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Convergenze

In questo testo sono raccolte sette esperienze di progettazione architettonica svolte fuori dalla didattica ufficiale dei corsi universitari (workshop, concorsi di progettazione architettonica, mostre, collaborazioni con altre università). Temi ed aree dei progetti sono tra i più vari ma i risultati “convergono” verso principi comuni. L’avversione per l’immagine fine a se stessa ed il tentativo di coinvolgere l’ampio spettro dei materiali della città moderna sono tra i temi sui quali i progetti spesso ritornano. Da essi derivano sia la riflessione sulla dimensione architettonica delle grosse infrastrutture, sia il tentativo di lavorare con la “architettonicità” delle tecnologie, nuove od antiche che siano. Ancora, in vari progetti, affiora il tema dell’edificio complesso e quello dell’edificio a grande scala. Il progetto vincitore del secondo premio al Concorso per scuole di architettura della Quarta Biennale di Architettura di San Paolo del Brasile viene presentato nel Primo capitolo. Si tratta di un edificio di grande dimensione in un area della parte nuova della città di Palermo. Tre progetti di residenze universitarie, uno dei quali premiato, sono il frutto di un laboratorio condotto con studenti fuori corso in occasione del concorso Abitare da studenti bandito dalla Università di Bologna. Una grossa infrastruttura territoriale è protagonista dei progetti svolti in occasione del concorso The Global and the Local in your City of the Future a Vienna. Tra essi un progetto per l’area di San Giovanni degli Eremiti, vincitore della menzione speciale. Progetti per la Chimica Arenella e per un museo archeologico in Sicilia sono illustrati nei capitoli relativi a due collaborazioni svolte con il Royal College of Art di Londra e con la School of Architecture della University of Auckland. Il progetto Outlet City è stato svolto all’interno del workshop Aeroporto e dintorni. Il tema freudiano del perturbante anima i quattro progetti di “case inquiete” elaborati durante il workshop Futura, svoltosi a Palermo.

Michele Sbacchi CONVERGENZE a Gabriella in copertina: Oscar Niemeyer, schizzo per casa Niemeyer a Canoas in Barra de Tijuca, Rio de Janeiro, 1953. IL VOLO DI ICARO 1 IL VOLO DI ICARO Collana di testi sulla progettazione architettonica diretta da Bibi Leone e Michele Sbacchi Comitato di redazione Filippo Amara Regina Bandiera Olivia Longo Michele Sbacchi CONVERGENZE Edibook Giada Numerose persone hanno contribuito alla elaborazione di questo testo. Ringrazio innanzi tutti Bibi Leone per il generoso sostegno e per avere scelto questo testo come primo volume della collana Il volo di Icaro. Desidero ringraziare poi Vittorio Gregotti e Agostino Cangemi promotori iniziali della collaborazione con il Royal College of Art. La mia gratitudine va inoltre a coloro che hanno autorizzato la riproduzione di vari materiali: Diana Cochrane e Oriel Prizeman della School of Architecture del Royal College of Art di Londra, Michael Milojevic della School of Architecture della University of Auckland, Alberto Ferlenga, direttore scientifico di Villard. Si ringraziano, ancora, coloro i quali hanno partecipato con lezioni, visite guidate, critiche: Fabio Alfano, Giovanni Cucchiara, Pasquale Culotta, Valentina Giacalone, Ilenia Grassedonio, Giuseppe Guerrera, Bibi Leone, Manfredi Leone, Francesco Lo Piccolo, Enzo Polizzi, Andrea Sciascia, Federica Scibilia, Rita Simone. Il mio ringraziamento è infine per i collaboratori con i quali ho discusso e condiviso negli anni le esperienze di cui qui si tratta: Filippo Amara, Regina Bandiera, Davide Branciamore, Sabina Branciamore, Claudia Caracausi, Olivia Longo. Progetto grafico Filippo Amara e Regina Bandiera Cura redazionale Filippo Amara e Regina Bandiera Fotografia Davide Branciamore Libro realizzato con il contributo dei fondi di ricerca MIUR 60%, 2003. Indice Introduzione 11 1 Un edificio complesso nella città nuova 15 2 Abitare da studenti 27 3 La strada Palermo-Agrigento 049 4 Alterazioni della Chimica Arenella 065 5 Outlet-city 079 6 Artefatti e progetti 093 7 Le case inquiete 103 Introduzione Il backstage della scuola La ventata riformista con la quale si cerca di modificare l’università tende sempre di più a qualificare le Facoltà unicamente in relazione ai corsi ufficiali, agli esami che ne derivano, ed, ora, al nefasto meccanismo dei crediti formativi. In questa ottica l’esperienza universitaria è sempre più “definita” e “misurata”; sempre di più inizia e finisce in tempi precisi e tende a consistere nella somma di alcuni corsi ufficiali tout court. Questi corsi vengono omologati e codificati in guide cartacee e informatiche che, lodevolmente, sopperiscono alla carenza di informazione di tradizione italiana. Il curriculum è, ancora di più che nel passato, identificato con questi corsi e percorsi standard. Alcune altre possibili esperienze formative sono invero previste, ma anch’esse scandite da numeri di crediti, e dal loro appartenere ad aree, come si dice oggi, grettamente, “professionalizzanti”. Sono quindi esperienze “retribuite” in crediti, misurate, ed appartengono a settori specifici del sapere: le conoscenze linguistiche, i tirocini e tutto quello che può avvicinare al mondo del lavoro. Ma l’università non è questo. L’università non è un erogatore di corsi e crediti. Essa è sempre stata un luogo dove si elabora la cultura in forma libera, dando esito alle forme più varie e, certamente non predefinibili, di didattica e di ricerca con forti commistioni e sovrapposizioni tra questi due ambiti. Parallelamente, l’esperienza ”universitaria” di un giovane deve interferire con questa complessità e con questa ricchezza, generando episodi formativi autonomi, personali e non di certo standardizzabili.1 Le Facoltà di Architettura, per una naturale propensione della disciplina, sono state, specialmente per l’insegnamento della progettazione architettonica, particolarmente prone a sviluppare esperienze formative complesse. Per questa ragione i corsi di progettazione architettonica sono stati da sempre molto eterogenei sia per programma che per conduzione, ed è stato sempre difficile, oltrechè inutile, tentare di ridurli a schemi standardizzati. Ma, oltre che per questo modo particolarmente libero di gestire i corsi di progettazione architettonica, le Facoltà di Architettura si sono distinte per avere sempre contribuito ad una quota sostanziale della didattica con forme che vanno fuori dai corsi ufficiali. 11 Workshop, seminari, lezioni esterne, mostre ed altre esperienze tra le più varie sono sempre state elemento centrale nella vita delle Facoltà. Ed è in questo ambito che spesso è possibile leggere la vera tendenza culturale della scuola. L’insieme di queste iniziative, anno per anno, nelle varie Facoltà rappresenta il tratto culturale di più di quello che si può evincere dai percorsi ufficiali di studio. Ciò molto spesso non è oggetto della propaganda di guide ed annuari, più centrati, secondo le direttive ministeriali, ad illustrare la componente più burocraticamente ufficiale della scuola. Studenti interessati ad imparare hanno usufruito di tali esperienze, senza l’assillo di ottenere in cambio esami o crediti. Di questo backstage della scuola tratta il libro: sono in esso raccolte esperienze da me condotte a partire dal 1999, in forme varie non coincidenti con la didattica dei corsi ufficiali, che ho comunque tenuto negli stessi anni. Mi sono dedicato con continuità a queste esperienze, non solo perchè credo al loro valore formativo in senso assoluto nell’università, ma perchè le considero addirittura indispensabili nell’ambito specifico dell’addestramento al progetto di architettura. La condizione del progetto di architettura è infatti quella di una pratica che non contempla un processo lineare dal semplice al complesso. Per il progetto di architettura, diversamente da altre discipline progettuali, non è possibile infatti definire una strategia universale. Piuttosto esso si costituisce come un collage di tecniche e procedure diverse, un insieme molto diversificato di metodi parziali, all’interno del quale la sintesi e la gerarchia delle scelte assumono un valore cruciale. Di questo processo, in una prospettiva didattica, ci interessa maggiormente non la fase in cui idee od immagini vengono prefigurate, ma la sequenza di “congiunzioni, disgiunzioni e gerarchie che pone i vari materiali in una relazione organizzativa necessaria rispetto a uno scopo e a un luogo”2. Conseguentemente il trasferimento in ambito didattico di una prassi così complessa non permette semplificazioni che risulterebbero inevitabilmente riduttive. Considerando tale complessità è proprio all’interno di esperienze mirate, particolari, per loro natura poco propedeutiche, che l’apprendimento può essere spinto fuori da riduzioni semplificative. Tali esperienze, peraltro, permettono di operare effettive “collaborazioni” tra docenti e studenti che aiutano ad apprendere non solo secondo le forme usuali di deduzione ed induzione ma anche per imitazione. 12 Convergenze Il progetto urbano moderno si configura in maniera sostanzialmente diversa da come esso si configurava solo quindici o venti anni fa. Le ragioni di tale diversità non sono però, a nostro avviso, solamente ascrivibili alle mutate condizioni contestuali, alle, ben note, nuove condizioni di cui costantemente si parla. Senza nulla togliere alla, quasi ovvia, fondatezza della tesi che le condizioni sono drammaticamente mutate, ci preme sottolineare che a tale evidente cambiamento strutturale si affianca, e ciò ci sembra estremamente positivo, anche un mutato atteggiamento da parte della cultura in generale. Esistono cioè, sia nella cultura generale, ma anche all’interno della disciplina, atteggiamenti diversi, modi diversi di guardare alle stesse cose. Od anche effettivi ampliamenti dello sguardo - tentativi di abbracciare aree più vaste della realtà. Tutto questo naturalmente ha un riscontro nelle pratiche della disciplina specifica dell’architettura. Quindi, anche se è indubbiamente vero che viviamo un’epoca di incredibili cambiamenti dove globalizzazione, affermazione dello spazio virtuale della telematica, migrazioni e mobilità della popolazione stanno generando modi del tutto nuovi, ma anche in buona parte imprevedibili di vivere e, conseguentemente, di utilizzare lo spazio fisico dell’architettura, è anche vero che sono sorti modi nuovi di guardare alle cose. I progetti raccolti in questo volume si sviluppano più in riferimento a questa seconda tendenza che non alla prima. In essi sono cioè rintracciabili riflessioni su cambiamenti strutturali già avvenuti e non “adeguamenti” dell’architettura a mutate o mutanti condizioni. Come abbiamo già scritto, i progetti sono stati elaborati nell’ambito della didattica in forme tra le più varie per modalità, tempi e altro così come, naturalmente, temi ed aree sono molto diversi. Ma risulta opportuno notare che, a dispetto di questa eterogeneità, i risultati “convergono” verso princìpi comuni. Come dicevamo, uno di questi princìpi comuni è quello teso ad ampliare il campo di azione dell’architettura coinvolgendo l’ampio spettro dei materiali della città moderna. Da essi deriva la riflessione sulla dimensione architettonica delle grosse infrastrutture. Questa tendenza è manifesta nel progetto “La strada Palermo-Agrigento” e nel progetto “Outlet-city”. Nel primo caso la strada sopraelevata, ma anche le rotonde a quota bassa della stessa strada, diventano elementi architettonici a tutti gli effetti e non opere di ingegneria. Nel secondo altri due elementi, la ferrovia e il piazzale di parcheggio, sono matrici del progetto. Le ragioni per le quali questi elementi siano rimasti fuori dall’architettura non sono da discutere in questa sede, ma ci è interessato includerli senza pregiudizi in un’architettura che intendiamo onnicomprensiva “alla maniera di Ruskin”. Ancora, vari progetti convergono, non programmaticamente, sul tema dell’edificio complesso e di quello a grande scala: non si tratta anche in questo caso di materiali nuovi, ma di riflessioni nuove su temi ampiamente sperimentati dall’architettura antica e teorizzati e dibat13 tuti nel dopoguerra. A queste riflessioni si aggiungono quelle più recenti di Koolhaas sulla bigness e quelle di Frampton sulla megaform. A tutte queste componenti ci siamo riferiti nell’impostare i progetti nei casi in cui le possibilità di strutturare paesaggi o pezzi di città ci hanno condotto a costruire strade e piazze “dentro l’edificio”, se così si può sinteticamente condensare la formula della megaform. Ciò è successo con il progetto “Abitare da studenti” e con il progetto “Outletcity”. Un vuoto urbano nel primo caso, una localizzazione nel paesaggio agrario nel secondo, sono stati affrontati con edifici di grande dimensione il cui intento è stato quello di indicare nuove possibilità di organizzazione di grandi aree, piuttosto che la risoluzione episodica di un programma funzionale. 