Academia.eduAcademia.edu

Azio Balbo (Marco)

2007, Esmeralda Ughi

ENCICLOPEDIA DELLA SARDEGNA Volume 1 Abate - Bonifiche Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 1 ENCICLOPEDIA DELLA SARDEGNA Volume 1: Abate-Bonifiche Edizione speciale e aggiornata per La Nuova Sardegna § 2007 Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A. Via Porcellana 9 - 07100 Sassari dell’edizione originale La Grande Enciclopedia della Sardegna a cura di Francesco Floris § 2002 Newton & Compton Editori S.r.l. Supplemento al numero odierno de La Nuova Sardegna Direttore responsabile: Stefano Del Re Amministratore delegato: Odoardo Rizzotti Reg. Trib. di Sassari nº 4 del 19/6/1948 I contenuti della presente edizione speciale sono stati rielaborati, aggiornati, arricchiti e completati da La Nuova Sardegna. Tutti i diritti di copyright sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio e televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge. Finito di stampare nel mese di ottobre 2007 presso ILTE S.p.A., Moncalieri (TO) Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 2 ENCICLOPEDIA DELLA SARDEGNA a cura di Francesco Floris Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 3 Per l’edizione speciale: Opera a cura di Francesco Floris Progetto e consulenza editoriale: Manlio Brigaglia Coordinamento redazionale: Salvatore Tola Progetto grafico e impaginazione: Edigeo s.r.l., Milano Testi inediti: Mario Argiolas, Piero Bartoloni, Marcella Bonello Lai, Aldo Borghesi, Maria Immacolata Brigaglia, Manlio Brigaglia, Antonio Budruni, Paolo Cabras, Gerolama Carta Mantiglia, Rita Cecaro, Ercole Contu, Fabrizio Delussu, Roberto Dessanti, Giovanni Dore, Piergiorgio Floris, Federico Francioni, Piero Frau, Sergio Frau, Franco Fresi, Elisabetta Garau, Alberto Gavini, Giovanni Gelsomino, Michele Guirguis, Antonio Ibba, Marcello Madau, Giovanni Marginesu, Attilio Mastino, Antonello Mattone, Lucia Mattone, Gianluca Medas, Francesco Melis, Paolo Melis, Giuseppe Meloni, Vico Mossa, Luciana Mulas, Anna Maria Nieddu, Francesca Nonis, Francesco Obinu, Pietro Pala, Giampiero Pianu, Tomasino Pinna, Enrico Piras, Giuseppe Piras, Natalino Piras, Giuseppe Podda, Valentina Porcheddu, Franco Porrà, Paolo Pulina, Marco Rendeli, Paola Ruggeri, Sandro Ruju, Antonello Sanna, Barbara Sanna, Piero Sanna, Pietro Sassu, Tiziana Sassu, Simone Sechi, Giuseppe Serri, Francesco Soddu, Piergiorgio Spanu, Antonio Tavera, Alessandro Teatini, Marco Tedde, Eugenia Tognotti, Francesca Tola, Giovanni Tola, Salvatore Tola, Dolores Tomei, Raimondo Turtas, Esmeralda Ughi, Luisanna Usai, Adriano Vargiu, Massimiliano Vidili, Bepi Vigna, Gianna Zazzara, Raimondo Zucca Consulenza iconografica: Giancarlo Deidda Referenze iconografiche: pag. 124: Archivio Alinari (Firenze) pagg. 399, 400, 401: Archivio del Banco di Sardegna (Sassari) pagg. 27, 41, 89, 136, 155, 160, 218, 222, 255a, 306, 403, 404, 425, 553a, 622: Archivio Edizioni Della Torre (Cagliari) pagg. 173a, 177, 335, 405, 579: Archivio ‘‘Nuova Sardegna’’ (Sassari) pagg. 98, 126, 145, 188, 217, 253, 276, 308, 363, 601: Archivio Sergio Serra (Cagliari) pagg. 19, 25, 28, 33, 34, 35, 45, 49, 50, 61, 67, 83, 87, 99, 132, 134, 137, 142, 143, 162, 164, 181, 182, 184, 189, 195, 202, 211, 213a, 223, 224, 257, 259b, 263, 265, 320, 362, 383, 397, 411, 418, 419, 421, 422, 423, 424, 431, 434, 438, 447, 456, 498, 505, 512, 520, 528, 529, 532, 535, 537, 544, 553b, 571, 576, 584, 608, 617, 618: De Agostini Picture Library (Novara) pagg. 37, 38, 51b, 52, 53a-b, 54, 112b, 119, 213a, 267, 292, 293, 294a, 303a-b-c, 377, 440: Giancarlo Deidda (Cagliari) pagg. 6, 29, 56, 57, 58, 68, 73, 106, 107, 108, 112a, 127a, 130, 150, 246, 256, 266, 272, 294b, 296, 300, 304, 305, 310, 316, 331, 334, 345, 395, 428, 439, 458, 462, 482, 485, 486, 488, 490, 507, 509, 510, 513, 539, 586, 589, 590, 591a, 593: Salvatore Pirisinu (Sassari) pagg. 92, 138, 173b, 402, 533, 592: Tore Ligios pag. 26: Ufficio Stampa della Regione sarda (Sassari) Immagine di copertina: De Agostini Picture Library Si ringraziano per la collaborazione tutti gli artisti, gli archivi fotografici e gli enti di conservazione che hanno dato permesso di riproduzione. L’Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A. è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche e testuali non individuate. Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 4 Prefazione Un’enciclopedia della Sardegna. Sembra facile: forse per l’idea che, dovendosi confrontare con una realtà che è sostanzialmente limitata dai suoi stessi confini geografici, non si corre il pericolo di lasciare fuori qualcosa d’essenziale (che è un po’ l’ossessione di tutti quelli che si mettono a fare un’enciclopedia); oppure forse per la sensazione che uno dei modi più efficaci per mettere ordine in questa sorte di galassia con tutte le sue specificazioni è provare a stringerla in una sintesi afferrabile e governabile. E del resto è un fatto che da quasi mezzo millennio la cultura sarda (o, il più delle volte, piccoli gruppi di intellettuali o addirittura intellettuali come impresa individuale) prova a mettere mano a un’enciclopedia. Non per niente quello che viene considerato il primo grande intellettuale sardo, Giovanni Francesco Fara, provò a condensare in due opere, il De rebus Sardois e il De Chorographia Sardinae, tutto il sapere suo e dei suoi contemporanei di storia e di geografia. A guardarle oggi due voci – o, meglio, due volumi – di un’enciclopedia a venire. Era la seconda metà del Cinquecento. Da allora i tentativi si sono ripetuti. Ma, per saltarli tutti, è stato soprattutto nella seconda metà del Novecento che l’idea è stata ripresa, sotto lo stimolo, parrebbe, di tre condizioni concorrenti: la prima è la larga diffusione della cultura e della lettura, non meno che le stesse facilitazioni tecnologiche alla produzione di libri anche di vasto respiro; la seconda, il rinnovamento degli studi sull’isola che sembravano richiedere una messa a punto delle conoscenze fin allora acquisite come viatico a una diversa comprensione della realtà regionale; la terza, la nascita della Regione autonoma, che spronava a rimeditare l’intera vicenda isolana e indagare gli aspetti più specifici di quella che si sarebbe chiamata ‘‘l’identità’’ sarda. Nei primi anni Cinquanta un’enciclopedia fu tentata da Marcello Serra: il verbo ‘‘tentare’’ vuole alludere all’approssimazione di un’indagine che si contentava di contenere i propri risultati in qualche centinaio di pagine. Da allora in poi enciclopedie (o, se si vuole, opere di non grande mole ma con ambizioni enciclopediche) si sono susseguite con una certa frequenza, tutte con una qualche utilità, soprattutto in un tempo in cui lo sviluppo inatteso del turismo moltiplicava la domanda di conoscenza, le curiosità di centinaia di migliaia di nuovi visitatori. La Grande enciclopedia della Sardegna di Francesco Floris, edita dalla Newton & Compton nel 2002, è stata la prima a presentarsi connotata dall’assetto ‘‘classico’’ dell’enciclopedia, che si basa sulla dimensione rilevante dell’opera e l’ordine alfabetico dei lemmi; negli anni Ottanta, invece, La Sardegna, tre volumi editi dalle Edizioni Della Torre a cura di Manlio Brigaglia con la collaborazione di Antonello Mattone e Guido Melis, aveva scelto la struttura tematica, commissionando a oltre 120 specialisti italiani e stranieri 150 ‘‘articoli’’ sull’isola, suddivisi in sei sezioni principali (la geografia, la storia, la letteratura e l’arte, la cultura popolare, l’economia e la società, l’autonomia regionale). Il riferimento alle due opere è d’obbligo: intanto perché l’enciclopedia Floris costituisce il nucleo di questa ‘‘nostra’’ enciclopedia, e in secondo luogo perché una decina delle ampie voci della enciclopedia Della Torre – della cui generosa collaborazione la presente opera ha potuto avvalersi – è stata ricompresa nelle pagine che seguono in corrispondenza di lemmi particolarmente significativi (per fare un esempio, dalla storia delle carte geografiche isolane allo Statuto sardo). L’Enciclopedia della Sardegna che presentiamo al lettore ha l’ambizione di V Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 5 completare e – sia detto senza modestia – superare tutti i tentativi precedenti: ordinata secondo l’ordine alfabetico, contiene intorno ai 12 000 lemmi nei quali è indagato e sintetizzato ogni elemento di qualche importanza che caratterizza l’universo regionale. Non più solo la storia e la geografia, dunque, ma ogni parola (se cosı̀ si può dire) di cui ci sia bisogno per dar conto di quello che è sardo, tanto nel passato più lontano quanto nel presente più vicino: cosicché la stessa enciclopedia Floris ha finito per raddoppiarsi nei lemmi e quasi quintuplicarsi nel numero di pagine. Ne è nata un’opera del tutto nuova, come abbiamo l’orgoglio di pensare non sia mai esistita prima di questa nella cultura sarda, pure abituata a opere di grande mole (si pensi soltanto alla somma delle voci scritte dal padre Vittorio Angius a metà Ottocento, su tutti i paesi della Sardegna: ma solo su quelli, limitatamente, pur nella ampiezza della ricerca e nella vastità della trattazione). Questa aspirazione alla completezza è la molla che ha mosso l’intera operazione: a volte creando al curatore, occorre riconoscerlo, qualche imbarazzo quando, nel proposito di dar conto anche della contemporaneità ancora non del tutto soppesata e definita, si è dovuto scegliere fra una notizia forse appena consolidata e la soppressione del rimando a un elemento o un personaggio già sufficientemente radicati nello scenario sociale dell’isola. In molti casi si è deciso di propendere per questa seconda opzione, nel tentativo non soltanto di dare a Cesare qual che è di Cesare, ma anche di riconoscere a ciascuno di coloro che operano nell’isola – o, nati nell’isola, lavorano fuori di essa – il merito dovuto: degli eventuali errori e delle inevitabili omissioni si potrà, al caso, fare ammenda in futuri aggiornamenti, che si sperano. Nessuna esclusione, peraltro, è stata praticata pregiudizialmente: sia detto a scusante delle assenze di nomi e di dati, domandando indulgenza a chi dovesse sentirsene toccato. Questo ‘‘inseguimento’’ della realtà sarda più vicina, dice il curatore, è stata un’esperienza straordinaria: perché ha messo in luce quanta novità ci sia oggi nell’isola, quante cose si muovano e – come diceva Emilio Lussu – quante altre stiano per affacciarsi all’orizzonte. Una seconda caratteristica che il curatore vorrebbe si riconoscesse all’opera è la sua forte ‘‘sardità’’. È stato detto più volte che noi sardi non possiamo non dirci sardisti. «Il sardismo è il fuoco che cova sotto la cenere», scriveva Lussu. Questo sardismo (che è lo stesso – senza stare a fare troppi distinguo – che animò alle origini il moto rivendicazionista isolano) è soprattutto un sentimento: la consapevolezza che le nostre radici affondano in un terreno antico, consolidato attraverso lunghe ere di stratificazioni, fatte di uomini prima ancora che di cose. Senza assumerlo come punto unico di vista, come prospettiva di giudizio obbligato, questo privilegiamento delle ‘‘radici’’ identitarie può avere mosso il curatore ad assegnare, qua e là, a un fatto o a un personaggio maggiore importanza (che in un’opera come questa si traduce in un maggiore numero di righe della ‘‘voce’’ loro dedicata) di quanto magari forse, secondo alcuni, non meriterebbero. È un fatto, peraltro, che l’incidenza che alcuni momenti hanno avuto nella lunga vicenda dell’isola o la passione di patria che ha mosso alcuni personaggi vengono riguardati, in queste pagine, come i luoghi nodali del modo ‘‘storico’’ di essere sardi. Nella stessa ottica particolare attenzione è stata riservata ai temi dell’ambiente, a cominciare dalla flora e dalla fauna. Questa enciclopedia non si pone alcun intento pedagogico: semmai, ha una aspirazione ‘‘didattica’’, nel senso di opera dedicata soprattutto alla scuola e ai giovani sardi, perché solo conoscendo molto si può rinnovare e migliorare. È l’augurio con cui affidiamo al lettore le 6000 pagine, i 10 volumi di questa nuova, impegnativa iniziativa dell’Editoriale ‘‘La Nuova Sardegna’’. l’Editore VI Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 6 Guida alla consultazione Ordine alfabetico La sequenza alfabetica dei lemmi è stata fissata trascurando i caratteri non alfabetici. Quando il lemma contiene una virgola – come avviene nei nomi propri di persona tra cognome e nome – l’ordinamento considera solo la parte del lemma che precede la virgola, passando alla parte successiva solo in caso di omografia: * – Voci dedicate ai santi. Subito dopo l’attacco del lemma e, se presente, il nome al secolo, vengono indicate le varianti sarde del nome che differiscono dall’italiano: Lorenzo da Brindisi, san (Giulio Cesare Russo; in sardo, Santu Lorenzu, Santu Lorentu, Santu Larentu, Santu Laurentu) ... San Benedetto San Carlo Sanchez Sanchez de Calatayud, Pietro Sanchez Martinez, Manuel Dopo l’esposizione generale della vita e delle opere del santo sono spesso presenti i paragrafi In Sardegna, in cui si citano i centri di cui egli è patrono e dove possono essere descritti i suoi legami col mondo della storia o delle tradizioni sarde, e Festa, nel quale vengono elencate le date e le località che hanno particolari ricorrenze dedicate al suo culto: Struttura delle voci Il lemma è evidenziato in carattere neretto. Per comodità alcuni lemmi di santi rimandano a quelli dedicati a un altro personaggio con cui i primi hanno avuto rapporti e all’interno della cui voce sono citati. Nei casi di lemmi complessi è possibile che sia presente una suddivisione in paragrafi. Per le voci di alcune categorie specifiche la struttura è, generalmente, la medesima. * Andrea, santo ... In Sardegna Patrono di Birori, Giave, Gonnesa, Modolo, Sant’Andrea Frius, Sedini, Sennariolo, Tortolı̀, Ula Tirso e Villanova Truschedu. Dà il nome al mese di novembre, Sant’Andria. Patrono dei pescatori e dei pescivendoli, invocato contro i tuoni e per guarire gli animali dal mal di ventre. I proverbi: «Po Sant’Andria si toccat sa pibizia» (Per Sant’Andrea si spilla, si assaggia, il vino nuovo); «Seu cumenti sa perda de Sant’Andria, beni stemmu e mellu stau» (Sono come la pietra di Sant’Andrea, bene stavo e meglio sto): persona che si adatta a tutto. Festa Si festeggia il 30 novembre; il 24 maggio a Sant’Andrea Frius. Sagre estive e in altre date durante l’anno. – Voci dedicate ai comuni. Vengono forniti alcuni dati essenziali come popolazione, superficie, posizione geografica, suddivisioni amministrative e storiche di appartenenza, seguiti dai paragrafi: TERRITORIO, STORIA, ECONOMIA, DATI STATISTICI, PATRIMONIO ARCHEOLOGICO (solo se rilevante), PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE (e AMBIENTALE, solo se rilevante), FESTE E TRADIZIONI POPOLARI. – Voci dedicate a botanica e zoologia. Vengono di norma indicati i nomi scienti- VII Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 7 Bonassai. È un formaggio a pasta ... ... Precarietà dell’insediamento rurale ... Villaggi abbandonati GIUDICATO D’ARBOREA Nel giudicato d’Arborea sono stati individuati i seguenti villaggi abbandonati: 1. Abbagadda, villaggio che sorgeva ... 2. Almos, villaggio che sorgeva ... GIUDICATO DI GALLURA Nel giudicato di Gallura sono stati individuati i seguenti villaggi abbandonati: 1. Agiana ... ... Villaggi i cui abitanti si trasferirono altrove ... GIUDICATO D’ARBOREA ... GIUDICATO DI GALLURA ... ... fici delle specie citate e una classificazione sistematica generale. Nel caso in cui il lemma faccia riferimento a specie diverse può essere presente un elenco interno per rendere più semplice la consultazione. I nomi sardi, se presenti, sono dati in corsivo e con l’eventuale specificazione del dialetto tra parentesi: Cicerchia Genere di piante erbacee perenni della famiglia delle Leguminose, rappresentato in Sardegna da diverse specie, caratterizzate da fusti lunghi, spesso rampicanti: 1. la c. a foglie larghe (Lathyrus latifolius L.) ... 2. la c. porporina (Lathyrus articulatus L.) ... Nomi sardi: chérigu (logudorese); letı́tera (Sardegna centrale); piseddu, pisu de coloru (campidanese); pisu de coloru (Sardegna meridionale). – Voci dedicate a elementi del patrimonio storico e tradizionale sardo. Il testo viene spesso ordinato secondo paragrafi, attinenti alla categoria degli elementi trattati, o in elenchi: – Voci dedicate alle famiglie storiche. Nel caso in cui la famiglia si sia divisa in più rami essi vengono solitamente elencati distintamente: Formaggi della Sardegna ... & IL FORMAGGIO NELLA STORIA Fin dall’antichità il centro della produzione ... & TIPI DI FORMAGGIO Attualmente i tipi di formaggio sardo più diffusi sono: Biancospino. È un formaggio ... VIII Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 8 Amat Illustre e antica famiglia ... Ramo di Pietro. Pietro ereditò la baronia di Sorso ... Ramo di Francesco. Francesco continuò la linea dei marchesi di Villarios ... Ramo di Francesco (San Filippo). Da Francesco, figlio cadetto del marchese Gavino di Villarios, discende ... Rami collaterali. Attualmente, oltre al ramo marchionale primogenito ... A Abate, Francesco Giornalista, scrittore (n. Cagliari 1964). Giornalista presso ‘‘L’Unione sarda’’, svolge anche attività di DJ nei locali da ballo dell’isola col nome di Frisco. Ha esordito nella narrativa con il romanzo Mister Diabolina (1998). Ha pubblicato poi Il cattivo cronista (2003), e nel 2004 Ultima di campionato, rielaborazione del soggetto cinematografico col quale aveva vinto nel 1999 il premio di La Maddalena intitolato a Franco Solinas. parte della curatoria del Bonorcili; scoppiate le guerre tra Aragona e Arborea, il suo territorio divenne uno dei teatri delle operazioni militari e fu devastato. Alla fine del secolo XIV i suoi abitanti lo abbandonarono e si rifugiarono a Sardara. Abbasanta Comune della provincia di Abbagadda Antico villaggio del Mandrolisai oggi scomparso; probabilmente era ubicato nel territorio di Atzara e aveva origini medioevali. Era compreso nel giudicato d’Arborea e faceva parte della curatoria del Mandrolisai; quando il giudicato cessò di esistere nel 1409, era già in decadenza. Fu compreso nel Regnum Sardiniae e ceduto in feudo ai Deana nel 1410. Nei decenni successivi probabilmente si spopolò e se ne perse memoria. Abbas (o Santa Maria de is Acquas) Villaggio oggi scomparso che sorgeva nei pressi di Sardara in prossimità dell’attuale stabilimento delle terme. Di origini romane, probabilmente derivava dal centro di Aquae Neapolitanae sorto lungo la strada che da Carales conduceva a Neapolis e conosciuto come stazione termale. Nel Medioevo fu compreso nel giudicato di Arborea e faceva Oristano, compreso nel Comprensorio n. 14, con 2885 abitanti (al 2004), posto a 315 m sul livello del mare nella parte orientale dell’altipiano omonimo. Regione storica: Gilciber. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio si estende per 39,85 km2 e confina con Norbello a nord, Ghilarza a est, Paulilatino a sud e Santu Lussurgiu a ovest. La distanza dai nuclei abitati di Norbello e soprattutto di Ghilarza è molto ridotta, tanto che si può parlare ormai di un unico centro abitato. La campagna circostante, ricca di pascoli, di flora mediterranea e di ruscelli, si divide in due parti: quella a ovest del paese, parte dell’altipiano già citato, che si tiene con scarsi rilievi poco sopra i 300 m di altitudine; quella a oriente che, più ricca di acque e di vegetazione, declina verso la vallata del Tirso, nella parte occupata dal lago artificiale Omodeo. & STORIA La continuità degli insediamenti ci permette di ipotizzare un’origine romana di questo centro; proba- 1 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 9 Abbasanta bilmente deriva dalla statio di Ad Medias posta sulla strada che conduceva da Carales a Turris Lybisonis tra Forum Traiani e Molaria, che sorgeva a sud dell’attuale abitato in un territorio delimitato da due sorgenti (Funtana de jossu e Funtana noa), ancora oggi riferimento dell’attuale abitato. In seguito i monaci greci ne fecero un centro della coltura del gelso e in età non precisabile entrò a far parte del giudicato d’Arborea compreso nella curatoria del Guilcier. Nel corso dei secoli successivi cominciò a essere individuato col nome attuale, probabilmente riferito all’esistenza nel territorio di una sorgente medicamentosa; crebbe di importanza sino a divenire capoluogo della curatoria. Nel secolo XIV, nel corso della guerra tra Aragona e Arborea, probabilmente divenne teatro di operazioni militari e nel 1378 fu addirittura compreso nel territorio che Pietro IV provocatoriamente concesse a Valore de Ligia, sardo traditore. Come è noto, fu una concessione senza effetto: A. continuò a rimanere saldamente in mani giudicali e nel 1388 vi si tenne la corona dei rappresentanti degli altri villaggi della curatoria che precedette la stipulazione della pace tra Aragona e Arborea. Caduto il giudicato, A. e l’intera curatoria entrarono a far parte del Regnum Sardiniae, ma la sua popolazione rimase ostile agli Aragonesi e continuò a guardare con simpatia il marchese d’Oristano che, avuto in pegno nel 1412 il Guilcier come garanzia di una forte somma che aveva prestato al re, cominciava a sperare di poter avere il territorio in feudo. Non fidandosi del Cubello, il re fece altre scelte e cosı̀, nel 1417, A. entrò a far parte del feudo concesso a Giovanni Corbera. Nel 1426 il Corbera lo vendette a sua volta ad Antonio De Sena, i cui discendenti se lo videro seque- strare per debiti nel 1450. Subito dopo il re consentı̀ a Salvatore Cubello, figlio secondogenito di Leonardo e signore del Canales, di occupare il Guilcier. Fu cosı̀ che A. fu inclusa nel grande feudo di Salvatore e, quando nel 1463 egli divenne marchese d’Oristano, entrò a far parte del marchesato e ne seguı̀ le sorti. Perciò quando il marchesato fu sequestrato a Leonardo Alagon gli abitanti di A., unitamente a tutta l’incontrada del Guilcier, chiesero al re di essere amministrati direttamente. Nel 1479 la richiesta fu accolta e il territorio del Guilcier divenne feudo reale (Parte Ocier Real); A. prese a essere amministrata da funzionari regi e i suoi abitanti tenuti a pagare i tributi feudali che erano previsti in Parte Ocier, e cioè il feudo in denaro, il laor de corte in grano e orzo, il diritto del vino e le decime in bestiame. A partire dal 1481 i suoi abitanti furono anche tenuti a prestare periodicamente la loro opera per la Tanca Regia e a pagare il diritto di alcadı̀a. Nonostante il peso dei tributi dovuti, l’ordinata amministrazione reale, nei secoli successivi, favorı̀ la crescita del villaggio e della sua economia, basata sull’allevamento e sull’agricoltura. L’abitato si strutturò progressivamente in un insieme di strade irradiate attorno alla parrocchia di Santa Caterina e abbellite da abitazioni private, costruite nei secoli XVI e XVII e ornate o di loggia o di grandi finestre incorniciate da elementi che si richiamano all’arte gotica. Queste costruzioni erano opera di abili picapedrers locali. Nello stesso periodo il villaggio si abbellı̀ anche con alcune chiese come quella di Sant’Amadu, nel Cinquecento, e quella di Santa Maria delle Grazie, nel Seicento. Nel corso del secolo XVIII divenne un centro di produzione di tele di lino e di un 2 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 10 Abbasanta orbace prevalentemente rosso che veniva usato per il costume femminile. Dopo che nella seconda metà del secolo vi furono introdotti il Consiglio comunitativo e il Monte granatico, la vita politica del villaggio andò modificandosi e, sebbene la montagna di A. fosse stata concessa in feudo nel 1778, negli abitanti si faceva sempre più forte l’aspirazione a liberarsi dalla dipendenza feudale. Nella prima metà dell’Ottocento l’antico ordinamento del Parte Ocier fu gradualmente abolito; a partire dal 1807 A. fu amministrata dalla prefettura di Oristano e nel 1821 inclusa in quella provincia; negli stessi anni vi fu aperta la scuola elementare. Nel 1838 giunse finalmente la sospirata abolizione dei feudi; dopo che, con la ‘‘fusione perfetta’’ nel 1848 furono abolite le antiche province, il villaggio fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari. Nel descrivere il centro abitato, nella prima metà dell’Ottocento, Vittorio Angius scriveva tra l’altro: «Questo paese ha molta amenità, e per gli olmi numerosi, che vi frondeggiano, presentasi in bella prospettiva ad una certa distanza. Il clima è caldo di estate, temperatissimo d’inverno, sola stagione in cui vi piova, mentre nella primavera non è cosa frequente che qualche piovicina cada a rallegrare i seminati. Vengono esercitate da pochi individui le necessarie arti meccaniche; le manifatture restringonsi alle tele di varia qualità, ed al panno forese di vario colore, principalmente rosso-scuro per le robe donnesche, e nero per le vesti degli uomini. Sono in ciò impiegati 225 telai. Può dirsi che fiorisca l’agricoltura. Il territorio rassomiglia ad un trapezio, il quale tiene l’abitato alla parte di levante: è atto alla coltura del grano, orzo, fave, granone, lino ecc. L’ordinaria fruttificazione è del 10 per uno. At- tendesi ancora con qualche studio alla propagazione del bestiame. Le vacche sono in numero 950, le pecore 3500, i porci 500, i buoi 300, le vacche mannalite 200, i cavalli e cavalle 300, i somari per la macinazione del grano 300, i majali 200. Pascono questi armenti e greggie nei terreni aperti durante la buona stagione, poscia, specialmente le vacche, vengono introdotte nelle tanche. I pastori stanno per lo più in capanne ricoperte con la corteccia del sovero [sughero], e vanno nel paese una volta nella settimana per prendere le provvisioni di pane e vino, e recarvi lane, pelli, cuoi e formaggi. Il prodotto del bestiame in cacio e latte di poco supera il consumo grande che ne fanno le famiglie dei pastori, il quale è maggiore ordinariamente di quello che si fa nel paese. Maggior vantaggio ottiensene per la vendita dei capi vivi o al macello, o ad altri pastori esteri». Quando nel 1859 furono ricostituite le province, A. entrò a far parte di quella di Cagliari. Nel corso del secolo XIX il paese si trasformò anche grazie alla ferrovia; fu costruita la bella chiesa parrocchiale, fu avviato lo sfruttamento della foresta del monte Suzuri, tra le più importanti dell’isola, e nello stesso tempo ebbe maggiore incremento l’allevamento dei cavalli. Agli inizi del secolo XX la costruzione della diga del Tirso (inaugurata nel 1924) segnò un altro momento importante per la vita della comunità, anche per la presenza sul suo territorio dell’importante cantiere di Santa Chiara. Nel 1927, però, nel quadro della radicale razionalizzazione del numero dei comuni voluta dal governo centrale, A. perdette l’autonomia e fu aggregata a Ghilarza; l’assurda situazione – A. aveva già più di 2000 abitanti – durò fino al 1934, anno in cui riacquistò l’autonomia e le furono acclusi come frazioni i centri di Domu- 3 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 11 Abbasanta snovas Canales e Norbello (caduto il regime, nel 1946 Norbello riprese la propria autonomia). A. continuò a crescere: alle tradizionali basi della sua economia si aggiunse il settore dei servizi e in particolare la creazione della Scuola di polizia, la cui presenza divenne importante per il paese. Nel 1974, con la costituzione della provincia di Oristano, entrò a far parte di questa. & ECONOMIA Ha un’economia basata sulle attività agropastorali che vi sono molto sviluppate; vi operano anche 182 imprese manifatturiere e commerciali (ferro, alluminio, pelli, sughero), aziende di trasporti (il paese vanta un alto numero di camion); servizi: ospita la Scuola di polizia e le relative caserme. Nel campo dell’allevamento, non solo locale, è importante la presenza nel territorio della Tanca Regia (=), una tenuta impiantata già in epoca giudicale per l’allevamento dei cavalli, e gestita oggi dall’Istituto per l’Incremento ippico di Ozieri. Artigianato. Delle antiche tradizioni rimane ancora qualche traccia di attività tessile in telai domestici. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 2815 unità, di cui stranieri 11; maschi 1384; femmine 1431; famiglie 935. La tendenza complessiva rivelava un aumento della popolazione, con morti per anno 20 e nati 27; cancellati dall’anagrafe 75 e iscritti 85. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 18 334 in migliaia di lire; versamenti ICI 1240; aziende agricole 251; imprese commerciali 175; esercizi pubblici 20; esercizi all’ingrosso 2; esercizi al dettaglio 58; ambulanti 14. Tra gli indicatori sociali: occupati 813; disoccupati 71; inoccupati 148; laureati 63; diplomati 334; con licenza media 889; con licenza ele- mentare 722; analfabeti 46; automezzi circolanti 1097; abbonamenti TV 713. Abbasanta – Il nuraghe Losa è uno dei più imponenti e meglio conservati della Sardegna. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio, abitato fin dall’epoca prenuragica, è ricco di dolmen, di domus de janas, di imponenti nuraghi e di resti di epoca romana. Complesso di Losa (=): & 4 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 12 Abbasanta comprende il grande nuraghe, un villaggio nuragico utilizzato anche successivamente fino al periodo punicoromano; una Tomba di giganti; un pozzo sacro; le tombe romane. Complesso di Aiga: raggiungibile con una strada di penetrazione agraria che si distacca dalla provinciale per Santu Lussurgiu, comprende il nuraghe omonimo e una Tomba di giganti. Il nuraghe, uno dei più ragguardevoli della regione, non è stato mai scavato, ma se ne individua facilmente la struttura complessa: sono almeno tre le torri minori che sorgono intorno a quella centrale; questa ha ancora intatta la sala al piano terra e anche quella del primo piano che, cosa piuttosto rara, presenta nelle pareti tre nicchie, da una delle quali ha inizio uno stretto cunicolo che conduce a un piccolo vano accessorio. Complesso di Chirighiddu: comprende due nuraghi e una Tomba di giganti. Sos Ozzastros: è una Tomba di giganti posta in prossimità del nuraghe Losa. Ha una singolare particolarità: infatti i lastroni della sua esedra hanno bassorilievi raffiguranti mammelle; il complesso è imponente: ai lati dell’ingresso sono visibili alcuni gradini e ai lati del semicerchio corre una banchina che consentiva di stare in prossimità della tomba. Questa particolarità con ogni probabilità è legata al rito dell’incubazione. Va ricordato che il patrimonio archeologico di A. comprende i nuraghi Ederosu, Izza, Mura Lauros, Mura Tufai, Nurru, Osoddeo, Pedra Carpida, Picinu, Pizzinnu, Riga, Sargas, Silva Nova, Trossailla, Zuras; le Tombe di giganti di Cantaru, Mesu Enas, Mura de Sorighes, Mura Iddani, Mura Porchinas, Perda Crappida, Sa Tanchitta, S’Atza, S’Azzica, Scala ’e Cirdu, Su Cutzu, Suei, Su Pranu, Su Tentorzu, Trannari; i dolmen di Cannigedu ’e s’ena, Mesu Enas, Mura ’e puzu, S’Angrone; le domus de janas di Chirighiddu, Mura Iddani, Mura Panu, Mura Porchinas, Su Pranu; il pozzo sacro di Calegastas, e reperti romani in varie località. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il patrimonio artistico di A. è costituito, oltre che dalle caratteristiche strade del centro storico, da alcune chiese di particolare interesse. Santa Caterina è la chiesa parrocchiale, costruita nel Cinquecento in forme gotico-catalane sopra le rovine di un nuraghe. L’edificio andò progressivamente in rovina, sicché tra il 1870 e il 1876 fu radicalmente ristrutturato; attualmente conserva pochi elementi che ricordano l’impianto originario e nel complesso ha forme che richiamano lo stile rinascimentale. Interessante anche, dalla parte opposta della piazza che le si apre davanti, un esempio di abitazione del Cinquecento, ornata da un loggiato le cui colonne sono abbellite con motivi gotico-aragonesi. A questo stile si ispirano anche portali e cornici di finestre sparsi per tutto l’abitato, realizzati nel tempo dagli scalpellini locali utilizzando conci di trachite. Santa Maria delle Grazie, costruita nelle campagne vicine all’abitato nel secolo XVII, col tempo ha finito per essere inglobata nel tessuto urbano. Ha un impianto a navata unica completata dall’abside, la copertura è a volta a botte. Santa Amada, costruita in forme gotico-aragonesi nel secolo XVI e successivamente restaurata, ha l’impianto a una sola navata scandita da archi sorretti da pilastri. Sant’Agostino è un santuario con muristenes e parco, lungo la provinciale per Santu Lussurgiu; di origine bizantina, era probabilmente centro di un complesso monastico i cui monaci svilupparono l’agrumicoltura. Oggi meta di passeggiate, circondata da alcune residenze 5 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 13 Abbiadori di campagna, e utilizzata per una frequentata festa campestre (= Feste popolari). Abbasanta – Il grande falò per la festa di Sant’Antonio Abate, il 16 gennaio. FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Delle antiche feste e tradizioni descritte dall’Angius a metà dell’Ottocento, poche sono state tramandate ai nostri giorni. Sant’Antonio Abate si festeggia il 17 gennaio ed è l’occasione per dare avvio al Carnevale; il momento culminante della festa giunge quando vengono portati nella piazza principale del villaggio alcuni grandi tronchi d’albero cavi (tuvas) e incendiati mentre il pubblico presente danza e canta intorno al falò e prende parte a un’asta benefica di prodotti tipici (sa ditta). Sant’Amada: la festa si svolge l’8 febbraio nella piazza antistante la chiesetta e rispecchia nella sua struttura l’andamento di quella di Sant’Antonio; infatti la sera della vigilia viene bruciato un grande albero cavo (tuva) e dopo il vespro vi si svolge un’asta di agnelli, capretti e altri prodotti tipici. Sant’Agostino si festeggia il 28 agosto con una sagra che si svolge nella chiesetta omonima a qualche chilometro dal paese; la chiesetta e le sue cumbessı̀as si animano dopo che una processione scortata da cavalieri e da amazzoni vi trasferisce la statua del santo da A.: il complesso rimane abitato per il periodo del novenario, du& rante il quale i riti religiosi si alternano a balli e a corse di cavalli. Santa Caterina d’Alessandria: la festa della santa patrona si svolge il 25 novembre con il concorso di molti visitatori; un tempo era preceduta da una fiera che durava tre giorni; attualmente dell’antica fiera non restano che poche bancarelle di prodotti tipici. Di grande suggestione sono invece i riti religiosi che si svolgono in parrocchia e i festeggiamenti di contorno incentrati su manifestazioni di musica e canto tradizionali; si conserva anche la tradizione del pranzo domestico con ‘‘porcetto’’ e dolci di mandorle. Abbiadori, L’ Località abitata della Gallura, in comune di Arzachena, situata sul colmo di una breve collina lungo la strada per Porto Cervo a 116 m sul livello del mare. Già abitata nel secolo XVIII, quando vi si svilupparono alcuni stazzi che ospitarono gruppi di pastori, ha avuto un notevole impulso con lo sviluppo del turismo a partire dalla seconda metà del Novecento. Nodo stradale obbligatorio a immediato ridosso della Costa Smeralda, vi si sono sviluppati diversi centri residenziali e strutture di servizio. Abbigliamento tradizionale Prima di accennare alla situazione degli studi relativi all’abbigliamento popolare della Sardegna è forse il caso di spendere qualche parola a proposito dell’uso che si continua a fare (e che invece non si dovrebbe fare) della parola costume (=) e dell’uso che non si fa (e che invece si dovrebbe fare) dei termini ‘‘vestiario’’ (popolare) e ‘‘abbigliamento’’ (popolare). È vero che normalmente con questo termine ci si riferisce all’abbigliamento festivo e non a quello giornaliero; tuttavia ciò non toglie che si tratti pur sempre di fogge di vestiario e che l’uso del termine ‘‘costume’’ sia quanto meno equivoco in 6 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 14 Abbigliamento tradizionale considerazione del fatto che di esso ci si serve quasi esclusivamente per indicare fogge di abbigliamento popolare: proprio in questa limitazione d’uso sta l’ambiguità del termine, ormai entrato nell’uso corrente a indicare, con valenza negativa, modi ‘‘altri’’ di vestire ammessi solo in occasione di spettacoli cosiddetti ‘‘folcloristici’’ e comunque in contrapposizione al comune modo di vestire. Pare di riscontrare in questa opposizione di termini un meccanismo analogo a quello denunciato da L. Lombardi Satriani relativamente ai termini ‘‘ascesa’’ e ‘‘discesa’’ normalmente usati per indicare scambi di temi folclorici dalla cultura subalterna a quella dominante e viceversa; pare insomma che – sia pure in diverso ambito – anche nella contrapposizione di questi termini «operi, magari a livello di inconscio, una concezione di superiorità / inferiorità, per cui ciò che attiene al mondo popolare, anche se per molti aspetti importante, è comunque inferiore» (rispetto al corrispondente della classe egemone). D’altra parte il solo termine ‘‘costume’’ evoca immagini e ricordi ben diversi da quelli connessi al termine ‘‘abbigliamento’’, richiamando il primo alla memoria quanto meno (attualmente) fatti di folclore turisticizzato e in ogni caso connessi a concezioni di vita popolare quali sono state elargite, spesso in modo idilliaco e come rimpianto del buon tempo antico, dai mezzi di comunicazione di massa, complici alcuni studiosi di folclore. In realtà il permanere nell’uso della parola ‘‘costume’’ indica il perpetuarsi di una concezione del mondo popolare e delle sue manifestazioni materiali che ha origini assai lontane: quelle stesse origini, tra l’altro, che nelle raccolte etnografiche di inizio secolo XX hanno portato al prevalere dello ‘‘strano’’, del ‘‘ricco’’ e dell’‘‘elaborato’’ sul comune e alla supremazia dell’oggetto sull’uomo. Abbigliamento tradizionale – Donne in costume che danzano alla sagra di Sant’Efisio di Cagliari. Conseguentemente il mondo popolare è stato visto esclusivamente come un serbatoio amorfo, utile soltanto per il prelievo di reperti di grande ricchezza, varietà, originalità di forma; del vestiario non si è preso in considerazione alcuna quello giornaliero e da lavoro, assolutamente anonimo, ma quello festivo, ‘‘pittoresco’’, sgargiante di colori e ricchissimo di gioielli; per fortuna in questo quadro sono mancati – anche se non del tutto – rimpianti per la scomparsa di tale abbigliamento. Ci si è posto soprattutto il problema delle origini di siffatti modi di vestire; si sono tentati, in vari modi e in diversi tempi, collegamenti con epoche e fogge più o meno remote; si sono perfino sostenute – per quanto riguarda il vestiario maschile – parentele assai strette con i modi di vestire del periodo nuragico. Anzi furono proprio alcuni capi del vestiario maschile a polarizzare l’attenzione degli studiosi, che non mancarono di fare sfoggio di erudizione a sostegno di teorie evidentemente precostituite. Il problema di fondo della questione, quello cioè del perdurare – per alcune località – fin verso i primi decenni del secolo scorso di determinati 7 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 15 Abbigliamento tradizionale modi di vestire, non venne preso in considerazione, per cui l’indagine sulle manifestazioni materiali a livello popolare altro non era che preistoria vivente, scienza dei relitti, che in ambito popolare si mantenevano in vita peraltro in forma languente. Non ci si rese conto dell’insufficienza di una simile analisi né ci si chiese, soprattutto, per quali motivi il vestiario tradizionale fosse ancora presente e in uso. Non ci si rese conto che quando certi fatti folclorici sopravvivono, come nota C. Levi-Strauss, ne è causa non tanto la viscosità storica, quanto la permanenza di una funzione che l’analisi del presente deve permettere di svelare. Abbigliamento tradizionale – Dettaglio di un costume tradizionale del comune di Maracalagonis, in provincia di Cagliari. VESTIARIO POPOLARE MASCHILE In linea di massima nel secolo XIX e nei primi decenni del XX il vestiario popolare maschile appare costituito da indumenti base diffusi in quasi tutti i centri dell’isola. Copricapo Il copricapo comune è rappresentato dalla berritta, a forma di sacco con angoli arrotondati, lunga 4060 cm; presente in quasi tutti i centri dell’isola, pur se con lievi varianti, è realizzata sia in orbace che in panno. Il colore prevalente è il nero, ma si può trovare anche in rosso, come ad esempio nel vestiario di Cagliari, San Vero, & Cabras, Sassari: in quest’ultimo centro, anzi, la berritta veniva piegata e raccolta in tre cerchi sovrapposti (per questo detta a cecciu). Accanto al copricapo rosso coesisteva – ci si riferisce a Sassari – quello nero (ad esempio degli zappadori). A Cagliari la berritta era normalmente rossa, a sacco ma di forma già troncoconica (pescatori e miliziani); il copricapo rosso era comunque abbastanza diffuso in tutto il Campidano; si hanno peraltro notizie di berrittas di colore marrone scuro usate nell’Oristanese. In alcuni modelli campidanesi la berritta poteva terminare con due linguette in corrispondenza delle orecchie a guisa di ‘‘camauro’’: questo berretto non veniva poggiato direttamente sui capelli ma sopra una cuffia di pelle o di rete, che a sua volta andava coperta da una calotta di panno. Sopra la berritta, soprattutto nel Campidano di Cagliari e a Iglesias, i contadini mettevano durante il lavoro un cappello a larghe tese di giunco o di paglia, coperto di tela cerata nera oppure, secondo quanto riporta il Lamarmora, anche di cuoio o di feltro; quando non usavano il cappello avvolgevano attorno al berretto uno o due fazzoletti rossi che annodavano sotto il mento. Il copricapo popolare di Teulada è invece rappresentato da un cappello di feltro grigio. La berritta, comunque, non è indumento esclusivo della Sardegna; diffusa in quasi tutta l’area mediterranea, la si può riconoscere nel fez orientale come nella berrettina catalana; anche in Portogallo, in Sicilia e in Calabria si hanno copricapi simili. Camicia Altro indumento del vestiario maschile presente in tutti i centri dell’isola è la camicia. Il tessuto usato per la confezione è di lino oppure di cotone; lino grossolano se la camicia fa parte dell’abbigliamento quotidiano e 8 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 16 Abbigliamento tradizionale da lavoro, lino piuttosto fine se l’indumento è destinato all’abito da festa. La camicia maschile non differisce molto da paese a paese; è sempre molto corta ed è resa molto ampia da una fitta increspatura al collo, all’attaccatura delle maniche e ai polsi. L’indumento, aperto sul davanti, è privo di qualsiasi decorazione o ricamo ad eccezione del colletto e ha le maniche molto ampie per consentire la massima libertà di movimenti. Il colore della camicia è quasi sempre il bianco, anche se non è del tutto assente il beige e un leggero celeste ottenuto in fase di lavatura. Le camicie del Campidano differiscono inoltre da quelle delle altre zone dell’isola per il colletto, che non consiste più in una striscia ricamata ma in un colletto vero e proprio, molto alto, con punte inamidate. Corpetto Alla camicia viene sovrapposto il corpetto, che è un indumento aderente e arriva sino alla vita. Viene chiuso sul davanti a doppio petto: i lembi sovrapposti vengono fermati da bottoni spesso d’argento. È sempre confezionato con stoffe pregiate, limitatamente alla parte anteriore; la parte posteriore, con una certa frequenza, è realizzata invece con tessuti non pregiati. La struttura dell’indumento, con parte anteriore a vista, in tessuti pregiati, e parte posteriore – coperta dal giubbetto – in tessuto commerciale non pregiato, richiama alla memoria il panciotto francese – ritenuto l’antenato dell’odierno gilet – della fine del secolo XVII. Giubbetto Sopra il corpetto viene indossato il giubbetto, provvisto di maniche. La lunghezza di questo capo è identica a quella del corpetto, arrivando entrambi gli indumenti sino alla vita. Però, a differenza del corpetto, il giubbetto è tutto in tessuto pregiato in quanto destinato a rimanere tutto in vista. Le maniche che, come si è detto, sono lunghe possono essere aderenti oppure ampie e squartate. Di solito il giubbetto non è di un solo colore, ma presenta settori policromi ottenuti con tessuti diversi; ricami policromi a motivi floreali possono impreziosirne la parte anteriore. Ragas Altro capo di abbigliamento di uso pressoché generale è il gonnellino nero indossato sopra i calzoni. Normalmente il termine con cui si indica questo indumento è ragas oppure cartzones de furesi (in logudorese). Ha area di diffusione pansarda e strutturalmente non differisce molto da zona a zona. Le ragas vengono confezionate quasi sempre con orbace nero; non raramente però sono in panno di lana e di colore rosso. Consistono in un rettangolo di tessuto fittamente pieghettato o increspato su uno dei lati lunghi: si presentano come un ampio gonnellino nero (o rosso), che si allarga a ventaglio sui fianchi e che viene sovrapposto ai calzoni bianchi di lino. Anche per questo indumento maschile si è cercato, da parte di alcuni studiosi, di risalirne alle origini: come quasi sempre, anche questa volta i precedenti sarebbero romani; infatti una delle versioni più note è che le ragas, come il kilt scozzese e le fustanelle balcaniche, non sarebbero altro che discendenza della ‘‘balza’’ che i soldati romani portavano sotto la lorica. Il Lamarmora, in particolare, attribuisce all’indumento origini ed età rinascimentali. Sotto le ragas venivano indossati i calzoni bianchi, in genere molto ampi e lunghi, fermati in vita con nastri o con elastici. Generalmente il tessuto usato per la confezione è realizzato su telaio tradizionale usando lino bianco; non mancano peraltro località caratterizzate da inverni rigidi – specialmente delle zone interne – , nelle quali al posto del 9 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 17 Abbigliamento tradizionale tessuto di lino è presente l’orbace bianco. Le estremità inferiori dei calzoni venivano infilate nelle uose oppure lasciate cadere fino a coprire metà gamba. Cappotto Sopra tutti gli indumenti cui s’è fatto cenno poteva essere indossato un cappotto nero di orbace, lungo fino alle caviglie, comunemente denominato gabbanu (in logudorese). Posteriormente l’indumento presenta un lungo spacco dalla vita sino all’orlo inferiore che ha il compito di non impacciare i movimenti nel cavalcare. Indumento utilissimo, veniva usato pressoché in tutta l’isola – poiché proteggeva efficacemente dal freddo, dalla pioggia e dall’umidità – soprattutto dai contadini e dai pastori. Da notare che l’indumento è fornito di cappuccio conico incorporato. Gabbanella Simile al gabbanu, quanto a struttura, è la gabbanella, lungo giaccone di orbace nero provvisto di cappuccio conico incorporato. Sostituisce il gabbanu nei periodi caldi e, secondo il Lamarmora, sarebbe stato diffuso in Sardegna solo fra le classi subalterne in quanto considerato indumento volgare e grossolano: la gabbanella (in alcune zone, specie nel Logudoro, denominata anche cappottinu) si presenta però non raramente realizzata in modo accurato con fodera interna e guarnizioni di velluto di colore diverso dal nero. Uose Sono gli elementi che completano, insieme alle calzature, l’abbigliamento popolare maschile. Si ritrovano, quanto a diffusione, in tutta l’isola e sono realizzate normalmente in orbace nero, anche se non mancano uose di cuoio, come riferiscono lo Spano e altri scrittori del secolo XIX; in tal caso però esse vengono indicate, invece che come cartzas, col termine di borzeghinos e vestiales. Per quanto riguarda invece le calzature è da notare che in alcuni centri non se ne faceva uso; dove erano presenti erano di fattura artigianale e venivano confezionate su misura. A partire dalla fine dell’Ottocento il complesso ragas, calzoni di lino e uose viene soppiantato dai calzoni di foggia corrente, piuttosto attillati, confezionati in orbace nero. Mastruca Le prime notizie sul modo di vestire dei sardi si concentrarono però soprattutto su indumenti del vestiario maschile che non facevano parte del vestiario festivo, in particolare sulla mastruca e sul collettu. La mastruca (il termine mastruca non esiste nella lingua sarda, mentre è adoperato dagli autori latini) è un indumento da lavoro ottenuto con quattro pelli ovine intonse cucite fra loro in modo da formare un giubbotto senza maniche piuttosto lungo. L’indumento, che come si è detto non fa parte del vestiario festivo ma di quello da lavoro, soprattutto dagli autori latini viene inscindibilmente legato alla Sardegna, e i sardi vengono conseguentemente definiti mastrucati in senso dispregiativo. Comunque la mastruca con varie denominazioni (peddes, pedde, best’e peddi, ervechina) risulta ancora in uso in vaste aree dell’isola, ma in particolare nelle zone centrali. Indumento da lavoro del pastore, è confezionata con pelli intonse di pecora, di agnello, di montone e di capra: le pelli, accuratamente conciate, vengono cucite fra loro in modo che la parte anteriore risulti aperta con due ampie aperture laterali in corrispondenza delle braccia. Il capo risulta pertanto molto ampio e viene usato col vello all’interno durante l’inverno e col vello all’esterno durante l’estate. Ovviamente – e ciò in considerazione del materiale impiegato, esclusivamente di origine animale: anche le cuciture delle pelli vengono ese- 10 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 18 Abbigliamento tradizionale guite con sottili strisce di pelle di gatto o di cane opportunamente depilate, e comunemente indicate come corriargios (in logudorese e nuorese) – l’indumento non può essere circoscritto e limitato, quanto a origine, alla sola Sardegna, ma appartiene a un’area ben più vasta di quella mediterranea, perché verosimilmente doveva essere in uso in tutte quelle zone a clima rigido e con forti escursioni termiche in cui veniva praticata la pastorizia. Collettu Come la mastruca, anche il collettu è confezionato con pelli; a differenza della best’e peddi, però, le pelli del collettu sono tosate, sottoposte a procedimento di conciatura ben più accurato di quello della mastruca e provengono soprattutto da animali giovani; spesso venivano usate anche pelli di cervo. Per la confezione sono normalmente richieste quattro pelli (ovine), due per la parte posteriore e due per quella anteriore, i cui lembi risultano sovrapposti. Quanto a lunghezza il collettu non differisce molto dalla mastruca, arrivando a coprire il ginocchio; in vita è fermato da una larga cintura che ha anche il compito di tenere unite e sovrapposte le falde. Da indumento semplice per il lavoro contadino, quale dovette essere in un primo tempo, il collettu divenne sempre più elaborato e impreziosito da ricami, fermagli, bottoni e gancere d’argento; non è da escludere che proprio in questo processo di progressivo impreziosimento sia da ricercare una delle più importanti cause che portarono alla precoce cessazione dell’uso del capo di vestiario. & VESTIARIO POPOLARE FEMMINILE Anche per quanto riguarda il vestiario femminile si hanno degli indumentibase essenziali che si riscontrano in tutta l’isola. Abbigliamento tradizionale – La festa di San Pietro a Baunei. Uno dei copricapi femminili più diffusi è il fazzoletto quadrato piegato a triangolo: tessuto e nodo segnalano spesso il luogo di provenienza. Copricapo In Sardegna, fra le classi popolari, il capo scoperto era ammesso solo all’interno delle pareti domestiche e durante particolari lavori, mai in pubblico: si può giustificare con questo motivo il fatto che non esiste, nell’isola, una sola località in cui il vestiario popolare femminile non preveda il copricapo. Uno dei copricapi più diffusi è il fazzoletto quadrato piegato a triangolo: è il modo in cui viene annodato che contraddistingue il luogo di provenienza della persona che lo indossa; oltre il modo in cui viene messo intorno al capo, anche il tessuto usato per la confezione è diverso: lana, cotone, seta, lino. Sopra il fazzoletto possono essere sovrapposti altri tipi di copricapo: spesso, in vaste aree, al fazzoletto viene sovrapposta una lunga benda bianca o nera di lino (tiazola); in altre località assume un carattere cosı̀ elaborato con la sovrapposizione di altri fazzoletti che non è più individuabile la forma originaria (come per esempio a Sennori, Atzara, Samugheo ecc.). Al fazzoletto può essere sovrapposto anche un altro fazzoletto, sempre quadrato, ma aperto e lasciato cadere liberamente sulle spalle, di tulle bianco ricamato o di seta ricamata a ritaglio. Può essere sovrapposto 11 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 19 Abbigliamento tradizionale anche uno scialle oppure una mantiglia sagomata, di tessuto anche pesante, che copre il capo e parte dalle spalle. Sotto il fazzoletto veniva indossata una cuffia che poteva essere anche di semplice tessuto bianco. In alcune località, però, per il tessuto usato per la confezione e i ricami che l’adornano, la cuffia è molto preziosa (per esempio, Desulo, Ollolai). Anche a Orgosolo la cuffia è in materiale pregiato, ma nascosta da una benda di seta grezza di colore giallo ocra (lionzu). Il capo può essere coperto anche da una gonna rivoltata sulle spalle e sui capelli. Abbigliamento tradizionale – Caratteristica del costume femminile di Orgosolo è la benda gialla che copre la parte inferiore del viso. Camicia Come si è già visto per la camicia maschile, anche quella femminile è sempre bianca, pur se qualche volta si riscontra un leggero ‘‘azzur- rino’’ o un colore paglierino. Il tessuto normalmente è di lino, ma non manca il cotone. Generalmente le camicie si presentano molto ampie con una fitta increspatura al collo, all’attaccatura delle maniche e ai polsi. Il collo, nella maggior parte del casi (escluso il Campidano, in cui si hanno altissimi colli di pizzo), consiste in una sottile striscia di tela fittamente ricamata ad ago. La camicia poteva essere impreziosita anche da ricami a intaglio oppure a sfilato sul petto, al collo e ai polsi. La confezione della camicia femminile era molto complessa e veniva eseguita da persone specializzate. Sul davanti della camicia, in corrispondenza del collo, sono praticate due asole entro le quali si facevano passare gemelli d’oro o d’argento. La camicia è una componente fra le più importanti del vestiario femminile: ad essa si è dovuto adattare il corsetto, che infatti, in molti casi, si è allargato sul petto in modo da metterla bene in mostra. L’ampia scollatura della camicia ha fatto ritenere a molti scrittori che fu il clero, probabilmente, a imporre alle donne «una pezzuola che, benché svolazzante», ricopre «alquanto nudità che – come annota il Corbetta – riuscirebbero troppo provocanti, e salva in qualche modo il pudore»: per questo le danno anche il nome di parapettu. La camicia è l’unico indumento che anche nel periodo del lutto non cambia colore, rimanendo costantemente bianca quando gli altri indumenti assumono il colore nero. Corsetto Il corsetto è, al pari della camicia, indumento sempre presente nel vestiario femminile sardo, ma diverso quanto a struttura da zona a zona. Nelle località vicino a Sassari è un busto a struttura rigida, confezionato generalmente con broccato e arricchito da ricami, lustrini, perline e fili dorati e argentati; tutta la superficie è rinfor- 12 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 20 Abbigliamento tradizionale zata da steli di palma nana disposti paralleli e verticali e copre completamente la schiena e i fianchi. Abbigliamento tradizionale – Il costume tradizionale isolano è frutto di un lungo lavoro di ago e di telaio. Il busto, che sul davanti è molto scollato (i lembi rimangono distanti), è allacciato sopra il petto da nastri incrociati che passano attraverso numerosissime asole circolari. Può essere indossato sia sotto che sopra il giubbetto. Anche nel Goceano si ha un tipo di busto a struttura rigida, ma molto più corto. Il busto rigido usato nel Logudoro lo si ritrova in Italia e in Europa già dal Cinquecento e restò in uso (a parte un’interruzione durante la Rivoluzione francese) fino a quando nel 1905 Paul Poiret, il re della moda parigina, non propose l’abito chemisier che andava indossato senza nessun bu- sto. Anche in Sardegna esso fu uno dei primi elementi del vestiario tradizionale, insieme alla camicia bianca e al giubbetto, a essere sostituito con camicette colorate o addirittura con maglioni. L’uso del busto rigido o semirigido rimane in Sardegna limitato alla sola zona settentrionale; in altre zone dell’isola invece sopra la camicia viene indossato un corpetto morbido, aperto generalmente sul davanti; in area nuorese il corpetto, a volte, è costituito da una stretta fascia, sostenuta da sottilissime spalline, che passa sotto il seno e termina sul davanti con due punte. Corittu Sopra il corpetto/busto viene indossato un indumento denominato in logudorese corittu e in nuorese tzippone. È una giacca di varia lunghezza generalmente con lunghe maniche strette e squartate, aperta sul davanti. I materiali usati per la confezione sono di solito pregiati (panno, velluto, broccato). A partire dal gomito – ci si riferisce soprattutto ad esempi di area logudorese e del Goceano – le maniche sono guarnite con una serie di bottoni generalmente d’argento. Gonna La gonna del vestiario popolare è sempre molto lunga e, a parte rarissimi casi, molto ampia; è costituita normalmente di due parti: una anteriore liscia e una posteriore, che ricopre anche i fianchi, molto ampia e fittamente pieghettata. La parte anteriore è in genere un semplice rettangolo di stoffa al quale si sovrappone il grembiule; essendo non in vista, è con una certa frequenza confezionata con tessuti diversi o meno pregiati del resto dell’indumento. Questa parte è collegata con quella posteriore per mezzo di cuciture; il settore superiore, però, è aperto per facilitare l’indossatura dell’indumento e viene chiusa con ganci e nastri. Tutta l’attenzione viene river- 13 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 21 Abbigliamento tradizionale sata sulla parte posteriore. L’ampia stoffa viene fittamente increspata in vita e pieghettata fino all’orlo inferiore. La vita e le aperture laterali sui fianchi vengono arricchite da strisce di tessuto diverso, colorato o ricamato. Il bordo inferiore è quasi sempre guarnito da balze che possono essere alte alcuni centimetri oppure possono addirittura arrivare fino a metà indumento: in genere si tratta di tessuto di broccato a fiori policromi o di seta cangiante oppure ancora di raso o di velluto, ricamato a motivi floreali con fili di seta policroma. Galloni dorati e argentati separano la balza dal resto della gonna. In alcuni centri del Nuorese e dell’Ogliastra, come ad esempio ad Aritzo, Tonara, Belvı̀, Gadoni, Baunei, la gonna è molto più stretta. Anche i tessuti usati per la confezione sono vari: soltanto nelle zone interne è rimasto l’orbace, mentre nelle altre località il tessuto usato è di produzione industriale. Un’altra caratteristica di certe località è anche quella di far apparire la gonna più gonfia possibile sovrapponendo diverse gonne. Attualmente la gonna, limitatamente a molti centri, è forse l’unico indumento del vestiario tradizionale che fa registrare una certa vitalità. Non si tratta, beninteso, della gonna con le caratteristiche appena descritte, ma piuttosto di un ibrido che, pur presentando elementi comuni al capo andato in disuso, ne denuncia ancora e piuttosto chiaramente il modulo di provenienza. Grembiule Completa l’abbigliamento femminile il grembiule. Si sovrappone sulla parte anteriore della gonna che, come si è detto, è liscia. Quanto alla forma il grembiule varia da paese a paese, esistendo nell’isola sia il modello triangolare sia quello di forma arrotondata. Gonna e grembiule si integrano a vicenda. Abbigliamento tradizionale – Dettagli e varianti nel costume tradizionale femminile. INDIVIDUALITÀ E PARENTELE DEL ‘‘COSTUME’’ SARDO L’arcaicità delle fogge e degli indumenti del vestiario popolare sardo è la costante presente in quasi tutti gli studi sull’abbigliamento popolare isolano, cosı̀ come anche i caratteri di individualità e di unicità di questo modo di vestire. La Sardegna risulta, in questo quadro, quasi staccata dal contesto geografico e storico mediterraneo e dalle epoche più recenti, per cui il vestiario popolare – e in modo particolare quello maschile – veniva presentato come fossile di un lontanissimo passato. Eventuali particolarità tecniche di manifattura degli indumenti che potevano fornire elementi per una corretta indagine sotto l’aspetto storico e testimoniare invece una antichità e una conseguente ‘‘nobiltà’’ piuttosto esigue non si sono te& 14 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 22 Abbigliamento tradizionale nute nella dovuta considerazione e si è preferito considerare l’indumento quale doveva essere in un metastorico ‘‘prima’’. Abbigliamento tradizionale – Particolari dall’abbigliamento femminile. Dalla ‘‘accertata’’ individualità delle fogge di vestiario sarde rispetto a quelle non sarde si giunse – il passo era breve – a prendere atto della altrettanto marcata diversità esistente – nei capi di abbigliamento – fra le varie località dell’isola (e ciò corrispondeva in effetti alla realtà). Ciò che non rispondeva al vero fu la pretesa di attribuire a ogni località un unico e particolare abbigliamento che dovrebbe costituire un assoluto, quasi una divisa di tipo militaresco o una carta di identità ai fini della individuazione della provenienza della persona. Un particolare modo di vestire – sia esso festivo o meno – non è invece da attribuire esclusivamente a una località reclamandone poi caratteri di unicità rispetto ad altri centri, poiché spesso due località si differenziano fra loro quanto al vestiario solo per dettagli, mentre è identica l’architettura di base. Parimenti non corrisponde al vero che ogni località abbia un proprio unico abbigliamento: al contrario la pluralità delle classi sociali, dei mestieri e delle capacità economiche riscontrabili in un qualsiasi centro e una qualsiasi società classista avrebbe dovuto (o dovrebbe) indurre a meditare sull’assurdità dell’ipotesi dell’esistenza di un unico tipo di abbigliamento indipendente dalle capacità economiche delle varie componenti sociali e quindi dalle capacità di acquisto di ciascuna di esse. Di fatto, per ogni località esiste, sı̀, un modulo base, ma insieme a una nutrita serie di varianti che fa di ogni esemplare quasi un modello unico. Gli esemplari di vestiario, pertanto, pur mantenendo uniformità di struttura e di componenti, variano sia per materiali che per cromatismi; ed è soprattutto nella diversità dei materiali impiegati nella confezione che si ha la riprova del diverso potere di acquisto delle varie componenti sociali e, nell’ambito di una classe sociale, da individuo a individuo. Perciò in ambiente contadino come in ambiente pastorale ci si troverà di fronte a capi di abbigliamento simili e allo stesso tempo diversi tra loro quanto a materiali, decorazioni e accessori. Uno studio del vestiario popolare non può quindi che essere inquadrato in una visione materialistico-storica della società – in cui gioca un ruolo predominante la divisione in classi – e nel contesto storico nel quale la Sardegna si è trovata nei diversi periodi. È ovvio che l’interesse di uno stu- 15 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 23 Abbigliamento tradizionale dio sul vestiario è essenzialmente storico, poiché le particolari fogge di abbigliamento – soprattutto quelle festive – appartengono ormai al passato. La data di cessazione dall’uso corrente può essere collocata, grosso modo, tra la fine del secondo e l’inizio del terzo decennio del Novecento, col cambiare delle condizioni – specialmente dopo la prima guerra mondiale – che ne avevano perpetuato la vitalità e consentito l’evoluzione nel tempo (intesa come capacità di assorbire materiali nuovi in sostituzione di altri tradizionali). Questo per quanto riguarda l’abbigliamento festivo. Per quanto concerne l’abbigliamento giornaliero si può osservare invece che la cessazione dall’uso di quest’ultimo non è stata netta; si può anzi affermare che i nuovi modi di vestire si sono fusi con quelli tradizionali dando vita a ‘‘ibridi’’ ancora oggi in uso specialmente tra le persone di una certa età e in particolari settori dell’economia tradizionale, in special modo nel comparto della pastorizia. L’indagine sul vestiario popolare in genere (e della Sardegna, nel nostro caso) investe direttamente il rapporto tra classe dominante e classi subalterne, perché le fogge si creano e si trasformano sul modello adottato dalle classi detentrici del potere economico e politico e da esse passano a quelle subalterne. Si tratta, quindi, di un fenomeno da studiare non nella sua staticità ma nella sua dinamicità, in quanto frutto di evoluzione indotta da fattori sia temporali che storici. E per lo studio di questo processo in ambito sardo è utile l’esame, oltre che dei documenti rappresentati dai capi di abbigliamento vero e proprio, anche dei documenti iconografici, delle fonti letterarie, di quelle storiche, delle fotografie d’epoca e della testimonianza di persone che hanno avuto modo di conoscere in uso le fogge tradizionali di vestiario: non sono inoltre da trascurare gli elementi ricavabili da un esame dei documenti giacenti presso i vari Archivi di Stato della Sardegna, della penisola e della Spagna e quelli ottenibili da un accurato esame degli ex voto dei diversi santuari dell’isola. Abbigliamento tradizionale – Altri particolari del costume femminile. FONTI Per quanto riguarda le fonti letterarie – trascurando quelle fornite dagli scrittori classici greci e latini – & 16 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 24 Abbigliamento tradizionale esse partono dalla metà del Cinquecento con le poche notizie riportate da Sigismondo Arquer nella sua Sardiniae brevis historia et descriptio e con quelle riportate dal Fara nel De corographia Sardiniae pubblicato nel 1559. Al 1612 risale la Relacion al Rey don Philipe nuestro Señor del canonico Martin Carrillo. Per il Settecento le fonti letterarie sono notevolmente più numerose in quanto si dispone di un manoscritto del 1759 (nella Biblioteca comunale di Cagliari), dei lavori del Cetti (1774), del Gemelli (1776), del Fuos (1780), del Madao (1792) e del Floris (fine secolo, manoscritto cartaceo). Il secolo XIX è quello più ricco di notizie sull’abbigliamento popolare. Con l’Ottocento, infatti, si assiste a una ‘‘riscoperta’’ della Sardegna con la pubblicazione di una serie di libri di autori anche stranieri: Mameli de’ Mannelli (1805), F. d’Austria-Este (1812), Mimaut (1825), Lamarmora (1826 e 1839), Saint Severin (1827), Smyth (1828), Angius (in Casalis, 1833-1856), Valery (1837), Luciano (1841), Monnier (1849), Bresciani (1850), Delessert (1855), Forester (1858), D’Elne (1863), Spano (1864), Bouillier (1865), Domenech (1867), Von Maltzan (1869), Mantegazza (1869), Bennet (1876), Corbetta (1877), Serafino (1888), Bazzi (1889), Cionini (1889), Vuillier (1891), Chiesi (1893) e G. Deledda (1894) – tanto per citare i più importanti. Molti di questi lavori sono rappresentati, soprattutto per quanto riguarda gli autori stranieri, dai cosiddetti ‘‘libri di viaggio’’. Le notizie sull’abbigliamento popolare riportate in questi lavori sono spesso integrate da disegni e litografie. Per quanto riguarda il Novecento sono da citare, fra gli altri, i lavori di Enrico Costa e del Bottiglioni, il Lawrence di Sea and Sardinia e numerosissimi articoli comparsi in riviste e quotidiani. Le fonti iconografiche, della massima importanza ai fini di un’indagine sul vestiario popolare, sono rappresentate – ci si riferisce alle più importanti – dalle tavole dei Ms 258 e 257 della Biblioteca Universitaria di Cagliari, dalle litografie del volume di B. Luciano, dagli acquerelli di don Simone Manca di Mores e dalle tavole pubblicate nella rivista satirica cagliaritana ‘‘Il Buonumore’’, oltre che dai dipinti ancora inediti appartenenti a collezioni private e biblioteche. Il Ms 258, cosı̀ chiamato per la segnatura di riferimento della Biblioteca Universitaria di Cagliari, è stato pubblicato da F. Alziator nel 1963 con il titolo La Collezione Luzzietti (dal nome dell’antiquario romano presso il quale fu acquistato). Si compone di 48 acquerelli da attribuirsi probabilmente ad Agostino Verani, attivo a Torino negli anni tra il 1793 e il 1819. Il Ms Raccolta di trenta costumi sardi particolarmente di Sassari e suoi dintorni disegnati dal vero negli anni 1825-1826 da G. Cominotti è costituito, come dice il sottotitolo, da trenta tavole (di cui 29 acquerelli). Al Cominotti si devono anche quasi tutte le tavole della prima edizione (1826) dell’Atlas che accompagnava il Voyage del Lamarmora; invece le tavole annesse alla seconda edizione del 1839 sono opera del torinese Enrico Gonin (il Cominotti era deceduto a Torino nel 1833). La raccolta della rivista ‘‘Il Buonumore’’ consta di 43 tavole pubblicate fra il gennaio e il novembre 1878 (in due tipi, uno in bianco e nero e l’altro a colori); i disegni sono opera di Giorgio Ansaldi, caricaturista noto con lo pseudonimo di Dalsani. I disegni della raccolta sono stati pubblicati nel 1968 da E. Putzulu sotto il titolo Costumi Sardi. La ‘‘Galleria di costumi sardi’’ del ‘‘Buonumore’’. Ad E. Putzulu e L. Piloni si deve inoltre la pubblicazione nel 1976 degli acquerelli eseguiti 17 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 25 Abdallah ibn Ziyad tra il 1878 e il 1880 da don Simone Manca di Mores; gli acquerelli, 63 in tutto, furono dipinti e dedicati dal Manca alla propria figlia Luigia maritata Riccio. Ulteriore e non trascurabile contributo iconografico rivestono le tavole dell’Album di costumi sardi di Enrico Costa, pubblicato a Sassari nel 1898 dal tipografo-editore Giuseppe Dessı̀. Tutte le fonti iconografiche citate rappresenterebbero una sicura fonte circa lo stadio evolutivo del vestiario popolare sardo delle località osservate se non sorgesse il dubbio che gli autori, tutti di estrazione non popolare, abbiano guardato a questo particolare aspetto della Sardegna come a espressioni di cultura per loro ‘‘altra’’. Documenti ben più validi, in virtù dell’ambiente di fruizione cui il messaggio contenuto è diretto, rappresentano le tavole votive dipinte esistenti presso i santuari, in quanto il vestiario dei protagonisti in esse rappresentati fa parte, come ha scritto G.B. Bronzini, «del racconto e del rito che esso insegna e irradia, ma deve anche servire a far riconoscere come reali i personaggi che vi agiscono»: ma un’indagine sulle tavolette votive della Sardegna da un’ottica demologica è ancora in gran parte da fare. [GEROLAMA CARTA MANTIGLIA] Abdallah ibn Ziyad Ammiraglio arabo (sec. VIII). Comandante di una flotta araba, nel 732 fu inviato da Abd ar-Raman dalla Spagna in Sardegna, ma non ottenne risultati apprezzabili. Nel 734 tentò un altro sbarco, ma fu respinto dagli abitanti di Cagliari. Abd ar-Rahman ibn Habib Principe della famiglia degli Omayyadi (sec. VIII). Nipote del califfo Hisham, sfuggito alla strage della sua famiglia, dal Maghreb dove si era rifugiato organizzò nel 752 una spedizione in Sardegna unitamente a suo fratello Abdal- lah. Attaccandoli con una violenza inaudita vinse la resistenza dei sardi e impose loro il pagamento della giziah, il tributo che i musulmani imponevano alle popolazioni vinte e sottomesse. Abealzu, cultura di Fase culturale della preistoria sarda. Prende il nome dall’omonima località delle campagne di Osilo: risale all’Eneolitico medio ed è databile entro il 2850 e il 2600 a.C. Le sue testimonianze sono state ritrovate a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; gli scavi successivi e i relativi studi permettono di affermare che i sardi di questo periodo (e di questa cultura) praticavano una modesta agricoltura e conoscevano la fusione del rame. Avevano il culto degli antenati e complesse abitudini funerarie; conoscevano la scarnificazione e la semicombustione dei cadaveri, che seppellivano a volte riutilizzando le domus de janas. Gli elementi culturali rinvenuti fanno pensare che la loro società fosse governata da un’aristocrazia. Abella Famiglia algherese di origine catalana (secc. XIII-XVII). Le sue notizie risalgono ai tempi di Giacomo I quando un Pietro si distinse nella conquista del Regno di Valencia. Uno dei suoi discendenti, un Ferrer, si trasferı̀ in Sardegna con la spedizione dell’infante Alfonso e prese parte alla conquista di Iglesias. Proveniva dalla Sicilia, dove i suoi antenati si erano trasferiti dalla Catalogna nel 1282 al seguito di re Pietro III. Suo nipote Nicola fu un valoroso uomo d’armi che prese parte alla battaglia di Sanluri e subito dopo andò a stabilirsi ad Alghero. Nel 1420 ebbe in allodio i salti di Ruda e di Montemajore e nel 1422 fu nominato sostituto del procuratore reale del Logudoro. In seguito, insieme a molti altri gentiluomini algheresi, prese parte alla guerra contro Nicolò Doria. Suo figlio Francesco nel 1436 partecipò alla 18 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 26 Abete conquista del castello di Monteleone e come ricompensa ebbe in feudo le saline del Fangario nelle vicinanze di Alghero, il privilegio dell’esazione della gabella del sale in città e altri privilegi connessi al commercio del sale. I suoi discendenti continuarono a possedere il feudo accumulando ingenti ricchezze; dal 1573 presero parte ai parlamenti ed ebbero un ruolo di rilievo in seno alla società algherese. Nel 1615 uno di essi, Giuliano, fu nominato reggente della Tesoreria generale del regno e nel 1620 ottenne il riconoscimento della nobiltà. Suo figlio Francesco, che nel 1617 era stato nominato capitano della guardia del governatore del Logudoro, nel 1631 fu nominato capitano degli alabardieri del viceré e si stabilı̀ a Cagliari. La sua discendenza si estinse nella seconda metà del Seicento con un altro Nicolò che lasciò erede sua figlia Maddalena, sposata con Diego Tola. Abella, Giuliano Gentiluomo algherese (sec. XVI-prima metà sec. XVII). Nel 1615 fu nominato reggente della Tesoreria generale del regno; partigiano del viceré Vives, ne sostenne con energia l’orientamento politico pro Olivares. Questa posizione lo fece entrare in conflitto con il maestro razionale Ravaneda e con molti altri nobili algheresi. Abete Genere di piante arboree sempreverdi della famiglia delle Pinacee originarie dell’Europa centrale e meridionale montana. L’a. produce legno tenero ed elastico e materiale per l’industria cartaria e conciaria. Non appartiene alla vegetazione spontanea sarda, ma è stato introdotto nei rimboschimenti e nel verde pubblico delle zone montane con le due specie più diffuse: 1. l’a. bianco (Abies alba), detto cosı̀ per i riflessi argentei della sua chioma piramidale verde scuro, rico- noscibile dalla corteccia grigiastra, dalle foglie aghiformi appiattite e dai coni (strobili) lunghi ed eretti sul ramo; Abete – Abete rosso. 2. l’a. rosso (Picea excelsa), che ha corteccia rossastra (da cui il nome), foglie aghiformi con sezione poligonale, strobili lunghi appesi al ramo. Amatore Cossu in Flora pratica sarda (1968) lo segnala nelle zone montane soprattutto del Limbara (Tempio), ma si trova anche nei rimboschimenti della Barbagia, del Mandrolisai, del MarghineGoceano; in Grandi alberi della Sardegna (1994), Siro Vannelli cita un esemplare di a. bianco nella foresta demaniale di Monte Pisano nel Goceano (Bono) che, piantato durante il programma di rimboschimenti dell’ispettore forestale G. Sala negli anni 191516, ha raggiunto 25 m di altezza e 220 cm di circonferenza. Lo stesso Vannelli segnala un esemplare di a. di Spagna (Abies pinsapo) nel parco di villa Piercy in località Badde Salighes (Bolotana) che in un secolo di vita ha raggiunto 22 m di altezza e 350 cm di circonferenza. Nomi sardi: abeti biancu (gallurese); abetu (Sassari); pixi (Mandrolisai). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] 19 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 27 Abigeato Abigeato Termine giuridico usato per definire il reato del furto di bestiame praticato dai pastori. La sua esistenza in Sardegna affonda nella notte dei tempi, fino a diventare elemento ineliminabile e quasi consuetudinario della società pastorale: il fenomeno (e la sua stessa persistenza) sono giustificati dalla convinzione, diffusa nelle società pastorali, che il furto del bestiame posto in essere in stato di necessità non è da considerare come reato. Sicuramente praticato già in età romana e tardoimperiale, era punito severamente. Per scoraggiarlo venne introdotta la pratica per cui ogni capo di bestiame (specialmente le pecore, ma anche i bovini) doveva essere contraddistinto da un particolare segno per indicarne il proprietario (tagli speciali nelle orecchie delle pecore, marchi a fuoco per buoi e cavalli). Nella legislazione giudicale il reato è definito meglio e adeguatamente sanzionato come una pratica legata a forme di banditismo sociale e anche come modalità del conflitto tra pastori e contadini per lo sfruttamento della terra. In età aragonese l’a. fu considerato anche come una forma di contestazione del sistema feudale in cui il furto aveva l’obiettivo di riequilibrare forme di sfruttamento ritenute ingiuste; per venirne a capo fu probabilmente allora che furono diffuse le compagnie dei barracelli con compiti di polizia rurale e fu sancita la pratica dell’incarica (responsabilità collettiva di una comunità per un reato che avesse provocato un danno a terzi). Nel corso del secolo XVII l’a. fu largamente praticato, anche perché spesso gli abigeatari trovavano protezione presso alcuni signori feudali che finivano per trarre vantaggio dalla loro attività, quando non erano in prima persona i mandanti stessi del furto. La situazione non si modificò nel secolo XVIII, anzi il reato si sviluppò spesso anche in connessione con forme di contrabbando soprattutto in Gallura, dove era favorito dalla vicinanza con la Corsica. L’amministrazione sabauda cercò di porvi rimedio con la repressione e con la regolamentazione minuta e obbligatoria della pratica della segnatura del bestiame (sinnadura). Questa pratica in particolare avrebbe potuto, se ben controllata, limitare il fenomeno, ma gli esiti, in un territorio vasto, poco abitato, non di rado montuoso, furono molto scarsi: i furti del bestiame, la contraffazione dei segni, il trasferimento clandestino dei capi rubati continuarono a essere praticati su larga scala. Ancora nel 1838 fu emanato un regolamento per la sua repressione; altre norme furono introdotte nel Codice albertino e più tardi nel regolamento del 1898. Nell’ultimo regolamento, emanato nel 1947, fu affrontato il problema della prevenzione e furono istituiti nei comuni degli uffici antiabigeato con il dichiarato obiettivo di riuscire a modificare le antiche convinzioni che rendevano il fenomeno cosı̀ diffuso. Nel corso degli ultimi decenni l’a. è stato visto sempre più nelle sue connessioni sociali e variamente interpretato; la più completa di queste interpretazioni si deve ad Antonio Pigliaru nel suo La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (1959), in cui il fenomeno è studiato non tanto come danno patrimoniale quanto come offesa dalla quale può scattare la vendetta. Le tesi di Pigliaru aprirono un lungo dibattito che si arricchı̀ dei contributi di Raffaele Camba, Nereide Rudas, Clara Gallini, Luca Pinna, Gavino Musio e molti altri. Come è noto, l’attuale ordinamento giuridico ha abolito il reato derubricandolo a una forma particolare di furto; questa scelta, che si fonda sull’i- 20 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 28 Abilitazione ai parlamenti dea che ormai l’abigeato abbia cessato di rivestire la gravità sociale di un tempo, per quanto riguarda la Sardegna lascia aperta la questione della sua connessione con la pratica della vendetta. Abilitazione ai parlamenti Procedura di identificazione e di certificazione della legittimità dei titoli di ammissione ai parlamenti che si celebrarono nel Regnum Sardiniae dal 1558 al 1698. La procedura, che consisteva nella verifica della validità dei titoli di ammissione presentati dai vari partecipanti, era posta in essere dal Comitato degli abilitatori, una commissione composta da sei membri (tre di nomina regia e tre espressi dagli Stamenti) che procedeva nella fase di insediamento del Parlamento a controllare la veridicità dei documenti prodotti o delle pretese dei partecipanti. La commissione fu istituita per la prima volta nel 1554 su istanza dello Stamento militare (quello dei nobili), in seno al quale la verifica della legittimità dei titoli di ammissione aveva una notevole importanza perché serviva a confermare i privilegi cui la condizione nobiliare dava adito. Dall’esame degli atti parlamentari è possibile vedere come gli abilitatori procedevano e la ricchezza della documentazione prodotta rende oggi possibile ricostruire le vicende e la genealogia di buona parte delle famiglie nobili sarde estinte o esistenti. Famiglie abilitate nel parlamento Madrigal, 1558-1561 Alagon, Araolla, Armengol, Aymerich, Barcelo, Bellit, Cano, Carcassona, Cardona, Cariga, Carrillo, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Cedrelles, Cervellon, De Aquena, De Avendanya, De Gerp, De Ogana, De Rebolledo, De Sena, Dedoni, Dell’Arca, Esgrechio, Figo, Galeace, Garau, Lacano, Lercaro, Manca, Marongiu, Martinez, Minutili, Mora, Pinna, Ravaneda, Roccamarti, Ruiz, Sanna, Scano, Sellent, Tola, Virde. Famiglie abilitate nel parlamento Coloma, 1573 Abella, Alagon, Aleo, Amat, Andreu, Aragall, Aymerich, Bacallar, Barbarà, Bellit, Bonfill, Busquets, Cadello, Canelles, Cano, Carcassona, Cariga, Carrillo, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Centelles, Cervellon, Comprat, Corellas, Dedoni, De Gerp, De Heredia, De Sena, Del Mestre, Dell’Arca, Esgrechio, Ferrà, Ferrer, Figo, Fortesa, Gessa, Guiso, Gujò, Homedes, Ledda, Limona, Manca, Marongio, Martinez, Nin, Paliacio, Palou, Pasqual, Pilo, Porcella, Puliga, Ram, Ravaneda, Rebolledo, Roca, Roccamarti, Rossellò, Ruiz, Sanjust, Sanna, Sasso, Soliveras, Tavera, Tola, Torrella, Torresani, Virde, Zapata, Zatrillas. Famiglie abilitate nel parlamento Moncada, 1583 Abella, Alagon, Aragall, Arquer, Aymerich, Barbarà, Barcelo, Bellit, Bonfill, Busquets, Cano, Carcassona, Cardona, Cariga, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Centelles, Cervellon, Clement, Comprat, Contena, Corellas, De Ferrera, De Gerp, De Sena, Dedoni, Delitala, Del Mestre, Dell’Arca, Enna, Escharchoni, Esgrechio, Fara, Ferrà, Ferrer, Figo, Fortesa, Franceschi, Grixioni, Gualbes, Guiso, Gujò, Ledda, Limona, Lo Frasso, Madrigal, Manca, Marongio, Martinez, Mercer, Minutili, Mora, Moros y Molinos, Nin, Otger, Paduano, Paliacio, Pasqual, Pilo, Porcella, Porcu, Puig, Ram, Ravaneda, Rebolledo, Requesens, Roca, Roccamarti, Rodriguez, Rosellas, Ruiz, Sanjust, Sanna, Sasso, Scano, Servent, Simon, Tavera, Tola, Torellas, Torresani, Ursena, Virde, Zapata, Zatrillas. Famiglie abilitate nel parlamento Borgia, 1613-1614 Abella, Ansaldo, Aragall, Barbarà, Bonet, Brondo, Busquets, Cano, Carcassona, Cariga, Car- 21 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 29 Abilitazione ai parlamenti rillo, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Cervellon, De Aquena, De la Bronda, De Sena, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, Del Mestre, Esgrechio, Fabra, Figo, Fois, Garau, Gaya, Grixioni, Gujò, Guiso, Homedes, Hurtado, Jacomoni, Ledda, Lercaro, Manca, Margens, Martinez, Minutili, Moros y Molinos, Narro y Ruecas, Otger, Paduano, Paliacio, Passamar, Pilo, Pira, Portugues, Puliga, Ravaneda, Ribadaneyra, Rosellas, Sanna, Santa Cruz, Sasso, Scano, Scarpa, Serra, Soliveras, Sussarello, Tavera, Tola, Tolo, Vacha, Velasquez, Virde, Zatrillas, Zonza. Famiglie abilitate nel parlamento Vivas, 1623-1624 Abella, Alivesi, Barbarà, Barrueso, Bonanat, Bonet, Brondo, Bruguitta, Busquets, Cani, Cao, Capai, Carcassona, Cariga, Carta, Casagia, Casalabria, Castelvı̀, Cugia, De Andrada, De Aquena, De la Bronda, Del Mestre, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, De Roma, De Sena, De Silva, Dexart, Esgrecho, Figo, Fortesa, Garau, Gaya, Gessa, Gualbes, Gujò, Hurtado, Jacomoni, Jagaraccio, Ledda, Manca, Martinez, Masones, Melis, Melonda, Milia, Moncada, Montanacho, Moros y Molinos, Nin, Novarro, Paduano, Pasqual, Perez, Pilo, Pinna, Pirella, Pitzolo, Porcella, Porcu, Rams, Ravaneda, Roccamarti, Roig, Salazar, Sanatello, Sanjust, Sanna, Santa Cruz, Sasso, Satta, Serra, Soliveras, Sussarello, Tarragona, Tavera, Tibau, Tola, Torrella, Vico, Zampello, Zapata, Zatrillas. Famiglie abilitate nel parlamento Bayona, 1626 Abella, Alivesi, Ansaldo, d e A q u e n a , B a r b a r à , B a r r u e s o , Brondo, Busquets, Canelles, Cani, Cano, Capai, Cariga, Carrillo, Carta, Casagia, Casalabria, Castanyer, Castelvı̀, Cervellon, Coasina, Comprat, Cugia, De Andrada, Del Rosso, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, De la Bronda, De lo Zanche, De Roma, De Sena, De Silva, Dexart, Del Mestre, Escarchoni, Esgrechio, Ferrà, Figo, Fortesa, Frasso, Garau, Gaya, Gessa, Grixioni, Gualbes, Gujò, Guiso, Jacomoni, Ledda, Lercaro, Manca, Manca Guiso, Martinez, Masons, Melis, Melonda, Milia, Minutili, Moncada, Moros y Molinos, Nin, Otger, Paduano, Paliacio, Pasqual, Pilo, Pinna, Pira, Pirella, Pitzolo, Ponti, Porcella, Portugues, Puliga, Ravaneda, Requesens, Rocamarti, Rojg, Rosellas, Sanjust, Sanna, Santa Cruz, Sasso, Satta, Scarpa, Scano, Sese, Soler, Soliveras, Sussarello, Tavera, Tola, Tolo, Torrellas, Usai, Virde, Zampello, Zapata, Zatrillas, Zonza. Famiglie abilitate nel parlamento Avellano, 1642-1643 Abella, Acorrà, Aleo, Alivesi, Ansaldo, Asquer, Atzori, Aymerich, Barbarà, Barrueso, Bonfant, Bonfill, Bruguitta, Brunengo, Canales, Cani, Cano, Cao, Capai, Capudoro, Cardia, Cariga, Carnicer, Carta, Casagia, Casalabria, Castanyer, Castelvı̀, Castro, Cervellon, Coasina, Comella, Concu, De Amoga, De Aquena, De Benedetti, De Bolea, Dedoni, De la Bronda, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, Del Mestre, De Roma, De Sena, Dessı̀, Dexart, Diana, Diaz, Escharchoni, Esgrechio, Fadda, Ferrale, Figo, Fois, Fortesa, Frasso, Furca, Gabella, Galcerin, Garau, Gaya, Gessa, Grixioni, Gualbes, Guiso, Gujò, Homedes, Hurtado, Jagaraccio, Lado, Ledà, Ledda, Lercaro, Loreto, Madau, Mameli, Manca, Marongiu, Marras, Marti, Martinez, Martino, Masala, Masons, Melis, Melonda, Minutili, Moncada, Montanacho, Murtas, Natter, Nieddu, Nin, Novarro, Nurqui, Nuseo, Olives, Ordà, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Pasqual, Passamar, Peis, Petretto, Pilo, Pinna, Piquer, Pira, Pischedda, Pixi, Ponti, Porcella, Portugues, Puliga, 22 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 30 Abilitazione ai parlamenti Quesada, Quigini, Ravaneda, Ribadaneyra, Riccio, Robles, Roger, Roig, Rosellas, Rosso, Salazar, Salvagnolo, Salvino, Sanjust, Sanna, Santus, Sardo, Satta, Selles, Scarpa, Sellent, Serra, Sibello, Sini, Solar, Soler, Soliveras, Sotgiu, Sulas, Sussarello, Tanda, Tola, Tolo, Torrellas, Trogu, Uras, Urru, Usai, Vacca, Valentino, Vico, Virde, Zampello, Zapata, Zatrillas, Zonza. Famiglie abilitate nel parlamento Lemos, 1653-1655 Abella, Angioy, Aresu, Asquer, Astraldo, Atzori, Bacallar, Barbarà, Barrueso, Bonfant, Brondo, Bruguitta, Cabizudo, Canales, Cao, Capai, Carcassona, Cardona, Carta, Casagia, Castelvı̀, Casu, Cattayna, Comprat, Concu, Corrias, Curreli, De Avendanya, De Benedetti, De Bolea, Dedoni, De la Mata, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, Del Mestre, De Montis, De Roma, De Sena, Dexart, Diana, Diaz, Escharchoni, Esgrechio, Espinosa, Farris, Ferrale, Fois, Fortesa, Frasso, Furca, Gabella, Galcerin, Garau, Gaya, Gessa, Grixioni, Guiso, Gujò, Jacomoni, Jagaraccio, Ledda, Loreto, Madau, Manca, Marras, Martino, Martis, Masala, Melis, Moncada, Montanacho, Muciga, Mugiano, Murtas, Natter, Nieddu, Nin, Nurqui, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passino, Peis, Perez, Petretto, Pili, Pilo, Pinna, Pintus, Pitzolo, Pixedda, Pixi, Ponti, Portugues, Prunas, Py Brondo, Quesada, Requesens, Riccio, Roger, Roig, Rosso, Salazar, Salvagnolo, Sampero, Sanatello, Sanna, Santucho, Sardo, Satta, Scarpa, Sedda, Sequi, Serra, Sini, Sotgiu, Sussarello, Tavera, Tibau, Tola, Tolo, Torrellas, Trogu, Uras, Usai, Vacca, Zonza. Famiglie abilitate nel parlamento Carcassona, 1665-1668 Abella, Alagon, Aleman, Alivesi, Angioy, Aresu, Asquer, Astraldo, Atzori, Aymerich, Bacallar, Bañolas, Barbarà, Bonfant, Bonfill, Brondo, Brunengo, Cabizudo, Cadello, Canales, Cani, Cao, Capai, Carcassona, Cardia, Cardona, Carnicer, Carola, Carta, Casagia, Castelvı̀, Casu, Cattayna, Cavassa, Cervellon, Comina, Concu, Contena, Corrias, Cugia, De Aquena, De Benedetti, De Castro, Dedoni, De Honetto, De la Mata, De la Zonca, Deliperi, Delitala, Dell’Arca, Delogu, De Montis, De Roma, De Soussa, Del Mestre, De Sena, Dessy, Dettori, Dexart, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Ferrà, Ferrale, Figo, Fois, Fontana, Fortesa, Frasso, Fundoni, Galcerin, Gaya, Gessa, Grixioni, Gujò, Guiso, Hurtado, Jacomoni, Lante, Lecca, Ledà, Madau, Maggio, Mallano, Manca, Marcello, Marongiu, Marras, Martinez, Martino, Martis, Masala, Masons, Melis, Minutili, Moncada, Montanacho, Montells, Muciga, Mugiano, Murtas, Nieddu, Nin, Nuseo, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passamar, Peis, Perez, Petretto, Pilo, Pinna, Pintus, Pira, Pisquedda, Pitzolo, Ponti, Portugues, Py Brondo, Quesada, Riccio, Ripoll, Rocamarti, Rocca, Roger, Roig, Rosso, Sahoni, Salvino, Sampero, Sanguineto, Sanjust, Sanna, Santa Cruz, Sanatello, Santucho, Santus, Sasso, Satta, Sedda, Sellent, Serra, Scarpa, Sibello, Sini, Sistu, Solar, Soler, Soliveras, Sotgiu, Sulas, Sussarello, Tarragò, Tavera, Tibau, Tola, Torrellas, Uras, Usai, Vacca, Valentino, Vico, Villador, Zampello, Zapata, Zatrillas, Zonza. Famiglie abilitate nel parlamento Las Navas, 1676-1678 Alagon, Aleman, Angioy, Aresu, Asquer, Astraldo, Atzori, Aymerich, Barbarà, Bonfant, Bonfill, Brunengo, Cadello, Cao, Capai, Carcassona, Cardia, Carnicer, Carola, Carta, Casu, Catalan, Cervellon, Claveria, Comina, Concu, Contena, Corda, Corellas, Corrias, Cugia, De Aquena, De Benedetti, De Castro, Dedoni, De Honetto, 23 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 31 Abilitazione ai parlamenti De la Mata, Dell’Arca, Del Mestre, Deliperi, Delitala, Delogu, De Montis, De Roma, De Sena, De Soussa, Dexart, Dettori, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Farina, Ferrà, Ferret, Fois, Fontana, Frasso, Fundoni, Gaya, Gessa, Grixioni, Gujò, Guiso, Gutierrez, Hurtado, Jacomoni, Lado, Ledà, Machin, Madau, Mallano, Manca, Manno, Marcello, Marongiu, Marras, Marrocu, Martinez, Martino, Martis, Masala, Melis, Minutili, Montells, Montesino, Muciga, Mugiano, Murtas, Natter, Nieddu, Nin, Nuseo, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passino, Peis, Pellicer, Perez, Pes, Pilo, Pinna, Pintus, Pira, Pisano, Pisquedda, Pitzolo, Puliga, Quesada, Requesens, Riccio, Ripoll, Rocamarti, Roig, Sahoni, Salaris, Salazar, Salvagnolo, Sanjust, Sanna, Santa Cruz, Santus, Satta, Scarpa, Sedda, Sellent, Serra, Sibello, Sini, Sisternes, Solar, Soliveras, Sotgiu, Sulas, Sussarello, Tarragò, Tibau, Tola, Trogu, Uras, Usai, Vacca, Valentino, Zampello, Zatrillas. Famiglie abilitate nel parlamento Monteleone, 1688-1689 Alciator, Alivesi, Angioy, Ansaldo, Aresu, Asquer, Astraldo, Atzori, Auramo, Bacallar, Barrueso, Bonfant, Bonfill, Borras, Busquets, Cadello, Calsinagio, Canelles, Carcassona, Cardia, Carnicer, Carola, Carta, Concu, Contena, Corrias, Cugia, Cutis, De Benedetti, Dedoni, De la Bronda, De la Mata, De Leon, Deliperi, Delitala, Del Mestre, Del Vecchio, Dell’Arca, De Montis, De Roma, De Sena, Dettori, Dexart, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Ferrà, Fois, Fontana, Frasso, Frediani, Fundoni, Galcerin, Gaya, Genoves, Grixioni, Guiso, Lado, Lancia, Lecca, Ledà, Machocu, Madau, Magio, Mallano, Mallas, Manca, Marongiu, Marrocu, Martinez, Martino, Martis, Martorell, Mayolo, Melis, Mereu, Minutili, Moncada, Moyran, Muggiano, Murgia, Muro, Murtas, Natter, Nin, Nurra, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Passamar, Passino, Perez, Pes, Pilo, Pinna, Pintus, Pirella, Pisano, Pitzolo, Portugues, Puliga, Py Brondo, Quesada, Riccio, Ripoll, Roca, Roig, Rollero, Rosso, Salaris, Salazar, Salvino, Santa Cruz, Santucho, Satta, Scarpa, Sedda, Sellent, Serra, Sini, Sisternes, Solar, Soler, Soliman, Soliveras, Soro, Sotgiu, Sousa, Sulas, Sussarello, Tarragò, Tibau, Tola, Uras, Urru, Usai, Vacca, Villa, Zapata. Famiglie abilitate nel parlamento Montellano, 1698 Alciator, Aleman, Alivesi, Angioy, Aquenza, Asquer, Astraldo, Atzeni, Atzori, Aymerich, Bacallar, Barrueso, Bertolotti, Bologna, Bonfant, Bonfill, Borras, Borro, Brunengo, Busquets, Cadello, Calsimagio, Canelles, Cao, Carboni, Carcassona, Cardia, Carnicer, Carola, Carquero, Carroz, Carta, Casaleras, Castelvı̀, Catalan, Claveria, Concu, Coni, Contena, Corrias, Cugia, Cutis, De Benedetti, Dedoni, De la Mata, Del Mestre, Del Vecchio, De Leon, Deliperi, Delitala, De Martis, Demontis, Deplano, De Roma, De Sena, Dell’Arca, Dettori, Dexart, Diana, Diaz, Esgrechio, Espinosa, Esquirro, Esteria, Farina, Figo, Fois, Fontana, Frasso, Frediani, Fundoni, Galcerin, Garruccio, Gaya, Genoves, Grixioni, Guglielmo, Guiraldi, Guiso, Gujò, Gutierrez, Hurtado, Jagaraccio, Ladu, Lecca, Ledà, Ledda Sini, Machin, Machocu, Madao, Mallano, Mallas, Malonda, Manca, Marongiu, Marras, Marrocu, Martin, Martinez, Martorell, Masala, Masons, Maxia, Mayolo, Melis, Minutili, Misorro, Moncada, Montanacho, Muciga, Mugiano, Mulas, Murgia, Murteo, Natter, Navarro, Nieddu, Nin, Nurra, Olives, Otger, Paderi, Paduano, Paliacio, Pani, Passino, Perez, Pes, Piccolomini, Pilo, Pinna, Pintus, Pirella, Pisano, Portugues, Pu- 24 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 32 Abis liga, Py Brondo, Quesada, Ravaneda, Riccio, Ripoll, Roca, Rodriguez, Roger, Roig, Rollero, Rosso, Ruiz, Ruxoto, Sahona, Salaris, Sanatello, Sanjust, Santa Cruz, Santucho, Santus, Sardo, Satta, Scarpa, Sedda, Sellent, Serafino, Serra, Serralutzu, Servent, Sifola, Sini, Sisternes, Solar, Soler, Solinas, Soliveras, Soro, Sorribo, Sotgiu, Soussa, Spiga, Sulas, Sulis, Sussarello, Tatti, Tedde, Tola, Tolo, Trogu, Uras, Urru, Usai, Vacca, Valentino, Valonga, Villa, Vivaldi, Zapata, Zatrillas. notevole interesse per gli archeologi: Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda, ipotizzò che i bronzi ritrovati potessero essere considerati parte degli ex voto di un tempio che sorgeva nel territorio circostante; l’ipotesi non fu però condivisa da altri archeologi, che avanzarono l’idea che il deposito fosse riferibile all’esistenza di una fonderia. I bronzi, tra cui il famoso Capotribù, l’Arciere, l’Eroe dai quattro occhi e altri, vennero trasferiti al Museo archeologico di Cagliari. Nel 1931 nella località fu ritrovato il villaggio nuragico omonimo, sicché a partire dal 1935 furono condotti scavi sistematici che permisero di individuare un gran numero di edifici destinati a differenti usi. Gli scavi ripresero nel 1981 e una volta terminati permisero di stabilire che il luogo era un santuario protosardo con pozzi sacri, recinti per riunioni, vasche per bagni e abluzioni, confermando sostanzialmente l’ipotesi dello Spano. Abis, Alberto Pittore (n. Villaurbana 1915). Ha studiato nella Scuola d’Arte di Oristano ed è stato allievo di Giovanni Ciusa Romagna. Combattente nella seconda guerra mondiale, nel dopoguerra ha aderito alla corrente realista e si è imposto soprattutto come ritrattista; ha partecipato con successo a numerose mostre anche nella penisola. Abini – Dio guerriero in bronzo appartenente al periodo nuragico. Abini Importante sito archeologico nelle campagne di Teti a circa 15 km dall’abitato. Nel 1865 vi furono rinvenuti gli avanzi di un edificio nuragico il cui ripostiglio conservava delle statuine in bronzo che destarono un grande interesse tra gli studiosi; nel 1878, in successivi scavi, furono rinvenuti altri bronzi di grande importanza. Le due scoperte fecero di A. un luogo di Abis, Emanuela Urbanista (n. Cagliari 1952). Allieva di Pasquale Mistretta, ha conseguito la laurea nel 1976 e si è dedicata alla carriera universitaria e alla libera professione; attualmente è incaricata dell’insegnamento di Gestione Urbana presso la Facoltà di Ingegneria di Cagliari. Si è dedicata soprattutto allo studio del recupero dei centri storici e della gestione dei servizi di interesse collettivo e dei trasporti. Dopo le elezioni del 1994 è stata nominata assessore tecnico all’Urbanistica del Co- 25 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 33 Abis mune di Cagliari nella prima giunta Delogu e riconfermata dopo le elezioni del 1998. Lucio Abis – Presidente della Regione nel 1970, è stato deputato e ministro in tre governi nazionali. Abis, Lucio Insegnante, uomo politico (n. Oristano 1926). Consigliere regionale, senatore della Repubblica; è stato uno dei maggiori esponenti della Democrazia Cristiana sarda. Insegnante elementare, si è impegnato fin da giovanissimo nell’attività politica e nel 1957 è stato eletto per la prima volta consigliere regionale per la DC. Successivamente è stato rieletto ininterrottamente fino al 1972 per altre tre legislature. In tutti questi anni è stato più volte assessore nelle giunte guidate da Efisio Corrias (al Lavoro e Pubblica Istruzione dal dicembre 1963 all’agosto 1965 nella terza giunta e dall’agosto 1965 al marzo 1966 nella quarta giunta), Paolo Dettori (Lavoro e Pubblica Istruzione dall’aprile 1966 al febbraio 1967), Giovanni Del Rio (Rinascita dal marzo 1967 al giugno 1969 nella prima giunta e dall’agosto al dicembre dello stesso anno nella seconda). Caduta la seconda giunta Del Rio, dal febbraio al dicembre 1970 ha guidato una sua giunta bicolore composta da democristiani e socialisti. Nel 1972 si è dimesso dal Consiglio regionale per essere candidato al Parlamento; ormai leader della DC oristanese, è stato eletto senatore nel collegio di Oristano e rieletto ininterrottamente fino al 1992. Anche da senatore ha ricoperto incarichi di governo: dal novembre 1974 all’agosto 1976 è stato sottosegretario al Tesoro nel IV e V governo Moro; dal marzo 1978 all’agosto 1979 sottosegretario al Bilancio nel IVe V governo Andreotti; dall’agosto 1979 al novembre 1980 sempre sottosegretario al Bilancio nei due governi Cossiga. È stato dal giugno 1981 al novembre 1982 ministro per il Coordinamento delle politiche comunitarie nel I e II governo Spadolini e ancora ministro dal dicembre 1982 al marzo 1983 nel V governo Fanfani. È stato anche presidente della commissione Bilancio del Senato e responsabile nazionale della DC per i problemi economici. A partire dal 1994 si è ritirato a vita privata. Abozzi, Giuseppe Avvocato e uomo politico (Sassari 1882-ivi 1962). Figlio di Michele, nel primo dopoguerra partecipò anche lui al dibattito politico, schierato sulle stesse posizioni liberal-giolittiane di suo padre. Con l’avvento del fascismo si ritirò a vita privata, dedicandosi completamente alla sua professione. Riprese a occuparsi di politica nel secondo dopoguerra e nel vivace ambiente sassarese di quegli anni finı̀ per diventare uno dei più autorevoli esponenti dell’Uomo Qualunque; nel 1946 fu eletto nell’Assemblea costituente, dove si dichiarò contrario all’autonomia della Sardegna. Non fu però eletto deputato e nel 1948 si ritirò a vita privata. 26 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 34 Acacia e assumendo un atteggiamento di dignitoso distacco dal fascismo. Abrich Famiglia proveniente dalle Baleari (secc. XVI-XVIII). Approdò a Cagliari nel corso del secolo XVI. I suoi componenti appartennero alla borghesia cittadina, esercitando tradizionalmente la professione di notai, e raggiunsero una discreta posizione economica che consentı̀ loro di acquistare la scrivania del consolato di Cagliari. Nel 1630 rinunciarono ai loro diritti sulla scrivania a favore del fisco reale, ottenendo come ricompensa il cavalierato ereditario e la nobiltà. La famiglia si estinse alla fine del secolo. Abriu Antico villaggio che sorgeva viMichele Abozzi – Avvocato sassarese, candidato da Giolitti alle elezioni politiche del 1904 nel collegio di Sassari, sconfisse il deputato dell’opposizione. Abozzi, Michele Avvocato e uomo politico (Sassari 1856-ivi 1946). Completati gli studi, esercitò la professione di avvocato e si interessò alla vita politica della sua città; di idee liberali, fu eletto consigliere e assessore del Comune di Sassari dal 1885 al 1887. Legatosi a Francesco Cocco Ortu, leader in Sardegna del gruppo giolittiano, fu avversario politico di Filippo Garavetti; nel 1904 fu eletto deputato per la XXII legislatura (fu anche presidente del Consiglio provinciale di Sassari dal 1905 al 1909). Rieletto deputato per le altre due legislature fino al 1919, prese parte assiduamente ai lavori parlamentari, interessandosi prevalentemente dei problemi economici dell’isola. Nel 1921, adottato dal Parlamento il sistema proporzionale e istituito in Sardegna un unico collegio elettorale, non volle ricandidarsi. Riprese la sua professione, tenendosi sempre in collegamento con Giolitti (morto nel 1928) cino alla necropoli di Sant’Andrea Priu, non lontano dall’attuale abitato di Bonorva. Si formò nel periodo romano lungo la strada che da Carales conduceva a Olbia ed ebbe un ruolo importante che conservò nel Medioevo, quando era compreso nel giudicato di Torres e faceva parte della curatoria del Costavall. Ad A. infatti spesso il giudice riuniva la sua corona. In età non precisabile passò ai Malaspina del ramo di Villafranca che, all’estinzione della famiglia giudicale, lo inserirono nel loro piccolo stato feudale, ma nel 1308 lo cedettero in pegno al giudice d’Arborea e in seguito non riuscirono più a recuperarne il possesso. Dopo la conquista aragonese A. fu incluso nel Regnum Sardiniae e nel 1328 fu riconosciuto dal re d’Aragona come feudo di Ugone II d’Arborea. Scoppiata la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV subı̀ gravi danni e si spopolò. Acacia Genere di piante arboree della famiglia delle Leguminose, cui appartengono circa 1200 specie distribuite nelle zone tropicali e subtropicali dell’Australia e dell’Africa. Le foglie, normalmente di tipo composto-pennato, vengono sostituite in molte specie da 27 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 35 Acanto comune fillodi (cioè espansioni a forma di foglia del picciolo) stretti e allungati. I fiori gialli, in genere primaverili, sono raccolti in spighe di piccoli capolini sferici. Il frutto è un legume secco e appiattito che matura alla fine della primavera o in autunno. Comunemente conosciute come mimose, le specie appartenenti a questo genere sono state introdotte nell’Ottocento nell’Orto Botanico di Cagliari. Il largo uso nei giardini e nel verde pubblico ne ha determinato una vasta diffusione. Le specie più comuni, la A. dealbata Link (la classica mimosa dell’8 marzo) e la A. retinoides L. (A. floribunda o gaggı̀a, garzı́a in sardo) crescono ormai spontaneamente ai bordi delle strade, creando vistose macchie di colore con le loro fioriture precoci (fine febbraio-primi di marzo). Possono raggiungere i 10 m di altezza, ma non sono particolarmente longeve. Delle altre specie, A. melanoxylon R.Br., A. mollissima, A. saligna Wendl. e A. pychnantha Benth., sono segnalati esemplari nel verde pubblico di Lanusei, Villacidro e Carbonia. L’A. horrida Willd., caratterizzata da lunghe spine, venne introdotta, secondo Siro Vannelli, negli anni Venti-Trenta del Novecento nella zona di Capoterra ed è largamente diffusa nel Campidano a formare siepi invalicabili. In campidanese viene chiamata ammázza-marı́du. [MARIA IMMACOLATA e cataplasmi per le sue proprietà antinfiammatorie ed emollienti. Le foglie stilizzate sono tipiche nelle decorazioni del capitello corinzio. Comune, anche in Sardegna, su terreni incolti e ai bordi delle strade, preferibilmente in ombra. Veniva piantata all’ingresso delle abitazioni, con funzione apotropaica. Nomi sardi: acantu, erba de la Maddalena (Sardegna settentrionale); caldu imperiali (gallurese); folla de ferru, folla de Santu Giorgi (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] BRIGAGLIA] Acanto comune Pianta erbacea perenne della famiglia delle Acantacee (Acanthus mollis L.). Fusto eretto, foglie grandi profondamente divise, lunghe fino a 60 cm, con un lungo picciolo. Fiori bianchi persistenti, con venature rossastre e labbro inferiore trilobato, raccolti in spighe di 5 cm. Fioritura tra aprile e luglio. Frutti a capsula con semi neri. Se ne estrae una tinta gialla. In fitoterapia viene usato per impacchi Acanto comune – Particolare dell’infiorescenza. Accabadoris Termine derivante dal verbo sardo acabar (in spagnolo ‘‘terminare’’) riferito a quelle persone che in alcune zone della Sardegna praticavano l’eutanasia, di cui in età antica e, in diverse zone del mondo, anche nel Medioevo e in età più recente si cono- 28 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 36 Accademia di Belle Arti di Sassari scevano tre forme: l’eutanasia eugenica (eliminazione del neonato che presenta malformazioni gravi); l’eutanasia agonica (la facilitazione del trapasso per evitare agonie lunghe e dolorose); l’uccisione rituale dei vecchi che fossero diventati pesi inutili per la comunità. Nelle sue due ultime forme, essa rientra nelle più antiche tradizioni sarde e, mentre la pratica dell’eliminazione rituale dei vecchi – raccontata per la Sardegna da diversi autori classici, che la descrissero con diversi particolari (riso sardonico) – cessò di essere praticata in tempi antichissimi, e comunque non determinabili cronologicamente, l’eutanasia agonica fu praticata nelle aree rurali dell’isola almeno fino alla fine dell’Ottocento e probabilmente anche oltre. Nel Logudoro, in Gallura e nel Nuorese la pratica veniva affidata ad alcune donne (accabadoras) ed è ricordata da molti autori del passato; nel Campidano, invece, era affidata a uomini (s’accabadori). Il loro era un compito istituzionale all’interno della comunità, perché l’eutanasia agonica era riservata a quei malati (in genere anche molto anziani) la cui agonia si protraeva impedendo loro una morte dolce e serena. Era una sorta di dolorosa pietas, coperta dal mistero e circondata di un sentimento che oscillava fra religioso rispetto e paura superstiziosa. Nulla si sa sulle modalità di questa pratica, che veniva portata a termine con discrezione e silenzio, né sono pochi gli studiosi della civiltà tradizionale isolana che sostengono che l’esistenza delle a. appartenga più alla sfera delle credenze popolari che alla storia. Nel Museo etno-antropologico di Luras ‘‘Galluras’’ si mostra peraltro, accompagnato da un interessante documento dell’Ottocento, un mazzólu (in logudorese su mazzoccu), «una specie di mazza ricavata da un ramo robusto (in genere olivastro), tagliato ai due lati di un ramo più sottile che fungeva da manico» (F. Fresi, Antica terra di Gallura, 1994): un colpo di mazzólu (ma anche una semplice pressione con un cuscino) della fémina accabadòra (cosı̀ in Gallura) portavano alla morte del malato. «La cosa più sorprendente – dice il professor Bucarelli, autore di un attento saggio pubblicato di recente – ed è anche la ragione sul perché del mistero e della reticenza che circonda la figura dell’a., è che nessuna condanna né istituzionale né religiosa sia mai stata perpetrata nei suoi confronti. Non esiste nessun documento a riguardo. Nessuna scomunica da parte della Chiesa. L’a. era una figura rispettata, ritenuta necessaria». Accabbadoris – Il mazzuolo delle mitiche donne che ‘‘aiutavano’’ i vecchi a morire (Museo ‘‘Galluras’’, Luras). Accademia di Belle Arti di Sassari Ultima nata tra le venti accademie italiane; la sua fondazione risale al 1989. Il corpo docente, ormai in gran parte stabile, è costituito prevalentemente da giovani insegnanti. Il direttore è Nicola Maria Martino, titolare della cattedra di Decorazione dell’Accademia di Belle Arti di Roma. I regolamenti didattici, ancora in fase di definizione, modificheranno in futuro l’attuale as- 29 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 37 Accardo setto dell’Accademia e l’offerta formativa. Al momento gli indirizzi istituzionali sono quattro: Decorazione, Pittura, Scenografia e Scultura. Viene inoltre attuato un corso di Comunicazione e Progettazione per la grafica d’arte e per l’arte scenica del web. I corsi sono suddivisi in un primo livello, che ha la durata di un triennio, e in un secondo livello che ha la durata di un biennio. Accardo, Aldo Storico (n. Iglesias 1950). Professore di Storia contemporanea nell’Università di Cagliari. Ha studiato a Cagliari; dopo la laurea si è dedicato alla ricerca, alla politica e al giornalismo. Dal 1980 ricercatore di Storia moderna presso l’Università di Cagliari, poi professore associato, ha collaborato con Girolamo Sotgiu nella redazione della rivista ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’. Ha creato a Cagliari nel 1997 la Fondazione Istituto Storico Giuseppe Siotto, di cui è direttore, e fondato l’Istituto di Ricerche storicopolitiche intitolato a Girolamo Sotgiu. Attivo promotore di iniziative per la conoscenza storica, ha organizzato numerosi convegni e seminari e ha anche pubblicato numerosi volumi e articoli in riviste scientifiche. Tra i suoi scritti più importanti, Trent’anni di amministrazione regionale in Sardegna, ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 8/10, 1977; Sul dire la verità in politica: le regole della storia in Gramsci in Studi in onore di Paolo Spriano, ‘‘Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, 30, 1988; Della politica e delle lettere. Giuseppe Manno, la bontà del letterato in Giuseppe Manno politico, storico e letterato, 1989; Gli antifascisti sardi di fronte al Tribunale speciale, 1990; Tra filologia e nazionalismo: il modello storiografico e il pensiero politico di Pa- squale Tola in Studi e ricerche in onore di Girolamo Sotgiu, I, 1993; La personalità di G. Manno: illuminismo, neoclassicismo, romanticismo nell’opera del primo storico moderno della Sardegna, 1994; La nascita del mito della nazione sarda. Storiografia e politica nella Sardegna del primo Ottocento, 1996; Cagliari (con Maria Luisa Di Felice, Franco Masala, Gianfranco Tore), 1996; L’isola della Rinascita. Cinquant’anni di autonomia in Sardegna (con Pietro Maurandi e Leandro Muoni), 1998; La biblioteca di Giuseppe Manno, 1999; L’ultimo guizzo della fiamma morente: note sarde e ricordi in Giuseppe Manno, Note sarde e ricordi, 2003. Accardo, Francesco Funzionario, economista (Bonorva 1914-Salò 1980). Fratello di Salvatore2 . Studia giurisprudenza a Pisa, dove si laurea nel 1934. Consegue successivamente il diploma di perfezionamento in Scienze economiche e commerciali. Nel 1938 entra nella pubblica amministrazione. Nel 1945 è chiamato presso il Commissariato Industriale Alta Italia che aveva il compito di curare la ricostruzione e la ripresa economica dell’Alta Italia. Nel febbraio del 1948 viene chiamato presso la presidenza del Consiglio, dove svolge compiti di elaborazione dei programmi di ricostruzione economica e di sviluppo nell’ambito del Piano Marshall e del Piano Vanoni. Partecipa a numerose missioni e trattative internazionali attinenti alla materia. Per anni è delegato del governo italiano presso il Comitato di politica economica dell’OCSE. All’inizio degli anni Sessanta diventa direttore generale del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE). Nell’ottobre del 1967 viene nominato direttore generale del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica. Nel 1959 è compo- 30 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 38 Accardo nente del gruppo di lavoro (con Vincenzo Apicella, Vittorio Bachelet, Salvatore Bruno, Francesco Curato, Glauco Della Porta, Salvatore Guidotti, Francesco Passino, Carlo Ruini, Vincenzo Saba, Cesare Valle) che imposta il Piano di Rinascita e redige il documento conosciuto come il ‘‘Rapporto conclusivo’’. È insieme a Maccanico l’estensore della legge 11 giugno 1962, n. 588, che dà il via al Piano. Collabora attivamente alla rivista ‘‘Il Bogino’’. Ha svolto una intensa attività di ricerca e di studio in materia economia, pubblicando saggi, note, articoli. Ha collaborato intensamente col ‘‘Mondo Economico’’. Nel 1953 ha redatto una monografia per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione. Nel 1955 ha redatto uno studio per l’OCSE. sulle strutture per il finanziamento degli investimenti industriali in Italia. Accardo, Giorgio Fisico (n. Pisa 1948). Laureato in Fisica all’Università di Roma ‘‘La Sapienza’’, è direttore del Laboratorio di Fisica e Controlli ambientali dell’Istituto Centrale per il Restauro. Insegna Fisica applicata al restauro nella scuola di restauro dell’Istituto omonimo e nelle Università della Tuscia e di Siena. Dal 1974 sviluppa nuove metodologie fisiche per la soluzione di differenti problemi di deterioramento, restauro e conservazione dei manufatti storico-artistici. In particolare applicazioni microclimatiche ambientali per la conservazione degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova, l’Ultima Cena di Leonardo a Milano, la cupola del Brunelleschi a Firenze, la Tomba dei Rilievi a Cerveteri, e l’impiego di tecniche optoelettroniche per consentire ai restauratori di operare in modo non distruttivo anche all’interno delle statue bronzee, come nel caso dei Bronzi di Riace. Nel 1984 ha ideato un originale metodo per la documentazione metrica delle forme modellate e scolpite e la loro possibile ricostruzione materiale. Il procedimento permette di generare un modello digitale tridimensionale di una scultura: a oggi al progetto ‘‘Forme da toccare’’ si sono realizzati i modelli digitali 3D di molte opere fra cui il Satiro danzante, i Bronzi di Riace, il Mosé di Michelangelo e molte statue del Museo archeologico di Napoli. Tra le pubblicazioni, oltre a numerosi articoli su riviste, il saggio Strumenti e materiali del Restauro. Accardo, Lucio Ammiraglio (n. Sassari 1945). Dopo l’Accademia Navale di Livorno, nel 1970 si è laureato in Ingegneria navale e meccanica. Nel 2000 è stato promosso ammiraglio ispettore. Prima di assumere la carica di capo del V Reparto di Segredifesa è stato direttore generale dell’Ufficio italofrancese del Programma ‘‘Orizzonte’’ nonché rappresentante dell’Italia per il programma ‘‘Fremm’’ (Fregata Europea Multimissione). È stato anche direttore dell’Arsenale della Marina militare di Messina, capo dei Dipartimenti Progetto Navi e Sistemi di Piattaforma del V Reparto dello Stato Maggiore della Marina, rappresentante nazionale in gruppi di lavoro della Nato e vice-chairman nel gruppo di lavoro internazionale del ‘‘Det Norske Veritas’’ per la stesura di un registro navale per navi militari (1997-99). È autore di pubblicazioni scientifiche, fra cui sei monografie e 24 articoli. Accardo, Salvatore1 Uomo politico (n. Sassari 1913). Nel primo dopoguerra, fin dalla fondazione aderı̀ al Partito Popolare divenendone uno dei dirigenti. Con l’avvento del fascismo cessò formalmente di occuparsi di politica anche se fu tra i più attivi organizzatori 31 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 39 Accardo del Movimento laureati cattolici, tradizionalmente antifascista. Nel 1944 fu tra coloro che concorsero a fondare la Democrazia Cristiana a Sassari. Alcuni suoi interventi nei giornali degli anni del dopoguerra sono utili per comprendere i termini del dibattito politico di quei tempi. Accardo, Salvatore2 Insegnante, scrittore (Bonorva 1912-Roma 2001). Dopo la laurea alla Scuola Normale Superiore di Pisa milita nella FUCI e diventa amico di Giovanni Battista Montini. Vive due anni in Spagna nel periodo immediatamente precedente e nel primo anno della guerra civile: qui conosce Garcia Lorca e Pirandello. Rientrato in Italia, insegna Lettere al Liceo classico di Pisa e inizia a militare nel movimento dei Laureati cattolici. Dopo la guerra lavora nel Sindacato insegnanti medi e nell’Ufficio scuola della DC, diventando amico di Aldo Moro e Luigi Gui. Diventato quest’ultimo ministro della Pubblica Istruzione, è direttore generale e capo di gabinetto, funzione che svolgerà anche con i successivi ministri Misasi, Bodrato, Spadolini. Assume contemporaneamente anche la direzione generale delle Accademie e delle Biblioteche: trasferisce la Biblioteca Nazionale dal Collegio Romano alla attuale sede da lui fatta realizzare a Castro Pretorio. Successivamente diventa direttore generale delle Belle Arti e collabora col ministro Spadolini alla istituzione del nuovo Ministero dei Beni culturali e ambientali. È vicepresidente nazionale del Movimento Laureati di Azione Cattolica durante la presidenza di Vittorio Bachelet. Ha collaborato con l’Università Lateranense e con l’Editrice Studium. È stato consigliere della Commissione RAI e del Centro Cattolico Cinematografico. Autore di numerose Lecturae Dantis, ha scritto molti volumi, tra cui: Individuo, società e Stato in Giuseppe Capograssi, 1993; Il pensiero politico e il cattolicesimo democratico di Alessandro Manzoni, 1971; Capograssi e Manzoni, 1992; Una politica per le istituzioni di alta cultura, 1971; Capitoli danteschi, 1976. Ha scritto anche un saggio su L’istruzione secondaria in rapporto all’ambiente economico e sociale della Sardegna, 1960. Acciaro, Giancarlo Imprenditore, deputato al Parlamento (n. Porto Torres 1961). Imprenditore, titolare di un’agenzia di trasporti,è stato protagonista del rilancio del Partito Sardo d’azione nel Sassarese dopo il 1980 e ha ricoperto diverse cariche fino a essere eletto segretario nazionale. Più volte consigliere comunale di Porto Torres, è stato eletto consigliere provinciale dal 1985 e successivamente è stato assessore provinciale e vicepresidente della Provincia. Eletto anche consigliere comunale e assessore a Sassari, nel 1992 è stato eletto deputato per l’XI legislatura; nel 1994 non è stato riconfermato. Acciottu Scudiscio con spuntoni di ferro che veniva usato per infliggere la fustigazione pubblica a chi si fosse macchiato di un particolare reato o al condannato a morte mentre veniva accompagnato al luogo del supplizio. La pratica, che fu introdotta in Sardegna in età spagnola, fu mantenuta in periodo sabaudo fino all’abolizione della tortura. Accorrà Famiglia di probabili origini spagnole (secc. XVI-XVIII). Compare a Sassari nel corso del secolo XVI. Di condizione borghese, molti dei suoi membri esercitavano professioni liberali o si dedicavano alla carriera ecclesiastica. Entro la fine del secolo gli A. raggiunsero una considerevole condizione e nei primi decenni del secolo successivo alcuni di loro otten- 32 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 40 Acero nero importanti uffici pubblici. Nel 1641 uno di essi, il dottor Battista, fu nominato tesoriere generale della Sardegna e nel 1643 fu nobilitato e ammesso allo Stamento militare durante il parlamento Avellano. La famiglia espresse altri distinti personaggi, ma si estinse agli inizi del secolo XVIII. Accorrà, Pietro Andrea Teologo (Cagliari 1630-ivi 1669). Nato da una nobile famiglia di origine sassarese, dopo aver compiuto i primi studi presso il convento di Bonaria si fece mercedario e si dedicò all’insegnamento della Teologia. Successivamente si trasferı̀ a Genova e di lı̀ a Barcellona, dove visse per alcuni anni segnalandosi per la profonda preparazione e per le sue doti di oratore. Infine si stabilı̀ a Roma dove divenne maestro di Teologia; nel 1685 tornò a Cagliari e fu nominato rettore degli studi del convento di Bonaria e visitatore dei Mercedari per la Sardegna. Morı̀ lasciando molti scritti editi e inediti, alcuni dei quali, pur non avendo grandi pregi letterari, sono di rilevante interesse per la storia degli studi di teologia in Sardegna. Scritti: Oracion evangelica de la Purissima Concepción de Maria santissima, Señora nuestra, 1673; Oracion panegirica de los invictos martyres San Justo y San Pastor predicada en su iglesia de la Ciudad de Barcelona, 1674; Oracion panegirica a la puresa de Maria Santissima en el istante primero de su concepción, 1686; El Feniz de Cerdeña renace de sus cenizas. Oraciones postumas (a cura di Matteo Contini), 1702. Acero Pianta arborea della famiglia delle Aceracee, che comprende circa 150 specie diffuse in tutto il mondo; di medie dimensioni, può raggiungere i 6-10 m. In Sardegna solo l’a. minore, o a. trilobo (Acer monspessulanum L.), cresce allo stato spontaneo. Ha foglie decidue semplici, trilobate, di 4-6 cm e colore verde-scuro; infiorescenze a corimbo prima erette poi pendenti; petali e sepali gialli; fioritura ad aprile in contemporanea alla fogliazione; i frutti sono formati da due samare unite (scient. disamare), ad angolo stretto, quasi parallele, di colore rosso bruno. Acero – Un esemplare di acero minore. Vegeta, indipendentemente dal substrato, nei luoghi soleggiati delle aree a quota più elevata, associato a formazioni di leccio e roverella. Diffuso soprattutto sulla catena del Marghine e alle pendici del Gennargentu, caratterizza il paesaggio con i suoi colori che vanno dal giallo chiaro della primavera al marrone-rossiccio della fase autunnale. Alcuni esemplari, tuttora esistenti, vengono segnalati sull’isola di Tavolara dall’Angius nel Dizionario del Casalis (1833-1856). All’interno della dolina di Tiscali alcuni aceri minori hanno raggiunto, a causa del particolare microclima, dimensioni notevoli. Il suo legno, duro e compatto, viene usato in ebanisteria per la colorazione rossastra. Nelle 33 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 41 Acetabularia campagne di Arzana, in località Cuile Cogiudu, a Sadali, in località Pala Nuraxi, e a Seulo, in località Monte Perdedu, sono segnalati gli esemplari più vecchi della Sardegna, che nella loro plurisecolare esistenza hanno raggiunto 12-15 m di altezza e oltre 4 m di circonferenza (Siro Vannelli, 1994). Alla stessa famiglia appartengono: 1. l’a. americano (Acer negundo L.), alto sino ai 12 m, introdotto già dall’Ottocento (nel 1842 era in vendita a Villa d’Orri) e diffuso, dall’ultimo dopoguerra, nel verde pubblico, con grossi contingenti ad Alghero, Tempio, Iglesias, Villacidro, Oristano; 2. l’a. riccio (Acer platanoides L.), alto sino a 12 m, dalla caratteristica corteccia fessurata longitudinalmente, presente nel Parco di Santa Maria a Macomer e in quello dell’Ospedale traumatologico di Iglesias; 3. l’a. montano (Acer pseudoplatanus L.), alto sino a 15 m, dalle grandi foglie a 5 lobi, ha una diffusione, operata dai forestali, limitata a zone montane: dei circa trecento esemplari inseriti nel verde pubblico di Macomer, Tempio, Lanusei e Ozieri i migliori si trovano a Tonara. Nomi sardi: áciaru (gallurese); áera (Marghine e Goceano); kóstighe (Sorgono); linnu malu (Lula); múrta lavrı́na (Orani); oládighe (logudorese). [MARIA Acetabularia – I caratteristici verticilli terminali. Aceto = Degortes, Andrea Acetosella Pianta erbacea perenne cee (alghe verdi) della famiglia delle Dasicladacee. Il tallo unicellulare si fissa agli scogli di media e bassa profondità con rizoidi. I verticilli terminali, fertili, si riuniscono a formare il caratteristico ombrellino. Nei mari sardi è presente l’A. acetabulum, che colonizza con i substrati rocciosi dell’infralitorale fotofilo. Meno comune l’A. parvula. [MARIA IMMACOLATA BRIGA- della famiglia delle Oxalidacee (Oxalis pes-caprae L.), conosciuta come a. gialla. Foglie trifogliate, pelosette e macchiate di scuro, disposte in rosetta basale. Fiori peduncolati, riuniti in gruppi sino a 12 unità. Corolle a 5 petali giallo intenso. Frutti a capsula allungata. Cresce da rizomi carnosi a bulbillo. Fiorisce a marzo-aprile, colorando di giallo limone i bordi delle strade e i terreni incolti, preferibilmente umidi. Gli steli possono essere succhiati (nella Sardegna settentrionale viene chiamata succiósa o succósa): il loro sapore acidulo è dovuto alla presenza di ossalato di potassio. Viene utilizzata per le proprietà astringenti, diuretiche e depurative. Il nome campidanese alleluya, di derivazione spagnola, è dovuto alla coincidenza della fioritura con la Settimana santa. In alcuni paesi del Cagliaritano i nomi con cui è conosciuta sono legati al sapore: binu vórti o binigotti e pı́tzia-pı́tzia (vino forte o aceto e pizzica-pizzica). Altri nomi sardi: argu, melaja. [MARIA IM- GLIA] MACOLATA BRIGAGLIA] IMMACOLATA BRIGAGLIA] Acetabularia Genere di alghe clorofi- 34 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 42 Aconiti Achenzas, Is Località abitata in territorio di San Giovanni Suergiu a poca distanza dalla frazione di Palmas. È un nucleo di case che si è sviluppato nel corso del Novecento nei terreni di proprietà della famiglia Achenza, da cui attualmente il piccolo centro prende il nome. Achetta Nome con cui viene chiamato il cavallo di piccola taglia, usato prevalentemente dai pastori e dai contadini e destinato ai lavori in campagna e al trasporto di carichi pesanti. Era il cavallo preferito da usare nei viaggi lunghi per la sua capacità di sopportare il digiuno e la sete. L’a. non va confusa con il quartaglio busto, più alto e più pregiato, che probabilmente derivava da un incrocio col cavallo arabo. Il Lamarmora (Viaggio in Sardegna, 1826) dice che l’a. proviene dalla degenerazione degli achettoni o quartagli, «cosı̀ denominati perché la loro taglia non supera il metro e mezzo», dai quali si distingue quasi soltanto per la minore taglia, «giacché conserva pressappoco le stesse proporzioni e le stesse qualità». «Eppure tra questi cavalli – afferma – si trovano degli esemplari molto ben fatti, che non superano di molto la statura di un grosso mastino: li si riunisce allora per fare dei graziosi attacchi che erano un tempo assai ricercati dai principi del continente. Ma in generale queste a. non sono cosı̀ piccole da non poter essere montate e caricate di pesi anche consistenti; il contadino sardo le utilizza comunemente come cavalli da sella, e bisogna che sia ben povero perché non ne abbia almeno una». Achillea Pianta erbacea cespugliosa perenne, appartenente alla famiglia delle Composite (A. ligustica All.). Comunemente chiamato millefoglie. Fusto eretto, alto da 30 cm a 90 cm, con foglie divise in piccole lacinie e om- brelle compatte di piccoli fiori biancorosei. Fioritura a giugno-luglio. I frutti sono acheni appiattiti e lisci. Frequente nei pascoli e terreni incolti dal livello del mare sino ai 700-800 m. Come l’A. millefolium (meno comune in Sardegna), è largamente utilizzata in fitoterapia e nella medicina popolare sarda. Gli impacchi a base di decotti di foglie sono usati per curare piaghe e ferite. I nomi sardi erba de corpu apertu, erba de feridas, erba de fertas ne testimoniano l’antico uso. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Achillea – Esemplari di Achillea millefolium. Acino sardo Pianta erbacea perenne della famiglia delle Labiate (Acinos sardous Arrigoni) con rami prostrati e tomentosi. Foglie ovali lanceolate con breve picciolo. Fiori verticillati di colore violaceo all’ascella fogliare. Fioritura a maggio-giugno. Specie endemica sui rilievi calcarei del centro Sardegna, rientra nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Aconiti (Akónites) Populus della Sardegna romana menzionato da Strabone. Il geografo racconta che gli A., come altre tribù indigene delle aree montane dell’isola (Parati, Sossinati, Bàlari), vivevano nelle caverne e, pur disponendo di terreni adatti all’agricoltura, non li coltivavano, ma si procuravano il ne- 35 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 43 Acorrà cessario per mezzo di razzie compiute a danno degli agricoltori di altre zone della Sardegna e, via mare, arrivavano a depredare le coste etrusche, soprattutto nel territorio di Pisa. Il racconto dimostra, se non la facilità, almeno la possibilità dell’accesso al mare per queste comunità. Data la collocazione dei Bàlari nella Sardegna nord-orientale e l’esercizio della pirateria fatto dai quattro popoli ai danni degli abitanti dell’Etruria costiera, si può cautamente ipotizzare una localizzazione di A., Sossinati e Parati nelle aree montuose prossime alle coste nord-orientali o orientali della Sardegna. Verosimilmente Strabone, menzionando le attività di questi popoli, riferiva avvenimenti della fase finale del Principato augusteo, il che fa pensare che essi dovettero contribuire al temporaneo passaggio dell’amministrazione dell’isola dal Senato al princeps verificatosi intorno al 6 d.C. [PIERGIORGIO FLORIS] Acorrà, Giuseppe Sacerdote (Cagliari, prima metà sec. XVII-Oristano 1702). Canonico della cattedrale di Cagliari, nel 1679 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita: governò la diocesi fino al 1685, quando fu nominato arcivescovo di Oristano. Acquabona Miniera di piombo e argento situata tra Gennemari e Ingurtosu nelle campagne di Fluminimaggiore; i suoi filoni, di modesta entità, iniziarono a essere sfruttati a partire dalla metà dell’Ottocento. L’impianto raggiunse lo sviluppo massimo intorno al 1915-16, al principio della prima guerra mondiale, quando arrivò a occupare fino a 150 operai. In seguito i filoni si esaurirono e nel 1960 la produzione fu fermata; gli edifici delle officine, della laveria e dell’amministrazione andarono lentamente decadendo e soltanto nel 1980 furono intra- presi nuovi scavi alla ricerca di altri filoni da sfruttare; l’iniziativa non dette alcun risultato e oggi il territorio è sede di attività di allevamento. Acquacadda Centro abitato della provincia di Carbonia-Iglesias, frazione di Nuxis (da cui dista 3 km), con circa 500 abitanti, posto a 441 m sul livello del mare in un territorio di colline al centro del Sulcis-Iglesiente. Regione storica: Nuxis. Diocesi di Iglesias. & TERRITORIO Il territorio è quello tipico della regione, costituito da rilievi non molto alti ma aspri, ricoperti di macchia mediterranea e scarsa vegetazione arborea. Di tanto in tanto si apre qualche tratto pianeggiante nel quale è praticata l’agricoltura, come quello che ha inizio qui e arriva sino a Narcao. A breve distanza scorre il rio Mannu che forma l’invaso artificiale di Bau Pressiu. La frazione si trova nel punto in cui dalla statale 293 proveniente da Siliqua – e che passando per Nuxis raggiunge Giba – si distacca la traversa che passando per Narcao e Perdaxius conduce a Carbonia. & STORIA La regione era nel Medioevo completamente spopolata. Dopo la cessazione delle guerre tra Aragona e Arborea, e precisamente nel 1410, tornò in possesso del re. Faceva allora parte del grande feudo di Palmas (=). Nel secolo XVIII cominciò a essere frequentata da gruppi di pastori che inizialmente vi costruirono un furriadroxiu e in seguito vi si stabilirono dando vita al villaggio. La popolazione crebbe notevolmente tra Ottocento e Novecento, quando tutta la zona fu interessata dall’estrazione di minerali (piombo e zinco) in diverse località, di cui la più nota era quella di Rosas. Attività che sono state tutte abbandonate, come mostrano gli impianti che si vedono qua e là, dopo il secondo dopoguerra. Nel 1853, quando era stato costituito il 36 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 44 Acquafredda comune di Narcao, A. ne era divenuta frazione; nel 1964 ne è stata staccata e aggregata al comune di Nuxis. villaggio e il castello passarono nelle mani di Pisa, ma il villaggio cominciò a decadere. Nel 1324, cessata la guerra di conquista, il Comune ne perdette il controllo: A. rimase come feudo ai Della Gherardesca, ma il castello fu affidato a una guarnigione aragonese; poco dopo riprese la guerra con Pisa e con la pace del 1326 anche il villaggio, oramai perduto dai suoi signori, fu affidato al castellano e cominciò a decadere. Ulteriori danni soffrı̀ a causa della peste del 1348 e delle guerre tra Aragona e Arborea, per cui si spopolò e scomparve prima della fine del secolo. Acquafredda – Il castello di Acquafredda, costruito a guardia della valle del Sigerro, nel 1257 fu assegnato ai Della Gherardesca del ramo del conte Ugolino. Acquafredda Antico villaggio di origine romana che sorgeva sul colle omonimo a breve distanza da Siliqua. Per la sua ottima posizione strategica i Bizantini vi costruirono una fortezza che aveva il compito di vigilare sul territorio circostante e favorirono l’insediamento di una comunità monastica. In seguito passò al giudicato di Cagliari e fu incluso nella curatoria del Sigerro; continuò a essere un centro importante perché i giudici vi consentirono l’insediamento di una comunità di Benedettini di San Vittore di Marsiglia e, agli inizi del secolo XIII, vi fecero costruire il castello omonimo (=). Quando il giudicato di Cagliari fu debellato, nella divisione del 1258 il villaggio fu incluso nei territori toccati ai Della Gherardesca. Nel 1282 essi procedettero a una nuova divisione. A. toccò al ramo del conte Ugolino che trasformò e potenziò il castello. Alla fine del secolo, il villaggio divenne teatro della guerra che i figli di Ugolino scatenarono contro il Comune di Pisa per vendicare la morte del padre. Dopo la sconfitta del conte Guelfo, il Castello di Acquafredda – In una posizione di grande utilità strategica, il castello di Acquafredda cominciò a decadere dopo la battaglia di Sanluri. Acquafredda, castello di Castello di origine giudicale, dopo il 1257 passò ai Della Gherardesca che ne potenziarono la struttura utilizzando anche il castrum bizantino. Assegnato ai Della Gherardesca del ramo del conte Ugolino, dopo la conquista aragonese l’edificio passò nelle mani del re e fu fatto governare da un castellano. Negli anni successivi divenne sede imprendibile 37 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 45 Acquaresi di un presidio militare che durante le guerre tra Mariano IV e Pietro IV consentı̀ agli Aragonesi di non soccombere e mantenne la sua importanza militare fino al termine delle operazioni. Dopo la battaglia di Sanluri, nel 1410 fu concesso in feudo a Pietro Otger unitamente ai territori circostanti; la famiglia Otger nel 1488 vendette il feudo a Giacomo Aragall e Pietro Bellit. Da quel momento il castello, ormai disabitato, fu legato alle vicende del feudo e delle famiglie che lo possedettero e nel corso dei secoli andò in rovina, ma quello che ne resta (avanzi del mastio centrale, alcuni tratti delle mura di difesa, qualche cisterna) domina ancora la pianura circostante verso lo sbocco nel grande Campidano. Alla storia del castello sono legate le tragiche vicende sarde dei figli del conte Ugolino nella loro disperata lotta contro Pisa. Castello di Acquafredda – Quello che ne resta (avanzi del mastio centrale e tratti delle mura) domina la pianura circostante. Acquaresi Miniera di piombo e zinco posta nel territorio di Iglesias; il sito iniziò a essere sfruttato in tempi antichi, ma l’impianto di attività su scala industriale risale all’Ottocento. La concessione apparteneva alla società belga Vieille Montagne: nel 1921 fu unita alle miniere di Masua e di Montecani, per cui tutti e tre gli impianti presero a sfruttare la massa minerale de- nominata Marx. Negli anni Settanta fu costruito un tunnel lungo 12 km che consentı̀ di estendere una precedente galleria ottocentesca mettendo in comunicazione Acquaresi con Masua e consentendo il trasporto del minerale sino al mare. Dei molti cantieri ormai in rovina ne rimane aperto ancora uno che attualmente è considerato il più importante d’Italia per l’estrazione del piombo e dello zinco. Acquaro, Enrico Archeologo (n. Roma 1943). Formato alla scuola di Sabatino Moscati, subito dopo la laurea ha dedicato la sua attenzione ai principali siti di archeologia punica in Sardegna. A partire dal 1968 ha preso parte agli scavi di Antas, avviando da quel momento un profondo e proficuo contatto scientifico con la nostra isola. Dopo aver condotto una campagna di scavi a Biserta, dal 1974 è tornato a lavorare in Sardegna fino al 1985, dirigendo alcune campagne a Tharros, sempre in stretto contatto col suo maestro. Negli stessi anni si è sviluppata la sua carriera accademica; è professore ordinario di Archeologia fenicio-punica presso l’Università di Bologna e dirige l’Istituto per la Civiltà fenicia e punica del CNR, che negli ultimi anni ha patrocinato la ripresa degli scavi a Tharros. Ha dedicato una parte considerevole della sua copiosa produzione scientifica allo studio della nostra isola. Tra i suoi scritti sulla Sardegna, che sono una cinquantina, da ricordare, oltre le puntuali cronache annuali degli scavi tharrensi (1974-1984), Antas: un nuovo centro punico in Sardegna, ‘‘Cultura e Scuola’’, XXVIII, 1968; L’iconografia del rasoio punico in Sardegna, ‘‘Rivista di studi fenici’’, I, 1, 1973; Le monete puniche del Museo archeologico nazionale di Cagliari, Catalogo, 1974; Amuleti egiziani ed egittizzanti nel Museo archeologico nazionale di Ca- 38 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 46 Adato gliari, 1975; I sigilli, gli amuleti in Anectoda Tharrica (con S. Moscati e M.L. Uberti), 5, 1975; Sardegna, 1979; Olbia. I campagna del 1977, ‘‘Rivista di studi fenici’’, VII, 1, 1979; Olbia. II campagna del 1978, ‘‘Rivista di studi fenici’’, VIII, 1, 1980; Madre mediterranea: civiltà fenicia, cartaginese e nuragica in Sicilia e in Sardegna, 1980; La collezione punica del Museo nazionale Sanna di Sassari, ‘‘Rivista di studi fenici’’, X, 1982; Arte e cultura punica in Sardegna, con presentazione di S. Moscati, 1984; Progetto Tharros (con M.T. Francisci, G.M. Ingo e L.I. Manfredi), 1997. Acta Curiarum Regni Sardiniae Atti dei parlamenti del Regno di Sardegna. Il progetto di curare la pubblicazione dell’edizione integrale degli atti fu promosso dal Consiglio regionale della Sardegna nel 1984, dopo un lungo periodo di riflessione. L’iniziativa fu presentata nel seminario Acta Curiarum Regni Sardiniae svoltosi a Cagliari tra il 28 e il 29 novembre del 1984 e affidata al coordinamento di un Comitato scientifico del quale inizialmente facevano parte il presidente e i vicepresidenti pro tempore del Consiglio e i professori Alberto Boscolo, Bruno Anatra, Guido d’Agostino, Antonello Mattone, Giancarlo Sorgia, Girolamo Sotgiu e la dottoressa Gabriella Olla Repetto. Col tempo, dopo la morte dei professori Boscolo, Sotgiu e Sorgia, la composizione del comitato scientifico si è modificata: attualmente ne fanno parte i professori Anatra, Italo Birocchi, Maria Rosa Cardia, d’Agostino, Mattone, Marco Tangheroni (deceduto nel 2004) dell’Università di Pisa e Olla Repetto. Per la pubblicazione degli Acta è stato costituito un consorzio fra editori sardi (Edi.co.s) che finora ha pubblicato gli atti dei parlamenti seguenti (i numeri sono quelli corrispondenti alla sequenza dei parlamenti nel prospetto generale): 1. ‘‘Acta Curiarum Regni Sardiniae’’. Istituzioni rappresentative nella Sardegna medioevale e moderna, 1986 e 1989; 2. Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355), a cura di G. Meloni, 1993; 3. I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452), a cura di A. Boscolo con apparati di O. Schena, 1993; 5. I Parlamenti del viceré Giovanni Dusay e Ferdinando Girón de Rebolledo (1499-1511), a cura di A. Maria Oliva e O. Schena, 1998; 10. Il Parlamento del viceré Giovanni Coloma barone d’Elda (1573-1574), a cura di Leopoldo Ortu, 2005; 12. Il Parlamento del viceré Gastone de Moncada marchese di Aytona (1592-1594), a cura di D. Quaglioni, 1997; 14. Il Parlamento del viceré Carlo Borja duca di Gandı́a (1614), a cura di G.G. Ortu, 1995; 16. Il Parlamento straordinario del viceré Girolamo Pimentel marchese di Bayona (1626), a cura di G. Tore, 1998; 18. Il Parlamento del viceré Fabrizio Doria duca d’Avellano (1641-1643), a cura di G. Murgia, 2006; 23. Il Parlamento del viceré Giuseppe de Solı́s Valderrábano conte di Montellano, a cura di G. Catani e C. Ferrante, 2004; 24. L’attività degli Stamenti nella ‘‘Sarda rivoluzione’’ (1793-1796), a cura di L. Carta, 2000. Adato, Giulio Pittore (Campania, 1550 ca.-Cagliari 1633). A partire dal 1588 si stabilı̀ in Sardegna e operò a Cagliari, dove raggiunse molta notorietà e godette di grande considerazione. Nel 1611 fu tra gli arbitri della controversia tra il Castagnola e il Perez; in seguito lavorò col Bonocore e fu inviato in Ogliastra da monsignor D’Esquivel con l’incarico di studiare le raffigurazioni di San Giorgio. Tra le sue opere di maggior rilievo ricordiamo la pala delle Anime del Purgatorio nella parrocchia di Gesico, dipinta nel 1623, e il Crocifisso tra i martiri, dipinto nel 1630 39 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 47 Addari e collocato nella nicchia del sepolcro dello stesso Esquivel. Addari, Gerardo Giornalista e editore (n. Nuragus 1944). Dopo la laurea in Pedagogia si è dedicato all’insegnamento e al giornalismo, è giornalista pubblicista dal 1987. Nel 1990 ha fondato i periodici ‘‘Il Provinciale’’ e ‘‘L’Oristanese’’, di cui è direttore e editore, dando cosı̀ impulso alla diffusione dell’informazione nella nuova provincia del Medio Campidano. Addari Rapallo, Chiarella Studiosa di tradizioni popolari (n. Cagliari 1931). Allieva di Alberto M. Cirese, dopo la laurea si è dedicata alla ricerca e ha intrapreso l’insegnamento presso l’Università di Cagliari. Ha approfondito in particolare lo studio delle tradizioni popolari sarde ed è autrice di alcuni interessanti saggi tra i quali Pani tradizionali e arte effimera in Sardegna, in collaborazione con Alberto M. Cirese, Enrica Delitala e Giulio Angioni. Addaris, Carmelo Atleta (n. San Sperate 1957). Membro della SASPO (Sardegna Sport), è l’atleta disabile sardo che vanta i migliori risultati in campo mondiale nell’atletica leggera. Dopo aver vinto un argento e un bronzo nelle Paraolimpiadi del 1976 a Toronto (slalom e 60 piani), ai campionati mondiali che si svolgono nel 1987 a Stocke Mandeville conquista 2 medaglie d’oro (400 piani e staffetta 4x100) e 7 d’argento. Nella stessa competizione stabilisce il nuovo primato europeo della maratona. Alle Olimpiadi di Seul nel 1988 conquista tre medaglie di bronzo (slalom, 5000 m e staffetta 4x100). [GIOVANNI TOLA] Adde ’e Asile, S’ Necropoli preistorica del tipo detto a domus de janas, in territorio di Ossi. Le tombe, scavate in una parete rocciosa ben individuabile nel territorio a sud del paese (lungo la strada per Ittiri), sono state studiate dagli archeologi sia perché in molti casi a struttura complessa, sia perché arricchite da particolari decorativi e architettonici pregiati e in qualche caso rari. Alcune cavità – sono tutte scavate nella roccia calcarea – riproducono nel pavimento, nelle pareti e nella parte superiore le caratteristiche delle case dei vivi; in molti casi si riscontra il motivo della protome taurina, in altri la raffigurazione di strutture che saranno poi realizzate nelle Tombe di giganti. Sono segnalate la Tomba Maggiore, che conta almeno 18 celle secondarie, e quella detta delle Finestrelle per la presenza di motivi decorativi – unici nel loro genere – che fanno pensare appunto alla raffigurazione di finestre o falseporte. Addis, Filippo Scrittore e critico (Luras 1884-Sassari 1974). Frequentò il Ginnasio a Tempio e continuò gli studi prima a Torino, dove avviò la sua formazione letteraria e cominciò a scrivere sul ‘‘Fanfulla’’ e su altri giornali, poi a Firenze e infine a Roma, dove si laureò nel 1909. Subito dopo si stabilı̀ a Sassari dedicandosi all’insegnamento nelle scuole medie, alla narrativa, prevalentemente novelle, e alla saggistica critica; non trascurò, però, anche altri generi letterari. Il suo carattere schivo e spigoloso lo portò a tenersi in disparte, a fuggire le manifestazioni ufficiali e i riti del mondo letterario. «A. – ha scritto G. Marci (Romanzieri sardi contemporanei, 1991) – i temi della sardità indaga, con spirito caustico e con un approccio stracittadino dal quale gli è reso difficile il rapporto con lo strapaese dei villaggi sardi, e con un gusto del grottesco a volte troppo insistito». Fu forse questo atteggiamento che gli impedı̀ di raggiungere la fama che le sue opere avrebbero meritato; la sua cultura e la sua capacità di analizzare con ironico distacco le cose della vita 40 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 48 Addis ne fecero uno dei punti di riferimento degli ambienti culturali sassaresi: collaborò a ‘‘Il Nuraghe’’ e ad altri periodici e tenne un atteggiamento di fronda nei confronti del regime. Nel 1954 ottenne la medaglia d’oro dei benemeriti della Pubblica Istruzione. Tra le sue raccolte più importanti: Il divorzio, 1920; Giagu Iscriccia, 1925; Il fior di melograno, 1929; Le bestie dei miei amici: i bipedi, 1932; Le bestie dei miei amici: i quadrupedi, 1934; Il moro, 1936; Vecchia Sardegna, 1939; Salvatore Farina (18461918), 1942; La sughera di Campanadolzu, 1950; Novelle di Sardegna, 1957. Addis, Nicolò Scrittore (Nulvi 1915-La Maddalena 1985). Sacerdote, esplicò il proprio ministero dedicandosi prevalentemente all’insegnamento e alla promozione di attività culturali. Profondo conoscitore della storia della sua diocesi, a partire dagli anni Cinquanta le dedicò alcuni studi documentati; pubblicò anche alcune riflessioni religiose (Rosa mistica, 1969). Giornalista e pubblicista dal 1966, collaborò a diversi giornali, tra cui ‘‘La Nuova Sardegna’’, e diresse dal 1959 al 1964 il ‘‘Notiziario diocesano’’ di Ampurias e Tempio. Addis, Ovidio Storico (Teulada 1908Cagliari 1966). Insegnante e fine intellettuale, aveva completato i suoi studi a Roma, dove lo sorprese lo scoppio della seconda guerra mondiale. Laureatosi in Lettere, tornò in Sardegna nel 1941 e si stabilı̀ a Seneghe dove iniziò a insegnare nelle scuole elementari. Poco dopo si arruolò e prese parte alle operazioni militari nel Nord Africa; nel 1943 fu trasferito in Sardegna di stanza a Oristano. Subito dopo l’8 settembre fu tra i protagonisti del breve episodio di resistenza alle truppe tedesche sul ponte del Tirso, conclusosi con uno scontro a fuoco. Ovidio Addis – L’intellettuale di Seneghe fu uno degli animatori della cultura sarda negli anni centrali del Novecento. Nel dopoguerra si stabilı̀ definitivamente a Seneghe, dedicandosi ai suoi studi e iniziando a raccogliere un’imponente biblioteca e molti preziosi documenti sulla storia della Sardegna. I suoi interessi culturali furono molteplici: tra l’altro, a partire dal 1957, avviò la revisione dei dati sulla famiglia giudicale arborense e tra il 1963 e il 1964 condusse due campagne di scavo a Cornus. L’impegno culturale, però, non gli impedı̀ di occuparsi di politica e, sardista convinto, prese attivamente parte alle vicende dell’amministrazione comunale di Seneghe; fu sindaco dal 1964 al 1966. Alla sua morte lasciò la sua biblioteca al comune d’elezione. Dell’impegno di studioso testimonia la serie di lavori a carattere storico da lui lasciati, tra i quali vanno ricordati: Un 41 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 49 Addis Saba sarcofago giudicale arborense, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXV, 1-2, 1957; Donnicalie in Sardegna nel periodo giudicale e la loro decadenza nel primo periodo aragonese in rapporto allo spopolamento conseguente alla occupazione, in Atti del VI Congresso di storia della Corona d’Aragona, 1959; Prima raffigurazione del suonatore di launeddas. Stele nuragica in S. Lussurgiu, ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, VII, 4142, 1962; Il complesso paleocristiano di Cornus, in Atti del XIII Congresso di storia dell’architettura, I, 1963, II, 1966. Addis Saba, Marina Storica (n. Sassari 1930). Studiosa di storia contemporanea, dopo aver conseguito la laurea in Lettere a Roma, dal 1985 al 2002 è stata professore associato di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Autrice di numerose pubblicazioni, nel 1993 ha vinto il premio ‘‘Walter Tobagi’’ con una biografia su Anna Kuliscioff. Appassionata militante delle battaglie femministe, ha dedicato diversi studi ai problemi della Women’s History e della partecipazione delle donne italiane alla Resistenza. Dei suoi scritti su aspetti particolari del Novecento sardo: Gioventù Italiana del Littorio, 1974; Emilio Lussu 1919-1926, 1977; Cultura a passo romano. Storia e strategia dei littoriali, 1983; Stefano Siglienti: dalla cospirazione alla Resistenza e Il socialismo contadino di Francesco Fancello, tutti e due in L’antifascismo in Sardegna (a cura di Manlio Brigaglia, Francesco Manconi, Antonello Mattone, Guido Melis), 1986; Garibaldi sardo di elezione, 1988; Un’amicizia ideologica: Trentin e Lussu in L’uomo dell’altipiano. Riflessioni, testimonianze, memorie su Emilio Lussu (a cura di Eugenio Orrù), 2003; infine una delicata autobiografia, Non recidere, forbice, quel volto, 2005. Addis Tansu, Bastiano (detto il Muto di Gallura) Famoso bandito (Tempio 1827- Aggius 1858). Fu coinvolto nella faida scoppiata ad Aggius, per una mancata promessa di matrimonio, tra le famiglie dei Vasa e dei Mamia; schieratosi con una delle due parti, con cui era imparentato, si trovò ad agire da sicario, macchiandosi di alcuni omicidi per cui, dopo la pacificazione tra le due fazioni, continuò a vivere alla macchia. Fu ucciso a tradimento nel 1858, ma non si posseggono notizie documentate sulla sua morte. L’alone di leggenda che presto circondò la sua fama (era sordomuto dalla nascita, e anche questo particolare concorse a colpire l’immaginazione popolare) fu alimentato anche da alcune opere letterarie dedicate alla sua vicenda: fra queste ebbe grande successo Il muto di Gallura, scritta dal popolare poligrafo sassarese Enrico Costa nel 1884. Adelasia di Torres Giudicessa (?, inizi sec. XIII-Burgos 1259). Figlia di Mariano II di Torres, nel 1219 sposò Ubaldo Visconti junior e quando suo fratello, il giudice Barisone III, fu assassinato nel 1235, trasmise al marito i suoi diritti sul giudicato di Torres. Quando però i due coniugi tentarono di assumere il governo, il popolo di Sassari si ribellò costringendoli alla fuga. Poco dopo Ubaldo morı̀ e Adelasia, rimasta vedova, nel 1238 si risposò con Enzo, uno dei figli naturali di Federico II. Il giovane principe era stato per l’occasione nominato dall’imperatore ‘‘re di Sardegna’’ e si trasferı̀ nell’isola con il suo seguito. Trascorsi pochi mesi, però, nel 1239 il matrimonio tra la matura giudicessa e il giovane Hohenstaufen fallı̀; A. di T. fu abbandonata dal secondo marito che tornò nella penisola per seguire le imprese di suo padre. L’infelice sovrana trascorse l’ultima parte della sua vita nel 42 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 50 Ademprivi castello di Burgos dove morı̀ nel 1259. Intorno alla sua figura fiorirono numerose leggende: la più famosa è quella che la vuole anche moglie (o amante) di quel ‘‘donno Michele Zanche di Logudoro’’ citato da Dante (Commedia, Inf., c. XIX), al quale viene anche attribuita la decisione di esiliarla nel castello di Burgos per usurparne il ruolo. Su di lei scrisse una biografia tra storia e romanzo il poligrafo sassarese Enrico Costa (Adelasia di Torres. Note critiche e divagazioni tra storie, cronache e leggende del secolo XIII, 1898). Ademprivi Il termine deriva dal catalano adempriu, ma l’etimologia resta incerta: la più probabile è quella che la fa derivare dall’espressione latina ad manum privatam, che indicherebbe l’abitudine (e in qualche misura il diritto consolidato dalla tradizione) a usare come cosa propria, ‘‘privata’’, un bene pubblico. Con questo termine infatti vengono indicate alcune forme di godimento collettivo della terra diffuse in Sardegna e corrispondenti agli usi civici. Consistevano nella facoltà di godere dei pascoli, dei boschi, delle stoppie, di seminare porzioni di terra e di sfruttare i corsi d’acqua che gli abitanti dei villaggi avevano nei confronti sia delle proprietà appartenenti al demanio reale o baronale o comunale che di quelle private che non fossero recintate. Trovavano il loro fondamento in consuetudini che si riallacciano ai tempi più remoti della storia della Sardegna, che i Romani conobbero e rispettarono, come pure si mantennero in età giudicale. Esse venivano praticate da tutti i membri di una comunità nei vasti territori intorno ai villaggi che servivano da supporto all’allevamento e ad attività agricole di interesse generale. L’uso collettivo della terra pubblica era quindi il fondamento di questi diritti che continua- rono a essere rispettati nel periodo aragonese e spagnolo. La regolamentazione di questi usi o le limitazioni al loro esercizio che i feudatari tentavano spesso di imporre furono causa di violenti conflitti tra loro e i vassalli. Ciò lo si può vedere dal tenore degli accordi (accordiu) che spesso i feudatari facevano con dei privati per la concessione di terre pubbliche appartenenti al demanio feudale: in questi accordi (accordiu de saltu) venivano fatti salvi i diritti ademprivili, che il concessionario si impegnava a rispettare. La concessione a privati di beni appartenenti al demanio reale prevedeva egualmente il rispetto degli ademprivi ma, specialmente in quelle fatte nel corso del secolo XVII, il principio non venne rispettato e il concessionario di fatto ne impedı̀ l’esercizio. Nel corso del secolo XVIII i Savoia cominciarono a limitarne l’esercizio e ne abolirono alcuni nell’ambito dei territori pertinenti alle città. Alcuni problemi gli a. li crearono dopo il 1820, quando fu applicata la legge delle chiudende; quando poi furono aboliti i feudi il governo si trovò ad affrontare nuove difficoltà. Infatti i terreni dei disciolti demani feudali, sui quali vigevano i diritti ademprivili, costituivano la metà di tutti i territori coltivabili nell’isola, per cui la regolamentazione del loro uso divenne un serio problema. A partire dal 1844 l’Amministrazione statale tentò di eliminarli sia cercando di limitarli con una serie di atti normativi sia dandone considerevoli porzioni in concessione per opere di bonifica o favorendo in tutti i modi la formazione della proprietà privata. I risultati raggiunti non furono rilevanti, per quanto la legislazione restrittiva continuasse a essere l’arma più efficace per raggiungere l’obiettivo: ancora oggi molti comuni posseggono una parte dei ter- 43 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 51 Ad Herculem reni pubblici sui quali i cittadini esercitano diritti ademprivili. D’altra parte la loro abolizione era elemento fondamentale della politica sabauda, volta a liberare la terra da ogni vincolo consuetudinario per permettere la formazione di quella piccola borghesia agraria che era nei disegni dei governanti. Dopo la Legge delle chiudende e l’abolizione del sistema feudale, fu la volta degli a. L’operazione si compı̀ (per la parte in cui si compı̀) in un lunghissimo arco di tempo: la legge n. 1643 del 10 aprile 1854 abolı̀ i diritti d’a. sui boschi del demanio dello stato; nel 1851 la legge prediale pose un termine di 9 anni per procedere all’abolizione del pascolo comune; la legge n. 2252 del 23 aprile 1865 dispose «l’abolizione degli usi e diritti di a. e di cussorgia nell’isola di Sardegna». I comuni erano obbligati a vendere entro tre anni i terreni loro assegnati. La legge (già pronta per l’approvazione nel 1859 ma poi rinviata per lo scoppio della guerra) era stata oggetto d’un vasto dibattito: restano famosi, in proposito, gli articoli di Carlo Cattaneo sul ‘‘Politecnico’’. Nel gennaio 1863 la legge n. 1105 aveva avviato la costruzione della rete ferroviaria sarda concedendo alla società del finanziere Gaetano Semenza 200 000 ha di terreni ex ademprivili. Ad Herculem Stazione sulla strada romana a Tibulla Sulcos, in passato identificata con Santa Vittoria di Osilo. In realtà il toponimo sembra far riferimento a una stazione contigua (si noti la preposizione ad) al tempio di Ercole che doveva sorgere sull’Herculis insula, l’Asinara: recenti indagini hanno riguardato ad esempio la località di Cuile Etzi Minori presso Ercoli, sulla costa orientale della penisola molto a sud delle saline di Stintino, in una delle aree più fertili della Sardegna. Andrebbe dunque localizzata in co- mune di Stintino, a 18 miglia da Turris Lybisonis, oggi Porto Torres, e a 22 miglia da Erucium (di dubbia localizzazione). La localizzazione a Stintino obbliga a introdurre una rettifica ai dati dell’Itinerario Antoniniano e a ipotizzare una variante o una deviazione laterale rispetto all’occidentale sarda. [ATTILIO MASTINO] Ad Medias Stazione stradale della via a Tibula Carales, ricordata dall’Itinerario Antoniniano a 12 miglia da Molaria (Mulargia) e a 15 miglia da Forum Traiani (Fordongianus). Viene di consueto identificata con l’area del Nuraghe Losa di Abbasanta. Il toponimo antico forse indica la collocazione geografica al centro della strada, 110 miglia da Tibula e 103 miglia da Carales, almeno se sommiamo i dati parziali dell’Itinerario. La strada centrale sarda da Molaria raggiungeva la Macopsisa di Tolomeo (si tratta forse di una deformazione per Macomisa, nel senso de ‘‘il luogo dell’uscita’’, l’attuale Macomer): una deviazione laterale conduceva a Bosa e Gurulis Vetus. I miliari di San Pantaleo relativi a restauri effettuati già nell’età di Vespasiano ricordano il 55º e il 56º miglio da Turris; resti di carraie sono stati segnalati presso lo stabilimento Alas di Macomer; un altro miliario di Vespasiano è stato ritrovato a Bonutrau; infine la strada iniziava la discesa dall’altipiano, lungo Su Stradone Ezzu, fra Cunzau de sa Matta e il rio Castigadu a occidente di Macomer e più avanti in località Serbagusa, Campusantu, Funtana ’e Figu, Su Cunventu (miliario sulla strada vicinale Cogolatzu): al servizio della viabilità dovevano essere impiegate alcune strutture di abitati, come quella di Su Cunventu, alle pendici dell’altipiano, dove è stata localizzata una mutatio. Dopo aver superato il rio Castigadu, la via raggiungeva Pa- 44 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 52 Adon Sid Addir Babay dru Nou; altre tracce di selciato sono state segnalate nella Tanca Melkiorre Murenu, presso Tossilo: si tratta di un piano di carreggio largo 8 m, bombato al centro, con solide fondazioni, utilizzato dalla moderna Strada Reale con un percorso rettilineo fin quasi al nuraghe Losa di Abbasanta, dove si localizza Ad Medias, a 12 miglia, 18 km, da Molaria. Da Abbasanta la strada puntava decisamente a sud (rispetto alla S.S. 131 che tocca Paulilatino e Bauladu) e attraverso il territorio di Ghilarza e di Busachi lungo la valle del rio Bauvenu raggiungeva il Tirso a Santa Chiara. In questo tratto possediamo ben quattordici miliari, che riportano la numerazione delle miglia da Turris Lybisonis ma talora anche da Carales e che arrivano fino alla fine del secolo IV con un’ultima testimonianza durante il regno di Magno Massimo e di Flavio Vittore. [ATTILIO MASTINO] Adolfi, Mario Pittore (n. Bosa 1952). Diplomato all’Istituto d’Arte di Nuoro, ha esordito prendendo parte alla prima mostra collettiva nel 1968. Negli anni seguenti ha esposto in mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Alcune sue opere sono presenti in collezioni pubbliche. Adonide annua – Fiore. Adonide annua Specie di pianta erbacea annuale della famiglia delle Ranuncolacee (Adonis annua L.). Ha fusti ramosi e foglie divise in tre segmenti lineari acuti. Fioritura a marzo-aprile con fiori rossi terminali, con 5 sepali, petali in numero variabile da 6 a 10 con macchia nera alla base. Il frutto, un achenio, presenta un becco acuto terminale. Cresce su terreni coltivati e ai bordi delle strade. Nomi sardi: adoni; ogu de bòi (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Adon Sid Addir Babay Dedica (in fenicio l’dn lsd ’dr b’by ‘‘Al signore Sid, padre potente’’), incisa su una base cilindrica utilizzata come supporto di una statua in bronzo, rinvenuta nel 1967 presso il tempio di Antas. Numerose altre iscrizioni di carattere votivo rinvenute nell’area del santuario documentano il culto tributato al dio Sid, definito ‘‘signore potente’’, in connessione con l’epiteto Baby/Babay che viene comunemente interpretato come l’appellativo della massima divinità della Sardegna. L’epiteto, appartenente al sostrato linguistico sardo presemitico, dimostra l’avvenuto sincretismo col dio fenicio Sid all’interno di un centro cultuale di primaria importanza nel quadro dell’intera religiosità sarda. Infatti i dedicanti di alcuni ex voto databili tra il secolo IV a.C. e il II a.C. si dichiarano come appartenenti al popolo di Cagliari e Sulci, a diretta conferma, pertanto, del carattere ‘‘nazionale’’ del culto offerto al dio Sid, che proseguirà anche nella successiva età romana con la venerazione del Sardus Pater (=). A favore dell’identificazione col dio Sid, a sua volta continuatore diretto di una precedente divinità sarda qualificata come ‘‘padre’’, converge una nutrita serie di testimonianze numismatiche ed epigrafiche quali la moneta del praetor Azio Balbo coniata nel 38 a.C. con legenda Sard(us) Pater, l’anello aureo del secolo III d.C. con iscrizione Sidia Babi, forse un falso, e la 45 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 53 Adselona nota iscrizione dell’epistilio del tempio di Antas databile tra il 213 e il 217 d.C., al tempo dell’imperatore Caracalla, su cui si legge Temp[l(um) D]ei [Sa]rdi Patris Bab[i]. Ad un attento esame delle testimonianze epigrafiche e archeologiche è emersa, tra le principali prerogative della divinità, l’importanza delle qualità taumaturgiche e salutifere grazie a un particolare legame con due divinità minori quali Shadrapha e Horon invocati dai fedeli in qualità di intermediatori tra il dedicante e la massima divinità titolare del culto. [MICHELE GUIRGUIS] Adselona Località registrata nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (sec. VII) e, nella variante Adselola, nell’opera geografica di Guidone (secc. XI-XII). In base alla sequenza fornita da entrambe le fonti ad A. dovrebbe corrispondere a un centro posto a settentrione lungo la strada che portava da Carales a Turris Lybisonis. Citata subito dopo Turris (Turris Librisonis colonia Iulia nell’Anonimo Ravennate; Turris Librisonis colonia Vilia in Guidone) è stata assimilata da Ettore Pais ad Anglona; Ignazio Didu ha proposto un’assimilazione con il toponimo Soliu (da Ad Solia), abitato scomparso nelle vicinanze di Sedini attestato nelle fonti medioevali. [ANTONELLO SANNA] Aeronike Servizi Aerei Ditta fondata a Cagliari verso la metà degli anni Sessanta da un gruppo di piloti e tecnici sardi, organizzati intorno all’aeroporto di Cagliari-Elmas. Possiede un importante archivio di fotografie aeree planimetriche e panoramiche, di rilievi topografici e aerei all’infrarosso. Svolge inoltre servizio di vigilanza aerea delle coste e del territorio, e di prevenzione e controllo degli incendi boschivi. un’autorità pubblica fissa un prezzo politico per la commercializzazione delle derrate alimentari per far fronte a situazioni come carestie o assedi, ma anche per scoraggiare la speculazione sui prodotti alimentari. In Sardegna l’a. ebbe una importanza notevole in epoca spagnola soprattutto per quanto riguarda il grano, la cui disponibilità era considerata strategica; l’a., infatti, una volta stabilito, scoraggiava gli speculatori e fissava anche l’acquisto che le città erano autorizzate a fare nei villaggi di loro pertinenza della quantità di grano da ammassare per un anno e da tenere come riserva. L’a. veniva perfezionato nel mese di settembre di ogni anno con una cerimonia solenne che si svolgeva a Cagliari nelle sale della Reale Udienza. Il viceré vi si recava in gran corteggio, unitamente alle ‘‘prime voci’’ degli Stamenti (=) e a tutti i giudici; nel corso della cerimonia veniva letto il prezzo giornaliero del grano a partire dal mese di luglio, in modo che i presenti potessero farsi un’idea precisa della media annuale dei prezzi al momento della mietitura. Subito dopo il viceré si spostava in un’altra sala e i funzionari presenti e le prime voci degli Stamenti aprivano tra loro la discussione per la determinazione dell’a. Quando la discussione era esaurita, i presenti fissavano l’ammontare del prezzo del grano con una votazione e subito dopo lo comunicavano al viceré che a quel punto rientrava nella sala. Poco dopo il viceré pubblicava il nuovo a., emanando un apposito pregone. L’a., stabilito a difesa dei consumatori della città, dava spesso luogo a speculazioni commerciali basate sulla differenza fra il prezzo d’a. e il prezzo del mercato. Afnio = Zoologia della Sardegna Afforo Termine, derivato dal catalano Africa romana Africa era per gli anti- aforar, che definisce l’atto col quale chi il territorio di Cartagine, ma la de- 46 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 54 Africa romana nominazione in età romana, dopo la distruzione di Cartagine nel 146 a.C., finı̀ per indicare l’attuale Maghreb (limitato dal mare Mediterraneo a nord, dal golfo della Grande Sirte a est, dall’Oceano Atlantico a ovest), conquistato dai Romani e corrispondente oggi ai territori della Libia occidentale, Tunisia, Algeria settentrionale e Marocco. Ne restavano esclusi la Cirenaica e l’Egitto, di lingua greca e considerati parte dell’Oriente asiatico. Dopo la vittoria di Cesare a Tapso nel 46 a.C. il regno di Numidia fu costituito in provincia con il nome di Africa nova. Augusto unificò le due province nel 27 a.C., affidando la nuova entità amministrativa, divenuta Africa proconsularis, a un proconsole di rango senatorio. Nel 38 d.C. Caligola separò il potere civile da quello militare, assegnando il secondo a un legato della III legione Augusta, preludio alla nascita della provincia di Numidia, organizzata però solo al tempo di Settimio Severo. Con la riforma di Diocleziano l’Africa proconsolare fu ripartita in tre circoscrizioni: Zeugitana o Proconsularis, Byzacena, Tripolitania. Dalla divisione della Numidia sorsero la Cirtensis e la Militiana, riunificate subito dopo da Costantino. Tutti questi territori corrispondono oggi alla Libia, alla Tunisia e all’Algeria nord-orientale. All’attuale Algeria centro-occidentale e al Marocco corrispondevano invece in età imperiale rispettivamente la Mauretania Caesariensis e la Mauretania Tingitana, territori lasciati in eredità dal re Bocco ad Augusto alla vigilia della battaglia di Azio, trasferiti nel 25 a.C. a Giuba II e costituiti in provincia dopo l’uccisione del re Tolomeo a opera di Caligola. Con Diocleziano dalla Caesariensis fu separata la Sitifensis. SARDEGNA E CARTAGINE I rapporti tra la Sardegna e le province romane del Maghreb coprono un arco cronologico lunghissimo. Già il mito del libico Sardus, figlio di Maceride (l’Ercole dei Libii), primo colonizzatore dell’isola secondo Pausania, è testimone di una consuetudine antica di rapporti, che rimonta a ben prima dell’età feniciopunica. Ancora in età storica Sardus era venerato in Sardegna con l’attributo di Pater. Al di là del mito, i contatti tra l’Africa e la Sardegna si svilupparono prima con l’arrivo dei Fenici e poi con la dominazione cartaginese, che sembra saldamente stabilita nei trattati tra Roma e Cartagine e ancora alla fine della prima guerra punica. Nel corso della guerra dei mercenari, che si sviluppò in Africa e in Sardegna (238 a.C.), l’isola fu scossa da una rivolta anticartaginese nel corso della quale un contingente cartaginese guidato da Bostare fu massacrato probabilmente nell’acropoli della città di Carales. Le truppe inviate da Cartagine, ribellatesi al comandante Annone, che fu crocifisso, sottoposero a supplizi i Cartaginesi che si trovavano sull’isola. La rivolta fornı̀ ai Romani il pretesto per occupare l’isola, anche se sarebbero stati necessari due secoli per soffocare nel sangue le rivolte delle popolazioni dell’interno montuoso, in parte fedeli a Cartagine e sempre sobillate da spie puniche, ma soprattutto avverse a ogni forma di occupazione militare. La costituzione della Provincia Sardinia nel 227 a.C. non cambiò lo stato delle cose: per tutto il corso della seconda guerra punica (218-202 a.C.) l’isola mantenne rapporti di natura militare e commerciale con Cartagine, situazione che condurrà all’infelice rivolta antiromana di Ampsicora appoggiato da Annibale nel 215 a.C. I RAPPORTI CULTURALI I rapporti culturali tra Africa e Sardegna non cessa- 47 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 55 Africa romana rono neppure dopo il 146 a.C., anno della distruzione di Cartagine, favoriti dalla comune lingua punica e dalla presenza di mercanti africani nell’isola. Possediamo notizie di rapporti commerciali, di scambi di popolazione, di contatti culturali che si estendono per tutta l’età romana, con la presenza di deportati africani in Sardegna, dagli alessandrini ed ebrei dell’età di Tiberio fino ai mauri e ai vescovi africani esiliati in età vandala. Ci fu ad esempio sempre una certa costanza nei trasferimenti di popolazione fra Africa e Sardegna. A questo fenomeno fa da pendant lo spostamento di sardi, specialmente militari, nel Nord Africa: arruolati nei reparti ausiliari (come la Cohors II Sardorum o la Cohors Nurritanorum) o nella legio III Augusta, erano rispettivamente di stanza nella Mauretania Cesariense e in Numidia. La ‘‘romanizzazione’’ della Sardegna conobbe fasi analoghe alla romanizzazione del Nord Africa, per le affinità strutturali dell’economia, legata principalmente all’agricoltura: somiglianza per le caratteristiche del suolo e del clima, assenza di piogge abbondanti, ampiezza di terre incolte (subseciva), sviluppo delle proprietà imperiali. Sardegna e Africa, insieme alla Sicilia, furono cosı̀ considerate fin dall’età della res publica i granai di Roma. E se quella della produzione cerealicola restò prerogativa della Sardegna per tutta l’età imperiale, l’Africa, a partire dalla prima metà del secolo II d.C., sviluppò anche l’olivicoltura, attività che assicurò prosperità fino all’avvento della dominazione araba. Contestualmente si comprende anche il perché dello sviluppo dei traffici commerciali, favoriti dalla breve distanza fra le due terre: 280 km tra il promontorio di Carales e l’Africa, percorribili in un giorno e una notte di na- vigazione, come in occasione del viaggio di Cesare da Utica a Carales. La sopravvivenza di elementi culturali punici e indigeni si manifestò in Sardegna come in Africa nelle istituzioni cittadine. A Bitia ad esempio è rimasta una dedica in lingua cananea all’imperatore Marco Aurelio (169-180) in cui si ricorda una serie di opere pubbliche realizzate in un anno individuato dal nome di due sufeti. Cosı̀ in Africa città sufetali sono attestate, sempre nelle iscrizioni, a partire da Cesare fino alla piena età imperiale. Inoltre numerosi furono i centri sardi che mantennero il nome punico in età romana (Magomadas, analoga al libico Macomades, in semitico forse ‘‘città nuova’’; Othoca, ‘‘città vecchia’’; Macomer-Macomisa, ‘‘luogo del monte, luogo dell’entrata/ dell’uscita’’), come diverse furono anche le sopravvivenze della religiosità punica nell’isola. Emblematico è il caso di Sid Babi, divinità africana venerata ad Antas e ricordata in una ventina di iscrizioni puniche. L’occupazione vandalica vide la Sardegna inserita all’interno dello stato africano: il vescovo di Carales divenne il metropolita delle diocesi dei territori transmarini dell’Impero vandalo, che comprendeva anche la Corsica e le Baleari. Tale orientamento africano della Sardegna fu confermato quando Giustiniano riconquistò Cartagine; allora la Sardegna fu annessa alla prefettura del pretorio e all’esarcato d’Africa bizantino. [ANTONELLO SANNA] Africa romana, L’ Titolo sotto cui è posto l’importante convegno internazionale di studi che con cadenza annuale (poi biennale) il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari organizza a partire dal 1983. Il convegno, ideato e diretto dal professor Attilio Mastino, consente di approfondire tutti gli aspetti della presenza romana nell’A- 48 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 56 Agalbursa di Bas frica settentrionale e nel bacino mediterraneo, e in particolare di chiarire il ruolo della Sardegna in età romana. Al convegno prendono parte studiosi provenienti da tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo; i lavori si concludono con la pubblicazione (straordinariamente puntuale) degli Atti relativi, che ormai sono da considerare uno strumento prezioso e insostituibile per studiosi specialisti e non (nel XVII convegno, svoltosi a Siviglia, sono stati presentati gli Atti del XVI, svoltosi a Rabat nel 2004). Per le 17 edizioni sono stati editi gli atti dei convegni 1983, 1984, 1985, 1986-87 (2 voll.), 1988 (2 voll.), 1989 (2 voll.), 1990 (2 voll.), 1991 (2 voll.), tutti a cura di A. Mastino; 1992 (3 voll., a cura di A. Mastino e P. Ruggeri), 1994 (3 voll., a cura di A. Mastino), 1996 (3 voll., a cura di A. Khanoussi, P. Ruggeri, C. Vismara), 2000 (3 voll., a cura di A. Khanoussi, P. Ruggeri, C. Vismara), 2002 (3 voll., a cura di A. Khanoussi, P. Ruggeri, C. Vismara), 2004 (4 voll., a cura di A. Akerraz, P. Ruggeri, A. Siraj, C. Vismara). diaco. Una figura fittile di Nora reca sulla base la scritta Veneri Sacrum: si tratta dunque di un ex voto consacrato a Venus da un devoto. Infine dall’ager di Turris Lybisonis deriva un timbro in bronzo con l’iscrizione Veneris Obsequentis. Il timbro era destinato a esser impresso su oggetti consacrati alla Venus Obsequens, un culto proprio dei liberti che facevano parte del populus turritano. [VALENTINA PORCHEDDU] Afrodite Divinità greca. Il culto di A. si impianta nella Sardegna punica in virtù del processo sincretistico tra la dea greca e la dea semitica IshtarAstarte nota già nel secolo VII a.C. nel tempio di Monte Sirai. Ad Antas nel tempio di Sid-Sardus Pater figura una testa di A. di scalpello argivo del 420 a.C. ca. In età romana possediamo a Carales la statuetta marmorea di A. anadiomene dalle terme di viale Trieste (sec. II d.C.). Lo stesso tipo dell’A. è attestato a Turris Lybisonis, forse della fine dell’età ellenistica. Un secondo frammento di statuetta di marmo di A. da Turris Lybisonis è riportato al secolo II d.C. Da Neapolis viene una statuetta acefala in marmo dell’A. urania, copia romana del secolo I d.C. e rielaborazione ellenistica del capolavoro fi- Afrodite – La dea in una statua romana in marmo del secolo I d.C., copia da un originale in bronzo di Doidalsas. (Collezione Ludovisi, Roma) Agalbursa di Bas Signora del giudicato d’Arborea (prima metà sec. XIIdopo 1186). Figlia di Ponzio de Cervera visconte di Bas, nel 1157 divenne la seconda moglie dello sfortunato giudice Barisone I d’Arborea; si stabilı̀ a Oristano accompagnata da un gruppo di catalani, alcuni dei quali si fermarono definitivamente in Sardegna. In particolare favorı̀ l’inserimento del fratello, che si sposò con Sinispella, una delle figlie che Barisone aveva avuto dalla 49 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 57 Agata prima moglie, Pellegrina de Lacon. Quando nel 1185 il marito morı̀, A. di B. si trovò in una situazione difficile perché una parte del patrimonio che possedeva in Sardegna era stata ceduta a Pisa dal figliastro, il giudice Pietro, che per tentare di uscire dalla grave crisi finanziaria nella quale il padre lo aveva lasciato nei confronti di Genova si era alleato col comune toscano a cui aveva concesso anche una parte del territorio del giudicato. A. di B., sostenuta dal clan dei catalani, non sentendosi tutelata dal figliastro si recò allora a Genova per rinnovare la vecchia alleanza e per trovare protezione. In questa circostanza ella fece giurare il patto anche al nipote Ugo Ponzio dichiarandolo suo erede: in questo modo, alla sua morte, ne favorı̀ l’ascesa sul trono d’Arborea. Sant’Agata – La santa martire raffigurata da Francesco Lola. (Basilica di San Petronio, Bologna) Agata, santa Santa (Catania?, ?-ivi, 250 ca.). Martire, per secoli il luogo di na- scita è stato rivendicato da Palermo. Il suo culto è anteriore al secolo V, quando a Roma il patrizio Ricimero fece costruire la chiesa di Sant’A. dei Goti nella Suburra, il quartiere abitato da gente equivoca, forse perché secondo una leggenda la santa sarebbe stata affidata a una prostituta. Gli atti del martirio, apocrifi e privi di valore storico, sono del secolo VI. Il pontefice sardo Simmaco le dedicò una basilica sulla via Aurelia, Gregorio Magno ne introdusse il nome nel canone romano, memoria obbligatoria ancora oggi. Giovane e bella, il console romano Quintiano (Quinziano, nella lettura latina medioevale) sotto l’imperatore Decio la domandò in sposa: «Non posso sposarti – gli disse A. – perché sono già sposata al Signore, a lui mi sono consacrata». Pur di averla il console si rivolse a una fattucchiera, Afrodisia, ma filtri e malie non scalfirono la fede e la purezza della giovane. L’amore di Quintiano si trasformò in odio: dopo averla minacciata la fece arrestare e torturare. Sostituendosi al carnefice le tagliò i seni: «Crudele tiranno – lo rimproverò A. – , non ti vergogni di torturare in una donna quel seno dal quale hai succhiato la vita?». In carcere le apparve San Pietro: la consolò e le risanò le ferite. Martire sui carboni accesi, a Catania, verso il 250-251. L’iconografia la rappresenta con i seni recisi. Protegge Catania dalle eruzioni dell’Etna, invocata contro le devastazioni della lava e contro gli incendi, patrona delle balie, dei fabbricanti di campane e dei gioiellieri. Culto in Sardegna diffuso dai Bizantini. Chiesa a Quartu Sant’Elena (sec. XII); tela Sant’A. curata da San Pietro nella cattedrale di Cagliari, attribuita dagli storici del passato a Gherardo delle Notti (1590-1656), dai contemporanei a un seguace di Artemisia Gentileschi (1597- 50 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 58 Aggius 1651). Santadi deriverebbe da Sant’Ada, corruzione di Sant’Agata. [ADRIANO VARGIU] Agave – Pianta senza fusto introdotta in Europa nel secolo XVII, l’agave è utilizzata come pianta ornamentale. a Cagliari, che alcuni dicono siano state piantate in tempo di guerra per scoraggiare l’atterraggio di paracadutisti nemici. I grandi fiori, visibili dalla spiaggia del Poetto, si stagliano sul profilo del promontorio. Nomi sardi: ágavi (sassarese); aspárach de foch (algherese); erba de isprene (nuorese). Aggius – La Valle della Luna è detta anche Piana dei Grandi Sassi: sembra quasi il frutto di un bombardamento di meteoriti. Agave Pianta succulenta della famiglia delle Amarillidacee (A. americana L.), originaria dell’America centrale, dove viene utilizzata per estrarre fibre per cordame; dalla fermentazione delle foglie macerate si ricava la tequila. Il nome deriva dal greco agaué (magnifica), per l’eleganza del suo portamento. Introdotta in Europa nel secolo XVII, è utilizzata come pianta ornamentale. Pianta perenne, acaule (cioè senza fusto), caratterizzata da un’espansa rosetta di 20-30 foglie basali. Le foglie carnose, ensiformi, lunghe anche 3 m, hanno margine e punta spinosi. Il colore e la larghezza delle foglie cambia nelle diverse varietà coltivate. Ha un’infiorescenza a pannocchia che si apre su uno stelo alto diversi metri, simile a un gigantesco asparago; ogni pianta fiorisce una sola volta, dopo almeno 11 anni di vita, poi muore. La fioritura avviene in tarda primavera. Il frutto è una capsula trivalve. Caratteristiche le agavi della Sella del Diavolo, Aggius Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella III Comunità montana, con 1649 abitanti (al 2004), posto a 514 m sul livello del mare nella Gallura interna, pochi chilometri a nord-ovest di Tempio Pausania. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias. & TERRITORIO Il territorio si estende per 82,77 km2 e confina con Trinità d’Agultu a nord, di Aglientu e Tempio Pausania a est, di Bortigiadas a sud, di Valledoria e Badesi a ovest. Di forma grosso modo triangolare, occupa le propaggini del massiccio del Limbara digradanti verso il golfo dell’Asinara; di natura costantemente granitica, alterna colline arrotondate a creste rocciose, tra le quali si apre di tanto in tanto qualche vallata o qualche conca pianeggiante. Rimangono ancora, oltre ai numerosi sughereti, tratti del bosco originario, popolato di lepri, pernici e cinghiali, mentre sulle cime più 51 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 59 Aggius alte nidificano corvi, falchi e sparvieri. Le comunicazioni si svolgono lungo alcune strade, tra le quali la statale 133, che collegano Tempio alla costa e, in misura oggi molto ridotta, dalla ferrovia delle secondarie Sassari-TempioPalau. Aggius – Dal 1966 la Valle della Luna, già attaccata dai cavatori di granito, è protetta da vincolo paesistico. & STORIA L’attuale centro è di origine medioevale ed era incluso nella curatoria di Gemini del giudicato di Gallura. A partire dal 1288, con la fine del giudicato, fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa. Dopo la conquista aragonese A. fu incluso nel Regnum Sardiniae, ma il suo territorio era tutt’altro che pacificato: la resistenza dei suoi abitanti durò fino al 1330, quando l’esercito guidato da Raimondo Cardona riuscı̀ ad averne ragione. Nello stesso anno il villaggio fu compreso, con quasi tutto il Gemini alto, in un feudo concesso a Guglielmo Pujalt. Continuò però a essere teatro della guerra tra Doria e Aragona, e quando alcuni anni dopo Pujalt morı̀ senza figli il conflitto non era ancora chiuso. Nel 1347 fu dato in pegno a Giovanni d’Arborea perché lo pacificasse; ma quest’ultimo fu arrestato dal fratello Mariano e il territorio fu amministrato dalla moglie Sibilla de Moncada, ma di fatto era ormai abbandonato a se stesso. Quando nel 1353 scoppiò la guerra tra Aragona e Arborea e nel 1356 quella tra Aragona e Genova, A., come tutto il territorio del Gemini, subı̀ gravi danni ma non si spopolò completamente. Nel 1365, scoppiata la seconda guerra tra Aragona e Arborea, fu occupato dalle truppe arborensi e, formalmente riconosciuto ai Carroz eredi di Giovanni d’Arborea, rimase in loro possesso fino alla battaglia di Sanluri. Finita la guerra, A. e il Gemini passarono finalmente ai Carroz e nel 1479, per il matrimonio di Beatrice con Pietro Maza de Liçana, il feudo passò a questa famiglia. Estinti i Maza, A. con tutto il Gemini fu conteso dai loro eredi e finalmente, chiusa la lunga lite giudiziaria, passò ai Portugal nel 1591. Per il matrimonio di Anna Portugal con Rodrigo De Silva, nel 1630 entrò a far parte del marchesato d’Orani e soffrı̀ dell’abbandono nel quale i nuovi feudatari lasciarono il Gemini. Nel corso del secolo XVII fu amministrato dal regidor del marchesato d’Orani, fu teatro di faide tra gruppi di famiglie di pastori e perse di importanza. Il suo vastissimo territorio si spopolò e fu sempre più spesso rifugio di bande di fuorilegge in un crescente clima di violenza che l’amministrazione feudale non riuscı̀ a fermare. La situazione non migliorò nel secolo XVIII, anzi le sue vaste campagne divennero teatro dell’azione di bande di contrabbandieri e di falsari particolarmente attivi durante i primi decenni del governo sabaudo. Nel 1771 vi fu istituito il Consiglio comunitativo e negli stessi anni venne istituito il Monte granatico amministrato da una giunta, ma le tensioni non ebbero termine; nel 1821 fu incluso nella provincia di Ozieri, e poco dopo vi fu aperta una scuola elementare; nel 1831 passò a quella di Tempio Pausania. Nel 1843 il villaggio si liberò definitivamente dalla dipen- 52 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 60 Aggius denza feudale, continuando a far parte della provincia di Tempio fino al 1848. Abolite le province in seguito alla ‘‘fusione perfetta’’, fu dapprima compreso nella divisione amministrativa di Sassari e in seguito a partire dal 1859 nella ricostituita provincia di Sassari. Nello stesso periodo il paese fu tormentato dalla terribile faida tra le famiglie Vasa e Mamia e dalle imprese del celebre bandito conosciuto come il Muto di Gallura (= Addis Tansu, Bastiano). La fine della dipendenza feudale però incise favorevolmente sulle condizioni economiche del paese: nel corso dell’Ottocento vi si svilupparono l’allevamento del bestiame e la lavorazione del sughero e le campagne si ripopolarono progressivamente. La crescita del paese non si arrestò nemmeno quando nel 1890 i suoi fiorenti vigneti furono distrutti dalla fillossera. ECONOMIA Ha una economia sviluppata, basata sulla pastorizia, sulla estrazione e la lavorazione del granito e del sughero e sulla tessitura dei tappeti; vi operano anche 88 imprese commerciali e turistiche. Artigianato. Ha antiche tradizioni di produzione di tappeti e di coperte di lana tessute su telai domestici e attualmente da una Scuola del tappeto; vi si producono anche oggetti di sughero. & Aggius – Il granito è una risorsa da sfruttare, sebbene le leggi regionali ne limitino giustamente l’estrazione. DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1709 unità, di cui stranieri 19; maschi 818; femmine 891; famiglie 662. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 28 e nati 12; cancellati dall’anagrafe 29 e iscritti 23. Tra gli indicatori econo- & Aggius – Per l’archeologo Giovanni Lilliu i graniti della Valle della Luna sono simili a «rottami di giganti divelti da un dio vendicatore». 53 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 61 Aggius mici: imponibile medio IRPEF 16 520 in migliaia di lire; versamenti ICI 608; aziende agricole 116; imprese commerciali 117; esercizi pubblici 10; esercizi al dettaglio 28. Tra gli indicatori sociali: occupati 526; disoccupati 56; inoccupati 97; laureati 73; diplomati 255; con licenza media 457; con licenza elementare 603; analfabeti 56; automezzi circolanti 1210; abbonamenti TV 523. Aggius – Nella campagna gallurese l’allevamento ovino è ora esercitato soprattutto da famiglie di pastori della montagna interna. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel suo vastissimo territorio sono presenti nuraghi a Bultu, Paddeggiu, Serra della Tegola, e alcune domus de janas. Il più interessante tra i nuraghi è quello di Izzana, situato lungo la strada per Trinità d’Agultu. Fu costruito in due tempi: il primo nucleo consiste in uno pseudonuraghe, al quale in un secondo momento è stato aggiunto un nuraghe a torre. I due corpi sono collegati tra loro da una cortina muraria, all’interno della quale è compreso un cortile. Le strutture sono pressoché intatte e consentono lo studio delle fasi di sviluppo del monumento. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE La parte più caratteristica dell’abitato è costituita dal nucleo antico, formato da un gruppo di costruzioni in granito raccolte attorno & a Santa Vittoria, la chiesa parrocchiale, che risale al secolo XVI; nel corso dei secoli l’edificio ha subı̀to varie modifiche e gravi danni: pericolante, dal 1850 fu sottoposto a un radicale restauro nel corso del quale furono rifatti la facciata e il campanile. L’interno è a una navata su cui si affacciano otto cappelle laterali, la copertura è a volta; custodisce un battistero di legno opera di artigiani locali e una tela degli inizi del secolo XX. A poca distanza sorge Santa Croce: chiesa costruita nel secolo XVII prospiciente a una scenografica piazzetta, fu restaurata ripetutamente nel corso dei secoli fino al definitivo consolidamento avvenuto nel 1982. Ha una pianta rettangolare e la facciata abbellita da un campaniletto a vela, l’interno a una sola navata scandita da tre arcate, la copertura in legno; vi sono custoditi due altari lignei provenienti dalla chiesa di San Francesco di Alghero e una bella statua del Settecento. Altre chiese del centro abitato sono: Nostra Signora d’Itria, costruita entro la prima metà del secolo XVIII in conci di granito; l’interno ha una sola navata con copertura in legno e custodisce una bella tela raffigurante la Madonna. La chiesa di Nostra Signora del Rosario, edificata nel secolo XVI e restaurata nella prima metà del secolo XVIII, sorge su una rupe ai cui piedi si trova un recinto (lu cunventu) probabilmente avanzo di un antico convento di Francescani; sede della Confraternita del Rosario, il suo interno ha una navata e custodisce una statua lignea del secolo XVII di buona scuola. Le campagne un tempo contavano numerose altre chiese, tra le quali sono da ricordare: San Lussorio, posta su un colle a qualche chilometro dall’abitato, fu costruita nel Medioevo, quindi modificata radicalmente nel secolo XVIII; ha impianto a una navata, 54 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 62 Aggius la copertura in legno; all’esterno per la sua semplicità quasi non si distingue dalle altre costruzioni; San Pietro di Ruda, dedicata a San Pietro Apostolo, viene identificata col cognome della persona che prese l’iniziativa di costruirla, agli inizi dell’Ottocento; circondata da alcuni alberi, ha struttura semplicissima, col tetto a due spioventi e l’aggiunta, sul lato sinistro, di alcuni locali accessori; la navata è divisa da tre archi in pietra che reggono il tetto di legno e canne e nell’abside, di fronte al piccolo altare, quattro nicchie accolgono le statue, oltre che del titolare, dei Santi Giorgio, Margherita e Stefano. Come riferisce Franco Fresi (=) nel suo libro sui Banditi di Sardegna (1998), il sagrato fu teatro di un tentativo di rappacificazione tra le famiglie Vasa e Mamia, coinvolte in una gravissima faida; ma mentre Mariangiola Mamia arrivò puntuale, accompagnata da un gruppo di parenti, Pietro Vasa, l’ex fidanzato col quale tentava di ristabilire il legame, mandò a dire che non sarebbe venuto. E questo riaccese più forte la faida. A. è molto ricco di verde, anche al suo interno e nell’immediata periferia: all’ingresso per chi arriva dalla costa si trova una prima area di verde pubblico, il Parco Capitza, tutto di elci; quindi, lungo la via principale, il Parco Alvinu, con fontana. All’uscita ha inizio una Panoramica che passa tra l’abitato e la celebre cresta di rocce granitiche che lo domina. Si tratta dei Monti di A., un insieme di punte granitiche non eccessivamente elevate che racchiudono in una conca l’abitato e contribuiscono a renderlo suggestivo; i più noti sono il monte Sozza, ricco di grotte, che nei secoli XVIII e XIX fu rifugio di alcuni dei più famosi banditi galluresi tra i quali il celebre Muto di Gallura (= Addis Tansu, Bastiano) e teatro di numerosi conflitti a fuoco. Le grotte sono raggiungibili attraverso impervi sentieri e rampe di scale scavate nella viva roccia; e il monte La Crucitta o Tamburu, sul quale, secondo una tradizione antica, si sarebbe affacciato il diavolo a minacciare di portare A. all’inferno, per cui gli aggesi avrebbero deciso di piantare una croce sulla sua cima per fugare l’incombente minaccia. Nella parte iniziale la Panoramica è fiancheggiata dal Parco di Santa Degna, che comprende un piccolo lago circondato di sentieri lastricati e panchine: è stato ottenuto contenendo le acque di un modesto corso d’acqua che, forse perché il maggiore della zona, si chiama rio Mannu (‘‘grande’’). Lo sbarramento è triplice, e cosı̀ sono tre gli specchi d’acqua, l’ultimo dei quali è popolato da cigni, oche e anatre di varie specie. Tutt’intorno, e più ampiamente dalla parte opposta alla strada, si stende il bosco, e i tratti lastricati continuano in sentieri per gli appassionati del trekking. Progredendo lungo la Panoramica ci si collega alla strada per Trinità d’Agultu, nella zona in cui si stende la celebre Valle della Luna, o Piana dei Grandi Sassi: a piccoli gruppi di alberi e ai più numerosi spazi occupati dalla macchia si alternano emergenze di granito che, lavorate dal vento e dalla pioggia, hanno assunto le forme più strane e, per quanto immobili, sembrano costituire una comunità, la comunità che popola appunto questo villaggio lunare. «Sembrano – ha scritto l’archeologo Giovanni Lilliu – rottami di giganti divelti da un dio vendicatore dalle guglie dei monti sovrastanti e rotolati al piano dove giacciono distesi da millenni». Si riconosce facilmente, tra le altre, la forma di una testa, dall’aspetto pensieroso, che l’inventiva popolare ha battezzato ‘‘di Platone’’ o ‘‘del Frate cappuccino’’. E, con un mi- 55 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 63 Agha Khan Karim IV nimo di attenzione, si può individuare qualcuno dei tafoni – le cavità della roccia – che in passato venivano usati come riparo, oppure anche come tomba. Dal 1966 la Valle della Luna, che era stata già attaccata dai cavatori di granito, è protetta dal vincolo paesistico. A breve distanza il nuraghe Izzana, il più grande e importante della Gallura, di cui si è detto. logo Gavino Gabriel (=) che nel 1927 lo fece esibire al Vittoriale di fronte a D’Annunzio; il complesso in seguito arrivò ad avere notorietà internazionale. Le feste popolari di maggiore rilievo sono quelle della Madonna della pace, che si svolge nella seconda quindicina di maggio in campagna e dura due giorni; è rinomata per i canti a cinque voci nei quali vengono eseguite le antiche melodie galluresi (la tascia, la disispirata, la me’ brunedda ecc.) e i balli tradizionali del vasto repertorio gallurese. La Madonna del Rosario e Santa Vittoria (titolare della parrocchia, alla quale è dedicata anche una festa il 15 maggio) si festeggiano nella prima domenica di ottobre come sante patrone. Agha Khan Karim IV Principe musul- Aggius – Il nuraghe Izzana è, col nuraghe Maiori di Tempio, una delle poche torri preistoriche edificate in Gallura. TRADIZIONI E FESTE POPOLARI La tradizione più antica e radicata è quella dei canti e dei balli che un tempo dava vita a numerosi complessi corali tra i quali fu famoso il Coro di A. fondato da Giuseppe Andrea Peru, nel quale cantava il celebre Salvatore Stangoni (=), detto ‘‘Il galletto di Gallura’’, e valorizzato dall’etnomusico- & mano (n. Parigi 1936). Guida della comunità degli Ismailiti, una delle sette radicali degli sciiti. A partire dai primi anni Sessanta del Novecento ha sviluppato l’importante progetto turistico della Costa Smeralda, che è servito da volano per il lancio del turismo sardo a livello internazionale. Dopo aver dato grande impulso al progetto con la costruzione di alcuni complessi di notevole pregio architettonico, la realizzazione di un marina tra i più attrezzati (e più ricercati) del mondo, la fondazione di un Yacht Club presto assurto a importanza internazionale e la creazione della compagnia aerea ‘‘Meridiana’’, alla fine degli anni Novanta il principe si è disimpegnato dalla sua grande ‘‘invenzione’’, cedendo le proprie attività ad altri imprenditori. Agiana Antico villaggio di origini incerte. Nel Medioevo compare nel giudicato di Gallura compreso nella curatoria di Canhain probabilmente in un territorio chiamato Canaran, non lontano dal luogo ove oggi sta Luras. Estinti i Visconti, dal 1288 il villaggio, che era un centro di modesta entità, 56 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 64 Aglientu prese a essere amministrato direttamente da Pisa. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae e fu riconosciuto tra i feudi dei Catoni, che ben presto si ribellarono ai nuovi venuti. Agiana divenne teatro del conflitto e nel 1330 fu devastato dalle truppe di Raimondo di Cardona e cominciò a spopolarsi. Alla morte di Bartolo Catoni passò a Catonetto Doria, figlio di una sorella del defunto, e fu unito al feudo di Bacor. Continuò a essere teatro delle guerre successive e si spopolò completamente prima della fine del secolo. Aglientu – La spiaggia di Rena Majori (‘‘della grande sabbia’’) è una delle più conosciute della costa nord dell’isola. Aglientu Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella III Comunità montana, con 1125 abitanti (al 2004), posto a 417 m sul livello del mare nella Gallura settentrionale, a nord di Tempio Pausania. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias. & TERRITORIO Il territorio si estende per 148,56 km2 e confina a nord col mar Mediterraneo, a est con Santa Teresa e Luogosanto, più un’isola amministrativa di Tempio, a sud con Tempio, a ovest con Aggius e Trinità d’Agultu. Ha la forma grosso modo di un trapezio che si va allargando verso la costa (lunga 18 km), e si stende sulle ultime propaggini settentrionali dei rilievi galluresi, tutte di natura granitica, che finiscono per lasciare lo spazio a una stretta pianura litoranea. Le colture e i pascoli si alternano a tratti di macchia mediterranea e a qualche residuo del bosco originario, costituito da lecci, sugheri e olivastri. Le comunicazioni sono assicurate da due strade che si distaccano dalla statale 133 Tempio-Palau e, unendosi prima del paese, proseguono per la costa; e dalla litoranea Castelsardo-Santa Teresa, molto frequentata durante la stagione balneare. Aglientu – La chiesetta campestre di San Pancrazio è una delle più antiche del territorio. STORIA Il territorio dove oggi sorge il comune di A. era incluso nella curatoria di Vignola ed era densamente popolato, come si può dedurre dalle tracce evidenti di antichi abitati rintracciate nelle località di Tuttusoni, di Contra Ruia e soprattutto di Montivargiu o Montiagliu. Tutti questi villaggi, probabilmente durante il secolo XIV, a causa delle guerre, della peste e degli altri malanni di cui la Gallura soffrı̀ scomparvero. Il territorio fu aggregato al vasto agro di Tempio, centro di cui condivise la storia; nei secoli successivi era frequentato da pastori che periodicamente si incontravano vicino & 57 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 65 Aglientu ad alcune chiese e che finirono per ottenere dall’amministrazione feudale la concessione di vasti territori da dissodare e nei quali allevare il bestiame (cussogghj). Nel corso del Seicento, sui territori delle cussorge sorsero piccole aggregazioni di capanne (stazzi), generalmente in prossimità di una chiesa, che col tempo furono abitate stabilmente. Da uno di questi nuclei, più esattamente dallo stazzo sviluppato attorno alla chiesa di San Francesco d’A., deriva il comune attuale. La chiesa fu fatta costruire nel 1774 da Vittorio Amedeo III in un vasto territorio frequentato da pastori nomadi che finirono per stanziarvisi dando vita a uno stazzo che divenne il centro della cussorgia. La popolazione del nuovo villaggio crebbe nel corso dell’Ottocento e la sua economia, soprattutto grazie alle attività agricole e di allevamento, si sviluppò notevolmente. Divenuto ormai un centro popoloso, San Francesco d’A. nel 1959 fu staccato da Tempio e costituito in comune autonomo; nel 1968 assunse il nome attuale. Nei decenni a partire dall’ultimo dopoguerra è iniziato il processo di valorizzazione della fascia litoranea, distante dal paese una decina di chilometri: lo sviluppo edilizio ha interessato la frazione di Vignola Mare, affacciata su un’ampia distesa di sabbia in forma di arco, e una lunga serie di insediamenti, la maggior parte dei quali sono abitati soltanto nella stagione delle vacanze; i più noti sono Portobello, Costa Paradiso, Rena Majore. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’allevamento, sull’agricoltura, sulle attività manifatturiere, sul commercio e sul turismo, e quindi in particolare sull’attività edilizia. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1078 unità, di cui stranieri 29; maschi 558; fem- mine 520; famiglie 477. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento della popolazione, con morti per anno 9, nati vivi 8; cancellati dall’anagrafe 18 e nuovi iscritti 26. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 392 in migliaia di lire; versamenti ICI 1876; aziende agricole 197; imprese commerciali 88; esercizi pubblici 20; esercizi al dettaglio 38; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 323; disoccupati 37; inoccupati 66; laureati 17; diplomati 108; con licenza media 257; con licenza elementare 342; analfabeti 54; automezzi circolanti 510; abbonamenti TV 333. Aglientu – La Gallura conta ancora quasi duemila stazzi abitati, nonostante la rarefazione del popolamento. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel territorio sono individuabili i resti di alcuni nuraghi e un insediamento del Paleolitico a Lu Litarroni. Sono anche individuabili i resti di alcuni villaggi medioevali che meriterebbero di essere scavati e studiati. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il monumento di maggiore rilievo è la chiesa di San Francesco, ricostruita – tutta in granito, con ampia e moderna facciata – negli anni Sessanta in luogo di quella originaria, eretta tra il 1774 e il 1776 per interessamento del re Vittorio Amedeo III che inviò gli arredi direttamente da To& 58 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 66 Aglientu rino. Nel 1856 fu creata parrocchia. Ai due ingressi del paese sono stati realizzati, valorizzando alberi cresciuti spontaneamente, due piccoli parchi verdi, mentre all’interno si trova una bella e abbondante fontana, probabilmente uno degli elementi che indussero i primi abitatori a scegliere questo sito; l’acqua confluisce in un grande lavatoio in granito, nel quale si recavano sino a qualche tempo fa le donne del paese. Altra chiesa è San Silverio, costruita nel 1938 in riva al mare, tra Vignola e punta di li Francesi, in concomitanza con la frequentazione del sito da parte dei pescatori di Ponza: Silverio era un papa del primo Cristianesimo che, coinvolto nelle dispute sulla natura di Cristo al tempo di Giustiniano e nelle conseguenti lotte di potere, si dovette dimettere e fu esiliato a Ponza, dove è venerato. Di piccole proporzioni, la chiesa ha l’impianto a una navata e l’interno semplice e austero; su una parete la foto di Antonio Peru e Rosa Mannoni, i benefattori che promossero la costruzione. Non lontano da San Silverio (localmente Santu Silvaru) sorge, all’interno di un Parco naturalistico costiero, costituito da una distesa di profumata macchia mediterranea, la torre di Vignola: eretta, come tante altre, al tempo della dominazione iberica per la difesa dalle incursioni saracene, è in ottime condizioni, nella sua struttura tutta in granito; aperta al pubblico, consente di godere, dall’alto della terrazza superiore, la vista di tutta la zona. Lungo la strada per Santa Teresa si stende, oltre le rocce di granito rosso del promontorio di Monti Russu, la celebre Spiaggia di Rena Majori, che ha a ridosso un sistema di dune ricoperte di pineta. Molto ampia, per quanto frequentata, anche per la presenza nelle vicinanze di numerosi villaggi turistici, non si presenta mai affollata, neppure nel culmine della stagione. San Biagio è un’altra chiesa campestre, situata sulla strada per Tempio Pausania a qualche chilometro dall’abitato. Fu costruita nel Medioevo e nei secoli successivi andò in rovina; fu completamente ristrutturata nel 1967. Ha l’impianto a una navata e la copertura in legno a capriate; al suo interno conserva una statua lignea del santo titolare del secolo XVI. San Pancrazio sorge qualche chilometro a sud dell’abitato; costruita tra il secolo XVI e il XVII in granito, ha una sola navata divisa in tre campate da archi a sesto acuto. L’interno è disadorno, l’esterno è caratterizzato da un portico in granito che corre lungo il fianco sinistro dell’edificio. Aglientu – La torre cinquecentesca di Vignola, a ridosso del piccolo borgo marino di Vignola Mare. FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Una delle più tipiche tradizioni è la festa di San Paolo di lu laldu (‘‘del lardo’’) che si svolge il 25 gennaio con larga partecipazione popolare; essa prevede la distribuzione del pasto a tutti i presenti ed è caratterizzata dal canto dei gosos in onore al santo secondo la più antica tradizione degli abitanti originari. San Biagio si festeggia nell’omonima chiesetta il 3 febbraio e nella terza domenica di maggio con una grande festa & 59 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 67 Aglio campestre; altra festa campestre è quella di San Pancrazio che si svolge nella omonima chiesa il 12 maggio e si ripete l’8 agosto abbinata a una caratteristica ‘‘sagra della salsiccia’’. A queste celebrazioni tradizionali è stata aggiunta in questi ultimi anni la festa del turista, che si svolge nella piazza principale del paese, il primo o secondo sabato di agosto, per dare il benvenuto agli ospiti. Prevede la degustazione di prodotti tipici galluresi come pane, salsiccia, formaggio, vino e dolci, e la distribuzione di una piccola brocca in terracotta che reca l’anno della manifestazione. Aglio Denominazione comune di pianta erbacea della famiglia delle Liliacee (Allium sativum L.). Originaria dell’Asia centrale, è ora diffusa in tutte le zone coltivate, per il suo uso in cucina e per le sue proprietà medicinali (digestivo e disinfettante intestinale). Sin dall’antichità i diversi popoli le hanno attribuito poteri sia benefici che malefici, facendola oggetto di credenze e superstizioni. Se ne utilizza il bulbo prolifero, costituito da bulbilli oblunghi (spicchi). Foglie lineari e allungate, a sezione cilindrica. Fiori bianchi-rosati riuniti in ombrelle arrotondate. Frutto a capsula membranacea. In Sardegna sono diffuse diverse specie spontanee: 1. il porraccio (Allium ampeloprasum L.), perenne, con infiorescenze globose (6-8 cm) di fiori dal rosa al rosso vinoso (maggio-settembre) all’apice di uno stelo lungo sino a 180 cm, cresce sui campi incolti e sulle garighe costiere; 2. l’a. di serpe (Allium roseum L., in sardo allu de carróga, lett. ‘‘a. delle cornacchie’’), alto sino a 30 cm, con foglie lineari con margine ruvido e fiori rosati dal lungo peduncolo riuniti in ombrelle dense (530), cresce nei terreni erbosi e nel sottobosco; 3. l’a. pelosetto (Allium subhir- sutum L.), con foglie pelose, da cui il nome comune, e fiori bianchi in ombrelle allargate, si trova sui terreni incolti e fiorisce tra aprile e giugno; 4. l’Allium triquetrum L. (in sardo áppara, porru ’e campu), riconoscibile per la sezione triangolare dello stelo e per i fiori bianco-verdi, campanulati e lungamente peduncolati, dai tepali appuntiti (aprile-giugno), cresce in luoghi ombrosi e umidi. Quest’ultima specie veniva usata nella medicina tradizionale per curare bronchiti, diabete e dissenteria; ne viene consigliato l’uso a persone ipertese o con problemi di emorroidi; 5. l’a. maggiore (l’Allium nigrum L.), alto sino a 150 cm, con grandi fiori rosa in ombrelle sferiche; 6. l’Allium parcifolium Viv., comune, è un endemismo sardo-corso (rientra nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001); l’Allium sardoum Moris è un raro endemismo sardo. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Agnesa, Giacomo Diplomatico (Sassari 1860-Roma 1919). Figlio di Giovanni Battista e Grazia Pittalis, prima di lui la coppia aveva avuto, nel 1856, la sorella Luisa che nel 1876 avrebbe sposato Michele Abozzi, protagonista della vita politica sassarese dell’età giolittiana. Compie gli studi superiori al Collegio Moncalieri di Torino. Nel 1880 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Roma, dove si laurea nel 1884. Si colloca in questi anni una curiosa prova letteraria giovanile, Variazioni sul tema: la grotta di Alghero ossia l’antro di Nettuno. Vive frattanto a Roma, dove l’influenza del cognato Abozzi gli vale una qualche entratura ministeriale. Nel 1887 è tra i candidati al concorso per cinque posti di volontario nella carriera consolare presso il Ministero degli Esteri. Escluso dalla chiamata, può però sperare in un ripescag- 60 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 68 Agnese di Saluzzo gio degli idonei, che avviene dopo varie lettere di raccomandazione (tra le quali una di Francesco Cocco Ortu e una di Giuseppe Giordano Apostoli). Destinato al Cairo, non vi prende servizio (pare che questa sia una costante della sua carriera: non andrà mai in Africa!); già nel 1888 è nominato vicesegretario di 2ª classe e trasferito alla carriera amministrativa a Roma, presso il Ministero. Nel giugno 1889 è promosso vicesegretario di 1ª classe e trasferito nella importante divisione ‘‘Affari politici’’. Nell’agosto 1892 è promosso segretario di 3ª classe. Nel maggio 1896 segretario di 2ª classe. Sembra che la rapida carriera di A. sia favorita dall’avvento dei ‘‘crispini’’, che per breve tempo riescono a impadronirsi del Ministero. Nel 1895 viene creato l’ufficio ‘‘Eritrea e protettorati’’, che assume rango di divisione ed è affidato a un crispino di ferro, Primo Levi. A. è trasferito a quell’ufficio e anzi, quando Levi verrà messo in disponibilità dopo la crisi di Adua, è lui a sostituirlo sia pure come facente funzioni. Da questo momento è di fatto il funzionario a capo della politica coloniale, anche se dopo la delusione di Adua quest’ultima sarà ristretta in una semplice sezione degli Affari Politici. Nel febbraio 1900 A., che si è legato a Ferdinando Martini, viene però nominato ufficiale coloniale di 1ª classe e messo a capo del neonato Ufficio coloniale, ricostituito con piena autonomia. Quando l’Ufficio diviene Direzione centrale per gli affari coloniali (1905), ne assume la guida con la nuova qualifica di direttore centrale. Ha sposato frattanto a Roma la contessa Callista Lovatelli. Figlia del conte Lovatelli e della contessa Ersilia Caetani, Callista appartiene a una delle famiglie più in vista della nobiltà romana (Ersilia è l’animatrice del celebre salotto). Nel 1912, dopo la conquista della Libia, viene istituito il Ministero delle Colonie. La direzione centrale è messa (provvisoriamente) alle dipendenze del nuovo Ministero. Nel 1912 A. è nominato direttore generale per gli affari politici del Ministero delle Colonie. Sant’Agnese – La santa in un dipinto del Domenichino. Agnese, santa Santa (m. Roma, 350 ca.). Romana, martire a dodici anni verso il 350, sepolta nella via Nomentana. Celebrata da molti padri della Chiesa. Il suo nome: forse dal greco hagné, nel significato di «pura, casta», perciò «patrona della castità»; o dal latino agna, agnella, perciò raffigurata con un agnello (ma anche con una colomba recante nel becco un anello). [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 17 giugno a Sinnai. Agnese di Saluzzo Figlia del marchese Manfredo II di Saluzzo (Saluzzo 1220-ivi, fine sec. XIII). Nel 1205 divenne la seconda moglie del giudice 61 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 69 Agnocasto Comita di Torres e si trasferı̀ in Sardegna; rimasta vedova nel 1218, tornò a Saluzzo dove si dedicò alla creazione di un monastero nel quale si ritirò. fine del secolo si spopolò completamente. Agnocasto Pianta arbustiva o arborea della famiglia delle Verbenacee (Vitex agnus-castus L.). Con rami a sezione quadrangolare, può raggiungere 5 m di altezza; foglie caduche, opposte, palmate, composte da 5-9 foglioline allungate, verde chiaro nella pagina superiore e bianche tomentose in quella inferiore; fiori dall’azzurro al viola, raramente bianchi, in lunghe spighe verticillate, ramificate alla base; frutto a drupa quadripartita, con un unico seme piccante, utilizzato anticamente al posto del pepe, da cui il nome dialettale di pı́biri sardu. Cresce spontanea, in associazione con tamerici e oleandri, lungo i corsi d’acqua e nelle zone litoranee. Le intense fioriture estive, che si possono protrarre sino a ottobre, caratterizzano le vallate costiere. Antico simbolo di castità, nella medicina tradizionale se ne usano le foglie per curare piaghe e ferite; la polvere ricavata dai frutti essiccati ha un blando effetto soporifero e calmante dei nervi. Nomi sardi: sambúcu-pı̀biri (Sarrabus); samúccu de frúmene (nuorese); samúcu de arrı́u (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Agoragui Antico villaggio di origine medioevale compreso nel giudicato di Gallura, faceva parte della curatoria di Montangia. Dopo l’estinzione della dinastia dei Visconti fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa; conclusa la conquista aragonese mantenne un atteggiamento ostile nei confronti degli invasori e nel 1331 fu occupato da Raimondo Cardona che lo ebbe in feudo. Alla sua morte il villaggio soffrı̀ a causa della peste e delle guerre tra Aragona e i Doria, cosicché entro la Sant’Agostino – Secondo la tradizione le spoglie del grande santo furono portate dall’Africa a Cagliari prima di essere sepolte a San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia. Agostino, santo Santo (Tagaste 354-Ippona 430). Padre della Chiesa, teologo e filosofo. Nato il 13 novembre del 354 a Tagaste, nella provincia africana della Numidia, Aurelio A. compı̀ i suoi primi studi nella città natale, completando la sua formazione a Madaura e Cartagine, in un ambiente intellettuale colto e raffinato, di lingua latina. Insegnante di retorica nelle stesse città, si trasferı̀ dapprima a Roma e successivamente a Milano, dove, tra il 384 e il 387, maturò la sua conversione al Cristianesimo, per la quale fu determinante il rapporto con il vescovo Ambrogio; A. intanto si distaccava progressivamente dagli interessi retorici, attratto dalla filosofia e, successivamente, dalla teologia. Ricevuto il battesimo a 62 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 70 Agostino Milano nel 387, dopo una breve parentesi romana rientrò nel 388 in Africa, stabilendosi a Tagaste dove scrisse numerose opere filosofiche. Giunto a Ippona nel 391 per fondarvi un monastero, inaspettatamente ottenne la consacrazione sacerdotale e, tra il 396 e il 397, venne eletto vescovo della stessa città. Durante il suo lungo episcopato, che tenne fino alla morte sopraggiunta il 28 agosto del 430, l’attività pastorale non lo distolse dal comporre un gran numero di scritti di vario argomento, affrontando in particolare temi dogmatici e teologici ed esprimendo in diverse opere uno spirito apologetico e antiereticale. Nella sua copiosa produzione non si può fare a meno di ricordare i tredici libri delle Confessiones, scritte tra il 397 e il 401, di contenuto autobiografico, e il De civitate Dei, in ventidue libri composti tra il 413 e il 426, opera dogmatica nella quale difende strenuamente la religione cristiana dalle accuse rivoltele dai pagani. [PIERGIORGIO SPANU] Dottore della Chiesa per eccellenza – uno dei ‘‘quattro dottori insigni’’, con Ambrogio, Girolamo e Gregorio Magno – , A. è soprattutto il grande maestro nato nel mondo mediterraneo, quando ancora il paganesimo persisteva e la Chiesa ebbe una fioritura di scrittori unici. «Su tutti – secondo Paul Hutchinson (1965) – primeggia il genio di Sant’Agostino. La sua vita spirituale, per anni, fu quanto mai instabile. Egli provò le gioie della celebrità mondana con i suoi successi giovanili come retore a Cartagine, a Roma e a Milano. Passò attraverso i principali sistemi filosofici di allora e visse per alcuni anni nell’eresia manichea, sperando di trovarvi la risposta ai problemi che assillavano la sua mente. Cedette alla sensualità, giovanissimo ebbe un figlio illegittimo e visse a lungo in concubi- nato. Il suo avvicinarsi alla religione cattolica fu lento fino a quando scoppiò la sua crisi psicologica a Milano, la quale culminò nella nota scena avvenuta in un orto di Cassiciaco, a nord di Milano: A. sente una voce misteriosa, simile alla cantilena di un fanciullo, che ripete a modo di ritornello ‘‘Prendi e leggi!’’ (Tolle et lege!). Egli ascolta l’invito aprendo a caso un manoscritto contenente le lettere di San Paolo. I suoi occhi si posano sulle parole: ‘‘Non vivete nelle gozzoviglie e nelle ubriachezze, non nelle impudicizie, non nella discordia e nell’invidia, ma rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo e non prendetevi cura della carne nelle concupiscenze’’ (Romani 13,13). In quel momento A. trovò il suo porto spirituale tranquillo. La sua attività come scrittore, che prima aveva prodotto ben poco, diventa prodigiosa dopo la conversione. Meno conosciuta, ma altrettanto intensa fu la sua opera come sacerdote e vescovo d’Ippona e, durante anni burrascosi per il diffondersi delle eresie, come il personaggio più importante dell’episcopato africano. I suoi libri ottennero un successo immenso durante la sua vita e uno assai maggiore dopo la sua morte. Due di essi sono notissimi anche oggi: uno, Le Confessioni, è il resoconto del suo pellegrinaggio spirituale, e l’altro, La città di Dio, è importante per le sue affermazioni filosofico-sociali e per il periodo storico che riflette. Questo libro voluminoso, infatti, fu composto per rispondere alle molteplici obiezioni dei pagani, che additavano il sacco di Roma (410) e lo sfacelo graduale dell’Impero come segno evidente dei deleteri effetti sociali del cristianesimo». Patrono dei teologi e dei tipografi. In Sardegna Patrono di Alà dei Sardi e Belvı̀. Giuseppe Cossu (1780) riporta la notizia fantasiosa di una sua venuta a 63 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 71 Agricoltura Cagliari, «dove si trattenne e fabbricò un oratorio, compiendo il miracolo di slungare una trave che non arrivava da un muro all’altro: comandò a un frate, alla presenza di tutti gli altri, che pigliasse da una parte la trave ed egli la prese dall’altra, ‘‘Tira!’’, disse al compagno, e la trave si allungò permettendo cosı̀ di costruire la cappelletta». Le sue reliquie furono trasportate in Sardegna (504) da Feliciano vescovo d’Ippona e da Fulgenzio vescovo di Ruspe, entrambi esiliati da Trasamondo, re dei Vandali dal 496 al 523. Reliquie custodite a Cagliari nella chiesa di Sant’A. extra muros, demolita con l’annesso monastero tra il 1563 e il 1577. Era una chiesa con rifacimenti goticocatalani, frequentatissima dal popolo per l’acqua che filtrava dal terreno, ritenuta miracolosa, capace di preservare dai mali e guarire. Si è conservata la cripta, diventata Coenaculum Augustinianum, al n. 12 del largo Carlo Felice. La traduzione dell’iscrizione latina: «Per circa 221 anni in questo luogo furono seppellite le spoglie di Sant’Agostino, qui trasportate per essere salvate dai saraceni. La meravigliosa acqua rimase tuttavia quale sollievo per gli infermi. Venera, o viandante, la tomba». Nella cattedrale di Cagliari si conservano le vesti di Sant’A.: una tonacella o tunicella, una dalmatica e una cappa, o meglio un pluviale (da pluvia, mantello con cappuccio indossato per ripararsi dalla pioggia, diventato nel secolo XI veste liturgica). Ma sono vesti posteriori al tempo in cui il santo visse. Sicuramente furono usate in qualche importante celebrazione in suo onore, perciò impropriamente dette di Sant’A. Sempre a Cagliari, nella Pinacoteca Nazionale, figura nei quadri cinquecenteschi di Pietro e Michele Cavaro. Verso il 721725 Liutprando, re dei Longobardi, dando prova di grande religiosità, riscattò a prezzo altissimo, forse dagli Arabi o forse dai Bizantini, le reliquie del santo, trasportandole a Pavia e facendole collocare nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, dove ancora oggi sono custodite. Alcuni storici sostengono che Trasamondo avrebbe inviato in Sardegna centoventi vescovi, altri duecentoventi e altri ancora ben quattrocento. Anche se nell’Africa settentrionale ogni piccola contrada aveva più vescovi, a pensarci bene il numero è eccessivo, troppi vescovi per quei tempi. Saranno stati una ventina, diventati numerosi nella fantasia degli storici, i quali forse avranno contato anche gli accompagnatori. Nel passato, la chiesa sarda ricordava l’11 ottobre la sua traslazione. Il proverbio: «Po Sant’Agostinu, tirat su levantinu» (Per Sant’Agostino, spira il levante). [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 28 agosto. & SANT’AGOSTINO E LA SARDEGNA Alcuni secoli dopo la sua morte le spoglie di Sant’Agostino dovettero essere trasportate in Sardegna, come testimoniano vari autori del secolo VIII e un inventario del 1236 contenente la lista delle reliquie presenti nella diocesi di Pavia: da questa fonte risulta che il re longobardo Liutprando (716-744), per impedire che la nuova sepoltura del santo venisse profanata dai pirati arabi, fece trasferire le sue reliquie da Cagliari a Pavia, collocandole nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro. È probabile che il corpo di A. fosse giunto nell’isola non in età vandalica (fine secolo V-inizi VI), come è comunemente ritenuto, ma piuttosto all’epoca della conquista di Cartagine (698) e della definitiva caduta dell’esarcato bizantino d’Africa (cui la Sardegna era annessa) in mano agli Arabi. [PIERGIORGIO SPANU] Agricoltura = Economia agricola 64 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 72 Agrume Agrifoglio – Pianta ritenuta benefica sin dall’antichità, viene utilizzata come pianta ornamentale nel periodo natalizio, anche se ciò ha provocato una sua notevole rarefazione. Agrifoglio Pianta arborea della famiglia delle Aquifoliacee (Ilex aquifolius L.), alta sino a 10 m, con fusto eretto unico o a ramificazioni parallele, corteccia liscia che varia dal verde al grigio con l’avanzare dell’età; le foglie sono persistenti, coriacee e sempreverdi, con lamina ellittica, margine spinoso o dentato nei rami bassi, liscio in quelli più alti. Questo dimorfismo fogliare, o eterofillı̀a, rappresenta una forma di difesa dai morsi degli animali. Fiori unisessuali, bianchi quelli femminili e rossastri quelli maschili, in infiorescenze all’ascella fogliare, su alberi diversi (primavera). I caratteristici frutti rossi durano sulla pianta da settembre a dicembre inoltrato. Ritenuta sin dall’antichità una pianta benefica, viene utilizzato come pianta ornamentale nel periodo natalizio, anche per il bel contrasto tra il rosso acceso dei frutti e il verde cupo delle foglie lucide. Purtroppo quest’usanza ha provocato una notevole rarefazione di questa bellissima pianta. Ultimamente essa si è diffusa nel verde urbano, anche nella variante a foglie screziate. Il legno, duro e compatto, viene utilizzato in ebanisteria. Le foglie hanno pro- prietà diuretiche, antidolorifiche e febbrifughe. Dalla corteccia si estrae il vischio per la cattura di piccoli volatili. In Sardegna cresce spontanea nelle zone montane umide, spesso in associazione con roverelle, lecci e tassi; con questi ultimi, l’a. viene considerato una specie relitta del Terziario. Le formazioni più importanti si trovano nel Montiferru, Marghine, Goceano, Gennargentu e Sulcis-Iglesiente. In comune di Desulo, località Sas Nevadas, è presente un boschetto monospecifico con esemplari plurisecolari (alcuni hanno un fusto di oltre 5 m di circonferenza), che svettano in un pendio ai margini della strada. A Monte Perdedu, a quota 1150 m, Siro Vannelli (1994) segnala un esemplare di oltre 7 m di altezza, particolarmente suggestivo quando, in autunno, la sua chioma piramidale si colora del rosso dei frutti. Nomi sardi: aláse (barbaricino); alásiu (logudorese); caracútu (gallurese); colóstiu, golóstru (Sardegna centro-meridionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Agrume – La sagra degli agrumi a Muravera. La coltura degli agrumi, in particolare degli aranci, è molto diffusa nella Sardegna meridionale. Agrume Termine usato per indicare sia le piante appartenenti prevalentemente al genere Citrus (sottofamiglia delle Auranziacee, famiglia delle Rutacee) che i loro frutti. Vi appartengono 65 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 73 Agrupaciò Catalanistica l’arancio, il limone, il mandarino, il cedro, il bergamotto. Le piante sono alberi o arbusti sempreverdi. I fiori bianchi, tendenti al rosato o al giallo a seconda delle specie, sono profumatissimi. Il frutto è un esperidio. Originari della Cina e dell’India, dove venivano utilizzati a scopo ornamentale o per l’estrazione di essenze profumate, gli agrumi si diffusero nell’Europa mediterranea in epoche diverse: le prime coltivazioni italiane furono avviate in Sicilia nella seconda metà del Settecento. In Sardegna la coltura di agrumi è diffusa soprattutto nel Campidano, sia di Oristano che di Cagliari. Un particolare a., Citrus monstruosa, in sardo sa pompı́a, viene coltivato a Siniscola. Il frutto, dalla buccia bitorzoluta e irregolare, può superare i 600-700 g. Non esistono notizie sulla sua origine, e qualche botanico ipotizza si tratti di un ecotipo (cioè una varietà tipica del luogo). La coltivazione è stata tramandata e conservata perché il frutto è l’ingrediente fondamentale del dolce tipico di Siniscola (sa pompı́a intera), un candito ottenuto facendo bollire nel miele il frutto intero. Ritenuto un dolce prezioso, veniva regalato come simbolo sia di buon augurio che di riconoscenza. Con la buccia tagliata a striscioline e cotta nel miele con scaglie di mandorle si ottiene un altro dolce, s’aranzada. Il Ministero delle Politiche agricole ha inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della Sardegna sia il frutto che il dolce. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Agrupaciò Catalanistica Associazione culturale algherese. Fu fondata nel 1902, e seguita nel 1906 dalla gemella ‘‘La Palmavera’’, entrambe come espressione del movimento culturale detto del Retrobament, che si era affermato negli stessi anni per salvaguardare e valorizzare – attraverso più intensi contatti culturali con la Catalogna, l’antica patria ‘‘ritrovata’’ – il patrimonio su cui si fondava l’identità linguistica e culturale della città. Le due associazioni trovarono il sostegno anche negli ambienti intellettuali della Catalogna, che negli stessi anni avevano dato vita al movimento della Reinaxença catalana che, divenuto anche movimento politico, avrebbe portato in seguito la Catalogna all’autonomia. Fondatori della A.C. furono alcuni dei più brillanti intellettuali algheresi di quegli inizi di secolo: Carmen Dore, Antonio Ciuffo, Joan Pais, Giovanni Palomba, Cipriano Cipriani e altri. L’A.C., secondo Rafael Caria, si sciolse ben presto per dissidi interni. Agugari Antico villaggio di ubicazione sconosciuta. Appare dal secolo XIII come centro facente parte del giudicato di Gallura, curatoria del Taras. A partire dal 1288, estinta la dinastia giudicale dei Visconti, il villaggio, che secondo la stima del Panedda non aveva più di 150 abitanti, fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1324 fu concesso in feudo a Ponzio di Vilaragut, ma i suoi abitanti mantennero un atteggiamento ostile nei confronti del feudatario, per cui nel 1331 fu occupato dalle truppe di Raimondo di Cardona. Quando poi riprese la guerra tra Aragona e Genova A., nel 1333, fu assalito e devastato dai Doria. Pochi anni dopo il Vilaragut morı̀ senza discendenti e il villaggio fu concesso a Guglielmo Pujalt, il cui possesso fu reso problematico dalla prosecuzione della guerra. Nei decenni successivi A. continuò a soffrire a causa della peste del 1347 e delle guerre, e si spopolò completamente entro la fine del secolo XIV. Aguilò, Arnaldo Nobile di origine spagnola (Tarragona, prima metà sec. XIV- 66 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 74 Agus ?). Originario di Tarragona, dopo il 1355 ebbe la signoria di Santadi nel Sols, ma non riuscı̀ a entrarne in possesso a causa dello scoppio della seconda guerra tra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona. Agus, Fortunato Pittore, disegnatore e incisore (n. Cagliari 1948). Ha esposto per la prima volta a Roma ed è quindi emigrato in Belgio, dove attualmente opera: ha preso parte alla mostra dei giovani artisti belgi (Bruxelles 1974) e ha allestito personali a Spa, Liegi, Namur e in altri centri. Gianni Agus – L’attore in una scena de La donna nell’armadio di Ennio Flaiano al Teatro Arlecchino di Roma (27 dicembre 1957). Agus, Gianni Attore (Cagliari 1917Roma 1994). Attirato dal mondo del teatro, interruppe gli studi di giurisprudenza e si trasferı̀ a Roma dove frequentò il Centro sperimentale di Arte Drammatica. Si fece notare per le sue qualità e nel 1938 girò i suoi primi film sotto la direzione di Carmine Gallone. Dopo la fine della seconda guerra mondiale la sua attività di attore riprese e gli fece ottenere notevoli successi, oltre che nel cinema, nel teatro dove lavorò con le maggiori compagnie, alla radio e alla televisione. Nella sua carriera fu interprete di un centinaio di film tra cui Il cardinale Lambertini, Il federale, I due marescialli. Lavorò in- tensamente e con crescente popolarita fino alla sua scomparsa. Agus, Giuseppe Musicista (Cagliari 1722-Londra 1800). Studiò violino a Napoli per alcuni anni e nel 1742 rientrò a Cagliari dove si impose per l’alto livello della sua preparazione. Entrò a far parte della cappella musicale della cattedrale; ma poiché l’ambiente cagliaritano non lo soddisfaceva, dopo alcuni anni si trasferı̀ a Londra, che era allora considerata la capitale della musica. Introdotto da alcuni suoi amici conosciuti a Napoli, si fece notare per la buona preparazione e cominciò a scrivere le sue prime composizioni. Nel 1750 pubblicò Sonata per violino e basso op. 1 ed ebbe i primi successi. Si specializzò in seguito nella composizione di danze per opera; nel 1761 le sue composizioni vennero pubblicate nella Opera Dance. Tra il 1768 e il 1788 pubblicò ben sette libri di musica per danze d’opera; compose anche brani di musica da camera e notturni, che gli diedero fama europea; nel 1795 scrisse i famosi Sei duetti italiani. Agus, Italo Pittore (n. Cagliari 1933). Completati gli studi presso l’Istituto d’Arte di Macerata, è tornato nella sua città natale dedicandosi all’insegnamento. Introdotto negli ambienti culturali della città, nel 1958 ha aderito al movimento Studio 58, nato per far uscire gli ambienti artistici dal tradizionale conformismo e nello stesso anno ha allestito una mostra personale al Cenacolo. In seguito ha fatto parte del Gruppo di Iniziativa impegnandosi nella ricerca di nuove dimensioni espressive e affermandosi col suo stile ispirato alle esperienze surrealistiche. Agus, Milena Insegnante, scrittrice (n. Genova, seconda metà sec. XX). Nata a Genova da genitori sardi, è tornata in Sardegna: abita a Cagliari, dove insegna. Dopo un paio di raccolte di rac- 67 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 75 Agus conti, ha pubblicato nel 2005 un romanzo, Mentre dorme il pescecane, che ha ottenuto un buon successo di pubblico e di critica, seguito da un secondo romanzo, Mal di pietre, 2006. Agus, Serafino Scrittore (n. sec. XX). Laureato in Giurisprudenza, si è dedicato all’insegnamento nelle scuole superiori della provincia di Cagliari. Da molti anni si occupa della storia di Monserrato, che ha ricostruito con pazienza e rigore. Tra i suoi scritti, Monserrato, una storia senza storia, 1990; Arte e religione a Monserrato, 1996; Profilo storico di Usellus in Usellus, costume popolare e matrimonio, 2000; Del consiglio di comunità della villa di Pauli Pirri, 2002. Agus, Tarcisio Intellettuale, uomo politico (n. Guspini 1950). Laureato in Lettere e specializzato in archeologia presso l’Università di Cagliari, ha fondato a Guspini il gruppo archeologico ‘‘Neapolis’’ di cui è presidente dal 1984. Ha condotto alcuni scavi, in particolare quelli di Genn ’e Cruxi in territorio di Arbus. Impegnato in politica nei Democratici di Sinistra, dal 1992 è stato per molti anni sindaco di Guspini. È autore di alcuni pregevoli studi utili per la ricostruzione della storia della sua zona, fra i quali Identità di un paese, Guspini (con G.P. Pusceddu), 1989; Flumentorgiu (Port’e Prama). Storia di una tonnara (con A.P. Loi e M.N. Vacca), 1989; Guspini/Montevecchio, 1995. Aidomaggiore Comune della provincia di Oristano, compreso nel Comprensorio n. 15, con 514 abitanti (al 2004), posto a 250 m sul livello del mare ai margini dell’altipiano di Abbasanta, a pochi chilometri dalla conurbazione Abbasanta-Ghilarza-Norbello e da Sedilo. Regione storica: Gilciber. Diocesi di Alghero-Bosa. Aidomaggiore – Il centro storico del paese ha grandi portali d’ingresso nelle case d’età spagnola. 68 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 76 Aidomaggiore TERRITORIO Il territorio si estende per 41,33 km2 e confina con Borore e Dualchi a nord, Sedilo a est, Ghilarza a sud, Norbello a ovest. Ha la forma di un trapezio che si va allargando verso nord, e si estende in parte nell’altipiano di Abbasanta, più povero di vegetazione e adatto al pascolo, e in parte sul versante occidentale dell’ampia vallata del Tirso, più ricco di alberi e di acque, e quindi più vocato all’agricoltura. La strada più importante che tocca il paese – piuttosto isolato rispetto a quelli circostanti – è una secondaria che va dalla superstrada Abbasanta-Nuoro alla provinciale che unisce Borore a Sedilo. & STORIA L’attuale centro ha origini romane: deriva da un pagus situato lungo la strada per Macopsisa, l’attuale Macomer, posto in prossimità del principale guado del Tirso; nel Medioevo, compreso nel giudicato d’Arborea, faceva parte della curatoria del Guilcier. Scoppiata la guerra tra Aragona e Arborea, nel 1378, unitamente all’intera curatoria, fu infeudato provocatoriamente da Pietro IV a Valore de Ligia che aveva tradito il giudice passando al servizio degli Aragonesi. Si trattò di un’investitura senza effetto perché il villaggio rimase in mano al giudice; negli stessi anni fu costruita la chiesa parrocchiale dedicata a San Gavino. Caduto il giudicato, A. condivise a partire dal 1417 le vicende feudali degli altri villaggi del Guilcier fino alla confisca del marchesato d’Oristano. Fu allora incluso nel grande feudo reale del Parte Ocier e dal 1481 i suoi abitanti furono tenuti a prestare un servizio personale nella Tanca Regia (=). Nei secoli successivi essi svilupparono le tradizionali attività nel settore dell’agricoltura e della pastorizia. Nel 1637 un gruppo di armati del paese accorse a Oristano per liberarla dagli invasori & francesi: si distinsero nell’impresa, insieme ai compagni di Ghilarza, e per questo le loro gesta furono ricordate nel Parlamento del 1698. Le condizioni generali del villaggio migliorarono nel corso del secolo XVIII: nel 1771 vi fu costituito il Consiglio comunitativo e gli abitanti cominciarono ad aspirare all’abolizione del vincolo feudale. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e finalmente nel 1838 fu affrancato dalla dipendenza feudale. In quegli anni Vittorio Angius scriveva: «È composto di 228 case con istrade un po’ larghe, ma irregolari, e impraticabili nell’inverno pel molto fango [...]. Il clima è caldissimo nella state, temperato nell’inverno: vi piove spesso, ma raramente vi nevica: l’aria è poco salubre. Negli ultimi dı̀ della primavera suol regnare di mattina la nebbia, e non si dirada che tardi. Più densa è nel novembre, di modo che bagna come fa la rugiada. I seminati ne sentono gran danno quando sono in fiore, e la sanità degli abitanti n’è ancora alterata. Non si esercitano in questo paese, che da pochi, e assai macchinalmente alcune arti meccaniche; le donne attendono alla tessitura delle tele e del forese: vi sono in opera da 100 telai, ma non si lavora più di quello che esigano i propri bisogni. Vi sono un consiglio di comunità, una giunta locale, una scuola normale frequentata da 20 fanciulli». Successivamente, dopo la ‘‘fusione perfetta’’ della Sardegna con gli stati di terraferma, nel 1848 furono soppresse le province e A. entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari che nel 1859 ritornò a essere provincia. Nella seconda metà dell’Ottocento, però, le condizioni del villaggio cominciarono a decadere, e il suo isolamento determinò l’inizio di un lento spopolamento; per giunta nel 1896 i suoi vigneti furono distrutti dalla fil- 69 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 77 Aidomaggiore lossera. Agli inizi del Novecento la decadenza di A. era evidente, il villaggio ebbe l’illuminazione elettrica solo nel 1934 e, paradossalmente, la formazione del lago Omodeo contribuı̀ a isolarlo ancor di più. Nel secondo dopoguerra il processo di decadenza e di spopolamento si accentuò e quando, nel 1974, fu incluso nella nuova provincia di Oristano la sua popolazione era diminuita della metà rispetto agli inizi del secolo. & ECONOMIA Le principali attività sono l’agricoltura e l’allevamento. Il patrimonio ovino si compone di diverse migliaia di capi, e alcune migliaia ne conta quello bovino: si ha quindi la produzione di latte, formaggio, carni; sono presenti anche alcune imprese commerciali, ma una parte consistente dei redditi è assicurata, come avviene in questi centri a forte tasso migratorio, dalle pensioni di anzianità. Al momento dell’insediamento delle fabbriche petrolchimiche nella vicina piana di Ottana, furono assunti una trentina di lavoratori di A., ma con la crisi intervenuta anche questa risorsa si è venuta riducendo. Artigianato. A. era un tempo, come si è visto dalla testimonianza dell’Angius, un rinomato centro di tessuti ottenuti da antichi telai manuali: attualmente solo poche anziane donne li sanno utilizzare. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 550 unità, di cui stranieri 19; maschi 271; femmine 279; famiglie 220. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione con morti per anno 18 e nati 1; cancellati dall’anagrafe 21 e nuovi iscritti 11. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 402 in migliaia di lire; versamenti ICI 234; aziende agricole 119; imprese commerciali 26; esercizi pubblici 3; esercizi al dettaglio 8. Tra gli indicatori sociali: occupati 177; disoccupati 23; inoccupati 25; laureati 3; diplomati 65; con licenza media 106; con licenza elementare 214; analfabeti 6; automezzi circolanti 208; abbonamenti TV 178. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel suo territorio sono identificabili numerosi siti che dimostrano come sia stato intensamente utilizzato dall’uomo. In particolare sono stati individuati circa quaranta nuraghi: Abaeras, Arculentu, Aghentu, Aspru, Attos, Benziddu, Bernardu Pala, Bolessene, Caddaris, Casas, Cunzados, Erighine, Fenugu, Frontelizzos, Lobaos, Maso Majore, Murafratta, Mura Ulmos, Ozilo, Pizzinnu, Riu, Sa Bastia, Sa Jua, Sa Mura, Sanilo, Sedinas, Sirbonica, Sorolo, Succhiau, Tenaghe, Tenalighe, Toliana, Toringhene, Tosighene, Trailone, Trochesia, Tulinu, Uras, Zedde. Tre le Tombe di giganti: Iscralloza, Tanca ’e S’Ozzastru, Tanca ’e Su Gregu. Di particolare interesse sono i complessi di Iscralotze e di Uras, entrambi comprendenti un nuraghe e una Tomba di giganti; e il complesso di Lobados con alcuni nuraghi. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il più interessante dei monumenti di A. è la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Palme: costruita nel Cinquecento in forme gotico-catalane, è stata radicalmente ristrutturata nel 1867. All’interno, costituito da una sola navata completata dal presbiterio, si conserva un coro-altare ligneo del secolo XVII. La facciata è semplice, arricchita dal timpano a lesene. All’estrema periferia dell’abitato sorge San Gavino, chiesa di origini trecentesche ristrutturata ripetutamente nel corso dei secoli successivi e per l’ultima volta negli anni Settanta del Novecento. Ha la struttura a croce latina e conserva nel transetto un Cristo ligneo 70 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 78 Aidu ’e Turdu del Quattrocento. Vi è esposta una collezione di pezzi archeologici ritrovati nel territorio del Comune, e nella suggestiva piazzetta sulla quale si affacciano alcuni betili, macine e altri frammenti scolpiti. Interessanti sono anche numerose chiese che sorgono nelle campagne. Quella di Santa Barbara ’e Orraku, situata a pochi chilometri dall’abitato lungo la strada per Ghilarza, di forme romaniche, fu la parrocchia del villaggio scomparso di Ruinas. La prima edificazione risale al Duecento ed è dovuta a un certo Petru Murtinu, collaboratore del priore di Santa Maria di Bonarcado. Quando il villaggio fu abbandonato andò in rovina e solo nel 1954 fu ricostruita in trachite rossa. Nei pressi si trovano le piccole case (cumbessı̀as o muristenes), una ventina, di famiglie del paese. Quella dedicata a Santa Giusta e Santa Greca è situata su un altipiano panoramico a poca distanza dall’abitato; costruita nel Medioevo nel villaggio scomparso di Liqueri, venne distrutta da un fulmine e fu fatta ricostruire nel secolo XVIII da Demetrio Putzolu. La Vergine delle Grazie è un santuario campestre a pochi chilometri dall’abitato; risale al secolo XIII ed è costituito da un edificio circondato da muristenes. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Delle antiche tradizioni rimangono alcune feste popolari, in particolare quella di Sant’Antonio Abate, che si svolge il 17 gennaio con il consueto falò in piazza che dà inizio al Carnevale. In questo periodo gli abitanti dei quattro rioni – Corte ’e Susu, Corte ’e Josso, Binzale e Muru ’e Cane – si riuniscono per eseguire un ballo tipico locale, sa cuintrozza, che non ha uguali in tutta l’isola: un tempo guidato dal canto, oggi segue la musica della fisarmonica diatonica e deve coinvolgere non meno di trenta ballerini che ese- guono una configurazione a serpentina che poi si trasforma in una spirale. La festa di Santa Greca e Santa Giusta si svolge il 14 maggio nell’omonima chiesetta con il concorso di pellegrini che vengono da tutto il Ghilarzese; appena dieci giorni dopo, il 24 maggio, la festa della patrona Santa Maria delle Palme coinvolge tutta la comunità con riti religiosi e cerimonie civili di particolare solennità. Nell’ultima domenica di agosto si festeggia Santa Barbara presso l’omonima chiesetta; le celebrazioni si protraggono per tre giorni in un susseguirsi di riti e di manifestazioni folckloristiche. Al termine dell’estate, l’8 settembre, si festeggia la Vergine delle Grazie, nell’omonimo santuario; la sagra è preceduta da un novenario durante il quale vengono posti all’asta (prozettu) da un banditore (su procuratore) degli oggetti che servono a finanziare la festa, avuti in dono dai fedeli. La sagra culmina in una veglia di preghiera (izadorgiu) nel corso della quale il simulacro della Vergine viene condotto nei diversi muristenes. Infine è da ricordare la festa più antica della quale si hanno notizie fin dal secolo XVI, quella di Santa Lucia, che si svolge il 13 dicembre presso le rovine dell’omonima chiesetta. Aidu ’e Turdu Località nel territorio tra Bonorva e Torralba ove si svolse, nell’agosto del 1347, durante la seconda delle ribellioni dei Doria contro gli Aragonesi, una grande battaglia. Per fermare i ribelli le truppe catalane e quelle sarde guidate da Giovanni d’Arborea, fratello del giudice, pochi mesi prima avevano invaso i territori della famiglia. Per resistere agli invasori, i Doria dei vari rami avevano chiesto aiuto a Genova e avevano riunito le loro forze. Secondo la cronaca dei fatti lasciataci dallo Zurita, la battaglia avvenne nella località omonima situata 71 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 79 Aiello in prossimità di un passo nelle campagne di Bonorva lungo la strada che conduceva a Sassari. La battaglia si svolse tra le truppe dei Doria, più numerose, e quelle aragonesi. Lo scontro fu cruento e i Doria riuscirono vincitori; costò la vita a Gherardo e Monico Cervellon, figli del governatore della Sardegna, che morı̀ poco dopo per il dolore. Aiello, Paolo Fotografo (n. Sassari 1961). Amante del mare e della vela – è il creatore della ‘‘Regata della Vela Latina’’ di Stintino – inizia a fotografare nella Sardegna dei primi anni Ottanta, dedicandosi ai paesaggi e al mondo del mare e della nautica, per periodici come ‘‘Nautica’’, ‘‘Yacht Digest’’, ‘‘Mare Nostrum’’. Partecipa in seguito alla fondazione dell’associazione culturale OGROS Fotografi Associati, volta allo studio del mondo tradizionale sardo. Il suo archivio, di oltre 10 000 immagini, illustra i mestieri del mare, tra cui la Tonnara. Ailanto Pianta arborea della famiglia delle Simarubacee (Ailanthus glandulosa Desm.). Conosciuto anche con il nome di albero del paradiso, può raggiungere altezze di oltre 20 m. Ha chioma ampia e densa, corteccia liscia e striata longitudinalmente. Le foglie, caduche, sono alterne e imparipennate, verde scuro nella pagina superiore, più pallide e pubescenti in quella inferiore. I fiori, talora separati su piante diverse, sono piccoli, verdastri e riuniti in pannocchie. Frutto a samara bialata: l’ottima germinabilità ne ha facilitato la diffusione in tutta la Sardegna. Originario della Cina, l’a. fu introdotto negli orti botanici italiani nella seconda metà del Settecento. Nell’Ottocento è stato particolarmente diffuso per sperimentare l’allevamento della sfinge dell’a., il lepidottero saturnide Philosamia cynthia, che doveva sostituire il baco da seta minacciato da malattie epidemiche. In Sardegna è segnalato nei cataloghi a partire dal 1820. Molto diffuso (quasi infestante) nel verde pubblico e lungo le strade statali, si riconosce, a inizio estate, per il colore rossastro dei frutti. Il suo polline è fortemente allergenico. Nomi sardi: ailánti (sassarese); ilántu (Sardegna settentrionale); nuxi furistéra (Sarcidano); olanda (Basso Campidano). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Aimone Sacerdote (sec. XII). Nei documenti compare come vescovo di Sulci a partire dal 1162; usurpò alcuni benefici che erano stati concessi dai giudici di Cagliari ai Benedettini di Montecassino. Nel 1163 fu convocato dall’arcivescovo Villano, inviato in Sardegna dal papa per dirimere la questione. Aiois, Is Località abitata in territorio di Narcao lungo la strada per Acquacadda in prossimità della frazione di Terrubia. Si è sviluppata nella seconda metà dell’Ottocento in connessione con le attività della miniera di Acquacadda. Attualmente è un’attiva borgata agricola in fase di espansione. Aipsa Edizioni Casa editrice fondata a Cagliari nel 1993. Pubblica libri su Cagliari e sulla Sardegna mostrandone le sfaccettature del patrimonio culturale: storia, poesia, memorialistica, racconti, cinema, lingua e tradizioni. Particolarmente curata la veste grafica, i volumi sono rivolti a un pubblico vasto. Tra le collane: ‘‘Altre Storie’’, di argomento letterario in italiano e in sardo; ‘‘Minores’’, di narrativa; ‘‘Primopiano’’, di critica cinematografica; ‘‘Quaderni di storia e cultura locale’’; ‘‘Ricognizioni’’, che comprende monografie di approfondimento su aspetti poco conosciuti della cultura; ‘‘Riquadri’’. [MARIO ARGIOLAS] Airone1 = Zoologia della Sardegna 72 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 80 Alà dei Sardi Airone2 Compagnia aerea sarda, fondata a Cagliari il 23 gennaio 1945 con capitale iniziale 1 milione di lire. Rappresentò la voglia della Sardegna, che si preparava ormai al tempo di pace, di ‘‘fare da sé’’. La società, cui partecipavano capitali privati e delle banche sarde, commissionò alla FIAT due aerei G12L per il trasporto passeggeri (costo 100 milioni di lire, altri due furono acquistati più tardi) e ottenne la concessione per l’esercizio di alcune linee fra la Sardegna e il continente, con esclusione della più appetita Cagliari-Roma, mentre sulla Cagliari-Milano intervenne il divieto ministeriale di fare scalo ad Alghero (la linea Milano-Alghero era stata data in concessione alla società Salpanavi). Il 14 aprile 1947 l’‘‘A.’’ inaugurava i suoi collegamenti tra Cagliari e Milano e Roma, e tra Alghero e Roma. Nei primi quattro mesi di esercizio – calcolava più tardi la società – erano stati trasportati 4789 passeggeri, ma nel solo luglio erano stati 1840. Mentre la società si apprestava ad avviare i collegamenti con Napoli e Palermo, il governo decideva di rilanciare la compagnia di bandiera (la LAI, Linee Aeree Italiane), scoraggiando la concorrenza. Una serie di limiti posti ai servizi dell’‘‘Airone’’ (ma altrettanto accadeva con altre società private) poneva rapidamente termine all’esperimento: il 31 dicembre 1948 l’‘‘A.’’ si fondeva, insieme ad altre tre linee aeree private, con la LAI, dando vita alla ALI-Flotte riunite, destinata a diventare l’Alitalia. Con la consorella ‘‘Sardamare’’, la società di navigazione sarda nata in un uguale contesto politico, economico e ‘‘ideologico’’, l’esperienza dell’‘‘A.’’ rappresenta un coraggioso tentativo del mondo politico ed economico sardo di risolvere con le proprie forze quella che veniva chiamata la storica ‘‘stroz- zatura’’ delle comunicazioni fra Sardegna e continente. Aisaronenses Popolazione enumerata tra quelle appartenenti alla Sardegna da Tolomeo nei primi decenni del secolo II, il quale però non fornisce per essa una precisa localizzazione. Gli A., quasi sicuramente di origine etrusca, erano forse stanziati nell’attuale zona di Posada. [ESMERALDA UGHI] Aitroxia, santa Nome dato al simulacro della Madonna della Provvidenza, ritrovato da un contadino mentre arava ad Aitroxia, toponimo campidanese di Santa Vittoria, in territorio di Suelli. Attualmente il simulacro viene portato in processione, a Suelli, per festeggiare la Madonna delle Grazie. [ADRIANO VARGIU] Alà dei Sardi – Il centro storico del paese ha, come molti centri della Sardegna nordorientale, architetture di granito a vista. Alà dei Sardi Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella VI Comunità montana, con 1948 abitanti (al 2004), posto a 663 m sul livello del mare, 73 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 81 Alà dei Sardi al confine con la provincia di Nuoro tra Gallura e Barbagia di Bitti. Regione storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri. Alà dei Sardi – La festa presso la chiesa campestre di San Francesco è una delle più popolari della Sardegna. TERRITORIO Il territorio si estende per 188,60 km2. Ha forma trapezoidale e confina a nord con Berchidda, Monti e Berchiddeddu, isola amministrativa di Olbia; e con Padru a est, Bitti a sud, Buddusò a ovest. A occidente si allineano i Monti di Alà, una piccola catena a direzione grosso modo nord-sud che culmina a 1077 m con la punta di Senalonga; anche il resto della regione, tutto di natura granitica, è montuoso, con residui più o meno estesi delle antiche foreste, mentre a sud del paese si stende, mediamente intorno ai 650 m, una parte dell’altipiano di Buddusò, ricca di pascoli e sughereti. & STORIA Il villaggio attuale, chiamato Alà fino al 1864, potrebbe essere l’erede dell’insediamento romano di Lathari, come sostiene lo Spano. Di certo però il suo nome compare nel Medioevo: apparteneva al giudicato di Torres ed era compreso nella curatoria del Montacuto. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale A. e il Montacuto, data la loro posizione, furono contesi & tra i Doria, gli Arborea e i Visconti; nel periodo che seguı̀, alla fine del secolo XIII, passò nelle mani degli Arborea ma i Doria non rinunciarono a rivendicarne il possesso. Negli anni che precedettero la conquista aragonese, quando Giacomo II d’Aragona preparò diplomaticamente l’invasione della Sardegna, nel 1308 ne investı̀ i Doria riaccendendo cosı̀ i motivi dell’antica rivalità con gli Arborea. Perciò il villaggio sembrò entrare a far parte del Regnum Sardiniae come feudo dei Doria, ma quando nel 1325 essi si ribellarono, il giudice d’Arborea fece nuovamente occupare dalle sue truppe tutto il territorio. Negli anni successivi l’intera regione fu teatro del confronto armato tra gli eserciti arborense e doriano e fu devastata; per porre fine alla situazione, nel 1339 il re d’Aragona pensò di investirne Giovanni d’Arborea suo fedele alleato. Però Mariano IV, quando divenne giudice d’Arborea, pretese l’obbedienza feudale di suo fratello per il vasto dominio che controllava e, poiché Giovanni riteneva di essere vassallo del re d’Aragona, il confronto tra i due si concluse tragicamente: Mariano non esitò a far arrestare il fratello. A. seguı̀ allora le sorti del Montacuto e, mentre Giovanni languiva in prigione, il territorio, occupato da truppe arborensi, divenne uno dei teatri del conflitto tra Aragona e Arborea e continuò a essere devastato fino alla fine della guerra. Nel 1410 il villaggio, per quanto semispopolato, cadde in mano del visconte di Narbona che solo nel 1420 rinunciò ai propri diritti. Nel 1421 A. fu incluso con tutto il Montacuto nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Il rapporto con i nuovi signori non fu dei migliori: nel 1458 i suoi abitanti, esasperati dal peso dei tributi, si ribellarono al feudatario ma non riuscirono a modificare la loro si- 74 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 82 Alà dei Sardi tuazione. Nel periodo successivo A. fu amministrato da un funzionario feudale residente a Ozieri e dovette sopportare il peso di una crescente dipendenza dal feudatario. Estinta la discendenza dei Centelles, dopo una lunga lite il villaggio passò insieme al Montacuto dai Centelles ai Borgia; il numero dei suoi abitanti nel corso del Cinquecento era sensibilmente aumentato e i nuovi feudatari nel Seicento avviarono la costruzione della parrocchiale dedicata alla natività di Maria; quindi, avvalendosi di una gerarchia di funzionari, spesso appartenenti a famiglie locali, definirono il sistema dei tributi feudali, la cui riscossione però fu largamente evasa. I Borgia si estinsero nel 1740 dopo una lunga lite tra eredi e, nel 1767, A. fu incluso nel ducato del Montacuto che toccò a Maria Giuseppa Pimentel, erede dei Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron. Anche con i nuovi feudatari A. non ebbe un rapporto facile; essi, infatti, risiedendo in Spagna, fecero amministrare il feudo da funzionari senza scrupoli, il cui operato esasperò gli abitanti che ormai anelavano allo scioglimento dal vincolo feudale. La popolazione del villaggio era oramai cresciuta e le attività connesse all’allevamento e alla pastorizia vi fiorivano; nel 1771 anche ad A. fu costituito il Consiglio comunitativo cosı̀, attraverso il nuovo organismo, la comunità sembrò ritrovare quella autonomia che l’amministrazione feudale aveva fatto cessare. Tra il 1774 e il 1785 gli abitanti si rifiutarono apertamente di pagare i tributi e nel 1795 presero parte ai moti antifeudali. Le tensioni continuarono anche nel 1810, tanto che alcune terre del demanio feudale furono arbitrariamente occupate; quando poi nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Ozieri, divenne teatro di una frenetica costitu- zione di tanche in seguito all’applicazione della Legge delle chiudende, ma il suo tempestoso rapporto con i feudatari si chiuse solo col riscatto nel 1843. Con la ‘‘fusione perfetta’’, nel 1848 fu abolita la provincia di Ozieri e il villaggio fu incluso nella divisione amministrativa di Sassari. Quando poi nel 1859 le province furono ripristinate, entrò a far parte della provincia di Sassari. Questi alcuni tratti del quadro del paese lasciato in quegli anni da Vittorio Angius: «L’abitato stendesi da 350 passi da levante a ponente, e 125 da tramontana a mezzogiorno. Componesi di 263 case: non vi fiorisce alcun’arte meccanica, e la sola manifattura è quella delle tele e del panno forese [orbace]. Vi ha un consiglio di comunità, una giunta locale sul monte di Soccorso, ed una scuola normale frequentata da dodici fanciulli. Sono questi paesani più negletti nel vestire, e più rozzi dei loro circonvicini. In circostanze di allegrezza il solito divertimento è il ballo, cui dassi movimento col canto in cadenza. [Il territorio] è per la maggior parte montuoso e boschivo, e quindi più atto al pascolo, che al seminario: non ostante in molti siti, massime verso la parte meridionale, si semina grano ed orzo, il cui prodotto appena può essere sufficiente alla sussistenza degli abitanti. Il pane che mangia la maggior parte è di orzo. Vi sono poche vigne più per trascuraggine degli abitanti, che per difetto di terreno adatto. Per la opportunità dei molti ruscelli abbonderebbero i legumi, però manca l’industria. Pastorizia: la maggior parte degli alaini sono occupati in questa, e molti di essi vivono negli stazi, o casali, principalmente quelli che hanno le cussorgie nella parte settentrionale del territorio presso alle terre di Monti. Le vacche, che in totale saranno 1500, i buoi 75 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 83 Alà dei Sardi domiti e i giovenchi destinati all’agricoltura o al macello restano nelle tanche per molti mesi dell’anno. Si nutrono inoltre nel restante territorio aperto più di 3000 pecore, 1500 porci, e circa 3000 capre. Prendonsi cura i pastori di coltivare gli alveari e ne hanno un gran numero, che passa forse i 4000, i quali per l’abbondante frutto formano una delle primarie risorse di questo paese». L’impressione di isolamento è confermata da un episodio riferito dal Lamarmora nel suo Itinerario: passando per il paese nel 1823, ebbe un contrasto col sindaco, che non voleva vendergli alcuni cavalli, cosı̀ come imponeva un ordine scritto del viceré; ne nacque un’accesa discussione, al culmine della quale l’uomo esclamò: «E bene, signore, io ne farò le mie lagnanze, e ne scriverò a Madrid». Questo il commento dell’illustre viaggiatore: «Egli si figurava d’esser ancora sotto la dipendenza degli Spagnuoli che aveva cessato nel 1720, vale a dire precisamente 103 anni avanti!». Nell’Ottocento si sviluppò ad A. la lavorazione del sughero e nel villaggio fu costruito uno stabilimento per i primi trattamenti del prodotto grezzo. & ECONOMIA L’economia è principalmente basata sulla pastorizia e sull’allevamento del bestiame; di particolare rilievo restano le produzioni del formaggio e del miele. Vi operano anche alcune imprese commerciali di piccola entità; l’agricoltura è poco redditizia, mentre negli ultimi decenni si è sviluppata l’estrazione del granito. Un buon numero di operai locali è impiegato nelle attività di forestazione e di protezione del patrimonio boschivo dagli incendi. Artigianato. Fino all’Ottocento vi era una limitata attività tessile e vi si produceva l’orbace; di queste antiche attività si è persa memoria. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1953 unità di cui stranieri 8; maschi 1017; femmine 936; famiglie 712. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione con morti per anno 37 e nati 19; cancellati dall’anagrafe 15 e nuovi iscritti 19. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 17 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 13 479 in migliaia di lire; versamenti ICI 675; aziende agricole 303; imprese commerciali 87; esercizi pubblici 14; esercizi al dettaglio 30; ambulanti 9. Tra gli indicatori sociali: occupati 486; disoccupati 290; inoccupati 55; laureati 5; diplomati 68; con licenza media 576; con licenza elementare 784; analfabeti 105; automezzi circolanti 836; abbonamenti TV 411. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu popolato fin dal periodo prenuragico ed è molto ricco di monumenti e di testimonianze. I principali nuraghi sono quelli di Bedduto, Bucca ’e Mandra, Inione, Macheddine, Mathi, Ponte Piri; di questi particolare rilievo ha quello di Inione, trilobato, che sorge tra Alà e Buddusò. Altri monumenti importanti sono il complesso di Sos Nurattolos, un tempio a megaron situato a sud dell’attuale abitato non lontano da alcune Tombe di giganti. È costituito da un’aula lunga circa 6 m con accanto una strana costruzione a doppio cerchio concentrico; l’intero complesso è racchiuso da un recinto ellittico. L’archeologo Giovanni Lilliu, che lo ha visitato alcuni anni fa, ha registrato queste impressioni: «Appena arrivato, sulle prime non riuscivo a scorgere le varie strutture edilizie, neppure le più vicine e sottostanti dell’insieme sviluppato nel pendio del monte, sino a raggiungere il culmine delle aguzze rupi di granito, tra grigio e rosato, illuminate da un pallido sole, sovrastanti alle costruzioni. Sono queste, infatti, 76 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 84 Alagon innervate tra le rocce, fatte nella loro stessa materia e dello stesso colore, in pezzame litico misurato in modo da non spiccare con artifizi rispetto al contorno naturale, al punto che tutto si confonde e si compatta in armonica unità. Un esempio di luogo vissuto dagli uomini che progettarono il santuario con la percezione sensibile del substrato naturale e del rispetto dovuto e l’autoidentificazione compiuta con la ragione formalizzante». Da ricordare ancora le rovine del santuario nuragico di Pedrighinosu e il complesso di Alteri, che comprende il nuraghe omonimo e una Tomba di giganti. Infine a Lathari, una località situata poco lontano dall’abitato, furono individuati nel secolo XIX ruderi di un insediamento romano, probabilmente riferibili a una villa rustica; gli scavi effettuati hanno restituito alcuni bronzi, monete di diversi periodi e ceramica di vario tipo. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE La parte più antica dell’abitato si sviluppa ad anfiteatro con abitazioni in granito a più piani; gli edifici più rappresentativi sono la chiesa della Natività di Maria, parrocchiale costruita nel 1619 in forme semplici; nel corso dei secoli successivi rovinò quasi completamente e fu chiusa al culto. Fu restaurata e riaperta nel corso del secolo XIX. Altra chiesa significativa è quella di San Giovanni Battista del secolo XVIII, con interno mononavato e abside semicircolare un tempo decorato con un ciclo di affreschi oramai completamente scomparsi. Fino alla ricostruzione della chiesa parrocchiale vi veniva custodita la statua di Sant’Agostino, patrono del villaggio. Oggi rimane purtroppo soltanto il ricordo di una conformazione caratteristica della roccia che prendeva il nome di Lughia Rajosa, e sorgeva ai margini dell’abitato: secondo una leggenda locale racchiudeva una fanciulla, Lucia, collerica e bizzosa, pietrificata per vendetta dalle fate (janas). Di grande interesse naturalistico e ambientale, al confine con la provincia di Nuoro, la Foresta di Sas Tumbas, di 244 ha, composta da lecci, sugheri, pini mediterranei, corbezzoli e ginepri. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Tra le feste popolari la più frequentata è quella che si svolge ai primi di ottobre presso la chiesa campestre di San Francesco. Dopo la messa celebrata all’aperto ha inizio un grande pranzo che ha per piatti base quelli preparati con la carne fornita dagli allevatori locali. Da oltre trent’anni si tiene nel paese e nel territorio circostante il Trofeo Alasport di cross, ossia di corsa campestre, che vede la partecipazione, in una domenica di febbraio o marzo, dei maggiori campioni italiani e stranieri della specialità e gode di grande stima negli ambienti dell’atletica internazionale. Alagna, Antonio Editore-tipografo (attivo a Cagliari dal 1848 al 1899). Secondo gli studi di Tiziana Olivari, pubblicò circa 150 titoli, per lo più di argomento religioso, tesi di laurea e dissertazioni universitarie. Il più famoso fu l’Itinerario dell’isola di Sardegna di Alberto Lamarmora, tradotto (non integralmente) e commentato in 3 volumi dal canonico Giovanni Spano, 1868. Alagon Famiglia feudale aragonese (secc. XI-XVIII). Le sue origini risalgono al secolo XI, quando un ramo si trasferı̀ in Sardegna in seguito al matrimonio di Artale, signore di Sostago, con Benedetta Cubello sorella dell’ultimo marchese di Oristano. Dal matrimonio nacquero, tra gli altri, Francesco, Leonardo e Salvatore che furono tra i protagonisti della storia della Sardegna nella seconda metà del secolo 77 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 85 Alagon XV. Francesco sposò Antonia Catxa e nel 1463 acquistò da Giacomo Aragall il feudo di Villamar; nello stesso anno ereditò dalla moglie la signoria della scrivania della regia Governazione. Nel 1464 cedette il feudo alla moglie come risarcimento dotale e nel 1468 ottenne per sei anni le rendite di alcune terre spopolate nel Sols, ma dopo il 1470 si lasciò coinvolgere nell’impresa politica di suo fratello Leonardo, per cui gli furono sequestrati i beni; morı̀ senza figli nel 1476. Leonardo (Oristano, 1436?