha
una dotazione di 7009 volumi ed è
aperta; 24. Borore, via Minghetti; attualmente ha una dotazione di 6753 volumi ed è aperta; 25. Gavoi, piazza
Santa Croce; attualmente ha una dotazione di 6570 volumi ed è aperta; 26.
Galtellı̀, via Don Cosseddu; attualmente ha una dotazione di 6181 volumi
ed è aperta; 27. Sarule, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione
di 6010 volumi ed è aperta; 28. Olzai,
piazza San Giovanni; attualmente ha
una dotazione di 5743 volumi ed è
aperta; 29. Posada, piazza Deledda; attualmente ha una dotazione di 5735 volumi ed è aperta: 30. Meana Sardo,
piazza San Salvatore; attualmente ha
una dotazione di 5369 volumi ed è
aperta; 31. Aritzo, corso Umberto I; attualmente ha una dotazione di 5054 volumi ed è aperta; 32. Gadoni, via Santa
Maria; attualmente ha una dotazione
di 4991 volumi ed è aperta; 33. Oniferi,
563
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 571
Biblioteche in Sardegna
via Sebastiano Satta; attualmente ha
una dotazione di 4898 volumi ed è
aperta; 34. Lula, via Municipio; attualmente ha una dotazione di 4840 volumi
ed è aperta; 35. Belvı̀, via Kennedy; attualmente ha una dotazione di 4743 volumi ed è aperta; 36. Dualchi, piazza
Sant’Antonio; attualmente ha una dotazione di 4620 volumi ed è aperta; 37.
Ortueri, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 4460 volumi ed è
aperta; 38. Bolotana, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4000 volumi
ed è aperta; 39. Teti, Municipio; attualmente ha una dotazione di 3745 volumi
ed è aperta; 40. Desulo, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 3731 volumi ed è aperta; 41. Lei, via Vittorio
Emanuele; attualmente ha una dotazione di 2856 volumi ed è aperta; 42.
Tiana, Municipio; attualmente ha una
dotazione di 2804 volumi ed è aperta;
43. Osidda, via Amsicora; attualmente
ha una dotazione di 2680 volumi ed è
aperta; 44. Loculi, via Angioy; attualmente ha una dotazione di 2380 volumi
ed è aperta; 45. Onanı̀, via Roma; attualmente ha una dotazione di 2068 volumi ed è aperta; 46. Torpè, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione
di 1810 volumi ed è aperta; 47. Austis,
via Roma; la sua attuale dotazione non
è nota ed è aperta; 48. Birori, via Kennedy; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta; 49. Lodine, largo
Dante; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta; 50. Noragugume, attualmente è chiusa; 51. Oliena, la sua
attuale dotazione non è nota ed è
aperta; 52. Sindia, via Cortejosso; la
sua attuale dotazione non è nota ed è
aperta.
Provincia dell’Ogliastra
1. Tortolı̀, piazza Emilio Lussu; attualmente ha una dotazione di 14 011 volumi ed è aperta; 2. Baunei, via Orientale sarda; attualmente ha una dota-
zione di 12 669 volumi ed è aperta; 3.
Ilbono, via Elini; attualmente ha una
dotazione di 8800 volumi ed è aperta;
4. Elini, via Pompei; attualmente ha
una dotazione di 7998 volumi ed è
aperta; 5. Jerzu, via Umberto I; attualmente ha una dotazione di 7675 volumi
ed è aperta; 6. Ussassai, via Brigata
Sassari; attualmente ha una dotazione
di 7650 volumi ed è aperta; 7. Villagrande Strisaili, piazza Azuni; attualmente ha una dotazione di 7650 volumi
ed è aperta; 8. Lanusei, via Leonardo
da Vinci; attualmente ha una dotazione di 7639 volumi ed è aperta; 9. Arzana, vico Sardegna; attualmente ha
una dotazione di 5757 volumi ed è
aperta; 10. Cardedu, piazza Garibaldi;
attualmente ha una dotazione di 5755
volumi ed è aperta; 11. Triei, Municipio; attualmente ha una dotazione di
5593 volumi ed è aperta; 12. Ulassai,
via Flores; attualmente ha una dotazione di 5443 volumi ed è aperta; 13.
Urzulei, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 4900 volumi ed è
aperta; 14. Loceri, via Eleonora d’Arborea; attualmente ha una dotazione di
4683 volumi ed è aperta; 15. Osini, via
Dante; attualmente ha una dotazione
di 4600 volumi ed è aperta; 16. Seui,
via Roma; attualmente ha una dotazione di 4300 volumi ed è aperta; 17.
Gairo, via Municipio; attualmente ha
una dotazione di 3732 volumi ed è
aperta; 18. Lotzorai, piazza Repubblica; attualmente ha una dotazione di
3720 volumi ed è aperta; 19. Bari Sardo,
Municipio; attualmente ha una dotazione di 3518 volumi ed è aperta; 20.
Perdasdefogu, via Satta; attualmente
ha una dotazione di 3161 volumi ed è
aperta; 21. Talana, corso Roma; attualmente ha una dotazione di 3010 volumi
ed è aperta; 22. Girasole, via Garibaldi;
attualmente ha una dotazione di 1501
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 572
Biblioteche in Sardegna
volumi ed è aperta; 23; Tertenia, largo
Municipio; attualmente è chiusa.
Provincia di Olbia-Tempio
1. Tempio Pausania, Parco delle Rimembranze; attualmente ha una dotazione di 35 932 volumi ed è aperta; 2.
Olbia, corso Umberto; attualmente ha
una dotazione di 27 082 volumi ed è
aperta; 3. Buddusò, corso Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione
di 14 455 volumi ed è aperta; 4. Santa
Teresa Gallura, viale Bechi; attualmente ha una dotazione di 12 741 volumi ed è aperta; 5. Oschiri, via Antonio
Segni; attualmente ha una dotazione di
10 700 volumi ed è aperta; 6. Arzachena,
piazza Risorgimento; attualmente ha
una dotazione di 8539 volumi ed è
aperta; 7. Budoni, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 7936 volumi ed è aperta; 8. Sant’Antonio di
Gallura, via Cagliari; attualmente ha
una dotazione di 7500 volumi ed è
aperta; 9. Aggius, via Muto di Gallura;
attualmente ha una dotazione di 7412
volumi ed è aperta; 10. Berchidda,
piazza del Popolo; attualmente ha una
dotazione di 6919 volumi ed è aperta;
11. Calangianus, Municipio; attualmente ha una dotazione di 5000 volumi
ed è aperta; 12. Aglientu, via Mare; attualmente ha una dotazione di 4555 volumi ed è aperta; 13. Alà dei Sardi, via
Repubblica; attualmente ha una dotazione di 4161 volumi ed è aperta; 14.
Luras, piazza Municipio; attualmente
ha una dotazione di 4401 volumi ed è
aperta; 15. Padru, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4366 volumi
ed è aperta; 16. Monti, via Aldo Moro;
attualmente ha una dotazione di 4040
volumi ed è aperta; 17. Palau, Municipio; attualmente ha una dotazione di
3068 volumi ed è aperta; 18. Bortigiadas, Municipio; attualmente ha una dotazione di 2967 volumi ed è aperta; 19.
Telti, via Kennedy; attualmente ha una
dotazione di 2650 volumi ed è aperta;
20. Badesi, via Risorgimento; attualmente ha una dotazione di 1528 volumi
ed è aperta; 21. Golfo Aranci, attualmente è chiusa; 22. La Maddalena, via
XX Settembre; la sua attuale dotazione
non è nota ed è aperta; 23. Loiri Porto
San Paolo, viale Pietro Nenni; la sua
attuale dotazione non è nota ed è
aperta; 24. Luogosanto, attualmente è
chiusa. 25, San Teodoro, attualmente è
chiusa; 26. Trinità d’Agultu, piazza Berlinguer; la sua attuale dotazione non è
nota ed è aperta.
Provincia di Oristano
1. Oristano, via Carpaccio; attualmente
ha una dotazione di 43 505 volumi ed è
aperta; 2. Ghilarza, via Matteotti; attualmente ha una dotazione di 19 058
volumi ed è aperta; 3. Arborea, corso
Roma; attualmente ha una dotazione
di 16 129 volumi ed è aperta; 4. Norbello, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 15 975 volumi ed è aperta; 5. Bosa, corso Vittorio
Emanuele; attualmente ha una dotazione di 15 500 volumi ed è aperta; 6.
San Vero Milis, via Roma; attualmente
ha una dotazione di 13 017 volumi ed è
aperta; 7. Santu Lussurgiu, piazza Meloni; attualmente ha una dotazione di
11 177 volumi ed è aperta; 8. Mogoro,
piazza Giovanni XXIII; attualmente
ha una dotazione di 10 868 volumi ed è
aperta; 9. Simaxis, via Garibaldi; attualmente ha una dotazione di 10 440
volumi ed è aperta; 10. Paulilatino, via
Roma; attualmente ha una dotazione
di 10 132 volumi ed è aperta; 11. Abbasanta, viale Gramsci; attualmente ha
una dotazione di 8166 volumi ed è
aperta; 12. Samugheo, via Principe
Amedeo; attualmente ha una dotazione di 8051 volumi ed è aperta; 13.
San Nicolò d’Arcidano, via Roma; attualmente ha una dotazione di 8008 volumi ed è aperta; 14. Terralba, piazza
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 573
Biblioteche in Sardegna
Libertà; attualmente ha una dotazione
di 8000 volumi ed è aperta; 15. Ales, via
Umberto; attualmente ha una dotazione di 7988 volumi ed è aperta; 16.
Genoni, via Roma; attualmente ha una
dotazione di 7875 volumi ed è aperta;
17. Bonarcado, via Flores; attualmente
ha una dotazione di 7792 volumi ed è
aperta; 18. Cabras, piazza Azuni; attualmente ha una dotazione di 7595 volumi ed è aperta; 19. Sedilo, piazza
della Liberazione; attualmente ha una
dotazione di 7668 volumi ed è aperta;
20. Busachi, via Brigata Sassari; attualmente ha una dotazione di 7455 volumi
ed è aperta; 21. Santa Giusta, via Garibaldi; attualmente ha una dotazione di
7274 volumi ed è aperta; 22. Suni, via
Parrocchia; attualmente ha una dotazione di 7220 volumi ed è aperta; 23.
Fordongianus, via Francesco Cocco; attualmente ha una dotazione di 7172 volumi ed è aperta; 24. Solarussa, via Is
Frazias; attualmente ha una dotazione
di 7137 volumi ed è aperta; 25. Gonnostramatza, piazza San Michele; attualmente ha una dotazione di 7124 volumi
ed è aperta; 26. Baratili San Pietro, via
Sardegna; attualmente ha una dotazione di 7020 volumi ed è aperta; 27.
Allai, via Parrocchia; attualmente ha
una dotazione di 6950 volumi ed è
aperta; 28. Bauladu, piazza Emilio
Lussu; attualmente ha una dotazione
di 6950 volumi ed è aperta; 29. Seneghe,
via Roma; attualmente ha una dotazione di 6947 volumi ed è aperta; 30.
Laconi, via Don Minzoni; attualmente
ha una dotazione di 6617 volumi ed è
aperta; 31. Tramatza, via Tripoli; attualmente ha una dotazione di 6304 volumi ed è aperta; 32. Villaurbana, via
Santa Margherita; attualmente ha una
dotazione di 6157 volumi ed è aperta;
33. Zeddiani, via Sebastiano Satta; attualmente ha una dotazione di 5954 volumi ed è aperta; 34. Riola Sardo,
piazza Sardegna; attualmente ha una
dotazione di 5802 volumi ed è aperta.
35. Marrubiu, piazza Roma; attualmente ha una dotazione di 5771 volumi
ed è aperta; 36. Palmas Arborea, via Rinascita 19; attualmente ha una dotazione di 5695 volumi ed è aperta; 37.
Gonnoscodina, via Vittorio Emanuele;
attualmente ha una dotazione di 5551
volumi ed è aperta; 38. Zerfaliu, via
Principe Umberto; attualmente ha
una dotazione di 5446 volumi ed è
aperta; 39. Aidomaggiore, via Cortejosso; attualmente ha una dotazione di
5425 volumi ed è aperta; 40. Usellus, via
Giovanni Battista Tuveri; attualmente
ha una dotazione di 5357 volumi ed è
aperta; 41. Gonnosnò, via Turati; attualmente ha una dotazione di 5219 volumi ed è aperta. 42. Montresta, via
Roma; attualmente ha una dotazione
di 4903 volumi ed è aperta; 43. Villa
Sant’Antonio, via Felice Cau; attualmente ha una dotazione di 4870 volumi
ed è aperta; 44. Narbolia, Municipio;
attualmente ha una dotazione di 4777
volumi ed è aperta; 45. Cuglieri, Municipio; attualmente ha una dotazione di
4682 volumi ed è aperta; 46. Neoneli, via
Roma; attualmente ha una dotazione
di 4374 volumi ed è aperta; 47. Ollastra
Simaxis, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 4212 volumi ed è
aperta; 48. Ardauli, largo Municipio;
attualmente ha una dotazione di 4200
volumi ed è aperta; 49. Nurachi, via Mameli; attualmente ha una dotazione di
4200 volumi ed è aperta; 50. Siamaggiore, via Roma; attualmente ha una
dotazione di 3785 volumi ed è aperta;
51. Masullas, via San Francesco; attualmente ha una dotazione di 3784 volumi
ed è aperta; 52. Tresnuraghes, Municipio; attualmente ha una dotazione di
3331 volumi ed è aperta; 53. Nughedu
Santa Vittoria, via Foscolo; attualmente ha una dotazione di 3278 volumi
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 574
Biblioteche in Sardegna
ed è aperta; 54. Albagiara, via Cagliari;
attualmente ha una dotazione di 3200
volumi ed è aperta; 55. Baressa, piazza
Municipio; attualmente ha una dotazione di 3103 volumi ed è aperta; 56.
Sini, piazza Eleonora d’Arborea; attualmente ha una dotazione di 3034 volumi ed è aperta; 57. Scano di Montiferro, via Monsignor Contini; attualmente ha una dotazione di 3031 volumi
ed è aperta; 58. Sorradile, via Italia; attualmente ha una dotazione di 2786 volumi ed è aperta; 59. Nureci, via Funtan’e Orgia; attualmente ha una dotazione di 2240 volumi ed è aperta; 60.
Ruinas, via San Giorgio; attualmente
ha una dotazione di 2110 volumi ed è
aperta; 61. Curcuris, via Tellaias; attualmente ha una dotazione di 2050 volumi ed è aperta; 62. Villanova Truschedu, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 1965 volumi ed è
chiusa; 63. Tadasuni, via San Michele;
attualmente ha una dotazione di 1865
volumi ed è aperta; 64. Morgongiori,
Municipio; attualmente ha una dotazione di 1808 volumi ed è aperta; 65.
Soddı̀, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione di 1311 volumi
ed è aperta; 66. Assolo, attualmente è
chiusa. 67, Asuni, attualmente è
chiusa; 68. Baradili, attualmente è
chiusa; 69. Bidonı̀, Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta;
70, Boroneddu, attualmente è chiusa;
71. Flussio, attualmente è chiusa; 72.
Magomadas, attualmente è chiusa; 73.
Milis, via Dante; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 74. Modolo, attualmente è chiusa; 75. Mogorella, piazza Municipio; la sua attuale
dotazione non è nota ed è aperta; 76.
Pau, attualmente è chiusa; 77. Pompu,
piazza Capitano Leo; attualmente è
chiusa; 78. Sagama, viale Europa; la
sua attuale dotazione non è nota ed è
aperta; 79. Senis, attualmente è chiusa;
80. Sennariolo, attualmente è chiusa;
81. Siamanna, via Satta; attualmente è
chiusa; 82. Siapiccia, via Santa Maria;
attualmente è chiusa; 83. Simala, attualmente è chiusa; 84. Siris, attualmente è chiusa; 85. Tinnura, attualmente è chiusa; 86. Villa Verde, attualmente è chiusa.
Provincia di Sassari
1. Sassari, piazza Tola; attualmente ha
una dotazione di 140 000 volumi ed è
aperta; 2. Alghero, via Carlo Alberto; attualmente ha una dotazione di 40 094
volumi ed è aperta; 3. Ozieri, piazza Canonico Spanu; attualmente ha una dotazione di 31 779 volumi ed è aperta; 4.
Porto Torres, via Sassari; attualmente
ha una dotazione di 22 230 volumi ed è
aperta; 5. Sorso, via Siglienti; attualmente ha una dotazione di 20 877 volumi ed è aperta; 6. Bonorva, piazza
Santa Maria; attualmente ha una dotazione di 18 237 volumi ed è aperta; 7.
Ittiri, via Marconi; attualmente ha una
dotazione di 11 888 volumi ed è aperta;
8. Pattada, piazza Vittorio Veneto; attualmente ha una dotazione di 10 870
volumi ed è aperta; 9. Olmedo, largo Colombo; attualmente ha una dotazione
di 9451 volumi ed è aperta; 10. Nulvi,
corso Vittorio Emanuele; attualmente
ha una dotazione di 8700 volumi ed è
aperta; 11. Sennori, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione
di 7500 volumi ed è aperta; 12. Tissi,
via Dante; attualmente ha una dotazione di 7321 volumi ed è aperta; 13.
Chiaramonti, via della Resistenza; attualmente ha una dotazione di 7000 volumi ed è aperta; 14. Banari, piazza Solinas; attualmente ha una dotazione di
6920 volumi ed è aperta; 15. Osilo, via
Sanna Tolu; attualmente ha una dotazione di 6916 volumi ed è aperta; 16.
Tula, via Roma; attualmente ha una dotazione di 6384 volumi ed è aperta; 17.
Benetutti, piazza Municipale; attual-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 575
Biblioteche in Sardegna
mente ha una dotazione di 6306 volumi
ed è aperta; 18. Pozzomaggiore, via Mercato; attualmente ha una dotazione di
6159 volumi ed è aperta; 19. Ossi, via
Sardegna; attualmente ha una dotazione di 6034 volumi ed è aperta; 20.
Villanova Monteleone, via Siccardi; attualmente ha una dotazione di 5947 volumi ed è aperta; 21. Mores, via Vittorio
Emanuele; attualmente ha una dotazione di 5387 volumi ed è aperta; 22.
Thiesi, via Garau; attualmente ha una
dotazione di 5235 volumi ed è aperta;
23. Bono, Colle San Raimondo; attualmente ha una dotazione di 5130 volumi
ed è aperta; 24. Putifigari, via Aldo
Moro; attualmente ha una dotazione
di 5031 volumi ed è aperta; 25. Nughedu
San Nicolò, via Cagliari; attualmente
ha una dotazione di 4972 volumi ed è
aperta; 26. Romana, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4813 volumi
ed è aperta; 27. Ittireddu, via San Giacomo; attualmente ha una dotazione di
4797 volumi ed è aperta; 28. Muros, via
Brigata Sassari; attualmente ha una
dotazione di 4500 volumi ed è aperta;
29. Torralba, piazza Monsignor Pola; attualmente ha una dotazione di 4499 volumi ed è aperta; 30. Valledoria, via Alcide De Gasperi; attualmente ha una
dotazione di 4491 volumi ed è aperta;
31. Illorai, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 4490 volumi ed è
chiusa; 32. Castelsardo, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4203 volumi ed è aperta; 33. Martis, via San
Giuseppe; attualmente ha una dotazione di 4003 volumi ed è aperta; 34.
Bultei, via IV Novembre; attualmente
ha una dotazione di 4000 volumi ed è
aperta; 35. Anela, piazza S’Olina; attualmente ha una dotazione di 3650 volumi ed è aperta; 36. Sedini, via Municipio; attualmente ha una dotazione di
3531 volumi ed è aperta; 37. Florinas,
piazza del Popolo; attualmente ha una
dotazione di 3523 volumi ed è aperta;
38. Burgos, via Castello; attualmente ha
una dotazione di 3504 volumi ed è
aperta; 39. Nule, via Grazia Deledda;
attualmente ha una dotazione di 3360
volumi ed è aperta; 40. Laerru, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione di 3302 volumi ed è aperta; 41.
Cossoine, via Berlinguer; attualmente
ha una dotazione di 3300 volumi ed è
aperta; 42. Padria, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 3139 volumi ed è aperta; 43. Viddalba, via Angioy; attualmente ha una dotazione di
2850 volumi ed è aperta; 44. Ploaghe,
Municipio; attualmente ha una dotazione di 2565 volumi ed è aperta; 45.
Perfugas, piazza Mannu; attualmente
ha una dotazione di 2518 volumi ed è
aperta; 46. Giave, Municipio; attualmente ha una dotazione di 2300 volumi
ed è aperta; 47. Cargeghe, via Nazzario
Sauro; attualmente ha una dotazione
di 2176 volumi ed è aperta; 48. Codrongianos, piazza IV Novembre; attualmente ha una dotazione di 2100 volumi
ed è aperta; 49. Ardara, via Bachelet;
attualmente ha una dotazione di 2010
volumi ed è aperta; 50. Tergu, piazza
Autonomia; attualmente ha una dotazione di 1889 volumi ed è aperta; 51.
Mara, piazza Marconi; attualmente ha
una dotazione di 1860 volumi ed è
aperta; 52. Esporlatu, via San Filippo;
attualmente ha una dotazione di 1563
volumi ed è aperta; 53. Santa Maria Coghinas, Municipio; attualmente ha una
dotazione di 1147 volumi ed è chiusa;
54. Bulzi, Municipio; attualmente ha
una dotazione di 1000 volumi ed è
chiusa; 55. Monteleone Rocca Doria, via
Machiavelli; attualmente ha una dotazione di 500 volumi ed è chiusa; 56. Bessude, via Roma; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 57. Bonnanaro, attualmente è chiusa; 58. Borutta, attualmente è chiusa; 59. Bot-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 576
Biblioteche in Sardegna
tidda, attualmente è chiusa; 60. Cheremule, attualmente è chiusa; 61. Erula,
Municipio; la sua attuale dotazione
non è nota ed è aperta; 62. Semestene,
via Roma; attualmente è chiusa; 63. Siligo, piazza Cavour; non si conosce l’attuale dotazione ed è aperta; 64. Stintino, via San Giorgio; attualmente è
chiusa; 65. Usini, non si conosce l’attuale dotazione ed è aperta.
& BIBLIOTECHE DI ORDINI O ISTITUTI
RELIGIOSI
Di grande rilievo sono inoltre le biblioteche appartenenti a ordini o istituzioni religiose; le più importanti attualmente sono: 1. Biblioteca dei Cappuccini, viale Fra’ Ignazio, Cagliari; 2.
Biblioteca dei Cappuccini, via San
Martino, Oristano; 3. Biblioteca dei
Cappuccini, Colle dei Cappuccini, Sassari; 4. Biblioteca del convento di San
Domenico, piazza San Domenico, Cagliari. 5. Biblioteca dei Gesuiti, via
Ospedale, Cagliari; 6. Biblioteca del
convento di Bonaria, piazzale Bonaria,
Cagliari; 7. Biblioteca del convento di
San Mauro, via San Giovanni, Cagliari;
8. Biblioteca del convento di Santa Rosalia, via Torino, Cagliari; 9. Biblioteca
dei Missionari, piazza San Domenico,
Cagliari; 10. Biblioteca della Pontificia
Facoltà teologica, via Sanjust, Cagliari; 11. Biblioteca del Seminario arcivescovile, via Cadello, Cagliari; 12.
Biblioteca del Seminario arcivescovile, piazza Duomo, Oristano; 13. Biblioteca vescovile, via Roma, Lanusei;
14. Biblioteca vescovile, via Spano,
Nuoro; 15. Biblioteca del Seminario
vescovile, via Cacciarru, Iglesias; 16.
Biblioteca del Seminario vescovile, palazzo del Seminario, Lanusei; 17. Biblioteca del Seminario vescovile, via
Umberto, Ozieri; 18. Biblioteca del Seminario vescovile, via Oschiri, Tempio
Pausania; 19. Biblioteca del Seminario
vescovile, via Vittorio Emanuele, Villa-
cidro; 20. Biblioteca dei Frati minori
conventuali, via Sant’Antonio, Quartu
Sant’Elena; 21. Biblioteca del Seminario Tridentino, viale Giovanni XXIII,
Bosa; 22. Biblioteca dell’Istituto salesiano ‘‘Carta Meloni’’, via San Giovanni
Bosco, Santu Lussurgiu; 23. Biblioteca
parrocchiale San Giovanni Battista,
piazza San Giovanni, Sedilo; 24. Biblioteca Francescana San Pietro di Silki,
viale San Pietro, Sassari; 25. Biblioteca
della chiesa di San Michele, largo San
Francesco, Alghero; 26. Biblioteca monastica di San Pietro di Sorres, monastero di San Pietro, Borutta; 27. Biblioteca degli Scolopi, via degli Scolopi,
Sanluri; 28. Biblioteca parrocchiale
‘‘Meloni Dore’’, via Rettore Mele, Olzai.
& ALTRE BIBLIOTECHE DI RILIEVO CULTURALE 1. Biblioteca del Conservatorio ‘‘Pier Luigi da Palestrina’’, via Bacaredda, Cagliari; 2. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘Dettori’’, via Cugia 2, Cagliari; 3. Biblioteca del Liceo Classico
‘‘Siotto’’, viale Trento 103, Cagliari; 4.
Biblioteca del Liceo Scientifico ‘‘Pacinotti’’, via Liguria, Cagliari; 5. Biblioteca dell’Istituto Magistrale ‘‘E. D’Arborea’’, via Carboni Boi 2, Cagliari; 6.
Biblioteca dell’Istituto tecnico ‘‘Martini’’, via Sant’Eusebio 10, Cagliari; 7.
Biblioteca dell’Istituto tecnico ‘‘D.
Scano’’, via Cesare Cabras 13, Monserrato; 8. Biblioteca dell’Istituto tecnico
minerario, via Asproni 2, Iglesias; 9. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘De Castro’’, via Cagliari, Oristano; 10. Biblioteca dell’Istituto d’Arte, via Gennargentu 31, Oristano; 11. Biblioteca del
liceo Classico ‘‘Dettori’’, via Depuro 1,
Tempio; 12. Biblioteca del Liceo Classico, via Satta 1, Ozieri; 13. Biblioteca
del Liceo Classico, via Dante, Nuoro;
14. Biblioteca del Liceo Classico
‘‘Azuni’’, via Rolando 4, Sassari; 15. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘Manno’’,
569
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 577
Bicu
via Carlo Alberto 30, Alghero; 16. Biblioteca della ‘‘Società mineraria Carbonifera Sarda’’, Piazza Iglesias, Carbonia; 17. Biblioteca dell’Ente Ospedaliero ‘‘Zonchello’’, piazza Sardegna,
Nuoro; 18. Biblioteca Comunale, via
Carpaccio 9, Oristano; 19. Biblioteca
Guantoni, via Vittorio Emanuele, Oristano; 20. Biblioteca ‘‘Abozzi’’, Piazza
Italia, Sassari; 21. Biblioteca Satta,
piazza Asproni 8, Nuoro; 22. Biblioteca
di Casa Gramsci, corso Umberto 36,
Ghilarza; 23. Biblioteca della Fondazione Siotto, via Genovesi 114-116, Cagliari.
Bicu Famiglia di Lei (secc. XVIII-XIX).
Le sue notizie risalgono alla seconda
metà del secolo XVIII, quando i suoi
membri accumularono un discreto patrimonio fondiario, sviluppando in
particolare l’olivicoltura di cui si resero benemeriti. Cosı̀, in base a un decreto emanato agli inizi dell’Ottocento,
nel 1814 la famiglia ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Andrea i cui discendenti, nel corso del secolo, si trasferirono a Bolotana.
Biddau, Giovannino Militare di carriera, patriota (Ploaghe 1906-Flossenburg 1944). Appartenente a una distinta famiglia sassarese, colonnello
di fanteria in s.p.e., all’armistizio si trovava in Jugoslavia: «Colto dagli avvenimenti dell’8 settembre in Dalmazia –
recita la motivazione della medaglia
d’argento al v.m. conferitagli subito
dopo la fine della guerra – ed assunto
il comando di un settore della difesa di
importante località, animava e sosteneva con l’esempio i dipendenti in
un’impari lotta». Contrariamente a
quanto dice, proseguendo, questa motivazione («Sopraffatto, veniva catturato ed affrontava con sereno coraggio
la morte per fucilazione»), fu costretto
ad arrendersi e, fatto prigioniero, deportato in Germania. Qui si rifiutò di
aderire alla Repubblica Sociale Italiana e, fatto segno dei maltrattamenti
riservati ai ‘‘politici’’, morı̀ d’inedia e
di stenti nel terribile lager di Flossenburg nell’aprile 1944.
Biddau, Orlando Poeta (n. Modolo
1938). Spirito irrequieto, si è imposto
all’attenzione generale per le sue non
comuni doti e per la capacità di esprimere la complessità del proprio
mondo. Nel 1966, giovanissimo, ha
vinto il premio ‘‘Città di Ozieri’’, nel
quale ha ottenuto segnalazioni anche
nel 1975; nel 1988 ha vinto il premio
‘‘Pompeo Calvia’’ a Sassari ed è stato
ancora una volta segnalato al ‘‘Città di
Ozieri’’. Ha pubblicato tre raccolte di
versi: L’anima degli animali; Le verdi
vigilie; L’inverno inconsolabile.
Bidducara Antico villaggio di origine
medioevale nel giudicato di Torres,
compreso nella curatoria del Montacuto. Sorgeva qualche chilometro a
nord di Pattada. Dopo l’estinzione
della famiglia giudicale di Torres, fu
lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura. Alla fine
del secolo XIII era in mano alle truppe
arborensi che, occupato il castello di
Montacuto, sembrava potessero controllare tutta la regione. La situazione
fu però ribaltata quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di alleati da
coinvolgere nella conquista della Sardegna, nel 1308 se ne fecero riconoscere il possesso e ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, anche loro alleati
del re d’Aragona, presero atto della
nuova situazione ma non rinunciarono
alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i
Doria si ribellarono, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea, conquistato e formalmente annesso al Regnum Sardiniae.
Gli anni che seguirono furono molto
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Bidonı̀
confusi: l’esercito giudicale e quello
dei Doria si combatterono aspramente
per il controllo del territorio e nel 1339
B. fu compreso nei territori che il re
d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Poco dopo Mariano
IV, quando divenne giudice, pretese
l’obbedienza feudale dal fratello, che
si rifiutò poiché aveva ottenuto il Montacuto dal re e si sentiva vincolato solo
nei confronti di questo. Il rifiuto ebbe
conseguenze tragiche, perché si concluse con l’arresto di Giovanni, che
poi morı̀ in carcere. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV, B. subı̀ continue
devastazioni, per cui andò spopolandosi rapidamente; all’atto della pace
del 1388 aveva poche decine di abitanti
e agli inizi del secolo XV era completamente spopolato.
Bidonı̀ Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 15,
con 151 abitanti (al 2004), posto a 250 m
sul livello del mare e affacciato sulla
vallata del Tirso dalle ultime propaggini occidentali del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Parte Barigadu. Archidiocesi di Oristano.
Bidonı̀ – Santuario campestre di Santa Maria
di Ossolo.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 11,87 km 2 : ha forma
grosso modo circolare e confina a nord
con Sedilo, a est con un’isola ammini-
strativa di Sorradile e con Nughedu
Santa Vittoria, a sud ancora con Nughedu, a ovest con Sorradile. Il paese
si trova al centro di un tratto di pianoro
dolcemente inclinato verso la vallata,
con un suolo nel quale dominano le trachiti. Le comunicazioni sono assicurate dalla strada proveniente da Abbasanta e Ghilarza che, dopo aver attraversato il lago, risale verso Sorradile e
Nughedu; B., che si trova a poche centinaia di metri, vi si collega con una deviazione che prosegue inoltrandosi
nelle campagne poste a settentrione.