1 Su questi temi cfr. Jean-Francois Lyotard, La condition postmoderne: rapport sur le savoir, Paris 1979 (ed. it. La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Milano 1981); più segnatamente sulla involuzione subita dall’insegnamento universitario cfr. Maurizio Ferraris, Un ikea di università, Milano 2001; Gian Luigi Beccaria, a cura di, Tre più due uguale zero, Milano 2004. 2 Cfr. 14 Vittorio Gregotti, Dentro l’architettura, Torino 1991, p. 9. 1. Un edificio complesso nella città nuova Concorso alla 4° Biennale Internazionale di Architettura di San Paolo del Brasile L’occasione per l’elaborazione di questo progetto è stato il Concorso per scuole di architettura bandito dalla Quarta Biennale di Architettura di San Paolo del Brasile. La Biennale, che si svolge dal 1951, è una gigantesca manifestazione che comprende esposizioni, concorsi, convegni, presentazioni di libri, lezioni. La Quarta Biennale si è svolta dal novembre 1999 al febbraio 2000 in un padiglione progettato da Oscar Niemeyer nel parco Ibirapuera, di Niemeyer e Burle Marx. I progetti che hanno partecipato al concorso per scuole di architettura hanno costituito una sezione tematica dell’esposizione. Il concorso richiedeva la partecipazione di gruppi di studenti coordinati da docenti in rappresentanza delle Facoltà di architettura di tutto il mondo. Il bando prevedeva la progettazione di un centro culturale con annessa biblioteca e museo della città. L’area era di libera scelta dei partecipanti. Scegliemmo un area in una parte “nuova” della città di Palermo. La giuria composta da Herman Hertzberger (Olanda), Alberto Varas (Argentina), Francis Strauven (Belgio), Frank Svensson (Brasile) e José Magalhães Jr. (Brasile) ci assegnò il secondo premio.1 Dalla relazione di progetto a cura di Filippo Amara e Sabina Branciamore: Geografia Il territorio di Palermo è caratterizzato dalla presenza di un anello di montagne rivolte verso il mare che racchiudono l’intera area urbana; questa situazione morfologica ha condotto ad uno sviluppo urbano da Nord a Sud, a partire dal sedicesimo secolo sino ad oggi. Fratture nella struttura urbana A dispetto di questo, in rapporto ad alcune speciali situazioni geografiche o urbane – il fiume Oreto, il monte Pellegrino, alcuni grandi sistemi di vecchi edifici industriali dentro la città – Palermo mostra alcune fratture nella sua struttura urbana, che attraversano la città da Ovest a Est. Una di queste fratture è di speciale interesse perchè è direttamente connessa ad una sequenza di antichi giardini, in prossi15 mità del centro storico, che virtualmente collegano i principali elementi geografici: le montagne e il mare. Questa frattura comincia al di là della circonvallazione di Palermo, dove la città è diradata, e passa attraverso la città densa fino a raggiungere il mare. Nella sua parte occidentale, dove si trova il nostro progetto, la frattura è determinata dall’incontro di due differenti tipi di città: quella basata sul tipico isolato ottocentesco e quella che prova ad applicare le tipologie residenziali del movimento moderno a schemi urbanistici tradizionali. Questa situazione, che è piuttosto comune nelle città europee, genera un’area che non può essere considerata né come il centro storico né come periferia. Infrastruttura: il “bosco urbano” Abbiamo considerato queste discontinuità nella struttura urbana come un’opportunità per introdurre nuove regole per continuare la città. Abbiamo usato questa parte della frattura per far passare la campagna dentro la città nella forma di un “bosco urbano”, che assume il ruolo di struttura connettiva in grado di unificare parti eterogenee della città. Il sistema di assi e allineamenti generato dalla griglia della piantumazione restituisce allo stesso tempo misura e posizione agli elementi preesistenti, fornendo allo stesso tempo regole per il posizionamento di nuovi edifici. La park-way Si propone la riconnessione del sistema di circolazione con la ri-costruzione della strada che attraversa la frattura, considerandola come una “strada di parco” attraverso una sequenza di vuoti urbani, la cui sezione tipo si articola in relazione alle diverse situazioni; il complesso del centro culturale è posizionato all’interno di uno di questi vuoti, e la sua sezione può essere considerata come parte del sistema di variazioni della sezione della park-way. L’edificio Abbiamo concepito il centro culturale come un edificio ibrido, un sistema di elementi funzionali relativamente autonomi ed identificabili: - il museo della città, che consiste di due parti: una che si estende per l’intera parte interrata dell’edificio che include il principale spazio espositivo – una galleria di circa 2500 mq – una sala multifunzionale direttamente connessa all’ingresso principale al livello superiore e un bar; l’altra, che emerge dal sotterraneo come una scatola di cemento su pilotis di quattro elevazioni, dove sono collocati gli spazi per esposizioni temporanee, laboratori, uffici e servizi; - 16 la biblioteca, con una sezione dedicata alla storia della città collegata al museo al livello interrato, e la parte pubblica situata ai livelli superiori, in un edificio di tre piani di fronte a quello del museo. Sia il museo che la biblioteca hanno il tetto giardino, estensione del “bosco urbano” e basato sulla stessa griglia regolatrice. - l’auditorium, su due livelli, per 300 persone, la cui forma è ottenuta dalla piegatura continua di un piano che diventa in questo modo pavimento, parete, soffitto, poi ancora pavimento. Ogni funzione ha il suo spazio specifico nell’edificio, combinato in modo che le interconnessioni determinino diversi modi d’uso. Queste unità funzionali sono connesse – e separate – da due elementi tipologici: una galleria sulla quale queste unità sono disposte e un patio dove sono posizionati gli ingressi indipendenti di ciascuna parte. È interessante notare come questa organizzazione tipologica piuttosto diagrammatica è resa complessa dallo sviluppo del programma: il patio, che può essere considerato come “spazio servente” quando le diverse parti dell’edificio sono usate separatamente, diviene uno “spazio servito” quando l’edificio è usato interamente; lo stesso ragionamento, all’inverso, può farsi per la galleria. L’edificio, infine, può essere visto come una sorta di grosso “basamento di distribuzione”, la cui superficie superiore – la nuova piazza – è articolata dai diversi tipi di lucernari e dal tetto dell’auditorium, la cui superficie, ripiegandosi, si presenta come una duna artificiale. Le parti emergenti del centro culturale si poggiano come padiglioni su questo basamento. I pilotis trasformano il piano terra dei padiglioni in una sorta di “foresta pietrificata”, una prosecuzione del “bosco urbano” dentro l’edificio. 1 “Júri concede cinco prêmios a projetos de centros culturais, tema do concurso de escolas da arquitetura,” in Projeto, n. 239, Gennaio 2000, pp. 62-65; Abitare, 393, Marzo 2000, pp. 52-53; Giornale di Sicilia, 11.3.2000; Jornal da Tarce, 1.12.99; O Estado de S.Paulo, 1.12.99; Folha de Sao Paulo, 1.12.99; Arch’it News, 15.12.99; cfr. anche www.architettura.it/news 17 docente Michele Sbacchi tutors Filippo Amara Sabina Branciamore studenti Regina Bandiera Davide Branciamore Manlio Di Giorgio Vincenzo Di Michele Monica Gentile Rosa Lo Cascio Manfredi Mancuso Laura Rapisarda Barbara Ricco Sonia Migliore 1 Via Fermi Via Falcando 18 2 1 3 Via Pacinotti 2 3 4 Piazza Campolo 4 5 6 Via Casella Via Fermi 5 6 19 1 2 Via Serradifalco/Piazza Campolo 2 3 4 Via Serradifalco 20 4 5 1 2 3 4 5 Via Pacinotti/Piazza Campolo 2 6 4 Via Fermi 21 Via Fermi Via Pacinotti 22 23 2 24 4 Legenda 1 Auditorium 2 Biblioteca 3 Patio 4 Laboratori 1 3 25 26 2. Abitare da studenti Concorso Internazionale di Progettazione Architettonica, Università di Bologna L’insegnamento della progettazione architettonica nell’attuale regolamentazione degli studi di architettura ha subito una grave perdita. Ciò a causa della separazione “per anno” degli studenti nei corsi. Nella situazione attuale in Italia, ma anche nella maggior parte delle università straniere, infatti, gli studenti afferiscono a corsi che sono frequentati solamente da altri studenti che hanno la loro stessa esperienza didattica. Questo sistema garantisce un’apparente maggiore razionalizzazione, ma se si ci riflette, e si guarda ai risultati, si capisce che in realtà gli effetti negativi sono di più di quelli positivi. Pochi vantaggi pratici non compensano la perdita della ricchezza che si otteneva nella commistione di esperienze diverse, quando gli studenti di tutti gli anni sceglievano i corsi di composizione e si raggruppavano eterogeneamente. La convinzione che l’esperienza di un laboratorio potesse essere arricchita dal rapporto tra studenti di anni diversi mi portò a inserire all’interno del laboratorio di primo anno un gruppo di studenti “fuori corso” che lavoravano allo stesso tema, con gli stessi tempi e nello stesso luogo degli altri studenti. Gli studenti di anno più avanzato parteciparono in gruppi a un concorso. Il concorso fu Abitare da studenti, bandito nel settembre 1999 dal Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, nell’ambito delle manifestazioni Bologna 2000, Capitale Europea della cultura. Il concorso, aperto a studenti delle università europee, prevedeva l’elaborazione di un progetto di residenze studentesche, da svolgersi sotto la guida di un docente nell’ambito di un corso di progettazione o come tesi di laurea. Partecipammo con tre progetti elaborati da studenti degli ultimi anni o fuori corso. La nostra partecipazione fu gratificata dal terzo premio ex-aequo vinto dal progetto di Di Michele, Mancuso e Migliore e dalla nota di apprezzamento particolare espressa dalla giuria nei miei confronti come docente. La manifestazione si è conclusa nel Novembre successivo a Bologna con l’Atelier Internazionale di Progettazione, la premiazione del con27 corso ed un convegno sul tema di progetto. I progetti sono stati in mostra nel padiglione dell’Esprit Nouveau. Il progetto è stato pubblicato in: Luisella Gelsomino, Giorgio Praderio, a cura di, Abitare da studenti, Alinea, Firenze 2000, pp. 64-66. Myriam Russo, “Vivere da studenti in una città nella città, a Palermo Campus e città si uniscono in matrimonio. Vincenzo Di Michele, Manfredi Mancuso e Sonia Migliore coordinati dal professor Michele Sbacchi hanno realizzato un progetto che tende alla riqualificazione urbana”, in Collettività Convivenze, 3/4, aprile 2001, pp. 40-46. Uno degli obiettivi principali prefissati era quello di negare la residenza per studenti come residenza speciale o residenza per abitanti speciali. Si voleva a tutti costi eludere l’effetto ghettizzante che la specializzazione residenziale inevitabilmente provoca. Contemporaneamente ci si prefissò di accettare realisticamente la condizione di campus urbano dell’Università di Palermo. Condizione peraltro condivisa da molte altre università italiane. Il modello di Urbino, di Heidelberg ma soprattutto delle cittadine universitarie inglesi fu rifiutato a priori. Così come inapplicabile risultava una logica conservativa indolore del tipo Bologna. Volevamo invece che nuovi pezzi di città mista fossero introdotti in maniera esplicita all’interno di un area, per cui è necessario confondere più che zonizzare. 