-Xàtiva, Spagna, 1494) è ricordato come l’ultimo difensore della libertà della Sardegna contro il dominio catalano-aragonese. Alla morte di suo zio Salvatore Cubello ereditò il marchesato di Oristano, il Parte Ocier, il Parte Barigadu, la curatoria di Dore e Bitti, il Marghine, il Mandrolisai, il Goceano, il Costavall, l’incontrada di Austis e la Barbagia di Ollolai, ma la sua successione fu immediatamente ritenuta illegittima in base al diritto feudale sardo. In attesa di ottenere conferma dal re egli entrò in conflitto col viceré Nicolò Carroz, la cui famiglia era storicamente antagonista dei marchesi di Oristano e che avrebbe voluto sequestrare i feudi. I due arrivarono allo scontro armato e il Carroz fu sconfitto a Uras (primavera 1470). Si trattava in sostanza di una guerra feudale simile ad altre di quel periodo ma, data la posizione dei due contendenti e la discendenza di L. dai giudici d’Arborea, essa coinvolse buona parte degli altri nobili, feudali e non, che si schierarono a sostegno di una delle due parti e finı̀ per assumere i caratteri di una guerra di liberazione ‘‘nazionale’’ dei sardi. Per sanare la situazione divenuta oramai esplosiva intervenne lo stesso sovrano, che nel 1473 riconobbe i diritti di successione di L.; ma il Carroz continuò a mantenere un atteggia- mento ostile per cui nel 1475 la guerra riprese. Il marchese, ormai identificato come il continuatore della tradizione d’indipendenza degli Arborea, nel 1477 fu dichiarato traditore e privato dei feudi. Per tutta risposta, egli invase il Campidano ed estese l’occupazione a buona parte dell’isola, ma la guerra si concluse tragicamente. Sconfitto nella famosa battaglia di Macomer (19 maggio 1478), tradito dal capitano della nave su cui si era imbarcato e consegnato ai catalano-aragonesi, venne condotto prigioniero in Spagna, dove morı̀ dopo 16 anni di prigionia nel castello di Xàtiva presso Valencia, il 3 novembre 1494. I suoi figli Giovanni, Salvatore e Antonio, dopo essere stati fatti prigionieri con lui, furono liberati ma continuarono a vivere in Spagna; di essi solo Antonio ottenne il perdono reale, ma morı̀ in Spagna nel 1504 senza lasciare discendenza. L. ebbe anche alcuni figli naturali menzionati nel suo testamento, ma essi non furono coinvolti nelle vicende che distrussero la famiglia: continuarono a risiedere in Sardegna, dove si presume abbiano lasciato discendenza. Salvatore fu il capostipite di una numerosa linea feudale; fece un buon matrimonio con Isabella de Besora erede dei feudi di Parte Ippis e della Trexenta e nel 1470 avviò le trattative per acquistare l’intero patrimonio feudale dei Dedoni e il feudo di Furtei dei Sanjust. Fu però coinvolto nella rovina di suo fratello: infatti, scoppiato il conflitto con i Carroz, sebbene con titubanza si schierò a fianco di Leonardo e dopo la battaglia di Macomer fu fatto prigioniero e rinchiuso anche lui a Xàtiva. Nel 1490 fu rimesso in libertà e nel 1493 fu perdonato, ma non gli fu concesso di tornare in Sardegna. Furono suoi figli Carlo e Giacomo, che diedero vita a due distinti rami della famiglia, rispettiva- 78 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 86 Alagon mente quello del Barigadu e quello di Villasor. Carlo, dopo il perdono del padre, 1507, ottenne un’indennità annua vitalizia di 4000 reali valenzani; introdotto negli ambienti di corte al servizio della nuova dinastia degli Asburgo, fu nominato guardia del corpo di Carlo V, che lo creò anche gentiluomo di camera. Tornato a Cagliari si legò agli ambienti finanziari della città, cercando di investire vantaggiosamente i capitali di cui disponeva e, costituita una società con Nicolò Torresani, concorse all’acquisto dai Fabra dell’incontrada del Parte Barigadu. Nel 1520 i due soci procedettero alla divisione dei beni e a C. andò il Barigadu Susu con Busachi, Fordongianus, Villanova Truschedu, Neoneli, Ardauli, Sorradile e Bidonı̀; nello stesso anno, a conclusione del parlamento Vilanova, fu nominato sindaco dello Stamento militare a Madrid. Morı̀ nel 1528, dopo aver istituito un fedecommesso sul feudo al suo unico figlio maschio, Carlo Dionigi, e le tre figlie Maria, Elena ed Eleonora. Carlo Dionigi morı̀ nel 1547 senza lasciare discendenza e il feudo toccò alla sorella Maria, moglie di Fabrizio de Gerp. Anche Giacomo fu coinvolto nella rovina della famiglia. Condotto con il padre e lo zio prigioniero in Spagna, quando ottenne il perdono, nel 1495, tornò in Sardegna alla morte della madre. Qui si trovò invischiato nella lite per il possesso dei feudi del Gippi e della Trexenta, eredità materna; sebbene carico di censi e di ipoteche il patrimonio era vistoso, sicché nel 1506 G. riuscı̀ a chiudere la lite con i De Gerp, altri pretendenti, cedendo loro una parte del Gippi e tenendo per sé tutto il resto. Furono suoi figli Giacomo, alcaide di Cagliari, Carlo, arcivescovo di Oristano, e Blasco, che continuò la discendenza. G. fu anche un valoroso guerriero tanto che nel 1537 ebbe il titolo di conte di Villasor. Alla sua morte gli succedette il figlio Giacomo, che visse prevalentemente in Spagna, dove aveva ereditato ingenti sostanze dalla famiglia della madre, una Madrigal. Dopo l’estinzione del ramo di Carlo, nel 1579 avviò una lite col fisco per la successione nel Barigadu Jossu e nel 1590 intentò un’altra causa contro i Castelvı̀ e contro il fisco per difendere le ragioni della sorella Caterina vedova Cardona per il possesso dei feudi appartenuti ai Cardona. Nel 1594 ottenne il titolo di marchese e morı̀ nel 1597, poco prima della definizione delle due liti; furono suoi figli un altro Giacomo e Martino che ereditò i feudi. Nello stesso anno, definite le due lunghe controversie, ottenne il Barigadu e il riconoscimento dei diritti su Giave e Cossoine per sua zia Caterina, che nello stesso anno gli donò il feudo. Suo figlio Blasco Ilarione ottenne nel 1629 il titolo di conte di Montesanto su Giave e Cossoine, da assegnare al primogenito della famiglia durante la vita del marchese padre. Furono suoi figli Vincenzo, Pietro e Blasco, tutti personaggi di rilievo della vita politica isolana, interpreti di una linea di fedeltà assoluta alla Corona, in grande rivalità con i Castelvı̀. I suoi discendenti, scoppiata la guerra di successione spagnola, si schierarono nel partito asburgico e ottennero da Carlo III il titolo di Grande di Spagna con il marchese Artale, ultimo maschio della famiglia, che nel 1702 donò i feudi all’unica figlia Emanuela, moglie di Giuseppe De Silva. & GLI ALAGON NELLA STORIA DELLA SARDEGNA La famiglia A. fu tra le più ragguardevoli della nobiltà isolana tra il 1450 e il 1700. Ecco qui di seguito alcuni cenni biografici dei suoi membri più importanti. Artale I Gentiluomo vissuto nel secolo 79 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 87 Alagon XV, signore di Sastago, vedovo di una Fernandez de Heredia, sposò in seconde nozze Benedetta Cubello, sorella dell’ultimo marchese di Oristano, e venne a stabilirsi in Sardegna, da dove però faceva frequenti viaggi in Spagna per amministrare i feudi che ancora vi possedeva. Dal suo nuovo matrimonio nacquero tra gli altri Francesco, Salvatore e Leonardo, che furono educati in Sardegna presso il palazzo di suo cognato e che divennero i capostipite degli A. sardi. Morı̀ nel 1448. Artale II Figlio maggiore di Leonardo. Animoso uomo d’armi, fu coinvolto nella guerra che il padre combatté contro Nicolò Carroz. Alla testa di un reparto dell’esercito di suo padre investı̀ Ardara nel gennaio del 1478, ma fu sconfitto delle truppe reali e costretto a ritirarsi; pochi mesi dopo trovò la morte, combattendo valorosamente a Macomer. Artale III Marchese di Villasor, figlio di Blasco, nel 1670 fu nominato generale della cavalleria miliziana. Aveva fatto sposare l’unica figlia Emanuela a Giuseppe De Silva, fratello del conte di Cifuentes, per cui, scoppiata la guerra di successione spagnola, abbandonò la tradizionale fedeltà della famiglia alla dinastia regnante e si schierò nel partito filoasburgico. Fu tra i principali protagonisti della vita politica di quegli anni, per cui fu insignito del titolo di Grande di Spagna. Nel 1717, dopo la spedizione dell’Alberoni, fu costretto a fuggire in Francia da dove non tornò mai più. Morı̀ nel 1720. Blasco I Conte di Villasor, figlio di Giacomo I, nato nel 1495. Era un valoroso uomo d’armi: durante la prima fase della guerra tra Carlo V e Francesco I aveva combattuto per l’imperatore in Italia. Per il suo valore fu creato gentiluomo di camera; tornato in Sardegna, nel 1528 contribuı̀ alla cacciata dei francesi da Sassari e subito dopo tornò sul continente riprendendo a combattere nelle armate imperiali. Dapprima fu in Francia, successivamente prese parte alle operazioni in Germania, in Fiandra e in Borgogna; nel 1535 partecipò alla spedizione contro Tunisi. Tornato definitivamente in Sardegna, nel 1537 fu creato conte di Villasor e nel 1538 nominato alcaide di Cagliari. Come molti altri feudatari tentò di non versare l’afforo, ma nel 1540 fu costretto a pagarlo; nel 1544 difese le coste del Cagliaritano da un’incursione del pirata Barbarossa; nel 1545 fu inviato a Madrid come sindaco dello Stamento militare e nel 1552 fu nominato governatore di Sassari. Morı̀ nel 1560. Blasco II Marchese di Villasor, primogenito di Blasco Ilarione, nacque a Cagliari nella prima metà del secolo XVII. Uomo d’armi, nel 1647 fu nominato comandante generale della cavalleria del Regno. Ereditati i feudi, prese parte alla attività degli Stamenti e divenne un deciso avversario dei Castelvı̀. La rivalità tra le due famiglie era antica ed egli si schierò su una linea di assoluta dipendenza dai voleri della Corona: dopo il 1660, assoldate a sue spese delle truppe, si recò in Catalogna per combattere contro i ribelli. Tornato in Sardegna fu nominato commissario della cavalleria del Capo di Sassari. Testimone delle tragiche vicende che portarono all’uccisione del viceré Camarassa, fu l’interprete della volontà di repressione imposta dal re, contrapponendosi in maniera più netta ai Castelvı̀. Il suo atteggiamento durante il governo del duca di San Germano gli attirò l’odio di una parte dell’aristocrazia; in seguito tentò inutilmente di ottenere il titolo di Grande di Spagna. Morı̀ nel 1698. Blasco Ilarione Marchese di Villasor, 80 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 88 Alagon figlio di Martino, nacque a Cagliari nel 1601. Convinto assertore delle idee dell’Olivares, combatté in Catalogna contro i ribelli e fu nominato maggiordomo della regina. Tornato in Sardegna, nel 1635 avviò lo sviluppo di una serie di tonnare e impiantò alcune saline; nello stesso periodo fondò il villaggio di Vallermosa. Prese parte all’attività dei parlamenti diventando il capo del partito che sosteneva la politica del re; in antitesi ai Castelvı̀ fu il più deciso sostenitore della tesi secondo cui non si doveva negoziare preventivamente l’ammontare del donativo. Morı̀ a Cagliari nel 1655. Carlo Nato a Cagliari agli inizi del secolo XVI, figlio del conte Giacomo, fu destinato alla vita ecclesiastica. Divenuto sacerdote fu nominato canonico del capitolo di Cagliari facendosi notare per le sue qualità; nel 1537 fu nominato arcivescovo di Oristano e in tale veste prese parte al concilio di Trento. Morı̀ a Oristano nel 1554. Giacomo I Gentiluomo, figlio di Salvatore, nacque a Cagliari alla fine del secolo XV. Prese parte con il padre alla battaglia di Macomer e dopo la sconfitta fu portato prigioniero in Spagna. Nel 1490 ottenne il perdono reale e si pose al servizio del re, combattendo per lui sotto Granada nel 1492. Nel 1495 tornò in Sardegna per raccogliere l’eredità dei feudi del Gippi e della Trexenta che sua madre Isabella de Besora gli aveva lasciato. Poiché il patrimonio era gravato da debiti e ipoteche che la madre aveva dovuto contrarre negli anni precedenti per far valere i propri diritti, dovette imbarcarsi in una lunghissima lite giudiziaria con Eusebio de Gerp che, come erede di Angela Beltran, rivendicava a sua volta la successione. A causa dell’enorme costo della lite nel 1506 i due giunsero a un compromesso, dividendo fra loro il Gippi; a G. rimase solo la parte meridionale con Villasor. Ripresa la lite nel 1514, solo nel 1518 il re confermò definitivamente la spartizione. Giacomo II Conte e poi marchese di Villasor, figlio di Blasco I e di una Madrigal, nacque nel 1550. Fu un uomo accorto, abile amministratore dei beni che possedeva in Sardegna e di quelli che sua madre gli aveva lasciato in Spagna. A partire dal 1579 tentò di recuperare anche i feudi appartenuti al ramo di Carlo e nel 1590 difese i diritti della sorella Caterina sul patrimonio dei Cardona sardi. Nel 1594 ottenne il titolo di marchese di Villasor e morı̀ poco prima che le liti da lui intraprese fossero concluse. Giacomo III Figlio primogenito di Giacomo II, rinunciò ai propri diritti e si fece gesuita, segnalandosi per la pietà della sua vita. Morı̀ a Cagliari nel 1624 in odore di santità. Leonardo Nato a Oristano nel 1436 dal matrimonio di Artale di Sostago con Benedetta Cubello, fu educato a Oristano; traferitosi giovanissimo in Spagna, sposò Maria de Morillo e frequentò la corte di Spagna, dove strinse amicizia col futuro Ferdinando il Cattolico. Tornato in Sardegna, divenne uno dei collaboratori dello zio, il marchese Antonio Cubello, che nel 1458 lo inviò nuovamente in Spagna come suo procuratore; durante il suo secondo soggiorno ebbe modo di segnalarsi combattendo nelle guerre contro i ribelli catalani e di rinsaldare l’amicizia con Ferdinando. Nel 1463 Antonio Cubello morı̀: gli succedette come marchese di Oristano il fratello Salvatore che, non avendo figli, si preoccupò di assicurare la successione a L., che continuava a risiedere in Spagna. Quando Salvatore Cubello morı̀, nel 1470, L. tornò in Sardegna e ne raccolse l’eredità senza aspettare l’autorizzazione 81 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 89 Alagon reale; per questo si trovò subito coinvolto in un’aspra controversia con Nicolò Carroz, viceré di Sardegna, che gli contestava la successione nel marchesato e, poiché anche lui discendeva in linea femminile dalla casa d’Arborea, sperava di poter venire in possesso almeno di una parte dell’eredità del defunto marchese. Poiché Nicolò, avvalendosi del proprio ufficio, avrebbe voluto porre i feudi sotto sequestro, i due arrivarono al confronto armato e L. sconfisse il rivale nella battaglia di Uras (14 aprile 1470). Negli anni successivi, per quanto le operazioni militari si interrompessero, il contrasto tra i due non fu sanato, e mentre si attendeva che Giovanni II dipanasse la questione, in Sardegna l’atteggiamento di L. fece rinascere il fremito nazionalitario mai peraltro sopito. Il re, preoccupato per la piega che la situazione avrebbe potuto prendere e influenzato dalle pressioni del figlio Ferdinando che era intervenuto a favore di L., nel 1474 concesse a quest’ultimo l’investitura. Nonostante ciò l’antagonismo tra L. e Nicolò non si placò, anzi nella seconda metà del 1475 il contrasto assunse il carattere di una guerra nazionale e coinvolse molti altri feudatari. Come ai tempi di Mariano IV le truppe di L. dilagarono verso Cagliari e saccheggiando e distruggendo giunsero in vista della città. Dopo varie vicissitudini, nel 1477 L. fu dichiarato ribelle e i suoi feudi furono confiscati, per cui la guerra riprese investendo tutta la Sardegna. Dopo alcuni scontri, L. fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Macomer (9 maggio 1478). Fallito il tentativo di porsi in salvo oltre mare per il tradimento del capitano della nave su cui fuggiva, fu catturato con i suoi familiari e condotto prigioniero in Spagna. Rinchiuso nel castello di Xàtiva, una cittadina a sud di Valencia, vi fu tenuto prigioniero per sedici anni, e qui morı̀ il 3 novembre 1494. Sepolto nella piccola cappella del grande castello (che i re d’Aragona avevano trasformato in una vera e propria fortezza destinata a tenere prigionieri i loro nemici più temuti), neppure una iscrizione ricorda la sua presenza fra i più famosi ribelli all’arroganza del potere. Martino Marchese di Villasor, nato a Cagliari nel 1575 da Giacomo II. Era il secondogenito, ma dopo la rinuncia del fratello Giacomo ereditò i feudi. Nel 1597 chiuse le contese avviate dal padre e cosı̀ entrò in possesso del Barigadu Susu che unı̀ al patrimonio di famiglia, aggiungendovi i feudi di Giave e Cossoine che ebbe in dono dalla zia Caterina. Morı̀ nel 1622. Pietro Figlio del marchese Blasco Ilarione di Villasor, nacque a Cagliari nel 1633. Fattosi sacerdote, fu nominato canonico della cattedrale di Cagliari e si pose in evidenza per la sua cultura e le sue qualità umane. Nel 1669 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita; raggiunta la sua diocesi, si adoperò per migliorarne le condizioni. Nel 1672 fu nominato arcivescovo di Oristano; governò l’archidiocesi fino al 1684, quando fu trasferito a Majorca, dove morı̀ alcuni anni dopo. Salvatore Fratello di Leonardo, nacque a Oristano e qui fu allevato. Sposò Isabella de Besora, erede dei feudi della Trexenta e del Parte Ippis. Negli anni che seguirono il matrimonio avviò le trattative per acquistare il patrimonio feudale dei Dedoni e il feudo di Furtei dai Sanjust. Scoppiata la guerra tra Leonardo e Nicolò Carroz, con titubanza si schierò a fianco del fratello provocando con la sua scelta una difficile situazione familiare, perché suo figlio Pietro si era schierato decisamente a fianco del Carroz. Nonostante questo tormento, rimase fedele alla pa- 82 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 90 Albagiara rola data, e sebbene il re lo invitasse a staccarsi dal fratello offrendogli la contea del Goceano, lo sostenne nell’ultima disgraziata fase della guerra. Nel 1477 invase la Marmilla e nel 1478 fu alla battaglia di Macomer. Catturato con Leonardo e gli altri familiari, fu condotto anche lui prigioniero in Spagna e rinchiuso nel castello di Xàtiva. Nel 1490 ottenne il perdono del re e fu posto in libertà, ma gli fu impedito di tornare in Sardegna. Alagon, Carlo = Alagon Alari Antico villaggio posto nel territorio di Allai in località Planu Alisa, poco lontano dal paese. Nel Medioevo figura compreso nel giudicato d’Arborea, curatoria del Parte Barigadu. Secondo l’Angius sarebbe stato abbandonato dai suoi abitanti, che trasferirono la loro sede ad Allai. Alaterno Pianta arbustiva della famiglia delle Rhamnacee (Rhamnus alaternus L.). Tipica della macchia spontanea, in associazione con lentisco, corbezzolo ed erica, può crescere ad albero di bel portamento quando trova spazi aperti e liberi dalle altre essenze più prepotenti. Cresce su terreni aridi e su tutti i substrati, anche in prossimità delle coste. Ha foglie coriacee, alterne, con margine dentato, verde scuro e lucido. Fiori gialli unisessuali, su piante distinte, pendenti quelli maschili ed eretti quelli femminili. Fiorisce da febbraio ad aprile. I frutti, drupe prima rosse poi nere, hanno potere purgativo. Il legno, giallo scuro, viene utilizzato per lavori artigianali o al tornio. L’a. era conosciuto come pianta tintoria (varie tonalità di giallo) sin dall’antichità. Chi soffre di itterizia viene detto attasuráu, cioè del colore dell’a. (in sardo tásaru). In alcuni paesi sardi non si usa il legno dell’a. nel camino, perché si crede che faccia litigare chi vi sta vicino. Nomi sardi: ali- dérru (sassarese); labru arésti (nuorese); laru masciu (Sardegna settentrionale); linna niédda (Sarcidano); spásima (gallurese); tásaru (Sardegna centro-meridionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Alba, Luciano Archeologo e speleologo (n. sec. XX). Ha costituito il Centro Iglesiente di studi speleo-archeologici. Profondo conoscitore del territorio, ha approfondito gli studi relativi alla cultura di Monte Claro e di Bonnanaro, occupandosi in particolare della prima fase dello sfruttamento delle miniere nell’Età del Bronzo. Fra i suoi numerosi scritti, I depositi archeologici nelle grotte dell’Iglesiente, ‘‘Memorie dell’Istituto italiano di Speleologia’’, II, 1, 1982; Archeologia nel parco geominerario ambientale e storico dell’Iglesiente-Sulcis-Guspinese, in La Sardegna nel mondo mediterraneo. Atti del IV Convegno internazionale di studi geografico-storici, Sassari 1993, 1995; Nuovo contributo per lo studio del villaggio neolitico di San Ciriaco di Terralba, ‘‘Studi Sardi’’, XXXII, 2000. Albagiara – Pastore nei pressi della Giara di Gesturi. Albagiara Comune della provincia di Oristano, compreso nella XVII Comunità montana, con 294 abitanti (al 2004), posto a 215 m sul livello del mare ai piedi del versante nord-occidentale della Giara di Gesturi. Re- 83 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 91 Albagiara gione storica: Parte Usellus. Diocesi di Ales. & TERRITORIO Il territorio si estende per 8,95 km2. Ha grosso modo la forma di un rettangolo allungato da nord a sud e confina a nord con Sant’Antonio Ruinas, a est con Assolo e un’isola amministrativa di Cabras, a sud con Gonnosnò e a est con Usellus. Si tratta di un lembo di campagna pressoché pianeggiante, al confine con la Marmilla settentrionale tra la Giara e il monte Arci. La viabilità è assicurata dalla statale 442, che unisce Uras a Laconi e passa a poche centinaia di metri, mentre l’abitato è attraversato da una deviazione che si dirige verso sud. & STORIA L’attuale centro abitato è di origine medioevale. Faceva parte del giudicato d’Arborea ed era compreso nella curatoria di Parte Usellus col nome di Ollastra de Funtana o di Ollastra Usellus. Dopo la caduta del giudicato fu occupato dalle truppe del conte di Quirra ed entrò a far parte del Regnum Sardiniae unitamente al restante territorio della curatoria. Nei decenni successivi il conte avrebbe voluto continuare a possedere il Parte Usellus, ma al territorio era interessato il marchese di Oristano; per evitare conflitti fu pertanto amministrato direttamente da funzionari reali in un clima di calma apparente. Quando però, nel 1430, furono celebrate le nozze tra Eleonora Manrique Lara, parente del re, e il conte di Quirra Berengario Bertran Carroz, il villaggio entrò a far parte dei feudi concessi dal re alla Manrique per costituire la sua dote. In questo modo il villaggio fu compreso nella contea di Quirra e nei secoli successivi ne condivise la storia; nel 1511, dopo la morte della contessa Violante, passò quindi dai Bertran Carroz ai Centelles. I nuovi feudatari, che nel 1604 ottennero il titolo di marchese, si preoccuparono di riorganizzare l’amministrazione del loro vastissimo feudo dividendolo in dipartimenti che finirono per conservare caratteristiche culturali differenti in relazione alle loro tradizioni. Cosı̀ il villaggio e tutto l’Usellus, probabilmente grazie anche alla funzione che svolsero i vescovi di Ales, mantenne le sue caratteristiche tradizionali di centro di grande produzione cerealicola. L’ultimo Centelles designò come suo erede Francesco Pasquale Borgia e morı̀ nel 1674; la successione dei Borgia fu però contestata dai Catalan, che dopo una lunga lite riuscirono a venire in possesso del grande feudo nel 1726. La situazione del Regnum Sardiniae era cambiata, ma le condizioni del paese non subirono modificazioni: continuò a essere amministrato dai funzionari feudali in modo non eccessivamente fiscale. La lontananza dei feudatari, che vivevano in Spagna, accentuò le aspirazioni alla liberazione dalla dipendenza feudale delle sue popolazioni, le quali dopo il 1771 trovarono sostegno con la costituzione del Consiglio comunitativo: in effetti la situazione era molto confusa, tanto che quando il feudo, nel 1766, fu ereditato da Giuseppa Catalan, si manifestò l’opposizione di Filippo Osorio. Nelle more della lite, che si protrasse fino al 1798, il re pensò di riscattare il feudo, ma il suo progetto non venne realizzato per cui il villaggio, quando nel 1805 gli Osorio vinsero la causa, dovette riconoscere i nuovi feudatari. Nel 1821 il villaggio fu compreso nella provincia di Oristano e finalmente nel 1839 fu riscattato agli ultimi feudatari; dopo la ‘‘fusione perfetta’’ nel 1848, quando le province furono abolite, fu incluso nella divisione amministrativa di Cagliari. Questi alcuni dei dati e delle osservazioni registrati in questo periodo 84 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 92 Albagiara da Vittorio Angius: «Questo comune componesi di circa 88 famiglie, le quali hanno complessivamente anime 320, distribuite in maggiori maschi 98, femmine 100, e minori maschi 58, femmine 64. Le medie del movimento danno nascite 16, morti 13, matrimoni 3. Le malattie più frequenti sono infiammazioni d’addome, ostruzione, febbri intermittenti e perniciose. Nelle diverse professioni si numerano agricoltori 90, pastori 10, e applicati a vari mestieri 16; le donne lavorano in 74 telai. La scuola primaria non suole avere più di 6 fanciulli. Il totale di quelli che san leggere e scrivere non sorpassa i 15. È coltivata un’estensione di terreno di circa 1600 starelli, a vigna 90, a orto 6, e resta incolta per prato una superficie di circa 270 starelli. I buoi per l’agricoltura possono sommare a capi 100, le vacche manse a 30, i cavalli 20, i giumenti a 75, quali pascolano nei prati, nei chiusi e nelle terre incolte. Di bestiame rude si hanno vacche 45, capre 150, pecore 800. L’aria è veramente insalubre dalla fine di maggio all’autunno ben inoltrato, e i passeggeri devon andar con attenzione come in questa, cosı̀ nelle altre parti della valle usellitana per scansar le febbri, che possono essere mortifere». Quando nel 1848 furono ripristinate le province, il villaggio fu assegnato alla provincia di Oristano: peraltro continuò la propria esistenza di centro di produzione di cereali e la sua popolazione continuò a essere tormentata dalla malaria, piaga secolare che ne aveva sempre condizionato lo sviluppo. Nel 1927 perse l’autonomia e divenne frazione di Usellus; dopo l’eradicazione della malaria le sue condizioni migliorarono e la popolazione riprese a crescere, per cui nel 1959 riprese la propria autonomia; nel 1962, dopo molte discussioni, e al fine di evitare omonimie, as- sunse l’attuale denominazione; nel 1974 entrò a far parte della ricostituita provincia di Oristano. & ECONOMIA A. è centro tradizionale di produzione di cereali; discreta la produzione del formaggio; vi sono anche alcune imprese commerciali. Artigianato. In passato nel villaggio si sviluppava una certa attività tessile in telai domestici; la tradizione però non si è conservata. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 292 unità, di cui maschi 148; femmine 154; famiglie 122. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento con morti per anno 3 e nati 2; cancellati dall’anagrafe 4 e nuovi iscritti 9. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 241 in migliaia di lire; versamenti ICI 127; aziende agricole 77; imprese commerciali 14; esercizi pubblici 3; esercizi al dettaglio 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 72; disoccupati 7; inoccupati 79; laureati 3; diplomati 23; con licenza media 91; con licenza elementare 93; analfabeti 17; automezzi circolanti 94; abbonamenti TV 103. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio conserva numerose testimonianze archeologiche, tra cui i nuraghi Bingias, Furisinu, Lea e San Lussorio. Di particolare rilievo quest’ultimo, situato alle falde della Giara di Gesturi a poca distanza dall’abitato. È circondato da un villaggio nuragico costituito da un certo numero di capanne circolari utilizzate nel periodo del nuragico finale e poi anche in quello tardopunico. Gli scavi condotti in questo sito hanno restituito una buona quantità di ceramica. La presenza di insediamenti di epoca romana è confermata dai resti dell’antico abitato di Cuccuru Ruda, lungo la strada per Assolo: tra le rovine, che si estendono per circa un 1 85 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 93 Albaguana ha, sono state rinvenute alcune tombe e una moneta di bronzo di Agrippina. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’attuale abitato si è costituito attraverso l’integrazione di quattro vicinati, San Pietro, Pinna Fiscura, Su Forraxi e Planu Ibba, entro i quali è disposto il reticolo delle tipiche case a corte; il monumento più antico è la chiesa di San Pietro, costruita nel secolo XVI in forme tardogotiche: fu la prima parrocchiale del villaggio fino alla costruzione di quella attuale di San Sebastiano, e attualmente è inclusa nell’area del Cimitero. Nel 1690 fu rinnovata e abbellita grazie all’intervento di alcuni artigiani e artisti locali; vi si custodisce un interessante retablo. La chiesa di San Sebastiano, l’attuale parrocchiale, fu costruita nel corso del secolo XVII per venire incontro alle esigenze di una popolazione aumentata. Ha una sola navata, completata da alcune cappelle laterali e dal presbiterio; la copertura è in legno. Le forme della facciata, con impianto curvilineo e coronamento ad arco riflesso, sono di vaga impostazione barocca. Al suo interno sono conservati un pulpito ligneo del secolo XVII, l’altare maggiore in marmo della fine del Settecento e alcune statue lignee dei secoli XVII e XVIII. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa patronale si tiene il 20 gennaio ed è dedicata a San Sebastiano. Un’altra festa si celebra a fine settembre per San Lussorio. In questa occasione, oltre alle cerimonie religiose, si svolgono numerosi festeggiamenti civili, tra i quali i balli in piazza e i canti popolari dialettali. Le festa ha origine da un’antica tradizione in base alla quale il santo, mentre veniva condotto a Fordongianus per esservi martirizzato, sarebbe stato incatenato a un albero ad A.; in passato per l’occasione venivano effettuate spettacolari corse a cavallo. Albaguana Antico villaggio del giudicato di Gallura. Nel Medioevo appare genericamente compreso nella curatoria dell’Unali; secondo la stima del Panedda, agli inizi del secolo XIV aveva tra i 50 e i 100 abitanti; allo stato attuale delle conoscenze non è possibile identificarne l’esatta ubicazione. Albanella = Zoologia della Sardegna Albareale, Giacomo Religioso (?, prima metà sec. XV-Oristano 1458). Arcivescovo di Oristano nel 1454. Legato ai Cubello, favorı̀ l’insediamento nel marchesato dei frati minori osservanti, cui donò una chiesa vicino a Silı̀. Alberà, Enrico Ufficiale di carriera (Cagliari 1859-ivi 1941). Completati gli studi nell’Accademia militare, percorse una brillante carriera. Scoppiata la crisi tra Bulgaria e Turchia per il controllo della Macedonia, nel 1904 fu nominato comandante della missione italiana nella regione; dopo alcuni anni, nel 1909, divenne generale della gendarmeria turca. Tornato in Italia, prese parte alla guerra italo-turca (1911-12) e alla prima guerra mondiale. Albergoni, Giulio Scrittore, pittore (n. Bitti 1941). Dopo avere studiato arte a Sassari, è tornato al paese natale dove ha insegnato Educazione artistica nella scuola media e ha svolto contemporaneamente attività di pittore e scultore. Tra i suoi libri Quale memoria pro so’ remitanos (con Natalino Piras), 1982; Sa memoria e i sos contos, 1991; Pan’e mele, 1999; Calavrina. Saggio bilingue bittese, 1999; XXXV crejas. Le chiese di Bitti, 2002. Alberini, Giulio Cardinale (Fiorenzuola d’Arda 1664-Piacenza 1752). Consigliere mandato da Luigi XIV a Madrid al seguito di Filippo V, quando il sovrano rimase vedovo della prima 86 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 94 Alberti moglie si adoperò per farlo sposare con Elisabetta Farnese. Dopo le nozze (1715), grazie ai favori della nuova regina fu nominato cardinale e primo ministro. Fu la mente organizzativa della spedizione che Filippo V inviò in Sardegna per riconquistare l’isola. L’impresa militare ebbe un successo completo e la Sardegna tornò nelle mani del re di Spagna, ma la coalizione delle grandi potenze, temendo che questa situazione turbasse l’equilibrio europeo, costrinse il re a cedere l’isola nel 1720. Fallito il suo progetto, A. fu costretto a tornare in Italia alla corte pontificia. Legato pontificio in Romagna e poi a Bologna, fondò il collegio di S. Lazzaro a Piacenza. Albero di Giuda – Esemplari durante la fioritura. Albero di Giuda Pianta arborea spogliante della famiglia delle Leguminose (Cercis siliquastrum L.). Originaria delle regioni mediterranee orientali, è largamente diffusa in Sardegna: viene coltivata nel verde urbano, in orti e giardini, per la bellissima fioritura primaverile, di poco precedente alla fogliazione. I piccoli fiori rosa intenso sono inseriti direttamente sui rami, le foglie sono tondeggianti, lisce sui due lati, i frutti legumi bruno-rossicci che persistono sulla pianta sino all’inverno. Il nome volgare fa riferimento alla leggenda secondo la quale Giuda, sopraffatto dal rimorso, si sarebbe impiccato a quest’albero. Il legno è impiegato in lavori di ebanisteria e al tornio, grazie alla durezza e al bel colore rosso venato di scuro. Nomi sardi: áivure ’e Zuda (nuorese); silı́qua a frori arrùbiu (campidanese); tilı́mba furistèra (logudorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Alberti, Nino Giornalista (Cagliari 1873-Torino 1948). Nella giovinezza coltivò con successo studi musicali, cimentandosi con qualche buon risultato anche nella composizione. Dotato di buona cultura e di penna felice, passò dalla critica musicale, che peraltro seppe esercitare con equilibrio, alla trattazione di numerosi aspetti della vita culturale del suo tempo. Fu nominato redattore capo de ‘‘L’Unione sarda’’ nel periodo in cui, a cavallo fra Ottocento e Novecento, il giornale fu diretto da Marcello Vinelli. Furono anni felici, nei quali dalle colonne del giornale seppe registrare fedelmente gli umori e le tendenze della vita artistica e culturale di Cagliari durante la belle époque. Dopo la prima guerra mondiale si trasferı̀ a Torino dove collaborò come critico musicale a diversi giornali nazionali, sempre molto apprezzato per la sua competenza. Alcuni dei suoi numerosissimi scritti, di grande eleganza formale, sono anche utili documenti per la ricostruzione della storia culturale dell’isola durante i primi decenni del Novecento. Fra di essi, da ricordare: Barbagia, scene sarde in un atto, 1901; Scene sarde, versi e musica, 1902; Il maestro 87 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 95 Alberti Luigi Canepa, ‘‘L’Unione sarda’’, 1903; Artisti di Sardegna. Il pittore Melkiorre Melis, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1915; L’opera dei nostri artisti nel nuovo palazzo comunale di Cagliari, 1915; Gli artisti di Sardegna dopo la guerra, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1919. Alberti, Ottorino Pietro Religioso (n. Nuoro 1927). Arcivescovo di Cagliari dal 1987 al 2003. Nato da famiglia profondamente legata alle tradizioni della città, seguı̀ studi di agraria presso l’Università di Pisa dove ebbe modo di farsi notare, scoprendo addirittura un enzima ignoto nei processi di fermentazione del vino. Dopo la laurea, però, nel 1956 si fece sacerdote, dedicandosi con fervore ad attività pastorali e a studi sulla storia della diocesi di Nuoro-Galtellı̀. Trasferitosi a Roma, divenne segretario generale della Pontificia Università Lateranense; collaborò con ‘‘l’Osservatore Romano’’ e scrisse alcuni volumi di teologia sul rapporto tra scienza e fede che lo imposero all’attenzione generale per la loro attualità e profondità. Nello stesso periodo si dedicò agli studi di storia della Chiesa dando importanti contributi a opere collettive sulla storia dei Concili, sulla vita dei santi e sulla storia del Pontificio Ateneo. Questi studi non gli impedirono di continuare a interessarsi di storia della diocesi di Nuoro e Galtellı̀ e di approfondire alcuni aspetti della storia della Sardegna con amore e rigore scientifico insieme. Nel 1973 fu nominato vescovo di Norcia e arcivescovo di Spoleto; preso possesso della sua sede, diede un impulso notevole allo sviluppo delle due diocesi. Nel 1987 fu nominato arcivescovo di Cagliari; ha retto la grande diocesi con impegno, promuovendone lo sviluppo sul piano pastorale e su quello culturale e facendosi promotore del concilio plenario sardo; dopo sedici anni, nel 2003, compiuti i 75 anni, ha lasciato il governo della diocesi. Tra i suoi numerosi scritti, da ricordare, oltre la frequente collaborazione a periodici sardi come ‘‘Frontiera’’ di Remo Branca e ‘‘Il Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, gli studi su L’Unità del Genere umano nel magistero della Chiesa, 1961; I vescovi sardi al concilio Vaticano I, 1963; La Sardegna nella storia dei concili, 1964; Il Cristo di Galtellı̀, 1968; La sommossa de Su Connottu del 1868. Una lettera di Pio IX che illumina una pagina di storia nuorese, ‘‘Frontiera’’, 4, 1968; Il Nuorese cuore della Sardegna, 1972; Chiesa e società sarda tra i due concili regionali 19241990, 1990; La diocesi di Galtellı̀ dall’unione a Cagliari nel 1495 alla fine del secolo XVI, I, 1, 1993; Scritti di storia civile e religiosa della Sardegna, 1994; Le confraternite di Genovesi in Sardegna, in Sardegna, tra Medioevo ed età contemporanea, 2000. Importanti anche le voci per la Bibliotheca Sanctorum, 1961-1970, sui santi Nicola, Trano, Pio IX, Pompeiano, Rosa e Platano, Rosula, e quelle numerosissime, per il Dizionario dei Concili, 1963-1968. Alberto Religioso (m. Torres, sec. XII). Arcivescovo di Torres dal 1170 al 1178. Monaco benedettino, nel 1170 rimise il censo che il monastero di San Pietro di Nurki doveva versare alla basilica di San Gavino; durante il suo episcopato l’Ospedale di San Leonardo di stagno di Pisa ricevette in dono da Barisone, giudice di Torres, la domus di Bosove con il preciso impegno di costruirvi un lebbrosario. [MASSIMILIANO VIDILI] Alberto di Sicilia, santo (Alberto degli Abati ) Santo (Trapani 1212-Messina 1307). Carmelitano, sacerdote, teologo, a Messina, dove visse e morı̀ si dedicò moltissimo alle conversioni. Il suo culto è stato confermato nel 1457 e nel 1476. A Cagliari, nella chiesa della Ma- 88 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 96 Albizzati donna del Carmine, è raffigurato nel retablo attribuito a Francesco Pala (1600 ca.). [ADRIANO VARGIU] zione della Tunisia. Nella battaglia di Lissa, durante la terza guerra d’indipendenza (1866), fu accusato di aver fatto muovere in ritardo la sua flotta in soccorso dell’ammiraglio Persano. Collocato a riposo, morı̀ dieci anni dopo a Cassano Spinola. Albis Titolo marchionale. Fu concesso nel 1643 ai Manca Guiso in riferimento al grande feudo da loro posseduto nel Nuorese, che comprendeva i villaggi di Orosei, Galtellı̀, Dorgali, Irgoli, Loculi, Lula, Onifai. All’estinzione dei Manca Guiso con la morte di Raffaele nel 1788 il feudo fu considerato devoluto. La sorella del defunto, Maddalena sposata Amat, vi si oppose, e nel 1790 vide riconosciuto il suo diritto alla successione, ma non fu in grado di pagare le somme convenute col fisco per ottenere il possesso del feudo, per cui nel 1808 i villaggi furono definitivamente confiscati; alla famiglia Amat rimase solo il titolo, col predicato di Albis. Giovanni Battista Albini – Ammiraglio maddalenino, fu decorato con la medaglia d’oro al V.M. per il ruolo avuto nel 1860 nell’espugnazione di Ancona. Albizzati, Carlo Archeologo (Milano Albini, Giovanni Battista Conte, ammiraglio (La Maddalena 1812-Cassano Spinola 1876). Figlio dell’ammiraglio Giuseppe, seguı̀ la carriera del padre. Entrato giovanissimo nella Marina militare del Regno di Sardegna, partecipò già nel 1848 alle operazioni nell’Adriatico, e nel 1849 fu a Oporto per riportare in patria la salma di Carlo Alberto. Nel 1860 partecipò all’espugnazione di Ancona e fu per questo decorato di medaglia d’oro al V.M. Nel 1862 tentò invano di dissuadere Garibaldi dall’impresa che portò alla sconfitta dell’Aspromonte. Nel 1864 comandò, col grado di viceammiraglio, la squadra navale italiana inviata a Tunisi, elaborando un piano (non preso in considerazione) per lo sbarco e l’occupa- 1880-ivi 1950). Iniziò la sua carriera accademica nell’Università di Messina. Quando nel 1925 fu ricostituita la Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, fu chiamato a insegnarvi Archeologia ed Epigrafia greca e latina. Dopo alcuni anni fu trasferito all’Università di Pavia, dove operò fino al 1947 per passare poi a quella di Milano. Autore di numerose pubblicazioni, durante il suo soggiorno in Sardegna studiò con interesse alcuni aspetti dell’archeologia sarda, tra cui le iscrizioni della Grotta della Vipera. Tra i suoi scritti riguardanti la Sardegna, da ricordare Osservazioni sopra la Grotta della Vipera, ‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Cagliari’’, I-II, 1926-1927; Per la datazione delle figurine protosarde, ‘‘Historia’’, II, luglio-settembre 1928; Arche di Sardegna, ‘‘Mediterranea’’, III, 9, 1929; 89 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 97 Albucio A proposito dei bronzi sardi, ‘‘Historia’’, IV, 2, 1930; Analecta, note sulla cronologia dei nuraghi, ‘‘Athaeneum’’, 1930; Il mobile caratteristico della Sardegna, ‘‘Historia’’, IV, 6, 1930; Notula Sardonica, ‘‘Historia’’, IV, 1930. Albucio, Tito Funzionario romano, forse pretore in Sardegna nel 107 a.C. e propretore nell’anno successivo. Condusse azioni militari contro le popolazioni indigene ribelli. Cicerone, commentando queste attività, pone l’accento sulla differenza tra le azioni militari condotte in Sardegna, per le quali erano sufficienti un propretore con una sola coorte ausiliaria, e quelle condotte in Siria contro re potenti e milizie più agguerrite e preparate. In questo modo Cicerone non solo metteva in evidenza la presunzione di A., che aveva osato celebrare a Carales una sorta di trionfo privato, senza il permesso del Senato, ma anche il fatto che egli aveva avuto a che fare semplicemente con dei mastrucati latrunculi, ovvero briganti vestiti di pelli, e non certo con un esercito organizzato. Alla fine del suo mandato, i sardi accusarono A. di concussione. Il processo avvenne probabilmente tra il 105 e il 104 a.C., ma l’orazione Pro Sardis, pronunciata dall’accusatore Giulio Cesare Strabone, zio di Giulio Cesare, è andata perduta. Nella fase iniziale del processo si tentò un’azione diversiva facendo presentare in veste di accusatore Cn. Pompeo Strabone (padre di Pompeo Magno), che era stato suo questore, e dunque forse a conoscenza delle azioni illegali commesse dal suo superiore. Chiaramente, se fosse stata accolta la sua candidatura ad accusatore, il processo si sarebbe orientato fin dalle prime battute in modo scandalosamente favorevole a A. Fu invece accolta la richiesta di Giulio Cesare Strabone, cui seguı̀ l’accusa vera e propria. Alla fine delle varie fasi del processo, il pretore raccolse i voti dei membri della giuria, che si espressero a maggioranza per la condanna. A. scelse l’esilio, con il divieto di rientrare in patria, pena la morte, e decise di recarsi ad Atene, dove poté dedicarsi agli amati studi di filosofia in perfetta serenità d’animo. [ESMERALDA UGHI] Alburea Antica forma gallurese di enigma-indovinello in versi, rimasto in uso sino ad alcuni anni fa – secondo lo studioso di tradizioni popolari Andrea Mulas, professore all’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma – soltanto presso alcuni poeti di parlata gallurese residenti a Luras. Chi formula l’indovinello dice tre versi: la soluzione sta in un verso, in genere di tre parole, che mescolate tre volte danno tre versi di rima differente, da incastonare tra un verso e l’altro della terzina ‘‘di sfida’’, rispettandone il sistema di rime. Un esempio può rendere meglio l’idea. È un’a. composta dal poeta lurese Paolino Pirisinu davanti al noto studioso Alfonso M. Di Nola: «M’hana nadu chi Johnso’ / cando fit minore / ballaia sa samba». Il verso-chiave è costruito sulle parole Alfonso, professore, in gamba, la soluzione è: «M’hana nadu chi Johnso’ / professore in gamba est Alfonso / cando fit minore / Alfonso in gamba est professore / ballaia sa samba / Alfonso est professore in gamba». Straordinario reperto d’un mondo analfabeta in cui il possesso della parola era tutto (v. A. Mulas, L’enigma poetico: l’«alburea» gallurese, 1987). Alcaico Antico villaggio del giudicato di Gallura compreso nella curatoria della Balariana. Un tempo fiorente, cominciò a spopolarsi agli inizi del Duecento e fu abbandonato subito dopo la metà del secolo. Alcaide1 Funzionario che comandava le guardie di un castello o di una for- 90 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 98 Alciator tezza; in Sardegna compare per la prima volta nel secolo XIV dopo la conquista aragonese. Era nominato direttamente dal re e aveva una funzione differente rispetto a quella affidata al castellano: il suo compito principale consisteva nel custodire la fortificazione e in particolare le sue porte (a. del Castello di Cagliari) con un’adeguata guarnigione. Col tempo la funzione della custodia delle porte divenne preminente e l’a. finı̀ per diventare il funzionario che regolava l’accesso alla fortezza anche mediante l’imposizione di tributi; l’ufficio in alcuni casi fu concesso ereditariamente, come ad esempio avvenne a Cagliari con la famiglia Zapata, che ne trasse notevoli profitti. A partire dalla seconda metà del secolo XVI, con la costruzione delle torri costiere destinate alla difesa delle coste dalle incursioni dei corsari barbareschi, fu istituita una nuova figura di a. Il nuovo funzionario aveva compiti e ruolo radicalmente diversi rispetto a quelli dell’a. tradizionale e i suoi doveri furono minutamente regolamentati. L’a. divenne un funzionario militare nominato dal viceré e posto a capo di una delle torri più importanti o di un gruppo di torri secondarie e vicine tra loro. Il suo compito era quello di comandare la guarnigione dislocata nelle torri che da lui dipendevano, di provvedere al coordinamento delle operazioni di difesa in caso di sbarco dei corsari e di coordinare l’azione dei miliziani che fossero accorsi dai villaggi vicini. In tempo di pace aveva anche il compito di reprimere il contrabbando. Alcalde2 Termine del linguaggio giuridico spagnolo che in Sardegna era genericamente riferito a un giudice o a un delegato di giustizia che aveva giurisdizione su una parte di territorio o su un’attività o un ufficio (alcaldia o alcadı̀a). Alcazar y Nero Famiglia feudale spagnola. Nel 1863 ereditò dai Masons i titoli di marchese dell’Isola Rossa, conte di Montalvo, conte del Castillo, barone di Posada, barone di Senis e signore del castello della Fava, che la famiglia nel corso dei secoli aveva ottenuto su feudi sardi. Alchechengi, Falso Piccolo cespuglio dai rami legnosi, ricoperti di peli stellati. Appartiene alla famiglia delle Solanaceae (Physalis somniphera L.) e si trova in pochissimi esemplari lungo un corso d’acqua del Nuorese. I fiori piccoli, ascellari, fioriscono dai mesi estivi sino a dicembre inoltrato. La sua importanza è dovuta alle sue proprietà medicinali, oggetto di studi da parte di botanici e biochimici. Si suppone che siano simili a quelle della specie affine, Physalia alkekengi, presente soltanto in coltivazioni: gli infusi e i decotti di steli e foglie hanno proprietà calmanti e antinfiammatorie. Il frutto, una bacca rosso-arancio circondata da involucri membranosi e trasparenti, viene usato come guarnizione di pietanze e negli addobbi natalizi. Nome sardo: tutússu. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Alciator (o Alziator) Famiglia cagliaritana (sec. XVI-esistente). Compare nel corso del secolo XVI come componente della fiorente colonia ligure della città; gli A. erano mercanti e alla fine del Cinquecento figuravano tra i più influenti membri dell’Arciconfraternita dei Genovesi. La posizione economica raggiunta dalla famiglia si deduce dall’ammontare delle contribuzioni che essi fecero alla colletta per la costruzione della chiesa di Santa Caterina. Pur non essendo nobili, nel corso del secolo XVII alcuni di essi ricoprirono importanti uffici pubblici, 91 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 99 Alcioni come Giovanni Maria che nel 1639 fu nominato coadiutore del maestro razionale. Fu probabilmente suo figlio, il dottor Gaspare Valerio, curatore del Regio Patrimonio e giudice della Reale Udienza, che nel 1681 ottenne il cavalierato ereditario. I suoi discendenti continuarono a risiedere a Cagliari e nel corso dei secoli espressero alcune personalità di rilievo nella vita pubblica e nella cultura, come Francesco Alziator (1909-1977). edizione del concorso letterario nazionale per inediti ‘‘Junturas’’ di Orani (opera pubblicata nel 2003). Ha scritto anche un libro per ragazzi, Il segreto della casa abbandonata (2004); e, in collaborazione con Antonimaria Pala, un romanzo in sardo, Addia (2004), dove l’uso del campidanese da parte sua e del logudorese da parte del coautore è introdotto per additare esplicitamente la possibilità di una unificazione linguistica e la sostanziale unità della nazione sarda. Aleardo Religioso (?, prima metà sec. XIII-Oristano, 1268 ca.). Appartenente all’ordine dei Francescani, era vescovo di Ragusa quando nel 1268 fu nominato arcivescovo di Oristano da Clemente IV. Giunto in Sardegna, vi morı̀ pochi mesi dopo. Aledda, Aldo Saggista (n. Sassari 1946). Paola Alcioni – Poetessa e narratrice in sardo e in italiano, ha vinto il premio ‘‘Junturas’’ nel 2002 col romanzo La stirpe dei re perduti. Alcioni, Paola Poetessa e scrittrice bilingue (n. Cagliari 1955). Ha compiuto il suo apprendistato partecipando attivamente ai concorsi letterari in lingua sarda e, utilizzando la variante campidanese, si è affermata nei maggiori, quali il ‘‘Posada’’, il ‘‘Romangia’’ di Sennori-Sorso e l’‘‘Ozieri’’. Anche la sua prima affermazione come narratrice in lingua italiana è legata a un premio letterario: col romanzo La stirpe dei re perduti, una saga familiare che ha per sfondo la Sardegna della dominazione iberica del Settecento e del Novecento, ha vinto nel 2002 la prima Funzionario dell’amministrazione regionale, studioso di problemi sociali, per alcuni anni ha fatto parte della commissione scientifica della Regione incaricata di studiare il fenomeno dell’emigrazione sarda. Dal 1983 ha lavorato presso il Fondo Sociale istituito dalla Regione per l’assistenza agli emigrati, dirigendolo per alcuni anni. Il suo incarico gli ha permesso di incontrare le varie comunità sarde nel mondo e di farsi una larga esperienza del problema. Alcuni dei suoi scritti sono di grande utilità per la ricostruzione della storia dell’emigrazione in Sardegna. Ha anche insegnato Storia dello sport all’Isef di Cagliari. Tra i suoi scritti, Breve storia dello sport in Sardegna, 1982; I sardi nel mondo, 1991; Nel sacro recinto di Olimpia. Per una storia sociale dello sport, 1991; La sfinge di carta, 1994, un arguto pamphlet sulla burocrazia della Regione sarda ‘‘vista dal di dentro’’. Aleffi, Giuseppe (detto Pino) Ufficiale dei carabinieri (n. Asmara 1939). Dopo 92 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 100 Aleo essersi diplomato è entrato nell’Arma dei Carabinieri percorrendo una brillante carriera. Stabilitosi in Sardegna nel 1966, ha ricoperto importanti incarichi fino a dirigere la Scuola allievi carabinieri di Iglesias. Candidato nel Polo delle Libertà, nel 1996 è stato eletto deputato per la XII legislatura repubblicana nel collegio di Guspini. Nelle elezioni del 2001 non è stato riconfermato. Alegre, Francesco Religioso (?, prima metà sec. XIV-Villa di Chiesa 1364). Entrato nell’ordine domenicano, fu eletto provinciale; nel 1359 fu nominato vescovo di Sulci da Innocenzo VI. Raggiunta la sua diocesi, si stabilı̀ a Villa di Chiesa, che pochi anni dopo fu investita dalla seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV. Aleman Famiglia cagliaritana di origini genovesi (secc. XVII-XVIII). Trapiantata a Cagliari nel corso del secolo XVII da Pietro, uno dei mercanti attirati in Sardegna dalle possibilità di investimenti vantaggiosi. Una volta radicato a Cagliari Pietro seppe intessere utili alleanze con altre famiglie della borghesia e fece studiare suo figlio Stefano che, dopo aver conseguito la laurea in Legge, entrò nella carriera giudiziaria e divenne assessore del vicario reale di Cagliari. Avvocato fiscale, nel 1661 ottenne il cavalierato editario; nel 1668 sostenne la pubblica accusa nel processo contro il marchese di Cea e nel 1669 fu nominato giudice della Reale Udienza. La famiglia si estinse nel 1734 con un Giovanni Battista. Alemena, Bernardino Giurista (Cosenza 1861-ivi 1915). Può essere considerato uno dei fondatori della scuola critica del diritto penale. Nel corso della sua brillante carriera accademica ebbe una breve esperienza in Sardegna (nel 1898 insegnò Diritto e pro- cedura penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari). Nell’anno successivo si trasferı̀ a Modena, ma del soggiorno in Sardegna rimane testimonianza in molti articoli che pubblicò ne ‘‘La Nuova Sardegna’’. Aleo Famiglia cagliaritana di origini catalane (secc. XVI-XVII). Le prime notizie risalgono agli inizi del secolo XVI: di condizione borghese, raggiunse in pochi decenni una posizione di rilievo nella vita della città. Il primo personaggio noto di questo primo periodo fu Salvatore, che nel 1510 fu nominato segretario ordinario della Luogotenenza generale. Probabilmente era uno di quei funzionari venuti dalla Spagna per rendere più efficace l’amministrazione reale; i suoi figli furono personaggi di spicco nella vita di Cagliari e radicarono definitivamente la famiglia in città. Di essi Michele prese parte all’impresa di Tunisi e nel 1536 ottenne il riconoscimento della nobiltà; Francesco nel 1538 ereditò l’ufficio di segretario ordinario della Luogotenenza generale; Salvatore divenne coadiutore del maestro razionale e nel 1544 fu nominato maestro razionale; sposando una Margens si legò a una delle più potenti consorterie dell’aristocrazia cagliaritana e alcuni anni dopo ottenne il cavalierato ereditario. Suo figlio Francesco nel 1564 fu ambasciatore di Cagliari presso Filippo II per definire gli obblighi della città nei confronti dell’amministrazione reale; nel 1583 fu nominato coordinatore della contabilità della città. Furono suoi nipoti un altro Francesco, dotto giureconsulto, e Giorgio, autore di importanti opere sulla Sardegna, col quale la famiglia si estinse. Aleo, Francesco Giureconsulto (Cagliari, seconda metà sec. XVI-ivi, dopo 1641). Visse a Cagliari e dopo es- 93 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 101 Aleo sersi laureato si diede all’esercizio della libera professione, raggiungendo una grande notorietà, per cui fu chiamato a insegnare diritto all’Università di Cagliari, allora nella sua fase di avvio. Studioso di valore, nel 1637 pubblicò il trattato Consilia diversorum auctorum in unum congesta e successivamente numerose memorie i cui manoscritti sono attualmente custoditi nella Biblioteca Universitaria di Cagliari, utili per lo studio della cultura del secolo XVII in Sardegna. Fra gli scritti legati alla sua attività di avvocato, Por don Pedro Angel Mura ciudadano de la mag. ciudad de Oristano contra Estevan Atzori de dicha ciudad, 1636; Por Pedro Maria Aleman mercader de la presente ciudad de Caller contra Hyeronimo Morteo heredero de quondam Juan Baptista Morteo, 1640; Causa de visita y defença de ministros de iusticia, 1641. Aleo, Giorgio Storico (Cagliari 16101685). Frate cappuccino, visse serenamente nella sua città dedicandosi agli s t u d i di s t o r i a c h e p r e d i l i g e v a . Quando era rettore del convento di S. Benedetto, nel 1671, fu sospettato di essere coinvolto nell’affare Camarassa, che aveva turbato gravemente la vita politica della città alcuni anni prima. Fu pertanto esiliato a Castel Vetrano dal viceré duca di San Germano e per alcuni anni visse in Sicilia dove portò a termine la stesura delle sue due opere principali, Historia cronológica y verdadera de todos los sucesos y casos particulares sucedidos en la Isla y Reyno de Sardeña del año 1637 al año 1672, manoscritto Sanjust del secolo XVII, Biblioteca Universitaria di Cagliari (dell’opera, composta fra il 1672 e il 1673, esiste ora anche una traduzione a cura di F. Manconi, Storia cronologica e veridica dell’isola e Regno di Sardegna dall’anno 1637 al- l’anno 1672, 1998) e Sucessos generales de la Isla y Reyno de Sardeña, che per la sua morte non fu mai pubblicata. Solo nel 1675 gli fu consentito di tornare a Cagliari e di riprendere la sua vita tranquilla e i suoi studi. Sui Sucessos generales, che rivendicavano «certi titoli patrimoniali della Chiesa sarda a danno degli interessi della Corona» spagnola (F. Manconi) cadde l’interdizione del re che, aggiunta alla previsione di alti costi editoriali, ne impedı̀ la pubblicazione. F. Manconi cita anche una nota di Matteo Luigi Simon secondo cui, in età sabauda, «gli agenti piemontesi ebbero sempre cura di ritirare dalla circolazione tutti gli esemplari che poterono procurarsi». Altrettanto accadde alla Historia cronológica che pure – secondo Manconi – «è un documento che permette all’indagine storica di recuperare dati sconosciuti, di mettere a fuoco personaggi, titoli e cariche importanti per un approccio prosopografico, di conoscere piccole realtà sociali ed umane rimaste in ombra nelle carte degli archivi pubblici». Alepus Famiglia valenzana (secc. XVXVI). Originaria di Morella, si trasferı̀ a Cagliari nel corso del secolo XV; era di condizione borghese e nel 1505 uno dei suoi membri fu eletto consigliere della città. Poco tempo dopo la famiglia si trasferı̀ a Sassari imparentandosi con i Manca e nel 1526 ottenne il riconoscimento della nobiltà con Francesco, fratello di Salvatore, arcivescovo di Sassari. Alepus, Salvatore Religioso (Valencia, inizi sec. XVI-Sassari 1566). Arcivescovo di Sassari dal 1524 al 1566. Uomo di grande cultura e di profondo rigore morale, nel 1524, all’età di circa 21 anni, fu nominato arcivescovo di Sassari con la clausola che sarebbe rima- 94 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 102 Ales sto solamente amministratore dell’archidiocesi fino all’età di 27 anni, dopo la quale fu ordinato vescovo. Legato al viceré Antonio Cardona, lo sostenne nella sua opera di riforma dell’amministrazione e di moralizzazione dell’ambiente politico, provocando cosı̀ la reazione delle consorterie nobiliari di Sassari nei suoi confronti. Partecipò alla prima (1545-1547) e alla seconda (1551-1557) sessione del concilio di Trento, dove si distinse per la sua dottrina; al suo ritorno ebbe dei contrasti con alcuni canonici del capitolo turritano sanati grazie all’intervento di Pio IV. Celebrò sinodi e compı̀ visite pastorali con l’intento di applicare le riforme tridentine. Compose diverse opere, tra le quali l’Officium dei santi martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario, del quale non è rimasta copia, e alcuni discorsi. Scomparve nel 1566. [MASSIMILIANO VIDILI] Ales – Piazza Gramsci. Il monumento di Giò Pomodoro ad Antonio Gramsci, che qui nacque nel 1891. Ales Comune della provincia di Oristano, sede della XVII Comunità montana, con 1599 abitanti (al 2004), posto a 194 m sul livello del mare alle falde sud-orientali del monte Arci. Regione storica: Parte Usellus. Sede della diocesi di Ales-Terralba. & TERRITORIO Il territorio si estende per 21,65 km2. Ha forma allungata nella direzione da sud-est a nord-ovest e confina a nord con Pau e Villa Verde, a est con Usellus e Gonnosnò, a sud con Baressa e Simala, a ovest con Pompu, Morgongiori e Santa Giusta. Parte di questa area è occupata dai rilievi del monte Arci, tutto di origine vulcanica, tra i quali le cime di Conca Mraxi, 672 m, Pitzu Teneru, 500, e Conca de Seda, 789. Numerosi i giacimenti dell’ossidiana, la pietra lavica molto ricercata in epoca preistorica, mentre alle falde del monte si annoverano importanti sorgenti che danno vita ad alcuni corsi d’acqua. Per il resto il territorio di A. è occupato tutto da rilievi collinari. Il paese è servito dalla statale 442 UrasLaconi, dalla quale in questo punto si dipartono le secondarie per Sardara, per Pau e Villa Verde e per il monte Arci. & STORIA L’attuale centro ha origini altomedioevali ed è posto in posizione strategica nel giudicato d’Arborea; l’abitato, protetto dal castello di Barumele, era compreso nella curatoria di parte Usellus. Dopo che la città di Usellus decadde definitivamente, A. divenne il capoluogo amministrativo della curatoria e, a partire dal 1195, la sede della diocesi. Nei secoli successivi la sua importanza crebbe. Dopo la caduta del giudicato d’Arborea, trascorsi i primi anni di tensione politica, fu amministrato direttamente dalla Corona e, prima del 1430, compreso nei territori concessi in feudo a Eleonora Manrique, andata sposa a Berengario Bertran Carroz. In questo modo A. entrò a far parte della contea di Quirra e sotto i Bertran Carroz mantenne la sua importanza. Soprattutto la contessa Violante II, che secondo una tradizione amava risiedervi, avviò la ristrutturazione della cattedrale dedicata a San Pietro. Nel secolo successivo A. passò dai Bertran Carroz ai Cen- 95 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 103 Ales telles, che dotarono la sua chiesa di ricche suppellettili. Agli inizi del Cinquecento il paese era semispopolato: sembra che la cattedrale fosse isolata, nei decenni successivi però i nuovi feudatari e il vescovo ne favorirono il ripopolamento che alla fine del secolo si poté dire concluso. I Centelles si estinsero nel 1676, lasciando eredi i Borgia; fu in questo periodo che per impulso di monsignor Diego Cugia la cattedrale fu rifatta nelle forme attuali da Domenico Spotorno e furono costituite le scuole vescovili. La successione dei Borgia fu contestata dai Catalan che, dopo una lunga lite, riuscirono a venirne in possesso nel 1726; dai Catalan alla fine del secolo XVIII passò agli Osorio; negli stessi anni vi furono istituiti il Consiglio comunitativo e la giunta che governava il Monte granatico, istituzioni che contribuirono a modernizzare la vita della comunità. Nel 1821 A. divenne capoluogo di mandamento e fu compresa nella provincia di Oristano, nel 1839 si riscattò dagli ultimi feudatari. Abolite le province, nel 1848, fu inclusa nella divisione amministrativa di Oristano fino al 1859. Di questo periodo sono le osservazioni di Vittorio Angius, dal tono prevalentemente negativo: «Vi sono da 280 case; le vie sono senza selciato o lastrico, polverose in estate quanto fangose in inverno. Non vi è alcun palazzo rimarchevole, né pur l’episcopio, che è una casa a pian terreno di poca comodità, e indegna di alloggiare un personaggio di alto grado. Il paese, cui fanno corona cinque eminenze o piccoli colli, risentesi di molta umidità, cui aumenta un ruscello che viene dalla montagna, Il vento che più vi signoreggia è il scirocco. L’aria è infamata meritatamente come una delle più insalubri. Quindi più che i raffreddori, catarri e punte dominano le febbri intermittenti, e più spesso le perniciose. Pochi sono che esercitino le arti più necessarie agli usi della vita: vi è molta oziosità, e piace soprattutto mendicare che procacciarsi coi propri sudori la sussistenza. Le donne, come in ogni altro paese, attendono ai telai, il cui numero non avanza di molto li 200. Quel che vi abbia di meglio in questo luogo si è la chiesa cattedrale e insieme parrocchiale. La maggior parte dell’alese è atto al seminario, specialmente del grano e delle fave; il restante fruttifica più seminato a orzo, o a ceci. La vite alligna da per tutto, e perciò si coltiva da molti. Il bestiame pascola nei campi e terreni incolti, e nel prato, a riserva delle cavalle e delle capre, che per la maggior parte dell’anno nutronsi in territorio altrui. Il numero delle cavalle arriva a 100, dei buoi a 160, dei tori a 100, delle pecore a 1400, delle capre a 1000, dei porci a 300». In seguito A. fu compreso nella provincia di Cagliari fino al 1974, anno in cui, ricostituita la provincia di Oristano, tornò a farne parte. & ECONOMIA L’attività principale di A. è tradizionalmente la produzione dei cereali, vi è anche ben sviluppata la frutticoltura; nel corso del secolo XX infine è divenuta sede di numerose piccole attività manifatturiere e ha una discreta rete commerciale. Artigianato. Si ha memoria della esistenza ad A. di un’antica tradizione dl ricamo a filet che però attualmente sembra dimenticata. Oggi prevalgono l’edilizia e le altre produzioni al servizio di questa. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1664 unità, di cui stranieri 1; maschi 822; femmine 842; famiglie 580. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con morti per anno 13 e nati 14; cancellati dall’anagrafe 45 e nuovi iscritti 17. Tra 96 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 104 Ales gli indicatori economici: depositi bancari 25 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 16 086 in migliaia di lire; versamenti ICI 687; aziende agricole 251; imprese commerciali 104; esercizi pubblici 1; esercizi all’ingrosso 3; esercizi al dettaglio 42; ambulanti 9. Tra gli indicatori sociali: occupati 461; disoccupati 48; inoccupati 143; laureati 31; diplomati 231; con licenza media 502; con licenza elementare 476; analfabeti 86; automezzi circolanti 535; abbonamenti TV 506. Ales – La cattedrale fu edificata in forme barocche nel Seicento su disegno del genovese Domenico Spotorno. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva numerose tracce del periodo romano. Importante è anche il sito in cui si trovano le rovine del castello di Barumele: l’edificio, che sorgeva su un colle a poca distanza dall’abitato, era un piccolo avamposto militare costruito in età giudicale, attualmente ridotto a pochi ruderi di una torre a pianta ottagonale. Appartenne alla contessa Violante Carroz e secondo la tradizione a una finestra del castello venne trovato impiccato un prete che si sarebbe suicidato per amore di Violante; ma la donna fu imprigionata perché accusata di averlo fatto uccidere. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il più importante mo& numento del villaggio è la cattedrale di San Pietro: costruita prima del secolo XI, fu sede del vescovo di Usellus; tra il secolo XIV e il XV l’edificio fu inglobato in un altro di proporzioni maggiori, che però crollò entro la fine del Quattrocento. Agli inizi del XVI fu ricostruito a opera della contessa Violante Carroz, ma alla fine del secolo fu ancora una volta distrutto da un incendio. In seguito fu ricostruito e ha assunto le forme attuali con l’intervento dell’architetto Domenico Spotorno a partire dal 1686. Annesso alla cattedrale è il Museo diocesano, le cui collezioni sono custodite in due ambienti: la sacrestia dei canonici, arredata con bei mobili intagliati del Seicento, dove è custodito tra le altre cose un magnifico crocifisso in legno, insieme a paramenti dei secoli XVI, XVII e XVIII; nell’Archivio capitolare, invece, sono custodite le argenterie di cui il Duomo è dotato, in buona parte opera di botteghe sarde. I pezzi di maggiore interesse sono un reliquiario e un crocifisso astile del secolo XV di scuola cagliaritana, un calice gotico del Cinquecento, sempre di scuola cagliaritana, più anfore e altri calici, arredi, candelabri, e ancora tre anfore olearie cesellate del Seicento, opera dell’argentiere Giovanni Mameli, e numerose statue lignee dei secoli XVI e XVII. Sempre accanto alla cattedrale sono il Seminario Tridentino e gli Archivi, ospitati in un palazzo costruito nel 1703 e completato nel 1825; di particolare interesse è l’Archivio Storico diocesano che comprende materiali provenienti dall’Archivio della Curia vescovile e da quello del Capitolo. Recentemente i fondi documentali dei due archivi sono stati riordinati secondo criteri scientifici e aperti al pubblico. Frequentatissimi da stu- 97 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 105 Alesani diosi e studenti universitari, contengono importanti documenti collocabili tra il secolo XV e il XIX, di grande utilità per ricostruire la storia locale. Attiguo al Duomo è anche l’oratorio della Madonna del Rosario, costruito anch’esso nel Seicento in forme baroccheggianti. L’interno è ricco di decorazioni marmoree e sormontato da una cupola; la facciata è abbellita da un campanile a vela, da due portali architravati e da una grande finestra. Altro interessante monumento di A. è la piazza Gramsci, scenograficamente disposta all’ingresso del paese per chi arriva da Uras. Fu realizzata nel 1977, in occasione del quarantesimo anniversario della morte del grande intellettuale, a opera del celebre scultore Giò Pomodoro. Tutta in pietra calcarea e granito di colore chiaro, si presenta come un ‘‘piano d’uso’’ popolato da simboli della civiltà e dell’economia locali; Gramsci, che era nato in questo villaggio nel 1891, è ricordato con un cerchio di pietra spezzato appoggiato su un basamento quadrato. Nella vicina frazione di Zeppara è stato aperto da poco, nei locali ormai inutilizzati di una scuola, l’interessante Museo del giocattolo tradizionale della Sardegna, mentre nel nucleo principale ha sede il Museo cinematografico di A., che raccoglie, oltre a pubblicazioni sull’argomento, pellicole e macchine da proiezione. Il paese è infine punto di partenza per numerose escursioni sul monte Arci, dove, oltre a visitare le cave di ossidiana e raggiungere boschi e fonti di grande pregio naturalistico, si gode della vista sulle regioni sottostanti. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Il patrimonio delle tradizioni popolari è costituito principalmente dalla pratica del ballo e del canto che, molto comune in passato, rivive attualmente in alcune feste popolari. Tra queste quella di San Sebastiano, che si svolge il 20 gennaio: per l’occasione si tiene il tradizionale falò in piazza e i presenti eseguono il ballu tundu. Caratteristica è anche la festa della Madonna di Acquafrida che si svolge nella prima domenica di agosto in un suggestivo parco sul monte Arci e culmina in una processione nel bosco cui seguono interessanti manifestazioni folcloristiche. Ad A. si tiene invece in una data mobile di primavera quella del Corpus Domini. Alesani – Arma. Mercanti di origine ligure, ottennero la nobiltà nel 1752. Alesani Famiglia ligure (secc. XVIIXVIII). Si trasferı̀ a Cagliari alla fine del secolo XVII e avviò in città una fiorente attività commerciale. Nel corso del secolo XVIII raggiunse una posizione economica di particolare rilievo e nel 1752 ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Raimondo; si estinse alla fine del secolo. 98 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 106 Ales-Terralba cessore Giulio II nel 1503. [MASSIMILIANO VIDILI] Alessandro, santo Santo (m. 250). Mar- Alessandro III – Al secolo Rolando Bandinelli, fu papa dal 1159 al 1181. Incisione. tire cristiano di Alessandria d’Egitto, carbonaio (perciò soprannominato ‘‘il Carbonaio’’) a Comana nel Ponto, dove si era trasferito dopo aver venduto i beni ereditati dalla sua nobile e ricca famiglia e distribuito il ricavato ai poveri. Da San Gregorio taumaturgo (213270) fu consacrato vescovo di Comana. Sotto la persecuzione di Decio fu arrestato, incatenato, torturato, gettato nella calce viva, che spense la sua vita e consumò il suo corpo, il 12 dicembre del 250. Compagno di martirio, Sant’Epimaco d’Alessandria. Qualche agiografo sostiene che morı̀ arso vivo sotto Aureliano, imperatore romano dal 270 al 275, per essersi opposto al culto del Sole. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 15 novembre a Guspini. Alessandro III Papa dal 1159 al 1181 Alessandro Siciliano, santo Santo (m. (Siena, 1110 ca.-Civita Castellana 1181). In reazione all’attribuzione del titolo di rex Sardiniae a Barisone I d’Arborea nel 1164 e soprattutto della successiva infeudazione dell’isola ai Pisani nel 1165, A. III per la prima volta rivendica la proprietà della Sardegna in nome della Sede apostolica, nel 1167-68, quando scrive all’arcivescovo di Genova rivelandogli la sua preoccupazione per un tentativo dei Pisani di sottrarre la Sardegna «dominio et iurisdictioni Sancti Petri». Tunisi 1312). Mercedario, morto sul rogo, dopo aver redento un’infinità di schiavi. È considerato protomartire dei Mercedari di Cagliari. [ADRIANO VAR- Alessandro VI Papa dal 1492 al 1503 (Xàtiva, Spagna, 1431-Roma 1503). Nel 1493 Ferdinando II, re d’Aragona, gli presentò il suo progetto di riforma della mappa ecclesiastica della Sardegna. Le trattative tra il papa e il re aragonese si protrassero a lungo: la revisione delle circoscrizioni ecclesiastiche fu sancita dal pontefice nel 1502 con una bolla che fu pubblicata dal suc- GIU] Ales-Terralba, diocesi di Diocesi nata nel nel 1507, quando papa Giulio II unı̀ le diocesi di Ales e di Terralba. La nuova diocesi ha giurisdizione sulle chiese di Albagiara (Ollasta), Ales, Arbus, Baradili, Baressa, Collinas, Curcuris, Escovedu, Figu, Genuri, Gonnoscodina, Gonnosfanadiga, Gonnosnò, Gonnostramatza, Guspini, Las Plassas, Lunamatrona, Marceddı̀, Masullas, Mogoro, Morgongiori, Pabillonis, Pau, Pauli Arbarei, San Gavino Monreale, San Nicolò d’Arcidano, Sardara, Setzu, Siddi, Simala, Sini, Siris, Tanca Marchesa, Terralba, Tuili, Turri, Uras, Usellus, Ussaramanna, Villacidro, Villanovaforru, Zeppara. Attualmente è una diocesi suffraganea di Oristano; il 99 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 107 Ales-Terralba vescovo risiede ad Ales in un palazzo situato su un colle prospiciente la cattedrale. La diocesi ha 57 parrocchie. VESCOVI DI ALES (USELLUS) STORICAMENTE CERTI 1. Murrellu, ricordato come vescovo nel 1146 nel condaghe di Santa Maria di Bonarcado. 2. Comita Pais, fu il primo a portare il titolo di vescovo di Ales e governò la diocesi dal 1164 al 1195. 3. Mariano, attestato nel 1206. 4. Giovanni Marras, in carica tra il 1232 e il 1237. 5. Roberto Drago, domenicano, proveniva da Pisa; fu vescovo tra il 1312 e il 1320. 6. Giovanni, vescovo nel luglio 1330. 7. Giovanni di Vieri, nel 1329 era stato eletto vescovo di Galtellı̀, ma fu rimosso da papa Giovanni XXII che nel 1330 lo nominò vescovo di Ales; governò fino al 1367. 8. Giacomo, arciprete di Oristano, in carica dal 1367 al 1373, anno in cui fu nominato nunzio e collettore pontificio da Urbano V. 9. Cristoforo fu vescovo prima del 1396. 10. Gomezio è ricordato come vescovo dopo Cristoforo. 11. Antonio De Roma, nominato vescovo nel 1396, nel 1402 fu trasferito per punizione al convento di Santa Maria sopra Minerva in Roma. 12. Giacomo era vescovo di Strongoli, da dove venne trasferito nel 1402; nel 1403 fu trasferito a Lavello. 13. Giovanni, trasferito nel 1403 da Lavello ad Ales. 14. Pietro, dottore in Decretali, fu nominato dall’antipapa Benedetto XIII nel 1412; nel 1414 fu trasferito a Cagliari e resse l’archidiocesi fino al 1422. 15. Pietro Spinola, benedettino del monastero di Santa Maria (diocesi di Parma), trasferito da Savona ad Ales dall’antipapa Giovanni XXIII. 16. Bernardo Rubeo, minore e maestro in Teologia, governò la diocesi tra il 1418 e il 1421. 17. Giovanni da Campolungo, carmelitano e maestro in Teologia, resse la diocesi tra il 1421 e il 1425. 18. Giacomo da Villanova, minore e vicario del suo ordine in Sardegna, resse la diocesi tra il 1425 e il 1439. 19. Giovanni Garsia, domenicano: la sua candidatura a vescovo fu presentata nel 1439 da Alfonso V, re d’Aragona, di cui era confessore, al concilio scismatico di Basilea, ma dopo pochi mesi fu sicuramente riconosciuto dalla Santa Sede. Nello stesso anno il concilio avrebbe voluto confermare un certo Bernardo de Monester che era stato eletto dal capitolo; nel 1444 Giovanni Garsia fu trasferito a Siracusa. 20. Bernardo di Michele, domenicano e maestro in Teologia (forse lo stesso de Monester), resse la diocesi dal 1444 al 1454; durante il suo episcopato la diocesi di Ales fu unita temporaneamente a quella di Terralba. 21. Antonio de Vich, canonico di Dolia, governò la diocesi dal 1454 al 1455. 22. Giovanni de Magarola, canonico del capitolo di Cagliari, fu vescovo dal 1457 al 1463. 23. Giovanni de la Bona, nominato nel 1463, resse la diocesi fino al 1484; fu nunzio e collettore pontificio e nel 1481-1482 partecipò al Parlamento riunito a Cagliari da Ferdinando II, re d’Aragona. 24. Pietro Garsia, maestro in arti e teologia, resse la diocesi tra il 1484 e il 1490, anno in cui fu trasferito a Barcellona. 25. Michele Danyon, arcidiacono a Calatayud, fu nominato vescovo nel 1490 e governò la diocesi fino al 1493. 26. Giovanni Crespo, eremitano di Sant’Agostino, vescovo di Castra dal 1490, nel 1493 fu trasferito ad Ales, che resse fino al 1507. Nel 1503 la diocesi fu unita definitivamente a quella di Terralba. VESCOVI DI ALES E TERRALBA 1. Giovanni Sanna, inquisitore per la Sardegna, fu nominato vescovo nel 1507; nel 1516 fu trasferito all’archidiocesi di Sassari, continuando a governare le due diocesi unite fino al 1521. 2. Andrea Sanna, nipote del precedente e canonico di Ales, nominato ve- 100 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 108 Ales-Terralba scovo nel 1521, nel 1522 succedette allo zio anche come inquisitore; nel 1554 fu trasferito all’archidiocesi di Oristano. 3. Gerardo de Doni, appartenente alla famiglia dei signori di Gesturi, maestro in Teologia e canonico di Cagliari, nel 1557 fu nominato vescovo e resse la diocesi fino al 1562. 4. Pietro Frago, di Uncastillo, dottore in Teologia a Parigi, fu nominato nel 1562 e nel 1566 fu trasferito ad Alghero. 5. Michele Manriquez, agostiniano, era vescovo titolare di Tarso e ausiliare del vescovo di Segorbe; fu nominato ad Ales e Terralba prima nel 1568 e resse la diocesi fino al 1572. 6. Giovanni Cannavera, minore conventuale di Iglesias, maestro in Teologia, governò la diocesi tra il 1572 e il 1573. 7. Giovanni Manca, sassarese, appartenente a un ramo collaterale della famiglia feudale, dottore in Diritto canonico; fu nominato nel 1574 e resse la diocesi fino al 1585. 8. Pietro Clement, portoghese, carmelitano e dottore in Teologia, fu nominato nel 1585 e morı̀ nel 1600. 9. Antonio Surreddu, cagliaritano, dottore in Teologia, era vicario generale di Alghero quando nel 1601 fu nominato vescovo; scomparve nel 1605. 10. Lorenzo Nieto, di Ortaz (diocesi di Toledo), benedettino e dottore in Teologia; fu nominato nel 1606 e nel 1613 fu trasferito ad Alghero. 11. Diego de Borja, spagnolo, figlio naturale del duca di Gandı́a, minore osservante; fu nominato nel 1613, morı̀ nel 1615. 12. Gavino Manconi, di Sassari, maestro in Teologia; vicario foraneo di Ploaghe, fu nominato nel 1616 e morı̀ nel 1634. 13. Melchiorre Pirella, di Nuoro, uomo di profonda cultura giuridica, dal 1620 vescovo di Bosa, nel 1635 fu trasferito ad Ales e Terralba; morı̀ nel 1637. 14. Michele Beltram, di Castellón, fu nominato nel 1638 e governò mostrandosi sensibile ai problemi sociali; morı̀ nel 1643. 15. Antonio Manunta, di Sassari, dottore in Teologia e canonico di Cagliari; fu nominato nel 1644, morı̀ nel 1662. 16. Giovanni Battista Brunengo, sassarese, dottore in utroque a Pisa; fu nominato nel 1663, morı̀ nel 1679. 17. Serafino Esquirro, canonico cagliaritano, dottore in Teologia a Bologna; vescovo di Bosa dal 1677, nel 1680 fu trasferito ad Ales e Terralba e morı̀ nel 1681. 18. Diego Cugia, di Cagliari, dottore in utroque; vicario generale dell’archidiocesi di Cagliari, nel 1684 fu nominato vescovo di Ales e Terralba; diede un impulso decisivo alla ricostruzione del Duomo di Ales e scomparve nel 1691. 19. Francesco Masones y Nin, di Cagliari, uomo di grande cultura, dottore in utroque a Roma e in Teologia a Cagliari; decano e vicario capitolare di Ales, fu nominato vescovo nel 1693 e nel 1704 fu trasferito a Oristano. 20. Isidoro Masones y Nin, di Cagliari, dottore in utroque a Roma, era vescovo titolare di Cardicium quando nel 1704 fu trasferito ad Ales e Terralba; morı̀ nel 1724. 21. Salvatore Ruju, nato a Cuglieri nel 1663, dottore in utroque a Sassari nel 1690; governò la diocesi dal 1727 al 1728. 22. Giovanni Battista Sanna, nato a Sassari nel 1674, dottore in utroque a Sassari; vicario generale di Bosa, nel 1728 fu nominato vescovo e scomparve nel 1736. 23. Antonio Giuseppe Carcassona, nato a Cagliari nel 1684, dottore in utroque a Cagliari; rettore dell’Università di Cagliari dal 1721 al 1727 e parroco di Gesico, nel 1736 fu nominato vescovo e scomparve nel 1760. 24. Giuseppe Maria Pilo, nato a Sassari nel 1717, maestro in Teologia e provinciale dei Carmelitani, fu nominato vescovo nel 1761; morı̀ nel 1786. 25. Michele Antonio Aymerich de Villamar, nato a Cagliari nel 1738, dottore in utroque a Torino; vicario generale e capitolare a Cagliari, nel 1788 fu nomi- 101 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 109 Ales-Usellus nato vescovo e morı̀ attorno al 1806. 26. Giuseppe Stanislao Paradiso, nato a Cagliari nel 1747, dottore in Teologia a Cagliari e parroco di Gergei; vescovo di Ampurias e Civita dal 1807, nel 1819 fu trasferito ad Ales e Terralba e morı̀ nel 1822. 27. Antonio Raimondo Tore, nato a Tonara nel 1781, dottore in Teologia a Cagliari; vicario capitolare di Oristano, nel 1828 fu nominato vescovo di Ales e Terralba e nel 1837 fu trasferito alla sede di Cagliari. 28. Pietro Vargiu, nato a Isili nel 1792, dottore in Diritto civile a Cagliari e baccelliere in Teologia; vicario generale di Cagliari, nel 1842 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1866. 29. Francesco Zunnui Casula, nato a Fonni nel 1824, dottore in Teologia a Cagliari; vicario generale di Nuoro, nel 1867 fu nominato vescovo di Ales e Terralba e nel 1893 fu trasferito all’archidiocesi di Oristano. 30. Palmerio Garau Onida, nato a Samassi nel 1825, dottore in Teologia a Cagliari; era parroco del suo paese quando nel 1894 divenne vescovo; morı̀ nel 1906. 31. Francesco Emanuelli, nato ad Andagna (diocesi di Ventimiglia) nel 1863; preside del Seminario di Cagliari, nel 1911 fu nominato vescovo e scomparve nel 1947. 32. Antonio Tedde, nato a Sorso nel 1906, parroco di San Donato a Sassari; fu nominato nel 1948, morı̀ nel 1982. 33. Paolo Gibertini, nato a Ciano d’Enza (Reggio Emilia) nel 1922, benedettino sublacense e abate del monastero di San Giovanni Evangelista (Parma); nel 1983 fu nominato vescovo e nel 1989 divenne arcivescovo di Reggio Emilia e Guastalla; durante il suo episcopato la titolatura della diocesi cambiò in Ales-Terralba. 34. Antonino Orrù, nato a Sinnai nel 1928, parroco di San Benedetto a Cagliari; nominato vescovo nel 1990, è andato in pensione nel 2004. 35. Giovanni Dettori, nato a Nule nel 1940, parroco di Ardara e vicario della diocesi di Ozieri; nominato vescovo di Ales-Terralba nel 2004. [MASSIMILIANO VIDILI] Ales-Usellus, diocesi di Diocesi istituita nella seconda metà del secolo XI con la creazione della provincia ecclesiastica di Arborea, ma il suo primo vescovo noto è attestato al 1146. Comprendeva le parrocchie di Ales, Almos, Atzeni, Baradili, Baressa, Barumele, Cilixia, Curcuris, Escovedu (Iscopediu), Figu, Gesturi, Gonnosnò, Las Plassas, Lunamatrona, Ollastra (Albagiara), Pau, Pauli Arbarei, Setzu, Siddi, Sini, Tuili, Turri, Usellus, Ussaramanna, Ussarella, Villanovaforru, Villa Verde (Bannari), Zeppara. Alfa Casa editrice con sede a Quartu Sant’Elena. Fondata da Gianfranco Pinna nel 1977, ha esordito con la pubblicazione del periodico ‘‘Sa Republica sarda’’, quindi è passata alle riviste e ai libri di narrativa e saggistica con l’obiettivo di far accrescere «la coscienza etnica ed etica e di appartenenza alla comunità sarda». È particolarmente attenta ai temi del sardismo e pubblica una collana di quaderni didattici, riuniti nella collana ‘‘S’Iscola’’, nei quali viene usata la lingua sarda. [MARIO ARGIOLAS] Alfano, Paolo Argentiere (Napoli?, seconda metà sec. XVIII-Sassari, dopo 1810). Portato forse in Sardegna dai genitori napoletani – un Michele Angelo Alfano, suo fratello, è documentato nel 1778 – divenne un argentiere molto ricercato. Sono sue tre anfore olearie conservate nel Tesoro della cattedrale di Bosa (ma secondo Renata Serra egli fu in questo caso solo importatore). Suoi lavori si trovano a Castelsardo, in Planargia, nelle Baronie e nel Montiferru, eseguiti fra il 1784 e il 1810. Alfieri di Cortemiglia, Giovanni Battista Viceré di Sardegna (Asti, inizi sec. XVIII-Cagliari 1763). In carica dal 1762 102 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 110 Alfonso IV il Benigno al 1763. Cadetto di una famiglia di tradizioni feudali, fu avviato alla carriera delle armi; si mise in luce combattendo nelle guerre per l’equilibrio europeo e, a coronamento di una brillante carriera, nel 1758 fu nominato governatore di Cuneo. Dimostrò di possedere grandi capacità di governo ed equilibrio, per cui nel 1762 fu nominato viceré di Sardegna. Raggiunta la sua nuova sede, si rese subito conto della frattura che esisteva tra i funzionari piemontesi e la nobiltà e il clero sardi e si convinse della necessità di avviare una mediazione per evitare che la situazione precipitasse. La sua opera però fu frenata a causa della malaria; caduto gravemente ammalato, chiese di essere dispensato dal servizio, ma morı̀ a Cagliari mentre si apprestava all’imbarco per il ritorno. Alfonsino Nome con cui è indicata la prima moneta coniata in Sardegna dagli Aragonesi. Se ne conoscono di due tipi: l’a. d’argento e il suo sottomultiplo, l’a. minuto (ci volevano 18 a. minuti per un a. d’argento). Gli a. d’argento furono coniati nella zecca di Iglesias a cominciare dal 1325 per Giacomo II, Alfonso IV, Pietro IV e Giovanni I fino al 1396; anche gli a. minuti inizialmente furono coniati a Iglesias e in seguito a Cagliari per gli stessi sovrani. Nel 1387 gli a. minuti vennero svalutati del 10%. Si conoscono anche i mezzi a. d’argento, coniati per Pietro IV a Iglesias e per Giovanni I a Cagliari, e infine gli a. reali, coniati per Alfonso V a Cagliari tra il 1416 e il 1458. Alfonso, Carmelo Giornalista (n. Alghero 1933). Giornalista sportivo, ha esordito come inviato de ‘‘L’Unione sarda’’ e de ‘‘L’Informatore del Lunedı̀’’; dopo una parentesi a ‘‘Tuttoquotidiano’’ è entrato alla RAI; giornalista professionista dal 1976, è presidente dell’Unione Stampa Sportiva. Ha pubblicato un libro, Mussiadu. Storie, storielle e fatti veri del pugilato sardo, 2003. Alfonso IV il Benigno Re d’Aragona e di Sardegna (?, 1299-Barcellona 1336). Figlio di Giacomo II, aveva 20 anni quando nel 1319 suo fratello primogenito Giacomo rinunciò ai propri diritti ed egli fu proclamato erede al trono e luogotenente dei regni della Corona d’Aragona. Quando era ancora principe ereditario (l’infante Alfonso) fu posto da suo padre a capo della spedizione che nel 1323 avviò la conquista catalana della Sardegna. La flotta da sbarco, composta da più di ottanta navi di vario tipo e forte di 11 000 tra cavalieri, fanti e balestrieri, partı̀ da Portfangòs il 30 maggio del 1323 e, dopo una breve sosta a Palma di Majorca, il 12 giugno giunse in vista delle coste della Sardegna, dove, nel golfo di Palmas, lo attendeva il suo alleato, il giudice Ugone II d’Arborea. Sbarcò nella spiaggia di Canyelles il 13 successivo e subito dopo pose l’assedio a Iglesias, mentre una parte consistente della flotta al comando dell’ammiraglio Francesco Carroz si diresse verso Cagliari per effettuare un altro sbarco. L’assedio di Iglesias mostrò da subito la difficoltà dell’impresa che, nonostante le dedizioni formali di Sassari, dei Doria e dei Malaspina, a causa della lungaggine delle operazioni e di un attacco di dissenteria che si diffuse tra i soldati, minacciò di far fallire l’operazione. Caduta per fame dopo più di sette mesi Iglesias, A. nel febbraio del 1324 si diresse verso Cagliari, dove frattanto l’ammiraglio Carroz aveva impiantato il campo fortificato di Bonaria. Mentre il suo esercito si muoveva faticosamente, un esercito pisano di soccorso era sbarcato in prossimità di Maddalena Spiaggia e si dirigeva minacciosamente verso Cagliari per li- 103 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 111 Alfonso V il Magnanimo berarla dall’assedio. La novità costrinse A. IVad affrontare una battaglia campale con i nuovi venuti: lo scontro si verificò il 29 febbraio nella località di Lutocisterna, in prossimità di Elmas, e l’esercito reale ebbe la meglio. La vittoria, cui seguı̀ la distruzione delle navi d’appoggio pisane a opera del Carroz, rese possibile l’assedio di Cagliari, che si concluse con la capitolazione della città il 19 giugno 1324. Poco dopo A. IV lasciò l’isola per tornare in patria, dove fu accolto trionfalmente dall’anziano genitore. Divenne re d’Aragona e di Sardegna alla morte di suo padre nel novembre del 1327; aveva ereditato una situazione difficile: infatti in Sardegna si era appena conclusa la seconda fase della guerra con Pisa ed erano ancora in corso combattimenti contro i Doria che si erano ribellati, la spedizione per la conquista della Corsica era fallita e in Aragona si trovò a dover fare i conti con l’aristocrazia che pretendeva di ottenere privilegi maggiori e una più ampia autonomia. Negli anni che seguirono governò subendo l’influenza della seconda moglie e fu principalmente impegnato in una estenuante guerra con Pisa e con Genova per il controllo del Mediterraneo occidentale; epicentro del conflitto fu la Sardegna, per il cui possesso i suoi eserciti dovettero ancora lottare duramente. Morı̀ nel gennaio del 1336, quando ancora il conflitto con Genova non era chiuso. gnò con molta decisione nella conquista della Corsica e nella definitiva liquidazione dei diritti di Guglielmo III di Narbona, erede della casa d’Arborea e ancora giudice incoronato. Radunato un potente esercito, nel 1420 si trasferı̀ in Sardegna da dove investı̀ la Corsica e avviò e concluse la trattativa col visconte di Narbona per la cessione definitiva dei diritti che quest’ultimo vantava ancora sul giudicato d’Arborea. Mentre nel 1421 era intento nella celebrazione a Cagliari del Parlamento, fu protagonista di un evento che mutò radicalmente la sua vita. Infatti fu adottato dalla regina Giovanna II di Napoli e dichiarato suo erede in contrapposizione a Luigi d’Angiò. L’adozione, sebbene fosse stata seguita da un ripensamento della matura e volubile sovrana, gli fece comprendere quale importanza avrebbe potuto avere per lui e per la Corona d’Aragona l’acquisizione del Regno di Napoli. Questa sua intuizione lo portò nel 1432 a spostarsi definitivamente in Italia, da dove intraprese un lungo periodo di guerre e di sacrifici che nel 1442 lo portò alla conquista di Napoli. Fin dal 1436 si era staccato dall’Aragona e dalla Sardegna, che aveva di fatto affidato al fratello Giovanni. Alfredo Religioso (sec. XI). Arcivescovo di Cagliari nel secolo XI; a lui il giudice Orzocco Torchitorio donò nel 1070 alcune ville nella curatoria del Campidano. Alfonso V il Magnanimo Re d’Aragona Alga Nome sotto cui vengono raggrup- e di Sardegna (?, 1396-Napoli 1458). Figlio di Ferdinando I di Trastamara, divenne re d’Aragona e di Sardegna alla morte di suo padre nel 1416. Uomo dalla personalità complessa e dalla indomabile energia, quando salı̀ sul trono aveva poco più di vent’anni ma una discreta esperienza politica, maturata alla scuola di suo padre. Si impe- pati organismi molto più vari come aspetto e habitat rispetto alla comune idea di a. come vegetale acquatico. Ci sono del resto molte piante marine che vengono chiamate alghe nel linguaggio corrente e sono invece Fanerogame, come la Posidonia oceanica. In generale, sono organismi eucarioti autotrofi, privi di veri tessuti conduttori e 104 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 112 Alga di organi pluricellulari differenziati, che vivono prevalentemente in ambienti acquatici o umidi. Le alghe presentano i più diversi tipi di organizzazione cellulare, dimensione, ciclo vitale e riproduttivo. In base all’organizzazione cellulare si possono distinguere in: 1. alghe unicellulari, singole cellule in genere flagellate che agiscono come individui indipendenti; 2. alghe coloniali, aggruppamenti di individui unicellulari, più o meno coordinati fra loro. Alcune colonie sono avvolte in una comune guaina mucillaginosa; 3. alghe sifonali, organismi unicellulari plurinucleati, derivati da divisioni di nuclei non seguite da divisione cellulare, che possono raggiungere dimensioni notevoli; 4. alghe pluricellulari, organismi costituiti da più cellule, uninucleate o plurinucleate, a forma filamentosa (ramificata o no) oppure più o meno laminare o espansa. Ci può essere specializzazione tra le varie parti dell’individuo, deputate all’ancoraggio al substrato o alla funzione fotosintetica. Le alghe comprendono organismi di dimensioni da microscopiche (ad esempio le Diatomee) a giganti (come alcune alghe brune o Phaeophyta, con fronde lunghe fino a oltre 60 m e peso complessivo fino a diversi quintali). Le alghe sono organismi fotosintetici: tutte sono dotate di clorofilla a, ma questa è associata nei vari gruppi con pigmenti accessori diversi, da cui derivano le diverse colorazioni predominanti in ciascun gruppo. Le alghe verdi sono di solito le più superficiali; nelle acque più profonde dominano le alghe rosse. La maggior parte delle alghe vivono nell’acqua, ma al pari di funghi e batteri si possono trovare praticamente in ogni tipo di ambiente umido (specialmente le forme unicellulari). La classificazione delle alghe è controversa. Si tratta di un gruppo si- curamente polifiletico (cioè che non deriva da un antenato comune), in cui vengono distinte in genere sette divisioni. Le quattro divisioni Phaeophyta, Chrysophyta, Cryptophyta e Pyrrhophyta vengono riunite da alcuni nel grande gruppo delle Chromophyta (alghe giallo-brune). Tutte rientrano nell’eterogeneo regno dei Protisti, che comprende i viventi eucarioti a organizzazione cellulare meno complessa. Quello delle Chlorophyta (alghe verdi) è il gruppo che presenta la maggiore diversità di organizzazione vegetativa, ciclo vitale e ambiente di vita. Comprende forme unicellulari (sia flagellate che immobili), coloniali e pluricellulari. Molte caratteristiche depongono a favore dell’ipotesi che i progenitori acquatici delle piante terrestri fossero organismi simili ad alghe verdi. Alcune alghe verdi, in simbiosi con funghi, danno vita ai licheni. Le Phaeophyta (alghe brune) comprendono forme filamentose e pluricellulari. L’interesse di questo gruppo risiede nel fatto che comprende le alghe di dimensioni maggiori e quelle che presentano la maggiore complessità nell’organizzazione vegetativa. Sono costituite da un tallo nel quale si possono distinguere delle strutture simili a foglie, fusti e radici. Le Rhodophyta (alghe rosse) comprendono organismi unicellulari, filamentosi o pluricellulari, alcuni con pareti incrostate di carbonato di calcio (per esempio nelle alghe coralline, importanti costituenti delle barriere coralline). Sono alghe di ambiente marino e si trovano fino a oltre 200 m di profondità. Nella maggior parte delle alghe rosse pluricellulari è presente un peculiare tipo di alternanza di generazioni. Le Chrysophyta comprendono le diatomee (Bacillariophyceae), il gruppo più numeroso di alghe. Si tratta di organismi 105 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 113 Alghero unicellulari privi di flagelli, racchiusi in una parete silicea a forma di scatola con coperchio (frustulo). Le divisioni Euglenophyta, Pyrrophyta e Criptophyta comprendono forme unicellulari flagellate, con caratteristiche per certi aspetti intermedie tra microrganismi vegetali e animali. Le alghe unicellulari costituiscono una porzione importantissima del plancton, base della catena alimentare negli ambienti acquatici. Come organismi fotosintetici, sono i principali produttori primari negli ecosistemi marini. Si stima che oltre la metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera sia prodotto dalle alghe unicellulari marine. Dai depositi di diatomee (Chrysophyta) si ricava la farina fossile, utilizzata come abrasivo per levigature di precisione. Dalle pareti di alghe rosse e alghe brune si ricavano vari tipi di gelatine usate nell’industria alimentare e cosmetica, come emulsionanti e stabilizzanti, e nei laboratori come substrati di coltura (agar). Benché le pareti delle cellule della maggior parte di alghe non possano essere digerite dall’uomo, alcune alghe vengono consumate come alimento, in particolare nei paesi asiatici (kombu, nori). Alghe macroscopiche vengono utilizzate come fertilizzanti. Nei mari sardi sono presenti tutte le specie di alghe tipiche del Mediterraneo. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Alghero Comune della provincia di Sassari, compreso nel Comprensorio n. 1, con 40 111 abitanti (al 2004), posto a 7 m sul livello del mare in una magnifica posizione della costa nord-occidentale, su uno sperone che chiude nella parte meridionale l’omonima rada. Regione storica: Alghero. Sede della diocesi di Alghero-Bosa. Alghero – Il golfo di Alghero è chiuso a nord dagli imponenti promontori di capo Caccia e punta Giglio. TERRITORIO Il territorio si estende per 224,43 km2. Ha forma grosso modo di un semicerchio affacciato sul mare e confina a nord con Sassari, a est con Olmedo e Putifigari, a sud con Villanova Monteleone, a ovest col Mare di Sardegna, nel quale a nord si addentrano, racchiudendo la rada di Porto Conte, le punte del Giglio e di capo Caccia. La parte centrale di questa vasta area è pianeggiante e quindi, dopo gli interventi di riforma agraria che l’hanno interessata, molto adatta all’agricoltura. Nei pressi della costa alcuni corsi d’acqua formano lo stagno di Calich. Nella parte meridionale le quote si sollevano nei primi rilievi del paese di Villanova, in quella settentrionale in quelli della Nurra: zone entrambe che sono in parte ricoperte di vegetazione spontanea e da fasce di forestazione, e si prestano per il restante al pascolo per l’allevamento brado. A differenza di quanto avviene nella & 106 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 114 Alghero maggior parte del restante territorio dell’isola, questo di A. è popolato a tratti da abitazioni sparse degli agricoltori, che le hanno occupate in seguito ai lavori di spietramento e bonifica eseguiti a più riprese. Sono nate in questo modo anche alcune borgate, le più importanti delle quali sono Santa Maria La Palma, che ha natura completamente agricola; e Fertilia (oltre 1000 abitanti), che oltre a fungere da centro di servizi per gli agricoltori ha un piccolo porto ed è meglio inserita nelle attività turistiche del litorale. Si tratta infatti di una ‘‘città di fondazione’’ rimasta dal periodo fascista, che conserva, nella circoscritta area del centro, l’aria incerta – e in parte anche irreale – di una borgata in bilico tra la vocazione urbana, quella rurale e quella marittima. Alghero – La costa della città ‘‘catalana’’ è interrotta da numerose cale: qui sopra, una piccola baia a Porto Conte. Le strade di accesso confluiscono nella piazza della chiesa parrocchiale, dedicata a San Marco, da cui si apre la via principale: un viale di palme che si dirige verso la costa, delimitato da perfetti allineamenti di palazzi muniti di portici. Subito dopo si apre una grande terrazza affacciata sul mare, con la vista su A., sovrastata da un leone di San Marco opera di Giuseppe Silecchia. Le strutture edilizie sono, secondo lo storico dell’arte Franco Masala, quelle comuni ad altre città che abbiamo ereditato dal ventennio fascista: ispirate cioè a un «classicismo ripulito di ogni elemento superfluo per contare soltanto su forme semplici». Enrico Valsecchi, che ha raccontato la storia dell’insediamento, ricorda che la prima pietra venne posata l’8 marzo del 1936, alla presenza del sottosegretario di Stato alla Bonifica integrale. L’intento era allora di portare qui un buon numero di contadini dell’agro ferrarese che agli occhi del regime erano piuttosto inquieti, oltre che troppo numerosi in una regione sovrappopolata. Ma la guerra, oltre che interrompere i lavori, avrebbe modificato il progetto: si affacciò infatti il problema di dare nuova sistemazione ai profughi che si allontanavano in massa dalle terre della Venezia Giulia e dell’Istria assegnate dai trattati di pace alla Jugoslavia. Alcune famiglie arrivarono alla spicciolata e si sistemarono alla meglio negli edifici non ancora ultimati; nel maggio del 1948 450 giuliani arrivarono tutti insieme a bordo di 13 motopescherecci che, partiti da Chioggia il 19 aprile, avevano faticosamente doppiato la penisola. Prendeva cosı̀ vita la nuova comunità che, tra le vocazioni che si prospettavano, avrebbe scelto quella agricola, distribuendosi per buona parte nei poderi ricavati nella piana circostante. A. è collegata con Sassari, oltre che con la vecchia statale 127 bis, attraverso la 291 e un tratto di secondaria che attraversa Olmedo; ed è già costruita una parte di una nuova direttissima più adeguata alla mole del traffico che unisce due centri cosı̀ popolosi. Altre due strade si dirigono da A. verso nord, una raggiunge Porto Torres (la ‘‘strada dei due mari’’), l’altra segue la linea di costa e si collega alle secon- 107 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 115 Alghero darie che attraversano la Nurra ‘‘di fuori’’; e due si snodano anche verso sud: una lungo la bellissima costa sino a Bosa, l’altra, la statale 292, per Villanova Monteleone e Pozzomaggiore. Il collegamento con Sassari è assicurato anche da una linea ferroviaria a scartamento ridotto, una delle più frequentate di questo settore. Il porto, che si trova praticamente all’interno della città, è utilizzato dai pescherecci e dalle imbarcazioni da diporto, mentre le navi di maggiore tonnellaggio devono gettare l’ancora nella rada di A. o in quella di Porto Conte. Infine l’aeroporto, posto a una decina di chilometri a nord, assicura a tutta la Sardegna centro e nord-occidentale i collegamenti con le maggiori destinazioni nazionali e internazionali; e viene ovviamente utilizzato per voli speciali e charter collegati ai flussi turistici. Alghero – Ai piedi di capo Caccia si trova l’isola di Foradada (‘‘forata’’, per un vasto arco che vi si è formato). STORIA Secondo quanto afferma Giuseppe Manno (=) la città fu fondata dai Doria agli inizi del secolo XII sul & territorio del Nulauro, passato nelle loro mani dopo che la famiglia si era imparentata con i giudici di Torres. Probabilmente la sua fondazione è da attribuire alla necessità di ripopolare un territorio a quei tempi quasi deserto; in breve divenne un importante centro commerciale e, dopo l’estinzione della famiglia giudicale, quando i Doria presero a reggere i loro domini sardi come uno stato indipendente, la città assunse un ruolo politico importante. Con il suo territorio fu teatro della guerra tra Genovesi, Pisani e Arborea e nel 1283 fu attaccata per terra da Mariano d’Arborea e per mare da una squadra pisana; quindi, dopo quasi un mese, fu costretta a capitolare. I Doria però riuscirono dopo poco tempo a tornarne in possesso, la abbellirono e vi promossero l’insediamento di alcuni ordini religiosi. Dopo che la Sardegna fu conquistata dagli Aragonesi la conservarono, anche se le ricorrenti lotte tra i vari rami della famiglia ne resero problematico il possesso. Cosı̀ nel 1350 i figli di Bernabò Doria vendettero la loro quota di diritti sulla città a Pietro IV d’Aragona e nel 1353 gli altri ‘‘condomini’’ cedettero i restanti diritti a Genova; le circostanze resero inevitabile il conflitto per la definizione del possesso. La città, dopo un lungo assedio e dopo la celebre battaglia di Porto Conte, fu conquistata dalle truppe di Pietro IV. Frattanto era scoppiata la prima guerra tra Pietro IV e Mariano IV: i Doria si allearono col sovrano arborense e dopo pochi mesi poterono rientrare in città; si ebbe ancora un brevissimo periodo di dominio arborense, quindi la città entro la fine dell’anno tornò definitivamente in mani catalano-aragonesi. In breve fu ripopolata da abitanti catalani e trasformata in città reale con gli stessi privilegi che aveva Barcellona. Negli anni 108 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 116 Alghero seguenti divenne uno dei capisaldi della terribile guerra tra Aragona e Arborea che devastò l’isola fino al 1409; cinta dalle sue fortificazioni, crebbe aprendosi anche all’apporto di molti stranieri; nel 1391 resistette a un assedio di Brancaleone Doria e nel 1412 a un tentativo di conquista del visconte di Narbona. Nel corso del secolo XV continuò a svilupparsi, i suoi abitanti ottennero la conferma dei loro privilegi e l’esclusiva nella pesca del corallo; la città si abbellı̀, furono costruite la cattedrale in forme gotico-catalane, la chiesa e il convento di San Francesco e numerosi palazzi di famiglie eminenti. Negli stessi anni ebbe inizio la rivalità con Sassari e nel 1503 A. ottenne ufficialmente lo status di città reale, ed ebbe quindi il suo Consiglio municipale e le sue magistrature. Nello stesso anno fu elevata a sede di diocesi; contestualmente crebbe l’attività del porto, che con gli anni divenne lo scalo più importante della Sardegna settentrionale; nel 1527 i suoi abitanti resistettero orgogliosamente a un tentativo di conquista francese. Nel 1541 A. ricevette la visita di Carlo V, che ispezionò il suo sistema fortificato; il sovrano mostrò molta benevolenza nei confronti della popolazione, facendo nascere la leggenda del cavalierato concesso a tutti i suoi abitanti. Nella seconda metà del secolo XVI la città si abbellı̀ ulteriormente: furono costruite alcune altre chiese, fu completata la costruzione della cattedrale; anche alcuni nuovi palazzi divennero la residenza di distinte famiglie nobili che contribuirono con la loro presenza a elevarne il tono. Nello stesso periodo fu completato e potenziato il suo sistema di mura e di torri e sviluppate le attività portuali; nel 1612 vi si stanziarono i Gesuiti. Purtroppo però nel corso del XVII la città cominciò a deca- dere, le attività portuali languivano e, per di più, la popolazione fu dimezzata a causa della grave peste del 1652. Quando nel 1720 la città passò alla nuova dinastia dei Savoia, la sua decadenza era totale. I nuovi sovrani pensarono a restaurare le mura e con una serie di appropriati interventi ne rilanciarono l’economia; furono sviluppate soprattutto le attività di pesca, in particolare quella del corallo, e la popolazione riprese a crescere. Nel 1771 anche il suo Consiglio comunale fu riformato e dopo un fugace tentativo di coinvolgimento nei moti angioyani nel 1796 la sua vita riprese senza ulteriori scosse. Nel 1807 A. divenne sede di prefettura e quando, nel 1821, furono istituite le province divenne capoluogo di provincia; nello stesso anno, però, la sua tranquillità fu scossa da una sommossa popolare causata dalla carestia che ebbe purtroppo tragiche conseguenze e tristi strascichi giudiziari. Di qualche anno più tardi è l’autorevole e circostanziata testimonianza di Vittorio Angius: «Le strade sono ben selciate, e di una certa regolarità, con canale sotterraneo per le feccie. Le principali sono la detta di Monteleone, che muove da Porta-terra, e va dritta alla parte contraria delle mura; quella di Bonaria, che comincia dalla cattedrale, e va a terminare nella chiesa della Misericordia, costeggiando la bella piazzetta dell’episcopio; quindi la piazza del mare, dove è il palazzo municipale, e tra altri belli edifizi l’antichissima casa Albis, dove stette Carlo V, quando vi approdava con la spedizione destinata contro la reggenza di Algeri. In generale le case sono benissimo costrutte, comode, eleganti, a tre, quattro, e cinque piani [...] Le arti necessarie e di comodità sono in uno stato mediocre; non vi è stabilimento alcuno di manifattura. D’instituzioni 109 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 117 Alghero di beneficenza non v’ha che il solo ospedale governato dai religiosi di San Giovanni di Dio, con due sale, una per li maschi con sei letti, l’altra per altrettante donne, e un solo camerino per gli alienati. Questi frati appena hanno pel loro sostentamento; si spera però che saranno fra breve in grado di porgere maggiori soccorsi alla languente umanità, e prender cura di maggior numero [...] Stabilimenti d’istruzione. Scuole normali. Sono le medesime frequentate da 76 fanciulli, ma meno assomigliano a ciò che esser debbono le scuole normali, che alle scuolette antiche, dove solo insegnavasi a leggere e scrivere. Scuole regie di grammatica latina, e belle lettere. Oltre gli algheresi, vi concorrono alcuni giovani dei paesi vicini, in numero totale 50: il metodo dell’insegnamento, come nelle altre del regno, domanda una saggia riforma. Scuole di filosofia. Sono frequentate da circa 20 giovani, ai quali si spiegano le materie che corrono in una od in altra delle due Università. Vi è inoltre una scuola di chirurgia pochissimo frequentata. Il locale delle scuole è bello e comodo nell’antico collegio dei gesuiti. Ai maestri, professori, prefetto, direttore spirituale, e supplitore si danno gli assegnamenti della regia cassa, che sono però tenui, eccetto quello che fu fatto sull’azienda civica al professore di Chirurgia, che è di scudi sardi 200 (lire nuove 960). Seminario tridentino. Fu fondato da monsignor Delbecchi, ed è ancora governato con le sue regole. Vi sono 12 piazze franche. L’edifizio è cosı̀ angusto, che 20 giovani appena vi possono restar comodi, e nondimeno ve ne sono ammessi 30 [...] Risulta dai libri di chiesa, che ordinariamente all’anno la quantità dei matrimoni ascende a circa 70; delle nascite a 380, delle morti a 150. Il numero delle famiglie va probabil- mente a 1800, delle quali 92 nel contado; la popolazione intera va a 7207, di cui 350 anime nella campagna. Si suol vivere anche oltre il settantesimo anno; le più frequenti malattie sono le infiammazioni, e le febbri intermittenti, cagionate dall’aria insalubre dello stagno Càliche, per quelli che vi si avvicinano in istagione pericolosa, o dal trasporto dei miasmi per li più cauti, che le colgono in Alghero. Il clima è temperato, la quantità annua della pioggia forse non giugnerebbe a 15 pollici. Vi è rara la nebbia, i mezzigiornali ed i levanti cagionano molta umidità [...] Cereali. In questi viene occupata la maggior parte dei terreni coltivati, e si suol annualmente seminare tra grano, orzo, e fave circa rasieri 1800 (litri 309,960), tra cicerchie, fagiuoli, granone, lino ras. 1000 (litri 1722); dei primi generi in anno di media fertilità si possono avere in totale circa rasieri 18,000, di cui una buona parte, con quanto in simil genere proviene dai paesi vicini, si vende agli esteri; mentre gli altri prodotti ritengonsi ai propri bisogni. Orti. Non trascurasi la coltivazione degli erbaggi e frutti ortensi, che sono moltiplici e copiosi. Ne restan provveduti anche i vicini paesi, e Sàssari ancora, dove la maturità non è come qui precoce. Ritraesi non piccol lucro dai medesimi, quando nella stagione della pesca del corallo, e delle sardelle, gran concorso vi sia di feluche estere, come spesso avviene. Vigneto. Tra le regioni vinifere della Sardegna tiene uno dei primi posti l’algherese. Moltissime varietà di uve si possono distinguere, e sono da 22 le scelte e più pregiate. Si fanno quindi vini di molte specie, ed oltre al nero e bianco ordinario, si vantano come pareggiabili ai più famosi vini dell’Europa meridionale il moscàto, il giròne, la mònica, la malvagı̀a, il turbàto. La quan- 110 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 118 Alghero tità ordinaria avanza a 7000 botti (litri 3,500,000). Riescono questi vini molto soavi al gusto, di conforto allo stomaco, di molto gradimento nelle mense del continente, e già cominciano a divenir famosi. Solamente da 100 botti se ne brucieranno in acquavite, il superfluo alla consumazione del paese vendesi dentro e fuori dell’isola. Oltre dei vini, stimatissime sono le uve passe, e in confronto col miglior zibibbo del commercio per niente scapitano. Vendesene una competente quantità, e se ne fanno dei graditi presenti. Frutteti. Innumerevoli sono le piante e gli alberi fruttiferi di molte diverse specie, che allignano nelle tenute, e nei giardini. Gli agrumi vi riescono di buon gusto; il gelso vi prospera, ma non curasi di propagarlo, e percepirne il vantaggio che si potrebbe, se quivi abitassero contadini più industriosi. L’indaco, secondo le fatte esperienze, viene molto felicemente. Egli è dell’olivo che si fa maggior conto, onde che il numero di queste piante va ogni anno crescendo per l’innesto di 2 a 3000 piantoni d’olivastri. Tra quelli che sono in campagna, e quei di città hannosi da 10 molini e torchi per la fabricazione dell’olio; e facendosene più che necessario sia al consumo, ottengonsi considerevoli somme [...] Selvaggiume. Abbondano i cinghiali, daini, lepri e volpi, e vi è pure qualche martora. In paragone però è più copiosa la caccia dei volatili, pernici, anitre, folaghe, merli, quaglie, piccoli fagiani, stornelli, colombi, e altre specie gradite ai cacciatori, e ai palati dilicati. Più allettamento delle altre ha la caccia delle specie acquatiche nello stagno. Nei monti di Capocaccia, che per una linea tirata per la loro sommità quasi secondo il meridiano sono tagliati a picco, abitano moltissime aquile reali, e quivi, e pure nelle roccie della Foradàda, e dell’isola Piana vi hanno nido varie specie, e copioso numero di colombacci, corvi marini ecc., onde pare venisse il nome a questo promontorio [...] Commercio del porto di Alghero. Vi frequentano le bandiere francese, napoletana, toscana e nazionale. Estraggonsi formaggi, lane, pelli, grano, vini di ogni specie, olio, sardelle, alici, corallo, e scorza di soveri. L’estero provvede di tele, panni, saje, stoffe, cappelli, berrette, calzette, carta, caccao, caffè, zucchero, pepe, ed altre droghe; legname, ferro, rame, terraglie, e molti altri generi di necessità e di lusso tanto pei cittadini, che per li paesani dei vicini villaggi. Questo commercio vi fa approdare da 40 a 50 bastimenti [...] Pesca del corallo. Spesso vi è gran concorso per questa pesca, e ne ha gran vantaggio, non solo per la qualità, che passa per lo migliore del Mediterraneo, ma ancora per la quantità. Nell’anno 1828 pescavano barche algheresi 41, napoletane 190, toscane 32, genovesi 27, in totale 290, ed ebbero rotoli di corallo scarto, chiaro, e terraglio rotoli: gli algheresi 9840, i napoletani 53,200, i toscani 8960, i genovesi 4050». La borghesia algherese, sempre più consapevole della propria forza politica, prese parte al movimento di idee che portò alla metà del secolo alla ‘‘fusione perfetta’’ della Sardegna con gli stati di terraferma. Poco dopo, come è noto, la provincia di A. fu soppressa e la città entrò a far parte come capoluogo di mandamento della divisione amministrativa di Sassari. Nel 1859 passò definitivamente nella ricostituita provincia di Sassari; nel 1861 cessò di essere considerata piazzaforte ed ebbe un’ulteriore espansione al di fuori della tradizionale cinta urbana: un’espansione che è continuata fino ai nostri tempi, sostenuta dal crescente ruolo turistico della città. 111 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 119 Alghero Alghero – Il nuraghe Palmavera, costruito prima del 1000 a.C. e più volte riattato, è il più importante del territorio. ECONOMIA Quando si pensa ad A. si immagina che la sua vita sia legata esclusivamente al turismo, mentre in realtà le opportunità offerte dal territorio e dalla sua posizione sul mare consentono una serie molteplice di attività, alcune delle quali si collegano in maniera diretta con le attività di accoglienza, mentre altre si muovono più autonomamente. Ci sono intanto le opportunità offerte dai terreni agricoli, che danno luogo a ottime produzioni orticole; molto diffusa la viticoltura, che dà vita a due importanti aziende vitivinicole: quella di Santa Maria La Palma e la notissima Sella & Mosca (=). Ci sono poi le risorse che vengono dal mare, il pesce e il corallo. Senza contare lo sviluppo che ha avuto negli ultimi decenni, in un centro cosı̀ popo& loso, il settore terziario, che comprende tra l’altro due ospedali, il Civile e il Marino; quindi gli uffici, i trasporti ecc. Artigianato. La città ha un’antica tradizione della lavorazione del corallo che continua ancora oggi, insieme all’oreficeria. Alcune lavorazioni artigianali e piccolo industriali, legate in parte all’edilizia ma anche alla navigazione, stanno trovando sede nella nuova zona produttiva di San Marco, posta poco oltre l’aeroporto. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 40 574 unità, di cui stranieri 570; maschi 19 621; femmine 20 953; famiglie 14 512. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione con morti per anno 349 e nati 321; iscritti all’anagrafe 790 e nuovi iscritti 798. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 341 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 17 656 in migliaia di lire; versamenti ICI 21 180; aziende agricole 1424; imprese commerciali 1814; esercizi pubblici 286; esercizi al dettaglio 891; ambulanti 139. Tra gli indicatori sociali: occupati 11 722; disoccupati 1662; inoccupati 2564; laureati 1393; diplomati 6927; con licenza media 11 800; con licenza elementare 11 199; analfabeti 809; automezzi circolanti 16 700; abbonamenti TV 10 747. Alghero – Vista dei bastioni Marco Polo, con uno scorcio della torre di San Giacomo. 112 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 120 Alghero PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di siti archeologici di grande rilievo. Da ricordare tra i primi la Grotta Verde, detta anche Grotta dell’Altare a causa dei ruderi della chiesa di Sant’Erasmo che rimangono al suo interno. Si trova a capo Caccia ed è un sito di grande importanza per lo studio della preistoria sarda. Un altro sito di grande rilievo è la necropoli di Anghelu Ruju, un complesso di domus de janas collocabile tra il 2500 e il 1800 a.C. e posto al confine delle tenute della Sella & Mosca, in un punto molto ben raggiungibile lungo la ‘‘strada dei due mari’’. Alcuni pannelli suggeriscono il percorso da compiere e riferiscono i numeri romani e le lettere con i quali gli archeologi hanno contrassegnato le tombe che, in numero di ben 38, fanno di questo il gruppo di domus de janas più esteso dell’isola. La scoperta avvenne per caso nel 1903: la fecero alcuni operai che cercavano pietre per costruire una casa; una prima e una seconda sequenza di scavi furono curate da Antonio Taramelli, allora direttore dell’Ufficio delle Antichità della Sardegna, che riportò alla luce 31 ipogei; intervenne più tardi Doro Levi, che ne scoprı̀ quattro; e infine, nel 1967, Ercole Contu ne individuò ancora tre. Questo territorio, che per la bontà del clima e la fertilità del terreno era intensamente popolato sin dai tempi antichi, non offriva pareti rocciose verticali o oblique per aprirvi, come càpita in tanti altri luoghi, gli ingressi delle tombe: non c’era altra scelta che scendere in profondità nella roccia, che è costituita da arenaria calcarea praticabile con lo scavo, compiuto a quei tempi con scalpelli e rustici picconi di pietra dura. Ed è proprio sulla base di come è ricavato l’ingresso che gli ipogei vengono divisi in due gruppi: quelli più modesti, e dalle & strutture meno regolari, che si raggiungono attraverso un pozzetto; quelli più grandi, curati e dalle strutture regolari, ai quali si accede invece lungo un corridoio – anch’esso scavato – , a volte anche piuttosto lungo, che ha inizio con una gradinata e si conclude all’ingresso della tomba. All’interno questa ha sempre un ambiente maggiore, destinato ai riti e alle preghiere, sul quale si affacciano le cellette che ospitavano i defunti. Tra le più importanti la A, con modanature che riprendono motivi delle case dei vivi; la XX bis, con alcune riproduzioni della protome taurina, posta a protezione dei trapassati; la III, che comprende ben 11 vani. Le ceramiche e gli altri oggetti rinvenuti nel corso degli scavi sono al Museo di Cagliari, in piccola parte in quello di Sassari; ma le riproduzioni dei più importanti, insieme a numerosi pannelli esplicativi, si possono vedere nel piccolo museo aperto nella vicina azienda vinicola Sella & Mosca. Altra importante necropoli è quella di Santu Pedru situata sulla strada per Ittiri vicino all’omonimo colle; si tratta di un complesso di circa 10 domus de janas risalenti alla cultura di Ozieri (=). La più nota di queste domus è la Tomba dei vasi tetrapodi con una decina di ambienti intercomunicanti che riproducono l’abitazione di un personaggio potente del periodo. Dall’ingresso, posto al ciglio della strada, si accede al vano principale. Si potranno cosı̀ vedere le due colonne centrali, la falsaporta di fronte e le piccole aperture che immettevano nelle sepolture circostanti, alcune sovrastate dal motivo delle doppie corna. Qui furono trovati i due vasi tetrapodi (a quattro piedi) che sono conservati al Museo di Sassari e hanno dato il nome a questa sepoltura principale. Le altre sono sparse poco al di sopra, sul fianco soleggiato della col- 113 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 121 Alghero lina, dove si sale senza particolari difficoltà. Di grande interesse scientifico è anche la Tomba di San Giuliano. Si tratta di una tomba a poliandro situata nell’omonima località. Risale al periodo della cultura di Bonnanaro (=) e ha le fiancate costruite con muri a secco; ha restituito ossa appartenenti a più di cinquanta individui. Nel vasto territorio di A. sono stati individuati circa venti nuraghi: Baraté, Benecuados, Bonaleci, Coros, Cubalciada, Fighera, Flumentorgiu, Giorba, Majore, Monte Doglia, Monte Siseri, Mura Casas, Nuragattoli, Ortu, Palmavera, Pulpargius, Risola, Sa Mandra de Sa Lua, Sant’Imbenia, Serra Ona. Di tutti il più caratteristico è il complesso di Palmavera, posto lungo la strada per Porto Conte, non lontano dal mare; si tratta di un nuraghe polilobato ottenuto dal rifascio di una torre primitiva e di un villaggio nuragico che durante gli scavi ha reso numerose suppellettili del Nuragico medio e recente. Il complesso delle capanne posto attorno al nuraghe sembra rispondere a un disegno urbanistico: vi è anche una capanna più grande detta Sala delle riunioni. Infine di grande rilievo per lo studio dell’antichità dell’intero territorio di A. è il complesso di Sant’Imbenia: in una località affacciata sulla rada di Porto Conte sorgono un nuraghe segnalato dal Pinza nel 1903 e un villaggio nuragico con alcune capanne circolari. Il sito è stato scavato sistematicamente dal 1980 e ha restituito una grande quantità di materiali nuragici e fenici che dimostrano i contatti commerciali tra i Fenici e i Sardi a partire dal secolo VIII a.C. Il villaggio continuò a essere abitato nei secoli successivi, almeno fino al secolo IX d.C. Nelle sue vicinanze fu costruita una chiesetta in forme bizantine. Alghero – Torre di San Giacomo, detta anche ‘‘torre dei cani’’. PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Fino alla metà dell’Ottocento A. fu una città fortezza o, come è stato detto, ‘‘una fortezza in forma di città’’; questo suo passato incide in modo determinante, oltre che sul suo tessuto urbanistico, sulla consistenza del suo patrimonio artistico e culturale. & Alghero – Veduta della chiesa di Valverde. LE MURA Da questo punto di vista uno dei monumenti più significativi è ciò che resta delle sue Mura, il cui impianto fu avviato ai tempi dei Doria. 114 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 122 Alghero Esse furono cura costante delle amministrazioni che si succedettero fino a quando la città cessò di essere considerata una piazzaforte. Nel secolo XIV la cinta aveva ventisei torri e due porte; dopo il 1417, con il contributo in denaro e lavoro dei cittadini, questa cinta ebbe i primi restauri; tra il 1426 e il 1459 fu ancora consolidata. Agli inizi del secolo XVI, però, le mura apparvero del tutto inadeguate a confrontarsi con le nuove artiglierie per cui, nel 1513, Gerardo Zatrillas fu chiamato a sovrintendere alla loro ristrutturazione. Il lavoro non era stato ancora portato a termine quando, nel 1541, giunse in città Carlo V; in seguito, nella seconda metà del secolo, sfruttando la presenza in Sardegna di Rocco Cappellino e dei due fratelli Palearo Fratino, fu finalmente avviata una radicale ristrutturazione della cinta. Si pensò di allargarne il perimetro e di renderla adatta all’impatto dei proiettili di artiglierie sempre più potenti; il progetto fu elaborato da Rocco Cappellino, rivisto da Jacopo Palearo Fratino ed eseguito da suo fratello Giorgio entro il 1575. Furono cosı̀ costruiti i bastioni della Maddalena, di Montalbano e dello Sperone; nel Seicento però la cinta andò in rovina e la crisi finanziaria del regno impedı̀ qualsiasi intervento. Nel corso del secolo XVIII i Savoia procedettero al restauro, ma ormai questo tipo di sistema fortificato andava perdendo efficacia e gli amministratori della città presero a considerarlo un inutile limite all’espansione urbanistica. Cosı̀ nel 1861 il Consiglio comunale chiese di poter demolire le mura per consentire una più ordinata crescita della città e, quando nel 1867 A. cessò di essere considerata una piazzaforte, ebbero inizio le demolizioni. Nel corso del secolo sparirono cosı̀ i bastioni dello Sperone e della Madda- lena con le relative cortine. Nel superstite complesso sono di particolare rilievo la torre degli ebrei, costruita nel secolo XIV con il contributo della comunità ebraica allora residente in città, e conosciuta anche come Porta Reial. Costituiva l’ingresso alla città dal lato terra ed era inserita nel complesso delle mura. È a due piani, all’interno le volte conservano i tipici elementi dell’architettura catalana e le troniere per i cannoni. Con i Savoia prese a essere chiamata Porta a Terra; salvata dalle demolizioni ottocentesche, attualmente sorge isolata ed è spesso utilizzata per mostre. La torre dell’Esperò Reial, detta anche dello Sperone, è ciò che rimane dell’omonimo bastione affacciato sul mare dopo le demolizioni ottocentesche. Costruita nel secolo XIV, fu ristrutturata dopo il 1570 assumendo l’aspetto attuale: è circolare e consta di due grandi ambienti sovrapposti comunicanti attraverso una scala a chiocciola ricavata nello spessore delle murature. La torre prende anche nome, insieme all’adiacente ‘‘piazzetta’’ frequentatissima dai giovani, da Vincenzo Sulis (=), il tribuno cagliaritano che vi trascorse suo malgrado una parte consistente della sua vita. Nato nel 1758, era cresciuto a Cagliari e aveva avuto una giovinezza movimentata; quindi, divenuto notaio e benestante, aveva preso parte attiva alle agitazioni di fine secolo: dalla reazione al tentativo d’invasione da parte dei francesi alla cacciata dei Piemontesi del 28 aprile 1794. Sempre al centro degli avvenimenti, pronto a ingaggiare armati a proprie spese, aveva assunto grande potere, tanto che i Savoia ritennero di interpellarlo quando, nel 1799, discutevano se rifugiarsi nell’isola in seguito all’invasione degli stati di terraferma. Egli fu pronto a dimostrare la 115 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 123 Alghero sua devozione, tanto da staccare i cavalli dalla carrozza reale per trainarla insieme a un gruppo di compagni; ma il suo potere era troppo per essere tollerato: accusato di aver progettato una congiura, venne processato e condannato al carcere a vita. Lo storico Francesco Loddo Canepa ha scritto che fu vittima della ragion di stato. La prima parte del suo soggiorno nella torre di Alghero, iniziato nel 1800, fu relativamente piacevole; parte delle autorità locali gli mostrava deferenza e aveva il permesso di passeggiare per mezz’ora al giorno sulla terrazza superiore. Ma, ancora vigoroso e sempre inquieto, non accettava quella condizione. Esplorata da cima a fondo la grande – e tetra – prigione, riuscı̀ arrampicandosi a trovare un punto debole nell’inferriata di una finestra e, come racconta nell’Autobiografia, aveva preparato un piano di evasione, che fu scoperto per la delazione di alcuni complici. Da allora fu costretto ad «una cattena al collo, con due anelli di ferro alle gambe, che con la sua traversa inciaverata teneva strette ambe le gambe»; visse «senza mai luce, senza mai fuoco, senza mai poter leggere nissun libro». Il che non gli impedı̀ di escogitare un nuovo tentativo di fuga, e di attuarlo dopo aver finto di essere stato colto da una paralisi; ma dopo qualche giorno di latitanza dovette riconsegnarsi per evitare ritorsioni contro coloro che l’avevano aiutato. Erano i primi giorni del 1812 e sperava, dopo oltre dieci anni di detenzione, di ottenere la grazia; ma questa sarebbe venuta soltanto otto anni più tardi, in occasione del compleanno di Vittorio Emanuele I. Nel dargli la notizia, i carcerieri gli raccomandarono di aspettare la sera per uscire, perché «dopo tanti anni di rinzerro» il sole di luglio avrebbe potuto accecarlo. Ma non riu- scirono a trattenerlo e, «a costo di perdere la vista, e la vita ancora», si diresse verso la porta «con due ufficiali alla braccetta» ed ebbe la gioia di constatare che era atteso con gioia: «Viddi tutta la città d’A. uomini e donne tutti sopra delle muraglie... gridando tutti ‘‘Evviva il Sulis’’... tanto gridavano dalle muraglie e contrade, ed altrettanto gridavano dalle gallerie, balconi e porte...». LE CHIESE Altro importante elemento del patrimonio artistico della città sono le chiese, tra le quali primeggia la cattedrale di Santa Maria. La costruzione ebbe inizio nel 1530, dopo che la città era divenuta sede di diocesi, ma dopo alcuni anni fu interrotta per mancanza di fondi; riprese nel 1562 e fu completata con il concorso finanziario della municipalità negli anni dell’episcopato di Antioco Nin e di Andrea Bacallar. La costruzione rispecchia la discontinuità dei tempi di fabbricazione: mentre il presbiterio e le cappelle hanno forme tardogotiche, il transetto e l’aula sono rinascimentali, opera probabilmente di architetti militari che operavano in città in quegli anni. Un ulteriore intervento si ebbe tra il 1661 e il 1667 quando furono ultimate la volta a botte e la cupola, probabilmente con l’intervento dello Spotorno. L’interno fu abbellito nel 1726 dall’Arienti e nella seconda metà del secolo XVIII dal Massetti. Nel 1826 Giovanni Battista Barabino vi collocò l’altare del Santissimo Sacramento in forme neoclassiche. All’interno è collocato anche il Monumento del duca di Monferrato Maurizio Giuseppe di Savoia, morto ad A. nel 1799, eseguito in forme neoclassiche da Felice Festa. La facciata, anch’essa in stile neoclassico, fu costruita nel 1862 da Michele Dessı̀ Magnetti. La chiesa di San Francesco fu costruita in forme gotico-aragonesi 116 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 124 Alghero nel terzo decennio del secolo XV sui resti di una cappella più antica. Nel corso dei secoli divenne il centro della religiosità algherese e molte famiglie dell’aristocrazia vi ebbero patronato e cappelle. Nel 1593 il corpo centrale e parte delle cappelle crollarono, ma la chiesa fu ricostruita entro il 1598 con il concorso finanziario delle famiglie patrone e con le rendite del convento. Dell’edificio più antico rimangono l’abside pentagonale con le cappelle adiacenti, il chiostro rettangolare con archi a tutto sesto poggianti su pilastri cilindrici e il campanile esagonale terminante con guglia a gattoni. Quando nell’Ottocento gli ordini religiosi furono sciolti, l’edificio fu chiuso e andò in rovina, solo più tardi i frati riuscirono a tornarne in possesso e avviarono una radicale opera di restauro. La chiesa di San Michele dei Gesuiti è attigua al convento che l’ordine possedeva in città; la sua costruzione iniziò dopo il 1589 e terminò solo nel 1675 sotto la direzione dello Spotorno. L’edificio ha una sola navata, due cappelle laterali e la volta a botte ed è un esempio dello stile del ‘‘modonostro’’ che l’ordine sviluppò in Sardegna. L’interno è impreziosito da altari lignei, da stucchi e dorature tutti risalenti alla fine del secolo XVII e di grande pregio. Oltre alle tre chiese menzionate, che sono le più significative, va ricordata quella di Sant’Antonio, costruita nel secolo XIV nel centro storico e dedicata in un primo tempo a Santo Stefano. Nel 1640 fu assegnata al vicino Ospedale di Sant’Antonio e dedicata al santo, e subı̀ alcune modifiche che ne alterarono i caratteri originari. In seguito, nel corso dell’Ottocento, fu intitolata a San Giovanni di Dio; attualmente è privata. E ancora Santa Barbara, chiesa costruita nel secolo XV vicino alle mura nel vico inti- tolato a Sant’Andrea, al quale era originariamente dedicata; nel secolo XVI fu notevolmente ristrutturata e poco dopo dedicata a Santa Barbara. Sconsacrata, è attualmente di proprietà di privati. Va infine ricordato il Teatro civico, costruito tra il 1858 e il 1862 nella piazza Vittorio Emanuele II. È opera dell’architetto Franco Poggi e sostituı̀ il vecchio teatro che risaliva ai tempi di Vittorio Emanuele I. Nelle forme che riecheggiano uno stile neoclassico di maniera ricorda il Teatro civico di Sassari. Tra le attrazioni della città, create anche tenendo conto dei flussi turistici, è da ricordare anche il Mare Nostrum Aquarium, una esposizione di fauna marina mediterranea e di fauna di acqua dolce situata in via XX Settembre. Nel territorio di A. si trova l’antico e frequentato santuario di Nostra Signora di Valverde: sorge in una valle ricca di vegetazione a qualche chilometro dalla città; fu costruito nel secolo XIV nel luogo dove secondo una leggenda un monaco avrebbe trovato una statua della Vergine. All’interno, a una navata e abbellito da marmi settecenteschi, si trova un grande altare, anch’esso in marmo, restaurato di recente, e due statue collocate al di sopra: in alto la Madonna della Freccia, cui il tempio era intitolato in origine, in basso quella di Valverde, piccolissima, in terracotta, alta «un palmo ed un quarto», come scriveva un sacerdote dell’Ottocento, ossia poco più di 30 cm. Don Antonio Nughes, rettore del santuario, ha raccolto di recente in un libro le notizie che si hanno, tra storia e leggenda, intorno a questo antico e veneratissimo simulacro: si trovava in origine in un’altra chiesa della zona, della quale si sono perse le tracce perché venne distrutta dai pirati saraceni. La statua era stata nascosta sotto 117 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 125 Alghero il Pilar, una colonna in granito che si trova nel sagrato, e sarebbe stata la Madonna stessa, con un’apparizione, a farla ritrovare. In un primo momento fu portata in città, nella cattedrale, ma fuggı̀ e fu ritrovata in questa, che considerava evidentemente la propria dimora. La devozione degli algheresi e degli altri sardi venne cosı̀ aumentando, e la chiesa fu sempre più curata e abbellita. Solo in occasione di avvenimenti o calamità gravi la Madonnina è stata di tanto in tanto riportata ad Alghero, per venire incontro alla devozione del popolo. Adiacente alla chiesa si trova un vasto edificio del Seicento con la sacrestia e i locali che ospitano il clero durante la festa. Poco oltre si trova Sant’Efisio, una località nella quale nella seconda metà del secolo XVII i Gesuiti impiantarono un vasto complesso che in seguito alla soppressione dell’ordine passò in mani private. Infine è da ricordare la chiesa di Sant’Anna, situata anch’essa a qualche chilometro dalla città, che fu costruita in forme tardoromaniche alla fine del secolo XIII con pianta a croce commissa completata da una piccola abside semicircolare. L’edificio fu ristrutturato nel corso dei secoli XVI e XVII. Attualmente si conserva in forme barocche. LE TORRI Altro significativo elemento del patrimonio culturale della città è il sistema delle torri costiere, costruito a partire dalla seconda metà del secolo XVI per integrare la cinta delle mura nella difesa del centro abitato e delle spiagge. Le torri litoranee furono dislocate lungo il tratto di costa che si stende tra il capo Marargiu a sud e la punta Argentera a nord. Il complesso era costituito da 12 torri (= Torri costiere), tra le quali alcune vanno ricordate in particolare. La torre di Poglina sorge a poca distanza dalla chiesa della Speranza (costruita nel secolo XIV e successivamente ristrutturata) a sud della città in prossimità di capo Ginestra. Fu costruita dopo il 1572 forse da Rocco Capellino; aveva un impianto di forma troncoconica alla base e cilindrica nella parte superiore, consta di un solo piano e il suo attuale stato di rudere ci impedisce di conoscere i dati relativi al suo armamento e alla funzione che assolveva nel sistema di cui era parte. La torre di capo Galera, costruita nel 1572, aveva compiti di segnalazione e di difesa; situata a nord dell’abitato, è in ottime condizioni di conservazione. Ha un impianto del tutto simile a quello della torre di Poglina con la volta a cupola e ha un diametro interno di più di 11 m. Poco oltre, all’imboccatura meridionale della rada di Porto Conte, si trovava la torre di punta Giglio, costruita dopo il 1572 e attualmente distrutta. All’interno della rada sono le torri di Porto Conte e di Tramariglio, costruite rispettivamente nel 1572 e nel 1581: erano entrambe destinate in origine alla difesa e potentemente armate; ancora oggi si presentano in buone condizioni di conservazione. Hanno una forma rispettivamente troncoconica e conica e furono abbandonate nel corso del secolo XIX. In prossimità di capo Caccia si trova la torre di Buru, del 1572, anch’essa molto danneggiata. La sua struttura è del tutto simile a quella delle torri di Poglina e di capo Galera: destinata alle funzioni di segnalazione e di difesa, era adeguatamente armata. Oltre la rada di Porto Conte, nel tratto di costa che si stende fino all’insenatura di Porto Ferro, il sistema di torri costiere che fa riferimento alla città comprende le torri Pegna, Porticciolo, Bantine ’e Sale, Airadu e Negra, che svolgevano funzioni di segnalazione, con la sola eccezione di quest’ultima 118 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 126 Alghero che svolgeva anche funzioni di difesa nel litorale di Porto Ferro. La loro struttura è simile a quella della torre di Poglina, ma attualmente sono in cattivo stato di conservazione: quelle di Bantine ’e Sale e di Airadu sono ridotte allo stato di rudere. Alghero – La torre di Buru, sotto capo Caccia (1572). La costa algherese era protetta da una fitta cortina di torri costiere. LE GROTTE Numerose anche, oltre a quelle rappresentate dalle spiagge e dalle scogliere, le bellezze naturali che punteggiano questo territorio. Tra queste la già citata Grotta Verde con la chiesa di Sant’Erasmo. La Grotta Verde o Grotta dell’Altare (= Grotte) si apre a capo Caccia: un tempo la si poteva raggiungere solo dal mare, attualmente è raggiungibile anche da un sentiero che iniziando dall’alto scende lungo un costone roccioso; prende il nome dalle stalattiti verdi di grande effetto di cui è piena. Al suo interno è la chiesa di Sant’Erasmo, attualmente allo stato di rudere. Al termine della strada che conduce a capo Caccia ha inizio invece l’Escala del Cabirol, una lunga scalinata di 656 gradini che conduce sino al livello del mare, dove di aprono le celeberrime grotte di Nettuno, cui i visitatori arrivano anche con battelli che partono dal porto di A. Molto grandi e suggestive, si dipanano in una teoria di sale ricche di concrezioni. A breve distanza si trova l’‘‘Arca di Noè’’, area istituita per la protezione della flora e della fauna e aperta alla visita; mentre dal versante opposto si può salire lungo la strada per Villanova Monteleone sino ai tornanti della Scala Piccada: giunti al culmine si gode di una vista straordinaria sulla città e le campagne, sino all’inconfondibile punta calcarea di capo Caccia. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Il carattere più significativo delle tradizioni algheresi è rappresentato da una serie di manifestazioni che si ricollegano alle origini iberiche della popolazione; tra queste quella di maggiore rilievo è il ciclo di cerimonie religiose conosciuto come i riti della Settimana santa. Hanno inizio il martedı̀ con la processione dei Misteri che, partendo dalla chiesa di San Francesco, si snoda per le strade del centro storico, con suggestiva scenografia, fino ad arrivare alla cattedrale. Una grande folla accompagna le sette statue dei Misteri che, scortate dalle confraternite in costume, vengono al termine depositate in Duomo. Il giovedı̀ si svolge la processione del Cristo dove l’effigie secentesca di un crocifisso ritenuto miracoloso viene portata dalla chiesa della Misericordia fino alla cattedrale attraverso le vie del centro, che per- 119 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 127 Alghero corre scortata dall’Arciconfraternita del Gonfalone e illuminata da una suggestiva fiaccolata; durante il tragitto la processione si ferma quattordici volte per ricordare le tappe della Via Crucis. Una volta giunti in Duomo il crocifisso viene esposto accanto alle statue dei Misteri. Nel pomeriggio del Venerdı̀ santo dalla chiesa della Misericordia parte la processione detta del descravament, nella quale molte dame velate da mantiglie nere e confratelli col classico costume bianco scortano, portando i simboli della Passione, il simulacro della Mater dolorosa, mentre la Croce col Cristo morto è scortata da dignitari in costume e sacerdoti; al tramonto il corteo giunge in Duomo dove si svolge il descravament e al Cristo vengono tolti con grande pietà i chiodi e la corona di spine. Quindi il suo corpo, liberato dalla croce, è collocato nel feretro che viene condotto per le vie del centro storico sino alla chiesa della Misericordia, dove viene deposto ai piedi dell’altare. Si è persa invece la memoria della festa che gli algheresi facevano nella notte tra il 5 e il 6 maggio di ogni anno per ricordare la loro vittoria sulle truppe del visconte di Narbona, che nel 1412 avevano tentato di conquistare la città: esse che culminavano nel canto di cobles, strofette polemiche contro i sassaresi (alleati del visconte), di cui si conserva il testo. Una delle maggiori feste popolari è quella in onore della Madonna di Valverde, che si svolge nella prima domenica dopo Pasqua dopo il novenario, con il canto dei gosos tradizionali e con alcune cerimonie civili di grande suggestione. Si festeggiano anche San Giovanni Battista, il 24 giugno, e San Giovanni Bosco, il 31 gennaio. Altra festa importante è quella dedicata a Nostra Signora della Mercede, che fu introdotta dai Mercedari nel corso del secolo XVIII e prevede due fasi: il 1º agosto ha luogo una magnifica festa popolare durante la quale si svolge una suggestiva processione a mare; il 26 settembre segue la parte religiosa della celebrazione. Sono da ricordare altre feste religiose di minore rilievo, tutte incentrate sulla partecipazione popolare ai riti e alle manifestazioni folcloristiche. Tra queste la festa di Nostra Signora della Guardia che si tiene l’ultima domenica di luglio; e quelle dedicate alla Vergine Assunta il 15 agosto; a Sant’Agostino il 28 agosto; alla Madonna di Loreto la prima domenica di settembre; a Nostra Signora della Mercede il 24 settembre; e infine a San Michele, patrono della città, il 29 settembre. Alghero, diocesi di Diocesi suffraganea di Sassari istituita nel 1503 con la traslazione dell’antica sede di Ottana, alla quale erano state unite le diocesi di Bisarcio e di Castra. Dal 1972 le diocesi di Alghero e di Bosa sono unite. La giurisdizione del vescovo di Alghero si estende alle parrocchie di Alà dei Sardi (dal 1503 al 1804), Alghero (dal 1503), Anela (dal 1503 al 1804), Bantine (dal 1503 al 1804), Benetutti (dal 1503 al 1804), Berchidda (dal 1503 al 1804), Berchiddeddu (dal 1503 al 1804), Bidducara (dal 1503), Biduvé (dal 1503), Birori (dal 1503), Bolotana (dal 1503), Bono (dal 1503 al 1804), Borore (dal 1503), Borticoro (dal 1503), Bortigali (dal 1503), Bottidda (dal 1503 al 1804), Buddusò (dal 1503 al 1804), Bultei (dal 1503 al 1804), Burgos (dal 1503 al 1804), Dualchi (dal 1503), Esporlatu (dal 1503 al 1804), Illorai (dal 1503 al 1804), Lei (dal 1503), Lunafras (dal 1503), Macomer (dal 1503), Monti (dal 1503 al 1804), Mulargia (dal 1503), Noragugume (dal 1503), 120 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 128 Alghero Nughedu San Nicolò (dal 1503 al 1804), Nule (dal 1503 al 1804), Nuoro (dal 1503 al 1779), Oniferi (dal 1503 al 1779), Orani (dal 1503 al 1779), Orgosolo (dal 1503 al 1779), Orotelli (dal 1503 al 1779), Oschiri (dal 1503 al 1804), Osidda (dal 1503 al 1804), Ottana (dal 1503 al 1779), Ozieri (dal 1503 al 1804), Padru (dal 1503 al 1804), Pattada (dal 1503 al 1804), Sarule (dal 1503 al 1779), Silanus (dal 1503), Tula (dal 1503 al 1804), Vesos (dal 1503). VESCOVI DI ALGHERO 1. Pietro Parente, di Jaén, inquisitore del Regno di Sardegna dal 1502, nel 1503 fu nominato vescovo; morı̀ nel 1514. 2. Giovanni de Loaysa, dottore in Decretali; canonico di Zamora; nel 1514 fu nominato vescovo e nel 1525 fu trasferito a Mondoñedo. 3. Guglielmo Cassador, di Vic; uditore della Sacra Rota, nel 1525 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1527. 4. Guglielmo Solis, maestro di Teologia, in Curia; fu nominato vescovo nel 1527 e governò la diocesi per pochi mesi. 5. Domenico Pastorello, minore conventuale, nominato vescovo nel 1528, nel 1534 venne trasferito all’archidiocesi di Cagliari. 6. Giovanni Renna, di Venezia, in Curia; nominato vescovo nel 1534, governò la diocesi fino al 1538, anno in cui fu nominato arcivescovo di Pamplona. 7. Durante de Duranti, di Brescia, in Curia; nominato vescovo nel 1538, nel 1541 fu trasferito a Cassano. 8. Pietro Vaguer, di Jaca, dottore in utroque a Salamanca; visitatore regio in Sardegna, nel 1541 fu nominato vescovo e resse la diocesi fino al 1562. 9. Pietro Frago, era vescovo di Ales-Terralba (=) quando nel 1566 divenne vescovo di Alghero; nel 1572 fu trasferito a Jaca. 10. Antioco Nin, cagliaritano, dottore in Teologia; resse la diocesi dal 1572 al 1576. 11. Andrea Bacallar, cagliaritano, maestro in Teologia e giudice di appellazioni; nel 1578 fu nominato vescovo e nel 1604 divenne arcivescovo di Sassari. 12. Nicola Cannavera, di Iglesias, canonico di Ales, nel 1604 divenne vescovo e scomparve nel 1611. 13. Gavino Manca Cedrelles, appartenente a un ramo dei Manca di Sassari, dottore in Teologia; vescovo di Bosa dal 1605, nel 1612 fu trasferito ad Alghero e dopo un anno divenne arcivescovo di Sassari. 14. Lorenzo Nieto era vescovo di Ales e Terralba quando nel 1613 fu trasferito ad Alghero; nel 1621 divenne arcivescovo di Oristano. 15. Ambrogio Machin, di Alghero, mercedario e maestro in Teologia; era generale del suo ordine quando nel 1621 fu nominato vescovo; nel 1627 divenne arcivescovo di Cagliari. 16. Gaspare Prieto, di Burgos, mercedario e maestro di Teologia; era generale del suo ordine quando nel 1627 divenne vescovo; nel 1634 fu trasferito a Elna. 17. Cipriano Azcòn, di Lleida, dottore in utroque, canonico di Saragozza; fu nominato vescovo nel 1637 ma morı̀ nel 1639 prima di prendere possesso della diocesi. 18. Antonio Nuseo, sassarese, dottore in Teologia a Pisa; arciprete e vicario generale della sua archidiocesi, nel 1639 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1642. 19. Vincenzo Agostino Claveria, coadiutore del vescovo di Valencia e vescovo titolare di Petra; vescovo di Bosa dal 1639, nel 1644 fu trasferito ad Alghero e morı̀ nel 1652. 20. Francesco Boyl, di Alghero, mercedario, fu nominato vescovo nel 1653 e scomparve due anni dopo. 21. Dionigi Carta-Senes, di Sedilo, minore osservante, fu nominato vescovo nel 1657 ma morı̀ dopo pochi mesi. 22. Salvatore Mulas Pirella, di Nuoro, dottore in Teologia e parroco di Nuoro; nel 1659 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1661. 23. Andrea Az- 121 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 129 Alghero nar, di Saragozza, eremitano di Sant’Agostino e maestro in Teologia; nominato vescovo nel 1663, resse la diocesi fino al 1671, anno in cui fu trasferito a Jaca. 24. Lussorio Roger, nato a Cagliari nel 1616, dottore in utroque a Bologna; fu nominato vescovo nel 1672 e morı̀ nel 1676. 25. Francesco Lopez de Urraca, vescovo di Bosa dal 1672, nel 1677 fu trasferito ad Alghero e nel 1681 a Barbastro. 26. Ludovico Diez de Aux y Almendariz, spagnolo di Tudela, mercedario e provinciale di Aragona, maestro in Teologia; vescovo dal 1681, nel 1686 fu nominato arcivescovo di Cagliari. 27. Gerolamo de Velasco, castigliano, benedettino e maestro in Teologia; abate in diversi monasteri, nel 1686 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1692. 28. Giuseppe di Gesù Maria, da Madrid, agostiniano scalzo e provinciale; nel 1693 fu nominato vescovo, ma morı̀ a Palermo nel 1694 prima di prendere possesso della diocesi. 29. Tommaso Carnicer, nato a Cagliari nel 1643, domenicano e vicario generale nel Regno di Sardegna, maestro in Teologia; nel 1695 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1720. 30. Giovanni Battista Lomellini, nato a Carmagnola nel 1670, domenicano; nominato vescovo nel 1726 e trasferito a Saluzzo nel 1729. 31. Dionigio Gioacchino Belmont, nato nella diocesi di Asti nel 1664, servita e provinciale a Genova, maestro in Teologia, teologo del re di Sardegna; nominato vescovo nel 1729, morı̀ nel 1732. 32. Matteo Bertollinis, nato a Mondovı̀ nel 1677, dottore in Teologia e preside della Facoltà di teologia di Torino; nel 1733 fu nominato vescovo e nel 1741 divenne arcivescovo di Sassari. 33. Carlo Francesco Casanova, nato nella diocesi di Ventimiglia nel 1695, dottore in Teologia presso il Collegio Romano e in utroque a Macerata, vicario generale di Rimini; nominato vescovo nel 1741, nel 1751 fu trasferito all’archidiocesi di Sassari. 34. Giuseppe Agostino Delbecchi, nato a Oneglia nel 1697, scolopio e generale; nel 1751 fu nominato vescovo e nel 1763 fu trasferito all’archidiocesi di Cagliari. 35. Giuseppe Maria Incisa Beccaria, nato nella diocesi di Alba nel 1726, dottore in utroque a Torino; nominato vescovo nel 1764, nel 1772 divenne arcivescovo di Sassari. 36. Gioacchino Michele Radicati, nato a Saluzzo nel 1719, domenicano e maestro in Teologia; fu nominato vescovo nel 1772 e scomparve nel 1793. 37. Salvatore Giuseppe Mameli, nato a Roma nel 1737, dottore in Teologia a Torino e in utroque a Cagliari; professore presso l’Università di Cagliari, nel 1800 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1801. 38. Pietro Bianco, nato a Sassari nel 1753, dottore in Teologia, penitenziere e vicario generale a Sassari; nel 1805 fu nominato vescovo e morı̀ nel 1827. 39. Filippo Arrica, nato a Ploaghe nel 1784, dottore in Teologia a Torino; fu nominato vescovo nel 1832 e morı̀ nel 1839. 40. Efisio Casula, di Oristano, uomo di grande cultura e professore di Teologia presso l’Università di Cagliari; fu nominato vescovo nel 1842, ma poco dopo rinunciò. 41. Pietro Raffaele Arduino, era vescovo di Carre e vicario apostolico in Moldavia quando nel 1843 fu trasferito ad Alghero; morı̀ nel 1863. 42. Giovanni Maria Filia, nato a Bolotana nel 1808, dottore in utroque a Sassari, vicario generale e capitolare di Cagliari; fu nominato vescovo nel 1871 e morı̀ nel 1882. 43. Eliseo Giordano, nato a Sassari nel 1820, carmelitano, dottore in filosofia e in teologia a Sassari, professore di Teologia morale, parroco di Santa Maria in Traspontina (Roma) e procuratore generale dell’Ordine; fu nominato vescovo nel 122 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 130 Alguer 1883 e morı̀ nel 1906. 44. Ernesto Maria Piovella, nato a Milano nel 1867, oblato di Rho; vicario generale di Ravenna, nel 1907 divenne vescovo e nel 1914 fu trasferito a Oristano. 45. Francesco D’Errico, nato a Castel Baronia (diocesi di Lacedonia) nel 1862, dottore in Teologia e in utroque a Roma e parroco di Albano Laziale; fu nominato vescovo nel 1914 e morı̀ nel 1939. 46. Adolfo Ciuchini, nato a Gradoli (Viterbo) nel 1881, mercedario e assistente e segretario generale, parroco di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari; fu nominato vescovo nel 1939, rinunciò nel 1967. 47. Francesco Spanedda, nato a Ploaghe nel 1910, vescovo di Bosa dal 1956 al 1979; amministratore apostolico e, dal 1970, vescovo di Alghero mentre era ancora vescovo di Bosa; nel 1972 la Santa Sede decretò l’unione personale delle due diocesi di Alghero e di Bosa; nel 1979 divenne arcivescovo di Oristano. Dal 1979 la titolatura della diocesi cambiò in Alghero e Bosa e, dal 1986, in Alghero-Bosa. VESCOVI DI ALGHERO-BOSA 1. Giovanni Pes, nato a Cuglieri nel 1916, dottore in Teologia a Cuglieri e ivi parroco; nominato vescovo nel 1979, si dimise nel 1993. 2. Antonio Vacca, nato a Quartu Sant’Elena nel 1934, dottore in Teologia a Cuglieri, parroco a Sestu e a Cagliari; nominato vescovo di Alghero-Bosa nel 1993, amministratore apostolico dell’archidiocesi di Sassari nel 2004. [MASSIMILIANO VIDILI] Alghero, pace di Con questo nome è conosciuto il trattato di pace tra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona, che pose fine alla prima guerra tra i due sovrani. Il documento, firmato ad Alghero il 13 novembre del 1354, consentı̀ al re d’Aragona di en- trare nella città il 16 dello stesso mese. Alghero, provincia di Circoscrizione amministrativa creata nel 1821 nel quadro delle riforme promosse da Carlo Felice; era divisa in cinque mandamenti: Alghero (comprendente, oltre al territorio dipendente dalla città, il villaggio di Valverde); Bonorva (con i villaggi di Bonorva, Cossoine, Giave, Rebeccu, Semestene); Pozzomaggiore (con i villaggi di Pozzomaggiore, Mara e Padria); Thiesi (con i villaggi di Thiesi e Cheremule); Villanova Monteleone (con i villaggi di Villanova Monteleone, Monteleone Rocca Doria e Romana). Fu soppressa nell’agosto del 1848 con la ‘‘fusione perfetta’’ e inclusa nella neocostituita divisione amministrativa di Sassari. Alghero, trattato di Atto di fondamentale importanza per la storia della Sardegna, fu firmato ad Alghero il 17 agosto del 1420 tra Alfonso V e i rappresentanti di Guglielmo III di Narbona, ultimo giudice d’Arborea. In base al trattato Guglielmo di Narbona rinunciava definitivamente a tutti i suoi diritti dinastici sul giudicato d’Arborea e consegnava al re la città di Sassari e gli altri territori occupati dalle sue truppe dietro la promessa del pagamento (a rate) della somma di 100 000 fiorini d’oro, che non fu mai versata per intero. Algiroide = Zoologia della Sardegna ‘‘Alguer, L’’’ Rivista culturale. La sua pubblicazione coincide con la ripresa negli ambienti culturali del movimento conosciuto come il terzo Retrobament algherese, che ebbe inizio nel corso degli anni Settanta del Novecento, quando in Spagna la Catalogna raggiunse la propria autonomia e si riaccese il dibattito sulle minoranze linguistiche. L’evento provocò una ri- 123 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 131 Aliberti presa del dibattito culturale ad Alghero, i cui intellettuali ebbero scambi frequenti con intellettuali catalani; cosı̀ nel 1988 uscı̀ la rivista ‘‘L’Alguer’’, diretta da Giovanni Ibba, e nel 1990 la Revista de l’Alguer. Periòdic de cultura dels paisos catalans, diretta da Rafael Caria. glie carnosette a lamina astata o intera e infiorescenze apicali giallastre. Cresce in fitti cespugli nelle zone costiere o salmastre, sui bordi delle strade e in ambienti degradati. Nomi sardi: álimu (campidanese); berbéna (Baronie); éramu (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Aliberti, Giuseppe Giornalista (Cagliari, prima metà sec. XIX-ivi, fine sec. XIX). Amico di Giovanni Battista Tuveri (=), nel luglio del 1849, mentre fervevano le polemiche che precedettero le votazioni per la III legislatura, fondò a Cagliari ‘‘Il Setaccio’’, un periodico liberale ispirato alle posizioni del Tuveri, ma dopo il primo numero fu arrestato per violazione della legge sulla stampa. Tra i suoi scritti, Cittadini della Sardegna, 1849; Scritti polemici sul resoconto del dibattimento dei sassaresi del 1853, 1853. Alighieri, Dante = Dante Alighieri Alimione Pianta arbustiva perenne della famiglia delle Chenopodiacee (Halimione portulacoides (L.) Allen, sin. Atriplex portulacoides/Obione portulacoides). Fusti legnosi, diffusi e striscianti; foglie opposte ovate o lanceolate bianco-argentee; fiori glomerulari riuniti in pannocchie; frutti formati da brattee sugherose tridentate. Fiorisce da luglio a ottobre e fruttifica da ottobre a dicembre. Pianta alofita (cioè adattata a vivere in presenza di sale) molto diffusa in Sardegna allo stato spontaneo, cresce in luoghi salmastri in associazione con la salicornia. Nell’Oristanese viene chiamata zibba e si utilizza per preparare sa merca, una pietanza a base di muggini lessati in acqua di mare e fatti insaporire con una copertura di foglie di a. Alla stessa famiglia appartiene l’Atriplex halimus L. (alimo o porcellana marina), molto ramificata, con rami lunghi intricati, fo- Vittorio Alinari – Uno dei fondatori della famosa agenzia fotografica, realizzò due importanti campagne in Sardegna nel 1913 e nel 1914. Alinari, Vittorio Fotografo fiorentino (Firenze 1859-Livorno 1932). Appartenente alla famiglia degli Alinari, titolare della casa fotografica Fratelli Alinari, fece due viaggi fotografici in Sardegna tra il 1913 e il 1914. Il primo consistette in una circumnavigazione dell’isola (da Golfo Aranci a Cagliari e poi risalendo lungo la costa occidentale); effettuata nel maggio del 1913 a bordo dello yacht Il Trionfante, accompagnato dal pittore Guido Spadolini, padre del professor Giovanni, futuro presidente del Consiglio nell’Italia repubblicana, toccò anche Caprera, dove rischiò di essere cannoneggiato dalle postazioni della Marina poste a difesa dell’isola. Il secondo lo fece nell’aprile del 1914. Si trattò di due soggiorni brevi ma molto significativi, nei quali Alinari eseguı̀ 124 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 132 Alivesi delle bellissime fotografie che furono la base del suo libro Diario di viaggio in Sardegna, pubblicato nel 1915. Aliri Antico villaggio che faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria della Trexenta. Probabilmente sorgeva ai confini della curatoria tra Guasila e Serrenti. Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, A. dal 1258 fu compreso nel terzo toccato ai conti di Capraia e da loro passò al giudice d’Arborea. Nel 1295 il giudice Mariano II lasciò il territorio al Comune di Pisa, che però ne entrò in possesso solo nel 1300; cosı̀ il villaggio passò sotto il diretto controllo del Comune, che prese a sfruttarlo, provocando la diminuzione della popolazione. Terminata la spedizione dell’infante Alfonso il territorio entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma, conclusesi nel 1326 le ostilità tra Pisa e Aragona, il villaggio fu concesso come feudo al Comune di Pisa. Negli anni che seguirono A. fu amministrato con eccessivo fiscalismo dai funzionari del Comune, in un clima politico di crescente tensione. Quando nel 1353 scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV il suo territorio fu gravemente devastato, ma in qualche modo Pisa contin u ò a c o n s e r v a r n e i l p o s s e s s o . Quando però nel 1365 scoppiò la seconda guerra tra Arborea e Aragona, Pisa ne perse definitivamente il controllo e A. si spopolò in seguito agli sconvolgimenti di quella contesa. Alisso odoroso Pianta erbacea prostrata della famiglia delle Crociferae (Lobularia marittima (L.) Desv.), detta anche filigrana. Ha foglie lunghe, lanceolate e tomentose, e infiorescenze globose di fiori bianchi o bianco-rosati che fioriscono per tutta la primavera e l’estate; frutto a sı̀liqua ovale. Cresce, formando densi pratelli, su terreni rocciosi in prossimità delle coste. Nomi sardi: alissu (Sardegna settentrionale); filigranu (campidanese). Alla stessa famiglia appartiene l’endemismo sardo Alyssum tavolarae Briq., dai densi fiori gialli. Cresce sulle rocce calcaree dei monti di Oliena e Orgosolo, oltre che sulle rupi dell’isola di Tavolara, da cui prende il nome. È inserito nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Alivesi 1 Famiglia sassarese (secc. XVI-XVIII). Nota fin dagli inizi del secolo XVI, quando un Angelo, nel 1507, ottenne l’ufficio di collettore delle gabelle del diritto del vino di Sassari. Nei decenni successivi la famiglia raggiunse una notevole floridezza economica e alcuni dei suoi membri ottennero l’arrendamento delle gabelle di Sassari. Agli inizi del secolo XVII era considerata tra le famiglie più ragguardevoli della città e nel 1624 ottenne il cavalierato ereditario con il dottor Giacomo proavvocato fiscale di Sassari. Sospeso nel 1626 dal suo ufficio dal viceré marchese di Bayona, fu difeso da suo figlio Giovanni Maria, giovane e valoroso avvocato che andava ponendosi allora in luce e che divenne in seguito, a sua volta, avvocato fiscale, ottenendo il riconoscimento della nobiltà nel 1641. Fu padre di Giacomo, discutibile personaggio protagonista della cattura dello sfortunato marchese di Cea. In seguito le condizioni della famiglia decaddero e gli A. si trasferirono ad Alghero, dove si estinsero alla fine del secolo XVIII. Alivesi2 Famiglia di Ittiri (secc. XVIIIXX). Proprietari terrieri, ottennero il 125 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 133 Alivesi cavalierato ereditario e la nobiltà nel 1809 con un Giovanni Andrea. Quando però essi sbarcarono all’Isola Rossa, li assalı̀ a tradimento mentre dormivano e uccise Francesco Cao e Gabriele Aymerich e fece arrestare il marchese di Cea. Per questo il viceré gli fece concedere i feudi di Siligo e Banari sequestrati al marchese, ma le popolazioni si ribellarono e non permisero che egli ne entrasse in possesso. Alivesi, Giovanni Maria Giurecon- Alivesi – Arma. Famiglia di Ittiri, ottenne la nobiltà nel 1809. Alivesi, Giacomo Figlio di Giovanni (Sassari, prima metà sec. XVII-ivi, dopo 1670). Era un giovane violento e conduceva una vita scapestrata. Fu accusato di aver commesso molti omicidi, per cui dovette darsi alla macchia. In considerazione della famiglia cui apparteneva, nel 1666 ottenne un salvacondotto dal viceré Camarassa e, lasciata la Sardegna, si stabilı̀ a Napoli. Dopo l’omicidio del viceré egli giocò un ruolo importante e sinistro; infatti, a causa del debito di riconoscenza che aveva nei confronti del defunto, fu costretto dal duca di San Germano, nuovo viceré impegnato a scovare e punire i colpevoli del misfatto, ad avvicinare i capi della congiura per spiarli e facilitarne la cattura. Con cinica destrezza egli riuscı̀ a convincerli a tornare in Sardegna, facendo credere loro che nell’isola erano maturate le condizioni di una rivolta generale. sulto (Sassari, seconda metà sec. XVIivi, seconda metà sec. XVII). Nato dal dottor Giacomo proavvocato fiscale, si laureò in Legge a Pisa. Tornato in Sardegna si segnalò per la sua profonda preparazione giuridica e si affermò come uno dei migliori avvocati del suo tempo. Quando suo padre, accusato di aver commesso abusi nell’esercizio delle sue funzioni, nel 1626 fu sospeso dall’ufficio dal viceré Bayona, lo difese scrivendo una memoria di alto livello giuridico e di grande interesse per la comprensione dei difficili rapporti tra la Sardegna e l’amministrazione reale in quegli anni. In seguito fu anche lui nominato proavvocato fiscale e nel 1641 fu creato nobile; di lui rimangono, oltre ad alcuni trattati, anche numerosi altri responsi e allegazioni che, sebbene redatti in una forma modesta, dimostrano la sua notevole preparazione. Tra gli scritti si ricordano l’Alegación juridica por el marqués de Valdecalzana don Yuda Thadeo Ponce de León sobre su quidar devolutes a la real corona las villas de Itiri y Uri, 1763, e Causas de sospectu contra el marqués de Bayona virrey de Cerdeña, s.d. (il manoscritto è conservato nella Biblioteca Universitaria di Sassari). Alivia, Gavino Studioso di economia (Nulvi 1886-Sassari 1959). Era figlio di Michele, notissimo professore della Facoltà di Medicina di Sassari. Completati gli studi liceali a Sassari, si laureò in Giurisprudenza a Roma, dove 126 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 134 Allai ebbe modo di approfondire studi di economia alla scuola di Maffeo Pantaleoni. Tornato in Sardegna, divenne funzionario della Camera di Commercio di Sassari (dove promosse anche la pubblicazione del periodico ‘‘Bollettino degli interessi sardi’’) e, subito dopo la fine della prima guerra mondiale, fondò l’Unione degli industriali. Nel 1926 fu nominato presidente della Banca Popolare di Sassari e nel giro di pochi anni divenne segretario generale della Camera di Commercio, ufficio che ricoperse per molto tempo. Conoscitore profondo dei problemi della Sardegna, muovendo da posizioni liberiste individuò l’incremento demografico come condizione necessaria per avviare la rinascita economica dell’isola e fece conoscere le sue teorie anche all’estero, dove fu molto apprezzato. Caduto il fascismo (ai cui successi iniziali a Sassari aveva contribuito con la sua autorevolezza e il suo dinamismo), illustrò le sue proposte per lo sviluppo dell’isola anche ai rappresentanti del governo militare alleato e per suo merito, tra il 1949 e il 1950, i problemi della Sardegna furono dibattuti in Parlamento come questione di importanza nazionale. Studioso di alto livello (nel corso della sua vita riuscı̀ a formare una grande biblioteca di argomento economico, donata poi, insieme alle sue carte, alla Biblioteca comunale di Sassari), animò la vita culturale di Sassari con la sua instancabile attività di promotore di convegni e di altre importanti manifestazioni; fu anche buon pianista e attento viaggiatore. Fu autore di numerose opere di carattere economico, alcune delle quali furono tradotte in inglese e in altre lingue straniere. Accolse e protesse Maurice Le Lannou quando questi, ancora giovanissimo, giunse in Sardegna per redigere la sua tesi di dottorato. Fra le altre sue opere ricorderemo: Per la libertà economica della Sardegna. L’industria e l’esportazione dei formaggi sardi, 1921; Bonifica e colonizzazione della Sardegna al quinto convegno degli agricoltori meridionali per l’organizzazione dei consorzi di bonifica, 1926; Economia e popolazione della Sardegna settentrionale, 1931; Il popolamento della Sardegna, in Atti del Congresso internazionale di geografia (Amsterdam), 1938; Il problema demografico economico della Sardegna centro-settentrionale, 1951. Allai – I Romani realizzarono in Sardegna una importante rete stradale: questo ponte è uno dei monumenti della loro presenza. Allai Comune della provincia di Oristano, compreso nella XV Comunità montana, con 410 abitanti (al 2004), posto a 513 m sul livello del mare in una zona a sud del medio corso del Tirso. Regione storica: Parte Barigadu. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio si estende per 27,38 km2. Ha forma grosso modo circolare e confina a nord con Busachi, a est con Samugheo, a sud con Ruinas, 127 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 135 Allai a ovest con Siamanna e Fordongianus. Si tratta di una regione di colline di media altezza: il maggiore complesso è quello del Grighini, a sud-ovest del paese, che raggiunge i 673 m. Alla periferia del paese passa il fiume che porta lo stesso nome: proviene da sud e dopo pochi chilometri confluisce nel Tirso. La strada principale è quella che collega Fordongianus con Samugheo. & STORIA La formazione dell’attuale centro abitato risale al Medioevo, quando gli abitanti dei villaggi di Alari e di Barbagiana, le cui origini non è possibile determinare, si spostarono da Planu Alisa (Olisa), per ragioni che non conosciamo, stabilendosi nel sito attuale. Il villaggio apparteneva al giudicato d’Arborea ed era incluso nella curatoria del Parte Barigadu; caduto il giudicato, A. entrò a far parte del Regnum Sardiniae ma la popolazione continuò a mostrarsi ostile nei confronti dei nuovi venuti. Dopo anni di grande tensione, nel 1412 fu ceduto con buona parte del Barigadu a Leonardo Cubello che lo amministrò con grande abilità facendo cessare la tensione e la diffidenza degli abitanti. Morendo egli lasciò l’intero territorio al suo secondogenito Salvatore che, quando nel 1463 divenne marchese d’Oristano, lo annetté al marchesato. Dopo che nel 1477 il grande feudo fu confiscato a Leonardo Alagon A., nel 1481 entrò a far parte del feudo concesso a Gaspare Fabra. Il nuovo feudatario probabilmente avviò la costruzione della parrocchiale, ma nel 1519 i suoi eredi vendettero il feudo a Nicolò Torresani e Carlo Alagon. Nella divisione che i due fecero tra loro nel 1520 A., incluso nel Barigadu Jossu, toccò a Nicolò Torresani. Nel 1558 il figlio di quest’ultimo, Gerolamo, unı̀ il Barigadu Jossu al Canales formando un grande complesso sul quale ebbe il ti- tolo di conte di Sedilo; A. quindi entrò a far parte della nuova entità ma mantenne immutato il suo carattere di borgo isolato. Estinti i Torresani, nel 1598 passò ai Cervellon eredi della contessa Marchesia. I nuovi feudatari nel corso del secolo XVII imposero un sistema di tributi gravoso che rese difficile la vita degli abitanti; morto il conte Bernardino IV nel 1681 senza lasciare figli maschi, per il possesso del feudo ebbe inizio una lunga lite tra il fisco, che lo considerava devoluto, Isabella Manca Cervellon, sorella del defunto, e Guglielmo Cervellon, appartenente al ramo secondogenito della famiglia. Per l’animosità dei contendenti e per le vicende della guerra di successione spagnola la lite non era ancora chiusa quando le parti nel 1715 arrivarono a un compromesso che portò alla divisione del grande feudo. A. insieme a tutto il Barigadu Jossu toccò al figlio di Isabella, Pietro Manca Guiso. I nuovi feudatari, a loro volta, si estinsero nel 1788; per gli abitanti di A., che nel 1771 avevano costituito il Consiglio comunitativo, sembrò giunta la fine del tormento feudale: infatti il territorio del Barigadu Jossu fu incamerato dal fisco. La loro però fu un’illusione di breve durata perché nel 1790 Maria Maddalena Manca Guiso, sorella dell’ultimo feudatario e sposata Amat, si oppose al fisco e si impadronı̀ del feudo impegnandosi a pagare una forte somma. Poiché ella non fu in grado di far fronte all’impegno, il fisco vendette il territorio a Teresa Deliperi e nel 1791 il villaggio fu compreso in un nuovo feudo, il marchesato di Busachi, appositamente costituito per la Deliperi. I rapporti degli abitanti di A. con la marchesa però non furono buoni e quando nel 1795 scoppiarono i moti antifeudali essi si ribellarono, rifiutando per alcuni anni di pagare i tributi. Morta la 128 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 136 Allai Deliperi le succedette la figlia Stefania Ledà, moglie del conte Andrea Manca di San Placido, e cosı̀ A. passò ai nuovi feudatari. Negli anni che seguirono i rapporti con i Manca non migliorarono. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1838 fu finalmente riscattato agli ultimi feudatari. Quando dopo la ‘‘fusione perfetta’’ furono abolite le province, A. fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari. In questi anni giungeva in visita lo scrittore Vittorio Angius che lasciava, tra gli altri, questi dati e impressioni: «L’abitato di A. comprendesi in una superficie di circa 398,60 ari, estensione troppo vasta per 132 case. È infelicemente situato nella valle, cui formano quattro eminenze. Le strade sono cinque, le quali non sono né selciate, né lastricate, ma perché è ermo il suolo, e pende, non vi stagna mai acqua. La pastorizia e l’agricoltura sono le principali professioni di questi popolani, che dei rispettivi articoli fanno commercio principalmente con Oristano. Le donne, che sono assai laboriose, si occupano in filare e tessere, e dei tessuti fanno smercio coi gavoesi, e altri viandanti rivenditori erranti. I terreni aperti coltivati sono atti alla semenza d’ogni genere di granaglie, e sebbene l’agronomia sia poco bene intesa, pure a calcolo medio fruttificano il dieci per uno. La coltivazione potrebbe di più estendersi, se vi fosse maggior popolazione, e si imprendesse a dissodare la cussorgia del Grighini, piena di boscaglie. I chiusi e le tanche sono in tanto numero, che forse rinchiudono la metà del territorio. Vi si semina, e più spesso si lascia soda la terra per nutrirci il bestiame nell’autunno ed inverno. I lentischi in grandissima copia, le querce, gli olivastri, i perastri trovansi sparsi per queste chiudende». Nel 1859 A. en- trò a far parte della ricostituita provincia; il suo carattere di borgo di collina si accentuò nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento: ciò favorı̀ un progressivo spopolamento che dopo il 1951 divenne più rapido. A partire dal 1974 il villaggio è entrato a far parte della ricostituita provincia di Oristano, ma il processo di spopolamento non si è più arrestato. & ECONOMIA Abbandonate quasi del tutto le colture agricole, l’attività prevalente è quella dell’allevamento, che determina la produzione di formaggi. Alcuni posti di lavoro sono assicurati dalle attività forestali. Artigianato. Nel passato era centro di produzione del ferro battuto e del legno intagliato, e si produceva e tesseva il lino. Si ha ancora memoria di queste attività artigianali soprattutto per quanto riguarda la tessitura, praticata dalle donne con telai domestici. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 439 unità, di cui stranieri 2; maschi 221; femmine 218; famiglie 188. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con morti per anno 9 e nati 3; cancellati dall’anagrafe 4 e nuovi iscritti 1. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 809 in migliaia di lire; versamenti ICI 143; aziende agricole 59; imprese commerciali 21; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 12; ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali: occupati 127; disoccupati 23; inoccupati 14; laureati 5; diplomati 46; con licenza media 132; con licenza elementare 152; analfabeti 21; automezzi circolanti 125; abbonamenti TV 145. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel territorio si contano alcune Tombe di giganti e ben tredici nuraghi, alcuni dei quali in rovina: Arassedu, Barbagiani, Codinedda, Ghenna Ilighi, Gisterra, Is Bidis, Loddù, Mannu, Oriolu, 129 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 137 Allée couverte Pranu Olisa, Prunas, Putzu Cresia, Seda de Istellas. In regione Planu ’e Teti restano le tracce di un centro di colonizzazione romana. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Caratteristica è la struttura urbanistica del villaggio che si articola secondo un modello rimasto immutato nel tempo, formato da strade strette sulle quali si affacciano case a corte in pietra. Il monumento più significativo è la chiesa parrocchiale dello Spirito Santo, situata nel centro storico, che fu costruita nel secolo XVI in forme tardogotiche. Originariamente aveva un’unica navata scandita da archi a sesto acuto e completata dal presbiterio (capilla mayor) con le volte a crociera. Successivamente ha subı̀to notevoli rifacimenti che però non ne hanno alterato i caratteri; la facciata comprende un sontuoso portale e un rosone riccamente adornato. Altro interessante monumento è il Ponte romano sul vicino fiume. Costruito in conci di trachite, aveva quattro arcate; nel 1157 era stato restaurato da Barisone I, successivamente era andato nuovamente in rovina e di recente è stato di nuovo sistemato; una passerella di legno che gli è stata sovrapposta consente di percorrerlo a piedi. I monti del Grighini, ricoperti da alberi e arbusti di corbezzolo, mirto, cisto, olivastro e quercia, presentano molti interessanti aspetti naturalistici, mentre gli appassionati della caccia vi trovano pernici, lepri e conigli. Dalla sommità, chiamata Cuccuru Mannu, si gode la vista delle alture circostanti e di ampie parti del Campidano di Oristano, sino al mare. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa maggiore, alla quale anche gli emigrati cercano di essere presenti, è quella che si svolge il 16 maggio, data in cui, secondo la tradizione, avrebbe avuto inizio la costruzione della chiesa parrocchiale, per lo Spirito Santo e allo stesso tempo per Sant’Isidoro, patrono dei contadini, a ricordo delle tradizioni agricole ormai abbandonate. Oltre alle celebrazioni religiose si tengono i balli tradizionali, al suono dell’organetto, canti in sardo ‘‘a chitarra’’ e dimostrazioni di abilità da parte di uomini a cavallo. La Beata Vergine del Rimedio si festeggia l’8 settembre, sempre con grande solennità, presso la chiesa che le è dedicata, nell’immediata periferia del paese. Allée couverte – Il corridoio delle Tombe di giganti è considerato dagli archeologi come uno sviluppo dell’allée couverte. Allée couverte Termine che in francese significa ‘‘galleria coperta’’, usato dagli archeologi per indicare una struttura megalitica costituita da dolmen disposti in modo da formare un corridoio coperto. Si tratta di un tipo di sepoltura che comparve in Sardegna nel Neolitico finale, quando si manifestò la cultura di Ozieri (3200-2400 a.C.). Allo stato attuale sono state trovate in poche località della Sardegna centrosettentrionale, in particolare: Alà dei Sardi, località Doli Fichina; Austis, località Perda Longa; Berchidda, località Taerra; Birori, località Tanca ’e Sa Marchesa; Bonorva, località Mura Cariasas; Buddusò, località Loelle e Sa Raighina; Bultei, località Su Coveccu; Lu- 130 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 138 Allodio ras, località Ladas; Olzai, località Sedda de s’Ascusorgiu e S’Adde ’e Asula; Sindia, località Serrese. Allegretti, Umberto Giurista (n. Cagliari 1934). Dopo la laurea in Giurisprudenza ha condotto importanti ricerche di diritto costituzionale e insegnato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, dove per anni ha diretto gli istituti di Diritto pubblico e di Filosofia del Diritto. I suoi studi lo hanno portato ad approfondire i temi dell’autonomia regionale, di cui è divenuto uno dei massimi esperti. Professore di ruolo nel 1972, dopo alcuni anni nell’Università di Siena attualmente insegna Diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. Tra i suoi scritti: Sardegna (voce del Nuovissimo digesto italiano, 1968); La specialità regionale al bivio, ‘‘Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari’’, XLIX, 1980; Il dibattito sulla crisi e il rilancio dell’autonomia sarda, ‘‘Le Regioni’’, 1981. Alliata Famiglia pisana originaria di Calcinaia (secc. XIII-XIV). Le sue notizie risalgono al secolo XIII; i suoi membri erano mercanti impegnati in una fitta rete di affari che li spingeva in quasi tutti i porti del Mediterraneo occidentale. Inoltre, nel corso del secolo, ricoprirono per molti anni importanti uffici pubblici e presero parte attiva alla vita politica del Comune. A partire dalla seconda metà del secolo XIII un ramo della famiglia cominciò a frequentare Cagliari, dove gli A. ebbero casa nel quartiere di Castello. Con gli anni la loro presenza si fece stabile e alcuni dei membri della famiglia animarono i commerci della città; ma con l’arrivo degli Aragonesi la famiglia abbandonò la Sardegna. Alliata, Betto Mercante (Pisa, seconda metà sec. XIII-ivi, dopo 1320). Fu inviato una prima volta in Sardegna da suo padre nel 1289 a trattare i molti affari che la famiglia aveva nell’isola. Con gli anni ebbe modo di mettersi in luce anche come abile politico e prese parte attiva sia alle fazioni del Comune che alla vita della Cagliari pisana. Cosı̀ tra il 1296 e il 1331 fu eletto per sedici volte anziano del Comune e nel 1304 anche capitano del castello: fu incaricato, unitamente ad altri, di correggere il Breve di Villa di Chiesa (=). Prima del 1320 decise di abbandonare la Sardegna e diede disposizioni perché il cospicuo patrimonio che possedeva nell’isola fosse amministrato da alcuni procuratori. Alli Maccarani, Claudio Governatore di Sassari (sec. XVIII). Nato da una nobile famiglia piemontese, si dedicò alla carriera delle armi e fu nominato governatore di Sassari. Era altezzoso e pieno di preconcetti nei confronti dei sardi; il suo cattivo governo suscitò le critiche dell’opinione pubblica cittadina. Egli infatti si era indebitamente intromesso nell’amministrazione dell’azienda frumentaria e aveva approfittato della sua posizione per trarre dalla situazione indebiti profitti. Per questo, quando in occasione della grande carestia del 1780 scoppiò a Sassari una pericolosa sommossa popolare nata dal sospetto che avesse speculato sull’approvvigionamento del grano in accordo con il libraio-editore Piattoli, fu oggetto di una violentissima contestazione per cui fu rimosso dall’ufficio per ordine del re. Allodio Termine giuridico usato nell’Alto Medioevo per indicare il possesso non feudale della terra. Il titolare di una terra allodiale la possedeva liberamente senza averla ricevuta da alcuno e non era soggetto a vincoli o obbligazioni nei confronti di terzi. Sull’o- 131 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 139 Allodola rigine degli alloderi è stata fatta l’ipotesi che probabilmente essi fossero i discendenti dei conquistatori di un determinato territorio i quali, all’atto del loro insediamento, si erano impadroniti di una parte di esso, detta comunemente ‘‘lotto’’ (alod). La natura del loro rapporto con la terra li contrapponeva ai feudatari, che tenevano la terra in base a una concessione, erano cioè dei beneficiari che dovevano sottostare a una serie di vincoli fissati dal concedente. Nella Sardegna giudicale non esisteva la distinzione tra alloderi e feudatari: la terra apparteneva o al demanio pubblico o a proprietari privati che probabilmente erano i discendenti degli antichi latifondisti dell’età bizantina. L’istituto fu introdotto nella seconda metà del secolo XV e fu riferito a un processo di trasformazione della concessione feudale; il possessore del territorio che ne è oggetto viene liberato da qualsiasi rapporto di dipendenza nei confronti del concessionario. La allodiazione è sempre disposta con atto del sovrano: in base ad essa l’allodero può disporre della terra senza limiti, può venderla tutta o in parte, può trasmetterla in eredità a suo piacimento senza dover chiedere preventivamente l’investitura e senza dover osservare i servizi cui normalmente il signore feudale era tenuto. La allodiazione trasformò quindi le vecchie concessioni feudali fatte secondo il modello detto del mos Italiae, e fu ottenuta dopo un periodo di lotta e di contesa con l’amministrazione reale grazie al quale i limiti dell’antica concessione vennero gradualmente estesi. Cronologicamente il processo ebbe inizio negli anni tra il 1460 e il 1480, in un momento di grande tensione, nel quale l’anarchia feudale sembrava incontenibile. Entro questo ventennio tutti i grandi feudi sardi furono trasformati in a., ma i nuovi poteri attribuiti all’allodero non erano solo di natura patrimoniale. L’allodiazione, infatti, comportò anche il riconoscimento della pienezza della giurisdizione in primo e in secondo grado e la totale autonomia nell’imporre e riscuotere tributi di qualsiasi natura. Il re si riservò nei loro confronti il diritto di supremazia, derivante dal vincolo personale che legava l’allodero al re e gli impediva l’esercizio di atti di sovranità. Allodola = Zoologia della Sardegna Alloro – Particolare del ramo con foglie e drupe. Alloro Pianta arborea sempreverde della famiglia delle Lauracee (Laurus nobilis L.), alta sino a 20 m. Foglie ellittiche lanceolate, con margine ondulato, fortemente aromatiche; pianta dioica, a marzo-aprile produce fiori unisessuali su piante distinte, giallini, in corti racemi ascellari; i suoi frutti sono drupe nere, lucide e peduncolate. L’a. è spontaneo nella vegetazione sarda, dove rappresenta una delle essenze identificative della macchia (Lauretum), e cresce, senza mai raggiungere dimensioni notevoli, in luoghi umidi e ombrosi dalla costa sino ai 132 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 140 Almogavers 600 m di altitudine. Il legno, duro ed elastico, è molto apprezzato in artigianato: gli oggetti che se ne ricavano conservano il profumo aromatico. Simbolo di gloria e pianta sacra ad Apollo presso i Greci, ha sempre goduto di considerazione per le sue virtù medicamentose e culinarie. Dall’olio delle foglie e delle drupe si ricava il ‘‘burro di lauro’’, con cui si curano i dolori articolari. Le foglie, fatte bollire in acqua con buccia di limone, sono un ottimo digestivo e calmante dei dolori gastrici. Nella cucina tradizionale le foglie di a. sono utilizzate per insaporire arrosti e conserve di olive e di pomodori secchi (sa pilarda). Vengono inoltre riposte insieme ai legumi secchi per allontanare i parassiti. Un bell’esemplare di oltre 15 m si trova nella piazza di Montevecchio (Iglesias), a ricordo dell’epoca d’oro dell’industria mineraria in Sardegna (prima metà del Novecento). Nomi sardi: aráru (sassarese); labru (barbaricino); laru (gallurese); lau (Sardegna centro-meridionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] ‘‘Almanacco della Sardegna’’ Pubblicazione annuale curata dalla Associazione della Stampa Sarda. Nata nel 1966, è uno strumento indispensabile per conoscere gli iscritti all’ordine dei giornalisti ‘‘professionali’’ e a quello dei ‘‘collaboratori’’. Aperto da saggi riguardanti i problemi della professione o della Sardegna, contiene un inventario di tutti gli operatori della comunicazione nell’isola e un fitto indirizzario delle istituzioni pubbliche sarde. ‘‘Almanacco di Cagliari’’ Pubblicazione annuale fondata e diretta da Vittorio Spano. Nonostante il carattere prevalentemente divulgativo (si occupa di attualità, economia, politica e storia), si è guadagnata nel tempo una meritata stima, dovuta anche ai contributi di intellettuali di livello e di gior- nalisti affermati tra i quali Francesco Alziator, Bruno Anatra, Simonetta Angiolillo, Lucio Artizzu, Antonio Ballero, Ferruccio Barreca, Francesco Birocchi, Alberto Boscolo, Manlio Brigaglia, Myriam Cabiddu, Maria Rosa Cardia, Angelo Carrus, Gerolama Carta Mantiglia, Francesco Cesare Casula, Giuseppina Catani, i due Paolo Cau, Alessandra Cioppi, Francesco Cocco, Giuseppina Cossu Pinna, Mauro Dadea, Giuseppe Della Maria, Lorenzo Del Piano, Paolo De Magistris, Paolo Fadda, Mario Faticoni, Foiso Fois, Federico Francioni, Adriana Gallistru, Giovanni Lilliu, Antonangelo Liori, Francesco Manconi, Antonello Mattone, Giampaolo Mele, Piero Meloni, Pasquale Mistretta, Salvatore Naitza, Tiziana Olivari, Gabriella Olla Repetto, Tonino Oppes, Fernando Pilia, Carlo Pillai, Antioco Piseddu, Giuseppe Podda, Vindice Ribichesu, Antonio Romagnino, Franco Ruggieri, Dino Sanna, Vincenzo Santoni, Aldo Sari, Maria Grazia Scano, Olivetta Schena, Marcello Serra, Renata Serra, Sergio Serra, Achille Sirchia, Carlino Sole, Giancarlo Sorgia, Giovanna Sotgiu, Marco Tangheroni, Cenza Thermes, Giovanni Todde, Eugenia Tognotti, Antonio Trudu, Angelino Usai, Isabella Zedda Macciò, Raimondo Zucca. Almogavers Corpo militare speciale (sec. XIV). Era costituito di fanti dotati di armamento leggero e addestrati in operazioni di particolare rischiosità, da svolgere in situazioni difficili. Un contingente di queste truppe fu aggregato al corpo di spedizione dell’infante Alfonso in Sardegna e si rivelò determinante nella battaglia di Lutocisterna. Essi, infatti, avvalendosi del loro armamento, costituito principalmente da lance, nel fervore della mischia riuscirono a disarcionare i pesanti cavalieri corazzati tedeschi che 133 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 141 Almos erano il nerbo dell’esercito pisano e, una volta atterrati, a sgozzarne un gran numero con la daga. Almos Antico villaggio del giudicato d’Arborea, compreso nella curatoria del Parte Montis. Cominciò a spopolarsi nel 1348 a causa della peste e negli anni seguenti subı̀ ancora le conseguenze della peste del 1376, per cui i suoi abitanti lo abbandonarono in data non precisabile dopo il 1388, anno in cui i suoi rappresentanti presero parte alle riunioni delle corone che precedettero la firma della pace con l’Aragona. lette sumeriche), possiede tante proprietà medicamentose da essere chiamata ‘‘la pianta dei miracoli’’. Ricca di elementi nutritivi essenziali e di importanti princı̀pi attivi (mucopolisaccaridi, vitamina A e C, aminoacidi ed enzimi), concentrati nel tessuto gelatinoso delle foglie, ha sicuri effetti antinfiammatori e cicatrizzanti. I suoi possibili usi sono allo studio di biochimici e medici, soprattutto riguardo a una sua ipotizzata capacità antitumorale. Non appartiene alla vegetazione spontanea sarda, ma la sua coltivazione, sia a scopo ornamentale che fitoterapico, si sta diffondendo sempre più. Una notevole piantagione esiste nell’Orto Botanico di Cagliari, in associazione con altre piante esotiche nel ‘‘settore dei deserti’’; in primavera le lunghe spighe rosse dei suoi fiori colorano i fianchi scoscesi della rocca di Castelsardo. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Alosa = Zoologia della Sardegna Alpinismo Il CAI (Club Alpino Italiano) Aloe – L’Aloe barbadensis è sfruttata per le sue proprietà medicamentose. Aloe Genere di piante succulente della famiglia delle Liliacee, comprende circa 300 specie che crescono nelle zone costiere del Mediterraneo. La più conosciuta è l’A. arborescens o A. barbadensis L.: utilizzata nella farmacopea di tutte le civiltà (testimonianze sono state trovate in papiri egizi e tavo- nasce a Roma nel 1864, anno della morte di Alberto Lamarmora, che fu sicuramente il primo vero alpinista che abbia avuto a che fare con la Sardegna. Nel suo lungo peregrinare per l’isola, soprattutto per preparare la prima carta geografica della Sardegna basata sulle triangolazioni trigonometriche, infatti, ne aveva scalato tutte le vette, molte delle quali mai raggiunte prima da piede umano. Forse è per la risonanza che ebbero le sue due opere descrittive della Sardegna e dei suoi rilievi, che già nel 1879 esistevano due sezioni sarde del CAI, una a Sassari e una a Cagliari, che organizzavano escursioni in varie località montane. Quella sassarese, poi, deliberò di costruire un rifugio sul Gennargentu: dedicato proprio al Lamarmora, venne inaugurato solo nel 1901 dopo lo scioglimento delle due sezioni sarde e la 134 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 142 Altana nascita del Club Alpino Sardo. L’attività alpinistica vera e propria, comunque, non riusciva a decollare, se si eccettua nel 1922 la memorabile scalata del Limbara e dei monti di Aggius da parte di Guido Cibrario. Rinasceva, però, nel 1932, per interessamento del geologo Silvio Vardabasso, la sezione del CAI di Cagliari e l’anno successivo la sottosezione di Sassari. Ma le attività si limitavano alle solite escursioni e avevano un carattere elitario: non si esploravano le numerose grotte e, soprattutto, non si organizzavano scalate importanti, nonostante le tante montagne adatte. Dopo la guerra e dopo le presidenze della sezione di Cagliari di Filippo Manunza e del generale degli Alpini Giuseppe Sanna, la grande svolta si ebbe nel 1975 con Angelo Berio, che coinvolse l’amministrazione regionale e quelle locali, favorendo la nascita della CNA (Commissione regionale protezione natura alpina), del Gruppo Naturalistico e del Gruppo Roccia. Berio tenne la presidenza fino al 1993 lasciando la carica all’avvocato Roberto Cortis. L’anno successivo nasceva la sottosezione di Nuoro, che nel 1997 divenne autonoma. Oggi le attività alpinistiche che si svolgono in Sardegna coinvolgono i gruppi speleologici, gli appassionati di free climbing (l’arrampicata – anche agonistica – sia assistita che a mani nude), le escursioni, il trekking, il mountain bike (ciclismo montano) e le escursioni, per le quali nascono gruppi di guide per la visita alle numerose grotte e ai siti più difficili. L’attività si svolge con l’assistenza e la vigilanza del Corpo Forestale dello Stato, che in anni recenti è stato riorganizzato e nel quale si è curata sempre di più la preparazione e la specializzazione del personale addetto alla salvaguardia della flora e della fauna sarde. [GIOVANNI TOLA] Giuseppe Altana – Pittore formatosi all’Accademia Albertina di Torino, Giuseppe Altana tornò nella natia Ozieri, operando con successo pure da una posizione defilata. Altana, Giuseppe Pittore (Torino 1886Ozieri 1975). Nato a Torino da famiglia sarda, studiò in quella città, dove fu allievo di Giacomo Grosso all’Accademia Albertina. Tornato in Sardegna, espose per la prima volta al pubblico le sue opere a Ozieri (1913) e progressivamente si inserı̀ nell’ambiente artistico isolano; amico di Giuseppe Biasi, prese parte al movimento della prima ‘‘Secessione’’. Espose alla Quadrien- 135 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 143 Altara nale di Torino (1923) e in altre numerose mostre, ottenendo premi e riconoscimenti. Nel 1929 aderı̀ all’invito di Biasi e sottoscrisse il documento costitutivo della ‘‘Famiglia Artistica Sarda’’. In seguito continuò a risiedere a Ozieri e, caduto il fascismo, prese parte alla prima Triennale promossa da Pietro Antonio Manca, svoltasi a Tempio (1944). Negli anni seguenti continuò a dipingere intensamente, partecipando a numerose mostre. Ottenne riconoscimenti soprattutto per le sue incisioni. tese di larga notorietà e si trasferı̀ in Piemonte, dove si dedicò all’incisione. In seguito risiedette a Milano, dove collaborò a molte riviste, soprattutto femminili, contribuendo alla loro illustrazione con disegni di grande eleganza. Nella sua produzione gradualmente abbandonò i soggetti sardi e si dedicò ad altri soggetti con grande maestria; separatasi dal marito, si cimentò in una serie di disegni che furono poi realizzati in alcune ceramiche dalla Lenci. Si affermò come creatrice di moda, aprendo un proprio atelier. Dipinse inoltre le decorazioni di uno dei saloni del transatlantico Conte Biancamano. Tornata in Sardegna, fu presente nella vita artistica isolana. A lei e alle sorelle Elina e Lavinia è stata dedicata nella primavera-estate 2005 una mostra, organizzata dalla Ilisso di Nuoro, Le muse in salotto. Altara, Igino Medico veterinario, con- Edina Altara – Le sorelle Altara nel manifesto della mostra loro dedicata a Sassari nel 2005, Le muse in salotto, dalla nuorese Ilisso. Altara, Edina Pittrice (Sassari 1898-Lanusei 1983). Allieva di Giuseppe Biasi, prese parte al movimento del ‘‘Cenacolo’’ e dal 1915 al movimento della prima ‘‘Secessione’’. Esordı̀ nel 1916 a Sassari, introducendo in Sardegna la tecnica del collage, allora sconosciuta, con la quale si impose all’attenzione generale. Negli stessi anni la sua innovativa creatività si manifestò anche con l’invenzione di magnifici giocattoli di legno, ottenendo un notevole successo a livello nazionale nel 1917. Nel 1922 si sposò con un incisore piemon- sigliere regionale (m. 1976). Cattolico, fu eletto consigliere regionale per la DC nel collegio di Nuoro per la I legislatura. Non più rieletto, dopo il 1953 fece parte del consiglio d’amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno. Direttore generale dei servizi veterinari del Ministero della Sanità, insegnò anche all’Università di Torino. La sua attività scientifica è documentata anche da oltre sessanta lavori. Altasar Antico villaggio del giudicato di Torres compreso nella curatoria di Coros. Secondo alcuni sorgeva in prossimità dell’attuale abitato di Ittiri. Sue notizie compaiono per la prima volta agli inizi del secolo XII e quando fu celebrato il matrimonio di Corrado Malaspina, figlio del capostipite del ramo dello Spino Fiorito, con Urrea, sconosciuta nobildonna sarda, A. entrò con tutto il territorio del Coros a far parte della dote di lei, passando cosı̀ in mano ai Malaspina. Corrado e Urrea non eb- 136 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 144 Altea bero figli, sicché entro il 1221 il loro patrimonio sardo passò ai cugini del ramo dello Spino Secco. Nei decenni successivi A. passò spesso da uno all’altro rappresentante di questo ramo, che dopo l’estinzione della dinastia giudicale di Torres aveva costituito un piccolo stato feudale. Dopo la conquista aragonese, compreso nel feudo che era stato riconosciuto ai Malaspina, fece parte del Regnum Sardiniae; di fatto però i Malaspina continuarono a considerarsi sovrani del territorio e quando nel 1325 scoppiò la rivolta dei Doria essi vi aderirono, per cui nel 1330 il loro territorio fu invaso dalle truppe di Raimondo Cardona. Il paese divenne teatro delle operazioni militari e cominciò a spopolarsi. Quando nel 1343 il marchese Giovanni Malaspina morı̀ lasciando erede Pietro IV, A. passò almeno formalmente nel patrimonio reale; di fatto continuò a essere posseduto dai fratelli del defunto in un clima di crescenti tensioni fino al al 1353, anno in cui tutti i loro possedimenti furono sequestrati. In seguito il villaggio fu danneggiato nel corso delle guerre tra Aragona e Arborea e si spopolò completamente dopo il 1370. Altea1 Pianta erbacea perenne della famiglia delle Malvacee (Althea officinalis L.), conosciuta anche con il nome di malvone. Fusto eretto, con rami alterni, su cui si inseriscono foglie picciolate, ovali tri-pentalobate, ricoperte di peluria biancastra. Fiori sessili, bianchi rosati, in grappoli, fioritura da maggio ad agosto. Il frutto è un achenio composto. Spontanea, cresce lungo i corsi d’acqua e i terreni incolti umidi, sino a 1200 m di altitudine. Pianta molto usata per le sue proprietà officinali: i decotti di foglie vengono utilizzati come antinfiammatori, astringenti e rinfrescanti, il succo delle radici è un ottimo lenitivo per l’arrossamento di pelli delicate. Nomi sardi: mármara fóina (Nuoro); narbònia (Sardegna centro-meridionale); pramariscu (Logudoro). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Altea – Come indica il suo nome latino, l’Althaea officinalis è una pianta che possiede alcune virtù curative. Altea2 Famiglia sassarese (sec. XVIIesistente). È nota fin dal secolo XVII; i suoi membri esercitavano tradizionalmente la professione di notai e nel corso del secolo acquistarono la signoria utile della Tappa di insinuazione di Sassari, riuscendo cosı̀ ad accumulare considerevoli ricchezze. Nel 1744 con il dottor Gerolamo, proavvocato fiscale di Sassari, furono insigniti del titolo di conti di Sant’Elia. Gerolamo ebbe un’unica figlia che, sposatasi con un Arborio Mella, fece passare il titolo alla famiglia del marito, che ancor oggi lo porta. Altea, Angelo Giornalista, deputato al Parlamento (n. Nuoro 1951). Giornalista professionista dal 1981, nel 1994 è stato eletto deputato per la XII legislatura per Rifondazione Comunista; nel corso della legislatura è passato ai Comunisti Unitari e nel 1996 è stato riconfermato per la XIII legislatura. 137 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 145 Altea 1995; I gioielli d’arte in Sardegna, 1996; La collezione d’arte della Provincia di Sassari (con M. Magnani), 1996; Giuseppe Biasi (con M. Magnani), 1998; Pittura e scultura in Sardegna dal 1930 al 1960 (con M. Magnani), 2000; Stanis Dessy (con Marco Magnani), 2002; Antonio Marras (con Alessandra Borgarelli), 2003. Altic(ienses) Popolazione della Sarde- Giuliana Altea – Docente di Storia dell’Arte all’Università di Sassari, ha al suo attivo una lunga serie di saggi su arte e artisti della Sardegna contemporanea. Altea, Giuliana Storica dell’arte (n. Sassari 1958). Dopo la laurea si è dedicata all’insegnamento di storia dell’arte negli istituti di istruzione secondaria e dopo il 2000 ha intrapreso la carriera universitaria. Attualmente è professore associato presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Studiosa dell’arte contemporanea in Sardegna, ha pubblicato (spesso in collaborazione con Marco Magnani) una serie di importanti ricerche, tra cui Stanis Dessy. Opere 1918-1982 (con M. Magnani e P. Dessy), 1987; I fratelli Clemente e la vicenda delle arti applicate, in Sassari tra liberty e decò, 1989; Nino Siglienti. Un artista decò e la sua bottega (con M. Magnani), 1989; Figure in musica: artisti sardi nel teatro e nell’editoria musicale del primo Novecento (con M. Magnani e C. Murtas), 1990; Le matite di un popolo barbaro. Grafici ed illustratori sardi 1905-1935 (con M. Magnani), 1990; Un popolo di legno. Giocattoli artistici di Anfossi e Tavolara 19251939 (con M. Magnani), Catalogo della mostra, 1991; Eugenio Tavolara (con M. Magnani), 1994; Mauro Manca (con M. Magnani), 1994; Pittura e scultura del primo Novecento (con M. Magnani), gna centrale conosciuta attraverso un cippo terminale rinvenuto presso Bari Sardo. [ESMERALDA UGHI] Alto Commissariato per la Sardegna Ufficio speciale per il governo dell’isola operante nel periodo 1944-1949. Nel marzo del 1943, quando la pressione militare degli Alleati cominciò a concentrarsi sull’Italia in preparazione dello sbarco in Sicilia, la Sardegna restò di fatto isolata; il governo costituı̀ allora nell’isola l’ufficio del Commissario straordinario per gli affari civili, nell’intento di coordinare le esigenze della popolazione civile dell’isola con quelle militari. L’ufficio era in fase di avviamento quando, nel luglio dello stesso anno, cadde il fascismo e la Sardegna si trovò ancor più isolata. Subito dopo l’armistizio l’isola fu abbandonata dalle forze tedesche in modo incruento e il 17 settembre fu occupata dagli Alleati e posta sotto l’Allied Military Government. Le operazioni militari di fatto avevano contribuito a isolare ancor di più la Sardegna, dove peraltro i gruppi antifascisti andavano spontaneamente costituendo le prime aggregazioni politiche. Gli Alleati si resero conto allora che occorreva facilitare i rapporti tra la società civile dell’isola e gli occupanti, per cui suggerirono al governo italiano l’istituzione di un ufficio dotato di poteri eccezionali che fosse in grado di avviare questo compito. Cosı̀ il 27 gennaio 1944 col regio decreto luo- 138 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 146 Alvarez gotenenziale n. 21 fu istituito l’A.C. per la S., al quale furono delegate tutte le funzioni del governo centrale (ma dopo qualche mese gli vennero sottratte quelle militari). Una volta insediato, l’organismo si trasformò in poco tempo da burocratico in politico e divenne il principale fautore della rinata democrazia sostenendo, tra l’altro, il nascente dibattito sull’autonomia regionale e l’elaborazione dello statuto della futura Regione sarda. Designato a reggere l’ufficio fu il generale Pietro Pinna di Pozzomaggiore, un brillante ufficiale dell’Aeronautica che, prigioniero di guerra negli USA, era stato scelto per la carica dagli stessi Alleati. L’Alto Commissario operò dal 29 gennaio del 1944 fino all’elezione del primo Consiglio regionale, maggio 1949. Già nel marzo 1944 fu affiancato da una giunta di 6 membri, rappresentanti di ciascuno dei partiti del CLN (e da un indipendente); nel dicembre dello stesso anno la giunta fu sostituita dalla Consulta regionale, il numero dei cui componenti venne aggiornato di tempo in tempo e, dopo le elezioni dell’Assemblea costituente (2 giugno 1946), rapportato alla composizione percentuale dei risultati ottenuti nell’isola dai diversi partiti. Dopo l’elezione del primo Consiglio regionale parte dei poteri che erano stati attribuiti all’Alto Commissariato passarono al rappresentante del governo presso la Regione e allo stesso Consiglio regionale. Altomonte, Giacomo Pittore romano (sec. XVIII). Considerato da molti l’iniziatore del rococò in Sardegna, fu chiamato nell’isola nel 1718 per eseguire alcuni affreschi nella chiesa di Serrenti e si affermò progressivamente per la sua abilità e per la novità della sua arte. La sua opera di maggiore respiro fu la decorazione della chiesa di San Michele a Cagliari, che i Gesuiti gli commisero; egli pose mano al grande lavoro in collaborazione con Domenico Colombino, e lo portò a termine negli anni tra il 1720 e il 1722. Nello stesso periodo eseguı̀ pregevoli dipinti per alcune altre chiese della città. Aluda Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria della Trexenta. Sorgeva non lontano da Senorbı̀. Viene menzionato in documenti a partire dagli inizi del secolo XIII e quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, A. fu compreso nel terzo toccato ai conti di Capraia. In seguito da loro passò al giudice d’Arborea e nel 1295 il giudice Mariano II lo trasferı̀ con tutta la curatoria al Comune di Pisa, che però ne entrò in possesso solo nel 1300; da quel momento il villaggio fu amministrato direttamente da funzionari del Comune, che ne sfruttarono le risorse facendone diminuire la popolazione. Dopo la conquista aragonese il territorio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e, conclusesi nel 1326 le ostilità tra Pisa e Aragona, fu concesso in feudo al Comune di Pisa. Negli anni che seguirono fu amministrato con eccessivo fiscalismo in un clima politico di crescente tensione e la sua popolazione continuò a diminuire. Nel 1353, con la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il suo territorio fu gravemente devastato, ma in qualche modo Pisa continuò a conservarne il possesso. Quando, però, nel 1365 scoppiò la seconda guerra tra Arborea e Aragona, Pisa ne perse definitivamente il controllo e A. si spopolò in seguito al conflitto. Alvarez, Giovanni Religioso (Calatayud, Spagna,seconda metà sec. XVISolsona, Spagna, prima metà sec. XVII). Entrato nell’ordine cistercense si laureò in Teologia e fu nominato 139 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 147 Alvargiu abate di Verucla nei pressi di Tarazona. Nel 1612 Paolo V lo nominò vescovo di Bosa, ma A. non accettò il trasferimento in Sardegna, fece prendere possesso della diocesi al suo vicario e nel 1613 ottenne il trasferimento a Solsona. Alvargiu Antico villaggio del giudicato di Gallura, compreso nella curatoria della Montangia. La sua ubicazione esatta non è però identificata. Era un centro di modesta entità e dopo l’estinzione della dinastia giudicale dei Visconti fu amministrato da funzionari del Comune di Pisa. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti mantennero un atteggiamento di sfida nei confronti degli Aragonesi che tentarono di sottometterli con la forza. La situazione non mutò negli anni successivi per cui, scoppiata la guerra tra Genova e Aragona, nel 1330 fu assalito e occupato dalle truppe di Raimondo Cardona. Nel 1331 A. entrò a far parte del feudo concesso al Cardona; dopo la sua morte nel 1337 tornò in possesso del re ma continuò a soffrire a causa della peste del 1348 e delle guerre che si susseguirono. Si spopolò completamente entro la fine del secolo XIV. Alzavola = Zoologia della Sardegna Alziator, Augusto Giornalista, garibaldino (Cagliari 1879-Argonne 1915). Iniziò gli studi nella città natale ma li completò a Genova. Fece le sue prime esperienze scrivendo su ‘‘Il resto del Carlino’’ di Bologna; fervente garibaldino, divenne segretario di Peppino Garibaldi, che seguı̀ in Francia. Tornato in Italia, quando scoppiò la prima guerra mondiale vi prese parte e divenne uno dei primi corrispondenti di guerra; trovò morte eroica combattendo nelle Argonne. Alziator, Francesco Studioso di tradizioni popolari, scrittore (Cagliari 1909- ivi 1977). Nato da una nobile famiglia di antiche origini liguri, già da studente universitario si segnalò collaborando col suo professore Raffaele Ciasca alla Bibliografia Sarda (1931-1934) e come collaboratore de ‘‘L’Unione sarda’’ e di altri periodici. Nel 1932 si laureò in Lettere e nel 1934 in Scienze politiche; fin da quegli anni divenne uno degli animatori della vita culturale della città e si affermò come giornalista di talento e studioso di tradizioni popolari. Scoppiata la seconda guerra mondiale, vi prese parte; tornato in Sardegna dopo l’armistizio, fu tra i fondatori dell’associazione Amici del Libro e, cessate le operazioni militari, insegnò lettere in alcune scuole medie superiori e riprese a collaborare stabilmente a diversi periodici. Nel 1958 conseguı̀ la libera docenza in Tradizioni popolari e dal 1969 ottenne l’incarico dell’insegnamento della disciplina presso l’Università di Sassari. Nella Biblioteca comunale di Sassari ‘‘scoprı̀’’ e valorizzò l’Autobiografia di Vincenzo Sulis, curandone un’edizione critica. I suoi scritti sono numerosissimi. Fra questi la Storia della letteratura in Sardegna, pubblicato dalla cagliaritana ‘‘La Zattera’’ dei fratelli Cocco, ebbe un successo immediato, suscitando anche aspre polemiche. L’opera, infatti, aveva come unico antecedente la Storia letteraria di Sardegna di Giovanni Siotto Pintor, edita più di un secolo prima, sicché il tentativo di un inventario generale della produzione letteraria isolana incontrò giudizi spesso fortemente critici, che s’appuntavano sulla disparità d’apprezzamento tra i diversi autori, sull’impostazione fortemente crociana (e dunque attenta a enfatizzare le espressioni più ‘‘liriche’’ dei testi esaminati) e sulla sostanziale incomprensione della poesia in lingua regionale. Oltre 140 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 148 Amadu le opere sulle tradizioni popolari isolane (si veda l’indicazione qui sotto), la sua firma appare in calce a una intensa serie di articoli giornalistici, frutto soprattutto della sua collaborazione all’‘‘Unione sarda’’ (una parte di essi, dedicata alla ‘‘sua’’ Cagliari, fu raccolta e pubblicata dopo la sua morte nel volume L’elefante sulla torre, a cura di Antonio Romagnino, 1982). Citando soltanto le opere più importanti, ricorderemo: Il teatro in Sardegna, in ‘‘Diorama della musica in Sardegna’’, 1937; Typographica sarda. Su alcune questioni di storia della stampa in Sardegna, 1951; Il folklore sardo, con prefazione di P. Toschi, 1957 (riedito nel 1958); Picaro e folklore ed altri saggi di storia delle tradizioni popolari, 1959; Cagliari. La città del sole, 1963; Verso una storia dell’abbigliamento popolare in Sardegna, 1964; Cratofanie ed epifanie diaboliche del monte Arquerı̀, 1968; Elementi di tradizione popolare nel detto del gatto lupesco, 1968; Superstrati di tradizioni popolari intorno a un’edicola del Duomo di Cagliari, 1968; Testi campidanesi di poesie popolareggianti, 1969; Caratteri ed elementi della storia della cultura in Sardegna, 1977; I giorni della laguna, 1977; Attraverso i sentieri della memoria, 1979; L’elefante sulla torre. Itinerario cagliaritano, prefazione di A. Romagnino, 1982. Amadasi Guzzo, Maria Giulia Archeologa (n. Roma 1940). Allieva di Sabatino Moscati, si è specializzata nello studio del periodo punico. Da quando ha fatto parte della missione archeologica che l’Università di Roma inviò a Monte Sirai per lavorarvi in collaborazione con la Soprintendenza archeologica di Cagliari dal 1963 al 1968, i suoi rapporti con la Sardegna sono stati frequenti. Infatti ha lavorato agli scavi che annualmente interessarono il sito unitamente a Ferruccio Barreca e ad altri studiosi sardi e stranieri. Attualmente è professore ordinario di Semitistica presso la Facoltà di Lettere dell’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma. Tra i suoi scritti: La necropoli (con L. Brancoli), in Monte Sirai II. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, XIV, 1965; L’abitato, in Monte Sirai III. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, XX, 1966; La zona C, in Monte Sirai IV. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, XXV, 1967; Note sul dio Sid, in Ricerche puniche ad Antas, 1969; Forme della scrittura fenicia in Sardegna, in Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987; Iscrizione punica a Cagliari, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 19, 2002. Amadu, Francesco Sacerdote, storico (n. Pattada 1921). Studioso attento e rigoroso, completati i suoi studi si fece sacerdote e prese a lavorare con impegno nella diocesi di appartenenza. Col tempo è stato nominato canonico della cattedrale ed è divenuto cancelliere diocesano. Studioso di storia locale, attento indagatore del passato della sua città, è un punto di riferimento della vita culturale ozierese; nel 1985 è stato tra coloro che concorsero alla costituzione del Museo civico archeologico. Tra i suoi scritti: La diocesi medioevale di Bisarcio, 1963; I gremi della Sardegna, 1964; Ozieri e il suo territorio dal neolitico all’Età romana, 1978; La dio- 141 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 149 Amadu cesi medioevale di Castro, 1984; Il movimento cattolico ad Ozieri (1871-1922), 1992; Pattada. Dalla Preistoria all’Ottocento, 1996; Ozieri cinquemila anni, 1997. Amadu, Salvatore Insegnante, consigliere regionale (n. Sassari 1950). Laureato in Lettere, si è dedicato all’insegnamento e ha iniziato la sua attività politica nella DC. Consigliere comunale e assessore del comune di Sassari dal 1975 al 1991, nel 1989 è stato eletto consigliere regionale del Partito Popolare per la X legislatura; passato nel 1994 al CDU e infine all’UDR, quando Francesco Cossiga lo costituı̀ a livello nazionale, è stato successivamente sempre rieletto per l’XI e la XII legislatura. Nel corso della XII legislatura ha fondato la Lista Amadu ed è divenuto assessore regionale ai Trasporti nella giunta Pili dal novembre 2001. Nel 2004 è stato rieletto consigliere regionale per l’UDC. Amanita – L’ovolo buono è uno dei funghi più ricercati. Amanita Genere di funghi a struttura eterogenea, con marcata differenziazione tra gambo e cappello. Le lamelle sono libere e distanti dall’inserzione. Il velo che ricopre il fungo alla nascita rimane come traccia sul cappello e alla base del gambo (volva), dove è presente anche un anello membranoso. Le spore sono in genere bianche, tendenti all’ocra o al rosa, a seconda delle specie. Comprende diverse specie, tutte velenose, ad eccezione dell’A. caesarea Pers., l’ovolo buono, che si distingue con sicurezza dalle altre solo quando il cappello, rosso-arancio, liscio, è aperto. Le lamelle e il gambo sono giallo-oro. Cresce nelle radure riparate e soleggiate dei boschi di leccio, erica e corbezzolo, con predilezione per i substrati silicei. Ottimo crudo in insalata, o rosolato con burro e parmigiano. Le altre specie presenti in Sardegna sono: 1. l’A. phalloides Link, mortale, dal cappello bianco-verde con sfumature olivastre, lamelle fitte bianche e gambo dal grosso bulbo con volva, molto diffusa nei boschi di leccio; 2. l’A. verna Lamk., mortale, dal cappello bianco sporco con sfumature ocra al centro, gambo liscio con grosso bulbo e volva ampia e membranosa, rara nei boschi di castagno; 3. l’A. pantherina Krombh., velenosa, riconoscibile dal cappello marrone con verruche rugose e irregolari biancastre, cresce ai margini della macchia alta o in vicinanza di corsi d’acqua; 4. l’A. muscaria Hook., velenosa, il tipico fungo dell’iconografia delle fiabe, dal cappello rosso-arancio, ricoperto di verruche piramidali bianche, ha lo stesso habitat del precedente. In Sardegna la stagione dei funghi è l’autunno, quando le temperature ancora miti e le prime piogge creano le condizioni ideali per la loro crescita. I nomi sardi dei funghi sono genericamente antunna (Sardegna centrale e Logudoro) o cardulinu (Campidano), ma non esiste un nome specifico, anche perché sino a pochi decenni fa gli unici funghi conosciuti e raccolti 142 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 150 Amat erano il prataiolo e il cardoncello. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] due stele cufiche del Museo di Cagliari, 1864; Prime imprese degli Italiani nel Mediterraneo, ‘‘Nuova Antologia’’, II, 1886. Amarilla Termine, riferibile al colore giallo della stoffa usata per le divise, con cui venne indicata la guardia personale cui aveva diritto il viceré di Sardegna. Il corpo era costituito da un capitano, tradizionalmente appartenente alle migliori famiglie dell’aristocrazia sarda, e da dodici alabardieri. Le divise gialle furono sostituite in periodo sabaudo con divise rosse dalla foggia più moderna; il corpo fu abolito nel 1848 dopo la ‘‘fusione perfetta’’. Amat Illustre e antica famiglia feudale Michele Amari – Lo storico e uomo politico raffigurato in un’incisione. Amari, Michele Storico (Palermo 1806Firenze 1889). Insigne arabista, di idee repubblicane, amico del Mazzini, nel 1842 fu costretto ad andare in esilio. Quando Ferdinando II nel 1848 concesse la Costituzione, tornò in patria, fu eletto deputato e nominato ministro delle Finanze. Nel 1849, però, l’improvviso voltafaccia del sovrano lo costrinse nuovamente ad andare in esilio a Parigi, da dove poté far ritorno solo nel 1860. Rientrato in patria insegnò all’Università di Firenze; nel 1861 fu nominato senatore e negli anni successivi fu più volte ministro. Nella sua vasta produzione scientifica si occupò spesso di storia sarda; già nel 1858, esaminate le Carte d’Arborea, le giudicò false. Nel 1862, quando era ministro della Pubblica Istruzione, le attaccò pubblicamente con notevole violenza. Degli scritti riguardanti la Sardegna andranno ricordati gli articoli Sopra catalana (sec. XV-esistente). Probabilmente discendente dai conti sovrani di Ampurias, si trasferı̀ in Sardegna nella seconda metà del Quattrocento con un Giovanni, cavaliere gerosolimitano, nominato amministratore del marchesato di Oristano. Dopo molti anni, Giovanni si stabilı̀ ad Alghero, dove fu nominato governatore di Sassari e divenne uno dei più stretti collaboratori del viceré Dusay; fece arrivare da Barcellona un suo cugino, Giacomo, figlio cadetto di Pietro, signore di Castelbell, giovane colto e di belle speranze. Giacomo, con l’aiuto del maturo cugino, trovò nell’isola posizione e carriera, sposò Isabella De Sena e ricoprı̀ importanti uffici nell’amministrazione reale; nel 1502 fu nominato vicario reale di Alghero e quando Giovanni morı̀ (1506) fu nominato amministratore del marchesato di Oristano. Poco dopo fu nominato governatore del Logudoro e nel 1507 sostituı̀ il Dusay nelle funzioni di viceré, assumendo il titolo di luogotenente generale del regno. Fissò la residenza della famiglia ad Alghero, dove morı̀ nel 1524; l’unico suo figlio Pietro si arruolò nell’esercito di Carlo V e si segnalò nelle campagne di 143 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 151 Amat Germania contro i protestanti; tornò spesso in Sardegna dove si era sposato con Brianda Cariga e nel 1538 si stabilı̀ definitivamente ad Alghero. I suoi figli ricoprirono numerosi uffici pubblici e si imparentarono con le migliori famiglie della città. Tra questi singolare è la figura di Giovanni, uomo d’armi e amico e compagno d’armi di Emanuele Filiberto di Savoia. Suo figlio Francesco fu l’iniziatore delle fortune feudali della famiglia grazie al suo matrimonio con Angela Font, erede del piccolo feudo di Lunafras, che nel 1600 passò nelle sue mani. Negli anni successivi ottenne anche il territorio di Villanova del Rio e fu tra i più convinti sostenitori delle idee del viceré Vives. Nel 1642 ebbe il titolo di conte di Villanova del Rio. Continuatore della sua opera e delle sue idee fu il figlio Giovanni Battista, valoroso uomo d’armi che nel 1646 ottenne il titolo di marchese di Villarios. Questi inoltre acquisı̀ dalla sua terza moglie Maddalena Deliperi Gambella anche il ricco feudo di Sorso; i suoi figli, Pietro e Francesco, furono i capostipiti di due rami della famiglia. Ramo di Pietro. Pietro ereditò la baronia di Sorso e sposò Vittoria Petretto, erede del feudo di Olmedo; fu abile politico e nel 1698 fu nominato governatore di Sassari. Nel 1709, con l’avvento degli Asburgo, poiché era partigiano di Filippo V, fu costretto a dimettersi e a ritirarsi a vita privata. Passata la Sardegna ai Savoia, giurò fedeltà alla nuova dinastia e ottenne nuovamente l’ufficio di governatore di Sassari. Gli ultimi anni della sua vita furono segnati dai molti dolori per la morte del figlio prediletto Ignazio ma confortati dall’impegno per l’educazione del nipote Pietro, erede designato del patrimonio di famiglia. Questi, dopo una lunga vicenda giudiziaria, ebbe dalla sua prima moglie Teresa Gujò anche il feudo di Ossi e lo assegnò a uno dei suoi figli, un Ignazio che morı̀ senza discendenza a Torino. Gli altri figli del barone Pietro furono personaggi di rilievo al servizio dei Savoia e raggiunsero posizioni considerevoli nella piccola corte che la dinastia formò a Cagliari negli anni della sua permanenza in Sardegna. Di essi, Luigi divenne generale della guardia del re e fu insignito del Collare dell’Annunziata; Giovanni fu nominato primo scudiero del regno ed ebbe anche lui il collare; Giuseppe ereditò i feudi e morı̀ lasciando erede Eusebia, che sposò Giovanni Amat di San Filippo. Ramo di Francesco. Francesco continuò la linea dei marchesi di Villarios, prese parte all’attività del Parlamento e si schierò con decisione nel partito favorevole agli Alagon. Suo figlio Gavino sposò Caterina Tola erede della contea di Bonorva e della baronia di Pozzomaggiore. Dal matrimonio nacquero Antonio e Francesco. Antonio, il primogenito, continuò la linea dei marchesi di Villarios ed ebbe dalla madre anche i feudi di Bonorva e Pozzomaggiore; suo figlio, un altro Francesco, si trasferı̀ a Cagliari, dove acquistò il Palazzo Masons, attuale residenza della famiglia. La sua discendenza si estinse nella prima metà del secolo XIX con un Vittorio, la cui figlia, Genoveffa, sposò il marchese Patrizi di Roma. Ramo di Francesco (San Filippo). Da Francesco, figlio cadetto del marchese Gavino di Villarios, discende il ramo degli Amat di San Filippo che attualmente rappresenta la famiglia. Egli infatti sposò Giuseppa Bacallar marchesa di San Filippo: dal matrimonio nacque un Vincenzo che ereditò il titolo. Questi, a sua volta, ebbe il ricco patrimonio feudale di sua moglie, Maddalena Manca Guiso, cioè le signorie di Austis, Ussana, Bonvehı̀, Parte 144 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 152 Amat Barigadu Jossu, Orosei e il titolo di marchese di Albis; per conservare l’ingente patrimonio dovette sostenere una lunga lite col fisco, ma morı̀ prima che la questione fosse definita. Fu suo figlio Giovanni che nel 1808 raggiunse un compromesso col fisco in base al quale cedette Orosei e il Planu ’e Murtas mantenendo tutto il resto. Sposò Eusebia Amat, erede di Sorso e di Olmedo, e divenne cosı̀ uno dei più potenti feudatari della Sardegna. All’abolizione dei feudi, nel 1838, questo ramo della famiglia seppe riscattare vantaggiosamente il patrimonio feudale mantenendo un alto ruolo sociale fino ai nostri giorni. Rami collaterali. Attualmente, oltre al ramo marchionale primogenito, vivono a Cagliari altri rami collaterali; come si è detto, la famiglia possiede ancora il Palazzo Amat già Masons. L’edificio, che sorge a Cagliari in via La Marmora all’angolo con piazza Indipendenza, fu acquistato dal marchese Francesco di Villarios, figlio di una Masons, che nella seconda metà del Settecento si trasferı̀ a Cagliari e lo fece ingrandire. Vi risiedette con la sua famiglia e con quella del fratello Francesco marchese di San Filippo; in seguito l’edificio passò a Vincenzo Amat di San Filippo in occasione delle sue nozze con Eusebia Amat, e da allora è la residenza della famiglia. Il palazzo fu ristrutturato alla fine dell’Ottocento dall’ingegner Edmondo Sanjust. Amat, Antonio Religioso (Sassari, fine sec. XVII-Bosa 1748). Vescovo di Bosa dal 1746 al 1748. Era figlio del barone Pietro di Sorso. Divenuto canonico, fu nominato vicario apostolico di monsignor Bertollinis e nel 1727 fu creato abate di San Giovanni di Sinis; fu nominato vescovo nel 1746 e morı̀ nel 1748. [MASSIMILIANO VIDILI] Antonio Amat – Nobile sassarese, figlio del barone di Sorso, si fece sacerdote: fu abate di San Giovanni di Sinis e dal 1746 vescovo di Bosa. Amat, archivio Archivio appartenente alla famiglia omonima. È considerato uno tra i più importanti archivi privati della Sardegna per quanto riguarda la documentazione feudale. Comprende tra l’altro 3100 documenti che coprono i secoli XV-XIX e 271 pergamene databili tra il secolo XIV e il XIX. La documentazione, prevalentemente di origine notarile o giudiziaria, fu raccolta agli inizi dell’Ottocento dal marchese Vincenzo Amat di San Filippo ed è riferita all’amministrazione dei molti feudi che la famiglia possedeva. Nell’archivio è anche custodita una parte delle lettere del cardinale Luigi Amat, relative agli anni 1848-1878. Amat, Enrico Storico (Cagliari 1895-ivi 1977). Laureato in Scienze politiche, per anni fu direttore dell’Ente comu- 145 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 153 Amat nale di assistenza di Cagliari. Tipica figura di gentiluomo, si dedicò con passione allo studio della storia e della genealogia delle famiglie della nobiltà cagliaritana. In anni di ricerca raccolse molto materiale di interesse storico e, morendo nel 1977, cedette al Comune una preziosa raccolta di documenti sulla storia del teatro. Tra i suoi scritti: Il Sovrano Militare Ordine di Malta e la Sardegna, in Atti del VI Congresso di storia della Corona d’Aragona, 1959; Un’iniziativa per un accordo fra il Governo piemontese e la Santa Sede, in La Sardegna nel Risorgimento, 1962. Amat, Eusebia Gentildonna sassarese (Sassari 1772-Cagliari 1808). Figlia ed erede del barone Giuseppe Amat di Sorso, sposò nel 1789 un lontano cugino, il marchese Giovanni Amat di San Filippo, e si stabilı̀ a Cagliari. Donna brillante e arguta, scrisse interessanti memorie genealogiche sulla sua famiglia e su alcune altre famiglie imparentate con gli Amat. Amat, Francesco I Gentiluomo, uomo d’armi (Alghero, seconda metà sec. XVI-ivi, dopo 1642). Figlio di Giovanni, seguı̀ le tradizioni militari della famiglia. Entrato giovanissimo nell’esercito di Filippo II combatté lungamente nelle guerre di Fiandra e percorse una brillante carriera. Dopo la morte del re nel 1598 si congedò col grado di maresciallo di campo e tornò ad Alghero dove nel 1600 fu nominato governatore. Si fece benvolere dai concittadini e fu abile nel curare gli affari di famiglia: aveva avuto dalla moglie Angela Font il piccolo feudo di Lunafras, un territorio nelle vicinanze di Alghero, al quale unı̀ quello contiguo di Villanova del Rio. Convinto sostenitore delle idee dell’Olivares, le appoggiò con forza e si adoperò per sviluppare le difese di Alghero, arrivando a comprare di tasca sua alcuni cannoni. Nel 1642 ebbe il ti- tolo di conte di Villanova del Rio. Morı̀ poco dopo. Amat, Francesco II Marchese di Villarios (Sassari, prima metà sec. XVIIICagliari 1793). Figlio del marchese Antonio, percorse una brillante carriera militare fino a giungere al grado di comandante generale della cavalleria miliziana del regno nel 1779. Poiché il marchese di Laconi era lontano dall’isola, a partire dal 1777 esercitò le funzioni di ‘‘prima voce’’ dello Stamento militare e per questo si trasferı̀ a Cagliari, dove acquistò il Palazzo Masons appartenuto alla famiglia della madre. Presiedette le riunioni dello Stamento nel periodo 1792-1793, quando fu decisa la resistenza allo sbarco francese. Quando poi nell’aprile del 1793 il marchese di Laconi tornò a Cagliari, cessò dalle sue funzioni. Amat, Giacomo Governatore di Sassari e del Logudoro (Barcellona, seconda metà sec. XV-Alghero 1524). Giunse in Sardegna agli inizi del Cinquecento chiamato dal cugino Giovanni. Nel 1502 fu nominato vicario reale di Alghero e dopo la morte di Giovanni, nel 1506, ereditò l’ufficio di ricevitore delle rendite del marchesato di Oristano. Dimostrò di possedere ottime capacità per cui, nello stesso anno, fu nominato governatore di Sassari e del Logudoro. In questa veste, quando il viceré Dusay lasciò la Sardegna, assunse le funzioni di viceré interino. Prese parte personalmente alle riunioni del Parlamento che era stato convocato dal Dusay a Sassari, governando fino al 1508, anno in cui arrivò il nuovo viceré Fernando Giron de Rebolledo. Amat, Giovanni I Gentiluomo catalano (Barcellona, metà sec. XV-Alghero 1506). Fu il primo rappresentante della famiglia Amat in Sardegna; giunse nell’isola nella seconda metà del Quattro- 146 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 154 Amat cento, nel periodo in cui Ferdinando il Cattolico aveva avviato la riforma dell’amministrazione del regno affidandosi all’opera di Giovanni Dusay. Cavaliere gerosolimitano, gli fu affidata l’amministrazione del marchesato di Oristano; in seguito si stabilı̀ ad Alghero e venne nominato governatore di Sassari e del Logudoro. Amat, Giovanni II Uomo d’armi (Al- Amat, Giovanni Battista Militare di carriera, marchese di Villarios (Alghero, inizi sec. XVII-?, seconda metà sec. XVII). Figlio del conte Francesco di Villanova del Rio, si dedicò alla carriera militare. Nel 1630 prese parte alla Guerra dei Trent’anni e percorse una brillante carriera; nel 1640 combatté anche in Catalogna. Rimasto vedovo, tornò in Sardegna dove fu nominato maestro di campo di Alghero; nel 1644 difese la città da un attacco francese e, in memoria dell’impresa, gli fu concesso di tenere un cannone nel suo palazzo. Nel 1646 fu creato marchese di Villarios e poco dopo si sposò nuovamente con Maddalena Deliperi Gambella dalla quale ebbe l’importante feudo di Sorso. ghero, prima metà sec. XVI-?, fine sec. XVI). Figlio di Pietro, militò nell’esercito di Carlo V e in seguito in quello di Filippo II combattendo in Fiandra, dove conobbe Emanuele Filiberto di Savoia e si legò a lui di profonda amicizia. Quando il duca avviò la riconquista dei suoi stati, fu tra coloro che lo aiutarono senza riserve combattendo lungamente al suo servizio, per cui nel 1570 fu da lui creato cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro. Tornato in Sardegna, continuò a impegnarsi con grande coraggio nella difesa delle coste dalle frequenti incursioni dei corsari barbareschi: mentre difendeva la sua città da una di queste, nel 1582 fu catturato a Porto Conte e portato prigioniero in Africa. Dopo diverse vicissitudini, fu liberato nel 1585 e, tornato in patria, fu nominato governatore di Alghero. Amat, Giuseppe Barone di Sorso (Sas- Amat, Giovanni III Marchese di San Amat, Luigi I Comandante della guar- Maurizio (Sassari, prima metà sec. XVIII-Piemonte, inizi sec. XIX). Figlio di Pietro, barone di Sorso, nel 1788 fu nominato primo scudiero del regno e, nel periodo della permanenza dei Savoia a Cagliari, si stabilı̀ a corte. Grazie alle sue grandi capacità politiche vi svolse delicate funzioni, divenendo uno dei principali collaboratori del re, che gli concesse il Collare dell’Annunziata. Dopo la restaurazione, nel 1815 fu nominato governatore di Tortona e creato marchese di San Maurizio. dia del corpo del re (Sassari 1740-Cagliari 1807). Fratello del barone Giuseppe, entrato nell’amministrazione reale si pose in luce per le sue notevoli capacità per cui, quando i Savoia furono costretti a rifugiarsi a Cagliari, fu nominato comandante della guardia del corpo del re e svolse delicati compiti a corte guadagnandosi stima e considerazione. Nel 1802 fu testimone dell’atto di abdicazione di Carlo Emanuele IV; in seguito ebbe il Collare dell’Annunziata. sari 1741-ivi 1807). Di idee reazionarie, ebbe sempre rapporti piuttosto difficili con i suoi vassalli, che vessava continuamente. Cosı̀, quando nel 1795 scoppiarono i moti antifeudali, il suo palazzo di Sorso fu devastato dagli insorti ed egli fu costretto a fuggire precipitosamente. Aveva sposato una Zonza Vico erede del marchesato di Soleminis. 147 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 155 Amat Luigi II Amat – Monumento funebre. Nunzio a Madrid, poi cardinale, nel 1853 Luigi II Amat fu nominato cancelliere della Chiesa. Luigi II Amat – Come cardinale ebbe la fiducia di Pio IX negli anni difficili del Risorgimento. Amat, Luigi II Cardinale (Sinnai 1796Roma 1878). Figlio del marchese Giovanni di San Filippo, fu destinato alla carriera ecclesiastica. Entrò giovanissimo nella diplomazia pontificia: nel 1827 fu nominato arcivescovo di Nicea e mandato come nunzio apostolico a Napoli, dove dimostrò di possedere grandi capacità. Tornato a Roma dopo il 1831, fu inviato come nunzio a Madrid, dove fu testimone dei difficili momenti attraversati dalla Spagna. Nel 1837 fu creato cardinale e inviato come legato a Ravenna con poteri anche su Bologna, Forlı̀ e Ferrara. Negli anni della sua legatura dimostrò ottime capacità e grande equilibrio nell’affrontare le difficili tensioni politiche e sociali del territorio e si fece ben volere dalle popolazioni. Vicino alle posizioni di Pio IX, nel 1847 a Bologna difese le aspirazioni nazionali anche durante l’occupazione austriaca; nel 1853 fu nominato Cancelliere di Santa Romana Chiesa e in seguito divenne decano del Sacro Collegio. Amat, Paolo Docente di Chimica organica (n. Cagliari 1934). Dopo la laurea si è dedicato alla carriera universitaria. Dal 1985 è professore di Chimica organica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Cagliari. L’impegno della ricerca scientifica gli ha consentito anche di dedicarsi con rigore a ricerche nel campo della storia della chimica in Sardegna. Tra i suoi scritti scientifici ricorderemo (segnalando a parte un gustoso Glossario di Castello, 1955): La reale fabbrica delle polveri di Cagliari e la produzione del salnitro in Sardegna, ‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 10, 11, 12, 13, 19881990; Antichi ordinamenti dei farmacisti di Cagliari dei sec. XIVe XVII, ‘‘Atti e Memorie dell’Accademia italiana di Storia della Farmacia’’, VII, 1990. Amat, Pietro I Gentiluomo, uomo d’armi (Alghero, inizi sec. XVI-ivi 1547). Figlio di Giacomo, si dedicò alla carriera militare e combatté valorosamente in Germania negli eserciti di 148 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 156 Amat Carlo V. Tornato in Sardegna dopo molti anni, fu nominato vicario reale di Alghero. Amat, Pietro II Barone di Sorso (Sassari 1638-ivi 1729). Dotato di buone qualità politiche, acquistò fama di persona prudente ed equilibrata. Nel 1698 fu nominato governatore di Sassari ed esplicò la sua funzione con energia e prudenza nel difficile momento seguito alla morte di Carlo II. Convinto sostenitore di Filippo V, nel 1709 fu costretto a dimettersi e a ritirarsi a vita privata. Negli anni che seguirono si occupò dell’amministrazione del suo patrimonio e promosse il popolamento di Olmedo; nel 1717 fu tra i sostenitori della spedizione dell’Alberoni. Passata la Sardegna ai Savoia, giurò fedeltà alla nuova dinastia e fu ancora una volta nominato governatore di Sassari, riprendendo a governare con la consueta misura e abilità. Morı̀ ultranovantenne nella sua città natale. Amat, Pietro III Economista e geografo (Cagliari 1822-ivi 1895). Lavorò per anni nell’Archivio di Stato di Cagliari. Nel 1867 fondò e diresse l’Annuario Statistico e Calendario generale dell’isola di Sardegna, e fece parte della commissione per la conservazione dei monumenti della sua città. Divenuto funzionario ministeriale si trasferı̀ a Roma, dove visse per anni curando la redazione della Bibliografia e della Biografia dei viaggiatori italiani, che gli diedero fama nazionale. Morı̀ dopo essere tornato in Sardegna. Tra i suoi scritti: Del commercio e della navigazione dell’isola di Sardegna nel sec. XIV e XV, 1865; Il dialetto e le canzoni popolari della Sardegna per A. Bouillier, 1866; Delle colonie in Sardegna specialmente quelle stabilite sotto il governo sabaudo (1738-1824) e della convenienza di promuovere la colonizzazione come strumento principale di rifiorimento economico dell’isola, 1867; Annuario statistico e calendario generale dell’isola di Sardegna, voll. 2, 1868; Bibliografia dei viaggiatori italiani ordinata cronologicamente e illustrata, 1874; Biografia dei viaggiatori italiani colla bibliografia delle loro opere, 1882; Mappamondi, carte nautiche, portolani ed altri monumenti cartografici specialmente italiani dei secoli XIII-XVII (con G. Uzielli), 1882; Gli illustri viaggiatori italiani con una antologia dei loro scritti, 1885; Della schiavitù e del servaggio in Sardegna. Indagini e studi, 1894; Economia politica in Sardegna, s.d. Amat, Vincenzo I Marchese di San Filippo, senatore del Regno (Cagliari 1790-ivi 1869). Fu l’erede dell’intero patrimonio feudale della famiglia, divenendo cosı̀ uno dei maggiori feudatari dell’isola. Nel 1827 fu nominato capitano generale della cavalleria miliziana del regno; attento interprete delle istanze del suo tempo, comprese che l’età feudale era giunta al tramonto: cosı̀, quando furono avviate le procedure per il riscatto, seppe negoziarlo vantaggiosamente; ottenne una considerevole rendita che investı̀ in parte nello sviluppo di un’azienda a Ussana. Nel 1848 fu nominato senatore del Regno di Sardegna, ma per motivi d’età e di salute non prese parte ai lavori dell’assemblea. Amat, Vincenzo II Marchese di San Filippo, studioso di storia (Cagliari 1921ivi 1988). Nipote di Enrico, combatté in Russia durante la seconda guerra mondiale. Intrapresa la carriera di funzionario amministrativo, non trascurò di coltivare con rigore e competenza gli studi storici e di curare con grande dedizione l’imponente archivio della famiglia, specializzandosi anche presso la Scuola di Studi sardi dell’Università di Cagliari. Tra i suoi scritti ricorderemo Riflessioni attorno alla storia di 149 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 157 Amatore Sardegna ed i rapporti tra Sardegna e Aragona, 1978; Pretendenti e discendenti della casa d’Arborea, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXI1, 1980; Segni tabellionali in Sardegna 1409-1786, 1983; Un epistolario inedito riguardante G. Garibaldi a Caprera, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXIV, 1984; Notizie sull’archivio Amat, ‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 4, 1985; Su alcuni documenti riguardanti i rapporti tra gli Stamenti e il popolo sardo, in Acta Curiarum Regni Sardiniae. Istituzioni rappresentative nella Sardegna medioevale e moderna. Atti del Seminario di studi Cagliari 1984, 1989. Festa Si festeggia la terza domenica di ottobre. Amalrici, Giovanni Religioso (Agde, Francia, seconda metà sec. XIV-Sorres 1344). Presbitero della cattedrale della sua città, fu inviato da Clemente VI come nunzio e collettore apostolico in Sardegna dove operò con grande efficienza. Fu accusato di non aver molti scrupoli nell’esazione dei tributi: nel 1342 il papa lo nominò vescovo di Sorres, togliendogli la responsabilità dell’esazione. Amatore, santo Santo (sec. V-?). Per diversi studiosi la cristianizzazione della Sardegna sarebbe stata favorita, involontariamente, dai re vandali, i quali per sottrarre l’Africa all’influenza dei cristiani non trovarono di meglio che deportarli o esiliarli nell’isola. Fra gli esiliati, anche Sant’A., del quale si conosce ben poco. Battezzato fanciullo, maturò alla scuola del Vangelo. Sacerdote, vescovo di una città della Numidia, visse anni di persecuzioni e di terrore. Condannato all’esilio in Sardegna, salpò da Cartagine l’1 giugno del 484, insieme con i vescovi Bertorio e Liberato, anch’essi africani e allontanati forzosamente. Organizzò nell’isola una comunità cristiana, aiutato dal diacono Amatello e dal suddiacono Ferdinando. Sconosciuto l’anno della morte. A Gesico il 30 novembre 1621 furono rinvenute le reliquie di A., Amatello e Ferdinando, attualmente custodite nella parrocchiale in un’urna marmorea. A. significa ‘‘devoto a Dio’’, ‘‘amico’’. La tradizione sarda lo vuole protettore degli innamorati. E poiché innamorarsi vuol dire perdere la testa, scherzosamente Sant’Amatore è considerato il santo degli scemi, dei matti. [ADRIANO VARGIU] Sant’Ambrogio – Al santo sono dedicate in Sardegna alcune chiese campestri, come questa di Buddusò. Ambrogio, santo Santo (Treviri, 339 ca.-Milano 397). Dottore della Chiesa, nacque nelle Gallie, dove suo padre era prefetto, da una famiglia aristocratica romana, la gens Aurelia. Il suo nome per i pagani significava ‘‘immortale’’, per i cristiani «destinato alla vita eterna, alla salvezza spirituale». Non mancano gli elementi leggendari nelle sue biografie: «Bimbo, giaceva in culla all’aperto nel cortile del palazzo, uno sciame d’api a un tratto discese sul suo viso e alcune s’insinuarono, senza ferirlo, nella bocca semiaperta. La nutrice spaventata accorse per scacciarle, ma il padre che passeggiava là con la consorte e con la figlia Marcellina non volle che si disturbasse il prodigio. Poco dopo le api si sollevarono in 150 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 158 Ambrosini aria a tanta altezza, che si sottrassero all’occhio». Dopo la morte del padre, la famiglia fece ritorno a Roma, dove «Ambrogio studiò le lettere, si esercitò nella poesia, apprese il greco, soprattutto si applicò all’eloquenza, arte indispensabile ai patrizi romani, ai quali apriva le porte delle carriere civili, e si perfezionò in diritto romano». Avvocato (365) a Sirmio, oggi Sremska Mitrovika, in Dalmazia; consularis (370) della provincia Emilia-Liguria, che aveva sede a Milano. Alla morte del vescovo ariano Aussenzio sorsero contrasti tra il popolo e i vescovi della regione riuniti a Milano per eleggere il successore. Cattolici e ariani facevano di tutto per compromettere l’ordine pubblico. Dovette intervenire A. Convocò i faziosi, esortandoli alla pacificazione. Mentre parlava, una tenera voce infantile gridò: «Ambrogio, Ambrogio vescovo!». E tutti, cattolici e ariani, ripeterono: «Ambrogio sia il nostro vescovo!». «Lui – scrive Enzo Fabiani (1987) – per sottrarsi a questa responsabilità cercò di mostrarsi ingiusto e indegno, arrivando a introdurre la tortura nei processi e a portarsi donnacce in casa. Ma fu inutile, e iniziò cosı̀ la sua fantastica avventura di alto funzionario di Dio». Battezzato il 30 novembre del 374, fu consacrato vescovo il 7 dicembre dello stesso anno, data che la Chiesa ha scelto per la festa. Pastore e uomo di cultura, politico, consigliere di diversi imperatori, prese posizione contro il prefetto di Roma (374), che nel Senato continuava a mantenere l’ara pagana della Vittoria, negò all’imperatore Teodosio l’ingresso a Milano e la comunione, imponendogli una penitenza pubblica per il massacro di Tessalonica, dove (390) per un ufficiale ucciso dalla popolazione l’imperatore aveva fatto trucidare settemila persone. Fu avversario dell’arianesimo, al punto da essere definito «martello dell’arianesimo». Morı̀ a Milano il 4 aprile del 397, Sabato santo. «Fu un grande vescovo – ancora Fabiani – , uno scrittore acuto e prolifico e anche uno straordinario poeta religioso, come dimostrano i suoi Inni. Ma non fu, come comunemente si crede e si scrive, l’inventore del cosiddetto ‘‘rito ambrosiano’’: e cioè una particolare liturgia che ha alcune caratteristiche diverse da quella seguita nelle altre diocesi. Difatti, l’appellativo di ‘‘ambrosiano’’ non venne dato al rito milanese perché Sant’A. ne è stato l’istitutore, ma per il fatto che egli, che fu uno dei più illustri vescovi di Milano, ne ha impersonato tutte le grandi tradizioni religiose e liturgiche. Del resto il nome si trova per la prima volta nell’Ordo di Giovanni Arcicantore di San Pietro, intorno al 680. Non inventore, dunque, ma animatore di quella liturgia o rito seguito nell’archidiocesi di Milano, in alcune parrocchie bergamasche e novaresi, nonché in tre valli del Canton Ticino, per un totale di quasi sessanta comunità». Opere, le sue, esegetiche, morali e ascetiche, dogmatiche, retoriche. È uno dei quattro dottori insigni della Chiesa, con Agostino, Girolamo e Gregorio Magno. Patrono di Milano, degli apicoltori e degli spaccapietre. I suoi simboli: un alveare, dolcezza della sua eloquenza, e una frusta, forza della sua eloquenza. [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Laconi e Monserrato. Festa Si festeggia il 7 dicembre a Buddusò, Laconi e Monserrato. Ambrosini, Ferruccio Pittore (n. Paulilatino 1944). Allievo di Stanis Dessy, dopo gli studi a Sassari si è stabilito a Cagliari dove insegna storia dell’arte e ha il suo studio. Interpreta il mondo tradizionale sardo con uno stile perso- 151 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 159 Ambu nale, ha esposto a Pisa, Verona, Udine e in molte altre città. Ambu, Antonio Atleta (n. Cagliari 1938). Grande fondista, cresciuto a Cagliari, protagonista assoluto per più di dieci anni nelle gare di fondo in Italia, dai 5000 m piani alla maratona, fino alle gare su strada, prima con i colori delle Fiamme Oro, poi della Pro Sesto e infine della Lilion SNIA di Varedo. Detentore dei record nazionali dei 5000 m piani nel 1958 e nel 1965, dei 10 000 nel 1962 e nel 1965, campione italiano di maratona per ben sette volte di cui sei consecutive (1964-1969), partecipò anche ai giochi olimpici del 1964 e del 1968 con discreti piazzamenti. Nel 1967 conquistò anche il record italiano dell’ora percorrendo 19,532 km. zione l’epigrafia latina e collaborò con il Mommsen nella raccolta delle iscrizioni latine in Sardegna. Nel 1879 si interessò delle Carte d’Arborea, condividendo le posizioni dello studioso tedesco sulle Carte e polemizzando a lungo col De Castro. Tornato a Torino, vi si stabilı̀ e sposò Ester Boncompagni, ottenendo nel 1880 il rinnovo del titolo di conte di Lamporo già appartenuto alla famiglia della moglie. Nella nuova residenza continuò a collaborare con alcuni periodici, raggiungendo grande notorietà. Tra i suoi scritti: La Sardegna provincia romana: saggio di studi antiquari, 1874; Lettera sulle Carte d’Arborea in Mommsen e le Carte d’Arborea, 1878; Etimologia del vocabolo nuraghe, ‘‘Stella di Sardegna’’, V, 20-21, 1879. Amedeo IX di Savoia, beato (Thonon- [GIOVANNI TOLA] Ambulau Piatto tipico della gastronomia sarda. Di origini molto antiche, era diffuso nel Campidano di Cagliari tra le famiglie dei contadini più poveri. Si trattava di una minestra a base di semola grossa di farina d’orzo. AM&D Edizioni Casa editrice fondata a Cagliari nel 1992 da Anna Maria Delogu e Stefano Pira. Le sue collane sono a carattere storico e saggistico, solo in parte narrativo: ‘‘Agorà’’ approfondisce aspetti poco conosciuti della cultura sarda; ‘‘I Griot’’, riservata alla narrativa e alla saggistica; ‘‘Percorsi’’, di approfondimento storico e artistico di alcuni aspetti della Sardegna. La casa editrice si è occupata anche della pubblicazione dei Libri dei privilegi della città di Alghero. [MARIO ARGIOLAS] Amedeo, Luigi Giornalista e archeologo (Sassari 1848-Torino 1923). Laureato in Giurisprudenza, si laureò anche in Filosofia a Torino, dove fu allievo di Ettore De Ruggiero. Tornato a Sassari si dedicò al giornalismo e agli studi di archeologia. Nominato ispettore degli scavi, studiò con molta atten- les-Bains, Francia, 1435-Vercelli 1472). Operatore di carità. Duca di Savoia dal 1465 al 1472, fu costretto a lasciare il governo a sua moglie, perché affetto da epilessia. Beatificato, per il suo spirito caritatevole, da Innocenzo XI (1677). Patrono della Casa Savoia. In Sardegna A Cagliari, cappella nella chiesa di Sant’Anna: statua ottocentesca di marmo, scolpita a spese di Carlo Felice da Andrea Galassi, il maggiore scultore del purismo neoclassico in Sardegna. Festa Si festeggia il 18 aprile, in passato 30 marzo (data che certi calendari continuano a riportare). Amicarelli, Angelo Insegnante e uomo politico (Cervaro 1879-Cagliari 1967). Nacque a Cervaro (oggi provincia di Frosinone). Cattolico impegnato, nell’immediato secondo dopoguerra fu uno degli esponenti di punta della ricostituita DC in Sardegna. Consultore regionale dal 1945, nel maggio del 1949 fu eletto consigliere regionale nel collegio di Cagliari per la I legislatura. Come decano del Consiglio, il 28 mag- 152 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 160 Amministratore delle Rendite reali gio presiedette la prima seduta del Consiglio, pronunciando il discorso ufficiale. Fu successivamente rieletto la II e la III legislatura, fino al 3 luglio del 1962. Amici del libro – L’associazione, fondata negli anni finali della seconda guerra mondiale, è la più longeva istituzione culturale privata di Cagliari. Amici del libro Associazione culturale cagliaritana. Fondata da un gruppo di intellettuali cagliaritani a Isili, subito dopo lo sfollamento della città seguito ai bombardamenti del 1943. La sua nascita si dovette soprattutto all’infaticabile impegno di Nicola Valle e al concorso di altri illustri studiosi, professionisti e insegnanti. Finita la guerra, il sodalizio si trasferı̀ a Cagliari dove continuò a operare animando la vita culturale della città. Sotto la presidenza di Valle pubblicò per anni la rivista mensile ‘‘Il Convegno’’. Alla presidenza si sono succeduti, dopo la morte di Valle, Antonio Romagnino e Giuseppina Cossu. Ammiano Marcellino Storico romano (Antiochia, 330?-Roma?, dopo 400). Militare dell’esercito imperiale, con i Rerum gestarum Libri XXXI volle continuare le Historiae di Tacito, del quale riprese in parte lo stile ma con un forte gusto romanzesco e moraleggiante. Dell’opera si conservano gli ultimi 18 libri (anni 353-378 d.C.); nel XXII libro A.M. ricorda incidentalmente i Sardi, in relazione ai giochi pubblici organizzati dall’edile Marco Emilio Scauro (58 a.C.), tanto spettacolari che per Cicerone avrebbero dovuto mutare l’opinione negativa che i provinciali avevano sul loro ex governatore: A.M. non entra nei dettagli del processo e finisce per confondere Scauro con il padre. Più stringenti invece i riferimenti nei libri XXVIII-XXIX: nel primo A.M. ci informa che il fosco Massimino, già governatore della Sardegna, come prefetto dell’annona si era servito delle capacità medianiche di un sardo (del quale si sarebbe poi disfatto con l’inganno), in grado di parlare con le anime dannate e di trarne auspici; nel secondo, per dimostrare la crudeltà del cristiano Valentiniano I, A.M. cita l’episodio di Costanzo, incaricato delle scuderie imperiali, che in Sardegna aveva scambiato pochi cavalli destinati all’esercito e per questo era stato lapidato. [ANTONIO IBBA] Amministratore delle Rendite reali Funzionario del Regnum Sardiniae, creato al momento stesso della istituzione di questo. Era nominato direttamente dal re e aveva funzioni piuttosto complesse, legate all’esazione delle rendite di tutti i beni appartenenti al patrimonio reale situati nell’isola. Nominato a tempo indeterminato, gli veniva corrisposto uno stipendio annuale; era coadiuvato da un organismo detto Scribanı̀a, costituita da impiegati esperti e abili, e rispondeva del proprio operato al maestro razionale. Quando il Regnum nel 1353 fu diviso in due circoscrizioni amministrative (il Capo di Cagliari o di Sotto, e il Capo di Sassari o di Sopra), l’ufficio venne smembrato e da allora furono nominati due amministratori reali, che operarono fino al 1413 quando fu istituito il procuratore reale. 153 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 161 Ammirato Ammirato Famiglia pisana (secc. XIIIXIV). Venne trapiantata in Sardegna nella seconda metà del secolo XIII con un Bonaccorso che sposò una delle figlie di Ugone II d’Arborea. Dal matrimonio nacque Mariano, che fu molto caro a suo nonno e venne allevato alla corte arborense. Divenne un abile diplomatico e nel 1321 trattò a nome del nonno la venuta degli Aragonesi in Sardegna, guadagnandosi la benevolenza anche di Giacomo II. Nel 1328 Alfonso IV gli donò la signoria di Trogodori e di Sicci nella curatoria di Dolia e alcune case nel Castello di Cagliari. Dal canto suo il nonno gli donò la signoria di Arcidano nel Bonorcili. Dopo aver dato in dote a sua figlia i propri feudi, morı̀ nel 1343 senza lasciare discendenza maschile. Amoga Famiglia sassarese (secc. XVIXVII). Le sue notizie risalgono al secolo XVI; ottenne il cavalierato ereditario nel 1632 con un Giuseppe, i cui figli nel 1643 furono ammessi allo Stamento militare. La famiglia continuò a risiedere a Sassari, ma le sue condizioni andarono decadendo e probabilmente si estinse nel corso del secolo. Amore, Antonio Pittore e scultore (n. Catania 1918). Dopo una lunga residenza in Africa orientale (ci andò nel 1936, fu prigioniero fino al 1946: durante la prigionia in Kenya continuò a dipingere e allestı̀ una mostra a Nairobi), si stabilı̀ a Roma e da qui, dopo qualche anno, si trasferı̀ in Sardegna, prima vicino ad Austis, poi ad Arborea, diventando sardo d’adozione. Sardi (ma non solo, perché c’è in lui una ininterrotta passione civile) sono i soggetti di molti suoi quadri: «è questo ambiente, la figura fisica e antropologica della Sardegna calcata fondamentalmente sull’identità pastorale – ha scritto Giovanni Lilliu – che aiuta A. a chiarirsi dentro, a muovere dall’uomo sardo solitario per realizzare con la sua ricerca pittorica un modello tale da rendere centrale l’uomo nel suo insieme, con tutte le contraddizioni, a elevare il dolore a denominatore comune». Amoros, Giovanni Notaio (?, seconda metà sec. XIV-Sassari, dopo 1438). Di origine catalana, visse a Sassari nella prima metà del secolo XV; possedeva la signoria utile della scrivania della Luogotenenza della città e nel 1435 ebbe l’infeudazione di alcuni salti presso Bonarcado. Dopo la conquista del castello di Monteleone alla quale prese parte, nel 1438 ottenne il privilegio della generosità e fu in grado di recuperare i salti appartenuti alla famiglia di sua moglie, una Pinna, cui erano stati tolti da Nicolò Doria. Morı̀ alcuni anni dopo senza lasciare discendenti. Ampelio Senatore romano forse originario della Sardegna (sec. IV). Il personaggio è ricordato in una lettera inviata da Aurelio Simmaco (anno 383 o fra il 389-394) a Nicomaco Flaviano, suo cugino e prefetto del pretorio: A. con altri non meglio identificati senatores de Sardinia è accusato di aver commesso un non precisabile crimen che coinvolse collettivamente l’isola. Potrebbe quindi trattarsi di grandi latifondisti locali che avevano abbandonato la penisola per rifugiarsi nelle proprietà dalle quali derivava la loro fortuna e che in Sardegna si erano compromessi politicamente con l’usurpatore Magno Massimo (meno probabilmente con Eugenio): a Magno Massimo si era d’altronde sottomesso il governatore sardo. [ANTONIO IBBA] Ampelodesma Pianta erbacea della famiglia delle Graminacee (Ampelodesmos mauritanicus Poiret). Ha fusti eretti e resistenti, foglie lineari lunghissime, taglienti ai margini, fiori piccolissimi pelosi, riuniti in una grande 154 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 162 Ampsicora pannocchia laterale. Fiorisce in primavera e in estate. Tipica delle zone aride, con formazione a steppa, in vicinanza delle coste. Le foglie vengono utilizzate per cordame, mentre gli steli (culmi) sono adoperati per costruire i fondi di setacci, is ciulı́ris in campidanese, da cui il nome dialettale erba de fai ciurı́lis. Lo spessore degli steli determina l’uso dei setacci: in quelli più sottili vengono ‘‘scavati’’ i malloréddus, i tipici gnocchetti. Altri nomi sardi: carcúri (Alto Campidano); cruccúri (Oristano). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Ampsicora – Princeps sardo-punico, capeggiò la rivolta contro Roma durante la seconda guerra punica. Sconfitto, secondo la tradizione si uccise. Ampsicora (o Amsicora) Princeps sardopunico (sec. III a.C.). È il personaggio chiave della rivolta sardo-punica del 215 a.C. contro i Romani, incentrata sulla città di Cornus, all’indomani della vittoria cartaginese di Annibale nella battaglia di Canne (2 agosto 216 a.C.). A., presumibilmente di origine sarda e forse di lontana discendenza numida, che per autorità e per ric- chezza era il maggiore dei principes sardo-punici, aveva ispirato l’invio a Cartagine di una ambasciata delle civitates sarde ribelli ai Romani per ottenere un aiuto militare e porre termine al loro dominio sulla Sardegna. Le comunità in rivolta, concentrate soprattutto nell’ambito rurale della Sardegna centro-occidentale, disponevano come propria roccaforte dell’urbs di Cornus, fondata dai Cartaginesi intorno all’ultimo venticinquennio del secolo VI a.C. ma sviluppatasi verso i secoli IV-III a.C., in rapporto alla diffusa integrazione tra elemento punico (e libico) e i popoli indigeni. Per contrastare la rivolta Roma inviò in Sardegna nel 215 a.C. un esercito guidato da Tito Manlio Torquato. Questi si portò a Carales e da qui mosse alla volta del territorio dei nemico, mentre A. si spostava all’interno per cercare alleati presso i Sardi Pelliti, localizzati nel Marghine, sede degli Ilienses, cui lo stesso A. era legato per schiatta, se dobbiamo dar credito a Silio Italico. Lo scontro tra i Romani e i Sardi, guidati da Hostus (Josto), figlio di A., avvenne nel territorio di Cornus, a sud della città, e si risolse in una vittoria romana. Il conflitto fu riacceso dallo sbarco dell’esercito cartaginese, comandato da Asdrubale il Calvo, in un porto dell’Oristanese. Asdrubale si unı̀ ad A. e a suo figlio, che disponevano degli effettivi sardi scampati alla prima battaglia e delle truppe degli indigeni raccolte da A. Avviatosi lungo la piana del Campidano, l’esercito di Asdrubale e A., una volta lasciato alle spalle il territorio dei rivoltosi, si diede a devastare l’agro dei popoli alleati dei Romani, il Campidano centromeridionale, con l’obiettivo di raggiungere Carales. L’azione bellica sarebbe stata coronata da successo se T.M. Torquato non si fosse mosso tempestiva- 155 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 163 Ampurias mente contro l’esercito nemico per porre termine alle devastazioni. La nuova battaglia ebbe effetti disastrosi per i sardo-punici: si contarono sul campo di battaglia dodicimila morti tra sardi e soldati dell’esercito cartaginese, fra cui Hostus, che Silio Italico immagina ucciso in un duello col poeta Ennio; ben tremilasettecento furono i prigionieri. A., fuggito alla morte in battaglia con un modesto stuolo di cavalieri, si uccise nel cuore della notte dopo aver appreso che anche il figlio era tra i caduti. Gli altri superstiti della grande battaglia guadagnarono la rocca di Cornus, inseguiti da T.M. Torquato, che, dopo aver cinto d’assedio la città, l’espugnò. [RAIMONDO ZUCCA] Ampurias1 (o Inpuriu, Ampulie) Toponimo che fa la sua comparsa a partire dal secolo XII in documenti che attestano l’esistenza, nell’Anglona, di una diocesi suffraganea di Torres. Non è ancora certa l’ubicazione del sito della sede vescovile di A.; si sa soltanto che la cattedrale era intitolata a San Pietro, era localizzata presso un fiume (da cui l’altro nome de Flumen) e la sede venne traslata a Castellaragonese (oggi Castelsardo) nel corso del secolo XVI, a causa dello spopolamento di A. La tradizione colloca questo centro alla foce del Coghinas, presso la chiesa di San Pietro a Mare; alcuni preferiscono ubicarla presso l’attuale Viddalba; altri ancora, invece, localizzano la sede vescovile presso la chiesa di San Pietro di Simbranos a Bulzi. Nelle fonti di età classica non si ha alcuna attestazione del toponimo e non è escluso che possa trattarsi di una denominazione bizantina attribuita a un precedente centro romano: forse Juliola, oppure Tı̀bula. La bassa valle del Coghinas (Valledoria, La Muddizza, Santa Maria Coghinas, Viddalba), come anche l’entroterra di Castelsardo, restituiscono im- portanti testimonianze di epoca romana e tardoantica: resti di edifici, necropoli, tratti di strade, oltre a numerosi rinvenimenti subacquei dal mare antistante. Da Tibula e dal suo porto partivano, secondo l’Itinerario Antoniniano, le strade per Carales attraverso Olbia, Luguido e Turris. [PAOLO MELIS] Ampurias2 Antico centro, presumibilmente situato sul litorale di Codaruina in prossimità di Valledoria. Di probabili origini punico-romane, era sede di una modesta attività portuale. Nel Medioevo era compreso nel giudicato di Torres e faceva parte della curatoria dell’Anglona. La sua importanza crebbe nel secolo XI quando divenne sede della diocesi e capoluogo della curatoria. Nel corso del secolo XII fu incluso nei territori che passarono ai Doria in seguito ai matrimoni di alcuni membri della loro famiglia con principesse della casa giudicale di Torres. Estinta la famiglia giudicale, essi a partire dal 1272 inclusero l’Anglona nel piccolo stato feudale che costituirono nella Sardegna nord-occidentale. Dopo la fondazione di Castelsardo (allora Castelgenovese) la sua attività portuale venne gradualmente meno e quando poi la foce del Coghinas si impaludò, cessò del tutto. Cosı̀ A. si spopolò e alla fine del secolo XIII fu abbandonata e scomparve. Ampurias 3 Famiglia (sec. XIV) dei conti sovrani di Ampurias, nota nella storia della Catalogna a partire dal secolo IX. Dopo la conquista della Sardegna, un figlio del conte Ugo V, Raimondo, si stabilı̀ nell’isola; egli aveva rinunciato alla contea di A. ed era entrato nell’ordine degli Ospedalieri di San Giovanni. Nel 1339 fu nominato castellano di Pedreso e capitano della Gallura; ebbe alcuni figli naturali: uno di essi, chiamato anche lui Raimondo, si stabilı̀ in Sardegna fin dal 1333 e ot- 156 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 164 Ampurias tenne la signoria di alcuni feudi nel Sigerro. Essendo parente della moglie di Giacomo d’Aragona, ottenne la promessa di successione in alcuni altri feudi appartenenti a quest’ultimo, a condizione che all’atto della sua morte avesse pagato i relativi diritti al fisco, ma quando Giacomo morı̀ Raimondo non fu in grado di pagare e dovette rinunciare alla successione; nel 1351 ebbe altri feudi nella curatoria di Dolia, dei quali però perdette la disponibilità durante la prima guerra tra Pietro IVe Mariano IV d’Arborea. Nel 1362 fu nominato luogotente del governatore di Cagliari; furono suoi eredi i figli Giovanni e Giacomo che, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV, non riuscirono a conservare i feudi e morirono entrambi senza discendenza prima del 1375. Ampurias, diocesi di Diocesi suffraganea di quella di Sassari, fu costituita verosimilmente da Alessandro II (1061-1073). Entro i primi due decenni del secolo XII fu teatro dell’imponente espansione cassinese nel giudicato di Torres. Nel secolo XVI le fu aggregata la diocesi di Civita, per cui il vescovo prese a risiedere per un certo periodo dell’anno a Castellaragonese (l’attuale Castelsardo) come vescovo di Ampurias e per il restante a Tempio Pausania come vescovo di Civita. Originariamente la giurisdizione della d. di A. si stendeva sulle parrocchie dei villaggi di: Ampurias, Bangio, Billikennor, Bolonianos (Bolothenis), Bulzi, Castelsardo, Casteldoria, Chiaramonti, Ficus, Flumine, Frexanu, Gavazana, Laerru, Lessiganu, Martis, Monte Furcadu, Multedu, Nulvi, Odatelis, Optenano, Orria Manna, Orria Piccinna, Ostiano de Enena, Ostiano de Monte, Perfugas, Salassa, Santa Maria Coghinas, Sedini, Sevin, Simbranos, Solio, Sordella, Speluncas, Tergu, Villalba. A partire dal 1505, quando la diocesi fu accorpata con quella di Civita e prese dapprima il nome di Ampurias e Civita, dal 1839 quello di Ampurias e Tempio e dal 1986 quella di Tempio-Ampurias, la sua giurisdizione comprendeva le parrocchie di: Aggius, Agiana, Aglientu, Agugari, Albaico, Albargius, Ampurias, Ariaguono, Aristana, Arzachena, Assuni, Bacor, Badesi, Balariana, Baredels, Bassacutena, Berchiddeddu, Bortigiadas (Orticlada), Bulzi, Calangianus, Campo de Vinyes, Canahim, Cannigione, Carana, Caresi, Castelsardo, Casteldoria, Chiaramonti, Cugnana, Erula, Golfo degli Aranci, Laerru, La Maddalena, La Muddizza, La Paliga, Larathano, Latinaco, Loiri, Longonsardo, Luogosanto, Luras, Majore, Malassum, Martis, Moneta, Nuchis, Nughes, Nulvi, Olbia, Palau, Perfugas, Petresa, Porto Cervo, Pussolo, San Pantaleo, San Pasquale, San Teodoro, Sant’Antonio di Gallura, Santa Maria Coghinas, Santa Teresa Gallura, Sedini, Siffilionis, Talaniana, Telti, Tempio Pausania, Tergu, Terranova (Olbia), Tisiennari, Trinità d’Agultu, Verri, Valledoria, Viddalba, Villamajor de Tertis. VESCOVI DI AMPURIAS 1. Bono (fine sec. XI ca.-entro 1112). 2. Nicola (1112-1127). 3. P. (1139 ca.-1142), sembra fosse in contrasto con i monaci benedettini. 4. Gilito (1149 ca.-1154 ca.). 5. Comita de Martis (1170 ca.-1179 ca.), prese parte al concilio Lateranense III. 6. Anonimo, di cui parla come morto da poco Innocenzo III nel 1204. 7. Pietro, menzionato per il 1205. 8. Anonimo, prese parte al concilio Lateranense IV nel 1215. 9. G., reggeva la diocesi nel 1230. 10. Anonimo, tra il 1233 e il 1238 citato quattro volte da Gregorio IX. 11. Anonimo, citato tra il 1247 e il 1254 da Innocenzo IV. 12. Guglielmo, citato nel 1255. 13. Giovanni, 157 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 165 Ampurias citato nel 1269. 14. Summachio, citato nel 1278. 15. Gonario (1283 ca.-1300 ca.). 16. Bartolomeo de Malague (1301-prima del 21 settembre 1332), minore osservante. 17. Giacomo (1332-1333). 18. Anonimo, citato tra il 1342 e il 1345. 19. Arduino (1353-1355). 20. Bertrando (13551365), domenicano, era vescovo di Tiflis in Georgia quando nel 1355 fu nominato vescovo di Ampurias; nel 1365 fu trasferito a Larino. 21. Pietro di San Martino (1365-prima del 16 maggio 1386), minore osservante. 22. Pietro, nominato dall’antipapa Clemente VII nel 1379, prese possesso della diocesi nel 1386, la resse sino al 1387. 23. Marco, fu nominato da papa Urbano VI in antitesi a Pietro nel 1386. 24. Nicola, fu nominato ancora da papa Urbano VI nel 1386. 25. Egidio da Murello, minore osservante e maestro di Teologia, fu nominato dall’antipapa Clemente VII nel 1393. 26. Pietro Corso, nominato da papa Urbano VI, resse la diocesi dal 1395 al 1401, anno in cui fu trasferito ad Ajaccio. 27. Pietro Benedetto di Giovanni, canonico di Bonifacio nominato da papa Bonifacio IX; resse la diocesi tra il 1401 e il 1413. 28. Tommaso di Bobbio (1413-1428), genovese. 29. Gavino (1428-1443), canonico di Ampurias. 30. Sisinnio (1443-1448), dottore in Decretali; ex vescovo di Sulci, fu trasferito a Bisarcio. 31. Gonario Gaddulese (14481449), canonico di Ampurias. 32. Gileto Esu (1449-1455), canonico di Ampurias. 33. Antonio de Alcalá, reggeva la diocesi nel 1457. 34. Nicola de Campo (1458-1480). 35. Ludovico di Giovanni (1480-1486), frate minore. 36. Diego de Nava (1486-1493), eremitano, baccelliere in diritto. VESCOVI DI AMPURIAS E CIVITA 1. Francesco Manno (1493-1511). 2. Ludovico Gonzalez (1513-1538), minore osservante. 3. Giorgio Artea (1538-1545), da Lodi. 4. Ludovico de Cotes (1545- 1558) di Siviglia, agostiniano. 5. Francesco Tommaso de Taxaquet (15581572), majorchino. 6. Pietro Narro (1572-1574) di Tarazona, benedettino, trasferito a Oristano. 7. Gaspare Vincenzo Novella (1575-1578) valenzano, laureato in Teologia, trasferito a Cagliari. 8. Michele Ruvios (1579-1586), cistercense, abate di Rueda. 9. Giovanni Sanna (1586-1607) di Oristano, decano di Ales. 10. Filippo de Marimon (16081613) valenzano, cavaliere di Montesa, dottore in Teologia. 11. Giacomo Passamar (1613-1622) di Sassari, dottore in Teologia; era parroco di Bonorva, trasferito a Sassari. 12. Giovanni de la Bronda (1622-1633), dottore in Teologia; era canonico di Cagliari. 