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Cleto, Savuto, San Mango d'Aquino

Abstract

Storia e storie di persone e di paesi che si affacciano sulla costa tirrenica calabrese e che hanno fatto del fiume Savuto un luogo d’incontro e di socialità. Dal mito delle Amazzoni alle vicende di Temesa e Terina, con una città antica chiamata Cleta, attaccata e distrutta da Crotone, la colonia della Magna Grecia risorta dopo l’arrivo di Pitagora. Dalla presenza dei monaci basiliani alla costruzione dei castelli medievali, dagli attacchi dei guerrieri saraceni alle torri di guardia lungo le coste. E poi il dominio feudale dei d’Aquino, le riforme del decennio francese, il regno dei Borbone e l’Unità d’Italia. Una ricostruzione di vicende millenarie che arriva fino ai nostri giorni e che ci aiuta a conoscere gli aspetti storici, letterari, antropologici ed economici delle tre comunità.

I LIBRI DEL MEDITERRANEO Collana delle Associazioni “ Valle del Savuto” e “ Amici della Musica” Volumi pubblicati: San Francesco di Paola. Itinerari religiosi in un paese della Calabria (1991) La Calabria intorno al Mille. Storia di una diversità (1995) San Mango d’Aquino, la storia (1997) In Calabria. Cronaca costume storia tradizioni (1998) Storia di Falerna dalle origini ai nostri giorni (2000) ARMANDO ORLANDO CLETO SAVUTO SAN MANGO D’AQUINO Un viaggio della memoria tra storia e leggenda I LIBRI DEL M EDITERRANEO L’ uso e la riproduzione per scopi di ricerca e di studio sono consentiti con obbligo di citazione della fonte. Tutti i diritti di copyright sono riservati a norma di legge. Prima edizione: formato elettronico, settembre 2012 www.sassinellostagno.it, mail: [email protected] Armando Orlando © Copyright maggio 2013 Edizione speciale per la Collana I LIBRI DEL MEDITERRANEO promossa dall’associazione Amici della Musica, presidente Alfredo Chieffallo, Via Fratelli Bandiera, 14 – San Mango d’Aquino (Cz) con il sostegno delle associazioni: Banda Musicale “ Valle del Savuto” , presidente Maria Teresa Falvo, Via Nazionale ex S.S. 19, n. 56 – Piano Lago Mangone (Cs) Cletarte, presidente Gaetano Cuglietta, Contrada Passamorrone, 5 – 87030 Cleto (Cs) e con il contributo dell’azienda Manfredi Casa Olearia Località Trearie – 88040 San Mango d’A quino (Cz) www.oleariamanfredi.com Grazie alle persone che hanno messo a disposizione gli archivi comunali e parrocchiali. Ricerche storiche: Armido Cario, Gaetano Cuglietta, Ugo Russo Grafica di copertina, editing e impaginazione: Armido Cario Stampa: Universal Book – Rende (Cs) M a. Per. Editrice Via del Progresso, 7 88047 Nocera Terinese (Cz) ISBN 978-88-904280-5-0 Presentazione Quest’ opera segna il punto di arrivo di una ricerca avviata nel 1972, quando l’articolo “ Brevi cenni storici sui castelli di Cleto e di Savuto” , scritto da Gabriele Turchi per « Calabria Letteraria» , ci informava che il castello di Savuto veniva acquistato da don Carlo d’ Aquino assieme al casale di San Mango. Il lavoro, che raccoglie fogli sparsi e aggiorna i contributi pubblicati in occasione del gemellaggio tra i comuni di Cleto (Cs) e San M ango d’Aquino (Cz), ha lo scopo di divulgare fatti e avvenimenti di un territorio che è stato per molti secoli riunito sotto un unico dominio feudale, con un destino comune condiviso da donne e uomini che sono vissuti lungo le sponde opposte del fiume Savuto. Poi, quando gli abitati di Cleto, Savuto e San Mango sono stati assegnati a province diverse, l’unione fra le terre delle due sponde è continuata e si è consolidata tramite relazioni economiche e vincoli di parentela, solidarietà e amicizia. Il libro è dedicato a loro, alle persone che hanno contribuito a mantenere vivi i rapporti fra Cleto, Savuto e San M ango, oggi come nel passato; e poi a mio padre Vincenzo, per la ricorrenza del centenario della sua nascita. Esso, inoltre, è un omaggio alla memoria di Emilio Frangella, che dalla sua Longobardi ha creato e mantenuto in vita « Calabria Letteraria» , affrontando le difficoltà con povertà francescana (com’era solito dire), ma con coraggio e tenacia. Una rivista che ininterrottamente, dal mese di novembre del 1952, ha rispettato l’appuntamento con i suoi lettori, passando dalle 500 alle 10mila copie, e poi, quando Emilio scompare (era il 15 dicembre 2004), la rivista, la sua “ creatura” , è affidata alla storia, dopo essere stata per oltre cinquant’anni “ campo di lavoro di validi e fedeli collaboratori, disposti a seminare il seme della buona parola, capace di formare spiritualmente, moralmente e civilmente quanti ebbero la possibilità di conoscere e leggere il periodico calabrese” , come ricorda Franco Frangella. Fatte queste premesse, diciamo che Cleto vanta la storia più antica, e la cittadina è conosciuta in epoca medievale col nome di Pietramala. L’abitato di Savuto si è sviluppato attorno al castello, costruito dalla prima monarchia angioina a salvaguardia delle vie di transito che dal mare si inoltrano verso l’interno. San M ango è il paese più giovane, sorto come pertinenza della baronia di Savuto, fondato dai d’A quino nella prima metà del Seicento, assurto alla dignità di Principato e diventato autonomo nei primi anni del Settecento. Compiuta l’impresa dei M ille e proclamato il regno d’Italia, San Mango acquisisce il 6 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO cognome dei fondatori e diventa San Mango d’Aquino in virtù di un Regio Decreto del 1862, mentre Pietramala incorpora la frazione di Savuto e diventa Cleto con Regio Decreto del 1863. E ora alcune avvertenze. Diversi avvenimenti sono stati trattati in maniera approfondita, altri sembrano lacunosi e incompleti. Non è un caso. È perché è stato seguito l’insegnamento di Benedetto Croce, il quale diceva che “ i lavori di storia devono presupporre quel che già si ha nei libri sul soggetto trattato e devono dare solo quel che di nuovo si crede di poter fornire in proposito per la migliore e più completa intelligenza dei fatti” . Scrivere di storia vuol dire studiare se stessi, capire le ragioni del proprio presente partendo dalla ricostruzione di fatti e avvenimenti che si sono verificati nel passato e che hanno portato le persone a essere ciò che sono oggi. Perché il presente è frutto del passato, e il tempo non ricomincia da capo con ciascuno di noi, ma continua, è un divenire. Scrivere di storia vuol dire condurre indagini, effettuare analisi, studiare e interpretare senza pregiudizi e con onestà intellettuale. Vuol dire illustrare e approfondire le strutture fondamentali di un luogo, anche di una singola comunità, mostrando le trasformazioni e le evoluzioni economiche e sociali e assegnando importanza agli aspetti istituzionali, antropologici e culturali. La storia come ricerca, dunque. È questa la strada che abbiamo seguito, cercando di rifuggire da talune abitudini che si manifestano essenzialmente negli studi locali e che non portano contributi alla cultura, ma alimentano la confusione e diffondono notizie fuorvianti. Perché – come ha insegnato Braudel e come ha ricordato A rmido Cario nei suoi “ Lampi di storia falernese” – le microstorie, o storie di comunità, rappresentano un faro proiettato sulla grande storia. E se le piccole storie sono improvvisate, aggiungiamo noi, se non addirittura falsate, altro che illuminare… il faro getta ombre – e non luce – sulla grande storia. Certo, gli avvenimenti sono esaminati secondo la soggettività dello studioso, e la pluralità dei punti di vista ci aiuta a spiegare in maniera esauriente l’accaduto. Però ci sono dei limiti a questa soggettività, e uno di questi limiti è il rispetto dei documenti. Ed è un bene che la ricerca storica non possa mai considerarsi conclusa. Così come non si può considerare conclusa la narrazione della storia di Cleto, Savuto e San M ango d’A quino. Su questi tre centri abitati, tante altre carte sono destinate a venire alla luce, e a tal fine l’opera dei ricercatori continua a essere preziosa. Ma le fonti vanno capite, verificate e non stravolte, perché un fatto si dice storico quando sia stato effettivamente accertato, evitando di indulgere al fiabesco. Poi le fonti vanno confrontate, e le notizie che giungono fino a noi vanno spiegate, calate nel contesto storico generale e collegate PRESENTAZIONE 7 ai diversi eventi umani e al territorio. A continuare questa missione sono chiamati coloro che verranno dopo di noi. La materia è vasta e i campi da esplorare sono ancora numerosi: gli archivi parrocchiali e municipali, per esempio, custodiscono dati e informazioni che aiutano a studiare e capire i flussi demografici, la toponomastica, l’assetto urbanistico, la consistenza e l’evoluzione delle classi sociali; e poi c’è il Catasto Onciario, disposto da Carlo di Borbone nel 1740 per tutte le Università del Regno, conservato oggi presso l’ Archivio di Stato di Napoli. Per quanto mi riguarda, credo di aver dato un contributo alla conoscenza e alla diffusione delle vicende storiche di Cleto, Savuto e San Mango. Un contributo non “ accademico” , ma di una persona che ha studiato la materia con curiosità e per passione, e che nella vita ha svolto altri mestieri. E se sono riuscito nell’impresa, è anche perché mi sono trovato in una posizione di privilegio. A ppartengo ad una generazione che mangiava la carne solo (e non sempre) di domenica. Ma mi ritengo fortunato. Perché ho avuto la possibilità di vedere il bucato fatto ancora con la cenere e poi strizzato all’acqua del fiume; ho fatto in tempo a raccogliere le foglie di gelso per il baco da seta, a portare il grano al mulino e poi tornare a casa con la farina, a parlare coi contadini nelle osterie, ad ascoltare le favole degli anziani narrate attorno al braciere, a raccogliere le testimonianze dei soldati della prima guerra mondiale che hanno combattuto nelle trincee del Carso e resistito lungo la linea del Piave. Ora tocca ad altri. Speriamo che possano esserne capaci: il futuro delle nuove generazioni sarà più sereno solo se le persone sapranno utilizzare al meglio il loro passato. ARM ANDO ORLANDO L’ETÀ ANTICA N el Colloquio di Perugia e Trevi del 1981 su Temesa e il suo territorio, Silvana Luppino ha presentato la documentazione archeologica dell’area compresa tra la vallata del torrente Oliva e la sponda destra del fiume Savuto. I dati esaminati si riferivano ai Comuni di Amantea, Cleto, Grimaldi, San Pietro in Amantea e Serra d’Aiello, e le scoperte hanno confermato una continuità di frequentazione dei siti dal Neolitico all’Età del Bronzo e del Ferro, fino all’epoca romana imperiale1. Proviamo a ricordare quei dati. Tremila reperti in ossidiana, manufatti litici e ceramici, frammenti di coppe ioniche, in un basso terrazzo alluvionale posto a nord di Campora San Giovanni. Due asce in rame databili nella fase finale dell’Eneolitico, nel territorio di Cleto. Frammenti di impasto lisciato riconducibili all’orizzonte culturale subappenninico dell’Età del Bronzo, nel pianoro Cozzo Piano Grande di Serra d’Aiello. Una spada, una cuspide di lancia e altri oggetti in bronzo, un gruppo di fusaiole e rocchetti fittili, rinvenuti in località Pantano nel comune di Cleto. Due punte di lancia, una fibula e un piccolo pendaglio, riconducibili alla prima Età del Ferro, in località Chiane di Fascetta e S. Pasquale di Serra d’Aiello. Oggetti in bronzo simili a quelli di Pantano e materiali ceramici dell’Età del Ferro, in località Imbelli di Amantea. Vasellame a vernice nera deposto in tombe scavate nel banco roccioso che domina la sponda destra del Savuto, in località Piro e Marina di Savuto. Due tombe a cassa, una di tegole e l’altra di lastre lapidee, nell’entroterra in località Pianetti di Grimaldi. Un frammento di piatto in terra sigillata orientale in località Principessa di Amantea. Tracce “ sostanziali” di insediamenti sparsi sono state riscontrate nelle località Imbelli, Cozzo Piano Grande, Marina di Savuto, Pantano e – osserva Luppino – la documentazione archeologica mostra “ come anche l’area di Cleto- 1 S. LUPPINO, Il versante Nord-Occidentale del Fiume Savuto, in G. MA DDOLI (a cura di), Temesa e il suo territorio, Taranto, Istituto per la storia e l’archeologia della Magna Grecia, 1982, pp. 75-78. 10 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Serra Aiello partecipi alla cultura materiale diffusa in Calabria durante la I Età del Ferro” , per poi aggiungere che i contatti “ non sono soltanto con Torre Galli, ma anche con il versante ionico” .2 Se a questi dati aggiungiamo la documentazione riguardante il territorio che si espande alla sinistra idrografica del fiume Savuto, nei pendii collinari che si susseguono tra Nocera e San Mango fino all’ampia terrazza di Triari, abbiamo davanti a noi un quadro d’insieme estremamente interessante. Un’area di frammenti ceramici databili tra il IV secolo a.C. e l’età imperiale romana, in località Fabiano, pendio collinare a nord di Nocera. E poi vaste aree di fittili con frammenti di ceramica comune e a vernice nera, orli di anfora greco-italica, tubuli in terracotta, due puntali, frammenti di anfore grecoitaliche, pesi da telaio, frammenti di mortaio, frammenti di laterizi, un lisciatoio, nelle località Salice, Spolitretto, Catusi, Niccoli, Serra Mancini, Serra Sottana, Serra, Casa Mercuri, Vignale, vallone Sant’Aloe, Pietramone, Fontana della Quercia, Piano della Madonna, Triari. Il territorio di Cleto, Savuto e San Mango si configura così come un importante contesto archeologico, posto all’interno di una zona della Calabria caratterizzata da insediamenti sparsi che spaziano tra Amantea, Nocera e Serra d’Aiello. Un territorio che concorre alla manifestazione di vitalità espressa dal Tirreno in quel tempo, per niente intimidito dalla vicinanza di città antiche e famose come Temesa e Terina, e i contatti non sono soltanto tra la costa tirrenica e l’entroterra, ma toccano i centri abitati che sorgono lungo il versante ionico, collegato mediante la direttrice del Savuto che consente di comunicare con la Sibaritide attraverso la valle del Crati. Quando i Brettii si diffondono nella regione, sui pianori fertili tra l’Oliva e il Savuto occupano piccoli abitati a mezza costa, creando nuclei produttivi che, una volta dediti alla pastorizia e alle attività di sfruttamento del bosco, manifestano la loro attività tra il IV e il III secolo prima di Cristo. Dopo il III secolo la vita sembra interrompersi. Terina, sul cui pianoro è attestata una frequentazione fin dal VI secolo a.C. (resti di una fornace arcaica), è rasa al suolo da Annibale. Temesa si avvia a diventare colonia romana, per risultare ancora abitata nel II secolo dopo Cristo, come attesta Pausania. La zona riprende il suo cammino nella storia in epoca imperiale romana, L’Età dei metalli indica il periodo in cui l’uomo conosce la tecnica della metallurgia. All’Eneolitico (o età del Rame) segue l’età del Bronzo (inizio in Italia 1800 a.C.) e l’età del Ferro (in Italia intorno al 1000 a.C.). 2 L’ETÀ ANTICA 11 quando il territorio entra a far parte dell’ ager Clampetinus3 e complessi rustici si diffondono in località Principessa di Campora San Giovanni, e poi a Imbelli e Cozzo Piano Grande di Serra d’Aiello. In quest’ultima località, conclude Luppino, sul pianoro frequentato sin dall’Età del Bronzo la vita continua in epoca bizantina con emergenze monumentali. Le ricerche archeologiche e le campagne di scavi che sono seguite al Colloquio di Perugia e Trevi del 1981 hanno fatto emergere nuovi elementi riguardanti il territorio che si estende tra i torrenti Oliva, Torbido e il fiume Savuto. Nel 1995, in particolare, in una località a mezza costa verso il Cozzo del Piano Grande di Serra d’Aiello, a 365 metri di altezza e a una distanza di tre chilometri dalla costa, sono portate alla luce le basi e le mura di un edificio di grandi proporzioni (29,20 x 9,75 metri), il cosiddetto santuario di Imbelli, costruito a metà del VI secolo e andato distrutto intorno al 470 prima di Cristo. Nel tempio si conservano, fra l’altro, uno scettro in bronzo, un frammento di elmo crestato etrusco e, cosa strana, cento punte di lance. Il luogo, molto suggestivo, evoca le parole di Strabone (il più illustre geografo dell’antichità, storico greco del Ponto, vissuto negli anni a cavallo tra prima e dopo Cristo), il quale scrive: «Presso Temesa vi è un heròon, circondato da olivi selvatici, sacro a Polite, uno dei compagni di Odisseo che, ucciso a tradimento dai barbari, si sdegnò gravemente nei loro confronti, cosicché gli abitanti del luogo, secondo il responso di un certo oracolo, si sottomisero all’usanza di pagargli un tributo». Secondo alcuni studiosi, il tempio è legato alla fase achea di Temesa, una città che la tradizione vuole fondata dagli Ausoni e popolata, dopo la guerra di Troia, dagli Etoli di Toante e dai Focidesi di Naubulo. Il riferimento più antico che troviamo nei testi letterari è nel canto I dell’Odissea: Atena, figlia di Zeus, si presenta a Telemaco sotto le sembianze di Mente, re dei Tafi, per incitarlo a partire alla ricerca del padre; gli rivela di aver saputo sue notizie durante vari viaggi compiuti a Temesa, dove egli, traversando il mare color del vino, violaceo, si reca spesso per scambiare ferro con rame4. 3 « L’interesse dei Romani per la Calabria, da un punto di vista agricolo, dovette essere maggiore di quanto ci sia dato di supporre. Dal momento che una colonia agraria doveva disporre di terreno fertile e coltivabile, non sembra illogico che l’area tra il Savuto e l’Oliva facesse parte dell’ ager Clampetinus. Ci troviamo, infatti, nell’unica zona particolarmente adatta all’insediamento di una colonia agraria, a ridosso del baluardo della Catena Costiera» . Cfr. S. LUPPINO, Il versante Nord-Occidentale del Fiume Savuto, in G. MADDOLI (a cura di), Temesa... cit., p. 78. 4 Eutimo di Locri, ricerche degli alunni della prima classe anno scolastico 1988/ 1989, Liceo Scientifico 12 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Temesa centro minerario, dunque, “ nel quale era possibile trovare sia materie prime, come rame, stagno e ferro, sia prodotti lavorati come il bronzo; centro di scambi in posizione strategica tra le isole Eolie, la Sicilia e il centro Italia, dove le navi degli Etruschi o dei Fenici o dei Greci ed in precedenza dei M icenei e dei M inoici trovavano un importante scalo, un emporio favorito da una via di comunicazione terrestre che conduceva alla Sibaritide, percorribile lungo la direttrice fiume Oliva-Busento-Crati. La Temesa dove Oriente e Occidente si incontravano” 5. Temesa caposaldo meridionale di Sibari contro l’egemonia di Crotone e Locri, presidio militare di Crotone che la conquista dopo la distruzione di Sibari, con i Crotoniati cacciati a loro volta da Locri tra il 472 e il 460 a.C., e quindi possedimento locrese con Euthymos, pugile vincitore di tre Olimpiadi che, secondo la leggenda, libera la città da uno spirito, quello di Polytes che tormentava gli abitanti6. Per finire nuovamente nell’orbita di Crotone, quando, dopo la morte di Ierone (467 a.C.), inizia il declino dell’influenza di Siracusa in Italia meridionale e Locri rimane priva di un prezioso alleato. Vicende che sono testimoniate e accompagnate dallo studio della numismatica. Le monete, infatti, aiutano a ricostruire la storia e, nel caso in questione, alla serie con la sola iscrizione di Temesa subentrano le cosiddette emissioni d’impero, con il doppio rilievo Crotone-Temesa, esemplari che evidenziano la posizione subordinata alla città dominante, ma che lasciano presupporre l’esistenza di una qualche autonomia negli affari interni della colonia. A partire dal 470 a.C., la coniazione a doppia leggenda s’interrompe e le “ Galileo Galilei” di Lamezia Terme, a cura della prof.ssa E. GRA ZIA NO, La Modernissima, 1989. 5 M. G. DI PA SQUALE GRA NDINETTI, I Greci e la Sibaritide, paper. Il mito di Polite ed Eutimo ha diverse versioni, a seconda che esso sia stato ricostruito dagli Achei o dai Locresi. Secondo la versione locrese, Ulisse, sbalzato dalla tempesta sulla via del ritorno da Troia, giunse anche a Temesa. Qui uno dei suoi compagni, Polite, ubriaco, violentò una ragazza del luogo e fu per questo ucciso a tradimento dai Temesani. Ulisse rimase sdegnato per l’accaduto e impose agli abitanti di Temesa pesanti tributi. Partito Ulisse, lo spirito di Polite s’incarnò nel demone Alibante, dall’aspetto orrendo, scuro di carnagione e vestito con una pelle di lupo. Alibante iniziò ad uccidere tutti i Temesani che incontrava nel suo girovagare. Questi si rivolsero all’Oracolo di Delfi, il quale, disapprovando l’uccisione di Polite, ordinò di consacrare al compagno di Ulisse, una volta all’anno, la vergine più bella della città. Per placare lo spirito, gli abitanti di Temesa costruirono pure un tempio tra gli ulivi selvatici, là dove ogni anno avrebbero sacrificato la vergine. Un giorno il pugile Eutimo, entrato nel tempio dove si stavano celebrando i riti sacri in onore del demone, prima s’impietosì e poi s’innamorò della vergine che stava per essere sacrificata. Eutimo sfidò lo spirito di Polite, la lotta fu selvaggia, ma alla fine vinse il pugile locrese e Alibante abbandonò per sempre Temesa e si perse nel mare. Cfr. A . MA CCHIONE, Terina Temesa Nucria, Reggio C., Città del Sole, 2007, pp. 145-146. 6 L’ETÀ ANTICA 13 nuove monete confermano la sottomissione di Temesa ai Locresi. Poi, quando Locri allenta la presa e Crotone riprende il controllo della costa tirrenica con al centro la foce del Savuto, tornano le monete d’insieme (questa volta a doppio rilievo) e, qualche anno dopo, torna la monetazione indipendente. Intanto nella zona cresce il potere di Terina, che intorno al 460 a.C. acquisisce autonomia e inizia a battere moneta. Acquisisce autonomia, ma non taglia il cordone ombelicale che la lega a Crotone. Ed è anche per quel motivo che nel 434-433 a.C. la città subisce l’attacco di Cleandrida, generale di origine spartana, al servizio della colonia di Thurii nella guerra condotta contro Crotone per il controllo del territorio un tempo influenzato da Sibari. Temesa diventa dominio siracusano nel 388 a.C., a seguito della sconfitta inflitta da Dionisio I e dagli alleati Lucani alla Lega delle città italiote, guidata da Crotone col proposito di contrastare l’avanzata lucana e porre un freno alla politica espansionistica del tiranno siracusano. Poi la città passa ai Brettii (356 a.C.), ai Cartaginesi (216 a.C.) e ai Romani (194 a.C.), per finire devastata dagli schiavi fuggitivi di Spartaco, soldato tracio che guida la rivolta servile scoppiata a Capua nel 73 prima di Cristo. Snodo geografico e commerciale di particolare importanza, punto strategico che apre e chiude le vie di contatto con lo Jonio, confine culturale e sito più meridionale per la documentazione della civiltà appenninica, la città affonda le sue origini nel Neolitico. Centro arcaico identificabile con un sistema capannicolo; non Polis strutturata, ma insediamento che si evolve e si muove tra l’Oliva e il Savuto; territorio su cui insiste una popolazione diffusa che trova il suo punto di coesione nella devozione di un culto; comunità marinara e commerciale, ad economia cerealicola e viticola nello stesso tempo. Questo è ciò che si tramanda di Temesa. Gli scavi continuano, e tra il 2004 ed il 2005, il terrazzo sabbioso di località Chiane, sempre a Serra d’Aiello, restituisce 26 sepolture del tipo a inumazione terragna, in alcuni casi con fossa ricavata direttamente nella sabbia, in altri casi con tumulo di copertura. Il ricco corredo dimostra la presenza di un insediamento della prima Età del Ferro sulle alture del bacino del fiume Oliva: un centro d’importanza politica e commerciale notevole, dove viene utilizzato il ferro già nel IX secolo a.C., prima ancora dell’arrivo dei Greci avvenuto nell’VIII secolo 7. 7 B. PINO, Alla ricerca dell’antica Temesa, « il Quotidiano della Calabria» , 13/ 10/ 2005. 14 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO È così confermata la continuità insediativa dei diversi siti. Una continuità che va dal Bronzo Medio (XV secolo a.C.) fino al periodo imperiale romano, con presenze significative attribuibili alla prima Età del Ferro e al periodo arcaico. E diventa chiaro perché il territorio posto tra la foce dei fiumi Savuto e Oliva, ricco di approdi, percorsi fluviali, pianure coltivabili e difese naturali, si sia rivelato particolarmente adatto all’insediamento umano fin dall’antichità più remota. Un territorio che, secondo Luigi La Rocca, si configura come uno dei contesti archeologici più interessanti dell’Italia meridionale8. Dalle dislocazioni sparse che caratterizzano l’Età del Rame, dagli abitati piccoli con capanne, posti su terreni seminativi di buone qualità, in località aperte e pianeggianti, si passa, nell’Età del Bronzo antico, a insediamenti più elevati e sicuri, per arrivare al Bronzo Medio, quando Cozzo Piano Grande, a Serra d’Aiello, viene occupato, e nascono insediamenti duraturi distribuiti sull’ampio pianoro, protetti da un pendio ripido per la difesa militare e con presenze di capanne sottostanti. È in quel periodo che il luogo diventa punto strategico per il controllo delle vie di passaggio e per lo sfruttamento di risorse minerarie. Durante la prima Età del Ferro, infine, aumentano le capanne distribuite lungo le pendici del Cozzo, il numero degli abitanti è considerevole, nascono centri minori come Pantano di Cleto e l’area tra Campora e Serra diventa popolata9. Dopo quelle scoperte, il Convegno di Amantea del 15-16 settembre 2007 è servito a fissare alcuni punti fermi, e Gioacchino Francesco La Torre, in conclusione, così si esprime: «Oggi della storia di Temesa se ne sa molto di più del convegno celebratosi nel 1981. Temesa o quello che noi immaginiamo ci sia dietro a questo nome, cioè non una città che ha avuto una storia urbana continua ma un territorio che ha avuto dei momenti di particolare rilevanza, però con forme di aggregazioni diverse, è sicuramente ubicabile nel territorio che va dal fiume Oliva al Savuto. Anche gli storici mi sembrano convinti ormai di questa nostra interpretazione. È tempo che si ragioni in un’ottica territoriale, e che si elaborino, sinergicamente, attraverso l’impegno delle città coinvolte, progetti di ricerca comuni e 8 Ibidem. 9 A ppunti sul Convegno di Studi “ Dall’Oliva al Savuto” , Campora San Giovanni, 15-16/ 09/ 2007. L’ETÀ ANTICA 15 finanziabili per riportare alla luce quanto Temesa ha lasciato» 10. Un discorso a parte meritano le vicende legate al Piano della Tirena, nel comune di Nocera Terinese, un luogo che Juliette De La Genière così descrive: «Posto allo sbocco del Savuto e del Fiume Grande, questo centro godeva di ottime comunicazioni con l’interno; era collegato attraverso la valle del Savuto con quella del Crati e con la zona di Sibari; risalendo il Savuto si poteva giungere pure alla valle del Neto e a Crotone; era quindi un punto d’incrocio delle strade terrestri e marittime» 11. Lo scavo del 2004 ha restituito i resti di due edifici disposti ai lati di un asse stradale, nel tratto centrale del pianoro. L’area occidentale ha restituito materiali databili all’età ellenistica, mentre gli scavi del 2006 sulle pendici nord-occidentali del pianoro, a ridosso della pianura del fiume Savuto, hanno fatto venire alla luce undici tombe con il defunto inumato in posizione supina, inquadrabili tra la fine del IV secolo ed il III secolo a.C.12. Al termine della campagna di scavi condotta dagli studiosi dell’Università Federico II di Napoli, è stato dichiarato: «Allo stato attuale sono riconoscibili almeno due nuclei insediativi, uno di età ellenistica ed uno di età romana, che costituisce una novità assoluta sul pianoro, dove la frequentazione di età imperiale era indiziata, finora, solo da materiali di superficie e da qualche vecchio rinvenimento di P. Orsi». « I risultati preliminari di queste indagini hanno evidenziato una forte presenza di “ siti” compresi tra IV e III sec. a.C., in concomitanza con lo sviluppo dell’abitato di Pian della Tirena, rispetto ad una percentuale di documentazione di età arcaica di gran lunga inferiore» 13. Poi la relazione aggiunge: «Tutta da approfondire, inoltre, è la lettura del rapporto tra questi siti distribuiti nel territorio tra IV e III a.C. e le successive testimonianze di età romana, soprattutto in termini di continuità e/ o sovrapposizione, di rapporto con l’ambiente, di regime economico. Allo stesso modo rinvenimenti di necropoli in località Serra Aiello, di strutture forse di carattere sacro a Campora San Giovanni, nel riaprire il dibattito sulle presenze di età arcaica nel territorio, 10 S. MUOIO, Amantea. Sciolti i dubbi sull’antica Temesa, « il Quotidiano della Calabria» , 19/ 09/ 2007. 11 Intervento di J. DE LA GENIÈRE, in G. MADDOLI (a cura di), Temesa…cit., pp. 177-179. 12 Terina, Temesa o Nucria? , « Settimana di Calabria» , 15-21 dic. 2006 13 Consultabile sul sito www.ricercaitaliana.it (sezione “ Programmi progetti e risultati” ). 16 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO dimostrano come il problema dell’ubicazione di Temesa vada riconsiderato proprio nella prospettiva territoriale e non esclusivamente in quella del nucleo urbano di Pian della Tirena, peraltro ancora sconosciuto nelle sue fasi più antiche». Sul Piano della Tirena, Nazzarena Valenza Mele scrive: «Il pianoro era abitato nel corso del VI secolo a.C. in pianta stabile. Si trattava, molto probabilmente, di un insediamento di capanne in argilla e legno; in loco venivano fabbricati vasi di tipo greco a pareti sottili e con argilla ben depurata, il che fa supporre la presenza di figuli greci o almeno una classe artigiana fortemente acculturata; fenomeno questo di ben altro rilievo rispetto a fenomeni di semplici importazioni di materiale greco in ambito indigeno» 14. Indagini e ricerche che a Nocera confermano presenze ellenistiche e romane e che evidenziano l’esistenza di edifici, attività artigianali e cinte murarie. Inoltre, scavi recenti (estate 2012) apportato elementi innovativi riguardo ad un abitato brettio che si orienta su un asse stradale e che denota un’organizzazione urbanistica regolare, mentre l’aver individuato un’area interessata dal crollo di un tetto ha consentito di verificare più fasi di occupazione del territorio. Per quanto riguarda la collocazione della città di Terina sul Piano, c’è una letteratura antica che arriva fino a François Lenormant, archeologo e grande viaggiatore. Egli visita la Calabria negli anni 1881-1882 e a Nocera si ferma poche ore, ospite della famiglia Ventura. Non visita il Piano, ma lo osserva da lontano, da Campodorato, e successivamente, nei suoi scritti, parla - è vero - di una Terina nascente presso l’Abbazia di Sant’Eufemia; però nelle stesse righe precisa testualmente: «Ma non si saprebbe andare oltre ad una semplice probabilità» 15. Lo studioso Michele Manfredi-Gigliotti osserva: «Quello che mi preme mettere ancora in evidenza è che Temsa fu detta da Strabone con un termine greco che, nella traduzione latina, viene reso come proxima Terina, il quale, a mio avviso, pur essendo il superlativo di prope e, quindi, da intendersi come vicinissima, non rende appieno e compiutamente il senso del termine greco. Il quale, invero, sta ad indicare concetti come: tenere insieme, tenere uniti, essere congiunti, aderenti senza intervallo, senza soluzione di continuità. In sostanza, laddove finisce Terina, lì inizia subito Temesa, 14 N. V. MELE, Ricerche nella Brettia. Nocera Terinese, Napoli, Liguori, 1991. 15 A. MA CCHIONE, op. cit., p. 347. L’ETÀ ANTICA 17 e viceversa» 16. Lampi di luce in grado di portare nuove conoscenze sul Piano e forse sul territorio circostante potrebbero venire dalle scoperte archeologiche che negli anni 2008 e 2009 sono avvenute in occasione dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, tra gli svincoli di San Mango d’Aquino e Falerna. Ritrovamenti che hanno incontrato l’attenzione degli organi di stampa e che di seguito riepiloghiamo: 1) una tomba con dentro lo scheletro, senza cranio, forse un guerriero decapitato, e un grosso medaglione, insieme con altri reperti archeologici, in località Timpa delle Vigne, nei pressi del fiume Grande e del torrente Sciabica17; 2) decine e decine di tombe integre (qualcuno dice più di cento), restituite in località Portavecchia di Nocera Terinese, che la Soprintendenza ha definito necropoli di età greca, senza fornire, fino ad oggi, alcun quadro interpretativo dei dati raccolti18. A conferma dell’importanza dei ritrovamenti arrivano le considerazioni del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, contenute nella risposta a un’interrogazione parlamentare: «La zona ha restituito significativi risultati scientifici in località Portavecchia di Nocera Terinese, dove è stata scoperta una necropoli di origine greca e dove, pertanto, si è concentrata maggiormente l’attenzione della soprintendenza della Calabria e dell’Anas» 19. Ritrovamenti che hanno spinto Manfredi-Gigliotti a pubblicare prontamente un instant book nel quale dice: «Non è mia intenzione in questa sede ripercorrere le notizie storiche che si hanno su Terina. Qui mi preme mettere in evidenza che l’agglomerato urbano viene indissolubilmente legato al fiume Ocinaro secondo la reciprocità intersubiettiva espressa dalle frasi “ l’Ocinaro bagna Terina” e “ Terina è bagnata dall’Ocinaro” . Così che, se ubichiamo Terina in una determinata zona, nelle immediate vicinanze deve potersi trovare l’Ocinaro. Se fosse altrimenti, il sito 16 M. MANFREDI-GIGLIOTTI, M emorie storiche sull’ antica città di Temesa, con particolare riguardo all’individuazione del suo sito, Cosenza, Brenner, 1994, p. 25. 17 R. SPA DA, Nocera Terinese. Spunta tomba con scheletro durante i lavori sull’ autostrada, « il Quotidiano della Calabria» , 30/ 11/ 2008. 18 R. SPADA, Nocera Terinese. La necropoli di età greca esiste, « il Quotidiano della Calabria» , 8/ 12/ 2009. Risposta scritta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicata lunedì 19 luglio 2010 nell’allegato B della seduta n. 354 - Interrogazione Camera Deputati 4-05932 del 2 febbraio 2010. 19 18 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO esaminato non è quello di Terina» 20. Temesa e Terina, dunque, città legate a un territorio che nel corso dei secoli ha mostrato grande vivacità e che ha dato vita ai centri che interessano la nostra storia. Due città che si alternano – se così si può dire – nella manifestazione della propria potenza, e quando prospera una, declina l’altra. L’Italia di allora aveva conosciuto mutamenti radicali. Mentre in Oriente fiorivano e decadevano civiltà e in Africa il regno dei Faraoni diventava ricco e potente, mentre in Messico si sviluppava la civiltà degli Olmechi21, in Italia gli abitanti vivevano in piccole comunità agricole e pastorali, conducendo un’esistenza modesta e chiusa a ogni influsso esterno. I Micenei, giunti dal Peloponneso, avevano stabilito contatti e intrapreso commerci fino alle coste della Liguria e della Francia meridionale, mettendo in piedi un’organizzazione commerciale meticolosa e capillare e disseminando di fondachi le coste toccate dalle loro rotte22. Il fondaco era un centro di raccolta di mercanzie, che venivano conservate in aree fortificate e poi distribuite sui mercati. Ed è importante ricordare, a tale proposito, che alla marina di Zambrone, nei pressi della stazione ferroviaria, c’è stata di recente una scoperta eccezionale, che sposta dal mar Ionio al Tirreno l’attenzione degli studiosi riguardo all’espansione commerciale dei navigatori e mercanti micenei23. E una conferma dei rapporti intercorrenti tra la costa tirrenica vibonese e il mondo dei progenitori degli eroi omerici viene da un nuovo ritrovamento, emerso in questi giorni sempre a Zambrone e riguardante una statuetta, venuta 20 M. MA NFREDI-GIGLIOTTI, Licofrone e il fiume Savuto, Nocera Terinese, Ma. Per. Editrice, 2010, p. 39. Gli Olmechi appartenevano al ceppo dei Mongoli che avevano attraversato lo Stretto di Bering durante l’ultima glaciazione e che, diventati stanziali, coltivavano mais e cacao e producevano oggetti di giada per gli scambi. 21 « Questi navigatori avevano a Micene il centro del loro impero e per questo noi li chiamiamo Micenei, anche se la loro lingua era già il greco. Essi erano dunque i progenitori ed i padri degli eroi achei di cui ci parla Omero, di Agamennone, di Achille, di Ulisse. Cosa venissero a cercare in Italia non è del tutto chiaro, forse lo stagno che dalla lontana Cornovaglia, passando per le Colonne d’Ercole, giungeva alle nostre coste, forse il rame di alcuni nostri giacimenti, forse beni deperibili di cui non è rimasta traccia» . Cfr. R. PERONI, Dalla preistoria alla nascita delle città, in (AA. VV.) Dalla preistoria all’impero romano, Torino, Edizioni Rai, 1983, p. 18. 22 Marco Pacciarelli precisa che “ si tratta, nel caso di specie, di un porto, funzionale a un’area vastissima, estesa per circa 200 chilometri quadrati. Plausibile, lungo tale ampio perimetro, la sussistenza una cittàStato. La civiltà esistente in loco raggiunge il suo massimo splendore nell’età del cosiddetto ‘Bronzo recente’, intorno al 1600-1150 avanti Cristo” . Cfr. C. L’A NDOLINA , Zambrone colonia M icenea? , « Calabria Ora» , 5/ 09/ 2012, p. 30. 23 L’ETÀ ANTICA 19 alla luce nel corso di una campagna di scavi condotta da due ricercatori, Marco Pacciarelli, docente dell’Università di Napoli “ Federico II” e Reinhard Jung, docente ricercatore dell’Università di Salisburgo. La statuetta, realizzata in avorio di elefante secondo i canoni della civiltà minoica del XVII-XV secolo a.C., raffigura “ la più antica rappresentazione della figura umana con caratteri naturalistici finora rinvenuta nell’intera area occidentale del Mediterraneo” . Dopo la guerra di Troia, però, i contatti con i Micenei si erano interrotti. A settentrione si era sviluppata la cultura delle terramare, con capanne sopraelevate e poggiate sopra un terrapieno artificiale per difenderle dalle inondazioni e con un’economia basata su allevamento e agricoltura. Nel meridione si erano distinti i popoli della cultura appenninica, una civiltà nata dall’incontro tra due mondi, quello mediterraneo e quello europeo. Nuovi popoli (Veneti dai Balcani, Illiri dall’Albania) erano giunti nella Penisola determinando spostamenti e migrazioni: i Siculi avevano attraversato il Lazio e si erano infine stanziati in Sicilia; i Latini avevano lasciato l’Appennino umbro ed erano scesi a sud del Tevere. E mentre nell’Italia centrale la civiltà villanoviana si saldava con la civiltà etrusca, Omero in Grecia cantava la guerra di Troia e il ritorno di Ulisse a Itaca. I Greci riprendono la navigazione verso Occidente, seguendo le rotte marittime trasmesse oralmente da generazioni di marinai e mercanti, e inizia la colonizzazione storica delle regioni italiche. È in quel contesto, tra miti e leggende di eroi omerici che ritornano dopo la guerra di Troia, con una Grecia frammentata in piccoli Stati ma portatrice di una civiltà compatta e unitaria24, tra storie di marinai che sbarcano sulle coste italiane e fondano colonie ricche e potenti, in un ambiente sul quale aleggiano la memoria e il ricordo delle antiche città; è in quel contesto, dicevamo, che cominciano a nascere e a svilupparsi le vicende di Cleto, Savuto e San Mango d’Aquino. Erodoto riassume la civiltà ellenica come “ la comunanza di sangue e di lingua, i santuari e i sacrifici comuni, gli usi e i costumi simili” (Erodoto, Storie, trad. di F. Bevilacqua, Libro VIII, par. 144). 24 TRA MITO E STORIA I testi di storia locale hanno spesso il vantaggio di fornire dati e notizie accessibili solamente a chi vive sul posto oppure conosce il territorio. Per questa ragione apriamo il capitolo con le citazioni di Gabriele Barrio. Perché è con lui che inizia in ambito locale il filone degli studi geograficoumanistici, avviati nel Cinquecento da Flavio Biondo (che pubblica a Venezia nel 1558) e da Leandro Alberti (che licenzia la seconda edizione della sua opera nel 1577). Barrio pubblica nel 1571, e per quanto riguarda Cleto, scrive: «Quindi c’è il castello di Petramala, una volta detta Cleta, fondata da Cleta, nutrice della regina Pentesilea, da ogni parte munita di forti torri, distrutta dai Crotoniati, come Licofrone scrive nella Cassandra […] Non lontano da Petramala sorge la cittaduzza di Sabazio, e si versa nel mare un fiume dello stesso nome, navigabile e pescoso, un tempo detto Ocynarus…». Gian Piero Givigliano informa: «A sud del Lao e fino al Savuto, la costa presenta in rapida successione tutta una serie di corsi d’acqua, che si snodano dalla catena costiera al Tirreno con un percorso breve e dalla forte pendenza». E poi aggiunge: «Questa caratteristica del territorio ha portato alla formazione di dorsali collinari, molto bene individuate dal sistema idrografico, i cui ripiani prospicienti il mare offrono un insediamento sicuro e naturalmente difeso a gruppi “ indigeni” che vi abitano dall’età protostorica. Queste genti usano quei fiumi per irrigare i campi ed abbeverare le mandrie di animali, mentre le spostano lungo le valli fra i pascoli alti estivi e quelli bassi invernali, e si recano alle loro foci per commerciare con le navi fenicie e greche che costeggiano il litorale sulla importante rotta tirrenica» 25. Ricordato che la notizia della fondazione ausonica di Temesa lascia presupporre la persistenza dell’elemento indigeno nella storia della città citata da Omero, osserviamo che proprio a Cleto, e più esattamente in località Pantano, una necropoli riconducibile alla prima Età del Ferro ci induce a pensare 25 G. P. GIVIGLIA NO, Geografia e mitologia dei fiumi della Brettia, in C. DA MIA NO FONSECA (a cura di), Le vie dell’acqua in Calabria e in Basilicata, Cosenza, Carical SpA, 1995, p. 118. 22 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO all’esistenza di un abitato corrispondente, ancora non identificato 26. Fatte queste premesse, possiamo dire che la fondazione di Cleto trae origine dalla leggenda di Cleta e dal mito delle Amazzoni, le sacerdotesse guerriere della dea Atena. La leggenda narra di Pentesilea, figlia di Otrera e di Ares, regina delle Amazzoni, la quale, durante una battuta di caccia, uccide per errore con una freccia la sorella Ippolita, e per sfuggire alle Erinni trova scampo a Troia. Purificata da Priamo, Pentesilea si distingue in battaglia sopprimendo molti Greci e respinge più volte Achille dalle mura della città assediata; ma alla fine l’eroe greco la uccide con una lancia. È allora che Achille s’innamora del corpo della regina ormai senza vita, e chiede ai Greci di dare ad esso degna sepoltura. Ma Tersite, il più brutto della spedizione greca, sfigura Pentesilea e Diomede getta il corpo nello Scamandro. Nel frattempo l’amazzone Cleta, nutrice di Pentesilea, saputo che la sua regina era fuggita a Troia dopo la morte di Ippolita, si mette in mare per raggiungerla, ma durante la navigazione è spinta da venti contrari sulle coste della Calabria, dove fonda una città a cui impone il suo nome e sulla quale inizia a dominare. Oltre a dare il nome alla città, Cleta stabilisce che tutte le future regine si sarebbero dovute chiamare con il suo stesso nome, e decide che la città dovrà essere governata da un consiglio di sole donne. Nel 534 a.C. incontriamo Cleta (oppure Clete, come riportano altre fonti) alleata con Temesa e troviamo le due città attaccate da Crotone. Capitano generale della spedizione è Firmione, che arriva con soldati a piedi e a cavallo. L’assedio di Temesa dura quattro mesi. Alla fine la città crolla, e i prigionieri sono spediti a Crotone con al seguito un ricco bottino derivante dal saccheggio. Poi tocca a Cleta. La città oppone resistenza, ma priva di aiuti esterni si arrende. Firmione pretende la morte di Cleta, la regina (una delle tante regine omonime che vennero dopo la prima Cleta). I Cletesi ubbidiscono, e così facendo salvano la città dalla distruzione, ma non dal saccheggio 27. L’esercito di Crotone si ritira solo dopo aver fatto giurare fedeltà agli abi- 26 Intervento di J. DE LA GENIÈRE, in G. MADDOLI (a cura di), Temesa…cit., p. 178. L’episodio della guerra di Crotone contro Temesa e Cleta è riportato da Macchione, il quale cita a proposito storici come Licofrone (nato intorno al 325 a.C.), Strabo ne (nato intorno al 63 a.C.), Sicofro ne (270 a.C.), Isacco TzeTze (sto rico bizantino del XII secolo), Niccolò Leonico Tomeo (nato nel 1446). Cfr. A. MA CCHIONE, op. cit., pp. 161-163. 