PIERO CAPELLI
GLI ANGELI SECONDO L’EBRAISMO
DEL SECONDO TEMPIO
1. Introduzione
Uno dei criteri in base ai quali l’ebraismo rabbinico scelse, tra la vasta letteratura religiosa ebraica antica, quali libri si dovessero considerare Sacra
Scrittura e quali no, fu proprio il ruolo che in queste
opere rivestono gli angeli. Presentati nella Bibbia
canonica come semplici portaordini di Dio (come
nel sacrificio di Isacco) o suoi tirapiedi per i compiti
più imbarazzanti (come nella distruzione di Sodoma), nei testi non canonici risalenti al periodo del
Secondo Tempio gli angeli appaiono come figure molto più complesse e importanti. Il loro ruolo
è alle volte tradizionalmente subordinato a quello
divino: possono essere latori del volere divino agli
uomini e delle preghiere umane a Dio, o sacerdoti
del suo culto spirituale nell’alto dei cieli, o esercito del bene in battaglia contro le forze del male
alla fine dei tempi (come nella Regola della guerra
dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre da
Qumran). Ma essi appaiono anche come detentori
di poteri sovrumani e magici che gestiscono autono-
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mamente su richiesta degli uomini, fino a diventare,
in alcuni casi documentati, essi stessi oggetti di culto. Il progresso degli angeli verso quell’autonomia
operativa, e anche poetica, che li caratterizzerà negli
gnosticismi e nei misticismi tardo-antichi e in tante
tradizioni fino alla modernità comincia in una tradizione ebraica risalente al Libro dei Vigilanti (IV
sec. a.e.v.): appunto quegli «angeli Vigilanti», il
cui nome significa «coloro che vegliano» (ebraico
‘irim, da ‘wr, «stare sveglio») e che sono anche i
pretoriani di Dio; alcuni di loro a Dio si ribellarono
per unirsi alle «figlie degli uomini» e farsi civilizzatori del genere umano, i Prometei del mito ebraico
antico che l’ebraismo rabbinico poi rifiutò.
La proliferazione e l’accresciuta importanza degli angeli nell’ebraismo del Secondo Tempio furono
prese in esame negli anni Trenta del secolo scorso
da Abraham Cohen, nel suo ancor oggi popolare
compendio della cultura talmudica, con una spiegazione che è un capolavoro di orientalismo – quell’esotismo del favoloso Oriente tipico dell’Occidente
nel periodo coloniale che è stato fatto oggetto di
brillante analisi e critica da Edward Said1. Secondo
Cohen, Dio, nella visione talmudica, non è trascendente ma immanente, «l’Universo è dovunque permeato della onnipresente Shechinah [sic!]». Donde
dunque la proliferazione degli angeli?
1
E. Said, Orientalismo (1978), tr. it. Feltrinelli, Milano 1991 (e
ristampe).
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L’orientale, col suo amore per il pittoresco e per i colori
smaglianti, si compiacque ad ampliare la sfera celeste,
fino a renderla piena e affollata. [...] Il motivo fondamentale della angelologia rabbinica non era certamente
quello di trovare intermediari fra Dio e il mondo, come
spesso si sostiene. [...] Il vero scopo di essa era la glorificazione di Dio. Nella sua esperienza di ogni giorno, il
popolo vedeva il sovrano del paese circondato dai più alti
onori e tenuto nella massima reverenza. Quanto più sfarzosa era la corte del monarca e più numeroso il seguito,
tanto maggiore era l’ammirazione che egli destava2.
La spiegazione di Cohen, per quanto ingenua, non è comunque da liquidare con un sorriso
e un’alzata di spalle, perché coglie un aspetto vero
del problema. Gli angeli, come scrive oggi Harold
Bloom, «non furono un’invenzione ebraica, ma
piuttosto tornarono da Babilonia insieme con gli
ebrei. Essi, alla fin fine zoroastriani, emergono da
una visione secondo cui tutta la realtà è una guerra
incessante tra il bene e il male»3, oltre che – va aggiunto in base a Cohen – dalla proiezione delle gerarchie umane e mondane nella sfera sovrumana e
oltremondana: l’angelo sta a Dio come l’uomo sta
al governante, il suddito al re.
Progressivamente – nonostante Cohen – l’angelo
assume la funzione di intermediario dell’azione di2
A. Cohen, Il Talmud (1932), tr. it. Laterza, Bari 1935 (rist. Forni,
Sala Bolognese 1979 e Laterza, Roma-Bari 2009), pp. 76-77.
3
H. Bloom, Fallen Angels, Yale University Press, New HavenLondon 2007 (tr. it. Angeli caduti, Bollati Boringhieri, Torino 2009), p.
55 (la traduzione dei passi citati in questo articolo è mia).
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vina. È seducente collegare questo fenomeno con il
crescere della distanza dai luoghi del potere politico
da cui la Palestina dipendeva. Ma dato che le dottrine angelologiche della Mesopotamia e della Persia si erano già sviluppate in epoche precedenti, è più
probabile – come ritiene Bloom – che l’angelologia
ebraica fosse un tratto culturale che gli ebrei acquisirono dai loro dominatori, o che comunque rispecchiasse la distanza, soprattutto psicologica, dei centri di potere di questi grandi imperi soprannazionali
rispetto alle periferie di conquista recente come la
Palestina. Quale che sia la ragione, assistiamo – con
buona pace di Cohen – a una trascendentalizzazione
dell’idea di Dio, che, nel trattamento sacerdotale
postesilico di testi biblici più antichi, viene sostituito da figure di mediatori. Si pensi per esempio alla
comparsa dell’angelo nel racconto della ‘aqedah,
dove è il Signore a ordinare il sacrificio di Isacco
(Gen 22,1), ma è il suo angelo a sospenderlo (22,1112)4. Nello sterminio dei primogeniti egiziani JHWH
agisce di persona (Es 12), mentre nella situazione
perfettamente analoga dell’assedio di Gerusalemme da parte del re assiro Sennacherib (705 a.e.v.)
è l’«angelo del Signore» che stermina nottetempo
l’esercito assediante (2Re 19,35). È la stessa “promozione” che tocca al satana in 1 Cronache rispet4
I titoli delle sezioni nella vecchia Bibbia CEI chiamavano ancora
«angelo» l’antagonista notturno di Giacobbe allo Jabboq (Gen 32), che
per il testo masoretico è un ’ish («uomo»), e che per la sostanza del
testo è Dio stesso (cfr. J. Miles, Dio. Una biografia [1995], tr. it. Garzanti, Milano 1996, pp. 90-91).
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to a 2 Samuele riguardo al censimento condotto da
Davide: «L’ira del Signore si accese di nuovo contro
Israele e incitò Davide contro il popolo in questo
modo: “Su, fa’ il censimento d’Israele e di Giuda”»
(2Sam 24,1)5 e «Satana insorse contro Israele e incitò Davide a censire Israele» (1Cr 21,1).
E ricordiamo che il satana è in origine null’altro
che un angelo della corte celeste, presso la quale assolve alla necessaria funzione di pubblico ministero, come nella cornice del libro di Giobbe.
2. Tre esempi: Zaccaria, Tobia e Giuda
A testimonianza della varietà di ruoli assunta
dagli angeli nel periodo del Secondo Tempio userò tre opere risalenti a quest’epoca: Zaccaria, libro
canonico dell’Antico Testamento; Tobia, deuterocanonico pure dell’Antico; e l’Epistola di Giuda, libro
canonico del Nuovo. Questo anche per mettere in
luce la labilità della distinzione tra testi canonici,
deuterocanonici e apocrifi, e tra Antico Testamento
e Nuovo: distinzioni del tutto irrilevanti quando si
parla di storia della religione e delle idee.