& STORIA L’attuale centro abitato risale con ogni probabilità alla tarda antichità; data la sua posizione era strategicamente importante per il controllo degli accessi alle zone interne;
nel Medioevo apparteneva al giudicato
d’Arborea ed era incluso nella curatoria del Parte Barigadu. Agli inizi del secolo XII i Camaldolesi vi costruirono
un monastero e la chiesa di San Pietro
che dipendevano da Santa Maria di Bonarcado, vi svilupparono l’agricoltura
e lungo il Tirso, che allora scorreva a
valle dell’abitato, impiantarono i ‘‘nassari’’ per la pesca delle anguille. Nel
1157 il villaggio fu compreso nella curtis donata da Barisone I ad Agalbursa
in occasione delle nozze. Nei secoli
successivi il villaggio continuò la sua
esistenza tranquilla fino alla caduta
del giudicato d’Arborea; nel 1410 entrò
a far parte del Regnum Sardiniae, ma
era compreso in un territorio al cui
possesso aspirava il marchese d’Oristano e che non era ancora completamente pacificato. Il nuovo re di casa
Trastamara non vedeva di buon occhio
la sua infeudazione a Leonardo Cubello; B. trascorse anni di grande tensione, ma nel 1417 entrò a far parte del
feudo concesso a Ludovico Pontons.
Questo brillante gentiluomo, però, nel
1425 vendette il suo feudo a Leonardo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bidonı̀
Cubello; quando questi, due anni dopo,
morı̀, B. entrò a far parte dell’eredità
che il marchese aveva lasciato al suo
secondogenito Salvatore, il quale nel
1463 lo unı̀ definitivamente al marchesato. Dopo che il marchesato nel 1477
fu confiscato a Leonardo Alagon, nel
1481, con tutto il Barigadu fu concesso
a Gaspare Fabra. Nel 1519 gli eredi dei
Fabra vendettero il feudo a Nicolò Torresani e Carlo Alagon che nel 1520 divisero il territorio in due subregioni.
B., incluso nel Barigadu Susu, toccò a
Carlo Alagon, la cui discendenza si
estinse nel 1547; allora, sempre compreso nel feudo del Barigadu Susu, il
villaggio fu ereditato da Fabrizio de
Gerp, marito di Maria Alagon. Dopo l’estinzione dei De Gerp, avvenuta nel
1576, e dopo una lunga lite col fisco
che si era appropriato del feudo che
veniva considerato devoluto, nel 1597
passò in mano ai marchesi Alagon di
Villasor, lontani parenti dei primi feudatari. Le condizioni di vita di B. mutarono: nel corso del secolo XVII i nuovi
feudatari aumentarono il carico fiscale e modificarono il sistema di individuazione del majore, che cessò di essere eletto dai capifamiglia della comunità. B. soffrı̀ notevolmente della
nuova situazione; agli inizi del Settecento passò dagli Alagon ai De Silva,
feudatari spagnoli che si disinteressarono dei loro feudi in Sardegna e che li
fecero amministrare da podatari. La
lontananza del feudatario e la crescente aspirazione a liberarsi dal vincolo feudale si fecero sentire anche a
B.; agli inizi del secolo XVIII il paese
contava oramai più di 250 abitanti. Nel
1772 i De Silva si videro confiscare il
feudo; un evento che si verificava un
anno dopo l’entrata in funzione del
Consiglio comunitativo, e sembrò per
questo agli abitanti un passo decisivo
per liberarsi dal vincolo feudale. Pur-
troppo però le cose andarono diversamente e, nonostante le resistenze della
popolazione, B. fu nel 1774 compreso
nel marchesato di San Vittorio concesso ad Antonio Todde; questi morı̀
nel 1776 lasciando il feudo a suo nipote
Domenico Pes, ai cui discendenti continuò a rimanere sottoposto. Nel 1821
fu incluso nella provincia di Oristano e
finalmente riscattato nel 1838 continuando a rimanere nella provincia di
Oristano. Di questi anni la puntuale testimonianza di Vittorio Angius: «L’ordinario corso della vita negli uomini è
al settantesimo, nelle donne all’ottantesimo, ed anche più in là. Queste sono
laboriose, e non isdegnano i lavori
campestri. Attendono alla tessitura,
ma non lavorano più di quanto sia necessario alla famiglia. Nella scuola
normale si fa lezione a 6 fanciulli.
L’agricoltura è assai ristretta, come è
ristretto il numero delle braccia. Ordinariamente si semina starelli di grano
200, d’orzo 50, di fave e ceci altrettanto,
e possono fruttificare, fatta la comune
d’un decennio, il sette. Ove l’arte fosse
adoperata con più studio e intelligenza, e l’ammontato letame si spargesse, maggiore sarebbe l’utile. Si semina pure il lino, che viene d’ottima
qualità, e se ne può all’anno raccogliere circa 300 fasci di dodici manipoli per ciascuno. Vi prospera la vigna
massimamente nel colle, che sta a cavaliere dell’abitato verso greco, e si
hanno molte varietà d’uve, ma in maggior numero bianche, delle quali conservasi non poca quantità insino al
maggio. I vini sarebbero migliori senza
la mescolanza del cotto, e con metodi
migliori. Incontro alla popolazione in
distanza di pochi minuti vedesi l’amenissima vallata detta Èrriu lunga circa
due miglia, bellissima a vedersi per la
lussureggiante vegetazione degli alberi da frutta e da ombra. Mandorli,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bidonı̀
peschi, pomi, olivi, susini, peri, albicocchi, meligranati, agrumi, quercie,
pioppi, e più altre specie. La pastorizia
è meschinissima. Le pecore (anno
1833) erano 400, le capre 60, le vacche
tra rudi e mannalite (domestiche) 100, i
buoi da lavoro 80, i capi porcini 100.
Abbonda il selvaggiume, cinghiali,
daini, lepri, volpi, martore, donnole;
sono copiosissime le specie dei volatili
più pregiati, pernici, tortori, beccaccie, meropi, merli, tordi, colombi selvatici. Alcuni popolani attendono alla
caccia». Nel 1848 B. fu compreso nella
divisione amministrativa di Cagliari
che nel 1859 divenne provincia: aveva
allora 310 abitanti. Nel corso della seconda metà del secolo la sua popolazione continuò a crescere progressivamente, sorretta da un discreto sviluppo
dell’agricoltura. Dopo il 1920 la formazione del lago Omodeo, che sommerse
una parte delle sue campagne, modificò profondamente il suo sistema di
vita; inoltre nel 1927 perdette la propria autonomia e divenne frazione di
Sorradile; una situazione che si protrasse fino al 1950, anno in cui riacquistò l’autonomia. Ciò però non impedı̀
che dopo il 1961 una parte considerevole della popolazione emigrasse alla
ricerca di lavoro più sicuro e più redditizio. Nel 1974 il paese fu incluso nella
ricostituita provincia di Oristano.
& ECONOMIA La principale attività è
costituita dall’agricoltura; in particolare vi sono sviluppate la frutticoltura
e la viticoltura; vi operano anche piccole imprese commerciali nel settore
del sughero e dei trasporti. Servizi. Il
villaggio è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia; dista da Oristano 48 km. Dispone di
scuola dell’obbligo.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 165 unità:
maschi 83; femmine 82; famiglie 66. La
tendenza complessiva rivelava una
lieve diminuzione della popolazione,
morti per anno 4; nati 1; cancellati dall’anagrafe 1; nuovi iscritti 0. Tra gli indicatori economici: imponibile medio
IRPEF 10 160 in migliaia di lire; versamenti ICI 50; aziende agricole 41; imprese commerciali 9; esercizi pubblici
1; esercizi al dettaglio 1. Tra gli indicatori sociali: occupati 40; disoccupati 7;
inoccupati 15; laureati 6; diplomati 8;
con licenza media 46; con licenza elementare 57; analfabeti 11; automezzi
circolanti 70; abbonamenti TV 53.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio conserva qualche nuraghe:
Bentosu, Perdu Mannu, Piscamu; ques’ultimo è stato sommerso dalle acque
del lago Omodeo; il Bentosu, situato in
cima a un colle a 2 km dall’abitato, è
ben conservato; il Perdu Mannu, anch’esso ben conservato, è posto su un
colle che domina il lago Omodeo. Interessantissimo è il sito di Monte Onnariu, a poca distanza dall’abitato, dove è
stato ritrovato di recente un altare rupestre romano consacrato a Giove. Un
appassionato di archeologia che cercava le tracce di un’antica chiesa, sotto
uno spuntone di roccia affacciato sul
lago, si è reso conto che si trattava invece di una costruzione molto più antica, e la scritta (J)ovis, messa in luce su
una delle pietre del basamento, lo ha
confermato: si trattava dei resti di un
tempio dedicato dai Romani alla maggiore delle loro divinità.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto del villaggio è quello
tipico dei centri collinari: affacciato a
terrazza sul lago Omodeo, la cui formazione ha modificato radicalmente il
suo paesaggio, presenta un dedalo di
vie strette e tortuose che secondo la
tradizione sono il risultato della fusione di due gruppi di case dai quali
deriva l’attuale paese. Su queste
573
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 581
Bidotti
strade si affacciano le case in pietra tipiche dell’Alto Oristanese; inserita
nell’abitato è la chiesa di San Giovanni, parrocchiale costruita nel secolo XVI e successivamente modificata. L’edificio di maggior pregio però
è la chiesa di San Pietro vicino al camposanto, costruita agli inizi del secolo
XII in forme romaniche e affiliata dal
giudice Costantino I d’Arborea alla
chiesa di Bonarcado. Dopo il 1157 fu
donata ad Agalbursa di Bas e prima
della fine del secolo fu ricostruita nelle
forme attuali. L’edificio, in trachite, ha
una sola navata absidata e con copertura in legno; la facciata e l’interno
sono semplici e lineari. Nella campagne di B., in prossimità del lago Omodeo, sorge il santuario campestre di
Santa Maria di Ossolo che fu costruito
nel 1632 dal maestro Antonio Pinna in
forme sincretiche richiamantisi al gotico-catalano e al manierismo rinascimentale. L’edificio, in trachite rosa, ha
tre navate e la copertura a capriate lignee. L’esterno è ingentilito nella facciata e in una delle pareti laterali da un
porticato.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa più caratteristica è quella che si
svolge l’8 settembre in onore di Santa
Maria di Ossolo presso la chiesetta
omonima: è preceduta da un novenario durante il quale i muristenes che
stanno intorno alla chiesa si animano
per ospitare i pellegrini. Il giorno della
festa la statua della Madonna viene
portata alla chiesetta con una processione solenne dopo la quale si compie
una sorta di ardia a cavallo con tre giri
attorno all’edificio; al termine della festa la statua viene riportata in paese in
processione. Si festeggiano anche, rispettivamente il 24 giugno e il 27 dicembre, San Giovanni Battista e San
Giovanni Evangelista, patrono e compatrono del paese; un tempo queste fe-
ste solenni erano dette de corriolu perché ai partecipanti gli organizzatori offrivano pane e carne. Alle manifestazioni tradizionali se ne vanno aggiungendo altre attraverso le quali gli amministratori e gli abitanti del paese
puntano ad attirare correnti di turisti,
villeggianti e visitatori.
Bidotti, Filippo Pastore di Villagrande
(sec. XIX). Fu implicato nelle lotte per
il controllo dei pascoli che contrapponevano il suo paese e quello di Villanova Strisaili. Fu cosı̀ accusato di alcuni delitti: per evitare l’arresto si
diede alla macchia e visse per quarant’anni tra i boschi in raccoglimento e
preghiera. Si guadagnò la fama di santone. A sua insaputa fu prosciolto giudizialmente dalle accuse che gli erano
state fatte.
Biduvé Antico villaggio che nel Medioevo faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Montacuto. Di origini antichissime, probabilmente preromane, sorgeva a pochi
chilometri da Pattada. Estinta la famiglia giudicale di Torres, fu lungamente
conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura; alla fine del secolo XIII
il villaggio era in mano alle truppe arborensi che sembrava dovessero controllare l’intera regione. La situazione
mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel
1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea presero atto della nuova situazione, ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli
Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si
ribellarono, il villaggio fu investito
nuovamente dalle truppe del giudice
d’Arborea, conquistato e formalmente
annesso al Regnum Sardiniae. Negli
anni che seguirono l’esercito giudicale
e quello dei Doria si combatterono
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Biggio
aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 B. fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in
feudo a Giovanni d’Arborea. Ma Mariano IV, quando divenne giudice, pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale ma questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e fu
fatto arrestare da Mariano. Negli anni
che seguirono, scoppiata la guerra tra
Mariano IVe Pietro IV B. subı̀ continue
devastazioni per cui andò spopolandosi.
Biehl, Walther Storico dell’arte tedesco (n. sec. XX). Studioso dell’arte italiana nel Medioevo, nel 1912 fece un
viaggio in Sardegna per conoscervi di
persona le espressioni dell’arte medioevale. Continuò anche negli anni successivi a occuparsi della pittura sarda
e curò la voce Cavaro nel Kunst Lexicon. Tra i suoi scritti: Kunstgeschichtliche Streifzuge durch Sardinien,
‘‘Zeitschrift für bildende Kunst’’,
XLVIII, 1913; Die Meister von Castelsardo. Ein Beitrag zur Geschichte der
sardischen Malerei im 15. bis 16. Jahrhundert, ‘‘Mitteilungen des Kunsthistorisches Instituts in Florenz’’, II,
1912-1917; Escursioni storico-artistiche
in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’,
1913.
Bietola Pianta erbacea perenne della
famiglia delle Chenopodiacee (Beta
vulgaris L.). Ha le foglie basali larghe,
ovato-lanceolate, in fitte e ampie rosette; quelle superiori, più diradate
sul fusto rossastro e costoluto, hanno
lamina più piccola e romboidale. I fiori
sono verdi, in infiorescenza, e il frutto
è un achenio. Allo stato selvatico vegeta e fiorisce da giugno ad agosto, nei
luoghi incolti e ai bordi delle strade.
Viene largamente coltivata, sia per le
ampie foglie a costole carnose, che
vengono raccolte a un anno dalla semina, sia per utilizzare, dopo 2 anni, la
radice a fittone per l’estrazione di zucchero. In Sardegna la coltivazione
della b. da zucchero è diffusa nelle pianure, maggiormente del Campidano e
della Marmilla, e il raccolto viene lavorato nello zuccherificio di Villasor. La
varietà esculenta, detta comunemente
barbabietola, viene coltivata per la sua
radice rossa (rapa), ottima come alimento, anche per le sue proprietà depurative. Nomi sardi: bréda (Alghero);
céa (gallurese); eda (campidanese e logudorese); piarába (Marghine). [MARIA
IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Biggio, Carlo Insegnante, consigliere
regionale (n. Carloforte 1923). Professore, di cultura socialista, si è impegnato fin da giovane in politica militando nel PSDI di cui è divenuto uno
dei maggiori rappresentanti nell’isola.
Consigliere comunale della sua città
natale, a partire dal 1960 è stato eletto
sindaco per ben quattro volte; negli
stessi anni è diventato anche consigliere e assessore provinciale di Cagliari. Nel 1969 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel
collegio di Cagliari per la VI legislatura, rieletto nello stesso collegio per
la VII legislatura (1974-1979). Nel 1979
si è ritirato dalla politica, ma nel 1995 è
stato eletto per la quinta volta sindaco
come espressione di una lista civica.
Nel 1998 si è dimesso.
Biggio, Josto Agente marittimo, consigliere regionale (Sant’Antioco 1906-ivi
1978). Attirato dal dibattito politico, si
schierò nella Destra tradizionale. Divenne consigliere regionale per il MSI
nel collegio di Cagliari per la V legislatura (1965-1969) subentrando nel 1967
ad Alfredo Pazzaglia.
Biggio, Luigi Agente marittimo, consigliere regionale (n. Sant’Antioco 1939).
Figlio di Josto, ne ha continuato la tradizione professionale e politica. Nel
1994 è stato eletto consigliere regio-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Biggio
nale per Forza Italia-Alleanza Nazionale nel collegio di Cagliari per l’XI legislatura (1994-1999); rieletto per il
Polo per la Sardegna nella circoscrizione regionale per la XII legislatura
(1999-2004), dal 2002 al termine della
legislatura è stato vicepresidente del
Consiglio regionale.
Biggio, Piero Vescovo, diplomatico vaticano (Calasetta 1937-ivi 2007). Ordinato sacerdote nel 1962, laureato in
Teologia, ha insegnato Lettere nel Seminario di Iglesias. Dal 1964 si è trasferito a Roma, dove nel 1969 si è laureato
in Giurisprudenza e ha frequentato la
Pontificia Accademia Ecclesiastica.
Nel 1970 è entrato nella diplomazia vaticana; ha operato in diversi paesi del
mondo: nel 1978, creato vescovo, è stato
nominato nunzio pontificio in Bangladesh. Nel 1992 è stato inviato in Cile e
nel 1999 trasferito in Danimarca.
Guglielmo Bilancioni – Paesaggio.
Bilancioni, Guglielmo Pittore (Rimini
1830-ivi 1907). Dopo aver operato a Cagliari (dove eseguı̀ nel 1867-68 il ritratto di Attilio Serpieri e nel 1876
quello di suo padre Enzio), fu a Sassari
negli anni Ottanta per decorare alcuni
ambienti del palazzo Giordano. Con
l’aiuto di Massimiliano Amadio, dipinse gli affreschi de Il levar del sole e
dell’Incontro tra Venere e Marte. Tornato a Cagliari, vi realizzò alcuni ri-
tratti (Josias Pernis, 1895) ed eseguı̀ le
decorazioni di palazzo Zamberletti, andate perdute.
Bilevelt, Giovanni Pittore fiammingo
(?, 1586-Sassari 1652). Entrato nell’ordine dei Gesuiti nel 1607, nel 1611 fu
trasferito in Sardegna presso il Collegio di Sassari, dove ebbe modo di manifestare le proprie qualità e la sua tecnica raffinata. Nel 1625 dipinse la Visione di Sant’Ignazio alla Storta e successivamente eseguı̀ tre olii per la
chiesa di Santa Caterina di Sassari.
Continuò a dipingere numerose altre
tele oggi custodite nelle chiese di Sassari. Morı̀ durante la peste del 1652.
Billikennor Antico villaggio che nel
Medioevo faceva parte del giudicato
di Torres, compreso nella curatoria
dell’Anglona. Sorgeva in località Santa
Maria de Rughes a sud dell’abitato attuale di Martis. A partire dal secolo XII
venne in possesso dei Doria in seguito
a uno dei matrimoni che membri della
famiglia contrassero con principesse
della famiglia giudicale di Torres.
Dopo l’estinzione della dinastia, essi
inclusero B. nel piccolo stato feudale
che avevano formato riunendo tutti i
territori in loro possesso. I Doria seppero instaurare un buon rapporto con
gli abitanti del villaggio, che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia
e vissero sostanzialmente in pace fino
alla conquista aragonese. Quando i Doria, nel 1323, si dichiararono vassalli
del re d’Aragona, B. entrò a far parte
del Regnum Sardiniae. Quando nel
1325 i Doria si ribellarono, il villaggio
divenne teatro della guerra e nel 1330
fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348 e si spopolò.
Bima, Palemone Luigi Storico della
Chiesa (sec. XVIII). Sacerdote piemon-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Binaghi
tese, uomo di grande cultura, riprese
l’opera del Mattei e pubblicò la Serie
cronologica degli arcivescovi e vescovi
del regno di Sardegna, stampata ad
Asti nel 1845.
Bimson, M. Archeologo inglese (n. sec.
XX). Nel 1987 ha collaborato alla stesura del catalogo di Barnett-Mendleson, curando unitamente al Bayne
Cope la classificazione degli scarabei
e dei sigilli provenienti da Tharros in
possesso del British Museum (Scarab
and Seals: scientific Examinations (con
A.D. Baynes Cope) in A catalogue of material from Phoenician and other tombs
at Tharros in the British Museum, 1987).
Binaghi, Angelo Ingegnere, tennista
(n. Cagliari 1950). Inizia a praticare il
tennis fin da piccolo e si afferma in
campo regionale e poi nazionale. Si
laurea campione italiano universitario nel 1981. Nello stesso anno, in coppia con Ricci Bitti, vince la medaglia
d’oro alle Universiadi di Bucarest.
Nel 1986 è nuovamente campione italiano universitario. Laureato in Ingegneria, nel 2002, in un periodo di
grande crisi per il tennis italiano,
viene eletto presidente nazionale della
FIT, riconfermato nel 2005. [GIOVANNI
TOLA]
Binaghi, Rinaldo Chimico (Cagliari
1878-ivi 1968). Dopo aver conseguito la
laurea si dedicò alla ricerca scientifica
e all’insegnamento universitario. Professore di Chimica presso l’Università
della sua città natale, fu anche attento
alle vicende politiche della città e si
occupò del nascente sviluppo delle attività industriali; fu eletto più volte
consigliere comunale. Tra i suoi scritti:
La metallurgia in età romana in Sardegna, ‘‘Sardegna romana’’, II, 1908; I
concimi e la loro pratica applicazione,
1909; Contributo allo studio dei guani
sardi con speciale riguardo alla determinazione dell’azoto ammoniacale, 1909;
Il fenomeno di Tyndall nell’acqua potabile di Cagliari e la presenza dell’idrato
di ferro colloidale, ‘‘Bullettino della società di cultori di scienze mediche e
naturali’’, 1910; Nuovo contributo allo
studio del fenomeno di Tyndall nell’acqua potabile di Cagliari, ‘‘Annali di
igiene sperimentale’’, XX, 1910; Contributo allo studio del fenomeno di opalescenza nelle acque potabili, ‘‘Annali di
igiene sperimentale’’, XXII, 1912;
Sullo stato attuale e sull’avvenire industriale della Sardegna, 1917; Relazione
sul riordino della scuola mineraria
‘‘Giorgio Asproni’’ di Iglesias, 1917; Ricerche sulla digitalis purpurea che cresce allo stato spontaneo sugli altipiani di
Desulo, ‘‘Gazzetta chimica italiana’’,
LI, 22, 1922; Combustibili fossili della
Sardegna con particolare riguardo a
quelli del bacino di Gonnesa (con D. Romoli Venturi), ‘‘La mineralogia italiana’’, 6, 1925; La chimica applicata
alle industrie sarde, 1928; Industrie
sarde, 1928.
Binaghi, Roberto Chirurgo (Cagliari
1867-ivi 1931). Dopo la laurea approfondı̀ le sue ricerche nel campo della
chirurgia. Nel 1910 divenne professore
ordinario di Clinica chirurgica nell’Università di Cagliari, nel 1917 fu eletto
preside della Facoltà di Medicina e nel
1915 rettore dell’Università (fonti fondamentali per la storia dell’Università
cagliaritana sono le sue relazioni Sull’inaugurazione della regia Università
di Cagliari per gli anni 1915, 1916, 1917,
1918, 1919, 1920, 1921, 1922, 1923, 1924,
1925, 1926, 1927, 1928, 1929, 1930). Il suo
rettorato durò ininterrottamente fino
alla morte; egli guidò l’Ateneo con
grande energia e ne sviluppò con abilità le potenzialità, realizzando grandi
trasformazioni. Tra i suoi scritti: Rendiconto sommario della clinica chirurgica della R. Università di Cagliari
1888-1891, 1891. Rendiconto clinico del
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Bini
biennio 1897-1898; reparto chirurgico
dell’Ospedale civile di Cagliari, 1899; Discorso letto il giorno 18 novembre 1917
per il conferimento della laurea ad honorem agli studenti morti in guerra, 1918;
Crisi dell’Università, ‘‘Mediterranea’’,
I, 1927; Echinococco in Sardegna, ‘‘Cultura medica moderna’’, 1927; La distribuzione delle industrie in Sardegna, in
Atti del XII Congresso geografico italiano, 1934.
Bini, Claudio Geologo (n. Firenze 1944).
Conseguita la laurea si è dedicato all’insegnamento universitario; nel 1988
è diventato professore associato di
Geologia applicata. Attualmente insegna presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Venezia; il suo nome è legato alle attività dell’équipe che studiò
il Pleistocene in Sardegna. Tra i suoi
scritti: Sa coa de sa multa e Sa Perdosa
Pantallinu. Due paleosuperfici clactoniane in Sardegna (con F. Martini, G.
Pitzalis e A. Ulzega), in Paleosuperfici
del Pleistocene e del primo Olocene in
Italia. Processi di formazione e di interpretazione. Atti della XXX Riunione
scientifica dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria 1991, 1993.
Biolchini, Vito Giornalista e scrittore
(n. Cagliari 1970). Fin da studente si è
interessato della vita culturale della
sua città. Giornalista professionista
dal 1993, collabora con ‘‘La Nuova Sardegna’’ e con altri periodici. Ha scritto
soprattutto per il teatro, ottenendo numerosi riconoscimenti anche a livello
nazionale. Tra i suoi scritti: Sardegna.
Fatti e persone 1992 (con Giovanni Maria Bellu), 1993; Estate 10 (o della distruzione dei casotti) (con E. Turno Arthemalle), 1999; Le irregolari (con E. Turno
Arthemalle), 2000.
Biondella = Centaurea
Biondelli, Bernardino Linguista e archeologo (Verona 1804-Milano 1886).
Dopo aver compiuto in gioventù studi
di matematica, cominciò a interessarsi
di linguistica comparata e di linguistica storica. Nel 1839 si stabilı̀ a Milano, dove collaborò al ‘‘Politecnico’’,
pubblicandovi diversi articoli sull’origine della lingua italiana. Nel 1841 progettò un Atlante linguistico d’Europa,
che però non riuscı̀ mai a completare;
in questo contesto rivolse il suo interesse al sardo e ai suoi legami con le
altre lingue indoeuropee. Si interessò
anche di archeologia e di numismatica
e nel 1859 fu nominato professore di
Archeologia presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano. Tenne l’insegnamento fino al 1884. Lo scritto dedicato ai problemi della Sardegna,
Sullo stato attuale della Sardegna, fu
pubblicato a Milano nel 1841.
Bionis Antico villaggio di origine medioevale del giudicato di Torres compreso nella curatoria della Nurra. Sorgeva a ovest dell’attuale abitato di
Porto Torres. Nel corso del secolo XII
era pervenuto, unitamente a tutta la
curatoria, nelle mani dei Doria in conseguenza del matrimonio di uno dei
membri della famiglia con principesse
della famiglia giudicale. Estinta la dinastia giudicale, il villaggio fu incluso
nel piccolo stato che essi avevano formato nella parte nord-occidentale del
disciolto giudicato. I Doria seppero instaurare un buon rapporto con gli abitanti del villaggio, che mantennero i
loro privilegi e la loro autonomia e vissero un periodo di pace fino alla conquista aragonese. Iniziata la conquista
aragonese, i Doria nel 1323 si dichiararono vassalli del re d’Aragona. Cosı̀ B.
entrò a far parte del Regnum Sardiniae, e quando nel 1325 essi si ribellarono il villaggio fu loro confiscato. Gli
Aragonesi tennero il controllo del territorio e il villaggio nel 1330 fu concesso in feudo a Giacomo Carroz. Dopo
la morte di questi, nel 1337 passò nelle
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Birardi
mani di Gombaldo Ribellas e negli
anni successivi, scoppiata la seconda
ribellione dei Doria, nel 1347 fu invaso
dalle truppe doriane e gravemente
danneggiato. Alcuni mesi dopo la sua
popolazione fu decimata dalla peste.
B. non si riebbe dai duri colpi ed entro
il 1358 si spopolò completamente e
scomparve.
porto con i vassalli; i suoi abitanti,
però, nella seconda metà del secolo lo
abbandonarono e il villaggio entro la
fine del Duecento scomparve completamente.
Biora Stazione romana presso Serri. Citata unicamente nell’Itinerario Antoniniano, è una stazione della via ab Ulbia
Carales, che attraverso i monti della
Sardegna centrale congiungeva Olbia
con Cagliari. La sua localizzazione
presso il centro odierno di Serri è fissata in base alla documentazione archeologica delle località di Sa Cungiadura Manna e Su Moguru. In quei siti
Giovanni Lilliu aveva identificato un
centro abitato dotato di edifici monumentali, una terma e un’area funeraria, vissuto tra la fine dell’età repubblicana e l’età bizantina. Una iscrizione
datata intorno al secolo III d.C., rinvenuta nel secolo XIX a B., è una dedica
Numini deo Herculi (al nume Dio Ercole), posta da tre fratelli d’arme (Giulio Principe e i due omonimi Flavi
Pompei), appartenenti al collegio militare dei Martenses. La dedica dimostra
l’esistenza a B. di un collegio di veterani che, probabilmente, avevano
svolto il loro compito nella repressione
delle turbolenze indigene della montagna centrale. [RAIMONDO ZUCCA]
Biosevi Antico villaggio di origine medioevale del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Coros. Era situato nelle campagne di Uri. In seguito
a un matrimonio, agli inizi del secolo
XIII entrò a far parte dei territori che
vennero in possesso dei Malaspina.
Quando si estinse la famiglia dei giudici di Torres, essi lo inclusero nel
loro piccolo stato e lo governarono con
equilibrio, instaurando un buon rap-
Mario Birardi – Già deputato e sindaco
di La Maddalena, è uno dei più conosciuti
collezionisti di cimeli garibaldini.
Birardi, Mario Operaio, uomo politico
(n. La Maddalena 1930). Consigliere regionale, deputato al Parlamento. Si è
impegnato fin da giovanissimo nel PCI
ricoprendo per anni importanti incarichi politici in seno alla Federazione
sassarese. Dopo essere stato consigliere provinciale di Sassari, nel 1965
è stato eletto consigliere regionale del
suo partito per la V legislatura nel collegio di Sassari e riconfermato in seguito ininterrottamente fino al 1979,
quando è stato eletto deputato per la
IX legislatura repubblicana. Dopo l’elezione si è trasferito a Roma per lavorare nella direzione nazionale del suo
partito. Non più riconfermato parla-
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Birocchi
mentare, ha continuato tuttavia a occuparsi di politica aderendo ai DS e nel
1997 è stato eletto sindaco della sua
città, rimanendo in carica fino al 2002.
Appassionato studioso di Garibaldi e
dei garibaldini, nella sua casa di La
Maddalena conserva una interessante
collezione di documenti, stampe e oggetti legati alle imprese del Generale.
Birocchi, Eusebio Studioso della numismatica sarda (Cagliari 1885-ivi
1966). Dopo essersi laureato in Giurisprudenza, si dedicò all’insegnamento
negli Istituti tecnici. I suoi studi di numismatica, che spaziano lungo l’arco
dell’intera storia sarda, sono da considerare ancor oggi fondamentali. Socio
della Deputazione di Storia patria,
quando morı̀ donò la sua biblioteca all’Università di Cagliari. Tra i suoi
scritti: Monetazione romano-sarda,
1931; I ripostigli nuragici e le panelle di
rame grezzo, ‘‘Studi sardi’’, I, 1934; La
monetazione punico-sarda, ‘‘Studi
sardi’’, II, 1935; Il cimitero paleocristiano di San Saturno, ‘‘Sardegna cattolica’’, 1939; Caratteri sviluppi e arresti
della monetazione aragonese e spagnola
in Sardegna, ‘‘Studi sardi’’, IX, 1950;
Zecche e monete della Sardegna nei periodi di dominazione aragonese e spagnola in Sardegna, 1952; La monetazione romano-sarda, ‘‘Archivio storico
sardo’’, XXIV, 1954; La circolazione monetaria in Sardegna durante la dominazione romana, ‘‘Studi sardi’’, XII-XIII,
1955; La monetazione punico-sarda,
1955; I patacconi e i mezzi patacconi di
Filippo III, ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, II, 5-6, 1955.
Birocchi, Italo Storico del diritto italiano (n. Cagliari 1949). Conseguita la
laurea, ha completato i suoi studi a Monaco di Baviera, Francoforte e Oxford,
e ha intrapreso la carriera universitaria. Dopo aver insegnato nella Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di
Cagliari, attualmente è professore ordinario presso l’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma. Tra i suoi scritti:
Aspetti del sistema tributario vigente in
Sardegna dopo il riscatto dei feudi: l’imposta pecuniaria surrogata alle prestazioni feudali, in Studi in memoria di G.
D’Amelio, I, 1978; Considerazioni sulla
privatizzazione della terra in Sardegna
dopo le leggi abolitive del feudalesimo,
‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 1113, 1980; Per la storia della proprietà
perfetta in Sardegna. Provvedimenti
normativi, orientamenti di governo e
ruolo delle forze sociali dal 1839 al 1851,
1982; L’istituzione dei consigli comunitativi in Sardegna (con M. Capra), in
‘‘Quaderni sardi di Storia’’, 4, 1983-84;
La consuetudine nel diritto agrario
sardo. Riflessione sugli spunti offerti dagli statuti sassaresi, in Gli Statuti sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età moderna.