27 TRA MITO E STORIA 23 tanti rimasti28. Adriano Macchione ricorda che “ Crotone mosse in guerra per vendicarsi del fatto che Temesani e Cletesi avevano aiutato Sirio” , e aggiunge che l’episodio dell’attacco di Crotone a Cleta è un capitolo di storia mai trattato in maniera approfondita dagli storici contemporanei, forse perché ignorato, mentre è riportato da illustri autori del passato. Fra questi ultimi, noi abbiamo scelto Francesco Fiore (1622-1683), un calabrese che prese i voti della Riforma cappuccina e divenne Padre Fiore da Cropani. Il religioso scrive: «Pietramala. […] crebbe la città di popolo, e di forze, tanto che nella guerra tra’ Crotoniati, e quei di Siro, poté somministrare a quelli, insieme con Temesa, aiuti segreti, e tenuti consegli per occupar Terina; ma caro le costò, perché disbrigatisi i Crotoniati da quelli affari, con la lor meglio, tosto contro di Cleta ravvolsero l’arme vincitrici, sotto la condotta del gran Formione, correndo gli anni del mondo 342329 […] Oggidì cambiato nome, si chiama Pietra Mala, di che non saprei renderne conto…» 30. Fin qui Fiore da Cropani. Ma anche in tempi recenti, Rocco Liberti scrive: «Secondo lo Zupi, che raccoglie altre mitiche notizie, la città di Cleto sarebbe stata alleata di Siro, assieme a Temsa, nella lotta da questa sostenuta contro Crotone. E, ancora, terminata quella guerra e pensando ad una possibile conquista della città di Terina, Cleto sarebbe rimasta da sola a lottare contro i Crotoniati» 31. La città di Cleta che porta aiuti alla città di Siri in guerra con le città achee di Sibari, Metaponto e Crotone, e la città di Cleta assediata, saccheggiata ma non 28 Scrive nel 1649 lo storico crotonese Giovanni Battista Nola Molisi: « Questà città dunque all’apparire dell’esercito crotonese fece da principio grandissima resistenza; ma non confidando nelle sue poche forze, et per non essere destrutta, si rese alla discrettione del capitano Formione, il quale non volse concedergli altro patto che questo. Fece uscire da dentro la città tutti li habitanti, et che le portassero la loro regina morta, chiamata Cleta, non perché fosse così il suo nome, ma dal nome di Cleta, che edificò la città, o che la città prese il nome da Cleta sua prima padrona, tutte le regine si chiamavano Cleta; usciti per ultimo tutti fuori, il capitano Formione fece entrare l’esercito crotonese per saccheggiare la città, ma con ordine, che non destruggessero le case, né toccassero li tempij; dopo il capitano ordinò alli cittadini, che giurassero fedeltà alla repubblica, et popolo crotonese, et per l’avvenire in pace se ne vivessero» . 29 Nella cronologia degli avvenimenti, padre Fiore da Cropani ha stabilito al 4000 la nascita di Cristo. La data dell’attacco di Crotone a Cleta risulta, pertanto, nel 577 a.C.; come vedremo, non c’è concordanza con le altre date indicate dagli storici, neppure in riferimento alla guerra achea contro Siri. 30 F. DA CROPANI, op. cit., pp. 266-267. 31 R. LIBERTI, A jello Calabro. Note storiche, Cosenza, Editrice MIT, 1969, p. 154. 24 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO devastata e rovinata da Crotone, che accetta la resa, ha dunque precisi riferimenti storici e le sue vicende s’inseriscono in un contesto più ampio che riguarda la Magna Grecia. Scrive Jean Bérard nel 1963, all’epoca docente di storia greca alla Sorbona: «Secondo Giustino, fin dall’inizio i Metapontini decisero, d’accordo con i Sibariti e i Crotoniati, di cacciare dall’Italia gli altri Greci. Per prima cosa espugnarono Siri, massacrando nel santuario di Atena cinquanta giovani che vi si erano rifugiati. […] Poco tempo dopo Crotone si volse contro Locri, che era intervenuta in aiuto di Siri: ma l’esercito crotoniate, nonostante la sua schiacciante superiorità numerica, fu distrutto nella battaglia della Sagra; avviliti da quel disastro, i Crotoniati ripresero coraggio solo quando arrivò Pitagora, il quale, prima di trasferirsi a Metaponto, visse venti anni nella loro città» 32. I due avvenimenti (la distruzione di Siri e la sconfitta di Crotone sul fiume Sagra) sono collocati dallo storico francese nei primi due terzi del VI secolo, e cioè dal 599 al 533 a.C.; diversi autori sostengono che la battaglia della Sagra è più vicina alla caduta di Siri e più lontana alla distruzione di Sibari. Le date più accreditate sono per la caduta di Siri tra il 570 ed il 540 a.C. (De Palma)33 e per la battaglia della Sagra tra il 560 ed il 535 (Costabile)34. Date confermate da Domenico Musti nella sua Storia greca, pubblicata nel 1989 da Laterza: 575 circa, conquista di Siri da parte delle colonie achee; 560540 circa, vittoria dei Locresi sui Crotoniati nella battaglia della Sagra. Collocare l’attacco di Crotone a Temesa e Cleta nella seconda metà del VI secolo risulta, pertanto, credibile. Esattamente di quel periodo parla Macchione (534 a.C.), mentre Pasquale Attianese indica il 550-540 a.C. come data della distruzione della città dell’amazzone Cleta35. Cerchiamo ora di capire perché Crotone attacca le due città di Temesa e Cleta. E partiamo dalla risposta di Fiore da Cropani quand’egli parla di Cleta: crebbe la città di popolo, e di forze, tanto che nella guerra tra’ Crotoniati, e quei di Siro, poté somministrare a quelli, insieme con Temesa, aiuti segreti, e tenuti consegli per occupar Terina. 32 J. BÉRA RD, La Magna Grecia, Torino, Einaudi Editore, 1963, pp. 191-192. Giustino è un autore latino vissuto tra la fine del II e l’inizio del III secolo; dai 44 libri della storia di Pompeo Trogo (storico romano vissuto sotto l’impero di Augusto) estrasse ciò che gli parve degno di essere noto e lo tramandò ai posteri. 33 C. DE PA LMA, La Magna Grecia, Roma, New ton Compton, 1980, p. 130. F. COSTABILE, Civiltà greca e presenza romana, in F. MAZZA (a cura di), Reggio Calabria, Soveria M., Rubbettino, 1993, p. 50. 34 35 P. ATTIA NESE, Kroton: le monete di bronzo, Soveria M., Rubbettino, 2005, p. 25. TRA MITO E STORIA 25 Cleta e Temesa offrono, dunque, aiuti segreti a Siri, la città colonizzata dagli Ioni di Colofone, ricca e potente già verso il 575 a.C., presa di mira dalle colonie achee allo scopo di arrestarne la potenza, per poi dividersi i territori della Siritide. Siamo nel VI secolo avanti Cristo. Nella penisola iberica è in corso la penetrazione dei Celti. A Roma governano i sovrani di dinastia etrusca. Gerusalemme è stata distrutta dai soldati babilonesi e gli Ebrei sono stati deportati in massa. In Persia si afferma Ciro il Grande; il suo impero si estende dalle coste dell’Asia Minore al deserto del Sinai e raggiunge l’altopiano iranico. Dario porta a termine un’opera eccezionale per il suo tempo, l’apertura di un canale lungo 200 chilometri, realizzato scavando una striscia di terra da est a ovest e collegando il Mar Rosso al Nilo, e quindi la Fenicia con l’Egitto. In Oriente nascono Confucio e il Buddha. In Italia la fase delle fondazioni coloniali si è conclusa e le poleis del versante ionico sono attratte dalle coste del Tirreno, dove avviano un processo di espansione territoriale e creano una vasta rete di sub-colonie. La Penisola è interessata dalla fioritura di un‘epoca di grandezza, caratterizzata da un sistema economico e culturale che coinvolge Calabria, Sicilia, Campania, Lazio ed Etruria e che tocca l’apice della sua potenza nel 474 a.C., quando i Greci italioti e sicilioti sconfiggono a Cuma gli Etruschi alleati dei Fenici di Cartagine e si guadagnano il dominio dei mari. I discendenti dei Ruma, una gens proveniente dalla riva etrusca del Tevere, avevano fondato un nuovo villaggio e con la bonifica della valle tra il Palatino e il Campidoglio le tribù che popolavano i sette colli, raggruppate in una struttura urbana organizzata, stavano concorrendo all’affermazione della grande Roma dei Tarquini. Più a sud erano ripresi e si erano intensificati gli antichi traffici, interrotti dopo il crollo del mondo miceneo. Eubei di Càlcide e di Erètria avevano scoperto la via dei mari italiani ed erano diventati i pionieri del movimento espansionistico greco. I Greci continuavano a fondare colonie nell’Italia meridionale e in Sicilia, e nella parte centrale della Penisola era al massimo dello sviluppo la prima grande civiltà italica: l’etrusca. Gli insediamenti dei coloni greci si stavano addensando soprattutto in quelle aree geografiche in cui, alcuni secoli prima, erano sbarcati i naviganti provenienti dall’Egeo e dalle coste dell’Asia Minore, e in Italia si stava diffondendo l’alfabeto. L’alfabeto significa commercio, e siccome le idee viaggiano con le merci, lungo le vie dei traffici si muove anche la cultura. Le popolazioni indigene si 26 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO appropriano delle forme materiali della cultura greca-italiota e danno luogo a manifestazioni sporadiche di arte locale, che si presenta in termini ancora insufficienti da un punto di vista formale. Siamo nel VI secolo, negli anni che vanno dal 600 al 500 avanti Cristo. Sibari ha una posizione di predominio fra le colonie greche dell’Italia meridionale. La sua agricoltura è fiorente e l’allevamento dei cavalli molto praticato. Ma l’attività economica più redditizia è il commercio, e il suo territorio funge da tramite fra Oriente e Occidente. In Oriente ha come corrispondente commerciale Mileto, città della costa egea dell’Anatolia; nel meridione italiano controlla i punti di approdo dei mari Ionio e Tirreno. Le merci sbarcano a Sibari e vengono caricate a dorso di mulo, per proseguire il cammino lungo la valle del Sybaris fino a Laos, lungo la valle dell’Esaro fino a Scidro (Belvedere Marittimo), lungo le valli del Crati e del Savuto fino a Temesa; una volta giunte sul Tirreno, le merci riprendono il mare, dirette verso i porti dell’Etruria, della Sardegna e di altre località del Mediterraneo centrale36. Crotone è una delle città più estese della Magna Grecia; forte e potente, vanta una scuola medica la cui fama si era diffusa in tutto il mondo classico. Le colonie achee si riuniscono in confederazione e traggono vantaggi dai traffici allargati all’Etruria e dal trasporto delle merci da un mare all’altro, attraverso la catena montuosa della Calabria. Siri, colonia di Ioni di Colofone, che la leggenda vuole fondata dai Troiani, sorta nel 670 a.C. alla foce del fiume omonimo (l’odierno Sinni) a metà della navigazione fra Taranto e Sibari, commercia con la Jonia e con gli Etruschi. Anche le sue merci sono trasferite via terra fino a Pissunte, alla foce del fiume Bussento, nel golfo di Policastro, sul Tirreno, e da lì proseguono verso altre destinazioni. Toccata da una grande e improvvisa ricchezza, Siri insidia il primato economico delle altre colonie e il suo territorio finisce per rappresentare un’isola in mezzo al dominio acheo. Le due aree entrano in collisione, e si fronteggiano due sistemi economici e monetari contrapposti, la confederazione achea di Sibari è la più antica e famosa colonia achea della Magna Grecia. Risulta fondata nel 720 a.C. da coloni dell’Achaia, i quali non erano altri che gli Achei dei regni micenei dell’Argolide, della Laconia e della zona dell’Istmo. Dopo l’assedio e il saccheggio dei Crotoniati, Sibari fu cancellata dalla faccia della terra deviando il corso del Crati, così che le sue acque, unendosi a quelle del Sybaris, ne travolsero gli argini inondando la città e seppellendo le strutture sotto un mare di acqua e di fango. Cfr. C. DE PALMA, op. cit., pp. 96-107. 36 TRA MITO E STORIA 27 Metaponto, Crotone e Sibari da un lato, e la confederazione ionica guidata da Siri dall’altro 37. Sibari, in verità, rimase “ piuttosto spettatrice, incapace di opporsi a un conflitto che non poteva recarle alcun vantaggio“ , precisa Claudio De Palma, in quanto “ la coalizione contro Siris per il possesso della Siritide fu opera delle città achee riunite, ma di esse solo Crotone e Metaponto presero parte attiva alla guerra” 38. La caduta di Siri regala a Metaponto territori, potenza e prosperità, mentre Crotone ottiene via libera nella marcia verso il sud della costa ionica della Calabria. Ma l’espansionismo crotoniate si scontra con la politica di Locri, la colonia di lingua dorica che aveva appoggiato la causa di Siri attaccata dalle tre città achee. I Locresi risalgono la costa in direzione nord e sconfinano anche sul versante tirrenico, dove intorno al 600 a.C. nascono Medma, nei pressi di Rosarno, e Hipponion, diventata poi la Valentia dell’ ager Vibonensis dei Romani. La guerra è inevitabile. Le milizie di Crotone, nonostante la grande superiorità numerica, sono sospinte in una stretta nella valle del fiume Sagra e sono sconfitte. I sogni di espansione verso il sud della costa ionica finiscono, ed è allora che i Crotoniati cercano spazio sul Tirreno e si rivolgono alle colonie che, in quel territorio, avevano accettato e favorito l’influenza di Sibari. Il VI secolo volge al termine. Ciro il Grande concede agli Ebrei deportati a Babilonia di tornare nella terra d’Israele. Il filosofo cinese Lao-tzu diffonde la dottrina del Taoismo. A Roma viene cacciato Tarquinio il Superbo e la monarchia lascia il posto alla repubblica. I Greci hanno fondato porti in tutto il Mare Egeo e nel Mediterraneo centrale; hanno attraversato l’Africa del nord e colonizzato Cyrene, sulla costa della Libia; hanno toccato l’estremità orientale del Mar Nero; verso occidente sono giunti fino a Malaga e dividono con Fenici e Cartaginesi il dominio dei mari. Ma Sibari è in lento declino. La concorrenza cartaginese nei traffici, le navi che venivano dall’Oriente e che preferivano andare a sbarcare nel più attrezzato porto di Crotone, la crescente influenza degli Etruschi che si erano affrancati della mediazione sibaritica in campo commerciale, erano fattori che ne minavano la potenza. Il mutamento degli equilibri e dei rapporti di forza in Magna Grecia crea il 37 G. TA BOUIS, Sibari. I greci in Italia, Firenze, Sansoni, 1958, p. 85. 38 C. DE PA LMA, op. cit., pp. 94. 28 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO contesto all’interno del quale Crotone matura la decisione di muovere all’attacco delle colonie sul Tirreno, dove in breve tempo consolida il dominio. E lo sbarco di Crotone sul Tirreno non è impresa difficile, visto che Nicola Franco Parise testimonia come la monetazione di Sibari dimostri “ nessun interesse, per la parte tirrenica, fra il Savuto e l’Angitola, dove pure si hanno testimonianze della sua influenza” 39. Forse perché Sibari aveva allentato il controllo su Temesa ancor prima della sconfitta del 510. L’interesse di Crotone per quella parte del Tirreno è, dunque, storica, se così si può dire, e in quell’ambito si colloca l’attacco dei Crotoniati contro Temesa e Cleta. La città sconfitta da Locri, una volta risollevata grazie all’arrivo di Pitagora (530 a.C.), comincia ad attribuire una funzione strategica al possesso di quel territorio tirrenico, luoghi dove Sibari aveva lasciato poco spazio, limitando le mire espansionistiche di Crotone. Verso la metà del VI secolo, intorno al 550 a.C., la potenza di Sibari è già in lento ma inesorabile declino, per il venir meno dei commerci a causa della concorrenza di Cartagine, per la crescente ascesa degli Etruschi, per la pressione dei Lidi sulle città jonie corrispondenti commerciali in Asia Minore, dice De Palma. Quale meraviglia possiamo esprimere, pertanto, in merito all’attacco di Crotone contro Temesa, e quindi contro una Cleta posta sul Tirreno? Un attacco che, lo ricordiamo, si colloca nella seconda metà del VI secolo e si inserisce in una progressione di eventi chiara e definita: Un gruppo di Greci fonda Terina, come recita l’ Alexandra di Licofrone: « Altri, sfiniti dall’amaro vagabondaggio, abiteranno a Terina, dove il fiume Ocinaro bagna la terra, riversando le sue limpide acque» 40. Temesa entra nell’orbita di Crotone e i Crotoniati deducono una colonia a Terina, utilizzando un insediamento urbano preesistente. Presumibilmente nel VII secolo a.C., considerato che la fondazione storica di Crotone è attestata nell’anno 709/ 708 a.C., contemporanea a Sibari. Nasce la Lega Achea. Crotone, Sibari e Metaponto si alleano e muovono guerra alla colonia ionica di Siri (570/ 540 a.C.). Temesa e Cleta portano aiuti a Siri. Le città achee distruggono Siri. Metaponto e Sibari si dividono il 39 N. F. PA RISE, Crotone e Temesa. Testimonianze di una monetazione d’ impero, in G. MA DDOLI (a cura di), Temesa…cit., pp. 109-116. Il nome di Terina è contenuto nell’elenco delle colonie fondate per ordine della Pizia, la sacerdotessa oracolo del tempio di Apollo a Delfi, nella Focide. 40 TRA MITO E STORIA 29 territorio. Crotone soffre, stretta tra Sibari a nord e Locri a sud. Crotone è sconfitta da Locri sulla Sagra (560/ 535 a.C.). Sibari controlla Temesa. Locri controlla il Tirreno con Medma e Hipponion, e quest’ultima città vive un periodo di grande sviluppo. Crotone attacca Temesa e Cleta per conquistare nuovi spazi sul Tirreno (550-540, oppure 534 a.C.). Temesa e Cleta sono sconfitte da Crotone. Ed ecco conclusa, secondo le parole di Licofrone, l’avventura delle amazzoni di nome Cleta: “ Un giorno, in vero, distruggeranno la città dell’Amazzone i Crotoniati, uccidendo la Regina che porta il nome del suo paese” . Le vicende successive si conoscono: l’esercito di Crotone, guidato dal campione olimpionico Milone, il pugile più famoso di tutti i tempi, attacca, sconfigge e distrugge Sibari (510 a.C.); poi la città consolida il dominio su Temesa e fa di Terina una colonia militare e uno snodo commerciale41. Ma seguiamo con ordine lo sviluppo degli avvenimenti. La potenza di Crotone è in ascesa. La presenza di Pitagora ha contribuito a farla risollevare dalle conseguenze della sconfitta sulla Sagra e la città possiede il miglior porto esistente tra Taranto e Reggio. Le sue miniere d’argento rendono più di quelle di Sibari e i suoi medici sono considerati i più bravi del mondo 42. Ma non ha il controllo del Tirreno, e quella parte di costa, tradizionalmente sotto l’influenza di Sibari, ha un’importanza strategica in quanto crocevia dei collegamenti tra Ionio e Tirreno e tra Magna Grecia, Sicilia ed Etruria. Lo scontro con Sibari è inevitabile, e la rottura fra le due città achee si consuma intorno al 520 a.C., quando a Sibari il tiranno Telys ottiene il favore del popolo, s’insedia sull’acropoli, strappa il potere all’oligarchia e costringe 500 ricchi cittadini a cercare rifugio a Crotone. E siamo arrivati al 510 a.C., quando Crotone, dopo una lunga rivalità e una guerra breve, affronta, sconfigge e distrugge Sibari, un tempo sua alleata contro tutti i Greci non Achei presenti in Calabria43. Macchione ricorda il discorso che il condottiero Milone fece ai soldati alla vigilia della battaglia, e noi ne riportiamo uno stralcio: « Non sono state da noi istessi destrutte la città di Siro, la città di Temsa, et la nostra città di Cleta castigata, et vendicatonci della città di Locri, la quale haveva vinto noi per voler dei Dei, et non per virtù loro? Voi sapete, nel ritorno della nostra vittoria della città di Siro, il tradimento di questa mala gente usatoci...» . Cfr. A. MA CCHIONE, op. cit., pp. 165-166. 41 42 G. TA BOUIS, op. cit., pp. 160, 184. « Ecco la potenza e la floridezza cotando rinomata de’ Sibariti, in pochi dì consumata e spenta» . Cfr. O. LUPIS, Elementi di storia universale, Tomo VI, Napoli, Vincenzo Flauto, 1805, p. 329. 43 30 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO La scomparsa di Sibari crea un vuoto di potere e Crotone assume un ruolo di primo piano nell’ambito del governo delle colonie greche. La fascia ionica che va da Neaethos (Neto) al Traente (Trionto) passa sotto il controllo dei Crotoniati e la città consolida la sua influenza anche sulle colonie tirreniche. Una prova dell’interesse di Crotone per il Tirreno verrà qualche anno dopo, quando la città, per affermare il controllo politico e facilitare la circolazione monetaria in quella parte del suo dominio, decide di impiantare a Temesa una zecca sussidiaria dove far pervenire il metallo col doppio sigillo. È allora che Temesa, importante emporio sul mare, dopo la breve parentesi locrese, viene inserita da Crotone in un vasto sistema monetario con emissioni d’impero, che s’intensificano nei primi anni del V secolo e continuano anche quando cessa la monetazione Crotone-Sibari e Crotone-Pandosia. E dopo Temesa, ecco Terina, l’antico centro ausonico dove Crotone deduce una colonia e dove già intorno al 460 a.C. si comincia a battere moneta in forma autonoma e a proprio nome. Tutto avviene in un tempo in cui, nello scenario politico e militare calabrese, fanno irruzione nuove forze: Gelone, primo tiranno di Siracusa, vince i Cartaginesi di Amilcare nella battaglia terrestre di Imera nel 480; Ierone (o Gerone) vince gli Etruschi nella battaglia navale di Cuma nel 474; ed è il trionfo dell’ellenismo in Occidente. Cartagine, anche se ripiegata su se stessa, è impegnata a mantenere il controllo del Mediterraneo occidentale, e tra il 475 e il 450 a.C. la sua marineria vive una stagione esaltante. Due flotte, comandate dai fratelli Annone e Imilcone, oltrepassano le Colonne d’Ercole e s’avventurano nell’oceano Atlantico allo scopo di eliminare gli intermediari e giungere direttamente alle fonti delle materie prime. Annone si dirige verso il sud, lungo le coste dell’Africa occidentale, alla ricerca dell’oro; Imilcone verso il nord, costeggiando la Gallia e le isole britanniche, alla ricerca dello stagno 44. Siracusa era già inserita nelle vicende dell’Italia meridionale. In Calabria si era rafforzata l’alleanza tra Locri e i Dinomenidi, e cresceva l’ostilità tra Crotone e Siracusa45. In Magna Grecia si fa sentire la presenza di Atene. La città è retta da Pericle, « I risultati non mancarono; quel certo miglioramento dell’industria del bronzo che riscontriamo a Cartagine nel tardo V secolo avanti Cristo si fondò probabilmente sullo stagno della Cornovaglia» . Cfr. C. FINZI, Ai confini del mondo, Roma, New ton Compto n editori, 1979, pp. 66-82. 44 45 L’antica famiglia di Gela, in Sicilia, originaria di Rodi, prende il nome dal capostipite Dinomene. TRA MITO E STORIA 31 che invia coloni a fondare prima una nuova Sibari sul Traente e poi Thurii, a circa sei chilometri dall’attuale Terranova da Sibari. Tra la fine del VI secolo (distruzione di Sibari del 510 a.C.) e la fondazione della colonia panellenica di Thurii (444-443 a.C.), Crotone rappresenta la maggiore potenza politica dell’Italia meridionale. La lotta per il controllo dell’area tirrenica è vinta e il litorale, collegato con le zone interne attraverso le valli del Crati e del Savuto, è sotto il suo dominio. Inoltre, la città è additata come centro di vita spirituale e di attività scientifiche tra i più importanti del mondo occidentale. Riassumere le principali vicende del V secolo può tornare utile anche per capire le motivazioni del nostro ragionamento. Un secolo, il Cinquecento prima di Cristo, segnato sia dalla crescente pressione militare esercitata sulle città della Magna Grecia dalle popolazioni italiche dell’interno, sia dalla rete di solidarietà che, sorta inizialmente in difesa delle poleis più minacciate, aveva finito per favorire una ristrutturazione politica del territorio. La comparsa di Thurii è improvvisa, ma la città è costretta a rinunciare ben presto ai progetti espansionistici a causa della presenza minacciosa dei Lucani. Crotone, che intorno al 450 a.C. era riuscita a strappare a Locri gran parte del territorio, non riesce ad arrestare il declino e per poco salva Terina dagli attacchi di Thurii. Locri, stretta nella morsa tra Crotone e Reggio, lega le sue fortune alla colonia dorica di Siracusa, ma finisce per diventarne un satellite. Reggio, alla ricerca disperata di uno spazio vitale, sempre in allerta contro Messina che aspira al controllo totale dello Stretto, finisce per gravitare nell’orbita della politica occidentale perseguita da Atene. Nel frattempo, dalla stirpe dei Sabini erano nati i Sanniti, e da questi si erano diramati Lucani e Brettii. All’arrivo dei Greci, alcuni di questi Italici avevano accettato l’ellenizzazione; altri, invece, avevano conservato la libertà andando a vivere sui rilievi appenninici. Anche per quei popoli il V secolo segna il cambiamento. Le tribù sparse sui rilievi della Calabria escono dall’isolamento e cominciano ad acquisire una propria fisionomia. Appresi l’alfabeto e la lingua greca, diventano bilingui e adoperano l’Osco per i testi e l’alfabeto dorico di tipo acheo per monete e bolli. In quel contesto, negli anni che vanno dal 480 al 470 a.C., le colonie tirreniche si sganciano nuovamente da Crotone e nella zona prende il sopravvento Locri, la città fondata dai Greci della Locride che, sul versante tirrenico, aveva in Hipponion la sua colonia più settentrionale. 32 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Terina e Temesa entrano nell’orbita di Locri, e prende corpo il mito di Eutimo, atleta locrese che sconfigge il demone di Temesa in epoca di poco anteriore, contemporanea o immediatamente successiva alle vittorie del pugile ad Olimpia46. Così, anche i miti confermano per Temesa la successione del predominio di Locri, ed è proprio in quegli anni che viene collocata la distruzione dell’ heròon di Polite. Poi, però, quando nel 467 a.C. Gerone muore, Siracusa allenta la pressione sull’Italia meridionale e Crotone ne approfitta per avviare la riconquista dei territori che si erano allontanati dal suo dominio. Temesa è riportata nella sua area di influenza, e vi rimarrà fino al 375 a.C., anno in cui Dionisio il Vecchio espugna Crotone e s’impossessa del tesoro di Era Lacinia. È in quel periodo che i tiranni di Siracusa pensano di costruire un sistema di fortificazioni lungo la strettoia dell’istmo che congiunge i golfi di Squillace e Sant’Eufemia; prima per impedire a Crotone e Terina di portare aiuto alle città di Hipponion, Scylletion e Caulonia cadute in mani siracusane, e poi per proteggere la parte meridionale della Calabria dalle incursioni dei Brettii47. Intorno al 400 a.C. le condizioni delle città della Magna Grecia non sono più quelle del passato. Sono mutate. E il mutamento è radicale. La grandezza delle antiche colonie comincia a essere un ricordo. Sembra resistere solo Taranto, mentre in Sicilia si afferma la potenza di Siracusa, destinata a diventare la capitale incontrastata di tutta l’area greca. Poi, quando nel 323 a.C. muore Alessandro Magno, inizia una nuova epoca, conosciuta col nome di ellenismo e caratterizzata da un’ampia e profonda diffusione della cultura greca48. A raccogliere l’eredità di Alessandro subentra Roma, che si appresta a unire quasi tutto il mondo allora conosciuto, dando vita al più grande impero che 46 La prima vittoria di Eutimo ai giochi olimpici è del 484 a.C., la seconda del 476 e la terza del 472. Qualche secolo dopo i Romani pensarono di collegare i due golfi con un canale navigabile, per evitare alle loro navi i pericoli di Scilla e Cariddi (Cfr. S. DI BELLA , G. IUFFRIDA, Di terra e di mare, Soveria M., Rubbettino, 2001, p. 16) e, in tempi più recenti, il garibaldino Achille Fazzari di Stalettì, durante il mandato parlamentare dopo l’Unità d’Italia, riprese l’ idea e propose la costruzione di un canale nell’Istmo di Catanzaro. 47 Alessandro aveva creato un grande impero, esteso dalla Macedonia all’Egitto e fino alle porte dell’India, e aveva introdotto una lingua e una moneta unica valida per tutti i popoli governati. Il sovrano diede un carattere universale alla sua opera e con lui il senso dell’unità di tutti gli uomini prevalse sul principio che assegnava al più forte il diritto di sfruttare il più debole. 48 TRA MITO E STORIA 33 fosse mai esistito. Cosa è successo alla città di Cleta dopo l’assedio e dopo la sconfitta subita dall’esercito di Crotone? Gabriele Turchi, scrivendo di Clampetia, dice: «È probabile che essa sia stata fondata dai Crotoniati dopo la distruzione di Clete, per assicurare il loro dominio su questo territorio costiero. Ma è altrettanto probabile che Clampetia sia stata fondata dai superstiti abitanti di Clete, sfuggiti all’eccidio ed insediatisi un po’ più a nord della loro città distrutta. Certo è che la sua origine risale all’epoca della espansione crotoniate sul versante tirrenico» 49. Ipotesi suggestiva, e anche possibile, tenuto conto però che Cleta, dopo la sconfitta, subisce il saccheggio ma non la devastazione, proprio in virtù del fatto che i Cletesi avevano consegnato al vincitore la loro regina uccisa. Conquistata dai Romani nell’estate del 204 a.C., al tempo della seconda guerra punica, e menzionata dal geografo Pomponio Mela, autore della più antica geografia latina a noi giunta (44 d.C.), Clampetia diventa colonia agraria al tempo dei Gracchi, nel 79 dell’era Volgare50. Una città (o meglio locus, come scrive Plinio il Vecchio) che accoglie al suo interno un complesso di età imperiale romana in località Principessa di Campora, e che si estende fino all’entroterra collinare, come testimonia il complesso rustico in località Conocchia di S. Pietro in Amantea. Colpita da un grande terremoto nel IV secolo dopo Cristo, con epicentro la Piana di Gioia Tauro, Clampetia entra in miseria e ogni forma di vita sulla costa è spazzata via dalle onde prodotte dal maremoto. Turchi scrive che un nuovo centro abitato (Nepetia, nuova città) sorge a sud del fiume Eliceto, che i Bizantini chiamano Catocastro, e il luogo diventa sede di un governatorato militare, munito di fortificazioni lungo la linea che segna il confine con le terre conquistate dai Longobardi. E sempre secondo Turchi, i Saraceni sostituiscono il nome di Nepetia con quello di Al-Mantiah. Amantea, dunque, Lampéte per Licofrone, Lampétea per Polibio, Clampetia per Tito Livio… occupata dagli Arabi di dinastia aglabita (Saraceni) tra l’839 e l’840, liberata dalle truppe bizantine di Niceforo Foca nell’885, elevata a diocesi sotto l’influenza della chiesa greca di Costantinopoli verso l’888-889, attaccata 49 G. TURCHI, Storia di Amantea, Cosenza, Edizioni Periferia, 2002, p. 12. V. SEGRETI, Origine e presenza di Clampetia nella storia greca e romana, « Calabria Letteraria» , A nno XXVIII, Numero 1/ 3, marzo 1980. 50 34 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO tra il 970 e il 976 dagli Arabi dell’emiro Abu-Al-Kasem (Sciiti) che la utilizza come base per gli attacchi ad Aiello e Cosenza, rioccupata dagli islamici nel 987, liberata dai Bizantini una seconda volta nel 1025 e poi definitivamente nel 1031-1032. Dopo il terremoto e il maremoto del 365, probabilmente, ci sono desolazione e oblio, e devono trascorrere secoli per veder rinascere quel territorio. Amantea torna agli onori della cronaca e della storia nel X secolo, e il suo nome è inserito fra i centri sviluppati della costa tirrenica calabrese per opera del geografo e navigatore irakeno Ibn Hawqal, che visita l’Italia intorno al 970 e cita Amantea assieme a Reggio e Vibo. Mentre un altro geografo arabo, alIdr (it. Edrisi), in un libro che getta le basi scientifiche della Prima geografia dell’Occidente (commissionato dal re Ruggero II e ultimato nel 1154), scrive di “ Amantea città bella e popolata” . Amantea, rimasta spesso priva di vescovo a causa della dominazione e delle scorrerie musulmane, unita nel 1094 alla diocesi di Tropea guidata da Giustino, primo vescovo di rito latino, e per questo inclusa nel processo di latinizzazione delle chiese concordato dai Normanni con il papa Urbano II. Amantea, visitata nel 1121 dal papa Callisto II, proveniente da Cosenza e diretto a Sant’Eufemia, e nel 1190 da Riccardo Cuor di Leone, proveniente da Salerno e diretto a Messina, luogo di concentramento degli armati inglesi e francesi in partenza per la terza crociata. E la conferma della rinascita del territorio è testimoniata dai Registri Angioini, nei quali – annota Giuseppe Brasacchio – si può rilevare che “ nelle terre demaniali in agro di A mantea si producevano non solo cereali, ma anche olio e vino” . Ed è proprio il vino a essere acquistato dai mercanti pisani per essere poi imbarcato con destinazione Tunisi. Mercanti di Amantea sono presenti nella fiera di Salerno del 1478 e negli anni del Viceregno la città tirrenica diventa sede di dogana e fondaco, luogo dove si riscuotono i diritti sul movimento delle merci. CLETA SULLO IONIO? A lcuni autori collocano l’avventura dell’amazzone Cleta (o Clete) sul mar Ionio e associano Cleta a Kaulon, la città achea colonizzata da Crotone, popolata da Greci guidati dall’ecista Tifone di Aigion e sorta sulla costa ionica in direzione sud. Il limite di Kaulonia era segnato dal fiume Sagra, che la divideva da Locri Epizephyri, la colonia dorica sorta tre chilometri più a sud dell’attuale città di Locri, e il fiume, accostato in passato alle fiumare Torbido o Amusa, è invece identificato con l’Allaro 51. Nel VI secolo a.C. Kaulonia raggiunge un notevole grado di sviluppo e la città, dotata di un porto, è una delle prime colonie greche a coniare monete con tecnica incusa52. La prima al mondo – dice Adriano Scrivo – a coniare monete in argento. Le vittorie riportate da un suo atleta alle Olimpiadi sono poi ricordate da Pausania. Dopo la sconfitta di Crotone sulla Sagra, Kaulonia si libera dall’egemonia crotoniate e diventa autonoma, per finire sconfitta e distrutta da Dionisio nel 389, subendo l’accorpamento nello Stato locrese e il trasferimento degli abitanti a Siracusa. Kaulonia è stata localizzata nei pressi di Punta Stilo, al limite meridionale del Golfo di Squillace, nel territorio dove sorge Monasterace Marina, il primo comune della provincia di Reggio sulla costa ionica, andando in direzione sud 53. Mentre la Caulonia odierna si colloca a circa 15 chilometri ancora più a meridione, tra Riace e Roccella Jonica, e quindi nella Locride magnogreca, su una collina a sud del fiume Allaro, e fino al 1862 la cittadina è stata denominata Castelvetere. E. D’AGOSTINO, Da Locri a Gerace. Storia di una diocesi della Calabria bizantina dalle origini al 1480, Soveria M., Rubbettino, 2004, p. 44. 51 52 Stateri che raffigurano sul diritto una scena a rilievo e sul rovescio la stessa scena incavata. La collocazione di Kaulonia nel territorio di Monasterace è contestata da alcuni autori, i quali insistono sull’antica Castelvetere, oggi Caulonia, e scrivono che fra tutti gli studiosi, solo Lenormant e Orsi erano contrari a Castelvetere sorta in territorio dell’antica Caulonia. Cfr. O. R. DI LA NDRO, Castelvetere e Caulonia, « Calabria Sconosciuta» , Anno XXVII, n. 104, 2004, pp. 31-33. 53 36 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Il territorio di Monasterace ha restituito innumerevoli testimonianze relative alla presenza greca. Centinaia di monete. Resti di un tempio dorico dedicato ad Apollo e provvisto di 6 colonne in fronte e forse 14 sul lato. Resti di edifici tutt’intorno, in uno dei quali è stato rinvenuto, all’ingresso di una casa nella camera da pranzo, un pavimento a mosaico con una figura policroma di un drago a fauci aperte e con la lingua fiammeggiante. Una necropoli del 550 a.C.; frammenti di sculture di marmo pario e frammenti di terrecotte arcaiche che indicano la presenza di un edificio adibito a culto; resti di una cinta muraria. Nel 2012 è riaffiorato un ambiente termale con piscina di epoca greca ben conservato, e il pavimento di una stanza è interamente occupato da un maestoso mosaico policromo raffigurante motivi floreali e scene con animali mitologici. Secondo Francesco Cuteri, si tratta di uno dei più grandi e meglio conservati mosaici di epoca ellenistica del sud Italia. Però nulla ci riporta al nome di Cleta. Allora perché escludere la possibilità che la denominazione Cleta abbia potuto indicare, in passato, una città sorgente sul Tirreno nell’attuale territorio di Cleto? Una città attaccata da Crotone nella seconda metà del VI secolo, come abbiamo visto. E se Cleta era ubicata sullo Ionio, per quale ragione Crotone avrebbe dovuto combattere quella città, che alcuni identificano con l’antica Kaulonia? Quali motivi avevano i Crotoniati per portare di nuovo la guerra nelle contrade dove, nonostante la superiorità numerica, erano stati già sconfitti? Tra il 560 e il 535 a.C., dice Costabile, e comunque nella prima metà del VI secolo, secondo un orientamento diffuso. Una sconfitta imprevista e memorabile. Portare la guerra nelle immediate vicinanze di Locri, di una colonia che aveva dimostrato di poter ottenere la solidarietà di tutto il mondo dorico? Perché Crotone, dopo essere stata fermata da Locri nella corsa espansionistica verso il sud, a distanza di pochi anni avrebbe dovuto attaccare Kaulonia, che orbitava comunque nella sua sfera politico-militare? Una città, Caulonia, che nelle fonti tradizionali sulla coalizione achea formata da Metapontini, Sibariti e Crotoniati (coalizione che attacca e conquista Siri) risulta assente, e che fa ricavare a Mario Lombardo la “ plausibile ipotesi che fino a quel momento decisivo Caulonia fosse in qualche modo vissuta nel cono d’ombra di Crotone, la sua metropoli. E che fosse stata proprio l’inattesa sconfitta di Crotone alla Sagra – gravida di conseguenze negative per la città [… ] – a conferire a Caulonia uno spazio e un ruolo sostanzialmente nuovi, di almeno relativa autonomia rispetto CLETA SULLO JONIO? 37 alla madrepatria” .54 Stiamo parlando di una Caulonia che risulta assente nella guerra delle tre città achee contro Siri (mentre Cleta fornisce a Siri aiuti segreti) e di una Caulonia vissuta nel cono d’ombra di Crotone (mentre Cleta si oppone a Crotone per occupar Terina). E a questo proposito, ci torna utile andare al discorso che Milone rivolge ai Crotoniati alla vigilia della guerra contro Sibari, quand’egli, dopo aver citato la città di Temesa distrutta “ et la nostra città di Cleta castigata” , ricorda “ nel ritorno della nostra vittoria della città di Siro, il tradimento di questa mala gente usatoci...” 55. Stiamo dunque parlando di due città diverse: di una Cleta sul Tirreno e di una Caulonia sullo Ionio. Il legame della città dello Ionio con Crotone trova conferma nel V secolo, quando Caulonia partecipa alla Lega achea costituita con Crotone e con la nuova Sibari sul Traente. E se è vero – com’è vero – che la guerra tra Cleta e Crotone si conclude con la sconfitta di Cleta e con la morte della sua regina, perché Kaulonia, ammettendo la sua identificazione con la città di Cleta, nell’ultimo quarto del VI secolo (e quindi a distanza di pochi anni dalla sconfitta e dal saccheggio) non solo non è una colonia impoverita e misera, ma riesce ad allentare la dipendenza dalla madrepatria e arriva addirittura a battere moneta (540-530 a.C. secondo alcuni, 525-500 a.C. secondo altri)? Stiamo parlando di due città diverse. Caulonia di fondazione achea, e sono noti i legami con Crotone; mentre Cleta sembra essere un centro di origini miste, con i Greci che si affiancano alla popolazione indigena, e i suoi rapporti con Crotone sono conflittuali. Cleta città di origini miste, greche e native, dunque, con una tradizione letteraria che parla di un gruppo di Achei giunti da Troia e sottomessi dall’amazzone Cleta. Una sottomissione destinata a durare fino alla guerra con Crotone. Caratteristiche che non si addicono ad una Cleta identificabile con Caulonia. Perché (e citiamo ancora Lombardo) in merito a Caulonia si segnala la “ pressoché totale assenza di riferimenti a dinamiche di carattere relazionale o espansivo riguardanti, o coinvolgenti, in qualche modo gli indigeni” . E lo studioso poi precisa: 54 M. LOMBA RDO, Caulonia: tradizioni letterarie e problemi storici, in L. LEPORE, P. TURI (a cura di), Caulonia tra Crotone e Locri, tomo I, Firenze, Firenze University Press, 2010, p. 11. È evidente il riferimento agli aiuti che Cleta ha portato a Siri, quando la città ionica è stata attaccata dalle tre colonie achee. 55 38 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO «A differenza che in molte altre tradizioni sulla fondazione e la crescita delle colonie greche, non si fa mai riferimento a indigeni che possono avere abitato il territorio cauloniate…» 56. Crotone muove guerra ad una Kaulonia, colonia e città amica, e non ad una Cleta del Tirreno di origini miste, e quindi ostile alla tradizione achea che accomunava, invece, Kaulonia e Crotone? Riprendendo le parole di Fiore da Cropani su Cleta (crebbe la città di popolo, e di forze, tanto che nella guerra tra’ Crotoniati, e quei di Siro, poté somministrare a quelli, insieme con Temesa, aiuti segreti, e tenuti consegli per occupar Terina), ci chiediamo quali aiuti e quali consigli poteva dare a Siri una Cleta dello Ionio, per poter poi muovere alla conquista di Terina. E ancora: per quali ragioni Crotone doveva tornare nei luoghi del suo tracollo e pensare di riprendere proprio lì le armi contro Kaulonia? La rivalità fra Locri e Crotone non cessa e continua nel tempo, è vero. Ettore M. De Juliis dice che “ le ragioni profonde del contrasto fra le due sfere d’influenza devono essere perdurate anche dopo la famosa battaglia, come apprendiamo da un’iscrizione votiva di Olimpia, nella quale si fa riferimento ad una vittoria su Crotone da parte di Ipponio, alleata con M edma e Locri” 57. Lo studioso fa riferimento a uno scudo con dedica conservato nel museo di Olimpia, sottratto ai Crotoniati nel corso di una battaglia compresa tra la metà del VI e gli inizi del V secolo a.C., e poi dato in offerta al santuario da Ipponiati, Medmei e Locresi, come segno di ringraziamento per la vittoria. Ma Brasacchio precisa che solo dopo la caduta di Sibari l’impero crotoniate “ conobbe la massima estensione” e solo dal 510 in poi a sud “ fu strappato ai Locresi tutto il territorio perduto nel 560 a.C. in seguito alla disfatta sul Sagra e cioè Caulonia, Ipponio e Temesa” 58. Allora l’episodio di Crotone che nella seconda metà del VI secolo attacca Cleta non può che riferirsi a una città posta nel versante tirrenico della Calabria. E quindi l’attuale Cleto. Dopo la Sagra, infatti, Crotone riprende il controllo di Temesa, come attestano le emissioni di monete di alleanza a doppia leggenda, tardi incusi della fine del VI secolo (520-510 a.C.). E torna l’interesse per le città della costa 56 M. LOMBA RDO, op. cit. , p. 9. E. M. DE JULIIS, Magna Grecia. L’Italia meridionale dalle origini leggendarie alla conquista romana, Bari, Edipuglia, 1996, p. 154. 57 G. BRA SACCHIO, Storia economica della Calabria, volume primo, Chiaravalle Centrale, Frama Sud, 1986, pp. 166-167. 58 CLETA SULLO JONIO? 