La prima visione, in Zaccaria, è spiegata al
profeta da un angelo, che gli riferisce il messaggio di Dio da trasmettere a Israele (Zc 1,14-17) e
nel contempo intercede a favore di Israele presso
Dio (1,12-13).
5
Ove non altrimenti indicato, la Bibbia è citata secondo la traduzione CEI del 2008.
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In Tobia, l’angelo Raffaele/Azaria (il cui nome
significa «Dio è medico/JHWH aiuta») conosce i poteri farmaceutici e magici delle parti del pesce onde
curare la cecità di Tobi e scacciare il demone Asmodeo che uccide i mariti di Sara (6,2-9.17; 11,7-8).
Egli inoltre riferisce a Dio le preghiere di Tobia e
Sara e le buone opere di Tobi e Tobia (12,12). Tobi
e Tobia, quando vengono a sapere che è un angelo,
hanno paura di guardarlo (12,16). Infine, egli esorta
Tobi e Tobia a rendere grazie non a lui stesso ma a
Dio (12,17-18). Veniamo inoltre informati che gli
angeli, ammessi senza anticamera direttamente alla
presenza divina, sono sette (12,15).
Nella pur brevissima Epistola di Giuda la dottrina angelologica ha un rilievo centrale e corrisponde precisamente a quella, più antica, della tradizione enochica:
– Dio «tiene in catene eterne, nelle tenebre, per
il giudizio del grande giorno, gli angeli che non
conservarono il loro grado ma abbandonarono la
propria dimora»6 (Gd 6, che riprende il mito degli
angeli ribelli secondo il Libro dei Vigilanti);
– angeli e arcangeli vengono dichiaratamente limitati nel loro potere e subordinati gerarchicamente
a Dio (come abbiamo visto in Tb 12,17-18) per porre
un limite alla diffusione del culto degli angeli nella
religiosità comune: «Quando l’arcangelo Michele,
in contrasto con il diavolo, discuteva per avere il cor6
Cito 1Enoch nella tr. di L. Fusella, in P. Sacchi (ed.), Apocrifi dell’Antico Testamento, I, UTET, Torino 1981, pp. 413-667.
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po di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive,
ma disse: “Ti condanni il Signore!”» (Gd 9)7;
– pure vengono ricordate le sette stelle che uscirono dalle loro orbite perché governate da angeli
ribelli secondo il Libro dei Vigilanti: «astri erranti,
ai quali è riservata l’oscurità delle tenebre eterne»
(Gd 13);
– sempre la tradizione enochica (qualificata addirittura come profezia) viene citata a proposito del
ruolo che gli angeli rivestiranno al fianco di Dio nel
giudizio finale: «Profetò anche per loro Enoch, [...]
dicendo: “Ecco, il Signore è venuto con migliaia e
migliaia dei suoi angeli”» (Gd 14).
3. Angeli nella letteratura enochica
Nella letteratura dell’Israele postesilico che non
divenne canonica è ampiamente documentata una
corrente di pensiero alternativa alla teologia deuteronomistica che si affermò come ufficiale di pari
passo con l’ascesa al potere del sacerdozio sadocita8. Questa corrente è identificabile con il movimen7
Vedi il parallelo in un frammento greco dell’apocrifa Assunzione
di Mosè conservato in una catena greca all’Epistola di Giuda: «Quando
Mosè morì sulla montagna, Michele fu inviato per trasferire il corpo.
Poiché il diavolo calunniava Mosè e lo chiamava assassino perché
aveva colpito l’egiziano, l’angelo, non tollerando la calunnia contro di
lui, disse al diavolo: “Che Dio ti rimproveri!”» (tr. mia da A.-M. Denis,
Fragmenta pseudepigraphorum Graeca, Brill, Leiden 1970 [con M.
Black, Apocalypsis Henochi Graece], p. 67; ringrazio Enrico Norelli
per la segnalazione del passo).
8
Cfr. P. Sacchi, Riflessioni sull’essenza dell’apocalittica: peccato
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to essenico di cui parlano, nel I secolo e.v., Filone,
Flavio Giuseppe e Plinio il Vecchio. Oggi si preferisce definirla «enochica» per il ruolo centrale che vi
assume il personaggio di Enoch, che riceve la rivelazione divina attraverso visioni ricevute in viaggi
celesti e la trasmette agli uomini. L’idea generativa principale del pensiero enochico consiste in una
concezione del male e della responsabilità dell’uomo che, come ora vedremo, è del tutto diversa da
quella esposta miticamente nella Genesi canonica.
3.1. – La più ampia collezione di testi enochici è
il cosiddetto Libro etiopico di Enoch (o 1Enoch), il
quale non è propriamente un libro, ma un pentateuco composto nel I secolo a.e.v. per giustapposizione
di cinque diversi libri preesistenti. Questo pentateuco è detto «etiopico» perché fu accolto nel canone
della Scrittura secondo la Chiesa copta d’Etiopia,
cui si deve l’unica versione completa superstite
dell’opera (in lingua ge‘ez). Ne conosciamo inoltre frammenti in aramaico da Qumran e in greco da
papiri egiziani, e diverse altre traduzioni cristiane
antiche, oltre a una ricca tradizione indiretta nella
letteratura cristiana fin dal I secolo, a partire dalle
citazioni nell’epistola canonica di Giuda.
La prima e più antica parte del 1Enoch (capp.
6-36) è il cosiddetto Libro dei Vigilanti, che risale
d’origine e libertà dell’uomo, in «Henoch» 5 (1983), pp. 31-58; G. Boccaccini, Oltre l’ipotesi essenica. Lo scisma tra Qumran e il giudaismo
enochico, Morcelliana, Brescia 2003, pp. 45-46.
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al periodo persiano (IV sec. a.e.v.)9 ed è quindi circa
contemporaneo alla redazione finale della Genesi.
Per spiegare la presenza dell’impurità e del male
nell’universo, il Libro dei Vigilanti ignora il peccato
di Adamo ed Eva (fuorché in una possibile interpolazione tarda in 32,6), mentre presenta un mito
duplice incentrato sulla ribellione degli angeli:
– secondo il primo mito, sette tra le stelle del
cielo, ossia gli angeli incaricati di controllarle (controllare e regolare il corso degli astri e quindi la
successione delle stagioni, i fenomeni e gli elementi
naturali, era compito angelico)10, si rifiutarono di
osservare le orbite che Dio aveva stabilito per esse
(cap. 18);
– nella seconda versione del mito, gli angeli Vigilanti si unirono alle «figlie degli uomini», generando così i Giganti, progenie mista e perciò impura
(cap. 19 – lo stesso motivo compare anche in Gen
6,1-4, ma in una versione appena abbozzata). Le
9
Cfr. J.H. Charlesworth, A Rare Consensus Among Enoch Specialists: The Date of the Earliest Enoch Book, in G. Boccaccini (ed.), The
Origins of Enochic Judaism, Zamorani, Torino 2002, pp. 225-234.
10
Cfr. 1Enoch 9,3; 15,2 (Libro dei Vigilanti); 60,17-22 (Libro delle
Parabole); 2Enoch 19,4; e frequentemente nell’Apocalisse, per es. 7,1
(«vidi quattro angeli, che stavano ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti, perché non soffiasse vento sulla terra, né sul mare,
né su alcuna pianta») e 14,15-18 («Un altro angelo uscì dal tempio,
gridando a gran voce a colui che era seduto sulla nube: “Getta la tua
falce e mieti; è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è
matura” [...] Un altro angelo, che ha potere sul fuoco, venne dall’altare
e gridò a gran voce a quello che aveva la falce affilata: “Getta la tua
falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le
sue uve sono mature”»).