Atti del Convegno di studi di Sassari
1983 (a cura di Antonello Mattone e
Marco Tangheroni), 1986; Dottrine e diritto penale in Sardegna nel primo Ottocento. Il trattato Dei delitti e delle pene
di Domenico Fois, 1988; Istituzioni, diritto, strumenti di governo del regno di
Sardegna (con A. Mattone), in‘‘Archivio
sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 29-31, 1990; Tra
diritto e politica nel triennio rivoluzionario sardo di fine Settecento: considerazioni in margine ad un’inedita memoria di Ludovico Baille, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XVII, 1991; La carta autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le leggi fondamentali nel triennio rivoluzionario 1793-96, 1991; Il problema del riordinamento della legislazione sarda e il progetto di codificazione
del 1806, in All’ombra dell’aquila imperiale, I, 1994; La questione autonomistica dalla fusione perfetta al primo do-
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Birori
poguerra in Sardegna, collana ‘‘Le regioni d’Italia dall’Unità a oggi’’ (a cura
di Luigi Berlinguer e A. Mattone), 1998.
Birori Comune della provincia di
Nuoro, compreso nell’VIII Comunità
montana, con 593 abitanti (al 2004), posto a 464 m sul livello del mare alle
falde meridionali della catena del Marghine, tra Macomer e Bortigali. Regione storica: Marghine. Diocesi di Alghero-Bosa.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 17,36 km 2 : ha forma
grosso modo triangolare e confina a
nord con Bortigali, a est ancora con
Bortigali e Dualchi, a sud con Borore,
a ovest con Macomer. Il paese si trova
in una zona relativamente pianeggiante, attraversata da alcuni affluenti
del rio Murtazzolu, che va poco dopo a
gettarsi nel Tirso. La natura del suolo è
di origine vulcanica, con abbondante
presenza di rocce basaltiche e trachitiche. Il paese è adiacente a due strade
di grande comunicazione: la superstrada Sassari-Cagliari e la S.S. 129
che da Macomer si dirige verso Nuoro;
sono invece a qualche distanza le stazioni di Macomer o di Borore lungo la
ferrovia Cagliari-Chilivani, o quelle di
Macomer o Bortigali lungo la linea a
scartamento ridotto Macomer-Nuoro.
& STORIA L’attuale centro è di origine
medioevale, apparteneva al giudicato
di Torres ed era compreso nella curatoria del Marghine. Dopo l’estinzione
della famiglia giudicale il Marghine fu
conteso tra i Doria e gli Arborea e finı̀
per essere occupato da truppe arborensi e annesso al giudicato d’Arborea.
Nella fase più aspra delle guerre tra
Arborea e Aragona, nel 1378 fu incluso
nei territori che il re concesse al traditore Valore de Ligia che si era schierato con lui, ma in effetti continuò a
rimanere in possesso del giudice d’Arborea fino alla battaglia di Sanluri; su-
bito dopo cadde in mano al visconte di
Narbona che continuò a tenerlo fino al
1420, anno in cui, dopo la rinuncia del
visconte ai propri diritti, entrò a far
parte del Regnum Sardiniae. Nel 1421
il villaggio fu incluso nel grande feudo
concesso a Bernardo Centelles; i Centelles nel 1439 lo cedettero a Salvatore
Cubello come indennizzo per il mancato pagamento della dote di sua sorella. Divenuto marchese d’Oristano,
Salvatore incluse nel 1463 B. nel suo
feudo e il villaggio solo dopo la battaglia di Macomer tornò a far parte del
feudo di Oliva. I Centelles, che risiedevano in Spagna, fecero amministrare il
vasto feudo da una burocrazia alle loro
dipendenze, cosı̀ B. fu fatto dipendere
amministrativamente da un funzionario che risiedeva a Macomer. Estinti i
Centelles nel 1569 il villaggio, dopo una
lunga lite conclusa nel 1591, passò ai
Borgia che innovarono profondamente
il sistema di amministrazione del
feudo; con la loro amministrazione, infatti, si verificò nel corso del Seicento
un aumento del potere del feudatario
che arrivò a controllare direttamente
l’elezione del majore, esautorando
completamente la comunità; egli si appoggiava ai rappresentanti di alcune
famiglie di notabili locali che gestivano il potere in modo clientelare e ingiusto. Ciò era stato possibile perché
nel corso del secolo erano state create
per l’esazione dei tributi feudali delle
‘‘liste’’ dei contribuenti compilate in
base al loro reddito: la gestione di queste liste comportava quindi non solo la
determinazione del carico fiscale per
ciascuno ma anche l’individuazione
delle categorie degli esenti. In genere
gli esenti erano proprio i notabili locali
che finirono per formare delle élite vassallatiche legate al feudatario; quando
i Borgia si estinsero, nel 1740, B. cominciava a esprimere un profondo bisogno
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Birori
di liberarsi dalla dipendenza feudale.
Dopo una lunga serie di vicende ereditarie, nel 1767 il villaggio fu incluso nel
marchesato del Marghine che toccò a
Maria Giuseppa Pimentel, erede dei
Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron.
B., come molti altri dei villaggi del Marghine, non ebbe un rapporto facile con
i nuovi feudatari che, rimasti in Spagna, facevano amministrare il feudo
da funzionari senza scrupoli, cosı̀ tra il
1774 e il 1785 si rifiutò apertamente di
pagare i tributi e nel 1795 prese parte
ai moti antifeudali. Nel 1821 B. fu incluso nella provincia di Nuoro e nel
1843 chiuse il tempestoso rapporto
con i suoi feudatari. In questi anni la
realtà locale veniva analizzata da Vittorio Angius: «La principale professione vi è l’agricoltura, e pochissimi
sono applicati ad altri mestieri. Il numero dei telai s’agguaglia a quello
delle case: lavorasi in lino e lana, però
solo quanto richiede il bisogno delle
famiglie. Alla istruzione normale concorrono circa 12 fanciulli. Dalle tavole
censuali della parrocchia nell’anno
1833 apprendevasi constare la popolazione di anime 410, in famiglie 120.
L’annuo numero dei matrimoni si computa in 6, quello delle nascite di 10,
quello delle morti di 8. Le ordinarie
malattie hanno cagione dalle vicende
della temperatura. La mortalità è frequente nella prima età: questa trapassata, giugnesi da molti ad una buona
vecchiezza. La roccia dominante è la
vulcanica. Il terreno è sı̀ idoneo alla
coltivazione come alla pastura. Si semina in totale da 250 starelli. Nell’anno
su notato si sparsero starelli di grano
100, d’orzo 80, e ben piccola quantità di
meliga, fave, fagiuoli, ed altri legumi.
L’ordinaria fruttificazione è all’ottuplo. Negli orti coltivansi molte specie.
Di lino raccogliesi quanto è sufficiente
a dar lavoro alle donne del paese. Le
vigne prosperano mirabilmente. Le
uve distinguonsi in molte varietà; il
vino però riesce mediocre per la male
intesa maniera di manipolarlo. Le
piante fruttifere più comuni sono peri,
meli, fichi, mandorli, pochi olivi. Si nutrivano nell’anno segnato vacche rudi
350, mannalite [domite] 60, buoi da lavoro 80, pecore 400, porci 350, majali
60, cavalli 35, giumenti 70. I cacciatori
vi trovano alcuni cinghiali, pochi
daini, gran numero di lepri e molta copia di volatili, massime pernici, merli,
colombi selvatici ecc.». Abolite le province nel 1848, B. fu incluso nella omonima divisione amministrativa e vi rimase fino al 1859, quando entrò a far
parte della provincia di Sassari. Alla
ricostituzione della provincia di
Nuoro, nel 1927, tornò a farne parte;
nel 1928 fu aggregato come frazione a
Macomer e solo nel 1946 riacquistò la
propria autonomia.
& ECONOMIA La sua economia è basata sull’allevamento, su alcune piccole imprese nel settore del commercio e dei trasporti e soprattutto sui posti di lavoro che gli abitanti trovano nel
terziario e nelle industrie di Macomer,
nonché nel rinomato caseificio Latteria del Centro Sardegna (LACESA), che
ha sede nel territorio confinante di
Bortigali. Servizi. Il paese, che dista
da Nuoro 43 km, è collegato mediante
autolinee ai centri maggiori; dispone
del medico, della farmacia, della
scuola dell’obbligo e della Biblioteca
comunale.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 586 unità:
maschi 28; femmine 301; famiglie 212.
La tendenza complessiva rivelava una
lieve diminuzione della popolazione,
con morti per anno 8; nati 7; cancellati
dall’anagrafe 15; nuovi iscritti 5. Tra gli
indicatori economici: imponibile medio IRPEF 18 533 in migliaia di lire;
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Birori
versamenti ICI 260; aziende agricole
100; imprese commerciali 16; esercizi
pubblici 2; esercizi al dettaglio 5; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 156; disoccupati 21; inoccupati
29; laureati 7; diplomati 66; con licenza
media 175; con licenza elementare 185;
analfabeti 6; automezzi circolanti 190;
abbonamenti TV 148.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio era popolato fin dall’epoca
preistorica ed era ricco di nuraghi
(Arbu, Bidui, Chessa, Iscra de S’Abbasanta, Miuddu, Oddetta, Orosei, Puggiu Malu, San Giorgio, Serbine, Serras,
Sorolo, Urighe), di Tombe di giganti
(Lassia, Noazza, Nuscadore, Palattu,
Sa perda ’e S’altare, Tommasino), di
domus de janas (Farrunti e Is Serras),
ma anche di dolmen, come quello di
Sas Bogadas, e di alcuni reperti romani. Il sito più suggestivo e archeologicamente più interessante è quello di
Sa Perda ’e S’Altare. Si tratta di una
tomba collettiva a struttura circolare
riconducibile al periodo della cultura
di Ozieri. La costruzione è formata da
un cerchio di sette pietre che formano
un vano di 1,20 di diametro coperto da
un lastrone orizzontale che fa pensare
appunto a un altare. Interessantissime
sono anche le tombe di Palattu e di Lassia, situate a poca distanza tra loro
nelle vicinanze dell’abitato attuale.
Quella di Palattu è costituita da un
corpo lungo quasi 15 m, largo più di 4 e
completato da una elegante esedra semicircolare larga 12 m circa. Al suo interno si trova la camera funeraria
lunga più di 11 m e larga 1,20 m. Gli
scavi effettuati nel sito hanno restituito ceramica dell’Età del Bronzo medio. La tomba di Lassia si trova poco
oltre, ha un corpo centrale lungo 16 m
e largo 4 m che si apre su un’esedra in
parte danneggiata. Al suo interno si
apre una camera funeraria lunga 13 m
e larga 1 m; quest’ambiente è alto mediamente 2 m e presenta alle pareti alcune caratteristiche nicchie per offerte. Non molto tempo fa in località
Tanca ’e Sa Marchesa è stata scoperta
una allée couverte a poca distanza dall’abitato, riconducibile al periodo
della cultura di Monte Claro. È ben
conservata, lunga circa 6,50 m e larga
più di 4 m; al suo interno la camera sepolcrale è lunga 5 m e larga poco meno
di 1 m; l’edificio è parzialmente crollato.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’abitato ha conservato le caratteristiche del villaggio di alta collina
ed è caratterizzato da un insieme di
vie scoscese e tortuose sulle quali si affacciano le tipiche case in pietra a più
piani; inserita in questo contesto è la
chiesa di Sant’Andrea, parrocchiale
costruita probabilmente nel secolo
XVI in forme molto semplici e dall’arredo essenziale.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La
festa che è maggiormente legata alle
tradizioni agropastorali del piccolo
centro è quella di Sant’Antonio Abate,
che si svolge il 16 e 17 gennaio e ha inizio con il rituale falò preparato con la
raccolta della legna necessaria; si riallaccia alla tradizione secondo la quale
Sant’Antonio, sceso all’inferno,
avrebbe ingannato il diavolo sottraendogli alcune braci per regalare il fuoco
agli uomini; si tratta in effetti di una
celebrazione antichissima che sembra
volta a riscaldare la terra per risvegliarla dal freddo invernale, anticipando la prossima fine dell’inverno.
In passato però la festa più importante,
che si svolge ancora il 3 agosto, era
quella in onore di Santo Stefano che
prevedeva canti, balli e prove di abilità
a cavallo e attirava molta gente anche
dai paesi vicini.
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Birra
Birra – Una bottiglia di ‘‘Ichnusa’’, la
capostipite delle birre prodotte in Sardegna.
Birra Secondo i manuali, la b. è una «bevanda alcolica ottenuta per fermentazione dei mosti zuccherini preparati
per saccarificazione diastatica dell’amido contenuto nelle cariossidi di alcuni cereali e aromatizzata mediante
Luppolo». Secondo la legge italiana
del 1962, il nome b. è riservato al fermentato alcolico ottenuto da ceppi selezionati di Saccaromyces cerevisiae
con mosti provenienti da malto d’orzo
e acqua, amaricati con luppolo. Il
malto d’orzo può essere sostituito con
malti di altri cereali (o con riso, ma non
oltre il 25% dei cereali impiegati). Ci
sono diverse specie di b. (il tipo Pilsen,
color giallo ambrato; il tipo Vienna,
giallo oro; il tipo Monaco, più scura).
Ha notevole valore alimentare, il valore calorico è di 530-550 Kcal. per litro, ha buon contenuto vitaminico, specie in vitamina B. Si pensa che la Sardegna abbia conosciuto tardi la B. e il
suo consumo si è esteso ed è diventato
‘‘popolare’’ soprattutto nel secolo XX.
La storia della b. in Sardegna è legata,
in questo secolo, a una vicenda che comincia nel 1913, quando tre coraggiosi
imprenditori fondarono a Cagliari –
«sullo stradone di Pirri», come scrive
Paolo Fadda nel suo Avanguardisti
della modernità, 1999 – un impianto
della loro Industria Birraria Ichnusa
(erano Antonio Birocchi, Aristide Giorgetti e Francesco Vincenzi). Di lı̀ a poco
l’attività incontrò qualche difficoltà, e
la Vinalcool del grande ‘‘capitalista coraggioso’’ Amsicora Capra offrı̀ un prestito che due anni dopo, nel 1915, portò
alla fondazione di una società per
azioni, la Società Anonima Birreria
Ichnusa, gestita in autonomia sino al
1928 e poi passata sotto il controllo diretto della Vinalcool. Da questo periodo in poi l’aumento della produzione e la crescita del consumo di b.
andarono di pari passo, tanto da rendere problematica la risposta alla domanda se sia stata la diffusione del
consumo a incoraggiare l’espansione
della Ichnusa (supportata per altro, in
ogni tempo e, si può dire, fino a oggi, da
accorte campagne pubblicitarie) oppure se sia stata, appunto, la capacità
di penetrazione della b. sarda sul mercato degli alcolici a produrre l’aumento del consumo. La b. è bevanda
diffusa soprattutto nei centri minori,
dove pure è forte e abituale il consumo
del vino: anche questo pone la domanda del percorso che la b. ha compiuto per vincere (o almeno sostenere)
la concorrenza di una bevanda storica
come il vino. È un fatto che, secondo
recenti inchieste della Doxa e i dati
forniti dall’Assobirra, la Sardegna è
oggi la prima regione d’Italia per consumo di b. pro capite (e invece, contro
ogni aspettativa, una delle regioni
dove non è molto alto il consumo del
vino). Fra gli adulti maggiori di 14
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 592
Bisarcio
anni, infatti, la media nazionale dei
consumatori di vino tra i consumatori
di bevande alcoliche è del 59,6%, in
Sardegna del 55,4; quanto alla b., invece, la media nazionale è del 48,4,
quella sarda del 51,5. In Italia il 5,4%
del campione beve b. tutti i giorni, in
Sardegna sono quasi il doppio, il
10,5%. Ultimo dato Doxa 2001: il consumo della b. in Sardegna interessa il
63,7% della popolazione; la spesa destinata al consumo di bevande e tabacchi, che in Italia corrisponde al 2,5%
della spesa totale delle famiglie, in
Sardegna sale al 3%. Negli ultimi
tempi, in cui pure l’industria birraria
sarda (tanto quella ‘‘indigena’’ quanto
quella legata a impianti di grandi industrie birrarie nazionali o internazionali) ha conosciuto diversi momenti di
crisi, le fabbriche di b. si sono moltiplicate, anche se con stabilimenti di piccole dimensioni, in genere avviati da
sardi che, al ritorno dall’emigrazione
in paesi consumatori ‘‘storici’’ di b.,
hanno riportato e messo a frutto in Sardegna le esperienze fatte fuori dell’isola.
Bisarcio Antico villaggio che nel Medioevo faceva parte del giudicato di
Torres, compreso nella curatoria del
Montacuto. Sorgeva nelle campagne di
Ozieri. Di origini antichissime, probabilmente puniche, in età tardoimperiale, per la sua posizione, ebbe una
certa rilevanza militare. Nel corso del
secolo XI divenne sede di residenza
del vescovo e capoluogo dell’omonima
diocesi e la sua importanza crebbe.
Estinta la famiglia giudicale di Torres,
fu lungamente conteso tra i Doria, gli
Arborea e i giudici di Gallura; alla fine
del secolo XIII il villaggio era sotto il
controllo delle truppe arborensi, che
sembrava dovessero controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò
quando i Doria, sfruttando abilmente
il bisogno che Giacomo II d’Aragona
aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel
1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea presero atto della nuova situazione, ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli
Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si
ribellarono, il villaggio fu nuovamente
occupato dalle truppe del giudice d’Arborea e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei
Doria si combatterono aspramente
per il controllo del territorio. Nel 1339
B. fu compreso nei territori che il re
d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma Mariano IV,
quando divenne giudice, pretese che
il fratello gli prestasse l’obbedienza
feudale che, avendo ottenuto il Montacuto dal re, egli rifiutò e fu per questo
fatto arrestare da Mariano. Negli anni
che seguirono, scoppiata la guerra tra
Mariano IVe Pietro IV, B. subı̀ continue
devastazioni, per cui pur continuando
a rimanere sede episcopale andò spopolandosi. Caduto il giudicato d’Arborea, nel 1421 fu incluso nel grande
feudo concesso a Bernardo Centelles;
nei decenni successivi la sua decadenza non si arrestò, e quando nel
1503 la diocesi fu soppressa si ridusse
a piccolo villaggio insignificante, governato da un funzionario baronale
che risiedeva a Ozieri. Nel 1596 i Centelles si estinsero e il villaggio, dopo la
conclusione di una lunga lite, nel 1591
passò ai Borgia. I nuovi feudatari si dimostrarono piuttosto fiscali: aumentarono il carico dei tributi e limitarono
l’autonomia dei vassalli, modificando
il sistema di elezione del majore e
creando cosı̀ le condizioni per un ulteriore spopolamento del villaggio. Alla
fine del secolo XVII B. aveva poche decine di abitanti e si spopolò completa-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bisarcio
mente nel 1728, quando i suoi ultimi
abitanti si trasferirono a Ozieri.
Bisarcio – La basilica romanica di
Sant’Antioco di Bisarcio sorge solitaria nella
piana di Chilivani. Il primo impianto fu
costruito fra la seconda metà del secolo XI e il
1200.
Bisarcio, diocesi di Antica diocesi
della Sardegna settentrionale, suffraganea dell’archidiocesi di Torres, fu
fondata molto probabilmente nel secolo XII. Prende il nome da un’antica
città situata nel campo di Ozieri; nel
1503 papa Giulio II la unı̀ alla diocesi
di Ottana, trasferendo questa ad Alghero.
VESCOVI DI BISARCIO
1. Nicodemo resse la diocesi prima del
1082. 2. Gavino resse la diocesi dopo
Nicodemo, anche lui prima del 1082. 3.
Costantino de Matrona resse la diocesi
nel 1082. 4. Pietro resse la diocesi tra il
1112 e il 1127. 5. Mariano Thelle resse
la diocesi tra il 1139 e il 1146. 6. Giovanni Thelle resse la diocesi tra il
1170 e il 1179. 7. Vescovo anonimo che
prese parte al concilio ecumenico lateranense IV (1215). 8. Vescovo anonimo
citato come testimone in alcuni documenti tra il 1236 e il 1237. 9. Giovanni
reggeva la diocesi nel 1237. 10. Vescovo
anonimo ricordato da papa Innocenzo
IV in una lettera del 1253. 11. Gonario
reggeva la diocesi nel 1263. 12. Giovanni reggeva la diocesi nel 1269. 13.
Pietro, genovese, resse la diocesi tra il
1283 e il 1299. 14. Bernardo Carboni
resse la diocesi tra il 1303 e il 1328. 15.
Vescovo anonimo cui scrisse papa Giovanni XXII nel 1329. 16. Vescovo anonimo cui scrisse papa Giovanni XXII
nel 1330 (si tratta molto probabilmente
del vescovo attestato nel 1329). 17. Vescovo anonimo cui scrisse papa Benedetto XII nel 1336. 18. Comita reggeva
la diocesi nel 1341. 19. Marzocco Capra
resse la diocesi tra il 1342 e il 1348. 20.
Giovanni, minore, trasferito dalla diocesi di Termopili; resse la diocesi tra il
1349 e il 1350. 21. Francesco, catalano,
minore e guardiano di Castellon de
Ampurias (diocesi di Gerona); resse la
diocesi tra il 1350 e il 1366. 22. Corrado,
baccelliere in Teologia e arcidiacono
di Agrigento, fu nominato vescovo nel
1366 e nel 1371 fu trasferito a Milevi. 23.
Donato, eremitano di Sant’Agostino,
già vescovo titolare di Naupactus (Lepanto), reggeva la diocesi nel 1371. 24.
Antonio reggeva la diocesi prima del
1386. 25. Antioco, nominato da papa
Urbano VI, reggeva la diocesi nel 1386.
26. Martino de Campo, nominato dall’antipapa Clemente VII, resse la diocesi dopo il 1388. 27. Simone Cristofori,
di Zara, domenicano, fu nominato dall’antipapa Giovanni XXIII; resse la
diocesi tra il 1412 e il 1421. 28. Antonio
de Penna, canonico di Torres, resse la
diocesi tra il 1421 e il 1436. 29. Antonio
Cano, di Sassari, parroco di Giave;
resse la diocesi tra il 1436 e il 1448,
anno in cui divenne arcivescovo di Sassari. 30. Sisinnio, dottore in Decretali,
nel 1442 fu nominato vescovo di Sulci,
nel 1443 fu trasferito ad Ampurias e nel
1448 a Bisarcio; resse la diocesi fino al
1466. 31. Ludovico di Santa Croce, mi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bisso
nore e maestro in Teologia, resse la
diocesi tra il 1466 e il 1485. 32. Michele
Lopez de Lasorra, minore, resse la diocesi tra il 1485 e il 1486, anno in cui fu
trasferito a Rubicon (Canarie). 33. Garsia Quixada, minore e professore di
Teologia, resse la diocesi tra il 1486 e il
1490, anno in cui fu trasferito a Guadix.
34. Galcerando, minore, nel 1490 fu trasferito da Leighlin a Bisarcio; resse la
diocesi fino al 1500. 35. Giovanni, minore e penitenziere apostolico, resse
la diocesi tra il 1500 e il 1503, anno in
cui papa Giulio II unı̀ le diocesi di Bisarcio e di Castra alla diocesi di Ottana
e trasferı̀ quest’ultima ad Alghero.
La d. di B. fu ricostituita nel 1804 con la
titolatura di diocesi di Bisarcio-Ozieri,
che nel 1915 fu cambiata in diocesi di
Ozieri.
VESCOVI DI BISARCIO-OZIERI
= Ozieri, diocesi di
Bisi Ingrassia, Anna Maria Archeologa (Roma 1938-?, 1990). Allieva prediletta di Sabatino Moscati, divenuta
funzionario alla Soprintendenza archeologica di Palermo, dal 1964 condusse scavi in Sicilia. Nel 1970 si trasferı̀ alla Soprintendenza di Napoli;
nel 1971 cominciò a insegnare all’Università di Urbino, dove continuò una
intensa attività scientifica interrotta
prematuramente dalla morte nel 1990.
Tra i suoi scritti: Le matrici fittili puniche della Sardegna e della Sicilia, ‘‘Revista del Istituto Arias Montano de
Estudios hebraicos y Oriente proximo’’, XXVIII, 1968; L’apport phénicien aux bronzes nouragiques de Sardaigne, ‘‘Latomus’’, XXXVI, 1977; La questione orientalizzante in Sardegna, ‘‘Rivista internazionale per la Storia economica e sociale nell’Antichità’’, III,
1984; Bronzi vicino-orientali in Sardegna: importazioni e influssi, in Nuragic
Sardinia and the Mycenaeum World,
1987.
Bissing, Friedrich Wilhelm von Egittologo (Postdam 1874-Oberaudorf
1956). Professore di Egittologia all’Università di Monaco, in seguito passò a
quella di Utrecht, acquisendo considerazione a livello internazionale per la
profondità e il rigore dei suoi studi. La
sua fama è tra l’altro legata alla pubblicazione, avvenuta tra il 1906 e il 1914, di
alcuni volumi del catalogo generale
del Museo del Cairo. Tra i suoi scritti:
Die Sardinischen Bronzen, ‘‘Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts, römische Abteilungen’’, XLIII,
1928; Sugli oggetti egizi in Sardegna,
‘‘Mitteilungen des kunsthistorischen
Instituts in Florenz’’, III, 3-4, 1929.
Bissiri, Augusto Inventore (Cagliari
1878-?). Completati i suoi studi conseguendo la laurea in Legge a Roma nel
1905, si trasferı̀ in America stabilendosi a New York. Negli anni del suo
soggiorno brevettò alcune delle sue invenzioni: tra queste la telefoto, un sistema di trasmissione delle fotografie
per telegrafo anticipatore della televisione. Fu anche autore di curiose novelle di fantascienza che furono pubblicate dalla ‘‘Domenica del Corriere’’.
Morı̀ molto vecchio.
Bisso Secrezione filamentosa prodotta
da alcuni grandi molluschi bivalvi, in
particolare la Pinna nobilis (in sardo
gnàccara), che cresce nelle acque marine dei golfi più tranquilli. Se ne ricava un tessuto molto fine e prezioso,
dello stesso nome, che già nell’antichità veniva riservato agli abiti dei re
e dei principi. Il dilagare del turismo
sulle spiagge e l’inquinamento costiero ha gravemente rarefatto la popolazione dei molluschi produttori, che
un tempo si vedeva, anche a pochi metri dalla superficie, ancorata ai fondali
in folte colonie simili a grandi piantagioni di ‘‘pale’’ di fichidindia. La produzione del b. è praticamente finita,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bithia
anche se si ha notizia di pochissime
singole artigiane (quasi esclusivamente in Barbagia e a Carloforte) che
ancora lo lavorano producendo manufatti di grande raffinatezza.
Bithia Insediamento di fondazione fenicia (in fenicio Byt’n) situato nella
Sardegna sud-occidentale dove sorge
l’attuale località di Torre di Chia raggiungibile attraverso l’antica strada
quae a Nora ducit Bithiae. Sebbene la
datazione attribuita alla fondazione
del centro sia da porsi attorno all’ultimo quarto del secolo VIII a.C., l’area
prescelta per l’installazione delle
prime strutture mostra i caratteri tipici degli insediamenti risalenti alla
fase precoloniale della navigazione fenicia in Sardegna: un paesaggio costiero proiettato sul mare, dotato di un
ottimo porto di tipo fluviale e con un
entroterra limitato e protetto dai rilievi di Monti Sa Guardia. L’antica città
fenicia è conosciuta soprattutto grazie
ai rinvenimenti effettuati nell’area
della necropoli e del tofet. La scoperta
dell’area cimiteriale si deve a una violenta mareggiata avvenuta nel 1926 a
seguito della quale l’archeologo Antonio Taramelli (allora direttore della
Soprintendenza alle Antichità) tra il
1928 e il 1933 intraprese l’indagine del
sito ai piedi dell’altura della torre che
portò all’individuazione di un lembo
della necropoli arcaica a incinerazione e di parte dell’abitato di età romana. In questa occasione si rinvenne
la statua monumentale di età tardopunica rappresentante il dio Bes nonché
l’iscrizione neo-punica dei primi anni
del secolo III d.C. che ha permesso di
conoscere il toponimo antico del centro (Byt’n) e di accertare la persistenza
della magistratura del sufetato (hšpt)
ancora in piena età romana imperiale.
Gli scavi proseguirono nei primi anni
Cinquanta del Novecento grazie all’im-
pegno di Gennaro Pesce, il quale indagò la nota stipe votiva di età ellenistica caratterizzata dalla presenza
delle tipiche statuette di sofferenti; in
un periodo successivo, dal 1976 al 1983,
ebbe luogo, a cura di Piero Bartoloni,
l’esplorazione sistematica dell’area
della necropoli per un’estensione di
circa 500 m2. La tipologia degli interramenti attesta la predominanza del rito
dell’incinerazione, sia in fossa direttamente scavata nel terreno che in cista
litica, sebbene sia documentata in misura nettamente inferiore anche la
pratica dell’inumazione, forse retaggio
dei costumi funerari adottati dalle popolazioni nuragiche. I ricchi corredi riflettono gli orizzonti commerciali dell’antico centro, con le numerose forme
ceramiche importate da regioni del
Mediterraneo centro-occidentale.
Nella successiva età punica si diffonde
in maniera quasi esclusiva la tipologia
della tomba cosiddetta ‘‘a cassone’’.
L’area sacra del tofet, ubicata sull’isolotto di Su Cardolinu a oriente dell’acropoli e nei pressi dell’imboccatura
del porto fluviale, è stata installata a
partire dall’ultimo quarto del secolo
VII a.C. per spegnersi con la conquista
cartaginese. L’indagine nel tofet ha evidenziato come attorno ai primi anni
del secolo IV a.C. sia stato edificato un
santuario con peribolos e basamenti
per l’erezione di edicole cultuali in
luogo della precedente area sacra di
età fenicia. L’analisi stratigrafica dei
contesti sepolcrali ha mostrato in maniera inequivocabile una netta contrazione del centro negli anni immediatamente successivi alla fine del secolo VI
a.C. e i primi anni del secolo V a.C. Nel
corso dell’età romana B. non diviene,
come è il caso di Cagliari o Sulci, una
città di grande estensione, ma la presenza umana sembra piuttosto distribuita in piccoli nuclei sparsi nel terri-
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Bitti
torio evidentemente connessi con attività produttive tra le quali l’agricoltura non dovette essere predominante
a causa del ridotto entroterra sfruttabile. Il definitivo abbandono dell’insediamento avvenne tra la fine del IVe gli
inizi del secolo V d.C. [MICHELE GUIRGUIS]
Bitti – Vista del paese.
Bitti Comune della provincia di Nuoro,
compreso nella X Comunità montana,
con 3319 abitanti (al 2004), posto a 548
m sul livello del mare sull’altipiano
detto di B. o di Buddusò, a nord di
Nuoro. Regione storica: Barbagia di
B. Diocesi di Nuoro.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 215,88 km2: ha forma allungata da sud-ovest a nord-est e confina a nord con Buddusò e Alà dei
Sardi, a est ancora con Lodè, a sud con
Onanı̀ e Orune, a ovest con Nule e
Osidda. Di natura prevalentemente
granitica, l’altipiano di B. o Buddusò
ha un’altitudine media intorno ai 700750 m; la parte più impervia è a nord e
culmina con cime intorno ai 1000 m; a
est digrada in alcune profonde vallate
dove la natura del suolo si fa schistosa
e calcarea; a nord di B. è attraversato
da alcuni corsi d’acqua del bacino
idrico del rio Posada che, dopo aver
dato vita all’omonimo bacino artificiale, sfocia sulla costa orientale. Il
paese è attraversato dalla statale 389
che, partita da Nuoro, continua per
Buddusò; dal paese o nelle vicinanze
vi si innestano le secondarie che collegano con Onanı̀ e Lula a oriente, con
Nule e gli altri paesi del Goceano a occidente.