39 tirrenica della Calabria. Sul versante ionico, la città di Pitagora può contare su Kaulonia, attestata – è vero – su posizioni di cauta autonomia, ma non per questo avversa alla madrepatria. E può contare su Scylletion (la Squillace odierna), sorta intorno al 600 a.C. a mezza strada tra Caulonia e il Capo Lacinio; attraverso Scylletion, Crotone domina l’istmo più stretto d’Italia. Sul versante tirrenico, invece, il controllo del territorio è più difficile e nell’area si registrano passaggi repentini delle colonie minori da un fronte all’altro. Guardiamo Temesa. Nell’arco di tre secoli la città subisce il dominio di Sibari, che dopo la disfatta del 510 la perde a favore di Crotone, e poi di Locri, che la strappa ai Crotoniati indeboliti da problemi interni e sconfitti dagli Ipponiati, per poi finire di nuovo sotto Crotone. L’espansione locrese a Temesa, contemporanea dell’atleta Eutimo, non sembra sia stata duratura, perché troviamo monete d’alleanza Crotone-Temesa a doppio rilievo, e “ alcuni numismatici hanno fissato il momento in cui la monetazione passa da incuso a doppio rilievo nel 450 (Parise), 440 (Kraay) o 435 a.C. (Garraffo) ” 59. Sulla costa tirrenica della Calabria il controllo del territorio è più difficile, dicevamo, e quando nel 450 a.C. Crotone è sconvolta da una rivolta, le monete battute a Temesa indicano non più un rapporto di sottomissione, ma una sorta di parità politica. Ed è allora che Crotone rivolge le sue attenzioni a Terina, un centro di nascita ausona o enotria, popolato dai Greci e successivamente colonizzato dai Crotoniati. Ma quello su Terina è un altro segmento del discorso 60. Nella Presentazione abbiamo detto che non c’è storico che possieda il modo di spiegare in maniera esauriente la totalità dell’accaduto. E quindi anche in questo caso, su Cleto, abbiamo avanzato ipotesi basate su ragionamenti logici, sempre pronti ad apprendere altri punti di vista. È questo lo spirito che anima il lavoro, e con tale spirito andiamo avanti nella narrazione e torniamo a Kaulonia – o meglio – all’attuale cittadina di Caulonia, che – lo abbiamo detto – sorge 15 chilometri più a sud del sito dove 59 A. MONTESA NTI, La monetazione “ d’impero” e “ d’alleanza” di Crotone, « InStoria» , Rivista online di storia & informazione. « Che Terina sorgesse nel Lametino è asserzione di studiosi moderni, tra l’altro non suffragata da nessuna prova» , scrive Macchione, il quale ricorda che lo stesso Paolo Orsi, costantemente citato e osannato dai sostenitori di una Terina a Lamezia, ebbe a precisare: “ … sebbene molto ancora si debba attendere per averne la prova definitiva” . Cfr. anche E. BORRELLO, Sambiase, Roma, Temesa Editrice, 1988, p. 63. 60 40 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO gli archeologi affermano di aver rinvenuto le rovine dell’antica polis greca di Kaulon, nel territorio di Monasterace Marina. La delibera municipale del 6.10.1862 spiega le ragioni del mutamento di nome da Castelvetere a Caulonia (ratificato con Regio Decreto 22.1.1863, n. 1140), ma non fornisce riferimenti relativi a Cleta. In più, una nota dell’Amministrazione comunale sostiene che “ il nome antico della prospera cittadina fu Aulonia o Vallonia, in riferimento alle vicine valli, da cui Caulonia” . E poi aggiunge: «… È possibile, secondo alcuni studiosi di toponomastica, che la derivazione fosse dal vicino monte Caulonia, famoso in epoca greca perché alle sue pendici si coltivava una vite di uva pregiata, che dava il vino cantato da Marziale» 61. Come possiamo vedere, anche in questo documento non si riscontrano riferimenti ad una Cleta amazzone eponima. 61 Annuario di Calabria, Edizioni Val srl, Cosenza, 2002. CLETA CITTÀ SCOMPARSA? C leta nell’odierno comune di Cleto potrebbe essere una città scomparsa, avvolta nel mistero, della quale restano solo poche fonti letterarie e nessuna traccia materiale che ci riporti alla Magna Grecia. D’altra parte, fino al Colloquio di Perugia e Trevi del 1981 gli studiosi erano concordi nel dire che sul versante nord-occidentale del fiume Savuto “ i siti in cui si installano questi nuclei di Brezi corrispondono ancora una volta, come si è già verificato in varie occasioni, a delle località già occupate durante l’Età del Ferro, in cui manca la documentazione per il VI e V sec., almeno allo stato attuale” 62. Più specificatamente per Serra d’Aiello, nel Colloquio è emerso che “ lo iato del V e della prima metà del IV sec. non è probabilmente fortuito perché corrisponde ad un silenzio notato in molti centri e ricordato ieri da E. Greco per la zona di Lao” 63. Questo, però, fino al Colloquio del 1981. Appena sei anni dopo, nel corso di lavori di scavo, si verifica a Campora San Giovanni un ritrovamento di materiale di età greca, e nell’immediatezza dei ritrovamenti Giovanna De Sensi Sestito scrive: «La valutazione di massima che io, da storica, posso darne allo stato attuale, sulla sola base della riproduzione fotografica, è che si tratta di materiale fittile di epoca e di fattura greca, tutto databile tra VI e V secolo a.C. […] Data la natura dei manufatti che ho sommariamente descritto e le loro ridotte dimensioni […] sembra trattarsi di materiale votivo, che potrebbe implicare per l’area di provenienza la presenza di un luogo di culto greco» 64. Se si cerca, si trova. Le ricerche nel territorio di Serra d’Aiello riprendono a più riprese, e, come abbiamo sottolineato in precedenza, il quadro delineato nel 1981 a Perugia e Trevi cambia. Nel Convegno di Studi “ Dall’Oliva al Savuto” , tenuto a Campora San Giovanni in data 15-16 settembre 2007, emerge una nuova situazione: 62 S. LUPPINO, Il versante Nord-Occidentale del Fiume Savuto, in G. MA DDOLI (a cura di), Temesa… cit, p. 78. 63 Intervento di J. DE LA GENIÈRE, in G. MADDOLI (a cura di), Temesa… cit., p. 177. G. DE SENSI SESTITO, Cultura archeologica nell’antica Temesa, « Calabria, mensile del Consiglio regionale» , Nuova Serie, n. 23 (1987), marzo, pp. 125-127. 64 42 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Località Chiane: necropoli dell’Età del Ferro, databile tra la fine del IX e metà del VIII sec. a.C.; la zona è in contatto sia con l’area etruscovillanoviana che con il mondo ionico-enotrio. Località Chiane: fine VIII e inizio VII secolo, scambi e rapporti con il mondo euboico e calcidese. Cozzo Piano Grande: 1° fase VII-VI secolo a.C.; Tempio di Imbelli, fiorito nel VI-V sec. a.C. (580-480). Cozzo Piano Grande: 2° fase IV secolo a.C. Negli ultimi decenni del IV secolo (330, 300 a. C.) Cozzo Piano Grande perde importanza e sul finire del IV secolo (310-300 a.C.) nascono insediamenti brettii. Se si cerca, si trova. A Serra d’Aiello il vuoto riscontrato nel Colloquio del 1981 è stato colmato dai ritrovamenti. A Campora San Giovanni l’indagine ha accertato la presenza di una necropoli achea con vasi provenienti dall’Attica e di un settore termale appartenente a un complesso abitativo romano, pubblico o privato, posto all’interno di un abitato organizzato. A Nocera non si è cercato, ma si è trovato. Un ritrovamento fortuito, grazie alle ruspe che hanno spianato il terreno per far posto alla costruzione della terza corsia dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Però si è trovato. Un centinaio di tombe, dicono. E se un giorno gli organi preposti si decideranno a rendere pubblico l’inventario degli oggetti che “ la necropoli di età greca in località Portavecchia di Nocera Terinese” ha restituito, magari fornendo anche un quadro interpretativo dei dati raccolti, allora saranno consentite una migliore conoscenza storica del territorio ed una puntuale ricostruzione del paesaggio antico, nelle sue più diverse sfaccettature, dalle tipologie insediative alle aree necropolari, dallo sfruttamento del territorio alla circolazione e agli scambi commerciali. A Cleto non si è cercato, e quindi non si è trovato. Non si è cercato, ma sul territorio è confermata una continuità di frequentazione che parte dal Bronzo medio, con nuclei insediativi che hanno punti di contatto con la Sibaritide e che poi riprendono nella prima Età del Ferro. Guardate cosa scrive La Torre a proposito di tombe a grotticella artificiale per sepolture plurime, individuate “ sui fianchi del colle, a quote inferiori, lungo la vallata del Torbido e a Cleto, quasi sempre prive di corredo” : «Le caratteristiche architettoniche peculiari sembrano avvicinarle a quelle della Sicilia orientale, di forte influenza micenea, particolarmente diffuse CLETA CITTÀ SCOMPARSA? 43 nell’ambito della cultura di Thapsos e fino a quella di Pantalica; l’unica sepoltura che si è potuto scavare, in località Pantano di Cleto, ha restituito una deposizione primaria, con cadavere rannicchiato e corredato da una ciotola carenata d’impasto, genericamente attribuibile al Bronzo medio o recente, e due secondarie, prive di corredo» 65. A Cleto non si è cercato, e nei circoli e nei convegni il suo territorio (anche quello di Nocera, in verità) non è trattato. Anzi, è bistrattato. Eppure una città di nome Cleta, scomparsa e non identificata, un tempo è esistita, e in Calabria non è un caso isolato. Giovanni Battista Nola-Molisi, in un libro pubblicato nel 1649, parlando delle città distrutte della Magna Grecia, cita, fra le altre, Temesa, Terina, Cleta e Caulonia, tenendo così separate le nostre due città (Cleta e Caulonia, appunto); e anche Atto Vannucci, nella sua Storia d’Italia del 1851, colloca Cleta “ fra le città più oscure” . Di Scidro, importante sbocco di Sibari sul Tirreno, non si conosce nulla e se ne ignora completamente la storia; di essa parlano Erodoto e Lico da Reggio, ma l’ubicazione resta incerta, sospesa tra una serie di congetture che comprendono Sapri, Belvedere Marittimo e Cetraro. E che dire di Macalla, che la leggenda vuole fondata da Filottete, il capo dei Tessali che combatterono sotto le mura di Troia e la cui identificazione è tuttora incerta? Poi c’è Lametînoi, di cui tanto poco si parla in questo nostro tempo: «Lametia urbs est oenotriorum a Lameto fluvio dicta fuit Crotoniatorum». Non se ne parla oggi, però. Ma di una città dell’Italia di Lametini denominata Lametînoi che aveva preso il nome dal fiume Lamato e che si trovava verso Crotone parla Ecatèo di Mileto, storico e geografo greco, vissuto tra il 560 e il 480 a.C., il primo a usare il termine storia (historì ). Di acque Lamezie parla Licofrone nella sua Alessandra. E, in tempi più recenti, Corcia nel 1843 (“ A S. Eufemia, posta a breve distanza dal mare e che dà il nome al golfo, tutti i topografi assegnano la città dei Lametini” ) e Grimaldi nel 1845 (“ Dal Savuto al Caposuvaro sonvi circa quindici miglia e alla distanza di altre dodici ha foce il fiume Lamato, che anticamente chiamossi Lameto. Ivi dappresso esser dovea Lametia” ). Per finire con Filippo Masci, 1940 (“ Lamezia sorgeva nelle vicinanze del fiume Lameto, città fabbricata dagli Enotri e poi posseduta dai Crotonesi” ), e con Enrico 65 G. F. LA TORRE, Alla periferia dell’impero di Sibari, in G. DE SENSI SESTITO (a cura di), La Calabria tirrenica nell’antichità, Soveria M., Rubbettino, 2008, p. 118. 44 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Borrello, 1941 (“ In epoca remotissima [… ] sorgeva nella nostra Piana, tra l’ Amato e il S. Amatore (alle foci dello Zinnavo, press’a poco l’odierno ‘Maricello’) la città di Lametia, che dovette avere indubbia importanza, se dette il nome di ‘Lametinus’ o ‘Lameticus’ al nostro golfo” . «Ma dove sorgesse precisamente Lametia – specifica Borrello – nessuno ha mai saputo indicare», scrivendo poi: «Città misteriosa, dunque, Lametia. Una delle tante città “ arabe fenici” di Calabria» 66. Ora torniamo al nostro discorso, e lo facciamo con Gustavo Valente, il quale alla voce Cleta rimanda a Cleto, e alla voce Cleto testualmente scrive: «Detto in antico Cleta, da una antica città di origini imprecisate, poi distrutta dai crotoniati» 67. Qualche studioso ci informa dicendo che “ Quelli che chiamarono Cleto il borgo di Pietramala […] lo fecero […] per aver letto gli storiografi barocchi, anche il Fiore, ed averli intesi a modo loro. Così l’amazzone Clete fu trasferita dallo Ionio al Tirreno, e, dopo la trasmutazione del luogo, subì anche quella del sesso diventando maschietto… ” . Secondo quell’idea, Pietramala, impadronendosi di un mito di Caulonia, si ritenne Clete, tuttavia cambiò sesso alla regina, ed è Cleto. Adriano Macchione, sfoderando la solita arguzia, commenta: «Povera Cleta! Se potrà recarle consolazione, pensi che… “ la trasmutazione del sesso” , diventando (peggio!) una femminuccia, la subì anche Romolo, che divenne Roma!» 68. Bene! Lasciamo anche noi gli storiografi (barocchi o non barocchi, non importa), e torniamo a parlare di Caulonia. E diciamo subito che Strabone (Geografia, libro VI-10), duemila anni fa, aveva tramandato: «Dopo la Sagra c’è Caulonia, fondata dagli Achei e chiamata dapprima Aulonia, per la valle che si trova ad essa di fronte». E qualche anno dopo, solo qualche anno dopo, Plinio il Vecchio, nel descrivere dettagliatamente il territorio (Storia Naturale, vol. I), aggiungeva: «In quella riviera sono infiniti fiumi, ma le cose notabili cominciando da Locri sono, Sagra e vestigii della città di Caulone, Mistia, il castello di Consilino, Cocinto, il quale alcuni tengono che sia un lunghissimo promontorio d’Italia». Ma veniamo al tempo più vicino a noi, e partiamo da Orazio Lupis, abate, professore di Storia, Cronologia e Geografia ne’ Regi Studi di Catanzaro: 66 E. BORRELLO, op. cit., pp. 38-43. 67 G. VALENTE, Dizionario dei luoghi della Calabria, Chiaravalle Centrale, Frama Sud, 1973, pp. 310-311. 68 A. MA CCHIONE, op. cit., p. 164. CLETA CITTÀ SCOMPARSA? 45 «Un breve, e angusto tratto di paese, dal fiume Sacra sino al Promontorio Cocinto (oggi Capo di Stilo), descritto da Plinio longissimum Italiae Promontorium; e dentro terra, sino forse agli Appennini; costituiva tutta quant’ess’era la Regione Cauloniate: così denominata dalla sua principale Città; che, secondo Strabone, e Stefano, fu in origine chiamata Aulonia, quasi V allonia per rapporto alla vicina convalle: ed indi Caulonia». Lupis elenca poi un’altra versione, riportata da Mazochio: «… il quale ha anzi come originale da’ Fondatori Tirreni il nome di Kaul (che prolungato diede poi quello di Kaulonia), o sia da Kol (usavan sovente gli Orientali l’ au per l’O; e fa pur altrettanto il nostro Volgo): parola, che nel linguaggio orientale val voce di tuono: e crede, che abbian dato tal nome a questa Città, o per indicarsi addetti al culto dell’ A ltitonante Giove: o per l’augurio, che nell’edificarlo abbian preso dal tuono; ovvero, perché quella parte del littorale, ove fu ella piantata, andasse allora a’ fenomeni di frequenti fulmini soggetta». E poi ci parla delle monete: «… che presentan l’effigie di Giove sbarbato, all’inpiedi, e in atto di vibrar de’ fulmini: e molte altre danno a ravvisare, nella parte superiore, in una nicchietta Giove imberbe, che fulmina; e nella parte inferiore, una cerva, che, quasi intimorita al rumor de’ tuoni, mostra di volger indietro i suoi passi. Or, così quelle, che queste, sono sicuramente a riconoscersi come alludenti alla poco innanzi esposta nozione della Tirrenica voce “ Kaul” , ” Ko’l” » 69. E ancora altri approfondimenti: «La popolazione della classica Caulonia, ridotta in età romana a stazione itineraria, defluì al riparo del monte Concolino, lungo le cui pendici fondò più avanti Stilo» 70. In tutte queste testimonianze letterarie, come osservato per le rovine dell’antica Kaulonia a Punta Stilo, nulla ci riporta al nome di Cleta71. A questo punto, però, è doverosa una riflessione. È già difficile, sulla base delle attuali conoscenze, poter dire parole definitive sull’identificazione geografica e sulle indicazioni topografiche e storiche di 69 O. LUPIS, op. cit., pp. 228-230. F. M. MIRA BELLA, Uliveti e fiumare, in Calabria. Enciclopedia dell’Italia antica e moderna, Firenze, Edizioni Sadea Sansoni, 1963, p. 123. 70 71 « Si ha notizia dagli storici latini che i villaggi costituitisi dopo la distruzione di Caulonia furono nel territorio nominati con termini latini: Mjstrae, Consilium Castrum e Cocitum. Il centro urbano che dista circa quattro miglia dal promo ntorio Cocitum, ovvero Punta Stilo, è Monasterace» . Annuario di Calabria, cit., p. 304. 46 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO molte città antiche della Calabria, anche (ma non solo) per la sovrapposizione di leggende e miti creati al fine di nobilitare le vicende del territorio e poi stratificati nel corso dei secoli. È vero – scrive Bérard – che la storia ebbe inizio con la leggenda (soprattutto in Grecia) e che tutte le tradizioni primitive contengono un elemento fantastico che non esclude una parte di verità72. Ma la fondazione delle città greche, sorte lungo le coste dell’Italia meridionale quando Roma cominciava appena a uscire dalla barbarie, si collega a una tradizione che ne fa risalire l’origine all’epoca eroica della guerra di Troia, se non prima. E tutti sappiamo che fuori dell’ambito dei Racconti alla corte di Alcinoo (nucleo primitivo del poema omerico) alcuni riferimenti all’Italia e alla Sicilia possono appartenere a parti del poema troppo recenti o addirittura sono da considerarsi interpolazioni tardive. Perché solo “ la tradizione cui si rifanno le parti più antiche del poema è anteriore al tempo in cui i marinai greci cominciarono a solcare regolarmente l’Ionio e il Tirreno” 73. Spiega Bérard che i primi storici, nella Magna Grecia, compaiono nel secolo V, ma solo le opere di Erodoto e Tucidide sono oggi conservate integralmente; le altre (Antioco di Siracusa, Ferecide, Ellanico) sono giunte in stato frammentario e questi frammenti sono stati poi conservati da Dionisio di Alicarnasso, Strabone, Pausania e Stefano di Bisanzio. Ma nelle opere di Erodoto e Tucidide troviamo informazioni occasionali sull’Italia e sulla Sicilia antiche: «Sulle popolazioni primitive dell’Italia e per i tempi anteriori al secolo VIII, c’è da temere che i primi Greci abbiano avuto modo di raccogliere soltanto notizie assai vaghe e incerte, subito trasposte nel mondo della favola» 74. Abbiamo fatto ricorso allo storico francese per dimostrare quanto risulti difficile, nel nostro caso, stabilire con certezza la collocazione geografica di Cleta (o Clete), e per dire che appaiono fuorvianti (questi sì, altro che gli storiografi barocchi!) i riferimenti a trasmutazioni di luoghi e di sesso addebitati agli autori che hanno avuto l’ardire di collocare la città sul versante tirrenico della costa cosentina, e non sul versante jonico della costa reggina. Un esempio ci viene dalla leggenda tramandata da Pausania, Strabone ed Eustazio e riguardante lo spirito di Polytes che infastidisce Temesa, e di Euthymos Locrese che interviene per liberare dal dèmone gli abitanti. In quel caso lo sfondo storico della leggenda è l’egemonia locrese su Temesa, contemporanea ad Eutimo, campione di pugilato ad Olimpia. 72 73 J. BÉRA RD, op. cit., pp. 21-22. 74 J. BÉRA RD, op. cit., p. 27. CLETA CITTÀ SCOMPARSA? 47 La denominazione di Cleto data al comune cosentino non deriva dunque dall’ aver letto gli storiografi barocchi e dall’averli intesi a modo loro. Anzi! Il nome dato a Pietramala era Cleta, e in quel nome c’erano la conoscenza del territorio, la memoria storica e la consapevolezza di legare il Comune alle proprie origini, anche se mitiche. Non a caso la stessa evoluzione del nome è riscontrata nei Registri parrocchiali, considerati fonte primaria per scrivere la storia. Negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, ed esattamente a partire dal 1865, il toponimo Cleta comincia a essere associato all’antica denominazione di Pietramala. La dizione Terrae Petramalae et Cletae si legge chiaramente nei registri di battesimo e di matrimonio a firma dell’arciprete curato Vincenzo Giannuzzi Savelli75. Il 19 maggio 1892 il legato vescovile Amelio Del Bianco appone il suo visto (vidimus) sui Registri della Parrocchia e inizia la formula con le parole: Datum Cletae… E un anno dopo, nel mese di novembre del 1893, l’arciprete Biagio Provenzano annota la celebrazione del matrimonio tra Antonio Longo e Rosa Chiarello e si firma come rettore della chiesa parrocchiale dell’Assunzione, in Terrae Cletae. Come si vede, nella documentazione religiosa il centro abitato è identificato col nome Cleta, e nei registri sparisce gradualmente la denominazione Petramala (di origine medievale). Nel mese di gennaio del 1894 si sposano Vittorio Carlucci e Teresa Nicastri, e nel registro di matrimonio appare la denominazione Terrae Cleti; con il toponimo al maschile: non più terra di Cleta, dunque, ma terra di Cleto. È la prova che anche le autorità religiose cominciano a prendere atto di una denominazione che finirà per affermarsi in ogni atto pubblico, fino a diventare definitiva. Lo stesso sacerdote Biagio Provenzano, nel datare una lettera inviata al vescovo, scrive Cleto 22 aprile 1890, ma nel testo continua a riferirsi al paese usando il termine Cleta. Tracce del toponimo Cleta sono state da noi rinvenute nell’archivio del Comune, ed esattamente in un Registro di Popolazione dell’anno 1863, dove troviamo documentato il passaggio da Pietramala a Cleta, mentre Cleto compare nel Registro dei Matrimoni. Il 6 maggio 1863, al numero d’ordine 3, viene trascritto un atto dall’Ufficiale dello Stato Civile del comune di Pietramala distretto di Paola; a distanza di due “ Parochialis Ecclesiae sub titulo Santae Mariae in Caelum A ssumptae Terrae Petramalae Cletae, servatis servandis…” . 75 48 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO mesi, il 5 luglio, un nuovo atto è trascritto dall’Ufficiale dello Stato Civile del comune di Cleta distretto di Paola; anche se nel frattempo risulta notificato il Regio Decreto che autorizza vari Comuni nelle Provincie Napoletane e Siciliane a variare la loro denominazione (decreto n. 1196 del 4 gennaio 1863), e fra questi c’è Pietramala, in Calabria Citra, che “ muta la sua presente denominazione in quella di Cleto (sic!), giusta la deliberazione 3 novembre 1862 di quel Consiglio comunale” . E ancora, nell’estratto di matrimonio del 1898 tra Giuseppe Russo e Saveria Piccirillo, annotato nei registri di Stato Civile da Casimiro Carlucci in qualità di assessore delegato dal Sindaco, il timbro a inchiostro apposto sul documento continua a mantenere la dizione Comune di Cleta. Pietramala, quindi, non “ cambiò sesso alla regina” . Il nome era “ Cleta” , e così è stato chiamato il paese in occasione dell’Unità d’Italia. Poi, per un errore di trascrizione, i funzionari ministeriali incaricati di stilare l’apposito decreto di assegnazione di nuove denominazioni ai diversi comuni del Regno, scrivono “ Cleto” , e da allora è rimasto quel nome, nonostante i ricorsi presentati dalla municipalità negli anni successivi. Nessuna trasmutazione di sesso, dunque, ma un errore che non cambia la sostanza delle cose, e che certo non allontana l’ipotesi di una Cleta antica sul territorio dell’odierna Cleto. Detto questo, facciamo nostre le parole dell’abate Romanelli, che nell’opera del 1815, dopo aver scritto che alla voce Cleta “ gli storici calabresi, e specialmente il Barrio, riconobbero questa città a Pietramala dappresso il fiume Savuto” , rivolge un preciso invito agli studiosi: «Finché dunque non comparisce di questa città miglior monumento è forza riposare sulla fede del Barrio» 76. Ma l’ipotesi di una Cleta antica sul territorio di Cleto incontra altri punti di forza nello studio delle carte geografiche della Calabria. Dopo il terremoto del 1783, la Reale Accademia delle Scienze e delle Belle Lettere di Napoli realizza un volume divenuto una pietra miliare nello studio della sismicità italiana. All’interno di quell’opera è inserita una Carta Corografica della Calabria Ulteriore, pubblicata a Napoli nel 1784 dall’impressore Giuseppe Campo. Autore della Carta è Padre Eliseo della Concezione Teresiano, al secolo Francesco Mango, figlio di Giacomo e di Cecilia Castracani, membro di una spedizione allestita allo scopo di effettuare “ una peregrinazione letteraria nei luoghi della Calabria Ultra e del Valdemone, i quali 76 A ntica Topografia Istorica del Regno di Napoli dell’abate Domenico Romanelli, parte prima, Napoli, Stamperia Reale, 1815, p. 111. CLETA CITTÀ SCOMPARSA? 49 erano stati i più potentemente della natura ne’ fatal’ istanti del suo furore oltraggiati” . La commissione, guidata da Michele Sarconi segretario dell’Accademia, sbarca a Scalea il 10 aprile, pochi giorni dopo l’ultima delle cinque scosse catastrofiche, quella del 28 marzo 1783, e poi prosegue l’esplorazione verso sud fino a giungere nel territorio del Valdemone, nel Messinese. Per portare a termine l’esplorazione, Padre Eliseo rifiuta di servirsi delle tante derivazioni di carte esistenti all’epoca ed esegue egli stesso precise misurazioni geografiche utilizzando la sua macchina equatoriale, che gli permette di determinare la longitudine e la latitudine di alcune località, mai prima di allora annotate dal punto di vista cartografico. Nel mese di settembre del 1783 la missione termina, e i risultati del lavoro sono affidati alla stampa. La Carta Corografica di Eliseo diventa così la più grande carta topografica della Calabria mai realizzata fino a quel tempo, e in essa sono censiti e riportati tutti i centri urbani e gli insediamenti rurali. Ed è lì, in quella carta, che noi troviamo l’idronimo Cleta. E lo troviamo riferito a un corso d’acqua che attraversa il centro abitato di Pietramala e poi scende fino al Tirreno. Stiamo parlando di un corso d’acqua che passa da Pietramala e che porta il nome Cleta. E oggi Pietramala porta il nome Cleto. I corsi d’acqua hanno sempre rappresentato punti di riferimento nel territorio, e per questo motivo il nome veniva trasmesso, magari con qualche adattamento, anche in presenza del succedersi di popolazioni e di linguaggi diversi. Quindi, per dirla con Manfredi-Gigliotti, la circostanza che ricorre a Cleto non è una tautologia, ma la coincidenza tra due toponimi, legati tra di loro da reciprocità di influenza onomastica. E andiamo avanti. Nella carta della Calabria Citeriore di G. A. Rizzi Zannoni, pubblicata a Venezia nel 1788, è indicato un fiume Cleta tra il Torbido e il Savuto. Nel volume primo della Corografia dell’Italia di Giovanni B. Rampoldi, pubblicato a Milano da Antonio Fontana nel 1832, a pag. 715 troviamo: «Cleta, fiumicello del regno delle Due Sicilie, nella boreale Calabria; ha le sue fonti sopra i colli, che sorgono a ponente de’ monti della Sila; interseca il borgo di Pietramala, e dopo un corso di 10 miglia da levante a ponente gettasi nel mare presso la foce del Torbido». Nel volume terzo della stessa opera, pubblicata nel 1834 sempre a Milano, a pag. 235 troviamo: «Pietramala, borgo del regno delle Duesicilie, nella boreale Calabria, dist. di 50 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Paola, cant. di Aiello, intersecato dal fiumicello Cleta, 2 miglia discosto dal mare Tirreno, 7 a maestro da Martorano e 5 a scirocco da Amantea, ai piedi di alto colle, con un buon nutrito Castello. Il suo territorio abbonda di gelsi, di viti, di ulivi e di quasi ogni sorta di frutta. Vi si annoverano più di 1200 abitanti». Poi passiamo al Dizionario Corografico dell’Italia “ compilato per cura del prof. Amato Amati col concorso dei sindaci, delle rappresentanze comunali e provinciali e di insigni scrittori d’arte, di storia e di statistica, pubblicato dall’Antica Casa Editrice del Dottor Francesco Vallardi di Milano nel 1868” 77. Alla voce Cleta troviamo scritto che un corso d’acqua tra i fiumi Torbido e Savuto si chiamava già Cleta prima che Pietramala fosse rinominata Cleto. L’abate Domenico Tata, nella pagina 107 della Lettera sul monte Volture a sua eccellenza il Sig. D. Guglielmo Hamilton, ministro plenipotenziario di Sua Maestà britannica presso la Corte di Napoli, pubblicata a Napoli nel 1778, parla “ del fiume Cleta, che non è lontano da Terina” . Ora la domanda sorge spontanea: che fine ha fatto questo fiume da più parti nominato Cleta? Se partiamo dall’abitato di Cleto e seguiamo il corso del fiumicello che interseca il borgo di Pietramala, arriviamo alla foce dell’odierno Torbido. Allora, quando Amati scrive di un corso d’acqua tra i fiumi Torbido e Savuto, ci lascia supporre che, ai suoi tempi, il nome Torbido veniva usato per identificare l’odierno Oliva?78. Una conferma che l’Oliva fosse denominato anche Torbido ci viene sempre dall’opera di Rampoldi, primo volume pag. 44, dove alla voce Aiello troviamo: «Borgo del regno delle Due Sicilie, prov. di Calabria Citeriore, distretto di Paola, capoluogo di cantone, posto sopra una roccia, 10 miglia a libeccio di Cosenza. Ha un forte castello dalla parte di scirocco, e vi si annoverano più di 2600 abitanti. Il suo territorio abbonda di viti e di ulivi; vi si coltiva tabacco e Dieci volumi, 8.000 pagine complessive. Si tratta di un’opera di rilevante interesse storico e geografico, che raccoglie una grande quantità di notizie su città, comuni e frazioni d’Italia, compresi i centri minori. 77 Wikipedia informa che l'Oliva prende questo nome in territorio di Aiello Calabro, ma la sua vena principale, il fiume Grande, nasce più all'interno, presso Grimaldi. Liberti scrive che dopo la prima guerra mondiale lo stagno “ Turbole” che si trovava nel percorso del fiume Oliva, a poco a poco scomparve sia per i lavori fatti lungo il fiume sia per le opere di rimboschimento attuate nei monti soprastanti; Cfr. R. LIBERTI, Storia dello Stato di Aiello, « Calabria Letteraria» , A nno XXVI, Numero 1/ 2, febbraio 1978. Macchione trova una relazione tra il nome “ Oliva” e la leggenda di Polite ed Eutimo, e più in particolare con Alibas, ossia Alibante, il demone in cui si incarnò Polite, e indica il percorso del nome stesso: A libas, Aliba, Aliva, Oliva; Cfr. A . MACCHIONE, op. cit., p. 147. 78 CLETA CITTÀ SCOMPARSA? 51 bambagia. Il fiume Torbido gli scorre vicino verso maestro». E poi indica longitudine e latitudine del luogo. Abbiamo citato testimonianze di epoche diverse, e tutte ci parlano di un corso d’acqua identificato con l’idronimo Cleta. Guardiamo ora un’antica carta della Calabria, e scopriamo che tra Tyllesium e il fiume Ocinaro – o Savuto – compare un centro abitato segnato con il nome Cleta e posto al di là del fiume Savuto, a nord, nei pressi dell’attuale Cleto. Autore della mappa è Johannes Jansson, meglio noto come Johannes Janssoni, editore, incisore e cartografo che inizia la sua attività nel 1617 con un’edizione della Geografia di Tolomeo e che vive fino al 1664. La carta è pubblicata in Amsterdam nel 1658, e non è la sola a contenere la denominazione Cleta riferita a un centro abitato. Essa è in compagnia di un’acquaforte colorata del cartografo fiammingo Ortelius (1528-1598), contenuta in un’opera di G. Horn pubblicata nel 1684. Un’altra acquaforte è riprodotta in un Atlante antico di J. Le Clerc pubblicato nel 1705. Ecco dunque dimostrato perché “ la convinzione di studiosi locali che Pietramala fosse il sito dell’antica Cleta portò a ribattezzare la città Cleto dopo l’unità d’Italia” 79. A completamento del discorso, e anche per effettuare un confronto con coloro che sostengono le ragioni di una Cleta sullo Ionio, mettiamo in evidenza quanto G. B. Rampoldi riporta nella sua Corografia alla voce Castelvetere: «Picciola terra della Calabria meridionale, distretto di Gerace, alla destra riva dell’Alaro, 3 miglia a settentrione dalla Rocella, 7 ad ostro da Stile e 5 dal mare Ionio, sopra una montagna chiamata Caulo, che dato avea il nome all’antica Caulonia…». D’altra parte Turchi, nella sua Storia di A mantea, non manca di osservare: «Una attenta lettura dei versi della “ Alessandra” mette subito in evidenza che Licofrone, parlando di Clete, la intende ubicata sul mar Tirreno e non sullo Ionio, poichè nei versi che seguono immediatamente dopo, passa a parlare di Terina, seguendo mentalmente una logica successione geografica dei luoghi della costa tirrenica, dal nord al sud». A proposito del mito che vuole Caulonia fondata da Caulon, figlio di Clete sfuggito alla distruzione della sua città, Turchi aggiunge: «Che si tratti di un mito posteriore, aggiunto artificiosamente soltanto in tempi più recenti all’originario mito di Clete, probabilmente dai Locresi nel « The belief of local scholars that Pietramala w as the site of ancient Cleta led to the tow n being renamed Cleto after the unification of Italy». Cfr. Ancien Greeks W est & East, Edited by Gocha R. Tsetskhladze, Leiden, Boston, Köln, Brill, 1999, pp. 167. 79 52 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO periodo della loro maggiore espansione territoriale, per motivi di egemonia politica, lo dimostra il fatto che né Licofrone né i suoi scoliasti fanno minimamente alcun cenno di Caulon figlio di Clete» 80. Dopo questa lunga (ma necessaria) divagazione, riprendiamo il racconto e torniamo alla Magna Grecia e al IV secolo a.C., quando la Calabria è interessata da una serie di sconvolgimenti etnici. I Sanniti si erano stabiliti sulla dorsale appenninica centro-meridionale della penisola italiana, e in seguito si erano spinti verso la Campania e la Basilicata prendendo nomi diversi. Nell’estremo lembo meridionale dei loro possedimenti prendevano la denominazione di Lucani. E da loro, dai Lucani, si staccano le genti bruzie; prima una moltitudine confusa per lo più di origine servile, poi una vera e propria popolazione, di stirpe e lingua osca, che ottiene l’indipendenza a seguito di una secessione, che attacca diverse città italiote sottraendo loro territorio e ricchezza, e progressivamente accresce l’autonomia politica. Sono chiamati Brettioi, e quindi Brettii. Da popolo pastore e nomade, diventano agricoltori e stanziali. Occupano località interne della penisola calabrese, in opposizione ai centri greci strutturati sulle coste e in prossimità delle foci dei fiumi; conquistano la valle del Savuto e si affacciano sul Tirreno; costringono Crotone a ritirarsi e occupano le località abbandonate dalla città di Pitagora; vincono i Locresi ed estendono il dominio in direzione sud, dalla valle dell’Amato fino a Hipponion, e da Amantea in direzione nord. Nel 356 a.C. si ribellano ai Lucani e, vinta la guerra, si scrollano di dosso la sovranità della Confederazione Lucana, alla quale avevano aderito; proclamano una repubblica federativa indipendente, costituita da 12 città81, fissano la capitale a Consentia e contendono le terre della Calabria a Siracusani, Romani e Cartaginesi. Il quadro dei rapporti economici all’interno della regione cambia profondamente. Le colonie greche sono saccheggiate e sconfitte dai Brettii, e le popolazioni italiche si contrappongono ai Romani con azioni che assumono la caratteristica di vera e propria guerriglia, forme di lotta capaci di colpire all’improvviso e in luoghi inaspettati. 80 G. TURCHI, op. cit., p. 11. Blanda, Clampetia, Temesa, Terina, Pandosia, Ipponio, Taurianova, Scilla, Reggio, Medma, Metauro e Brezia; quest’ultima località, divenuta la capitale del nuovo popolo, cambia la denominazione in Consentia ed è ricordata da Strabone e da Appiano come la “ metropoli dei Brettii” . 81 CLETA CITTÀ SCOMPARSA? 53 Guerre lunghe e sanguinose, che spingono la Repubblica romana a estendere il dominio fino alla Calabria, spingendosi nella parte più meridionale della regione. Intanto i Cartaginesi avevano portato la guerra in Italia. Annibale, nella lunga lotta contro Roma, si era trovato a fianco gli italici, popolazioni di animo rude e bellicoso, e prima di ritirarsi in Africa aveva preso Temesa. E “ contigua a Temesa c’è Terina, che fu distrutta da Annibale, non potendo costui difenderla, quando si rifugiò nel paese dei Brettii” , lascia scritto Strabone. Strano destino, quello di Temesa e Terina. Due città legate non solo per l’incertezza che circonda i loro siti, ma per il fatto che, ciclicamente, alla crescita dell’una corrisponde il declino dell’altra. Avviene così anche in quella circostanza, e dopo la distruzione di Terina, Temesa esce dall’ombra e ritorna a controllare una vasta zona. L’ Ager Temesano si estende fino a comprendere lo stesso territorio di Terina, e a Temesa nel 194 a.C. viene dedotta una colonia. Tito Livio, storico latino morto il 17 d.C., scrive: «Tempsanum ager de Bruttiis captus erat». Al principio dell’Era Volgare, Strabone ricorda ancora le officine per la lavorazione del rame di cui parla Omero nell’Odissea, e Plinio vanta l’eccellenza de suoi vini, mentre Pausania, lo scrittore greco che visse nel II secolo dopo Cristo, aggiunge che ai suoi tempi Temesa era ancora abitata. Nel 61 l’apostolo Paolo, nel viaggio verso Roma, sbarca a Reggio e inizia la predicazione del Vangelo, ma una vera e propria organizzazione ecclesiastica del territorio si ha solo a partire dal III e IV secolo, quando cominciano a funzionare le prime chiese organizzate82. Nel frattempo, cresce il contributo che la Calabria offre al Cristianesimo e nella regione nascono molti religiosi destinati a ricoprire la carica di Pontefice. Nel V e VI secolo sono attive quindici diocesi, e fra queste c’è Temesa – o meglio Tempsa – presente nella documentazione religiosa fino all’anno 870, quando il vescovo Giovanni partecipa al Concilio di Costantinopoli IV, che conferma il primato della Chiesa Romana ma segna l’ultima occasione in cui l’autorità pontificia si afferma nella Chiesa d’Oriente83. Grazie a lasciti e donazioni, la Chiesa accumula un patrimonio di notevoli dimensioni. Si formano nuclei di proprietà fondiaria che danno luogo alle tre Masse del Patrimonium Sancti Petri del Bruzio (Silana, Tropeana e Nicoterana). La Massa Silana viene lasciata alla Chiesa dai duchi longobardi di Benevento, e le rendite complessive che la Chiesa percepisce nella regione arrivano a 350 libbre d’oro all’anno. 82 Ilario è vescovo al tempo di papa Simmaco, tra il 498 ed il 514. Stefano è vescovo con Gregorio Magno, tra il 590 ed il 604. Sergio è vescovo sotto Martino I, papa dal 649 al 654. Abundantius è presente 83 54 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Ma il V e VI secolo sono segnati anche da eventi che turbano la quieta economia rurale del latifondo. Nel 410 i Visigoti di Alarico valicano la cinta urbana di Roma, e l’episodio desta grande impressione nel mondo latino. Da otto secoli, dal tempo dei Galli di Brenno, nessun esercito straniero aveva messo piede nell’Urbe. Ma Alarico non distrugge la città, ne rispetta il carattere sacro e continua la sua marcia fino a Reggio, per poi morire ed essere seppellito nell’alveo del fiume Busento, a Cosenza. Roma è salva, così com’è salva anche con i Vandali di Genserico nel 455 e con gli Ostrogoti di Totila nel 546. La guerra gotico-bizantina infuria per quasi vent’anni e in Calabria riduce la regione ad un deserto seminato di lutti e rovine; i Franchi di Bucellino si spingono fino a Reggio, mettono la città a ferro e fuoco e saccheggiano la Calabria fino alla sconfitta definitiva subita nel 544 presso Capua per opera del generale bizantino Narsete. Giustiniano emana la Prammatica Sanzione e ristabilisce formalmente l’autorità dell’Impero d’Oriente sull’Italia; il territorio è diviso in province e Ravenna diventa la capitale dei possedimenti bizantini della Penisola. Poi arrivano le scorrerie dei Longobardi, che colpiscono duramente la Calabria, diventata terra di frontiera, divisa fra possedimenti longobardi a settentrione e dominio bizantino a meridione, e quando nel 652 la prima incursione di razziatori musulmani si abbatte sulle coste della Sicilia, nuove genti si affacciano sulle coste del Mediterraneo e contribuiscono a scrivere un nuovo capitolo di storia. Sono i popoli semitici raccolti sotto le bandiere di Allah, che dilagano fino alla Spagna e che saldano la cultura indo-persiana a quella romano-ellenica, diffondendo idee, dottrine e abitudini nuove e introducendo profonde innovazioni scientifiche e tecnologiche. Ma quando arrivano i Saraceni, su Temesa cade un velo di misterioso silenzio; in quel momento cessano i riferimenti storici e la città esce dalla storia per ritornare nella leggenda. come Legato Pontificio al Concilio di Costantinopoli del 681. IL MEDIOEVO N el 395 muore l’imperatore romano Teodosio, e l’Impero viene diviso tra i due figli: la “ pars Orientis” ad Arcadio e la “ pars Occidentis” ad Onorio. Quando i Visigoti varcano le Alpi e si affacciano in Italia, Onorio cerca rifugio a Ravenna. Nel 410 Alarico saccheggia Roma e i Visigoti giungono in Calabria, ma la morte del loro condottiero e la sua sepoltura sotto le acque del Busento spingono le tribù di nuovo verso il Nord, fino alla Gallia meridionale e alla penisola iberica. Alla morte di Onorio, gran parte dell’Occidente è in mano ai popoli barbari, e nel 455 Roma è saccheggiata per la seconda volta dai Vandali. Nel 476 Odoacre, capo degli Eruli, depone l’imperatore Romolo Augustolo, assume il titolo di Patrizio e invia le insegne dell’impero Romano a Costantinopoli, la città che Costantino aveva costruito sulle rive del Bosforo, esaltandola come “ la nuova Roma” . Il gesto segna simbolicamente la dissoluzione di un ordine che aveva ricondotto alle esigenze dell’ Urbe tutto il territorio dominato. È l’inizio della trasformazione di un tempo antico che si appresta a diventare post-romano, e il processo è avviato da un mondo variegato (il barbaricum) che da oltre confine è già stato in comunicazione con l’Impero, e che nei secoli IV e V, mediante la penetrazione e lo stanziamento dei popoli barbari all’interno dei limes, manifesta non soltanto intenzioni distruttive, ma volontà di partecipazione allo sfruttamento di risorse e alla condivisione di interessi. La fine della presenza romana in Occidente determina la crisi profonda del Mediterraneo e dei suoi commerci, mentre l’Oriente sopravvive ancora qualche secolo. E a Bizanzio guarderanno idealmente i nuovi regni barbarici occidentali, specialmente nella fase iniziale di formazione e di sviluppo. In Italia si verifica un generale processo di dissoluzione e smembramento della Penisola, e la Calabria è coinvolta in pieno negli avvenimenti dell’epoca. Le terre bonificate e coltivate passano a un regime di abbandono che favorisce l’avanzata degli arbusti e delle paludi. In pochi anni l’aristocrazia latifondista prende il sopravvento relegando verso il basso le condizioni di vita del 56 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO popolo minuto 84. Con Romolo Augustolo termina la serie degli imperatori romani d’Occidente e Teodorico, alla guida degli Ostrogoti, ottiene il riconoscimento di rappresentante dell’impero d’Oriente nella penisola italiana. Costantinopoli diventa il crocevia dell’Europa. I suoi traffici raggiungono le steppe asiatiche, la penisola iberica, la Cornovaglia, i paesi dell’Africa e la Cina; ed è proprio ai Cinesi che i monaci bizantini strappano il segreto della produzione della seta, riuscendo a portare alcuni bachi nella capitale dell’Impero e dando luogo ad una lavorazione del tessuto su vasta scala. Nel frattempo l’esercito di Bisanzio, al termine di una guerra lunga e sanguinosa, sconfigge i Goti, riconquista il Bruzio e ristabilisce il dominio in Italia85. Giustiniano, salito al trono nel 527, mantiene la divisione amministrativa voluta dai Romani e sottopone le terre al suo Corpus iuris civilis, che comprende, fra l’altro, il riordino di tutte le leggi emanate negli ultimi tre secoli. Per la Calabria iniziano secoli di storia all’interno di una civiltà che riesce a far prevalere l’elemento greco su quello latino, e che dimostra di essere in grado di diffondere il diritto giustinianeo in diversi Paesi dell’Occidente, contribuendo a gettare le basi di un tempo nuovo 86. Ma la guerra gotica è appena finita, ed ecco arrivare i Longobardi, che riaprono le ostilità e costringono i Bizantini a difendere i territori italiani. E ai Longobardi seguono, anni dopo, i Saraceni. Nel 663 Cosenza è città bizantina; nel 743 è città longobarda; nel 902 è attaccata dall’emiro Aglabita Ibrâhîm II Ibn Ahmad. Provenienti dall’Oriente, le tribù arabe nomadi e ribelli, dedite alla guerra e alla rapina, erano emigrate nell’Africa nord-occidentale e si erano stabilite in Tunisia, entrando in contatto con i Berberi e iniziando a infierire sui centri abitati che si affacciavano sul Mediterraneo. «L’epoca saracena costò agli Italiani molti sacrifici di sangue e provocò, inoltre, un enorme depauperamento di beni e, soprattutto nelle regioni La struttura del latifondo è andata sempre più affermandosi, tanto da far dire ad Augusto Placanica che « non tanto l’uso, quanto la proprietà della terra era l’elemento distintivo destinato ad arrecare ricchezza» . 84 Procopio, storico bizantino di Cesarea, del VI secolo, ci tramanda il ricordo di un Totila re dei Goti che non recò alcuna molestia ai contadini di tutta Italia, anzi li incoraggiò a ben coltivare. PROCOPIO, De bello gothico, III, 13. 