28 Dalla relazione di progetto a cura di Filippo Amara e Sabina Branciamore: Il piano Abbiamo scelto di lavorare nella città di Palermo ed in particolare in quella parte interessata dalla presenza del campus universitario: questo ci ha consentito di affrontare la questione dell’abitare da studenti intervenendo in continuità su due livelli diversi; uno di carattere generale, a scala urbana, ed uno più strettamente legato agli obbiettivi del concorso. Il primo livello riguarda la maniera in cui i diversi tipi di città che convergono in quest’area si giustappongono e in alcuni casi si sovrappongono senza arrivare però a definire una nuova struttura urbana identificabile in quanto tale; questa condizione è peraltro ricorrente in numerose città europee: aree di “città nuova” i cui spazi urbani non sono riconducibili né a quelli della città consolidata nelle sue forme tipiche né a quelli della periferia diradata. Abbiamo provato a dare forma a questa parte di città attraverso l’inserimento di una struttura a scala urbana: il parco. Il secondo livello ha a che vedere con la maniera in cui la necessità funzionale di dotare la città di una rete di attrezzature e servizi, se concepita all’interno di un preciso processo di trasformazione, può contribuire ad una nuova fase della storia continua della costruzione della città. Il campus e la città La città universitaria di Palermo, insediata nell’area del Parco d’Orleans, compresa tra la circonvallazione (viale della Regione Siciliana) a sud-ovest, via Ernesto Basile a sud-est e corso Pisani a nord, insinuandosi come un grosso vuoto urbano nel tessuto continuo della città, si configura - in special modo nella sua parte più a nord - come un vero e proprio pezzo di “città moderna” a bassa densità dentro la città consolidata; allo stesso tempo la dimensione di questo vuoto non è tale da renderlo per così dire “indipendente” dalle altre parti, confermandone in questo senso il carattere urbano. Le sedi delle facoltà universitarie si dispongono nell’area del parco costituendo un sistema di edifici che si confrontano per dimensione e posizione, aggregandosi attorno a elementi definiti; in particolare l’asse del viale delle Scienze, che attraversa il campus per tutta la sua attuale estensione, costituisce l’elemento di connessione del sistema. Sul medesimo principio sono costruite altri parti significative di quest‘area, come il sistema dell’Ospedale Civico che si attesta su via Lazzaro o quello della caserma della Polizia su corso Pisani. 29 Il parco Abbiamo individuato in questa condizione il possibile punto di partenza per una nuova fase della costruzione della città. Abbiamo riconosciuto nei vuoti che sospendono il continuum urbano i frammenti di un parco possibile, rintracciando nel criterio di ortogonalità che sta alla base dei sistemi di edifici presenti in questa parte di città le regole per la sua costruzione. Così concepito il parco diventa una struttura connettiva, che sovrapponendosi virtualmente alla città attraverso la rete di direzioni e misure data dalla piantumazione ne costituirebbe una sorta di piano regolatore costruito, in grado di restituire posizione agli elementi presenti, mettendone in luce le relazioni e garantendo un sistema di assi e allineamenti per i nuovi interventi. La residenza per studenti come edificio pubblico complesso. La questione degli alloggi per gli studenti diventa allora la maniera per operare un trasferimento di funzioni tra il campus universitario e la città: l’inserimento di edifici con funzione residenziale e di servizio a scala urbana all’interno del campus e il contestuale dislocamento di funzioni collegate all’università e alla ricerca nelle aree limitrofe può a nostro avviso indurre un processo di “ricomposizione” tra parti eterogenee - per tipo e funzione - di città. La dotazione di una moderna rete di residenze per studenti può costituire dunque la maniera per avviare questo tipo di processo; questo perchè l’“abitare da studenti” non deve essere considerato l’occasione per una semplice declinazione progettuale della tipologia residenziale, collettiva o meno, ma, più generalmente, come una delle forme dell’abitare proprie della città contemporanea che in quanto tale possiede caratteristiche specifiche. L’innalzamento del grado di scolarità, l’allungamento dei percorsi formativi e la necessità di una continua attività di perfezionamento che numerose professioni ormai richiedono (si parla di life-long learning) rendono la condizione di “studente” relativamente normale e diffusa in un range di età più ampio rispetto a qualche anno addietro; ancora, la sempre più frequente necessità di spostamenti associata ai processi formativi genera una sorta di nomadismo diffuso che fa della “provvisorietà” una condizione normale; questo avvicina in maniera significativa la condizione dello studente “fuori sede” a quella dello studente in quanto tale e dunque, in senso più generale, a quella del cittadino. La stessa idea di residenza per studenti viene in questo senso messa in discussione: dal momento che la condizione della provvisorietà può riferirsi ad un più vasto arcipelago di condizioni esistenziali (singles, giovani coppie, immigrati, etc.) ci sembra corretto reinterpretare il tema nell’ottica più generale dell’integrazione tra le diverse forme dell’abitare, e di queste con le attrezzature e i servizi per la città. 30 La residenza per studenti sarà in questo senso sempre più una sorta di “condensatore sociale” a scala urbana, un luogo in cui la dimensione privata dell’abitare sfuma in maniera continua in quella pubblica attraverso molteplici gradi di integrazione, ciascuno dotato di un suo spazio specifico; un edificio complesso, frutto dell’aggregazione di parti relativamente autonome per tipo e funzione, che ritrova nei suoi spazi pubblici un livello più generale di unità. 31 docente Michele Sbacchi tutors Filippo Amara Sabina Branciamore studenti Regina Bandiera Davide Branciamore Manlio Di Giorgio Vincenzo Di Michele Alfredo Geloso Monica Gentile Rosa Lo Cascio Manfredi Mancuso Barbara Ricco Sonia Migliore sul bordo 1 3 sovrapposizioni 2 2 nel vuoto 32 3 1 Sul bordo La via Basile entra nel tessuto continuo della città storica incrociando perpendicolarmente l’asse di corso Re Ruggero-via Lodato, il cui tracciato, legato a quello delle mura del centro storico, costituisce un vero e proprio margine della città. Luogo Si tratta di una condizione urbana estremamente complessa, caratterizzata dalla presenza di situazioni ed elementi potenzialmente strutturanti: - la giustapposizione di due tipi di città, quella “ottocentesca” - basata sulla ripetizione dell’isolato - e la “borgata” - schiere di case addossate lungo il tracciato viario - il cui “accostamento” genera una brusca soluzione di continuità nel tessuto urbano; - il tracciato della cintura ferroviaria, che sarà impiegato dalla rete della metropolitana, e che fissa ulteriormente la posizione di corso Re Ruggero e, allo stesso tempo, consolida la sconnessione tra le parti di città a monte e a valle dello stesso; - le grosse infrastrutture dell’Ospedale Civico, del Policlinico e del campus universitario, vuoti urbani che abbassando la densità dell’edificato rendono più labile la struttura urbana. Tema “Realizzare un insieme coerente partendo da costellazioni contraddittorie” (H. Kollhoff). Obbiettivi del progetto urbano - ridefinizione dell’incrocio via Basile-corso Re Ruggero e riconnessione delle parti di città separate dalla cintura ferroviaria attraverso la ricostruzione unitaria del tratto di strada Re Ruggero-Lodato (unificazione della sezione stradale); - ridefinizione della testata dell’isolato compreso tra via Basile, via Monfenera e via Argento attraverso una articolazione dell’edificio che, ripiegandosi, definisce in questo punto una corte aperta “appesa” alla nuova strada, della cui sezione costituisce una variazione; - definizione come parti del parco dei vuoti che si attestano lungo i tracciati stradali attraverso l’inserimento di elementi naturali (piantumazione) o artificiali (pensiline, piccoli padiglioni) che seguono la regola di ortogonalità che governa l’impianto del parco a scala urbana. 33 L’edificio L’edificio trova dunque posizione e misura a partire dalle specifiche condizioni urbane articolandosi in relazione alle diverse situazioni; dal punto di vista tipologico deriva dall’accostamento e dalla sovrapposizione di differenti tipi edilizi e funzionali, che trovano unità a partire dall’inserimento di funzioni pubbliche a servizio degli alloggi e della città. Questi spazi, pur conservando la loro specificità, assumono il ruolo di interfaccia tra le diverse parti dell’edificio, il cui carattere unitario trova un tipo nelle sue parti interrate, che contengono le funzioni a scala più ampia (parcheggio, palestra, piscina) e costituiscono una sorta di “piastra di distribuzione”, e una figura nella maniera continua in cui il coronamento si piega, in qualche modo indipendentemente dalle partizioni tipologiche. 