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sette stelle, i Vigilanti e le donne che peccarono con
loro sono tutti puniti nel fuoco in un «luogo deserto» sito alla «fine del cielo e della terra» (18,12-14;
19,2). Le stelle vi rimarranno per un tempo indeterminato, mentre gli angeli solo fino al giudizio
finale, dopo il quale bruceranno per l’eternità in un
luogo ancor «più tremendo» (21,7-10).
Secondo il duplice mito enochico, la trasgressione degli angeli aveva guastato irreparabilmente
due dimensioni essenziali del piano originario di
Dio per l’universo: l’ordine astrale (e quindi la corretta scansione dei tempi sacri e della liturgia) e la
separazione tra esseri angelici ed esseri umani. Ma
aveva anche altri aspetti:
– I Vigilanti insegnarono alle donne la magia,
l’agricoltura, la metallurgia, la cosmesi, la conoscenza delle pietre e delle loro proprietà, l’arte della tintura e l’astrologia: in pratica, l’intero sistema
delle tecniche che rendono possibile la costruzione
della civiltà, e che perciò erano originariamente destinate a rimanere esoteriche o note solo agli esseri
superiori (1Enoch 7,1; 8,1-3). La tradizione enochica dunque concepiva il progresso come un deprecabile distacco da un’età dell’oro corrispondente alla
creazione originaria del mondo secondo il volere di
Dio. Evidente l’affinità tra questo mito e quello narrato da Esiodo nelle Opere e i giorni (VII sec. a.e.v.)
sulla suddivisione della storia umana in età progressivamente decadenti e sulla ribellione e il furto del
fuoco da parte di Prometeo.
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– I Giganti, progenie bastarda e perciò impura
dei Vigilanti e delle donne, distrussero l’ambiente naturale e divorarono gli esseri umani. Questa
era una doppia violazione del volere divino (quello che nella narrazione sacerdotale sarà codificato
nei precetti noachici e nella Legge levitica) perché
venivano divorati esseri viventi e con le carni se
ne consumava anche il sangue. Perciò Dio punì i
Giganti facendoli annientare gli uni con gli altri.
Ma le loro anime, partecipi dell’immortalità dei Vigilanti loro padri, si trovano tuttora in questo mondo e agiranno nascostamente ai danni del genere
umano fino al giorno del giudizio. E per questo il
mondo è soggetto all’influsso degli spiriti maligni
(1Enoch 15,6-16,1)11.
I miti enochici sugli angeli ribelli riflettono una
concezione del cosmo come originariamente ordinato secondo il disegno di Dio, ma in seguito guastato
da un disordine causato da forze comunque superiori
all’uomo e al di fuori del suo controllo. Questo disordine contamina irreparabilmente tutta la terra e la
natura umana (1Enoch 9,9; 10,8), quindi il genere
umano è diventato troppo debole per resistere con
efficacia al peccato e al male. La conseguenza ultima di questo stato di corruzione generalizzata, secondo gli enochici, è che la Legge e l’osservanza del
patto di Israele con Dio sono irrilevanti ai fini della
11
Secondo una tradizione apparentemente diversa ma incorporata
nello stesso testo, gli spiriti maligni sono le anime dei Vigilanti stessi
(19,1).
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salvezza. Per gli enochici radicali, dunque, soltanto
Dio, alla fine dei tempi, avrebbe potuto restaurare
l’ordine originario della creazione e impedire una
volta per tutte la propagazione del male.
Oltre alla dottrina enochica sui peccati angelici
come origine del male (capp. 6-16), il Libro dei Vigilanti racconta i viaggi che Enoch compie attraverso la terra e gli inferi, accompagnato da angeli che
gliene danno la spiegazione (capp. 17-36). Questa di
svelare e interpretare i misteri celesti e le visioni di
origine celeste a esseri umani (in particolare Enoch)
che ne siano degni, è un’ulteriore funzione angelica.
La stessa funzione appare anche in un testo di genere apocalittico ma non di tradizione enochica, e perciò accettato come canonico nella Bibbia ebraica: il
capitolo 4 del libro di Daniele (risalente all’epoca
delle guerre maccabaiche, 167-164 a.e.v.), in cui
«un Vigilante, un santo, scese dal cielo» e compare
nel sogno del grande albero ricevuto da Nabucodonosor (Dn 4,10.20); la stessa trasformazione di
Nabucodonosor in bestia per sette anni è addirittura
decretata «per sentenza dei Vigilanti e secondo la
parola dei santi», senza che apparentemente Dio sia
coinvolto nella decisione (Dn 4,14).
3.2. – Un altro testo importante di tradizione
enochica è il Libro dei Giubilei, una specie di grande flashback che racconta tutta la storia del mondo
(dalla creazione alla consegna della Legge) quale
essa è contenuta nelle tavole dettate dall’«angelo
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del Volto» a Mosè stesso sul Sinai. Il terminus a quo
per la datazione dell’opera è il regno di Giovanni
Ircano (134-104 a.e.v.). I quattro manoscritti completi più importanti sono in lingua etiopica letteraria
(ge‘ez); vi è un’ampia tradizione indiretta nei Padri
greci e latini, e ora anche una ventina di frammenti
da Qumran (dove l’opera è citata anche nel Documento di Damasco). L’ideologia del Libro dei Giubilei mitiga il radicalismo quasi antinomistico del
più antico Libro dei Vigilanti, nel senso che l’idea
portante è qui l’importanza centrale che la Legge
sacerdotale-levitica ha nella storia di Israele e deve
mantenere nella vita degli israeliti.
Secondo l’elenco delle caratteristiche strutturali
del genere letterario apocalittico proposto da John J.
Collins12, un tratto necessario perché un testo si possa dire apocalittico è la funzione degli angeli quali
mediatori ovvero oppositori della sovranità divina
su Israele e del suo disegno escatologico. Il Libro
dei Giubilei non rientra in questo schema (e perciò
Todd Hanneken lo ha escluso dal genere apocalittico13) perché non nega l’esistenza degli angeli né
dei demoni, ma la loro influenza sui pii d’Israele e
sul loro destino finale. Il ruolo degli angeli è tenuto,
per così dire, sotto controllo dall’autore di Giubilei
in quanto essi sono creati da Dio, e dunque a lui se12
J.J. Collins (ed.), Apocalypse: The Morphology of a Genre, Society of Biblical Literature-Scholars Press, Missoula, Mont. 1979 («Semeia» n.s. 14).
13
T.R. Hanneken, Angels and Demons in the Book of Jubilees and
Contemporary Apocalypses: «Henoch» n.s. 28 (2006), pp. 11-25.
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condari e sottomessi. Esempi di questa limitazione
del ruolo degli angeli:
– in Giubilei 15,31-32 si dice che Dio lascia i
popoli in balia degli spiriti, però protegge Israele
dagli angeli e dagli spiriti, perché lo ha scelto come
suo popolo;
– diversamente che nel Libro dei Vigilanti, secondo Giubilei i Vigilanti si ribellarono solo per
cedimento alla carne, non anche per ribellione cosmica, né rivelando al genere umano i segreti celesti
e le tecniche14. In merito il mito del Libro dei Vigilanti viene citato espressamente15, ma si vede che
il radicalismo enochico originario si andava annacquando: per Giubilei il peccato di Adamo ed Eva è
più importante di quello dei Vigilanti16. Il numero
stesso dei demoni, discendenti dei Vigilanti, ancora
all’opera nel mondo è solo un decimo di quello ori14
Come invece in 1Enoch 7-8; 10:8; 16,3 (Libro dei Vigilanti). Per
Giubilei (8,3) fu solo Kenan, pronipote di Noè, a trovare «uno scritto
che gli antichi avevano inciso sulla pietra, ne lesse il contenuto, lo
trascrisse e trovò che in esso vi era la dottrina dei Vigilanti e come essi
vedessero gli auspici del sole, della luna, delle stelle, e in tutte le costellazioni» (cfr. Hanneken, ibi, p. 15).