& STORIA L’attuale centro abitato deriva con ogni probabilità da una mansio romana posta in località Bonucaminu sulla strada che collegava Cagliari a Olbia in prossimità della chiesa
di San Pietro; nel Medioevo era compreso nel giudicato di Torres. Estinta
la dinastia giudicale il territorio fu
compreso nel giudicato di Gallura e B.
divenne capoluogo di una curatoria
dal territorio aspro e montagnoso. Con
la estinzione della dinastia dei Visconti il villaggio prese a essere amministrato direttamente da funzionari
del Comune di Pisa. Dopo la conquista
gli Aragonesi non riuscirono a pacificare le popolazioni tanto che nel 1339
preferirono cedere tutto il territorio in
feudo a Giovanni d’Arborea, loro fedele alleato. Ma quando Mariano IV,
fratello di Giovanni, divenne giudice
d’Arborea, pretese da lui l’obbedienza
feudale per il vasto territorio che controllava; il confronto si concluse tragicamente e Giovanni fu imprigionato
nel 1348. B. seguı̀ allora le sorti degli
altri domini dell’infelice principe:
mentre Giovanni languiva in prigione
il territorio fu occupato da truppe arborensi, quindi continuò a essere devastato fino alla fine delle guerre tra Arborea e Aragona. Nel 1410 il villaggio,
per quanto semispopolato – forse non
arrivava a 100 abitanti – , continuava a
sopravvivere, e in queste condizioni
entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Le popolazioni però non erano
ancora pacificate: cosı̀, assieme a tutta
la curatoria, B. fu concesso in feudo a
Nicolò Turrigiti, i cui discendenti nel
1430 lo cedettero al marchese d’Oristano. Dopo la confisca del marchesato
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Bitti
nel 1477 B. e il suo territorio entrarono
a far parte di un vasto feudo che comprendeva una parte della Sardegna
settentrionale riconosciuta al ramo
dei Carroz erede di Giovanni d’Arborea. Estinti i Carroz il feudo passò nel
1479 ai Maza de Liçana; a loro volta
questi si estinsero nel 1546 e per la
loro successione scoppiò una lunga
lite tra i diversi eredi. La contesa si
concluse nel 1571 con una divisione
che assegnò B. e il suo territorio ai Portugal, famiglia cui apparteneva Guiomara, la vedova di Giovanni Cascant
prossimo parente dei Maza. Da questi
ultimi il territorio nel 1584, per il matrimonio di Anna Portugal con Rodrigo
De Silva, passò a questa famiglia. Nel
1617 tutto il territorio fu unito anche
amministrativamente al marchesato
di Orani; da quel momento B. fu sotto
il controllo di un regidor e di una burocrazia che avevano sede a Orani. Assunse quindi una posizione periferica
e questo accentuò lo spirito di indipendenza dei suoi abitanti che nel corso
del secolo XVII raggiunsero le 1800
unità. Il rapporto con i feudatari però
non fu felice, il carico fiscale aumentò
notevolmente colpendo proprio le attività pastorali e la produzione del formaggio; fu introdotta un’odiosa tassa
per i furti di bestiame (machizia) e soprattutto fu modificato il sistema di individuazione del majore, che di fatto
veniva scelto dal regidor invece che
dalla comunità. Il vasto territorio divenne teatro di furti di bestiame e di
audaci imprese di briganti; nel corso
del secolo XVIII i rapporti tra gli abitanti di B. e la famiglia feudale si deteriorarono ulteriormente. Intanto la
struttura della comunità andava modificandosi e l’introduzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico rafforzò l’aspirazione degli abi-
tanti del villaggio che spesso resistettero all’esazione dei tributi feudali.
Bitti – Cumbessias dell’Annunziata.
S’Annossata, come la chiamano i bittesi, è uno
dei santuari più importanti del Nuorese.
Nel 1821 il villaggio venne incluso
come capoluogo di mandamento nella
provincia di Nuoro; nel 1838 fu riscattato. Di questo periodo la puntuale testimonianza di Vittorio Angius: «Siede
sopra l’erta poco facile della punta
d’un colle che spacca in due una gran
vallata. Sono quindi le case disposte a
mo’ d’anfiteatro, e lo spazio che occupano raffigura un triangolo. Guarda
verso il levante. Le strade sono poche
in numero, spesso anguste, sempre sinuose, e si potrebbero dire impraticabili. Le abitazioni vi sono riunite senza
ordine, e ristrette in brevi limiti. Se ne
annoverano 650, e sono costrutte a granito. La popolazione nell’anno 1833
sommava a 2500 anime, in 630 famiglie.
Dei bittesi circa 600 attendono alla pastorizia, 200 all’agricoltura, ed una settantina si esercitano come ferrari, maniscalchi, legnajuoli, muratori ecc. La
scuola normale numera 25 fanciulli.
Negli anni addietro eravi pure una
scuola di grammatica latina. Saranno
circa 200 quei che sanno leggere e scrivere. Avvi un ufficio delle regie poste.
Vi è stabilita una spezieria, onde si servono i paesi vicini, e vi ha un medico e
due chirurghi stipendiati dal pubblico.
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Bitti
È in questo paese per tutto l’anno
aperto un macello; vi sono alcune taverne, e botteghe di panni e tele estere
con stoffe e broccati e quant’altro serve
al vestiario femminile. Vi sono terreni
che si prestano a molte e diverse coltivazioni, e assai largamente rispondono, quando il contadino lavora con
intelligenza, ed è fortunato che i pecorai distruttori non vi si avvicinino con
le loro gregge voraci, come spesso accade. In quanto concerne alla fruttificazione, è a sapersi che essa nel comune non sopravanza il quintuplo allora eziandio quando le stagioni procedano secondo i voti del contadino, sı̀
perché i metodi dell’arte e gli istrumenti sono imperfettissimi, sı̀ principalmente perché non si lavora in quei
terreni che abbiano maggior fama produttiva. Senza che sono assai spesso i
seminati calpestati e divorati. Grande
è il numero degli orti, e come dai medesimi vuolsi parte della sussistenza,
cosı̀ con molto studio si attende dalle
donne alla loro coltura. Sarebbe però a
desiderare che si moltiplicassero gli
oggetti. Le patate sono già ben introdotte. Della quantità del bestiame educato. nel detto anno essi numeravano
pecore 55 000, porci 6000, capre 2000.
vacche rudi 1000, mannalite [domite]
750, buoi per l’agricoltura 1000, cavalle
200, cavalli 350, giumenti 300. La ricchezza che viene dai prodotti in formaggio, lane, pelli si può calcolare da
4 in 5 mila scudi sardi. Dai capi vivi che
vendonsi al macello od agli usi degli
agricoltori e dei vetturali si può forse
ricavare un altro migliajo. Si coltivano
con poco studio le api, onde piccola è la
quantità del miele amaro che ottiensi
nell’autunno; della qual qualità come
la più pregiata potrebbero avere non
piccol vantaggio». Quando nel 1848 furono abolite le province, B. fu incluso
nel dipartimento amministrativo di
Nuoro, del quale fece poi parte fino al
1859. Nello stesso anno fu incluso nella
provincia di Sassari e vi rimase fino
alla ricostituzione della provincia di
Nuoro. Nel corso del secolo XIX fu teatro di un conflitto fra due gruppi di famiglie di maggiorenti per il controllo
dei pascoli e nel 1874 vi fu aggregato
come frazione il villaggio di Gorofai
(=).
Bitti- Nel complesso di Su Romanzesu si
trovano i reperti, di origine nuragica e
romana, più significativi della storia
dell’intero territorio.
ECONOMIA I suoi abitanti sono dediti prevalentemente all’attività dell’allevamento e alla produzione del
formaggio; vi è sviluppata anche l’agricoltura, in particolare la viticoltura,
l’olivicoltura e la frutticoltura. Vi operano anche alcune discrete attività
commerciali, un albergo, quattro agriturismi e tre ristoranti. Artigianato. Le
forme di artigianato più diffuse sono
quelle legate all’attività edilizia, me si
&
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bitti
sono sviluppate anche alcune piccole
aziende per la produzione e commercializzazione di pani e dolci tipici, in
particolare il pane carasau. Servizi. Il
paese è collegato mediante autolinee
agli altri centri della provincia e dista
da Nuoro 36 km. Dispone di guardia
medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, scuola secondaria superiore,
Biblioteca comunale e sportello bancario.
Bitti – Guidato da Daniele Cossellu, il coro a
quattro dei Tenores di Bitti è stato il primo a
farsi conoscere anche fuori dell’isola.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 3553 unità,
di cui stranieri 11; maschi 1740; femmine 1813; famiglie 1489. La tendenza
complessiva rivelava una diminuzione
della popolazione, con morti per anno
44 e nati 20; cancellati dall’anagrafe 72;
nuovi iscritti 31. Tra gli indicatori economici: Depositi bancari 63 in miliardi
di lire; imponibile medio IRPEF 15 441
in migliaia di lire; versamenti ICI 1361;
aziende agricole 421; imprese commerciali 204; esercizi pubblici 31; esercizi
all’ingrosso 3; esercizi al dettaglio 63;
ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali:
occupati 1144; disoccupati 161; inoccu-
pati 171; laureati 141; diplomati 410;
con licenza media 895; con licenza elementare 1310; analfabeti 117; automezzi circolanti 1360; abbonamenti
TV 968.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è particolarmente ricco di siti
di interesse archeologico; in particolare conserva domus de janas (S’Aspru,
Serra Ruja), la fonte sacra di Poddi
Arvu, molti nuraghi (Badde Longa,
Ghellai, Istelai, Lanzanis, Muru ’e Colovras, Murere, Nitosila, Oloustes, Ortai, Ortuidda, Salamitti, San Pietro, Seris, Siddu, Solle, Su Eritta, Tuturchi),
un villaggio nuragico, il recinto nuragico di Luvonneri, Tombe di giganti
(Monte Sa Sea, Nitossila, Poddi Arvu,
Olustes e Bolle) e infine numerose località di età romana sparse su tutto il
territorio del Comune. Di particolare
rilievo il nuraghe Ortai, polilobato,
che si erge imponente, in discrete condizioni, sull’altipiano, e il nuraghe
Muru ’e Colovras, circondato dai resti
di un villaggio di capanne a base quadrata difficilmente interpretabili. Di
particolare suggestione sono i ruderi
di edifici, forse di età romana, conosciuti come Sa Chitade, posti sul monte
Oltoari in uno scenario fantastico ricco
di macchie e di dirupi; le murature
sono probabilmente riconducibili a un
antico posto di guardia. Nella località
di Solle, nota anche per essere stata
soggiorno del poeta Padre Luca Cubeddu (=), è posto un complesso di
grandissimo rilievo: accanto al nuraghe e a una Tomba di giganti piuttosto
vasta, che conserva ancora in parte l’esedra, è situato un grande complesso di
ruderi romani che il Taramelli attribuisce all’antico centro di Caput
Thyrsi. Si tratta di resti di molti edifici,
tra i quali affiorano muri in mattoni e
avanzi di muri in pietra; il tutto attende
di essere convenientemente scavato. A
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 600
Bitti
poca distanza da Solle è situato il complesso che oggi viene genericamente
chiamato di Su Romanzesu, che indubbiamente contiene i reperti più significativi per la storia dell’intero territorio: da un lato nelle località di Sa Leu
e di Sa Pattada affiorano numerosi i
resti di età romana che integrano
quelli di Solle, dall’altro, in località Luvonneri, si trova il pozzo sacro collegato a un grande recinto nuragico costituito da grandi massi granitici e
completato da uno spettacolare sedile
circolare; accanto al recinto sono i resti di altri edifici che fanno pensare a
un grande centro religioso al quale affluivano gli abitanti degli altri villaggi
della regione e si trattenevano, un po’
come avviene oggi con la novena, in
concomitanza con le celebrazioni, che
in quel caso dovevano essere legate soprattutto al culto dell’acqua.
Bitti – Il grande portale del santuario
campestre del Miracolo, che sorge sulla sede
abbandonata dell’antico borgo di Gorofai.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il tessuto urbanistico è ampio e
arioso, e ha in alcuni tratti le caratteristiche proprie di un centro urbano. Il
complesso delle strade è disposto ad
anfiteatro in buona posizione e converge verso il centro dell’abitato dove
è posta la piazza intitolata a Giorgio
Asproni, cuore della vita della comunità. Lungo le strade si affacciano an-
cora molte tipiche case barbaricine a
più piani costruite solidamente in pietra ma anche alcune pretenziose palazzine, in genere ottocentesche, appartenenti alle famiglie dei maggiorenti.
Sulla piazza Asproni si affaccia la
chiesa di San Giorgio, parrocchiale costruita nel secolo XVII e completamente andata in rovina nel corso dei
decenni seguenti. Venne ricostruita
nel 1864 su progetto del Galfré. Tra il
1960 e il 1970 si è reso necessario un
nuovo radicale restauro. Al suo interno
si conservano un’acquasantiera del
1619 e una bella collezione di paramenti sacri del Seicento e del Settecento. La Casa parrocchiale sorge a
breve distanza dalla chiesa e conserva
una discreta raccolta di oggetti sacri:
una collezione di monete e argenterie,
una Croce astile della seconda metà
del XVIII eseguita dall’argentiere sassarese Paolo Alfano (=); due tele dell’Ottocento, una del Marghinotti (=) e
l’altra del Caboni. Nei pressi si trova
infine la fonte pubblica di Su Cantaru
che fu costruita nel 1850 su progetto
dell’architetto nuorese Galfré; ha l’impianto di un tempietto classico. Poco
lontano sorge la chiesa di Santa Croce
costruita nel XVII, allora annessa a un
convento di Cappuccini che fu chiuso
nel 1866. Ha un impianto a una navata
completato dal presbiterio, la copertura è a volta a botte. Al suo interno
conserva un altare ligneo del secolo
XVIII opera di Antonio Romano. Ricchi di interessanti monumenti sono anche i dintorni di B.: in particolare
vanno ricordati il complesso delle cinque chiese nelle vicinanze dell’abitato
dove sorgono vicine l’una all’altra, intitolate rispettivamente a Santo Stefano,
Santa Maria, Babbu Mannu (la più
grande), Santa Lucia e San Giorgio di
Suelli (costruita nel secolo XVIII). A
breve distanza dalla chiesa di Santo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 601
Bitti
Stefano sono stati identificati rilevanti
ruderi medioevali, appartenenti probabilmente al villaggio scomparso di
Dure. Di particolare rilievo è poi il santuario di Nostra Signora del Miracolo:
su un colle che domina l’abitato di Gorofai (=), frazione di B., sorge la chiesa
di San Michele patrono del piccolo villaggio; secondo una tradizione dopo il
1730 nella chiesa sarebbe avvenuto un
miracolo a opera di un simulacro della
Madonna cui si sarebbe rivolta una
donna di Mamoiada per ottenere la
guarigione della propria figlia sordomuta. La memoria del miracolo si diffuse e negli anni successivi iniziarono
ad accorrere pellegrini da tutta l’isola.
Nel 1870 fu cosı̀ costruito, accanto alla
chiesetta, il santuario immortalato
dalla Deledda (=). Nel 1984 inopinatamente il vecchio santuario fu demolito
e sostituito da uno più grande e dalle
forme modernissime. Il santuario della
Beata Vergine Annunziata, ovvero,
come si dice localmente, S’Annossata,
si trova al confine del territorio di B.
con quello di Lodè, a 30 km dall’abitato
(ma i bittesi lo raggiungono anche attraverso delle scorciatoie). Fu edificato nel secolo XVIII al posto di una
chiesetta medioevale; attorno all’edificio sono le cumbessı̀as che ospitano i
pellegrini, cosı̀ numerose che sembra
di essere di fronte a un vero e proprio
villaggio, popolatissimo al tempo delle
ricorrenze, disabitato per il resto dell’anno.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI
Forse la tradizione più autentica di
questo centro è la sua particolare parlata che esprime in modo mirabile la
continuità storica di B.: è considerata
infatti la forma di sardo più vicina al
latino nella sua struttura grammaticale e sintattica. Essa ci tramanda l’immagine di un mondo quasi completamente scomparso, dominato dalle tra-
dizioni di una comunità di pastori. Di
questo passato prevalentemente pastorale è traccia nei ricordi delle
grandi lotte (disamistades) che erano
causate quasi sempre da contrasti per
il controllo dei pascoli o per la regolamentazione del rapporto con i contadini; le disamistades spesso trasmettevano per generazioni odi terribili e memoria di torti da cancellare col sangue;
di esse rimangono i ricordi dolorosi di
molte famiglie ma anche quelli delle
grandi e solenni pacificazioni giurate
dai capifamiglia e dei tentativi di composizione mediante matrimoni combinati: tentativi di trovare una via d’uscita la cui efficacia aveva a volte brevissima durata. Di questo mondo non
rimane quasi più nulla, se non in alcune feste popolari. Tra queste la festa
della Beata Vergine Annunziata, che
ha origini medioevali. Viene introdotta
da un novenario e ha avvio con una solenne processione con la quale i fedeli
raggiungono il santuario a cavallo o sui
carri. Durante tutto il periodo dei festeggiamenti per lunga tradizione si
sospendono le rivalità e i contrasti,
salvo riprenderli subito dopo il suo termine. Uguale clima si crea durante la
festa di Nostra Signora del Miracolo,
che si celebra il 30 settembre e rimane
uno dei momenti di più intensa comunione umana e forte spiritualità delle
Barbagie. Di singolare bellezza è anche il costume. Quello femminile è costituito dalla camicia di tela bianca
plissettata e dalla gonna (su uresi) di
orbace nero, anch’essa plissettata e rifinita da una balza di panno rosso. Sopra la camicia si indossa la giacca (su
corittu) di panno rosso, corta alla vita,
con maniche aperte da cui spuntano
quelle della camicia; l’abbigliamento
femminile è completato da uno scialle
di seta a sfondo viola e nero con fiori
stampati che si porta sul capo, nonché
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 602
Blasco Ferrer
dai gioielli tipici di filigrana d’oro.
L’abbigliamento maschile comprende
la camicia di tela bianca con la pettina
ricamata, i pantaloni (sos caltzones) di
tela bianca; sopra la camicia si indossano il gilet (su solopatu) di velluto blu
con bordo amaranto nella parte anteriore e di panno rosso nella parte posteriore, la giacca (su cappotto) di orbace nero con cappuccio; sopra i pantaloni si indossano il gonnellino (sa
fracca) di orbace nero bordato con
panno color vinaccia arricchito da
una cinta (sa chintollia) e le ghette dello
stesso tessuto; in capo si porta sa berritta di panno nero.
Blackwood & Partners Piccola casa
editrice fondata a Cagliari nel 1999, si
va segnalando per la pubblicazione di
accurate guide e di intelligenti libri di
carattere didattico.
Blancafort Famiglia cagliaritana (secc.
XVI-XVII). Di condizione borghese, i
suoi membri erano principalmente dediti al commercio e nel corso del secolo
XVI alcuni di essi furono eletti consiglieri della città. In particolare vanno
ricordati Giacomo, eletto nel 1549, e
Onofrio, eletto nel 1555. Egli fu personaggio di spicco, si legò alla consorteria degli Aymerich con i quali si imparentò; nel 1574 suo figlio Paolo ottenne
il cavalierato ereditario e la nobiltà. La
sua discendenza si estinse entro la
prima metà del secolo XVII.
Blanch Famiglia sassarese (sec. XV). Di
probabile origine catalana, le sue notizie risalgono agli inizi del secolo XV.
Faceva parte dell’oligarchia mercantile che dominava la città e nel 1444 ottenne il riconoscimento della generosità con un Ambrogio. I B. presumibilmente si estinsero nel corso del secolo.
Blanchard, Louis Archivista francese
(m. seconda metà sec. XIX). Sul finire
dell’Ottocento promosse lo studio dei
documenti riguardanti i traffici mer-
cantili di Marsiglia nel Medioevo, avviando cosı̀ l’approfondimento dei rapporti con la Sardegna, in particolare
negli scritti: Charte sarde de l’abbaye
de St. Victor de Marseille écrite en caractères grecs, ‘‘Bibliotèque de l’École de
Chartes’’, XXXV, 1874, e Documents
inédits sur le commerce de Marseille au
Moyen age, 1884-89.
Blasco, Luigi Funzionario spagnolo
(m. prima metà sec. XVII). Rappresentante del governo centrale presso il viceré Gerolamo Pimentel marchese di
Bayona, fedele interprete delle necessità finanziarie del re, nel maggio del
1626 indusse il viceré a celebrare un
Parlamento straordinario nel quale fu
stabilito il pagamento di un donativo di
80 000 scudi per cinque anni per far
fronte alle crescenti spese militari,
come aveva sostenuto nella sua Proposicion a los tres Estamentos del reyno de
Sardeña, 1626.
Blasco Ferrer, Eduardo Linguista (n.
Barcellona 1956). Compiuti gli studi
universitari, è giunto una prima volta
in Sardegna nel 1981 come lettore di
catalano presso l’Università di Cagliari. Tra il 1987 e il 1990 ha insegnato
Glottologia presso l’Università di Firenze, da dove si è trasferito nuovamente in Sardegna. Dopo una breve parentesi di insegnamento a Bonn, nel
1992 è divenuto professore associato
di Linguistica italiana; attualmente è
professore ordinario presso l’Università di Cagliari e partecipa attivamente
al dibattito sulla lingua sarda. Ha al
suo attivo numerosi scritti sulla Sardegna, fra cui alcuni volumi dedicati
espressamente a facilitare l’insegnamento e l’apprendimento della lingua
sarda: Grammatica storica del Catalano
e dei suoi dialetti con speciale riguardo
all’Algherese, 1984; Storia linguistica
della Sardegna, 1984; Sull’italianità linguistica del Gallurese e del Sassarese,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 603
Bloch
‘‘Revue romaine de Linguistique’’,
XXIX, 1984; Il catalano di Alghero nei
secoli XV-XVI, ‘‘Medioevo Romanzo’’, 9,
1984; La lingua sarda contemporanea.
Grammatica del Logudorese e del Campidanese. Sintesi storica, 1986; Le parlate dell’alta Ogliastra. Analisi dialettologica. Saggio di storia linguistica e culturale, 1988; El català medieval i hodiern de Sardenya: història linguistica i
cultural, tipologia aspectes sociolinguistics in Segon Congrés de la Llengua catalana, 1989; Il latino e la romanizzazione della Sardegna. Vecchie e nuove
ipotesi, ‘‘Archivio glottologico italiano’’, LXXIV, 1989; Pro Domo. La cultura e la lingua sarda verso l’Europa
(con un cd), 1998; Curricula formativi
europei per insegnanti e alunni di lingua sarda. Proposte operative in Radici
e ali, 2002; Linguistica sarda. Storia metodi problemi, 2002; Sardisch, Sprachkulturen in Europa, 2002.
Bloch, Marc Storico (Lione 1886-Les
Roussilles, Francia, 1944). Dopo aver
combattuto nella prima guerra mondiale, nel 1919 divenne professore di
Storia medioevale nell’Università di
Strasburgo, dove acquistò una fama
crescente per la natura dei suoi studi
e per i metodi di ricerca da lui seguiti.
Risultato del suo impegno fu la pubblicazione della rivista ‘‘Annales
d’Histoire économique et social’’ che
fondò con la collaborazione di Lucien
Febvre nel 1929. Insegnò a Strasburgo
fino al 1936, anno in cui fu nominato
professore di Storia economica alla
Sorbona. Prese parte anche alla seconda guerra mondiale; per le sue
idee fu destituito dal governo Pétain
nel 1942 ed entrò nella Resistenza.
Catturato dai tedeschi, fu torturato e
fucilato a Les Roussilles, nella campagna di Lione, nel 1944. Nei suoi
scritti ha avuto modo di toccare anche
temi sardi; per l’importanza del per-
sonaggio e l’acutezza dei giudizi sono
esemplari le recensioni dedicate a
due libri sulla Sardegna: Une expérience historique: la Sardaigne mediéval, ‘‘Annales d’Histoire économique
et social’’, X, 1938, sull’opera di Raimondo Carta Raspi su due condaghes
e Un cas d’histoire agraire: la Sardaigne, in ‘‘Mélanges d’Histoire social’’,
1943 (firmato con il suo pseudonimo
del tempo di guerra) su Pâtres et paysans de la Sardaigne di Maurice Le
Lannou.
Blonay, Luigi Viceré di Sardegna dal
1741 al 1745 (sec. XVII). Percorse una
brillante carriera nell’esercito regio
fino a giungere, nel 1733, al grado di
maresciallo di campo. Fu nominato
viceré di Sardegna nel 1741 e portò a
termine il suo mandato nel 1745.
Uomo di grande esperienza, governò
l’isola nei difficili anni della Guerra
di successione polacca, nei quali la
Sardegna visse nella paura di un
nuovo attacco spagnolo. Favorı̀ la costituzione di un reggimento sardo, dal
quale nacquero successivamente i
Granatieri di Sardegna, e si adoperò
per reclutare corpi di miliziani per
reprimere il banditismo. Nello stesso
periodo procedette con fermezza al
sequestro dei feudi appartenenti ai
feudatari residenti in Spagna. Terminato il suo mandato, fu promosso generale di cavalleria e gli fu conferito
il Collare dell’Annunziata.
Boaczi Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato
d’Arborea, compreso nella curatoria
del Campidano Maggiore. Sorgeva
poco distante da Donigala Fenughedu.
Nel corso del secolo XIV, probabilmente in conseguenza della peste del
1376, fu abbandonato dalla popolazione e scomparve.
Boardman, John Archeologo inglese
(n. sec. XX). Nel 1986, unitamente a
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 604
Boddeu
Bayne Cope e Bimson, ha classificato
gli scarabei e i sigilli greci e punici
(molti dei quali provenienti dalla Sardegna, e segnatamente da Tharros) in
possesso del British Museum per il catalogo di Barnett-Mendleson: Scarabs
and Seals: Greek, Punic and related Types, in A catalogue of material from
Phoenician and other tombs at Tharros
in the British Museum, 1987.
Bobbio, Norberto Filosofo del diritto
(Torino 1909-ivi 2004). Maestro di numerosi allievi isolani, primo fra tutti
Virgilio Mura (=), ha ricevuto nel 1995
la laurea Honoris causa dalla Facoltà
di Scienze politiche dell’Università di
Sassari. In quell’occasione ha pronunciato la sua ‘‘lezione magistrale’’ con il
titolo De Senectute, pubblicata in volumetto da Einaudi nel 1996.
Bobbio, Tommaso Religioso (Genova,
seconda metà sec. XIV-?, prima del
1428). Vescovo di Ampurias dal 1413 al
1428 ca. Entrato nell’ordine dei Minori
fu ordinato sacerdote e si fece notare
per le sue qualità. Si avvicinò all’antipapa Giovanni XXII che nel 1413 lo nominò vescovo di Ampurias. Preso possesso della sua diocesi, la governò nei
difficili anni della permanenza in Sardegna del visconte di Narbona. Morı̀
prima del 1428.
‘‘Bocche di Bonifacio, Le’’ Giornale
gallurese, diretto da S. Baffico, che fu
pubblicato per alcuni numeri a Santa
Teresa Gallura nel 1888.
Bocchi, Francesca Medievista (n.
Ferrara 1940). Dopo la laurea ha percorso una brillante carriera universitaria. Attualmente è professore ordinario di Storia medioevale presso la
Facoltà di Scienze della Formazione
dell’Università di Bologna. Ha dedicato alla Sardegna un saggio su Regolamenti urbanistici, spazi pubblici, disposizioni antinquinamento e per l’igiene delle maggiori città della Sarde-
gna medioevale, in Atti del XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, II, 1995.
Bocci Famiglia pisana (secc. XII-XIII).
Le sue notizie risalgono al secolo XII;
apparteneva alla consorteria dei Gualandi, che nel corso del secolo XIII si
era stanziata nel giudicato d’Arborea.
Alcuni suoi membri appaiono legati
alla dinastia giudicale e in possesso di
un discreto patrimonio.
Boccione maggiore Pianta erbacea
perenne della famiglia delle Composite (Urospermum dalechampii (L.)
Schmidt). Foglie basali, a rosetta, tomentose (cioè ricoperte di peluria) e
seghettate, foglie superiori lanceolate;
il fiore è un fitto capolino giallo, il
frutto è un soffione dai tipici semi alati,
chiamati dai bambini ‘‘angioletti’’. Fiorisce tra aprile e agosto nei campi e
nelle zone aride, spesso infestandole.
Nomi sardi: cicoria burda (campidanese); pabanzolu de coloru (logudorese); peu de cuccu (nuorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA]
Bocheteatro Compagnia teatrale. Fondata a Nuoro nel 1988 e impostasi all’attenzione per la sua attività, rivolta
a recuperare la tradizione sarda fondendola con le più importanti esperienze della drammaturgia contemporanea. Nel 2002 ha aperto a Nuoro un
nuovo spazio per il teatro. Tra le sue
più importanti realizzazioni Sinnos,
tratto dal romanzo in sardo-bittese di
Michelangelo Pira.
Boddeu Termine geografico-giuridico. Era il luogo dove si riunivano
gli abitanti di un territorio per risiedervi stabilmente (dal sardo campidanese boddiri, ‘‘raccogliere’’). I boddeus, che erano centri tipici del Sulcis, cominciarono a formarsi come
evoluzione dei medaus e dei furriadroxius nel corso del secolo XVII,
quando nelle vaste plaghe deserte
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bodemann
delle antiche curatorie del Sols e del
Sigerro andarono stanziandosi nuclei
di pastori provenienti dalla Barbagia
o gruppi di persone che preferivano
per altre ragioni lo sconfinato isolamento alla vita in centri più grossi.
Col tempo il boddeu divenne un centro
stabile e nel corso del secolo XVIII in
molti casi si trasformò in villaggio
(bidda). Il termine continuò, però, a
essere usato fino a qualche decennio
fa nel linguaggio comune dell’Iglesiente in riferimento al significato di
‘‘villaggio’’.
Bodemann, Yark Michael Sociologo
(n. sec. XX). Dopo essere stato professore presso l’Università di Berlino ha
avuto altre esperienze di insegnamento
in diverse Università; attualmente lavora nell’Università di Toronto. Visitò
la Sardegna per la prima volta nel 1964;
nel 1970 iniziò le sue ricerche sulla
struttura della società in Ogliastra e nel
1973 le estese alla Barbagia. Nell’intento di aprire un dibattito sulla Sardegna nel 1980 cercò di raccogliere gli studiosi stranieri che si fossero occupati
dell’isola, pubblicando per qualche
tempo una ‘‘newsletter’’ che doveva servire da strumento di aggiornamento e di
collegamento delle ricerche. Nel 1982
ne organizzò un incontro a Sassari su
iniziativa dei ‘‘Quaderni sardi di Storia’’. Tra i suoi numerosi scritti riguardanti la Sardegna: Continuity and
Change in the sardic Local Elite-Kinship
and Community Power in Barbaricine
Communities, 1978; Familismo y patronazgo como sistemas de poder local en
Cerdeña, ‘‘Papers Revista de Sociologia’’, 11, 1979; The micro-organisation of
backwardness in Central Sardinia: a
reappraisal of Luxembourg’s three phases
of Underdevelopment, ‘‘Journal of Peasant Studies’’, VII, 4, 1980; Class Rule as
Patronage: Kinship, Local Ruling, and
State in Rural Sardinia (con A. Allahar),
‘‘Journal of Peasant Studies’’, IX, 2,
1982; Gli etnografi stranieri e gli intellettuali locali in Sardegna: una storia personale, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XVI, 1990.
Bodmelqart Nome proprio teoforo (in
fenicio Bdmlqrt, ‘‘per mano di Melqart’’)
ampiamente attestato nell’onomastica
punica e in particolare a Cartagine,
dove si ha notizia di alcuni personaggi
che hanno rivestito la carica di sufeta o
ricoperto i massimi gradi della carriera
militare. Il nome, che nella trascrizione
latina corrisponde a Bomilcar, è documentato con una certa consistenza anche in Sardegna: nell’iscrizione menzionante Bashamem e nella nota iscrizione proveniente dal tempio di Antas
dedicata ‘‘al Signore Sid, padre potente’’. Inoltre, un’iscrizione del secolo
III a.C. rinvenuta a Cagliari nel 1912 annovera due personaggi di nome B., di
cui uno fu padre del sufeta Eshmunyaton. Una ulteriore attestazione si trova
in un’epigrafe proveniente da Sulci, redatta in caratteri neo-punici e databile
tra il secolo I a.C. e il I. secolo d.C. [MICHELE GUIRGUIS]
Boe – Boes nel Carnevale di Ottana.