34 Legenda 1 Residenze 2 Appartamenti 3 Bar-ristorante 4 Negozi 2 1 4 3 35 36 Corso Re Ruggero Via Lodato 37 Sovrapposizioni La parte di città compresa tra la via Basile e la via Lazzaro si presenta come una sorta di puzzle incompleto, i cui pezzi hanno solo in parte trovato ordine e non permettono ancora di individuare una figura complessiva. Luogo L’area compresa tra le vie Solarino/Marini e Generale Artale risulta di particolare interesse per due ordini di motivi: - presenta una densità edilizia relativamente bassa, che la avvicina in un certo senso al sistema del Parco d’Orleans; - conserva al suo interno un sistema di capannoni industriali, in discreto stato di conservazione, che costituiscono come un frammento del sistema che organizza nel parco gli edifici dell’università. Obbiettivi del progetto urbano La riconnessione del vuoto tra via Marini e via Generale Artale al sistema generale del parco attraverso: - la sovrapposizione della sua regola di impianto, che viene impiegata per definire il posizionamento delle alberature e dei nuovi edifici, ridefinendo allo stesso tempo come eccezione la giacitura dei padiglioni e degli altri edifici esistenti; - la ridefinizione del tracciato e della sezione di via Generale Artale, che assume il carattere della “strada di parco”, rispetto alla quale i nuovi edifici definiscono ambiti spaziali differenziati che possono leggersi come variazioni della sua sezione. Gli edifici Abbiamo sondato la possibilità di riusare il sistema dei capannoni industriali attraverso l’inserimento delle funzioni di residenza e servizi. Lo spazio dei due padiglioni principali è caratterizzato dal ritmo delle coperture voltate, che fungono anche da sistema di illuminazione, ed è suddiviso in due parti secondo la direzione longitudinale dalla sequenza dei pilastri che sostengono la trave continua su cui poggiano le volte; i due padiglioni più piccoli sono anch’essi voltati, ma in questo caso la copertura poggia direttamente sui pilastri perimetrali. Il “riuso” è in fin dei conti una sorta di operazione chirurgica sul corpo degli edifici esistenti, un processo di trasformazione che sta nella storia continua delle nostre città e che si è manifestata ogni qualvolta le esigenze lo abbiano reso necessario; è una operazione di interpretazione: si tratta di riconoscere in ciò che esiste i caratteri di ciò che sarà. Anche in questo caso abbiamo fatto ricorso al principio della sovrapposizione, introducendo all’interno dei padiglioni una seconda strut38 tura che ha il duplice compito di ridefinire tipologicamente e costruttivamente l’edificio; la struttura esistente diventa allora in qualche modo la “materializzazione” del principio tipologico che ne ha “informato” la costruzione originaria. I due edifici principali sono organizzati attorno ad un vuoto centrale, che porta la luce dentro l’edificio e attorno al quale si articolano i servizi e il sistema di distribuzione verticale ed orizzontale. Il livello più alto è destinato, in tutti gli edifici, alle funzioni pubbliche a scala urbana; questo per far sì che possa essere usato come piano libero, in modo che le volte, non interrotte da elementi divisori, conservino la loro funzione e la loro figura. 39 40 1 3 2 Legenda 1 Residenza 2 Scuola del cinema 3 Palestra 41 Via Marini 42 Via Crisafulli Nel vuoto La parte del Parco d’Orleans più vicina alla circonvallazione costituisce una parte consistente del vuoto urbano di cui fa parte la città universitaria. Luogo L’area è caratterizzata dalla presenza di un forte elemento geografico, la Fossa della Garofala, una forte depressione che, se da un lato ha preservato questa parte del parco come “area di naturalità”, dall’altro ne rende estremamente complessa l’ integrazione nella città. Definizioni Se analizziamo il parco d’Orleans a partire dalla nozione di densità otteniamo due letture contrastanti: - se la intendiamo in senso strettamente quantitativo, allora diremo che la densità decresce man mano che si procede da nord-est (città consolidata) verso sud-ovest (città nuova/periferia); - se la intendiamo in senso qualitativo, facendo riferimento al sistema di relazioni tra gli edifici, e alla maniera in cui questi definiscono gli spazi urbani, allora individueremo nel tratto centrale del parco l’area a più alta densità. Strumenti Facendo riferimento a quest’ultima accezione del concetto, riteniamo che la densità necessaria per conferire carattere urbano a questa parte di città possa essere ottenuta attraverso tre strumenti, strettamente correlati: - l’assunzione della strada come elemento in grado di conferire carattere e identità urbana indipendentemente dalla presenza di un fronte di via edificato; - l’impiego del sistema delle alberature come “tessuto connettivo” che sostenga le relazioni tra gli edifici e definisca ambiti spaziali differenziati. Obbiettivi del progetto urbano - ridefinizione del Parco d’Orleans come parco urbano attraverso la sua riconnessione alla rete infrastrutturale della città; questa operazione determina peraltro la riconnessione della via Basile a corso Pisani; - inserimento della Fossa della Garofala nel sistema del parco urbano ridefinendola come “spazio centrale” rispetto al sistema degli edifici (esistenti e di progetto) e delle strade di parco. 43 L’edificio L’edificio fa dunque parte di un sistema più ampio, rispetto ai quali si confronta per dimensione e/o per posizione; in particolare prosegue la logica insediativa dei Dipartimenti di Fisica, Chimica e Biologia, incassandosi nel suolo, rispetto al quale diviene un vero e proprio “elemento misuratore”. Dal punto di vista tipologico l’edificio è concepito in maniera unitaria: una sorta di grosso “basamento di distribuzione” parzialmente interrato, la cui “pianta libera” è orientata da un doppio sistema di circolazione, uno trasversale, che apre l’edificio verso la città, l’altro longitudinale, che funge da “strada interna”. Da questo basamento emergono in maniera relativamente autonoma le diverse parti funzionali dell’edificio, ciascuna delle quali trova tipo e figura proprie. Il piano che separa il basamento dagli oggetti si presenta come una superficie modellata, una piazza urbana la cui articolazione dipende dalla maniera in cui le funzioni dislocate nel basamento si manifestano in superficie. 44 45 2 1 3 4 5 46 Via Basile Area di progetto Legenda 1 2 3 4 5 Appartamenti Laboratori Bar-ristorante Biblioteca Auditorium 47 48 3. La strada Palermo-Agrigento Concorso The Global and the Local in your City of the Future a Vienna Mostra alla Eastern Mediterranean University di Cipro Nei curricula universitari non esistono esperienze obbligatorie di partecipazione a concorsi di progettazione. Eppure, sempre di più, i concorsi, nelle loro varie forme, si sostituiscono all’incarico fiduciario, nelle commesse pubbliche di progettazione. È giusto a mio avviso che la scuola mantenga un rigoroso distacco accademico dal mondo del contingente: la formazione deve mirare ad obiettivi alti che solo successivamente si contamineranno nell’esperienza professionale. Ciononostante ritengo che almeno un’esperienza di partecipazione “guidata” a concorsi sia un esercizio che arricchisce la formazione del futuro architetto. Ma l’obiettivo non è pragmatico. Lo scopo di una tale esperienza infatti non è quello di rendere più competitivi gli studenti, ma quello di sviluppare un atteggiamento positivamente critico rispetto al meccanismo del concorso. Un atteggiamento che eviti la subordinazione passiva al bando ma stimoli la speculazione intellettuale più pura su un terreno di reale committenza. Per queste ragioni ho attivato un Laboratorio di Progettazione esplicitamente dedicato allo sviluppo di progetti per partecipazione a concorsi. Il concorso prescelto fu quello bandito dalla International Federation of Housing and Planning, dal titolo The Global and the Local in your City of the Future. L’area di progetto era libera e scegliemmo delle aree a Palermo ed Agrigento. Il progetto Monumenti e frammenti meritò una menzione speciale. Gli stessi progetti furono rielaborati con il titolo 6 Projects for the Mediterranean Island of Sicily per una mostra che si è svolta a Cipro in occasione del Congresso Medi3ology nel 2004. Il tema sviluppato fu quello dei flussi globali di popolazione e dei modi in cui città e territori possono beneficiarne. Un secondo tema, legato alla fruizione turistica, è quello delle grosse infrastrutture. Rispetto a questo il caso di Agrigento risultò particolarmente interessante. Quasi più dei templi, infatti, il paesaggio di Agrigento è fortemente caratterizzato dalla presenza di un sistema di strade e svincoli, molti dei quali su viadotti, la cui estensione è confrontabile con le parti di città che connette: questa condizione è generalmente considerata in 49 termini di “impatto ambientale”, evidenziando, spesso in maniera generica, il problematico rapporto tra una rete infrastrutturale sovradimensionata e un territorio dalla articolata morfologia e ricco di testimonianze storiche. Riteniamo che il caso di Agrigento metta in evidenza in maniera emblematica una questione – quella del rapporto tra infrastruttura, territorio e città - che sempre di più assume un ruolo centrale nel dibattito contemporaneo sul paesaggio. Le infrastrutture stradali, e in particolar modo le reti e i nodi autostradali, concepite nella quasi totalità dei casi in termini puramente funzionali, stabiliscono, come conseguenza involontaria dell’astrattezza dei criteri progettuali che le informano (tracciati, raggi di curvatura, raccordi, etc., fissati in funzione della velocità di esercizio), un particolare rapporto con il paesaggio che attraversano: da una parte lo ridefiniscono, divenendone in qualche modo elementi di descrizione e misura; dall’altra ne offrono, a chi le percorre, una nuova visione. Il progetto che presentiamo riguarda la parte terminale della strada Palermo-Agrigento, che qui assume un ruolo centrale, divenendo l’elemento dominante dell’intero territorio. Il ragionamento si fonda sull’ipotesi che le strade e gli svincoli che attraversano il territorio di Agrigento possano assumere il ruolo di elementi generatori delle forme architettoniche: viadotti, ponti, collegamenti sono conseguentemente trattati come luoghi e non come semplici pezzi di ingegneria depositati nel paesaggio. Le diverse parti che costituiscono questo lavoro, nell’affrontare situazioni anche molto diverse tra loro, mostrano come sia possibile ripensare al progetto di architettura a partire dal ristabilimento del rapporto strada-edificio, rimosso nella costruzione della città contemporanea. Rapporto che nel ridefinirsi deve necessariamente fare i conti con la grande dimensione che in maniera sempre più evidente, come conseguenza dei fenomeni di diffusione urbana, connota le infrastrutture. Ancora, attraverso la ricostituzione del rapporto strada-edificio passa, forse, la possibilità di riconsiderare, con strumenti nuovi e più adeguati, la questione della forma urbana. 50 Dalla relazione di progetto: Sicilia: gli incontenibili flussi di turismo di massa, immigrazione e mercati di strada Lo scenario di questi progetti è la Sicilia dei prossimi decenni. Tre progetti sono localizzati a Palermo e tre ad Agrigento. In città come Palermo od Agrigento la globalizzazione non produrrà quei fenomeni di concentrazione di servizi specializzati né porterà quei significativi investimenti generati dal mercato economico globale. Questi fenomeni, descritti ampiamente da studiosi come Saskia Sassen o Manuel Castells, riguardano infatti altre città e regioni del mondo. Ma la globalizzazione sarà tangibile in Sicilia per via di un altro dei suoi effetti, la mobilità della popolazione. A questo riguardo non possiamo non notare come la Sicilia sia una vera terra di frontiera. La mobilità di masse sempre più cospicue di popolazione è un processo già in corso ma è molto probabile che si incrementerà a livelli mai registrati. Nel futuro masse di gente sempre più grandi arriveranno in Sicilia: da un lato il turismo consumistico, seguendo una tendenza globale, porterà masse di popolazione nel Nord della Sicilia, principalmente a Palermo, dove sono concentrate le grandi infrastrutture di trasporto (porto ed aeroporto). La maggior parte di queste persone attraverseranno l’isola per raggiungere il Sud e visitare le testimonianze della Magna Grecia, principalmente ad Agrigento. Proverranno per lo più dai, più ricchi, paesi occidentali; similmente, ma con obiettivi drammaticamente diversi, una enorme massa di folle disperate approderà clandestinamente sulla costa Sud. Anche loro avranno come programma immediato l’attraversamento dell’isola, ma lo faranno nella direzione opposta. Si dirigeranno verso Nord in cerca di un lavoro a Palermo o per fermarsi temporaneamente come tappa nel loro pellegrinaggio per i