85 La civiltà bizantina si sovrappone al carattere latino e indigeno della popolazione e segna in maniera uniforme la storia della Calabria e la stessa mentalità degli abitanti. Per approfondimenti, cfr. A . ORLANDO, La Calabria intorno al Mille, ebook gratuito sul sito ww w.sassinellostagno.it. 86 IL MEDIOEVO 57 meridionali, costrinse le popolazioni a sistemi di vita condizionati al massimo, non soltanto dal terrore ma anche dall’esigenza assoluta di difendersi», scrive Rinaldo Panetta87. Le campagne si spopolano 88. Vincolati da una natura selvaggia e inseguiti dalle incursioni, gli abitanti abbandonano le coste e s’insediano sempre più stabilmente su monti e colline. Le strutture abitative sono costruite in maniera disordinata e le tendenze urbanistiche finiscono per adeguarsi alla conformazione fisica del territorio. «Fu in quell’epoca, che gli abitanti del centro sud della penisola, in massima parte dediti all’agricoltura, presero a uscire la mattina, all’alba, dal paese per andare a coltivare i campi, ritirandosi, quindi, la sera all’ora dell’Ave Maria, e cioè, prima dell’imbrunire, per non farsi sorprendere fuori dai predoni», scrive ancora Panetta. I Longobardi si spingono fino a Reggio e nella parte settentrionale della Calabria istituiscono i Gastaldati di Canna, Laino, Cassano e Cosenza, e nell’anno in cui muore il loro re Autari, Gregorio Magno è proclamato papa. Il Vivarium fondato da Cassiodoro continua a salvaguardare la sopravvivenza della cultura classica e nella Sicilia si sviluppa la civiltà araba, basata sullo studio dell’algebra (appresa dagli Indiani), della geometria (appresa dai Greci), della medicina (sono arabe le prime descrizioni del vaiolo e del morbillo), dell’ottica (Alh azen è il primo a menzionare la camera oscura), della chimica, dell’astronomia e dell’astrologia, della filosofia, della letteratura. Una civiltà che risulta rafforzata dal Corano, il libro sacro di Maometto, e che determina contaminazioni nell’Italia continentale. Una civiltà che porta nel Mediterraneo le colture di riso, cotone, canna da zucchero, pesche, datteri, spinaci, asparagi, pepe, pompelmo, arance amare, limoni, mandarini, albicocche, cedri, zenzero, zafferano, cannella, noce moscata89. E mentre l’imperatore Costante torna a Costantinopoli con gli oggetti di bronzo sottratti a Roma e spoglia il Pantheon scoperchiando l’edificio e asportandone le tegole; mentre gli Arabi di Tariq ibn Ziyàd sbarcano sulle coste della Spagna e conquistano la rocca che dominava la montagna (Gebel Tariq, e 87 R. PA NETTA, I Saraceni in Italia, Milano, Mursia, 1973, p. 7. Sui 4 milioni di abitanti stimati in Italia intorno al 700, gli studiosi assegnano al Mezzogiorno 800 mila abitanti, riuniti in 150/ 160 mila nuclei familiari, con culture e tradizioni diverse, distribuiti territorialmente in centri piccoli e distanti tra di loro, con densità molto basse nelle zone interne. 88 Colture affermate in Sicilia grazie agli Arabi e introdotte in Calabria per merito della monarchia normanna. 89 58 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO quindi Gibilterra); mentre all’interno della penisola iberica inizia la costruzione della grande moschea di Cordova, in Italia volge al termine il predominio dei Longobardi, costretti ad abbandonare il sogno di unificazione della Penisola coltivato dal re Liutprando 90. Carlo Martello sconfigge gli Arabi a Poitiers e arresta la conquista musulmana in Aquitania. Sono anni un cui il Papa usa l’olio santo per consacrare Pipino re dei Franchi, e Pipino restituisce al Pontefice in aeternum la città di Ravenna e la Pentapoli. Ed è la nascita dello Stato Pontificio. Il Patrimonio di S. Pietro si pone come una nuova forza tra i soggetti dominanti, e il Papato diventa ufficialmente una potenza terrena. Pavia cade sotto i colpi dei Franchi e termina la dominazione longobarda in Italia: sono passati 206 anni dall’ingresso di Alboino nella Penisola. Qualche anno dopo Adelchi, figlio del re longobardo Desiderio, lascia Bisanzio e sbarca in Calabria; aiutato da Irene, futura imperatrice d’Oriente, cerca di sollevare la popolazione contro la presenza dei soldati franchi e favorire la ribellione dei Longobardi di Benevento. Ma il tentativo fallisce e Adelchi rimane ucciso 91. Lo scontro decisivo avviene sulla costa tirrenica calabrese, dove i Franchi, sostenuti da Grimoaldo partito da Salerno, hanno la meglio, e la notte di Natale dell’800 Carlo Magno è incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. «Un impero torna in Occidente, ma con caratteristiche del tutto nuove e peculiari», scrive Gianluca Briguglia, il quale aggiunge: «Le strutture amministrative sono semplici, con un sistema di inviati dell’imperatore con compiti di integrazione, controllo, amministrazione di giustizia, diffusioni dei testi normativi e i grandi ecclesiastici e l’aristocrazia sono in varia misura associati al sistema di governo locale» 92. Gli Arabi, chiamati allora Saraceni, occupano la Puglia e, guidati dall’emiro di Sicilia Al-‘Abbas ibn al Fadl, conquistano Santa Severina, Amantea e Tropea, dove installano altrettanti emirati islamici. Poi giungono a Roma e saccheggiano le basiliche di S. Pietro in Vaticano e di S. Paolo fuori le mura. « Nessun incontro tra cultura germanica e cultura classica fu più fruttuoso e denso di significato per lo sviluppo della civiltà occidentale (è qui infatti che essa ha le sue radici), né alcun paese d’Europa svolse, per un periodo di tempo altrettanto lungo, un ruolo di pari importanza ed intensità in campo culturale ed economico come l’Italia settentrionale sotto i Longobardi» . Cfr. J. MISCH, Il regno longobardo d’ Italia, Roma, Eurodes, 1979, p. 8. 90 La fine della dominazione longobarda in Italia e la morte di A delchi è rappresentata da A lessandro Manzoni nella tragedia A delchi, grande opera di poesia dove i protagonisti (Adelchi ed Ermengarda) sono redenti dalla feroce condizione umana per mezzo della sventura e trovano co nforto nella morte e nella speranza dell’aldilà. 91 92 G. BRIGUGLIA, Post-romani, non barbari, “ Domenica il Sole 24 Ore” del 10/ 03/ 2013. IL MEDIOEVO 59 E mentre a Strasburgo i giuramenti di Ludovico il Germanico, re di Germania, e di Carlo il Calvo, re di Francia, sono tradotti dal latino in tedesco e in francese, dando luogo alla nascita delle lingue nazionali, la Calabria è alla mercè dei predoni arabi che continuano a saccheggiare il territorio. Tra l’875 e l’887 il generale Niceforo Foca caccia gli Arabi dagli emirati di Tropea, Santa Severina e Amantea, respinge i Longobardi verso Nord oltre la Valle del Crati, riunifica la Calabria e riporta la regione sotto il dominio di Bisanzio. Le relazioni e i contatti con le due civiltà – bizantina e araba – permettono alle città costiere della Campania di svilupparsi e di raggiungere un elevato grado di benessere, testimoniato da Amalfi, la più antica delle repubbliche marinare. La Puglia, collocata dai Bizantini al centro della loro azione politica, si distingue per la crescita dell’agricoltura. Mentre la Calabria, che per cinque secoli è parte integrante della civiltà bizantina, colpita duramente dalle incursioni, stenta ad allinearsi alle altre regioni meridionali e mantiene una struttura territoriale priva di comunicazioni e traffici significativi, allargando la frattura fra le zone interne e quelle costiere. In quel periodo non si hanno notizie di Cleta, e bisognerà aspettare qualche secolo per trovare l’esistenza di un centro abitato denominato Pietramala, ma la ricerca storica è un work in progress ed è lecito aspettarsi qualche nuovo dato in proposito. Di certo sappiamo che il territorio intorno a Cleto risente del generale processo di decadenza che si trascina fino al Mille, anche se – ci informa Brasacchio – nel Bruzio i migliori pascoli sono dissodati e destinati alla cerealicoltura93. Anni fatidici, quelli intorno al Mille, con i cristiani che in Europa attendono la fine del mondo e i Vichinghi che dopo l’esplorazione della Groenlandia sono arrivati fino alle coste dell’America settentrionale, mentre nell’America meridionale i Maya hanno abbandonato le loro città e si sono trasferiti nel nord dello Yucatán, e in Perù si afferma l’impero degli Incas. I Cinesi continuano a stampare testi usando un’impronta in rilievo inchiostrata e impressa sul foglio; dalla Cina la tecnica di fabbricazione della carta si diffonde nel mondo islamico e a Baghdad sorge la prima cartiera araba. In Europa sono state fuse le prime campane in bronzo e sono sorti i primi campanili; i matematici arabi hanno introdotto il sistema di numerazione La conquista dell’A frica da parte dei Vandali aveva privato l’Italia della massima fornitrice di grano e di olio. Roma fu più di una volta in preda alla fame e alla carestia. Lo stato di necessità diede notevole impulso all’estensione della cerealicoltura, soprattutto nei latifondi del Mezzogiorno. 93 60 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO posizionale e il concetto di zero, appresi dagli astronomi indiani; gli Arabi di Spagna hanno insegnato le tecniche di produzione e lavorazione della seta e del cotone; l’alfabeto cirillico creato da Cirillo e Metodio è in uso presso l’area slava e a Salerno opera una rinomata scuola medica. In Inghilterra sono entrati in funzione i primi mulini idraulici e in Grecia è sorto il monastero di Monte Athos. La Calabria, all’inizio del secondo Millennio, è costituita da una moltitudine di villaggi montani, isolati e autosufficienti, che fanno da corona a una campagna abbandonata perché insicura e alle coste rese malsane dalla malaria. I Saraceni, che nell’891 erano arrivati sulla Costa Azzurra e nell’898 avevano occupato l’abbazia di Farfa, continuano le scorrerie devastatrici lasciandosi dietro morte e desolazione, mentre l’economia è complessivamente debole e precaria, pur mostrando punti di forza con l’agricoltura, l’allevamento allo stato brado e la lavorazione della seta. Amantea – come abbiamo detto – era diventata sede di un Emirato islamico. Nell’852 le truppe bizantine, intervenute in appoggio alle popolazioni in rivolta, avevano sconfitto gli Arabi, ma bisogna aspettare l’anno 882 per vedere i Saraceni abbandonare l’abitato e restituire la città al dominio dei Bizantini, i quali vi costruiscono un avamposto sede di guarnigione militare, la famosa Rocca che, secondo alcuni storici, ha ispirato gli Arabi della dinastia Aghlabita nel dare il nome A lmantiah al centro abitato 94. Unica luce accesa in quei secoli bui è quella rappresentata dai monaci grecoorientali. Il Monachesimo rappresentava allora un grande moto di rivolta dello spirito autenticamente cristiano contro il nascente potere temporale della Chiesa e contro il pericolo di mondanizzazione delle gerarchie ecclesiastiche. I primi asceti giungono in Calabria al seguito delle truppe bizantine, e poi sono seguiti da altri monaci, sfuggiti alla persecuzione imperiale che li incolpava di venerare le immagini dei santi nelle icone. Dapprima vivono in celle impervie, eremi adattati per la meditazione e costruiti in cavità naturali, poi in grotte raggruppate attorno a una chiesetta fino a costituire un cenobio, e infine si ritrovano nei conventi. La presenza dei monaci di san Basilio, vescovo di Cesarea di Cappadocia, 94 Sul nome dato alla città la discussione non è conclusa. Anche perché Lucia Libassi Gualtieri, nel redigere alcune note sulle origini del vescovato di Amantea, fa riferimento alla presenza di un “ Eulalio Episcopus ab A mantias” nel Concilio di Sardi del 341, sotto il po ntificato di Giulio I, papa dal 337 al 352; e se la notizia fosse provata storicamente, verrebbe a cadere l’origine araba del nome Amantea. IL MEDIOEVO 61 nato intorno al 330 e morto nel 379, padre della Chiesa greca e fondatore del monachesimo orientale, è un fenomeno importante per la regione. Attenuato il fervore mistico, i religiosi costruiscono monasteri nei pressi dei centri urbani e vanno alla ricerca di terreni da coltivare; le campagne incolte e selvagge cambiano aspetto, l’agricoltura mostra segni di risveglio, cresce la produzione di olio e grano (esportati a Costantinopoli), aumenta la quantità di vino e si diffondono nuove colture: gli agrumi, introdotti dagli Arabi, e l’allevamento del baco da seta, introdotto dai Bizantini. La lingua e la cultura greche, rinate come al tempo della Magna Grecia, facilitano la diffusione della civiltà bizantina, e il territorio di Cleto non è estraneo al fenomeno, come osserva Sergio Ruggiero, il quale scrive: «Sul fronte meridionale del colle su cui sorge Cleto, fronte che si costituisce di una rupe scoscesa, vi sono numerose grotte naturali, alcune delle quali recanti evidenti segni di manomissione: ci si trova probabilmente in presenza di un sito proto monastico; un romitorio basiliano» 95. È difficile sapere se in epoca bizantina il territorio di Cleto sia stato un castrum, e quindi se la successiva fase di incastellamento medioevale sia stata effettuata tenendo conto di una rocca preesistente. Così come è difficile stabilire se in una Calabria popolata da Longobardi, Bizantini, Latini e Musulmani le terre di Cleto siano state abitate da genti sparse o da una popolazione residente in forma stabile. Di certo sappiamo che il centro era interessato da un’efficace gestione agricola del territorio, incentrata essenzialmente sulla produzione cerealicola e documentata dalla presenza di unità abitative rupestri, grotte, cisterne, silos e residui di un percorso viario in pietra; testimonianze sparse dappertutto, tanto da far dire agli studiosi che il territorio di Cleto rappresentava, allora, un immenso granaio96. E tutto questo, in una regione dove Basilio I il Macedone, imperatore d’Oriente dall’867 all’886, aveva inviato in una sola volta ben 3.000 schiavi, affrancati per ripopolare zone deserte, rese desolate dalle incursioni saracene97. Stefania Aiello scrive: «L’antico abitato è collocato su un poggio addossato alle pendici del monte Sant’Angelo, ad un’altezza media di 300 metri s.l.m. […] Nella scelta del sito, 95 S. RUGGIERO, Brevi cenni sulla storia e sull’evoluzione dell’ insediamento di Cleto , sito w eb cletonew .it. 96 A ppunti sul Convegno di Studi “ Dall’Oliva al Savuto” . Campora San Giovanni, 15-16/ 09/ 2007. 97 G. BRASA CCHIO, Storia… cit., volume primo, p. 522. 62 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO elementi che hanno sicuramente determinato la costruzione del castello e lo sviluppo dell’abitato sono la confluenza di corsi d’acqua, il territorio molto fertile e la presenza della strada che collegava ad Aiello, importante centro già dall’età bizantina» 98. E F. A. Cuteri aggiunge: «La stessa area su cui sorge l’abitato di Cleto fu probabilmente frequentata in epoca molto antica, così come sembrerebbe suggerire la presenza, favorita dalla particolare conformazione rocciosa, di numerose unità rupestri. Tali unità, sebbene frequentate in età medievale e moderna, analogamente a quanto si registra in molti altri insediamenti della Calabria, della Puglia, della Basilicata e della Sicilia, presentano talvolta non poche similitudini con le grotticelle funerarie rinvenute a Cozzo Piano Grande di Serra d’Aiello, datate alla media Età del Bronzo e con quelle di Soverato (CZ)» 99. «Nei momenti di grande difficoltà il vivere in grotte fu una scelta di sicurezza», scrive un altro studioso, Domenico Angilletta, il quale aggiunge: «Ad essere più precisi questo movimento ebbe una particolare diffusione nel momento in cui i monaci bizantini furono costretti a lasciare i territori conquistati dagli Arabi e quindi dalla Siria, dalla Palestina e dall’Africa in genere i monaci melchiti di lingua greca incominciarono ad emigrare nella vicina Sicilia ed in Calabria». Obiettivo delle incursioni saracene nell’Italia continentale sembrano essere le razzie, e non la conquista del territorio, e per fronteggiare il pericolo la popolazione si sposta nelle alture e cerca rifugio negli anfratti e nelle grotte, dando vita ad un sistema abitativo originale ed efficace. Angilletta osserva che persino la toponimia ricorda quell’esodo di massa, e il riferimento a grotte, spelonche, pietre è riscontrabile nella denominazione di Grotteria, Sperlonga e Pietramala data ad altrettanti centri abitati. «Questa civiltà rupestre rimanda, dunque, a questo strettissimo nesso tra l’Italia meridionale e la Val di Noto come anche ai castelli rupestri del massiccio berbero dell’Africa del Nord e della Cappadocia», conclude lo studioso 100. 98 S. A IELLO, Il castello di Petramala. Le ragioni di un restauro strutturale, Soveria M., CLE, 2010, pp. 23-25. F. A . CUTERI (a cura di), Il centro storico di Pietramala (Cleto, Cs). Analisi del costruito e delle evidenze rupestri, Taccuini di Studi calabresi (A nno 2010, n. 3), Gioiosa Jonica, Edizioni Corab. Dalla stessa opera 99 apprendiamo che « in assenza di altri dati certi è possibile solo ipotizzare un inizio del popolamento rupestre a Petramala a partire dai secoli centrali del medioevo, periodo in cui si diffondono la maggior parte degli insediamenti rupestri di matrice bizantina in Calabria e in Italia meridionale» . 100 D. ANGILLETTA, Castelli Chiese A bazie nel Giustizierato di Calabria, Soveria M., Rubbettino, 2006, pp. 24-25. IL MEDIOEVO 63 Dopo una prima fase, durante la quale le città costiere si spopolano (le cause sono dissesto idro-geologico, situazione economica e bisogno di sicurezza), i governanti corrono ai ripari e sul territorio si sviluppa una forte rete di castra per fronteggiare le incursioni e per arrestare la dispersione degli abitanti. “ Strutture erette prima del Mille con precisi canoni rispondenti ai caratteri di una resistenza passiva” , spiega Mirella Mafrici. Ma è con i Normanni che la Calabria viene dotata di efficaci opere di difesa, ed è allora che nasce il castello, all’interno del quale si raccolgono armati e popolo. Edificio fortificato in muratura, il castello ubbidisce a una logica militare e strategica, ed è costruito lungo le vie di comunicazione oppure a presidio dei nuclei abitati. Gli uomini venuti dal Nord riescono nell’impresa tentata invano da Longobardi e Saraceni. Usciti dalla Normandia sulla spinta di un forte incremento demografico e mossi dal desiderio di procurarsi qualche dominio territoriale, arrivano in Italia e nel 1020 ottengono la contea di Aversa. Nel 1050 giungono in Calabria e conquistano San Marco Argentano. Poi, nel giro di pochi anni, ridimensionano i ducati longobardi e pongono fine alla dominazione bizantina. Nel 1053 sconfiggono l’esercito pontificio a Civitate, in Puglia, e fanno prigioniero lo stesso Pontefice; nella battaglia si distingue un condottiero, Roberto il Guiscardo, che guida un contingente di spietati calabri a lui devoti. Nel 1060 sono a Reggio Calabria ed effettuano una prima incursione oltre lo Stretto. E mentre, molto più a Nord, il duca di Normandia Guglielmo il Conquistatore s’insedia in Inghilterra e avvia la costruzione della Torre di Londra, Roberto e Ruggero d’Altavilla completano la conquista dell’Italia meridionale e della Sicilia. Terminata in Italia la dominazione bizantina, i Normanni avviano un’opera di latinizzazione del territorio e le chiese sono consegnate al rito latino. È allora che la diocesi di Amantea, da tempo priva di vescovo, viene assegnata “ alla santa chiesa Tropeana della Beata M aria e al primo V escovo latino di nome Iustego” . Tropea prende il nome di diocesi Superiore, mentre tutte le parrocchie da Castiglione Marittimo a Falconara, riunite sotto il nome di diocesi Inferiore, passano al rito latino e restano per quasi nove secoli legate a una sede vescovile lontana, collocata all’estremo limite meridionale del Golfo di Sant’Eufemia101. A unire le chiese di A mantea alla diocesi di Tropea fu Ruggero Borsa duca di Puglia, figlio di Roberto il Guiscardo, e non Ruggero conte di Sicilia, fratello di Roberto. Cfr. V. CAPIALBI, M emorie della Santa Chiesa Tropeana, Napoli, Nicola Porcelli, 1852, p. LXXV. 101 64 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Amantea era annoverata tra i più antichi vescovati calabresi. Il territorio era diventato cristiano per l’opera di evangelizzazione compiuta in Calabria fin dal III secolo, e l’elevazione alla dignità episcopale era avvenuta, probabilmente, in sostituzione della diocesi di Tempsa quando, verso la fine del secolo IX, le truppe bizantine erano riuscite a cacciare da Amantea l’emiro saraceno. La città risulta visitata dal papa Callisto II, sceso nel meridione per comporre le ostilità tra i cavalieri normanni Ruggero conte di Sicilia e Guglielmo duca di Puglia, che si contendevano il controllo del territorio 102. Forti dubbi sono stati espressi dagli studiosi sull’autenticità del diploma del 1094, con il quale la diocesi di Amantea viene aggregata a quella di Tropea, e nel corso dei secoli i cittadini amanteani tentano di affrancarsi da quella dipendenza chiedendo, in ultima istanza, di conferire al vescovo di Tropea anche il titolo di Amantea. Nella prima metà del Trecento re Roberto d’Angiò accoglie la richiesta e stabilisce che il vescovo di Tropea deve avere anche il titolo di vescovo di Amantea, ma solo nel 1499 troviamo un Sigismondo Pappacoda vescovo delle chiese unite di Tropea e Amantea. A causa dell’opposizione espressa dalla città di Tropea, la controversia è definita nel 1503 da una lettera pontificia di Alessandro VI, che vieta l’utilizzo del titolo di vescovo di Tropea e di Amantea. E a confermare i privilegi di Tropea, ivi compresa l’assegnazione dell’antica diocesi di Amantea, sono il re Ferdinando il Cattolico con diploma del 1506, e l’imperatore Carlo V con diploma del 1536. Nel frattempo anche papa Clemente VII, con lettera del 16 maggio 1534, ordina di non usare il titolo di vescovo di Amantea, ma solo quello di Tropea. All’antica cattedrale di Amantea non rimane neppure la dignità di Collegiata, e i confini della nuova giurisdizione religiosa sono indicati da Vito Capialbi: «Questa diocesi inferiore occupa il territorio posto tra il fiume Malpertuso da settentrione, ed il Capo Suvero da mezzogiorno, che si estende per circa trenta miglia. Confina da settentrione, e porzione di levante coll’archidiocesi di Cosenza, da porzione di levante colla diocesi di Martorano, da mezzogiorno colla diocesi di Nicastro, e da ponente con il mediterraneo. Comprende la diocesi inferiore quattro circondari con tredici comuni, e tre rioni, de’ quali tre 102 Callisto II, francese della regione della Franca Contea, papa del primo Concilio Laterano. Con la firma del Concordato di Worms pone fine al primo grande scontro tra Sacro Romano Impero e Papato; uno scontro che aveva avuto al centro il problema delle investiture. In Calabria inaugura il Duomo di Catanzaro e a Mileto cerca di portare la pace tra le diverse fazioni di Normanni. IL MEDIOEVO 65 circondari con dieci comuni, e due rioni appartengono al distretto di Paola, provincia della Calabria citeriore, ed un circondario con tre comuni, ed un rione, appartengono al distretto di Nicastro, provincia della 2ª Calabria ulteriore» 103. Ma occorre aspettare il pontificato di Clemente V (1305-1314) per trovare uno dei nostri tre centri, Petremale, citato nei Regesti come luogo religioso. Cleto, infatti, risorge nella prima metà del XIII secolo, durante il regno svevo di Federico II, l’imperatore che stupì e cambiò il mondo, ed è in quel periodo che la cittadina cambia nome, giacché “ l’attuale sito del Castello di Cleto è conosciuto nelle fonti archivistiche e cartografiche sin dalla prima metà del XIII secolo come Castri Petramala, nome probabilmente derivato dalla particolare conformazione rocciosa del luogo su cui esso fu edificato” 104. E di tenimenti concessi da Guido di Pietramala e dal suo figlio Ruggero si parla nel 1221, quando da Brindisi Federico II conferma all’abate Rodolfo le libertà e le proprietà concesse alla Badia di Fonte Laurato, una fondazione religiosa che ha avuto abati claustrali dal 1201 al 1496 e abati commendatari dal 1496 al 1887, con Mons. Luigi Vaccari dei benedettini cassinesi ultimo abate dei beni residuali. Costruita col consenso di Riccardo vescovo di Tropea, l’Abbazia è conosciuta col nome di Santa Maria di Fonte Laurato, e nel 1204 è diventata già importante e influente, arrivando a governare vasti possedimenti e tenute. Nel 1267 il papa Clemente IV amplia le donazioni aggiungendovi la Chiesa di Sant’Angelo Militino in Rossano, la Grangia di Paola, tenute situate in Sila, le vigne di Cosenza e Amantea e, fra l’altro, “ terras de S. Ioanne de Oliva, de Grima et de Suberellis [… ] Tenimenta quae habetis in finibus Petraemalae et Sabbuti; culturam de Turbulo in tenimento Nuceriae… ” 105. L’antica e mitica Cleta diventa così Pietramala, e nella nuova denominazione conquista un posto di rilievo fra i centri della costa tirrenica. Nei Registri Angioini che misurano la popolazione calabrese del 1276, 103 V. CA PIA LBI, op. cit., p. LXXVII. 104 S. A IELLO, op. cit., p. 47. La Badia di Fonte Laurato risulta fondata nel 1201 a Fiumefreddo Bruzio, quando il normanno Simone di Mamistra e la moglie Gattegrima donarono il vecchio monastero di santa Domenica (rovinato dal terremoto del 1184) e le sue pertinenze all’abate Gioacchino, abate della Sambucina (primo monastero dell’ordine Cistercense in Calabria) e fondatore dell’ordine Florense. I possedimenti, che attraverso Cleto e Savuto si spinsero nell’attuale territorio di San Mango, furono co nfermati verso sud fino oltre il fiume Savuto e verso nord fino a Fuscaldo e Falconara. Cfr. A . ORLA NDO, A. SPOSA TO, San Mango d’A quino. Storia folklore tradizioni poesia, Soveria M., Rubbettino, 1977, pp. 17-18. 105 66 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Petramala (Giustizierato della Valle del Crati e Terra Giordana) è presente con 214 abitanti ed è tassata per 2.568 grana106. La zona, però, è colpita dalle incursioni musulmane e il territorio rimane in gran parte deserto e abbandonato. La mancanza di prodotti da esportare fa cadere in disuso il porto di Amantea, mentre la guarnigione del castello di Aiello è, con quella di Stilo, la più numerosa di tutta la Calabria. A questo punto sorge la domanda: quando è stato costruito il castello di Cleto? Indagini eseguite all’interno dell’edificio sembrano confermare la frequentazione del sito in epoca bizantina, e Stefania Aiello precisa che il manufatto è edificato in fasi diverse e le strutture seguono le condizioni topografiche del terreno. Alla prima fase, ascrivibile all’epoca sveva, segue la fase angioina, che si manifesta con l’aggiunta delle due torri cilindriche, una delle quali posta a difesa dell’accesso principale. Con la diffusione della polvere nera e con l’introduzione dei fucili e dell’artiglieria, cambia il modo di fare la guerra e vengono modificati anche i modelli difensivi. Le mura alte e merlate e le piccole torri cilindriche lasciano il posto a baluardi bassi e di maggiore spessore. In quell’epoca, anche il castello di Cleto subisce rimaneggiamenti, con l’allargamento dello spessore delle mura e con l’introduzione delle bocche da fuoco; per finire con la costruzione di diversi ambienti abitativi, in epoca più recente, realizzati dalla famiglia Giannuzzi-Savelli. Intanto, dopo il citato Guido (o Guidone) da Pietramala, signore feudale già nel 1220, e dopo il figlio Ruggero, alla guida del feudo troviamo nel 1239 Jacobus di Petramala e poi, fino all’avvento degli Angioini, Goffredo di Petramala. Una dinastia, quella degli Angioini, che nasce con Carlo d’Angiò, conte di Provenza e fratello del re di Francia Luigi IX il Santo. Carlo è chiamato in Italia dal Papa nel 1263, ed è investito del “ Regno di Sicilia ultra e citra, cioè di quell’Isola, e di tutta la Terra ch’è di qua dal Faro infino a’ confini dello Stato della R. Chiesa, eccetto la Città di Benevento con tutto il suo Territorio pertinenze” . Egli giura nel 1265 sotto il pontificato di Clemente IV, e i Capitoli stipulati e giurati nel modo che il Papa gli avea cercati impegnano il sovrano, fra le altre obbligazioni, a pagare “ per lo censo otto mila once d’oro l’anno nella festa de’ SS. Pietro e Paolo in tre termini [… ] e di più un palafreno 106 1 oncia = 6 ducati. 1 ducato = 5 tarì = 10 carlini = 100 grana. IL MEDIOEVO 67 bianco, bello, e buono” . Gli impegni sottoscritti prevedono, inoltre, “ che s’abbiamo a restituite alle Chiese del Regno tutt’ i beni, che alle medesime furon tolte” . Giunto a Roma nel 1265 e incoronato re, Carlo d’Angiò sconfigge nel 1266 le forze sveve e ghibelline a Benevento e nella battaglia rimane ucciso Manfredi, figlio naturale di Federico II e della contessa piemontese Bianca Lancia. Ma, come ogni sovrano in ascesa, egli non accetta ostacoli sulla sua strada, e il regno angioino inizia con un infanticidio. Sceso in Italia per rivendicare il regno di Napoli alla Casa di Svevia, Corradino, di appena quindici anni, nipote dell’imperatore Federico II, affronta seimila soldati francesi, lombardi e pontifici, ma è sconfitto a Tagliacozzo. Catturato grazie alla collaborazione del signore del luogo, Giovanni Frangipane, è decapitato sulla piazza del mercato di Napoli il 29 ottobre 1268. Nel 1269 è domata la rivolta delle milizie musulmane rimaste fedeli agli Svevi, e i Saraceni pugliesi, sconfitti dalla fame e non dal ferro, sono costretti a uscire dalla loro Lucera Saracenorum a piedi nudi, la corda al collo, chiedendo salva la vita. Nello stesso anno, Carlo ordina al Giustiziere Blanquefort di aumentare le difese della costa tirrenica cosentina e dei paesi dell’entroterra, e mentre i primi coloni valdesi giungono in Calabria e creano gli insediamenti di Guardia, San Sisto e Vaccarizzo, la difesa delle terre e dei feudi è affidata nel 1284 a Ruggero Sanseverino 107. Nel 1272 muore Enzo, figlio prediletto di Federico II, catturato dai Guelfi e prigioniero a Bologna fin dal 1249. Si estingue la linea maschile della Casa di Svevia (gli Hohenstaufen), e le terre del regno di Napoli passano definitivamente sotto il controllo della dinastia francese. Nel 1300, dopo aver cercato di neutralizzare la presenza saracena portando a Lucera 140 famiglie provenzali, Carlo d’Angiò sceglie la soluzione finale e in una sola giornata, il 26 agosto di quell’anno, i Musulmani sono sgozzati oppure catturati e venduti come schiavi108. Le gerarchie ecclesiastiche, ovviamente, sono dalla parte degli Angioini, e I Sanseverino furono una delle più illustri famiglie del Regno. L’origine risale a Turgisio, cavaliere al seguito di Roberto il Guiscardo, il quale nel 1077 ottenne nuovi possedimenti nella valle di Sanseverino, dominata da un castello posto in posizione strategica sulle vie di collegamento tra Napoli, Salerno e Benevento. La famiglia prende il cognome dalla denominazione del castello. Imparentata con le più importanti case baronali del tempo, divenne ben presto ricca e potente. 107 Nel 1301 il re angioino tenta il ripopolamento della città distrutta trasferendo a Lucera saracena diversi coloni calabresi provenienti da Val di Crati e Terra Giordana, ma gli immigrati preferiscono rinunciare alle immunità fiscali e si sparpagliano nelle campagne pugliesi. 108 68 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO molti feudatari calabresi sposano la causa del conte di Provenza, sceso dalla Francia nel Mezzogiorno d’Italia per conquistare un regno. Anche il partito fedele alla Casa di Svevia è presente nella regione, ma secondo la testimonianza di padre F. Russo (riportata da Rocco Liberti in un libro su Aiello Calabro) – “ tra i tanti paesi di Calabria appena tre avrebbero avuto l’ardire di rivoltarsi al francese per accogliere affettuosamente quel generoso figlio di Germania: Arena, Amantea e Aiello che però, investite da un poderoso esercito agli ordini dell’A rcivescovo di Cosenza Tommaso Agni da Lentini e del Giustiziere della V al di Crati Giovanni di Brayda, inviatovi prontamente da re Carlo, dovettero bellamente capitolare” 109. Fra i sostenitori della causa sveva troviamo Goffredo da Petramala, il quale, dopo la vittoria definitiva degli Angioini, viene accusato di tradimento per essersi schierato con Corradino e viene bandito dal Regno. Il feudo di Pietramala, sottratto a Goffredo e assegnato al capitano francese Ugo de Forest, estende la sua influenza fino alla bassa valle del fiume Savuto. Sotto gli Angioini, ricorda Stefania Aiello, i primi vassalli di Pietramala mantengono il possesso del castello per periodi di tempo molto brevi; poi, nel 1282, la città passa sotto il controllo di Ludovico de Royre, milite francese giunto in Italia al seguito di Carlo d’Angiò e da questi nominato castellano di Aiello a vita110. Ma quando Carlo trasferisce la capitale del Regno da Palermo a Napoli, in Sicilia scoppia la rivolta dei Vespri e nel 1282 la corona d’Angiò perde il territorio al di là dello Stretto di Messina. L’isola è conquistata da Pietro d’Aragona, il quale ne assume la sovranità in virtù dei diritti acquisiti a seguito del matrimonio con Costanza di Hohenstaufen, figlia di Manfredi. La Calabria è di nuovo terra di frontiera; attraversata da schiere di soldati angioini e aragonesi, è soggetta a continui scontri fra gli opposti schieramenti. Ma la regione non è vittima solamente di una guerra regolare; in quell’occasione le contrade vengono sconvolte dalle orde degli Almugaveri, una compagnia di ventura giunta in Italia al seguito delle truppe aragonesi in occasione della rivolta del Vespro. Soldati di fanteria leggera, dediti alla guerra per professione, percorrono in Nel 1268, mentre Corradino di Svevia scende in Italia, molti centri della Calabria (Reggio, Seminara, Stilo, Gerace, Arena, Squillace, Cosenza, Nicotera, Monteleone) si ribellano alle truppe francesi. Dopo la morte di Corradino, nel 1269, il conte Pietro Ruffo di Catanzaro mette sotto assedio Amantea e A jello, rimaste fedeli agli Svevi, e nel luglio 1269 i due capisaldi sono costretti ad arrendersi. 109 110 S. A IELLO, op. cit., pp. 49-54. IL MEDIOEVO 69 lungo e in largo il territorio e si abbandonano al saccheggio e alla rapina; e le scorrerie terminano quando la compagnia di ventura catalana lascia l’Italia e va a combattere contro i Turchi per conto dell’imperatore bizantino Andronico. Con gli Angioini, osserva Lucio Santoro, la costruzione dei castelli passa ad una fase più avanzata rispetto al periodo degli Svevi: per un efficace controllo del territorio, ma anche per provvedere alla difesa del Regno, soggetto al pericolo di invasioni esterne111. Sulla scia di quella tendenza il nuovo re di Napoli fa costruire il castello di Savuto, sulla sponda settentrionale del fiume, e lo pone a guardia delle vie di comunicazione che dal mare salgono verso l’interno, quelle stesse vie percorse sotto le bandiere verdi dell’Islam dai guerrieri che puntavano su Martirano, “ tappa importantissima e ponte di passaggio delle grandi invasioni saracinesche nella Calabria interna, durante il secolo X ” , testimonia Oreste Dito. Ed eccoci giunti al secondo nucleo che interessa la nostra storia: il luogo e l’abitato di Savuto. Il documento più remoto che siamo riusciti a trovare relativamente a questo feudo è la Bolla di Clemente IV, il papa che investì Carlo d’Angiò del regno di Sicilia e lo appoggiò nella lotta contro Manfredi e contro Corradino. La Bolla è del 1267 e conferma i privilegi concessi all’Abbazia di Fonte Laurato. In essa, come abbiamo scritto, si parla chiaramente di possedimenti terrieri che confinano con Pietramala e Savuto: finibus Petraemalae et Sabbuti. Segue poi un documento del 1271: Bartolomeo da Sorrento chiede l’esonero delle collette per il casale di Sabuco in Val di Crati, che è stato abbandonato dai vassalli112. Lo spopolamento dei centri abitati della Calabria è un fenomeno molto diffuso, all’epoca, e colpisce diverse terre. Le cause sono molteplici, ma un ruolo di primo piano è svolto dalle incursioni musulmane: un pericolo non solo per l’Italia, visto che già nel 1187 le bandiere curde del sultano Saladino erano sventolate sul Santo Sepolcro di Gerusalemme, creando lo sgomento nel mondo cristiano dell’Europa e del Medio Oriente. Nell’università di Martirano, per esempio, le cronache ricordano che non si può esigere la colletta perché gli abitanti, per sottrarsi agli oneri, hanno abbandonato le proprie dimore e “ per diversas partes montaneas ipsarum partium 111 « Pro certo datum est nobis intelligi quod galee aragonensium et rebellium siculorum per maritimam Calabriae navigant» . R. A., XXVII, p. 68 N. 436. 112 Registri Angioini, Reg. 5, f. 106 t., vol. III, p. 159. 70 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO discurrunt” 113. «Non sorprende perciò che gli agenti del fisco abbiano trovato nel 1268-1269 una notevole diminuzione dei focolari in 90 su 250 terre abitate in Val di Crati e Terra Giordana», precisa Brasacchio 114. Anno 1276 Abitanti Petramala Savuto Aiello Grimaldi Rogliano 214 45 709 1.221 2.499 Anno 1276 Abitanti Amantea M artirano Nocera Nicastro Tropea 2.495 1.816 1.352 3.637 5.508 Si ricorda che la colletta era una tassa ripartita; il sovrano fissava la somma da riscuotere e l’imposta veniva suddivisa fra le province del Regno, e queste trasferivano l’onere alle città, alle università e agli enti ecclesiastici. L’imposta colpiva tutti gli strati della popolazione, ad eccezione dei nullatenenti, e veniva calcolata sulla base delle proprietà personali di ogni singolo individuo. Pertanto la diminuzione di popolazione non incideva sulla cifra assegnata, e il fenomeno finiva per aggravare gli oneri a carico dei residenti. Nel 1275-1277 la proprietà feudale di Savuto è ancora a nome di Bartolomeo di Sorrento: Bartholomeus de Surrento tenet castrum Sabuci ex concessione Rogerii Corvi; e dopo la morte del re Carlo (1285), i castelli di Pietramala e Savuto, con annesse le terre, figurano sotto la signoria dei Sersale, nobili di Sorrento 115. Nei Registri Angioini del 1276, il feudo di Sabucum (Giustizierato di Calabria) è presente con 45 abitanti e paga 540 grana116. E Luigi Palmieri ci informa che “ Bartolomeo Sirsali figlio di Andrea, nel 1279, fu creato governatore d’ Abbruzzo e signore del Savuto” 117. Nel XIV secolo si riscontrano tracce dell’esistenza di Petremale come località religiosa nei Regesti di Clemente V (1305-1314, il papa francese che trasferisce 113 Registri Angioini, Reg. 13, f. 120 t., vol. VI, p. 113. 114 G. BRASA CCHIO, Storia… cit., volume primo, p. 668. Le diverse linee dei Sersale hanno come stipite Sergio, duca di Sorrento al tempo in cui la città dipendeva formalmente dall’imperatore d’Oriente, ma era retta da un governo oligarchico autonomo. A lui successe Sergio II, duca di Sorrento dal 1090 al 1135, il quale ebbe due figli: Barnaba e Saro. I figli di Saro erano chiamati « Domini Saro» , cioè figli del Signor Saro, appellativo volgarizzato in « ser Saro» (figli di ser Saro), co gnomizzato in Sirsari e infine trasformato in Sersale. 115 116 G. PA RDI, I Registri A ngioini e la popolazione calabrese del 1276 , riproduzione anastatica dall’originale, Farneta (Cs), D. Licursi Editore, 2000, p. 18. 117 L. PA LMIERI, Cosenza e le sue famiglie, Tomo I, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 1999, p. 499. IL MEDIOEVO 71 la sede del Papato ad Avignone)118. Mentre nei Regesti di Giovanni XXII (13161334) la località è citata come entità amministrativa civile119. Nel 1327 il re Roberto d’Angiò conferma ad Antonio Sersale l’incarico di amministrare i feudi di Aiello, Pietramala, Lago, Fagnano, Savutello, Cropani e Zagarise. Nel 1364 Gualtiero è il primo esponente della famiglia Sersale a insediarsi a Cosenza e nel 1385 signore di Savuto risulta Andrea: “ Andrea Sersali, figlio di Jacomo, cavaliere di Sorrento, nel 1385 siniscalco del Regno e signore di Savuto, Pietramala, Motta, Domanico, V ennerello e Lago” 120. Andrea Sersale è signore di Savuto e Pietramala anche sotto il regno di Ladislao I di Durazzo, figlio del re d’Ungheria Carlo III e di Margherita d’Angiò. Ladislao governa il regno di Napoli fino al 1414, e per difendere la corona si trova a lottare con il ramo degli Angiò, rappresentato da Luigi II. Anche in quell’occasione la feudalità si divide in fazioni, Durazzeschi da un lato e Angioini dall’altra, e la Calabria conosce lunghi anni di abbandono e anarchia. Nel 1414 re di Napoli è Giovanna II d’Angiò-Durazzo, sorella di re Ladislao, la quale entra in conflitto persino con il marito Giacomo della Marca, e sul fronte feudale si verificano continui voltafaccia. Mimmo Liguoro scrive che la permanenza a Corte della sovrana, al tramonto del regno angioino, rappresenta “ un periodo tra i più agitati, contraddittori, insicuri e violenti che mai abbiano vissuto le popolazioni del regno di Napoli” 121. Nel 1420 Giovanna, per fronteggiare le sanzioni canoniche che la Curia romana minacciava nei suoi confronti, pone il Regno sotto la protezione di Alfonso V d’Aragona, adottato come figlio e indicato come successore al trono. Si riapre così la questione dinastica del regno di Napoli, e a contendersi la corona sono Alfonso, re d’Aragona, di Sicilia e di Sardegna, e Luigi III d’Angiò, marito di Margherita di Savoia. Alfonso è impegnato a espandere la Corona d’Aragona nel Tirreno, e ancora una volta la Calabria è divisa in due zone: la parte settentrionale sotto il « D.nus episcopus tropensis, nomine et pro parte abbatum monasterii presbiterorum et clericorum Amanteae, Castellioni, Petremale, Augelli, Fluminis Frigidi, Monasterii Fontis Laurati, prioratus Turiani, florensis ordinis, et casalium eorundem tropensis dyoc. pro secunda decima solvit unc. tres.». Cfr. F. RUSSO, Regesto V aticano, vol. I, Ro ma, 1974, p. 230. 118 « Clerici terre Amanteae, Fluminis Frigidi, Agelli, casalis Nucerie, Petremale, per manus Syri Petri de Amantea, unc. duas, tar. undecim, gr. sexdecim – Summa civitatis ed dyoc. (Tropien)» . Cfr. F. RUSSO, op. cit., p. 566. 119 120 L. PA LMIERI, op. cit., p. 499. 121 M. LIGUORO, La regina Giovanna II, Roma, New ton Compto n, 1997, p. 10. 72 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO controllo degli Angioini, rappresentati dal viceré Francesco Sforza, figlio di Muzio Attendolo Sforza; quella meridionale sotto il controllo degli Aragonesi, rappresentati dal cavaliere spagnolo Giovanni de Ixar, nominato anch’egli viceré con pieni poteri. Nella regione, il partito angioino è forte e vanta sostenitori come i Ruffo, conti di Catanzaro e marchesi di Crotone, e i Caracciolo, conti di Nicastro. Luigi d’Angiò considera la Calabria una piattaforma importante per il raggiungimento dei suoi obiettivi, ma la morte lo sorprende nel 1434 proprio a Cosenza, roccaforte dell’esercito francese, e a continuare la battaglia dinastica subentra il fratello Renato. Nel 1442 Alfonso caccia Renato d’Angiò, diventa padrone di Napoli e unifica il Regno incorporando le terre di qua e di là del Faro. «Trasferito il Regno di Napoli dagli Angioini in mano d’Alfonso Re d’Aragona, ancorchè egli possedesse tanti Regni ereditarj d’Aragona, Valenza, Catalogna, Majorica, Corsica, Sardegna, Sicilia, il Rossiglione, e tanti altri floridissimi Stati, volle, che questo Regno non come straniero, o Provincia fosse reputato, ma l’ebbe come se suo avito Regno e nazionale fosse», dice Alesio De Sariis122. Nel 1443 il sovrano assume il titolo di Alfonso I re di Napoli (detto il Magnifico) e la dinastia francese degli Angiò è sostituita da quella spagnola degli Aragonesi123. Nella lunga lotta per il possesso del Mezzogiorno molti feudatari rimangono fedeli agli Angioini, e fra questi Sansonetto Sersale, il quale governa lo Stato di Aiello con le dipendenze di Pietramala, Savuto e Lago. Ad Andrea Sersale (nominato signore di Aiello, Pietramala e Savuto nel 1391), erano succeduti prima il figlio Guido e poi la figlia Antonia. Nel 1425 i feudi di Pietramala, Savuto e Lago erano stati confermati a nome di Giovanni Sersale di Sorrento, capitano e castellano di Aiello, il quale aveva acquistato le terre da Antonia Sersale e dal marito Artusio Pappacoda. Poi è la volta di Antonio Sersale, signore di Pietramala, Savuto e Lago, nominato capitano e castellano di Aiello nel 1442; e infine Sansonetto, figlio di Antonio, confermato nel possesso dei feudi nel 1452 grazie ad una lettera scritta dallo stesso 122 A. DE SARIIS, Dell’Istoria del Regno di Napoli, to mo II, Napoli, Vincenzo Orsino, MDCCXCI, p. 314. 