Boe Maschera barbaricina. Personaggio
tipico del Carnevale di Ottana, ha fat-
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Boero
tezze bovine, cui fanno allusione una veste di pelli di pecora e una maschera,
che rappresenta un demone selvatico e
pericoloso, simile ai mamuthones e ai
thurpos e ad altre creature fantastiche
che popolano i carnevali dei villaggi
delle zone interne. Nella sua esibizione
carnevalesca è in coppia con il merdùle,
dal quale viene inseguito, frustato e catturato, dando vita all’imitazione di furiose risse.
Boele Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato di
Arborea, compreso nella curatoria del
Guilcier. Sorgeva non lontano da Tadasuni. La sua popolazione diminuı̀ a
causa della peste del 1376; nel 1378 fu
incluso nei territori giudicali che il re
d’Aragona, provocatoriamente, concesse in feudo al traditore Valore de Ligia; in effetti, però, il villaggio continuò
a rimanere nelle mani del giudice.
Dopo la caduta del giudicato d’Arborea
entò a far parte del Regnum Sardiniae,
ma la sua popolazione tenne un atteggiamento ostile nei confronti dei vincitori e si ribellò apertamente quando nel
1415 i De Ligia tentarono di far valere i
propri diritti. Dopo alcuni anni, nel
1420, passò a Leonardo Cubello, ma ormai la sua popolazione era molto diminuita; fu abbandonato definitivamente
nella prima metà del secolo.
Boe Muliache Creatura leggendaria
della tradizione popolare. Se ne parla
in maniera ricorrente nelle antiche
leggende della Barbagia, secondo le
quali un uomo, per sortilegio o per maledizione, può essere trasformato in un
bue bianco che vaga nelle notti di Luna
piena per le strade di un paese. Questa
creatura muggisce in modo impressionante, fermandosi di fronte a qualche
casa e viene udita da tutti gli abitanti
del paese; secondo la leggenda il padrone della casa di fronte alla quale il
b.m. si è fermato è sentenziadu, cioè
condannato irrevocabilmente a perdere la vita entro l’anno.
Boeri, Giovanni Battista Avvocato,
uomo politico (Taggia 1883-Roma
1957). Deputato al Parlamento, senatore della Repubblica. Dopo la laurea
esercitò la professione di avvocato e si
impegnò in politica. Di idee liberali, fu
eletto deputato nella XXVII legislatura, ma fu dichiarato decaduto nel
1926. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione e fu costretto a riparare in
Svizzera nel 1943. Tornò in Italia nel
1944, fece parte della Consulta nazionale e nel 1948 fu eletto senatore. Si
occupò de Lo statuto sardo in un articolo de ‘‘Il Corriere della Sera’’, 20 agosto 1947.
Boero, Achille Agente di commercio,
consigliere regionale (n. Cagliari
1946). Dopo aver militato nel MSI ha
aderito ad Alleanza Nazionale. Nel
1994 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di
Cagliari per l’XI legislatura, ma in seguito non è stato più riconfermato.
Boero, Gino Musicista (Cagliari 1881Monza 1967). Diplomatosi in composizione e direzione d’orchestra nella sua
città natale, iniziò la sua carriera in
continente come direttore e maestro
concertatore di opere liriche. Nel 1922
tornò a Cagliari e fu insegnante di musica alle Magistrali; nel 1924 fu nominato maestro dei cori della corale
‘‘Verdi’’ di Cagliari. Andato in pensione nel 1952, lasciò nuovamente Cagliari e morı̀ a Monza.
Boero, Giuseppe (detto Pippo) Scultore
(Cagliari 1876-ivi 1934). Per completare
i suoi studi si trasferı̀ a Roma, dove
presso l’Accademia di Belle Arti frequentò il corso di scultura. Esordı̀ nel
1901 scolpendo un monumento a Giuseppe Verdi, in seguito si impegnò realizzando alcuni monumenti destinati
ai maggiori cimiteri della Sardegna e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bofarull y Mascarò
nel 1905 scolpı̀ un busto di Giovanni
Bovio. Negli anni seguenti prese parte
a mostre e concorsi, ottenendo numerosi riconoscimenti e notevole considerazione. Era anche buon caricaturista: di lui è nota una serie di caricature
di concittadini apparsa sul periodico
‘‘La Domenica Cagliaritana’’.
Bofarull y Mascarò, Prospero Storico
(Reus 1777-Barcellona 1859). Conseguita la laurea in Legge, esercitò l’avvocatura a Madrid fino al 1808. Conclusosi il tormentato periodo napoleonico, nel 1814 fu nominato direttore
dell’Archivio della Corona d’Aragona
a Barcellona, città nella quale si stabilı̀. Vi lavorò fino al 1849 con grande
impegno; può essere considerato il
fondatore della scuola storica catalana
e fu tra i primi a intuire l’importanza
che lo studio della storia della Sardegna aveva per integrare la conoscenza
di quella catalana. Tra i suoi scritti: Repartimiento de Cerdeña, in Repartimientos de los reinos de Mallorca, Valencia y Cerdeña, 1856.
Boffa, Domenica Editrice cagliaritana
(sec. XIX). Vedova Borelli, stampò a
proprie spese nel 1879, presso la tipografia dell’‘‘Avvenire di Sardegna’’, un
testo di 126 pagine in 16º di Giovanni
Battista Bovio, Vita del glorioso martire
Sant’Efisio protettore della città e provincia di Cagliari, corredato di note storiche.
Boggio, Francesco Studioso di geografia economica (n. Cagliari 1940).
Dopo la laurea si è dedicato all’insegnamento universitario. Attualmente
insegna Geografia economica nella Facoltà di Economia dell’Università di
Cagliari. È autore di numerosi saggi,
attraverso i quali ha seguito e analizzato con rigore gli episodi dello sviluppo economico della Sardegna nella
seconda metà del Novecento. Tra i suoi
scritti: Considerazioni sulle funzioni del
sistema portuale di Cagliari, ‘‘Notiziario di Geografia economica’’, 1971; I
traffici marittimi nel Mediterraneo. Il
ruolo della Sardegna, in Atti del XXV
Convegno nazionale dell’Associazione
italiana Insegnanti di Geografia, 1980;
Le aree di industrializzazione recente:
la Sardegna, 1982; I porti, un riscontro
alla storia recente e alla situazione attuale, in Sardegna. L’uomo e le coste (a
cura di Angela Terrosu Asole), 1983; La
memoria dell’impresa. Fonti archivistiche e indagini storiche per l’industria in
provincia di Cagliari (con Giulio Sapelli
e Maria Luisa Di Felice), 1995.
Bogino, Giambattista Lorenzo Ministro sabaudo (Torino 1701-ivi 1784).
Dopo la laurea, entrò giovanissimo nell’amministrazione reale e percorse
una brillante carriera favorito da Vittorio Amedeo II che ne stimava le non
comuni capacità. Anche Carlo Emanuele III, suo coetaneo, lo tenne in
grande considerazione: nel 1733 lo
creò conte e lo nominò auditore generale per l’esercito; nel 1735 divenne
primo referendario e fu mandato in
missione a Berlino; nel 1750 fu nominato ministro di Stato e dal 1759 incaricato di curare gli affari di Sardegna
dallo stesso Carlo Emanuele III.
Espletò il suo mandato fino al 1773, introducendo nell’isola una importante
serie di riforme in tutti i campi. I settori nei quali le sue riforme furono
maggiormente incisive riguardano la
pubblica istruzione (e in particolare la
‘‘restaurazione’’ delle due Università,
che potenziò nelle strutture e con l’invio di molti valorosi professori, da lui
personalmente selezionati attraverso
una fitta corrispondenza con i più accreditati centri scientifici italiani ed
europei) e l’agricoltura (in cui in parte
potenziò, in parte praticamente introdusse i Monti frumentari nell’intento
di razionalizzare il problema dell’am-
600
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 608
Boi
masso del grano e della costituzione di
adeguate riserve che consentissero di
far fronte alle carestie e alle necessità
più impellenti dei contadini, prestando loro il grano per la semina a interesse bassissimo).
esso). Uscı̀ recando in testata il sottotitolo‘‘Cronache e prospettive della Rinascita’’. Diretta da Ignazio De Magistris,
condusse una puntuale analisi di tutti i
problemi connessi alla politica di Rinascita e alla realizzazione del Piano.
Cessò le sue pubblicazioni nel 1962, in
concomitanza con l’avvio del Piano.
Bogliolo, Enrico Storico (n. Isili 1938).
Giambattista Lorenzo Bogino – Incaricato da
Carlo Emanuele III di curare gli affari di
Sardegna, promosse fino al 1773
un’importante serie di riforme.
Ma la riforma più importante riguardò
la costituzione in tutti i centri abitati
dei Consigli comunitativi elettivi; questa riforma, introdotta nel 1771, inferse
un duro colpo al potere dei feudatari e
avviò nelle varie comunità una rinnovata coscienza politica. Morto Carlo
Emanuele III, nel 1773 fu bruscamente
collocato a riposo da Vittorio Amedeo
III, col quale aveva avuto difficili rapporti quando questi era ancora principe, e si ritirò a vita privata.
‘‘Bogino, Il’’ Rivista culturale. Fu fondata a Cagliari, nel 1960, da Antonio
Cossu e da un gruppo di altri intellettuali che operavano nel Centro regionale di programmazione (o intorno ad
Laureato in Scienze politiche a Cagliari nel 1973, si è dedicato all’insegnamento universitario. Svolge la sua
attività presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari. Tra i
suoi scritti principali Il ripristino della
Tanca Regia nelle note autografe di Vincenzo Bacallar y Sanna, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXIV, II, 1984; Tradizione
e innovazione nel pensiero politico di
Vincenzo Bacallar, 1989; Per una revisione critica della storiografia sarda
della prima metà dell’Ottocento: osservazioni e proposte, in Intellettuali e società in Sardegna tra restaurazione e l’unità d’Italia. Atti del convegno di studi,
Oristano, II, 1991; Storiografia e politica, in La società sarda in Età spagnola
(a cura di Francesco Manconi), I, 1992.
Bogliolo, Fortunato Storico dell’arte e
pittore (Cagliari 1861-Roma 1941).
Completò i suoi studi all’Accademia di
Belle Arti di Roma. Nella capitale
esordı̀ come pittore e con gli anni si
fece apprezzare negli ambienti artistici; prese parte alle più importanti
mostre e affrescò alcune chiese della
città tra le quali la chiesa della Mercede. Rimase tuttavia legato a Cagliari,
dove spesso tornò per brevi periodi.
Lasciò alcuni quadri all’Università e
nel Palazzo municipale.
Boi Cognome di alcune famiglie provenienti da diversi centri della Sardegna,
alle quali furono concesse nobiltà e cavalierato ereditario. In particolare: B.
di Siurgus Donigala, nel 1637 furono
concessi il cavalierato ereditario e la
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 609
Boi
nobiltà a un Agostino che comandava la
cavalleria miliziana della curatoria di
Siurgus in occasione del tentativo francese di invasione a Oristano; nel 1704 il
cavalierato ereditario e la nobiltà furono concessi a un Basilio di cui non si
conosce l’origine; nel 1824 il cavalierato
e la nobiltà furono concessi a titolo personale al dottor Francesco, protomedico della Sardegna, originario di Olzai;
nel 1829 i benefici furono estesi a tutta
la sua famiglia, che nel corso del secolo
si stabilı̀ definitivamente a Cagliari; nel
1841 il cavalierato e la nobiltà furono
concessi a un Giovanni, notaio e tesoriere di Cagliari.
Boi, Antonio Storico (Sassari, seconda
metà sec. XIX-ivi 1958). Non avendo
avuto la possibilità di completare i suoi
studi per motivi economici, divenne ufficiale giudiziario e, da autodidatta, si
dedicò con passione al giornalismo. Per
ragioni di lavoro fu incaricato dello
sgombero delle carte della Regia Deputazione di Sassari e durante le operazioni, con felice intuito, salvò dal macero gli incartamenti dei processi del
giudice Valentino contro i seguaci di
Giommaria Angioy. Subito dopo si dedicò allo studio della personalità dell’Angioy, dalla quale rimase affascinato
per tutta la vita. Nel 1925 pubblicò un
suo studio nel quale, rompendo con la
tradizione storiografica, presentò l’Alternos come repubblicano, entrando in
polemica con lo storico Sebastiano Pola,
sacerdote, collaboratore del settimanale della diocesi di Sassari, ‘‘Libertà’’.
Spinto da un crescente interesse e per
sostenere meglio la polemica col Pola
avviò diligenti ricerche d’archivio anche in Francia per approfondire le sue
conoscenze sull’Angioy, riportando dagli archivi di Parigi una interessante
messe di documenti inediti: non è esagerato sostenere che, pure nella modestia degli strumenti storiografici, la sua
lettura dell’avventura angioyana resta
ancora interessante, e la sua stessa
scelta di esplorare gli archivi francesi
mostrò una direzione molto fertile ai ricercatori posteriori. Tra i suoi scritti: La
pace a Bitti, ‘‘L’Unione sarda’’, 1913; I
quattrocento sardi della battaglia di Lepanto, ‘‘L’Unione sarda’’, 1913; Il ribelle
alternos, ‘‘Rivista sarda’’, I, 1919; Angioy,
‘‘Rivista sarda’’, II, 1920; Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, 1925;
Pasquale Paoli e l’invasione francese in
Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1925;
Francia e Inghilterra alla conquista della
Sardegna, ‘‘Studi sardi’’, V, 1941; Perché
fu ucciso il marchese di Laconi, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1941; Le ragioni dell’assassinio dell’intendente Pitzolo e del generale Planargia, ‘‘L’Isola’’, 1942; I moti del
1821 in Sardegna, ‘‘L’Isola’’, 1942; Un episodio della vita di Vincenzo Sulis,
‘‘L’Isola’’, 1943; Il canonico Salvatore
Frassu, ‘‘L’Isola’’, 1946; I fratelli Obino,
‘‘L’Isola’’, 1943; I fratelli Muroni,
‘‘L’Isola’’, 1943; Macomer sbarrò la strada
all’alternos, ‘‘Riscossa sarda’’, 1945; Figure della rivoluzione angioiana: Francesco Sanna Corda, ‘‘L’Isola’’, 1946; Figure della rivoluzione angioiana: Francesco Cilloco, ‘‘L’Isola’’, 1946; Il sacco di
Bono, ‘‘Riscossa’’, 1946; Agli albori del
giornalismo in Sardegna, ‘‘Studi sardi’’,
VIII, 1948; Pagine di storia sarda. Santulussurgiu e la sua gente nella rivoluzione
angioiana, ‘‘Il Corriere dell’Isola’’, 1949;
La Sardegna alla vigilia della Rivoluzione francese, ‘‘Rinascita sarda’’, 1949;
La spedizione francese contro la Sardegna. 1792, ‘‘Il Corriere dell’isola’’, 1951;
I tre mesi del governo di Giovanni Maria
Angioy a Sassari, in ‘‘Il Corriere dell’isola’’, 1951; Figure della rivoluzione angioiana: il cappellano di madama Bonaparte, ‘‘Studi sardi’’, X-XI, 1952; La tragedia angioiana: luce su un processo dell’anno 1797, ‘‘La Nuova Sardegna’’,
1956; Nobili e eroiche figure di sacerdoti
602
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 610
Boixadors
tra i bagliori della rivoluzione angioiana,
‘‘La Nuova Sardegna’’, 1957; Un ritratto
di G.M. Angioy, ‘‘La Nuova Sardegna’’,
1958.
Boi, Francesco Antonio Studioso di
anatomia (Olzai 1767-Cagliari 1855).
Dopo la laurea, conseguita nel 1795, intraprese la carriera universitaria. Nel
1799 fu nominato professore di Anatomia umana presso l’Università di Cagliari; impostosi all’attenzione generale, fu inviato a Pisa per un lungo soggiorno di studio; in seguito si spostò anche a Pavia e per quattro anni studiò a
Firenze. Nella capitale toscana conobbe il Susini che, con la sua consulenza, plasmò la raccolta delle cere anatomiche oggi conservate presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Cagliari. Tornato in Sardegna riprese il
suo insegnamento. Nel 1818 fu nominato protomedico della Sardegna, ufficio che ricoperse fino al 1844. Studioso
rigoroso, lasciò manoscritte molte delle
lezioni che rivolgeva ai suoi alunni.
slatura repubblicana ma nel 1994 non è
stato riconfermato.
Boi, Giulio Ingegnere minerario (n. sec.
XX). Dopo aver conseguito la laurea
presso l’Università di Cagliari, è diventato un apprezzato dirigente minerario. Negli anni Ottanta è stato per alcuni anni presidente dell’Associazione
mineraria sarda di Iglesias. Tra i suoi
scritti: La miniera di Malfidano, in
‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 11-12, 1989.
Boi, Paolo Cantante (n. Cagliari 1952).
Ha esordito nel campo della musica
leggera nel 1970. Dopo alcune esperienze in gruppi musicali ha inciso i
suoi primi brani, tra i quali Lisabel che
gli ha dato notorietà a livello nazionale; in seguito ha soggiornato per alcuni anni in Svizzera e in Germania,
dove è venuto a contatto col mondo degli emigrati. Questa esperienza gli ha
ispirato alcune composizioni e lo ha
fatto definitivamente passare a una
produzione di brani in musica sarda.
Boi, Gavino Felice Teologo vissuto a
Boi, Raimondo (detto Dino) Funziona-
Cagliari (sec. XVII). Divenuto monaco
conventuale, dal 1670 al 1673 fu padre
provinciale del suo ordine; in seguito
ebbe l’ufficio di Definitore perpetuo e
di Qualificatore del Santo Ufficio.
Uomo di grande cultura e di studi profondi, fu chiamato a insegnare Teologia morale nell’Università di Cagliari.
rio, consigliere regionale (n. Ploaghe
1923). Impegnato fin da giovane nella
DC, dopo aver conseguito la laurea ha
intrapreso la carriera amministrativa e
dal 1953 è divenuto funzionario regionale, raggiungendo i vertici della gerarchia. Nel 1979 è stato eletto consigliere
regionale per il suo partito nel collegio
di Cagliari per la VII legislatura, ma nel
1984 non è stato riconfermato.
Boi, Giovanni Insegnante, deputato al
Parlamento (n. Busachi 1935). Insegnante elementare, cattolico impegnato nelle ACLI di cui è stato presidente regionale, si è mostrato particolarmente sensibile ai problemi degli
svantaggiati e dei deboli, in favore dei
quali ha speso gran parte del suo impegno politico e sociale. Militante nella
DC, è stato per anni consigliere comunale di Guspini; nel 1992 è stato eletto
deputato per il suo partito nell’XI legi-
Boixadors Famiglia catalana (sec.
XIV). Le sue notizie risalgono al secolo
XIII, quando viveva un Bernardo I, che
si segnalò all’assedio di Valencia ai
tempi di Giacomo I. Un suo discendente, un altro Bernardo, si trasferı̀ in
Sardegna ed ebbe i feudi di Nora, Chia
e Saliu nell’omonima curatoria. Morı̀
nel 1340: i suoi figli ed eredi si rifiutarono di trasferirsi in Sardegna per
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 611
Boixadors
avere l’investitura e pertanto subirono
la revoca delle concessioni.
Boixadors, Bernardo Gentiluomo catalano (?, fine sec. XIII-Spagna 1340).
Nel 1323 prese parte alla spedizione
dell’infante Alfonso e, durante la battaglia di Lutocisterna, soccorse il principe che era caduto da cavallo. Fu ricompensato con alcune signorie nella
curatoria di Nora e, fermatosi in Sardegna, continuò a essere impegnato in delicate missioni politico-diplomatiche a
Pisa e a Roma. Scoppiato il contrasto tra
Francesco Carroz e Raimondo Peralta,
nel 1326 fu nominato governatore generale del regno; governò fino al 1328
quando tornò in Spagna per un breve
periodo. Rientrato nell’isola nel 1329,
riprese il suo ufficio e nel 1330 domò
con estrema decisione la ribellione di
Sassari, prendendo parte alla campagna di Raimondo Cardona contro i Doria
e contribuendo personalmente all’occupazione di Sorres. Subito dopo tornò in
Spagna, dove fu nominato consigliere
reale, ma per difendere i suoi feudi dovette affrontare una dura controversia
con Mariano de Ammirato, nipote del
giudice d’Arborea. La controversia fu risolta a suo favore nel 1331 grazie all’intervento del re; nel 1339 i suoi nemici lo
accusarono di aver commesso scorrettezze negli anni della sua permanenza
in Sardegna ma riuscı̀ a dimostrare la
propria innocenza. Fu infine nominato
riformatore della Sardegna, ma morı̀
mentre si apprestava a tornare nell’isola.
Bolacchi, Carlo Studioso di storia locale (n. Villacidro, metà sec. XX). Interessato alla ricerca delle radici storiche del suo paese natale, ne ha indagato con particolare cura alcuni
aspetti soprattutto riferiti al Medioevo.
Tra i suoi scritti principali, pubblicati
tutti sul periodico ‘‘Testimoniare’’: I
Bizantini a Villacidro, 1984; Nel territo-
rio villacidrese i Vittorini di Marsiglia,
1984; Villacidro. Il dominio aragonese,
1984; Le terme romane, 1984; Momenti
storici villacidresi, 1999.
Bolacchi, Giulio Sociologo (n. San Giovanni Lupatoto 1926). Dopo la laurea si è
dedicato all’insegnamento universitario, ed è professore di Sociologia generale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Cagliari. Ha studiato con
particolare interesse la dinamica delle
classi sociali e la struttura del potere.
Autore di numerose pubblicazioni, tra
le suoi scritti principali: Metodologia
delle scienze sociali, 1963; Teoria delle
classi sociali, 1963; La struttura del potere, 1964; Problemi concernenti una
campagna di promozione sociale contro
gli incendi (con Gianfranco Sabatini),
1983; Zona di produzione franca: una
proposta per la Sardegna, 1984; Oligopoli
e crescita economica. Il passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo in Sardegna con
particolare riferimento alla provincia di
Nuoro (con Gianfranco Sabatini e Giuseppe Usai), 1985.
Bolasco Famiglia ligure (secc. XIXXX). Trapiantata nel corso del secolo
XIX ad Alghero, dove avviò alcune attività imprenditoriali e raggiunse una
posizione di rilievo. Il personaggio più
rappresentativo fu Antonio. I suoi discendenti continuarono le tradizionali
attività imprenditoriali e da Alghero si
trasferirono a Sassari. Nel 1939 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Ernesto.
Bolasco, Antonio Commerciante, deputato al Parlamento subalpino (Alghero, prima metà sec. XIX-?, 1851). Algherese di origine ligure, uomo equilibrato e stimato, nel 1849 fu eletto deputato al Parlamento subalpino nel collegio di Alghero per la IV legislatura. Di
sentimenti liberali, prese parte ai dibattiti parlamentari ma non portò a termine la legislatura perché morı̀ im-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 612
Bollettino bibliografico e rassegna di studi archivistici della Sardegna
provvisamente nel 1851. Nel 1914 fu
pubblicato in opuscolo un suo discorso
tenuto alla Camera, Il barracellato e le
truppe miliziane in Sardegna, 1914.
Bolasco, Ernesto Mario Diplomatico
(n. Sassari 1919). Dopo la laurea in Giurisprudenza è entrato in diplomazia
nella carriera consolare. Tra il 1948 e
il 1949 è stato segretario particolare
del ministro degli Esteri e in seguito
ha lavorato a Mosca, a Giacarta, a Tunisi e in altre sedi. Dal 1960 ha ricoperto importanti uffici presso la Comunità Economica Europea; successivamente al Ministero degli Esteri dove
ha concluso la carriera.
Bolasco, Vincenzo Diplomatico (n. La
Maddalena 1906). Dopo la laurea entrò
nella carriera consolare; dopo aver
fatto esperienza in alcune sedi, tra il
1951 e il 1955 fu capo di gabinetto dell’autorità responsabile dell’Amministrazione fiduciaria in Somalia, incarico che esercitò con grande equilibrio.
Tornato in Italia, tra il 1958 e il 1961 diresse il segretariato generale del Consiglio dei ministri della CEE. Dopo aver
ricoperto altri incarichi, nel 1966 fu nominato ambasciatore ad Abidjan.
Bolea, Giacinto Arnal Letterato (Cagliari, fine sec. XVI-ivi, prima metà
sec. XVII). Segretario del viceré Pimentel e in seguito del marchese di Villasor, fu uomo di grande cultura, scrittore elegante e di grande efficacia. Nel
1636 pubblicò il romanzo El Forastero
(il titolo completo continua: se alienta
en la proteccion del señor D. Blasco de
Alagon y Cardona, Marques de Villasor),
ambientato a Cagliari; nel 1627 aveva
pubblicato Encomios en octavas, scritto
per una giostra.
Bollax Famiglia cagliaritana (sec. XV).
Di origine catalana, compare in Sardegna agli inizi del secolo XV con Antonio,
che accumulò notevoli ricchezze e nel
1420 ebbe il feudo di Serdiana, allora
completamente spopolato. Suo figlio, il
dottor Antonio, avvocato patrimoniale
dal 1431, nel 1432 annetté anche il territorio di Sibiola al suo feudo, che nel
1442 fu venduto ai Tomich. In seguito i
B. scomparvero dalla Sardegna.
Bollax, Antonio Medico (Cagliari, fine
sec. XIV-ivi, metà sec. XV). Singolare
figura di medico e di avventuriero, vissuto a Cagliari nella prima metà del secolo XV. Accumulò una notevole fortuna curando i corsari che spesso approdavano a Cagliari; investiva i suoi
guadagni nella costruzione di navi con
le quali, a sua volta, prendeva parte
alla guerra di corsa. Profondamente
radicato alla vita della città, nel 1420
acquistò il feudo di Serdiana e nel
1425 fu eletto quarto consigliere della
città. Poco dopo morı̀.
‘‘Bollettino Bibliografico della Sardegna’’ Periodico bimestrale. Fondato a
Iglesias nel 1933 e diretto da Remo
Branca, divenne un importante strumento culturale; cessò le sue pubblicazioni nel dicembre del 1937. Si avvalse
della collaborazione di alcuni tra i
maggiori intellettuali sardi del tempo
tra i quali vanno ricordati Pietro Casu,
Agostino Cerioni, Antonio Costanzo
Deliperi, Beniamino Falchi, Edoardo
Fenu, Bartolomeo Fiori, Gemina Fernando, Giuseppe Marongiu, Carlo Meloni, Mercedes Mundula, Antonio
Saba, Vincenzo Ulargiu, Nicola Valle.
‘‘Bollettino bibliografico e rassegna
di studi archivistici della Sardegna’’ Rivista culturale. Fondata e diretta da Tito Orrù a partire dal 1984.
Nata come continuazione del ‘‘Nuovo
Bollettino bibliografico sardo’’ di Giuseppe della Maria, negli anni è diventata anche l’organo del Comitato di Cagliari dell’Istituto di Storia del Risorgimento. È venuta crescendo d’autorevolezza sotto l’impulso del direttore, al cui
entusiasmo si deve l’arruolamento di
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 613
Bollettino degli interessi sardi
un nutrito gruppo di collaboratori, in
cui collaudati e conosciuti studiosi
della storia sarda affiancano le giovani
leve della ricerca storica e sociale. Tra i
principali collaboratori, Aldo Aledda,
Paolo Amat di San Filippo, Daniela Angioni, Ferruccio Barreca, Piero Ausonio
Bianco, Raffaele Callia, Mario Vittorio
Cannas, Paolo Cau (Cagliari), Paolo Cau
(Sassari), Luigi Cherchi, Alberto Contu,
Maria Giuseppina Cossu Pinna, Lorenzo Del Piano, Marinella Ferrai
Cocco Ortu, Adriana Gallistru, Ester
Gessa, Antonio Lenza, Clara Marongiu,
Maria Giuseppina Meloni, Roberto Milleddu, Gabriella Olla Repetto, Carlo Pillai, Stefano Pira, Roberto Porrà, Giorgio
Puddu, Celestina Sanna, Carlino Sole,
Giuseppina Usai, Marina Valdés, Marina Vincis, Corrado Zedda.
‘‘Bollettino degli interessi sardi’’ Rivista trimestrale. Organo ufficiale
della Camera di Commercio di Sassari,
fu fondata nel 1923 da Gavino Alivia
che la diresse per molti anni. Tra i
principali collaboratori della prima
serie, Gavino Alivia, Alfonso Falzari,
Francesco Giordo, Piero Maurandi,
Giovanni Passino, Stefano Siglienti.
Più volte sospesa e più volte ripresa, la
rivista fu ‘‘rifondata’’ da Lorenzo Idda
quando questi fu presidente della Camera di Commercio. Dal restyling nacque la quinta serie della rivista, che accanto al titolo originario, ridotto a sottotitolo, ne adottò uno più aderente
alle nuove ambizioni del periodico
(non più mero notiziario della Camera
di Commercio, ma rivista di studi economici collegata alla cattedra universitaria del professor Idda), ‘‘Studi di
economia e diritto’’. Cessato dalla carica il professor Idda, anche la rivista
rallentò le sue uscite e – complici forse
più rigide esigenze di bilancio – finı̀
per porre termine alle pubblicazioni.
‘‘Bollettino di vita municipale di Igle-
sias’’ Mensile di informazione dell’amministrazione comunale di Iglesias. Fondato e diretto da Carlo Meloni,
uscı̀ a Iglesias dal gennaio al marzo del
1945, risultando un importante organo
per la ripresa del dibattito democratico nella città mineraria.
Bologna Famiglia sassarese (secc.
XVII-XIX). Le sue notizie risalgono al
secolo XVII, quando a Sassari compare
il cognome legato ad alcuni cittadini di
buona condizione economica, generalmente impegnati nell’esercizio delle
professioni liberali. Uno di essi, il dottor Giovanni Battista, si trasferı̀ a Cagliari dove vivevano due suoi fratelli,
Filippo, rettore del Gerrei, e Giuseppe,
cappellano dell’arcivescovo. Egli in
breve divenne protomedico della Sardegna, e nel 1690 ebbe il cavalierato
ereditario (per i meriti acquisiti durante il parlamento Monteleone) e nel
1691 la nobiltà. Dai suoi figli discesero
alcuni rami della famiglia. Da Carlo,
che nel 1746 divenne regidor del ducato
di Mandas, discese il ramo che con i
suoi figli finı̀ per stabilirsi a Guasila e
a Nurri, e si estinse nel secolo XIX. Da
un fratello di Paolo, invece, discese il
ramo principale che continuò a risiedere a Cagliari, da dove alla fine del
Settecento si trasferı̀ a Napoli per entrare al servizio dei Borbone.
Bologna, Girolamo Ufficiale di marina
(Cagliari 1708-?, 1787). Il suo ingegno
brillante faceva prevedere un sicuro avvenire negli studi, ma il carattere avventuroso lo costrinse in gioventù a emigrare nel Regno di Napoli dove, sotto
falso nome, intraprese la carriera militare in marina. Le sue doti lo imposero
all’attenzione e in pochi anni divenne
un distinto ufficiale. Ripreso il suo vero
nome, durante il regno di Carlo di Borbone fu nominato capitano di vascello.
Nel 1784 gli fu affidato il comando della
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 614
Bolotana
flotta da guerra, nel 1785 trasportò il re
da Livorno a Napoli.
Bologna, Martino Giureconsulto (Sassari, fine sec. XVII-ivi 1775). Dopo essersi laureato, entrò nella carriera giudiziaria e si fece notare per l’acume e
la profondissima preparazione. Al culmine della carriera divenne assessore
della Regia Governazione di Sassari;
collocato in pensione per limiti di età
dal Bogino, in seguito venne nominato
vicario reale di Sassari. Lasciò alcune
opere di storia e di diritto di notevole
interesse. Morı̀ a Sassari molto anziano, nel 1775. Delle sue opere restano
i manoscritti di un Sommario di notizie
patrie, e di un Repertorio legale di materie civili e criminali, oltre a due volumi
editi, Rilevazione della seconda invenzione dei corpi santi, pubblicato a Sassari nel 1739, e Responsi o memoriali,
stampato a Roma nel 1757.
Bologna, Paolo Studioso di storia
sarda (Cagliari, seconda metà sec.
XVIII-Napoli, prima metà sec. XIX). Cagliaritano, nel 1787 ereditò i beni dello
zio, l’ammiraglio Girolamo, morto a Napoli, e con le nuove rendite si stabilı̀
nella città partenopea, dove si dedicò
allo studio della storia della Sardegna.
Nel 1748 scrisse un Breve sunto delle
principali vicende storiche della Sardegna, che inviò al viceré Rivarolo, ma l’opera rimase inedita e attualmente è
conservata nella raccolta Baille presso
la Biblioteca Universitaria di Cagliari.