più ricchi posti del Nord Europa. Potrebbe essere possibile combinare i due flussi ed ottenere che queste masse di immigrati, con le loro antiche e ricche tradizioni culturali trovino in Sicilia un lavoro legato all’espanso settore turistico. La terza questione considerata è quella dei mercati effimeri. Un fenomeno commerciale molto noto, accelerato dal processo di globalizzazione, è la scomparsa graduale dei negozi di taglia media. Essi vengono rimpiazzati, da un lato dalle grosse catene di negozi, spesso internazionali, e, dall’altro, dai mercati locali più o meno legali. Ci interessa sottolineare come l’estensione di questi mercati si stia incrementando notevolmente. L’immigrazione naturalmente è strettamente legata a questo fenome51 no. Gli immigrati spesso trovano il loro primo lavoro nei mercati di strada. Essi inoltre introducono merci nuove ed inusuali provenienti dai loro paesi, rendendo più vasta e più ricca la varietà e la qualità dei mercati. Per via del suo clima e delle sue origini arabe la Sicilia ha un antica tradizione di mercati all’aperto. La contaminazione dei mercati storici è già avvenuta a Palermo – così come in molte altre città – sotto la pressione degli immigrati. Si tratta di una importante risorsa che vogliamo valorizzare proponendo una generale mercatificazione di aree più vaste di Palermo e Agrigento. È una risorsa sia per gli abitanti che per i turisti. Ci si auspica che la strada Palermo-Agrigento diventi nel futuro un itinerario piacevole sia per visitatori temporanei (i turisti) che per i visitatori a lungo termine (gli immigrati), senza che si possa fare distinzione tra questi. Questa strada quindi simbolizza la Sicilia come una frontiera, con due lati, come ogni isola. La strada esistente viene in questo progetto assunta come un simbolo di questi flussi. Eppure essa si comporta anche come un asse fisico lungo il quale sono posizionati gli interventi di progetto. I sei progetti si concentrano lungo questa strada, focalizzandosi sulle parti terminali (Palermo e Agrigento). Essi affrontano il tema del turismo di massa e dell’immigrazione fornendo esempi di edifici residenziali ad uso misto nella città. I due centri storici di Palermo e Agrigento possono quindi essere rivitalizzati da nuovi edifici che accolgono questi nuovi lavoratori e i turisti in insediamenti storici “veri”. La “finzione” degli alberghi del turismo consumistico può essere così evitata. Le città saranno quindi veri luoghi dove “abitanti temporanei” e “abitanti permanenti” si mescoleranno come nella realtà preconsumistica. Il piano generale prevede che i negozi e i mercati all’aperto siano incrementati ed allocati nel piano terreno degli edifici. Questi progetti sono quindi offerti come esemplificazioni di un grande intervento mirato a combattere gli effetti negativi del turismo di massa, fornendo possibilità per una vera società multirazziale. 52 The Global and the Local in your City of the Future, Vienna 1 docenti Michele Sbacchi Francesco Maggio tutors Filippo Amara Regina Bandiera Davide Branciamore Claudia Caracausi Giuseppe Mazzeo San Giovanni degli Eremiti Capo Cala 2 1 2 3 3 Palermo 53 1 1 2 Ingresso alla città 2 Tempio di Ercole 3 San Leone 54 3 Agrigento studenti Marco Alesi Ornella Ammoscato Giuseppe Borzellieri Francesco Corda Loredana D’Ambra Fabiola Frenna Sebastiano Raimondo Orazio Sciuto Vittorio Sposito Monumenti e frammenti Il progetto mira alla trasformazione di un isolato molto complesso ai piedi del Palazzo dei Normanni a Palermo. L’isolato comprende diversi monumenti: ben quattro chiese, tra cui il notevole complesso arabo-normanno di San Giovanni degli Eremiti, resti delle mura originarie della città, compresa un’antica porta. Esso però comprende anche alcune case a schiera, una villa ottocentesca trasformata in giardino, alcune vecchie fabbriche, parte della stazione della metropolitana, un palazzo barocco con un giardino interno. È un esempio della sovrapposizione di interventi tipica del centro storico di Palermo. L’isolato, peraltro, fronteggia una strada di tracciato relativamente recente che impone un margine lineare a questo collage frammentario di edifici. Il progetto rende la parte interna dell’isolato più accessibile e localizza alcuni nuovi edifici, destinati a funzioni necessarie, nell’area vuota. In questo caso la strategia è quella di trattare questi edifici come nuovi frammenti che incorporano la logica dell’isolato. Quindi il margine variegato ed episodico dell’isolato continua nella nuova parte. L’ipotesi generale è quella di rafforzare il turismo e le residenze miste, così come i mercati “di strada”. Gli edifici ospitano pertanto un auditorium, un teatro, un centro multiculturale, servizi di informazione per i turisti, una nuova stazione della metropolitana e un parcheggio multilivello. Viene progettato anche un nuovo accesso con biglietteria per la chiesa di San Giovanni. Un edificio viene destinato alla residenza, principalmente case per singles o per coppie, da offrire a turisti o immigrati. Una passeggiata lungo le antiche mura, attualmente inaccessibili, è l’elemento centrale del progetto: essa connette fisicamente e logicamente l’insieme dei frammenti. 55 Legenda 1 2 3 4 Stazione metropolitana Centro multiculturale Biblioteca Appartamenti 4 1 2 3 56 Ingigantire il tessuto urbano Questa area del centro storico di Palermo ospita l’antico mercato del Capo. Contigua ad esso è il mercato antiquario “delle Pulci”. Da quest’area si gode una vista a dir poco “violenta” della cattedrale. Il progetto propone di espandere l’area del mercato coinvolgendo il maggior numero di edifici e strade; si propone anche la costruzione di nuove abitazioni. La struttura urbana, infatti, non è qui particolarmente forte o ricca. Quindi è possibile espandere la dimensione delstudenti Salvatore Alfano Giuliana Giunta Daniele Roccaro Fabrizio Verderosa 2 Legenda 1 2 3 4 5 Biblioteca Auditorium Negozi Hotel Appartamenti 1 3 57 l’isolato mantenendo alcune delle sue giaciture. Di conseguenza si progetta un nuovo isolato: esso ospita un auditorium, negozi, case e un albergo. Tutto il basamento con la sua funzione commerciale dovrebbe quindi funzionare come la “parte solida” del mercato adiacente, di cui si progetta una espansione. 4 5 58 studenti Fabio Fiore Dario Gianuario Giancarlo Gianuario Simona Oliveri Alessandro Spinnato Carmelo Venezia L’isolato “in mezzo” Questo progetto, come gli altri ad esso coordinati, vuole essere un esempio di intervento nella generale ipotesi di una massiccia immissione di abitanti nel centro storico di Palermo (turisti e immigrati). Esso inoltre assume l’ipotesi di estendere notevolmente il numero delle bancarelle del mercato. Il progetto tratta un’area di Palermo particolarmente interessante, tra il vecchio porto (la Cala) ed il giardino ottocentesco di Piazza Marina. I due isolati sono quello che rimane di un unico isolato che seguiva il bordo curvilineo del vecchio porto, quando quest’ultimo aveva una estensione più ampia – questa trasformazione è resa evidente dalla posizione di alcuni monumenti e di alcune file di case a schiera. Questo isolato è stato però diviso nel Cinquecento, quando il vecchio Cassaro è stato prolungato fino a raggiungere la costa. Nell’ipotesi generale che tiene insieme tutti questi progetti il Cassaro costituisce la parte terminale della strada Agrigento-Palermo che connette le due coste della Sicilia. Quest’area di progetto è quindi particolarmente significativa se vista in questo contesto. Il progetto tratta i due isolati come un unico edificio; un terzo edificio “galleggiante” (denominato “nave-mercato”) è aggiunto al sistema e ne ribadisce il principio. Poiché l’isolato agisce come un diaframma tra il verde di Piazza Marina e l’acqua della Cala, il progetto prevede il transito tra queste due parti: spazi porticati al piano terreno permettono di passare attraverso gli edifici. Essi ospitano negozi, studi, laboratori, un albergo, case, parcheggi e bancarelle per il mercato. Di nuovo in questo progetto l’albergo e le case non sono nettamente separate e, in realtà, l’interscambio viene favorito. Ciò ovviamente nell’intento di evitare una città per i turisti distinta dalla città per gli abitanti o – peggio – per gli immigrati. Una torre/monumento con un teatro è posizionata sulla costa: è l’inizio e la fine della strada PalermoAgrigento. 59 3 2 Legenda 1 2 3 4 5 Negozi Albergo Abitazioni Laboratori Parcheggi 4 5 1 60 studenti Giorgio Burruano Giovanni Campanella Valentina Cerchia Anna Russo Marianna Sardo Cardalano Massimo Scirè Approdo La strada Palermo-Agrigento comincia e/o termina sulla splendida costa meridionale della Sicilia, purtroppo tristemente nota come teatro di numerosi, e spesso tragici, sbarchi di clandestini. Una “porta di benvenuto” è collocata dove la strada interseca la costa, come simbolo di ospitalità per gli immigrati. È qui che comincia la loro nuova vita. Tre muri sono attraversati assialmente da una scalinata, e una piattaforma sul mare diventa il primo pezzo di Sicilia effettivamente raggiungibile. Legenda 1 Belvedere 2 Porta 3 Approdo 3 2 1 61 Interferenze tra strade e templi Una volta entrata in città la strada attraversa la Valle dei Templi, tagliando la collina in prossimità del Tempio di Giove. Al di là della difficile praticabilità, innanzitutto economica, di un intervento che modifichi questo stato di cose mediante lo spostamento della strada, riteniamo che questa vicinanza costituisca in realtà una opportunità da sfruttare. Pertanto le necessarie attrezzature turistiche sono posizionate in modo da urbanizzare e razionalizzare questa inusuale unione di templi e autostrade. Gli edifici sono generati e concepiti come parti della strada, quasi una sua articolazione, che ne costituisce un margine nuovo e meglio definito. I servizi comprendono: un bar, un ristorante e un grande parcheggio. Un ponte pedonale scavalca la strada, riconnettendo il percorso tra il Tempio di Giove e il Tempio di Ercole e, più in generale, la passeggiata lungo la Valle dei Templi. 