15
4,21-22: «[Enoch] stette, poi, per sei giubilei con gli Angeli di
Dio e [costoro] gli mostrarono tutto quel che era in terra e nei cieli,
la potenza del sole, e scrisse tutto e testimoniò contro i Vigilanti che
avevano peccato insieme con le figlie dell’uomo poiché avevano
cominciato a unirsi con le figlie della terra e a essere impuri e testimoniò, Enoch, contro tutti loro». Cito Giubilei nella tr. it. di L. Fusella in
Sacchi, Apocrifi, cit., I, pp. 179-411.
16
Sull’affievolimento progressivo della mitologia enochica nell’apocalittica posteriore cfr. A.Y. Reed, Fallen Angels and the History
of Judaism and Christianity: The Reception of Enochic Literature,
Cambridge University Press, New York 2005, pp. 73-74.
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ginario: gli altri sono scesi «nel luogo della dannazione» ancora durante la vita di Noè (10,9; 36,10).
E questo, se non sbaglio, è il primo inferno della
letteratura ebraica. Il capo dei demoni “superstiti” è
Mastema, che comunque è sottomesso al beneplacito di Dio per poterli dirigere (10,8);
– il cosiddetto Libro dei Sogni (capp. 83-90 del
1Enoch) risale, come il libro di Daniele, al periodo della guerra maccabaica. Consiste di due visioni
avute da Enoch e da lui raccontate al figlio Matusalemme. La prima visione riguarda il diluvio; nella
seconda viene rappresentata per simboli l’intera storia d’Israele da Adamo ed Eva fino all’eschaton: gli
angeli sono rappresentati da uomini, gli angeli ribelli
da stelle che cadono, gli ebrei da pecore, e così via
(all’eschaton faranno seguito l’apoteosi d’Israele e
il regno messianico eterno). Questa apocalisse, detta Apocalisse degli animali, spiega il caos politico e
l’ingiustizia come esito del conflitto tra gli angeli, seguendo il mito del Libro dei Vigilanti. Diversamente,
il Libro dei Giubilei nega che vi sia alcun angelo intermediario, buono o cattivo, che governi su Israele:
[Dio] scelse Israele perché divenisse il suo popolo, lo
santificò, e lo riunì, fra tutti i figli dell’uomo, [sotto la
sua tutela]. Egli [...] non dette ad alcun angelo o spirito
il potere su Israele perché egli solo è il loro principe, li
protegge e li rivendica, per sé, dalle mani dei suoi angeli,
dei suoi spiriti e di tutti sì che tutti [gli israeliti] rispettino
i suoi comandamenti, egli li benedica, essi siano suoi ed
egli sia loro, da oggi, nei secoli (15,31-32).
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La descrizione che l’autore di Giubilei dà della
vita umana, dei tempi escatologici e della pace eterna (cap. 23) non fa mai riferimento agli angeli come
mediatori del disegno divino, e dei demoni dice solo
che non vi saranno più (23,29)17.
Ricapitolando, nel Libro dei Giubilei assistiamo a una progressiva diminuzione dell’importanza
degli angeli all’interno della tradizione enochica.
L’opera, in sostanza, intendeva ricondurre crescenti
tendenze mistiche e gnostiche entro i canoni dell’ortodossia sacerdotale. Ma l’angelologia enochica
rimarrà in tutta la sua ampiezza e importanza nel
cristianesimo delle origini e nella tradizione mistica
dell’ebraismo rabbinico18.
4. Angelologie dei gruppi ebraici del tardo Secondo
Tempio
Alla diversità delle funzioni attribuite agli angeli
corrispondeva una diversità di opinioni umane sugli
angeli. Su questo argomento, la divergenza dottrinale tra le varie correnti della religiosità ebraica nel
tardo periodo del Secondo Tempio fu così marcata
e rilevante da essere registrata come tale dai contemporanei. Secondo gli Atti degli Apostoli (23,8)
i farisei credevano negli angeli, mentre i sadducei
17
Così anche per l’Egitto pacificato sotto Giuseppe non si menzionano gli angeli (40,9) e si dice che non vi saranno demoni (46,2). Cfr.
Hanneken, art. cit., p. 23.
18
Cfr. oltre, § 5, e il saggio di S. Campanini in questo stesso volume.
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ne negavano l’esistenza. Flavio Giuseppe, sacerdote
per casta e fariseo per educazione, dice che gli esseni credevano negli angeli e si erano vincolati a non
rivelarne i nomi (Guerra giudaica 2,142): segno
che essi erano molto importanti nella loro dottrina19.
Nella letteratura rinvenuta a Qumran l’angelologia conosce uno sviluppo notevole. Prendiamo in
esame tre testi particolarmente significativi in tal
senso: la Regola della guerra tra i Figli della Luce
e i Figli delle Tenebre (1QM), i Canti dell’olocausto
del sabato (4QShirShabb) e le Visioni di ‘Amram
(4Q‘Amram).
4.1. – La Regola della guerra conobbe varie
redazioni tra l’epoca maccabaica e quella romana.
Essa contiene l’annuncio e la descrizione organizzativa della battaglia escatologica tra coloro che
appartengono alla parte di Dio, i Figli della Luce,
e dall’altra parte «l’esercito di Belial, [...] la truppa
di Edom e di Moab e dei figli di Ammone» (1,1)20,
i cosiddetti Figli delle Tenebre. I Figli della Luce
sono la comunità stessa, a guida sacerdotale, poiché
il loro esercito è composto da «i sacerdoti, i leviti
19
Così L. Rosso Ubigli, I Canti per l’Olocausto del Sabato e la
venerazione degli angeli, in G. Busi (ed.), We-zo’t le-Angelo: Raccolta
di studi giudaici in memoria di Angelo Vivian, AISG, Bologna 1993, pp.
425-434: p. 429.
20
Cito la Regola della guerra nella tr. di C. Martone in F. García
Martínez - C. Martone (eds.), Testi di Qumran, Paideia, Brescia 1996,
pp. 196-235.
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e tutti gli anziani della Regola» (13,1)21. La guerra
durerà per sei anni di preparazione, più l’anno sabbatico, e poi trentatrè anni di scontro effettivo:
Nel giorno in cui cadranno i kittim22, ci sarà una lotta e
una aspra distruzione al cospetto del Dio di Israele, perché questo è il giorno stabilito per lui da tempo per la
guerra di distruzione contro i Figli delle Tenebre. Allora
si affronteranno per un enorme sterminio la congregazione divina e l’assemblea degli uomini. I Figli della Luce
e il gruppo delle Tenebre combatteranno l’uno contro
l’altro per la forza di Dio tra le grida di una sterminata
massa e il fragore degli angeli e degli uomini nel giorno della distruzione. [...] Nella guerra, i Figli della Luce
avranno la meglio per tre momenti, e allora schiacceranno l’empietà, ma negli altri tre l’esercito di Belial serrerà
le fila per fare retrocedere il gruppo di [...] I battaglioni di
fanteria faranno sciogliere il cuore, ma la potenza di Dio
rinforze<rà> il cuo<re dei Figli della Luce. E> nel settimo momento la potente mano di Dio sottometterà <Belial, tut>ti gli angeli al suo comando e tutti gli uomini del
<suo gruppo> (1,9-15).