123 Scrive Pontieri: « È sotto la dinastia dei Trastàmara d’Aragona che il regno di Napoli, ufficialmente Regnum Siciliae citra Pharum, prese nome da questa città, sua capitale, lasciando al linguaggio della diplomazia e della storiografia la tradizionale denominazione…» . Cfr. E. PONTIERI, Alfonso il Magnifico re di Napoli 1435-1458, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1975, p. 11. IL MEDIOEVO 73 re di Napoli, il quale definisce Sansonetto “ magnifico et fidele” ed invita i sudditi a riconoscerlo nella sua funzione di Castellano e Capitano di “ Ayello… Petramala, Sabucto et lo Laco cum tucti loro raxuni et pertinencii” . Il periodo aragonese dura appena sessant’anni, ma inaugura un ciclo di riforme e getta le basi per la formazione dello Stato moderno a Napoli. «È un gran signore, non fa per noi», avevano detto i Grandi del Regno quando la regina Giovanna II d’Angiò aveva presentato Alfonso di Castiglia come futuro re di Napoli. Qualche barone aveva avvertito: «Ne faremo ciò che vorremo». E quando il sovrano cerca di rilanciare il ruolo del Parlamento, la feudalità non dedica la necessaria attenzione all’organismo parlamentare, anzi approfitta dei punti di debolezza del sistema per strappare alla corona concessioni e privilegi, tra i quali l’imperium, che comportava il diritto di vita o di morte sui vassalli (mero e misto imperio), un atto che rende più potenti i feudatari a danno dell’autorità dello Stato centrale, che lede i diritti individuali dei cittadini e limita le prerogative delle università124. All’insufficienza delle forze locali si contrappone la protervia del ceto feudale, e sia sotto Alfonso (1443-1458) che sotto Ferdinando (don Ferrante, 14581494), molti baroni si sollevano e mettono in discussione la dinastia aragonese. Gli insorti riescono a raccogliere sotto le loro bandiere il malcontento e l’ostilità delle popolazioni afflitte dal fiscalismo e dalla povertà, e anche la Calabria si ribella contro gli Aragonesi. Pastori e contadini si vedono senza futuro, e allora la plebe rurale, inferocita, si mobilita e combatte125. Castiglione, feudo dei d’Aquino munito di un forte castello, posto a guardia del versante settentrionale del golfo di Sant’Eufemia, è sconvolta dalla ferocia dei contendenti. Occupata dai contadini ribelli nel 1459, viene assalita dalle truppe regie, e poi saccheggiata e incendiata come ritorsione per aver appoggiato la causa angioina126. 124 Per approfondimenti, Cfr. G. GA LA SSO, Il Mezzogiorno nella storia d’ Italia, Firenze, Le Monnier, 1977, pp. 108-134. Nel 1459 la ribellione interessò anche il popolo minuto e dai casali di Cosenza la rivolta si estese nella Sila e poi in tutta la regione. A sollevare il popolo era intervenuto Antonio Centelles, di famiglia spagnola, giunto in Calabria al seguito di Alfonso d’Aragona e nominato viceré al tempo della conquista. Dopo aver sposato Enrichetta Ruffo, ultima discendente della famiglia dei conti di Catanzaro, il Centelles aveva abbandonato la causa aragonese ed era entrato in conflitto con il re di Napoli, da cui fu più volte perseguito e poi perdonato. Il Centelles fu abile nel legare la sua ribellione personale contro il sovrano aragonese alla più generale ribellione della Calabria, colpita dalla miseria. 125 126 A. ORLA NDO, G. NICA STRI, Castiglione e Falerna. Storia di una comunità del Tirreno, Soveria M., CLE, 74 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO L’intervento del patrizio siciliano Tommaso Barrese nella campagna militare contro le pretese dinastiche di Giovanni d’Angiò è determinante. Nel giro di un anno le rivolte sono domate e gli insorti puniti duramente. Fra i baroni ribelli troviamo Sansonetto di Sersale, il quale era passato dalla parte degli Angioini quando Giovanni, pretendente al trono e figlio del re Renato I d’Angiò, era sbarcato nel Regno e aveva intrapreso una spedizione militare per riconquistare le terre degli avi. Giovanni, però, viene sconfitto nel 1462 a Troia, in Puglia, e gli Angioini sono costretti ad abbandonare per sempre il sogno della riconquista del regno di Napoli. I beni di Sansonetto sono confiscati, ma Pietramala e Savuto continuano a rimanere sotto il dominio della città di Aiello, elevata a Contea e assegnata, con atto del 27 aprile 1463, a Francesco Siscar, nobile di Valencia, venuto in Italia al seguito di Alfonso d’Aragona e nominato Generale Luogotenente della Provincia di Calabria Citra nel 1461. 1986, pp. 94-96. L’ETÀ MODERNA F rancesco Siscar rimane alla guida dello Stato di Aiello fino al 1480, e alla sua morte gli succede il figlio Paolo, il quale conferma la fedeltà alla corona aragonese. Ma quando, dopo la morte di Ferdinando d’Aragona, il re di Francia Carlo VIII scende in Italia e conclude la spedizione entrando a Napoli il 21 febbraio 1495, in Calabria riprende vigore il partito filo-francese e lo stesso Paolo, conte di Aiello, è costretto ad asserragliarsi nel castello di Cosenza127. Perduta la città, il Siscar lascia Cosenza e si ritira nella fortezza di Aiello, e tra quelle mura ospita gli esuli cosentini sostenitori della Casa d’Aragona. La famiglia Siscar, fedele alla dinastia aragonese, riesce a creare attorno ad Aiello un grande Stato feudale, che riunisce le terre di Pietramala, Serra, Motta di Savutello, Casal di Lago e Laghitello. E dal castello di Savuto Alfonso Siscar, con diploma del 1524, concede a Paolo de Dominicis di Aiello la Mastrodattia delle prime e seconde cause della Corte, autorizzandolo così a riscuotere tutti i diritti di cancelleria128. Nel frattempo Firenze diviene la capitale della cultura europea, e alla corte di Lorenzo de’ Medici il volgare di Dante diventa la lingua dell’Italia moderna. I Turchi attaccano Otranto e la mettono a fuoco, e a Napoli gli Aragonesi prima soffocano nel sangue la congiura dei Baroni e poi reprimono un moto scoppiato contro gli Ebrei. Sisto V fa costruire la Cappella Sistina, Leonardo da Vinci dipinge a Milano l’ Ultima Cena e Michelangelo scolpisce la Pietà in Vaticano. Il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia favorisce l’unione tra i loro rispettivi regni; nel 1492 i sovrani cattolici conquistano il regno arabo di Granada, ultimo baluardo islamico nella penisola iberica, e nel 1512 alla corona Aragona-Castiglia viene aggregata la Navarra, nella parte ricadente a sud dei Pirenei. All’estero, Ferdinando è già identificato col nome di “ re di Spagna” e sono così gettate le basi della Spagna moderna. Paolo « giurò di seppellirsi mille volte sotto le rovine del forte, anziché cedere all’esigenze Francesi» , ma la fortuna non fu dalla sua parte e il castello di Cosenza cadde nel 1495. Cfr. R. LIBERTI, Ajello Calabro… cit., p. 30-31. 127 128 R. LIBERTI, Ajello Calabro… cit., p. 28. 76 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Nell’anno in cui capitola Granada, Cristoforo Colombo parte da Palos con tre caravelle, e dopo una navigazione durata da agosto a ottobre sbarca prima a Guanahaní e poi a Cuba. È la scoperta del Nuovo Mondo, e in poco più di un secolo la Spagna ottiene uno dei più strepitosi successi che la storia abbia mai registrato 129. Nel 1504, chiusa la guerra fra Francesi e Spagnoli per il predominio sull’Italia, l’intero regno di Napoli passa alla Corona di Spagna. E con l’arrivo degli Spagnoli l’assetto feudale della Calabria cambia, le antiche casate si indeboliscono e nello scenario si affacciano nuovi protagonisti130. La contea di Aiello è confermata ai Siscar e a Paolo (morto nel 1503) succedono, nella conduzione dei feudi, il figlio Antonio, conte dal 1505 al 1523, e poi Alfonso, figlio di Antonio. Napoli diventa un viceregno alle dipendenze della Corte di Madrid, e i Siscar continuano a dominare il territorio con il conte Antonio II, il quale, per far fronte a impellenti problemi economici, nel 1544 è costretto a vendere Pietramala e altre terre a Don Girolamo Gesualdo. Qualche anno dopo il conte di Aiello, superate le difficoltà finanziarie, riacquista i feudi di Pietramala e Savuto, e nel 1553 gli succede Alfonso II. Ma lo Stato feudale sorto attorno al castello di Aiello è ormai avviato verso la dissoluzione. Un feudo della contrada Persico risulta usurpato dagli uomini di Martirano; il territorio chiamato l’Aere del lupo è in mano agli uomini di Grimaldi; molti altri terreni (Caritello, La serra degli cuti, Pizzicarola, La difesa di Monterone) appartengono ad huomini di Petramala. Nel 1557 la terra di Pietramala, messa all’asta su richiesta dei creditori di Alfonso Siscar, è aggiudicata a Gio. Tomaso Cavalcante, e nel 1562 il privilegio passa a Pietro Paolo Cavalcante. Qualche anno dopo, nel 1577, si presta il regio assenso ad una vendita ulteriore, questa volta a favore di Gio. Francesco Scipione Cavallo, nobile di Amantea. Nel 1565 Pietramala e Savuto non fanno più parte dello Stato di Aiello, come «Successo troppo rapido, in realtà, per essere durevole; e che sarà seguito da una grave decadenza. Ma che ha lasciato alla nazione l’orgoglio legittimo (ancora sensibile nello spirito politico contemporaneo) di esser stata non soltanto una notevole potenza, ma anche la prima in data ed importanza delle nazioni fondatrici di vasti imperi coloniali» . Cfr. P. VILAR, Storia della Spagna, Milano, Garzanti, 1960, p. 26. 129 « Una nuova generazione di signori sembra certamente farsi strada verso la fine del secolo ed il suo stile certamente non è più quello dei baroni che animavano le grandi congiure del periodo angioino o di quello aragonese» . Cfr. G. GA LASSO, Economia e società nella Calabria del Cinquecento , Milano, Feltrinelli, 1975, p. 44. 130 L’ETÀ MODERNA 77 risulta dalla relazione redatta da un funzionario inviato dal Consiglio Reale “ a pigliare informatione” 131. Termina così la signoria dei Siscar in Calabria. Dopo un dominio durato poco più di cento anni, lo Stato di Aiello si smembra e nel 1574 la città passa ai Cybo-Malaspina principi di Massa. Il regno di Napoli è ormai nell’orbita della Corona spagnola e con Carlo V è inserito in un contesto internazionale dominato dagli Asburgo. Sono tempi in cui il Mediterraneo e l’Europa conoscono una favorevole congiuntura economica; i Medici governano a Firenze, i Farnese a Parma, i Gonzaga a Mantova, gli Estensi a Ferrara, i Savoia a Torino, mentre lo Stato Pontificio consolida i suoi domini in Umbria e in Emilia. Michelangelo affresca la Cappella Sistina e Machiavelli scrive Il Principe. La Spagna possiede in Italia i governatorati di Milano e dello Stato dei Presidi, assieme ai vicereami di Sicilia, Sardegna e, ovviamente, Napoli. Superata la lunga fase di stagnazione, le province meridionali sono interessate da un forte sviluppo e nella Calabria del Cinquecento la demografia, la produttività, i traffici e tutta l’economia registrano indici di espansione positivi. Negli anni centrali del Cinquecento interi nuclei familiari vanno a vivere nelle zone interne, e nella fase iniziale di questo processo, scrive Giuseppe Caridi, è soprattutto l’accentuato pericolo turchesco a costringere gli abitanti dei centri di piccole e medie dimensioni più prossimi alle coste a ricercare luoghi interni di montagna o di collina più sicuri132. Le opere e le costruzioni realizzate sotto il dominio aragonese non sono più sufficienti a difendere il territorio. «Si impone, quindi, nella coscienza dei governanti come in quella delle popolazioni, qual conseguenza più che naturale, la necessità di stendere lungo tutte le coste una ininterrotta catena di sicurezza per preservare il Regno intero da qualsiasi sorpresa, non importa se per un attacco di massa, o per azione singola, solita per la persistente continua guerra di corsa», dice Valente133. Nascono le torri di guardia, edificate a distanza inferiore ai seimila passi e in luoghi ben visibili l’una dall’altra. La torre di Savuto, o di Bocca di Savuto, detta anche di San Giuseppe, è già 131 R. LIBERTI, Lo Stato di Aiello durante il Viceregno, « Calabria Letteraria» , A nno XXIII, Numero 10/ 12, dicembre 1975. 132 G. CARIDI, Popoli e terre di Calabria nel M ezzogiorno moderno, Soveria M., Rubbettino, 2001, p.11. 133 G. VALENTE, Le torri costiere della Calabria, Chiaravalle Centrale, Frama Sud, 1972, p. 27. 78 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO in funzione nel 1576, quando un atto del notaio Antonio Zazzo, da Cosenza, prevede il pagamento al nobile Alessandro Cavallo, da Amantea, castellano della R. Torre detta la Bucca di Savuto, in territorio di Nocera, di duc. 8 per stipendio dei mesi di ottobre e novembre 1576. Negli stessi atti troviamo un pagamento all’Università di Savuto di duc. 101, in rimborso delle spese sostenute per i cavallari di guardia in quelle marine dal 1° aprile 1568 al 30 settembre 1571, e un rimborso, sempre all’Università di Savuto, seu Savutello di duc. 78, pagati per i cavallari di guardia dal 1° marzo al 30 settembre 1585. Anno Pietramala (fuochi) Savuto (fuochi) 1447 1521 1532 1545 1561 99 65 151 107 177 127 261 161 310 190 Pietramala e Savuto, con i due castelli, offrono garanzie di sicurezza e nei due centri il numero delle famiglie passa da 258 nel 1521 a 304 nel 1532 e a 422 nel 1545, fino ad arrivare nel 1561 a 500 nuclei familiari, corrispondenti a una popolazione di circa 2.500 abitanti. Nella zona si avverte una discreta attività economica e Barrio, che pubblica la sua opera nel 1571, è prodigo di notizie. Parlando di Aiello dice che “ nel territorio si scava il marmo, si cuoce il gesso dalla pietra. Nei boschi trovano dimora cinghiali e altri animali di questo genere” , mentre a Pietramala “ nasce il sale fossile” . A Belmonte “ nasce il marmo. V i sono anche orti frondosi di cedri, limoni e mele gialle. Nascono frutti di ogni genere, e precoci” . E più all’interno, dove sorge l’antica città di Martirano, “ nell’agro mamertino si produce un vino generoso, miele e seta ottima, si trova la pietra da mola, la pietra frigia, il nero da calzolaio, l’argilla rossa per lavori in terracotta, il colore turchino” . Intorno al fiume Savuto nei pressi di Nocera “ si trovano le lontre. In questo territorio si producono vini e miele notevoli per bontà, si trova anche la pietra figia. Vi sono boschi ghiandiferi buoni per nutrire i porci e selve dove si fanno buone cacce d’animali silvestri” . Amantea, grazie a un porto attrezzato, svolge un importante ruolo commerciale: nel 1515 vi arrivano 820 tomola di grano, trasportate da Giovanni Ciccarello e Berardo Bruno e poi avviate alla vendita, mentre nel 1544 i fondicari attestano il trasporto di altre 460 tomola di frumento effettuato da Nicola Scozeta da Sant’Eufemia ad Amantea134. 134 Pergamene di Castelcapuano n. 169, 170, 173, 309. A rchivio di Stato di Napoli. L’ETÀ MODERNA 79 Ancora un secolo dopo, la principessa Laura d’Aquino chiede di estrarre dalle sue terre di Calabria Citra, complessivamente, 16.000 tomola di grano per poi imbarcarle da Amantea e Nocera alla volta di Napoli. E proprio a quella zona appartengono due navigatori, compagni di Cristoforo Colombo nei viaggi alla scoperta dell’America. Uno, Anton Calabrès, è probabilmente di Amantea – dice Giuseppe Pisano – o di qualche paese vicino; imbarcato sulla Pinta, rimane a presidiare il forte de la Navidad (o La Natividad, come scrive Colombo in uno schizzo topografico) assieme ad altri 38 uomini, mentre i compagni riprendono il mare alla volta della Spagna; lì viene ucciso dagli indigeni, e quando, nel marzo 1493, l’Ammiraglio ritorna, trova la fortificazione e il contingente distrutti. L’altro, sempre secondo Pisano, è Angelo Manetti, di Aiello Calabro, e a conferma cita un testo di Cesare Orlandi scritto nel 1770; il navigatore, dopo aver accompagnato Colombo nei successivi viaggi verso le Indie Occidentali, partecipa alla spedizione portoghese che nel 1498 giunge a Calcutta dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza135. Ma la pressione fiscale e la ripresa del dominio feudale manifestano i loro effetti sul territorio e molti centri protestano per la presenza di militari di stanza o in transito, oltre che per la requisizione di vettovaglie e alloggi e per l’imposizione di tasse e tributi. La rivolta di Martirano contro il suo barone (multo tiranno et malo signore), nel 1512, con la distruzione dei vigneti e l’assalto al castello, segna tragicamente questo primo periodo di ripresa feudale, spiega Galasso. Due anni dopo, la reazione vicereale giunge puntuale e Martirano subisce un pesante castigo per opera delle truppe di Pietro de Castro. Nel 1538 i contadini insorgono nel vicino casale di Motta S. Lucia, e il Viceré invia un ordine al governatore di Calabria affinché “ assuma informazioni circa un casale del conte di M artirano, i cui uomini avevano fatto resistenza ai commissari del tesoriere provinciale, preferendo scasare ed andare ad abitare nelle selve e sui monti anziché pagare” 136. Nel 1549, nell’anno in cui i Siscar riacquistano Pietramala, una compagnia di soldati spagnoli è attaccata a colpi di archibugio a Savutello, e a Grimaldi la truppa trova la gente “ puestos con armas en las manos… ” . Trascorrono pochi anni, ed ecco nuovi episodi di banditismo e ribellione, 135 G. PISANO, La Calabria e la scoperta dell’A merica, in « Med - Mediterraneo & Dintorni», A nno IX, n. 40, luglio 2007. 136 G. GA LA SSO, Economia… cit., p. 310. 80 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO causati – scrive Brasacchio – più dalle angherie che offendono la morale e la coscienza della popolazione che dalle vessazioni di carattere economico. Nel 1556 il governatore della Calabria è costretto a rientrare da Messina per intervenire e reprimere le azioni di gente che assale le comitive di viaggiatori e deruba sistematicamente il procaccia della posta. La relazione dice che “ non sono forasciti, ma casarini de le terre de Villanova, de li Conflenti et de la Motta, luochi del contado di Martorano, et che habitano in Porchia et dellà escono ad arrobare” 137. Anche a Pietramala la situazione è insostenibile. In un memoriale recapitato a Napoli si legge che i malviventi hanno l’appoggio dei Cavallo e delle altre autorità locali e trovano facile rifugio nel castello “ senza havere travaglio et persecuzione nesciuna” , mentre i poveri cittadini “ sono astretti stare dentro loro case in quello anco non standono sicuri tenendono dì et notte le porte di detta terra serrate che non ponno fare negotij” 138. Nel 1579 il barone fa tagliare a pezzi mille pecore appartenenti ad un signore di quelle terre, Giovanni De Angelis, e la testimonianza si trova nei Registri della Collaterale a Napoli. È allora che l’Università di Pietramala, non sopportando le prepotenze baronali, chiede di affrancarsi dalla giurisdizione feudale per diventare luogo libero soggetto al Regio Demanio. E in un documento conservato nella Biblioteca Nazionale di Madrid e riferito alla fine del Cinquecento, Pietramala si trova inserita fra le sei città demaniali della Calabria Citra, assieme a Cosenza, Longobucco, Amantea, Rossano e Scigliano. Una relazione ad Limina del 1596 conferma l’appartenenza di Pietramala alla diocesi di Tropea, assieme ad altre otto città o terre (Amantea, Fiumefreddo, Aiello, Belmonte, Nocera, Castiglione, Longobardi, Savuto) e cinque casali (Falconara, San Pietro, Terrati, Serra e Laghitello)139. Vescovo dell’epoca è Tommaso Calvo, il quale visita due volte le chiese della diocesi Inferiore e si mostra sensibile alle esigenze del clero e della popolazione. Sotto di lui sono eretti i monasteri di Fiumefreddo, Aiello e Amantea, sottoposti all’osservanza della Regola di S. Chiara, e sono fondati i Monti di Pietà di Fiumefreddo, Amantea, Aiello e Nocera (quelli di Aiello e Amantea non sono in grado di fronteggiare l’usura e, una volta chiusi, devolvono la giacenza finanziaria all’istituto del Maritaggio a favore di puellas virgines, pauperes et honestas delle due località). 137 G. GA LA SSO, Economia… cit., p. 291. 138 R. LIBERTI, Storia dello Stato di Aiello in Calabria, Oppido M., Barbaro Editori, 1978, p. 117. 139 Archivio Segreto Vaticano, Sacra Congregazione del Concilio, Relazioni ad Limina, diocesi di Tropea. L’ETÀ MODERNA 81 Sorte diversa è riservata alla Terra di Savuto, la quale viene staccata dal feudo di Pietramala e affidata agli Arnone, e la nobildonna Eliodora Sambiase, moglie di Ascanio Arnone, Regio Tesoriere di Calabria Citra dal 1555 al 1559, fa incidere su una lastra di marmo un’iscrizione in latino che colloca sulle mura del castello e che Liberti così traduce: “ Eliodora Sambiase, già giovane sposa unita al marito Arnone, offre templi a Dio, limpide acque e orti verdeggianti alle ninfe e il castello di Savuto come albergo a chiunque ne abbia bisogno” 140. Dopo un breve passaggio a Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara, e poi ad Andrea Ardoino, il feudo di Savuto cambia nuovamente proprietà sul finire del Cinquecento, quando Carlo d’Aquino, Conte di Martorano, Barone di Castiglione, Crucoli e Roccadineto, avvia l’opera di ingrandimento dei possedimenti della Casa e nel 1591 acquista all’asta la baronia di Savuto, versando nel Sacro Regio Consiglio la somma di 21.050 ducati. Il Regio Assenso arriva il 18 maggio 1591 e Carlo, immesso nel possesso legale del feudo, incarica lo zio Fabio d’Aquino di “ prestare in suo nome il giuramento di ligio omaggio e di fedeltà a S. M. il Re, e per riceverne il giuramento e la assicurazione dei vassalli e degli uomini di detto feudo” . Pietramala, invece, non riesce a reggersi per molto tempo come terra demaniale. Le imposte a carico della cittadina sono pesanti, le famiglie emigrano, le abitazioni si spopolano, e nel 1603 il feudo è messo all’asta. A cogliere l’occasione sono ancora una volta i d’Aquino, e più in particolare Carlo, tredicesimo barone di Castiglione, il quale versa 26.000 ducati nelle casse di un Banco genovese e presenta istanza di acquisto. L’11 luglio 1603 la Regia Camera ordina al Capitano della Terra di Motta S. Lucia d’immettere in possesso del privilegio il d’Aquino e, per esso, il procuratore Ambrosio Fido. Nominato Principe dal re di Spagna Filippo III d’Asburgo (atto datato 13 febbraio 1606), Carlo si aggiudica la Terra di Pietramala assieme al feudo di Turboli, di cui già deteneva il possesso, e due anni dopo acquista lo Stato di Nicastro da Isabella Caracciolo, Duchessa di Feroleto. Pietramala rimane alla famiglia d’Aquino fino al 1616, quando lo stesso Carlo, diventato Utile Signore di Nicastro, vende la città ad Ercole Giannuzzi di Aiello, e nei secoli successivi il feudo è governato dalle famiglie Cybo e Giannuzzi Savelli. Mentre Cleto e Savuto sono già nella storia e vivono una propria vita Templa Deo Nymphas hortos virentes hanc arcem indigentibus Hominibus hospitium Sabatii Heliodora potes Sablasia praebet A rno nio quondam iuncta puella viro. 140 82 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO economica e sociale, il territorio sul quale sorge attualmente San Mango è ancora deserto, stretto tra due grandi potenze feudali: da un lato la Contea di Martirano, in mano alla famiglia de Gennaro, e dall’altro il feudo religioso di Nocera, posto sotto il baliaggio di Sant’Eufemia141. Martirano è tra le grandi contee della Calabria del primo periodo normanno, e il fondo Finochiara, ubicato in prossimità del Savuto, destinato alla coltura del grano e parzialmente ricoperto di querce e gelsi, segna il confine settentrionale con il futuro territorio di San Mango. La bachicoltura rappresenta da secoli una fonte primaria di sussistenza per le famiglie calabresi, e le popolazioni che orbitano nella valle del fiume contribuiscono notevolmente allo sviluppo di quella coltura, impiegando le foglie del gelso bianco nell’alimentazione del baco da seta. Migliaia di piante di gelso erano perciò disseminate su tutto il territorio. Una relazione conservata presso l’Archivio Vaticano e redatta da Cesare Lanciano nel 1565 contiene – fra l’altro – il suggerimento di piantare 4.200 piedi di gelsi in tutto il feudo di Aiello, valutando per il barone un incremento delle rendite pari a 1.500 ducati annui. Nocera, invece, città demaniale al tempo dei Normanni, nel 1231 è ceduta da Federico II all’Abbazia benedettina di S. Eufemia, assieme al porto Navis de Arata e al casale di Aprigliano, in cambio del castello di Nicastro e di metà della stessa città. Nella seconda metà del XIII secolo, i frati benedettini lasciano il posto ai Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, e la Badia passa all’Ordine degli Ospedalieri detti di S. Giovanni Battista, e poi Cavalieri di Malta142. Nel frattempo, durante il Cinquecento, il vento del cambiamento investe anche la Calabria. L’economia registra un balzo in avanti. La popolazione L’abbazia di Sant’Eufemia, voluta dai Normanni, affidata ai Benedettini e dotata di un vasto territorio, nel 1275 è occupata con la forza dai monaci Ospedalieri, che si mettono direttamente alle dipendenze della Santa Sede, al contrario dei frati benedettini che rispondevano alla diocesi locale. Nasce così il baliaggio di Sant’Eufemia, una delle più importanti dignità in Italia meridionale del Sacro Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme; attribuito direttamente al Capitolo Generale, nel 1506 il baliaggio capitolare è aggregato al Gran Priorato di Capua. 141 L’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, approvato con Bolla papale del 1113 e detto dei Cavalieri Gerosolimitani (con riferimento a Gerusalemme, luogo di fondazione), è composto da religiosi legati dai voti di povertà, castità e obbedienza. Nel 1120 i frati indossano l’armatura e l’Ordine diventa anche militare. Caduta Gerusalemme sotto i colpi di Saladino, i Cavalieri si rifugiano a San Giovanni d’Acri e poi, man mano che prosegue l’offensiva dei Turchi, si trasferiscono a Cipro e Rodi. Nel 1312 ricevono gran parte dei beni dei Templari, soppressi con Bolla pontifica, e nel 1530 prendono possesso dell’isola di Malta, ceduta all’Ordine dall’imperatore Carlo V. Da allora i membri dell’istituzione cominciano a chiamarsi Cavalieri di Malta. 142 L’ETÀ MODERNA 83 raddoppia, e la fase di crescita coinvolge pure il territorio che orbita attorno alla bassa valle del fiume Savuto. Nel 1561 Pietramala e Savuto arrivano a contare rispettivamente 1.550 e 950 abitanti, raggiungendo, assieme, la punta più alta di popolazione registrata fino al primo Novecento. 1561 Abitanti Scigliano Amantea Aiello M artirano Lago Altilia 7.095 5.465 3.720 2.250 1.470 1.460 È in quel periodo che le terre ubicate alla sinistra idrografica del Savuto cominciano a popolarsi, destando l’attenzione di famiglie provenienti dai paesi del circondario, grazie anche all’opera di valorizzazione e di sfruttamento agricolo che avevano avviato prima Francesco Siscar e poi il figlio Paolo. Quest’ultimo, oltre a mantenere il privilegio (ottenuto dal padre nel 1463) di poter estrarre 1.500 cantaia di pece con la franchigia di ogni diritto e gabella, viene nominato arrendatore della seta e dal 1498 può estrarre a Nocera 300 tomoli di grano, mentre altri 100 tomoli di orzo possono essere estratti in agro di Cosenza143. La spinta decisiva allo sviluppo del territorio di San Mango viene data da Fabio, ultimo Siscar barone di Savuto, e ciò avviene quand’egli decide di sfruttare le campagne impiantandovi nuove colture. Nelle terre comincia ad arrivare un numero sempre crescente di famiglie, le quali lasciano i paesi del disciolto Stato di Aiello attirate dalla possibilità di sperimentare una nuova condizione di vita, e favorite dalla predisposizione manifestata dai signori feudali ad accogliere gente di altre contrade. Predisposizione che si coglie interpretando sia il contenuto dell’iscrizione apparsa sulle mura del castello di Savuto, che abbiamo riportato in una delle pagine precedenti, sia la concessione degli usi civici, effettuata da uno degli ultimi Siscar nel tentativo di rendere produttivo il territorio feudale posto anche sul versante a sinistra del fiume. Circostanze – queste – che rispondono a un’esigenza primaria dei feudatari dell’epoca, i quali hanno interesse a frenare i frequenti episodi di nomadismo per rendere stabile la popolazione e avere a disposizione maggiore mano d’opera locale da utilizzare per i lavori nei campi. In quel tempo, la precarietà della popolazione residente è resa ancor più accentuata dalle incursioni dei corsari e dei guerrieri islamici. Nel 1453 i 143 R. LIBERTI, Ajello Calabro… cit. 84 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Musulmani avevano soggiogato Costantinopoli, ponendo fine all’impero romano d’Oriente. E con la conquista della città, era stato portato un ulteriore affronto alla Nuova Roma voluta da Costantino; un affronto che si affiancava all’occupazione latina del 1204, quando i Crociati, oltre al prezioso vasellame liturgico, avevano saccheggiato persino le reliquie e le icone. Pochi anni dopo, nel 1480, avevano posto sotto assedio Otranto, la città più orientale d’Italia, nel tentativo di occupare un lembo della penisola italiana. Gli attacchi alla Calabria partono dagli stati barbareschi di Tripolitania, Tunisia e Algeria, costituiti in reggenze e passati alle dipendenze della Porta di Costantinopoli. Da allora, le verdi bandiere del Profeta sventolate dai Saraceni sono sostituite dai vessilli con la Mezzaluna dell’Impero ottomano, e gli attacchi dilagano in tutto il Mediterraneo, condotti in prevalenza lungo le coste, causando la perdita delle derrate alimentari e la devastazione dei raccolti. I guerrieri turchi e barbareschi saccheggiano paesi e villaggi e portano in prigione uomini e donne da riscattare o vendere come schiavi nei mercati di Algeri e di Tunisi, e bisognerà aspettare l’occupazione francese dell’Algeria del 1830, per veder finire mille anni di guerra corsara che aveva insanguinato le coste e provocato ovunque terrore, violenza, tragedie familiari, miseria, schiavitù e morte. Tutti i paesi costieri sono colpiti dalla furia dei Turchi e intorno alla metà del Cinquecento (1543 secondo alcuni, 1555 secondo altri) cinquecento guerrieri islamici sbarcano nella marina di Savuto e a piedi raggiungono Pietramala, che sorge nell’entroterra. Il centro è assaltato e depredato. Un centinaio di uomini, donne e bambini sono catturati, condotti in Africa e ridotti in schiavitù, e solo nel 1568, dietro versamento di una grande somma di denaro, alcuni congiunti riescono a riscattare gli esponenti delle famiglie Mezasola, de Vincenzio, Merenda, Corella e Falanga. Negli scontri di Pietramala perde la vita il sacerdote Pietro Massa (Marco Mazza, secondo Domenico Martire), inseguito dai guerrieri islamici e colpito mentre tenta di porre in salvo la Sacra Pisside con le Ostie consacrate. Alla devastazione del territorio si aggiungono le calamità naturali e le malattie. Nel 1576 la peste aggredisce molte terre della Calabria e a Cosenza l’epidemia termina nei primi mesi del 1577, in coincidenza con l’introduzione in città del culto della Vergine del Pilerio. Nel 1578 la peste colpisce Pizzo, Amantea, Castiglione Marittimo e Scigliano. E poi, quando dal 1580 in avanti si arresta la fase di crescita dell’economia agricola, a Napoli il Parlamento emette norme che rafforzano l’autorità dei baroni nelle province (1586), e in Calabria mutano le condizioni dello sviluppo. L’ETÀ MODERNA 85 Crisi agricola, banditismo, incursioni lungo le coste, terremoti, alluvioni, malaria, epidemie di peste, carestie e siccità tormentano la regione e rendono precaria la vita dei residenti. In quel contesto, l’emigrazione diventa intensa e provoca fenomeni di esodo collettivo della popolazione144. Emigrare, dunque, oppure darsi ai Turchi. Tunisi, Tripoli e Algeri sono piene di Calabresi, e nella stessa Costantinopoli sorge un quartiere denominato Calabria Nuova, un grossissimo casale la cui esistenza è testimoniata già nel 1583 dall’ambasciatore veneto Paolo Contarini.145 Si rafforza la spinta migratoria, e un osservatore dell’epoca, Giulio Cesare Braccini, in una relazione consegnata alla M aestà del Re Cattolico, dice: «Di Calabria vanno in Sicilia, dove pur hanno angarie ma non tante, e vicino a Messina hanno popolato molti casali, li quali non si abitavano, et altri sono passati nello Stato Ecclesiastico dove popolano molte grosse terre ch’erano spopolate». Dal 1561 al 1595 Pietramala, uscita dall’orbita dello Stato di Aiello, scende da 1.550 a 1.325 abitanti; Savuto da 950 a 440 abitanti. Nel circondario, in soli 34 anni, Scigliano, Amantea, Aiello, Martirano, Lago, Altilia e Nocera perdono complessivamente 3.775 abitanti. In tutto il Regno, l’abbandono delle terre è inarrestabile e 52 centri abitati, a partire dal 1590, si spopolano. Nelle terre attorno alla bassa valle del Savuto molte famiglie continuano ad attraversare il fiume e si stabiliscono nel territorio dove più tardi sorgerà San Mango, cominciando a popolarne le campagne. Ma quando don Fabio Siscar muore, nel 1589, e come erede subentra la figlia Fulvia, il feudo di Savuto è gravato di 9.000 ducati di debito. La situazione economica della baronia non è più sostenibile. Chiesta e ottenuta l’autorizzazione, arriva in Calabria il dottor Francesco Madotti di Napoli, il quale redige una relazione di apprezzo e spiana la strada al successivo atto di vendita dei terreni. È in quel momento che nella storia di San Mango irrompono i d’Aquino, una delle più illustri famiglie nobili italiane. Brasacchio ricorda che emigrazioni di Calabresi in Sicilia si verificarono anche in pieno periodo normanno nel XII secolo, e Pontieri sostiene che nell’ultimo trentennio del XIII secolo i Calabresi erano sparsi in tutto il Regno, ma più particolarmente nelle Puglie. Cfr. G. BRA SACCHIO, Storia… cit., volume primo, p. 669. 144 Per una strana coincidenza, lo stesso anno, ed esattamente la sera del 10 gennaio 1583, cade nei pressi di Castrovillari un meteorite di oltre 15 chilogrammi, e al tuono provocato dall’impatto col terreno segue una nuvola scura e un forte odore di zolfo. Da quando un meteorite di 9 chilometri di diametro era caduto in Messico e aveva provocato l’estinzione dei dinosauri, la terra è colpita ripetutamente da questi corpi, e il fenomeno si è ripetuto in Russia di recente, nel febbraio 2013. 145 86 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Assieme agli Acquaviva, ai Sanseverino, Ruffo, Celano, Piccolomini e De Balzo, costituiscono le sette grandi Case del Regno; hanno il privilegio del conio e della zecca; sono investiti del titolo di Principi del Sacro Romano Impero ed esercitano, nel corso dei secoli, il dominio su 9 principati, 7 ducati, 7 marchesati, 4 contee e 115 baronie. Gli storici fanno risalire la loro origine ai Longobardi, e capostipite è Radoaldo, della stirpe dei Conti e poi Principi di Capua e di Benevento, dominus villae A quini nell’847 e gastaldo ereditario di Aquino nell’860. Traggono il nome dalla Terra di Aquino (provincia di Frosinone) e danno origine ad altre famiglie, conosciute con la denominazione delle signorie a loro infeudate: Alvito, Delle Grotte, Santomango. Nel 1293 li troviamo in possesso di Belcastro, in Calabria, con Tommaso, figlio di Adenolfo e di Fiordaligi de Falloch, e da quel primo caposaldo nella regione prendono le mosse di un ingrandimento territoriale che li porta a dominare su uno Stato feudale molto vasto, che arriva a comprendere 20 centri abitati con oltre 29.000 abitanti. Ottenuta la baronia di Castiglione Marittimo quando Falerna come nucleo urbano ancora non esisteva, cominciano a godere nobiltà nelle città di Cosenza e Tropea e nel 1330 il feudo di Belcastro è elevato a Contea. Nel 1459 ottengono dal re Ferrante d’Aragona nuova conferma della terra di Castiglione con mero e misto imperio, banco justitiae e la cognizione delle cause civili, criminali e miste, e nel 1523 sono accolti nell’Ordine di Malta. In Calabria, i d’Aquino esercitano la signoria feudale anche su Crucoli e nel 1579 entrano in possesso di Martirano, l’antica Contea voluta dai Normanni ed elevata a sede di Diocesi, con la Cattedrale intitolata alla Madonna dell’Assunta. Al ramo dei Principi di Castiglione si aggiungono, nel panorama della nobiltà italiana, i Signori “ de Aquino” di Taranto e di Caramanico, provenienti dalla Casa dei Conti di Acerra, originata da Tommaso II Conte di Acerra, che sposa Margherita di Svevia figlia di Federico II Imperatore, e le notizie su questo ramo ci sono state fornite a Napoli nel mese di marzo del 1980 direttamente dal conte Alessandro Raimondo d’Aquino di Caramanico. NASCE SAN MANGO C arlo d’Aquino era al culmine dell’attenzione presso la Corte di Napoli. Figlio di Cesare e di Cornelia Spinelli, dei marchesi di Fuscaldo, risultava feudatario di Altilia, Grimaldi, Motta S. Lucia e Conflenti, Conte di Martorano e Barone di Castiglione. Con l’acquisto della baronia di Savuto entra in possesso anche del territorio a sinistra del fiume, sul quale sorge oggi San Mango, e le pertinenze feudali comprendono i terreni denominati Fabiano, Vignali e Montagna del Pruno. In un vecchio manoscritto leggiamo: «Acquistato il feudo di Savuto e le sue rustiche pertinenze, don Carlo d’Aquino con ogni sollecitudine si diede a rendere nobile quella rustica e feudale parte del territorio di detto feudo, e vi cominciò a chiamare all’uopo dei novelli abitanti, e le riuscì il disegno, mercé il colmo di tanti privilegi loro offerti e concessi circa i bisogni di prima necessità della vita... ». Gruppi provenienti dai centri del disciolto Stato di Aiello, e poi famiglie che vivono nella vicina contea di Martirano, colpita dalla miseria e devastata dal terremoto del 1638, cominciano a formare i primi nuclei di abitazioni, che daranno poi vita a un vero e proprio casale146. Gli anziani ricordano un antico racconto, tramandato da padre in figlio, secondo il quale fra i primi abitanti di San Mango c’erano briganti e fuorilegge venuti a popolare le contrade del nuovo villaggio per sfuggire al peso fiscale e alla giustizia dei baroni dei paesi vicini. Giambattista Vico scrive che “ le tradizioni volgari devon avere avuto pubblici motivi di vero, onde nacquero e si conservarono da intieri popoli per lunghi spazi di tempi” . Di certo sappiamo che nel corso del Cinquecento si verificano nella zona fenomeni che assumono ben presto le caratteristiche di veri e propri scontri di classe, con i contadini da una parte e i nobili dall’altra. Scontri che non tardano a trasformarsi in rivolta contro i feudatari. Alla rivolta segue la repressione, e la 146 Il termine Casale è diffuso nella geografia storica dell’Italia meridionale e indica generalmente un piccolo agglomerato agricolo e autosufficiente, formato da case e terreni coltivabili e legato da vincoli storici ed economici ad un paese più importante, posto nelle vicinanze. 88 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO reazione baronale spiana la strada al banditismo 147. Tra Motta e Conflenti si erano formate bande di fuorilegge che percorrevano la campagna depredando e derubando. E poi c’era la miseria, che sicuramente ha giocato un ruolo nello spingere la popolazione a trasferirsi nei villaggi di nuova formazione. La condizione di vita nelle terre di Martirano è testimoniata dalle parole del vescovo, che nel 1627 scrive: “ In hac Diocesi… gens haec in universum pauperissima est… ” . Detto questo, non è escluso che tra i primi abitanti di San Mango ci siano stati anche fuorilegge, o scorritori di campagna, come venivano chiamati allora quei briganti. Sicuramente, i primi ad arrivare sono nuclei di pastori e contadini, che cominciano a darsi da fare, costruiscono case e coltivano terreni assecondando le consuetudini del tempo. Nel 1630 Carlo d’Aquino muore. Erede è il figlio Cesare, che nel 1628 aveva sposato la cugina Laura, figlia di Tommaso d’Aquino, primo principe di Santo Mango del Cilento 148. Qualche anno dopo, nel 1635, Cesare trasferisce al suocero i due feudi di Turboli e di Savuto, e nei Quinternioni dell’Archivio della Camera della Sommaria troviamo annotato 149: “ In anno 1639, se presta il r. assenso alla vendita libera fatta per D. Laura d’A quino, come madre et tutrice di D. Cornelia d’A quino moderna principessa di Castiglione, della Terra di Savuto, et altri beni, siti nella Provincia di Calabria Citra al Dr. M ario Baldacchino et per detto Mario Baldacchino all’ illustre Tomase d’Aquino, prencipe di Sancto Mango per prezzo de duc. 23.700” . Esponente di un ramo cadetto della famiglia d’Aquino, Tommaso, nato il 1587, è figlio di Annibale e di Ippolita Sanseverino. Nel 1603 sposa Felicia d’Aquino, dei Baroni di Castiglione, sorella di quel Carlo che nel 1591 aveva acquistato Savuto, e dal matrimonio nascono sei figli, fra i quali Luigi e Laura, destinati a succedergli nel possesso dei feudi. Tommaso si trova in Calabria perché ha seguito la figlia Laura, andata in sposa al nostro Cesare d’Aquino (figlio di Carlo) nel 1628, e una volta immesso nel possesso di Savuto, egli inizia a valorizzare le terre del versante sinistro del 147 Per approfondire le condizioni di vita dell’epoca, vedi: G. GALASSO, Economia… cit. Sorto nelle vicinanze di un monastero, il casale di San Mango Cilento entrò a far parte dei possedimenti della Badia di Cava dei Tirreni e nel 1410 passò ai Sanseverino. Dopo diversi passaggi feudali, fu acquistato nel 1623 da Tommaso d’A quino, che vi ottenne il titolo di Principe. L’antico feudo dei d’A quino o ggi è una frazione del comune di Sessa Cilento, in provincia di Salerno. 148 Registri in uso fin dall’epoca normanna, i Quinternioni riportano in originale o in copia autentica il privilegio di concessione oppure l’assenso sovrano alle investiture feudali, ed annotano gli atti relativi alle variazioni del patrimonio feudale, come successioni, cessioni per rinuncia (refuta) o vendita. 149 NA SCE SA N MANGO 89 fiume, continuando l’opera intrapresa dagli ultimi Siscar e assecondando l’arrivo di nuove famiglie. Nasce così un primo nucleo di case adagiate sul versante della collina che scende fino al fondovalle e che ha dirimpetto il centro abitato di Savuto. Sotto i d’Aquino, sia quelli del ramo dei principi di Santo Mango che quelli dei principi di Castiglione, si consolida il possesso dei feudi e s’intensificano gli sforzi per la ricostruzione, specialmente dopo il terremoto del 1638, un sisma che distrugge centinaia di abitazioni e provoca la morte di 3.500 abitanti. Un terremoto devastante, forse originato dallo Stromboli, che colpisce il Lametino e coinvolge la valle del Savuto fino a Cosenza. Potenza al 10° grado della scala Mercalli, fa crollare la maggior parte delle costruzioni in pietra e provoca frane, lesioni dei ponti e gravi fessurazioni nelle strade. I paesi che compongono lo Stato feudale dei d’Aquino si trovano al centro del disastro e i danni sono ingenti. Nicastro, Feroleto, Zangarona e Sambiase hanno quasi tutte le case distrutte e subiscono complessivamente poco più di duemila morti. Castiglione è distrutta, con 101 morti. Martirano è rasa al suolo, con 517 morti. Motta S. Lucia è disfatta, con 532 morti. Conflenti ha case distrutte, con 55 morti. Savuto ha case distrutte e subisce 27 morti. Pietramala ha 118 case cadute e 53 morti. Pietramala e Savuto sono inserite nell’elenco delle località di Calabria Citra che “ o per il numero di morti o per rovina grande di case e perdita di robbe” sono esentate per cinque anni dal pagamento delle tasse. Le terre della vicina diocesi di Martirano perdono circa la metà della popolazione e nel 1643 il vescovo scrive: «Il popolo, già povero e disperato per i danni del terremoto, continua ad essere oppresso dalle tasse, e non ha la possibilità di costruirsi una casa» 150. L’interesse dei signori feudali, in quel particolare momento, è di rendere stabile la popolazione e procurarsi maggiore forza lavoro da impiegare nelle attività agricole e artigianali. Nascono così nuovi villaggi e casali. Aquino, edificato a metà strada tra Decollatura e Motta S. Lucia. Platania, nei pressi del villaggio Sant’Angelo. Falerna, in luogo più alto rispetto all’antico abitato di Castiglione, presente per la prima volta nei Registri dei 150 Molti anni dopo, nel 1703, il vescovo dirà che la città e la diocesi di Martirano non si erano ancora sollevate dal « terribile ed immane terremoto che nel 1638 devastò dalle fondamenta quasi tutta la Calabria» . 