Bolonianos (o Bolothenis) Antico villaggio del giudicato di Torres, compreso
nella curatoria dell’Anglona. Di probabili origini romane, era situato in prossimità di Ampurias. A partire dal secolo XII venne in possesso dei Doria,
in seguito a uno dei matrimoni che
membri della famiglia contrassero con
principesse della famiglia giudicale di
Torres. Dopo l’estinzione della dinastia dei giudici di Torres, essi inclusero
B. nel piccolo stato feudale che avevano formato e instaurarono un buon
rapporto con gli abitanti del villaggio,
che mantennero i loro privilegi e la
loro autonomia e vissero sostanzialmente un periodo di pace fino alla conquista aragonese. Quando i Doria, nel
1323, si dichiararono vassalli del re
d’Aragona, il villaggio entrò a far parte
del Regnum Sardiniae. Quando nel
1325 i Doria si ribellarono, il villaggio
divenne teatro della guerra; nel 1330 fu
occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348, sicché rapidamente si spopolò e scomparve.
Bolotana Comune della provincia di
Nuoro, compreso nell’VIII Comunità
montana, con 3175 abitanti (al 2004),
posto a 472 m sul livello del mare, affacciato sulla piana di Ottana dal versante
meridionale della catena del Marghine. Regione storica: Marghine. Diocesi di Alghero-Bosa.
& TERRITORIO Il territorio comunale
si estende per 108,52 km2: ha forma allungata da sud-est a nord-ovest e confina a nord con Macomer e Bonorva, a
est con Illorai e Orani, a sud con Ottana
e Noragugume, a ovest con Silanus,
Lei, Bortigali e Macomer. Mentre il
paese è situato in una posizione di
mezza costa, ad anfiteatro, il territorio
si allunga dalla valle del Tirso sino all’altipiano di Campeda; si alternano
cosı̀ zone di pianura, un tempo coltivate a cereali e oggi interessate allo
sviluppo industriale, e altre di pendio
e altipiano, in parte coperte da bosco
naturale, e per la maggior parte utilizzate per il pascolo. Il paese è collegato
alla statale 129 Macomer-Nuoro, che
passa a breve distanza, con una secondaria che prosegue poi verso nord, diramandosi verso il Goceano e attra-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bolotana
verso la Campeda; esiste anche una
stazione di B. lungo la ferrovia a scartamento ridotto Macomer-Nuoro.
Bolotana – Veduta del centro abitato.
& STORIA L’origine dell’attuale centro
è incerta: una leggenda vuole che sia
stato fondato agli inizi del secolo XIV
da un gruppo di cittadini di Ottana che
per sfuggire a una faida si sarebbero rifugiati tra le montagne; i ritrovamenti
archeologici farebbero invece pensare
all’evoluzione di un antico abitato romano. Nel Medioevo B. apparteneva al
giudicato di Torres ed era compreso
nella curatoria del Marghine. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale di
Torres il Marghine fu conteso tra i Doria
e gli Arborea e finı̀ per essere occupato
da truppe arborensi e annesso al giudicato d’Arborea. Nella fase più acuta
delle guerre tra Arborea e Aragona, nel
1378 B. fu incluso nei territori che il re
concesse al traditore Valore de Ligia
che si era schierato con lui ma in effetti
continuò a rimanere in possesso del giudice d’Arborea fino alla battaglia di Sanluri. Subito dopo cadde in mano al visconte di Narbona che lo tenne fino al
1420, anno in cui l’antica curatoria entrò
a far parte del Regnum Sardiniae. Cosı̀
nel 1421 B. fu incluso nel grande feudo
di Oliva concesso a Bernardo Centelles;
i Centelles nel 1439 lo cedettero a Salvatore Cubello come indennizzo per il
mancato pagamento della dote di sua
sorella. Divenuto marchese d’Oristano,
Salvatore nel 1463 incluse B. nel suo
feudo e solo dopo la battaglia di Macomer il villaggio tornò a far parte del
feudo di Oliva. I feudatari risiedevano
in Spagna e fecero pertanto amministrare il vasto feudo da una burocrazia
alle loro dipendenze; in effetti B. dipendeva amministrativamente da un funzionario che risiedeva a Macomer.
Estinti i Centelles nel 1569, il villaggio,
dopo una lunga lite conclusa nel 1591,
passò nelle mani dei Borgia che innovarono profondamente il sistema di amministrazione del feudo; il villaggio era
oramai cresciuto e la sua popolazione
aveva superato le 600 unità. Alla fine
del Cinquecento la comunità fu in grado
di far costruire dal cagliaritano Michele
Puig la parrocchiale di San Pietro e la
chiesa campestre di San Bachisio. Con i
Borgia nel corso del Seicento il potere
del feudatario crebbe; egli arrivò a controllare direttamente l’elezione del majore esautorando completamente la comunità e si appoggiò ai rappresentanti
di alcune famiglie di notabili locali che
gestirono il potere in modo clientelare e
ingiusto. Ciò era stato possibile perché
nel corso del secolo per l’esazione dei
tributi erano state costituite le ‘‘liste
feudali’’ dei contribuenti, calcolate in
base al reddito di ciascuno. La gestione
di queste liste comportava quindi non
solo la determinazione del carico fiscale per ciascuno ma anche l’individuazione delle categorie degli esenti.
In genere essi erano proprio i notabili
che finirono per formare delle élite vassallatiche legate al feudatario. Quando i
Borgia si estinsero, nel 1740, B. cominciava a esprimere un profondo bisogno
di liberarsi dalla dipendenza feudale.
Dopo una lunga serie di vicende ereditarie, nel 1767 il villaggio fu incluso nel
marchesato del Marghine che toccò a
Maria Giuseppa Pimentel, erede dei
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 616
Bolotana
Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron. I
nuovi feudatari fecero introdurre dai
loro amministratori delle greggi di montoni di Berberia per migliorare l’allevamento locale. Ma B., come molti altri dei
villaggi del Marghine, non ebbe un rapporto facile con i nuovi feudatari che
restavano in Spagna e facevano amministrare il feudo da funzionari senza
scrupoli; cosı̀ tra il 1774 e il 1785 rifiutò
apertamente di pagare i tributi e nel
1795 prese parte ai moti antifeudali.
Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Nuoro e nel 1843 chiuse il tempestoso rapporto con i suoi feudatari,
ma nel 1846 il Comune nulla poté nei
confronti di uno speculatore, un tal
Bianchi, che ottenne una parte delle
sue magnifiche foreste e le distrusse
con un irrazionale disboscamento. È di
questo periodo la puntuale testimonianza di Vittorio Angius: «Le case
sono meglio di 760. La strada cognominata del santo Salvatore, dove esisteva
una chiesa di Filippini, è la più bella e
la più frequentata, e spesso lieta ne’
pubblici divertimenti e sollazzi, balli,
cantici, corse, mascherate ecc. Le più
celebri passeggiate sono: una verso ponente dal suindicato santo Salvatore al
ruscello Badu, che con la sua corrente
mette in movimento lungo le stagioni
d’inverno e di primavera tre gualchiere
e quindici molini; l’altra verso levante
dallo stesso punto della chiesa rurale di
San Bacchisio. Entro l’abitato sono alcuni orti ne’ quali si coltivano erbaggi,
e varie piante, e vi si tengono delle arnie. Il clima è temperato nella parte
piana del territorio. Le pioggie cadon
frequenti, la neve persiste per giorni, le
tempeste battono il monte, la nebbia
non è rara su i colli. Le arti necessarie
si esercitano da un numero competente:
sono più numerosi i magnani, ferrari,
legnajuoli, muratori. L’agricoltura però
e la pastorizia sono l’occupazione de’
più. Le donne lavorano alla tessitura di
panni lani e lini in più di 300 telai, e con
quello che sopravanza ai bisogni della
famiglia ottengono qualche lucro. La
scuola normale è frequentata da più di
50 fanciulli. Già dal 1763 vi sono stabilite
le scuole di latinità, e non vi concorrono
meno di 25 giovanetti. Già per dodici
anni si scrive lo stesso numero di abitanti. Nell’anno 1833 con nulla, o ben
poco di più o di meno degli antecedenti
presentavansi nel censimento parrocchiale anime 3200 in 750 famiglie. Sogliono celebrarsi all’anno pressoché 15
matrimoni, nascer 80, morire 45. Pochi
arrivano agli anni 80. La pleurisia, i reumatismi, le febbri periodiche sono le
dominanti malattie. Scarso è il frutto
dei seminati, ed il contadino è lieto se
abbiasi il quintuplo; il che, come è facile
a vedersi, non tanto nasce dalla natura
delle regioni, quanto dalla coltura. Si
raccoglie di lino non più del proprio bisogno, e meno assai di canape. Nella
valle irrigata del Badu si semina granone, fagioli bianchi e molte specie di
erbaggi. Le vigne sono provvedute di
forse tutte le varietà d’uve conosciute
nell’isola. Nel secolo scorso gran lucro
ritraevano questi popolani dal vino, che
in gran quantità vendevano agli uomini
delle terre limitrofe; ma introdotta in
seguito tra quelli la coltivazione delle
viti, intristiva questo ramo di frutto. Le
piante fruttifere possono sommare a
10 000, peri, fichi, peschi, susini di molte
varietà, noci, mandorli, agrumi, ciliegi,
albicocchi, castagni ecc. Si nutrono non
meno di 880 buoi per l’agricoltura, cavalle domite 230, rudi 300, vacche 1500,
capre 2000, porci 3000, giumenti 350, pecore 11 000. Poco vantaggio viene dai
prodotti. Sono rari i cervi; invece diconsi numerosi i daini, cinghiali, lepri,
martore e volpi. Non perseguitati che
ben di rado dai cacciatori, vanno sempre più moltiplicando, e ne sperimen-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bolotana
tano danni le coltivazioni. De’ volatili si
trovan le specie più comuni». Abolite le
province nel 1848, B. fu incluso nella
omonima divisione amministrativa;
purtroppo nello stesso anno subı̀ un altro grave danno a causa di un gigantesco
incendio che arrivò a minacciare l’abitato. Fino al 1859 fu compreso nella divisione amministrativa di Nuoro, poi
entrò a far parte della provincia di Sassari. Alla ricostituzione della provincia
di Nuoro, nel 1927, tornò a farne parte.
La sua popolazione toccava allora i 4000
abitanti, ma nel secondo dopoguerra
anche B. ha subı̀to le conseguenze di un
rapido processo di emigrazione di una
parte della popolazione alla ricerca di
lavoro più sicuro.
& ECONOMIA La sua economia è basata
sull’agricoltura, in particolare l’olivicoltura e la viticoltura, e sull’allevamento: rinomata la produzione del formaggio. Altre fonti di occupazione vengono dalle industrie – un tempo prevalentemente petrolchimiche, oggi di genere vario – della media valle del Tirso.
Vi operano anche alcune attività commerciali, 2 alberghi con 37 posti letto, 2
ristoranti e una organizzazione di turismo equestre. Artigianato. La tradizionale lavorazione dei tappeti viene praticata ancora oggi e si produce anche
una varietà particolarmente apprezzata
di pane carasau. Le attività artigianali,
molte delle quali legate all’edilizia, si
stanno trasferendo nella zona predisposta dal Comune in località Bardosu. Servizi. Il paese è collegato con i centri
maggiori mediante autolinee e usufruisce della ferrovia secondaria MacomerNuoro; dista da Nuoro 38 km e 22 da Macomer. Dispone di guardia medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 3352 unità,
di cui stranieri 8; maschi 1613; femmine
1739; famiglie 1250. La tendenza complessiva rivelava una forte diminuzione
della popolazione, con morti per anno
53 e nati 19; cancellati dall’anagrafe 50;
nuovi iscritti 26. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 761
in migliaia di lire; versamenti ICI 1393;
aziende agricole 688; imprese commerciali 144; esercizi pubblici 24; esercizi al
dettaglio 46. Tra gli indicatori sociali:
occupati 862; disoccupati 125; inoccupati 212; laureati 43; diplomati 409; con
licenza media 994; con licenza elementare 1247; analfabeti 120; automezzi circolanti 1216; abbonamenti TV 1060.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio era popolato fin dall’epoca
preistorica ed è ricco dei dolmen di Funtana Noa, di protonuraghi (Cannas,
Figu, Gazza, Perca ’e Pazza, Santa Caterina), di nuraghi (Aru Marapiga, Bantine Cruo, Baratu, Baradosu, Coa Filigosa, Conca Coddine, Curzu, Ena
Manna, Fazzada de Chervos, Frida, Funtana Edra, Funtana Ona, Funtana su Lidone, Funtanassida, Iscritte, Isfundadu,
Malavrina, Mannu, Monte Zenzera,
Mura Uras, Murones, Muros Rujos,
Nodu de Sales, Onnighedda, Ortachis,
Ovredda, Pabatile, Pabbattolas, Perda
Lada, Prida, Punta Estidu, Rostri, Sa
Menta ’e Sa Mura, Sa Pinna, Sedda ’e su
Minadorzu, S’Edra, S’Ena Ettrosa,
Serra Nuraghe, Sos Chircos, Sos Giuncos, Sos Pabutulos, Titirriola, Zenzeru),
di Tombe di giganti (Badde ’e Su
Chercu, Bruncu de Farre, Sinnichè,
Tanca Manna, Tittirriola) e domus de janas (Istarone, Sa Toa, Sa Orta ’e Su Mucrone, Perca ’e Zancanu); conserva inoltre tracce di epoca romana a Sulconis,
Crispula e in altri luoghi. Molto bello il
nuraghe Tittiriola, uno dei più elevati
della Sardegna perché situato a 970 m
sul livello del mare; individuato già dal
Lamarmora, era a più piani, costruito in
trachite ed è ancora oggi relativamente
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 618
Bolotana
ben conservato. Di recente è stata individuata anche la fortezza punica di Mularza Noa. Situata nelle vicinanze di
Badde Salighes, è posta a guardia della
via di comunicazione tra Campeda e la
Valle del Tirso. È dotata di un sistema
multiplo di linee di difesa rinforzate da
un insieme di torri di fiancheggiamento
e di casematte cieche. Di grande interesse sono anche le tombe romane di
Sulconis e di Mascarida, poste in prossimità della chiesa di San Bachisio e segnalate già da Giovanni Spano: hanno
restituito numerose ceramiche, monete
e altre suppellettili.
& PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE
E AMBIENTALE L’assetto urbanistico
del villaggio, affacciato ad anfiteatro su
una conca ariosa, è tutto incentrato
sulla strada principale sulla quale si affacciano pretenziosi palazzotti ottocenteschi appartenenti ai notabili, e lungo
la quale si svolge una vita di relazione
estremamente attiva e vivace. Sulle altre strade si affacciano le tipiche case in
pietra a più piani proprie di queste regioni interne. L’edificio più importante
è la chiesa di San Pietro, parrocchiale
ricostruita nel 1600 sulla preesistente,
probabilmente sotto la direzione di Michele Pujg (che si occupò anche di
quella di San Bachisio) in forme goticocatalane miste a forme rinascimentali
secondo il gusto di quei tempi. Aveva
un’unica navata, otto cappelle laterali e
una capilla quadrangolare; nel 1661 l’edificio venne riparato e successivamente ristrutturato in forme neoclassiche nella prima metà del secolo XIX, e
consacrato nel 1833; la facciata ha mantenuto l’assetto della chiesa secentesca.
Accanto sorge la chiesa sconsacrata di
Santa Croce, fortemente danneggiata,
all’origine in forme gotiche che sono
conservate in alcuni elementi all’interno. Altra importante chiesa è quella
di San Francesco, fatta costruire agli
inizi del Seicento per i Francescani dai
nobili Gaya Fois; conserva all’interno
diversi dipinti tra cui una Crocifissione
di ignoto secentesco. Ma il monumento
più caro e significativo per i bolotanesi
è la chiesa di San Bachisio, tempio rurale di cui si ha notizia fin dal secolo
XIII; fu ricostruita nel corso del secolo
XVI e completata nel 1597 da Michele
Puig. Ha una sola navata partita in cinque campate sorrette da archi, e volta a
botte. L’interno e il portale sono riccamente decorati con intagli e sculture
difficilmente decifrabili. Tra le molte
bellezze naturali che il vastissimo territorio di B. offre la più nota è certamente
quella di Badde Salighes. Fattoria impiantata tra il 1880 e il 1885 da Benjamin
Piercy (=), si stende per un vasto comprensorio nell’altipiano di Campeda.
Consta di una villa costruita nello stile
di un castello inglese con quattro torrette ai lati, inserita in un parco un
tempo ben curato e ricco di alberi maestosi. Era questa la residenza della famiglia Piercy, oggi purtroppo in stato di
abbandono e di degrado: da tempo si
progetta di farne un parco botanico. Attorno a questa residenza si sviluppa
un’ampia tenuta che in una parte è riservata all’abitazione e all’attività dei
contadini, in un’altra a quelle dei pastori. Alla fine dell’Ottocento questo vasto comprensorio era popolato e arrivò
ad avere per anni amministrazione autonoma da B.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Del
ricco patrimonio di usanze rimane memoria del rito de su nénniri (= Nénniri)
che veniva praticato in occasione delle
feste di San Basilio, San Raimondo
Nonnato e di San Paolo: il ‘‘sepolcro’’,
precedentemente preparato, veniva
portato di fronte alla chiesa e dopo una
preghiera propiziatoria preso da uno
dei convenuti che a piedi o a cavallo,
seguito da tutti gli altri presenti, faceva
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 619
Bombardamenti aerei
tre volte il giro della chiesa e al termine
lo gettava per terra. Subito dopo i cavalieri si recavano nella strada principale
dove si esibivano in fantastiche giostre.
Altra antica usanza di cui si ha memoria
è il rituale cui si sottoponeva chi fosse
stato punto dall’àrgia, un ragno velenoso; in questi casi il poveretto veniva
portato in un letamaio e interrato nel
letame con la testa fuori, mentre attorno
a lui un gruppo di vedove iniziava una
danza propiziatoria al suono dei campanacci (sos tintinnos) che secondo la tradizione sarebbe servita a vanificare gli
effetti del veleno. Di questo antico patrimonio quasi nulla si conserva nelle attuali feste popolari, la più importante
delle quali si svolge tra l’8 e l’11 settembre in onore di San Bachisio e di Sant’Isidoro, patrono degli agricoltori. Momento culminante della festa la processione che parte dal sagrato della chiesa,
dove il simulacro del secondo santo, collocato su un carro trainato da buoi riccamente bardati, viene condotto lungo
una strada campestre e portato al bivio
della Nuoro-Macomer, dove avviene la
cerimonia della benedizione delle
messi.
Bombardamenti aerei I bombardamenti aerei su obiettivi non militari subiti da molti centri dell’isola durante la
seconda guerra mondiale segnarono
profondamente l’atteggiamento della
popolazione nei confronti della guerra
e del regime e lasciarono tracce profonde nel tessuto urbano degli abitati
colpiti. I primi bombardamenti si verificarono il 30 luglio del 1941: in conseguenza di un attacco inglese sull’aeroporto di Elmas alcune bombe caddero
sull’abitato di Cagliari, ma provocarono
solo modesti danni. Nell’agosto successivo ci furono brevi incursioni su Tempio e Santa Maria Coghinas. Nei mesi
successivi le incursioni si intensificarono; cominciarono i bombardamenti
notturni e la popolazione dovette comprendere rapidamente il significato
dell’angosciante sibilo delle sirene, a
sopportare le brusche interruzioni di
sonno e ad affrontare le corse verso i
rifugi di cui le città rapidamente si dotarono. Fino al maggio del 1942 il principale obiettivo rimase Cagliari: nell’incursione dell’8 giugno si lamentarono i
primi morti tra la popolazione civile. Di
conseguenza le scuole furono chiuse
con anticipo e iniziò un timido esodo
dalla città verso i centri dell’interno
che apparivano più sicuri. Le incursioni
continuarono fino alla fine dell’anno; il
fenomeno dello sfollamento della popolazione civile non si svolse con un ritmo
accelerato. Sostanzialmente la vita in
città continuò, anche se molto spesso si
faceva ricorso ai rifugi, tanto che molte
famiglie presero a vivere stabilmente in
grotte o anfratti naturali. I bombardamenti si intensificarono in modo drammatico nel 1943, quando la disponibilità
di basi aeree lungo la costa occidentale
dell’Africa settentrionale rese sempre
più facili (perché di raggio più breve) i
voli sull’Italia. Dopo un’incursione su
Elmas il 21 gennaio, il 7 febbraio si
ebbe il primo attacco su Cagliari condotto da aerei americani, articolato in
due ondate. La prima terribile esperienza fu però vissuta dalla popolazione
di Cagliari e di altri centri il 17 febbraio
quando, dopo le 14, una grossa formazione di bombardieri investı̀ la città,
che fu massicciamente bombardata: si
registrarono molti morti e notevoli distruzioni. Nello stesso giorno un bombardiere scaricò i suoi spezzoni su Gonnosfanadiga, provocando 93 morti, fra
cui molti bambini, sorpresi mentre giocavano sulla via. Il giorno più tragico fu
però il 26 febbraio, quando Cagliari fu
nuovamente investita da un grosso
gruppo aereo e semidistrutta; tutti i
principali monumenti vennero colpiti e
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 620
Bonarcado
si ebbero moltissimi morti. Il dramma
non era però terminato: la città era ancora in preda a una cupa disperazione
quando nella mattina del 28 febbraio gli
aerei tornarono, completando il disastro del 26. Furono colpite in particolare
la zona del porto e la stazione delle ferrovie; i morti furono centinaia. Tra palazzi squarciati, incendi e desolanti
scene, si compı̀ l’esodo della popolazione rimasta in città verso i centri dell’interno. Sembrò che la vita civile si
fosse interrotta per sempre e che Cagliari fosse ormai una città morta. Nei
mesi successivi e fino al giugno del 1943
le devastazioni continuarono: il 13 maggio un nuovo grande bombardamento
distrusse gran parte degli edifici di Cagliari rimasti sino ad allora in piedi. Negli stessi giorni di maggio furono anche
colpite Alghero, Porto Torres, Sassari,
Villacidro e Olbia. Ovunque i bombardamenti provocarono danni e lasciarono morti tra la popolazione civile. Terminata la guerra, il 19 maggio del 1950 a
Cagliari, in memoria del martirio subito, fu concessa la medaglia d’oro al
V.M.
Bona, Vittorio Funzionario, studioso di
economia (n. Cagliari 1937). Laureato
in Economia, è stato funzionario
presso il Centro regionale di programmazione, che negli ‘‘anni della Rinascita’’ (1962-1974) è stato uno dei principali laboratori politici della Sardegna. Impegnato nel dibattito politico, è
stato per un certo periodo segretario
regionale della DC. Negli stessi anni
ha approfondito i temi dell’economia
e della storia economica della Sardegna. Tra i suoi scritti: Industrializzazione e sviluppo economico. Alcune riflessioni con riferimento al caso Sardegna, ‘‘Realtà del Mezzogiorno’’, 6, 1969.
Bonaga = Ononide
Bonaini, Francesco Archivista (Livorno 1806-Collegigliato 1874). Insegnò
Diritto canonico e Storia del Diritto
presso l’Università di Pisa. Negli anni
tra il 1852 e il 1855 fu incaricato del riordino degli archivi fiorentini e dal 1856
fu nominato soprintendente archivistico per la Toscana. Dopo l’Unità guidò
il riordino degli archivi dell’Emilia,
delle Marche e dell’Umbria. A lui si
deve l’edizione del Breve portus Kallaris, in Statuti inediti della città di Pisa,
1854-57.
Bonanat Famiglia cagliaritana (secc.
XVI-XVII). Di origine valenzana, le sue
notizie risalgono al secolo XVI; nel 1604
ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà con il dottor Pietro Michele, il cui
figlio Francesco Cristoforo si trasferı̀ in
Sardegna. Quest’ultimo nel 1624 fu ammesso allo Stamento militare durante il
parlamento Vivas; la famiglia si estinse
nel corso del secolo XVII.
Bonarcado Comune della provincia di
Oristano, compreso nella XIV Comunità
montana, con 1667 abitanti (al 2004), posto a 283 m sul livello del mare, alle falde
sud-occidentali del massiccio del
monte Ferru. Regione storica: Campidano di Milis. Archidiocesi di Oristano.
& TERRITORIO Il territorio comunale si
estende per 28,54 km2: ha forma grosso
modo triangolare e confina a nord con
Santu Lussurgiu, a est con Paulilatino, a
sud con Bauladu e Milis, a ovest con Seneghe. Il paese si trova al centro di un
territorio digradante verso la pianura
campidanese, che va dagli oltre 800 m
della punta maggiore, monte Armiddosu, ai 100 delle parti più basse. Il
suolo è di natura vulcanica e basaltica,
vocato nei punti migliori sia all’agricoltura che all’allevamento; è attraversato
da alcuni piccoli corsi d’acqua che si dirigono verso sud, per gettarsi, una volta
confluiti nel rio di Mare Foghe, nello
stagno di Cabras. Il paese è attraversato
dalla strada che da Santu Lussurgiu si
dirige verso Oristano e dalla quale si di-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 621
Bonarcado
staccano in questo punto le diramazioni
per Paulilatino da un lato, per Seneghe
e Narbolia dall’altro. La più vicina stazione lungo la ferrovia Oristano-Chilivani è a Paulilatino.
& STORIA Il villaggio fu abitato continuativamente a partire dal secolo VII.
Vi si stanziò una comunità di monaci bizantini che introdussero nel territorio
circostante la coltura degli agrumi e
forse la coltura del gelso e la tessitura.
B. si trovò cosı̀ a essere al centro di un
vasto comprensorio che si stendeva dal
mare di Cornus al nuraghe Losa di Abbasanta. L’attuale abitato si sviluppò intorno alla residenza dei religiosi e apparteneva al giudicato d’Arborea incluso nella curatoria del Parte Milis.
Agli inizi del secolo XII il giudice donò
parte dei territori di B. ai Camaldolesi,
ed essi vi costruirono un convento e una
chiesa, attuale parrocchiale del villaggio, consacrata nel 1147; grazie al monastero, B. divenne un importante centro
culturale e politico, come testimoniano
le pagine del suo condaghe (=). Nel 1237
il giudice Pietro vi giurò fedeltà al pontefice; nel 1253 e nel 1302 vi furono celebrati sinodi ai quali intervennero tutti i
vescovi sardi; sempre nel secolo XIII
l’abitato fu abbellito dall’oratorio di
Santa Maria di Bonacattu. Caduto il giudicato, nel 1410 B. entrò a far parte del
Regnum Sardiniae e subito dopo fu incluso nel nucleo originario del marchesato d’Oristano. Quando il marchesato
fu confiscato a Leonardo Alagon, dal
1479 fu amministrato da funzionari reali
e nel 1493 entrò a far parte del patrimonio reale. Il villaggio in seguito non fu
più infeudato fino al secolo XVIII ma
subı̀ le conseguenze della profonda crisi
che l’intero marchesato si trovò ad attraversare nel Cinquecento e nel Seicento. Nel 1647 soffrı̀ molti danni per
una disastrosa invasione di cavallette e
nel 1652 la sua popolazione diminuı̀ no-
tevolmente a causa della peste. Per
quanto cosı̀ decaduto, il villaggio godette di una relativa tranquillità e nella
seconda metà del Seicento le cose cominciarono a cambiare: l’agricoltura
gradualmente si riprese e la popolazione cominciò nuovamente ad aumentare; nel 1698 B. superava nuovamente i
500 abitanti. Purtroppo però la politica
avviata dai Savoia per favorire la colonizzazione del territorio, nel corso del
secolo XVIII riservò a B. una brutta sorpresa: nel 1767 il villaggio, con tutti gli
altri compresi nei Campidani di Oristano, tornò suo malgrado sotto un feudatario; le sue rendite civili furono concesse in feudo a Damiano Nurra (=
Nurra3 ) col titolo di marchese d’Arcais.
I suoi abitanti da quel momento tentarono con ogni mezzo di liberarsi dal vincolo feudale e il loro rapporto col feudatario fu duro e difficile finché nel 1796 si
rifiutarono di pagare i tributi feudali.
Intanto il feudo nel 1806 fu ereditato
dai Flores d’Arcais; nel 1821 fu incluso
nella provincia di Oristano e nel 1838 fu
riscattato agli ultimi feudatari. In questi
anni Vittorio Angius annotava: «Componesi di 280 case, che occupano un’area maggiore, che sembri competere, a
cagione dei molti cortili ed orti che vi
sono compresi. Alcune strade sono selciate, ed in alcune parti vi sono dei larghi spazi. È bella la nuova strada alla
parrocchia che fece praticare e guarnir
d’alberi il vicario Bicca. Nel 1833 la popolazione sommava ad anime 1160 in
260 famiglie. Si celebrano nell’anno
circa 18 matrimoni, nascono 40, muojono 30. Le malattie frequenti e fatali
sono le febbri periodiche, le pleurisie,
le idropisie. Null’altra manifattura può
essere rammentata che quella di panno
lana e lino, per cui sono impiegati 120
telai. La scuola normale è frequentata
da 25 fanciulli. L’estensione del territorio di B. eguaglierebbe miglia quadrate
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonarcado
20, e nella parte coltivabile potrebbe ricevere circa seimila starelli di seme. La
popolazione trovasi quasi al centro. La
parte montuosa presso ai confini del
lussurgiese è atta a castagni, ciriegi,
olivi e ad altri alberi fruttiferi; le rimanenti, specialmente quelle che son
prossime al paese, si conoscono migliori
per li cereali. Si seminano all’anno 1500
starelli di grano, 20 d’orzo, 40 di granone, e una mediocre quantità di fagioli, piselli, ceci, fave ecc. Il grano ordinariamente dà il sei per uno nella comune, cosı̀ l’orzo, e le civaje [legumi
vari]. Si coltivano cipolle, lattuche, cavoli, carciofi; raccogliesi lino in abbondanza, ed una volta se n’ebbero quarantamila cantara (ragguaglia il cantaro a
chilogrammi 42,276). La vite vi prospera, ma per ciò che il vigneto è nella
montagna, accade spesso che i grappoli
non possano ben maturare. Quindi i vini
son deboli, e nell’estate inacidiscono.
Se ne fa più del bisogno, e se ne può vendere ai lussurgiesi, che ne estraggono
buona acquavite. Con li medesimi si sogliono smerciare le granaglie. Le piante
fruttifere sono mandorli, pomi, peri, susini, ciriegi, albicocchi, persici, fichi,
aranci, che sommano a circa 20 000 individui. Hannosi più di cento varietà
d’uve, e molte sono di soave gusto. La
ricchezza dei bonarcadesi in bestiame
era (anno 1833) come segue: le pecore
sommavano a 4000, le vacche a 300, i
buoi per l’agricoltura a 400, i porci a
100, ed altrettanti i giumenti. La lana
pecorina, che sopravanza ai bisogni
della popolazione, vendesi ai lussurgiesi; il formaggio ai negozianti d’Oristano. È assai scarso il selvaggiume, eccettuate le specie delle volpi e lepri. Se
però ci fossero persone amanti della
caccia prenderebbero gran numero di
pernici, tordi, colombi selvatici ecc. I
passeri volano a nuvoli, e fanno gran
guasto delle messi come cominciano a
maturare». Abolite le province nel
1848, B. fu incluso nella divisione amministrativa di Oristano dove rimase fino
al 1859, quando fu compresa nella provincia di Cagliari; nel 1974 tornò a far
parte della provincia di Oristano.
& ECONOMIA La sua economia è basata
sull’agricoltura, in particolare la viticoltura (un tempo vi operava la Cantina sociale del Montiferru, che però fu chiusa
nel 1985) e l’olivicoltura; vi sono sviluppate anche la pastorizia e il commercio,
vi operano anche 2 alberghi con 88 posti
letto. Artigianato. Vi è un’antica tradizione della tessitura del lino e della
lana; soprattutto i manufatti di lino
erano di buona fattura. Servizi. Il villaggio è collegato mediante autolinee agli
altri centri della provincia; dista da Oristano 25 km. Dispone di medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale, sportello bancario.
& DATI STATISTICI Al censimento del
2001 la popolazione contava 1691 unità:
maschi 875; femmine 816; famiglie 627.