Come si vede, i due eserciti contrapposti sono
costituiti sia da angeli sia da uomini. Questo comporta che la componente umana dell’esercito dei
21
Sacerdoti, leviti e anziani avranno parte attiva nel giudizio finale,
a quanto pare da 4QTestamento di Qahat 1,1,5-6 (cfr. C. Martone in
García Martínez - Martone, op. cit., p. 447 n. 1).
22
Dalla «Tavola dei Popoli» di Gen 10, nome generico dei nemici
occidentali di Israele, ellenisti o romani, a Qumran e in alcuni testi non
canonici.
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Figli della Luce debba osservare rigorosamente la
purità rituale, coerentemente con l’ossessione che
caratterizzava la comunità qumranica: «E ogni
uomo che non si sia purificato dalla sua “fonte” il
giorno della battaglia, non scenderà con loro, poiché
insieme alle loro schiere ci sono gli angeli santi»
(7,5-6) (dove «fonte» è eufemismo per «emissione
seminale», l’«accidente notturno» a causa del quale
secondo la Legge mosaica un soldato israelita deve
essere temporaneamente espulso dall’accampamento23). E ancora, il testo descrive le prerogative degli
angeli, che stanno nell’alto dei cieli e ricevono direttamente le comunicazioni divine:
Chi è come Israele, il tuo popolo / che hai scelto / fra tutti
i popoli della terra, / popolo di santi del patto / esperti
della legge, istruiti nella cono<scenza> [...] / che ascoltano la voce gloriosa, / che guardano gli angeli santi, /
attenti d’orecchio, / che ascoltano cose profonde, / [...] la
vòlta del cielo, / la schiera di luci, / il peso degli spiriti, /
il dominio dei santi (10,9-11)24.
L’angelologia, in questo testo, rivela tutta la
propria centralità quale elemento strutturale di una
salda teologia della storia di tipo dualistico e predeterministico:
23
Dt 23,11.
Cfr. 11QBenedizioni 13-14: «<La spada non passe>rà nella vostra terra perché Dio è con voi e i suoi angeli <santi stanno> nella vostra
congregazione» (tr. it. di C. Martone in García Martínez - Martone, op.
cit., p. 233).
24
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T<u, Dio, ci hai re> dento per te, popolo eterno, / e ci hai
fatto cadere nella parte della luce / secondo la tua verità.
/ Fin dall’antichità, hai incaricato il Principe della Luce
/ di aiutarci [...]. Tu hai creato Belial per la fossa, / angelo ostile [...] Tutti gli spiriti della sua parte, / angeli di
distruzione, / procedono nelle leggi di tenebra. [...] Quale angelo o principe vale l’aiuto della tua azione? / Dai
tempi antichi hai fissato il giorno della grande battaglia
/ [...] per aiutare la verità / e distruggere la colpa, / per
abbattere la tenebra / e far prevalere la luce (13,9-15).
Secondo l’«Insegnamento dei Due Spiriti» incorporato nella Regola della comunità qumranica
(1QS 3,13-4,26), l’Angelo della Luce e l’Angelo
delle Tenebre furono creati tali fin dall’eternità, il
primo per essere amato da Dio, il secondo per esserne odiato:
Egli [= Dio] creò gli angeli della Luce e delle Tenebre [...].
Dio ama l’uno per tutti i tempi eterni, e tutte le sue azioni gli sono gradite per sempre; dell’altro, egli aborrisce i
consigli e odia i sentieri per sempre l’eternità (3,25-4,1)25.
Questa angelologia è strutturata con una gerarchia rigorosa, come in ogni esercito che si rispetti.
Gli angeli, come visto, non sono pari a Dio («Quale
angelo o principe vale l’aiuto della tua azione?»);
al comando dei Figli della Luce vi è Michele, «uno
dei primi principi» e angelo difensore della na25
Tr. it. di C. Martone in García Martínez - Martone, op. cit., p. 78.
Cfr. 1QM 13,10-11: «Tu [= Dio] hai fatto Belial per la Fossa».
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zione d’Israele anche secondo il libro di Daniele
(10,13.21; 12,1)26:
Questo è il giorno fissato per umiliare / e abbattere il
principe27 del dominio del male. / [Dio] ha inviato aiuto
eterno / alla parte redenta / con la forza del potente angelo, / al comando di Michele / in eterna luce (17,5-6).
4.2. – La stessa Regola della guerra ci informa
che il culto, quale veniva praticato a Qumran dai
sacerdoti che guidavano la comunità e che ritenevano illegittimo il Tempio di Gerusalemme, era una
rappresentazione terrena del suo archetipo celebrato dagli angeli nel santuario celeste: «C’è infatti
una quantità di santi nel cielo / e schiere di angeli nella tua dimora santa / per lodare il tuo nome»
(1QM 12,1)28.
I Canti dell’olocausto del sabato sono una composizione di 13 canti liturgici (rinvenuta in 9 manoscritti, di cui uno da Masada, databili a partire dalla
metà del I secolo a.e.v.), o per sostituire il culto di
Gerusalemme, o per rappresentare il culto angelico
celeste, su cui vengono trasferite le prerogative di
quello umano. Così anche nell’apocrifo Testamento
26
C. Martone in García Martínez - Martone, op. cit., p. 218 n. 2. È
conservato anche un frammento aramaico della metà del I sec. a.e.v. recante l’inizio delle «Parole del libro che Michele declamò agli angeli»
(4Q529, cfr. García Martínez - Martone, op. cit., p. 235).
27
Qui sinonimo di «angelo».
28
Cfr. J. Maier, Le Scritture prima della Bibbia, Paideia, Brescia
2003, p. 81.
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di Levi, nella disposizione delle diverse gerarchie
angeliche nei diversi cieli, sotto al cielo più alto in
cui risiede Dio
ci sono gli arcangeli [variante: «angeli del Volto»], che
prestano il loro servizio e placano il Signore per tutti i peccati di ignoranza dei giusti. Offrono al Signore un aroma
profumato, un sacrificio spirituale e incruento (3,5-6)29.
I Canti qumranici mettono a confronto il servizio
angelico e il sacerdozio umano: i «santi fra i santi»
sono i sacerdoti angelici, ma il testo sembra presupporre una venerazione degli angeli (chiamati elohim
o elim) accanto a Dio da parte degli uomini30:
per lodare la Tua gloria meravigliosa con gli angeli di conoscenza e le lodi del tuo regno con i santi fra i san<ti>.
Essi sono onorati in tutti i campi degli angeli31, e temuti
dalle assemblee degli uomini, meraviglia fra gli angeli e gli uomini. Proclamano il suo splendore a seconda
della loro conoscenza ed esaltano <la sua gloria in tutti>
i cieli del suo regno. <Intonano> salmi meravigliosi in
tutte le altezze secondo ogni <loro conoscenza, e tutta>
la gloria del re degli angeli proclamano nei luoghi dove
hanno le loro posizioni. E [...] come saremo considerati
29
Tr. it. di P. Sacchi in Sacchi, Apocrifi, cit., I, pp. 792-793.
Seguo l’analisi di Rosso Ubigli, art. cit., pp. 430-432. Secondo
C. Martone (in García Martínez - Martone, op. cit., p. 645 n. 1) la setta
«si considera ormai in comunione col mondo angelico e sostituisce il
culto e la liturgia legati al tempio terreno con un culto e una liturgia
legati al tempio celeste».
31
L’ebraico può significare anche «campi di Dio (elohim)».