90 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Relevi nell’anno 1636 a nome di Cornelia d’Aquino (volume 357, fascicolo 4)151. E nasce anche San Mango, in collina, al riparo dalle incursioni turche e lontano dal fondovalle, dove i terreni sono facile preda della malaria. In una relazione del vescovo di Tropea del 1620, Falerna è presente come pagum (villaggio) all’interno del più vasto territorio della Terra di Castiglione Marittimo, mentre in una relazione del 1652 troviamo San Mango, classificata come villaggio alle dipendenze dell’ oppidum (città con mura o fortificata) di Savuto (Habet pagum dictum Santo M ango). Dal documento del 1620 apprendiamo, inoltre, che Pietramala ha una sua parrocchia dedicata a Santa Maria, con tre rettori porzionari e un introito di 160 ducati, e una Confraternita del SS. Sacramento con un introito di 630 ducati; Savuto ha una sua parrocchia intitolata a Santa Maria, con un introito di 50 ducati; Castiglione ha la parrocchia dedicata a S. Antonio Abate, retta da tre parroci, con 150 ducati di introito, e la Confraternita del SS. Sacramento, con un reddito annuo di 80 ducati. Nello stesso periodo, alcuni cittadini di Carpanzano e Scigliano abbandonano i rispettivi paesi, distrutti dal terremoto, e vanno a fondare Mandatoriccio e Savelli. Nel 1646, alla presenza del notaio Francesco Piccolo di Nicastro, ai cittadini di San Mango sono concessi i Capitoli e quando, il 20 giugno 1646, Tommaso d’Aquino muore e Luigi succede al padre nel possesso di Savuto, Savutello e Turboli, sono riconfermati gli usi civici sui corpi feudali di Fabiano, Vignali e Montagna del Pruno (chiamata anche Montagna di Savuto), e gli abitanti continuano a esercitare il diritto di pascolare, abbeverare, allegnare, fare calce a mercemonio e seminare sotto corrisposta annuale. Il nuovo centro, dopo la riconferma, si avvia verso un ulteriore e più veloce sviluppo, e Mons. Giovanni Lozano, vescovo di Tropea, nel corso della visita pastorale del 21 novembre 1648, emette il decreto di erezione della Chiesa, posta sotto il patronato di D. Aloysio d’ Aquino, Principe di San Mango. Sulle terre di San Mango la vita si fa vivace. Dalla vecchia Fontana del Casale, attorno alla quale sono sorte le prime abitazioni, e dalle case sparse del fondovalle, il centro abitato si espande più in alto, nel rione dei Sacchi, mentre nuove famiglie, dopo aver abbandonato i luoghi di origine distrutti dal terremoto, costruiscono i rioni Serra e Carpanzano. Qualche anno dopo sorgono San Giuseppe e Castagnari, e nel giro di pochi Il “ relevio” è la tassa dovuta dal feudatario all’atto della prima investitura, oppure nei passaggi che regolavano la successione del feudo. 151 NA SCE SA N MANGO 91 anni il paese assume l’assetto urbanistico che lo caratterizzerà fino alla fine del Novecento. Il villaggio comincia a essere indicato con il nome di Muricello e nel territorio arrivano gli Anselmo e Aiello, i Bernardo, Caputo, Coccimiglio, Conforti, Fata, Fiorillo, Falsetti, Gallo, Guzzo, Ianni, Marasco, Maione, Meraglia, Maruca, Palmieri, Pagliuso, Palermo, Perri, Pino, Pucci, Russo e Viola. A quei cognomi si aggiungono altre famiglie, provenienti dalla Contea di Martorano, un feudo di origini antiche che controlla un vasto territorio e che dal 1579 è entrato nei possedimenti della famiglia d’Aquino, in virtù del matrimonio di Giulio con la contessa Eleonora de Gennaro. Ora fermiamoci. Interrompiamo la narrazione e dedichiamo qualche pagina al nome che identifica San Mango all’epoca della sua fondazione. Le fonti medioevali hanno scritto Muricello e da allora gli studiosi si sono attenuti a quel toponimo. Ma la Bolla vescovile di erezione della Parrocchia ha fatto sorgere qualche dubbio, perché in essa si legge Casalis Sancti Manghi, seu Moricelli in territorio ecc. ecc.. E anche la situazione dei pagamenti fiscali redatta per l’anno 1669, assegnando al paese 90 fuochi, riporta la denominazione Morricello, alias Casalnuovo, seu S. Mango152. Inoltre, in un Regesto del 1667 si fa riferimento ad una parochiali seu alia ecclesia casalis S. Manghi seu Moricelli, Tropien. dioc., de iurepatronatus familiae de Aquino [… ]153. Sulla base di questi dati, qualcuno ha suggerito il termine “ Moricello” come prima denominazione del paese, facendo derivare Moricello da Morus, nome latino delle piante di gelso, all’epoca disseminate su tutto il territorio circostante. Ma l’attribuzione del termine risulta azzardato, e quindi la teoria della fondazione della chiesa parrocchiale del Casale di Santo Mango in territorio Moricelli, nella Terra di Savuto, è tutta da dimostrare. Anche perché l’evoluzione del nome col quale è stato identificato di volta in volta il nuovo centro abitato si deduce chiaramente dai registri parrocchiali. E più in particolare, dalle ricevute apposte sui libri dai Legati e dai Procuratori vescovili all’atto della riscossione dei tributi, pagati dalla parrocchia e dalle 152 Nova situatione de pagamenti fiscali de carlini 42 a foco delle Provincie del Regno di Napoli, & Adohi de Baroni, e feudatarij, fatta per la Regia Camera della Summaria, Napoli, Regia Stampa di Egidio Longo, 1670, p. 71. 153 F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, vol. VIII, Roma, Gesualdi Editore, 1985, p. 222. 92 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO altre chiese, a favore della Curia. Il primo parroco del paese è don Matteo Capilupo, il quale prende possesso della chiesa nel 1653, e l’annotazione più antica risale al 5 maggio 1654154. Essa però riporta solo il nome del sacerdote, senza riferimenti al centro abitato che era, all’epoca, in via di formazione e gli abitanti avevano appena ricevuto i Capitoli. Nel 1656 troviamo don Matteo Capilupo cappellano del Casale novo. Nel 1659 leggiamo rettore di Casale novo e poi, il 4 ottobre 1660, curato di Casal nuovo. Nel 1668 appare per la prima volta la denominazione attuale del paese: Casale novo alias Santo M ango, e poi Casale di Santo M ango. Il 12 maggio 1670 il nuovo prete, don Giuseppe Perri, è chiamato curato del Casale di Santo Mango. Nel 1672 don Giuseppe è ancora parroco del Casale di Santo Mango. Il 14 maggio 1679 è la volta di don Giovanni Castagnaro parroco della Terra di Santo Mango. Mentre nelle relazioni dei vescovi di Tropea, conservate presso l’Archivio Segreto Vaticano, nel 1652 troviamo la citazione pagum dictum Santo Mango, e nel 1669 il paese è identificato col nome di “ Casale” (Casale Santo M ango). Diverso è il discorso riguardante i documenti civili e militari. La prima mappa cartografica della Calabria, eseguita dal Parisio nel 1592 a corredo del volume di Gabriele Barrio, segnala tutti i paesi che orbitano attorno a San Mango: Castiglione, Nocera, Martirano, Pietramala, Aiello, Grimaldi e Savuto. Nessun riferimento, ovviamente, al nome di San Mango, poiché all’epoca esistevano sul territorio poche case sparse e un vero e proprio centro abitato non si era ancora formato. Nelle carte successive, a partire da quella del 1692 firmata da Francesco Cassiano de Silva, il paese è identificato con il nome Savuto, mentre l’attuale centro storico di Savuto è identificato con il nome Pietra piana. Sulle carte geografiche, l’identificazione di San Mango con il nome di Savuto è destinata a durare per tutto il Settecento. In alcune carte del 1783, così come in quelle rettificate dall’ingegnere militare Luigi Ruel nel 1786, comincia ad apparire anche Falerna, centro sorto nella prima metà del Seicento, ma il centro abitato di San Mango continua a essere chiamato Savuto. La denominazione corretta appare sotto i Francesi ed è riportata nell’Atlante Geografico del Regno di Napoli del 1812: per la prima volta si legge Casale Novo di Sammango. 154 Fonte: Registri parrocchiali di San Mango d’A quino. NA SCE SA N MANGO 93 Nel 1816, in virtù della nuova divisione amministrativa operata dai Borbone, il paese è trasferito dalla provincia di Cosenza a quella di Catanzaro, e nella carta della Calabria Ultra Seconda il nome diventa Sammango; la denominazione Savuto viene giustamente attribuita all’antico centro storico ubicato alla destra idrografica del fiume. Nei registri parrocchiali e nelle carte civili e militari, il paese sorto sulla sponda sinistra del fiume Savuto non è mai indicato con il nome di Muricello. Il toponimo, invece, è usato con una certa frequenza nei Cabrei dell’Ordine di Malta, come potrà documentare Adriano Macchione nella sua prossima fatica da storico. Il Cabreo, detto anche Platea, è un inventario di beni immobili e oltre a fotografare lo stato del territorio, censiva transazioni, cessioni e diritti. Il Cabreo del 1656, commissionato dal baliaggio di Sant’Eufemia, delinea i termini dei possedimenti di Nocera, e grazie alle anticipazioni fornite da Macchione siamo in grado di rendere note le parti riguardanti San Mango: « …per dirittura termini termini la serra serra esce alla Fontana dello Conte à dirittura alla Timpa dello Corvo, et da detta Timpa dello Corvo riva al vallone cioè in capo d’essodetto Santo Quaranta, confine la Montagna dello Pruno, et calando a bascio vallone vallone, esce alla Fiumara dello M uricello et passando detto fiume tira per lo Serrone delle Pietre et esce alla serrata dello M uricello vicino la Timpa di Benincasa; la quale timpa resta dentro il territorio di Nocera, e calando in bascio per l’acqua della cerza tira dritto a bascio li termini termini et esce allo Vallone chiamato delli Confini e tirando lo vallone a bascio esce alla via pubblica dove sono li termini, et via via verzo mare, esce alli Celsi del M onastero di Santo Francesco d’Assisi di Nocera, e tira per dritto la via, et esce sopra Fabiano, e di sotto lo Spolitretto e termine termine tira allo V allone di S. Nicola, e tirando detto vallone a bascio esce allo fiume di Savuto, et passando detto fiume per dirittura esce allo V allone dello Furno, et vallone vallone tira ad’alto all’Aria Bianca dove sono li termini, et termini termini esce alla Serra dello Celso, et da detta serra esce per lo Vallone di Ginestro a bascio, et esce allo fiume di Turboli, et acqua acqua per detta fiumara a bascio esce alla marina, et alla bocca di detto fiume di Turboli per dirittura per li celsi che erano di Cesare Cavallo al presente del sign. Principe di S. Manco, tira sino alla onda del mare, et onda onda torna al loco cominciato del M alvitano» . « Di più dalla terra di Nocera, et dal M onastero di Santo Francesco di Conventuali piglia una via pubblica per lo fiume, detto Coda, et per le Viscigliate, et M uricello, e alli confini nostri, et di Savuto et M artorano, vi è loco notorio. Dà detta dell’irto, et sagliuta dello fiume della Coda piglia una via pubblica per sotto la possessione di Lorenzo Riccio, et Filippo Angoe, et andando ad alto cona cona per la possessione di 94 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Lorenzo Riccio esce alla Cona di Santo Stefano alla Serrata, et alla carrera pubblica, et smozzando cala alla Fontana di Santo Stefano, e da detta fontana tira all’A ira del Subero Cupo per sopra la Chiesa dello Petramone, esce per l’Acqua della Cerza alli confini dello territorio di Savuto all’Acqua dello Sangrino la quale via pubblica tira manca manca alle Muricella della uscita della terra della Valle delle Cerze che sono di Gio. Fran.co Galletta, et prima di Marco A ntonio Perrella piglia una via pubblica la quale per eser mal condizionata non è visitata…» . Riepiloghiamo le citazioni: esce alla Fiumara dello M uricello; esce alla serrata dello M uricello; piglia una via pubblica per lo fiume, detto Coda, et per le Viscigliate, et M uricello; la quale via pubblica tira manca manca alle M uricella... Muricello… sempre Muricello… Questa è la testimonianza del Cabreo, di un documento passato alla storia per la sua precisione, e che oggi è considerato una delle fonti più preziose per lo studio dell’evoluzione del territorio. Perché, dunque, San Mango? Nelle pagine precedenti abbiamo scritto che il feudo di Savuto, con annesse le terre alla sinistra idrografica del fiume, nel 1635 si trovano sotto il dominio di Tommaso d’Aquino, Principe di San Mango del Cilento. In quegli anni, gli abitanti delle case sparse nella campagna vengono raccolti in un villaggio, organizzato secondo l’ordinamento del tempo. Con la costituzione del popolo in Universitas, con lo Statuto scaturito dall’accordo tra i cittadini e il feudatario e sottoscritto sotto forma di Capitoli (capitolationes), e infine con la fondazione della Parrocchia, un nuovo centro abitato prende forma e si appresta a entrare nel futuro con tutta la sua storia155. In base alla legislazione vigente, il Sindaco, scelto da un’assemblea di capifamiglia più in vista, rappresenta l’università presso il sovrano e cura gli interessi della popolazione, mentre il Mastro Giurato provvede alla riscossione dei tributi e svolge compiti di polizia urbana e rurale. Quale migliore occasione per dare il nome San M ango a quel centro, se non altro per ricordare il San Mango Cilento che il principe Tommaso aveva lasciato in Campania per seguire la figlia Laura fino a Nicastro? L’attitudine ad indicare i feudi di nuova fondazione (o di nuova acquisizione) con denominazioni già esistenti era frequente, in Casa d’Aquino. Quando nel 1648 Giacomo Battista, figlio di Carlo d’Aquino e di Eleonora Pignatelli, vende Crucoli a Jacopo Amalfitani, patrizio di Crotone, per 155 Il termine Università identifica i Comuni del Mezzogiorno. Dal latino Universitas Civium: universalità dei cittadini. L’istituzione, soggetta al demanio regio oppure al signore feudale, ha avuto un’evoluzione storica tutta propria, diversa dai liberi comuni sorti nell’Italia centrale e settentrionale. NA SCE SA N MANGO 95 mantenere il titolo di Principe concessogli nel 1635, ottiene che il suo feudo di San Giacomo, in Terra d’Otranto, cambiasse il nome in Crucoli. E anche quando il feudo del Cilento è venduto a Francesco Sanfelice, i d’Aquino trattengono il titolo di Principe di Santo M ango e trasferiscono il privilegio sul loro nuovo paese della Calabria. E ciò con privilegio del 16 febbraio 1675, precisa Pellicano Castagna. La denominazione San M ango è molto diffusa, all’epoca, e su molti centri che portano quel nome esercitano la signoria feudale proprio i d’Aquino 156. Colle San Magno è una loro fondazione. San Mango Piemonte è il feudo di un ramo cadetto, i Santomango, diventati una delle più potenti famiglie del Principato di Salerno. San Mango sul Calore risulta infeudata ai Gesualdo, Filangieri e Caracciolo, famiglie imparentate con gli stessi d’Aquino. La validità della ricostruzione per come l’abbiamo narrata, è confermata da Francesco Volpe, già docente di storia moderna presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Salerno, il quale, in una pubblicazione curata dalla stessa Università scrive: «I rapporti di parentela fra i d’Aquino di Calabria e quelli del Cilento, intuiti nel saggio monografico “ A. Orlando, A. Sposato, San Mango d’ Aquino, storia, folklore, tradizioni, poesia, Rubbettino, Soveria Mannelli 1977, pp 41-55” sono stati provati dalle recenti ricerche effettuate nel 1994 presso l’Archivio di Stato di Napoli da Giovanni Bono sulle case feudali che ressero San Mango del Cilento, per cui si può affermare in linea definitiva che la San Mango d’Aquino calabrese deve il suo nome alla San Mango cilentana tramite la mediazione della casa d’Aquino» 157. Detto questo, riprendiamo la narrazione delle vicende di San Mango partendo dalla demografia, e registriamo che nei primi dieci anni di vita della Parrocchia vengono battezzati 240 bambini; le persone defunte ammontano a 109, e quindi il saldo demografico è positivo. L’incremento di popolazione diventa ancora più evidente grazie ai nuovi arrivi, ed è l’inizio della crescita. Nel 1674 don Giuseppe Perri compila per la prima volta lo Stato delle A nime Il toponimo è una trasposizione della parola “ Magno” , e ci riporta a S. Magno, che visse nel III secolo dopo Cristo. Convertitosi al Cristianesimo, Magno donò i suoi beni ai poveri e divenne vescovo di Trani; per sfuggire alle persecuzioni ordinate dall’imperatore Decio fu a Roma, Fondi, Aquino, Sora e Pico, dove predicò il Vangelo e operò guarigioni di storpi e ammalati; catturato dai soldati romani, fu condotto al martirio nel 252. 156 157 F. VOLPE, Note agionimiche sui luoghi denominati San M ango tra Campania e Calabria, Università degli Studi di Salerno, Collana scientifica, Soveria M., Rubbettino, 2007, p. 291. 96 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO della Chiesa Parrocchiale del Casale di Santo Mango 158. E da quel documento, che somiglia a un moderno censimento e che contiene notizie interessanti sulle famiglie, apprendiamo che i nuclei familiari sono appena un centinaio e gli abitanti ammontano a 307 unità159. Nell’arco dei primi cinquant’anni nascono più di mille bambini e, tenuto conto dei flussi demografici influenzati dall’alta mortalità infantile, la popolazione residente supera i 500 abitanti nel 1693 e arriva a 628 nel 1705. In pochi anni, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, Antonio Spagnuolo, Tommaso Arcuri, Paolo Cosco, Iacopo Baldascino, Antonio Milito, Iacopo Ferraro, Antonio Mollame, Iacopo Russo, Domenico Spagnuolo lasciano Savuto e vanno a sposarsi a San Mango, seguiti da Centanni de Spena di Pietramala, Giuseppe Orlando di Serra d’Aiello, Pietro Serra e Carlo Filice di Aiello, Domenico Ferraro di Altilia. Nel 1690, Giovanna Ianni viene accompagnata al Sacro Fonte Battesimale da Elisabetta di Pietramala e Nicola Cicco da un certo Baldascino di Savuto. E poi, negli anni successivi, Giovanni Tomaso Berardello viene accompagnato da Caterina Russa, Giovanni Vescio da Filippo Ferraro, Giovanni Domenico Sisca, Antonio Mastroianni e Domenico Nicola Giovanni Aiello da Annibale Mastroianni, Giovanna Mastroianni da Fabrizio De Vena, Anna Mastroianni da Giovanna Russo, Pietro Ignazio Russo da Paolo Baldascino, Agata Castagnaro da Giovanna Cafondo, Giovanni Iacopo Ortenzio Sposato da Ignazio Quercio parroco, tutti padrini di Savuto, e Francesco Antonio Villella da Martino de Spena di Pietramala. Dopo la morte di Tommaso d’Aquino, il feudo di Savuto, con il nascente casale di San Mango e con Savutello e Turboli, passa al figlio Luigi, e da questi, nel 1658, alla sorella Laura160. Qualche anno dopo Laura ottiene che il titolo di Principe di Santo Mango, 158 Lo Stato delle Anime è fatto redigere la prima volta nel 1570 da San Carlo Borromeo nella diocesi di Milano, e nel corso degli anni la pratica si diffonde in tutte le diocesi italiane. I co gnomi dei capifamiglia sono: Baccaro, Baldascino, Berardello, Catroppa, Cicco, Castagnaro, Colosimo, Costanzo, Capilupo, di A damo, Damiano, Formica, Ferraro, Gigliotta, Greco, Iera, Ieraso, Mastroianne, Mantia, Manfrida, Maruca, Monaco, Moraca, Maletta, Marasco, Mendicino, Montoro , Piccolo, Putero, Perri, Pagliuso, Rende, Rizzo, Riccio, Russo, Savoia, Sisca, Sacco, Sirianne, Scalzo, Squera, Spo sata, Troccaso, Trunzo, Volotta, Vonazzo, Vescio, Villella. 159 Laura, figlia di Tommaso d’A quino primo principe di Santo Mango, aveva sposato nel 1628 Cesare d’Aquino, principe di Castiglione, conte di Martorano, conte di Nicastro, Signore di Feroleto, Serrastretta, Motta S. Lucia, Pedivigliano, Crucoli e Rocca di Neto. Cesare era morto a Nicastro sotto le rovine del terremoto del 1638, lasciando una figlia, Cornelia, giovinetta, e la moglie Laura incinta di Giovanna Battista. 160 NA SCE SA N MANGO 97 concesso in origine a favore di Tommaso d’Aquino sulla terra di San Mango del Cilento, venisse incardinato “ sulla terra da poco edificata nei feudi del marito, e da denominarsi Santo M ango” 161. Il privilegio del re Carlo II, l’ultimo degli Asburgo di Spagna, porta la data del 16 febbraio 1675. Nel 1679 Laura d’Aquino muore, e i feudi di Savuto, Savutello e Turboli, assieme al principato di Santo Mango, sono trasferiti per eredità alla figlia Giovanna Battista. Questo è un passaggio importante per la nostra storia, perché tutte le terre governate dai d’Aquino e poste sia alla destra che alla sinistra del fiume Savuto sono raggruppate di nuovo in un’unica signoria feudale e tornano interamente sotto l’antico ramo dei Principi di Castiglione. A governare i possedimenti della famiglia subentra Giovanna Battista d’Aquino, figlia di Cesare e di Laura, che diventa Principessa di Castiglione, Principessa di Santo Mango, Contessa di Martorano, Contessa di Nicastro, Signora di Serrastretta, Motta S. Lucia, Pedivigliano e Rocca di Neto. Qualche anno dopo il vescovo di Tropea istituisce i nuovi Vicariati Foranei della diocesi Inferiore, e ne fissa la sede in Amantea, Fiumefreddo Bruzio, Aiello e Nocera. Pietramala e Savuto sono aggregate ad Aiello; San Mango a Nocera. Ma la vita nei feudi non è facile, e le condizioni dei cittadini continuano a essere avvilite dalle calamità naturali e dalla scarsità dei raccolti. Nel 1656 e nel 1671 lo spettro della fame incombe persino su città come Catanzaro, e l’emergenza è alleviata dalle navi olandesi che arrivano nei porti della Calabria e scaricano il grano proveniente dall’estero. Il fiscalismo degli agenti governativi, il monopolio del commercio in mano ai mercanti forestieri (Genovesi, Fiorentini, Pisani, Amalfitani), le angherie dei signori feudali, il brigantaggio e il trasferimento a Napoli della feudalità maggiore fanno il resto. Le carte del notaio Giacinto Crocco del 1690 c’informano che “ Dodaro Iannuzzo, Barone di Pietramala, è obbligato in ducati 2200 al 6,8% in favore del signor Pietro V incenzo Sambiase, suo parente, per debiti delle università di Pietramala e Ajello” . Anche i d’Aquino s’indebitano e Alessandro, conte di Martorano, assieme alla nonna Giovanna Battista, “ promisero pagare fra il termine d’anni cinque numerando dal primo di gennaio del detto anno 1710” , e assegnano a Francesco 161 M. PELLICANO CASTAGNA, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, volume II, Catanzaro, Editrice C. B. C., 1996, p. 51. 98 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Augurati, creditore per circa 30.000 ducati, “ la tenuta e libera percettione di tutti li frutti, rendite et entrate, così feudali, come burgensatiche della Terra di Sauto, seu Sautello, ch’essa Principessa possedeva, et al presente lo possiede esso Duca nella Provincia di Calabria Citra” . Sono tempi in cui la corruzione dilaga, e il fenomeno arriva a coinvolgere le alte sfere della magistratura. Cosicché, quando l’uditore Capaccio nel 1694 si reca nella terra di Pietramala per controllare il contrabbando del sale, eccolo tornare indietro con in tasca 150 ducati162. Tutto ciò, mentre nel 1701 i baroni, sfruttando ancora una volta la scarsità di cereali, accumulano il loro grano a Crotone e restano in attesa di imbarcare la merce alla volta di mercati più redditizi. 162 P. MORETTI, Immagini di una società in crisi. Cosenza dal 1685 al 1704, Milano, Giuffrè Editore, 1979, p. 221. DAGLI ASBURGO AI BORBONE N el Seicento, scrive Caridi, la crisi determina in Calabria una riduzione della consistenza demografica dei centri abitati. Il ristagno della vita economica e dello sviluppo demografico, aggiunge Pasquale Villani, è aggravato dalla peste del 1656, che nel Regno può considerarsi l’ultima grande catastrofe demografica dei tempi moderni. Dai tre milioni di abitanti presenti nel Mezzogiorno prima dell’inizio della crisi generale del Seicento, si scende sotto i 2.500.000 nella seconda metà del secolo, scrive Galasso, e solo la ripresa del Settecento porta la popolazione meridionale oltre i quattro milioni dopo il 1750, e a circa cinque nel 1793. Nei periodi di crisi si moltiplicano gli abusi feudali, così come si moltiplicano la disgregazione sociale, il contrabbando (grano, seta, olio) e il banditismo. Fenomeno – quest’ultimo – che assume la caratteristica di reazione tipica del mondo rurale, ma non esprime obiettivi politici propri e finisce per essere alimentato, favorito e sfruttato dagli stessi signori feudali. I viceré spagnoli sono concentrati nella ricerca di denaro, di soldati e armi da mettere a disposizione di Madrid, eseguendo le direttive di Filippo IV, che aveva ordinato di saccare tutto il possibile da questo Regno, oppure di vendere o impegnare tutto quello che si trova libero in questo Regno. L’amministrazione della giustizia non è in grado di limitare l’autorità feudale. Le prerogative garantiscono l’impunità dei delitti commessi al servizio dei baroni e in Calabria nel 1643 il marchese di Fuscaldo fa fuggire dalle carceri nove malfattori suoi protetti. La Chiesa, che controlla più della metà delle proprietà fondiarie, cerca alleanze con la popolazione rurale oppressa dal fiscalismo statale, ma nello stesso tempo partecipa alle usurpazioni dei fondi silani e favorisce la nomina indiscriminata di chierici per invocare poi l’esenzione delle imposte. Nel frattempo un decreto del viceré introduce la tassa dell’uno per cento su tutti i contratti e istituisce la carta bollata. L’attività del Parlamento è sospesa, e dal 1642 l’organismo non sarà più convocato. E quando a Napoli scoppia la rivolta antispagnola, nell’Italia meridionale si consuma una guerra contadina, la più vasta e impetuosa che abbia conosciuto 100 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO l’Europa occidentale nel Seicento, dice Rosario Villari.163 In quel contesto, la disponibilità di uomini torna a essere un bene prezioso non solo per lo Stato, ma anche per i signori feudali, e un decreto governativo costringe i paesi aperti e privi di controllo a cingersi di mura per evitare la fuga e lo spopolamento (murarsi o sfrattare da detto casale, era l’ordine più ricorrente)164. Le condizioni di vita della popolazione calabrese sono documentate da un cronista dell’epoca, che in un codice conservato nella Biblioteca Vaticana ha lasciato scritto: «La gente di bassa mano comunemente nel vivere, nel vestire, e nell’habitare non può essere più miserabile. È nata o destinata agli stenti. Vive di tristo pane, o di acqua pura. Tolera ogni disagio, e prodiga della vita è incredibile con quanta sicurezza s’esponga per vilissimo prezzo al caldo, al freddo, alle nevi, alle piogge, all’intemperie d’ogni stagione, senza riparo di veste, scalza, e poco meno che nuda» 165. L’azione di repressione del brigantaggio e dell’anarchia feudale portata avanti dal marchese del Carpio (viceré dal 1683 al 1689) si conclude con successo, però la casta continua nell’azione di salvaguardia dei privilegi e il baronaggio napoletano – per dirla con Croce – difende l’interesse particolare delle singole case feudali e non la patria, anche perché “ una patria, uno stato autonomo, non c’era più; e c’era invece la monarchia di Spagna, della quale il Regno era una provincia” 166. I feudatari confermano il primato di classe dominante, ma la scomparsa delle vecchie famiglie baronali, l’avvento di professioni civili e l’aumento degli addetti all’apparato statale creano le condizioni per la nascita di un nuovo ceto, che si colloca tra la feudalità e il popolo. È il ceto dei borghesi (avvocati, magistrati, dottori, appaltatori d’imposte, In occasione della rivolta di Masaniello, anche nelle province i contadini insorti presero l’iniziativa della lotta contro il banditismo, e quello fu “ un caso unico nella storia del Mezzogiorno, che chiarisce ulteriormente natura e caratteri della ripresa feudale” . Cfr. R. VILLARI, La rivolta antispagnola a Napoli, Bari, Laterza, 1976, p. 227-241. 163 164 Nelle Consulte delle Sommarie esiste una denuncia nella quale troviamo scritto: « … né se hanno da ponere le genti in disperatione tale che totalmente dishabitino il Regno, come se intende essersi fatto in più luoghi, dalla Calabria che sono andati ad habitare in Messina, dall’A pruzzo nello Stato ecclesiastico, et quello che è più da dolere da Terra d’Otranto passati a vivere nello stato del gran Turco» . Cfr. R. VILLA RI, op. cit., p. 156. 165 Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Barberini Latino 5392, f. 12r. 166 B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1966, p. 104. DAGLI A SBURGO AI BORBONE 101 funzionari pubblici), che nella sola città di Napoli arriva a sfiorare le diecimila unità e che lentamente si diffonde nelle province. Quel ceto civile, legato prevalentemente alla rendita fondiaria, si sviluppa nel Mezzogiorno d’Italia e conosce l’apice delle fortune durante la dominazione austriaca, che si manifesta anche sulla Calabria. Carlo II di Spagna, ultimo degli Asburgo del ramo spagnolo, muore senza successori; il trono è conteso da Francia e Austria, e nel 1701 inizia la guerra di successione. Prevale Filippo d’Angiò, nipote del re di Francia, e inizia per la Spagna il periodo della dinastia borbonica; mentre l’Austria acquista le Fiandre, il Ducato di Milano, il Regno di Napoli, la Sardegna e lo Stato dei Presidi. La presenza austriaca a Napoli, però, ha vita breve, e quando nel 1734 l’esercito spagnolo batte le truppe austro-russe a Bitonto, don Carlos, figlio del re di Spagna Filippo V di Borbone e di Elisabetta Farnese, entra a Napoli. Il nuovo sovrano, re delle Due Sicilie e di Gerusalemme, infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza e Castro, gran principe ereditario della Toscana, si pone come capostipite di una dinastia destinata a governare in Italia fino al compimento dell’Unità nazionale. «Le ricchezze dei re sono fatte per i poveri», era solito dire Carlo di Borbone, e alle parole seguono i fatti: Portici, Capodimonte, la reggia di Caserta, il Teatro San Carlo, l’Albergo dei Poveri, strade, acquedotti. Un programma di opere pubbliche che crea occupazione e mette in moto il sistema economico. Il sovrano riesce a vincere nei rapporti tra il Regno e la Chiesa, ma non riesce nell’impresa di trasformare la struttura dello Stato da feudale in amministrativa, anche perché il suo riformismo subisce una battuta d’arresto quando, nel 1759, impegni dinastici lo portano a sedere sul trono di Spagna, lasciando il Reame al terzogenito Ferdinando, di appena otto anni167. Napoli e Milano erano le capitali del riformismo in Italia. Napoli è la città più popolosa della Penisola; i suoi abitanti superano di gran lunga quelli di Vienna, sede della corte dell’impero degli Asburgo. In quanto capitale del Regno, la città partenopea è coinvolta nella lunga catena di guerre iniziate con la successione spagnola, ma il suo coinvolgimento si manifesta solo A ppena proclamato re di Napoli, Carlo aveva promosso gli scavi di Ercolano e Pompei. Nel corso di un sopralluogo, volle impossessarsi di un anello antico, che per anni portò sempre al dito. A llorché, nel 1759, il sovrano diventò re di Spagna, abdicando al regno di Napoli in favore del figlio, sfilò l’anello dal dito. Davanti alla corte, il giorno della partenza, Carlo lo affidò al successore con la formula: « Questo anello appartiene al re di Napoli, non al re di Spagna» . L’anello, specifica Salvatore Settis, è ancora conservato a Napoli, presso il Museo Nazionale. 167 102 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO a livello diplomatico. Milano, invece, è coinvolta anche sul piano militare, e nonostante ciò, da semplice città di una provincia spagnola arriva a svolgere un ruolo di primo piano nel movimento riformatore italiano. Diventata definitivamente austriaca con il trattato di Aquisgrana, avvia il Catasto, opera il riordino amministrativo e finanziario e, in campo economico, favorisce la rivoluzione capitalistica, gettando le basi di un successo che pone ancora oggi la Lombardia all’avanguardia delle regioni italiane. E in Calabria? Cosa rimane in Calabria dopo l’illusione creata dalla breve stagione riformista che aveva coinvolto il regno di Napoli? Caridi informa che anche per questa regione, l’ultima grande crisi di antico regime demografico è superata e la popolazione, nel suo complesso, agli inizi del Settecento si avvia verso una nuova fase di crescita. Il primo sessantennio, precisa Villani, è un periodo favorevole per l’economia napoletana; poi si scatena una crisi che, per la carestia del 1764, assume aspetti drammatici e fa sentire i suoi effetti per qualche anno. Dopo la crisi, continua lo studioso allievo della Scuola storica di Federico Chabod, vi è una notevole ripresa demografica e produttiva, fino al 1780 circa. Segue poi un periodo piuttosto convulso, che sbocca nella gravissima crisi degli anni Novanta, complicata dal crollo delle finanze e dalla minaccia degli eserciti rivoluzionari francesi. La geografia economica della Calabria continua a mantenere la fisionomia acquisita durante il viceregno spagnolo e le relazioni dei visitatori confermano l’arretratezza dell’economia e della società. I risultati della politica d’intervento straordinario, concordata verso la fine del Settecento tra la Corte borbonica e il Papato e messa in campo mediante l’istituzione della Cassa Sacra, non sono pari alle speranze, scrive Placanica, e le spese di amministrazione quasi equiparano gli introiti, talora superandoli. La miseria prospera nelle campagne, specialmente dopo la carestia del 1763/ 64, che colpisce tutto il Regno e che ostacola l’incremento demografico delle province168. L’azione del governo è protesa a fronteggiare la penuria di generi alimentari avendo come riferimento la sola città di Napoli, al fine di evitare il risorgere Sulle cause della carestia Placanica scrive: « Ne era responsabile anche il clima del tempo, ultima propaggine della little ice age moderna, con il suo freddo inclemente, che dava all’anno una primavera troppo fresca e un’estate anch’essa fresca e troppo posticipata; la ben nota rigidità delle risorse, a fro nte dei consumi essenziali incomprimibili, faceva il resto» . Cfr. A. PLACA NICA, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, Catanzaro, Meridiana Libri, 1993, pp. 222-223. 168 DAGLI A SBURGO AI BORBONE 103 dello spirito di Masaniello, e per quella ragione le terre periferiche sono sacrificate agli interessi della capitale. Nelle campagne calabresi si vive nella più squallida miseria, al limite della sopravvivenza, mentre canoni in natura, censi e terraggi affluiscono nei magazzini baronali o dei nuovi proprietari borghesi, informa Brasacchio, e Giuseppe Spiriti scrive: «E qual’è mai codesto pane che mangiano? Io scommetto, che due terzi dei nostri campagnoli non san che si voglia dire pane di grano. I più comodi fann’uso del pane di germano e di quello di grano d’India, ma la maggior parte mangia pane di lupini e pane di castagne» 169. La cerealicoltura ha bisogno di nuovi spazi, e la coltivazione, praticata per soddisfare il bisogno di sopravvivenza dei ceti rurali disagiati, provoca altri disboscamenti, che modificano il paesaggio e spianano la strada ad ulteriori disastri idro-geologici. La terra è poca, e “ i nostri coloni fuggono dalle campagne come gli schiavi dalle catene” , ricorda Francesco Saverio Salfi, e l’illuminista Spiriti aggiunge: «E come nò, se ogni anno, un immenso numero di agricoltori escono dalla nostra Calabria per andare a faticare in Sicilia, in Sardegna e certe volte fino a Spagna quasicchè non avessero ne’ loro paesi terreni da coltivare?» 170. Oggi, Ruggiero Romano dice: «È stato il dramma degli uomini senza terra e della terra senza uomini, una delle grandi contraddizioni che sembra caratterizzare la storia dell’intera agricoltura italiana». La Provincia Citeriore, alla quale appartengono Pietramala, Savuto e San Mango, grazie alla fertilità del suolo non soffrono più di tanto gli orrori della carestia del 1764, anche se in alcune zone il pane viene preparato con farina di lupini, cicorie, finocchio selvatico e altre erbe. Gli abitanti di Aiello, Lago e Martirano trovano sostentamento grazie alle riserve di vettovaglie di Scigliano. Ma dove non arriva la carestia, ecco intervenire altre calamità. Nel 1746 Savuto è colpita dalla malaria, e nei registri parrocchiali sono annotate le morti (per febbre di pontura) di Domenico Moraca e Delia Marrella171. Nel 1767 un terremoto colpisce la Calabria Citra e provoca morti tra la 169 G. SPIRITI, Riflessioni economico-politiche d’un cittadino relative alle due province di Calabria, Napoli, 1793, p. 71. 170 Ibidem, p. 62. R. LIBERTI, Lo Stato di A iello al tempo dei Borboni, « Calabria Letteraria» , A nno XXV, Numero 1/ 3, marzo 1977. 171 104 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO popolazione e danni alle attività economiche, alla raccolta del grano e alla sericoltura. Nel 1779 la peste aggredisce Aiello, Amantea e Belmonte. La penuria di grano si fa sentire per diversi anni e interessa molti territori. Gli assalti ai magazzini e ai forni sono frequenti e si accompagnano al brigantaggio. In un dispaccio del 1764 il ministro Tanucci scrive che “ ogni popolazione sta al passo per attrappare li grani che passino o per Napoli o per altri paesi del Regno” . In una memoria del 1782 troviamo scritto, fra l’altro, che i cittadini di Scigliano “ hanno proveduto diversi particolari dei luoghi convicini con sacchi, e cesti di pane d’ogni tempo” , e nel 1798, dice un notaio dell’epoca, “ tutti gli individui di Aiello e Casale delli Terrati tentarono di provvedersi in altri luoghi [… ] ma essendovi ivi impedito il commercio per li grandi assassini che si commetterono sono stati costretti ad assaggiar la fame… ” . Per avere terre da coltivare e legna per riscaldarsi, i Calabresi continuano a tagliare le foreste. Ma più che la scure – dice Brasacchio – furono gli incendi (le cesine di antica memoria) a distruggere parte dei secolari boschi appenninici e la superstite macchia mediterranea. Le agitazioni contadine locali e la polemica dei riformatori sollecitano la riforma agraria, e nel 1782 il re adotta una prammatica sulla divisione dei demani. Tuttavia, la tensione esistente nelle province rende prudente l’azione del governo borbonico, e il sovrano preferisce agevolare e sostenere il processo di trasformazione dei baroni in grossi proprietari borghesi, anziché affrontare il rischio di riforme radicali. Sono anni in cui il Borbone sembra assecondare le idee portate avanti dall’Illuminismo, ma quando a Parigi scoppia la Rivoluzione, la corte di Napoli comincia a guardare alla Vienna degli Asburgo, il movimento riformatore si arresta e le iniziative che si stavano manifestando nelle regioni italiane non arrivano a compimento 172. Nella società calabrese si verifica un rimescolamento di carte, che determina, fra l’altro, la nascita di una nuova borghesia rurale, ma Galiani annota che i grandi mali della regione continuano a essere: la prepotenza dei baroni; la soverchia ricchezza delle proprietà ecclesiastiche; la sporchezza, la miseria, la « Nella seconda metà del 1789, il Regno assistette al passaggio dal riformismo al sempre più marcato conservatorismo e ad una bieca reazione contro i nemici, veri e presunti, della nazione e della monarchia […] Già nel 1791, si verificarono i primi segni del distacco della corte dagli ambienti culturali illuministici napoletani » . Cfr. A. ORLANDO, A. CARIO, La Calabria del Settecento, Soveria M., CLE, 2007, pp. 162-165. 172 DAGLI A SBURGO AI BORBONE 105 selvatichezza, la ferocia di città e popoli173. Intanto Cleto, Savuto e San Mango proseguono il cammino nella storia. Cleto (chiamata ancora Pietramala) è sotto la signoria feudale dei Giannuzzi Savelli. Savuto e San Mango sono sotto i d’Aquino, ma l’antica Casa feudale versa in difficili condizioni economiche. Nel 1729 il principe di Castiglione chiede al Collaterale di nominare un reggente, come soprintendente e protettore del principe di Feroleto, suo fratello, al quale egli aveva dato i suoi beni, che gli risultavano malamente amministrati. I registri dei Regi Assensi riportano diverse contrattazioni in materia di beni feudali, e molte annotazioni riguardano la nostra storia. Nel 1709 una “ Obbligazione sul Turbolo seu delli Cavalli in territorio di Amantea” fatta da Giovanna d’Aquino, principessa di Castiglione, vedova di Luigi d’Aquino, più altri; e poi ancora la vendita di un terreno di olive in territorio di Nicastro, fatta sempre da Giovanna Battista d’Aquino; e una “ Speciale ipoteca” della terra di Savuto, contratta nel 1717 da Alessandro d’Aquino Pico Caracciolo, duca di Celenza e conte di Martirano, in favore di Giovan Battista Le Piane. Un anno dopo, Le Piane acquista per 27.000 ducati la baronia di Savuto, limitatamente alle terre ricadenti nel versante destro della sponda del fiume, e il Regio Assenso dato al contratto di vendita viene annotato nell’anno 1718 nel registro 217 dei Quinternioni. Un passaggio importante per la nostra storia, perché le terre sulle quali sorgono i rispettivi centri abitati di Savuto e San Mango vengono divise, e ciò accade per la prima volta dopo secoli di unione amministrativa e feudale. Savuto resta un possedimento del barone Le Piane fino all’eversione della feudalità, e sotto quella signoria si verifica l’uccisione del Magnifico Francesco Vocaturo di Aiello, affittuario dello Stato di Savuto, un delitto consumato in data 6 dicembre 1758 proprio nel territorio di Savuto 174. I d’Aquino, invece, mantengono la concessione dei terreni feudali e la proprietà dei beni allodiali che si trovano sul versante a sinistra del fiume, e il nuovo casale di San Mango, staccato da Savuto, diventa un centro autonomo, Sul finire del Seicento la Chiesa possiede oltre due terzi della libera proprietà del Regno, mentre nel 1788, su 759.454 abitanti di Calabria Citra e Calabria Ultra, ben 599.603 sono soggetti alla giurisdizione feudale. Cfr. G. BRA SA CCHIO, Storia… cit., volume secondo, pp. 160, 463. 173 174 R. LIBERTI, Storia dello Stato di Aiello… cit., p. 177. 106 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO con organi amministrativi eletti secondo le leggi del tempo 175. Il 6 marzo 1717, alla presenza del vicario foraneo delegato dal vescovo di Tropea, viene benedetta a San Mango la statua di s. Tommaso (con alla base l’iscrizione Universitas Sancti M anghi), e il giorno dopo, domenica 7 marzo, viene celebrata la prima solenne processione del Santo per le vie del paese. Lasciata alle spalle la crisi demografica e diventata Università con un proprio Parlamento e una Parrocchia, San Mango riprende la sua marcia verso lo sviluppo. Nel 1705 il villaggio conta 628 abitanti, ma nel momento in cui l’attenzione dei d’Aquino viene meno e il territorio è concesso in godimento a diversi amministratori e procuratori locali, l’incremento demografico si ferma e il paese risente anche di condizioni climatiche avverse, che nei mesi di dicembre 1712 e gennaio 1713 provocano la morte di 73 persone. La prevalenza delle morti sulle nascite dura per tutto il 1713, e il periodo di difficoltà viene superato nel 1728, anno in cui riprende la crescita demografica. A partire dal 1713, molte famiglie di Savuto sono chiamate a fare da padrini nel battesimo di bambini nati a San Mango, e fra quelle famiglie troviamo Giuseppe Trozzolillo, Giovanni Scaramella, Margherita Moraca, Domenico Tedesco, Antonio Milito, Maurizio Senatore e Bartolomeo Baldascino, parroco. Nel 1745, a circa un secolo dalla fondazione, San Mango arriva a 927 abitanti, mentre Pietramala e Savuto, insieme, nel 1732 toccano il minimo storico degli ultimi tre secoli. Tra il 1747 e il 1767 altri abitanti di Pietramala, Aiello, Altilia, Martirano, Scigliano e persino Fiumefreddo decidono di vivere in San Mango, mentre Antonio Grimaldi di Savuto attraversa il fiume per portare il suo gregge nei pascoli delle terre sammanghesi. Nel 1764 il notaio Giuseppe Antonio Manfredi, sposato con Angelica Perri, fa battezzare il figlio Domenico Maria Rosario dal barone di Pietramala don Odoardo Giannuzzi, e lo stesso anno la popolazione di San Mango supera i mille abitanti. E i d’Aquino, per ubbidire al principio della conservazione dei beni di famiglia, continuano a contrarre matrimonio fra membri della stessa Casa. Giovanna Battista sposa prima Cesare d’Aquino principe di Pietralcina e poi Prima delle leggi napoleoniche, nelle Università meridionali l’organo principale era il Parlamento, assemblea di cittadini maschi d’età tra i 18 e i 65 anni, che deliberava sui principali problemi della vita cittadina. In alcune realtà il Parlamento era composto dai capifamiglia o addirittura da pochi membri in rappresentanza delle classi sociali presenti nella comunità. 