3 1-2 4 Legenda 1 2 3 4 5 6 Bar Ristorante Parcheggio Biglietteria Tempio di Giove Tempio di Ercole 5 6 62 Accesso alla città di Agrigento Nell’avvicinarsi ad Agrigento la strada attraversa una vasta vallata verde per mezzo di un lungo viadotto; quindi entra in città, separando il centro antico da quello nuovo. Lunghi tratti della strada sono, come abbiamo detto, su alti viadotti: il progetto intende rovesciare l’idea che tali viadotti costituiscano essenzialmente un problema di impatto ambientale, mettendo in luce la bellezza di questa infrastruttura che, se trattata con attenzione, può effettivamente organizzare in maniera significativa l’intero paesaggio. In questo senso l’accesso alla città viene radicalmente modificato dal nostro progetto e strettamente interrelato al viadotto: nuovi edifici, una nuova stazione per gli autobus e un parcheggio metteranno in scena proprio l’incontro dell’infrastruttura con la città, attribuendo nuova importanza a quest’area. 4 3 1 Legenda 1 2 3 4 Stazione Bus Parcheggio Ristorante Uffici 63 4. Alterazioni della Chimica Arenella Collaborazione con la School of Architecture del Royal College of Art di Londra Questi progetti riguardano l’area della Chimica Arenella a Palermo. Si tratta di una fabbrica dismessa, costituita da numerosi edifici in un’area in riva al mare sulla costa di Palermo. L’occasione fu una collaborazione didattica con il Corso di Progettazione di quarto anno della School of Architecture del Royal College of Art di Londra, condotto da Diana Cochrane and Oriel Prizeman ed il Laboratorio 4 di Progettazione Architettonica da me tenuto nel Corso di Laurea in Architettura della Facoltà di architettura di Palermo. La collaborazione prevedeva due esperienze diverse per gli studenti inglesi e per quelli italiani. I primi furono impegnati per tutto l’anno su un progetto compiuto sull’area, svolto individualmente. Gli studenti italiani, invece furono impegnati con un progetto condotto in due giorni in gruppi di otto. Il tutto è stato introdotto da sopralluoghi e dalla illustrazione dello studio di fattibilità che Vittorio Gregotti e lo studio Cangemi avevano precedentemente redatto. La critica dei progetti è stata svolta sia a Palermo che a Londra1 dai tre docenti, con l’aggiunta di Mark Prizeman della Architectural Association e di Agostino Cangemi, che è stato il promotore dell’iniziativa. La Chimica Arenella è un ambito particolarmente interessante per la sperimentazione progettuale. Oltre alla sua posizione in riva al mare, e molto vicina al centro della città; oltre al suo fascino romantico di fabbrica in rovina; oltre all’interesse documentario dei suoi edifici esso è un esempio notevole di tessuto urbano “a padiglioni”; come tanti “edifici totali” simili (fabbriche, carceri, ospedali, manicomi etc.) costituisce un modo di costruire la città che non appartiene né all’isolato della città dell’Ottocento né all’edilizia aperta della città moderna e contemporanea. Spesso l’approccio a queste aree secondo l’etichetta dell’”archeologia industriale”, ha limitato possibili altre visioni e relegato il dibattito al mero ambito della conservazione. I casi della Bovisa a Milano e dei Magazzini Frigoriferi a Venezia, per citare alcuni esempi, sono ulteriori casi di aree dove si è trascurato questo aspetto, a nostro avviso fondamentale. L’esperienza mostra approcci molto diversi e testimonia della diversità tra le due scuole. Gli studenti dell’Università di Palermo, tra i quali anche spagnoli, portoghesi e tedeschi del programma Erasmus, sono stati da noi condotti ad operazioni rigorose, scientifiche sull’im65 pianto della fabbrica, con attenzione a combinazioni e permutazioni possibili nei rapporti tra gli elementi che compongono il sistema. L’atteggiamento è stato asettico e indifferente ad istanze provenienti dall’esterno della disciplina. La tradizione italiana dell’analisi urbana, così come una vocazione metafisica, hanno contenuto le proposte entro un realismo oggi raro. Gli studenti del Royal College of Art, che comunque hanno affrontato il tema per un periodo lungo, hanno invece letto e intuito realtà culturali della città con acume e velocità. I loro progetti hanno, seppur talvolta forzatamente, “inscritto” l’architettura nella critica sociale, politica ed economica. Ironia, e grandi capacità di manipolazione di materiali così eterogenei, rendono i progetti estremamente stimolanti. Una certa indifferenza al tessuto reale degli edifici ha permesso considerazioni e proposte progettuali volte a sondare il “carattere” del luogo e dell’architettura. Le discussioni nelle critiche e nelle revisioni hanno permesso di generalizzare alcuni tratti dei progetti come fatti interpretativi della realtà contemporanea della cultura e dell’architettura, sia in Sicilia che altrove. 1 “Forza Palermo” in Architecture & Interiors Annual, Royal College of Art, London 2004, pp. 16-19. 66 Il progetto di Alison Crawshaw assume che la densità di Palermo sia eccessiva a causa della speculazione edilizia e dell’abusivismo. Propone quindi uno svuotamento sostituendo alcuni isolati del tessuto ottocentesco e della città moderna con spazi a bassa densità. Giardini, campi sportivi, aree attrezzate all’aperto vengono così a interrompere il continuum denso. Si tratta di spazi che mettono a nudo i grandi edifici adiacenti sulle cui facciate si interviene. Ma questi spazi permettono la messa in scena della teatralità della vita quotidiana “anche tra i condomini”. Il trattamento del suolo tiene conto della geografia che precedeva la massa edilizia speculativa. 67 Il progetto di Chloe Street si comporta come un grande intervento di landscape architecture. Monte Pellegrino, appena dietro la Chimica Arenella, diventa un grande schermo che annuncia le alchimie misteriche della santa protettrice di Palermo. In realtà è un grande giardino botanico dove un complesso sistema di acque rende possibili “trasfusioni vegetali”. Un pattern, a prestito da Klimt, organizza il reticolo nella parte alta, mentre la struttura regolare della ex-fabbrica fornisce la matrice alla quota bassa del mare. Artificiale e naturale sono completamente fusi portando a compimento una situazione tipica delle periferie. Anche Emily Burnett tenta un recupero tematico della vocazione chimica del luogo. Gelati al limone piuttosto che acido citrico, diventano i prodotti della fabbrica rinnovata. Spazi per una “ambasciata del cibo siciliano” serviranno anche per mantenere alcuni padiglioni. Altri verranno demoliti secondo un disegno urbano che vuole integrare i tessuti circostanti. Intrusioni tecnologiche sono messe in scena con un atteggiamento volutamente critico del concetto di archeologia industriale. Sarah Stead assume la vocazione esotica/erotica dell’isola mediterranea. L’approdo a Palermo, inizio di un viaggio nella tradizione romantica, si avvale quindi di una stazione marittima che mette in scena questo carattere. Spazi molto complessi che si potrebbero definire barocchi, se non fossero spregiudicatamente moderni. 68 I progetti nelle pagine seguenti, numerati da uno ad otto, sono stati elaborati dagli studenti della Facoltà di Architettura di Palermo in un esercizio che si è svolto per due giorni, e per il quale a ciascun gruppo erano richiesti un testo di sintetica descrizione, una planimetria, una foto ed un disegno tridimensionale. 69 tutor Filippo Amara studenti Rosario Agostino Armando Alfonso Ignazio Amico Pieralberto Barresi Toni Bevacqua Valentina Buzzone Aldo Cangemi Antonia Comparetto Nuno Pinheiro schema: disgiunzione 70 Progetto #1 - Disgiunzione Il principio su cui si basa l’intervento è la scissione dell’area industriale della Chimica Arenella in due sistemi, che si rapportano in maniera diversa al tessuto che li circonda. Abbiamo legato l’area a sud del viale centrale, più ricca di edifici, al tessuto urbano adiacente, mentre la zona a nord, caratterizzata da un’edilizia più rarefatta viene connessa ad un sistema semi-naturale. Il viale centrale diviene così elemento di scissione tra i due sistemi. tutor Regina Bandiera studenti Maddalena Accardi Maurizio Affatigato Gianluca Bellavere Giovanna Calabretta Martina Conciauro Ylenia Cordaro Paolo Spoto Maria Rita Unterfrauner Progetto #2 - I due bordi Due bordi: il primo continuo e compatto che si attesta su via Papa Sergio, l’altro frammentario e discontinuo lungo la costa. All’interno dell’area ci sono due tipi di tessuto, uno con elementi sparsi, l’altro ad alta densità; entrambi si relazionano ai relativi bordi. Il progetto prevede un elemento centrale ad alta densità che funge da unione tra i due bordi. bordo stradale compressione bordi 71 tutor Filippo Amara studenti Clara Agate Louise Elena Argento Giuseppe Alù Maria Angela Battaglia Maria Valentina Buffa Katia Campisi Margherita Cavallotti Elvira Ciancimino Gianfranco Ciancimino tre sistemi intrusioni 72 Progetto #3 - Intrusioni della spiaggia Il progetto si basa sull’individuazione di tre sistemi autonomi, unificati attraverso l’intrusione della linea di costa all’interno degli stessi. Tali intrusioni generano un sistema di vuoti che sta alla base dell’organizzazione del costruito. tutor Regina Bandiera studenti Marco Alesi Caterina Amodeo Sara Armeli Laura Barrale Giuseppe Borzellieri Tommaso Bulfamante Paolo Chianchiano Valentina Cutrona Progetto #4 - Interscambio Il principio dell’intervento si basa sulla suddivisione in settori pieni e vuoti. La parte centrale è compatta e densa; le due ali laterali sono, per contro, gli spazi meno densi e costruiti; ad Est si trova un riempimento d’acqua attraversato da moli, dovuti al prolungamento delle strade. 73 tutor Davide Branciamore studenti Vincenza Abbate Chiara Maria Aiello Daniela Albrizzi Angelo Aronica Manila Badagliacca Massimo Bertolino Francesco Bono Davide Brocco schema: interruzioni del bordo 74 Progetto #5 - Interruzioni del bordo L’operazione di collegamento del sistema a padiglioni col tessuto urbano viene realizzata attraverso tagli sugli edifici bassi esistenti. I tessuti vengono regolarizzati attraverso una modularizzazione suggerita dalle tracce dei sistemi delle preesistenze. Le strade che scandiscono questa griglia possono estendersi al tessuto urbano circostante, spezzando la cortina, che assume così la funzione di “filtro”. tutor Davide Branciamore studenti Gabriella Anzelmo Vito Barraco Annalisa Candore Antonio Caracausi Joann Chimento Valeria Chiodo Pietro Cutrona Annalisa Venturella Progetto #6 - Il Foro dell’Arenella In questo progetto viene mantenuta compatta la parte dell’area costruita sul fronte a mare - che si modifica al variare della linea di costa, collegata a via Papa Sergio attraverso tre ingressi. Si definisce così una serie di percorsi pedonali alberati che sottolineano il sistema viario. L’area centrale del sistema è riorganizzata dall’inserimento di due piazze collegate da un edificio su pilotis. Questo edificio definisce uno spazio di transizione tra la piazza alberata e il terrazzamento sul mare. 75 tutor Claudia Caracausi studenti Rosario Acquaro Agata Bertolino Sebastiano Bonasoro Marilena Bufalino Rosario Cambria Damiano Caruso Francesca Campanella Salvatore Chimenti Carmela Linda Cino 76 Progetto #7 - Spazi liquidi I tre assi che costituiscono la struttura viaria dell’area vengono ulteriormente marcati e su questi si attestano spazi vuoti ed edifici creando un sistema di pieni e vuoti. L’asse centrale si conclude con un edificio mentre gli assi laterali collegano, attraverso due ingressi secondari, la linea di costa con la via Papa Sergio riallacciandosi ai padiglioni al di là di quest’ultima. Questo sistema geometrico è accettato e negato allo stesso tempo dall’inserimento di elementi di copertura di forme irregolari all’interno dei vuoti, con il chiaro tentativo di contaminare quella regolarità in parte persa. tutor Claudia Caracausi studenti Ornella Ammoscato Silvia Bonaccorsi Giuseppe Baucina David Osset Borrell Laura Pascual Garcia Jesus Sanchez Sanchez Giovanna Scardina Salvatore Vitale Progetto #8 - Articolazioni degli spazi aperti Gli spazi aperti si organizzano in vario modo lungo i tre principali assi di percorrenza. Essi sono generati dai profili irregolari degli stessi edifici che arretrano o si attestano rispetto al filo stradale. In alcune parti dell’area, attraverso l’infittimento del sistema, si è cercato di definire le articolazioni degli spazi aperti. Tale densificazione, se da un lato “indebolisce” l’assialità della prospettiva verso il mare e dunque l’idea di “panorama”, dall’altro crea un percorso con una sezione variabile che allargandosi per poi restringersi, apre molteplici punti di vista. Allo stesso tempo si definisce un piano di camminamento unitario al di sotto di un sistema di elementi autonomi come quello dell’area. 77 5. Outlet-city Workshop Aeroporto e dintorni Questo progetto è stato sviluppato all’interno del Workshop Aeroporto e dintorni, svoltosi nel 2004 ed organizzato dal Comune di Cinisi e da Villard. Dieci gruppi di progettisti, guidati ciascuno da un docente, di otto Facoltà di Architettura italiane si sono cimentati con aree diverse dell’aeroporto di Palermo e del territorio circostante. Il nostro tema riguardava un’area tra aeroporto, ferrovia e autostrada da destinare ad un centro commerciale. Dalla relazione di progetto: Outlet-city Ingente la richiesta di funzioni: un auditorium, una scuola di formazione per la lavorazione della cartapesta, un albergo, ma soprattutto un grande outlet, che è presumibile pensare dedicato in massima parte all’abbigliamento. Estesi volumi, quindi, ma limitati in altezza a tre piani secondo una prescrizione aeroportuale. Tutto questo su un area in massima parte libera, punteggiata solo da sporadici ulivi e residui di muri a secco che segnano le divisioni dei lotti. Straripante, invece, la forza delle presenze infrastrutturali: aeroporto, autostrada e ferrovia – con la loro manifesta linearità. Linearis essentia L’area è allungata, in leggero declivio verso la pista. Ma soprattutto – così la abbiamo intesa – parallela a numerosi elementi: alla pista, all’autostrada, alla ferrovia, e, in effetti, anche alla costa. Questo parallelismo, e la sua implicita, già notata, linearità, è l’essenza del progetto. L’edificio è pertanto: allungato, parallelo a queste strisce (autostrada, pista etc.) ed, addirittura, adiacente alla ferrovia. Con maggiore precisione possiamo in realtà dire che la ferrovia di fatto genera l’edificio. Infatti la lunga galleria che contiene i negozi più piccoli si snoda lungo la linea ferrata ed è accessibile direttamente dai treni. Non c’è di fatto differenza tra stazione ed edificio: l’outlet è la stazione. 