30
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<fra> loro? E come il nostro sacerdozio nelle loro postazioni? <La nostra santità come potrà essere simile alla>
loro santità? Cosa è l’offerta della nostra lingua mortale
in confronto alla conoscenza degli ange<li>? Esaltiamo
il Dio di conoscenza! (2,1-9)32.
Come ha visto Liliana Rosso Ubigli, questo sacerdozio angelico costituisce il retroterra della discussione della superiorità di Cristo sugli angeli nel
capitolo 1 della Lettera agli Ebrei, e quindi del suo
«sommo sacerdozio» (Eb 3,1) rispetto a quello levitico: il sommo sacerdozio di Cristo non deve essere
paragonato o confuso con quello angelico33.
4.3. – Il testo detto Visioni di ‘Amram è conservato in 6 manoscritti, risalenti per lo più alla metà
del I secolo a.e.v., ma uno addirittura alla metà del
II a.e.v. In questo testo, secondo le convenzioni del
genere letterario dei «testamenti», ‘Amram, figlio
di Qahat e nipote di Levi, svela in punto di morte ai
propri discendenti una visione in cui due angeli si
contendono la sua anima: la prima attestazione di un
tema che diverrà centrale nell’antropologia cristiana, a partire almeno da Origene34:
32
Tr. it. di C. Martone in García Martínez - Martone, op. cit., pp.
645-646.
33
L. Rosso Ubigli, art. cit., p. 434.
34
Che Origene dipendesse direttamente dal testo qumranico, tuttavia, è assai dubbio: cfr. K. Berger, Der Streit des guten und des bösen
Engels um die Seele. Beobachtungen zu 4Q Amr b und Judas: «Journal
for the Study of Judaism» 4 (1973), pp. 1-18 (cit. da C. Martone in
García Martínez - Martone, op. cit., p. 447 n. 2).
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[...] nella mia visione, la visione di un sogno. Ed ecco che
due discutevano su di me e dicevano [...] e intavolarono
su di me una grande disputa. Io chiesi loro: «Voi, perché
voi così <... su di me?» Risposero e mi dissero: «Noi abbiamo ricevuto> il dominio e dominiamo sui figli di Adamo». Mi dissero: «Fra chi di noi <tu scegli ...?» Alzai gli
occhi e vidi <che uno> fra di loro aveva un aspetto orribile [...] e il suo vestito era colorato e oscurato dalle tenebre
[...] <E guardai l’altro, ed ecco che ... nel suo aspetto>,
e il suo volto era sorridente ed era coperto di [...] molto,
e i loro occhi <tutti... Mi disse: «Ho> potere su di te»
[...] <Io gli dissi: «Que>sto <angelo>, chi è?» E mi disse:
«Questo [...] <I suoi tre nomi sono: Belial, Principe delle
Tenebre e Melki-Reša‘. Io dissi: “Mio Signore, che cosa
[...] e tenebra e tutta la sua opera è tenebra, e nella tenebra
egli [...] <ciò che > tu vedi. Ed egli domina su tutta la tenebra e io <domino sulla luce ... dalle regioni> superiori
fino alle inferiori, io domino su tutto ciò che è luminoso
e tutto [...] della sua grazia e della sua <pace. E io > ho
ricevuto potere <su tutti i figli della> luce”. Io gli chiesi e
dissi: “Quali <sono i tuoi nomi?” ... Rispose e> mi disse:
“I miei tre nomi <sono: Michele, Principe della Luce e
Melchisedek ...>”» (4Q544, frammenti 1, 2 e 3)35.
5. Gli angeli come oggetti di culto
Come abbiamo visto a Qumran, gli angeli erano
considerati celebranti del culto celeste e intermediari di quello degli uomini presso Dio; ma dalla
letteratura ebraica ed ebraico-cristiana del I e II se35
Tr. it di C. Martone in García Martínez - Martone, op. cit., pp.
448-449.
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colo sappiamo anche che erano oggetto di culto essi
stessi. Filone, nel I secolo e.v., osservava: «Angeli,
che sono servi di Dio, vengono creduti dèi da quanti
ancora si trovano in mezzo ad affanni e schiavitù»
(De fuga et inventione 212)36.
La critica di Filone ai propri correligionari,
condiscendente ma benevola, diventa un motivo
polemico insistito nella prima letteratura cristiana.
L’avversione contro i culti angelici è sottesa già
all’Apocalisse canonica per il timore che gli angeli vengano posti sullo stesso piano rispetto a Dio o
usurpino la funzione mediatrice di Gesù Cristo:
Allora mi prostrai ai suoi piedi [dell’angelo] per adorarlo,
ma egli mi disse: «Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo
con te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza
di Gesù. È Dio che devi adorare. Infatti la testimonianza
di Gesù è lo spirito di profezia» (19,10)37.
Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. E
quando le ebbi udite e viste, mi prostrai in adorazione ai
piedi dell’angelo che me le mostrava. Ma egli mi disse:
«Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo, con te e i tuoi
fratelli, i profeti, e con coloro che custodiscono le parole
di questo libro. È Dio che devi adorare» (22,8-9).
Analogamente, nel Kérygma Petrou (Predicazione di Pietro), un apocrifo cristiano di origine presu36
Tr. it. di L. Rosso Ubigli, art. cit., p. 433.
Secondo la traduzione CEI del 1974 l’ultima frase è una glossa
che non fa parte delle parole dell’angelo.
37
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mibilmente egiziana e databile alla prima metà del II
secolo, il sedicente “Pietro” invita i suoi destinatari
a non praticare il culto degli angeli che, a suo dire, è
tipico degli ebrei: «Non venerate nemmeno a modo
dei Giudei. Essi infatti, pur credendo di essere i soli
a conoscere Dio, non lo conoscono, poiché prestano
culto ad angeli e ad arcangeli, al mese e alla luna»38.
Nella stessa epoca anche l’apologista cristiano
ateniese Aristide scriveva: «[Gli ebrei] nella loro
mente pensano di venerare Dio, ma, nella loro condotta, verso gli angeli e non verso Dio è il loro culto» (Apologia siriaca 14,4)39.
I polemisti pagani, a loro volta, rivolgevano la
medesima accusa pure contro gli ebrei, ma anche
contro gli stessi cristiani – ammesso che la distinzione tra ebrei e cristiani fosse già valida o comunque già percepita dai pagani. Nella seconda metà
del II secolo, a Roma o ad Alessandria, il pensatore pagano Celso, nel suo Alethès logos (Discorso
vero), scriveva:
Sappiatelo, Ebrei e Cristiani: nessun dio e nessun figlio
di dio è sceso dal cielo né potrebbe scendere. Se poi parlate di certi angeli, che intendete con questi? Dèi o un al38
Traggo la citazione da Rosso Ubigli, art. cit., p. 428; il frammento è conservato da Clemente Alessandrino, Stromata, 6,5,9,1-2; tr.
di G. Pini, da Clemente Alessandrino, Stromati. Note di vera filosofia,
Paoline, Milano 1985, p. 685 e n. 5 ibidem (con rimando a Gal 4,10;
Col 2,16 ecc.).
39
Traggo la citazione da S. Rizzo in Celso, Contro i Cristiani, BUR,
Milano 1989, p. 76 n. 32; tr. di C. Vona, L’Apologia di Aristide. Introduzione, versione dal siriaco e commento, Lateranum, Roma 1950, p. 104.