175 DAGLI A SBURGO AI BORBONE 107 Luigi d’Aquino fratello del cardinale Carlo, ma Tommaso, figlio di Giovanna, non dedica alcuna cura alle terre in Calabria, occupato com’è a servire gli Spagnoli contro gli Austriaci, e arriva al punto di non prendere neppure l’intestazione degli stati feudali posti in Calabria Ultra. Quando gli Spagnoli si ritirano dal regno di Napoli e lasciano il trono agli imperiali di Vienna, Tommaso d’Aquino abbandona l’Italia e nel 1716 diventa Capitano Generale della Navarra. La guida dei feudi è assunta dal figlio Alessandro, nato nel 1689 a seguito del matrimonio con Fulvia, figlia del principe Alessandro Pico duca di Mirandola e di Anna Beatrice d’Este, principessa di Modena e Reggio. I tempi sono cambiati e le terre versano in uno stato di completo abbandono. Alessandro non effettua alcuna visita nei possedimenti feudali calabresi e alla sua morte, nel 1763, erede dei beni è Vincenza Maria d’Aquino Pico, figlia di un fratello di Alessandro. Nata nel 1734 da Rinaldo d’Aquino Principe di Feroleto e da Francesca Capecelatro, “ menò in Napoli vita brillante e gioconda nella splendida villa di Posillipo” , scrive Pellicano Castagna176. Nel corso della sua vita si reca solo due volte a Nicastro, la città sede di Camera Baronale che aveva svolto per molti anni il ruolo di centro nevralgico dello Stato feudale dei d’Aquino in Calabria. Come principessa di Castiglione, Vincenza aveva giurisdizione sulle seconde e terze cause, godeva del privilegio della zecca ed era titolare dei diritti di portulania. Era inoltre principessa di Feroleto, principessa di San Mango, contessa di Martorano, duchessa di Nicastro, Signora di Falerna, Sambiase, Zangarona, Serrastretta, Conflenti, Motta S. Lucia e Turboli. Nel 1749 sposa anche lei un parente in linea maschile, Landolfo d’Aquino, ma muore senza eredi l’8 ottobre 1799, e con lei si estingue la linea dei d’Aquino principi di Castiglione. Siamo alla fine del Settecento, un secolo di mutamenti economici, politici e sociali che hanno interessato tutte le terre allora conosciute. I vascelli inglesi sono entrati nella baia di Gibilterra e, assaltata la guarnigione spagnola a colpi di baionetta, hanno conquistato la piazzaforte, consolidando il predominio nel mare Mediterraneo. I Savoia sono diventati re di Sicilia e gli Asburgo d’Austria hanno occupato il regno di Napoli, dove regnano fino al 1734, per poi lasciare il trono ai 176 M. PELLICANO CA STA GNA , op. cit., p. 54. 108 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Borbone fino all’Unità d’Italia. A Napoli è creata la cattedra di Economia, e per la prima volta in Europa viene istituito un corso universitario dedicato all’insegnamento delle discipline economiche. In Calabria è fondato il collegio albanese di S. Adriano. Giacomo Casanova visita Martirano. La famiglia Amarelli fonda La Fabbrica di liquirizia a Rossano, e più a meridione sorge la Regia fonderia cannoni della città di Stilo, prima fabbrica statale di armi del Regno delle Due Sicilie, sostituita in seguito dal complesso siderurgico di Mongiana. Gli Olandesi hanno introdotto l’uso del cacao per confezionare le uova di Pasqua; a Parigi è stato aperto il primo ristorante della storia; Milano è la prima città italiana a illuminarsi con un sistema di lampade a olio sospese, e nello stesso tempo adotta la denominazione delle strade e la numerazione delle abitazioni. Benjamin Franklin in America costruisce il primo parafulmine e intuisce l’utilità dell’ora legale; un professore di Cambridge, John Michell, pubblica un saggio che anticipa la moderna teoria sui buchi neri, e nelle acque meridionali dell’Oceano Pacifico Christian Fletcher, secondo ufficiale del comandante William Bligh, durante il viaggio di ritorno si mette alla testa dei ribelli e guida l’ammutinamento del brigantino Bounty . La piccola era glaciale volge al termine, la laguna di Venezia è ancora completamente ghiacciata, la Gran Bretagna ha acquistato dagli indigeni africani la Sierra Leone, gli Inglesi sono sbarcati in Australia e la convenzione di Philadelphia ha approvato la Costituzione degli Stati Uniti, quando a Parigi un gruppo di insorti assalta la Bastiglia. Il re Luigi XVI chiede: «È una rivolta?». «No, sire, è una rivoluzione», gli rispondono, ed è la nascita di una nuova era. A Valmy, villaggio francese del dipartimento della Marna, un improvvisato esercito popolare tiene testa alle truppe organizzate dei generali prussiani, e i volontari di Marsiglia affrontano la battaglia cantando la Canzone dell’esercito del Reno, ribattezzata poi Marsigliese e diventata l’inno della Repubblica. Lo scrittore tedesco J. Wolfang Goethe, testimone oculare dalla parte della Prussia, dirà che la battaglia segna l’inizio di una nuova epoca nella storia del mondo. L’ETÀ CONTEMPORANEA P er tutto il XVIII secolo San Mango è un paese con una struttura economica e sociale in via di formazione, e la fine del Settecento delinea un centro storico composto da 315 case raggruppate in 13 rioni, con in più 74 magazzini e 14 trappeti. L’economia è basata prevalentemente sull’agricoltura (cereali, olio, vino e frutta secca), e nelle abitazioni si pratica l’allevamento del baco da seta. Nei libri degli arrendamenti, dove venivano annotate le estrazioni di notevole importanza, San Mango è registrata negli anni 1704, 1708, 1709 e 1714, assieme a Martirano e Castiglione. Gran parte del reddito, però, è assorbita dai privilegi feudali e dalla Mensa Vescovile di Tropea, che tra i terreni di pertinenza vanta le località Spolitretto, Catusi, Destre, Pietramone e Maletta, mentre il Fisco continua a far sentire il suo peso su tutte le famiglie. Per uno strano gioco della storia, Pietramala e Savuto, così come altri paesi della zona, perdono importanza a favore di centri di nuova fondazione. Anno Pietramala Savuto San Mango 1595 1.325 440 1669 1674 1705 685 280 1732 1745 380 250 307 628 927 1767 698 275 1.000 1794 1.164 348 1.579 A San Mango lo Stato delle Anime del 1794 registra 1.579 abitanti, di cui 243 coltivatori di terra, 46 mastri, 7 preti, 1 diacono e 2 chierici. Savuto, invece, scende a 348 abitanti e Pietramala a 1.164. Rispetto al 1561, e attribuendo a ogni fuoco il coefficiente di cinque unità, le due antiche comunità alla destra del fiume (Pietramala e Savuto) perdono circa mille abitanti, mentre San Mango, nei suoi primi 150 anni di vita, supera la soglia di 1.500 abitanti. Sul finire del secolo, lo Stato feudale dei d’Aquino risulta composto da 20 centri urbani con poco più di 29.000 abitanti. Sul Principato di Castiglione i d’Aquino si intestano la giurisdizione delle seconde cause, il privilegio della zecca e la riscossione dei diritti di portulania, e sulla Baronia di Motta si 110 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO intestano la giurisdizione delle prime e seconde cause civili, criminali e miste. La Principessa Vincenza d’Aquino Pico lascia la residenza di Posillipo e si reca in Calabria nel 1765 e nel 1790, mentre l’amministrazione dei feudi continua a essere affidata ad affittuari, procuratori e amministratori senza scrupoli. Il Palazzo baronale, che i d’Aquino hanno fatto costruire a San Mango accanto all’edificio della chiesa parrocchiale dedicata a S. Tommaso, è inabitabile e un inventario del 1761 attesta che il fabbricato si trova senza tegole, con le travi delle camere pericolanti e il magazzino scassato e con un muro aperto. Fra gli altri corpi urbani di Casa d’Aquino, nell’inventario figurano: il Molino sottano, funzionante, con una finestra da accomodare, tegole da rivoltare e mura screpolate; il Molino soprano, abitabile e funzionante, con mura cadenti da riparare; il Trappeto di acqua per fare olio, inutilizzabile; la Taverna con una camera bassa e una alta, con la stalla senza porta e mura screpolate . Per quanto riguarda Savuto, Liberti dice che nel 1758 il feudo è condotto in affitto da Francesco Vocaturo di Aiello, mentre presso l’archivio di Stato di Lamezia è conservato un contratto del 1780 tramite il quale la Principessa affitta i feudi calabresi a don Edoardo Fiore di Sambiase, per un canone di 13.000 ducati annui. Nel documento figurano i beni e i diritti feudali vantati su San Mango, che sono così elencati: Censi in contanti, censi nuovi, M astrodattia, Bagliva, Taverna, Erbagio di Fabiano, Fronda avanti li Molini, castagne del Pruno, A nnualità che corrisponde l’Università per li Forni, dalli due Molini in grano, dalle stime di Terraggi, dalli Vignali, dalle stime in Lupini, dalli due Trappeti, dalle foreste dette Vignali e Fabiano ; il tutto per un valore di oltre mille ducati. Nel 1783 il terremoto distrugge in San Mango il palazzo d’Aquino, rovina altre cinque case e provoca lesioni in un gran numero di abitazioni. Il colosso tettonico, avvertito dalla costiera amalfitana, dal Salento e dalla Sicilia, sconvolge tutto il versante tirrenico dell’Aspromonte, e dalla Piana di Gioia risale fino a Taverna. Con epicentro nella Calabria meridionale, le scosse si susseguono dal 5 febbraio al 28 marzo, ma investono marginalmente il versante cosentino. Danni lievi si verificano in quattro case e nel castello di Savuto, ma è negli uliveti e negli alberi da frutto che si registrano danni, per via del vento che causa la perdita di molte piante. In un sistema dominato da diritti proibitivi che vietano sia la costruzione di mulini, trappeti e forni sia la gestione di taverne e locande, alcuni feudatari si appropriano persino delle acque piovane e in San Mango sono messi in discussione gli usi civici. Grazie a quelle consuetudini, riconosciute fin dall’epoca di fondazione del L’ETÀ CONTEMPORANEA 111 villaggio, centinaia di contadini avevano tratto dalla terra sostentamento per se stessi e per le proprie famiglie. Limitare o negare gli usi civici significava togliere una fonte essenziale di soddisfazione dei bisogni a larghi settori della popolazione. Nonostante ciò, la Principessa consuma un ennesimo arbitrio ai danni della collettività: «… abusando del suo potere, obbliga fin da 1792 i Cittadini e i Massari di San Mango a chiedere come una grazia ciò che essi possedevano per diritto, cioè a dire accordava loro l’uso della colonia mercé il pagamento di tomoli Cinquanta di grano per ogni anno» 177. «Soverchiati così per tante vie pensarono i cittadini riunirsi come facevano allora in parlamento, e deliberarono di caricare al feudatario una parte dei tributi che pagavano essi soli. Nella formazione del Catasto quindi diedero la qualità burgensatica a quelle terre che realmente non erano che feudali. Ed ecco come le due foreste Vignali e Fabiano furono per una pressante necessità collocati tra i beni burgensatici che appartenevano alla Feudataria, col peso della bonatenenza in ducati 149». Anche Pietramala, dall’altro lato del fiume, continua a registrare insoluta la tassa di bonatenenza, che il barone deve versare all’Università per il possesso dei beni allodiali. “ Situata alle falde d’un monte, d’aria buona [… ] Un forte Castello [… ] I prodotti sono granj, legumi, frutti, vini, olj, e gelsi per seta” : così nel 1795 descrive Pietramala l’abate Francesco Sacco, il quale estende la descrizione a Savuto: “ Situato in luogo eminente, d’ aria buona [… ] che si appartiene in Feudo alla Famiglia Lepiane [… ] granj, frutti, vini, olj e ghiande” . Nel frattempo una banda di briganti tormenta i feudi dei d’Aquino, arrivando a saccheggiare Martirano nel 1797. L’8 ottobre 1799 Vincenzina muore senza eredi. I beni feudali sono conferiti al Regio Demanio per difetto di linea e i titoli nobiliari sono dichiarati estinti. Fra le terre incorporate troviamo Castiglione, Falerna, San Mango, Martirano, Conflenti, Motta S. Lucia, Nicastro, Sambiase, Zangarona, Feroleto e Serrastretta. I beni burgensatici, invece, passano per testamento ai lontani congiunti Monforte, Duchi di Laurito, i quali da quel momento si firmeranno con il cognome Monforte d’Aquino Pico. Dallo stesso documento risulta che la feudataria non pagò mai la tassa di bonatenenza prevista nell’accordo fatto con i cittadini, nonostante la Regia Camera della Sommaria le avesse intimato di versare gli arretrati. 177 112 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Nella confusione amministrativa dell’epoca, però, molte terre di pertinenza feudale del villaggio di Santo M ango sono incluse nel testamento a favore di Filippo Monforte, nipote del vescovo di Tropea, e da quella successione nasce un contenzioso che si trascina per lunghi anni, fino alla prima metà dell’Ottocento, e che provoca nel paese lutti e rovine. Le terre in questione sono Fabiano e Vignali, terre feudali che, come appena detto, i cittadini di San Mango avevano affidato alla Principessa perché incapaci di pagare le tasse. «S. Mango non ha che un ristrettissimo territorio. All’infuori di pochi beni che appartengono a privati Cittadini, il resto delle terre erano colpite dal privilegio feudale: il che importa ch’era esente dal peso de’ pubblici tributi, i quali gravitavano per conseguenza sul misero Comune travagliato perciò ogni anno dalle vessazioni fiscali e dalle così dette Soprascatole, che finivano per desolarlo». La miseria alimenta i fenomeni criminali e lo Stato delle Anime redatto nel 1804 dal parroco Gimigliano di San Mango annota come carcerati Antonio Maria Cicco, Bruno Ianni, Angelo Cicco, Cesare Berardelli e Saverio Notarianni, ma già nel 1803 Gaspare Moraca muore forzato della Darsena, e negli anni successivi muoiono Gabriele Torquato nelle carceri di Nicastro, Carmine Costanzo nelle prigioni di Cosenza e Giuseppe Bonacci nel Bagno di Procida. L’arrivo dei soldati di Napoleone trova una Calabria conosciuta soltanto per i terremoti e per la presenza dei fuorilegge, e i visitatori che si recano nella regione rimangono delusi e colpiti dalle penose condizioni in cui versa la popolazione. Il quadro che fornisce Umberto Caldora è desolante. Paesi irregolari nella topografia; case di calce e creta che non rispondono a nessun principio igienico o di comodità; presenza di animali domestici nelle abitazioni; acque stagnanti che diffondono malaria. Strade e ponti inesistenti e unico collegamento con Napoli attraverso una strada che diventa carrozzabile solo da Lagonegro in poi. Abiti semplici e grossolani. Farina di granturco, castagne, avena e lupini usata per la panificazione; il popolo basso che consuma carne solo in occasione delle feste religiose e nel Carnevale. Pochi ospedali e scarsa disponibilità di posti; carceri oscure e umide; sepolcri nelle chiese trascurati e a rischio epidemie. Terreni più vasti e fertili in mano a baroni e ordini religiosi. Vita municipale in balìa dello strapotere, degli abusi e L’ETÀ CONTEMPORANEA 113 delle violenze dei signori feudali; contadini alla ricerca di terre da lavorare178. La lavorazione dei campi viene eseguita con l’aratro di forma assai rozza e una testimonianza dell’epoca ci riferisce che: «…gli abitanti de’ vicini Comuni di Serra, Pietramala e Savutello […] nel far le maggesi poco o nulla usano la zappa, ma in vece l’aratro, che per altro, bisogna pur confessarlo, è tale quale era quello di cui si servivano i nostri primi padri; e mentre tutte le cose del mondo han progredito nello immegliamento, questo ne’ nostri luoghi, è rimasto sventuratamente lo stesso» 179. Si tratta, conclude Caldora, di una società avvilita, delusa, scettica ed esasperata, soprattutto male educata. La Repubblica Partenopea aveva tentato riforme economiche e sociali, ma appena l’esercito francese avevano allentato la presa, impegnato a Settentrione contro le forze austriache e russe di Suvarov, la giovane istituzione era crollata sotto i colpi di una reazione sostenuta da nobili, popolazioni urbane e rurali e maggioranza del clero. «Pietramala – ricorda Turchi – democratizzata da Giuseppe Antonio Simari e da Antonio, Andrea, Carmine e dal sacerdote don Nicola, tutti della famiglia Tartaro, ritornò a essere borboniana per opera della famiglia GiannuzziSavelli» 180. E più in generale, Vincenzo Segreti osserva: «L’ostilità delle masse verso questo governo democratico, che auspicava un mutamento radicale della società in senso moderno e progressista, dipese dal fatto che i ceti meno abbienti, per natura diffidenti nei confronti dei sovvertitori dell’ordine costituito […] non furono in grado di valutare l’enorme importanza delle novità portate dai Francesi come la libertà di pensiero, la parità dei diritti e dei doveri di fronte alla legge o l’accesso alle carriere pubbliche indipendentemente dalla nascita, apprezzate da pochi intellettuali e borghesi illuminati» 181. E lo stesso assedio di Amantea del 1806 da parte delle truppe francesi, ritenuto spesso un esempio di eroismo e di patriottismo, è inserito in quel contesto, tanto che Segreti, assieme a Roberto Musì, precisa: 178 U. CALDORA, Calabria napoleonica (1806-1815) , Cosenza, Brenner, 1960. 179 L. DI LAURO, Cenni statistici della città di Amantea, Napoli 1856, p. 14. G. TURCHI, Giacobini e sanfedisti nei circondari di Amantea, Fiumefreddo e Paola, « Calabria Letteraria», A nno LV, Numero 4/ 6, giugno 2007. 180 181 V . SEGRETI, Movimento rivoluzionario e reazione sanfedista in A mantea (1799-1807) , « Calabria Letteraria» , A nno XXIX, Numero 4/ 6, giugno 1981. 114 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO «Variamente giudicato, l’episodio dell’assedio si caratterizza innanzitutto per quel suo aspetto ribellistico tipico delle popolazioni meridionali verso lo straniero, visto quest’ultimo come attentatore alle proprie municipali istituzioni e ai suoi privilegi…» 182. Le ultime intestazioni feudali assegnano Savuto al barone Pietrantonio Le Piane e Pietramala al barone Domenico Giannuzzi Savelli, mentre Maria Beatrice d’Este Cybo, moglie dell’Arciduca d’Austria Ferdinando d’Asburgo, è l’ultima intestataria di Aiello, la città che durante il regno aragonese e nella prima parte del viceregno spagnolo ha esercitato il dominio anche su Pietramala e su Savuto. La legge del 2 agosto 1806 sopprime la feudalità, toglie ai baroni i diritti giurisdizionali e proibitivi e affida i beni dei feudi ai Comuni. I commissari ripartitori trovano il feudo di San Mango conteso tra i Monforte, eredi dei d’Aquino Pico, e il Comune, entità territoriale istituita dal governo francese con decreto del 1811, amministrata da un Decurionato e chiamata a sostituire il vecchio Parlamento delle Università. A ripartizione avvenuta, il comune di San Mango risulta senza demani da dividere, mentre a Savuto sono assegnate 351 moggia di terreno per un valore di ducati 7.700 e a Pietramala 89 moggia per ducati 1.780183. L’abitato di Savuto diventa frazione di Pietramala ed entra nel Governo di Rogliano. Nel 1811 Pietramala viene aggregata al Circondario di Aiello, mentre San Mango è assegnata al Circondario di Martirano, ed entrambi i Circondari fanno parte del Distretto di Paola, provincia di Calabria Citeriore. L’albero da frutto è entrato prepotentemente nel sistema agrario tanto da modificare il paesaggio, e nel corso del Settecento un’altra pianta si diffonde in Calabria soppiantando progressivamente i gelseti abbattuti con l’accetta. Si tratta dell’olivo, impiantato massicciamente per soddisfare una più accentuata richiesta alimentare, ma anche per disporre di lubrificante da fornire alle macchine inglesi impiegate nell’industria, e per rifornire di materia grassa i saponifici francesi dove veniva confezionato il sapone di Marsiglia184. L’olio finisce per rappresentare una delle voci più importanti delle V. SEGRETI, R. MUSÌ, Amantea dalle origini all’assedio napoleonico , « Calabria Letteraria» , A nno XXIV, Numero 7/ 9, settembre 1976. 182 183 Archivio di Stato di Napoli, Interno II, Aff. Dem., f. 64 e f. 67. La pianta d’olivo era stata portata in Italia, nella Francia meridionale e sulla costa africana intorno al 600 a.C., per opera dei mercanti fenici, e poi la coltura si era sviluppata durante la colonizzazione della Magna Grecia. 184 L’ETÀ CONTEMPORANEA 115 esportazioni calabresi, tanto che la sua produzione, nella seconda metà del secolo, arriva a superare quella pugliese, ma quando Grimaldi propone l’introduzione del torchio a due viti per migliorare la qualità, sono ancora forti le abitudini dei contadini a non potare l’olivo, convinti che la potatura rovini le piante e ne impedisca la crescita185. La situazione economica e sociale dell’epoca viene descritta dalle Statistiche Murattiane del 1812 e, per quanto riguarda i paesi che orbitano attorno alla valle del Savuto, risulta che le acque di cui si fa uso nel Circondario di Aiello contengono stalattite e terra argillosa, ostruiscono le viscere e contrariano di molto la digestione; in Savuto sono pregne di terra calcarea, amare per conseguenza e più dannose. Inoltre, una salma d’olio, composta di rotoli cento sessanta, in Pietramala, Savuto e San Mango si vende per quindici ducati, contro gli undici delle altre zone, e questo perché nei comuni sopra menzionati si trovano grandi oliveti che producono olio buono. Dalle relazioni non emergono particolari situazioni di criticità, che sono presenti, invece in altri comuni della provincia, dove le acque utilizzate per la lavorazione del cuoio a Scigliano, delle piante tigliose a Grimaldi, Altilia e Maione, per la macerazione dei lini e delle ginestre nel Circondario di Amantea, rendono l’aria imperfetta e, in alcuni casi, irrespirabile; mentre il Circondario di Amantea risulta invaso da cani rabbiosi ed edifici cadenti. Le condizioni di vita sono influenzate negativamente dalla siccità che interessa le terre di Pietramala e Savuto nel 1814, un fenomeno che provoca una tremenda carestia, e nell’Archivio di Stato di Cosenza è conservato un documento del sindaco di Pietramala e Savuto, dove si legge: «La popolazione di giorno in giorno perisce di fame e la ragione n’è stata la mancanza dell’acqua che per il corso di otto mesi all’anno scorso ne siamo stati privi: per conseguenza né accaduto di essersi disertati tutti i generi, tanto quelli di prima necessità, quanto quelli di seconda, per cui queste due popolazioni sono al presente ridotte ad una estremità di penuria inconsiderabile, non esclusi a questa classe i migliori proprietari. Le olive, fichi, grano, granone e altri generi per ombra non ne han prodotto cosicchè questi naturali, sin dalla nuova raccolta dell’anno passato, sono andati sbattendo per vettovaglie per la propria sussistenza ma la ragione della vera penuria accaderà nei mesi seguenti, cioè Aprile, Maggio e Giugno non ritrovando mezzo alcuno, ed è 185 A. ORLANDO, A. CARIO, op. cit., p. 93-94. 116 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO sicuro che in questo tempo perivano dalla fame e di vantaggio mi do l’onore farvi conoscere che oltre la penuria che si soffrirà per l’avvenire mediante l’erbe selvatiche, che si vanno a nutrire, le forze degli uomini che vanno a mancare, nella raccolta dei primi frutti ve ne moriranno di qualche epidemia, restandone alcuno, che della fame non perirà» 186. Per tutto l’Ottocento la Calabria è colpita da carestie. Aree montane, zone collinari e litorali non si salvano dalla tragedia che coinvolge città, paesi e campagna. A parte la debolezza dell’economia, le cause del sottosviluppo continuano a essere l’arretratezza delle tecniche di coltivazione, le inondazioni, la malaria, le forti piogge e le grandinate invernali, la siccità dei mesi estivi, le tempeste di vento, le epidemie che impediscono le comunicazioni, la presenza di briganti che ostacolano il lavoro dei contadini nei campi, le requisizioni di soldati e di gendarmi intervenuti per ristabilire l’ordine pubblico. Una testimonianza notarile di fine Settecento attesta che “ moltissimi individui di A iello e Terrati si sono totalmente estenuati dalla fame, che sono arrivati a vivere, con far uso delli fiori delle fichi crude” . Mentre “ ne’ luoghi montuosi e specialmente ne’ circondari di Celico, Spezzano, A prigliano, Rogliano, Scigliano e Carpanzano” , agli inizi dell’Ottocento, il pane è “ … tutto di farina di castagne, o pur di segala” . Negli altri centri della provincia di Calabria Citra “ vien fatto colla farina del frumentone, e si può dire che appena in Cosenza, Rossano, Corigliano e Cassano sia di frumento” 187. Nel 1813 troviamo scritto che gli abitanti di Scigliano “ a bocca aperta cercavano pane e non lo trovavano né da comprare né da limosinare” . Nel 1858 i fittuari dei terreni seminativi di diversi paesi, fra i quali Pietramala, “ per la mancanza totale di ricolto, non hanno potuto perfino soddisfare i loro obblighi di terraggera e poiché non hanno i mezzi per acquistare grano per la futura semina sarebbero rimasti delusi nella speranza di rinfrancarsi nel seguente anno dei danni patiti la scorsa stagione” 188. Nei dieci anni di governo napoleonico gran parte della popolazione calabrese si mostra ostile nei confronti delle truppe di occupazione e, dopo la vittoria dell’esercito inglese nella battaglia di Maida del 4 luglio 1806, l’insurrezione contro i Francesi diventa sollevazione di massa. 186 G. SOLE, Santi, grani e carestie nella Calabria Citeriore dell’ 800, « Daedalus» , 5/ 1990, p. 99. 187 P. MORETTI, op. cit., p. 49. 188 G. SOLE, La fame nera. Le carestie nella Calabria dell’ 800 , in V. TETI (a cura di), M angiare M editerraneo, Catanzaro, A bramo editore, 2002, p. 170. L’ETÀ CONTEMPORANEA 117 Soldati francesi, provenienti da Martirano, giungono a San Mango scendendo il fiume Savuto e, attraverso la via della Serra, si portano a Nocera, dove disperdono i ribelli. San Mango diventa centro di smistamento per vettovaglie e materiali logistici necessari alle truppe di stanza nel circondario. Come spesso succede nelle grandi fasi di cambiamento, gli interessi personali finiscono per mescolarsi con interessi comuni, e quando scoppia la rivolta, fuorilegge e carcerati usciti dalle prigioni si uniscono ai ribelli e si mettono a consumare furti, saccheggi e omicidi per rapina; i francesi finiscono per associare i ribelli ai delinquenti comuni e alla fine tutti gli insorti sono definiti briganti. Nel frattempo, molti calabresi attraversano lo Stretto e si rifugiano in Sicilia, posta sotto la protezione inglese, e il fenomeno alimenta un discreto movimento migratorio. Nella zona insorge Aiello e un manipolo di facinorosi provenienti dai casali vicini si abbandona al saccheggio della città. Nel mese di settembre del 1806 il brigante Geniale Janni, contadino di Cannavali, e il capomassa borbonico Raffaele Perciavalle di Terrati, assaltano le case dei Solimena189, favorevoli ai Francesi, disturbano le donne e sequestrano diversi membri della famiglia, alcuni dei quali tornano liberi dietro pagamento del riscatto. Il 3 gennaio 1807 Giovanni Cuglietta è ucciso dai soldati francesi nei pressi di Savuto, e pochi giorni dopo cadono fucilati Gio. Guccio e Saverio Palmieri. Per fronteggiare le molestie alle quali è sottoposta la truppa francese, il 10 gennaio 1807 il colonnello Goglié occupa il villaggio dei Cannavali e ordina di mettere la case a sacco e fuoco. Poche settimane dopo, il 14 aprile, sempre a Savuto muore assassinato il parroco Ferdinando Cicero, e l’uccisione desta viva impressione nella zona. Con sentenza del 1807 la Commissione Militare condanna a morte Domenico Antonio Milito, arciprete di Pietramala, accusato di aver incitato alla rivolta spingendo i concittadini a seguire suo fratello come capomassa. Lo stesso anno una condanna a cinque anni di ferri viene pronunciata a carico di Carmine Arlotti di 27 anni, sempre di Pietramala, calzolaio, accusato di aver partecipato alla rivolta, di essersi posto armato al seguito del capobrigante Paolo Gualtieri, di saccheggio e di essersi unito ai briganti di Amantea190. L’esponente più autorevole della famiglia era Filippo Solimena, che fu Governatore e Giudice a Lago e a Nocera e poi Regio Luo gotenente nel Circondario di Paola. 189 190 R. GUÊZ E, R. GUARA SCI, A. R. ROVELLA , La rivolta anti-francese delle Calabria (1806-1813) , Cosenza, Editoriale Progetto 2000, 1990. 118 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Nel 1808 a Cannavali muoiono uccisi Lorenzo Caputo e Antonio Serra, mentre a Savuto muore fucilato Vincenzo Guercio. Narra Liberti che nel 1809 viene trovato ucciso nei valloni di Savuto un certo Raffaele Perri, rapito nottetempo dalla sua torre nella stragolera, mentre continuano le fucilazioni da parte dei soldati francesi, e come luogo di esecuzione viene scelta la porta del Monastero dei Frati Minori Osservanti, sorto alle spalle del Castello di Aiello 191. Nel 1812 la Corte Speciale condanna a morte con infamia Andrea Catroppa di 27 anni, bracciale, Gabriele Cicco di 25 anni, bracciale, e Giacinto Janni di 28 anni, bracciale, tutti di San Mango, accusati di essersi ridati più volte al brigantaggio dopo l’indulto, oltre che di altri reati comuni. Una spirale di odio e di violenza che la partenza dei Francesi non arresta, e quando i Borbone tornano a Napoli gli episodi continuano, alimentati sia dalla delinquenza comune che dal risentimento verso i proprietari terrieri, che approfittano di ogni occasione per accrescere il loro patrimonio. È il caso di San Mango, dove un gruppo di cittadini si ribella contro Giovan Battista De Gattis, prima ufficiale di Napoleone e poi comandante borbonico, un illustre signore di Martirano entrato in possesso di beni di origine feudale, sottratti alle competenze del Demanio, con conseguente limitazione degli usi civici praticati dai cittadini. Un’operazione avvenuta grazie anche alla complicità di alcuni Decurioni locali. Gli agenti ripartitori Ricciardi e Arena avevano dichiarato di natura burgensatica l’ex feudo di San Mango, con il Molino e le due foreste Fabiano e Vignali, e avevano considerato di natura feudale la sola Montagna del Pruno, detta di Savuto. In virtù di quella dichiarazione, il De Gattis acquista dal duca Filippo Leopoldo Monforte le foreste Vignali e Fabiano, e nell’atto è inclusa anche la Montagna del Pruno, la quale, pur riconosciuta di origine feudale, è fatta passare come un terreno sterile e senza rendita; il prezzo della compravendita è fissato in 6.000 ducati, contro un valore di mercato di 20.000 ducati. Il Comune si oppone all’istrumento di vendita, ma De Gattis minaccia i cittadini e nel mese di luglio del 1820 il sindaco e il parroco inviano un ricorso al Direttore della Polizia Generale; il Giudice Istruttore di Nicastro accerterà l’esistenza delle calunnie subite dagli individui di San Mango, ma nel frattempo l’Intendenza di Catanzaro emette una decisione sfavorevole agli 191 R. LIBERTI, Ajello Calabro… cit., p. 74-77. L’ETÀ CONTEMPORANEA 119 interessi del Comune. I cittadini di San Mango, la notte del 21 agosto 1820, si mettono in marcia verso la foresta Vignali, uccidono gli animali e rubano il lino conservato nei magazzini. Una settimana dopo il gruppo si arma e parte alla volta di Martirano, dove assale e devasta la casa del De Gattis, il quale continua ad angariare la popolazione192. Sfruttando abilmente i moti carbonari del 1820, e ottenuta la complicità di Francesco Nicola de Mattheis, Intendente di Calabria Citra nominato il 12 settembre 1821, De Gattis elabora un piano per neutralizzare gli avversari, e a tal fine inventa una cospirazione ai danni della monarchia193. La setta, alla quale viene dato il nome di Cavalieri Europei riformati, deve poter dimostrare l’esistenza di una “ Cospirazion generale per la distruzion delle Monarchie e di tutte le Famiglie regnanti di Europa” . E le sedi principali della sollevazione “ si eran da de Mattheis fissate in Cosenza, Catanzaro, e S. Mango” . Forte del suo potere economico e politico, De Gattis convince alcune persone a denunciare la congiura. L’8 luglio 1822 de Mattheis scrive al Ministro Segretario di Stato della Polizia Generale e dice che “ nuovi piani di segrete combriccole e di criminose cospirazioni si ordivano da’ settarii, e fra gli altri da quelli di S. M ango che più si distinsero nell’epoca del novilunio” . E a San Mango scattano gli arresti, eseguiti personalmente da De Gattis, in qualità di ufficiale dell’esercito borbonico. Il parroco don Giuseppe Antonio Ferrari annota nei Registri parrocchiali: “ oggi 24 novembre 1822 il mio arresto” . I mezzi usati per seminare il terrore, raccogliere prove e rendere la congiura credibile agli occhi del governo napoletano sono tra i più violenti. In un rapporto inviato il 3 marzo 1823 dal tenente colonnello Wöber al Generale in Capo Barone di Frimont leggiamo: «Vecchi, donne, ragazzi ritenuti come ostaggi pe’ loro parenti fuggiaschi, son duramente maltrattati, e battuti senz’alcun riguardo; delle bastonate sulle piante de’ piedi non sono rare come si dice. I torchi de’ pollici si applicano in una maniera diabolica […] Degli atti di disperazione individuale sono 192 F. ROCCA, Gli interessi privati alla base della « cospirazione» carbonara di San Mango nel 1822 , « Storicittà», Rivista d’altri tempi, A nno XI, n. 108/ 2002, Lamezia Terme (Cz). La Carboneria, fondata per scopi umanitari da un monaco francese verso il Mille, diventa setta politica nel Cinquecento e giunge in Italia sotto il dominio francese. La prima Loggia in Calabria sorge nel 1811 in Altilia (Cs), luogo di nascita di Vincenzo Federici, detto Capobianco, capo della Carboneria impiccato a Cosenza nel 1813 perché considerato colpevole di insurrezione contro i Francesi. 193 120 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO inevitabili. Delle famiglie intere emigrano da Rogliano, Marsi, Conflenti, Martirano, Altilia e S. Mango, ne’ quali luoghi l’inquisizione dell’Intendente è la più attiva, per isfuggire alla ignominia, ed a’ martirii della tortura. Gli sfortunati fuggiaschi si trovano nelle montagne esposti alle intemperie, alla miseria, alla fame, alle persecuzioni, ed al tradimento». San Mango ricadeva, allora, nella Calabria Ulteriore seconda, mentre de Mattheis era intendente della Calabria Citeriore. Richiesto e ottenuto il potere istruttorio per entrambe le provincie, l’Intendente spedisce gli arrestati alla Commissione Militare di Catanzaro, dove sono giudicati con l’accusa di essere colpevoli di attentato, e cospirazione commessa colla qualità di Settarj, per l’oggetto di distruggere, o cambiare il Governo di S. M., ed eccitare i sudditi, e gli abitanti del Regno ad armarsi contro l’A utorità Reale. In pochi giorni, dal 17 al 24 marzo 1823 (Lunedì Santo) la Commissione Militare condanna a morte Francesco Monaco (proprietario di Dipignano), Giacinto De Iesse e Luigi de Pascale (proprietari di Catanzaro); al terzo grado dei ferri con pene variabili dai 19 ai 24 anni, Raffaele Rende (sarto di Catanzaro), e poi i cittadini di San Mango: Gaspare Sposato (sacerdote), Antonio Angotti (sacerdote), Giuseppe Antonio Ferrara (parroco), Alessio Berardelli (proprietario), Rosario Berardelli (massaro), Carmine Muraca (armiere), e i fratelli Domenico (bracciale), Antonio (falegname) e Francesco Berardelli (falegname). Nelle conclusioni pronunciate innanzi alla Corte Suprema di Giustizia, riunita a Napoli il 30/ 6 e l’1/ 7/ 1830, ecco come l’avvocato generale Giuseppe Celentano riassume la vicenda: «D. Giambattista de Gattis di Martirano, Comune limitrofo a quello di Sanmango, appartenenti entrambi alla provincia della Seconda Calabria Ulteriore, dal 1813 avea contratta una inimicizia capitale contro de’ Sanmanghesi, perché questi sostenean per sé l’esercizio di taluni diritti su’ beni del Duca di Laurito posti nel territorio del lor Comune, e dal Duca venduti al de Gattis. Accanito litigio sin da quell’epoca erasi acceso fra gli uni e l’altro, litigio che tuttavia pende indeciso presso la Gran Corte de’ Conti: De Gattis abilissimo e potente sott’ogni rapporto non lasciò mezzo intentato per trionfar de’ suoi contendenti, e conoscendo la povertà del Comune di Sanmango si augurava facile trionfo: ma riunitisi i galantuomini di Sanmango per sostener le ragioni del proprio Comune, fu allora, che de Gattis imprese a perseguitargli in materia di Stato…». Ed ecco come lo stesso Celentano presenta de Gattis: «… nemico capitale e persecutore implacabile de’ naturali del limitrofo L’ETÀ CONTEMPORANEA 121 Comune di S. Mango per accanito litigio dal 1813, non ancora terminato; sempre garantito da potenti protezioni; carico di reati rimasti per lui sempre impuniti; avente sempre a sua disposizione un gran numero di malvagi; e che ognor vantavasi di poter egli solo realizzar l’impossibile». In quell’occasione, diversi cittadini di San Mango si recano a Napoli per fornire testimonianza sulla violenza e sulle prepotenze subite, ma la Corte si mostra clemente. L’Intendente di Cosenza de Mattheis è condannato a dieci anni di relegazione, De Gattis è inviato al tribunale correzionale e pene di lieve entità sono comminate ad altri imputati. Qualche anno dopo, un decreto reale di amnistia manda definitivamente liberi i colpevoli194. Il 25 ottobre 1831 il parroco Ferrari torna dalla prigione e riprende in mano la cura delle anime della sua parrocchia, ma il clima di pesante oppressione e di paura in cui è caduto il paese a seguito della sentenza del 1823 contribuisce a rendere più drammatiche le condizioni di vita della popolazione. I cittadini si lasciano andare verso una spirale di odio, risentimenti e vendetta, e nel 1828 Valente scrive: «Il paese diventa teatro di una delle più sanguinose lotte di fazione in Calabria, che vede contrapposte fino allo sterminio le famiglie Moraca e Torquato, per cui il luogo è sottoposto ad occupazione militare». Anche nel circondario si susseguono gli episodi di violenza. Nel 1824 è ucciso, nel territorio di Pietramala, Antonio Forano di 21 anni, oriundo di Savuto, mentre nel territorio di San Mango muoiono periti per morte violenta Giovanni Torquato e Angelo Perri nel 1815, Aloisio Manfredi nel 1821, Michele Orlando (implicato nelle trame di De Gattis come falso testimone) nel 1823, Francesco Saverio Moraca (medico, uscito assolto dal processo presso la Commissione Militare di Catanzaro) nel 1825. Il giorno di Natale del 1825, sempre a San Mango, è ucciso il sacerdote Tommaso Adamo, mentre Giuseppe Putaro e Filippo Vena, di Savuto, sono prigionieri nel castello di Aiello, dove muoiono nel 1832 e nel 1835. La disfatta dei Francesi a Waterloo e il ritorno dei Borbone a Napoli trovano una Calabria in uscita dal plurisecolare isolamento. Le energie migliori si sono liberate e nessun altro futuro governo sarà più in grado di neutralizzarle. «Durante il Decennio napoleonico, notevoli furono gli echi dell’attività riformatrice del governo, in tutti i settori della vita associata della Calabria, in particolar modo a livello di pubblica amministrazione e di rappresentanza 194 L. MA RSICO, Fatti ed uomini di Catanzaro, Catanzaro, Tipografia l’A rdita, 1965, p. 66. 122 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO politica», scrive Placanica, e tutto ciò nonostante la durezza dell’occupazione militare francese e nonostante le offese all’onore familiare, l’arroganza delle perquisizioni, la sufficienza in nome di una presunta cultura superiore che aveva in dispregio riti, fede e consuetudini d’antico regime195. «Cadde Murat nel 1815; ma non seco leggi, usi, opinioni, speranze impresse nel popolo per dieci anni», scriverà qualche anno dopo Pietro Colletta196. Nel 1816 il comune di San Mango è staccato dalla provincia di Cosenza e assegnato a quella di Catanzaro (Calabria Ultra Seconda), di nuova istituzione. Pietramala, con la frazione di Savuto, resta, invece, nella provincia di Calabria Citeriore. Nondimeno, gli scambi commerciali, i rapporti di amicizia e le relazioni di parentela tra la gente che popola le sponde opposte del fiume continuano a svolgersi come nel passato. A San Mango nel 1832 muore Bruno Ferraro, oriundo di Savuto e marito di Maria Ruperto. Nel 1843 cessa di vivere per morte violenta Giovanni Pagliuso, di Pietramala, marito di Angela Cicco. Nel 1844 muore Raffaele Pagliuso, oriundo dei Cannavali e marito di Maria Caputo. Lo stesso anno don Saverio de Agostino, reverendo arciprete e parroco del comune di Pietramala, viene sepolto nella chiesa parrocchiale di San Mango; e nel 1850 muore Domenico D’Alessio, figlio di Vincenzo e di Maria Longo di Savuto. Nel 1832 San Mango passa dal Circondario di Martirano a quello di Nocera, e la ripartizione territoriale civile viene adeguata a quella religiosa, visto che la Parrocchia si trova aggregata alla Forania di Nocera assieme alle chiese di Castiglione e Falerna. Nel 1827 si era registrato il tentativo d’introdurre una diversa ripartizione religiosa del territorio, ma l’accorpamento delle Chiese dell’antica diocesi di Amantea a quella di Tropea è confermato, e la decisione presa all’epoca normanna resterà in vigore fino al 1964. Mons. Mariano Bianco, appena promosso vescovo di Nicotera e Tropea, aveva inviato una nota al Re, ma la risposta del Ministero della R. Segreteria di Stato per gli Affari Ecclesiastici di Napoli era stata perentoria: «Ho fatto presente al Re la supplica di V. S. Ill.ma, con cui assumendo di essere inconveniente che alla di Lei diocesi, la quale comprende due Cattedrali, cioè Nicotera e Tropea, sia unita l’altra antica e soppressa diocesi chiamata Amantea, ch’è disgiunta sensibilmente da Tropea e comprende una ben 195 A. PLA CA NICA , op. cit., pp. 244-254. 196 P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, Milano, Rizzoli, 1967, p. 701. L’ETÀ CONTEMPORANEA 123 numerosa popolazione, ha implorato che la medesima soppressa diocesi venisse dismembrata dalle su indicate Chiese ed aggregata a quella di Nicastro, con cui confina; e la M. S. nel Consiglio Ordinario di Stato del 3 corrente mese, avendo avuta presente la pianta topografica dell’attuale diocesi di Nicotera e Tropea, non si è degnata di annuire al dismembramento richiesto. Nel Real nome lo partecipo a V. S. Ill.ma e Rev.ma per Sua intelligenza e regolamento. Napoli, 26 maggio 1827. Il marchese Tommasi» 197. Nel 1837 un’epidemia di colera colpisce violentemente Napoli e raggiunge la Calabria. Cittadini provenienti dai comuni albanesi della provincia cosentina alimentano una sommossa e nel capoluogo si raccolgono uomini e munizioni. San Mango rimane estranea al morbo e nei registri parrocchiali il parroco annota:” in questo comune di S. Mango sino a oggi 27 luglio 1843 non si è sofferto tale attacco per grazia di Dio” . Nei cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili, e prelatizie del regno delle Due Sicilie, pubblicati dall’abate Vincenzio d’Avino nel 1848, leggiamo: «Pietramala s’innalza sopra una rocca a pendìo, a 3 miglia dal mare e 5 da Amantea. Il suo territorio sarebbe fertile; ma gli abitatori, benché 1.164 nel 1794, e 1.300 adesso, non ne traggono profitto, a causa di loro indigenza […] Ha le chiese dell’Assunta, parrocchiale, e le semplici della Grazia, del Rosario, e della Concezione, ed ha pure la confraternita del Rosario. Prima del 1809 aveva il monistero di S. Francesco di conventuali». «Savuto poi sta sopra un colle, e dista miglia 5 dal mare, e 8 da Amantea. Apparteneva in feudo ai Sersali ai tempi del re Carlo I, ed era baronia dei Lepiane all’epoca di Aceti e di Sacco. Savuto figura adesso da villaggio di 498 abitanti nella maggior parte bisognosi, e nel 1794 il suo popolo arrivava appena a 348. La parrocchia è sacra all’Assunta, e le chiese filiali sono: Rosario, S. M. della Neve, S. Tommaso d’Aquino, S. M. del Carmine e Soccorso». «Sammango per ultimo si offre in luogo piano, ove il clima è mediocre, alla sinistra sponda del Savuto. Sono le sue case qua e là disperse, e gli abitanti industriosi. È questo un edifizio dei principi di Castiglione, i quali, avendo nel 1591 ottenuto dal fisco quel ristretto, ed ora fertilissimo territorio, lo popolarono con gli abitatori dei convicini villaggi, dandogli il nome di Maurello prima e di Sammango poi. L’Aceti dice eretto Sammango nel 1640 in territorio di Savuto: forse voleva dire, che nel 1640 si compì la fabbrica del villaggio. Decorati del titolo di principi di Sammango fin dal 1623, gli Aquini nel 1648 vi 197 D. TA CCONE GA LLUCCI, Regesti dei Romani Pontefici per le Chiese della Calabria, Roma, Tipografia Vaticana, 1902, p. 375. 