79 La galleria distribuisce “a ballatoio” cinque grandi padiglioni per vendita monomarca ed un albergo che conclude il sistema. Gli altri due edifici, la scuola di manifattura della cartapesta e l’auditorium, sono invece indipendenti disponendosi lungo la strada. Nell’auditorium (1.500 posti) termina il percorso pedonale che attraversa i padiglioni, entrando dentro l’edificio e avvolgendosi in una rampa fino alla copertura, dove si trova il teatro all’aperto. La scuola, su pianta ad L, prevede aule e laboratori, alcuni con soffitti in cartapesta; una lastra aggettante sulla piazza serve per l’esposizione temporanea dei modelli. Si costituisce quindi una seconda striscia, che ribadisce la linearità, e intervalla piazze a padiglioni. Adiacente a questa “striscia” si trova il viale principale del sistema che garantisce l’accesso carrabile e soprattutto propone relazioni consolidate tra edificio e strada: è il lato “tradizionalmente” urbano dell’intervento. Di fianco al viale, ancora una volta parallelamente, si dispone l’ultima striscia, quella dei parcheggi. Anche in questo caso si è preferito un impianto lineare. Il parcheggio, quindi, dispiegandosi parallelamente al lungo edificio, permette l’accesso alle auto con distanze minime. In opposizione alla grossa intrusione del monoblocco, il “vuoto” del parcheggio si configura come l’ovvio ambito di affioramento dell’esistente. Il parcheggio pertanto non è una superficie piana ma un insieme di piani inclinati di cemento che mettono in scena geografie e tracce fondiarie. Gli accessi al sistema sono tre: la ferrovia, l’autostrada – attraverso una rotatoria sulla via Aldo Moro – e una strada rurale preesistente che lega il nuovo complesso anche alla rete minuta di strade locali. Il sistema si conclude sull’edificio dell’albergo, che si allunga a monte e scavalca la strada separando la parte pubblica a valle e le stanze a monte. Carattere vs. tematizzazione La logica commerciale dell’attrazione impone agli outlet, così come ai parchi di divertimento, la tematizzazione. Questa strategia, che consiste nell’importare un carattere estraneo all’architettura ed ingigantirlo, sradica gli edifici dal contesto, rinunciando al carattere come fatto autoctono (nel senso di Blondel). Abbiamo ragionato in maniera opposta: si è pensato che l’outlet dovesse evitare la tematizzazione e che, come sarebbe corretto per qualunque architettura, dovesse essere tematico solo di se stesso e del luogo in cui si trova. Nessun tema in prestito quindi: architecture parlante in senso essenziale. Moda e modi dell’architettura I padiglioni degli outlet monomarca hanno le stesse dimensioni (60m x 30m) ma si differenziano molto, l’uno dall’altro, per princìpi architettonici. Un percorso pedonale esattamente in asse li attraversa tutti 80 garantendo il passaggio da una piazza all’altra attraverso il corpo dei negozi. Con varie strategie, i padiglioni articolano modi per “scavalcare” questo percorso. Il primo individua una piazza coperta con un solaio inclinato per metà in aggetto. Esso è destinato allo stilista Uzel & figlio, di cui interpreta l’audacia. Il secondo si deforma secondo la direzione di alcuni appezzamenti. Si sviluppa a spirale con piani inclinati che mettono in scena la promenade architecturale, ma anche il tema del movimento e della deformazione come nelle collezioni dello stilista Alexander Deutsch. Rigore e regolarità informano il terzo padiglione, quello di Joseph Hummel. Contaminazioni violente tra naturale e artificiale, giustapposizione brut tra materiali diversi, annullamento di bordi e giunti sono il principio che informa il padiglione di Franz Bubaceck. L’ultimo padiglione eccede la lunghezza di 60 m, scavalcando anche la strada – si salda così al parcheggio con una copertura carrabile. Oltre che deformato è un edificio informale, volutamente antielegante. Ospita stilisti di abbigliamento sportivo o casual come Goldman & Salatsch. Volevamo inserire un altro padiglione ma abbiamo rinunciato: “Avrei nominato volentieri anche un’altra casa che ha presentato al pubblico le sue creazioni. Quando però, nella loro giacca Norfolk, ho provato a sollevare un poco la piega che serve a dare più ampia libertà di movimento al braccio, grazie alla maggiore quantità di stoffa, non ci sono riuscito. Era falsa”. Adolf Loos, “La moda maschile”, (22 maggio 1898). 81 Outlet-City responsabile scientifico Michele Sbacchi tutors Filippo Amara Regina Bandiera Davide Branciamore Olivia Longo studenti Maddalena Accardi Ylenia Cordaro Toni Bevacqua Giovanna Licari Eleonora Castagnetta Maurizio Affatigato Martina Conciauro Tommaso Bulfamante Giovanna Scardina Giuseppe Alù Pieralberto Barresi Davide Brocco redazione delle tavole Giovanna Licari Eleonora Castagnetta 82 83 Padiglione Uzel & figlio 84 Padiglione Alexander Deutsch 85 Padiglione Joseph Hummel 86 Padiglione Franz Bubaceck 87 Padiglione Goldman & Salatsch 88 Auditorium/Sala congressi 89 Scuola di formazione per la lavorazione della cartapesta 90 Hotel 91 6. Artefatti e progetti The Palermo-Auckland Studio Nel 2004, insieme con Michael Milojevic, docente di progettazione della School of Architecture della University of Auckland, organizzammo un corso di progettazione congiunto. Decidemmo di lavorare sul tema dell’artefatto e prevedere il progetto di un museo per “artefatti” su tre aree in Sicilia. Il corso, che per gli studenti di Auckland era un corso ufficiale di Progettazione Architettonica 4, si svolse per tre settimane ad Auckland, seguite da un periodo di cinque settimane a Palermo, e da un periodo finale di tre settimane ad Auckland. Hanno partecipato venti studenti neozelandsi, e dieci studenti italiani del Corso di laurea in Architettura e del Corso di laurea in Ingegneria Civile della Università di Palermo. Il tema generale Artefatti e progetti prevedeva un’esercitazione sulla nozione di artefatto, svolta ad Auckland e criticata il primo giorno a Palermo. Immediatamente dopo è iniziata la parte dedicata al progetto di un museo di piccola dimensione da localizzare in una delle tre aree proposte dai docenti. 93 Le aree volutamente offrivano la massima eterogeneità: Museo archeologico di Palermo Il museo archeologico regionale fronteggia una piccola piazza nel centro storico di Palermo. La vasta collezione e la biblioteca occupano il monastero dei Filippini all’Olivella, un edificio barocco dalla pianta rettangolare allungata con due cortili “storici” ed un terzo cortile da riconfigurare. Gli “artefatti” più importanti ed appariscenti della collezione sono le teste leonine provenienti dal tempio di Himera e le metope di alcuni templi di Selinunte (in particolare il tempio E): Quadriga, Perseo che stronca la testa alla Gorgone ed Ercole che punisce i Cercopi. Questa area proponeva problemi che riguardano l’appropriato uso di un palazzo storico in una città densa con tutte le conseguenze sul piano dell’accesso pubblico ed inoltre il problema della presentazione di artefatti “rimossi” dalle loro originarie sedi. Selinunte L’area poteva essere scelta liberamente dallo studente nell’ambito del vasto parco archeologico di Selinunte. In questo caso l’ipotesi era opposta rispetto a quanto previsto nella prima area: le metope tornavano a Selinunte per essere esposte in un museo archeologico in situ. Castellamare Si tratta anche in questo caso di una vasta area tra il mare ed il centro storico di Palermo. Del castello di origine araba rimangono pochi frammenti e l’area fronteggia una strada litoranea di grande traffico, il porto commerciale e la Cala. Posizione geografica ed urbana la rendono quindi di cruciale importanza. La presenza di fabbriche, depositi, capannoni e strade poneva problemi relativamente alla riorganizzazione della città attraverso la “ricostruzione” archeologica. Docenti Michael Milojevic Michele Sbacchi Tutors Filippo Amara Regina Bandiera Davide Branciamore Olivia Longo 94 Bibliografia 1. Su architettura e archeologia Area n° 62, maggio/giugno 2002. O. M. Ungers, “Dall’imago al progetto. L’architettura come scoperta archeologica”, in Domus n° 735, pp. 17-28. Lotus International 52. 2. Progetti Giorgio Grassi. I progetti le opere e gli scritti (a cura di G. Crispi e S. Pierini), Milano 1996, pp. 170-189. G. Grassi, “Museo archeologico nel castello di Sagunto (Valencia) e restauro del foro romano, 1985”, in op. cit., pp. 190-195. G. Grassi, “Teatro romano di Sagunto” in G. Grassi, Architettura lingua morta, Milano 1988, pp. 80-102. G. Chiaramonte, “Odòs, Meth-odòs, Theorèin”, in Lotus n° 72, pp. 618. Y. Simeoforidis, “Un’opera di Pikionis nel contesto. Sorveglianza in atto”, in Lotus n° 72, pp. 20-21. A. Siza - R. Collovà, “Atti minimi nel tessuto storico, Salemi, 1991-98”, in Lotus n° 106, pp. 104-109. F. Burckhardt, “Ricostruzione della Chiesa Madre e ridisegno di piazza Alicia e delle strade adiacenti, Salemi, Trapani”, in Domus n° 813, pp. 34-42. E. Battisti, “Piazza S. Lorenzo, Milano”, in Lotus n° 106, pp. 110-111. A. Girmoldi, “Lo spazio orizzontale del sagrato”, in Lotus n° 106, pp. 112-115. V. Scortecci, “Altamira & Altamira”, in Lotus n° 103, pp. 58-59. J. A. Lasheras, “Il Museo di Altamira”, in Lotus n° 103, pp. 60-61. J. Navarro Baldeweg, “Museo de Altamira, Santillana del Mar, Cantabria, 1997-2000”, in Lotus n° 103, pp. 62-65. R. Such, “Un tetto per la storia”, in Domus n° 864, pp. 58-71. H. Hollein, “Il museo delle memorie”, in Domus n° 841, pp. 74-85. Gigon/Guyer, “Kalkriese Archeological Museum Park, Kalkriese”, in El Croquis n° 102, pp. 228-255. 95 J. L. Carrilho da Graça, “Recupero della rovina della chiesa di Sao Paulo, Macao, 1990-95”, in R. Albiero, R. Simone, a cura di, J. L. Carrilho da Graça. opere e progetti, Milano 2003, pp. 78-87. F. Venezia, “Museo di Gibellina, 1981-87”, in Francesco Venezia. L’architettura, gli scritti, la critica, Milano 1998, pp. 52-69. F. Venezia, Segesta, L’accesso al tempio, 1980, in Francesco Venezia. L’architettura, gli scritti, la critica, Milano 1998, pp. 76-79. I. De Solà Morales, “La scoperta delle mura di Barcellona. Il recupero dei palazzi Gualbes e di Correu Vell”, in Lotus n° 72, pp. 56-63. 