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tro genere di esseri? Evidentemente un altro genere, cioè
i demoni [...]. Per prima cosa, dunque, fa meraviglia che
gli Ebrei venerino il cielo e gli angeli che sono in esso,
mentre trascurano le parti del cielo più venerande e più
potenti, cioè il sole, la luna e le altre stelle fisse ed erranti. Ma ciò significa ammettere che il tutto è Dio, mentre
le sue parti non sono divine, oppure che debbono essere
oggetto di grande e compunta venerazione quegli esseri
che nell’ombra s’accostano, come si va dicendo, in forza
di una non retta magia a chi brancola nella cecità, o, attraverso indistinte apparizioni, a chi s’abbandona ai sogni,
mentre non debbono essere stimati un bel niente quelli
che tanto apertamente e chiaramente a tutti fanno predizioni, quelli che regolano le piogge, le calure, le nuvole
e i tuoni (che essi adorano) e i fulmini e i frutti e ogni
altro prodotto, quelli attraverso i quali Dio ad essi si rivela, i più manifesti messaggeri delle cose supreme, i veri
angeli celesti40. Gli ebrei venerano inoltre gli angeli e si
dedicano alla magia della quale Mosè fu loro maestro41.
Quel che Celso spiega, prendendo le mosse dalla
sua teologia medioplatonica, è che gli ebrei adorano
i demoni inferiori (terrestri) e non quelli superiori
(astrali), e che questo va di pari passo con la loro
dedizione alle pratiche magiche illecite42.
40
Citato in Origene, Contra Celsum, 5,2.6; tr. di S. Rizzo in Celso,
op. cit., pp. 175-177.
41
Citato in Origene, Contra Celsum, 1,26a; tr. di S. Rizzo in Celso,
op. cit., p. 77. L’allusione è a Mosè in gara di portenti con i magi egiziani (Es 7-9).
42
Rizzo, ibi (nn. 140-141). Nella letteratura rabbinica l’affermazione che ci sono «due potenze nei cieli» è attribuita a famosi eretici, come
Elisha‘ ben Avujah, appunto incline al dualismo gnostico. Cfr. G.G.
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Difficile discernere quanto, in questi casi, sia
frutto di percezione polemica e quanto sia descrizione obiettiva di effettive pratiche cultuali e magiche.
In ogni caso, la polemica contro il culto degli angeli
si fa strada presso i tutori dell’ortodossia rabbinica
nella letteratura talmudica, i quali ribadiscono che la
posizione degli angeli è subordinata rispetto a Dio
e che anche la loro funzione mediatrice tra uomo e
Dio non è indispensabile: «Se un uomo si trova nella sventura, non gridi a Michele o a Gabriele: gridi
a Me, e subito gli risponderò» (Talmud Palestinese,
Berakhot, 9,1)43.
E ancor più numerosi sono i passi secondo cui il
ruolo cosmico degli angeli è addirittura subordinato a quello degli uomini giusti e alieni dalla magia
(la quale consisteva appunto, come abbiamo visto
attraverso le critiche di Celso, nell’avvalersi delle
potenze angeliche):
Rabbi Jehudah ben Tema disse: «Nel giardino di Eden
[cioè prima della Caduta] Adamo stava giacente mentre
gli angeli del servizio divino arrostivano la carne e filtravano il vino per lui» (Talmud Babilonese, Sanhedrin, 59b).
Rabbi Jochanan disse: «I giusti sono più grandi degli angeli del servizio divino [...]» (Talmud Babilonese, Sanhedrin, 92b-93a).
Stroumsa, Aher: a Gnostic, in B. Layton (ed.), The Rediscovery of
Gnosticism, II, Brill, Leiden 1981, pp. 228-238; A.F. Segal, Two Powers
in Heaven: Early Rabbinic Reports about Christianity and Gnosticism,
Brill, Leiden 1977.
43
Le traduzioni dalla letteratura talmudica sono mie.
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Rabbi Acha bar Zeira disse: «Chi non pratica incantesimi trova il posto che gli spetta ancor più vicino [al trono
di Dio] che gli angeli del servizio divino»44. [...] Rabbi Berekhjah disse in nome di Rabbi Abba bar Kahana:
«Nel mondo a venire il Santo, che sia benedetto, stabilirà il posto per i giusti più vicino [al suo trono] di quello
degli angeli del servizio divino» (Talmud Palestinese,
Shabbat, 6,9).
Già nel tardo periodo del Secondo Tempio la
condizione dell’angelo era divenuta paradigmatica
della situazione del giusto dopo la resurrezione:
Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo (Mt 22,30 // Lc 20,34-36).
In quei giorni i monti salteranno come capri, i colli esulteranno come agnelli sazi di latte e tutti saranno angeli
nel cielo (1Enoch 51,4 [Libro delle Parabole])45.
L’angelo diventava quindi, secondo l’espressione di Jacques Le Moyne, «una sorta di doppio
immortale dell’uomo»46; e corrispondentemente, a
Qumran il giusto è in comunione col mondo celeste
già nel presente47. Nelle parole di Kevin P. Sullivan:
44
Parallelo in Talmud Babilonese, Nedarim, 32a.
Sull’asessualità angelica cfr. Giustino, Dialogo con Trifone, cap.
81 (alla fine, con citazione di Lc 20,35 s.).
46
J. Le Moyne, Les Sadducéens, Gabalda, Paris 1972, p. 133 (cit.
da Rosso Ubigli, art. cit., p. 428).
47
Regola della comunità 11,7-8; Regola della congregazione (1QSa)
2,8-9; Hodajot 11,21-22; Documento di Damasco 15,17.
45
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Nella visione degli autori della letteratura dell’epoca [...]
Dio, gli angeli e gli uomini erano esseri che per la maggior parte esistevano in sfere diverse, quella terrestre e
quella celeste. Gli angeli mediavano tra questi due ambiti, e, benché spesso comparissero sotto forma di esseri
umani e con questi ultimi interagissero regolarmente,
erano tuttavia distinti da essi. Alcuni esseri umani giusti e scelti si trasformarono effettivamente in angeli del
cielo. Questi casi eccezionali operarono come modello
importante per i primi mistici ebrei e cristiani nel loro
tentativo di mettersi in comunione con Dio nella sala del
trono divino48.
Oltre che un modello di comunione con Dio per i
mistici, gli angeli erano anche latori a Dio delle preghiere della gente comune. Questa era forse la loro
funzione più importante e sentita nella religiosità
popolare. Nel Talmud Babilonese troveremo questo ruolo asservito alla querelle, molto vivace nella
tarda antichità ebraica, intorno alla liceità o meno
di usare l’aramaico come lingua liturgica a fianco
dell’ebraico o al suo posto. Secondo una tradizione
favorevole all’uso esclusivo dell’ebraico, gli angeli
non capiscono l’aramaico, perciò non si deve prega48
K.P. Sullivan, Wrestling with Angels: A Study of the Relationship between Angels and Humans in Ancient Jewish Literature and
the New Testament, Brill, Leiden-Boston 2004, p. 236 (tr. mia, corsivi
dell’Autore). Sull’argomento cfr. il saggio di S. Campanini in questo
stesso volume. Sull’identificazione tra giusti e angeli cfr. J.H. Charlesworth, The Portrayal of the Righteous as an Angel, in J.J. Collins G.W.E. Nickelsburg (eds.), Ideal Figures in Ancient Judaism: Profiles
and Paradigms, Scholars Press, Chico, Ca. 1980, pp. 135-151.
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re in questa lingua perché essi non possono riferire
le preghiere a Dio49. Ma anche nella tradizione rabbinica postclassica gli angeli, oltre a essere vettori
delle preghiere umane, vengono pregati rivolgendosi direttamente a loro, non diversamente dai santi
nella religiosità cristiana cattolica almeno a livello
popolare. Ad esempio, gli angeli Sanoj, Sansanoj e
Samanglof proteggevano i neonati da Lilìt già secondo il midrash Alfa Beta de-Ben Sira50; il loro
nome è frequentissimo sugli amuleti per le culle, e
li vediamo invocati dagli Ostjuden ancora nella narrativa di Isaac B. Singer.