13. Andrea Manca (1633-1644) di Sassari, trasferito a Sassari. 14. Gavino Manca Figo (1644-1652) di Sassari. 15. Gaspare Litago (1652-1656) cagliaritano, laureato in Teologia ad Ávila; era vescovo di Bosa, trasferito a Sassari. 16. Lorenzo Sampero (1656-1669) sassarese, maestro di Teologia; era canonico a Cagliari. 17. Pietro Alagon (1669-1672) canonico di Cagliari; trasferito a Oristano. 18. Giuseppe Sanchis (16721673) maestro generale mercedario valenzano; trasferito a Segorbe. 19. Giovanni Battista Sorribas (1673-1678) valenzano, carmelitano e maestro di Teologia. 20. Giuseppe Acorrà (1679-1685) cagliaritano, dottore in utroque; trasferito a Oristano. 21. Francesco Sampero (1685-1688) sassarese, dottore in utroque a Bologna. 22. Michele Villa (16881700) sassarese, dottore in Teologia. 23. Diego Serafino Posulo (1702-1718) domenicano di Cagliari; professore di Teologia. 24. Angelo Galcerin (17271735) cagliaritano, minore conventuale, ministro provinciale dell’ordine, dottore in Teologia. 25. Giovanni Leonardo Sanna (1736-1737) di Cuglieri; rettore dell’Università di Ca- 158 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 166 Amsicora S.G. gliari e giudice delle appellazioni; trasferito a Bosa. 26. Vincenzo Giovanni Vico (1737-1741) cagliaritano, dottore in utroque; arciprete di Iglesias; trasferito a Oristano. 27. Salvator Angelo Cadello (1741-1764) cagliaritano, dottore in utroque; cancelliere regio apostolico. 28. Pietro Paolo Carta (1764-1771) di Silanus, dottore in utroque; vicario generale di Sassari. 29. Francesco Ignazio Guiso (1772-1778) cagliaritano, dottore in utroque; vicario generale di Cagliari. 30. Giovanni Antonio Arras Minutili (1779-1784) nuorese, dottore in utroque; vicario generale di Sassari. 31. Michele Pes (1785-1804) tempiese, dottore in utroque; vicario generale di Iglesias. 32. Giuseppe Stanislao Paradiso (1807-1819) cagliaritano, dottore in Teologia; parroco di Gergei; trasferito ad Ales-Terralba. 33. Stanislao Mossa (1823-1825) sassarese, dottore in Teologia; parroco di San Donato di Sassari. Nel 1839 la diocesi prese il nome di Ampurias e Tempio. VESCOVI DI AMPURIAS E TEMPIO 1. Diego Capece (1833-1855) tempiese, dottore in Teologia; parroco di Quartucciu. 2. Filippo Campus (1871-1887) di Pattada, dottore in Teologia; parroco della cattedrale di Sassari. 3. Paolo Pinna (1887-1892) di Pozzomaggiore; vescovo titolare di Europa e ausiliare di Alghero. 4. Antonio Maria Contini (1893-1914) di Scano di Montiferro, dottore in Teologia; vescovo di Ogliastra; rinunciò nel 1914. 5. Giovanni Maria Sanna (1915-1922) di Oristano, minore osservante; trasferito a Gravina. 6. Albino Morera (1922-1950) vercellese, dottore in Teologia. 7. Carlo Re (1951-1961) missionario di Giaveno; fu missionario in Kenya, vicario apostolico di Nyeri e amministratore apostolico di Meru. 8. Mario Ghiga (19611963) di Cuneo; parroco di Carloforte. 9. Giovanni Melis Fois (1963-1970) di Sorgono, dottore in Teologia; vicario generale di Oristano; trasferito a Nuoro. 10. Carlo Urru (1971-1982) di Todi, laureato in Lettere; rettore del Seminario di Assisi; trasferito a Città di Castello. 11. Pietro Meloni (19831992) sassarese, laureato in Lettere e Teologia; professore nell’Università di Sassari; trasferito a Nuoro. 12. Paolo Atzei (1992-2004) di Mantova, minore conventuale; padre provinciale per la Sardegna; trasferito a Sassari. 13. Sebastiano Sanguinetti (2006-), di Lula, vescovo di Ozieri. Ampurias, Raimondo Luogotenente del governatore di Cagliari (Catalogna, prima metà sec. XIV-Cagliari 1365). Figlio naturale di fra Raimondo, lo seguı̀ in Sardegna dove si legò a Giacomo d’Aragona, uno dei figli naturali del re che vi aveva fissato la residenza, e nel 1340 ottenne il feudo di Cangellus nel Sigerro. Poco dopo si trasferı̀ in Catalogna; prese parte alla guerra di Majorca e fu nominato gentiluomo di camera del re; dopo alcuni anni tornò in Sardegna e vi si stabilı̀ definitivamente. Essendo parente della moglie di Giacomo d’Aragona, nel 1349 ottenne la promessa di successione nei feudi di Gergei e di Quartu appartenenti all’Aragona, ma non fu in grado di pagare i diritti al fisco. Nel 1351 ebbe le signorie di Baratuli, di Sibiola e di Sicci, che però perse nel 1353 durante la prima guerra tra Arborea e Aragona. Nel 1362 fu nominato luogotenente del governatore di Cagliari; scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, i suoi feudi furono devastati. Amsicora = Ampsicora Amsicora S.G. Società sportiva cagliaritana. Fondata nel 1897 da un gruppo di appassionati, è la prima società di ginnastica nata in Sardegna, non a caso un anno dopo la prima edizione delle Olimpiadi moderne di Atene. 159 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 167 Anagallide Dopo un avvio difficoltoso sotto la presidenza di Raffaele Garzia, arrivarono i primi successi, soprattutto nella ginnastica, ma anche nell’atletica leggera. Cosı̀ nel 1912 e poi nel 1920, ai Giochi Olimpici di Stoccolma e poi di Anversa, i ginnasti Francesco Loy e Michele Mastromarino conquistarono la medaglia d’oro nel concorso generale a squadre. E nel 1914 il giavellottista Fausto Nieddu conquistò il titolo italiano. la società acquistò negli anni Venti la sede di viale Bonaria e nel 1923 l’area di Ponte Vittorio, appena dismessa dall’amministrazione penitenziaria. I due impianti, però, nonostante i grandi risultati ottenuti dalla società, finirono per passare nelle mani del PNF fino al 1943. Negli anni successivi al conflitto il campo e l’area di Ponte Vittorio ritornarono alla società rimanendone per sempre la sede naturale. Nel 1948, sotto la guida di Filippo Vado, l’A. S.G., presente già in numerose discipline, iscrisse una squadra di studenti (del Liceo ‘‘Dettori’’) al campionato di serie B di hockey su prato e già due anni dopo conquistava la promozione nella massima serie. Da allora i suoi atleti hanno conquistato una ventina di scudetti e numerosi titoli italiani juniores e allievi nonché femminili. Si è formata cosı̀ una scuola che ha permesso la nascita di altre squadre dell’hinterland cagliaritano, come l’Amatori e il Suelli, attualmente protagoniste della serie A. Continuano anche oggi i successi nelle altre discipline come l’atletica e la ginnastica. [GIOVANNI TOLA] Anagallide Pianta erbacea annuale Guido Costa – Il mitico presidente della società sportiva Amsicora è rappresentato in questa caricatura degli anni Venti del Novecento in divisa da ginnasta. Sotto la guida del mitico presidente Guido Costa, che rimase in carica dal 1902 fino alla morte, avvenuta nel 1934, della famiglia delle Primulacee (Anagallis arvensis L.), detta anche centonchio. Fusti prostrati a sezione quadrangolare, foglie ovate acuminate all’apice, fiori singoli, peduncolati all’ascella fogliare, di colore variabile dal blu-viola al rosso, frutto a capsula sferica. Molto diffusa, cresce e fiorisce da marzo a ottobre nei campi, sia incolti che coltivati. In fitoterapia viene usata, con cautela per la sua tossicità, in infuso con azione diuretica ed espettorante, o per uso esterno come cicatrizzante. In Sardegna sono presenti altre tre specie affini: l’Anagallis foemina, molto diffusa, dai fiori azzurro intenso, e due endemismi della Sardegna sud-occidentale, l’Anagallis crassi- 160 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 168 Anastasia folia, dai delicati fiori biancastri, rara, e l’Anagallis monelli L. Quest’ultima ha un’intensa fioritura arancione, con fiori più grandi, che caratterizza le garighe costiere. Spettacolari quelle dell’isola di San Pietro, in associazione cromatica con un altro endemismo, la pratolina delle scogliere (Bellium crassifolium L.). Nomi sardi: éiba di la Madonna (sassarese); elba de feridas (logudorese e nuorese); elba santa (Anglona); erba de puddas (Sardegna meridionale); sciua de cuôlu (Carloforte). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Anagiride Pianta arbustiva, alta sino ai 3-4 m, della famiglia delle Leguminose (Anagyris fetida L.). I rami giovani sono ricoperti di peluria, le foglie, caduche, sono composte trifogliate, tomentose nella pagina inferiore, di colore verde chiaro. I fiori, riuniti in racemi, sono gialli con un petalo più corto (stendardo) macchiato di bruno. Fiorisce in inverno. Il frutto è un baccello pendulo e rigonfio. Sia il nome scientifico, che l’altro nome volgare con cui è conosciuta, puzzolana, sono dovuti al pessimo odore che tutta la pianta emana. Velenosa e infestante, si adatta a tutti i substrati e vive indifferentemente sulle coste come nei boschi sino a 600 m. Nella Sardegna meridionale si usavano le foglie tritate e mescolate all’albume d’uovo montato come rudimentale ingessatura per bloccare un arto fratturato. Nomi sardi: fazorba (Marghine); giolva (gallurese); silı́qua crabı́na (Iglesiente); thilı́bba (Sarcidano). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Anania, santo Santo (Orgosolo, ?-sec. III). Martire nato, secondo la leggenda, a Orgosolo. Funzionario romano, comes equivalente a compagno, assessore. Da comes è venuto il titolo araldico di conte, perciò il santo popolarmente è considerato un conte, nel significato dell’organizzazione medioevale. Con- vertitosi al Cristianesimo dopo aver ascoltato una predica del vescovo Egidio, annunciò il Vangelo. Denunciato, non volle sacrificare agli dei, come prescriveva la legge, venne arrestato e torturato. Con una sega gli tagliarono le mani e le gambe. Decapitato che aveva quarant’anni, nel secolo III, ebbe compagno nel martirio il suo vescovo e maestro Egidio. Ritenuta medioevale la chiesa d’Orgosolo, dove nel 1623 furono rinvenute in una tomba romana le reliquie, con l’iscrizione del nome del santo e la data del suo martirio, 3 luglio 300. «Erano sı̀ tombe romane – nel giudizio di Giovanni Spano (1869) – ma cristiane, come dimostrano i titoli. È però vera la falsa interpretazione che si è data alle iscrizioni». Le reliquie sono conservate a Orgosolo, nella chiesa dell’Assunta; alcune sono state donate a Fonni, al santuario della Madonna dei Martiri. Nel Seicento, durante la lotta tra gli arcivescovi di Cagliari e di Sassari per ottenere il titolo di primate di Sardegna e di Corsica (Orgosolo rientrava nei territori di appartenenza dell’arcivescovo di Sassari), si volle dare nazionalità sarda a Sant’A. martire, che a Damasco battezzò Saul-Paolo. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia la seconda domenica di giugno a Orgosolo. Anastasia, santa Santa (m. Sirmio 304). Martire a Sirmio, oggi Sremska Mitrovica, in Dalmazia, sotto Diocleziano. A Roma, nei pressi del Circo Massimo, nel secolo VI le venne dedicata una chiesa. Spesso confusa con la figlia di San Pretestato, vergine martire a Roma dove si era recata per parlare con San Crisogono, del quale il padre era discepolo. Il Martirologio Romano ricordava tre sante di questo nome. In Sardegna Patrona di Buddusò e Tissi. Culto introdotto dai Bizantini, è 161 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 169 Anastasio associata a San Quirico e a Sant’Ambrogio. La chiesa di Sardara è stata costruita sopra un tempio nuragico a pozzo (sec. X a.C.), nei pressi di una sorgente di acque curative, Sa funtana de is dolus, che era fra le più importanti dell’isola. In un martirologio sardo si legge: «Nella chiesa dedicata a Sant’Anastasia, a Sardara, sono deposti i corpi di San Severo e di San Luri». A Quartu Sant’Elena il simulacro conservato nella chiesa di Santa Maria Cepola è cinque-secentesco. Nella tradizione sarda la santa avrebbe fasciato Gesù appena nato: «Chie l’hat fascadu est Santa Nastasia» (Chi l’ha fasciato è Sant’Anastasia). [ADRIANO VARGIU] sia, fine sec. VI ca.-?, 628). Monaco basiliano, martire in Persia assieme a settanta cristiani. Nacque verso la fine del 500. Si chiamava Magundat, forse sacerdote pagano, senz’altro praticò la magia. Profondamente colpito dai martiri cristiani, si convertı̀. Dopo il catecumenato, fu battezzato a Gerusalemme con il nome di A. dal patriarca Modesto. Basiliano, si recò a Cesarea di Palestina, che era sotto i persiani. Fu arrestato e incarcerato, battuto con verghe di ferro. Predisse la fine di Cosroe, re di Persia dal 590 al 628. Trasferito a Barsiloe, subı̀ altre torture. Condannato a morire insieme con settanta cristiani, venne strangolato e decapitato. Nel 640, sotto l’imperatore bizantino Eraclio, le sue reliquie furono trasportate da Cesarea a Roma. Nella liturgia latina è associato a San Vincenzo martire romano, e non spagnolo, come erroneamente riporta qualche agiografo. Il significato dei loro nomi: Vincenzo, «colui che vince»; A., «risurrezione». Risurrezione di Gesù, certamente, ma anche risorgere alla salvezza e alla vita eterna, nome che i primi cristiani davano ai pagani convertiti. Ben diciotto santi di questo nome sono ricordati nel Martirologio Romano. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 22 gennaio a Olzai. Anatolia, santa Santa (m. Roma 250). Sant’Anastasia – La santa in un affresco del secolo XII conservato in una chiesa bizantina di Cipro. Festa Si festeggia il 25 dicembre; la prima domenica di aprile a Quartu Sant’Elena, l’11-12 luglio a Tissi, il 23 settembre a Buddusò, il 12 novembre a Sardara. Anastasio, santo Santo (Razech, Per- Stando al significato del suo nome, «punto dove sorge il sole», si tratterebbe di una santa d’origine orientale. Martire; nata da una famiglia ricca, pagana, bella, giovanissima, fidanzata al pagano Aureliano. Convertita, ruppe il fidanzamento, donò i propri beni ai poveri e seguendo il Vangelo si dedicò completamente al prossimo. Martire sotto l’imperatore Decio, assieme a Vittoria, dopo aver subı̀to entrambe la tortura. Nel Martirologio Geronimiano e in alcune leggende A., riportata anche 162 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 170 Anatra con il nome di Finittı̀a, e Vittoria figurano sorelle: stessi genitori o sorelle di fede? In altre leggende figurano amiche. Non compare nel Martirologio Romano. Vittoria dal 1969 è stata cancellata dal calendario. Abbandonato da A., Aureliano disperato chiese aiuto a Vittoria, la quale richiamò la sorella o amica dicendole: «La vita è amore ed è meraviglioso amare ed essere amati». Rispose Anatolia: «Dio è il mio grande amore». Vittoria si convertı̀. Dopo averla rapita e portata in una villa di campagna, anche Aureliano si convertı̀. Le due donne, denunciate e arrestate, finirono nel carcere di Rieti o di Tora, dove convertirono la guardia Andrea e operarono molti miracoli. Compaiono entrambe nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrona di Telti insieme a Santa Vittoria. Festa Si festeggia, insieme a Santa Vittoria, il 23 dicembre; la prima domenica di maggio a Telti, la terza domenica di settembre a Sassari. Anatra, Bruno Storico (n. Tunisi 1937). Divenuto ormai cagliaritano di fatto, dopo la laurea si è dedicato alla ricerca storica e all’insegnamento universitario, approfondendo lo studio della società sarda nell’Età moderna e della demografia storica. Attualmente è professore ordinario di Storia moderna presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari e dirige il dipartimento di Scienze Storiche. La sua vasta produzione spazia anche su temi che esulano dalla storia della Sardegna. Tra gli scritti sulla Sardegna ricorderemo I quinque librorum nei sinodi sardi, in Le fonti della demografia storica in Italia, I, 1971-72; Problemi di storia della Sardegna spagnola (con Giuseppe Serri e Raffaele Puddu), 1975; I fasti della morte barocca in Sar- degna tra epidemie e carestia, ‘‘Incontri meridionali’’, 4, 1977; Dinamica demografica e mobilità matrimoniale in Sardegna tra il Settecento e il primo quarto dell’Ottocento, ‘‘Annali della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari’’, V, 1980; Aspetti della congiuntura seicentesca in Sardegna, ‘‘Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, II, 23, 1983; Dall’unificazione aragonese ai Savoia, in La Sardegna medioevale e moderna, vol. X della ‘‘Storia d’Italia’’ diretta da G. Galasso, 1984; Fonti ecclesiastiche per lo studio della popolazione della Sardegna centro meridionale (con Giuseppe Puggioni), 1984; I ceti dirigenti sassaresi nell’Età aragonese e spagnola, in Gli Statuti sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’età moderna. Atti del Convegno di studi Sassari 1983 (a cura di Antonello Mattone e Marco Tangheroni), 1986; Economia sarda e commercio mediterraneo nel Basso Medioevo e nell’Età moderna, in Storia dei Sardi e della Sardegna (a cura di Massimo Guidetti), III, 1989; I parlamenti sardi, in Atti del Congrés de Historia Istitucional Barcelona 1988, 1991; Cagliari e il suo territorio, in La società sarda in età spagnola (a cura di Francesco Manconi), I, 1992; Alghero e il Logudoro in epoca spagnola, in Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo) (a cura di Antonello Mattone e Piero Sanna), 1994; Storia locale in veste regionale: il caso italiano, in Studi e ricerche in onore di Giampaolo Pisu, 1996; Istituzioni e società in Sardegna e nella Corona d’Aragona (sec. XIV-XVII), 1997; Insula Christianorum. Istituzioni ecclesiastiche e territorio nella Sardegna di antico Regime, 1997; Storia della popolazione in Sardegna (con Giuseppe Puggioni e Giuseppe Serri), 1997; Sale in Sardegna 163 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 171 Anchisi nella prima età moderna (con Francesco Carboni), in Storia del commercio del sale tra Mediterraneo e Atlantico, 1997; Come ranocchie di color terreo. Oristano e il suo marchesato nella prima età moderna, in Il Giudicato di Arborea e Marchesato di Oristano. Proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale, I, 2000; Malessere politico e sociale nella Sardegna mediterranea, in Banditismi mediterranei, 2003. Anchisi, Luigi (detto Gino) Esperto di agricoltura, giornalista (Cagliari 1902Roma 1980). Dopo la laurea in Giurisprudenza divenne funzionario della Camera di Commercio di Cagliari e nel 1932 fu nominato direttore dei mercati della città. Contemporaneamente collaborò all’‘‘Unione sarda’’ e fu l’animatore del ‘‘Lunedı̀ dell’Unione’’. Nel 1934 fu chiamato a Roma come caposervizio presso la Confederazione degli agricoltori acquistando grande notorietà. Nel 1944 fu consulente per l’agricoltura dell’Alto Commissario della Sardegna e nello stesso anno fu nominato segretario generale dei Coltivatori diretti, ufficio che ricoprı̀ fino al 1962. Nel 1958 entrò nel comitato per l’Agricoltura della Comunità Economica Europea e tra il 1964 e il 1966 ne presiedette la commissione permanente. Cossu per il suo romanzo storico Gli Anchita e i Brundano (1882). Ancis, Aldo Attore e regista (Cagliari 1912-ivi 1995). Entrò nel mondo teatrale molto giovane come interprete di commedie dialettali. In seguito guidò alcune filodrammatiche, imponendosi anche come attore di teatro in lingua italiana. Nel dopoguerra, con Lino Girau e altri, diede vita a indimenticabili stagioni teatrali radiofoniche (soprattutto dai microfoni di Radio Sardegna), che gli dettero fama nazionale e gli consentirono di educare generazioni di giovani attori. Anchita, Salvatore Bandito (Sedini, sec. XVII-ivi 1659). La sua famiglia era rivale dei Brundano e si era impegnata per anni in una terribile faida che aveva causato molti morti. Mentre cercava di avere ragione del suo rivale Francesco Brundano, era stato costretto a darsi alla macchia con lui; nel 1659 si trovarono in una grotta circondati dai soldati del re ed entrambi morirono combattendo contro di loro. La vicenda della lunga faida fu presa ad argomento dallo scrittore Gavino Sant’Andrea – Raffigurazione del santo in un mosaico del secolo XII della cattedrale di Trieste. Andrea, santo Santo (m. 60?). Apostolo e martire, A., che significa ‘‘virile’’, nacque a Betsaida in Galilea, fratello maggiore di Simon Pietro, entrambi figli di Giona della tribù di Neftali. Discepolo di Giovanni Battista. «Un giorno Andrea – si legge nella Legenda aurea scritta in latino tra il 1253 e il 1266 da 164 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 172 Anedda Jacopo da Varagine o da Varazze – era dal suo maestro Giovanni con un altro discepolo e udı̀ dire da Giovanni: ‘‘Ecco l’agnello di Dio’’. Subito Andrea e l’altro discepolo andarono a vedere dov’era Gesù, e per tutto quel giorno rimasero con lui. Poi Andrea trovò il fratello Simone e condusse anche lui da Gesù. Il giorno dopo tornarono a pescare, poiché Andrea e Simone erano pescatori. Gesù chiamò Andrea e gli altri perché divenissero suoi discepoli: ‘‘Seguitemi e vi farò pescatori d’uomini’’. Quelli lasciarono tutto e non tornarono più al loro mestiere». A., protocleto, ‘‘primo chiamato’’, per i greci, secondo la tradizione avrebbe annunciato il Vangelo nell’Asia Minore e in Etiopia. La passio lo mette a Patrasso in Acaia. Molti i miracoli: cacciò sette demoni che fuori della città di Nicea uccidevano i passanti, risuscitò un giovane che era stato ucciso da sette cani. Convertı̀ e battezzò anche la moglie di Egea, proconsole romano in Acaia. Egea comandò ai cristiani di sacrificare agli dei, Andrea lo affrontò dicendogli: «Hai meritato di essere giudice qui in terra, ma è necessario che tu riconosca il giudice che è nei cieli e riconoscendolo tu lo veneri distogliendo l’animo dal culto dei falsi dei». Egea lo fece gettare in carcere e comandò a ventun uomini di legarlo e sospenderlo alla croce per le mani e i piedi perché il supplizio avesse a durare più a lungo. L’apostolo, vedendo la croce, la salutò, l’abbracciò e la baciò: «Lieto e sicuro, o croce, vengo a te e tu accoglimi benignamente perché sono il discepolo di colui che su di te fu sospeso». Si tolse i vestiti e li regalò ai carnefici. Legato alla croce, visse per due giorni durante i quali predicò a duecentomila persone. Il terzo giorno rese l’anima. Martire forse nel 60, sotto Nerone, su una croce a forma di X, diventata ‘‘croce di Sant’A.’’. Apparve in abiti da cavaliere agli abitanti di Patrasso, per sostenerli contro i Romani: perciò dai Bizantini è considerato santo militare. Il suo corpo imbalsamato fu traslato a Bisanzio nel 356, venne rubato e portato ad Amalfi nel 1208-1210. La sua testa venne donata a Roma, alla basilica di San Pietro, nel 1462: da Paolo VI restituita nel 1964 alla Chiesa greco-ortodossa di Patrasso. Gli Atti di Sant’Andrea sono scritti apocrifi, secoli II-III, di origine gnostica. In Sardegna Patrono di Birori, Giave, Gonnesa, Modolo, Sant’Andrea Frius, Sedini, Sennariolo, Tortolı̀, Ula Tirso e Villanova Truschedu. Dà il nome al mese di novembre, Sant’Andria. Patrono dei pescatori e dei pescivendoli, invocato contro i tuoni e per guarire gli animali dal mal di ventre. I proverbi: «Po Sant’Andria si toccat sa pibizia» (Per Sant’Andrea si spilla, si assaggia, il vino nuovo); «Seu cumenti sa perda de Sant’Andria, beni stemmu e mellu stau» (Sono come la pietra di Sant’Andrea, bene stavo e meglio sto): persona che si adatta a tutto. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 30 novembre; il 24 maggio a Sant’Andrea Frius. Sagre estive e in altre date durante l’anno. Andreoni, Antonio Magistrato, senatore del Regno (Alghero 1866-Roma 1945). Dopo la laurea in Giurisprudenza entrò in magistratura, percorrendo una brillante carriera. Nel 1933 fu nominato senatore del Regno. Anedda, Gianfranco Avvocato, deputato al Parlamento (n. Cagliari 1930). Brillante penalista, è stato presidente della Camera penale dell’isola e componente del Consiglio nazionale forense. Fin dal secondo dopoguerra si è impegnato in politica nelle file del MSI: consigliere comunale di Cagliari dal 1964 al 1970, nel 1969 fu eletto per la prima volta consigliere regionale nella 165 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 173 Anedda VI legislatura e successivamente riconfermato fino al 1989 per altre tre legislature vivendo l’evoluzione del suo partito dapprima in Destra nazionale e successivamente in Alleanza Nazionale. Nell’aprile del 1992 fu eletto deputato e divenne sottosegretario alla Giustizia nel primo governo Berlusconi; nel 1994 fu rieletto deputato per la XII legislatura e successivamente riconfermato con crescente successo elettorale. Non si è ricandidato per le elezioni dell’aprile 2006. Anedda, Giovanni Luigi Fotografo (n. Sassari, sec. XX). Sassarese, si occupa di fotografia professionale dal 1984, dopo aver conseguito il diploma presso il Dipartimento di Fotografia dell’Istituto Europeo di Design di Cagliari. È redattore, pubblicista e fotografo della rivista ‘‘Sardegna antica’’, nonché consulente per le immagini del Centro Studi Culture Mediterranee di Nuoro. È membro dell’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti ‘‘Tau Visual’’. Anedda, Giuseppe Musicista (Cagliari 1912-ivi 1997). Si diplomò in violino al Conservatorio e si specializzò in mandolino. Negli anni Trenta fondò e diresse il quartetto a plettro ‘‘Karalis’’, facendosi notare per la qualità delle sue esecuzioni, per cui nel 1938 e nel 1939 vinse il concorso nazionale per mandolino. Nel dopoguerra suonò per Radio Sardegna con crescente successo; successivamente si stabilı̀ a Roma ed entrò a far parte del complesso ‘‘I virtuosi di Roma’’, fondato da Renato Fasano, e dopo dodici anni iniziò la sua prestigiosa carriera di solista. Si è esibito nei maggiori teatri, raggiungendo una fama di livello mondiale. Anedda, Josto Bruno Giornalista e studioso di storia (Pola 1937-Cagliari 1975). Allievo di Paola Maria Arcari, dopo essersi laureato in Scienze politiche a Cagliari si dedicò alla ricerca collaborando con la sua Facoltà. Si occupò principalmente di storia politica, anche dopo essere diventato giornalista professionista. Il suo merito scientifico maggiore è il recupero del diario politico di Giorgio Asproni, di cui iniziò a pubblicare l’edizione critica, prematuramente interrotta dalla morte che lo colse a Cagliari a soli 39 anni. Tra i suoi scritti ricorderemo Giorgio Asproni e il clero sardo, ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, IX, 51-52, 1964; Il dilemma della guerra in Crimea e la crisi della Sinistra secondo una memoria inedita di Giorgio Asproni, ‘‘Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari’’, XLV, 1965-1968; Vittorio Angius politico, 1969. Anedda, Marina Fotografa (n. Cagliari, sec. XX). Autrice di vari reportage etnografici sulla realtà della ‘‘vita di paese’’, ha personalmente curato l’allestimento di mostre ed esposizioni già a partire dal 1985. Un anno dopo lavora come fotografa di scena per il documentario Le nozze: rituali di matrimonio nelle società tradizionali, e per Le nozze in Sardegna del regista Gabriele Palmieri. Vince, nel 1986, il primo premio della mostra-concorso regionale sul ‘‘Lavoro Tradizionale Femminile’’ organizzata dall’ARCI a Ovodda, e, nel 1992, quello del concorso ‘‘Scorci e vita del centro storico di Cagliari’’. Anela Comune della provincia di Sassari, compreso nella VII Comunità montana, con 763 abitanti (al 3 dicembre 2004), posto a 446 m sul livello del mare, allineato tra i paesi de ‘‘Sa Costera’’, alla destra del medio corso del Tirso. Regione storica: Goceano. Diocesi di Ozieri. & TERRITORIO Il territorio comunale, esteso per 36,96 km2, è allungato nella direzione da sud-est a nord-ovest e 166 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 174 Anela confina a nord con Nughedu San Nicolò, a est con Bultei, a sud e a ovest con Bono. Mentre da una parte giunge a toccare le rive del fiume, dall’altra si spinge sulle pendici della catena del Marghine, ricoperta in parte da pregevoli boschi, sino a comprendere le punte San Giorgio, 972 m, Su Enturzu, 1103 m, Masiennera, 1156 m, e Cherchidores, 1117 m. Il paese è toccato dalla vecchia – e tortuosa – statale 128 bis, alla quale si connettono nel giro di pochi chilometri le traverse in direzione di Ozieri, Sassari e, sul versante opposto del Tirso, Benetutti e Nule. Anela – Le domus de janas di Sos Furrighesos: necropoli ascrivibile alla cultura di Ozieri situata lungo un declivio roccioso a pochi chilometri da Anela. STORIA Verosimilmente A. ebbe origine da un insediamento romano di carattere militare e nel periodo bizantino mantenne la stessa funzione come dimostra il complesso di Aneleto (=); nel Medioevo entrò a far parte del giudicato di Torres e divenne il capoluogo della curatoria del Goceano. Nel suo territorio densamente popolato si insediarono i Camaldolesi, che nel 1162 costruirono la bella chiesa di Nostra Signora di Mesumundu, o delle Rose. A. era un centro nel quale spesso si recavano i giudici per prendere parte a spettacolari battute di caccia al cinghiale, esercizio in cui i suoi abitanti & erano maestri. Estinta la famiglia giudicale, il territorio fu conteso tra i Doria e gli Arborea e A. cominciò a perdere l’antica importanza. Nelle confuse fasi che precedettero la conquista aragonese il re Giacomo II, alla ricerca di possibili alleati, ne investı̀ i Doria considerando l’intero Goceano come parte del Regnum Sardiniae. Ma negli anni che seguirono la conquista, essendosi i Doria ribellati, A. e il Goceano furono occupati dalle truppe del giudice d’Arborea allora alleato degli invasori. Cosı̀ nel 1339 il villaggio fu compreso nella contea del Goceano, concessa a Mariano IV d’Arborea, e nei decenni successivi fu teatro della guerra tra Aragona e Arborea; nel 1378, per quanto oramai il territorio fosse nelle mani del giudice d’Arborea, fu concesso dal re d’Aragona a Valore de Ligia, che aveva tradito il giudice. Finita la guerra, nel 1410 A. passò al marchese di Oristano, ma il Goceano non era ancora pacificato: la regione per anni subı̀ gravi danni a causa delle devastazioni compiute da bande di fuorilegge tra le quali la più famosa era quella di Bartolo Manno (=). Nel 1422 Leonardo Cubello lo assalı̀, sconfiggendolo, e acquisı̀ definitivamente la regione. Conclusasi nel 1478 l’epopea dei marchesi d’Oristano, dal 1493 A. entrò a far parte del patrimonio reale e non fu più infeudato. Nei secoli successivi fu amministrato da un funzionario reale ma la sua decadenza continuò inesorabile. Nel corso del secolo XVIII A. e il Goceano passarono alla nuova dinastia, ma la sua condizione di feudo reale non mutò; nel 1771 vi fu costituito il Consiglio comunitativo e i suoi abitanti nel 1796 presero parte attiva ai moti antifeudali cosı̀ che, dopo la fine di Giovanni Maria Angioy, subirono le conseguenze di una dura repressione. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella 167 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 175 Anela provincia di Nuoro e nel 1838 finalmente liberato dalla dipendenza feudale; quando nel 1848 furono abolite le antiche province, fu incluso nella omonima divisione amministrativa. Di questi anni la testimonianza di Vittorio Angius: «Era nel Medio evo capoluogo di curatoria, o dipartimento; ora, decaduto dal primiero stato, si annovera tra i paesi di terzo ordine. È situato nel declivio della montagna, quasi alla tramontana di Bono. Non si contano più di 130 case, abitate da 437 anime. Le strade sono irregolari, mal tenute, ed al solito trovansi i letamai nell’orlo del paese ad infettar l’aria, che non sarebbe insalubre per altra ragione. V’è un consiglio di comunità, una giunta locale sul monte di soccorso, ed una scuola normale, dove concorrono fanciulli 2. La chiesa parrocchiale è dedicata ai santi martiri Cosimo e Damiano: manca di sacri arredi, ed è tenuta poco decentemente. In vicinanza havvi altra chiesa di antica costruzione, dove celebransi annualmente due feste. L’agricoltura si fa con 40 gioghi. Vi sono poche vigne, e nessuna di considerazione. Poca è la quantità del bestiame che nutresi. Il totale non oltrepassa i 3300 capi, divisi in pecore n. 2500, vacche 150, capre 500, porci 100, cavalle 40, e qualche giumenti». Nel 1859 la provincia di Nuoro fu abolita e subito dopo A. entrò a far parte di quella di Sassari. Nel 1870 l’isolamento del paese si ridusse in parte con l’apertura della strada nazionale, nel 1893 con l’entrata in funzione della linea ferroviaria delle secondarie che, partendo da Chilivani, arrivava sino alla Cantoniera del Tirso. Nel 1896 la sua foresta di più di 1000 ha fu dichiarata invendibile e cosı̀ salvata dalla devastazione. In quegli anni la popolazione venne gradatamente aumentando, ma questa tendenza si ridusse poi, nel corso del Novecento, in seguito ai ricorrenti flussi migratori. & ECONOMIA Ormai ridotte ai minimi termini le attività agricole, ha preso il sopravvento l’allevamento, soprattutto di ovini ma anche di bovini e suini. Sono cresciute anche qui le attività legate al settore terziario, all’edilizia e, con la valorizzazione delle aree boschive, sono stati creati alcuni posti di lavoro per la forestazione e la difesa antincendio. Artigianato. È possibile individuare un’antica tradizione di artigianato tessile che attualmente alcune donne mantengono viva con i telai manuali producendo pittoreschi tappeti di piacevole effetto cromatico. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 861 unità, di cui stranieri 8; maschi 421; femmine 440; famiglie 328. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con morti per anno 16 e nati 5; cancellati dall’anagrafe 19 e nuovi iscritti 16. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 788 in migliaia di lire; versamenti ICI 409; aziende agricole 149; imprese commerciali 31; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 20; ambulanti 6. Tra gli indicatori sociali: occupati 254; disoccupati 23; inoccupati 64; laureati 21; diplomati 117; con licenza media 260; con licenza elementare 301; analfabeti 14; automezzi circolanti 376; abbonamenti TV 268. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu abitato continuativamente a partire dalla preistoria; conserva quindi le domus de janas di Sos Furrighesos: una necropoli situata lungo un declivio roccioso a pochi chilometri dall’abitato e costituita da un gruppo di 14 domus scavate nella roccia e ascrivibili alla cultura di Ozieri. Il loro interno è rifinito con particolare cura e riccamente decorato con motivi a pro- 168 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 176 Anemone fiordistella tomi taurine, alcune delle quali stilizzate e di grande effetto. Numerosi i nuraghi o resti di nuraghi: Castangia, Ferulas, Marione Ledda, Nunnaru, Orchinele, Orgodoli, Sa Pruna, Siana, Siccadore, Su Pezzudoladu, Tambadu, Torra, Tremene, Urchesiana, Urchinele. Per i secoli più recenti alcuni resti di epoca romana e di epoca bizantina. Il complesso archeologico medioevale di San Giorgio di Aneleto riveste un’importanza di primo piano per la ricostruzione della storia di A. Il complesso sorge in località Funtana ’e Cresia e domina l’attuale abitato. In epoca bizantina, attorno al secolo VI vi furono edificati un castrum e la chiesa di San Giorgio e il centro divenne il punto di riferimento per l’intero territorio circostante. Nel corso del secolo VII la fortezza fu abbandonata e col tempo andò in rovina, solo durante gli scavi del 1988 i suoi resti sono stati riportati alla luce. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Nel centro urbano il monumento di maggiore interesse è la chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Cosma e Damiano, costruita in forme semplici nel secolo XVI e più volte restaurata. I monumenti di maggiore rilievo che documentano l’importanza della storia di A. sono però il santuario di Nostra Signora di Mesumundu, costruito nel 1162 dai Cistercensi; è posto a poca distanza dall’abitato ed è stato restaurato recentemente, al suo interno sono conservate alcune statue lignee del secolo XVII. Altro importante monumento è San Giorgio di Aneleto: la chiesa sorgeva nelle vicinanze del castrum omonimo e apparteneva ai monaci basiliani; nel corso del secolo XII fu donata ai Camaldolesi e in seguito definitivamente abbandonata. Solo nella seconda metà del secolo XX accanto ai ruderi dell’antica costru- zione è stata ricostruita una cappella. Di notevole importanza l’area boschiva o di forestazione che si estende nelle vicini alture, costituita soprattutto da lecci, roverelle e sugheri; la fauna annovera cinghiali e martore, volpi e donnole, sparvieri e albanelle reali. Numerose le sorgenti, che in alcuni casi danno vita ai corsi d’acqua che si dirigono verso il Tirso. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni popolari si rinnovano nel corso dell’anno con alcune feste religiose tra le quali quella di Sant’Antonio Abate, che si svolge il 16 e 17 gennaio col rituale falò in piazza, e quella in onore dei santi patroni Cosma e Damiano che si tiene il 27 settembre. La più caratteristica di queste feste è però quella in onore di San Giorgio, che si svolge nella suggestiva località di Aneleto a partire dalla prima domenica di agosto e dura due giorni. Aneleto Antico villaggio situato su una montagna che sovrasta l’attuale abitato di Anela nel Goceano. Si sviluppò in prossimità del castrum che nel secolo VI i Bizantini avevano fatto costruire per controllare il territorio circostante; fu probabilmente abbandonato quando, costituitosi il giudicato, i suoi abitanti si stabilirono nel vicino villaggio. Anelo, Massimo Filosofo e teologo (Cagliari 1615-San Raimondo, Spagna, 1685). Entrato nell’ordine domenicano, completò gli studi nella sua città. Dopo aver insegnato per alcuni anni in Sardegna, fu chiamato in Spagna e si stabilı̀ a San Raimondo dove acquistò fama e diresse per alcuni anni il locale convento. Anemone fiordistella Pianta erbacea della famiglia delle Ranuncolacee (A. hortensis L.), di 15-30 cm di altezza. Ha foglie basali palmate tripartite; fiori con petali allungati, dal lilla chiaro al 169 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 177 Anfibi rosso-viola, e antere azzurre, su lunghi steli flessibili. Molto diffusa, fiorisce in primavera nei campi, nelle radure dei boschi e ai bordi delle strade. Meno diffusa la specie affine, A. coronaria L., l’a. dei fiorai, con foglie basali lungamente incise e picciolate, fiori azzurro-viola con petali ellittici. Nomi sardi: anémoni arésti, némula. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Anfibi = Zoologia della Sardegna Anfossi, Francesco (detto Cicito) Militante politico e giornalista (La Maddalena 1896-Sassari 1971). Militante socialista fin dal 1911, allo scoppio della prima guerra mondiale manifestò idee antimilitariste, per le quali nel 1915 fu arrestato. Prosciolto, si arruolò e prese parte alla guerra ottenendo anche una medaglia al V.M. Nel dopoguerra si stabilı̀ a Roma e fu corrispondente de ‘‘l’Unità’’; nel 1924 fu costretto a emigrare clandestinamente in Francia e da lı̀, nel 1927, si trasferı̀ in Argentina. Inseritosi nel nuovo ambiente dove operavano altri esuli sardi, nel 1929, assieme al Brunetti e al Dettori, costituı̀ la Lega Sarda d’Azione e avviò la pubblicazione del periodico ‘‘Sardegna Avanti’’. Nel 1930 fu espulso dall’Argentina e imbarcato su una nave italiana diretta a Barcellona, dove avrebbe dovuto essere consegnato alla polizia italiana; quando la nave fece sosta a Montevideo, riuscı̀ a fuggire e si rifugiò in Uruguay. Da qui tornò in Europa, stabilendosi a Bruxelles; nel 1934 si stabilı̀ nuovamente in Francia dove, protetto dall’antifascista LIDU (Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo), si fermò dedicandosi ad attività commerciali e tra il 1936 e il 1938 organizzando soccorsi alla Spagna repubblicana. Rientrato in Sardegna alla fine del secondo conflitto mondiale, si ritirò dalla attività politica. Anfossi, Tosino Artista (Tempio 1892- Sassari 1934). Fece le sue prime esperienze artistiche a Sassari negli anni che precedettero la prima guerra mondiale. Scoppiato il conflitto, vi partecipò, fu ferito e rimase invalido; nel dopoguerra si laureò in Chimica a Cagliari dove conobbe Eugenio Tavolara, col quale strinse un sodalizio artistico che segnò il resto della sua breve vita. Infatti, rinunciando a sfruttare professionalmente la sua laurea, a partire dal 1924 si stabilı̀ a Sassari e collaborò con l’amico alla realizzazione dei famosi ‘‘pupazzi’’ di legno che inizialmente i due produssero nello stabilimento di Gavino Clemente; dopo il successo delle loro creazioni alle mostre di Monza e di Parigi, pensarono di sfruttare industrialmente quelle creazioni che riproducevano con intenso realismo e insieme con linee geometricamente vicine alle contemporanee esperienze dell’arte europea un mondo sardo in miniatura di sorprendente efficacia. Si dedicò anche alla scultura e al disegno decorativo. Morı̀ precocemente a Sassari, a 42 anni. Anfossi, Video Pittore (n. Le Havre 1933). Figlio di Francesco (=), tornato in Sardegna col padre, si è dedicato precocemente alla pittura, tenendo la sua prima personale a Tempio Pausania a diciassette anni. In seguito si è stabilito a Sassari dove opera, inserendosi negli ambienti culturali della città. A partire dal 1951 ha allestito numerose mostre personali e a preso parte a collettive in Italia e all’estero, ottenendo consensi dalla critica e dal pubblico. «Frequentatore instancabile di linguaggi sempre diversi – ha scritto di lui Beba Marsano – , la sua pittura ha acquistato nella fase più recente qualità timbriche più marcate». Numerosi suoi lavori figurano in collezioni pubbliche e private. Angelerio, Quinto Tiberio Medico 170 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 178 Angelo da Gerusalemme (Belloforte, Calabria, 1532-Napoli 1617). Studiò a fondo la peste del 1582, il suo manifestarsi ad Alghero e la sua diffusione in tutta l’isola, descrivendone i caratteri e la storia con grande acutezza scientifica nella sua Ectypa pestilentis status Algheriae Sardiniae anni LXXXII et III supra MD ad illustrissimum D. Michaelem de Moncada regni proregem, pubblicata a Cagliari da Canelles nel 1588. visa e compone una musica sospesa fra free jazz, punk noise, musica tradizionale sarda». Angelica Casa editrice fondata nel 2005 a Tissi (Sassari). Per quanto nata in Sardegna, intende dedicarsi a opere a carattere non regionale, con la precisa volontà di diffonderle oltre Tirreno. Sino ad ora ha pubblicato opere si narrativa, di saggistica e di letteratura per l’infanzia. [MARIO ARGIOLAS] Angeletti, Pietro Pittore romano, acca- Angelo (Angelo Custode, Angeli Cu- demico di San Luca (attivo a Roma tra il 1758 e il 1786). A partire dal 1760 ebbe rapporti con la Sardegna, dove probabilmente soggiornò anche nel periodo tra il 1761 e il 1769; di lui rimangono alcuni dipinti: a Cagliari Le nozze di S. Cecilia e S. Valeriano nel Duomo e il Martirio di Sant’Eulalia nella chiesa omonima, eseguito su commissione della famiglia Belgrano. Altri tre oli si trovano uno nel Duomo di Ales, eseguito su committenza del vescovo Pilo, e gli altri due nella parrocchiale di Solarussa (S. Pietro in carcere e Il Miracolo di S. Gregorio), in uno dei quali è stata ravvisata la sua firma. stodi). Angelo, dal greco ánghelos, ‘‘messaggero’’: agli Angeli, messaggeri di Dio, annunciatori della volontà divina, intermediari tra Dio e gli uomini, non sono mai mancate le preghiere. Soprattutto per l’A. Custode non è mai mancata la devozione, anche perché «tutti e ciascuno – si legge nel Catechismo di Pio X – siamo affidati alle cure di un Angelo, da ciò consegue la viva e profonda devozione che dobbiamo avere verso il nostro Angelo Custode». La festa risalirebbe al 1411, alla città spagnola di Valencia. Da Paolo V (1608) è stata introdotta e fissata nel Calendario Romano al 2 ottobre. In Sardegna Sono molte le chiese e le località dedicate all’A. o agli Angeli. A Neoneli la leggenda vuole che la chiesa campestre sia stata costruita per volere e su indicazione dell’arcangelo Gabriele, apparso ad alcuni abitanti del luogo. [ADRIANO VARGIU] Festa La Sagra degli Angeli si festeggia la prima settimana di agosto; la seconda domenica di maggio a Olzai. Angeli, Paolo Etnomusicologo, musicista (n. Palau 1960). Figlio di Gigi (n. Pola 1943), conosciuto poeta in gallurese. Laureato in Etmomusicologia al DAMS di Bologna, ha curato per conto dell’ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico) il riordino scientifico e la digitalizzazione dell’Archivio Mario Cervo (‘‘portuale, socialista, anticlericale’’) che ha raccolto migliaia di registrazioni di esecuzioni di musica popolare sarda. A. è anche inventore di uno speciale tipo di chitarra, detta ‘‘chitarra sarda preparata’’ che ha incantato anche Paul Metheny. Questo strumento «è un ibrido tra chitarra baritono, violoncello e batteria, dotato di martelletti, pedaliere, 7 eliche, 14 pick-up: Angeli ci rielabora, improv- Angelo da Gerusalemme, santo (o Sant’Angelo di Sicilia, Sant’Angelo di Licata) Santo (Gerusalemme 1185-Licata, 1220/1225). Ebreo, si convertı̀ e si ritirò sul monte Carmelo, eremita e penitente, uno dei primi sacerdoti dei Carmelitani. Fu a Roma per chiedere al pontefice Onorio III l’approvazione della Regola scritta da Sant’Alberto 171 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 179 Angenior per i nuovi frati. Predicando in Sicilia, a Licata rimproverò un eretico, Berengario, il quale lo fece assassinare. Incerto l’anno, nel 1220 o nel 1225. Statua: raffigurato con la palma del martirio in una mano e il libro della Regola nell’altra. A Cagliari, chiesa della Madonna del Carmine, è raffigurato nella pala cinquecentesca di Girolamo Imperato. In Sardegna Patrono di Osidda. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 5 maggio; il 27 agosto a Osidda. Angenior Località citata nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (sec. VII) e, nella variante Agenorum, nelle cronache del geografo Guidone (secc. XI-XII). Era situata verosimilmente tra Carales e Sulci, lungo la via a Caralibus Turrem. Le denominazioni tramandate dalle fonti non consentono di identificare il centro, per il quale è stata però suggerita da I. Didu una localizzazione nel Sulcis-Iglesiente, forse in prossimità di Decimo o Siliqua, Corongiu o Villamassargia. Si suppone che l’itinerario pertinente ad A. passasse per l’entroterra (attraversando la valle del Cixerri) piuttosto che lungo la costa. L’ipotesi pare confermata dal rinvenimento di alcuni miliari, in uno dei quali, proveniente da Santa Maria di Flumentepido (a occidente di Monte Sirai), si legge il nome della strada: Caralibus Sulcos. [ANTONELLO SANNA] Angiolillo, Simonetta Archeologa (n. Torre Pellice 1945). Dopo la laurea si è dedicata alla ricerca e all’insegnamento universitario. Attualmente è professore ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte romana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Ha anche preso parte a numerose campagne di scavo ed è autrice di importanti studi sulla civiltà romana in Sardegna. Tra molteplici interessi di ricerca predilige lo studio del mosaico in Sardegna, di cui è considerata il massimo esperto. Tra i suoi scritti ricorderemo Due ritratti al Museo nazionale archeologico di Cagliari, ‘‘Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts’’, 1971; Una galleria di ritratti Giulio Claudii da Sulci, ‘‘Studi sardi’’, XXIV, 1975-1977; Mosaici antichi in Italia. Sardinia, 1981; La Sardegna dal Paleolitico all’età romana: guida per schede ai siti archeologici sardi, 1983; Cagliari, Villa di Tigellio. Campagna di scavi 1980, ‘‘Studi sardi’’, XXVI, 1981-85; L’arte della Sardegna romana, 1987; Alla ricerca di un tesoro perduto. A proposito di un corredo di preziosi rinvenuto a Olbia, in Sardinia antiqua. Studi in onore di Piero Meloni per il suo 70º compleanno, 1992; Bronzi votivi di Età romana provenienti da Antas, in Carbonia e il Sulcis. Archeologia e territorio, 1995. Angioni Nome dato all’agnello nella varietà campidanese del sardo (in logudorese, anzone). Piatto tipico della cucina sarda, risale alla più antica tradizione pastorale: viene cucinato in tutte le feste importanti, soprattutto per quelle pasquali, arrostendo allo spiedo l’agnello da latte. La preparazione di questo piatto rimanda alla vita all’aperto che un tempo i pastori conducevano al seguito delle loro greggi transumanti; infatti l’agnello prescelto, infilzato in uno spiedo di legno aromatico, viene arrostito all’aperto e servito in grandi vassoi di sughero. Altrettanto antichi sono altri modi di cucinarlo: tra questi l’agnello in umido (Angioneddu a cassola), la cui preparazione ha varianti nelle diverse zone dell’isola a seconda della disponibilità di ingredienti di pregio (cardi, carciofi, pane e formaggio), che consentono di 172 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 180 Angioni ottenere una sorta di stufato di notevole raffinatezza. Giulio Angioni – Antropologo dell’Università di Cagliari, si serve della sua conoscenza del mondo sardo per i suoi romanzi. Franco Angioni – Il generale Angioni, di origini sarde, ha diretto la prima missione dell’esercito italiano in Libano. Angioni, Giulio Antropologo e scrittore Angioni, Franco Ufficiale di carriera, deputato al Parlamento (n. Civitavecchia 1933). Nato da famiglia sarda, terminati gli studi medio superiori è entrato all’Accademia militare divenendo ufficiale. Ha percorso una brillante carriera giungendo al grado di generale; ha diretto la missione italiana in Libano e nel 2001 è stato eletto deputato per l’Ulivo nel collegio del Lazio; fa parte della delegazione del Parlamento italiano presso la NATO. Angioni, Giovanni Impiegato, consigliere regionale (n. Cagliari, prima metà sec. XX). Divenne consigliere regionale per il Movimento Sociale Italiano agli inizi della II legislatura, nel novembre del 1953, subentrando ad Alfredo Pazzaglia nel collegio di Cagliari. La sua permanenza in Consiglio fu breve perché si dimise il 16 agosto 1954. (n. Guasila 1939). Conseguita la laurea in Lettere, per alcuni anni è rimasto legato alla sua terra d’origine dedicandosi allo studio delle tradizioni popolari della Trexenta; ha avuto anche esperienze sindacali e amministrative nel territorio. I suoi studi, però, lo hanno indirizzato anche all’insegnamento universitario: nel corso degli anni ha avuto esperienze di insegnamento presso Università tedesche, francesi e inglesi; attualmente è professore di Antropologia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, dove ha anche diretto l’Istituto di Scienze antropologiche. È autore di importanti scritti che hanno consentito di impiantare un costruttivo dialogo tra l’antropologia e la storia e le altre discipline sociali, aprendo prospettive nuove alla comprensione del passato. Da alcuni anni si è dedicato alla narrativa, scrivendo racconti e alcuni romanzi di notevole valore lette- 173 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 181 Angioni rario che lo hanno imposto all’attenzione generale della critica. Tra i suoi scritti scientifici ricorderemo: Tre saggi sull’antropologia dell’età, 1973; Rapporti di produzione e cultura subalterna, 1974; Pani tradizionali e arte effimera in Sardegna (con Alberto M. Cinese, Enrica Delitala e Chiaretta Addari Rapallo), 1977; Sa laurea. Il lavoro contadino in Sardegna, 1982; Rapporti di produzione e cultura subalterna in Sardegna, 1982; La festa di Santa Maria d’agosto a Guasila, in Guasila, 1984; Il sapere della mano. Saggi di antropologia del lavoro, 1986; I pascoli erranti. Antropologia del pastore in Sardegna, 1989; Tutti dicono Sardegna, 1990; Gente di miniera (con D. Colletti), 1999; Eleonora d’Arborea e il Marchesato di Oristano. Proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale, I, 2000. Tra le opere di narrativa ricorderemo: A fuoco dentro / ‘‘A fogu a intru’’, 1978; Arrichiteddu, 1980; Sardonica, 1983; La visita, 1988; Il sale sulla ferita, 1990; Un’ignota compagnia, Milano 1992; Lune di stagno, 1993; Se ti è cara la vita, 1995; L’oro di Fraus, 1998; Il gioco del mondo, 2000; Pane e formaggio e altre cose di Sardegna, 2000; Millant’anni, 2002; La casa della palma, 2002; Il mare intorno, 2003; Assandira, 2004; Alba dei giorni bui, 2005. Angioni, Mauro Avvocato, deputato al Parlamento (Borore 1879-Cagliari 1969). Laureato in Giurisprudenza, si dedicò alla professione di avvocato e all’insegnamento della Procedura penale nell’Università di Cagliari. Impegnato in politica, nel 1914 lavorò alla preparazione del Congresso dei sardi a Castel Sant’Angelo. Prese parte alla prima guerra mondiale e nel 1919 fu eletto deputato nella lista dei Combattenti; sensibile al discorso del prefetto Asclepia Gandolfo, successivamente aderı̀ al fascismo e divenne segretario della federazione di Cagliari. Nel secondo dopoguerra fu esponente di spicco del movimento dell’Uomo Qualunque. I suoi numerosi scritti, apparsi su quotidiani, offrono utile documentazione per la comprensione della storia del Novecento in Sardegna. Angioni, Paolo1 Ufficiale di carriera (n. Quartu Sant’Elena 1929). Dopo la laurea in giurisprudenza è entrato nella carriera della Polizia di Stato ricoprendo molti incarichi a Roma presso il Ministero dell’Interno, a Nuoro e a Cagliari raggiungendo il grado di generale. Ha diretto per 24 anni il Centro di addestramento e di istruzione professionale della Polizia di Stato ad Abbasanta, ottenendo numerosi riconoscimenti per la sua professionalità. Angioni, Paolo2 Ufficiale di carriera, atleta (n. Cagliari 1938). Cavallerizzo di grande levatura, dal 1963 è entrato nel centro preolimpionico militare. Nel 1964 ha preso parte alle XVIII Olimpiadi a Tokyo conquistando la medaglia d’oro nell’equitazione; nel 1968 ha preso parte anche alle XIX Olimpiadi a Città di Messico. [GIOVANNI TOLA] Angioni, Tore Scultore (n. Pula 1949). Trasferitosi a San Sperate, ha conosciuto Pinuccio Sciola alla cui scuola si è formato; attualmente risiede a Settimo San Pietro. Lavora con grande maestria su pietra, bronzo e legno ma anche, con notevole originalità, con il cemento armato. Tra le sue opere la Madre dell’emigrato, una statua gigantesca che ha realizzato a Taret in Algeria, il Presepio realizzato in cemento a Settimo San Pietro e molte altre sistemate in diversi centri della Sardegna. Angioni, Virgilio Sacerdote (Quartu Sant’Elena 1878-Cagliari 1954). Dopo aver preso i voti si pose in evidenza per la sua profonda pietà e fu per anni parroco di San Giacomo a Cagliari. 174 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 182 Angioy Successivamente fu nominato canonico della cattedrale; nel 1923 fondò a Cagliari l’opera del Buon Pastore, affidandola a un ordine di suore da lui fondato. Mediante quest’opera pia promosse un’esperienza di grande significato sociale e religioso. A Cagliari il 17 marzo 1991 si è aperto il processo diocesano per la canonizzazione, chiuso il 1º giugno 1992 dopo aver ascoltato oltre cinquanta testimonianze. Angioy Famiglia originaria di Orani (sec. XVI-esistente). Le sue notizie risalgono alla fine del secolo XVI. Nella prima metà del secolo XVII ottenne i privilegi del cavalierato ereditario e della nobiltà per tre dei suoi membri. Francesco Angioy Porcu ebbe il cavalierato ereditario e la nobiltà nel 1654, ma la sua discendenza si estinse quasi subito; Giovanni Leonardo e Pietro Francesco, dai quali venne numerosa discendenza. Ramo di Giovanni Leonardo. Giovanni Leonardo fu capitano della cavalleria miliziana e nel 1651 difese Bosa da un attacco di corsari. Nel 1630 ebbe il cavalierato ereditario e nel 1631 la nobiltà; aveva interessi anche a Cagliari, dove i suoi figli si trasferirono rimanendovi fino alla fine del secolo. Agli inizi del secolo XVIII uno di loro, Emanuele, si trasferı̀ a Iglesias, dove la famiglia prosperò. I suoi figli diedero vita a due rami della famiglia: Antonio Giuseppe continuò la linea detta dei cavalieri Angioy di Iglesias variamente diramata; Luigi, sposata una Ledà, si trasferı̀ a Cagliari. Dal suo matrimonio nacque Giuseppe, che fu subdelegato patrimoniale di Oristano. Egli fu a sua volta padre di un Pietro che sposò l’ultima dei conti Serra Boyl, per cui un loro discendente, Giuseppe, nel 1929 ebbe rinnovato il titolo di conte; questo ramo è ancora fiorente. Ramo di Pietro Francesco. Pietro Fran- cesco ebbe il cavalierato ereditario e la nobiltà nel 1652; furono suoi figli Pietro Paolo e Giovanni Maria, che diedero vita ad altri due rami della famiglia. Da Pietro Paolo vennero i cavalieri Angioy che continuarono a risiedere a Orani; da Giovanni Maria discese il ramo che a sua volta si diramò a Bono, Benetutti e Sassari. In particolare va ricordato suo figlio Pietro, che si stabilı̀ a Bono: da lui nacquero Giovanni Maria, il famoso Alternos della Sarda Rivoluzione, Giovanni Antonio e Costantino, dai quali discesero gli Angioy di Benetutti e di Sassari. Angioy, Giovanni Maria1 Magistrato e patriota (Bono 1751-Parigi 1808). Rimasto orfano di entrambi i genitori a sette anni, fu educato dagli zii materni, entrambi sacerdoti, e avviato agli studi che completò tra Sassari e Cagliari. Laureatosi in Legge all’Università di Cagliari, fece pratica legale e, vinto il concorso, ebbe l’insegnamento di Pandette. Contemporaneamente divenne giudice della Reale Udienza e assistente del reggente la Reale Cancelleria. Nel 1781 si sposò con una Belgrano, figlia di un facoltoso commerciante cagliaritano, che gli portò una ricchissima dote che egli seppe vantaggiosamente investire; gli anni seguenti lo videro impegnato in attività imprenditoriali (impiantò una fabbrica di berrittas e tentò, senza fortuna, la coltivazione del cotone) e in un tormentato ménage con la moglie, dalla quale ebbe tre figlie. Rimasto vedovo nel 1792, si dedicò ai suoi affari e all’attività politica; di idee liberali, a partire dallo stesso anno si mise in evidenza nelle riunioni dello Stamento militare, autoconvocatosi alla minaccia d’invasione di un corpo di spedizione francese (gennaio 1793). Nonostante le sue idee progressiste, lo stesso A. aveva partecipato, sulle coste del Sulcis, alla difesa dell’i- 175 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 183 Angioy sola. Convinto sostenitore di un programma di riforme costituzionali, divenne il leader del partito riformista detto dei novatori in seno al Parlamento. Giovanni Maria Angioy – L’Alternos, eroe della Sarda Rivoluzione (1793-1796), in una incisione di P. Ayres per il Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna di Pasquale Tola (1837-1838). Dopo la cacciata dei Piemontesi nell’aprile del 1794, con l’affermarsi del suo partito assunse un ruolo di crescente importanza politica a sostegno delle riforme e dell’abolizione dei feudi. Quando nel luglio 1795 furono uccisi dalla folla inferocita il Pitzolo e il marchese della Planargia, spaccatosi il partito dei novatori rimase a capo dell’ala radicale; cosı̀ fu accusato di giacobinismo e considerato dagli stessi amici moderati un pericoloso ‘‘rivoluzionario’’. Probabilmente molti allora concepirono il progetto di allontanarlo da Cagliari: cosı̀, quando Sassari alla fine del 1795 cadde in mano ai contadini del Logudoro in rivolta (ma guidati dai due commissari degli Stamenti, Francesco Cilocco e Gioacchino Mundula), il 3 febbraio del 1796 gli furono conferiti i poteri di Alternos del viceré e fu inviato nella città turritana per ristabilire la tranquillità nel Capo di sopra. Dopo un viaggio nel quale si fermò in diversi villaggi amministrando giustizia e pacificando avverse fazioni, il 28 febbraio entrò in città salutato come un liberatore dai radicali e da tutti coloro che avevano sostenuto il moto antifeudale, diffusosi in diversi villaggi dell’isola, soprattutto nel Logudoro, nel Meilogu e nel Sassarese. Avviò un programma di governo in base al quale fu favorita e legittimata la stipulazione dei patti antifeudali in diversi villaggi del Capo di sopra; gli insorti gli chiesero di rappresentare le loro posizioni presso il viceré (= Antifeudali, moti). A questo punto egli cominciò a essere considerato il loro capo e in seno agli stessi Stamenti, dove il partito dei moderati che lo avversava aveva preso il sopravvento, cominciò a farsi largo l’ipotesi di una sua destituzione. Per fronteggiare i piani dei suoi avversari, A., affidato il governo di Sassari a persone fidate, il 2 giugno si pose a capo di una colonna di contadini, pastori e miliziani e iniziò la sua marcia su Cagliari: visitò alcuni villaggi del Logudoro, dove fu accolto trionfalmente, e prese a scendere verso il sud. Il 6 giugno sostenne un primo scontro a fuoco a Macomer dove gli abitanti opposero resistenza all’e- 176 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 184 Angioy sercito ‘‘liberatore’’: egli però riuscı̀ a entrare in paese e a quel punto decise di non arrestare la marcia. L’8 giugno giunse a Oristano, bene accolto dalla popolazione, e da qui inviò due lettere al viceré, in cui gli proponeva un abboccamento per esaminare con lui la situazione del Logudoro. Nello stesso giorno, però, i suoi avversari, sempre più persuasi che il suo era un disegno che avrebbe portato alla proclamazione della repubblica, avevano convinto il viceré a destituirlo e a inviare a Sassari un altro delegato. La sua marcia verso Cagliari era ormai finita: il 12 giugno iniziò a ritirarsi e, all’uscita da Oristano, dovette sostenere una dura battaglia. Mentre ovunque si scatenava la reazione nei confronti dei suoi seguaci, il 15 rientrò a Sassari e dopo una riunione notturna con i suoi più fedeli seguaci prese la decisione di andare in esilio. Giovanni Maria Angioy – Targa alla memoria nella piazza di Sassari. Nella città furono giustiziati molti suoi seguaci. Il 16 s’imbarcò con i suoi collaboratori a Porto Torres; sbarcò a Genova, da dove però fu espulso come straniero. Di qui, quindi, si spostò a Livorno, peregrinando poi in altre città italiane con l’intenzione di farsi ricevere da Napoleone, che però lo evitò. Il 30 otto- bre il nuovo re Carlo Emanuele IV lo invitò a Torino, perché voleva informarsi sulla situazione sarda; A. si trattenne in Piemonte fino alla fine di dicembre, ponendosi a disposizione del re, che con ogni probabilità non aveva più alcuna intenzione di ascoltarlo; nonostante questo ebbe alcuni colloqui politici con esponenti del governo, ma senza approdare ad alcun risultato concreto. In Sardegna, frattanto, i suoi avversari scatenavano la reazione contro i suoi seguaci; nell’agosto del 1797 fuggı̀ da Casale e si rifugiò a Genova, da dove nel 1799 partı̀ per Marsiglia. Nel maggio si stabilı̀ a Parigi: qui si erano rifugiati altri sfortunati protagonisti della Sarda Rivoluzione; con loro l’A. cercò di esercitare pressioni per convincere prima il Direttorio e poi lo stesso Napoleone a ritentare l’impresa di occupare la Sardegna, le cui risorse esaltò in una serie di Mémoires, utili anche per le notizie (spesso ingegnosamente ‘‘falsificate’’ nella prospettiva rivoluzionaria dello stesso A.) che contengono sulla situazione politica e sociale della Sardegna. Consumati i suoi risparmi, visse poveramente a pensione presso la vedova del generale Dupont nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés (qualche anno più tardi la stessa signora giunse in Sardegna per cercare di ottenere dalle figlie dell’A. gli arretrati dei suoi impegni, ma senza ottenere di esserne ricevuta). Morı̀ il 22 marzo 1808. Non si sa dove sia stato sepolto, né ricerche anche recenti ne hanno trovato il nome nei registri di cimiteri e chiese parigini. Figura complessa, fatta oggetto di aspri giudizi dall’opinione e dalla storiografia moderate (primo fra tutti gli autori il Manno della Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799), fu definito da Carlo Botta, nella sua Storia d’Italia dal 1789 al 1814 (1824), «uomo 177 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 185 Angioy tanto più vicino alla virtù modesta degli antichi, quanto più lontano dalla virtù vantatrice dei moderni». candosi esclusivamente alla professione. Angius, Gaetano Operaio, deputato al Parlamento (n. Villanova Monteleone 1947). Operaio metalmeccanico militante nel PCI, ad appena trent’anni nel 1976 venne eletto deputato per il PCI nella VII legislatura nel collegio di Sassari. In seguito non è stato riconfermato, ma ha continuato a ricoprire importanti incarichi nel partito ed è stato eletto diverse volte consigliere comunale di Alghero. Angius, Gavino Uomo politico (n. SasGiovanni Maria Angioy – L’ingresso dell’Alternos a Sassari neI grande affresco di Giuseppe Sciuti, nel Palazzo della Provincia di Sassari. Angioy, Giovanni Maria2 Deputato al Parlamento (Cagliari 1909-ivi 2000). Conseguita la laurea in Scienze politiche, si trasferı̀ in Africa, dove organizzò e sviluppò una grande azienda agricola. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo colse in Africa dove, dopo il crollo dell’Italia, fu fatto prigioniero dagli inglesi; riuscı̀ a tornare in Italia solo dopo sei anni. Stabilitosi in Sardegna, si inserı̀ nel dibattito politico schierandosi nelle file del MSI. Nel 1953 fu eletto deputato per la II legislatura e successivamente riconfermato fino al 1968 per altre due legislature. Angioy, Walter Avvocato, consigliere regionale (Cagliari 1918-ivi 2003). Combattente nella seconda guerra mondiale, nel dopoguerra si dedicò alla professione e alla politica, schierato nelle file del PLI. Consigliere comunale di Cagliari per quattro legislature, fu più volte assessore; nel marzo del 1968 subentrò come consigliere regionale per la V legislatura all’on. Sanna Randaccio, ma non fu riconfermato per la VI. In seguito lasciò la politica dedi- sari 1946). Funzionario di partito, consigliere regionale, deputato e senatore della Repubblica. Laureato in Scienze politiche, funzionario del PCI cui è iscritto dal 1969, militante impegnato, nel 1976 è stato segretario regionale. Molto stimato da Enrico Berlinguer, nel 1979 venne eletto consigliere regionale per l’VIII legislatura, nel 1984 è entrato nella direzione nazionale del suo partito e nel 1987 è stato eletto deputato per la prima volta nella X legislatura. Stabilitosi a Roma e impegnato in diversi incarichi di partito, a livello nazionale ha seguito l’evoluzione del PCI in PDS e in DS, contestando a suo tempo la linea di Achille Ochetto; negli stessi anni è stato continuativamente rieletto deputato fino al 1996, quando è diventato senatore. Attualmente è capogruppo dei senatori DS al Senato, dopo essere stato presidente della commissione Finanze e presidente di quella bicamerale per il federalismo fiscale. È stato rieletto nella consultazione dell’aprile 2006. Angius, Salvatore Ingegnere, consigliere regionale (Cagliari 1900-ivi 1963). Cattolico impegnato, fu eletto consigliere regionale per la DC per la IV legislatura nel collegio di Cagliari. Egli però morı̀ nel novembre del 1963, e fu sostituito da Salvatore Campus. 178 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 186 Angius Angius, Tullio Oculista (n. Iglesias 1906). Si laureò in Medicina presso l’Università di Cagliari nel 1932 e si dedicò alla carriera universitaria. Nel 1939 ottenne la libera docenza in Clinica Oculistica; dal 1940 diresse il Centro studi di ottica fisiologica della Marina militare a Pola, dove rimase fino al 1943; tra il 1945 e il 1949 fu aiuto nella Clinica oculistica di Parma e in seguito docente di Ottica fisiologica; è autore di numerose pubblicazioni che gli dettero notorietà a livello nazionale. Angius, Ugo Scultore (n. Oristano 1941). Dopo aver completato gli studi si è stabilito a Sassari, dove opera abitualmente. Ha preso parte a numerose mostre collettive. Tra le sue opere più note, un busto di Giuseppe Biasi in trachite rosa collocato in una scuola di Sassari. Angius, Vittorio Sacerdote, intellettuale (Cagliari 1798-Torino 1862). Storico, scrittore, deputato al Parlamento subalpino. Entrato nell’ordine degli Scolopi, completati gli studi si fece sacerdote. Dal 1832 fu nominato dapprima prefetto del collegio di San Giuseppe a Cagliari e successivamente direttore del Collegio di Sassari, dedicandosi con passione all’insegnamento e facendo le sue prime esperienze di letterato. A Sassari rimase fino al 1837 svolgendo il suo compito con un impegno che gli attirò la stima generale. Le sue qualità e il profondo interesse per la ricerca ne avevano fatto un personaggio di spicco negli ambienti culturali tanto che fu segnalato da Lodovico Baylle a Goffredo Casalis per la redazione delle voci sarde del Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna che l’abate torinese si proponeva di pubblicare per l’editore Maspero. Cosı̀ nel 1833, pur tra mille difficoltà, iniziò a collaborare all’o- pera, raccogliendo grazie anche a una serie di lettere del Manno che lo raccomandavano alle autorità dei diversi paesi le risposte alle schede che il Casalis gli inviava. Nel 1837 fu nominato bibliotecario dell’Università di Cagliari e il suo rapporto col Casalis mutò. Infatti fu lui stesso a redigere personalmente le voci sarde del grande Dizionario sulla base di uno schema indicato dall’abate. Condusse il suo lavoro fino al 1848, viaggiando moltissimo per tutta la Sardegna per raccogliere i dati statistici che gli servirono per redigere le voci della monumentale opera (solo le ultime voci, a causa di suoi ritardi, sono opera redazionale). Negli stessi anni scrisse su moltissimi argomenti, curando tutti i generi letterari; dal 1838 al 1839 diresse a Cagliari il periodico di cultura ‘‘Biblioteca sarda’’. Lasciato l’ordine nel 1842, in polemica soprattutto contro i metodi repressivi dell’educazione impartita nelle scuole dei Padri scolopi, divenne sacerdote secolare. Attento alle trasformazioni in atto, seguı̀ con grande passione il dibattito sulla ‘‘fusione’’: eletto deputato al Parlamento subalpino, prese parte ai lavori della Camera dal 1849 al 1853. Da tempo si era ormai trasferito a Torino, dove visse anche negli anni successivi, in grande povertà nonostante l’intensa collaborazione alla stampa quotidiana e periodica piemontese. Nel 1844 aveva scritto, per la musica del maestro Giovanni Gonella, l’Imnu sardu nazionale (il cui ‘‘Cunservet deus su re’’ ricalcava la battuta iniziale dell’inno nazionale inglese), per il quale gli fu assegnata da Carlo Alberto una pensione vitalizia, sfortunatamente soppressa per le difficoltà del bilancio sardo dopo la sconfitta di Novara (1849). La sua opera più importante resta l’insieme delle voci scritte per il Di- 179 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 187 Angles zionario del Casalis, che contiene anche tre tomi (bis-quater del volume XVIII) interamente dedicati alla voce ‘‘Sardegna’’. Molti suoi versi o discorsi sono invece di carattere fortemente occasionale. Tra i suoi scritti ricordiamo Per le solenni esequie di S.M. Vittorio Emanuele I celebrate in Cagliari li 4 marzo 1824, 1824; Nella celebre e lieta inaugurazione del teatro civico di Sassari, al cav. Don Gaetano Pes dei marchesi di San Vittorio, versi, 1829; Inno a Sardo Padre, fondatore del nome Sardo, poemetto, 1831; Nel primo viaggio da Genova in Sardegna del R. piroscafo sardo l’Ichnusa comandato dal cav. Seb. Sotgiu, carme, 1837; Lettera seconda all’estensore dell’‘‘Indicatore sardo’’ sulla questione delle donne accoppatrici, 1838; Corografia antica della Sardegna. Sistema stradale della Sardegna nell’epoca romana, in numerosi numeri della ‘‘Biblioteca sarda’’, 18381839; De laudibus Leonorae Arborensium reginae oratio, 1839; Notizie statistiche storiche dei quattro giudicati della Sardegna, 1841; Cronografia del Logudoro dal 1294 al 1841 preceduta dalla descrizione degli antichi dipartimenti del regno, 1842; I Tunisini all’isola di Sant’Antioco, 1843; Canzone a su re: conservet Deus su re musicata da G. Gonella, ‘‘L’Indicatore Sardo’’, 34, 1844; Leonora d’Arborea o scene sarde degli ultimi lustri del sec. XIV, romanzo, 1847; Inno sardo nazionale composto e dedicato al Consiglio civico di Cagliari da Giovanni Gonella capo musica, 1848; Cenno sulla lingua dei Sardi, 1855; La presa di Sebastopoli, poema, 1856; Nuovi studi sul problema aerostatico, 1857. Angles, Giuseppe Religioso (Valencia 1530-Roma 1587). Vescovo di Bosa dal 1586 al 1587. Entrò giovanissimo nell’ordine dei Minori osservanti e si pose in luce per la profondità della sua cultura e le sue grandi capacità. Dopo aver portato a termine alcuni importanti incarichi, fu inviato in Sardegna come commissario generale del suo ordine; giunto nell’isola si pose in evidenza e nel 1575 scrisse Flores theologicarum quaestionum in quartum librum sententiam che venne pubblicato a Cagliari. Alcuni anni dopo fu chiamato a Roma, dove divenne precettore di uno dei nipoti di Sisto V; il papa, che ne apprezzava le qualità, nel 1586 lo nominò vescovo di Bosa, ma non ebbe modo di raggiungere la sua sede. Anglesola Famiglia catalana (secc. XII-XIV). Tra le più antiche della Catalogna, originaria di Montblanch, è conosciuta fin dal secolo XII. Due Anglesola, Guglielmo e Berengario Arnaldo, presumibilmente fratelli, presero parte alla spedizione dell’infante Alfonso. Guglielmo comandò uno dei reparti dell’esercito nelle operazioni di conquista della Sardegna; si segnalò durante l’assedio di Iglesias e alla battaglia di Lutocisterna; Berengario Arnaldo, subito dopo la conquista, ebbe la signoria di Terranova con i territori circostanti e alcuni villaggi che facevano parte della curatoria di Civita. Probabilmente, però, egli non era un buon amministratore: infatti dopo alcuni anni non poté impedire che il suo feudo fosse venduto all’asta per far fronte ai debiti che aveva contratto nei confronti di un mercante. Dopo la sua morte il re restituı̀ il grande feudo a sua figlia Taurina, moglie di Bernardo Senesterra. Anglona Regione storico-geografica della Sardegna settentrionale. Come curatoria del giudicato di Torres aveva una superficie di circa 470 km2 e si estendeva su un territorio ricco e molto fertile, posto ai confini con il giudicato di Gallura. Il suo territorio, in parte coincidente con quello della diocesi di Ampurias, comprendeva la città 180 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 188 Anglona di Ampurias che ne era il capoluogo e i villaggi di Bangios, Billikennor, Bolothenis, Bulzi, Chiaramonti, Coghinas, Gavazana, Gistorlu, Laerru, Martis, Multedu, Nulvi, Optentano, Orria Manna, Orria Piccia, Ostiano de Ennena, Ostiano de Monte, Perfugas, Salassa, Sedini, Sordella, Speluncas, Villalba. Nel secolo XI il territorio passò per matrimonio ai Doria, che vi fondarono la città fortificata di Castelgenovese (l’attuale Castelsardo), numerosi altri castelli e ne promossero lo sviluppo. Anglona – Paesaggi. Dopo l’estinzione della dinastia giudicale, a partire dal 1272 i Doria ne fecero una delle basi dello stato che avevano costituito unificando tutti i loro possedimenti della Sardegna centro-settentrionale. Essi amministrarono congiuntamente il territorio e quando, nel 1324, ebbe inizio la conquista aragonese si dichiararono vassalli del re d’Aragona, ottenendone l’investitura feudale. Nel 1325 però essi si ribellarono e scatenarono la guerra contro i nuovi venuti; nel 1330 l’A. fu invasa dalle truppe di Raimondo Cardona e subı̀ gravi devastazioni. I Doria, però, aiutati da Genova che negli stessi anni era entrata in guerra con l’Aragona, resistettero e conservarono il possesso dell’A. Poiché erano spesso in lite tra loro, il re d’Aragona tentò di acquistare il territorio per unirlo al Regnum Sardiniae, ma nel 1347 essi si ribellarono nuovamente. L’A. divenne ancora una volta teatro delle operazioni militari, fu invasa dalle truppe del re collegate a quelle del giudice d’Arborea e nuovamente devastata: una parte del territorio fu occupata da Giovanni d’Arborea, ma i Doria riuscirono ancora a conservare il possesso di una parte della curatoria. Scoppiata la guerra tra Mariano IVe Pietro IVessi sembrarono soccombere attaccati anche dalle truppe giudicali, ma quando la guerra finı̀ tornarono in possesso del territorio e nel 1357 ne furono nuovamente investiti dal re d’Aragona. L’A. era allo stremo: i villaggi di Billikennor, Bolothenis, Gavazana, Multedu, Optenano, Orria Manna, Orria Piccia, Ostiano de Ennena, Ostiano de Monte, Salassa, Sordella e Villalba si spopolarono e furono abbandonati; tuttavia la pace con l’Aragona sembrò reggere anche perché la frattura col giudice d’Arborea sembrava oramai irreparabile. Quando scoppiò la seconda guerra tra Aragona e Arborea, nel 1366 il territorio fu invaso dalle truppe giudicali e in buona parte occupato. I Doria, guidati da Brancaleone, tentarono di resistere con qualche successo, ma furono le inaspettate nozze tra lui ed Eleonora d’Arborea a restituire l’A. ai Doria. Fino alla battaglia di Sanluri la cura- 181 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 189 Anglona toria, occupata dalle truppe giudicali, divenne una delle basi della loro presenza nel Logudoro; dopo Sanluri il territorio fu occupato dal visconte di Narbona che lo tenne fino al 1420. Dopo la firma del trattato di Alghero, Nicolò Doria tentò inutilmente di tornarne in possesso, ma nel 1421 l’A. fu inclusa nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Anglona, principato Feudo che comprendeva tutto il territorio dell’antica curatoria omonima, fu costituito nel 1767 per Maria Giuseppa Pimentel nata dal matrimonio di Maria Ignazia Borgia e Francesco Pimentel. La costituzione del principato sancı̀ la fine della lite che a partire dal 1748 si era accesa tra il fisco e gli eredi dei Borgia per la successione nel grande stato d’Oliva. Il principato d’Anglona passò ai Tellez Giron per il matrimonio di Maria Giuseppa con Pietro Tellez Giron. Alla fine del secolo XVIII fu teatro dei moti antifeudali. Nel 1838 fu riscattato ai Tellez Giron. Anguidda a craddaxiu incasada Piatto tipico della cucina sarda. Di origini antichissime, è espressione delle tradizioni del mondo dei pescatori delle lagune sarde. Prevede la cottura delle anguille ancora vive in una capace caldaia di rame stagnato (su craddaxiu), nella quale si fa bollire dell’acqua dolce, mista ad acqua marina filtrata e insaporita da spicchi d’aglio e un ramoscello di corbezzolo (olioni). Le anguille da lessare sono giovani, di piccola taglia e sottili; una volta lessate vengono scodellate in un grande tegame di coccio (scivedda) e condite con olio d’oliva e una spolverata di formaggio pecorino piccante (incasada). Anguilla = Zoologia della Sardegna Anguria – Frutti. Anguria (o cocomero) Pianta erbacea annuale, della famiglia delle Cucurbitacee (Cucumis citrullus L., sin. Citrullus vulgaris). Ha fusto erbaceo, lungo e strisciante, foglie pelose, picciolate, fiori gialli a corolla campanulata. Il frutto è un peponide con forma varia, dallo sferico all’ovoidale, con buccia di colore variabile, dal verde scuro al biancastro striato, a seconda delle varietà (Crimson sweet e Sugar baby le più diffuse). La polpa è rossa, o più chiara in alcune qualità selezionate, di sapore dolce per l’alto contenuto di zuccheri. Le dimensioni del frutto sono variabili, dai 5-8 kg delle varietà più tradizionali (cocomero di Faenza, di Pistoia, napoletana), ai 2-3 delle varietà americane più recenti. Originaria dell’Africa tropicale, venne introdotta in Europa ai tempi delle crociate. Predilige i climi caldo-umidi e i terreni profondi, con una resa media di produzione di 5 kg/ m2 . Per l’alta percentuale di acqua (circa il 95%) la polpa ha proprietà dissetanti, diuretiche e rinfrescanti; ha inoltre un alto contenuto di vitamina C, B1, B2 e di potassio. In Sardegna viene coltivata nelle pianure costiere: le angurie più rinomate sono quelle di Arborea e della piana del Coghinas. Nomi sardi: meloni forástiu (oristanese), forastı́gu (Ghilarza); patéca (Car- 182 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 190 Anna loforte); sı́ndria (Alghero, campidanese e gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Aniceto Liberto romano (prima metà sec. I). Era uno schiavo della famiglia imperiale. Incaricato di istruire il futuro imperatore Nerone, entrò in dimestichezza con lui e ottenne la condizione di liberto. Fu anche suo compagno di scelleratezze, aiutandolo a eliminare Agrippina e Ottavia. Nel 62 fu accusato di falsa testimonianza ed esiliato in Sardegna; si stabilı̀ a Cagliari, dove continuò a risiedere fino alla morte. Anime del Purgatorio (o Anime Purganti). La Commemorazione di tutti i fedeli defunti viene fatta risalire al secolo VII, dalla consuetudine dei primi cristiani di pregare per essi, da Sant’Odilone di Cluny (?, 962 ca.-Souvigny 1049) fissata al 2 novembre. In Sardegna popolarmente è la ‘‘Festa dei morti’’. Le anime dei bambini, angioletti, sono is animeddas. Scomparsa ormai sa xena de is animas o sa xena de is mortus, la cena delle anime o la cena dei morti: nelle case, la vigilia del 2 novembre, s’imbandiva la tavola per i defunti, perché i morti tornavano dai loro cari, si sedevano, mangiavano e bevevano vino. Scomparsa anche la questua: i ragazzi, la mattina del 2 novembre, bussavano alle porte delle case dicendo Pos is animas!, Per le anime! Ricevevano pan’e saba e pabassinas, i dolci della ricorrenza, noci e castagne, anche denaro. Adesso i morti vengono ricordati accendendo lumini rossi nelle cappelle dei cimiteri. Tra conquiste spaziali e spazi sempre più ristretti e invivibili, tra atroci alveari di cemento e fiumane di macchine, tra guerre e barbarie urbana, tra edonismo ed egoismo, tra individualismo e yuppismo, fiammelle accese per ricordare vite passate: «Tantu bonu Reden- tori, / de is animas veru gosu, / donai s’eternu riposu, / a is animas, o Signori» (Tanto buono Redentore – delle anime consolazione, – date l’eterno riposo – alle anime, o Signore). [ADRIANO VARGIU] Festa A Laerru la prima domenica di novembre. A Decimoputzu e a Villaputzu l’ultima settimana di ottobre. A Sorso il 1º febbraio. Anmic Sassari Società sportiva che si dedica agli sport per i disabili. Nata nel 1988 per favorire la diffusione dello sport per i ‘‘diversamente abili’’, è presieduta da Angelo Vitiello. È divenuta ben presto una realtà nel panorama sportivo sardo in discipline come bocce, tennis e pallacanestro. In questa disciplina, ottenuta la promozione in A1 nel 1998, l’anno successivo si è aggiudicata la Coppa Italia e nel 2000 il primo scudetto. Compie la grande impresa nel 2002 aggiudicandosi la Supercoppa italiana, la Coppa Italia, la Coppa dei Campioni e il terzo scudetto. Nel 2004 vince il quinto scudetto consecutivo. [GIOVANNI TOLA] Anna, santa (in sardo, Sa Mamma manna) Santa (sec. I a.C.-?). Madre della Madonna. I vangeli apocrifi del ciclo mariano, soprattutto il Protovangelo di Giacomo, che si fa risalire alla seconda metà del secolo II, mettono riparo, per cosı̀ dire, al problema della genealogia della Madonna, inventandole un ceppo familiare di stirpe davidica. Genitori della Madonna sono A. e Gioacchino. A. nacque a Betlemme nel secolo I a.C.; figlia del sacerdote Mathan, sposò Gioacchino, ‘‘uomo giusto’’. «Non avendo generato posterità in Isreaele – si legge nel Protovangelo di Giacomo – Gioacchino, profondamente addolorato, si ritirò nel deserto, piantando la sua tenda e per quaranta giorni e quaranta notti digiunando. E sua moglie Anna gemeva con due lamentazioni e piangeva con due com- 183 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 191 Anna pianti, dicendo: ‘‘Farò il lamento sulla mia vedovanza e farò il lamento sulla mia sterilità’’. Ed ecco che l’Angelo del Signore apparve, dicendo: ‘‘Anna, Anna, il Signore Iddio ha esaudito la tua preghiera. Concepirai e partorirai, e si parlerà della tua prole nel mondo intero’’. E disse Anna: ‘‘Come è vero che il Signore Iddio vive, se partorirò un maschio o una femmina, lo presenterò al Signore Iddio mio, ed egli rimarrà al suo servizio per tutti i giorni della sua vita’’. Ed ecco che arrivarono due messaggeri e le dissero: ‘‘Ecco che Gioacchino, tuo marito, viene con le sue greggi’’. Infatti l’Angelo del Signore era disceso presso Gioacchino, dicendogli: ‘‘Gioacchino, Gioacchino, il Signore Iddio ha prestato ascolto alla tua preghiera. Scendi di qui. Ecco che tua moglie Anna ha concepito nel suo seno’’. Ed ecco che Gioacchino arrivò con le sue greggi. Ed Anna stava sulla Porta Aurea e vide Gioacchino arrivare con le sue greggi. E subito Anna accorse e gli si appese al collo, dicendo: ‘‘Ora so che il Signore Iddio mi ha grandemente benedetta. Ecco, infatti, che la vedova non è più vedova. Ecco che io, la sterile, ho concepito nel mio ventre’’. E Gioacchino riposò, il primo giorno nella sua casa». A., dall’ebraico hannàh, significa ‘‘Dio ha concesso la grazia’’. Nacque Maria, capolavoro di Dio, sorriso caduto dal labbro del Signore a beneficio dei mortali. A. sopravvisse a Gioacchino per undici anni e morı̀ all’età di 69 anni. Il suo culto risale al secolo VI per la Chiesa orientale, ai secoli VIII-IX per quella occidentale, ma fu avversato fino all’XI. Esso si diffuse soprattutto dal XIII con le crociate. Sono stati gli inglesi che per primi ne hanno celebrato la festa (1378), su concessione di Urbano VI. Festa che il concilio di Copenaghen (1425) fissò nel giorno seguente la festa della concezione della Madonna, diventata obbligatoria dal 1584. Dal 1969 i Santi A. e Gioacchino vengono festeggiati insieme, il 26 luglio. Sant’Anna – Il celebre dipinto di Leonardo da Vinci riproducente la Vergine, il Bambino e Sant’Anna. (Musée du Louvre, Parigi) In Sardegna Patrona di Oniferi, Porto Pino, Riola Sardo, Sant’Anna Arresi, Sant’Anna di Marrubiu, Selegas e Tinnura. Per i sardi Sa Mamma manna è la santa della fertilità, della prosperità e dell’abbondanza: culto diffuso dai Bizantini. Protettrice delle partorienti, patrona della madri e delle donne che desiderano la maternità, delle vedove e dei moribondi, ma anche delle lavandaie, delle ricamatrici, degli straccivendoli, dei fabbricanti di calze e di guanti, tutti mestieri che avrebbe esercitato, dei minatori, dei tornitori e degli orefici. Invocata assieme a Santa 184 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 192 Annali di Giurisprudenza Sarda Rosa e a Santa Lucia per la riuscita della lavorazione del pane: «Sant’Anna e Santa Rosa, / sa manu mea siat fruttuosa, / Santa Rosa e Santa Lughia, / sa manu mea fruttuosa siat» (Sant’Anna e Santa Rosa, – la mia mano sia fruttuosa, – Santa Rosa e Santa Lucia, – la mano mia fruttuosa sia). A Sant’A. è legato il detto «Sa fabbrica de Sant’Anna» (La fabbrica di Sant’Anna), per un edificio o qualcosa di cui non si vede la fine, dai lunghi, interminabili lavori della chiesa cagliaritana di Sant’Anna. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 26 luglio; il lunedı̀ dopo Pentecoste a Oristano. ‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari’’ Rivista scientifica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Pubblicata con cadenza annuale e diretta dal preside pro tempore della Facoltà, ha iniziato a essere pubblicata nel 1926. Nel corso dei decenni è diventata un importante strumento di cultura al quale, tra gli altri, hanno collaborato Carlo Albizzati, Simonetta Angiolillo, Francesco Artizzu, Carlo Aru, Paolo Bernardini, Marcella Bonello Lai, Alberto Boscolo, Sergio Bullegas, Giorgio Cavallo, Giovanna Cerina, Raffaele Ciasca, Enrica Delitala, Raffaello Delogu, Lorenzo Del Piano, Cecilia Dentice di Accadia, Ignazio Didu, Lorenzo Giusso, Giovanni Lilliu, Francesco Loddo Canepa, Paolo Maninchedda, Attilio Mastino, Sandro Maxia, Giuseppe Meloni, Piero Meloni, Alberto Mori, Bacchisio Raimondo Motzo, Salvatore Naitza, Alberto Pala, Roberto Palmarocchi, Letizia Pani Ermini, Giovanni Pirodda, Maria Luisa Plaisant, Franco Porrà, Robert J. Rowland, Antonio Sanna, Maria Grazia Scano, Renata Serra, Giovanni Solinas, Giancarlo Sorgia, Giovanna Sot- giu, Marco Tangheroni, Gianfranco Tore. ‘‘Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’ Rivista scientifica della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari. Iniziò le sue pubblicazioni nel 1977, diretta dal preside pro tempore della Facoltà. Nel 1998, dopo la trasformazione della Facoltà di Magistero, la rivista è intitolata Annali della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Cagliari. Tra i principali collaboratori vanno ricordati Aldo Accardo, Bruno Anatra, Joan Armagué y Herrero, Francesco Artizzu, Paola Atzeni, Francesco Carboni, Maria Rosa Cardia, Gabriella Da Re, Antonio Loi, Francesco Manconi, Giovanni Murgia, Laura Pisano, Franco Porrà, Giovanni Runchina, Anna Saiu Deidda, Giuseppe Serri, Gianfranco Tore, Margherita Zaccagnini. ‘‘Annali della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari’’ Rivista scientifica della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari. Iniziò a essere pubblicata nel 1975 ed è diretta dal preside pro tempore della Facoltà. Tra i principali collaboratori vanno ricordati Paola Maria Arcari, Bruno Anatra, Luisa d’Arienzo, Myriam Cabiddu, Maria Rosa Cardia, Maria Corrias Corona, Giovanni Cossu, Anna Maria Gatti, Benedetto Meloni, Tito Orrù, Gian Giacomo Ortu, Stefano Pira, Virgilio Porcheddu, Giuseppe Puggioni, Antonio Sassu, Giuseppe Serri, Carlino Sole, Girolamo Sotgiu. ‘‘Annali di Giurisprudenza Sarda’’ Rivista giuridica, 1838-1842. Gli Annali, ‘‘compilati da una società di avvocati’’, furono pubblicati a Cagliari tra il 1838 e il 1842. Furono la prima rivista giuridica pubblicata in Sardegna, direttore l’avvocato Simone Dessı̀. Alla sua redazione concorsero anche il futuro ministro Cristoforo Mameli e altri 185 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 193 Anni eminenti giuristi. Anche se ebbe un avvio stentato e in qualche occasione fu sequestrata da parte dell’autorità, fu il segno evidente del risveglio culturale dell’isola negli anni che precedettero la ‘‘fusione’’. Nel 1842, però, la rivista dovette interrompere le pubblicazioni per mancanza di fondi. Anni, Mario Vignettista (Cagliari, fine sec. XIX-ivi 1970). Autodidatta, nel 1910 aderı̀ alla Società degli Amatori e Cultori d’Arte fondata dallo scultore Eugenio Serra e dall’archeologo Antonio Taramelli. Nel 1912 espose per la prima volta in pubblico le sue opere prendendo parte alla mostra allestita a Cagliari nella Passeggiata coperta. Negli anni successivi si cimentò anche nella pittura a olio e nel 1921 prese parte alla Mostra regionale di Cagliari; nel 1924 partecipò alla mostra itinerante organizzata sulla nave Italia. Annibale Ammiraglio cartaginese (sec. III a.C.). Comandante della flotta punica a Milazzo nel 260 a.C., rientrato a Cartagine si trasferisce in seguito in Sardegna e nel 258 a.C. è duramente sconfitto a causa della nebbia dal console Caio Sulpicio Patercolo, forse al largo dell’isola del Toro; con le navi superstiti si ritira quindi fra le mura di Sulci, dove viene assediato dai Romani. Le truppe lo puniscono per il disastro con la crocifissione. Da non confondere con l’A. vincitore a Canne nel 216 a.C. e alleato di Ampsicora. [ANTONIO IBBA] Annone Nome con cui sono ricordati dalle fonti alcuni Cartaginesi legati alla Sardegna: 1. valoroso ammiraglio sconfitto dal console Lucio Cornelio Scipione nel 259 a.C., forse al largo delle coste di Olbia; 2. generale vittorioso sui Romani al largo della Sardegna nel 258 a.C. o, secondo altri, sulle truppe del console Caio Sulpicio Patercolo sbarcate nel Sulcis; forse lo stesso personaggio (o un omonimo) nel 240239 a.C. viene inviato con un esercito per reprimere la ‘‘rivolta dei mercenari’’ ma, abbandonato dai soldati, è catturato dai ribelli e crocifisso; 3. uno dei principali capi della rivolta di Ampsicora, catturato da Tito Manlio Torquato nel 215 nella battaglia finale forse presso Sardara. [ANTONIO IBBA] Annuagras Toponimo citato nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (sec. VII) e, nella variante Annucagrus, nelle cronache del geografo Guidone (secc. XI-XII). Era registrato dal Ravennate subito dopo Bosa e Corni (ovvero Cornus; la successione è errata; quella corretta è Cornus, Bosa), risultando cosı̀ localizzabile nella costa nord-occidentale, lungo la strada che portava da Carales a Turris Lybisonis. Secondo l’interpretazione più comune A. sarebbe da identificarsi con Nurachi. Ettore Pais vedeva in A. la località di Magomadas, presso Bosa. Ignazio Didu, rigettando entrambe le ipotesi, ha supposto che A. corrisponda ai due centri Carbia e Nure citati per il tratto Bosa-Turris Lybisonis dall’Itinerario Antoniniano. [ANTONELLO SANNA] ‘‘Annuario della Regia Università degli Studi di Cagliari’’ Pubblicazione annuale dell’Università di Cagliari. Fin dal 1852 fu preceduta dal Calendario della Regia Università degli Studi di Cagliari, pubblicato però saltuariamente fino al 1869. L’‘‘Annuario’’ invece fu pubblicato con continuità dal 1870 al 1930 ed è una fonte preziosa per la conoscenza della vita interna dell’Ateneo cagliaritano con notizie sui professori e sui corsi di studio. ‘‘Annuario della Regia Università di Sassari’’ Pubblicazione annuale dell’Università di Sassari. Fu edita annualmente dal 1878 al 1930 ed è una fonte preziosa per la conoscenza della vita interna dell’Ateneo turritano con 186 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 194 Anonimo Ravennate notizie sui professori e sui corsi di studio. Anonimo Ravennate Geografo (sec. VII). Ne viene tramandata la città di origine ma non il nome. Intorno alla metà del secolo VII compilò una Cosmographia, che era un elenco di toponimi della geografia del mondo antico. Si è concordi che l’A.R. utilizzi nella sua opera fonti preesistenti, in particolare itineraria (elenchi a uso del cursus publicus, ossia il servizio postale, con l’indicazione dei centri abitati di varie dimensioni e dignità – città, stationes, mansiones, mutationes – posti sulle vie principali, con l’indicazione delle miglia che li distanziavano); l’opera compilativa potrebbe dunque rispecchiare, almeno in alcuni casi, una situazione ormai mutata, con strade e strutture ad esse connesse talvolta non più in uso nel momento in cui fu composta la Cosmographia (Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, ed. M. Pinder et G. Partnhey, Berlino 1860). Tra le fonti a sua disposizione per la Sardegna vi era certamente l’Itinerario Antoniniano, compilato probabilmente nell’età di Caracalla, un itinerario pluristratificato legato a vari scopi (prioritario doveva essere quello annonario), del quale l’opera dell’anonimo geografo di Ravenna sembra riflettere almeno tre percorsi stradali. Il primo rappresenta in sostanza la fusione dell’iter a Caralibus Sulcos (da Carales a Sulci, l’odierna Sant’Antioco), documentato solo nei miliari, con il tragitto a Tibula Sulcos dell’Itinerario Antoniniano, che collegava il nord dell’isola con la città sulcitana: i centri toccati dal percorso dell’A.R. sono dunque Carales, Angenior, Sulci, Sartiparia (identificabile con il Sardipatris Templum di Antas), Neapolis, Othoca, Tharri (Tharros), Bosa, Annuagras (*Ad Nuragas, l’attuale Nura- chi), Corni (Cornus), Turris Lybisonis colonia Iulia, Adselona, Sacerci, e infine Vivio (che è possibile correggere in Ulvio, ossia Olbia); è chiaro come questo percorso collegasse gran parte delle città antiche più importanti della Sardinia, mentre solamente per i centri di Angenior, Adselona e Sacerci non è possibile proporre alcuna identificazione. Il secondo itinerario, di carattere evidentemente militare, muoveva da Carales verso Nora, ricordata come praesidium, quindi ripercorrendo la strada verso Carales risaliva a nord lungo l’antico iter ab Ulbia Carales dell’Itinerario Antoniniano, toccando il centro termale di Aquae calidae Neapolitanorum (presso le terme di Santa Maria di Sardara), Eteri (praesidium di dubbia localizzazione), e i Castra Felicia, identificati con Luguido presso Oschiri. Un terzo e ultimo percorso conosciuto dall’A.R. si svolgeva ex alio latere rispetto alla parte occidentale dell’isola, lungo la Sardegna sud-orientale attraverso Assinarium (*Ad septimum miliarium, presso l’attuale centro di Settimo San Pietro, o in alternativa un insediamento non distante dall’attuale Quartu Sant’Elena), Saria (Ferraria?), Sariapis, Sarpach (forse identificabile con Sarcapos presso la foce antica del Flumendosa), Carzanica, Custodia Rubriensis (presso Bari Sardo), Piresse, Patrapanie, Ignovi: quasi tutti i centri di questo itinerario sono di difficile localizzazione. Chiude il paragrafo sardo dell’A.R. un breve elenco di fiumi: Borcani, Macco, Sulci e Ortarionis, tra i quali solamente per il terzo è possibile un’identificazione con il Sólkoi limén della geografia tolemaica. La formula con la quale si apre il paragrafo 26 del V capitolo della Cosmographia (quello che riguarda l’Insula quae dicitur Sardinia) sembrerebbe indicare comunque che la Sar- 187 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 195 Anquesa degna altomedioevale fosse caratterizzata da un’ampia densità di centri urbani di una certa dignità: un’isola dunque ricca di città, nonostante la sua limitata estensione e il suo particolare assetto orografico, tra le quali l’Autore dovette operare una scelta. In effetti questo poteva essere l’assetto insediativo che l’isola aveva in età romana, ma che era profondamente cambiato in età tardoantica. [PIERGIORGIO SPANU] loro discendenti presero parte a tutti gli altri parlamenti. Nel corso del secolo XVII ricoprirono spesso importanti uffici a Sassari; alcuni si segnalarono negli studi di diritto ed ebbero una posizione di rilievo in seno alla società sassarese. La famiglia si estinse nel corso del secolo XVIII. Anquesa Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Gippi. Sorgeva poco lontano dalla Villasor attuale. Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere, nella divisione del 1258 fu compreso nel terzo toccato ai conti di Capraia. Da questi passò ai giudici d’Arborea, ma il giudice Mariano II nel 1295 lo cedette al Comune di Pisa che ne entrò in possesso nel 1300. Negli anni seguenti fu amministrato da funzionari pisani e, dopo la conquista aragonese, con la pace del 1326 rimase in mano al Comune di Pisa compreso nel feudo del Gippi che il Comune aveva accettato dai vincitori. A. però andò spopolandosi; scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV Pisa ne perse il controllo. Fu gravemente danneggiato anche nelle guerre successive, per cui si spopolò completamente e scomparve prima della fine del secolo XIV. Ansaldo Famiglia sassarese (secc. XVIXVIII). Originaria di Genova, è conosciuta fin dagli inizi del secolo XVI con un Francesco che prese parte alla spedizione di Carlo V ad Algeri. Suo figlio Gerolamo ottenne il cavalierato ereditario ma morı̀ prima di essere armato; solo nel 1605 i figli, Giovanni Maria, Gavino e Francesco ottennero la conferma del cavalierato ereditario e la nobiltà. Nel 1613 furono ammessi allo Stamento militare nel Parlamento del duca di Gandı́a; successivamente i Ansaldo – Lapide nella cappella funebre della famiglia sassarese. Ansaldo, Girolamo Gesuita (Sassari 1598-Roma 1652). Uomo di profonda spiritualità, diresse per anni il collegio di Sassari, dove insegnò Filosofia e Teologia. In seguito fu nominato visitatore ad Alghero e in Gallura e provinciale dell’ordine in Sardegna. Nel 1651 si trasferı̀ a Roma dove assunse l’ufficio di procuratore dell’ordine. E qui morı̀ l’anno dopo in odore di santità. Ansaldo Pilo, Francesco Giurista (Sassari, prima metà sec. XVII-?, fine sec. XVII). Dopo la laurea presso l’Università di Pisa, insegnò per alcuni anni Logica nello stesso Ateneo. Tornato a Sassari, fu nominato vicario reale e 188 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 196 Antas nel 1637 luogotenente del governatore del Capo di Sassari e del Logudoro. Sebbene avesse fama di persona dotta e prudente, nel 1676 fu accusato di aver fomentato un’insurrezione ad Alghero: rinviato a giudizio, si difese con perizia, fu assolto e continuò a svolgere pubbliche funzioni. Nel 1686 fu inviato come sindaco della sua città a Madrid dove si trattenne alcuni anni. Fu autore di alcune opere di carattere giuridico che dimostrano la sua notevole preparazione. Tra i suoi scritti ricorderemo una raccolta di Consilia edita a Cagliari e Apologia al Rey nuestro señor y a su sacro supremo y real consejo de la Corona de Aragón 1676, 1698 (manoscritto Baille, nella Biblioteca Universitaria di Cagliari). guerra tra Mariano IVe Pietro IV. Il villaggio, già provato per la peste del 1348, fu devastato durante la guerra e nel 1365, scoppiata la seconda guerra tra Aragona e Arborea, fu occupato dalle truppe arborensi. Il processo di spopolamento però non si arrestò e nel corso del secolo il villaggio scomparve. Il suo territorio completamente deserto, frequentato solo da pastori ormai immemori dell’antico passato, nel 1421 entrò a far parte del feudo concesso a Visconte Gessa i cui discendenti lo tennero fino all’estinzione della famiglia; successivamente passò per matrimonio agli Asquer ai quali fu riscattato nel 1838. [FRANCESCO FLORIS] Antas Antico villaggio situato nel territorio tra Iglesias e Fluminimaggiore. Di probabili origini preromane, fu certamente abitato in età punica, romana e bizantina; nel Medioevo faceva parte del giudicato di Cagliari compreso nella curatoria del Sigerro. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 entrò a far parte del terzo assegnato ai Della Gherardesca che lo amministrarono sfruttandone le risorse minerarie. Come è noto, per insanabili contrasti ereditari e politici i territori che la famiglia possedeva in Sardegna furono divisi e A. entrò a far parte del sesto toccato alla discendenza del conte Ugolino. Dopo l’uccisione di quest’ultimo e la conclusione della infelice guerra che i suoi figli sostennero contro il Comune di Pisa, nel 1295 il villaggio fu amministrato direttamente dal Comune, che continuò a sfruttarne le miniere. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1327 fu concesso in feudo a Doudo Soldani, i cui discendenti ne persero il controllo quando nel 1353 scoppiò la prima Tempio di Antas – Solitario nella campagna di Fluminimaggiore, il tempio fu luogo di culto dalla preistoria nuragica all’età romana. Antas, tempio di Tempio del Sardus Pater edificato su un modesto rilievo (363 m sul livello del mare) che costituisce l’estremità delle falde meridionali del monte Conca S’Omu, nel territorio di Fluminimaggiore, l’edificio si presenta orientato da sud-est a nord-ovest, con l’accesso al podio mediante una lunga scalinata. Questa gradinata insiste sull’area dell’originario tempio punico dedicato a Sid. Il tempio di Sid do- 189 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 197 Antero vette mantenersi sino a età tardorepubblicana (sec. I a.C.). Tale inquadramento cronologico è suggerito sia dal frammento di ceramica a vernice nera con l’iscrizione neopunica votiva graffita A(don) S(id), sia, soprattutto, dai dati stratigrafici. Lo scavo dell’area di culto ha evidenziato nel livello sottostante la pavimentazione in cocciopesto della gradinata del tempio romano, elementi architettonici del precedente sacello punico (due capitelli ionici), un frammento di iscrizione cartaginese del secolo III a.C., un frammento di vaso a pareti sottili del secolo II a.C. e un frammento di statuina di Musa in marmo della seconda metà del secolo II a.C. L’attribuzione della costruzione del tempio del Sardus Pater al periodo augusteo si basa sia sull’analisi della struttura architettonica e della sua decorazione, sia sul favore che Ottaviano Augusto riservò al culto di questa divinità locale (= Azio Balbo, Marco). L’edificio di età romana, che mantiene l’orientamento del precedente tempio punico, si articola in una scalinata e nel podio elevato e si suddivide longitudinalmente in pronao, cella e adyton bipartito; il pronao presenta quattro colonne sul prospetto e due sui lati; le colonne, in calcare locale, hanno basi attiche e capitelli ionici; il tempio era inoltre coronato da un frontone triangolare, già conosciuto agli esploratori ottocenteschi. Tra il 217 e il 213 d.C. il tempio subı̀ un profondo restauro promosso sotto Caracalla, testimoniato dall’iscrizione dell’epistilio. La presenza del nome di Caracalla all’inizio dell’iscrizione è da interpretarsi come una associazione tra il culto di una divinità indigena, quella di Sardus Pater, e il culto imperiale. [ESMERALDA UGHI] Il monumento sorgeva in mezzo ai boschi di querce in una località posta nelle campagne tra Fluminimaggiore e Iglesias, probabilmente vicina al luogo dove in passato aveva prosperato il centro abitato, collegato al culto della divinità cui il tempio era stato dedicato. Il tempio è di epoca romana, tetrastilo con dimensioni 23,25 x 9,25 m. Tra il 1966 e il 1968 Ferruccio Barreca vi condusse a termine uno scavo e scoprı̀ che il tempio romano avrebbe potuto essere quello del Sardus Pater, contrariamente a quanto Tolomeo aveva affermato indicando Neapolis come sua sede. L’edificio portato alla luce era stato preceduto da altri due templi punici, dei quali gli scavi consentirono di ricostruire le vicende a partire dal secolo VI a.C. Il primo tempio era dedicato a Sid, persona divina di origine orientale; era costituito da un modesto ambiente rettangolare costruito attorno a una roccia sacra utilizzata come altare. Nel secolo III a.C. il tempio venne ricostruito in forme egiziano-doriche con un vestibolo che conduce a un ambiente tripartito; la roccia sacra fu salvaguardata e compresa nella nuova costruzione. Il tempio subı̀ rifacimenti in epoca più tarda e fu restaurato ancora durante il regno di Caracalla, quando assunse le forme attuali. Dopo la conclusione degli scavi, tra il 1969 e il 1976, l’edificio fu restaurato. In un’ulteriore campagna di scavo, nel 1984, sono state scoperte alcune tombe nuragiche che dimostrano come la località potrebbe essere stata un sito di contatto tra Sardi e Fenici. [FRANCESCO FLORIS] Antero, santo Santo (m. Roma 236). Greco o della Magna Grecia, papa dal 21 novembre 235 al 3 gennaio 236, successore di San Ponziano. Martire a Roma sotto Massimino, primo papa a essere sepolto nel cimitero di San Callisto, sulla via Appia, dove nel 1854 è stata ritrovata la lapide della sua 190 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 198 Antifeudali tomba, traslato nella chiesa di San Silvestro a Campo di Marte. Alcuni storici sardi sostengono che avrebbe «menato vita romitica a Locus Sanctus, Luogosanto, nel tempo che San Ponziano era esiliato in Sardegna e sarebbe stato eletto in Sardegna, creatus in Sardinia». Scrive Giovanni Spano (1872): «Allorché fu mandato in esilio San Ponziano, l’avranno seguito presbiteri e aderenti, tra questi vi sarà stato Antero, che non potendo vivere con lui si sarà allontanato, vivendo a Luogosanto». In una tavola cinquecentesca d’anonimo sardo, conservata nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, è raffigurato seduto nell’atto di scrivere. Nel dipinto, l’iscrizione: «Antherus P.M. Sardus Ecclesen», da qualche studioso erroneamente tradotta «Sardo nativo di Iglesias», anziché «Antero papa martire della Chiesa sarda». [ADRIANO VARGIU] Antesumade Antico villaggio del giudicato di Cagliari situato nella curatoria del Sigerro. Quando il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 il villaggio fu assegnato ai Della Gherardesca, che alcuni anni dopo procedettero a una nuova divisione all’interno della famiglia. A. toccò al ramo del conte Ugolino. Alla fine del secolo XIII, sconfitti i figli di Ugolino che avevano attaccato il Comune di Pisa per vendicare la morte del padre, il villaggio passò nelle mani di Pisa. Dopo la conquista aragonese cominciò a decadere; negli anni seguenti soffrı̀ a causa della peste del 1348 e delle guerre tra Aragona e Arborea, per questo fu abbandonato prima della fine del secolo. ‘‘Antheo’’ Rivista di archeologia e di speleologia. Fondata negli anni Sessanta da Ottavio Olita, che la diresse per alcuni anni, attualmente è diretta da Roberto Sanna. Quadrimestrale, consente di far conoscere a un pubblico anche di non specialisti i progressi della ricerca nei due settori. Antico, Italo Pittore e scultore (n. Cagliari 1934). Ha iniziato a Cagliari i suoi studi che ha completato a Napoli. Tornato in Sardegna ha intrapreso la carriera dell’insegnamento a Cagliari e in seguito si è trasferito a Milano, dove ha anche diretto il Liceo artistico ‘‘Boccioni’’. Ha esposto per la prima volta nel 1954; in seguito ha preso parte a collettive in Italia e all’estero e dal 1964 ha allestito mostre personali in diverse città italiane e straniere. Si è anche interessato di design per l’artigianato, esponendo sue interessanti creazioni nel campo dei tappeti. Antifeudali, moti Sommosse popolari della fine del secolo XVIII. Furono la conseguenza dell’aspirazione che in molte zone della Sardegna, a partire dalla seconda metà del secolo XVIII, si manifestò nelle popolazioni a liberarsi dalla dipendenza feudale, ormai considerata gravosa e dannosa per lo sviluppo di un’economia moderna. Dopo che nell’isola si diffusero le notizie provenienti dalla Francia, i primi moti antifeudali scoppiarono a Solanas, Donigala Fenughedu e Thiesi nel 1789 contro il marchese d’Arcais e il duca dell’Asinara che erano tra i più intransigenti difensori dei privilegi feudali; in quest’occasione i vassalli si limitarono a mostrare la loro insofferenza nei confronti dei soprusi dei feudatari. I moti ripresero nel 1793 e videro insorgere le popolazioni di Ittiri e Uri, Ossi, Sennori, Sorso, Bulzi, Sedini, Nulvi, Osilo e Ploaghe, che chiesero il riscatto della loro dipendenza mediante il pagamento di una somma di denaro equivalente alla somma del gettito dei tributi che dovevano ai rispettivi feudatari. Nel corso dell’anno, però, il panorama politico fu turbato 191 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 199 Antioco dal tentativo di invasione francese (che, come è noto, fu respinto) e dai fatti seguenti, conosciuti come la Sarda Rivoluzione. Il susseguirsi incalzante degli avvenimenti non fece cessare il malcontento dei vassalli, anzi lo accentuò; si venne cosı̀ a creare una situazione complessa e contraddittoria che portò i feudari ad assumere posizioni differenti nel Capo di Cagliari e in quello di Sassari. I feudatari cagliaritani, infatti, si mostrarono favorevoli a sospendere la riscossione dei tributi feudali ritenuti illegittimi dalle comunità, in attesa di una definizione del problema del riscatto; i feudatari sassaresi, invece, si mostrarono intransigenti nei confronti delle richieste dei vassalli. L’intransigenza portò i feudatari sassaresi a progettare una secessione e a contrapporsi alla mediazione con i vassalli proposta dal viceré su pressione degli Stamenti. Il governatore della città Santuccio arrivò addirittura a impedire la pubblicazione dell’editto con il quale il viceré esortava a trovare una soluzione mediata tra le due parti. Per sconfessare il Santuccio e consentire la pubblicazione dell’editto vicereale furono inviati verso Sassari in veste di ‘‘commissari’’ degli Stamenti due seguaci dell’Angioy, Francesco Cilocco e Gioacchino Mundula, i quali durante il loro viaggio non si limitarono a imporre la pubblicazione dell’editto ma si impegnarono anche in un’esplicita propaganda a favore dell’abolizione dei feudi; in questo clima le sollevazioni antifeudali ripresero a Usini, Ossi e Thiesi, dove fu assalito e distrutto il palazzo del feudatario. Subito dopo i rappresentanti di Thiesi, Cheremule e Bessude sottoscrissero un patto giurato nel quale, pur dichiarando la loro fedeltà al re, affermarono di non voler più riconoscere la dipendenza feudale e di voler riscattare il villaggio. L’esempio fu rapidamente seguito in molti altri villaggi del Sassarese. La situazione portò, alla fine dell’anno, alla marcia di molte migliaia di contadini (13 000 secondo Giuseppe Manno) contro Sassari, che fu assediata e conquistata mentre i feudatari fuggivano dalla città. Per sedare il malumore popolare fu inviato a Sassari lo stesso Angioy con funzioni di Alternos e con l’obiettivo di riequilibrare una situazione ormai sfuggita di mano. Egli giunse a Sassari il 28 febbraio del 1796 e si mise all’opera; la sua fama e le sue idee, però, invece che placare l’inquietudine dei vassalli la eccitarono ancor di più: tra il marzo e l’aprile favorı̀ la stipulazione di patti antifeudali in 32 villaggi del Sassarese e di altre zone. Antioco Religioso (sec. XIV-1412). Nel 1386 fu nominato vescovo da Urbano VI. Scoppiato il Grande Scisma, nel 1389 non volle riconoscere come pontefice il papa avignonese Clemente VII, che lo depose e lo sostituı̀. Fu reintegrato nel 1410 dall’antipapa Giovanni XXIII. Antioco, santo Santo (sec. I-126 ca.). Africano della Mauritania, vide la luce nel secolo I, discendente da una nobile e ricca famiglia pagana, medico, fratello di San Platano. In greco il suo nome significa ‘‘colui che combatte contro i carri’’. Si convertı̀, rinunciò ai propri beni, fu battezzato. Annunciò il Vangelo nelle province di Calatra e di Paciocra, sotto l’imperatore Adriano. «L’imperatore – dice la leggenda – si trovava in quelle province per un’ispezione militare e Antioco fu denunciato a lui. L’imperatore gli ordinò di sacrificare agli dei, ma Antioco non ubbidı̀». Arrestato e incarcerato, torturato: «Straziato con uncini di ferro, messo sul fuoco, immerso nella pece, lacerato dalle fiere, sopravvisse miracolosa- 192 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 200 Antioco mente, senza che un grido di dolore uscisse dalle sue labbra». Abbandonato su di una barca in mezzo al mare, approdò a Sulci, dove introdusse le tonnare e dove fu eletto vescovo. Le popolazioni accorrevano a lui, i suoi miracoli ormai non si contavano più; preoccupate le autorità inviarono a Sulci dei soldati, con l’ordine di tradurlo incatenato a Carales. Ma i soldati si convertirono e ne furono inviati altri. A., prima che arrivassero, mentre era assorto in preghiera morı̀: era il 13 novembre del 125, del 126 secondo altri, del 127 secondo altri ancora. Non mancano gli studiosi che lo considerano martire, decapitato insieme con il fratello Platano. Scrive Salvatore Armeni (1970): «Nato nell’ultimo scorcio del I sec. a Calatra o Paciocra, figlio di Rosa e fratello di Platano, santi per tradizione, durante una visita dell’imperatore Adriano alla provincia romana d’Africa viene sottoposto a interrogatorio. Il medico Antioco faceva troppi proseliti alla Croce, compromettendo l’autorità e il culto di Cesare. Dall’interrogatorio, prima carico di lusinghe, si passò alle minacce e ai vari tormenti. Si cercò di ucciderlo con tutti i mezzi, ma in seguito venne exsilio mulctatus in Sardegna, accompagnato su di una barca dal soldato Ciriaco. Approdò ai lidi sulcitani, dove in passato avevano dominato i vari idoli dei protosardi, i Ba’al e le Astarte dei Fenici, le Tanit dei Punici. Vi trovò tutto l’Olimpo dei Romani, con la loro sensualità, il loro orgoglio e il loro egoismo. E con lui continuò l’avventura cristiana della nostra isoletta, già iniziata con poco entusiasmo dai giudei cristiani relegati nel Sulcis. Non sappiamo quanto durò l’apostolato di Antioco, il medico che curava le anime e i corpi. Sappiamo che raggiunto dall’autorità romana, prima di subire nuovi tormenti, morı̀ il 13 no- vembre tra il 125 e il 127. Queste le notizie tratte dalla narrazione della vita, come si trova nella forma attuale, nel Breviario per la Chiesa di Sardegna. Vita forse concretata solo verso l’XI secolo, probabilmente compilata dai monaci benedettini che avevano vari conventi nel Sulcis». Nella Passio Sancti Antiochi martyris, codice membranaceo del secolo XVI (copia di una passio del sec. XIII), conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, pubblicata da Bacchisio Raimondo Motzo (1927), non compare la data della morte. La chiesa in suo onore, nella Sulci diventata Sant’Antioco è sorta sopra la caverna o grotta dove morı̀ di morte naturale o martire. In essa il 18 marzo 1615 furono rinvenute le reliquie del santo, traslate nella cattedrale di Iglesias e riportate a Sant’A. nel 1851 in seguito a una sommossa popolare. Reliquie ritrovate nel famigerato periodo della lotta tra gli arcivescovi di Cagliari e di Sassari per ottenere il titolo di primate di Sardegna e di Corsica. «Nel 1615 – la nota è di Alberto Lamarmora (1860) – allorché il furore di trovare dappertutto reliquie di santi s’impadronı̀ dei sardi, si scopersero quelle di Sant’Antioco, ma siccome il borgo era senza abitanti per timore dei musulmani, si trasportarono a Iglesias. Nel 1851, quand’ero comandante militare dell’isola, gli abitanti di Sant’Antioco si opposero che le reliquie del santo ritornassero a Iglesias, dopo la processione festiva. Fecero tumulto, per cui io mandai con tutta fretta il vapore con truppa e col giudice istruttore. Ma se nella forma avevano torto, turbando l’ordine pubblico, nel fondo avevano ragione, perché nel 1615 allorché furono trovate le reliquie si specificò che le stesse sarebbero traslocate in Iglesias per timore della profanazione dei saraceni, fino a che Sant’Antioco reste- 193 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 201 Antioco rebbe disabitato. Ora poi questo villaggio è molto popolato e può garantire dagli insulti le reliquie e dall’altra parte, dopo la conquista d’Algeri, non vi è più da temere le invasioni barbaresche». Giovanni Spano (1868): «La lite fu decisa in favore della popolazione di Sant’Antioco, di modo che le reliquie ora riposano colà. È curioso che queste reliquie principiarono con una lite e con una lite terminarono, poiché nel 1615, allorché, furono scoperte dall’arcivescovo cagliaritano, quello sassarese col capitolo promosse una lite che durò molti anni, provando che le reliquie di un Santo Antioco trovate a Sassari fossero del vero Sant’Antioco africano». Sulla storicità del santo che ha dato il nome all’isoletta sarda Piero Meloni (1975) si è cosı̀ espresso: «Si possono affacciare solo deboli dubbi: abbiamo infatti un’iscrizione mutila, probabilmente dei secc. VII-VIII, ritrovata nella catacomba dell’antica chiesa di Sant’Antioco, che sembra sia da porre al IV-V sec., oggi murata nella cattedrale d’Iglesias, la quale è anche il documento più antico che riguarda Antioco. In essa però egli è detto ‘‘santo’’, beatus sanctus Antiochus, probabilmente ‘‘vescovo’’, pontifex Christi, ma non martire; eppure è evidente che non si sarebbe taciuto questo titolo se esso fosse spettato effettivamente. La passione giunta a noi sembra maturata nello stesso ambiente che produsse quella di San Saturno e quindi non prima del primo quarto del XII sec.: essa ha tentato maldestramente di offrire particolari della vita di un santo la cui personalità era ridotta a poco più di un nome. Tutti i particolari fino alla relegazione in Sardegna sono evidentemente ricavati da un’altra passione, quella dell’omonimo Antioco di Sebaste, una città dell’Asia Minore, morto decapitato sotto Adriano. Pure la falsi- ficazione non è giunta fino al punto di far morire A. di Sulci di morte violenta, come l’omonimo di Sebaste: evidentemente era viva la forza della tradizione che non lo considerava martire. Se pertanto Antioco può essere collocato fra i santi della Sardegna e molto probabilmente fra i vescovi sardi, non lo può essere certamente fra i martiri». È patrono della diocesi d’Iglesias e compatrono con Santa Maria del Regno di quella d’Ozieri. La chiesa romanica della distrutta città vescovile di Bisarcio, Sant’Antioco di Bisarcio, fu cattedrale dell’omonima diocesi, soppressa nel 1503 e ricostituita nel 1803 con sede e titolo d’Ozieri. E a Ozieri, nel Palazzo vescovile, si conserva il simulacro del santo, datato 1596. Nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari figura in una tavola di anonimo sardo cinquecentesco. Nella religiosità popolare è invocato contro il malocchio e contro il bruscolo entrato nell’occhio: «Sant’Antiogu Sant’Antiogu, / unu abbunzu / giutto in s’ogu: / s’este mannu / bogamindelu, / s’este minore / inguttivelu» (Sant’Antioco Sant’Antioco, – un bruscolo – ho nell’occhio: – se è grande – levatemelo, – se è piccolo – inghiottitevelo). [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Atzara, Ozieri, Palmas Arborea, Sant’Antioco e Ulassai. Festa Si festeggia il Lunedı̀ dell’Angelo a Neoneli, Ollastra Simaxis, Ozieri (dove viene festeggiato anche la domenica che segue il 9 maggio) e Palmas Arborea, la seconda domenica dopo Pasqua a Scano di Montiferro (dove viene festeggiato anche l’ultima domenica d’agosto) e Ulassai, quindici giorni dopo Pasqua e il 10 agosto a Sant’Antioco, il secondo lunedı̀ dopo Pasqua a Girasole, Gonnesa, Mamoiada e Mogoro, il 5 maggio ad Albagiara, Baunei, Dolianova, Escolca e Gavoi, il 194 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 202 Antiquarium turritano primo sabato d’agosto a Ghilarza e Senorbı̀, il 5 novembre a Sennariolo e Turri, l’11 novembre ad Atzara. Antiquarium Arborense – Bruciaprofumi in terracotta (sec. II a.C.). Antiquarium Arborense Museo archeologico comunale di Oristano. Attualmente ospitato in via Parpaglia nelle sale dell’omonimo palazzo acquisito dall’amministrazione comunale, fu fondato nel 1938 grazie all’acquisto suggerito all’amministrazione comunale da Doro Levi della collezione dell’avvocato Efisio Pischedda, ricca di importanti reperti risalenti soprattutto al periodo punico. Ciò consentı̀ l’apertura di quello che allora divenne il terzo museo pubblico della Sardegna e poteva essere considerato la realizzazione del progetto di cui fin dal 1851 aveva parlato lo Spano per raccogliere i reperti di Tharros e porre cosı̀ fine al traffico degli speculatori che fin da allora feriva la sensibilità del grande archeologo. La collezione acquistata nel 1938 era stata iniziata dal Pischedda nel 1876 ed era stata da lui arricchita con acquisti e donazioni dai suoi clienti e con la sua attività di scavo per la quale era stato autorizzato dal governo nel 1891. Con gli anni era diventata la più grande raccolta privata della Sardegna, che egli aveva ulteriormente incrementata con l’acquisto di parte delle vecchie collezioni oristanesi appartenute al marchese d’Arcais e ai conti Spano. Egli inoltre classificò e sistemò la collezione in grandi bacheche che ornavano la sua casa di Oristano ed erano oggetto di studi di noti archeologi come il Taramelli, il Pinza, il Pais e altri. Preoccupato per il futuro della sua creatura, nel 1910 il Pischedda, grazie alle premure del Taramelli, ottenne un decreto di vincolo; le sue paure non erano infondate: infatti quando nel 1930 morı̀, i suoi eredi pensarono di disperderla vendendola all’estero. Grazie all’esistenza del vincolo il disegno fu bloccato da Doro Levi, allora soprintendente; egli sensibilizzò il comune di Oristano all’acquisto che, come si è detto, fu perfezionato nel 1938. La prima sede del museo fu un locale modesto, ma allo scoppio della seconda guerra mondiale la collezione fu trasferita a Seneghe e custodita nell’antica casa del Pischedda fino al termine del conflitto. I locali dell’Antiquarium furono riaperti nel 1945 da Giuseppe Pau, nominato conservatore del museo; il ricco materiale fu stipato in essi fino al clamoroso furto del 1966, che impoverı̀ notevolmente la collezione. Fu cosı̀ avviata la pratica per il trasferimento del museo nell’attuale sede, inaugurata nel 1992 e successivamente intitolata a ‘‘Pepetto’’ Pau, autentico pioniere degli studi su Tharros e Oristano. Antiquarium turritano Museo archeologico posto ai margini dell’area archeologica romana di Porto Torres, l’antica Turris Lybisonis, è ospitato in un edificio a due piani non lontano dalla stazione ferroviaria. All’interno 195 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 203 Antona Ruju si trova un’ampia esposizione di oggetti rinvenuti nel corso delle numerose campagne di scavo condotte nei resti dell’insediamento, nei suoi stabilimenti termali e nelle necropoli. Tra i reperti di maggiore rilievo: un altare in marmo dedicato alla divinità egiziana Bast, la ricostruzione di un monumento funerario ornato con mosaici, una raccolta di ceramiche di età imperiale e repubblicana. Antona Ruju, Angela Archeologa (n. Tempio Pausania 1949). Laureata in Lettere, è entrata nella carriera delle Soprintendenze archeologiche. Funzionario presso la Soprintendenza per le province di Sassari e Nuoro, è autrice di numerosi lavori, prevalentemente riguardanti il periodo prenuragico e in particolare la cultura di Ozieri. Tra i suoi scritti ricorderemo: Arzachena: proposta di un itinerario archeologico, in Arzachena. Monumenti archeologici. Breve itinerario, 1984; Passato e presente. Storia del Museo, in Il Museo Sanna in Sassari, 1986; le schede Il nuraghe Albucciu e i monumenti di Arzachena, La Gallura in Età preistorica e protostorica, La necropoli di Li Muri, Macciunitta, Monte Incappidatu, in Il Nuraghe Albucciu e i monumenti di Arzachena (con Maria Luisa Ferrarese Cerruti), 1992. Antonino, santo ( Antonino Pierozzi ) Santo (Firenze 1389-Montughi, Firenze, 1459). Arcivescovo. Battezzato Antonio e chiamato A. perché piccolo di statura, seguace di Giovanni Dominici, il beato fautore del ritorno alla prima osservanza domenicana, povertà e obbedienza, entrò nell’ordine domenicano (1405); sacerdote (1413), priore in diverse città, vicario generale degli osservanti. A Firenze ricostruı̀ (1436) il convento di San Marco, disegnato da Michelozzo Michelozzi e affrescato dal Beato Angelico, famoso an- che per la Biblioteca di Niccolò Niccoli acquistata e donata al convento da Cosimo de’ Medici. Prese parte al concilio di Firenze (1438) per l’unione con gli orientali, il 13 marzo 1447 fu consacrato arcivescovo di Firenze. Riformatore del clero, padre dei poveri – «i poveri di messere Domine Dio», diceva – per i quali istituı̀ (1442) i Buoni uomini di San Martino, associazione al servizio dei bisognosi. Scrisse in italiano e in latino. Morı̀ a Montughi il 2 maggio 1459, canonizzato da Adriano VI (1523), il suo corpo incorrotto traslato a Firenze riposa nella chiesa del convento di San Marco. Nel convento è stata conservata la sua cella, nel primo corridoio, dove fa bella mostra l’Annunciazione dell’Angelico. Il suo culto dal 1969 è limitato a calendari locali o particolari. «In terra miraculosu, / luminare de altu onore, / pregade a s’Altu Segnore, / Antoninu, santu gloriosu» (In terra ricco di miracoli – luminare d’alto onore – pregate, per noi, l’Alto Signore, – Antonino, santo glorioso). [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Donigala Fenughedu. Festa Si festeggia il 10 maggio. Antonio1 Religioso (?, seconda metà sec. XII-Sorres, dopo 1240). Vescovo di Sorres nella prima metà del secolo XIII, fu coinvolto nelle lotte politiche che dilaniarono il giudicato di Torres. Amico di Michele Zanche, fu deposto dal suo capitolo e sostituito; intervenne però il papa che nel 1240 gli rese la diocesi. Antonio 2 Religioso (Catalogna, seconda metà sec. XIII-Gerona 1330). Entrato nell’ordine dei Carmelitani, acquistò fama di teologo e di filosofo; nel 1316 fu nominato vescovo di Galtellı̀ e prese possesso della sua diocesi. Conclusa la prima parte della conquista aragonese, nel 1329 fu nominato vica- 196 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 204 Antonio Abate rio del vescovo di Gerona e lasciò la Sardegna. Antonio3 Religioso (?, seconda metà sec. XIII-Bisarcio?, dopo 1323). Entrato nell’ordine dei frati minori, fu nominato vescovo di Hierapetra a Creta. Nel 1323 Giovanni XXII lo trasferı̀ a Bisarcio; governò la nuova diocesi nei difficili anni della conquista aragonese. Sant’Antonio Abate – Antonio Abate è uno dei santi più venerati in Sardegna anche per le sue caratteristiche di santo ‘‘ausiliatore’’. Antonio Abate, santo (in sardo, Sant’Antoni de su fogu, Santu Antoni de su focu, Sant’Antoni de su tizzone, Sant’Antoni de su porcu, Sant’Antoni de bennarzu, Sant’Antoni de ennalzu abate) Santo (Coma, 250 ca.-356, monte Qolzoum). Eremita. «Antonio – scrive Jacopo da Varagine o da Varazze nella sua Legenda aurea (1253-1266) – aveva vent’anni quando sentı̀ leggere in una chiesa queste parole di Gesù: ‘‘Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri; vieni, seguimi e avrai un tesoro nel cielo’’. Dette ai poveri ogni suo bene e andò a farsi eremita nel deserto, dove ebbe a sostenere innumerevoli tentazioni». Nacque a Coma, l’odierna Qemanel’Arous, nel Medio Egitto, verso il 250-251, da una ricca famiglia terriera. Morti i genitori, vendette i suoi beni e diede il ricavato ai poveri. Sistemò l’unica sorella in una comunità cristiana e senza preoccuparsi del domani scelse il deserto: solitudine, preghiera, austerità, sacrificio. Pane rammollito nell’acqua, con un po’ di sale sopra, per cibo. Un cilicio per veste. Una stuoia di giunchi per letto e una pietra per cuscino. Lottò contro il demonio e le tentazioni della carne. Senza aver scritto regole di vita monastica (era ‘‘illetterato’’) o aver incoraggiato altri a seguirlo, intorno a lui si raccolsero molti discepoli, che contribuirono cosı̀ alla diffusione di una vita ascetica e anacoretica, costituendo il più illustre nucleo del monachesimo orientale. Molti i miracoli attribuitigli, moltissime le leggende fiorite intorno alla sua figura. Lasciò il deserto per due volte: per recarsi ad Alessandria (nel 308 o nel 311) in aiuto dei cristiani perseguitati da Massimino Daia, sperando di cogliervi la palma del martirio; e su invito di Sant’Anastasio per esortare i cristiani a mantenersi fedeli al concilio di Nicea (325), contro l’arianesimo. Al patriarca del monachesimo vengono attribuite diverse opere: alcuni storici ne considerano autentiche solo sette giunte in traduzioni latine e copte; altri solo una lettera indirizzata all’abate Teodoro e ai suoi monaci. Sant’Atanasio d’Alessandria nel 356-357 o nel 360-373 scrisse la Vita di Sant’Antonio, opera sulla cui autenticità ormai non ci sono più dubbi. Morı̀ il 17 gennaio 356 sul monte Qolzoum, nei pressi del Mar Rosso. Sulla sua tomba è sorto il monastero di Deir el-Arab. Reliquie ritrovate nel 561, traslate ad Alessandria, successivamente a Costantinopoli e nel secolo XI. in Francia. Dal secolo V festeggiato il 17 gennaio dalla Chiesa orientale (calendario siriaco, copto e bizantino), dal IX anche dalla Chiesa 197 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 205 Antonio Abate occidentale. Patrono degli agricoltori, allevatori, macellai, salumieri, bottegai, droghieri, campanari. In Sardegna Patrono della diocesi di Ampurias e di Burgos, Castelsardo, Decimomannu, Desulo, Monteleone Rocca Doria, Posada, Sant’Antonio di Gallura, Silanus e Tuili. A Cagliari, nella chiesa a lui dedicata, si venera un teschio, dalla religiosità popolare ritenuto il teschio di Sant’Antonio. Uno dei santi ausiliatori, santo terapeutico, ospedaliero celeste, invocato per la salute del corpo, per le malattie della pelle, soprattutto contro il ‘‘fuoco sacro’’. Quel ‘‘fuoco’’ era già noto agli Egiziani, ai Greci e ai Romani, citato da Seneca e da Lucrezio: probabilmente si trattava di ergotismo canceroso, causato dal mangiare pane e cibi preparati con farina di segale cornuta attaccata dal fungo Claviceps purpurea. Oggi si dà il nome di fuoco di Sant’Antonio all’herpes zoster, malattia cutanea di natura oscura. Si chiama fuoco di Sant’Antonio non perché, come qualcuno scrive, collegato all’usanza dei falò della vigilia, ma perché nella Francia medioevale gli attaccati dal terribile flagello venivano ricoverati in un ospizio intitolato al santo. Certo, non mancano le leggende del santo padrone del fuoco: una volta nel mondo il fuoco non c’era ed egli andò a rubarlo all’inferno, accompagnato dal maialino suo compagno nella solitudine del deserto. I diavoli lo temevano e, vedendolo, si affrettarono a chiudere la porta. Il maialino riuscı̀ a entrare e mise a soqquadro tutto l’inferno. I diavoli, disperati, non riuscendo a prenderlo, chiesero l’intervento del santo, il quale ben felice entrò nel regno dei dannati. Si riprese il suo maialino e uscendo fece prendere fuoco al proprio bastone a forma di tau, portando cosı̀ il fuoco agli uomini. Il maialino, il porcellino: il popolo credeva che il santo guarisse anche gli animali e cominciò a raffigurarlo mettendogli ai piedi un porcellino, e a considerarlo protettore degli animali in generale. O forse l’idea della protezione degli animali verrebbe da primitive raffigurazioni del santo in lotta con i diavoli o con un diavolo accanto in figura di porco. In epoca medioevale faceva parte dei quattro santi marescialli, con Cornelio, Quirino e Uberto, addetti alla cura dei cavalli e degli animali in genere. Il bastone a forma di T, tau dei Greci, il cosiddetto bastone di Sant’Antonio: era la croce, il simbolo della croce. Era anche, munito di campanello, il bastone degli eremiti. Ricchissimo il folklore, dalle radici fortemente pagane. In suo onore si accendono ancora i falò, i fuochi: fogadonis o fogaronis o fogallonis o foghidonis o fogulones, a seconda del luogo, sempre benedetti dal sacerdote. Fuoco per bruciare i mali dell’anno appena passato, fuoco purificatore e propiziatore, simbolo di luce e di vita. Fuoco biblico. Soprattutto il fuoco, cioè la vita, portata agli uomini dal santo. I falò sono un momento comunitario, significano festa, stare insieme: Sa festa manna del villaggio agropastorale, dove gli uomini erano uniti nella gioia e nel dolore sotto il proprio campanile. Falò beneauguranti di tuvas, i grandi tronchi d’albero, vuoti, che sembrano torri, o di ollastu e sarmentu, olivastro e sarmento, o di sughero. A Ghilarza erano i coscritti, sozius de sa leva noa, che avevano il compito di provvedere al falò. Non manca la benedizione degli animali, dei carri agricoli e dei trattori. Non mancano neppure i panini di Sant’Antonio o il pane di Sant’Antonio, offerto gratuitamente ai fedeli della prima messa del 17 gennaio. Secondo la leggenda il santo salvò dai diavoli il 198 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 206 Antonio da Padova grano di un contadino e questi per ringraziarlo offrı̀ a tutti, nel giorno della festa del santo, delle buone focacce. A Mamoiada viene offerta la favata, fave con lardo. In diversi paesi dell’isola il 17 gennaio segna l’inizio del Carnevale (in altri il 1º e in altri ancora il 6 gennaio). Nella Sardegna, in passato, proteggeva anche i figli illegittimi. A Sant’A.A. è legato il detto: «Unu spizzuleddu a Sant’Antoni de su fogu» (Un pezzettino a Sant’Antonio del fuoco) col significato di «Stai mangiando? Guarda che ci sono anch’io!»; viene dall’usanza di bruciare un pezzo di carta in onore del santo, bene sperando. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 17 gennaio; la domenica dopo Pasqua a Posada, la prima domenica di settembre a Sant’Antonio di Gallura. Sagre estive e in altre date durante l’anno. Antonio da Padova, santo (in sardo, Sant’Antoni de Padua, Sant’Antoni de Paduana, Sant’Antoni paduanu, Sant’Antoni de su lillu) Santo (Lisbona, 1195 ca.-Arcella, Padova, 1231). Dottore della Chiesa, nacque a Lisbona, dov’è chiamato Sant’Antonio di Lisbona, verso il 1191-1195. La madre, Maria, era di stirpe regale, il padre, Martino Bulhom, discendeva da Goffredo di Buglione, ma non tutti gli storici concordano sulla discendenza paterna. Fu battezzato con il nome di Fernando: Fernando de Bulloês y Taveira de Azevedo. Quindicenne entrò nei canonici regolari di Sant’Agostino, un ordine di chierici in vita comunitaria. Colpito dall’umiltà dei Francescani e soprattutto dall’arrivo in Portogallo dei cinque martiri Accursio, Adiuto, Berardo, Ottone e Pietro, francescani poi decapitati in Marocco, «chiese d’indossare la loro rozza tonaca stretta ai fianchi da un pezzo di corda». Vestendo l’abito nel 1220, prese il nome di Antonio, in onore di Sant’Antonio Olivares, patrono di Coimbra, città dove si era trasferito. Partı̀ per il Marocco, «nella terra dei saraceni – come si legge nell’Assidua, prima e anonima biografia sul santo – per essere partecipe della corona dei santi martiri, ma una febbre lo obbligò al rientro e nel viaggio di ritorno una tempesta spinse la nave sulle coste della Sicilia». Qui sbarcato, si portò ad Assisi e incontrò Francesco, il quale aveva convocato «i suoi fratelli in un grande raduno detto il Capitolo delle stuoie» (1221). Fu aggregato alla provincia di Romagna, ordinato sacerdote nel convento di Montepaolo, nei pressi di Forlı̀, città dove «si rivelò predicatore». Francesco, che confidenzialmente lo chiamava «il mio vescovo, il mio dottore», gli permise d’insegnare e di tenere libri. In Francia dal 1225 al 1227, provinciale di Lombardia dal 1227 al 1230. Operatore di pace, da Gregorio IX definito ‘‘Arca del Nuovo Testamento’’ e ‘‘Scrigno della Sacra Scrittura’’, fiorirono i miracoli. Ebbe la sua ultima dimora a Padova, dove scrisse le sue opere. Mentre si trovava in ritiro a Camposampiero, cercando di recuperare un po’ di forze, venne colto da malore. Chiese di essere riportato a Padova, morı̀ ad Arcella nel convento delle Clarisse, il 13 giugno 1231. Forse morı̀ di idropisia o forse di malaria. Riposa a Padova dov’è chiamato semplicemente ‘‘il Santo’’ nella celebre basilica a lui dedicata. Proclamato santo da Gregorio IX il 30 maggio 1232, dichiarato doctor envangelicus da Pio XII nel 1946. Autore di Commenti alla Sacra Scrittura e di numerosi Sermones, sempre attuali per le istanze sociali e le riflessioni di fede. Quando nel 1263 venne esumato il suo corpo, San Bonaventura, che si trovava presente, vedendo «la lingua, incorrotta, fresca e rubiconda che sembrava di un 199 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 207 Antonio Maria da Esterzili vivente, baciandola esclamò: ‘‘O lingua benedetta, che sempre benedicesti il Signore e lo facesti benedire anche dagli altri, chiaramente si vede quanto hai meritato dinanzi a Dio’’». Nella notte dell’Epifania del 1981 è avvenuta l’ultima riesumazione delle reliquie: dopo un accurato esame, una commissione scientifica ne ha ricomposto le scheletro. Il 10 ottobre 1991 quattro banditi armati e mascherati hanno rubato il reliquiario con il suo mento. È stato ritrovato il 20 dicembre dello stesso anno in un prato a Fiumicino, mentre stava per essere spedito in America meridionale, richiesto da un boss della droga devoto al santo. In Sardegna Patrono di Busachi, Cortoghiana, Fluminimaggiore, Lodé, Sant’Antonio di Santadi, Vacileddi e Villa Sant’Antonio. Il suo culto gareggia e spesso si confonde con quello di Sant’Antonio Abate. Il santo che porta il bambino Gesù in braccio e un giglio, lillu, simbolo di purezza, in mano, protegge gli innamorati, il matrimonio, la famiglia, gli orfani, i prigionieri. Per eccellenza è il santo dei miracoli, il santo dei poveri. Ancora oggi nei panifici e più in generale dove il pane viene venduto non manca la cassetta del ‘‘pane di Sant’Antonio’’, il pane per i poveri. A Padova il santo risuscitò un bimbo di venti mesi, Tomasino, caduto in una vasca e annegato. La madre, corsa disperata dal santo, «promise di dare ai poveri tanto grano quanto pesava la sua creatura». Cosı̀ è nata la tradizione del pane di Sant’Antonio. È anche invocato per il ritrovamento degli oggetti smarriti o rubati: «Si quaeris miracula» (Se cerchi i miracoli), «Sant’Antoni de Padua, / balente capitanu, / sa cosa chi mi mancada, / mi la dades prontamente» (Sant’Antonio da Padova, – valoroso capitano, – la cosa per- duta – ridatemela prontamente). [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 13 giugno; la prima domenica di giugno a Cortoghiana e Villa Sant’Antonio. Sagre estive e in altre date durante l’anno. Antonio Maria da Esterzili Scrittore di teatro (Esterzili 1644-Sanluri 1727). Diventato monaco cappuccino, iniziò la sua esperienza religiosa nel convento che l’ordine aveva a Cagliari. Dopo alcuni anni, per motivi sconosciuti si stabilı̀ in quello di Sanluri, dove operò dal 1688 sino alla morte. Fu autore di numerose opere teatrali di argomento religioso, i cui personaggi parlano in sardo, in castigliano e in latino a seconda del ruolo. «La lingua delle comedias è la castigliana per le didascalie; e, per il testo, prevalentemente il sardo campidanese con intrusioni catalane, il logudorese per quanto riguarda i personaggi dei pastori ed il castigliano per il personaggio di Sant’Agostino, per il suo servo e per le didascalie», ha scritto Sergio Bullegas, che a lui ha dedicato un libro (La Spagna, il Teatro, la Sardegna, 1996). Autore di una «trilogia sacra», che comprende la Conçueta del nascimiento de Christo, la Comedia de la Passión de Nuestro Señor Jesù Christo (rappresentata a Cagliari dopo il 1674: conta 31 233 versi), la Representación de la comedia del desenclaviamento de la Cruz de Jesu Christo nuestro Señor. Questi lavori furono raccolti nel Libro de comedias. Rimangono anche versi religiosi e altre composizioni. Apollinare, santo Santo (m. 200?). Vescovo martire, una leggenda del secolo VII lo vuole compagno e discepolo di San Pietro, dal quale ebbe l’incarico di evangelizzare Ravenna. Il Martirologio Romano, sulla scia della leggenda, lo riportava martire sotto Vespasiano. Sacerdote itinerante originario d’Antiochia, sbarcato a Civitas Classis, il 200 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 208 Apollonia porto di Ravenna, venne respinto dai pagani. Dopo aver vagato per l’Oriente, decise di tornare a Ravenna. Fu il primo vescovo della città: morı̀ martire forse nel 200, per aver fatto abbattere una statua di Apollo. A Ravenna è titolare di due chiese del secolo VI: la basilica di Classe, dove sono custodite le sue reliquie, e la chiesa di Sant’A. Nuovo, famosa per il mosaico di Giustiniano. Dal 1969 il suo culto è limitato a calendari locali o particolari. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 27 giugno e il 23 luglio a Sassari. Apollo Divinità greca. Figlio di Zeus e Leto, è uno fra gli dei più complessi della mitologia greca. Sono innumerevoli le funzioni e gli attributi che lo caratterizzano: A. è il dio della salute che allontana le sventure e protegge l’ordine del mondo e della giustizia; ma è anche il dio che infonde forza agli uomini perché riescano a ottenere la vittoria e, per contro, interviene nei confronti dei malvagi arrecando morte e calamità. A. è, soprattutto, annunciatore delle volontà di Zeus alle quali ogni uomo si deve attenere. Conseguentemente, è il dio della profezia e degli oracoli. La sua sede per eccellenza è Delfi, il massimo centro religioso della grecità. Sebbene Pausania racconti di una statua bronzea del dio eponimo Sardò figlio di Eracle, che i Sardi fra i barbari d’Occidente inviarono presso il santuario di Delfi, e sebbene A. sia il padre di Aristeo, uno degli eroi giunti in Sardegna, il mito di A. non conosce per questo dio rapporti diretti con l’isola. Il culto invece è presente nella Sardegna romana, dove il dio appare con le sue caratteristiche classiche oracolari e di dispensatore di salute in una celebre iscrizione rinvenuta presso Villa San Pietro di Pula ma riconducibile a Nora. In essa la de- dica è rivolta ‘‘agli dèi e alle dee secondo l’interpretazione dell’oracolo di Apollo Claro’’. Questo oracolo si trovava a Claro, in Lidia, nella costa occidentale dell’Asia Minore. Dediche dello stesso tenore sono state scoperte in Numidia, nella Mauretania Tingitana, in Dalmazia, presso gli antichi centri di Gabii e di Marruvium in Italia e in Britannia. Qui il dedicante è una coorte ausiliaria di stanza nell’isola. Sulla base del nome di quest’ultima (la I Tungrorum) tutte le iscrizioni, ritenute coeve, vengono collocate al tempo di Caracalla. Sarebbe stato questo imperatore, presumibilmente ammalato, a disporre che dediche simili fossero poste in diverse zone dell’Impero forse sempre da reparti militari. Per il resto il culto ad A. appare attestato in Sardegna solo per Carales, dove, secondo una notizia della Passio di San Saturno, sarebbe esistita una Sacra Via quae dicebatur Apollinis, ‘‘una via sacra che veniva detta di Apollo’’. [ANTONELLO SANNA] Apollonia, santa (in sardo, Santa Polonia) Santa (sec. III). Martire, nacque ad Alessandria d’Egitto da genitori cristiani. Quando nella città scoppiò una rivolta contro i cristiani, capeggiata da un ciarlatano, indovino maligno e pessimo poeta, A. vendette i propri beni per soccorrere i perseguitati. In una lettera del vescovo alessandrino Dionigi indirizzata a Fabio d’Antiochia si legge: «Furono saccheggiate le case dei cristiani. Presero la vergine Apollonia e le colpirono le mascelle, facendole uscire i denti. Poi, avendo dato fuoco a un rogo, minacciarono di gettarla viva fra le fiamme, se non avesse rinunciato alla sua fede e pronunciato parole empie. Chiese che la lasciassero libera un momento, ciò ottenuto saltò rapidamente nel fuoco e fu consumata». Aveva quarant’anni. Il suo gesto 201 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 209 Appiano suscitò emozione dappertutto. Anche Sant’Agostino trattò il suo caso, se era lecito darsi la morte per non rinnegare la fede, senza tuttavia prendere posizione. Il suo culto dall’Oriente si diffuse ben presto anche in Occidente. Dal 1969 è limitato a calendari locali o particolari. all’epoca di A., veniva raccolta in 24 libri. Poco della trattazione si è conservato (dieci libri interi, sei frammentari); quanto resta denuncia la dipendenza da fonti in lingua latina, anche se non deve essere escluso un rapporto con lo stesso Polibio. La Sardegna vi compare soprattutto nella narrazione delle vicende relative alle guerre puniche. [GIOVANNI MARGINESU] Aprea, Tito Musicista (Roma 1904-ivi 1989). Iniziò a Roma i suoi studi, che terminò nel Conservatorio di Napoli; successivamente si diede all’attività concertistica come pianista, raggiungendo una discreta notorietà. Tra il 1927 e il 1937 diresse l’attività concertistica nel teatro di Tunisi, città nella quale risiedette fino al 1937. Nel 1938 vinse la cattedra di pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia e tornò a Roma. Nel 1963 si trasferı̀ a Cagliari, dove dal 1965 diresse il Conservatorio. Aprile, Giulio Scultore (seconda metà Sant’Apollonia – Il martirio della santa raffigurato da Guido Reni. In Sardegna Culto diffuso dai Bizantini, è invocata contro il mal di denti ed è patrona dei dentisti. Nel Museo nazionale ‘‘G.A. Sanna di Sassari è raffigurata in una tela secentesca attribuita al pittore genovese Giovanni Battista Paggi. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 9 febbraio a Zeddiani. Appiano Storico (Alessandria, 95 ca.-?, 161 ca.). Vissuto in Egitto e a Roma, autore di un’opera con impianto etnografico. Di carattere compilatorio, l’opera rinunzia a un criterio di narrazione annalistica e, dalle origini di Roma fino sec. XVII). Su commissione del governo spagnolo nel 1676 eseguı̀ a Genova il mausoleo di Martino il Giovane, poi sistemato nella cattedrale di Cagliari in memoria del vincitore della battaglia di Sanluri. L’opera fu portata a termine in cinquanta pezzi e inviata a Cagliari, dove fu ricomposta e collaudata nel 1680. In seguito egli fu autore di alcuni altari per la chiesa di Quartu Sant’Elena e nel 1685 fece dei lavori nella torre di San Pancrazio. Aprile, Scipione Scultore (seconda metà sec. XVI). Originario di Napoli, lavorava il marmo e il legno; presente in Sardegna tra il 1580 e il 1603, nel 1586 eseguı̀ la statua di Emanuele Castelvı̀ per la chiesa di San Gemiliano in Samassi; in seguito realizzò molte altre statue, tra cui alcune per la fontana del Rosello a Sassari, ora andate disperse. Aquae calidae Neapolitanorum Stazione termale della strada a Caralibus 202 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 210 Aquae Ypsitanae Turres. Situata tra Carales (Cagliari) e Othoca (Santa Giusta), è documentata in Tolomeo, nell’Itinerario Antoniniano e nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate che ne specifica la natura termale (Aquae calidae Neapolitanorum), localizzata all’estremità meridionale del territorio di Neapolis, presso Santa Maria is Aquas (Sardara). L’utilizzazione delle fonti termali per scopi terapeutici si dovette mantenere ininterrottamente dall’età nuragica al Medioevo, quando conosciamo il giudice d’Arborea Ugone II come fruitore di quelle acque. Il complesso termale romano, costituito da vari ambienti voltati a botte, in opera cementizia con paramenti a filari alternati di blocchetti in pietra e di laterizi, fu incorporato alla fine del secolo XIX nelle terme moderne. Secondo una felice ipotesi, dovrebbe provenire dalle A.c.N. la dedica murata sul prospetto della parrocchiale di San Gavino Monreale, posta a un deus sanctus, Aesculapius o Apollo, dal proconsole della Sardegna del 110-117 d.C., il senatore Gaio Asinio Tucuriano, che era stato risanato dal dio. [RAIMONDO ZUCCA] Aquae Lesitanae Centro termale romano presso Benetutti. Localizzato presso le terme di San Saturnino, in base alle coordinate della Geographia di Tolomeo, unica nostra fonte per gli Ydata Lesitana, in relazione alla documentazione archeologica ed epigrafica che rivela l’esistenza nel sito di una stazione termale provvista di un luogo di culto di Aesculapius. Tolomeo nota l’esistenza di una città, Lesa, alla stessa longitudine degli Ydata Lesitana, ma situata 10’ a sud. Ne deduciamo la probabile pertinenza delle A.L. al territorio di Lesa. Il centro termale dovette essere raccordato mediante uno o più deverticula (strade secondarie) con la viabilità del territorio e in particolare con la via ab Ulbia Carales per mediterranea, tra le stationes di Caput Thyrsi e Sorabile, il cui tracciato scorreva a oriente delle Aquae. Nel 1971, in occasione di lavori di riattamento del vecchio stabilimento termale di San Saturnino, furono messi in luce resti delle terme romane e, in particolare, di un ambiente interpretato come il tepidario, col pavimento mosaicato. L’unico ambiente rilevabile è una vasca circolare gradonata di modeste dimensioni. Si tratta di un vano circolare, provvisto di vasca a quattro ordini di gradini anulari. Inserito nel contesto termale doveva esservi un santuario consacrato al dio salutifero per eccellenza Esculapio. A questo luogo di culto possiamo riportare con probabilità due fusti di colonne su base in trachite grigia e tre are ugualmente in trachite color grigio depositate presso lo stabilimento termale attuale. La terza ara è dotata di una iscrizione sacra ad Aescolapius, il dio della salute. [RAIMONDO ZUCCA] Aquae Ypsitanae Centro termale romano presso Fordongianus. Sorto in funzione delle scaturigini termali di Caddas, ‘‘le (fonti) calde’’, localizzate sulla riva sinistra del fiume Tirso, ai piedi di una potente bancata trachitica. A prescindere dagli antecedenti preromani, individuabili nel centro (religioso e di mercato?) del populus indigeno degli Ypsitani, nel sito di Caddas, dobbiamo collocare la fondazione delle A.Y., ricordate da Tolomeo, entro l’età augustea, con la triplice funzione di ‘‘ville d’eaux’’, di nodo stradale della via a Turre, la strada che si dipartiva dalla colonia Iulia Turris Lybisonis e che dalle Aquae si dirigeva a nord-est verso Augustis (Austis), a sud-est in direzione della colonia iulia augusta Uselis, e di stanziamento militare della cohors I Corsorum. Il centro ebbe inizial- 203 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 211 Aquena mente uno statuto indeterminato, benché possedesse schiavi dipendenti dal fiscus imperiale (servi publici). Nell’età traianea (98-117) fu elevato al rango di forum, con la costituzione del Forum Traiani, trasformato entro il periodo severiano (antecedentemente al 212217) in civitas Foritraianensium. Il culto delle acque, ampiamente sviluppato nella civiltà protosarda, suggerisce l’eventualità che gli Ypsitani lo potessero coltivare, in forme non determinate, presso quelle aquae ferventes che, secondo Solino, oltre a possedere virtù terapeutiche, si utilizzavano per pratiche ordaliche. È possibile che il culto indigeno delle acque si fondesse, in età tardopunica o punico-romana, con il culto di divinità salutari, come sembrerebbe desumersi da due statuine in trachite, rinvenute nel 1899 nell’area, rappresentanti il dio egizio Bes, che probabilmente era utilizzata dai Punici per il loro dio guaritore Eshmun, ossia, nell’interpretazione grecoromana, Asclepio-Esculapio. Una terza statuetta, ugualmente in trachite grigiastra, rappresentava una divinità femminile. Ne possiamo ricavare l’ipotesi che si prestava il culto a due divinità, una femminile, l’altra maschile. Ad avvalorare questo culto idrico femminile sta una stelina timpanata, con crescente lunare tra due astri, in trachite rosata, con dedica alla d(ea) s(ancta) A(tecina) T(urobrigensis), posta da Serbulu(s) in scioglimento di un voto. Le divinità femminili principali delle A.Y. erano le Nymphae, di cui possediamo ben otto dediche, incise su altari in trachite. [RAIMONDO ZUCCA] Aquena Famiglia sassarese (secc. XVXVIII). Appartenente alla borghesia mercantile di Sassari, è nota già nel secolo XV. Alcuni tra i suoi membri ebbero l’ufficio di console dei mercanti, altri ricoprirono importanti uffici e magistrature in città. Nel 1593 ottennero il cavalierato ereditario con un Francesco, valoroso uomo d’armi, che nel 1605 fu nominato luogotenente del maestro razionale. I suoi figli appartennero allo Stamento militare (1613) durante il Parlamento del duca di Gandı́a; uno di essi, Matteo, nel 1628 ottenne il riconoscimento della nobiltà. I suoi discendenti presero parte a tutti i parlamenti successivi; la famiglia si estinse nel corso del secolo XVIII. Aquena, Gavino1 Teologo e oratore (Sassari 1600-Fiandre 1667). Francescano, divenuto sacerdote raggiunse una notevole considerazione come maestro di Teologia e come oratore. Si trasferı̀ in Spagna dove fu nominato predicatore di corte durante il regno di Filippo IV. Negli ambienti di corte divenne amico del viceré marchese di Castelrodrigo, che quando fu nominato governatore dei Paesi Bassi spagnoli lo convinse a seguirlo. Scrisse diversi libri di argomento teologico. Si ricorda di lui un Sermon en la fiesta de la milagrosa imagen de N.S. de Bolduque llamada la Dolzura, 1667. Aquena, Gavino2 Religioso (Cagliari, seconda metà sec. XVII-Bosa 1723). Laureato in utroque a Roma, tornò a Cagliari dove divenne giudice delle appellazioni e canonico della cattedrale. Nel 1703 fu nominato vescovo di Bosa. Aquena, Giovanni Battista Religioso (Sassari, seconda metà sec. XVI-Bosa 1614). Laureato in utroque, nel 1613 fu nominato vescovo di Bosa, ma morı̀ l’anno successivo. Aquenza Famiglia sassarese (secc. XVII-XVIII). Di origine gallurese, notizie di essa risalgono al secolo XVII. Ad essa appartenne il celebre medico Pietro, che nel 1695 ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà nel 1698. La sua discendenza si estinse nel corso del secolo XVIII. 204 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 212 Arabe Aquenza Mossa, Pietro Medico (Tempio 1750-Cagliari, inizi sec. XVIII). Allievo di Gavino Farina, si laureò a Sassari e successivamente completò i suoi studi a Pisa, Roma, Firenze e Pavia. Pochi anni dopo si trasferı̀ in Spagna, dove esercitò la professione conseguendo grande reputazione per le sue capacità e per la sua preparazione. Fu medico nell’Ospedale degli italiani a Madrid. Tornato in Sardegna fu nominato protomedico; fu autore di importanti studi sulla malaria (la cosiddetta ‘‘intemperie’’), come il Tractatus de febre temperie sive mutacione vulgariter dicta regni Sardiniae, et analogice aliarum mundi partium, in varios sermones divisus, veterum et modernorum medicorum doctrinis illustratus, 1702. Aquilegia Piccola pianta erbacea della famiglia delle Ranuncolacee (A. nugorensis Arrigoni et Nardi). Pianta perenne, con rosetta basale da cui si dipartono fusti eretti e ramificati, foglie bi-tripartite con margini arrotondati. Il fiore (maggio-giugno) è azzurro-violetto, solitario sullo stelo, con sprone uncinato; il frutto è un follicolo. Raro endemismo, insieme alle specie affini, A. barbaricina e A. nuragica Arrigoni et Nardi, si trova soltanto in areali ristrettissimi, sui rilievi della Sardegna centrale. È inserita nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Arabe, spedizioni Termine riferito all’insieme delle incursioni effettuate dagli Arabi in Sardegna nel periodo che va dal 704 al 1014. Esse si svilupparono dopo che il loro dominio si fu consolidato in Africa settentrionale e in seguito in Spagna, rendendo cosı̀ possibili le scorrerie di flotte che partivano dalle città costiere da loro controllate. La prima spedizione fu effettuata nel 704 da Abd el Aziz, che si pose al comando di una flotta che partı̀ dall’Egitto. Gli invasori approdarono alle coste sud-occidentali dell’isola, attaccarono Sulci e riuscirono a depredarla senza che l’imperatore Tiberio II fosse in grado di arrestarli; secondo le cronache arabe, nel suo viaggio di ritorno la flotta naufragò davanti a Tunisi. Il successo riportato dalla prima spedizione indusse i principi arabi a organizzarne delle altre con l’obiettivo di depredare le ricche città costiere dell’isola e occuparla stabilmente. In particolare vanno ricordate: 1. Nel 711 la spedizione voluta da Musa ibn Nasseir, allora governatore di Tunisi, e condotta da uno dei suoi luogotenenti, Abdallah Ibn Murrah; questa volta gli invasori sarebbero riusciti a sbarcare a Cagliari e avrebbero saccheggiato il tesoro del Duomo. 2. Un nuovo attacco, anche questo proveniente dall’Africa Settentrionale, fu organizzato dopo il 720 da Alahort, governatore dell’Africa Settentrionale. Egli approfittò dell’estrema debolezza dell’Impero bizantino, ma ebbe conseguenze non molto gravi. Secondo la tradizione, però, gli abitanti di Cagliari, terrorizzati da possibili nuove incursioni, avrebbero consegnato al re Liutprando le reliquie di Sant’Agostino. 3. Un’altra spedizione, nel 732, fu organizzata da Abd er Rhaman, un principe della dinastia omayyade nipote e luogotenente del califfo Hisham. Egli inviò in Sardegna Abdallah ibn Ziad, ma non ottenne risultati apprezzabili, per cui l’attacco fu ripetuto contro Cagliari nel 734. Anche questa volta gli abitanti della città riuscirono a resistere. 4. La spedizione del 752 fu organizzata nuovamente da Abd er Rhaman. Questa volta l’impresa ebbe pieno successo: la resistenza dei sardi fu vinta ed essi probabilmente furono costretti a pagare il tributo detto giziah e a subire una parziale occupa- 205 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 213 Aragall zione dell’isola. Questa sembra essere durata poco: i sardi infatti riuscirono a liberarsi aiutati dalle flotte bizantine. 5. Una spedizione organizzata dai Mauri spagnoli nell’807 si concluse con una loro pesante sconfitta. 6. La spedizione organizzata da Abdallah, un principe aglabita di Tunisi. Egli tentò uno sbarco, ma energicamente contrastato fu costretto a lasciare l’isola. 7. La spedizione organizzata da Ziadat Allah, figlio di Abdallah, nell’816. Egli riuscı̀ a sbarcare nell’isola e a depredare il territorio ma, secondo le fonti arabe, nel viaggio di ritorno una parte della sua flotta affondò per una tempesta. 8. Il tentativo fatto da Mohamed Tamiani nell’821 con una flotta proveniente dalla Spagna e che, ancora una volta, si concluse con la sconfitta degli invasori. 9. Il tentativo del califfo Al Mansur la cui flotta, al ritorno dalla riuscita spedizione contro Genova, attaccò e danneggiò Torres. 10. L’ultimo tentativo, infine, fu effettuato nel 1014 dall’emiro di Denia Mugâhid; in questa occasione lo sbarco effettuato nelle vicinanze di Cagliari riuscı̀. La città fu conquistata e gli Arabi, dopo aver ucciso in battaglia il giudice Malut, avanzarono nel Campidano con l’obiettivo di conquistare l’isola. I sardi però organizzarono la resistenza e con l’aiuto delle flotte di Genova e di Pisa, sollecitate dal pontefice, cacciarono definitivamente gli invasori. Aragall Famiglia cagliaritana (secc. XIV-XVIII). Era di origine aragonese, stanziata in Catalogna a Seo de Urgell fin dal secolo XIV; da uno dei suoi rami proveniva un Giacomo, titolare di una vasta attività commerciale, che si trasferı̀ a Cagliari agli inizi del secolo XV al seguito di Martino il Giovane. Suo figlio Ludovico, pur continuando a occuparsi degli affari di famiglia, radicò definitivamente i suoi membri in Sardegna e lui stesso divenne uno dei protagonisti più importanti della politica cagliaritana della prima metà del secolo. La sua ascesa politica e finanziaria fu in parte legata ai viceré Bernardo Centelles, Giacomo de Besora e Francesco d’Erill, con i quali a diverso titolo intrattenne relazioni. Dopo essere stato per alcuni anni vicario reale di Cagliari, nel 1420 fu nominato governatore del Capo di Cagliari e Gallura e divenne il luogotenente di Bernardo Centelles; nello stesso anno ottenne in feudo Domusnovas, Villamassargia e Conesa. Poiché il Centelles era spesso fuori della Sardegna, Ludovico finı̀ per prendere in mano le redini del governo divenendo un attento interprete della politica reale. Seppe anche curare con grande abilità gli interessi della famiglia, di cui estese le attività commerciali servendosi di navi mercantili di sua proprietà e acquistando dai Dedoni due peschiere nello stagno di Santa Gilla e due botteghe per la vendita del pesce. Accrebbe anche il patrimonio feudale: nel 1425 ottenne Nurallao e nel 1432 acquistò dal fisco il castello di Gioiosaguardia e tutti i territori circostanti. Egli unı̀ il nuovo acquisto a Domusnovas e Villamassargia, dando cosı̀ vita al primo nucleo del grande complesso che la famiglia andava costituendo nel Sulcis. Nel 1437 acquistò dai De Sena il feudo di Decimomannu e quello di Quartu, che però cedette di lı̀ a poco a Cagliari. Le sue fortune politiche continuarono con Giacomo de Besora e quando, nel 1444, Francesco d’Erill fu richiamato in patria governò direttamente l’isola mostrando doti di grande equilibrio. I suoi figli Giacomo e Filippo, intelligenti e abili continuatori della sua opera, furono i capostipiti dei due 206 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 214 Aragall rami nei quali la famiglia si divise nella seconda metà del secolo XV. Ramo di Filippo. Filippo, il primogenito, fu erede dei feudi e accrebbe la consistenza del patrimonio di famiglia; dopo la morte di Alfonso V fu tra i più accesi sostenitori di Giovanni II, ma morı̀ ancor giovane nel 1465; la sua opera fu continuata dai due figli Antonio Giovanni e Giacomo, entrambi personaggi di rilievo. Giacomo nel 1470 aiutò il re a domare la ribellione in Catalogna armando una nave a proprie spese: il re gli donò Palmas, Tratalias e Perdaxius; tornato in Sardegna, nel conflitto tra Leonardo Alagon e Nicolò Carroz si schierò apertamente con il secondo, sostenendolo finanziariamente. In seguito si recò ancora in Spagna dove prese parte alla guerra contro i Mori di Granada e nel 1484 ebbe il titolo di barone di Gioiosaguardia. Al suo ritorno nel 1485 acquistò dal cugino Pietro un vasto territorio nel Sulcis, un tempo densamente popolato, e altri territori nel Sigerro, che unı̀ al feudo di Palmas; subito dopo acquistò dal cugino Michele altri territori nel Sulcis e nel 1487 i villaggi di Piscinas, Sigulis e Giba da Bartolomeo de Gerp. Il suo feudo era ormai uno dei maggiori della Sardegna meridionale: Giacomo, già anziano, si faceva aiutare nell’amministrazione dal figlio Filippo; per dargli continuità territoriale nel 1492 i due fecero uno scambio di territori con Nicolò Gessa e nel 1494 acquistarono da Salvatore Bellit il castello di Acquafredda e i territori che da esso dipendevano, facendo cosı̀ raggiungere al loro feudo il massimo della sua estensione. Nel 1496 ottennero il riconoscimento dell’antica nobiltà: il loro potere e le loro fortune erano oramai al culmine. Il giovane Filippo, dal canto suo, aveva sposato Giovanna De Ferraria, erede della baronia di Bonvehı̀, ponendo le premesse per estendere l’influenza della famiglia anche nel Logudoro. Purtroppo, però, poco dopo il giovane Filippo morı̀ nel fiore degli anni, lasciando erede un bambino, Pietro, gracile e di poca salute. Il vecchio Giacomo, affranto per la morte del figlio, comprese che le condizioni di salute del piccolo Pietro non avrebbero permesso una discendenza agli orgogliosi baroni di Gioiosaguardia e decise perciò di vendere Acquafredda a Salvatore Bellit, sposato con la sua unica figlia; poco dopo morı̀, seguito a breve distanza dal piccolo Pietro. Della discendenza di questo ramo rimaneva in vita il solo Giovanni Antonio, influente uomo di chiesa che in precedenza aveva sostenuto l’espansione dei feudi di suo fratello. A sua volta morı̀ nel 1515. Ramo di Giacomo. Giacomo fu il capostipite del ramo non feudale della famiglia. Nominato governatore di Cagliari e Gallura come il padre, nel 1454 l’ufficio gli fu confermato a vita; esercitò le funzioni di viceré interino fino alla nomina di Pietro Besalù governando con grande equilibrio fino al 1455. In particolare si preoccupò di far vendere all’asta i feudi del ribelle Guglielmo Raimondo Moncada e dopo l’arrivo del nuovo viceré si impegnò a sostenere l’amministrazione reale. Era sposato con Isabella, la figlia di Pietro Bellit, un finanziere col quale entrò in affari di vasto respiro, facendo fruttare i capitali di cui disponeva. Egli inoltre continuò la tradizionale attività economica della famiglia, dando impulso ai traffici mediterranei delle navi di sua proprietà. Anche la sua influenza politica sembrò aumentare quando fu nominato viceré Giovanni De Flors che, preferendo risiedere a Sassari, gli lasciò praticamente mano libera a Cagliari; dopo il 1471 anche 207 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 215 Aragall lui puntò a costituirsi un grande feudo con i territori spopolati del Sulcis orientale, ma morı̀ nel 1475 lasciando eredi i due figli Pietro e Michele. I due non riuscirono a conservare il feudo e, come abbiamo visto, lo dovettero vendere al cugino, il barone Giacomo di Gioiosaguardia. Michele nel 1508 fu nominato luogotenente del governatore di Cagliari e nel 1514 divenne luogotente del viceré Vilanova; morı̀ poco dopo lasciando due figli: Pietro e Girolamo, personaggio di grande rilievo, che nel 1532 divenne governatore del Capo di Cagliari e Gallura. Nella sua lunga vita esercitò ripetutamente le funzioni di viceré interino e morı̀ molto vecchio nel 1580 lasciando erede il figlio Giacomo. Questi divenne a sua volta governatore del Capo di Cagliari, assunse le funzioni di viceré interino e morı̀ nel 1610 relativamente giovane, lasciando un unico figlio, Diego, ultimo personaggio della famiglia, che morı̀ nel 1646. Aragall, Diego Uomo politico (Cagliari 1604-ivi 1646). Presidente del Regno nella prima metà del secolo XVII. Ultimo maschio della famiglia, figlio di un Giacomo, apparteneva al ramo non feudale degli Aragall. Quando nel 1610 suo padre morı̀ era ancora bambino, per cui l’ufficio di governatore fu affidato a Giovanni Zapata e in seguito a Filippo Cervellon. Crescendo acquistò fama di persona equilibrata: nel 1619 fu creato cavaliere di Santiago e nel 1622 finalmente riprese l’ufficio di governatore del Capo di Cagliari. Si legò al viceré Vives e ne sostenne la politica; dopo la sua morte assunse le funzioni di viceré interino fino all’arrivo di Pietro Saforteza. Nel 1631, dopo la morte del Pimentel, assunse nuovamente le funzioni di viceré, ma fu accusato di aver male amministrato e costretto a recarsi a Madrid per rendere conto del suo operato. Riconosciuto innocente, gli furono attribuite anche le funzioni di Presidente del Regno e nel 1633 tornò nell’isola. Quando nel 1637, durante la Guerra dei Trent’anni, la Sardegna fu attaccata dai francesi, egli guidò le truppe che respinsero l’attacco francese a Oristano; successivamente, temendo una nuova incursione, nel 1638 fece costruire a Cagliari il bastione detto ‘‘del viceré’’ e vi fece apporre orgogliosamente lo stemma di famiglia. In seguito assunse funzioni interine per altre due volte. Aragall, Giacomo I Gentiluomo (secc. XIV-XV). Di origine catalana, giunse in Sardegna agli inizi del secolo XV al seguito di Martino il Giovane; dopo la morte del re nel 1410 acquistò i feudi di Villamassargia e di Domusnovas, che furono il nucleo originario delle fortune feudali della famiglia. Aragall, Giacomo II Gentiluomo (m. 1475). Figlio di Ludovico, fu il capostipite del ramo non feudale della famiglia. In società con Pietro Bellit, suo suocero, nel 1460 acquistò da Gherardo Dedoni il feudo di Villamar e da Giorgio Otger il feudo di Acquafredda. I due, però, tra il 1463 e il 1464 sciolsero la società, Giacomo cedette Acquafredda al Bellit e rivendette Villamar a Francesco Alagon traendone un notevole guadagno. Nel 1471 investı̀ i suoi capitali nell’acquisto di un vasto feudo spopolato nel Sulcis, ma pochi anni dopo incorse in una crisi finanziaria per cui fu costretto a chiedere aiuto al mercante cagliaritano Francesco Marimon, cui diede in pegno il feudo. Aragall, Giacomo III Governatore del Capo di Cagliari e Gallura (Cagliari 1544-ivi, 1610 ca.). Figlio di Girolamo, anche lui appartenente al ramo non feudale della famiglia, negli ultimi anni della vita di suo padre lo aiutò acquistando fama di persona prudente 208 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 216 Aragona ed equilibrata. Quando Girolamo morı̀, nel 1580 divenne governatore del Capo di Cagliari e Gallura. Nel 1603, prima dell’arrivo del Sanchez de Calatayud, esercitò le funzioni di viceré interino e ancora una seconda volta lo fu nel 1610, prima dell’arrivo di Carlo Borgia, ma morı̀ poco dopo ancora relativamente giovane. Aragall, Giovanni Antonio Inquisitore per la Sardegna (secc. XV-XVI). Fratello del barone Giacomo di Gioiosaguardia, canonico della cattedrale di Cagliari, fu anche lui interprete fedele della politica accentratrice di Giovanni II e sostenne abilmente il fratello nella sua politica feudale. Nel 1493 fu nominato abate di San Nicolò a Oristano ed ebbe l’ufficio di procuratore del re, entrando in conflitto con l’arcivescovo di Oristano, per cui dovette trasferirsi a Cagliari dove fu nominato inquisitore del Regno. Aragall, Girolamo Governatore del Capo di Cagliari (Cagliari, prima metà sec. XVI-ivi 1580). Figlio di Michele, nel 1532 divenne governatore del Capo di Cagliari e pochi mesi dopo, morto il viceré Martino Cabrera, assunse le funzioni interine in attesa di Antonio Cardona e governò con grande prudenza fino al 1534. Per tutto il periodo successivo si tenne al di fuori delle tensioni che si manifestarono attorno al Cardona, e quando nel 1539 quest’ultimo si recò a Madrid assunse nuovamente il governo col titolo di Capitano e Presidente del Regno. Guardò con sospetto gli Arquer e non seppe impedire che l’opera del Cardona fosse compromessa. Quando il viceré tornò a Cagliari nel 1542 prese nuovamente a esercitare le funzioni di governatore e si tirò prudentemente in disparte, ma quando, nel 1549, Antonio Cardona si congedò definitivamente, assunse nuovamente le funzioni interinali fino al 1551, quando giunse il viceré Fernandez de Heredia. Assunse ancora funzioni interinali nel 1556 in attesa dell’arrivo del Madrigal e negli anni successivi contribuı̀ a far arrestare Sigismondo Arquer. Tra il 1577 e il 1578 assunse per l’ultima volta le funzioni interinali. Aragall, Leonardo Religioso (?, sec. XIII-Oristano 1306). Arcivescovo di Oristano dal 1301 al 1306. Minore osservante, segretario e penitenziere del cardinale vescovo di Sabina, fu nominato vescovo di Tricarico (Lucania) e nel 1301 arcivescovo di Oristano da Bonifacio VIII. Si adoperò per migliorare le condizioni della diocesi e nel 1302 celebrò un sinodo provinciale. Morı̀ a Oristano prima del febbraio 1306. [MASSIMILIANO VIDILI] Aragall, Luigi (o Ludovico) Gentiluomo (Cagliari, seconda metà sec. XIV-ivi 1448). Nel 1414 fu nominato vicario reale della città e nel 1420 governatore del Capo di Cagliari e di Gallura; nello stesso anno ottenne il feudo di Domusnovas e Villamassargia. Sebbene impegnato in complesse attività mercantili, negli anni successivi esercitò in diverse occasioni le funzioni di viceré interino nei periodi di assenza di Bernardo Centelles. Nel 1424 difese Cagliari da un attacco saraceno e nel 1428 da uno genovese. Continuò a esercitare funzioni interine durante i governi di Giacomo De Besora e Francesco Erill, mostrando di possedere notevoli capacità. Nel 1432 acquistò il castello di Giojosaguardia e i terreni circostanti e nel 1437 Decimomannu. Aragna = Zoologia della Sardegna Aragona Due diverse dinastie portarono il nome di A. La prima fu la dinastia dei conti di Barcellona che, in quanto re d’A., nel 1297 furono investiti con Giacomo II del Regnum Sardiniae da papa Bonifacio VIII. La discen- 209 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 217 Aragona denza di Giacomo si estinse nel 1410 con la morte di Martino il Vecchio. La seconda dinastia fu quella dei Trastamara, che ereditò il regno d’A. all’estinzione dei conti di Barcellona nel 1415 con Ferdinando, nuovo re di Sardegna. La dinastia dei Trastamara si estinse nel 1516 con Ferdinando il Cattolico, che lasciò il Regno di Sardegna in eredità agli Asburgo. Aragona, Giacomo di Figlio naturale di Giacomo II (Barcellona, fine sec. XIII-Cagliari 1350). Nato dalla relazione di Giacomo con una dama siciliana tra il 1287 e il 1291 e cresciuto a corte, prese parte alla spedizione dell’infante Alfonso insieme a Napoleone d’Aragona, altro figlio naturale del re. Si stabilı̀ a Cagliari e nel 1326 ebbe il feudo di Barrali nella curatoria di Dolia, nel 1330 quello di Gergei nella curatoria di Siurgus e nel 1331 quello di Quartu Jossu. Nel 1333 fu nominato membro del Consiglio reale; dal 1337 al 1341 resse l’ufficio di vicario reale di Cagliari e divenne luogotenente di Guglielmo Cervellon. Dopo la tragica morte di quest’ultimo, nel 1347 lo sostituı̀ nelle funzioni di governatore generale, riuscendo a riorganizzare l’esercito che dopo la battaglia di Aidu ’e Turdu si era gravemente sfaldato. Prossimo alla morte, senza figli, nel 1349 ottenne che Raimondo d’Ampurias, che aveva sposato una nipote di sua moglie, potesse essere investito dei suoi feudi, a patto che pagasse i suoi diritti al fisco. Aragona, Giovanni Religioso (?, prima metà sec. XIV-Cagliari 1369). Minore conventuale, fu nominato arcivescovo di Cagliari nel 1354; nel 1355 prese parte al parlamento di Pietro IVe resse la diocesi negli anni successivi, quando si andava preparando la seconda guerra tra Aragona e Arborea. Aragona, Guglielmo Religioso (?, prima metà sec. XIV-Terralba 1364). Entrato nell’ordine domenicano fu assegnato al convento di Montesano; dopo alcuni anni, nel 1356, Innocenzo VI lo nominò vescovo e lo inviò erroneamente nella diocesi di Castra, allora occupata da un altro prelato. Immediatamente fu destinato alla diocesi di Terralba, che governò negli anni precedenti alla seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV. Aragonez Famiglia sassarese (secc. XVI-XVIII). Le sue notizie risalgono alla seconda metà del secolo XVI, quando viveva un Giovanni che divenne maestro razionale e morı̀ nel 1605. I suoi discendenti continuarono a ricoprire importanti uffici a Sassari; uno di essi è il dottor Giuseppe, assessore della Reale Governazione di Sassari e giudice della Reale Udienza dal 1760. Suo figlio, il canonico Giovanni Battista, fu seguace e amico di Giovanni Maria Angioy. Aragoni Famiglia cagliaritana (secc. XV-XVII). Sue notizie risalgono al secolo XV; era di condizione borghese e alcuni dei suoi membri furono eletti consiglieri del castello. Nella seconda metà del secolo XVI si pose in evidenza il dottor Antioco, amministratore del patrimonio reale, che nel 1568 ottenne il cavalierato ereditario. La sua discendenza si estinse nel corso del secolo XVII. Aramu, Angelo Gesuita, storico della Chiesa (Cagliari 1890-Savona 1960). Compiuti gli studi superiori, rispondendo a una prepotente vocazione nel 1912 entrò nella Compagnia di Gesù. Sacerdote nel 1924, si fece notare per la profondità della sua preparazione; studioso della storia gesuitica, è autore di una imponente opera sulla Storia della Compagnia di Gesù in Sardegna, 1939. Negli anni Cinquanta, nel periodo più acceso delle polemiche tra 210 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 218 Arancio DC e PC, scrisse anche alcuni pamphlet storico-politici che gli diedero notorietà nazionale. Aramu, Francesco Pittore e incisore (n. La Maddalena 1926). Ha completato i suoi studi a Cagliari e dopo alcuni anni si è trasferito a Roma, dove ha fatto alcune esperienze come scenografo a Cinecittà. In seguito si è trasferito a Milano dove vive e opera da più di cinquant’anni. Nella città lombarda, dove ha allestito la sua prima personale, ha raggiunto notorietà, considerazione e riconoscimenti. Ha preso parte a mostre in Europa e negli USA, riscuotendo successi di critica. ciale) possono essere spinosi; le foglie ovate, lucide e consistenti, hanno un picciolo alato; i fiori (zagare) sono bianchi e profumati, singoli o riuniti in infiorescenze. La fioritura è primaverile, mentre i frutti arrivano a maturazione nell’autunno successivo e continuano a maturare sino a inverno inoltrato, tanto che in alcuni casi i frutti dell’anno precedente possono essere sulla pianta durante la fioritura successiva. Aramu, Mario Pilota militare (Cagliari 1900-Marmarica 1940). Ufficiale dell’Aeronautica, compiuti i suoi studi entrò nella carriera militare come ufficiale pilota. Fu uno dei trasvolatori dell’Atlantico; subito dopo l’impresa fu inviato in Cina a dirigere una scuola militare per piloti. Scoppiata la seconda guerra mondiale, tornò in patria e prese parte al conflitto col grado di colonnello. Morı̀ in azione durante il primo anno di guerra. Aranciata Dolce tipico del Nuorese e delle Baronie. Conosciuto fin dall’antichità, si presenta come una pasta di scorza d’arancia e di miele. La sua base è costituita dalla scorza dell’arancia essiccata e accuratamente tagliata in listarelle, che vengono fatte cuocere in una padella dove è stato fuso del miele misto a lamelle di mandorle tostate. In passato, per la sua predisposizione a essere conservato a lungo, veniva portato nelle feste campestri o era offerto durante l’inverno. Arancio Pianta arborea della famiglia delle Rutacee (Citrus aurantiun L.). È un albero che raggiunge i 10 m di altezza, con chioma compatta e arrotondata. I rametti, in alcune cultivar (cioè qualità ottenute con selezione artifi- Arancio – Frutti dell’arancio amaro. Il frutto, l’arancia, è un esperidio formato da una scorza (pericarpo) che varia dal giallo al rossastro a seconda delle qualità; la polpa, divisa in spicchi, succosa, contiene acido citrico, vitamine (soprattutto C), zuccheri e sali minerali. Resiste bene alla siccità, ma richiede irrigazioni abbondanti per una produzione ottimale. Originario della Cina e del Giappone, l’a. fu intro- 211 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 219 Araolla dotto in Italia dagli Arabi nel secolo XIV. Produce frutti in varietà amara, dolce e sanguigna. Viene coltivato in molte aree del Mediterraneo. In Sardegna è coltivato nelle piane costiere, soprattutto del sud. La produzione annua della Sardegna è di circa 600 000 q, di cui più di 500 000 q nella provincia di Cagliari. Rinomate le arance di Milis, nell’Oristanese, di San Sperate, nel Basso Campidano, e di Muravera, nel Sarrabus. In ognuna di queste località si tiene una sagra degli aranci, con degustazioni dei frutti e dei prodotti tipici. Nomi sardi: arángu (campidanese); arántzu (logudorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Araolla Famiglia sassarese (secc. XVXVII). Le sue notizie risalgono al secolo XV; apparteneva alla borghesia e alcuni dei suoi membri ricoprirono importanti magistrature in diverse occasioni. Gli A. ottennero il cavalierato ereditario nel 1500; la famiglia si estinse nel corso del secolo XVII. Araolla, Girolamo Sacerdote e poeta (Sassari, prima metà sec. XVI-Roma 1615). Dopo essersi laureato in Legge, si fece sacerdote e fu nominato canonico di Bosa. Dopo alcuni anni si trasferı̀ a Bologna e infine divenne consultore del Santo Uffizio a Roma. Nel poemetto Sa vida, su martiriu et morte de sos gloriosos martires Gavinu, Brothu e Gianuari, 1582, e nelle Rimas diversas spirituales, 1597, fu tra i primi letterati sardi a scrivere nella lingua regionale, cercando anche – grazie alla sua intensa frequentazione dei classici latini – di ‘‘ripulire’’ il sardo, imprimendo alla varietà logudorese forza e chiarezza espressive. Secondo Raimondo Turtas è probabile che sotto il nome di A. vadano collocati due diversi individui, appartenenti, pure all’interno dello stesso arco temporale, a due generazioni diverse. Al più giovane sa- rebbero da attribuire il poema sui tre martiri turritani e, in particolare, il progetto di quella operazione di ‘‘classicizzazione’’ della lingua sarda che è il maggior titolo di merito del personaggio; operazioni – sostiene Turtas – che si addicono a un’età, sı̀, matura, ma non – come risulterebbe a stare ai dati biografici di cui disponiamo – a un uomo ormai vecchio (sarebbe stato coetaneo di G.F. Fara) e, in qualche misura, ormai privo di quella creatività (poetica e filologica insieme) che meglio si attaglia a una età meno avanzata. Arata, Giulio Ulisse Studioso di arte popolare (Piacenza 1885-ivi 1962). Noto architetto, acquistò notorietà progettando numerosi edifici pubblici e privati in diverse città dell’Italia centro-settentrionale. Scrittore d’arte, fu tra i fondatori del gruppo delle ‘‘Nuove Tendenze’’. Mostrò un profondo interesse per l’artigianato sardo, che studiò a fondo in tutti i suoi aspetti e valorizzò anche su sollecitazione di Giuseppe Biasi, di cui era molto amico. Nel 1919 elaborò con lui il progetto della pubblicazione di un volume sull’arte rustica sarda e decise di trasferirsi nell’isola per raccogliere la documentazione necessaria. Giunto in Sardegna, in compagnia di Biasi e del pittore sassarese Mossa Demurtas viaggiò da un centro all’altro raccogliendo un’ingente quantità di materiale. L’atteggiamento svagato dei tre amici, però, insospettı̀ un solerte graduato dei Carabinieri di stanza a Sedilo, che finı̀ per arrestare i tre credendoli dei ladri; quando però fu chiarito l’equivoco, essi ripresero il loro giro. Il volume che ne risultò, Arte Sarda, scritto con G. Biasi, ricco di fotografie documentarie e di piccole illustrazioni dello stesso Biasi, fu pubblicato dal milanese Treves nel 1935: opera di grande impegno editoriale, è il testo 212 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 220 Arbatax fondamentale di ogni ricerca sull’arte popolare isolana. La nuova esperienza e le discussioni di quel periodo con Biasi lo convinsero anche della possibilità che alcuni prodotti dell’artigianato sardo potessero essere sfruttati industrialmente. Sulla Sardegna scrisse anche: Arte rustica sarda, ‘‘Dedalo’’, I, 11-12, 1922, e L’arte paesana alla prima biennale di Monza, ‘‘Le Arti decorative’’, I, 1, 1923. è una pigna allungata, legnosa, con grossi semi commestibili. Originaria dell’Oceania, è arrivata in Sardegna nella seconda metà dell’Ottocento: i primi impianti vennero fatti nel verde pubblico di Cagliari, dove spesso conferiscono, stagliandosi con la loro notevole altezza, un profilo caratteristico ad alcuni scorci panoramici della città. Utilizzata come pianta ornamentale nel verde pubblico e privato di tutta l’isola, non ha mai dato semi fertili. In alcune località sono stati inseriti anche esemplari di A. bidwillii Hook, dalle caratteristiche foglie spiralate, e di A. cookii R.Br., dal portamento colonnare. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Arave Antico villaggio del giudicato di Torres, compreso nella curatoria della Fluminargia. Sorgeva a poca distanza dall’attuale abitato di Usini. Cominciò a essere conosciuto a partire dal secolo XI come centro popoloso ed economicamente fiorente. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale venne amministrato direttamente dal neo-istituito Comune di Sassari, ma in seguito cominciò a decadere spopolandosi completamente entro la fine del secolo XIII. Araucaria – Originariamente non presente nel vecchio mondo, è molto usata come albero ornamentale. Araucaria Pianta arborea sempreverde della famiglia delle Araucacee (A. excelsa R.Br.), alta sino a 15-20 m. Ha chioma piramidale, caratterizzata dai palchi sovrapposti di rami, le foglie sono squamiformi e aderenti al ramo. I fiori, unisessuali, possono essere su piante distinte o sulla stessa pianta, sempre all’apice della chioma. Il frutto Arbatax – Le Rocce Rosse sono l’elemento più suggestivo del panorama. Arbatax Centro abitato della provincia dell’Ogliastra, frazione di Tortolı̀ (da cui dista 5 km), con oltre 1400 abitanti, posto a 10 m sul livello del mare su un 213 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 221 Arbatax promontorio della costa orientale, a brevissima distanza dal suo capoluogo. Regione storica: Ogliastra meridionale. Diocesi di Lanusei. Arbatax – Gli impianti di itticoltura si sono sviluppati negli ultimi decenni, su impulso dell’industria turistica. TERRITORIO Il territorio è costituito da una piccola penisola che, sporgendosi in mare dal litorale tra Baunei e Bari Sardo, ha termine col capo Bellavista. La regione è pianeggiante, tanto che nel retroterra si è formato lo stagno di Tortolı̀, ma nei pressi della costa svettano alcuni piccoli rilievi di natura granitica, dai quali emergono i filoni di porfido noti come Rocce rosse. La frazione è collegata a Tortolı̀ con una breve deviazione della statale 125, ed è raggiunta anche dalla linea ferroviaria delle secondarie proveniente da Cagliari. Importanti il porto, che viene utilizzato anche per le navi di linea & Sardegna-continente, e l’aeroporto, visto come importante strumento per lo sviluppo turistico di una regione tradizionalmente isolata come l’Ogliastra. & STORIA Il sito fu da sempre frequentato come porto; presumibilmente dopo il secolo XIV fu abbandonato e rimase deserto, utilizzato soltanto da pastori e da corsari la cui presenza a partire dalla seconda metà del secolo XVI fu scoraggiata dalle torri costiere. L’abitato attuale ha origini ottocentesche ed ebbe un deciso impulso quando, con l’impianto della ferrovia, le attività portuali ripresero regolarmente. Poco prima della metà del secolo si colloca la preziosa testimonianza che Vittorio Angius ha lasciato nel Dizionario degli Stati sardi di Goffredo Casalis: «Il promontorio avanzandosi nel mar Tirreno, forma due seni principali, aperti incontro uno al greco, l’altro all’ostro-sirocco. Noteremo anzi tutto le torri e cappelle fabbricate su questo promontorio; nella parte settentrionale la torre detta di Albatass, e prossima la chiesa denominata di N.S. d’Aramo, con un palazzotto, che serve di caserma ai preposti della dogana. Nella parte meridionale v’è un’altra torre denominata di s. Gemiliano dalla chiesa dedicata al suddetto santo, che trovasi ad un 1/4 di miglio, quanto è lungo il colle che tiene una ed altra, e forma un promontorio il quale divide il seno indicato di s. Gemiliano da una cala aperta nello stesso promontorio e detta Porto Fraile. Sulla rupe del promontorio che più sporge a levante, sul colle detto monte Turri, ergevasi la torretta, detta di Largavista, la quale serviva per esplorare se nell’orizzonte apparissero navi sospette, navi di barbareschi, e nel caso dar avviso alla popolazione per preparare le loro armi, se accadesse che di notte o di mattino i barbari tentassero invasione. 214 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 222 Arbatax La testa del suddetto promontorio è larga miglia 13/4 dalla punta settentrionale (Punta Secada) alla punta meridionale (Capo s. Gemiliano), lunga miglia 7/8, mentre il collo dov’è più angusto ha poco più di miglia 1/2 e si stende a circa un miglio. Se in questo promontorio e collo si trasferisse una parte della popolazione di Tortolı̀, la colonia troverebbe una situazione migliore, e senza dubbio prospererebbe in breve per il comodo del commercio, e diventerebbe una città notevole. Starebbe essa tra due porti, e se questi si rendessero sicuri dalle rispettive traversie, il seno settentrionale dal greco, il seno meridionale dal sirocco, appoggiando due gittate d’un mezzo miglio, o d’un solo terzo, le navi vi avrebbero due stazioni, e vi frequenterebbero assai spesso». Col passare degli anni A. assunse il ruolo di porto dell’Ogliastra e crebbe progressivamente di importanza. Nel 1960 vi fu impiantata una grande cartiera attorno alla quale nel 1963 si sviluppò un nucleo di industrializzazione. L’estendersi delle attività favorı̀, entro il 1964, un ulteriore sviluppo del porto che divenne anche terminale di linee passeggeri che collegano A. con Genova e con Civitavecchia. Il crescente sviluppo tende a saldare l’abitato di A. a quello di Tortolı̀, i cui abitanti son soliti indicare il suo agglomerato genericamente come Portu. & ECONOMIA La base della sua economia è costituita dal porto, che è il principale dell’Ogliastra; negli ultimi anni attorno ad esso si stanno sviluppando una zona industriale e l’aeroporto. Altro elemento che concorre a sorreggere l’economia di A. è rappresentato dal turismo residenziale e di transito. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel territorio circostante si identificano alcune Tombe di giganti e alcune domus de janas. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Alcuni monumenti testimoniano la storia complessa del suo territorio e quella recente dell’insediamento; tra tutti indubbiamente le torri costiere sono i più significativi: si tratta di tre torri che facevano parte del sistema di difesa del tratto di coste tra Santa Maria Navarrese e capo Palmera (= Torri costiere). Nell’ordine da nord verso sud si trova per prima la torre di A., costruita nel 1572, in ottimo stato di conservazione, con una struttura troncoconica a due piani con ambienti voltati a cupola e comunicanti con scala interna; il diametro interno supera gli 8 m; era adibita alla difesa pesante, potentemente armata e servita da una guarnigione. A poca distanza, in prossimità della punta del capo omonimo, sorgeva la torre di Bellavista, costruita nel secolo XVII, adibita alle segnalazioni e ora ridotta a rudere. Infine la torre di San Gemiliano, costruita anch’essa nel secolo XVII ma ora ridotta in condizioni di conservazione scadenti; adibita alla difesa e alle segnalazioni, ha una struttura troncoconica e un diametro interno di quasi 4 m; era armata da un cannone, una spingarda e un adeguato numero di fucili e aveva una guarnigione costituita da due soldati. Interessante anche la chiesa di San Gemiliano, costruita sul promontorio di capo Bellavista nel corso del secolo XX sulle rovine di una precedente chiesa del secolo XVI; è semplice, consta di un’aula mononavata, la sua facciata è arricchita da un rosone e da un campanile a vela. Va ricordata anche San Lussorio, una chiesa campestre costruita nel secolo XVI in stile gotico-aragonese con un impianto a una sola navata e la copertura a volta; la facciata era arric- 215 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 223 Arbitrato della neve chita da un campaniletto a vela. Nel corso dei secoli successivi rovinò e nel 1902 fu necessario ricostruirla completamente. Infine San Salvatore, chiesa che sorge alle falde del monte Genna Craita nelle vicinanze del capo Bellavista. Fu costruita agli inizi dell’Ottocento probabilmente sopra le rovine di un’antichissima chiesa bizantina; ha una sola navata e la copertura in legno. La facciata è abbellita da un campanile a vela. Ma non va dimenticato che il simbolo di Arbatax e dell’Ogliastra è costituito dalle Rocce rosse, spuntoni di porfido rosso che emergono dal mare di fronte al capo Bellavista creando una suggestiva scenografia e un piacevole contrasto. Il complesso delle rocce ha dato luogo a numerose leggende legate ai viaggi di Ulisse. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni del piccolo centro sono espresse dalla festa popolare della Madonna Stella Maris che si svolge nella prima domenica di luglio e durante la quale, ai riti religiosi che si svolgono nella omonima parrocchia (una chiesa costruita nel 1966), si accompagnano una suggestiva processione a mare e numerosi giochi nautici e di pesca nel rispetto delle tradizionali attività degli abitanti del luogo. Arbitrato della neve Raccolta e conservazione della neve, che in seguito veniva adoperata nei mesi estivi, organizzata in alcuni paesi delle zone montane, dove le precipitazioni nevose erano più abbondanti. In genere erano usate ampie grotte sotterranee (nieras), dove era possibile pressare la neve che vi veniva immagazzinata e protetta con strati di paglia. L’umidità del luogo e la possibilità che la temperatura fosse costantemente bassa rendevano probabile la trasformazione della neve pressata in ghiaccio: questo poi poteva essere tagliato in lastre e trasportato nei mesi estivi nelle città o dove si svolgevano feste campestri per fabbricare con esso e con speciali sciroppi deliziosi sorbetti (carapigna). L’amministrazione reale, a partire dal secolo XVII, impose su questa attività una gabella e in seguito la diede in appalto a privati cittadini che riuscirono a trarne utili di notevole rilievo. L’appalto della neve fu regolarmente praticato dall’amministrazione fino al 1848. Arboit, Angelo Insegnante e letterato (sec. XIX-?). Dopo aver insegnato nel Liceo di Modena nel 1860, si trasferı̀ dalla Toscana in Sardegna nel 1860 e divenne un osservatore attento dell’isola e dei suoi problemi. Poco dopo prese parte alla spedizione dei Mille e, pur non tornando mai più in Sardegna, le rimase profondamente attaccato. Tra i suoi scritti ricorderemo: La Sardegna e i principi reali d’Italia, carme, 1862; Italia. Storia di un amore, 1872; I bagni, 1873; Amor normale, 1876; Storia di una colonia spontanea in Sardegna, ‘‘Avvenire di Sardegna’’, marzo-maggio 1889. Arborea Comune della provincia di Oristano, sede della XVI Comunità montana, con 3999 abitanti (al 2004), posto a 7 m sul livello del mare in una fetta costiera della pianura campidanese a sud di Oristano. Regione storica: Campidano di Simaxis. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio si estende per 115,50 km2. Ha forma grosso modo rettangolare e confina a nord con Santa Giusta, a est con Marrubiu e Terralba, a sud con gli stagni di Marceddı̀ e San Giovanni, a ovest col Mare di Sardegna, che in questo tratto si addentra nel golfo di Oristano. Si tratta di un lembo di pianura costituita da depositi alluvionali accumulatisi nel tempo su una piattaforma d’argilla; per larga parte è occupato dalle coltivazioni, sol- 216 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 224 Arborea tanto lungo le strade e nella fascia costiera si trovano gruppi di alberi, soprattutto eucalipti e pini, impiantati al momento della bonifica. Le comunicazioni sono assicurate dalla statale 126, che nel dirigersi da Oristano verso Guspini e Iglesias tocca il centro abitato; dalla vicina superstrada ‘‘Carlo Felice’’ e, in misura minore, dalla ferrovia Cagliari-Chilivani, che tocca il vicino centro di Marrubiu, nonché dal porto industriale di Oristano. Arborea – Lo stemma dei giudici di Oristano, con il caratteristico albero diradicato, ha qui una citazione dalla Carta de Logu. & STORIA Le origini di A. sono identificabili negli anni in cui, a partire dal 1919, fu costituita la Società Bonifiche Sarde con lo scopo di bonificare il vasto comprensorio che si stendeva a sud di Oristano tra Marrubiu e Terralba, tutto occupato dalla palude detta di Sassu. Questa importante impresa in pochi anni di intenso lavoro portò a termine una grande opera di bonifica idraulica e di trasformazione fondiaria che culminò con la colonizzazione dei territori ottenuti. Accertato che le acque stagnanti provenivano dal rio Mogoro, che scorre a sud del monte Arci, si provvide a imbrigliarle con una diga e a farle confluire nello stagno di San Giovanni, comunicante col mare. Questi lavori, iniziati nel 1931, furono completati nel 1933; una volta che l’afflusso delle acque era stato fermato, rimaneva da prosciugare la palude di Sassu; a questo si provvide facendo confluire con una serie di canali le acque stagnanti in una idrovora che le pompava gettandole nel mare: ai 6000 ha già emersi se ne aggiunsero cosı̀ altri 3000 ha, portando a 9000 ha il totale di quelli sottratti alle acque. Per mandare avanti questi lavori, progettati dall’ingegner Giulio Dolcetta, furono superate innumerevoli difficoltà, tra le quali l’incombere della malaria, che infieriva soprattutto sui tecnici e i lavoratori provenienti dalla penisola. Intanto, mentre si definivano le strade e i poderi, venivano impiantati numerosi filari di eucaliptus destinati a riparare le colture dai venti provenienti dal mare. Una volta costruite le abitazioni per i contadini, ebbe subito inizio la coltivazione del granoturco, dell’erba medica, del tabacco, del riso, del pomodoro. La grande iniziativa rientrava alla perfezione nel piano di bonifiche volute dal regime fascista, cosı̀ che quando, il 31 dicembre 1931, venne costituito il nuovo comune autonomo cui doveva fare capo questa grande area agraria, gli fu dato il nome di Mussolinia. Alla creazione 217 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 225 Arborea del nuovo comune si era opposto quello di Terralba, che perdeva cosı̀ una parte del suo territorio, ma le decisioni del governo furono applicate ugualmente. L’abitato era concepito con edifici progettati secondo un moderno schema urbanistico e al centro di una rete di fattorie collegate da un’adeguata rete di strade e di stalle razionali per lo sviluppo di allevamenti di bovini. Fu popolato con coloni provenienti prevalentemente dal Veneto e si sviluppò rapidamente, imponendosi come esempio di quanto si sarebbe potuto fare con le bonifiche. Nel 1944 prese il nome attuale e nel 1948 il comune definı̀ i confini del proprio territorio con quello di Terralba. Nel 1974 entrò a far parte della provincia di Oristano. Arborea – Altra versione dello stemma dei giudici d’Arborea. Da notare al centro l’albero diradicato. & ECONOMIA La fiorente economia è basata sul funzionamento di poco meno di 300 fattorie agrarie, cui fanno capo da un minimo di 18 ha a un massimo di 30 ha di superficie agraria. Le attività principali sono l’allevamento del bestiame, che si basa su un patrimonio di diverse migliaia di capi vaccini ben selezionati; bestiame che vive all’interno delle stalle, ed è alimentato con foraggi e mangimi prodotti per buona parte in proprio. Vengono poi le colture orticole, tra le quali spiccano le fragole e le angurie, che vengono commercializzate in tutto il territorio della regione. Non ultime la coltivazione del riso e della vite, e la produzione di vino. Questa avviene nella Cantina sociale di Marrubiu, mentre sul territorio di A. si trovano altri consorzi per la conservazione e la commercializzazione dei prodotti, in particolare una latteria-caseificio molto attiva. A. è per buona parte della Sardegna punto di riferimento per il commercio delle attrezzature e i prodotti in genere per l’agricoltura; mentre la vivacità dell’economia locale ha condotto alla trasformazione di una originaria Cassa Rurale Artigianale in una vera e propria banca di A. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 3943 unità, di cui stranieri 5; maschi 1964; femmine 1979; famiglie 1078. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità con morti per anno 19 e nati 25; cancellati dall’anagrafe 57 e nuovi iscritti 51. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 31 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 17 071 in migliaia di lire; versamenti ICI 975; aziende agricole 351; imprese commerciali 151; esercizi pubblici 21; esercizi al dettaglio 51; ambulanti 5. Tra gli indicatori sociali: occupati 1403; disoccupati 81; inoccupati 147; laureati 56; diplomati 437; con licenza media 1227; con licenza elementare 1267; analfabeti 39; automezzi circolanti 1657; abbonamenti TV 898. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il sito 218 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 226 Arborea archeologicamente più significativo è S’Ungroni, una necropoli punica individuata nel 1930 nell’omonima località durante i lavori per la bonifica. Gli scavi hanno restituito molto materiale tra cui ceramica di vario tipo, in particolare un vaso con la sagoma di un busto di fanciulla di età ellenistica, monete e chicchi di collane in pasta vitrea. Questi e altri materiali, già raccolti in alcune vetrine, visibili nei locali del Comune, sono ora conservati nel MUB, Museo storico Comunale Bonifica di Arborea, inaugurato nel 2005 all’interno di un vecchio mulino intelligentemente restaurato. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’elemento più importante del patrimonio culturale è rappresentato dal centro storico, che si è sviluppato secondo uno schema urbanistico pianificato in conformità delle esigenze che il procedere della bonifica poneva. Il complesso è un esempio di razionalità e distingue A. dalla maggior parte degli altri centri abitati della Sardegna, anche perché è costituito prevalentemente dagli edifici destinati alla vita pubblica, mentre le abitazioni non si trovano, come di solito, nelle vicinanze, ma sparse in tutto il territorio. La strada principale si affaccia sulla grande piazza centrale – l’elemento caratteristico di A. – dedicata a Maria Ausiliatrice e tenuta a giardino, sulla quale sono disposte molte costruzioni in stile liberty e in stile neogotico di notevole eleganza. Gli edifici più significativi sono quelli delle scuole, della chiesa parrocchiale e del Municipio nel quale è ospitata la Biblioteca comunale. Percorrendo le strade che tagliano con reticolato regolare l’ampio territorio si può osservare il fervore delle attività agricole e si può accedere alle fattorie, molte delle quali vendono direttamente i loro pro- dotti. La parte costiera è caratterizzata da una lunga fascia sabbiosa, frequentata durante l’estate, a ridosso della quale si stende una bella pineta. A breve distanza un albergo, che è allo stesso tempo un centro ippico, attira in grande numero gli appassionati del cavallo. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni popolari del piccolo centro sono consegnate ad alcune feste popolari di notevole richiamo e di grande significato; la più importante e la più nota è certamente quella del Cristo Redentore, il patrono, che si festeggia nella terza domenica di luglio. La festa si riallaccia alla più autentica tradizione della fondazione di A. negli anni della bonifica. I festeggiamenti durano alcuni giorni e vedono il concorso di gruppi in costume provenienti dall’Oristanese; le manifestazioni religiose si alternano a quelle civili e tra queste la più nota è la sagra delle angurie. Altra festa caratteristica è la sagra della polenta che si svolge nella prima domenica di dicembre; istituita nel 1982, vuole ricordare le origini venete dei primi abitanti e culmina nella distribuzione in piazza di polenta cucinata secondo le ricette tradizionali venete. Altre feste popolari da ricordare sono quelle di San Giovanni Bosco l’ultima domenica di gennaio; la festa di Maria Ausiliatrice che si tiene la domenica più vicina al 24 maggio e infine il Corpus Domini che si festeggia tra maggio e giugno. La maggior parte di queste ricorrenze sono l’occasione per l’esposizione e la vendita dei prodotti e delle merci legati all’agricoltura, dalle macchine agricole ai fertilizzanti, dal bestiame selezionato alle fragole. Arborea, giudicato di Giudicato situato nella parte centro-occidentale dell’isola, si formò come stato indipendente attorno al secolo X. Si sviluppava 219 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 227 Arborea su un territorio di circa 4500 km2 per un terzo pianeggiante e per il resto collinare e montuoso. Originariamente era suddiviso in 15 curatorie: 1. Il Campidano Maggiore, con una superficie stimata di 329 km2, costituiva il cuore del giudicato. Si affacciava sul golfo di Oristano: il suo territorio pianeggiante, fertile e densamente popolato, confinava a nord con il Campidano di Milis e a sud con quello di Simaxis. Comprendeva la città di Oristano, capitale dello stato, e i villaggi di Baratili, Boaczi, Cabras, Donigala, Fenoni, Fenughedu, Gippa, Massama, Nuracabra, Nurachi, Nuraxinieddu, Petreveurra, Piscopiu, Riola, San Giovanni di Sinis, Siamaggiore, Sinipale, Sinuski, Solanas, Solarussa, Villalonga, Zeddiani, Zerfaliu. 2. Il Campidano di Milis, con una superficie stimata di 258 km2, si stendeva a nord del Campidano Maggiore su un territorio prevalentemente collinare dall’agricoltura molto sviluppata. Comprendeva i villaggi di Bauladu, Bonarcado, Barigadu, Calargia, Milis e Mili Piccinnu, Narbolia, San Vero Milis, Segassus, Seneghe, Solli, Spinalba, Tramatza, Urasanna, Vesala e Zippiriu. 3. Il Campidano di Simaxis, con una superficie stimata di 262 km2, si stendeva su un territorio pianeggiante e fertile a sud del Campidano Maggiore; comprendeva i villaggi di Bangios, Crabilis, Ollasta Simaxis, Palmas Arborea, Palmas de Ponte, Pani Bonu, Santa Giusta, San Vero Congius, Siamanna, Siapiccia, Silı̀, Simaxis, Simaxis Jossu, Simaxis di San Viuliano, Villaurbana. 4. Il Bonorcili, con una superficie stimata di 279 km2, comprendeva un territorio molto fertile e dall’economia sviluppata, che si stendeva a sud del Campidano di Simaxis con i villaggi di Arcidano Parvo, Arcidano Magno, Bonorcili, Marrubiu, Taverna, Terralba, Uras, Zuradili. 5. Il Mon- reale, con una superficie stimata di 749 km2, era la più estesa delle curatorie; si stendeva ai confini con il giudicato di Cagliari e comprendeva un territorio prevalentemente montuoso, con i villaggi di Arbus, Cansella, Fluminimaggiore, Gonnosfanadiga, Guspini, Monreale, Funtana Fenugu, Gulzi, Pabillonis, San Gavino Monreale, Sardara, Serru, Uta Passaris, Villa Atzei, Villa Jaca. 6. La Marmilla, con una superficie stimata di 294 km2, si sviluppava su un territorio posto in posizione strategica per l’accesso alle zone interne e ottimo per la produzione dei cereali. Comprendeva i villaggi di Atzeni, Baradili, Baressa, Barumini, Cilixia, Genuri, Gesturi, Las Plassas, Lunamatrona, Mara Arbarei, Pauli Arbarei, Setzu, Siddi, Sini, Sitzamus, Tuili, Turri, Ussaramanna, Ussarella, Villanovaforru, Villanovafranca. 7. Parte Usellus, con una superficie stimata di 121 km2, si stendeva tra il Campidano di Simaxis e la Marmilla su un territorio fertile e adatto alla coltivazione del grano. Comprendeva i villaggi di Ales, Bannari, Barumela, Curcuris, Escovedu, Funtana Figus, Gonnosnò, Ollasta, Pau, Usellus, Zeppara. 8. Il Parte Montis, con una superficie stimata di 184 km2, comprendeva un territorio collinare e densamente popolato situato tra il Bonorcili e il confine orientale del giudicato. Comprendeva i villaggi di Almos, Cracargia, Forru, Gemussi, Gozula, Gonnoscodina, Gonnostramatza, Margini, Masullas, Mogoro, Morgongiori, Pardu, Pompu, Sedis de Monte, Serzela, Simala, Siris, Tamis, Terralba de Monte. 9. Il Parte Valenza, con una superficie stimata di 356 km2, si stendeva su un territorio prevalentemente montuoso posto a nord del Parte Usellus, ai confini con la Barbagia. Comprendeva i villaggi di Assolo, Asuni, Coni Valenza, Fluminadu, Ge- 220 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 228 Arborea nades, Genoni, Isili, Laconi, Mogorella, Nurallao, Nuragus, Nureci, Orvinas, Ruinas, Sebollus, Senis, Villa Sant’Antonio. 10. Il Parte Barigadu, con una superficie stimata di 298 km2, si stendeva su un territorio montuoso situato alla destra del Tirso. Comprendeva i villaggi di Allai, Ardauli, Barbagiana, Bidonı̀, Busachi, Fordongianus, Loddu, Moddamene, Montesanto Josso, Neoneli, Nughedu Santa Vittoria, Sorradile, Sorrai, Ula Tirso, Villanova Truschedu. 11. Il Guilcier, con una superficie stimata di 348 km2, si stendeva su un territorio situato sulla riva sinistra del Tirso. Comprendeva i villaggi di Abbasanta, Aidomaggiore, Boele, Boroneddu, Borzacheri, Domusnovas Canales, Ghilarza, Guilcer, Lestinghedu, Lighei, Norbello, Nordai, Orena, Paulilatino, Ruinas, Sedilo, Serla, Soddı̀, Suci, Tadasuni, Urri, Ustedu, Zuri. 12. L’incontrada di Austis, con una superficie stimata di 114 km2, si stendeva su un territorio montuoso posto a nord del Parte Barigadu e comprendeva i villaggi di Austis, Teti e Tiana. 13. La Barbagia di Belvı̀, con una superficie stimata di 211 km2, era la più meridionale delle curatorie barbaricine e comprendeva i villaggi di Aritzo, Belvı̀, Gadoni e Meana Sardo. 14. Il Mandrolisai, con una superficie stimata di 339 km2, si stendeva su un territorio montuoso posto a sud dell’incontrada di Austis e comprendeva i villaggi di Atzara, Desulo, Leonissa, Mandra Olisai, Ortueri, Samugheo, Sorgono, Spasulé. 15. La Barbagia di Ollolai, con una superficie stimata di 345 km2, si sviluppava su un territorio montagnoso posto ai confini del giudicato di Torres e comprendeva i villaggi di Crapedda, Fonni, Gavoi, Lodine, Mamoiada, Oleri, Ollolai, Olzai, Orrui, Ovodda e Sarule. Nel tempo, a queste curatorie, che co- stituivano il nucleo tradizionale del giudicato, se ne aggiunsero altre che i giudici riuscirono a togliere al giudicato di Torres a partire dalla seconda metà del secolo XIII. 1. Il Costavall, con una superficie stimata di 518 km2 su un territorio montuoso ai confini del Logudoro, venne acquistato nel 1308 dai Malaspina. Comprendeva i villaggi di Abriu, Bonorva, Campu de Locu, Coniato, Cote, Donnicaia, Frabicas, Monticleta, Rebeccu, Sagantia, Sanctu Simeon, Semestene, Terchiddu, Trullas e Valles. 2. La Planargia, con una superficie stimata di 296 km2, si stendeva su un territorio montagnoso posto a nord del Montiferru; fu anch’essa acquistata dai Malaspina nel 1308. Comprendeva la città di Bosa e i villaggi di Flussio, Modolo, Magomadas, Montresta, Nuraghe de Triganu, Salamatter, Sindia, Sagama, Suni, Tinnura, Tresnuraghes. 3. Il Montiferru, con una superficie stimata di 296 km2 posti su un territorio montuoso, fu acquistata a metà del secolo XIII dopo l’estinzione della dinastia giudicale di Torres. Comprendeva i villaggi di Corrichina, Cuglieri, Pittinuri, Sancta Vittoria, Santu Lussurgiu, Scano di Montiferro, Semura, Sennariolo, Settefontane, Silanus, Verro. 4. Il Goceano, con una superficie stimata di 430 km2 situati in territorio montuoso ai confini meridionali del giudicato di Torres, fu annessa agli inizi del secolo XIV. Comprendeva i villaggi di Anela, Benetutti, Bono, Borticoro, Bottidda, Bultei, Bulterine, Burgos, Esporlatu, Illorai, Lorthia, Nule, Usolvisi. 5. Il Marghine, con una superficie stimata di 475 km2, comprendeva il territorio dominato dall’omonima catena di monti; fu annessa a metà del secolo XIII dopo l’estinzione della dinastia giudicale di Torres. Comprendeva i villaggi di Birori, Bolotana, Bortigali, Borore, Dualchi, Gitil, 221 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 229 Arborio Mella di Sant’Elia Lei, Lorisa, Macomer, Mulargia, Noragugume, Penna, Sanche, Sangiuliano, Sauccu. 6. Il Montacuto, con una superficie stimata di 1735 km2 posti su un territorio prevalentemente montagnoso, si stendeva fino ai confini del giudicato di Gallura; fu annessa agli inizi del secolo XIV dopo una lunga lotta con i Doria. Comprendeva i villaggi di Alà dei Sardi, Ariscoblas, Bacuri, Balamune, Balanotti, Bantine, Berchidda, Berchiddedu, Bidducara, Biduvé, Bisarcio, Buddusò, Butule, Castra, Gatema, Golomeri, Ittireddu, Lerrono, Lexanis, Montis, Nughedu San Nicolò, Nule, Nulvara, Orveis, Oschiri, Osidda, Otti, Ozieri, Padru, Pattada, Pira Domestica, Tula, Urra, Urvei. 7. La Barbagia di Bitti, con una superficie stimata di 416 km2 posti su un territorio montuoso e non molto popolato, fu acquisita nel secolo XIV e comprendeva i villaggi di Bitti, Dure, Gorofai, Longu, Nuruli, Onanı̀ e Orune. 8. Il Dore, con una superficie stimata di 906 km2, anch’essa posta su un territorio montagnoso e poco popolato, fu acquistata nel secolo XIV. Comprendeva i villaggi di Cologone, Goltodolfe, Locole, Nuoro, Oddini, Oniferi, Orani, Orgosolo, Orotelli, Ottana e Sarule. Questi acquisti raddoppiarono praticamente la superficie del giudicato. Nel primo periodo della sua esistenza la capitale fu Tharros, in seguito Oristano (Aristané), situata all’interno, lungo la strada che univa Carales a Turris Lybisonis. Il giudicato nel corso dei secoli fu governato da tre dinastie: i Lacon Zori, che cominciano a essere conosciuti nel secolo XI e che si estinsero agli inizi del secolo XII; i Lacon Serra, che regnarono dal 1112 alla fine del secolo XII; i Bas Serra, che regnarono ininterrottamente fino alla fine del secolo XIV; nell’ultimo confuso periodo sul trono giudicale furono posti Fede- rico e Mariano V Doria, nati dal matrimonio di Eleonora d’Arborea e Brancaleone, e Guglielmo III di Narbona. Il giudicato cessò di esistere dopo la battaglia di Sanluri nel 1410, quando Leonardo Cubello rinunciò ai propri diritti e accettò l’investitura del marchesato di Oristano. Alberto Arborio Mella di Sant’Elia – Il prelato sassarese fu cameriere segreto partecipante di quattro papi. Raccolse in un libro le sue memorie. Arborio Mella di Sant’Elia, Alberto Dignitario pontificio (Sassari 1880Roma 1953). Nato in una nobile famiglia sassarese, si laureò in Legge e s’avviò alla professione di avvocato nello studio dell’avvocato Giovanni Zirolia. Toccato dalla vocazione religiosa, studiò a Roma Filosofia e Teologia nell’Accademia dei Nobili ecclesiastici. Ordinato sacerdote, nel 1912 fu chiamato alla Corte pontificia in qualità di cameriere segreto partecipante. Inizia cosı̀ un’esperienza che lo porterà – 222 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 230 Arbus come capo del cerimoniale vaticano – a conoscere e servire quattro pontefici e che raccoglierà nel libro di memorie autobiografiche Istantanee inedite degli ultimi quattro Papi, apparso postumo nel 1956. Quasi negli stessi anni suo fratello Luigi occupava un’uguale carica presso Casa Savoia. Lo stesso Arborio Mella racconta, nel suo libro, che una volta trovò Pio X che, con in mano ‘‘La Tribuna’’ di Roma, gli chiese se quell’altro Arborio che figurava, in abito da gran cerimonia, in una foto del giornale fosse suo parente. Arborio Mella gli rispose che sı̀, che era suo fratello, e che faceva al Quirinale lo stesso ‘‘lavoro’’ che lui faceva in Vaticano. Allora il papa gli chiese che stipendio prendesse lui, Alberto, e sentita la risposta disse sorridendo: «Con quei sghei Suo fratello non si compra manco i cilindri!». naro alla stessa Corona in occasione della spedizione di Gonsalvo di Cordova per la conquista del Napoletano agli inizi del Cinquecento. Per sostenere la politica del re egli cedette anche tutti i diritti che aveva sulle saline e per questi motivi, nel 1504, ebbe come ricompensa la concessione in feudo dell’Incontrada di Austis. Nel 1512 acquistò anche il feudo di Olmedo; alla sua morte, nel 1525, il feudo fu ereditato da sua figlia Filippa, moglie di Diego De Sena, che ebbe una vita lunghissima: morı̀ nel 1585, lasciando Olmedo al figlio Francesco, anche lui governatore di Sassari. Arborio Mella di Sant’Elia, Luigi Cerimoniere del re, senatore del Regno (Sassari 1873-Buenos Aires 1955). Vittorio Emanuele III lo nominò gran maestro delle cerimonie di corte. Condusse una splendida vita tra la corte e la sua elegante villa di Las Tronas ad Alghero dove riceveva i reali (in particolare le principesse Maria e Giovanna), quando venivano in Sardegna, spesso per battute di caccia al cinghiale. Nel 1939 fu creato senatore del Regno. Dopo l’instaurazione della Repubblica e l’esilio di Umberto II emigrò in Argentina. Arbosich Famiglia valenzana (sec. XV). Trasferitasi in Sardegna, si stabilı̀ ad Alghero dove aveva ottenuto l’appalto ereditario per la riscossione delle gabelle del sale. Nel corso degli anni raggiunse una considerevole condizione economica, specialmente con Matteo, un uomo d’affari che aveva accumulato un considerevole patrimonio. Egli fu in grado di prestare ingenti somme di de- Arbus – Veduta del centro abitato. Arbus Comune della provincia del Medio Campidano, compreso nella XVIII Comunità montana, con 6890 abitanti (al 2004), posto a 331 m sul livello del mare, in una conca formata dai rilievi che si stendono a nord del massiccio del Linas. Regione storica: Monreale. Diocesi di Ales-Terralba. & TERRITORIO Il territorio, esteso per 267,16 km2, si allunga in direzione da nord a sud e confina a nord col mare aperto, il golfo di Oristano e lo stagno di Marceddı̀; a est con Guspini, a sud con Gonnosfanadiga e Fluminimaggiore, mentre a ovest si affaccia sul Mare di Sardegna con una costa lunga ben 47 km. Si tratta di una superficie ricoperta quasi per intero da monti e 223 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 231 Arbus colline che spesso nascondono filoni di minerale; la loro altezza si riduce solo a tratti nella fascia costiera e nella parte settentrionale, dove si trovano la frazione di Sant’Antonio di Santadi e il poligono militare di capo Frasca. In alcuni tratti si conserva il manto boschivo originario, mentre una grande parte del territorio, specie nella fascia costiera, è ricoperta di macchia mediterranea. Una delle cime maggiori è l’Arcuentu, 785 m, a nord dell’abitato, caratterizzato da una bizzarra conformazione del profilo superiore. Il paese è servito dalla statale 126, che si dirige da Oristano verso Iglesias e dalla quale si distaccano in questo punto una deviazione per Gonnosfanadiga e una che raggiunge la costa. Arbus – Litorale nei pressi di Marina di Arbus. & STORIA L’attuale centro ha origini medioevali; probabilmente fu fondato nella seconda metà del secolo XIV; era compreso nel giudicato d’Arborea e faceva parte della curatoria di Monreale. Caduto il giudicato, A. unitamente a tutto il Monreale fu incluso nel Regnum Sardiniae e fu occupato dalle truppe di Berengario Bertran Carroz, anche se il re poco prima di morire lo aveva concesso in feudo a Garcia de Ferrera. Berengario, approfittando della situazione confusa seguita alla morte di Martino il Giovane, non ritirò le sue truppe e non consegnò il feudo al Ferrera, che peraltro morı̀ poco dopo. Il territorio divenne cosı̀ oggetto delle contese tra il Bertran Carroz, che continuava a occuparlo, e Leonardo Cubello, che nel 1416 sembrò poterne entrare in possesso; nella contesa entrarono anche i Carroz d’Arborea, ma il re nel 1421 preferı̀ infeudarlo a Raimondo Guglielmo di Moncada ai cui discendenti fu confiscato nel 1454 per essere venduto all’asta. Dopo alcune altre peripezie A. e il restante territorio del Monreale furono acquistati nel 1464 da Pietro di Besalù con soldi prestatigli dal suocero, il conte di Quirra. Egli non fu poi in grado di restituirli per cui, dopo la morte del conte, si fece avanti suo cognato, Dalmazio Carroz d’Arborea, che aveva sposato Violante Bertran Carroz, erede della contea di Quirra: con il pretesto di difendere gli interessi di sua moglie gli tolse quasi tutto il territorio e cosı̀ A. entrò a far parte della contea di Quirra. Morta Violante nel 1511, il villaggio passò quindi ai Centelles; i nuovi feudatari fecero amministrare il Monreale da un loro apparato burocratico e vi svilupparono un sistema di esazione fiscale piuttosto gravoso. Portarono a termine la costruzione della chiesa parrocchiale. I Centelles si estinsero nel 1676 lasciando eredi i Borgia, la cui successione fu contestata dai Catalan che, dopo una lunga lite, riuscirono nel 1726 a venire in possesso dell’immenso feudo. Frattanto A. si era notevolmente sviluppato e si avviava a divenire uno dei maggiori centri della produzione del grano: nel corso del se- 224 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 232 Arbus colo XVIII il suo vidazzone fu sfruttato intensamente. La sua lunga vicenda feudale si andava esaurendo: dopo che nel 1771 vi fu costituito il Consiglio comunitativo, nel 1798 passò dai Catalan agli Osorio. Nel 1821 A. fu incluso nella provincia di Iglesias e nel 1839 si liberò finalmente dalla dipendenza feudale; con la ‘‘fusione perfetta’’ la provincia di Iglesias fu abolita e il villaggio fu incluso nella divisione amministrativa di Cagliari. Nel 1859 entrò a far parte della ricostituita provincia di Cagliari. Di questo periodo sono le notizie registrate da Vittorio Angius: «È questo paese di figura allungata, posto sopra una bassa collina, avendo dalla parte dell’austro a poca distanza alcune piccole eminenze, altrove dei monti di mediocre altezza. Il clima e l’aria è ottima: il freddo tollerabile, come il caldo: vi nevica di rado, vi piove però con frequenza, poche volte soffresi l’ingombro della nebbia, e temesi degli effetti dell’elettricità. Il numero delle case va a 670. Vi si esercitano varie arti meccaniche, e vi sono in opera circa 600 telai per tele di varie qualità, e panno forese [orbace], di cui si fa grande smercio nei paesi vicini. Vi è una scuola normale, dove concorrono da 25 fanciulli. Si ha dai registri che l’ordinario numero dei matrimoni sia circa di 30; delle nascite 105; delle morti 40. La vita si produce anche oltre il settantesimo anno, e alcuni toccano il secolo. La malattia più frequente è la pleurisia. Le famiglie sono in numero di 666; le anime 2762. Si suol seminare di grano starelli cagl. 3000 (litr. 147,600) che rende il 20 e 25 per uno nelle annate propizie. Si semina a proporzione orzo, fave, e civaje [legumi in genere]. Oltre la cultura dei cereali si attende a quella degli alberi fruttiferi: vi sono già alcuni giardini d’agrumi ben tenuti, e che prosperano maravigliosa- mente, e ne crescerà senza dubbio il numero. I peri, noci, fichi, susini, albicocchi, peschi, e molte altre specie in n. 25 rendono più amene le tenute. Gli olivi vi prosperano come nei siti più a loro natura conformi. Le vigne vengono felicemente, e uve di moltissime qualità distinguonsi nei filari. La pastorizia coltiva le seguenti specie: pecore n. 4000, capre 5000, porci 800, vacche 2400, tori 600, buoi 1000, cavalle 800, cavalli domiti 300, e un piccol numero di giumenti». Nel corso del secolo XIX l’economia di A. si modificò radicalmente; infatti vi si svilupparono notevoli attività minerarie, come quelle di Ingurtosu e Montevecchio (che fa capo al vicino comune di Guspini) e interessanti attività agricole. Tra queste vanno ricordate l’azienda agraria di Bidderdı̀, estesa per 5600 ha, creata dalla Ingurtosu; suddivisa in poderi, fu affidata ad alcune famiglie bolognesi. La produzione del vino Apollinaris e l’esportazione del sughero affiancarono l’attività mineraria. Nel corso della seconda metà del secolo XX l’attività mineraria, entrata precedentemente in crisi, scomparve completamente modificando in modo radicale l’assetto sociale e la cultura di A. Da alcuni decenni il villaggio punta sull’artigianato e sullo sviluppo del turismo nella fascia costiera per rilanciare il proprio ruolo. & ECONOMIA Era un tempo basata su una intensa attività mineraria che però oramai è cessata; ad essa si sono sostituiti il turismo, che sfrutta le bellezze naturali del territorio, mentre l’agricoltura e la pastorizia vanno riprendendo il loro antico ruolo e il commercio conserva una relativa importanza. Artigianato. A. era un antico centro di produzione dell’orbace; questa tradizione è attualmente tenuta viva dall’opera di qualche donna che lo tesse a 225 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 233 Arbus casa; il villaggio è anche rinomato per la produzione dei coltelli tenuta viva dall’attività di abili artigiani. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 7247 unità, di cui stranieri 4; maschi 3600; femmine 3647; famiglie 2785. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con morti per anno 81 e nati 40; cancellati dall’anagrafe 133 e nuovi iscritti 83. Tra i principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 115 in migliaia di lire; versamenti ICI 4217; aziende agricole 572; imprese commerciali 314; esercizi pubblici 47; esercizi all’ingrosso 3; esercizi al dettaglio 120; ambulanti 9. Tra gli indicatori sociali: occupati 1629; disoccupati 222; inoccupati 826; laureati 90; diplomati 754; con licenza media 2439; con licenza elementare 2356; analfabeti 226; automezzi circolanti 2483; abbonamenti TV 1954. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu popolato con continuità fin dall’epoca nuragica, come dimostrano i resti di alcuni nuraghi: Frucca, Is Cabis, Maccioni, Perdas Albas, Pranu, Priogosu. Sono però individuabili anche numerosi siti punici e romani; in epoca tardoimperiale vi sorgeva la miniera di Barbaxia che finı̀ per dare il nome a una regione che si stendeva fino a Fluminimaggiore e nella quale furono deportati i Mauri africani. Tracce di abitati più recenti, probabilmente medioevali, si trovano a Bidda Erdi e a Bidda Sciatta. Di questo grande patrimonio sono in particolare da considerare la Tomba di giganti di Bruncu Espis, situata in località Funtanazza; risalente al Nuragico finale, fu però utilizzata anche successivamente, almeno fino al secolo V a.C. Ha una facciata disposta su un fronte rettilineo che la distingue rispetto alle altre tombe, all’interno la galleria ha pa- reti fortemente aggettanti. Altro monumento significativo è il Tempio punico di capo Frasca, individuato nel 1967. Si tratta di un sacello costruito con blocchi di arenaria, a pianta rettangolare, lungo 12 m e largo 10 m; gli scavi hanno restituito ceramiche di età punica e monete. Il suo rinvenimento ha riacceso in parte la discussione sull’ubicazione del tempio del Sardus Pater che la maggior parte degli studiosi ha individuato in quello di Antas. Suggestiva è anche la villa romana marittima di S’Angiargia, del secolo II d.C., situata nell’omonima località della marina di A. Scavata a partire dal 1980, presenta un impianto incentrato su un portico longitudinale che distingue alcuni ambienti di servizio dalla zona delle terme, di cui rimane il frigidarium con due vasche e il pavimento a mosaico con motivi quadrangolari a foglie di melograno. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE I monumenti più significativi del centro urbano sono le chiese sedi delle due parrocchie. La parrocchia storica si trova nella chiesa di San Sebastiano, costruita nel corso del secolo XVI e ristrutturata in forme barocche entro la metà del XVII. È a una sola navata sulla quale si affacciano alcune cappelle laterali che comunicano tra loro con archi. Al suo interno è conservata una croce in ottone proveniente dal villaggio distrutto di Serru i cui abitanti furono trucidati nel 1611 nel corso di un’incursione di corsari barbareschi; di notevole effetto sono anche i decori marmorei del secolo XVIII quali la balaustra del presbiterio, opera dello Spiazzi, e il fonte battesimale. La chiesa è ricca anche di statue e di dipinti del Seicento e del Settecento e conserva un piccolo tesoro di argenterie sacre. Sede dell’altra parrocchia è la chiesa della Beata 226 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 234 Arbus Vergine Maria Regina, costruita nel 1970 da Antonio Zurrida; ha un impianto a unica navata e conserva al suo interno alcune opere d’arte di artisti contemporanei. Altro monumento significativo è il santuario della Vergine d’Itria che sorge in località Salto Idda. Fu costruito nel 1650, sui resti di un precedente edificio del Cinquecento, e in seguito subı̀ alcuni restauri che si protrassero nel 1719 e nei decenni successivi; l’interno è a una sola navata e conserva una statua del secolo XIX. L’esterno è abbellito da un loggiato e accanto alla chiesa sorgono due ambienti che ospitano gli obrieri che organizzano la festa annuale. Al centro del paese si trova anche il Museo del coltello, collocato in un’antica casa padronale del centro storico e articolato in quattro sale; vi sono esposti coltelli antichi e i prodotti dei migliori artigiani attuali, mentre una sala ricostruisce il laboratorio del coltellinaio; in questa è esposto un coltello lungo più di 3 m e del peso di circa 80 kg, fino a poco tempo fa il più grande del mondo. La visita al museo, fondato dal coltellinaio Paolo Pusceddu, è resa più viva e interessante dal fatto che sorge al fianco di un laboratorio nel quale si producono tuttora coltelli. Elemento caratteristico della cultura arburese sono poi gli impianti dismessi delle due grandi miniere di Montevecchio (=) e di Ingurtosu (=) che sono attualmente divenuti di notevole importanza per l’archeologia industriale. Quelli di Montevecchio, situati a 7 km dal paese, al centro di una vasta concessione mineraria, sono curati da una cooperativa di giovani e permettono di ricostruire tutti gli aspetti delle antiche lavorazioni e della vita dei minatori; oltre agli impianti, di particolare bellezza è il palazzo della direzione della miniera che è diventato un centro mu- seale e di attività culturale. Il complesso di Ingurtosu è costituito da un villaggio con numerose costruzioni in stile neogotico sviluppato lungo il pendio di un monte nella seconda metà dell’Ottocento. Una qualche attrattiva esercitano alcuni tratti di bosco che ricoprono ancora le zone montuose del territorio; ma la maggiore attrattiva è esercitata dalla lunga fascia costiera, nella quale le scogliere si alternano alle spiagge, mentre alcuni tratti sono caratterizzati da distese di dune di grande importanza naturalistica. Malgrado la presenza degli insediamenti militari di capo Frasca e della colonia penale di Is Arenas è stato possibile dare vita per un lungo tratto alla cosiddetta Costa Verde, lungo la quale sono sorti stabilimenti balneari e villaggi turistici. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni popolari rivivono in due feste: quella di San Sebastiano patrono si tiene il 20 gennaio; è preceduta da tre giorni di riti religiosi con la partecipazione corale dei vari rioni del paese che predispongono ciascuno una catasta di legno collocandovi in cima un ramo d’arancio; le cataste vengono accese contemporaneamente al tocco dell’Ave mentre tra la folla dei presenti si distribuiscono le arance; la giornata si conclude con musiche e banchetti. La festa di Sant’Antonio di Padova risale al 1760, si svolge il 13 giugno e vuole probabilmente ricordare come gli abitanti di un borgo scomparso, Santadi, si rifugiassero ad A. portando con sé una statua di Sant’Antonio. I festeggiamenti culminano in una processione che da A. si porta in località Sant’Antonio di Santadi, nelle campagne di Guspini presso l’omonima chiesetta, dove per giorni si svolgono riti religiosi alternati a intrattenimenti e a musica e balli. Altre manifestazioni minori sono 227 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 235 Arca le feste della Beata Vergine d’Itria, che si svolge la prima domenica dopo Pentecoste, e quella di San Lussorio, che si tiene il 21 agosto. Arca, Antoni Scrittore (n. Alghero 1956). Già negli anni dell’Università si interessa della questione della lingua e si appassiona alla storia locale. Ben presto avvia assidui contatti con la cultura catalana d’oltremare partecipando a convegni, dibattiti e pubbliche manifestazioni in tutti i paesi catalani e, al contempo, organizzando analoghe attività in Alghero e in Sardegna; oltre a una intensa attività di traduttore dal catalano all’italiano (Armangué, Arenas, Duarte, Martı́ i Pol, Martorell, Pla, Sotorra, Vallverdú) e da altre lingue al catalano (Cossu, Maraini, Masala). Ha scritto poesie, canzoni, racconti e romanzi per poi approdare alla scrittura per ragazzi e alla scrittura teatrale, lasciandosi guidare dalla motivazione ‘‘linguistica’’ del momento: molti suoi libri sono per i bambini di Alghero, in catalano; molti suoi testi teatrali sono per il mercato sardo, in logudorese. Attualmente insegna Letteratura giovanile e Lingua catalana all’Università di Sassari e i suoi saggi sono, necessariamente, in italiano. Ha all’attivo oltre un centinaio di titoli; ne ricordiamo alcuni: Isabelleida, València 1991; Els catalans no dormim mai, Tarragona 1992; Memòries d’un dia llarguı́ssim, 1993; Tres peces de teatre, 1993; Vedi, voci, 1996; La Torre de l’Esperó, Barcellona 1996; Barceloneta, la història de l’Alguer ensenyada als minyons, 1996; Per una història del meu poble i de mi mateix, Lleida 1998; Buc, Barcellona 2000; Bono d’Iknusa, Barcellona 2001; Paris et ses femmes, Ajaccio 2002; El ximple de Xina, Lleida 2002; Un genere a parte, 2003; Sardegna, infanzia e letteratura oltre le sbarre, 2004; Fabulas. Per una didattica della fiaba, 2005; Anima- zione alla lettura. Teorie e tecniche, 2006; Alghero, città catalana d’Italia, 2006. Arca, Giovanni Proto Nome sotto cui viene tradizionalmente identificato uno scrittore di storia sarda (Bitti 1562-Lodè 1599). Dopo aver iniziato a studiare a Bitti, suo paese natale, entrò come novizio nell’ordine dei Gesuiti e completò gli studi a Cagliari. Di carattere difficile, sebbene fosse stato ordinato sacerdote nel 1592, fu trasferito a Sassari. Poiché la sua insofferenza sembrava ineliminabile, dopo una accurata e dolorosa istruttoria fu espulso dalla Compagnia e tornò nel suo paese natale, dove si dedicò con passione al proprio ministero sacerdotale e agli studi che prediligeva. Poco dopo divenne parroco di Lodé, ma il suo carattere lo rese protagonista di un nuovo episodio di intemperanza per cui fu sottoposto a processo. Secondo Raimondo Turtas, però, si tratta invece di due personaggi distinti: 1. Proto Arca, la cui opera principale sarebbe il De bello et interitu marchionis Oristanei, di recente edito a cura di Maria Teresa Laneri; 2. Proto Giovanni Arca, originario di Bitti, che, battezzato con questi due nomi, li ridusse al solo Giovanni quando, ordinato sacerdote, entrò nella Compagnia di Gesù. Uscitone dopo dieci anni, è autore dei tre libri De Sanctis Sardiniae, pubblicato nel 1598, di un’opera De origine et fortitudine Barbaricinorum, edito nel 1972 a cura di F. Alziator, e di diversi altri studi ancora oggi inediti. Arca, Pietro Funzionario, consigliere regionale (n. Sorradile 1947). Funzionario della Camera di Commercio di Oristano, impegnato fin da giovanissimo nella DC oristanese, nel 1981 ne divenne segretario provinciale. Eletto consigliere comunale DC di Oristano nel 1985, è stato successivamente ri- 228 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 236 Arcedda confermato fino a oggi vivendo tutti i travagli del suo partito. Dal 1990 al dicembre 1993 è stato sindaco della città, guidando una coalizione di centro-sinistra; candidatosi al Consiglio regionale per la X legislatura non è stato eletto, ma il 13 aprile del 1994 è subentrato ad Angelo Atzori nel collegio di Oristano. Passato al CCD, non è stato rieletto. Arcais Marchesato (secc. XVII-XIX). Costituito dalle peschiere di A. e dalle rendite civili dei Campidani Maggiore, di Milis e di Simaxis, fu creato nel 1767 per il mercante oristanese Damiano Nurra (= Nurra3 ) e da lui trasmesso per eredità al nipote Francesco Flores, nato dal matrimonio di sua sorella Minecia con Giovanni Antonio Flores. Arcari, Maria Paola Studiosa di storia delle dottrine politiche (Friburgo 1907Roma 1967). Allieva di Giorgio Del Vecchio, si laureò a Roma nel 1930 e si dedicò con passione alla ricerca e all’insegnamento. Si pose in evidenza già nei suoi primi lavori, che riguardarono soprattutto i legami tra politica ed economia. In seguito cominciò a occuparsi di Storia delle dottrine politiche ed ebbe il primo incarico presso l’Università di Torino; nel 1939 fu chiamata a insegnare Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Cagliari. Legatasi alla Sardegna, negli anni dell’immediato dopoguerra promosse lo sviluppo delle Facoltà giuridiche di cui, a partire dal 1947, fu ininterrottamente preside per vent’anni. Nello stesso periodo si impegnò per ottenere l’autonomia della Facoltà di Scienze politiche. Tra i suoi scritti ricorderemo: I salari agricoli in Italia dal 1905 al 1933, in ‘‘Bollettino mensile di statistica agraria e forestale’’, 1934; Le elaborazioni della dottrina politica nazionale fra l’unità e l’intervento (18701914), 1934; Lineamenti di storia delle dottrine economiche in rapporto all’idea di stato, 1935; La Francia nell’opinione pubblica italiana dal 1859 al 1870, 1939; Storia delle dottrine politiche italiane, 1943; Il Quarantotto in Sardegna, in Il ’48 nella storia italiana ed europea, II, 1949; Sardegna, in Monografie regionali della commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione, III, 1953; I circoli viziosi dell’economia sarda, ‘‘Studi economico-giuridici’’, XIV, 1969. Arce, Joaquı́n Italianista spagnolo (n. Gijón 1932). Laureato in Filologia romanza si è dedicato all’insegnamento universitario. È stato lettore di spagnolo presso l’Università di Bologna e, dal 1950 al 1954, lettore a Cagliari e nel 1955 a Firenze. Tornato in Spagna, ha insegnato italiano nell’Istituto commerciale di Madrid e successivamente letteratura italiana presso l’Università Complutense. Durante gli anni del soggiorno cagliaritano ha avviato uno studio profondo dei rapporti tra la cultura spagnola e quella sarda, alle cui tematiche ha dedicato una parte considerevole della sua produzione. Tra i suoi scritti: Presencia cultural de España en Cerdeña, in ‘‘Alcalá Madrid’’, 1952; La literatura Hispanica en Cerdeña, in ‘‘Archivium’’, VI, 1956; Inscripciones españolas inéditas del siglo XVIII en Cagliari y su provincia, in Studi storici in onore di F. Loddo Canepa, I, 1959; España en Cerdeña. Aportaciones culturales y testimonios de su influjo, 1960 (tradotto nel 1982 da Luigi Spanu, La Spagna in Sardegna). Arcedda Antico villaggio del giudicato di Cagliari compreso nella curatoria della Trexenta. Sorgeva nel territorio dell’attuale Ortacesus. Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere, A. nella divisione del 1258 fu compresa nel terzo toccato ai conti di Capraia e da loro passò al giudice d’Ar- 229 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 237 Arcedi borea. Il giudice Mariano II nel suo testamento (1295) lasciò il villaggio al Comune di Pisa, che però ne entrò in possesso solo nel 1300; da quel momento passò sotto il diretto controllo di Pisa, che ne sfruttò la produzione granaria. Terminata la prima fase della conquista il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e fu concesso in feudo a Guglielmo Serrani. Poco dopo però le ostilità tra Pisa e Aragona ripresero: con la pace del 1326 A. tornò a Pisa, che lo tenne in feudo unitamente a tutta la Trexenta. Negli anni che seguirono il villaggio fu amministrato con fiscale precisione dal Comune in un clima politico di crescente tensione. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV fu occupato dalle truppe giudicali, che lo tennero fino al 1409, e subı̀ gravi danni; tornato in possesso del re dal 1421 fu dato in amministrazione a Giacomo de Besora che dal 1436 lo ebbe in feudo. Con i discendenti del De Besora la crisi di A. divenne inarrestabile e nel corso del secolo XV si spopolò e scomparve. Arcedi Antico villaggio nelle campagne di San Sperate. Era probabilmente di origine romana: nel Medioevo faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Decimo. Quando nel 1257 cessò di esistere il giudicato di Cagliari, nella divisione fatta nel 1258 fu compreso nel terzo assegnato ai Della Gherardesca. In seguito essi fecero una nuova divisione tra loro e A. fu compreso nel sesto toccato ai figli del conte Gherardo del ramo dei conti di Donoratico che, avendo giurato fedeltà al re d’Aragona, dopo la conquista furono riconosciuti feudatari dell’intero territorio. Negli anni che seguirono A. conobbe un periodo di tranquillità e la sua comunità mantenne l’assetto che aveva avuto precedentemente alla conquista. Scoppiata nel 1353 la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, fu sequestrato al conte Gherardo accusato di fellonia e subı̀ gravi danni. Dopo il Parlamento del 1355 fu dato in feudo a Gonario de Serra. Quando nel 1365 riprese la guerra tra Aragona e Arborea, il villaggio fu occupato dalle truppe giudicali e si spopolò rapidamente, scomparendo prima della fine del secolo. Arcennor Antico villaggio del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Cabudabbas. Si trovava a poca distanza dall’attuale abitato di Cossoine. Nel corso del secolo XII era entrato a far parte dei territori che i Doria acquisirono in seguito ai matrimoni di alcuni membri della loro famiglia con principesse della dinastia giudicale. Quando si estinse la dinastia giudicale lo inclusero nel piccolo stato feudale che avevano costituito nei loro possedimenti in Sardegna. Essi però nel 1323 si dichiararono vassalli del re d’Aragona per cui continuarono a tenere A. come feudo del re d’Aragona. Il villaggio si ribellò nel 1325 e fu ripetutamente danneggiato dalla interminabile guerra. Spopolato, scomparve prima della fine del secolo XIV. Archelao, santo (in sardo, Santu Archelau, Santu Grillau) Santo (Forum Traiani, sec. I-?, 100). Martire, nacque a Forum Traiani, oggi Fordongianus, da una famiglia pagana. Studiò a Carales, Cagliari, dove secondo la tradizione si sarebbe convertito. Ordinato sacerdote dal vescovo Avendrace, annunciò il Vangelo nella sua città e venne arrestato. Lapidato, dopo essere stato torturato, il 29 agosto dell’anno 100, fu seppellito nella cripta della chiesa di San Lussorio, a Fordongianus. Le sue reliquie rinvenute nel 1615 sono state traslate nel Duomo d’Oristano. «Sant’Archelao – secondo Salvatore Angelo Scintu (1873) – come sacer- 230 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 238 Archelao dote e martire e come patrono della diocesi d’Arborea era riconosciuto e venerato anche prima dell’invenzione del suo santo corpo e da tempo che eccede ogni memoria. Non esiste alcun documento né tradizione che la diocesi d’Arborea abbia venerato altro patrono tranne il sacerdote e martire Sant’Archelao. In Fordongianus è ancora fresca e mai variata memoria che prima dell’invenzione della sepoltura del santo, ogni anno per la festa, che pur come oggi si celebrava il 29 agosto, si recava in Fordongianus un numero di canonici del capitolo d’Oristano per celebrarvi i vesperi e la messa solenne, e che anzi una delle ragioni per cui Fordongianus e gli altri comuni del circondario, dopo cinque giorni di resistenza, abbiano consentito al trasporto in Oristano delle sante reliquie è stata quella di risparmiare allo stesso capitolo il disagio e il pericolo di recarsi a quel paese in stagione cosı̀ critica. La festa di Sant’Archelao prima dell’invenzione e traslazione del santo corpo si celebrava nel giorno del suo martirio il 29 agosto: trovato il corpo, volendo portare alla memoria dei posteri la pomposa traslazione delle reliquie, si fissò quel giorno che è l’11 febbraio per la festa principale. Dopo sessantacinque anni, visto in pratica l’inconveniente, la festa principale si è restituita al giorno del martirio». «Archelao – la nota è di Raimondo Zucca (1989) – divenuto presbitero della Chiesa di Forum Traiani, testimoniò la propria fede in un centro fondamentalmente pagano, subendo il martirio mediante lapidazione. La narrazione della sua passio appare esclusivamente a partire dal secolo XVII e più precisamente dal 1615, anno della inventio, ritrovamento, delle sue spoglie nella crypta della chiesa di San Lussorio, sita al margine della via a Turre Carales, a un miglio romano a sud di Forum Traiani. L’inventio del corpo del santo avvenne nello stesso periodo in cui a Porto Torres, presso la basilica di San Gavino, e a Cagliari, intorno alle chiese di San Saturno e San Lucifero, i rispettivi vescovi avevano promosso ricerche archeologiche tese alla scoperta delle spoglie dei martiri che si pensava fossero sepolti presso quelle antiche chiese. La tomba del santo venne identificata sulla base dell’iscrizione sul lastrone trachitico della copertura: ‘‘Hic iacet b.m. Archelaus presbiter obit quarto Kalendas septembres’’. L’abbreviazione b.m., bona memoria, è diventata beatus martyr ed è stato aggiunto un anno, 100, scritto secondo la numerazione araba prima ancora dell’introduzione in Europa della stessa numerazione. Se effettivamente martire, Archelao poté patire il supplizio non già sotto Traiano, epoca in cui Forum Traiani difficilmente poté avere una comunità cristiana, bensı̀ durante le persecuzioni del III o principio del secolo IV (sotto Decio o ancor meglio sotto Diocleziano), l’unico periodo per il quale le testimonianze storiche ci documentano violente persecuzioni anche in Sardegna». Con la Madonna del Rimedio è compatrono dell’archidiocesi d’Oristano. Ormai al passato remoto il carattere pagano della festa, quando i malati si coricavano sulla sua tomba, nella chiesa di San Lussorio, o si cospargevano con il fango formatosi sul pavimento per via dell’acqua penetrata durante l’inverno. Fango ritenuto ottimo rimedio contro tutti i mali. Scomparsi anche i riti dell’incubazione e del culto fallico. Una scultura fallica si trova in una colonna dell’abside all’esterno della chiesa. [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Oristano. 231 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 239 Archeologia della Sardegna Festa Si festeggia l’11 febbraio a Oristano, il 29 agosto a Fordongianus. Archeologia della Sardegna Il concetto di a. quale scienza storica autonoma è abbastanza recente e vi si è arrivati con un processo di maturazione che parte dalla seconda metà dell’Ottocento; in precedenza, a partire dal Rinascimento, l’a. era vista come una disciplina ausiliare della storia, della filologia e della storia dell’arte. L’interesse per l’antichità nasce in Italia nel Quattrocento con scoperte occasionali ma anche con ricerche intenzionali che portano, per esempio, alla scoperta delle pitture della Domus Aurea di Nerone. & DAL CINQUECENTO AL SETTECENTO In Sardegna la prima opera che mostra attenzione per le vicende più antiche dell’isola è il testo in latino, Sardiniae brevis istoria et descriptio, scritto da Sigismondo Arquer per la Cosmographia di Sebastian Münster edita a Basilea nel 1550. L’Arquer, utilizzando le fonti classiche, traccia la prima sintesi dei dati concernenti le più antiche vicende dell’isola. Con questo autore si ha, inoltre, la prima descrizione dei nuraghi e l’individuazione della loro funzione quali fortezze. L’opera dell’Arquer è poi ampliata da G. Francesco Fara con il De Rebus Sardois; anche in questo testo ci si sofferma sui nuraghi, evidenziandone le caratteristiche costruttive senza però esprimersi sulla loro funzione (monumenti funebri o torri). Nel Seicento gli studiosi (Dimas Serpi, Miguel Carillo, Salvador Vidal, Francesco De Vico, Giovanni Pintus) si occupano dei nuraghi in modo limitato, soffermandosi soprattutto sui temi dell’origine e della funzione di questi edifici. Nel Settecento continuano i riferimenti storico-letterari senza una precisa analisi critica. Appaiono però le prime rappresentazioni grafiche per merito di G. Paolo Nurra e di Francesco Cetti; quest’ultimo, in particolare, ha rappresentato un nuraghe complesso nel quale si suole riconoscere il Santu Antine di Torralba. & L’OTTOCENTO Ma è con l’Ottocento che prende avvio l’a. in Sardegna; dalla fase descrittiva del primo cinquantennio si passa ai primi scavi condotti con propositi scientifici. L’articolo I nuraghi, inserito da Vittorio Angius tra le voci del Dizionario storicogeografico del Casalis (1839), può essere considerato il primo studio di a. nuragica. All’inizio dell’Ottocento l’attenzione per i nuraghi è presente anche in altri studiosi sardi e della penisola e soprattutto nella prestigiosa opera di Alberto Lamarmora (1840). Questo autore ha avuto il gran merito di aver descritto con accuratezza e disegnato numerosi nuraghi e di averli fatti conoscere alla letteratura archeologica internazionale. Il Lamarmora ha analizzato e disegnato anche alcune Tombe di giganti, le caratteristiche sepolture collettive delle genti nuragiche, e monumenti di epoca storica come il teatro romano di Nora. A partire dalla metà dell’Ottocento si sviluppa la ricerca del primo vero archeologo sardo, il canonico Giovanni Spano. È lui che esegue i primi scavi, evidenzia la stratigrafia dei depositi archeologici, inizia lo studio sistematico dei reperti, arrivando a dare risposte critiche sui grandi temi della civiltà nuragica. Ciò avvenne, in particolare, dopo la partecipazione dello stesso Spano al Congresso internazionale di Preistoria tenutosi a Bologna nel 1871. Per la sua partecipazione a un congresso in cui si discuteva dell’origine dell’uomo in senso positivistico-evoluzionistico e per la sua adesione ai concetti fondamentali espressi in quel congresso, lo Spano si procura anche accuse di ere- 232 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 240 Archeologia della Sardegna sia, ma imprime una svolta decisiva alla ricerca archeologica in Sardegna. Si devono allo Spano anche importanti scoperte di materiali archeologici come quelle dei lingotti egei di Serra Ilixi-Nuragus e dei ripostigli di bronzi figurati di età nuragica di Abini-Teti e di Monte Arcosu-Uta. Tra i meriti dello Spano va annoverata anche la creazione di due riviste: il Bullettino Archeologico Sardo e Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna. Opera fondamentale della fine dell’Ottocento è La Sardegna prima del dominio romano di Ettore Pais, in cui viene affermata una netta distinzione tra civiltà nuragica e civiltà fenicio-punica e riconosciuta una civiltà paleosarda autonoma. Altri contributi nello scorcio del secolo sono quelli del padre Alberto Centurione con le sue osservazioni di carattere tecnico e topografico sui nuraghi, e soprattutto di Filippo Vivanet e di Filippo Nissardi, i quali avviano lo scavo del nuraghe Losa di Abbasanta ed effettuano le prime esplorazioni nella città di Nora scavando il tofet e le necropoli ipogeiche puniche. Ma l’Ottocento vede svilupparsi anche il grande interesse per la città di Tharros: il promontorio di capo San Marco con le sue ricche tombe ipogeiche puniche diventa oggetto, a metà del secolo, di un sistematico saccheggio da parte di scavatori improvvisati. Il materiale è in buona parte disperso in collezioni pubbliche e private e raggiunge anche grandi musei stranieri quali il Louvre e il British Museum. Di poco antecedenti e successivi all’opera di saccheggio sono i primi scavi sistematici a opera dei funzionari del Museo di Cagliari (1844), del canonico Spano, del Nissardi (1886-87), ispettore della Direzione degli scavi di Sardegna. L’Ottocento si caratterizza anche per lo sviluppo del collezionismo, che porta alla costituzione di ricche raccolte di materiali preistorici e storici che confluiscono in seguito, per acquisto o donazioni, nel Museo di Cagliari. L’importante collezione Spano, ma anche altre meno cospicue (Castagnino, Timon, Caput, Cara, Vivanet) hanno permesso il recupero di alcuni reperti di straordinaria importanza che sono ancora oggi tra gli oggetti più significativi dell’esposizione museale cagliaritana. & IL NOVECENTO Il secolo XX si apre con un’opera di sintesi notevole, Monumenti primitivi della Sardegna di Giovanni Pinza. L’opera, del 1901, raccoglie i dati degli scavi e delle ricerche effettuati fino ad allora in Sardegna, ricorrendo per la prima volta anche all’ausilio delle immagini fotografiche; valore essenziale dell’opera del Pinza è quello di aver posto l’a. preistorica sarda nel circuito della letteratura scientifica nazionale e internazionale. L’a. del Novecento è legata però al nome di Antonio Taramelli, che dal 1903 al 1935 con indagini territoriali e con scavi mirati fa conoscere un numero eccezionale di monumenti, tanto che a tutt’oggi qualsiasi studio non può prescindere dai suoi lavori. Giunto in Sardegna dal 1902 come direttore incaricato e poi dal 1908 come direttore stabile del Museo archeologico di Cagliari e degli Scavi e antichità della Sardegna, vi resta fino al 1933. La sua attenzione si è rivolta non solo ai nuraghi ma anche ai monumenti e ai reperti di epoca anteriore, anche se al suo nome sono legate la scoperta e le prime indagini dei monumenti più significativi di età nuragica: i nuraghi Palmavera di Alghero, Lugherras di Paulilatino, Santu Antine di Torralba, i villaggi di Abini-Teti e Serucci-Gonnesa, il santuario di Santa Vittoria di Serri, i pozzi sacri di Sant’Anastasia di Sardara e di Predio Canopoli di Perfugas, per ci- 233 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 241 Archeologia della Sardegna tarne solo alcuni. Al Taramelli si devono anche importanti scavi di ambito punico e romano tra i quali quello di 180 ipogei della necropoli di Tuvixeddu a Cagliari. Il Taramelli si adopera per dare una sede prestigiosa ai numerosi reperti che si erano andati accumulando nella più importante città dell’isola: nel 1904 venne inaugurato, in prossimità delle mura pisane e della torre trecentesca di San Pancrazio, il Museo nazionale di Cagliari, progettato da Dionigi Scano. Proseguono l’opera del Taramelli alcuni studiosi di fama quali Doro Levi, che conduce una serie di scavi sul villaggio nuragico di Serra Orrios e nelle necropoli puniche di Olbia, e Salvatore Puglisi, al quale si devono i primi scavi di ambito preistorico in Gallura. Nel periodo dal 1933 al 1949 l’attività archeologica subisce un forte rallentamento. Dalla seconda metà del Novecento inizia una nuova fase dell’a. in Sardegna, grazie alla maggior tutela esercitata dallo stato con la creazione di una Soprintendenza archeologica anche a Sassari e all’ampliarsi del numero di cattedre di a. negli Atenei sardi. Nel 1950, dopo varie ricognizioni nell’isola, l’etruscologo Massimo Pallottino pubblica La Sardegna nuragica, sintesi notevole dei vari aspetti della società nuragica. Dal 1937 opera Giovanni Lilliu, cui si deve una serie consistente di scavi archeologici tra i quali spicca per ricchezza di dati forniti quello nel complesso di Su Nuraxi di Barumini. La lunga attività di Lilliu tocca tutti i campi della paletnologia sarda, in particolare quella nuragica, collegando sempre le vicende della Sardegna con quelle delle altre regioni del Mediterraneo ed evidenziando di volta in volta le relazioni tra le culture sarde e quelle extrainsulari. Il suo lavoro fondamentale è La civiltà dei Sardi, più volte edita e aggiornata, in cui traccia una sintesi della paletnologia sarda dal Neolitico all’età dei nuraghi, ma numerosissimi sono i suoi scritti sia di carattere generale che su argomenti specifici. Tra questi meritano menzione, in particolare, i volumi I nuraghi, torri preistoriche della Sardegna, essenziale per la conoscenza dell’architettura nuragica, e Sculture della Sardegna nuragica, in cui attraverso un’attenta analisi stilistica delle figurine di bronzo viene fornito un quadro della società nuragica. Ultimo grande merito di Giovanni Lilliu è quello di aver formato attraverso il suo insegnamento universitario, e in particolare con la creazione della cattedra di Antichità Sarde, diverse generazioni di allievi che hanno operato e ancora conducono ricerche sia in ambito universitario sia presso le Soprintendenze Archeologiche. Il Novecento vede anche il grande sviluppo delle ricerche e dello studio delle testimonianze fenicio-puniche dell’isola. Dal 1956 al 1964 Gennaro Pesce, allora soprintendente alle Antichità di Cagliari, riporta alla luce parte dell’abitato e l’area del tofet della città di Nora. Ma il grande impulso alla ricerca a Tharros e in altri siti fenicio-punici è merito di Ferruccio Barreca, per lunghi anni soprintendente archeologo per le province di Cagliari e Oristano. Grazie anche alla lunga collaborazione con l’Istituto per la Civiltà fenicia e punica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso sono state effettuate approfondite indagini nel tofet di Tharros, nell’abitato, nel tofet e nelle necropoli di Monte Sirai, nel tempio di Antas. Quale soprintendente per le province di Cagliari e Oristano dal 1967, Barreca ha promosso, inoltre, numerose indagini in contesti che vanno dal Neolitico antico 234 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 242 Archivi della Sardegna sino all’Età medioevale. Gli anni compresi tra il 1957 e il 1968 sono caratterizzati anche da un’intensa attività di tutela, conservazione, scavo archeologico, restauro nella città romana di Turris Lybisonis, a opera del soprintendente Guglielmo Maetzke. Al suo successore alla guida della Soprintendenza sassarese, Ercole Contu, si deve l’ampliamento e un nuovo ordinamento del Museo nazionale ‘‘G.A. Sanna’’ (1973) di Sassari e numerosi scavi, soprattutto di ambito preistorico, tra i quali spicca quello dell’altare megalitico di Monte d’Accoddi, tra Sassari e Porto Torres. [LUISANNA USAI] Oggi l’attività nel campo dell’a. in Sardegna è affidata alle due Soprintendenze per i beni archeologici delle province di Cagliari e Oristano (Soprintendente Vincenzo Santoni) e delle province di Sassari e Nuoro (Soprintendente Francesco Nicosia, andato in pensione nel 2006) e alle cattedre di a. delle due Università di Cagliari e Sassari dove hanno insegnamento Simonetta Angiolillo, Annamaria Comella, Carla Del Vais, Marco Giuman, Rossana Martorelli, Giuseppa Tanda, Giovanni Ugas (Cagliari), Piero Bartoloni, Anna Depalmas, Maria Grazia Melis, Alberto Moravetti, Giampiero Pianu, Piergiorgio Spanu, Alessandro Teatini, Barbara Wilkens (Sassari). Molti altri studiosi, sardi e non sardi, si sono occupati dell’a. isolana. I loro nomi e la loro opera sono ricordati sotto singole voci nelle pagine di questa Enciclopedia. l’opera di Santa Maria di Pisa. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere il villaggio, nella divisione del 1258, fu incluso nel terzo assegnato ai Visconti e annesso al giudicato di Gallura. Estinti i Visconti, fu amministrato direttamente da Pisa, che sfruttò le grandi peschiere e le saline impiantate nel suo territorio. Avviata la conquista aragonese, il territorio fu investito dalle operazioni militari e devastato dalle truppe dell’ammiraglio Carroz; cosı̀ A. entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti continuarono a mantenere un atteggiamento ostile nei confronti degli invasori. Il villaggio subı̀ nuovi danni durante la guerra tra Genova e Aragona e quando nel 1353 scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV si ribellò apertamente. Finita la guerra fu concesso in feudo ai Dalmau che già possedevano una parte della curatoria, ma la situazione non cambiò: quando la famiglia si estinse, nel 1362, il villaggio era completamente spopolato. Architano Parvo Antico villaggio di probabili origini romane. Situato in prossimità dell’abitato attuale di San Nicolò d’Arcidano; nel Medioevo faceva parte del giudicato d’Arborea ed era compreso nella curatoria del Bonorzuli. La sua popolazione diminuı̀ notevolmente a causa della peste del 1348; scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV, fu teatro delle operazioni militari e scomparve pochi anni dopo. Archiepiscopu Antico villaggio di ori- Archivi della Sardegna La Sardegna è gine altomedioevale nel giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Colostrai. Aveva una certa importanza perché probabilmente era il capoluogo della curatoria; nel 1070 fu donato dal giudice Orzocco all’arcivescovo di Cagliari, ma alla fine del secolo passò al- ricca di materiali archivistici custoditi in numerosi archivi pubblici e privati, peraltro non tutti ordinati e accessibili. Si tratta di materiali prevalentemente posteriori al secolo XIV. I principali archivi sono: Abbasanta: Archivio storico comunale, 235 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 243 Archivi della Sardegna con documenti a partire dal secolo XVIII; Archivio parrocchiale. Aidomaggiore: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Albagiara: Archivio storico comunale. Ales: Archivi della Curia e del Capitolo, attualmente riordinati e aperti al pubblico; Archivio storico comunale, con documenti dal secolo XIX e documenti di Curcuris, Pau e Zeppara. Allai: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Alghero: Archivio comunale; Archivio della Curia arcivescovile; Archivio del Capitolo metropolitano; Archivio Simon Guillot. Arborea: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Arbus: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Ardauli: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Aritzo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Armungia: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Arzana: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Assemini: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Assolo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Asuni: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Atzara: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Austis: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Ballao: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Baradili: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Baratili San Pietro: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Baressa: Archivio storico comunale, con anche i documenti del Comune di Baradili; Archivio parrocchiale. Bauladu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Bidonı̀: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Berchidda: Archivio storico comunale; Archivio dello scrittore Pietro Casu. Bonarcado: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Boroneddu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Busachi: Archivio storico comunale, anche con documenti di Ula; Archivio parrocchiale. Bosa: Archivio comunale; Archivio del Capitolo metropolitano. Cabras: Archivio storico comunale, anche con documenti di Solanas; Archivio parrocchiale. Cagliari: Archivio di Stato; Archivio della Curia arcivescovile; Archivio del Capitolo metropolitano; Archivio comunale; Archivio dell’Amministrazione provinciale; Archivio privato Amat di San Filippo; Archivio dell’Arciconfraternita dei Genovesi; Archivio dell’Arciconfraternita di Sant’Efisio; Archivio dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza. Carbonia: Archivio storico comunale. Castelsardo: Archivio comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano. Cuglieri: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Curcuris: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Desulo: Archivio Montanaru (pseudonimo del poeta Antioco Casula). Fordongianus: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Ghilarza: Archivio storico comunale, anche con documenti di Boroneddu, Norbello, Soddı̀, Zuri; Archivio parrocchiale. Gonnoscodina: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Gonnosnò: Archivio storico comunale, 236 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 244 Archivi della Sardegna anche con documenti di Figu e di Sini; Archivio parrocchiale. Gonnostramatza: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Iglesias: Archivio comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano. Isili: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Lanusei: Archivio comunale. Laconi: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale; Archivio privato Aymerich. Mandas: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Marrubiu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Masullas: Archivio storico comunale, anche con documenti di Pompu; Archivio parrocchiale. Milis: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Mogorella: Archivio storico comunale, anche con documenti di Sant’Antonio Ruinas; Archivio parrocchiale. Mogoro: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Morgongiori: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Narbolia: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Neoneli: Archivio storico comunale, con annesso Archivio della curia feudale; Archivio parrocchiale. Norbello: Archivio storico comunale, anche con documenti di Domusnovas Canales; Archivio parrocchiale. Nughedu Santa Vittoria: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Nulvi: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Nuoro: Archivio di Stato; Archivio comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano. Nurachi: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Nureci: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Nurri: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Oliena: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale; Archivio dei Gesuiti. Ollastra: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Oristano: Archivio comunale, anche con documenti di Donigala Fenughedu, Massama, Nuraxinieddu, Santa Giusta, Silı̀; Archivio della Curia arcivescovile; Archivio del Capitolo metropolitano. Osilo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Ozieri: Archivio storico comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano. Palmas Arborea: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Pau: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Paulilatino: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Pompu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Riola Sardo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Ruinas: Archivio storico comunale, anche con documenti di Sant’Antonio Ruinas; Archivio parrocchiale. Samugheo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Sanluri: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale; Archivio del castello Villasanta; Archivio del convento dei Cappuccini. San Nicolò d’Arcidano: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Santa Giusta: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Santu Lussurgiu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. San Vero Milis: Archivio storico comu- 237 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 245 Archivio di Stato di Cagliari nale, anche con documenti di Narbolia e di Zeddiani; Archivio parrocchiale. Sarroch: Archivio Manca di Villahermosa; Archivio parrocchiale. Sassari: Archivio di Stato; Archivio comunale; Archivio della Curia arcivescovile; Archivio del Capitolo metropolitano; Archivio Ascione; Archivio Garau; Archivio A. Segni. Scano di Montiferro: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Sedilo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Seneghe: Archivio comunale, Archivio Pili; Archivio parrocchiale. Senis: Archivio storico comunale, anche con documenti di Assolo e di Nureci; Archivio parrocchiale. Sennariolo: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Senorbı̀: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Siamaggiore: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Siamanna: Archivio storico comunale, anche con documenti di Siapiccia e di Villaurbana; Archivio parrocchiale. Siapiccia: Archivio storico comunale. Simala: Archivio storico comunale. Simaxis: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Sini: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Siris: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Soddı̀: Archivio storico comunale, anche con documenti di Zuri; Archivio parrocchiale. Solarussa: Archivio storico comunale, anche con documenti di Siamaggiore; Archivio parrocchiale. Sorradile: Archivio storico comunale, anche con documenti di Nughedu Santa Vittoria; Archivio parrocchiale. Suelli: Archivio parrocchiale; Archivio Ruda di San Lorenzo. Tadasuni: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Tempio Pausania: Archivio comunale; Archivio della Curia vescovile; Archivio del Capitolo metropolitano. Terralba: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Tortolı̀: Archivio comunale, Archivio della Curia vescovile. Tramatza: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Tresnuraghes: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Ula Tirso: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Uras: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Usellus: Archivio storico comunale, anche con documenti di Escovedu e di Ollastra Usellus; Archivio parrocchiale. Villacidro: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale; Archivio del Seminario. Villanova Truschedu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Villa Sant’Antonio: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Villaurbana: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Villa Verde: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Zeddiani: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Zerfaliu: Archivio storico comunale; Archivio parrocchiale. Archivio di Stato di Cagliari Archivio erede di un’antica tradizione archivistica che rimanda a quando la città era la capitale del Regnum Sardiniae. Le prime notizie risalgono alla costituzione dell’Archivio Patrimoniale voluta da Filippo III nel 1618 come Archivio generale di tutti gli uffici patrimoniali del Regno e che raccolse i documenti dei più vecchi archivi a cominciare da quello del Razionale, istituito nel 1332. Tra il 1755 e il 1763 prese il 238 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 246 Archivio di Stato di Nuoro nome di Archivio Centrale e Generale e si assunse il compito di raccogliere, oltre che i documenti dei vecchi a., anche quelli correnti. Infine nel 1776, con regio biglietto di Vittorio Amedeo III, divenne Regio Archivio e fu ospitato nell’edificio dell’ex convento di Santa Croce dei Gesuiti. In esso furono conservati i documenti della cessata amministrazione spagnola, quelli relativi all’amministrazione piemontese e i provvedimenti normativi regi, viceregi e delle altre autorità minori; inoltre l’intendente generale vi depositò i documenti del periodo feudale. Nel 1846 si arricchı̀ ulteriormente perché vi vennero depositati tutti i documenti dell’Archivio Patrimoniale e quindi, nel 1847, quelli relativi alle magistrature soppresse con la ‘‘fusione’’. Nasceva cosı̀ nel 1848 il suo nuovo assetto; questo ingente patrimonio nel 1849 fu spostato al piano terreno del Palazzo regio, che però si rivelò inadeguato a contenerlo convenientemente. Perciò nel 1884 fu trasferito nella chiesa di Santa Teresa (l’attuale Auditorium), che venne appositamente adattata per riceverlo e renderne possibile l’utilizzazione. Negli stessi anni fu avviata l’opera di riordino e di classificazione dei documenti. Ciò fu possibile grazie all’opera di valenti archivisti tra i quali vanno ricordati Gerolamo Azuni, che compilò il primo elenco dei fondi; Giovanni e Ignazio Pillito, ai quali si deve l’istituzione della scuola di paleografia. Nel 1902 Silvio Lippi, allora direttore dell’archivio, ne pubblicò l’inventario, ponendo a disposizione degli studiosi uno strumento di grande utilità. Egli provvide inoltre a trasportare l’archivio dalla sede di Santa Teresa, dove rimase fino al 1929, all’attuale palazzo dell’archivio in via Sonnino. La sua opera fu continuata da Raffaele di Tucci e soprattutto da Francesco Loddo Canepa: quest’ultimo ebbe il merito di salvare il patrimonio documentale dai bombardamenti e di provvedere, nel dopoguerra, alla ripresa dell’attività. Dopo il Loddo Canepa operarono alla guida dell’archivio apprezzati studiosi come Giovanni Todde e Gabriella Olla Repetto. L’attuale direttrice è Marinella Ferrai Cocco Ortu. L’archivio contiene importanti documenti: 333 pergamene, 202 940 documenti cartacei raccolti in più di 80 000 volumi di atti pubblici, deliberazioni, pregoni, una biblioteca con 20 000 volumi e opuscoli. Attualmente il ricco materiale documentario è ordinato in fondi, i più importanti e interessanti dei quali sono: 1. L’Antico Archivio Regio, che conserva i documenti più antichi relativi al periodo aragonese e spagnolo, riferiti a un arco di tempo che va dal 1323 al 1717. Il materiale è disposto per sezioni, regestato e catalogato. 