3. Sulle aree di progetto Clemente Marconi, Selinunte. Le metope dell’Heraion, Modena 1994. Vincenzo Tusa, La scultura in pietra di Selinunte, Palermo 1983. Milena Gentile, “Il museo Nazionale di Palermo. Progetti e controversie nella lunga storia del fronte su via Roma”, in Lexicon, n. 0, n.s. Luglio 2004, pp. 79-96. Angelo Torricelli, Il castello a mare di Palermo, Palermo 1993. Federica Scibilia, Il Castellamare di Palermo, (tesi di laurea) Palermo 2004. 96 Il progetto di Gianluca Bisconti, Azza Ho e Fanny Wu riconfigura il Museo Archeologico spostando l’ingresso su Via Roma, il terzo cortile tuttora esistente diventa un elemento fondamentale del progetto. La facciata su via Roma viene configurata utilizzando lo spazio che la separa dal Palazzo delle Poste. 97 Il progetto di Daniel Tien Song, Sia Haram Hong ed Eleonora Castagnetta a Selinunte tenta di riconfigurare la percezione e fruizione dell’intero parco. Il padiglione del museo in situ che ospiterà le metope è posto in posizione intermedia rispetto ai due templi ai quali le metope appartengono. La sua posizione è scelta anche per essere una stazione intermedia nel percorso tra l’acropoli e la città. Si tratta di un piccolo edificio di acciaio che affida interamente alla posizione e ai materiali un ruolo regolatore per un area la cui grande dimensione costituisce un notevole problema. 98 Il gruppo di Christopher Smaill, Jared Williams e Claudia Triolo tenta di riconfigurare l’area del Castellamare a partire dalla linea di costa. I legami con la città vengono appropriatamente negati e si preferisce assumere un asse di collegamento con l’area del porto commerciale. Il bordo sulla Cala, anch’esso un elemento relativo alla costa ed alla sua geografia, viene riconfigurato con un sistema di passeggiate e scivoli tesi ad annullare l’opposizione tra acqua e terraferma. All’incrocio tra questi due sistemi è posizionato l’edificio del museo. Esso riprende una immagine “navale”: aggetta sulla Cala con una parte sospesa. Il progetto è interessante nella misura in cui, oltre a fornire una risposta al programma specifico, fornisce indicazioni “architettoniche” su possibili futuri assetti dell’area. 99 Il progetto di Fabrizia Agnello, Edith Wing Yan Chan e Julia Rachel Ross realisticamente riutilizza un edificio presente nell’area la cui posizione è particolare. Esso infatti separa due delle tre grosse rovine del Castellamare, il “Mastio” e la “Porta Aragonese”. L’edificio, che è una struttura a quattro livelli, viene modificato, non solo per ospitare il museo, ma per riconnettere logicamente e percettivamente i due resti. Attraverso questa concentrazione l’area acquisisce possibilità di riorganizzazione in senso lato. 100 101 7. Le case inquiete Workshop Futura – Come abiteremo domani I progetti di queste quattro case unifamiliari sono stati elaborati all’interno di un workshop il cui titolo Futura – Come abiteremo domani, è eloquente. Su invito della associazione culturale Expa sei docenti della Facoltà di Architettura di Palermo hanno guidato altrettanti gruppi di studenti secondo interpretazioni diverse e autonome del tema. Una mostra ed una discussione finale cui hanno partecipato un filosofo, un geografo ed un pittore hanno chiuso la manifestazione. Il programma del mio laboratorio intendeva indagare il carattere “perturbante” che le nuove tecnologie possono conferire alla casa secondo un programma che riporto integralmente di seguito: Nuove intrusioni del “perturbante” “I have a great fear of the notion of home and family” Vito Acconci, 16 Febbraio 1992, Philadelphia Museum of Art A partire dal noto saggio di Freud sull’unheimlich, il laboratorio proporrà una riflessione sulle mutate condizioni della casa futura rispetto alle nozioni di pubblico e privato, intimo ed esteriore, domestico e non-domestico, ordinario ed estraneo. Il legame tra la casa ed il sentimento del perturbante non è purtroppo percepibile in lingua italiana: in tedesco, invece, heim (casa) ed unheimlich (non-domestico, inquietante, perturbante) sono chiaramente connessi. Brevemente: se è perturbante la potenzialità, insita in oggetti o situazioni quotidiane e familiari, di trasformarsi in altro, è evidente che la casa è investita in pieno dal tema. Il laboratorio si occuperà di sondare il rapporto tra questa tematica e i cambiamenti che le nuove tecnologie producono sulla casa. Ciò a partire da due considerazioni: la casa futura sarà sempre di più permeata da una tecnologia che la renderà automatizzata, attiva, interattiva, intelligente, programmabile, autonoma. Ma ci interessa notare che questi progressi tecnologici renderanno la casa sempre più simile ad un “oggetto vivente”. Molto più che “macchina per abitare,” la casa futura, come un automa, agirà da sola, si muoverà da sola. La con103 fusione tra animato ed inanimato, tra vivente e non vivente, che Freud annovera tra le cause tipiche del perturbante, si avvarrà di nuove possibilità. Come un bibelot – la bambola parlante portata da Freud come esempio – la casa “intelligente” rivelerà il suo aspetto inquietante. Pertanto, riferendoci a questa prima riflessione, i progetti svolti all’interno del laboratorio presteranno particolare attenzione alla qualità della casa come essere robottizzato e vivente. Una seconda strada è, però, percorribile. Le nuove tecnologie non solo automatizzano la casa fino a renderla inquietantemente viva ma, come è noto, alterano il tradizionale rapporto tra pubblico e privato. La trasparenza dell’architettura moderna che rendeva il privato pubblico è solo un primo passo in un processo che rende lo spazio privato della casa totalmente esportabile all’esterno attraverso i nuovi media. E viceversa questi media hanno reso le intrusioni di fatti “esterni” un fenomeno di dimensioni gigantesche. Questa seconda riflessione indirizza a focalizzare l’attenzione nella elaborazione dei progetti verso le nuove forme di “trasparenza”, le nuove “finestre” della casa: schermi, display, spazi per videoconferenze (chroma rooms), ed ai risvolti che le “presenze aliene” da essi indotte producono sull’architettura. In tutt’e due i casi l’approccio proposto implica che non potrà essere tralasciata una considerazione seppur parziale di arredi ed oggetti. Una conversazione iniziale introdurrà la questione dell’unheimlich in Freud, nella letteratura e nelle sue implicazioni architettoniche, soprattutto a partire dagli studi di Anthony Vidler. Immediatamente dopo si discuterà l’area di progetto a partire da una proposta dalla docenza. Bibliografia essenziale Sigmund Freud, “Das Unheimliche”, in Imago, vol. 5 (5-6), 1919, pp. 297324, (trad. it. Il perturbante, in Sigmund Freud, Opere, vol. 9, (L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923), Bollati Boringhieri, Torino 1977, pp. 77-118. Anthony Vidler, The Architecural Uncanny. Essays in the Modern Unhomely, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1992. Georges Teyssot, “Acqua e gas a tutti i piani”. Appunti sull’estraneità della casa”, in Lotus International 44, (L’inquieto spazio domestico), pp. 82-93. Anthony Vidler, Warped Space. Art Architecture and Anxiety in ModernCulture, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2000. Michele Sbacchi, “Interpretazioni della domesticità”, in F. Alfano, a cura di, La casa dell’angelo. Nuovi spazi, dimensioni dell’abitare domestico, Clean, Napoli 2001, pp. 163-173. 104 docente Michele Sbacchi tutors Filippo Amara Regina Bandiera Davide Branciamore Olivia Longo redazione finale delle tavole Giovanna Licari Le case inquiete Sono 4 case inquiete: emulano, in vari modi, gli esseri viventi; tentano di dipartire dalla natura eminentemente artificiale dell’architettura; tendono verso l’umano, il vivente, l’organico. È una condizione già del presente e, sempre di più, del futuro: case automatizzate, telecomandate, intelligenti – per l’appunto quasi viventi. In questo senso sono simili agli automata manieristi come quelli progettati minuziosamente da Salomon De Caus; potrebbero essere quelle che Vidler chiama homes for cyborgs. Come Olimpia, la bambola parlante del romanzo di Hoffmann, perturbante perchè sembra viva, queste case sono inquiete, inquietanti, perturbanti – in una parola, unheimlich. La casa emotiva prova dei sentimenti, muta il suo aspetto, in relazione al suo umore – in questo senso è viva: di conseguenza interferisce e disturba o perturba gli abitanti. Ciò avviene con flussi di aria e di luce ma anche con pareti che cambiano colore per via di proiezioni, o con superifici che mutano elettronicamente. La casa ambigua diventa vivente includendo la vita della natura – interno ed esterno di conseguenza si confondono: corti, rientranze, trasparenze, specchi rendono il confine tra natura e artificio molto ambiguo come in un corpo umano proteizzato. La casa im-mobile diventa vivente mettendo in scena il movimento. In essa la tradizionale distinzione tra “immobile” e “mobili” si complica: parti immobili si muovono – anche autonomamente. Nella casa in-abitata, in assenza o presenza dei veri abitanti, “altri abitanti” fanno comparse più o meno inaspettate: non gli spiriti di una casa di Poe, ma quelle figure umane aliene prodotte dalle tecnologie e, da sempre, riprodotte dalle opere d’arte. Di fatto si verifica un sovraffollamento di corpi immateriali “abitanti”. 105 Casa emotiva studenti Noemi Romano Mariachiara Russo Anna Scriminaci 107 Casa ambigua studenti Giovanna Licari Valeria Muteri Valentina Simonetti Domenico Sparta 108 109 Casa im-mobile studenti Miriam Mineo Marilena Mirenda 110 111 Casa in-abitata studenti Massimo Scirè 112 113 Finito di stampare a Palermo dalla Fotograf per conto della Edibook Giada snc nel mese di Aprile 2005 © copyright 2005 by Michele Sbacchi È vietata qualunque riproduzione, totale o parziale, sia del testo che delle illustrazioni. se non consentita dall’autore Una serie di progetti e di riflessioni teoriche e grafiche, condotte tra il 1999 ed il 2005. Temi ed aree dei progetti sono tra i più vari ma i risultati “convergono” verso principi comuni. L’avversione per l’immagine fine a sé stessa ed il tentativo di coinvolgere l’ampio spettro dei materiali della città moderna sono tra i temi sui quali i progetti spesso ritornano. Da essi derivano sia la riflessione sulla dimensione architettonica delle grosse infrastrutture, sia il tentativo di lavorare con la “architettonicità” delle tecnologie, nuove od antiche che siano. Ancora, in vari progetti, affiora il tema dell’edificio complesso e quello dell’edificio a grande scala. Il volo di Icaro Michele Sbacchi è professore associato di Composizione Architettonica e Urbana alla Facoltà di Architettura di Palermo e svolge attività di architetto nel suo studio. Suoi recenti progetti sono la cantina Settesoli a Menfi e un impianto RSU a Palermo. Ha conseguito il Master in Architettura a Cambridge ed è stato teaching e research assistant di Joseph Rykwert alla University of Pennsylvania di Filadelfia. Ha vinto premi e menzioni in concorsi internazionali di progettazione. Ha svolto collaborazioni didattiche con il Royal College of Art di Londra e con la University of Auckland. Recentemente ha pubblicato James Stirling. Facoltà di Storia a Cambridge per la collana Momenti di architettura Moderna (Alinea, Firenze) e Traslazioni dalla teoria al progetto, (Ila Palma, Palermo). € 8,00 ISBN 88-903272-1-6 1