6. Conclusioni
Nel suo recente, tenue libretto dal titolo Angeli
caduti (Fallen Angels), Harold Bloom suggerisce
che un angelo che cade non deve necessariamente
diventare un diavolo, ma può anche diventare un
uomo51. Fin qui niente di originale (c’era già arrivato Wim Wenders ne Il cielo sopra Berlino), ma
nel libretto di Bloom si trovano sparse qua e là alcune osservazioni più interessanti: «Angeli caduti,
demoni e diavoli non sono altro che affascinanti
grottesche, se di loro non possiamo fare alcun uso
per le nostre vite»52. Quindi, in generale, «voglia49
Talmud Babilonese, Chaghigah 16a; Sotah 33a.
Testo in J.D. Eisenstein, Ozar midrashim, I, Eisenstein, New
York 1915, p. 47.
51
H. Bloom, op. cit.
52
Ibi, p. 58.
50
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mo che i demoni e i diavoli ci facciano divertire,
a una distanza di sufficiente sicurezza, e che gli
angeli ci diano conforto e badino a noi, di nuovo
a sufficiente distanza»53. Ma per Bloom in particolare «gli angeli – caduti o non caduti – [...] hanno
senso solo se rappresentano qualcosa che fu nostro
e che abbiamo il potenziale per tornare a essere»54;
«gli angeli sono sempre stati metafore di possibilità umane irrealizzate o vanificate»55. Per questo,
rispetto a Satana, Adamo è un angelo ancor più caduto: prima della cacciata, infatti, era più in alto di
Satana56, e Satana non si volle piegare ad adorarlo,
venendo per questo a sua volta precipitato dai cieli. Così infatti egli (divenuto il Diavolo) si esprime
nella Vita di Adamo ed Eva latina (un esempio di
“Bibbia riscritta” la cui redazione è datata in genere ai primi secoli e.v.):
È per causa tua che sono stato gettato [sulla terra]. Nel
giorno in cui tu fosti creato [...] e il tuo volto e la tua
figura/immagine furono fatti ad immagine di Dio, Michele [...] andò a chiamare tutti gli angeli e disse: «Adorate l’immagine del Signore Dio, come ha comandato il
Signore» [..]; ma io ribattei: «No, io non ho motivo di
adorare Adamo [...]. Non adorerò uno che è inferiore a
me, perché vengo prima di ogni creatura e prima ch’egli
fosse creato io ero già stato creato: è lui che deve adorare
53
Ibi, p. 61.
Ibi, p. 23.
55
Ibi, p. 47.
56
Ibi, p. 20.
54
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me, e non viceversa». Udendo queste cose gli altri angeli
del mio seguito si rifiutarono di adorare [...]. E il Signore
Dio si adirò con me e mi fece espellere dal cielo – privandomi della gloria – insieme con i miei angeli. E così
per causa tua fummo cacciati dalla nostra dimora e gettati
sulla terra (§§ 13-16)57.
Questo racconto della dannazione di Satana corrisponde precisamente a quello coranico della dannazione di Iblis58. In ciò, l’essenza del mito ebraico
e poi islamico, con il suo senso sotteso di dannazione prometeica (non dimentichiamo che anche
secondo il mito enochico i Vigilanti insegnano al
genere umano le arti e le tecniche), riaffiora – per filiazione letteraria attraverso Milton, ma soprattutto
per omogeneità psicologica – nel Prometeo moderno di Mary Wollstonecraft Shelley (1818), laddove
la creatura dice al proprio creatore:
Oh, Frankenstein, non essere imparziale con tutti gli altri
per calpestare me solo, me cui più è dovuta la tua giustizia, e anche la tua clemenza e il tuo affetto. Ricorda che
io sono la tua creatura: dovrei essere il tuo Adamo, ma
sono piuttosto l’angelo caduto, che tu scacci dalla gioia
senza che abbia commesso alcun crimine59.
57
Tr. it. di L. Rosso Ubigli da Sacchi, Apocrifi, cit., II, UTET, Torino
1986.
58
Corano 15,28-35. Bloom rimanda inoltre ad Adamo e Satana
secondo la visione di Agostino nella Città di Dio.
59
Cit. da Bloom, op. cit., p. 63 (tr. mia).
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La Shelley, osserva Bloom, aveva colto che «in
rapporto alla morte, noi siamo un tempo stati l’immortale Adamo, ma appena siamo stati assoggettati
alla morte siamo divenuti l’angelo caduto, perché
questo è il significato della metafora di un angelo
caduto: la schiacciante consapevolezza della propria mortalità. [...] Il dilemma di essere aperti ad
aspirazioni trascendenti anche quando siamo intrappolati entro un animale mortale è precisamente
la difficoltà dell’angelo caduto, vale a dire, di un
essere umano pienamente cosciente»60. Bloom ne
conclude che «l’odierna ossessione americana postmillenaria con quelli che chiamiamo angeli è per
lo più una maschera per l’evasione americana dal
principio di realtà, ossia, la necessità del morire»61.
Circa la mortalità di Adamo, e di tutti i suoi discendenti, noi compresi, Bloom cade in errore rispetto al testo biblico e in contraddizione rispetto
alla splendida ermeneutica che egli stesso ne aveva
dato alcuni anni prima ne Il libro di J 62. Lì Bloom
osservava quello su cui i commentatori antichi e
moderni non si soffermano spesso, e cioè che Adamo prima della caduta non era affatto immortale,
bensì era stato creato già mortale. È la cacciata dal
paradiso terrestre che gli preclude l’accesso al frutto dell’altro albero, l’albero della vita, quello che
60
Ibi, pp. 63 ss.
Ibi, p. 64.
62
H. Bloom - D. Rosenberg, Il libro di J (1990), tr. it. Leonardo,
Milano 1992.
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lo renderebbe effettivamente immortale e in tutto
indistinguibile dalla corte di Dio e dei suoi “pari”,
gelosissimi dei propri privilegi: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del
bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e
non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e
viva per sempre!» (Gen 3,22). L’immortalità rimane prerogativa degli angeli anche secondo il mito
concorrente, quello enochico: gli angeli caduti rimangono immortali, e così pure la loro progenie di
giganti, i cui spiriti disincarnati continueranno ad
infestare la terra come spiriti malvagi.
Ma l’inesattezza di Bloom in questo caso mi
sembra contare poco. Quello che conta è l’aver capito, e spiegato, come e perché gli angeli che hanno
veramente ancora qualcosa da dire a una postmodernità avvertita e disincantata, entzaubert, gli angeli che ancora possono e magari devono interessarci, sono solo quelli che cadono.
7. Indicazioni di lettura ulteriore
G. Agamben - E. Coccia (eds.), Angeli. Ebraismo
Cristianesimo Islam, Neri Pozza, Vicenza 2009.
M.J. Davidson, Angels at Qumran: A Comparative Study of 1 Enoch 1-36, 72-108 and Sectarian
Writings from Qumran, JSOT Press, Sheffield
1992.
M. Mach, Angels, in L.H. Schiffman - J.C. VanderKam (eds.), Encyclopedia of the Dead Sea
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Piero Capelli
Scrolls, I, Oxford University Press, Oxford-New
York 2000, pp. 24-27.
K. van der Toorn - B. Becking - P.W. va der Horst
(eds.), Dictionary of Deities and Demons in the
Bible, Brill-Eerdmans, Leiden-Boston-Grand Rapids, Mich. 19992.
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