La tendenza complessiva rivelava una
diminuzione della popolazione, con
morti per anno 21 e nati 17; cancellati
dall’anagrafe 39; nuovi iscritti 27. Tra
gli indicatori economici: imponibile
medio IRPEF 12 144 in migliaia di lire;
versamenti ICI 634; aziende agricole
340; imprese commerciali 71; esercizi
pubblici 9; esercizi al dettaglio 30; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 391; disoccupati 125; inoccupati
103; laureati 16; diplomati 126; con licenza media 577; con licenza elementare 508; analfabeti 87; automezzi circolanti 549; abbonamenti TV 478.
& PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo
territorio è ricco di nuraghi (Aurras, Benesinnis, Bruncu, Burale, Campu
Iscuru, Canale Crebu, Cannargios, Crastu, Cuau, Funtana Asones, Funtana
Creccu, Funtana Inturzu, Lariosa, Lorenzu Nieddu, Marzacché, Mura ’e
615
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 623
Bonaria
Figu, Mura Ligios, Mura Pocus, Mura
Surzagas, Muru ’e Su Figu, Muschiu,
Nargiu, Perda Pertusa, Perda Caddos,
Planos, Prunischedda de Leo, Ruju, Sa
Perdera, S’Argioledda, S’Arzandedda,
Sa Sorighina, Scovera, Serra Bisonzos,
Serra Crastula, Serra de Tiria, Serra
Ozastru, Siligherta, S’Ilighertu, Su Livandru, Temannu, Terra Bianca, Uda),
di Tombe di giganti (Argioledda, Mura ’e
Figu, Serra Crastula, Serra Tirias), delle
domus de janas di Mura ’e Sa Figu e di
altri monumenti preistorici tra cui
quelli di Serra Ollastru. Tra questi siti
uno dei più interessanti è il complesso
di Scovera, costituito da un grande nuraghe polilobato comprendente una torre
principale e alcune torri periferiche
congiunte a quella maggiore da un bastione che forma recinti; accanto a questo nuraghe ne sorgono altri due monotorre ben conservati e imponenti. Altro
grande nuraghe polilobato è quello di
Nargiu che comprende una torre centrale e varie altre periferiche; il complesso è molto suggestivo anche se
molto rovinato.
& PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto urbanistico del villaggio
ha conservato la disposizione tradizionale, sulle sue strade si affacciano tipiche abitazioni in pietra di forma mista
caratterizzate da grandi giardini interni
che ingentiliscono l’insieme. Gli edifici
di maggior pregio sono la chiesa di
Santa Maria di Bonacatu, parrocchiale
ubicata nella parte alta del paese; fu
fatta costruire in forme romaniche nel
1100 ca. dal giudice Costantino I d’Arborea, consacrata nel 1146 e affidata ai Benedettini durante il regno di Barisone I.
L’originale impianto a croce commissa
fu mantenuto, ma tra il 1242 e il 1268 la
chiesa fu ampliata, l’aula fu portata a
tre navate e fu impiantato il campanile.
L’interno è solenne e austero, tutto in
conci di trachite nera. Adiacente si
trova il santuario della Madonna di Bonacatu, costruito con pianta cruciforme
e cupola in età mediobizantina sui resti
di un precedente edificio nuragico e di
uno stabilimento termale romano. Tra il
1242 e il 1268, probabilmente a opera
delle stesse maestranze che ampliarono
la vicina parrocchiale, l’edificio fu arricchito con una facciata romanica in
conci di basalto scuro e di trachite rossastra.
& FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le
tradizioni e le usanze del villaggio si
conservano nella festa della Madonna
di Bonacatu. Sul suo sagrato si svolge
dal 18 al 20 settembre una delle più antiche feste mariane della Sardegna che
richiama numerosissimi fedeli da tutte
le parti dell’isola. Il 10 maggio si festeggia Santa Cristina, in una chiesa campestre costruita in seguito all’abbandono
da parte dei bonarcadesi dell’omonima
chiesa in territorio di Paulilatino (e in
prossimità del noto pozzo sacro); il 24
giugno San Giovanni, considerato il protettore degli allevatori; e il 7 febbraio il
patrono del paese, San Romualdo.
Bonaria Colle di Cagliari. Prospiciente
a quello del Castello, e come quello affacciato sul mare, cominciò a essere frequentato già nel periodo punico-romano: alle sue falde si stendeva la necropoli orientale della Carales romana.
A partire dal secolo XI, secondo alcuni,
vi si sarebbe sviluppato il porto del sale
attorno all’importante chiesa di San
Bardilio, oggi distrutta, che sorgeva nell’area della piazza di accesso all’attuale
Cimitero monumentale di B. Nel 1323
per la sua posizione fu scelto dai catalano-aragonesi come base per condurre
l’assedio del castello che era in mano ai
Pisani e per disturbare i traffici del
porto pisano di Lapola. Inizialmente
essi vi costruirono una cinta fortificata
che racchiudeva anche il vicino colle di
Monreale (l’attuale Monte Urpino). Da
616
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 624
Bonaventura
questo accampamento in poco tempo
nacque una vera e propria città che
prese il nome di Barcellonetta. La
nuova città, alla quale furono concessi
gli stessi privilegi di Barcellona,
avrebbe potuto essere antagonista del
castello; quando però nel 1326, dopo la
definitiva conclusione della guerra, i Pisani furono costretti a lasciare definitivamente Cagliari, Barcellonetta si spopolò rapidamente e i suoi abitanti in
gran parte si stabilirono a Cagliari. Dell’antico nucleo rimasero solo una chiesa
edificata tra il 1324 e il 1325 in forme
gotico-catalane e la sua torre campanaria, che era stata probabilmente una
delle torri della cinta fortificata. Nel
1336 la chiesa divenne la sede cagliaritana dell’ordine dei Mercedari, e prima
della fine del secolo il centro del culto
dedicato alla statua di Nostra Signora di
Bonaria, approdata miracolosamente
alle spiagge del golfo di Cagliari nel
1370 e proclamata ‘‘patrona dei naviganti’’. Attualmente sul colle, oramai incluso nel tessuto urbano, esistono tre
edifici derivati dalle strutture originarie (o comunque più antiche).
Santuario di Nostra Signora di Bonaria È la vecchia chiesa della città scomparsa. Il suo impianto è a una navata
absidata; inizialmente aveva una copertura lignea. L’edificio fu completato nel
secolo XVI con tre cappelle e nel 1600 la
copertura lignea fu sostituita con l’attuale a volte a botte. La chiesa nel 1895
fu ampliata, dotata di una nuova facciata, che si arricchı̀ del portale gotico
della distrutta chiesa di San Francesco
di Stampace. Il santuario custodisce
sull’altare maggiore la cassa in cui sarebbe approdato il miracoloso simulacro e attualmente è addossato al convento dei Mercedari e alla basilica monumentale di Bonaria.
Convento di Bonaria È un edificio
molto vasto che sorge a ovest del santua-
rio. Ha forme secentesche ed è stato da
sempre la sede cagliaritana dell’ordine
dei Mercedari. Possiede alcune belle
sale e un ricco arredamento e ospita il
museo con la caratteristica collezione
di ex voto e alcune mummie del secolo
XVII. A partire dal Cinquecento il convento fu il luogo in cui il viceré si ritirava in preghiera prima di assumere i
suoi poteri.
Bonaria – Il santuario e la basilica di Nostra
Signora di Bonaria.
Basilica di Nostra Signora di Bonaria
È l’edificio monumentale appoggiato al
lato est del santuario, la cui costruzione
iniziò nel 1704 su un progetto elaborato
dal De Vincenti e successivamente modificato con l’intervento del Viana e di
altri architetti. La costruzione andò
avanti stentatamente per la cronica carenza di fondi e nel 1810 fu interrotta. I
lavori ripresero agli inizi del Novecento: le opere murarie furono portate
a termine prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, ma la basilica
fu danneggiata dai bombardamenti. Nel
dopoguerra fu nuovamente restaurata.
I lavori finirono nel 1956. Negli anni è
stata arricchita di opere d’arte di Francesco Ciusa, di Giacomo Manzù e di
Franco d’Aspro. Attualmente domina il
colle con la sua mole e sembra proiettarsi verso il mare con una spettacolare
gradinata.
Bonaventura, san (Giovanni Fidanza)
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 625
Bonaventura da Potenza
Santo (Bagnorea, oggi Bagnoregio, 1217/
1221-Lione 1274).
stici. Patrono dei teologi, fattorini e
portabagagli. [ADRIANO VARGIU]
Bonaventura da Potenza, beato
Francescano conventuale (Potenza
1651-Amalfi 1711). Missionario nell’Italia meridionale, morto durante un’estasi, mentre cantava i Salmi.
In Sardegna Giovanni Spano (1861) ricorda una sua statua settecentesca scolpita da Giuseppe Antonio Lonis, «col serafino in aria che gli presenta una corona», nella distrutta chiesa di San
Francesco di Stampace a Cagliari.
Festa Si festeggia il 26 ottobre.
Bonazzi, Giuliano Bibliotecario (Sissa,
San Bonaventura – Il santo in un dipinto di
Paolo Morando.
Bambino, fu guarito da una brutta malattia da San Francesco d’Assisi, con
l’esclamazione diventata il suo nome
da religioso: «O buona ventura!». Francescano, studiò a Parigi, dove insegnò
filosofia e teologia. Vescovo di Albano
(1273), cardinale. Autore della vita ufficiale di San Francesco d’Assisi, la Legenda maior, approvata dal capitolo generale dell’ordine (1266), illustrata da
Giotto nella chiesa superiore d’Assisi.
Considerato il secondo fondatore dell’ordine, in tempi di frati impigriti e di
poca fede. Criticò il naturalismo aristotelico nell’opera Itinerarium mentis
in Deum (1259). Morı̀ a Lione il 15 luglio
1274 durante i lavori del concilio per
l’unione della Chiesa latina e di quella
orientale. Canonizzato da Sisto IV
(1482), proclamato da Sisto V (1588) doctor seraphicus per il suo stile lirico e
dolce e per i suoi scritti ascetici e mi-
Parma, 1863-ivi 1956). Conseguita la laurea, si avviò alla carriera di bibliotecario. Dal 1894 divenne bibliotecario dell’Università di Sassari. Negli anni della
sua permanenza in Sardegna si impegnò nel riordino della biblioteca e prese
parte attiva alla vita culturale sarda
contribuendo allo sviluppo della Scuola
giuridica sarda; lasciò l’isola nel 1899.
Percorse una brillante carriera nel
corso della quale diresse la Biblioteca
Alessandrina di Roma, la Biblioteca
Marciana di Venezia, la Biblioteca Universitaria di Torino e infine la Biblioteca Nazionale di Roma. Soprintendente per le Biblioteche del Lazio, andato in pensione, morı̀ al suo paese nel
1956. La sua fama di studioso è legata in
Sardegna al ritrovamento e all’edizione
de Il condaghe di San Pietro di Silki,
stampato a Sassari da Dessı̀ nel 1900.
Bonconti, Bando Mercante (Pisa, seconda metà sec. XIII-?, dopo 1334). Interessato alle vicende politiche della sua
città, tra il 1289 e il 1314 fu eletto per ben
12 volte tra gli Anziani. I suoi traffici lo
fecero entrare in contatto con la Sardegna e in più di un’occasione si recò nell’isola per curarvi affari di rilievo. Continuò a visitarla anche dopo la sconfitta
di Pisa da parte aragonese e nel 1326,
quando il Comune ottenne in feudo il
618
Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 626
Bonello Lai
Gippi e la Trexenta, fu nominato vicario
delle due curatorie. Cercò inutilmente
di porre freno alle prepotenze dei vincitori protestando presso il governatore
aragonese per l’eccessivo carico fiscale
e per le continue violazioni dei termini
del trattato di pace compiute dai feudatari.
Bondı̀, Sandro Filippo Archeologo (n.
Roma 1946). Allievo di Sabatino Moscati, a partire dal 1967 ha collaborato
per alcuni anni con la Soprintendenza
archeologica di Cagliari negli scavi di
Monte Sirai. Divenuto nel 1979 direttore
dell’Istituto per la Cultura fenicia e punica del CNR, ha ripreso gli scavi a
Monte Sirai lavorando con Piero Bartoloni. Nel 1993 ha diretto la quarta campagna di scavi a Nora; attualmente insegna Archeologia fenicio-punica presso
l’Università della Tuscia. Tra i suoi
scritti: Una stele inedita di Monte Sirai,
‘‘Oriens antiquus’’, IX, 4, 1970; Le stele di
Monte Sirai, ‘‘Studi semitici’’, 1972; Osservazioni sulle fonti classiche per la colonizzazione della Sardegna, in Anecdota
tharrica, vol. 5 della ‘‘Collezione di Studi
fenici’’, 1975; Per una riconsiderazione
del tofet, ‘‘Egitto Vicino Oriente’’, II,
1979; Monte Sirai, un insediamento punico nell’entroterra sardo, ‘‘Rendiconti
della Pontificia Accademia romana di
Archeologia’’, LI-LII, 1979-80; Nuove
stele da Monte Sirai, ‘‘Rivista di Studi fenici’’, VIII, 1, 1980; tra il 1981 e il 1987
una serie di notizie sugli scavi a Monte
Sirai, tutti pubblicati nella ‘‘Rivista di
Studi fenici’’: Monte Sirai 1980. Lo scavo
del tofet, IX, 2, 1981; Monte Sirai 1981. Lo
scavo del tofet, X, 2, 1982; Monte Sirai
1982. Lo scavo del tofet, XI, 2, 1983; Monte
Sirai 1983. Lo scavo del tofet, XII, 2, 1984;
Monte Sirai 1985. Lo scavo nel tofet campagne 1984-1985, XV, 1, 1987. E ancora:
Monte Sirai nel quadro della cultura fenicio-punica di Sardegna, ‘‘Egitto Vicino
Oriente’’, VIII, 1985; Le relazioni con la
Sicilia e la Sardegna nel quadro della politica economica di Cartagine nel Mediterraneo, in Gli interscambi culturali e socio-economici fra l’Africa settentrionale e
l’Europa mediterranea. Atti del Congresso internazionale di Amalfi 1983, I,
1986; Italia Punica (con Sabatino Moscati), 1996; Carbonia (con Piero Bartoloni e Vincenzo Santoni) in L’Antiquarium arborense e i civici musei archeologici della Sardegna, 1988; Nuovi dati sul
tofet di Monte Sirai, in Riti funerari e di
olocausto nella Sardegna fenicia e punica. Atti del Convegno di studi, Supplemento ai ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di
Cagliari e Oristano’’, 1989; La cultura
punica nella Sardegna romana: un frammento di sopravvivenza?, in L’Africa romana. Atti del VII Convegno di studi,
1990; Monte Sirai (con P. Bartoloni e
L.A. Marras), vol. 9 della collana ‘‘Itinerari fenici’’, 1992. Quattro ‘‘Quaderni
della Soprintendenza archeologica per
le province di Cagliari e Oristano’’ sono
dedicati a Nora: Nora I. Problemi urbanistici di Nora fenicia e punica, 9, 1992;
Nora II. Ricerche puniche 1992, 10, 1993;
Nora III. Ricerche puniche 1993, 11, 1995;
Nora VI. Ricerche fenicie e puniche 19941996, 15, 1998. Seguono Recenti studi e
nuove prospettive sulla Sardegna fenicia
e punica, in Actes du IIIe Congrès International des Études phéniciennes et puniques, 1995; La penetrazione fenicia e
punica in Sardegna. Trent’anni dopo
(con P. Bartoloni e S. Moscati), ‘‘Memorie dell’Accademia dei Lincei’’, 9, 1,
1997.
Bonello Lai, Marcella Epigrafista (n.
Pisano 1943). Professore associato di
Antichità ed Epigrafia della Sardegna
romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Le sue
ricerche si sono concentrate sulle popolazioni non urbanizzate della Sardegna (Tavola di Esterzili), sulla condi-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 627
Bonesu
zione giuridica di Sulci, Tharros, Olbia,
sugli edifici da spettacolo, sugli acquedotti, sulle iscrizioni «false», sulla storia degli studi e sulla catalogazione
epigrafica. Componente del Comitato
scientifico che organizza i Convegni internazionali sull’Africa romana.
Bonesu, Salvatore Avvocato, consigliere regionale (n. Cabras 1947). Dopo
aver conseguito la laurea si è dedicato
alla libera professione e all’attività politica. Sardista da sempre, è stato protagonista dei travagli del PSd’Az, ricoprendo importanti incarichi fino a diventarne segretario nazionale aggiunto.
Dopo essere stato per anni consigliere
comunale e assessore del suo paese natale, nel 1994 è stato eletto consigliere
regionale per il suo partito nel collegio
di Oristano per l’XI legislatura. In seguito non è stato più riconfermato.
Bonet Famiglia sassarese (secc. XVIXVII). Di origine catalana, compare in
Sardegna nel secolo XVI, quando i suoi
membri erano tra i comproprietari
della scrivania della Governazione
della città. Nel 1599 ottennero il cavalierato ereditario con un Michelangelo, i cui figli nel 1613 furono ammessi
allo Stamento militare durante il parlamento del duca di Gandı́a. La famiglia si estinse entro la prima metà del
Seicento.
Bonet, Francesco Gentiluomo (Sassari, seconda metà sec. XVI-?, prima
metà sec. XVII). Dopo la laurea ricoprı̀
importanti uffici nell’amministrazione
reale. Nel 1616 fu nominato governatore
della contea del Goceano; negli anni
successivi fu impegnato alle dipendenze dirette del viceré Vivas. Di lui ci
resta uno scritto su Relación de la enfermedad y muerte del Señor D. Juan Vives
Virrey deste Reyno de Sardeña, 1625.
Bonfant Famiglia genovese (sec. XVIesistente). Trapiantata nel secolo XVI a
Cagliari, probabilmente con un Gio-
vanni Battista il cui nome figura tra i
sottoscrittori per la costruzione della
chiesa di Santa Caterina nel 1595. I B.
diedero vita ad attività imprenditoriali
ed esercitarono tradizionalmente la
professione di notaio raggiungendo
una discreta posizione economica. Con
Michelangelo, probabilmente figlio di
Giovanni Battista, la famiglia cominciò
ad assumere un ruolo importante; furono i suoi figli Michele, Agostiniano e
Dionigi, tutti laureati, che per le loro
qualità ottennero in tempi diversi il riconoscimento del cavalierato ereditario e della nobiltà. Michele, conseguita
la laurea, entrò nella carriera giudiziaria arrivando a essere giudice della
Reale Udienza. Nel 1634 ottenne il cavalierato ereditario e nel 1638 la nobiltà;
morı̀ tragicamente annegato nel 1653.
La sua discendenza si estinse nel corso
del secolo XVII. Dionigi fu un celebre
letterato: nel 1636 ebbe il cavalierato
ereditario, che nel 1672 fu confermato
al figlio Giuseppe; anche la sua discendenza si estinse alla fine del secolo.
Tutti gli attuali rappresentanti della famiglia discendono dal dottor Agostino
scrivano della zecca e notaio, che fu il
primo della famiglia ad avere il privilegio del cavalierato ereditario nel 1631 e
la nobiltà nel 1638. Suo figlio Michele fu
giudice della Reale Udienza: da lui nel
corso dei secoli discesero gli altri B. che
espressero alcune distinte personalità.
La famiglia sussiste tutt’oggi.
Bonfant, Dionigi Giurista, letterato
(Cagliari, seconda metà sec. XVI-?,
1658). Dopo essersi laureato in Teologia e Leggi, esercitò la professione di
avvocato con discreto successo. Prese
parte alle polemiche sul primato che
nei primi decenni del secolo XVII contrapposero gli arcivescovi di Cagliari e
Sassari e scrisse dottissime memorie a
sostegno della sua città. Nel 1637 ricevette il cavalierato ereditario. Di lui ci
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 628
Bonifacio VIII
restano due opuscoli, dedicati al problema del primato: Triumpho de los
santos del reyno de la isla de Cerdeña,
1635; Breve tratado del primato de Cerdeña y Corsega en favor de los Arzobispos de Caller, 1637.
Bonfiglioli, Giuseppe Arcivescovo di
Cagliari (San Carlo di Ferrara 1910-Cagliari 1992). Fu ordinato sacerdote nel
1934 e negli anni successivi a Roma si
laureò in Teologia e in Lettere. Tornato
nella sua diocesi divenne uno dei principali collaboratori del vescovo e dopo
pochi anni fu nominato vicario generale; nel 1961 fu nominato vescovo di
Nicotera e di Tropea. Nel 1963 divenne
coadiutore del vescovo di Siracusa, assumendo il titolo di vescovo di Darni;
dopo pochi anni fu amministratore
della diocesi e nel 1968 arcivescovo.
Nel 1973 fu nominato arcivescovo di
Cagliari; resse la diocesi fino al 1984,
quando si dimise per limiti di età. Divenuto emerito, continuò a risiedere in
Sardegna.
Bonfill1 Famiglia di origine ebraica
(secc. XVI-XVII). Comparve a Cagliari
nel corso del secolo XVI con alcuni personaggi impegnati nell’amministrazione del sale, che accumularono un
discreto patrimonio e nel 1543 furono
in grado di acquistare il feudo di Ussana con un Gabriele, un personaggio
di secondo piano che si era legato a
Salvatore Aymerich. Poiché non aveva
grandi risorse finanziarie, la gestione
del feudo gli fu gravosa; morı̀ nel 1551
lasciando due figli, Cesare e Simone,
ancora minorenni, e perciò sotto la tutela della sua vedova e di suo fratello
Nicola. Cesare, al quale andò il feudo,
divenuto maggiorenne continuò a caricarlo di ipoteche ed ebbe noie col
Santo Uffizio; morı̀ nel 1570 lasciando
erede l’unico figlio Antonio. Frattanto
le pressioni del Santo Uffizio nei confronti della famiglia ripresero e nel
1572 Simone, che era saliniere maggiore, fu condannato per eresia e perse
l’ufficio. Cosı̀ Antonio, una volta divenuto maggiorenne, nel 1580, fu costretto a vendere il feudo ai Montaner;
la sua discendenza decadde e nel corso
del secolo XVII scomparve.
Bonfill2 Famiglia algherese (secc. XVIXVII). Comparve nel corso del secolo
XVI; i suoi membri furono ammessi
allo Stamento militare nel 1537 e nel
corso del secolo si imparentarono con
altre famiglie nobili e tennero una posizione di rilievo; si estinsero nel secolo XVIII.
Bonfill, Giovanni Vincenzo Scolopio
(Castellaragonese, oggi Castelsardo,
fine sec. XVI-?, metà sec. XVII). Uomo
di buona cultura, insegnò per anni Teologia morale. Il suo nome è legato al
trattato Canones conscientiae pubblicato prima del 1650, ma che secondo
alcuni studiosi è da attribuire al gesuita Gavino Carta di Sassari.
Bonfis, Emilio = Bacaredda, Efisio1
Bongino, Antonio Avvocato piemontese (sec. XVIII). Entrato nella pubblica amministrazione, divenne funzionario della Segreteria di Stato e di
Guerra. Mandato in Sardegna, ricoprı̀
l’incarico di intendente delle miniere
e di primo ufficiale della Segreteria di
guerra. Nel 1758 fu nominato intendente generale per la Sardegna, incarico che ricoprı̀ fino al 1761. Di lui si
conosce una documentata Relazione di
vari progetti sopra diverse materie che
riflettono la Sardegna, pubblicata da
Luigi Bulferetti in Il riformismo settecentesco in Sardegna, 1966.
Bonifacio VIII Papa dal 1294 al 1303
(Anagni 1235-Roma 1303). Appena
eletto, si ritrovò a dover risolvere i problemi connessi con la guerra del Vespro. Ormai erano trascorsi undici
anni dall’inizio della guerra e si pen-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 629
Bonifacio VIII
sava sempre più concretamente alla
necessità di porre fine alle ostilità attraverso la diplomazia. Intanto Giacomo II d’Aragona si era reso conto
della impossibilità di mantenere la Sicilia e si cercava in ambito diplomatico
una possibile compensazione alla sua
rinuncia all’isola.
Bonifacio VIII – Nell’aprile del 1297 ‘‘inventò’’
il Regnum Sardiniae et Corsicae e lo diede in
feudo a Giacomo II d’Aragona.
Un progetto aragonese datato Tarazona 26 agosto 1293 prevedeva, in cambio della restituzione della Sicilia, la
cessione a Federico d’Aragona, fratello di Giacomo, del Regno di Sardegna attraverso un dono della Chiesa.
L’8 maggio dell’anno successivo un
messo aragonese, di ritorno da un colloquio con i cardinali Colonna presso
la Curia romana, riferiva che a parere
loro Carlo II d’Angiò e Giacomo II d’Aragona avrebbero dovuto invadere la
Sardegna per poi cederla a Federico
di Sicilia, che a quel punto avrebbe lasciato la Sicilia per occupare la Sardegna, mentre la Sicilia sarebbe andata
finalmente a Carlo II d’Angiò. Durante
queste trattative la Sede apostolica era
vacante e questi progetti venivano elaborati sostanzialmente in ambito laico
tra la Casa di Francia e quella di Aragona. Ma la stessa natura del problema,
la risoluzione cioè di un conflitto con il
quale si era sottratto alla legittima proprietaria, la Sede apostolica, il diritto
sulla Sicilia, ne implicava il necessario
coinvolgimento nelle trattative e la sua
approvazione degli accordi. Il progetto
di Giacomo II di ottenere dalla Sede
apostolica la Sardegna rimase tale anche dopo l’elezione di B. VIII e il 17
marzo del 1295, inviando suoi rappresentanti a Roma per iniziare le trattative di pace che si sarebbero poi rivelate risolutive con i trattati di Anagni
del giugno, l’Aragonese prospettava
ancora una volta la possibilità che l’isola venisse concessa dalla «Esglesya
de Roma» a Federico che avrebbe dovuto sposare la figlia di Carlo II d’Angiò e possedere «la dita terra per la
dita Esglesia». Durante le trattative il
pontefice aveva pensato ai fini principali dell’incontro di Anagni, cioè la risoluzione della guerra del Vespro, la
restituzione dei legittimi diritti sulla
Sicilia alla Sede apostolica, nonché a
cercare di trasformare il re aragonese
in un alleato anche in prospettiva di
una nuova crociata e aveva perciò accettato di lasciare libertà di iniziativa
ad Angiò e Aragona nel decidere quali
fossero le soluzioni più opportune per
il riordino della situazione nel Mediterraneo occidentale; per questo B.
avallò e confermò tutti gli accordi che
tra le due parti erano stati presi circa
le isole e, nominando nel gennaio dell’anno successivo Giacomo II gonfaloniere, ammiraglio e capitano generale
della Chiesa, già faceva riferimento
agli impegni che lo stesso re d’Aragona
avrebbe dovuto prendere successivamente «pro regno Sardinie et Corsice ab
eadem Ecclesia sibi concedendo». La
bolla di infeudazione del Regnum Sardiniae et Corsicae da parte di B. VIII a
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifacio VIII
favore di Giacomo II d’Aragona fu
emessa il 4 aprile 1297. Posto «super reges et regna», il papa nell’incipit del documento affermava il suo diritto assoluto «non solo nel sopprimere i regni o
nel trasferirne le rispettive corone da
un titolare all’altro, ma anche nel
crearne di nuovi per consegnarli a figli
devoti della Chiesa»; eppure, l’innegabile elemento di novità giuridica che
risiedeva nella denominazione del regno che, almeno con quel preciso
nome, ‘‘nasceva’’ nel momento della
promulgazione della bolla, veniva fortemente limitato dall’affermazione
contenuta nella bolla stessa con la
quale si diceva che il «regnum Sardinie
et Corsice» era «iuris et proprietatis»
«ipsius Ecclesie [Romane]». Il pontefice, dunque, non riteneva di fare altro,
evidentemente, che unire in una nuova
entità istituzionale da quel momento
resa indissolubile, dando loro una veste o una forma giuridica nuova, due
res (le isole di Sardegna e Corsica, appunto) che riteneva appartenere alla
Sede apostolica e le concedeva «in perpetuum pheudum» al devoto figlio Giacomo d’Aragona. Che pertanto B. VIII
non intendesse con l’espressione Regnum Sardiniae et Corsicae una «entità
giuridico-istituzionale astratta» composta «non dal territorio ma dal nome
delle due isole», ma che basasse il proprio diritto a infeudare le due isole sui
giuramenti di fedeltà alla Sede apostolica prestati dai giudici e accumulati
dai suoi predecessori, e concretamente le due isole, è testimoniato anche da una lettera del 9 dicembre del
1301 dell’abate di Foix a Giacomo II
d’Aragona con la quale questi faceva
presente al proprio re che il pontefice,
contrario a un accordo tra Aragona e
Arborea per una spartizione dell’isola,
era «paratus hostendere per testamentum iudicis Guilelmi [di Arborea (1250-
1264)] quod iudicatus pertinebat nullo
medio ad Ecclesiam Romanam et per
consequens ad vos, propter donationem
vobis factam». Per il papa, dunque, le
singole istituzioni presenti sull’isola,
il cui supremo diritto risiedeva comunque nelle mani della Sede apostolica
oppure non esisteva affatto, avrebbero
dovuto essere assorbite e cancellate
dalla nuova forma del Regnum Sardiniae et Corsicae con il quale però si
dava solo una nuova veste istituzionale
a un concetto, quello della appartenenza alla Sede apostolica delle due
isole mediterranee, vecchio di più di
due secoli per la Corsica e di ben più
d’un secolo per la Sardegna.
& LA CONTESTAZIONE DEI DIRITTI Le
affermazioni di papa Caetani riportate dal de Foix erano contenute in
un documento la cui lettura dà l’attestazione non solo dell’ovvio convincimento del papa sulla legittimità dei
diritti concessi a Giacomo e sulla sua
assoluta volontà che il sovrano esercitasse direttamente il potere conferitogli su tutto il regnum, ma dà lo
spunto all’analisi degli inevitabili
problemi sorti dalla concessione dei
diritti feudali sulle due isole compiuta dal pontefice. Già a seguito dell’infeudazione, infatti, il 4 ottobre
1297 i Pisani avevano mandato, evidentemente preoccupati, un’ambasciata a Giacomo, con la quale cercavano di instillargli il dubbio sulla legittimità della concessione pontificia; ma questi, due mesi dopo, rispose
perentoriamente e per nulla intimorito che la Sede apostolica, «quod ad
ius et proprietatem [...] spectabat», gli
aveva concesso il «regnum Sardiniae», «absque alicuius preiuditio» –
con ciò stesso affermando che i Pisani, pur potendo vantare vari diritti
in Sardegna, non potevano vantarne
alcuno sulla Sardegna – e che su tale
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
pag. 631
Bonifacio VIII
concessione egli non intendeva «in
aliquo derogare». E che, per quanto
con la dovuta prudenza, il sovrano
aragonese non avesse alcuna intenzione di derogare ai suoi diritti e che
volesse procedere a esercitarli concretamente è attestato dai contatti diplomatici che egli condusse sia con
Pisa che con l’Arborea a partire dall’indomani della concessione e che lo
avevano portato nel 1301 a inviare al
giudice di Arborea Giovanni de Bas,
che forse Giacomo riteneva allora
più malleabile dei Pisani, un’ambasciata con la quale gli ordinava di sottomettersi a lui «tanquam regi». La
reazione del giudice fu diversa da
quella che Giacomo si sarebbe dovuto
legittimamente aspettare, visto che
questi affermò sprezzante che egli e
la sua famiglia si erano conquistati il
giudicato con la spada e con la spada
si sarebbero difesi da chi avesse cercato di portarglielo via. Il re aragonese non aveva in quel momento intenzione di iniziare una guerra contro
l’Arborea, perché probabilmente era
a conoscenza del fatto che Giovanni
aveva chiesto aiuto ai Pisani in caso
di un attacco degli Aragonesi. Fu questo temporeggiare del re aragonese
che spinse B. VIII a pronunciarsi nel
modo che si è visto contro qualsiasi
possibilità di accordo che prevedesse
delle concessioni da parte dell’Aragona all’Arborense, esortando anche
Giacomo a essere più deciso e a recarsi con «duobus militibus tantum»
in Sardegna, dove il giovane giudice,
che «nichil valet», non avrebbe, secondo il Caetani, saputo opporgli resistenza. Le parole del pontefice dovevano servire non solo a rimproverare Giacomo per il suo atteggiamento che per un uomo della personalità di B. VIII doveva apparire
quanto meno rinunciatario, ma dove-
vano servire anche da esortazione ad
agire presto e avrebbero dovuto rassicurarlo circa la sua ferma volontà di
confermare al re aragonese i diritti
sulla Sardegna, anche perché, a causa
delle divisioni interne alla Curia romana, si cercava da più parti con cavilli giuridici di dimostrare la non validità della bolla di infeudazione,
nella quale non erano presenti le
firme del Collegio cardinalizio.