2. Il Regio Demanio, che comprende documenti riferibili al periodo che va dal Cinquecento all’Ottocento. I documenti più interessanti riguardano le scrivanie, i feudi e la Reale Udienza. 3. Archivio notarile, costituito dai documenti provenienti dalle Tappe di insinuazione della provincia di Cagliari e relativi al periodo 1430-1869. 4. Archivio dei Catasti. 5. Corporazioni religiose ed enti ecclesiastici. 6. Gli archivi delle opere pie e degli Ospedali. 7. Le Miscellanee, che comprendono le Pergamene (1300-1851) e gli statuti dei gremi. 8. Archivi di famiglie particolari e di privati (Aymerich, Addis, Ballero, Cabras, Castoldi, Cossu Baylle, Floris, Gallini, Manconi, Martini, Orrù, Sotgiu, Thorel e molti altri). Archivio di Stato di Nuoro Archivio costituito tra il 1959 e il 1963, contiene documenti provenienti da archivi di altre province relativi ai territori che furono inclusi nella provincia di Nuoro 239 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 247 Archivio di Stato di Oristano quando fu costituita, nel 1927. Contiene anche i fondi dell’Archivio Notarile di Nuoro; i fondi degli uffici giudiziari; i fondi della prefettura, importanti per il primo quindicennio di vita della cosiddetta ‘‘Provincia del Littorio’’; i fondi degli enti religiosi soppressi di Sennariolo, Bosa, Cuglieri, Santu Lussurgiu; il fondo dell’Ufficio del registro di Bosa; gli archivi della famiglia Delitala di Orani; una raccolta di pergamene dal secolo XVI. Archivio di Stato di Oristano Archivio costituito nel 1974, quando fu ricostituita la provincia di Oristano; comprende i fondi provenienti dagli archivi notarili; il fondo della direzione didattica; il fondo degli enti ecclesiastici soppressi; il fondo del Distretto militare. Si tratta di un materiale non molto consistente e in gran parte da riordinare e classificare. Archivio di Stato di Sassari Archivio di antica origine. Ebbe vita travagliata, infatti già nei secoli passati i documenti venivano riordinati e custoditi in armadi, ma purtroppo buona parte andò distrutta nel 1528, quando la città fu saccheggiata dai francesi. In seguito i documenti del Consiglio ripresero a essere ordinati in appositi armadi, e tra il 1684 e il 1687 venne compilato il primo indice dei documenti custoditi nell’Archivio del Comune. Nel secolo successivo l’archivio continuò a svilupparsi presso il Comune; nel 1780, durante i moti della carestia, la Casa comunale fu invasa dai rivoltosi che ne distrussero e dispersero una parte. Nei decenni successivi si tentò di salvare ciò che restava e quando, nel 1834, fu terminata la costruzione della nuova Casa comunale, l’archivio vi fu trasportato. I materiali rimasero in una soffitta, ammonticchiati alla rinfusa, fino al 1878, quando fu inaugurato Palazzo ducale. Nel 1879 Enrico Costa intuı̀ l’importanza del Fondo antico dell’Archivio, ma negli anni successivi fu riordinato solo il Fondo moderno. Finalmente nel 1895 lo stesso Costa venne nominato archivista e iniziò l’opera di riordino e di catalogazione delle carte che furono disposte in locali più idonei, e pubblicò anche un libro-inventario sui documenti conservati e la loro storia. Un ulteriore passo fu fatto quando nel 1959 fu istituito l’A. di S. di S. In esso confluirono, oltre che i fondi storici del Comune, tutti i materiali provenienti da archivi di uffici precedenti all’Unità e soppressi, ma anche di quelli istituiti con la proclamazione del Regno d’Italia, nonché un ingente fondo notarile, che conserva documenti a partire dal secolo XVI. In particolare sono da prendere in considerazione anche i fondi provenienti dalla Reale Governazione relativi alla giurisdizione civile e criminale dal 1667 al 1840; e inoltre il fondo storico del Comune di Castelsardo; il fondo reale di Alghero; il fondo delle giudicature di Alghero, Ploaghe, Porto Torres, Villanova Monteleone; i fondi degli uffici giudiziari; i fondi degli enti religiosi soppressi di Alghero, Padria, Ozieri, Pozzomaggiore; i fondi degli archivi privati delle famiglie Lavagna, Manca di Mores e molti altri. ‘‘Archivio Sardo del Movimento Operaio Contadino e Autonomistico’’ Rivista fondata e diretta da Girolamo Sotgiu a partire dal 1973; dopo la sua scomparsa la pubblicazione è continuata a cura dell’Istituto di Ricerche storico-politiche ‘‘Girolamo Sotgiu’’, diretta da Bruno Anatra col titolo Archivio sardo di studi storici e sociali. Negli anni si è avvalsa della collaborazione di: Aldo Accardo, Marina Addis Saba, Bruno Anatra, Francesco Artizzu, Paola Atzeni, Luigi Berlinguer, Italo Birocchi, Manlio Brigaglia, Maria 240 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 248 Archivio storico del Comune di Cagliari Rosa Cardia, Luciano Carta, Giovanna Cerina, Mario Da Passano, Antonio Delogu, Lorenzo Del Piano, Maria Concetta Dentoni, Giuseppe Doneddu, Francesco Floris, Federico Francioni, Clara Gallini, Francesco Manconi, Raffaello Marchi, Luciano Marrocu, Antonello Mattone, Sandro Maxia, Guido Melis, Costantino Murgia, Giovanni Murgia, Claudio Natoli, Gian Giacomo Ortu, Carlo Pillai, Paolo Pillonca, Stefano Pira, Giovanni Pirodda, Laura Pisano, Giampaolo Pisu, Giuseppe Puggioni, Maria Stella Rollandi, Anna Saiu Deidda, Antonio Sanna, Piero Sanna, Mirella Scarpa Senes, Renata Serra, Giuseppe Serri, Carlino Sole, Girolamo Sotgiu, Giovanni Todde, Eugenia Tognotti, Gianfranco Tore, Lucilla Trudu, Margherita Zaccagnini. Archivio storico comunale di Sassari Archivio comunale che conserva la documentazione storica cittadina sassarese. Quest’ultima è attualmente divisa in due grandi sezioni, Antica e Moderna, che rispecchiano con le dovute eccezioni la partizione voluta alla fine dell’Ottocento da Enrico Costa. Archivista del Comune di Sassari tra il 1895 e il 1909, Enrico Costa ci ha anche lasciato una nitida fotografia delle traversie vissute dalle carte civiche. Alcune sono entrate nella memoria collettiva: per secoli, la città ha ricordato la quema de los franceses, l’incendio appiccato dai francesi capeggiati da Renzo Ursino nel 1528; anche la cosiddetta ‘‘rivolta del pane’’ del 1780 fu una delle occasioni di massima dispersione dei documenti comunali, distrutti come emblema del potere dalla folla affamata. Ma più di tutto pesarono la negligenza e il disinteresse dell’uomo, che lasciarono le carte civiche in pasto ai ratti e preda degli agenti atmosferici. Si deve proprio all’opera di Enrico Costa il recupero e il riordina- mento del cosiddetto Archivio Antico che abbracciava la documentazione comunale dalle origini sino al 1848. Nel corso del Novecento le aumentate funzioni della macchina comunale e l’assenza di una figura di assoluto prestigio come tutore della memoria della città aprirono la strada a un lungo periodo di oblio per la documentazione civica. Proprio per preservare la documentazione dalla dispersione e per garantirne un’idonea conservazione e valorizzazione, le carte della Sezione Antica vennero depositate nel 1969 presso l’Archivio di Stato di Sassari. A partire dal 2000 nell’ottica di un recupero della memoria civica e della sua valorizzazione il Comune di Sassari ha fatto rinascere il proprio Archivio Storico Comunale. Attualmente è ospitato a Palazzo ducale, in attesa del trasferimento nella nuova sede ubicata nel palazzotto dell’ex Archivio Notarile. Custodisce la Sezione Moderna, con documenti a partire dal 1848, anno di promulgazione della legge istitutiva del nuovo ordinamento comunale valido per tutti i territori del Regno di Sardegna. Ogni ambito della vita cittadina compresa tra la metà dell’Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento trova eco in questo ricco patrimonio documentario, continuamente aggiornato. La vita politico-istituzionale è testimoniata dai circa 400 volumi degli organi deliberanti susseguitisi nel corso del tempo al governo della città. A loro volta, gli atti facenti parte del Carteggio (oltre 5000 fascicoli) consentono di affrontare studi di storia urbana. L’Archivio si avvale anche di una ricca dotazione iconografica. Fanno parte dell’Archivio anche alcuni archivi aggregati di Opere Pie e istituzioni benefiche. Archivio storico del Comune di Cagliari Archivio comunale. Conserva 241 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 249 Archivio storico sardo un’ingente quantità di documenti da quando, nel secolo XIV, fu costituito il Comune. L’insieme dei documenti fu custodito dapprima in cattedrale, dove fino al Cinquecento il Consiglio comunale si riuniva. Nel 1482 Ferdinando II ordinò che l’Archivio Comunale venisse riordinato, cosa che fu possibile quando, nel corso del secolo XVI, fu costruita la sede del Comune a fianco della cattedrale. I documenti di interesse storico riguardanti la vita della città vi furono trasferiti ma rimasero accatastati alla rinfusa e, per quanto a più riprese si fosse stabilito di riordinarli, continuarono a giacere nell’oblio. Nel 1782 finalmente Vittorio Amedeo III istituı̀ l’ufficio di Archivista Civico, affidandone la direzione a Giuseppe Corte, che ne diede una prima sistemazione. Solo però nel 1896 Silvio Lippi, allora direttore dell’Archivio di Stato, portò a termine una seconda e più razionale sistemazione. Terminata la costruzione del nuovo Palazzo civico l’archivio fu sistemato in via Roma, dove purtroppo fu danneggiato nei bombardamenti del 1943. Finita la guerra il materiale superstite fu trasportato nel palazzo della Galleria Comunale d’Arte, dove sotto la illuminata guida di Evandro Putzulu l’ingente materiale fu nuovamente riordinato e messo a disposizione degli studiosi; alla fine degli anni Novanta è stato trasferito nei locali di via Koch. Possiede un’ingente documentazione relativa all’amministrazione della città, al Consiglio generale, al Consiglio particolare, alle magistrature comunali. Contiene inoltre donazioni di fondi documentali provenienti da privati, pergamene e collezioni di autografi di notevole valore. ‘‘Archivio storico sardo’’ Rivista fondata nel 1905 dalla Società storica sarda, diventata dal 1935 l’organo della Deputazione di Storia patria per la Sardegna. Interruppe le pubblicazioni a metà degli anni Sessanta a causa della crisi della Deputazione, che per anni fu gestita da un commissario. La Deputazione fu ripristinata nel 1975 e dal 1976 la rivista riprese a essere pubblicata. Strumento di grande utilità per gli studi di storia della Sardegna, ha avuto tra i suoi principali collaboratori: Ovidio Addis, Vincenzo Amat di San Filippo, Antonio M. Aragò Cabanas, Luigi Arezio, Francesco Artizzu, Carlo Aru, Osvaldo Baldacci, Enrico Besta, Eusebio Birocchi, Raimondo Bonu, Alberto Boscolo, Manlio Brigaglia, Luigi Bulferetti, Arnaldo Capra, Francesco Cesare Casula, Raffaele Ciasca, Rafael Conde y Delgado, Ercole Contu, Maria Corrias Corona, Francesco Corridore, Pietro Maria Cossu, Enrico Costa, Maria Mercedes Costa Paretas, Luisa D’Arienzo, Sebastiano Deledda, Antonio Costanzo Deliperi, Lorenzo Del Piano, Vincenzo Dessı̀, Raffaello Delogu, Raffaele Di Tucci, Enrico Endrich, Antonio Era, Luigi Falchi, Giulio Fara, Maria Luisa Ferrarese Ceruti, Damiano Filia, Vittorio Finzi, Barbara Fois, Foiso Fois, Francesco Giunta, Pier Enea Guarnerio, Aurea Javerre Mur, Alessandro Lattes, Pier Silvestro Leicht, Alessandro Levi, Giovanni Lilliu, Caterina Limentani Virdis, Carlo Livi, Romualdo Loddo, Francesco Loddo Canepa, Antonio Marongiu, Attilio Mastino, Josephina e Maria Dolores Mateu Ibars, Antonello Mattone, Giuseppe Meloni, Piero Meloni, Pietro Meloni Satta, Joachim Miret i Sans, Ugo Guido Mondolfo, Vico Mossa, Bacchisio R. Motzo, Salvatore Naitza, Filippo Nissardi, Gabriella Olla Repetto, Tito Orrù, Ettore Pais, Giovanni Patroni, Carlo Pillai, Stefano Pira, Leonardo Pisano, Maria Luisa Plaisant, Sebastiano Pola, Evan- 242 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 250 Arciconfraternita dei Genovesi dro Putzulu, Anna Saiu Deidda, Vicente Salavert i Roca, Ignazio Sanfilippo, Vincenzo Santoni, Olivetta Schena, Francesca Segni Pulvirenti, Renata Serra, Giuseppe Serri, Gioele Solari, Ferran Soldevila, Carlino Sole, Arrigo Solmi, Giancarlo Sorgia, Giovanna Sotgiu, Marco Tangheroni, Antonio Taramelli, Giovanni Todde, Gianni Tore, Gianfranco Tore, Lucilla Trudu, Raimondo Turtas, Federico Udina y Martorell, Franco Venturi, Max Leopold Wagner, Ginevra Zanetti e Raimondo Zucca. ‘‘Archivio storico sardo di Sassari’’ Rivista culturale fondata nel 1975 a Sassari dall’associazione Archivio storico sardo per iniziativa di Renato Pintus. Nel corso degli anni tra i suoi principali collaboratori sono stati: Giuliana Altea, Francesco Amadu, Pasquale Brandis, Luisa Coda, Antonio Costanzo Deliperi, Attilio Mastino, Vico Mossa, Dionigi Panedda, Wally Paris, Renato Pintus, Geo Pistarino, Massimo Pittau, Aldo Sari, Beppe Sechi Coppello, Giuseppina Tanda, Virgilio Tetti, Gianni Tore, Antonio Virdis, Ginevra Zanetti. Arciconfraternita dei Genovesi Sodalizio religioso chiamato ‘‘Arciconfraternita dei SS. MM. Giorgio e Caterina dei Genovesi di Cagliari’’. Costituito a Cagliari nel 1590 dai liguri che, per motivi di commercio, risiedevano nella città, nacque come associazione laicale a scopo di culto, ma finı̀ poi per essere l’organismo di tutela degli interessi della comunità ligure in Sardegna e in particolare a Cagliari. Inizialmente riunı̀ tutti i mercanti liguri o i loro discendenti maschi, principalmente delle famiglie Ajraldo, Alciator, Aschero, Astraldo, Beltrame, Bogliolo, Cavassa, Conte, Divitia, Fenoglio, Fornari, Maglione, Martini, Moirano, Nater, Perossono, Piria, Prene, Regesta, Seassaro, Solimano, Vione. Nel 1591 fu riconosciuta da papa Gregorio XIV che ne approvò gli statuti; era governata da un Priore assistito da due guardiani, eletti dalla Congregazione generale dei soci col metodo dell’insaccolazione. Gli eletti duravano in carica tre anni; l’associazione finı̀ per diventare un punto di riferimento anche politico della comunità ligure e spesso fu in conflitto con i gremi della città e con lo stesso console di Genova. Nel 1599 i confratelli decisero di costruire una chiesa e di dedicarla ai Santi Giorgio e Caterina; per raggiungere lo scopo organizzarono una colletta e con i fondi raccolti acquistarono un’area lungo la strada che dalla Marina portava in Castello. La costruzione della chiesa procedette lentamente: solo nel 1615 fu portata a termine la sua struttura muraria; negli anni successivi fu arricchita con cappelle e arredi donati dalle famiglie liguri più in vista. Finalmente nel 1655 fu consacrata e aperta al culto. Nel 1652 l’a. dei G. iniziò anche la costruzione dell’Ospedale ligure a fianco della chiesa; nei secoli successivi la vita del sodalizio continuò senza problemi. L’a. dei G. mantenne immutato il suo carattere e, a partire dalla seconda metà del Settecento, entrarono a farne parte alcune famiglie liguri che si erano trasferite a Cagliari in tempi più recenti. La chiesa fu abbellita con opere d’arte e divenne uno dei punti di riferimento della vita della città. Purtroppo nel 1943 fu bombardata e distrutta: solo alcune opere d’arte, gli arredi, gli argenti e i paramenti si salvarono. Con grande tenacia i confratelli pensarono subito alla ricostruzione: oggi il grande tempio che domina la modernissima via Scano, divenuto ormai sede attuale dell’arciconfraternita, è il custode di una tradizione che non tramonta. 243 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 251 Arciconfraternita di Sant’Efisio Arciconfraternita di Sant’Efisio Sodalizio religioso costituito nel 1538 come Confraternita di Sant’Efisio, nella chiesa omonima, situata nel quartiere di Stampace a Cagliari, con lo scopo di curare il culto del santo. Nel 1618 con bolla di Paolo V venne aggregato all’Arciconfraternita del Gonfalone della SS. Vergine del Riscatto con sede in Roma, che aveva il compito di raccogliere le offerte per il riscatto degli schiavi, per cui nella chiesa di Sant’Efisio fu introdotto il culto della Madonna del Riscatto. Il culto del santo e della Madonna veniva celebrato tutti gli anni; dopo il voto della Municipalità di Cagliari del 1652, confermato nel 1656 per la cessazione della peste, quello di Sant’Efisio fu reso più solenne con l’organizzazione del pellegrinaggio della statua del santo a Nora. Nel 1796 con bolla di Pio VI la confraternita, in seguito al miracolo operato dal santo che aveva difeso la città e l’isola dall’invasione francese del 1793, fu elevato ad arciconfraternita e autorizzato ad aggregare altre Confraternite. Arconte di Sardegna Nella burocrazia dell’Impero bizantino il titolo di a. venne attribuito ai governatori delle province dell’Impero, ed equivaleva al titolo romano di praeses o di judex. In Sardegna venne conferito al comandante militare bizantino a partire dal secolo VII. In un momento imprecisabile, quando cominciarono le incursioni arabe contro l’isola, comunque entro il secolo VIII, essendo oramai divenuta la Sardegna una provincia periferica con problemi di governo eccezionali, l’a. cominciò a esercitare anche poteri civili. Nel secolo IX, quando l’organizzazione dello stato giudicale era ormai compiuta, il titolo venne riferito ai primi sovrani giudicali, la cui potestà era estesa a tutta la Sardegna. Arcu Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Decimomannu. Sorgeva a nord dall’attuale abitato di San Sperate; era un centro ricco e popoloso che nel 1089 fu donato dal giudice Orzocco ai Vittorini di Marsiglia. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 entrò a far parte del terzo toccato ai Della Gherardesca e quando alcuni anni dopo questi procedettero a una nuova divisione tra loro fu assegnato ai discendenti del conte Gherardo. Presto cominciò a decadere, e dopo il 1323 risultò completamente spopolato. Arcuentu Castello che sorgeva in cima al monte omonimo in comune di Arbus. La fortezza faceva parte del sistema difensivo che i giudici d’Arborea avevano sviluppato ai confini con il giudicato di Cagliari e aveva una funzione prettamente difensiva. Nel 1164 lo sfortunato giudice Barisone I lo cedette, assieme ad altri castelli, ai Genovesi come garanzia del debito che aveva contratto con loro per pagare all’imperatore Federico I Barbarossa la somma che gli aveva richiesto per procedere alla sua incoronazione come re di Sardegna. Rimasto in possesso dei Genovesi almeno fino al 1192, il castello tornò nelle mani della famiglia giudicale; nei secoli successivi assolse a una funzione strategica durante la guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Dopo la fine della guerra fu abbandonato e andò in rovina. Attualmente di tutto l’antico complesso rimangono una cisterna e una parte della cinta muraria, che melanconicamente testimoniano di una passata grandezza. Arculentu Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Colostrai. Sorgeva non lontano dall’abitato attuale di San Vito. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 A. fu 244 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 252 Ardali incluso nel terzo assegnato ai Visconti e annesso al giudicato di Gallura. Estinti i Visconti, fu amministrato direttamente da Pisa. Avviata la conquista aragonese, il territorio fu investito dalle operazioni militari e devastato dalle truppe dell’ammiraglio Carroz. Cosı̀ A. entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti continuarono a mantenere un atteggiamento ostile nei confronti degli invasori. Il villaggio subı̀ forti danni durante la guerra tra Genova e Aragona e, quando nel 1353 scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, si ribellò apertamente. Finita la guerra fu concesso in feudo ai Dalmau, che già possedevano una parte della curatoria, ma la situazione non cambiò e quando la famiglia si estinse, nel 1362, il villaggio scomparve. Ardali Centro abitato della provincia dell’Ogliastra, frazione di Triei (da cui dista 3 km), con circa 100 abitanti, posto a 51 m sul livello del mare a valle del suo capoluogo e di Baunei. Regione storica: Ogliastra settentrionale. Diocesi di Lanusei. & TERRITORIO Il territorio è collocato in una posizione favorevole e riparata: affacciato sull’ampia vallata del rio Pramaera dalle ultime propaggini del Supramonte di Baunei. È collegato soltanto attraverso una strada secondaria che, distaccandosi dalla statale 125 Orientale sarda nei pressi di Baunei, lo attraversa dopo aver toccato Triei, e va quindi a ricongiungersi con la statale nei pressi di Lotzorai. & STORIA Il villaggio ha origini medioevali; apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria dell’Ogliastra; dopo la caduta del giudicato nel 1257, nella divisione del 1258 entrò a far parte dei territori assegnati al giudicato di Gallura. Estinti i Visconti fu amministrato da funzionari del Comune di Pisa; dopo la conquista aragonese passò al Regnum Sardiniae e nel 1324 fu concesso in feudo a Berengario Carroz. A causa della peste del 1348 i suoi abitanti cominciarono a diminuire; nel 1363 fu incluso nella contea di Quirra e, quando scoppiò la seconda guerra tra Aragona e Arborea, fu occupato dalle truppe giudicali, che vi si mantennero fino al 1409. Tornato in possesso dei suoi antichi feudatari, nei secoli successivi passò dai Bertran Carroz ai Centelles. Cominciò allora a decadere, anche perché, a causa del vicino fiume difficile da guadare nei mesi invernali, rimaneva completamente isolato; fu allora che gli abitanti cominciarono a trasferirsi a Baunei. In seguito dai Centelles passò ai Borgia e successivamente ai Català e infine agli Osorio, ai quali fu riscattato nel 1839. Nel 1821 fu compreso nella provincia di Lanusei e quando, nel 1848, questa fu soppressa, entrò a far parte della divisione amministrativa di Nuoro come frazione di Baunei; la sua popolazione era oramai ridotta a poche decine di abitanti. In questo periodo si colloca l’importante testimonianza dello scrittore Vittorio Angius: «All’ostro-sirocco di Baunèi veggonsi le meschine reliquie di questo già considerevol paese. Ora è un piccol casale composto di poveri tuguri mal costrutti, e dipendente da Baunèi. Siede sul piano ad una temperatura calda anche d’inverno. Vi si patisce molto umido, ed è frequente ingombro di crasse nebbie esiziali. La popolazione numera circa 80 anime divise in 21 famiglie. In una nota di censimento parrocchiale del 1805 si trovano inscritte solo 44 anime. Gli è verso la metà del 1600, che li popolani di A., come è fama, troppo offesi dalla cresciuta insalubrità dell’aria, cominciarono a emigrare, ricoverandosi la maggior parte in Baunèi. A ri- 245 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 253 Ardara durla a numero sempre minore concorrea la suddetta causa delle mortali intestine dissensioni. Non essendo allora alcuna forza nell’isola, la quale valesse a reprimere e spegnere la concitazione delle passioni, il furore cresceva con lo sfogo, una vendetta instigava all’altra, e vere guerre civili faceano svanire la popolazione, e desolavano i paesi. Avvi una piccola chiesa sotto l’invocazione di s. Gioachino, dove il viceparroco di Baunèi, se nol vieta il fiume, suole portarsi nei dı̀ festivi a celebrare ed amministrare i sacramenti. La campagne di A. già aggregate all’agro baonese, sono amenissime, di forza stupenda nella vegetazione, e produttive di granaglie, vini e pascolo. Vi potrebbe ancor maturare qualche genere coloniale. Nella seminagione spandesi circa 100 starelli di cereali e legumi, che si moltiplicano a più che non meriterebbe la poca arte che si adopera. Le vigne possono dare circa 10 mila quartieri di vin generoso. Il bestiame distinto nelle solite specie di vacche, pecore e porci, è in piccol numero, al quale se si aggiunga la somma dei domestici, tori, majali, cavalli, vacche mannalite, e giumenti, forse non otterrassi un totale di 1000 capi». Ricostituite nel 1859 le province, fu incluso nella provincia di Cagliari sempre come frazione di Baunei; con la ricostituzione della provincia di Nuoro, nel 1927 tornò a farne parte; nel 1960 fu staccato da Baunei e assegnato, sempre come frazione, a Triei. & ECONOMIA Le principali risorse della sua economia sono l’agricoltura e la pastorizia. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di nuraghi. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il principale monumento è la chiesa di San Pietro, parrocchiale costruita nel corso del secolo XX in forme architettoniche moderne; interessante anche la chiesa campestre di Sant’Antonio che sorge a poca distanza dall’abitato in località Mullò; si tratta di un piccolo edificio mononavato costruito nel secolo XVI. Ardara – La facciata della cattedrale romanica di Santa Maria del Regno. Ardara Comune della provincia di Sassari, compreso nella VI Comunità montana, con 832 abitanti (2004), posto a 296 m sul livello del mare, al bordo occidentale del pianoro conosciuto come Campo di Ozieri. Regione storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri. & TERRITORIO Il territorio, esteso per 38,07 km2, ha forma trapezoidale e confina a nord con Ploaghe e Chiaramonti, a est con Ozieri, a sud con Mores, a ovest con Siligo. Ha per la maggior parte andamento pianeggiante, soltanto verso il lato occidentale presenta alcuni piccoli rilievi; le cime maggiori sono i monti Cheja, 410 m, e Binzana, 490. Il paese si trova a breve distanza da due importanti vie di comunicazione, la ferrovia Sassari-Chilivani e la superstrada Sassari-Olbia, ed è servito da una secondaria che, distaccandosi da quest’ultima, si dirama poi verso Siligo, Mores e Chilivani. & STORIA A. fu centro abitato in età romana, appartenne poi al giudicato di Torres e fece parte della curatoria 246 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 254 Ardara detta di Oppia. Assunse una importanza notevole quando fu scelto, a partire da un certo periodo, come residenza dei giudici. Sembra che Giorgia, sorella del giudice Comita I, agli inizi del secolo XI vi abbia fatto costruire un castello, essendo l’attuale Porto Torres divenuta poco sicura a causa delle incursioni arabe. Più o meno nello stesso periodo fu avviata la costruzione della chiesa di Santa Maria del Regno che divenne cappella palatina; nei secoli successivi il castello fu abbellito e divenne residenza abituale della famiglia giudicale, fino al tempo di Adelasia. Dopo la morte della giudicessa, il villaggio cominciò a decadere e passò con tutta la curatoria in mano ai Doria. Nei primi decenni del secolo XIV il villaggio e il castello divennero uno dei centri della loro strategia politica, cosı̀ nel 1323, quando i Doria si consideravano ancora vassalli del re d’Aragona, entrarono a far parte del Regnum Sardiniae; ma quando, poco tempo dopo, si ribellarono, utilizzarono il castello come impianto strategico nel corso delle loro guerre contro gli Aragonesi. Nel 1330 questi ultimi, guidati da Raimondo Cardona, assalirono e conquistarono il piccolo centro ma, dopo tre anni, A. tornò in possesso dei Doria. In particolare toccò a Damiano Doria, che nel 1346 lo vendette al giudice d’Arborea; in seguito divenne teatro delle successive vicende della guerra tra Aragona e Arborea fino alla definitiva caduta del giudicato. Tornato nelle mani del re, il castello era oramai in rovina e nel 1421 il villaggio entrò a far parte del grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Nel 1442, pressato da necessità finanziarie, il figlio vendette A., unitamente all’Oppia, al mercante sassarese Franceschino Saba. Rovinato finanziariamente, quest’ultimo non poté evitare nel 1455 il sequestro del territorio che tornò al fisco. Durante la fase conclusiva della guerra tra Leonardo Alagon e Nicolò Carroz, nel 1477, poco prima della battaglia di Macomer, A. fu teatro di uno scontro tra le truppe marchionali guidate da Artaldo Alagon e quelle reali, che ebbero la meglio. Finita la guerra, nel 1479 villaggio e curatoria furono concessi a Giovanni Vilamarı̀, i cui discendenti, nel 1547, li vendettero ad Antioco Virde. I nuovi feudatari vi promossero lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento e riuscirono a conservare un buon rapporto con i vassalli; estinti i Virde il feudo passò ai Manca. Con questi ultimi la situazione di A. cambiò: nel corso del secolo XVII il villaggio andò decadendo, la sua popolazione fu decimata dalla peste e fu male amministrato da persone senza scrupoli che agivano per conto dei Manca. Il comportamento di questi funzionari accentuò il disagio della popolazione, inoltre il villaggio fu gravemente colpito dalla peste del 1656 e si ridusse a un insignificante villaggio con nemmeno 200 abitanti. Nel secolo XVIII il suo rapporto con i feudatari si fece sempre più teso e alla fine del secolo i suoi abitanti presero parte ai moti antifeudali che culminarono nella distruzione del castello. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Ozieri e nel 1838 fu finalmente riscattato ai Manca. Abolita nel 1848 la provincia, il villaggio entrò a far parte dapprima della divisione amministrativa di Sassari e poi, nel 1859, dell’omonima provincia. Di quegli anni è la testimonianza di Vittorio Angius: «L’aria passa per malsana; ma certamente cosı̀ non era nei tempi antichi, quando vi sedevano i giudici; e non lo sarebbe né anco al presente, se le strade fossero selciate, e si desse lo scolo alle acque, onde non istagnassero, se le sozzure delle case non si ver- 247 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 255 Ardara sassero nel passaggio, se dall’orlo dell’abitato si togliessero tutti quei mucchi di letame. Sussistono 70 case; e vi ha una sola strada principale trafficabile, perché posta sulla roccia. Le arti praticate dagli abitanti sono l’agricoltura e la pastorizia; le donne lavorano al telajo, ma in piccol numero. Si semina di più 100 starelli di orzo, 20 di fave, 10 di lino, con minor quantità di granone e civaje [legumi vari]. Spregiansi le patate, e si muore di fame. Il terreno corrisponde l’otto per uno. La vigna vi prospera: le uve sono di poche ma buone qualità; quindi il vino riesce buono. Vi sono tre spazi separati di terra coperti da querce, soveri e da qualche leccio: di queste selve ghiandifere la confinante all’Ozierese appellasi Tola e fa un corpo con la selva di Mores. Nutronsi le solite specie di bestiame, e sono in numero, le vacche 1000, che pascono nelle tanche; le pecore 5000, che errano per i pubblici pascoli; le capre 300; i porci 500; i cavalli e cavalle 20. I pastori vivono per la maggior parte dell’anno nelle loro capanne, in sos cuiles. I prodotti del bestiame si spacciano a Sassari. È da osservare che questo bestiame è degli ozieresi, i quali avvassallati ad A. occupano la maggior parte del territorio». & ECONOMIA Un tempo centro tradizionale di produzione di cereali e legumi – grazie anche alla natura del territorio – , A. vive oggi soprattutto dell’allevamento, che si basa su un consistente patrimonio zootecnico accresciutosi negli ultimi decenni anche grazie al trasferimento di greggi e mandrie dal Goceano e dalla Barbagia. Il latte viene conferito ai caseifici dei vicini paesi di Mores, Chiaramonti e Thiesi. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 852 unità, di cui stranieri 2; maschi 435; femmine 417; famiglie 313. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità con morti per anno 5 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 16 e nuovi iscritti 7. Tra i principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 342 in migliaia di lire; versamenti ICI 267; aziende agricole 82; imprese commerciali 56; esercizi pubblici 8; esercizi al dettaglio 22; ambulanti 1. Tra gli indicatori sociali: occupati 265; disoccupati 16; inoccupati 59; laureati 6; diplomati 67; con licenza media 240; con licenza elementare 281; analfabeti 18; automezzi circolanti 340; abbonamenti TV 199. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Nel territorio si trovano numerose testimonianze della cultura nuragica, in particolare i nuraghi di Badde Austine, Badde ’e Trudu, Canedis, Coloru, Congiari, Enas de Ruos, Figu Chia, Frusciu, Funtana Petralada, Mamusari, Mannu, Mercuriu, Ozastru, Pedralada, Pietro Cherchi, Pintadu, Pireda, Pittu, Sa Idolza, S’Altiruta, Santedero, Su Chercu, Terracados e alcune Tombe di giganti. Di particolare interesse il nuraghe di Riu Runaghe, che si leva su un’altura a breve distanza dal corso d’acqua omonimo e dalla strada che dal paese conduce verso Sassari; purtroppo è in rovina e per buona parte interrato, ma a uno sguardo attento rivela un’interessante struttura complessa, probabilmente del tipo a due torri con un cortile intermedio. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il monumento più importante, che con la sua presenza ricorda l’illustre passato di A., è la chiesa di Santa Maria del Regno, attualmente parrocchiale, che fu in età giudicale cappella palatina della residenza che i giudici di Torres avevano nel villaggio; fu costruita in forme romanico-lombarde, utilizzando conci di basalto scuro, tra 248 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 256 Ardau il 1065 e il 1107 da un architetto e da maestranze che probabilmente venivano da Pisa. La chiesa è absidata e ha tre navate scandite da colonne con basi modanate e capitelli. La copertura della navata centrale è lignea, quella delle navate laterali a volta a crociera. Il campanile, di pianta quadrata, è mozzo ed è sormontato da una struttura a vela a due luci. All’interno si conservano tracce di affreschi del secolo XII e si ha memoria che vi fossero custodite le tombe di molti dei giudici turritani; vi si conserva anche un grandioso retablo posto dietro l’altare maggiore e dipinto nel 1515 da Giovanni Muru e Martin Torube. Del passato giudicale sono anche i resti del castello costruito come residenza dei giudici a partire dal secolo XI; attualmente dell’intero complesso rimangono solo gli avanzi di una torre ottagonale alta 12 m che doveva far parte di un complesso di vaste proporzioni comprendente vani di abitazione e ampi cortili. Dopo l’estinzione della dinastia giudicale l’edificio passò ai Doria e con la fine delle guerre giudicali cominciò a decadere; nel secolo XVI Giovanni Francesco Fara lo considera ancora in discrete condizioni; in seguito la decadenza fu sempre più evidente anche perché gli abitanti del villaggio lo utilizzarono come sito di estrazione di materiali adatti alla costruzione delle loro belle case. Altro monumento è la chiesa di San Pietro, che sorge su un poggio alla periferia del villaggio; fu edificata nella prima metà del secolo XII in forme romaniche, crollò nel 1855 e fu ricostruita tra il 1909 e il 1910; ha un’unica navata absidata. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Ad A. è attestata l’antica consuetudine degli abitanti di dedicarsi ai balli e canti tradizionali, ma oggi se ne conserva solo la memoria. Attualmente alcune di queste tradizioni rivivono nelle feste popolari, la più importante delle quali è quella in onore di Nostra Signora del Regno che si svolge il 9 maggio con una serie di suggestivi riti nella chiesa omonima e alcune manifestazioni folcloristiche. Altra festa è quella di San Pietro che si svolge il 29 giugno. Ardau, Giorgio Giurista (n. Cagliari 1914). Laureato a Roma nel 1936, subito dopo si dedicò alla ricerca ed entrò nella carriera universitaria; nel 1941 conseguı̀ la libera docenza in Diritto del lavoro. In seguito divenne professore ordinario e insegnò in diverse Università. Fu autore di pregevoli scritti giuridici e collaboratore di numerose riviste scientifiche. Ardau, Giuseppe Giornalista e scrittore (Cagliari 1893-Milano 1953). Si fece notare giovanissimo con i suoi primi lavori sui più disparati argomenti; a partire dal 1917, dopo Caporetto, fondò e diresse il periodico bisettimanale ‘‘Il popolo sardo’’, che per le sue posizioni potrebbe essere definito presardista e che uscı̀ fino al 1919 tra mille difficoltà e ostilità di carattere politico. In seguito aderı̀ al fascismo e nel 1926 fondò e diresse la rivista ‘‘Fontana Viva’’, alla cui guida subentrò Raffa Garzia. Poco dopo si trasferı̀ a Milano, dove la sua opera di giornalista e di scrittore, soprattutto di biografie di personaggi storici e di letterati, gli procurò rinomanza nazionale. Tra i suoi scritti ricorderemo: Considerazioni generali sulla manutenzione delle strade ordinarie, 1912; Brevi note sull’industria dei saponi, delle ossa, sulla produzione degli olii nelle industrie estrattive in Sardegna, 1921; Fra i quadri dell’Italia in marcia, 1928; L’eloquenza mussoliniana, 1929; Savonarola, dramma, 1932; Caterina dei Medici, dramma, 1933; Napoleonis Mater, 1936; Napoleone II, 1936; Francesco Cri- 249 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 257 Ardau Cannas spi, 1939; Vittorio Emanuele II e i suoi tempi, voll. 2, 1939; Giuseppe Mazzini apostolo d’Italianità, 1941; Carlo Pisacane, 1948. Ardau Cannas, Battista Commediografo e incisore (Cagliari 1893-La Maddalena 1984). Singolare figura di intellettuale. Impiegato del telegrafo, da autodidatta, nelle ore libere che il lavoro gli lasciava, prese a scrivere e a dipingere con lo pseudonimo di BAC. Come scrittore fu poeta di buon livello e soprattutto autore di gustose commedie in sardo; si segnalò con le farse in sassarese, Farendi in Turritana, rappresentata al Teatro civico di Sassari nel 1917, della quale fu anche regista e attore, e Candu lu diauru vi poni la coda. Durante il periodo fascista fu costretto a scrivere in italiano commedie e drammi piccolo-borghesi di non elevato livello, e collaborò con le riviste ‘‘Il Nuraghe’’ e ‘‘Fontana Viva’’. Nel secondo dopoguerra riprese con successo a scrivere in sassarese; di quegli anni sono L’abagliu e La ruina. Fu più volte premiato al concorso ‘‘Città di Ozieri’’. Si dedicò anche alla pittura e in particolare all’incisione, affermandosi a livello internazionale; ottenne una medaglia d’oro alla mostra di Roma nel 1932, un riconoscimento a Varsavia nel 1936 e un premio alla mostra internazionale Post Office a Londra nel 1950. Ardauli Comune della provincia di Oristano, compreso nella XV Comunità montana, con 1091 abitanti (al 2004), posto a 421 m sul livello del mare, sul versante sinistro della vallata del Tirso nel tratto occupato dal lago Omodeo. Regione storica: Parte Barigadu. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio, esteso per 20,55 km2, ha forma grosso modo romboidale e confina a nord con Nughedu Santa Vittoria e Sorradile, a est con Neoneli, a sud con Ula Tirso, a ovest con Ghilarza, lungo il lago. Si tratta di una regione di colline, ultima parte delle propaggini occidentali del massiccio del Gennargentu, che digrada a tratti dolcemente a tratti bruscamente verso la valle; con alcune parti molto impervie, altre più praticabili che in passato sono state sfruttate dagli agricoltori. Il paese è attraversato da una strada secondaria che, distaccandosi dalla statale 388 Oristano-Sorgono, scende sino alla Ghilarza-Nughedu Santa Vittoria nel punto in cui ha inizio il grande ponte di Tadasuni sul lago. & STORIA L’attuale abitato è di origine medioevale, faceva parte del giudicato d’Arborea ed era compreso nella curatoria del Barigadu. Caduto il giudicato, venne a far parte del Regnum Sardiniae ma la sua popolazione si mostrava ostile nei confronti dei nuovi venuti. Dopo anni di grande tensione, nel 1412 sembrò dovesse essere ceduto con buona parte del Barigadu a Leonardo Cubello, ma il re nel 1413 preferı̀ infeudare A. a Pietro Steuyll. Questi però, a causa dell’ostilità della popolazione, sobillata – si dice – dal marchese d’Oristano, non riuscı̀ a entrarne in possesso e dovette rinunciare. Nel 1417 fu nuovamente infeudato, assieme ad altri villaggi, a Ludovico Pontons che nel 1425 vendette tutto al marchese d’Oristano. Il marchese amministrò il territorio con grande abilità facendo cessare la tensione e la diffidenza degli abitanti e A. prese a prosperare; probabilmente negli stessi anni fu avviata la costruzione della parrocchiale intitolata alla Vergine di Buoncammino. Morendo egli lasciò l’intero territorio al suo secondogenito Salvatore che, quando nel 1463 divenne marchese d’Oristano, lo annetté al marchesato. Dopo che nel 1477 il grande feudo fu confiscato a Leonardo Alagon, nel 250 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 258 Ardauli 1481 A. entrò a far parte del feudo concesso a Gaspare Fabra. Successivamente, nel 1519, gli eredi dei Fabra lo vendettero a Nicolò Torresani e a Carlo Alagon. I due, nel 1520, fecero una divisione e A. fu incluso nel Barigadu Susu, la parte toccata a Carlo Alagon, la cui discendenza si estinse nel 1547 con Carlo Dionigi. Allora il villaggio passò, unitamente al Barigadu Susu, a Fabrizio de Gerp, marito della sorella del defunto. I De Gerp si estinsero non molto tempo dopo per cui, dopo una lunga lite col fisco, nel 1597 A. passò in mano ai marchesi Alagon di Villasor, lontani parenti dei primi feudatari. Agli inizi del Seicento il parroco, Sebastiano Dessı̀, lasciò il suo patrimonio per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale che il suo successore iniziò a costruire nel 1630; ma più o meno negli stessi anni le condizioni di vita nel villaggio mutarono drasticamente; i nuovi feudatari infatti aumentarono il carico fiscale e A. soffrı̀ notevolmente della situazione. Nel 1703 Artale Alagon lasciò il feudo a sua figlia Emanuela e cosı̀ A. passò dagli Alagon ai De Silva, ai quali fu confiscato nel 1772. Durante l’anno precedente era stato istituito il Consiglio comunitativo e sembrò giunto il momento di liberarsi del giogo feudale; fu però un’illusione: infatti, nonostante le resistenze della popolazione, A. nel 1775 fu compreso in uno dei nuovi feudi che erano stati formati sul territorio del Barigadu. Venne quindi a far parte del marchesato di Neoneli concesso a Pietro Ripoll, il quale nel 1776 entrò in conflitto con gli abitanti del paese che si rifiutavano di pagare i tributi feudali ritenuti troppo gravosi. Anche in seguito i rapporti con i Ripoll non migliorarono; nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano e due anni dopo si andarono finalmente creando le condizioni per il suo riscatto. Infatti la discendenza maschile dei Ripoll si estinse nel 1823 e il feudo passò a Mariangela Ripoll sposata con Carlo Sanjust di Teulada: il feudo fu riscattato ai due nel 1838. In questo periodo si collocano i dati e le impressioni registrati da Vittorio Angius: «La sua situazione è in eminenza un po’ inclinandosi al ponente, per lo che gode a questa parte di un esteso orizzonte. Il clima ha del freddumido per le continue nebbie che vi si sollevano dalla vicina valle del Tirso, il che è cagione che l’aria non possa dirsi del tutto salubre. Le case sono sparse senz’ordine; le strade mancano di selciamento, non sono però fangose, per essere scoperte le roccie. Alla parte verso l’austro vi è la comodità d’un passeggio. Vi è un consiglio di comunità, una giunta locale ed una scuola normale frequentata da dieci fanciulli. Le famiglie sono 201; il totale degli abitanti 897. Le principali occupazione di questi paesani sono l’agricoltura e la pastorizia. Le donne lavorano in 190 telai il forese [orbace] per uso privato, le tele che sopravanzano ai loro bisogni si vendono nei paesi circonvicini. Il paese è in buona posizione per le operazioni rustiche, perché quasi nel centro. La terra è d’una mediocre fertilità in cereali; d’orzo se ne potrà seminare un quarto del quantitativo del grano; il lino e le fave fruttificano meglio del grano, che suol rendere in comune il sette. La vigna è più felice, quindi sovrabbonda il mosto, e se ne vende assai al vicino paese di Sedilo. Pascono nei piccoli prati, e nel pabarile [il maggese] vacche 200, buoi 100, porci 300, capre 200, pecore 2000, giumenti 100». Abolite la province nel 1848, A. fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari fino al 1859, anno in cui passò alla omonima provincia. Nel 1974 tornò a far 251 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 259 Ardauli parte della ricostituita provincia di Oristano. & ECONOMIA Il centro ha una discreta tradizione nel settore dell’olivicoltura; si producono anche piccoli quantitativi di ciliegie e di alcuni altri tipi di frutta. Le coltivazioni annuali si sono ridotte di molto rispetto al passato, mentre si è esteso l’allevamento, soprattutto ovino, condotto tuttavia con i metodi tradizionali. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1194 unità, di cui stranieri 5; maschi 593; femmine 601; famiglie 506. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione con morti per anno 19 e nati 4; cancellati dall’anagrafe 16 e nuovi iscritti 3. Tra i principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 948 in migliaia di lire; versamenti ICI 560; aziende agricole 368; imprese commerciali 59; esercizi pubblici 6; esercizi al dettaglio 18; ambulanti 4. Tra gli indicatori sociali: occupati 279; disoccupati 59; inoccupati 62; laureati 21; diplomati 146; con licenza media 345; con licenza elementare 455; analfabeti 74; automezzi circolanti 388; abbonamenti TV 428. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu popolato continuativamente fin dalla preistoria come dimostrano le domus de janas, i nuraghi e i resti di insediamenti romani e bizantini. I principali nuraghi sono Bingiales, Irighinzu, Monte Frau, Monte Idao, Monte Piscano, Muruddu, Sighianzu; le domus de janas Argiolas, Muruddu, Scala Mugheres; di particolare interesse è il complesso di Su Casteddu de Su Brogariu. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il monumento più caratteristico del villaggio è la chiesa della Vergine del Buon Cammino, parrocchiale posta nella parte più antica dell’abitato; fu costruita tra il 1620 e il 1680 in forme gotico-catalane, ha una sola navata sulla quale si affacciano quattro cappelle laterali per ogni lato. Di esse sei hanno forma quadrata e sono coperte con volta a botte, le due vicine al presbiterio hanno forma ottagonale e la copertura a crociera; la facciata è arricchita da un elegante rosone e continua sui lati con due ali di muro sui quali campeggiano altrettanti leoni in pietra. Le membrature esterne e interne dell’edificio sono riccamente lavorate da abili artigiani locali (picaparders) in forme che richiamano quelle altomedioevali. All’ingresso del paese si trova la chiesa dedicata ai Santi Cosimo e Damiano: ha strutture settecentesche che si sono sovrapposte a un primitivo impianto d’epoca giudicale. Tra questa e la parrocchia si trova un quartiere in cui le case sono state riportate alle primitive strutture in pietra e le strade lastricate e selciate. Nelle campagne è stata restaurata di recente la chiesa di Sant’Antonio, e continua a essere oggetto di grande devozione quella di San Quirico, affacciata da un poggio sul lago lungo la strada di accesso al paese. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La ricorrenza più caratteristica nella quale rivivono le tradizioni popolari è la festa de Su coccoi che si svolge il 31 dicembre e si rifà a un’usanza antichissima incentrata sulla preparazione notturna di un piccolo pane (su coccoi, appunto) di semola decorato artisticamente: viene regalato ai bambini che al mattino girano per le strade del paese e bussano alle porte delle case attirati dal profumo del pane appena sfornato. Altra festa tradizionale è quella della Madonna del Carmine che si svolge nella terza domenica di maggio (festa ’e maju) con la sagra delle ciliegie e manifestazioni folcloristiche. 252 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 260 Ardoino Si celebra anche, col tradizionale falò, Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, e per ben tre volte durante l’anno gli ardaulesi si recano in pellegrinaggio alla chiesetta campestre di San Quirico: il lunedı̀ di Pasqua, il 15 luglio e dal 16 al 24 agosto, per la festa maggiore preceduta dalla novena. squer nel 1359. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV, fu occupato dalle truppe giudicali che lo tennero fino al 1409. Negli anni seguenti si spopolò e scomparve. Ardinghelli, Scolario Religioso (Pisa?, prima metà sec. XIII-Oristano 1299). Di probabile origine pisana, fu eletto arcivescovo titolare di Tiro nel 1292 e successivamente arcivescovo di Oristano nel 1296. Ardizzone, Stefano Religioso (Sardegna, seconda metà sec. XIV-Borutta 1440). Probabilmente sardo, entrò nell’ordine dei Cistercensi e una volta ordinato sacerdote fu eletto abate di Santa Maria di Paulis; nel 1428 fu nominato vescovo di Sorres da Martino V e prese a risiedere a Borutta. Ardo Antico villaggio di probabile origine romana. Sorgeva in prossimità di Sassari e aveva una certa importanza; nel Medioevo era compreso nel giudicato di Torres, curatoria della Fluminargia. Probabilmente il vescovo vi aveva delle proprietà e spesso vi si celebravano dei sinodi. Estinta la dinastia dei giudici di Torres, il suo possesso fu disputato tra i Doria e il Comune di Sassari; in un primo momento sembrò che i Doria dovessero prevalere, ma alla fine del secolo XIII il villaggio passò completamente nelle mani dell’arcivescovo di Torres. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae e soffrı̀ durante la ribellione dei Doria. Nel 1339 fu dato in feudo a Berengario Rajadell, ma continuò a essere al centro di tensioni politiche e cominciò a spopolarsi a causa della peste del 1348. I suoi discendenti lo resero al fisco nel 1353, ma dopo il Parlamento del 1355 A. fu nuovamente infeudato a Berengario Bi- Pietro Raffaele Ardoino – Minore conventuale, nel 1843 fu nominato vescovo di Alghero. Di idee liberali, fu favorevole alla ‘‘fusione’’ del 1847. Ardoino, Pietro Raffaele Religioso (Alghero 1800-ivi 1863). Vescovo di Alghero dal 1843 al 1863. Minore conventuale, si dedicò giovanissimo all’attività missionaria. Nel 1838 fu nominato vescovo di Carra, vicario della Moldavia e delegato apostolico di Atene; nel 1843 tornò in patria e fu nominato vescovo di Alghero. Insediatosi nella nuova diocesi, diede impulso al suo sviluppo soprattutto in campo sociale. Di formazione liberale, fu attento osservatore delle tensioni sociali presenti nella diocesi; ciò lo portò a intervenire a sostegno dell’economia contribuendo a fondare la Cassa di risparmio e si impegnò anche perché fossero 253 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 261 Ardu introdotti miglioramenti in altri campi. Prese anche parte alle vicende che portarono alla ‘‘fusione perfetta’’; quando però si manifestò il problema dell’abolizione delle decime, ebbe qualche difficoltà politica. Tra i suoi scritti, Lettera pastorale al clero e popolo della diocesi di Alghero sulle riforme concesse dal sovrano, 1847; Pastorale al clero e popolo della diocesi di Alghero per la concessione dello statuto, 1848; Lettera pastorale per l’elezione del rappresentante al Parlamento nazionale, 1849. [MASSIMILIANO VIDILI] Ardu Antico villaggio di origine medioevale che faceva parte del giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria del Sigerro. Dopo la caduta del giudicato, nella divisione del 1258 venne assegnato ai Della Gherardesca e, dopo la successiva divisione tra i due rami della famiglia, al ramo del conte Ugolino, i cui figli ne perdettero il controllo nel 1298 quando, sconfitti nella guerra contro il Comune di Pisa, furono costretti a cederlo alla città toscana. Dopo la conquista aragonese nel 1324 fu concesso in feudo a Pietro de Stagno, la cui vedova nel 1330 lo vendette a Raimondo de Entença. Quest’ultimo morı̀ pochi anni dopo senza figli; il villaggio perse buona parte della popolazione a causa della peste del 1348 e scomparve definitivamente prima del 1360. Ardu Onnis, Efisio Antropologo (Cagliari, metà sec. XIX-ivi, dopo 1905). Si interessò in particolare dell’origine dei protosardi. Alla fine del secolo studiò i resti umani provenienti da alcuni siti della Sardegna centro-settentrionale riferibili alla cultura di Ozieri e, sulla base di un’affrettata conclusione, costruı̀ un campione esplicativo in base al quale, aderendo alle teorie di Giuseppe Sergi sui ‘‘pigmei d’Europa’’, affermò che i protosardi avevano una statura media di 1,48 m per gli uomini e di 1,37 m per le donne. La sua teoria in seguito fu smontata da ulteriori studi. Tra i suoi scritti ricorderemo: Contributo all’antropologia della Sardegna. Nota I. Note d’antropometria, ‘‘Atti della Società romana di Antropologia’’, III, 1896; Contributo all’antropologia della Sardegna. Nota II e III. Capacità craniche dei sardi, ‘‘Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia’’, XXVI, 12, 1896; Contributo all’antropologia della Sardegna. Nota IV. Le varietà craniche, 1900; Anomalie fisiche e degenerazione nell’Italia barbara contemporanea, ‘‘Archivio per l’Antropologia e l’etnologia’’, XXXIII, 3, 1903; Gli Hetei Pelasgi in Sardegna, ‘‘Atti della Società romana di Antropologia’’, I, 2-3, 1904. Are, Antonio Luigi Avvocato e deputato (Orune 1855-Nuoro 1943). Conseguita la laurea si dedicò alla libera professione divenendo un brillante avvocato del foro di Nuoro. Si impegnò con passione in politica manifestando idee vicine a quelle di Francesco Cocco Ortu. Molto stimato dai concittadini, fu eletto per anni sindaco della città e consigliere provinciale. Nel 1904 fu eletto deputato al Parlamento, ma la sua elezione fu annullata; nel 1909 fu rieletto, ma l’elezione fu annullata una seconda volta: prese parte al turno di elezioni suppletive che si svolsero di lı̀ a poco e finalmente riuscı̀ a entrare in Parlamento. Al termine della legislatura non si ricandidò e si occupò esclusivamente della professione. Are, Diego Insegnante e scrittore (Santu Lussurgiu 1912-ivi 2001). Fine intellettuale, dopo la laurea si dedicò per molti anni all’insegnamento della Filosofia nelle scuole medie superiori. Durante la seconda guerra mondiale, rifiutatosi di aderire alla Repubblica di Salò, fu deportato nei la- 254 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 262 Are ger tedeschi: fu compagno di prigionia di Giovannino Guareschi e altri intellettuali di nome. Al ritorno raccontò le sue vicende nel libro memoriale Nebbie e girasoli. Un sardo nei campi nazisti, ripubblicato con questo titolo nel 1998. Di formazione cattolica, su posizioni olivettiane, si impegnò nel sociale, fondando con lo scrittore Antonio Cossu, un gruppo comunitario del Montiferru di ispirazione olivettiana. Fu tra i protagonisti del dibattito sulla Rinascita e tra il 1960 e il 1962 fece parte della redazione de ‘‘Il Bogino’’. Ritiratosi al suo paese natale, trasformò in Liceo linguistico una antica scuola superiore nata da un lascito di privati. Tra gli altri suoi scritti ricorderemo: Autonomia e Rinascita, ‘‘Il democratico’’, 1958; Perché diffidiamo della Regione, ‘‘Il democratico’’, 1958; Autonomia e solidarietà del Montiferru, 1959; Riflessioni sociologiche sul Montiferr u, ‘‘Ichnusa’’, 26, 1968. ordinario di Storia contemporanea nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa; tra il 1972 e il 1973 è stato a Oxford come visiting professor. Si è occupato soprattutto di storia dei movimenti politici, dell’origine del sistema industriale in Italia e della politica estera del nostro paese. Collabora a importanti periodici nazionali e cura per conto del Ministero degli Esteri corsi di formazione per diplomatici. Nel quadro di questa imponente produzione conosciuta anche in altri paesi europei e in America, ha dedicato alcuni saggi alla Sardegna tra cui: Carbosarda. Attese e delusioni di una fonte energetica nazionale (con M. Costa), 1989, e Per una moderna identità culturale, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XV, 1989. Gregorio Are – La cacciata degli angeli ribelli (part.), dipinto nella basilica di Fonni. Are, Gregorio Pittore barbaricino Diego Are – Insegnante a Roma e in Sardegna, Diego Are ha lasciato un commovente diario del suo internamento nei lager tedeschi (19431945). Are, Giuseppe Studioso di storia economica (n. Orani 1930). Laureatosi alla Normale di Pisa nel 1953, si è dedicato all’insegnamento universitario. Nel 1966 è diventato professore (sec. XVIII). Era figlio di Pietro Antonio e per molti anni fu suo aiutante e discepolo. A partire dal 1750 cominciò a operare da solo raggiungendo una qualche notorietà. Sembra possano essere a lui attribuiti diversi cicli di affreschi, tra cui La bocca dell’Inferno eseguito a Orani nel 1757, la Cacciata degli angeli ribelli, dipinto a Fonni nel 1760. Le tracce della sua attività si perdono nella seconda metà del secolo. 255 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 263 Are tore di alcuni cicli di affreschi tra i quali i più noti sono quello della chiesa della SS. Trinità di Fonni, eseguito tra il 1730 e il 1735, e quello della basilica dei Martiri, sempre a Fonni; di lui si conserva anche un dipinto nel Duomo di Castelsardo. Nell’ultimo periodo della vita operò con l’aiuto di suo figlio. Areddu, Antonio Teologo e benefat- Gregorio Are – Appartenente a una famiglia di pittori, eseguı̀ un ciclo di dipinti nella basilica dei Martiri a Fonni. Are, Piero Funzionario, consigliere regionale (n. Ittiri 1932). Dopo la laurea in Giurisprudenza si è dedicato alla politica nella DC. È stato eletto ininterrottamente consigliere regionale dalla V all’VIII legislatura. Durante la VI legislatura, il 7 agosto 1969 fu eletto vicepresidente del Consiglio in sostituzione di Giuseppe Masia, ma nel settembre 1973 si dimise perché entrò a far parte della seconda giunta di Nino Giagu De Martini come assessore all’Igiene e Sanità; fu riconfermato anche nella giunta Del Rio come assessore alle Finanze, artigianato e cooperazione (dicembre 1973); rimase in carica fino al giugno del 1974 dando particolare impulso al settore dell’artigianato artistico che in quegli anni, grazie anche a una accorta politica dell’ISOLA (Istituto Sardo per l’Organizzazione del Lavoro Artigiano), conosceva un periodo di particolare consenso. Durante l’VIII legislatura, il 25 ottobre 1979 fu nuovamente eletto vicepresidente in sostituzione di Francesco Asara; si dimise il 10 settembre 1982. Are, Pietro Antonio Pittore barbaricino (prima metà sec. XVIII). Appartenente a una famiglia che vantava origini genovesi, visse in Barbagia nella prima metà del secolo XVIII. Fu l’au- tore (Mores 1807-Sassari 1855). Laureato in Teologia, fu viceparroco della cattedrale di Sassari, poi parroco di San Sisto. Scrisse una Memoria S. Benedictae martyris ejusque reliquarum quae in ecclesia turritana coluntur: le reliquiae, che si dicevano portate da Roma, appartenevano probabilmente a uno dei tanti cosiddetti ‘‘Corpi santi’’ trovati negli scavi del Seicento. Morı̀ a 48 anni mentre portava soccorso ai malati nell’epidemia di colera del 1855: è ricordato in una lapide del Palazzo ducale di Sassari. Areddu, Giuseppe Maria Avvocato (Mores 1823-Sassari 1880). Laureato in Giurisprudenza, esercitò la professione a Sassari. Dal 1860 al 1875 fu consigliere provinciale per il mandamento di Mores. Si batté perché la Provincia costruisse un suo grande palazzo di rappresentanza (come poi accadde) e nel 1866 appoggiò la richiesta della Congregazione di carità di Ozieri per dotare quella città di un Ospedale civile circondariale. Morı̀, probabilmente a Sassari, nel 1880. Aree di rilevante interesse naturalistico Numerose località che presentano sul loro territorio delle particolarità naturali con legge regionale del giugno 1989 sono state dichiarate aree di rilevante interesse naturalistico. In particolare: 1. Bidda Mores (tra Capoterra e Sarroch); 2. Cascata di Su Turruno (Seulo); 3. Dune di Torre dei Corsari (Arbus); 4. Fiordo di Cugnana (Olbia); 5. Foresta di Badde Salighes (Bo- 256 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 264 Arenas lotana); 6. Foresta di Burgos (Burgos); 7. Foresta di Ispuligi de Nie (Baunei); 8. Foresta di Tuviois (Sinnai); 9. Grotta di Santa Barbara (Gonnesa); 10. Grotta di San Giovanni (Domusnovas); 11. Monte Minerva (Villanova Monteleone); 12. Monte Moro (Arzachena); 13. Mularza Noa (Bolotana); 14. Sant’Antonio (Macomer); 15. Sa Spéndula (Villacidro); 16. Spiaggia di Is Arutas (Cabras). Arenaria balearica – Oltre che in Sardegna, è presente solo sulle altre isole tirreniche. Arenaria balearica Pianta erbacea perenne della famiglia delle Cariofillacee (Arenaria balearica L.). Ha fusti sottili, intricati, striscianti, con foglie piccole, opposte e ovate; i fiori, solitari e peduncolati, sono bianchi e fioriscono tra fine primavera e inizio estate. Endemismo delle isole tirreniche, cresce nei luoghi umidi; in Sardegna è diffusa in vicinanza delle sorgenti montane, con particolare predilezione per il substrato calcareo. È inserita nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Arenas Antico villaggio del giudicato di Cagliari compreso nella curatoria del Sols. Sorgeva in prossimità dell’abitato di Tratalias. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 entrò a far parte del terzo assegnato ai Della Gheradesca. Questi, a causa di contrasti familiari e di natura politica, alcuni anni dopo procedettero a un’ulteriore divisione tra loro: A. fu incluso nel sesto toccato al ramo del conte Ugolino; i figli del conte, per vendicarne la morte, nel 1289 entrarono in guerra col Comune di Pisa e nel 1295, dopo essere stati sconfitti, persero il controllo del villaggio. Da quel momento fu amministrato dal Comune dell’Arno, ma cominciò a decadere spopolandosi. Dopo la conquista aragonese, oramai semideserto, nel 1328 entrò a far parte del patrimonio riconosciuto a Pietro de Açen e in seguito dei feudi di Alibrando de Açen, a cui fu tolto nel 1366 quando quest’ultimo si schierò con il giudice d’Arborea nella seconda guerra tra Aragona e Arborea. Negli anni successivi il villaggio si spopolò completamente e scomparve. Il suo territorio, ridotto a una landa deserta, divenne saltuario rifugio di pastori nomadi. Nel secolo XVIII vi si sviluppò un boddeu (=) costruito da alcuni pastori, che nel corso del secolo XIX si stabilizzò dando vita all’attuale frazione di Tratalias. Arenas, Is1 Località turistica della provincia di Oristano situata lungo la costa a nord del Sinis. Il suo territorio è coperto da una fittissima vegetazione e da una fiorente pineta, opera di un recente rimboschimento. Purtroppo negli ultimi anni è stata oggetto di una devastante lottizzazione turistica che minaccia di alterarne gli equilibri. (Siccome il romanzo di Giampaolo Pansa, Ti condurrò fuori della notte, 1998, si svolge in gran parte in questa zona della Sardegna – in realtà lungo il tratto di litorale meno toccato da mano umana – , quando fu pubblicato nella ‘‘Biblioteca della Nuova Sardegna’’ lo stesso Pansa accettò gentilmente che il 257 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 265 Arenas suo titolo venisse ‘‘sardizzato’’ in Notte a Is Arenas, 2004). Arenas, Is2 Miniera di piombo e zinco attualmente in disuso, situata a circa 12 km da Iglesias nel bacino di San Benedetto. L’impianto fu creato nel corso dell’Ottocento e raggiunse un notevole livello di produzione. Cominciò a decadere nella prima metà del secolo XX e fu fermato definitivamente dopo il 1960. Arenas, miniera Miniera di piombo e zinco posta nelle campagne di Fluminimaggiore nel comprensorio boscoso di Oridda. L’impianto è strettamente legato a quello di Malacalzetta. Cominciò a essere sfruttata alla fine del Settecento da Salvatore Fassio, che però la cedette dopo alcuni anni a Luigi Rogier. Anche il Rogier poco dopo vi rinunciò e preferı̀ cederla a George Henfrey; questi nel 1883 ne incrementò la produzione e scoprı̀ che nel sito vi era abbondanza di zinco ma preferı̀ anche lui passarla ad altri nel 1889 e nel 1891 pervenne alla Pertusola. La nuova società coltivò Su Pitzianti e Genna Carru: due cantieri che, con alterne vicende, continuarono a essere sfruttati fino al 1963. Agli inizi degli anni Settanta la miniera passò alla PiomboZincifera Sarda e continuò a essere sfruttata fino al 1981. Aresti, Tullio Analista chimico, consigliere regionale (n. Sanluri 1927). Sardista impegnato, nel 1984 è stato eletto consigliere regionale per il PSd’Az nel collegio di Cagliari per la IX legislatura, al termine della quale, però, non è stato riconfermato. Aresu Famiglia di Oristano (secc. XVIXVIII). Fin dal secolo XVI la famiglia godeva di grande reputazione e possedeva un vasto patrimonio. Nel 1575 un Giorgio ricopriva l’ufficio di procuratore reale e di collettore delle rendite del marchesato d’Oristano; un suo di- scendente, il dottor Giovanni Antonio, nel 1634 ottenne il cavalierato ereditario e nel 1635 il riconoscimento della nobiltà. A partire dal 1653 i suoi discendenti furono ammessi allo Stamento militare e in seguito presero parte a tutti gli altri parlamenti; la famiglia si estinse nel corso del secolo XVIII. Aresu, Giampiero Consulente del lavoro, consigliere regionale (n. Orroli 1950). Risiede e lavora nel suo paese natale; ha militato da sempre nella Sinistra impegnandosi nel sociale: dopo aver militato nel PCI, ha aderito a Rifondazione Comunista. Nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per Rifondazione Comunista nel collegio di Nuoro per l’XI legislatura, ma nel corso della legislatura è passato ai Comunisti Unitari; il 9 febbraio del 1998 è stato eletto questore del Consiglio, rimanendo in carica fino al termine della legislatura. Aresu, Gian Domenico Sacerdote, venerabile (Tertenia 1605-Cabalian, Filippine, 1645). Diciassettenne entrò nella Compagnia di Gesù, sacerdote, maestro spirituale dei novizi. Il 25 giugno 1639 partı̀ missionario per le Filippine. Fu ucciso con una lancia mentre predicava in chiesa da un filippino che aveva rimproverato per aver lasciato morire senza sacramenti la propria madre. Agonizzante, non rivelò il nome dell’assassino. I Gesuiti lo annoverano «fra i generosi atleti uccisi per la fede», con il titolo di venerabile. Aresu, Lina Scrittrice (n. Nuoro 1936). Ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza tra Jerzu e Lanusei; una volta frequentato il Liceo a Cagliari, si è trasferita a Genova, dove ha compiuto gli studi universitari, e si è quindi stabilita in Liguria, dove ha insegnato filosofia per più di quarant’anni. È redattrice del ‘‘Notiziario della Sarda Tellus’’, organo dei sardi di Genova. Tra le sue numerose 258 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 266 Argentiera opere, che vertono soprattutto sui miti, la poesia e la letteratura di Sardegna, Su moru in crobettura, 1993; Samuele Stocchino. Vita breve di un bandito leggendario, 2003; Fondali. Percorsi sommersi di geografia letteraria in Sardegna, 2005. Fu autore di alcuni trattati scientifici e di numerose altre pubblicazioni comparse in riviste italiane e straniere. Arezio, Luigi Storico (n. sec. XIX). Professore di Storia presso l’Università di Cagliari, nel 1905 fu tra i soci fondatori della Società storica sarda e fu eletto nel direttivo. Dopo alcuni anni si trasferı̀ all’Università di Palermo. Tra i suoi scritti di argomento sardo, Luciano Bonaparte nella rada di Cagliari 1810, 1899; Il cardinale Alberoni e l’impresa di Sardegna nel 1717, ‘‘Archivio storico sardo’’, II, 1906; La Sardegna e il trattato della quadruplice alleanza nelle carte farnesiane di Napoli, ‘‘Archivio storico sardo’’, III e IV, 1907 e 1909; La Sardegna e Alfonso il Magnanimo dalla battaglia di Ponza alla pace con Genova, ‘‘Archivio storico sardo’’, III, 1907. Mario Aresu – Medico cagliaritano, creò la Clinica medica generale che ora porta il suo nome. Aresu, Mario Clinico (Cagliari 1892Roma 1963). Si laureò nel 1916 e subito dopo partı̀ volontario nella prima guerra mondiale. Nel dopoguerra intraprese la carriera universitaria e nel 1929 fu nominato professore ordinario. Dopo aver insegnato nelle Università di Palermo e di Milano, dal 1934 si trasferı̀ a Cagliari dove si impegnò per istituire la Clinica medica generale che oggi porta il suo nome. Nel 1954 fu eletto rettore dell’Università e dal 1955 al 1962 preside della Facoltà di Medicina; lasciò l’insegnamento nel 1963 pochi mesi prima di morire a Roma. Argentiera – Tra Ottocento e Novecento fu il centro minerario più importante della Sardegna settentrionale. Argentiera Centro abitato della provincia di Sassari, frazione di Sassari (da cui dista 40 km), con circa 100 abitanti, posto a 42 m sul livello del mare lungo rilievi digradanti verso il litorale intorno ai resti di un notevole stabilimento minerario. Regione storica: Nurra. Archidiocesi di Sassari. & TERRITORIO Il territorio, non adatto alle colture, se non alla pastorizia nella parte interna, si compone di colline 259 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 267 Argentiera rocciose da cui fino agli anni Sessanta si estraevano piombo, zinco e argento. La frazione è collegata alla città da una strada provinciale che tocca le altre frazioni rurali di Campanedda, La Corte e Bancali e da un servizio giornaliero di pullman. & STORIA Il luogo era conosciuto già in epoca romana: sono stati trovati i resti di piccoli forni per il trattamento del materiale di estrazione. Ma il primo documento ufficiale risale al 1131 ed è un atto di donazione del sito da parte di Gonario di Torres in favore della primaziale di Santa Maria di Pisa. Dopo secoli in cui si ha prova che le estrazioni continuassero, le notizie successive ci portano al 1838 quando il romanziere Honoré de Balzac tentò una speculazione, convinto della ricchezza del giacimento, ma non riuscı̀ nell’intento. Nel 1867, grazie a una legge che favoriva la ricerca mineraria, l’A. fu data in concessione alla nobile Caterina Angela Tola di San Saturnino che diede impulso alla miniera. Il maggiore sviluppo del centro avvenne però sotto la direzione dell’ingegner Eugenio Marchese della Compagnia Generale delle Miniere: nei primi decenni del Novecento vi lavoravano oltre 400 operai. Tra le due guerre mondiali ebbe grande sviluppo il centro abitato, dotato di tutti i servizi necessari, ma nel secondo dopoguerra la produzione andò sempre diminuendo fino alla chiusura degli impianti nel 1963. Negli anni Settanta fu tentata una ristrutturazione edilizia a fini turistici che però, dopo varie vicissitudini giudiziarie, fu abbandonata. & PATRIMONIO CULTURALE E AMBIENTALE Le più antiche strutture abitative dell’Argentiera, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento, si trovano nella zona di Miniera vecchia, nella parte più interna della lunga vallata sovrastante la baia di San Nicolò. A dominare le casupole operaie, la cui tipologia ricordava gli stazzi della Nurra, era l’abitazione del direttore: qui fu ospitato Quintino Sella quando, nel 1869, accompagnato dall’ingegner Marchese, visitò la miniera. La casa del direttore, insieme agli altri uffici, venne poi spostata nel cosiddetto Centro-miniera, nei pressi delle officine e della laveria. In uno spiazzo intermedio tra le due zone, di fronte alla imponente struttura del pozzo Podestà costruita nel 1890, stava la cantina, ovvero lo spaccio che serviva non solo la borgata ma anche il vasto territorio pastorale che la circondava. Agli inizi del Novecento venne realizzato il villaggio di Cala Onano, situato sull’altura che sovrasta la spiaggia di Porto Palmas; l’insediamento, realizzato per ospitare le prime famiglie e iniziare una nuova strategia aziendale tendente al ‘‘fissaggio’’ della manodopera, fu indicato come esemplare villaggio operaio nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle miniere sarde svoltasi in età giolittiana. Tra le nuove strutture abitative realizzate nel ventennio fascista vanno segnalati il cinema, prospiciente la spiaggia, il dopolavoro e la nuova residenza del direttore, tutte nel tipico stile dell’epoca. Risale a quel periodo anche la caratteristica laveria in legno, uno dei più singolari monumenti dell’archeologia mineraria sarda: progettata dall’ingegner Audibert, entrò in funzione nel 1936 dopo un periodo in cui l’attività estrattiva era stata interrotta. Nella fase dell’immediato secondo dopoguerra, quando l’Argentiera raggiunse la punta massima di residenti, furono infine edificati sulla collina sovrastante il quartiere denominato La Plata la nuova chiesa e un moderno albergo operaio. Gli stabili- 260 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 268 Argentieri sardi menti e i pozzi della vecchia miniera rappresentano, comunque, il patrimonio storico e culturale del piccolo centro, ma versano in uno stato di grave abbandono e rischiano la distruzione. A. ha le potenzialità per diventare un centro turistico, anche grazie alla natura selvaggia dei dintorni e alla presenza di due belle spiagge, quella cui si accede dalla vecchia laveria e quella già citata di Porto Palmas, nelle cui vicinanze è sorto qualche anno fa un grande camping. Il territorio è anche ideale per le escursioni lungo la costa, ricca di insenature e spiaggette incantevoli. [SANDRO RUJU] Argentiera, miniera Miniera situata nella Nurra. Sfruttava uno dei più antichi giacimenti di zinco, piombo e argento conosciuti in Sardegna. Conosciuta con ogni probabilità dall’epoca romana e comunque dal Medioevo, rimase inattiva per secoli, ma agli inizi dell’Ottocento le montagne di scorie di lavorazione che erano nella località interessarono alcuni speculatori e attirarono anche Honoré de Balzac, che nel 1838, con la speranza di realizzare facili guadagni, vi fece un inutile e infelice viaggio. Pochi anni dopo, però, l’ingegner Candido Baldrucco individuò le reali potenzialità del giacimento e nel 1867 la miniera venne concessa alla marchesa di San Saturnino, Caterina Angela Tola. La nobildonna ne avviò lo sfruttamento, affidando la direzione dello stabilimento all’ingegner Gaudina. Nel 1880 l’attività diede i primi risultati positivi: in seguito, però, non essendo in grado di reperire i capitali necessari, la marchesa cedette la miniera alla Società Sardo Belga che avviò il miglioramento dei suoi impianti. Pochi anni dopo la Sardo Belga cedette la miniera a Luigi De Laminne, il quale la vendette a sua volta, vantaggiosamente, alla Compa- gnia Generale delle Miniere diretta da Eugenio Marchese. I nuovi proprietari svilupparono l’estrazione e gli impianti furono completati con la costruzione di una laveria a Cumpigneddus; per facilitare l’asporto del materiale le gallerie vennero inoltre dotate di binari. A partire dal 1886 la Compagnia Generale delle Miniere cedette la concessione alla società Correboi del finanziere genovese Podestà, che diede vita a un vasto impianto che impiegava più di trecento operai. L’estrazione venne incrementata dalla scoperta dello zinco; fu costruita un’altra laveria vicino al mare e nel 1911 fu aperto un nuovo pozzo. L’impianto, però, entrò in crisi durante la prima guerra mondiale per la mancanza degli operai, partiti per il fronte. Nel dopoguerra, attorno al 1920, l’attività riprese e fu costruito il pontile di San Nicolò, che consentiva di caricare più agevolmente il materiale. Nel 1924 la Pertusola francese rilevò una parte delle azioni della Correboi: ciò rese possibile nel 1929 la ristrutturazione della laveria. Intanto però la proprietà, per il mutato clima politico, ebbe delle difficoltà di rapporti con il governo. Nel 1940 gli impianti vennero sequestrati e solo nel 1946 l’attività poté essere ripresa, ma ormai il filone andava esaurendosi, sicché a partire dal 1963 l’impianto fu fermato e nel 1967 chiuso definitivamente. Argentieri sardi L’attività degli argentieri sardi, legata all’estrazione del minerale in loco, diede vita a un fiorente artigianato. Abbiamo notizia di essa già in epoca giudicale, ma solo nel 1331 fu regolamentata con l’emanazione di un privilegio che stabiliva che gli a. di Cagliari, di Iglesias e del giudicato d’Arborea avrebbero dovuto apporre il marchio civico sugli oggetti da loro realizzati a garanzia della rispon- 261 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 269 Argiolas denza del prodotto al titolo dichiarato. A quei tempi l’attività degli a. era concentrata in determinate zone delle città: ad esempio a Cagliari era concentrata nel Carrer de los platers, l’attuale via Lamarmora, in Castello. Le botteghe erano a conduzione familiare e gli a. tendevano a mantenere segrete le loro procedure, che trasmettevano ai propri discendenti. Nel corso del secolo XV la disciplina venne estesa anche agli orafi di Alghero e nel corso dei secoli successivi la loro attività si sviluppò ulteriormente. Nel secolo XVII fu costituito a Cagliari il Gremio degli argentieri e degli orafi che nel 1631 si dette un proprio statuto. Lo statuto, scritto in catalano, diviso in quaranta capitoli, regolamentava tutta l’attività di produzione degli oggetti d’argento, i rapporti di lavoro e ogni altro aspetto del lavoro degli a., ivi comprese le relazioni commerciali. Il contenuto dello statuto rimase pressoché invariato fino all’Ottocento: solo nel 1834 il suo testo sarebbe stato tradotto in italiano. Passata l’isola sotto l’amministrazione dei Savoia, nell’ottobre del 1760 il viceré Tana di Santena emanò un pregone che integrava il contenuto degli statuti dei gremi con norme dettate a garanzia dei compratori dei prodotti e delle lavorazioni. Fu stabilito che al marchio civico che garantiva la qualità avrebbe dovuto essere affiancato il marchio del maggiorale che attestava il titolo dell’argento. Nel 1768 un editto di Carlo Emanuele III introdusse anche l’obbligo del marchio dell’assaggiatore regio, un funzionario governativo che controllava la rispondenza alle norme dei prodotti degli a. L’attività venne regolata da questa normativa fino al 1873, quando entrò in vigore la legge n. 806 che unificava il sistema di garanzia dei metalli preziosi in Italia. Argiolas, Antonio Ignazio Educatore (Pirri 1834-Cagliari 1914). Ordinato sacerdote nel 1860, a 26 anni, dopo aver insegnato filosofia e letteratura, si interessò ai problemi dei sordomuti. Nel 1871 si trasferı̀ a Milano dove si specializzò come educatore di sordomuti; tornato a Cagliari vi aprı̀ l’Istituto dei sordomuti che diresse per anni, guadagnando notorietà nazionale. In seguito aprı̀ anche quelli di Bergamo e di Milano. Negli stessi anni i numerosi libri che scrisse sull’argomento gli diedero notorietà internazionale e riconoscimenti in molti paesi. Rientrato nella sua città fu nominato canonico della cattedrale e dottore aggregato della Facoltà di Teologia. Tra i suoi scritti, L’istituto dei sordomuti di Cagliari nel suo terzo quinquennio (1893-1897), 1898; Il conte Giovanni Battista Viale primo benefattore dei sordomuti cagliaritani, 1901; L’istituto dei sordomuti di Cagliari nel suo quarto quinquennio (1898-1902), 1902; L’istituto dei sordomuti di Cagliari nel suo quinto quinquennio (1903-1907), 1907. Ariaguono Antico villaggio del giudicato di Gallura, compreso nella curatoria di Montangia. All’estinzione della dinastia dei Visconti passò sotto il diretto controllo del Comune di Pisa a partire dal 1288. Dopo la conquista aragonese entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1324 fu concesso in feudo a Michele Martinez de Poyo, ma gli abitanti mantennero un atteggiamento ostile nei suoi confronti e nel 1329 furono addirittura accusati di averlo ucciso. Scoppiata la guerra tra Genova e Aragona nel 1330 il villaggio fu assalito e conquistato dalle truppe di Raimondo Cardona che lo fece radere al suolo e ne fece uccidere la maggior parte degli abitanti. Poco dopo, però, si scoprı̀ che l’uccisore del Martinez era un altro catalano, per cui il Car- 262 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 270 Aristana dona ripopolò A. con i superstiti e se lo fece infeudare nel 1331; alla sua morte nel 1337 il villaggio tornò al fisco, ma non si riprese più e cominciò a decadere. Scoppiata nel 1347 la seconda ribellione dei Doria, fu concesso in feudo a Giovanni d’Arborea, che lo unı̀ ai suoi territori. Il villaggio però subı̀ altri danni e nel 1354 fu definitivamente abbandonato. geva in località Restalias, non lontano dall’attuale abitato di Berchidda. Era di origini molto antiche. Nel Medioevo faceva parte del giudicato di Torres ed era compreso nella curatoria del Montacuto. Dopo l’estinzione della dinastia giudicale di Torres il villaggio, unitamente al restante territorio, fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura e si spopolò. Alla fine del secolo XIII, quando le truppe arborensi lo occuparono stabilmente, A. era oramai ridotto a poche case ma le sue tribolazioni non erano finite. Nel 1308 i Doria, dichiaratisi alleati di Giacomo II che preparava la spedizione in Sardegna, ne ottennero l’investitura e dopo la conquista aragonese dal 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Ma nel 1325 i Doria si ribellarono e il villaggio fu nuovamente occupato da truppe arborensi e nel 1339 concesso in feudo a Giovanni d’Arborea. In seguito, scoppiate le guerre tra Aragona e Arborea, diventò uno dei teatri di guerra, subı̀ danni irreparabili e si spopolò rapidamente. Aristana Antico villaggio del giudicato Arisaro – La fioritura avviene in inverno e primavera. Arisaro Pianta erbacea perenne della famiglia delle Aracee (Arisarum vulgaris L.). Ha foglie sagittate, infiorescenza unica, verde con striature scure, a spadice con spata tubulosa, allungata e ricurva. Il frutto è una bacca verdastra. Fiorisce per tutto l’inverno e la primavera, sia in terreni coltivati che incolti, nei boschi e nella macchia bassa, spesso in prossimità delle rocce. Nomi sardi: arı́cchja di lépparu (gallurese); erba de pipas (campidanese); folla origúda (Sulcis). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Ariscoblas Antico villaggio che sor- di Gallura compreso nella curatoria di Montangia. È situato nelle campagne di Aglientu. Estinta la dinastia dei Visconti, dal 1288 fu amministrato direttamente dal Comune di Pisa, per cui dopo la conquista aragonese fu compreso dal 1324 nel Regnum Sardiniae. I suoi abitanti, però, mantennero un atteggiamento ostile nei confronti degli invasori, per cui, scoppiata la guerra tra Genova e Aragona, si ribellarono e nel 1331 il villaggio fu occupato dalle truppe di Raimondo Cardona. Egli poco dopo lo ottenne in feudo, ma dopo la sua morte, avvenuta nel 1337, il villaggio subı̀ altre devastazioni a causa della guerra e cominciò a perdere popolazione anche per l’epidemia di peste del 1348. Negli stessi anni 263 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 271 Aristeo fu infeudato a Giovanni d’Arborea e dopo la prima guerra tra Aragona e Arborea si spopolò completamente. Entro la fine del secolo XIV era ormai scomparso. Aristeo Divinità greco-sarda. Figlio del dio Apollo, A. è divinità al contempo rustica e civilizzatrice. Generato dalla ninfa Cirene fu allevato da Gea e dalle Ore con nettare e ambrosia, divenendo immortale. Dai Greci era venerato come protettore dell’agricoltura e della pastorizia. Secondo Sallustio e Pausania si trasferı̀ in Sardegna a causa del dolore provato per la morte del figlio Atteone, sbranato dai cani di Artemide, sdegnata per esser stata vista dal giovane nuda alla fonte Partenia. Nell’isola, dove il culto di A. rimonterebbe già al secolo VII a.C., egli si caratterizza come benefattore divino e inventore di arnesi e tecniche per l’agricoltura e la caccia; come scopritore del miele e dell’olio d’oliva, della fermentazione del latte e della produzione del formaggio. Una figurina bronzea di età nuragica (Museo ‘‘Sanna’’ di Sassari), rappresentazione probabile dell’incarnazione locale del benefattore divino, testimonierebbe l’antichità di questo culto nell’isola. In piena sintonia con l’iconografia arcaica greca relativa ad A., la statuina ha sulle spalle una sacca con tre vasi da mettere in relazione con i tre liquidi donati agli uomini: miele, latte, olio. [ANTONELLO SANNA] Aristianis Nome bizantino della città di Oristano, sopravvissuto nella forma medioevale Aristanis. La sua derivazione dal nome dei praedia Aristana, i terreni della famiglia degli Aristii in età romana imperiale, è probabile, mentre nelle false Carte d’Arborea Aristanis prendeva il nome da una inesistente Aristana principessa del giudicato d’Arborea. La prima fonte a men- zionare Aristianis è la Descriptio Orbis Romani di Giorgio di Cipro, che segna il nuovo insediamento bizantino lungo un itinerario che da Chrysopolis-Forum Traiani (Fordongianus) reca attraverso Aristianis alla limne (stagno) di Cabras fino alla fortezza di Tharros (Kastron tou Taron). Lo scavo del sagrato della cattedrale di Oristano, nel 1987, ha evidenziato un cimitero bizantino, che può agevolmente riferirsi a una ecclesia forse già intitolata all’Assunta, destinata a divenire cattedrale all’atto della traslazione della sede episcopale tarrense in Oristano nella seconda metà del secolo XI (nel 1070 secondo l’umanista sardo Giovan Francesco Fara). Altre presenze bizantine sono state individuate nel corso dello scavo della torre di Portixedda all’estremità nord-orientale della cinta muraria medioevale: si tratta di ceramica graffita a pettine caratteristica dei secoli VI-VII. Finalmente nel corso dei recentissimi scavi nell’area centromeridionale del centro storico in corrispondenza della Porta Mari e della torre di San Filippo si è acquisita, tra i residui di un livello di riempimento postmedioevale, una fibbia di bronzo bizantina. Questi dati parrebbero indicare, in attesa di più ampi riscontri, che Aristianis rappresentò da una fase alto-bizantina un nuovo dinamico centro, dotato di forza propulsiva, al contrario della vecchia Othoca-Santa Giusta, al cui territorium dovette in origine appartenere l’area di Oristano. [RAIMONDO ZUCCA] ‘‘Aristocrazia’’ Periodico culturale fondato a Nuoro da Raffaello Marchi. Cominciò a essere pubblicato nell’ottobre del 1947, ma cessò la sua attività per mancanza di fondi nell’agosto del 1948. Raffinato intellettuale formatosi negli ambienti artistici di Firenze, Marchi voleva, con quel titolo, da una 264 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 272 Aritzo parte affermare un nuovo concetto di aristocrazia (slegato dal reddito, dalla nascita e dalla collocazione sociale) e dall’altra rinnovare polemicamente l’ambiente culturale del capoluogo barbaricino, che gli appariva ‘‘borghesemente’’ provinciale. Aristolochia – Particolare durante la fioritura. Aristolochia Pianta erbacea perenne della famiglia delle Aristolochiacee (A. rotunda L. ssp. insularis Nardi et Arrigoni). Ha un fusto eretto o strisciante, liscio, su cui si inseriscono foglie sessili, con base cuoriforme e margine intero. Caratteristici i fiori: tubulosi, all’ascella fogliare, giallo-verdi, con lembo terminale più scuro ricurvo. Il frutto è una capsula globosa. Fiorisce in maggio-giugno. Endemismo sardo-corso, cresce in luoghi rocciosi, ai margini della macchia e in terreni incolti. L’a. è inserita nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Aritzo Comune della provincia di Nuoro, compreso nella XII Comunità montana, con 1435 abitanti (al 2004), posto a 796 m sul livello del mare, sul versante occidentale del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Barbagia di Belvı̀. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio, esteso per 75,60 km2, ha forma allungata da occidente a oriente e confina a nord con Belvı̀ e Desulo, a est con Arzana, a sud con Seulo e Gadoni, a ovest con Meana Sardo. Il paese è al centro di una zona montuosa, ricca di boschi di castagni e di noccioli, con conformazioni particolari di roccia come il Texile, una sorta di ‘‘tacco’’ roccioso al culmine di un rilievo di forma conica. La punta più alta è quella di Funtana Cungiada, 1458 m, alle cui falde si conservava un tempo la neve che è stata per molto tempo alla base dell’economia locale. Il paese è attraversato dalla tortuosa statale 295 che percorre questo lato della montagna collegandolo con Belvı̀ e Tonara a nord, Gadoni e Laconi a sud. & STORIA L’attuale abitato è di origine medioevale, come dimostra la chiesa parrocchiale che conserva elementi del secolo XIII, ed era compreso nel giudicato d’Arborea nella curatoria della Barbagia di Belvı̀. La sua popolazione era costituita da pastori e rudi guerrieri e godeva di una speciale indipendenza nei confronti dell’amministrazione giudicale; quando nel 1410 il giudicato cadde A. entrò a far parte del Regnum Sardiniae ma i suoi abitanti continuarono a mantenere un atteggiamento di insofferenza nei confronti della nuova situazione, provocando tensione e un clima di insicurezza. Nonostante ciò, nel 1420 il villaggio e tutta la Barbagia di Belvı̀ furono concessi in feudo a Ferdinando Pardo che tentò di instaurare un duro sistema fiscale. La concessione fu mal tollerata dalla popolazione, che entrò ben presto in conflitto con i Pardo; cosı̀ essi nel 1450 pre- 265 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 273 Aritzo ferirono rinunciare alla concessione e, vista la precarietà nella quale erano costretti a operare, rendere il feudo al fisco. Aritzo – Panorama. Il villaggio ebbe alcuni decenni di libertà: forse a questo periodo risale la ristrutturazione della parrocchiale dedicata a San Michele; nel 1481 però il territorio fu nuovamente infeudato ai Pages, una famiglia di mercanti di origine provenzale. Questa seconda infeudazione provocò una nuova insurrezione generalizzata che nel 1496 costrinse i baroni alla rinuncia; in pochi anni le popolazioni ottennero che il territorio dell’antica curatoria fosse incorporato nel patrimonio reale, privilegio che fu sancito definitivamente nel 1507. A. e gli altri villaggi da quel momento non furono mai più infeudati e furono amministrati da un funzionario eletto tra i capifamiglia dei vari villaggi. Nei secoli successivi A. visse pacificamente, cominciando a guadagnarsi la fama di amena residenza alpestre e, specialmente nei periodi in cui imperversava la peste, divenne rifugio di molti aristocratici cagliaritani. Passata la Sardegna ai Savoia, la nuova dinastia sembrò rispettare gli antichi privilegi; nel 1767 però si verificò un fatto nuovo e sconvolgente per i fieri montanari: la riscossione delle rendite civili del villaggio fu inclusa nel feudo di Santa Sofia concesso ai Lostia come signoria utile; ciò fece rinascere sopite tensioni e vivaci proteste che però non modificarono la situazione: i nuovi feudatari organizzarono la riscossione dei tributi e in conseguenza di ciò avanzarono pretese di giurisdizione sul territorio. Nel 1821 il villaggio fu incluso come capoluogo di mandamento nella provincia di Oristano e finalmente nel 1838 si liberò dal vincolo feudale. Risalgono a questo periodo i dati e le osservazioni registrati da Vittorio Angius: «È composto l’abitato di 460 case, le quali occupano una non piccola superficie in figura d’un romboide. Le strade sono difficili, e troppo sassose: nella direzione da tramontana ad austro, in cui sono le principali, conservasi una certa regolarità. La primaria, detta Funtana ’e Idda, è quasi nel mezzo e allungasi più di un miglio. Le case sono formate ordinariamente di tavole. Vi è inoltre una scuola normale frequentata da 30 fanciulli. Occupazioni degli aritzesi. Essi in generale non esercitano altro mestiere che di trasportare i prodotti del loro territorio in tutti i punti dell’isola. Provengono da A. le castagne, noci, nocciole, travi, travicelli, tavole, doghe, cerchi. Agricoltura. Ad onta della bontà del terreno giace quest’arte quasi negletta. Vedesi dai passeggieri in questa regione quasi il giardino della Sardegna, e una lussureggiante e vigorosa vegetazione, ma poco o nulla di arte. Vi è un gran numero di pastori, massime di pecore e vacche, Il numero del bestiame nelle 266 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 274 Aritzo varie specie è approssimativamente questo: cavalle 200, vacche 800, porci 1000, capre 2000, pecore 80 000; i gioghi per l’agricoltura più di 100». Fonte non secondaria di reddito era il commercio della neve che, stipata in inverno in grotte e costruzioni in legno, veniva estratta, trasportata in casse di legno e fornita poi durante l’estate per la refrigerazione in vari altri centri, tra i quali Cagliari; gli aritzesi arrivavano in tutte le sagre isolane per proporre sa carapigna, a metà tra il gelato e la granita, preparata ugualmente con la neve delle loro montagne. Quando nel 1848 furono abolite le province, A. fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari che nel 1859 fu ricostituita in provincia. Nel corso del secolo XIX il villaggio, che seppe conservare il suo notevole patrimonio di boschi, cominciò ad assumere il carattere di meta di gradevoli soggiorni estivi e a essere apprezzato per la salubrità del clima: si arricchı̀ cosı̀ di alcune belle costruzioni residenziali. Negli stessi anni l’imprenditore Maurizio Norando impiantò un grosso vivaio tentando di dare una dimensione industriale allo sfruttamento delle castagne; nel 1927 fu compreso nella ricostituita provincia di Nuoro. & ECONOMIA Mentre l’economia tradizionale era basata, come scriveva Angius, sulla produzione delle castagne, delle nocciole e del legname, nonché della neve, quella odierna ha come fondamento il turismo di collina e di montagna, che il paese ha saputo ben sviluppare dopo il primo avvio nei secoli scorsi. Artigianato. Il villaggio è depositario di antiche tradizioni di lavorazione del legno, in particolare delle cassapanche di castagno intagliate; attualmente abili artigiani producono anche piccoli oggetti intagliati per uso turistico. Alcuni giovani stanno poi ri- lanciando la produzione estiva della carapigna; si producono artigianalmente anche coltelli a serramanico, un pregiato torrone e dolci tipici. Aritzo – Su Texile, caratteristica formazione a taccu. DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1522 unità, di cui stranieri 4; maschi 738; femmine 784, famiglie 540. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 23 e nati 8; cancellati dall’anagrafe 28 e iscritti 17. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 17 444 in migliaia di lire; versamenti ICI 742; aziende agricole 281; imprese commerciali 113; esercizi pubblici 20; esercizi all’ingrosso 1; esercizi al dettaglio 47; ambulanti 18. Tra gli indicatori sociali: occupati 456; disoccupati 37; inoccupati 143; laureati 35; diplomati 184; con licenza media 503; con licenza elementare 528; analfabeti 43; automezzi circolanti 501; abbonamenti TV 395. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio custodisce testimonianze di epoca preistorica e di epoca punica e romana che dimostrano che fu abitato continuativamente. Nei pressi dell’abitato si trova un complesso di domus de janas. & 267 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 275 Ariu PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il maggiore elemento del patrimonio culturale di A. è rappresentato dall’insieme di erte viuzze che concorrono a formare il suo centro storico nel quale sono conservate le tipiche case barbaricine costruite in pietra schistosa e adornate da balconate in legno. Al centro sorge la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nel secolo XIV e recentemente rifatta per intero, tranne che nella torre campanaria. Al suo interno l’edificio è ricco di affreschi e di tele e statue tra le quali quella di un San Cristoforo di scuola napoletana del 1606. Altro elemento importante della cultura aritzese è la Raccolta Etnografica costituita a cura del Comune e ospitata in locali della scuola elementare; è articolata in due sezioni: la prima comprende i costumi della Barbagia di Belvı̀ e del Mandrolisai (A., Belvı̀, Tonara e Desulo) nelle varianti della vita quotidiana, delle nozze e del lutto; la seconda sezione contiene gli strumenti da lavoro dei vari mestieri e documenta la vita della comunità locale in tutti i suoi aspetti. Ma turisti e villeggianti vengono a soggiornare nelle case e nei numerosi alberghi di A. soprattutto per poter frequentare il suo bellissimo territorio: numerose le passeggiate, in parte indicate con segnaletica, tra le quali quella sino alla base del Texile e quelle lungo le pendici della punta Funtana Cungiada, per vedere le antiche neviere. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La grande coesione culturale e l’attaccamento alle tradizioni si manifestano principalmente in una serie di feste popolari; la più nota di queste è indubbiamente la sagra delle castagne e delle nocciole che si svolge negli ultimi giorni di ottobre; fu istituita nel 1972 e dura due giorni; ha lo scopo di promuo& vere il commercio di questi due importanti prodotti ed è ricca di manifestazioni folcloristiche che richiamano moltissimi turisti. Al patrono San Michele vengono dedicate giornate di festa l’8 maggio e il 29 settembre, con il concorso corale della popolazione e hanno un carattere prettamente religioso. Tipica festa che si richiama alle tradizioni agricole è invece quella di Sant’Isidoro che si svolge il 4 aprile con il concorso di carri trainati da buoi e addobbati con coperte e fiori. La statua del santo, posta su un trattore, dopo aver percorso le vie del paese, viene riportata in parrocchia dove vengono benedetti gli strumenti da lavoro. Ariu, Giorgio Giornalista e atleta (n. Cagliari 1946). Più volte campione nazionale e italiano di hockey su prato con la squadra dell’Amsicora di Cagliari, intrapresa l’attività giornalistica è divenuto professionista nel 1972; nel 1973 ha fondato la rivista ‘‘Il Cagliaritano’’; dal periodico hanno avuto origine anche ‘‘Cagliari Calcio’’, ‘‘Terra Sarda’’ e altre pubblicazioni. Nel settore della comunicazione ha dato vita alla Gia Comunicazione, che ha trovato un suo spazio nel campo dell’editoria in Sardegna, arrivando a pubblicare oltre 130 titoli. È autore di Sardegnatavola, 2002; La regina di Villacidro. 20 anni di atletica leggera, 2003. Arixi Centro abitato della provincia di Cagliari, frazione di Senorbı̀ (da cui dista 2 km), con oltre 400 abitanti, posto a 199 m sul livello del mare in un territorio collinare tipico di questa regione. Regione storica: Trexenta. Archidiocesi di Cagliari. & TERRITORIO Il territorio è ondulato per una serie di rilievi non molto alti e arrotondati che si prestano alle colture tipiche della Trexenta, i cereali e la vite. A breve distanza scorre il rio Can- 268 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 276 Arixi nisoni, uno dei principali affluenti del Mannu, che si dirige verso sud. La frazione si trova lungo una strada secondaria che collega Senorbı̀ a San Basilio e i paesi del Gerrei. & STORIA Le origini di A. sono da collocare in periodo giudicale, quando era compreso nella curatoria della Trexenta. Agli inizi del secolo XII doveva avere una certa importanza ed era sede di una notevole produzione di vino; quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, A., unitamente alla Trexenta, entrò a far parte del terzo spettante ai conti di Capraia e da loro passò al giudice d’Arborea. Nel 1295 il giudice Mariano II lasciò il territorio al Comune di Pisa, che però ne entrò in possesso solo nel 1300; cosı̀ A. passò sotto il diretto controllo di Pisa che ne sfruttò la produzione granaria e vinaria. Terminata la spedizione dell’infante Alfonso, il territorio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e A. fu concesso in feudo a Guglielmo Serrani; poco dopo però le ostilità tra Pisa e Aragona ripresero, per concludersi nel 1326. La regione della Trexenta fu concessa allora come feudo al Comune di Pisa, cosı̀ A. fu nuovamente unito all’antica curatoria. Negli anni che seguirono fu amministrato con fiscale precisione dai funzionari del Comune dell’Arno in un clima politico di crescente tensione. Quando nel 1353 scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV il suo territorio fu gravemente devastato ma in qualche modo Pisa continuò a conservarne il possesso. Quando però nel 1365 scoppiò la seconda guerra tra Arborea e Aragona il Comune ne perse definitivamente il controllo e A. fu, come tutta la Trexenta, occupato dalle truppe giudicali e di fatto passò al giudice d’Arborea che ne conservò il possesso fino alla battaglia di Sanluri. Fu- rono anni terribili ma, per quanto la Trexenta si spopolasse quasi completamente, A., seppure ridotto a un piccolissimo villaggio, riuscı̀ a sopravvivere e dopo il 1409 tornò a far parte del Regnum Sardiniae. Nel 1421 fu compreso nel territorio concesso in amministrazione a Giacomo de Besora, che entro il 1434 ne ebbe l’investitura feudale. Estinti i De Besora, A. seguı̀ le sorti del restante territorio e nel 1497 passò agli Alagon e fu compreso nel feudo di Trexenta che i nuovi padroni amministrarono unitamente al marchesato di Villasor. Nel corso del secolo XVI, quando gli Alagon riorganizzarono l’amministrazione del feudo, il villaggio fu compreso nella circoscrizione di Senorbı̀ e continuò a essere uno dei maggiori centri di produzione del grano. Nel 1703 Artale Alagon donò i suoi feudi all’unica figlia Emanuela che li trasmise ai De Silva, la famiglia del marito; sotto i nuovi feudatari A., nel corso del secolo XVIII, vide diminuire la sua produzione di grano e cadde in una crisi profonda che determinò il progressivo calo della popolazione. Nel 1821 fu compreso nella provincia di Cagliari e nel 1838 fu finalmente liberato dalla dipendenza feudale. È di questi anni la puntuale testimonianza che lo scrittore Vittorio Angius ha lasciato nel Dizionario degli Stati sardi di Goffredo Casalis: «Componesi di circa 95 case, ciascuna col suo cortile. Le strade sono competentemente larghe. È un paese semplicemente agricolo, e si impiegano nella coltura da 120 persone: altre manifatture non si conoscono, che quelle ordinarie del panno forese e delle tele, nel che sono adoperati circa 50 telai. Vi è un consiglio di comunità, una giunta locale sul monte di soccorso, e una scuola normale frequentata non più che da una decina di fanciulli. In que- 269 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 277 Arixi sta popolazione si contano annualmente da 6 in 7 matrimoni, nascono 15 o venti, e muojono poco meno. Le malattie fatali sogliono essere le infiammazioni ai visceri, nella cura delle quali sono assistiti da un salariato flebotomo. L’ordinario corso della vita è al 60º, sebbene non poche persone vi si trovino che oltrepassano l’85º, il che è osservabile in una popolazione di 315 anime, spartite in 95 famiglie. La regione è molto accomodata alle viti: se ne coltivano di quattro varietà, principalmente però pregiasi la malvagı̀a, di cui raccogliesi una competente quantità, sebbene non vada del pari con quella del Campidano. Il sopravanzo della consumazione spacciasi nei paesi vicini. Vi sono alberi di quasi tutti i generi di frutta, che maturano in questa latitudine, e che si coltivano in Sardegna; il numero dei mandorli è superiore a quello di altre specie, e quindi si ha qualche lucro portandone ogni anno una buona quantità nella capitale [...] Il bestiame rude, che si alimenta, somma il grosso al numero di 100 le vacche, di 150 le cavalle, che vagano nelle montagne di San Basilio; il minuto a 1000 pecore, le quali perir sogliono per raffreddore alle viscere, il quale si presume cagionato dal pascolo, che coglie bagnato dalla rugiada freddissima presso i pantani; al che spesso si rimedia col vino caldo, o col siero. Il bestiame domito somma i cavalli a 15, i giumenti a 60, i gioghi per lavoro a 50. Mancando le selve manca il selvaggiume, e solo abbondano i conigli, le lepri, e moltissime specie di volatili, comprensivamente alle beccaccie, quaglie, pernici, e colombacci: di queste ultime specie, che sono numerosissime, si fa frequentemente caccia». Negli anni seguenti A. rimase legato amministrativamente a Cagliari, ma le condizioni della sua economia non si risollevarono e alla fine del secolo la fillossera distrusse anche le sue vigne di Malvasia, un tempo rinomate. Nel corso del secolo XX andò ulteriormente spopolandosi e nel 1927 perse la sua autonomia per divenire frazione di Senorbı̀. & ECONOMIA La base della sua economia è costituita dalle attività agricole, in particolare vi sono sviluppate, oltre la cerealicoltura, la viticoltura (un tempo la Malvasia di A. era famosa) e la frutticoltura. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva i nuraghi Bruncu de Nuraqumini, Sa Domu ’e S’Orcu e Cardulinu; vi si trovano anche tracce di un insediamento romano in località Is Mullonis, a breve distanza dall’abitato, dove nel 1870 furono trovati i ruderi di un pagus; in successivi scavi furono rinvenuti embrici e ceramica di vario tipo che documentano il livello di civiltà materiale del sito. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Gli unici monumenti che si trovano nell’abitato sono la chiesa di Sant’Antonio, parrocchiale di recente costruzione, e la chiesa di Santa Maria Assunta, l’antica parrocchiale dalle forme molto semplici. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La memoria delle antiche tradizioni del villaggio è consegnata a due feste, quella dell’Assunta, che si tiene il 15 agosto, e quella in onore di Santa Lucia che si svolge in una chiesetta campestre il 13 settembre e si protrae per due giorni; in passato vi si svolgeva una piccola fiera. Arixi, Biagio Poeta (n. Villasor 1943). Vive e lavora a Roma, dove è ben introdotto negli ambienti letterari e si occupa di moda e di pubbliche relazioni. Ha esordito nel 1978 con la raccolta Amore: sale quotidiano, cui hanno fatto seguito diverse altre raccolte di versi 270 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 278 Armentariu che gli hanno dato notorietà in campo nazionale e gli hanno fruttato il riconoscimento della critica. Tra i suoi scritti, inoltre, le raccolte di versi Polvere Nera, 1980; Diverse giovinezze, 1982; Violenza immaginaria, 1984; Grandine, 1986; Le vie del cuore, 1993; e i romanzi Figlio di vescovo, 1988; Lago d’oro di acqua chiara, 1992. Arixi Magno Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria della Trexenta. Sorgeva nelle vicinanze di Arixi. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 A.M. fu compreso nei territori assegnati al terzo toccato ai Capraia; alla loro estinzione passò al giudicato di Arborea. Nel 1295 il giudice Mariano II cedette il villaggio al Comune di Pisa, ma l’abitato andò rapidamente spopolandosi. Alla fine del secolo XIII era completamente deserto, probabilmente gli ultimi suoi abitanti si erano trasferiti ad Arixi. Arlot, Re Termine di origine catalana che significava letteralmente ‘‘birbone’’ e ‘‘vagabondo’’. Ai Re A. era affidata nelle città della Sardegna la gestione delle bische e delle case di malaffare in genere. Essi avevano il compito di disciplinare le modalità del gioco e di dirimere le liti tra i frequentatori. Armangué i Herrero, Joan Studioso della lingua e cultura catalane (n. Barcellona 1960). Giunse in Sardegna nei primi anni Novanta come lettore di lingua catalana presso la cattedra di Ignazio Delogu nella Facoltà di Lingue dell’Università di Sassari (durante il soggiorno a Sassari ha dato vita ad Alghero all’Arxiu de tradicions populars), e poi passò a Cagliari presso la cattedra di Jordi Carbonell. Attualmente insegna Lingua catalana presso quella Università. Ha compiuto una serie di ricerche sui rapporti culturali fra Sardegna e Catalogna. Ha curato un volume collettaneo sulla Storia dell’ulivo in Sardegna. Dalle origini al riformismo settecentesco, 2001, e pubblicato Tesori in Sardegna (con L. Scala), 2001; La signora che investiva i bambini, 2002; e Studi italo-catalani, 2004, bollettino dell’Arxiu de tradicions populars. Armaniach, Bernardino Giurista (secc. XVI-XVII). Uomo di notevole preparazione giuridica e di grande abilità politica; per le sue qualità, nel 1620, la Municipalità di Cagliari gli affidò l’incarico di preparare un nuovo regolamento civico che egli redasse in breve tempo. Armengol Famiglia di origine valenzana (sec. XVI). Si trasferı̀ in Sardegna nel secolo XVI. Gli A. si stabilirono a Oristano, dove acquistarono la signoria della vicaria della città con un Raimondo. Nel 1558 questi fu ammesso allo Stamento militare; i suoi discendenti presero parte ai lavori di tutti i parlamenti successivi, fino all’estinzione della famiglia avvenuta nel corso dello stesso secolo XVI. Armentariu Ufficiale giudicale. Il titolo di A. nel periodo più antico della storia dei giudicati era riferito a funzionari investiti di compiti di amministrazione patrimoniale di varia natura e di diversa competenza. Nelle fonti documentali e in particolare nei condaghes sono identificabili diverse figure di a. Il più importante di questi funzionari era l’a. de logu, considerato in tutti e quattro i giudicati un personaggio che nell’organizzazione della corte giudicale veniva subito dopo il giudice; egli infatti aveva il compito di sovrintendere agli interessi economici dello stato e provvedere a controllare l’esazione dei tributi. Per raggiungere i suoi obiettivi si serviva dell’attività dei curadores, che gli erano subordinati. Figura di minore rilievo era l’a. de pe- 271 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 279 Armeria gugiare, che aveva il compito di amministrare il patrimonio privato (particolare, pegugiare) del giudice. Vi era poi l’a. de domo, che era il funzionario posto ad amministrare la domus. Armeria Genere di piante suffruticose della famiglia delle Plumbaginacee. Le armerie hanno fusti legnosi, foglie lineari, acuminate, o lanceolate, fiori a capolino su steli lunghi ed eretti. In Sardegna sono presenti quattro specie, tutte endemiche: 1. l’A. pungens Hoffmanns. et Link, lo ‘‘spillone delle spiagge’’, la specie più diffusa, che tra maggio e luglio ricopre con le sue fioriture rosa tutti i litorali sabbiosi; 2. l’A. morisii, lo ‘‘spillone del Moris’’, con foglie più allargate e fiori rosati, che ha un areale ristretto alle rocce calcaree del Supramonte; 3. l’A. sulcitana Arrigoni, lo ‘‘spillone del Sulcis’’, con foglie più sottili, quasi filiformi quelle interne, e fiori rosa in capolini allargati, che cresce soltanto sui rilievi del Sulcis e sul monte Linas; 4. l’A. sardoa, con la sottospecie tipica del Gennargentu (A. sardoa ssp. genargentea Arrigoni), lo ‘‘spillone di Sardegna’’, con foglie lunghe e lineari e fiori rosa in capolini minuti. Nome sardo: rosa marina. Ad eccezione dell’A. pungens, le armerie sono tutte inserite nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Armerin Famiglia cagliaritana (secc. XVII-XVIII). Conosciuta dalla seconda metà del secolo XVII, nel 1712 ottenne il cavalierato ereditario con un Baldassarre, la cui discendenza si estinse nel corso del secolo XVIII. ‘‘Armonia Sarda’’ Quotidiano cattolico pubblicato a Sassari tra il 1904 e il 1906. Fondato dal notaio Salvatore Daddi, fu diretto da Giuseppe Carta, esponente del mondo cattolico della città. Si propose all’opinione pubblica come anta- gonista dei giornali laici, entrando spesso in polemica soprattutto nei confronti de ‘‘La Nuova Sardegna’’. In occasione delle elezioni politiche del novembre 1904, quando i due contendenti andarono al ballottaggio, Daddi ottenne dal papa la sospensione del non expedit a favore del giolittiano Michele Abozzi, che infatti riuscı̀ vincitore. Armungia – Panorama del paese, costruito intorno a un nuraghe. Armungia Comune della provincia di Cagliari, compreso nella XXI Comunità montana, con 563 abitanti (al 2004), posto a 366 m sul livello del mare, in una zona di rilievi non molto alti ma aspri presso la riva destra del Flumendosa. Regione storica: Gerrei. Archidiocesi di Cagliari. & TERRITORIO Il territorio, esteso per 54,79 km2, ha forma trapezoidale e confina a nord con Ballao e Villaputzu, a est ancora con Villaputzu, a sud con Villasalto, a ovest con San Nicolò Gerrei. Si tratta, come si è detto, di colline 272 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 280 Armungia che, pur non superando i 500-600 m, hanno conformazione aspra, anche perché separate dalle profonde incisioni scavate dal Flumendosa e dai suoi affluenti: a nord del paese scorrono lo Spigulu e il Bintinoi. La natura del terreno è mista di quarzi, arenarie e scisti, la superficie è coperta in parte da boschi, all’interno dei quali domina il leccio. Per quanto riguarda le comunicazioni, il paese è collegato verso sud e verso est con un circuito stradale che unisce alcuni paesi che gli fanno corona, rompendo la solitudine di questa parte sud-orientale dell’isola: Villasalto, Ballao, Silius e San Nicolò Gerrei. & STORIA Secondo un’antica tradizione l’attuale centro deriverebbe da un centro fortificato (Armusa) che si sarebbe sviluppato in epoca romana attorno al nuraghe che ancora oggi campeggia al centro del paese e che avrebbe svolto una funzione di contenimento delle scorrerie delle popolazioni dell’interno. Le prime notizie certe su A. risalgono all’epoca giudicale, quando apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria del Gerrei, detta anche di Galilla. Dopo che il giudicato di Cagliari cessò di esistere e fu smembrato, nel 1257 fu compreso nel terzo toccato ai conti di Capraia e da loro passò al giudice d’Arborea. Nel 1295, però, il giudice Mariano lasciò col suo testamento il territorio al Comune di Pisa, che però ne entrò in possesso solo nel 1300; cosı̀ il paese passò sotto il diretto controllo del comune toscano che l’amministrò con grande fiscalità. Dopo la conquista iberica il territorio visse momenti di grande tensione e fu smembrato in alcuni feudi, A. fu incluso in un grande feudo che nel 1333 fu concesso a Raimondo Zatrillas. Scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV le po- polazioni, che mal tolleravano la presenza aragonese, si ribellarono e il territorio fu devastato, ma gli Zatrillas ne conservarono comunque il possesso. Scoppiata la seconda guerra tra Aragona e Arborea, nel 1366 il Gerrei fu occupato dalle truppe giudicali che lo tennero anche dopo la pace del 1388, e precisamente fino al 1409, quando il giudicato cessò di esistere. Tornato il Gerrei nel Regnum Sardiniae, A. tornò sotto il controllo degli Zatrillas che negli anni successivi governarono pacificamente il feudo. Ne riorganizzarono l’amministrazione e definirono i rapporti con le comunità dei villaggi che vi erano compresi; A. conobbe cosı̀ un periodo di relativa tranquillità, anche se nel 1652 soffrı̀ a causa della peste; più o meno negli stessi anni fu avviata la costruzione della parrocchiale dedicata all’Immacolata e il paese fu arricchito dal trasferimento di un gran numero di abitanti di Murdegu sopravvissuti alla peste. Nel corso del secolo XVIII l’economia di A. si sviluppò notevolmente, soprattutto nel settore della viticoltura, e nel 1771 vi fu costituito il Consiglio comunitativo che contribuı̀ a vivacizzarne la vita. Nel 1814, estinti gli Zatrillas, il villaggio passò ai Vivaldi Pasqua, ma ormai nella comunità andava radicandosi l’esigenza di liberarsi dalla dipendenza feudale; nel 1821 A. fu incluso nella provincia di Isili e finalmente nel 1839 si riscattò dagli ultimi feudatari. Sono gli anni nei quali Vittorio Angius annotava: «Notabile è l’estensione dell’abitato, per li piccoli giardini frammezzati. Ogni abitazione ha il suo bel pergolato, che con li mandorli, noci e fichi, allori e aranci rendono il luogo amenissimo e molto delizioso. Delle arti meccaniche conosconsi appena da pochissime le più necessarie; le manifatture sono la sola tela, e l’albagio [orbace] di varie qua- 273 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 281 Armungia lità, di cui moltissime pezze vendonsi nella Trexenta, nel Campidano di Cagliari e nella curatoria di Seurgus. Vi è una scuola normale dove concorrono circa dieci fanciulli. All’anno si sogliono celebrare circa sei matrimoni, nascono 35, muoiono 15. Le famiglie sono 270, le anime 875. Possiede questa comunità un territorio assai vasto di circa 120 miglia quadrate in superficie triangolare. Grandissimo frutto potrebbe percepirsi da cotanta estensione in massima parte coltivabile; ma non si cura di aver oltre della sussistenza, e di arricchire. Si semina ordinariamente circa 720 starelli cagliaritani di grano (litri 35,424), che rende in anno di mediocre fertilità dal 12 al 15 per uno; d’orzo starelli 200, onde si ha più del 15; di fave 100, le quali producono anche il 25; di legumi 50, che rendono il 10; di lino se ne semina tanto che il prodotto possa provvedere ai bisogni delle famiglie. Nutronsi cavalle, vacche, capre, pecore e porci; però non si bada a moltiplicare i capi a tanto, quanto lo permettono le sussistenze locali. Il numero di ciascuna specie è al presente come segue: pecore 2000, capre 2000, vacche 300, porci 300, cavalle 150. Si può vendere da 500 cantara di formaggio (kg 20,325). Ordinariamente lo comprano i negozianti sarrabesi». Nel 1848 la provincia di Isili fu abolita e il villaggio entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari, nel 1859 infine dell’omonima provincia. Nella seconda metà del secolo la comunità attraversò una grave crisi a causa dell’eccessiva pressione fiscale e, sebbene si tentassero alcune esperienze nel settore minerario, cominciò a spopolarsi. La diminuzione della popolazione si è accentuata dopo la fine della seconda guerra mondiale; attualmente il villaggio, custode della memoria di Emilio Lussu (nato qui nel 1890 e rima- sto per tutta la vita affezionato a questo che definiva «un piccolo villaggio di montagna, tra quelli che la civiltà romana conobbe per ultimi»), sta tentando la carta dello sviluppo turistico. & ECONOMIA La base dell’economia di A. è rappresentata tuttora dall’agricoltura e dall’allevamento. Nel primo settore ha avuto incremento in questi ultimi decenni la viticoltura; mentre il latte prodotto viene in parte lavorato sul posto, in pare conferito al caseificio di San Nicolò Gerrei. Artigianato. Abbandonate ormai le antiche forme di produzione artigianale, sopravvivono nel paese soltanto quelle legate all’attività edilizia. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 609 unità, di cui maschi 300; femmine 309; famiglie 282. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 6 e nati 2; cancellati dall’anagrafe 25 e iscritti 5. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 11 859 in migliaia di lire; versamenti ICI 261; aziende agricole 196; imprese commerciali 45; esercizi pubblici 3; esercizi al dettaglio 17. Tra gli indicatori sociali: occupati 161; disoccupati 26; inoccupati 44; laureati 2; diplomati 39; con licenza media 194; con licenza elementare 306; analfabeti 37; automezzi circolanti 219; abbonamenti TV 204. & PATRIMONIOARCHEOLOGICO I nuraghi che si trovano nel territorio (Coili de Bois, Palla, Perdu Schirru, Sarbatzi, Scandariu) dimostrano la sua frequentazione in epoca molto antica; il più caratteristico è il Nuraghe A., situato al centro dell’abitato. Di struttura monotorre, conserva un certo interesse, anche se privo degli ultimi filari superiori e restaurato su un fianco in seguito all’asportazione dei materiali, per la sua posizione dominante al cen- 274 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 282 Arnaud tro del paese e per la bellezza della volta interna a tholos. Attraverso un andito di accesso con due garitte triangolari si giunge alla camera centrale, in buono stato di conservazione, mentre da una scala, il cui accesso si trova all’interno del vano centrale, si giunge alla terrazza superiore. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Di grande interesse urbanistico è il centro storico, costituito da un insieme molto esteso di case a corte, ognuna delle quali comprende, come ai tempi dell’Angius, un piccolo giardino con alberi di differenti specie. Nel cuore dell’abitato si trova la parrocchiale dedicata all’Immacolata, chiesa costruita nel 1602 nell’area di un antico cimitero. L’edificio ha forme gotico-aragonesi, l’interno è semplice, ha una sola navata e la volta a botte e custodisce un bel fonte battesimale in pietra finemente scolpita del 1706 e argenterie tra cui una lampada d’argento del secolo XVIII. Altra chiesa interessante è quella di San Sebastiano, attualmente situata alla periferia del paese; costruita nel secolo XVIII, ha una sola navata e forme molto semplici. Molto interessante è anche il Museo S’omu de is Aı̀nas (la casa dei lavori), ospitato in diversi edifici che lo integrano nel tessuto urbanistico; contiene una raccolta che documenta la civiltà contadina e gli altri mestieri nei loro vari aspetti, un antico laboratorio di fabbro e una sezione dedicata alla vita e alle opere di Emilio Lussu. Negli ultimi anni la ricerca di una nuova vocazione turistica ha condotto alla realizzazione di alcuni sentieri che, inoltrandosi nel vario territorio sui percorsi dei pastori e dei minatori di un tempo, ne mettono in risalto le risorse naturalistiche e paesaggistiche. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI A. conserva la memoria delle sue tradizioni in alcune feste popolari tra le quali quella di San Sebastiano che si svolge alla fine di settembre, probabilmente per ricordare il trasferimento ad A. degli abitanti di Murdegu, con il coinvolgimento di tutta la popolazione in un grande banchetto e balli tradizionali. In passato la ricerca dei cibi occorrenti al banchetto culminava in una processione di ringraziamento degli organizzatori che si fermavano di fronte ai portoni delle famiglie che avevano contribuito e cantavano pubbliche lodi in loro onore. La festa di maggiore richiamo è però quella della Vergine Immacolata, la quarta domenica di maggio: partecipano gli armungesi e molti abitanti dei paesi vicini; anche in questo caso si tengono i tradizionali balli sardi, per i quali questo paese era famoso sin dai secoli passati. Vanno infine ricordate altre due feste che si collegano direttamente alle più antiche tradizioni popolari di A. Per prima quella di Is animeddas, che si tiene il 31 ottobre. Si tratta di una manifestazione molto antica che si riallaccia alle tradizioni popolari tipiche del Gerrei. Per l’occasione, i bambini che percorrono le strade del paese e bussano alle porte chiedendo offerte di pane, dolci e limoni (is animeddas), vengono accolti con gioia e con le offerte riempiono un sacchetto che portano con sé; un tempo le offerte venivano raccolte e distribuite ai poveri della comunità. La festa de Su trigu cottu si svolge invece il 31 dicembre, quando in diversi punti dell’abitato viene distribuito il grano cotto e addolcito con miele, zucchero e sapa. Arnaud, Guglielmo Religioso (sec. XIV). Minore conventuale, fu nominato vescovo di Galtellı̀ nel 1386 da Clemente VII, papa di Avignone, e nel 1388 suo nunzio in Sardegna. 275 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 283 Arnosio Roma subito dopo la laurea, divenne redattore dell’‘‘Osservatore Romano’’. Cattolico di idee liberali, nel 1913 fu candidato nel collegio di Isili per l’elezione a deputato, sfidando le potenti clientele del ministro Francesco Cocco Ortu. Andò molto vicino al successo, anche perché si parlò di brogli di cui furono teatro i seggi elettorali di fede coccortiana (di qui uno scontro fisico con lo stesso Cocco che ci fu subito dopo le elezioni). Finita la guerra aderı̀ al Partito Popolare Italiano e nel 1921 fu eletto deputato. Nel corso della legislatura concorse alla formazione della Destra nazionalista di E. Martire, sicché nel 1923 dovette uscire dal PPI. Non ricandidato nel 1924, lasciò la politica e si ritirò a vita privata. Carlo Tomaso Arnosio – Piemontese, fu nominato nel 1822 arcivescovo di Sassari, ma, gravemente malato, dovette lasciare la sede dopo pochi anni. Arnosio, Carlo Tomaso Religioso (Carignano 1774-Alessandria 1828). Arcivescovo di Sassari dal 1822 al 1828. Uomo di grande cultura ed erudizione, fu nominato canonico della chiesa metropolitana di Torino e divenne dottore in Teologia all’Università di Torino e insegnante nel Seminario di Giaveno. Nel 1822 fu nominato arcivescovo di Sassari e governò l’archidiocesi con grande equilibrio, impegnandosi soprattutto nella riforma del Seminario. Subito dopo aver portato a termine la sua seconda visita pastorale, minato da un male incurabile tornò in Piemonte e morı̀ dopo grandi sofferenze. Aroca, Guido Avvocato, giornalista, deputato al Parlamento (Sassari 1881Roma 1969). Figlio di Alfonso, popolare medico sassarese impegnato in politica nel gruppo radical-repubblicano, alternò la professione di avvocato a quella di giornalista. Trasferitosi a Aroca, Mario Medico, poeta (Sassari 1876-Genova 1965). Era figlio di Alfonso, popolare medico sassarese, e fratello maggiore di Guido. Laureato in Medicina, si trasferı̀ a Genova ed entrò in servizio sui transatlantici. Ritiratosi a vita privata, si dedicò esclusivamente alla letteratura. Scrisse versi di notevole efficacia in sassarese e in italiano; usava lo pseudonimo di Marius Aper per le pagine di prosa, tra cui le novelle Gocce di sangue e il notissimo Cricrı̀ è immortale, e lo pseudonimo di Brottu Sarippa per i versi dialettali, fra cui I canti del pellita (1953). Nel 1959 vinse il secondo premio al ‘‘Città di Ozieri’’. Morı̀ a Genova dove si era ritirato a vivere dal 1953. Arquer Famiglia cagliaritana originaria del Regno di Valencia (sec. XVI). Si trasferı̀ in Sardegna agli inizi del secolo XVI con un Pietro Giovanni, cavaliere, che probabilmente discendeva da un’antica stirpe di cavalieri originaria di Ceret nel Roussillon e diramata in Catalogna, Valencia e Majorca. Le sue condizioni economiche però non erano buone: fu procuratore generale 276 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 284 Arquer di Pietro Maza de Liçana signore di Terranova; nell’esercizio del suo ufficio si inserı̀ nell’intricata rete di affari della famiglia contrapponendosi agli Aymerich, altri tradizionali amministratori dei Maza. Suo figlio, il dottor Giovanni Antonio, fu tra i protagonisti delle fazioni che dilaniarono l’aristocrazia cagliaritana nel corso del secolo; avvocato valente, si segnalò difendendo gli interessi dell’arcivescovo di Sassari Salvatore Alepus e nella causa per la successione nel feudo di Thiesi. Si legò ad Antonio Cardona e fu l’elemento di coagulo del partito viceregio che propugnava la modernizzazione dell’amministrazione pubblica e la diminuzione dei privilegi dell’aristocrazia. Gli fu anche affidato l’esame dell’amministrazione Carrillo e poiché sua figlia Petronilla era sposata a Gerolamo Ram, fratello del maestro razionale e nipote dell’arcivescovo Alepus, fu coinvolto direttamente nelle diatribe della successione dei Carrillo in contrasto con gli Zapata. La lite lo portò cosı̀ a scontrarsi con gli Aymerich, tradizionali rivali della sua famiglia e amici degli Zapata; dopo il primo allontanamento del Cardona, nel 1544 fu arrestato, ma quando nel 1545 il viceré tornò in Sardegna fu liberato, riabilitato e riconosciuto cavaliere. Riprese cosı̀ la lotta contro i rivali e riuscı̀ a far affidare a uno dei figli, Sigismondo, l’amministrazione di una parte dei beni dei Maza; oltre a Sigismondo entrò nella contesa anche l’altro dei suoi figli Pietro Giovanni. Essi furono protagonisti della seconda fase delle faide nobiliari cagliaritane e morirono nella seconda metà del secolo senza lasciare discendenza. Arquer, Pietro Giovanni Giurista (sec. XVI). Figlio di Giovanni Antonio fu protagonista della faida nobiliare cagliaritana. Nel 1559 ferı̀ con la spada Filippo Torrellas e fu costretto a rifugiarsi nella cattedrale per sfuggire ai sicari della fazione degli Aymerich. Nel 1564 fu nominato avvocato fiscale; il suo nome è legato alla raccolta e al commento dei capitoli dei parlamenti. Egli infatti continuò l’opera del Bellit, commentando i capitoli dei parlamenti Coloma e Moncada e pubblicandoli sotto il titolo di Capitols de cort del stament militar de Sardenya ara novament restampats y de nou añadits ab molta diligencia y curiositat reunits, 1591. Fu autore anche di altre opere di carattere giuridico tra cui la Rubrica de tots los reals privilegis concedits a la magnifica ciutat de Caller por los serenissimos Reyes de Aragò, 1603. Arquer, Sigismondo Giurista e letterato (Cagliari 1530-Toledo 1571). Di notevole intelligenza, dopo essersi laureato a soli 17 anni a Pisa in utroque iure e a Siena in Teologia, nel 1555 tornò a Cagliari dopo una serie di viaggi e soggiorni in Svizzera e in Spagna e intraprese la carriera giudiziaria. Nel 1553 fu nominato avvocato fiscale e succedette nell’ufficio a Girolamo Olives. Sensibile ai programmi di rinnovamento dell’azione amministrativa e di spirito rigoroso e intransigente, finı̀ per attirarsi l’ostilità delle consorterie nobiliari del suo tempo, delle quali cercò di limitare privilegi e prepotenze. I nobili, sentendosi in pericolo per causa sua, cercarono in tutti i modi di fermarlo. Essi infatti lo accusarono di malversazione costringendolo a fuggire: raggiunse nuovamente la Spagna dove la principessa reggente lo sciolse dalle accuse e lo fece tornare nell’isola (1558). I suoi nemici puntarono allora sull’eresia: assolto una prima volta dall’arcivescovo Parragues, nel 1562 fu fatto oggetto di una nuova accusa presso l’inquisitore Diego Calvo e cosı̀, nell’estate del 277 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 285 Arrampicata 1563, fu arrestato mentre ritornava in Spagna. L’indizio principale era la sua collaborazione, con un breve articolo scritto mentre si trovava in Svizzera (Sardiniae brevis historia et descriptio: Tabula chorografica insulae ac metropolis illustrata), alla Cosmografia universalis di Sebastiano Münster, un francescano diventato protestante. Rinchiuso nelle carceri di Toledo sotto l’accusa di eresia, qui rimase per quasi otto anni, subendo molte torture. Alla fine di una serie di interrogatori di diversi giudici venne condannato al rogo – come scrive Raimondo Turtas nel suo Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, 1999 – «come eretico ‘‘negativo’’ perché, pur negando di esserlo e proclamando invece la sua ortodossia cattolica, gli inquisitori erano convinti che egli fosse sicuramente eretico». E agli inquisitori «che gli facevano intravedere la possibilità di aver ancora salva la vita a condizione di ammettere l’eresia e chiederne umilmente perdono, egli rispose che se avesse acconsentito alla loro richiesta proprio nel momento in cui stava ‘‘per comparire davanti a Dio, che è la stessa Verità, ciò sarebbe stato nient’altro che mentire per scampare alla morte’’: se questa era la condizione per vivere, era preferibile morire con la coscienza tranquilla». Il giudizio di Turtas è che «se in quel momento Sigismondo condivideva per davvero quella fede religiosa per la quale gli inquisitori lo accusavano e lo punivano col rogo, egli non poteva scegliere un modo più contorto e meno comprensibile per testimoniarlo di fronte alla morte». Al termine del processo morı̀ sul rogo nel 1571. A. è uno dei personaggi più drammatici e insieme più controversi della storia sarda. Sui suoi reali sentimenti religiosi si è svolta a fine Novecento una acuta polemica fra due grandi specialisti come Raimondo Turtas (Antonio Parragues de Castillejo arcivescovo di Cagliari e Sigismondo Arquer a confronto, ‘‘Archivio storico sardo’’, 1998) e Massimo Firpo (Alcune considerazioni sull’esperienza religiosa di Sigismondo Arquer, in Studi e ricerche in onore di Girolamo Sotgiu, 1993-1994). A M.M. Cocco dobbiamo una interessante biografia (Sigismondo Arquer dagli studi giovanili fino all’autodafè, 1987). Arrampicata = Alpinismo Arras Famiglia di proprietari di Bono (secc. XVII-XIX). Le sue notizie risalgono al secolo XVII; nel 1732 un Nicolò Arras Rubatta ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà: furono suoi figli Diego, canonico, Giovanni Antonio, vescovo, Taddeo e Margherita, madre di Giovanni Maria Angioy. Fu Taddeo, con il fratello Giovanni Antonio, che provvide all’educazione dell’Angioy rimasto orfano ancora bambino; nel 1792 arruolò alcuni contingenti di miliziani da inviare a Cagliari per provvedere alla difesa dallo sbarco dei francesi ottenendo il grado di colonnello. Dopo la sconfitta della linea politica del nipote, nel 1797, sospettato di cospirazione, fu arrestato e in seguito mandato in soggiorno obbligato a Carloforte, dove nel 1798 fu sorpreso dall’incursione dei corsari tunisini. Egli cercò di organizzare la resistenza ma, sebbene ferito, non riuscı̀ a impedire che i predoni deportassero buona parte della popolazione. La famiglia si estinse con suo figlio Giovanni Antonio nel corso del secolo XIX. Arras, Giovanni Antonio Religioso (Nuoro 1717-Tempio 1784). Vescovo di Ampurias e Civita dal 1779 al 1784. Si laureò in utroque a Cagliari, subito dopo fu nominato canonico del capitolo di Sassari. Nella curia turritana si mise in luce per le sue grandi qualità e 278 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 286 Arriu fu nominato vicario generale. Dopo la morte della sorella Margherita e di suo marito, genitori di Giovanni Maria Angioy, curò l’educazione del loro figlio; nel 1779 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita. Lavorò con impegno nella sua diocesi a migliorare le condizioni del clero. Arras Minutili, Giovanni Antonio Religioso (Nuoro 1717-Castelsardo?, 1784). Si laureò in utroque a Cagliari e subito dopo fu nominato canonico di Sassari dove divenne vicario generale. Era fratello della madre di Giovanni Maria Angioy di cui curò l’educazione; nel 1779 fu nominato vescovo di Ampurias e Civita, nella sua diocesi lavorò con impegno a migliorare le condizioni del clero. Arrendamento Termine giuridico utilizzato in Sardegna nel periodo aragonese e spagnolo per indicare la procedura con la quale la riscossione o l’amministrazione dei diritti fiscali e delle altre rendite veniva affidata a privati che concorrevano, per aggiudicarsele, a un vero e proprio appalto. L’aggiudicatario (arrendatore) infatti, in concorrenza con altri, acquisiva l’appalto delle rendite dietro l’offerta all’amministrazione di particolari garanzie finanziarie, ad esempio garantendo il pagamento anticipato delle annualità; i suoi utili provenivano dalla riscossione diretta dei tributi. Nel corso del secolo XV l’a. era assegnato per periodi variabili a seconda dell’importanza del tributo, e comunque mai per periodi superiori ai dieci anni: esso comunque servı̀ ad avviare le fortune economiche di molte famiglie. Nel corso del secolo XVI e soprattutto nel secolo XVII l’a. divenne una concessione vitalizia e spesso ereditaria, assumendo la forma di una vera e propria concessione feudale. Arri, Giovanni Antonio Epigrafista (sec. XIX). Abate, uomo di grande cultura, fu profondo conoscitore dell’epigrafia; a partire dal 1830 collaborò con l’Angius, che in quegli anni curava la redazione dei suoi studi sui nuraghi. Prese parte al dibattito sull’origine e la funzione di quegli edifici, che considerò come torri dedicate al culto astrale e solare, ipotizzando che fossero stati costruiti dai Fenici cananei nel secolo XV a.C. Tra i suoi scritti sull’argomento, Lapide fenicia di Nora in Sardegna, 1834; Lettera di Giannantonio Arri al chiarissimo cavaliere Alberto della Marmora intorno ai Nurhag della Sardegna, 1835. Arrica, Filippo Religioso (Ploaghe 1783-Alghero 1839). Laureato in Teologia, fu parroco di Sant’Apollinare di Sassari. Nel 1832 fu nominato vescovo di Alghero; nel 1839 morı̀ in quella città, dopo aver compiuto la visita pastorale alla diocesi nel 1838. Arriu, Antonio Giuseppe Teologo (Guspini 1743-Cagliari 1876). Entrato nell’ordine degli Scolopi, insegnò per molti anni grammatica a Oristano e in seguito si trasferı̀ a Cagliari dove insegnò nel collegio di San Giuseppe, di cui fu nominato rettore. Nel 1811 fu eletto provinciale del suo ordine per la Sardegna. Fu autore di diverse opere e polemizzò col padre Giacinto Hintz che insegnava Sacra Scrittura presso l’Università di Cagliari, del quale rifiutava il neo-millenarismo. Nel suo saggio su Le profezie che rimirano il finimondo deciferate contro i vani interpretamenti dei moderni chiliasti, 1805, dimostrò l’insufficienza delle basi teologiche di quanti, come i millenaristi, professavano il ritorno di Gesù Cristo e la fine dell’età degli uomini dopo un periodo di mille anni (di qui il termine di chiliasti, dal greco chı̀lioi, ‘‘mille’’, applicato ai seguaci della teoria) che avrebbe dovuto cedere il passo al Re- 279 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 287 Arrius gno di Dio. La tesi, fondata su una particolare interpretazione dell’Apocalisse di San Giovanni, si era presentata più volte nel Medioevo ed era stata fatta propria, nel secolo XVI, dagli Anabattisti. Arrius, Giuseppe Maria Sacerdote (sec. XVIII). Minore conventuale domenicano. Sul finire del 1792 fu nominato dal vescovo di Iglesias cappellano militare delle truppe dislocate a Sant’Antioco per fermare il tentativo di sbarco della flotta francese d’invasione. Nel 1793, quando gli invasori si presentarono, animò la resistenza degli abitanti di Sant’Antioco, attirandosi l’ammirazione generale al punto che la truppa lo acclamò ispettore e comandante generale. A questo episodio dedicò un suo scritto, La campagna di Palmas del 1792-93, 1907. Arru, Antonio Giuseppe Impiegato, consigliere regionale (n. Calangianus 1921). Cattolico impegnato nella DC. Candidato per la IV legislatura, il 20 febbraio 1963 è subentrato come consigliere regionale nel collegio di Sassari a Francesco Deriu (dimissionario per la candidatura al Senato). È stato successivamente rieletto nello stesso collegio per la V e la VI legislatura. Durante la VI legislatura fu questore del Consiglio dal 7 agosto 1969, in sostituzione di Pietro Monni, dimissionario. Arrubiolus Tipici dolci riconducibili alla lavorazione tradizionale della ricotta di pecora. Di origine antichissima, un tempo venivano ottenuti dalla ricotta fresca che il pastore era solito portare a casa dall’ovile. Le donne di casa la lavoravano con una spatola di legno impastandola con farina, zucchero, scorza grattugiata d’arancia e zafferano sciolto nell’acqua tiepida. L’impasto ottenuto veniva tagliato in tocchetti non più grandi di una noce da far friggere nell’olio caldo, e subito dopo spolverati di zucchero e serviti. Artea, Giorgio Religioso (sec. XVI). Vescovo di Lodi, nel 1535 fu a Cagliari a ossequiare Carlo V che partiva per la spedizione in Tunisia; nel 1538 fu trasferito in Sardegna a reggere la diocesi di Ampurias e Civita. Fu un prelato molto attivo e compı̀ molte visite pastorali nella sua diocesi. Arte Duchamp Casa editrice fondata a Cagliari nel 1977 da Angela Grilletti, come estensione dell’attività della omonima galleria d’arte. L’esordio è avvenuto con la pubblicazione del periodico ‘‘Arte Duchamp Notizie’’. Sono seguite alcune opere di narrativa e soprattutto pregevoli pubblicazioni d’arte. Rilevante attenzione è dedicata alle originali opere dell’artista Maria Lai: cartelle di grafica moltiplicata, fac-simile delle fiabe per immagini, carte e giochi per leggere l’arte visiva, CD-Rom. [MARIO ARGIOLAS] Artigianarte Editrice Casa editrice fondata nel 1986 a Cagliari; pubblica la collana ‘‘Biblioteca storico-ambientale’’ che affronta problemi di storia locale e di ambiente. Pubblica inoltre importanti studi di alcuni noti intellettuali su argomenti di cultura sarda. [MARIO ARGIOLAS] Artigianato L’attività dell’artigianato restò legata alla vita domestica e a quella agropastorale, si può dire, con lo stesso impegno che nel passato, fino al primo quarto del Novecento. Produzioni di artigianato erano la casa con la suppellettile, il carro e l’aratro, il piccolo mondo della capanna pastorale. Nella casa erano andati sempre più affinandosi quegli arredi e quegli oggetti che sembrano entrati nel sangue dei sardi e che vengono apprezzati dai forestieri. In ogni dimora isolana si ostentano o si conservano manufatti che hanno perduto la loro funzione ori- 280 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 288 Artigianato ginaria, in virtù della loro forma e grazia particolari. Oggi non si producono quasi più oggetti strettamente utilitari, ma si continua nella tradizione, con controllata modernità, a confezionare quella suppellettile fortemente caratterizzata per l’arredo decorativo domestico come sono gli arazzi e i tappeti. souvenir che hanno poco a che fare con l’autentico, tradizionale artigianato sardo. Nonostante questi fatti negativi e, in genere, l’usura dovuta al progresso accelerato nell’ultimo dopoguerra, l’artigianato di qualità è ancora vivo, per merito di artisti sensibili e di un ente regionale creato nel 1957, espressamente dedicato, come dice la sua denominazione, all’organizzazione ‘‘del lavoro artigiano’’ (ISOLA) e anche il lavoro che si muove nel filone tradizionale rappresenta ancora una notevole attività economica capace di produrre una certa quantità di reddito. Artigianato – La lavorazione del cuoio si è sviluppata verso la fine dell’Ottocento soprattutto nella Sardegna settentrionale (Sassari e Bosa). Fino a non molti anni addietro l’artigianato era in Sardegna un’occupazione, e insieme una passione, di tutti, sia dell’uomo che della donna. Molti modi artigiani sono ora completamente scomparsi; ne restano eccellenti documentazioni, oltre che nelle case (specie del contado), nelle raccolte pubbliche e private e immagini sparse in pubblicazioni. Nei primi decenni del secolo le produzioni cominciarono a essere conosciute anche fuori dall’isola, specie nel periodo in cui era di moda il folclore regionale. Ma nel contempo si verificarono certe deviazioni del gusto, originate dal malinteso concetto di uno ‘‘stile sardo’’, poggiante sulla trasposizione di elementi tradizionali e l’abuso del nero: sulla scia di queste abitudini nel ventennio fra le due guerre e i primi decenni del secondo dopoguerra sono state immesse sul mercato produzioni- Artigianato – La cassapanca di legno di castagno, con il lato anteriore finemente intagliato, era il mobile fondamentale della casa sarda tradizionale. LA CASA COME OGGETTO ARTIGIANO Per comprendere meglio l’artigianato giova partire dall’architettura rustica, che è anch’essa una produzione di artigianato. La casa costituiva lo scrigno dei rari mobili di legno intagliato, degli oggetti di ferro e di rame, della cestineria, della ceramica, dei tessuti e dei ricami, dei gioielli, delle materie effimere, di manufatti di materie varie, nonché dell’abbigliamento tradizionale: oggi i costumi sono riposti gelosamente negli antichi cassoni, ma una volta inondavano la casa e venivano confezionati in casa, come i ‘‘copricassa’’ e le tele ricamate. In passato 281 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 289 Artigianato l’artigiano provvedeva anche all’arredo delle chiese, e notevole è stato il contributo degli orafi e degli argentieri, nonché quello delle donne, che ricamavano paramenti e tovaglie d’altare. Le forme artigianali sono state affinate lentamente attraverso i secoli; esse sono il risultato di una rigorosa selezione, in cui è stato scartato tutto quanto non fosse veramente funzionale. Ma molte non risalgono alla più remota antichità, come potrebbero far pensare o come generalmente si crede: è una fatica ardua tentare di ricucire la loro storia, anche per difetto di studi sistematici interessanti la più vasta area mediterranea. Nel passato non ci furono vere ‘‘scuole’’, che creassero la tradizione artigiana: il suo svolgimento e il suo rinnovamento erano dovuti a delle spinte che si verificavano periodicamente, dovute alla sensibilità di persone colte, prelati e nobildonne. Delle arti popolari europee, le produzioni artigianali della Sardegna sono fra le più pure: esse mostrano tutte il timbro peculiare e inconfondibile della regione, capaci di suscitare sensazioni particolari, sia visive che tattili. L’osservanza dell’utilità funzionale delle produzioni si avverte nella generalità dei casi, ma non mancano esemplari in cui si legge chiaramente l’impronta della fantasia dell’artigiano-artista: accadeva quando l’artigiano, al di fuori dell’attività quotidiana volta alla ripetizione dei modelli (come si avverte specialmente nella produzione figulina), nei dı̀ di festa o in occasioni eccezionali si impegnava per fare un dono prezioso a un amico, agli sposi o a un benefattore. L’architettura domestica è anch’essa una produzione di artigianato, di arte popolare. Essa costituisce l’ambiente che accoglie quelle cose che si chiamano di artigianato; l’una e le altre si integrano a vicenda, formando un tutto unico. La casa presenta molte sfumature, nelle diverse subregioni dell’isola, sia riguardo agli schemi planimetrici che ai misurati spazi e al loro carattere. La più compiuta espressione è la casa dei Campidani: la ‘‘cucina’’ era l’ambiente principale, densamente arredato; accanto ad essa era la ‘‘stanza del fieno’’, con le pareti letteralmente ricoperte di canestri, còrbule e setacci. Il caratteristico loggiato, sa lolla, ospitava panche e molte sedie vivaci, e talvolta anche il torchio e il telaio. La casa montanara, sviluppata in altezza, era caratterizzata invece da ampie balconate lignee a più piani, dalle colonnine intagliate; oltre ai cassoni intagliati, ubicati nell’ampia ‘‘cucina’’ (detta anche sa domu de su fumu, la stanza del fumo), c’erano i telai, i letti e il ‘‘canterano di Aritzo’’, con su in alto lo specchio. Artigianato – Il sole e le pavoncelle sono elementi caratteristici della decorazione del fronte della cassapanca sarda. IL LEGNO: I MOBILI E L’INTAGLIO Tra i mobili e la suppellettile domestica faceva spicco il tradizionale cassone nuziale, forse il pezzo che vanta maggiore antichità. Si è intravista in un cofanetto di bronzo di età nuragica l’immagine dell’arca di legno. Ancora oggi la cassa nuziale o una piccola cassa da viaggio non manca mai nella casa sarda. Per la decorazione del pa- 282 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 290 Artigianato liotto si ricorreva alle fasce intagliate che i mercanti barbaricini vendevano a palmi ai falegnami dell’isola: le strisce di castagno intagliato ripetevano all’infinito motivi geometrici; l’applicazione, senza principio e senza fine, non poteva risultare ben inserita, con gli attacchi imperfetti fra i lati orizzontali e verticali. Sempre apribile dall’alto, il cassone è sollevato dal suolo mediante supporti; serviva per custodire un po’ di tutto. I due tipi, quello di Aritzo o barbaricino, e quello allungato, piuttosto basso, cosiddetto di Santu Lussurgiu, coesistono nella stessa area.Il legno veniva lasciato allo stato naturale o veniva dipinto in rosso con sangue di agnello oppure in turchino o verdolino, con essenze vegetali. Stando molto tempo nella ‘‘stanza del fumo’’, finiva per annerirsi. Si prese, cosı̀, in tempi moderni, a dipingerle di quel colore nero, di cui abusò il cosiddetto ‘‘stile sardo’’ degli anni Venti e Trenta. Il tipo detto di Santu Lussurgiu reca alle estremità mensole intagliate aggettanti, con forti modanature di base e appoggi a foggia di zampa di leone. L’influenza di modi continentali è evidente. Nel tipo barbaricino, invece, i modi sono rimasti bizantineggianti, nella tipica scultura a nastro, trattata a punta di coltello. La decorazione, geometrica e floreale, è integrata immancabilmente da simboli, come il Sole e la clessidra, nonché da uccelli stilizzati. Mentre il paliotto è sempre decorato, le altre facce sono sempre lisce. In legno era originariamente anche il letto. Le sue strutture venivano letteralmente celate da coperte, trine e velari; tutt’attorno correva il ‘‘giraletto’’. I letti di ferro, dalle testate decorate da volute dipinte, si diffusero nell’Ottocento. Accanto al letto era la culla, anch’essa intagliata. Il tavolo elaborato non era molto frequente; era quasi sempre semplice e serviva per la confezione del pane e per desinare. In Campidano, nelle cucine c’erano la mesiglia, bassa, e le sedie, anch’esse basse, di legno bianco, decorate col fior del melograno e impagliate (fattura di Assemini). Frequente era la mostra dei piatti, detta parastaggiu. Sedie e seggioloni, che svolgevano gli stessi motivi decorativi del cassone, erano frequenti nei centri di montagna, dove erano usati anche gli sgabelli fatti con tronchi di férula. Altri tipi di sedie, intagliate e dipinte in genere di rosso, sono di derivazione spagnola. L’attività degli intagliatori fu notevole ed eccellente nei secoli XVII e XVIII: ne fanno fede gli altari e i pulpiti intagliati e dorati, di cui sono piene le chiese. Stalli corali e arredi presbiteriali in genere attingono all’arte colta, raramente all’arte popolaresca. Il telaio aveva spesso le piantane e le congiunture orizzontali intagliate; oggetti complementari – ma anch’essi lavorati, spesso – erano conocchie, naspi, fusi e spole. Altri manufatti in legno erano taglieri, vassoi, mestoli, forchette, cucchiai, bicchieri, reggisetacci, bellissimi stampi da pane e sigilli. Anche il corno si presta a essere intagliato: sono nate cosı̀ tabacchiere, fiaschette, porta-polvere da sparo, bicchieri, pipe, uncinetti per lavori donneschi. Bellissimi manici di coltello sono tuttora fatti di corno di montone (Pattada, Santu Lussurgiu, Desulo, Dorgali). Per le tabacchiere è stato impiegato anche l’avorio. I sardi hanno sempre intagliato, scalfito e inciso. Hanno creato maschere carnevalesche, simulacri di Santi e forme fantastiche, utilizzando soprattutto il legno di pero. 283 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 291 Artigianato Artigianato – La cassapanca intagliata, spesso dipinta col sangue di bue, è un oggetto essenziale dell’arredo domestico. IL FERRO E IL RAME Collaboratore del maestro di muro e del falegname era il fabbro ferraio. Per la casa confezionava serrature fantasiose a forma di animali o di cuore, maniglie con placca traforata, battenti di porta a forma di mostricciattoli e di simboli vari. Fabbricava speroni e morsi di bardatura di cavallo. In tutte le cucine erano allineate, a parte, serie di schidioni, girarrosti, alari per caminetto; graticole e treppiedi di ogni grandezza, padelle per le caldarroste, e poi branchie, lucerne e piccoli oggetti, come le rotelle dentate per la confezione del pane e dei dolci. Cagliari e Sassari sono stati i centri principali del ferro battuto, impiegato per roste, balconi, ringhiere di scale, lampade e cancellate di chiese. Il fabbro era spesso anche armaiolo. Alcuni centri sono rimasti famosi per i coltelli a serramanico (Pattada, Guspini, Arbus). Si conservano ancora ottime armi da caccia, decorate con gusto: il rivestimento poteva essere in avorio scolpito oppure in lama di acciaio o di argento cesellato. Artigianato – Il fabbro ferraio realizzava per la casa serrature, maniglie, battenti di porta, speroni e morsi di bardatura. Per la cucina creava anche schidioni, girarrosti, graticole e padelle. Antichi archibugi sono forse modelli moreschi: si fabbricavano a Dorgali e a Tempio, che era famosa anche per le armi bianche. La mostra del rame sbalzato completava l’insieme degli utensili di cucina. I ramai di Isili e di Gavoi fabbricavano e smerciavano i loro manufatti in ogni angolo dell’isola: caldaie di varie dimensioni, un tipo standardizzato di braciere con bordatura e paletta di ottone, forme per la confezione dei gatò e degli sformati. Il lattoniere fabbricava caffettiere di forme bellissime, bidoni, padelle, oleatori, tegami, lanterne a olio e lucerne. L’INTRECCIO Oltre che nella cucina, i recipienti di fieno occupavano spesso una intera stanza, detta appunto 284 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 292 Artigianato ‘‘stanza del fieno’’. L’arte dell’intreccio risale alla più remota antichità, come attestano alcuni bronzetti di età nuragica. Dai grandi recipienti per la conservazione del grano, di forma cilindrica, fatti di canna tessuta (lùscias), si passa al piccolo canestro, piatto, per purgarlo, al canestro più grande e al crivello per vagliare la farina e al canestro ancor più grande per le forme di pane. Cestini per deporre frutta secca e fresca, per la biancheria, per il ricamo. Vengono impiegate essenze umili: asfodelo (Barbagia di Ollolai, Planargia), giunco e paglia di grano (San Vero Milis, Sinnai), palma nana (Castelsardo, Romangia). Mentre alla confezione di questi cestini accudiscono le donne, i cestini di salice e canna vengono di norma confezionati dagli uomini, i quali intrecciano anche le palme per la ‘‘Domenica delle palme’’. Fra le manifatture di San Vero Milis (còrbule e canestri), sono anche i crivelli per la farina, raffinatissimi, e le misure di giunco. Per nascondere l’occhiello della spirale dei cestini si dispone un dischetto di stoffa sgargiante o di broccato (San Vero Milis e Sinnai). La decorazione si ottiene impiegando strisce di tonalità diversa dal fondo: nera o colorata, nei manufatti di Castelsardo e San Vero Milis, di tonalità bruna in quelli di asfodelo, mentre a Sinnai si impiega il cotone color rosso o nero. I motivi sono costituiti da figure geometriche stellari intrecciate, da stilizzazioni floreali e faunistiche (l’uccello, il capriolo, il cervetto, il gatto). Nel Settecento, al motivo dei ‘‘rami di pero’’ venne aggiunto quello della greca, nei cestini di asfodelo della Planargia, forse introdotto dai Greci che colonizzarono Montresta. Sono caratteristiche le panciute pòntine di Castelsardo, grandi cestini col coperchio, di forma cilindrica o simili a giare, che servivano per la conservazione della biancheria e dei fichi secchi. Qualche donna anziana lavora ancora la palma nana, però le castellanesi oggi impiegano di preferenza la rafia e, purtroppo, anche i fili di plastica colorata. La rafia si lavora anche a Ittiri e a Montresta. Artigianato – La ceramica ha un’antica tradizione in numerosi centri della Sardegna: i principali sono Oristano, Assemini e Dorgali. LA CERAMICA Parimenti antichissima è l’arte figulina. I musei dell’isola mostrano una varietà veramente sorprendente di forme, risalenti alle età prenuragica e nuragica. Col trascorrere dei secoli, la produzione è stata volta alla ripetizione dei modelli essenziali per la vita domestica: ripetizione che la fa definire industria vera e propria. Le forme ancora d’uso corrente risalgono però ai tempi della Magna Grecia e di Roma. I centri, operosi fino ai nostri giorni, sono Oristano, Pabillonis, Decimomannu, Assemini, Villaputzu, Dorgali e Siniscola. Il centro principale era Oristano: è del 1692 uno statuto degli alforeros, cioè degli stovigliai, che occupavano un intero quartiere dei borghi. I manufatti sono recipienti per acqua, vino e olio: orci con o senza coperchio, brocche e brocchette a forma di anfora, di gallinelle e di anello, fiaschette, barilotti, boccali, bicchieri; stoviglie: piatti, tegami, pentole, casseruole, mastelli, mestoli, caf- 285 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 293 Artigianato fettiere; orci caratteristici e conche di varie dimensioni; scalda-letto e scalda-grembo in forme di frate e di suora; scaldini e fornelli; cavallucci decorativi che si disponevano sui tetti; doccioni a forma di leone, tubi pluviali e tazze da noria. Si fabbricavano anche statuine decorative per gli esterni delle chiese. Sono spesso forme non di origine popolaresca, ma colta, come attestano certi vasi di fattura oristanese, che sono stati avvicinati a quelli di Canosa. In tempi vicinissimi si è passati alla ceramica vera e propria, per merito delle scuole d’arte: le botteghe dei ceramisti sono numerose. Artigianato – Un telaio verticale a Tonara. Sia che produca tappeti o arazzi, il tessile in Sardegna continua oggi con rinnovato vigore una prestigiosa tradizione. LA TESSITURA La fama dei costumi e dei tappeti sardi ha varcato il mare. I costumi rientrano fra i prodotti dell’attività artigiana, sia per la preparazione dei tessuti che per la loro confezione, basata sulla ripetizione tipica del manufatto artigianale. Di essi diremo solo che non tutti sono antichi come generalmente si crede: alcuni indumenti maschili sono antichissimi, mentre buona parte di quelli femminili risalgono al Sei-Settecento. Il ‘‘tappeto’’ era all’origine un copricassa o una coperta da letto. Sia che adempia la funzione di tappeto o di arazzo, il manufatto continua oggi con rinnovato vigore una prestigiosa tradizione. Altri capi d’una volta erano la bisaccia e i collari per la bardatura a festa dei cavalli e dei buoi. L’arte della tessitura è ancora coltivata in molti centri. I manufatti che eccellono di più per fantasia decorativa e per vivacità del colore sono quelli di Mogoro, Morgongiori, Samugheo. Ma ogni centro vanta una propria caratteristica: dai grandi tappeti di Sarule e di Nule al cosiddetto katalufa di Villanova Monteleone, dai tappeti di tonalità del rame di Isili alla vivacità dei manufatti di San Vito e di Muravera. I motivi decorativi sono numerosi: il cavallo e il cavaliere con la spada, gli sposi a cavallo, i putti e i geni alati (i cosiddetti ‘‘vescovi’’); la colomba, la spiga, l’uva, il vaso fiorito, la fonte; oppure quelli di tradizione bizantina, come il pavone; cosı̀, le aquile bicipiti, le torri, i castelli, i leoni e i grifoni, di derivazione araldica; e poi i simboli magici, come i ricordati geni, il Sole, la Luna, le stelle, la clessidra. Una tecnica particolare, detta a pibionis (acini d’uva), applicata alle coperte da letto, mostra le decorazioni compatte a rilievo. L’arte del ricamo è presente sia in casa che in chiesa. In casa: tovaglie, tovagliette, asciugamani, giralettus e camicie bellissime; in chiesa: tovaglie d’altare e pizzi di paramenti sacri. Le 286 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 294 Artigianato tecniche vanno dai merletti (bianco su fondo colorato, in genere rosso ruggine) ai filet (a nodi, pizzo di Bosa), al buratto. Le tele bianche sono ricamate con lane e con sete policrome, in genere a due tinte, indaco e rosso ruggine o giallo e marrone, che erano un tempo ottenute con succhi vegetali. I motivi decorativi sono i soliti: anche se certi sono stati importati, come il leone, il grifo, il liocorno, il timbro è peculiare. Come la cittadina di Bosa per il filet, Teulada è famosa per i tovagliati finissimi: in questo centro il fine ricamo faceva parte del costume maschile. Artigianato – In molti paesi si tessono tappeti tradizionali. Quelli di Nule (detti ‘‘a fiamma’’) sono fra i più caratteristici. I GIOIELLI I gioielli, ornamento complementare dei costumi, attestano il gusto e l’attenzione per il proprio aspetto sia dell’uomo che della donna. Al gusto diffuso del monile ha fatto ri- scontro sin dall’antichità l’attività di un artigianato locale molto attento. Artigianato – Gli arazzi di Mogoro sono famosi per l’eleganza del disegno e la ricchezza della loro policromia. Già nel secolo XIV, gli argentieri, riuniti in ‘‘gremi’’, avevano fiorenti botteghe in Cagliari, Sassari, Oristano, Iglesias. I gioielli comprendono orecchini, bottoni, anelli, gancere, collane, pendagli, catene, fibbie. Dopo il bottone di filigrana, la collana è il gioiello più diffuso, d’oro e d’argento. Le catene, soprattutto quelle provenienti dall’area barbaricina, decorate con misurato gusto da figure di cavalieri, cuori e uccelli, sono forse i gioielli che più rispecchiano la sardità di queste produzioni. Orecchini di semplice, elegante fattura, raggiungono spesso anche elaborazioni interessanti, con incastonature di perle e di pietre. I rosari in filigrana (una tecnica che ha raggiunto un alto grado di maturazione), decorati da rosoni di varia geometria e dal crocifisso elaboratissimo, sono talvolta di grandi dimensioni, e vengono appesi a capo del letto. Portaprofumi e amuleti contro il malocchio completano il corredo dei gioielli personali; fra gli oggetti da toeletta si distinguono gli spuligadentes, stuzzicadenti d’argento, decorati con perline, mostricciattoli, cavalieri, cuori con putti o con aquile. È raro trovare incastonature di pietre preziose; si cercavano solo effetti di co- 287 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 295 Artigianato lore. L’unica pietra da incastonatura era il granato. Si usava il vetro colorato e, spesso, la carta stagnola sotto il vetro trasparente. Le collane si facevano anche col corallo, con i granatini e con le perle. Oltre gli effetti di colore, interessavano spesso gli oggetti magici: si ricorreva contro il malocchio a un opercolo di conchiglia; contro la iettatura in genere si usava la pietra nera, un vetro detto nel Campidano sa sabeccia. Pur non essendo agevole ricostruire la storia dei gioielli e degli amuleti, essi s’impongono per una impronta fortemente caratterizzata, che si può senz’altro definire sarda. L’attività degli orafi e degli argentieri è stata notevole, non solo nell’arte popolaresca, ma anche in quella colta: essi, tra i quali si ricordano diversi nomi, hanno popolato le chiese di cartegloria, di candelabri, croci astili, custodie, reliquiari, ostensori, tabernacoli. Né si deve trascurare il complesso, veramente notevole, degli ex voto che tappezzano i santuari più celebri: cuori, occhi, arti e putti in lamina d’argento. Le Madonne sono cariche di gioielli e di ex voto, tra cui rosari molto belli e amuleti legati in argento. Artigianato – L’arazzo è uno dei prodotti più caratteristici dell’arte della tessitura. Qui una donna al telaio a Mogoro. LA PLASTICA EFFIMERA I sardi hanno il gusto della plastica, anche se di natura effimera a causa della materia impie- gata: la pasta di pane, di dolci, di formaggi, la palma e la cera. La donna, nel confezionare soprattutto i pani da festa, emula l’artigiano; crea forme particolari per le cerimonie, per le feste e per particolari ricorrenze. Specie nei centri di montagna, è ancora in uso lo stampo di legno, con decorazioni tratte dal cassone nuziale. Fra i dolci, particolare cura veniva riservata al monumentale gatò della Candelora: quasi sempre un’architettura composita (la torre, il castello, il nuraghe o anche un santo annicchiato) di mandorle tostate e di zucchero o di miele. L’abilità della mano femminile asseconda la fantasia anche nella creazione di cavallucci, uccelletti e trecce di cacio. La palma operata – anch’essa una fatica effimera, durava tutt’al più un anno – sembrava una fantasia borrominiana, tutta intrecci, ‘‘cuori’’ e infiocchettamenti. Numerosi gli ex voto di cera: specie le figure di bambini, derivati dai putti attraverso il barocco dell’Italia meridionale. Anche altre materie sono state impiegate dall’artigiano. Fra le umili essenze, non potevano mancare quelle palustri. Le famose stuoie di Zeddiani sono fatte col biodo, le bellissime capanne dei pescatori del Sinis e le imbarcazioni dello stagno di Cabras sono fatte con una pianta detta crucuris. Abilissimi sono i tessitori di canne di Milis. Con le canne si fabbricavano alcuni giocattoli, tra cui i cavallucci e gli schioppi, alcuni strumenti musicali a fiato: pifferi, zufoli e il tipico strumento isolano, le launeddas a tre canne. I cavallucci si facevano anche con la férula, e sediette per bambine si confezionavano con gli steli di asfodelo, tenuti a incastro. Il sughero ha suggerito i tradizionali recipienti per fiori, per il latte e i liquidi in genere, fra i quali, molto diffuso, l’uppu, un mestolo con la tazza in sughero e il lungo 288 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 296 Artizzu manico di legno. Belle le antiche misure, anche per le soluzioni degli incastri, delle giunture e del bordo. Dai nodi di sughero si facevano rustici bicchieri per acquavite. Di cuoio, oltre ai finimenti per cavallo e per alcuni indumenti maschili, erano fatte cinghie larghe e istoriate; portamonete e portafogli si confezionano ancora a Dorgali. Le zucche essiccate sono state da tempo graffite per ottenere borracce per contenere vino e acquavite o per usarle come fiaschette per la polvere da caccia. Il pastore graffiva con grande pazienza, nelle lunghe ore di sosta, scene religiose, scene di caccia ed elementi geometrici e floreali. [VICO MOSSA] 1958). Dopo la laurea, nel 1994, è diventata ricercatrice presso l’Università di Cagliari. Studiosa di problemi storicogiuridici, lavora presso la Facoltà di Scienze della Formazione. Tra i suoi scritti, Aspetti della condizione servile in Sardegna nel periodo giudicale, 1992; Attività imprenditoriali del Barone di San Miniato nell’argentiera di Villa di Chiesa, ‘‘Annali della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari’’, n.s., XIX, 1996; Alcuni aspetti della condizione femminile nella legislazione statutaria sarda, ‘‘Annali della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Cagliari’’, n.s., XXI, Cagliari 1998. Artizzu, Francesco Storico (n. Cagliari Artigianato – La Sardegna è stata sino a metà del Novecento una delle regioni italiane più importanti per la lavorazione delle pelli. Artizzu, Elisabetta Storica (n. Cagliari 1923). Laureato in Lettere, si è formato alla scuola di Alberto Boscolo e si è dedicato all’insegnamento universitario, specializzandosi in Storia medioevale. Temi preferiti della sua ricerca sono stati i rapporti della Sardegna con Pisa e l’evoluzione delle istituzioni medioevali. Professore ordinario presso la Facoltà di Lettere di Cagliari, ha diretto per alcuni anni l’Istituto di Studi storici. Spesso si è cimentato anche nella divulgazione giornalistica. Tra i suoi scritti, Registri e carte reali di Ferdinando I d’Aragona, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXV, 1-2, 1957; Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo, voll. 2, 1961-62; Liber fondachi. Disposizioni del Comune pisano concernenti l’amministrazione della Gallura e rendite della Curatoria di Galtellı̀, ‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari’’, XXIX, 1966; Pisani e Catalani nella Sardegna medioevale, 1973; L’opera di Santa Maria di Pisa e la Sardegna, 1974; Gli ordinamenti pisani per il porto di Cagliari. Breve portus kallaretani, volume della collana ‘‘Fonti e studi del Corpus membranarum itali- 289 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 297 Artizzu carum’’, V, n.s., 1979; Gli studi sulle istituzioni della Sardegna: situazione attuale e prospettive di ricerca, in La ricerca storica sulla Sardegna, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXIII, 1982; Ricerche sulla storia e le istituzioni della Sardegna medioevale, 1983; La Sardegna pisana e genovese, 1985; La disciplina dell’acqua e del fuoco negli statuti medioevali sardi, in Mediterraneo medioevale. Scritti in onore di Francesco Giunta, 1989; Società e istituzioni nella Sardegna medioevale, 1995; L’opera di Santa Maria di Pisa nel Giudicato Arborense in Il Giudicato di Arborea e Marchesato di Oristano. Proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale, I, 2000. Artizzu, Ignazio Giornalista, consigliere regionale (n. Cagliari 1964). Figlio di Lucio, redattore per la RAI e per Radio Cagliari, è stato assessore comunale della sua città. Nel 2004 è stato eletto consigliere regionale nella lista di AN per la XIII legislatura. Artizzu, Lucio Giornalista e scrittore (n. Cagliari 1930). Fratello di Francesco, dopo aver conseguito la laurea in Lettere si è dedicato al giornalismo. Entrato nella redazione del ‘‘Quotidiano sardo’’, di ispirazione cattolica, dal 1964 è diventato giornalista professionista. Successivamente è stato per quindici anni responsabile dell’Ufficio Stampa della Regione sarda e ha fondato e diretto ‘‘Il Messaggero Sardo’’, mensile destinato agli emigrati sardi e ai loro problemi. Si è anche impegnato in politica ed è stato ripetutamente eletto consigliere comunale e a più riprese assessore comunale per la DC. Andato in pensione, si è dedicato a opere di maggiore impegno, come la compilazione del Dizionario di Cagliari, 1996, e la traduzione (dall’inglese) di opere di viaggiatori stranieri, Sardegna 1911. Sensazioni di un viaggio, di J.E. Crawford Flitch, 1998, e Sardegna, l’isola dei nuraghi, di J.W. Tyndale, 1-2, 2003. Ha anche scritto una simpatica Storia di Efisio martire in Cagliari, 2001. Aru, Carlo Storico dell’arte (Cagliari 1881-Torino 1954). Compiuti gli studi liceali al ‘‘Dettori’’ di Cagliari, si laureò in Lettere a Roma con una tesi di storia dell’arte discussa con Adolfo Venturi, che sarebbe stato suo maestro. Tornato in Sardegna nel 1909 come ispettore presso la Soprintendenza ai Monumenti, iniziò una brillante carriera, dedicandosi alle ricerche sulla storia dell’arte sarda (nel 1914 recuperò e ricompose il Retablo dei Consiglieri di Cagliari, smontato nel 1889, documentandone l’attribuzione a Pietro Cavaro). Collaborò con Dionigi Scano in numerosi lavori di restauro di monumenti come la Trinità di Saccargia, San Pietro di Sorres a Borutta, Santa Maria di Tratalias e la cattedrale di Santa Giusta: ma la sua impresa più importante, fatta anche oggetto di aspre polemiche, fu, tra il 1923 e il 1925, il trasferimento della chiesa romanica di San Pietro di Zuri dal sito originario a una località più elevata, per impedire che il monumento venisse sommerso dall’invaso del Lago Omodeo. Dal 1930 iniziò la carriera di soprintendente che lo portò nelle sedi dell’Aquila, di Bari e soprattutto di Torino, dove resse l’ufficio sino al 1942, meritando importanti riconoscimenti. Durante la guerra mise in salvo gran parte del patrimonio artistico torinese e lo stesso Palazzo Carignano. Lasciò numerosi scritti, legati anche all’attività di docente di Storia dell’Arte che aveva continuato a svolgere in diverse Università italiane. Alcuni scritti, Appunti per la storia della pittura in Sardegna: pittori spagnoli del Quattrocento in Sardegna, ‘‘L’Arte’’, X, 1907; Storia della pittura in Sardegna nel sec. XV, ‘‘Anuari de l’Isti- 290 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 298 Arui tut d’Estudis catalans’’, IV, 1912; Raffaele Thomas e Giovanni Figuera pittori catalani, ‘‘L’Arte’’, 3, 1920; Bartolomeo Pellerano da Camogli, in ‘‘Bollettino d’Arte’’, 1921; Elenco degli edifici monumentali delle province di Cagliari e Sassari, 1922; Una nuova opera di F. Figari. La cappella Larco, ‘‘L’Unione sarda’’, 1922; La pittura sarda nei secoli XV e XVI, in Atti del X Congresso internazionale di Storia dell’Arte di Roma (1912); Identificazione di Giovanni Barcels, ‘‘Il Nuraghe’’, I, 4, 1923; Maestro Pietro Sardo, ‘‘Il Nuraghe’’, II, 14, 1924; La pittura sarda nel Rinascimento I. Le origini; Lorenzo Cavaro; La pittura sarda nel Rinascimento II. I documenti d’archivio, ‘‘Archivio storico sardo’’, rispettivamente XVI, 1924 e XVIII, 1926; San Pietro di Zuri, 1926; La serie di: Lineamenti storici della pittura sarda (Il Trecento catalano); L’indirizzo fiammeggiante nel Quattrocento spagnolo; Il Maestro di Castelsardo; Giovanni Barcelo; L’ancona del presepio; Il retablo di Sanluri; Pietro Cavaro sino al 1518; Il Maestro di Castelsardo, ‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università di Cagliari’’, I, 1928; Un pittore sardo dell’Ottocento: Giovanni Marghinotti, ‘‘Italia Letteraria’’, 1930; Un documento definitivo per l’identificazione di Giovanni Barcelo, ‘‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari’’, III, 1931; La pittura sarda del Rinascimento, 1935. Aru, Luigi Consigliere di Stato (Cagliari 1909-Roma 1984). Figlio di Carlo, si laureò in Legge a Roma con una tesi in Diritto romano sostenuta con Pietro Bonfante, di cui fu anche assistente volontario. Conseguita la libera docenza, alla metà degli anni Trenta insegnò Diritto romano nell’Università di Cagliari e quindi di Torino. Provveditore agli studi di Sondrio e poi di Modena, nel maggio 1942 vinse il concorso per il Consiglio di Stato. Qui compı̀ l’intera sua carriera fino a quando nel 1979 fu collocato a riposo con il titolo ufficiale di presidente onorario del Consiglio di Stato. Durante il servizio fece parte di numerose, importanti commissioni che preparavano progetti di legge per la pubblica amministrazione, e fu membro di molti consigli d’amministrazione (quello dell’Anas e quello delle Ferrovie dello Stato, per citarne solo due). Era considerato uno dei massimi specialisti italiani di legislazione in materia sanitaria. Siccome aveva continuato la sua attività di insegnante universitario e soprattutto di ricercatore, ha lasciato una vasta bibliografia, da un primo scritto del 1929 all’ultimo lavoro sulla Gestione d’affari, del 1981. Arui, Eugenio Pittore (Cagliari 1838-ivi 1878). Figlio di Raffaele, studiò sotto la guida del padre e con lui lavorò nello stabilimento litografico che aveva impiantato. Si fece notare per le sue buone capacità nella tecnica della litografia e si cimentò anche in alcuni olii; nel 1871 prese parte a una grande collettiva a Cagliari. Morı̀ però giovane nel 1878, a soli 40 anni. Arui, Raffaele Pittore (Cagliari, fine sec. XVIII-ivi 1857). Studiò a Roma all’Accademia di San Luca dove fu allievo di Camuccini e di Ferdinando Cavalleri. Tornato in Sardegna, fu molto attivo: dipinse alcuni olii e nel 1833 disegnò per Pasquale Tola una parte dei ritratti inseriti nel suo Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, 1837. Attirato dallo sviluppo delle tecniche di riproduzione dei disegni, nel 1836 impiantò a Cagliari uno stabilimento per la litografia (da cui l’appellativo di ‘‘pittore litografo’’ con cui veniva indicato) e nel 1838 aprı̀ a sue spese una scuola che purtroppo non ebbe possibilità di svilupparsi. In seguito volse il suo interesse alla na- 291 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 299 Arullani scente fotografia che fu introdotta anche a Cagliari, importata (nel 1844 dal parigino Claudio Porrai) col dagherrotipo, e teorizzò la possibilità della sua utilizzazione a sostegno della pittura. gosanto e un’isola amministrativa di Tempio Pausania. Arullani, Vittorio Amedeo Storico della letteratura e poeta (Asti 1866-ivi 1912). Dopo aver soggiornato in diverse città d’Italia, nel 1897 fu nominato insegnante di lettere presso il Liceo ‘‘Azuni’’ di Sassari. Per due anni visse in quella città; agli inizi del Novecento si trasferı̀ a Cagliari, dove risedette più a lungo e dove si pose in evidenza come instancabile animatore culturale. A questo periodo sono riconducibili alcuni dei lavori che dedicò alla Sardegna. Tra i suoi scritti, Di Pietro Delitala e delle sue rime diverse, ‘‘Archivio storico sardo’’, VII, 1-4, 1911; Echi di poeti d’Italia in Rime e rimatori sardi dal Cinquecento ai dı̀ nostri, ‘‘Archivio storico sardo’’, VII, 1911; La storia letteraria di Sardegna del Siotto Pintor e l’accanimento isolano contr’essa, ‘‘Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino’’, XLVI, 1911. Arxiu de tradicions populars Associazione culturale. Fondata ad Alghero nei primissimi anni Novanta dal catalano Joan Armangué i Herrero (=), organizza convegni e cura una pubblicazione sui rapporti tra la Catalogna e la Sardegna. Arzachena Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella III Comunità montana, con 11 535 abitanti (al 2004), posto a 85 m sul livello del mare nella frastagliata costa orientale della Gallura. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias. & TERRITORIO Il territorio, di forma grosso modo trapezoidale, si estende per 228,59 km2 e confina a nord con Palau, a est col mare Tirreno, a sud con Olbia e Calangianus, a ovest con Luo- Arzachena – La spiaggia di Liscia Ruia è una delle spiaggie più famose nei 55 km della Costa Smeralda. Si tratta di una regione che alterna tratti occupati da colline a vallate e zone pianeggianti. Le cime maggiori sono il monte Moro, 420 m, la punta Occhioni, 386, e il monte Canu, 395. Il suolo, di natura tutta granitica, mostra numerose formazioni rocciose, dalle forme a volte molto caratteristiche, mentre i tratti pianeggianti sono costituiti da sabbie dovute alla decomposizione della roccia. La vegetazione spontanea comprende tratti di boscaglia composta da lecci, querce e olivastri e grandi estensioni di macchia mediterranea. Sono anche questi elementi che contribuiscono al fascino della bellissima fascia costiera, frastagliata e lunga 70 km, che ha determinato in questi ultimi decenni una svolta radicale nella vita di queste popolazioni. Il paese è attraversato dalla statale 125 Orientale sarda, nel tratto tra Olbia e Palau, frequentatissima nella stagione estiva, dalla quale si distaccano le secondarie per le località balneari da un lato, per i centri interni di Tempio, Luogosanto e Bassacutena dall’altro. Arzachena è toccata anche dalla ferrovia a scartamento ridotto Sassari-Tempio-Palau, che è stata limi- 292 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 300 Arzachena tata ultimamente a un mero ruolo turistico. Arzachena – L’Isuledda del Cannigione. Il vasto territorio comunale si affaccia per lunghi tratti sul mare e comprende molte spiagge famose. & STORIA Per quanto una tradizione non documentabile la voglia erede della statio romana di Turublum Minus, si deve ritenere che la fondazione del centro risalga al Medioevo, quando compare col nome di Arseguen; il villaggio apparteneva al giudicato di Gallura, era compreso nella curatoria di Unali ed era considerato tra i più importanti del piccolo regno grazie a un suo porto molto attivo. Terminata la conquista dell’infante Alfonso, Arseguen e tutto l’Unali entrarono a far parte del Regnum Sardiniae, ma la sua popolazione continuò ad avere un atteggiamento di rifiuto nei confronti dei nuovi venuti; quando la Gallura fu investita dall’esercito di Raimondo di Cardona nel 1330, Arseguen fu sottomessa e concessa in feudo a Francesco Daurats, che tentò di conservarne il possesso nei difficili anni della guerra tra Genova e Aragona, quando il territorio fu assalito e devastato dai Doria. Nel 1346 vendette il villaggio e tutto il territorio a Giovanni d’Arborea, già signore del Fundimonte. Successivamente il territorio soffrı̀ delle conse- guenze della guerra tra Aragona e Arborea e nel 1376 A. si spopolò completamente a causa della peste. Nel 1391 l’Unali fu nuovamente occupato dalle truppe giudicali e continuò a subire devastazioni. Finita la guerra era ridotto a una plaga deserta, in cui alcuni pastori conducevano indisturbati una vita nomade scandita dai ritmi della transumanza. Il territorio fu riconosciuto come feudo ai Carroz, eredi di Giovanni d’Arborea, e nel 1479, per il matrimonio di Beatrice con Pietro Maza de Liçana, il feudo passò a questa famiglia. Estinti nel 1546 i Maza de Liçana, scoppiò tra i vari pretendenti alla loro eredità una lunga lite che si concluse nel 1571 con una divisione che assegnò l’Unali ai Massa Ladron. Il territorio, abbandonato a se stesso, nella seconda metà del secolo subı̀ attacchi di corsari turchi e venne ulteriormente devastato. Nel 1604 fu unito al ducato di Mandas e dopo l’estinzione dei Massa Ladron passò a diverse altre famiglie tutte residenti in Spagna. Durante questo lungo periodo il territorio dove sorgeva l’antica Arseguen continuò a essere il regno dei pastori erranti; nel corso del secolo XVIII essi cominciarono a stabilirvi la loro residenza dando vita ad alcuni stazzi e costruendovi nel 1716, e ricostruendo nel 1776, una chiesa dedicata alla Madonna, attorno alla quale si sviluppò un piccolo abitato. Il nuovo centro, che feudalmente dipendeva da Maria Giuseppa Pimentel e da suo marito Pietro Tellez Giron, entrambi residenti in Spagna, fu aggregato come frazione a Tempio Pausania. Nei decenni successivi continuò a crescere e nel 1821 fu incluso nella provincia di Ozieri, ma nel 1831 entrò a far parte di quella di Tempio Pausania. Tra il 1839 e il 1843 fu definito il suo riscatto dagli ultimi feudatari e quando, nel 1848, furono 293 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 301 Arzachena soppresse le province, fu compreso nella divisione amministrativa di Sassari e nel 1859 nella provincia omonima. suo sviluppo è stato continuo e inarrestabile. & ECONOMIA Le attività tradizionali dell’economia erano l’agricoltura e la pastorizia, svolte soprattutto negli stazzi, gli insediamenti nel territorio tipici della Gallura; oggi, pur essendo ancora praticate, hanno ceduto il primato ad altre importanti attività, tutte centrate sul turismo: si va da tutte quelle che sono legate all’edilizia ai servizi dei più vari generi; dalle iniziative alberghiere al commercio in tutti i suoi settori. Arzachena – La caratteristica roccia di granito tafonata di Monti Incappiddatu, detta ‘‘il fungo’’. Nella seconda metà dell’Ottocento lo sviluppo del villaggio ebbe un deciso impulso grazie a una costante crescita delle sue tradizionali attività agricole e di allevamento; nel suo vasto territorio si stanziarono anche piccole comunità di pescatori. Ebbero allora inizio le rivendicazioni per ottenere il distacco da Tempio Pausania: la lunga lotta si concluse nel 1922, quando A. divenne comune autonomo con un amplissimo territorio (che ne fa uno dei comuni più vasti d’Italia), in gran parte affacciato su decine e decine di chilometri di coste di incomparabile bellezza. Ciò ha reso possibile nel secondo dopoguerra una profonda trasformazione dei caratteri di A., che da borgo agricolo è divenuto centro turistico di primaria importanza: a partire dalla creazione della Costa Smeralda (=) il Arzachena – Lo stazzo, tipica casa-azienda dell’insediamento disperso gallurese. DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 10 448 unità, di cui stranieri 266; maschi 5315; femmine 5133; famiglie 3799. La tendenza complessiva rivelava un aumento della popolazione, con morti per anno 68 e nati 93; cancellati dall’anagrafe 220; iscritti 239. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 128 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 15 390 in migliaia di lire; versamenti ICI 10 709; aziende agricole 343; imprese commerciali 905; esercizi pubblici 186; esercizi all’ingrosso 10; esercizi al dettaglio 526; ambulanti 33. Tra gli indicatori sociali: occupati 3331; disoccupati 503; inoccupati 305; laureati 207; diplomati 1371; con licenza media 3000; con licenza elemen& 294 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 302 Arzachena tare 2771; analfabeti 249; automezzi circolanti 5145; abbonamenti TV 2464. Arzachena – Abitazioni rustiche ricavate nelle rocce di granito tafonate. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di testimonianze di insediamenti prenuragici di notevole interesse scientifico. I più originali, per i quali si parla di una cultura di Arzachena (=), sono costituiti dalle necropoli in forma di cerchi concentrici di pietre infisse nel terreno. Tra queste la più nota è la necropoli di Li Muri, posta lungo la strada per Luogosanto: le lastre infisse nel terreno delimitano una superficie al centro della quale sono collocati i vani di deposizione (ciste) in pietra, lunghi fino a 2 m, destinati a contenere i cadaveri in posizione distesa e forse dipinti di ocra rossa. Gli scavi hanno restituito coppette in steatite e altre interessanti suppellettili. Altri circoli d’epoca più recente si trovano, oltre che a Li Muri, a Macciunitta, punta Candela e Monti Incappiddatu. Di particolare interesse quella di Macciunitta, che sorge al centro di una collina artificiale e comprende un doppio cerchio di pietre infisse nel terreno, del diametro esterno di 11 m, al centro del quale si trova la camera per la deposizione, delimitata ugualmente da pietre infisse e ricoperta da un lastrone di granito lungo 2,5 m. Altra tipologia diffusa nel terri- & torio sono le Tombe di giganti. Tra queste quella di Li Lolghi, posta a poca distanza dalla necropoli di Li Muri e edificata in due periodi diversi. In una prima fase una sepoltura del tipo allée couverte, lunga circa 4 m e circondata da un giro di pietre fisse: questo edificio ha restituito ceramiche della prima fase della cultura di Bonnanaro (=). In una seconda fase, all’edificio fu sovrapposto il tumulo di una Tomba di giganti lungo circa 14 m e preceduto da un’esedra con una stele centinata alta 4 m; in questo secondo edificio, completato da una esedra in forma semicircolare destinata ad accogliere i pellegrini, sono state trovate ceramiche della seconda fase della cultura di Bonnanaro. Notevole anche la Tomba di giganti di Coddu Ecchju, che ha un tumulo lungo oltre 14 m. Notevole la stele, alta 4 m e composta da due lastroni di granito. Interessante anche, nei pressi dell’abitato, la conformazione della roccia nella quale culmina il colle noto come Monti Incappiddatu: si tratta di una sorta di fungo i cui bordi sporgenti formano delle cavità (tafoni) che furono usate nell’antichità come riparo e come tomba. Il territorio di A. vanta anche un tempio a megaron, detto di Malchittu, che sorge su un colle aspro dalla natura accidentata. L’edificio è riconducibile al secolo X a.C. e non ha recinto esterno, ha un perimetro ellissoide, è lungo circa 14 m e largo 6 m, al suo interno sono alcune nicchie per la custodia di ex voto. A poca distanza da Malchittu è posto il Nuraghe Albucciu che sorge lungo il bordo della Orientale sarda, al bivio per Cannigione (=); la sua struttura mostra una singolare commistione di ambienti che fanno pensare a una sua costruzione in fasi diverse a partire dal 1500 a.C.; sembrerebbe infatti che a un primo corpo, riconducibile alla tipolo- 295 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 303 Arzachena gia dello pseudonuraghe (=), siano stati successivamente aggiunti due ambienti a tholos. Da una scala interna si giunge a un primo piano che conserva un vano probabilmente adibito ad abitazione da cui, con un’altra rampa, si accede alla terrazza di copertura. Al suo interno è stata trovata una statuina in bronzo del secolo VII a.C. che fa pensare a una utilizzazione più tarda dell’edificio come favissa. E ancora il nuraghe La Prisciona, sulla collina di Capichera, che è composto da una torre centrale alta oltre 6 m, intorno alla quale sono i resti di altre strutture complesse, tra le quali un bastione e alcune torri minori. Arzachena – Il nuraghe Albucciu è uno dei cosiddetti ‘‘protonuraghi’’ o ‘‘nuraghi a corridoio’’. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il patrimonio artistico di Arzachena è caratterizzato da numerose chiese campestri che probabilmente testimoniano delle fasi più antiche del ripopolamento del suo vasto territorio. In particolare vanno ricordate San Michele Arcangelo, che si trova a qualche chilometro dall’abitato: si tratta di un edificio di origini molto antiche, probabilmente medioevali, ma i diversi interventi di restauro che le sue strutture hanno subito nel corso dei secoli ne impediscono una precisa datazione. L’unico riferimento cronologicamente certo è il 1650, anno in cui fu effettuato uno dei suoi tanti restauri; ha un impianto rettangolare a una sola navata e la copertura in legno, la facciata è arricchita da un campanile a vela. A poca distanza dall’abitato è anche posta la chiesa di San Giovanni Evangelista, che sorge sulle rive del rio Arzachena; fu costruita nel secolo XIX su un edificio precedente. È di modeste dimensioni con una sola navata rettangolare, la copertura in legno di ginepro; la facciata ha due ingressi e culmina con un campanile a vela. Al suo interno è conservata una statua del santo titolare del secolo XVII. Interessanti sono anche le chiese dell’abitato, in particolare la chiesa di Santa Maria della Neve, che fu eretta in parrocchia dal re nel 1776 nel quadro di una politica volta al ripopolamento di questi territori galluresi, e divenne la prima parrocchia del villaggio quando cominciò a espandersi. Ha un impianto a una sola navata scandita in campate delimitate da archi a tutto sesto e chiusa da un presbiterio. All’esterno la facciata è in granito, abbellita da un grande timpano e da un campanile a pianta quadrata. Custodisce un altare ligneo del secolo XVIII riccamente intagliato e con figure. Dopo il 1950 si è avvertita l’insufficienza dell’antico edificio e se n’è costruito uno nuovo e più capiente, in forme d’architettura razionale. Infine la chiesa di San Pietro, anch’essa costruita nel secolo XVIII in forme semplici; quando il villaggio si diede un nuovo assetto urbanistico, nel 1934 fu demolita, per essere poi ricostruita pochi anni dopo; al suo interno custodisce una statua lignea del secolo XVIII. A questo patrimonio architettonico tradizionale si è venuto aggiungendo nei decenni scorsi quello creato sulla costa, per gli insediamenti turistici: per dare vita alla Costa Smeralda furono chiamati a operare alcuni 296 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 304 Arzana celebri architetti italiani e stranieri, che hanno dato, nelle espressioni migliori, l’esempio di un’edilizia per le vacanze raffinata e rispettosa dell’ambiente naturale. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La memoria delle tradizioni di Arzachena è consegnata alla grande festa popolare di Santa Maria della Neve, una dei tre patroni della cittadina, che si svolge nella seconda domenica di maggio con grande partecipazione popolare e che è legata a una seconda fase di festeggiamenti che si svolgono nella terza domenica di settembre e sono dedicati anche agli altri due patroni, Sant’Antonio e Sant’Isidoro. Questa seconda fase, che vuole ricordare anche la fondazione di Arzachena, dura tre giorni ed è organizzata da un comitato di cittadini (soprastanti) che provvedono alla sua buona riuscita; con gli anni ha perso il suo carattere popolaresco (che nel 1828 il viaggiatore inglese W.H. Smith descrisse nel suo Sketch of the present state of Island of Sardinia, ora tradotto nella ‘‘Bibliotheca sarda’’ della nuorese Ilisso) e ha assunto invece i caratteri della festa religiosa; il momento culminante si ha nella mattina della domenica, il secondo giorno della festa, quando un ricco stendardo sormontato da una croce d’argento viene portato da cavalieri che caracollano per tre volte attorno alla chiesa in un tripudio di folla. Feste minori sono quelle di San Giovanni il 1º maggio e di San Michele l’11 maggio. nota soprattutto per i suoi monumenti funerari, in particolare quelli della necropoli di Li Muri, tra A. e Luogosanto: si tratta di sepolture costituite da un circolo di pietre con al centro una cista formata da lastre di granito; di questo singolare tipo di sepoltura sono stati individuati una cinquantina di esemplari. Poiché non sono stati trovati resti scheletrici umani studiabili, non si conosce quale fosse il rituale funerario, forse basato sull’esposizione dei corpi all’azione degli agenti atmosferici prima dell’inumazione finale. Quanto alla specificità di questa c., alcuni sono propensi a credere – ha scritto Luisanna Usai (Gallura, 1991) – che essa rappresenti piuttosto un aspetto locale della C. di Ozieri. In ogni caso la sua collocazione cronologica è da individuare nell’ambito del Neolitico recente, in tempi che stanno tra la fine del IVe l’inizio del III millennio a.C. Cultura di Arzachena – Le tombe a circolo di Li Muri caratterizzano questa cultura (3200-2400 a.C.). Arzachena, cultura di (o cultura dei Cir- Arzana Comune della provincia dell’O- coli megalitici, Cultura gallurese) Termine gliastra, compreso nella X Comunità montana, con 2730 abitanti (al 2004), posto a 672 m sul livello del mare lungo il versante orientale del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Ogliastra settentrionale. Diocesi di Lanusei. & TERRITORIO Il territorio comunale con cui viene comunemente indicata una particolare forma di cultura circoscritta ai territori del comune di A. e a quelli dei comuni di Luogosanto e Olbia. Riconducibile al Neolitico recente e collocabile tra il 3200 e il 2400 a.C., è 297 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 305 Arzana si estende per 162,60 km2 e si divide in due parti: quella che si estende intorno all’abitato ha forma allungata in direzione est-ovest e confina a nord col territorio di Villagrande Strisaili, a est con Tortolı̀, a sud con Elini, Gairo e Seui, a ovest con Aritzo e Desulo; c’è poi un’area costiera, utilizzata di solito per il pascolo invernale, che si trova più a sud, al confine con la provincia di Cagliari: a nord confina con un’analoga area di pertinenza di Lanusei, a est col mare, a sud con Villaputzu, a ovest con una parte staccata del territorio di Jerzu. Mentre quest’ultima è una zona di colline compresa tra il litorale e il rio di Quirra, altezza massima i 589 m di Punta S’Accettori, l’altra va dalla piana ogliastrina, 30 m sul livello del mare, alla cima del Gennargentu, punta La Marmora, 1834 m, inglobandone altre tra le maggiori del complesso montuoso: monte Idòlo, punta de Aira e S’Armidda, tutte tra i 1200 e i 1300 m. Il paese è servito da una strada secondaria che si dirama dalla direttissima 389 Nuoro-Lanusei; per altre vie comunica con Elini, Tortolı̀ e gli altri centri della regione. A Elini passa anche la ferrovia a scartamento ridotto Cagliari-Mandas-Arbatax, che è utilizzata attualmente per usi esclusivamente turistici ed è percorsa dal cosiddetto ‘‘trenino verde’’. & STORIA L’attuale villaggio ha origini medioevali: apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria dell’Ogliastra. Quando il giudicato cessò di esistere e il suo territorio fu smembrato, nel 1257 A. e l’Ogliastra tutta entrarono a far parte del terzo assegnato ai Visconti che l’annetterono al giudicato di Gallura. Dopo l’estinzione dei Visconti A., a partire dal 1288, fu amministrata da funzionari del Comune di Pisa, ma i suoi abitanti mantennero un minimo di autonomia. Subito dopo la conquista aragonese, dal 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1325 fu concessa, assieme all’intera curatoria, a Berengario Carroz, costituendo il primo nucleo della futura contea di Quirra. Negli anni che seguirono anche gli abitanti di A., unitamente a quelli degli altri villaggi della montagna, lottarono duramente contro i feudatari per conservare la loro autonomia ma Berengario, alternando la repressione più dura alla concessione di alcuni privilegi, sembrò averne ragione. Quando però nel 1353 scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, essi si ribellarono nuovamente; Berengario II riuscı̀ tuttavia a conservare il possesso del territorio e nel 1363 ottenne il titolo di conte di Quirra. Scoppiata poco dopo la seconda guerra tra Arborea e Aragona, a partire dal 1366 A. e l’Ogliastra furono occupati delle truppe giudicali che vi mantennero l’occupazione fino al 1409. Frattanto i Carroz, cui nominalmente il re aveva riconosciuto la titolarità del feudo, si erano estinti e nel 1383 A., pur continuando a rimanere occupato dalle truppe giudicali, passò ai Bertran Carroz, i quali riuscirono a venirne in possesso dopo il 1409, in seguito alla caduta del giudicato d’Arborea. Nel 1416 gli abitanti di A. accettarono, insieme a quelli degli altri villaggi dell’Ogliastra, alcuni Capitoli di grazia (=) che i nuovi feudatari concessero; i buoni rapporti con i Bertran Carroz continuarono e nel 1452 ottennero altri privilegi. Estinti nel 1511 i Bertran Carroz, A. passò ai Centelles; i nuovi feudatari fecero amministrare l’Ogliastra dalla loro burocrazia e vi svilupparono un sistema di esazione fiscale piuttosto gravoso. La successione del feudo ai Borgia fu contestata dai Catalan che, dopo una lunga lite, nel 1746 riuscirono a venirne in possesso; 298 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 306 Arzana negli stessi anni A., la cui popolazione era diminuita, nel 1771 fu aggregata come frazione a Baunei e dal 1801 passò dai Catalan agli Osorio. Nel 1821 fu inclusa nella provincia di Lanusei, nel 1840 fu riscattata agli ultimi feudatari. Di questo periodo la preziosa testimonianza di Vittorio Angius: «Le arti meccaniche di prima necessità per gli usi della vita, e pei bisogni dell’agricoltura, sono trattate da pochi. Le donne sono molto laboriose ed i loro telai, che non sono meno del numero delle famiglie, provvedono di tele di diversa qualità e di panno forese [orbace] non solo gran parte dell’Ogliastra, ma molti paesi ancora del Campidano di Cagliari. Il forese tingesi variamente con le erbe e radici che trovansi nel territorio. Le famiglie sono presentemente in numero di 352, le anime 1497. Nutresi gran quantità di bestiame; quello che serve d’ajuto all’uomo nelle sue fatiche è delle seguenti specie e numero: buoi 235, cavalli 300, asini 150, i quali pascolano nel prato comunale. Grande è poi il numero degli armenti e delle greggie, che pascola nei salti del paese nella primavera, estate ed autunno, donde nell’inverno passa alle marine nei territorii di Tortolı̀, Bari, Loceri e altrove. Le pecore saranno poco più di 30 000, le capre circa 20 000, i porci 556, le vacche 638. Coltivansi pure gli alveari, ma il numero non eccede il migliajo. I prodotti delle greggie sono di ottima qualità; e d’eguale bontà, sebbene scarsi, sono quei degli armenti. Si commercia direttamente coi genovesi, ma più spesso coi sensali ogliastrini e sarrabesi». Quando nel 1848 furono abolite le province, A. entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari e vi rimase fino al 1859, anno in cui fu compresa nella omonima e ricostituita provincia. Nel corso del secolo il paese divenne un rinomato centro per la produzione del vino, ma nel 1894 i suoi vigneti furono distrutti dalla fillossera. Quando nel 1927 fu ricostituita la provincia di Nuoro A. tornò a farne parte fino al 2004, quando fu istituita la nuova provincia dell’Ogliastra. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e soprattutto sull’allevamento. Tra i prodotti agricoli, che si ricavano nelle parti meno elevate del territorio, si annoverano quelli dell’olivo, la cui coltura si è sviluppata a partire dal secolo XVIII, e della vite, dalla quale si ottengono ottimi vini di grande corpo. L’allevamento può contare ancora oggi su un notevole patrimonio zootecnico, in particolare ovino e caprino. Altre tipiche produzioni sono quelle dei prosciutti, apprezzati ormai anche fuori della Sardegna, e naturalmente del formaggio ovino e caprino. Negli ultimi decenni il villaggio è divenuto anche meta di un turismo residenziale estivo grazie alla costruzione di alcuni alberghi. E si sta lavorando attivamente per la valorizzazione delle essenze che crescono spontanee alle falde del Gennargentu: se ne propone per un verso l’utilizzazione per la preparazione di prodotti medicinali, per l’altro si cerca di ritornare all’uso che se ne faceva un tempo per colorare i tessuti. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 2768 unità, di cui stranieri 3; maschi 1354; femmine 1414; famiglie 1181. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione con morti per anno 29 e nati 23; cancellati dall’anagrafe 29 e iscritti 15. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 17 175 in migliaia di lire; versamenti ICI 565; aziende agricole 726; imprese commerciali 126; esercizi pubblici 14; esercizi 299 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 307 Asara al dettaglio 35. Tra gli indicatori sociali: occupati 774; disoccupati 80; inoccupati 235; laureati 52; diplomati 252; con licenza media 1005; con licenza elementare 76; analfabeti 127; automezzi circolanti 1127; abbonamenti TV 664. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva domus de janas e altre vestigia prenuragiche e nuragiche nelle località di Scusorgiu e Ruinas e resti di insediamenti romani in località Bangius. I nuraghi si trovano nelle località di Arredabba, Biddadeni, Gilorzi, Lua, Meurri, Perdu Loi, Pixina Niedda, Ruinas, Sa Mela, Sa Pentuma, Unturgiadore. Il sito più importante è quello di Ruinas dove, oltre al nuraghe e alle domus de janas, è stato individuato un villaggio nuragico situato a 1200 m sul livello del mare: consta di circa duecento capanne dal diametro variabile ed è uno dei più elevati della Sardegna. Arzana – Monumento ai caduti in guerra, opera di Pinuccio Sciola. PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il più significativo monumento di Arzana è la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, costruita in forme neoclassiche su progetto di Gaetano Cima tra il 1860 e il 1865 al posto della vecchia chiesa, grazie all’iniziativa dell’allora parroco & Stocchino. L’edificio è a croce latina e ha una sola navata sulla quale si affacciano le cappelle laterali. Fu restaurato nel 1890. Al suo interno sono conservate alcune argenterie del secolo XVII eseguite dall’argentiere cagliaritano Cannavera e alcune statue del secolo XVII. Molto ricco il patrimonio ambientale che il territorio può vantare: le parti più interessanti sono disposte lungo la vallata del Flumendosa e sulle pendici delle montagne, dove si trovano ampi tratti di macchia mediterranea, nonché boschi in parte spontanei in parte frutto di recenti interventi di forestazione; sono popolati da mufloni e cervi, pernici e conigli, cinghiali e aquile. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Tipiche manifestazioni della tradizione arzanese sono alcune feste popolari tra le quali quella di San Vincenzo Ferreri, che fu introdotta nel Seicento e si svolge l’ultima domenica di agosto; è considerata una delle feste più antiche dell’Ogliastra. La statua, caricata su un cocchio dorato, viene trasportata in processione dalla parrocchiale fino all’omonima chiesetta campestre con la scorta di cavalieri in costume e di suonatori di launeddas. I festeggiamenti durano alcuni giorni. San Martino, invece, si festeggia l’11 novembre. Altra manifestazione è quella del Porcino d’oro; si tratta di una rassegna enogastronomica che si svolge a novembre quando maggiore è la disponibilità dei funghi porcini nei grandi boschi circostanti, una festa che attira moltissimi turisti. Asara, Francesco Funzionario, consigliere regionale (n. Tempio Pausania 1934). Cattolico, dopo la laurea in Giurisprudenza si è dedicato alla politica. Per anni consigliere comunale a Olbia, è stato eletto ininterrottamente consigliere regionale per la DC nel collegio 300 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 308 Asclepio di Sassari dalla VI alla IX legislatura (1969-1989). Durante la VII legislatura, nel 1978 è stato eletto vicepresidente del Consiglio regionale, rimanendo in carica fino al termine della legislatura. È stato riconfermato per l’VIII legislatura, ma nell’ottobre 1979 si è dimesso. Nel corso della stessa legislatura è diventato assessore all’Igiene nella giunta Rojch (23 luglio 1982-23 giugno 1984). Asara, Sebastiano Insegnante, consigliere regionale (Arzachena 1918-La Maddalena 1992). Cattolico, conseguita la laurea in Lettere si dedicò all’insegnamento ed entrò in politica. Fu eletto consigliere regionale per la Democrazia Cristiana nel collegio di Sassari ininterrottamente dalla III alla V legislatura (1957-1974). Durante la III legislatura fu eletto segretario del Consiglio regionale, ufficio nel quale fu riconfermato per la IV; per la V fu invece eletto questore. Asara Sanna, Giovanni Maria (noto con lo pseud. Limbudu) Poeta dialettale (Pattada 1823-ivi 1907). Autodidatta, di professione faceva il sarto, e per qualche anno fece parte anche del Consiglio comunale del suo paese. Scriveva in logudorese versi nei quali con ironia esercitava la satira su fatti e personaggi del suo tempo. Morı̀ lasciando in gran parte inedita la sua produzione; solo nel 1971 una parte dei suoi versi è stata pubblicata da Enzo Espa nel volume Cantones. Il motivo del suo grande successo sarebbe, secondo lo stesso Espa, da «individuare soprattutto nella lingua, in cui A.S. è stato veramente un maestro. Altri gli riconoscono di aver rinnovato i contenuti della gara poetica, della quale ha rappresentato un modello, dettando i dispositivi logici della sua struttura. Altri sostengono che quasi nessuno, come lui, è riuscito a descrivere in mi- sura cosı̀ vasta e profonda il quadro della vita di un paese». Ascione, Mario Studioso di agronomia, uomo politico (Sassari 1897-ivi 1977). Deputato al Parlamento, consigliere nazionale. Dopo la laurea si dedicò all’insegnamento come professore di Tecnica agraria. Entrato in politica aderı̀ al fascismo, segnalandosi come organizzatore dei sindacati dei lavoratori del cuoio e quindi, trasferito a Roma, dei contadini, sino a diventare direttore generale del sindacato nazionale dei coltivatori. Come tale fu eletto deputato nel 1929 e nel 1934, e nel 1939 entrò a far parte del Consiglio Nazionale dei Fasci e delle Corporazioni. Il suo nome è legato alla bonifica della Nurra, che contribuı̀ ad avviare nel 1934; nel 1936 fu il più attivo degli ideatori e dei realizzatori della colonizzazione di Fertilia, di cui è considerato il fondatore. Come tale fu, fino alla caduta del fascismo, il presidente dell’Ente Ferrarese di colonizzazione. Nel dopoguerra si ritirò a vita privata. Le sue carte sono conservate presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari. Asclepio Dio guaritore. Secondo Strabone, il culto sarebbe originario della Tessaglia. Tuttavia in Omero A., principe tessalo, non ha statuto eroico, né riveste alcun ruolo nelle pratiche mediche. Solo più tardi, stando a Pindaro, A., semidio e guaritore, sarebbe nato dall’incontro di Apollo con una mortale e sarebbe poi stato fulminato da Zeus per aver riportato in vita un morto. Dal secolo V a.C. A. diviene la principale divinità guaritrice, soppiantando in quel ruolo lo stesso Apollo. Ad Atene testimonianze letterarie ed epigrafiche datano l’introduzione del culto al 420 a.C., ma l’area di diffusione interessa un ampio raggio geografico dall’Asia Minore a Roma, 301 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 309 Asdrubale il Calvo con il relativo impianto di santuari nei quali hanno luogo le cure, somministrate dai sacerdoti. Espletati i riti ufficiali (sacrifici e offerte rituali), il malato è introdotto nel santuario e dorme nel portico d’incubazione (=). Durante la notte, grazie all’intervento di A., riceve prescrizioni utili alla guarigione o si risveglia guarito. In Sardegna il culto di A. è testimoniato da una importante dedica trilingue (greco, punico e latino), rinvenuta in località San Nicolò Gerrei e databile approssimativamente al secolo II a.C. Dalle tre versioni del testo si ricava la vicenda del dedicante: Cleone (il nome sembra denunziare un’origine greco-orientale), preposto alle saline, sarebbe stato sanato da A. che compare con la singolare invocazione di Merre (di origine discussa). Nella dedica greca, la presenza dell’espressione kata prostagma, ‘‘secondo la prescrizione’’ (del dio), getta un fascio di luce sulle sanazioni che anche nella località dovevano svolgersi con la pratica dell’enkimesis (sonno) rituale durante il quale la divinità compariva al malato indicandogli la cura. A. e le Ninfe salutari erano invocati nel santuario delle Aquae Ypsitanae sul Tirso (Forum Traiani). [GIOVANNI MARGINESU] Asdrubale il Calvo Comandante delle truppe cartaginesi in Sardegna nel 215 a.C. durante la seconda guerra punica. Dopo un primo sanguinoso scontro tra l’esercito romano al comando di Tito Manlio Torquato e l’esercito dei rivoltosi sotto la guida di Hostus (Josto), giovane figlio del dux Sardorum Ampsicora, conclusosi con la sconfitta di quest’ultimo nel territorio dell’antico insediamento di Cornus, si svolse nell’estate del 215 a.C. la battaglia decisiva che pose fine alle aspirazioni degli insorti. Il Senato cartaginese, sebbene pressato dalle richieste di rinforzi da parte di Annibale e dalla necessità di potenziare il fronte spagnolo e sardo, decise l’invio di un contingente in Sardegna ottemperando in tal modo alle istanze avanzate da una delegazione capeggiata da Ampsicora. Il comando della flotta cartaginese, composta secondo alcuni autori dallo stesso considerevole numero di effettivi inviati contemporaneamente in Spagna (60 navi da guerra, 12 000 fanti, 1500 cavalieri e 20 elefanti), fu affidato a un Asdrubale, cui Calvo cognomen erat (Livio). Costretto da una tempesta a riparare temporaneamente nelle Baleari, solo in un secondo momento l’esercito riuscı̀ a sbarcare in Sardegna e, unitosi alle truppe guidate da Ampsicora, si diresse lungo il Campidano verso la città di Carales, probabile sede del praetor romano. Dopo le prime incursioni effettuate nell’ager Caralitanus e Neapolitanus si giunse finalmente a battaglia. Pesantemente sconfitta la coalizione sardo-punica, l’esercito di T.M. Torquato catturò circa 3700 prigionieri, tra cui anche il generale cartaginese. [MICHELE GUIRGUIS] Asfodelo Pianta perenne della famiglia delle Liliacee (Asphodelus microcarpus Salzm. et Viv.). Ha fusto cilindrico, eretto, lungo sino a 150 cm, foglie basali lineari, coriacee, a sezione triangolare; infiorescenza a pannocchia, all’apice del fusto, con fiori bianchi venati di rosso scuro. Il frutto è una capsula ovoidale, con semi neri (anticamente, i contadini traevano auspici sull’annata dalle dimensioni dei semi di a.). Fiorisce da febbraio a maggio. Diffusissimo, infestante, è un indicatore di terreno degradato e intensamente sfruttato dal bestiame. Le sue intense fioriture primaverili caratterizzano i campi incolti e a macchia bassa di tutta l’isola. 302 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 310 Asinara chità, come dimostrano ruderi di età romana e veniva identificata col nome di isola d’Ercole, Herculis insula. Asfodelo – Il ‘‘fiore dei Campi Elisi’’ forma grandi prati nella campagna sarda. Negli ambienti costieri cresce l’Asphodelus fistulosus L., con foglie cilindriche, infiorescenza poco ramificata e fiori con nervatura centrale rossa molto marcata. Sul monte Albo (Lula) è stato segnalato l’a. giallo (Asphodeline lutea Rchb.) con foglie allargate alla base e densa infiorescenza di fiori gialli. I fusti (scapi) essiccati vengono utilizzati per confezionare cesti, soprattutto in Planargia (Flussio) e nella Barbagia di Ollolai. Dalle radici tuberose si ricava una colla per sellai; nella medicina tradizionale, preparati a base di radici di a. sono utilizzati come emollienti e calmanti per affezioni della pelle. Nomi sardi: arvútu (Baronia); cadrillóni (campidanese); irbútu (nuorese); ischirı́a, iscraréu (logudorese); tarabúcciu (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Asinara Isola montuosa e granitica, la più grande delle isole prospicienti la Sardegna settentrionale, chiude a ovest il golfo di Porto Torres (o dell’A.). Possiede una superficie di 51,92 km2, una lunghezza massima di 17,4 km e una larghezza di 6,4 km (il perimetro è di 45 km ca.). Era abitata fin dalla anti- Costa Paradiso – Al centro del golfo dell’Asinara, la località è caratteristica per le sue rocce di granito rosso. Nel Basso Medioevo si spopolò a causa delle incursioni degli Arabi e spesso fu teatro di episodi di guerra, come quando nel 936 nelle sue acque si scontrarono una flotta genovese e una flotta saracena. In età giudicale fu compresa nella curatoria della Nurra e continuò a rimanere semideserta fino alla prima metà del secolo XII, quando il giudice di Torres la concesse ai Camaldolesi, che vi stabilirono l’eremo di Sant’Andrea. In poco tempo la comunità divenne centro di attrazione per molte famiglie e cosı̀ il popolamento dell’isola sembrò avviato, perché accanto all’eremo sorsero alcuni altri piccoli centri in prossimità di Cala Reale. Estinta la famiglia giudicale, i Doria la inclusero nel loro stato e vi fe- 303 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 311 Asinara cero costruire una torre di guardia; abbandonata dai Camaldolesi, fu frequentata da comunità di pescatori che vi praticavano la pesca delle sardine. Dopo la conquista aragonese, nel 1325 fu sequestrata ai Doria ribelli e nel 1328 concessa in feudo a Gallardo di Mauleon, al quale però fu tolta nel 1331 per essere concessa alla città di Sassari come territorio di pascolo e di caccia. Durante le guerre tra Aragona e Arborea fu occupata dalle truppe giudicali e continuò a essere uno dei teatri delle operazioni militari, per cui rimase deserta. Asinara – Cala Reale è uno dei più antichi borghi abitati nell’isola. Poco prima della battaglia di Sanluri (1410) nelle sue acque si svolse una battaglia tra una flotta aragonese e una genovese che giungeva in Sardegna a soccorrere il visconte di Narbona; la flotta genovese fu sconfitta e molti dei suoi uomini, compreso l’ammiraglio, furono catturati. Subito dopo la battaglia di Sanluri passò nelle mani del visconte di Narbona fino al 1420, anno in cui tornò nelle mani del re. L’isola era deserta e sostanzialmente indifesa e i pescatori che la frequentavano stagionalmente non furono in grado di evitare che nel corso del secolo XV diventasse base per le flotte di corsari barbareschi. Nel secolo XVI vi furono costruite due torri di avvistamento e, per quanto la città di Sassari, cui furono riconosciuti gli antichi privilegi che vantava sull’isola, regolamentasse l’utilizzazione stagionale dei suoi pascoli, non si riuscı̀ a porre fine alle pericolose frequentazioni dei corsari. L’amministrazione delle torri, comunque, avviò lungo le sue coste la costruzione di alcune torri di difesa. La più antica fu quella dell’Isola Piana, posta sull’omonima bassa isoletta tra le coste della Sardegna e l’A.: edificata nel 1595, era una costruzione cilindrica a due piani con un diametro interno di quasi 11 m; potentemente armata, aveva funzione di avvistamento e di difesa. La situazione, però, non migliorò: l’isola divenne di fatto una base per le flotte corsare, per cui tra il 1609 e il 1610 nel nord dell’isola furono costruite le altre tre torri di Trabucado, Cala d’Oliva, Cala d’Arena, con una struttura troncoconica e un diametro interno di circa 4 m; destinate alla difesa e alle segnalazioni, erano discretamente armate e servite da guarnigione. La situazione, però, si era fatta talmente critica da indurre il fisco a porre in discussione i privilegi che la città vantava sull’isola nel tentativo di infeudarla a chi fosse stato in grado di rafforzarne le strutture, ma Sassari riuscı̀ sempre a spuntarla. Passata la Sardegna ai Savoia, pur essendo stati riconosciuti a Sassari gli antichi privilegi, si pensò di avviarne il popolamento; un primo progetto fu elaborato nel 1738 dal marchese Antonio Manca che voleva svilupparvi una scuola professionale per 304 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 312 Asparago trovatelli e ripopolare l’isola con comunità di pastori e di contadini; il progetto però non ebbe seguito e l’isola continuò a rimanere deserta. Nel 1768 l’A. fu concessa in feudo ai fratelli Velixandre di Aixai, ai quali fu anche dato il titolo marchionale: i due ricchi mercanti vi avrebbero dovuto fondare una colonia, ma anche questo tentativo fallı̀ e nel 1769 i Velixandre furono dichiarati decaduti. Nel 1774 infine l’isola fu concessa ad Antonio Manca col titolo di duca dell’A., ma anche quest’ultimo non ottenne grandi risultati; furono comunque fondati tre piccoli centri a Fornelli, Cala Reale e Cala d’Oliva. L’isola rimase ai Manca fino al 1838, quando i feudi furono aboliti. Nel 1885 il governo decise di destinarla a Stazione internazionale di quarantena marittima e, quasi contemporaneamente, a colonia penale all’aperto. Questo costrinse i circa 200 abitanti che si erano stanziati nell’isola (contadini e pastori, ma anche pescatori di corallo e di tonni introdottivi al servizio di un Lomellini, imprenditore genovese, sin dal sec. XVIII) ad abbandonare le loro case. 45 famiglie decisero di fissare la loro nuova dimora sulla terraferma ma di fronte all’A., nel sito detto Stintino (L’Isthintini, termine dialettale riferito ai due stretti golfi, ‘‘gli intestini’’, ai lati della penisola prescelta), mettendo a frutto i compensi e gli indennizzi per l’esproprio. Tornata deserta, l’A. divenne il regno delle capre e degli asini albini, sempre utilizzata come lazzaretto e come colonia penale. Nei primi mesi del 1916, destinata a ospitare, prigionieri, migliaia di austro-ungarici provenienti dal fronte serbo, vi si sviluppò un’epidemia di colera che fece quasi mille morti. Oltre al Lazzaretto l’isola, in località Cala Oliva, ospitò una colonia penale, solo recentemente chiusa, dopo essere stata, negli anni finali del Novecento, anche un carcere di massima sicurezza per terroristi e mafiosi. Attualmente le speranze dell’Asinara sono riposte in un grande parco nazionale marino. Asinara – Un numeroso gruppo di asinelli bianchi, caratteristico della fauna dell’isola. Asinello albino = Zoologia della Sardegna Asoni, Virgilio Impiegato, consigliere regionale (Lanusei 1934-ivi 2003). Militante del PSI, il 18 aprile 1979 è subentrato a Giovanni Nonne come consigliere regionale per il collegio di Nuoro nella VII legislatura (1974-1979). Asparago Genere di piante spinose della famiglia delle Liliacee. Tutte le specie sono caratterizzate da fusto legnoso, ramificato, ricoperto da cladodi (rami trasformati) aghiformi, raccolti all’ascella delle foglie trasformate in spine; i frutti sono bacche sferiche. Le specie presenti in Sardegna sono: 1. l’a. bianco (Asparagus albus L.), con rami biancastri e bacche rosse; 2. l’a. pungente (Asparagus acutifolius L.), con rami intricati e spinosissimi, fiori (ottobre-novembre) e bacche verdi; 3. l’a. marino (Asparagus aphillus L.), con spine a fascetti e bacche nerastre, che fiorisce ad autunno inoltrato; 4. l’Asparagus stipularis, con cladodi separati su rametti corti, fiori verdi (aprile-giu- 305 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 313 Asproni gno) e bacche nere. Gli asparagi crescono, indifferentemente dalla specie, nelle macchie, vicino ai muri, tra le siepi. Nella medicina popolare si riconoscono all’a. proprietà diuretiche e aperitive. Vengono raccolti i turioni, germogli teneri, apprezzati per il loro sapore amarognolo. I piatti sardi tradizionali a base di asparagi (minestre, frittate) utilizzano sempre asparagi selvatici. Di recente si è avviata la coltivazione di asparagi commerciali a Serrenti, dove in primavera si tiene una sagra dell’a. Nomi sardi: ipáramu (sassarese); sparáu (campidanese); ziru di sparáu (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Giorgio Asproni – Il grande politico bittese fu uno dei leader della Sinistra italiana durante il Risorgimento. Asproni, Giorgio Uomo politico e giornalista (Bitti 1809-Roma 1876). Deputato al Parlamento. Fu l’uomo più importante e più stimato della Sinistra sarda nei decenni centrali dell’Ottocento; in quello stesso periodo fu anche uno dei leader più autorevoli del movimento democratico italiano. Di famiglia povera, fu mantenuto agli studi da uno zio. Dopo la laurea in Diritto si fece sacerdote, diventando a 34 anni canonico penitenziere del capitolo di Nuoro. Nel 1847, maturato un contrasto col suo vescovo, si allontanò dalla Chiesa, pure restando profondamente religioso: uomo di grande coerenza morale, seguace di Mazzini, travasò nella vita politica gli ideali cui si era formato. Collaboratore del ‘‘Pensiero Italiano’’ di Genova, radicalmente antipiemontese, nel 1848 fu eletto per la I legislatura del Parlamento subalpino. Annullata l’elezione, nel 1849 rinunciò al canonicato e nel luglio di quell’anno venne eletto nel collegio di Lanusei per la III legislatura. Stabilitosi a Genova e a Torino, fu deputato nelle legislature dalla IV alla XII (1849-1876, tranne che nella VI e nell’VIII). Nemico di Cavour e della monarchia, che riteneva colpevoli delle condizioni in cui era tenuta la Sardegna, collaborò intensamente alla stampa democratica (‘‘Il Popolo’’ di Cagliari, ‘‘La voce della libertà’’ di Torino). Partecipò alla spedizione dei Mille come amico e consigliere di Garibaldi e nel 1864 fu chiamato a dirigere ‘‘Il Popolo d’Italia’’, organo dell’Associazione Unitaria Nazionale; nel 1861 fornı̀ a Mazzini i dati per gli articoli che questi scrisse sulla Sardegna al diffondersi delle voci di una possibile cessione dell’isola alla Francia. E allo stesso modo sollecitò Carlo Cattaneo a riprendere sul ‘‘Politecnico’’ i suoi interventi a favore della Sardegna sul delicato tema dell’abolizione degli ademprivi (=). Negli anni Sessanta si occupò anche del movimento operaio italiano, su cui scrisse una serie di articoli in linea con le posizioni di Mazzini. Nel 1865, stabilitosi a Napoli, conobbe e frequentò Bakunin. Negli ultimi anni 306 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 314 Asquer prese posizione in Parlamento contro le limitazioni ai movimenti religiosi (ma a favore della soppressione degli enti ecclesiastici) e ribadı̀ la necessità d’un sistema ferroviario per la Sardegna. Morı̀ il 30 aprile 1876, all’indomani della ‘‘rivoluzione parlamentare’’ che aveva portato la Sinistra al governo del Paese. Furono decretati tre giorni di lutto del Parlamento ed ebbe onoranze solenni. Dal 1855 al 1876 tenne un quasi quotidiano Diario politico, pubblicato fra il 1974 e il 1991 dalla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari a cura di Tito Orrù e Carlino Sole. I sette volumi dell’opera sono uno dei documenti più interessanti sulla vita politica italiana nel ventennio in cui fu scritto il Diario, ricco di notizie, di notazioni e di giudizi in cui si riflette il temperamento intransigente ed eticamente rigoroso dell’autore. Un interessante inedito, Compendio di storia della Sardegna, è stato pubblicato a cura di T. Orrù nel 1981. Tra gli altri suoi scritti, tutti legati alla sua lunga attività politica: Invito al Capitolo di Nuoro per la celebrazione di una messa di requiem all’anima dei fratelli lombardi trucidati dai barbari a Milano,‘‘L’Indicatore sardo’’, 1848; In difesa dell’opera della deputazione sarda, ‘‘Il Popolo’’, 1848; In mia difesa, 1848; Risposta ai riscontri del senatore Alberto della Marmora, 1849; Lettera alla società degli operai, ‘‘Corriere di Sardegna’’, 1862; Memoriale al presidente del Consiglio sulla condizione e sui bisogni della Sardegna, ‘‘Gazzetta popolare’’, 1862; Ai suoi elettori del collegio di Nuoro, 1867. Asproni, Giorgio junior Ingegnere (Bitti 1841-Iglesias 1936). Nipote di Giorgio Asproni, cui fu strettamente e profondamente legato, si chiamava in realtà Mameli. Dopo essersi laureato in Ingegneria mineraria a Torino tornò in Sardegna e si legò a Giovanni Antonio Sanna. Dopo il 1870 contribuı̀ a risanare l’amministrazione della miniera di Montevecchio, che era stata compromessa a causa della lunga lite tra il Sanna e i Guerrazzi (su questo scrisse alcuni opuscoli: Relazione sull’ispezione delle miniere e amministrazione di Montevecchio, 1869; Replica alle lettere dei signori Francesco Michele Guerrazzi, G. Sanna Sanna e F. Pellegrini, 1869; Risposta all’avvocato Francesco Domenico Guerrazzi, 1869). Nel 1883 rese possibile lo sviluppo delle miniere di Rosas e dal 1885 assunse la gestione della miniera di Seddas Moddizis, della quale dopo alcuni anni finı̀ per diventare proprietario. Seguı̀ con molta attenzione i problemi sociali e politici dell’Iglesiente, fondò la Scuola Mineraria di Iglesias e fu eletto consigliere provinciale di Cagliari dal 1889 al 1898. Alcuni dei suoi scritti sono utili per ricostruire la storia delle miniere in Sardegna. Asquer Famiglia di origine ligure (sec. XVI-esistente). Presente a Cagliari dalla seconda metà del secolo XVI, quando alcuni dei suoi membri gestivano importanti commerci di grano. Facevano parte dell’Arciconfraternita dei Genovesi e come tali sottoscrissero la colletta promossa dal sodalizio per la costruzione della chiesa dei Santi Giorgio e Caterina. Nel 1640 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Giovanni Battista, ricco mercante i cui traffici erano radicati in tutta l’isola. Scoppiata la peste, egli si rifugiò a Orani con la famiglia e vi morı̀ nel 1656; i suoi discendenti, pur continuando a occuparsi dei commerci della famiglia, con il trascorrere dei decenni si imparentarono con famiglie dell’aristocrazia e furono ammessi allo Stamento militare. 307 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 315 Asquer 1774 portò a termine il ripopolamento di Gonnesa entrando in conflitto con Iglesias per l’esercizio dei diritti di cui si è detto. I suoi figli Gabriele, Raffaele e Francesco diedero vita a tre rami della famiglia, ma quello discendente da Raffaele si estinse nel corso del secolo XIX. Asquer – Arma. In origine famiglia di ricchi commercianti, ebbe la nobiltà nel 1640. Agli inizi del secolo XVIII uno dei suoi nipoti, Ignazio, figlio di Francesco, sposata Eleonora Gessa, pose le basi per l’acquisizione del feudo di Fluminimaggiore; Eleonora, infatti, era erede di vasti feudi spopolati nel Sigerro dove Ignazio, a partire dal 1704, avviò il ripopolamento con coloni provenienti dal Terralbese. Egli promosse cosı̀ la formazione di Fluminimaggiore e tentò di ripopolare Gonnesa, affrontando però l’opposizione del comune di Iglesias che riteneva di poter esercitare diritti giurisdizionali sugli stessi territori. I suoi figli si legarono ai Savoia e uno di essi, Francesco, nel 1747 ottenne anche il titolo di visconte e con una serie di fortunate operazioni finanziarie migliorò le condizioni della famiglia. Gli succedette Gavino, che nel Asquer – Un Francesco Asquer divenne visconte nel 1747. Ramo di Gabriele. Gabriele fu un brillante ufficiale di carriera. Si sposò con una Angioy e si segnalò per aver avviato l’opera di bonifica di Piscina Matzeu. Nei decenni successivi, uno dei suoi figli, un Agostino, bonificò la palude di Pirri; Giuseppe continuò la discendenza. Ebbe alcuni figli, tra cui un altro Gabriele che fece una brillante carriera militare e tra il 1907 e il 1918 fu anche consigliere comunale di Cagliari; da suo fratello Francesco nac- 308 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 316 Asquer quero Giuseppe, che fu vicepresidente del Consiglio regionale tra il 1949 e il 1961, e Filippo, imprenditore, agricolo, i cui figli continuano la discendenza del ramo. Ramo di Francesco. Francesco, il primogenito, ricevette il feudo di Fluminimaggiore. Ebbe una avventurosa esistenza e numerosi figli; di essi il primogenito, un altro Francesco, nel 1839 trattò vantaggiosamente il riscatto del feudo e con le somme ottenute continuò l’opera di bonifica di Piscina Matzeu. Anche lui fu padre di molti figli, dei quali Gavino e Raffaele lasciarono discendenza: Gavino fu padre di un altro Gavino, che sviluppò una fiorente azienda agricola a Villamassargia e fu valente pittore; Raffaele ereditò il titolo di visconte e si dedicò con successo all’agricoltura sviluppando una grande azienda a Pula; tra i suoi numerosi figli il primogenito Francesco continuò la sua opera a Pula, ma morı̀ lasciando un’unica figlia sposata Aymerich; gli altri ebbero tutti numerosa discendenza che attualmente risiede a Cagliari e a Varese. Asquer, archivio Complesso di documenti che nel 1984 la famiglia Asquer vendette all’Archivio di Stato di Cagliari. È costituito da 66 buste di carte che coprono il periodo che va dal secolo XV al 1870: in genere atti relativi all’esercizio dei diritti sul feudo di Fluminimaggiore, con molti documenti appartenuti alla famiglia Gessa. Il complesso comprende anche i documenti relativi all’amministrazione delle altre proprietà immobiliari che la famiglia possedeva a Cagliari e quelli relativi all’azienda di Tuili. Asquer, Francesco Maria Visconte di Fluminimaggiore (Cagliari 1758-ivi 1832). Nel 1793 si segnalò nella difesa di Cagliari contro i francesi, e poiché era di idee liberali negli Stamenti si schierò con l’Angioy. Per questo nel 1794 fu esiliato a Torino, lasciando l’amministrazione del feudo al fratello Gabriele, che però non fu in grado di impedire che gli iglesienti cacciassero da Gonnesa gli abitanti del villaggio. Tornato in Sardegna nel 1798, riprese a lottare per difendere Gonnesa ma, sempre a causa delle sue idee, fu costretto a risiedere a Carloforte, dove nel corso dello stesso anno fu catturato nella famosa incursione dei corsari tunisini. Per il suo riscatto la famiglia pagò 31 000 lire sarde. Tornato in Sardegna nel 1802, l’indomabile visconte riuscı̀ a cacciare gli iglesienti da Gonnesa e si impegnò allo sviluppo del villaggio, che contribuı̀ a ripopolare. Asquer, Gabriele Militare (Cagliari 1763-ivi 1815). Fratello di Francesco Maria (=), ufficiale di carriera, si segnalò nella difesa di Cagliari dai francesi nel 1793. Negli anni successivi, durante l’assenza di suo fratello, difese Gonnesa dai tentativi degli iglesienti che volevano tornare in possesso dei terreni occupati dalla comunità fondata dagli antenati. Nel 1807 ottenne il permesso di avviare la bonifica di Piscina Matzeu, impiantando il grande uliveto. Nel 1809 fu nominato comandante della provincia di Ozieri. Asquer, Gavino1 Visconte di Fluminimaggiore (Cagliari 1719-ivi 1792). Personaggio politico di primo piano, continuò nell’opera di colonizzazione di Gonnesa, che completò nel 1774. Egli però dovette affrontare una lite giudiziaria con la città di Iglesias che pretendeva di esercitare funzioni giurisdizionali sul territorio sul quale era sorto il nuovo villaggio. Con fermezza e abilità riuscı̀ a vincere la resistenza di Iglesias ma il suo fu un successo provvisorio, perché gli iglesienti continuarono a rivendicare i loro diritti. Asquer, Gavino2 Imprenditore e pit309 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 317 Asquer tore (Cagliari 1893-ivi, 1978). Singolare figura di gentiluomo, che fu insieme fortunato imprenditore agricolo, pittore e incisore di un certo rilievo. Fu allievo di Felice Melis Marini e completò i suoi studi a Firenze; si specializzò nella composizione di vedute di piccole dimensioni che eseguiva con grande abilità; di lui però rimane anche una Sacra Famiglia eseguita per la chiesa di San Giuseppe in Castello a Cagliari. Prese parte a numerose mostre in Sardegna e in varie città italiane con notevole successo. Asquer, Giovanni Pittore (Cagliari 1891-ivi 1931). Si formò a Firenze e all’Accademia di Belle Arti di Roma. Tornato a Cagliari, si inserı̀ negli ambienti artistici della città, ma dopo qualche tempo si trasferı̀ nuovamente a Roma. Nel 1925 tornò definitivamente nella sua città, dove prese a operare intensamente; si fece conoscere soprattutto come pittore sacro e come ritrattista. Morı̀ relativamente giovane nel 1931. Purtroppo molte delle sue opere sono andate perdute durante i bombardamenti del 1943. al 1961 e fu vicepresidente del Consiglio regionale. Morı̀ lasciando il suo vistoso patrimonio al Comune. Alcuni dei numerosi scritti, apparsi principalmente nei giornali, oltre che testimoniare del suo impegno, sono utili per la ricostruzione della storia sarda della prima metà del Novecento. Tra quelli dedicati a temi di storia del diritto e dell’economia, La Quarta Regia dello stagno di Cagliari nella storia e nell’economia, ‘‘Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari’’, VI, 1914; Il giudice di appellazioni e gravami nel diritto ecclesiastico sardo, ‘‘Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari’’, VI, I, 1914; Lazzaro risorge (a proposito dello stabilimento Vi t t o r i o E m a n u e l e d i S a n l u r i ) , ‘‘L’Epoca’’, 1919. Asquer, Giuseppe Avvocato, consigliere regionale (Cagliari 1889-ivi 1962). Nacque a Cagliari da uno dei rami collaterali della famiglia. Conseguita la laurea in Legge, si avviò alla professione di avvocato, e attirato dalla politica. Nel 1914 cominciò a collaborare con ‘‘L’Unione sarda’’, mettendo in mostra un carattere battagliero e orientamenti decisamente democratici. Nel dopoguerra aderı̀ al sardismo e assunse posizioni antifasciste, per cui fu costretto a lasciare la politica. Riprese a occuparsene dopo la caduta del regime: nella scissione del PSd’Az nel 1948 si schierò con Lussu passando nel PSd’Az Socialista e in seguito aderı̀ al PSI. Fu eletto consigliere regionale ininterrottamente dal 1949 Assemini – L’oratorio di San Giovanni, edificato nei secoli IX-X, è uno dei monumenti d’età bizantina meglio conservati. Assemini Comune della provincia di Cagliari, compreso nella XXIV Comunità montana, con 25 171 abitanti (al 2004), posto a 6 m sul livello del mare nella parte più meridionale della pianura campidanese, a brevissima distanza da Cagliari. Regione storica: Campidano di Cagliari. Archidiocesi di Cagliari. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 117,50 km2 e si divide in due parti: una, di forma allungata in 310 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 318 Assemini direzione nord-sud, che si stende intorno al nucleo abitato, confina col comune di San Sperate a nord, con Sestu a est, con Cagliari e Capoterra a sud, con Uta e Decimonannu a ovest; un’isola amministrativa, collocata a sudovest e incuneata tra i territori di Capoterra, Sarroch, Villa San Pietro, Santadi, Nuxis, Siliqua e Uta. Mentre la regione intorno al paese è un tratto tipico di pianura alluvionale, fertile, ricca di acque (è attraversata dal Flumini Mannu che a sud del paese confluisce nello stagno di Cagliari) e vocata all’agricoltura, l’isola amministrativa comprende parte dei primi contrafforti dei rilievi del Sulcis-Iglesiente, nella zona in cui si leva il monte Arcosu (948 m) e si trova la pregevole area naturalistica di Gutturu Mannu. Il paese rientra nella grande conurbazione cagliaritana, ricca di vie di comunicazione ma intensamente popolata e per questo anche in parte congestionata. Le principali vie di accesso sono la superstrada 130 che unisce Cagliari a Iglesias e la ferrovia che, partendo da Cagliari, poco dopo A. si divide nei due bracci che raggiungono rispettivamente Iglesias e Oristano. Strade minori conducono da qui a Sestu, a San Sperate, a Villamassargia e verso la zona industriale di Macchiareddu. & STORIA Di probabili origini puniche, il villaggio in epoca romana era situato lungo la strada che da Carales conduceva a Sulci ed era ben conosciuto anche perché vi passava l’acquedotto che dal Cixerri portava l’acqua a Cagliari. A. mantenne la sua importanza in periodo bizantino quando il suo abitato si sviluppò attorno alla chiesa di San Giovanni; in seguito entrò a far parte del giudicato di Cagliari e fu compreso nella curatoria di Decimomannu. Nel corso del secolo XI il suo abitato si sviluppò ulteriormente e fu avviata la costruzione della chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro; era un centro rinomato per la produzione di vini pregiati e per la pratica di un’orticoltura molto avanzata. Quando nel 1257 il giudicato di Cagliari cessò di esistere e il suo territorio fu smembrato, A. passò in possesso dei Della Gherardesca che probabilmente vi fecero costruire la chiesa romanica di Santa Lucia. Nel 1282 i due rami della famiglia, a causa dei loro insanabili contrasti, fecero tra loro una divisione e A. fu compreso nella parte toccata ai figli del conte Gherardo. Conclusa la conquista dell’infante Alfonso, il villaggio fu incluso nel Regnum Sardiniae e sequestrato ai suoi antichi signori che però, dopo la conclusione della pace del 1326, ne furono infeudati e ne recuperarono il possesso. Negli anni seguenti i suoi rapporti con i Della Gherardesca furono buoni e la vita della comunità, che contava su una florida economia ed era molto numerosa, trascorreva tranquilla; durante la peste del 1348 però la sua popolazione fu quasi dimezzata. In seguito, scoppiata la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, A. fu confiscato ai Della Gherardesca e concesso in feudo con altri villaggi a Francesco Sant Clement, eminente cittadino di Cagliari. A partire dal 1365 A. soffrı̀ per la ripresa della guerra tra Arborea e Aragona, l’abitato fu semidistrutto, si spopolò e fu occupato stabilmente dalle truppe giudicali fino al 1409. Finita la guerra, tornò in possesso dell’amministrazione reale e, ormai completamente desolato, nel 1421 fu concesso ai Bertran Carroz che lo inclusero nel loro grande feudo di Quirra. Estinti i Bertran Carroz nel 1511, passò nelle mani dei Centelles che, come è noto, provvidero a riorganizzare l’amministrazione del grande feudo di 311 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 319 Assemini Quirra nel quale A. rimase compreso. Nello stesso periodo l’abitato continuò ad accrescersi e la sua economia a svilupparsi; nel corso del secolo XVI maestranze locali, prendendo spunto da modelli catalani, vi costruirono la chiesa parrocchiale di San Pietro. Nel corso del secolo XVII il villaggio soffrı̀ per l’oppressione dei tributi feudali e a causa della peste del 1652; estinti i Centelles nel 1674, passò ai Borgia, la cui successione però fu contrastata dai Catalan. Tra le due famiglie si aprı̀ una lunga lite giudiziaria che si concluse nel 1726 quando A. e tutta la contea di Quirra passarono finalmente nelle mani dei Catalan. I nuovi feudatari poco si interessarono di A., nei cui terreni però, nel corso del secolo XVIII, fu fatto un esperimento di coltivazione del tabacco e furono aperte alcune peschiere nello stagno di Santa Gilla. Dopo la costituzione del Consiglio comunitativo nel 1771, approfittando della lite tra l’ultima dei Catalan e gli Osorio che pretendevano la successione nel feudo, la comunità cominciò a vagheggiare il riscatto, ma al momento tutto fu inutile. Nel 1798 gli Osorio subentrarono ai Catalan e il vincolo feudale continuò a pesare sulle popolazioni di A.; nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Cagliari e nel 1840 fu finalmente riscattato agli Osorio. È all’incirca di questo periodo la testimonianza di Vittorio Angius: «L’abitato avrà circa due terzi di miglio in circonferenza, e 480 case. Sono costrutte a mattoni crudi, generalmente senz’altro piano sopra il terreno, hanno un cortile, e taluna anche un orticello contiguo. Le strade sono bastevolmente larghe, sebbene poco regolari, se eccettuisi la principale, che denominasi di Cagliari, per ciò che in quella passano quanti da Decimomanno si dirigono alla capitale. La maggior parte di questi paesani esercitano l’agricoltura e la pastorizia; altri attendono alla pesca nel fiume e nel vicino stagno; altri alla caccia; ed una più piccola parte fanno a vasellai. Questi fabbricano con qualche arte delle stoviglie grossolane, brocche, scodelle, fiaschi, tegami, casseruole ed altri vasi. Ne provvedono i villaggi vicini, ma la maggior vendita si fa in Cagliari nella vigilia della festività della Vergine del Carmine, dove concorrono coi decimesi, che in gran numero sono applicati a questi lavori. La tessitura è l’occupazione delle donne, e si lavora in più di 400 telai. Malgrado siano questi molto semplici e rozzi, veggonsi bene spesso dei tessuti che meritano lode. Molte di queste, come sogliono quelle dei paesi più vicini alla capitale, con molta frequenza vi si portano a vendervi uova, pollame, formaggio fresco ed altri oggetti. Il carattere morale è lodevole. Sono pacifici, laboriosi, sobri, insiememente pieni di vigore, armigeri, amanti della caccia: governano bene il cavallo, e sul medesimo sogliono anche far la caccia. Le donne appajono modeste. Sono poche che mangino a tavola coi mariti, se non in occasione di qualche convito. Siedono ordinariamente ad altra mensa con le figlie e con le serve: il qual costume troverassi ragionevole da chi conosca la condizione delle cose. Le famiglie ascendono a circa 495, l’intera popolazione a 2025. Nascono nell’anno circa 80, muojono 30, e si celebrano 18 matrimoni». Nel corso dell’Ottocento A. continuò a far parte delle circoscrizioni amministrative di Cagliari e la sua economia si evolvette: accanto alle tradizionali attività dell’agricoltura se ne svilupparono delle altre artigianali, nel campo del legno e del ferro, ed ebbe incremento anche quella della ceramica; purtroppo nel 312 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 320 Assemini 1899 i suoi vigneti furono distrutti dalla fillossera. Nel corso del Novecento hanno progredito sia l’economia che il numero degli abitanti, un po’ per la specializzazione nel campo agricolo e per l’apertura delle vicine zone industriali, ma anche per l’inclusione tra i centri abitati che fanno da corona a Cagliari e costituiscono tutti insieme una continuità dell’urbanizzazione e un sistema economico integrato. & ECONOMIA La base tradizionale dell’economia di A. rimane l’agricoltura: i prodotti principali sono i cereali, gli ortaggi, l’uva e il vino. Dalla seconda metà del secolo XX un’intensa industrializzazione tende a modificare l’assetto tradizionale dell’economia. Altra importante attività è rappresentata dal turismo di transito (alberghi e ristoranti) e dall’industria dell’intrattenimento (locali notturni). Artigianato. L’antica tradizione della lavorazione delle stoviglie di terracotta e di ceramica negli ultimi decenni si è sviluppata enormemente e in alcuni casi è giunta a un livello di vera e propria arte; mentre si è persa completamente la memoria dell’attività tessile che le donne esercitavano nei telai domestici producendo lavori di grande qualità apprezzati anche a Cagliari. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 23 518 unità; di cui stranieri 192; maschi 11 762; femmine 11 756; famiglie 7912. La tendenza complessiva rivelava un aumento della popolazione con morti per anno 115 e nati 249; cancellati dall’anagrafe 757 e iscritti 1037. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 143 miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 17 909 in migliaia di lire; versamenti ICI 5979; aziende agricole 526; imprese commerciali 780; esercizi pubblici 62; esercizi all’ingrosso 13; esercizi al dettaglio 337; ambulanti 107. Tra gli indicatori sociali: occupati 6038; disoccupati 992; inoccupati 1382; laureati 226; diplomati 2321; con licenza media 7077; con licenza elementare 5728; analfabeti 704; automezzi circolanti 7899; abbonamenti TV 4734. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva a Ischiois i resti di una villa rustica di età imperiale e a Cuccuru Macciorri una necropoli tardopunica individuata dopo il 1960, in un sito che oramai è parte del perimetro urbano. È costituita da un certo numero di tombe a cassone ricoperte con lastre di pietra. Gli scavi hanno restituito una discreta quantità di ceramiche puniche e attiche a vernice nera del secolo IVa.C. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il centro storico di A. conserva ancora una grande quantità di case campidanesi, tipiche costruzioni in mattoni di fango crudo (làdiri) che si aprono in una corte anteriore al fabbricato e che talora nella parte posteriore hanno un orticello domestico. La costruzione è spesso completata da loggiati (lollas) poggianti su colonne di legno o di pietra, di grande suggestione. Il muro esterno che racchiude queste abitazioni è generalmente arricchito da un grande portale ad arco che si apre su strade sufficientemente larghe. A. conserva inoltre alcune chiese di grande pregio architettonico tra cui quella bizantina di San Giovanni Battista, costruita probabilmente tra la fine del secolo IX e il corso del secolo X; ha un impianto a croce greca iscritta in un perimetro quadrato, è sormontata da una cupola ed è coperta da volte a botte. Nel 1098 il giudice Mariano Torchitorio II la donò al Duomo di San Lorenzo di Genova che la tenne fino al secolo XIII. In seguito, prima della costruzione della chiesa di San Pietro, fu per un certo tempo chiesa parroc- 313 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 321 Assenzio arbustivo chiale. Al suo interno è conservato un gruppo di marmi mediobizantini tra i quali la famosa iscrizione di Torchitorio e Nispella. Altro importante monumento è la chiesa parrocchiale di San Pietro, costruita in forme gotico-aragonesi nel corso del secolo XVI. Edificata sul modello della chiesa di San Giacomo di Cagliari, l’opera ebbe inizio nei primi decenni del secolo e fu eseguita in momenti diversi da maestranze locali che avevano assimilato le essenziali tecniche costruttive da architetti catalani. Ha una sola navata scandita da archi a sesto acuto sui quali tra la fine del Cinquecento e il Seicento furono aggiunte le cappelle laterali. Sono infine di un qualche interesse architettonico San Cristoforo, chiesa situata alla periferia del villaggio; fu costruita nel secolo XVII a una sola navata completata dal presbiterio; la facciata è del tipo a capanna ed è arricchita da un campanile a vela. Ricordiamo ancora le chiese minori di Sant’Andrea, costruita nel secolo XVIII, e di Santa Lucia, di piccole dimensioni in stile romanico. Di grande interesse è anche una costruzione militare conosciuta come Villa Asquer: si tratta di una ‘‘casa-forte’’ costruita nel secolo XVI e passata agli Asquer (=) nell’Ottocento. Ha un impianto quadrangolare, le mura perimetrali sono rinforzate da un basamento a scarpa e da torrioni rotondi agli angoli. All’interno si trova una vasta corte con portico ad archi. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Ricco di tradizioni delle quali si conserva memoria era il patrimonio delle tradizioni popolari di A.; in particolare va ricordata la loro abitudine alla pratica della danza accompagnata dal suono delle launeddas che nel pomeriggio di ogni domenica veniva praticata in una grande piazza con il con- corso della gioventù che per l’occasione intonava piacevoli canti. La memoria di questo grande patrimonio di tradizioni è conservata nel Matrimonio asseminese, una manifestazione istituita nel 1973, che si svolge a luglio nella chiesa di San Giovanni in una cornice suggestiva. I protagonisti indossano i costumi tradizionali e il rito nelle sue varie fasi ripropone i dettagli di una cerimonia composta di una lunga serie di antichissime usanze. Gli sposi, dopo aver ricevuto la benedizione dalle rispettive madri, che lanciano nella loro direzione del grano, del sale e delle monete, vengono accompagnati in chiesa da cortei di amici in costume; giunti all’altare, nel momento culminante della cerimonia vengono incatenati dai testimoni. Il gesto rappresenta l’indissolubilità del matrimonio. Una volta terminata la cerimonia, i due vengono accompagnati in corteo alla loro nuova abitazione e qui ricevono s’arazzu che contiene petali di fiori e dolci. Altra grande festa popolare è quella di Santa Lucia che si svolge in due fasi, nella prima domenica dopo Pasqua e il 13 dicembre; la prima fase dura tre giorni e alle cerimonie religiose si alternano manifestazioni folcloristiche che in passato culminavano in una giostra a cavallo; la seconda fase ha invece un carattere esclusivamente religioso. Assenzio arbustivo Pianta arbustiva della famiglia delle Composite (Artemisia arborescens L.), detta anche artemisia. Ha rami eretti e pubescenti, foglie composte (scient. bipennatosette) dal caratteristico colore bianco-grigiastro, fiori giallo-bruni raccolti in pannocchie apicali di capolini semisferici. I frutti sono piccoli acheni intensamente profumati. Fiorisce in aprilemaggio e caratterizza con le sue macchie argentee i campi incolti e i bordi 314 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 322 Assolo delle strade. Aromatica, l’artemisia viene usata per la preparazione di liquori e nella medicina popolare per le proprietà stimolanti, digestive e vermifughe, simili a quelle dell’‘‘assenzio vero’’ (Artemisia absithium L.), non presente in Sardegna. In prossimità delle coste dell’arcipelago della Maddalena e in ristrettissime zone della Sardegna sud-occidentale è presente una specie endemica della Sardegna e della Corsica, l’Artemisia densiflora Viv., inserita nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. Nomi sardi: asséntu, athétu (nuorese); atténtu (gallurese e logudorese); séntzu (campidanese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Assessore Nell’ordinamento del Regnum Sardiniae era un funzionario che aveva il compito di assistere i magistrati di nomina regia nello svolgimento delle loro funzioni. Aveva un compito essenzialmente consultivo ed era nominato, di regola, per un anno. Assessore della Regia Governazione Erano due funzionari, assistenti uno del governatore del Capo di Cagliari e Gallura e l’altro del Capo di Logudoro. Duravano in carica cinque anni e avevano compiti, oltre che di assistenza, di natura esecutiva; per assumere l’ufficio versavano cauzione ed erano sottoposti al termine del quinquennio al giudizio di sindacatura. Assinarium Centro registrato nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (sec. VII) e, nella variante Assimanrium, nelle cronache di Guidone (secc. XI-XII). A. era localizzata con tutta probabilità lungo la direttrice che congiungeva Carales alla costa orientale dell’isola. Pare dimostrarlo anche la formula del Ravennate, ex alio latere, usata per distinguere questa tratta dai primi due percorsi già considerati nella sua opera (quello che univa Cara- les a Turris Lybisonis e quello che muoveva da Carales verso Nora). Non sarebbe allora valida l’ipotesi di Ettore Pais che identificava A. con Assemini, località in prossimità della regione del Cixerri e dunque pertinente alla via a Caralibus Sulcos. [ANTONELLO SANNA] Assiolo = Zoologia della Sardegna Associazione Mineraria Sarda Società costituita nel 1896 per iniziativa di Anselmo Roux, doveva favorire lo sviluppo degli studi relativi all’attività mineraria. Potevano farne parte tutti coloro che si occupavano dell’argomento; tenne le sue riunioni a Iglesias, dapprima presso l’Istituto tecnico minerario, in seguito, dal 1904, nella sua sede, una palazzina appositamente costruita. Nel corso degli anni fu presieduta dal Lambert, dal Ferraris, dal Cattaneo, dal Traverso e ancora dal Donegani. Nel 1919 aveva 175 soci e nel 1928 si diede un nuovo statuto. Assolo Comune della provincia di Oristano, compreso nella XVII Comunità montana, con 485 abitanti (al 2004), posto a 255 m sul livello del mare alle pendici settentrionali della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Valenza. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 16,32 km 2 : ha forma grosso modo triangolare e confina a nord con Sant’Antonio Ruinas, a est con Senis e Nureci, a sud con un’isola amministrativa di Cabras, a ovest con Albagiara. Si tratta di suoli e rocce di natura basaltica, a nord del paese, in parte pianeggianti e vocati all’agricoltura, in parte costituiti dalle pendici e da una parte della sommità della Giara: un’area ricca di vegetazione, lecci, corbezzoli, lentischi e abitata di conseguenza da volpi, lepri e numerose varietà di volatili. Da queste pendici hanno origine alcuni piccoli corsi d’acqua che si immettono nel rio Im- 315 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 323 Assolo bessu, che scorre nella vallata e, dopo un lungo e tortuoso percorso – durante il quale diviene rio Mannu – , va a confluire nel Flumendosa. Il paese si trova in posizione appartata, collegato con due brevi traverse alla statale 442 Uras-Laconi, nel punto in cui se ne stacca verso nord la traversa per Asuni e Villa Sant’Antonio. Assolo – Sa lolla, il caratteristico cortile a loggiato della casa campidanese. & STORIA Il villaggio attuale è probabilmente nato in periodo bizantino dall’insediamento romano di Santa Lucia; in seguito fu compreso nel giudicato d’Arborea e faceva parte della curatoria di Parte Valenza. Dopo la caduta del giudicato fu compreso nel territorio del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti, unitamente a quelli degli altri villaggi della curatoria, mantennero per alcuni anni un atteggiamento ostile nei confronti degli Aragonesi, istigati probabilmente dal marchese d’Oristano che avrebbe voluto entrare in possesso del territorio. Egli infatti, approfittando delle necessità della dinastia, nel 1416 fu sul punto di riuscire ad acquistare il territorio; il re però, che sospettava del marchese, decise di dividere la curatoria in alcuni feudi pensando di controllarne meglio in questo modo le popolazioni. Cosı̀ A. nel 1417 fu incluso con altri villaggi nel feudo concesso a Ludovico Pontons; questi nel 1421 rivendette il villaggio a Nicolò Boter cittadino di Cagliari, che però morı̀ poco dopo. Allora la sua vedova, nel 1426, lo vendette all’asta a Pietro Joffre per recuperare la propria dote. Lo Joffre, che si era anche sposato con la vedova, lo inserı̀ in un feudo più vasto di cui, da quel momento, A. fece parte stabilmente. Dopo la sua morte il villaggio passò per matrimonio ai Cardona che lo trasmisero ai Besalù; nel 1486 Pietro Besalù vendette A. unitamente agli altri villaggi che costituivano il feudo a Bernardino Margens; la discendenza di questi ultimi si estinse nel 1541 e A. passò per matrimonio ai Fogondo. Estinti questi ultimi nel 1592, passò infine ai Nin che nel corso del secolo XVII ne riordinarono l’amministrazione e arrivarono a condizionare pesantemente la vita della comunità. Scoppiata la guerra di successione spagnola, essi furono costretti a fuggire in Spagna per cui A. rimase per alcuni anni sotto sequestro; passata la Sardegna ai Savoia, il villaggio e tutto il territorio del feudo tornarono ai Nin che tentarono di effettuare nel suo territorio alcuni esperimenti agricoli, ma senza successo. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1838 riscattato ai Nin, ultimi feudatari. Vittorio Angius annotava in questo periodo: «L’abitato stendesi in lungo circa 8 minuti. Le strade son poco larghe, il piano è disuguale e sassoso, ed in istagioni piovose impraticabile anche per lo fango. Tutte le case 316 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 324 Assolo hanno davanti un piazzale con un loggiato aderente, che dicesi lolla nel Campidano de Parte Jossu, staulu nel Campidano d’Oristano. La costruzione è a pietre con fango, e non si usano i mattoni crudi (làdiri). Le arti meccaniche vengono da pochi esercitate; l’unica manifattura è la solita delle tele e del forese [orbace]. Si fanno pure delle coltri, ma tutto serve per uso proprio. Lavorasi in 140 telai. Si semina non meno di starelli 700 di grano, 100 d’orzo, 180 di fave, e 10 di ceci. Piccola è la seminagione del lino, e solo quanto sia sufficiente ai bisogni. Poco si cura la coltivazione delle erbe ortensi, e tra le piante di questo genere pregiasi il solo popone. Il vigneto è competentemente esteso; molte sono le varietà delle uve. Gli è, avuto riguardo all’estensione del pascolo, non piccola la quantità del bestiame, alla cui propagazione si studia. Quasi ogni casa comoda avrà due o tre mannalite [capre domestiche]. Le vacche rudi sono divise in sei segni, ciascuno tra li 30 e 60 capi. I buoi per i lavori dell’agricoltura non sono meno di 200, e con ogni giogo o coppia si semina generalmente 6 starelli (ari 239,16). Le pecore sono distinte in 125 segni, cadauno di vario numero tra i 30 e i 70; le capre in segni 6, dai 30 ai 70; i porci in segni 4, dai 20 ai 30 capi: in totale capi 3000, compresi i cavalli, i majali, i giumenti». Abolite le province, nel 1848 A. entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari, in seguito nel 1859 dell’omonima provincia. Nel 1928 fu ridotto a frazione di Senis e solo nel 1945 riacquistò l’autonomia; nel 1974 fu compreso nella provincia di Oristano. & ECONOMIA La sua economia è basata esclusivamente sulle attività dell’agricoltura e della pastorizia; in particolare la produzione dei cereali, la frutticoltura e una modesta produ- zione di formaggi di non eccelsa qualità. Artigianato. Non è stata mai del tutto abbandonata la tessitura domestica, cosı̀ diffusa ai tempi dell’Angius: sono ancora presenti alcune manifatture domestiche nelle quali si producono tappeti dai colori vivaci e tende. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 499 unità, di cui stranieri 3; maschi 248; femmine 251; famiglie 178. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 3 e nati 5; cancellati dall’anagrafe 21 e nuovi iscritti 3. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 648 in migliaia di lire; versamenti ICI 171; aziende agricole 158; imprese commerciali 16;esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 7. Tra gli indicatori sociali: occupati 95; disoccupati 31; inoccupati 36; laureati 4; diplomati 49; con licenza media 145; con licenza elementare 171; analfabeti 34; automezzi circolanti 140; abbonamenti TV 159. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio di A. è particolarmente ricco di nuraghi, che sono individuabili nelle località di Aradi, Fruscu, Guduli, Gurreddu, Mammuzzola, Monte Figu, Moro, Orasas, Palanuedda, Pardu Cungiau, Planu Narbonis, Porcilis, Sa Cirra, San Pietro, Santa Lucia, Sassaioni, Ungronis, Urasasa. La maggior parte di essi orna come una cinta di difesa il bordo della Giara; di particolare interesse è il complesso di Pardu Cungiau che comprende ben sei nuraghi posti a breve distanza l’uno dall’altro, prevalentemente in rovina, e gli avanzi di un villaggio di incerta origine. Di grande interesse è anche il nuraghe detto Nuraxi ’e Moru, in località Riu ’e Concas; si tratta di un nuraghe polilobato di grandi proporzioni che attende di essere studiato con maggiore attenzione. Nel territorio sono identificabili 317 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 325 Assorgia anche alcuni dolmen. Di grande interesse è anche la località di Santa Lucia, all’incrocio della statale 442 con la deviazione per Asuni e Villa Sant’Antonio: vi si vede, nascosta tra gli alberi, una chiesetta dal triplice portale e con campanile a vela, dove gli abitanti di A. vengono a settembre per fare festa. In realtà gli scavi compiuti tutt’intorno in varie epoche hanno rivelato che sorge sopra i resti di un abitato romano, probabilmente appartenenti a una villa: sono emersi mosaici, bronzi e monete di diversi periodi, nonché un’iscrizione del secolo I nella quale si parla di uno schiavo cresciuto nella casa del suo padrone. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Di particolare interesse è il centro storico, costituito da un complesso di viuzze fiancheggiate dalle grandi case in pietra caratterizzate dal loggiato (lolla) tutt’intorno alla corte che si affaccia alla strada con un grande portale ad arco. Al centro dell’abitato si trova la chiesa di San Sebastiano, la parrocchiale costruita nel secolo XVIII: ha un impianto a una sola navata e la copertura con volte a botte; all’interno conserva tre altari in pietra. La chiesetta campestre di Santa Lucia risale per il primo impianto al periodo bizantino, ma fu completamente ricostruita nel secolo XIII in forme romaniche. Nel corso dei secoli successivi subı̀ molti danni e andò in rovina; è stata ancora una volta ricostruita tra il 1920 e il 1922. Attualmente ha un impianto a tre navate e una struttura che richiama l’impostazione romanica precedente. Notevoli, come si è visto, i pregi naturalistici della zona a monte dell’abitato, cui si può accedere seguendo una strada costruita alcuni anni fa. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Si ha memoria di una singolare tradizione in relazione ai balli che nei tempi andati erano particolarmente amati dalla popolazione: non si svolgevano in piazza, come abitualmente si faceva negli altri villaggi, ma nelle case dei giovanotti più ricchi, dove le ragazze venivano condotte da un accompagnatore. La più importante delle feste popolari è quella di Santa Lucia che si svolge nella seconda domenica di settembre e che un tempo era famosa per il palio che vi si correva attirando gli abitanti degli altri villaggi; attualmente il momento culminante della festa è costituito da una solenne processione che trasferisce la statua della santa dalla parrocchiale all’omonima chiesetta. Per le feste di Natale si confeziona ancora il grano cotto, su trigu cottu, che viene insaporito con la sapa, mentre a Pasqua si consumano le formaggelle e dei pani di semola nei quali viene inserito per l’occasione un uovo, simbolo e augurio di fertilità. Assorgia, Antonio Geochimico (n. Monserrato 1936). Dopo la laurea si è dedicato all’insegnamento universitario. Professore associato nel 1980, attualmente insegna Geochimica e vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari. Tra i suoi scritti, Nuove conoscenze sulle grotte costiere del settore di Cala Luna (con L. Bentini e C. Dernini), 1968; Sopra alcuni lembi di Tirreniano in grotte costiere del Golfo di Orosei, 1968; Notizie geomorfologiche sul monte Marganai di Iglesias con cenni sulle mineralizzazioni, ‘‘Speleologia Sarda’’, III, 4, 1974; Alberto Lamarmora e il progresso delle conoscenze geologiche e minerarie della Sardegna nell’Ottocento, 1998; Lo sviluppo delle ricerche geologiche minerarie nella Sardegna dell’Ottocento (con R. Callia), 1999. Assum Antico villaggio del giudicato di Gallura, compreso nella curatoria di 318 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 326 Astesan Montangia. Estinta la dinastia giudicale dei Visconti, a partire dal 1288 fu amministrato dal Comune di Pisa. Dopo la conquista aragonese passò al Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti non si piegarono ai nuovi venuti e scoppiata la guerra tra Aragona e Genova si ribellarono apertamente, per cui il villaggio nel 1331 fu conquistato dalle truppe di Raimondo Cardona, che subito dopo l’ottenne in feudo. Dopo la morte del Cardona nel 1337, si spopolò completamente entro la fine del secolo XIV. Astarte Ericina Divinità di origine fenicia (in fenicio ’štrt ’rk), il cui culto si diffuse nei territori del bacino occidentale del Mediterraneo. L’appellativo della dea si deve all’esistenza dell’importante santuario della città di Erice (Sicilia occidentale) fondato, secondo la tradizione classica, dall’eroe eponimo Eryx, figlio di un re indigeno e di Afrodite. Il tempio fu certamente conosciuto fin dall’antichità, come traspare dalle testimonianze letterarie greche e latine che insistono sull’antichità del culto tributatovi, sulla ricchezza e notorietà del luogo sacro nonché sull’eventualità che vi venisse praticato il noto rito della prostituzione sacra. La conferma archeologica di quanto si apprende dalle fonti è costituita da un’iscrizione punica dei secoli III-II a.C., rinvenuta in Sicilia, che menziona lrbt l’štrt ’rk ‘‘la Signora, Astarte di Erice’’. Per quanto attiene la Sardegna, un’iscrizione rinvenuta sul promontorio di Sant’Elia nel 1870, conservata attualmente a Cagliari, documenta il culto da porre in relazione alla possibile esistenza di un santuario extraurbano forse attivo già in età arcaica. Ciò anche se un’ipotesi alternativa proporrebbe la lettura [l’]štrt ’m ‘‘Astarte madre’’. Anche a Roma si assiste, con un tipico fenomeno di sincreti- smo religioso, all’introduzione del culto di A.E., il cui tempio venne edificato sul Campidoglio durante la seconda guerra punica. La devozione nei confronti della Venere Erucina si diffuse infine, a testimonianza della dimensione internazionale del culto, anche nel territorio della Campania e ancora a Cartagine, in un contesto culturale ormai pienamente romanizzato. [MICHELE GUIRGUIS] Asteroide di Sardegna (o buftalmo peloso) Pianta suffruticosa della famiglia delle Asteracee (Buphthalmum inuloides Moris). Ha rami eretti o arcuati, che raggiungono i 60 cm di altezza, legnosi, con peluria grigiastra; foglie oblunghe, spatolate quelle inferiori, lanceolate quelle superiori; fiori (maggio-giugno) in capolini gialli, solitari o in piccoli gruppi radi; i frutti (giugno-agosto) sono acheni tripartiti e dentati. Endemismo sardo, vive in un ristretto areale sulle coste galluresi e sulle piccole isole prospicienti. L’a. di S. è inserito nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001. Predilige zone sassose e soleggiate. Nome sardo: salvia bianca (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Astesan, Giacomo Giovanni Tommaso Religioso (Chambéry, prima metà sec. XVIII-Oristano 1784). Arcivescovo di Oristano dal 1778 al 1784. Domenicano, dopo aver completato gli studi insegnò per anni Teologia in diversi conventi dell’ordine. Divenuto assistente generale, fu nominato vescovo di Nizza; in seguito, nel 1778, divenne arcivescovo di Oristano. Raggiunta la sua nuova diocesi rimase colpito dalle condizioni di arretratezza di quelle popolazioni e si impegnò con energia per migliorarle; si segnalò per la carità e per l’impegno col quale so- 319 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 327 Astia stenne la necessità di trasformare l’agricoltura. Astia Antico villaggio del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Sigerro. Era situato sulle colline a est di Villamassargia. Quando nel 1257 il giudicato cessò di esistere, nella divisione del 1258 entrò a far parte del terzo assegnato ai Della Gherardesca che lo donarono all’opera di Santa Maria di Pisa. Dopo la conquista aragonese passò al Regnum Sardiniae; assegnato nel 1324 al castello di Gioiosaguardia, fu fatto amministrare dal castellano e destinato al mantenimento della guarnigione. Durante le guerre tra Aragona e Arborea il villaggio, già semispopolato a causa della peste del 1348, si spopolò completamente e scomparve. Astore = Zoologia della Sardegna Astragalo Genere di piante arbustive della famiglia delle Leguminose. L’a. ha rami tortuosi, intricati, spinescenti; le foglie, pari o imparipennate, hanno 5-15 paia di foglioline oblunghe o ovali, tomentose nella pagina inferiore; fiori ascellari, papilionacei; frutto piccolo legume. Presente in Sardegna con tre specie endemiche: 1. l’a. dragante (Astragalus massiliensis Lam., in sardo matzungára), endemismo sardo-corso, cresce in fitti pulvini (cioè arbusti a cuscino) sulle coste esposte a maestrale della Sardegna nord-occidentale; 2. l’a. del Gennargentu (Astragalus genargenteus Moris), endemismo sardocorso, cresce solo sui rilievi calcarei del monte Albo e del Supramonte, oltre che sul Gennargentu, dove il Moris lo classificò ai primi dell’Ottocento. Queste due specie sono inserite nell’elenco delle piante da sottoporre a vincolo di protezione in base alla proposta di L.R. n. 184/2001; 3. l’a. marittimo (Astragalus maritimus Moris, in carlofortino osthrugàllu) cresce soltanto in un ristretto areale sull’isola di San Pie- tro, dove fu raccolto dallo stesso Moris nel 1827, e viene considerato un paleoendemismo. È inserito nell’elenco di piante di interesse comunitario. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Astraldo Famiglia cagliaritana (secc. XVI-XVIII). Di origine genovese, le sue notizie risalgono al secolo XVI, quando un Francesco figura tra i sottoscrittori della colletta promossa dall’Arciconfraternita dei Genovesi per la costruzione della chiesa dei Santi Giorgio e Caterina nel 1595. Erano mercanti e con i loro traffici riuscirono ad accumulare un considerevole patrimonio; nel 1644 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Salvatore coadiutore del maestro razionale. I suoi figli nel 1653 furono ammessi allo Stamento militare durante il parlamento Lemos; i discendenti presero parte in seguito a tutti gli altri parlamenti. La famiglia si estinse nella prima metà del secolo XVIII. Asuni – Veduta del centro abitato. Asuni Comune della provincia di Oristano, compreso nella XVII Comunità montana, con 416 abitanti (al 2004), posto a 233 m sul livello del mare, in una regione di colline a nord della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Valenza. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 21,20 km 2 : ha forma grosso modo quadrangolare e confina 320 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 328 Asuni a nord con Samugheo, a est con Laconi, a sud con Senis, a ovest con Ruinas e Villa Sant’Antonio. Il paese è disteso su una collina che è delimitata a ovest dalla vallata del rio Bidissariu, a est da quella dell’Imbessu; i due fiumi poco più a nord si uniscono per proseguire poi, col nome di rio Mannu, sino al Tirso. Si tratta di una regione tutta di colline, a volte piuttosto erte nonostante la scarsa elevazione. La vegetazione spontanea è costituita per la maggior parte da macchia mediterranea, soltanto in qualche parte si conserva qualche tratto dei boschi un tempo molto estesi, mentre in alcune altre zone è stato avviato il rimboschimento. Il paese è raggiungibile lungo la strada secondaria che proviene da Samugheo e qui si divide in tre rami: uno si dirige verso Meana Sardo, gli altri due verso la statale 442 Uras-Laconi, per raggiungerla rispettivamente nei pressi di Assolo e nei pressi di Nureci. & STORIA L’attuale abitato dovrebbe essersi sviluppato da un villaggio nuragico sul quale si insediò un complesso punico fortificato. In età romana il centro si evolvette ulteriormente e mantenne la sua importanza in periodo bizantino. Nel Medioevo fece parte del giudicato d’Arborea e venne incluso nella curatoria di Parte Valenza. Dopo la caduta del giudicato, A. e il suo territorio entrarono a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti mantennero per alcuni anni un atteggiamento ostile nei confronti degli Aragonesi, probabilmente istigati dal marchese d’Oristano che avrebbe voluto entrare in possesso del territorio. Egli infatti, approfittando delle necessità della dinastia, nel 1416 prestò all’amministrazione un grossa somma per cui fu sul punto di riuscire ad acquistare il territorio; il re però, che sospettava di lui, decise di dividere la curatoria in al- cuni feudi, pensando di poter in questo modo controllare meglio le popolazioni. Cosı̀ A. nel 1417 fu incluso con altri villaggi nel feudo concesso a Ludovico Pontons; questi nel 1421 rivendette il villaggio ad Antonio De Sena il quale lo accorpò al feudo di Nureci. Da questo momento il destino feudale dei due villaggi fu unito indissolubilmente; dopo complesse vicissitudini nel 1477 furono confiscati al visconte Antonio De Sena, che era stato condannato per fellonia dopo essersi schierato con Leonardo Alagon. Nel 1479 il feudo fu donato a Enrico Henriquez, il quale dopo pochi giorni vendette i due villaggi ai Castelvı̀. Questi ultimi, a loro volta, vendettero nel 1504 il feudo a Pietro Erill, il cui figlio se ne disfece nel 1541, vendendolo a Salvatore Aymerich; questi, abile uomo d’affari, nel l544 lo rivendette vantaggiosamente a Bernardo Simò. Era destino che A. dovesse ancora passare di mano, e infatti nel 1545 il Simò vendette il feudo a Mattia Cavaller, la cui figlia lo portò in dote a Emanuele Castelvı̀ del ramo di Serrenti. I Castelvı̀ ne riordinarono l’amministrazione introducendo il sistema della divisione della popolazione in tre classi ai fini del pagamento dei tributi fiscali in proporzione al reddito. Essi però si caricarono di debiti per cui nel 1664 si videro mettere all’asta il feudo dai creditori; riuscirono a resistere fino al 1701, anno in cui il feudo fu acquistato dai Nin. A. passò cosı̀ ai nuovi feudatari che nel 1749 lo vendettero a Michele Guillini. Quest’ultimo nel 1753 vendette a sua volta a Guglielmo Touffani, una singolare figura di mercante che nel 1758 fu creato conte. A partire dal 1771 A. ebbe il suo Consiglio comunitativo; negli stessi anni vi fu anche costituito un Monte granatico: due istituzioni che modificarono radicalmente i caratteri 321 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 329 Asuni della comunità. Il processo di trasformazione proseguı̀ nell’Ottocento; nel 1821 il villaggio fu compreso nella provincia di Isili e con la riforma di Carlo Felice vi fu aperta una scuola elementare; nel 1839 fu finalmente riscattato ai Touffani. Risalgono a questo periodo le notizie registrate da Vittorio Angius: «Componesi di 115 case distribuite in strade irregolari, e non selciate. Sono circa 80 quei che attendono all’agricoltura, 25 i pastori, 10 in totale quei che lavorano da muratori, ferrari, falegnami ecc. Lavorasi in 45 telai per la provvisione domestica. Il particolar commercio che esercitano gli asunesi è della legna da fuoco, che trasportano e vendono nei campidani d’Ales e di Milis, e nei villaggi di Sanluri e Terralba. Vi è una scuola normale da 5 a 8 fanciulli, cui si insegna a leggere, scrivere e conteggiare, e nulla del catechismo agrario. Questa popolazione va in sensibile aumento: mentre nel 1805 il numero totale delle anime era di 344, dopo 19 anni si computa di 550 in 120 famiglie. Si semina ancora [oltre il grano] orzo, fave, ceci, e per l’ordinario si ottiene il decuplo. Poche erbe ortensi sono coltivate, però di lino se ne raccoglie da circa 60 cantara (chil. 2536,569). Le vigne hanno poche varietà di uve, e pare che la regione non convenga a questa coltura. La somma dei capi delle diverse specie di bestiame, alla cui propagazione attendesi, è ben mediocre. I buoi per l’agricoltura sono circa 210, le vacche 170, i cavalli e cavalle 30, porci 60, capre 500, pecore 1500». Una volta abolite le province, nel 1848 A. entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari e vi rimase sino al 1859, quando fu compreso nella omonima provincia. Dopo il 1950 iniziò un lento e inarrestabile processo di spopolamento, molti dei suoi abitanti emigrarono alla ricerca di forme di lavoro non legate alle tradizionali attività agricole; nel 1974 fu incluso nella ricostituita provincia di Oristano. & ECONOMIA L’economia di A. è basata esclusivamente sull’agricoltura e sulla pastorizia; in passato vi era fiorente il commercio della legna da ardere che veniva tratta dalle foreste di cui il territorio era ricco. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 446 unità di cui stranieri 5; maschi 224; femmine 222; famiglie 174. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 8 e nati 2; cancellati dall’anagrafe 20 e nuovi iscritti 11. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 961 in migliaia di lire; versamenti ICI 165; aziende agricole 49; imprese commerciali 14; esercizi al dettaglio 7. Tra gli indicatori sociali: occupati 103; disoccupati 50; inoccupati 23; laureati 5; diplomati 36; con licenza media 160; con licenza elementare 173; analfabeti 14; automezzi circolanti 122; abbonamenti TV 132. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva alcuni nuraghi (Casteddu, Nuraxi, Oru, Sant’Uanni, S’Arcu) e alcune domus de janas sparse in diverse località. Il sito più interessante però è la collinetta di San Giovanni, alla periferia del villaggio nella vallata del rio Noeddas, dove è stata identificata una fortezza punica costruita sopra i resti di un villaggio nuragico per difendere le vie di accesso alla Barbagia. Nel secolo XVII vi fu costruita anche una chiesa dedicata a San Giovanni che però nel 1763 fu distrutta da un incendio. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il monumento più significativo della zona è il castello di Medusa, che per la precisione fa parte del territorio 322 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 330 Atletica leggera di Samugheo (=). In realtà si trova molto più vicino ad A., ed è conosciuto anche come Castello di A. Sorge a 5 km dall’abitato, alla confluenza dei rii Araxisi e Bidissariu, e un tempo si poteva raggiungere soltanto seguendo un sentiero che si inerpica a partire da un guado; solo di recente l’amministrazione comunale di Samugheo ha provveduto a collegarlo tramite una piccola carrozzabile che ha inizio dalla strada che collega i due paesi. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI In passato era tradizionale il ballo dei giovani in piazza nei giorni festivi, mentre gli anziani di dedicavano al gioco del rullo (is brillus) o alle carte; attività di cui si è persa la memoria. La più importante delle feste popolari è quella di San Daniele, che si svolge il 13 ottobre presso la chiesetta campestre dedicata al santo; in passato la festa durava tre giorni, vi si correva un palio che attirava anche gli abitanti dei paesi vicini ed era occasione per lo svolgimento di una piccola fiera. Si fa festa anche per Santa Vitalia, dal 12 al 14 ottobre, e per Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio. Ata ibn Rafi al-Hudhali Ammiraglio arabo (secc. VII-VIII). Guidò la flotta araba che nel 705 compı̀ la prima incursione in Sardegna. Salpata dall’Egitto, la flotta, dopo una sosta a Tunisi, approdò a Sulci, dove compı̀ una razzia e fece molti prigionieri. Sulla via del ritorno, però, fu sorpresa da una tempesta che la fece naufragare vicino a Tunisi, dove le navi furono fatte depredare dal califfo Musa. Atanasio da Quartu Religioso, storico (Quartu Sant’Elena, seconda metà sec. XIX-?). Frate cappuccino, fu il primo storico delle vicende dell’ordine in Sardegna. Nel 1926 tradusse una parte dell’opera storica dell’Aleo, relativa al periodo 1637-1672. Di lui abbiamo inol- tre delle Dissertazioni sui rigattieri di Cagliari (manoscritto del sec. XIX, conservato nella Biblioteca Universitaria di Cagliari) e una Miscellanea di notizie (2 volumi manoscritti del sec. XIX, conservati nella Biblioteca Universitaria di Cagliari), Notizie sull’Ordine serafico, 1903. Atilia Pomptilla Matrona romana celebrata in una serie di iscrizioni incise sulle pareti interne di un mausoleo funerario conosciuto come la Grotta della Vipera scavato nel calcare del colle di Tuvixeddu, a Cagliari. Le sedici epigrafi, quattordici delle quali in versi, sono redatte in latino (9) e in greco (7). Le iscrizioni, narrando l’atto finale della vita di A.P., rivelano alcuni suoi dati biografici. A.P., originaria di Roma (urbis alumna), seguı̀ in Sardegna il marito L. Cassius Philippus, probabilmente costretto a trasferirsi nell’isola dalle autorità. A.P. visse forse sino a 62 anni e morı̀, dopo 42 anni di matrimonio, per aver offerto agli dei la propria vita in cambio di quella del marito ammalato, ripetendo il sacrificio dell’eroina Alcesti. Il mausoleo fu costruito a proprie spese dal marito e in esso trovarono successivamente posto anche i liberti della coppia. Le più recenti ricerche tendono a considerare maggiormente plausibile una datazione del complesso funerario nei decenni centrali del secolo II. [PIERGIORGIO FLORIS] Atletica leggera La pratica di questa disciplina inizia in Sardegna nell’Ottocento sotto forma di competizioni militari, soprattutto di corsa e marcia. La prima impresa che si ricordi è la Sassari-Cagliari del 1885, percorsa a piedi (per scommessa) in tre giorni dal sottotenente di fanteria Attilio Pes. Altri percorsi ‘‘classici’’ erano la CagliariMonastir e la Sassari-Ploaghe. Con la nascita delle grandi società ginnasti- 323 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 331 Atte che isolane, a cavallo dei due secoli e sull’onda del successo delle Olimpiadi moderne, si cominciano a organizzare gare specialistiche di velocità, di salti e di lanci. L’Amsicora e la Sef Torres organizzano su campi di fortuna gare improvvisate che ottengono un grande successo, ma per avere degli stadi attrezzati si deve aspettare ancora qualche anno (1904 l’‘‘Amsicora’’ di Cagliari e 1922 l’‘‘Acquedotto’’ di Sassari). Il battesimo ufficiale delle due società sarde avviene nella famosa trasferta di Venezia del 1907 assieme alla S.G. Eleonora d’Arborea di Cagliari e la Iolao di Iglesias: le gare di atletica fanno da contorno a quelle di ginnastica, ma Giovanni Oggiano della Torres e Teodoro Honnorat dell’Amsicora si mettono in luce nei 1000 m e nella 20 km di marcia. Nello stesso 1907 la Josto di Sassari organizza i primi campionati regionali, che poi si svolgeranno regolarmente ogni due anni alternativamente nelle due città. Sono anche frequenti le trasferte in Sardegna di grandi podisti professionisti, come Domenico Barghini, che sfidano i migliori sardi (e perfino i cavalli). L’Amsicora è la prima società sarda a iscriversi (nel 1913) alla FISA (Federazione Italiana Sport Atletici) che poi diventerà FIDAL: un suo atleta, Luigino Nieddu, si laurea a Milano nel 1914 campione italiano di lancio del giavellotto. È il primo sardo campione nazionale in una specialità dell’a.l. Un altro sardo, il sassarese Carlo Clemente, deterrà il primato nazionale di questa specialità dal 1920 al 1924 e sarà olimpionico ad Anversa. In quell’anno Graziano Corona, nuorese dell’Arborea, batte il record italiano di salto in alto con la misura di 1,835 m. Nasce in questi anni una grande tradizione dell’atletica sarda che si esprimerà con gare a tutti i livelli e con la nascita di società spor- tive nei maggiori centri dell’isola e soprattutto in quelli minerari. Migliorano anche le tecniche di allenamento e alcune specialità, come la marcia e la corsa su strada, acquistano una grande popolarità: anche perché gli stadi di atletica in Sardegna sono veramente pochi. Caduto il fascismo, che aveva accentrato nelle sue organizzazioni tutto lo sport, e passata la guerra, si mettono in luce numerosi campioni, tra cui Tonino Siddi, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra del 1948 nella staffetta 4x100 e più volte campione italiano nelle gare di velocità. Negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, quando l’atletica irrompe nella scuola, sono da ricordare il grande decatleta iglesiente Franco Sar, recordman italiano e sesto alle Olimpiadi romane, il quattrocentista Adriano Loddo e il fondista Antonio Ambu. Negli anni più recenti, con l’avvento del professionismo, il movimento atletico sardo ha subı̀to una crisi a favore degli sport ‘‘ricchi’’ e di squadra, ma questo non ha impedito l’organizzazione di meeting internazionali come l’attuale Terra Sarda di Cagliari e, negli anni Settanta, l’Urigo di Sassari, e l’affermarsi di numerosi campioni come i velocisti Puggioni, Floris e Marras, i lunghisti Milko Campus, Nicola Trentin e soprattutto Valentina Uccheddu, più volte primatista italiana. Dagli anni Ottanta in poi si sono diffuse le gare per amatori, quelle per i disabili e le maratone cittadine. Ad Alà dei Sardi si svolge annualmente anche una gara internazionale di corsa campestre, il Trofeo Alasport. Attualmente sono affiliate alla FIDAL 98 società, di cui 46 in provincia di Cagliari. [GIOVANNI TOLA] Atte Liberta dell’imperatore Claudio (sec. I). Claudia Augusti liberta Acte, schiava di origine asiatica, nata quasi sicuramente in Bitinia, ottenne lo sta- 324 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 332 Atte tus di liberta da Claudio e divenne successivamente personaggio femminile di primo piano all’interno della corte del successore Nerone. Nel 55 d.C., al principio del cosiddetto ‘‘quinquennio felice’’ (gli iniziali cinque anni di buon governo neroniano, 54-58 d.C.), fu molto vicina all’imperatore, allora diciottenne e sposato con l’aristocratica Ottavia, diventandone l’amante. Questo rapporto, favorito dai precettori del principe, il poeta Seneca e il prefetto del pretorio Afranio Burro, convinti che esso si traducesse nella possibilità per loro di esercitare una maggiore influenza sul giovane Nerone, fu al contrario duramente osteggiato da Agrippina, madre dell’imperatore. L’intento dei due amici e consiglieri del principe era di assecondare l’innamoramento per la liberta, facendo in modo che Nerone, soggiogato dall’amore per Atte, si affrancasse da Agrippina escludendola dalla gestione del potere. La liberta, grazie ai potenti appoggi, rinsaldò il proprio legame con Nerone, che pensò addirittura di sposarla, superando l’intralcio costituito dall’umile origine dell’ex schiava con la creazione di una falsa ascendenza regale risalente al re di Pergamo Attalo, morto quasi due secoli prima. Ad ogni modo A. fu colmata di una serie di doni, in particolare alcune proprietà fondiarie nel Lazio (a Velletri), in Campania (a Pozzuoli), forse in Egitto e in Sardegna (a Olbia), tratte con tutta probabilità dal patrimonio fondiario della gens Domitia, alla quale apparteneva l’imperatore. La disponibilità dei latifondi nell’area olbiense consentı̀ ad A. di entrare in contatto con la realtà provinciale sarda forse sin dal 56 d.C.: non è da escludersi, infatti, un suo ruolo attivo, al fianco di alcuni ricchi latifondisti isolani, nelle accuse di concussione rivolte al procuratore Vipsanius Lae- nas. Il legame fra Nerone e Poppea coincise nel 58 d.C. con un primo temporaneo allontanamento di A. dalla corte, per quanto la liberta, su indicazione di Seneca, si spendesse personalmente presso l’imperatore (59 d.C.) per scongiurare il pericolo che egli intrecciasse un torbido rapporto con la madre Agrippina, come paventavano i suoi più fidati collaboratori. L’ascesa di Poppea, culminata nel matrimonio con l’imperatore nel 62 d.C., condusse A. a preferire la via di un volontario esilio in Sardegna, piuttosto che rimanere a Roma ad assistere al trionfo della rivale in amore e mettere a repentaglio la propria vita. Nell’isola, presso i latifondi di Olbia e forse di Mores (l’antica Hafa) che Nerone le aveva donato, A. ebbe modo di sviluppare straordinarie capacità imprenditoriali che le consentirono di far fruttare il patrimonio di cui originariamente disponeva. La liberta impiantò sicuramente nei possedimenti galluresi una o più fabbriche per la produzione di laterizi, in particolare mattoni bipedali contrassegnati dal marchio Actes Aug(usti) l(iberta), destinati alla vendita e alla messa in opera in loco: molti esemplari provengono infatti dalla stessa Olbia (terme, Su Cuguttu, piazza Regina Margherita, Acciaradolzu, Isciamariana, via D’Annunzio, Bunale-Cabu Abbas) come pure da altre località dell’isola (Casteldoria, Bolotana, Macomer, Mores, Cagliari e Ittireddu). A questa sorta di sviluppo produttivo favorito da A., con epicentro nell’area gallurese, devono probabilmente collegarsi le officine da cui provengono l’embrice con il bollo su due righi Claudii / Attici (necropoli di Olbia) e uno con il bollo Ti. Claudii Lascivi (Monti, località Castro), di proprietà di persone legate a Nerone o alla liberta. Ad A. va poi ricondotto un fenomeno 325 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 333 Atti dei Parlamenti Sardi rilevante di promozione sociale, riguardante l’entourage che le fu accanto nel periodo del volontario esilio olbiese: schiavi e schiave di origine orientale, divenuti liberti grazie al suo intervento, secondo quanto esplicitamente attestato dalla qualifica, ‘‘liberto di Atte’’, inserita nelle loro formule onomastiche. A. si trattenne in Sardegna fino al 65 d.C., anno al quale risale la costruzione di un tempietto, dedicato a Cerere, voluto dalla liberta per ringraziare la dea delle messi di aver salvato Nerone dalla congiura di Pisone. L’imperatore, secondo i piani dei congiurati, doveva essere eliminato nell’ultimo giorno (19 aprile 65) dei ludi circensi in onore di Cerere (ludi caeriales). Fallita la congiura e giunta la notizia in Sardegna, la liberta volle rinnovare la sua fedeltà a Nerone attraverso questo atto di devozione. Attualmente l’epistilio del tempietto, in granito sardo, con la dedica a Cerere, è custodito presso il Camposanto monumentale di Pisa. Ad A. si attribuisce il busto di Nerone giovane rinvenuto a Olbia, che potrebbe riferirsi al periodo del ‘‘quinquennio felice’’. Nel 68, alla morte di Nerone, fu probabilmente A., rientrata dalla Sardegna, a occuparsi dei funerali e della sepoltura dell’imperatore sulla collina del Pincio. [PAOLA RUGGERI] Atti dei Parlamenti Sardi Sotto questa denominazione (e anche Acta curiarum regni Sardiniae) si indica un complesso di documenti relativi all’attività dei parlamenti del Regnum Sardiniae, celebrati tra il 1355 e il 1793-96, di grandissima importanza per lo studio della storia della Sardegna. Atti del Parlamento di Pietro IV. Sono degli atti del Parlamento celebrato a Cagliari nel 1355; il manoscritto è conservato presso l’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona con il titolo Constituciones de las Cortes de Cerdeña. Fu pubblicato a cura di Arrigo Solmi nel 1910 nel VI volume di ‘‘Archivio storico sardo’’. Il manoscritto si trova anche presso l’Archivio di Stato e in quello comunale di Cagliari. Altre copie sono state trovate da Giuseppe Meloni a Cagliari e a Barcellona e utilizzate per la loro pubblicazione nella collezione degli Acta Curiarum Regni Sardiniae (=), in corso di edizione a cura del Consiglio regionale della Sardegna. Atti dei Parlamenti di Alfonso V. Sono i manoscritti dei parlamenti celebrati da Alfonso V, presenti in diversi archivi, tra la Sardegna e la Spagna: 1. Nell’Archivio di Stato di Cagliari si trovano gli atti delle riunioni relative alla definizione del donativo, Diputazione per l’esazione di cinquantamila fiorini offerti a Sua Maestà nel Parlamento generale (1421-1426). 2. Gli stessi sono disponibili nell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona. 3. Gli stessi sono presenti nell’Archivio delle Cortes Españolas a Madrid, rubricati come Capitulos de Corte. 4. Nell’Archivio di Stato di Cagliari sono inoltre presenti i due volumi dei Donativi per incoronazione e maritaggi relativi ai periodi 1421-1426 e 1431-1432. Il secondo di questi volumi è presente anche presso l’Archivio della Corona d’Aragona ed è stato pubblicato dal Boscolo. 5. Un volume relativo al 1448 è a Barcellona, anch’esso pubblicato dal Boscolo. 6. Nell’Archivio comunale di Alghero sono presenti i capitoli della città, pubblicati nel 1943 da Antonio Era. 7. Il testo del manoscritto è presente anche nell’Archivio comunale di Cagliari. 8. Nell’Archivio comunale di Iglesias sono presenti i capitoli relativi alla città. Pubblicati da Alberto Boscolo, sono stati riediti a cura di Olivetta Schena, 1993. 326 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 334 Atti dei Parlamenti Sardi Atti del Parlamento Pérez Escrivá (14821483). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari da Ximén Pérez Escrivá de Romanı́ è presente sia nell’Archivio di Stato che nell’Archivio comunale di Cagliari. Nell’Archivio della Corona d’Aragona è invece presente un volume relativo al periodo 1481-1485 ed è stato pubblicato dall’Era. Nell’Archivio delle Cortes di Madrid è presente in originale l’Indice de documentos parlamentarios del 1482. Atti del Parlamento Dusay-Rebolledo (1497-1511). Il manoscritto dei parlamenti celebrati a Cagliari dal viceré Dusay e dal suo successore Rebolledo tra il 1497 e il 1511 è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari. Nell’Archivio comunale di Alghero sono presenti i capitoli di corte richiesti dalla città. Invece i Capitulos de Corte (1497) e i Documentos parlamentarios nell’originale del 1499 sono presenti nell’Archivio delle Cortes a Madrid. Sono stati pubblicati a cura di Anna Maria Oliva e Olivetta Schena, 1998. Atti dei Parlamenti Villanova (15191523, 1528). Il manoscritto dei parlamenti celebrati a Cagliari dal viceré Vilanova, rispettivamente negli anni 1519, 1523 e 1528, è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari e in quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Nell’Archivio delle Cortes a Madrid sono invece presenti i Capitulos de corte e i documenti parlamentari originali del 1518 e del 1527. Atti del Parlamento Cardona (1543). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Antonio Cardona nel 1543 è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari e in quelli dei comuni di Cagliari e di Oristano. Lo stesso è presente nell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona, dove è pure presente il volume relativo al 1549. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono invece presenti i Capitulos de corte del 1545. Nell’Archivio di Simancas, infine, sono presenti le lettere di convocazione del 1543. Atti del Parlamento Heredia (1553-54). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari negli anni 1553 e 1554 dal viceré Fernandez de Heredia è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari e nell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona. È stato pubblicato da Giancarlo Sorgia. Presso l’Archivio delle Cortes a Madrid, oltre agli atti del Parlamento, sono presenti gli indici dei capitoli di corte richiesti da Castelsardo e i documenti parlamentari. Atti del Parlamento Madrigal (15581561). I manoscritti dei parlamenti celebrati a Cagliari dal viceré Alvaro de Madrigal tra il 1558 e il 1561 sono presenti presso l’Archivio di Stato di Cagliari e presso quello della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid nell’Archivio delle Cortes sono presenti i capitoli di corte del 1561 e i documenti parlamentari del 1558. Nell’Archivio di Stato di Cagliari è presente anche il volume Ripartimento dei 15 000 ducati conceduti da Papa Pio Va Filippo II. Atti del Parlamento Coloma (1573-74). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Juan Coloma tra il 1573 e il 1574 è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari e in quelli del Comune di Cagliari e della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti gli atti parlamentari del 1573 e i capitoli di corte degli anni 1572 e 1573. È stato pubblicato a cura di Leopoldo Ortu, 2005. Atti del Parlamento Moncada (1583). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Michele Moncada nel 1583 è presente nell’Archivio di Stato di Cagliari e in quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Nell’Ar- 327 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 335 Atti dei Parlamenti Sardi chivio delle Cortes a Madrid sono presenti gli Atti e l’indice dei capitoli di corte. Atti del Parlamento Moncada (15921594). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Gastone Moncada tra il 1592 e il 1594 è presente nell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona. Nell’Archivio delle Cortes a Madrid sono presenti i Documentos parlamentarios del 1593 e l’indice dei capitoli di corte richiesti da Alghero. È stato pubblicato a cura di Diego Quaglioni, 1997. Atti del Parlamento Gandı́a (1613-14). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Carlo Borgia duca di Gandı́a tra il 1613 e il 1614 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e in quello della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti i documenti parlamentari, i capitoli di corte richiesti da Sassari e da Alghero e quelli richiesti dai tre Stamenti. È stato pubblicato a cura di Gian Giacomo Ortu, 1995. Atti del Parlamento Vivas (1622-24). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Vivas tra il 1622 e il 1624 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid presso quello delle Cortes sono presenti i documenti parlamentari del 1622-23. Atti del Parlamento Bayona (1626). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Bayona nel 1626 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Avellano sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni 1627-1631 il Manual primer del servici y donaciò graciosa que aquest Cap de Cal- ler y Galura ha fet a sa Magestat; per l’anno 1628 il Manual segundo del servici; per l’anno 1629 il Manual tercero del servici; per gli anni 1630 e 1631 il Manual cuarto del servici; per gli anni dal 1632 al 1642 il Libro mayor del servici. È in corso di stampa a cura di Gianfranco Tore. Atti del Parlamento Avellano (1641-43). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré duca di Avellano tra il 1641 e il 1643 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Presso l’Archivio di Cagliari è presente anche il Registro delle provvisioni sopra il donativo offerto nel Parlamento celebrato dal duca di Avellano nel 1642. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti i documenti parlamentari dal 1640 al 1642. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Lemos sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni 1642-1644 il Libre dels debits; per l’anno 1643 il Libre dels debits; per gli anni dal 1643 al 1650 il Manual dels debits; per gli anni tra il 1643 e 1653 il Libre dels debits; per l’anno 1645 il Manual dels debits; per gli anni dal 1665 al 1667 il Libre dels debits. È stato pubblicato a cura di Giovanni Murgia, 2006. Atti del Parlamento Lemos (1653-54). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré conte di Lemos tra il 1653 e il 1654 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti gli atti del Parlamento. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Camarassa sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni 1655-1667 328 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 336 Atti di Governo il Libre dels debits; per l’anno 1662 il Libre dels debits. Atti del Parlamento Camarassa (16651668). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré marchese di Camarassa tra il 1665 e il 1668 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Santisteban sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per l’anno 1667 il Libre dels debits; per l’anno 1669 il Libre dels debits; per l’anno 1670 il Libre dels debits; per l’anno 1672 il Libre dels debits; per l’anno 1674 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1676 e il 1683 il Libre dels debits. Atti del Parlamento Santisteban (16771678). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré Santisteban tra il 1677 e il 1678 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Monteleone sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni tra il 1683 e il 1685 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1686 e il 1688 il Libre dels debits. È in corso di stampa a cura di Guido d’Agostino. Atti del Parlamento Monteleone. Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré conte di Monteleone tra il 1688 e il 1689 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. Per gli anni successivi fino alla celebrazione del parlamento Montellano sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni tra il 1688 e il 1698 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1686 e il 1688 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1689 e il 1691 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1691 e il 1693 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1691 e il 1695 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1693 e il 1698 il Libre dels debits. Atti del Parlamento Montellano (16971698). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari dal viceré conte di Montellano tra il 1697 e il 1698 è presente presso l’Archivio di Stato di Cagliari e quello della Corona d’Aragona a Barcellona. A Madrid presso l’Archivio delle Cortes sono presenti i documenti parlamentari del 1696. Sono stati pubblicati a cura di Giuseppina Catoni e Carla Ferrante, 2004. Per gli anni successivi fino alla cessazione del legame tra il Regno di Sardegna e la Corona di Spagna sono presenti nell’Archivio di Stato di Cagliari i seguenti volumi relativi al donativo: per gli anni tra il 1698 e il 1712 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1700 e il 1702 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1701 e il 1703 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1703 e il 1705 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1705 e il 1706 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1706 e il 1707 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1707 e il 1708 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1708 e il 1709 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1709 e il 1710 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1709 e il 1715 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1713 e il 1714 il Libre dels debits; per gli anni tra il 1715 e il 1717 il Libre dels debits. Atti del Parlamento del ‘‘Triennio rivoluzionario’’ (1793-1796). Il manoscritto del Parlamento celebrato a Cagliari nel ‘‘triennio rivoluzionario’’ è presente presso l’Archivio comunale di Cagliari. È stato pubblicato a cura di Luciano Carta, 2000. Atti di Governo Complesso di docu329 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 337 Atti Governativi menti riguardanti gli atti di governo del Regno di Sardegna custoditi presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari. Si tratta di tre raccolte di documenti, le prime due ordinate da Lodovico Baylle in molti anni di paziente ricerca in Sardegna e anche in molte città della penisola, la terza da Pietro Sanna Lecca. La prima contiene documenti riferibili al periodo spagnolo e più in particolare ai secoli XVI e XVII; si tratta di prammatiche, gride, pregoni e altri documenti raccolti in 115 fascicoli. La seconda contiene circa 700 editti e pregoni riferibili al governo sabaudo per gli anni tra il 1732 e il 1815, ed è ordinata in sei volumi. La terza contiene tutti gli atti governativi della dinastia sabauda fino al 1774 ed è raccolta in tre volumi. Atti Governativi Raccolta ufficiale degli atti di governo del Regno di Sardegna dal 1775. Furono pubblicati a Cagliari a opera della Stamperia reale a partire dal 1836: Atti del Governo di Sardegna dal 1775 al 1820, voll. 3, 18361841; Atti del Governo di S.M. il re di Sardegna dal 1820 al 1839, voll. 3, 18391841; Atti del Governo di S.M. il re di Sardegna dal 1840 al 1846, 1847; Atti del Governo di S.M. il re di Sardegna dal 1848 al 1860, 1861. Attili, Antonio Insegnante, deputato al Parlamento (n. Tagliacozzo 1948). Laureato in Filosofia, professore presso il Liceo di Ozieri dove risiede dal 1973; militante nella Sinistra è stato ripetutamente eletto consigliere comunale di Ozieri, dove è stato anche capogruppo dei Progressisti e assessore; nel 1996 è stato eletto deputato per la XII legislatura nel collegio di Porto Torres-Ozieri. Si è battuto per far approvare i provvedimenti sulla ‘‘continuità territoriale’’ per la Sardegna. Non è stato riconfermato nelle elezioni del 2001, ma nella consultazione dell’a- prile 2006 è stato nuovamente eletto alla Camera dei deputati nella lista dell’Unione. Attitadoras Termine con cui erano chiamate le prefiche, ossia le donne estranee alla comunità familiare, che a pagamento eseguivano le lamentazioni rituali attorno al morto. La forma diffusa in Sardegna era quella dell’attitidu, un canto improvvisato (o ‘‘venduto’’ come tale) che veniva eseguito dalle prefiche sedute attorno al letto del morto accovacciate e disposte in cerchio (s’inghiriu), vestite di nero, col capo e la fronte coperti da un fazzoletto nero. Cantavano ritmicamente, dapprima in tono flebile e poi con crescente intensità, evocando episodi salienti della vita del morto e lodandone il carattere e la personalità. Il loro canto accompagnava anche la traslazione della salma alla sepoltura. La lamentazione, oltre che evocare il ricordo, aveva la funzione di coinvolgere emotivamente i presenti, di provocare il rimpianto e il ricordo. Nei tempi antichi era un momento di una più complessa scenografia funebre che, accompagnata dal rintocco delle campane e da altre manifestazioni, chiamava in causa l’intera comunità cui il morto apparteneva. A partire dall’Ottocento, fu progressivamente (e sempre più rigorosamente) scoraggiata dalle autorità religiose. Era ritenuta usanza non solo pagana ma, in molti casi, anche pericolosa, perché s’attitidu poteva incitare alla vendetta se il defunto non era morto di morte naturale; fu combattuta in particolare dai missionari vincenziani: negli anni Venti del Novecento il padre Giovanni Maria Manzella fondò in diversi centri dell’isola un’associazione le cui iscritte si impegnavano a proibire, tra le loro ultime volontà, la presenza delle a. 330 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 338 Atzara Attone Religioso (sec. XII). Vescovo di Castra tra il 1168 e il 1176. Monaco camaldolese, governò la diocesi negli anni del tormentato regno di Barisone II e nel 1176, unitamente agli altri vescovi sardi, riconobbe l’arcivescovo di Pisa Villano come primate della Sardegna. nel 1973, a Düsseldorf nel 1972 e 1975, a Monaco nel 1975, a Lugano 1978. Un’importante sintesi della sua biografia artistica è raccolta in un rilevante gruppo di opere donate alla città di Bosa. Atza, Antonio Pittore (n. Oristano 1925). Suoi maestri sono, nell’Istituto d’Arte di Sassari, Filippo Figari, Salvatore Fara, ma soprattutto Stanis Dessy, dal quale acquisisce padronanza tecnica, specie nel disegno, e conoscenza della tradizione figurativa. Nel 1957 espone per la prima volta alla Galleria ‘‘Della Maria’’ di Cagliari. Nel 1958 partecipa alla Mostra degli Artisti sardi al palazzo delle Esposizioni di Roma. Viaggia per l’Europa a visitare le città e i musei più importanti, Mosca, San Pietroburgo, Vienna, Parigi, e soprattutto Barcellona, Madrid per conoscere Mirò, Picasso, Goya, Caravaggio, Leonardo, Magritte. Nel 1960 scopre alla Biennale di Venezia l’arte di Alberto Burri che conferma ad Atza che l’arte è gioia creativa e insieme iconografia di sofferenza, che egli manifesta nella produzione dei Blues, esposti per la prima volta alla Galleria ‘‘L’Albatro’’ di Roma. Nello stesso anno a Cagliari espone insieme allo Studio 58 le cosiddette ‘‘Sabbie’’, in cui le tele fanno da supporto a grumi, crateri e sinuose cordonature di sabbia, incollata e colorata, come un fondo marino dalla luminosità fluorescente, creando un piccolo scandalo culturale. Dalla metà degli anni Sessanta inizia una nuova stagione: le tele si riempiono di arte surreale. Nel 1971 a Milano le sue opere vengono scelte per illustrare la più popolare collana italiana di fantascienza, espone a Mantova nel 1971 e 1972, a Parma e Verona nel 1973, a Bologna nel 1976 e 1978, in Europa a Barcellona Atzara – La parrocchiale di Sant’Antioco. La facciata conserva le originarie forme tardogotiche. Atzara Comune della provincia di Nuoro, compreso nella XII Comunità montana, con 1294 abitanti (al 2004), posto a 540 m sul livello del mare, in una regione di colline sul versante occidentale del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Mandrolisai. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 35,81 km2: ha forma allungata in direzione est-ovest e confina a nord e a est con Sorgono, a sud con Meana Sardo e a ovest con Samugheo. Si tratta di una parte amena e fertile della regione montuosa interna, dove i 331 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 339 Atzara rilievi, che vanno dai 500 ai 700 m, sono in genere arrotondati e privi di rocce superficiali, e perciò adatti alla coltivazione, cosı̀ che a tratti di bosco originario si alternano ampie superfici coltivate, soprattutto a vite. Il paese è toccato dalla statale 128, che attraversa da nord a sud questa parte interna dell’isola e crea il collegamento diretto con Sorgono da una parte e Meana Sardo dall’altra; nei pressi del paese se ne distaccano due traverse, una che conduce a Samugheo e Ortueri, l’altra a Belvı̀ e Aritzo, cosı̀ che A. costituisce un piccolo nodo stradale. Atzara – Bernardo de Queiros fu uno dei pittori spagnoli che frequentarono il paese nei primi anni del Novecento. & STORIA Il villaggio sembrerebbe di origine molto antica: sarebbe infatti il diretto erede della Villa Leonissa, un centro di origini romane di difficile identificazione. Nell’Età medioevale era compreso nel giudicato d’Arborea e faceva parte della curatoria del Mandrolisai. Caduto il giudicato, A. e tutto il Mandrolisai entrarono a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti, gelosi dell’antica libertà, tennero un atteggiamento ostile nei confronti degli Aragonesi. Il luogotenente generale allora, per pacificare la regione, nel 1410 concesse in feudo l’intera curatoria a Giovanni Deana, suocero di Leonardo Cubello. Cosı̀ A. si trovò compresa in un vasto territorio che sostanzialmente conservò i tradizionali legami con Oristano, e infatti quando, al momento dell’estinzione dei Deana, il feudo passò ai Cubello, questi ne rispettarono gli antichi privilegi. Quando morı̀, nel 1427, Leonardo Cubello lasciò il territorio al suo figlio secondogenito Salvatore che nel 1463 lo incluse nel marchesato d’Oristano. Quando poi nel 1477 il marchesato fu confiscato a Leonardo Alagon, A. passò sotto il controllo diretto del re e nel 1507, con tutto il Mandrolisai, fu incorporato nel patrimonio reale. Da quel momento la curatoria ebbe il privilegio di essere amministrata da un ufficiale reale scelto dai capifamiglia locali. Nei secoli successivi il privilegio fu rispettato e la comunità crebbe; nel corso del XVII vi si svilupparono la coltura del ciliegio e quella della vite. Nei confusi anni che precedettero il passaggio della Sardegna ai Savoia, nel 1716 gli Asburgo concessero la riscossione delle rendite civili del Mandrolisai in feudo ai Valentino con il titolo di contea di San Martino. Cosı̀ gli abitanti di A., industriosi e noti per avere sviluppato proprio negli stessi anni l’attività della tessitura del lino, dovettero amaramente prendere atto della violazione dei privilegi di cui godevano; cercarono di opporsi senza successo all’infeudazione ma nel 1740 dovettero accettare il vincolo di una sia pur limi- 332 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 340 Atzara tata giurisdizione feudale. L’antico attaccamento all’autonomia però non venne meno: nel 1771 A. ebbe il suo Consiglio comunitativo, che divenne centro di resistenza al feudatario; negli stessi anni fu organizzato il Monte granatico e fu costituito un monte di soccorso per sopperire alle necessità finanziarie degli abitanti. Il processo di trasformazione continuò nell’Ottocento; nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano; poco dopo vi fu aperta una scuola elementare alla quale si aggiunse una scuola di latino e finalmente, nel 1838, fu riscattato dalla dipendenza feudale. Questi dati sono confermati almeno in parte nel profilo del paese steso in questi anni da Vittorio Angius, che tendeva a indicare per ogni villaggio le possibili linee di sviluppo: «Allo stabilimento delle scuole normali [elementari] è aggiunta una scuola di grammatica latina. È assai da deplorare che, mentre in questa popolazione non vi saranno meno di 50 fanciulli in età di poter apprendere, i padri non abbiano cura di mandarli alle lezioni del maestro normale, e che quelli, i quali meglio la pensano, sieno in maniera pochi, che soli 15 vi concorrano. Si crederà impossibile di persuaderli? La popolazione di A. nel 1805 sommava a 1014, nel 1826 a 1300, nel 1833 a 1250 anime, distribuite in 310 famiglie. Le terre in generale sono più adatte all’orzo ed alle vigne che al grano. Vero è che questo genere potrebbe fruttificare secondo i voti dei contadini nel salto de Giossu, se essi volessero preparar le terre come e quando conviene; ma è troppo difficile menarli fuori dalla via delle antiche consuetudini. La sua attenzione [del contadino atzarese] è rivolta principalmente alle vigne, che egli reputa il più importante capo delle sue risorse. Le uve quasi tutte sono nere: non si sa se il vino sia tanto buono, quanto si vanta; ma è certo che grandissima è la sua quantità, la quale non solo basta al consumo prodigioso, che se ne fa nel paese, ma ancora a provvedere ai villaggi circonvicini Desulo, Belvı̀, Aritzo, Tonara, Ortueri, Samugheo, Busachi, Allai, Fordongianus, ed a molti altri villaggi del Marghine e del Campidano, nei quali luoghi non occorre festa in cui non vadano cinque o più azzaresi con altrettante botti di vino». Abolite le province, nel 1848 A. fu inserita nella divisione amministrativa di Nuoro fino al 1859, quando entrò a far parte della provincia di Cagliari. In quegli anni il paese continuava a essere tra i maggiori produttori di vino, ma alla fine del secolo la fillossera distrusse i suoi fiorenti vigneti. Con caparbia volontà i vigneti furono ricostituiti. Quando, nel 1927, fu ripristinata la provincia di Nuoro, Atzara vi fu compresa. Nella seconda metà del Novecento il villaggio, pur subendo un certo calo demografico, ha mantenuto la vitalità della sua economia e la vivacità delle sue tradizioni. & ECONOMIA Tradizionalmente la sua economia è basata sulla viticoltura, che fin dall’Ottocento faceva di Atzara uno dei centri di maggiore produzione di vino e che attualmente ha avuto un rilancio con prodotti di grande qualità. Altra attività di grande rilievo è la produzione del formaggio con metodi tradizionali. Artigianato. Vi si conserva memoria delle antiche tradizioni di lavorazione dell’orbace e del lino di grande qualità per cui l’abilità delle donne di Atzara era famosa; perciò nel recente passato è stata scelta come sede di un centro pilota per la tessitura gestito dall’ISOLA (Istituto Sardo per l’Organizzazione del Lavoro Artigiano). & DATI STATISTICI Al censimento del 333 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 341 Atzara 2001 la popolazione contava 1331 unità, di cui stranieri 1; maschi 676; femmine 655; famiglie 416. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione con morti per anno 15 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 29 e nuovi iscritti 15. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 14 308 in migliaia di lire; versamenti ICI 442; aziende agricole 189; imprese commerciali 74; esercizi pubblici 6; esercizi al dettaglio 25; ambulanti 1. Tra gli indicatori sociali: occupati 371; disoccupati 64; inoccupati 71; laureati 16; diplomati 115; con licenza media 450; con licenza elementare 358; analfabeti 45; automezzi circolanti 417; abbonamenti TV 366. Atzara – Nel costume tradizionale brilla il verde, colore tipico dell’abbigliamento popolare del Mandrolisai. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio annovera alcuni nuraghi (Abbagadda, Ligios, Mugaddu, Niu Crobu, Sole, Surergeddu) tra i quali spicca quello di Abbagadda: un edificio del tipo monotorre situato vicino a una sorgente calda da cui prende il nome, dalle caratteristiche particolarmente interessanti e praticamente intatto. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’elemento di maggiore spicco del suo patrimonio culturale è il centro storico, costituito dai due quartieri medioevali di Su Fruscu e di Sa Mon& tiga ’e Josso, che si stendono nel cuore del villaggio a destra e a sinistra della strada principale. Entrambi conservano un insieme di viuzze che si innestano le une nelle altre dando luogo a effetti scenografici di grande suggestione; il tessuto urbano è arricchito da numerosi edifici che hanno porte e finestre con cornici, architravi e altri elementi decorativi di stile gotico-aragonese, un patrimonio dovuto a un’abile scuola di picaparders locali che operarono nel corso del secolo XVII. Di particolare pregio è il complesso di edifici formati dalla chiesa di Sant’Antioco, la parrocchiale, costruita a cavallo tra il secolo XVI e il XVII da maestranze locali in forme gotico-catalane tipiche dell’edilizia religiosa della Sardegna cinquecentesca; l’edificio ha tre navate con volte a sesto acuto nella navata centrale e a tutto sesto in quelle laterali. La facciata è abbellita da un rosone a raggiera, ed è completato da un campanile a pianta quadrata, simile a quello di San Mauro di Sorgono. Accanto alla chiesa sorgono la Casa del parroco, con belle finestre arricchite da cornici in trachite, e un edificio risalente al secolo XVII, detto de su conte, un palazzetto pretenzioso dove, nel corso del secolo XVIII, risiedettero per un certo periodo i Valentino (=), feudatari del luogo. Di grande interesse è anche la chiesa di San Giorgio, situata sempre nel centro storico: ha forme molto semplici e fu la più antica parrocchiale del paese, conosciuta fin dal secolo XIII. A breve distanza dell’abitato sorge poi Santa Maria de Susu, una chiesetta che secondo la tradizione fu la chiesa parrocchiale di Villa Leonissa, l’antico centro dal quale deriverebbe l’attuale paese. La Pinacoteca di arte moderna e contemporanea è dedicata ad Antonio Ortiz Echagüe, il più importante dei pittori 334 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 342 Atzeni spagnoli che all’inizio del Novecento vissero e dipinsero ad A., fornendo – secondo una ‘‘leggenda’’ della storia dell’arte isolana – modelli fondamentali alla futura ‘‘pittura sarda’’. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Notevole è il patrimonio di tradizioni popolari di cui si conserva memoria; di particolare interesse è la tradizione del ballo che veniva accompagnato dalla musica delle launeddas e quella del canto a quattro voci (a tenore) che erano ricorrenti nelle feste popolari; molto diffuso nei giorni di festa era anche il gioco del rullo (de is brillus) antenato del gioco delle bocce. Questo patrimonio si rinnova nel corso di alcune feste popolari tra le quali la sagra del vino, che si svolge a maggio con crescente richiamo di visitatori. Tra le feste religiose la più antica è quella di Santa Maria ’e Josso: la si celebra il 21 agosto presso l’omonima chiesetta con la partecipazione degli abitanti di altri paesi ed è occasione per l’esibizione di gruppi folcloristici e di gare equestri (pariglias). Di genitori sardi, francescano ordinato sacerdote nel 1967. Laureato in Teologia a Roma. Tornato in Sardegna, tra il 1968 e il 1973 ha diretto il Seminario di Tempio. Tra il 1979 e il 1985 è stato parroco della chiesa di San Francesco a Cagliari. Provinciale dell’ordine dal 1985, nel 1993 è stato nominato vescovo di Tempio. Nel 2004 è stato trasferito a Sassari. Ricercatore di storia del suo ordine, è giornalista pubblicista dal 1989. Atzeni1 Antico villaggio del giudicato di Arborea compreso nella curatoria della Marmilla. Sorgeva tra Baressa e Simala. Anche dopo la conquista aragonese rimase nelle mani del giudice d’Arborea, che nel 1339 ebbe dal re il titolo di signore della Marmilla. Quando però, a partire dal 1353, ebbero inizio le guerre tra Aragona e Arborea, il villaggio fu investito dalle operazioni militari e, pur continuando a rimanere sotto il giudice, subı̀ qualche danno. Dopo la caduta del giudicato fu occupato dalle truppe del conte di Quirra che avrebbe voluto annettere al suo feudo l’intero territorio, ma il re nel 1421 incluse il villaggio nel feudo concesso a Guglielmo Raimondo Moncada. Dopo il 1450 il feudo fu sequestrato ai suoi discendenti e A., che cominciava lentamente a decadere, fu infeudato ai Besalù, che nel 1477 lo dovettero cedere a Dalmazio Carroz. Da quel momento A. entrò a far parte della contea di Quirra, ma nel corso del secolo XVII la sua decadenza si accentuò e nel 1724 i pochi abitanti rimasti si trasferirono a Baressa. Atzeni2 Famiglia della borghesia caPaolo Atzei – Vescovo di Tempio dal 1993 al 2004, è l’attuale arcivescovo di Sassari. Atzei, Paolo Religioso (n. Mantova 1942). Vescovo di Tempio dal 1993 al 2004, arcivescovo di Sassari dal 2004. gliaritana (secc. XVII-XVIII). Di origini molto antiche, i suoi membri, nel corso del secolo XVII, furono ripetutamente eletti consiglieri della città. Nel 1690 ottennero il cavalierato ereditario con un Agostino, i cui discendenti furono 335 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 343 Atzeni ammessi allo Stamento militare; nel corso del secolo XVIII le condizioni della famiglia decaddero. Atzeni, Alfredo Funzionario, consigliere regionale (Sassari 1909-Nuoro 1999). Conseguita la laurea entrò nella carriera del Ministero delle Finanze e percorse una rapida carriera fino a direttore della Ragioneria provinciale di Nuoro. Personaggio di rilievo nel mondo cattolico, fu eletto ininterrottamente consigliere regionale per la DC nel collegio di Nuoro dalla III alla VI legislatura (1958-1971). Durante la IV legislatura fu assessore agli Enti locali nella terza giunta Corrias (dicembre 1963-agosto 1965), nella V assessore ai Lavori pubblici nella giunta Dettori (1966-1967); infine nella VI legislatura (1969-1974) assessore alle Finanze, all’Industria e commercio, e al Lavoro e Pubblica Istruzione rispettivamente nelle giunte Del Rio (1969-1970), Giagu (1971-1972) e Spano (1972). Atzeni, Angelino Operaio, consigliere regionale (n. Arbus 1926). Militante del PCI; durante la V legislatura (19651969), in seguito alla morte di Antonio Urracci, il 24 agosto 1965 subentrò come consigliere regionale nel collegio di Cagliari. Atzeni, Dante Funzionario, consigliere regionale (n. Sant’Andrea Frius 1925). Cattolico impegnato nella DC, venne eletto consigliere regionale per il suo partito nell’VIII e IX legislatura (19791989) nel collegio di Cagliari. Non rieletto per la X legislatura, quando nel gennaio 1993 Giovanni Battista Zurru si dimise gli subentrò fino alla fine della legislatura. Atzeni, Enrico Archeologo (n. Sant’Antioco 1927). Lasciati gli studi di medicina, si è dedicato allo studio dell’archeologia. Allievo di Giovanni Lilliu, ha seguito il maestro nei suoi studi e, a partire dal 1955, ha preso parte a nu- merose campagne di scavo. Della sua intensissima attività vanno ricordati in particolare gli studi che lo condussero a prospettare una più probabile periodizzazione della preistoria cagliaritana. Nel 1968-69 condusse scavi a Pani Loriga per la parte preistorica; altri, a partire dal 1969, ne avviò nel complesso nuragico di Genna Maria a Villanovaforru, dove per decenni ha sviluppato un’interessantissima attività di studio dell’imponente materiale di scavo, creandovi un museo e un laboratorio per il restauro. Sono anche da ricordare: la scoperta delle statue menhir di Laconi, da lui studiate per trent’anni ed esposte nel museo di cui ha curato l’allestimento, e la scoperta del complesso di Pranu Mutteddu. Parallelamente si è sviluppata la sua carriera accademica, che lo ha portato a succedere al suo maestro. Ha insegnato Preistoria e protostoria presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari e ha diretto la Scuola di specializzazione in antichità sarde. Tra i suoi scritti: Stazioni all’aperto e officine litiche nel Campidano di Cagliari, ‘‘Studi sardi’’, XIVXV, 1958; I villaggi preistorici di San Gemiliano di Sestu e di Monte Olladiri di Monastir presso Cagliari e le ceramiche delle facies di Monte Claro, ‘‘Studi sardi’’, XVII, 1962; Il dolmen ‘‘Sa Coveccada’’ di Mores e la tomba di giganti ‘‘Sa Domu ’e s’Orku’’ di Quartucciu, ‘‘Studi sardi’’, XX, 1968; Nuovi idoli della Sardegna prenuragica, ‘‘Studi sardi’’, XXIII, 1975; Sardegna (con Giovanni Lilliu), in Guida alla preistoria italiana, 1975; Le statue menhir di Laconi, in Sardegna centro-orientale dal Neolitico alla fine del mondo antico, 1978; L’insediamento abitativo del settore F (con R. Forresu), in Cabras-Cuccuru S’Arriu. Nota preliminare di scavo, ‘‘Rivista di Studi fenici’’, X, 1982; Tombe eneolitiche nel 336 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 344 Atzeni Cagliaritano, in Studi in onore di G. Lilliu per il suo 70º compleanno, 1985; Villanovaforru. Il nuraghe Genna Maria e la ricerca preistorica in Marmilla, in L’Antiquarium arborense e i civici musei archeologici in Sardegna, 1988; Note sulla necropoli megalitica di Pranu Mutteddu (con D. Cocco), in La cultura di Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni, 1989; La statuaria antropomorfa sarda, in Statuaria antropomorfa in Europa dal Neolitico alla romanizzazione, Atti del Convegno di Pontremoli 1988, 1994; Le statue menhir di Piscina ’e Sali. Laconi-Sardegna in Actes du 2.ème colloque international sur la statuaire mégalitique, 1999; Le collezioni litiche preistoriche dell’Università di Cagliari, 2000. Atzeni, Eulo Funzionario, consigliere regionale (m. 1980). Storico provveditore agli studi di Cagliari, eletto consigliere regionale per la DC nel collegio di Cagliari per la V legislatura (1966), si dimise però il 2 ottobre 1967. Atzeni, Francesco1 Storico (n. Monserrato 1949). Conseguita la laurea in Lettere si è dedicato alla ricerca storica e all’insegnamento. Attualmente è professore di Storia contemporanea nella Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari. Si è dedicato in particolare allo studio della storia dei partiti politici e del movimento cattolico in Sardegna. Tra i suoi scritti, La prima stampa cattolica a Cagliari 1856-75, ‘‘Studi sardi’’, XXIII, 1975; Il movimento cattolico in Sardegna agli inizi del ’900 e il Circolo democratico cristiano Leone XIII, ‘‘Studi sardi’’, XXIV, 1978; Aspetti del movimento cattolico in Sardegna dallo scioglimento dell’Opera dei Congressi alla fondazione del Partito popolare, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXI, 1980; Il movimento sindacale e cooperativistico bianco nella Sardegna meridionale (1914-1922), in Il sindacalismo bianco tra guerra, dopoguerra e fascismo 1914-1926, 1982; Il movimento cattolico a Cagliari dal 1870 al 1915, 1984; Combattentismo, fascismo e autonomismo nel pensiero di Camillo Bellieni (con Lorenzo Del Piano), 1986; La stampa cattolica e popolare sarda dalla fine dell’Età giolittiana al fascismo, ‘‘Sociologia’’, XXI, 1-2-3, 1987; Il movimento repubblicano nella crisi del patto di fratellanza, 1989; Intellettuali e politica tra sardismo e fascismo (con Lorenzo Del Piano), 1994; Salvatore Mannironi e il Partito popolare, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXVIII, 1995; L’Azione Cattolica in Sardegna dal 1871 agli anni Settanta. I 120 anni dell’Azione Cattolica in Sardegna, 1995; Riformismo e modernizzazione: classe dirigente e questione sarda tra Ottocento e Novecento, 2000. Atzeni, Francesco2 Attore (n. Ussana 1940). Lavora come biologo presso l’Università di Cagliari, ma coniuga la sua professione con l’impegno nel mondo dello spettacolo, dove recita con il nome d’arte di ‘‘Superarsenico’’. Ha esordito nel 1958 e si è affermato come cabarettista e come ideatore di fortunati programmi radiofonici e televisivi. Ha recitato anche nell’operetta. Attualmente dirige un gruppo di giovani in un laboratorio teatrale. Atzeni, Gianfranco Diacono, venerabile (Sassari 1935-Cagliari 1986). Sposato, due figli, impiegato, primo diacono permanente della Sardegna, consacrato a Cagliari il 21 novembre 1981. Sempre disponibile e fedele all’impegno cristiano, totalmente e in umiltà al servizio del prossimo. È stato avviato il processo di canonizzazione. Atzeni, Licio Operaio, consigliere regionale (m. 1998). Operaio e sindacalista, militante del PCI; fu eletto consigliere regionale per il suo partito nel 337 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 345 Atzeni collegio di Cagliari per la IVe V legislatura (1961-1969). Atzeni, Paola Antropologa (n. sec. XX). Allieva di Mario Atzori, conseguita la laurea presso l’Università di Cagliari si è dedicata allo studio delle tradizioni popolari. Ha approfondito in particolare alcuni aspetti del mondo dei minatori in Sardegna con una serie di saggi di notevole interesse (Osservazioni sui canti politico-sociali dei minatori del Sulcis Iglesiente, ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, n. 4/5, 1975; I minatori. Storia locale e ideologia, 1978; Il corpo e il lavoro in miniera, ‘‘Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, I, 1983; Il cibo, il corpo, il lavoro nel ciclo di vita delle donne in miniera, ‘‘Bollettino Repertorio dell’Atlante Demologico Sardo’’, 11, 1983; Il corpo, i gesti lo stile. Il lavoro delle donne in Sardegna, Cagliari 1989). Atzeni, Raimondo Bandito (Arbus, fine sec. XIX-?, metà sec. XX). Conosciuto come Panedda, trascorse la giovinezza lavorando onestamente come contadino. Scoppiata la prima guerra mondiale vi prese parte e fu ferito gravemente. Come conseguenza rimase con un braccio anchilosato. Tornato al suo paese, nel dopoguerra, si dice per vendicare un presunto torto, si diede alla macchia, compiendo molti delitti e terrorizzando il Guspinese. Fu catturato nel 1928. Atzeni, santo (in sardo, Sant’Atzei, Sant’Azei) = Simmaco, san Atzeni, Sergio Scrittore (Capoterra 1952-Carloforte 1995). Suo padre, Licio, è un dirigente del movimento operaio. Sua madre è ostetrica. Atzeni la segue a Orgosolo, dove fa le scuole elementari e dove tornerà negli anni caldi tra il 1968 e il 1970. Dal 1965 è a Cagliari, dove frequenta il Liceo classico ‘‘Siotto’’ (ne racconterà una variopinta occupazione studentesca) e s’iscrive a Filosofia. Pubblica il suo primo articolo a 14 anni: a lungo collaborerà alla pagina sarda dell’‘‘Unità’’ e ai giornali isolani (scriverà recensioni e racconti sulla ‘‘Nuova Sardegna’’ dal 1975 al 1984). Nel 1976 vince un concorso all’ENEL, dove sarà – come dice lui – ‘‘digitatore di calcolatori elettronici’’. Scrive racconti: con Gli amori, le avventure e la morte di un elefante bianco vince al Mytfest del 1981 (l’anno dopo esce sui Gialli Mondatori). Quando Sellerio gli pubblica, nel 1986, Apologo del giudice bandito si licenzia e comincia una vita da scrittore di professione, spostandosi in diversi punti d’Europa, facendo diversi mestieri (sarà pizzaiolo, giardiniere...) ma soprattutto il traduttore e il consulente per le maggiori case editrici italiane. Dal suo secondo romanzo, Il figlio di Bakunin (1991), Gianfranco Cabiddu trarrà un film nel 1997. Il quinto passo è l’addio è il terzo, edito da Mondadori. Il 6 settembre 1995, a Carloforte, si tuffa nelle onde di un mare forse troppo agitato: nessuno riesce a salvarlo. Pochi giorni dopo la morte esce il suo quarto romanzo, Passavamo sulla terra leggeri (edito da Mondadori, sarà ripubblicato dalla Ilisso di Nuoro con introduzione di Giovanna Cerina). Molte altre opere sono state pubblicate postume: fra queste gli straordinari racconti picareschi di Bellas mariposas, 1996, Raccontar fole, a cura di Paola Mazzarelli, 1999, e la raccolta Gli anni della grande peste, Sellerio, 2003. Un suo volume di poesie, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo, è stato curato da Giovanni Dettori, con introduzione di Leandro Muoni, nel 1997. Cagliari è la grande protagonista di molte pagine di A.: «Debbo dire la verità – ha dichiarato una volta A. –: raccontare Cagliari è stato uno dei motivi che mi ha spinto 338 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 346 Atzeri Vacca a cercare di scrivere racconti. A un certo punto mi è sembrato che non ci fossero descrizioni di Cagliari fatte da scrittori locali». Ma la Cagliari di A. non è (e non solo per i settant’anni di differenza) la Cagliari di David H. Lawrence: la sua – ha notato Giuseppe Marci – «è una visione quasi pasoliniana che privilegia mondi sottoproletari e malavitosi ancora carichi di una originaria forza indomita». Per raccontare questa città Atzeni s’inventa una lingua che nasce, anche quando è tutta italiana di lessico, dal dialetto cagliaritano, «un idioma straordinariamente ricco – diceva – , adatto all’insulto, all’invettiva, al racconto buffo»: un dialetto che A. mescola all’italiano in un’alchimia che gli permette di trarre, dall’alambicco dello scrittore, un’evocazione appassionata e fortemente convincente della ‘‘sua’’ città. Atzeni, Virgilio Medico (Arbus 1898-ivi 1975). Conseguita la laurea nel 1929 a Cagliari, esercitò la professione in diversi paesi e fu assistente volontario di Medicina legale dedicandosi con passione alla ricerca. Contemporaneamente, interessato ai problemi della cultura sarda, nel 1934 fondò la rivista ‘‘Cadossene’’ con Antonio Cabitza. Nel 1937, però, si trasferı̀ presso l’Ospedale di Venezia e nel 1939 si specializzò a Padova in dermatologia. Nel 1940 tornò in Sardegna impegnandosi come medico condotto in alcuni centri fino al 1944. Divenuto medico a Carbonia, vi si stabilı̀ impegnandosi anche nell’organizzazione della DC. Il suo lavoro non gli impedı̀ di coltivare un crescente interesse per la storia della medicina: aggregato al Centro di storia della scienza e della tecnica di Roma, a partire dal 1948 scrisse molti saggi e articoli di storia della medicina. Andato in pensione, morı̀ nel suo paese. Tra i suoi scritti, Relazioni tra i gruppi sanguigni e i caratteri somatici, ‘‘Atti della società tra cultori delle scienze mediche naturali’’, 1, 1935; La Strige nella leggenda e nella medicina popolare sarda, ‘‘Cadossene’’, III, 5-6, 1937; Ospedali sardi nella Roma dell’Alto Medioevo, 1948; Una descrizione del morbo gallico a metà del Cinquecento, 1948; Gli eremiti sardi nella storia della medicina, 1949; Xenodochia in Sardegna dalle origini ai tempi di San Gregorio Magno, 1949; Templari e cavalieri di San Giovanni in Sardegna, ‘‘Humana Studia’’, 1950; Medicina e organizzazione sanitaria in Sardegna dall’Alto Medioevo al Rinascimento, 1950; Gaspare Torrella vescovo e medico sardo, ‘‘Humana Studia’’, 1950; Gli Hospitia dei Benedettini in Sardegna, ‘‘Humana Studia’’, 1951; Barbers y silurgians. Una pagina della storia della chirurgia in Sardegna nel periodo spagnolo, ‘‘Humana Studia’’, III, 1953; Spunti di medicina primitiva. Gli spiriti dei trapassati apportatori di salute, di malattia, di morte, 1953; I due solstizi nella pagologia sarda. Spunti di medicina nelle religioni del fuoco e del sole e nelle odierne celebrazioni dei due solstizi, Atti del XIV congresso internazionale di storia della medicina, 1954; Medici e organizzazione sanitaria in Sardegna dell’Alto Medioevo, 1958; De veterum Sardorum puerperio, 1959; La medicina in Sardegna nell’alto Medioevo, 1960. Atzeri Vacca, Francesco Giurista (Cagliari 1860-ivi 1932). Dopo la laurea si dedicò alla professione di avvocato e intraprese la carriera universitaria. Iniziò la carriera come professore di Diritto romano presso l’Università di Parma, successivamente si trasferı̀ in quella di Messina e infine tornò a insegnare a Cagliari, dove fu anche preside della Facoltà di Giurisprudenza dal 1924 al 1926. Fu autore di numerose 339 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 347 Atzori pubblicazioni che gli dettero notorietà nazionale. Atzori1 Famiglia borghese cagliaritana (secc. XVI-XIX), i cui membri, fin dalla seconda metà del secolo XVI, furono eletti consiglieri del Castello. Nei secoli successivi molti A. divennero stimati professionisti e commercianti e nel 1743 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Giacinto, ricco commerciante. Tra i suoi discendenti va ricordato Pasquale, che venne più volte eletto consigliere capo di Cagliari e fu tra i protagonisti delle riunioni stamentarie nel 1792; con lui la famiglia estese i suoi interessi a Mandas, dove amministrò il ducato come podatario del feudatario. La sua discendenza si estinse nel corso del secolo XIX. Atzori2 Famiglia di Oristano (secc. XIIXIX). Era annoverata tra i majorales del giudicato d’Arborea fin dal secolo XII; quando dopo la battaglia di Sanluri il giudicato cadde, gli A. si schierarono con Leonardo Cubello e uno di loro, un Guantino, abilissimo e ricco finanziere, fu tra i suoi principali collaboratori. Egli concluse per conto del marchese buoni affari appaltando la gestione di alcuni beni demaniali e la riscossione dei diritti doganali. Nei secoli successivi, quando il marchesato passò sotto la diretta amministrazione del re, l’importanza della famiglia non venne meno e i suoi discendenti occuparono una discreta posizione in seno alla società oristanese, anche se le loro condizioni economiche non si mantennero floride come in passato. Con un Sisinnio furono riconosciuti nobili e nel 1643 ammessi allo Stamento militare per nobiltà notoria; furono suoi figli Giuseppe e un altro Sisinnio, che lasciarono entrambi discendenza. Sisinnio Junior, per il suo matrimonio con Serafina Ponti, venne in possesso della signoria della scrivania del vica- riato di Oristano; dal loro matrimonio nacque Giovanni Gavino che, scoppiata la guerra di successione spagnola, si schierò nel partito filoasburgico e, passata la Sardegna agli Asburgo, fu nominato luogotenente del maestro razionale di Oristano; morı̀ nel 1730 senza figli. Giuseppe nel 1672 fu nominato vicario reale di Oristano. Furono suoi figli Giovanni Antioco e Giovanni Antonio, che durante la guerra di successione spagnola si schierarono nel partito asburgico sostenendo con ogni mezzo il passaggio dell’isola a Carlo d’Asburgo. Per questo motivo nel 1713 a Giovanni Antioco fu concesso in feudo il villaggio di Cabras. Il neo-feudatario, però, godette per poco del beneficio concesso; infatti gli abitanti di Cabras insorsero per difendere la loro plurisecolare autonomia e nel 1714 riuscirono a riscattarsi. All’avvento dei Savoia i due fratelli dichiararono la loro fedeltà alla nuova dinastia e Giovanni Antioco nel 1720 fu nominato vicario reale di Oristano. I suoi discendenti continuarono a mantenere una distinta posizione in Oristano e si estinsero nel corso del secolo XIX. Atzori, Angelo Imprenditore, consigliere regionale (n. Isili 1940). Risiede a Oristano, dove si è progressivamente affermato come imprenditore nel campo delle assicurazioni e dell’agricoltura. Cattolico, è stato eletto ininterrottamente consigliere regionale per la DC nel collegio di Oristano dall’VIII alla X legislatura. Nel corso dell’ultima legislatura, nell’aprile del 1994 si è dimesso per candidarsi alla Camera come esponente di uno schieramento autonomo, l’Alleanza Autonoma Arborense, ma non è riuscito a farsi eleggere. È stato anche presidente della Cantina sociale della Vernaccia. Atzori, Antonio Sacerdote (Sassari, prima metà sec. XVI-Bosa 1604). Cano- 340 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 348 Atzori nico e decano del capitolo della cattedrale di Cagliari, nel 1592 fu nominato vescovo di Bosa. Atzori, Fernando Pugile (n. Ales 1942). Campione italiano dilettanti nella categoria pesi mosca nel 1963, quando conquista anche il titolo mondiale militare. L’anno successivo si conferma campione italiano e nello stesso anno vince la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo a Napoli, il titolo mondiale militare a Francoforte e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo, battendo il polacco Olech. Passato al professionismo, si laurea prima campione italiano e poi, nel 1967, conquista il titolo europeo dei mosca battendo il francese René Libeer. [GIOVANNI TOLA] Atzori, Gianni Intellettuale (n. Oristano 1925). È uno dei personaggi più rappresentativi del sardismo oristanese, ed è stato consigliere comunale per il PSd’Az dal 1985 al 1990. Consigliere d’amministrazione dell’ESIT (Ente sardo industrie turistiche) è un attento studioso dei problemi delle minoranze etniche. Ha scritto Sardegna lingua e comunicazione letteraria (con G. Sanna), 1990. Atzori, Giovanni Sacerdote (Cagliari, seconda metà sec. XVI-Bosa 1626). Canonico e decano del capitolo della cattedrale di Cagliari, autore di numerosi scritti di carattere religioso, alcuni dei quali furono stampati. Nel 1624 fu nominato vescovo di Bosa, morı̀ nella sua sede nel 1626. Atzori, Maria Teresa Studiosa di linguistica (Gergei 1897-Cagliari 2000). Dopo essersi laureata in Lettere a Roma, si è dedicata con passione alla ricerca e all’insegnamento. Ha insegnato per molti anni al Liceo ‘‘Dettori’’ di Cagliari; nel 1958 ha conseguito la libera docenza in Linguistica sarda, e successivamente ha ottenuto l’insegnamento di Glottologia presso la Fa- coltà di Lettere dell’Università di Cagliari. Cattolica impegnata, nel secondo dopoguerra si è adoperata per la costituzione della DC e, nonostante i suoi impegni didattici, è stata eletta più volte consigliere e assessore comunale di Cagliari tra il 1952 e il 1970. È morta a 103 anni nei primi mesi del 2000. Numerosi lavori della sua imponente produzione scientifica rivestono grande interesse per la storia della Sardegna. In questa voce se ne può segnalare solo una minima parte: Glossario sardo antico. Documenti dei secoli XI-XIV, 1953; Il digramma tz nell’onomastica e nella toponomastica sarda, 1985; Il Condaxi Cabrevadu. Annotazioni linguistiche al brogliaccio del convento di S. Martino, 1957; Il lessico medico del dialetto sardo campidanese, in Atti del primo Congresso internazionale di Dialettologia generale, Lovanio, 1960; Il lessico medico del dialetto di Tempio, 1961; Le nozioni di anatomia del flebotomo e della medichessa popolare in dialetto sardo campidanese, 1965; L’onomastica sarda nei Condaghi, 1968; I proverbi dei pescatori cagliaritani, ‘‘Orbis. Bulletin international de Documentation linguistique’’, XIX, 1, 1970; Cristianesimo e magia in Sardegna, ‘‘Quaderno degli annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari’’, III, 1978; La Settimana Santa a Castelsardo. La tradizione del Luni Santu in Studi in onore di Pietro Meloni, 1988. Atzori, Mario Storico delle tradizioni popolari (n. Cagliari 1936). Dopo aver conseguito la laurea in Lettere ha intrapreso la carriera universitaria; ha insegnato presso l’Università di Cagliari e nel 1980 è diventato professore associato di Discipline demoantropologiche, dal 2004 professore ordinario nella Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. È autore di molti lavori che gli hanno dato notorietà nazionale. 341 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 349 Atzori Tra i principali, Giochi infantili a Capoterra, ‘‘Bollettino del repertorio dell’Atlante Demografico Sardo’’, 3, 1971; Per un’interpretazione del riformismo agrario settecentesco in Sardegna, ‘‘Studi sardi’’, XXIII, 1975; Credenze e riti magici in Sardegna. Dalla religione alla magia (con Maria Margherita Satta), 1980; Artigianato tradizionale della Sardegna. L’intreccio. Corbule e canestri di Sinnai, 1980; Parentela, amicizia e reciprocità nelle disamistades della Sardegna tradizionale, ‘‘La Grotta della Vipera’’, XII, 36-37, 1986; Il selvatico nelle tradizioni sarde. Uomini, maschere ed esseri fantastici, 1988; Cavalli e feste. Tradizioni equestri della Sardegna, 1988; Il Santo Cavaliere e l’Ardia. La festa di San Costantino a Pozzomaggiore, 1990; Olio sacro e profano. Tradizioni olearie in Sardegna e in Corsica (con Antonello Vodret), 1995; Tradizioni popolari della Sardegna. Identità e beni culturali, 1997. Atzori, Milvio Giornalista (Mandas 1935-Cagliari 2002). Laureatosi in Lettere nell’Università di Cagliari, intraprese la carriera giornalistica entrando nella redazione de ‘‘L’Unione sarda’’. Giornalista professionista nel 1961, dopo il 1970 entrò a far parte della redazione giornalistica della RAI di Cagliari arrivando a dirigere per alcuni anni il ‘‘Gazzettino sardo’’. Atzori, Villio Sindacalista, consigliere regionale (n. Nuoro 1931). Dirigente sindacale, giornalista pubblicista dal 1958, interprete delle esigenze sociali delle classi più umili, è stato eletto consigliere regionale per il PCI nel collegio di Cagliari per l’VIII e IX legislatura (1979-1989). Augerio Religioso (sec. XII). Monaco cistercense, operò a lungo a Citeaux. Fu vescovo tra il 1179 e il 1201 negli ultimi anni di regno di Barisone II e durante il regno di suo figlio Costantino II. Quando Guglielmo I di Massa assalı̀ il giudicato d’Arborea, per il suo prestigio A. fu incaricato di esaminare su quali basi il giudice di Cagliari pretendesse di impadronirsi dell’Arborea senza il mandato del papa. Augustis Centro romano della Barbària (Barbagia) sarda, attuale Austis. Posto a 800 m di altitudine alle falde sud-occidentali del Gennargentu, a breve distanza da Sorabile (Fonni) e da Forum Traiani (Fordongianus) e dalla strada a Caralibus Olbiam per mediterranea. A. ricorda nel nome l’imperatore Augusto e testimonia la primitiva romanizzazione della Sardegna interna, che già in età augustea fu probabilmente sede di un distaccamento della cohors Lusitanorum (corte ausiliaria formata originariamente da Lusitani). Il toponimo moderno è chiaramente derivato da un’antica forma latina Augustis, conservatasi fino ai secoli XII-XIII (condaghe di Santa Maria di Bonarcado), che richiama un intervento amministrativo dell’imperatore Augusto nella fondazione di una mansio militaris (presidio di carattere militare). Più tardi, alla metà del secolo XIV, sono attestati i toponimi Augustis e Gustis. La forma latina sarebbe quella di un ablativo plurale locativo, anche se si è anche pensato a una forma composta come Forum Augusti, Vicus Augusti, Lucus Augusti. Le più recenti prospezioni archeologiche e i ritrovamenti di materiale ceramico hanno evidenziato ad A. un insediamento di origine augustea sviluppatosi nel corso dell’età giulio-claudia e con continuità di vita sino a età tardoantica-altomedioevale e in pieno Medioevo. L’area funeraria era dislocata a nord-est dell’attuale abitato di Austis, dove oggi sorgono la scuola media, il centro sociale e l’area sportiva. Da questa necropoli proviene la stele fu- 342 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 350 Aurelio Oreste neraria in trachite del venticinquenne Cn(aeus) Coruncanius Faustinus, databile al secolo I. In località Perda Litterada (pietra scritta) e nella vallata di Pira Pateri, a 700 m dall’abitato, si stendeva una seconda necropoli, costituita da tombe a cremazione, contrassegnate da grandi stele in granito locale. I defunti sepolti in questa area funeraria e i loro parenti e amici che si occuparono di curarne la sepoltura appartenevano, come si ricava dai testi epigrafici, a categorie e gruppi sociali specifici: militari, liberti e liberte, e bambini morti a pochi anni. Con ogni probabilità la necropoli di Perda Litterada era destinata alle sepolture dei militari di stanza presso il campo della cohors Lusitanorum, che non è stato ancora individuato e che, come tutti gli accampamenti di epoca giulio-claudia, doveva essere in terra e legno. I militari e i civili di origine lusitana, al seguito della cohors dislocata ad A., influenzarono la realtà locale sarda di quel settore della Barbària unendosi con donne del luogo e diffondendo probabilmente alcune loro forme di religiosità, come la devozione per la divinità lusitana Atecina Turobrigensis, nota attraverso la dedica posta da Serbulus presso il santuario termale delle Aquae Ypsitanae a Forum Traiani (Fordongianus). [PAOLA RUGGERI] Augusto Imperatore romano (Roma, 63 a.C.-Nola, 14 d.C.). Caio Giulio Ottaviano, figlio del pretore Caio Ottavio e di Azia (figlia di Azio Balbo), fu adottato da Cesare per testamento (44 a.C.); triumviro con Antonio e Lepido, attraverso complesse vicende rimase l’unico signore di Roma e fu proclamato dal senato Augusto, dapprima con il comando militare (imperium) temporaneo sulle province non ancora pacificate, poi con un imperium proconsulare maius et infinitum vitalizio ed esteso a tutte le province (23 a.C.). Negli accordi di Bologna, Sardegna e Corsica venivano cedute a Ottaviano, ma il loro controllo fu reso precario dalle incursioni della flotta di Sesto Pompeo, che nel 40 conquistò le due isole, scacciando il governatore Marco Lurio: pare che la sola Carales si sia vanamente opposta al legato di Pompeo, Menodoro; solo nel 38 le due isole sarebbero tornate in mano ad A., che in quell’occasione avrebbe coniato le monete con l’effigie del nonno Azio Balbo e del dio nazionale dei Sardi, il Sardus Pater. Forse in questa fase, pur non essendosi mai recato in Sardegna, decise di premiare Carales con il rango di municipio e di fondare le colonie di Turris Lybisonis e Uselis: queste promozioni non sono tuttavia ricordate nelle Res Gestae di A., che al contrario indicano la Sardegna fra le province che giurarono fedeltà a Ottaviano alla vigilia della battaglia di Azio. Nel 27 a.C. A. decise di ritirare le legioni stanziate in Sardegna e Corsica e di cedere le isole al Senato; nel 6 d.C., tuttavia, spinto dai Sardi che praticavano la pirateria nel Tirreno e razziavano le pianure toscane, inviò per tre anni delle truppe comandate da cavalieri; nel 13-14 d.C. l’isola fu infine governata da un pro legato di rango equestre. Risale probabilmente a questa fase la separazione amministrativa fra Sardegna e Corsica, lo stanziamento in Sardegna di reparti ausiliari (sono note le coorti dei Corsi, degli Aquitani, dei Lusitani) e di una squadra della flotta del Miseno, l’istituzione di una praefectura civitatum, un prefetto militare che regolava i rapporti fra Roma e le tribù della Barbària. [ANTONIO IBBA] Aurelio Oreste Governatore della Sardegna (sec. II a.C.). Console nel 126 a.C., con il questore Caio Sempronio Gracco viene inviato nell’isola contro le tribù ribelli dei Sardi. Qui O. si trova ad af- 343 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 351 Austis frontare una difficile rivolta e una grave carestia, forse legata alle scorrerie degli indigeni, che gli impone una requisizione straordinaria di vettovaglie per le truppe, suscitando le proteste in Senato delle città sarde alleate (crisi risolta dall’intervento personale di Gracco). Le difficoltà della guerra impongono inoltre una proroga del suo mandato sino al 122 a.C. e la progressiva sostituzione di un contingente militare stanco e forse troppo legato al questore; al lungo soggiorno si riferisce probabilmente una mensa quadrata offerta dalla moglie di un L. Aurelius Orest. a un’anonima divinità. L’8 dicembre del 122 a.C. Oreste celebra a Roma un trionfo ex Sardinia, segno che si riteneva scongiurato il pericolo. [ANTONIO IBBA] Austis Comune della provincia di Nuoro, compreso nella XII Comunità montana, con 944 abitanti (al 2004), posto a 737 m sul livello del mare, in una regione di colline sul versante nord-occidentale del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Austis. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 50,72 km2: ha forma trapezoidale allungata da nord a sud e confina a nord con Olzai, a est con Teti e Tiana, a sud con Sorgono e a ovest con Neoneli e Nughedu Santa Vittoria. È una regione a metà tra la collina e la montagna, di natura prevalentemente granitica, segnata nella parte settentrionale dalla vallata del Taloro, le cui acque formano in questo tratto il terzo dei laghi artificiali che lo caratterizzano, prima che confluisca nel Tirso: il Cucchinadorza. Il paese è servito da alcune strade secondarie che lo collegano con Teti e Olzai a nord, con Sorgono a sud e con Nughedu Santa Vittoria e Neoneli a ovest. & STORIA Il centro abitato è di origini romane: probabilmente deriva da Augustis (=) una stazione militare edificata ai tempi di Augusto per controllare le scorrerie dei Barbaricini; dal nome dell’imperatore deriva infatti anche l’attuale toponimo. Mantenne una certa importanza in periodo bizantino e nel Medioevo fu incluso nel giudicato d’Arborea con funzioni di capoluogo dell’omonima curatoria. Caduto il giudicato, A. passò sotto il controllo diretto del re che rispettò la sua sostanziale autonomia; nel 1461 fu però venduto al marchese di Oristano che lo incluse nel suo feudo. Dopo che nel 1477 il marchesato fu confiscato agli Alagon, nel 1478 A. fu incluso nel feudo concesso a Pietro Pujades, che però morı̀ senza eredi nel 1503. Nel 1504 il villaggio fu compreso nel feudo concesso agli Arbosich; i nuovi feudatari si interessarono dei problemi della comunità e intervennero con energia per porre fine alle contese dei suoi abitanti con i vicini per il controllo dei pascoli. Nel 1525 A., con il matrimonio di Filippa Arbosich con un De Sena, passò a questa famiglia. I nuovi feudatari avviarono la costruzione della chiesa dell’Assunta; alla fine del secolo, però, il feudo passò ancora di mano: nel 1580, con il matrimonio di Filippa De Sena, il suo possesso pervenne ai Cervellon che ne fecero la sede del funzionario del governo baronale. Essi però amministrarono il feudo con un particolare fiscalismo che rese difficili le condizioni degli abitanti. Agli inizi del secolo XVIII, con l’estinzione dei Cervellon, A. passò ai Manca Guiso che si estinsero nel 1788 con un Raffaele. L’evento fece sorgere negli abitanti, che negli stessi anni si erano dotati del Monte granatico e nel 1771 del Consiglio comunitativo, la speranza di liberarsi dal dominio feudale. L’illusione fu breve; nel 1792 il villaggio pervenne 344 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 352 Austis agli Amat; nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e poco dopo vi fu aperta una scuola elementare che funzionò con regolarità; finalmente nel 1838 si affrancò dalla dipendenza feudale. Questi alcuni dei dati e delle impressioni registrati in quel periodo da Vittorio Angius: «Vi sono circa 125 case mal costrutte, disposte in istrade niente regolari, e non selciate. È questo uno dei paesi in cui commerciano i gavoesi comprando tutte le pezze di panno forese [orbace] che sono superflue ai bisogni delle famiglie. V’ha poi due o tre che fanno d’armaroli, e falegnami, e nulla più in proposito di arti. Il totale di questa popolazione è in quest’anno (1834) di anime 490 in 120 famiglie. Le terre sono più adatte all’orzo, e perciò di questo genere si semina in quantità maggiore, e se ne fa pane. Negli orti si coltivano cavoli gambusi, zucche, pomidoro e granone. Le vigne non prosperano che in alcuni luoghi aprichi esposti a venti caldi. Poche sono le varietà delle uve, il vino sente un po’ di acerbo. Oltre le specie ghiandifere vi frondeggiano con molto lusso i corbezzoli, le eriche, le filiree, il lentisco, il mirto e vari altri generi di piante. La pastorizia è molto lontana da quello stato di floridezza cui potrebbe pervenire in un terreno cosı̀ adattato. Le specie sono le solite, cioè vacche, capre, pecore, porci e cavalle; ma il numero totale dei capi di ciascuna è ben meschino». Abolita la provincia di Oristano, nel 1848 A. entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari e ci rimase fino al 1859, quando fu incluso nell’omonima provincia. Negli stessi anni il territorio subı̀ un grave danno poiché fu distrutta la magnifica foresta di Monti Mannu, che nel 1856 era stata ceduta al conte Beltrami (=), e pochi decenni dopo i suoi vigneti furono distrutti dalla fillossera. Fino al 1927 il villaggio rimase alla provincia di Cagliari, ma, ricostituita la provincia di Nuoro, vi fu incluso. Austis – Il paese è sorto sul sito di una statio romana chiamata Augustis, in onore dell’imperatore Augusto. ECONOMIA Alla base dell’economia di A. restano attività tradizionali come l’agricoltura, lo sfruttamento dei prodotti delle ampie foreste che circondano l’abitato e soprattutto l’allevamento; di discreto livello è anche la produzione del formaggio. Si è persa la memoria della coltivazione dell’orzo di cui parlava l’Angius, ma sta prendendo via via consistenza l’attività turistica, che fa leva sulle attrattive del paesaggio montano e consiste nello sviluppo dell’iniziativa alberghiera e soprattutto di quella agrituristica. Artigianato. Di antica tradizione sono la lavorazione del legno e la produzione di piccoli oggetti e di intagli; di buona qualità erano i prodotti della tessitura & 345 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 353 Austis del lino dei quali nell’Ottocento si faceva commercio; attualmente la tradizione è tenuta viva da poche anziane donne. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 975 unità, di cui stranieri 2; maschi 479; femmine 496; famiglie 418. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione con morti per anno 17 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 27 e nuovi iscritti 13. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 035 in migliaia di lire; versamenti ICI 288; aziende agricole 163; imprese commerciali 42; esercizi pubblici 7; esercizi al dettaglio 13; ambulanti 5. Tra gli indicatori sociali: occupati 237; disoccupati 60; inoccupati 103; laureati 23; diplomati 52; con licenza media 177; con licenza elementare 346; analfabeti 41; automezzi circolanti 332; abbonamenti TV 255. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio fu abitato fin dalla preistoria e conserva alcuni nuraghi a Badde Majolu, Istecori, Lughia, Turria. Di particolare interesse il villaggio nuragico di S’Urbale, a pochi chilometri dall’abitato. Situato a quasi 900 m sul livello del mare, il complesso è costituito da più di cinquanta capanne circolari costruite con conci di granito e altro pietrame rozzamente lavorato e ascrivibili al Nuragico medio. Gli scavi in questo importante sito furono iniziati nel 1931 e interrotti dopo qualche anno; ripresi nel 1982, hanno riportato alla luce una notevole quantità di ceramiche e di altri manufatti che hanno permesso di ricostruire la cultura materiale del villaggio in tutti i suoi aspetti. Di grande interesse scientifico la Perda Longa, un dolmen che sorge a poca distanza dall’abitato; la costruzione è caratterizzata da una camera rettangolare molto lunga e divisa in due da una grande lastra trasversale; al fondo della costruzione sono tracce di muratura che delimitano la camera e servivano da contenimento del tumulo di terra che all’origine copriva il dolmen. Nelle località di Perda Litterada, Vigna Onnis e Sa Canna furono rinvenuti nella seconda metà dell’Ottocento numerosi ruderi di età romana che comprovano l’ipotesi che l’attuale centro abitato derivi da un insediamento militare di età imperiale. Gli scavi successivi hanno restituito una gran quantità di ceramiche e di monete, lapidi funerarie, urne, iscrizioni e bronzi. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’edificio di maggior pregio è la chiesa della Madonna dell’Assunta, parrocchiale costruita nel 1567 su un edificio precedente, probabilmente risalente al Duecento e dedicato a Sant’Agostino. Nel corso dei secoli ha subı̀to diversi rifacimenti fino all’ultimo nel 1950 che ne ha modificato i caratteri originari. Di particolare interesse all’interno il coro ligneo riccamente intagliato risalente all’Ottocento. Sono interessanti anche alcune chiese campestri tra le quali quella di Sant’Antonio da Padova che sorge in località Sedda ’e Basiloccu, poco oltre il lago Benzone (= Taloro) in un ambiente di boschi di querce; fu costruita nel 1669 e successivamente modificata. Ha un impianto a una navata, la copertura in legno e la facciata del tipo a capanna. Al suo interno si conserva un altare barocco di legno intagliato di una qualche eleganza. L’edificio è circondato dalle muristenis. I boschi intorno al paese conservano ancora in parte la ricchezza di specie di cui parlava l’Angius. Molto famosa, tra le conformazioni che caratterizzano gli affioramenti del granito, la roccia di Sa Crabarissa, che si trova non lontano 346 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 354 Automobilismo dalla strada di penetrazione agraria per il lago Cucchinadorza: fa pensare a una donna con un fazzoletto sulla testa e la fantasia popolare ha elaborato in proposito alcune leggende di pietrificazione. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni del villaggio si conservano nella festa di Sant’Antonio di Basiloccu che, organizzata dai pastori nella terza domenica di settembre, si svolge nell’omonima chiesetta campestre. È preceduta da un novenario al quale prendono parte le famiglie degli organizzatori ed è caratterizzata dall’esecuzione di canti improvvisati in logudorese, barbaricino e campidanese (muttos). Austis, curatoria di Curatoria del giudicato di Arborea che si stendeva su un territorio montuoso di circa 115 km2, situato a nord del Parte Barigadu e incuneato tra la Barbagia di Ollolai a nord e il Mandrolisai a sud. Comprendeva i villaggi di Teti, Tiana e Austis ed era popolato da pastori e montanari. Caduto il giudicato d’Arborea, dopo un breve periodo in cui fu amministrata direttamente da funzionari reali, nel 1461 fu inclusa nel marchesato di Oristano e nel 1478, dopo la sua confisca, fu concessa a Pietro Pujades che però morı̀ senza eredi nel 1503. Nel 1504 la c. fu concessa agli Arbosich; essi intervennero con energia per porre fine ai contrasti che i suoi abitanti avevano con i vicini per il controllo dei pascoli confinanti. In seguito passò ai De Sena e nel 1580, per matrimonio, ai Cervellon, che ne riorganizzarono l’amministrazione. Nel corso del secolo XVIII passò di mano frequentemente fino a pervenire agli Amat. Austria-Este, Francesco di = Francesco d’Austria-Este Automobilismo L’11 ottobre del 1900 passa per le vie di Sassari la prima automobile. L’ha portata da Torino Primo Zerbini, che negli anni successivi sarà il rappresentante della Fiat in città. A Cagliari nel 1902 arriva una francese De Dion-Bouton di proprietà di Gerino Bruciapaglia. Ma è dell’aprile-maggio 1904 il primo Tour della Sardegna in automobile (una Isotta Fraschini), ideato dal dottor Johnson, presidente del Touring Club d’Italia. L’auto percorre tutta l’isola fino a Cagliari (dove si svolge il Congresso del TCI), destando nelle popolazioni sgomento e ammirazione. Ma già dal 1901 era stata proposta l’istituzione di una linea automobilistica Sassari-Tempio-Palau, che verrà inaugurata solo nel giugno del 1908. Seguiranno poi nel 1911 la Terranova-Orosei-Nuoro, la CagliariMuravera-San Vito e la Cagliari-Pula. In Sardegna l’automobile si diffonde molto lentamente, sono le Società ginnastiche che organizzano le prime gare, soprattutto di regolarità: la prima edizione della gara in salita ‘‘Scala di Giocca-Osilo’’ è del 1926. Nello stesso anno viene fondato il Reale Automobile Club Cagliari per iniziativa di Dino Devoto, già rappresentante della FIAT in città. L’attività sportiva automobilistica negli anni Trenta è molto scarsa: è comunque da ricordare la partecipazione al Circuito ‘‘Città di Sassari’’ del 1938 di Pietro Ghersi, campione di livello nazionale, vincitore su Alfa Romeo. Solo nel dopoguerra nascono alcune classiche; a Sassari, accanto alla ormai tradizionale Scala di Giocca-Osilo, si organizzano il Circuito di Platamona e numerose gare di regolarità aperte a tutti, vista la grande diffusione delle piccole automobili, e una serie di gare in salita, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, grazie al grande lavoro degli Automobile Club: la Alghero-Scala Pic- 347 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 355 Avellanis cada, la Corongiu-Campuomu, la Iglesias-Sant’Angelo, con frequente partecipazione di piloti del continente. Purtroppo la Sardegna rimane fuori dalle grandi manifestazioni sportive motoristiche perché non possiede neanche un autodromo: il primo, dovuto alla caparbietà del pilota sassarese di gare in salita Uccio Magliona, è stato inaugurato a Mores nel 2003 e intitolato al marchese Franco di Suni, storico presidente dell’ACI di Sassari. Ma la manifestazione motoristica più importante dell’isola è il Rally della Costa Smeralda, la cui prima edizione si svolse nel 1978 e che dal 2004 è prova del Campionato del mondo. Attualmente si svolgono anche altri rally minori, le ‘‘classiche’’ in salita, gli autoslalom e le gare di regolarità riservate alle auto d’epoca, molte delle quali giungono in gruppi numerosi da tutta Europa, sull’onda del boom turistico degli ultimi anni. [GIOVANNI TOLA] Avellanis Antico villaggio del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Monteleone, che sorgeva nelle vicinanze di Villanova Monteleone. Faceva parte dei territori che a partire dal secolo XII vennero in possesso dei Doria in seguito ai matrimoni con la famiglia giudicale di Torres. Quando la famiglia giudicale si estinse, il villaggio entrò a far parte del piccolo stato feudale che i Doria stavano formando nella parte nord-occidentale dell’isola. Nel periodo successivo continuò a rimanere in loro possesso, ma quando nel 1324 i Doria si ribellarono agli Aragonesi subı̀ molti danni, cosicché prima della metà del secolo XIV venne abbandonato. Avena Genere di piante erbacee annuali della famiglia delle Graminacee (A. fatua L., A. sterilis L., A. barbata Brot.). Tutte le specie selvatiche sono caratterizzate da culmi eretti, foglie lanceolate, parallelinervie (come tutte le monocotiledoni), infiorescenze a pannocchie rade e pendenti con spighe caratterizzate da due lunghe reste. Cresce abbondante tra aprile e giugno nei prati, nei coltivi e sui bordi delle strade; l’A. fatua è infestante nei campi di grano. In alcune zone della Sardegna viene chiamata ténetilikértas, acchiappalucertole, perché i bambini catturano le lucertole con lacci costruiti con i culmi freschi di a. I culmi secchi sono utilizzati per costruire i cesti domestici, che un tempo erano parte fondamentale della dote delle spose e costituivano il cosiddetto stréxu ’e fenu (lett. ‘‘il bagaglio di fieno’’). La specie coltivata, A. sativa, nota anche come biada, è largamente diffusa e viene utilizzata come foraggio. È ricca di proteine e di grassi, oltre che di carboidrati come tutti i cereali. L’alta concentrazione di cellulosa la rende poco utilizzabile nell’alimentazione umana. In Sardegna la produzione annua è di oltre 500 000 q per 30 000 ha, la maggior parte in provincia di Sassari. Nella medicina popolare viene usata con azione anticatarrale, diuretica ed emolliente per la pelle. Nomi sardi: aéna, éna (campidanese); fenápu (nuorese); filiánu (gallurese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Avendrace, santo (in sardo, Santa Tennera, Santu Tenneru) Santo (m. 77). Nacque nel villaggio di Ippis o genericamente in un villaggio della regione di Ippis o Gippi, sacerdote e vescovo della diocesi di Cagliari dal 70 al 77. Denunciato, su consiglio di un cavaliere cristiano si nascose in una grotta sulle rive dello stagno occidentale di Carales, Cagliari, lo stagno di Santa Gilla. Per due anni visse in solitudine: quotidianamente un cervo gli portava da mangiare. Lasciò il rifugio per visitare, in abiti contadini, i villaggi della 348 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 356 Aventi diocesi. Venne scoperto e denunciato a Calidonio, preside romano. Partı̀ l’ordine di arresto, ma il vescovo ancora una volta riuscı̀ a salvarsi, nascondendosi in una montagna. Gli apparve un angelo e tornò al primo nascondiglio, alla grotta sulle rive della laguna. Arrestato, torturato, decapitato nel 77, sepolto nel rifugio. Studiosi al passato remoto lo considerano «successore a Cagliari dei vescovi Siridione – o Sirindone o Siridonio – Bonifacio e Clemente», tutti vescovi, compreso A., senza riscontri attendibili. A., nome proprio diffuso a Cagliari, è santo per volontà popolare: antico il suo culto, ma mai ufficializzato dalla Chiesa. Nome d’impronta orientale, dall’etimologia oscura. I cagliaritani lo chiamano Santa Tennera, al femminile, e usano il maschile Tenneru solo come nome di battesimo. Altro suo nome è San Venero: per qualcuno si tratterebbe di San Venero o Venerio o Venereo giunto a Carales dopo aver fatto l’eremita nell’isoletta di Palmaria, nel mar Ligure. Sant’Avendrace o San Venero? Tenneru farebbe pensare più a Venero (come Tennera a Beneria e a Veneria, nomi che compaiono in epigrafi romane ritrovate in area cagliaritana). Secondo alcuni studiosi si tratterebbe dello stesso santo, secondo altri di santi diversi. «Resta tuttavia non chiara – scrive Francesco Alziator (1963) – la contaminatio di Avendrace con Venero-Venera; in via d’ipotesi è pensabile o che Avendrace sia la trasformazione letteraria dell’indigeno Venero o che si tratti di due tradizioni diverse che il tempo o la fantasia popolare, il caso non è poi raro nelle leggende agiografiche, hanno poi riunito». Sulla grotta rifugio, martyrium e sepolcro, è sorta la chiesa in suo onore. Ancora ipotesi: forse tomba romana riutilizzata dal cristiano Venerio, santo per il popolo. Archeologi contemporanei sostengono invece che si tratta di un santuario ipogeico d’origine punica, dedicato al culto delle acque. Ancora oggi dal pavimento della grotta filtra un’acqua dolce e tersa, nonostante la vicinanza dello stagno. Perché non un tempio dedicato a Venere? Da Venere a Venero il passo è breve. In Sardegna esisteva il villaggio di San Venero, distrutto nel Settecento, da Giovanni Spano (1858) identificato in Salvenero (San Michele). La Biblioteca Universitaria di Cagliari possiede il libro stampato nel 1922, Sant’Avendrace vescovo di Cagliari. Notizie sulla sua vita e pratiche devote. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 21 settembre a Cagliari. ‘‘A Vent’anni’’ Periodico cagliaritano. Pubblicato settimanalmente a Cagliari dal 1º gennaio 1869 al 31 luglio 1870, per iniziativa di un gruppo di studenti universitari, annovera tra i suoi collaboratori il giovanissimo Ottone Bacaredda, futuro sindaco di Cagliari dal 1889 al 1921 e deputato al Parlamento, Enrico Costa, Giovanni Baraca, Gavino Nino, Gavino Musio e il poeta catanese Vincenzo Riccardi di Lantosca, spesso celati sotto pseudonimi. Periodico letterario, vicino alla Scapigliatura e al Realismo, testimonia i nuovi fermenti culturali che percorrono l’isola una volta tramontati gli ideali del Risorgimento e del Romanticismo. Oltre alla pubblicazione di prose e versi, particolare attenzione è rivolta alle novità culturali e ai numerosi problemi dell’economia e della politica della Sardegna. Nonostante una iniziale presa di distanza dai partiti e dalle correnti politiche, non sono rari gli articoli di opposizione al governo, le cronache cittadine, oltre quelli di divulgazione scientifica in genere. [RITA CECARO] Aventi, Francesco Studioso di pro349 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 357 Aventino blemi agrari (Ferrara, prima metà sec. XIX-?, seconda metà sec. XIX). Conte della Roverella, imprenditore agricolo conosciuto tanto per l’attenzione scientifica ai problemi del mondo agrario quanto per le bonifiche realizzate nel Ferrarese, collaboratore del bolognese ‘‘Giornale d’Agricoltura’’, fu in Sardegna nel maggio-giugno del 1869 ospite di Giuseppe Garibaldi che in quel periodo elaborava un progetto di colonizzazione della Sardegna. Il viaggio lo portò prima a Caprera, poi in varie città dell’isola fino a Cagliari. Ne scrisse in Escursione agraria in Sardegna. Lettere 14 al prof. cav. Francesco Luigi Botter (che era il direttore del ‘‘Giornale d’Agricoltura’’), 1869, e tornò sul tema con l’articolo Colonizzazione di Sardegna, pubblicato nel 1871 sull’‘‘Avvenire di Sardegna’’. Era convinto che, con attenti studi e una razionale applicazione di investimenti (non meno che delle tecniche agricole più adatte), la Sardegna avrebbe potuto mettere a frutto le sue potenzialità: «La Sardegna degli Italiani – concludeva nel suo libro – ritornerebbe la Sardegna dei Romani, e la ricchezza nazionale riconoscerebbe ben presto in essa la sua principale sorgente». Aventino, santo (in sardo, Santu Aventinu, Santu Ventinu) Santo (Troyes, sec. V/VI-?, 537/538). Nacque a Troyes in Francia verso la fine del V o forse nel secolo VI, discepolo di San Lupo vescovo della città, del quale divenne economo fedele, prudente e caritatevole. Si ritirò su un’isoletta della Senna, dedicandosi alla contemplazione e alla penitenza. Fondò un monastero, che affidò al discepolo San Fidolo. Invocato contro il mal di testa, patrono delle partorienti. A. e al femminile Aventina è nome proprio dell’area cagliaritana. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia la prima domenica dopo Pasqua nell’area cagliaritana. Averla = Zoologia della Sardegna Avetta, Adolfo Bibliotecario (Torino 1854-ivi 1943). Nel 1894 lasciò la carriera militare e fu nominato bibliotecario della Biblioteca universitaria di Cagliari. In molti anni di permanenza nell’isola si adoperò per potenziare le strutture della biblioteca e per impostare la sistemazione del materiale bibliografico secondo criteri razionali. Del suo sforzo rimane testimonianza nel volume Storia della R. Biblioteca universitaria di Cagliari dalle origini a tutto l’anno 1893, estratto da una serie di articoli pubblicati su ‘‘Il Popolo’’ nel 1894. Lasciata Cagliari, diresse le biblioteche universitarie di Padova, Catania, Pisa, Genova e Torino; andato in pensione, continuò a occuparsi di studi storici. Avocetta = Zoologia della Sardegna ‘‘Avvenire di Sardegna, L’’’ Quotidiano di Cagliari (1871-1893). Pubblicato dal 1º gennaio 1871 al 31 dicembre 1893, è diretto da Giovanni De Francesco (Mongibello). Vi collaborano professionisti come Giuseppe Turco, Emilio Spagnolo, Medardo Riccio, redattore dell’‘‘Ora di Palermo’’ e poi direttore della ‘‘Nuova Sardegna’’, Marcello Vinelli, futuro direttore dell’‘‘Unione sarda’’, e Antonio Scano. Della redazione fanno parte inoltre Ottone Bacaredda, Felice Uda, Carlo Brundo, Dionigi Scano, Ugo Ranieri, Vittorio Delitala, mentre tra i collaboratori annovera numerose personalità della vita pubblica sarda. È considerato il primo quotidiano moderno nel mondo giornalistico isolano, per un nuovo modo di fare informazione che collega le problematiche locali alla politica nazionale e anche internazionale, divenendo cosı̀ per oltre vent’anni l’opinion maker della vita cagliaritana. Il 350 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 358 Aymerich sottotitolo, Giornale politico internazionale. Organo della colonia italiana nella Tunisia, rivela l’attenzione prestata alle aspirazioni italiane di espansione contro quelle francesi, e il sostegno agli investimenti dei capitali isolani, di cui appoggia in particolare le imprese finanziarie di Pietro Ghiani Mameli, fondatore del Credito agricolo industriale sardo. Politicamente il giornale è schierato a sinistra e appoggia la corrente legata a Zanardelli che in Sardegna fa capo a Francesco Cocco Ortu. Nelle elezioni politiche del 1874 sostiene Ghiani Mameli, il cui programma, aderente alla ‘‘Sinistra giovane’’, è pubblicato nel giornale. Dopo il fallimento negli anni Ottanta di numerosi istituti di credito isolani e il tramonto politico di Ghiani Mameli, si avvicina al gruppo della ‘‘Casa nuova’’ di Ottone Bacaredda, esponente della nuova classe dirigente liberale che avrebbe amministrato Cagliari a lungo. Nelle elezioni del 1892 la polemica scatenata dal giornale proprio contro alcuni candidati del gruppo coccortiano ne determina la fine: a seguito delle querele in cui incorre, il De Francesco è arrestato e condannato, e tutti i suoi beni, compresa la tipografia, vengono sequestrati. Il giornale è costretto cosı̀ a sospendere le pubblicazioni. Graficamente poco curato, ha una pagina su cinque colonne e una composizione uniforme in cui gli articoli si susseguono senza titoli. La quarta pagina è interamente occupata dalla pubblicità di ditte straniere, italiane e locali. [RITA CECARO] Avvocato dei poveri Avvocato preposto al patrocinio gratuito delle cause dei poveri sia in sede civile che in sede penale. Aveva l’obbligo di adempiere alla propria funzione con diligenza, poiché i procedimenti dovevano essere espletati attraverso procedure sommarie e possibilmente senza ricorrere ad atti strutturati. La carica compare a partire dal Cinquecento; nel Seicento tutte le principali città regie dell’isola ne avevano uno. Spesso apparteneva a famiglia nobile, anche perché talvolta l’ufficio consentiva a qualche giovane di avviare una brillante carriera giudiziaria. Con l’avvento dei Savoia i suoi compiti furono definiti con precisione e nel Codice feliciano fu stabilito che in ogni villaggio dovesse essere identificato un a.d.p. Avvocato fiscale patrimoniale Magistrato che aveva il compito di tutelare i diritti patrimoniali dello Stato. Esplicava i suoi compiti nelle vertenze che venivano dibattute di fronte alla Reale Udienza o alla Procurazione reale. Faceva parte del tribunale del Real Patrimonio e della Giunta patrimoniale, e, unitamente al procuratore fiscale patrimoniale, interveniva in tutti i procedimenti nei quali fossero lesi o minacciati gli interessi del patrimonio reale. Avvocato fiscale regio Magistrato posto al vertice dell’organizzazione dell’attività giudiziaria del Regno di Sardegna. Vigilava sull’andamento dell’amministrazione della giustizia e sul funzionamento di tutti gli altri organismi giudiziari dell’isola. Come tale era a diretto contatto col viceré e faceva parte del Consiglio di Giustizia unitamente al reggente la Reale Cancelleria. Per espletare le proprie funzioni si serviva di sostituti procuratori fiscali regi che dovevano essere presenti nelle città regie o nei villaggi in cui esistesse un tribunale. Avvoltoio = Zoologia della Sardegna Aymerich Famiglia cagliaritana di origine catalana (sec. XIV-esistente). Le sue notizie risalgono al secolo XIV, quando viveva un Pietro che fu inviato presso il re come sindaco della comunità del Castello. Nei decenni succes- 351 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 359 Aymerich sivi l’importanza commerciale della famiglia si accrebbe e alcuni dei suoi membri svilupparono una fitta rete di traffici soprattutto con la Sicilia. Agli inizi del secolo XV era tra le famiglie più influenti di Cagliari: possedeva una cappella e dal 1454 Martino ebbe l’ufficio ereditario di console dei siciliani con giurisdizione nelle liti che riguardavano i mercanti siciliani operanti a Cagliari. Dei suoi figli Giacomo, eletto nel 1483 consigliere capo di Cagliari, Giovanni Nicolò eletto allo stesso ufficio nel 1500, furono due importanti uomini d’affari. Pietro, il primogenito, ereditò l’ufficio di console dei siciliani e fece un buon matrimonio con una Fortesa; anche lui fu eletto consigliere capo della città ed estese gli interessi finanziari della famiglia; introdotto nel fiorente mercato della compravendita dei feudi, caratteristico di quegli anni, acquistò all’asta il feudo di Gesturi. In seguito ottenne l’appalto delle dogane reali e, entrato in rapporti d’affari con la contessa Violante Carroz, signora di Quirra, ne divenne l’amministratore; infine nel 1486 acquistò il feudo di Mara. Tra i suoi figli Gerolamo e Salvatore lasciarono discendenza. Discendenza di Gerolamo. Gerolamo continuò le attività commerciali della famiglia. I suoi figli Pietro, Cristoforo e Salvatore, vissuti nella prima metà del Cinquecento, furono coinvolti nelle fazioni nobiliari del tempo e nel 1533 furono riconosciuti nobili. Pietro fu valoroso uomo d’armi; Salvatore continuò ad avere rapporti con gli eredi dei Carroz, che lo nominarono governatore e capitano generale dei loro feudi e gli affidarono delicati affari di famiglia; Cristoforo continuò la discendenza: fu nominato vicario reale di Cagliari e prese parte alle fazioni nobiliari con il cugino Salvatore di Mara; questo ramo si estinse con i suoi figli Pietro, Gerolamo e il canonico Giovanni. Discendenza di Salvatore. Salvatore ereditò il feudo di Mara e completò la trasformazione sociale della famiglia. Difese il possesso dei feudi acquistati dal padre imbarcandosi in una lunga lite giudiziaria contro i Dedoni che ne volevano tornare in possesso. Morı̀ ancor giovane nel 1495. Suo figlio, un altro Salvatore, dimostrò di essere uomo di grande levatura politica e rivestı̀ molti incarichi importanti; il figlio Melchiorre fu un attento amministratore del feudo e, per porre fine alla crescente inquietudine dei vassalli, nel 1587 concesse loro alcuni Capitoli di grazia con i quali regolamentò l’amministrazione del feudo. Suo figlio Ignazio si distinse nelle operazioni che portarono alla cacciata dei francesi da Oristano nel 1637 e divenne uno dei maggiori sostenitori del viceré Avellano. I rapporti con i vassalli però si fecero nuovamente difficili; gli abitanti di Villamar si ribellarono, per cui, nel 1642, Ignazio fu costretto a concedere loro nuovi Capitoli di grazia; nel 1644, come ricompensa per la fedeltà dimostrata, fu creato conte. Il suo primogenito, un altro Melchiorre, che gli succedette, continuò ad avere dei problemi con i vassalli, ma morı̀ senza lasciare discendenza; gli altri tre figli, Demetrio, Silvestro e Salvatore, diedero vita ad altri tre rami della famiglia. Ramo di Salvatore. Salvatore, che fu capitano di cavalleria in Catalogna, dopo la morte del fratello divenne conte di Villamar. Tentò, senza successo, alcuna speculazioni che compromisero le sue finanze; per far fronte alla situazione tentò di far crescere le rendite feudali, ma ciò inasprı̀ nuovamente i suoi rapporti con i vassalli e nel 1663 fu costretto a concedere loro nuovi Ca- 352 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 360 Aymerich pitoli di grazia. Politicamente era legato a Bernardino Mattia Cervellon e ne sostenne l’azione anche dopo l’uccisione del viceré Camarassa. Il viceré duca di San Germano, allora, lo fece arrestare e lo mandò in esilio in Spagna. Salvatore riuscı̀ a tornare in Sardegna solo nel 1676; negli anni seguenti acquistò il salto della Minerva; morı̀ nel 1709, seguito dopo pochi mesi dall’unico figlio Ignazio. Ramo di Demetrio. Demetrio era il figlio terzogenito; dopo l’estinzione del ramo di Salvatore tentò di far escludere dalla successione nei feudi di famiglia il nipote Gabriele, figlio dell’altro fratello Silvestro e di Francesca Zatrillas. Infatti riteneva che Gabriele fosse inabilitato a succedere in quanto il padre era stato incriminato del delitto di lesa maestà. Dopo aver tentato di occupare con la forza il feudo, intraprese contro il nipote una lite che si concluse a suo sfavore nel 1710. Negli anni seguenti i due continuarono a litigare e solo dopo la morte di Demetrio, avvenuta nel 1732, i figli rinunciarono alle loro pretese. Alla fine del secolo XVII, due dei suoi nipoti, un altro Demetrio e un Mariano, diedero vita ad altre due linee di discendenza; da Demetrio derivò una linea di cavalieri Aymerich che continuò a risiedere a Cagliari e si estinse nel corso del secolo XIX; Martino si stabilı̀ in Spagna, dove i suoi discendenti vivono tuttora. Ramo di Silvestro. Silvestro, secondogenito del conte Ignazio, è il capostipite di tutti gli Aymerich attualmente viventi in Sardegna. Cavaliere brillante e di bell’aspetto, era l’amante di Francesca Zatrillas quando fu misteriosamente ucciso il marchese Agostino Castelvı̀, suo marito. Quando, dopo appena tre mesi dalla morte del marchese, si sposò con la Zatrillas, fu sospettato di aver tramato l’assassinio unitamente alla vedova e per questo trascinato in giudizio. Scagionato, quando emerse che l’assassinio del Castelvı̀ era stato motivato da ragioni politiche, fu coinvolto nella congiura contro il viceré Camarassa che il marchese di Cea, cugino dell’ucciso, riteneva responsabile dell’assassinio. Dopo l’uccisione del Camarassa fu imputato di lesa maestà, per cui dovette fuggire dalla Sardegna e vivere esule fino a quando nel 1671 il marchese di Cea fu indotto a tornare nell’isola. Egli lo seguı̀ nel viaggio, ma fu ucciso a tradimento subito dopo lo sbarco all’Isola Rossa. Dal suo matrimonio nacque Gabriele, di cui si è detto; egli, dopo l’estinzione della linea primogenita, fu dichiarato abile alla successione nel feudo di Villamar, ma fu chiamato in causa dallo zio Demetrio. Egli inoltre si imbarcò in una lite per la successione nel Montiferru, eredità della madre, che si concluse senza successo nel 1714; morı̀ nel 1716, quando la lite con Demetrio per Villamar non era conclusa. Dal suo matrimonio con Caterina Castelvı̀ erano nati diversi figli. All’estinzione della linea principale della sua famiglia Caterina rivendicò la successione per i feudi di Laconi, Sanluri e Ploaghe, che nel 1733 furono definitivamente assegnati a Giuseppe, suo figlio primogenito. Cosı̀ gli Aymerich entrarono in possesso del marchesato di Laconi, della baronia di Ploaghe, del viscontado di Sanluri, divennero prima voce dello Stamento militare ed ebbero anche il titolo di Grande di Spagna. Furono figli di Giuseppe Michele, vescovo di Ales, e Ignazio, che continuò la discendenza; egli si legò alla dinastia sabauda e in alcune occasioni fu inviato a Torino come delegato dello Stamento militare. Nel corso dei secoli successivi la famiglia espresse alcune eminenti personalità, tra cui il 353 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 361 Aymerich marchese Ignazio, vissuto nella prima metà dell’Ottocento. Egli seppe trattare vantaggiosamente il riscatto dei suoi feudi, sviluppò importanti attività agricole e fu nominato senatore del Regno. Furono suoi figli Carlo, Enrico e Giuseppe: da Carlo e da Enrico derivano due linee di cavalieri Aymerich residenti a Cagliari e a Roma; da Giuseppe deriva l’attuale linea marchionale, fiorente a Cagliari, che ha espresso alcune considerevoli personalità in differenti settori della vita pubblica. Aymerich, archivio Contiene documenti relativi all’amministrazione di tutti i feudi della famiglia, documenti relativi all’amministrazione dell’azienda di Laconi e documenti di natura patrimomiale. Vicende familiari portarono alla scissione dell’archivio, che è ora distribuito presso l’Archivio storico comunale (342 buste dei secoli XVXIX), l’Archivio di Stato di Cagliari (8 buste con documenti dal 1405 al 1723 e 157 pergamene dal 1470 al 1723) e l’Archivio storico comunale di Laconi (177 registri e 46 fascicoli dal 1801 al 1937). Aymerich, Cristoforo Gentiluomo, vicario reale di Cagliari (Cagliari, prima metà sec. XVI-ivi, seconda metà sec. XVI). Cugino di Salvatore signore di Mara e a lui legato, fu tra i protagonisti delle fazioni nobiliari della città. Fu arrestato quando Girolamo Selles fu ferito; dopo la liberazione continuò a interessarsi degli affari di famiglia. Aymerich, Giuseppe Matematico, attuale marchese di Laconi (n. Cagliari 1913). Dopo la laurea si dedicò all’insegnamento, dapprima nelle scuole superiori, successivamente divenne professore presso l’Università di Cagliari. Nel 1974 fu preside della Facoltà di Scienze e in seguito rettore dell’Ateneo per alcuni anni. Aymerich, Ignazio I Conte di Villamar (Cagliari 1601-ivi 1663). Fu tra i sostenitori delle idee del Vives; nel 1637 si distinse nell’azione contro i francesi che avevano occupato Oristano. In seguito sostenne la politica del duca d’Avellano e nel 1644 divenne il primo conte di Villamar. Ebbe però burrascosi rapporti con i vassalli, ai quali dovette concedere alcuni Capitoli di grazia. Aymerich, Ignazio II Marchese di Laconi, senatore del Regno (Cagliari 1809- ivi 1881). Prima voce dello Stamento militare, trattò vantaggiosamente il riscatto dei suoi feudi. In seguito divenne un attivo imprenditore agricolo. Nel 1847 fece parte della delegazione inviata a Torino per chiedere la ‘‘fusione’’; nel 1848 fu nominato senatore del Regno. Esperto di agricoltura e interessato al problema delle ferrovie in Sardegna, partecipò intensamente ai lavori dell’assemblea, sollevando tra i primi la questione sarda. Nel 1869, da presidente dell’apposito comitato costituito a Cagliari, si adoperò per la buona riuscita dell’inchiesta parlamentare sulle condizioni dell’isola. Fu anche eletto consigliere comunale e provinciale di Cagliari. Aymerich, Michele Religioso (Cagliari 1732-Ales 1806). Vescovo di Ales e Terralba dal 1788 al 1806. Figlio del marchese Antonio Giuseppe, destinato alla Chiesa, divenne canonico e decano del capitolo di Cagliari e giudice del tribunale delle contenzioni; nel 1788 fu nominato vescovo di Ales e di Terralba. Nel 1792 prese parte all’attività degli Stamenti e fu incluso nella delegazione inviata a Torino per portare al re le Cinque domande. Nel 1799 fu tra coloro che in seno agli Stamenti votarono per l’abolizione dei privilegi del Regno. Aymerich, palazzo Complesso abitativo di proprietà della famiglia omonima che comprendeva più edifici di 354 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 362 Aymerich origine medioevale collegati tra loro nel Castello di Cagliari, sviluppantisi in senso orizzontale da via Lamarmora a via dei Genovesi. Il complesso nella seconda metà dell’Ottocento fu affidato a Gaetano Cima perché lo ristrutturasse rendendolo unitario. L’architetto diede al tutto un’impronta neoclassica e risolse il problema rappresentato da una traversa che metteva in collegamento le due strade costruendo un portico pedonale (Portico Laconi).Il palazzo rimase di proprietà Aymerich fino al 1935; nel 1943 fu bombardato dagli Alleati e oggi è allo stato di rudere. Aymerich, Pietro I Gentiluomo (Cagliari, prima metà sec. XVI- ivi 1492). Fu console dei siciliani come suo padre Martino; abile uomo d’affari, nel 1480 fu eletto primo consigliere di Cagliari e pochi mesi dopo acquistò all’asta la signoria di Gesturi. Nel 1484 fu nuovamente eletto consigliere capo di Cagliari e si aggiudicò l’appalto delle dogane reali; nel 1486, dopo aver felicemente composto un contrasto sui confini di Gesturi con Violante Carroz, divenne il suo uomo di fiducia e ne ottenne l’amministrazione della contea di Quirra; nello stesso anno acquistò il feudo di Mara. Aymerich, Pietro II Gentiluomo (Cagliari, prima metà sec. XVI-ivi, dopo 1567). Fratello di Cristoforo, nobilitato unitamente ai suoi fratelli nel 1533; fu protagonista delle fazioni nobiliari. Organizzò l’assalto al convento di San Domenico durante il quale fu ucciso Girolamo Selles; in seguito si trasferı̀ a Sassari. Nella nuova residenza nel 1554 respinse un tentativo di sbarco francese e nel 1567 fu nominato governatore della città. Aymerich, Salvatore1 Signore di Mara (Cagliari 1493-ivi 1563). Alla morte precoce del padre, anche lui di nome Salvatore, fu posto sotto la tutela dello zio Giovanni Niccolò. Uomo di notevole levatura politica e militare, fu dichiarato nobile nel 1521 e nel 1524 fu inviato come sindaco dello Stamento militare a Madrid, dove riuscı̀ a ottenere l’esenzione della Sardegna dal pagamento di un donativo richiesto in occasione delle nozze delle infanti Caterina e Maria. Tornato in patria, questo successo gli fece acquistare grande prestigio personale presso le altre famiglie della nobiltà emergente. A partire dal 1533 si impegnò nella compravendita dei feudi, guadagnando molto danaro; nel 1535 fu al seguito di Carlo V a Tunisi e per il suo valore fu nominato governatore di La Goletta. Tornato a Cagliari, divenne in breve il capo riconosciuto della consorteria che si opponeva al viceré Cardona e agli Arquer. L’impegno politico non lo distrasse dalla sua attività di compravendita di feudi e continuò a guadagnare ingenti somme. Al culmine della potenza, fece trasferire le ossa dei suoi antenati nella cappella della Speranza che la famiglia possedeva dal secolo precedente; negli ultimi anni di vita dovette far fronte al malcontento dei suoi vassalli. Aymerich, Salvatore2 Conte di Villamar (Cagliari 1634-ivi 1708). Amico di Bernardino Mattia Cervellon, ne sostenne l’azione politica subito dopo l’assassinio del Camarassa, per cui fu arrestato e mandato in esilio in Spagna dal viceré duca di San Germano. Ottenne la grazia nel 1676 e nel 1680 combatté contro i ribelli in Catalogna. Aymerich, Silvestro Secondogenito del conte Ignazio (Cagliari 1647-Isola Rossa 1671). Amante di Francesca Zatrillas, tre mesi dopo l’assassinio di Agostino di Castelvı̀ la sposò, sicché unitamente alla moglie fu accusato di averne provocato la morte. Prese parte alla congiura contro il vicerè Camarassa e dopo il suo assassinio fu co- 355 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 363 Ayres stretto a fuggire a Nizza. Nel 1671 seguı̀ il marchese di Cea nell’infelice tentativo di ritorno in Sardegna, ma fu ucciso a tradimento nell’Isola Rossa. Ayres, Pietro Pittore (Cagliari 1805-Torino 1880). Lasciata la città natale, studiò all’Accademia di Belle Arti di Torino fino al 1829. Nel 1830 si stabilı̀ a Firenze, dove studiò incisione. Nel 1832 si trasferı̀ nuovamente a Torino, facendosi conoscere per i suoi disegni, dei quali in particolare vanno ricordati quelli dell’Armeria reale, che raccolse col titolo Armeria di S.M. Carlo Alberto, stampato nel 1840. Nel 1836 disegnò alcune tavole per Galleria Illustrata di Roberto d’Azeglio e nel 1837 ne eseguı̀ alcune altre per il Dizionario biografico sardo degli uomini illustri di Pasquale Tola. Nel 1845 divenne socio ordinario dell’Accademia Albertina e nel 1851 vi fu chiamato come professore. Azara, Antonio Giurista (Tempio 1883Roma 1967). Dopo la laurea in Giurisprudenza entrò nella carriera giudiziaria e fu destinato a Genova. Nel 1919 fu chiamato a Roma al Ministero e si dedicò alla ricerca. Nel 1928 entrò a far parte dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, collaborando con Mariano D’Amelio. Negli stessi anni fu autore di numerosi e importanti studi giuridici; nel 1931 fu nominato direttore del Massimario. Nel 1942 divenne presidente della seconda sezione della Cassazione; cattolico impegnato, caduto il fascismo fu eletto senatore per la DC dalla I alla IV legislatura repubblicana nei collegi della Sardegna. Nella II legislatura fu ministro della Giustizia dal 1953 al 1955 nel governo Pella; in seguito rappresentò l’Italia nell’assemblea della Comunità europea e alle Nazioni Unite; morı̀ quando il suo quarto mandato parlamentare non era ancora scaduto. Azara, Maria Studiosa di tradizioni po- polari (Roma 1919-ivi 1946). Appartenente a una famiglia di magistrati di origine sarda, si laureò in Lettere nel 1940 alla ‘‘Sapienza’’ di Roma discutendo con Paolo Toschi una tesi sulle Tradizioni popolari della Gallura. Dalla culla alla tomba. Cosı̀ fu intitolato nel 1943 il volume con cui lo stesso Toschi volle inaugurare la sua collana di ‘‘Studi e testi di tradizioni popolari’’. «Siamo davanti a un lavoro organico, condotto con rigoroso metodo scientifico e che, pur essendo di una giovanissima, ci appare degno della maturità e della consumata perizia di un dotto», avrebbe scritto sulla ‘‘Nuova Sardegna’’ Salvator Ruju nel 1947. Purtroppo A. era morta l’anno precedente, a 27 anni. Il libro è stato riproposto in edizione anastatica nel 2005 con una introduzione di Andrea Mulas. Azaro, Giovanni Sacerdote (Sassari, seconda metà sec. XIV-ivi 1442). Era parroco di San Nicola di Sassari quando nel 1412 fu nominato arcivescovo di Torres dall’antipapa Giovanni XXIII; resse la diocesi fino al 1422. Azio Balbo, Marco Nonno materno di Augusto (sec. I a.C.). Fu propretore in Sardegna, probabilmente nell’anno 60 a.C., e venne più tardi ricordato da Ottaviano attraverso la coniazione di monete che rappresentano nel dritto la sua effigie e la legenda M. Attius Balbus pr. e nel verso l’effigie del Sardus Pater con la legenda Sard(us) Pater. L’emissione avvenne probabilmente dopo il 38, quando Sesto Pompeo perse la Sardegna e Ottaviano poté occuparla grazie al tradimento di Menodoro, legato di Sesto: la moneta tende a esaltare propagandisticamente la famiglia di Ottaviano e il suo legame con il dio nazionale dei Sardi, venerato nel Sulcis. [ESMERALDA UGHI] Aznar, Andrea Religioso (Saragozza, prima metà sec. XVII-Jaca, Spagna, 356 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 364 Azuni dopo 1671). Agostiniano, si fece notare come maestro di Teologia e nel 1663 fu nominato vescovo di Alghero. Resse la diocesi con grande impegno e nel 1671 fu trasferito nella sede di Jaca, dove morı̀ poco dopo . Azuni Tipografia attiva a Sassari dal 1872 al 1899. Fondata nel 1872 dall’avvocato Luigi Piga fu poi proprietà di Luigi Calchapuz e di Lodovico Manca (1888). L’ultimo direttore, il milanese Giovanni Gallizzi, la rilevò nel 1889. Creata per stampare il primo quotidiano sassarese, ‘‘La Gazzetta di Sassari’’ (1872-1877), stampò anche altri periodici, come ‘‘La Stella di Sardegna’’ (fondato e diretto da Enrico Costa, uscı̀ in diverse riprese per sette anni fra il 1875 e il 1886), e altri quotidiani, come il ‘‘Gazzettino sardo’’, diretto dallo stesso Costa, e ‘‘La Sardegna’’, fondato dall’on. Giuseppe Giordano Apostoli, che uscı̀ dal 1882 al 1892 (ma a quel momento aveva da tempo una tipografia propria). Secondo gli studi di Tiziana Olivari, pubblicò circa 200 titoli, il più famoso dei quali fu il primo volume del Sassari di Enrico Costa, edito nel 1885. Azuni, Domenico Alberto Giurista (Sassari 1749-Cagliari 1827). Figlio del farmacista Juan Asuny, italianizzò il proprio cognome quando si trasferı̀ a Torino. Studiò presso gli Scolopi e si laureò in Giurisprudenza nel 1772 nell’Ateneo sassarese, dove ebbe per maestri gli illustri gesuiti Francesco Gemelli, Angelo Berlendis, Giuseppe Gagliardi. Esercitò per qualche tempo l’avvocatura prima a Sassari poi, dal 1774, a Torino. Qui nel 1777 entrò nell’amministrazione delle Finanze: nel 1780 fu viceintendente generale a Nizza e nel 1782 giudice del Consolato del commercio in quella città. Da questo momento data il suo interesse per il diritto del commercio e in particolare del diritto marittimo, che ispirerà le sue opere maggiori. La favorevole accoglienza del suo Dizionario universale ragionato della giurisprudenza mercantile, pubblicato a Nizza in 4 volumi fra il 1786 e il 1788, gli procurò la nomina a senatore del Regno e l’incarico da parte di Vittorio Amedeo III di scrivere il codice marittimo del Regno (il progetto, però, dovette essere abbandonato per l’incalzare degli eventi politici e militari). Nel 1792, sotto l’avanzata francese, dovette abbandonare Nizza e rifugiarsi a Torino con la moglie (da cui dopo qualche tempo si sarebbe separato). Accusato di giacobinismo, a Torino non riuscı̀ trovare un impiego, e cosı̀ iniziò un lungo pellegrinaggio per l’Italia, bene accolto dagli studiosi e iscritto a diverse Accademie, ma sempre assillato dal bisogno. Un più lungo soggiorno a Firenze e l’incontro con un mecenate toscano gli permisero di dare alle stampe la sua opera più importante, il Sistema universale dei principii del diritto marittimo dell’Europa, pubblicato in due volumi a Parigi fra il 1795 e il 1796. Mentre il Dizionario era «un grande repertorio aggiornatissimo e informatissimo sulla legislazione, usi, dottrine, giurisprudenza di tutta l’Europa» (cosı̀ F. Liotta nella voce del Dizionario biografico degli Italiani), il Sistema ricapitolava il diritto marittimo internazionale prima in una sintesi storica e quindi in una acuta trattazione posta sotto la luce «del diritto delle genti universale», come scriveva. Dall’opera ricevette nuova fama e dalla Francia l’incarico di redigere la parte marittima del Code de commerce napoleonico. A quel punto si era trasferito a Parigi, dove ricevette la cittadinanza francese. Nel 1807 fu nominato presidente del tribunale d’appello di Genova e nel 1808 rappresentò la città come suo deputato 357 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 365 Azuni nel Corpo legislativo francese. Nel 1814, occupata Genova dagli inglesi, si ritirò a vita privata, affrontando un altro periodo di grande povertà. Nel 1819 Vittorio Emanuele I lo nominò giudice del Consolato del commercio di Cagliari e subito dopo, per interessamento del Manno, preside della Biblioteca Universitaria. Volle essere sepolto nella chiesa di Nostra Signora di Bonaria; sulla lapide della tomba (che doveva incontrare negli anni molte traversie) Lodovico Baylle lo definiva vir omnigena eruditione praestantissimus. Sassari gli dedicò una statua, opera del genovese Carlo Rubatto (1862) e gli intitolò il Liceo classico (1865). A. scrisse numerose altre opere, fra cui un Essai sur l’histoire géographique, politique et naturelle du royaume de Sardaigne, pubblicata a Parigi nel 1778 e rielaborata e ampliata in una Histoire (1802), fortemente criticata (in particolare dal padre T. Napoli) per essere in gran parte un centone di notizie attinte da altri libri italiani e stranieri sull’isola. L’opera fu tradotta in italiano da Giosue Muzzo, Sassari 1950, quando la società Sardamare intitolò all’A. la sua prima nave. Della ventina di sue opere, gran parte sono in francese, ciò ne facilitò la diffusione fra i lettori europei e contribuı̀, nei testi dedicati alla Sardegna, a far conoscere l’isola natale. Suoi inediti sono conservati nella Biblioteca Universitaria di Sassari. Azuni, Gerolamo Archivista (Cagliari 1794-ivi 1870). Uomo di notevole preparazione e di grandi qualità, provvide alla riorganizzazione dell’Archivio di Stato di Cagliari; nel 1848 fu eletto deputato per la I legislatura, ma l’elezione non fu convalidata. Nel 1865 compilò il primo elenco dei fondi dell’Archivio di Stato di Cagliari. Azzati, Antonio Editore-tipografo, libraio (Livorno, seconda metà sec. XVIII-Sassari 1825). La sua tipografia fu fondata nel 1799 come tipografia privilegiata, che aveva l’esclusiva della stampa e della vendita di libri scolastici, degli atti ufficiali della Reale Governazione e delle pubblicazioni dell’Università di Sassari. Alla sua morte (1825) fu gestita dalla vedova Caterina e quindi dai figli, sino al 1850. Sotto la direzione dell’ultimo di questi, Luigi, fu pubblicato il periodico ‘‘Il Promotore’’, fondato e diretto da Francesco Sulis, che uscı̀ per 8 numeri dal marzo all’ottobre 1840 e fu soppresso su ordine del viceré per essersi occupato di politica, esclusa al momento della concessione della licenza. Enrico Costa ricorda che nel 1844 lo stesso Luigi stampò «in bella edizione e gran formato di pagine 159» il Dizionario universale di Giurisprudenza mercantile di Domenico Alberto Azuni. Azzei, Giovanni Antioco Vescovo di Bisarcio-Ozieri dal 1804 al 1819, arcivescovo di Oristano dal 1819 al 1821 (Oristano 1761-ivi 1821). Ordinato sacerdote giovanissimo, dopo essersi laureato in Teologia a Cagliari si fece notare per le sue qualità e per la sua profonda cultura. Durante il suo soggiorno a Cagliari scrisse anche versi di un certo pregio, tra cui Nei solenni funerali di Vittorio Amedeo III, un panegirico stampato nel 1798. In seguito fu nominato canonico arborense e si trasferı̀ a Oristano dove per alcuni anni divenne vicario generale della diocesi; nel 1804 fu nominato vescovo della ricostituita diocesi di Bisarcio-Ozieri che resse fino al 1819, anno in cui fu nominato arcivescovo di Oristano. [MASSIMILIANO VIDILI] Azzena, Antonio Alberto Giurista (n. Sassari 1938). Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza si è dedicato alla carriera universitaria. Ha insegnato presso l’Università di Sassari 358 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 366 Azzolina fino al 1985, anno in cui è stato chiamato a insegnare Diritto amministrativo all’Università di Pisa. Profondo studioso di diritto regionale, ha pubblicato sull’argomento importanti studi come Espansione delle autonomie territoriali e specialità dell’ordinamento sardo, 1979. Tra le altre sue opere: Coscienza autonomistica e sviluppo della ‘‘specialità’’. Verso un nuovo rapporto Stato-Regione sarda, in Autonomismo regionale: ideologia, politica, istituzioni, 1981; Servizi socio-sanitari nella regione Toscana, 1981; I rapporti di cooperazione transfrontaliera nelle regioni ad autonomia speciale, ‘‘Bolentino degli interessi sardi’’, XXXVII, 2, 1983. Dal novembre 1992 al settembre 1994 è stato assessore regionale tecnico alla Pubblica Istruzione. Azzena, Giovanni Archeologo (n. Sassari 1958). Laureato all’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma, si è specializzato in Topografia e Urbanistica del Mondo classico. Ha frequentato la Scuola per Aerofotointerpreti dell’Aeronautica militare. Dottore di ricerca nell’Università di Bologna, è professore associato di Topografia antica nella Facoltà di Architettura di Alghero dell’Università di Sassari. Tra i suoi scritti: Atri, forma urbanistica, 1987; Tancas serradas a muros. Tracce di incomunicabilità nel linguaggio archeologico, ‘‘Archeologia e calcolatori’’, 2004; Il territorio: sistemi di comunicazione e infra- strutture, in Atlante del Lazio antico, 2004. Dal 2007 è soprintendente reggente delle Soprintendenze archeologiche di Cagliari e Sassari. Azzena, Mario Avvocato, assessore regionale (Sassari 1889-Roma 1952). Figlio di Salvatore, importante industriale molitorio ed esponente del gruppo garavettiano, alla ripresa della vita democratica dopo la caduta del fascismo prese parte al dibattito politico dalle colonne de ‘‘L’Isola’’. Conoscitore profondo dei problemi dei trasporti e del commercio, contribuı̀ a fondare a Sassari la società Sardamare e nel 1951 fu nominato assessore regionale tecnico ai Trasporti nella seconda giunta Crespellani. Azzolina, Liborio Insegnante (Piazza Armerina 1872-Cagliari 1958). Studioso di letteratura italiana, si trasferı̀ a Cagliari nel 1911, dedicandosi all’insegnamento di italiano e latino al Liceo ‘‘Dettori’’. Libero docente in Letteratura italiana, durante la seconda guerra mondiale fu incaricato della cattedra presso l’Università di Cagliari. Fu autore di accurati studi di letteratura pubblicati su diverse riviste specializzate, tra i quali: I canti di Tullio Marcialis, ‘‘Il Nuraghe’’, I, 5, 1923; ‘‘Aurora sarda’’ di P. Casu, ‘‘Il Nuraghe’’, I, 8-9, 1923; Cagliari, ‘‘Il Nuraghe’’, III, 27, 1925. 359 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 367 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 368 B Baal Divinità ai vertici del pantheon fenicio (in fenicio B‘l). Originariamente si tratta di un appellativo semitico avente il significato di ‘‘possessore, signore, sposo’’. Benché la documentazione anteriore ne attesti l’uso anche come nome proprio nelle città della costa siro-palestinese e nelle colonie fenicie del Mediterraneo occidentale, tra cui la Sardegna, il termine designa una divinità di primaria importanza con caratteri ben definiti, legata ai fenomeni atmosferici e meteorologici. A Ugarit B. Saphon, dal nome di un monte della Siria settentrionale, è il figlio di Dagan e regna come dio della tempesta, delle nuvole, dei lampi e dei tuoni. Un ulteriore aspetto della complessa figura divina lo caratterizza come dio della vegetazione che ritorna nel mondo dei vivi dopo aver sconfitto Môt (la Morte) in conformità alle credenze connesse con gli annuali cicli di morte e rinascita della natura. Come dio supremo di pantheon locali appare associato a dei toponimi e luoghi di culto come B. di Sidone e B. del Libano. Numerosi attributi definiscono infine le varie prerogative del dio e contribuiscono a evidenziare la complessità del politeismo di origine fenicia: B. Addir, B. Hammon e B. Shamem (=) furono venerati nelle principali città del Le- vante e dell’Occidente punico. [MICHELE GUIRGUIS] Baal Addir Divinità fenicia (in fenicio B‘l ’dr ‘‘Signore potente’’). Attestato a Biblo sul finire del secolo VI a.C. e più diffusamente nell’Africa del Nord, dove il culto prosegue fino a età ellenistica e alla prima età romana. Spicca senza dubbio il carattere agrario e conseguentemente ctonio del culto tributato alla divinità. In Sardegna il dio è associato al mondo dell’oltretomba e si trova menzionato in un’iscrizione incisa su una coppa d’argento rinvenuta nel tofet di Sulci, l’attuale Sant’Antioco. [MICHELE GUIRGUIS] Baal Hammon Divinità fenicia (in fenicio B‘l hmn). La vocalizzazione del nome si desume dalle trascrizioni greche e latine di epoca tarda e di ambito nordafricano. A Tiro attorno al secolo VI a.C. appare menzionato assieme al dio Baal Saphon. L’etimologia del termine hmn è stata ricondotta al nome del monte Amanus nella Siria settentrionale, dove il dio avrebbe avuto un importante santuario. Un’ipotesi alternativa tende a riconoscervi il ‘‘Signore della cappella domestica’’ o il ‘‘Signore dell’altare dei profumi’’. Massima divinità del santuario tofet, assieme alla dea Tinnit, ‘‘volto/manifestazione di Baal’’, è il referente privilegiato delle numerose iscrizioni rinvenute nelle 361 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 369 Baal Shamem aree sacre della Sardegna, della Sicilia e del Nord Africa. In età romana le peculiari prerogative del dio vengono trasposte nella figura del Saturno africano la cui venerazione godrà di una grande diffusione nell’Africa romanizzata. Anche grazie all’identificazione con questa ultima divinità è stato possibile evidenziare il carattere agrario del culto tributato al dio B.H. cosı̀ come le testimonianze provenienti dai tofet punici lo caratterizzano, interlocutore preferenziale delle aspettative dei fedeli. [MICHELE GUIRGUIS] importante documento scoperto in Sardegna. Un’iscrizione del secolo IV a.C., incisa su dolomia e rinvenuta a Cagliari in località Stampace nel 1877, attesta l’esistenza di un tempio dedicato l’dn lb’šmm b ’ynsm ‘‘Al Signore dei Cieli (che è) nell’Isola degli Sparvieri’’, localizzabile presso l’abitato di Carloforte nell’odierna isola di San Pietro, dove recenti indagini archeologiche iniziano a restituire le prime testimonianze rapportabili alle fasi arcaiche dell’insediamento. In questo caso il nome della divinità è reso nella forma contratta b’šmm ‘‘Bashamem’’. A Cartagine, in una lunga iscrizione, l’invocazione al dio si trova in testa a un gruppo formato da altre tre figure divine di importanza primaria sebbene ciò non costituisca una prova inoppugnabile di una accordata supremazia all’interno del pantheon metropolitano. Sempre da Cartagine si ha notizia dell’esistenza di specifici sacerdoti addetti al culto della divinità. Nel Poenulus di Plauto è pronunciata, dal personaggio di Annone, l’esclamazione Balsamen a conferma della notevole diffusione del culto anche nella sfera della religiosità popolare. [MICHELE GUIRGUIS] Babaieca Termine con cui venivano in- Baal Hammon – Statuetta in terracotta del dio in trono. (Sec. IVa.C.; dal santuario reale di Thinissut, Tunisia) Baal Shamem Divinità di origine orientale (in fenicio B‘l šmm ‘‘Signore dei Cieli’’) venerata sin dal II millennio a.C. in Anatolia e nella costa siro-palestinese, il cui culto si diffuse nel I millennio a.C. in maniera capillare soprattutto in ambito aramaico e fenicio. Il culto prosegue in epoca più tarda e in ambito coloniale, come si evince da un dicati i dirupi dai quali, secondo un’antica tradizione, in un’uccisione rituale venivano precipitati i genitori una volta diventati vecchi e inutili. Babay Suprema divinità maschile dei nuragici: un dio salvifico, benefattore e cacciatore il cui culto si mantenne anche nell’estrema fase del declino della civiltà nuragica. Il culto di B. in età sardo-punica si fuse con quello di Sid, figlio di Melquart, divinità salvifica e cacciatrice, che nel pantheon punico è posta subito dopo Baal e Tanit; cosı̀ si strutturò il culto di Sid Babay, il Sardus Pater del tempio di Antas. 362 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 370 Bacallar 1703 conferı̀ a Vincenzo il titolo di marchese di San Filippo e di visconte di Fuentehermosa. Con lui la famiglia si estinse e i titoli furono ereditati dagli Amat. Bacallar, Anastasio Gentiluomo (Cagliari 1596-ivi 1621). Figlio di Pietro, sposato giovanissimo a una Manca di Sassari, ottenne l’ufficio di reggente la Reale Tesoreria e sembrava destinato a una brillante carriera amministrativa quando nel 1621 morı̀ improvvisamente a soli 25 anni. Bacallar – Fra i Bacallar il più celebre fu probabilmente Andrea, il vescovo di Alghero e arcivescovo di Sassari. Qui lo stemma familiare. Bacallar Famiglia che secondo una tradizione non documentabile comparve a Iglesias nel corso del secolo XIV, le cui notizie genealogicamente certe però risalgono al secolo XV con un Michele capitano di cavalli. Suo nipote Vincenzo si trasferı̀ a Cagliari e nel 1541 ottenne la cittadinanza di Cagliari; era un personaggio di rilievo, fratello di Andrea che fu nominato arcivescovo di Sassari nel 1604. I suoi nipoti ottennero il cavalierato ereditario nel 1598 e nel corso del secolo XVII ricoprirono ripetutamente l’ufficio di tesoriere reale e si imparentarono con alcune famiglie dell’aristocrazia. Nel corso del secolo XVII i B. furono ammessi allo Stamento militare e presero parte all’attività dei parlamenti; scoppiata la guerra di successione spagnola rimasero fedeli a Filippo V, che nel Andrea Bacallar – Vescovo di Alghero e arcivescovo di Sassari, fu all’inizio del Seicento uno dei sostenitori del cosiddetto ‘‘primato’’ della Chiesa sassarese. Bacallar, Andrea Religioso (Cagliari, prima metà sec. XVI-Sassari 1612). Vescovo di Alghero dal 1578 al 1604, arcivescovo di Sassari dal 1604 al 1612. Studiò a Roma nel Collegio Ungarico e fu ordinato sacerdote. Tornato a Cagliari, divenne decano del capitolo e per le sue qualità fu nominato vescovo di Alghero nel 1578. Governò la diocesi fino al 1604 promovendo l’insediamento dei Gesuiti ad Alghero e l’adegua- 363 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 371 Bacallar mento del clero alle direttive del concilio di Trento. Nel 1604 fu nominato arcivescovo di Sassari; insediatosi nell’archidiocesi, proseguı̀ l’opera di riforma del clero e sostenne i Gesuiti. Scoppiata la controversia sul primato con l’archidiocesi di Cagliari, divenne uno dei maggiori sostenitori del primato dell’archidiocesi turritana, ottenendo nel 1606 che la Sacra Rota si occupasse della questione. Uomo di profonda cultura, tradusse le opere di San Giovanni Damasceno dal greco in latino. [MASSIMILIANO VIDILI] 1563 fu nominato luogotenente del maestro razionale. Bacallar, Paolo Vincenzo Uomo politico (Cagliari, seconda metà sec. XVIISpagna, dopo 1700). Fratello di Vincenzo IV, uomo di grande abilità politica, nel 1692 divenne governatore del Capo di Sassari e del Logudoro. Resse l’ufficio fino al 1696; in seguito, scoppiata la guerra di successione spagnola, poiché rimase fedele a Filippo V fu costretto a fuggire in Spagna dove morı̀ alcuni anni dopo. Vincenzo Bacallar – Diplomatico, scrisse la storia della Guerra di successione spagnola, che aveva vissuto da vicino. Disegno di P. Ayres per il Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna di Pasquale Tola (18371838). Bacallar, Pietro Gentiluomo cagliaritano (Cagliari, seconda metà sec. XVIivi 1596). Figlio di Vincenzo I, uomo di profonda e raffinata cultura raccolse l’eredità dello zio monsignor Andrea e del grande giurista Agostino Gualbes, zio di sua moglie Guiomar, formando cosı̀ il primo nucleo della grande biblioteca di famiglia. Morı̀ ancor giovane a Cagliari nel 1596. Bacallar, Vincenzo I Gentiluomo (Iglesias, fine sec. XV-Cagliari?, dopo 1563). Uomo di grande cultura, probabilmente laureato, entrò nell’amministrazione finanziaria del regno e, sposata una Dedoni, si trasferı̀ a Cagliari dove nel 1541 ottenne la cittadinanza. Nel 1551 fu nominato ricevitore del Riservato e per le sue qualità nel 1554 fu eletto secondo consigliere della città; frattanto la sua carriera nell’amministrazione finanziaria proseguı̀ e nel Bacallar, Vincenzo II Religioso (Cagliari, seconda metà sec. XVI-ivi 1623). Vescovo di Bosa dal 1615 al 1623. Nipote di Andrea, nel 1591 divenne dottore in utroque a Pisa e l’anno successivo sacerdote; fu nominato canonico a Cagliari, dove divenne decano del capitolo negli anni in cui il confronto con Sassari per il primato si fece più teso, scontrandosi spesso con lo zio Andrea. Nel 1615 fu nominato vescovo di Bosa. [MASSIMILIANO VIDILI] Bacallar, Vincenzo IV Letterato e diplomatico (Cagliari 1669-L’Aia 1726). Compiuti gli studi nella sua città, nel 1702 fu inviato a Madrid per perfezionarsi e qui ebbe modo di mettersi in luce soprattutto per le sue capacità e per la sua grande cultura. Tornato in Sardegna nel 1703, nominato capitano delle Torri e, poco dopo, governatore 364 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 372 Bacaredda del Capo di Cagliari, fu subito coinvolto nelle fazioni che dividevano l’aristocrazia sarda negli anni della guerra di successione spagnola. Quando il conflitto entrò nel vivo, egli si schierò nel partito favorevole a Filippo V per cui, dopo l’invasione austriaca, nel 1708 fu costretto a fuggire a Madrid dove incontrò gli altri altri fuorusciti. A corte ottenne credito e nel 1710 ispirò l’infelice tentativo di riconquista della Sardegna; negli stessi anni si fece notare negli ambienti letterari della capitale. Fallita l’impresa sarda, tornò a corte distinguendosi per le sue capacità diplomatiche; nel 1714 fece parte della delegazione che trattò la pace di Utrecht, successivamente fu nominato ambasciatore a Genova. Nella nuova sede, informato dal cardinale Alberoni dell’imminente spedizione in Sardegna, si adoperò per facilitare il ritorno dell’isola alla Spagna. Fallita la spedizione, egli continuò la sua missione a Genova divenendo negli anni successivi un punto di riferimento della politica spagnola in Italia. Nel 1725 il re lo inviò come ambasciatore in Olanda ma morı̀ improvvisamente all’Aia nel 1726. Scritti principali: Los Tobias, edito a Madrid nel 1709, Comentarios de la guerra de España y Historia del rey Phelipe V el Animoso desde el principio de su reynado hasta la paz general del año de 1725, pubblicato a Genova nel 1725. Bacallar, Vincenzo Anastasio III Gentiluomo (Cagliari 1621-ivi 1650). Figlio di Anastasio, educato da sua madre e sua nonna, succedette al padre nell’ufficio di reggente la Reale Tesoreria. Uomo dotato di grandi capacità, rese notevoli servizi all’amministrazione reale durante i moti napoletani e fu ammesso, primo della famiglia, allo Stamento militare (= Stamenti). Prese parte ai lavori del parlamento Avel- lano e fu nominato cavaliere di Santiago; purtroppo però anche lui morı̀ giovanissimo nel 1650 a soli trent’anni. Bacaredda Famiglia cagliaritana di origine ligure (sec. XVIII-esistente). Le sue notizie risalgono alla fine del secolo XVIII; di condizione borghese i B. nel corso del secolo XIX raggiunsero una posizione ragguardevole esprimendo alcune distinte personalità tra cui Ottone, uno dei più grandi sindaci di Cagliari. Suo figlio Efisio fu brillante prefetto di carriera, e dopo il 1930 ottenne la nobiltà e fissò stabilmente la famiglia nella penisola. Attualmente i B. sono rappresentati dai discendenti dei figli di Efisio, Aldo e Mario. Bacaredda, Antonio Funzionario, letterato (Cagliari 1823-Napoli 1904). Compiuti gli studi, entrò nell’amministrazione delle dogane e percorse una brillante carriera in diverse città del continente, giungendo fino al grado di dirigente superiore del Ministero delle Finanze. Il suo lavoro non gli impedı̀ di dedicarsi alla letteratura; ispirandosi allo Scott e al Manzoni scrisse numerosi drammi storici e alcuni romanzi storici di successo che ne fecero un precursore rispetto agli altri romanzieri sardi che si dedicarono allo stesso genere. Scritti principali: I misteri e un giuramento, dramma, 1847; Pier Maria, dramma, 1848; Il mago, melodramma giocoso, 1856; Angelica, novella sarda, 1862; La crestaia, 1864; Paolina, racconto, 1869; Monografia sulla musica, ‘‘Rivista europea’’, 1870; Vincenzo Sulis, bozzetto storico, 1871; Il bene dal male, racconto, ‘‘Rivista europea’’, 1871; Sull’individualismo, ‘‘Rivista europea’’, 1874; Sull’orlo dell’abisso, 1881; La Sardegna sotto il reggimento del Piemonte e dell’Italia, ‘‘Avvenire di Sardegna’’, 1882; Nuvoloni, 1887; Religione e politica, 1903. 365 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 373 Bacaredda Bacaredda, Efisio1 (noto con lo pseud. Emilio Bonfis) Scrittore (Cagliari 1824-ivi 1884). Padre di Ottone, scrisse preferibilmente sotto lo pseudonimo di Emilio Bonfis. Completati gli studi, entrò nell’amministrazione delle finanze percorrendo una brillante carriera che lo portò a risiedere per anni a Genova e a Firenze. Gli impegni di lavoro non gli impedirono di dedicarsi all’attività letteraria pubblicando alcune opere di narrativa e di carattere storico. Morı̀ dopo essere tornato nella sua città. Il suo scritto principale è Cagliari ai miei tempi, 1884. Bacaredda, Efisio2 (o Ottorino) Musicista (Cagliari 1884-ivi 1950). Figlio di Ottone, conseguita la laurea in Legge entrò nella carriera del Ministero dell’Interno. Fu in diverse sedi tra cui Lucca, Pavia, Parma, Napoli e raggiunse il grado di prefetto. Uomo di grande sensibilità musicale, fu anche un ottimo pianista e si esibı̀ spesso in concerti pubblici in diverse città d’Italia. Bacaredda, Ottone Avvocato, uomo politico (Cagliari 1849-ivi 1921). Sindaco di Cagliari, deputato al Parlamento. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza nel 1871, fece le sue prime esperienze letterarie e si affacciò al mondo politico facendosi notare per le sue qualità di oratore. Nel 1877 iniziò a insegnare diritto all’Università e fece i primi passi in politica; fu eletto consigliere comunale nel 1886, l’anno successivo fu nominato assessore nella giunta di Emanuele Ravot. Assessore fino al 1888, nel 1890 divenne sindaco, iniziando cosı̀ l’esperienza più significativa della sua vita. Rappresentante delle idee della borghesia emergente, il suo governo segnò la rottura definitiva con il passato; tenne l’incarico ininterrottamente fino al 1902, capeggiando sei giunte e dominando la vita politica della città di cui guidò la tra- sformazione urbanistica e sociale. Al culmine del prestigio di amministratore, nel 1900, fu eletto deputato; non soddisfatto dell’esperienza, si dimise nel 1903 tornando a occuparsi dei problemi della città. Nel 1905 divenne nuovamente sindaco e nel 1906, coinvolto nello sciopero contro il carovita e i sanguinosi disordini che ne seguirono, sembrò vacillare per qualche tempo (di quei giorni lasciò memoria in un pamphlet ironicamente intitolato Ottantanove cagliaritano, 1909). Nel 1911 fu ancora eletto sindaco; tenne l’incarico fino al 1917 quando la città a causa della guerra venne amministrata da un commissario prefettizio. Rieletto sindaco nel 1920, morı̀ ancora in carica. Vasta è la sua produzione letteraria della quale è in corso una edizione critica. Numerosi furono i suoi studi di carattere politico: alcuni, oltre che testimoniare della sua passione politica, sono utili documenti per la storia cagliaritana del secondo Ottocento. Scritti principali: Le fortificazioni della Sardegna, ‘‘Avvenire di Sardegna’’, 1872; Cuore di donna, racconto, 1872; Un uomo d’onore, racconto, 1873; Roccaspinosa, 1874; La donna di fronte alla legge penale, 1877; L’amico d’Infanzia, 1879; Bozzetti sardi, 1881; La libertà civile nelle legislazioni antiche e moderne, 1882; Elementi di diritto commerciale, 1883; Casa Carniola, 1884; Poesie dialettali, ‘‘Vita Sarda’’, 1891; Invito alle signore sarde a fare una bandiera per la corazzata ‘‘Sardegna’’, 1891; I nostri maestri, ‘‘La stella di Sardegna’’, VII, 13, 1886; Inaugurandosi il vessillo del circolo universitario di Cagliari, 1904; Nel giubileo della società degli operai, 1905; Il movimento operaio e il nuovo diritto, in Le nozze d’oro della società operaia di Cagliari, 1905; La politica del buon mercato nella storia economica della Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’, 366 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 374 Bacco 1909; L’Ottantanove cagliaritano. Note di cronaca, Valdés 1909; Discorso al consiglio provinciale, 1910; Lettera a proposito della ‘‘Canzone della Diana’’ di Gabriele D’Annunzio, ‘‘L’Unione sarda’’, 1911; Relazione del sindaco Ottone Bacaredda sull’opera dell’amministrazione comunale di Cagliari, 1914; La gioia di vivere, 1922. Bacciameo di Maglio Giureconsulto pisano (sec. XIII). Con Simone Martelli e Baccio Gondulini nel 1319 scrisse, su incarico dei consoli del castello di Castro, il capitolo sui noli marittimi che fu aggiunto al Breve del porto di Cagliari. Bacciu, Filippo Religioso (Buddusò 1838-Ozieri 1914). Vescovo di BisarcioOzieri dal 1896 al 1914. Uomo di profonda spiritualità, dopo essere stato ordinato si laureò in Teologia a Sassari nel 1863 e in Filosofia a Firenze; tornato in Sardegna, insegnò per molti anni presso il Seminario di Sassari. Nel 1875 fu nominato canonico della cattedrale di Ozieri e nel 1896 vescovo della diocesi. Diede impulso alle opere di carità e fondò una congregazione di religiose che da lui presero il nome di suore Filippine. [MASSIMILIANO VIDILI] Bacco, Carlo Prefetto di Cagliari (Correzzola 1841-?, dopo 1906). Laureato in Giurisprudenza, intraprese la carriera di funzionario del Ministero degli Interni. Dalla sede di Cuneo fu destinato a quella di Cagliari nell’ultimo quarto del secolo XIX, e da qui per molti anni fu attento osservatore dei problemi dell’isola. Dal 1893 al 1894 – in concomitanza con il dibattito intorno all’incarico affidato da Crispi al deputato Francesco Pais Serra di redigere una relazione sulle condizioni della sicurezza in Sardegna e sui suoi problemi – fu prefetto di Cagliari, e nel 1898 si fece promotore di una proposta di legge speciale per la Sardegna che ebbe un discreto successo e fece discutere a lungo; resse l’ufficio fino al 1895 quando fu destinato a Rovigo. Nel 1906, da prefetto di Macerata, fu collocato su sua richiesta a riposo. Scritti principali: Miglioramento agricolo ed igienico della Sardegna, 1894; Proposta di una legge speciale su pubblici lavori pel miglioramento agricolo e igienico della Sardegna, 1894. Bacco, Ginetto Archeologo (n. Busachi 1943). Divenuto funzionario della Soprintendenza archeologica di Cagliari si è dedicato con passione alla ricerca. Dal 1963 al 1968 ha lavorato con Vincenzo Santoni a Serucci, negli anni successivi ha preso parte a numerosi altri scavi: nel 1978 ha diretto con la Mongiu gli scavi di viale Trieste a Cagliari. Dal 1982 al 1986 ha scavato l’importante nuraghe Piscu di Suelli. Scritti principali: Busachi paese antico, ‘‘Frontiera’’, 1970; L’isolato A del villaggio nuragico di Seruci-Gonnesa. Lo scavo della capanna n. 5 (con Vincenzo Santoni), in Un millennio di relazioni tra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987; Lo scavo del nuraghe Candala di Sorradile. Saggio preliminare. L’indagine stratigrafica (con Vincenzo Santoni), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 4, 1988; L’isolato A del villaggio nuragico di Seruci-Gonnesa. Lo scavo dei vani 3 e 6 (con Vincenzo Santoni), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 5, 1989; Soleminis. Documenti materiali di Età nuragica (con Vincenzo Santoni), in Soleminis un paese e la sua storia, 1991; Il complesso nuragico di Su Monte in territorio di Sorradile (con Vincenzo Santoni), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeolo- 367 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 375 Baccu Locci gica per le province di Cagliari e Oristano’’, 8, 1991; L’orizzonte neolitico superiore di Cuccuru S’Arriu di Cabras (con Vincenzo Santoni e D. Sabatini), in La cultura di Ozieri. La Sardegna e il Mediterraneo tra il IV e il III millennio a.C., 1997; Forum Traiani: il contesto termale e l’indagine archeologica di scavo (con P.B. Serra), in L’Africa Romana. Atti del XII Convegno di studi, 1998. che sfruttò i giacimenti fino al 1927. Negli anni successivi la miniera rimase inattiva per cui nel 1933 la concessione fu revocata alla società francese; nel 1935 però due imprenditori romani ottennero il permesso di sfruttare l’arsenico. Quando i due si apprestavano a iniziare le loro attività, nel 1938 la concessione fu data alla Rumianca che, eliminati i due concorrenti, aprı̀ tre nuovi cantieri per l’estrazione dell’arsenico. Nell’immediato dopoguerra li potenziò attivando anche un impianto di flottazione; nel 1952 fu messa in opera una teleferica per facilitare il trasporto del materiale. Intanto cominciavano a manifestarsi delle perplessità sui metodi di lavorazione e ben presto ne fu denunciata la pericolosità; lo sfruttamento procedette però fino al 1965, quando l’impianto fu abbandonato. Baccu Locci – Miniera di piombo e arsenico nel salto di Quirra, fu scoperta all’inizio dell’Ottocento e sfruttata a partire dalla seconda metà del secolo. Baccu Talentinu Miniera di piombo e Baccu Locci Miniera di piombo e di arsenico situata nel salto di Quirra alle pendici del monte Cardiga; fu individuata nel 1812 dal sacerdote Carlo Negretti, che vi scoperse anche tracce di una precedente utilizzazione risalente al periodo romano. Il suo sfruttamento iniziò nel 1866 a opera della società Sardo Belga che aprı̀ gli impianti nelle località di Su Spilloncargiu e di Su Spinosu per avviare lo sfruttamento dei giacimenti di blenda e galena che vi si trovavano. Nel 1873 la miniera passò alla società dei De Laminne, che però organizzò male i cantieri per cui gli impianti furono ceduti nel 1896 all’ingegner Emilio Jacob che già possedeva alcune altre miniere in Sardegna. Egli però cedette quasi subito la miniera a una società francese, la Compagnia Francese delle Miniere del Laurium, rame situata in Ogliastra nei territori del comune di Tertenia; le ricerche nel sito ebbero inizio nel 1870 a opera della Società di Lanusei che diede inizio anche alle attività di coltivazione. Nei decenni successivi la miniera continuò a essere sfruttata e progressivamente estese il raggio di intervento, giungendo al suo massimo sviluppo nel secondo dopoguerra quando arrivò a occupare fino a 200 operai. L’attività si interruppe negli anni Settanta del Novecento. Bachisio, san (in sardo, Santu Bachis) Santo (m. 303?). Origini aristocratiche, alto ufficiale dell’esercito, al servizio di Massimiano. Diventato cristiano, denunciato nel 303, non volle sacrificare agli dei, venne degradato e condotto per la città in abiti femminili. Fatto arrestare dal prefetto Antioco, dopo essere stato torturato con catene, sferze e altri tormenti, fu decapitato. Un’altra leggenda lo vuole martire a 368 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 376 Bacu Abis Barbalisso, città siriana sulle sponde dell’Eufrate, il 6 ottobre del 295. Suo compagno di fede e di martirio, Sergio. Entrambi sepolti nella chiesa di Sergiopoli in Siria. Ed entrambi patroni dell’esercito per i Bizantini, i quali per primi diffusero il culto dei santi militari, guerrieri, campioni nel difendere la fede. San Bachisio non è riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, il nome è proprio dell’area nuorese. [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Bolotana insieme a Sant’Isidoro. Festa Si festeggia il 10 maggio a Bolotana e Loceri (dove viene festeggiato anche il 5 ottobre), la seconda domenica di maggio a Telti e Tempio Pausania, il 28-29 maggio a Onanı̀. Bacor Antico villaggio di origini medioevali. Situato nel giudicato di Gallura, faceva parte della curatoria di Balariana. Estinta la dinastia dei Visconti, il villaggio venne in possesso del Comune di Pisa che lo fece amministrare da propri funzionari. La loro eccessiva fiscalità creò un notevole malcontento tra gli abitanti, gelosi custodi della propria autonomia. Iniziata la guerra di conquista, gli Aragonesi invasero il territorio e lo occuparono ma non riuscirono a piegare la sorda opposizione della popolazione; essi inclusero B. in un feudo riconosciuto ai Catoni che però, dopo la rivolta del 1325, furono cacciati da Sassari e privati del feudo. Nel 1330 il villaggio fu occupato dalle truppe di Raimondo Cardona e poco dopo passò a Catonetto Doria, erede dei Catoni. Egli si insediò nel possedimento ma nel 1332, scoppiata la guerra tra Genova e Aragona, gli abitanti si ribellarono nuovamente. In seguito B. visse momenti di grande confusione e cominciò a spopolarsi; dopo la nuova ribellione dei Doria del 1347, il re ritenne opportuno concedere tutto il ter- ritorio in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma quando il giudice Mariano suo fratello pretese da lui l’omaggio feudale, lo sventurato si rifiutò e per questo fu fatto incarcerare. B. continuò a soffrire a causa delle continue guerre e si spopolò rapidamente entro il 1356. Bacu Antico villaggio di origine medioevale situato ai confini del territorio comunale di Dolianova con quello di Serdiana in località Cuccureddus; faceva parte del giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria di Dolia. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa che lo fece amministrare da suoi funzionari. Dopo la conquista aragonese, il villaggio nel 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1328 fu concesso in feudo a Clemente Salavert. Dopo la sua morte i discendenti nel 1342 lo vendettero a Giacomo Camos. Nel 1348 si spopolò quasi completamente a causa della peste; poco dopo il Camos cedette il villaggio, che aveva conservato una parte della propria autonomia e che annualmente eleggeva il suo majore, al fisco. Dopo la celebrazione del Parlamento del 1355, B. fu nuovamente concesso in feudo ai Montpavon, i quali, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV, non riuscirono a impedire che il villaggio fosse danneggiato dalle operazioni militari e si spopolasse completamente entro il 1373. Bacu Abis Centro abitato della provincia di Carbonia-Iglesias, frazione di Carbonia (da cui dista 12 km), con oltre 1800 abitanti, posto a 85 m sul livello del mare in un territorio di colline carbonifere dell’Iglesiente. Regione storica: Sulcis. Diocesi di Iglesias. 369 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 377 Bacu Abis & TERRITORIO Il territorio, collocato nella parte settentrionale di quello comunale, ai confini con Gonnesa e Iglesias, è costituito di colline piuttosto spoglie, ricoperte soprattutto di macchia mediterranea e gariga; è separato da quelle in cui sorge Carbonia dalla larga vallata del Cixerri. La frazione è collegata per mezzo di una bretella alla statale 126 nel tratto Iglesias-Carbonia, dalla quale a questa altezza si distacca la deviazione per il vicino litorale di Portoscuso. La stazione ferroviaria è a 5 km, a Barbusi (=), lungo la linea Cagliari-Carbonia. & STORIA Fin dagli inizi dell’Ottocento il territorio era conosciuto per le sue potenziali possibilità estrattive nel settore del carbone; ma la scoperta del bacino risale al 1851 ed è attribuibile a Ubaldo Millo che nel 1853 ebbe la prima concessione mineraria per B.A. Egli costituı̀ una società mineraria ma non fu in grado di avviare lo sfruttamento e nel 1873 cedette la concessione ad Anselmo Roux, che può essere considerato il vero fondatore dell’insediamento. Egli costituı̀ la Società Anonima della Miniera di B.A. e diede grande impulso allo scavo e allo sviluppo degli impianti riuscendo a concludere nel 1877 un contratto per la fornitura di carbone alle navi della Marina militare e collegandosi con la Monteponi, che utilizzava il carbone estratto nella miniera per i propri impianti. In questo periodo sorsero i primi capannoni per il ricovero degli operai e l’attività intorno alla miniera si fece continuativa e stabile. Nei decenni successivi il piccolo impianto continuò a essere produttivo; poi, a partire dal 1933, quando gli eredi del Roux cedettero la miniera alla Società Mineraria Carbonifera Sarda, il piccolo centro ebbe un deciso impulso di crescita. Nel 1935 il complesso fu con- trollato dall’Azienda Carboni Italiani e incluso nel piano per lo sviluppo urbanistico di Carbonia, inaugurata il 18 dicembre 1938. B.A., passato al nuovo comune da Gonnesa, cui faceva capo in precedenza, assunse in questi anni la fisionomia che attualmente ha, e il suo sviluppo fu programmato; furono anni di grande crescita dovuta alla politica autarchica del governo e alle necessità della guerra. Il villaggio assunse le caratteristiche di centro satellite rispetto a Carbonia, ma dopo la fine della seconda guerra mondiale subı̀ un rapido processo di spopolamento a causa della crisi delle miniere di carbone; gli impianti furono chiusi e il sistema socio-economico di B.A. divenne sempre più dipendente da quello di Carbonia; ancora nel 1981 contava circa 2000 abitanti, ma dagli anni che seguirono il processo di spopolamento non si è più arrestato, anche se per il carbone sardo sembra riaprirsi una stagione di speranze. & ECONOMIA La sua economia era basata sull’attività di estrazione della lignite nella vicina omonima miniera; con la grande crisi del settore e il fermo dell’attività estrattiva l’economia si è integrata con quella della vicina Carbonia ed è basata sui servizi. Servizi. La frazione è servita da autolinee per Carbonia ed è collegata alla rete stradale principale; dispone della guardia medica, della farmacia, della scuola dell’obbligo. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di impianti minerari dismessi; in particolare di grande effetto e importanza sono i resti del pozzo di caricamento dell’omonima miniera. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il suo assetto urbanistico è conseguenza della programmazione con la quale fu impostato lo sviluppo di Carbonia e ricorda quello della città ma- 370 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 378 Badas dre e della vicina Cortoghiana (=). Di particolare pregio la chiesa parrocchiale di Santa Barbara costruita nel 1938, con una sola navata, ingentilita da un portico esterno: stilisticamente, una libera rielaborazione di antichi modelli medioevali. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI L’unica festa che si riallaccia alle tradizioni minerarie del centro è quella di Santa Barbara, patrona dei minatori, che si celebra nella seconda domenica di agosto. Bacuri Antico villaggio di origine medioevale che sorgeva a poca distanza da Monti; faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria di Montacuto. Estinta la famiglia giudicale di Torres, fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura; alla fine del secolo XIII il villaggio fu occupato dalle truppe arborensi che sembrava dovessero poter arrivare a controllare l’intera regione. La situazione però mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’investitura; pur non rinunciando alle proprie aspirazioni, gli Arborea dovettero prendere atto della nuova situazione. Con l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si ribellarono al re, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea, allora alleato degli Aragonesi, conquistato e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 B. fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma quando Mariano IV divenne giudice, pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale e questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e per questo fu fatto arrestare da Mariano. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV, B. subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi. Badas, Ubaldo1 Architetto (Cagliari 1904-ivi 1985). È considerato uno dei maggiori tra gli architetti sardi del secolo XX. Dopo aver completato gli studi entrò come assistente nell’Ufficio tecnico del Comune di Cagliari dove lavorò per alcuni anni. Egli cosı̀ divenne l’artefice della sistemazione urbanistica della passeggiata del Terrapieno di Cagliari, dei Giardini Pubblici e della Palazzina della Galleria Comunale d’Arte, i cui lavori furono deliberati nel 1928 e portati a termine nel 1933; negli stessi anni portò a termine la cosiddetta ‘‘Casa del povero’’ in viale Fra Ignazio e la Scuola all’aperto ‘‘Mereu’’. A lui si deve inoltre il Sacrario ai caduti della via Sonnino; cessata la collaborazione con il Comune di Cagliari continuò a operare come libero professionista, progettando numerosi altri palazzi di Cagliari. Nel secondo dopoguerra operò a Sassari: a lui si devono la struttura del Padiglione dell’Artigianato e altri interessanti interventi. Ma il contributo dato alla nuova fase dell’artigianato sardo è rappresentato soprattutto dalla collaborazione con Eugenio Tavolara, col quale progettò e guidò per conto dell’ISOLA (Istituto Sardo per l’Organizzazione del Lavoro Artigiano) il rinnovamento dell’arte popolare isolana. Uomo dai molteplici interessi, collaborò anche a ‘‘Mediterranea’’ e a ‘‘Fontana Viva’’ e dipinse numerosi quadri, che però non volle mai esporre. Badas, Ubaldo2 Archeologo (n. Cagliari 1937). Ha lavorato con Enrico Atzeni durante gli scavi del nuraghe e del 371 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 379 Badesi villaggio di Genna Maria a Villanovaforru, diventando il suo principale collaboratore. Ha concorso ad allestire il laboratorio di restauro e Museo archeologico di Villanovaforru che attualmente dirige. Scritti principali: Ceramica nuragica, in Territorio di Gesturi. Censimento archeologico, 1985; Sommerso emerso. Rovine in archivio a Villanovaforru, in La memoria lunga. Le raccolte di storia locale dall’erudizione alla documentazione. Atti del Convegno di Cagliari 1984, 1985; I materiali nuragici, in Gesturi, 1985; Genna Maria Villanovaforru (Cagliari). I vani 10-18. Nuovi apporti allo studio delle abitazioni di Corte Centrale, in Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987; Villanovaforru (con Enrico Atzeni), in I civici musei archeologici nella provincia di Cagliari, 1988; Villanovaforru. Origine e finalità del Museo e degli annessi e Villanovaforru. Guida al percorso espositivo (con Enrico Atzeni, Annamaria Comella e Cecilia Lilliu), in L’Antiquarium arborense e i civici musei archeologici della Sardegna, 1988; Tomba ipogeica a Siddi loc. Scaba ’e Arriu (con E. Usai), in Atti del Congresso internazionale su l’Età del rame in Europa, Viareggio 1987, ‘‘Rassegna di Archeologia’’, VII, 1988; Il nuraghe Brunku Madugui di Gesturi: un riesame del monumento e del corredo ceramico, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 9, 1992; Edifici nuragici: le sopravvivenze archeologiche dell’aspetto originario e le proposte ricostruttive, in Esperienze e prospettive nel restauro delle costruzioni nuragiche, 1992. Badesi Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella II Comunità montana, con 1852 abitanti (al 2004), posto a 102 m sul livello del mare, sulle ultime propaggini delle colline galluresi affacciate sulla parte orientale del golfo dell’Asinara. Regione storica: Gemini. Diocesi di Tempio-Ampurias. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 27,38 km2 . Ha forma grosso modo rettangolare e confina a nord col mare e col territorio di Trinità d’Agultu; a est ancora con Trinità e Aggius, a sud con Aggius e Valledoria, a ovest con Valledoria e col mare. La natura granitica del suolo è più evidente nella parte collinare della regione, mentre nella parte costiera predominano le sabbie, che danno vita anche a una zona di dune ricoperte di macchia e a una spiaggia che si allunga sino alla foce del Coghinas; nella piana che lambisce la riva del Coghinas si trovano terreni alluvionali, molto fertili e adatti all’agricoltura. Il paese è attraversato dalla strada secondaria che proviene dall’interno, attraversando Viddalba e alcune frazioni; da questa prende l’avvio anche un collegamento con Trinità d’Agultu; ma la strada più importante è la Sassari-Santa Teresa Gallura, che lambisce la periferia settentrionale; frequentatissima in estate da villeggianti e turisti, viene gradatamente trasformata in scorrimento veloce; da quella parte ha inizio anche la discesa che conduce a Badesi Mare. & STORIA Il territorio su cui B. sorge faceva parte nel Medioevo del giudicato di Gallura ed era compreso nella curatoria di Montecarello. Nel secolo XV era scarsamente frequentato e divenne completamente deserto dopo che nel 1503 la diocesi di Ampurias fu unita a quella di Civita. Il territorio fu compreso nel vastissimo agro di Aggius e per secoli frequentato da pastori erranti. Nel corso del secolo XVIII, come vuole la tradizione, in località Li Pin- 372 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 380 Badesi netti di lu Riu un certo Antonio Stangoni avrebbe costruito in prossimità del rio Badu la sua casa, attorno alla quale si formò uno stazzo che può essere considerato il nucleo storico di B. La comunità ebbe incremento dai suoi sette figli maschi, che occuparono il territorio lasciandolo indiviso. La situazione rimase invariata per un paio di generazioni, ma nel 1804 i 18 eredi allora viventi ritennero di dover ricorrere a un atto pubblico che assegnasse a ciascuno la sua proprietà; e cosı̀ fu fatto, ma allo stesso tempo si stabilı̀ di lasciare «comune per tutti» la regione nella quale era sorto il primo nucleo che poté cosı̀ svilupparsi. Nel corso dell’Ottocento lo stazzo, che figura tra le cussorge di Aggius, crebbe fino a raggiungere più di 600 abitanti ma era privo, come dice una vecchia canzone popolare, persino del camposanto e della chiesa e dipendeva in gran parte dalla più evoluta Trinità d’Agultu. Era popolato prevalentemente da pastori, rozzi e propensi alla violenza; nel corso del secolo tuttavia si sviluppò e, con la crisi economica della fine del secolo che colpı̀ soprattutto l’allevamento, i suoi abitanti seppero sfruttare le condizioni per un rilancio dell’agricoltura che paradossalmente fece la fortuna del villaggio. Nel corso del Novecento il paese crebbe ulteriormente e nel 1969 ottenne finalmente l’autonomia da Aggius. Nel 1971 la sua popolazione superò i 1500 abitanti e nei decenni successivi, grazie al turismo, ha continuato a crescere. Una eredità dell’insediamento sparso delle origini è la presenza di tre frazioni, La Tozza, Muntiggioni e Azzagulta, allineate tutte lungo la strada per Viddalba e affacciate, come il capoluogo, dalla collina sulla piana del Coghinas. & ECONOMIA La sua economia, in origine basata esclusivamente sull’alleva- mento, oggi fa leva soprattutto sull’agricoltura, che viene praticata nella piana del Coghinas e si concentra su produzioni molto redditizie di pomodori e soprattutto di carciofi; buono anche lo sviluppo dell’olivicoltura e della viticoltura, che si avvale della Cantina sociale ‘‘La Marina’’ capace di produrre 2000 hl di un vino rinomato per la sua robustezza. Ma l’elemento che ha più movimentato la vita economica di B. è stato in questi ultimi decenni l’incremento dei flussi turistici, favoriti dalla presenza di un accogliente litorale sabbioso e dalla contiguità con centri rinomati come Palau e Santa Teresa da un lato, Castelsardo e Stintino dall’altro. B. può contare oggi su una ricca serie di strutture ricettive che vanno dagli alberghi (per un totale di oltre 2500 posti letto) agli stabilimenti balneari, dal campeggio a svariati ristoranti. Connesso al turismo opera un certo numero di agenzie immobiliari, imprese di costruzioni e altre attività commerciali principalmente per la distribuzione dei beni di consumo. Vi opera anche un’impresa per la lavorazione del granito. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1887 unità, di cui stranieri 29; maschi 925; femmine 962; famiglie 692. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità della popolazione, con morti per anno 19 e nati 20; cancellati dall’anagrafe 21 e nuovi iscritti 19. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 299 in migliaia di lire; versamenti ICI 929; aziende agricole 275; imprese commerciali 134; esercizi pubblici 8; esercizi all’ingrosso 2; esercizi al dettaglio 51; ambulanti 10. Tra gli indicatori sociali: occupati 503; disoccupati 138; inoccupati 63; laureati 26; diplomati 214; con licenza media 479; con licenza elementare 577; anal- 373 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 381 Bados fabeti 94; automezzi circolanti 794; abbonamenti TV 547. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è ricco di testimonianze del periodo romano, quando era percorso dalla strada che dall’attuale Porto Torres conduceva verso la costa orientale; in particolare, durante lo scavo di una strada, fu trovato nel 1928 un ricco ripostiglio di monete romane. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’edificio più importante e certo tra i più antichi del paese è la chiesa del Sacro Cuore, costruita tra il 1897 e il 1900 su un terreno donato da un certo Salvatore Stangoni per sciogliere un voto. L’edificio, tutto in granito, fu portato a termine tra mille difficoltà economiche; la sua importanza crebbe negli anni successivi con lo svilupparsi del villaggio e nel 1930 fu dichiarato sede di una parrocchia autonoma rispetto a quella di Trinità d’Agultu. Di notevole valore naturalistico le dune coperte di vegetazione – tra la quale spiccano alcuni begli esemplari di ginepro – che si stendono a ridosso della spiaggia al di sotto del paese. La parte più occidentale del litorale, battezzata di recente Baia delle Mimose, è caratterizzata invece dalla presenza della foce del Coghinas. Il Monti Mannu, un piccolo rilievo che si leva a 3 km dal paese, ha valore naturalistico perché ricoperto di lecci, sugheri e macchia mediterranea, e paesaggistico perché offre un ottimo punto panoramico per osservare tutto il paesaggio sottostante, con la linea di costa e oltre, sino all’articolato profilo dell’Asinara. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa patronale, dedicata al Sacro Cuore, si svolge il 19 giugno e dura tre giorni; si riallaccia alle tradizioni riconducibili ai tempi del primo sviluppo della comunità. Bados, Bernardo Uomo d’armi (seconda metà sec. XIV). Appartenente a una nobile famiglia catalana, si trasferı̀ in Sardegna nel 1360 per contribuire alla difesa dell’isola e ottenne alcune rendite sui feudi vacanti; nel 1362 ebbe in feudo Posada e Lodé ma, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, non riuscı̀ a conservarne il possesso. Dopo la ribellione di Alibrando de Açen fu nominato castellano di Acquafredda, castello che era stato confiscato al ribelle. Bernardo vi si stabilı̀ e lo difese con grande valore; morı̀ alcuni anni dopo senza eredi. Baeza, Roderigo Hunno Umanista cagliaritano (sec. XVI). Di lui si sa poco: secondo Francesco Alziator, che ne studiò a fondo l’opera, potrebbe essere stato un sacerdote. Egli fu l’autore dell’opera in versi Caralis Panegyricus, importante per la conoscenza della Cagliari del tempo, rimasta manoscritta nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e pubblicata dopo il 1950 dallo stesso Alziator. Baffico, Mario Regista cinematografico (n. La Maddalena 1907). Esordı̀ nel giornalismo cinematografico scrivendo alcuni fortunati saggi; a partire dal 1938 si impose all’attenzione generale dirigendo alcuni film tra cui Terra di nessuno, Amanti senza peccato e Trent’anni di servizio. Fu anche abile documentarista e tra i primi a organizzare i cineclub in Italia. Tra i suoi scritti principali, Profili di Hollywood. Dei e semidei del ’900, 1930. Bafico, Susanna Archeologa (n. sec. XX). Dopo aver conseguito la laurea in Lettere ha collaborato con la Soprintendenza archeologica per le province di Sassari e Nuoro. Dal 1982 ha iniziato a scavare nel villaggio nuragico di Sant’Imbenia presso Alghero continuando anche negli anni successivi; attualmente è considerata tra i maggiori 374 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 382 Baggio esperti del rapporto tra civiltà nuragica e Fenici. Nel 1988 ha concorso alla costituzione della sezione archeologica del Museo del Logudoro-Meilogu a Torralba. Scritti principali: Materiale d’importazione dal villaggio nuragico di Sant’Imbenia, in Società e cultura in Sardegna nei periodi orientalizzante e arcaico. Rapporti fra Sardegna, Fenici, Etruschi e Greci, 1986; Nuove acquisizioni cronologiche ed architettoniche sul nuraghe S. Antine di Torralba (con G. Rossi), in Un millennio di relazioni tra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studio di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987; Il nuraghe di Santu Antine di Torralba. Gli scavi e i materiali (con G. Rossi), in Il nuraghe di S. Antine in Logudoro-Meilogu, 1988; Torralba, la sezione prenuragica e nuragica (con G. Rossi), in L’Antiquarium arborense e i civici musei archeologici della Sardegna, 1988; Monte d’Accoddi e la cultura d’Ozieri (con T. Mannoni, G. Rossi e S. Tiné), in La cultura d’Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni. Atti del I Convegno di studi Ozieri 1986, 1989; Le ceramiche del Saggio XXIII di Monte d’Accoddi (con G. Rossi), in Monte d’Accoddi e la cultura d’Ozieri, 1989; Una proposta di attribuzione cronologica per le ceramiche decorate dal nuraghe Santu Antine di Torralba (con G. Rossi), in Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del III Convegno di studi di Selargius 1987: la Sardegna nel Mediterraneo tra il Bronzo medio e il Bronzo recente (XVI-XIII sec.), 1992; Il villaggio nuragico di S. Imbenia ad Alghero. Nota preliminare (con R. D’Oriano e F. Lo Schiavo), in Atti del III Congresso Internazionale di Studi fenici e punici, I, 1995; Fenici e indigeni a S. Imbenia (con I. Oggiano, D. Ridge- way, G. Garbini), in I Fenici in Sardegna, 1997. Bagedda, Bruno Avvocato, consigliere regionale (n. Nuoro 1921). Dopo aver conseguito la laurea è divenuto avvocato penalista tra i più apprezzati. Militante nella Destra è stato eletto consigliere regionale per il Movimento Sociale Italiano nel collegio di Nuoro per la II e IV legislatura; l’impegno politico non gli ha però fatto mai lasciare quello professionale. Bagella, Michele Economista (n. Sassari 1939). Si è laureato a Roma nel 1963 dedicandosi da subito alla ricerca e all’attività accademica presso l’Istituto di Studi economico-finanziari della stessa Università. Negli anni seguenti si è specializzato presso la Scuola di studi europei e a Cambridge dove si è fermato fino al 1970. Tornato in Italia ha ottenuto l’incarico di Politica finanziaria presso l’Università di Sassari dal 1971. Nel 1983 ottiene l’insegnamento alla LUISS di Roma e nel 1984 il trasferimento presso l’Università di Cagliari dove insegna fino al 1986. Nello stesso anno si trasferisce presso l’Università di Tor Vergata a Roma dove dal 1987 dirige il Dipartimento di Economia. Ha pubblicato numerosi volumi e articoli di carattere economico. Baggiani, Giorgio Musicista (n. Milano 1965). Milanese di nascita, si è però formato e diplomato in tromba al Conservatorio di Cagliari nel 1984; in seguito si è specializzato a Parigi, a Nizza e a Utrecht conseguendo numerosi altri diplomi e attestati. Dal 1989 insegna tromba a Cagliari e collabora con diversi complessi jazz; ha ottenuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Baggio, Sebastiano Cardinale, arcivescovo di Cagliari dal 1969 al 1973 (Rosà 1913-Roma 1993). Laureatosi in 375 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 383 Baghino Diritto canonico alla Gregoriana a Roma, divenne sacerdote nel 1935. Entrato nella diplomazia vaticana percorse una rapida carriera: nel 1953 fu nominato arcivescovo titolare di Efeso e fu nunzio in Cile e in Brasile. Nel 1969 fu creato cardinale e nominato arcivescovo di Cagliari. Governò la diocesi fino al 1973 quando fu trasferito a Roma come prefetto della Sacra Congregazione dei vescovi. Baghino, Eusebio Consigliere regionale (n. Sant’Antioco 1934). Dopo la laurea in Agraria si è dedicato alla vita politica militando nella Democrazia Cristiana. Nel 1969 è stato eletto consigliere regionale per la DC nel collegio di Cagliari per la VI legislatura; in seguito è stato ininterrottamente rieletto nello stesso collegio per la VII, VIII, IX e X legislatura fino al 1994. Negli anni del suo mandato è stato assessore ai Trasporti dal gennaio 1977 all’ottobre 1978 nella seconda giunta Soddu, all’Ambiente dal dicembre 1978 al giugno 1979 nella terza giunta Soddu; ancora assessore ai Trasporti dall’ottobre 1979 al settembre 1980 nelle due giunte Ghinami e dal luglio 1982 al giugno 1984 nella giunta Rojch. Nel 1989 durante la X legislatura è stato eletto vicepresidente del Consiglio regionale, ma nel dicembre del 1991 si è dimesso per entrare a far parte della giunta Cabras come assessore ai Lavori pubblici, incarico che ha tenuto fino al dicembre 1992. I molteplici impegni istituzionali non gli hanno impedito di divenire uno dei leader della Democrazia Cristiana sarda. Andreottiano, quando Andreotti fu presidente del Consiglio è stato suo consulente per gli affari relativi alla Sardegna. Dopo una lunga parentesi nel 2001 è stato eletto sindaco della sua città natale. Baglioni, Silvestro Fisiologo (Bel- monte Piceno 1876-Roma 1957). Dedicatosi all’insegnamento universitario, percorse una brillante carriera. A partire dal 1913 insegnò presso l’Università di Sassari e in seguito presso quelle di Pavia e di Roma. Nel 1918 divenne membro corrispondente dell’Accademia dei Lincei. Appassionato alla storia della musica, ha tra i suoi scritti: I. Contributo alla conoscenza della musica naturale; II. Strumenti musicali sardi; III. Ulteriori ricerche sulle launeddas, 1910-1911. Bagnaria Termine genericamente riferibile alla parte di Cagliari dove in periodo punico-romano si svolgevano le attività commerciali connesse alla vita del porto. Corrisponde all’attuale quartiere della Marina (=) dove i recenti scavi condotti nell’area della chiesa di Sant’Eulalia hanno riportato alla luce importanti testimonianze che permettono di ricostruire, seppure a grandi linee, la storia del quartiere e della città a partire dal secolo III a.C. ai giorni nostri. Bagolaro (o spaccasassi) Pianta arborea caducifoglia della famiglia delle Ulmacee (Celtis australis L.). Longevo, il b. può raggiungere i 20 m di altezza. Viene detto anche spaccasassi per la sua capacità di crescere e radicare sulle rocce. Ha tronco dritto e molto ramificato, chioma arrotondata, corteccia liscia grigio cenere, foglie semplici, alterne, con lamina asimmetrica. Fiori ermafroditi, verdastri e pelosetti, poco vistosi, all’ascella fogliare. Frutti globosi, molto appetiti dagli uccelli. Fiorisce a marzo, subito dopo la fogliazione, e i frutti maturano in autunno. È una pianta mellifera. Cresce spontaneo ai margini dei boschi o tra la macchia; predilige le zone più calde della costa, ma si può trovare in ambienti montani e freschi. Ha un’ampia diffusione sul monte Arci. Il legno, duro, 376 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 384 Baiocchi compatto ed elastico, viene usato per fare fruste e stecche da biliardo. In Sardegna era ricercato per gli strumenti agricoli e per il giogo dei buoi. È ottimo per fare legna e carbone. Il frutto è commestibile e dal seme (usato dai ragazzi come proiettile per cerbottana) si ricava olio. La corteccia viene usata nell’industria conciaria e la radice in quella tintoria (giallo). Nella medicina popolare si usa un decotto di foglie come antiemorragico. Nomi sardi: sugráxa (campidanese); sulzága (Marghine e Planargia); ugliáke, urriáke (barbaricino). [MARIA IMMACOLATA pan Cup e l’anno successivo fallisce di un soffio l’ammissione ai Giochi Olimpici coreani (la squadra italiana viene eliminata dalla fortissima URSS). Nel 1988, dopo aver totalizzato 119 presenze in Nazionale, torna a Sassari in seno alla ‘‘Silvio Pellico’’, la squadra che l’aveva lanciata. [GIOVANNI TOLA] BRIGAGLIA] Baiardo, Leila Poetessa, narratrice (n. Castelsardo 1927). Sin da giovane ha vissuto fuori della Sardegna; ha pubblicato alcune raccolte di versi che per la loro delicatezza e musicalità hanno attirato su di lei l’attenzione della critica, L’inseguimento, 1976, versi, e il romanzo Sogno d’amore, 1983, che lo storico della letteratura Nicola Tanda (=) ha definito «una sorta di beffardo Satyricon alle soglie del Duemila». Baiardo, Rosanna Atleta (n. Sassari, sec. XX). Cresciuta nella gloriosa società di pallavolo ‘‘Silvio Pellico’’ di Sassari, raggiunge con essa la serie B e manca di un soffio l’ammissione alla A2. Si trasferisce quindi nel continente e viene convocata nella nazionale, con la quale nel 1982 disputa i mondiali in Perù. L’anno successivo partecipa ai campionati europei e in seguito si aggiudica la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo, disputati a Casablanca. Dopo aver partecipato anche alle Universiadi, subisce un grave infortunio a un ginocchio, ma si riprende e, sempre con la Nazionale, partecipa nel 1985 alle Universiadi di Kobe in Giappone, ai Mondiali di Praga e alla Coppa del Mondo di Seul. Nel 1987 disputa la Ja- Baia Sardinia – Baia Sardinia è un fitto insediamento turistico fra la Costa Smeralda e il Cannigione di Arzachena. Baia Sardinia Insediamento turistico situato a poca distanza da Arzachena di cui è frazione, oltre il territorio della Costa Smeralda; già compreso nella provincia di Sassari, attualmente fa parte della provincia di Olbia-Tempio. Si sviluppò contemporanemanete alla Costa Smeralda nel sito di Cala Battistone attraverso una serie di fitti interventi immobiliari, che hanno finito per influire notevolmente sulla natura della baia. Bailey, Donald Michael Archeologo inglese (n. sec. XX). Nel 1962 catalogò le lampade provenienti da Tharros in possesso del British Museum. Nel 1975 pubblicò un catalogo di tutte le lampade in possesso del Museo. Scritti riguardanti la Sardegna: Lamps from Tharros in the British Museum, ‘‘Annual of the British School at Athens’’, LVII, 1962. Baiocchi, Lucia Archeologa (n. 1969). 377 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 385 Baiuli Dopo aver conseguito la laurea in Lettere nel 1991 si è specializzata in Archeologia. In seguito si è dedicata all’insegnamento negli istituti superiori. Allieva di Enrico Atzeni, ha preso parte a numerose campagne di scavo. Scritti principali: L’industria ceramica della stazione preistorica di Su Pranu Mannu (Solanas Oristano), ‘‘Studi sardi’’, XXX, 1996. Baiuli, Arnaldo Arcivescovo di Torres dal 1360 al 1367 (Torres, sec. XIV-Sassari 1367). Frate minore, fu nominato arcivescovo di Torres nel 1360 da Innocenzo VI. Dopo la sua morte si legò a papa Urbano V; quando scoppiò la seconda guerra tra Mariano IVe Pietro IV e Sassari cadde in mano giudicale, poiché il pontefice riteneva possibile privare Pietro IV del titolo di re di Sardegna per concederlo a Mariano IV, fu da lui inviato come nunzio presso il re d’Aragona a Genova. [MASSIMILIANO VIDILI] Balaiano Castello che sorgeva sul colle di San Leonardo nei pressi del villaggio di Luogosanto; fu probabilmente costruito nel secolo XI dai giudici di Gallura cui apparteneva. Nella prima metà del secolo XII fu oggetto di una lunga lite tra Costantino di Gallura e i figli del giudice Comita Spanu, che chiamarono come arbitro il giudice Barisone I d’Arborea. Nel corso del secolo XIII perse di importanza e andò in rovina. Balamune Antico villaggio che sorgeva non lontano da Pattada; era di origine romana e aveva una certa importanza data la sua posizione lungo la strada che conduceva a Castra. Nel Medioevo era compreso nel giudicato di Torres e faceva parte della curatoria del Montacuto. Estinta la dinastia dei giudici di Torres, il villaggio fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura; alla fine del secolo XIII era stato occupato dalle truppe arborensi che sembrava dovessero arrivare a controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, anche loro alleati del re, presero atto della cosa ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Quando però nel 1325 i Doria si ribellarono ai loro alleati, il villaggio fu nuovamente occupato dalle truppe del giudice d’Arborea e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Quando divenne giudice, Mariano IV pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale che questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e fu per questo fatto arrestare da Mariano. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IVe Pietro IV B. subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi. Balanotti Antico villaggio di origini medioevali che sorgeva a poca distanza dall’attuale lago del Coghinas; era compreso nel giudicato di Torres ed era situato nella curatoria di Montacuto. Estinta la dinastia dei giudici di Torres, il villaggio fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura; alla fine del secolo XIII venne occupato dalle truppe arborensi che sembrava dovessero arrivare a controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di alleati per affrontare l’imminente conquista della Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’inve- 378 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 386 Bàlari stitura. Gli Arborea, anche loro alleati del re, presero atto della cosa ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni, per cui quando nel 1325 i Doria si ribellarono contro gli Aragonesi, il villaggio fu nuovamente occupato dalle truppe del giudice d’Arborea e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma quando divenne giudice, Mariano IV pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale ma questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e per questo fu fatto arrestare da Mariano. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV B. subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi. Terminata la guerra, entro la prima metà del secolo XV i suoi abitanti lo abbandonarono e diedero vita a piccoli agglomerati sparsi nel territorio, alcuni dei quali come Giagone e Balascia ancora abitati. Bàlari Popolazione indigena ricordata da Tito Livio in lotta contro i Romani già dal secolo II a.C. Alla fine del 178 a.C. i B. si allearono con gli Iliensi che erano dilagati nella zona di operazioni dell’esercito romano, razziando le campagne e le città costiere, atto che provocò l’intervento di Tiberio Sempronio Gracco (padre dei tribuni della plebe Tiberio e Caio Gracco), che tra il 177 e il 175 a.C. riuscı̀ a sedare i disordini; Plinio (Naturalis historia III, 7, 85) li annovera tra i ‘‘più celebri popoli della Sardegna’’ (celeberrimi populorum Sardiniae) insieme agli Iliensi e ai Corsi; Strabone (V, 225) li identifica come una delle quattro tribù delle montagne insieme ai Parati, ai Sossi- nati e agli Aconiti; secondo Pausania (X, 17, 5-9) i B., che erano un popolo originario della Libia o dell’Iberia, sarebbero stati alleati dei Cartaginesi al momento della conquista dell’isola, ma venuti a contesa con i Punici per le spoglie avrebbero disertato dall’esercito cartaginese e si sarebbero ritirati nei luoghi montuosi dell’isola; il loro nome apparterrebbe alla lingua dei Corsi, perché essi denominavano ‘‘bàlari’’ i fuggiaschi. Il racconto, seppur articolato su paretimologie, potrebbe comunque testimoniare la formazione politico-cantonale di questo popolo, forse enucleatosi da quello dei Corsi. Le fonti non precisano i luoghi nei quali avvennero gli scontri militari fra Sardi e Romani, ma la scoperta di un macigno di granito rosa, utilizzato come cippo di confine, nell’alveo del rio Scorraboi, che segna il confine attuale tra i territori comunali di Monti a est e di Berchidda a ovest, ha provato l’effettiva esistenza del popolo dei B. e ha permesso di localizzare le sedi di questa popolazione. Sul lato del macigno che guarda la riva destra del torrente è riportata l’iscrizione ‘‘Balari’’, mentre sul lato che guarda verso sudest è riportata la decisione del prefetto della provincia che pose il confine, probabilmente segnato dal corso d’acqua, tra il territorio di questa popolazione, insediata evidentemente nelle retrostanti alture, che culminano a quota 1362 m nel monte Limbara, fino al Coghinas – quindi tra il Montacuto, l’Anglona e il Logudoro – in posizione quanto mai strategica, a controllo di un antico transito di fondovalle da nordest a sud-ovest, ricalcato in epoca romana dalla via Olbia-Luguido-MolariaForum Traiani-Carales, e le proprietà romane, latifondi privati e imperiali, che si estendevano nell’entroterra di Olbia. [ESMERALDA UGHI] 379 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 387 Balariana Balariana Antica curatoria del giudi- Balastro, Giovanni Arcivescovo di Tor- cato di Gallura. Situata nella parte centro-settentrionale del giudicato, non aveva sbocco al mare. Si estendeva per una superficie valutabile in poco più di 100 km2 di territorio collinoso e molto fertile. Comprendeva i villaggi di Bacor, Nuraghes, Santu Stevanu, Surake, Telargiu, Uranni, Vigna Maggiore, popolati da pastori e fieri montanari gelosi della propria autonomia. Pertanto, dopo la conquista aragonese, il territorio non si era completamente pacificato; tuttavia fu diviso dagli Aragonesi in alcuni feudi, ma la nuova situazione esasperò maggiormente la volontà di resistere degli abitanti che trovò facile esca nella ribellione dei Doria. Cosı̀ essi si unirono ai ribelli e costrinsero gli Aragonesi, durante la campagna del 1330, a compiere un’incursione che arrecò danni e molte pene ai villaggi che cominciarono cosı̀ a spopolarsi. Poiché la confusione e il processo di spopolamento continuavano, di fronte alla nuova ribellione dei Doria del 1347 il re pensò di concedere B. a Giovanni d’Arborea, fratello del giudice Mariano IV, perché la pacificasse. Ma lo sfortunato principe fu imprigionato da suo fratello il giudice quando si rifiutò di prestargli obbedienza feudale; nel 1348, inoltre, il territorio soffrı̀ enormemente per la peste. In seguito, scoppiata nel 1353 la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, fu occupato dalle truppe arborensi e di fatto da allora amministrato come una curatoria del giudicato d’Arborea. Caduto il giudicato, il suo territorio, oramai completamente spopolato, nel 1420 tornò a essere parte del Regnum Sardiniae. Dell’intera antica curatoria fu riconosciuto il possesso al ramo dei Carroz, discendenti dello sfortunato Giovanni d’Arborea, che lo unirono al loro feudo di Terranova. res dal 1296 al 1298 (m. 1298). Divenuto frate francescano, si pose in evidenza per le sue qualità e fu nominato vescovo di Nicosia. Nel 1296 Bonifacio VIII lo nominò arcivescovo e lo inviò in Sardegna nel tentativo di instaurare rapporti costruttivi col Comune di Sassari. La sua permanenza nella nuova diocesi però fu interrotta dalla morte prematura. Balbiano di Aramengo, Vincenzo Viceré di Sardegna dal 1790 al 1794 (Chieri 1729-Torino 1799). Appartenente a una famiglia di tradizioni feudali, entrò nella carriera militare che percorse brillantemente; divenuto colonnello nel 1774 fu nominato governatore di Savigliano, nel 1779 governatore di Casale. Nel 1785 fu promosso generale e nel 1789 governatore del Monferrato. Nel 1790 fu nominato viceré di Sardegna; giunto nell’isola non riuscı̀ a comprendere subito la profonda inquietudine che l’ambiente sardo mostrava e si chiuse in se stesso proprio nel momento in cui minacciosa si manifestava la possibile invasione francese. Convinto della ineluttabilità dell’occupazione francese, nel 1792 assunse un atteggiamento passivo nei confronti dell’auto-convocazione degli Stamenti e dei preparativi di difesa che febbrilmente furono fatti. Anche dopo la vittoria, quando oramai l’inquietudine del mondo politico sardo si era completamente manifestata, continuò a non comprendere i termini del dibattito che si svolgeva in seno agli Stamenti e cercò di ostacolare le richieste di revisione costituzionale. In conseguenza di questo fu travolto dai fatti del 28 aprile 1794 e costretto a lasciare l’isola. Tornato in Piemonte, nello stesso anno fu nominato governatore di Saluzzo. Balbina, santa (in sardo, Santa Bellina) 380 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 388 Baldacci Santa (m. 130 ca.). Romana, figlia di San Quirino, fu guarita da un male incurabile e convertita da Alessandro III, papa dal 105 al 115. Secondo la tradizione, avrebbe custodito le catene di San Pietro, portate a Roma dal padre su incarico del pontefice. Morta misteriosamente verso il 130, dopo il martirio del padre (che fu sepolto nel cimitero di Pretestato: è il santo che i tedeschi chiamano Grein). Sulla sua tomba, riportata alla luce nel 1867, il papa Marco fece costruire una basilica (336). Gli atti del suo martirio, scritti da un non bene identificato Sant’Alessandro martire, sono tardivi, anacronistici, fantasiosi: «Quirino tribuno dell’imperatore Aureliano [il quale visse dal 214 al 275 circa] ebbe l’incarico di sorvegliare il prefetto Ermes, convertitosi al cristianesimo. Il prefetto fece conoscere a Quirino e a sua figlia Balbina il messaggio evangelico e i due si convertirono e furono battezzati. Denunciati e arrestati, dopo la tortura furono decapitati». Il Martirologio Romano riportava: «31 marzo, a Roma natale di Santa Balbina vergine, figlia del beato Quirino martire. Fu battezzata da papa Alessandro e scelse Cristo come sposo in santa verginità. Dopo aver completato il corso della sua vita terrena fu sepolta sulla via Appia vicino al padre». Dal 1969 il suo culto è limitato a calendari locali o particolari. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 31 marzo a Nughedu San Nicolò. Balbo de Lo Famiglia di Bosa (secc. XIV-XV). Le sue notizie risalgono al secolo XIV; nel 1428 ottenne il riconoscimento della generosità con un Nicolò ripetutamente eletto consigliere della città e suo rappresentante presso Alfonso V. La famiglia presumibilmente si estinse nel corso del secolo XV. Balbo di Vinadio, Prospero Uomo di governo piemontese (Chieri 1762-Torino 1837). Di idee liberali, entrato giovanissimo nell’amministrazione reale, nel 1789 fu nominato sindaco di Torino; scoppiata la guerra con la Francia continuò a esplicare le sue funzioni ma nel 1800, dopo la battaglia di Marengo, dovette andare in esilio. In seguito accettò dai francesi l’ufficio di rettore dell’Università di Torino e tornò in patria, ma quando nel 1814 Napoleone cadde, incontrò diverse difficoltà nel mutato clima della Restaurazione. Egli tuttavia fu mantenuto in servizio: nel 1816 fu mandato ambasciatore a Madrid e nel 1818 fu nominato presidente del Consiglio della riforma. Travolto dai moti del 1821, fu collocato a riposo; nel 1831 fu però richiamato in servizio da Carlo Alberto. Molto interessato alla Sardegna, per le sue idee si sentiva il continuatore dell’opera del Bogino; in particolare si interessò al problema del feudalesimo e studiò a fondo la possibilità della sua abolizione; fu autore di una serie di relazioni sull’argomento. Baldacci, Osvaldo Geografo (Sassari 1914-Roma 2007). Conseguita la laurea in Lettere, ha insegnato per anni geografia presso l’Istituto nautico di Cagliari. Nel 1954 è stato chiamato a insegnare Geografia presso la Facoltà di Lettere di quella Università. Nel 1957 si è trasferito a Bari, dal 1964 infine è stato chiamato a insegnare presso l’Università di Roma. È considerato uno dei massimi geografi italiani; alcune delle sue numerosissime opere riguardano la Sardegna e sono importanti per approfondire la conoscenza della storia del paesaggio dell’isola. Scritti riguardanti la Sardegna: Sulla Chorographia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXII, 1941; I fondamenti geografici dello sviluppo di Iglesias, ‘‘Studi sardi’’, 381 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 389 Baldassarre V, 1-2, 1941; I nomi regionali della Sardegna, 1945; Il paese, ‘‘Il Ponte’’, 9-10, 1951; Appunti sulla tavola della Sardegna di Sigismondo Arquer, ‘‘Bollettino della Società geografica italiana’’, 1951; La casa rurale in Sardegna, 1952; La Sardegna nella Tavola peutingeriana, ‘‘Studi sardi’’, XIV-XV, 1958; Alcune considerazioni geografiche sulla storia della Sardegna, in Studi storici in onore di F. Loddo Canepa, II, 1959; La casa tradizionale in Sardegna, in La casa rurale in Italia, 1970; Una carta geografica secentesca della Sardegna in redazione spagnola, ‘‘Rivista geografica italiana’’, LXXX, 1973; La Sardegna nella cartonautica toscana del Seicento, in Scritti geografici in onore di Aldo Sestini, 1982; L’Università di Cagliari e il suo contributo alla geografia della Sardegna, in Studi di geografia e di storia in onore di Angela Terrosu Asole, 1996. Baldassarre, Luciano Scrittore (sec. XIX). Singolare personaggio che, in conformità alla moda molto diffusa tra gli intellettuali europei del tempo, visitò la Sardegna nel 1841 e vi si trattenne per un certo periodo con l’obiettivo di riscoprire e studiare una terra considerata primitiva e sconosciuta. Da questo suo viaggio trasse un libro che godette di una certa notorietà, Cenni sulla Sardegna, stampato a Torino da Botta nel 1841 e riccamente illustrato con tavole sui costumi sardi. Baldino, Salvatore Oculista (Oristano 1887-ivi 1964). Si laureò a Napoli e conseguı̀ la libera docenza nel 1913; poco dopo prese parte alla prima guerra mondiale, durante la quale venne decorato; nel dopoguerra si stabilı̀ a Oristano ed esercitò la libera professione con crescente successo imponendosi come uno dei migliori oculisti della Sardegna. Tra i suoi scritti: Il raddriz- zamento delle immagini retiniche nella percezione visiva, 1921. Baldovino Giurisperito (sec. XIV). Personaggio della corte giudicale arborense negli anni del regno di Ugone III; nel 1378 fu presente alla fase conclusiva del fallito tentativo di instaurare un’alleanza tra Ugone e Luigi I d’Angiò, fratello di re Carlo V di Francia, in funzione antiaragonese. Balenottera = Zoologia della Sardegna Balestra, Pietro Arcivescovo di Cagliari dal 1900 al 1912 (Molini di Triora 1841-Cagliari 1912). Entrato nell’ordine dei Minori conventuali fu ordinato sacerdote nel 1863 e subito dopo si laureò in Teologia. Per più di 20 anni fu parroco di Albaro e in seguito fu nominato provinciale del suo ordine per l’Irlanda e definitore perpetuo. Nel 1893 fu nominato commissario e visitatore per la Sardegna, ma nel 1895 divenne vescovo di Acqui; governò la sua diocesi con zelo e fermezza e con grande energia. Nel 1900, infine, fu nominato arcivescovo di Cagliari; negli anni seguenti diede un deciso impulso a tutte le attività pastorali e inoltre fu nominato visitatore apostolico delle diocesi di Bosa, Alghero e Ales, assumendo una posizione di primo piano in seno al clero sardo. Scritti principali: Lettere pastorali al popolo della città e dell’archidiocesi della città di Cagliari, 1901; Notificazione per la sacra visita pastorale del 1902 per la riparazione del sacrilegio commesso a Pirri la notte fra il 2 e il 3 aprile del 1902, 1902; Additiones ad missale romanum pro Archidiocesi calaritana, 1906; Al clero e al popolo della città e della diocesi di Alghero, Cagliari 1906; Regolamento per gli esami ad Ordines del clero secolare e regolare nell’Archidiocesi di Cagliari, 1907. Balestrieri, Angelo Scienziato, patologo (n. Pescopagano 1935). Laureatosi 382 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 390 Ballao in Medicina a Roma, si è dedicato alla carriera universitaria. Dal 1969 risiede a Cagliari; ha insegnato dapprima Malattie infettive e dal 1982 Patologia medica. Nel corso degli anni ha percorso una prestigiosa carriera accademica ricoprendo importanti incarichi: è stato per lunghi anni preside della Facoltà di Medicina, presidente del corso di laurea e ha diretto numerose scuole di specializzazione. Attualmente è professore di Clinica medica; studioso di patologia, è autore di numerose pubblicazioni apprezzate a livello internazionale. concorso a fondare il raggruppamento Federazione dei Socialisti e dei Democratici, e nel 1999 è stato riconfermato per la XII legislatura, nel 2004 per la XIII. Balestrieri, Gaetano Insegnante, letterato (n. sec. XX). Agli inizi del Novecento diresse il convitto nazionale ‘‘Canopoleno’’ di Sassari e prese parte alla vita culturale dell’isola. Tra i suoi scritti, Del regio convitto nazionale Canopoleno di Sassari, 1907; La Sardegna e l’unità italiana. Dicembre 1798-maggio 1814, ‘‘L’Unione sarda’’, 1910; Impressioni sulla Sardegna. Appunti storici, 1913. Balestruccio = Zoologia della Sarde- Ballao – Veduta del centro abitato. Ballao Comune della provincia di Cagliari, compreso nella XXI Comunità montana, con 951 abitanti (al 2004), posto a 90 m sul livello del mare, in un punto in cui la vallata del Flumendosa si fa più ampia e riceve un affluente di destra, il rio Bintinoi e, poco oltre, da sinistra, il Flumineddu. Regione storica: Gerrei. Archidiocesi di Cagliari. gna Balia, Peppino Consigliere regionale (n. Mamoiada 1942). Dopo essersi laureato in Economia e Commercio, si è dedicato alla vita politica nel Partito Socialista Italiano. È stato consigliere comunale di Nuoro, consigliere, assessore e vicepresidente della Provincia di Nuoro; negli stessi anni ha vissuto da protagonista il travaglio del PSI e dopo aver aderito a Federazione Democratica dal novembre 1992 al dicembre 1993 è stato assessore tecnico all’Urbanistica nella giunta Cabras. Si è dimesso ed è stato eletto consigliere regionale per Federazione Democratica nel collegio di Nuoro per l’XI legislatura. Nel 1998, non aderendo alla scelta di confluire nei Democratici di Sinistra fatta da Antonello Cabras, ha Ballao – Paesaggio nei dintorni del paese. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 46,68 km2. Ha la forma di un triangolo allungato da ovest a est e confina a nord con Escalaplano, a est con Villaputzu e Armungia, a sud ancora con Armungia e San Nicolò Gerrei, a ovest con Silius. Il suolo è costi- 383 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 391 Ballao tuito prevalentemente da calcari e scisti; si tratta in genere di colline di non grande altezza, e tuttavia erte e scoscese; il paesaggio si fa più dolce in prossimità della vallata del Flumendosa, che qui diventa una piccola piana: una parte verde e ricca d’acqua all’interno dell’area solitamente arida e spoglia di questa parte dell’isola. B. è attraversato dalla statale 387 che, proveniente da Cagliari, si dirige verso Muravera, e che in questo punto si connette con la secondaria che arriva da Escalaplano. & STORIA Il villaggio è di probabili origini romane: deriva da una mansio fatta costruire alla confluenza del Flumendosa col Flumineddu per difendere le attività minerarie del territorio dalle scorrerie degli abitanti delle zone interne. Secondo la tradizione il primo nucleo si formò attorno alla chiesa di Santa Maria de Nuraxi e da lı̀ si sarebbe spostato formando il villaggio attuale. Apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria del Gerrei, detta anche Galilla. Dopo lo smembramento del giudicato, nella divisione del 1258 B. fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa che lo fece amministrare da suoi funzionari. Terminata la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Ma i suoi abitanti, come quelli di tutto il Gerrei, mantennero un atteggiamento ostile nei confronti degli Aragonesi e vissero momenti di grande tensione, cosı̀ che, per consentirne un migliore controllo, B. fu incluso in un feudo abbastanza esteso che nel 1333 fu concesso a Raimondo Zatrillas. I rapporti col nuovo feudatario però non migliorarono e, scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV, gli abitanti si ribellarono e presero parte alla distruzione del castello di Orguglioso (=). Finite le ostilità gli Zatrillas ripresero il controllo del territorio fino a quando scoppiò la seconda guerra tra Aragona e Arborea: nel 1366 fu occupato dalle truppe giudicali che lo tennero fino alla caduta del giudicato e lo amministrarono come se si trattasse di territorio arborense; nel 1409 B. tornò a far parte del Regnum Sardiniae e gli Zatrillas ne tornarono in possesso. Negli anni successivi il villaggio, che probabilmente non superava i 168 abitanti, conobbe una relativa tranquillità e la comunità continuò a eleggere il suo majore. A partire dal secolo XVI le cose mutarono: la popolazione crebbe e fu avviata la costruzione della parrocchiale dedicata a Santa Maria Maddalena; B. iniziò allora una lunga contesa con Silius per il controllo del territorio e spesso dovette subire violenze dai pastori ogliastrini che tendevano a occuparne i pascoli. Nello stesso periodo i feudatari, pur non intervenendo direttamente a dirimere questi contrasti, modificarono il loro rapporto con la comunità e, una volta ottenuto un potere giurisdizionale più ampio, ebbero nel 1573 la disponibilità della foresta di Murdega, di cui fecero una grande riserva di caccia e costrinsero i vassalli a partecipare annualmente alle loro cacce. La situazione di B., la cui popolazione continuò a crescere nella prima metà del secolo XVII, non mutò: i rapporti con i feudatari divennero anche più gravosi sia perché essi arrivarono a controllare l’elezione del majore, che sceglievano da una rosa di probiuomini, sia perché aumentarono il peso dei tributi feudali. Nel 1652 poi il villaggio soffrı̀ a causa della peste; terminata l’epidemia gli abitanti su- 384 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 392 Ballao perstiti di Villaclara, un villaggio che sorgeva nei pressi dell’attuale abitato, iniziarono a trasferirvisi stabilmente: il processo di assimilazione delle due comunità fu completato agli inizi del secolo XVIII. In questo periodo le condizioni di vita si modificarono gradualmente, i rapporti con gli abitanti di Silius si normalizzarono e progressivamente anche i legami di dipendenza dai feudatari si ridussero: nella seconda metà del secolo furono introdotti il Consiglio comunitativo e il majore elettivi, e fu organizzato il Monte granatico. Le due istituzioni limitarono progressivamente i poteri del feudatario e avviarono in seno alla comunità la tendenza a una maggiore autonomia; la sua popolazione riprese a crescere: nel 1781 assommava a 730 abitanti. Estinti gli Zatrillas nel 1814, B. passò ai Vivaldi Pasqua. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Isili e nel 1839 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questo periodo Vittorio Angius annotava: «Vi è stabilita l’istruzione per i giovinetti a leggere e scrivere, alle prime regole aritmetiche; in luogo però dei rudimenti dell’agronomia si danno quelli della lingua latina. Il numero degli accorrenti è di 15. Si fabbricano in questo paese mattoni, tegole, e se ne vende ai vicini paesi. La manifattura del panno forese [orbace] e del lino impiega 190 telai. Non si fa però più di quello che sia necessario al bisogno delle famiglie. La popolazione di B. nel 1805 computossi di anime 812, nel 1826 di 718, nel 1833 di 785 distribuite in 205 famiglie. Grande è la fertilità di questa terra in ogni genere di cereali, e saria ancora più se maggiore fosse la diligenza nei lavori. La somma delle semenze non avanza in grano i 700, in orzo i 500, in fave i 300, in civaje [legumi vari] i 50, in lino i 100 starelli. La fruttificazione ordinaria e comune del grano è al settuplo, dell’orzo all’ottuplo, degli altri generi poco meno. Sebbene il bestiame sia in poca quantità, non numerandosi al presente più di trecento capi vaccini, cento cavalli rudi, millecinquecento capre, millequattrocento pecore, e duecentocinquanta porci, non pertanto il frutto è considerevole, sı̀ perché il salto è abbondantissimo di erbe anche nell’inverno, e vi sono monti con molto pascolo per l’estate ed autunno; sı̀ perché hannosi molte acque in istagioni ancora secche: onde che 100 pecore in B. fruttano quanto duecento in altri paesi del dipartimento; e ragione di ciò sia che in B. si mungono le pecore e capre sin dal novembre, mentre negli altri luoghi ritardasi talvolta sino a marzo». B. continuò a rimanere incluso nella provincia di Isili fino al 1848, quando fu incluso dapprima nella divisione amministrativa e successivamente nella provincia di Cagliari. Nel corso del secolo si svilupparono le attività minerarie di Corti Rosas e lo sfruttamento di cave di argilla e di caolino. La crisi dell’attività mineraria (definitivamente interrotta negli anni Sessanta del Novecento) causò una diminuzione della popolazione che è gradatamente passata dai 1600 abitanti del 1961 alla popolazione attuale. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura, in particolare la frutticoltura e la viticoltura, e sull’allevamento; quindi sul commercio e l’edilizia, mentre sono ancora attive alcune cave di argilla e di caolino. Un tempo lungo le rive del vicino Flumendosa veniva praticata la pesca, oggi si tenta la carta della valorizzazione turistica dell’area. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1019 unità, di cui stranieri 2; maschi 514; femmine 505; famiglie 373. La tendenza com- 385 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 393 Ballao plessiva rivelava una diminuzione della popolazione con morti per anno 15 e nati 4; cancellati dall’anagrafe 31 e nuovi iscritti 22. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 379 in migliaia di lire; versamenti ICI 323; aziende agricole 124; imprese commerciali 43; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 17. Tra gli indicatori sociali: occupati 209; disoccupati 56; inoccupati 108; laureati 8; diplomati 55; con licenza media 332; con licenza elementare 317; analfabeti 78; automezzi circolanti 277; abbonamenti TV 308. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu abitato fin dall’epoca prenuragica e conserva numerose testimonianze di grande interesse archeologico. La più interessante è la fonte sacra di Funtana Coberta, situata a pochi chilometri dall’abitato lungo la strada per Escalaplano: è costituita da un vestibolo quadrato dal quale si accede a una scala di circa 12 gradini che introduce nella tholos che ricopre il pozzo. Tra i nuraghi spiccano quello chiamato Nuraxi, che è circondato dai resti di un villaggio, e quello di Palastaris che, posto su un colle a poca distanza dall’abitato, domina la vallata e il corso del Flumendosa; in questa posizione i Punici costruirono nel secolo V a.C. una cinta fortificata. Sono identificabili ancora le necropoli di periodo romano di San Pietro e di Santa Clara, dove si trova anche il pozzo sacro di Villaclara, dalle caratteristiche simili a quelle di Funtana Coperta, e dove sorgeva la mansio dalla quale si sviluppò il villaggio di Villaclara. Infine nel territorio di B., in località Corti Rosas, si trovano i resti dell’omonima miniera di antimonio, importante sito di archeologia industriale. Attorno alla miniera sorsero nella seconda metà dell’Ottocento alcuni edifici oggi abba- stanza ben conservati, tra i quali la laveria. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’edificio più importante che l’abitato custodisce è la chiesa di Santa Maria Maddalena, parrocchiale costruita nel secolo XVI in forme gotico-aragonesi; nel corso dei secoli era andata progressivamente in rovina per cui nel secolo XIX fu decisa una sua radicale trasformazione e fu ricostruita nelle forme attuali. Del vecchio tempio si conserva una campana databile al 1581. Di qualche interesse sono anche le chiesette campestri di San Pietro, di Santa Maria Cleofe e di Sant’Elena che sono di età bizantina; delle tre la più importante è quella di Santa Maria Cleofe (Santa Maria de Nuraxi), attorno alla quale sorgeva l’antico villaggio di Nuraxi, strettamente legato alla storia di B. Di particolare suggestiva bellezza sono le campagne della vallata del Flumendosa, ricche di una magnifica vegetazione tipicamente mediterranea e di splendide piantagioni. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Ricco e interessante è il patrimonio di usanze e di feste popolari che la comunità custodisce. La più significativa tra le feste popolari è quella di Santa Maria Cleofe che si svolge il lunedı̀ di Pasqua presso l’omonima chiesetta. Momento culminante è la solenne processione con la quale l’antica statua della Madonna, ritenuta miracolosa, viene portata sul posto dalla parrocchia tra canti e preghiere, scortata da cavalieri in costume. Prima che la processione faccia il suo ritorno viene impartita la benedizione all’antico cimitero dove, secondo la tradizione, riposano gli antenati dei ballaesi attuali. Alla base dell’attaccamento della comunità alla statua sta la leggenda se- 386 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 394 Ballero condo la quale il simulacro cadde in mano agli abitanti di Silius, i quali però non riuscirono a spostarlo; la festa, oltre che le cerimonie religiose, prevede balli al suono delle launeddas, la gara poetica e altre manifestazioni tipiche. Singolare era anche il costume, rimasto ormai semplicemente un ricordo. L’abbigliamento femminile era costituito da una camicia bianca dalla pettina ricamata e rifinita col pizzo, e dalla gonna plissettata di orbace rosso. Sopra la camicia era indossato il busto (s’imbustu) di stoffa; e la gonna era arricchita da un grembiule (barras) di panno verde; sul capo una cuffietta di filo nero sulla quale stava un fazzoletto di grandi proporzioni (su muncadori), completato da un manto di forma simile al grembiule, anch’esso di panno verde. L’abbigliamento maschile comprendeva la camicia plissettata e i calzoni di tela grezza; sopra la camicia si indossava la giacca (su collettu) di panno, sopra i calzoni il gonnellino di orbace nero e le ghette dello stesso tessuto; l’abbigliamento era completato da una mastruca (best’e pedde) senza maniche, fatta di pelli di agnello. Ballerina1 Pianta erbacea della famiglia delle Orchidacee (Aceras antropophorum (L.) R.Br.). Bellissima orchidea con foglie lunghe e lanceolate; i fiori, raccolti in una fitta e lunga spiga, sono gialli con striature verdi e rossastre. Il loro particolare aspetto, che li fa assomigliare a una figura umana stilizzata, ha motivato il nome specifico, che letteralmente significa ‘‘portatrice di uomini’’. In Sardegna non è difficile trovarla, tra aprile e giugno, nei prati e nella macchia. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Ballerina2 = Zoologia della Sardegna Ballerini, Giorgio Medico e atleta (Roma, seconda metà sec. XIX-Perugia 1921). Fece i suoi studi a Cagliari dove si laureò in Medicina; il suo impegno scientifico non gli impedı̀ di praticare con successo l’attività sportiva. Fu uno degli iniziatori del calcio in Sardegna; aderı̀ nel 1903 all’Amsicora, dove introdusse la pratica della ginnastica artistica divenendo maestro di alcune generazioni di atleti. La sua professione in seguito lo fece allontanare da Cagliari. Morı̀ a Perugia dove dirigeva l’Ospedale civile. Ballero Famiglia ligure (sec. XVII-esistente). Trapiantata ad Alghero alla fine del secolo XVII, i suoi membri erano tradizionalmente impegnati in attività commerciali e nell’esercizio delle professioni liberali. Nel corso del secolo XVIII accumularono una considerevole fortuna e raggiunsero una discreta posizione sociale in quella che ormai era diventata la loro città. Nel 1799 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà, che vennero concessi a due fratelli, Benedetto e il dottor Pietro. Quest’ultimo fu insignito anche del titolo di conte ma non ebbe discendenza; i figli di Benedetto, invece, furono i capostipite dei due rami della famiglia tuttora fiorenti. Da Francesco è venuto il ramo che continuò a risiedere ad Alghero tenendo vive nella città le tradizioni della famiglia. Da Antonio discese invece il ramo che si trasferı̀ a Cagliari; con suo figlio Francesco, nel corso del secolo XIX, i B. ereditarono dalla famiglia Ciarella il titolo comitale. I figli di Francesco formarono a loro volta due altri rami della famiglia: Carlo continuò la linea comitale, che si trasferı̀ a Torino dove attualmente risiede; Antonio fu invece il capostipite dei cavalieri B. di Cagliari. 387 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 395 Ballero senza influssi sulla Deledda) Don Zua. Storia di una famiglia nobile del centro della Sardegna, 1884; Luigi Caldanzano, ‘‘L’Unione sarda’’, 1928 e La sagra di San Mauro di Sorgono, ‘‘L’Unione sarda’’, 1929. Antonio Ballero – L’autoritratto del pittore nuorese è una delle sue opere più conosciute. (1907; Banco di Sardegna, Sassari) Ballero, Antonio Pittore e scrittore (Nuoro 1864-Sassari 1932). Esordı̀ giovanissimo come scrittore dando alle stampe nel 1884 il suo primo romanzo. Intorno ai trent’anni, spinto da Francesco Ciusa e da altri amici, iniziò a interessarsi di pittura e ben presto si impose per le sue notevoli capacità tecniche e per il modo di porsi nei confronti del mondo sardo, che lo portò tra i primi ad affrontare il tema dell’identità. Espose per la prima volta nel 1904 a Firenze, successivamente fu a Brera nel 1908 e in altre città italiane ed europee. Dopo il 1920 soggiornò per alcuni anni a Venezia e a Milano e nel 1925 tornò in Sardegna. Negli ultimi anni girò a lungo l’isola alla ricerca delle sue bellezze paesaggistiche, tentando di darne un’interpretazione diversa da quella che ne davano Biasi e i suoi allievi, negli stessi anni. Oltre il romanzo (che non dovette restare Antonio Ballero – Sos prinzipales de Orgosolo. Nella sua pittura il folclore sardo non ha niente di cartolinesco. (1928; collezione privata) Ballero, Benedetto Giurista, consigliere regionale (n. Villasalto 1944). Conseguita la laurea in Legge si è dedicato alla carriera universitaria e alla libera professione. Di cultura socialista, si è anche impegnato nella vita politica militando nel PSI. Dopo il 1992 ha aderito a Federazione Democratica e nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per la lista Sardegna Federazione Democratica per il collegio di Cagliari nell’XI legislatura. Nel novembre 1996 è stato assessore agli Affari generali e alla riforma della Regione nella terza giunta Palomba fino al giugno 1997; riconfermato nel quarto governo Palomba, ha retto l’incarico fino al dicembre dello stesso anno. Dal gen- 388 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 396 Ballero de Candia naio 1998 è stato assessore alla Pubblica Istruzione nella giunta Palomba fino al giugno del 1999. Nel 1998, per evitare la confluenza in DS proposta da Antonello Cabras, ha contribuito a fondare un nuovo schieramento socialista, ma non è stato rieletto per la XII legislatura. Apprezzato studioso, è autore di molte pubblicazioni e ha diretto per anni l’Istituto di Diritto pubblico della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Cagliari. Diversi suoi scritti sono direttamente collegati ai problemi istituzionali della Regione sarda: Il ruolo degli organismi comprensoriali nella legislazione della Regione sarda sulle procedure per la programmazione, ‘‘Studi di diritto pubblico’’, 1980; Sardegna, ‘‘Archivio Isap’’, 1983; Statuto sardo: attuarlo prima di una riforma, in Per un’altra Sardegna, 1984; L’ordinamento regionale della Sardegna: autonomia e specialità tra norme statutarie e realtà, 1986; Il settore distributivo in Sardegna, 1992. Ballero, Francesco Avvocato, sindaco di Cagliari (Cagliari 1878-ivi 1923). Discendente dal ramo cagliaritano della famiglia; conseguita la laurea in Legge si dedicò alla professione di avvocato, divenendo uno dei maggiori avvocati del suo tempo. Celebre la sua difesa di Umberto Cao, accusato di essere stato uno degli ispiratori dei moti di Cagliari del 1906, attraverso il suo giornale ‘‘Il Paese’’, fortemente critico nei confronti dell’amministrazione Bacaredda. Abile politico, fu eletto consigliere provinciale e consigliere e assessore comunale di Cagliari; per qualche anno fu anche sindaco della città. Morı̀ improvvisamente nel 1923 a soli 45 anni. Ballero, Pietro Alto funzionario sabaudo (Alghero, prima metà sec. XVIII-Cagliari, dopo 1832). Dopo essersi laureato in Legge, ebbe modo di porre in evidenza le sue qualità intellettuali e di ottenere diversi incarichi amministrativi e giudiziari di crescente importanza. Nel 1794 si trasferı̀ a Cagliari, dove entrò a far parte della segreteria del viceré Vivalda; nel 1795 fu nominato referendario del Consiglio di Stato, funzione che svolse in momenti difficili con grande equilibrio. Negli anni seguenti proseguı̀ la sua prestigiosa carriera amministrativa e nel 1799, come riconoscimento della stima di cui godeva, gli fu conferita la nobiltà. Nel 1806 fu nominato vice intendente generale delle Finanze per il Capo di Sassari; nel 1812 gli venne affidato l’ufficio di intendente generale del Monte di riscatto col compito di estinguere il debito pubblico; a sancire le sue particolari benemerenze nel 1817 gli fu concesso il titolo di conte per aver portato a termine con successo quel difficile compito. La biblioteca della Camera di Commercio di Cagliari conserva un suo manoscritto intitolato Discorso istorico, politico, legale dei boschi e selve del regno di Sardegna. Ballero de Candia, Antonio Avvocato e poeta (n. Alghero 1927). Discendente da un nipote del conte Pietro che aveva piantato radici ad Alghero, dopo essersi laureato in Legge si è dedicato con successo alla professione di avvocato. Animatore della vita culturale della sua città, tra il 1950 e il 1960 ha aderito al ‘‘Centro di studi algheresi’’, preoccupandosi di rinnovare l’interesse per lo studio della lingua e delle tradizioni catalane; nel 1961 è stato tra gli animatori dei Jocs Florals, la grande rassegna internazionale della letteratura in lingua catalana. È stato anche più volte eletto consigliere comunale della sua città. Il suo nome è legato a delicate raccolte di versi con i quali ha ottenuto riconoscimenti a Barcellona e a Parigi e, nel 1962, il premio ‘‘Città di 389 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 397 Ballero Pes Ozieri’’. Alla cultura e alla poesia della sua città ha dedicato il volume Alghero, cara de roses, 1961. Ballero Pes, Antonio Giornalista e scrittore (Cagliari 1905-Venezia 1976). Appartenente al ramo cagliaritano della famiglia. Interrotti gli studi per l’improvvisa morte di suo padre, il grande avvocato Francesco, a ventidue anni si avviò alla professione di giornalista, entrando nella redazione de ‘‘L’Unione sarda’’ e iniziando cosı̀ un rapporto destinato a durare un quarantennio, fino al suo collocamento in pensione. Nel corso degli anni ideò e diede vita a numerose, seguitissime rubriche, tra le quali è da ricordare Memorie di tempi lontani, in cui rievocò la Cagliari della sua infanzia e della sua giovinezza con struggente nostalgia e insieme con grande senso storico. Nel 1964 vinse il premio di giornalismo ‘‘Iglesias’’. In seguito, andato in pensione, si ritirò a Venezia, da dove continuò a inviare al giornale ‘‘pezzi’’ di grande livello. Il lungo elenco dei suoi articoli copre un arco di 45 anni. Alcuni dei suoi ricordi animano il volume Le case di fango. Cagliari e altri scritti, pubblicato nel 1985. Bernardo, che godevano di una discreta posizione alla corte dei re d’Aragona e che nel 1323 presero parte alla spedizione in Sardegna armando la nave sulla quale viaggiò l’infanta Teresa. Subito dopo la conquista furono ricompensati con alcuni feudi e con l’ufficio di maestro della zecca di Iglesias per Bernardo, la cui discendenza però si estinse nel 1348 a causa della peste. Anche la discendenza di Arnaldo si estinse a metà del secolo XIV. Ballester, Arnaldo I Gentiluomo catalano (Barcellona?, fine sec. XIII-Sardegna 1338). Consigliere reale stimato da Giacomo II, nel 1323 si impegnò, unitamente a suo fratello Bernardo, nella preparazione della spedizione dell’infante Alfonso. Con una nave di sua proprietà provvide a trasportare in Sardegna l’infanta Teresa; dopo la conquista fu ricompensato con le signorie di Soleminis, Sirio e Sehanno nella curatoria di Dolia e con quella di Mogor de Liurus nella curatoria di Decimomannu. Il re gli concesse anche la salina di Mannari, posta in prossimità di Bionis, nella Nurra, per la quale nel 1330 ebbe dei contrasti con Giacomo Carroz. Ballero Pes, Paolo Letterato (Cagliari Ballester, Arnaldo II Gentiluomo cata- 1919-Siena 1972). Dopo la laurea entrò nell’amministrazione universitaria giungendo al grado di direttore generale dell’Università di Siena. Giornalista, poeta e romanziere, scrisse il poema Notte marmarica, 1941; il saggio Le chiese di Roma, 1950; la raccolta di liriche Quando l’anima è nuda, 1958, che gli fece vincere il premio della Presidenza del Consiglio; Memorie dall’isola, 1960, un altro volume di liriche; e infine Carme secolare sardo, 1964. lano (sec. XIV). Figlio di Arnaldo I, cresciuto negli ambienti di corte, dopo la morte del padre ne raccolse l’eredità. Nel 1344 fu inviato in Sardegna per liquidare i debiti che Alfonso IV aveva lasciato nell’isola; nel 1346 fu anche nominato collettore della decima, ma il suo comportamento, poiché consegnava con ritardo le somme riscosse, fece nascere dei sospetti nei suoi confronti e fu richiamato a corte per giustificarsi. Morı̀ pochi anni dopo senza eredi. Ballester Famiglia catalana originaria di Barcellona (sec. XIV). Le sue notizie risalgono al secolo XIII. Agli inizi del secolo XIV vivevano i fratelli Arnaldo e Ballester, Bernardo Maestro della zecca di Iglesias (m. 1330). Fratello di Arnaldo I, dopo la conquista ebbe la 390 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 398 Balmuth signoria di Samatzai nella curatoria di Nuraminis e nel 1326 fu nominato maestro della zecca di Iglesias. Svolse il suo compito con grande efficienza, riuscendo a portare la zecca a un livello di produzione ottimale. Balletto, Giorgio Commercialista, consigliere regionale (n. Cagliari 1942). Subito dopo aver conseguito la laurea si è dedicato all’insegnamento negli istituti superiori e alla libera professione. Dopo il 1990 si è anche impegnato in politica e nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per Forza Italia nel collegio di Cagliari per l’XI legislatura; riconfermato per la XII nel 1999 nello stesso collegio, nel 2003 è divenuto assessore regionale nella giunta Masala. Ricandidato per la XIII legislatura nel 2004, non è stato rieletto. Balletto, Laura Storica (n. Genova 1945). Allieva di Geo Pistarino, dopo la laurea in Lettere si è specializzata in Paleografia e ha iniziato la carriera universitaria. Nel 1976 ha insegnato all’Università di Sassari; nel 1984 è diventata professore associato di Paleografia; attualmente insegna Paleografia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Genova. Alcuni dei suoi numerosi studi sono dedicati all’approfondimento dei rapporti tra la Liguria e la Sardegna nel Medioevo: Tra Sardegna e Porto Venere nel secolo XIII, ‘‘Archivio storico sardo di Sassari’’, II, 1976; Tra Cagliari e Ventimiglia alla metà del Duecento, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXX, 1976; Studi e documenti su Genova e la Sardegna nel secolo XIII, ‘‘Saggi e documenti del Civico Istituto colombiano’’, II, 1981; Documenti notarili liguri relativi alla Sardegna sec. XII-XII, in La Sardegna nel mondo mediterraneo, Atti del primo Convegno internazionale di studi geografico-storici, Sassari 1981, 1984; Pescatori di corallo marsigliesi in Sarde- gna nel XIII secolo, in Pesca e pescatori in Sardegna (a cura di Gabriella Mondardini), 1997. Balma, Giovanni Antonio Religioso (Pinerolo 1817-Cagliari 1881). Arcivescovo di Cagliari dal 1871 al 1881. Appartenente all’ordine degli Oblati, si dedicò all’attività missionaria e dal 1845 fu inviato in Birmania dove dal 1848 fu vescovo di Tolemaide e vicario apostolico. Nel 1853 si ammalò e fu costretto a tornare in Piemonte. Nel 1856 volle tornare in Birmania, ma dopo pochi mesi il riacutizzarsi del suo male lo costrinse a dare le dimissioni e a stabilirsi a Torino. Nel 1865 fu inviato a Ozieri come visitatore apostolico, nel 1870 partecipò al concilio Vaticano I. Nominato arcivescovo di Cagliari, diede impulso alle opere pastorali e al miglioramento delle condizioni del clero. Tra i suoi scritti: numerose Lettere pastorali al clero e al popolo della città e archidiocesi di Cagliari, 18721881; Pubblicazione delle lettere apostoliche sull’identità dei corpi dei Ss. Ambrogio, Gervasio e Protasio, 1874. Balmuth, Miriam S. Archeologa americana (1922-2004). Dopo la laurea si è dedicata alla ricerca e all’insegnamento in alcune Università degli USA. Giunta in Sardegna per motivi di studio, tra il 1975 e il 1978 ha condotto una campagna di scavo nel nuraghe di Ortu Comidu presso Sardara. Da allora è divenuta instancabile promotrice dell’interesse per l’archeologia della Sardegna negli ambienti accademici americani. Nel 1982, in collaborazione col Rowland, ha promosso la prima sessione di studi sull’argomento svoltasi presso l’Università del Michigan. Subito dopo è diventata professore di Antichità classiche e di archeologia alla Tufts University di Medford, dove nel 1985 ha organizzato la seconda sessione di studi sull’archeologia sarda. 391 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 399 Balsamo Tra i suoi scritti: Ancient copper and bronze in Sardinia: Excavation and analysis (con R. Tylecote), ‘‘Journal of Field Archaeology’’, 3, 1976; Sardinian Bronzetti in American Museums, ‘‘Studi sardi’’, XXIV, 1977; Copper and bronze, metallurgy in Sardinia, ‘‘Journal of historical metallurgy Society’’, 17, 1983; Advances in Sardinian Archaeology, in Crossroads of Mediterranean, vol. II di ‘‘Archeologia Transatlantica’’, 1984; The Nuraghi of Sardinia. An Introduction, introduzione a Studies in Sardinian Archaeology, 1984; Nuraghe Ortu Comidu (Sardara-Ca): preliminary Report of Excavations 1975-78, ‘‘Notizie degli Scavi di Antichità’’, XXXVII, 1986; Ortu Comidu: excavation and laboratory, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 11, 1994. problemi del suo paese natale, ne è stato ripetutamente sindaco, adoperandosi per lo sviluppo della comunità. Per suo merito il piccolo centro dell’altipiano di Alà ha acquisito fama internazionale per le manifestazioni di atletica. Tra i suoi scritti: Alcuni monumenti inediti dell’altopiano di Buddusò e Alà dei Sardi, ‘‘Studi sardi’’, XXII, 1973; Il santuario di Sos Nurattolos, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1974; Il pozzo sacro di su Posidu (Alà dei Sardi), ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1974; Una necropoli prenuragica nelle campagne di Buddusò, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1975. Balsamo, Luigi Bibliotecario e biblioteconomo (n. San Damiano d’Asti 1926). Dopo la laurea ha iniziato a lavorare come bibliotecario. Ha diretto la Biblioteca Universitaria di Cagliari dal 1961 al 1962 avviando il restauro della sala settecentesca e dando inizio a una più razionale sistemazione del materiale librario. Successivamente ha lavorato presso altre biblioteche e dal 1976 è divenuto professore universitario. Attualmente insegna Bibliografia e biblioteconomia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Parma. Tra i suoi scritti tre riguardano la Sardegna: La lettura pubblica in Sardegna. Documenti e problemi, 1964; I primordi dell’arte tipografica a Cagliari, ‘‘La Bibliofilia’’, LXVI, 1, 1964; La stampa in Sardegna nei secoli XV e XVI con appendici documenti e annali, 1968. Baltolu, Antonello Insegnante, amministratore pubblico (n. Alà dei Sardi 1932). Conseguita la laurea in Lettere, si è specializzato in Studi sardi presso l’Università di Cagliari. Sensibile ai Honoré de Balzac – Venne in Sardegna a cercare la fortuna nelle scorie delle miniere d’argento. Balzac, Honoré de Romanziere francese (Tours 1799-Parigi 1850). Il celebre scrittore francese ebbe un rapido e tempestoso soggiorno in Sardegna. Il tutto ebbe inizio nel 1837 quando incontrò a Genova un certo Pezzi che gli prospettò la possibilità di arricchirsi rapidamente sottoponendo a un ulteriore sfruttamento le scorie delle miniere d’argento esistenti in Sardegna con l’impiego di tecniche più moderne di quelle dell’estrazione originaria. Convinto di aver trovato l’Eldorado, dopo una frettolosa preparazione, ca- 392 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 400 Banari ricatosi di debiti, partı̀ alla volta della Sardegna. Il viaggio fu faticoso: raggiunse l’isola passando per la Corsica e il 12 aprile del 1838 giunse ad Alghero. Subito si diresse verso l’Argentiera alla ricerca delle mitiche scorie e grande fu la sua delusione quando, giunto sul posto, scoprı̀ che il Pezzi (che gli aveva parlato dei ‘‘tesori’’ sardi) lo aveva preceduto e aveva ottenuto lui la concessione. Allora, viaggiando per cinque giorni a cavallo e in diligenza, si diresse verso Domusnovas dove sperava di trovare altre scorie. Rimasto senza soldi, si spostò a Cagliari dove si accorse di non essere molto conosciuto: non gli rimase che ripartire pieno di delusione e di rabbia, rabbia che gli suggerı̀ ingiuste parole nei confronti della Sardegna (in una delle cinque lettere alla futura moglie, madame Hanska, descrive giungle in cui bisogna aprirsi la strada con il machete e indigeni selvaggi e seminudi). Banari Comune della provincia di Sassari, incluso nel Comprensorio n. 5, con 667 abitanti (al 2004), posto a 419 m sul livello del mare, in una regione di colline pochi chilometri a sud di Sassari. Regione storica: Meilogu. Archidiocesi di Sassari. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 21,27 km 2 : ha forma grosso modo romboidale e confina a nord con Florinas e Siligo, a est ancora con Siligo, a sud con Bessude, a ovest con Ittiri. Il suolo, che va da un’altitudine di 160 m a punte massime di 580, è di natura per metà calcarea, per l’altra metà basaltica e trachitica: pregiata la trachite che veniva estratta un tempo e impiegata nell’edilizia. Adatta all’agricoltura ma oggi sfruttata prevalentemente per l’allevamento, la campagna è tagliata da alcuni corsi d’acqua che fanno parte del bacino del Mannu di Porto Torres. Tradizionalmente appartato rispetto alle vie di comunicazione più importanti della zona, la SassariCagliari e la secondaria che passa per Siligo e Thiesi, il paese è servito da una strada che, staccandosi da quest’ultima, prosegue per diramarsi poi verso Florinas, Ossi e Ittiri. Banari – Giuseppe Carta vive e lavora fra Genova e Siligo. Nel suo paese natale ha creato la Fondazione Logudoro Meilogu, impegnata nella promozione delle arti visive. STORIA Sviluppatosi nel Medioevo, B. faceva parte del giudicato di Torres ed era compreso nella curatoria del Meilogu. Era un centro importante anche per la presenza nelle sue campagne del monastero cistercense di Santa Maria di Cea, la cui fondazione risale al secolo XII. Dopo la morte della giudicessa Adelasia, passò unitamente all’intera curatoria in mano ai Doria che lo inclusero nel piccolo stato feudale che avevano formato. Essi seppero instaurare un buon rapporto con gli abitanti del villaggio che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia e vissero sostanzialmente in pace fino alla conquista aragonese; i Doria si dichiararono vassalli del re d’Aragona e B. entrò nel 1323 a far parte del Regnum & 393 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 401 Banari Sardiniae. Quando però nel 1325 si ribellarono e ne fecero una delle basi della loro organizzazione militare, il villaggio fu teatro della guerra e nel 1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. Continuò a rimanere nelle loro mani, subı̀ altri gravi danni durante la ribellione del 1347 e dopo l’epidemia di peste del 1348 si spopolò quasi completamente: si calcola che nella seconda metà del secolo avesse non più di 50 abitanti. In seguito i Doria si riavvicinarono al re d’Aragona, ma quando nel 1365 scoppiò la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV il paese, dopo un disperato tentativo di resistenza da parte di Brancaleone Doria, fu occupato dalle truppe arborensi. Quando quest’ultimo sposò Eleonora d’Arborea, la situazione di B. cambiò, e continuò a essere amministrato come un villaggio giudicale fino alla caduta definitiva degli Arborea. Dopo la battaglia di Sanluri cadde nelle mani del visconte di Narbona che lo tenne fino al 1420; tornato sotto controllo reale, nello stesso anno il villaggio entrò a far parte del grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Il figlio di Bernardo nel 1442 vendette B. e Siligo a Cristoforo Manno che, a sua volta, nel 1444 cedette i due villaggi a Nicola Viguino. Il villaggio però non trovò pace, infatti l’anno successivo il nuovo feudatario vendette i due paesi a Serafino Montañans. Nel secolo seguente B. continuò a passare di mano più volte, e nel 1500 costituı̀ la dote di Giovanna di Montañans quando questa si sposò con Francesco Castelvı̀ del ramo sassarese della famiglia; in quel periodo il villaggio si andava riprendendo e contava una popolazione vicina ai 200 abitanti. Da Giovanna e Francesco nacque Gerolamo che quando morı̀ lasciò a sua volta tre figlie: Anna moglie di Fede- rico Cardona, Maria moglie di Artale Castelvı̀ del ramo cagliaritano, e Francesca, sposata con un Fabra. Negli anni seguenti il villaggio fu oggetto di lunghe liti tra gli eredi delle tre signore e nel 1535 passò nelle mani dei Cardona, che a loro volta si estinsero nel 1590 con Gioacchino che designò sua erede la moglie Caterina Alagon. La successione di quest’ultima fu però contestata dal fisco, che considerava il feudo di cui B. faceva parte devoluto, e dai Castelvı̀ del ramo di Laconi. Nel 1597 questi ultimi la spuntarono e B. divenne il centro di un feudo che fu assegnato al marchese di Laconi il quale ne fece l’appannaggio per il suo secondogenito. Nel 1646 il nuovo feudo fu costituito in marchesato che prese il nome di Cea dall’antico monastero cistercense, le cui memorie B. custodiva nella chiesa di Santa Maria. I Castelvı̀ gravarono le sue rendite di ipoteche e di debiti e quando nel 1669 il feudo fu loro confiscato, a causa delle tristi vicende che li coinvolsero nell’assassinio del viceré Camarassa, la sua amministrazione era largamente deficitaria. Alla confisca seguirono anni confusi, B. fu infeudato a Giacomo Alivesi, il traditore dell’ultimo marchese di Cea, ma si trattò di investitura di breve durata perché il nuovo feudatario era odiato dai vassalli. Il villaggio andò decadendo e fu decimato dalla peste: nella seconda metà del secolo superava di poco i 200 abitanti. Nel 1699 fu nuovamente infeudato ai Fortesa, che per liberarsi dai debiti di cui era gravato lo fecero amministrare da persone senza scrupoli accentuando il disagio della popolazione. Nel 1740 essi rinunciarono al feudo e nel 1741 B. fu acquistato dai Musso col titolo di conti di Villanova Montesanto. Era oramai ridotto a villaggio senza importanza, ma i suoi abitanti avviarono con 394 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 402 Banari grande impegno tutta una serie di attività che modificarono le sue condizioni generali e la popolazione riprese a crescere al punto che nel 1781 B. toccava quasi i 1000 abitanti. Nel corso del Settecento, però, il rapporto con i feudatari si fece sempre più teso anche perché, con la costituzione nella seconda metà del secolo del Consiglio comunitativo e del Monte granatico, la coscienza degli abitanti e la loro aspirazione a liberarsi dal vincolo feudale si fecero sempre più decise, e alla fine del secolo esplosero nei moti antifeudali ai quali essi presero parte con grande impegno. Nel 1821 B. fu incluso nella provincia di Alghero; nel 1839 fu riscattato ai Musso. In questi anni Vittorio Angius scriveva: «Componesi di 350 case. Vi è una scuola normale di 35 giovinetti. Il censimento del 1832 diede un totale di anime 1281, in famiglie 345. Impiegansi nell’agricoltura gioghi 90, e si semina per ordinario starelli di grano 1400, d’orzo 150, di fave 100. Il vigneto è in terreno felice. Il bestiame domito, tra buoi, vacche mannalite e giumenti, sommava nel 1833 a 600 capi; il rude a 3000». Abolita nel 1848 la provincia di Alghero, il villaggio rimase nella divisione amministrativa di Sassari fino al 1859 e successivamente entrò a far parte della omonima provincia. Nella seconda metà dell’Ottocento l’economia di B. sembrò avere un deciso sviluppo, la viticoltura e l’allevamento fecero intravedere grandi possibilità, la popolazione continuò a crescere e alla fine del secolo oltrepassò i 1600 abitanti; la crisi di fine secolo però ebbe effetti pesanti, molte fiorenti attività economiche furono chiuse e il villaggio entrò in una crisi profonda. Nei primi decenni del Novecento la situazione non migliorò e dopo il 1960 la popolazione preferı̀ emigrare massicciamente per sfuggire alla precarietà della propria condizione. Banari – La chiesetta campestre di Santa Maria di Cea era annessa a un convento cistercense. & ECONOMIA La sua economia è prevalentemente basata sull’agricoltura: la cerealicoltura, la viticoltura e l’olivicoltura vi sono praticate a buon livello; di particolare qualità sono i vini. Anche la pastorizia vi è sviluppata, discreta è la produzione di formaggi. Altro fattore dell’economia di B. sono le attività commerciali e alcune modeste attività imprenditoriali. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 699 unità, di cui stranieri 3; maschi 345; femmine 354; famiglie 305. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento della popolazione, con morti per anno 6 e nati 7; cancellati dall’anagrafe 11; nuovi iscritti 12. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 3788 in migliaia di lire; versamenti ICI 472; aziende agricole 113; imprese commerciali 47; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 11. Tra gli indicatori sociali: occupati 189; disoccupati 24; inoccupati 53; laureati 2; diplomati 78; con licenza media 196; con licenza elemen- 395 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 403 Banca Agricola di Gallura tare 293; analfabeti 20; automezzi circolanti 263; abbonamenti TV 242. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Sono stati individuati i nuraghi Corona Alta, Domu Pabaras, Monte Franca, Piraula e Sa Tanchitta, a dimostrazione che il territorio era popolato in epoca preistorica. Di particolare interesse le domus de janas di Sa Tanca ’e su Rettore, un complesso di tre sepolture ipogeiche, e quelle di Monte Cunzadu. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Caratteristico è l’assetto urbanistico del villaggio, che è nato dalla fusione di tre nuclei di popolamento di origine medioevale. Il primo, che costituisce il centro del paese, coincide con il primo nucleo sorto intorno alla chiesa di San Giacomo oggi scomparsa. Il secondo rappresenta la parte alta del paese e si è aggregato attorno alla chiesa di San Michele, costruita nel secolo XII in forme romaniche e poco dopo donata ai Camaldolesi che ne fecero una dipendenza dell’abbazia di Saccargia. Aveva l’impianto a una navata completata dall’abside e la copertura in legno a capriate. Nel corso dei secoli andò in rovina e fu ricostruita nelle forme attuali nel 1892. Il terzo abitato, infine, si è sviluppato nell’attuale parte bassa dell’abitato dove sorge la chiesa di San Lorenzo, un tempo affiancata da un convento: costruita in forme romaniche nel secolo XIII come dipendente dall’abbazia di Saccargia, in seguito divenne la parrocchiale del villaggio e nel corso dei secoli subı̀ numerose modificazioni che ne alterarono l’aspetto originario. In particolare nel secolo XVIII fu ristrutturata radicalmente la navata, mentre nel XIX la facciata fu rifatta in forme neoclassiche. L’abitato è caratterizzato da strade ampie nelle quali si affacciano alcune case del tipo a palattu, con una bella passeggiata pano- ramica sulla vallata del monte Pelao. In uno di questi eleganti palazzotti d’epoca spagnola ha sede la Fondazione Logudoro Meilogu, che ospita una rassegna permanente delle arti visive contemporanee sarde e nazionali e organizza sul territorio mostre annuali di notevole importanza. A poca distanza dall’abitato vi è la chiesa di Santa Maria di Cea che fu edificata in forme romaniche nel 1260 e annessa a un romitorio dei Vallombrosani. L’edificio ha una sola navata e l’abside con la volta a botte; la facciata, sobria ed elegante, è sormontata da un campaniletto a vela. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Festa principale del villaggio è quella di San Lorenzo, patrono del paese, che si svolge il 10 agosto. Si tratta della classica sagra paesana con i fuochi artificiali e il concorso di molte bancarelle a ricordo di una piccola fiera che in passato vi si teneva. Altra festa importante è quella di Santa Maria di Cea che si svolge l’8 settembre presso l’omonima chiesetta campestre e dura due giorni; in passato era rinomata per le gare equestri che vi si svolgevano. Da due anni è ripresa anche la celebrazione della festa di Sant’Antonio da Padova. A queste manifestazioni tradizionali se ne sono aggiunte di recente altre, come importanti rassegne d’arte e di pittura e una inedita sagra della cipolla (legata a un prodotto tipico locale), nate dall’iniziativa di un pittore di larga notorietà, Giuseppe Carta, che si preoccupa di suscitare le energie intellettuali del paese, anche attraverso la Fondazione Logudoro Meilogu (=) cui ha dato vita. Banca Agricola di Gallura Istituto di credito attivo alla fine del secolo XIX. Fondato nel 1877 in seguito all’entrata in vigore della legge Castagnola del 1869 e abilitato all’esercizio delle ope- 396 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 404 Banca Costa razioni di credito agrario, aveva un capitale di circa 100 000 lire, di cui furono versate solo 30 000 lire. Visse in maniera precaria per cinque anni, e quando nel 1883 fu abolito il corso forzoso della lira, in poco tempo dovette cessare le proprie attività. Banca Agricola Industriale Arborense Istituto di credito agrario fondato nel 1872 con un capitale di 500 000 lire di cui solo 150 000 versate. Emetteva buoni agrari e solo in seguito si occupò di depositi e di conti correnti; la sua vita fu breve. Infatti, travolto dalla crisi economica del 1887, fu costretto a chiudere gli sportelli per insolvenza. dicò anche alla raccolta del credito che gli consentı̀ di intraprendere altre attività di finanziamento a più largo respiro. Spinto dal governo, finanziò con 1 200 000 lire l’impresa della miniere tunisine di Gebel Ressas, per cui fu gravemente provato dalla crisi del 1887. Riuscı̀ comunque a sopravvivere fino al 1898 ricorrendo all’aumento del capitale e ottenendo il sostegno della Banca Nazionale. Nel 1898, però, fu posto in liquidazione e chiuse definitivamente gli sportelli nel 1906, dopo avere restituito ai clienti tutti i risparmi depositati. Banca Commerciale Sarda Istituto di credito fondato a Sassari nel 1873 con un capitale nominale di 2 milioni di lire. Affidato alla direzione di Costantino Casella, nel 1878, dopo un avvio incerto, il capitale della banca fu ridotto della metà, ma la sua esistenza continuò a essere precaria, cosicché non appena furono evidenti i segni della crisi economica del 1887 fu costretto a cessare ogni attività. Banca Commissionaria di Sassari Istituto di credito fondato nel 1873 da un gruppo di mercanti. Affidato alla direzione di Nicola Costa Podestà, aveva come scopo fornire anticipazioni agli operatori commerciali su prodotti, merci e commissioni. Si trovò subito in difficoltà: nel 1876 chiuse gli sportelli e fu messo in liquidazione. Banca Costa Istituto di credito opeBanca Agricola Sarda – Diritto e rovescio di una banconota da 30 lire. Banca Agricola Sarda Istituto di credito agrario voluto nel 1871 dal deputato e finanziere Giovanni Antonio Sanna. Inizialmente abilitato alle operazioni di credito agrario, riscosse la fiducia dell’opinione pubblica e si de- rante a Sassari tra la prima metà del secolo XIX e il 1901. Faceva capo alla ditta genovese Costa che operava nel settore delle conce in Sardegna già dal 1817. Per sostenere il volume dei propri affari la ditta, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, svolse alcune funzioni bancarie. Amministrata oculatamente, riuscı̀ a sopravvivere alla crisi del 1887; nel 1901, però, per un’improv- 397 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 405 Banca di Sassari spa visa crisi di liquidità fu costretta a chiudere. Banca di Sassari spa Istituto di credito costituito nel febbraio 1993, ha una storia lunga e illustre. Esso infatti trova le sue radici più antiche nella Banca Cooperativa fra Commercianti fondata a Sassari nel 1888 e posta sotto la presidenza di Diego Brusco. L’istituto si prefiggeva di offrire credito ai commercianti e agli impiegati del settore commerciale a condizioni particolarmente vantaggiose. Quando nel 1895 la presidenza fu assunta da Gervasio Costa, fu avviata la riforma dello statuto, cosicché nel 1902 la banca assunse la denominazione di Banca Popolare Sassarese e continuò a crescere moderatamente e a rafforzare il proprio capitale. Nel 1925 si estese ulteriormente grazie all’intervento finanziario dell’Unione Industriale e Commerciale sponsorizzato dall’economista Gavino Alivia. L’apporto finanziario fu decisivo per le sorti della banca: tra il 1926 e il 1936 l’istituto crebbe in modo notevole, guidato a partire dal 1927 dall’Alivia che ne divenne presidente. Nel 1936 egli fece votare una nuova modifica dello statuto in seguito alla quale la banca prese il nome di Banca Popolare Cooperativa Autonoma di Sassari. Continuando a svilupparsi, nel 1948 prese il nome di Banca Popolare di Sassari-Società Cooperativa a responsabilità limitata. Nel 1979 contava più di 7000 soci con utili annui per 400 000 000 milioni, passando da una dimensione provinciale a una regionale. Nel 1990 aveva più di 21 000 soci e un capitale sociale di 18 miliardi. Ma la stessa crescita tumultuosa pose nuovi problemi e a partire dal 1990 la banca fu posta in gestione straordinaria. Dopo tre anni fu riportata alla gestione normale a costo di gravissimi sacrifici dei primitivi azionisti e incorpo- rata nella B. di S. spa, società costituita nel 1993 con l’adesione del Banco di Sardegna. Bancali Centro abitato della provincia di Sassari, frazione di Sassari (da cui dista 9 km), con circa 200 abitanti, posto a 92 m sul livello del mare in un territorio di bassi rilievi calcarei al confine con la Nurra. Regione storica: Fluminargia. Archidiocesi di Sassari. & TERRITORIO Il territorio è quello tipico della zona di Sassari: un tavolato calcareo digradante dolcemente verso la costa settentrionale; questa zona non particolarmente ricca d’acqua aveva trovato in passato la sua vocazione nella coltura dell’olivo. La maggior parte della frazione si distende lungo la strada Sassari-Argentiera, ma da qualche tempo la frazione è collegata con la nuova superstrada per Alghero. & STORIA Sorta in anni recenti come agglomerato per i coloni di queste campagne, oggi la frazione ospita ancora agricoltori, ma è divenuta luogo di abitazione anche per cittadini sassaresi ed è sede di alcuni servizi e di qualche iniziativa commerciale legata alla città. Banca Popolare Cooperativa di Cagliari Istituto di credito fondato nel 1884 per scontare cambiali ed effettuare operazioni e credito agrario a favore dei soci. Fu la prima banca cooperativa di credito costituita in Sardegna. Anche questo istituto, però, ebbe vita breve e nel 1887 dovette chiudere la sua attività. Banca Popolare di Sassari Istituto bancario che trae le sue origini dalla Banca cooperativa fra commercianti, costituita a Sassari nel 1888 con un modesto capitale sotto la presidenza di Diego Brusco. Nel 1902 l’istituto assunse la denominazione di Banca Popolare Sassarese. Nel 1925 si estese fi- 398 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 406 Banco di Sardegna nanziariamente e continuò a crescere. Verso la fine del secolo, entrata in crisi, fu assorbita dal Banco di Sardegna (=), che nel 1993 la ricostituı̀ in Banca di Sassari spa. Banco di Cagliari Istituto di credito agrario fondato nel 1869, subito dopo la promulgazione della legge Castagnola che, su ispirazione di Enrico Serpieri, istituiva il credito agrario. Si prefiggeva di sostenere il commercio e le attività marittime e tentò inutilmente di farsi attribuire le operazioni di credito fondiario in Sardegna. Prevalentemente indirizzò la propria attività a sostegno dello sviluppo delle ferrovie sarde e gradualmente in questo campo pretese di sostituirsi al gruppo Semenza. Negli anni in cui il deputato e finanziere cagliaritano Ghiani Mameli divenne l’amministratore della società, il B. di C. sostenne lo sviluppo del Credito Agricolo Industriale Sardo, per cui quando ebbe inizio la crisi economica del 1887 fu il primo a trovarsi in difficoltà. A causa della sfiducia di coloro che ne avevano appoggiato l’apertura, l’istituto fu costretto a circoscrivere la propria attività alla sola città di Cagliari; in seguito, dopo pochi anni, fu costretto a chiudere provocando gravi danni a non pochi sottoscrittori. Banco di Sardegna – Il Banco di Sardegna ha ampliato la piccola rete di agenzie locali sino a coprire l’intero territorio isolano. Banco di Sardegna Istituto di credito. La storia del B. di S., concepito come istituto di diritto pubblico, è piuttosto complessa. Nasce da un’esigenza già manifestata negli anni Trenta quando l’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna si trovò di fronte all’esigenza di sviluppare ulteriormente le proprie attività bancarie e di dotare la Sardegna di strumenti di credito adeguati al suo sviluppo. L’idea non ebbe immediatamente seguito, probabilmente per le vicende politiche legate al fascismo e alla guerra; essa sembrò materializzarsi nel 1944, quando il B. di S. fu istituito con un decreto luogotenenziale con il compito di sviluppare le possibilità produttive delle risorse economiche della Sardegna. Ma il nuovo istituto non fu in grado di operare, non solo per la mancanza di capitali, ma anche per le incertezze dei Governi centrali in ordine alle norme da dettare per l’organizzazione del sistema creditizio italiano. L’esigenza però rimase, anzi nel primo decennio del dopoguerra divenne sempre più evidente, anche perché con l’istituzione della Regione autonoma e della Cassa del Mezzogiorno apparve sempre più necessaria la costituzione in Sardegna di un moderno istituto di credito di diritto pubblico. La situazione fu sbloccata con la legge n. 298 dell’aprile 1953 delegata a promuovere lo sviluppo dell’attività creditizia nell’Italia meridionale. Con questa legge venne stabilita la fusione dell’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna con il B. di S.: il nuovo istituto avrebbe conservato la denominazione di B. di S. e avrebbe avuto la sede legale a Cagliari e quella amministrativa a Sassari. Il lungo cammino del credito in Sardegna a cominciare dalle Casse ademprivili di Cagliari e di Sassari, dalle Casse provinciali di credito agrario di Cagliari e di 399 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 407 Banco di Sardegna Sassari, dall’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna dai quali il nuovo istituto derivava era giunto al traguardo. Infatti nel neonato B. di S. si sommavano le funzioni di banca di credito ordinario e quelle di istituto di credito speciale per l’agricoltura in Sardegna. I suoi organi erano un consiglio di amministrazione di nomina ministeriale composto da 10 esperti di credito, in seno al quale venivano individuati un presidente e un vicepresidente, i cui poteri erano amministrativi. L’organo aveva la facoltà di delegare compiti esecutivi a un consiglio ristretto costituito dal presidente, dal vicepresidente, da due consiglieri e dal direttore generale. Il B. di S., costituito quindi con l’intervento diretto dello stato, espanse rapidamente le proprie attività, ma già dal 1955 sentiva la necessità di articolarsi con filiali e sedi proprie su tutto il territorio regionale. Per realizzare questo obiettivo si servı̀ delle Casse comunali di credito agrario, che erano state istituite fin dal 1928, e sulle quali, in base alla legge del 1953, aveva avuto delegata dalla Banca d’Italia la vigilanza. Cosı̀ nel 1962 il B. di S. ottenne l’autorizzazione a istituire presso ciascuna Cassa comunale un proprio ufficio di corrispondenza. Un altro passo fu compiuto nel 1968, quando il B. di S. fu autorizzato all’esercizio di tutte le forme di credito consentite dalla legge; il sistema degli uffici di rappresentanza a questo punto facilitò il compito del Banco, che dal canto suo cominciò ad aprire proprie sedi e filiali in diversi centri dell’isola e anche nella penisola e all’estero. Nel 1986 il B. di S. aveva 74 sportelli aperti accanto agli uffici di corrispondenza, che nel 1990 erano 316, operanti su tutto il territorio della regione presso altrettante Casse comunali. Accanto a questa organizzazione territoriale il B. di S. creò altre moderne strutture di credito, come la Sardaleasing, costituita nel 1979, e la Eptaconcors, costituita nel 1982. Ciò fu un indubbio vantaggio per l’istituto in quanto questi uffici finirono per agire come veri e propri sportelli bancari anche nel Lazio, Toscana, Liguria e Lombardia. Banco di Sardegna – La ‘‘pintadera’’, usata fin dai tempi nuragici per ‘‘marcare’’ il pane, è stata adottata come logo dal Banco di Sardegna. La crescita territoriale fu accompagnata dalla costituzione di sezioni di credito speciali e da altre iniziative creditizie mediante la costituzione di società per azioni collegate. Cosı̀, in pochi anni, accanto alla normale attività di credito ordinario il B. di S. costituı̀ tre sezioni di credito speciale: il Credito agrario, il Credito fondiario e la Sezione autonoma per il finanziamento di opere pubbliche e di impianti di pubblica utilità. A questo punto il consiglio di amministrazione sentı̀ la necessità di una ristrutturazione delle attività, cosı̀ nel 1992 il B. di S. fu trasformato in una spa che divenne la società capogruppo del Gruppo creditizio Banco di Sardegna. Agli inizi degli anni Novanta, oltre alla trasformazione delle casse comunali in vere e proprie agenzie del B. di S., per la legge 400 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 408 Bandino n. 218 Amato-Carli, che imponeva agli istituti di diritto pubblico di trasformarsi in società per azioni, nel luglio 1992 fu approvato un nuovo statuto e nell’agosto nacque il Banco di Sardegna spa, le cui azioni vennero conferite alla Fondazione Banco di Sardegna, destinata a perseguire finalità di interesse pubblico e di utilità sociale. Nel 2001, infine, la Banca popolare dell’Emilia Romagna (BPER) ha acquisito dalla Fondazione B.d.S. il 51% netto del capitale sociale in azioni ordinarie. Oggi il B. di S. fa parte del Gruppo Banca popolare dell’Emilia Romagna, costituito dal capogruppo e da altre 13 banche, mantenendo il carattere di sub-holding nei confronti delle sue controllate. Il B. di S. ha il 58% degli sportelli bancari dell’isola, con i suoi 391 sportelli, di cui 16 nella penisola. Banco di Sardegna – La sede centrale del Banco di Sardegna a Sassari. ziariamente fragile e nel 1876 fu posto in liquidazione. Bande, Francesco Fisarmonicista (Bultei 1930-Sassari 1988). Inimitabile suonatore di fisarmonica e di organetto diatonico, innovò profondamente il campo della musica e del ballo tradizionale sardo. Attento osservatore del folclore, raccolse una discreta collezione di oggetti, indumenti e strumenti musicali; morı̀ prematuramente nel 1988. La sua collezione forma attualmente L’Esposizione etnografica Francesco Bande; la sua sede di Sassari è centro di manifestazioni folcloristiche. Bandidori, su Figura tipica nei paesi della Sardegna ancora fino alla metà del secolo XX; era un dipendente comunale al quale venivano delegate alcune funzioni, la più importante delle quali era quella di rendere noto alla popolazione un bando dell’amministrazione comunale (ghettai su bandu). Egli però poteva essere impegnato anche per comunicare alla popolazione altre notizie di interesse pubblico o per notificare a privatati avvisi dell’amministrazione comunale. Tradizionalmente espletava il proprio compito principale facendosi precedere dal rullo del tamburo o dal suono di una trombetta, al quale seguiva la comunicazione che generalmente ‘‘lanciava’’ in lingua sarda. ‘‘Bandiera Sarda, La’’ Settimanale. Banco di Sassari Istituto di credito agrario sorto nel 1871 in seguito alla legge che istituiva il credito agrario; fu diretto da Enrico Murtula, un banchiere che proveniva dalla Liguria. Nella grande euforia che accompagnò l’istituzione del credito agrario in base alla ‘‘legge Castagnola’’, l’istituto ebbe qualche iniziale successo e sembrò destinato a svilupparsi rapidamente. Ma dopo soli quattro anni si rivelò finan- Iniziò a essere pubblicato a Cagliari nel 1881 e proseguı̀ fino al 1889. I redattori più importanti furono Arturo Santini, Enrico Dedoni e Giovanni Marcello. Bandino Religioso (sec. XII). Arcivescovo di Torres dal 1196 al 1221 e vescovo di Solci dal 1221. Canonico della cattedrale di Pisa, legato da profonda amicizia ai Visconti, fu nominato arcivescovo di Torres nel 1196, ma presu- 401 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 409 Bandinu mibilmente non riuscı̀ a occupare la cattedra, per cui continuò a rimanere nella sua città. Fautore di Lamberto Visconti, nel 1221 venne consacrato vescovo di Solci da Mariano arcivescovo di Cagliari, sulla cui diocesi gravava l’interdetto pontificio a causa dei Visconti. B. ottenne il perdono da Onorio III, intorno al 1225. Morı̀ subito dopo. Bachisio Bandinu – Sociologo, fine conoscitore delle zone interne, interprete e studioso dei temi dell’identità. Bandinu, Bachisio Antropologo (n. Bitti 1939). Conseguita la laurea in Lettere si è dedicato per molti anni all’insegnamento nelle scuole medie, collaborando contemporaneamente alla stampa sarda e nazionale. Per ragioni di lavoro ha vissuto per alcuni anni in Lombardia, insegnando e specializzandosi presso la Scuola superiore di Comunicazioni dell’Università di Milano. È divenuto dal 1972 giornalista pubblicista e ha approfondito i suoi studi sulle tradizioni popolari. Tornato in Sardegna, è diventato uno degli animatori più interessanti e originali del dibattito attuale sull’identità, inserendosi nella prospettiva del dialogo tra antropologia e scienze sociali aperta da Giulio Angioni e Michelangelo Pira. In particolare nelle sue opere B. approfondisce il rapporto tra il mondo tradizionale della pastorizia e la irrompente civiltà dei consumi e cerca di dare una lettura adeguata al rapporto tra tradizione e innovazione. Nel 1993 ha vinto il premio ‘‘Funtana Elighes’’; nel 1999 è stato nominato direttore de ‘‘L’Unione sarda’’, e alla guida del quotidiano ha tentato di dare maggiore incisività alla sua concezione della realtà sarda. Attualmente è presidente della Fondazione Sardinia. Dei suoi numerosi lavori alcuni sono da considerare anche un valido contributo per la lettura della storia contemporanea della Sardegna. Tra gli altri: Il re è un feticcio (con Gaspare Barbiellini Amidei), 1976 (sull’antagonismo tra ‘‘civiltà’’ pastorale e consumismo capitalistico); Costa Smeralda. Come nasce una favola turistica, 1980; Un sardismo da inventare, in Le ragioni dell’utopia. Omaggio a Michelangelo Pira, 1984; Recenti trasformazioni dell’identità sarda, in Storia dei Sardi e della Sardegna (a cura di Massimo Guidetti), IV, 1989; Narciso in vacanza, 1994; Il cavallo. Memorie, sogno, storia (con Bebo Ardu e Lucio Gratani), 1995; Lettera a un giovane sardo, 1996; Olbia città multietnica (con Giovanni Murineddu ed eugenia Tognotti), 1997; Visiones. I sogni dei pastori, 1998; Terra de musas (con Paolo Pillonca), 2001; Mario De Biasi (con Alfonso Gatto e Giuseppe Dessı̀), 2002; Identità-culturascuola (con Placido Cherchi e Michele Pinna), 2003; Pastoralismo in Sardegna. Cultura e identità di un popolo, 2006. Bandita Termine con cui veniva indicato il diritto del feudatario di esigere dai suoi vassalli un tributo che essi erano tenuti a pagare quando portavano delle olive al frantoio baronale. Questo balzello fu riconosciuto ancora nell’Ottocento, ma quando il governo si adoperò per sostenere lo sviluppo del- 402 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 410 Banditismo l’olivicoltura ne fu radicalmente trasformata la natura. Infatti i baroni furono obbligati a costruire frantoi con il ricavato dall’esazione del tributo, e qualora non avessero provveduto venne data facoltà ai privati di impiantare i frantoi. Banditismo – Foto di gruppo di carabinieri e banditi dopo la battaglia di Morgogliai, nel 1899. Banditismo Il fenomeno del banditismo ha un rilievo particolare nella storia della Sardegna. Il Codice promulgato sotto il regno di Carlo Felice (1827) stabiliva che «erano riputati banditi senza che fossero dichiarati tali per pregone pubblico: i già condannati alla pena della galera; coloro che, inquisiti di delitto importante simile pena, fossero già stati citati per scolparsi, nonché coloro di cui fosse stato decretato l’arresto dal giudice competente, qualora si dessero alla macchia per sfuggire alla giustizia». Bandito, quindi, è colui che si è sottratto volontariamente all’esecuzione di un comando della legge; nella realtà sarda il bandito batte la campagna e commette altri delitti. Da Roma alla Spagna Il fenomeno era ben noto fin dai tempi dei Romani, quando assunse caratteri di latente ribellione ‘‘nazionale’’ e un marcato carattere sociale. In periodo romano il b. era soprattutto furto di bestiame e spesso coloro che lo praticavano erano pastori, abitanti delle montagne che oratori come Cicerone chiamavano latrunculi mastrucati. Nel corso dei secoli successivi il fenomeno continuò a manifestarsi ma divenne particolarmente evidente durante il periodo spagnolo. A partire dal secolo XVI, infatti, le campagne erano corse da homines facinorosos que van en quadrilla, vere e proprie bande come quella di Manuzio Fiore. Il fenomeno era di tale rilievo che nel 1574 fu promulgata una Prammatica con la quale venivano prese misure per prevenire il formarsi delle bande e soprattutto per reprimere il favoreggiamento che (spesso da parte degli stessi feudatari) rendeva possibile l’attività criminale. Nel corso del secolo XVII il fenomeno delle bande armate si sviluppò ulteriormente: le campagne di Sassari, di Nuoro, del Goceano e della Gallura, anche grazie alla natura dei luoghi, divennero teatro delle imprese di temibili bande che ben presto furono in condizione di compromettere gravemente l’ordine pubblico. Sotto i Savoia La situazione non si modificò con l’avvento dei Savoia, per cui già dal 1720 fu necessario emanare i primi provvedimenti per la repressione del fenomeno. Ma fu solo col viceré Rivarolo, il famoso estensore dell’odiato editto contro le barbe, che si ebbe un intervento deciso in materia. Il 13 marzo 1759 fu infine promulgato un Regolamento per l’amministrazione della giustizia nel Regno di Sardegna. Nella seconda metà del secolo XVIII in certe zone dell’isola (come la Gallura) il b. era legato al contrabbando; per reprimerlo si fece ricorso anche ai barracelli, che il governo sabaudo tendeva a militarizzare snaturandone la funzione di polizia rurale. Un passo decisivo nella repressione si ebbe 403 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 411 Banditismo quando nel 1814 fu costituito il corpo dei Carabinieri Reali, che consentı̀ di diffondere nel territorio dei distaccamenti stabili appoggiati alle caserme. Nel corso della prima metà del secolo il b. assunse forme nuove: una di queste fu il radicarsi dello scontro tra bande avverse che coinvolgevano i nuclei parentali dei banditi e che spesso erano mosse da potenti famiglie che volevano difendere particolari interessi o vendicarsi di torti subı̀ti; le cronache del tempo riportano notizie di veri e propri conflitti che spesso si svolgevano all’interno dei paesi. Ai momenti di scontro si andarono alternando le famose paci, una pratica che finı̀ per essere favorita dalle autorità e che prevedeva il giuramento in chiesa di tutti i membri delle fazioni avverse e spesso di tutti i capifamiglia di interi villaggi, seguito dalla concessione di indulti e di salvacondotti da parte delle autorità. Banditismo – Uno spettacolo consueto nella Sardegna pastorale di fine Ottocento: il corteo dei banditi arrestati. La ‘‘Caccia Grossa’’ La tranquillità pubblica purtroppo non fu raggiunta: nella seconda metà dell’Ottocento l’endemica crisi sociale, la povertà, le difficoltà di rapporti con le autorità, spinsero il b. a manifestarsi in altre forme. In particolare veniva praticato da bande costituite per l’occasione la bar- dana, che era una spedizione armata per depredare un villaggio, e la grassazione, una spedizione armata per bloccare un paese in vista della spoliazione di un ricco proprietario: fatto il colpo le bande si scioglievano, rendendo difficilissimo il compito degli inquirenti; intorno al 1875 comparve per la prima volta la pratica del sequestro di persona a scopo di estorsione. La violenza e la paura si impadronirono delle campagne. L’indagine della commissione parlamentare d’inchiesta, nel 1869, cominciò a rendere evidenti i legami tra b. e situazione sociale, ma l’opinione pubblica, profondamente turbata dalla situazione, influenzò negativamente gli interventi del governo. Cosı̀, mentre si diffondeva l’idea, sostenuta dagli antropologi di scuola positivista come Alfredo Niceforo, che in Barbagia il b. avesse radici non solo endemiche, ma addirittura genetiche, cioè razziali, dopo secoli di degradazione, alla fine dell’Ottocento il governo non trovò di meglio che inviare reparti dell’esercito nel Nuorese, impresa raccontata da Caccia grossa, il libro dell’ufficiale Giulio Bechi che suscitò aspre polemiche (non meno che interpretazioni piuttosto frettolose). Alla fine dell’Ottocento si contavano in Sardegna 197 latitanti ed erano stati uccisi in conflitto 77 Carabinieri. Il Novecento La situazione non migliorò nel corso del Novecento: anni terribili furono il 1912 e gli anni Venti. A nulla servı̀ la maggiore decisione dimostrata nei confronti del b. dal governo fascista e a nulla valse l’introduzione della pena di morte: alcuni dei personaggi più famosi di tutta la storia del b. sardo, come Samuele Stochino di Arzana e i fratelli Pintori di Bitti, operarono durante il ventennio, prima di cadere in conflitto o di essere giustiziati Nel secondo dopoguerra, negli 404 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 412 Bangiargia anni tra il 1945 e il 1950, tornarono in azione alcune bande e, dopo la stagione delle rapine stradali (di cui fu protagonista Pasquale Tandeddu di Orgosolo), il fenomeno del sequestro di persona ebbe una recrudescenza. Negli ultimi decenni, scomparso il b. tradizionale, il sequestro di persona divenne la forma più evidente dell’attuale evoluzione del b. in Sardegna (350 casi fino agli anni Settanta). Nell’ultimo ventennio (1985-2006), peraltro, è stato registrato soltanto un numero ristrettissimo di episodi (meno di 5), senza che sia stata messa in campo una spiegazione scientifica dell’attuale remissione. Banditismo – Anni Sessanta del Novecento: una battuta delle forze dell’ordine dopo un sequestro. Bangargia Antico villaggio di origini medioevali che era ubicato nelle campagne di Iglesias. Sorgeva in prossimità dei resti di un acquedotto romano in grado di servire ancora la vicina città; faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Sigerro. Caduto il giudicato, nella divisione del 1258 il villaggio fu compreso nel terzo assegnato ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti familiari poco tempo dopo procedettero a un’altra divisione. B. fu cosı̀ incluso nella parte toccata al ramo del conte Ugolino; fu amministrato dai funzio- nari dei nuovi signori con precisione fiscale; la sua struttura sociale fu conservata e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, furono coinvolti nello sviluppo di Villa di Chiesa (l’attuale Iglesias). Ma il conte Ugolino, che si era impadronito del potere a Pisa, fu assassinato, probabilmente col concorso dei cugini dell’altro ramo, per cui nel 1289 i figli dichiararono guerra al Comune. La guerra fu combattuta nei territori iglesienti e B. fu investito dalle operazioni, subı̀ dei danni e, quando i Della Gherardesca furono sconfitti, dal 1295 passò sotto il controllo diretto di Pisa che lo fece amministrare da suoi funzionari. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Nel 1327 fu concesso in feudo a Guglielmo de Riu, i cui discendenti nel 1346 lo vendettero a Raimondo Monterio, che però morı̀ senza eredi pochi anni dopo. Nel complesso furono anni difficili: la comunità di villaggio, pur mantenendo la possibilità di eleggere annualmente il majore, ebbe rapporti quasi conflittuali con i feudatari e nel 1348 fu drasticamente ridotta a causa della peste. Nel 1352 il villaggio fu nuovamente infeudato a Pietro Martinez de Sarasa che però ne perse la disponibilità quando ebbe inizio la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Cessate le ostilità ne tornò in possesso, ma i suoi rapporti con i vassalli furono difficilissimi, per cui quando scoppiò la seconda delle guerre tra Mariano e Pietro essi si ribellarono. Il villaggio fu occupato dalle truppe giudicali e alla fine del secolo XIVera già deserto. Bangiargia Antico villaggio del giudicato di Cagliari compreso nella curatoria di Dolia. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori asse- 405 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 413 Bangio gnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Dopo la conquista aragonese il villaggio entrò nel 1324 a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1332 fu concesso in feudo a Pietro Sant Clement. B. negli anni seguenti visse tranquilla e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore; nel 1348 perse buona parte della popolazione a causa della peste. Pochi anni dopo, scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV, il suo territorio fu invaso dalle truppe giudicali e devastato. All’estinzione dei Sant Clement, nel 1365 il villaggio fu ereditato dai Cespujades che poco dopo, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, ne perdettero il controllo. Il villaggio fu occupato dalle truppe arborensi e danneggiato dalle operazioni militari; si spopolò completamente entro i primi anni del secolo XV. Bangio Antico villaggio che sorgeva in località Santo Spirito a pochi chilometri dall’attuale abitato di Perfugas. Di probabile origine romana, si sviluppò da un abitato sorto intorno a un impianto termale. Nel Medioevo entrò a far parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria dell’Anglona. Nel corso del secolo XII fu acquisito dai Doria in seguito a uno dei matrimoni con principesse della famiglia dei giudici di Torres. Dopo l’estinzione della dinastia giudicale, i Doria lo inclusero nel piccolo stato feudale che andavano formando riunendo tutti i territori in loro possesso. Nonostante le frequenti liti ereditarie essi seppero instaurare un buon rapporto con gli abitanti del villaggio, che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia. Avviata la conquista aragonese, nel 1323 i Doria si di- chiararono vassalli del re d’Aragona e B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Quando però nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio divenne teatro della guerra e nel 1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348; con la popolazione ridotta al lumicino, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV fu occupato dalle truppe arborensi e dopo il 1388 si spopolò completamente. Bangios1 Antico villaggio di origini medioevali ubicato nelle campagne di Uri. Sorgeva in una località lungo le rive del rio Mannu; faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Coros. In seguito a un matrimonio, agli inizi del secolo XIII il villaggio entrò a far parte dei territori che vennero in possesso dei Malaspina. Quando la famiglia dei giudici di Torres si estinse essi lo inclusero nel loro piccolo stato e lo governarono con senso di giustizia, instaurando un buon rapporto con i loro vassalli. All’arrivo dell’infante Alfonso nel 1323 essi gli prestarono omaggio e cosı̀ B., almeno formalmente, entrò a far parte del Regnum Sardiniae. La sottomissione fu di breve durata: infatti, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, li seguirono e combatterono contro gli Aragonesi; cosı̀ nel 1330 B. fu assalita dalle truppe di Raimondo Cardona e subı̀ gravi danni. Negli anni successivi cominciò a decadere e a spopolarsi, ma continuò a rimanere in possesso dei Malaspina fino al 1342, anno in cui il marchese Giovanni, morendo senza eredi, lo lasciò in eredità con tutto quanto possedeva a Pietro IV d’Aragona. I fratelli del defunto, irritati, tentarono di resistere con le armi e il villaggio cadde nel caos. Dopo alterne vi- 406 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 414 Bani cissitudini B. fu sequestrato definitivamente ai Malaspina nel 1353; a quel punto la sua popolazione era già ridotta a poche decine di abitanti. Nel corso dei decenni successivi diventò teatro delle guerre tra Aragona e Arborea, si spopolò progressivamente e scomparve. Bangios2 Antico villaggio di origine medioevale facente parte del giudicato d’Arborea, compreso nella curatoria del Campidano di Simaxis. Un tempo fiorente, cominciò a spopolarsi dopo la peste del 1376 e prima della fine del secolo XIV fu definitivamente abbandonato dai suoi abitanti. Bangiu de Aliri Antico villaggio di probabili origini romane che sorgeva nelle campagne di Guasila. Sembra si sia sviluppato attorno a un impianto termale e nel Medioevo fece parte del giudicato di Cagliari compreso nella curatoria della Trexenta. Nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Entro la fine del secolo XIII il giudice Mariano II lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Conclusa la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma poco dopo le ostilità con Pisa ripresero e si conclusero definitivamente con la pace del 1326. In base a questo trattato B. de A. fu compreso nel territorio concesso in feudo allo stesso Comune; negli anni che seguirono Pisa amministrò il villaggio con la sua tradizionale precisione fiscale, ma la struttura sociale fu conservata e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore. Nel complesso, però, i rapporti della comunità con i Pisani non furono buoni, sicché quando scoppiarono le guerre tra Mariano IV e Pietro IV i suoi abitanti si ribellarono cacciando i fun- zionari pisani; scoppiata poi la seconda guerra, il territorio fu occupato dalle truppe giudicali. Nel giro di pochi anni il villaggio decadde e si spopolò completamente. Bangiu Donnico Antico villaggio di origini medioevali situato nelle campagne di Ortacesus. Faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria della Trexenta. Si era probabilmente sviluppato da una donnicalia attorno ai resti di un edificio termale romano; caduto il giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Entro la fine del secolo XIII il giudice Mariano II lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Conclusa la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e fu concesso in feudo a Guglielmo De Petra. Le ostilità con Pisa ripresero e si conclusero definitivamente con la pace del 1326. In base a questo trattato B.D. fu compreso nel territorio concesso in feudo allo stesso Comune, per cui il De Petra dovette rinunciare alla sua concessione. Cosı̀ B.D., negli anni che seguirono, riprese a essere amministrato da funzionari pisani con la tradizionale precisione fiscale, ma la struttura sociale fu conservata e gli abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore. Nel complesso, però, i rapporti della comunità con i Pisani non furono buoni, sicché quando scoppiarono le guerre tra Mariano IVe Pietro IV i suoi abitanti si ribellarono cacciando i funzionari pisani; scoppiata poi la seconda guerra, il territorio fu occupato dalle truppe giudicali. Nel giro di pochi anni il villaggio decadde e si spopolò completamente. Bani Famiglia sassarese (sec. XV). Le 407 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 415 Bañolas sue notizie risalgono al secolo XV; apparteneva all’oligarchia mercantile che dominava la città e nel 1444 ottenne il cavalierato ereditario con un Antonio. Si estinse nel corso del secolo. Bañolas Famiglia originaria di Tarragona (secc. XVI-XVII). Nel corso del secolo XVI si stabilı̀ a Cagliari. Apparteneva alla borghesia: i suoi membri erano prevalentemente commercianti ma alcuni di loro ricoprirono uffici pubblici. Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento la condizione della famiglia migliorò ulteriormente e nel 1658 ottenne il cavalierato ereditario con un Matteo, i cui figli furono ammessi allo Stamento militare nel 1666 durante il parlamento Camarassa. I loro discendenti presero parte ai lavori dei parlamenti successivi, ma si estinsero alla fine del secolo XVII. Bantine Centro abitato della provincia di Sassari, frazione di Pattada (da cui dista 2 km), con circa 150 abitanti, posto a 637 m sul livello del mare in un territorio di mosse colline che si stende tra il capoluogo e Ozieri. Regione storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri. & TERRITORIO Il territorio è di natura granitica, caratterizzato da un continuo susseguirsi di rilievi che raggiungono con le cime maggiori i 700 m. Anche qui le colture agricole che si tenevano nei decenni passati hanno ceduto quasi tutto lo spazio all’allevamento. In una delle valli sottostanti scorre un affluente del rio Mannu che va a gettarsi nel lago Lerno. La frazione si trova alla confluenza tra una strada secondaria che proviene da Pattada e un’altra che, distaccatasi dalla Statale 128 bis, si dirige, dividendosi in due bracci, verso Oschiri e il suo territorio. & STORIA L’attuale villaggio deriva da un insediamento del periodo romano. Nel Medioevo faceva parte del giudi- cato di Torres ed era compreso nella curatoria del Montacuto Dopo l’estinzione della famiglia giudicale di Torres fu conteso tra gli Arborea e i Doria e il giudicato di Gallura. Alla fine del secolo XIII il villaggio era in mano alle truppe arborensi che sembrava potessero controllare tutta la regione. La situazione fu però ribaltata quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno di alleati che Giacomo II d’Aragona voleva coinvolgere nella conquista della Sardegna, nel 1308 se ne fecero riconoscere il possesso e ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, che erano anche loro alleati del re d’Aragona, presero atto della nuova situazione ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea, conquistato e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Gli anni che seguirono furono molto confusi: l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 B. fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Poco dopo Mariano IV, quando divenne giudice, pretese l’obbedienza feudale dal fratello che, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si sentiva vincolato solo nei suoi confronti e si rifiutò. Il rifiuto ebbe conseguenze tragiche, perché si concluse con l’arresto di Giovanni. Negli anni che seguirono, mentre lo sfortunato principe languiva in prigione, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il villaggio subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi rapidamente; all’atto della pace del 1388 aveva poche decine di abitanti; in queste condizioni continuò a rimanere nelle mani del giudice d’Arborea. Terminata la guerra, dopo la battaglia di 408 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 416 Bantine Sanluri cadde nelle mani del visconte di Narbona e solo nel 1420 tornò a far parte del Regnum Sardiniae. Nel 1421 fu compreso nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles; nei secoli successivi continuò a rimanere nella contea d’Oliva e passò dai Centelles ai Borgia, ai Pimentel e infine ai Tellez Giron ai quali fu riscattato nel 1839. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Ozieri; abolite le province, nel 1848 entrò a far parte della divisione amministrativa di Sassari. In questo periodo si colloca la preziosa testimonianza che lo scrittore Vittorio Angius ha lasciato nel Dizionario degli Stati sardi di Goffredo Casalis: «Le case ancora sussistenti non sono più di 45. All’aspetto delle medesime si congettura facilmente quanto sieno miseri gli abitatori. Non sono le famiglie in maggior numero delle case, e le anime sommano (anno 1833) a 240. L’ordinario corso della vita è al sessantesimo anno; e tra le malattie dominanti devonsi notare principalmente le infiammazioni, le febbri periodiche e perniciose, le fisconie dell’addomine, le scrofole, e la clorosi. Le donne s’occupano a filar lini e lane per panni ad uso delle sole loro famiglie, li quali fabbricano in circa 14 telai di molta rozzezza. Abbenché cosı̀ piccola sia la popolazione, vi è un consiglio per la cose comuni, una giunta sul monte di soccorso, ed una scuola normale frequentata da pochi fanciulli. Le terre sono generalmente argillose o sabbiose, e si è sperimentato essere più confacienti all’orzo. Di questo si semina starelli 175 (litr. 8610), di grano 70 (litr. 3444), di fave, lino e fagiuoli in totale circa 80 (litr. 280). Le uve non mai maturano bene; quindi ai vini, che generalmente sono bianchi, si dà una certa dose di cotto o sapa, come si pratica per tutto il Montacuto, e in altri climi di egual temperatura. Se ne fanno circa 200 cariche, delle quali la maggior parte si beve, l’altra si rende in mosto. Il totale delle piante fruttifere è ben tenue. Le specie sono fichi, peri e susini di poche varietà. I totali dei capi di ciascuna specie di bestiame solita educarsi si possono esprimere in piccoli numeri. I cavalli e cavalle sommavano (anno 1833) a 35. Pochi erano i segni delle vacche, che si avevano in società con altri proprietari dei vicini villaggi; e parimenti e poco numerosi erano quelli delle pecore, capre, e porci. Il selvaggiume grosso, come era da supporsi in un territorio non montuoso, è molto raro. La specie però delle volpi e delle lepri è assai moltiplicata. Degli uccelli sono i colombi la parte maggiore. Nei tempi addietro coltivavansi gli alveari con molta cura e lucro; ma da quando alcuni invidiosi gittarono del tabacco furtivamente nella massima parte dei covili, che numerosissimi teneansi in due possessi presso al paese, da allora decadde questo ramo d’industria forse per non più risorgere». Nel 1859, quando furono ricostituite le province, B. entrò a far parte di quella di Sassari. Nel 1875 perse la propria autonomia e fu aggregato come frazione al comune di Pattada. Nei decenni che sono seguiti ha perso gradatamente popolazione, mentre gli abitanti rimasti hanno seguito il trasformarsi dei modi di vita e di produzione del territorio, in particolare il ‘‘travaso’’ dall’agricoltura alla pastorizia. & ECONOMIA La principale attività economica del piccolo centro è rappresentata dall’allevamento del bestiame; poco sviluppata è l’agricoltura. Artigianato. Come nella vicina Pattada si pratica la lavorazione di pregiati coltelli a serramanico. Servizi. La frazione è collegata con autolinee a Pattada; dista da Sassari 63 km. 409 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 417 Bantin ’e Sale PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio conserva numerose testimonianze archeologiche tra cui i nuraghi Bisellà e Malzanittu, posti a poca distanza l’uno dall’altro e non lontani dall’abitato. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il villaggio conserva un tessuto urbanistico di tipo medioevale con stradine tortuose; gli edifici di maggior pregio sono la chiesa di San Giacomo, parrocchiale costruita nel secolo XVII, di piccole dimensioni, l’impianto a una navata e la copertura con volta a botte, e quella di San Pietro, costruita nel XVII in forme tardogotiche, con impianto a una sola navata completata dal presbiterio con copertura a volta a vela e distinto dall’aula da un arco a tutto sesto. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Usanza tradizionale molto radicata e attrazione per molti visitatori era il ballo che gli abitanti eseguivano soprattutto in occasione della festa di San Giacomo, patrono del paese, nella prima domenica di maggio. La festa, con le ovvie trasformazioni dovute al passare del tempo, si celebra ancora oggi. Altra usanza molto diffusa era l’attitidu, canto funebre celebrativo di persone care estinte che in genere accompagnava la tumulazione della salma. & Bantin ’e Sale Villaggio di origine romana che sorgeva non lontano dal lago di Baratz. Nel Medioevo fu compreso nel giudicato di Torres e fece parte della curatoria della Nurra. In epoca non precisabile passò per matrimonio ai Doria, ma agli inizi del secolo XIII era già completamente spopolato. Barabino, Giovanni Scultore genovese (prima metà sec. XIX). Tra il 1818 e il 1820 diresse la scuola di scultura dell’Accademia Ligustica, e nel 1824 realizzò a Genova, su commissione del ve- scovo della città, l’altare del SS. Sacramento per la cattedrale di Alghero. Tra il 1827 e il 1830 tornò a dirigere la scuola di scultura. Baraca, Giovanni Letterato e poeta (Sorso 1843-ivi 1882). Legato agli ambienti della cultura sassarese della seconda metà del secolo XIX, fu amico di Salvatore Farina e di Enrico Costa. Con quest’ultimo collaborò anche alla redazione della rivista ‘‘Stella di Sardegna’’. Di idee repubblicane, collaborò anche alla ‘‘Meteora’’ e, tra il 1872 e il 1873, alla ‘‘Giovane Sardegna’’. Scrisse drammi storici e delicate poesie di ispirazione carducciana, che pubblicava con molta difficoltà, tanto che le due opere più rappresentative, il dramma storico Tigellio e la raccolta di Poesie, furono pubblicate postume a cura degli amici. Morı̀ improvvisamente nel suo paese natale nel 1882, a 39 anni. Tra i suoi scritti, Piccola fronda di poesie patriottiche, 1869; Eleonora d’Arborea, ventidue anni di storia sarda, 1872; Seconda esposizione sarda agricola, artistica e industriale, 1873; Grassazioni in Sardegna, ‘‘Stella di Sardegna’’, III, 1876; Tigellio, scene storiche, 1885; Poesie, 1889. Baraci Antico villaggio situato sull’altipiano di Guzzini tra Serri, Isili e Nurri. La località era stata già occupata militarmente dai Cartaginesi, che vi impiantarono una fortezza nel secolo VI a.C. e della quale sono state individuate tracce consistenti e una necropoli. In seguitò vi si sviluppò una statio romana posta lungo la strada per Valentia. Nel Medioevo la statio si trasformò in un villaggio che fu incluso nel giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Siurgus. Caduto il giudicato, nella divisione del 1258 fu incluso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro 410 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 418 Baradili la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Conclusa la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e fu concesso in feudo a Francesco Carroz, i cui discendenti lo unirono al feudo di Mandas. Furono anni tranquilli, nei quali la piccola comunità continuò a eleggere il suo majore e ad avere buoni rapporti con i feudatari. Scoppiata la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il villaggio fu danneggiato, cominciò a spopolarsi e scomparve prima della fine del secolo. Baradili – Chiesa di Santa Margherita. Baradili Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 17, con 100 abitanti (al 2004), posto a 165 m sul livello del mare, ai piedi del versante occidentale della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Montis. Diocesi di Ales-Terralba. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 5,61 km 2 : ha forma grosso modo quadrangolare e confina a nord con Gonnosnò e Sini, a est con Genuri e Turri, a sud con Ussaramanna, a ovest con Baressa. Pressoché pianeggiante, il suolo è adatto all’agricoltura, ed è stato destinato cosı̀ a lungo alla la coltivazione dei cereali che ha indotto gli abitanti a suddividersi, per poter meglio seguire le col- ture, nelle piccole e piccolissime comunità che caratterizzano questa regione. B. è attualmente con la sua popolazione il comune più piccolo della Sardegna. Nei pressi del paese scorrono alcuni corsi d’acqua che scendono dalla Giara e si dirigono verso il rio Mogoro. Le comunicazioni, una volta smantellata la ferrovia a scartamento ridotto che attraversava questi campi, sono assicurate dalla strada che collega Villamar con Usellus, e dalla quale si distaccano a breve distanza le traverse per Turri, Baressa, Sini ecc. & STORIA Il villaggio è di probabile origine romana. Nel Medioevo fece parte del giudicato d’Arborea ed era incluso nella curatoria della Marmilla. Nella fase finale delle guerre tra Aragona e Arborea il villaggio soffrı̀ a causa delle operazioni militari che investirono il territorio; dopo la battaglia di Sanluri, caduto il giudicato, entrò a far parte del Regnum Sardiniae; aveva non più di 50 abitanti. Fu per un breve periodo occupato dalle truppe di Berengario Carroz che avrebbe voluto annetterlo al suo vasto feudo di Quirra; ma il re, poco prima di morire, lo aveva incluso, unitamente a buona parte della Marmilla, nel vasto feudo concesso a Garcia Lupo de Ferrero e aveva invitato Berengario ad andarsene. Le circostanze però sembrarono aiutarlo, e dopo la morte del re egli continuò a occupare la Marmilla, tanto più che pochi mesi dopo Garcia Lupo morı̀ senza lasciare eredi. Nel 1412, ponendo fine alle sue aspirazioni, il nuovo re Ferdinando I lo costrinse a rendere i territori occupati, cosa che egli fece con molta titubanza: cosı̀ nel 1421 B. entrò a far parte del grande feudo concesso a Raimondo Guglielmo Moncada, cui però fu confiscato alcuni decenni dopo. Dopo alterne vicende B. e l’in- 411 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 419 Baradili tera Marmilla furono acquistati all’asta da Pietro Besalù, uno dei generi del conte di Quirra. Poiché non aveva i denari sufficienti si era fatto prestare delle somme da Simone Rubei di Cagliari che pagò negli anni successivi con fatica grazie alle rendite feudali. Nel 1459 le rendite gli furono sequestrate dal fisco perché moroso nei suoi confronti, per cui non fu più in grado di rendere il resto dei soldi dovuti al Rubei. Questi nel 1464 minacciò di far vendere all’asta i due feudi per recuperare il credito; la situazione sembrò precipitare ma il Besalù fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato ai territori che confinavano con quelli di Quirra, saldò il Rubei e chiuse la vicenda. Quando però il conte morı̀ egli si trovò nuovamente nei guai: infatti il nuovo conte di Quirra, Dalmazio Carroz, che aveva sposato Violante, la sorellastra di sua moglie, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente tutta la Marmilla e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché il Besalù non fu in grado di pagare, nel 1477 i due arrivarono a un compromesso in base al quale riuscı̀ a conservare solo Barumini, Las Plassas e Villanovafranca. Cosı̀ B. entrò a far parte del grande feudo di Quirra; morta Violante II, passò ai Centelles, ma nel lungo periodo in cui fu amministrato da questa famiglia, le condizioni di vita non furono buone. I nuovi feudatari fecero amministrare la Marmilla da un regidor ma non esasperarono il carico fiscale, anche se limitarono notevolmente l’autonomia della comunità modificando il sistema di individuazione del majore, che cessò di essere elettivo. Si disinteressarono però completamente delle condizioni di vita degli abitanti e il villaggio si ri- dusse a un pugno di casupole. L’ultimo Centelles morı̀ nel 1676 lasciando eredi i Borgia; la successione dei Borgia fu contestata dai Català che, dopo una lunga lite, riuscirono a venire in possesso del feudo nel 1726. Nel corso del secolo le condizioni di vita di B. rimasero invariate, il rapporto di dipendenza dal feudatario si allentò, e in più di un’occasione l’amministrazione reale, approfittando della lontananza dei feudatari, pensò di riscattarlo. Frattanto nel 1766 il villaggio era passato dai Català agli Osorio; nel 1821 fu compreso nella provincia di Oristano e nel 1839 riscattato agli ultimi feudatari; le sue condizioni generali non si erano modificate e la sua popolazione superava di poco le 100 unità. Era il tempo in cui Vittorio Angius annotava: «Il numero delle case è di circa 20, delle famiglie altrettanto, delle anime 112. In tutto il paese sono solamente quattro rozzi e malconci telai, in cui le donne fabbricano alcune canne di tela grossolana, che non bastano al bisogno. La superficie del Baradilese si calcola in 5 miglia quadrate, in cui si potrebbero seminare circa 800 starelli. L’agricoltura fra questi paesani è men conosciuta che in altri paesi del dipartimento. I terreni bassi, quando si desse, come è agevole, scolo alle acque che vi si fermano negli inverni piovosi, sarebbero attissimi al frumento, granone, fave e civaje [legumi]; gli altri sono molto adattati all’orzo, alle viti, ai mandorli ecc. Si suole seminare annualmente di grano starelli 300, d’orzo 100, di fave 10, di ceci 12, e meno di granone e lenticchie. Nelle vigne si veggono sette varietà di uve tra bianche, nere e rosse. La qualità dei vini è pochissimo pregiata per la pessima manipolazione del mosto, e per non scernersi l’uve secondo che usano i più esperti. Il totale degli animali che nutronsi, buoi da la- 412 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 420 Baradili voro, cavalli, giumenti e pecore non supera i 150 capi. Poche case han pollaio». Abolite le province, nel 1848 il villaggio fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari fino al 1859, e successivamente nell’omonima provincia. Nel 1927 perse l’autonomia e fu aggregato a Baressa, ma la riacquistò nel 1958; nel 1974, costituita la provincia di Oristano, tornò a farne parte. Attualmente il villaggio, privo di molti servizi, lotta strenuamente per la sopravvivenza: la nascita di un bambino viene festeggiata da tutta la comunità e si studiano i modi per incoraggiare la crescita della popolazione. & ECONOMIA La sua economia è basata principalmente sull’agricoltura e ha un qualche rilievo la viticoltura. Artigianato. Anche nell’intento di animare la modesta economia del paese è stata avviata in questi anni la produzione di cruguxionis, ravioli ottenuti utilizzando un’antica ricetta locale. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 107 unità; maschi 56; femmine 51; famiglie 46. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità della popolazione con morti per anno 1, nati 1; cancellati dall’anagrafe 1 e nuovi iscritti 0. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 16 200 in migliaia di lire; versamenti ICI 49; aziende agricole 43; imprese commerciali 4; esercizi pubblici 1; esercizi al dettaglio 1. Tra gli indicatori sociali: occupati 19; disoccupati 13; inoccupati 6; laureati 2; diplomati 3; con licenza media 39; con licenza elementare 37; analfabeti 9; automezzi circolanti 30; abbonamenti TV 36. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva vestigia nuragiche, la più significativa delle quali è il nuraghe Candeu, presso le cui rovine sgorga una sorgente che è considerata tra le migliori dell’intera regione. Vi si trovano anche resti di un impianto termale romano alle sorgenti del rio Cilixia, non lontano dall’abitato. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’edificio di maggiore pregio è la chiesa di Santa Margherita, parrocchiale che è posta al centro dell’abitato e si affaccia su una grande piazza. La sua costruzione fu iniziata nel secolo XVIII e proseguı̀ con fatica a causa della mancanza di fondi; fu completata tra il 1922 e il 1935, anno in cui fu costruito il campanile. Ultimamente si era ridotta in cattive condizioni ed è stata restaurata. Al suo interno conserva alcune pregevoli statue in legno dei secoli XVIII e XIX. La strada principale dell’abitato, che passa a breve distanza, è stata di recente riportata a lastricato e acciottolato, e alcune abitazioni che vi si affacciano mostrano una pregevole facciata in pietra a vista. Alla periferia è stato realizzato un ampio e bel parco, con servizi, impianti sportivi e giochi per bambini, che è frequentato anche da abitanti dei paesi vicini. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa tradizionale è quella dedicata a Santa Margherita patrona del paese. Sede della festa, che si svolge il 22 maggio, è la chiesa omonima; all’origine del culto è la credenza che la santa interceda per i bambini che hanno difficoltà a parlare. Durante la cerimonia il sacerdote fa bere a questi bambini dell’acqua benedetta in un calice d’argento. La festa un tempo era occasione per manifestazioni di canto e di ballo, attività nelle quali i baradilesi eccellevano. Baradili, castello di Castello dominante Monastir eretto in periodo giudicale, probabilmente a difesa di Cagliari. Nel 1257, dopo la caduta del giudicato di Cagliari, passò sotto il con- 413 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 421 Baragues trollo diretto del Comune di Pisa e continuò ad assolvere la sua funzione strategica fino alla fine del secolo; dopo il 1308 non se ne hanno più notizie. Nei secoli successivi andò in rovina: attualmente pochi ruderi affiorano dai detriti del crollo. Baragues, Antonio Religioso (Spagna, prima metà sec. XV-?, 1477). Arcivescovo di Cagliari dal 1471 al 1472. Appartenente all’ordine dei Domenicani, uomo di grande pietà, fu nominato arcivescovo di Cagliari nel 1471. Egli raggiunse la sua diocesi e fu cosı̀ il primo arcivescovo residente: i suoi predecessori Francesco Ferrer e Ludovico Fenollet, infatti, non erano mai giunti in Sardegna e avevano fatto amministrare la diocesi dal canonico Michele Caza. Dopo pochi mesi, nel 1472, si dimise e si ritirò a vita privata. Barake Antico villaggio di origini punico-romane situato nella Nurra in prossimità del lago di Baratz. Nel Medioevo faceva parte del giudicato di Torres: si era sviluppato in stretta connessione con un monastero benedettino. Nel corso del secolo XII si andò spopolando e agli inizi del secolo XIII scomparve definitivamente. Baralla Antico villaggio di origine medioevale, sorgeva nelle campagne di Samassi in località Cuccuru Barrali: faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Nuraminis. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu incluso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Dopo la conquista aragonese, nel 1324 B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae e fu infeudato a Guglielmo de Lauria, il quale morı̀ senza eredi poco tempo dopo. Nel 1331 fu nuovamente concesso a Pietro de Açen, che nello stesso anno lo rivendette a Raimondo Desvall; il rapporto dei suoi abitanti con i nuovi feudatari fu difficile, ma continuarono a eleggere annualmente il loro majore e a conservare una parvenza di autonomia, per cui riuscirono a mandare i loro rappresentanti al Parlamento del 1355. Estinti i Desvall, gli eredi, dopo la chiusura del Parlamento, vendettero il villaggio al fisco. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV B. fu danneggiato dalle operazioni militari e si spopolò completamente nei primi anni del secolo XV. Baratier, Edoardo Archivista e storico (n. Marsiglia, sec. XX). Ha lavorato presso gli Archives des Bouches du Rhône di Marsiglia. Socio corrispondente della Deputazione di Storia patria della Sardegna, avviò lo studio delle relazioni tra i Vittorini di Marsiglia e la Sardegna durante il Medioevo. Negli anni Cinquanta prese anche parte attiva ai convegni internazionali di studi sulla Sardegna e scrisse alcuni interessanti lavori di grande utilità. Tra i suoi scritti: Marseille et la Sardaigne, in Histoire du commerce de Marseille, II, 1951; L’inventaire des biens de propriété de Saint Saturnin de Cagliari dépendant de l’abbaye Saint Victor de Marseille, in Studi storici in onore di F. Loddo Canepa, 1959; Les prieures sardes de Saint Victor de Marseille, in Studi sui Vittorini in Sardegna, 1963; Un episode des relations entre Marseille, Pise et Oristano en 1227, in Studi storici e giuridici in onore di Antonio Era, 1963. Baratili San Pietro Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 13, con 1269 abitanti (al 2004), posto a 11 m sul livello del mare, tra Oristano e le ultime propaggini del massiccio del Montiferru. Regione sto- 414 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 422 Baratili San Pietro rica: Campidano di Milis. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 6,05 km2: è stretto e allungato in direzione nord-sud e confina a nord con San Vero Milis, a est con Zeddiani, a sud con Oristano, a ovest con Riola Sardo e Nurachi. Tutto pianeggiante, il suolo è di natura alluvionale e adatto all’agricoltura: la sua vocazione, ben nota agli intenditori, è per la coltivazione della vite e la produzione della Vernaccia, alla quale l’economia del paese è strettamente vincolata. Nei pressi del paese scorre il rio di Mare Foghe, che raccoglie le acque del Montiferru meridionale e le trasporta nel vicino stagno di Cabras. Le comunicazioni sono assicurate dal reticolo di strade che caratterizza questa regione a nord di Oristano, in particolare da una secondaria che unisce Riola Sardo a Zeddiani e in questo punto si collega con un’altra che si dirige a sud per diramarsi verso Cabras e Oristano. & STORIA Di origine medioevale col nome di Baratili, faceva parte del giudicato d’Arborea ed era compreso nella curatoria del Campidano Maggiore. Fin dalle origini il villaggio ebbe caratteristica di fiorente centro agricolo; vi erano sviluppate soprattutto l’orticoltura in zone irrigate dette iscas (‘‘striscia’’ di terra) ed era rinomato soprattutto per i fagioli, anche se la coltura principale era fin dai primi tempi quella della vite. Caduto il giudicato, nel 1410 B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae e poco dopo fu incluso nel nucleo originario del marchesato d’Oristano. Dopo che il marchesato fu confiscato a Leonardo Alagon, dal 1479 fu incluso nel patrimonio reale e non fu più infeudato fino al secolo XVIII. Amministrato da funzionari reali, godette di una relativa tran- quillità, si caratterizzò come centro di produzione vinicola e la sua popolazione andò gradualmente aumentando; alla fine del secolo XVI contava più di 100 abitanti. A partire dal XVII divenne un rinomato centro di produzione della Vernaccia; nel corso del secolo però subı̀ due gravi calamità: nel 1647 una terribile invasione di cavallette e nel 1652 l’epidemia di peste che toccò molti paesi del Mediterraneo. La popolazione diminuı̀ drasticamente; nel 1680 soffrı̀ anche per una grave carestia e si spopolò quasi completamente. Nel secolo XVIII le condizioni di vita della piccola comunità si stabilizzarono e la popolazione cominciò nuovamente a crescere. Nel 1767, però, come tutti gli altri villaggi dei Campidani di Oristano, B. tornò suo malgrado sotto un feudatario: le sue rendite civili furono concesse in feudo a Damiano Nurra (= Nurra3 ) col titolo di marchese d’Arcais. Da quel momento i suoi abitanti tentarono di liberarsi dal vincolo feudale con ogni mezzo; la coscienza dell’ingiusta situazione nella quale si trovavano andò aumentando quando anche a B. furono istituiti il Consiglio comunitativo e la giunta del Monte granatico. Il loro rapporto col feudatario fu duro e difficile, finché nel 1796 si rifiutarono di pagare i tributi feudali e insorsero apertamente. Intanto il feudo nel 1806 fu ereditato dai Flores d’Arcais; nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1838 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi anni Vittorio Angius scriveva: «Ripetesi la sua origine da due pecorai seneghesi i quali, come attesta l’antica tradizione, avendo qui costrutto le loro capanne, crebbero poi per numerosa prole; ignorasi l’epoca, che però pare molto remota dai nostri tempi. È situato in pianura; le strade sono irregolari, e non selciate. 415 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 423 Baratili San Pietro Pochissimi sono che esercitino alcune delle arti meccaniche di prima necessità. Per la tessitura delle tele di lino a solo uso domestico sono impiegati cento telai. Vi è una scuola normale frequentata da circa sette fanciulli. Si annoveravano nell’anno 1833 117 famiglie e 438 anime. Le terre sono molto adattate all’agricoltura, e specialmente alla vigna. Annualmente si suol seminare starelli di grano 300, d’orzo 100 e di ceci 4. In anni di ubertà il grano rende il decuplo, l’orzo il ventuplo, e maggiore sarebbe il frutto se il contadino conoscesse meglio il suo mestiere. La vite fruttifica assai. Le uve bianche son grosse e si mangiano fresche, ottime se siano appassite. I vini sono di tre qualità: bianco comune, vernaccia e vino nero. La quantità del nero e bianco comune suol essere di 400 botti (litri 200 000), della vernaccia botti 20 (litri 10 000). Se ne fa commercio con Oristano e coi paesi d’intorno; non più d’un decimo si brucia per acquavite. I possessi, cinti tutti con fichi d’India, non occupano che una quarta di tutto il territorio. Vi si fa seminagione, e vi si tiene a pascolo il bestiame alternativamente. Questo consiste principalmente nei buoi che servono all’agricoltura. I giumenti che si hanno per la macinazione sono 100 in circa, i cavalli 40, i majali pochissimi». Abolita la provincia nel 1848, B. fu incluso nella divisione amministrativa di Cagliari e vi restò sino al 1859, quando entrò a far parte della omonima provincia. Nel 1864 assunse il nome attuale; nel 1927 perse l’autonomia per essere aggregato a Riola Sardo e riuscı̀ a tornare comune autonomo solo nel 1945; nel 1974 tornò a far parte della provincia di Oristano e il suo territorio comunale fu accresciuto di una parte di quello di Riola Sardo. & ECONOMIA La sua economia è ba- sata sulla viticoltura, di particolare pregio è la produzione della vernaccia DOC nella locale Cantina sociale, che ha una capacità di lavorazione di 1000 hl, e in quella dei Produttori Riuniti che ha una capacità di 1500 hl. Discretamente sviluppate sono anche l’orticoltura e l’agrumicoltura. Di qualche importanza sono le attività commerciali legate alla viticoltura e il nascente turismo che può contare su alcune aziende agrituristiche. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1303 unità, di cui stranieri 2; maschi 638; femmine 665; famiglie 473. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento della popolazione, con morti per anno 15, nati 11; cancellati dall’anagrafe 19; nuovi iscritti 45. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 11 990 in migliaia di lire; versamenti ICI 567; aziende agricole 120; imprese commerciali 85; esercizi pubblici 4; esercizi al dettaglio 18; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 336; disoccupati 78; inoccupati 72; laureati 17; diplomati 108; con licenza media 371; con licenza elementare 397; analfabeti 29; automezzi circolanti 451; abbonamenti TV 344. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio fu frequentato a partire dal periodo punico, come dimostrano alcuni reperti di età punica e romana. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto urbanistico è rimasto quello tradizionale: lungo l’insieme di strade irregolari si affacciano le case a corte che un tempo erano costruite con i làdiri, mattoni di argilla cruda e paglia, e oggi quasi completamente con altri materiali. L’edificio di maggior pregio è la chiesa di San Salvatore, parrocchiale costruita nel secolo XVIII in forme baroccheggianti. Ha l’impianto a una navata, completata dal presbite- 416 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 424 Baratuli rio, e la copertura con volte a botte; la facciata è articolata in due specchi da paraste in pietra e culmina con un timpano. Poco distante sorge il campanile a canna quadrata, sormontato da una piccola cupola a cipolla. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La maggiore delle feste popolari è quella in onore del patrono San Salvatore, che si svolge nella parrocchiale il 6 agosto; in passato culminava con spericolate gare equestri cui concorrevano molti cavalieri anche da altri paesi. Nella stessa occasione gli abitanti si esibivano nel ballo sardo al suono delle launeddas e nei canti tradizionali; l’usanza era pratica molto radicata, e si svolgeva in tutti i giorni festivi all’uscita della messa solenne; era questa un’arte nella quale gli abitanti di B. eccellevano. Baratuli1 Antico villaggio di origini medioevali, situato tra Iglesias e Domusnovas. Faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Sigerro. Cessato il giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 il villaggio fu compreso nel terzo assegnato ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia poco tempo dopo procedettero a un’altra divisione. B. toccò cosı̀ al ramo del conte Ugolino; fu amministrato dai funzionari dei nuovi signori con precisione fiscale. La sua struttura sociale fu conservata: i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, furono coinvolti nel processo di sviluppo delle attività minerarie, dalle quali trassero notevoli vantaggi. In seguito il conte Ugolino, che si era impadronito del potere a Pisa, fu assassinato, probabilmente col concorso dei cugini dell’altro ramo, per cui nel 1289 i figli dichiararono guerra al Comune. La guerra fu combattuta nei territori iglesienti e il villaggio fu investito dalle operazioni, subı̀ dei danni e, dopo che i Della Gherardesca furono sconfitti, dal 1295 passò sotto il controllo diretto di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1327 fu concesso in feudo a Guglielmo de Riu i cui discendenti nel 1346 lo cedettero al fisco, che nello stesso anno ne investı̀ Raimondo de Monterio, che però morı̀ senza eredi pochi anni dopo. Nel complesso furono anni difficili: la comunità di villaggio, pur mantenendo la possibilità di eleggere annualmente il majore, ebbe rapporti quasi conflittuali con i feudatari e nel 1348 fu drasticamente ridotta a causa della peste. Nel 1352 il villaggio fu nuovamente infeudato a Pietro Martinez de Sarasa che però ne perse momentaneamente la disponibilità quando ebbe inizio la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Cessate le ostilità, ne tornò in possesso, ma i suoi rapporti con i vassalli furono difficilissimi, per cui quando scoppiò la seconda delle guerre tra Mariano IV e Pietro IV essi si ribellarono. Il villaggio fu occupato dalle truppe giudicali e alla fine del secolo XIV era già deserto. Baratuli2 Antico villaggio di origini medioevali situato a pochi chilometri dall’abitato attuale di Dolianova in località Balardi. Faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Dolia. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Dopo la conquista aragonese nel 1328 fu concesso in feudo a Michele Marquet. Negli anni 417 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 425 Baratuli Santu Sadorru seguenti la vita del villaggio trascorse tranquilla e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore. Nel 1348 la sua popolazione diminuı̀ a causa della peste: pochi anni dopo, scoppiata la prima guerra tra Mariano IVe Pietro IV, il suo territorio fu invaso dalle truppe giudicali e devastato. I Marquet, pur tra mille difficoltà, riuscirono a conservarne la disponibilità anche se nel 1359 il suo territorio fu devastato da Berengario Carroz che aveva assalito il vicino villaggio di Donori. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, non poterono impedire che il villaggio fosse conquistato e occupato dalle truppe giudicali, ma nei decenni che seguirono si spopolò completamente. ne perse la disponibilità nel corso della seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, quando fu occupato dalle truppe giudicali, e in pochi anni si spopolò. Baratuli Santu Sadorru (o Scudargiu) Baratz Unico lago naturale della Sar- Antico villaggio di origini medioevali che sorgeva vicino all’omonimo castello alle pendici del monte Olladiri. Era compreso nel giudicato di Cagliari e faceva parte della curatoria di Dolia. Dopo la caduta del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati a i conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Conclusa la conquista aragonese, nel 1324 fu concesso in feudo a Giacomo Burgues. Negli anni seguenti la sua esistenza trascorse tranquilla e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore; nel 1348, però, furono decimati dalla peste. Pochi anni dopo, scoppiata la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il territorio fu invaso dalle truppe giudicali e devastato. Poco dopo, concluso il Parlamento del 1355, i Burgues cedettero il villaggio al fisco, che in brevissimo tempo ne infeudò Giovanni de Vacaduno. Il nuovo feudatario, però, degna. Si trova in territorio di Alghero ed è di piccole dimensioni. Offre una ricca vegetazione e ospita numerose specie rare di uccelli. Baratz – Il lago nei pressi di Alghero è l’unico naturale della Sardegna. Barau de Murakessus Antico villaggio di origine medioevale. Faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Sols. Nel 1070, assieme ad altri villaggi, fu donato dal giudice Orzocco I all’archidiocesi di Cagliari, che probabilmente in seguito ne perse la disponibilità ed entrò a far parte dei possedimenti dei De Açen. Quando però il giudicato di Cagliari cessò di esistere, nella divisione del 1258 fu compreso nel terzo toccato ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia poco tempo dopo procedettero a un’altra divisione tra loro. B. de M. fu cosı̀ attribuito al ramo del conte Gherardo; la sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, condussero una vita tranquilla. Quando, con l’arrivo degli Aragonesi nel 1324 entrò a far parte del Re- 418 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 426 Barbagia gnum Sardiniae, i Della Gherardesca ne furono investiti e continuarono a possederlo. Nei decenni successivi i loro rapporti con gli abitanti si fecero tesi; questi nel 1348 furono decimati dalla peste e i feudatari ne persero la disponibilità nel corso della prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV quando, dopo la condanna per fellonia del conte Gherardo, B. de M. fu sequestrato e concesso ad Alibrando de Açen che lo unı̀ ai suoi possedimenti. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, dopo la ribellione di Alibrando e di suo figlio, il villaggio fu sequestrato. Occupato quindi dalle truppe arborensi, presto cominciò a spopolarsi. Baravelli, Enrico Giornalista (secc. XIX-XX). Collaborò con i principali giornali della Sardegna, lasciando una serie di articoli sotto forma di inchiesta, di carattere prevalentemente culturale, che ebbero il merito di far uscire dal convenzionale la conoscenza di alcuni aspetti della Sardegna. Nel 1912, insieme col farmacista tempiese Claudio Demartis, aveva avviato una linea automobilistica da Nuoro a Terranova (l’attuale Olbia), che meritò il plauso (e un poemetto) di Sebastiano Satta. Tra i suoi scritti: Contributo alla storia dei trasporti. Ricordo delle Reali, in ‘‘Catalogo della IX Fiera campionaria della Sardegna’’, 1957; La Sardegna verso l’industrializzazione, ‘‘Cagliari economica’’, 3, 1958; La gestione del Piano di rinascita della Sardegna, ‘‘Il giornale del Mezzogiorno’’, 1960; Effemeridi sulla rinascita, 1961; Venti anni di autonomia, ‘‘Giornale del Mezzogiorno’’, 1970; Cronache della vecchia Gallura, 1971. Barba, Giovanni Letterato (Sassari 1583-?, 1614). Dopo aver compiuto i primi studi a Sassari, nel 1598 entrò nell’ordine dei Gesuiti. Si pose in evi- denza per la vivacità dell’ingegno e per le sue grandi capacità oratorie. Morı̀ giovanissimo nel 1614. Tra i suoi scritti si ricordano un trattato De arte retorica, pubblicato a Barcellona nel 1610, e una In solemni ingressu D. Gavini Manca de Cedrelles archiepiscopi turritani oratio, 1614. Barbabietola = Bietola Barba di Giove Pianta arbustiva della famiglia delle Leguminose (Anthyllis barba-jovis L.). Alta sino ai 3 m, ha rami lunghi ed eretti, con corteccia grigia, squamata a strisce; le foglie, imparipennate, sono persistenti e bianco-argentee per la fitta peluria che le ricopre; i fiori sono riuniti in piccoli capolini globosi, gialli, e i frutti sono legumi allungati con un solo seme. Fiorisce da marzo a maggio. Cresce sulle rocce costiere, preferibilmente calcaree; in Sardegna, allo stato spontaneo, si trova soltanto sulle falesie e le rupi della costa nord-occidentale. Viene coltivata, per il suo colore argentato e per la sua resistenza ai venti salmastri, come pianta ornamentale nei giardini in prossimità del mare. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Barbagia – Paesaggio. Barbagia Regione storica della Sardegna, situata nell’interno dell’isola. Deriva il suo nome dal latino Barbària, ‘‘regione abitata da Barbari’’, cioè da popoli che non erano né latini né greci, 419 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 427 Barbagia di Belvı̀ anzi estranei alla civiltà e alla cultura latina: pertanto, riferito alla Sardegna il termine Barbària indicava i territori delle zone interne che i Romani non riuscirono mai a pacificare completamente. Come si è detto, essi la individuarono col coronimo di Barbària, che aveva una valenza negativa perché l’area si ergeva come un ostacolo capace di frenare la loro penetrazione nell’isola; secondo Strabone era popolata da una stirpe bellicosa e selvaggia che formava una nazione a sé, un insieme di tribù che genericamente chiamava le civitates Barbariae. Nei secoli della dominazione romana questo territorio fu isolato e assediato: infatti per conseguire lo scopo fu costruita una strada militare centrale, da Meana a Sorabile (Fonni) attraverso Sorgono, Tiana e Ovodda, e una secondaria che da Forum Trajani (Fordongianus) risaliva a Colonia Augusta, e lungo il suo perimetro furono istituite un certo numero di stazioni militari popolate da colonisoldati che avevano il compito di fermare le popolazioni dell’interno. Questo stato di cose permise di modificare il rapporto tra loro e i Barbaricini; l’esistenza di questo che potremmo definire un confine elastico permise una notevole circolazione della cultura e della lingua. Col tempo i Barbaricini assorbirono profondamente la lingua e la cultura latine, talvolta fondendole in modo originale col substrato nuragico di cui erano i tradizionali continuatori. Durante il regno di Giustiniano queste popolazioni furono cristianizzate dal pontefice Gregorio Magno, ma continuarono a conservare caratteristiche culturali e sociali assolutamente originali. Nel Medioevo il territorio fu compreso in parte nel giudicato d’Arborea (Ollolai, Belvı̀ e Mandrolisai), in parte nel giudicato di Gallura (Bitti) e in parte in quello di Ca- gliari (Seulo), ma mantenne una sostanziale unità culturale. Dopo la conquista aragonese il territorio fu in parte sottoposto alla diretta amministrazione del re e in parte concesso a numerosi feudatari: i villaggi assunsero caratteristiche ben definite e si svilupparono attorno alle chiese parrocchiali, custodi fieri della loro autonomia che soprattutto nel Mandrolisai e nella B. di Belvı̀ si mantenne col privilegio dell’autogoverno fino al secolo XVIII, quando anche queste due subregioni furono concesse in feudo. Nel corso dei secoli le differenze culturali tra le varie Barbagie si definirono, ma forte è rimasto il carattere unitario della cultura delle popolazioni, imperniata tradizionalmente sulla pastorizia. Nell’Ottocento alla pastorizia si andarono affiancando l’agricoltura, sviluppata soprattutto nel Mandrolisai e nella B. di Belvı̀ e basata sulla viticoltura e la frutticoltura, l’artigianato, il commercio e una timida attività mineraria. Attualmente la B., con la sua economia pastorale in espansione, costituisce il cuore alpestre della Sardegna e sviluppa in modo sempre più incisivo l’attività turistica: ma il nucleo del suo fascino resta il nodo forte della sua ‘‘civiltà’’, conservata lungo i secoli. Barbagia di Belvı̀ Antica curatoria del giudicato d’Arborea, compresa nella diocesi di Oristano. Come dice il Fara nella sua Corographia, «ha un terreno molto accidentato con monti elevatissimi, che sono rinomati per le castagne e le noci; dove scorre il Flumendosa insieme ad un altro fiume». Aveva una superficie di 211 km2 e comprendeva i villaggi di Aritzo, Belvı̀, Gadoni e Meana. La popolazione costituita da pastori godeva di una speciale indipendenza nei confronti dell’amministrazione giudicale. Quando nel 1410 il giudicato cadde, dopo alcuni anni di 420 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 428 Barbagia di Mandrolisai tensione e insicurezza, la curatoria nel 1420 fu concessa in feudo a Ferdinando Pardo, ma la sua popolazione entrò in conflitto con i feudatari i quali nel 1450 preferirono rendere il feudo al fisco. Da quel momento al 1481, il territorio non fu più infeudato; nel corso dell’anno però fu nuovamente ceduto ai Pages provocando una insurrezione generalizzata che nel 1496 costrinse i nuovi baroni a rinunciare all’investitura. In pochi anni l’antica curatoria ottenne il privilegio di non essere mai più infeudata e di essere amministrata da un ufficiale eletto tra i capifamiglia dei vari villaggi. Nel 1767 la riscossione delle sue rendite civili fu inclusa nel feudo di Santa Sofia concesso ai Lostia e ciò fece rinascere sopite tensioni e vivaci proteste che però non modificarono la situazione fino al 1838, anno in cui finalmente cessò la sua dipendenza feudale. Barbagia di Belvı̀ – Il fiume Flumendosa nei dintorni di Aritzo. Barbagia di Bitti Antica curatoria del giudicato di Gallura, compresa nella disciolta diocesi di Galtellı̀. Era, come dice il Fara nella sua Corographia, «una regione montuosa, e più adatta alle pecore che al grano». Aveva una superficie di 416 km2 e comprendeva i villaggi di Bitti, Dure, Gorofai, Longu, Nuruli, Onanı̀ e Orune. Dopo la conquista gli Aragonesi non riuscirono a piegare la resistenza della sua popolazione, per cui preferirono cedere in feudo il territorio a Giovanni d’Arborea, loro fedele alleato. Mariano IV, quando divenne giudice, pretese l’obbedienza feudale del fratello per il vasto dominio che controllava; si scatenò tra i due un conflitto molto aspro, che si concluse tragicamente: Giovanni finı̀ imprigionato nel 1348 e la curatoria seguı̀ allora le sorti degli altri domini dell’infelice principe. Mentre Giovanni che rifiutava l’omaggio perché aveva ricevuto il feudo direttamente dal re languiva in prigione, il territorio, occupato da truppe arborensi, continuò a essere devastato fino alla fine delle guerre tra Arborea e Aragona. Nel 1410 la curatoria fu concessa in feudo a Nicolò Turrigiti, i cui discendenti nel 1430 la cedettero al marchese d’Oristano. Dopo la confisca del marchesato, nel 1477 il territorio entrò a far parte del vasto feudo della Sardegna settentrionale riconosciuto al ramo dei Carroz, erede di Giovanni d’Arborea. Estinti i Carroz, passò ai Maza de Liçana nel 1479. Estinta quest’ultima famiglia nel 1546, scoppiò una lunga lite ereditaria, conclusa nel 1571 con una divisione che assegnò il territorio ai Portugal. Da questi ultimi nel 1584 passò ai De Silva per il matrimonio di Anna Portugal con Rodrigo De Silva. Nel 1617 il territorio fu unito amministrativamente al marchesato di Orani; era semi-spopolato e teatro di furti di bestiame e di audaci imprese di briganti. Nel corso del secolo XVIII i rapporti tra i suoi abitanti e la famiglia feudale si guastarono e le popolazioni spesso resistettero all’esazione dei tributi feudali. Nel 1838 la curatoria fu riscattata nel quadro della politica sabauda di ‘‘eversione’’ del feudalesimo. Barbagia di Mandrolisai = Mandrolisai 421 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 429 Barbagia di Ollolai Beatrice, la quale nel 1499 cedette il territorio a suo figlio Pietro Maza de Liçana. A partire dal 1505 fu amministrata dal regidor del feudo di Mandas, che si serviva di alcuni ufficiali minori residenti a Ollolai, dove era stata costituita la curia baronale. La situazione di dipendenza della B. di O. dal feudo di Mandas durò fino al riscatto nel 1838. Barbagia di Ollolai – Il Supramonte presso Oliena. Barbagia di Ollolai Antica curatoria del giudicato di Arborea, compresa nella disciolta diocesi di Santa Giusta. Era un territorio interno al confine del giudicato con quello di Torres; in cui, come scrive il Fara nella sua Corographia, «si elevano il Corr’e Boi e altri monti e verdeggiano fitti boschi e scaturiscono ricche sorgenti da cui s’originano molti fiumi». Comprendeva i villaggi di Fonni, Gavoi, Lodine, Mamoiada, Ollolai, Olzai, Ovodda. Aveva una superficie di 345 km2 ed era abitata da popolazioni bellicose, dedite prevalentemente alla pastorizia e alla produzione del formaggio. Dopo la caduta del giudicato esse si mantennero ostili nei confronti degli Aragonesi; nell’intento di pacificare il territorio, l’antica curatoria fu concessa in feudo a Giovanni Deana, suocero del marchese d’Oristano. All’estinzione dei Deana il territorio fu incluso nel marchesato d’Oristano, di cui fece parte fino alla confisca. Allora la B. di O. fu donata alla vedova di Nicolò Carroz che trasmise il territorio a sua figlia Barbagia di Seulo – Una miniera di rame abbandonata. Barbagia di Seulo Antica curatoria del giudicato di Cagliari, compresa nella disciolta diocesi di Suelli. Era, come dice il Fara nella sua Corographia, «aspra a causa di alti monti e refrattaria all’aratro per i folti boschi, perciò bisognosa di frumento e notevole soltanto per l’abbondanza delle acque». Aveva una superficie di 405 km2 e comprendeva i villaggi di Seulo, Ussassai, Seui, Esterzili, Gersalai, Guidilasso, Lessey, Sadali, Turbengentilis e Gennesi. Subito dopo la conquista il suo territorio fu diviso in piccoli feudi e concesso a diversi signori, ma nel no- 422 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 430 Barbara vembre del 1345 l’intero territorio passò nelle mani di Nicolò Carroz. Dopo la sua morte, la B. di S. passò a Giovanni Carroz, che la unı̀ al feudo di Mandas, al quale il territorio rimase legato fino al riscatto dei feudi. Barbagia di Seulo – Marchiatura a fuoco del bestiame nei dintorni di Orroli. Barbagiana Antico villaggio del giudicato d’Arborea, compreso nella curatoria del Parte Barigadu. Creduto di origine romana (Barbaria ianua), nel corso del secolo XIV andò progressivamente spopolandosi e scomparve definitivamente agli inizi del secolo XV. Barbagianni = Zoologia della Sardegna Barbara, santa1 (in sardo, Santa Barbara, Santa Brabara, Sant’Arvara) Santa (secc. III-IV). Martire, le fonti indicano diversi luoghi di nascita: Nicomedia, l’odierna Izmit, Eliopoli, Antiochia, Roma, persino la Toscana. Figlia di Dioscoro o Dioscuro, ricco pagano, il quale per difenderla dai molti pretendenti la chiuse in una torre di bronzo, fatta costruire appositamente. Secondo una leggenda, prima di entrare nella torre si battezzò immergendosi tre volte in una piscina e dicendo: «Si battezza Barbara, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Secondo un’altra, nella torre le apparve Gesù, confortandola, convertendola e facendola battezzare da San Giovanni Battista. Secondo un’altra ancora fu convertita da Origene. Per la torre il padre aveva predisposto due finestre, ma la giovane ne fece costruire tre, simbolo della Santissima Trinità. Il padre, quando la figlia gli rivelò di aver abbracciato la fede cristiana, si armò di coltello e cercò di ucciderla. Lei si salvò passando miracolosamente fra le pareti della torre. Cercò di farla sacrificare agli dei e di farle sposare un giovane nobile pagano: «Il Signore è la mia fede – gli disse la figlia – il Signore è il mio sposo, a lui ho offerto la mia purezza». Fu denunciata e condotta dallo stesso padre davanti al prefetto Marciano, sotto l’imperatore Massimino il Trace (235-238). Condannata a essere frustata e battuta a sangue. Torturata, le furono straziate le carni con uncini di ferro. Decapitata dal padre stesso, che volle eseguire la sentenza o che prese il posto del carnefice per ordine del prefetto. Subito dopo aver reciso la testa della figlia un fulmine a ciel sereno o un fuoco disceso dal cielo lo incenerı̀. Diverse anche le date: 4 dicembre 235 o sotto Galerio, imperatore dal 305 al 311. Il suo corpo fu traslato a Torcello, l’isoletta della laguna veneta, e poi a Venezia nella chiesa di San Giovanni Evangelista. La leggenda ricalca quella di Danae, figlia di Acrisio re di Argo e di Euridice: il padre la relegò in una stanza sotterranea, dalle pareti di bronzo, dopo aver appreso dall’oracolo che sarebbe morto per mano di un eroe nato dalla figlia. Zeus, trasformatosi in pioggia d’oro, la raggiunse e dall’unione nacque Perseo. Il culto della santa risale al secolo VIII; inserita fra i santi ausiliatori in epoca medioevale, nel 1969 è stata cancellata dal calendario. Patrona, per la folgore che incenerı̀ il padre, degli artiglieri, dei minatori e dei vigili del fuoco. Più in generale di coloro che hanno a che fare con 423 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 431 Barbara esplosivi o incendi. Patrona anche della Marina militare: nelle navi da guerra il deposito delle munizioni è detto ‘‘santabarbara’’. È invocata contro la morte improvvisa, la mala morte, che non permette al peccatore di pentirsi e di morire con i sacramenti. San Giacomo, – voi portate le chiavi dei lampi, – voi portate le chiavi del cielo, – non toccate, salvate, – i figli d’altri nelle case e nelle campagne, – Santa Barbara e San Giacomo). [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 4 dicembre; la terza domenica di luglio a Sinnai, la seconda domenica di agosto a Monteponi, il 20 agosto a Narcao, il 26 agosto a Olzai. Sagre estive e in altre date durante l’anno. Barbara, santa2 (in sardo, Santa Bra- Santa Barbara – La santa in un dipinto di Giovanni Antonio Boltraffio. (1467-1516; Staatliche Museen, Berlino) In Sardegna Patrona di Argentiera, Bacu Abis, Furtei, Genoni, Gonnosfanadiga, Ingurtosu, Monteponi, Narcao (insieme a San Nicola), Nureci, Olzai, Senorbı̀, Sinnai, Villacidro e Villasalto. Il suo culto è stato diffuso dai Bizantini. Con San Giacomo porta, custodisce, le chiavi dei lampi e del cielo: «Santa Brabara e Santu Jaccu, / ’osu potais is crai’ de su ’ampu, / ’osu potais is crai de su xelu, / no toccheis a fill’allenu, / ne in domu ne in su satu, / Santa Brabara e Santu Jaccu» (Santa Barbara e bara scabizzada, Sa Scabizzada) Santa (Cagliari, metà sec. III-?). Convertita, si ritirò con Santa Restituta in una grotta nel quartiere di Stampace, pregando e aiutando i bisognosi. Denunciata, fu incarcerata e torturata, decapitata che aveva trent’anni. Il preside romano, per evitare una sommossa nella città, dov’era conosciuta e amata, «fece eseguire la sentenza a Capoterra – scrive Felice Putzu (1927) – nella località ancor’oggi chiamata Sa Scabizzada, ossia la decollata, dove scaturı̀ una sorgente d’acqua al momento del martirio della santa». Sul martyrium è sorta una chiesa, in epoca medioevale diventata eremitaggio di monaci agostiniani. Reliquie rinvenute il 23 giugno 1620 a Cagliari, nella grotta dove visse con Santa Restituta. «Ci pare affatto superfluo – scrive Francesco Alziator (1963) – porre in rilievo che ci troviamo dinanzi al solito caso di duplicazione locale di un santo famoso, della santa di Nicomedia, nel secolo dei santi fabbricati a carrettate». Traduzione della lapide latina murata nella chiesa campestre di Capoterra: «In onore di Dio e della beata Barbara martire, la presente chiesa è costruita nell’anno dell’incarnazione del Signore 1281. Editto VIII del presule Gallo, della Chiesa di Cagliari, e di frate Guantino Hormiga governatore 424 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 432 Barbareschi del luogo e dei suoi eremiti». Quando i romiti l’abbandonarono, fu donata con la chiesa di Santa Maria di Uta dall’arcivescovo di Cagliari ai Francescani conventuali, i quali vi eressero un ospizio, superiore il venerabile Tomaso Polla. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia la domenica dopo la SS. Trinità a Capoterra. celliere in diritto, venne ordinato sacerdote e fu per molti anni parroco di Bitti, dimostrando notevoli doti pastorali. Nel 1563 fu nominato arcivescovo di Oristano; si impegnò con grande decisione a migliorare le condizioni del clero e a cercare di applicare i canoni della Controriforma. Morı̀ prima del 1572. Barbarà Famiglia catalana (secc. XVIXVIII). Si trasferı̀ in Sardegna agli inizi del secolo XVI con un Michele che, sposata una Santa Cruz, si stabilı̀ a Cagliari. I loro figli furono ammessi allo Stamento militare nel 1578 durante il parlamento Coloma e presero parte ai suoi lavori; uno di essi, Adriano, fu anche nominato sindaco dello Stamento militare a Madrid. Con i figli di suo nipote Antioco, nel corso del secolo XVII la famiglia si divise in tre rami: Antonio nel 1635 tentò inutilmente di contendere ai Ledà il possesso dei feudi di Ittiri e di Uri, ed ebbe discendenza, estinta nella seconda metà del secolo XVII; Francesco diede origine al ramo che nella seconda metà del secolo XVII si stabilı̀ a Mandas e si estinse agli inizi del secolo XVIII; Gaspare diede origine a un altro ramo secondario che continuò a risiedere a Cagliari, ma i suoi membri finirono per gravitare su Iglesias dove alcuni di loro ebbero l’ufficio di capitano della città; anche questo ramo si estinse entro la fine del secolo. Barbarà, Antioco Gentiluomo cagliaritano (fine sec. XVI-prima metà sec. XVII). Era un valoroso uomo d’armi che nel 1594 si segnalò nella difesa di Cagliari da una scorreria di corsari turchi. Nel 1606 fu nominato capitano di Iglesias per due anni. Barbarà, Girolamo Religioso (Cagliari, prima metà sec. XVI-Oristano, prima del 1572). Arcivescovo di Oristano dal 1563 al 1572 ca. Divenuto bac- Barbareschi – Le incursioni di pirati arabi e barbareschi durarono più di mille anni, fino ai primi decenni dell’Ottocento. Barbareschi Termine con cui vennero genericamente indicati i corsari musulmani che, a partire dal secolo XVI, sostenuti dai Turchi, si insediarono lungo le coste dell’Africa settentrionale impadronendosi di Algeri, Tunisi e Tripoli, dove rovesciarono le antiche dinastie e diedero vita a vere e proprie città-Stato, formalmente dipendenti dall’Impero ottomano, ma in realtà autonome e dedite esclusivamente alla guerra di corsa. I B. erano Turchi provenienti dalle isole del Mediterraneo orientale; moriscos provenienti dalla Spagna e animati da profondo spirito di rivalsa; schiavi cristiani, catturati e islamizzati, che col tempo avevano conquistato posizioni di primo piano nella comunità. L’attività principale di questi corsari erano l’assalto e la cattura delle navi cristiane e le spedizioni lungo le coste degli stati cristiani per catturare schiavi da vendere nei mercati delle città barbaresche o per i quali ottenere cospicui riscatti. Nume- 425 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 433 Barbareschi rose incursioni furono effettuate da questi corsari lungo le coste della Sardegna. Le più importanti sono: 1. Nel 1509 Cabras fu saccheggiata da una squadra di corsari che fecero molti prigionieri. Negli anni successivi gli attacchi a Cabras continuarono e i suoi abitanti dovettero provvedere autonomamente a organizzare la propria difesa. 2. Nel 1514 sbarcarono sulle spiagge di Siniscola e, attaccato il villaggio, fecero più di cento schiavi e uccisero molte persone. 3. Nel 1520 i corsari turchi sbarcarono sulle spiagge di Sant’Antioco, Pula e Capo Carbonara e impegnarono furiosi scontri con gli abitanti dei villaggi che riuscirono a respingerli, catturandone alcuni. 4. Nel 1520 i Turchi sbarcati in Gallura devastarono il villaggio di Caresi; nello stesso anno attaccarono anche la marina di Oristano, Sant’Antioco, Pula e Capo Carbonara, ma ovunque furono respinti dalle popolazioni. 5. Nel 1525 i corsari turchi, approfittando del fatto che la popolazione di Sant’Antioco era impegnata nella festa del patrono, sbarcarono ma furono ricacciati: tornarono in forze l’anno successivo, ma mentre si apprestavano a sbarcare una tempesta spazzò via la flotta; in questa occasione molti corsari furono catturati. 6. Nel 1527 i Turchi attaccarono Castellaragonese: occuparono l’Asinara ma furono successivamente respinti dai sardi; in seguito, sbarcati nelle marine di Terralba, devastarono molti villaggi del Bonorcili, facendo fuggire la popolazione. 7. Nel 1538 il corsaro Barbarossa giunse a saccheggiare la basilica di Porto Torres. 8. Nel 1540 i Turchi attaccarono e saccheggiarono Olmedo e fecero molti prigionieri. 9. Barbarossa tentò di assalire le coste occidentali ma fu fermato da Blasco Alagon; nel 1546, però, fatti sbarcare i suoi uomini, devastò Uras e molte altre località. 10. Nel 1549 fu attaccata e distrutta Orosei e i suoi abitanti furono costretti a fuggire. 11. Nel 1552 i corsari compirono sbarchi lungo le coste del Sarrabus, del Sulcis e a Pula, ma ovunque furono contrastati e ricacciati in mare dalle popolazioni. 12. Nel 1553 i Turchi assalirono e saccheggiarono Terranova e successivamente si diressero verso Bastia. 13. Nel 1556 i Turchi attaccarono le coste della Gallura, le marine di Sorso e del Logudoro, ma furono respinti. 14. Nel 1560 il corsaro Occialı̀ operò diversi sbarchi lungo le coste sarde, spargendo terrore nelle popolazioni. Nel 1561 i Turchi tentarono di assalire Castellaragonese ma furono respinti con perdite. Negli anni successivi fino al 1566 le coste sarde furono attaccate in più punti tutti gli anni, vivendo una situazione di estrema tensione. 15. Nel 1581 i corsari attaccarono Siniscola ma furono respinti dagli abitanti guidati da Bernardino Puliga. 16. Il 1582 fu un anno sfortunato: infatti furono attaccate Villanova Monteleone, dove furono fatti cinquanta schiavi, e Quartu, dove furono catturate più di duecento persone, mentre gli altri abitanti fuggirono nei villaggi vicini. 17. Nel 1584 furono assalite e saccheggiate Gonnosfanadiga e Pabillonis, sorprese da un gruppo di corsari che era sbarcato nella marina di Arbus e si era inoltrato all’interno. Nello stesso anno presero terra nelle marine di Alghero, dove fecero più di cento prigionieri a Porto Conte. 18. Nel 1617 una terribile incursione arrecò gravi danni a Sant’Antioco, a Teulada e a Pula, dove furono catturati molti schiavi. 19. Nel 1621 i corsari tentarono di invadere le spiagge attorno a Cagliari e riuscirono comunque a fare bottino e schiavi. 20. C. tunisini tentarono di sbarcare a Funtanamare ma furono respinti dalle po- 426 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 434 Barbaro polazioni. 21. Nel 1762 fu attaccata l’isola di Serpentara dove furono fatti prigionieri i serventi della torre. 22. Nel 1765 i corsari sbarcarono a Porto Pino e fecero molti prigionieri. 23. In una incursione tunisina lungo le coste del golfo di Cagliari furono effettuati diversi sbarchi e catturate diverse persone. 24. Nel 1798 la clamorosa impresa dei corsari tunisini si concluse con la cattura di buona parte della popolazione di Carloforte. 25. In una spedizione tunisina a Capo Carbonara furono catturati i serventi di due torri costiere. 26. Grave incursione tunisina a Sant’Antioco, in cui furono catturati 144 abitanti condotti via come schiavi. 27. Nel settembre 1798 l’incursione notturna di una flotta di corsari b. contro Carloforte fece oltre 800 prigionieri, portati come schiavi a Tunisi. Riscattati con grande fatica e grazie all’impegno diretto di Napoleone, poterono tornare in Sardegna solo nel 1803. Altre incursioni furono registrate sino al 1815-1821. Nel corso dei secoli i sardi svilupparono un sistema di difesa basato soprattutto sulle torri costiere, che fu completato sotto il regno di Filippo II, e sulla presenza nelle acque dell’isola di una piccola squadra di galere che stanziava a Cagliari (Capitana, Patrona e San Francesco). I primi due decenni del secolo XIX registrano una serie di scontri fra navi della Marina sarda e barbaresca nei mari intorno all’isola: in alcuni di questi si distinsero per valore (e anche per i danni inferti agli aggressori) il nocchiero Tomaso Zonza, già segnalatosi in occasione del tentativo francese del 1793 contro La Maddalena, e il comandante Vittorio Porcile. Solo nel 1816 (3 aprile) l’ammiraglio inglese Exmouth, anche come delegato del re di Sardegna, impose al bey di Algeri una convenzione che lo vincolava a pacifiche relazioni con il Regno di Sardegna. Dopo quella di Algeri analoghi trattati furono firmati con le reggenze di Tunisi e Tripoli. Quelle firme chiusero i mille anni di incursioni contro la Sardegna. Barbaria = Civitates Barbariae Barbaricini Antica popolazione della Sardegna. Sulle sue origini si è sviluppato un lungo e vivacissimo dibattito in parte ancora non chiuso. Secondo alcuni storici, i B. erano genericamente gli abitanti della Barbària, quel complesso di territori della Sardegna interna oggi chiamato Barbagia. Secondo altri, invece, sulla base di quanto afferma Procopio nel De bello vandalico, i B. sarebbero stati un popolo dell’Africa settentrionale (Mauri) trapiantato in Sardegna per sfuggire all’invasione della loro terra da parte dei Vandali. Barbariciridicoli Compagnia teatrale costituita nel 1993 esclusivamente da attori del Nuorese e diretti dal regista Tino Belloni; si prefigge di promuovere la diffusione della cultura teatrale mediante la produzione di spettacoli teatrali, convegni, seminari e studio dei testi. Barbaro Personaggio ricorrente in alcune passiones di martiri della Sardegna e della Corsica (sec. IV d.C.). In questi racconti agiografici Barbarus è il praeses che condanna a morte Gavino, Proto e Gianuario di Turris Lybisonis, Simplicio di Fausania e Saturno di Carales, oltre a Devota, martirizzata Corsica. Non si esclude che le passiones, compilate in diversi momenti e tutte successive al secolo VI, abbiano potuto riflettere parzialmente dati reali, tra i quali si pone la storicità di B. Questi poté ricoprire tra il 303 e il 304 la carica di governatore della Corsica e successivamente della Sardegna, ma in attesa del successore nel primo incarico tenne contemporanea- 427 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 435 Barbaro mente il governo delle due isole (come è riportato anche nella Passio Sancti Saturni: «Barbarus accepit principatum Sardiniae atque Corsicae a Romanis regibus»). Secondo il racconto della Passio di San Simplicio di Fausania (Olbia). B., dopo aver condannato a morte il martire, morı̀ a causa di una tempesta nel tragitto marittimo mentre dalla Sardegna si recava in Corsica. Non si esclude che il suo nome sia all’origine di una tradizione che, in un momento imprecisato, portò a denominare ‘‘palazzo di Re Barbaro’’ un grande edificio termale che si imponeva nel paesaggio urbano della Turris Lybisonis romana e che probabilmente in età bizantina venne trasformato in struttura militare fortificata. [PIERGIORGIO SPANU] tilene 1465-Costantinopoli 1546). Un corsaro che operava al servizio del sultano ottomano Solimano il Magnifico nel Mediterraneo occidentale nella prima metà del secolo XVI. Di origine cristiana, da giovane aveva praticato la pirateria nell’Egeo. Abile guerriero e spregiudicato politico, subentrò nel dominio di Algeri al fratello Horuk, che vi si era insediato nel 1515, costituendovi un piccolo principato personale. Dalla sua roccaforte arrivò a minacciare la presenza spagnola in Nord Africa; per questo motivo Carlo V organizzò contro di lui una spedizione, ma nel 1535 B. s’impadronı̀ di Tunisi e nel 1538 sconfisse Andrea Doria a Prevesa. In seguito riuscı̀ a impadronirsi di buona parte della costa del Nord Africa, da dove le sue flotte ripresero a tormentare per anni le coste della Sardegna. Barbera Vino rosso da tavola. Ottenuto Barbaro – Sotto il nome di Barbaro o, più ancora, di Re Barbaro è ricordato a Porto Torres il preside romano che perseguitò i Martiri turritani. Le rovine di un importante edificio sono chiamate ‘‘palazzo di Re Barbaro’’. Barbaro, Quinto Gabino Funzionario romano (sec. III). Dopo aver ricoperto diversi uffici fu nominato prefetto della via Flaminia e successivamente procuratore in Sicilia. Fu infine nominato proconsole e prefetto della Sardegna durante il regno di Settimio Severo, Caracalla e Geta tra il 198 e il 211. Barbarossa Soprannome con cui era conosciuto il celebre Khair ad-din (Mi- dall’omonimo vitigno piemontese, introdotto nei territori del Parteolla alla fine dell’Ottocento. Negli anni Cinquanta del Novecento veniva prodotto dalla Cantina sociale del Parteolla a Dolianova: raggiungeva una gradazione di 14 gradi e poteva essere invecchiato fino a cinque anni. Successivamente, fino alla fine degli anni Novanta la sua produzione è andata esaurendosi. Da qualche anno si è ripresa. Barbera, Diego Teologo (Cagliari 1703ivi 1777). Scolopio, divenuto sacerdote fu per anni preside del collegio di San Giuseppe e successivamente nel 1751 provinciale del suo ordine; insegnò Filosofia presso l’Università di Cagliari. Fu autore di alcuni trattati dei quali rimane manoscritto quello di Summalisticae Institutiones. Barberán, Girolamo Religioso (Cagliari, prima metà sec. XVI-Oristano 1572). Arcivescovo di Oristano dal 1563 al 1572. Ottenuto il baccellierato e poi 428 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 436 Barbusi la licenza in Diritto canonico, venne ordinato sacerdote e fu per molti anni pievano di Bitti, dimostrando notevoli doti. Nel 1563 fu nominato arcivescovo di Oristano; si impegnò con grande decisione a migliorare le condizioni del clero e ad applicare i canoni del concilio di Trento, convocando un sinodo provinciale nel 1566. [MASSIMILIANO VIDILI] Barberis, Corrado Sociologo (sec. XIX). Presidente dell’Istituto Nazionale di Sociologia rurale, nel 1972 ebbe l’incarico di condurre un’analisi della condizione del pastore sardo per conto della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della criminalità in Sardegna, e nel 2002 curò un’indagine della Fondazione A. Segni sui risultati della riforma agraria in Sardegna. Tra i suoi scritti: Profilo sociologico del pastore, in Documenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni di criminalità in Sardegna, II, 1982; La riforma fondiaria cinquant’anni dopo: Italia e Sardegna di fronte all’Europa, in Per una storia della riforma agraria in Sardegna (a cura di Manlio Brigaglia), 2004. Barberis, Mattia Avvocato piemontese (sec. XIX). Difese le ragioni dei villaggi del marchesato di Sedilo nei confronti del marchese Delitala nella lite sulla consistenza dei tributi feudali accesasi al momento di fissare l’ammontare del riscatto del feudo. La memoria, utile per ricostruire la storia delle vicende feudali del territorio e in parte anche dell’isola, fu pubblicata col titolo Ragionamento avanti il Supremo R. Consiglio di Sardegna per i comuni di Sedilo, Boroneddu, Norghittu, Soddı̀, Zuri, Tadasuni, Domusnovas come componenti il marchesato di Sedilo e Canales contro il marchese don Gerolamo Delitala, 1830. Barbiera, Raffaello Giornalista (Vene- zia 1851-Milano 1934). Conclusi gli studi di legge si dedicò al giornalismo e dal 1876 al 1882 fu redattore del ‘‘Corriere della Sera’’. Subito dopo passò all’‘‘Illustrazione italiana’’, nella cui redazione lavorò fino al 1917. Interessato all’aneddotica storica del Risorgimento, scriveva in uno stile chiaro e diretto soprattutto nelle biografie di personaggi celebri; fu autore di numerose opere di grande divulgazione. In uno dei suoi libri è ricordato Un cantante del Risorgimento: il marchese De Candia e le sue avventure, in Voci e volti del passato 1800-1900, 1920. Barbieri, Raffaele Docente universitario (Portici 1913-ivi 1975). Ha diretto per anni l’Istituto di Agronomia dell’Università di Sassari, nella Facoltà di Agraria di cui fu uno dei fondatori; nel 1962 fu chiamato a far parte del comitato di esperti istituito per elaborare i progetti del Piano di Rinascita. Tra i suoi scritti, L’agricoltura sarda e le sue possibilità di sviluppo, ‘‘Annuario dell’Università degli studi di Sassari’’ 1957-58, 1958. Barbusi Centro abitato della provincia di Carbonia-Iglesias, frazione di Carbonia (da cui dista 5 km), con oltre 400 abitanti, posto a 119 m sul livello del mare, affacciato sulla vallata del Cixerri dalle ultime propaggini dei rilievi del Sulcis. Regione storica: Sulcis. Diocesi di Iglesias. & TERRITORIO Il territorio ha tenuto in passato la frazione in bilico tra la vocazione mineraria e quella agricola, perché ai rilievi del Sulcis, aridi e spogli in superficie ma ricchi di minerali nel sottosuolo, alterna le terre fertili e ricche di acque dell’ampia vallata del Troncia-Flumentepido (continuazione a occidente di quella del Cixerri) che, ormai nel tratto terminale, scorre a breve distanza. Il villaggio è attraversato dalla strada trasversale che da Vil- 429 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 437 Barcelo lamassargia conduce direttamente a Carbonia, ma ha a brevissima distanza anche la statale 126 nel tratto IglesiasCarbonia. A 3 km di distanza si trova la stazione, lungo la linea ferroviaria proveniente da Cagliari. & STORIA Sul territorio dove sorge il villaggio attuale si era sviluppato nel Medioevo un piccolo centro che faceva parte del giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria del Sols. Quando però ebbe termine l’esistenza del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 il villaggio fu compreso nel terzo toccato ai Della Gherardesca che, per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia, poco tempo dopo fecero un’altra divisione tra loro. B. cosı̀ fu attribuito al ramo del conte Gherardo; la sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, condussero una vita tranquilla. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae; ma i Della Gherardesca ne furono investiti e continuarono a possederlo. Nei decenni successivi i loro rapporti con gli abitanti di B. diventaro tesi. La popolazione del villaggio nel 1348 fu decimata dalla peste e i feudatari ne persero la disponibilità nel corso della prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Si ebbe poi la condanna per fellonia del conte Gherardo, e negli anni successivi il villaggio fu duramente provato dalle vicende della guerra e si spopolò completamente. Nei secoli successivi il suo territorio continuò a rimanere deserto, frequentato solo da pastori nomadi che nel corso del secolo XVIII vi formarono un primo insediamento, che è poi il medau da cui B. nel corso dell’Ottocento si è sviluppato. Quando, dopo il 1935, fu decisa la nascita di Carbonia, il villaggio era un piccolo centro di contadini che fu toccato dal fervore delle attività che crebbero a mano a mano che si intensificarono le attività estrattive legate alla creazione della città. Vi fu infatti avviata la costruzione di un moderno villaggio per minatori che si sviluppò rapidamente e che altrettanto rapidamente entrò in crisi con la fine del sogno carbonifero. Attualmente B. è tornato a essere un piccolo centro agricolo la cui vita è intimamente connessa con quella di Carbonia. & ECONOMIA Base dell’economia del villaggio è l’agricoltura. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio conserva testimonianze archeologiche che risalgono al periodo punico e romano. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il villaggio mantiene il tessuto urbanistico tipico dei piccoli centri del Sulcis sviluppatisi dagli antichi medaus; l’unico monumento di pregio è la chiesa di Nostra Signora delle Grazie, parrocchiale costruita nel 1957. Barcelo Famiglia sassarese originaria di Montpellier (secc. XV-XVII). Si trasferı̀ a Sassari nella seconda metà del secolo XV con il celebre pittore Joan. I suoi discendenti ottennero il cavalierato ereditario nel 1567, ma si estinsero nel corso del secolo XVII. Barcelo, Joan Pittore (Tortosa, metà sec. XV-Sassari, inizi sec. XVI). Nel 1488 si stabilı̀ a Sassari, dove firmò un contratto per un retablo per San Francesco di Alghero. Nel 1508 era di nuovo a Barcellona, ma nel 1510 risulta a Sassari, dove si sposò. Da allora, tranne che per brevi periodi, operò in Sardegna fino al 1516. Sentı̀ l’influenza della pittura fiamminga e fu autore di retabli, tra cui quello della Visitazione, l’unica sua opera giunta a noi, dal San Francesco di Stampace. Il retablo – scrive Renata Serra – «rivela modi di stretta osservanza valenzana, specie 430 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 438 Bardana nel disegno della bulinatura sul fondo d’oro». Barchetta = Zoologia della Sardegna Barcudi Antico villaggio del giudicato getto di una tavola della ‘‘Tribuna illustrata’’ e contribuı̀ ad aumentare i pregiudizi dell’opinione pubblica ‘‘continentale’’ nei confronti della Sardegna. di Cagliari. Faceva parte della curatoria del Campidano: un tempo fiorente, cominciò a spopolarsi nel corso del secolo XIII e in breve tempo scomparve. Bardana1 Termine (nell’antico toscano gualdana, pare dal linguaggio militare germanico) riferito a una cavalcata a scopo di razzia. Era un tipico modo di operare del banditismo pastorale sardo. Balzò all’attenzione pubblica nazionale soprattutto negli anni tra il 1880 e il 1918 anche per le descrizioni che della b. fecero i giornalisti che si occupavano della recrudescenza della criminalità in Sardegna. La b. aveva come obiettivo la rapina ai danni di un ricco proprietario residente in uno dei villaggi dell’interno. Veniva organizzata nei minimi particolari da gruppi di banditi che infestavano le campagne, ai quali spesso si univano persone insospettabili. L’azione prevedeva lo spostamento notturno di un gruppo di cavalieri armati lungo i sentieri impervi delle montagne, l’accerchiamento del villaggio e l’assalto all’abitazione della vittima prescelta e infine la rapina (grassazione). Subito dopo i componenti del gruppo lasciavano il paese e, dopo aver diviso i frutti, si disperdevano. Le cronache riportano episodi di violenze inaudite, descrivono conflitti a fuoco con conseguenze terribili come quando i partecipanti a una delle più famose bardane (quella di Tortolı̀ nel novembre 1894, che diede origine all’inchiesta sul banditismo in Sardegna affidata dal governo Crispi al deputato sardo Francesco Pais Serra), nel ritirarsi preferirono staccare la testa a uno dei compagni morti per non correre il rischio di essere identificati attraverso lui. Il truce episodio fu og- Bardana – Particolare durante la fioritura. Bardana2 Pianta erbacea della famiglia delle Composite (Arctium minus (Hill) Bernh.). Ha una grossa radice a fittone e può raggiungere i 2 m di altezza; le foglie basali, grandi e raggruppate, sono cuoriformi, con pagina inferiore più chiara; quelle superiori, più rade sul fusto, sono lanceolate; i fiori, all’estremità dei fusti, sono capolini sferici, rosso scuri, avvolti da squame uncinate; i frutti sono acheni allungati, con un ciuffo di peli. Fiorisce in estate. Il nome sardo con cui viene chiamata la b. nella Barbagia di Belvı̀, piga-pigheddu (lett. ‘‘prendi prendi’’), è dovuto alla capacità di fiori e frutti di attaccarsi con gli uncini al pelo degli animali. Cresce spontanea in zone sassose e assolate, ma in Sardegna non si rinviene con facilità allo stato spontaneo. Ha moltissime applicazioni in fitoterapia: le radici hanno proprietà diuretiche e depurative, le foglie sono digestive, cicatrizzanti e lenitive, macerate in acqua e sale, dei dolori articolari. 431 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 439 Bardanzellu Nomi sardi: cardajone (Sarcidano); cuscusone, isprone (logudorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Bardanzellu, Giorgio Avvocato e deputato al Parlamento (Luras 1888-Roma 1974). Dopo essersi laureato in Legge si dedicò alla professione di avvocato; dopo la prima guerra mondiale in cui era stato ferito e dove fu decorato, dal 1919 si stabilı̀ a Torino e vi esercitò con successo la sua professione impegnandosi anche in ricerche sulla storia sarda: durante una di queste scoprı̀ nell’Archivio di Stato di Parma il manoscritto della Descrizione della Sardegna, stilato da Francesco d’AustriaEste nel 1812, curandone poi l’edizione nel 1934. Più tardi si sarebbe occupato delle Carte d’Arborea e da deputato ne avrebbe proposto un nuovo esame. Di convinte idee monarchiche, si inserı̀ nella realtà torinese dove venne stimato per la sua onestà e per le sue capacità. Dal 1934 al 1939 fu deputato al Parlamento, ma i suoi difficili rapporti con il gruppo dirigente del fascismo torinese lo esclusero dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Caduto il fascismo, fu epurato e costretto a tornare in Sardegna; alcuni anni dopo fu riabilitato e poté riprendere la sua professione e il suo impegno politico. Aderı̀ al Partito nazionale monarchico e fu cosı̀ eletto deputato dal 1953 al 1963 per la II e III legislatura repubblicana; prese parte con impegno all’attività parlamentare con numerose proposte di legge, alcune delle quali riguardanti la Sardegna. Tra i suoi scritti: Il gover no di Mussolini, ‘‘L’Unione sarda’’, 1923; Bontempelli e la Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’, 1931; La Sardegna del 1812 in un documento inedito, ‘‘L’Unione sarda’’, 1933; La completa fusione della Sardegna al Piemonte in una lettera del conte di Cavour e altri documenti inediti, ‘‘Rassegna sto- rica del Risorgimento’’, XXIII, 1, 1936; Il regno di Sardegna, ‘‘Rassegna storica del Risorgimento’’, XXV, 1938; Domenico Millelire e la difesa della Sardegna nel febbraio 1793, 1954; Porti e strade in Sardegna, 1955; Rapporto tra Stato e Regione in Sardegna, 1955; Contributo alla critica storica e paleografica delle carte d’Arborea, ‘‘Archivi’’, XXII, 1955; La contesa tra la Francia e il regno di Sardegna per le isole dell’Arcipelago della Maddalena, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1959; Garanzie per Carbonia, ‘‘Pensiero nazionale’’, 16, 1961. Le sue carte sono conservate presso il Museo di Storia del Risorgimento di Torino. Bardanzellu, Mavi (pseud. di Maria Vittoria B.) Attrice cinematografica (n. Lu- ras 1938). Appartenente a una importante famiglia gallurese, si è avvicinata al cinema quasi per curiosità, ma finendo poi per interpretare molti ruoli adatti alla sua severa bellezza latina. Tra gli altri Pelle di bandito, di Piero Livi (il regista olbiese che l’ha incoraggiata nei primi passi), La battaglia del Sinai, di Maurizio Lucidi, Beatrice Cenci, di Lucio Fulci (1969) e anche uno western all’italiana, Carogne si nasce, di Alfonso Brescia. Bardaxino, Giovanni Religioso (sec. XIV). Vescovo di Dolia dal 1355 al 1362. Appartenente all’ordine dei Minori francescani; eletto vescovo nel 1355 dai canonici del capitolo doliense, la sua elezione fu annullata dal papa per vizio di forma. Superata l’opposizione pontificia, prese possesso della diocesi nel momento difficile che precedette lo scoppio della seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV. Morı̀ prima del 4 aprile 1362. Bardilio, san (o San Bardirio, San Baldilio; in sardo, Santu Baldiri, Santu Bardili) Santo catalano (San Baldiri) non riconosciuto dalla Chiesa, introdotto in Sardegna nel Trecento: è rimasto il 432 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 440 Barega nome, diffuso soprattutto a Dorgali e a Galtellı̀, e un quadro a Cagliari nella chiesa di San Lucifero. Giovanni Spano nel 1861 segnalava i resti della sua chiesa a Cagliari, ai piedi della collina di Bonaria, definitivamente spazzati via nel 1909: chiesa in origine dedicata a Sancta Maria in Portu Gruttae o Santa Maria di Portu Salis, ritenuta la più antica chiesa di tutta l’isola. Nelle Carte d’Arborea si legge: «La chiesa venne costruita nello stesso sito dove San Paolo pose per la prima volta il piede e predicò il Vangelo ai sardi e dove fino all’VIII secolo, quando venne distrutta dai saraceni, si venerava la pietra sopra la quale l’apostolo delle genti salı̀ per predicare la fede all’arrivo che fece in Sardegna». Naturalmente San Paolo non approdò mai nell’isola. [ADRIANO VARGIU] Bardoner, Pietro Uomo d’armi (sec. XV). Appartenente a nobile famiglia catalana che si trasferı̀ in Sardegna nel 1360 per prendere parte alla difesa dell’isola. Scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV vi prese parte con valore e nel 1369 fu ricompensato con la concessione di Cargeghe nella curatoria di Figulinas, di Corongiu in quella di Dolia e di Vignola nel Taras. A causa della guerra, però, egli non riuscı̀ a entrarne in possesso, perché i territori di quei villaggi erano occupati dalle truppe giudicali. Baredels Antico villaggio del giudicato di Gallura, compreso nella curatoria del Taras. All’estinzione della dinastia dei Visconti, fu amministrato dal Comune di Pisa con propri funzionari. Conclusa la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma i suoi abitanti mantennero un atteggiamento ostile nei confronti dei nuovi venuti. Nel 1330 fu quindi investito dalla campagna condotta da Raimondo Cardona, subı̀ gravi danni, e altri ne soffrı̀ a partire dal 1333 quando scoppiò la guerra tra Genova e Aragona. La popolazione cominciò ad abbandonarlo e in pochi anni si spopolò completamente. Barega Centro abitato della provincia di Carbonia-Iglesias, frazione di Iglesias (da cui dista 5 km), posto a 110 m sul livello del mare, affacciato dalle ultime propaggini dei rilievi dell’Iglesiente sulla vallata del Cixerri, che ha le sue sorgenti a breve distanza. Regione storica: Sulcis. Diocesi di Iglesias. & TERRITORIO Il territorio, che è quello a sud del capoluogo, ha tenuto in passato la frazione in bilico tra la vocazione mineraria e quella agropastorale, perché ai rilievi dell’Iglesiente, aridi e spogli in superficie ma ricchi di minerali nel sottosuolo, alterna le terre fertili e ricche di acque della vallata del Cixerri. Il villaggio è raggiungibile attraverso una sola strada che ha inizio a Iglesias e giunge a collegarsi, per poi avere termine, dopo aver incrociato la bretella che a sud di Iglesias collega la statale 130 con la 126. & STORIA Nel territorio di B. si sviluppò nel corso del Medioevo un popoloso agglomerato che faceva parte del giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria del Sigerro. Dopo la caduta del giudicato, nella divisione del 1258, fu incluso nei territori assegnati ai Della Gherardesca i quali, pochi anni dopo, fecero tra loro una nuova divisione. B. cosı̀ toccò al ramo del conte Ugolino; venne amministrato dai funzionari dei nuovi signori con precisione fiscale. La sua struttura sociale fu conservata e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, furono coinvolti nel processo di sviluppo delle attività minerarie dalle quali trassero 433 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 441 Baressa notevoli vantaggi. Come è noto il conte Ugolino, che si era impadronito del potere a Pisa, fu assassinato, probabilmente col concorso dei cugini dell’altro ramo, per cui nel 1289 i figli dichiararono guerra al Comune. La guerra fu combattuta nei territori iglesienti e il villaggio fu investito dalle operazioni, subı̀ gravi danni e, dopo che i Della Gherardesca furono sconfitti, dal 1295 passò sotto il controllo diretto di Pisa. Con l’arrivo degli Aragonesi il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae e nel 1324 fu concesso in feudo a Pietro Cardona, i cui eredi nel 1338 lo resero al fisco. Nello stesso anno il villaggio fu nuovamente infeudato ad Alibrando de Açen. Negli anni successivi i suoi abitanti furono quasi dimezzati a causa della peste e delle vicende della guerra tra Aragona e Arborea. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il De Açen si ribellò e il villaggio fu confiscato; nel 1366 fu occupato dalle truppe arborensi che lo tennero fino alla battaglia di Sanluri. Tornato in possesso degli Aragonesi finı̀ per spopolarsi completamente e quando, nel 1471, entrò a far parte dei feudi degli Aragall, il territorio dove un tempo sorgeva B. era deserto. Nei secoli successivi il suo territorio continuò a rimanere disabitato, frequentato solo da pastori nomadi che nel corso del secolo XIX vi si stanziarono costruendovi un loro insediamento, un boddeu, che ebbe una crescita a partire dalla seconda metà del secolo con lo sviluppo delle attività minerarie. La piccola miniera che era stata aperta nelle vicinanze ha continuato a essere sfruttata fino alla seconda metà del Novecento. & ECONOMIA La base delle attività economiche è stata storicamente l’attività mineraria; attualmente i pochi abitanti sono prevalentemente dediti all’allevamento e all’agricoltura. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Di particolare interesse come sito di archeologia industriale sono gli impianti dell’omonima miniera che fu sfruttata a partire dall’Ottocento e chiusa definitivamente dopo il 1980. Baressa – Veduta del centro abitato. Baressa Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 17, con 816 abitanti (al 2004), posto a 165 m sul livello del mare, in una zona di colline a occidente della Giara di Gesturi. Regione storica: Parte Montis. Diocesi di Ales-Terralba. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 12,55 km 2 : ha forma grosso modo romboidale e confina a nord con Ales e Gonnosnò, a est con Baradili e Ussaramanna, a sud con Gonnostramatza, a ovest con Gonnoscodina e Simala. Si tratta di una regione di colline non molto alte (non arrivano con le punte maggiori ai 300 m) alternate a tratti di pianura, relativamente ricca di acqua perché attraversata da alcuni dei fiumi che scendendo dalla Giara si dirigono verso occidente, per confluire oggi nel bacino realizzato nei pressi di Mogoro. Le comunicazioni sono assicurate da una strada secondaria che partendo da Simala si divide in questo punto per raggiungere con due 434 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 442 Baressa bracci la più frequentata VillamarUsellus. & STORIA Il centro ha origini punicoromane. Nel Medioevo faceva parte del giudicato d’Arborea ed era incluso nella curatoria della Marmilla. A partire dal secolo XIII divenne un rinomato centro per l’olivicoltura: di questa antica attività rimane memoria in un complesso di quasi mille olivi secolari situati in un terreno a poca distanza dal villaggio. Nella fase finale delle guerre tra Aragona e Arborea il villaggio soffrı̀ per le operazioni militari che investirono il territorio; dopo la battaglia di Sanluri, a partire dal 1409 entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Il suo territorio era occupato dalle truppe di Berengario Carroz che avrebbe voluto annetterlo al suo grande feudo di Quirra; il re però, poco prima di morire, lo aveva incluso nel vasto feudo concesso a Garcia Lupo de Ferrero e aveva invitato Berengario a rinunciare ai suoi progetti. Le circostanze invece sembrarono favorirlo, infatti dopo la morte del re egli continuò a tenere la Marmilla, tanto più che pochi mesi dopo anche Garcia Lupo morı̀ senza lasciare eredi. Nel 1412, però, il nuovo re Ferdinando I pose fine alle sue aspirazioni e lo costrinse a rendere i territori occupati, cosa che egli fece dopo lunga esitazione. Cosı̀ nel 1421 B. entrò a far parte del grande feudo concesso a Raimondo Guglielmo Moncada al quale però fu confiscato alcuni decenni dopo, quando questi si rifiutò di pagare un tributo al re. Dopo alterne vicende B. fu acquistato all’asta da Pietro Besalù che acquisı̀ tutta l’antica curatoria. Pur essendo un uomo potente e uno dei generi del conte di Quirra, poiché non aveva i denari sufficienti per l’acquisto si era fatto prestare delle somme da Simone Rubei di Cagliari. Egli cominciò a rendere il denaro negli anni successivi utilizzando le rendite feudali; nel 1459 però queste gli furono sequestrate dal fisco perché moroso nei suoi confronti, per cui non fu più in grado di rendere il resto del denaro dovuto al Rubei. Quest’ultimo allora, nel 1464, minacciò di far vendere all’asta il feudo: la situazione sembrò precipitare ma il Besalù fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato ai territori che confinavano con quelli di Quirra, gli prestò il denaro necessario. Quando il Rubei morı̀ la sua situazione diede il pretesto a Dalmazio Carroz, che era diventato conte di Quirra dopo aver sposato Violante sorellastra della moglie, per intervenire e impossessarsi del territorio. Infatti, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente tutta la Marmilla e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché il Besalù non fu in grado di pagare, nel 1477 i due arrivarono a un compromesso in base al quale, mentre Besalù riusciva a conservare Barumini, Las Plassas e Villanovafranca, il resto veniva acquisito dal conte di Quirra. Cosı̀ B. entrò a far parte del grande feudo di Quirra; morta Violante II, passò ai Centelles; nel lungo periodo in cui il villaggio fu amministrato da questa famiglia, le condizioni di vita dei suoi abitanti non furono buone. I nuovi feudatari infatti fecero amministrare la Marmilla da un regidor e, anche se non esasperarono il carico fiscale, limitarono notevolmente l’autonomia della comunità modificando il sistema di individuazione del majore, che cessò di essere elettivo. Si disinteressarono completamente delle condizioni di vita degli abitanti e il villaggio si ridusse a un pugno di casupole fatiscenti e assolutamente indecorose; la sua popolazione si aggirava attorno 435 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 443 Baressa alle trecento unità. L’ultimo Centelles morı̀ nel 1676 lasciando eredi i Borgia la cui successione fu contestata dai Català che, dopo una lunga lite, riuscirono a venire in possesso del feudo nel 1726. Nel corso del secolo XVIII le condizioni di vita di B. rimasero quelle di sempre, il rapporto di dipendenza dal feudatario si fece molto più tenue e in più di un’occasione l’amministrazione reale, approfittando della lontananza dei feudatari, pensò di riscattarlo. Frattanto nel 1766 il villaggio era passato dai Català agli Osorio; ormai la sua popolazione era quasi raddoppiata e l’istituzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico fecero aumentare l’aspirazione a rompere definitivamente la dipendenza feudale. Nel 1821 B. fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1839 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questo periodo Vittorio Angius ne ha tracciato questo ritratto: «La temperatura è dolce nell’inverno, ma nella estate ascende il 30º. Vi nevica di rado, né si possono dire frequenti le tempeste. Le notti sono assai umide, come in tutte le regioni vallive. La nebbia ingombra spesso i campi nelle stagioni temperate. Se la salubrità di quest’aria non può affermarsi, è però lecito dire che non è delle più micidiali. Le febbri intermittenti e perniciose e le infiammazioni sono le malattie ordinarie. Le morti si calcolano a 17 ca. l’anno. Nascono 28 e si celebrano 4 matrimoni. La vita si suol chiudere al cinquantesimo. Le famiglie (anno 1833) erano 166, le anime 630. Le arti meccaniche sono molto rozze. Le donne lavorano in 110 telai panni di lana e di lino per provvisione domestica. Si semina per l’ordinario starelli di grano 650, d’orzo 180, di fave 170, di ceci 25. La fruttificazione, calcolando sopra un decennio, risulta del sette per uno. Il lino produce poco, e la raccolta può computarsi di 6000 manipoli per anno. Metodi migliori triplicherebbero i prodotti, e forse sarebbero maggiori, come persuade la cognizione della fecondità della terra in questo clima. Le uve in massima parte sono bianche, e di molta varietà. Nessuno o pochissimo smercio fassi dei vini, e se ne brucia per acquavite solo quanto sia sufficiente alla consumazione interna. La coltura degli orti è trascurata. Le piante fruttifere distinguonsi nelle seguenti specie: olivi, peschi, pomi, ciliegi. Tenue è il numero di ciascuna, e in paragone superano gli olivi. Delle piante infeconde non si coltivano che i soli pioppi per averne travi alla costruzione delle case. Le specie che si educano sono vacche, pecore e giumenti. Nell’anno 1833 le vacche sommavano a capi 35, i buoi e tori per l’agricoltura a 200, le pecore a 2000, i giumenti a 60. Si aggiungano circa 40 capi tra cavalli e cavalle domite, e 60 majali. Al mezzodı̀ del paese nella distanza d’un miglio scarso vedonsi le vestigie del distrutto paese di Azzeni». Abolite le province nel 1848, B. fu inserito nella divisione amministrativa di Oristano, dove rimase fino al 1859, per essere successivamente compreso nella provincia di Cagliari. Nel 1927 ebbe aggregati come frazioni Baradili, Figu, Gonnosnò e Sini per cui il suo territorio raggiunse una considerevole estensione. Nel 1945 Sini riacquistò la propria autonomia; nel 1947 si staccarono Figu e Gonnosnò che costituirono un comune a sé; infine anche Baradili riacquistò la propria autonomia nel 1958; nel 1974, costituita la provincia di Oristano, tornò a farne parte. & ECONOMIA La sua economia è basata principalmente sull’agricoltura: vi è sviluppata la frutticoltura; tipica è la coltura del mandorlo che è la maggiore della Sardegna; molto sviluppata 436 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 444 Baressa è anche la pastorizia; vi sono alcune piccole attività commerciali. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 869 unità, di cui stranieri 1; maschi 447; femmine 422; famiglie 338. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 16 e nati 4; cancellati dall’anagrafe 16; nuovi iscritti 9. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 241 in migliaia di lire; versamenti ICI 337; aziende agricole 169; imprese commerciali 49; esercizi pubblici 6; esercizi al dettaglio 15; ambulanti 6. Tra gli indicatori sociali: occupati 239; disoccupati 45; inoccupati 54; laureati 8; diplomati 86; licenza media 266; con licenza elementare 271; analfabeti 60; automezzi circolanti 308; abbonamenti TV 261. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio è ricco di nuraghi (Codinas, Majori, Molsa, Sa Domu ’e S’Orcu, Sensu), il più noto dei quali è quello di Codinas attorno al quale si sviluppò in età punica un insediamento che è stato riscoperto nel 1940. Gli scavi hanno restituito ceramica punica e ceramica attica a figure rosse risalente al secolo V a.C. Altro sito archeologicamente interessante si trova a sud dell’attuale abitato dove sono ancora rilevabili le tracce del villaggio scomparso di Atzeni: per ricordarlo meglio gli abitanti di B. vi hanno eretto di recente una chiesa campestre, cosı̀ che la popolazione ha l’occasione di tornare di tanto in tanto in una località dalla quale molte delle attuali famiglie hanno avuto origine. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il tessuto urbano è costituito da stradette tortuose sulle quali si affacciano ancora numerosi portali delle tipiche case a corte: da qualche tempo si progetta di censirli e valorizzarli, anche a scopo turistico. L’edificio di maggior pregio è la chiesa di San Giorgio, parrocchiale costruita nel secolo XVI e successivamente rimaneggiata a più riprese. Ha un impianto a una sola navata sulla quale si affacciano alcune cappelle laterali e il presbiterio sopraelevato rispetto all’aula. Solo nel 1780 la chiesa fu coperta con l’attuale volta a botte. Al suo interno conserva l’altare maggiore in marmo, risalente al secolo XVIII, opera dello Spiazzi, e alcune statue lignee tra le quali un bellissimo Cristo morto del Seicento. Di particolare suggestione è il bosco di Mitza Frassu che è posto alle falde del monte Figuferru: ricco di querce e di suggestivi angoli, è meta di passeggiate e di gite domenicali. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le feste popolari sono occasione per rinverdire le tradizioni della comunità: la più nota e importante è quella di San Giorgio, il patrono, che si svolge il 23 aprile e che ha preso il posto di quella di Santa Rosalia che si svolge nella prima domenica di settembre. La festa di Santa Rosalia era un tempo la più importante e richiamava molte persone anche dagli altri paesi; il suo momento culminante erano le gare equestri, con la partecipazione di molti cavalieri anche da altri villaggi, e i fuochi d’artificio. Recentemente, in occasione della festa di San Nicolò da Tolentino che tradizionalmente si celebra il 10 settembre, è stata istituita la sagra della mandorla che si svolge con grande concorso di gente; per l’occasione vengono offerti al pubblico non solo le mandorle ma anche i dolci che se ne ricavano, e si tengono convegni sulla valorizzazione di questa coltura, che è stata molto incrementata in questi ultimi anni. Vengono anche aperte le antiche corti dove per tre giorni rivi- 437 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 445 Barettas vono le antiche botteghe, le officine e i frantoi; e il centro storico si anima mirabilmente. Barettas Antico villaggio di origine medioevale che sorgeva a nord-ovest del castello di Gioiosaguardia. Faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Sols. Alla fine del giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nel terzo toccato ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia, poco tempo dopo, procedettero a un’altra divisione tra loro. B. cosı̀ fu attribuito al ramo del conte Ugolino e fu amministrato dai funzionari dei nuovi signori con precisione fiscale. La sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, condussero una vita tranquilla. In seguito il conte Ugolino, che si era impadronito del potere a Pisa, fu assassinato, probabilmente col concorso dei cugini dell’altro ramo, per cui nel 1289 i suoi figli dichiararono guerra al Comune. Il villaggio fu investito dalle operazioni, subı̀ dei danni e, quando i Della Gherardesca furono sconfitti, dal 1295 passò sotto il controllo diretto di Pisa, che lo fece amministrare da suoi funzionari. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae; nel 1328 fu concesso in feudo a Pietro de Açen, i cui discendenti lo conservarono nei decenni successivi; ma, sebbene fossero sardi, i loro rapporti con gli abitanti di B. furono sempre tesi. Il villaggio nel 1348 fu decimato dalla peste; i feudatari ne persero la disponibilità nel corso della seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV dopo la ribellione di Alibrando de Açen. Alcuni anni dopo il villaggio era già completamente spopolato. Giuseppe Baretti – Ritratto del celebre letterato realizzato da Pierre Subleyras. Baretti, Giuseppe Letterato (Torino 1719-Londra 1789). Cosmopolita, visse fra Milano e Londra, viaggiando in diversi paesi europei. Il suo nome resta legato soprattutto al quindicinale ‘‘Frusta letteraria’’, in cui sotto lo pseudonimo di Aristarco Scannabue polemizza con le tendenze della letteratura contemporanea, praticamente inventando il genere della recensione-stroncatura. In una sua ampia opera, più volte pubblicata e tradotta, An account of the Manners a. Customs of Italy, with observation of the mistakes of some travellers (edita per la prima volta a Londra nel 1768), dedica due capitoli, uno al ‘‘Carattere dei piemontesi e di altri popoli sudditi del Re di Sardegna’’ e uno alla ‘‘Varietà del vestimento nelle diverse provincie italiane’’. In una lettera ai fratelli del 2 dicembre 1770 B. parla di un suo progetto (mai realizzato) di un viaggio in Sardegna, commissionatogli da un editore inglese dietro compenso di 125 sterline. 438 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 446 Bari Sardo Barigadu Antico villaggio del giudicato d’Arborea. Compreso nella curatoria del Campidano di Milis, era situato a qualche chilometro da Milis al centro di un territorio riccamente coltivato. Nel 1302 fu donato dal giudice a Mariano Mameli. Nel corso del secolo, però, prese a spopolarsi a causa della peste e scomparve agli inizi del Quattrocento. Barigadu, castello di (o castello di Monte Santo) Castello fatto costruire forse dai giudici d’Arborea sulla montagna che sovrasta il Tirso e l’abitato di Sorradile, in posizione strategica a guardia di un importante guado su una storica via d’accesso al giudicato. Nel secolo XIV era frequentemente residenza di Mariano IV; dopo la caduta del giudicato il castello, disabitato a partire dal 1420, andò in rovina. Attualmente ne rimangono pochi resti e la torre smozzicata detta di Brigariu. Barigadu, curatoria di Antica curatoria del giudicato d’Arborea, situata alla destra del Tirso. Aveva una superficie di 298 km2 e comprendeva i villaggi di Fordongianus, Villanova Truschedu, Allai, Ardauli, Busachi, Neoneli, Ula Tirso, Bidonı̀, Nughedu, Sorradile, e i villaggi distrutti di Alari, Barbagiana, Loddu, Moddamene, Montesanto Jossu, Sorrai, tutti compresi nelle diocesi di Oristano e di Santa Giusta. Caduto il giudicato, la curatoria nel 1410 entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Il suo territorio, al cui possesso aspirava il marchese d’Oristano, non era ancora completamente pacificato e il nuovo re di casa Trastamara vedeva di cattivo occhio la sua infeudazione a Leonardo Cubello. Dopo anni di grande tensione, poiché la Corona aveva bisogno di denaro e il marchese di Oristano aveva fatto generosamente fronte all’esigenza, nel 1412 il B. gli fu ceduto in gran parte ed egli lo incluse nel suo feudo, avviando la pacificazione delle popolazioni. Il re aveva tenuto per sé Ardauli, Sorradile, Fordongianus e Bidonı̀, che però tra il 1413 e il 1417 concesse a Pietro Steuyl e a Ludovico Pontons; lo Steuyl morı̀ senza eredi e il Pontons cedette i villaggi nel 1425 a Leonardo Cubello, che cosı̀ unificò nelle sue mani l’intera curatoria. Quando nel 1427 Leonardo morı̀, il B. passò in eredità al suo secondogenito Salvatore, il quale nel 1463 lo unı̀ definitivamente al marchesato. Dopo che il marchesato nel 1477 fu confiscato a Leonardo Alagon, nel 1481 il B. fu concesso a Gaspare Fabra. Nel 1519 gli eredi dei Fabra vendettero il feudo a Nicolò Torresani e Carlo Alagon, che nel 1520 divisero il territorio in due subregioni: il B. Jossu, comprendente i villaggi di Busachi, Fordongianus e Allai toccò a Nicolò Torresani; il B. Susu, comprendente i villaggi di Neoneli, Ardauli, Sorradile, Bidonı̀, toccò a Carlo Alagon. Nei secoli successivi e fino all’abolizione dei feudi il territorio dell’antica curatoria non fu mai più riunificato. Bari Sardo – L’antico borgo della Sardegna centro-orientale fu costruito a una certa distanza dal mare. Bari Sardo Comune della provincia dell’Ogliastra, compreso nell’XI Comunità montana, con 3879 abitanti (al 439 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 447 Bari Sardo 2004), posto a 51 m sul livello del mare, a ridosso di una collina che lo divide dalla costa orientale a sud di Tortolı̀. Regione storica: Ogliastra meridionale. Diocesi di Lanusei. Bari Sardo – La torre di Barı̀ faceva parte del sistema di difesa costiera realizzato dagli spagnoli alla fine del Cinquecento. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 37,53 km 2 : ha forma grosso modo rettangolare e confina a nord con Ilbono e Tortolı̀, a est con il mar Tirreno, a sud con Gairo, a ovest con Lanusei e Loceri. Si tratta di una regione per buona parte pianeggiante, per il resto occupata da colline di piccole dimensioni, alcune delle quali conservano le tracce di un’antica attività vulcanica: il Lamarmora vi trovò delle belle colonne basaltiche e un materiale adatto per la produzione delle mole, allora utilizzate per la macina- zione dei cereali. Il paese è attraversato dalla statale 125 Orientale sarda, dalla quale si staccano in questo punto la statale 390 che attraverso Loceri si dirige verso Lanusei; e le secondarie che conducono rispettivamente alle spiagge di B. e a quelle di Marina di Gairo. & STORIA Il centro attuale, che un tempo era conosciuto come Barı̀ (e ha assunto il nome attuale per distinguersi dal capoluogo della Puglia), è di origine medioevale: apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria di Ogliastra. Quando il giudicato fu smembrato nella divisione del 1258, passò ai Visconti che l’annetterono con tutta l’Ogliastra al giudicato di Gallura. Estinta la dinastia il villaggio passò sotto il controllo diretto di Pisa che lo fece amministrare da propri funzionari in modo fiscale ma sostanzialmente rispettando le antiche autonomie della comunità. Subito dopo la conquista, che fu portata a termine faticosamente dall’ammiraglio Francesco Carroz, il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Nel 1325 fu concesso a Berengario I Carroz e costituı̀ il primo nucleo della contea di Quirra, formata nel 1363 da Berengario II Carroz. Nel corso del secolo i suoi abitanti, unitamente a quelli degli altri villaggi delle montagne, lottarono duramente contro i feudatari e, quando scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, si ribellarono apertamente schierandosi col giudice. In seguito, scoppiata la seconda guerra, il territorio fu occupato (1366) dalle truppe arborensi, e di fatto governato come se fosse di appartenenza giudicale, fino al crollo dell’Arborea. Nel 1410 B.S., la cui popolazione non arrivava a 100 unità, tornò in mano a Berengario Bertran Carroz erede degli antichi conti di Quirra; era oramai in- 440 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 448 Bari Sardo serito nel grande feudo di Quirra ed ebbe sostanzialmente un rapporto accettabile col feudatario che nel 1416 concesse alcuni Capitoli di grazia che sono da considerare il nucleo dei regolamenti dell’Ogliastra. Il felice rapporto con i feudatari, che consentı̀ di conservare le antiche autonomie, creò anche le condizioni per uno sviluppo economico e sociale della comunità la cui popolazione, alla fine del secolo, crebbe sensibilmente. I Bertran Carroz si estinsero nel 1511 con la morte della contessa Violante II, e cosı̀ B.S. passò ai Centelles; nel lungo periodo in cui il villaggio fu amministrato da questa famiglia, le condizioni di vita dei suoi abitanti non furono buone. I nuovi feudatari infatti fecero amministrare l’Ogliastra da un regidor e, pur non esasperando il carico fiscale, limitarono notevolmente l’autonomia della comunità modificando il sistema di individuazione del majore che cessò di essere elettivo. Si disinteressarono però completamente delle condizioni di vita degli abitanti e il villaggio si trovò esposto ai pericoli delle incursioni dei corsari barbareschi. Infatti questi, approfittando della guerra tra Turchia e Spagna, in più di un’occasione fecero scorrerie lungo le sue spiagge danneggiando le fiorenti attività degli abitanti, il cui numero continuava a crescere; la sua popolazione, infatti, alla fine del Seicento aveva superato i 900 abitanti. L’ultimo Centelles morı̀ nel 1676 lasciando eredi i Borgia, la cui successione fu contestata dai Català che, dopo una lunga lite, riuscirono a venire in possesso del feudo nel 1726. Nel corso del secolo XVIII le condizioni di vita di B. rimasero quelle di sempre, il rapporto di dipendenza dal feudatario si fece molto più lento, e in più di un’occasione l’amministrazione reale, approfittando della lontananza dei feudatari, pensò di riscattarlo. Frattanto nel 1766 il villaggio era passato dai Català agli Osorio; ormai la sua popolazione superava i 1200 abitanti e cominciò ad assumere un aspetto ordinato; più o meno negli stessi anni vi fu costruita in forme baroccheggianti la parrocchiale dedicata a Nostra Signora di Monserrato. L’istituzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico fecero crescere l’aspirazione a rompere definitivamente la dipendenza feudale; il tessuto sociale cominciò ad articolarsi con la comparsa di notai, medici e altri professionisti. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Lanusei e nel 1840 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi anni Vittorio Angius annotava: «La situazione è assai bassa. Quindi è facile dedurre l’umidità del clima, la quale rendesi maggiore dal piccol ruscello che scorre in mezzo al popolato. La temperatura è assai dolce nell’inverno, finché l’atmosfera è riscaldata dal sole, assente questo sentesi con l’umido anche il freddo. Nell’estate i calori sono assai forti. La nebbia domina in tutte le stagioni, ma è più nociva nell’estate ed autunno. Raramente nevica, e rompono tempeste di grandine e fulmini. L’aria è grossa e malsana. Il numero delle anime, come risultò nel 1855 dal censimento parrocchiale, era di 1480, distribuite in 277 famiglie. Le generali professioni sono l’agricoltura e la pastorizia. Vi sono però dei fabbri ferrai, alcuni per manifatture fine, ed altri per opere grosse, dei quali si servono anche gli abitanti di alcuni dei vicini paesi; dei falegnami dell’arte grossa, come dicono, i quali provvedono di arnesi d’agricoltura e di carri i contadini del dipartimento, e alcuni ancora del Campidano. Nella manifattura del panno lino e forese [orbace] si impiegano circa 250 telai. La scuola 441 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 449 Bari Sardo normale frequentasi da 20 fanciulli. Si semina ordinariamente starelli di grano 300, d’orzo 200, di fave 100, di granone, ceci, fagioli, cicerchie, piselli, lenticchie in totale starelli 100. Il grano suol rendere per uno l’8, l’orzo il 15, le fave il 10, il granone il 5, le civaie [legumi] il 10, meno le lenticchie che danno il 5. L’erbe ortensi che si coltivano sono lattughe, coppette, cipolle, pomidoro, patate, aglio, bietola, indivia ecc.; le piante zucche, poponi, cocomeri, citriuoli, melingiane ecc. Nel generale il lino che si raccoglie somma a 30 000 manipoli. Nessun’altra terra e clima apre più a proposito di questo per le viti. Le varietà delle uve bianche, rosse e nere sono molte, che si distinguono coi nomi volgari di moscatello, cannonato, sinzillosu, bovali, vernaccia, semidano, verdolino, rosa, argumannu, apesorgia bianca e nera, detta ancora triga, corniola, galoppu, manzesu, nieddera, monica, girone, moscatellone. Del moscatello, vernaccia e girone si fanno vini delicatissimi, che passano col nome di vini bianchi. Il galoppu ed argumannu si secca per uve passe. L’apesorgia, ossia triga, si conserva fresca per la maggior parte dell’anno. Le altre uve servono pel vino nero, che gode nel commercio di molta riputazione. Si vende quasi tutti gli anni ai genovesi, che lo trasportano in vari porti. Se ne brucia ordinariamente poco per acquavite». Soppressa nel 1848 la provincia di Lanusei, subito dopo B.S. fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro; vi rimase fino al 1859, anno in cui fu inserito nella provincia di Cagliari; furono questi gli anni in cui venne costruito il bel campanile ottagonale della parrocchiale. Il villaggio rimase incluso nella provincia di Cagliari fino alla ricostituzione di quella di Nuoro e nel 1862, una volta fatta l’unità d’Italia, prese il nome at- tuale. Le attività economiche e la possibilità di sfruttare il mare fecero aumentare ancora la popolazione; nel 1927, quando fu costituita la provincia di Nuoro, B. entrò a farne parte. Negli anni successivi due eventi determinarono una sua ulteriore crescita, in primo luogo il progressivo sviluppo delle attività turistiche che proiettarono definitivamente il villaggio verso il mare, in secondo luogo la partecipazione al dibattito locale sulla formazione della provincia dell’Ogliastra, che di recente si è concluso positivamente. Il paese è oggi dotato di guardia medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario. & ECONOMIA La sua attività economica è basata sull’agricoltura, in particolare sono molto sviluppate la viticoltura con la produzione di un buon vino, l’olivicoltura e la coltura delle mandorle. Notevolmente sviluppate sono le attività commerciali a integrazione di una fiorente attività turistica in costante crescita. Attualmente il villaggio dispone di 5 alberghi. Artigianato. In passato erano tradizionali la produzione dell’orbace e l’attività di tessitura della lana, della quale rimane memoria nell’attuale tessitura dei tappeti. Altre attività artigianali un tempo rinomate erano quelle dei fabbri e dei falegnami, noti per la fabbricazione dei carri. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 3995 unità, di cui stranieri 55; maschi 1950; femmine 2045; famiglie 1436. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 36 e nati 29; cancellati dall’anagrafe 103; nuovi iscritti 88. Tra gli indicatori principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 322 in migliaia di lire; versamenti ICI 1476; aziende 442 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 450 Bari Sardo agricole 488; imprese commerciali 204; esercizi pubblici 35; esercizi al dettaglio 72; ambulanti 10. Tra gli indicatori sociali: occupati 999; disoccupati 166; inoccupati 162; laureati 72; diplomati 176; con licenza media 1225; con licenza elementare 1102; analfabeti 181; automezzi circolanti 1125; abbonamenti TV 952. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio possiede numerose testimonianze archeologiche tra le quali le Tombe di giganti di Canali, le domus de janas di Su Pranu e i numerosi nuraghi: Arbois, Boschinu, Gesperarci, Iba Manna, Luculi, Mattale, Mindeddu, Moru, Murei, Niedda, Sa Puliga, Sellersi, Su Crastu. Tra questi sono di particolare interesse i nuraghi di Sa Puliga e soprattutto quello di Mindeddu, che è del tipo polilobato e conserva tracce di un villaggio nuragico che sorgeva attorno alla torre principale. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il villaggio conserva un tessuto urbanistico sviluppato attorno alla strada principale, un tempo detta de Mesu Bidda, sulla quale si intersecano le strade laterali, alcune delle quali conservano l’antico selciato e sulle quali si affacciano ancora le tipiche case in pietra che nell’impostazione ricordano quelle della Barbagia. Sulla strada principale si apre una ariosa piazza dove sorge la chiesa di Nostra Signora di Monserrato, parrocchiale edificata in un lungo periodo a partire dagli inizi del secolo XVII e terminata nel secolo XVIII. Inizialmente l’edificio avrebbe dovuto ampliare una vecchia chiesa preesistente che però, col procedere della nuova costruzione, finı̀ per essere demolita. L’edificio, a croce latina, ha una sola navata, le volte a botte e la cupola ottagonale che poggia su un tamburo con finestre. Le cappelle laterali furono completate nel secolo XVIII, come pure tra il 1760 e il 1777 fu completato il presbiterio con la scalinata d’accesso e furono acquistati a Napoli i marmi policromi per le decorazioni interne, in particolare quelli dell’altare maggiore, opera di Michelino Spiazzi. Nel 1780 la chiesa fu pavimentata e furono realizzati alcuni altari delle cappelle laterali; agli inizi dell’Ottocento il cagliaritano Giovanni Battista Franco edificò l’altare di San Giovanni nel transetto. Il campanile, progettato dal Viana, fu edificato nel 1778 a cura del parroco Bernardino Pes. L’interno conserva alcune statue lignee di scuola napoletana dei secoli XVII e XVIII; un dipinto attribuito al Mainas e alcune tele di Francesco Massa (=); accanto alla chiesa è stato costruito nel 1802 dall’architetto Antonio Melis un bell’oratorio che richiama lo stile dell’edificio principale. Poco distante dalla chiesa sorge il Palazzo rettorale di decorosa fattura settecentesca. Altro monumento di notevole valore è la torre di Sant’Antonio, nella marina di Barı̀: costruita tra il 1590 e il 1594, alta più di 12 m e larga 11 m, fin dai primi anni della sua edificazione sostenne attacchi da parte di corsari barbareschi; di particolare gravità quello del 1748; nel 1798 e nel 1830 fu radicalmente restaurata e restò attiva fin dopo il 1843. Di notevole bellezza sono le spiagge che fanno capo alla marina di Barı̀; ricche di stagni pescosi, popolate da specie rare di animali, da anni sono la base principale della crescente attività turistica. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Anche a B.S. le feste popolari scandite lungo l’intero anno tramandano le usanze e le tradizioni della comunità; le più antiche tra queste sono quelle della Madonna di Monserrato e di san Girolamo che si svolgono rispettivamente l’8 e il 30 settembre. La festa 443 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 451 Barisone della Madonna di Monserrato si svolge nella parrocchia e dura tre giorni con un denso programma di momenti folcloristici alternati a quelli religiosi. La festa più suggestiva però è quella in onore di San Giovanni Battista che da una cinquantina d’anni si svolge alla marina di Barı̀. La statua del santo vi viene accompagnata e poi collocata su un barcone, ha quindi luogo una processione a mare, durante la quale si svolge anche il rito propiziatorio di su nénniri (= Nénniri), che consiste nel gettare in mare le pianticelle coltivate al buio secondo un’antichissima tradizione. Barisone – Giudice di Gallura, continuò la politica filopisana del padre. Costretto a fuggire da una spedizione del giudice di Torres, riuscı̀ a recuperare il giudicato. Barisone Giudice di Gallura (seconda metà sec. XII-1203). Figlio di Costantino III della famiglia dei Lacon Gunale, succedette a suo padre nel 1173 e ne continuò la tradizionale politica filopisana. Quando Barisone II di Torres si alleò con Genova, la Gallura fu invasa dagli eserciti turritani ed egli nel 1182 fu costretto a fuggire nell’Arborea alla corte dello zio, il giudice Barisone I che era fratello di sua madre e che lo nominò curatore di Milis. Nel 1184 però riuscı̀ a recuperare la Gallura. Barisone II Giudice di Torres (?, prima metà sec. XII-Messina 1191). Figlio di Gonario di Torres; quando nel 1147 suo padre partı̀ per la crociata, ricevette il governo del giudicato. Divenne giudice solo nel 1153, ereditando una situazione politica complessa a causa delle forti tensioni interne che gli antichi nemici di suo padre alimentavano fomentando forse una nuova ribellione; non migliori erano i suoi rapporti col giudice Barisone I d’Arborea, tradizionale nemico della sua casa. Egli però riuscı̀ a mantenere il controllo della situazione e per consolidare la propria posizione fece sposare sua figlia Susanna con Andrea Doria, aprendo cosı̀ nuove prospettive alla sua politica. Era ancora legato a Pisa quando nel 1163 suo fratello Pietro divenne giudice di Cagliari. Fu lui che dovette sostenere la guerra contro Barisone I d’Arborea, che voleva cacciare Pietro da Cagliari. Ma l’impeto delle truppe arborensi si esaurı̀ rapidamente e i due fratelli dopo il 1163 ribaltarono la situazione militare, anzi, approfittando della debolezza del giudice oristanese invasero e devastarono l’Arborea. In seguito, dopo che nel 1169 Genova e Pisa si riappacificarono sulla base del ritorno dei confini dei giudicati allo status quo ante, B. II, istigato dal genero, cominciò a ipotizzare di rompere la tradizionale alleanza con Pisa e di schierarsi con Genova. Nel 1186, addolorato per la morte della moglie, abdicò e lasciò l’isola. Morı̀ mentre si recava pellegrino in Terrasanta. Barisone III Giudice di Torres (?, prima metà sec. XIII-Sorso 1235). Figlio di Mariano II, era poco più che un bambino quando suo padre morı̀. Salı̀ sul trono nel 1232 sotto tutela di Orzocco 444 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 452 Barisone I d’Arborea de Serra che esercitò funzioni di giudice di fatto governando con molta durezza e alienandosi le simpatie delle grandi famiglie che finirono per ordire una congiura. Cosı̀ il giovane giudice e il suo tutore nel 1235 furono trucidati a pugnalate durante una festa popolare a Sorso, aprendo una grave crisi dinastica. Barisone I d’Arborea Re di Sardegna (Oristano, prima metà sec. XII-ivi 1184). Giudice d’Arborea della famiglia dei Lacon Serra, era figlio di Comita III. Nel 1146 succedette a suo padre, ereditando uno stato provato dalle lunghe guerre e isolato diplomaticamente. Inizialmente sembrò sottostare alla politica egemonica di Pisa che, sfruttando le buone relazioni che in quel momento aveva con il papa e con l’imperatore, aveva ottenuto per il suo arcivescovo Villano il rinnovo della legazia in Sardegna e organizzato il convegno intergiudicale di Bonarcado nel tentativo di estromettere dall’isola Genova, la sua rivale di sempre. B. I d’A., però, dopo quel convegno, nel 1147 riprese la politica di suo padre tentando di affrancarsi dall’egemonia pisana. Cosı̀ concepı̀ il progetto di inserirsi nel quadro della politica internazionale per rompere l’isolamento e per trovare alleati contro Pisa; questo lo portò ad avvicinarsi sempre più al conte di Barcellona Raimondo Berengario IV che, dal canto suo, voleva cacciare gli Almoravidi dalle Baleari. Per raggiungere il suo scopo il giudice, nel 1157, ripudiata la prima moglie Preziosa, sposò Agalbursa di Bas, nipote del conte di Barcellona, e cosı̀ gli fu possibile stringere i rapporti con i nuovi parenti. Nel suo nuovo ruolo B. I d’A. cercò di promuovere una grande alleanza antimusulmana nella quale far entrare anche Pisa e il papa per liberare le Baleari, ma il progetto fallı̀ a causa delle nuove tensioni tra il papa e Federico Barbarossa, delle quali cercò di approfittare Pisa per vedere riconosciuta la sua supremazia in Sardegna. Nel 1162 questo provocò una nuova guerra tra Pisa e Genova, che però furono costrette dall’imperatore a far pace. In queste condizioni B. I d’A. ritenne giunto il momento di riprendere il vecchio progetto di unificazione della Sardegna che era stato di suo padre. Nel 1163 approfittò della crisi dinastica apertasi con l’estinzione della dinastia giudicale di Cagliari per riprendere la guerra contro il giudice di Torres e togliergli il Goceano e il Marghine. B. I d’A., per giustificare il proprio intervento, affermò di voler sostenere i diritti del figlio del vecchio Torbeno di Cagliari, anche lui chiamato Barisone, contro le pretese di Pietro di Torres, fratello del giudice turritano che si era impadronito del trono cagliaritano. Le sue truppe invasero il giudicato di Torres, costringendo Pietro a fuggire presso suo fratello, ma l’impeto delle truppe arborensi fu fermato quasi subito. Poco dopo, però, istigato dai suoi parenti catalani e sostenuto finanziariamente da Genova, il giudice si fece dare da Federico Barbarossa il titolo di re di Sardegna dietro il pagamento di una forte somma, quattromila marchi d’argento, all’imperatore. Cosı̀ il 10 agosto 1164 veniva solennemente incoronato a Pavia, nella chiesa di San Siro. Per restituire la somma ai genovesi che gliela avevano prestata B. I d’A. impegnò quasi tutte le rendite del giudicato e fu tenuto a Genova pressoché in ostaggio. Nel 1165, accompagnato dal console di Genova, si presentò a Oristano per far ratificare l’accordo dai majorales del giudicato, ma l’impegno finanziario richiesto 445 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 453 Barisone II d’Arborea era troppo forte per cui egli non riuscı̀ a saldare il suo debito e fu ricondotto a Genova, mentre i giudici di Cagliari e di Torres ne approfittarono per invadere l’Arborea e devastarne il territorio. Negli anni successivi, ‘‘scaricato’’ dall’imperatore che addirittura sanzionò la dipendenza dell’isola da Pisa, e impossibilitato a intervenire, continuò a essere trattenuto a Genova. Nel 1171, quando le due repubbliche trovarono autonomamente un accordo per liquidare i loro problemi nell’isola, divenuto un peso inutile anche per i Genovesi fu autorizzato a rientrare in patria. Tornato in Sardegna, con un territorio giudicale ridotto ai confini del 1147, si tenne in disparte dagli avvenimenti politici e solo nel 1180 tentò nuovamente di attaccare il giudice di Cagliari ma fu sconfitto e costretto a ritirarsi. Barisone II d’Arborea Giudice di Cagliari (m. prima del 1218). Figlio di Pietro I, quando suo padre nel 1195 fu deposto da Guglielmo di Massa, era ancora un bambino. Fu condotto a Cagliari, dove fu allevato. Dopo la morte del padre il giudicato era nelle mani di Guglielmo di Massa, che si era fatto proclamare anche giudice d’Arborea dal clero oristanese. B. II d’A., estromesso dal giudicato, continuò a vivere a Cagliari, ma quando, nel 1214, Guglielmo morı̀, egli sposò l’altra delle sue figlie, la giudicessa Benedetta, e assunse il titolo di giudice di Cagliari col nome dinastico di Torchitorio IV. I due entrarono in possesso anche della metà del giudicato d’Arborea. La loro unione fu allietata dalla nascita di Guglielmo, futuro giudice di Cagliari. B. II d’A. II rimase sempre a fianco della moglie nei difficili anni che seguirono l’ascesa di Ubaldo Visconti; non seppe però resistergli e morı̀ malinconicamente. Barisone I Torchitorio – Figlio di Gonario Comita de Gunale, ereditò i due giudicati di Arborea e di Torres. Chiamò in Sardegna i Benedettini di Montecassino. Barisone I Torchitorio Giudice di Torres e d’Arborea (sec. XI). Appartenente alla famiglia dei Lacon Gunale, era figlio di Gonario Comita de Gunale. Ereditò il governo dei due giudicati da suo padre, che invece vi era arrivato per elezione. Lasciò il governo del giudicato di Torres al suo figlio primogenito Andrea Tanca, e tenne per sé il governo dell’Arborea, trasferendosi a Oristano. Probabilmente prima del 1065 Andrea Tanca morı̀, e B. I T. fu costretto ad assumere come giudice di fatto il governo di Torres per tutelare suo nipote Mariano I. Politico attento ai mutamenti in atto nella società sarda, probabilmente per bilanciare la crescente presenza dei mercanti pisani, a partire dal 1063 favorı̀ la penetrazione dei grandi ordini religiosi nel suo territorio. Per questo inviò una lettera all’abate di Montecassino, chiedendogli di mandare in Sardegna alcuni monaci con i paramenti sacri e libri. L’esperimento fallı̀ perché i monaci morirono in un naufragio durante il viaggio; B. I T., però, rinnovò la domanda: questa volta 446 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 454 Baronie i Benedettini giunsero in Sardegna stanziandosi a Santa Maria di Bubalis e a Sant’Elia di Montesanto nel 1065. Nello stesso anno il giudice fece costruire Sant’Antioco di Bisarcio. Barlia Pianta erbacea della famiglia delle Orchidacee (B. robertiana (Loisel.) W.Greuter). Bellissima orchidea, alta sino a 50 cm, con foglie basali larghe e lucide. I fiori, in dense spighe piramidali, sono viola-rosati, screziati di verde e maculati di rosso scuro; il labello (cioè il petalo inferiore) è diviso in 3-4 lobi. Diffusa soprattutto nella Sardegna centro-settentrionale, cresce nelle radure e ai bordi delle strade, dal livello del mare sino ai 1000 m. È una delle orchidee più grandi della Sardegna. (È norma di buona educazione naturalistica non raccoglierle). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Barmela Antico villaggio di origini medioevali. Faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria del Sols. Dopo la fine del giudicato, nella divisione del 1258 fu compreso nel terzo toccato ai Della Gherardesca che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia, poco tempo dopo, procedettero a un’altra divisione tra loro. B. cosı̀ fu attribuito al ramo del conte Gherardo, i cui membri nei decenni successivi lo trascurarono, per cui il villaggio decadde e scomparve prima della fine del secolo XIII. Barnett, Richard David Archeologo inglese (n. sec. XX). Specialista del periodo punico, dopo aver preso parte a una campagna di scavo a Tharros, nel 1987 ha curato la pubblicazione del catalogo dei materiali provenienti dalle tombe di Tharros in possesso del British Museum di Londra: The Excavation in Tharros. The burials: a Survey and Analysis; Appendix: Cara’s Drawing’s of tombs; Tharros. Catalogue of a tombs group. Baronie – Colture agricole. Baronie Regione storico-geografica della Sardegna nord-orientale. Deve il nome – che ha origine nel secolo XV – al fatto di essere appartenuta a diverse famiglie baronali. Il suo territorio corrisponde alla fascia costiera compresa tra il litorale tirrenico e la parte settentrionale del Nuorese, che comprendeva un tempo due antiche curatorie, aventi come capoluoghi rispettivamente Siniscola e Ferònia. Ai giorni nostri si distinguono la Baronia di Siniscola a nord – gia chiamata di Posada – e la Baronia di Orosei a sud. A differenziarle non è solo la storia, ma anche la geografia. La prima è caratterizzata da terreni schistosi, su cui domina la poderosa formazione giurassica del monte Albo. Nella seconda, invece, prevale una grande eterogeneità di forme e di rilievi. Durante la dominazione spagnola, la malaria, l’impaludamento della pianura formata dal fiume Cedrino sulla costa tirrenica e le ricorrenti incursioni barbaresche sulla costa (l’ultima, nel primo Ottocento, su Orosei) determinarono l’abbandono dei litorali e la mancata valorizzazione agricola delle pianure e delle valli. Nella seconda metà del Novecento, la 447 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 455 Baroschi bonifica delle basse valli del Posada, del Cedrino e della piana litoranea di Orosei ha reso disponibili vaste aree alla viticoltura e all’olivicoltura. Mandorleti e agrumeti (da cui proviene la pompı̀a, grosso frutto dal succo acidulo usato per produrre i canditi) prosperano nella piana costiera in cui si trova il grosso centro di Siniscola, diventato un centro turistico-balneare (nella frazione di Santa Lucia) assai frequentato nella stagione estiva. Tra i luoghi di forte richiamo turistico si segnala la marina di Cala Gonone, vicino alla famosissima Grotta del Bue Marino in territorio di Dorgali, cittadina rinomata anche per il suo vino Cannonau. Altro importante centro del sud della Baronia è Orosei, situato nella pianura presso la foce del Cedrino. Alle sue spalle un gruppo di paesi: Loculi, Irgoli, Onifai e Galtellı̀, antica sede vescovile, nei pressi del castello di Pontes che domina il corso del Cedrino verso il mare. Tra i centri del nord delle B., oltre a Siniscola e Lodè, si segnala Posada, importante scalo marittimo in epoca medioevale, suggestivamente dominato dalla possente torre quadrata del castello della Fava (=). Baroschi, Federico Ingegnere, consigliere regionale (n. Brescia 1940). Trasferitosi in Sardegna, risiedette a Iglesias fin da giovane; conseguita la laurea è divenuto apprezzato dirigente minerario e si è dedicato alla politica militando nel PSI. È stato consigliere, assessore e presidente della Provincia di Cagliari. Nel 1989 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Cagliari per la X legislatura. Dopo il 1992 ha aderito a Federazione Democratica; ricandidato per le regionali nel 1994, non è stato rieletto. In seguito è stato consigliere di amministrazione dell’Ente Minerario Sardo fino al 1998. Barquer, Berengario Gentiluomo catalano (sec. XIV). Nel 1358 ebbe la concessione del feudo di Quarto Tocho, ma quando nel 1363 scoppiò la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV ne perse la disponibilità, perché il territorio fu occupato dalle truppe arborensi. Morı̀ pochi anni dopo senza discendenti. Barracciu, Bernardino Missionario (Oristano 1884-Cina 1940). Minore conventuale, scoppiata la prima guerra mondiale divenne cappellano militare della Brigata ‘‘Sassari’’. Nel dopoguerra si fece missionario e fu mandato in Cina, dove fu nominato prefetto apostolico di Hin Gan; scoppiata la seconda guerra mondiale, morı̀ sotto i bombardamenti giapponesi. Barracciu, Francesca Consigliere regionale (n. Sorgono 1966). Nel 2004 è stata eletta consigliere regionale per i DS per la XIII legislatura. Barracco, Leonardo Bandito (?, prima metà sec. XIX-Seneghe 1881). Per anni terrorizzò le popolazioni dell’Oristanese con i suoi ricatti e con la sua violenza, acquistando una fama leggendaria. Fu ucciso a Seneghe nel 1881 durante un conflitto a fuoco con i Carabinieri. Barracellato Termine dall’etimologia incerta riferito alle compagnie di polizia rurale tipiche della società contadina della Sardegna. Nacquero con l’intento di difendere i villaggi dai danni alle colture e dal furto del bestiame, col compito di individuare i colpevoli e comunque indennizzare i danneggiati. Storicamente le compagnie barracellari sono presenti dal secolo XVII, ma certamente analoghe istituzioni sono individuabili nei secoli precedenti a cominciare dal periodo bizantino e giudicale. Nella Carta de Logu, infatti, si trova il riferimento agli jurados de logu, che ave- 448 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 456 Barrago vano il compito di arrestare e consegnare al magistrato gli autori dei reati contro la campagna. Secondo il Manno da questi giurati derivarono le compagnie barracellari che si costituirono in polizia rurale. Il funzionamento delle compagnie venne regolamentato da numerosi pregoni e col tempo la loro costituzione divenne obbligatoria per tutti i villaggi. A partire dalla fine del secolo XVIII si affermò la tendenza a militarizzare questi corpi, istituendo una corrispondenza tra i miliziani e i barracelli; questa tendenza si affermò, per cui nel 1819 le compagnie furono soppresse e sostituite dal corpo militare dei Cacciatori di Sardegna. Nel 1821, con la costituzione dei Cacciatori provinciali, furono parzialmente reintrodotte, ma mantennero il loro carattere militare; con l’editto del 1836 furono ripristinate le antiche compagnie barracellari come corpo di polizia rurale col compito di prevenire i furti di bestiame e di vigilare sulle campagne. Per alcuni anni le compagnie mantennero il loro carattere obbligatorio; solo nel 1853 fu sancita la loro volontarietà. In seguito, nel 1898, fu emanato un regolamento generale che lasciò ai comuni la libertà di valutare l’opportunità della costituzione della compagnia. Attualmente la materia è regolamentata dalla L.R. n. 348 del 1979. Barracu, Francesco Maria Militare (Santu Lussurgiu 1895-Dongo 1945). Medaglia d’oro al V.M. nella guerra d’Abissinia, sottosegretario alla presidenza del Consiglio della Repubblica Sociale Italiana. Non ancora terminati gli studi superiori, nel 1914 parte volontario per la Cirenaica. Ufficiale nel 1918, prende parte alle operazioni in Tripolitania. Nel 1920, sottotenente in s.p.e. per merito di guerra, partecipa alla spedizione di Corfù e, nel giugno 1926, alle operazioni del Gebel, nel quadro della ‘‘riconquista’’ della Libia. Scoppiata la guerra in Abissinia, viene promosso capitano e comandante di una banda di Dubat che prende il nome di Banda Barracu. Come tale gli vengono concesse una medaglia d’argento e quindi una di bronzo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, viene inviato in Africa Settentrionale, dove viene nominato federale di Bengasi. Subito dopo l’8 settembre aderisce alla Repubblica Sociale Italiana e viene nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio, incarico che terrà sino alla fine. Catturato insieme a Mussolini il 27 aprile, viene fucilato il giorno dopo sul lungolago di Dongo. Per il suo comportamento nella battaglia dell’Ogaden nel corso della conquista dell’Abissinia, dove perde l’occhio sinistro, gli viene concessa la medaglia d’oro al V.M. con una motivazione che lo definisce «espressione purissima del forte popolo sardo, superba figura di combattente e di valore leggendario [...] che ha al suo attivo una lunga serie di azioni belliche ardimentose, condotte e risolte sempre brillantemente». Barrago, Francesco Patologo (CaBaracellato – Gli uomini di questa storica polizia rurale sarda sono qui ritratti in una delle tavole dell’atlante del Voyage en Sardaigne del Lamarmora (1826). gliari 1834-Novara 1881). Dopo la laurea divenne medico militare e fu nominato professore di Chirurgia patologica all’Università di Cagliari, dove in- 449 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 457 Barrai segnò per molti anni. Propagatore dell’evoluzionismo, per difendere il darwinismo nel 1868 fu protagonista di una clamorosa polemica col canonico Francesco Miglior, sostenitore della concezione aristotelica sull’origine delle specie (alla polemica si riferisce l’opuscolo All’enciclopedista del Duomo, pubblicato nel 1869). Morı̀ a Novara nel 1881, a soli 47 anni. Barrai Famiglia di artisti cagliaritani (secc. XIV-XVII). Abitante nel quartiere di Stampace, era conosciuta fin dal secolo XIV; tra i personaggi più noti vanno ricordati Sisinnio, maestro argentiere che nel 1615 eseguı̀ il magnifico reliquiario di Sant’Antonio custodito nell’omonima chiesa di Cagliari, e Gaspare e Michele, entrambi architetti, che costruirono la cappella del Rosario nella chiesa di San Domenico a Cagliari. Barrali Comune della provincia di Cagliari, incluso nel Comprensorio n. 21, con 1094 abitanti (al 2004), posto a 140 m sul livello del mare in una regione di basse colline situate, a nord di Cagliari, tra la pianura campidanese e i maggiori rilievi del Sarrabus-Gerrei. Regione storica: Trexenta. Archidiocesi di Cagliari. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 11,46 km 2 : ha forma grosso modo romboidale e confina a nord con Pimentel e Ortacesus, a est con Sant’Andrea Frius, a sud con Donori, a ovest con Samatzai e Pimentel. Si tratta di una regione adatta all’agricoltura e tradizionalmente vocata alla coltivazione dei cereali. Il paese si trova a ridosso del rilievo maggiore della zona, il monte Uda, di 379 m, e nei pressi scorre il rio Mannu che si dirige verso lo stagno di Cagliari. La maggiore via di comunicazione è la vicina statale 128, cui B. è collegato da una secondaria che si congiunge più a sud con Donori; molto minore oggi l’importanza della ferrovia a scartamento ridotto Cagliari-Mandas, che corre a un paio di chilometri dall’abitato (la stazione è in comune con Pimentel) ma viene ormai usata soltanto a fini turistici. & STORIA L’attuale centro abitato è di origine medioevale: probabilmente si è sviluppato in conseguenza dello spopolamento dei due vicini villaggi di Onigo e Santa Lucia (=). Apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria della Trexenta. Dopo che il giudicato di Cagliari fu debellato, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Il giudice Mariano II, entro la fine del secolo XIII, lo lasciò al Comune di Pisa che lo fece amministrare da suoi funzionari; furono questi per B. anni di relativa tranquillità. Conclusa la prima fase della conquista aragonese, nel 1324 il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae ma poco dopo le ostilità con Pisa ripresero e si conclusero definitivamente solo con la pace del 1326. In base al trattato di pace B. fu compreso nel territorio concesso in feudo allo stesso Comune; negli anni che seguirono Pisa continuò ad amministrare il villaggio, la cui popolazione non arrivava alle cinquanta unità, con la tradizionale precisione fiscale; la sua struttura sociale però fu conservata e i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore. Nel complesso i rapporti della comunità con i Pisani non furono buoni cosı̀ che, quando scoppiò la prima delle guerre tra Mariano IV e Pietro IV, i suoi abitanti si ribellarono cacciando i funzionari pisani. Terminato il conflitto Pisa non riuscı̀ a recuperare il territorio e, scoppiata la seconda guerra, B. fu occupato dalle truppe giu- 450 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 458 Barrali dicali. Negli anni successivi il suo territorio subı̀ danni a causa della guerra ma, per quanto la Trexenta si spopolasse quasi completamente, B. riuscı̀ a sopravvivere. Caduto il giudicato d’Arborea il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae; nel 1421 fu compreso nel territorio concesso in amministrazione a Giacomo de Besora; il quale nel 1434 ottenne la trasformazione della concessione in feudo; il villaggio, che continuava a essere poco più che un gruppo di casette, instaurò un rapporto abbastanza tranquillo con i feudatari, la cui discendenza si estinse nel 1497. B. passò allora agli Alagon, che lo amministrarono comprendendolo nel loro grande feudo di Villasor. Nel corso del secolo XVI fu amministrato dal regidor del feudo di Villasor e compreso nella circoscrizione di Senorbı̀. Il potere del nuovo ufficiale baronale era piuttosto ampio, egli infatti arrivò a scegliere il majore da una terna che cinque probiuomini eletti dalla comunità indicavano. Nel corso del secolo XVII gli Alagon introdussero altre novità che accentuarono maggiormente la dipendenza del villaggio; ai fini della riscossione dei tributi feudali la sua popolazione fu divisa in quattro classi e tutti gli abitanti furono tenuti a pagare in rapporto al loro reddito. Per rendere possibile questa operazione furono formate delle liste (le ‘‘liste feudali’’) dalle quali vennero escluse particolari categorie di persone (nobili, ecclesiastici, laureati), creando una sostanziale situazione di ingiustizia. Entro la fine del secolo fu costituita anche la compagnia barracellare che aveva il compito di sorvegliare i territori coltivati. Alla fine del secolo la popolazione non era aumentata; frattanto il villaggio era passato dagli Alagon ai De Silva, i loro eredi, che continuarono a tenere il feudo fino all’abolizione. Nel corso del secolo XVIII furono costituiti il Consiglio comunitativo e il Monte granatico e la popolazione, che andava progressivamente aumentando, sentiva sempre più marcata l’esigenza di liberarsi dal vincolo di dipendenza feudale. Nel 1821 B. fu incluso nella provincia di Cagliari e nel 1839 riscattato unitamente agli altri villaggi della Trexenta. Sono gli anni in cui Vittorio Angius, impegnato nella compilazione del celebre Dizionario curato da Goffredo Casalis, scriveva: «Componesi di 75 case distribuite irregolarmente. Le strade sono senza selciato, e non si cura di tenerle monde. Nei primi anni del corrente secolo la popolazione sommava appena a 200 anime. Nell’anno 1833 si annoverarono famiglie 75 e anime 246. Il numero ordinario dei nati è sotto i 10, e quanti nascono tanti poco meno muoiono. Vestono nelle stesse maniere degli altri campidanesi. Amano molto i balli, e volentieri passano lunghe ore in ozio, bruciando tabacco. La temperatura è calda, e l’umidità è assai sensibile nelle notti: la nebbia domina in ogni stagione, né prima si dirada che sia l’atmosfera ben riscaldata dal sole; poco danno o nulla credono patirne i nativi, contro ciò che con più verità si può dedurre dalla loro poco sana costituzione, dal colorito squallido e gialleggiante, e dalla brevità della vita. Il Barralese nei tratti coltivabili sı̀ del piano come del monte non potrebbe capire più di 1000 starelli di semenza (ari 3986), mentre la superficie può calcolarsi a 15 miglia quadrate. Le terre alla parte di ponente sono delle altre più idonee ai semi, e vi fruttifica bene il frumento, l’orzo, le fave e le cicerchie. Lungo il fiume potrebbe venir prosperamente anche la meliga, e maturarvisi il cotone, come persuade l’esperienza del 1821, fatta come in altri ter- 451 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 459 Barrali reni d’ordine vice-regio, e poi non più ripetuta. L’ordinaria somma delle semenze va a starelli 570, cosı̀ spartiti, che diansi ai solchi 250 di grano, 200 d’orzo, 100 di fave, 20 di cicerchie. La raccolta suol computarsi da 5 in 6 mila starelli. Gli orti producono cocomeri, zucche, poponi, fagioli, cipolle. Di lino se ne coltiva tanto che sia sufficiente ai propri bisogni. I telai non sono più di 20. Poche sono le vigne, poche le varietà delle uve, il vino di mediocre bontà, che non sempre basta alla consumazione». & ECONOMIA La sua economia è basata soprattutto sull’agricoltura, dove alla tradizionale coltivazione dei cereali si è aggiunta quella degli ortaggi, delle piante da frutta e della vite; ancora presente la coltura del fico d’India, un tempo utilizzato come chiusura degli appezzamenti di terra; vi si svolge anche qualche modesta attività commerciale. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1067 unità, di cui stranieri 4; maschi 544; femmine 523; famiglie 332. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione, con morti per anno 6 e nati 11; cancellati dall’anagrafe 22; nuovi iscritti 18. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 245 in migliaia di lire; versamenti ICI 298; aziende agricole 137; imprese commerciali 30; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 11; ambulanti 8. Tra gli indicatori sociali: occupati 307; disoccupati 51; inoccupati 73; laureati 3; diplomati 46; con licenza media 363; con licenza elementare 293; analfabeti 49; automezzi circolanti 365; abbonamenti TV 261. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio è ricco di siti di notevole interesse archeologico. In località Molimentu sono state individuate tracce di un’antichissima attività mineraria: in particolare sono stati trovati alcuni pestelli di pietra, scanalati per essere usati appunto per il trattamento dei minerali, attualmente al Museo di Cagliari. Di qualche interesse sono anche il nuraghe di Sa Domu de S’Orcu e soprattutto quello di Montiuda, posto in posizione panoramica sopra l’omonimo colle. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Interessante è l’assetto urbanistico del paese, che ha conservato quasi intatta la disposizione delle sue case lungo le strade che formano il centro storico. Si tratta di case in pietra abbellite da un pergolato, detto proprio su barrali, e precedute da un vasto cortile che si affaccia verso l’esterno con un portale in pietra: costruzioni tipiche della Trexenta, la cui singolare disposizione dà al villaggio un carattere particolare. Al centro dell’abitato è posta la chiesa parrocchiale di Santa Lucia che, secondo una leggenda, sarebbe stata edificata al tempo della fondazione del villaggio, dove prima si trovava una fornace di calce, in seguito all’apparizione della santa che ne avrebbe chiesto la costruzione a una fanciulla. Nel corso dei secoli l’edificio andò in rovina ed è stato ricostruito nelle forme attuali nel 1932. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa più importante si svolge nella prima domenica di luglio in onore di Santa Lucia, la patrona del paese, ed è legata alla leggenda sull’origine della costruzione della chiesa richiesta dalla santa a una contadina. Si sarebbe sviluppato poi intorno alla chiesa l’antico abitato, con le case caratterizzate da pergolato. Per l’occasione è possibile ancora sentire i canti tradizionali, nei quali un tempo gli abitanti del villaggio eccellevano, e vedere i tipici balli sardi. 452 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 460 Barreca Barranu, Benedetto Studioso di economia, consigliere regionale (n. Baunei 1949). Dopo la laurea in Scienze politiche ha insegnato diritto in alcune scuole secondarie e si è dedicato alla vita politica. Militante nel PCI dal 1971, è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Nuoro per l’VIII legislatura (1979-1984) ed è stato riconfermato ininterrottamente nello stesso collegio fino al 1992. Dall’agosto 1987 al giugno 1989 è stato assessore agli Affari generali nella terza giunta Melis. Nel novembre 1992 si è dimesso da consigliere regionale per diventare assessore alla Programmazione nella giunta Cabras (fino al giugno del 1994). Quindi è stato per qualche tempo presidente della SFIRS. Tra i suoi scritti, Programmazione e zona franca, in Sardegna zona franca, 1980; Dalle autonomie regionali allo stato regionalista, in ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 2022, 1984; Lo sviluppo incompiuto. Bilancio e prospettive dell’industrializzazione in Sardegna, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XXIV, 1998. Barranu, Peppino Insegnante (Baunei 1919-Cagliari 1998). Sardista convinto, subito dopo la caduta del fascismo, quando nel 1943 riprese il dibattito politico, aderı̀ al PSd’Az manifestando tendenze indipendentiste. Le sue posizioni furono però battute nel 1944 al Congresso di Macomer, per cui rientrò nel tradizionale federalismo espresso dal suo partito. Dopo la scissione del 1948 non seguı̀ Lussu e si impegnò per la riorganizzazione del partito guidandone la ripresa a Cagliari dove si era trasferito come insegnante nelle scuole medie. Nel 1951 sviluppò le sue idee sul federalismo come via necessaria per l’evoluzione e lo sviluppo dell’autonomismo. In seguito si ritirò dalla politica attiva continuando a la- vorare nella scuola. Tra i suoi scritti, Appello ai giovani, ‘‘Il Solco’’, 1944; Monopolio dell’autonomismo?, ‘‘Forza Paris’’, 1946; L’idea autonomistica in Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’, 1947; Sardismo, federalismo e separatismo, in Lotte sociali, antifascismo e autonomia in Sardegna (a cura di Gian Giacomo Ortu), 1982. Barreca, Ferruccio Archeologo (Roma 1920-Cagliari 1986). Romano di nascita, divenne sardo di adozione; allievo di Sabatino Moscati, studioso della civiltà punica, dopo la laurea entrò nella carriera delle Soprintendenze archeologiche e alla fine degli anni Cinquanta iniziò a lavorare in Sardegna, dove si trasferı̀ definitivamente. Negli anni successivi ebbe un profondo rapporto di collaborazione con Moscati e diede impulso ad alcune importanti iniziative di scavo nei principali siti dello stanziamento punico nell’isola. Nel 1963 avviò i primi scavi a Monte Sirai in collaborazione con l’Istituto per il Vicino Oriente e con l’Università di Roma; a metà anni Sessanta individuò Pani Loriga e nel 1967 avviò lo scavo del tempio di Antas. Nello stesso anno fu nominato Soprintendente e continuò con maggiore energia a promuovere scavi e a riorganizzare l’attività della Soprintendenza. Fu anche incaricato dell’insegnamento di Archeologia fenicia e punica presso l’Università di Cagliari; nel 1978 riprese gli scavi a Monte Sirai. Tra i suoi scritti: La mostra della civiltà punica in Sardegna (con Gennaro Pesce), 1959; Antichità fenicio-puniche. Cenno informativo con particolare riferimento alla Sardegna, in Mostra della Civiltà punica in Sardegna, catalogo, 1960; Il retaggio di Cartagine. Sulci, 1960; La città punica in Sardegna, ‘‘Bollettino del Centro di studi per l’Architettura di Cagliari’’, XVII, 1962; Gli scavi, L’area sacra (tophet), La 453 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 461 Barrili necropoli, tutti in Monte Sirai I. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 11, 1964; La civiltà di Cartagine, 1964; Le fortificazioni. Descrizione generale, L’acropoli, Le fortificazioni. Conclusioni e confronti, L’esplorazione lungo la costa sulcitana, tutti in Monte Sirai II. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 14, 1965; Il mastio, Topografia dell’acropoli, Considerazioni conclusive, tutti in Monte Sirai III. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 20, 1966; Il mastio, L’esplorazione topografica lungo la costa orientale della Sardegna, tutti in Monte Sirai IV. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 25, 1967; Lo scavo nel tempio, in Ricerche puniche ad Antas, ‘‘Studi semitici’’, 30, 1969; Doce bronces nurágicos, Catalogo, 1971; La civiltà protosarda, 1972; La Sardegna fenicia e punica, 1974; I culti della Sardegna fenicio-punica, 1973-74; Il tempio di Antas e il culto del Sardus Pater, 1975; Le fortificazioni fenicio-puniche in Sardegna, in Atti del primo Convegno italiano sul vicino Oriente antico, 1978; Scavi nel tofet di Monte Sirai. Campagna 1979 (con S.F. Bondı̀), ‘‘Rivista di Studi fenici’’, VIII, 1980; La Sardegna e i Fenici, in Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’Età classica, 1981; Nuove scoperte sulla colonizzazione fenicio-punica in Sardegna, Phönizer in Western, 1982; L’archeologia fenicio-punica in Sardegna. Un decennio di attività, in Atti del I Congresso internazionale di Studi fenici e punici, Roma 1979, II, 1983; Fluminimaggiore. Località Antas, Tharros punica, Monte Sirai, Antas, Sulci punica, Cagliari. Museo archeologico nazionale, tutti in I Sardi. La Sardegna dal Paleolitico all’Età romana, 1984; Le ricerche subacquee, in Nora. Recenti studi e scoperte, 1985; Phoenicians in Sardinia. The Bronze Figurines, The Phoenician and Punic Civilization in Sardinia, in Studies on Sardinian Archaeology II, Sardinian in the Mediterranean, 1986; La civiltà-fenicio punica in Sardegna, 1986; Cartagine in Sardegna, 1986; Osservazioni sulla spiritualità e l’escatologia fenicio-punica, in Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, 1989. Barrili, Anton Giulio Scrittore, deputato al Parlamento (Savona 1836-Carcare 1908). Laureatosi in Lettere giovanissimo, si dedicò con passione al giornalismo. Di idee garibaldine, amico di Nino Bixio, nel 1859 prese parte alla seconda guerra di indipendenza nell’esercito sardo; nel 1866 fu garibaldino combattente durante la terza guerra di indipendenza in Trentino. Cessate le ostilità, riprese a scrivere, occupandosi anche di critica letteraria, raggiungendo una certa notorietà. Nel 1876 fu eletto deputato ma dopo tre anni si dimise. Dal 1894 divenne professore di Letteratura italiana presso l’Università di Genova, della quale divenne anche rettore nel 1904. Sulla Sardegna scrisse in un Discorso nell’inaugurazione di un busto di Goffredo Mameli, 1886; Scritti editi e inediti di Goffredo Mameli, 1902. Barrittas Gruppo musicale costituito nel 1961. Fondato col nome di ‘‘Assi’’ da un gruppo di amici di Oristano e di Santa Giusta che si riunivano nello storico Bar di Ibba di Oristano. Nel 1964 presero il nome di B. Il gruppo ruotava intorno al cantante Benito Urgu ed 454 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 462 Bartolomei ebbe i primi successi con Cambale Twist e Wisky birra e Johnny Cola. Nel 1966 incisero il primo lp e si trasferirono a Roma, dove svilupparono il progetto della Messa Beat raggiungendo notorietà internazionale, e quindi a Milano, dove completarono il progetto; nel 1974 tornarono in Sardegna, dove continuarono la loro attività. Barroi, Carmelo (conosciuto con lo pseud. Poeta prurito ) Poeta in lingua campidanese (Cagliari 1889-?). Fu versificatore abile ed elegante, autore di numerose raccolte di versi tra cui: Sempre avanti Savoia. Canzoni sarda de sa guerra tra s’Italia e s’Austria, 1915; Pregheus cantendi po podi prestu ottenni una paxi cun Vittoria de is armas nostras e alleadas, 1918; Canzoni dialettali pro sa IV Italia Noa, 1922. Barrueso Famiglia di origine valenzana (secc. XVII-XVIII). Agli inizi del secolo XVII si trasferı̀ in Sardegna con Michele, regidor della contea di Quirra per conto del marchese Gioacchino Centelles, e come tale nel 1624 prese parte al parlamento Vivas. I suoi discendenti continuarono a risiedere a Cagliari e a essere ammessi agli altri parlamenti; di essi un altro Michele fu nominato veedor del Regno di Sardegna nel 1652. Nel 1698 furono riconosciuti nobili con un Bartolomeo, ma si estinsero nel corso del secolo XVIII. Bartoli Nobile famiglia corsa (secc. XVIII-XIX). Trapiantata in Sardegna nel secolo XVIII, si stabilı̀ in Gallura. Nel corso del secolo XIX si trasferı̀ in alcuni centri del Logudoro ed espresse distinte personalità. Bartoli, Adolfo Filologo (Fivizzano Massa 1833-Genova 1894). Terminati gli studi, si trasferı̀ a Firenze dove divenne segretario dell’‘‘Archivio Storico Italiano’’ e collaborò col Vieusseux che lo stimava per le sue qualità e per la sua preparazione. A partire dal 1869 ottenne l’incarico dell’insegnamento di Lettere presso la Scuola superiore di Commercio di Venezia e, dal 1874, presso l’Istituto di Studi superiori di Firenze. Si interessò con particolare competenza dei problemi di carattere storico-letterario avviando, dopo il 1870, la pubblicazione di una Storia della letteratura italiana della quale però riuscı̀ a scrivere solo sette volumi. Entrato nel dibattito sulle Carte d’Arborea, nel 1876 ne denunciò la falsità (le pagine su Le carte d’Arborea, nella Storia della letteratura italiana, II, pp. 389-416). Bartolo, Guido Speleologo cagliaritano (n. sec. XX). Negli anni Settanta e Ottanta ha animato l’attività dello Speleo Club di Cagliari, promuovendo importanti rilevazioni e studi interdisciplinari di molte cavità sotterranee in diverse parti dell’isola. Tra i suoi scritti, Il castello di Medusa. Ambiente, leggende, grotte (con G. Muzzetto), 1991; Sadali. Ambiente, tradizioni, grotte, 1995. Bartolomei, Girolamo Militare, deputato al Parlamento subalpino (Tempio 1802-ivi 1876). Formatosi all’Accademia di Torino, intraprese la carriera militare e partecipò alla prima guerra di indipendenza. Rimase però legato a Tempio, dove la famiglia possedeva vaste proprietà; nel settembre 1849 fu eletto deputato ma rinunciò al mandato; rieletto nel dicembre del 1849 per la IV legislatura subalpina prese parte ai lavori del Parlamento fino al 1853. Tornato a Tempio vi fu eletto sindaco, ma dopo alcuni anni si dimise. Nel 1860 prese parte alla spedizione dei Mille. Tornato in patria costituı̀ con alcuni mercanti piemontesi una società per lo sfruttamento del sughero. 455 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 463 Bartolomeo San Bartolomeo – Il santo in un rilievo del secolo XV. (Museo di Torcello) Bartolomeo, san (in sardo, Santu Bartumeu, Santu Bartolu, Santu Bertumeu, Santu Barzolu, Santu Baltolu, Santu Porthulu, Santu Portolu, Santu Azzolu, Santu Tomeu, Santu Natanieli) Santo (sec. I). Apostolo, l’evangelista Giovanni lo chiama Nathanaë’l, che significa ‘‘Dio dona’’, ‘‘Dio ha dato’’ e probabilmente era il suo nome, mentre B. bar-Tholmai o Tolmai o Talmay, nel significato di ‘‘agricoltore, figlio dell’agricoltore Tholmai’’ (c’è chi traduce ‘‘figlio valoroso’’) il patronimico. Forse fu Gesù che scelse di chiamarlo B. L’apostolo Filippo lo condusse da Gesù: «Filippo trova Natanaele e gli dice: ‘‘Quello di cui hanno scritto Mosè nella legge e i profeti, noi l’abbiamo trovato: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret’’. ‘‘Da Nazaret – gli disse Natanaele – può venire qualcosa di buono?’’. Gli dice Filippo: ‘‘Vieni e vedi’’. [Natanaele era nato a Canaa in Galilea ed era proverbiale la disistima tra Canaa e Nazaret, villaggi vicini]. Gesù vede Natanaele venirgli incontro e dice di lui: ‘‘Ecco un autentico israelita, in cui non c’è falsità’’. Gli dice Natanaele: ‘‘Donde mi conosci?’’. Gli rispose Gesù: ‘‘Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto sotto il fico’’. Gli rispose Natanaele: ‘‘Rabbı̀, tu sei il figlio di Dio, tu sei il re d’Israele’’. Gli rispose Gesù: ‘‘Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico credi? Vedrai cose ben più grandi!’’» (Giovanni 1, 45-50). Le gesta di Natanaele-B. sono legate a quelle degli altri apostoli. Dopo l’Ascensione, secondo una tradizione armena, predicò in India, coronando i suoi giorni con il martirio. Fonti storiche lo riportano in Etiopia, Arabia, Mesopotamia e Grecia. Accompagnò Matteo o Andrea nella regione del Ponto e sulle rive del Bosforo, e Filippo a Gerapoli. Convertı̀ il re Polimio e il fratello del re, Astiage, ordinò di scorticarlo vivo conforme all’uso persiano. Forse fu anche crocifisso o decapitato. Le sue reliquie furono traslate in Armenia nel secolo VII, a Lipari e a Benevento nel IX, a Roma nella chiesa dedicatagli sull’isola Tiberina nel 983, il suo cranio a Francoforte sul Meno nel 1238. Apocrifo il suo Vangelo o Apocalisse di San Bartolomeo. Patrono dei malati in generale, dei macellai, pastori, conciatori, pellicciai, legatori, insomma di quanti hanno a che fare con le pelli. In Sardegna Patrono di Flussio, Meana Sardo, Ossi e Usellus. A Cagliari, nella chiesa che ha dato il nome al rione di San B., i macellai, che per concessione spagnola pascolavano fino al secolo scorso il bestiame nella pianura circostante, organizzavano sa festa manna del 24 agosto con il denaro ricavato dalla vendita annuale degli zoccoli e delle corna degli animali macellati. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 24 agosto; il Lunedı̀ dell’Angelo a Luras (dove viene 456 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 464 Barumele festeggiato anche la seconda domenica di maggio), l’8 luglio a Lanusei. Bartoloni, Piero Archeologo (n. Roma 1943). Allievo di Sabatino Moscati, specializzato nello studio del periodo punico. Fin dal 1964, quando prese parte per la prima volta agli scavi di Monte Sirai con Ferruccio Barreca, ha avuto intensi rapporti culturali e di lavoro con la Sardegna. I suoi primi scavi a Monte Sirai si conclusero nel 1965; negli anni successivi ha scavato la necropoli punica di San Sperate e ha lavorato presso l’Istituto di Arte antica dell’Università di Urbino e in quello della Civiltà fenicio-punica del CNR. Nel 1980 ha ripreso gli scavi a Monte Sirai unitamente al Bondı̀, divenendo il massimo esperto della storia del sito. Continua tuttora a scavare e a coordinarvi importanti campagne che, con ritmo annuale, non cessano di riservare sorprese. Divenuto direttore dell’Istituto del CNR, dal 1991 ha collaborato col Bondı̀ anche ai nuovi scavi di Nora. È professore di Archeologia fenicio-punica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Tra i suoi scritti: Il villaggio, in Monte Sirai II. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 1965; La necropoli di San Sperate, in Monte Sirai IV. Rapporto preliminare della missione archeologica dell’Università di Roma e della Soprintendenza alle antichità di Cagliari, ‘‘Studi semitici’’, 25, 1967; Gli amuleti punici del tofet di Sulcis, ‘‘Rivista di Studi fenici’’, I, 2, 1973; La necropoli di Nora (con C. Tronchetti), ‘‘Studi Fenici’’, 12, 1981; Contributo alla cronologia della fortezza fenicia e punica di Monte Sirai, in Archeologie au Levant. Récueil à la mémoire de Roger Saidah, 1982; La ceramica del tofet, in ‘‘Rivista di Studi fenici’’, X, 1982; La ceramica fenicia di Bithia. Tipologia e diffusione areale, Atti del I Congresso internazionale di Studi fenicio-punici di Roma, 1983; Studi sulla ceramica fenicia e punica in Sardegna, ‘‘Collezione di Studi fenici’’, 15, 1983; Le stele di Sulcis. Catalogo, 1986; Interazioni fenicie nel Mediterraneo centrale: l’Africa e la Sardegna (con Enrico Acquaro), Gli interscambi culturali e socio-economici fra l’Africa settentrionale e l’Europa Mediterranea, 1986; Le relazioni tra Cartagine e la Sardegna nei secoli VII e VI a. C., ‘‘Egitto Vicino Oriente’’, X, 1987; Le anfore fenicie e puniche di Sardegna, ‘‘Studia punica’’, 4, 1988; La tomba 54 della necropoli arcaica di Monte Sirai, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 4, 1988; Cuccureddus (con S. Moscati e L.A. Marras), ‘‘Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei’’, XLII, 1988; Nuove stele sulcitane (con S. Moscati e C. Tronchetti), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 1989; Monte Sirai (con C. Finzi), 1989; Sulcis, 1989; Monte Sirai (con S.F. Bondı̀ e L.A. Marras), ‘‘Itinerari Fenici’’, 9, 1992; L’insediamento fortificato di Monte Sirai, in Carbonia e il Sulcis. Archeologia e territorio, 1995; Olbia e la politica cartaginese nel IV sec. a.C., in Da Olbı̀a a Olbia: 2500 anni di storia di una città mediterranea, I (a cura di Attilio Mastino e Paola Ruggeri), 1996; La penetrazione fenicia e punica in Sardegna. Trent’anni dopo (con S. Moscati e S.F. Bondı̀), in ‘‘Memorie dell’Accademia dei Lincei’’, s. 9, vol. 9, 1, 1997; La necropoli di Bithia I, 1997; La necropoli di Tuvixeddu. Tipologia e cronologia della ceramica, ‘‘Rivista di Studi fenici’’, XXVIII, 2000. Barumele Nome di un castello e un villaggio dell’antica curatoria di Usellus. Il castello sorgeva su un colle isolato 457 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 465 Barumini che domina il territorio di Ales a poca distanza dal paese. Quasi certamente in origine era una delle tante fortezze che i Bizantini fecero costruire a partire dal secolo VII per controllare e per difendere il territorio. Più tardi i giudici d’Arborea utilizzarono la fortezza bizantina e la trasformarono in castello con la funzione di baluardo posto ai confini meridionali del loro stato per controllare le vie di transito alle zone interne. Col tempo attorno al castello si sviluppò anche un villaggio, che completò un imponente complesso fortificato che, dopo la conquista aragonese, continuò a restare in mano al giudice d’Arborea. Ugone II d’Arborea nel suo testamento del 1336 lo assegnò a suo figlio Giovanni, lo sfortunato fratello di Mariano IV che finı̀ i suoi giorni in prigione. Durante le guerre tra Aragona e Arborea, i possedimenti di Giovanni caddero in mano al giudice d’Arborea e il castello riprese la funzione militare per cui era stato costruito; la popolazione del villaggio, però, nel corso del secolo XIV cominciò a diminuire. Finita la guerra, quando nel 1409 il giudicato cessò di esistere, il castello non ebbe più importanza militare; con tutto il territorio fu conteso dal marchese di Oristano e dai Carroz d’Arborea ma il re, che non si fidava di Leonardo Cubello, preferı̀ farlo amministrare da funzionari reali. Prima del 1430, unitamente al villaggio oramai semispopolato e a tutto il territorio, fu infeudato a Eleonora Manrique che andava sposa a Berengario Bertran Carroz conte di Quirra. In questo modo il complesso entrò a far parte del patrimonio dei Carroz e fu spesso loro dimora. L’ultimo periodo della sua secolare esistenza è legato alle vicende della contessa Violante II. Dopo il 1504 l’edificio non fu più abitato e andò in rovina. Barumini – Intorno a Su Nuraxi sorgeva un vasto villaggio, che fu distrutto, insieme con il nuraghe, verso il 650 a.C. Barumini Comune della provincia del Medio Campidano, sede della XXIV Comunità montana, con 1388 abitanti (al 2004), posto a 202 m sul livello del mare in una regione di modesti rilievi alle pendici meridionali della Giara di Gesturi. Regione storica: Marmilla. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 26,57 km 2 : ha forma grosso modo romboidale e confina a nord con Tuili e Gesturi, a est ancora con Gesturi e con Gergei, a sud con Villanovafranca e Las Plassas, a ovest con Tuili. La maggior parte della superficie è costituita dalla fertile vallata del rio Mannu, che si dirige verso sud per gettarsi nello stagno di Cagliari; per il resto comprende una serie di piccoli altipiani, di natura soprattutto calcarea ma in parte anche trachitica e basaltica, che si prestano alla coltura sia dei cereali sia alle piante da frutto. La maggiore via di comunicazione è la statale 197, proveniente da Sanluri; da questa si distacca verso oriente la secondaria che, attraversando Gergei ed Escolca, si congiunge con la 128, e verso occidente quella che attraverso Tuili e vari altri centri minori raggiunge la Villamar-Usellus. 458 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 466 Barumini Barumini – Nel 1997 l’imponente castellofortezza di Su Nuraxi è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. STORIA Le origini dell’attuale villaggio risalgono al periodo nuragico e la sua esistenza è documentabile continuativamente fino ai giorni nostri. Nel Medioevo era compreso nel giudicato d’Arborea, faceva parte della curatoria della Marmilla ed era un centro importante e, sembrerebbe, conteso per la sua posizione di confine tra Cagliari e Arborea. Dopo l’arrivo degli Aragonesi, durante le guerre tra Aragona e Arborea, il villaggio fu investito e soffrı̀ molti danni a causa delle operazioni militari nell’ultima fase del conflitto. Dopo la battaglia di Sanluri entrò a far parte del Regnum Sardiniae; il suo territorio era occupato dalle truppe di Berengario Carroz che avrebbe voluto annetterlo al suo grande feudo di Quirra, ma il re, poco prima di morire, lo aveva incluso nel grande feudo concesso a Garcia Lupo de Ferrero e aveva invitato Berengario a rinunciare ai suoi progetti. Le circostanze invece sembrarono favorirlo, infatti poco dopo il re morı̀ per cui egli continuò a tenere la Marmilla; pochi mesi dopo sopraggiunse anche la morte di Garcia Lupo senza eredi, tanto che credette di aver raggiunto il suo obiettivo. Nel 1412 il nuovo re Ferdinando I pose fine alle sue aspirazioni e lo costrinse a rendere i territori occupati, cosa che egli fece & con molta riluttanza. Cosı̀ nel 1421 B. entrò a far parte del grande feudo concesso a Raimondo Guglielmo Moncada al quale però fu confiscato alcuni decenni dopo, quando questi si rifiutò di pagare un tributo al re. Dopo alterne vicende il villaggio fu acquistato all’asta da Pietro Besalù che acquisı̀ tutta l’antica curatoria. Pur essendo un uomo potente e uno dei generi del conte di Quirra, poiché non aveva i denari sufficienti per l’acquisto si era fatto prestare delle somme da Simone Rubei di Cagliari. Egli cominciò a rendere il denaro negli anni successivi utilizzando le rendite feudali; nel 1459 però queste gli furono sequestrate dal fisco perché moroso, per cui non fu più in grado di rendere il resto dei soldi dovuti al Rubei. Quest’ultimo allora, nel 1464, minacciò di far vendere all’asta il feudo: la situazione sembrò precipitare ma il Besalù fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato ai territori che confinavano con quelli di Quirra, gli prestò i soldi per pagare il Rubei. Quando questi morı̀, la situazione diede il pretesto a Dalmazio Carroz, che era diventato conte di Quirra per aver sposato Violante sorellastra della moglie, per intervenire e portargli via il territorio. Infatti, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente tutta la Marmilla e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché il Besalù non fu in grado di pagare, nel 1477 i due arrivarono a un compromesso in base al quale, mentre Besalù riusciva a conservare B., Las Plassas e Villanovafranca, il resto fu acquisito dal conte di Quirra. Da quel momento B. entrò a far parte di un feudo a sé stante confermato ai discendenti del Besalù, che ereditavano anche un’infinita quantità di debiti. 459 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 467 Barumini Tentarono perciò di risollevare le sorti della famiglia organizzando la riscossione dei tributi feudali. La popolazione – il villaggio allora superava i 500 abitanti – fu cosı̀ divisa in classi a seconda del reddito e tutti furono costretti a pagare; la situazione non migliorò e i Besalù continuarono a gravare di censi e ipoteche le rendite del villaggio rendendo la condizione dei vassalli sempre più difficile. Nel 1539 i Besalù si estinsero e nel 1541 il feudo fu acquistato da Azore Zapata. Negli anni successivi gli Zapata sembrarono interessarsi del loro feudo; il villaggio crebbe e fu avviata la costruzione della parrocchiale. Gli Zapata continuarono a possedere B., nel corso del secolo XVII vi fecero costruire il Palazzo baronale e la chiesa di San Francesco attigua a un convento oggi scomparso. Nel corso del secolo XVIII le cose cambiarono, i rapporti tra gli abitanti del paese e il feudatario si fecero tesi a causa dell’aumento del carico fiscale e per la crescente aspirazione a liberarsi della dominazione feudale. Cosı̀ nel 1771, proprio quando fu istituito il Consiglio comunitativo, essi si rifiutarono di pagare i tributi; la situazione non migliorò nei decenni successivi. Nel 1821 il villaggio fu inserito nella provincia di Isili e fu finalmente riscattato ai feudatari nel 1839. In questi anni Vittorio Angius scriveva: «La temperatura è moderata d’inverno, alta d’estate. Domina la nebbia e li venti di levante ed austro. L’aria è insalubre: le malattie che più frequentemente affliggono queste popolazioni sono le periodiche, e le pleurisie. L’ordinario corso della vita è al 55º [anno], ed è raro vedere persone ottogenarie. Le famiglie (anno 1833) erano 305, il numero degli abitanti 1130. Nascono 40, muojono 30, e soglionsi contrarre circa 10 matrimoni. Delle arti meccaniche quelle solamente sono esercitate che rispondono alle prime necessità e comodità della vita, ed ai bisogni dell’agricoltura. In ogni casa è armato un telajo, ma non vi si lavora più di quanto domandi il privato bisogno. Vi è un consiglio per l’amministrazione delle cose comuni, una giunta locale per lo governo dell’azienda agraria, ed una scuola normale frequentata da circa 25 fanciulli. Si semina ordinariamente starelli di grano 1500, d’orzo 300, di fave 250, di cicerchie 100, di lenticchie 10: talvolta il totale della seminagione passa gli starelli 2500. Il grano, l’orzo, le fave si moltiplicano il centuplo [decuplo?], le cicerchie rendono dal 5 al 10 per uno, le lenticchie dal 20 al 40. La raccolta intera qualche volta va ai 30 mila starelli. Si semina poco lino. Le viti vi prosperano, e se ne annoverano circa dodici varietà, dalle quali ottienesi del vin nero gagliardo e insieme assai soave, e quattro sorta di vini bianchi, cioè malvasia, semidàno, moscatello, barbarajina, molto potenti e sulfurei. La quantità che imbottasi si calcola in quartieri (misura uguale a litri 5) 640 000. Un ventesimo al più si potrà bruciare per acquavite. Le piante fruttifere, che qua e là e lungo le siepi formate di fichi d’India veggonsi sparse, si contengono nelle specie dei peri, mandorli, fichi, prugni, albicocchi, peschi, aranci e limoni. In breve cresceranno in quantità considerevole gli olivi, che già cominciasi con molto studio ad attendere alla loro propagazione e coltivazione. Il bestiame, che educasi, consiste in vacche, pecore, majali, giumenti. Le vacche sommavano (anno 1833) a capi 350. Dalle medesime si hanno i tori per i lavori agrari, che non sono meno di 250 gioghi, che sono capi 500. Le pecore erano 1000, i majali 300, i giumenti 220. Allevasi del pollame, ma in quantità minore, che potrebbero 460 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 468 Barumini avere. I prodotti del bestiame non sono di molto superiori al necessario per la popolazione. I formaggi non sono riputati». Negli anni seguenti B. continuò a far parte della provincia di Isili fino al 1848, quando entrò a far parte della divisione amministrativa di Cagliari. Abolita la divisione nel 1859, il villaggio fu compreso nella provincia di Cagliari. Furono questi gli anni del grande sviluppo della cerealicoltura e si ebbe come conseguenza anche un aumento considerevole della popolazione che ai primi del Novecento arrivò a superare le 2000 unità. Nel 1928 fu aggregato a B. il villaggio di Las Plassas come frazione, e come tale rimase fino al 1947. In questi ultimi decenni, con la crisi delle attività agricole, a partire dal 1951 la popolazione di B. è andata diminuendo; il centro comunque ha mantenuto la sua vivacità e ha preso parte al dibattito sulla formazione delle nuove province, aderendo a quella del Medio Campidano. Barumini – La vasta massa architettonica di Su Nuraxi, sepolta sotto la terra di un piccolo colle, fu portata alla luce negli anni Cinquanta del Novecento. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e sulla pastorizia; di particolare rilievo è l’allevamento ovino, per il quale si organizzano fiere ed esposizioni volte soprattutto alla selezione e al miglioramento delle specie utilizzate. Di una qualche importanza sono anche le attività commerciali ma soprattutto il turismo fondato sullo sfruttamento dell’importante patrimonio archeologico. Il villaggio dispone anche di un albergo e di 3 ristoranti. Artigianato. Messe da parte le attività tessili, puntualmente registrate dall’Angius, il paese annovera oggi soprattutto attività artigianali legate all’edilizia. Rimane soltanto qualche esponente dell’antica arte di impagliare le sedie con materiali raccolti nei campi. Servizi. Il paese dispone di guardia medica, medico, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario. Barumini – La complessa struttura di Su Nuraxi alterna alte torri, possenti bastioni e profondi cortili. DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1432 unità, di cui stranieri 1; maschi 715; femmine 717; famiglie 496. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 18, nati 14; cancellati dall’anagrafe 35; & 461 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 469 Barumini nuovi iscritti 18. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 14 359 in migliaia di lire; versamenti ICI 545; aziende agricole 280; imprese commerciali 84; esercizi pubblici 10; esercizi all’ingrosso 1; esercizi al dettaglio 36; ambulanti 6. Tra gli indicatori sociali: occupati 388; disoccupati 57; inoccupati 78; laureati 19; diplomati 165; con licenza media 420; con licenza elementare 457; analfabeti 27; automezzi circolanti 476; abbonamenti TV 417. Barumini – La chiesa di Santa Tecla, costruita nel Quattrocento in forme goticoaragonesi: nel corso dei secoli successivi è stata spesso restaurata, fino a un ultimo radicale intervento nel secolo XIX. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è particolarmente ricco di monumenti preistorici, tra i quali l’imponente complesso nuragico di Su Nuraxi, che sorge alla periferia dell’abitato, lungo la strada per Tuili, e fu scavato da Giovanni Lilliu tra il 1950 e il 1957. Rappresenta una delle più complete e mirabili testimonianze della civiltà nuragica ed è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Il nuraghe è del tipo polilobato ed è costituito da una torre centrale (mastio) a tre camere sovrapposte, costruita tra il secolo XVII a.C. e il XIII a.C. in blocchi & di basalto. In seguito, nel periodo del Bronzo tardo, la torre centrale fu circondata da quattro torri unite da una cortina muraria con un ballatoio superiore e servite da un cortile interno sul quale si apre un pozzo. Più tardi, nell’Età del Ferro, il complesso venne rifasciato e al suo esterno fu costruito un altro complesso fortificato eptalobato. Attorno al nuraghe, a partire dal periodo del Bronzo tardo, si sviluppò anche un villaggio costituito da capanne a impianto circolare di grande interesse, perché permettono di ricostruire molti aspetti della vita quotidiana in età nuragica. Il nuraghe era strategicamente connesso a un sistema di altri nuraghi che, a partire da quello polilobato che è stato rinvenuto in occasione del restauro di casa Zapata, all’interno dell’abitato, si collegano in un sistema che si sviluppa fino alla Giara di Gesturi (=). Nel corso del secolo VII a.C. il complesso venne distrutto, successivamente però il villaggio continuò a essere utilizzato. Le sue capanne furono modificate, apparvero i primi rudimentali sistemi di canalizzazione delle acque; le ultime tracce dell’insediamento giungono all’età romana. Ciò dimostra, unitamente ad altri insediamenti di età punica e romana che si trovano in altri punti del territorio, la continuità della presenza dell’uomo a B. Altro importante sito è quello di Bau Marcusa, località prossima all’abitato nella quale nel 1940 è stato individuato un insediamento punico con necropoli di tombe a fossa. Gli scavi hanno restituito molte ceramiche puniche, matrici per pani sacri, un guttus a vernice nera del secolo III a.C. e monete di diversi periodi. Va infine ricordato il complesso di Is Bangius, sito archeologico di grande importanza ubicato in prossimità dell’abitato, in cui a partire dalla seconda 462 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 470 Barumini metà dell’Ottocento sono state identificate le rovine di un villaggio punicoromano. Gli scavi successivi hanno restituito resti di mosaici, vetri, lucerne, alcuni bronzi e monete sardo-puniche. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto urbanistico del villaggio è di particolare interesse. Il suo centro storico è costituito da un insieme di strade abbastanza ampie e disposte quasi a raggiera, sulle quali si affacciano le tipiche case della Marmilla precedute da una grande corte alla quale si accede di solito attraverso un portale monumentale che la pone in comunicazione con la strada; la facciata delle case è in genere ingentilita da un loggiato (sa lolla). Al centro dell’abitato, prospiciente la piazza principale piacevolmente alberata, sorge un complesso di edifici di pregio costituito dalla chiesa dell’Immacolata, parrocchiale costruita nel secolo XVI in forme gotico-catalane e successivamente rimaneggiata; del primitivo impianto rimangono alcune cappelle con volte a crociera. Nel secolo XVII vi furono aggiunti il coro in forme rinascimentali completato da una cupoletta e il campanile a canna quadrata. L’interno è a tre navate con copertura lignea e conserva numerosi interessanti arredi tra cui un doppio trittico del Cinquecento della scuola di Stampace, un’ancona, alcune statue lignee dei secoli XV e XVI, la fonte battesimale, il pulpito, l’acquasantiera e l’organo del secolo XVIII. Sulla stessa piazza si affaccia Casa Zapata, residenza di campagna della famiglia dei feudatari di B., costruita tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. La facciata ha forme rinascimentali ed è ingentilita da una scalinata di accesso; le finestre e il portale sono inquadrati da colonne in trachite secondo il modello del palazzo che, pressappoco nello stesso pe- riodo, la famiglia aveva fatto costruire a Cagliari. L’interno aveva alcune belle sale finemente arredate e tappezzate; alcuni anni dopo l’estinzione degli Zapata l’edificio è stato acquistato dal Comune e sottoposto a restauro. Durante i lavori si è scoperto che, come già accennato, era stato edificato sopra un nuraghe polilobato di enorme interesse. Questo è stato scavato e ripulito, ed è visibile attraverso lastre di vetro. Dall’estate del 2006 il Palazzo Zapata ospita poi un nuovo museo: comprende una sezione etnografica, che raccoglie strumenti del lavoro contadino, e una archeologica, dove si può vedere parte dei reperti rinvenuti nel corso dello scavo del nuraghe Su Nuraxi. Poco lontano è la chiesa di San Giovanni Battista prospiciente l’attuale parrocchia, costruita nella seconda metà del secolo XIII in forme romaniche e consacrata nel 1316. Originariamente aveva un’unica navata e la facciata in trachite rossa con un portale dall’arco semicircolare. Nel secolo XV fu ampliata con l’aggiunta di una seconda navata sul lato settentrionale della costruzione più antica. Il paese è ricco di altri monumenti, tra i quali la chiesa di San Francesco, situata nella parte alta dell’attuale abitato; fu fatta costruire nel secolo XVII dagli Zapata, ha una sola navata sulla quale si affacciano due cappelle laterali sul lato sinistro. Nel 1660 all’edificio fu affiancato un convento di frati francescani. Va ricordata anche la chiesa di Santa Tecla, costruita nel secolo XV in forme goticoaragonesi; all’interno ha una sola navata molto semplice, all’esterno la facciata è abbellita da due rosoni traforati. Nel corso dei secoli successivi è stata spesso restaurata, fino a un ultimo radicale intervento nel secolo XIX. La chiesa di San Nicola sorge su una collina alla periferia del villaggio; 463 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 471 Bas edificata in forme romaniche nella seconda metà del secolo XIII in conci di arenaria e trachite, ha un’aula a una sola navata. Nel Seicento fu ristrutturata, l’aula fu allungata, l’abside demolita. Il degrado dell’edificio continuò nei secoli successivi e anche la facciata crollò; attualmente è poco più che un rudere. E infine la chiesa di Santa Lucia, campestre, costruita nel Seicento, circondata da un loggiato con nove archi a sesto acuto sorretti da colonne intagliate; all’interno conserva un bel pulpito ligneo. Barumini – La cinquecentesca casa Zapata è stata di recente restaurata riscoprendo anche le strutture degli antichi edifici su cui fu eretta. FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Come in tutti i paesi della Sardegna anche a B. si conserva la memoria del ricco patrimonio di tradizioni e di usi che caratterizzavano un tempo la comunità: ad esempio quando nei giorni festivi, all’uscita dalla messa principale, si svolgevano in piazza i balli al suono delle launeddas. Le riunioni erano occasione per esibire il costume che era molto curato. L’abbigliamento femminile era costituito da una camicia di cotone bianco, plissettata e con la pettina e i polsini ricamati; la gonna (sa unnedda) di tibet marrone-vinaccia, plissettata e guarnita di trine. Sopra la camicia si indossava il busto (su groppetu) di broccato bianco a fiori & rossi bordato di velluto e guarnito di trine; sopra la gonna andava il grembiule (su deventaliu) di raso nero a fiori viola, guarnito con una frangia nera. L’abbigliamento maschile comprendeva una camicia di cotone con pizzo al collo e ai polsini chiusa da bottoni di filigrana; i calzoni di tela bianca molto larghi. Sopra la camicia si indossava il gilet di panno nero; sopra i calzoni il gonnellino di panno nero con trina dorata e le ghette dello stesso tessuto; in capo la classica berritta. Attualmente di questo patrimonio poco rimane nella festa di San Sebastiano. È la festa del santo patrono e si svolge il 20 gennaio. I riti religiosi vengono celebrati nella chiesa parrocchiale, ma il momento culminante è costituito da un falò (su foghidoni) preparato con la legna cercata dai giovani nelle campagne circostanti. Mentre la catasta brucia in piazza fanno da contorno spettacoli folcloristici e grandi bevute. La festa di Santa Lucia si svolge nella terza domenica di luglio ed è organizzata da un comitato paritetico di uomini scapoli e di sposati che girano per il paese ricevendo in dono dalle giovinette i nastri (froccus) che serviranno a adornare il gonfalone del santo; nei giorni della festa si svolge una corsa di cavalli nelle vicinanze del nuraghe Su Nuraxi. Bas, Ugo Visconte di Bas (?, sec. XIIOristano 1185). Era fratello di Agalbursa, che seguı̀ in Sardegna quando andò sposa al giudice Barisone I d’Arborea. Una volta giunto in Sardegna, seppe inserirsi nella corte arborense sostenuto da numerosi altri catalani che seguirono i due. Ad Oristano egli sposò Sinispella, una delle figlie che Barisone I aveva avuto dalla sua prima moglie. Dal loro matrimonio nacque Ugo Ponzio. Morı̀ pochi mesi dopo lo sfortunato Barisone I, quando ipotizzava la possibile successione sul trono 464 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 472 Basilio d’Arborea del figlio Ugo Ponzio che, essendo figlio di Sinispella, nata dal primo matrimonio del giudice, secondo il diritto catalano aveva più diritto di Pietro alla successione. Bashamem Forma contratta (in fenicio B‘šmm) del nome della divinità Baal Shamem (=), con caduta della consonante L, come si trova attestata nell’iscrizione di Cagliari contenente una dedica al dio titolare del tempio edificato nella ’ynsm (isola degli Sparvieri), l’attuale Carloforte. [MICHELE GUIRGUIS] Basilide, san Santo. Parrocchia di Castiadas. Patrono della polizia penitenziaria. È stato scelto a patrono di Castiadas (=) perché il primo insediamento era avvenuto a opera di un gruppo di carcerati, e si era venuta quindi formando una grande colonia penale. Basilio, san (in sardo, Sant’Asile) Santo (Cesarea di Cappadocia 330-?, 379). Dottore della Chiesa. Famiglia di santi, la sua: la madre Emmelia, il padre Basilio ‘‘l’Anziano’’, la nonna Macrina ‘‘l’Anziana’’, la sorella Macrina ‘‘la Giovane’’, i fratelli Pietro, vescovo di Sebaste, e Gregorio, vescovo di Nissa. Dal padre educato alle lettere, studiò a Costantinopoli e ad Atene, dove conobbe San Gregorio Nazianzeno. Nella sua città insegnò retorica (356). Dopo aver visitato i più celebri monasteri dell’Egitto, Siria, Palestina e Mesopotamia decise di battezzarsi (358) e di ritirarsi in un suo possedimento, formando una comunità religiosa. C’è chi sostiene che «intraprese il viaggio attraverso gli asceti mediorientali, dopo aver ricevuto il battesimo». Sacerdote nel 362 o nel 364, vescovo di Cesarea nel 365 di fatto e nel 370 di diritto. Lottò contro l’arianesimo. L’imperatore Valente nel 371 gli inviò il prefetto Modesto per costringerlo a comunicare con gli ariani, con la minaccia di confiscar- gli i beni, di esiliarlo, di torturarlo e di condannarlo a morte. B. non venne meno alle sue posizioni e al prefetto non rimase altro che scrivere all’imperatore: «Noi siamo vinti, quell’uomo è al di sopra delle minacce». «Per tre volte – dice la leggenda – l’imperatore cercò di scrivere l’ordine d’esilio e per tre volte lo stilo si spezzò». Fondatore di diversi monasteri. Soprattutto fondatore di Basiliade, ‘‘la città della carità’’, alle porte di Cesarea: ospedale, lebbrosario, ospizio, orfanotrofio, laboratori e scuole artigianali. Morı̀ il 1º gennaio 379. Pioniere della vita cenobitica, con il suo grande amico Gregorio Nazianzeno dettò nel 358 le Regole per i suoi monaci. Autore di omelie, di libri contro l’arianesimo, ricchissimo il suo epistolario. Nel Discorso ai giovani sul modo di trar profitto dalla letteratura sono contenute chiare affermazioni sul valore educativo dei classici pagani. Per la sua intensa attività, ancora in vita fu chiamato Magno, Grande. A lui si deve anche la formulazione del dogma trinitario. San B. non ha fondato un vero e proprio ordine, ma in Occidente i monaci bizantini furono chiamati erroneamente basiliani. Dal 1969 la Chiesa ricorda i Santi B. e Gregorio Nazianzeno insieme, il 2 gennaio. Prima la festa di San B. cadeva il 14 giugno. In Sardegna Patrono di Gonnosnò, Sennori e Serri. È invocato contro i brutti sogni. A Oristano, nella chiesa di San Francesco d’Assisi, in una teca d’argento si conserva il teschio del santo. Molte reliquie conservate nell’isola, in special modo teschi, sono state portate dai Bizantini. «Il teschio della teca oristanese – secondo Felice Cherchi Paba (1963) – deve essere quello di San Basilio vescovo di Amasea, detto Basileos, fecondissimo oratore (intervenne al concilio di Ancira e di Neoce- 465 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 473 Basilisco sarea, 314), martire sotto Licinio nel 322. Decapitato e gettato in mare, la testa venne recuperata dai cristiani e religiosamente custodita». Nella stessa chiesa, la statua trecentesca di Nino Pisano per il popolo raffigurerebbe il santo. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 1º gennaio a Gonnosnò, la terza domenica di giugno a Sennori, il 1º settembre a Serri. Sagre estive e in altri periodi durante l’anno. Basilisco Pianta erbacea perenne della famiglia delle Ombrellifere (Magydaris pastinacea (Lam.) Paol.). Le foglie basali sono molto grandi (anche 1 m), divise in lunghi segmenti dentati; ha infiorescenze ad ampie ombrelle bianche, emisferiche e terminali; i frutti sono grandi, duri e costolati. Fiorisce in tarda primavera e caratterizza con i suoi ombrelli bianchi i campi e i bordi delle strade, soprattutto nella Sardegna centro-meridionale. Le si attribuiscono, nella medicina popolare, proprietà espettoranti. Nomi sardi: férula másciu (gallurese); ferulédda ’e coloras, ferulóni (logudorese); tùmbaru fémina (Sardegna settentrionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Basket = Pallacanestro Basoli, Lorenzo Religioso (Ozieri 1895Lanusei 1970). Vescovo di Ogliastra dal 1936 al 1970. Si laureò in Teologia nel 1918 e nello stesso anno fu ordinato sacerdote. Negli anni successivi resse alcune parrocchie e fu nominato censore del Seminario diocesano. Nel 1936 fu nominato vescovo di Ogliastra; resse la diocesi con energia: nel 1970 fondò l’Istituto magistrale di Lanusei e si adoperò per lo sviluppo di alcune altre istituzioni che concorsero a elevare le condizioni generali della diocesi. Prese parte al concilio Vaticano II. Lorenzo Basoli – Vescovo di Ogliastra dal 1936 al 1970, promosse le istituzioni scolastiche e l’applicazione delle norme del concilio Vaticano II. Basoli, Paola Archeologa (n. Padova 1945). Dopo la laurea è entrata nella carriera delle Soprintendenze archeologiche. Attualmente è funzionario presso la Soprintendenza archeologica per le province di Sassari e di Nuoro. Ha studiato in prevalenza il territorio del Montacuto e di Ozieri; nel 1985 ha concorso all’allestimento del Museo archeologico della città. Tra i suoi scritti: L’archeologia (con Antonietta Boninu), in Il Monte Acuto. L’uomo, la natura, la civiltà. Immagini di una comunità montana, 1984; Ozieri grotta di San Michele e di Santa Caterina, Castelsardo località Multedu, domus dell’Elefante, in I sardi. La Sardegna dal Paleolitico all’Età romana, 1984; Il megalitismo, Il territorio nella 466 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 474 Bassacutena preistoria, Le grotte, Le domus de janas, La cultura di Ozieri, in Il Museo archeologico di Ozieri, 1985; Ozieri (con Fulvia Lo Schiavo, Luisa Campus Dettori, Francesco Guido), in Il Museo di Villa Sulcis, 1988; La cultura di Ozieri nel territorio di Ozieri. Considerazioni preliminari, in La Cultura di Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni, 1989; Il sistema insediativo nuragico nel Monte Acuto: analisi preliminare dei fattori geomorfologici e socio-economici (con A. Foschi Nieddu), in Nuragic Architecture in its Military, Territorial and Socio-economic Context. Proceedings of the First International Colloquium on Nuragic Architecture at the Swedish Institute in Rome, XLVIII, ‘‘Acta Instituti Regni Sueciae’’, 1989; Dipinti preistorici del reperto di Luzzanas (Ozieri). Tecniche di rilevamento, esame iconografico e inquadramento culturale, in L’Arte in Italia dal Paleolitico all’Età del Bronzo. Atti della XXVIII Riunione scientifica dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria in memoria di Paolo Graziosi, 1992. Bassacutena Centro abitato della provincia di Olbia-Tempio, frazione di Tempio Pausania (da cui dista 32 km), con circa 600 abitanti, posto a 73 m sul livello del mare. Regione storica: Gallura. Diocesi di Tempio-Ampurias. & TERRITORIO Il territorio comprende le colline granitiche litoranee della Gallura, a poca distanza dal fiume Liscia. Il centro è collegato al suo capoluogo con autobus attraverso la S.S. 133 Tempio-Palau e dista 14 km da Arzachena, capitale della Costa Smeralda. Negli ultimi tempi si registra una forte spinta per la trasformazione di B. in comune autonomo. & STORIA Nel Medioevo il territorio su cui oggi sorge B. era compreso nel giudicato di Gallura e faceva parte della curatoria della Balariana, della quale seguı̀ le vicende storiche fino al secolo XVIII. Il territorio sul quale si era sviluppato il villaggio di Surake (=), scomparso nel secolo XV, rimase per secoli deserto, frequentato solo da pastori e da qualche carbonaio che sfruttava le grandi foreste di cui era coperto. Agli inizi dell’Ottocento era compreso in una delle cussorge dipendenti da Tempio Pausania e proprio allora si formò il centro abitato attuale. Pare che per l’esigenza che i carbonai avevano di raccogliere la legna da lavorare essi facessero costruire un grande capanno (Lu Baracconi), attorno al quale col tempo si sviluppò il villaggio attuale, che continua a essere frazione di Tempio Pausania. & ECONOMIA La base dell’economia del villaggio è costituita dalle attività dell’agricoltura e in misura minore dai prodotti della pastorizia. Sono presenti anche numerose cave di estrazione del granito che però non viene lavorato sul posto, se non in parte. Da qualche anno vi si sta sviluppando una certa attività turistica, vista la vicinanza col mare (14 km) di Palau. Tradizionale è l’artigianato del sughero, come in tutta questa parte della Gallura. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 696 unità, di cui stranieri 2; maschi 348; femmine 348; famiglie 250. La tendenza complessiva rivelava una sostanziale stabilità della popolazione, con morti per anno 7 e nati 7; cancellati dall’anagrafe 13; nuovi iscritti 12. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 14 019 in migliaia di lire; versamenti ICI 317; aziende agricole 85; imprese commerciali 28; esercizi pubblici 6; esercizi al dettaglio 11; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 170; disoccupati 23; inoccupati 38; laureati 4; diplomati 73; con licenza media 192; 467 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 475 Bassacutena con licenza elementare 239; analfabeti 20; automezzi circolanti 309; abbonamenti TV 184. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio di B. conserva qualche sito interessante riferibile alla cosiddetta cultura di Arzachena risalente al Neolitico recente. Il sito più interessante è costituito dai resti del villaggio di Surake abbandonato nel secolo XV. & PATRIMONIO ARTISTICO CULTURALE E AMBIENTALE L’elemento più significativo del patrimonio artistico di B. è costituito dalle chiese di Santa Maria, di San Simplicio e di San Pietro che sorgono vicine le une alle altre, nel sito dello scomparso villaggio di Surake. La più nota delle tre è quella di San Simplicio, costruita in località Lu Macchjetu nel Medioevo e successivamente rimaneggiata. L’edificio attuale è in granito ed è di ridotte dimensioni, ha un impianto mononavato rettangolare e la copertura in legno a capriate. All’interno conserva il pavimento originale in cotto e una statua di marmo del secolo XVII. A poca distanza sorge la seconda chiesa, Santa Maria di Lu Macchjetu, anch’essa costruita nel Medioevo probabilmente dai Vittorini; successivamente divenne la parrocchiale del villaggio di Surake. Spopolatosi il villaggio, la chiesa fu modificata a più riprese e andò lentamente in rovina; nel 1971 fu radicalmente restaurata ma in modo discutibile. Ha il corpo a una navata e la facciata sormontata da un timpano con due piccoli campanili a vela; all’interno custodisce una statua in marmo. Infine la chiesa di San Pietro, costruita nel secolo XIV a poca distanza da quella di San Simplicio e probabilmente inclusa nell’abitato di Surake: pianta a una sola navata completata da un’abside; nel corso dei secoli ha subı̀to molti danni ed è andata completamente in rovina. Vanno poi ricordate alcune altre chiese tra le quali quella di San Pietro Apostolo, fatta costruire nel 1931 da Pio XI e ampliata nel 1936 per far fronte alla crescita della popolazione. Nel 1960 la chiesa fu eretta a parrocchia, nel 1964 fu ulteriormente ampliata e negli anni successivi dotata di moderni arredi. Il patrimonio artistico è completato dal tempio medioevale di San Giovanni di Liscia, a qualche chilometro dall’abitato lungo le sponde del fiume Liscia: fu costruito nel Medioevo ma nel corso dei secoli è stato notevolmente modificato. L’interno è a una sola navata con copertura in legno, all’esterno la facciata è in granito abbellita da un piccolo campanile a vela. Vi è poi San Giacomo Apostolo, chiesa costruita nel 1666 dai Misorro in località Calcinagghju a sud dell’attuale abitato. Nei secoli successivi è stata spesso ristrutturata; al suo interno conserva una statua in marmo del secolo XVII di fattura simile a quelle custodite nella cattedrale di Tempio. Infine sulla riva sinistra del Liscia, a qualche chilometro dall’abitato, si trova la chiesa dedicata a San Lussorio. Fu costruita nel 1860 probabilmente sui resti di una chiesa medioevale annessa a un convento benedettino anch’esso scomparso. Ha un impianto a una sola navata e la tradizionale copertura in legno. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa più interessante è quella dedicata a San Giovanni Battista che si svolge il 24 giugno. Pur appartenendo alla parrocchia di B., i partecipanti più numerosi sono calangianesi, perché si ricorda l’esodo di una popolazione dalle rive del Liscia verso quella che sarebbe diventata Calangianus. Addetta all’allestimento della festa è una confraternita detta Trı́bbita che organizza l’evento per quattro anni conse- 468 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 476 Basso cutivi. Dopo una messa celebrata dal parroco di Calangianus, dalla chiesetta parte una processione che vuole essere un omaggio alle antiche popolazioni e che raggiunge il vecchio cimitero, dove si trova una grande croce di granito. In questa festa ci si diverte nella più assoluta semplicità, cantando e ballando, in un’atmosfera che tradizionalmente favoriva la conoscenza di ragazzi e ragazze per futuri matrimoni. Altra festa importante è quella dedicata a Nostra Signora delle Grazie che si celebra la prima domenica di settembre e nella quale si cerca di coinvolgere i turisti che si trovano sulla vicina costa. Di notevole interesse è il patrimonio ambientale, in un territorio aspro e ricchissimo di odorosa macchia mediterranea e di foreste, lungo l’ultimo tratto del corso del Liscia. La zona di B. è anche stata scelta per il percorso (nelle numerose strade sterrate) del famoso Rally della Costa Smeralda che si svolge ogni anno in primavera ed è dal 1994 prova del Campionato del mondo. L’evento attira moltissimi appassionati, rappresentando cosı̀ una ulteriore spinta allo sviluppo turistico di questa zona interna della Gallura. Bassagoda Famiglia cagliaritana (sec. XIV). Di origine catalana, le prime notizie risalgono al secolo XIV: occupava una discreta posizione in città e nel 1376 ottenne il cavalierato ereditario con un Berengario, luogotenente del maestro razionale. Bas Serra Terza dinastia dei giudici d’Arborea (secc. XII-XV). Era di origini catalane; le prime notizie risalgono al secolo XI, quando viveva un Isarn signore di Ferran in Catalogna. Nei secoli successivi i suoi discendenti divennero castellani di Cervera e acquistarono il viscontado di Bas. Nella seconda metà del secolo XII uno di loro, il visconte Ponzio, rapı̀ Almodis, una delle sorelle del conte Raimondo Berengario di Barcellona suo sovrano. Per quanto la cosa fosse sconveniente e l’audace visconte col suo gesto avesse rischiato molto, tutto finı̀ bene, come in quei tempi non era infrequente: i due si sposarono e ottenuto il perdono comitale contribuirono a elevare il rango della famiglia. Dal matrimonio nacquero Ugo e Agalbursa, che si trasferirono in Sardegna legando definitivamente i Bas alla storia dell’isola. Agalbursa, infatti, divenne la seconda moglie dello sfortunato giudice Barisone I d’Arborea re di Sardegna; Ugo, visconte di Bas, nel 1177 seguı̀ sua sorella nell’isola e vi si stabilı̀ accompagnato da un forte nucleo di catalani. Egli sposò Sinispella, nata dal primo matrimonio di Barisone: dall’unione nacque Ugo Ponzio, che può essere considerato il capostipite del ramo giudicale della famiglia. Egli infatti, grazie a suo padre e a sua zia, riuscı̀ a diventare giudice d’Arborea in condominio con i figli dello sfortunato Barisone. Col tempo i suoi discendenti si impadronirono completamente del giudicato e regnarono fino all’estinzione della famiglia. Nel secolo XIV, dopo l’arrivo in Sardegna degli Aragonesi con i quali inizialmente ebbero un rapporto poco chiaro, si resero protagonisti della progressiva espansione del giudicato e delle guerre che durarono per tutto il secolo XIV. Il ramo giudicale si estinse agli inizi del secolo XV con la morte della grande Eleonora; della famiglia sopravvisse un ramo discendente da Nicola, fratello del giudice Mariano IV, che aveva però assunto il cognome di Cubello. Questo ramo, che dopo la caduta del giudicato ebbe il titolo di marchese d’Oristano, si estinse nel 1470 con un Salvatore. Basso, Antonio Ufficiale di carriera 469 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 477 Basso Pittalis (secc. XIX-XX). Valoroso combattente della prima guerra mondiale, terminata la guerra venne nominato direttore generale dell’Artiglieria col compito di ammodernarne le dotazioni. Nel 1940 fu nominato comandante della Regione militare della Sardegna; raggiunta la nuova sede, lavorò alacremente per adeguarne le difese. Sorpreso dall’armistizio, trattò con il comandante germanico, generale Lungerhausen, l’evacuazione pacifica delle truppe tedesche dalla Sardegna. Nel novembre del 1943 fu trasferito a Napoli con un nuovo incarico ma nel 1944, accusato di omessa esecuzione di ordini, proprio in conseguenza del suo comportamento in occasione dell’armistizio, fu destituito, arrestato e nel 1946 processato. Il processo si risolvette però con l’assoluzione. Su quegli episodi il generale scrisse un opuscolo, L’armistizio del settembre 1943 in Sardegna, 1947, e un articolo, L’azione del comando militare della Sardegna dopo l’armistizio del settembre 1943, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1947. Basso Pittalis, Daniele Magistrato (secc. XIX-XX). Dopo la laurea in Giurisprudenza entrò nella carriera giudiziaria. Alla fine del secolo divenne sostituto procuratore del re a Nuoro; in questa veste egli, nel 1896, stilò una lucida relazione sullo stato della giustizia nel Nuorese pubblicata col titolo La giustizia nel Nuorese, 1897. In seguito si trasferı̀ a Cagliari, dove continuò la carriera giungendo al grado di presidente della Corte d’appello nel 1908. Bassu, Antonio Giornalista e scrittore (n. Oliena 1938). Completati gli studi si è dedicato al giornalismo. Professionista nel 1967, ha collaborato stabilmente con ‘‘La Nuova Sardegna’’, dove per anni ha fatto parte della redazione nuorese. È stato anche per venti anni addetto stampa dell’Amministrazione provinciale di Nuoro e ha vinto il premio ‘‘Federico Motta’’. Osservatore attento dei problemi sociali della sua terra, è autore di alcuni romanzi di attualità (La malasorte; Una ragione per vivere) nei quali analizza i problemi più delicati dell’ambiente in cui vive. Bastelica, Francesco Giurista (Sassari, seconda metà sec. XVI-ivi, prima metà sec. XVII). Nato da una nobile famiglia di origine corsa, compiuti gli studi fu nominato per la sua buona preparazione giuridica segretario del tribunale dell’Inquisizione in Sardegna. Impegnato nella determinazione dei limiti della propria giurisdizione, entrò spesso in conflitto con i rappresentanti dell’amministrazione reale. Nel 1613 fu addirittura arrestato e incarcerato; fu liberato solo grazie all’intervento del re dopo che fu riconosciuta la sua innocenza. Fu tra i maggiori protagonisti della polemica sul primato tra Cagliari e Sassari, interessandosi al ritrovamento delle reliquie dei Martiri. Fu presente al ritrovamento delle reliquie dei Martiri turritani e sui fatti stilò una relazione (Relación sumaria de la invención de muchos cuerpos santos en la iglesia en San Gavino de Torres, 1615), che è di grande utilità per ricostruire l’ambiente nel quale la polemica si svolse. Bastelica, Marcantonio Poeta latino vissuto a Sassari (sec. XVII). Fratello di Francesco, dopo aver completato gli studi fu impegnato in diversi uffici amministrativi. Rimasto vedovo entrò nell’ordine dei Gesuiti e divenne sacerdote; si dedicò completamente all’insegnamento e compose un libro di Odi sull’Immacolata concezione, dedicato a Urbano VIII. Bastida, Arnaldo Mercante di Barcellona (sec. XIV). Era interessato al commercio del grano, e prima del 1330 aprı̀ una filiale della sua organizzazione a 470 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 478 Battaglia Cagliari, estendendo la rete dei suoi traffici a tutta l’isola. Nel 1330 acquistò il feudo di Sorso e cominciò a pensare di stabilirsi definitivamente in Sardegna ma, quando seppe che i Doria preparavano una nuova ribellione, nel 1346 vendette in tutta fretta il feudo e abbandonò il progetto. Bastonatieri Dipendenti militarizzati alle dipendenze dell’amministrazione delle torri. Avevano il compito di recarsi nei punti di vedetta identificati lungo le coste e posti tra una torre e l’altra o nei punti in cui non era stata costruita una torre, fare servizio di vedetta ed eventualmente avvertire i villaggi o gli addetti alle torri di un eventuale avvistamento di navi barbaresche, di navi nemiche o comunque sospette. Per avere la certezza che svolgessero il loro compito, l’amministrazione delle Torri provvedeva a depositare nei punti di avvistamento alcuni bastoni (da qui il loro nome) che essi avevano il dovere di riportare indietro per dimostrare di essersi recati sul posto e aver effettivamente svolto il loro compito. Batlle, Carmen Studiosa di storia medioevale (n. sec. XX). Catalana, allieva prediletta del Vives, dopo la laurea si è dedicata con impegno all’insegnamento universitario; attualmente insegna presso l’Università di Barcellona. Profonda conoscitrice della crisi del regno d’Aragona, a partire dal 1964 si è occupata di problemi di storia della Sardegna. Tra i suoi scritti: Noticia sobre los negocios de mercaderes de Barcelona en Cerdeña hacia 1300, in La Sardegna nel mondo mediterraneo, Atti del I Convegno internazionale di Studi geografico-storici, Sassari 1978, 2 (a cura di Manlio Brigaglia), 1981. Batllori, Michel Storico (1909-2003). Gesuita, nel 1958 fu nominato direttore dell’‘‘Archivium Historicum Societatis Jesus’’ di Roma. Il soggiorno romano gli consentı̀ di studiare la storia dell’ordine in Italia, approfondendo cosı̀ problemi che riguardavano anche la Sardegna, in particolare la presenza della Compagnia di Gesù a Sassari al momento della fondazione e dell’avvio dell’Università degli studi. Tornato in Spagna dopo alcuni anni, vi ha intrapreso una brillante attività accademica; è membro della Reale Accademia di Storia di Madrid. Tra i suoi scritti: Les fundaciòns econòmiques dels Jesuites a Sardenya durant el segle XVI: el collegi de Sasser, in Atti del VI Congresso di storia della Corona d’Aragona Cagliari 1957, 1959; Ensenyament y finances a la Sardenya cincentista, in Hispanic Studies in honour of I. Gonzalez Llubera, 1959; Sulla fondazione del collegio di Sassari 1562: nel IV centenario dell’Università turritana, ‘‘Archivium historicum Societatis Jesus’’, XXXI, 1962; L’Università di Sassari e i collegi gesuitici in Sardegna: saggio di storia istituzionale ed economica, ‘‘Studi sassaresi’’, III, I, 1969; La cultura de Sardenya, Sicylia i Napols al segle XVI en relaciò amb els Estats catalano-aragonesos, in Atti dell’VIII Congresso di storia della Corona d’Aragona, 1973; La cultura sardo-catalana nel Rinascimento, in I Catalani in Sardegna (a cura di Jordi Carbonell e Francesco Manconi), 1984; Sardenya i els estats italiàns de la Corona d’Aragò, refugi dels austriacantes. 1714, el cas dels Jesuites catalano-aragonesos, in Atti del XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, II, 1995. ‘‘Battaglia’’ Settimanale fascista (Cagliari 1924-1925). Periodico di politica e di cultura; profondamente antiliberale, esaltò la ‘‘marcia su Roma’’ ma paradossalmente assunse un atteggiamento favorevole al decentramento amministrativo, recependo in qualche 471 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 479 Battaglie combattute in Sardegna modo l’influenza del movimento regionalista isolano del primo dopoguerra. Stampato a partire dal luglio del 1924, cessò le pubblicazioni nel febbraio del 1925; fu diretto da Raffaele Contu. Battaglie combattute in Sardegna Nel corso della sua millenaria storia la Sardegna, anche in conseguenza della sua stessa posizione geografica, si trovò coinvolta nelle guerre che si svolsero nel Mediterraneo. Cosı̀ l’isola fu teatro di numerose battaglie combattute per terra e per mare, ciascuna delle quali lasciò segni profondi. Le più note sono: Battaglia del Mare Sardonio Fu la battaglia navale che nel secolo VI a.C. decise le sorti della Sardegna e del Mediterraneo occidentale per i secoli successivi. Combattuta dalla flotta greca dei focesi di Alalia contro le flotte dei Cartaginesi e degli Etruschi alleati tra loro, avvenne presumibilmente nel 535 a.C. al largo delle coste nord-orientali della Sardegna e si concluse con la sconfitta dei Greci. Fu l’evento che escluse per sempre i Greci dal Mediterraneo occidentale e consentı̀ l’avvio della colonizzazione punica della Sardegna. Battaglia di Olbia Fu combattuta, tra il 259 e il 258 a.C., durante la prima guerra punica tra una flotta romana comandata da Lucio Cornelio Scipione e la guarnigione cartaginese di Olbia. In questa occasione la città fu conquistata e Annone, il comandante cartaginese, ucciso mentre tentava disperatamente di difendere la città. Battaglia di Sulci Poco dopo un’altra flotta romana comandata da Caio Sulpicio Patercolo assalı̀ diverse località puniche lungo la costa meridionale dell’isola; per contrastarlo uscı̀ da Sulci la flotta cartaginese che fu sconfitta; il comandante cartaginese Annibale riuscı̀ a rientrare in città col resto della flotta ma fu condannato a morte e crocifisso dai suoi stessi uomini. Ribellione degli Iliesi e dei Corsi La ribellione che coinvolse tutte le popolazioni dell’interno tra il 236 e il 235 a.C. fu un succedersi di infiniti episodi di guerriglia che impegnarono duramente i Romani, guidati da Tito Manlio Torquato. Campagna di Spurio Corvilio Massimo Per domare una nuova ribellione delle popolazioni dell’interno una serie di operazioni si svolse nel 233 a.C. e si concluse con un successo romano. Campagna di Manlio Pomponio Matone Ancora una volta Roma tentò di venire a capo della resistenza dei Sardi ribelli; le operazioni ebbero luogo nel 232 a.C. e si conclusero con un successo. Battaglia di Cornus La battaglia fu combattuta nel 215 a.C. tra le legioni romane di Tito Manlio Torquato e i sardo-punici ribelli guidati da Amsicora e da suo figlio Hosto. La battaglia si inquadra nella fase più acuta della seconda guerra punica quando, dopo la battaglia di Canne (213 a.C.), la sconfitta di Roma sembrò inevitabile. Fu allora che i sardo-punici, aiutati dai Cartaginesi, si ribellarono; la battaglia, secondo una tradizione non documentabile, si svolse in località Torre del Pozzo e si tradusse in una terribile sconfitta per i sardi che lasciarono sul campo 3000 morti tra i quali lo stesso Hosto. Piegato dal dolore, Ampsicora, inconsolabile per la morte del figlio, si sarebbe ucciso. Ribellione degli Iliesi e dei Balari Le operazioni si svolsero tra il 181 e il 178 a.C. Per avere ragione degli insorti Roma dovette impegnare consistenti contingenti nella lunga estenuante guerriglia. Ribellione degli Iliesi Fu l’ultima grande ribellione di questo popolo. Le 472 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 480 Battaglie combattute in Sardegna operazioni, condotte da Tiberio Sempronio Gracco, furono violentissime. Si svolsero tra il 177 e il 173 a.C. e si sarebbero concluse con una battaglia campale nella quale sarebbero morti 25 000 sardi. I superstiti sarebbero stati portati a Roma, ma erano cosı̀ numerosi e (si dice) poco... appetibili che non si riuscı̀ a venderli neppure a prezzi particolarmente modesti. Di qui l’appellativo di Sardi venales, a suo tempo richiamato anche da Cicerone. Ribellione del 162 a.C. Probabilmente fomentata da Cartagine, fu circoscritta e facilmente domata. Ribellione del 126-122 a.C. Ebbe il carattere di una guerriglia che coinvolse molte parti della Sardegna interna. Ribellione del 115-111 a.C. Anche questa ebbe le caratteristiche della precedente. Ribellione del 104 a.C. Fu l’ultima ribellione storicamente provata dei Sardi contro i Romani. Conquista dei Vandali nel 455 Dopo il saccheggio di Roma, i Vandali fecero sbarcare un forte contingente in Sardegna e conquistarono l’isola; negli anni successivi l’imperatore Maggiorano tentò inutilmente di riconquistarla. Riconquista romana della Sardegna Nel 468 una spedizione romana comandata dal conte Marcellino riuscı̀ a sbarcare nell’isola e, grazie a una ribellione dei sardi, riuscı̀ a cacciare i Vandali che però, pochi mesi dopo, quando Marcellino fu costretto a lasciare l’isola, la riconquistarono definitivamente. Battaglia di Cagliari Tra i Vandali ribelli, comandati da Goda e Zazone, fratello di Gelimero nel 533, vinta da Zazone proprio nel momento in cui Belisario invadeva l’Africa, piegandola ai Bizantini. Conquista bizantina nel 534 Quando Zazone lasciò la Sardegna per accorrere in Africa in soccorso di Gelimero e fu sconfitto e ucciso, Cirillo sbarcò a Cagliari con un forte contingente bizantino e, mostrata la testa di Zazone ai Vandali che si erano asserragliati nella città, li convinse ad arrendersi e procedette all’occupazione dell’isola. Battaglia di Olbia Nel 551, nella spedizione che condussero contro la Sardegna durante la guerra greco-gotica gli Ostrogoti assalirono Olbia e distrussero il porto occupando l’isola. Successivamente resistettero vittoriosamente a un tentativo di riconquista bizantina guidato da Giovanni, che fu sconfitto a Cagliari. Nel 552 dovettero lasciare l’isola che fu occupata definitivamente dai Bizantini. Spedizioni degli Arabi Tra il 702 e gli inizi del secolo XI furono compiuti diversi sbarchi in Sardegna dagli Arabi provenienti dal Nord Africa e dalla Spagna (= Arabe, incursioni). Spedizione di Mugâhid emiro di Denia Mugâhid, conosciuto nella tradizione sarda col nome di Museto, Musato, nel 1015 sbarcò in Sardegna e, dopo aver sconfitto l’esercito giudicale e ucciso con ogni probabilità un giudice, avviò la conquista dell’isola. Nel 1016, però, fu sorpreso e sconfitto in una grande battaglia navale da una flotta formata da navi pisane e genovesi, chiamate a una sorta di crociata dallo stesso pontefice, e dovette abbandonare l’isola. Secondo una vecchia cronaca araba, nel 1018 sarebbe tornato in Sardegna, avrebbe occupato una città costiera e ne avrebbe fatto la sede della sua residenza, ingaggiando negli anni successivi una serie di battaglie con i sardi. Nel 1026, però, avrebbe dovuto lasciare definitivamente l’isola. Prima spedizione di Comita III d’Arborea nel giudicato di Torres Nel 1131 Comita III cercò di invadere e conqui- 473 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 481 Battaglie combattute in Sardegna stare la parte del giudicato settentrionale, ma le sue truppe furono fermate nel Logudoro entro il 1133. Seconda spedizione di Comita III in Logudoro Intrapresa nel 1138, permise al giudice di occupare una parte del Marghine ma fu scomunicato e morı̀ nel 1146 prima che la campagna fosse finita. Spedizione di Barisone I re di Sardegna in Logudoro Nel 1163 il giudice arborense condusse una campagna contro Barisone II di Torres. Le sue truppe, però, furono fermate quasi subito e la spedizione fallı̀ sin dalle prime battute. Battaglia del castello del Goceano Combattuta nel 1194 attorno al castello di Burgos da Guglielmo I di Lacon Massa, giudice di Cagliari, e le truppe di Costantino II di Torres, che furono sconfitte. Il castello fu conquistato e Prunisinda, moglie del giudice turritano, fu fatta prigioniera dal vincitore. Prima battaglia di Santa Igia Si svolse nel 1196, quando una flotta genovese, penetrata nel golfo di Cagliari, assalı̀ Santa Igia e la espugnò; subito dopo, però, i Genovesi lasciarono la Sardegna e Santa Igia tornò nelle mani di Guglielmo, che riprese l’offensiva in Arborea conquistando Oristano nel 1198. Conquista di Cagliari Nel 1215 Ubaldo Visconti condusse una spedizione contro Cagliari e costrinse la giudicessa Benedetta a cedere la rocca del castello al Comune di Pisa. Battaglia di Noracalbo Fu combattuta nel 1219 tra le truppe dei Visconti e quelle di Mariano di Torres che erano penetrate nel giudicato di Cagliari per soccorrere la giudicessa Benedetta. Le truppe turritane furono pesantemente sconfitte. Seconda battaglia di Santa Igia Fu combattuta tra il giudice Chiano di Cagliari e un contingente di truppe pi- sane mandato in Sardegna a ristabilire l’egemonia sull’isola. La battaglia si svolse nell’ottobre 1256 e lo stesso giudice vi morı̀ combattendo valorosamente. Assedio e distruzione di Santa Igia Nel 1257 contro il giudice di Cagliari Guglielmo III Cepola venne organizzata una spedizione pisana guidata dalle famiglie del Comune dell’Arno interessate a espandersi nell’isola, i Capraia, i Visconti e i Della Gherardesca. Il giudice morı̀ in battaglia e la città fu conquistata e distrutta; l’episodio segnò la fine del giudicato di Cagliari. Battaglia di Iglesias Nel 1294, quando il contingente di truppe del conte Guelfo della Gherardesca, che aveva preso possesso dei territori toccatigli in seguito alla divisione del giudicato di Cagliari, entrò in lite con il Comune di Pisa e attaccò Mariano III d’Arborea che lo aveva sostenuto. Il conte Guelfo fu sconfitto e costretto a cedere al Comune tutti i territori che possedeva in Sardegna. Prima battaglia di Sanluri Fu combattuta il 13 aprile 1323 tra le truppe del giudice Ugone II d’Arborea e le truppe del Comune di Pisa nella piana di Sanluri nella fase iniziale della guerra di conquista aragonese. Le truppe giudicali sconfissero duramente quelle pisane e dilagarono nel Campidano di Cagliari. La battaglia accelerò l’arrivo della spedizione aragonese in Sardegna. Sbarco aragonese in Sardegna e assedio di Iglesias Lo sbarco dell’esercito aragonese di invasione, comandato dall’infante Alfonso, figlio di Giacomo II d’Aragona, fu effettuato il 31 maggio 1323 sulla spiaggia di Canyelles nella Sardegna sud-occidentale, nei pressi del golfo di Palmas. Mentre il contingente aragonese poneva l’assedio a Villa di Chiesa (Iglesias), che cadde 474 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 482 Battaglie combattute in Sardegna per fame il 7 febbraio 1324, la flotta proseguı̀ verso il golfo di Cagliari, attestandosi sul colle di Bonaria. Battaglia di Lutocisterna Fu la battaglia che segnò la svolta decisiva nella guerra di conquista della Sardegna intrapresa dagli Aragonesi. Si svolse il 29 febbraio 1324 nelle vicinanze dello stagno di Santa Gilla tra i catalano-aragonesi dell’infante Alfonso e le truppe del corpo di spedizione pisano appena sbarcate e dirette a Cagliari per soccorrere gli assediati. Fu uno scontro cruento: lo stesso infante, disarcionato e salvato dal valore di un Santa Pau e di un Cervellon, continuò a combattere con grande determinazione per impedire che il vessillo aragonese cadesse in mano ai nemici. L’esito della battaglia fu deciso dagli almogavers che muovendosi con agilità sul terreno paludoso riuscirono a bloccare l’impeto dei cavalieri pisani, molti dei quali furono sospinti nella zona della palude dove trovarono morte orribile. I Pisani superstiti, sconfitti, riuscirono a fatica a guadagnare il castello dal quale nessuno aveva potuto muoversi a causa del blocco messo dall’ammiraglio Carroz. Battaglia di Monreale Fu combattuta tra le truppe dell’infante Alfonso e quelle dei difensori Pisani di Cagliari, comandate da Manfredi Della Gherardesca. Si svolse il 28 aprile 1324 nella piana che si stende tra il castello e il colle di Monreale Bonaria, dove era stato posto l’accampamento dell’infante. Lo scontro fu provocato da una sortita dei Pisani che, avendo notato che le porte dell’accampamento reale sul colle di Bonaria erano aperte, uscirono dal castello al galoppo nel tentativo di sorprendere i nemici, ma furono fermati e sconfitti dall’infante che, accortosi del pericolo, non si fece trovare impreparato. Manfredi morı̀ per le fe- rite riportate nello scontro. L’assedio di Cagliari continuò e i Pisani furono costretti a sottoscrivere la pace con gli Aragonesi il 19 giugno 1324. Battaglia del golfo di Cagliari Riprese le ostilità tra Aragonesi, Doria e Pisa, la battaglia navale del golfo di Cagliari tra la flotta aragonese e la flotta genovese venuta a soccorrere i Pisani asserragliati nel castello fu combattuta il 24 dicembre 1325. La flotta genovese fu sconfitta e gli Aragonesi cinsero d’assedio Cagliari per la seconda volta. Dopo pochi mesi Lapola e Stampace caddero e il 26 aprile 1326 fu stipulata la pace definitiva tra Pisa e il re d’Aragona. Battaglia di Ardara Fu combattuta il 5 novembre 1334 di fronte al castello di Ardara tra le truppe dei Doria comandate da Brancaleone e le truppe catalane comandate da Raimondo Cardona. Lo scontro è riconducibile alla guerra combattuta tra Genova e Aragona tra il 1330 e il 1336 per il controllo del Mediterraneo occidentale, della quale uno dei teatri fu appunto la Sardegna nord-occidentale. Allo scoppio della guerra i Doria si ribellarono per la seconda volta e ripresero a combattere contro gli Aragonesi; i territori del loro piccolo stato furono invasi dalle truppe comandate da Raimondo Cardona, che riuscirono a conquistare alcune piazzeforti doriane tra cui Sorres. La battaglia, che fu combattuta proprio quando Brancaleone tentò di riconquistare il perduto castello, si tradusse in una dura sconfitta per i Doria: in essa trovarono la morte parecchi personaggi, tra cui il fuoruscito sassarese Pietro Tola. Ebbe come conseguenza la resa del castello di Ardara. Battaglia di Aidu ’e Turdu Il combattimento si inquadra nel contesto della cosiddetta terza ribellione dei Doria contro Aragona, dopo che le trattative 475 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 483 Battaglie combattute in Sardegna con Pietro IV per la vendita del loro stato ai nuovi conquistatori dell’isola erano giunte a un punto morto. Il conflitto ebbe come teatro i territori dello stato doriano e i territori extragiudicali, il cui possesso era disputato tra Doria, Arborea e Aragona. La battaglia si svolse nell’agosto del 1347 nella omonima località conosciuta anche come Aidu de Tidu; il toponimo Aidu ’e Turdu si riferirebbe a un ‘‘passo dei tordi’’ posto sull’itinerario delle loro migrazioni. La località non è stata mai ben precisamente identificata, ma si pensa che si trovasse nelle campagne tra Bonorva e la piana sottostante. Qui si affrontarono le truppe dei Doria e le truppe catalane, che furono duramente sconfitte. Dal racconto della battaglia fatto dallo Zurita sembrerebbe che i Doria avessero teso un’imboscata alle colonne aragonesi approfittando della natura dei luoghi, intercettando cosı̀ di sorpresa l’esercito catalano che si dirigeva verso Sassari. Nello scontro morirono Monico e Gherardo Cervellon, figli del governatore della Sardegna Guglielmo, il quale a sua volta morı̀ poco dopo per il dolore. Battaglia di Quartu Fu combattuta nell’ambito della prima guerra tra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona. Le truppe giudicali e quelle aragonesi si affrontarono nelle campagne tra Quartu e Selargius. Lo scontro avvenne il 7 ottobre 1353: le truppe aragonesi erano guidate da Bernardo Cabrera e da Berengario Carroz, e si concluse con una grave sconfitta delle truppe di Mariano IV, che in conseguenza furono costrette a ripiegare su Sanluri. Battaglia di Porto Conte Battaglia navale, fu combattuta nel contesto della guerra tra Genova e Aragona per il controllo del Mediterraneo occidentale, che ebbe la Sardegna tra i teatri princi- pali, anche per la presenza dei Doria, alleati di Genova. Lo scontro avvenne il 25 luglio 1353 nella rada di Porto Conte, di fronte ad Alghero, tra la flotta aragonese, comandata da Bernardo Cabrera, e la flotta genovese; obiettivo dei contendenti era ottenere il controllo di Alghero. Si concluse con una grave sconfitta genovese, che ebbe come conseguenza la consegna di Alghero al re d’Aragona. Battaglia di Oristano Detta anche di Sant’Anna, fu combattuta nella omonima località presso Oristano alla fine di maggio del 1368, nel quadro del secondo conflitto fra Mariano IV d’Arborea e Pietro IV d’Aragona, tra le truppe giudicali e le truppe aragonesi. Per fermare la dilagante avanzata delle truppe giudicali era giunto in Sardegna un forte contingente di truppe al comando di Pietro de Luna che immediatamente aveva cominciato ad avanzare minaccioso su Oristano dove si erano chiuse le truppe arborensi. Mentre le truppe reali si disponevano per l’assedio della città, le truppe di Mariano IV, durante la notte, uscirono dalla città e accerchiarono i nemici. La battaglia che ne seguı̀ fu cruenta: gli Aragonesi furono sconfitti e lo stesso De Luna perse la vita nello scontro unitamente a molti altri nobili. Battaglia dell’Asinara Fu una battaglia navale combattuta tra una flotta aragonese e una flotta genovese alla fine di maggio del 1409, poco prima della battaglia di Sanluri (vedi qui sotto). Lo scontro si inquadra nella fase finale della guerra tra Aragona e Arborea per il controllo della Sardegna; dopo lo sbarco di Martino il Giovane a Cagliari, una flotta catalana al comando di Giovanni di Santa Coloma, che era stata inviata a presidiare i mari del nord dell’isola, a causa di una bufera si rifugiò in una rada dell’isola 476 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 484 Battaglie combattute in Sardegna dell’Asinara e casualmente avvistò la flotta genovese che era comandata dall’ammiraglio Guglielmo Mollo. Le navi genovesi, che procedevano senza alcuna misura di vigilanza, erano dirette a Oristano per portare aiuto al giudice Guglielmo di Narbona: assalite a sorpresa dalle navi catalane, furono disperse e duramente sconfitte. Nell’occasione molti marinai morirono e i prigionieri furono portati al Castello di Cagliari. Seconda battaglia di Sanluri È la battaglia decisiva per la storia della Sardegna moderna. Fu combattuta il 30 giugno 1409 tra le truppe del re Martino il Giovane e le truppe del giudice d’Arborea Guglielmo di Narbona nella piana di Sanluri in località Su bocidroxiu. Fu uno scontro durissimo, che dopo fasi alterne si concluse con la ritirata dei sardi verso Oristano. Il borgo di Sanluri fu di conseguenza preso dagli Aragonesi e i suoi abitanti passati a fil di spada. Lo scontro, che militarmente non poteva ritenersi conclusivo, ebbe però effetti decisivi sull’assetto del giudicato e contribuı̀ a determinarne rapidamente la fine. Battaglia di Uras Fu combattuta il 14 aprile 1470 tra le truppe regie comandate da Nicolò Carroz e quelle del marchese di Oristano Leonardo Alagon in territorio di Uras. Lo scontro segnò l’inizio di lunghi anni di lotte tra Alagon e Carroz a causa della successione nel marchesato di Oristano. Vi furono usate per la prima volta le artiglierie e si concluse con la vittoria del marchese di Oristano. Battaglia di Mores Fu combattuta nell’ambito della guerra tra il marchese d’Oristano Leonardo Alagon e Nicolò Carroz. Si svolse il 29 gennaio 1478 tra i soldati guidati da Artale Alagon e Giovanni De Sena che muovevano alla conquista del castello di Ardara e le truppe sassaresi fedeli al re guidate da Angelo Marongio. Gli assalitori furono intercettati nelle campagne di Mores e duramente sconfitti. Battaglia di Macomer Fu la battaglia decisiva del conflitto tra Leonardo Alagon e gli Aragonesi. Dello scontro si ha una relazione scritta da Bartolomeo de Gerp, che ne fu testimone oculare: fu decisa dalle abili mosse che Nicolò Carroz fece compiere al proprio esercito nei giorni che precedettero lo scontro. Infatti quando la mattina del 19 maggio 1478 i due eserciti si affrontarono in uno scontro campale, grazie a questi movimenti preliminari l’esercito reale si trovò schierato in posizione più favorevole. Il combattimento fu aspro e cruento, e al termine Leonardo Alagon, sconfitto, fu costretto a fuggire, imbarcandosi a Bosa su una nave che doveva portare in salvo lui, suo fratello e i suoi figli. Tradito dal comandante della nave e consegnato agli Aragonesi, fu condotto in Spagna e tenuto prigioniero nel castello di Xàtiva, nella regione di Valencia, dove sarebbe morto sedici anni dopo. Battaglia di Sassari Durante la guerra tra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia un contingente di truppe francesi guidate da Andrea Doria e Renzo Orsini, partite dalla Toscana nell’ottobre del 1527, sbarcò in Sardegna e dopo aver vanamente assediato Castellaragonese e distrutto Sorso, il 30 dicembre riuscı̀ a conquistare Sassari e a saccheggiarla. Gli invasori furono costretti a lasciare la città il 26 gennaio 1528 per il sopraggiungere dei soccorsi (è tradizione che i soldati spagnoli ‘‘liberatori’’ avessero causato alle case e alle persone più danni di quanti ne avevano fatto gli occupanti nemici). Battaglia di Oristano Durante la Guerra dei Trent’anni, nel febbraio 1637, una flotta francese al comando 477 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 485 Battaglie combattute in Sardegna del conte d’Harcourt e dell’arcivescovo di Bordeaux sbarcò sulle spiagge del golfo di Oristano e riuscı̀ a conquistare e saccheggiare la città. Gli invasori furono intercettati e, sconfitti dalle truppe accorse in aiuto della città pochi giorni dopo, costretti a reimbarcarsi precipitosamente, subendo notevoli perdite. Battaglia di Cagliari Durante la guerra di successione spagnola (17001714), nell’agosto del 1708 una flotta anglo-olandese, dopo aver cannoneggiato pesantemente Cagliari, operò uno sbarco di truppe che costrinsero i difensori alla resa; in breve tempo l’isola passò a Carlo III d’Asburgo. Battaglia di San Simplicio Nel corso della spedizione che avrebbe dovuto liberare la Sardegna da Carlo III, organizzata nel 1710 dai fuorusciti sardi a Madrid, un contingente sbarcato a Terranova (l’attuale Olbia) fu sconfitto dalle forze inglesi presso la chiesa di San Simplicio. Spedizione dell’Alberoni Lo sbarco delle forze di invasione, predisposte dal cardinale Alberoni per riconquistare la Sardegna e restituirla a Filippo V, ebbe inizio il 20 agosto 1717 e in poco tempo raggiunse i suoi obiettivi. Battaglia del golfo di Cagliari Nel quadro del progetto di occupazione della Sardegna elaborato da Antonio Costantini e dal Saliceti, deputati alla Costituente francese, nella primavera del 1792, quando sulla scia dei successi militari ottenuti dalle truppe rivoluzionarie in Piemonte sembrò facile conquistare l’isola, furono progettate due distinte operazioni. La prima fu affidata all’ammiraglio Truguet-Tréville che, radunata una potente flotta a Tolone, dopo aver imbarcato un corpo di spedizione salpò agli inizi di dicembre diretto verso la Sardegna. Ad attendere gli invasori erano le difese rapida- mente predisposte dagli Stamenti sardi, immediatamente auto-convocatisi per l’occasione; il nerbo delle truppe era rappresentato da fanteria e da cavalleria locali delle formazioni ‘‘miliziane’’, che man mano affluivano verso la Sardegna meridionale. Le navi francesi arrivarono in Sardegna a fine dicembre 1792 e il 29 dicembre sette navi entrarono nella rada di Cagliari, ma furono respinte dai cannoni di Sant’Elia. Allora la flotta si concentrò nel golfo di Palmas e l’8 gennaio 1793 truppe da sbarco occuparono le isole di San Pietro e Sant’Antioco. Dopo questo facile successo la caduta dell’isola sembrò imminente; il 22 gennaio la flotta si presentò nuovamente nelle acque del golfo di Cagliari e si schierò in ordine di battaglia, mentre a terra si intensificavano i preparativi di difesa. Il 28 e il 29 gennaio la flotta operò un primo bombardamento che provocò molti danni ai fabbricati della Marina e alle strutture portuali, ma anche i cannoni dei forti colpirono ripetutamente gli assalitori. Il 14 febbraio fu effettuato un secondo e più massiccio bombardamento, e furono fatte sbarcare le truppe d’invasione lungo il litorale di Quartu e fatte avanzare nel territorio paludoso delle saline del Molentargius. Gli invasori finirono proprio di fronte alle truppe sarde disposte sul terreno che non consentiva grandi movimenti, la disperata resistenza li fermò e dopo alcuni giorni li costrinse a retrocedere sulla spiaggia. Qui il 19 febbraio furono assaliti da un corpo di miliziani a cavallo e clamorosamente sconfitti. Questo scontro finale, in cui i sardi furono agevolati anche dalla conoscenza del terreno (mentre i francesi, costretti a spostarsi al buio, si trovarono a sparare alla cieca o addirittura a danneggiarsi reciprocamente), è conosciuto anche come Bat- 478 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 486 Battelli taglia di Quartu o Battaglia di Sant Lluc, dalla presenza di una chiesetta dedicata a San Luca nella breve piana alle spalle della spiaggia del Poetto. Battaglia di La Maddalena Un secondo tentativo di sbarco da parte di un corpo di spedizione francese fu compiuto nel quadro del progetto di occupazione della Sardegna elaborato dal Costantini e dal Saliceti. Quando, sulla scia dei successi militari ottenuti dalle truppe rivoluzionarie in Piemonte, sembrò facile conquistare l’isola, il progetto prese corpo, seppure la sua realizzazione si sia rivelata molto approssimativa. Il corpo di spedizione formato in Corsica era di ridottissime dimensioni per numero di navi e di uomini (in genere volontari di Marsiglia liberati dalle carceri in cambio dell’arruolamento). Era comandato da Pietro Colonna Cesari e tra i suoi ufficiali aveva il giovane Napoleone Bonaparte, appena ventitreenne, che comandava l’artiglieria. Lo sbarco fu preparato, il 20 febbraio 1793, da un violento bombardamento che però non piegò la resistenza dei maddalenini e delle poche truppe disponibili. Lo sbarco cominciò il 24, ma le truppe miliziane sarde guidate da Giacomo Manca di Thiesi, grazie anche a un’intelligente iniziativa del capo nocchiero Domenico Millelire, inflissero una grave sconfitta ai Franco-corsi. Battaglia di capo Malfatano Fu una battaglia navale che si svolse il 28 luglio 1811 a sud-ovest del capo tra alcune navi della Marina sarda e tre navi di corsari barbareschi. Lo scontro fu fortuito, perché le navi barbaresche erano reduci dall’aver attaccato e depredato una nave cristiana. Nello scontro, grazie all’ardimento di Vittorio Porcile, le navi sarde ebbero la meglio: due delle navi corsare furono catturate. Battaglia di La Maddalena Fu combattuta il 13 settembre 1943 tra un gruppo di soldati, marinai e Carabinieri italiani e truppe tedesche all’atto dell’esodo del contingente tedesco dalla Sardegna. Come è noto, dopo l’8 settembre il comandante militare italiano e quello tedesco si erano accordati per lo sgombero pacifico della Sardegna; l’episodio fu breve ma cruento (si registrarono 24 morti fra gli italiani e 8 tra i tedeschi). Tra i morti italiani ci fu anche il capitano di vascello Carlo Avegno che aveva organizzato la ribellione contro gli occupanti (già comandante dell’Accademia navale di Livorno, gli fu conferita la medaglia d’oro al V.M. alla memoria). La battaglia di La Maddalena è uno dei primi episodi della Resistenza italiana. Battelli, Alcibiade Sindacalista (Gemmano 1875-?, dopo 1929). Emigrato da giovane in Sudamerica, dove fece le sue prime esperienze di giornalista e si avvicinò al socialismo, nel 1903 giunse in Sardegna come segretario della Lega di Resistenza fra i minatori di Buggerru. In realtà operò in tutto il bacino minerario, dove lavorò anche tra il 1909 e il 1914, dopo una parentesi a Porto Recanati. Nel 1914 divenne sindaco di Fluminimaggiore. Nel 1920 guidò i minatori sino a raggiungere un vantaggioso accordo con le società minerarie. Fra i massimi esponenti del sindacalismo riformista, adottò nei confronti dei primi episodi di squadrismo fascista nell’Iglesiente un atteggiamento moderato e legalitario. Tornato sulla penisola, nel 1924 aderı̀ al movimento socialista nazionale della ‘‘Gironda’’, che raccoglieva elementi di varia provenienza ideologica, fiancheggiatori del fascismo. Nel 1927 viveva a Torino, iscritto al PNF e impiegato presso l’Alleanza cooperativa torinese. Tra i suoi articoli, alcuni pubbli- 479 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 487 Battolu cati sull’‘‘Unione sarda’’ fanno riferimento alle sue esperienze sindacali: Nelle miniere dell’Iglesiente, 1906; Dopo cinque anni intorno all’inchiesta sui minatori sardi, 1911; La vertenza dei battellieri di Carloforte, 1912; Miniere e minatori, 1913. Battolu, Giovanni Operaio, consigliere regionale (n. Oristano 1939). Militante del PCI, è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Oristano per l’VIII legislatura (19791984). Successivamente non è stato riconfermato. Batzella, Alan Naturalista (n. Cagliari 1947). Laureato in Architettura presso l’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma, è membro del direttivo regionale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e fa parte del gruppo che si occupa della progettazione del Parco del Gennargentu. Interessato alle tematiche ambientali, è stato per alcuni anni presidente del WWF Sardegna. Ha pubblicato: Baunei. Analisi e pianificazione di un territorio di rilevante interesse ambientale 1998; Baunei selvaggia, 2000. Batzone Famiglia sassarese (sec. XV). Le sue notizie risalgono al secolo XV, quando godeva di una discreta posizione sociale. Nel 1452 ottenne il cavalierato ereditario con un Giovanni. Presumibilmente si estinse entro la fine del secolo. Bau de Cannas Antico villaggio di origine medioevale che faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria di Sols. Sorgeva a est di Narcao alla confluenza dei torrenti Canne e Canneddu. Nel 1070 il villaggio fu donato dal giudice Orzocco I all’archidiocesi di Cagliari, che probabilmente in seguito ne perse la disponibilità; cosı̀ entrò a far parte dei possedimenti dei De Açen. Quando però ebbe termine il giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nel terzo toccato ai Della Gherardesca, che per insanabili contrasti tra i due rami della famiglia, poco tempo dopo, procedettero a un’altra divisione tra loro. B. de C. fu allora attribuito al ramo del conte Gherardo; la sua struttura sociale fu conservata, i suoi abitanti continuarono a eleggere annualmente il majore e, nel complesso, condussero una vita tranquilla. Con l’arrivo degli Aragonesi, nel 1324 entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma i Della Gherardesca ne furono investiti e continuarono a possederlo, anche se, nei decenni successivi, i loro rapporti con gli abitanti di B. de C. diventarono tesi. La popolazione del villaggio nel 1348 fu decimata dalla peste e i feudatari ne persero la disponibilità nel corso della prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV quando, dopo la condanna per fellonia del conte Gherardo, fu sequestrato e concesso ad Alibrando de Açen che lo unı̀ ai suoi possedimenti. Scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, dopo la ribellione di Alibrando e di suo figlio il villaggio fu sequestrato, ma occupato dalle truppe arborensi cominciò a spopolarsi. Baudi di Vesme, Benedetto Storico e genealogista (Torino 1858-ivi 1919). Appartenente a un’antica famiglia feudale, si laureò in Ingegneria ma dopo alcuni anni lasciò la sua professione per dedicarsi alle ricerche di storia medioevale, mostrando di possedere una grande preparazione. Approfondı̀ in particolare gli studi genealogici. Morı̀ nella sua città alla soglia dei sessant’anni. Tra i suoi scritti: Diplomi sardi dell’arcivescovado di Cagliari, ‘‘Bollettino storico bibliografico subalpino’’, V-VI, 3, 1901; Diplomi sardi dell’arcivescovado di Cagliari, ‘‘Bollettino storico bibliografico subalpino’’, V-VI, 4-5, 1901; Guglielmo di Cagliari e l’Arborea, ‘‘Archivio storico sardo’’, I, 1, 1905. 