& LA POLITICA DI BONIFACIO VIII E DEI
SUOI SUCCESSORI La volontà di papa
Caetani non cambiò per tutto il tempo
del suo pontificato, durante il quale
cercò di favorire l’elezione, presso le
sedi episcopali dell’isola, di persone
non legate ai comuni di Pisa e Genova.
Questa volontà forse si rafforzava proprio nei primi giorni del dicembre
1302, quando prendeva drammaticamente forma lo scontro con la casa di
Francia, convincendolo della necessità di appoggiarsi ancor più all’Aragona e di chiudere definitivamente la
via del Mediterraneo agli Angiò. Per
quanto la Corona non poté mai rappresentare una forza alla quale la
Sede apostolica potesse «ricorrere
per tentare di ripetere con la dinastia
francese l’esperienza fatta con gli
Svevi», papa Caetani riconfermò il
proprio favore alla casa di Barcellona
due anni più tardi quando il 20 aprile
del 1303, su richiesta di Giacomo II,
concesse per tre anni le decime per
la conquista del Regnum Sardiniae et
Corsicae al re aragonese, nominando
contemporaneamente il vescovo di
Valencia legato apostolico nel regnum «col compito di indurvi ecclesiastici e laici a riconoscere re Giacomo». Il privilegio riguardante la decima prevedeva tuttavia una clausola
che non facilitava la sua attuazione,
essendo condizionato a che la maggior parte dei prelati dei regni della
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifiche
Corona fossero d’accordo sulla esazione, e le successive disposizioni
pontificie, prese entro il 9 maggio
dello stesso anno, con le quali si stabiliva che i collettori della decima, i vescovi di Vich e Saragozza, consegnassero al più presto il denaro al vescovo
di Valencia che lo avrebbe immediatamente dovuto devolvere al proprio
re, rimasero, forse, solo sulla carta,
vista la improvvisa morte di B. VIII e
la necessità da parte degli ambasciatori del re di farsi rinnovare le concessioni dal nuovo pontefice.
Fulda, da lui fondata nel 743. [ADRIANO
VARGIU]
Bonifiche Complesso di operazioni necessarie a rendere una terra capace di
produrre, liberandosi da condizioni
pericolose (per esempio, in Sardegna
e altrove, le paludi e gli acquitrini), e
di ospitare l’uomo.
Bonifacio, padre (Lorenzo Salice) Pittore
(Provaglio Val Sabbia 1916-?, 2003).
Completò i suoi studi a Parma e a Bologna, dove fu allievo di Lilloni e di Morandi. Entrato nell’ordine benedettino
divenne monaco, ma continuò a dipingere, imponendosi per il suo modo elegante e comunicativo di esprimersi e
perché seppe legare la propria attività
artistica a quella spirituale. Trasferito
in Sardegna presso l’abbazia di San
Pietro di Sorres, aprı̀ il suo studio a
molti giovani pittori sardi facendo
loro da maestro nell’arte e da guida
spirituale.
Bonifacio, san (in sardo, Santu Bonifaciu, Santu Bonifaziu) Santo (Devon, Inghilterra, 680 ca.-?). Culto diffuso dai
Benedettini. Nell’Episcopio di Sassari
si conserva l’Epigrafe di San Bonifacio
(1268), riferita a una chiesa dedicata al
santo, che sorgeva nell’area urbana,
ora distrutta. Nacque nella contea di
Devon, nell’Inghilterra meridionale. A
cinque anni decise di diventare benedettino; sacerdote (710), vescovo delle
Germanie e metropolita delle terre oltre il Reno, legato papale (738), arcivescovo di Magonza (747), organizzò la
Chiesa fr anca. Soprannomi nato
l’‘‘apostolo della Germania’’, fondò
molte abbazie. Insieme con cinquantadue compagni riposa nell’abbazia di
Bonifiche – Arborea. La palazzina della
direzione della Società Bonifiche Sarde che
realizzò la trasformazione e la messa a coltura
della vasta piana di Su Sassu.
& DAI SAVOIA ALLA FINE DEL SETTECENTO Fino alla seconda metà dell’Ottocento la Sardegna non ha conosciuto
nessun intervento che possa essere in
qualche modo assimilato alle grandi
opere di risanamento e valorizzazione
del suolo avviate altrove (Lombardia,
Veneto, Emilia Romagna) tra il secolo
XI e il XIII con il sorgere dei Comuni e
l’emergere di una economia di scambio
tra città e campagna. Tagliata fuori
dalle nuove, vivaci correnti di traffico
alimentate dalle manifatture e dai commerci, la Sardegna non era stata investita dalle trasformazioni impresse dal
moto dinamico dell’agricoltura; e aveva
visto, invece, espandersi la pastorizia
brada e rafforzarsi, sotto il dominio aragonese e spagnolo, il sistema di agricoltura comunitaria conosciuta col nome
di vidazzone e paberile (colture alternate
a pascolo), mentre la bassissima densità
della popolazione delle campagne non
spingeva in direzione di una migliore
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifiche
utilizzazione dei terreni coltivabili. Cosicché nella seconda metà del Settecento, quando in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale gli interventi bonificatori delle autorità statali, stimolati
dalla nuova proprietà fondiaria borghese, ponevano le basi per una più razionale valorizzazione del suolo attraverso la regolamentazione delle acque,
la regimazione dei corsi fluviali, il prosciugamento delle zone palustri, l’estensione della rete irrigua, le sistemazioni di piano, nella Sardegna piemontese sono gli incentivi per la messa a
coltura delle terre attraverso la colonizzazione (isola di San Pietro, Montresta)
e la concessione ai proprietari della facoltà di ‘‘chiudere’’ le terre a esaurire
quasi completamente l’iniziativa del governo sabaudo tra il 1771 e il 1820,
quando viene emanato l’editto ‘‘sopra
le chiudende’’. Ma né queste leggi, né
quelle eversive della feudalità, che portarono alla formazione della proprietà
perfetta della terra, riuscirono a far
emergere un ceto medio agricolo che
ponesse mano a interventi di miglioria
fondiaria e a opere di trasformazione
agraria. Cosı̀ nessuna opera di bonifica
pubblica e privata era venuta ad arrestare il processo di ristagno idrico, favorito dall’irregolarità delle precipitazioni e dalla natura impermeabile dei
suoli. Ai primi dell’Ottocento gli stagni
coprivano 18 965 ha nelle pianure basse
e lungo le strisce di terra a ridosso del
mare.
& L’OTTOCENTO Su quelle fonti endemiche di malaria si era appuntata per
tutto il secolo XVIII l’attenzione di studiosi dei problemi dell’agricoltura
come Francesco Gemelli, che nel suo
Rifiorimento della Sardegna (1776) richiamava le autorità governative alla
necessità di un vasto piano di risanamento idraulico che avesse ragione
della temutissima ‘‘intemperie’’: «Dalle
stagnanti acque trae sovente altrove e in
più luoghi della Sardegna origine la infezione dell’aere. Scolinsi dunque, e si
derivin l’acque e avrem l’aere ripurgato». Ancora cinquant’anni dopo, l’ingegnere piemontese Gio. Antonio Carbonazzi, incaricato dal governo sabaudo
di un piano particolareggiato di opere
stradali, ritorna sull’argomento da un
più alto livello di competenza tecnica:
«In Sardegna le acque scorrono come
possono e dove possono senza mai che
l’uomo sia venuto in aiuto della natura.
In molti siti le acque sono costrette a
perdersi nello strato permeabile e a formare conserve sotterranee di acqua che
a poco a poco sono poi recate nell’atmosfera sotto forma di vapori mercé l’azione dei cocenti raggi del sole nei mesi
di luglio e di agosto. E queste conserve
di acque sotterranee sono in tanto maggior numero in quanto non si pensò mai
ad aprire in mezzo a quelle vaste campagne verun fosso colatore. Questa è
una delle più potenti cause della malaria estiva e autunnale; imperocché i vapori acquei che attraversano un suolo
eminentemente fertile, quasi ovunque
di terre vulcaniche sovrapposte ai depositi marini, necessariamente devono
sollevare miasmi deleteri». Ma l’opera
di inalveazione e arginamento delle acque a valle (con cui si scontreranno gli
interventi di bonifica in Sardegna e nel
Mezzogiorno nel primo cinquantennio
unitario) non aveva nessuna possibilità
di riuscita se non si interveniva prima
‘‘a monte’’ sulle falde imbrifere e sui
piani disboscati, da cui la violenza delle
piogge strappava sabbia e pietrisco che
dai pendii precipitavano rovinosamente a valle travolgendo campi coltivati e case; Maurice Le Lannou, descrivendo il fenomeno, lo definiva ‘‘una catastrofe’’: «Dappertutto in Sardegna
una delle piaghe più temute è l’arrivo
su un campo coltivato o su un pascolo
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifiche
d’una massa di materiali pesanti, sabbie, ghiaie, talvolta persino ciottoli,
strappati dalla pioggia a un pendio vicino. Il Flumendosa, certi anni, ha ricoperto quasi completamente la fertile
piana in cui si svolge il suo corso inferiore con un manto di ghiaia di parecchi
centimetri. Ma più frequenti sono le invasioni di piccola entità, limitate a poche are di terreno, temibili dappertutto,
dovunque ci siano superfici pianeggianti ai piedi di pendii marcati». Ma
per quanto non mancasse, già nella
prima metà dell’Ottocento, qualche
voce autorevole che, avendo presente
questa realtà, insisteva sulla necessità
di un intervento più complessivo e globale, l’acquisizione tarderà ancora parecchi decenni a farsi strada nella legislazione. I pochi interventi del governo
piemontese, ‘‘mirati’’ sulla Sardegna
meridionale dove più grave era il disordine idrico, non modificarono quindi il
quadro all’approssimarsi dell’unificazione politica. Era infatti ancora al primissimo stadio (i primi concessionari
avevano lasciato il posto al marchese
Pallavicini di Genova) la bonifica di
Sanluri-Samassi (2300 ha) che può essere considerata la primissima esperienza di bonifica in Sardegna. Concessa da Carlo Alberto a tre imprenditori francesi che si erano assunti, in
cambio della proprietà delle terre, l’impegno di prosciugarle e di conquistarle
alla produzione agricola con l’introduzione di colture industriali quali il tabacco e la barbabietola da zucchero,
essa era andata avanti faticosamente,
ostacolata dall’ambiente fisico e dall’ostilità dei contadini, che nel 1847 avevano invaso addirittura la concessione
‘‘Vittorio Emanuele’’. Mentre era stata
realizzata la deviazione delle acque
della zona di Pula, rimaneva a livello di
progetto l’arginamento del Tirso, su cui
si concentrerà l’attività bonificatoria
del fascismo. Del tutto isolata era rimasta invece l’iniziativa del comune di
Paulilatino, che aveva intrapreso e portato a termine l’opera di prosciugamento della vasta palude di Paule
Manna dell’estensione di 120 ha.
& LA LEGISLAZIONE SPECIALE All’indomani dell’Unità i tre grossi nodi dell’agricoltura sarda (siccità, inondazioni,
malaria) sembravano ancora imporre la
sistemazione idraulica come l’intervento più urgente e anche più complesso. Dato il bassissimo livello sul
mare, il prosciugamento della maggior
parte degli stagni, che coprivano migliaia di ettari di terra, non poteva essere effettuato che con il sollevamento
meccanico delle acque; mentre le opere
di difesa dalle inondazioni, per essere
davvero efficaci, avrebbero dovuto assicurare l’arginamento dei corsi d’acqua
perenni e a carattere torrentizio che
percorrevano in lungo e in largo la Sardegna (il Tirso, il Flumendosa, il Manno,
il Temo, il Cedrino, il Coghinas). Né rappresentavano interventi di più modesta
portata la sistemazione irrigua e la distribuzione delle risorse idriche (qualcosa come sette miliardi di m3 d’acqua
andavano perduti annualmente, stando
ai calcoli effettuati da Angelo Omodeo
ai primi del Novecento), che convenientemente raccolte avrebbero potuto assicurare l’irrigazione di 200 000 ha di
terra conquistabili a un’agricoltura intensiva nelle pianure della Sardegna
occidentale e in quelle meno estese
della parte orientale. Ma un piano di risanamento di queste dimensioni non
poteva certo essere affrontato dai proprietari ai quali lo Stato, secondo la dottrina liberale, assegnava tutti gli oneri
nel campo della valorizzazione del
suolo, intervenendo solo laddove l’iniziativa privata era totalmente assente;
e solo per alcune opere, giacché il peso
dei prosciugamenti e delle migliorie ri-
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifiche
cadeva interamente sui privati. Le cose
non migliorarono quando la legge Baccarini (1882) intervenne a introdurre
l’innovazione dell’intervento statale
per le b. idrauliche perché esso fu rigorosamente circoscritto alla lotta antimalarica. Non solo: anche in questo
caso, classificato come ‘‘bonifica di
prima categoria’’, ricadeva sullo Stato
solo la metà della spesa, mentre i comuni, le province e i proprietari erano
tenuti a concorrervi per un quarto. Per
le altre b. ‘‘di seconda categoria’’ privati
e consorzi avrebbero dovuto accollarsi
la spesa per intero, a meno che non si
trattasse di opere di rilevante interesse
pubblico, per le quali era previsto un
concorso alla spesa del 30% da parte
dello Stato. Un impegno finanziario cospicuo, dunque, che né le Province né
(tanto meno) i comuni sardi, afflitti
quasi tutti da problemi di bilancio,
erano in grado di affrontare. Per non
parlare dei proprietari (e non solo dei
piccoli e dei medi, stremati dal peso
delle imposte), poco disposti ad accollarsi una quota di spesa cosı̀ elevata
per opere di cui non erano chiari gli
esiti in termini di incremento del reddito agricolo. Le leggere modifiche introdotte dalle leggi successive (1886 e
1893) nel riparto della spesa e nella classificazione delle opere non crearono
condizioni più idonee all’attività bonificatoria di privati e di Enti. Osservava a
questo proposito Francesco Pais Serra
nella sua Relazione dell’inchiesta sulle
condizioni economiche e della sicurezza
pubblica in Sardegna: «Il dire ai proprietari che si trovano nella condizione
di non poter coltivare, non poter produrre, non poter vendere utilmente i
prodotti; ove il fisco è costretto ad usare
della dura legge di confisca per debito
d’imposta; ove, come si è visto, il capitale se risparmiato diminuisce, e si incomincia ad intaccare il capitale già ri-
sparmiato; il dire, ripeto ai proprietari
e anche, almeno in parte, ai Comuni ed
alle Province ‘‘si faranno i lavori
quando voi pure, anno per anno, concorrerete nella spesa’’ è quanto dire ‘‘le
leggi di difesa idraulica, di bonifica e di
irrigazione, le abbiamo fatte e sono state
dettate a benefizio dell’Italia, esclusa la
Sardegna!’’». Certo non mancarono del
tutto le iniziative dei grandi proprietari
che tra gli anni Sessanta e Novanta di
quel secolo portarono avanti importanti
opere di bonifica di stagni e paludi nelle
situazioni meno difficili, dove cioè la
colmata o lo scolo naturale si dimostravano misure sufficienti ad assicurare risultati operativi e tangibili come nel
caso degli stagni di Paule Monserrato
(ea 125) e di Pauli Simatzis (ea 85) completamente prosciugati e bonificati.
Mentre alcuni privati, per lo più forestieri (i conti Maffei, le famiglie Piercy
e Sulliotti) diedero inizio alla trasformazione agraria nella Nurra (La
Crucca), nell’agro tra Macomer e Bolotana e nel campo del Coghinas. Nel frattempo l’esigenza di un coordinamento
delle opere di bonifica (sistemazioni a
monte e a valle, rimboschimenti) aveva
cominciato a imporsi alla classe dirigente e all’intellettualità tecnica e
aveva orientato, in qualche misura, gli
indirizzi della legislazione nell’età giolittiana, come dimostrano le leggi speciali del 1897, 1902, 1907, meglio conosciuta, quest’ultima, come ‘‘legge Cocco
Ortu’’, che prevedeva un intervento più
complessivo e globale comprendente il
rimboschimento, la sistemazione idraulica e la bonifica di cinque bacini idrografici: Campidano di Cagliari, 4500 ha;
Santa Gilla 2500 ha; Campidano di Oristano, 5000 ha; Valle del Cedrino, 900 ha;
Campo del Coghinas, 2500 ha.
& LA BONIFICA DEL TIRSO Ma intanto
dalla fine dell’Ottocento il panorama
generale era cambiato completamente,
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifiche
in coincidenza con lo sviluppo industriale e con il progressivo (e magari distorto) inserimento del Paese nella formazione economica capitalistica. E due
nuovi fattori di equilibrio erano intervenuti a neutralizzare gli effetti delle
leggi speciali: lo sfruttamento mercantile del legname e lo sviluppo dell’allevamento ovino (22% in più tra il 1881 e il
1908), che combinava la distruzione
della vegetazione forestale con il denudamento del substrato fertile delle pendici collinari e montane dovuto al sovraccarico del bestiame. Cosicché il
progresso della legislazione sulle b. nel
primo quindicennio di questo secolo
che, pure, portò a un allargamento degli
interventi a carico dello Stato (rimboschimenti, viabilità, rinsaldamento
delle pendici) e all’affermazione del
principio che al risanamento dei terreni acquitrinosi dovesse seguire la bonifica agraria a carico dei proprietari,
riuscı̀ a incidere solo marginalmente e
in alcune zone circoscritte alla Sardegna meridionale, dove la bonifica di alcuni stagni portò al recupero di 2035 ha
di terra. Sarà proprio quest’area il centro d’espansione dell’attività bonificatrice nei successivi decenni nei quali le
vicende della bonifica si intrecciano
strettamente con quelle elettriche.
Spinti da una legge del 1913 «portante
provvedimenti relativi alla costruzione
di serbatoi e laghi sul Tirso e sul fiume
Sibari» (che autorizzava il governo a
concedere per la durata di sessanta
anni la costruzione e l’esercizio di invasi e laghi artificiali sul fiume Tirso
con diritto di precedenza per la domanda che avesse presentato il maggior
coordinamento tra interventi a fine
energetico e irriguo) gli elettrici e i bancari (Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali, Banca Commerciale
Italiana) avevano concentrato il loro interesse sulla Sardegna come area d’in-
vestimento di capitali sulla scorta di
uno studio condotto nel 1911-12 da due
dei più eminenti tecnici agricoli del
tempo, Arrigo Serpieri e Vittorio Alpe,
che avevano posto in rilievo le enormi
possibilità di sviluppo legate alla trasformazione irrigua del Campidano di
Oristano, una volta realizzato l’invaso
delle acque del Tirso. Quella che doveva essere la prima, vera grande opera
di bonifica in Sardegna partirà solo nel
primo dopoguerra col sostegno di una
serie di leggi varate tra il 1916 e il 1922,
che disegnavano a larghe linee un progetto di sistemazione idrogeologica e di
trasformazione di una vastissima parte
del territorio meridionale. Rompendo
decisamente con gli schemi precedenti
di intervento esse introducevano due
innovazioni di grande rilievo: l’istituto
della concessione a società e imprenditori privati (che subentravano allo
Stato) per le opere idrauliche di prima
categoria; e la facoltà alle società concessionarie di proseguire anche con l’esecuzione della bonifica agraria attraverso l’esproprio con indennizzo ai proprietari dei terreni interessati. Con l’acquisto di 9000 ha di terra la Società Bonifiche Sarde, costituita nel 1918 dalla
Società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso, otteneva, nel 1921, la concessione della bonifica di ‘‘Terralba Stagno di Sassu e adiacenze’’ (decreto ministeriale 1º dicembre 1921 n. 5340/5705)
che abbracciava un comprensorio di
18 000 ha. Ma alla fine del primo ventennio del secolo questo progetto di bonifica (che passerà attraverso il fascismo
per proseguire nel secondo dopoguerra) non contribuiva ad attenuare il
negativo bilancio delle opere realizzate
in Sardegna dallo Stato in un sessantennio di vita unitaria: l’isola, la cui superficie territoriale corrisponde alla tredicesima parte di quella nazionale, aveva
nel 1922 meno di un trentaseiesimo del
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Bonifiche
totale delle superfici bonificate a partire dal 1870; mentre l’investimento unitario (£/ea) corrispondeva a poco più di
un terzo della media nazionale.
& IL VENTENNIO FASCISTA Questa sfavorevole situazione di partenza rappresentò per tutto il ventennio fascista il
più valido strumento di propaganda del
regime. Al modesto e disorganico intervento bonificatorio dello Stato liberale
veniva infatti contrapposto il massiccio
impegno del fascismo in direzione della
bonifica. Nei primi anni Trenta, con l’affermarsi, nella legislazione, del concetto di bonifica integrale, quasi un
terzo della superficie territoriale della
Sardegna si trovò, almeno sulla carta, a
essere classificata in comprensori.
Quelli soggetti a trasformazione fondiaria abbracciavano ben 725 000 ha distribuiti in questo modo: Campidano di Oristano, 125 000 ha; Campidano di Cagliari, 145 000 ha; media valle del Coghinas e territori limitrofi, 35 000 ha;
Nuoro, 420 000 ha. Mentre le b. idrauliche di prima categoria interessavano
84 197 ha distribuiti tra le province di
Sassari e di Cagliari:
CAGLIARI Sanluri, Marmilla, Senorbı̀ e
paesi della Trexenta, Tuerra di Teulada, Decimoputzu, Palude di Sitzamus, Villa d’Orri, Paludi del Campidano di Oristano, stagno di Benetudi e
Is Renas, Terralba e stagno di Sassu,
Stagni di S. Gilla, Pauli Fenu, Stagno
Sa Masa, Porto Vesme, Porto Pino, Stagno dei Pescetti e Vovaqua, Basso Flumendosa, Rio Palmas Suergiu, Rio
Mannu di Fluminimaggiore.
SASSARI Piscina Leccari, Platamona,
Lughia, Scribis, Paludi Puzzinosi, Bachili, Stagnola, Pischina Manna, Macciadosa, stagno di Genano, Santa Barbara, Terreni latistanti i rii Ertas e Pauledorzu, stagno di Calik, Imbarcador e
Sant’Imbenia, bassa valle del fiume Padrongianus in comune di Terranova,
correzione del Coghinas. Di fatto la
‘‘geografia’’ delle b. nel periodo tra le
due guerre mostra che gli interventi si
concentrarono sulle pianure (i Campidani di Cagliari e di Oristano nella Sardegna meridionale e la Nurra nella Sardegna settentrionale) seguendo le aree
servite dai grandi invasi (il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas), precisamente
quelle che nel secondo dopoguerra
avrebbero conosciuto il più intenso sviluppo agricolo. Nel resto della Sardegna, la parte dell’osso, la bonifica integrale sfiorò appena le migliaia di ettari
di pascolo montano abbandonato agli
effetti devastanti del disboscamento,
dell’erosione e franamento dei pendii.
I dati ufficiali sullo stato di avanzamento dei lavori di bonifica in Italia nel
1942, forniti dalla Commissione Agricoltura dell’Assemblea costituente, danno,
per la Sardegna, questo significativo
quadro: Superficie classificata, 887 165
ha; non ancora iniziata, 622 963 ha; con
lavori in corso, 145 541 ha; con opere
pubbliche ultimate, 118 661 ha; con trasformazione fondiaria ultimata, 47 036.
Sul 70% della superficie classificata in
comprensori, quindi, la bonifica non
era ancora iniziata; mentre la trasformazione fondiaria aveva interessato il
5% appena della superficie classificata
in comprensori, a cui avevano concorso
quasi esclusivamente società private ed
enti diversi dai consorzi dei proprietari:
la Società Bonifiche Sarde per 18 000 ha
(Bonifica di Terralba); l’Ente Ferrarese
di Colonizzazione per 11 000 ha (Bonifica della Nurra); l’Opera Nazionale
Combattenti per 2300 ha (Bonifica di
Sanluri).
& I RISULTATI Nonostante l’esiguità
delle b. realizzate rispetto a quelle programmate, il bilancio conclusivo di
quella che è stata definita «la più intensa e significativa esperienza legislativa e organizzativa dell’agricoltura ita-
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Bonifiche
liana» non è del tutto negativo. Non solo
sotto l’aspetto qualitativo, ma anche
sotto quello quantitativo niente di simile era stato mai realizzato nella storia
precedente della Sardegna. La correzione del Tirso e del rio Mògoro, il prosciugamento dello stagno di Sassu (2300
ha), la bonifica della Nurra e della vasta
distesa pianeggiante compresa tra lo
stagno di Sassu, l’alveo del rio Mogoro e
il golfo di Oristano, la realizzazione di
chilometri di canali di scolo e di strade
di bonifica, di opere di arginatura e di
importanti infrastrutture di irrigazione; e ancora, il dissodamento e la sistemazione idraulica di parecchie migliaia di ettari di terra avevano portato,
tra l’altro, al risanamento e al recupero
di migliaia di ettari privi sino allora di
ogni forma di coltura come la Nurra e il
Campidano di Oristano dove la moderna impresa ad agricoltura capitalistica, impiantata dalla Società Bonifiche Sarde, sarebbe diventata, nel secondo dopoguerra, il più importante
esempio di grande irrigazione dell’Italia centro-meridionale. Certo, sul piano
agronomico, produttivo e sociale i risultati furono sicuramente deludenti. Se
poco prima dello scoppio della guerra
l’alternanza di pascolo e grano continuava a dominare le rotazioni agrarie,
come avveniva da secoli, il rapporto terreni a pascolo/seminativi non aveva subito sostanziali modifiche rispetto al
primissimo dopoguerra: i seminativi,
che nel 1922 erano il 23%, nel 1938 erano
passati al 55%, e i pascoli permanenti dal
24% al 50%. Ma il mancato scioglimento
dei nodi fondamentali dell’arretratezza
della Sardegna (malaria/spopolamento)
dava la misura precisa del parziale fallimento della bonifica integrale in Sardegna. Non è qui il luogo di insistere
sulle ragioni che impedirono il realizzarsi dell’intervento razionalizzatore
dello Stato nell’agricoltura, prima fra
tutte la resistenza della proprietà terriera; anche se non tutti i deludenti risultati della bonifica sono riconducibili
all’assenteismo, al parassitismo e all’autoconservazione della proprietà terriera che in Sardegna (come in tutto il
Mezzogiorno) riuscı̀, in buona parte, a
evadere gli obblighi di attuazione delle
opere di competenza privata. Prima che
l’ipotesi ‘‘modernizzatrice’’ disegnata
da Serpieri fosse sconfitta del tutto
dalla resistenza organizzata della proprietà (il ‘‘Sottocomitato di Sassari’’ era
uno dei più attivi all’interno dell’opposizione portata avanti dal Comitato promotore dei Consorzi di Bonifica in Italia
meridionale e insulare, presieduto da
Domenico La Cava, esponente della
grande proprietà latifondista siciliana),
era intervenuta ‘‘Quota novanta’’ e, subito dopo, la grande crisi a fiaccare anche i settori imprenditoriali dell’agricoltura, interessati a portare avanti le
opere di trasformazione per le quali si
era reso più difficile accedere ai finanziamenti dopo l’inaridimento dei canali
creditizi predisposti a sostegno dell’iniziativa privata. E contemporaneamente
l’attività bonificatrice del regime aveva
subito l’impatto con l’ambiente fisico,
con la natura particolare dei suoli, con
le condizioni dell’idrografia e con le
enormi difficoltà di recupero di un territorio su cui gravava una storia secolare di degradazione che le distruzioni
e gli sconvolgimenti portati dalla guerra
dovevano arricchire di un nuovo capitolo.
& IL SECONDO DOPOGUERRA La storia
delle b. nel secondo dopoguerra è strettamente influenzata da un evento che
ha impresso una svolta decisiva alla
vita economica e sociale della Sardegna: la definitiva eradicazione della malaria, ottenuta al termine di una vera e
propria guerra le cui operazioni, condotte da un esercito guidato da tecnici
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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Bonifiche
specializzati inviati dalla Fondazione
Rockefeller, durarono quattro anni, dal
1946 alla fine del 1950. Se le b. idrauliche avevano avuto come obiettivo prevalente l’eliminazione del paludismo e
della malaria; e se essa, nel colpire gli
stessi lavoratori addetti ai lavori di bonifica, aveva frapposto un potente ostacolo al recupero delle aree malsane nel
periodo tra le due guerre; ora la sua
scomparsa apre nuove prospettive favorendo la nascita di nuovi insediamenti
in zone fino allora spopolate perché
troppo malariche. La ripresa dei lavori
di bonifica avviene infatti proprio nel
1950. Un decreto legislativo del 1947 (31
dicembre, n. 1744), «Modificazioni alle
disposizioni in materia di bonifica»,
aveva introdotto una classificazione
delle b. in corso a tre livelli: comprensori di acceleramento nelle zone a ordinamento estensivo; comprensori di
primo concentramento (A) nei quali le
trasformazioni erano legate alle possibilità irrigue e comprensori di secondo
concentramento (B) nelle aree dove i lavori erano già consolidati. In Sardegna i
comprensori di acceleramento, che costituivano aree privilegiate per i finanziamenti pubblici, abbracciavano circa
51 000 ha già toccati dalla bonifica integrale fascista: Consorzio di bonifica di
Chilivani, 23 124 ha; Campidano di Oristano (Consorzio di bonifica destra
Tirso), 17 000 ha; Consorzio di bonifica
del Campidano minore 10 800 ha. Saranno questi i centri di espansione dell’intervento pubblico statale e regionale
a partire dal 1950, anno in cui fu emanata la legge di riforma agraria (Legge
12 maggio 1950, n. 230) a cui seguı̀ (27
aprile 1951) l’istituzione dell’ETFAS
(=) e la Sezione speciale di riforma dell’Ente Autonomo del Flumendosa, che
si fusero nel 1966. A quella data i centri
di colonizzazione erano 12. Cagliari: Arborea, Carbonia, Castiadas, Oristano,
Pula; Sassari: Alghero, Olbia (Liscia),
Ozieri, Sassari; Nuoro: Laconi, Nuoro.
Alla fine degli anni Sessanta l’ETFAS
(dal 1966 Ente di sviluppo), che aveva
iniziato la sua attività su un territorio
di 101 000 ha, aveva realizzato un lago
artificiale sul rio Cuga (Nurra); 2562
case coloniche, 1420 concimaie, 2272
stalle; una rete di acquedotti di 446 km;
trivellazioni per un totale di 222 pozzi.
La costruzione, in questi ultimi tre decenni, di grandi infrastrutture di bonifica e di irrigazione (che interessa
158 000 ha), il miglioramento fondiario,
la riforma agraria hanno avuto ragione,
infine, delle punte più drammatiche di
degradazione del territorio, introducendo elementi di novità nella struttura
fondiaria e nel paesaggio agrario. Liberata dai condizionamenti più pesanti,
che nel passato avevano frenato lo sviluppo delle forze produttive, l’agricoltura sarda ha conosciuto nel frattempo
alcuni fatti nuovi destinati a influenzare nel futuro gli indirizzi generali
delle b.: l’esodo dalle campagne, la
quasi completa scomparsa della pastorizia di transumanza, il miglioramento e
l’irrigazione dei pascoli, la crescita del
settore della pastorizia. Si apre ora un
nuovo capitolo nella storia delle b.:
quello degli interventi destinati da una
parte a vincere (attraverso l’elettrificazione rurale, la rete idrica, i trasporti) le
diseconomie esterne nella regione; dall’altra, a elevare le condizioni materiali
di vita, il livello tecnico, economico e
sociale di pastori e contadini; una ‘‘bonifica umana’’ senza la quale l’altra, la
lunghissima opera di bonifica che nel
corso di due secoli ha imbrigliato le acque e vinto la siccità, ricomposto il corso
dei fiumi e prosciugato stagni e paludi,
rinsaldato le pendici e moderato la
forza erosiva delle acque, non sarà in
grado di modificare il rapporto tra la
terra e l’uomo. [EUGENIATOGNOTTI]
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Enciclopedia della Sardegna – Volume 1
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