480 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 488 Baudi di Vesme Baudi di Vesme, Carlo Storico, uomo politico (Cuneo 1809-Torino 1877). Deputato al Parlamento subalpino e senatore. Zio di Benedetto, si interessò anche lui degli studi di storia medioevale. Nel 1835 entrò a far parte della Deputazione di Storia patria di Torino e nel 1837, quando la sua fama di studioso era consolidata, dell’Accademia delle Scienze. Negli stessi anni, trasferitosi in Sardegna, si interessò a fondo del problema delle miniere sarde e diresse una grande azienda agricola che aveva acquistato presso Serramanna. Nel 1848 fu eletto deputato nel collegio di Iglesias per la I legislatura, e ancora rieletto per la III; nel 1850 fu nominato senatore per meriti scientifici. Intanto i suoi interessi per gli studi di storia lo avevano condotto a occuparsi di storia sarda; nel 1853, incaricato dall’Accademia delle Scienze di Torino di verificare l’autenticità del Ritmo di Gialeto, finı̀ per convincersi dell’autenticità delle Carte d’Arborea. Nonostante la sua polemica col Mommsen e la commissione che aveva esaminato le carte, nel 1874 fu nominato socio dell’Accademia delle Scienze di Berlino. Nello stesso periodo divenne comproprietario della miniera di Monteponi che diresse con perizia. La sua opera principale sono le Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, 1848. Come ha scritto Maria Luisa De Felice, curandone la riedizione per la nuorese Ilisso (2004), le Considerazioni, che erano state commissionate a B. di V. da Carlo Alberto quando l’abolizione del Ministero per gli Affari di Sardegna (ottobre 1847) «rese palese l’intenzione più volte enunciata di governare la Sardegna nella stessa forma e con le stesse leggi ‘‘del continente’’», nacquero «in un momento politico-istituzionale assai delicato»: B. di V., «persuaso della indifferibile unione tra le due parti del Regno», intendeva «fornire al sovrano gli elementi più utili a realizzare un programma di governo che considerasse la ‘‘fusione perfetta’’, l’accantonamento dei retaggi feudali e l’introduzione di eventuali riforme quali incentivi per il progresso economico dell’isola». Per questo fece seguire all’opera, una volta decisa la ‘‘fusione’’, una Appendice datata 22 gennaio 1848 che approfondiva l’esame di alcune delle questioni già trattate. L’altra sua opera importante è l’edizione del Breve di Villa di Chiesa, «lo statuto cittadino redatto dai Pisani e mantenuto in vigore dai catalano-aragonesi e dagli spagnoli» che lo stesso B. di V. aveva scoperto nell’Archivio del Comune di Iglesias, «cogliendone subito l’importanza per lo studio delle norme che regolavano la vita cittadina e lo sfruttamento dei filoni piombo-argentiferi». Del Breve, contenuto nel Codex diplomaticus Ecclesiensis, pubblicato postumo nel 1877, è stata edita di recente una ristampa (con introduzione di Barbara Fois, 1997). Tra gli altri suoi scritti: Contribuzioni regie, decime e strade, 1849; Agli elettori delle provincie di Sassari e di Iglesias, 1849; Rapporto della Giunta accademica intorno alla pergamena sarda contenente un ritmo storico della fine del VII secolo, ‘‘Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino’’, II, XV, 1855; Codice d’Arborea donato alla Biblioteca universitaria dal maggiore Cesare Guarnieri, 1864; Cenni biografici sul comm. Pietro Martini, ‘‘Atti della Regia Accademia delle Scienze di Torino’’, I, 1866; Tavola di bronzo trovata in Esterzili illustrata dal comm. Giovanni Spano, ‘‘Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino’’, XXV, 2, 1867; Nuove notizie intorno a Gherardo da Firenze e Aldobrando di Siena e osservazioni intorno alla sincerità delle carte d’Arborea, 1869; Osserva- 481 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 489 Baudi di Vesme zioni intorno alla relazione sulla sincerità dei manoscritti d’Arborea pubblicata negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Berlino, ‘‘Archivio storico italiano’’, XII, 1870; Intorno ad una canzone e ad un sonetto italiani del secolo XII e ad una canzone sarda tratti dalle carte d’Arborea, 1870; Poscritta prima e Poscritta seconda alle osservazioni intorno alla relazione sulla sincerità dei manoscritti di Arborea, ‘‘Archivio storico italiano’’, III, XIV, 1871; Memoriale presentato al prefetto della provincia di Cagliari dalla Società Monteponi relativamente al diritto di questa alla concessione della miniera di calamina di Monteponi, 1875. sud con Solarussa, a ovest con Tramatza. La parte pianeggiante è tra le più adatte in Sardegna per l’agricoltura, mentre la parte collinare viene utilizzata prevalentemente per il pascolo. A breve distanza dall’abitato scorre il rio Cispiri che, una volta unitosi al Riu di Mare Foghe, va a sboccare nello stagno di Cabras. B. si trova a brevissima distanza dalla superstrada Cagliari-Sassari, e dispone a poche centinaia di metri di una stazione ferroviaria collocata lungo la linea CagliariMacomer. Baudi di Vesme, Luisa Giornalista (Torino, sec. XX-?). Appartenente alla stessa famiglia degli altri Baudi di Vesme, collaborò a molti periodici, impegnandosi particolarmente nelle problematiche della condizione femminile. Particolarmente interessata alla Sardegna, se ne occupò in diverse occasioni, come dimostrano i suoi articoli pubblicati sull’‘‘Unione sarda’’: Maria Teresa II regina di Sardegna, 1929; Un quadro che interessa la Sardegna, 1934; Il Cardinale Amat e i Borboni di Parma, 1935; Un cardinale sardo legato pontificio nel ’48, 1935; Lettere di Carlo Alberto sul suo viaggio in Sardegna, 1939. Bauladu – Anche la solitaria campagna di Bauladu, all’inizio della pianura dei Campidani, è punteggiata di nuraghi. Bauladu Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 16, con 729 abitanti (al 2004), posto a 38 m sul livello del mare al confine tra il Campidano e le prime propaggini delle alture dell’Alto Oristanese. Regione storica: Campidano di Milis. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 24,21 km 2 : ha forma grosso modo rettangolare e confina a nord con Milis, Bonarcado e Paulilatino, a est ancora con Paulilatino, a & STORIA L’attuale villaggio è di origine medioevale, apparteneva al giudicato d’Arborea ed era compreso nella curatoria del Campidano di Milis. Probabilmente era un centro il cui sviluppo fu legato alla grande abbazia di Santa Maria di Bonarcado; nel secolo XII fu infatti compreso nella donazione che il giudice fece alla comunità di Camaldolesi che la gestiva. Perciò essi sistemarono sul rio Zenu, che scende dalle montagne di Santu Lus- 482 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 490 Bauladu surgiu ed era pescosissimo, una peschiera fluviale e vi impiantarono fiorenti vigne e orti. Caduto il giudicato B., che contava poco più di 100 abitanti, fu incluso nel 1410 nel nucleo originario del marchesato d’Oristano. Dopo che il marchesato fu confiscato a Leonardo Alagon, dal 1479 il villaggio non fu più infeudato fino al secolo XVIII. Godette di una relativa tranquillità e divenne centro di produzione vinicola, in particolare, a partire dal XVII, della Vernaccia. Nel corso del secolo perse però una parte della popolazione a causa della peste e il suo territorio non più coltivato si coprı̀ di boschi e di radure. Nel 1767 B., che non contava più di 200 abitanti, con tutti gli altri villaggi dei Campidani di Oristano tornò suo malgrado sotto un feudatario: le sue rendite civili furono concesse a Damiano Nurra (= Nurra3 ) col titolo di marchese d’Arcais. I suoi abitanti tentarono da allora in poi di liberarsi dal vincolo con ogni mezzo e il loro rapporto col feudatario, nel quale erano sostenuti dal Consiglio comunitativo, fu duro e difficile. Addirittura nel 1796 si rifiutarono di pagare i tributi feudali e il marchese dovette ricorrere alla forza per far valere i propri diritti. Intanto il feudo nel 1806 fu ereditato dai Flores d’Arcais; nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1838 fu riscattato ai suoi feudatari. In questo periodo Vittorio Angius scriveva: «Si numerano all’anno 6 matrimoni, 25 nascite e 18 morti. Vivesi d’ordinario sino alli 50, e si suol soccombere per le febbri perniciose, e infiammazioni. Nell’anno 1800 le famiglie sommavano a 105, le anime a 315. Nel 1826 il numero delle prime era 102, delle seconde 373. Nel 1833 si ebbero i seguenti numeri: famiglie 125, anime 525. Le terre sono attissime alla coltivazione del frumento, meliga, cotone, patate, e potrebbero alcuni piani pantanosi diventar buoni risieri, se più non giovasse dare scolo alle acque per iscemare la malignità dell’aria, ed esercitarvi altra coltura. La seminagione spende starelli di grano 900, d’orzo 200, di fave 50, di meliga 20, di fagioli 10, di lino 70. Ad eccezione delle lattucche, cipolle e carcioffi, non coltivansi altre erbe e piante ortensi. Mancavano prima del 1828 le vigne. Ora non sono che cinque, ma senza dubbio in breve cresceranno a maggior numero, mentre già si conosce che il terreno ama questa specie. È da essere ammirato il vigore della vegetazione, vedendovisi dei tralci usciti da piante novelle protendersi oltre 4 m. I vini non sono di minor bontà di quei che producon l’uve dei paesi a ponente, celebri per questo genere; e se provvedasi con metodi migliori, essendo la natura del suolo, senza contrasto, più idonea a questa coltivazione, potranno allora vivere nella concorrenza». Abolita nel 1848 la provincia, B. fu incluso nella divisione amministrativa di Oristano, nella quale rimase fino al 1859; negli stessi anni la sua agricoltura fu rilanciata mediante lo sviluppo dell’olivicoltura e la reintroduzione della viticoltura. Nel 1859 entrò a far parte della provincia di Cagliari. Nel 1927 perse l’autonomia e fu aggregato come frazione a Milis; riuscı̀ a tornare comune autonomo solo nel 1946; nel 1974 tornò a far parte della provincia di Oristano. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame; si coltivano soprattutto cereali, ma verso il confine col territorio di Milis sono stati impiantati agrumeti e vigne. Vi operano anche alcune modeste attività commerciali e imprenditoriali. Da qualche anno vi si sta sviluppando l’agriturismo che dispone di 4 impianti con 30 posti letto. 483 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 491 Bauladu Il villaggio è anche dotato di un albergo con 12 posti letto e un ristorante sulla S.S. 131. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 696 unità, di cui stranieri 2; maschi 348; femmine 348; famiglie 250. La tendenza complessiva rivelava la stabilità della popolazione, con morti per anno 7 e nati 7; cancellati dall’anagrafe 13 e nuovi iscritti 12. Tra i principali indicatori economici: imponibile medio IRPEF in migliaia di lire 14.019; versamenti ICI 317; aziende agricole 85; imprese commerciali 28; esercizi pubblici 6; sercizi al dettaglio 11. Tra gli indicatori sociali: occupati 170; disoccupati 23; inoccupati 38; laureati 4; diplomati 123; con licenza media 192; con licenza elementare 239; analfabeti 20; automezzi circolanti 209; abbonamenti TV 184. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio era popolato in età nuragica come dimostrano i numerosi nuraghi ancora visibili: Ainzu, Attus, Crabia, Cresia, Maria Ennas, Martinzana, Maschergia, Mascherzedda, Montigu, Mura Crabas, Mura ’e Sorighes, Mura Procillis, Murafigus, Oes, Piraula, Uràsa e Zrighidanu. Di particolare interesse sono il complesso di Zrighidanu, situato nella parte alta del territorio ai confini con quello di Paulilatino: è costituito dal nuraghe omonimo e da una Tomba di giganti crollata nella parte anteriore, la cui cella a corridoio è lunga più di 10 m. Altro sito di grande interesse è l’allineamento dei nuraghi della valle di Bauladu che mette in comunicazione il litorale con l’altipiano di Abbasanta e conserva la maggior parte delle torri nuragiche erette a guardia delle vie di accesso che un tempo la percorrevano; il più imponente tra queste è il nuraghe Crabia, al cui interno sono di particolare inte- resse la scala di accesso ai piani superiori e la tholos. Vi è poi la Tomba di giganti di Muraguada situata nella località omonima, a poca distanza dall’abitato: è costituita da un’esedra larga 8 m, dalla quale attraverso una porta si accede al corpo della tomba lungo complessivamente 7,5 m e largo quasi 4 m. Al suo interno si trova la camera funeraria, perfettamente conservata, le cui mura sono costituite da ortostati su cui poggiano filari di pietre più piccole. In periodo romano sorgeva nella zona il castrum di Turres che faceva parte della rete difensiva della vallata del Tirso. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il villaggio conserva nella rete delle sue strade le tipiche case a corte, che però si allontanano nelle forme da quelle del Campidano. L’edificio più significativo è la chiesa di San Gregorio Magno, costruita nel secolo XII in forme romaniche; dipendeva dalla chiesa di Santa Maria di Bonarcado e aveva annesso un ospizio per Benedettini. In seguito, nel corso del secolo XVIII, fu completamente ristrutturata; nel 1792 fu resa autonoma e divenne chiesa parrocchiale di Bauladu. Vi si conserva una statua lignea dorata del secolo XVII attribuita a scuola napoletana. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Un tempo era radicata la tradizione del ballo pubblico al suono delle launeddas che si svolgeva in occasione di tutte le giornate festive all’uscita dalla messa solenne. Di particolare interesse sono oggi la festa di San Giovanni Battista, che si svolge il 24 giugno e alla quale viene da qualche anno abbinata la sagra della pecora organizzata dai pastori del territorio, con distribuzione a tutti i presenti della tradizionale pecora bollita; quella di San Lorenzo, che si svolge il 10 agosto presso 484 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 492 Baunei l’omonima chiesetta alla periferia del paese, con balli pubblici e canti a chitarra; e quella campestre di Santa Vittoria, 15 maggio, con processione che si dirige dal paese verso l’omonima chiesa campestre con la partecipazione di giovani a cavallo che indossano i costumi tradizionali. Baunei – Sa Perda Longa, ‘‘la pietra lunga’’, è quasi un emblema della costa e del paesaggio dell’Ogliastra. Baunei Comune della provincia dell’Ogliastra, compreso nell’XI Comunità montana, con 3828 abitanti (al 2004), posto a 480 m sul livello del mare alle pendici sud-occidentali di una imponente formazione montuosa conosciuta come Supramonte, che si spinge fino al litorale con alte falesie. Regione storica: Ogliastra settentrionale. Diocesi di Lanusei. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 216,45 km2 comprendendo anche la frazione di Santa Maria Navarrese. Ha forma grosso modo rom- boidale allungata da nord a sud e confina a nord con Dorgali, a est col mare Tirreno, a sud con Lotzorai e Triei, a ovest con Urzulei. Il Supramonte, per la massima parte calcareo, caratterizza il paesaggio e determina da tempo la scelta di una economia prevalentemente pastorale, cui si è aggiunta in questi ultimi decenni l’iniziativa turistica. A ridosso dell’abitato si trova l’altipiano di Golgo, noto anche per alcuni fenomeni carsici; per il resto le parti più alte del rilievo, che vanno oltre i 900 m, si alternano alle profonde vallate scavate dai corsi d’acqua, chiamate códule. Scarse le coltivazioni, il bosco spontaneo si alterna con quello di nuovo impianto e con i vastissimi pascoli. Il paese è attraversato dalla statale 125 Orientale sarda dalla quale si distaccano, oltre alla secondaria per il vicino paese di Triei, le deviazioni per le località marine di Santa Maria Navarrese – frazione frequentatissima nella stagione estiva – e Pedra Longa, nonché, in corrispondenza dell’abitato, per l’altipiano di Golgo. & STORIA Il centro attuale è di origine medioevale: apparteneva al giudicato di Cagliari ed era compreso nella curatoria di Ogliastra. Quando, nel 1258, il giudicato fu smembrato B. passò ai Visconti che l’annetterono al giudicato di Gallura; quando essi si estinsero il villaggio passò sotto il controllo diretto di Pisa, che lo fece amministrare da propri funzionari in modo fiscale ma rispettando sostanzialmente le antiche autonomie della comunità. Subito dopo la conquista B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Nel 1325 fu concesso a Berengario I Carroz e costituı̀ il primo nucleo della contea di Quirra, che fu formata nel 1363 da Berengario II Carroz. Nel corso del secolo i suoi abitanti lottarono duramente assieme a quelli degli altri villaggi delle monta- 485 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 493 Baunei gne contro i feudatari e, quando scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV, si ribellarono apertamente schierandosi col giudice. In seguito, nel corso della seconda guerra, nel 1366 il territorio fu occupato dalle truppe arborensi e di fatto governato fino al crollo dell’Arborea come se fosse di appartenenza giudicale. Nel 1410 B., la cui popolazione si aggirava sulle 300 unità, tornò in mano a Berengario Bertran Carroz, erede degli antichi conti di Quirra. Era oramai inserito nel grande feudo di Quirra e seppe instaurare un rapporto accettabile col feudatario che nel 1416 concesse alcuni Capitoli di grazia che sono da considerare il nucleo dei regolamenti dell’Ogliastra. Il felice rapporto con i feudatari consentı̀ di conservare le antiche autonomie e creò le condizioni per uno sviluppo economico e sociale della comunità, la cui popolazione, alla fine del secolo, crebbe sensibilmente arrivando a sfiorare le 400 unità. Baunei – La chiesetta di San Pietro fu costruita con le offerte dei pastori nelle vaste solitudini dell’altipiano di Golgo. I Bertran Carroz si estinsero nel 1511 con la morte della contessa Violante II, cosı̀ B. passò ai Centelles. Purtroppo nel corso del secolo XVI dovette far fronte a diverse incursioni di pirati barbareschi; questi, approfittando della guerra tra Turchia e Spagna, in più di un’occasione fecero scorrerie; sbarcavano nella vicina spiaggia di Santa Maria Navarrese e si inoltravano nell’interno razziando e catturando diverse persone che riducevano in schiavitù. Nel lungo periodo in cui il villaggio fu amministrato dai Centelles le condizioni di vita dei suoi abitanti non furono buone; oltre che disinteressarsi delle ricorrenti incursioni dei corsari e degli effetti che provocavano, essi fecero amministrare l’Ogliastra da un regidor e limitarono notevolmente l’autonomia della comunità modificando il sistema di individuazione del majore, che cessò di essere elettivo. I Centelles si estinsero nel 1674 con Gioacchino che lasciò eredi i Borgia. La successione dei Borgia fu contestata dai Català che, dopo una lunga lite, nel 1726 riuscirono a venirne in possesso. Nel corso del secolo XVIII la presenza di alcune torri costiere riuscı̀ a dissuadere i predoni africani dal fare nuove incursioni e la tranquillità fu finalmente raggiunta. Ma le condizioni di vita di B. non subirono grandi cambiamenti; il rapporto di dipendenza dal feudatario si fece molto più tenue, e in più di un’occasione l’amministrazione reale, approfittando di questa situazione, pensò di riscattarlo. Frattanto nel 1766 dai Català il villaggio era passato agli Osorio; oramai la sua popolazione sfiorava i 1300 abitanti e il villaggio cominciò ad assumere un aspetto ordinato. Nel 1770 Ardali (=) fu aggregato come frazione a B. L’istituzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico fecero aumentare l’aspirazione a rompere definitivamente la dipendenza feudale; nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Lanusei e nel 1840 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi anni Vittorio Angius annotava: «Le abitazioni sono (anno 1833) 350, delle quali nessuna considerevole, 486 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 494 Baunei e la massima parte cosı̀ meschine, da doversi più giustamente dir tuguri e tane, che case. Tra quelli che praticano i più ordinari e facili mestieri, sono assai numerosi i legnajuoli e segatori, anzi è questa la principale come la più lucrosa professione. Dei fabbri ferrai alcuni attendono a lavorare opere gentili per questo e per altri paesi. Le donne, quando sono spiccie da altre più pressanti faccende, siedono a lavorare panno lano e lino ne’ telai, e di questi se ne annoverano non meno di 300. Vi è stabilito un consiglio composto dalle più probe ed assennate persone per l’amministrazione delle cose comuni, una giunta sull’azienda agraria o monte di soccorso, e per la istruzione una scuola normale, che frequentasi da circa 15 fanciulli. Rilevasi dai libri di chiesa che ordinariamente contraggonsi all’anno 10 matrimoni, nascono 30 e muojono 20. Nel censimento ecclesiastico del 1826 il totale delle anime presentavasi nel numero 1347; sette anni dopo le medesime sommavano a 1420, distribuite in 307 famiglie. L’agricoltura, sebbene poco favorita dalla località, potrebbe essere in miglior grado se si sapesse profittare di tutti gli spazi che la permettono, e se una saggia industria si estendesse ad altri oggetti fuor di quelli a cui si mira. La seminagione (anno 1833) impiegava soli 300 starelli, dei quali 80 in grano, 100 in orzo, 50 in fave e cicerchie, ed il restante in lino. La fruttificazione ordinaria ascende al decuplo. Di lino se ne raccoglie circa 200 cantari (un cantare chilogrammi 40,65). Le donne, sopra il lino ed i legumi, coltivano alcune erbe e piante ortensi, in che però non pongono molta diligenza. Non si conosce ancora la moltiplice utilità delle patate, e renderebbe a questo popolo un gran servigio chi ne insegnasse la coltura, alla quale molto deve stimarsi confacciano queste terre montane. Nella felice posizione, in cui sono di riscontro al meriggio, vengono molto prosperamente le vigne. La selva è foltissima, largamente estesa, e forse adombreggia per cinque seste l’area territoriale. Una porzione dei baonesi attendono alla pastorizia. Educano vacche, capre, pecore, porci, e ciascuna specie nell’anno 1833 numerava capi quanti qui notansi: 400 le vacche, 2500 le capre, 1500 le pecore, 500 i porci: in somma delle somme circa 5000 capi, che prima della epizoozia dell’anno precedente era forse maggiore del doppio. Gli animali domestici sommavano a circa capi 800, come risultava da vacche mannalite o siano domestiche, 100, da buoi per l’agricoltura 250, da majali 200, da cavalli e cavalle 150, da giumenti 100. Essendo cosı̀ poco numerose le specie, piccoli dovranno esserne i prodotti; e veramente nel detto anno la quantità dei formaggi non fu maggiore di 200 cantara, quella delle lane non avanzò le cantara 250, dei quali numeri appena un terzo rispettivamente passò al commercio». Soppressa nel 1848 la provincia di Lanusei, subito dopo B. fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro dove rimase fino al 1859, periodo in cui fu posto nella provincia di Cagliari; in questi anni fu costruito il bel campanile ottagonale della parrocchiale. Il villaggio rimase incluso nella provincia di Cagliari fino alla ricostituzione di quella di Nuoro. Le attività economiche e la possibilità di sfruttare il mare fecero ulteriormente crescere la popolazione; nel 1927, quando fu costituita la provincia di Nuoro, B. entrò a farne parte. Negli anni successivi due eventi determinarono una sua ulteriore crescita, in primo luogo il progressivo sviluppo delle attività turistiche che proiettò definitivamente il vil- 487 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 495 Baunei laggio verso il mare, in secondo luogo la partecipazione al dibattito locale sulla formazione della provincia dell’Ogliastra, recentemente conclusosi in maniera felice. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura e sulla pastorizia, di particolare rilievo è la produzione dei formaggi ovini e caprini; discreta è l’attività del commercio e manifatturiera. Il settore di maggiore sviluppo però è il turismo; il villaggio dispone infatti di 6 alberghi con 180 posti letto, un ristorante, un porticciolo turistico con 300 posti barca a Santa Maria Navarrese e un impianto per il turismo equestre ancora a Santa Maria Navarrese. Artigianato. In passato vi era tradizione di artigianato del legno e del ferro; particolare importanza avevano i lavori in ferro, rinomati anche nei villaggi vicini. Altra attività artigianale di qualche pregio era la tessitura della lana e del lino. Servizi. Il paese è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia; dispone di guardia medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, scuola secondaria superiore, Biblioteca comunale e sportello bancario. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 3959 unità, di cui stranieri 22; maschi 1913; femmine 2046; famiglie 1480. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 43 e nati 18; cancellati dall’anagrafe 65; nuovi iscritti 43. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 708 in migliaia di lire; versamenti ICI 1132; aziende agricole 289; imprese commerciali 185; esercizi pubblici 23; esercizi al dettaglio 60; ambulanti 4. Tra gli indicatori sociali: occupati 944; disoccupati 361; inoccupati 291; laureati 62; diplomati 352; con licenza media 1097; con licenza elementare 1352; analfabeti 123; automezzi circolanti 1280; abbonamenti TV 953. Baunei – Il betilo accanto alla chiesetta campestre di San Pietro testimonia l’antica religiosità della montagna sarda. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio conserva numerose testimonianze archeologiche di grande importanza. Particolarmente numerosi sono i nuraghi: Alvo, Campu Paule, Cugumaci, Fonnacesus, Genna Olidoni, Lastravò, Lopellai, Lopelle, Nieddu, Olovette Cannas, Orgodori, Perdusaccu, Pianargia, Porta ’e Su Pressiu, S’Olluli, Sa Tiria, Su Nuragheddu, Su Nuraxeddu, Su Nurazi; né mancano le Tombe di giganti, generalmente poste a poca distanza dai nuraghi: Alvo, Commidu Pira, Ertili, Fonnacesus, Olovette Cannas, Orgodori, Perdusaccu, Planedda, S’Olluli, Su Scusorgiu. Di singolare interesse è il complesso di Golgo, vasto altipiano dove l’omonima chiesetta è circondata dai nuraghi Alvo, Orgodori e Sa Tiria, ciascuno dei quali conserva a poca distanza gli imponenti & 488 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 496 Baunei resti di Tombe di giganti. Questo complesso fu studiato nell’Ottocento dal canonico Marcello che vi rinvenne una certa quantità di bronzetti e altri utensili in bronzo: li inviò al canonico Giovanni Spano e attualmente sono conservati nel Museo archeologico di Cagliari. La chiesa di San Pietro di Golgo, di piccole proporzioni, fu costruita nel secolo XVIII, ha l’impianto a una navata, la copertura in legno a capriate; la facciata del tipo a capanna si apre su un ampio spazio, circondato dalle tipiche cumbessı̀as e delimitato da giganteschi olivastri. A breve distanza si apre nel pianoro una voragine profonda 295 m: creduta per lungo tempo la bocca di un vulcano, dato che si apre in un suolo basaltico, è dovuta in effetti ai fenomeni carsici che hanno interessato il sottosuolo, che è tutto calcareo. Altro interessante sito è quello di Ertili, che si trova vicino alla chiesetta di San Giovanni nella vallata di Gattonare: comprende una Tomba di giganti di grandi proporzioni nella quale il canonico Marcello trovò un bronzetto; vicino alla tomba si trovano resti di altre costruzioni da studiare e che secondo la tradizione apparterrebbero al villaggio scomparso di Ertili. Di singolare bellezza poi è il nuraghe Lopelle che si trova lungo la strada per Dorgali a picco sulla conca di Triei; si tratta di una costruzione imponente, considerata la migliore del genere nell’intera zona. È interessante anche il complesso di Olovette Cannas che si trova a quasi 1000 m di quota su un altipiano ai confini tra B. e Urzulei e comprende, oltre all’imponente nuraghe con annessa Tomba di giganti, le domus de janas di Coa de Campus. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Il tessuto urbano di B. si sviluppa a terrazze lungo un costone aperto a una incantevole visione; sulle sue strade si affacciano le suggestive case in pietra del tipo barbaricino a più piani, ingentilite dai balconi in legno (alcuni ancora conservati) e coperti da scaglie di sughero. L’edificio di maggiore pregio è la chiesa di San Nicola di Bari, costruita nel Seicento in forme baroccheggianti e in tempi passati intitolata a San Pietro Apostolo, che al suo interno conserva una Circoncisione del pittore sardo Andrea Lusso (=). La chiesa campestre di San Giovanni è altrettanto suggestiva. Altro monumento di pregio è Santa Maria Navarrese, la chiesa che sorge a 10 km dall’abitato su una spiaggia divenuta nel corso del Novecento un’importante località turistico-balneare. L’edificio sarebbe stato fatto costruire da una principessa, figlia del re di Navarra, approdata nella località scampando a una terribile tempesta; ha forme romaniche ma negli ultimi tempi è stato sottoposto a restauri che ne hanno modificato la conformazione originaria. All’origine aveva un impianto a tre navate scandite da cinque pilastri, la copertura era in legno a capriate. Tra il 1959 e il 1960 è stato ampliato e il suo assetto originario venne alterato. Il giorno di Ferragosto vi si svolge la festa di Santa Maria del Mare con caratteristica processione a mare e l’esibizione di gruppi in costume. A poca distanza dalla chiesa, dominante sulla spiaggia e sul mare, sorge la torre omonima costruita nel 1591 con compiti di segnalazione e di difesa, dotata di artiglierie e servita da una guarnigione. L’edificio fu teatro di imprese gloriose durante alcuni sbarchi di corsari nel secolo XVII e nel 1838 fu utilizzato dal Lamarmora come punto di rilevamento trigonometrico. Attualmente è in ottime condizioni, conserva la robusta struttura troncoconica con un diametro interno di quasi 7 m. Al suo interno sono 489 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 497 Baunei ambienti disposti su due piani e coperti con volta a cupola sorretta da un pilastro centrale. Nel suo vasto territorio B. conserva alcune delle località le cui bellezze naturali sono da considerare tra le più suggestive della Sardegna: lungo le sue coste in direzione di Dorgali vanno ricordate le magnifiche calette di Cala Luna e di Cala Sisine che si schiudono con spiagge incantevoli; esse sono difficilmente raggiungibili dalla terra e sono perciò in qualche modo protette dall’indiscriminato assalto dei turisti. Ma soprattutto è da ricordare Cala Goloritzé, con il suo meraviglioso arco e la sua emozionante solitudine. Sul versante meridionale della costa è infine posta la immane roccia di Agugliastra. Si tratta di una roccia isolata a poca distanza dall’abitato, situata in una zona di difficile accesso che si leva a strapiombo sul mare per 128 m creando una scenografia spettacolare che caratterizza tutto il tratto di costa che da Arbatax giunge a B. Questo roccione, detto anche Perda Longa, ha sempre colpito la fantasia dei naviganti con la sua mole che incombe sul mare in assoluta verticalità e probabilmente ha dato il nome all’intera regione Agugliastra (Ogliastra). Non meno ricco di bellezze naturali è l’interno; tra tutte va ricordato l’altipiano di Golgo con la voragine omonima, di cui si è detto. Al proprio interno conserva un’interessante fauna tra cui il raro geotritone sardo. Merita una citazione anche la foresta di Ispulixi de Nie, collocata in un anfiteatro carsico che la protegge dai venti e che consente la crescita di specie arboree tipiche. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI A B. si tramanda ancora la memoria di alcune antiche usanze, in particolare la consuetudine del ballo pubblico al suono delle launeddas; del canto delle donne, attività nella quale un tempo le fanciulle del villaggio erano particolarmente versate: coltivavano questa dote per tutta la vita e, divenute anziane, continuavano a esercitarla come prefiche (attittadoras). Baunei – La festa di San Pietro anima una volta l’anno il silenzio dell’altipiano di Golgo. Peculiare di B. è anche la confezione del pane di ghiande (=) che per lungo tempo si è creduto un nutrimento per buona parte della popolazione, ma è in realtà il risultato di un ‘‘artigianato alimentare’’ tramandato nei secoli, sino a meritare agli abitanti la fama di geofagi (‘‘mangiatori di terra’’; = Geofagia). Tra le feste di maggiore importanza quella di Santa Lucia, che si svolge il 13 giugno nell’antica chiesa di San Giovanni di Ertili; è organizzata dai pastori che hanno i pascoli nei dintorni e si conclude con un banchetto tradizionale che attira molte persone anche di altri paesi. Ma la festa legata a un’antica tradizione sulla fondazione del villaggio, secondo la quale essa sarebbe dovuta a un capraio, è quella di San Pietro: comprende la processione con la statua del santo attraverso l’altipiano e culmina anch’essa con un grande banchetto, nel corso del quale vengono consumati piatti a base di carne di capra. Si dice che già in passato si uccidevano per l’occasione 80 capre, e che le manifestazioni com- 490 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 498 Baylle prendevano un suggestivo palio attorno alla chiesa. des géants en Sardaigne, 1885; Les bronzes de Teti et le fer en Sardaigne, 1885. Bausani, Alessandro Islamista (n. Bavosa = Zoologia della Sardegna Baxo de Onigo Antico villaggio di ori- Roma 1921). Fin da giovane si è dedicato allo studio dell’arabo e, conseguita la laurea nel 1943, agli studi del pensiero religioso e della scienza araba, di cui è considerato un grande conoscitore a livello europeo. Ha intrapreso la carriera universitaria e dal 1971 è professore di Islamistica presso l’Università di Roma; nel 1983 è stato nominato accademico dei Lincei. Autore di numerosi trattati e articoli di alto livello scientifico, ha dedicato alla Sardegna l’articolo La Sardegna nel Kitab i baviyye di Piri Reis, ‘‘Geografia’’, III, 1980. gini medioevali che faceva parte del giudicato di Cagliari, compreso nella curatoria della Trexenta. Sorgeva tra Barrali e Senorbı̀ vicino al monte Onigu. Si era probabilmente sviluppato attorno ai resti di un edificio termale romano; caduto il giudicato di Cagliari, nella divisione del 1258 fu compreso nei territori assegnati ai conti di Capraia che lo trasmisero al giudice d’Arborea. Nei decenni successivi la sua popolazione cominciò a venir meno, e alla fine del secolo XIII il villaggio era completamente spopolato. Bausteri Antico villaggio del giudicato Baylle Famiglia cagliaritana (secc. di Cagliari compreso nella curatoria di Sols. Sorgeva poco a sud di Narcao. Dopo la caduta del giudicato, nella divisione del 1258 fu incluso nei territori assegnati ai Della Gherardesca, i quali, pochi anni dopo, procedettero a una nuova divisione. Il villaggio toccò ai discendenti del conte Gherardo che, all’avvento degli Aragonesi, si dichiararono loro vassalli, conservandone la disponibilità fino al 1353. Negli anni successivi B. fu duramente provato dalle vicende della guerra e si spopolò completamente. XVIII-XIX). Di origine provenzale, si trapiantò in Sardegna nel corso del secolo XVIII. Di condizione borghese, entro la fine del secolo raggiunse una considerevole posizione economica ottenendo la concessione per lo sfruttamento di alcune tonnare. Il benessere economico e i matrimoni accelerarono la trasformazione sociale della famiglia; a partire dalla seconda metà del secolo i suoi membri ottennero ripetutamente rappresentanze consolari di alcuni paesi europei e nel 1795 il cavalierato ereditario e la nobiltà. Si estinsero nel corso del secolo XIX. Baux, Alphonse Studioso di mineralogia (sec. XIX). Legato da profonda amicizia a Leon Goüin, fu da lui interessato all’archeologia sarda. Studiò in particolare i nuraghi e le Tombe di giganti del Sulcis-Iglesiente, cercando di chiarire il problema delle loro origini. Tra i suoi scritti: Essai sur les Nuragues et les bronzes de Sardaigne (con Leon Goüin), 1884; Grotte sépulcrale néolitique S’Orreri a Flumini Maggiore, in ‘‘Materiaux pour l’Histoire primitive et naturelle de l’Homme’’, XVIII, 1884; La pôterie des nuragues et des tombes Baylle, Faustino Cesare Letterato e storico (Cagliari 1771-ivi 1852). Compı̀ i suoi studi nella città natale. Si laureò in Legge giovanissimo nel 1790 e, entrato nell’ordine degli Scolopi, si fece sacerdote. L’arcivescovo Melano di Portula lo nominò suo cappellano e lo creò delegato apostolico; alla pietà univa non comuni doti di studioso e profondità di cultura, per cui dopo il 1796 subentrò all’Angioy nell’insegnamento del Digesto all’Università. Alcuni anni dopo, convinto dell’inno- 491 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 499 Baylle cenza di Vincenzo Sulis, concorse alla sua difesa attirandosi il risentimento di Costantino Musio. Per diversi anni parroco in alcune chiese della città, fu nominato canonico della cattedrale. Tutto faceva pensare che stesse per divenire vescovo, ma quando fu preconizzato vescovo di Ogliastra rinunciò per umiltà. Molti suoi manoscritti, alcuni rimasti inediti, si conservano in un fondo della Biblioteca Universitaria di Cagliari, dove sono anche depositate 72 sue lettere scritte fra il 1827 e il 1832 a Vittorio Angius, che incoraggiò e seguı̀ nella sua preparazione delle voci sarde per il Dizionario storico-geografico del Casalis. Tra i suoi scritti: Discorso sull’invenzione della stampa esposto in nove qualità di caratteri esistenti nella Regia Stamperia di Cagliari l’anno 1778, 1778; Restituendosi il simulacro di Sant’Efisio alla sua chiesa dopo la liberazione dalla flotta francese, 1793; Al preclaro improvvisatore italiano Domenico Rossetti per la pubblica accademia poetica estemporanea data dal medesimo nella gran sala della Regia Università di Cagliari addı̀ 4 novembre 1799, 1799; Vicende tipografiche di Sardegna esposte in dodici qualità di caratteri esistenti nella R. Stamperia di Cagliari a. 1801, 1801; Discorso sull’invenzione della stampa e vicende tipografiche in Sardegna, 1801; In morte del cardinale Cadello, 1807; Calende di novembre dell’anno 1817, 1818. Baylle, Giovanni Cesare Amministratore (Livorno, prima metà sec. XVIIICagliari, fine sec. XVIII). Si trasferı̀ a Cagliari dalla città natale per seguire gli interessi che la famiglia aveva nelle tonnare. A Cagliari si sposò e fu incaricato dal governo di impiantarvi il tribunale del consolato. Fu anche nominato podatario generale degli Stati d’Oliva e in seguito console di Spagna. Fu molto vicino alle posizioni dell’Angioy fino al 1795, schierato nel partito dei novatori. Baylle, Lodovico Studioso ed erudito (Cagliari 1764-ivi 1839). Fratello di Faustino Cesare, si laureò in Legge nel 1783, a 19 anni. Per la sua erudizione e la profonda cultura fu chiamato a insegnare all’Università, ma nel 1786 si trasferı̀ a Torino per seguire la carriera diplomatica, nominato addetto alla legazione spagnola presso la corte sabauda. Da Torino seguı̀ le tormentate vicende politiche della Sarda Rivoluzione su posizioni vicine ai progressisti. Spinto dalla passione per la ricerca storica, si spostò a Firenze, Pisa, Genova, Roma e in altre città italiane: ovunque si procurò o trascrisse documenti che riguardavano la storia della Sardegna, che acquistava o diligentemente copiava negli archivi, raccogliendo in questo modo un’ingente quantità di interessanti testimonianze sulle vicende dell’isola. A partire dal 1797 iniziò a pubblicare i suoi primi lavori scientifici. Nel 1800 tornò a Cagliari dove fu nominato censore dell’Università e console di Lucca. Qui riprese le sue ricerche storiche e ordinò il materiale che aveva raccolto con l’intento di scrivere una storia della Sardegna, ma non vi riuscı̀. Negli anni seguenti si dedicò anche alla professione di avvocato e nel 1804 fu nominato segretario a vita della Reale Società Agraria ed Economica, di cui compilò gli statuti. Nel 1807 fu nominato console generale di Spagna, ma soprattutto continuò a lavorare presso la prestigiosa Società Agraria fino al 1834, non interrompendo mai anche la sua prodigiosa attività di ricercatore e di sistematore di documenti di interesse storico. Divenne cosı̀ un punto di riferimento nella vita culturale della città e ot- 492 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 500 Baylle tenne onorificenze e pubblici riconoscimenti. Alla sua morte lasciò all’Università la propria ricca biblioteca e i numerosi e preziosissimi appunti. Tra i principali scritti a stampa, De ecclesiastica jurisdictione. De episcopis, 1784; Lettera di Lodovico Baylle al barone Vernazza di Freney sopra il sigillo di Gillito vescovo di Ampurias, 1796; Sonetto a S.A.R. Carlo Felice di Savoia capo fondatore della R. Società Agraria ed Economica di Cagliari, 1806; Iscrizione romana illustrata, 1820; Iscrizione sulcitana illustrata, 1820; Discorso per l’avvento al trono di S.M. il re Carlo Felice I detto nella solenne pubblica adunanza della Società Agraria ed Economica di Cagliari tenuta il 15 luglio del 1821, 1821; Nella illuminazione della città di Cagliari in occasione dell’avvento al trono di S.M. Carlo Felice I. Iscrizioni poste nel Palazzo civico, 1821; Nel compleanno di Don Giacomo Pes di Villamarina, sonetto, 1827; Nel fausto arrivo a Cagliari di Sua Altezza Carlo Amedeo Alberto di Savoia il 18 aprile 1829, 1829; Lezione intorno a un diploma di demissione militare dell’imperatore Nerva ritrovato in Sardegna, ‘‘Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino’’, XXXV, 1831; Nel solenne funerale di S.M. Maria Teresa d’Austria celebrato da monsignor Arcivescovo di Cagliari e dal capitolo della primaziale in essa chiesa il dı̀ 10 maggio 1832, 1832; Notizia d’un nuovo congedo militare dell’imperatore Adriano ritrovato in Sardegna, 1836; Sulla patria di Carlo Buragna, 1838. Manoscritti della Collezione Baylle della Biblioteca Universitaria di Cagliari 1. Iscrizione dei bassi tempi illustrata dal Cav. Baille. 2. Dissertazione sulle armi di Sardegna. 3. Aggiunte alla ‘‘Sardinia Sacra’’ del Mattei. 4. Appunti per la storia della tipografia sarda. 5. Lettera di Lodovico Baylle al barone Vernazza di Freney sopra il sigillo di Gillito vescovo di Ampurias. 6. Notizie dello stato della Sardegna date dopo il 1826. 7. Materiali per la illustrazione dei quattro giudicati di Sardegna. 8. Bozze d’illustrazione delle vicende della sarda tipografia. 9. Lavori sopra i codici della Laurenziana di Firenze sulla nomenclatura dei paesi e popoli di Sardegna. 10. Elenco, nella più gran parte in ordine alfabetico, delle persone colle rispettive loro qualificazioni, nonché dei luoghi più notevoli mentovati in tutte le carte che il cav. Baille ragugnava per illustrare la storia della Sardegna. 11. Sul documento in sardo della certosa di Firenze. 12. Sui calendari sardi. 13. Sul mosaico della Sardegna. 14. Memorie e documenti di storia sarda. 15. Memorie e documenti di storia sarda. 16. Notizie riguardanti all’epoca dei pisani in Sardegna. 17. Notizie riguardanti all’epoca dei Pisani in Sardegna. 18. Frammento d’uno scritto ideato sull’antico commercio di Sardegna. 19. Memoria sopra una statua marmorea colossale dissotterrata nella penisola di S. Antioco ed ora collocata nell’atrio della R. Università di Cagliari. 20. Cenni sopra i concili di Sardegna. 21. Quadro dei feudi, diritti regali ed effetti demaniali del regno di Sardegna alienati dal 1720 al 1774. 22. Sulle reliquie di Sant’Efisio. 23. Sull’innesto del vaiolo in Sardegna. 24. Proposta di conferenze per l’agricoltura. 25. Memorie e documenti di storia sarda. 26. Memorie e documenti di storia sarda. 27. Memorie e documenti di storia sarda. 28. Memorie e documenti di storia sarda. 29. Memorie e documenti di storia sarda. 30. Memorie e documenti di storia sarda (queste Memorie sono contenute nei portafogli III-VIII). 31. Bibliografia sarda. 32. Scritture varie relative ad uomini 493 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 501 Bayne Cope illustri ed alla storia di Sardegna. 33. Raccolta di iscrizioni sarde sparse nei vari luoghi dell’Isola. 34. Raccolta di carte concernenti la Sardegna. 35. Raccolta di carte concernenti la Sardegna. 36. Raccolta di carte concernenti la Sardegna. Queste Raccolte sono contenute nei portafogli X-XII. Bayne Cope, A.D. Archeologo inglese (n. sec. XX). Collaborò alla redazione del catalogo di Barnett-Mendleson, classificando i sigilli e gli scarabei provenienti da Tharros in possesso del British Museum: Scarabs and Seals: scientific Examinations (con M. Bimson), in A catalogue of material from Phoenician and other tombs at Tharros in the British Museum, 1987. Bazama, Mustafà Funzionario diplomatico libico (n. sec. XX). Ha soggiornato in Sardegna negli anni Ottanta del Novecento, interessandosi di editoria destinata alla Libia e ai paesi di lingua araba, alle cui esigenze era stato adattato un grande centro stampa alla periferia di Cagliari. Studioso di storia medioevale, ha approfondito con grande impegno il problema dei rapporti tra la Sardegna e il mondo arabo nell’Alto Medioevo. Oltre ad alcuni articoli (Assemini e gli arabi, ‘‘L’Unione sarda’’, 1986, e Un toponimo sardo vuol dire pace e convivenza: Nurallao, ‘‘Ichnusa’’, n.s., V, 5, 1986) ha pubblicato anche due volumi, Arabi e Sardi nel Medioevo, 1988, e Un’ipotesi sul declino d’una grande e ricca Sardegna, 1989, per i quali ha ottenuto speciali riconoscimenti. Bazzoni, Gian Paolo Scrittore (n. Porto Torres 1935). Appassionato cultore della lingua sassarese, ha scritto vari testi teatrali rappresentati a Sassari e provincia. Tra le sue opere: la raccolta di versi Cosi e passunaggi di Posthudorra, 1995; Elementi di grammatica sassarese, 1999; il romanzo in dialetto turritano Una frabigga di sogni, 2001; Dizionario fraseologico Sassarese-Italiano, 2001. Il volume di Teatro in sassarese, 2006, raccoglie dieci sue commedie. Beatrice d’Arborea Figlia di Mariano IV (Oristano 1342-Narbona, fine sec. XIV). Nacque proprio nell’anno in cui suo padre tornò in Sardegna; cresciuta nella corte arborense, dopo la conclusione della prima guerra tra Mariano VI e Pietro IV fu data in ostaggio per garantire il trattato di pace. Nel 1363 fu chiesta in sposa dal visconte di Narbona; le nozze avvennero a Narbona poco tempo dopo; dall’unione nacque l’ultimo giudice d’Arborea, il visconte Guglielmo. Beatrice d’Este Moglie di Nino di Gallura (Ferrara, seconda metà sec. XIIIMilano, prima metà sec. XIV). Figlia del marchese Obizzone II signore di Ferrara, sposò il giudice Nino di Gallura, dal quale ebbe Giovanna di Gallura. Rimasta vedova nel 1298, nel 1300 si sposò una seconda volta con Galeazzo Maria I Visconti signore di Milano. Dal matrimonio nacque Azzo I, signore di Milano, che, dopo la morte della sorellastra, portò il titolo di giudice di Gallura e, dedicando un sepolcro monumentale alla madre in una chiesa di Milano, memore dell’ammonimento attribuito da Dante a Nino di Gallura («Non le farà sı̀ bella sepoltura / la vipera che ’l milanese accampa / com’avria fatto il gallo di Gallura», Purg. VIII), fece scolpire sul fronte della tomba tutti e due gli stemmi, il gallo dei Visconti di Gallura e il ‘‘biscione’’ dei Visconti milanesi. Beccaccia = Zoologia della Sardegna Beccamoschino = Zoologia della Sardegna 494 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 502 Becco di gru Laureato in Giurisprudenza, divenne funzionario dell’allora ETFAS (ora ERSAT) e si dedicò alla politica. Cattolico, ha militato nella DC, arrivando a ricoprire incarichi nella direzione nazionale del partito. Nel 1972 è stato eletto deputato per la VI legislatura repubblicana, ma successivamente non è stato riconfermato. Nel 1979 è stato eletto consigliere regionale per l’VIII legislatura nel collegio di Cagliari e riconfermato successivamente per la IX legislatura (1979-1989). Cessato l’impegno istituzionale, è stato presidente dell’ESAF (Ente Sardo Acquedotti e Fognature) e in seguito presidente dell’Azienda Mezzi Meccanici del porto di Cagliari. Becciu, Francesco Pittore (n. Ozieri Felice Beccaro – Piemontese, fu vescovo di Nuoro durante gli anni della seconda guerra mondiale. Beccaro, Felice Religioso (Grognardo, seconda metà sec. XIX-?, seconda metà sec. XX). Vescovo di Nuoro dal 1939 al 1947. Divenuto sacerdote, fu per anni parroco di Ovada. Nel 1939 fu nominato vescovo di Nuoro. Resse la diocesi nei difficili momenti della seconda guerra mondiale. Nel 1946 fu trasferito a San Miniato, ma continuò ad amministrare anche Nuoro fino al 1947. Becciu, Angelo1 Vescovo, diplomatico vaticano (n. Pattada 1948). Divenuto sacerdote, dopo la laurea è entrato nella diplomazia vaticana; nel corso degli anni ha lavorato presso le nunziature della Nuova Zelanda, dell’Inghilterra, della Francia e degli USA. Nel 2001 è stato nominato vescovo dell’Angola e di Saõ Tomé de Prince. Becciu, Angelo2 Funzionario, uomo politico (n. Serrenti 1939). Consigliere regionale, deputato al Parlamento. 1929). Diplomato all’Istituto d’Arte di Sassari, esordisce come pittore figurativo nei primi anni Cinquanta, e partecipa a varie mostre (Nuoro, III e IV Mostra d’Arte figurativa, 1995 e 1956; Nuoro, ‘‘Premio Sardegna’’, 1957; ‘‘Premio Sassari’’, 1963; Cagliari, ‘‘Omaggio alla Resistenza’’, 1963). A metà degli anni Settanta è vicino al Gruppo A, con cui espone nel 1965 al ‘‘Cancello’’ di Sassari. La sua ricerca punta, per mezzo di un calibrato dosaggio tonale del colore, delle superfici corrose come vecchi intonaci, e di misurati accenni di scomposizione, all’evocazione di un mondo di immagini mitiche e arcaizzanti, filtrate dalla memoria. Ha dipinto grandi quadri per diverse chiese sarde, tra cui Santa Maria di Betlem a Sassari e la parrocchiale Sant’Elena di Benetutti. Becco di gru Pianta erbacea annuale o biennale della famiglia delle Geraniacee (Erodium cicutarium (L.) L’Her.). Le foglie basali, a rosetta, sono composte e pennate; i fiori, di diverse tonalità di rosa, sono riuniti in piccole infiorescenze a ombrella; il frutto è un ache- 495 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 503 Bechi nio peloso con becco allungato. Fiorisce tra febbraio e marzo e vegeta spontaneo nei terreni incolti e sassosi. Il b. di g. corso (E. corsicum Léman) è un piccolo arbusto con fusti legnosi, ricoperti di peluria. Le foglie, dal lungo picciuolo, sono ovali con margine crenato (cioè con dentellature arrotondate), i fiori piccoli, rosa con venature viola. Il frutto, ricoperto di peluria, è un achenio con becco allungato. Fiorisce in tarda primavera. Endemismo sardo-corso, cresce sulle rocce costiere del nord Sardegna. È inserito, in base alla proposta di L.R. n. 184/ 2001, nell’elenco di specie botaniche da sottoporre a vincolo di protezione. Nomi sardi: éiba ridózza (sassarese); èlba fulchétta (gallurese); erba de agúllas (campidanese); orolózos (nuorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Bechi, Giulio Militare e scrittore (Firenze 1870-Gorizia 1917). Nato da una famiglia di piccola nobiltà, si dedicò alla carriera militare. Dal 1895 al 1897 fu in Africa, e su quell’esperienza scrisse Fra il bianco e il nero (1898). Nel 1899, come tenente del 67º reggimento di fanteria, fece parte del corpo di spedizione inviato in Sardegna per reprimere il banditismo del Nuorese e delle zone interne. Da quel soggiorno in Barbagia trasse i materiali per il libro Caccia grossa. Scene e figure del banditismo sardo, che pubblicò nel 1900 a Milano, sotto lo pseudonimo di ‘‘Miles’’: il che non gli risparmiò furiose polemiche con alcuni intellettuali sardi, offesi per i suoi giudizi su quel mondo che aveva conosciuto (l’avvocato nuorese Ciriaco Offeddu lo sfidò a duello, e tutto il chiasso gli costò due mesi di arresti nella fortezza fiorentina di Belvedere). Il libro fu ristampato da Treves nel 1914; i nomi dei protagonisti (‘‘travisati’’ nella prima edizione) erano ora quelli veri: «Il Croce dà un giudizio fa- vorevole di questo romanzo – avrebbe scritto Gramsci in una nota dei Quaderni del carcere a proposito di una sua opera precedente, I seminatori – e in generale dell’opera letteraria del B., specialmente della Caccia Grossa», che Gramsci giudicava «un libro da politicante e dei peggiori che si possa immaginare». «In fondo – ha scritto Manlio Brigaglia nella edizione recente della ‘‘Bibliotheca sarda’’ della nuorese Ilisso (1997) – le cose che B. diceva dell’isola erano le stesse che tanti sardi, a cominciare dal Memoriale del circondario di Nuoro alla commissione parlamentare d’inchiesta del 1869, avevano detto più volte e anche con maggiore severità». Tornato alla carriera, B. scrisse una serie di romanzi, ispirati alla vita militare e ai problemi dell’esercito. Dopo la guerra di Libia, rientrò in servizio nella prima guerra mondiale. Morı̀ nel fronte di Gorizia nella primavera del 1917 alla testa del suo reggimento. Fu decorato di medaglia d’oro al V.M. alla memoria. Bechi Luserna, Alberto Ufficiale di carriera (Firenze?, fine sec. XIX-Macomer 1943). Figlio di Giulio, nel settembre del 1943 era capo di Stato Maggiore della Divisione Paracadutisti ‘‘Nembo’’ che, battutasi con grande eroismo a El Alamein, dopo la caduta della Tunisia era stata trasferita in Sardegna. Alla notizia dell’armistizio un battaglione decise di seguire i tedeschi che si ritiravano verso la Corsica per continuare a combattere al loro fianco. Quando il reparto abbandonò il suo accampamento, B.L. lo raggiunse a Castigadu, alle porte di Macomer, il pomeriggio dell’11 settembre. Secondo i verbali del processo celebrato a Napoli nel dicembre 1950, quando incontrò il capitano Alvino, uno dei comandanti del battaglione, B.L. esclamò: «Ma che siete matti?»; Alvino rispose: «Non 496 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 504 Bedos siamo traditori», e quando B.L. accennò a scendere dalla macchina gli sparò un colpo di pistola, subito seguito da una scarica di mitra di un altro paracadutista. Il corpo di B.L., infilato in un sacco di iuta, fu caricato su uno dei camion con cui i paracadutisti ribelli risalivano verso Santa Teresa Gallura, e da qui fu lanciato in mare durante la traversata delle Bocche di Bonifacio. Alla sua memoria fu conferita la medaglia d’oro al V.M. Becker, Marshall J. Archeologo americano (n. sec. XX). Studioso dell’Età del Bronzo in Sardegna, nel 1984 ha preso parte alla I sessione sull’Archeologia della Sardegna organizzata da Balmuth e Rowland presso l’Università del Michigan. Tra i suoi scritti: Sardinia and Mediterranean Copper Trade: Political Development and Colonialism in the Bronze Age, ‘‘Anthropology’’, IV, 1980; Sardinian stone moulds. An indirect means of evaluating Bronze Age Metallurgical Technology, in Studies in Sardinian Archaeology, I, 1984; Cultural Uniformity during the Italian Iron Age: Sardinian Nuraghi as Regional Markers, in Sardinia in the Mediterranean: a Footprint in the Sea, Studies in Sardinian Archaeology, 1992. Bedaux Sistema di organizzazione scientifica del lavoro. Prende il nome dal suo ideatore, l’ingegner Charles B. (1888-1949). Applicato in quasi tutte le miniere sarde a partire dalla fine degli anni Venti portò a una situazione di tensione tra maestranze e proprietà. Fu introdotto dall’ingegner Paul Audibert, responsabile tecnico della Pertusola, dapprima nella miniera di Ingurtosu e poi in quella di San Giovanni. Si basava sulla possibilità di sottoporre i minatori a un esame preventivo di attitudini, forze fisiche e psichiche nell’intento di stabilire preventivamente a quale compito destinare ciascuno di loro e migliorane cosı̀ la resa e le condizioni di sicurezza personale. Per rendere possibile l’operazione furono determinati coefficienti teorici di rendimento professionale da applicare come parametri di riferimento al momento della selezione del personale. A questo fine fu costituito nelle miniere della società il gabinetto psico-tecnico che fu affidato alla direzione dell’ingegner Brasseur, e tutti i nuovi assunti furono sottoposti a visita psico-attitudinale creando molto malcontento nel personale. Dopo un periodo di prova, però, il sistema diede buoni frutti, perché la selezione preventiva non solo consentı̀ di migliorare il rendimento, ma anche di evitare o ridurre il numero degli incidenti sul lavoro, per cui il sistema venne adottato anche nelle altre miniere. Bedos Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria di Figulinas. Sorgeva in prossimità di Codrongianos. Agli inizi del secolo XIII, per un matrimonio, il villaggio entrò a far parte dei territori che vennero in possesso dei Malaspina. Quando si estinse la famiglia dei giudici di Torres essi lo inclusero nel loro piccolo stato e lo governarono con senso di giustizia, instaurando un buon rapporto con i loro vassalli. Con l’arrivo degli Aragonesi nel 1323 essi prestarono omaggio feudale all’infante Alfonso e cosı̀ B., almeno formalmente, entrò a far parte del Regnum Sardiniae. La nuova situazione fu di breve durata: infatti i Malaspina, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, si schierarono al loro fianco contro gli Aragonesi; cosı̀ nel 1330 il villaggio fu assalito dalle truppe di Raimondo Cardona e subı̀ gravi danni. Negli anni che seguirono cominciò a decadere e a spopolarsi ma continuò a rimanere in possesso dei Malaspina fino 497 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 505 Bejor al 1342, anno in cui il marchese Giovanni, morendo senza eredi, lo lasciò in eredità con tutto quanto possedeva a Pietro IV d’Aragona. I fratelli del defunto, irritati, tentarono di resistere con le armi al re e il villaggio cadde nel caos. Dopo alterne vicende B. fu sequestrato definitivamente ai Malaspina nel 1353; la sua popolazione era ridotta ormai a poche decine di abitanti. Nel corso dei decenni successivi, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, diventato teatro delle operazioni, si spopolò completamente e scomparve. Bejor, Giorgio Archeologo (n. Padova 1948). Specializzato in studi sull’età punico-romana, dal 1985 insegna presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa. Si è interessato alla Sardegna tra il 1990 e il 1993, quando ha fatto parte della missione di scavo dell’Università di Pisa a Nora. Tra i suoi scritti: Alcune questioni su Nora romana, in L’Africa romana. Atti dell’VIII Convegno di studi, 1991; L’abitato romano di Nora: distribuzione, cronologie, sviluppi, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 9, 1992; Nora II. Riconsiderazioni sul teatro, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 10, 1994; Romanizzazione ed evoluzione dello spazio urbano in una città punica: il caso di Nora, in L’Africa romana. Atti del X Convegno di studi, 1994; Nora III. Appunti sull’evoluzione urbana dell’area A-B e delle Piccole Terme, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 11, 1995; Il settore nord occidentale. Ricerche su Nora I (anni 1990-1998), 2000. Belgrano di Famolasco, Saverio Ingegnere militare (Torino, prima metà sec. XVIII-ivi 1788). Discendente da una famiglia di tradizioni feudali, uffi- ciale di carriera, fu inviato in Sardegna nel 1761 con il compito di provvedere a restaurare e rimodernare il sistema delle fortezze dell’isola. Oltre che di architettura militare, si interessò di architettura civile; nel 1765 realizzò il progetto del palazzo dell’Università e del Seminario di Cagliari, la cui costruzione seguı̀ con impegno fino alla sua partenza da Cagliari dopo il 1772; il suo nome è legato anche ad altre costruzioni. Belladonna Pianta erbacea perenne della famiglia delle Solanacee (Atropa belladonna L.). Cespugliosa, ha fusto eretto, alto sino a 150-200 cm, foglie ovato-lanceolate, più appiattite quelle superiori; i fiori, rosso-viola, sono campanulati; i frutti sono bacche nere lucide. Emana un caratteristico odore sgradevole. Allo stato spontaneo è diffusa nei boschi, specie nel Marghine, Goceano e Montiferru, con predilezione per i punti più freschi e umidi. Velenosa, ha proprietà narcotiche e anestetiche. I suoi princı̀pi attivi (come l’atropina) vengono usati in medicina. Fiorisce da giugno a settembre. [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Belladonna – Particolare durante la fioritura. Bellarosa Minore Area palustre cagliaritana situata accanto allo stagno di Molentargius. Si formò nel 1952, quando per salvare dall’inquinamento le saline fu costruito un argine di salva- 498 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 506 Bellieni guardia. L’afflusso periodico di acque fognarie favorı̀ lo sviluppo di foltissimi canneti e di altra vegetazione che consentı̀ lo stanziamento di specie rare di uccelli. Quando fu chiuso alla caccia l’intero stagno divenne un’oasi faunistica, e nel 1993 per la prima volta vi nidificarono i fenicotteri. Camillo Bellieni – Storico, militante politico, è considerato l’ideologo e il fondatore del Partito sardo d’Azione (1921). Bellieni, Camillo Ideologo politico, fondatore del PSd’Az (Thiesi 1893-Napoli 1976). Da studente prese parte alla prima guerra mondiale, e fu decorato più volte. Nel dopoguerra proseguı̀ i suoi studi laureandosi in Legge a Sassari e in Filosofia a Roma. Attirato dal dibattito politico, fu tra coloro che si adoperarono per la trasformazione del movimento dei combattenti in partito, secondo la proposta approvata nel Congresso di Macomer (agosto 1920) della Federazione regionale sarda dell’Associazione Nazionale dei Combattenti: ma la proposta di una federazione di ‘‘partiti d’azione’’ regionali che sarebbe dovuta nascere dal congresso nazionale dell’ANC fu respinta. Cosı̀ si decise di dare vita nell’isola a un partito, che si sarebbe chiamato, appunto, Partito Sardo d’Azione, che fu fondato ufficialmente nel Congresso di Oristano, nell’aprile del 1921, alla vigilia delle elezioni politiche regionali in cui la lista dei Quattro mori (adottati come stemma del partito) raccolse una straordinaria messe di consensi, vicina al 29,6% dell’elettorato, ed elesse 4 dei 12 deputati della Sardegna al Parlamento. B., restio a scendere nella ‘‘rissa’’ elettorale, assunse le più alte responsabilità nel partito, di cui già nel 1924 fu eletto direttore regionale. Si impegnò nell’opposizione al fascismo fino al 1925, quando si trasferı̀ a Trieste come insegnante di filosofia. Nel ventennio si tenne lontano dalla politica, ripiegando su un impiego di segreteria all’Università di Napoli, che gli permetteva di dedicarsi agli studi di storia in cui si segnalò per il rigore delle sue ricerche. Non interruppe, però, i legami col mondo sardo: rimase socio corrispondente della Deputazione di Storia patria e continuò a coltivare le vecchie amicizie. Caduto il fascismo non rientrò da militante o da dirigente nel suo vecchio partito, preferendo occuparsi prevalentemente dei suoi interessi culturali. La sua bibliografia è molto vasta, anche perché, oltre alle grandi opere storiografiche, collaborò intensamente alla stampa politica. I primi suoi articoli apparvero su ‘‘La Voce dei Combattenti’’, giornale degli ex combattenti sardi: fra gli altri, Per la Sardegna, 1919; In tema di questione sarda, 1919; Idee e programmi, 1919; Emilio Lussu, 1919; Il partito dei combattenti, 1919; Programma politico-regionale, 1919; La Sardegna di fronte al programma socialista, 1919; Il Partito Sardo d’Azione e le 499 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 507 Bellieni necessità locali, 1920; L’ambiente sociale sardo nel momento attuale, 1920; Il Partito sardo è un fatto compiuto, 1920; Relazione sul partito politico di rinnovamento, 1920; Sciogliete la Brigata Sassari! Lettera aperta a S.E. Ivanoe Bonomi, 1920; Il nostro movimento è anticattolico?, 1920; I sardi di fronte all’Italia, 1920; Perché non abbiamo nessuna intenzione di iscriverci nel PRI, 1921; Noi e i repubblicani, 1921; L’ambiente sociale sardo nel momento attuale, 1921. Alla ‘‘Voce dei Combattenti’’, dopo la nascita del partito, succedette ‘‘Il Solco’’; tra gli articoli scritti per il giornale, Lineamenti di programma politico secondo gli ordini del giorno approvati al Congresso di Oristano, 1921; Per sfatare una stupida leggenda. Noi e l’unità d’Italia, 1921; Il problema autonomistico, 1922; Fascismo e Sardegna, 1922; Partito d’Azione e fascismo, 1922. Altri articoli apparvero, negli anni 19221926, sui periodici democratici: Studi regionali. Cultura e crisi spirituale sarda, ‘‘La Critica politica’’, 1922; La Sardegna in 200 anni di storia italiana, ‘‘Volontà’’, 1922; L’avvenire cooperativo della Sardegna, ‘‘Volontà’’, 1922; Il problema autonomistico , ‘‘Il Popolo sardo’’, 1923; Il pensiero politico del Partito Sardo d’Azione attraverso i suoi congressi, ‘‘Il Popolo sardo’’, 1923. In vista delle elezioni politiche scrisse una breve, stimolante biografia di Emilio Lussu, per le edizioni de ‘‘Il Nuraghe’’, 1924. Altri articoli polemici accompagnarono l’ultima resistenza alla nascita della dittatura fascista: Autonomismo autorità e libertà, ‘‘Sardegna’’, I, 8, 1924; Il fascismo e i suoi metodi, ‘‘Il Popolo sardo’’, 1924; Frenare gli entusiasmi. In merito al passaggio di Umberto Cao dal sardismo al fascismo, ‘‘Sardegna libera’’, 1924; L’associazione nazionale dei combattenti, ‘‘Critica politica’’, 1925; Stati di spirito in Sarde- gna, ‘‘Conscientia’’, 1925; Il Congresso del Partito sardo d’Azione, ‘‘Il Solco’’, 1925; Il V Congresso del Partito sardo d’Azione, ‘‘l’Unità’’, 1925. Il lungo saggio Lineamenti di una storia della civiltà in Sardegna, ‘‘Il Nuraghe’’, II-IV, 19241926, anticipa le più impegnative opere storiche, già da Il processo di Scauro, pubblicato ne ‘‘Il Nuraghe’’, la combattiva rivista ‘‘sardista’’ di Raimondo Carta Raspi; Attilio Deffenu e il socialismo in Sardegna, 1925, è invece un altro libretto biografico della collana ‘‘Le Avanguardie di Sardegna’’ in cui era uscito l’opuscolo su Lussu. Con il saggio su Enfiteusi, schiavitù, colonato in Sardegna all’epoca di Costantino, 1928, diventano più frequenti le opere di storia. La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, vol. 2, 1928-1931, è considerato il più importante dei suoi studi storiografici. Alle opere sulla Sardegna romana (fatta eccezione per una biografia divulgativa dedicata a Eleonora di Arborea, 1929) appartengono i saggi su Difesa della proprietà e reati rurali in Sardegna e Dalmazia, ‘‘Il Nuraghe’’, VII, 4, 1929; Capitatio plebeia e capitatio humana, 1931; Il Caput fiscale di Sardegna nel basso impero, 1931; Decima e stipendium in Sardegna durante l’Età repubblicana, in Atti del Congresso nazionale di Studi romani, III, 1931. Dopo un silenzio quasi ventennale, suoi scritti ricompaiono alla caduta del fascismo: Palladio Rutilio Tauro Emiliano ritenuto sardo, ‘‘Il Solco’’, 1945; Trieste 1921, ‘‘Riscossa’’, 1945. Un ultimo gruppo di articoli di curiosità (o analisi) storiche appare nella rivista ‘‘Shardana’’: La Sardegna dal XVIII sec. ai giorni nostri. L’eredità iberica, 1946; Il governo militaresco del viceré piemontese, 1946; Il rinascimento della vita sarda e l’unificazione amministrativa col Piemonte, 1946; G.B. Tuveri e 500 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 508 Bellit l’ambiente sardo nel Risorgimento, 1946; Dibattiti, voci e allarmi, 1946; Il quarantennio prima della guerra mondiale, 1946; I primi consensi autonomistici, 1946; La crisi di trasformazione dell’economia isolana, 1946; Per un nuovo partito, 1946; La produzione sarda alla vigilia del conflitto mondiale 1914-18, 1947; La crisi fascista e le prospettive per l’avvenire isolano, 1947. Sul numero speciale de ‘‘Il Ponte’’, VII, 9-10, 1951, dedicato alla Sardegna è presente con due saggi: Il nome di Cagliari e la Galilea di Sardegna e Stratificazioni storiche nella civiltà della Sardegna antica. Torna a collaborare alla rinata ‘‘Nuova Sardegna’’: Quando i barbaricini ritornarono al paganesimo, 1954; I preti sardi aborrivano la castità, 1956; Ambiente sociale e correnti ideali in Sardegna dal V sec. all’XI, 1956; Pagine di storia sarda, 1957; Correnti commerciali sardo-marsigliesi, 1957; Le navi da corsa longobarde assaltano le città sarde nel 591-598, 1957; Contro la munita fortezza sarda s’infrangono le incursioni saracene, 1957; Le flotte di Pisa e di Genova sgominarono i Saraceni, 1958; Le relazioni mediterranee nella Sardegna dal secolo VI all’XI, 1958; Altre notizie e precisazioni sul movimento liberista nel 1913-14. Attilio Deffenu e Nicolò Fancello, 1965; I soldati sardi dalle trincee della guerra mondiale alla realtà del dopoguerra nell’isola, 1967. Nuovi saggi storici sono: La terminologia giuridica nell’ordinamento medioevale sardo di diritto pubblico, in Studi storici in onore di Francesco Loddo Canepa, I, 1959; La lotta politica in Sardegna dal 1848 ai giorni nostri, in La Sardegna nel Risorgimento, 1962; L’attività diplomatica del giudice di Sardegna intorno alla metà del secolo IX, 1963; La Sardegna e i Sardi nella civiltà dell’Alto Medioevo, voll. 2, edito dal cagliaritano Fossataro nel 1973, è l’altra sua opera di grande impegno storiografico. L’antologia Partito sardo d’Azione e repubblica federale. Scritti 1919-25 (a cura di Luigi Nieddu), 1985, offre un panorama particolarmente rappresentativo dei suoi interessi politici e delle sue scelte di storico. Bellisai, Franco Intellettuale cagliaritano (Cagliari, prima metà sec. XX-ivi 1985). Fu tra gli ideatori e i fondatori del Centro Universitario Teatrale, che negli anni Sessanta del Novecento fece fare un deciso salto di qualità alle attività teatrali in Sardegna. Bellit Famiglia cagliaritana di probabili origini catalane (secc. XV-XVII). Le sue notizie risalgono al secolo XV. Apparteneva al ristretto numero delle famiglie di origine mercantile che furono protagoniste di una fitta rete di operazioni mobiliari e immobiliari che caratterizzarono la vita economica della città. Fin dagli inizi del secolo i B. compaiono in possesso di ingenti risorse finanziarie e tra i protagonisti dell’attività di compravendita dei feudi caratteristica di quel periodo; il primo personaggio di rilievo fu Pietro che, collegato con gli Aragall, vendette e acquistò feudi, accumulando un discreto patrimonio che alla fine comprendeva il vasto feudo di Nuraminis e una parte del Sulcis. Dai suoi figli Ludovico e Giacomo vissuti tra la seconda metà del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, discesero due rami della famiglia: da Giacomo discese il ramo non feudale, che espresse alcune interessanti personalità e si estinse agli inizi del secolo XVII; Ludovico continuò il ramo principale: agli inizi del secolo XVI ereditò il patrimonio feudale degli Aragall ed entrò a far parte della cerchia ristretta dell’alta aristocrazia cagliaritana. La sua discendenza si estinse tragicamente alla fine del secolo XVI a causa di un nau- 501 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 509 Bellit fragio che aprı̀ una lunga contesa ereditaria. Bellit, Antioco Barone di Acquafredda (Cagliari, prima metà sec. XVI-Sassari, 1570 ca.). Figlio di Ludovico, pur essendo nato a Cagliari visse prevalentemente a Sassari, dove aveva sposato Erilla Cariga. Abile uomo d’armi, fu nominato governatore di Castellaragonese e nel 1554 si distinse respingendo con valore un attacco di pirati turchi. In seguito fu nominato governatore del Capo di Sassari e Logudoro e si adoperò per la diffusione dell’istruzione pubblica, favorendo l’insediamento dei Gesuiti in città. Nel 1563 ebbe in dono le signorie di Ittiri e Uri, che però nel 1564 donò alla sorella Elena in occasione delle sue nozze con Agostino Gualbes. Morı̀ alcuni anni dopo. Bellit, Arcangelo Minore conventuale (Cagliari, prima metà sec. XVI-ivi, fine sec. XVI). Figlio del barone Ludovico, fu destinato alla vita religiosa. Divenuto monaco, si distinse per la sua notevole cultura, ma nel 1571 fu accusato di essere luterano e fu incarcerato, processato dall’Inquisizione e condannato al rogo. Subito dopo ritrattò e, grazie alle aderenze della famiglia, ebbe la pena commutata nel carcere a vita. del Regno di Sardegna, sicché nel 1572, durante il parlamento Coloma, fu incaricato di raccogliere i capitoli di corte approvati dai parlamenti sardi tra il 1421 e il 1558 e di commentarli con l’intento di renderne accessibile il complesso. La sua opera, Capitols de cort del stament militar de Sardenya, 1572, considerata la base delle successive raccolte di atti parlamentari, si rivelò di grande utilità. Bellit, Giovanni Nobile cagliaritano (Cagliari, metà sec. XVI-ivi 1597). Ultimo rappresentante maschio del ramo feudale della sua famiglia. Figlio del barone Antioco, gli succedette nel possesso dell’immenso patrimonio della famiglia, ma nel 1597, costretto a tornare in patria durante l’inverno, perı̀ miseramenente in un naufragio. Egli lasciò erede un’unica figlia, Caterina, che però morı̀ a sua volta poco dopo. Bellit, Ludovico Barone di Acqua- prima metà sec. XVI-?, fine sec. XVI). Figlia del barone Salvatore e sorella di Antioco, sposò Agostino Gualbes, e quando morı̀ Caterina Bellit sua nipote rivendicò il possesso del patrimonio feudale per il proprio figlio Ludovico Gualbes, entrando in lite con il fisco e con suo nipote Salvatore II. fredda (Cagliari, fine sec. XV-ivi 1526). Figlio di Salvatore I, nel 1512 fu dichiarato erede del feudo di Giojsaguardia appartenente alla famiglia di sua madre e nel 1519 ereditò anche il patrimonio feudale e i molti debiti di suo padre. Oculato e abile amministratore, riuscı̀ a risanare la situazione patrimoniale della famiglia e a recuperare le baronie di Monastir e Nuraminis. Poco dopo esercitò il diritto di riscatto della baronia di Acquafredda, unificando in un unico grande feudo Acquafredda, Palmas, Gioiosaguardia, Decimomannu, Villaspeciosa, Nuraminis e Monastir. Bellit, Francesco Giurista (Cagliari, Bellit, Pietro Finanziere e mercante prima metà sec. XVI-?, fine sec. XVI). Figlio di Giacomo, uomo di profonda cultura, oltre che occuparsi di diritto amava scrivere anche versi con qualche successo. Conseguita la laurea, studiò a fondo il sistema istituzionale (Cagliari, prima metà sec. XV-ivi 1470). Può essere considerato l’iniziatore delle fortune della famiglia; nel periodo tra il 1454 e il 1460 fu tra i più intraprendenti e fortunati protagonisti della compravendita dei feudi in Sar- Bellit, Elena Gentildonna (Cagliari, 502 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 510 Bellomi degna. Nel 1454, infatti, acquistò dai Dedoni la signoria di Monastir e dagli Aragall quella di Nurallao; nel 1455 estese i confini del feudo di Monastir acquistando Sibiola e Baratuli dai Ferrer e Nuraminis dai De Sena, ottenendo sull’intero complesso il misto e mero imperio. Abilmente fece sposare sua figlia Isabella a Giacomo Aragall, governatore di Cagliari, ed entrato con lui in società, nel 1460 acquistò Asuni e Nureci da Pietro Joffre; nel 1466, sempre in società con Aragall, riuscı̀ a liberarsi di Nurallao, Asuni e Nureci e con i denari recuperati acquistò da Giorgio Otger la baronia di Acquafredda. Negli anni seguenti la sua posizione finanziaria si consolidò ulteriormente, tanto da essere in grado di prestare ingenti somme al conte di Quirra e al visconte di Sanluri; nel 1464 liquidò l’Aragall dall’affare di Acquafredda, che cosı̀ rimase completamente nelle sue mani. Negli ultimi anni di vita, superata una momentanea difficoltà economica, fece con grande accortezza sposare il figlio Salvatore con Ludovica Aragall, figlia del barone Giacomo di Gioiosaguardia. Bellit, Ranieri Gentiluomo cagliaritano (sec. XVI). Figlio del barone Ludovico, fu uno dei protagonisti della fronda dell’aristocrazia cagliaritana nei confronti del viceré Cardona che ne voleva limitare i privilegi. Amico di Salvatore Aymerich, quando quest’ultimo fu accusato di falso in scritture egli fu coinvolto nel caso e indicato come l’autore materiale della falsificazione, ma grazie alle pressioni di amici e parenti riuscı̀ a liberarsi dall’accusa. Nel 1567 fu nominato governatore della Tanca Regia, dove con grande competenza promosse l’allevamento di cavalli di pregio. Nel 1575, conclusa una lunga lite con gli Escarchoni, riuscı̀ a recuperare il feudo di Marganai, ma, entratone in possesso, si rese conto che le rendite del piccolo feudo erano gravate dai debiti, per cui nel 1576 preferı̀ cederlo a Michele Otger, il procuratore che lo aveva assistito nel processo. Bellit, Salvatore I Signore di Monastir e di Nuraminis (Cagliari, metà sec. XVivi 1519). Figlio di Pietro, anche lui fu un abile uomo d’affari e, come suo padre, tra il 1494 e il 1498 cedette vantaggiosamente la baronia di Acquafredda al suocero Giacomo Aragall e con il ricavato acquistò il grande feudo di Nuramis, che unı̀ a quello di Monastir. In seguito seppe sfruttare a suo vantaggio l’imminente pericolo di estinzione della discendenza maschile della famiglia di sua moglie; infatti nel 1504 riacquistò dal suocero la baronia di Acquafredda e negli anni seguenti, estinti gli Aragall, tentò di entrare in possesso del loro grande patrimonio per il suo figliolo Ludovico, scontrandosi con il fisco. La lite fu lunga e dispendiosa e si concluse nel 1512, ma gli costò la confisca di Monastir. Bellit, Salvatore II Gentiluomo (Cagliari, seconda metà sec. XVI-ivi, 1611 ca.). Figlio di Giacomo, all’estinzione del ramo feudale della sua famiglia entrò in lite con Ludovico Gualbes rivendicando la successione al vistoso patrimonio. Sostenne la lite fino al 1600, quando i due trovarono un accordo sulla base del quale gli toccarono i feudi di Monastir, Nuraminis e Acquafredda, già appartenenti alla sua famiglia. Morı̀ però a Cagliari nel 1611 senza lasciare discendenti. Bellomi, Giovanni Rettore di Villa di Chiesa (Pisa, seconda metà sec. XIIIivi, 1330 ca.). Cittadino pisano nato da antica famiglia dell’oligarchia cittadina, era tradizionalmente vicino ai Della Gherardesca. Si impegnò nella vita politica della sua città e nel 1318 fu eletto tra gli Anziani del Comune. 503 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 511 Bellonotto Nel 1321 fu nominato rettore di Villa di Chiesa e inviato in Sardegna: resse la città nel difficile momento che precedette lo sbarco aragonese e l’assedio; comprendendo l’imminenza del pericolo si preoccupò di rifornirla di viveri e di apprestarne la difesa. Cessato il suo mandato nel maggio del 1322, tornò a Pisa. Fu ancora eletto per altre due volte tra gli Anziani. Bellonotto, Pietro Storico (n. sec. XX). Approdò in Sardegna negli anni Venti del Novecento come insegnante presso il Liceo ‘‘Dettori’’ di Cagliari. Fu tra i primi a studiare l’archivio dei Manca a Villa d’Orri e a rendersi conto dell’importanza della documentazione disponibile, impegnandosi nello studio dell’opera di Stefano Manca di Villahermosa, cui dedicò una breve monografia, A proposito di un illustre cagliaritano a torto dimenticato, 1926, e alcuni articoli, Un figlio della fedelissima Sardegna, ministro di casa Savoia, ‘‘Mediterranea’’, I, 1927; Il generale di Villahermosa nei suoi rapporti con Carlo Alberto, ‘‘Mediterranea’’, I, 1927. Bellorini, Egidio Studioso del folclore e letterato (Milano 1865-ivi 1946). Alla fine del secolo XIX fu trasferito a Sassari come insegnante del Liceo ‘‘Azuni’’ e soggiornò in Sardegna per alcuni anni. Attirato dalla letteratura popolare sarda, la studiò a fondo e contribuı̀ a farla conoscere. Tra i suoi scritti: Per la pronuncia di nomi in casa nostra. La città di Nuoro in Sardegna, ‘‘Geografia per tutti’’, II, 1, 1892; Saggio di canti popolari nuoresi, 1892; Folklore sardo, 1893; Canti popolari amorosi raccolti a Nuoro, 1893; Ninne nanne e cantilene infantili raccolte a Nuoro, 1894. Bellu, Giovanni Maria Giornalista e saggista (n. Cagliari 1957). Professionista dal 1980, dopo alcuni anni nella redazione de ‘‘La Nuova Sardegna’’ è approdato a ‘‘La Repubblica’’, diven- tando uno tra i più noti redattori del quotidiano. In particolare è attento osservatore dell’evoluzione del costume politico e della realtà degli ultimi decenni. Il suo nome è legato ad alcuni libri di giornalismo investigativo che gli hanno dato notorietà a livello nazionale. Tra i suoi scritti: Il crollo (con Sandra Bonsanti), 1983; Storie di terrorismo da Feltrinelli a Sa Janna Bassa (con Roberto Paracchini), 1983; I giorni di Gladio. Come morı̀ la prima Repubblica (con Giuseppe d’Avanzo), 1991; Sardegna fatti e persone 1993, 1994. Giovanni Maria Bellu – Giornalista, ha dedicato i suoi libri ai misteri politici dell’Italia contemporanea. Bellu, Pasquale Storico (n. Dualchi 1928). Divenuto sacerdote salesiano, dopo aver conseguito la laurea si è dedicato alla ricerca e all’insegnamento universitario. Ha approfondito in particolare lo studio della storia del movimento cattolico. Nel 1985 è diventato professore associato di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Tra i suoi scritti: I cattolici alle urne. Chiesa e partecipazione politica in Italia dall’Unità al patto Gentiloni, 1977; Prime esperienze di azione sociale in Sardegna nel pensiero e nell’iniziativa del vescovo di Ogliastra mons. Emanuele Virgilio, 504 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 512 Beltrami ‘‘Bollettino dell’Archivio storico del movimento sociale cattolico in Italia’’, 12, 1978; L’azione sindacale cattolica a Sassari e provincia 1919-1922, in Il sindacalismo bianco tra guerra, dopoguerra e fascismo 1914-1922, 1982; L’opera sociale di mons. Virgilio, ‘‘Bollettino dell’Archivio storico del movimento sociale cattolico in Italia’’, 17, 1982; Una provincia del Littorio: Nuoro 1927-1929, 1983; La nascita della Democrazia cristiana in Sardegna 1943-1944, ‘‘Sociologia’’, 1-3, 1987; La nascita della Dc in Sardegna, in Storia della Democrazia cristiana, III, 1988; Mons. Virgilio vescovo di Ogliastra e le istituzioni, ‘‘Bollettino dell’Archivio storico del movimento sociale cattolico in Italia’’, XXIV, 1989; I cattolici nel primo Novecento in Sardegna, in Cattolici in Sardegna nel primo Novecento, 1989; Episcopato sardo e impegno politico dei cattolici nelle prospettive apertesi con la fine della seconda guerra mondiale, in Chiesa e società sarde tra due concili regionali 1924-1900, 1990; L’episcopato sardo e l’impegno dei cattolici, in Popolari e democratici cristiani in Sardegna, 1992; Presenza salesiana in Sardegna, 1995; Le origini della Democrazia cristiana in Sardegna (1943-44), 1996. di Alghero dal 1729 al 1732. Entrò nell’ordine dei Serviti e divenne maestro in Teologia. Dopo l’ordinazione sacerdotale insegnò per anni nel Seminario della sua città. Per le sue ottime qualità fu, in seguito, nominato consigliere e teologo di Vittorio Amedeo II, re di Sardegna, e padre provinciale del suo ordine a Genova. Nel 1729 fu nominato vescovo di Alghero, dove morı̀ probabilmente a causa della malaria. [MASSIMILIANO VIDILI] Beltram, Michele Religioso (Castellòn, Spagna, fine sec. XVI-Ales 1643). Vescovo di Ales e Terralba dal 1638 al 1643. Preso possesso della diocesi, si mostrò sensibile ai problemi sociali che affliggevano i suoi fedeli; in particolare cercò di porre rimedio alle conseguenze delle frequenti carestie dettando norme sull’ammasso dei grani e dando impulso in questo modo ai Monti frumentari, forma di credito agrario con la quale si intendeva aiutare i contadini meno abbienti e sconfiggere l’usura: l’istituzione fu promossa anche dai vescovi successivi e si radicò nella diocesi. [MASSIMILIANO VIDILI] Belly, Pietro Ufficiale piemontese (prima metà sec. XVIII-1791). Completati gli studi, fu inviato in Sardegna come sovrintendente delle miniere, ereditando una situazione difficile a causa dello sfacelo in cui il settore versava. Collaborò a lungo con il Mameli, cercando di rilanciare la produzione, soprattutto a Monteponi; individuò anche il giacimento di Ingurtosu. Nel 1762 assunse la direzione della fonderia di Villacidro, provvedendo alla sua radicale ristrutturazione senza però ottenere grandi risultati. Belmont, Dionigi Gioacchino Religioso (Asti 1655-Alghero 1732). Vescovo Luca Beltrami – L’architetto lombardo ritratto in un’acquaforte di Luigi Conconi (1884). Beltrami, Luca Architetto (Milano 1854-Roma 1933). Considerato il principale esponente dello stile detto‘‘neorinascimentale’’, completò la sua formazione a Parigi; tornato in patria si occupò in primo luogo del restauro di 505 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 513 Beltrami prestigiosi edifici antichi (tra il 1893 e il 1906 restaurò il castello sforzesco di Milano). Sempre più inserito nella vita della sua città, di cui fu anche amministratore comunale, vi progettò numerosi edifici, tra i quali nel 1905 la sede della Banca Commerciale Italiana. Ebbe legami culturali con la Sardegna, dove nel 1915 progettò la sede dalla Banca Commerciale di Cagliari e in seguito quella della Camera di Commercio. Sulla Sardegna si ricorda un suo articolo, Una chiesa demolita e ricostruita: San Pietro di Zuri in Sardegna, ‘‘Il Marzocco’’, 1927. Beltrami, Pietro Uomo d’affari, deputato al Parlamento (Bagnacavallo 1812Firenze 1872). Di idee repubblicane, prese parte ai moti che portarono alla costituzione della Repubblica Romana, per cui dopo il 1849 fu costretto a fuggire a Torino, dove si stabilı̀. Fortemente interessato ai problemi della Sardegna, con il Bombrini e il sostegno finanziario della Banca De la Rue e C. di Genova e di un gruppo di banchieri di Torino, nel 1856 presentò un progetto per la trasformazione fondiaria di 60 000 ha di terre demaniali in Sardegna. Trovò l’appoggio del Cavour, ma non riuscı̀ ad avere la concessione. In seguito acquistò dal demanio alcune foreste che disboscò senza criterio, traendone utili enormi ma guadagnandosi l’appellativo di ‘‘Attila delle sarde foreste’’. Dopo l’Unità fu eletto deputato per due legislature. Beltran Famiglia cagliaritana (sec. XV). Di origine catalana, le sue notizie risalgono agli inizi del secolo XV; fu protagonista di fiorenti attività mercantili e di complesse imprese finanziarie che in breve le fecero raggiungere una posizione di tutto rispetto in seno alla società cittadina. Probabilmente il primo personaggio noto è un Ferraro, che agli inizi del secolo rico- priva anche l’ufficio di luogotente del procuratore reale. Ma il personaggio di maggior spicco fu Giovanni, probabilmente nipote di Ferraro, mercante tra i più ricchi della città, che nel 1464 fu anche lui luogotente del procuratore reale; egli fece sposare la propria figlia Angela con Galcerando de Besora, signore del Gippi e della Trexenta. Beltran, Angela Gentildonna cagliaritana (metà sec. XV-fine sec. XV). Sposata con Galcerando de Besora, aiutò il marito a risanare la propria difficile situazione patrimoniale con il suo patrimonio per cui Galcerando, quando morı̀ nel 1480, le lasciò in eredità il Gippi, uno dei suoi feudi. Il testamento fu impugnato dalla cognata Isabella, sposata con Salvatore Alagon; nella lunga lite Angela si fece difendere da Bartolomeo de Gerp, un parente famoso giureconsulto. Una prima sentenza salomonicamente riconobbe la fondatezza delle pretese di Isabella ma anche il diritto di Angela a tenere il feudo fino a recuperare l’ammontare della dote che, a suo tempo, aveva consentito a suo marito di salvare il feudo. La lite quindi era ancora aperta quando Angela morı̀ alla fine del secolo. Belvaysii, Guglielmo Religioso (sec. XIV). Arcivescovo di Torres dal 1369 al 1371. Spagnolo, apparteneva all’ordine dei Minori conventuali e, al momento della nomina ad arcivescovo di Sassari nel 1369, era già vescovo titolare di Nazareth. Prese possesso della sede poco prima che la città cadesse in mano alle truppe arborensi, durante la seconda guerra tra il giudice e i catalano-aragonesi. Nel 1371 fu trasferito alla sede castigliana di Coria. [MASSIMILIANO VIDILI] 506 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 514 Belvı̀ Belvı̀ – Stazione ferroviaria. Belvı̀ Comune della provincia di Nuoro, compreso nella XII Comunità montana, con 740 abitanti (al 2004), posto a 660 m sul livello del mare alle pendici occidentali della parte più alta del massiccio del Gennargentu, tra Aritzo, Tonara e Desulo. Regione storica: Barbagia di Belvı̀. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 18,10 km2: ha forma allungata da oriente a occidente e confina a nord con Tonara e Desulo, a est e a sud con Aritzo, a ovest con Meana Sardo nonché, per brevissimi tratti, con Atzara e Sorgono. Il paese si trova a breve distanza dal fiume di Occile – che provenendo dal territorio di Desulo va a gettarsi nel Flumendosa – in una parte valliva e particolarmente amena della Barbagia, caratterizzata da ricchezza di acque e di boschi (in particolare di castagni e di noccioli) ma anche di terreni adatti alle colture. Le comunicazioni sono assicurate dalla statale 295, che collega B. da un lato col vicinissimo Aritzo, dall’altro con Tonara e quindi con Nuoro, e dalla quale si distacca a breve distanza la secondaria per Desulo e Fonni. B. è toccato anche dal tratto Mandas-Sorgono della ferrovia a scartamento ridotto, della quale si tenta il rilancio a scopi turistici con il cosiddetto ‘‘trenino verde’’, che si presta alla natura e alla vocazione del territorio. & STORIA L’attuale abitato è di origine medioevale; apparteneva al giudicato di Arborea ed era capoluogo dell’omonima curatoria. La popolazione costituita da pastori godeva di una speciale autonomia nei confronti dell’amministrazione giudicale. Quando nel 1410 il giudicato cadde entrò a far parte del Regnum Sardiniae; gli anni che seguirono furono anni di tensione e insicurezza per B. Nel 1420 fu concesso in feudo a Ferdinando Pardo; la concessione prevedeva il pagamento di pesanti tributi soprattutto per i pastori, che costituivano la maggior parte della popolazione, per cui il villaggio entrò in conflitto con i feudatari. Il clima di violenza crebbe con gli anni e nel 1450 i Pardo preferirono rendere il feudo al fisco. Il villaggio ebbe alcuni decenni di libertà poi, nel 1481, fu nuovamente infeudato ai Pages, provocando una insurrezione che nel 1496 costrinse anche i nuovi baroni a rinunciare al feudo. In pochi anni B. ottenne il privilegio di non essere mai più infeudato; nel 1507 fu incluso definitivamente nel patrimonio regio e prese a essere amministrato da un ufficiale eletto tra i capifamiglia dei vari villaggi dell’antica curatoria. Nei secoli successivi tutti questi privilegi furono rispettati e la comunità conobbe un periodo di relativa tranquillità, e in queste condizioni la popolazione crebbe. Nel 1767 però B. si trovò di fronte a una spiacevole sorpresa: la riscossione delle sue rendite civili fu inclusa nel feudo di Santa Sofia concesso ai Lostia. Il villaggio reagı̀ all’ingiustizia e, proprio nel momento in cui venivano istituiti il Consiglio comunitativo e il Monte granatico, riemersero sopite tensioni e vivaci proteste che posero il villaggio decisamente in rotta con il feudatario. 507 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 515 Belvı̀ Seguirono decenni di contrasti che però non modificarono la situazione. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1838 finalmente cessò la sua dipendenza feudale. In questo periodo Vittorio Angius scriveva: «Il clima è alquanto umido da ciò, che la posizione sia in una concavità: il freddo è poco rigido anche nel cuor del verno. L’aria è riconosciuta salubre. Le ordinarie malattie sono le provenienti da costipazioni non curate: le acute vi sono rare. Il censimento parrocchiale del 1933 portava famiglie 190, anime 816. Dei belviaschi altri sono agricoltori, che sommeranno a circa 60, altri viandanti che vettureggiano in numero di presso a 40; non più di 30 attendono alla pastorizia, e ben più pochi ad alcune delle arti di necessità. Le donne di questa terra al pari che le aritzesi sono laboriosissime, e s’impiegano nella coltura degli orti, e nella ricolta dei frutti; dalle quali occupazioni quando che vachino girano il fuso, o siedono ai telai, che sono circa 70. L’area territoriale si può computare da circa 25 miglia quadrate. Il paese sta alla estremità orientale. Tolte le parti superiori dei monti, tutta la restante superficie soffrirebbe i lavori dell’agricoltore. Si semina starelli di grano 350, d’orzo 100, di lino 130; e la moltiplicazione è spesso all’ottuplo, avvegnaché molto non si debbano lodare i metodi di coltivamento. Molto è rigogliosa la vigna, ma poche volte matura i grappoli, onde i vini non godono alcuna riputazione. Le piante che non patiscono d’una temperatura alquanto bassa vengono con molta prosperità per forma, che ammira ogni viaggiatore nella campagna di B. uno dei più ameni e deliziosi giardini della Sardegna, per ciò che sia la metà del territorio occupata da folte selve, di ciriegi, noci, noccioli, castagni, peri, pomi ecc. che sono i primari produttori di questo paese. Benché in queste fertilissime terre abbiavi una gran ricchezza di pascoli, tuttavia scarso è il numero delle specie e dei capi. Nell’anno 1833 appena si annoveravano pecore 1000, capre 700, gioghi da lavoro 70. All’incontrario il selvaggiume vi è cosı̀ propagato che potrebbe offrire occupazione fruttuosissima ai cacciatori. Vi troverebbero tutte le specie che popolano i principali boschi sardi, e tutti i generi ancora dei volatili in ampi stormi, da quelli di rapina ai gentili, onde si onorano le più laute mense». Abolite le province nel 1848, B. fu incluso nel dipartimento amministrativo di Cagliari dove rimase fino al 1859, quando fu compreso nella provincia di Cagliari; nel 1927 entrò a far parte della provincia di Nuoro. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura: discreta la produzione di ciliegie e di nocciole; vi opera qualche modesta attività manifatturiera, in particolare la produzione di torroni e di un dolce tipico della zona, la caschetta (=). Altro importante settore è costituito dal turismo che può contare su 2 alberghi con 112 posti letto. In passato esistevano inoltre forme di commercio ambulante praticate dai viaggiatori o cavallanti che si spostavano su cavallini magri e resistenti di fiera in fiera per vendere i prodotti dell’artigianato del legno, della tessitura o del ferro. Una categoria a parte di questi ambulanti erano i cillonari, mercanti avventurieri che si spostavano a piedi vendendo prodotti di modesta qualità. Altra attività economica del passato che aveva una notevole importanza era il commercio e il trasporto delle nevi (= Aritzo), nel quale però gli abitanti di B. erano solo parzialmente coinvolti. Artigianato. Di antica tradizione sono l’artigianato del legno, in particolare l’intaglio, e del 508 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 516 Belvı̀ ferro. Un tempo le donne erano abilissime nella tessitura di manufatti di lino e di lana di grande qualità, in particolare coperte e tappeti. Altra attività artigianale un tempo sviluppata era la fabbricazione di candele. Servizi. Il paese dispone di farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario. & DATI STATISTICI Al censimento 2001 la popolazione contava 788 unità, di cui stranieri 7; maschi 386; femmine 402; famiglie 255. La tendenza complessiva rivela una lieve diminuzione della popolazione, con morti per anno 13 e nati 9; cancellati dall’anagrafe 13; nuovi iscritti 11. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 13 328 in migliaia di lire; versamenti ICI 331; aziende agricole 132; imprese commerciali 63; esercizi pubblici 1; esercizi all’ingrosso 1; esercizi al dettaglio 16; ambulanti 4. Tra gli indicatori sociali: occupati 225; disoccupati 70; inoccupati 41; laureati 8; diplomati 71; con licenza media 301; con licenza elementare 255; analfabeti 15; automezzi circolanti 214; abbonamenti TV 187. Belvı̀ – Il grazioso borgo montano ospita un interessante Museo di Scienze Naturali. PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio possiede numerose vestigia preistoriche, in particolare le domus de janas di Gesarù, Lagasu, Nadalia, Perda Lione, Perda Nerca, Occili e To- & nitzo. Di grande interesse è il rifugio sotto roccia di Pitz ’e Pranu, nel quale sono state rinvenute ceramiche della cultura di Bonuighinu, risalenti cioè al Neolitico medio. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE Suggestivo è l’assetto urbanistico di B., sulle cui strade strette, tortuose e scoscese si affacciano le tipiche case barbaricine a più piani ingentilite da balconi di legno, talvolta coperti di scaglie di sughero e ornati da gerani rossi. In una di queste case è ospitato il Museo di Scienze naturali: nato dalla donazione della ricca collezione Petruso, è ospitato nella casa che fu del donatore e negli ultimi anni si è arricchito con altre donazioni. L’esposizione, articolata in sezioni, contiene una ricca documentazione della flora e della fauna sarda, con molti esemplari impagliati, e un’interessante raccolta di minerali; è completata da una biblioteca scientifica. L’edificio di maggior pregio artistico che il villaggio possiede è la chiesa di Sant’Agostino, la parrocchiale, che conserva qualche elemento gotico. I villeggianti che frequentano il paese lo apprezzano anche per la possibilità di compiere passeggiate nei dintorni, ricchi di acque e di vegetazione spontanea; tra le mete preferite la vallata di S’Iscra, dove si trovano molti alberi da frutto e orti, le pendici del caratteristico tacco calcareo Pitz ’e Pranu, simile a Su Texile di Aritzo, e la galleria della ferrovia per Laconi, che si raggiunge con una camminata lungo i binari. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Ricco un tempo era l’insieme delle tradizioni che vennero tramandate quasi integre fino a qualche decennio fa; tra queste vanno ricordate l’abitudine al ballo nella pubblica piazza al suono delle launeddas o del piffero, che i gio- 509 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 517 Bemporad vani aprivano lentamente poi trascinando le fanciulle in un crescendo vorticoso; l’abitudine ad ascoltare gli improvvisatori di rime sciolte a tema; l’attitidu per ricordare le virtù dei morti; il gioco della morra. vicini, e della sagra delle ciliegie, verso la metà di giugno. Belvı̀ – Il costume di Belvı̀ è uno tra i più colorati della Sardegna interna. Belvı̀ – La processione di Santa Margherita è una delle più popolari del folclore religioso della Barbagia di Belvı̀. Altra caratteristica di questo complesso mondo tradizionale era l’uso abituale del costume. L’abbigliamento femminile è costituito da una camicia di tela bianca, dalla gonna plissettata che, di orbace rosso per le occasioni di gala, normalmente invece è nera. Sopra la camicia si indossano il corsetto di tela fiorita e la giacca a bolero di orbace; sopra la gonna il grembiule di orbace; sul capo si porta una pezzolina quadrata appuntata sotto il mento sopra la quale si sistema il fazzoletto. L’abbigliamento maschile comprende la camicia e i calzoni di lino; sopra la camicia si indossa un giubbone di orbace generalmente rossiccio; d’inverno viene completato con un altro di pelle di muflone senza maniche; sopra i calzoni si indossano il gonnellino di orbace nero e le ghette dello stesso tessuto. Gruppi in costume, che si esibiscono nei canti e nei balli, si possono vedere in occasione della festa del patrono Sant’Agostino, che si tiene il 28 agosto col concorso di ospiti dai paesi Bemporad, Marcello Giornalista (Roma 1938-?). Dopo la laurea in Giurisprudenza si è dedicato al giornalismo e ha percorso tutta la sua carriera alla RAI, dapprima come giornalista radiofonico e quindi come giornalista televisivo. Ha diretto importanti trasmissioni ed è stato responsabile della struttura di supporto alla radiofonia; nel 1994 è subentrato a Giovanni Sanjust come direttore della sede RAI di Cagliari. Benavides de La Cueva, Francesco Viceré di Sardegna dal 1675 al 1678 (sec. XVII). Marchese di Las Navas, nato da una famiglia di grandi feudatari appartenente alla fazione legata alla regina madre, nel 1675 fu nominato viceré di Sardegna. Preso possesso dell’ufficio governò con prudenza, tentando di comporre le tensioni che ancora laceravano la società sarda dopo l’assassinio del Camarassa, consentendo il ritorno in patria di alcuni dei personaggi precedentemente esiliati. Nel 1676 convocò il Parlamento, i cui lavori si conclusero nel 1678; nello stesso anno fece la visita del regno, trovando l’isola tranquilla 510 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 518 Benedetto dopo il difficile periodo precedente: di questa visita lasciò una dettagliata relazione. Poco dopo fu nominato viceré di Sicilia, per cui lasciò la Sardegna senza completare il suo mandato. Dopo alcuni anni, nel 1687, fu nominato viceré di Napoli. Benci, Bencivegna Uomo d’armi toscano (sec. XIV). Alla fine del secolo era al servizio del re d’Aragona; e quando nel 1391 ripresero le ostilità con gli Arborea era capitano di Villa di Chiesa (l’attuale Iglesias). Tentò di difendere la città dalle truppe di Brancaleone Doria che l’avevano investita, ma i cittadini si ribellarono e, aperte le porte, fecero entrare i soldati giudicali, costringendolo a fuggire a Cagliari. Benedetta d’Arborea Figlia di Ugone III (Oristano, 1363 ca.-ivi 1383). Era la primogenita del giudice arborense, e quindi verosimilmente destinata a salire sul trono d’Arborea dopo la morte di suo padre. Nel 1378 fu chiesta in moglie per Luigi d’Angiò nipote del re di Francia, ma le trattative fallirono, probabilmente per l’enorme differenza di età che c’era tra i due (il principe francese aveva appena un anno). Nella congiura del 1383 la sventurata principessa fu uccisa insieme a suo padre e il suo corpo fu gettato in un pozzo. Benedetto1 Vescovo di Bosa dal 1406 al 1407 (seconda metà sec. XIV-prima metà sec. XV). Entrato nell’ordine dei Benedettini, ricoprı̀ diversi incarichi fino alla carica di abate di Sant’Eufemia presso Treviso. Nei difficili anni dello scisma si era mantenuto fedele all’obbedienza romana, per cui nel 1406 Innocenzo VII lo nominò vescovo di Bosa; fu un atto politico importante in quanto la diocesi faceva parte del giudicato d’Arborea che sosteneva il pontefice romano. Il suo successore fu nominato nel 1407. [MASSIMILIANO VIDILI] Benedetto2 Vescovo di Sorres dal 1344 al 1348 (sec. XIV). Apparteneva all’ordine domenicano e prima del 1344 era stato nominato vescovo della diocesi albanese di Prischtina, il cui territorio fu invaso dai Turchi. Nel 1344 fu trasferito a Sorres e resse la sua nuova diocesi nei difficili anni che precedettero lo scoppio della seconda ribellione dei Doria contro l’Aragona. Negli anni della sua permanenza in Sardegna tentò di radicare il suo ordine nella diocesi che reggeva; nel 1348, poco dopo la battaglia di Aidu ’e Turdu, fu trasferito a Chioggia. [MASSIMILIANO VIDILI] Benedetto VIII Papa dal 1012 al 1024 (m. Roma 1024). È priva di fondamento la notizia secondo la quale avrebbe voluto e organizzato l’intervento delle flotte di Pisa e di Genova, che respinse l’assalto di Mughâid alle coste sarde nel 1015-1016. Benedetto, Maria Ada Storica (n. sec. XX). Si è dedicata alla carriera universitaria, divenendo professore ordinario di Storia del Diritto presso l’Università di Torino. Due suoi scritti riguardano la Sardegna: La fortuna di Vico in Sardegna, ‘‘Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino’’, LXXXV, 19501951; Nota sulla mancata convocazione del Parlamento sardo nel secolo XVIII, ‘‘Études’’, XXVI, 1963. Benedetto, san (in sardo, Santu Benedettu, Santu Benedetto, Santu Eneittu, Santu Benitu) Santo (Norcia, 480 ca.-?, 547). Nacque in Umbria da una famiglia aristocratica, la gens Anicia, Eutropio il padre, Abbondanza la madre. Studiò a Roma, nel 500 fece parte della comunità religiosa di Enfide, oggi Affile. Superiore del monastero di Vicovaro, dove i monaci tentarono di avvelenarlo. Eremita nella grotta di Sacro Speco, nei pressi di Subiaco. Fondò nel 520 dodici monasteri di dodici monaci 511 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 519 Benedetto di Cagliari ciascuno. Si trasferı̀ a Casinum, Montecassino, costruendo nel 529, sul luogo di un’antica torre e di un tempio d’Apollo, la grande abbazia. Scrisse nel 534 la Regula, un prologo e sessantatré capitoli per i suoi monaci dal doppio apostolato: «Ora et labora» (Prega e lavora). Croce e aratro per emblema dell’impegno religioso e sociale, la preghiera e il lavoro: «Il monaco è membro di una vera collettività, dedita al lavoro e non solo alla preghiera. Lavoro manuale giornaliero e preghiera collettiva esprimentesi nel coro». Il lavoro manuale e intellettuale come mezzo per elevare lo spirito e come dovere, contro l’ozio causa di tentazioni e nemico dell’anima. Pregare quindi e lavorare, provvedendo al proprio sostentamento e a quello della comunità d’appartenenza. Iniziava cosı̀ un nuovo capitolo per il monachesimo occidentale. Fondò anche un monastero femminile, affidandone la direzione alla sorella, Santa Scolastica. Taumaturgo, molte le leggende sulla sua figura: «Sei giorni prima di morire – scrive Gregorio Magno – si fece preparare la tomba. Nel sesto giorno, malato, dopo aver ricevuto l’eucaristia, rese l’anima con le mani alzate e con parole di preghiera». Morı̀ il 21 marzo del 547, sepolto nell’abbazia di Montecassino, vicino alla sorella Scolastica, morta poco tempo prima. Protegge agricoltori, ingegneri, speleologi, chimici, moribondi. Da Paolo VI nel 1966 è stato proclamato patrono d’Europa. Nel 1969 la sua festa, poiché cadeva in Quaresima, periodo nel quale non si potrebbero celebrare memorie obbligatorie, dal 21 marzo è stata spostata all’11 luglio, «in cui si commemorava nel sec. VIII la supposta traslazione delle ossa del santo a Fleury». In Sardegna È invocato per la buona confessione. A Cagliari, nella chiesa a lui dedicata, costruita nel 1643, ha dimorato, novizio, Sant’Ignazio da Laconi. Alla chiesa apparteneva la tela secentesca del santo, ora nella Pinacoteca Nazionale della stessa città. [ADRIANO VARGIU] San Benedetto – Il santo risuscita un fraticello. Particolare della predella dell’Incoronazione di Maria di Lorenzo Monaco. Benedetto di Cagliari, san Santo (secc. XI-XII). Monaco del monastero benedettino cagliaritano di San Saturno. Fu vescovo di Dolia dal 1107 al 1112, carica che, diventato vecchio, abbandonò per tornare al proprio monastero, dove finı̀ i suoi giorni. Benetti, Edoardo Intellettuale e giornalista (secc. XIX-XX). Operò a Sassari e in Gallura nei primi decenni del Novecento. Era di idee socialiste, legato al battagliero socialismo tempiese. Attento studioso delle origini della città, ha lasciato una serie di interessanti articoli, Passeggiate archeologiche attraverso il Sulcis, ‘‘L’Unione sarda’’, 1904; Le ville romane in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1908; La colonia Gemellas e le origini di Tempio, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1910; Sei giornate di uno storiografo tedesco nell’Anglona, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1911; Boschi, agricoltura e bacini montani, ‘‘La Lotta’’, 1913; La resurrezione di Ampurias, ‘‘La Lotta’’, 1913; Il sasso dell’Elefante e i simboli ar- 512 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 520 Benetutti caici dell’agricoltura, ‘‘Sardegna’’, I, 1, 1914; La Romania o Romandia sarda e le origini di Sassari, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1919; Antica villa romana tra Sorso e Castelsardo, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Antiche strade della Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Arte romana in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Bagni romani in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Promontorio della morte (Capo Falcone), ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Averno omerico (Terme di Casteldoria), in ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Longonis Sinus, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; La torre di S. Lucia o Longone, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1921; Nel Seicento sardo. Una tragedia politica, ‘‘Fontana Viva’’, I-II, 1926-27; La chiesa di S. Giorgio di Leda in Perfugas, ‘‘L’Isola’’, 1927; Ebrei e primi cristiani in Sardegna, ‘‘L’Isola’’, 1933. La sua opera più originale è il libro Omero e la Sardegna, pubblicato a Sassari nel 1925, in cui è analizzata la teoria secondo cui alcuni luoghi dell’Odissea prenderebbero ispirazione da altrettanti luoghi della Sardegna. qua che, riunitisi in uno dei tanti rio Mannu (‘‘Grande’’), confluiscono nel Tirso; importanti, nella piana a valle del paese, le sorgenti termali di San Saturnino, sfruttate sin dall’antichità. Si conservano tratti della vegetazione originaria, costituita da querce, sughere, lecci e olivastri, il resto è utilizzato per le colture e soprattutto per il pascolo. Il paese è attraversato da una strada secondaria che, distaccandosi dalla 128 bis (e dalla vicina e incompiuta direttissima di fondo valle per Olbia) nel tratto tra Anela e Pattada, si dirige verso Bitti. Benetutti Comune della provincia di Sassari, compreso nella VII Comunità montana, con 2124 abitanti (al 2004), posto a 406 m sul livello del mare, affacciato da oriente, insieme alla vicinissima Nule, sulla vallata del Medio Tirso. Regione storica: Goceano. Diocesi di Ozieri. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 94,53 km 2 : ha forma grosso modo triangolare, con una punta allungata verso settentrione, e confina a nord con Bultei e Nule, a est con Orune, a sud con Nuoro, Orani, Oniferi e Orotelli, a ovest con Bono e Bultei. Si tratta di una regione in parte valliva, come si è detto, in parte costituita da colline di non grande altezza: le punte maggiori sono intorno ai 700 m. Vi corrono alcuni piccoli corsi d’ac- Benetutti – Il centro è, con Nule, uno dei due paesi del Goceano sorti sulla riva sinistra del Tirso. STORIA Il villaggio attuale è di origini medioevali: appartenne al giudicato di Torres e fu incluso nella curatoria del Goceano. Dovette essere un centro importante per la fama di cui godevano ancora le terme, già sfruttate in epoca romana, e ancora densamente popolato, come dimostrano i ruderi dei due villaggi attorno alle attuali & 513 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 521 Benetutti chiese campestri di Nostra Signora di Boloe e di Santa Barbara, entrambe in forme cinquecentesche, e che probabilmente erano le parrocchiali di due villaggi distrutti. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale di Torres, il villaggio fu lungamente conteso tra i Doria e gli Arborea; sembrò che dopo il 1290 questi ultimi avessero la meglio ma nel 1297 i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di alleati da coinvolgere nella conquista della Sardegna che andava progettando, se ne fecero riconoscere il possesso e ne ottennero l’investitura. Dopo l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea allora alleato del re d’Aragona, conquistato e formalmente annesso al Regno di Sardegna. Il suo possesso, con tutto il Goceano, fu definitivamente riconosciuto al giudice d’Arborea e nel 1339 il re d’Aragona concesse a Mariano IV il titolo di conte del Goceano. Scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV fu spesso teatro delle operazioni militari e nel 1378, negli anni in cui il conflitto si fece più aspro, il re d’Aragona provocatoriamente incluse B. nei territori che aveva concesso in feudo al traditore Valore de Ligia. In realtà il villaggio continuò a rimanere in possesso degli Arborea fino alla caduta del giudicato, e dopo il 1409 fu concesso in feudo al marchese d’Oristano. Di fatto il territorio non era ancora pacificato, infatti sembrava dovesse cadere nelle mani del visconte di Narbona e negli anni seguenti fu teatro di una continua guerriglia della quale approfittò il bandito Bartolo Manno per invadere e devastare tutto il Goceano. Poiché la situazione non era controllabile dal marchese d’Oristano, nel 1421 sembrò dovesse entrare a far parte del grande feudo concesso a Bernardo Centelles; nel 1422 Leonardo Cubello invase il territorio, sconfisse Bartolo Manno e finalmente occupò il Goceano. Cosı̀ B. dopo anni di tribolazioni pervenne ai marchesi d’Oristano; dopo la ribellione di Leonardo Alagon, a partire dal 1478, fu amministrato direttamente da funzionari reali e nel 1493 fu definitivamente incluso nel patrimonio reale; contava allora poco più di 350 abitanti. Dipendeva dal governatore del Goceano che si serviva di funzionari per espletare le proprie funzioni. Il rapporto tra i funzionari reali e la popolazione però non fu mai tranquillo, anche perché lentamente fu modificato il sistema di individuazione del majore, che finı̀ per essere scelto dal governatore, e perché il carico fiscale era piuttosto pesante. Nel secolo XVII la popolazione del villaggio cominciò a crescere e alla fine del secolo contava otre 600 unità; la comunità tentò di riattivare le terme, la cui memoria non si era persa, affidandole alla famiglia Carta, e si impegnò nel miglioramento della chiesa parrocchiale e di altre chiesette oggi in gran parte scomparse. Nel secolo XVIII la popolazione aumentò ulteriormente anche per l’apporto degli abitanti di Bortiocoro, che vi si trasferirono abbandonando il loro territorio. Il villaggio nel corso del secolo cominciò a sperimentare le prime iniziative per lo sfruttamento del sughero ed ebbe il Consiglio comunitativo e il Monte granatico che contribuirono a vivacizzare la sua vita. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Nuoro. Qualche tempo dopo Vittorio Angius forniva queste notizie: «Le case sono circa 285, costrutte in gran parte a pietre granitiche, che è la rocca dominante. Le strade sebbene irregolari sono belline: mancano di selciato, ma non di meno 514 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 522 Benetutti poche ritengon l’acqua delle pozzanghere, sı̀ per la inclinazione, che per la natura del suolo tutto sabbionoso. Le generali professioni sono l’agricoltura e la pastorizia. Nelle arti meccaniche di necessità non si esercitano più di 20 persone. Le donne sono applicate nella tessitura dei panni lani, e lini, in 200 telai; e producendo i lavori più che domandino i propri bisogni, mandano nel commercio molte pezze. La scuola normale contava nel 1833 fanciulli 20. Al ponente, in distanza di tre quarti d’ora, nella regione denominata da una chiesetta, di costruzione antica, dedicata a San Saturnino, trovansi le rinomate acque termali, le quali sorgono entro un’area di circa 1000 piedi quadrati da un terreno argilloso, coperto d’erbe e di giunchi. Molte hanno libero il corso, e scorrono a mescolarsi col vicino Tirso, entrandoci dalla sponda sinistra; l’altre stagnano in molte pozze fetenti. Non si può definire il numero delle scaturigini, da che per tutto dove si scavi un poco entro l’area determinata vedesi l’acqua venir su. Il censimento parrocchiale del 1833 presenta numero di famiglie 250, d’anime 1500. Nascono per l’ordinario 40, muojono 30; la vita si suol protrarre al cinquantesimo, e contraggonsi 10 matrimoni. Le malattie più frequenti sono di febbri periodiche e perniciose, infiammazioni, reumatismi, dolori articolari, ostruzioni e flussioni. Nei funerali è ancora in uso il compianto. Si semina ordinariamente starelli di grano 500, d’orzo altrettanto, di fave 100, di lino egual misura, poco canape, e meno di legumi. La fruttificazione media è il settuplo. Coltivansi in alcuni orti lattughe, cavoli, poponi, cocomeri, e pomidoro. Le vigne sono molte, tuttavia corrispondon poco. Il vino è bianco, e nulla pregiato. Quanto sopravanza dalla consumazione distillasi in acqua- vite. Il bestiame che educavasi per il macello, per l’agricoltura e per altri usi e bisogni umani sommava nell’anno sopra segnato a capi 14 250, numero molto inferiore all’ordinario, ed a tale ridotto dall’epizoozia dell’anno antecedente. Nelle specie questa era la distribuzione: vacche capi 3000, pecore 8000, capre 600, cavalli e cavalle, compresi i domiti, 1300, porci 500, mannalite o vacche domestiche 150, buoi da lavoro 300, majali 200, giumenti 200». Dopo l’abolizione dei feudi B. fece parte fino al 1859 della divisione amministrativa di Nuoro, subito dopo fu incluso nella provincia di Sassari. Il villaggio continuò a crescere e non risentı̀ della grande crisi economica della fine dell’Ottocento. Nel corso della prima metà del Novecento la sua popolazione toccò i 3000 abitanti ma dopo il 1961, a causa di una forte corrente migratoria, diminuı̀ rapidamente. & ECONOMIA L’economia del paese è basata principalmente sull’agricoltura, in particolare la coltivazione di cereali e di legumi, sulle attività dell’allevamento del bestiame e su modeste attività manifatturiere, soprattutto nel settore edilizio, e commerciali. Da qualche decennio funziona una moderna fabbrica di maglieria, che impiega un certo numero di operaie e lavora soprattutto per le grandi marche nazionali e in diversi casi per il mercato estero. Un posto di rilievo nell’economia occupa anche l’impianto delle terme che sta facendo sviluppare un discreto turismo residenziale favorito dalla presenza di due alberghi con 136 posti letto e di un ristorante. Artigianato. Si è conservata l’antica tradizione della tessitura domestica del lino e della lana; attualmente continua soprattutto la produzione di coperte e di tappeti di splendida fattura. Servizi. B. è collegato mediante autolinee agli al- 515 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 523 Benetutti tri centri della provincia e dista da Sassari 83 km. Dispone di guardia medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario. Benetutti – La parrocchiale del paese ospita il ciclo di pitture del Maestro di Ozieri dedicato all’‘‘invenzione della Croce’’ da parte di Sant’Elena. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 2239 unità: maschi 1116; femmine 1123; famiglie 690. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione, con morti per anno 34 e nati 32; cancellati dall’anagrafe 22; nuovi iscritti 17. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 11 303 in mi- gliaia di lire; versamenti ICI 852; aziende agricole 207; imprese commerciali 149; esercizi pubblici 18; esercizi al dettaglio 47; ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali: occupati 668; disoccupati 48; inoccupati 109; laureati 42; diplomati 217; con licenza media 639; con licenza elementare 1611; analfabeti 39; automezzi circolanti 862; abbonamenti TV 589. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio era frequentato fin dalla preistoria ed è particolarmente ricco di siti archeologicamente interessanti; si tratta di dolmen (Maone), di domus de janas (Argiola de Furadu, Laranei, Mandra ’e Giosso, Mercuriu, Minadorgiu, Nortatile, Salamodde, Sinnidere, Molimentos, Montigiu Lolle, Sa Contonera, Sos Lados, Su Padru), di nuraghi (Boddoi alto, Boddoi basso, Carvoneddu, Crastu ’e Cuccu, Lotta, Maria Luisa, Noratile, Ogolo, Ogoro, Ortuine, Ostula, Puddighinu alto, Puddighinu basso, Revoste, S’Aspru, S’Ena ’e Cannas, S’Ena ’e Sedina, Salamanna, Salamodde, Sa Mandra de sa Giua, Sas Luzzanas, Serra ’e Coddos, Torodde, Zili), di Tombe di giganti (Iscorra Boe, Merenda Ona, S’Ena ’e Sa Mela, S’Ena ’e Sedina) e di tracce di insediamenti romani. Tra tutti sono di particolare interesse le domus de janas di Molimentos, situate nella località omonima a breve distanza dall’abitato. La necropoli, scavata nella viva roccia, risale alla cultura di Ozieri ma fu ancora utilizzata nel periodo della cultura di Abealzu, 2300-2100 a.C. Risale a questo periodo la grande quantità di ceramiche che fu trovata all’interno della tomba durante gli scavi. Altro sito di grandissima importanza è la Tomba di Maone, sepoltura attribuibile al periodo della cultura di Ozieri, situata in una valle a sud dell’abitato. Si tratta di una piccola grotta scavata nella roccia 516 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 524 Benetutti e integrata da un dolmen costituito da due muretti a secco su cui poggia una grande lastra. Gli archeologi la considerano un importante documento di trapasso dalla sepoltura ipogeica del tipo domus de janas a quella di tipo megalitico. Molto suggestivo è il complesso di Carvoneddu, sull’orlo del vallone del rio Mannu, costituito dall’omonimo nuraghe monotorre, imponente e ben conservato, e dal complesso di domus de janas di Su Padru, scavate su una parete di granito in prossimità di un guado del rio Mannu, molto ben eseguite con porta e anticella di grande eleganza. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’assetto urbanistico è di grande effetto e conserva l’antica rete di strade sulle quali si affacciano le tipiche case goceanine in granito, alcune delle quali pretenziosamente arieggianti al palattu. Nel villaggio sorgono alcuni edifici di pregio: il più importante è senza dubbio la parrocchiale di Sant’Elena, costruita in forme gotico-aragonesi nel secolo XV, modificata e ingrandita tra la fine del secolo XVI e gli inizi del XVII e infine completata con alcune cappelle laterali in epoca più recente. L’interno è a una navata coperta a volta ed è ricco di affreschi del secolo XVIII sulle pareti laterali, sulla volta del presbiterio e sull’arco principale; la chiesa inoltre custodisce una serie di tele provenienti dal Retablo di Sant’Elena del Maestro di Ozieri, dipinto nel 1541, alcune altre tele del secolo XVII, tele del pittore Francesco Becciu, e argenterie del Seicento. Il campanile, costruito nel 1670, è opera dello Spotorno (=). Altra chiesa interessante è San Timoteo, costruita nel 1679 dalla famiglia Canu che la dotò di un consistente patrimonio. Aveva un impianto mononavato e nel corso dei secoli subı̀ alcuni restauri, in particolare nel Settecento fu rifatta la copertura; all’interno custodisce una bella statua lignea. La chiesa di San Salvatore fu costruita alla periferia dell’abitato tra la fine del XVI e gli inizi del secolo XVII, probabilmente sopra i resti di una chiesa più antica. Ha una pianta mononavata su cui si aprono il presbiterio e sette cappelle laterali delimitate da archi a tutto sesto; all’interno custodisce un bel crocifisso ligneo del secolo XVII. Belle e suggestive sono le chiese campestri. Per prima quella di Santa Barbara, che sorge a qualche chilometro dall’abitato sopra le rovine di un nuraghe. Fu costruita probabilmente nel Medioevo e ristrutturata nel secolo XVII; ha un impianto a una navata, e i muri perimetrali sono rinforzati da speroni. Viene poi quella di Nostra Signora di Boloe, situata a qualche chilometro dall’abitato attuale: fu edificata nel Medioevo nel villaggio omonimo oggi scomparso; nel XVII subı̀ un radicale rifacimento assumendo le forme attuali. Ma la testimonianza di maggiore rilievo per la storia di B. è costituita dal complesso termale di San Saturnino. Il sito si trova a qualche chilometro dal villaggio alla confluenza del rio Mannu col Tirso, inserito in un vasto comprensorio di bonifica; il suo territorio è ricco di pozzi e sorgenti da cui sgorgano acque solforose e cloruro-bicarbonato-sodiche utilizzate a scopi terapeutici da tempo immemorabile. Fin dal 1839 è stato identificato da Giovanni Spano nell’antico centro termale romano delle Aquae Lesitanae. Al momento erano visibili numerosi resti di età romana; di questo attualmente rimane solo una piccola vasca rotonda. Nel periodo altomedioevale vi si sviluppò un villaggio di cui nel 1984 è stato individuato il cimitero con numerose tombe bizantine, che hanno restituito 517 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 525 Benigni armi in ferro, borchie, fibbie e altre decorazioni di tipo militare risalenti ai secoli VII-VIII, appartenenti probabilmente a soldati di stanza nel piccolo villaggio. Nel secolo XII sulle rovine di un nuraghe fu costruita la chiesetta romanica di San Saturnino, in trachite rosa. L’edificio, donato nel 1163 dal vescovo Attone ai Camaldolesi, ha una sola navata e la copertura in legno a capriate. Poco distante sorge il complesso delle terme, costituito da due moderni stabilimenti molto frequentati. Diverse sorgenti all’aperto (anzos, ‘‘bagni’’) danno acque che la popolazione del luogo destina alla cura di differenti organi e parti del corpo. Nel 2006 il paese si è dotato di un’importante collezione comunale di arte contemporanea, in particolare di pittura sarda, dono della famiglia SodduTanda e ad essa intitolata. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI L’antico patrimonio di usanze popolari era dominato dalla rilevanza che aveva la morte, considerata evento catastrofico su cui scandire la vita delle famiglie e della comunità. In particolare la morte del capofamiglia aveva per la vedova conseguenze terribili a causa dell’usanza detta su corruttu, in base alla quale la poveretta si chiudeva a casa e si lasciava deperire progressivamente arrivando talvolta a non cambiarsi nemmeno più d’abito; questa usanza fu praticata fino agli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Rimane memoria anche del compianto (attitidu) in onore dei morti che ancora agli inizi del Novecento alcune donne erano in grado di eseguire soprattutto in occasione della morte di qualche personaggio di rilievo. Delle molte feste popolari che un tempo scandivano la vita del villaggio ancor oggi rimane quella in onore della patrona Sant’Elena, da sempre la più importante: si svolge il 18 agosto, richiama i molti emigrati sparsi per il mondo e comprende balli in piazza, processioni in costume, gare di poesia e altre manifestazioni collettive. Un tempo si teneva una fiera e si celebravano molti momenti di canto e ballo; attualmente il programma dei festeggiamenti ha perso il suo carattere tradizionale. Vi si possono comunque vedere i costumi tradizionali in uso nel paese: in particolare quello femminile, costituito da una lunga gonna a pieghe e da una caratteristica camicetta, detta sa blusa. Ancora praticati i riti della Settimana santa, che culminano con la cerimonia de s’Iscravamentu, la Deposizione del Cristo crocifisso che viene eseguita dagli appartenenti alla Confraternita di Santa Croce; di rilievo anche le cerimonie del giorno di Pasqua, con le due processioni, una con la Madonna e una col Cristo risorto, che movendosi prima in percorsi diversi e poi unendosi danno luogo al momento festoso de S’incontru, salutato da nutrite salve di fucileria (B. è paese di cacciatori; quelli dediti alla caccia al cinghiale sono divisi in gruppi detti ‘‘compagnie’’). Benigni, Giovanni Giurista e uomo politico pisano (sec. XIV). Uomo di grande preparazione e di grande abilità politica prese attivamente parte alla vita pubblica della sua città e tra il 1294 e il 1347 fu per ben 24 volte anziano e fece parte del Consiglio dei Savi. Iniziò la sua attività nel 1294 a Cagliari, dove fu giudice e assessore di Castel di Castro; tornato in patria cominciò a essere eletto tra gli Anziani e nel 1308 fu ancora inviato a Cagliari come castellano. In seguito la sua ascesa politica continuò: nel 1318 fu incaricato di trattare a Napoli la pace con i comuni della Lega guelfa. Nello stesso anno entrò a far parte per la 518 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 526 Berchialla prima volta del Consiglio dei Savi e fu incaricato di altre importanti missioni diplomatiche. Benini, Antonio Pittore romano (n. sec. XX). Tra il 1875 e il 1876 eseguı̀ due oli per il Palazzo municipale di Oristano, Nozze di Eleonora e Brancaleone ed Eleonora nell’atto di scrivere la Carta De Logu, commissionati in occasione delle celebrazioni in onore della giudicessa. Nel 1903 dipinse un terzo olio, Promulgazione della Carta de Logu. Benoit, Fernand Archeologo francese (n. sec. XX). Interessato allo studio dei rapporti tra la Francia e la Sardegna nel periodo nuragico, per alcuni anni diresse il Museo di antichità di Provenza, Corsica e Marsiglia. Tra i suoi scritti: La Sardaigne nuragique, ‘‘Provencia’’, 1955; Le fonds sards du Musée Barely a Marseille, in Atti del VI Congresso internazionale di Studi sardi, II, 1962; Les courants de civilisation en Méditerranée occidental à l’époque préromaine, ‘‘Rivista di Studi liguri’’, XXX, 1964. Benveduti, Polidoro Bibliotecario (Guscio 1891-?, dopo 1960). Intellettuale appartenente a una nobile famiglia originaria di Gubbio, uomo di vastissima cultura, dopo aver sperimentato in gioventù interessanti attività nel campo imprenditoriale e dato vita a molteplici esperienze culturali, a partire dal 1931 si interessò di biblioteche e dei problemi connessi alla patologia del libro. Trasferito in Sardegna alla fine degli anni Cinquanta, diresse la Biblioteca Universitaria di Cagliari tra il 1959 e il 1960 e prese parte alla vita culturale della città; collaborò intensamene con il ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’ del Della Maria. Tra i suoi scritti: Economia sarda nel sec. XV, ‘‘Ichnusa’’, 15, 1956; Una relazione storico-geografica sulla Sardegna del 1746 (con Pietro Leo), 12 puntate sul ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, II, 13-14; III, 15-16-17-18; IV, 1920-21-22-23-24, 1957-1959; Intorno all’effigie di E. D’Arborea, ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, V, 27, 1960. Bérard, Victor Archeologo, studioso di Omero (Morez, Francia, 1864-Parigi 1831). Appassionatosi ai poemi omerici e in particolare all’Odissea (che considerava scritta, come l’Iliade, effettivamente da Omero, seppure in fasi e ‘‘parti’’ diverse), nelle sue Tables odysséennes ricostruı̀ i viaggi di Ulisse, provando a identificare in reali luoghi del Mediterraneo le località toccate dall’eroe nel suo ritorno a Itaca. Fra queste, indicò una serie di elementi che potevano portare a credere che la terra dei Lestrı̀goni e la loro fonte Artacia (arktos = ‘‘orso’’) fossero presso il capo d’Orso di Palau. Le sue teorie furono diffuse in Sardegna da Edoardo Benetti (=) in diversi scritti, soprattutto Omero e la Sardegna, 1925. Nel momento della creazione delle prime infrastrutture turistiche Vico Mossa (=) suggerı̀ per la vicina costa intorno a Porto Pozzo e Valle dell’Erica il nome di ‘‘Costa dei Lestrı̀goni’’. Berchialla, Vincenzo Religioso (Montelupo 1825-Cagliari 1892). Arcivescovo di Cagliari dal 1881 al 1892. Appartenente all’ordine degli Oblati, fu ordinato sacerdote nel 1847. Nei primi anni del suo apostolato, sorretto da una immensa cultura e dalla conoscenza di molte lingue, si impegnò nel lavoro culturale e nell’attività pastorale. Per motivi familiari lasciò temporaneamente la sua congregazione e si ritirò ad Alba, dove fu nominato canonico onorario e dove continuò il suo operato. Nel 1871 tornò nella sua congregazione e raggiunse notorietà nazionale con i suoi libri e con le sue conferenze per il clero. Nelle sue peregrinazioni gli capitò in più di un’occa- 519 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 527 Berchidda sione di andare a Cagliari, rimanendone favorevolmente impressionato. Nel 1881 fu nominato arcivescovo di Cagliari; governò la diocesi con dolcezza, comunicando il suo entusiasmo a tutti e promuovendo in particolar modo le vocazioni e la conoscenza della dottrina cristiana. Altro importante risultato del suo episcopato fu la riforma del calendario liturgico. Tra i suoi scritti: Constitutiones et decreta Synodi calaritanae, 1882; Novena in onore di N.S. di Bonaria, 1882; Circolare per l’inaugurazione di un nazional monumento alla Immacolata Vergine nella piazza di questa città che s’intitola Madonna del Carmine, 1882; Additiones ad breviarium romanum pro archidiocesi calaritana, iuxta calendarium a S. Congregatione concessum anno 1883, 1884; Vita compendiosa del Beato Salvatore da Horta, 1887; Acta concilii provincialis calaritani anni 1886 mense maio, 1889; Statuta pro Capitulo ecclesiae Calaritanae, 1890; Lettere pastorali dal 1881 al 1892, 1892. Berchidda – Paesaggio nei dintorni del centro abitato. Berchidda Comune della provincia di Olbia-Tempio, compreso nella VI Comunità montana, con 3049 abitanti (al 2004), posto a 300 m sul livello del mare, affacciato dalle pendici meridionali del massiccio del Limbara sulla vallata tracciata da alcuni dei corsi d’acqua che vanno a gettarsi nel bacino artificiale del Coghinas. Regione storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 201,88 km2: ha forma grosso modo triangolare, con una punta che si spinge verso sud; confina a nord con Tempio Pausania e Calangianus, a est con Monti, a sud con Alà dei Sardi e Buddusò, a ovest con Oschiri. Il suolo si divide grosso modo in due parti: quello montano, ricoperto di bosco e macchia e solo in parte utilizzato per il pascolo; e quello di collina e di valle, impiegato per l’agricoltura e l’allevamento. Si tratta di un ambiente a natura prevalentemente granitica, che presenta in alcune parti notevoli pregi paesaggistici e naturalistici. A oriente e occidente del paese scorrono corsi d’acqua che, scendendo dal Limbara, si immettono in quelli maggiori di fondo valle. La principale via di comunicazione è la direttissima Sassari-Olbia, che passa a breve distanza; nei pressi si trova anche la stazione di cui il paese dispone lungo la linea ferroviaria Chilivani-Olbia. & STORIA Il centro attuale è di origine medioevale: apparteneva al giudicato di Torres ed era incluso nella curatoria di Montacuto. Sorse probabilmente nel corso del secolo XI in prossimità dell’omonimo castello dal quale era difeso. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale B. e tutto il Montacuto furono contesi tra i Doria, gli Arborea e i Visconti; alla fine del secolo XIII tutto il territorio era presidiato da truppe arborensi, che sembrava dovessero arrivare a controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, anche loro alleati del re, pre- 520 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 528 Berchidda sero atto della cosa ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Quando però nel 1325 i Doria si ribellarono ai loro alleati, il giudice d’Arborea fece nuovamente occupare il villaggio dalle sue truppe e lo fece annettere formalmente al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Quando divenne giudice, Mariano IV pretese l’obbedienza feudale dal fratello ma questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e per questo fu arrestato. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV, B. subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi e fu occupato dalle truppe arborensi fino alla fine della guerra. Nel 1410 il villaggio, per quanto semispopolato – la sua popolazione non arrivava alle cento unità – , continuava a sopravvivere e cadde in mano del visconte di Narbona che solo nel 1420 rinunciò ai propri diritti. Nel 1421 fu incluso con tutto il Montacuto nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Il rapporto con i nuovi signori non fu dei migliori: i suoi abitanti nel 1458 si ribellarono perché esasperati dal peso dei tributi ma non riuscirono a modificare la loro situazione. Nella seconda metà del secolo i Centelles inclusero B. nell’incontrada del Montacuto e il villaggio fu amministrato da un regidor residente a Ozieri e coadiuvato da una burocrazia di funzionari baronali che fecero assumere al piccolo territorio i caratteri di uno stato. I Centelles si estinsero nel 1569, data nella quale si aprı̀ una lite ereditaria che durò fino al 1591: in questi anni il feudo fu sequestrato e per un certo tempo amministrato da funzio- nari reali. Al termine B. passò ai Borgia, con i quali le condizioni della comunità non mutarono, anzi: nel corso del Seicento si verificò un aumento del potere del feudatario che arrivò a controllare direttamente l’elezione del majore esautorando completamente la comunità; per l’amministrazione preferı̀ appoggiarsi ai rappresentanti di alcune famiglie di notabili locali che gestirono il potere in modo sostanzialmente clientelare e ingiusto. Ciò si rese possibile perché, nel corso del secolo, per l’esazione dei tributi feudali erano state create le ‘‘liste feudali’’ dei contribuenti in base al loro reddito: la gestione di queste liste comportava quindi non solo la determinazione del carico fiscale per ciascuno ma anche l’individuazione delle categorie degli esenti. In genere gli esenti erano proprio i notabili locali che finirono per formare delle élite vassallatiche legate al feudatario; quando i Borgia si estinsero, nel 1740, il villaggio aveva circa 1000 abitanti ed esprimeva un profondo bisogno di liberarsi dalla dipendenza feudale. Intanto la sua struttura sociale si andava modificando, le crescenti attività manifatturiere ne aumentavano il benessere e facevano apparire le prime scuole e i primi professionisti. Dopo una lunga serie di vicende ereditarie, nel 1767 il villaggio fu incluso nel ducato del Montacuto che toccò a Maria Giuseppa Pimentel, erede dei Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron. B., come molti altri villaggi del Montacuto, non ebbe un rapporto facile con i nuovi feudatari che dalla Spagna facevano amministrare il feudo a funzionari senza scrupoli, cosı̀ tra il 1774 e il 1785 si rifiutò apertamente di pagare i tributi e nel 1795 prese parte ai moti antifeudali. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Nuoro, nel 1843 chiuse definitiva- 521 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 529 Berchidda mente il suo tempestoso rapporto con i feudatari. Sono gli anni in cui Vittorio Angius scriveva: «Le case sono 315, per la massima parte con sole stanze terrene. Le strade non corrono molto irregolarmente su d’un terreno sabbionoso. Pare che in età rimote fosse maggiore che ora non sia questa popolazione, e si componesse di due rioni separati da un largo di 60 passi. La massima parte di questi popolani sono applicati all’agricoltura ed alla pastorizia. Non più di 15 persone lavorano il ferro, il legname, il cuojo, e meno sono ancora i muratori. Le donne lavorano con molta assiduità tele e panno forese [orbace], ed è generale l’industria e l’attività, sı̀ che toltene appena venticinque circa famiglie mendiche, in tutte le altre case si vede in opera il telajo, e vivesi con qualche agiatezza. I tessuti delle donne berchiddesi, sian di lino che di lane, lingerie, coperte di letto a diversi colori, in disegni non spregievoli, sono assai più stimati che quei d’altri paesi del dipartimento. La scuola normale conta 15 giovanetti (anno 1833), ai quali si insegna il catechismo agrario. La popolazione, compresi i pastori che costituiscono quasi i due quinti del totale degli abitanti, sommava nel 1833 a 1250 anime, distribuite in 311 famiglie. I nativi non sono esenti da frequenti sconcerti di sanità, e gli stranieri che vi si avvassallano sono per li primi anni soggetti alle malattie solite delle arie poco salubri. Dominano nell’inverno le pneumoniti, nell’estate le febbri periodiche e complicate. L’ordinario corso della vita è a 60 anni. Le terre sinora esercitate possono capire 2000 starelli di semenza; ma se cresca l’industria si possono quintuplicare. Il totale della seminagione tra grano, orzo, fave, lino, legumi non sorpassa di molto gli starelli 675, non compresa la piccola quantità che gittano i pastori in sas cuilarzas, nei recinti dove siansi tenute le mandre nell’anno precedente. Si attende alla coltivazione delle erbe e piante ortensi, e se ne provvede ai vicini villaggi Oschiri e Monti. Le vigne sono alla parte verso Oschiri non meno di 150. Il vino è poco pregevole e si mescola con la sapa. Una porzione se ne brucia per acquavite, altra vendesi agli oschiresi. La ricchezza dei pastori notavasi nel 1833 con i seguenti numeri: vacche 1500, pecore 3000, capre 4000, porci 1500. Le bestie domite o domestiche sommavano a 540 capi in questa distribuzione: buoi per l’agricoltura 120, vacche mannalite o domestiche 100, majali 100, giumenti 50, cavalli e cavalle 120. I berchiddesi sono lodati siccome quei che cavalcano con molta destrezza. I formaggi sono ottimi, non usando questi pastori di levarne il butirro. Si coltivano le api, e si ha gran numero di alveari sulla montagna presso gli ovili. Il salvatico consiste in cinghiali e mufloni, volpi, lepri, martore; qualche volta trovansi pure dei cervi. Dei volatili abbondano specialmente le pernici e i colombi, nella palude e nel fiume frequentano molte specie di uccelli acquatici. È prodigiosa la moltitudine degli stornelli, ed è gravissimo il danno che patiscono i proprietari delle vigne, se non vi tengano persone ad atterrirli, poiché le uve cominciano a maturare. Pochi si dilettano della caccia». Nel 1848 B. fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro e vi rimase fino al 1859 quando entrò a far parte della provincia di Sassari, dove rimase fino al 2004, data in cui passò a far parte della provincia di Olbia-Tempio. & ECONOMIA B. può contare su un’economia molto sviluppata, fondata soprattutto sull’allevamento e sulla conseguente produzione del formaggio presso la Cooperativa La Berchiddese 522 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 530 Berchidda (molto rinomati i formaggi filati, tra cui le ‘‘perette’’ e il pecorino romano); sulla viticoltura e quindi sulla produzione del vino, in particolare il famoso Vermentino DOC e DOCG, nella locale Cantina sociale che ha una capacità di lavorazione annua di 12 000 hl. Vi è fortemente radicata anche la produzione e la lavorazione del sughero. Da qualche anno vi si sta sviluppando una forma di turismo culturale legata al festival Time in Jazz, di cui è animatore il celebre trombettista, nato a B., Paolo Fresu. Il paese dispone di 2 alberghi con 50 posti letto e un agriturismo con 8 posti letto. Artigianato. Vi sono sviluppati l’artigianato del sughero e la produzione di oggetti di legno intagliato; della grande tradizione dell’artigianato tessile che le donne praticavano producendo lini e lane di grande pregio, ben conosciuti in tutto il territorio, è rimasta solo memoria. Altre tradizioni artigianali scomparse sono quella della lavorazione del cuoio e quella della produzione di pettini da telaio. Servizi. Il paese è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia e con ferrovia alla rete regionale. Dispone di medico, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 3253 unità, di cui stranieri 15; maschi 1601; femmine 1652; famiglie 1172. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 41; nati 19; cancellati dall’anagrafe 47; nuovi iscritti 30. Tra gli indicatori economici: depositi bancari 34 in miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 14 251 in migliaia di lire; versamenti ICI 1304; aziende agricole 422; imprese commerciali 197; esercizi pubblici 26; esercizi all’ingrosso 4; esercizi al dettaglio 59; ambulanti 8. Tra gli indicatori sociali: occupati 1049; disoccupati 100; inoccupati 163; laureati 51; diplomati 318; con licenza media 926; con licenza elementare 1101; analfabeti 65; automezzi circolanti 1427; abbonamenti TV 1007. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio conserva numerosi nuraghi (Castia, Columeddu, Mandras, Mandriane, Mannu, Pitti Nalvoi, Sa Iscala Serrada, San Giovanni Crabiles, San Michele, Su Nuragheddu, Su Peddiu) molti dei quali hanno restituito ceramiche e altri materiali della civiltà nuragica. Tra questi vanno ricordati quello di Colomeddu, posto accanto alla cantoniera di Zucconi, che è del tipo polilobato con torrione centrale e bastione, e quello di Piddiu, anch’esso del tipo polilobato, attorno al quale sono tracce evidenti di un villaggio nuragico con molte capanne che hanno restituito ceramiche e altri materiali, anche di età romana. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’assetto urbanistico conserva nel centro storico l’aspetto tradizionale con le tipiche abitazioni monocellulari in pietra e le strade tortuose. Di recente ha iniziato a funzionare nel paese il nuovo Museo del vino, con annessa Enoteca regionale, due strutture che si sposano alla perfezione con l’economia locale e attirano turisti e gastronomi. Tra gli edifici di maggiore interesse la chiesa di San Sebastiano: costruita presumibilmente nel secolo XV e successivamente rimaneggiata, ha forme molto semplici. Interessanti anche gli oratori di Santa Croce e della Madonna del Rosario, dove operano le rispettive confraternite. Le campagne sono ricche di monumenti di un certo pregio, tra cui la chiesa di San Marco, di modeste dimensioni, situata a pochi chilometri dall’abitato; costruita in conci di granito nel Medioevo, ha subı̀to diverse 523 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 531 Berchidda modifiche nel corso dei secoli. Ha un impianto mononavato scandito da tre archi e completato da un’abside semicircolare. Conserva un bassorilievo del secolo XIII con la raffigurazione di due leoni e una statua lignea del XVI. La chiesa di San Michele, distante 7 km dall’abitato, è un edificio molto antico, di probabile origine bizantina. Fu ristrutturato ripetutamente nel corso dei secoli. Attualmente ha una sola navata con la copertura in legno, all’esterno sul lato sinistro è affiancato all’edificio un portico (su poltigale). La chiesa di Sant’Andrea, posta su una collinetta a qualche chilometro dall’abitato, costruita nel Medioevo come parrocchia del villaggio poi abbandonato di Resteblas, fu totalmente ricostruita dai Gesuiti nel secolo XVII. Ha l’impianto a una navata, la copertura è del tipo a capanna. Sulla facciata è stato aggiunto un porticato. A poca distanza dall’abitato, in cima all’omonima collina, sta il castello di Montacuto che fu costruito nel secolo XI dai giudici di Torres per difendere il territorio dalle incursioni galluresi. Nel corso dei secoli successivi fu residenza giudicale in diverse occasioni e dopo l’estinzione della dinastia fu conteso dai Doria, dagli Arborea e dai giudici di Gallura e seguı̀ le sorti di B. e del Montacuto; dopo il 1421, persa la sua funzione militare, fu abbandonato e decadde rapidamente. Attualmente rimangono alcune parti della muraglia di cinta e poche altre cose. Dal paese ha inizio una strada che si inoltra sulle pendici del Limbara e consente di giungere sino alla sommità, ma anche di raggiungere punti panoramici e luoghi di partenza per passeggiate nell’ampio territorio. Nella parte bassa del monte, a soli 4 km dal paese, si trova un’area del demanio forestale ricca di vegetazione e di acque sorgive, nella quale si sta avviando il ripopolamento faunistico con daini e mufloni. Il futuro di questa zona è ora legato alla costituzione del Parco naturale del Limbara, su cui peraltro il dibattito fra i comuni interessati è ancora aperto. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le usanze tradizionali del villaggio erano l’espressione della vita di una comunità di pastori e di contadini; in particolare in passato, poiché i pastori trascorrevano buona parte dell’anno nelle pinnette (capanne di frasche appositamente costruite) che col tempo finirono per diventare abitazioni stabili; forte era in loro il desiderio di tornare periodicamente in paese, specie durante il Carnevale, periodo nel quale oltre ai pubblici balli si esibivano cantori improvvisati di grande efficacia e talento. I pastori e i clan familiari spesso entravano in conflitto tra loro coinvolgendo la comunità in faide per sanare le quali a volte si ricorreva al matrimonio fra gli esponenti delle fazioni contrapposte. Di tutto questo complesso patrimonio oggi non rimane quasi più nulla, salvo che in alcune feste. Quella di San Marco si svolge il 25 aprile in campagna, su una collina che offre la vista del lago Coghinas; è organizzata da una confraternita di operajos, e culmina con un grande banchetto offerto a tutti i presenti. Altra occasione è la festa in onore dei santi patroni Sebastiano e Lucia che si svolge nella prima domenica di settembre e dura tre giorni. In questa occasione vengono consumati i dolci tipici di B. che si chiamano neuleddhas. Assume aspetti caratteristici anche la celebrazione dei matrimoni, che avvengono senza la trasmissione di inviti perché tutta la comunità è invitata a partecipare. Tra i personaggi del paese che hanno raggiunto maggiore notorietà vanno ricordati il poeta improvvisa- 524 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 532 Berchiddeddu tore Francesc’Alvaro Mannu, vissuto tra il Seicento e il Settecento, e il sacerdote Pietro Casu (=), poeta e scrittore nonché studioso della lingua sarda e autore di un vocabolario pubblicato postumo. Berchiddeddu Centro abitato della provincia di Olbia-Tempio, frazione di Olbia (da cui dista 16 km), con circa 1100 abitanti, posto a 256 m sul livello del mare nella regione di Silvas ricca di boschi e querce secolari, lungo la strada per Alà dei Sardi, alle falde della catena del Montacuto. Regione storica: Montacuto. Diocesi di Ozieri. & TERRITORIO Il territorio di B. è collinare con rilievi di scarsa elevazione, la cui massima espressione è la punta Lu Casteddu (348 m). Lo stesso abitato si trova sulla cresta di una collina che domina i fiorenti pascoli dei dintorni, i boschi di querce da sughero, i vigneti e i frutteti. Per il suo clima mite il posto, fino a non molti anni fa, era scelto dai pastori delle montagne del sud per lo svernamento. & STORIA È probabile che l’attuale piccolo centro sia sorto nella seconda metà del secolo XVIII dallo sviluppo di un luogo di residenza dei pastori transumanti. Questi provenivano dalle montagne di Alà e del Nuorese e abitualmente frequentavano la zona collinare a ridosso di Olbia, inclusa nel grande feudo di Terranova un tempo appartenente ai Tellez Giron che risiedevano in Spagna. B. si sviluppò lentamente con un processo simile a quello degli stazzi della Gallura. Molto importante, come sempre, è la testimonianza che ne ha lasciato, intorno alla metà dell’Ottocento, lo scrittore Vittorio Angius nel Dizionario degli Stati sardi: «È un casale o stazione di pastori oriundi in maggior parte dai villaggi di Calangiànos e Buddusò. È situato verso greco di Alà, in distanza di due ore e mezzo, nel declivio di un’amenissima pianura, in faccia a mezzodı̀. Dalle rovine che veggonsi intorno si può dedurre esservi stata in altri tempi una competente popolazione. Esistono tuttora delle mezze colonne di granito delle tombe di antica forma con vasi lacrimatorii: vedesi molto rottame di mattoni e tegoli, ed appariscono delle fondamenta. Vi sorge un’acqua salubre e sufficiente al bisogno, e si riconoscono gli avanzi del fabbricato dell’antica fonte. Non vi è alcuna chiesa, e questi pastori vanno quando possono a compire gli atti di religione alle chiese rurali dei vicini territori, e prendono i sacramenti alcuni dalla parrocchia di Alà, altri da quella di Buddusò. La popolazione può ascendere a 120 persone distribuite in 30 famiglie. Nei crusos (chiusi) seminano tanto di grano, orzo, fave, legumi ecc., quanto basti ai loro bisogni. La cinta di questi crusos altrimenti arvos è uno steccato di grossi travicelli contessuti con delle frasche. Commerciano costoro coi viandanti Galluresi e Sassaresi, o a meglio dire concambiano i formaggi e le pelli con gli articoli che sono loro necessari. Se vi si costruisse una chiesetta, e vi si mandasse un sacerdote, e si desse loro un forte eccitamento all’industria agricola, in poco tempo prospererebbe la popolazione, col riunirsele che farebbero tanti altri pastori che vivono fuori d’ogni società». Solo recentemente B. ha rotto l’isolamento con la costa, come del resto le altre frazioni della zona, da quando lo stesso comune di Olbia ha avuto un grande sviluppo, soprattutto dal punto di vista turistico. & ECONOMIA L’economia del piccolo centro è tradizionalmente basata sull’allevamento del bestiame bovino e ovino, grazie ai ricchi pascoli dei dintorni, pressoché pianeggianti; di particolare rilievo è la produzione del for- 525 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 533 Berengo Gardin maggio. Per gli stessi motivi è sviluppata anche l’agricoltura e nelle foreste circostanti si effettua la raccolta del sughero, del quale esiste una tradizione locale di artigianato. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE A qualche chilometro dall’abitato attuale sorge la chiesa di San Tommaso Apostolo, di un certo interesse, costruita nel secolo XIV con un impianto a navata unica. Successivamente subı̀ alcuni restauri e nel secolo XVIII le furono aggiunte due navate laterali scandite da archi a tutto sesto. La facciata è arricchita da un rosone finemente intagliato; l’interno custodisce tre statue lignee del secolo XVII. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni di questo piccolo centro rivivono in due feste popolari. Quella di San Tommaso, nella terza domenica di maggio, è una festa campestre e dura tre giorni; quella di Maria Immacolata, che è la parrocchia di B., si svolge l’8 settembre. In questa occasione la parte ‘‘profana’’ della manifestazione comprende un ballo unico per la Sardegna: lo scottis che, come dice la parola, pare abbia origini scozzesi (ingl. Scottish) e che ogni anno attira numerosi turisti provenienti dalla costa, grazie anche alle numerose e affermate aziende agrituristiche della zona. Berengo Gardin, Gianni Fotografo (n. Santa Margherita Ligure 1930). È uno dei fotografi più famosi del mondo, autore di reportage che hanno fatto scuola. Ha esordito nel 1954 e da allora, vivendo fra Roma, Venezia, Lugano, Parigi e Milano (dove si è stabilito nel 1965), ha pubblicato libri e servizi su ogni parte del mondo, da Morire di classe, 1968, in appoggio alla campagna di Franco Basaglia contro i manicomi, a Un paese vent’anni dopo, 2002. Nel 2006 ha raccolto in volume le foto d’un lungo Reportage in Sardegna (1968- 2006), con testi di Pino Corrias e Pasquale Chessa. «La Sardegna è cambiata. – dice – Sono cambiati gli uomini. Ma il mare non è più un assedio. Ci sono ancora quei boschi e quel vuoto che ti prende l’anima». Beretta, Gaetano Medico, deputato al Parlamento (n. Quartu Sant’Elena 1921). Dopo aver conseguito la laurea in Medicina si è dedicato alla libera professione e alla vita politica nella sua città natale. Cattolico impegnato, ha militato nella DC e nel 1963 è stato eletto consigliere provinciale di Cagliari e quasi contemporaneamente deputato per la IV legislatura repubblicana. Non essendo stato riconfermato per la legislatura successiva, ha continuato a impegnarsi nella sua professione e in seno al Consiglio comunale della sua città fino al 1970. Poco dopo è uscito dalla DC e ha aderito per alcuni anni al PSDI; all’inizio degli anni Ottanta è tornato nel suo vecchio partito, è stato rieletto consigliere comunale e, tra il 1991 e il 1993, è stato sindaco di Quartu. Berger, Allen N. Antropologo inglese (n. sec. XX). Subito dopo la laurea, nel 1976 si recò in Sardegna per condurvi una ricerca sul campo al fine di studiare l’evoluzione sociale della Barbagia, dandone conto nell’articolo Cos’è la Barbagia? I problemi della definizione e della delimitazione di una zona culturale, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XVI, 1990. Bergeron, Robert Geografo francese (n. sec. XX). Allievo di Maurice Le Lannou, è stato interessato dal maestro allo studio della Sardegna; ha dedicato alcuni suoi saggi all’analisi dei problemi dell’isola. Tra i suoi scritti: Problèmes de la vie pastorale en Sardaigne, ‘‘Revue de Géographie de Lyon’’, XLII, 4, 1967; L’evolution récente de l’économie sarde, ‘‘Revue de Géographie de 526 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 534 Berlinguer Lyon’’, XLVIII, 1, 1973; Aménagements de l’espace et conflits sociaux en Sardaigne centrale, ‘‘Hérodote’’, X, 1978. Berlendis, Angelo Letterato e insegnante (Vicenza 1733-Cagliari 1792). Entrò giovanissimo nell’ordine dei Gesuiti; si pose in evidenza come poeta elegante e come scrittore. Tra il 1761 e il 1764 fu professore di retorica a Piacenza; nel 1765 fu chiamato in Sardegna per contribuire alla riforma degli studi avviata dal Bogino. Per tre anni si stabilı̀ a Sassari dove avviò la riforma delle classi inferiori; nel 1768 fu chiamato a insegnare nel Collegio dei Nobili a Cagliari dove ebbe anche la cattedra di Eloquenza presso l’Università di Cagliari. Fu autore di liriche e raccolte di versi di gusto classico; morı̀ tragicamente a Cagliari nel 1792, precipitando da un balcone. Tra i suoi scritti: Sardi liberata, tragedia, 1783; Liriche, 1784; Stanze, sonetti e capitoli, 1785; Rimettendo il governo del regno di Sardegna D. Angelo Solaro di Moretta a D. Carlo Taone di Sant’Andrea, sonetto, 1787; Per la pubblica festa da ballo pel N.U. Leonardo Correr comandante della veneta nave ‘‘La Pallade’’ alle signore dame di Cagliari, sonetto, 1789. Berlinguer Famiglia sassarese (sec. XVI-esistente). Le sue origini sono riferibili al secolo XVI quando compaiono alcuni personaggi che portano il cognome Bilingeri o Bilingueri, la cui genealogia si fa certa con un Antonio vissuto alla fine del secolo. Aveva un discreto patrimonio fondiario che gli consentiva di vivere agiatamente; uno dei suoi figli divenne sacerdote, suo nipote Domenico nel 1682 fu nominato clavario di Sassari e nel 1687 ufficiale della Nurra, fatto eccezionale perché la carica era riservata ai nobili. Il più famoso dei suoi numerosi figli fu Gerolamo, noto avvocato e dal 1720 as- sessore del vicario reale di Sassari. Nel periodo successivo le condizioni della famiglia migliorarono, e i B. furono in grado di estendere il loro patrimonio fondiario, dove, al passo con i tempi, introdussero moderne tecniche di coltivazione; per questo motivo nel 1777 Angelo, sacerdote, e il dottor Giovanni Salvatore, figli di Domenico, ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà. Da Giovanni Salvatore discesero tutti i B. attuali. La famiglia, nel corso del secolo XIX e del secolo XX, espresse alcune distinte personalità in tutti i campi della vita civile sassarese e si imparentò con altre famiglie dell’aristocrazia cittadina. Alcuni suoi membri assursero a ruoli e notorietà in campo nazionale. Berlinguer, Caterina Letterata, giornalista (Sassari 1839-ivi 1909). Sorella dell’avvocato Enrico I, fondatore de ‘‘La Nuova Sardegna’’, sposata Faccion, fu donna di grande personalità e di spirito aperto. Nel 1875, cosa stupefacente per i tempi, fondò e diresse a Sassari il periodico ‘‘La donna e la civiltà’’ (=), che può essere considerato la prima pubblicazione sarda dedicata a un pubblico femminile e ai suoi interessi. La rivista uscı̀ per due anni: B. vi scrisse numerosi articoli sollevando garbatamente il problema della condizione della donna. Quando dovette sospendere le pubblicazioni del giornale, che lei stessa sosteneva finanziariamente, continuò a prendere attivamente parte alla vita culturale della città. Tra i suoi scritti su ‘‘La donna e la civiltà’’, Alle donne sarde, I, 1, 1875; Necessità dei giornali per l’uomo e per la donna, I, 1, 1875; La sposa, I, 3, 1875; Igiene dei bambini, I, 3-4, 1875; L’ampia e profonda istruzione non devono spaventare nella donna, I, 6, 1875; Pensieri sull’educazione, I, 1-2-3-4-7-10, 1876; Sonetto, II, 1, 1876. 527 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 535 Berlinguer Berlinguer, Edoarda Giornalista (Sassari 1848-Messina 1935). Sorella dell’avvocato Enrico I, fu tra le animatrici del movimento mazziniano sassarese. Un suo fratello, Fernando, era stato implicato nei moti mazziniani nel processo che portò alla condanna a morte del caporale Pietro Barsanti, a Pavia. Alla sua morte Michele Saba la ricordò come una militante «della schiera degli ardenti giovani che scrivevano ‘‘La Giovane Sardegna’’, palestra dei giovani isolani, che confortò gli istanti ultimi del Maestro nella casa dei Rosselli a Pisa». Fondò la rivista ‘‘La donna mazziniana’’, «ardente fucina che alimentava la Fratellanza Artigiana, la più antica associazione di Mutuo Soccorso, creata a Sassari nel 1851 dai fedeli del Mazzini». Nel 1882, delegata della sezione di Sassari al Congresso nazionale delle Società operaie, si schierò a favore dell’intransigenza elettorale contro il parere della maggioranza e dei suoi stessi concittadini delegati, che faceva capo al carismatico leader sassarese, Gavino Soro Pirino. Sposata a un Fagà, si trasferı̀ con lui a Messina. Berlinguer, Enrico I Avvocato e uomo politico (Sassari 1850-ivi 1915). Di idee radicali moderate, animò la vita culturale sassarese di fine Ottocento; nel 1891 fondò ‘‘La Nuova Sardegna’’ con Pietro Satta Branca e altri che diedero vita all’associazione politico-culturale Unione popolare, che sosteneva il gruppo politico che faceva capo al deputato Filippo Garavetti. Fu ripetutamente eletto consigliere e assessore comunale e consigliere provinciale del collegio di Benetutti. Morı̀ improvvisamente a Sassari nel 1915. Enrico II Berlinguer – Il segretario del PCI al voto il 7 maggio 1972. Berlinguer, Enrico II Uomo politico (Sassari 1922-Padova 1984). Deputato al Parlamento. Figlio di Mario, compı̀ gli studi nel Liceo ‘‘Azuni’’ della sua città. Nel 1943 aderı̀ al PCI e nel 1944 prese parte ai moti popolari conosciuti come moti del pane, per cui fu arrestato con l’accusa di essere uno degli organizzatori. Trasferitosi a Salerno (dove aveva sede il governo di cui suo padre faceva parte) e poi, nel 1944, a Roma, entrò nella segreteria nazionale del movimento giovanile del suo partito, divenendone segretario nazionale dal 1949 al 1956. Tra il 1960 e il 1968 fece esperienza di vertice negli organismi del partito; nello stesso anno fu eletto deputato per la V legislatura repubblicana. Nel 1972 divenne segretario nazionale e nel 1973 avviò la strategia del ‘‘compromesso storico’’, che prevedeva l’abbandono della concezione rivoluzionaria per la conquista del potere e la possibile collaborazione del partito con altre forze democratiche e popolari, a cominciare da quelle cattoliche. Nel 1976, recatosi a Mosca, coraggiosamente ribadı̀ l’indipendenza 528 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 536 Berlinguer del partito italiano dalle scelte sovietiche; tornato in Italia riconobbe la Nato e avviò il confronto politico con i cattolici nel tentativo di fare del partito una grande forza democratica all’interno della Sinistra europea. In questa ottica il PCI appoggiò nel 1978 il governo Andreotti di ‘‘solidarietà nazionale’’, come reazione al rapimento di Aldo Moro (sostenendo in quella occasione la necessità di rifiutare ogni trattativa con le Brigate Rosse). Nel 1980, sotto la pressione del partito, scontento degli esiti del governo con la DC, lanciò la politica di ‘‘alternativa democratica’’ e accentuò il distacco del PCI da Mosca. Morı̀ improvvisamente nel 1984. Si calcola che ai suoi funerali, celebrati a Roma, fu presente un milione di persone. eletto parlamentare europeo. È stato presidente del Comitato italiano di Bioetica. È autore di alcuni saggi di successo e di numerosissimi articoli di carattere scientifico pubblicati in riviste italiane e straniere. Scritti principali: La medicina è malata (con Severino Delogu); Borgate di Roma; La macchina uomo; Sicurezza sociale; I duplicanti, 1992. Berlinguer, Giovanni Medico, uomo politico (n. Sassari 1924). Deputato al Parlamento, senatore della Repubblica, europarlamentare. Fratello di Enrico II, militante anche lui nel PCI fin dal 1944, pur dedicandosi con passione alla ricerca scientifica e all’insegnamento universitario, si è sempre impegnato anche nella vita politica. Dopo aver conseguito la laurea in Medicina, ha iniziato la carriera accademica presso l’Università di Sassari per trasferirsi presto in quella di Roma, dove è divenuto professore ordinario di Fisiologia e Igiene del Lavoro, occupandosi in particolare dell’approfondimento dei problemi della medicina sociale, settore di cui è considerato uno dei massimi esperti europei. Nel 1972 è stato eletto deputato per il PCI nella VI legislatura repubblicana e in seguito riconfermato fino al 1979; nel 1983 è stato eletto senatore per la IX legislatura, riconfermato nel 1987. Dopo aver aderito ai DS è stato uno dei punti di riferimento della minoranza del partito. Nel 2003 è stato Giovanni Berlinguer – Fratello di Enrico II, fu anch’egli più volte eletto al Parlamento. Berlinguer, Girolamo Militare (Sassari 1792-ivi 1867). Capitano dei Carabinieri, medaglia d’oro al V.M. per le benemerenze accquisite nella lotta contro il banditismo. A ventun anni era sottotenente dei ‘‘Barracelli’’; passato col grado di luogotenente nei ‘‘Cavalleggeri di Sardegna’’, fu in seguito promosso capitano e maggiore. Nel 1843 cessò il servizio attivo per passare al Corpo Invalidi. Durante tutta la sua carriera contribuı̀ coraggiosamente alla difficile lotta contro i banditi che infestavano il Sassarese. Con R.D. 14 novembre 1835 gli venne concessa la medaglia d’oro al V.M. (la prima che sia stata assegnata in Sardegna) per il conflitto del 24-25 giugno 1835 contro il bandito Canu, con questa motivazione: «Per i segnalati servizi resi al governo e gli importanti arresti da lui fatti, con sommo coraggio, di facinorosi e ban- 529 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 537 Berlinguer diti, che infestavano le campagne dei dintorni di Sassari, e particolarmente quello eseguito nella notte dal 24 al 25 giugno 1835 con la massima intrepidezza in persona di Battista Canu, inquisito di proditorio omicidio sulla strada maestra del sig. Felice Sinicorda, nel quale arresto riportò egli pericolose ferite di arma da fuoco sparategli dal soprannominato assassino al momento del suo arresto». Berlinguer, Ines Gentildonna sassarese (Sassari 1899-Roma 1998). Figlia di Enrico I, sorella di Aldo e Mario, crebbe in una famiglia dove si mangiava – è stato scritto – «pane e politica». Acute considerazioni sulla situazione politica mondiale si leggono in effetti in alcune sue lettere, scritte quand’era ancora quindicenne: le si legge in un volume stampato dagli amici e destinato a una circolazione limitata (Cosı̀, come sempre, fino alla fine, Roma 1971), che raccoglie gran parte del lungo epistolario con Stefano Siglienti, conosciuto (e subito amato) nel 1913 e sposato nel 1924. Con Siglienti, B., che si era diplomata maestra elementare e aveva anche insegnato per qualche anno, si trasferı̀ a Roma dove il marito era funzionario del Credito fondiario sardo. La sua casa divenne presto un punto di riferimento per gli antifascisti romani d’estrazione liberal-democratica. Durante la ‘‘lunga notte’’ di Roma, dopo l’8 settembre, svolse diverse pericolose missioni per conto della Resistenza: fra l’altro, poco prima della liberazione di Roma riuscı̀ a far evadere da Regina Coeli suo marito (arrestato nel novembre 1943 come uno dei capi della Resistenza) e Carlo Muscetta. Qualche mese dopo Siglienti sarebbe stato nominato ministro delle Finanze nel secondo governo Bonomi. Negli ultimi anni, dopo la morte del marito (1971), nella sua casa sui colli romani si dedicò alla cura dei nipoti e alla stesura di un diario (alcune pagine sono state pubblicate in biografie sue o del nipote Enrico). Solida narratrice, era anche una fine e spiritosa poetessa in dialetto sassarese. Suo figlio Sergio è uno dei personaggi eminenti del mondo della finanza italiana. Berlinguer, Luigi Storico del diritto (n. Sassari 1932). Figlio dell’avvocato Aldo (e dunque cugino di Enrico II e Giovanni), dopo essersi laureato in Giurisprudenza si è dedicato all’insegnamento universitario. Luigi Berlinguer – Professore di Storia del Diritto italiano, è stato rettore dell’Università di Siena e ministro della Pubblica Istruzione, Università, Ricerca scientifica e tecnologica. Militante nel PCI ha fatto le sue prime esperienze come sindaco di Sennori; nel 1963, mentre si trovava a Londra per le ricerche che avrebbe poi condensato in un documentato volume sul giurista sassarese Domenico Alberto 530 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 538 Berlinguer Azuni, è stato eletto deputato per la IV legislatura repubblicana. Si è occupato intensamente dei problemi della pubblica istruzione e dell’Università: professore di Storia del Diritto italiano, ha insegnato presso l’Università di Siena, di cui è stato a lungo rettore. È stato poi ministro della Pubblica Istruzione, Università, Ricerca scientifica e tecnologica nei governi Prodi e D’Alema, e come tale ha varato una riforma degli studi superiori e dell’istruzione universitaria, ma la brevità della sua permanenza non gli ha permesso di seguirne la realizzazione. Ritiratosi dalla politica, dopo essere stato ancora deputato dal 1994 al 2001, è stato eletto al Consiglio superiore della Magistratura. Attualmente è responsabile della Rete europea dei Consigli di Giustizia. È autore di numerosi saggi scientifici e di articoli di politica. Tra i suoi scritti: Alcuni documenti sul moto antifeudale sardo del 1795-96, in La Sardegna nel Risorgimento, 1962; Domenico Alberto Azuni e gli Stati Uniti d’America, ‘‘Studi senesi’’, XIII, s. III, 1964; Domenico Alberto Azuni giurista e politico (17491827), 1966; Sui progetti del codice di commercio del regno d’Italia 1807-1808. Considerazioni su un inedito di D.A. Azuni, 1970; Una riflessione sulla metodologia della storia in Sardegna, in ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 6-7, 1976; L’autonomia sarda nel sistema italiano delle autonomie, in La Sardegna. Enciclopedia (a cura di Manlio Brigaglia), II, L’autonomia regionale, 1982; L’identità storica della Sardegna contemporanea (con Antonello Mattone), in La Sardegna, ‘‘Le regioni d’Italia dall’Unità ad oggi’’ (a cura di L. Berlinguer e A. Mattone), 1998. Berlinguer, Mario Avvocato, senatore e deputato al Parlamento (Sassari 1891-Roma 1969). Padre di Enrico ju- nior, dopo la laurea esercitò la professione di avvocato e si impegnò nella vita politica della Sassari di inizio secolo. Di idee radicali, su posizioni salveminiane, tra il 1915 e il 1918 prese parte al dibattito politico scrivendo su ‘‘La Nuova Sardegna’’ di cui il padre era stato fondatore. Eletto deputato nel 1924 nella lista dell’Opposizione costituzionale che faceva capo a Giovanni Amendola, dopo il delitto Matteotti partecipò alla secessione dell’Aventino e nel 1925 fece parte del Comitato sassarese delle opposizioni che pubblicò il giornale ‘‘Sardegna libera’’. Negli anni successivi si tenne in disparte, dedicandosi esclusivamente alla professione. Negli ultimi mesi dalla dittatura redasse e fece circolare un giornaletto clandestino antifascista, ‘‘Avanti Sardegna!’’, che incitava a porre fine alla guerra e a ribellarsi ai tedeschi. Riprese la vita politica dopo la caduta del regime, costituendo il Partito d’Azione in Sardegna; fu chiamato a far parte del governo Bonomi come Alto Commissario aggiunto per la punizione e gli illeciti del fascismo (delle quattro sezioni, fu responsabile di quella che indagava sui delitti politici). Dopo la proclamazione della repubblica fu senatore dal 1948 al 1953 e deputato del PSI dal 1953 al 1968. Tra i suoi scritti spiccano i due volumi, ricchi anche d’esperienza personale, sul sistema giudiziario nel periodo fascista (La giustizia nel regime fascista, 1944, e La vita giudiziaria in Sardegna, 1945, recentemente ripubblicato col titolo Gli occhi sono d’acqua dalla casa editrice Insula, 2006). Tra gli articoli Per i giovani, ‘‘Riscossa’’, 1944; Autonomia regionale, ‘‘L’Unione sarda’’, 1944; I partiti, ‘‘Riscossa’’, 1944; Avanti Sardegna!, ‘‘Riscossa’’, 1945; Vento di giustizia dal Nord, ‘‘L’Isola’’, 1945; La Sardegna deve farsi ascoltare, ‘‘Il Solco’’, 531 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 539 Berlinguer 1945; Ferruccio Parri l’antimussolini, ‘‘Riscossa’’, 1945; Avanti Sardegna. Un foglio clandestino isolano, ‘‘Sardegna’’, 1, 1946; Sono stato un pubblico accusatore, ‘‘Riscossa’’, 1946; La Sardegna e il fronte popolare, ‘‘Sardegna avanti’’, 1948; Lo scempio di Carbonia, ‘‘Pensiero nazionale’’, VI, 1959. sconi, carica che ha tenuto fino al gennaio del 1995. Berlinguer, Paolo Avvocato, consigliere regionale (Sassari 1935-ivi 2002). Figlio di Aldo, fratello di Luigi, dopo la laurea in Giurisprudenza si è dedicato con successo alla libera professione e alla vita politica, militando nel PCI. Nel 1974 è stato eletto consigliere regionale per il PCI nel collegio di Sassari per la VII legislatura ed è stato successivamente riconfermato fino al 1984. Nell’ambito del suo mandato è stato assessore ai Trasporti dal 1980 al 1982 nelle due giunte Rais; lasciato il Consiglio regionale è stato eletto consigliere comunale di Sassari, ma nel 1989 si è dimesso e ha lasciato la politica attiva. È morto a Sassari nel 2002. Santa Bernadette Soubirous – Statua della santa a Lourdes. Berlinguer, Sergio Diplomatico di car- Bernadette Soubirous, santa Santa riera (n. Sassari 1934). Figlio di Aldo e fratello di Luigi, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza è entrato nella carriera diplomatica che ha percorso brillantemente. Nel 1960 è divenuto consigliere diplomatico di Antonio Segni; successivamente, dopo una breve parentesi all’Ambasciata italiana a Londra, è divenuto consulente diplomatico di Francesco Cossiga dapprima al Ministero degli Esteri e dal 1985 al Quirinale, dove è diventato segretario generale della presidenza della Repubblica. Nel 1992 è stato nominato consigliere di Stato e presidente della commissione incaricata di trattare la revisione del trattato di Osimo con la Croazia. Nel maggio del 1994 è stato nominato ministro senza portafoglio nel primo governo Berlu- (Lourdes 1844-Nevers, Francia, 1879). Marie Bernarde, Bernadette nel diminutivo francese, nacque il 7 gennaio 1844. Famiglia numerosa e povera, la sua. Analfabeta, parlava solo il dialetto della Bigorre, «il linguaggio che la Signora biancovestita e con una fascia azzurra usò per darle il suo messaggio di preghiera e penitenza». Aveva quattordici anni quando l’11 febbraio 1858, mentre raccoglieva legna con la sorella e un’amica a Massabielle, appena fuori dall’abitato di Lourdes, le apparve la Madonna: «Signora, volete dirmi come vi chiamate?». «Io sono l’Immacolata Concezione». Seguirono altre diciotto apparizioni. Lourdes, la grotta, l’acqua, i miracoli. Nel 1866 si ritirò nel convento delle Suore dell’istruzione cristiana e della carità di Nevers, dove 532 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 540 Bernardini morı̀ il 16 aprile 1879. Sepolta nello stesso convento, il suo corpo è rimasto integro. Canonizzata da Pio XI (1933). [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 25 aprile ad Arzachena. Bernardi, B. Ingegnere piemontese (sec. XIX). Lavorò a lungo in Sardegna con l’ingegner Giuseppe Cominotti. Osservatore attento della situazione dell’isola, in più di un’occasione intervenne con proposte e progetti nel tentativo di interessare l’opinione pubblica nazionale ai problemi della Sardegna, pubblicando un Cenno sulle condizioni attuali della Sardegna e suoi vari miglioramenti possibili, specialmente nelle vie di comunicazione (con G. Cominotti), 1849. segnato nelle scuole ‘‘difficili’’ della Barbagia, si è trasferito nel Lazio. Con gli anni è divenuto un affermato scrittore di libri per ragazzi e di importanti libri sulla condizione della scuola italiana. Per molti anni ha curato la pagina dei ragazzi di ‘‘Paese sera’’ e collabora con altri periodici nazionali. Tra i suoi scritti: Un anno a Pietralata, 1963 (da cui è stato tratto un film televisivo di grande successo, col titolo Diario di un maestro, poi pubblicato anche in volume, 1975); Tante storie sarde, 1991; La banda del bolide, 1992; Storie di gente comune (con Tonino Mameli), 1993. Bernardini, Gaetano Scultore romano (sec. XIX). Nel 1869 aprı̀ a Sassari una scuola di architettura e ornato, stipendiato dal Comune. Fu suo allievo il celebre intagliatore sassarese Giovanni Clemente. Nonostante la buona frequenza e la sua utilità, la scuola fu chiusa nel 1881. Bernardini, Paolo Archeologo (n. Ca- Albino Bernardini – Maestro elementare prima in Sardegna e poi a Roma, ha raccontato la sua esperienza in alcuni libri, tra i quali Un anno a Pietralata. Bernardini, Albino Pedagogista (n. Siniscola 1917). Conseguita l’abilitazione magistrale a Nuoro, si è dedicato all’insegnamento nella scuola elementare, cercando di dare nella sua professione risposte ai problemi che l’ambiente gli poneva. Combattente nella seconda guerra mondiale, nel dopoguerra ha accoppiato al suo impegno didattico quello politico e civile. Dopo avere in- gliari 1950). Conseguita la laurea in Lettere è entrato nella carriera delle Soprintendenze archeologiche. Attualmente lavora presso la Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e di Oristano. Studioso della civiltà fenicio-punica, nel corso degli anni ha preso parte a numerose campagne di scavo, collaborando con Bartoloni in quelle più recenti a Monte Sirai. Tra i suoi scritti: Le aristocrazie nuragiche nei secoli VIII e VII a.C. Proposte di lettura, ‘‘La Parola del Passato’’, CCIII, 1982; La Sardegna, gli Etruschi e i Greci (con C. Tronchetti), in Sardegna preistorica. I Nuraghi a Milano, 1985; Precolonizzazione e colonizzazione fenicia in Sardegna, ‘‘Egitto e Vicino Oriente’’, IX, 1986; Le origini della presenza fenicia in Sardegna: perplessità e considerazioni di metodologia, in Ricerca sugli antichi insediamenti fenici. 533 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 541 Bernardino Sardinian Coastal study Project, 1986; S. Antioco. Area del Cronicario. Campagne di scavo 1983-84. Notizia preliminare (con C. Tronchetti), ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 3, 1986; Sui materiali del tempio a pozzo di Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro (con G. Tore), in Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo. Atti del II Convegno di studi di Selargius 1986: la Sardegna nel Mediterraneo tra il II e il I millennio a.C., 1987; I leoni di Sulci, 1988; Le origini di Sulci e Monte Sirai, in ‘‘Studi di Egittologia e di antichità puniche’’, 4, 1989; Le importazioni greche a Sulci VIII-IV sec. a.C., 1989; Dall’Età orientalizzante all’intervento militare cartaginese 750550 a.C., in Sardegna archeologica, Catalogo della mostra, 1990; Micenei e fenici. Considerazioni sull’Età precoloniale in Sardegna, ‘‘Oriens antiquus’’, XIX, 1991; I gioielli di Sulci, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 8, 1991; La facies orientalizzante in Sardegna: problemi di individuazione e di metodologia, in Sardinia in the Mediterranean: a Footprint in the Sea, 1992; La Sardegna e i Fenici. Appunti sulla colonizzazione, ‘‘Rivista di Studi fenici’’, XXI, 1, 1993; Considerazioni sui rapporti tra la Sardegna, Cipro e l’area Egeo orientale nell’Età del bronzo, ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 1994; I Fenici lungo le rotte dell’Occidente; La necropoli fenicia di San Giorgio di Portoscuso; L’insediamento fenicio di Sulci; L’Età punica: Cartagine in Sardegna; Il santuario di Antas a Fluminimaggiore; Ricerche a Tharros (con A. Peserico, G.M. Ingo, E. Acquaro e G. Garbini), tutti in I Fenici in Sardegna, 1997; Gli eroi e le fonti, ‘‘Quaderni della Soprintendenza ar- cheologica per le province di Cagliari e di Oristano’’, 19, 2002. Bernardino Singolare personaggio vissuto a Cagliari agli inizi del secolo XIV. Venne accusato di tradimento per aver esclamato «Piaccia al diavolo che i Catalani arrivino» proprio nel giorno in cui questi sbarcavano in Sardegna. Considerato colpevole di segrete intese col nemico, fu condannato a morte e decapitato. Bernardino, Anselmo Giornalista (prima metà sec. XX-?). Collaborò a ‘‘L’Unione sarda’’ ai tempi della direzione di Raffa Garzia, occupandosi dei problemi della riforma elettorale. Negli anni successivi fu amico e collaboratore del Carta Raspi nella redazione de ‘‘Il Nuraghe’’; condusse anche interessanti ricerche sull’amministrazione finanziaria nella Sardegna sabauda. Tra i suoi saggi principali, Tributi e bilanci in Sardegna nel primo ventennio della sua annessione al Piemonte (1721-1740). Contributo all’illustrazione della finanza sabauda nell’isola, 1921; La finanza sabauda in Sardegna (17411847), 1924; Finanze delle città della Sardegna sabauda, in Scritti in memoria di G. Prato, 1931; Progetto di riduzione delle spese militari in Sardegna nel 1812, ‘‘Giornale degli Economisti’’, 1930. Bernardino da Siena, san (in sardo, Santu Bernardinu) Santo (Massa Marittima 1380-L’Aquila 1444). Della nobile famiglia degli Albizzeschi, orfano a sei anni, fu cresciuto da due zie a Siena. Francescano dei Minori osservanti (1402-1403), sacerdote, malgrado una naturale raucedine e una voce flebile gli venne affidato (1417) il ministero della predicazione. Fu in molte città a predicar pace, a riprendere vizi, a esortare con l’esempio e la parola all’imitazione di Cristo, in alcune collaborò alla riforma degli statuti. Sempre 534 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 542 Bernardo dalla parte dei poveri: «Di chi è la colpa – era solito dire – se a volte i poveri bestemmiano?». Devotissimo alla Madonna e al SS. Nome di Gesù. «Era l’epoca, la sua – la nota è di Enzo Orlandi (1961) – , delle eresie, delle fanatiche predicazioni dei fraticelli. Sorgono profeti un po’ dappertutto e le dottrine valdesi si spandono in mezza Europa. È il tempo delle appassionate prediche di San Bernardino da Siena, che suscitano nel popolo, il quale vuol vedere e toccare con mano, in tanta confusione, qualcosa di santo, un cosı̀ straordinario fervore». Fece incidere in oro le lettere JHS, monogramma di Gesù, contornate da un cerchio di raggi solari, fiammeggianti, su tavolette che alla fine delle sue prediche faceva baciare ai fedeli. Accusato di eresia, sottomise i suoi sermoni alla Chiesa, che solennemente li approvò in due processi (1427 e 1431). Siena, Ferrara e Urbino si contesero la sua elezione a vescovo, carica che rifiutò. Fondò qualcosa come trecento conventi, riformò l’ordine, cercò dal 1421 al 1443 di riconciliare conventuali e spirituali. Prese parte al concilio per l’unione della Chiesa latina e di quella orientale. Fu consigliere dei papi Martino V ed Eugenio IVe dell’imperatore Sigismondo. Morı̀ a L’Aquila il 20 maggio 1444. Nella città abruzzese, di cui è compatrono, sono conservate le reliquie. Canonizzato da Niccolò V (1450). Patrono dei predicatori e dei pubblicitari. Diverse opere portano la sua firma, ma non scrisse nulla. I suoi Sermones in latino e le sue Prediche in italiano sono trascrizioni curate dal cimatore di panni Benedetto di maestro Bartolomeo, che assistette alle prediche tenute da B. da S. per quarantacinque giorni consecutivi nella Quaresima del 1427 a Siena nella piazza del Campo, e da anonimi discepoli. Nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, il Retablo di San Bernardino (1455-1456) è opera dei pittori catalani Joan Figuera e Rafael Thomas. [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Mogoro. Festa Si festeggia il 20 maggio. San Bernardino da Siena – Il santo in un dipinto di Paolo Morando. Bernardo1 Religioso (?, prima metà sec. XIV-Cagliari 1398). Vescovo di Ploaghe dal 1361 al 1368, arcivescovo di Torres dal 1368 al 1369, arcivescovo di Cagliari dal 1369 al 1398. Era arcidiacono a Mazara del Vallo quando nel 1361 fu nominato vescovo di Ploaghe; resse la diocesi negli anni che precedettero lo scoppio della seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV e nel 1368 fu nominato arcivescovo di Torres proprio mentre Sassari cadeva in mano alle truppe arborensi. La sua presenza nella diocesi turritana fu di breve durata, probabilmente perché non gradita ai conquistatori, e nel 1369 fu sostituito con il Belvaysi. Poiché a Cagliari era morto Giovanni d’Ara- 535 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 543 Bernardo gona, fu nominato arcivescovo di Cagliari. Negli anni in cui resse la diocesi, si sviluppò il culto della Madonna di Bonaria; egli però dovette affrontare le conseguenze dello scisma, quando nel 1386 l’antipapa Benedetto XIII nominò l’aragonese Diego come suo antagonista a Cagliari. Bernardo2 Religioso (Pisa?, seconda metà sec. XII-Oristano?, dopo 1220). Arcivescovo di Oristano dal 1200 al 1220. Era molto legato agli ambienti politici della sua città natale. Divenuto arcivescovo nel 1200, governò la diocesi per più di vent’anni, nel periodo in cui Guglielmo di Massa, giudice di Cagliari, si impossessò del giudicato d’Arborea: B. ne assecondò la politica. Nel 1206, dopo che Ugo Ponzio di Bas ebbe sposato Preziosa, una delle figlie di Guglielmo, favorı̀ il suo ritorno in patria come condomino d’Arborea. Negli anni seguenti favorı̀ la penetrazione di Pisa nell’Arborea e finı̀ per legarsi ai Visconti. Dopo la scomunica di Ubaldo e Lanfranco Visconti continuò ad appoggiare la loro politica, per cui nel 1220 fu anch’egli scomunicato da papa Onorio III, che però nello stesso anno lo assolse. [MASSIMILIANO VIDILI] Bernardo3 Religioso (?, inizi sec. XIVCastra?, 1358). Vescovo di Castra dal 1342 ca. al 1358. Trovò la diocesi devastata dalla guerra tra Doria, Arborea e Aragona per il controllo del Montacuto. Forse per questo rifiutò di pagare le decime triennali e sessennali nonché i censi e le altre contribuzioni dovute alla Sede apostolica, incorrendo nella scomunica. Nel 1344 venne incaricato di citare in giudizio un certo Pietro Ghisu che, usando falsi documenti di elezione, era riuscito a farsi confermare vescovo di Galtellı̀. Nel 1356 in Sede apostolica era giunta la falsa notizia della sua morte, che aveva portato alla nomina di Guglielmo d’Aragona. Visto l’errore, la nomina di Guglielmo fu congelata in attesa che si liberasse una sede (nel 1356 fu assegnato a Terralba). Bernardo morı̀ entro il 1358. Bernardo, san Santo (Fontaine-les-Dijon, Francia, 1090/1091-Clairvaux 1153). A vent’anni entrò nell’abbazia di Citeaux, Cistercium, fra i ‘‘monaci bianchi’’, che osservavano integralmente la Regola di San Benedetto. I ‘‘monaci neri’’ erano quelli del monastero di Cluny, ricco e sfarzoso. A venticinque anni fondò il monastero di Clairvaux (Chiaravalle) nella Champagne. Fu consigliere di re, papi e vescovi. Pose fine allo scisma dell’antipapa Anacleto II, sostenendo e facendo riconoscere il pontefice Innocenzo II. Fece condannare come eretici Abelardo e Gilberto Porretano vescovo di Poitiers. E fece cacciare dalla Francia Arnaldo da Brescia. Promosse la seconda crociata (1147-1149), il cui esito fu negativo, per fronteggiare gli attacchi al Regno di Gerusalemme. Combatté contro la mondanità degli ordini religiosi, contro la mercificazione delle reliquie e dei pellegrinaggi. L’ordine cistercense, sotto la sua direzione, divenne una potenza non solo nell’ambito della Chiesa, ma anche in quello politico. La sua voce si levò persino contro le grandi chiese romaniche e gotiche, «immensamente alte – egli scrive nell’Apologia ad Guillelmum, Sancti Theodorici Abbatem – smisuratamente lunghe, eccessivamente larghe, sontuose le decorazioni e stravaganti le pitture, il cui effetto è di attrarre su di sé l’attenzione dei fedeli e di diminuire il loro raccoglimento. A che serve quest’oro nel santuario? Splende la chiesa nelle sue pareti, ma langue nella persona dei poveri; ricopre d’oro le proprie pietre, ma abbandona nudi i suoi figli». Devotissimo alla Madonna, Dante pone sulla sua bocca, al culmine 536 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 544 Beronicenses della Divina Commedia, la preghiera alla Madre di Dio: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio». Considerato un grande scrittore, pur non essendo né un pensatore né un teologo sistematico. Morı̀ a Chiaravalle il 20 agosto 1153. Canonizzato da Alessandro III (1174), da Pio VIII (1830) proclamato doctor mellifluus, per la sua eloquenza dolce come il miele. Patrono degli apicultori. nome di un santo o di una santa, perciò il detto «Sonare i santi» per le campane che suonano a stormo. Essendo compatrono di Genova, con San Giorgio martire, sempre a Cagliari l’Arciconfraternita dei Santi Giorgio e Caterina dei Genovesi custodisce una tela secentesca, nella quale la Madonna gli porge le chiavi della città ligure. [ADRIANO VARGIU] Bernat Famiglia catalana (secc. XIVXVI). Stabilitasi a Cagliari con un Francesco alla fine del secolo XIV per curare i propri commerci, finita la guerra con gli Arborea, agli inizi del secolo XV, ottenne in feudo un vasto territorio sulle rive dello stagno di Santa Gilla, dove si stava formando il villaggio di Elmas, di cui favorı̀ lo sviluppo. Dei suoi figli Francesco nel 1509 fu luogotenente del Tesoriere generale e Gerolamo ereditò il feudo; morı̀ alla fine del secolo XV, lasciando erede un’unica figlia, Anna, che vendette il feudo a Girolamo Sanjust nel 1522. Bernouilli, John Matematico (Basilea San Bernardo – Dipinto di Miguel Cabrera raffigurante il santo. In Sardegna Il suo culto può considerarsi al passato. Giovanni Spano (1868) ricorda una «tela dedicata al santo», da lui commissionata a Giovanni Marghinotti per il convento dei Cappuccini di Calangianus. A Cagliari, nella campana della cappella neoclassica dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio, opera di Gaetano Cima, si legge: «San Bernardo, 1847». Ogni campana portava e qualche volta ancora porta il 1710-ivi 1790). Nacque da una famiglia di insigni scienziati. Nel 1748 succedette a suo padre nell’insegnamento presso l’Università di Basilea. Scrisse una ‘‘notizia’’ sugli stati del re di Sardegna, Die Staaten des Königs von Sardinien. Zusätze zur der neusten Reisebeschreibungen von Italien, pubblicato a Lipsia nel 1777, che doveva servire da guida ai giovani svizzeri che compivano il Grand Tour in Italia in quella seconda metà del Settecento. Beronicenses Antico popolo della Sardegna. Ricordati con le univer[sae] tribus su un’iscrizione latina di Sant’Antioco dedicata alla civitas Nea[poli]tanorum, i Beroni[cen]ses sono identificati 1, con i Sulcitani di Tolomeo; 2, con i membri di un pagus di Sulci; 3, con una confraternita locale; 4, con una popolazione rurale insediata sulle 537 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 545 Berretta terre di una ricca Beronice; 5, più verosimilmente con una comunità ebraica originaria da Beronice (Bengasi) in Cirenaica, giunta in Sardegna in conseguenza delle rivolte giudaiche di età traianea o adrianea o attratta dalla natura commerciale del porto sulcitano. Attilio Mastino ha pensato a incolae (stranieri) aggregati al municipio di Sulci, ma dotati di una forte personalità giuridica. In effetti Sulci ha restituito copiose testimonianze di una comunità giudaica, forse organizzata attorno a un consiglio degli anziani (gerousı́a), che in età tarda occupa un’area cimiteriale adiacente a quella cristiana. [ANTONIO IBBA] Berretta, Gaetano Medico, deputato al Parlamento (n. Quartu Sant’Elena 1921). Cattolico impegnato in politica, nel 1963 è stato eletto consigliere provinciale di Cagliari e contemporaneamente deputato per la IV legislatura repubblicana. Non riconfermato per la legislatura successiva, ha continuato a impegnarsi nella sua professione e in seno al Consiglio comunale della sua città fino al 1970. Dopo una parentesi durata più di dieci anni, è stato rieletto consigliere comunale e, tra il 1991 e il 1993, sindaco di Quartu. Berretta di prete = Fusaggine Berria, Francesco Insegnante, consigliere regionale (n. Orune 1958). Dopo aver compiuto i suoi studi all’Istituto magistrale si è dedicato alla vita politica militando nelle file dei DS. Dal 1980 è stato eletto consigliere comunale e assessore alla Cultura nel suo paese natale; in seguito è divenuto sindaco. Nel 1993 è stato eletto consigliere regionale per il PDS nel collegio di Nuoro per l’XI legislatura, ma non è stato riconfermato nel 1998. Rieletto sindaco, ha pubblicato con Giuseppe Podda un libro dedicato al più famoso dei suoi concittadini: La Sardegna rive- lata. La lezione di Antonio Pigliaru, 2005. Berry, Mario Commercialista, deputato al Parlamento (Gonnosfanadiga 1908-Lecce?, 1987). Dopo aver conseguito la laurea prese parte alla seconda guerra mondiale e nel dopoguerra aderı̀ alla DC impegnandosi nel dibattito politico e nell’esercizio della libera professione. Trasferito nella penisola, fu eletto deputato per il suo partito in una tornata suppletiva della II e nella III legislatura (19531963). Cessato l’impegno istituzionale divenne presidente dell’Istituto poligrafico dello Stato e consigliere d’amministrazione dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Berta = Zoologia della Sardegna Bertarelli, Luigi Vittorio Giornalista (Milano 1859-ivi 1926). In gioventù ebbe esperienze nel campo dell’imprenditoria e fu un appassionato ciclista. Nel 1894 il suo amore per il ciclismo lo portò a essere tra i fondatori del Touring Club Italiano, sodalizio cui si dedicò con grande amore. Dopo aver ricoperto importanti incarichi sociali, nel 1919 ne divenne presidente. Si adoperò per la pubblicazione delle guide turistiche d’Italia; particolarmente interessato alla Sardegna, promosse escursioni ciclistiche nell’isola, contribuendo cosı̀ a farla conoscere. Tra gli scritti dedicati all’isola l’opera più importante è la guida, La Sardegna, pubblicata nel 1918 anche come segno di gratitudine all’isola che aveva dato tanti suoi figli all’Italia in guerra. Altri articoli testimoniano il suo grande affetto per l’isola: Baronia, Ogliastra e Barbagia. Una passeggiata nel dominio dei latitanti sardi, ‘‘La Bicicletta’’, 1897; La malaria in Sardegna, ‘‘Le Vie d’Italia’’, 1918; Stabilimento Vittorio Emanuele di Sanluri, Terra promessa, 1922. Berti, Domenico Scrittore e filosofo, 538 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 546 Bertoleoni deputato al Parlamento (Cumiana 1820-Roma 1897). Conseguita la laurea si dedicò alla carriera universitaria; fu professore di Filosofia morale e autore di numerosi saggi. Ebbe una lunghissima esperienza parlamentare: fu eletto ininterrottamente deputato dal 1849 al 1894; nell’ambito del suo mandato si occupò con continuità dei problemi della Sardegna e contribuı̀, tra l’altro, a impedire la soppressione dell’Università di Sassari. sitò l’isola durante l’ultimo dei suoi soggiorni in Sardegna, trovò il patriarca, che lo aiutò disinteressatamente nella caccia alle capre selvatiche, tipica selvaggina dell’isola. Tra i due si instaurò un rapporto cordiale e diretto: il re rimase colpito dal personaggio e dai modi di vita che la sua invidiabile autonomia gli consentiva; la considerazione del sovrano giunse a tal punto che, nel lasciare l’isola, chiamò il B. ‘‘re di Tavolara’’. Bertoldi, Vittorio Glottologo (Trento 1888-Roma 1953). Conseguita la laurea in Lettere si dedicò alla carriera universitaria. Dal 1931 divenne professore di Glottologia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, nel 1935 si trasferı̀ all’Università di Napoli. Fu studioso attento del paleosardo e del sardo-punico. Tra i suoi scritti: Antichi filoni della toponomastica mediterranea incrociantesi nella Sardegna, ‘‘Revue de Linguistique romaine’’, IV, 1929; Sardo Punica. Contributo alla storia della cultura punica in terra sarda, ‘‘La Parola del Passato’’, II, 4, 1947. Bertoleoni Famiglia di pastori di Tavolara (sec. XVIII). Di origine corsa trapiantata nell’arcipelago della Maddalena a partire dal secolo XVIII. I B. erano tradizionalmente pastori: uno di essi, un Giuseppino, si trasferı̀ alla fine del secolo a Tavolara, dove la famiglia possedeva dei terreni. Sulle ragioni del suo trasferimento a Tavolara sono state fatte diverse ipotesi, la più romantica e avvincente però è quella riportata dal Lamarmora, secondo la quale egli preferı̀ l’isolamento e l’assoluta libertà per sottrarsi alle conseguenze di una situazione di conclamata bigamia. Si stabilı̀ nell’isola allora deserta e continuò a risiedervi con tutta la famiglia avuta dalla sua compagna. Quando Carlo Alberto vi- Bertoleoni – Nel piccolo cimitero marino la tomba di Pietro Bertoleoni, che Carlo Alberto chiamò ‘‘re di Tavolara’’. La notizia fece il giro del mondo e quello che forse era stato semplicemente un segno d’affetto di un sovrano divenne un riconoscimento ufficiale. Da allora i B. continuarono a portare l’appellativo: la regina Vittoria volle una loro fotografia che collocò accanto a quelle delle altre famiglie reali del 539 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 547 Bertolini mondo di cui aveva la collezione. Cosı̀ quello che oramai era divenuto un titolo continuò a essere portato dai discendenti di Giuseppino fino ai giorni nostri. Bertolini, Giulio Cesare Insegnante e uomo di cultura (n. sec. XX). Giunto in Sardegna dopo il 1870 per insegnare presso il Liceo ‘‘Dettori’’ di Cagliari, dotato di grande cultura e di ottime capacità oratorie, fu per anni tra i più vivaci animatori della vita culturale di Cagliari. Tra i suoi scritti: Parole dette agli allievi del Liceo in occasione dell’apertura del corso scolastico 1870-1871, 1870; Parole lette nella grande aula della R. Università di Cagliari il marzo 1871 in occasione della festa letteraria, 1871; Nella festa letteraria del Liceo Dettori celebrata il 17 marzo 1872, 1872; Alcuni cenni sul libro ‘‘Viaggi in Sardegna’’ del Barone di Maltzan e versione dell’intero capitolo sui Nuraghi, 1875; Viaggio nell’isola di Sardegna con un’appendice sulle iscrizioni sardo-fenicie di Sardegna del barone Enrico di Maltzan, ‘‘Rivista sarda’’, I, II, 1875; Compendio della storia nazionale della Sardegna dal 687 al 1410, 1876. Bertolinis, Matteo Vescovo di Alghero dal 1733 al 1741, arcivescovo di Sassari dal 1741 al 1749 (Mondovı̀, fine sec. XVII-Sassari 1749). Uomo di grande cultura, fu creato arciprete della cattedrale di Cuneo e alcuni anni dopo preside della Facoltà teologica di Torino. Nel 1733 fu nominato vescovo di Alghero; giunse nella nuova sede intenzionato a promuovere un programma di formazione del clero, che fu generalmente apprezzato, ma poco dopo ebbe una controversia col capitolo della cattedrale riguardante l’ammontare di una somma che pretendeva come rimborso per le spese affrontate per il trasferimento in Sardegna. Il contrasto durò otto anni, assumendo toni spiace- voli, e logorò i rapporti col clero compromettendo la sua attività pastorale. Chiusasi la vicenda, probabilmente per fugare ogni possibile altro dissidio, nel 1741 fu nominato arcivescovo di Sassari. Nella nuova sede (1747) ristrutturò radicalmente il Seminario. Bertolio, Soleman Studioso e imprenditore piemontese (?, seconda metà sec. XIX-Torino 1924). Laureato in Ingegneria mineraria e profondo conoscitore della geologia della Sardegna, arrivò nell’isola attirato dalle prospettive di sviluppo dell’industria mineraria e finı̀ per diventare uno dei comproprietari della miniera di Montevecchio. Lasciò numerosi saggi, fra i quali alcuni che riguardano la Sardegna: Studio micrografico di alcune roccie dell’isola di San Pietro, ‘‘Bollettino della Regia Commissione geologica italiana’’, 4, 1891; Aspetti geologici e minerari del suolo di San Pietro, ‘‘Bollettino della Regia Commissione geologica italiana’’, 1896; Contribuzione allo studio dei terreni vulcanici di Sardegna, ‘‘Bollettino della Commissione geologica Italiana’’, 2, 1896; Criterio per giudicare della continuazione in profondità dei giacimenti zingiferi di Sardegna, ‘‘Resoconti dell’Associazione mineraria sarda’’, 7, 1896; Formations vulcaniques de Sardaigne, ‘‘Bulletin de la Societé Geologique de France’’, III, 1897; Genesi dei giacimenti metalliferi di Monteponi, ‘‘Resoconti dell’Associazione mineraria sarda’’, 6, 1898; Notizie sulle galene fortemente argentifere e aurifere della concessione Telle, ‘‘Resoconti dell’Associazione mineraria sarda’’, 1, 1909; Note sul sistema filoniano arburense, ‘‘Rassegna mineraria’’, XXXIII, 16, 1910; L’oro in Sardegna, ‘‘Resoconti dell’Associazione mineraria sarda’’, 3, 1919. Bertolotti Famiglia algherese (secc. XVII-XIX). Le sue notizie risalgono al 540 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 548 Bertorio secolo XVII. I suoi membri erano mercanti di un certo rilievo e nel 1684 uno di essi, un Giovanni Battista, ottenne l’appalto delle forniture militari. Questi nel 1693 fu creato nobile e cavaliere ereditario; i suoi figli nel 1698 furono ammessi allo Stamento militare e presero parte attiva al parlamento Montellano. I loro discendenti nel corso del secolo XVIII risiedettero a Sassari e ricoprirono importanti uffici nell’amministrazione finanziaria. Agli inizi del secolo XIX la famiglia si trasferı̀ sul continente. Bertolotti, Antonino Paleografo e ar- la VI legislatura. Non riconfermato, è stato nuovamente sindaco del suo paese dal 1980 al 1981 e dal 1991 al 1994. Negli stessi anni è stato anche presidente del Consorzio industriale di Villacidro. Bertolotti, Massimo Imprenditore e consigliere regionale (n. San Gavino Monreale 1960). Figlio di Ferruccio, nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per Forza Italia nel collegio di Cagliari per l’XI legislatura, ma non è stato riconfermato. Bertolotti, Rosilde Insegnante, poe- chivista (Lombardone 1834-Mantova 1893). Dopo il diploma in Farmacia conseguito a Torino nel 1856, entrò nell’Amministrazione statale. Nel 1870 si trasferı̀ a Roma dove lavorò nell’Archivio di Stato; il suo nuovo lavoro gli consentı̀ di studiare una quantità di materiale inesplorato sull’arte dei secoli XVI e XVII, avviandone la pubblicazione sistematica. Negli stessi anni conseguı̀ la libera docenza in Storia dell’Arte e nel 1880 fu nominato direttore dell’Archivio di Stato di Mantova, dove si trasferı̀. A lui dobbiamo un documentato saggio sull’Esportazione di oggetti di belle arti nella Liguria, Lunigiana, Sardegna e Corsica nei secoli XVI, XVII e XVIII, 1876. tessa (Sassari 1904-ivi 1975). Oltre che alla professione di insegnante elementare si dedicò alla scrittura di racconti in italiano, ma la sua memoria è legata soprattutto all’attività di poetessa in sassarese, per la quale ottenne riconoscimenti al premio letterario ‘‘Ozieri’’. Le sue poesie sono raccolte nel volume postumo Lassami fabiddà, 1976. Per Aldo Cesaraccio B. sa «dare del dialetto un’immagine vibrante, sapida, allegra, senza bisogno di ricorrere al vocabolario del volgo»; mentre «la felicità dell’inventiva e dell’espressione» che la contraddistinguono si avverte maggiormente «in quello stile or lirico or satirico, sempre vigoroso, essenziale, diritto allo scopo, che è caratteristico del sassarese vivo». Bertolotti, Ferruccio Consigliere re- Bertorio, san (in sardo, Santu Bertoriu, gionale (n. Firenze 1936). Dopo aver completato i suoi studi si è trasferito in Sardegna, stabilendosi a San Gavino Monreale. Cattolico impegnato, si è dedicato alla vita politica ed è stato eletto nel Consiglio comunale di San Gavino: dal 1960 al 1964 è stato assessore comunale e in seguito sindaco per tre volte, dal 1964 al 1975, raggiungendo notorietà e divenendo uno dei leader della DC nella zona. Cosı̀ tra il 1969 e il 1974 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Cagliari per Santu Bertolu) Santo martire (Telepte, Numidia, 452-?, 507). Sono gli anni, dal 477 al 484, del re dei Vandali Unnerico, figlio di Genserico e suo successore: perseguitò i cattolici, espropriò loro terreni, case e chiese, li allontanò dai posti pubblici e di responsabilità, espose le donne alla pubblica derisione. Nel 484 Cartagine fu sede di una disputa tra vescovi cattolici e ariani sulla Trinità e la divinità di Gesù Cristo. Gli ariani, vinti sul piano dottrinale, non si piegarono e «mossero ca- 541 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 549 Bertran Carroz lunnie» contro i cattolici: in effetti le «ragioni» erano più politiche che religiose. Ci furono violente persecuzioni. Per ordine del re, i cattolici, nel termine di quattro mesi, dovevano passare all’arianesimo, pena l’applicazione delle disposizioni degli imperatori romani sugli eretici. Il 1º giugno del 484 i vescovi ribelli furono in parte decapitati e in parte esiliati. A B. toccò la strada dell’esilio. Discendente da un’illustre famiglia, battezzato ancora fanciullo, sacerdote a trentadue anni, poco dopo consacrato vescovo. Rifiutò di passare all’arianesimo e venne esiliato in Sardegna, insieme con il presbitero Giustino e il fanciullo Fedele. Sulla stessa nave, che partı̀ da Cartagine, furono imbarcati i vescovi Amatore e Liberato. Sbarcati in Sardegna, secondo una leggenda «furono allietati da una lettera del pontefice sardo Simmaco». Simmaco però fu papa dal 498 al 514, sicuramente durante il suo pontificato avrà scritto agli esiliati. B., Giustino e Fedele fondarono una comunità nel villaggio di Amydala, nella Trexenta, sotto l’invocazione di Sant’Agata. Stroncati dalle fatiche, i tre non vissero a lungo: Fedele «morı̀ che aveva otto anni», Giustino verso il 505 e B. il 27 maggio del 507. Non per aver versato il sangue per la fede, ma per le sofferenze patite, B. è venerato come martire. Il 26 maggio 1625 nel villaggio distrutto di San Marco di Tradori, «prodigiosamente segnalati da tre gigli, furono rinvenuti e riconosciuti per mezzo di un’iscrizione marmorea con i loro nomi, i corpi dei tre santi». Dal 20 maggio 1631 le reliquie sono custodite e venerate nella parrocchiale di Samatzai. Nella stessa chiesa si conserva una cronaca manoscritta sulla vita dei tre santi: «Bertoriu santu, Giustinu e Fideli, pregant chi no tengat dannu Samatzai» (Bertorio santo, Giustino e Fe- dele pregano affinché non abbia danni Samatzai). [ADRIANO VARGIU] In Sardegna Patrono di Samatzai. Festa Si festeggia il 20 maggio. Bertran Carroz Famiglia catalana originaria di Barcellona (secc. XIV-XVI). Le sue notizie risalgono al secolo XIV, quando nel 1383 un Berengario divenne il secondo marito della contessa di Quirra Violante Carroz. Dal matrimonio nacquero alcuni figli, tra i quali un secondo Berengario che prese a usare il cognome materno e nel 1408 ereditò la contea di Quirra. La sua discendenza continuò a portare il cognome Carroz e nel corso del secolo XV estese i confini del feudo, svolgendo un ruolo politico di primaria importanza in Sardegna. Si estinse agli inizi del secolo XVI con la contessa Violante II. Bertran Carroz, Berengario Capitano generale del Regno di Sardegna (Barcellona?, seconda metà sec. XIV-?, 1427). Figlio di Violante I Carroz e di Berengario Bertran, nel 1408 ereditò da sua madre la contea di Quirra e, unitosi al giovane re Martino, prese parte alla sua spedizione in Sardegna al comando di un corpo militare autonomo. Nel 1409 combatté nella battaglia di Sanluri e con le sue truppe occupò la Marmilla e altri territori appartenenti al giudice d’Arborea nel chiaro intento di annetterli alla contea di Quirra. Dopo la morte di Pietro Torrellas, poiché nell’isola si era determinato un vuoto di potere a causa della crisi dinastica, per volontà del municipio di Cagliari ebbe l’ufficio di rettore e capitano generale dell’isola, che governò con determinazione cercando di approfittare della situazione per conservare il possesso dei territori occupati. L’avvento dei Trastamara però fece venir meno i suoi progetti: fu costretto a rendere al re i territori che aveva occu- 542 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 550 Bes pato. In seguito si distinse nella difesa dell’isola dal visconte di Narbona. Nel 1415 fu nominato capitano generale della Sardegna e della Corsica e nello stesso anno acquistò una parte della curatoria di Nora. Sposò Eleonora Manrique Lara, alla quale furono concessi in dote i feudi di Uras, Parte Usellus e Parte Montis e di porzioni della Marmilla e del Bonorcili. Vide cosı̀ realizzate le sue aspirazioni politiche, ma le nuove annessioni furono una delle cause della rivalità con i marchesi di Oristano che, come eredi dei giudici d’Arborea, ritenevano le annessioni un’usurpazione. Bertran Carroz, Giacomo Viceré di Sardegna dal 1452 al 1455 (?, prima metà sec. XV-Cagliari 1469). Conte di Quirra, figlio di Berengario, passò la giovinezza sotto la tutela di sua madre; cresciuto negli ambienti di corte, si legò a Giovanni II, del quale condivideva le idee e i programmi politici. Divenuto maggiorenne, fu nominato viceré di Sardegna nel 1452, ma per i suoi metodi di governo, non appena tentò di porre in pratica la politica accentratrice del re, entrò in conflitto con i feudatari, per cui nel 1455 fu rimosso. Si trasferı̀ nuovamente a corte dove fu nominato camerlengo nel 1458 e prese parte alla repressione dei moti in Catalogna. Bertran Carroz, Violante II Contessa di Quirra (?, 1456-Barcellona 1510). Figlia di Giacomo, figura di donna inquieta e infelice, rimasta orfana ed erede della contea di Quirra a quindici anni, fu posta sotto la tutela di Nicolò Carroz, un lontano parente dell’allora viceré di Sardegna. Questi esercitò nei confronti di Violante una forte pressione, costringendola a sposare il proprio figliolo Dalmazio, uomo violento e ambizioso. Rimasta vedova nel 1479, si sposò una seconda volta con Filippo de Castre So, che a sua volta morı̀ nel 1482. Da quel momento governò l’immenso feudo da sola. Berudu Arma sarda medioevale. Conosciuta anche come virga sardorum, era costituita da una punta di ferro acuminata e tagliente, della lunghezza di 2530 cm, usata nelle campagne per la caccia a cavallo ancora nella prima metà dell’Ottocento. Lo strumento, di cui si ha notizia anche nei secoli precedenti, era ritenuto un’arma micidiale che i sardi sapevano usare con destrezza. Era probabilmente disceso dall’antica virga romana. Bes Divinità egizia. Era il dio della fecondità, della musica, della danza e in genere delle manifestazioni gioiose della vita. In età ellenistico-romana venivano apprezzate le sue qualità di dio della salute e della magia. Per questo fu oggetto di un culto molto diffuso e popolare. Nelle rappresentazioni conservate ha un aspetto grottesco di nano tozzo e obeso, con volto largo incorniciato dalla barba, occhi grandi, orecchie tese, lingua che pende dalla bocca, braccia piegate con le mani in avanti o poggiate sulle gambe flesse; reca spesso sul capo una corona di piume. In Sardegna sono state rinvenute statue, statuette, terrecotte, amuleti e scarabei con l’iconografia attribuita al dio, soprattutto in siti interessati dalla presenza fenicio-punica; le datazioni comunemente attribuite a questi manufatti arrivano fino a età romana. L’esemplare più noto, scoperto in un edificio templare di Bitia, consiste in una statua in arenaria sulla cui superficie, in parte erosa, è rimasta qualche traccia di un sottile strato di stucco. La statua è caratterizzata da una lastra rettangolare pesantemente restaurata sul capo, riferibile a un copricapo non conservato. Il suo rinvenimento in un tempio in cui è stata ritro- 543 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 551 Besalù vata una stipe votiva con numerose statuette puniche, indicanti una richiesta di guarigione (o un ringraziamento per l’avvenuta sanatio) da parte dei dedicanti, ben si adatta alle caratteristiche della divinità. La scultura è stata interpretata come un’opera di artigianato punico fino ai primi anni Ottanta del secolo XX; in seguito, uno studio approfondito basato sul confronto con l’iconografia del dio in età romana e sulla consapevolezza della rarità della grande statuaria punica ha abbassato alla piena età imperiale la datazione del pezzo. Senza escludere un’eredità artistica di matrice punica, la statua è stata rapportata al fervore del culto isiaco in Sardegna. Esemplari analoghi provengono da Maracalagonis e da Santa Gilla. [ALBERTO GAVINI] Bes – Rappresentazione del dio risalente al secolo IVa.C. Besalù Famiglia catalana (secc. XVXVI). Di origini feudali, nel 1448 si trasferı̀ in Sardegna con un Pietro, nominato procuratore reale. In seguito, tra il 1455 e il 1458 fu nominato viceré e acquistò i feudi di Monreale e della Marmilla, che però non riuscı̀ a pagare e nel 1477 fu costretto a cedere quasi completamente. A suo figlio Pietro II rimasero Barumini e Las Plassas. Sposò Paola Cardona, erede della baronia di Senis, ma la baronia fu venduta per debiti nel 1486; le condizioni economiche della famiglia non si modificarono in seguito. Si estinse nel 1539 con un Paolo. Besalù, Pietro I Viceré di Sardegna dal 1454 al 1458 (inizi sec. XV-fine sec. XV). Gentiluomo catalano, era gran siniscalco del Regno di Sicilia quando nel 1448 si trasferı̀ in Sardegna per ricoprire l’ufficio di procuratore reale. Funzionario scrupoloso e fedele interprete della politica reale, cercò di legarsi all’ambiente locale sposando una delle figlie naturali di Giacomo Bertran Carroz conte di Quirra. Nel 1454, quando suo suocero fu rimosso, fu nominato viceré; governò fino al 1458 tentando di moderare le prepotenze dei feudatari, di affermare la supremazia del potere regio e di dare impulso ad alcune attività economiche, rilanciando le miniere. Egli tentò anche di consolidare la propria posizione patrimoniale acquistando i feudi di Monreale e della Marmilla, e poiché non aveva i denari sufficienti si fece prestare delle somme da Simone Rubei di Cagliari, che rimborsò con fatica negli anni successivi utilizzando le rendite feudali. Nel 1459, però, le rendite gli furono sequestrate dal fisco perché moroso nei suoi confronti, per cui non fu più in grado di rendere i soldi al Rubei che nel 1464 minacciò di far vendere all’asta i due feudi per recuperare il credito. La situazione sembrò precipitare, ma B. fu salvato dall’intervento del suocero che, interessato ai territori che confinavano con i suoi di 544 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 552 Bessude Quirra, saldò il Rubei e chiuse la vicenda. Quando il conte morı̀ il B. si trovò nuovamente in gravi difficoltà: infatti il nuovo conte Dalmazio Carroz, che aveva sposato Violante, la sorellastra di sua moglie, approfittando dello stato di tensione conseguente alla ribellione di Leonardo Alagon, nel 1474 occupò militarmente il territorio e gli ingiunse di pagare le somme che gli erano state prestate. Poiché B. non fu in grado di farlo, nel 1477 i due arrivarono a un compromesso in base al quale egli riuscı̀ a conservare solo Barumini, Las Plassas e Villanovafranca. Besalù, Pietro II Signore di Barumini (metà sec. XV-inizi sec. XVI). Figlio di Pietro I, alla morte di suo padre ereditò il feudo rimasto in possesso della famiglia e un’infinita quantità di debiti. Con il matrimonio con Paola Cardona, erede della baronia di Senis, tentò di risollevare le sorti della famiglia, ma nel 1486 fu costretto dai creditori a vendere Senis. In seguito continuò a gravare di censi e ipoteche quanto gli era rimasto. Besana, Carlo Chimico (Ispra 1849Lodi 1929). Laureatosi in Chimica a Pavia, si dedicò all’insegnamento e all’approfondimento dei problemi tecnici dell’industria casearia. Acquistò un notevole prestigio scientifico e nel 1880 fu chiamato a dirigere il caseificio sperimentale di Lodi. Nella nuova sede approfondı̀ ulteriormente lo studio dei problemi della lavorazione del formaggio. Perfettamente inserito nell’ambiente di Lodi, fu eletto consigliere comunale e sindaco. Alla Sardegna dedicò un articolo, Sullo svolgimento dell’industria casearia in Sardegna, pubblicato nell’‘‘Annuario della R. Sezione sperimentale di Caseificio di Lodi’’ nel 1902. Besson, Eugenio Giornalista (Cagliari, inizi sec. XIX-ivi 1859). Di idee repubblicane, fu convinto sostenitore della necessità di concedere l’autonomia alla Sardegna. Tra il 1854 e il 1856 collaborò a ‘‘La Favilla’’; nel 1857 fondò e diresse a Cagliari il settimanale ‘‘Il Flagello’’, di orientamento mazziniano, la cui pubblicazione durò pochi mesi. Subito dopo fu costretto all’esilio. Nel 1858 aveva dedicato un breve saggio a Gaetano Cadeddu, sfortunato protagonista della cosiddetta congiura di Palabanda del 1812. Besson, Giampiero Antifascista (Cagliari 1922-Roma 1944). Studente universitario, vice-addetto sindacale e membro del direttorio del GUF di Cagliari, nel settembre 1942 pronuncia nella sede alcune invettive in sardo rivolte al ritratto del duce, che nel marzo 1943 il tribunale speciale giudica «atte a deprimere la resistenza della Nazione di fronte al nemico», condannandolo a 10 anni di reclusione. Liberato dopo il 25 luglio, muore durante l’occupazione tedesca. Bessude Comune della provincia di Sassari, compreso nella V Comunità montana, con 475 abitanti (al 2004), posto a 447 m sul livello del mare alle pendici, come i vicini Siligo e Thiesi, del monte Pelao. Regione storica: Meilogu. Archidiocesi di Sassari. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 26,84 km2: ha forma allungata da oriente a occidente e confina a nord con Banari e Siligo, a est con Bonnanaro, a sud con Borutta e Thiesi, a ovest con Ittiri. Il paese si trova in una vallata ricca di acque ai piedi del monte Pelao, un rilievo di forma allungata che supera di poco i 700 m; di origine vulcanica, si conclude con un altipiano che ha per bordo una corona di rocce granitiche; tutto il resto del territorio è di natura mista vulcanica e calcarea, con terreni ondulati un tempo utilizzati anche per l’agricol- 545 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 553 Bessude tura, oggi per larga parte adibiti a pascolo. Le comunicazioni sono assicurate da una strada secondaria che, distaccandosi poco più a nord dalla Sassari-Cagliari, tocca Siligo e, dopo aver attraversato B., ha termine a Thiesi, lungo la 131 bis che si dirige verso Alghero. & STORIA L’attuale centro abitato è di origini medioevali; apparteneva al giudicato di Torres ed era compreso nella curatoria del Cabudabbas. Nel corso del secolo XII venne in possesso dei Doria, in seguito a uno dei matrimoni che fecero con principesse della famiglia giudicale di Torres. Dopo l’estinzione dei giudici, essi inclusero il villaggio nello stato feudale che avevano formato; instaurarono un buon rapporto con gli abitanti che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia e vissero un periodo di pace fino alla conquista aragonese. Allora i Doria si dichiararono vassalli del re d’Aragona, cosı̀ il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Quando però nel 1325 essi si ribellarono, il villaggio divenne teatro della guerra e nel 1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348 e si spopolò quasi completamente, continuando a rimanere sempre nelle mani dei Doria che si riavvicinarono al re d’Aragona. Fu un breve periodo, e infatti essi dopo il 1350 ripresero a combattere contro il re e contro il suo alleato il giudice d’Arborea; quando poi scoppiò la seconda guerra tra Aragona e Arborea, B. fu attaccato dalle truppe giudicali e, nonostante la disperata difesa opposta da Brancaleone Doria, conquistato dall’Arborea. Poco dopo seguı̀ il matrimonio tra Brancaleone ed Eleonora che modificò il quadro delle alleanze e i Doria finirono per so- stenere il giudicato. Caduto il giudicato d’Arborea nel 1410, B. e il restante territorio continuarono a rimanere in mano a Nicolò Doria fino alla caduta del castello di Monteleone nel 1436. In quell’occasione il villaggio soffrı̀ alcuni danni e, quando entrò finalmente a far parte del Regnum Sardiniae, la sua popolazione non superava le 200 unità. Subito dopo, unitamente a Thiesi e Cheremule, fu incluso nel feudo di Montemaggiore che venne acquistato dai Manca di Sassari. I rapporti della comunità con i feudatari inizialmente furono tranquilli anche se il carico fiscale era piuttosto pesante; agli inizi del secolo XVI, per il matrimonio di Erilla Manca, i tre villaggi passarono ai Cariga. La popolazione di B. era cresciuta e i nuovi feudatari vi fecero costruire la chiesa parrocchiale dedicata a San Leonardo. Secondo una tradizione alla fine del secolo la sua popolazione sarebbe stata quasi dimezzata dalla peste, ma il villaggio si sarebbe subito ripopolato con gli abitanti superstiti dei vicini villaggi di Ibilis e di Sultana che avevano subito la stessa sorte. I Cariga si estinsero nel 1604 e Bessude passò ai Ravaneda, discendenti da Elena Cariga; questi ultimi nel 1620 vi fecero costruire la nuova parrocchiale di San Martino e nel 1635 ottennero il titolo di marchesi di Montemaggiore. Essi però modificarono radicalmente l’amministrazione, arrivando a controllare la designazione del majore e facendo governare B. da un fattore baronale che risiedeva a Thiesi. Negli stessi anni aumentarono il carico dei tributi fiscali, facendo in modo che il loro pagamento ricadesse su tutti in base al reddito di ciascuno. Per questo il regidor provvide a formare le ‘‘liste feudali’’ e cosı̀ la popolazione fu divisa in tre categorie; a questo spietato sistema sfuggi- 546 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 554 Bessude vano solo nobili, cavalieri e sacerdoti, che erano esentati dal pagamento delle tasse. I Ravaneda si estinsero nel 1726; dopo una complessa vicenda ereditaria, che per un certo periodo fece sperare agli abitanti la fine della dipendenza feudale, i tre villaggi tornarono in possesso di un altro ramo dei Manca, discendente dai primi feudatari; la popolazione frattanto aveva nuovamente superato le 400 unità. Il rapporto con i nuovi feudatari divenne presto burrascoso a causa del loro fiscalismo e delle loro assurde pretese in un periodo in cui la comunità andava riacquistando coscienza dei propri diritti con la costituzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico. Cosı̀ nel 1795 gli abitanti di B., esasperati, presero parte ai moti antifeudali ma subirono una pesante repressione. Nel 1821 il paese fu incluso nella provincia di Alghero e nel 1839 finalmente ottenne il riscatto. Di questi anni è la testimonianza di Vittorio Angius: «Il clima è poco da lodare e per la umidità che cagionano l’acque che scorrono per l’abitato, e per le pestilenti esalazioni che svolgonsi dalle immondezze stagnanti in alcune parti, e dai letamai, e per lo calore che vi si raccoglie nella estate quando non soffiano i venti che vi hanno libero il flusso. Regnano di primavera e in inverno le infiammazioni, nell’estate e autunno le febbri periodiche, le diarree, le dissenterie. La maggior parte dei bessudesi dà opera alla coltivazione, un piccol numero attende alla pastorizia, ed alcuni pochi si esercitano nelle arti meccaniche di prima necessità, sebbene sia da dire che, come sanno meno di queste, e meno tempo vi impiegano che nella agricoltura, cosı̀ piuttosto nella classe degli agricoltori che negli altri mestieri debbiansi computare. Nella tessitura im- piegansi circa 140 telai. L’istruzione normale è mal sistemata, né vi intervengono più di 20 fanciulli. Nel censimento parrocchiale dell’anno 1833 si conobbe essere le famiglie 135, le anime 634. Nascono per l’ordinario nell’anno 35, muojono 20 e si celebrano matrimoni 5. Si semina starelli di grano 560, d’orzo 56, di fave 40, di lino 60. La fruttificazione ordinaria del grano va al cinque, gli altri generi rendono qual più, qual meno. L’agricoltura è in pessime condizioni per molte cause. La principale tiensi essere la scarsezza dei buoi da lavoro, non essendo possibile che ai soli benestanti tenere più coppie, mentre manca il pascolo, e manca il prato comunale che non si è mai voluto assegnare dal barone. Le vigne sono 85, la maggior parte divise e suddivise, onde anche i poveri hanno la piccola loro proprietà. I prodotti dell’agricoltura, che sono i soli che portansi nel commercio dai bessudesi, per l’ordinario si spacciano in Sassari. Le specie dei fruttiferi sono olivi, peri, pomi, susini, noci, nocciuoli, mandorli, fichi, persici, cotogni, meligranati, sorbi, giuggioli, gelsi, agrumi. In totale sommeranno a 9000 individui. Il bestiame che educasi è delle specie solite, ma in piccola quantità. Nel 1833 si annoveravano cavalli e cavalle domite 84, rudi 45, buoi da lavoro 140, vacche mannalite (domestiche) 35, rudi 150, giumenti 65, majali 85, porci rudi 0, pecore 500, le quali prima dell’epizoozia dell’anno antecedente erano al triplo, capre 400. Totale capi 1504». Soppressa nel 1848 la provincia di Alghero, B. fu incluso nella divisione amministrativa di Sassari, nella quale rimase fino al 1859; successivamente entrò a far parte della vera e propria provincia di Sassari. Nel corso dei decenni successivi l’economia del villaggio sembrò potersi sviluppare so- 547 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 555 Bessude prattutto nel settore dell’allevamento, ma queste premesse si interruppero bruscamente con la crisi di fine secolo. Nel primo dopoguerra la situazione sembrò stabilizzarsi ma, finita la seconda guerra mondiale, la popolazione cominciò a emigrare alla ricerca di condizioni di lavoro meno precarie e più redditizie. & ECONOMIA La sua economia, basata tradizionalmente sull’agricoltura, in particolare la cerealicoltura, l’olivicoltura e la viticoltura, ha fatto largo spazio negli ultimi tempi, soprattutto nelle parti più alte e impervie del territorio, all’allevamento del bestiame. Servizi. Il villaggio è collegato con autolinee agli altri centri della provincia e dista 32 km da Sassari. Dispone del medico, della scuola dell’obbligo, della Biblioteca comunale e di uno sportello bancario. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 502 unità, di cui stranieri 14; maschi 230; femmine 272; famiglie 203. La tendenza complessiva rivelava un lieve aumento della popolazione, con morti per anno 6; nati 3; cancellati dall’anagrafe 12; nuovi iscritti 17. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 14 793 in migliaia di lire; versamenti ICI 279; aziende agricole 86; imprese commerciali 24; esercizi pubblici 3; esercizi al dettaglio 6; ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali: occupati 151; disoccupati 10; inoccupati 21; laureati 7; diplomati 77; con licenza media 102; con licenza elementare 207; analfabeti 10; automezzi circolanti 204; abbonamenti TV 161. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio di B. conserva numerosi nuraghi (Bilde, Cambino, Cheia, Crastu, Cunzada ’e Cheia, Cugnola, Iscala de Ilde, Monte Inzas, Monte Peiga, Mura Idda, Sa Scala, San Teodoro), alcune domus de janas (Pumari, S’Ena ’e Cannuia, Ziu Deu) e resti di tombe romane (San Teodoro). Il sito di maggiore interesse è quello di S’Ena ’e Cannuia, un gruppo di bellissime domus de janas tra le quali è anche la Tomba dei Pilastri scolpiti, che ha l’interno adornato da una serie di graffiti di grande effetto; nello stesso complesso sono alcune altre tombe dipinte con motivi color ocra. Interessante è anche il complesso di Fumari in località Monte Pelau che comprende il nuraghe omonimo, molto danneggiato, un complesso di domus de janas e una piccola necropoli romana che ha restituito numerosi resti di suppellettili. Altro sito importante ha come punto di riferimento la chiesetta di San Teodoro, nei pressi della quale si trovano l’omonimo nuraghe, molto ben conservato con tholos e corridoio d’ingresso, e un complesso di tombe romane che hanno reso molto materiale tra cui una statuetta in bronzo. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’antico tessuto urbano del villaggio è stato conservato e gli conferisce un carattere particolare e pittoresco; l’abitato è disposto a gradoni alle falde del monte Pelao, lungo le strade si affacciano le case tipiche in pietra del tipo a palattu; solo di recente si è sviluppato a valle il nuovo quartiere di Sa Sea, a carattere residenziale con case con giardino e strade larghe e rettilinee. Il centro storico conserva la chiesa di San Martino Vescovo, parrocchiale costruita nel 1620 in forme goticheggianti non lontano della vecchia parrocchiale di San Leonardo. Ha una sola navata completata dal presbiterio con volte a crociera. All’interno è conservata una tela che raffigura il santo a cui è intitolata la chiesa. A breve distanza sorge anche la chiesa di San Leonardo edificata nel secolo XVI in 548 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 556 Betonica forme tardogotiche: era probabilmente l’antica parrocchiale del villaggio andata in rovina nel corso dei secoli; nel Settecento era adibita a chiesa del cimitero; è stata radicalmente restaurata nel 1984; conserva alcune volte a crociera e altri elementi della struttura originaria. Di estremo interesse è la chiesa di Santa Maria de Nuraghes situata in regione Cunzadu de Cheia a poca distanza dall’abitato. Fu costruita nel secolo XIV ma andò in rovina nel corso del XV. Ricostruita nel XVI, fu successivamente ancora modificata; ha un impianto a una sola navata su cui s’affaccia una cappella laterale. All’esterno si affianca un portico; secondo la tradizione la chiesa sarebbe stata la parrocchiale dell’antico villaggio di Ibilis, abbandonato come si è visto nel secolo XVI. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le feste più importanti sono quella del patrono San Martino, che si svolge l’11 novembre, e quella per l’Assunta, la domenica dopo Ferragosto. Besta, Enrico Storico del diritto (Treviso 1874-Milano 1952). Nato da antica famiglia valtellinese, si laureò a Padova e nel 1897 divenne professore di Storia del Diritto italiano presso l’Università di Sassari, dove insegnò fino al 1904. Negli anni della sua permanenza in Sardegna si dedicò con passione allo studio dei documenti e dei problemi del Medioevo sardo, animando la vita culturale della città. Nel 1901 fondò la rivista ‘‘Studi sassaresi’’. Trasferitosi a Palermo, vi rimase fino al 1909 quando fu chiamato a Pisa. Si fermò nella nuova sede fino al 1924, acquistando per il rigore dei suoi studi notorietà internazionale. Nel 1924 finalmente si trasferı̀ a Milano, dove insegnò fino al 1949. Collocato fuori ruolo nel 1946, nello stesso anno fu nominato socio dell’Accademia dei Lincei. Ha lasciato numerosi studi sul diritto della Sardegna medioevale, su cui anzi aveva pubblicato un volume proprio all’inizio del suo soggiorno sassarese (Diritto sardo nel Medioevo, 1898). Ma la sua opera fondamentale restano i 2 volumi de La Sardegna medioevale, editi a Palermo nel 1908. Degli altri studi: Sardegna feudale, ‘‘Annuario della R. Università di Sassari’’, 1899; Frammenti di un antico statuto di Castelsardo, ‘‘Archivio giuridico’’ del Serafini, LXII, 1899; Storia del giudicato di Cagliari al principiare del secolo XIII, ‘‘Studi sassaresi’’, I, 1901; Nuovi studi su le origini, la storia e l’organizzazione dei giudicati sardi, ‘‘Archivio Storico Italiano’’, XXVII, s. V, 1901; Prefazione illustrativa della Carta de Logu de Arborea, ‘‘Studi sassaresi’’, III, 1903-1904; Di alcune leggi e ordinanze di Ugone III d’Arborea, 1904; Rettificazioni cronologiche al primo volume del ‘‘Codex Diplomaticus Sardiniae’’, ‘‘Archivio storico sardo’’, I, 1905; Carta de Logu di Arborea, ‘‘Studi sassaresi’’, III, I, 1905; Per la storia del giudicato di Gallura nell’undicesimo e dodicesimo secolo, ‘‘Atti della regia Accademia delle Scienze di Torino’’, XLII, 1906-1907; Il Liber judicum turritanorum con altri documenti logudoresi, 1906; Legislazione medioevale in Sardegna, 1908; Arborea, voce in Enciclopedia italiana, IV, 1929; I Condaghi di San Nicola di Trullas e di Santa Maria di Bonarcado, 1937; Postille sopra il Condaghe di S. Nicolò di Trullas e di S. Maria di Bonarcado, ‘‘Rendiconti del reale Istituto lombardo di Scienze e Lettere’’, LXXI, 1938; L’attribuzione del cognome nella Sardegna medioevale, in Studi in onore di Carlo Calisse, I, 1940. Betonica Genere di piante della famiglia delle Labiate. In Sardegna sono presenti due specie endemiche: 1. la b. fetida, detta anche stàchide o stregona spinosa (Stachys glutinosa L.), pic- 549 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 557 Bette colo arbusto che cresce anche in Corsica e nell’arcipelago toscano; 2. la b. corsa o stregona di Corsica (S. corsica. Pers.), erbacea strisciante presente anche in Corsica. La prima ha fusti legnosi a sezione quadrata, foglie piccole lanceolate, fiori biancastri con labbro inferiore a 3 lobi, e fiorisce per tutta la primavera in ambienti rocciosi e assolati; la seconda ha foglie ovate, arrotondate e pelosette, fiori abbondanti, di colore giallastro, che ricoprono la pianta, e predilige ambienti freschi e umidi. Il nome ‘‘stregona’’ è legato alle sue svariate proprietà e all’uso fattone in tempi antichi da donne cui si attribuivano poteri magici. Il suo uso più frequente era quello cicatrizzante, ma in alcune zone della Sardegna si attribuivano alla b. capacità abortive. Entrambe le specie sono inserite, in base alla proposta di L.R. n. 184/2001, nell’elenco di piante endemiche da sottoporre a vincolo di protezione. Nomi sardi: bronzéddu (gallurese); erba de bruscia (campidanese); locásu, lochésu (nuorese); murghuéu, murghuléu (Sardegna meridionale). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Biacco = Zoologia della Sardegna Biagi, Paolo Archeologo (n. Brescia 1948). Conseguita la laurea si è dedicato alla carriera universitaria. Nel 1988 professore associato di Preistoria e protostoria, insegna presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Venezia. Il suo nome è legato agli scavi condotti tra il 1977 e il 1978 nella grotta Rifugio di Oliena, su cui ha scritto una serie di articoli: Notiziario: grotta Rifugio (Oliena), ‘‘Rivista di Scienze Preistoriche’’, XXXIII, 2, 1978; La grotta Rifugio di Oliena (con M. Cremaschi), in Sardegna centro-orientale dal Neolitico alla fine del mondo antico, 1978; Scavi nella grotta Rifugio di Oliena 1977-78. Caverna sepolcrale della cultura di Bonu Ighinu (con M. Cremaschi), in Atti della XXII Riunione scientifica dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria nella Sardegna centro-orientale (1978), 1980; La grotta Rifugio di Oliena: caverna-ossario neolitica, ‘‘Rivista di Scienze preistoriche’’, XXXV, 1980; I risultati degli scavi del 1977-78 nella grotta Rifugio di Oliena, in Actes du XX Congrès d’Anthropologie, 1981. Biagio Arcivescovo di Torres dal 1202 a Bette, Giovanni Francesco Viceré di Sardegna nel 1717 (seconda metà sec. XVII-prima metà sec. XVIII). Marchese di Leide, fu particolarmente vicino a Filippo V, che subito dopo lo sbarco delle truppe in Sardegna, nel 1717, lo nominò viceré di Sardegna. Egli giunse nell’isola alla fine di agosto e come primo atto emanò un provvedimento di pacificazione generale, nell’intento di stabilizzare la conquista che era ancora in atto. Poco dopo però fu trasferito in Sicilia e fu sostituito da José Armendariz, che invece instaurò un durissimo regime repressivo, scatenando una ribellione generale per cui fu costretto a richiamare l’editto del predecessore. circa 1214 (sec. XIII). Uomo di fiducia di Innocenzo III, da questi nominato notaio pontificio, forse per volontà dello stesso pontefice divenne arcivescovo di Torres a partire dalla fine del 1202. Giunse in Sardegna entro il marzo 1203. Longa manus di Innocenzo III nell’isola, per tutta la durata della sua carica si oppose alla politica dei Pisani, che conculcava il potere dei giudici, e svolse i compiti normalmente riservati al legato pontificio, anch’egli pisano. Riuscı̀ a ottenere entro il 1205 che Comita di Torres, Elena di Gallura e sua madre Odolina e Ugo Poncio de Bas d’Arborea prestassero giuramento di fedeltà alla Sede apostolica. Fece sı̀ che Guglielmo Mala- 550 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 558 Biagio spina – cognato del giudice di Cagliari Guglielmo di Massa – rinunciasse al proposito di sposare Elena di Gallura, che nei piani del pontefice avrebbe dovuto diventare la moglie di suo cugino Trasamondo di Segni. B. non riuscı̀ a impedire che la giovane sposasse alla fine Lamberto Visconti entro la fine del 1206. Nello svolgimento dei suoi doveri subı̀ numerose minacce di morte da parte dei Pisani, tuttavia non morı̀ per loro mano, ma verosimilmente per cause naturali entro il 1214. Biagio, san (in sardo, Santu Brai, Santu Brau) Santo (Sebaste, Armenia, sec. III-?, 316). Martire, nacque sotto l’imperatore romano Licinio. Medico, sacerdote, vescovo di Sebaste. Per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani, si nascose in una grotta, «continuando – si legge nella passio – la sua duplice missione di vescovo e di medico, curando anche gli animali che a lui accorrevano». Scoperto da alcuni cacciatori, venne denunciato al preside Arcolao. Arrestato e processato, non volle sacrificare agli dei, torturato, condannato alla decapitazione. Mentre veniva condotto al martirio, una madre con in braccio il figlio si fece largo fra la folla. Disperata e piangente depose il bambino ai piedi del vescovo, supplicando: «Salvalo, una spina di pesce gli si è conficcata nella gola e lo sta soffocando, salvalo!». Il vescovo mormorò una preghiera, pose le mani sul capo del piccolo e lo benedisse alzando gli occhi al cielo, e il bambino fu salvo. «Se qualcuno – cosı̀ pregò prima di essere decapitato – avrà una spina o un osso in gola o qualunque altra malattia della gola e con fede chiederà il tuo aiuto, o Signore, per mezzo del mio patrocinio, portando a testimonianza quel che facesti per mezzo di me, tuo servo, aiutalo». Culto diffuso dagli orientali a partire dal secolo V, festa l’11 febbraio, in Occidente dall’VIII. Santo ausiliatore, in epoca medioevale, quando le sue reliquie erano diffuse dappertutto. Taumaturgo, invocato contro il mal di gola: leggenda a parte, più probabilmente per il significato latino del suo nome, blaesus, balbuziente. Patrono dei laringoiatri, cantanti, banditori, suonatori di strumenti a fiato, cardatori di lana (poiché fu torturato anche con i pettini di ferro per cardare la lana) e materassai. In Germania invocato contro le emorragie e le ulcere, per il significato del suo nome, Blase, vescica. Protegge anche il bestiame. In Sardegna Patrono di Dolianova (insieme a San Pantaleo) e Villasor. È diffusissima la benedizione della gola e l’offerta di un cero ai fedeli. La benedizione della gola avviene imponendo un paio di candele incrociate, benedette il giorno prima, la Candelora, sul collo del fedele e invocando la protezione del santo. Il cero viene offerto in ricordo d’una donna che andò a visitarlo in prigione, portandogli del cibo e una candela. Il suo culto nell’isola è arrivato con i Bizantini. Tradizionali in area campidanese is pirichittus de Santu Brai o is pistoccheddus de Santu Brai, infelicemente tradotti ‘‘panini di San Biagio’’ sulla scia dei panelli o panellini benedetti che nel continente si distribuiscono nelle confraternite o in certe feste. Si tratta di dolcetti che vengono distribuiti ai fedeli dopo la benedizione della gola. «T’acclamat dogni credenti, / protettori generali, / ca de gutturu su mali, / sanas a dogna dolenti, / grazia chi s’Onnipotenti, / ti cunzedit cun onori» (Ti acclama ogni credente – protettore generale – perché guarisci i mali della gola – a chiunque ne soffra, – grazia che l’Onnipotente – ti concede con onore). A Loceri i fedeli portano in chiesa, per essere benedetti, vasetti di 551 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 559 Biancareddu strutto e ampolline d’olio, rimedi contro il mal di gola. A Lollove, pezzetti di lardo cotti in caldaie. [ADRIANO VARGIU] Festa Si festeggia il 3 febbraio. Sagre estive e in altre date durante l’anno. Biancareddu, Andrea Avvocato, consigliere regionale (n. Tempio Pausania 1966). Conseguita la laurea in Giurisprudenza si è dedicato alla libera professione. Entrato in politica, nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per Forza Italia per l’XI legislatura nel collegio di Sassari. Nel 1999 è stato riconfermato per la XII legislatura e dal novembre del 2001 al 2003 è stato assessore all’Urbanistica nella giunta Pili. Nel 2004 è stato riconfermato consigliere regionale per l’UDC nel collegio di Sassari per la XIII legislatura, ma la sua elezione è stata oggetto di un ricorso per incompatibilità e nel febbraio 2006 è stato dichiarato decaduto. Gli è subentrato Renato Lai, primo dei non eletti UDC nel collegio di OlbiaTempio. Bianchi, Alberto Industriale (Milano 1876-Trieste 1951). Completò la sua formazione presso la Scuola chimica di Mulhouse in Germania. Al suo ritorno in Italia si dedicò all’attività industriale nel nascente settore della chimica. Conclusa la prima guerra mondiale, fu attirato dalla realtà mineraria della Sardegna e nel 1928 fondò la Società chimica mineraria del Sulcis, che avrebbe dovuto avviare la distillazione della lignite. Negli anni seguenti impegnò ingenti capitali nell’impresa: la fondazione di Carbonia sembrò creare la possibilità di sfruttare il suo progetto, ma scoppiata la seconda guerra mondiale fu costretto ad abbandonare l’isola e il suo lavoro. Bianchi, Nicomede Storico, senatore del Regno (Reggio Emilia 1818-Torino 1886). Si stava perfezionando in Medicina quando nel 1848 fu preso dagli eventi che causarono lo scoppio della prima guerra di indipendenza. Entrato nel governo provvisorio che si costituı̀ a Modena, nel 1849 dovette fuggire rifugiandosi a Nizza. Si stabilı̀ successivamente a Torino, dedicandosi allo studio della storia con passione e capacità. Direttore dell’Archivio di Stato di Torino, nel 1874 fondò il periodico ‘‘Curiosità e ricerche di storia subalpina’’, confluito poi nella ‘‘Rivista storica italiana’’. Nel 1881 fu nominato senatore. A lui si deve una voluminosa Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, pubblicata in 4 volumi a Torino nel 1885. Bianchi, Ugo Storico delle religioni (n. Arezzo 1922). Si è dedicato all’insegnamento universitario, diventando professore di Storia delle Religioni all’Università di Messina nel 1960. Dopo dieci anni è passato in quella di Bologna e infine, dal 1974, a Roma. È vicepresidente dell’Associazione internazionale di Storia delle Religioni. Ha scritto due saggi sul Sardus Pater: Sardus Pater, in Atti del Convegno di studi religiosi sardi, 1963; Sardus Pater, in ‘‘Rendiconti dell’Accademia dei Lincei’’, XVIII, 1966. Bianchi d’Espinosa, Rodolfo Cartografo militare (Napoli 1873-Milano 1964). Nato da antica famiglia di origine piemontese, percorse una brillante carriera raggiungendo il grado di generale e fu un competente studioso di cartografia. Sulla Sardegna, Sviluppo storico della cartografia della Sardegna, in Atti del XII Congresso geografico italiano, 1935. Bianco, Pietro Religioso (Sassari 1753Macomer 1827). Vescovo di Alghero dal 1805 al 1827. Si pose in evidenza per le sue doti e per la memoria prodigiosa. Allievo del padre gesuita Francesco Gemelli, allora professore di Eloquenza all’Università di Sassari, di- 552 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 560 Biancospino venne sacerdote e dottore in Teologia; a partire dal 1785 insegnò Fisica sperimentale presso l’Università di Sassari. Nel 1786 fu nominato canonico penitenziere e nel 1800 vicario generale dell’archidiocesi. Nel 1805 fu nominato vescovo di Alghero e nel 1820 delegato apostolico per gli ordini regolari in Sardegna. Lasciò numerose opere manoscritte, in particolare panegirici, orazioni e quaresimali. [MASSIMILIANO VIDILI] Il 1793 sardo in inedite corrispondenze di parte piemontese conservate nel castello di Masino, in ‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 18, 1994; Cagliari regina. Immagini dell’azione piemontese in Sardegna nella seconda metà del ’700, ‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 19, 1995; ‘‘Personaggi distinti in ingegno e dottrina’’. Lettere di Giovanni Spano all’Accademia delle scienze di Torino, in P. Pulina e S. Tola, Il Tesoro del Canonico. Virtù, vita e opere di Giovanni Spano, 2005. Biancospino – I caratteristici fiori bianchi. Biancospino Piccola pianta arborea Pietro Bianco – Sassarese, fu vescovo di Alghero dal 1805 al 1827 e professore di Fisica sperimentale all’Università di Sassari. Bianco, Pietro Ausonio Insegnante, storico (n. Sassari 1954). Dopo aver conseguito la laurea si è dedicato all’insegnamento nelle scuole secondarie; collabora a diversi periodici culturali e si occupa di molteplici argomenti. Ha fondato a Cagliari la casa editrice Condaghes e attualmente è presidente del circolo sardo ‘‘Kinthales’’ di Torino. Tra i suoi scritti: Su patriottu sardu a sos feudatarios (con F. Cheratzu), 1992; della famiglia delle Rosacee (Crataegus monogyna Jacq.). Da arbusto spinoso ad albero di dimensioni ridotte, ha corteccia grigio-rossastra, foglie con profonde divisioni in 4 o 5 lobi, fiori bianchi riuniti in fitti corimbi; il frutto è una bacca con colori dall’arancione al rosso-bruno. Con l’intensa fioritura bianca caratterizza le siepi e le zone a macchia e a bosco degradato, con preferenza per i substrati calcarei. La fioritura è limitata quando cresce all’interno dei boschi. È una specie longeva e, anche se normalmente mantiene un portamento arbustivo, nel Supramonte di Orgosolo si trovano esemplari che superano gli 8 m di altezza. Il legno, duro e compatto, è chiaro (dal bianco al giallo-rossastro) e si utilizza per lavori di tornitura. I fiori e i frutti 553 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 561 Biancu hanno proprietà cardiotonica e ipotensiva. Nomi sardi: cararı́gghju (gallurese); croáxiu (campidanese); kalabrı́ke (nuorese); kaları́ghe (Goceano); kalavrı́ke (Montiferru). [MARIA IMMACO- bilmente, sperimentando anche tecniche di grande modernità. LATA BRIGAGLIA] Biancu, Antonio Consigliere regionale (n. Baressa 1948). Cattolico impegnato, fin da giovane ha militato nella DC e quindi nel PPI. È stato sindaco del suo paese natale una prima volta dal 1975 al 1981 e in seguito dal 1984 al 1994. Negli stessi anni dal 1990 è stato eletto consigliere e assessore provinciale di Oristano. Nel 1998 ha lasciato il PPI e ha ederito ai Democratici e in seguito alla Margherita. Nel 2001 è divenuto consigliere regionale nel collegio di Oristano per la XII legislatura, subentrando a Tonino Loddo eletto deputato. Nel 2004 è stato riconfermato per la XIII legislatura. Biasi, Giuseppe Pittore (Sassari 1885Andorno Micca 1945). Nato da una famiglia veronese di origini aristocratiche, già da studente fu tra gli animatori della vita culturale di Sassari. Dopo essersi laureato in Legge nel 1908, si sentı̀ attratto dalla pittura, alla quale si dedicò totalmente, e si trasferı̀ nel Veneto per studiarla, acquisendo in breve una robustissima formazione. Nel 1909 prese parte alla Biennale di Venezia con una piccola opera a tempera e pastello, Processione nella Barbagia di Fonni, che attirò l’attenzione dei critici. Tornato in Sardegna, si stabilı̀ a Sassari dove raccolse attorno a sé un gruppo di giovani artisti e letterati, desiderosi di uscire dal chiuso provincialismo della pittura tradizionale. Negli anni successivi percorse i paesi della Sardegna attirato dall’enorme patrimonio delle tradizioni popolari. Colse gli aspetti più vivi della tradizione e li interpretò e raffigurò mira- Giuseppe Biasi – Il segretario galante. Il pittore sassarese fu, nei primi decenni del Novecento, l’inventore di un nuovo modo di raccontare la tradizione isolana. (1912; collezione privata) Nel 1911 prese parte all’Esposizione universale di Roma. A partire dal 1912 iniziò a produrre le prime incisioni (linoleografie a colori e xilografie), che lo imposero all’attenzione nazionale, e negli anni successivi, mentre la sua notorietà cresceva, instaurò rapporti con le più vive fonti della cultura italiana ed europea. Intanto si segnalava come una delle personalità più interessanti nel folto gruppo degli artisti sardi che collaboravano come illustratori a giornali e periodici tra i più popolari fra i lettori italiani. Nel 1913 prese parte alla Secessione romana e poi ad altre mostre e dibattiti in molte città italiane fino al 1924 quando, spinto dal desiderio di conoscere, viaggiò molto in Africa settentrionale, fino al 1928. Tornato in Italia, prese parte a mostre a Napoli, Roma e in altre città. Difese con scritti vivaci la sua idea dell’arte, non di rado in polemica con altri intellettuali sardi. Si interessò con G.U. 554 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 562 Biblioteca Comunale Arata all’artigianato sardo, che considerava una forma di arte applicata di grande significato, pubblicando un volume, Arte sarda, edito da Treves nel 1935, molto documentato ma soprattutto di grande eleganza editoriale. Negli stessi anni eseguı̀ i celebri dipinti per la stazione ferroviaria di Tempio Pausania e quelli per lo scalone del Palazzo di giustizia di Sassari e affinò la sua arte misurandosi con le più vive espressioni della cultura italiana ed europea. Finı̀ per stabilirsi a Biella. Sospettato di essere fascista, nei giorni confusi che seguirono il 25 aprile fu ucciso forse da partigiani ad Andorno Micca. Tra i suoi scritti: il risentito e ironico Polemica sull’arte sarda, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1929; La I e la II quadriennale, i parenti poveri, 1935. Bibiana, santa Santa (m. sec. IV). Figura leggendaria, figlia di genitori santi martiri, Flaviano e Dafrosa, e sorella di Santa Demetria. Martire sotto Giuliano l’Apostata (331-363). Nel 1969 è stata cancellata dal calendario universale. In passato era venerata a Nuoro. Nell’isola ricorre spesso nei canti popolari. [ADRIANO VARGIU] Bibissa Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato di Gallura, compreso nella curatoria di Galtellı̀. Sorgeva nelle campagne di Orosei. Estinta la dinastia dei Visconti, il villaggio entrò in possesso del Comune di Pisa, che lo fece amministrare da propri funzionari. La loro eccessiva fiscalità creò un notevole malcontento tra gli abitanti, gelosi custodi della propria autonomia. Iniziata la guerra di conquista, gli Aragonesi, guidati dall’ammiraglio Francesco Carroz, invasero il territorio e lo occuparono, ma non riuscirono a piegare l’opposizione della popolazione. Nel 1327 B. fu riconosciuto possesso di Lorenzo de Çori, un sardo che si era schierato con gli Aragonesi, ma quando nel 1332 scoppiò la guerra tra Genova e Aragona, il villaggio fu danneggiato; poco dopo il De Çori morı̀ e gli succedette il figlio Guido, il quale nel 1338 lo vendette a Leonardo Dessı̀, cittadino di Oristano che probabilmente era un prestanome di Giovanni d’Arborea. Il Dessı̀ infatti poco dopo lo vendette al principe arborense la cui triste storia è nota. Quando nel 1353 scoppiò la prima guerra tra Mariano IV e Pietro IV B. fu completamente abbandonato. Biblioteca Arborense, Oristano Biblioteca che ha sede nel convento dei Minori conventuali di Oristano, ed è costituita da un importante fondo librario di grande rilievo storico. Tra i pezzi più interessanti manoscritti, incunaboli e una raccolta di codici corali miniati di grande importanza per ricostruire la storia della musica nel giudicato d’Arborea. Ha più di 6500 volumi. Biblioteca Comunale, Alghero Biblioteca fondata nel 1852 grazie alla donazione della raccolta appartenuta al canonico Adagio; nel tempo si è andata arricchendo con altre donazioni ed è diventata un importante riferimento per lo studio della lingua e della cultura catalane in Sardegna. Attualmente possiede 40 000 volumi e numerosi incunaboli, manoscritti e cinquecentine. Biblioteca Comunale, Cagliari Biblioteca la cui formazione ebbe avvio nel 1866 con la donazione di Pietro Martini che lasciò i suoi libri e quelli di suo fratello Michele al Municipio perché potesse dar vita a una biblioteca. Nei decenni successivi fu arricchita da altre donazioni come quelle del Cossu Baylle e dei Birocchi, che però rimasero inaccessibili per anni. Infatti il Comune fu in grado di aprire la biblioteca al pubblico solo nel 1895; 555 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 563 Biblioteca Comunale nel corso del secolo XX la biblioteca fu arricchita dalle donazioni di Ottone Bacaredda, da quella dei Ballero, dell’importante fondo Sanjust e di molte altre minori. Annessa all’Archivio, per molti anni fu ospitata nella palazzina della Galleria comunale ai Giardini pubblici. Nel 2000 è stata spostata nei moderni locali di via Koch. Attualmente possiede circa 100 000 volumi e 115 manoscritti di interesse storico. Biblioteca Comunale, Nuoro Biblioteca, intitolata a Sebastiano Satta, che nacque nel 1933 da un consorzio che il Comune e la Provincia costituirono per gestire i volumi donati dal canonico e storico Pietro Lutzu. In seguito si è arricchita delle donazioni di importanti professionisti e uomini politici cittadini (Mannironi, Oggiano, Monni, Mastino) e soprattutto della biblioteca e dall’archivio di Sebastiano Satta, donati alla città da suo figlio Vindice. Negli ultimi anni un’accorta politica di acquisti ha sviluppato ulteriormente i fondi librari della biblioteca, che oltre a curare il servizio di lettura pubblica promuove iniziative culturali di grande rilievo. Attualmente possiede circa 140 000 volumi e più di 150 manoscritti. Biblioteca Comunale, Sassari Biblioteca costituita nel 1875 con l’acquisto della biblioteca di Pasquale Tola, ceduta al Comune dal figlio Cosimo; tra le molte altre carte la raccolta comprendeva incunaboli, cinquecentine e manoscritti. Inizialmente i libri del Tola furono depositati presso l’Università; tornati al Comune solo nel 1909, furono uniti a un consistente fondo, prevalentemente di opere di argomento sardo, che Enrico Costa aveva costituito con le donazioni Ponzeveroni, Righi, Orrù e altri. Nel corso del Novecento la biblioteca si arricchı̀ ulteriormente grazie alle donazioni di Filippo Garavetti, di Gavino Alivia, all’importante donazione Pittalis e a quelle di molti altri. Nonostante il continuo afflusso di materiale di grande valore il Comune si disinteressò di questo imponente patrimonio, tentando addirittura di cederlo all’Università. Solo nel 1979 – grazie anche all’indefessa applicazione di un bibliofilo di straordinaria tenacia, il medico Gavino Perantoni Satta – è stato compiuto il lavoro di inventario, di schedatura e di sistemazione dei volumi che oggi ammontano a più di 140 000. Trasferita alla fine degli anni Novanta del Novecento nel Palazzetto d’Usini, razionalmente restaurato e adattato alle esigenze del servizio al pubblico, è molto frequentata. La direttrice è Cristina Cugia. Biblioteca della Camera di Commercio, Cagliari Biblioteca fondata nel 1863, attualmente ospitata nei locali del palazzo della Camera nel largo Carlo Felice. Comprende più di 25 000 volumi di argomento prevalentemente economico e giuridico e numerosi manoscritti di interesse storico, tra cui i verbali della Reale Società Agraria ed Economica. Biblioteca della Facoltà teologica, Cagliari Biblioteca ecclesiastica, la più importante della Sardegna. Fu fondata nel 1927 dal padre Carlo Bazzola e ospitata dapprima presso il Seminario regionale di Cuglieri e successivamente trasferita a Cagliari. Possiede più di 30 000 volumi, incunaboli, cinquecentine, riviste e manoscritti importanti per la storia ecclesiastica della Sardegna. Biblioteca del Seminario Arcivescovile, Cagliari Bilbioteca fondata nel 1775 da monsignor Melano di Portula e ospitata nel palazzo del Seminario, allora attiguo a quello dell’Università. Nel corso del secolo XIX fu arricchita 556 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 564 Biblioteca Universitaria da alcune donazioni provenienti da privati e da alcuni prelati di Cagliari; la raccolta decadde nel corso del secolo XX a causa delle difficoltà economiche della diocesi e corse il rischio di scomparire sotto i bombardamenti del 1943. Solo negli anni Settanta l’importante fondo librario fu trasportato nei locali del nuovo Seminario, dove fu classificato, riordinato e posto a disposizione del pubblico. Possiede più di 20 000 volumi, incunaboli, cinquecentine e libri rari, di cui recentemente è stato pubblicato un catalogo. ‘‘Biblioteca sarda’’ Rivista mensile di Cagliari pubblicata dal 1838 al 1839. Cominciò a uscire dall’ottobre 1838, diretta da Vittorio Angius, che ne fu anche il principale redattore. Pubblicò prevalentemente articoli di carattere culturale di contenuto storico, letterario e scientifico. Purtroppo nel settembre 1839 non fu più possibile trovare finanziamenti e l’Angius fu costretto a interrompere le pubblicazioni. Biblioteca Universitaria, Cagliari Biblioteca costituita nel 1764 con dotazioni provenienti da donazioni regie e da lasciti di privati. Era ospitata nel palazzo dell’Università, fu aperta al pubblico nel 1792 con una dotazione di 8000 volumi; fu affidata alla direzione di Giacinto Hintz perché la riordinasse e la classificasse in modo adeguato. Hintz morı̀ nel 1811 e negli anni seguenti la biblioteca decadde; solo nel 1820 fu affidata a Domenico Alberto Azuni, che avviò la costituzione del primo catalogo e ne arricchı̀ la dotazione. Nei decenni successivi la biblioteca fu diretta da due grandi studiosi come Lodovico Baylle e Giovanni Spano, che continuarono a svilupparla e a potenziarla compatibilmente con le scarse disponibilità finanziarie dell’Ateneo. Fu però con Pietro Martini, nominato bibliotecario nel 1842, che la B.U. ebbe un notevole impulso; egli infatti compilò il catalogo alfabetico e introdusse un sistema di collocazione dei volumi. Dopo di lui, per tutto l’Ottocento, la B.U. si arricchı̀ grazie ad altre donazioni fatte da privati, tra cui quelle del Falqui Pes nel 1864, del Timon nel 1866, e grazie all’acquisizione delle biblioteche degli ordini religiosi soppressi. In particolare diedero un notevole contributo la biblioteca dei Domenicani, quelle dei Mercedari e degli Scolopi e soprattutto quella dei Gesuiti, che comprendeva la storica biblioteca di Monserrato Rossellò. Nel Novecento la B.U. continuò a crescere e a essere riordinata e arricchita grazie all’intelligente opera di bibliotecari di grande prestigio tra i quali va ricordata la dottoressa Bianca Bruno, che la diresse tra il 1932 e il 1940, contribuendo a un radicale rinnovamento delle sue strutture e dei locali. Scoppiata la seconda guerra mondiale fu danneggiata dai bombardamenti, ma grazie all’appassionata opera di Nicola Valle riprese nel dopoguerra il suo cammino e nel corso dei decenni fu potenziata e dotata di notevoli supporti grazie all’opera di Polidoro Benveduti, Luigi Balsamo e, in tempi più recenti, Graziella Delitala e Giuseppina Cossu Pinna, cui è succeduta l’attuale direttrice Ester Gessa. I suoi locali vennero spostati nell’attuale palazzo del Seminario, contiguo a quello della vecchia sede. Attualmente la B.U. possiede più di 500 000 tra volumi e opuscoli, 1700 riviste, 245 giornali, 245 incunaboli, più di 400 manoscritti dal XII al secolo XX, 1560 volumi considerati rari ed è in grado di fornire servizi al passo con i tempi. La biblioteca centrale è affiancata da importanti biblioteche di Facoltà e di Dipartimento; in particolare: la Biblioteca della Facoltà di Giurisprudenza, si- 557 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 565 Biblioteca Universitaria tuata in viale Fra Ignazio; la Biblioteca della Facoltà di Scienze politiche, situata in viale Fra Ignazio: da questa dipende la Biblioteca del Centro di documentazione europea, situata in via Nicolodi; la Biblioteca centrale della Facoltà di Economia e Commercio, situata in viale Fra Ignazio; la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze della Formazione e Lingue e letterature Straniere, articolata in: 1. Biblioteca Interfacoltà, situata in località Sa Duchessa; 2. Biblioteca interdipartimentale dei dipartimenti di Filologie e Letterature moderne, di Studi storici, geografici e artistici, di Filosofia e Teoria delle Scienze umane, di Scienze pedagogiche e filosofiche, situata in via Is Mirrionis; 3. Biblioteca del Dipartimento di Scienze archeologiche e Storico Artistiche e della Scuola di Specializzazione in Studi Sardi, situata in piazza Arsenale, Cittadella dei Musei; 3. Biblioteca del Dipartimento di Filologia classica e Glottologia, situata in via Is Mirrionis; 4. Biblioteca del Dipartimento di Linguistica e Stilistica, situata in via San Giorgio, ex Clinica Medica; 5. Biblioteca del Dipartimento di Psicologia, situata in via Is Mirrionis. La Biblioteca della Facoltà di Medicina e Chirurgia, la cui Biblioteca centrale dell’area biomedica è situata nella Cittadella universitaria. La Bibilioteca della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche naturali e di Farmacia, articolata in: 1. Biblioteca del Dipartimento di Biologia animale ed Ecologia, situata in viale Poetto; 2. Biblioteca del Dipartimento di Fisica, situata nella Cittadella Universitaria; 3. Biblioteca del Dipartimento di Matematica, situata in via Ospedale; 4. Biblioteca del Dipartimento di Scienze botaniche, situata in viale Sant’Ignazio; 5. Biblioteca del Dipartimento di Scienze chimiche-Chi- mica inorganica e analitica, situata nella Cittadella Universitaria; 6. Biblioteca del Dipartimento di Scienze della Terra, situata in via Trentino; 7. Biblioteca del seminario della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, situata nella Cittadella Universitaria; 8. Biblioteca del Dipartimento farmaco-chimico-tecnologico, situata in via Ospedale. La Biblioteca della Facoltà di Ingegneria articolata in: 1. Biblioteca centrale della Facoltà di Ingegneria, situata in Piazza d’Armi; 2. Biblioteca di Architettura e Urbanistica, situata in Piazza d’Armi; 3. Biblioteca del Dipartimento di Geoingegneria e Tecnologie ambientali, situata in Piazza d’Armi; 4. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria Chimica e Materiali, situata in Piazza d’Armi; 5. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria del Territorio Sezione Geologia applicata e Geofisica applicata, situata in Piazza d’Armi; 6. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria del Territorio. Sezione idraulica, situata in Piazza d’Armi; 7. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria del Territorio. Sezione Trasporti, situata in Piazza d’Armi; 8. Biblioteca del Dipartimento di Ingegneria elettrica ed elettronica, situata in Piazza d’Armi. Biblioteca Universitaria, Sassari Biblioteca originariamente di proprietà del Comune. Era nata dalla fusione della libreria dello Studio generale del Municipio con quella di Alessio Fontana, avvenuta tra il 1558 e il 1562. Il Comune provvedeva all’acquisto dei libri e alle spese per il suo funzionamento; dopo il 1765 passò alla gestione diretta dell’Università. Nel 1775 si arricchı̀ della biblioteca dei Gesuiti ed entro la prima metà dell’Ottocento di altre donazioni. Nel 1867 acquisı̀ le biblioteche degli ordini religiosi soppressi, in partico- 558 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 566 Biblioteche in Sardegna lare quelle dei Serviti, dei Minori osservanti, dei Domenicani e dei Cappuccini. Nel 1893 ne fu nominato direttore Giuliano Bonazzi che la trasformò in un’ efficiente istituzione, avviando la catalogazione. Il potenziamento della B.U. continuò per tutto il secolo XX; attualmente possiede più di 200 000 volumi e opuscoli, 1500 periodici, 39 incunaboli, manoscritti, cinquecentine e libri rari. La direttrice è Giuseppina Uleri. Anche il sistema bibliotecario universitario di Sassari è articolato, oltre che in Biblioteca centrale, in Biblioteche di Facoltà e di Dipartimento, in particolare: Biblioteca per le Scienze giuridiche, politiche ed economiche ‘‘Antonio Pigliaru’’, situata in viale Mancini. Biblioteca della Facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali articolata in: 1. Biblioteca dell’Istituto di Botanica, situata in via Muroni; 2. Biblioteca dell’Istituto di Fisica, situata in via Muroni; 3. Biblioteca di Fisiologia generale, situata in via Muroni; 4. Biblioteca di Zoologia, situata in via Muroni. Biblioteca della Facoltà di Farmacia, situata in via Muroni; Biblioteca della Facoltà di Medicina e Chirurgia, situata in viale San Pietro; Biblioteca della Facoltà di Medicina veterinaria, situata in via Vienna; Biblioteca della Facoltà di Economia, situata in località Serra Secca; Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia, situata in via Zanfarino; Biblioteca della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, situata in via Zanfarino; Biblioteca della Facoltà di Agraria, situata in via E. De Nicola. Particolarmente ricca e attrezzata è la Biblioteca del Dipartimento di Storia, situata in viale Umberto I (Palazzo Segni). Biblioteche in Sardegna – La Biblioteca comunale di Porto Torres si segnala per la sua attenzione ai lettori più giovani. Biblioteche in Sardegna Il problema della B. in S. è legato a quello dell’esistenza di un moderno sistema di lettura pubblica, che nell’isola ha avuto uno sviluppo relativamente rapido. Negli anni Sessanta, infatti, operavano 22 biblioteche di enti pubblici e 22 altre biblioteche popolari e parrocchiali, oltre le due Biblioteche Universitarie, e non esisteva un servizio di lettura pubblico. Con il graduale passaggio alla Regione autonoma delle competenze in materia di biblioteche il loro numero ha avuto un incremento notevole: nel giro di vent’anni le biblioteche degli enti pubblici sono diventate 232, ma soprattutto si è sviluppato un moderno sistema bibliotecario che consente la circolazione del libro praticamente sull’intero territorio regionale. Attualmente il quadro delle biblioteche degli enti pubblici è il seguente: Biblioteca dell’Amministrazione provinciale di Cagliari, vico XIV San Giovanni, Cagliari; Biblioteca del Consiglio regionale della Sardegna, viale Trieste, Cagliari; Biblioteca della Camera di Commercio, largo Carlo Felice, Cagliari; Biblioteca della Deputazione di Storia patria per la Sardegna, via Cadello, Cagliari; Biblioteca dell’Archivio di Stato di Cagliari, via Gal- 559 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 567 Biblioteche in Sardegna lura, Cagliari; Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e Artistici delle province di Cagliari, e Oristano, Cagliari, via Caprera; Biblioteca dell’Ispettorato provinciale per l’Agricoltura, via Caprera 8, Cagliari; Biblioteca dell’Osservatorio di Fitopatologia, via Trento 50, Cagliari; Biblioteca del Presidio militare, Cagliari. Ma l’elemento più rilevante dello sviluppo del sistema di lettura pubblica è costituito dalle biblioteche comunali, che una volta aperte e fatte funzionare divengono non solo un centro di lettura ma anche un luogo di diffusione e di promozione della cultura. Esse sono elencate qui di seguito, divise fra le 8 province e ordinate secondo il numero di volumi posseduto. & BIBLIOTECHE COMUNALI Provincia di Cagliari 1. Cagliari, via dei Partigiani; attualmente ha una dotazione di 103 264 volumi ed è aperta; 2. Quartu Sant’Elena, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 31 490 volumi ed è aperta; 3. Sestu, via Roma 21; attualmente ha una dotazione di 29 635 volumi ed è aperta; 4. Assemini, via I Coghe; attualmente ha una dotazione di 26 292 volumi ed è aperta; 5. Sinnai, via Colletta; attualmente ha una dotazione di 25 809 volumi ed è aperta; 6. Isili, piazza San Giuseppe; attualmente ha una dotazione di 22 026 volumi ed è aperta; 7. Selargius, piazza Si ’e Boi; attualmente ha una dotazione di 18 021 volumi ed è aperta. 8. Vallermosa, via 1º Maggio; attualmente ha una dotazione di 11 510 volumi ed è aperta; 9. Orroli, via Cesare Battisti; attualmente ha una dotazione di 11 431 volumi ed è aperta; 10. Guasila, piazza del Popolo; attualmente ha una dotazione di 11 332 volumi ed è aperta; 11. Gergei, via Resistenza; attualmente ha una dotazione di 10 704 volumi ed è aperta; 12. Nuragus, via Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 10 386 volumi ed è aperta; 13. San Vito, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 10 339 volumi ed è aperta; 14. Decimomannu, Palazzo comunale; attualmente ha una dotazione di 10 200 volumi ed è aperta; 15. Teulada, piazza Parrocchia; attualmente ha una dotazione di 9532 volumi ed è aperta; 16. Nurri, via Trento; attualmente ha una dotazione di 9330 volumi ed è aperta; 17. Villasimius, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 9200 volumi ed è aperta; 18. Villasor, via Roma; attualmente ha una dotazione di 9000 volumi ed è aperta; 19. Seulo, via Aie; attualmente ha una dotazione di 8757 volumi ed è aperta; 20. Settimo San Pietro, via Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 8628 volumi ed è aperta; 21. Mandas, Municipio; attualmente ha una dotazione di 8577 volumi ed è aperta. 22. Decimoputzu, Cagliari; attualmente ha una dotazione di 8480 volumi ed è aperta; 23. San Basilio, via Surcuri; attualmente ha una dotazione di 8471 volumi ed è aperta; 24. Donori, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 8467 volumi ed è aperta; 25. Quartucciu, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 8000 volumi ed è aperta; 26. Serdiana, piazza Gruxi ’e Ferru; attualmente ha una dotazione di 7636 volumi ed è aperta; 27. San Sperate, via XI Febbraio; attualmente ha una dotazione di 7328 volumi ed è aperta; 28. Villaspeciosa, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 7278 volumi ed è aperta; 29. Armungia, viale Gramsci; attualmente ha una dotazione di 7196 volumi ed è aperta; 30. Nurallao, Municipio; attualmente ha una dotazione di 7000 volumi ed è aperta; 31. Ussana, piazza Mercato; attualmente ha una dotazione di 6973 volumi ed è aperta; 560 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 568 Biblioteche in Sardegna 32. Sant’Andrea Frius, via Garibaldi; attualmente ha una dotazione di 6682 volumi ed è aperta; 33. Silius, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 6582 volumi ed è aperta; 34. Villaputzu, Palazzo comunale; attualmente ha una dotazione di 6218 volumi ed è aperta; 35. Elmas, via dell’Arma azzurra; attualmente ha una dotazione di 5700 volumi ed è aperta; 36. Serri, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 5500 volumi ed è aperta; 37. Sarroch, piazza Repubblica; attualmente ha una dotazione di 5493 volumi ed è aperta; 38. Villanovatulo, via Carlo Alberto; attualmente ha una dotazione di 5480 volumi ed è aperta; 39. Monastir, via Progresso; attualmente ha una dotazione di 5428 volumi ed è aperta; 40. Villasalto, via La Marmora; attualmente ha una dotazione di 5362 volumi ed è aperta; 41. San Nicolò Gerrei, via Umberto; attualmente ha una dotazione di 5331 volumi ed è aperta; 42. Pula, piazza del Popolo; attualmente ha una dotazione di 5249 volumi ed è aperta; 43. Guamaggiore, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 5200 volumi ed è aperta; 44. Siurgus Donigala, via Marconi; attualmente ha una dotazione di 5034 volumi ed è aperta; 45. Capoterra, corso Gramsci; attualmente ha una dotazione di 5005 volumi ed è aperta; 46. Castiadas, località Olia Speciosa; attualmente ha una dotazione di 4986 volumi ed è aperta; 47. Soleminis, via Sirios; attualmente ha una dotazione di 4842 volumi ed è aperta; 48. Maracalagonis, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 4600 volumi ed è aperta; 49. Siliqua, via Parini; attualmente ha una dotazione di 4410 volumi ed è aperta; 50. Samatzai, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4309 volumi ed è aperta; 51. Burcei, via Municipio; attualmente ha una dotazione di 4304 volumi ed è aperta; 52. Escalaplano, via Roma; attualmente ha una dotazione di 3868 volumi ed è aperta; 53. Escolca, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 3654 volumi ed è aperta; 54. Barrali, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 3452 volumi ed è aperta; 55. Nuraminis, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 3479 volumi ed è aperta; 56. Dolianova, piazza Amendola; attualmente ha una dotazione di 3378 volumi ed è aperta; 57. Gesico, Municipio; attualmente ha una dotazione di 3275 volumi ed è aperta; 58. Goni, via Roma; attualmente ha una dotazione di 3000 volumi ed è aperta; 59. Villa San Pietro, Palazzo comunale; attualmente ha una dotazione di 3100 volumi ed è aperta; 60. Sadali, corso Umberto; attualmente ha una dotazione di 2863 volumi ed è aperta; 61. Domus de Maria, piazza Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 2800 volumi ed è aperta; 62. Ballao, piazza Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 63. Esterzili, Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 64. Monserrato, via Carbonara; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta. 65, Muravera, via Machiavelli; attualmente è chiusa; 66. Ortacesus, via Roma; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 67. Pimentel, via Margherita; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 68. Senorbı̀, via Vittorio Emanuele; attualmente è chiusa. 69. Suelli, la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 70. Uta attualmente è chiusa. Provincia di Carbonia-Iglesias 1. Carbonia, Parco di Villa Sulcis; attualmente ha una dotazione di 39 735 volumi ed è aperta; 2. Iglesias, via Gramsci; attualmente ha una dotazione di 25 655 volumi ed è aperta; 3. Domusnovas, piazza G. Leccis; attual- 561 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 569 Biblioteche in Sardegna mente ha una dotazione di 14 852 volumi ed è aperta; 4. San Giovanni Suergiu, via Mazzini; attualmente ha una dotazione di 11 455 volumi ed è aperta; 5. Portoscuso, via Galilei; attualmente ha una dotazione di 11 352 volumi ed è aperta; 6. Gonnesa, via Don Morosini; attualmente ha una dotazione di 9870 volumi ed è aperta; 7. Giba, via Principe di Piemonte; attualmente ha una dotazione di 9115 volumi ed è aperta; 8. Tratalias, via Matteotti; attualmente ha una dotazione di 7193 volumi ed è aperta; 9. Carloforte, Municipio; attualmente ha una dotazione di 6800 volumi ed è aperta; 10. Sant’Antioco, via XX Settembre; attualmente ha una dotazione di 6240 volumi ed è aperta; 11. Santadi, piazza Marconi; attualmente ha una dotazione di 6070 volumi ed è aperta; 12. Fluminimaggiore, via Asquer; attualmente ha una dotazione di 6000 volumi ed è aperta; 13. Sant’Anna Arresi, piazza Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 5759 volumi ed è aperta; 14. Perdaxius, Municipio; attualmente ha una dotazione di 5202 volumi ed è aperta; 15. Narcao, piazza Marconi; attualmente ha una dotazione di 4750 volumi ed è aperta; 16. Musei, via Enrico Fermi; attualmente ha una dotazione di 4692 volumi ed è aperta; 17. Villamassargia, via Santa Maria; attualmente ha una dotazione di 4300 volumi ed è aperta; 18. Calasetta, lungomare Cristoforo Colombo; attualmente ha una dotazione di 4100 volumi ed è aperta; 19. Nuxis, viale Indipendenza; attualmente ha una dotazione di 3130 volumi ed è aperta; 20. Villaperuccio, piazza IV Novembre; attualmente ha una dotazione di 1364 volumi ed è aperta; 21. Buggerru, via Roma; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 22. Masainas, piazza Cavour; attualmente è chiusa; 23. Pisci- nas, via Piemonte; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta. Provincia del Medio Campidano 1. Villacidro, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 25 218 volumi ed è aperta; 2. Serramanna, via Giulio Cesare; attualmente ha una dotazione di 13 617 volumi ed è aperta; 3. San Gavino Monreale, via Leonardo; attualmente ha una dotazione di 13 500 volumi ed è aperta; 4. Villamar, via Roma; attualmente ha una dotazione di 12 793 volumi ed è aperta; 5. Guspini, via Velio Spano; attualmente ha una dotazione di 12 154 volumi ed è aperta; 6. Serrenti, vico Regina Margherita; attualmente ha una dotazione di 10 980 volumi ed è aperta; 7. Lunamatrona, via Adua; attualmente ha una dotazione di 8863 volumi ed è aperta; 8. Sardara, piazza Sant’Antonio; attualmente ha una dotazione di 8700 volumi ed è aperta. 9. Villanovaforru, via Umberto I; attualmente ha una dotazione di 8429 volumi ed è aperta; 10. Samassi, via Veneto; attualmente ha una dotazione di 7764 volumi ed è aperta; 11. Gonnosfanadiga, via Porru Bonelli; attualmente ha una dotazione di 7497 volumi ed è aperta; 12. Siddi, via Napoli; attualmente ha una dotazione di 7431 volumi ed è aperta; 13. Tuili, via San Pietro; attualmente ha una dotazione di 6611 volumi ed è aperta; 14. Segariu, via Dante; attualmente ha una dotazione di 5875 volumi ed è aperta; 15. Pabillonis, via San Giovanni; attualmente ha una dotazione di 5438 volumi ed è aperta; 16. Collinas, vico II Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 5179 volumi ed è aperta; 17. Villanovafranca, piazza Martiri; attualmente ha una dotazione di 4638 volumi ed è aperta; 18. Pauli Arbarei, via Roma; attualmente ha una dotazione di 3936 volumi ed è aperta; 19. Furtei, via Parrocchia; attualmente ha una do- 562 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 570 Biblioteche in Sardegna tazione di 3175 volumi ed è aperta; 20. Setzu, via Chiesa; attualmente ha una dotazione di 3051 volumi ed è aperta; 21. Turri, corso Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 2960 volumi ed è aperta; 22. Genuri, via Gaspare; attualmente ha una dotazione di 2914 volumi ed è aperta; 23. Las Plassas, via Manzoni; attualmente ha una dotazione di 2280 volumi ed è aperta; 24. Arbus, piazza Immacolata; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 25. Barumini, via San Francesco; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 26. Gesturi, via Sardegna; attualmente è chiusa; 27. Sanluri, attualmente è chiusa; 28. Ussaramanna, via Dante; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta. Provincia di Nuoro 1. Nuoro, piazza Asproni; attualmente ha una dotazione di 139 931 volumi ed è aperta; 2. Macomer, via Gramsci; attualmente ha una dotazione di 25 788 volumi ed è aperta; 3. Dorgali, corso Umberto; attualmente ha una dotazione di 23 580 volumi ed è aperta; 4. Siniscola, via Umberto; attualmente ha una dotazione di 14 500 volumi ed è aperta; 5. Bortigali, Municipio; attualmente ha una dotazione di 14 469 volumi ed è aperta; 6. Orgosolo, piazza Caduti in Guerra; attualmente ha una dotazione di 14 235 volumi ed è aperta; 7. Orani, corso Italia; attualmente ha una dotazione di 13 618 volumi ed è aperta; 8. Orune, piazza R. Gattu; attualmente ha una dotazione di 12 820 volumi ed è aperta; 9. Ollolai, via Lapoddi; attualmente ha una dotazione di 11 750 volumi ed è aperta; 10. Lodé, via Allende; attualmente ha una dotazione di 10 687 volumi ed è aperta; 11. Sorgono, via Umberto; attualmente ha una dotazione di 10 638 volumi ed è aperta; 12. Onifai, via Mulas; attualmente ha una dotazione di 10 075 volumi ed è aperta; 13. Fonni, piazza della Libertà; attualmente ha una dotazione di 10 000 volumi ed è aperta; 14. Tonara, via Sardegna; attualmente ha una dotazione di 10 000 volumi ed è aperta; 15. Orosei, Municipio; attualmente ha una dotazione di 9833 volumi ed è aperta; 16. Mamoiada, piazza Europa; attualmente ha una dotazione di 9149 volumi ed è aperta; 17. Bitti, Municipio; attualmente ha una dotazione di 8500 volumi ed è aperta; 18. Ottana, Municipio; attualmente ha una dotazione di 8236 volumi ed è aperta; 19. Orotelli, via Michelangelo Pira; attualmente ha una dotazione di 8044 volumi ed è aperta; 20. Irgoli, via La Marmora; attualmente ha una dotazione di 7454 volumi ed è aperta; 21. Silanus, viale Gramsci; attualmente ha una dotazione di 7370 volumi ed è aperta; 22. Atzara, piazza Scuole Medie; attualmente ha una dotazione di 7200 volumi ed è aperta; 23. Ovodda, corso Italia; attualmente ha una dotazione di 7009 volumi ed è aperta; 24. Borore, via Minghetti; attualmente ha una dotazione di 6753 volumi ed è aperta; 25. Gavoi, piazza Santa Croce; attualmente ha una dotazione di 6570 volumi ed è aperta; 26. Galtellı̀, via Don Cosseddu; attualmente ha una dotazione di 6181 volumi ed è aperta; 27. Sarule, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione di 6010 volumi ed è aperta; 28. Olzai, piazza San Giovanni; attualmente ha una dotazione di 5743 volumi ed è aperta; 29. Posada, piazza Deledda; attualmente ha una dotazione di 5735 volumi ed è aperta: 30. Meana Sardo, piazza San Salvatore; attualmente ha una dotazione di 5369 volumi ed è aperta; 31. Aritzo, corso Umberto I; attualmente ha una dotazione di 5054 volumi ed è aperta; 32. Gadoni, via Santa Maria; attualmente ha una dotazione di 4991 volumi ed è aperta; 33. Oniferi, 563 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 571 Biblioteche in Sardegna via Sebastiano Satta; attualmente ha una dotazione di 4898 volumi ed è aperta; 34. Lula, via Municipio; attualmente ha una dotazione di 4840 volumi ed è aperta; 35. Belvı̀, via Kennedy; attualmente ha una dotazione di 4743 volumi ed è aperta; 36. Dualchi, piazza Sant’Antonio; attualmente ha una dotazione di 4620 volumi ed è aperta; 37. Ortueri, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4460 volumi ed è aperta; 38. Bolotana, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4000 volumi ed è aperta; 39. Teti, Municipio; attualmente ha una dotazione di 3745 volumi ed è aperta; 40. Desulo, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 3731 volumi ed è aperta; 41. Lei, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 2856 volumi ed è aperta; 42. Tiana, Municipio; attualmente ha una dotazione di 2804 volumi ed è aperta; 43. Osidda, via Amsicora; attualmente ha una dotazione di 2680 volumi ed è aperta; 44. Loculi, via Angioy; attualmente ha una dotazione di 2380 volumi ed è aperta; 45. Onanı̀, via Roma; attualmente ha una dotazione di 2068 volumi ed è aperta; 46. Torpè, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 1810 volumi ed è aperta; 47. Austis, via Roma; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 48. Birori, via Kennedy; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 49. Lodine, largo Dante; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 50. Noragugume, attualmente è chiusa; 51. Oliena, la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 52. Sindia, via Cortejosso; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta. Provincia dell’Ogliastra 1. Tortolı̀, piazza Emilio Lussu; attualmente ha una dotazione di 14 011 volumi ed è aperta; 2. Baunei, via Orientale sarda; attualmente ha una dota- zione di 12 669 volumi ed è aperta; 3. Ilbono, via Elini; attualmente ha una dotazione di 8800 volumi ed è aperta; 4. Elini, via Pompei; attualmente ha una dotazione di 7998 volumi ed è aperta; 5. Jerzu, via Umberto I; attualmente ha una dotazione di 7675 volumi ed è aperta; 6. Ussassai, via Brigata Sassari; attualmente ha una dotazione di 7650 volumi ed è aperta; 7. Villagrande Strisaili, piazza Azuni; attualmente ha una dotazione di 7650 volumi ed è aperta; 8. Lanusei, via Leonardo da Vinci; attualmente ha una dotazione di 7639 volumi ed è aperta; 9. Arzana, vico Sardegna; attualmente ha una dotazione di 5757 volumi ed è aperta; 10. Cardedu, piazza Garibaldi; attualmente ha una dotazione di 5755 volumi ed è aperta; 11. Triei, Municipio; attualmente ha una dotazione di 5593 volumi ed è aperta; 12. Ulassai, via Flores; attualmente ha una dotazione di 5443 volumi ed è aperta; 13. Urzulei, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4900 volumi ed è aperta; 14. Loceri, via Eleonora d’Arborea; attualmente ha una dotazione di 4683 volumi ed è aperta; 15. Osini, via Dante; attualmente ha una dotazione di 4600 volumi ed è aperta; 16. Seui, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4300 volumi ed è aperta; 17. Gairo, via Municipio; attualmente ha una dotazione di 3732 volumi ed è aperta; 18. Lotzorai, piazza Repubblica; attualmente ha una dotazione di 3720 volumi ed è aperta; 19. Bari Sardo, Municipio; attualmente ha una dotazione di 3518 volumi ed è aperta; 20. Perdasdefogu, via Satta; attualmente ha una dotazione di 3161 volumi ed è aperta; 21. Talana, corso Roma; attualmente ha una dotazione di 3010 volumi ed è aperta; 22. Girasole, via Garibaldi; attualmente ha una dotazione di 1501 564 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 572 Biblioteche in Sardegna volumi ed è aperta; 23; Tertenia, largo Municipio; attualmente è chiusa. Provincia di Olbia-Tempio 1. Tempio Pausania, Parco delle Rimembranze; attualmente ha una dotazione di 35 932 volumi ed è aperta; 2. Olbia, corso Umberto; attualmente ha una dotazione di 27 082 volumi ed è aperta; 3. Buddusò, corso Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 14 455 volumi ed è aperta; 4. Santa Teresa Gallura, viale Bechi; attualmente ha una dotazione di 12 741 volumi ed è aperta; 5. Oschiri, via Antonio Segni; attualmente ha una dotazione di 10 700 volumi ed è aperta; 6. Arzachena, piazza Risorgimento; attualmente ha una dotazione di 8539 volumi ed è aperta; 7. Budoni, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 7936 volumi ed è aperta; 8. Sant’Antonio di Gallura, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 7500 volumi ed è aperta; 9. Aggius, via Muto di Gallura; attualmente ha una dotazione di 7412 volumi ed è aperta; 10. Berchidda, piazza del Popolo; attualmente ha una dotazione di 6919 volumi ed è aperta; 11. Calangianus, Municipio; attualmente ha una dotazione di 5000 volumi ed è aperta; 12. Aglientu, via Mare; attualmente ha una dotazione di 4555 volumi ed è aperta; 13. Alà dei Sardi, via Repubblica; attualmente ha una dotazione di 4161 volumi ed è aperta; 14. Luras, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 4401 volumi ed è aperta; 15. Padru, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4366 volumi ed è aperta; 16. Monti, via Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 4040 volumi ed è aperta; 17. Palau, Municipio; attualmente ha una dotazione di 3068 volumi ed è aperta; 18. Bortigiadas, Municipio; attualmente ha una dotazione di 2967 volumi ed è aperta; 19. Telti, via Kennedy; attualmente ha una dotazione di 2650 volumi ed è aperta; 20. Badesi, via Risorgimento; attualmente ha una dotazione di 1528 volumi ed è aperta; 21. Golfo Aranci, attualmente è chiusa; 22. La Maddalena, via XX Settembre; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 23. Loiri Porto San Paolo, viale Pietro Nenni; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 24. Luogosanto, attualmente è chiusa. 25, San Teodoro, attualmente è chiusa; 26. Trinità d’Agultu, piazza Berlinguer; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta. Provincia di Oristano 1. Oristano, via Carpaccio; attualmente ha una dotazione di 43 505 volumi ed è aperta; 2. Ghilarza, via Matteotti; attualmente ha una dotazione di 19 058 volumi ed è aperta; 3. Arborea, corso Roma; attualmente ha una dotazione di 16 129 volumi ed è aperta; 4. Norbello, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 15 975 volumi ed è aperta; 5. Bosa, corso Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 15 500 volumi ed è aperta; 6. San Vero Milis, via Roma; attualmente ha una dotazione di 13 017 volumi ed è aperta; 7. Santu Lussurgiu, piazza Meloni; attualmente ha una dotazione di 11 177 volumi ed è aperta; 8. Mogoro, piazza Giovanni XXIII; attualmente ha una dotazione di 10 868 volumi ed è aperta; 9. Simaxis, via Garibaldi; attualmente ha una dotazione di 10 440 volumi ed è aperta; 10. Paulilatino, via Roma; attualmente ha una dotazione di 10 132 volumi ed è aperta; 11. Abbasanta, viale Gramsci; attualmente ha una dotazione di 8166 volumi ed è aperta; 12. Samugheo, via Principe Amedeo; attualmente ha una dotazione di 8051 volumi ed è aperta; 13. San Nicolò d’Arcidano, via Roma; attualmente ha una dotazione di 8008 volumi ed è aperta; 14. Terralba, piazza 565 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 573 Biblioteche in Sardegna Libertà; attualmente ha una dotazione di 8000 volumi ed è aperta; 15. Ales, via Umberto; attualmente ha una dotazione di 7988 volumi ed è aperta; 16. Genoni, via Roma; attualmente ha una dotazione di 7875 volumi ed è aperta; 17. Bonarcado, via Flores; attualmente ha una dotazione di 7792 volumi ed è aperta; 18. Cabras, piazza Azuni; attualmente ha una dotazione di 7595 volumi ed è aperta; 19. Sedilo, piazza della Liberazione; attualmente ha una dotazione di 7668 volumi ed è aperta; 20. Busachi, via Brigata Sassari; attualmente ha una dotazione di 7455 volumi ed è aperta; 21. Santa Giusta, via Garibaldi; attualmente ha una dotazione di 7274 volumi ed è aperta; 22. Suni, via Parrocchia; attualmente ha una dotazione di 7220 volumi ed è aperta; 23. Fordongianus, via Francesco Cocco; attualmente ha una dotazione di 7172 volumi ed è aperta; 24. Solarussa, via Is Frazias; attualmente ha una dotazione di 7137 volumi ed è aperta; 25. Gonnostramatza, piazza San Michele; attualmente ha una dotazione di 7124 volumi ed è aperta; 26. Baratili San Pietro, via Sardegna; attualmente ha una dotazione di 7020 volumi ed è aperta; 27. Allai, via Parrocchia; attualmente ha una dotazione di 6950 volumi ed è aperta; 28. Bauladu, piazza Emilio Lussu; attualmente ha una dotazione di 6950 volumi ed è aperta; 29. Seneghe, via Roma; attualmente ha una dotazione di 6947 volumi ed è aperta; 30. Laconi, via Don Minzoni; attualmente ha una dotazione di 6617 volumi ed è aperta; 31. Tramatza, via Tripoli; attualmente ha una dotazione di 6304 volumi ed è aperta; 32. Villaurbana, via Santa Margherita; attualmente ha una dotazione di 6157 volumi ed è aperta; 33. Zeddiani, via Sebastiano Satta; attualmente ha una dotazione di 5954 volumi ed è aperta; 34. Riola Sardo, piazza Sardegna; attualmente ha una dotazione di 5802 volumi ed è aperta. 35. Marrubiu, piazza Roma; attualmente ha una dotazione di 5771 volumi ed è aperta; 36. Palmas Arborea, via Rinascita 19; attualmente ha una dotazione di 5695 volumi ed è aperta; 37. Gonnoscodina, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 5551 volumi ed è aperta; 38. Zerfaliu, via Principe Umberto; attualmente ha una dotazione di 5446 volumi ed è aperta; 39. Aidomaggiore, via Cortejosso; attualmente ha una dotazione di 5425 volumi ed è aperta; 40. Usellus, via Giovanni Battista Tuveri; attualmente ha una dotazione di 5357 volumi ed è aperta; 41. Gonnosnò, via Turati; attualmente ha una dotazione di 5219 volumi ed è aperta. 42. Montresta, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4903 volumi ed è aperta; 43. Villa Sant’Antonio, via Felice Cau; attualmente ha una dotazione di 4870 volumi ed è aperta; 44. Narbolia, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4777 volumi ed è aperta; 45. Cuglieri, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4682 volumi ed è aperta; 46. Neoneli, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4374 volumi ed è aperta; 47. Ollastra Simaxis, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4212 volumi ed è aperta; 48. Ardauli, largo Municipio; attualmente ha una dotazione di 4200 volumi ed è aperta; 49. Nurachi, via Mameli; attualmente ha una dotazione di 4200 volumi ed è aperta; 50. Siamaggiore, via Roma; attualmente ha una dotazione di 3785 volumi ed è aperta; 51. Masullas, via San Francesco; attualmente ha una dotazione di 3784 volumi ed è aperta; 52. Tresnuraghes, Municipio; attualmente ha una dotazione di 3331 volumi ed è aperta; 53. Nughedu Santa Vittoria, via Foscolo; attualmente ha una dotazione di 3278 volumi 566 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 574 Biblioteche in Sardegna ed è aperta; 54. Albagiara, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 3200 volumi ed è aperta; 55. Baressa, piazza Municipio; attualmente ha una dotazione di 3103 volumi ed è aperta; 56. Sini, piazza Eleonora d’Arborea; attualmente ha una dotazione di 3034 volumi ed è aperta; 57. Scano di Montiferro, via Monsignor Contini; attualmente ha una dotazione di 3031 volumi ed è aperta; 58. Sorradile, via Italia; attualmente ha una dotazione di 2786 volumi ed è aperta; 59. Nureci, via Funtan’e Orgia; attualmente ha una dotazione di 2240 volumi ed è aperta; 60. Ruinas, via San Giorgio; attualmente ha una dotazione di 2110 volumi ed è aperta; 61. Curcuris, via Tellaias; attualmente ha una dotazione di 2050 volumi ed è aperta; 62. Villanova Truschedu, Municipio; attualmente ha una dotazione di 1965 volumi ed è chiusa; 63. Tadasuni, via San Michele; attualmente ha una dotazione di 1865 volumi ed è aperta; 64. Morgongiori, Municipio; attualmente ha una dotazione di 1808 volumi ed è aperta; 65. Soddı̀, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione di 1311 volumi ed è aperta; 66. Assolo, attualmente è chiusa. 67, Asuni, attualmente è chiusa; 68. Baradili, attualmente è chiusa; 69. Bidonı̀, Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 70, Boroneddu, attualmente è chiusa; 71. Flussio, attualmente è chiusa; 72. Magomadas, attualmente è chiusa; 73. Milis, via Dante; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 74. Modolo, attualmente è chiusa; 75. Mogorella, piazza Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 76. Pau, attualmente è chiusa; 77. Pompu, piazza Capitano Leo; attualmente è chiusa; 78. Sagama, viale Europa; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 79. Senis, attualmente è chiusa; 80. Sennariolo, attualmente è chiusa; 81. Siamanna, via Satta; attualmente è chiusa; 82. Siapiccia, via Santa Maria; attualmente è chiusa; 83. Simala, attualmente è chiusa; 84. Siris, attualmente è chiusa; 85. Tinnura, attualmente è chiusa; 86. Villa Verde, attualmente è chiusa. Provincia di Sassari 1. Sassari, piazza Tola; attualmente ha una dotazione di 140 000 volumi ed è aperta; 2. Alghero, via Carlo Alberto; attualmente ha una dotazione di 40 094 volumi ed è aperta; 3. Ozieri, piazza Canonico Spanu; attualmente ha una dotazione di 31 779 volumi ed è aperta; 4. Porto Torres, via Sassari; attualmente ha una dotazione di 22 230 volumi ed è aperta; 5. Sorso, via Siglienti; attualmente ha una dotazione di 20 877 volumi ed è aperta; 6. Bonorva, piazza Santa Maria; attualmente ha una dotazione di 18 237 volumi ed è aperta; 7. Ittiri, via Marconi; attualmente ha una dotazione di 11 888 volumi ed è aperta; 8. Pattada, piazza Vittorio Veneto; attualmente ha una dotazione di 10 870 volumi ed è aperta; 9. Olmedo, largo Colombo; attualmente ha una dotazione di 9451 volumi ed è aperta; 10. Nulvi, corso Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 8700 volumi ed è aperta; 11. Sennori, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 7500 volumi ed è aperta; 12. Tissi, via Dante; attualmente ha una dotazione di 7321 volumi ed è aperta; 13. Chiaramonti, via della Resistenza; attualmente ha una dotazione di 7000 volumi ed è aperta; 14. Banari, piazza Solinas; attualmente ha una dotazione di 6920 volumi ed è aperta; 15. Osilo, via Sanna Tolu; attualmente ha una dotazione di 6916 volumi ed è aperta; 16. Tula, via Roma; attualmente ha una dotazione di 6384 volumi ed è aperta; 17. Benetutti, piazza Municipale; attual- 567 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 575 Biblioteche in Sardegna mente ha una dotazione di 6306 volumi ed è aperta; 18. Pozzomaggiore, via Mercato; attualmente ha una dotazione di 6159 volumi ed è aperta; 19. Ossi, via Sardegna; attualmente ha una dotazione di 6034 volumi ed è aperta; 20. Villanova Monteleone, via Siccardi; attualmente ha una dotazione di 5947 volumi ed è aperta; 21. Mores, via Vittorio Emanuele; attualmente ha una dotazione di 5387 volumi ed è aperta; 22. Thiesi, via Garau; attualmente ha una dotazione di 5235 volumi ed è aperta; 23. Bono, Colle San Raimondo; attualmente ha una dotazione di 5130 volumi ed è aperta; 24. Putifigari, via Aldo Moro; attualmente ha una dotazione di 5031 volumi ed è aperta; 25. Nughedu San Nicolò, via Cagliari; attualmente ha una dotazione di 4972 volumi ed è aperta; 26. Romana, via Roma; attualmente ha una dotazione di 4813 volumi ed è aperta; 27. Ittireddu, via San Giacomo; attualmente ha una dotazione di 4797 volumi ed è aperta; 28. Muros, via Brigata Sassari; attualmente ha una dotazione di 4500 volumi ed è aperta; 29. Torralba, piazza Monsignor Pola; attualmente ha una dotazione di 4499 volumi ed è aperta; 30. Valledoria, via Alcide De Gasperi; attualmente ha una dotazione di 4491 volumi ed è aperta; 31. Illorai, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4490 volumi ed è chiusa; 32. Castelsardo, Municipio; attualmente ha una dotazione di 4203 volumi ed è aperta; 33. Martis, via San Giuseppe; attualmente ha una dotazione di 4003 volumi ed è aperta; 34. Bultei, via IV Novembre; attualmente ha una dotazione di 4000 volumi ed è aperta; 35. Anela, piazza S’Olina; attualmente ha una dotazione di 3650 volumi ed è aperta; 36. Sedini, via Municipio; attualmente ha una dotazione di 3531 volumi ed è aperta; 37. Florinas, piazza del Popolo; attualmente ha una dotazione di 3523 volumi ed è aperta; 38. Burgos, via Castello; attualmente ha una dotazione di 3504 volumi ed è aperta; 39. Nule, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione di 3360 volumi ed è aperta; 40. Laerru, via Grazia Deledda; attualmente ha una dotazione di 3302 volumi ed è aperta; 41. Cossoine, via Berlinguer; attualmente ha una dotazione di 3300 volumi ed è aperta; 42. Padria, via Nazionale; attualmente ha una dotazione di 3139 volumi ed è aperta; 43. Viddalba, via Angioy; attualmente ha una dotazione di 2850 volumi ed è aperta; 44. Ploaghe, Municipio; attualmente ha una dotazione di 2565 volumi ed è aperta; 45. Perfugas, piazza Mannu; attualmente ha una dotazione di 2518 volumi ed è aperta; 46. Giave, Municipio; attualmente ha una dotazione di 2300 volumi ed è aperta; 47. Cargeghe, via Nazzario Sauro; attualmente ha una dotazione di 2176 volumi ed è aperta; 48. Codrongianos, piazza IV Novembre; attualmente ha una dotazione di 2100 volumi ed è aperta; 49. Ardara, via Bachelet; attualmente ha una dotazione di 2010 volumi ed è aperta; 50. Tergu, piazza Autonomia; attualmente ha una dotazione di 1889 volumi ed è aperta; 51. Mara, piazza Marconi; attualmente ha una dotazione di 1860 volumi ed è aperta; 52. Esporlatu, via San Filippo; attualmente ha una dotazione di 1563 volumi ed è aperta; 53. Santa Maria Coghinas, Municipio; attualmente ha una dotazione di 1147 volumi ed è chiusa; 54. Bulzi, Municipio; attualmente ha una dotazione di 1000 volumi ed è chiusa; 55. Monteleone Rocca Doria, via Machiavelli; attualmente ha una dotazione di 500 volumi ed è chiusa; 56. Bessude, via Roma; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 57. Bonnanaro, attualmente è chiusa; 58. Borutta, attualmente è chiusa; 59. Bot- 568 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 576 Biblioteche in Sardegna tidda, attualmente è chiusa; 60. Cheremule, attualmente è chiusa; 61. Erula, Municipio; la sua attuale dotazione non è nota ed è aperta; 62. Semestene, via Roma; attualmente è chiusa; 63. Siligo, piazza Cavour; non si conosce l’attuale dotazione ed è aperta; 64. Stintino, via San Giorgio; attualmente è chiusa; 65. Usini, non si conosce l’attuale dotazione ed è aperta. & BIBLIOTECHE DI ORDINI O ISTITUTI RELIGIOSI Di grande rilievo sono inoltre le biblioteche appartenenti a ordini o istituzioni religiose; le più importanti attualmente sono: 1. Biblioteca dei Cappuccini, viale Fra’ Ignazio, Cagliari; 2. Biblioteca dei Cappuccini, via San Martino, Oristano; 3. Biblioteca dei Cappuccini, Colle dei Cappuccini, Sassari; 4. Biblioteca del convento di San Domenico, piazza San Domenico, Cagliari. 5. Biblioteca dei Gesuiti, via Ospedale, Cagliari; 6. Biblioteca del convento di Bonaria, piazzale Bonaria, Cagliari; 7. Biblioteca del convento di San Mauro, via San Giovanni, Cagliari; 8. Biblioteca del convento di Santa Rosalia, via Torino, Cagliari; 9. Biblioteca dei Missionari, piazza San Domenico, Cagliari; 10. Biblioteca della Pontificia Facoltà teologica, via Sanjust, Cagliari; 11. Biblioteca del Seminario arcivescovile, via Cadello, Cagliari; 12. Biblioteca del Seminario arcivescovile, piazza Duomo, Oristano; 13. Biblioteca vescovile, via Roma, Lanusei; 14. Biblioteca vescovile, via Spano, Nuoro; 15. Biblioteca del Seminario vescovile, via Cacciarru, Iglesias; 16. Biblioteca del Seminario vescovile, palazzo del Seminario, Lanusei; 17. Biblioteca del Seminario vescovile, via Umberto, Ozieri; 18. Biblioteca del Seminario vescovile, via Oschiri, Tempio Pausania; 19. Biblioteca del Seminario vescovile, via Vittorio Emanuele, Villa- cidro; 20. Biblioteca dei Frati minori conventuali, via Sant’Antonio, Quartu Sant’Elena; 21. Biblioteca del Seminario Tridentino, viale Giovanni XXIII, Bosa; 22. Biblioteca dell’Istituto salesiano ‘‘Carta Meloni’’, via San Giovanni Bosco, Santu Lussurgiu; 23. Biblioteca parrocchiale San Giovanni Battista, piazza San Giovanni, Sedilo; 24. Biblioteca Francescana San Pietro di Silki, viale San Pietro, Sassari; 25. Biblioteca della chiesa di San Michele, largo San Francesco, Alghero; 26. Biblioteca monastica di San Pietro di Sorres, monastero di San Pietro, Borutta; 27. Biblioteca degli Scolopi, via degli Scolopi, Sanluri; 28. Biblioteca parrocchiale ‘‘Meloni Dore’’, via Rettore Mele, Olzai. & ALTRE BIBLIOTECHE DI RILIEVO CULTURALE 1. Biblioteca del Conservatorio ‘‘Pier Luigi da Palestrina’’, via Bacaredda, Cagliari; 2. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘Dettori’’, via Cugia 2, Cagliari; 3. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘Siotto’’, viale Trento 103, Cagliari; 4. Biblioteca del Liceo Scientifico ‘‘Pacinotti’’, via Liguria, Cagliari; 5. Biblioteca dell’Istituto Magistrale ‘‘E. D’Arborea’’, via Carboni Boi 2, Cagliari; 6. Biblioteca dell’Istituto tecnico ‘‘Martini’’, via Sant’Eusebio 10, Cagliari; 7. Biblioteca dell’Istituto tecnico ‘‘D. Scano’’, via Cesare Cabras 13, Monserrato; 8. Biblioteca dell’Istituto tecnico minerario, via Asproni 2, Iglesias; 9. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘De Castro’’, via Cagliari, Oristano; 10. Biblioteca dell’Istituto d’Arte, via Gennargentu 31, Oristano; 11. Biblioteca del liceo Classico ‘‘Dettori’’, via Depuro 1, Tempio; 12. Biblioteca del Liceo Classico, via Satta 1, Ozieri; 13. Biblioteca del Liceo Classico, via Dante, Nuoro; 14. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘Azuni’’, via Rolando 4, Sassari; 15. Biblioteca del Liceo Classico ‘‘Manno’’, 569 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 577 Bicu via Carlo Alberto 30, Alghero; 16. Biblioteca della ‘‘Società mineraria Carbonifera Sarda’’, Piazza Iglesias, Carbonia; 17. Biblioteca dell’Ente Ospedaliero ‘‘Zonchello’’, piazza Sardegna, Nuoro; 18. Biblioteca Comunale, via Carpaccio 9, Oristano; 19. Biblioteca Guantoni, via Vittorio Emanuele, Oristano; 20. Biblioteca ‘‘Abozzi’’, Piazza Italia, Sassari; 21. Biblioteca Satta, piazza Asproni 8, Nuoro; 22. Biblioteca di Casa Gramsci, corso Umberto 36, Ghilarza; 23. Biblioteca della Fondazione Siotto, via Genovesi 114-116, Cagliari. Bicu Famiglia di Lei (secc. XVIII-XIX). Le sue notizie risalgono alla seconda metà del secolo XVIII, quando i suoi membri accumularono un discreto patrimonio fondiario, sviluppando in particolare l’olivicoltura di cui si resero benemeriti. Cosı̀, in base a un decreto emanato agli inizi dell’Ottocento, nel 1814 la famiglia ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Andrea i cui discendenti, nel corso del secolo, si trasferirono a Bolotana. Biddau, Giovannino Militare di carriera, patriota (Ploaghe 1906-Flossenburg 1944). Appartenente a una distinta famiglia sassarese, colonnello di fanteria in s.p.e., all’armistizio si trovava in Jugoslavia: «Colto dagli avvenimenti dell’8 settembre in Dalmazia – recita la motivazione della medaglia d’argento al v.m. conferitagli subito dopo la fine della guerra – ed assunto il comando di un settore della difesa di importante località, animava e sosteneva con l’esempio i dipendenti in un’impari lotta». Contrariamente a quanto dice, proseguendo, questa motivazione («Sopraffatto, veniva catturato ed affrontava con sereno coraggio la morte per fucilazione»), fu costretto ad arrendersi e, fatto prigioniero, deportato in Germania. Qui si rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e, fatto segno dei maltrattamenti riservati ai ‘‘politici’’, morı̀ d’inedia e di stenti nel terribile lager di Flossenburg nell’aprile 1944. Biddau, Orlando Poeta (n. Modolo 1938). Spirito irrequieto, si è imposto all’attenzione generale per le sue non comuni doti e per la capacità di esprimere la complessità del proprio mondo. Nel 1966, giovanissimo, ha vinto il premio ‘‘Città di Ozieri’’, nel quale ha ottenuto segnalazioni anche nel 1975; nel 1988 ha vinto il premio ‘‘Pompeo Calvia’’ a Sassari ed è stato ancora una volta segnalato al ‘‘Città di Ozieri’’. Ha pubblicato tre raccolte di versi: L’anima degli animali; Le verdi vigilie; L’inverno inconsolabile. Bidducara Antico villaggio di origine medioevale nel giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Montacuto. Sorgeva qualche chilometro a nord di Pattada. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale di Torres, fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura. Alla fine del secolo XIII era in mano alle truppe arborensi che, occupato il castello di Montacuto, sembrava potessero controllare tutta la regione. La situazione fu però ribaltata quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di alleati da coinvolgere nella conquista della Sardegna, nel 1308 se ne fecero riconoscere il possesso e ne ottennero l’investitura. Gli Arborea, anche loro alleati del re d’Aragona, presero atto della nuova situazione ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea, conquistato e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Gli anni che seguirono furono molto 570 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 578 Bidonı̀ confusi: l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 B. fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Poco dopo Mariano IV, quando divenne giudice, pretese l’obbedienza feudale dal fratello, che si rifiutò poiché aveva ottenuto il Montacuto dal re e si sentiva vincolato solo nei confronti di questo. Il rifiuto ebbe conseguenze tragiche, perché si concluse con l’arresto di Giovanni, che poi morı̀ in carcere. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IV e Pietro IV, B. subı̀ continue devastazioni, per cui andò spopolandosi rapidamente; all’atto della pace del 1388 aveva poche decine di abitanti e agli inizi del secolo XV era completamente spopolato. Bidonı̀ Comune della provincia di Oristano, incluso nel Comprensorio n. 15, con 151 abitanti (al 2004), posto a 250 m sul livello del mare e affacciato sulla vallata del Tirso dalle ultime propaggini occidentali del massiccio del Gennargentu. Regione storica: Parte Barigadu. Archidiocesi di Oristano. Bidonı̀ – Santuario campestre di Santa Maria di Ossolo. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 11,87 km 2 : ha forma grosso modo circolare e confina a nord con Sedilo, a est con un’isola ammini- strativa di Sorradile e con Nughedu Santa Vittoria, a sud ancora con Nughedu, a ovest con Sorradile. Il paese si trova al centro di un tratto di pianoro dolcemente inclinato verso la vallata, con un suolo nel quale dominano le trachiti. Le comunicazioni sono assicurate dalla strada proveniente da Abbasanta e Ghilarza che, dopo aver attraversato il lago, risale verso Sorradile e Nughedu; B., che si trova a poche centinaia di metri, vi si collega con una deviazione che prosegue inoltrandosi nelle campagne poste a settentrione. & STORIA L’attuale centro abitato risale con ogni probabilità alla tarda antichità; data la sua posizione era strategicamente importante per il controllo degli accessi alle zone interne; nel Medioevo apparteneva al giudicato d’Arborea ed era incluso nella curatoria del Parte Barigadu. Agli inizi del secolo XII i Camaldolesi vi costruirono un monastero e la chiesa di San Pietro che dipendevano da Santa Maria di Bonarcado, vi svilupparono l’agricoltura e lungo il Tirso, che allora scorreva a valle dell’abitato, impiantarono i ‘‘nassari’’ per la pesca delle anguille. Nel 1157 il villaggio fu compreso nella curtis donata da Barisone I ad Agalbursa in occasione delle nozze. Nei secoli successivi il villaggio continuò la sua esistenza tranquilla fino alla caduta del giudicato d’Arborea; nel 1410 entrò a far parte del Regnum Sardiniae, ma era compreso in un territorio al cui possesso aspirava il marchese d’Oristano e che non era ancora completamente pacificato. Il nuovo re di casa Trastamara non vedeva di buon occhio la sua infeudazione a Leonardo Cubello; B. trascorse anni di grande tensione, ma nel 1417 entrò a far parte del feudo concesso a Ludovico Pontons. Questo brillante gentiluomo, però, nel 1425 vendette il suo feudo a Leonardo 571 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 579 Bidonı̀ Cubello; quando questi, due anni dopo, morı̀, B. entrò a far parte dell’eredità che il marchese aveva lasciato al suo secondogenito Salvatore, il quale nel 1463 lo unı̀ definitivamente al marchesato. Dopo che il marchesato nel 1477 fu confiscato a Leonardo Alagon, nel 1481, con tutto il Barigadu fu concesso a Gaspare Fabra. Nel 1519 gli eredi dei Fabra vendettero il feudo a Nicolò Torresani e Carlo Alagon che nel 1520 divisero il territorio in due subregioni. B., incluso nel Barigadu Susu, toccò a Carlo Alagon, la cui discendenza si estinse nel 1547; allora, sempre compreso nel feudo del Barigadu Susu, il villaggio fu ereditato da Fabrizio de Gerp, marito di Maria Alagon. Dopo l’estinzione dei De Gerp, avvenuta nel 1576, e dopo una lunga lite col fisco che si era appropriato del feudo che veniva considerato devoluto, nel 1597 passò in mano ai marchesi Alagon di Villasor, lontani parenti dei primi feudatari. Le condizioni di vita di B. mutarono: nel corso del secolo XVII i nuovi feudatari aumentarono il carico fiscale e modificarono il sistema di individuazione del majore, che cessò di essere eletto dai capifamiglia della comunità. B. soffrı̀ notevolmente della nuova situazione; agli inizi del Settecento passò dagli Alagon ai De Silva, feudatari spagnoli che si disinteressarono dei loro feudi in Sardegna e che li fecero amministrare da podatari. La lontananza del feudatario e la crescente aspirazione a liberarsi dal vincolo feudale si fecero sentire anche a B.; agli inizi del secolo XVIII il paese contava oramai più di 250 abitanti. Nel 1772 i De Silva si videro confiscare il feudo; un evento che si verificava un anno dopo l’entrata in funzione del Consiglio comunitativo, e sembrò per questo agli abitanti un passo decisivo per liberarsi dal vincolo feudale. Pur- troppo però le cose andarono diversamente e, nonostante le resistenze della popolazione, B. fu nel 1774 compreso nel marchesato di San Vittorio concesso ad Antonio Todde; questi morı̀ nel 1776 lasciando il feudo a suo nipote Domenico Pes, ai cui discendenti continuò a rimanere sottoposto. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e finalmente riscattato nel 1838 continuando a rimanere nella provincia di Oristano. Di questi anni la puntuale testimonianza di Vittorio Angius: «L’ordinario corso della vita negli uomini è al settantesimo, nelle donne all’ottantesimo, ed anche più in là. Queste sono laboriose, e non isdegnano i lavori campestri. Attendono alla tessitura, ma non lavorano più di quanto sia necessario alla famiglia. Nella scuola normale si fa lezione a 6 fanciulli. L’agricoltura è assai ristretta, come è ristretto il numero delle braccia. Ordinariamente si semina starelli di grano 200, d’orzo 50, di fave e ceci altrettanto, e possono fruttificare, fatta la comune d’un decennio, il sette. Ove l’arte fosse adoperata con più studio e intelligenza, e l’ammontato letame si spargesse, maggiore sarebbe l’utile. Si semina pure il lino, che viene d’ottima qualità, e se ne può all’anno raccogliere circa 300 fasci di dodici manipoli per ciascuno. Vi prospera la vigna massimamente nel colle, che sta a cavaliere dell’abitato verso greco, e si hanno molte varietà d’uve, ma in maggior numero bianche, delle quali conservasi non poca quantità insino al maggio. I vini sarebbero migliori senza la mescolanza del cotto, e con metodi migliori. Incontro alla popolazione in distanza di pochi minuti vedesi l’amenissima vallata detta Èrriu lunga circa due miglia, bellissima a vedersi per la lussureggiante vegetazione degli alberi da frutta e da ombra. Mandorli, 572 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 580 Bidonı̀ peschi, pomi, olivi, susini, peri, albicocchi, meligranati, agrumi, quercie, pioppi, e più altre specie. La pastorizia è meschinissima. Le pecore (anno 1833) erano 400, le capre 60, le vacche tra rudi e mannalite (domestiche) 100, i buoi da lavoro 80, i capi porcini 100. Abbonda il selvaggiume, cinghiali, daini, lepri, volpi, martore, donnole; sono copiosissime le specie dei volatili più pregiati, pernici, tortori, beccaccie, meropi, merli, tordi, colombi selvatici. Alcuni popolani attendono alla caccia». Nel 1848 B. fu compreso nella divisione amministrativa di Cagliari che nel 1859 divenne provincia: aveva allora 310 abitanti. Nel corso della seconda metà del secolo la sua popolazione continuò a crescere progressivamente, sorretta da un discreto sviluppo dell’agricoltura. Dopo il 1920 la formazione del lago Omodeo, che sommerse una parte delle sue campagne, modificò profondamente il suo sistema di vita; inoltre nel 1927 perdette la propria autonomia e divenne frazione di Sorradile; una situazione che si protrasse fino al 1950, anno in cui riacquistò l’autonomia. Ciò però non impedı̀ che dopo il 1961 una parte considerevole della popolazione emigrasse alla ricerca di lavoro più sicuro e più redditizio. Nel 1974 il paese fu incluso nella ricostituita provincia di Oristano. & ECONOMIA La principale attività è costituita dall’agricoltura; in particolare vi sono sviluppate la frutticoltura e la viticoltura; vi operano anche piccole imprese commerciali nel settore del sughero e dei trasporti. Servizi. Il villaggio è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia; dista da Oristano 48 km. Dispone di scuola dell’obbligo. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 165 unità: maschi 83; femmine 82; famiglie 66. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione, morti per anno 4; nati 1; cancellati dall’anagrafe 1; nuovi iscritti 0. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 10 160 in migliaia di lire; versamenti ICI 50; aziende agricole 41; imprese commerciali 9; esercizi pubblici 1; esercizi al dettaglio 1. Tra gli indicatori sociali: occupati 40; disoccupati 7; inoccupati 15; laureati 6; diplomati 8; con licenza media 46; con licenza elementare 57; analfabeti 11; automezzi circolanti 70; abbonamenti TV 53. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio conserva qualche nuraghe: Bentosu, Perdu Mannu, Piscamu; ques’ultimo è stato sommerso dalle acque del lago Omodeo; il Bentosu, situato in cima a un colle a 2 km dall’abitato, è ben conservato; il Perdu Mannu, anch’esso ben conservato, è posto su un colle che domina il lago Omodeo. Interessantissimo è il sito di Monte Onnariu, a poca distanza dall’abitato, dove è stato ritrovato di recente un altare rupestre romano consacrato a Giove. Un appassionato di archeologia che cercava le tracce di un’antica chiesa, sotto uno spuntone di roccia affacciato sul lago, si è reso conto che si trattava invece di una costruzione molto più antica, e la scritta (J)ovis, messa in luce su una delle pietre del basamento, lo ha confermato: si trattava dei resti di un tempio dedicato dai Romani alla maggiore delle loro divinità. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto del villaggio è quello tipico dei centri collinari: affacciato a terrazza sul lago Omodeo, la cui formazione ha modificato radicalmente il suo paesaggio, presenta un dedalo di vie strette e tortuose che secondo la tradizione sono il risultato della fusione di due gruppi di case dai quali deriva l’attuale paese. Su queste 573 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 581 Bidotti strade si affacciano le case in pietra tipiche dell’Alto Oristanese; inserita nell’abitato è la chiesa di San Giovanni, parrocchiale costruita nel secolo XVI e successivamente modificata. L’edificio di maggior pregio però è la chiesa di San Pietro vicino al camposanto, costruita agli inizi del secolo XII in forme romaniche e affiliata dal giudice Costantino I d’Arborea alla chiesa di Bonarcado. Dopo il 1157 fu donata ad Agalbursa di Bas e prima della fine del secolo fu ricostruita nelle forme attuali. L’edificio, in trachite, ha una sola navata absidata e con copertura in legno; la facciata e l’interno sono semplici e lineari. Nella campagne di B., in prossimità del lago Omodeo, sorge il santuario campestre di Santa Maria di Ossolo che fu costruito nel 1632 dal maestro Antonio Pinna in forme sincretiche richiamantisi al gotico-catalano e al manierismo rinascimentale. L’edificio, in trachite rosa, ha tre navate e la copertura a capriate lignee. L’esterno è ingentilito nella facciata e in una delle pareti laterali da un porticato. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa più caratteristica è quella che si svolge l’8 settembre in onore di Santa Maria di Ossolo presso la chiesetta omonima: è preceduta da un novenario durante il quale i muristenes che stanno intorno alla chiesa si animano per ospitare i pellegrini. Il giorno della festa la statua della Madonna viene portata alla chiesetta con una processione solenne dopo la quale si compie una sorta di ardia a cavallo con tre giri attorno all’edificio; al termine della festa la statua viene riportata in paese in processione. Si festeggiano anche, rispettivamente il 24 giugno e il 27 dicembre, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, patrono e compatrono del paese; un tempo queste fe- ste solenni erano dette de corriolu perché ai partecipanti gli organizzatori offrivano pane e carne. Alle manifestazioni tradizionali se ne vanno aggiungendo altre attraverso le quali gli amministratori e gli abitanti del paese puntano ad attirare correnti di turisti, villeggianti e visitatori. Bidotti, Filippo Pastore di Villagrande (sec. XIX). Fu implicato nelle lotte per il controllo dei pascoli che contrapponevano il suo paese e quello di Villanova Strisaili. Fu cosı̀ accusato di alcuni delitti: per evitare l’arresto si diede alla macchia e visse per quarant’anni tra i boschi in raccoglimento e preghiera. Si guadagnò la fama di santone. A sua insaputa fu prosciolto giudizialmente dalle accuse che gli erano state fatte. Biduvé Antico villaggio che nel Medioevo faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Montacuto. Di origini antichissime, probabilmente preromane, sorgeva a pochi chilometri da Pattada. Estinta la famiglia giudicale di Torres, fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura; alla fine del secolo XIII il villaggio era in mano alle truppe arborensi che sembrava dovessero controllare l’intera regione. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea presero atto della nuova situazione, ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio fu investito nuovamente dalle truppe del giudice d’Arborea, conquistato e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono 574 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 582 Biggio aspramente per il controllo del territorio e nel 1339 B. fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma Mariano IV, quando divenne giudice, pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale ma questi, avendo ottenuto il Montacuto dal re, si rifiutò e fu fatto arrestare da Mariano. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IVe Pietro IV B. subı̀ continue devastazioni per cui andò spopolandosi. Biehl, Walther Storico dell’arte tedesco (n. sec. XX). Studioso dell’arte italiana nel Medioevo, nel 1912 fece un viaggio in Sardegna per conoscervi di persona le espressioni dell’arte medioevale. Continuò anche negli anni successivi a occuparsi della pittura sarda e curò la voce Cavaro nel Kunst Lexicon. Tra i suoi scritti: Kunstgeschichtliche Streifzuge durch Sardinien, ‘‘Zeitschrift für bildende Kunst’’, XLVIII, 1913; Die Meister von Castelsardo. Ein Beitrag zur Geschichte der sardischen Malerei im 15. bis 16. Jahrhundert, ‘‘Mitteilungen des Kunsthistorisches Instituts in Florenz’’, II, 1912-1917; Escursioni storico-artistiche in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1913. Bietola Pianta erbacea perenne della famiglia delle Chenopodiacee (Beta vulgaris L.). Ha le foglie basali larghe, ovato-lanceolate, in fitte e ampie rosette; quelle superiori, più diradate sul fusto rossastro e costoluto, hanno lamina più piccola e romboidale. I fiori sono verdi, in infiorescenza, e il frutto è un achenio. Allo stato selvatico vegeta e fiorisce da giugno ad agosto, nei luoghi incolti e ai bordi delle strade. Viene largamente coltivata, sia per le ampie foglie a costole carnose, che vengono raccolte a un anno dalla semina, sia per utilizzare, dopo 2 anni, la radice a fittone per l’estrazione di zucchero. In Sardegna la coltivazione della b. da zucchero è diffusa nelle pianure, maggiormente del Campidano e della Marmilla, e il raccolto viene lavorato nello zuccherificio di Villasor. La varietà esculenta, detta comunemente barbabietola, viene coltivata per la sua radice rossa (rapa), ottima come alimento, anche per le sue proprietà depurative. Nomi sardi: bréda (Alghero); céa (gallurese); eda (campidanese e logudorese); piarába (Marghine). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Biggio, Carlo Insegnante, consigliere regionale (n. Carloforte 1923). Professore, di cultura socialista, si è impegnato fin da giovane in politica militando nel PSDI di cui è divenuto uno dei maggiori rappresentanti nell’isola. Consigliere comunale della sua città natale, a partire dal 1960 è stato eletto sindaco per ben quattro volte; negli stessi anni è diventato anche consigliere e assessore provinciale di Cagliari. Nel 1969 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Cagliari per la VI legislatura, rieletto nello stesso collegio per la VII legislatura (1974-1979). Nel 1979 si è ritirato dalla politica, ma nel 1995 è stato eletto per la quinta volta sindaco come espressione di una lista civica. Nel 1998 si è dimesso. Biggio, Josto Agente marittimo, consigliere regionale (Sant’Antioco 1906-ivi 1978). Attirato dal dibattito politico, si schierò nella Destra tradizionale. Divenne consigliere regionale per il MSI nel collegio di Cagliari per la V legislatura (1965-1969) subentrando nel 1967 ad Alfredo Pazzaglia. Biggio, Luigi Agente marittimo, consigliere regionale (n. Sant’Antioco 1939). Figlio di Josto, ne ha continuato la tradizione professionale e politica. Nel 1994 è stato eletto consigliere regio- 575 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 583 Biggio nale per Forza Italia-Alleanza Nazionale nel collegio di Cagliari per l’XI legislatura (1994-1999); rieletto per il Polo per la Sardegna nella circoscrizione regionale per la XII legislatura (1999-2004), dal 2002 al termine della legislatura è stato vicepresidente del Consiglio regionale. Biggio, Piero Vescovo, diplomatico vaticano (Calasetta 1937-ivi 2007). Ordinato sacerdote nel 1962, laureato in Teologia, ha insegnato Lettere nel Seminario di Iglesias. Dal 1964 si è trasferito a Roma, dove nel 1969 si è laureato in Giurisprudenza e ha frequentato la Pontificia Accademia Ecclesiastica. Nel 1970 è entrato nella diplomazia vaticana; ha operato in diversi paesi del mondo: nel 1978, creato vescovo, è stato nominato nunzio pontificio in Bangladesh. Nel 1992 è stato inviato in Cile e nel 1999 trasferito in Danimarca. Guglielmo Bilancioni – Paesaggio. Bilancioni, Guglielmo Pittore (Rimini 1830-ivi 1907). Dopo aver operato a Cagliari (dove eseguı̀ nel 1867-68 il ritratto di Attilio Serpieri e nel 1876 quello di suo padre Enzio), fu a Sassari negli anni Ottanta per decorare alcuni ambienti del palazzo Giordano. Con l’aiuto di Massimiliano Amadio, dipinse gli affreschi de Il levar del sole e dell’Incontro tra Venere e Marte. Tornato a Cagliari, vi realizzò alcuni ri- tratti (Josias Pernis, 1895) ed eseguı̀ le decorazioni di palazzo Zamberletti, andate perdute. Bilevelt, Giovanni Pittore fiammingo (?, 1586-Sassari 1652). Entrato nell’ordine dei Gesuiti nel 1607, nel 1611 fu trasferito in Sardegna presso il Collegio di Sassari, dove ebbe modo di manifestare le proprie qualità e la sua tecnica raffinata. Nel 1625 dipinse la Visione di Sant’Ignazio alla Storta e successivamente eseguı̀ tre olii per la chiesa di Santa Caterina di Sassari. Continuò a dipingere numerose altre tele oggi custodite nelle chiese di Sassari. Morı̀ durante la peste del 1652. Billikennor Antico villaggio che nel Medioevo faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria dell’Anglona. Sorgeva in località Santa Maria de Rughes a sud dell’abitato attuale di Martis. A partire dal secolo XII venne in possesso dei Doria in seguito a uno dei matrimoni che membri della famiglia contrassero con principesse della famiglia giudicale di Torres. Dopo l’estinzione della dinastia, essi inclusero B. nel piccolo stato feudale che avevano formato riunendo tutti i territori in loro possesso. I Doria seppero instaurare un buon rapporto con gli abitanti del villaggio, che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia e vissero sostanzialmente in pace fino alla conquista aragonese. Quando i Doria, nel 1323, si dichiararono vassalli del re d’Aragona, B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio divenne teatro della guerra e nel 1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348 e si spopolò. Bima, Palemone Luigi Storico della Chiesa (sec. XVIII). Sacerdote piemon- 576 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 584 Binaghi tese, uomo di grande cultura, riprese l’opera del Mattei e pubblicò la Serie cronologica degli arcivescovi e vescovi del regno di Sardegna, stampata ad Asti nel 1845. Bimson, M. Archeologo inglese (n. sec. XX). Nel 1987 ha collaborato alla stesura del catalogo di Barnett-Mendleson, curando unitamente al Bayne Cope la classificazione degli scarabei e dei sigilli provenienti da Tharros in possesso del British Museum (Scarab and Seals: scientific Examinations (con A.D. Baynes Cope) in A catalogue of material from Phoenician and other tombs at Tharros in the British Museum, 1987). Binaghi, Angelo Ingegnere, tennista (n. Cagliari 1950). Inizia a praticare il tennis fin da piccolo e si afferma in campo regionale e poi nazionale. Si laurea campione italiano universitario nel 1981. Nello stesso anno, in coppia con Ricci Bitti, vince la medaglia d’oro alle Universiadi di Bucarest. Nel 1986 è nuovamente campione italiano universitario. Laureato in Ingegneria, nel 2002, in un periodo di grande crisi per il tennis italiano, viene eletto presidente nazionale della FIT, riconfermato nel 2005. [GIOVANNI TOLA] Binaghi, Rinaldo Chimico (Cagliari 1878-ivi 1968). Dopo aver conseguito la laurea si dedicò alla ricerca scientifica e all’insegnamento universitario. Professore di Chimica presso l’Università della sua città natale, fu anche attento alle vicende politiche della città e si occupò del nascente sviluppo delle attività industriali; fu eletto più volte consigliere comunale. Tra i suoi scritti: La metallurgia in età romana in Sardegna, ‘‘Sardegna romana’’, II, 1908; I concimi e la loro pratica applicazione, 1909; Contributo allo studio dei guani sardi con speciale riguardo alla determinazione dell’azoto ammoniacale, 1909; Il fenomeno di Tyndall nell’acqua potabile di Cagliari e la presenza dell’idrato di ferro colloidale, ‘‘Bullettino della società di cultori di scienze mediche e naturali’’, 1910; Nuovo contributo allo studio del fenomeno di Tyndall nell’acqua potabile di Cagliari, ‘‘Annali di igiene sperimentale’’, XX, 1910; Contributo allo studio del fenomeno di opalescenza nelle acque potabili, ‘‘Annali di igiene sperimentale’’, XXII, 1912; Sullo stato attuale e sull’avvenire industriale della Sardegna, 1917; Relazione sul riordino della scuola mineraria ‘‘Giorgio Asproni’’ di Iglesias, 1917; Ricerche sulla digitalis purpurea che cresce allo stato spontaneo sugli altipiani di Desulo, ‘‘Gazzetta chimica italiana’’, LI, 22, 1922; Combustibili fossili della Sardegna con particolare riguardo a quelli del bacino di Gonnesa (con D. Romoli Venturi), ‘‘La mineralogia italiana’’, 6, 1925; La chimica applicata alle industrie sarde, 1928; Industrie sarde, 1928. Binaghi, Roberto Chirurgo (Cagliari 1867-ivi 1931). Dopo la laurea approfondı̀ le sue ricerche nel campo della chirurgia. Nel 1910 divenne professore ordinario di Clinica chirurgica nell’Università di Cagliari, nel 1917 fu eletto preside della Facoltà di Medicina e nel 1915 rettore dell’Università (fonti fondamentali per la storia dell’Università cagliaritana sono le sue relazioni Sull’inaugurazione della regia Università di Cagliari per gli anni 1915, 1916, 1917, 1918, 1919, 1920, 1921, 1922, 1923, 1924, 1925, 1926, 1927, 1928, 1929, 1930). Il suo rettorato durò ininterrottamente fino alla morte; egli guidò l’Ateneo con grande energia e ne sviluppò con abilità le potenzialità, realizzando grandi trasformazioni. Tra i suoi scritti: Rendiconto sommario della clinica chirurgica della R. Università di Cagliari 1888-1891, 1891. Rendiconto clinico del 577 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 585 Bini biennio 1897-1898; reparto chirurgico dell’Ospedale civile di Cagliari, 1899; Discorso letto il giorno 18 novembre 1917 per il conferimento della laurea ad honorem agli studenti morti in guerra, 1918; Crisi dell’Università, ‘‘Mediterranea’’, I, 1927; Echinococco in Sardegna, ‘‘Cultura medica moderna’’, 1927; La distribuzione delle industrie in Sardegna, in Atti del XII Congresso geografico italiano, 1934. Bini, Claudio Geologo (n. Firenze 1944). Conseguita la laurea si è dedicato all’insegnamento universitario; nel 1988 è diventato professore associato di Geologia applicata. Attualmente insegna presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Venezia; il suo nome è legato alle attività dell’équipe che studiò il Pleistocene in Sardegna. Tra i suoi scritti: Sa coa de sa multa e Sa Perdosa Pantallinu. Due paleosuperfici clactoniane in Sardegna (con F. Martini, G. Pitzalis e A. Ulzega), in Paleosuperfici del Pleistocene e del primo Olocene in Italia. Processi di formazione e di interpretazione. Atti della XXX Riunione scientifica dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria 1991, 1993. Biolchini, Vito Giornalista e scrittore (n. Cagliari 1970). Fin da studente si è interessato della vita culturale della sua città. Giornalista professionista dal 1993, collabora con ‘‘La Nuova Sardegna’’ e con altri periodici. Ha scritto soprattutto per il teatro, ottenendo numerosi riconoscimenti anche a livello nazionale. Tra i suoi scritti: Sardegna. Fatti e persone 1992 (con Giovanni Maria Bellu), 1993; Estate 10 (o della distruzione dei casotti) (con E. Turno Arthemalle), 1999; Le irregolari (con E. Turno Arthemalle), 2000. Biondella = Centaurea Biondelli, Bernardino Linguista e archeologo (Verona 1804-Milano 1886). Dopo aver compiuto in gioventù studi di matematica, cominciò a interessarsi di linguistica comparata e di linguistica storica. Nel 1839 si stabilı̀ a Milano, dove collaborò al ‘‘Politecnico’’, pubblicandovi diversi articoli sull’origine della lingua italiana. Nel 1841 progettò un Atlante linguistico d’Europa, che però non riuscı̀ mai a completare; in questo contesto rivolse il suo interesse al sardo e ai suoi legami con le altre lingue indoeuropee. Si interessò anche di archeologia e di numismatica e nel 1859 fu nominato professore di Archeologia presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano. Tenne l’insegnamento fino al 1884. Lo scritto dedicato ai problemi della Sardegna, Sullo stato attuale della Sardegna, fu pubblicato a Milano nel 1841. Bionis Antico villaggio di origine medioevale del giudicato di Torres compreso nella curatoria della Nurra. Sorgeva a ovest dell’attuale abitato di Porto Torres. Nel corso del secolo XII era pervenuto, unitamente a tutta la curatoria, nelle mani dei Doria in conseguenza del matrimonio di uno dei membri della famiglia con principesse della famiglia giudicale. Estinta la dinastia giudicale, il villaggio fu incluso nel piccolo stato che essi avevano formato nella parte nord-occidentale del disciolto giudicato. I Doria seppero instaurare un buon rapporto con gli abitanti del villaggio, che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia e vissero un periodo di pace fino alla conquista aragonese. Iniziata la conquista aragonese, i Doria nel 1323 si dichiararono vassalli del re d’Aragona. Cosı̀ B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae, e quando nel 1325 essi si ribellarono il villaggio fu loro confiscato. Gli Aragonesi tennero il controllo del territorio e il villaggio nel 1330 fu concesso in feudo a Giacomo Carroz. Dopo la morte di questi, nel 1337 passò nelle 578 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 586 Birardi mani di Gombaldo Ribellas e negli anni successivi, scoppiata la seconda ribellione dei Doria, nel 1347 fu invaso dalle truppe doriane e gravemente danneggiato. Alcuni mesi dopo la sua popolazione fu decimata dalla peste. B. non si riebbe dai duri colpi ed entro il 1358 si spopolò completamente e scomparve. porto con i vassalli; i suoi abitanti, però, nella seconda metà del secolo lo abbandonarono e il villaggio entro la fine del Duecento scomparve completamente. Biora Stazione romana presso Serri. Citata unicamente nell’Itinerario Antoniniano, è una stazione della via ab Ulbia Carales, che attraverso i monti della Sardegna centrale congiungeva Olbia con Cagliari. La sua localizzazione presso il centro odierno di Serri è fissata in base alla documentazione archeologica delle località di Sa Cungiadura Manna e Su Moguru. In quei siti Giovanni Lilliu aveva identificato un centro abitato dotato di edifici monumentali, una terma e un’area funeraria, vissuto tra la fine dell’età repubblicana e l’età bizantina. Una iscrizione datata intorno al secolo III d.C., rinvenuta nel secolo XIX a B., è una dedica Numini deo Herculi (al nume Dio Ercole), posta da tre fratelli d’arme (Giulio Principe e i due omonimi Flavi Pompei), appartenenti al collegio militare dei Martenses. La dedica dimostra l’esistenza a B. di un collegio di veterani che, probabilmente, avevano svolto il loro compito nella repressione delle turbolenze indigene della montagna centrale. [RAIMONDO ZUCCA] Biosevi Antico villaggio di origine medioevale del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Coros. Era situato nelle campagne di Uri. In seguito a un matrimonio, agli inizi del secolo XIII entrò a far parte dei territori che vennero in possesso dei Malaspina. Quando si estinse la famiglia dei giudici di Torres, essi lo inclusero nel loro piccolo stato e lo governarono con equilibrio, instaurando un buon rap- Mario Birardi – Già deputato e sindaco di La Maddalena, è uno dei più conosciuti collezionisti di cimeli garibaldini. Birardi, Mario Operaio, uomo politico (n. La Maddalena 1930). Consigliere regionale, deputato al Parlamento. Si è impegnato fin da giovanissimo nel PCI ricoprendo per anni importanti incarichi politici in seno alla Federazione sassarese. Dopo essere stato consigliere provinciale di Sassari, nel 1965 è stato eletto consigliere regionale del suo partito per la V legislatura nel collegio di Sassari e riconfermato in seguito ininterrottamente fino al 1979, quando è stato eletto deputato per la IX legislatura repubblicana. Dopo l’elezione si è trasferito a Roma per lavorare nella direzione nazionale del suo partito. Non più riconfermato parla- 579 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 587 Birocchi mentare, ha continuato tuttavia a occuparsi di politica aderendo ai DS e nel 1997 è stato eletto sindaco della sua città, rimanendo in carica fino al 2002. Appassionato studioso di Garibaldi e dei garibaldini, nella sua casa di La Maddalena conserva una interessante collezione di documenti, stampe e oggetti legati alle imprese del Generale. Birocchi, Eusebio Studioso della numismatica sarda (Cagliari 1885-ivi 1966). Dopo essersi laureato in Giurisprudenza, si dedicò all’insegnamento negli Istituti tecnici. I suoi studi di numismatica, che spaziano lungo l’arco dell’intera storia sarda, sono da considerare ancor oggi fondamentali. Socio della Deputazione di Storia patria, quando morı̀ donò la sua biblioteca all’Università di Cagliari. Tra i suoi scritti: Monetazione romano-sarda, 1931; I ripostigli nuragici e le panelle di rame grezzo, ‘‘Studi sardi’’, I, 1934; La monetazione punico-sarda, ‘‘Studi sardi’’, II, 1935; Il cimitero paleocristiano di San Saturno, ‘‘Sardegna cattolica’’, 1939; Caratteri sviluppi e arresti della monetazione aragonese e spagnola in Sardegna, ‘‘Studi sardi’’, IX, 1950; Zecche e monete della Sardegna nei periodi di dominazione aragonese e spagnola in Sardegna, 1952; La monetazione romano-sarda, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXIV, 1954; La circolazione monetaria in Sardegna durante la dominazione romana, ‘‘Studi sardi’’, XII-XIII, 1955; La monetazione punico-sarda, 1955; I patacconi e i mezzi patacconi di Filippo III, ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’, II, 5-6, 1955. Birocchi, Italo Storico del diritto italiano (n. Cagliari 1949). Conseguita la laurea, ha completato i suoi studi a Monaco di Baviera, Francoforte e Oxford, e ha intrapreso la carriera universitaria. Dopo aver insegnato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, attualmente è professore ordinario presso l’Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma. Tra i suoi scritti: Aspetti del sistema tributario vigente in Sardegna dopo il riscatto dei feudi: l’imposta pecuniaria surrogata alle prestazioni feudali, in Studi in memoria di G. D’Amelio, I, 1978; Considerazioni sulla privatizzazione della terra in Sardegna dopo le leggi abolitive del feudalesimo, ‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 1113, 1980; Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna. Provvedimenti normativi, orientamenti di governo e ruolo delle forze sociali dal 1839 al 1851, 1982; L’istituzione dei consigli comunitativi in Sardegna (con M. Capra), in ‘‘Quaderni sardi di Storia’’, 4, 1983-84; La consuetudine nel diritto agrario sardo. Riflessione sugli spunti offerti dagli statuti sassaresi, in Gli Statuti sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età moderna. Atti del Convegno di studi di Sassari 1983 (a cura di Antonello Mattone e Marco Tangheroni), 1986; Dottrine e diritto penale in Sardegna nel primo Ottocento. Il trattato Dei delitti e delle pene di Domenico Fois, 1988; Istituzioni, diritto, strumenti di governo del regno di Sardegna (con A. Mattone), in‘‘Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico’’, 29-31, 1990; Tra diritto e politica nel triennio rivoluzionario sardo di fine Settecento: considerazioni in margine ad un’inedita memoria di Ludovico Baille, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XVII, 1991; La carta autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le leggi fondamentali nel triennio rivoluzionario 1793-96, 1991; Il problema del riordinamento della legislazione sarda e il progetto di codificazione del 1806, in All’ombra dell’aquila imperiale, I, 1994; La questione autonomistica dalla fusione perfetta al primo do- 580 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 588 Birori poguerra in Sardegna, collana ‘‘Le regioni d’Italia dall’Unità a oggi’’ (a cura di Luigi Berlinguer e A. Mattone), 1998. Birori Comune della provincia di Nuoro, compreso nell’VIII Comunità montana, con 593 abitanti (al 2004), posto a 464 m sul livello del mare alle falde meridionali della catena del Marghine, tra Macomer e Bortigali. Regione storica: Marghine. Diocesi di Alghero-Bosa. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 17,36 km 2 : ha forma grosso modo triangolare e confina a nord con Bortigali, a est ancora con Bortigali e Dualchi, a sud con Borore, a ovest con Macomer. Il paese si trova in una zona relativamente pianeggiante, attraversata da alcuni affluenti del rio Murtazzolu, che va poco dopo a gettarsi nel Tirso. La natura del suolo è di origine vulcanica, con abbondante presenza di rocce basaltiche e trachitiche. Il paese è adiacente a due strade di grande comunicazione: la superstrada Sassari-Cagliari e la S.S. 129 che da Macomer si dirige verso Nuoro; sono invece a qualche distanza le stazioni di Macomer o di Borore lungo la ferrovia Cagliari-Chilivani, o quelle di Macomer o Bortigali lungo la linea a scartamento ridotto Macomer-Nuoro. & STORIA L’attuale centro è di origine medioevale, apparteneva al giudicato di Torres ed era compreso nella curatoria del Marghine. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale il Marghine fu conteso tra i Doria e gli Arborea e finı̀ per essere occupato da truppe arborensi e annesso al giudicato d’Arborea. Nella fase più aspra delle guerre tra Arborea e Aragona, nel 1378 fu incluso nei territori che il re concesse al traditore Valore de Ligia che si era schierato con lui, ma in effetti continuò a rimanere in possesso del giudice d’Arborea fino alla battaglia di Sanluri; su- bito dopo cadde in mano al visconte di Narbona che continuò a tenerlo fino al 1420, anno in cui, dopo la rinuncia del visconte ai propri diritti, entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Nel 1421 il villaggio fu incluso nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles; i Centelles nel 1439 lo cedettero a Salvatore Cubello come indennizzo per il mancato pagamento della dote di sua sorella. Divenuto marchese d’Oristano, Salvatore incluse nel 1463 B. nel suo feudo e il villaggio solo dopo la battaglia di Macomer tornò a far parte del feudo di Oliva. I Centelles, che risiedevano in Spagna, fecero amministrare il vasto feudo da una burocrazia alle loro dipendenze, cosı̀ B. fu fatto dipendere amministrativamente da un funzionario che risiedeva a Macomer. Estinti i Centelles nel 1569 il villaggio, dopo una lunga lite conclusa nel 1591, passò ai Borgia che innovarono profondamente il sistema di amministrazione del feudo; con la loro amministrazione, infatti, si verificò nel corso del Seicento un aumento del potere del feudatario che arrivò a controllare direttamente l’elezione del majore, esautorando completamente la comunità; egli si appoggiava ai rappresentanti di alcune famiglie di notabili locali che gestivano il potere in modo clientelare e ingiusto. Ciò era stato possibile perché nel corso del secolo erano state create per l’esazione dei tributi feudali delle ‘‘liste’’ dei contribuenti compilate in base al loro reddito: la gestione di queste liste comportava quindi non solo la determinazione del carico fiscale per ciascuno ma anche l’individuazione delle categorie degli esenti. In genere gli esenti erano proprio i notabili locali che finirono per formare delle élite vassallatiche legate al feudatario; quando i Borgia si estinsero, nel 1740, B. cominciava a esprimere un profondo bisogno 581 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 589 Birori di liberarsi dalla dipendenza feudale. Dopo una lunga serie di vicende ereditarie, nel 1767 il villaggio fu incluso nel marchesato del Marghine che toccò a Maria Giuseppa Pimentel, erede dei Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron. B., come molti altri dei villaggi del Marghine, non ebbe un rapporto facile con i nuovi feudatari che, rimasti in Spagna, facevano amministrare il feudo da funzionari senza scrupoli, cosı̀ tra il 1774 e il 1785 si rifiutò apertamente di pagare i tributi e nel 1795 prese parte ai moti antifeudali. Nel 1821 B. fu incluso nella provincia di Nuoro e nel 1843 chiuse il tempestoso rapporto con i suoi feudatari. In questi anni la realtà locale veniva analizzata da Vittorio Angius: «La principale professione vi è l’agricoltura, e pochissimi sono applicati ad altri mestieri. Il numero dei telai s’agguaglia a quello delle case: lavorasi in lino e lana, però solo quanto richiede il bisogno delle famiglie. Alla istruzione normale concorrono circa 12 fanciulli. Dalle tavole censuali della parrocchia nell’anno 1833 apprendevasi constare la popolazione di anime 410, in famiglie 120. L’annuo numero dei matrimoni si computa in 6, quello delle nascite di 10, quello delle morti di 8. Le ordinarie malattie hanno cagione dalle vicende della temperatura. La mortalità è frequente nella prima età: questa trapassata, giugnesi da molti ad una buona vecchiezza. La roccia dominante è la vulcanica. Il terreno è sı̀ idoneo alla coltivazione come alla pastura. Si semina in totale da 250 starelli. Nell’anno su notato si sparsero starelli di grano 100, d’orzo 80, e ben piccola quantità di meliga, fave, fagiuoli, ed altri legumi. L’ordinaria fruttificazione è all’ottuplo. Negli orti coltivansi molte specie. Di lino raccogliesi quanto è sufficiente a dar lavoro alle donne del paese. Le vigne prosperano mirabilmente. Le uve distinguonsi in molte varietà; il vino però riesce mediocre per la male intesa maniera di manipolarlo. Le piante fruttifere più comuni sono peri, meli, fichi, mandorli, pochi olivi. Si nutrivano nell’anno segnato vacche rudi 350, mannalite [domite] 60, buoi da lavoro 80, pecore 400, porci 350, majali 60, cavalli 35, giumenti 70. I cacciatori vi trovano alcuni cinghiali, pochi daini, gran numero di lepri e molta copia di volatili, massime pernici, merli, colombi selvatici ecc.». Abolite le province nel 1848, B. fu incluso nella omonima divisione amministrativa e vi rimase fino al 1859, quando entrò a far parte della provincia di Sassari. Alla ricostituzione della provincia di Nuoro, nel 1927, tornò a farne parte; nel 1928 fu aggregato come frazione a Macomer e solo nel 1946 riacquistò la propria autonomia. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’allevamento, su alcune piccole imprese nel settore del commercio e dei trasporti e soprattutto sui posti di lavoro che gli abitanti trovano nel terziario e nelle industrie di Macomer, nonché nel rinomato caseificio Latteria del Centro Sardegna (LACESA), che ha sede nel territorio confinante di Bortigali. Servizi. Il paese, che dista da Nuoro 43 km, è collegato mediante autolinee ai centri maggiori; dispone del medico, della farmacia, della scuola dell’obbligo e della Biblioteca comunale. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 586 unità: maschi 28; femmine 301; famiglie 212. La tendenza complessiva rivelava una lieve diminuzione della popolazione, con morti per anno 8; nati 7; cancellati dall’anagrafe 15; nuovi iscritti 5. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 18 533 in migliaia di lire; 582 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 590 Birori versamenti ICI 260; aziende agricole 100; imprese commerciali 16; esercizi pubblici 2; esercizi al dettaglio 5; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 156; disoccupati 21; inoccupati 29; laureati 7; diplomati 66; con licenza media 175; con licenza elementare 185; analfabeti 6; automezzi circolanti 190; abbonamenti TV 148. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio era popolato fin dall’epoca preistorica ed era ricco di nuraghi (Arbu, Bidui, Chessa, Iscra de S’Abbasanta, Miuddu, Oddetta, Orosei, Puggiu Malu, San Giorgio, Serbine, Serras, Sorolo, Urighe), di Tombe di giganti (Lassia, Noazza, Nuscadore, Palattu, Sa perda ’e S’altare, Tommasino), di domus de janas (Farrunti e Is Serras), ma anche di dolmen, come quello di Sas Bogadas, e di alcuni reperti romani. Il sito più suggestivo e archeologicamente più interessante è quello di Sa Perda ’e S’Altare. Si tratta di una tomba collettiva a struttura circolare riconducibile al periodo della cultura di Ozieri. La costruzione è formata da un cerchio di sette pietre che formano un vano di 1,20 di diametro coperto da un lastrone orizzontale che fa pensare appunto a un altare. Interessantissime sono anche le tombe di Palattu e di Lassia, situate a poca distanza tra loro nelle vicinanze dell’abitato attuale. Quella di Palattu è costituita da un corpo lungo quasi 15 m, largo più di 4 e completato da una elegante esedra semicircolare larga 12 m circa. Al suo interno si trova la camera funeraria lunga più di 11 m e larga 1,20 m. Gli scavi effettuati nel sito hanno restituito ceramica dell’Età del Bronzo medio. La tomba di Lassia si trova poco oltre, ha un corpo centrale lungo 16 m e largo 4 m che si apre su un’esedra in parte danneggiata. Al suo interno si apre una camera funeraria lunga 13 m e larga 1 m; quest’ambiente è alto mediamente 2 m e presenta alle pareti alcune caratteristiche nicchie per offerte. Non molto tempo fa in località Tanca ’e Sa Marchesa è stata scoperta una allée couverte a poca distanza dall’abitato, riconducibile al periodo della cultura di Monte Claro. È ben conservata, lunga circa 6,50 m e larga più di 4 m; al suo interno la camera sepolcrale è lunga 5 m e larga poco meno di 1 m; l’edificio è parzialmente crollato. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’abitato ha conservato le caratteristiche del villaggio di alta collina ed è caratterizzato da un insieme di vie scoscese e tortuose sulle quali si affacciano le tipiche case in pietra a più piani; inserita in questo contesto è la chiesa di Sant’Andrea, parrocchiale costruita probabilmente nel secolo XVI in forme molto semplici e dall’arredo essenziale. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI La festa che è maggiormente legata alle tradizioni agropastorali del piccolo centro è quella di Sant’Antonio Abate, che si svolge il 16 e 17 gennaio e ha inizio con il rituale falò preparato con la raccolta della legna necessaria; si riallaccia alla tradizione secondo la quale Sant’Antonio, sceso all’inferno, avrebbe ingannato il diavolo sottraendogli alcune braci per regalare il fuoco agli uomini; si tratta in effetti di una celebrazione antichissima che sembra volta a riscaldare la terra per risvegliarla dal freddo invernale, anticipando la prossima fine dell’inverno. In passato però la festa più importante, che si svolge ancora il 3 agosto, era quella in onore di Santo Stefano che prevedeva canti, balli e prove di abilità a cavallo e attirava molta gente anche dai paesi vicini. 583 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 591 Birra Birra – Una bottiglia di ‘‘Ichnusa’’, la capostipite delle birre prodotte in Sardegna. Birra Secondo i manuali, la b. è una «bevanda alcolica ottenuta per fermentazione dei mosti zuccherini preparati per saccarificazione diastatica dell’amido contenuto nelle cariossidi di alcuni cereali e aromatizzata mediante Luppolo». Secondo la legge italiana del 1962, il nome b. è riservato al fermentato alcolico ottenuto da ceppi selezionati di Saccaromyces cerevisiae con mosti provenienti da malto d’orzo e acqua, amaricati con luppolo. Il malto d’orzo può essere sostituito con malti di altri cereali (o con riso, ma non oltre il 25% dei cereali impiegati). Ci sono diverse specie di b. (il tipo Pilsen, color giallo ambrato; il tipo Vienna, giallo oro; il tipo Monaco, più scura). Ha notevole valore alimentare, il valore calorico è di 530-550 Kcal. per litro, ha buon contenuto vitaminico, specie in vitamina B. Si pensa che la Sardegna abbia conosciuto tardi la B. e il suo consumo si è esteso ed è diventato ‘‘popolare’’ soprattutto nel secolo XX. La storia della b. in Sardegna è legata, in questo secolo, a una vicenda che comincia nel 1913, quando tre coraggiosi imprenditori fondarono a Cagliari – «sullo stradone di Pirri», come scrive Paolo Fadda nel suo Avanguardisti della modernità, 1999 – un impianto della loro Industria Birraria Ichnusa (erano Antonio Birocchi, Aristide Giorgetti e Francesco Vincenzi). Di lı̀ a poco l’attività incontrò qualche difficoltà, e la Vinalcool del grande ‘‘capitalista coraggioso’’ Amsicora Capra offrı̀ un prestito che due anni dopo, nel 1915, portò alla fondazione di una società per azioni, la Società Anonima Birreria Ichnusa, gestita in autonomia sino al 1928 e poi passata sotto il controllo diretto della Vinalcool. Da questo periodo in poi l’aumento della produzione e la crescita del consumo di b. andarono di pari passo, tanto da rendere problematica la risposta alla domanda se sia stata la diffusione del consumo a incoraggiare l’espansione della Ichnusa (supportata per altro, in ogni tempo e, si può dire, fino a oggi, da accorte campagne pubblicitarie) oppure se sia stata, appunto, la capacità di penetrazione della b. sarda sul mercato degli alcolici a produrre l’aumento del consumo. La b. è bevanda diffusa soprattutto nei centri minori, dove pure è forte e abituale il consumo del vino: anche questo pone la domanda del percorso che la b. ha compiuto per vincere (o almeno sostenere) la concorrenza di una bevanda storica come il vino. È un fatto che, secondo recenti inchieste della Doxa e i dati forniti dall’Assobirra, la Sardegna è oggi la prima regione d’Italia per consumo di b. pro capite (e invece, contro ogni aspettativa, una delle regioni dove non è molto alto il consumo del vino). Fra gli adulti maggiori di 14 584 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 592 Bisarcio anni, infatti, la media nazionale dei consumatori di vino tra i consumatori di bevande alcoliche è del 59,6%, in Sardegna del 55,4; quanto alla b., invece, la media nazionale è del 48,4, quella sarda del 51,5. In Italia il 5,4% del campione beve b. tutti i giorni, in Sardegna sono quasi il doppio, il 10,5%. Ultimo dato Doxa 2001: il consumo della b. in Sardegna interessa il 63,7% della popolazione; la spesa destinata al consumo di bevande e tabacchi, che in Italia corrisponde al 2,5% della spesa totale delle famiglie, in Sardegna sale al 3%. Negli ultimi tempi, in cui pure l’industria birraria sarda (tanto quella ‘‘indigena’’ quanto quella legata a impianti di grandi industrie birrarie nazionali o internazionali) ha conosciuto diversi momenti di crisi, le fabbriche di b. si sono moltiplicate, anche se con stabilimenti di piccole dimensioni, in genere avviati da sardi che, al ritorno dall’emigrazione in paesi consumatori ‘‘storici’’ di b., hanno riportato e messo a frutto in Sardegna le esperienze fatte fuori dell’isola. Bisarcio Antico villaggio che nel Medioevo faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria del Montacuto. Sorgeva nelle campagne di Ozieri. Di origini antichissime, probabilmente puniche, in età tardoimperiale, per la sua posizione, ebbe una certa rilevanza militare. Nel corso del secolo XI divenne sede di residenza del vescovo e capoluogo dell’omonima diocesi e la sua importanza crebbe. Estinta la famiglia giudicale di Torres, fu lungamente conteso tra i Doria, gli Arborea e i giudici di Gallura; alla fine del secolo XIII il villaggio era sotto il controllo delle truppe arborensi, che sembrava dovessero controllare l’intero Montacuto. La situazione mutò quando i Doria, sfruttando abilmente il bisogno che Giacomo II d’Aragona aveva di trovare alleati per l’imminente conquista della Sardegna, nel 1308 ne ottennero l’investitura. Gli Arborea presero atto della nuova situazione, ma non rinunciarono alle proprie rivendicazioni. Con l’arrivo degli Aragonesi, quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio fu nuovamente occupato dalle truppe del giudice d’Arborea e formalmente annesso al Regnum Sardiniae. Negli anni che seguirono l’esercito giudicale e quello dei Doria si combatterono aspramente per il controllo del territorio. Nel 1339 B. fu compreso nei territori che il re d’Aragona concesse in feudo a Giovanni d’Arborea. Ma Mariano IV, quando divenne giudice, pretese che il fratello gli prestasse l’obbedienza feudale che, avendo ottenuto il Montacuto dal re, egli rifiutò e fu per questo fatto arrestare da Mariano. Negli anni che seguirono, scoppiata la guerra tra Mariano IVe Pietro IV, B. subı̀ continue devastazioni, per cui pur continuando a rimanere sede episcopale andò spopolandosi. Caduto il giudicato d’Arborea, nel 1421 fu incluso nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles; nei decenni successivi la sua decadenza non si arrestò, e quando nel 1503 la diocesi fu soppressa si ridusse a piccolo villaggio insignificante, governato da un funzionario baronale che risiedeva a Ozieri. Nel 1596 i Centelles si estinsero e il villaggio, dopo la conclusione di una lunga lite, nel 1591 passò ai Borgia. I nuovi feudatari si dimostrarono piuttosto fiscali: aumentarono il carico dei tributi e limitarono l’autonomia dei vassalli, modificando il sistema di elezione del majore e creando cosı̀ le condizioni per un ulteriore spopolamento del villaggio. Alla fine del secolo XVII B. aveva poche decine di abitanti e si spopolò completa- 585 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 593 Bisarcio mente nel 1728, quando i suoi ultimi abitanti si trasferirono a Ozieri. Bisarcio – La basilica romanica di Sant’Antioco di Bisarcio sorge solitaria nella piana di Chilivani. Il primo impianto fu costruito fra la seconda metà del secolo XI e il 1200. Bisarcio, diocesi di Antica diocesi della Sardegna settentrionale, suffraganea dell’archidiocesi di Torres, fu fondata molto probabilmente nel secolo XII. Prende il nome da un’antica città situata nel campo di Ozieri; nel 1503 papa Giulio II la unı̀ alla diocesi di Ottana, trasferendo questa ad Alghero. VESCOVI DI BISARCIO 1. Nicodemo resse la diocesi prima del 1082. 2. Gavino resse la diocesi dopo Nicodemo, anche lui prima del 1082. 3. Costantino de Matrona resse la diocesi nel 1082. 4. Pietro resse la diocesi tra il 1112 e il 1127. 5. Mariano Thelle resse la diocesi tra il 1139 e il 1146. 6. Giovanni Thelle resse la diocesi tra il 1170 e il 1179. 7. Vescovo anonimo che prese parte al concilio ecumenico lateranense IV (1215). 8. Vescovo anonimo citato come testimone in alcuni documenti tra il 1236 e il 1237. 9. Giovanni reggeva la diocesi nel 1237. 10. Vescovo anonimo ricordato da papa Innocenzo IV in una lettera del 1253. 11. Gonario reggeva la diocesi nel 1263. 12. Giovanni reggeva la diocesi nel 1269. 13. Pietro, genovese, resse la diocesi tra il 1283 e il 1299. 14. Bernardo Carboni resse la diocesi tra il 1303 e il 1328. 15. Vescovo anonimo cui scrisse papa Giovanni XXII nel 1329. 16. Vescovo anonimo cui scrisse papa Giovanni XXII nel 1330 (si tratta molto probabilmente del vescovo attestato nel 1329). 17. Vescovo anonimo cui scrisse papa Benedetto XII nel 1336. 18. Comita reggeva la diocesi nel 1341. 19. Marzocco Capra resse la diocesi tra il 1342 e il 1348. 20. Giovanni, minore, trasferito dalla diocesi di Termopili; resse la diocesi tra il 1349 e il 1350. 21. Francesco, catalano, minore e guardiano di Castellon de Ampurias (diocesi di Gerona); resse la diocesi tra il 1350 e il 1366. 22. Corrado, baccelliere in Teologia e arcidiacono di Agrigento, fu nominato vescovo nel 1366 e nel 1371 fu trasferito a Milevi. 23. Donato, eremitano di Sant’Agostino, già vescovo titolare di Naupactus (Lepanto), reggeva la diocesi nel 1371. 24. Antonio reggeva la diocesi prima del 1386. 25. Antioco, nominato da papa Urbano VI, reggeva la diocesi nel 1386. 26. Martino de Campo, nominato dall’antipapa Clemente VII, resse la diocesi dopo il 1388. 27. Simone Cristofori, di Zara, domenicano, fu nominato dall’antipapa Giovanni XXIII; resse la diocesi tra il 1412 e il 1421. 28. Antonio de Penna, canonico di Torres, resse la diocesi tra il 1421 e il 1436. 29. Antonio Cano, di Sassari, parroco di Giave; resse la diocesi tra il 1436 e il 1448, anno in cui divenne arcivescovo di Sassari. 30. Sisinnio, dottore in Decretali, nel 1442 fu nominato vescovo di Sulci, nel 1443 fu trasferito ad Ampurias e nel 1448 a Bisarcio; resse la diocesi fino al 1466. 31. Ludovico di Santa Croce, mi- 586 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 594 Bisso nore e maestro in Teologia, resse la diocesi tra il 1466 e il 1485. 32. Michele Lopez de Lasorra, minore, resse la diocesi tra il 1485 e il 1486, anno in cui fu trasferito a Rubicon (Canarie). 33. Garsia Quixada, minore e professore di Teologia, resse la diocesi tra il 1486 e il 1490, anno in cui fu trasferito a Guadix. 34. Galcerando, minore, nel 1490 fu trasferito da Leighlin a Bisarcio; resse la diocesi fino al 1500. 35. Giovanni, minore e penitenziere apostolico, resse la diocesi tra il 1500 e il 1503, anno in cui papa Giulio II unı̀ le diocesi di Bisarcio e di Castra alla diocesi di Ottana e trasferı̀ quest’ultima ad Alghero. La d. di B. fu ricostituita nel 1804 con la titolatura di diocesi di Bisarcio-Ozieri, che nel 1915 fu cambiata in diocesi di Ozieri. VESCOVI DI BISARCIO-OZIERI = Ozieri, diocesi di Bisi Ingrassia, Anna Maria Archeologa (Roma 1938-?, 1990). Allieva prediletta di Sabatino Moscati, divenuta funzionario alla Soprintendenza archeologica di Palermo, dal 1964 condusse scavi in Sicilia. Nel 1970 si trasferı̀ alla Soprintendenza di Napoli; nel 1971 cominciò a insegnare all’Università di Urbino, dove continuò una intensa attività scientifica interrotta prematuramente dalla morte nel 1990. Tra i suoi scritti: Le matrici fittili puniche della Sardegna e della Sicilia, ‘‘Revista del Istituto Arias Montano de Estudios hebraicos y Oriente proximo’’, XXVIII, 1968; L’apport phénicien aux bronzes nouragiques de Sardaigne, ‘‘Latomus’’, XXXVI, 1977; La questione orientalizzante in Sardegna, ‘‘Rivista internazionale per la Storia economica e sociale nell’Antichità’’, III, 1984; Bronzi vicino-orientali in Sardegna: importazioni e influssi, in Nuragic Sardinia and the Mycenaeum World, 1987. Bissing, Friedrich Wilhelm von Egittologo (Postdam 1874-Oberaudorf 1956). Professore di Egittologia all’Università di Monaco, in seguito passò a quella di Utrecht, acquisendo considerazione a livello internazionale per la profondità e il rigore dei suoi studi. La sua fama è tra l’altro legata alla pubblicazione, avvenuta tra il 1906 e il 1914, di alcuni volumi del catalogo generale del Museo del Cairo. Tra i suoi scritti: Die Sardinischen Bronzen, ‘‘Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts, römische Abteilungen’’, XLIII, 1928; Sugli oggetti egizi in Sardegna, ‘‘Mitteilungen des kunsthistorischen Instituts in Florenz’’, III, 3-4, 1929. Bissiri, Augusto Inventore (Cagliari 1878-?). Completati i suoi studi conseguendo la laurea in Legge a Roma nel 1905, si trasferı̀ in America stabilendosi a New York. Negli anni del suo soggiorno brevettò alcune delle sue invenzioni: tra queste la telefoto, un sistema di trasmissione delle fotografie per telegrafo anticipatore della televisione. Fu anche autore di curiose novelle di fantascienza che furono pubblicate dalla ‘‘Domenica del Corriere’’. Morı̀ molto vecchio. Bisso Secrezione filamentosa prodotta da alcuni grandi molluschi bivalvi, in particolare la Pinna nobilis (in sardo gnàccara), che cresce nelle acque marine dei golfi più tranquilli. Se ne ricava un tessuto molto fine e prezioso, dello stesso nome, che già nell’antichità veniva riservato agli abiti dei re e dei principi. Il dilagare del turismo sulle spiagge e l’inquinamento costiero ha gravemente rarefatto la popolazione dei molluschi produttori, che un tempo si vedeva, anche a pochi metri dalla superficie, ancorata ai fondali in folte colonie simili a grandi piantagioni di ‘‘pale’’ di fichidindia. La produzione del b. è praticamente finita, 587 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 595 Bithia anche se si ha notizia di pochissime singole artigiane (quasi esclusivamente in Barbagia e a Carloforte) che ancora lo lavorano producendo manufatti di grande raffinatezza. Bithia Insediamento di fondazione fenicia (in fenicio Byt’n) situato nella Sardegna sud-occidentale dove sorge l’attuale località di Torre di Chia raggiungibile attraverso l’antica strada quae a Nora ducit Bithiae. Sebbene la datazione attribuita alla fondazione del centro sia da porsi attorno all’ultimo quarto del secolo VIII a.C., l’area prescelta per l’installazione delle prime strutture mostra i caratteri tipici degli insediamenti risalenti alla fase precoloniale della navigazione fenicia in Sardegna: un paesaggio costiero proiettato sul mare, dotato di un ottimo porto di tipo fluviale e con un entroterra limitato e protetto dai rilievi di Monti Sa Guardia. L’antica città fenicia è conosciuta soprattutto grazie ai rinvenimenti effettuati nell’area della necropoli e del tofet. La scoperta dell’area cimiteriale si deve a una violenta mareggiata avvenuta nel 1926 a seguito della quale l’archeologo Antonio Taramelli (allora direttore della Soprintendenza alle Antichità) tra il 1928 e il 1933 intraprese l’indagine del sito ai piedi dell’altura della torre che portò all’individuazione di un lembo della necropoli arcaica a incinerazione e di parte dell’abitato di età romana. In questa occasione si rinvenne la statua monumentale di età tardopunica rappresentante il dio Bes nonché l’iscrizione neo-punica dei primi anni del secolo III d.C. che ha permesso di conoscere il toponimo antico del centro (Byt’n) e di accertare la persistenza della magistratura del sufetato (hšpt) ancora in piena età romana imperiale. Gli scavi proseguirono nei primi anni Cinquanta del Novecento grazie all’im- pegno di Gennaro Pesce, il quale indagò la nota stipe votiva di età ellenistica caratterizzata dalla presenza delle tipiche statuette di sofferenti; in un periodo successivo, dal 1976 al 1983, ebbe luogo, a cura di Piero Bartoloni, l’esplorazione sistematica dell’area della necropoli per un’estensione di circa 500 m2. La tipologia degli interramenti attesta la predominanza del rito dell’incinerazione, sia in fossa direttamente scavata nel terreno che in cista litica, sebbene sia documentata in misura nettamente inferiore anche la pratica dell’inumazione, forse retaggio dei costumi funerari adottati dalle popolazioni nuragiche. I ricchi corredi riflettono gli orizzonti commerciali dell’antico centro, con le numerose forme ceramiche importate da regioni del Mediterraneo centro-occidentale. Nella successiva età punica si diffonde in maniera quasi esclusiva la tipologia della tomba cosiddetta ‘‘a cassone’’. L’area sacra del tofet, ubicata sull’isolotto di Su Cardolinu a oriente dell’acropoli e nei pressi dell’imboccatura del porto fluviale, è stata installata a partire dall’ultimo quarto del secolo VII a.C. per spegnersi con la conquista cartaginese. L’indagine nel tofet ha evidenziato come attorno ai primi anni del secolo IV a.C. sia stato edificato un santuario con peribolos e basamenti per l’erezione di edicole cultuali in luogo della precedente area sacra di età fenicia. L’analisi stratigrafica dei contesti sepolcrali ha mostrato in maniera inequivocabile una netta contrazione del centro negli anni immediatamente successivi alla fine del secolo VI a.C. e i primi anni del secolo V a.C. Nel corso dell’età romana B. non diviene, come è il caso di Cagliari o Sulci, una città di grande estensione, ma la presenza umana sembra piuttosto distribuita in piccoli nuclei sparsi nel terri- 588 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 596 Bitti torio evidentemente connessi con attività produttive tra le quali l’agricoltura non dovette essere predominante a causa del ridotto entroterra sfruttabile. Il definitivo abbandono dell’insediamento avvenne tra la fine del IVe gli inizi del secolo V d.C. [MICHELE GUIRGUIS] Bitti – Vista del paese. Bitti Comune della provincia di Nuoro, compreso nella X Comunità montana, con 3319 abitanti (al 2004), posto a 548 m sul livello del mare sull’altipiano detto di B. o di Buddusò, a nord di Nuoro. Regione storica: Barbagia di B. Diocesi di Nuoro. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 215,88 km2: ha forma allungata da sud-ovest a nord-est e confina a nord con Buddusò e Alà dei Sardi, a est ancora con Lodè, a sud con Onanı̀ e Orune, a ovest con Nule e Osidda. Di natura prevalentemente granitica, l’altipiano di B. o Buddusò ha un’altitudine media intorno ai 700750 m; la parte più impervia è a nord e culmina con cime intorno ai 1000 m; a est digrada in alcune profonde vallate dove la natura del suolo si fa schistosa e calcarea; a nord di B. è attraversato da alcuni corsi d’acqua del bacino idrico del rio Posada che, dopo aver dato vita all’omonimo bacino artificiale, sfocia sulla costa orientale. Il paese è attraversato dalla statale 389 che, partita da Nuoro, continua per Buddusò; dal paese o nelle vicinanze vi si innestano le secondarie che collegano con Onanı̀ e Lula a oriente, con Nule e gli altri paesi del Goceano a occidente. & STORIA L’attuale centro abitato deriva con ogni probabilità da una mansio romana posta in località Bonucaminu sulla strada che collegava Cagliari a Olbia in prossimità della chiesa di San Pietro; nel Medioevo era compreso nel giudicato di Torres. Estinta la dinastia giudicale il territorio fu compreso nel giudicato di Gallura e B. divenne capoluogo di una curatoria dal territorio aspro e montagnoso. Con la estinzione della dinastia dei Visconti il villaggio prese a essere amministrato direttamente da funzionari del Comune di Pisa. Dopo la conquista gli Aragonesi non riuscirono a pacificare le popolazioni tanto che nel 1339 preferirono cedere tutto il territorio in feudo a Giovanni d’Arborea, loro fedele alleato. Ma quando Mariano IV, fratello di Giovanni, divenne giudice d’Arborea, pretese da lui l’obbedienza feudale per il vasto territorio che controllava; il confronto si concluse tragicamente e Giovanni fu imprigionato nel 1348. B. seguı̀ allora le sorti degli altri domini dell’infelice principe: mentre Giovanni languiva in prigione il territorio fu occupato da truppe arborensi, quindi continuò a essere devastato fino alla fine delle guerre tra Arborea e Aragona. Nel 1410 il villaggio, per quanto semispopolato – forse non arrivava a 100 abitanti – , continuava a sopravvivere, e in queste condizioni entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Le popolazioni però non erano ancora pacificate: cosı̀, assieme a tutta la curatoria, B. fu concesso in feudo a Nicolò Turrigiti, i cui discendenti nel 1430 lo cedettero al marchese d’Oristano. Dopo la confisca del marchesato 589 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 597 Bitti nel 1477 B. e il suo territorio entrarono a far parte di un vasto feudo che comprendeva una parte della Sardegna settentrionale riconosciuta al ramo dei Carroz erede di Giovanni d’Arborea. Estinti i Carroz il feudo passò nel 1479 ai Maza de Liçana; a loro volta questi si estinsero nel 1546 e per la loro successione scoppiò una lunga lite tra i diversi eredi. La contesa si concluse nel 1571 con una divisione che assegnò B. e il suo territorio ai Portugal, famiglia cui apparteneva Guiomara, la vedova di Giovanni Cascant prossimo parente dei Maza. Da questi ultimi il territorio nel 1584, per il matrimonio di Anna Portugal con Rodrigo De Silva, passò a questa famiglia. Nel 1617 tutto il territorio fu unito anche amministrativamente al marchesato di Orani; da quel momento B. fu sotto il controllo di un regidor e di una burocrazia che avevano sede a Orani. Assunse quindi una posizione periferica e questo accentuò lo spirito di indipendenza dei suoi abitanti che nel corso del secolo XVII raggiunsero le 1800 unità. Il rapporto con i feudatari però non fu felice, il carico fiscale aumentò notevolmente colpendo proprio le attività pastorali e la produzione del formaggio; fu introdotta un’odiosa tassa per i furti di bestiame (machizia) e soprattutto fu modificato il sistema di individuazione del majore, che di fatto veniva scelto dal regidor invece che dalla comunità. Il vasto territorio divenne teatro di furti di bestiame e di audaci imprese di briganti; nel corso del secolo XVIII i rapporti tra gli abitanti di B. e la famiglia feudale si deteriorarono ulteriormente. Intanto la struttura della comunità andava modificandosi e l’introduzione del Consiglio comunitativo e del Monte granatico rafforzò l’aspirazione degli abi- tanti del villaggio che spesso resistettero all’esazione dei tributi feudali. Bitti – Cumbessias dell’Annunziata. S’Annossata, come la chiamano i bittesi, è uno dei santuari più importanti del Nuorese. Nel 1821 il villaggio venne incluso come capoluogo di mandamento nella provincia di Nuoro; nel 1838 fu riscattato. Di questo periodo la puntuale testimonianza di Vittorio Angius: «Siede sopra l’erta poco facile della punta d’un colle che spacca in due una gran vallata. Sono quindi le case disposte a mo’ d’anfiteatro, e lo spazio che occupano raffigura un triangolo. Guarda verso il levante. Le strade sono poche in numero, spesso anguste, sempre sinuose, e si potrebbero dire impraticabili. Le abitazioni vi sono riunite senza ordine, e ristrette in brevi limiti. Se ne annoverano 650, e sono costrutte a granito. La popolazione nell’anno 1833 sommava a 2500 anime, in 630 famiglie. Dei bittesi circa 600 attendono alla pastorizia, 200 all’agricoltura, ed una settantina si esercitano come ferrari, maniscalchi, legnajuoli, muratori ecc. La scuola normale numera 25 fanciulli. Negli anni addietro eravi pure una scuola di grammatica latina. Saranno circa 200 quei che sanno leggere e scrivere. Avvi un ufficio delle regie poste. Vi è stabilita una spezieria, onde si servono i paesi vicini, e vi ha un medico e due chirurghi stipendiati dal pubblico. 590 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 598 Bitti È in questo paese per tutto l’anno aperto un macello; vi sono alcune taverne, e botteghe di panni e tele estere con stoffe e broccati e quant’altro serve al vestiario femminile. Vi sono terreni che si prestano a molte e diverse coltivazioni, e assai largamente rispondono, quando il contadino lavora con intelligenza, ed è fortunato che i pecorai distruttori non vi si avvicinino con le loro gregge voraci, come spesso accade. In quanto concerne alla fruttificazione, è a sapersi che essa nel comune non sopravanza il quintuplo allora eziandio quando le stagioni procedano secondo i voti del contadino, sı̀ perché i metodi dell’arte e gli istrumenti sono imperfettissimi, sı̀ principalmente perché non si lavora in quei terreni che abbiano maggior fama produttiva. Senza che sono assai spesso i seminati calpestati e divorati. Grande è il numero degli orti, e come dai medesimi vuolsi parte della sussistenza, cosı̀ con molto studio si attende dalle donne alla loro coltura. Sarebbe però a desiderare che si moltiplicassero gli oggetti. Le patate sono già ben introdotte. Della quantità del bestiame educato. nel detto anno essi numeravano pecore 55 000, porci 6000, capre 2000. vacche rudi 1000, mannalite [domite] 750, buoi per l’agricoltura 1000, cavalle 200, cavalli 350, giumenti 300. La ricchezza che viene dai prodotti in formaggio, lane, pelli si può calcolare da 4 in 5 mila scudi sardi. Dai capi vivi che vendonsi al macello od agli usi degli agricoltori e dei vetturali si può forse ricavare un altro migliajo. Si coltivano con poco studio le api, onde piccola è la quantità del miele amaro che ottiensi nell’autunno; della qual qualità come la più pregiata potrebbero avere non piccol vantaggio». Quando nel 1848 furono abolite le province, B. fu incluso nel dipartimento amministrativo di Nuoro, del quale fece poi parte fino al 1859. Nello stesso anno fu incluso nella provincia di Sassari e vi rimase fino alla ricostituzione della provincia di Nuoro. Nel corso del secolo XIX fu teatro di un conflitto fra due gruppi di famiglie di maggiorenti per il controllo dei pascoli e nel 1874 vi fu aggregato come frazione il villaggio di Gorofai (=). Bitti- Nel complesso di Su Romanzesu si trovano i reperti, di origine nuragica e romana, più significativi della storia dell’intero territorio. ECONOMIA I suoi abitanti sono dediti prevalentemente all’attività dell’allevamento e alla produzione del formaggio; vi è sviluppata anche l’agricoltura, in particolare la viticoltura, l’olivicoltura e la frutticoltura. Vi operano anche alcune discrete attività commerciali, un albergo, quattro agriturismi e tre ristoranti. Artigianato. Le forme di artigianato più diffuse sono quelle legate all’attività edilizia, me si & 591 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 599 Bitti sono sviluppate anche alcune piccole aziende per la produzione e commercializzazione di pani e dolci tipici, in particolare il pane carasau. Servizi. Il paese è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia e dista da Nuoro 36 km. Dispone di guardia medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, scuola secondaria superiore, Biblioteca comunale e sportello bancario. Bitti – Guidato da Daniele Cossellu, il coro a quattro dei Tenores di Bitti è stato il primo a farsi conoscere anche fuori dell’isola. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 3553 unità, di cui stranieri 11; maschi 1740; femmine 1813; famiglie 1489. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 44 e nati 20; cancellati dall’anagrafe 72; nuovi iscritti 31. Tra gli indicatori economici: Depositi bancari 63 in miliardi di lire; imponibile medio IRPEF 15 441 in migliaia di lire; versamenti ICI 1361; aziende agricole 421; imprese commerciali 204; esercizi pubblici 31; esercizi all’ingrosso 3; esercizi al dettaglio 63; ambulanti 2. Tra gli indicatori sociali: occupati 1144; disoccupati 161; inoccu- pati 171; laureati 141; diplomati 410; con licenza media 895; con licenza elementare 1310; analfabeti 117; automezzi circolanti 1360; abbonamenti TV 968. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il territorio è particolarmente ricco di siti di interesse archeologico; in particolare conserva domus de janas (S’Aspru, Serra Ruja), la fonte sacra di Poddi Arvu, molti nuraghi (Badde Longa, Ghellai, Istelai, Lanzanis, Muru ’e Colovras, Murere, Nitosila, Oloustes, Ortai, Ortuidda, Salamitti, San Pietro, Seris, Siddu, Solle, Su Eritta, Tuturchi), un villaggio nuragico, il recinto nuragico di Luvonneri, Tombe di giganti (Monte Sa Sea, Nitossila, Poddi Arvu, Olustes e Bolle) e infine numerose località di età romana sparse su tutto il territorio del Comune. Di particolare rilievo il nuraghe Ortai, polilobato, che si erge imponente, in discrete condizioni, sull’altipiano, e il nuraghe Muru ’e Colovras, circondato dai resti di un villaggio di capanne a base quadrata difficilmente interpretabili. Di particolare suggestione sono i ruderi di edifici, forse di età romana, conosciuti come Sa Chitade, posti sul monte Oltoari in uno scenario fantastico ricco di macchie e di dirupi; le murature sono probabilmente riconducibili a un antico posto di guardia. Nella località di Solle, nota anche per essere stata soggiorno del poeta Padre Luca Cubeddu (=), è posto un complesso di grandissimo rilievo: accanto al nuraghe e a una Tomba di giganti piuttosto vasta, che conserva ancora in parte l’esedra, è situato un grande complesso di ruderi romani che il Taramelli attribuisce all’antico centro di Caput Thyrsi. Si tratta di resti di molti edifici, tra i quali affiorano muri in mattoni e avanzi di muri in pietra; il tutto attende di essere convenientemente scavato. A 592 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 600 Bitti poca distanza da Solle è situato il complesso che oggi viene genericamente chiamato di Su Romanzesu, che indubbiamente contiene i reperti più significativi per la storia dell’intero territorio: da un lato nelle località di Sa Leu e di Sa Pattada affiorano numerosi i resti di età romana che integrano quelli di Solle, dall’altro, in località Luvonneri, si trova il pozzo sacro collegato a un grande recinto nuragico costituito da grandi massi granitici e completato da uno spettacolare sedile circolare; accanto al recinto sono i resti di altri edifici che fanno pensare a un grande centro religioso al quale affluivano gli abitanti degli altri villaggi della regione e si trattenevano, un po’ come avviene oggi con la novena, in concomitanza con le celebrazioni, che in quel caso dovevano essere legate soprattutto al culto dell’acqua. Bitti – Il grande portale del santuario campestre del Miracolo, che sorge sulla sede abbandonata dell’antico borgo di Gorofai. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE Il tessuto urbanistico è ampio e arioso, e ha in alcuni tratti le caratteristiche proprie di un centro urbano. Il complesso delle strade è disposto ad anfiteatro in buona posizione e converge verso il centro dell’abitato dove è posta la piazza intitolata a Giorgio Asproni, cuore della vita della comunità. Lungo le strade si affacciano an- cora molte tipiche case barbaricine a più piani costruite solidamente in pietra ma anche alcune pretenziose palazzine, in genere ottocentesche, appartenenti alle famiglie dei maggiorenti. Sulla piazza Asproni si affaccia la chiesa di San Giorgio, parrocchiale costruita nel secolo XVII e completamente andata in rovina nel corso dei decenni seguenti. Venne ricostruita nel 1864 su progetto del Galfré. Tra il 1960 e il 1970 si è reso necessario un nuovo radicale restauro. Al suo interno si conservano un’acquasantiera del 1619 e una bella collezione di paramenti sacri del Seicento e del Settecento. La Casa parrocchiale sorge a breve distanza dalla chiesa e conserva una discreta raccolta di oggetti sacri: una collezione di monete e argenterie, una Croce astile della seconda metà del XVIII eseguita dall’argentiere sassarese Paolo Alfano (=); due tele dell’Ottocento, una del Marghinotti (=) e l’altra del Caboni. Nei pressi si trova infine la fonte pubblica di Su Cantaru che fu costruita nel 1850 su progetto dell’architetto nuorese Galfré; ha l’impianto di un tempietto classico. Poco lontano sorge la chiesa di Santa Croce costruita nel XVII, allora annessa a un convento di Cappuccini che fu chiuso nel 1866. Ha un impianto a una navata completato dal presbiterio, la copertura è a volta a botte. Al suo interno conserva un altare ligneo del secolo XVIII opera di Antonio Romano. Ricchi di interessanti monumenti sono anche i dintorni di B.: in particolare vanno ricordati il complesso delle cinque chiese nelle vicinanze dell’abitato dove sorgono vicine l’una all’altra, intitolate rispettivamente a Santo Stefano, Santa Maria, Babbu Mannu (la più grande), Santa Lucia e San Giorgio di Suelli (costruita nel secolo XVIII). A breve distanza dalla chiesa di Santo 593 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 601 Bitti Stefano sono stati identificati rilevanti ruderi medioevali, appartenenti probabilmente al villaggio scomparso di Dure. Di particolare rilievo è poi il santuario di Nostra Signora del Miracolo: su un colle che domina l’abitato di Gorofai (=), frazione di B., sorge la chiesa di San Michele patrono del piccolo villaggio; secondo una tradizione dopo il 1730 nella chiesa sarebbe avvenuto un miracolo a opera di un simulacro della Madonna cui si sarebbe rivolta una donna di Mamoiada per ottenere la guarigione della propria figlia sordomuta. La memoria del miracolo si diffuse e negli anni successivi iniziarono ad accorrere pellegrini da tutta l’isola. Nel 1870 fu cosı̀ costruito, accanto alla chiesetta, il santuario immortalato dalla Deledda (=). Nel 1984 inopinatamente il vecchio santuario fu demolito e sostituito da uno più grande e dalle forme modernissime. Il santuario della Beata Vergine Annunziata, ovvero, come si dice localmente, S’Annossata, si trova al confine del territorio di B. con quello di Lodè, a 30 km dall’abitato (ma i bittesi lo raggiungono anche attraverso delle scorciatoie). Fu edificato nel secolo XVIII al posto di una chiesetta medioevale; attorno all’edificio sono le cumbessı̀as che ospitano i pellegrini, cosı̀ numerose che sembra di essere di fronte a un vero e proprio villaggio, popolatissimo al tempo delle ricorrenze, disabitato per il resto dell’anno. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Forse la tradizione più autentica di questo centro è la sua particolare parlata che esprime in modo mirabile la continuità storica di B.: è considerata infatti la forma di sardo più vicina al latino nella sua struttura grammaticale e sintattica. Essa ci tramanda l’immagine di un mondo quasi completamente scomparso, dominato dalle tra- dizioni di una comunità di pastori. Di questo passato prevalentemente pastorale è traccia nei ricordi delle grandi lotte (disamistades) che erano causate quasi sempre da contrasti per il controllo dei pascoli o per la regolamentazione del rapporto con i contadini; le disamistades spesso trasmettevano per generazioni odi terribili e memoria di torti da cancellare col sangue; di esse rimangono i ricordi dolorosi di molte famiglie ma anche quelli delle grandi e solenni pacificazioni giurate dai capifamiglia e dei tentativi di composizione mediante matrimoni combinati: tentativi di trovare una via d’uscita la cui efficacia aveva a volte brevissima durata. Di questo mondo non rimane quasi più nulla, se non in alcune feste popolari. Tra queste la festa della Beata Vergine Annunziata, che ha origini medioevali. Viene introdotta da un novenario e ha avvio con una solenne processione con la quale i fedeli raggiungono il santuario a cavallo o sui carri. Durante tutto il periodo dei festeggiamenti per lunga tradizione si sospendono le rivalità e i contrasti, salvo riprenderli subito dopo il suo termine. Uguale clima si crea durante la festa di Nostra Signora del Miracolo, che si celebra il 30 settembre e rimane uno dei momenti di più intensa comunione umana e forte spiritualità delle Barbagie. Di singolare bellezza è anche il costume. Quello femminile è costituito dalla camicia di tela bianca plissettata e dalla gonna (su uresi) di orbace nero, anch’essa plissettata e rifinita da una balza di panno rosso. Sopra la camicia si indossa la giacca (su corittu) di panno rosso, corta alla vita, con maniche aperte da cui spuntano quelle della camicia; l’abbigliamento femminile è completato da uno scialle di seta a sfondo viola e nero con fiori stampati che si porta sul capo, nonché 594 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 602 Blasco Ferrer dai gioielli tipici di filigrana d’oro. L’abbigliamento maschile comprende la camicia di tela bianca con la pettina ricamata, i pantaloni (sos caltzones) di tela bianca; sopra la camicia si indossano il gilet (su solopatu) di velluto blu con bordo amaranto nella parte anteriore e di panno rosso nella parte posteriore, la giacca (su cappotto) di orbace nero con cappuccio; sopra i pantaloni si indossano il gonnellino (sa fracca) di orbace nero bordato con panno color vinaccia arricchito da una cinta (sa chintollia) e le ghette dello stesso tessuto; in capo si porta sa berritta di panno nero. Blackwood & Partners Piccola casa editrice fondata a Cagliari nel 1999, si va segnalando per la pubblicazione di accurate guide e di intelligenti libri di carattere didattico. Blancafort Famiglia cagliaritana (secc. XVI-XVII). Di condizione borghese, i suoi membri erano principalmente dediti al commercio e nel corso del secolo XVI alcuni di essi furono eletti consiglieri della città. In particolare vanno ricordati Giacomo, eletto nel 1549, e Onofrio, eletto nel 1555. Egli fu personaggio di spicco, si legò alla consorteria degli Aymerich con i quali si imparentò; nel 1574 suo figlio Paolo ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà. La sua discendenza si estinse entro la prima metà del secolo XVII. Blanch Famiglia sassarese (sec. XV). Di probabile origine catalana, le sue notizie risalgono agli inizi del secolo XV. Faceva parte dell’oligarchia mercantile che dominava la città e nel 1444 ottenne il riconoscimento della generosità con un Ambrogio. I B. presumibilmente si estinsero nel corso del secolo. Blanchard, Louis Archivista francese (m. seconda metà sec. XIX). Sul finire dell’Ottocento promosse lo studio dei documenti riguardanti i traffici mer- cantili di Marsiglia nel Medioevo, avviando cosı̀ l’approfondimento dei rapporti con la Sardegna, in particolare negli scritti: Charte sarde de l’abbaye de St. Victor de Marseille écrite en caractères grecs, ‘‘Bibliotèque de l’École de Chartes’’, XXXV, 1874, e Documents inédits sur le commerce de Marseille au Moyen age, 1884-89. Blasco, Luigi Funzionario spagnolo (m. prima metà sec. XVII). Rappresentante del governo centrale presso il viceré Gerolamo Pimentel marchese di Bayona, fedele interprete delle necessità finanziarie del re, nel maggio del 1626 indusse il viceré a celebrare un Parlamento straordinario nel quale fu stabilito il pagamento di un donativo di 80 000 scudi per cinque anni per far fronte alle crescenti spese militari, come aveva sostenuto nella sua Proposicion a los tres Estamentos del reyno de Sardeña, 1626. Blasco Ferrer, Eduardo Linguista (n. Barcellona 1956). Compiuti gli studi universitari, è giunto una prima volta in Sardegna nel 1981 come lettore di catalano presso l’Università di Cagliari. Tra il 1987 e il 1990 ha insegnato Glottologia presso l’Università di Firenze, da dove si è trasferito nuovamente in Sardegna. Dopo una breve parentesi di insegnamento a Bonn, nel 1992 è divenuto professore associato di Linguistica italiana; attualmente è professore ordinario presso l’Università di Cagliari e partecipa attivamente al dibattito sulla lingua sarda. Ha al suo attivo numerosi scritti sulla Sardegna, fra cui alcuni volumi dedicati espressamente a facilitare l’insegnamento e l’apprendimento della lingua sarda: Grammatica storica del Catalano e dei suoi dialetti con speciale riguardo all’Algherese, 1984; Storia linguistica della Sardegna, 1984; Sull’italianità linguistica del Gallurese e del Sassarese, 595 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 603 Bloch ‘‘Revue romaine de Linguistique’’, XXIX, 1984; Il catalano di Alghero nei secoli XV-XVI, ‘‘Medioevo Romanzo’’, 9, 1984; La lingua sarda contemporanea. Grammatica del Logudorese e del Campidanese. Sintesi storica, 1986; Le parlate dell’alta Ogliastra. Analisi dialettologica. Saggio di storia linguistica e culturale, 1988; El català medieval i hodiern de Sardenya: història linguistica i cultural, tipologia aspectes sociolinguistics in Segon Congrés de la Llengua catalana, 1989; Il latino e la romanizzazione della Sardegna. Vecchie e nuove ipotesi, ‘‘Archivio glottologico italiano’’, LXXIV, 1989; Pro Domo. La cultura e la lingua sarda verso l’Europa (con un cd), 1998; Curricula formativi europei per insegnanti e alunni di lingua sarda. Proposte operative in Radici e ali, 2002; Linguistica sarda. Storia metodi problemi, 2002; Sardisch, Sprachkulturen in Europa, 2002. Bloch, Marc Storico (Lione 1886-Les Roussilles, Francia, 1944). Dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale, nel 1919 divenne professore di Storia medioevale nell’Università di Strasburgo, dove acquistò una fama crescente per la natura dei suoi studi e per i metodi di ricerca da lui seguiti. Risultato del suo impegno fu la pubblicazione della rivista ‘‘Annales d’Histoire économique et social’’ che fondò con la collaborazione di Lucien Febvre nel 1929. Insegnò a Strasburgo fino al 1936, anno in cui fu nominato professore di Storia economica alla Sorbona. Prese parte anche alla seconda guerra mondiale; per le sue idee fu destituito dal governo Pétain nel 1942 ed entrò nella Resistenza. Catturato dai tedeschi, fu torturato e fucilato a Les Roussilles, nella campagna di Lione, nel 1944. Nei suoi scritti ha avuto modo di toccare anche temi sardi; per l’importanza del per- sonaggio e l’acutezza dei giudizi sono esemplari le recensioni dedicate a due libri sulla Sardegna: Une expérience historique: la Sardaigne mediéval, ‘‘Annales d’Histoire économique et social’’, X, 1938, sull’opera di Raimondo Carta Raspi su due condaghes e Un cas d’histoire agraire: la Sardaigne, in ‘‘Mélanges d’Histoire social’’, 1943 (firmato con il suo pseudonimo del tempo di guerra) su Pâtres et paysans de la Sardaigne di Maurice Le Lannou. Blonay, Luigi Viceré di Sardegna dal 1741 al 1745 (sec. XVII). Percorse una brillante carriera nell’esercito regio fino a giungere, nel 1733, al grado di maresciallo di campo. Fu nominato viceré di Sardegna nel 1741 e portò a termine il suo mandato nel 1745. Uomo di grande esperienza, governò l’isola nei difficili anni della Guerra di successione polacca, nei quali la Sardegna visse nella paura di un nuovo attacco spagnolo. Favorı̀ la costituzione di un reggimento sardo, dal quale nacquero successivamente i Granatieri di Sardegna, e si adoperò per reclutare corpi di miliziani per reprimere il banditismo. Nello stesso periodo procedette con fermezza al sequestro dei feudi appartenenti ai feudatari residenti in Spagna. Terminato il suo mandato, fu promosso generale di cavalleria e gli fu conferito il Collare dell’Annunziata. Boaczi Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato d’Arborea, compreso nella curatoria del Campidano Maggiore. Sorgeva poco distante da Donigala Fenughedu. Nel corso del secolo XIV, probabilmente in conseguenza della peste del 1376, fu abbandonato dalla popolazione e scomparve. Boardman, John Archeologo inglese (n. sec. XX). Nel 1986, unitamente a 596 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 604 Boddeu Bayne Cope e Bimson, ha classificato gli scarabei e i sigilli greci e punici (molti dei quali provenienti dalla Sardegna, e segnatamente da Tharros) in possesso del British Museum per il catalogo di Barnett-Mendleson: Scarabs and Seals: Greek, Punic and related Types, in A catalogue of material from Phoenician and other tombs at Tharros in the British Museum, 1987. Bobbio, Norberto Filosofo del diritto (Torino 1909-ivi 2004). Maestro di numerosi allievi isolani, primo fra tutti Virgilio Mura (=), ha ricevuto nel 1995 la laurea Honoris causa dalla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari. In quell’occasione ha pronunciato la sua ‘‘lezione magistrale’’ con il titolo De Senectute, pubblicata in volumetto da Einaudi nel 1996. Bobbio, Tommaso Religioso (Genova, seconda metà sec. XIV-?, prima del 1428). Vescovo di Ampurias dal 1413 al 1428 ca. Entrato nell’ordine dei Minori fu ordinato sacerdote e si fece notare per le sue qualità. Si avvicinò all’antipapa Giovanni XXII che nel 1413 lo nominò vescovo di Ampurias. Preso possesso della sua diocesi, la governò nei difficili anni della permanenza in Sardegna del visconte di Narbona. Morı̀ prima del 1428. ‘‘Bocche di Bonifacio, Le’’ Giornale gallurese, diretto da S. Baffico, che fu pubblicato per alcuni numeri a Santa Teresa Gallura nel 1888. Bocchi, Francesca Medievista (n. Ferrara 1940). Dopo la laurea ha percorso una brillante carriera universitaria. Attualmente è professore ordinario di Storia medioevale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Ha dedicato alla Sardegna un saggio su Regolamenti urbanistici, spazi pubblici, disposizioni antinquinamento e per l’igiene delle maggiori città della Sarde- gna medioevale, in Atti del XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, II, 1995. Bocci Famiglia pisana (secc. XII-XIII). Le sue notizie risalgono al secolo XII; apparteneva alla consorteria dei Gualandi, che nel corso del secolo XIII si era stanziata nel giudicato d’Arborea. Alcuni suoi membri appaiono legati alla dinastia giudicale e in possesso di un discreto patrimonio. Boccione maggiore Pianta erbacea perenne della famiglia delle Composite (Urospermum dalechampii (L.) Schmidt). Foglie basali, a rosetta, tomentose (cioè ricoperte di peluria) e seghettate, foglie superiori lanceolate; il fiore è un fitto capolino giallo, il frutto è un soffione dai tipici semi alati, chiamati dai bambini ‘‘angioletti’’. Fiorisce tra aprile e agosto nei campi e nelle zone aride, spesso infestandole. Nomi sardi: cicoria burda (campidanese); pabanzolu de coloru (logudorese); peu de cuccu (nuorese). [MARIA IMMACOLATA BRIGAGLIA] Bocheteatro Compagnia teatrale. Fondata a Nuoro nel 1988 e impostasi all’attenzione per la sua attività, rivolta a recuperare la tradizione sarda fondendola con le più importanti esperienze della drammaturgia contemporanea. Nel 2002 ha aperto a Nuoro un nuovo spazio per il teatro. Tra le sue più importanti realizzazioni Sinnos, tratto dal romanzo in sardo-bittese di Michelangelo Pira. Boddeu Termine geografico-giuridico. Era il luogo dove si riunivano gli abitanti di un territorio per risiedervi stabilmente (dal sardo campidanese boddiri, ‘‘raccogliere’’). I boddeus, che erano centri tipici del Sulcis, cominciarono a formarsi come evoluzione dei medaus e dei furriadroxius nel corso del secolo XVII, quando nelle vaste plaghe deserte 597 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 605 Bodemann delle antiche curatorie del Sols e del Sigerro andarono stanziandosi nuclei di pastori provenienti dalla Barbagia o gruppi di persone che preferivano per altre ragioni lo sconfinato isolamento alla vita in centri più grossi. Col tempo il boddeu divenne un centro stabile e nel corso del secolo XVIII in molti casi si trasformò in villaggio (bidda). Il termine continuò, però, a essere usato fino a qualche decennio fa nel linguaggio comune dell’Iglesiente in riferimento al significato di ‘‘villaggio’’. Bodemann, Yark Michael Sociologo (n. sec. XX). Dopo essere stato professore presso l’Università di Berlino ha avuto altre esperienze di insegnamento in diverse Università; attualmente lavora nell’Università di Toronto. Visitò la Sardegna per la prima volta nel 1964; nel 1970 iniziò le sue ricerche sulla struttura della società in Ogliastra e nel 1973 le estese alla Barbagia. Nell’intento di aprire un dibattito sulla Sardegna nel 1980 cercò di raccogliere gli studiosi stranieri che si fossero occupati dell’isola, pubblicando per qualche tempo una ‘‘newsletter’’ che doveva servire da strumento di aggiornamento e di collegamento delle ricerche. Nel 1982 ne organizzò un incontro a Sassari su iniziativa dei ‘‘Quaderni sardi di Storia’’. Tra i suoi numerosi scritti riguardanti la Sardegna: Continuity and Change in the sardic Local Elite-Kinship and Community Power in Barbaricine Communities, 1978; Familismo y patronazgo como sistemas de poder local en Cerdeña, ‘‘Papers Revista de Sociologia’’, 11, 1979; The micro-organisation of backwardness in Central Sardinia: a reappraisal of Luxembourg’s three phases of Underdevelopment, ‘‘Journal of Peasant Studies’’, VII, 4, 1980; Class Rule as Patronage: Kinship, Local Ruling, and State in Rural Sardinia (con A. Allahar), ‘‘Journal of Peasant Studies’’, IX, 2, 1982; Gli etnografi stranieri e gli intellettuali locali in Sardegna: una storia personale, ‘‘Quaderni bolotanesi’’, XVI, 1990. Bodmelqart Nome proprio teoforo (in fenicio Bdmlqrt, ‘‘per mano di Melqart’’) ampiamente attestato nell’onomastica punica e in particolare a Cartagine, dove si ha notizia di alcuni personaggi che hanno rivestito la carica di sufeta o ricoperto i massimi gradi della carriera militare. Il nome, che nella trascrizione latina corrisponde a Bomilcar, è documentato con una certa consistenza anche in Sardegna: nell’iscrizione menzionante Bashamem e nella nota iscrizione proveniente dal tempio di Antas dedicata ‘‘al Signore Sid, padre potente’’. Inoltre, un’iscrizione del secolo III a.C. rinvenuta a Cagliari nel 1912 annovera due personaggi di nome B., di cui uno fu padre del sufeta Eshmunyaton. Una ulteriore attestazione si trova in un’epigrafe proveniente da Sulci, redatta in caratteri neo-punici e databile tra il secolo I a.C. e il I. secolo d.C. [MICHELE GUIRGUIS] Boe – Boes nel Carnevale di Ottana. Boe Maschera barbaricina. Personaggio tipico del Carnevale di Ottana, ha fat- 598 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 606 Boero tezze bovine, cui fanno allusione una veste di pelli di pecora e una maschera, che rappresenta un demone selvatico e pericoloso, simile ai mamuthones e ai thurpos e ad altre creature fantastiche che popolano i carnevali dei villaggi delle zone interne. Nella sua esibizione carnevalesca è in coppia con il merdùle, dal quale viene inseguito, frustato e catturato, dando vita all’imitazione di furiose risse. Boele Antico villaggio di origini medioevali che faceva parte del giudicato di Arborea, compreso nella curatoria del Guilcier. Sorgeva non lontano da Tadasuni. La sua popolazione diminuı̀ a causa della peste del 1376; nel 1378 fu incluso nei territori giudicali che il re d’Aragona, provocatoriamente, concesse in feudo al traditore Valore de Ligia; in effetti, però, il villaggio continuò a rimanere nelle mani del giudice. Dopo la caduta del giudicato d’Arborea entò a far parte del Regnum Sardiniae, ma la sua popolazione tenne un atteggiamento ostile nei confronti dei vincitori e si ribellò apertamente quando nel 1415 i De Ligia tentarono di far valere i propri diritti. Dopo alcuni anni, nel 1420, passò a Leonardo Cubello, ma ormai la sua popolazione era molto diminuita; fu abbandonato definitivamente nella prima metà del secolo. Boe Muliache Creatura leggendaria della tradizione popolare. Se ne parla in maniera ricorrente nelle antiche leggende della Barbagia, secondo le quali un uomo, per sortilegio o per maledizione, può essere trasformato in un bue bianco che vaga nelle notti di Luna piena per le strade di un paese. Questa creatura muggisce in modo impressionante, fermandosi di fronte a qualche casa e viene udita da tutti gli abitanti del paese; secondo la leggenda il padrone della casa di fronte alla quale il b.m. si è fermato è sentenziadu, cioè condannato irrevocabilmente a perdere la vita entro l’anno. Boeri, Giovanni Battista Avvocato, uomo politico (Taggia 1883-Roma 1957). Deputato al Parlamento, senatore della Repubblica. Dopo la laurea esercitò la professione di avvocato e si impegnò in politica. Di idee liberali, fu eletto deputato nella XXVII legislatura, ma fu dichiarato decaduto nel 1926. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione e fu costretto a riparare in Svizzera nel 1943. Tornò in Italia nel 1944, fece parte della Consulta nazionale e nel 1948 fu eletto senatore. Si occupò de Lo statuto sardo in un articolo de ‘‘Il Corriere della Sera’’, 20 agosto 1947. Boero, Achille Agente di commercio, consigliere regionale (n. Cagliari 1946). Dopo aver militato nel MSI ha aderito ad Alleanza Nazionale. Nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Cagliari per l’XI legislatura, ma in seguito non è stato più riconfermato. Boero, Gino Musicista (Cagliari 1881Monza 1967). Diplomatosi in composizione e direzione d’orchestra nella sua città natale, iniziò la sua carriera in continente come direttore e maestro concertatore di opere liriche. Nel 1922 tornò a Cagliari e fu insegnante di musica alle Magistrali; nel 1924 fu nominato maestro dei cori della corale ‘‘Verdi’’ di Cagliari. Andato in pensione nel 1952, lasciò nuovamente Cagliari e morı̀ a Monza. Boero, Giuseppe (detto Pippo) Scultore (Cagliari 1876-ivi 1934). Per completare i suoi studi si trasferı̀ a Roma, dove presso l’Accademia di Belle Arti frequentò il corso di scultura. Esordı̀ nel 1901 scolpendo un monumento a Giuseppe Verdi, in seguito si impegnò realizzando alcuni monumenti destinati ai maggiori cimiteri della Sardegna e 599 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 607 Bofarull y Mascarò nel 1905 scolpı̀ un busto di Giovanni Bovio. Negli anni seguenti prese parte a mostre e concorsi, ottenendo numerosi riconoscimenti e notevole considerazione. Era anche buon caricaturista: di lui è nota una serie di caricature di concittadini apparsa sul periodico ‘‘La Domenica Cagliaritana’’. Bofarull y Mascarò, Prospero Storico (Reus 1777-Barcellona 1859). Conseguita la laurea in Legge, esercitò l’avvocatura a Madrid fino al 1808. Conclusosi il tormentato periodo napoleonico, nel 1814 fu nominato direttore dell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona, città nella quale si stabilı̀. Vi lavorò fino al 1849 con grande impegno; può essere considerato il fondatore della scuola storica catalana e fu tra i primi a intuire l’importanza che lo studio della storia della Sardegna aveva per integrare la conoscenza di quella catalana. Tra i suoi scritti: Repartimiento de Cerdeña, in Repartimientos de los reinos de Mallorca, Valencia y Cerdeña, 1856. Boffa, Domenica Editrice cagliaritana (sec. XIX). Vedova Borelli, stampò a proprie spese nel 1879, presso la tipografia dell’‘‘Avvenire di Sardegna’’, un testo di 126 pagine in 16º di Giovanni Battista Bovio, Vita del glorioso martire Sant’Efisio protettore della città e provincia di Cagliari, corredato di note storiche. Boggio, Francesco Studioso di geografia economica (n. Cagliari 1940). Dopo la laurea si è dedicato all’insegnamento universitario. Attualmente insegna Geografia economica nella Facoltà di Economia dell’Università di Cagliari. È autore di numerosi saggi, attraverso i quali ha seguito e analizzato con rigore gli episodi dello sviluppo economico della Sardegna nella seconda metà del Novecento. Tra i suoi scritti: Considerazioni sulle funzioni del sistema portuale di Cagliari, ‘‘Notiziario di Geografia economica’’, 1971; I traffici marittimi nel Mediterraneo. Il ruolo della Sardegna, in Atti del XXV Convegno nazionale dell’Associazione italiana Insegnanti di Geografia, 1980; Le aree di industrializzazione recente: la Sardegna, 1982; I porti, un riscontro alla storia recente e alla situazione attuale, in Sardegna. L’uomo e le coste (a cura di Angela Terrosu Asole), 1983; La memoria dell’impresa. Fonti archivistiche e indagini storiche per l’industria in provincia di Cagliari (con Giulio Sapelli e Maria Luisa Di Felice), 1995. Bogino, Giambattista Lorenzo Ministro sabaudo (Torino 1701-ivi 1784). Dopo la laurea, entrò giovanissimo nell’amministrazione reale e percorse una brillante carriera favorito da Vittorio Amedeo II che ne stimava le non comuni capacità. Anche Carlo Emanuele III, suo coetaneo, lo tenne in grande considerazione: nel 1733 lo creò conte e lo nominò auditore generale per l’esercito; nel 1735 divenne primo referendario e fu mandato in missione a Berlino; nel 1750 fu nominato ministro di Stato e dal 1759 incaricato di curare gli affari di Sardegna dallo stesso Carlo Emanuele III. Espletò il suo mandato fino al 1773, introducendo nell’isola una importante serie di riforme in tutti i campi. I settori nei quali le sue riforme furono maggiormente incisive riguardano la pubblica istruzione (e in particolare la ‘‘restaurazione’’ delle due Università, che potenziò nelle strutture e con l’invio di molti valorosi professori, da lui personalmente selezionati attraverso una fitta corrispondenza con i più accreditati centri scientifici italiani ed europei) e l’agricoltura (in cui in parte potenziò, in parte praticamente introdusse i Monti frumentari nell’intento di razionalizzare il problema dell’am- 600 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 608 Boi masso del grano e della costituzione di adeguate riserve che consentissero di far fronte alle carestie e alle necessità più impellenti dei contadini, prestando loro il grano per la semina a interesse bassissimo). esso). Uscı̀ recando in testata il sottotitolo‘‘Cronache e prospettive della Rinascita’’. Diretta da Ignazio De Magistris, condusse una puntuale analisi di tutti i problemi connessi alla politica di Rinascita e alla realizzazione del Piano. Cessò le sue pubblicazioni nel 1962, in concomitanza con l’avvio del Piano. Bogliolo, Enrico Storico (n. Isili 1938). Giambattista Lorenzo Bogino – Incaricato da Carlo Emanuele III di curare gli affari di Sardegna, promosse fino al 1773 un’importante serie di riforme. Ma la riforma più importante riguardò la costituzione in tutti i centri abitati dei Consigli comunitativi elettivi; questa riforma, introdotta nel 1771, inferse un duro colpo al potere dei feudatari e avviò nelle varie comunità una rinnovata coscienza politica. Morto Carlo Emanuele III, nel 1773 fu bruscamente collocato a riposo da Vittorio Amedeo III, col quale aveva avuto difficili rapporti quando questi era ancora principe, e si ritirò a vita privata. ‘‘Bogino, Il’’ Rivista culturale. Fu fondata a Cagliari, nel 1960, da Antonio Cossu e da un gruppo di altri intellettuali che operavano nel Centro regionale di programmazione (o intorno ad Laureato in Scienze politiche a Cagliari nel 1973, si è dedicato all’insegnamento universitario. Svolge la sua attività presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari. Tra i suoi scritti principali Il ripristino della Tanca Regia nelle note autografe di Vincenzo Bacallar y Sanna, ‘‘Archivio storico sardo’’, XXXIV, II, 1984; Tradizione e innovazione nel pensiero politico di Vincenzo Bacallar, 1989; Per una revisione critica della storiografia sarda della prima metà dell’Ottocento: osservazioni e proposte, in Intellettuali e società in Sardegna tra restaurazione e l’unità d’Italia. Atti del convegno di studi, Oristano, II, 1991; Storiografia e politica, in La società sarda in Età spagnola (a cura di Francesco Manconi), I, 1992. Bogliolo, Fortunato Storico dell’arte e pittore (Cagliari 1861-Roma 1941). Completò i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Roma. Nella capitale esordı̀ come pittore e con gli anni si fece apprezzare negli ambienti artistici; prese parte alle più importanti mostre e affrescò alcune chiese della città tra le quali la chiesa della Mercede. Rimase tuttavia legato a Cagliari, dove spesso tornò per brevi periodi. Lasciò alcuni quadri all’Università e nel Palazzo municipale. Boi Cognome di alcune famiglie provenienti da diversi centri della Sardegna, alle quali furono concesse nobiltà e cavalierato ereditario. In particolare: B. di Siurgus Donigala, nel 1637 furono concessi il cavalierato ereditario e la 601 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 609 Boi nobiltà a un Agostino che comandava la cavalleria miliziana della curatoria di Siurgus in occasione del tentativo francese di invasione a Oristano; nel 1704 il cavalierato ereditario e la nobiltà furono concessi a un Basilio di cui non si conosce l’origine; nel 1824 il cavalierato e la nobiltà furono concessi a titolo personale al dottor Francesco, protomedico della Sardegna, originario di Olzai; nel 1829 i benefici furono estesi a tutta la sua famiglia, che nel corso del secolo si stabilı̀ definitivamente a Cagliari; nel 1841 il cavalierato e la nobiltà furono concessi a un Giovanni, notaio e tesoriere di Cagliari. Boi, Antonio Storico (Sassari, seconda metà sec. XIX-ivi 1958). Non avendo avuto la possibilità di completare i suoi studi per motivi economici, divenne ufficiale giudiziario e, da autodidatta, si dedicò con passione al giornalismo. Per ragioni di lavoro fu incaricato dello sgombero delle carte della Regia Deputazione di Sassari e durante le operazioni, con felice intuito, salvò dal macero gli incartamenti dei processi del giudice Valentino contro i seguaci di Giommaria Angioy. Subito dopo si dedicò allo studio della personalità dell’Angioy, dalla quale rimase affascinato per tutta la vita. Nel 1925 pubblicò un suo studio nel quale, rompendo con la tradizione storiografica, presentò l’Alternos come repubblicano, entrando in polemica con lo storico Sebastiano Pola, sacerdote, collaboratore del settimanale della diocesi di Sassari, ‘‘Libertà’’. Spinto da un crescente interesse e per sostenere meglio la polemica col Pola avviò diligenti ricerche d’archivio anche in Francia per approfondire le sue conoscenze sull’Angioy, riportando dagli archivi di Parigi una interessante messe di documenti inediti: non è esagerato sostenere che, pure nella modestia degli strumenti storiografici, la sua lettura dell’avventura angioyana resta ancora interessante, e la sua stessa scelta di esplorare gli archivi francesi mostrò una direzione molto fertile ai ricercatori posteriori. Tra i suoi scritti: La pace a Bitti, ‘‘L’Unione sarda’’, 1913; I quattrocento sardi della battaglia di Lepanto, ‘‘L’Unione sarda’’, 1913; Il ribelle alternos, ‘‘Rivista sarda’’, I, 1919; Angioy, ‘‘Rivista sarda’’, II, 1920; Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, 1925; Pasquale Paoli e l’invasione francese in Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1925; Francia e Inghilterra alla conquista della Sardegna, ‘‘Studi sardi’’, V, 1941; Perché fu ucciso il marchese di Laconi, ‘‘Il Giornale d’Italia’’, 1941; Le ragioni dell’assassinio dell’intendente Pitzolo e del generale Planargia, ‘‘L’Isola’’, 1942; I moti del 1821 in Sardegna, ‘‘L’Isola’’, 1942; Un episodio della vita di Vincenzo Sulis, ‘‘L’Isola’’, 1943; Il canonico Salvatore Frassu, ‘‘L’Isola’’, 1946; I fratelli Obino, ‘‘L’Isola’’, 1943; I fratelli Muroni, ‘‘L’Isola’’, 1943; Macomer sbarrò la strada all’alternos, ‘‘Riscossa sarda’’, 1945; Figure della rivoluzione angioiana: Francesco Sanna Corda, ‘‘L’Isola’’, 1946; Figure della rivoluzione angioiana: Francesco Cilloco, ‘‘L’Isola’’, 1946; Il sacco di Bono, ‘‘Riscossa’’, 1946; Agli albori del giornalismo in Sardegna, ‘‘Studi sardi’’, VIII, 1948; Pagine di storia sarda. Santulussurgiu e la sua gente nella rivoluzione angioiana, ‘‘Il Corriere dell’Isola’’, 1949; La Sardegna alla vigilia della Rivoluzione francese, ‘‘Rinascita sarda’’, 1949; La spedizione francese contro la Sardegna. 1792, ‘‘Il Corriere dell’isola’’, 1951; I tre mesi del governo di Giovanni Maria Angioy a Sassari, in ‘‘Il Corriere dell’isola’’, 1951; Figure della rivoluzione angioiana: il cappellano di madama Bonaparte, ‘‘Studi sardi’’, X-XI, 1952; La tragedia angioiana: luce su un processo dell’anno 1797, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1956; Nobili e eroiche figure di sacerdoti 602 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 610 Boixadors tra i bagliori della rivoluzione angioiana, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1957; Un ritratto di G.M. Angioy, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1958. Boi, Francesco Antonio Studioso di anatomia (Olzai 1767-Cagliari 1855). Dopo la laurea, conseguita nel 1795, intraprese la carriera universitaria. Nel 1799 fu nominato professore di Anatomia umana presso l’Università di Cagliari; impostosi all’attenzione generale, fu inviato a Pisa per un lungo soggiorno di studio; in seguito si spostò anche a Pavia e per quattro anni studiò a Firenze. Nella capitale toscana conobbe il Susini che, con la sua consulenza, plasmò la raccolta delle cere anatomiche oggi conservate presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Cagliari. Tornato in Sardegna riprese il suo insegnamento. Nel 1818 fu nominato protomedico della Sardegna, ufficio che ricoperse fino al 1844. Studioso rigoroso, lasciò manoscritte molte delle lezioni che rivolgeva ai suoi alunni. slatura repubblicana ma nel 1994 non è stato riconfermato. Boi, Giulio Ingegnere minerario (n. sec. XX). Dopo aver conseguito la laurea presso l’Università di Cagliari, è diventato un apprezzato dirigente minerario. Negli anni Ottanta è stato per alcuni anni presidente dell’Associazione mineraria sarda di Iglesias. Tra i suoi scritti: La miniera di Malfidano, in ‘‘Bollettino bibliografico della Sardegna’’, 11-12, 1989. Boi, Paolo Cantante (n. Cagliari 1952). Ha esordito nel campo della musica leggera nel 1970. Dopo alcune esperienze in gruppi musicali ha inciso i suoi primi brani, tra i quali Lisabel che gli ha dato notorietà a livello nazionale; in seguito ha soggiornato per alcuni anni in Svizzera e in Germania, dove è venuto a contatto col mondo degli emigrati. Questa esperienza gli ha ispirato alcune composizioni e lo ha fatto definitivamente passare a una produzione di brani in musica sarda. Boi, Gavino Felice Teologo vissuto a Boi, Raimondo (detto Dino) Funziona- Cagliari (sec. XVII). Divenuto monaco conventuale, dal 1670 al 1673 fu padre provinciale del suo ordine; in seguito ebbe l’ufficio di Definitore perpetuo e di Qualificatore del Santo Ufficio. Uomo di grande cultura e di studi profondi, fu chiamato a insegnare Teologia morale nell’Università di Cagliari. rio, consigliere regionale (n. Ploaghe 1923). Impegnato fin da giovane nella DC, dopo aver conseguito la laurea ha intrapreso la carriera amministrativa e dal 1953 è divenuto funzionario regionale, raggiungendo i vertici della gerarchia. Nel 1979 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Cagliari per la VII legislatura, ma nel 1984 non è stato riconfermato. Boi, Giovanni Insegnante, deputato al Parlamento (n. Busachi 1935). Insegnante elementare, cattolico impegnato nelle ACLI di cui è stato presidente regionale, si è mostrato particolarmente sensibile ai problemi degli svantaggiati e dei deboli, in favore dei quali ha speso gran parte del suo impegno politico e sociale. Militante nella DC, è stato per anni consigliere comunale di Guspini; nel 1992 è stato eletto deputato per il suo partito nell’XI legi- Boixadors Famiglia catalana (sec. XIV). Le sue notizie risalgono al secolo XIII, quando viveva un Bernardo I, che si segnalò all’assedio di Valencia ai tempi di Giacomo I. Un suo discendente, un altro Bernardo, si trasferı̀ in Sardegna ed ebbe i feudi di Nora, Chia e Saliu nell’omonima curatoria. Morı̀ nel 1340: i suoi figli ed eredi si rifiutarono di trasferirsi in Sardegna per 603 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 611 Boixadors avere l’investitura e pertanto subirono la revoca delle concessioni. Boixadors, Bernardo Gentiluomo catalano (?, fine sec. XIII-Spagna 1340). Nel 1323 prese parte alla spedizione dell’infante Alfonso e, durante la battaglia di Lutocisterna, soccorse il principe che era caduto da cavallo. Fu ricompensato con alcune signorie nella curatoria di Nora e, fermatosi in Sardegna, continuò a essere impegnato in delicate missioni politico-diplomatiche a Pisa e a Roma. Scoppiato il contrasto tra Francesco Carroz e Raimondo Peralta, nel 1326 fu nominato governatore generale del regno; governò fino al 1328 quando tornò in Spagna per un breve periodo. Rientrato nell’isola nel 1329, riprese il suo ufficio e nel 1330 domò con estrema decisione la ribellione di Sassari, prendendo parte alla campagna di Raimondo Cardona contro i Doria e contribuendo personalmente all’occupazione di Sorres. Subito dopo tornò in Spagna, dove fu nominato consigliere reale, ma per difendere i suoi feudi dovette affrontare una dura controversia con Mariano de Ammirato, nipote del giudice d’Arborea. La controversia fu risolta a suo favore nel 1331 grazie all’intervento del re; nel 1339 i suoi nemici lo accusarono di aver commesso scorrettezze negli anni della sua permanenza in Sardegna ma riuscı̀ a dimostrare la propria innocenza. Fu infine nominato riformatore della Sardegna, ma morı̀ mentre si apprestava a tornare nell’isola. Bolacchi, Carlo Studioso di storia locale (n. Villacidro, metà sec. XX). Interessato alla ricerca delle radici storiche del suo paese natale, ne ha indagato con particolare cura alcuni aspetti soprattutto riferiti al Medioevo. Tra i suoi scritti principali, pubblicati tutti sul periodico ‘‘Testimoniare’’: I Bizantini a Villacidro, 1984; Nel territo- rio villacidrese i Vittorini di Marsiglia, 1984; Villacidro. Il dominio aragonese, 1984; Le terme romane, 1984; Momenti storici villacidresi, 1999. Bolacchi, Giulio Sociologo (n. San Giovanni Lupatoto 1926). Dopo la laurea si è dedicato all’insegnamento universitario, ed è professore di Sociologia generale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Cagliari. Ha studiato con particolare interesse la dinamica delle classi sociali e la struttura del potere. Autore di numerose pubblicazioni, tra le suoi scritti principali: Metodologia delle scienze sociali, 1963; Teoria delle classi sociali, 1963; La struttura del potere, 1964; Problemi concernenti una campagna di promozione sociale contro gli incendi (con Gianfranco Sabatini), 1983; Zona di produzione franca: una proposta per la Sardegna, 1984; Oligopoli e crescita economica. Il passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo in Sardegna con particolare riferimento alla provincia di Nuoro (con Gianfranco Sabatini e Giuseppe Usai), 1985. Bolasco Famiglia ligure (secc. XIXXX). Trapiantata nel corso del secolo XIX ad Alghero, dove avviò alcune attività imprenditoriali e raggiunse una posizione di rilievo. Il personaggio più rappresentativo fu Antonio. I suoi discendenti continuarono le tradizionali attività imprenditoriali e da Alghero si trasferirono a Sassari. Nel 1939 ottennero il cavalierato ereditario e la nobiltà con un Ernesto. Bolasco, Antonio Commerciante, deputato al Parlamento subalpino (Alghero, prima metà sec. XIX-?, 1851). Algherese di origine ligure, uomo equilibrato e stimato, nel 1849 fu eletto deputato al Parlamento subalpino nel collegio di Alghero per la IV legislatura. Di sentimenti liberali, prese parte ai dibattiti parlamentari ma non portò a termine la legislatura perché morı̀ im- 604 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 612 Bollettino bibliografico e rassegna di studi archivistici della Sardegna provvisamente nel 1851. Nel 1914 fu pubblicato in opuscolo un suo discorso tenuto alla Camera, Il barracellato e le truppe miliziane in Sardegna, 1914. Bolasco, Ernesto Mario Diplomatico (n. Sassari 1919). Dopo la laurea in Giurisprudenza è entrato in diplomazia nella carriera consolare. Tra il 1948 e il 1949 è stato segretario particolare del ministro degli Esteri e in seguito ha lavorato a Mosca, a Giacarta, a Tunisi e in altre sedi. Dal 1960 ha ricoperto importanti uffici presso la Comunità Economica Europea; successivamente al Ministero degli Esteri dove ha concluso la carriera. Bolasco, Vincenzo Diplomatico (n. La Maddalena 1906). Dopo la laurea entrò nella carriera consolare; dopo aver fatto esperienza in alcune sedi, tra il 1951 e il 1955 fu capo di gabinetto dell’autorità responsabile dell’Amministrazione fiduciaria in Somalia, incarico che esercitò con grande equilibrio. Tornato in Italia, tra il 1958 e il 1961 diresse il segretariato generale del Consiglio dei ministri della CEE. Dopo aver ricoperto altri incarichi, nel 1966 fu nominato ambasciatore ad Abidjan. Bolea, Giacinto Arnal Letterato (Cagliari, fine sec. XVI-ivi, prima metà sec. XVII). Segretario del viceré Pimentel e in seguito del marchese di Villasor, fu uomo di grande cultura, scrittore elegante e di grande efficacia. Nel 1636 pubblicò il romanzo El Forastero (il titolo completo continua: se alienta en la proteccion del señor D. Blasco de Alagon y Cardona, Marques de Villasor), ambientato a Cagliari; nel 1627 aveva pubblicato Encomios en octavas, scritto per una giostra. Bollax Famiglia cagliaritana (sec. XV). Di origine catalana, compare in Sardegna agli inizi del secolo XV con Antonio, che accumulò notevoli ricchezze e nel 1420 ebbe il feudo di Serdiana, allora completamente spopolato. Suo figlio, il dottor Antonio, avvocato patrimoniale dal 1431, nel 1432 annetté anche il territorio di Sibiola al suo feudo, che nel 1442 fu venduto ai Tomich. In seguito i B. scomparvero dalla Sardegna. Bollax, Antonio Medico (Cagliari, fine sec. XIV-ivi, metà sec. XV). Singolare figura di medico e di avventuriero, vissuto a Cagliari nella prima metà del secolo XV. Accumulò una notevole fortuna curando i corsari che spesso approdavano a Cagliari; investiva i suoi guadagni nella costruzione di navi con le quali, a sua volta, prendeva parte alla guerra di corsa. Profondamente radicato alla vita della città, nel 1420 acquistò il feudo di Serdiana e nel 1425 fu eletto quarto consigliere della città. Poco dopo morı̀. ‘‘Bollettino Bibliografico della Sardegna’’ Periodico bimestrale. Fondato a Iglesias nel 1933 e diretto da Remo Branca, divenne un importante strumento culturale; cessò le sue pubblicazioni nel dicembre del 1937. Si avvalse della collaborazione di alcuni tra i maggiori intellettuali sardi del tempo tra i quali vanno ricordati Pietro Casu, Agostino Cerioni, Antonio Costanzo Deliperi, Beniamino Falchi, Edoardo Fenu, Bartolomeo Fiori, Gemina Fernando, Giuseppe Marongiu, Carlo Meloni, Mercedes Mundula, Antonio Saba, Vincenzo Ulargiu, Nicola Valle. ‘‘Bollettino bibliografico e rassegna di studi archivistici della Sardegna’’ Rivista culturale. Fondata e diretta da Tito Orrù a partire dal 1984. Nata come continuazione del ‘‘Nuovo Bollettino bibliografico sardo’’ di Giuseppe della Maria, negli anni è diventata anche l’organo del Comitato di Cagliari dell’Istituto di Storia del Risorgimento. È venuta crescendo d’autorevolezza sotto l’impulso del direttore, al cui entusiasmo si deve l’arruolamento di 605 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 613 Bollettino degli interessi sardi un nutrito gruppo di collaboratori, in cui collaudati e conosciuti studiosi della storia sarda affiancano le giovani leve della ricerca storica e sociale. Tra i principali collaboratori, Aldo Aledda, Paolo Amat di San Filippo, Daniela Angioni, Ferruccio Barreca, Piero Ausonio Bianco, Raffaele Callia, Mario Vittorio Cannas, Paolo Cau (Cagliari), Paolo Cau (Sassari), Luigi Cherchi, Alberto Contu, Maria Giuseppina Cossu Pinna, Lorenzo Del Piano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Adriana Gallistru, Ester Gessa, Antonio Lenza, Clara Marongiu, Maria Giuseppina Meloni, Roberto Milleddu, Gabriella Olla Repetto, Carlo Pillai, Stefano Pira, Roberto Porrà, Giorgio Puddu, Celestina Sanna, Carlino Sole, Giuseppina Usai, Marina Valdés, Marina Vincis, Corrado Zedda. ‘‘Bollettino degli interessi sardi’’ Rivista trimestrale. Organo ufficiale della Camera di Commercio di Sassari, fu fondata nel 1923 da Gavino Alivia che la diresse per molti anni. Tra i principali collaboratori della prima serie, Gavino Alivia, Alfonso Falzari, Francesco Giordo, Piero Maurandi, Giovanni Passino, Stefano Siglienti. Più volte sospesa e più volte ripresa, la rivista fu ‘‘rifondata’’ da Lorenzo Idda quando questi fu presidente della Camera di Commercio. Dal restyling nacque la quinta serie della rivista, che accanto al titolo originario, ridotto a sottotitolo, ne adottò uno più aderente alle nuove ambizioni del periodico (non più mero notiziario della Camera di Commercio, ma rivista di studi economici collegata alla cattedra universitaria del professor Idda), ‘‘Studi di economia e diritto’’. Cessato dalla carica il professor Idda, anche la rivista rallentò le sue uscite e – complici forse più rigide esigenze di bilancio – finı̀ per porre termine alle pubblicazioni. ‘‘Bollettino di vita municipale di Igle- sias’’ Mensile di informazione dell’amministrazione comunale di Iglesias. Fondato e diretto da Carlo Meloni, uscı̀ a Iglesias dal gennaio al marzo del 1945, risultando un importante organo per la ripresa del dibattito democratico nella città mineraria. Bologna Famiglia sassarese (secc. XVII-XIX). Le sue notizie risalgono al secolo XVII, quando a Sassari compare il cognome legato ad alcuni cittadini di buona condizione economica, generalmente impegnati nell’esercizio delle professioni liberali. Uno di essi, il dottor Giovanni Battista, si trasferı̀ a Cagliari dove vivevano due suoi fratelli, Filippo, rettore del Gerrei, e Giuseppe, cappellano dell’arcivescovo. Egli in breve divenne protomedico della Sardegna, e nel 1690 ebbe il cavalierato ereditario (per i meriti acquisiti durante il parlamento Monteleone) e nel 1691 la nobiltà. Dai suoi figli discesero alcuni rami della famiglia. Da Carlo, che nel 1746 divenne regidor del ducato di Mandas, discese il ramo che con i suoi figli finı̀ per stabilirsi a Guasila e a Nurri, e si estinse nel secolo XIX. Da un fratello di Paolo, invece, discese il ramo principale che continuò a risiedere a Cagliari, da dove alla fine del Settecento si trasferı̀ a Napoli per entrare al servizio dei Borbone. Bologna, Girolamo Ufficiale di marina (Cagliari 1708-?, 1787). Il suo ingegno brillante faceva prevedere un sicuro avvenire negli studi, ma il carattere avventuroso lo costrinse in gioventù a emigrare nel Regno di Napoli dove, sotto falso nome, intraprese la carriera militare in marina. Le sue doti lo imposero all’attenzione e in pochi anni divenne un distinto ufficiale. Ripreso il suo vero nome, durante il regno di Carlo di Borbone fu nominato capitano di vascello. Nel 1784 gli fu affidato il comando della 606 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 614 Bolotana flotta da guerra, nel 1785 trasportò il re da Livorno a Napoli. Bologna, Martino Giureconsulto (Sassari, fine sec. XVII-ivi 1775). Dopo essersi laureato, entrò nella carriera giudiziaria e si fece notare per l’acume e la profondissima preparazione. Al culmine della carriera divenne assessore della Regia Governazione di Sassari; collocato in pensione per limiti di età dal Bogino, in seguito venne nominato vicario reale di Sassari. Lasciò alcune opere di storia e di diritto di notevole interesse. Morı̀ a Sassari molto anziano, nel 1775. Delle sue opere restano i manoscritti di un Sommario di notizie patrie, e di un Repertorio legale di materie civili e criminali, oltre a due volumi editi, Rilevazione della seconda invenzione dei corpi santi, pubblicato a Sassari nel 1739, e Responsi o memoriali, stampato a Roma nel 1757. Bologna, Paolo Studioso di storia sarda (Cagliari, seconda metà sec. XVIII-Napoli, prima metà sec. XIX). Cagliaritano, nel 1787 ereditò i beni dello zio, l’ammiraglio Girolamo, morto a Napoli, e con le nuove rendite si stabilı̀ nella città partenopea, dove si dedicò allo studio della storia della Sardegna. Nel 1748 scrisse un Breve sunto delle principali vicende storiche della Sardegna, che inviò al viceré Rivarolo, ma l’opera rimase inedita e attualmente è conservata nella raccolta Baille presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari. Bolonianos (o Bolothenis) Antico villaggio del giudicato di Torres, compreso nella curatoria dell’Anglona. Di probabili origini romane, era situato in prossimità di Ampurias. A partire dal secolo XII venne in possesso dei Doria, in seguito a uno dei matrimoni che membri della famiglia contrassero con principesse della famiglia giudicale di Torres. Dopo l’estinzione della dinastia dei giudici di Torres, essi inclusero B. nel piccolo stato feudale che avevano formato e instaurarono un buon rapporto con gli abitanti del villaggio, che mantennero i loro privilegi e la loro autonomia e vissero sostanzialmente un periodo di pace fino alla conquista aragonese. Quando i Doria, nel 1323, si dichiararono vassalli del re d’Aragona, il villaggio entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Quando nel 1325 i Doria si ribellarono, il villaggio divenne teatro della guerra; nel 1330 fu occupato dalle truppe aragonesi guidate da Raimondo Cardona e devastato. In seguito subı̀ gravi danni durante la ribellione del 1347 e per la peste del 1348, sicché rapidamente si spopolò e scomparve. Bolotana Comune della provincia di Nuoro, compreso nell’VIII Comunità montana, con 3175 abitanti (al 2004), posto a 472 m sul livello del mare, affacciato sulla piana di Ottana dal versante meridionale della catena del Marghine. Regione storica: Marghine. Diocesi di Alghero-Bosa. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 108,52 km2: ha forma allungata da sud-est a nord-ovest e confina a nord con Macomer e Bonorva, a est con Illorai e Orani, a sud con Ottana e Noragugume, a ovest con Silanus, Lei, Bortigali e Macomer. Mentre il paese è situato in una posizione di mezza costa, ad anfiteatro, il territorio si allunga dalla valle del Tirso sino all’altipiano di Campeda; si alternano cosı̀ zone di pianura, un tempo coltivate a cereali e oggi interessate allo sviluppo industriale, e altre di pendio e altipiano, in parte coperte da bosco naturale, e per la maggior parte utilizzate per il pascolo. Il paese è collegato alla statale 129 Macomer-Nuoro, che passa a breve distanza, con una secondaria che prosegue poi verso nord, diramandosi verso il Goceano e attra- 607 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 615 Bolotana verso la Campeda; esiste anche una stazione di B. lungo la ferrovia a scartamento ridotto Macomer-Nuoro. Bolotana – Veduta del centro abitato. & STORIA L’origine dell’attuale centro è incerta: una leggenda vuole che sia stato fondato agli inizi del secolo XIV da un gruppo di cittadini di Ottana che per sfuggire a una faida si sarebbero rifugiati tra le montagne; i ritrovamenti archeologici farebbero invece pensare all’evoluzione di un antico abitato romano. Nel Medioevo B. apparteneva al giudicato di Torres ed era compreso nella curatoria del Marghine. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale di Torres il Marghine fu conteso tra i Doria e gli Arborea e finı̀ per essere occupato da truppe arborensi e annesso al giudicato d’Arborea. Nella fase più acuta delle guerre tra Arborea e Aragona, nel 1378 B. fu incluso nei territori che il re concesse al traditore Valore de Ligia che si era schierato con lui ma in effetti continuò a rimanere in possesso del giudice d’Arborea fino alla battaglia di Sanluri. Subito dopo cadde in mano al visconte di Narbona che lo tenne fino al 1420, anno in cui l’antica curatoria entrò a far parte del Regnum Sardiniae. Cosı̀ nel 1421 B. fu incluso nel grande feudo di Oliva concesso a Bernardo Centelles; i Centelles nel 1439 lo cedettero a Salvatore Cubello come indennizzo per il mancato pagamento della dote di sua sorella. Divenuto marchese d’Oristano, Salvatore nel 1463 incluse B. nel suo feudo e solo dopo la battaglia di Macomer il villaggio tornò a far parte del feudo di Oliva. I feudatari risiedevano in Spagna e fecero pertanto amministrare il vasto feudo da una burocrazia alle loro dipendenze; in effetti B. dipendeva amministrativamente da un funzionario che risiedeva a Macomer. Estinti i Centelles nel 1569, il villaggio, dopo una lunga lite conclusa nel 1591, passò nelle mani dei Borgia che innovarono profondamente il sistema di amministrazione del feudo; il villaggio era oramai cresciuto e la sua popolazione aveva superato le 600 unità. Alla fine del Cinquecento la comunità fu in grado di far costruire dal cagliaritano Michele Puig la parrocchiale di San Pietro e la chiesa campestre di San Bachisio. Con i Borgia nel corso del Seicento il potere del feudatario crebbe; egli arrivò a controllare direttamente l’elezione del majore esautorando completamente la comunità e si appoggiò ai rappresentanti di alcune famiglie di notabili locali che gestirono il potere in modo clientelare e ingiusto. Ciò era stato possibile perché nel corso del secolo per l’esazione dei tributi erano state costituite le ‘‘liste feudali’’ dei contribuenti, calcolate in base al reddito di ciascuno. La gestione di queste liste comportava quindi non solo la determinazione del carico fiscale per ciascuno ma anche l’individuazione delle categorie degli esenti. In genere essi erano proprio i notabili che finirono per formare delle élite vassallatiche legate al feudatario. Quando i Borgia si estinsero, nel 1740, B. cominciava a esprimere un profondo bisogno di liberarsi dalla dipendenza feudale. Dopo una lunga serie di vicende ereditarie, nel 1767 il villaggio fu incluso nel marchesato del Marghine che toccò a Maria Giuseppa Pimentel, erede dei 608 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 616 Bolotana Borgia e moglie di Pietro Tellez Giron. I nuovi feudatari fecero introdurre dai loro amministratori delle greggi di montoni di Berberia per migliorare l’allevamento locale. Ma B., come molti altri dei villaggi del Marghine, non ebbe un rapporto facile con i nuovi feudatari che restavano in Spagna e facevano amministrare il feudo da funzionari senza scrupoli; cosı̀ tra il 1774 e il 1785 rifiutò apertamente di pagare i tributi e nel 1795 prese parte ai moti antifeudali. Nel 1821 il villaggio fu incluso nella provincia di Nuoro e nel 1843 chiuse il tempestoso rapporto con i suoi feudatari, ma nel 1846 il Comune nulla poté nei confronti di uno speculatore, un tal Bianchi, che ottenne una parte delle sue magnifiche foreste e le distrusse con un irrazionale disboscamento. È di questo periodo la puntuale testimonianza di Vittorio Angius: «Le case sono meglio di 760. La strada cognominata del santo Salvatore, dove esisteva una chiesa di Filippini, è la più bella e la più frequentata, e spesso lieta ne’ pubblici divertimenti e sollazzi, balli, cantici, corse, mascherate ecc. Le più celebri passeggiate sono: una verso ponente dal suindicato santo Salvatore al ruscello Badu, che con la sua corrente mette in movimento lungo le stagioni d’inverno e di primavera tre gualchiere e quindici molini; l’altra verso levante dallo stesso punto della chiesa rurale di San Bacchisio. Entro l’abitato sono alcuni orti ne’ quali si coltivano erbaggi, e varie piante, e vi si tengono delle arnie. Il clima è temperato nella parte piana del territorio. Le pioggie cadon frequenti, la neve persiste per giorni, le tempeste battono il monte, la nebbia non è rara su i colli. Le arti necessarie si esercitano da un numero competente: sono più numerosi i magnani, ferrari, legnajuoli, muratori. L’agricoltura però e la pastorizia sono l’occupazione de’ più. Le donne lavorano alla tessitura di panni lani e lini in più di 300 telai, e con quello che sopravanza ai bisogni della famiglia ottengono qualche lucro. La scuola normale è frequentata da più di 50 fanciulli. Già dal 1763 vi sono stabilite le scuole di latinità, e non vi concorrono meno di 25 giovanetti. Già per dodici anni si scrive lo stesso numero di abitanti. Nell’anno 1833 con nulla, o ben poco di più o di meno degli antecedenti presentavansi nel censimento parrocchiale anime 3200 in 750 famiglie. Sogliono celebrarsi all’anno pressoché 15 matrimoni, nascer 80, morire 45. Pochi arrivano agli anni 80. La pleurisia, i reumatismi, le febbri periodiche sono le dominanti malattie. Scarso è il frutto dei seminati, ed il contadino è lieto se abbiasi il quintuplo; il che, come è facile a vedersi, non tanto nasce dalla natura delle regioni, quanto dalla coltura. Si raccoglie di lino non più del proprio bisogno, e meno assai di canape. Nella valle irrigata del Badu si semina granone, fagioli bianchi e molte specie di erbaggi. Le vigne sono provvedute di forse tutte le varietà d’uve conosciute nell’isola. Nel secolo scorso gran lucro ritraevano questi popolani dal vino, che in gran quantità vendevano agli uomini delle terre limitrofe; ma introdotta in seguito tra quelli la coltivazione delle viti, intristiva questo ramo di frutto. Le piante fruttifere possono sommare a 10 000, peri, fichi, peschi, susini di molte varietà, noci, mandorli, agrumi, ciliegi, albicocchi, castagni ecc. Si nutrono non meno di 880 buoi per l’agricoltura, cavalle domite 230, rudi 300, vacche 1500, capre 2000, porci 3000, giumenti 350, pecore 11 000. Poco vantaggio viene dai prodotti. Sono rari i cervi; invece diconsi numerosi i daini, cinghiali, lepri, martore e volpi. Non perseguitati che ben di rado dai cacciatori, vanno sempre più moltiplicando, e ne sperimen- 609 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 617 Bolotana tano danni le coltivazioni. De’ volatili si trovan le specie più comuni». Abolite le province nel 1848, B. fu incluso nella omonima divisione amministrativa; purtroppo nello stesso anno subı̀ un altro grave danno a causa di un gigantesco incendio che arrivò a minacciare l’abitato. Fino al 1859 fu compreso nella divisione amministrativa di Nuoro, poi entrò a far parte della provincia di Sassari. Alla ricostituzione della provincia di Nuoro, nel 1927, tornò a farne parte. La sua popolazione toccava allora i 4000 abitanti, ma nel secondo dopoguerra anche B. ha subı̀to le conseguenze di un rapido processo di emigrazione di una parte della popolazione alla ricerca di lavoro più sicuro. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura, in particolare l’olivicoltura e la viticoltura, e sull’allevamento: rinomata la produzione del formaggio. Altre fonti di occupazione vengono dalle industrie – un tempo prevalentemente petrolchimiche, oggi di genere vario – della media valle del Tirso. Vi operano anche alcune attività commerciali, 2 alberghi con 37 posti letto, 2 ristoranti e una organizzazione di turismo equestre. Artigianato. La tradizionale lavorazione dei tappeti viene praticata ancora oggi e si produce anche una varietà particolarmente apprezzata di pane carasau. Le attività artigianali, molte delle quali legate all’edilizia, si stanno trasferendo nella zona predisposta dal Comune in località Bardosu. Servizi. Il paese è collegato con i centri maggiori mediante autolinee e usufruisce della ferrovia secondaria MacomerNuoro; dista da Nuoro 38 km e 22 da Macomer. Dispone di guardia medica, medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale e sportello bancario. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 3352 unità, di cui stranieri 8; maschi 1613; femmine 1739; famiglie 1250. La tendenza complessiva rivelava una forte diminuzione della popolazione, con morti per anno 53 e nati 19; cancellati dall’anagrafe 50; nuovi iscritti 26. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 15 761 in migliaia di lire; versamenti ICI 1393; aziende agricole 688; imprese commerciali 144; esercizi pubblici 24; esercizi al dettaglio 46. Tra gli indicatori sociali: occupati 862; disoccupati 125; inoccupati 212; laureati 43; diplomati 409; con licenza media 994; con licenza elementare 1247; analfabeti 120; automezzi circolanti 1216; abbonamenti TV 1060. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio era popolato fin dall’epoca preistorica ed è ricco dei dolmen di Funtana Noa, di protonuraghi (Cannas, Figu, Gazza, Perca ’e Pazza, Santa Caterina), di nuraghi (Aru Marapiga, Bantine Cruo, Baratu, Baradosu, Coa Filigosa, Conca Coddine, Curzu, Ena Manna, Fazzada de Chervos, Frida, Funtana Edra, Funtana Ona, Funtana su Lidone, Funtanassida, Iscritte, Isfundadu, Malavrina, Mannu, Monte Zenzera, Mura Uras, Murones, Muros Rujos, Nodu de Sales, Onnighedda, Ortachis, Ovredda, Pabatile, Pabbattolas, Perda Lada, Prida, Punta Estidu, Rostri, Sa Menta ’e Sa Mura, Sa Pinna, Sedda ’e su Minadorzu, S’Edra, S’Ena Ettrosa, Serra Nuraghe, Sos Chircos, Sos Giuncos, Sos Pabutulos, Titirriola, Zenzeru), di Tombe di giganti (Badde ’e Su Chercu, Bruncu de Farre, Sinnichè, Tanca Manna, Tittirriola) e domus de janas (Istarone, Sa Toa, Sa Orta ’e Su Mucrone, Perca ’e Zancanu); conserva inoltre tracce di epoca romana a Sulconis, Crispula e in altri luoghi. Molto bello il nuraghe Tittiriola, uno dei più elevati della Sardegna perché situato a 970 m sul livello del mare; individuato già dal Lamarmora, era a più piani, costruito in trachite ed è ancora oggi relativamente 610 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 618 Bolotana ben conservato. Di recente è stata individuata anche la fortezza punica di Mularza Noa. Situata nelle vicinanze di Badde Salighes, è posta a guardia della via di comunicazione tra Campeda e la Valle del Tirso. È dotata di un sistema multiplo di linee di difesa rinforzate da un insieme di torri di fiancheggiamento e di casematte cieche. Di grande interesse sono anche le tombe romane di Sulconis e di Mascarida, poste in prossimità della chiesa di San Bachisio e segnalate già da Giovanni Spano: hanno restituito numerose ceramiche, monete e altre suppellettili. & PATRIMONIO ARTISTICO, CULTURALE E AMBIENTALE L’assetto urbanistico del villaggio, affacciato ad anfiteatro su una conca ariosa, è tutto incentrato sulla strada principale sulla quale si affacciano pretenziosi palazzotti ottocenteschi appartenenti ai notabili, e lungo la quale si svolge una vita di relazione estremamente attiva e vivace. Sulle altre strade si affacciano le tipiche case in pietra a più piani proprie di queste regioni interne. L’edificio più importante è la chiesa di San Pietro, parrocchiale ricostruita nel 1600 sulla preesistente, probabilmente sotto la direzione di Michele Pujg (che si occupò anche di quella di San Bachisio) in forme goticocatalane miste a forme rinascimentali secondo il gusto di quei tempi. Aveva un’unica navata, otto cappelle laterali e una capilla quadrangolare; nel 1661 l’edificio venne riparato e successivamente ristrutturato in forme neoclassiche nella prima metà del secolo XIX, e consacrato nel 1833; la facciata ha mantenuto l’assetto della chiesa secentesca. Accanto sorge la chiesa sconsacrata di Santa Croce, fortemente danneggiata, all’origine in forme gotiche che sono conservate in alcuni elementi all’interno. Altra importante chiesa è quella di San Francesco, fatta costruire agli inizi del Seicento per i Francescani dai nobili Gaya Fois; conserva all’interno diversi dipinti tra cui una Crocifissione di ignoto secentesco. Ma il monumento più caro e significativo per i bolotanesi è la chiesa di San Bachisio, tempio rurale di cui si ha notizia fin dal secolo XIII; fu ricostruita nel corso del secolo XVI e completata nel 1597 da Michele Puig. Ha una sola navata partita in cinque campate sorrette da archi, e volta a botte. L’interno e il portale sono riccamente decorati con intagli e sculture difficilmente decifrabili. Tra le molte bellezze naturali che il vastissimo territorio di B. offre la più nota è certamente quella di Badde Salighes. Fattoria impiantata tra il 1880 e il 1885 da Benjamin Piercy (=), si stende per un vasto comprensorio nell’altipiano di Campeda. Consta di una villa costruita nello stile di un castello inglese con quattro torrette ai lati, inserita in un parco un tempo ben curato e ricco di alberi maestosi. Era questa la residenza della famiglia Piercy, oggi purtroppo in stato di abbandono e di degrado: da tempo si progetta di farne un parco botanico. Attorno a questa residenza si sviluppa un’ampia tenuta che in una parte è riservata all’abitazione e all’attività dei contadini, in un’altra a quelle dei pastori. Alla fine dell’Ottocento questo vasto comprensorio era popolato e arrivò ad avere per anni amministrazione autonoma da B. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Del ricco patrimonio di usanze rimane memoria del rito de su nénniri (= Nénniri) che veniva praticato in occasione delle feste di San Basilio, San Raimondo Nonnato e di San Paolo: il ‘‘sepolcro’’, precedentemente preparato, veniva portato di fronte alla chiesa e dopo una preghiera propiziatoria preso da uno dei convenuti che a piedi o a cavallo, seguito da tutti gli altri presenti, faceva 611 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 619 Bombardamenti aerei tre volte il giro della chiesa e al termine lo gettava per terra. Subito dopo i cavalieri si recavano nella strada principale dove si esibivano in fantastiche giostre. Altra antica usanza di cui si ha memoria è il rituale cui si sottoponeva chi fosse stato punto dall’àrgia, un ragno velenoso; in questi casi il poveretto veniva portato in un letamaio e interrato nel letame con la testa fuori, mentre attorno a lui un gruppo di vedove iniziava una danza propiziatoria al suono dei campanacci (sos tintinnos) che secondo la tradizione sarebbe servita a vanificare gli effetti del veleno. Di questo antico patrimonio quasi nulla si conserva nelle attuali feste popolari, la più importante delle quali si svolge tra l’8 e l’11 settembre in onore di San Bachisio e di Sant’Isidoro, patrono degli agricoltori. Momento culminante della festa la processione che parte dal sagrato della chiesa, dove il simulacro del secondo santo, collocato su un carro trainato da buoi riccamente bardati, viene condotto lungo una strada campestre e portato al bivio della Nuoro-Macomer, dove avviene la cerimonia della benedizione delle messi. Bombardamenti aerei I bombardamenti aerei su obiettivi non militari subiti da molti centri dell’isola durante la seconda guerra mondiale segnarono profondamente l’atteggiamento della popolazione nei confronti della guerra e del regime e lasciarono tracce profonde nel tessuto urbano degli abitati colpiti. I primi bombardamenti si verificarono il 30 luglio del 1941: in conseguenza di un attacco inglese sull’aeroporto di Elmas alcune bombe caddero sull’abitato di Cagliari, ma provocarono solo modesti danni. Nell’agosto successivo ci furono brevi incursioni su Tempio e Santa Maria Coghinas. Nei mesi successivi le incursioni si intensificarono; cominciarono i bombardamenti notturni e la popolazione dovette comprendere rapidamente il significato dell’angosciante sibilo delle sirene, a sopportare le brusche interruzioni di sonno e ad affrontare le corse verso i rifugi di cui le città rapidamente si dotarono. Fino al maggio del 1942 il principale obiettivo rimase Cagliari: nell’incursione dell’8 giugno si lamentarono i primi morti tra la popolazione civile. Di conseguenza le scuole furono chiuse con anticipo e iniziò un timido esodo dalla città verso i centri dell’interno che apparivano più sicuri. Le incursioni continuarono fino alla fine dell’anno; il fenomeno dello sfollamento della popolazione civile non si svolse con un ritmo accelerato. Sostanzialmente la vita in città continuò, anche se molto spesso si faceva ricorso ai rifugi, tanto che molte famiglie presero a vivere stabilmente in grotte o anfratti naturali. I bombardamenti si intensificarono in modo drammatico nel 1943, quando la disponibilità di basi aeree lungo la costa occidentale dell’Africa settentrionale rese sempre più facili (perché di raggio più breve) i voli sull’Italia. Dopo un’incursione su Elmas il 21 gennaio, il 7 febbraio si ebbe il primo attacco su Cagliari condotto da aerei americani, articolato in due ondate. La prima terribile esperienza fu però vissuta dalla popolazione di Cagliari e di altri centri il 17 febbraio quando, dopo le 14, una grossa formazione di bombardieri investı̀ la città, che fu massicciamente bombardata: si registrarono molti morti e notevoli distruzioni. Nello stesso giorno un bombardiere scaricò i suoi spezzoni su Gonnosfanadiga, provocando 93 morti, fra cui molti bambini, sorpresi mentre giocavano sulla via. Il giorno più tragico fu però il 26 febbraio, quando Cagliari fu nuovamente investita da un grosso gruppo aereo e semidistrutta; tutti i principali monumenti vennero colpiti e 612 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 620 Bonarcado si ebbero moltissimi morti. Il dramma non era però terminato: la città era ancora in preda a una cupa disperazione quando nella mattina del 28 febbraio gli aerei tornarono, completando il disastro del 26. Furono colpite in particolare la zona del porto e la stazione delle ferrovie; i morti furono centinaia. Tra palazzi squarciati, incendi e desolanti scene, si compı̀ l’esodo della popolazione rimasta in città verso i centri dell’interno. Sembrò che la vita civile si fosse interrotta per sempre e che Cagliari fosse ormai una città morta. Nei mesi successivi e fino al giugno del 1943 le devastazioni continuarono: il 13 maggio un nuovo grande bombardamento distrusse gran parte degli edifici di Cagliari rimasti sino ad allora in piedi. Negli stessi giorni di maggio furono anche colpite Alghero, Porto Torres, Sassari, Villacidro e Olbia. Ovunque i bombardamenti provocarono danni e lasciarono morti tra la popolazione civile. Terminata la guerra, il 19 maggio del 1950 a Cagliari, in memoria del martirio subito, fu concessa la medaglia d’oro al V.M. Bona, Vittorio Funzionario, studioso di economia (n. Cagliari 1937). Laureato in Economia, è stato funzionario presso il Centro regionale di programmazione, che negli ‘‘anni della Rinascita’’ (1962-1974) è stato uno dei principali laboratori politici della Sardegna. Impegnato nel dibattito politico, è stato per un certo periodo segretario regionale della DC. Negli stessi anni ha approfondito i temi dell’economia e della storia economica della Sardegna. Tra i suoi scritti: Industrializzazione e sviluppo economico. Alcune riflessioni con riferimento al caso Sardegna, ‘‘Realtà del Mezzogiorno’’, 6, 1969. Bonaga = Ononide Bonaini, Francesco Archivista (Livorno 1806-Collegigliato 1874). Insegnò Diritto canonico e Storia del Diritto presso l’Università di Pisa. Negli anni tra il 1852 e il 1855 fu incaricato del riordino degli archivi fiorentini e dal 1856 fu nominato soprintendente archivistico per la Toscana. Dopo l’Unità guidò il riordino degli archivi dell’Emilia, delle Marche e dell’Umbria. A lui si deve l’edizione del Breve portus Kallaris, in Statuti inediti della città di Pisa, 1854-57. Bonanat Famiglia cagliaritana (secc. XVI-XVII). Di origine valenzana, le sue notizie risalgono al secolo XVI; nel 1604 ottenne il cavalierato ereditario e la nobiltà con il dottor Pietro Michele, il cui figlio Francesco Cristoforo si trasferı̀ in Sardegna. Quest’ultimo nel 1624 fu ammesso allo Stamento militare durante il parlamento Vivas; la famiglia si estinse nel corso del secolo XVII. Bonarcado Comune della provincia di Oristano, compreso nella XIV Comunità montana, con 1667 abitanti (al 2004), posto a 283 m sul livello del mare, alle falde sud-occidentali del massiccio del monte Ferru. Regione storica: Campidano di Milis. Archidiocesi di Oristano. & TERRITORIO Il territorio comunale si estende per 28,54 km2: ha forma grosso modo triangolare e confina a nord con Santu Lussurgiu, a est con Paulilatino, a sud con Bauladu e Milis, a ovest con Seneghe. Il paese si trova al centro di un territorio digradante verso la pianura campidanese, che va dagli oltre 800 m della punta maggiore, monte Armiddosu, ai 100 delle parti più basse. Il suolo è di natura vulcanica e basaltica, vocato nei punti migliori sia all’agricoltura che all’allevamento; è attraversato da alcuni piccoli corsi d’acqua che si dirigono verso sud, per gettarsi, una volta confluiti nel rio di Mare Foghe, nello stagno di Cabras. Il paese è attraversato dalla strada che da Santu Lussurgiu si dirige verso Oristano e dalla quale si di- 613 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 621 Bonarcado staccano in questo punto le diramazioni per Paulilatino da un lato, per Seneghe e Narbolia dall’altro. La più vicina stazione lungo la ferrovia Oristano-Chilivani è a Paulilatino. & STORIA Il villaggio fu abitato continuativamente a partire dal secolo VII. Vi si stanziò una comunità di monaci bizantini che introdussero nel territorio circostante la coltura degli agrumi e forse la coltura del gelso e la tessitura. B. si trovò cosı̀ a essere al centro di un vasto comprensorio che si stendeva dal mare di Cornus al nuraghe Losa di Abbasanta. L’attuale abitato si sviluppò intorno alla residenza dei religiosi e apparteneva al giudicato d’Arborea incluso nella curatoria del Parte Milis. Agli inizi del secolo XII il giudice donò parte dei territori di B. ai Camaldolesi, ed essi vi costruirono un convento e una chiesa, attuale parrocchiale del villaggio, consacrata nel 1147; grazie al monastero, B. divenne un importante centro culturale e politico, come testimoniano le pagine del suo condaghe (=). Nel 1237 il giudice Pietro vi giurò fedeltà al pontefice; nel 1253 e nel 1302 vi furono celebrati sinodi ai quali intervennero tutti i vescovi sardi; sempre nel secolo XIII l’abitato fu abbellito dall’oratorio di Santa Maria di Bonacattu. Caduto il giudicato, nel 1410 B. entrò a far parte del Regnum Sardiniae e subito dopo fu incluso nel nucleo originario del marchesato d’Oristano. Quando il marchesato fu confiscato a Leonardo Alagon, dal 1479 fu amministrato da funzionari reali e nel 1493 entrò a far parte del patrimonio reale. Il villaggio in seguito non fu più infeudato fino al secolo XVIII ma subı̀ le conseguenze della profonda crisi che l’intero marchesato si trovò ad attraversare nel Cinquecento e nel Seicento. Nel 1647 soffrı̀ molti danni per una disastrosa invasione di cavallette e nel 1652 la sua popolazione diminuı̀ no- tevolmente a causa della peste. Per quanto cosı̀ decaduto, il villaggio godette di una relativa tranquillità e nella seconda metà del Seicento le cose cominciarono a cambiare: l’agricoltura gradualmente si riprese e la popolazione cominciò nuovamente ad aumentare; nel 1698 B. superava nuovamente i 500 abitanti. Purtroppo però la politica avviata dai Savoia per favorire la colonizzazione del territorio, nel corso del secolo XVIII riservò a B. una brutta sorpresa: nel 1767 il villaggio, con tutti gli altri compresi nei Campidani di Oristano, tornò suo malgrado sotto un feudatario; le sue rendite civili furono concesse in feudo a Damiano Nurra (= Nurra3 ) col titolo di marchese d’Arcais. I suoi abitanti da quel momento tentarono con ogni mezzo di liberarsi dal vincolo feudale e il loro rapporto col feudatario fu duro e difficile finché nel 1796 si rifiutarono di pagare i tributi feudali. Intanto il feudo nel 1806 fu ereditato dai Flores d’Arcais; nel 1821 fu incluso nella provincia di Oristano e nel 1838 fu riscattato agli ultimi feudatari. In questi anni Vittorio Angius annotava: «Componesi di 280 case, che occupano un’area maggiore, che sembri competere, a cagione dei molti cortili ed orti che vi sono compresi. Alcune strade sono selciate, ed in alcune parti vi sono dei larghi spazi. È bella la nuova strada alla parrocchia che fece praticare e guarnir d’alberi il vicario Bicca. Nel 1833 la popolazione sommava ad anime 1160 in 260 famiglie. Si celebrano nell’anno circa 18 matrimoni, nascono 40, muojono 30. Le malattie frequenti e fatali sono le febbri periodiche, le pleurisie, le idropisie. Null’altra manifattura può essere rammentata che quella di panno lana e lino, per cui sono impiegati 120 telai. La scuola normale è frequentata da 25 fanciulli. L’estensione del territorio di B. eguaglierebbe miglia quadrate 614 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 622 Bonarcado 20, e nella parte coltivabile potrebbe ricevere circa seimila starelli di seme. La popolazione trovasi quasi al centro. La parte montuosa presso ai confini del lussurgiese è atta a castagni, ciriegi, olivi e ad altri alberi fruttiferi; le rimanenti, specialmente quelle che son prossime al paese, si conoscono migliori per li cereali. Si seminano all’anno 1500 starelli di grano, 20 d’orzo, 40 di granone, e una mediocre quantità di fagioli, piselli, ceci, fave ecc. Il grano ordinariamente dà il sei per uno nella comune, cosı̀ l’orzo, e le civaje [legumi vari]. Si coltivano cipolle, lattuche, cavoli, carciofi; raccogliesi lino in abbondanza, ed una volta se n’ebbero quarantamila cantara (ragguaglia il cantaro a chilogrammi 42,276). La vite vi prospera, ma per ciò che il vigneto è nella montagna, accade spesso che i grappoli non possano ben maturare. Quindi i vini son deboli, e nell’estate inacidiscono. Se ne fa più del bisogno, e se ne può vendere ai lussurgiesi, che ne estraggono buona acquavite. Con li medesimi si sogliono smerciare le granaglie. Le piante fruttifere sono mandorli, pomi, peri, susini, ciriegi, albicocchi, persici, fichi, aranci, che sommano a circa 20 000 individui. Hannosi più di cento varietà d’uve, e molte sono di soave gusto. La ricchezza dei bonarcadesi in bestiame era (anno 1833) come segue: le pecore sommavano a 4000, le vacche a 300, i buoi per l’agricoltura a 400, i porci a 100, ed altrettanti i giumenti. La lana pecorina, che sopravanza ai bisogni della popolazione, vendesi ai lussurgiesi; il formaggio ai negozianti d’Oristano. È assai scarso il selvaggiume, eccettuate le specie delle volpi e lepri. Se però ci fossero persone amanti della caccia prenderebbero gran numero di pernici, tordi, colombi selvatici ecc. I passeri volano a nuvoli, e fanno gran guasto delle messi come cominciano a maturare». Abolite le province nel 1848, B. fu incluso nella divisione amministrativa di Oristano dove rimase fino al 1859, quando fu compresa nella provincia di Cagliari; nel 1974 tornò a far parte della provincia di Oristano. & ECONOMIA La sua economia è basata sull’agricoltura, in particolare la viticoltura (un tempo vi operava la Cantina sociale del Montiferru, che però fu chiusa nel 1985) e l’olivicoltura; vi sono sviluppate anche la pastorizia e il commercio, vi operano anche 2 alberghi con 88 posti letto. Artigianato. Vi è un’antica tradizione della tessitura del lino e della lana; soprattutto i manufatti di lino erano di buona fattura. Servizi. Il villaggio è collegato mediante autolinee agli altri centri della provincia; dista da Oristano 25 km. Dispone di medico, farmacia, scuola dell’obbligo, Biblioteca comunale, sportello bancario. & DATI STATISTICI Al censimento del 2001 la popolazione contava 1691 unità: maschi 875; femmine 816; famiglie 627. La tendenza complessiva rivelava una diminuzione della popolazione, con morti per anno 21 e nati 17; cancellati dall’anagrafe 39; nuovi iscritti 27. Tra gli indicatori economici: imponibile medio IRPEF 12 144 in migliaia di lire; versamenti ICI 634; aziende agricole 340; imprese commerciali 71; esercizi pubblici 9; esercizi al dettaglio 30; ambulanti 3. Tra gli indicatori sociali: occupati 391; disoccupati 125; inoccupati 103; laureati 16; diplomati 126; con licenza media 577; con licenza elementare 508; analfabeti 87; automezzi circolanti 549; abbonamenti TV 478. & PATRIMONIO ARCHEOLOGICO Il suo territorio è ricco di nuraghi (Aurras, Benesinnis, Bruncu, Burale, Campu Iscuru, Canale Crebu, Cannargios, Crastu, Cuau, Funtana Asones, Funtana Creccu, Funtana Inturzu, Lariosa, Lorenzu Nieddu, Marzacché, Mura ’e 615 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 623 Bonaria Figu, Mura Ligios, Mura Pocus, Mura Surzagas, Muru ’e Su Figu, Muschiu, Nargiu, Perda Pertusa, Perda Caddos, Planos, Prunischedda de Leo, Ruju, Sa Perdera, S’Argioledda, S’Arzandedda, Sa Sorighina, Scovera, Serra Bisonzos, Serra Crastula, Serra de Tiria, Serra Ozastru, Siligherta, S’Ilighertu, Su Livandru, Temannu, Terra Bianca, Uda), di Tombe di giganti (Argioledda, Mura ’e Figu, Serra Crastula, Serra Tirias), delle domus de janas di Mura ’e Sa Figu e di altri monumenti preistorici tra cui quelli di Serra Ollastru. Tra questi siti uno dei più interessanti è il complesso di Scovera, costituito da un grande nuraghe polilobato comprendente una torre principale e alcune torri periferiche congiunte a quella maggiore da un bastione che forma recinti; accanto a questo nuraghe ne sorgono altri due monotorre ben conservati e imponenti. Altro grande nuraghe polilobato è quello di Nargiu che comprende una torre centrale e varie altre periferiche; il complesso è molto suggestivo anche se molto rovinato. & PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE L’assetto urbanistico del villaggio ha conservato la disposizione tradizionale, sulle sue strade si affacciano tipiche abitazioni in pietra di forma mista caratterizzate da grandi giardini interni che ingentiliscono l’insieme. Gli edifici di maggior pregio sono la chiesa di Santa Maria di Bonacatu, parrocchiale ubicata nella parte alta del paese; fu fatta costruire in forme romaniche nel 1100 ca. dal giudice Costantino I d’Arborea, consacrata nel 1146 e affidata ai Benedettini durante il regno di Barisone I. L’originale impianto a croce commissa fu mantenuto, ma tra il 1242 e il 1268 la chiesa fu ampliata, l’aula fu portata a tre navate e fu impiantato il campanile. L’interno è solenne e austero, tutto in conci di trachite nera. Adiacente si trova il santuario della Madonna di Bonacatu, costruito con pianta cruciforme e cupola in età mediobizantina sui resti di un precedente edificio nuragico e di uno stabilimento termale romano. Tra il 1242 e il 1268, probabilmente a opera delle stesse maestranze che ampliarono la vicina parrocchiale, l’edificio fu arricchito con una facciata romanica in conci di basalto scuro e di trachite rossastra. & FESTE E TRADIZIONI POPOLARI Le tradizioni e le usanze del villaggio si conservano nella festa della Madonna di Bonacatu. Sul suo sagrato si svolge dal 18 al 20 settembre una delle più antiche feste mariane della Sardegna che richiama numerosissimi fedeli da tutte le parti dell’isola. Il 10 maggio si festeggia Santa Cristina, in una chiesa campestre costruita in seguito all’abbandono da parte dei bonarcadesi dell’omonima chiesa in territorio di Paulilatino (e in prossimità del noto pozzo sacro); il 24 giugno San Giovanni, considerato il protettore degli allevatori; e il 7 febbraio il patrono del paese, San Romualdo. Bonaria Colle di Cagliari. Prospiciente a quello del Castello, e come quello affacciato sul mare, cominciò a essere frequentato già nel periodo punico-romano: alle sue falde si stendeva la necropoli orientale della Carales romana. A partire dal secolo XI, secondo alcuni, vi si sarebbe sviluppato il porto del sale attorno all’importante chiesa di San Bardilio, oggi distrutta, che sorgeva nell’area della piazza di accesso all’attuale Cimitero monumentale di B. Nel 1323 per la sua posizione fu scelto dai catalano-aragonesi come base per condurre l’assedio del castello che era in mano ai Pisani e per disturbare i traffici del porto pisano di Lapola. Inizialmente essi vi costruirono una cinta fortificata che racchiudeva anche il vicino colle di Monreale (l’attuale Monte Urpino). Da 616 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 624 Bonaventura questo accampamento in poco tempo nacque una vera e propria città che prese il nome di Barcellonetta. La nuova città, alla quale furono concessi gli stessi privilegi di Barcellona, avrebbe potuto essere antagonista del castello; quando però nel 1326, dopo la definitiva conclusione della guerra, i Pisani furono costretti a lasciare definitivamente Cagliari, Barcellonetta si spopolò rapidamente e i suoi abitanti in gran parte si stabilirono a Cagliari. Dell’antico nucleo rimasero solo una chiesa edificata tra il 1324 e il 1325 in forme gotico-catalane e la sua torre campanaria, che era stata probabilmente una delle torri della cinta fortificata. Nel 1336 la chiesa divenne la sede cagliaritana dell’ordine dei Mercedari, e prima della fine del secolo il centro del culto dedicato alla statua di Nostra Signora di Bonaria, approdata miracolosamente alle spiagge del golfo di Cagliari nel 1370 e proclamata ‘‘patrona dei naviganti’’. Attualmente sul colle, oramai incluso nel tessuto urbano, esistono tre edifici derivati dalle strutture originarie (o comunque più antiche). Santuario di Nostra Signora di Bonaria È la vecchia chiesa della città scomparsa. Il suo impianto è a una navata absidata; inizialmente aveva una copertura lignea. L’edificio fu completato nel secolo XVI con tre cappelle e nel 1600 la copertura lignea fu sostituita con l’attuale a volte a botte. La chiesa nel 1895 fu ampliata, dotata di una nuova facciata, che si arricchı̀ del portale gotico della distrutta chiesa di San Francesco di Stampace. Il santuario custodisce sull’altare maggiore la cassa in cui sarebbe approdato il miracoloso simulacro e attualmente è addossato al convento dei Mercedari e alla basilica monumentale di Bonaria. Convento di Bonaria È un edificio molto vasto che sorge a ovest del santua- rio. Ha forme secentesche ed è stato da sempre la sede cagliaritana dell’ordine dei Mercedari. Possiede alcune belle sale e un ricco arredamento e ospita il museo con la caratteristica collezione di ex voto e alcune mummie del secolo XVII. A partire dal Cinquecento il convento fu il luogo in cui il viceré si ritirava in preghiera prima di assumere i suoi poteri. Bonaria – Il santuario e la basilica di Nostra Signora di Bonaria. Basilica di Nostra Signora di Bonaria È l’edificio monumentale appoggiato al lato est del santuario, la cui costruzione iniziò nel 1704 su un progetto elaborato dal De Vincenti e successivamente modificato con l’intervento del Viana e di altri architetti. La costruzione andò avanti stentatamente per la cronica carenza di fondi e nel 1810 fu interrotta. I lavori ripresero agli inizi del Novecento: le opere murarie furono portate a termine prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, ma la basilica fu danneggiata dai bombardamenti. Nel dopoguerra fu nuovamente restaurata. I lavori finirono nel 1956. Negli anni è stata arricchita di opere d’arte di Francesco Ciusa, di Giacomo Manzù e di Franco d’Aspro. Attualmente domina il colle con la sua mole e sembra proiettarsi verso il mare con una spettacolare gradinata. Bonaventura, san (Giovanni Fidanza) 617 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 625 Bonaventura da Potenza Santo (Bagnorea, oggi Bagnoregio, 1217/ 1221-Lione 1274). stici. Patrono dei teologi, fattorini e portabagagli. [ADRIANO VARGIU] Bonaventura da Potenza, beato Francescano conventuale (Potenza 1651-Amalfi 1711). Missionario nell’Italia meridionale, morto durante un’estasi, mentre cantava i Salmi. In Sardegna Giovanni Spano (1861) ricorda una sua statua settecentesca scolpita da Giuseppe Antonio Lonis, «col serafino in aria che gli presenta una corona», nella distrutta chiesa di San Francesco di Stampace a Cagliari. Festa Si festeggia il 26 ottobre. Bonazzi, Giuliano Bibliotecario (Sissa, San Bonaventura – Il santo in un dipinto di Paolo Morando. Bambino, fu guarito da una brutta malattia da San Francesco d’Assisi, con l’esclamazione diventata il suo nome da religioso: «O buona ventura!». Francescano, studiò a Parigi, dove insegnò filosofia e teologia. Vescovo di Albano (1273), cardinale. Autore della vita ufficiale di San Francesco d’Assisi, la Legenda maior, approvata dal capitolo generale dell’ordine (1266), illustrata da Giotto nella chiesa superiore d’Assisi. Considerato il secondo fondatore dell’ordine, in tempi di frati impigriti e di poca fede. Criticò il naturalismo aristotelico nell’opera Itinerarium mentis in Deum (1259). Morı̀ a Lione il 15 luglio 1274 durante i lavori del concilio per l’unione della Chiesa latina e di quella orientale. Canonizzato da Sisto IV (1482), proclamato da Sisto V (1588) doctor seraphicus per il suo stile lirico e dolce e per i suoi scritti ascetici e mi- Parma, 1863-ivi 1956). Conseguita la laurea, si avviò alla carriera di bibliotecario. Dal 1894 divenne bibliotecario dell’Università di Sassari. Negli anni della sua permanenza in Sardegna si impegnò nel riordino della biblioteca e prese parte attiva alla vita culturale sarda contribuendo allo sviluppo della Scuola giuridica sarda; lasciò l’isola nel 1899. Percorse una brillante carriera nel corso della quale diresse la Biblioteca Alessandrina di Roma, la Biblioteca Marciana di Venezia, la Biblioteca Universitaria di Torino e infine la Biblioteca Nazionale di Roma. Soprintendente per le Biblioteche del Lazio, andato in pensione, morı̀ al suo paese nel 1956. La sua fama di studioso è legata in Sardegna al ritrovamento e all’edizione de Il condaghe di San Pietro di Silki, stampato a Sassari da Dessı̀ nel 1900. Bonconti, Bando Mercante (Pisa, seconda metà sec. XIII-?, dopo 1334). Interessato alle vicende politiche della sua città, tra il 1289 e il 1314 fu eletto per ben 12 volte tra gli Anziani. I suoi traffici lo fecero entrare in contatto con la Sardegna e in più di un’occasione si recò nell’isola per curarvi affari di rilievo. Continuò a visitarla anche dopo la sconfitta di Pisa da parte aragonese e nel 1326, quando il Comune ottenne in feudo il 618 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 626 Bonello Lai Gippi e la Trexenta, fu nominato vicario delle due curatorie. Cercò inutilmente di porre freno alle prepotenze dei vincitori protestando presso il governatore aragonese per l’eccessivo carico fiscale e per le continue violazioni dei termini del trattato di pace compiute dai feudatari. Bondı̀, Sandro Filippo Archeologo (n. Roma 1946). Allievo di Sabatino Moscati, a partire dal 1967 ha collaborato per alcuni anni con la Soprintendenza archeologica di Cagliari negli scavi di Monte Sirai. Divenuto nel 1979 direttore dell’Istituto per la Cultura fenicia e punica del CNR, ha ripreso gli scavi a Monte Sirai lavorando con Piero Bartoloni. Nel 1993 ha diretto la quarta campagna di scavi a Nora; attualmente insegna Archeologia fenicio-punica presso l’Università della Tuscia. Tra i suoi scritti: Una stele inedita di Monte Sirai, ‘‘Oriens antiquus’’, IX, 4, 1970; Le stele di Monte Sirai, ‘‘Studi semitici’’, 1972; Osservazioni sulle fonti classiche per la colonizzazione della Sardegna, in Anecdota tharrica, vol. 5 della ‘‘Collezione di Studi fenici’’, 1975; Per una riconsiderazione del tofet, ‘‘Egitto Vicino Oriente’’, II, 1979; Monte Sirai, un insediamento punico nell’entroterra sardo, ‘‘Rendiconti della Pontificia Accademia romana di Archeologia’’, LI-LII, 1979-80; Nuove stele da Monte Sirai, ‘‘Rivista di Studi fenici’’, VIII, 1, 1980; tra il 1981 e il 1987 una serie di notizie sugli scavi a Monte Sirai, tutti pubblicati nella ‘‘Rivista di Studi fenici’’: Monte Sirai 1980. Lo scavo del tofet, IX, 2, 1981; Monte Sirai 1981. Lo scavo del tofet, X, 2, 1982; Monte Sirai 1982. Lo scavo del tofet, XI, 2, 1983; Monte Sirai 1983. Lo scavo del tofet, XII, 2, 1984; Monte Sirai 1985. Lo scavo nel tofet campagne 1984-1985, XV, 1, 1987. E ancora: Monte Sirai nel quadro della cultura fenicio-punica di Sardegna, ‘‘Egitto Vicino Oriente’’, VIII, 1985; Le relazioni con la Sicilia e la Sardegna nel quadro della politica economica di Cartagine nel Mediterraneo, in Gli interscambi culturali e socio-economici fra l’Africa settentrionale e l’Europa mediterranea. Atti del Congresso internazionale di Amalfi 1983, I, 1986; Italia Punica (con Sabatino Moscati), 1996; Carbonia (con Piero Bartoloni e Vincenzo Santoni) in L’Antiquarium arborense e i civici musei archeologici della Sardegna, 1988; Nuovi dati sul tofet di Monte Sirai, in Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica. Atti del Convegno di studi, Supplemento ai ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’, 1989; La cultura punica nella Sardegna romana: un frammento di sopravvivenza?, in L’Africa romana. Atti del VII Convegno di studi, 1990; Monte Sirai (con P. Bartoloni e L.A. Marras), vol. 9 della collana ‘‘Itinerari fenici’’, 1992. Quattro ‘‘Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano’’ sono dedicati a Nora: Nora I. Problemi urbanistici di Nora fenicia e punica, 9, 1992; Nora II. Ricerche puniche 1992, 10, 1993; Nora III. Ricerche puniche 1993, 11, 1995; Nora VI. Ricerche fenicie e puniche 19941996, 15, 1998. Seguono Recenti studi e nuove prospettive sulla Sardegna fenicia e punica, in Actes du IIIe Congrès International des Études phéniciennes et puniques, 1995; La penetrazione fenicia e punica in Sardegna. Trent’anni dopo (con P. Bartoloni e S. Moscati), ‘‘Memorie dell’Accademia dei Lincei’’, 9, 1, 1997. Bonello Lai, Marcella Epigrafista (n. Pisano 1943). Professore associato di Antichità ed Epigrafia della Sardegna romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Le sue ricerche si sono concentrate sulle popolazioni non urbanizzate della Sardegna (Tavola di Esterzili), sulla condi- 619 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 627 Bonesu zione giuridica di Sulci, Tharros, Olbia, sugli edifici da spettacolo, sugli acquedotti, sulle iscrizioni «false», sulla storia degli studi e sulla catalogazione epigrafica. Componente del Comitato scientifico che organizza i Convegni internazionali sull’Africa romana. Bonesu, Salvatore Avvocato, consigliere regionale (n. Cabras 1947). Dopo aver conseguito la laurea si è dedicato alla libera professione e all’attività politica. Sardista da sempre, è stato protagonista dei travagli del PSd’Az, ricoprendo importanti incarichi fino a diventarne segretario nazionale aggiunto. Dopo essere stato per anni consigliere comunale e assessore del suo paese natale, nel 1994 è stato eletto consigliere regionale per il suo partito nel collegio di Oristano per l’XI legislatura. In seguito non è stato più riconfermato. Bonet Famiglia sassarese (secc. XVIXVII). Di origine catalana, compare in Sardegna nel secolo XVI, quando i suoi membri erano tra i comproprietari della scrivania della Governazione della città. Nel 1599 ottennero il cavalierato ereditario con un Michelangelo, i cui figli nel 1613 furono ammessi allo Stamento militare durante il parlamento del duca di Gandı́a. La famiglia si estinse entro la prima metà del Seicento. Bonet, Francesco Gentiluomo (Sassari, seconda metà sec. XVI-?, prima metà sec. XVII). Dopo la laurea ricoprı̀ importanti uffici nell’amministrazione reale. Nel 1616 fu nominato governatore della contea del Goceano; negli anni successivi fu impegnato alle dipendenze dirette del viceré Vivas. Di lui ci resta uno scritto su Relación de la enfermedad y muerte del Señor D. Juan Vives Virrey deste Reyno de Sardeña, 1625. Bonfant Famiglia genovese (sec. XVIesistente). Trapiantata nel secolo XVI a Cagliari, probabilmente con un Gio- vanni Battista il cui nome figura tra i sottoscrittori per la costruzione della chiesa di Santa Caterina nel 1595. I B. diedero vita ad attività imprenditoriali ed esercitarono tradizionalmente la professione di notaio raggiungendo una discreta posizione economica. Con Michelangelo, probabilmente figlio di Giovanni Battista, la famiglia cominciò ad assumere un ruolo importante; furono i suoi figli Michele, Agostiniano e Dionigi, tutti laureati, che per le loro qualità ottennero in tempi diversi il riconoscimento del cavalierato ereditario e della nobiltà. Michele, conseguita la laurea, entrò nella carriera giudiziaria arrivando a essere giudice della Reale Udienza. Nel 1634 ottenne il cavalierato ereditario e nel 1638 la nobiltà; morı̀ tragicamente annegato nel 1653. La sua discendenza si estinse nel corso del secolo XVII. Dionigi fu un celebre letterato: nel 1636 ebbe il cavalierato ereditario, che nel 1672 fu confermato al figlio Giuseppe; anche la sua discendenza si estinse alla fine del secolo. Tutti gli attuali rappresentanti della famiglia discendono dal dottor Agostino scrivano della zecca e notaio, che fu il primo della famiglia ad avere il privilegio del cavalierato ereditario nel 1631 e la nobiltà nel 1638. Suo figlio Michele fu giudice della Reale Udienza: da lui nel corso dei secoli discesero gli altri B. che espressero alcune distinte personalità. La famiglia sussiste tutt’oggi. Bonfant, Dionigi Giurista, letterato (Cagliari, seconda metà sec. XVI-?, 1658). Dopo essersi laureato in Teologia e Leggi, esercitò la professione di avvocato con discreto successo. Prese parte alle polemiche sul primato che nei primi decenni del secolo XVII contrapposero gli arcivescovi di Cagliari e Sassari e scrisse dottissime memorie a sostegno della sua città. Nel 1637 ricevette il cavalierato ereditario. Di lui ci 620 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 628 Bonifacio VIII restano due opuscoli, dedicati al problema del primato: Triumpho de los santos del reyno de la isla de Cerdeña, 1635; Breve tratado del primato de Cerdeña y Corsega en favor de los Arzobispos de Caller, 1637. Bonfiglioli, Giuseppe Arcivescovo di Cagliari (San Carlo di Ferrara 1910-Cagliari 1992). Fu ordinato sacerdote nel 1934 e negli anni successivi a Roma si laureò in Teologia e in Lettere. Tornato nella sua diocesi divenne uno dei principali collaboratori del vescovo e dopo pochi anni fu nominato vicario generale; nel 1961 fu nominato vescovo di Nicotera e di Tropea. Nel 1963 divenne coadiutore del vescovo di Siracusa, assumendo il titolo di vescovo di Darni; dopo pochi anni fu amministratore della diocesi e nel 1968 arcivescovo. Nel 1973 fu nominato arcivescovo di Cagliari; resse la diocesi fino al 1984, quando si dimise per limiti di età. Divenuto emerito, continuò a risiedere in Sardegna. Bonfill1 Famiglia di origine ebraica (secc. XVI-XVII). Comparve a Cagliari nel corso del secolo XVI con alcuni personaggi impegnati nell’amministrazione del sale, che accumularono un discreto patrimonio e nel 1543 furono in grado di acquistare il feudo di Ussana con un Gabriele, un personaggio di secondo piano che si era legato a Salvatore Aymerich. Poiché non aveva grandi risorse finanziarie, la gestione del feudo gli fu gravosa; morı̀ nel 1551 lasciando due figli, Cesare e Simone, ancora minorenni, e perciò sotto la tutela della sua vedova e di suo fratello Nicola. Cesare, al quale andò il feudo, divenuto maggiorenne continuò a caricarlo di ipoteche ed ebbe noie col Santo Uffizio; morı̀ nel 1570 lasciando erede l’unico figlio Antonio. Frattanto le pressioni del Santo Uffizio nei confronti della famiglia ripresero e nel 1572 Simone, che era saliniere maggiore, fu condannato per eresia e perse l’ufficio. Cosı̀ Antonio, una volta divenuto maggiorenne, nel 1580, fu costretto a vendere il feudo ai Montaner; la sua discendenza decadde e nel corso del secolo XVII scomparve. Bonfill2 Famiglia algherese (secc. XVIXVII). Comparve nel corso del secolo XVI; i suoi membri furono ammessi allo Stamento militare nel 1537 e nel corso del secolo si imparentarono con altre famiglie nobili e tennero una posizione di rilievo; si estinsero nel secolo XVIII. Bonfill, Giovanni Vincenzo Scolopio (Castellaragonese, oggi Castelsardo, fine sec. XVI-?, metà sec. XVII). Uomo di buona cultura, insegnò per anni Teologia morale. Il suo nome è legato al trattato Canones conscientiae pubblicato prima del 1650, ma che secondo alcuni studiosi è da attribuire al gesuita Gavino Carta di Sassari. Bonfis, Emilio = Bacaredda, Efisio1 Bongino, Antonio Avvocato piemontese (sec. XVIII). Entrato nella pubblica amministrazione, divenne funzionario della Segreteria di Stato e di Guerra. Mandato in Sardegna, ricoprı̀ l’incarico di intendente delle miniere e di primo ufficiale della Segreteria di guerra. Nel 1758 fu nominato intendente generale per la Sardegna, incarico che ricoprı̀ fino al 1761. Di lui si conosce una documentata Relazione di vari progetti sopra diverse materie che riflettono la Sardegna, pubblicata da Luigi Bulferetti in Il riformismo settecentesco in Sardegna, 1966. Bonifacio VIII Papa dal 1294 al 1303 (Anagni 1235-Roma 1303). Appena eletto, si ritrovò a dover risolvere i problemi connessi con la guerra del Vespro. Ormai erano trascorsi undici anni dall’inizio della guerra e si pen- 621 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 629 Bonifacio VIII sava sempre più concretamente alla necessità di porre fine alle ostilità attraverso la diplomazia. Intanto Giacomo II d’Aragona si era reso conto della impossibilità di mantenere la Sicilia e si cercava in ambito diplomatico una possibile compensazione alla sua rinuncia all’isola. Bonifacio VIII – Nell’aprile del 1297 ‘‘inventò’’ il Regnum Sardiniae et Corsicae e lo diede in feudo a Giacomo II d’Aragona. Un progetto aragonese datato Tarazona 26 agosto 1293 prevedeva, in cambio della restituzione della Sicilia, la cessione a Federico d’Aragona, fratello di Giacomo, del Regno di Sardegna attraverso un dono della Chiesa. L’8 maggio dell’anno successivo un messo aragonese, di ritorno da un colloquio con i cardinali Colonna presso la Curia romana, riferiva che a parere loro Carlo II d’Angiò e Giacomo II d’Aragona avrebbero dovuto invadere la Sardegna per poi cederla a Federico di Sicilia, che a quel punto avrebbe lasciato la Sicilia per occupare la Sardegna, mentre la Sicilia sarebbe andata finalmente a Carlo II d’Angiò. Durante queste trattative la Sede apostolica era vacante e questi progetti venivano elaborati sostanzialmente in ambito laico tra la Casa di Francia e quella di Aragona. Ma la stessa natura del problema, la risoluzione cioè di un conflitto con il quale si era sottratto alla legittima proprietaria, la Sede apostolica, il diritto sulla Sicilia, ne implicava il necessario coinvolgimento nelle trattative e la sua approvazione degli accordi. Il progetto di Giacomo II di ottenere dalla Sede apostolica la Sardegna rimase tale anche dopo l’elezione di B. VIII e il 17 marzo del 1295, inviando suoi rappresentanti a Roma per iniziare le trattative di pace che si sarebbero poi rivelate risolutive con i trattati di Anagni del giugno, l’Aragonese prospettava ancora una volta la possibilità che l’isola venisse concessa dalla «Esglesya de Roma» a Federico che avrebbe dovuto sposare la figlia di Carlo II d’Angiò e possedere «la dita terra per la dita Esglesia». Durante le trattative il pontefice aveva pensato ai fini principali dell’incontro di Anagni, cioè la risoluzione della guerra del Vespro, la restituzione dei legittimi diritti sulla Sicilia alla Sede apostolica, nonché a cercare di trasformare il re aragonese in un alleato anche in prospettiva di una nuova crociata e aveva perciò accettato di lasciare libertà di iniziativa ad Angiò e Aragona nel decidere quali fossero le soluzioni più opportune per il riordino della situazione nel Mediterraneo occidentale; per questo B. avallò e confermò tutti gli accordi che tra le due parti erano stati presi circa le isole e, nominando nel gennaio dell’anno successivo Giacomo II gonfaloniere, ammiraglio e capitano generale della Chiesa, già faceva riferimento agli impegni che lo stesso re d’Aragona avrebbe dovuto prendere successivamente «pro regno Sardinie et Corsice ab eadem Ecclesia sibi concedendo». La bolla di infeudazione del Regnum Sardiniae et Corsicae da parte di B. VIII a 622 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 630 Bonifacio VIII favore di Giacomo II d’Aragona fu emessa il 4 aprile 1297. Posto «super reges et regna», il papa nell’incipit del documento affermava il suo diritto assoluto «non solo nel sopprimere i regni o nel trasferirne le rispettive corone da un titolare all’altro, ma anche nel crearne di nuovi per consegnarli a figli devoti della Chiesa»; eppure, l’innegabile elemento di novità giuridica che risiedeva nella denominazione del regno che, almeno con quel preciso nome, ‘‘nasceva’’ nel momento della promulgazione della bolla, veniva fortemente limitato dall’affermazione contenuta nella bolla stessa con la quale si diceva che il «regnum Sardinie et Corsice» era «iuris et proprietatis» «ipsius Ecclesie [Romane]». Il pontefice, dunque, non riteneva di fare altro, evidentemente, che unire in una nuova entità istituzionale da quel momento resa indissolubile, dando loro una veste o una forma giuridica nuova, due res (le isole di Sardegna e Corsica, appunto) che riteneva appartenere alla Sede apostolica e le concedeva «in perpetuum pheudum» al devoto figlio Giacomo d’Aragona. Che pertanto B. VIII non intendesse con l’espressione Regnum Sardiniae et Corsicae una «entità giuridico-istituzionale astratta» composta «non dal territorio ma dal nome delle due isole», ma che basasse il proprio diritto a infeudare le due isole sui giuramenti di fedeltà alla Sede apostolica prestati dai giudici e accumulati dai suoi predecessori, e concretamente le due isole, è testimoniato anche da una lettera del 9 dicembre del 1301 dell’abate di Foix a Giacomo II d’Aragona con la quale questi faceva presente al proprio re che il pontefice, contrario a un accordo tra Aragona e Arborea per una spartizione dell’isola, era «paratus hostendere per testamentum iudicis Guilelmi [di Arborea (1250- 1264)] quod iudicatus pertinebat nullo medio ad Ecclesiam Romanam et per consequens ad vos, propter donationem vobis factam». Per il papa, dunque, le singole istituzioni presenti sull’isola, il cui supremo diritto risiedeva comunque nelle mani della Sede apostolica oppure non esisteva affatto, avrebbero dovuto essere assorbite e cancellate dalla nuova forma del Regnum Sardiniae et Corsicae con il quale però si dava solo una nuova veste istituzionale a un concetto, quello della appartenenza alla Sede apostolica delle due isole mediterranee, vecchio di più di due secoli per la Corsica e di ben più d’un secolo per la Sardegna. & LA CONTESTAZIONE DEI DIRITTI Le affermazioni di papa Caetani riportate dal de Foix erano contenute in un documento la cui lettura dà l’attestazione non solo dell’ovvio convincimento del papa sulla legittimità dei diritti concessi a Giacomo e sulla sua assoluta volontà che il sovrano esercitasse direttamente il potere conferitogli su tutto il regnum, ma dà lo spunto all’analisi degli inevitabili problemi sorti dalla concessione dei diritti feudali sulle due isole compiuta dal pontefice. Già a seguito dell’infeudazione, infatti, il 4 ottobre 1297 i Pisani avevano mandato, evidentemente preoccupati, un’ambasciata a Giacomo, con la quale cercavano di instillargli il dubbio sulla legittimità della concessione pontificia; ma questi, due mesi dopo, rispose perentoriamente e per nulla intimorito che la Sede apostolica, «quod ad ius et proprietatem [...] spectabat», gli aveva concesso il «regnum Sardiniae», «absque alicuius preiuditio» – con ciò stesso affermando che i Pisani, pur potendo vantare vari diritti in Sardegna, non potevano vantarne alcuno sulla Sardegna – e che su tale 623 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 631 Bonifacio VIII concessione egli non intendeva «in aliquo derogare». E che, per quanto con la dovuta prudenza, il sovrano aragonese non avesse alcuna intenzione di derogare ai suoi diritti e che volesse procedere a esercitarli concretamente è attestato dai contatti diplomatici che egli condusse sia con Pisa che con l’Arborea a partire dall’indomani della concessione e che lo avevano portato nel 1301 a inviare al giudice di Arborea Giovanni de Bas, che forse Giacomo riteneva allora più malleabile dei Pisani, un’ambasciata con la quale gli ordinava di sottomettersi a lui «tanquam regi». La reazione del giudice fu diversa da quella che Giacomo si sarebbe dovuto legittimamente aspettare, visto che questi affermò sprezzante che egli e la sua famiglia si erano conquistati il giudicato con la spada e con la spada si sarebbero difesi da chi avesse cercato di portarglielo via. Il re aragonese non aveva in quel momento intenzione di iniziare una guerra contro l’Arborea, perché probabilmente era a conoscenza del fatto che Giovanni aveva chiesto aiuto ai Pisani in caso di un attacco degli Aragonesi. Fu questo temporeggiare del re aragonese che spinse B. VIII a pronunciarsi nel modo che si è visto contro qualsiasi possibilità di accordo che prevedesse delle concessioni da parte dell’Aragona all’Arborense, esortando anche Giacomo a essere più deciso e a recarsi con «duobus militibus tantum» in Sardegna, dove il giovane giudice, che «nichil valet», non avrebbe, secondo il Caetani, saputo opporgli resistenza. Le parole del pontefice dovevano servire non solo a rimproverare Giacomo per il suo atteggiamento che per un uomo della personalità di B. VIII doveva apparire quanto meno rinunciatario, ma dove- vano servire anche da esortazione ad agire presto e avrebbero dovuto rassicurarlo circa la sua ferma volontà di confermare al re aragonese i diritti sulla Sardegna, anche perché, a causa delle divisioni interne alla Curia romana, si cercava da più parti con cavilli giuridici di dimostrare la non validità della bolla di infeudazione, nella quale non erano presenti le firme del Collegio cardinalizio. & LA POLITICA DI BONIFACIO VIII E DEI SUOI SUCCESSORI La volontà di papa Caetani non cambiò per tutto il tempo del suo pontificato, durante il quale cercò di favorire l’elezione, presso le sedi episcopali dell’isola, di persone non legate ai comuni di Pisa e Genova. Questa volontà forse si rafforzava proprio nei primi giorni del dicembre 1302, quando prendeva drammaticamente forma lo scontro con la casa di Francia, convincendolo della necessità di appoggiarsi ancor più all’Aragona e di chiudere definitivamente la via del Mediterraneo agli Angiò. Per quanto la Corona non poté mai rappresentare una forza alla quale la Sede apostolica potesse «ricorrere per tentare di ripetere con la dinastia francese l’esperienza fatta con gli Svevi», papa Caetani riconfermò il proprio favore alla casa di Barcellona due anni più tardi quando il 20 aprile del 1303, su richiesta di Giacomo II, concesse per tre anni le decime per la conquista del Regnum Sardiniae et Corsicae al re aragonese, nominando contemporaneamente il vescovo di Valencia legato apostolico nel regnum «col compito di indurvi ecclesiastici e laici a riconoscere re Giacomo». Il privilegio riguardante la decima prevedeva tuttavia una clausola che non facilitava la sua attuazione, essendo condizionato a che la maggior parte dei prelati dei regni della 624 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 632 Bonifiche Corona fossero d’accordo sulla esazione, e le successive disposizioni pontificie, prese entro il 9 maggio dello stesso anno, con le quali si stabiliva che i collettori della decima, i vescovi di Vich e Saragozza, consegnassero al più presto il denaro al vescovo di Valencia che lo avrebbe immediatamente dovuto devolvere al proprio re, rimasero, forse, solo sulla carta, vista la improvvisa morte di B. VIII e la necessità da parte degli ambasciatori del re di farsi rinnovare le concessioni dal nuovo pontefice. Fulda, da lui fondata nel 743. [ADRIANO VARGIU] Bonifiche Complesso di operazioni necessarie a rendere una terra capace di produrre, liberandosi da condizioni pericolose (per esempio, in Sardegna e altrove, le paludi e gli acquitrini), e di ospitare l’uomo. Bonifacio, padre (Lorenzo Salice) Pittore (Provaglio Val Sabbia 1916-?, 2003). Completò i suoi studi a Parma e a Bologna, dove fu allievo di Lilloni e di Morandi. Entrato nell’ordine benedettino divenne monaco, ma continuò a dipingere, imponendosi per il suo modo elegante e comunicativo di esprimersi e perché seppe legare la propria attività artistica a quella spirituale. Trasferito in Sardegna presso l’abbazia di San Pietro di Sorres, aprı̀ il suo studio a molti giovani pittori sardi facendo loro da maestro nell’arte e da guida spirituale. Bonifacio, san (in sardo, Santu Bonifaciu, Santu Bonifaziu) Santo (Devon, Inghilterra, 680 ca.-?). Culto diffuso dai Benedettini. Nell’Episcopio di Sassari si conserva l’Epigrafe di San Bonifacio (1268), riferita a una chiesa dedicata al santo, che sorgeva nell’area urbana, ora distrutta. Nacque nella contea di Devon, nell’Inghilterra meridionale. A cinque anni decise di diventare benedettino; sacerdote (710), vescovo delle Germanie e metropolita delle terre oltre il Reno, legato papale (738), arcivescovo di Magonza (747), organizzò la Chiesa fr anca. Soprannomi nato l’‘‘apostolo della Germania’’, fondò molte abbazie. Insieme con cinquantadue compagni riposa nell’abbazia di Bonifiche – Arborea. La palazzina della direzione della Società Bonifiche Sarde che realizzò la trasformazione e la messa a coltura della vasta piana di Su Sassu. & DAI SAVOIA ALLA FINE DEL SETTECENTO Fino alla seconda metà dell’Ottocento la Sardegna non ha conosciuto nessun intervento che possa essere in qualche modo assimilato alle grandi opere di risanamento e valorizzazione del suolo avviate altrove (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) tra il secolo XI e il XIII con il sorgere dei Comuni e l’emergere di una economia di scambio tra città e campagna. Tagliata fuori dalle nuove, vivaci correnti di traffico alimentate dalle manifatture e dai commerci, la Sardegna non era stata investita dalle trasformazioni impresse dal moto dinamico dell’agricoltura; e aveva visto, invece, espandersi la pastorizia brada e rafforzarsi, sotto il dominio aragonese e spagnolo, il sistema di agricoltura comunitaria conosciuta col nome di vidazzone e paberile (colture alternate a pascolo), mentre la bassissima densità della popolazione delle campagne non spingeva in direzione di una migliore 625 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 633 Bonifiche utilizzazione dei terreni coltivabili. Cosicché nella seconda metà del Settecento, quando in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale gli interventi bonificatori delle autorità statali, stimolati dalla nuova proprietà fondiaria borghese, ponevano le basi per una più razionale valorizzazione del suolo attraverso la regolamentazione delle acque, la regimazione dei corsi fluviali, il prosciugamento delle zone palustri, l’estensione della rete irrigua, le sistemazioni di piano, nella Sardegna piemontese sono gli incentivi per la messa a coltura delle terre attraverso la colonizzazione (isola di San Pietro, Montresta) e la concessione ai proprietari della facoltà di ‘‘chiudere’’ le terre a esaurire quasi completamente l’iniziativa del governo sabaudo tra il 1771 e il 1820, quando viene emanato l’editto ‘‘sopra le chiudende’’. Ma né queste leggi, né quelle eversive della feudalità, che portarono alla formazione della proprietà perfetta della terra, riuscirono a far emergere un ceto medio agricolo che ponesse mano a interventi di miglioria fondiaria e a opere di trasformazione agraria. Cosı̀ nessuna opera di bonifica pubblica e privata era venuta ad arrestare il processo di ristagno idrico, favorito dall’irregolarità delle precipitazioni e dalla natura impermeabile dei suoli. Ai primi dell’Ottocento gli stagni coprivano 18 965 ha nelle pianure basse e lungo le strisce di terra a ridosso del mare. & L’OTTOCENTO Su quelle fonti endemiche di malaria si era appuntata per tutto il secolo XVIII l’attenzione di studiosi dei problemi dell’agricoltura come Francesco Gemelli, che nel suo Rifiorimento della Sardegna (1776) richiamava le autorità governative alla necessità di un vasto piano di risanamento idraulico che avesse ragione della temutissima ‘‘intemperie’’: «Dalle stagnanti acque trae sovente altrove e in più luoghi della Sardegna origine la infezione dell’aere. Scolinsi dunque, e si derivin l’acque e avrem l’aere ripurgato». Ancora cinquant’anni dopo, l’ingegnere piemontese Gio. Antonio Carbonazzi, incaricato dal governo sabaudo di un piano particolareggiato di opere stradali, ritorna sull’argomento da un più alto livello di competenza tecnica: «In Sardegna le acque scorrono come possono e dove possono senza mai che l’uomo sia venuto in aiuto della natura. In molti siti le acque sono costrette a perdersi nello strato permeabile e a formare conserve sotterranee di acqua che a poco a poco sono poi recate nell’atmosfera sotto forma di vapori mercé l’azione dei cocenti raggi del sole nei mesi di luglio e di agosto. E queste conserve di acque sotterranee sono in tanto maggior numero in quanto non si pensò mai ad aprire in mezzo a quelle vaste campagne verun fosso colatore. Questa è una delle più potenti cause della malaria estiva e autunnale; imperocché i vapori acquei che attraversano un suolo eminentemente fertile, quasi ovunque di terre vulcaniche sovrapposte ai depositi marini, necessariamente devono sollevare miasmi deleteri». Ma l’opera di inalveazione e arginamento delle acque a valle (con cui si scontreranno gli interventi di bonifica in Sardegna e nel Mezzogiorno nel primo cinquantennio unitario) non aveva nessuna possibilità di riuscita se non si interveniva prima ‘‘a monte’’ sulle falde imbrifere e sui piani disboscati, da cui la violenza delle piogge strappava sabbia e pietrisco che dai pendii precipitavano rovinosamente a valle travolgendo campi coltivati e case; Maurice Le Lannou, descrivendo il fenomeno, lo definiva ‘‘una catastrofe’’: «Dappertutto in Sardegna una delle piaghe più temute è l’arrivo su un campo coltivato o su un pascolo 626 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 634 Bonifiche d’una massa di materiali pesanti, sabbie, ghiaie, talvolta persino ciottoli, strappati dalla pioggia a un pendio vicino. Il Flumendosa, certi anni, ha ricoperto quasi completamente la fertile piana in cui si svolge il suo corso inferiore con un manto di ghiaia di parecchi centimetri. Ma più frequenti sono le invasioni di piccola entità, limitate a poche are di terreno, temibili dappertutto, dovunque ci siano superfici pianeggianti ai piedi di pendii marcati». Ma per quanto non mancasse, già nella prima metà dell’Ottocento, qualche voce autorevole che, avendo presente questa realtà, insisteva sulla necessità di un intervento più complessivo e globale, l’acquisizione tarderà ancora parecchi decenni a farsi strada nella legislazione. I pochi interventi del governo piemontese, ‘‘mirati’’ sulla Sardegna meridionale dove più grave era il disordine idrico, non modificarono quindi il quadro all’approssimarsi dell’unificazione politica. Era infatti ancora al primissimo stadio (i primi concessionari avevano lasciato il posto al marchese Pallavicini di Genova) la bonifica di Sanluri-Samassi (2300 ha) che può essere considerata la primissima esperienza di bonifica in Sardegna. Concessa da Carlo Alberto a tre imprenditori francesi che si erano assunti, in cambio della proprietà delle terre, l’impegno di prosciugarle e di conquistarle alla produzione agricola con l’introduzione di colture industriali quali il tabacco e la barbabietola da zucchero, essa era andata avanti faticosamente, ostacolata dall’ambiente fisico e dall’ostilità dei contadini, che nel 1847 avevano invaso addirittura la concessione ‘‘Vittorio Emanuele’’. Mentre era stata realizzata la deviazione delle acque della zona di Pula, rimaneva a livello di progetto l’arginamento del Tirso, su cui si concentrerà l’attività bonificatoria del fascismo. Del tutto isolata era rimasta invece l’iniziativa del comune di Paulilatino, che aveva intrapreso e portato a termine l’opera di prosciugamento della vasta palude di Paule Manna dell’estensione di 120 ha. & LA LEGISLAZIONE SPECIALE All’indomani dell’Unità i tre grossi nodi dell’agricoltura sarda (siccità, inondazioni, malaria) sembravano ancora imporre la sistemazione idraulica come l’intervento più urgente e anche più complesso. Dato il bassissimo livello sul mare, il prosciugamento della maggior parte degli stagni, che coprivano migliaia di ettari di terra, non poteva essere effettuato che con il sollevamento meccanico delle acque; mentre le opere di difesa dalle inondazioni, per essere davvero efficaci, avrebbero dovuto assicurare l’arginamento dei corsi d’acqua perenni e a carattere torrentizio che percorrevano in lungo e in largo la Sardegna (il Tirso, il Flumendosa, il Manno, il Temo, il Cedrino, il Coghinas). Né rappresentavano interventi di più modesta portata la sistemazione irrigua e la distribuzione delle risorse idriche (qualcosa come sette miliardi di m3 d’acqua andavano perduti annualmente, stando ai calcoli effettuati da Angelo Omodeo ai primi del Novecento), che convenientemente raccolte avrebbero potuto assicurare l’irrigazione di 200 000 ha di terra conquistabili a un’agricoltura intensiva nelle pianure della Sardegna occidentale e in quelle meno estese della parte orientale. Ma un piano di risanamento di queste dimensioni non poteva certo essere affrontato dai proprietari ai quali lo Stato, secondo la dottrina liberale, assegnava tutti gli oneri nel campo della valorizzazione del suolo, intervenendo solo laddove l’iniziativa privata era totalmente assente; e solo per alcune opere, giacché il peso dei prosciugamenti e delle migliorie ri- 627 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 635 Bonifiche cadeva interamente sui privati. Le cose non migliorarono quando la legge Baccarini (1882) intervenne a introdurre l’innovazione dell’intervento statale per le b. idrauliche perché esso fu rigorosamente circoscritto alla lotta antimalarica. Non solo: anche in questo caso, classificato come ‘‘bonifica di prima categoria’’, ricadeva sullo Stato solo la metà della spesa, mentre i comuni, le province e i proprietari erano tenuti a concorrervi per un quarto. Per le altre b. ‘‘di seconda categoria’’ privati e consorzi avrebbero dovuto accollarsi la spesa per intero, a meno che non si trattasse di opere di rilevante interesse pubblico, per le quali era previsto un concorso alla spesa del 30% da parte dello Stato. Un impegno finanziario cospicuo, dunque, che né le Province né (tanto meno) i comuni sardi, afflitti quasi tutti da problemi di bilancio, erano in grado di affrontare. Per non parlare dei proprietari (e non solo dei piccoli e dei medi, stremati dal peso delle imposte), poco disposti ad accollarsi una quota di spesa cosı̀ elevata per opere di cui non erano chiari gli esiti in termini di incremento del reddito agricolo. Le leggere modifiche introdotte dalle leggi successive (1886 e 1893) nel riparto della spesa e nella classificazione delle opere non crearono condizioni più idonee all’attività bonificatoria di privati e di Enti. Osservava a questo proposito Francesco Pais Serra nella sua Relazione dell’inchiesta sulle condizioni economiche e della sicurezza pubblica in Sardegna: «Il dire ai proprietari che si trovano nella condizione di non poter coltivare, non poter produrre, non poter vendere utilmente i prodotti; ove il fisco è costretto ad usare della dura legge di confisca per debito d’imposta; ove, come si è visto, il capitale se risparmiato diminuisce, e si incomincia ad intaccare il capitale già ri- sparmiato; il dire, ripeto ai proprietari e anche, almeno in parte, ai Comuni ed alle Province ‘‘si faranno i lavori quando voi pure, anno per anno, concorrerete nella spesa’’ è quanto dire ‘‘le leggi di difesa idraulica, di bonifica e di irrigazione, le abbiamo fatte e sono state dettate a benefizio dell’Italia, esclusa la Sardegna!’’». Certo non mancarono del tutto le iniziative dei grandi proprietari che tra gli anni Sessanta e Novanta di quel secolo portarono avanti importanti opere di bonifica di stagni e paludi nelle situazioni meno difficili, dove cioè la colmata o lo scolo naturale si dimostravano misure sufficienti ad assicurare risultati operativi e tangibili come nel caso degli stagni di Paule Monserrato (ea 125) e di Pauli Simatzis (ea 85) completamente prosciugati e bonificati. Mentre alcuni privati, per lo più forestieri (i conti Maffei, le famiglie Piercy e Sulliotti) diedero inizio alla trasformazione agraria nella Nurra (La Crucca), nell’agro tra Macomer e Bolotana e nel campo del Coghinas. Nel frattempo l’esigenza di un coordinamento delle opere di bonifica (sistemazioni a monte e a valle, rimboschimenti) aveva cominciato a imporsi alla classe dirigente e all’intellettualità tecnica e aveva orientato, in qualche misura, gli indirizzi della legislazione nell’età giolittiana, come dimostrano le leggi speciali del 1897, 1902, 1907, meglio conosciuta, quest’ultima, come ‘‘legge Cocco Ortu’’, che prevedeva un intervento più complessivo e globale comprendente il rimboschimento, la sistemazione idraulica e la bonifica di cinque bacini idrografici: Campidano di Cagliari, 4500 ha; Santa Gilla 2500 ha; Campidano di Oristano, 5000 ha; Valle del Cedrino, 900 ha; Campo del Coghinas, 2500 ha. & LA BONIFICA DEL TIRSO Ma intanto dalla fine dell’Ottocento il panorama generale era cambiato completamente, 628 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 636 Bonifiche in coincidenza con lo sviluppo industriale e con il progressivo (e magari distorto) inserimento del Paese nella formazione economica capitalistica. E due nuovi fattori di equilibrio erano intervenuti a neutralizzare gli effetti delle leggi speciali: lo sfruttamento mercantile del legname e lo sviluppo dell’allevamento ovino (22% in più tra il 1881 e il 1908), che combinava la distruzione della vegetazione forestale con il denudamento del substrato fertile delle pendici collinari e montane dovuto al sovraccarico del bestiame. Cosicché il progresso della legislazione sulle b. nel primo quindicennio di questo secolo che, pure, portò a un allargamento degli interventi a carico dello Stato (rimboschimenti, viabilità, rinsaldamento delle pendici) e all’affermazione del principio che al risanamento dei terreni acquitrinosi dovesse seguire la bonifica agraria a carico dei proprietari, riuscı̀ a incidere solo marginalmente e in alcune zone circoscritte alla Sardegna meridionale, dove la bonifica di alcuni stagni portò al recupero di 2035 ha di terra. Sarà proprio quest’area il centro d’espansione dell’attività bonificatrice nei successivi decenni nei quali le vicende della bonifica si intrecciano strettamente con quelle elettriche. Spinti da una legge del 1913 «portante provvedimenti relativi alla costruzione di serbatoi e laghi sul Tirso e sul fiume Sibari» (che autorizzava il governo a concedere per la durata di sessanta anni la costruzione e l’esercizio di invasi e laghi artificiali sul fiume Tirso con diritto di precedenza per la domanda che avesse presentato il maggior coordinamento tra interventi a fine energetico e irriguo) gli elettrici e i bancari (Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali, Banca Commerciale Italiana) avevano concentrato il loro interesse sulla Sardegna come area d’in- vestimento di capitali sulla scorta di uno studio condotto nel 1911-12 da due dei più eminenti tecnici agricoli del tempo, Arrigo Serpieri e Vittorio Alpe, che avevano posto in rilievo le enormi possibilità di sviluppo legate alla trasformazione irrigua del Campidano di Oristano, una volta realizzato l’invaso delle acque del Tirso. Quella che doveva essere la prima, vera grande opera di bonifica in Sardegna partirà solo nel primo dopoguerra col sostegno di una serie di leggi varate tra il 1916 e il 1922, che disegnavano a larghe linee un progetto di sistemazione idrogeologica e di trasformazione di una vastissima parte del territorio meridionale. Rompendo decisamente con gli schemi precedenti di intervento esse introducevano due innovazioni di grande rilievo: l’istituto della concessione a società e imprenditori privati (che subentravano allo Stato) per le opere idrauliche di prima categoria; e la facoltà alle società concessionarie di proseguire anche con l’esecuzione della bonifica agraria attraverso l’esproprio con indennizzo ai proprietari dei terreni interessati. Con l’acquisto di 9000 ha di terra la Società Bonifiche Sarde, costituita nel 1918 dalla Società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso, otteneva, nel 1921, la concessione della bonifica di ‘‘Terralba Stagno di Sassu e adiacenze’’ (decreto ministeriale 1º dicembre 1921 n. 5340/5705) che abbracciava un comprensorio di 18 000 ha. Ma alla fine del primo ventennio del secolo questo progetto di bonifica (che passerà attraverso il fascismo per proseguire nel secondo dopoguerra) non contribuiva ad attenuare il negativo bilancio delle opere realizzate in Sardegna dallo Stato in un sessantennio di vita unitaria: l’isola, la cui superficie territoriale corrisponde alla tredicesima parte di quella nazionale, aveva nel 1922 meno di un trentaseiesimo del 629 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 637 Bonifiche totale delle superfici bonificate a partire dal 1870; mentre l’investimento unitario (£/ea) corrispondeva a poco più di un terzo della media nazionale. & IL VENTENNIO FASCISTA Questa sfavorevole situazione di partenza rappresentò per tutto il ventennio fascista il più valido strumento di propaganda del regime. Al modesto e disorganico intervento bonificatorio dello Stato liberale veniva infatti contrapposto il massiccio impegno del fascismo in direzione della bonifica. Nei primi anni Trenta, con l’affermarsi, nella legislazione, del concetto di bonifica integrale, quasi un terzo della superficie territoriale della Sardegna si trovò, almeno sulla carta, a essere classificata in comprensori. Quelli soggetti a trasformazione fondiaria abbracciavano ben 725 000 ha distribuiti in questo modo: Campidano di Oristano, 125 000 ha; Campidano di Cagliari, 145 000 ha; media valle del Coghinas e territori limitrofi, 35 000 ha; Nuoro, 420 000 ha. Mentre le b. idrauliche di prima categoria interessavano 84 197 ha distribuiti tra le province di Sassari e di Cagliari: CAGLIARI Sanluri, Marmilla, Senorbı̀ e paesi della Trexenta, Tuerra di Teulada, Decimoputzu, Palude di Sitzamus, Villa d’Orri, Paludi del Campidano di Oristano, stagno di Benetudi e Is Renas, Terralba e stagno di Sassu, Stagni di S. Gilla, Pauli Fenu, Stagno Sa Masa, Porto Vesme, Porto Pino, Stagno dei Pescetti e Vovaqua, Basso Flumendosa, Rio Palmas Suergiu, Rio Mannu di Fluminimaggiore. SASSARI Piscina Leccari, Platamona, Lughia, Scribis, Paludi Puzzinosi, Bachili, Stagnola, Pischina Manna, Macciadosa, stagno di Genano, Santa Barbara, Terreni latistanti i rii Ertas e Pauledorzu, stagno di Calik, Imbarcador e Sant’Imbenia, bassa valle del fiume Padrongianus in comune di Terranova, correzione del Coghinas. Di fatto la ‘‘geografia’’ delle b. nel periodo tra le due guerre mostra che gli interventi si concentrarono sulle pianure (i Campidani di Cagliari e di Oristano nella Sardegna meridionale e la Nurra nella Sardegna settentrionale) seguendo le aree servite dai grandi invasi (il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas), precisamente quelle che nel secondo dopoguerra avrebbero conosciuto il più intenso sviluppo agricolo. Nel resto della Sardegna, la parte dell’osso, la bonifica integrale sfiorò appena le migliaia di ettari di pascolo montano abbandonato agli effetti devastanti del disboscamento, dell’erosione e franamento dei pendii. I dati ufficiali sullo stato di avanzamento dei lavori di bonifica in Italia nel 1942, forniti dalla Commissione Agricoltura dell’Assemblea costituente, danno, per la Sardegna, questo significativo quadro: Superficie classificata, 887 165 ha; non ancora iniziata, 622 963 ha; con lavori in corso, 145 541 ha; con opere pubbliche ultimate, 118 661 ha; con trasformazione fondiaria ultimata, 47 036. Sul 70% della superficie classificata in comprensori, quindi, la bonifica non era ancora iniziata; mentre la trasformazione fondiaria aveva interessato il 5% appena della superficie classificata in comprensori, a cui avevano concorso quasi esclusivamente società private ed enti diversi dai consorzi dei proprietari: la Società Bonifiche Sarde per 18 000 ha (Bonifica di Terralba); l’Ente Ferrarese di Colonizzazione per 11 000 ha (Bonifica della Nurra); l’Opera Nazionale Combattenti per 2300 ha (Bonifica di Sanluri). & I RISULTATI Nonostante l’esiguità delle b. realizzate rispetto a quelle programmate, il bilancio conclusivo di quella che è stata definita «la più intensa e significativa esperienza legislativa e organizzativa dell’agricoltura ita- 630 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 638 Bonifiche liana» non è del tutto negativo. Non solo sotto l’aspetto qualitativo, ma anche sotto quello quantitativo niente di simile era stato mai realizzato nella storia precedente della Sardegna. La correzione del Tirso e del rio Mògoro, il prosciugamento dello stagno di Sassu (2300 ha), la bonifica della Nurra e della vasta distesa pianeggiante compresa tra lo stagno di Sassu, l’alveo del rio Mogoro e il golfo di Oristano, la realizzazione di chilometri di canali di scolo e di strade di bonifica, di opere di arginatura e di importanti infrastrutture di irrigazione; e ancora, il dissodamento e la sistemazione idraulica di parecchie migliaia di ettari di terra avevano portato, tra l’altro, al risanamento e al recupero di migliaia di ettari privi sino allora di ogni forma di coltura come la Nurra e il Campidano di Oristano dove la moderna impresa ad agricoltura capitalistica, impiantata dalla Società Bonifiche Sarde, sarebbe diventata, nel secondo dopoguerra, il più importante esempio di grande irrigazione dell’Italia centro-meridionale. Certo, sul piano agronomico, produttivo e sociale i risultati furono sicuramente deludenti. Se poco prima dello scoppio della guerra l’alternanza di pascolo e grano continuava a dominare le rotazioni agrarie, come avveniva da secoli, il rapporto terreni a pascolo/seminativi non aveva subito sostanziali modifiche rispetto al primissimo dopoguerra: i seminativi, che nel 1922 erano il 23%, nel 1938 erano passati al 55%, e i pascoli permanenti dal 24% al 50%. Ma il mancato scioglimento dei nodi fondamentali dell’arretratezza della Sardegna (malaria/spopolamento) dava la misura precisa del parziale fallimento della bonifica integrale in Sardegna. Non è qui il luogo di insistere sulle ragioni che impedirono il realizzarsi dell’intervento razionalizzatore dello Stato nell’agricoltura, prima fra tutte la resistenza della proprietà terriera; anche se non tutti i deludenti risultati della bonifica sono riconducibili all’assenteismo, al parassitismo e all’autoconservazione della proprietà terriera che in Sardegna (come in tutto il Mezzogiorno) riuscı̀, in buona parte, a evadere gli obblighi di attuazione delle opere di competenza privata. Prima che l’ipotesi ‘‘modernizzatrice’’ disegnata da Serpieri fosse sconfitta del tutto dalla resistenza organizzata della proprietà (il ‘‘Sottocomitato di Sassari’’ era uno dei più attivi all’interno dell’opposizione portata avanti dal Comitato promotore dei Consorzi di Bonifica in Italia meridionale e insulare, presieduto da Domenico La Cava, esponente della grande proprietà latifondista siciliana), era intervenuta ‘‘Quota novanta’’ e, subito dopo, la grande crisi a fiaccare anche i settori imprenditoriali dell’agricoltura, interessati a portare avanti le opere di trasformazione per le quali si era reso più difficile accedere ai finanziamenti dopo l’inaridimento dei canali creditizi predisposti a sostegno dell’iniziativa privata. E contemporaneamente l’attività bonificatrice del regime aveva subito l’impatto con l’ambiente fisico, con la natura particolare dei suoli, con le condizioni dell’idrografia e con le enormi difficoltà di recupero di un territorio su cui gravava una storia secolare di degradazione che le distruzioni e gli sconvolgimenti portati dalla guerra dovevano arricchire di un nuovo capitolo. & IL SECONDO DOPOGUERRA La storia delle b. nel secondo dopoguerra è strettamente influenzata da un evento che ha impresso una svolta decisiva alla vita economica e sociale della Sardegna: la definitiva eradicazione della malaria, ottenuta al termine di una vera e propria guerra le cui operazioni, condotte da un esercito guidato da tecnici 631 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 639 Bonifiche specializzati inviati dalla Fondazione Rockefeller, durarono quattro anni, dal 1946 alla fine del 1950. Se le b. idrauliche avevano avuto come obiettivo prevalente l’eliminazione del paludismo e della malaria; e se essa, nel colpire gli stessi lavoratori addetti ai lavori di bonifica, aveva frapposto un potente ostacolo al recupero delle aree malsane nel periodo tra le due guerre; ora la sua scomparsa apre nuove prospettive favorendo la nascita di nuovi insediamenti in zone fino allora spopolate perché troppo malariche. La ripresa dei lavori di bonifica avviene infatti proprio nel 1950. Un decreto legislativo del 1947 (31 dicembre, n. 1744), «Modificazioni alle disposizioni in materia di bonifica», aveva introdotto una classificazione delle b. in corso a tre livelli: comprensori di acceleramento nelle zone a ordinamento estensivo; comprensori di primo concentramento (A) nei quali le trasformazioni erano legate alle possibilità irrigue e comprensori di secondo concentramento (B) nelle aree dove i lavori erano già consolidati. In Sardegna i comprensori di acceleramento, che costituivano aree privilegiate per i finanziamenti pubblici, abbracciavano circa 51 000 ha già toccati dalla bonifica integrale fascista: Consorzio di bonifica di Chilivani, 23 124 ha; Campidano di Oristano (Consorzio di bonifica destra Tirso), 17 000 ha; Consorzio di bonifica del Campidano minore 10 800 ha. Saranno questi i centri di espansione dell’intervento pubblico statale e regionale a partire dal 1950, anno in cui fu emanata la legge di riforma agraria (Legge 12 maggio 1950, n. 230) a cui seguı̀ (27 aprile 1951) l’istituzione dell’ETFAS (=) e la Sezione speciale di riforma dell’Ente Autonomo del Flumendosa, che si fusero nel 1966. A quella data i centri di colonizzazione erano 12. Cagliari: Arborea, Carbonia, Castiadas, Oristano, Pula; Sassari: Alghero, Olbia (Liscia), Ozieri, Sassari; Nuoro: Laconi, Nuoro. Alla fine degli anni Sessanta l’ETFAS (dal 1966 Ente di sviluppo), che aveva iniziato la sua attività su un territorio di 101 000 ha, aveva realizzato un lago artificiale sul rio Cuga (Nurra); 2562 case coloniche, 1420 concimaie, 2272 stalle; una rete di acquedotti di 446 km; trivellazioni per un totale di 222 pozzi. La costruzione, in questi ultimi tre decenni, di grandi infrastrutture di bonifica e di irrigazione (che interessa 158 000 ha), il miglioramento fondiario, la riforma agraria hanno avuto ragione, infine, delle punte più drammatiche di degradazione del territorio, introducendo elementi di novità nella struttura fondiaria e nel paesaggio agrario. Liberata dai condizionamenti più pesanti, che nel passato avevano frenato lo sviluppo delle forze produttive, l’agricoltura sarda ha conosciuto nel frattempo alcuni fatti nuovi destinati a influenzare nel futuro gli indirizzi generali delle b.: l’esodo dalle campagne, la quasi completa scomparsa della pastorizia di transumanza, il miglioramento e l’irrigazione dei pascoli, la crescita del settore della pastorizia. Si apre ora un nuovo capitolo nella storia delle b.: quello degli interventi destinati da una parte a vincere (attraverso l’elettrificazione rurale, la rete idrica, i trasporti) le diseconomie esterne nella regione; dall’altra, a elevare le condizioni materiali di vita, il livello tecnico, economico e sociale di pastori e contadini; una ‘‘bonifica umana’’ senza la quale l’altra, la lunghissima opera di bonifica che nel corso di due secoli ha imbrigliato le acque e vinto la siccità, ricomposto il corso dei fiumi e prosciugato stagni e paludi, rinsaldato le pendici e moderato la forza erosiva delle acque, non sarà in grado di modificare il rapporto tra la terra e l’uomo. [EUGENIATOGNOTTI] 632 Enciclopedia della Sardegna – Volume 1 pag. 640