124 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO fondarono la Chiesa curata di S. Tommaso, che al presente amministra 2.284 fedeli, tenendo nel suo grembo la chiesa ricettizia colla confraternita di S. Giuseppe, e quella di S. Maria, detta della Buda». Le memorie sulla chiesa tropeana pubblicate dal conte Capialbi nel 1852 ci dicono che Pietramala conta la parrocchia dell’Assunta, la confraternita del Rosario e due chiese filiali; Savuto la parrocchia dell’Assunta e alcune chiese filiali; San Mango la parrocchia di S. Tommaso d’Aquino e la confraternita di S. Giuseppe. Pietramala e Savuto appartengono al circondario di Aiello e contano 1.703 anime, mentre San Mango, aggregato al circondario di Nocera, conta 2.201 anime. Ma a San Mango malumori, tensioni, ribellioni, usurpazioni di terre demaniali, limitazione di usi civici, arricchimenti illeciti, arresti, processi, condanne al carcere duro, omicidi e vendette sono fenomeni che caratterizzano la vita del paese nella prima metà dell’Ottocento, e intere famiglie, senza terre da coltivare, sono nell’impossibilità di soddisfare stabilmente i bisogni primari e precipitano verso una condizione di estrema povertà. Nel 1832 la situazione è aggravata dalla decisione del vescovo Michelangelo Franchini, che rivendica al Seminario di Tropea alcune estese possessioni di terreni, abitualmente occupate dai contadini di San Mango. I centri abitati sono abbandonati e il potere centrale è lontano. Ma anche la Chiesa fa la sua parte, e la diocesi Inferiore non riceve la visita del proprio vescovo per molti anni; solo nel 1843 il viaggio di Mons. Franchini interrompe un periodo di assenza durato quindici anni. Come tutti i paesi della zona, Pietramala e San Mango partecipano ai movimenti del Risorgimento e contribuiscono alla lotta contro il governo borbonico. Pietramala con Nicola Pagliaro, accusato nel 1847 di cospirare contro la sicurezza dello Stato; e con Federico Spanò e Luigi Scorza, accusati di complicità in un mancato regicidio. San Mango con Bruno Sacco e Francesco Floro, accusati nel 1850 di attentato contro la sicurezza interna dello Stato; e con Giacinto Muraca, accusato nel 1852 di aver provocato reati contro lo Stato con discorsi tenuti in luogo pubblico e di aver deformato stemmi reali per solo disprezzo. Nel 1848 la ventata rivoluzionaria arriva nel Sud e porta un’idea di libertà mai sperimentata prima. E mentre a Palermo nasce un comitato rivoluzionario, a Torino Carlo Alberto di Savoia concede lo Statuto, Venezia si costituisce in Repubblica e a Milano gli insorti occupano Porta Tosa e si mettono in contatto con il contado che viveva oltre la linea dei bastioni. In Calabria la miseria e la povertà spingono i contadini a occupare le terre demaniali e baronali. L’ETÀ CONTEMPORANEA 125 Succede a Lago, in provincia di Cosenza, e succede anche a San Mango, dove un centinaio di naturali del luogo si dirige nei fondi Vignali e Fabiano, si appropria di 400 tomoli di fichi secchi e di 40 barili di vino e assale un casale del De Gattis. In altre zone si verificano rivolte contro gli ordinamenti e i contadini bruciano i municipi di Lago e Nocera Terinese. In Calabria la rivoluzione del 1848 assume un aspetto particolare e la rivolta trasforma i moti risorgimentali: non più lotta per l’indipendenza e per l’unità nazionale, ma lotta di classe. Ed è proprio in quegli anni che un’embrionale ma decisa coscienza proletaria comincia a mettere in discussione lo stesso principio della proprietà privata198. Ma il 1848 non è solo attacco alle proprietà dei galantuomini. È una rivoluzione. Anzi, è la rivoluzione. E Giuseppe Sodano così la rievoca: «Io rammento sempre la primavera del 1848. Quei giorni indimenticabili, nei quali fummo liberi […] Chi non vide quei giorni, non vide mai nulla di veramente grande e sublime». Al momento dell’Unità d’Italia, scrive Cingari, la Calabria manifesta, se non fattori di saldo sviluppo, elementi dinamici che ne avevano in qualche misura differenziato la struttura economica e sociale199. Per effetto della legge Casati, l’istruzione elementare diventa obbligatoria e gratuita e i Comuni hanno il compito di provvedere ai locali, agli stipendi degli insegnanti e al materiale didattico. Ma già dall’inizio – scrive Elena Orlando – si sono resi visibili i primi divari: più rapida e attenta l’organizzazione e la distribuzione delle scuole in Lombardia e Toscana; ritardi e lacune nello sviluppo e nella diffusione delle istituzioni educative nel Mezzogiorno e nelle Isole200. San Mango è attestata su una popolazione di 2.236, mentre il vicino centro di Savuto, dal quale il paese ha tratto le origini, diventa frazione e conta appena 500 abitanti. Anno Pietramala Savuto San Mango 1816 1825 1848 1849 1852 1861 1901 1.286 500 1.591 1.300 498 1.759 1.151 552 1.515 1.575 1.828 1.793 2.284 2.302 2.201 2.236 2.001 198 Per approfondimenti, cfr. P. ARLACCHI, Territorio e società. Calabria 1750-1950, Cosenza, EdistampaEdizioni Lerici, 1978, pp. 17-72. 199 G. CINGA RI, Storia della Calabria dall’ Unità a oggi, Bari, Laterza, 1982. E. ORLA NDO, Dispersione scolastica e devianza giovanile in Calabria, Lamezia Terme, Gigliotti Editore, 2011, pp. 9-10. 200 126 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Pietramala, che aggrega la frazione di Savuto, con delibera comunale del 3 novembre 1862 cambia la denominazione in Cleta. E lo stesso anno, al nome di San Mango viene aggiunta la specificazione d’Aquino. Nel 1865 in ogni comune è istituita la Condotta Medica, e nel 1877 la frequenza alle prime tre classi della scuola elementare è resa obbligatoria e gratuita. Scrive Placanica che tra l’estate del 1860 e la metà del 1861 si consuma in Calabria il definitivo consolidamento di quella borghesia che aveva sostenuto Garibaldi, mentre poi, lentamente, si vede che non è ancora giunto il momento della vittoria definitiva dei contadini. Con l’Italia unita, anche il problema delle vie di comunicazione irrompe nello scenario calabrese. Fino al Seicento la strada Napoli-Reggio si snodava lungo il tracciato dell’antica via Popilia, chiamata via Grande quando il viceré d’Alcalà “ fece costruire una strada da Napoli a Reggio sull’antico tracciato della via consolare Popilia, che, per mancanza di manutenzione, ritornò allo stato primitivo dei sentieri sassosi e pressappoco impraticabili” 201. Nel Settecento le difficoltà nei collegamenti via terra erano aumentate: le strade impraticabili, i fiumi senza ponti, le vetture scomode. Si afferma allora il trasporto marittimo, affidato alle feluche, velieri bassi e veloci, a due alberi, e le vie marittime utilizzano gli approdi tirrenici di Paola, Pizzo, Bivona e Tropea202. Nel 1760 il porto di Paola è uno dei preferiti dai passeggeri che intendono imbarcarsi dalla Calabria per Napoli. Sostituita dalla strada carrozzabile borbonica, iniziata nel 1774 e completata da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat nel decennio francese, la strada consolare romana, dopo essere stata percorsa dagli eserciti dei Franchi, dei Bizantini e dei Normanni, viene in parte abbandonata. La nazionale napoleonica, fatta costruire con decreto del 1810 da Lagonegro a Reggio, nei mesi invernali è interrotta in più punti e chi affronta un viaggio si disponea a far testamento tanto n’era incerto il rimpatriare. San Mango è collegata con Nocera da un sentiero chiamato Sferracavallo. In presenza di una legge nazionale che delega agli Enti Locali il compito e la 201 P. MORETTI, op. cit., p. 2. Un atto del notaio Salomone del 1743 ci informa che “ per trasportare il grano pugliese a Napoli, si preferisce anche in pieno inverno circumnavigare la Calabria, come fa patron Agostino di Castellammare…” . Cfr. S. DI BELLA , G. IUFFRIDA, op. cit., p. 232. 202 L’ETÀ CONTEMPORANEA 127 spesa per la creazione di infrastrutture in settori strategici come la scuola e la viabilità, le comunità della Calabria decidono di risolvere da sole il problema delle strade, visto il fiacco impegno dei governi. E così nel 1876 la cittadina di San Mango, riunita in consorzio con Gizzeria, Falerna e Nocera, viene collegata con il Bivio Bagni da una strada rotabile; il servizio postale diventa giornaliero e lo stesso anno viene impiantata la rete telegrafica. Nel 1886 viene costruito il ponte sul fiume Grande, a Nocera, e il commercio comincia a spostarsi dalle terre a destra del Savuto verso Nicastro. I collegamenti con le terre di Martirano, invece, sono mantenuti attraverso le mulattiere e i tratti ancora percorribili dell’antica via consolare romana. Gli atti del Consiglio provinciale del 1877, a proposito del tratto GizzeriaSan Mango, stabiliscono che “ a completare questa linea occorre ch’essa si unisca con l’altra A mantea-Savutello, mediante la costruzione del Ponte sul Savuto” , e già nel 1886 il progetto è presente tra gli atti parlamentari del Senato. Ma l’infrastruttura sul fiume sarà costruita solo durante il ventennio fascista e, come vedremo, avrà vita breve e rimarrà in esercizio per meno di un secolo. Rimane nel mondo dei sogni, invece, il collegamento stradale dei centri abitati di San Mango e di Savuto, immaginato mediante la realizzazione di un apposito ponte nella bassa valle del fiume, in località Macchie della Buda. Per tutto il Novecento le amministrazioni pubbliche si mostrano sorde alle richieste dei cittadini e le aspettative della popolazione vanno deluse. E non solo. Quando nel 2006 il ponte della vecchia statale 18, che attraversava il fiume Savuto e univa Nocera Terinese a Campora San Giovanni, è dichiarato pericolante e chiuso al traffico, e quando nel 2008 il ponte crolla, l’indifferenza delle Istituzioni è al culmine. Con il crollo di quel ponte, unica via di collegamento interno tra le province di Catanzaro e Cosenza, la separazione tra le due sponde è netta, e il disagio di cittadini e operatori economici, interpretato dall’attivismo del giovane Giuseppe Ruperto, è raccolto da giornali e televisioni locali e da trasmissioni nazionali come Striscia la notizia. Anche la Ferrovia svolge un ruolo importante nel campo delle comunicazioni, ma il suo utilizzo è penalizzato dall’assenza di stazioni intermedie e dalla mancanza di uno sbocco di Cosenza sul Tirreno. Il progetto riguardante il collegamento ferroviario di Cosenza con Nocera Terinese attraverso Rogliano, autorizzato con legge del 1879, rimane sulla carta, anche se il Prefetto di Cosenza, nella Relazione semestrale sullo spirito pubblico e servizi amministrativi per il 2° semestre 1885, scrive che “ l’avvenire economico può dirsi subordinato alla costruzione della Eboli-Reggio, della Cosenza- 128 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Nocera, della Lagonegro-Castrovillari” . Un progetto realizzato in parte, con il prolungamento della CosenzaPietrafitta fino a Rogliano. Poi, sulla Cosenza-Nocera comincia a calare il silenzio, nonostante la Provincia di Cosenza avesse fatto voti al Governo del Re per la Costruzione delle ferrovie Cosenza-Nocera, Castrovillari-Lagonegro e pel sollecito completamento dei lavori di bonifica della Valle del Crati, inviando nel 1901 un M emorandum nel quale si metteva in evidenza l’esigenza di una linea di collegamento fra il litorale ionico e tirrenico, necessaria per avviare le correnti del traffico, le quali scendono lentamente dall’interno, in moltissimi punti per vie mulattiere, ai centri più popolosi del Regno e al mare203. Ma nel 1902 il settimanale Il Domani riporta una notizia: la linea Rogliano- Nocera è sostituita dalla Cosenza-Paola. Era successo che il 15 marzo 1902 il presidente del Consiglio provinciale di Cosenza aveva indicato il tronco Cosenza-Paola in sostituzione della CosenzaNocera, e in data 4 dicembre 1902 la Camera dei Deputati aveva votato la legge n. 506 per collegare Cosenza verso Napoli attraverso Paola. Il collegamente di Cosenza con Nocera Terinese viene così abbandonato. Si organizzano manifestazioni di protesta per reclamare la realizzazione integrale del percorso originario, ma è tutto inutile. Se ultimata, quella tratta ferroviaria avrebbe dato impulso allo sviluppo di un vasto territorio e avrebbe interessato anche la frazione di Savuto, visto che il progetto prevedeva il passaggio dei binari proprio nella bassa valle del fiume, in agro di San Mango. Ma così non è stato, e i cittadini delle tre località, per portare avanti relazioni e scambi, sono costretti a continuare a guadare il fiume, e ancora oggi devono accontentarsi di strade improvvisate e di difficili sentieri di campagna. 203 G. CINGA RI, op. cit., p. 154. FINO AL NOSTRO TEMPO T ra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la società calabrese tocca il punto più alto del suo malessere, ma la regione non conosce né forme di sciopero, né leghe né segni concreti di cooperazione. L’unica forma di associazionismo, con i limiti derivanti dall’egemonia borghese e dall’assenza di un movimento con finalità alternative, è quello delle società di mutuo soccorso, secondo le testimonianze storiche di Cingari. Nel campo dell’istruzione, un’altissima percentuale di abitanti è analfabeta. Il secondo governo Giolitti corre ai ripari e avvia più di duemila corsi serali, ma un calabrese su cinque vive in villaggi sparsi e l’erudizione di bambini e adulti procede a rilento. Nel 1906 viene disposta a spese dello Stato la costituzione di classi elementari nelle campagne, e ai Comuni rimane solo l’obbligo di fornire le aule necessarie204. Il Novecento inizia con Cleto che conta 1.575 abitanti e San Mango d’Aquino che ne conta 2.001. L’economia continua a essere in prevalenza a vocazione agricola, con produzione di olive, uve da vino, cereali e con l’allevamento del baco da seta. “ Abbondante vi è il ricolto della seta” , dice una statistica del 1861 riferita a Pietramala. Cleto si distingue per i fichi essiccati al sole, San Mango per l’industria del legno e la produzione di carbone. Un’inchiesta parlamentare d’inizio secolo attesta che gli alimenti fondamentali di cui si ciba il contadino sono: pane, fatto con grano, granturco, segale e farina di castagne; minestre verdi, fatte con cavoli, fagioli e scarsamente condite con olio o con lardo; fichi secchi e altra frutta di poco valore come il fico d’India; lieve è il consumo della carne; molto diffuso il consumo di latticini e di pesce salato; le uova invece sono quasi sempre vendute. In quegli anni, la vita si svolge all’interno di comunità dove i rapporti sono diretti, dove domina un forte senso di appartenenza e la memoria collettiva costituisce l’elemento fondante del gruppo, che si presenta stabile nel tempo e nello spazio. 204 E. ORLA NDO, D ispersione cit… , p. 25. 130 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Comunità basate sul lavoro e cementate da forme di vita sociale diversificate; dove i rapporti di parentela, la religione, gli usi e i costumi tengono legate le persone e le fanno dipendere le une dalle altre. Il vescovo di Nicotera e Tropea aveva ricevuto da Savuto una lettera datata 12 agosto 1892: «Eccellenza, i sottoscritti cittadini del villaggio di Savuto espongono alla E. V. Rev.ma il loro vivo desiderio di avere eretta una novella Congrega laicale sotto il titolo della SS. Vergine del Rosario nella chiesetta, che porta lo stesso titolo, in questo medesimo villaggio, implorando dall’E. V. Rev.ma il relativo decreto e rispettive regole. Tanto sperano ecc. ecc.». E prontamente, Mons. Taccone Gallucci aveva dato seguito alla richiesta, mentre nel vicino paese di San Mango d’Aquino viene fondata, nel 1907, la Società Operaia Agricola Cattolica di Mutuo Soccorso. Sono tutto questo, Cleto, Savuto e San Mango all’inizio del secolo. Paesi cresciuti attorno al campanile e chiusi in se stessi, con un’economia ai margini della sussistenza, avvolti in un isolamento secolare, lontani dalle grandi correnti di traffico; caratterizzati dall’insicurezza e dalla fatica quotidiana, ma ricchi di feste, tradizioni, abitudini, valori. Paesi dove la gente passeggia, la sera, sulla strada principale, ed è lì che avvengono gli incontri e nascono i primi amori. Luoghi dove il contadino frequenta l’osteria; dove mariti e mogli non si mostrano mai insieme, e sulla strada camminano uno davanti e l’altra dietro; dove la piazza diventa il centro della comunità e dove gli uomini si dispongono in cerchio davanti alla chiesa, ogni domenica, per aspettare la fine della Messa e all’uscita ammirare le donne e le ragazze. Esclusi dalla partecipazione attiva alle scelte più importanti della società, delusi dalle promesse di cambiamento propinate per secoli, i contadini accettano la condizione d’inferiorità e di oppressione senza ribellarsi, subendo di volta in volta i pesi fiscali, i dazi e le gabelle, le decime, le imposte sul macinato e tutti gli altri obblighi di natura feudale, entrati nella consuetudine attraverso un uso immemorabile ed esercitati dalla classe dirigente sempre da posizioni di forza. Una vita, quella delle classi umili, scandita dall’alternarsi delle stagioni e dal ciclo dell’aratura, della semina e del raccolto; condizionata dall’avventura meteorologica del tempo e caratterizzata dall’avvicinarsi della festa, con rituali legati sia al calendario ecclesiastico che alle attività agricole nei campi. Comunità compatte, dove fra le persone si stringono legami materiali e spirituali che vanno ad aggiungersi ai vincoli di parentela, e dove ogni membro FINO A L NOSTRO TEMPO 131 della famiglia lavora, di solito, dall’alba al tramonto per poter guadagnare qualcosa da mangiare o da portare a casa. Il villaggio è il mondo degli umili. «Si lavorava assieme, si pregava assieme, ci si riuniva per celebrare le feste e per decidere su argomenti collettivi importanti… Quando si doveva costruire una nuova casa o riparare una casa vecchia o ricoprire un tetto, o c’era bisogno d’aiuto in una situazione d’emergenza, si poteva sempre contare sull’aiuto dei vicini», ha scritto Jerome Blum. Tra le attività di gruppo spiccano le funzioni religiose, e la campana della chiesa scandisce le varie fasi della vita di ogni abitante, dal battesimo al funerale. Ogni paese ha il suo santo, e ad esso si rivolgono le persone, per ottenere benevolenza in cielo ma anche per essere aiutate in terra a risolvere i problemi dell’esistenza quotidiana. La processione è un rito collettivo e la ricorrenza sprigiona una forte carica emotiva; la partecipazione è corale e tutti i membri della comunità sono intenti a manifestare la propria fede. La festa riunisce le famiglie, raggruppa le genti sparse della campagna, sottolinea i momenti più importanti dell’individuo e della collettività; è uno strumento per allentare le tensioni della vita quotidiana, una forma di riscatto e di liberazione dal peso di un lavoro duro, oppure dalla miseria e dalla monotonia. I rapporti che si costruiscono all’interno dei paesi concorrono a creare coesione sociale e coscienza comunitaria: si lavora insieme, si va in chiesa, si festeggiano le ricorrenze, si prendono decisioni condivise. C’è ancora gente che ricorda le donne ritrovarsi al fiume per lavare i panni, che ricorda l’attesa della farina nel mulino, mentre gli ingranaggi della macina venivano azionati dallo scorrere lento delle acque… Quelle stesse acque usate per la macerazione del fusto della fibra di lino, che doveva poi servire per ricavare tessuti e tovaglie per la famiglia. C’è ancora gente che ricorda le feste con gli amici, le serenate, i racconti della nonna e le leggende legate alla notte dell’Epifania; una notte magica, si dice, con gli animali che parlano nelle stalle e con le fontanelle degli eremiti che versano olio anziché acqua, e quell’olio viene usato per alimentare la lampada della Madonna nelle chiese di campagna. Tutto ciò sono Cleto, Savuto e San Mango negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento: paesi poveri e popolosi, con una classe dominante sempre più avara ed esigente e con una massa di contadini e di operai alla mercé dei signorotti locali; luoghi dove l’esistenza è difficile e dove i vizi e le debolezze dell’animo umano rendono ancora più difficili i rapporti fra le persone. Nel 1890 l’arciprete Biagio Provenzano, in una lettera indirizzata al vescovo 132 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO di Tropea, attribuisce le calunnie che circolano sul suo conto al fallimento del tentativo di coinvolgerlo “ negli intrighi e negli affari comunali” per motivi elettorali, e scrive che “ Cleta, a preferenza d’ogni altro, è un paese iniquo, pieno d’invidia e intrigante” . Mentre a San Mango il Sig. Vincenzo Berardelli, con una lettera scritta al deputato Antonio Cefaly il 22 marzo 1895, lamenta di essere perseguitato a causa dell’appoggio che egli ha dato all’onorevole stesso nel 1893, nella competizione elettorale del collegio di Nicastro. Luoghi dove l’esistenza è difficile, abbiamo detto. Ma anche paesi con una propria identità, una propria storia, una cultura. Cultura ricca di tradizioni, che l’avvento del tempo attuale ha disperso, perché l’uomo moderno ha assoggettato alle regole dell’attrazione turistica tutto ciò che rappresentava il patrimonio delle comunità. Eric J. Hobsbawm ha lasciato scritto: «La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono». E Vittorio De Seta ricorda: «Gli uomini hanno perduto il legame che li univa al mondo della natura, e perciò all’idea dell’infinito. Hanno dimenticato che l’umanità progredisce non in virtù dell’appagamento dei bisogni materiali, ma soltanto in virtù delle forze spirituali. Con questo è venuta meno la capacità di dare un senso alla vita, di riconoscere tutti insieme la coscienza che è in noi di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è importante e di ciò che non lo è». Sull’onda di un tempo nuovo, la tradizionale comunità di villaggio finisce anche a Cleto, Savuto e San Mango. Scompare. Cancellata dalle trasformazioni intervenute nel sistema di vita rurale e travolta dalla tecnologia. In quel contesto, non c’è più posto per le cerimonie religiose del passato; come non c’è più posto per credenze connesse ad aratura e mietitura, una volta arrivati il trattore e la mietitrebbia. A parte la nostalgia che il declino di quella civiltà può suscitare, a parte l’impressione (illusoria) di aver lasciato alle spalle un passato idilliaco e bucolico, restano le testimonianze di una vita dura, condotta in un equilibrio precario e spesso ai margini della sussistenza. Blum ha scritto che le sofferenze dei poveri non occupano più di qualche pagina nel libro della storia; invece per le classi dominanti possediamo FINO A L NOSTRO TEMPO 133 documenti, oggetti, ritratti e case. Ma oggi, ancora oggi, la memoria di quella civiltà è viva. Non sappiamo per quanto tempo ancora, ma è viva, perché la civiltà contadina, come dice Ermanno Olmi, è “ l’unica nella quale si possono trovare tutti i veri fondamenti del nostro vivere” . E ciò che rimane di quel tempo è il ricordo delle abitazioni, dei pochi locali disponibili, costruiti con il legno, le pietre, la creta, condivisi spesso con gli animali domestici, che costituiscono una risorsa e un’insostituibile fonte di reddito. È il ricordo delle piazze all’alba, quando, al culmine dell’anno agricolo, entra in funzione il più rozzo mercato del lavoro: decine di braccianti in fila ad attendere la chiamata del proprietario terriero. E chi non è scelto se ne torna indietro, deluso e sconfitto. È una struttura sociale che oggi è difficile immaginare, ma che è esistita, con una classe dominante da un lato e un ceto operaio e contadino dall’altro, e al centro una serie di mestieri (sarto, barbiere, muratore, calzolaio, falegname, fabbro ferraio, carpentiere) e di attività legate al mondo rurale (maniscalco che lavora i ferri per il cavallo, bottaio che prepara le tinozze con doghe e cerchi in ferro, cestaio, mugnaio che macina il grano con il suo mulino ad acqua, donne che filano il lino e la lana, famiglie che curano l’allevamento del baco da seta). Rimane il ricordo di un tempo in cui ogni paese ha la sua fiera; e alla fiera non si va solo per comprare o vendere, ma per vedere, per appagare un istinto di socievolezza innato nell’uomo; è un’occasione per evadere e per distrarsi, è il modo per supplire al difetto delle piazze e di relazioni commerciali aperte. E poi la ruga. Nucleo principale del paese, vero e proprio raggruppamento di famiglie unite da vincoli di solidarietà. Il vicinato. Luogo dove le donne passano il tempo sedute sull’uscio di casa, si salutano, si scambiano il lievito per il pane, intrecciano relazioni e combinano matrimoni, attendono gli uomini che tornano dal lavoro. Per anni, per secoli Cleto, Savuto e San Mango rimangono uguali. E così appaiono nella prima metà del Novecento. Un secolo che inizia con un altro terremoto, quello del 1905: le scosse colpiscono 326 comuni calabresi e provocano 557 vittime. Nella zona, i centri più interessati sono Aiello con 22 morti e Martirano con 17. In quest’ultimo paese le scosse ondulatorie e sussultorie distruggono le abitazioni. Lo Stato interviene, e la presenza si manifesta con la visita del re Vittorio Emanuele, che da Sambiase e Platania giunge a Conflenti, e poi, a dorso di 134 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO mulo, arriva sul posto e verifica di persona l’entità dei danni. La stazione ferroviaria di Nocera diventa il centro di raccolta e smistamento per la ricostruzione e a San Mango viene assegnata la sottostazione militare, con 318 soldati di stanza acquartierati sul territorio. Per facilitare il trasporto del materiale, nell’ottobre 1905, iniziano i lavori di ampliamento di una mulattiera che diventa carreggiabile e che congiunge San Mango con Martirano, e in località Piano della Sorba nasce Martirano Nuova205. Poi scoppia la prima guerra mondiale, e la Calabria perde 20.000 uomini. Non è ancora finita la violenza del conflitto, e già nelle campagne risuona il grido “ la terra ai contadini” . Scoppiano tumulti contro il carovita e cresce la protesta contro i latifondisti e contro gli usurpatori di terre demaniali. In Calabria la protesta si diffonde in tutte le province, e per la prima volta la regione esprime un moto contadino guidato da linee politiche. A capo del movimento ci sono Pietro Mancini, Fausto Gullo ed Enrico Mastracchi, e in molte località le manifestazioni e gli scioperi provocano scontri con le forze dell’ordine. I prefetti esprimono preoccupazione per il moltiplicarsi di società e leghe operaie, e l’incrocio del movimento con le tematiche nazionali (il Biennio rosso) e internazionali (la rivoluzione d’Ottobre in Russia) accentua lo scontro e spinge i proprietari a chiedere energiche azioni di contrasto. Lo Stato corre ai ripari e il decreto Visocchi riconosce il diritto di occupare le terre incolte o mal coltivate, ma il 1919 diventa l’anno dei grandi scioperi al nord e dell’occupazione delle terre al sud. Masse di operai nei centri industriali e braccianti nelle campagne sognano la rivoluzione sul modello sovietico, mentre inflazione, disoccupazione e ritorno dei reduci creano una situazione di forte conflittualità. Nel sud, l’occupazione delle terre diventa ribellismo contro lo Stato e contro le strutture economiche e sociali. Nel nord, l’organizzazione sindacale trasforma la protesta in lotta di classe, con una piattaforma rivendicativa tendente a ottenere contratti di lavoro più favorevoli. I moti d’inizio secolo coinvolgono il comprensorio che ospita i comuni di Cleto e San Mango, e Bruno Pino, in una recente ricostruzione dei fatti di Aiello del 1921, ricorda che il 20 febbraio di quell’anno centinaia di contadini delle località Stragolera e Cannavali, tornati in piazza dopo la reazione del 1919, 205 F. ROCCA, La ricostruzione di Martirano, in M. DE’ MEDICI (a cura di), Martirano Lombardo, storia di una nuova città, Soveria M., CLE, 2007, p. 13. FINO A L NOSTRO TEMPO 135 manifestano davanti al Municipio contro l’imposizione della tassa sul focatico. Nascono disordini, i carabinieri sparano e sul campo si contano due morti (Vincenzo Lepore e Vincenzo Guercio) e cinque feriti. Sulla situazione religiosa del territorio, tornano utili le annotazioni di Domenico Taccone-Gallucci, nominato vescovo di Tropea il 14 dicembre 1889, dal quale apprendiamo che l’antica diocesi di Amantea comprendeva trenta Parrocchie riunite nelle quattro Foranie di Amantea, Aiello e Fiumefreddo in provincia di Cosenza e di Nocera Terinese in provincia di Catanzaro. «E poiché in questa vasta regione gli agricoltori han l’uso di fare continua dimora in campagna con case coloniche volgarmente appellate torri, i proprietari nei loro terreni ovvero i devoti con questue mantengono il culto e la commodità della Messa nelle Domeniche e negli altri giorni festivi in alcune Chiesette rurali». Questo scrive Mons. Gallucci, il quale aggiunge: «Tali sono […] della Immacolata o Pianta dei Malta, nel territorio di Cleto; dell’Assunta presso Savuto; della B. Vergine delle Grazie o Buda, presso S. Mango d’Aquino…». Il vescovo precisa inoltre che in Pietramala esiste una chiesa di S. Giuseppe e di S. Maria, a Savuto una chiesa del SS. Rosario, di S. Giuseppe e del Soccorso e poi una Congrega laicale del SS. Rosario fondata nel 1892. A Cleto opera un’Opera Pia, ed esattamente il Monte detto di Giannuzzi206. Nel 1926 sessantasette emigrati fondano a Scranton, in Pennsylvania, la Società di San Mango d’A quino di M utuo Soccorso. Il sodalizio finanzia il Monumento ai Caduti in Piazza Roma e l’acquisto del primo edificio delle scuole elementari in località Arella. Nel 1928 Cleto viene retrocessa a frazione e aggregata ad Aiello, ma nel 1934 la cittadina riacquista l’autonomia amministrativa e torna a essere un Comune. Nel 1924 il governo fascista aveva lanciato il programma “ Mille chilometri in cinque anni” e nel 1929 Michele Bianchi, quadrumviro della marcia su Roma, è nominato ministro dei Lavoro Pubblici. Nel triennio 1927–1928–1929 si mette mano alla costruzione di una strada di collegamento tra le province di Catanzaro e Cosenza, dal Girone della Brace a Campora San Giovanni, e il tronco, lungo circa 5 chilometri, termina al torrente Torbido. Durante i lavori sono elevati due nuovi ponti, uno sul fiume Grande e l’altro sul fiume Savuto, e durante la seconda guerra mondiale le strutture 206 D. TACCONE GA LLUCCI, M onografia della diocesi di Nicotera e Tropea, Reggio Calabria, 1904, pp. 152, 153, 162. 136 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO saranno attraversate dalle truppe tedesche, prima nella fase di discesa e poi durante la ritirata. Immediatamente dopo, è la volta della V Armata americana e dell’VIII Armata inglese, e gli ufficiali esprimono parole di apprezzamento per la resistenza dei ponti all’enorme peso dei mezzi corazzati. Nel frattempo anche nei paesi della Calabria comincia ad arrivare l’energia elettrica e le case dei ricchi si illuminano con la luce prodotta dalle lampadine a incandescenza, inventate nel 1879 e considerate ancora un bene di lusso. Sono tempi in cui i poveri soffrono la fame, e nell’inverno 1928-1929 Umberto Zanotti Bianco, osservando i cittadini calabresi, scrive: «… alcuni di questi disgraziati di Africo avevano dovuto accontentarsi di ortiche cotte e di ghiande e che per molte famiglie l’alimento quasi esclusivo era una varietà di pane, denominata “mischio” » 207. Il poeta sammanghese Domenico Adamo, al ritorno da Napoli (dove si è recato per perfezionare il mestiere di sarto), si trasferisce a Cleto e nel 1910 sposa Francesca Ferraro, figlia di Tommaso, commerciante. Mentre il giovane Carmine Ferrari, nelle giornate passate in campagna, ascolta dalla voce della mamma Mariuzza le storie del brigante Musolino e le favole che parlano di galline dalle uova d’oro, e osserva la donna guardare lontano, oltre il fiume Savuto, verso il luogo della sua gioventù, da dove è partita con un carico di speranza nel cuore, per sposarsi a San Mango e affrontare col marito una nuova vita. Nel referendum del 1946 vince la Repubblica: 881 voti a Cleto e 643 a San Mango, contro i 543 e i 329 voti espressi a favore della Monarchia. Nel 1951 inizia il Festival di Sanremo, diffuso in diretta dalla radio; vince Nilla Pizzi con la canzone Grazie dei Fiori. Cleto, in quell’anno, raggiunge la punta massima di popolazione, con 3.363 abitanti, mentre San Mango arriva a 2.404 e lo stesso anno, a Cleveland, in America, gli emigrati sammanghesi si riuniscono per celebrare per la prima volta la festa della Madonna della Buda. La banda musicale di San Mango, nel pieno della sua attività, diventa la banda di Savuto ed è chiamata a suonare in tutte le festività civili e religiose. Sono tempi in cui i poveri soffrono la fame. Nelle campagne italiane cinque milioni di piccoli proprietari posseggono gli stessi ettari di terra di 520 grandi proprietari. Un muratore guadagna meno di 5.000 lire al mese e un paio di scarpe costa circa 2.000 lire, un pane 30 lire e un litro di vino 60 lire; una bicicletta costa 207 RENÉ NOUAT, La realtà sociale, in J. MEYRIA T(a cura di), La Calabria, Milano, Lerici Editori, 1961, p. 251. FINO A L NOSTRO TEMPO 137 20.000 lire, un televisore 150.000 lire e il costo del biglietto della Lotteria Italia è di 500 lire, con un primo premio di 100 milioni. In Calabria l’Unicef avvia un programma di aiuti per organizzare le refezioni scolastiche e nei comuni funziona l’ECA, Ente Comunale di Assistenza. Le condizioni complessive della società calabrese sono ancora arretrate. I nuclei familiari continuano a rimanere senza lavoro e senza pane. Il governo interviene con i decreti Gullo (concessione ai contadini riuniti in cooperative delle terre incolte o insufficientemente coltivate), ma il risultato è inferiore alle attese e nelle campagne riprendono le occupazioni. Nel 1946 a Calabricata, nei pressi di Sellia, è uccisa Giuditta Levato. Nel 1949 a Melissa tre dimostranti muoiono sotto il piombo della polizia; sono Francesco Nigro, Angelina Mauro e Giovanni Zito. Su un totale di 477 mila famiglie, il 38 per cento sono misere o disagiate. Il governo emana la Legge Sila per l’esproprio e la ripartizione del latifondo, e nel contempo istituisce la Cassa per il Mezzogiorno, che avvia l’intervento straordinario finalizzato alla creazione di infrastrutture e al miglioramento dell’ambiente sociale e civile delle regioni meridionali. Il duplice intervento speciale, scrive Cingari, contribuisce alla tenuta del territorio e, con il concorso di altri fattori indotti dalla politica nazionale, determina la definizione di una realtà regionale se non proprio sviluppata, certo trasformata. L’Italia contadina diventa industriale e anche per Cleto, Savuto e San Mango inizia una nuova fase. Arriva il tempo odierno con la sua modernità, e arriva lo sviluppo. La piaga dell’analfabetismo è debellata e le condizioni della vita materiale dei cittadini sono migliorate. Sono migliorate di gran lunga. Ma lo sviluppo non determina il progresso. «Cos’è rimasto?», si chiede De Seta nel film documentario sulla Calabria girato nel 1993. «Una regione con tanti fantasmi di fabbriche, tanta gente emigrata, tanti paesi spopolati, e altri sommersi dalle nuove costruzioni, frammisti a villaggi turistici, a capannoni, a snodi ferroviari. Tutto alla rinfusa, senza un disegno, come in un gioco insensato». L’esodo della popolazione è continuo e le politiche adottate non lo frenano e non ne curano le cause. Tra il 1951 e il 1971 la Calabria perde 690 mila abitanti, che vanno ad aggiungersi all’emigrazione netta di 782 mila unità nel periodo 1871-1951. Cleto raggiunge la punta più alta di residenti nel 1951 e San Mango nel 1961. A cento anni dall’Unità d’Italia, i due centri contano quasi lo stesso numero 138 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO di abitanti. A San Mango vivono 2.411 persone, distribuite nel centro (2.158) e in case sparse (253). A Cleto c’è più gente nella frazione di Savuto (1.180) che nel capoluogo (1.109), e il resto vive nella frazione di Torbido (203); la località meno popolata è Giardini con 27 abitanti, mentre in Marina di Savuto vivono solo 39 persone. Nel 2011 sia San Mango che Cleto toccano il punto più basso degli ultimi 150 anni. I due centri, assieme, perdono 2.808 abitanti in soli sessant’anni, e il senso dell’abbandono è evidente già nel 2001, quando a Cleto vivono 486 famiglie e le abitazioni disponibili sono 847, mentre a San Mango le famiglie sono 755, a fronte di 863 abitazioni. Anno Cleto San Mango 1951 3.363 2.404 1961 2.492 2.411 1971 1.771 2.079 2001 1.373 1.864 2011 1.320 1.639 È un fenomeno preoccupante; è come se uno dei due centri si fosse svuotato. Provate a immaginare uno dei paesi, Cleto e Savuto da un lato, oppure San Mango dall’altro, completamente vuoto, abbandonato. È il fenomeno dello spopolamento, a fronte del quale le Istituzioni si mostrano insensibili e incompetenti. E quando il sindaco Amerigo Cuglietta, appena eletto, si trova davanti la dichiarazione d’inagibilità di tutti gli edifici pubblici del Comune di Cleto, a partire dal municipio per arrivare alle scuole, ecco la proposta: «Fare nascere Via Ferrarelle, Piazza Barilla, Corso Fiat. Non in una città di cartapesta allestita per fiction televisive. Non in un gioco pubblicitario o in un nuovo monopoli per bambini. Ma a Cleto. In un paesino di millecinquecento anime scarse. A venti minuti dal mar Tirreno, a 250 metri d’altezza, in provincia di Cosenza» 208. È una provocazione, ovviamente. Ma non più di tanto. Tuttavia, i soldi a Cleto non arrivano. Né dalla Regione né dai privati. Eppure l’Italia dei borghi e dei piccoli Comuni è indicata come una delle più profonde ricchezze del Paese. Allora è vero. I piccoli comuni sembrano interessare gli studiosi e meno, molto meno la Politica. Luigia De Francesco, dopo aver sottolineato che il problema dello spopolamento è addirittura di interesse comunitario e colpisce circa novanta regioni, sparse tra gli Stati membri, illustra alcuni casi concreti di “ paesi dell’abbandono” 208 « l’Unità» , 19/ 08/ 2006. FINO A L NOSTRO TEMPO 139 (Cleto, Laino Borgo e Cirella Vecchia) e scrive: «Cleto è un centro che fu abbandonato a partire dagli anni ’60 a causa del progressivo degrado delle abitazioni del centro medievale, divenute inadatte alle esigenze degli abitanti, che si trasferirono più in basso, nei dintorni. Abbandonato per lunghi anni, è stato negli ultimi tempi oggetto di un’attenta e corposa opera di riqualificazione, che comprende la rinnovata pavimentazione (piuttosto adeguata al luogo e alla natura) della via che conduce ai ruderi del vetusto castello». «L’intera cittadina presenta uno scorcio ambientale gradevole, che giustifica il recente slancio di ristrutturazione; la posizione panoramica, il clima mite collinare, la relativa vicinanza al mare e alla città costiera di Amantea hanno condotto a Cleto flussi di compratori e affittuari, che hanno scelto i caratteristici alloggi del borgo antico come luogo di dimora per le villeggiature estive». «Tra le città analizzate, il centro storico di Cleto, a ridosso del castello, è quello che può contare su maggiori possibilità di recupero, considerato il recente restauro del castello e il ripristino a uso abitativo di alcuni edifici privati; notevoli anche gli sforzi prodotti, in termini di idee, progetti e risorse, dalle amministrazioni comunali locali e dalle associazioni culturali che insistono sul territorio comunale» 209. I rumeni (e i libri) salveranno Cleto, titola l’11 aprile 2013 il settimanale Corriere della Calabria, riferendosi a una ventina di nuclei familiari di nazionalità rumena che si sono stabiliti nel paese partecipando alla vita sociale della comunità. Gruppi etnici che si affiancano a una colonia di bresciani che hanno recuperato e restaurato vecchie abitazioni e che da anni fanno la spola tra la Lombardia e Cleto. Intorno al 1975 la Calabria è investita dal fenomeno delle radio private e nascono Radio S. Mango Libera prima e Radio Antenna Centrale poi; due emittenti che riuniscono ancora una volta comunità delle province di Catanzaro e di Cosenza, favorendo e rinnovando rapporti economici, relazioni sociali, amicizie e persino nuove unioni coniugali. Nel concorso di poesia organizzato nel 1978 dall’emittente di Angelo Raso una segnalazione di merito viene destinata a Il film del mio passato, un componimento inviato da una giovane di Savuto, assidua ascoltatrice della radio che si era firmata con lo pseudonimo di Ragazza del Talismano. 209 L. DE FRANCESCO, Lo spopolamento dei centri storici calabresi: il caso delle Serre vibonesi. Aspetti antropologici, Tesi di laurea, Facolta di Lettere e Filosofia, Università della Calabria, Anno accademico 2010/ 2011, pp. 34-36. 140 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO L’attenzione degli emigrati verso la terra d’origine è forte, e oltre Oceano vengono fondate associazioni allo scopo di preservare la cultura e la memoria dei paesi natii. Mossi dalla nostalgia e dal ricordo delle tradizioni lontane, gli emigrati ripetono all’Estero le celebrazioni più importanti delle comunità di origine e organizzano processioni con simulacri che sono copie autentiche di statue esistenti nei luoghi della loro infanzia: la Madonna del Soccorso per Savuto e Maria SS. delle Grazie per San Mango 210. Robert “ Bob” Chiarelli, nato da genitori di Cleto, sindaco della città di Ottawa, diventa membro dell’Assemblea legislativa dell’Ontario e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti nel governo provinciale211. Giovanni Chieffallo, nato a San Mango ed emigrato dopo il diploma, raggiunge gradi dirigenziali negli uffici governativi del Quebec ed è nominato componente della Consulta Regionale dell’Emigrazione in rappresentanza del Canada. Antonio Chieffallo, un sammanghese che ha passato la giovinezza nelle terre del Savuto, emigrato in America nel 1957, racconta il suo viaggio da mulattiere fino a Grimaldi, di notte, lungo i sentieri scoscesi che costeggiano il fiume, e parla delle voci che si levano dalle case di campagna sparse lungo la valle e dei fuochi che si vedono fino al paese di Savuto. Eugenio Chieffallo, altro poeta di San Mango, nel duetto tra Gioacchino e Marisa racconta le vicende di un’epoca in cui i giovanotti sammanghesi andavano a Savuto per cercare le signorine già munite del passi e la coppia, una volta unita in matrimonio, partiva per l’America in cerca di un destino migliore. Rapporti e relazioni che sono esistiti nel tempo e che hanno stretto in un abbraccio ideale popoli diversi, gente di Cleto, di Savuto, di San Mango, uomini e donne che si sono incontrati e si sono conosciuti, e, insieme, hanno acquistato e venduto merci, scambiato i prodotti della terra, vissuto feste, Con molte probabilità, la devozione per Maria SS. delle Grazie in San Mango è stata trasmessa dalle terre poste alla destra del fiume Savuto. Secondo la testimonianza di Bruno PINO, infatti, il culto per la Madonna delle Grazie è stato impiantato in Aiello nel 1472, quando su richiesta di Francesco Siscar, viceré di Calabria e Signore di Aiello e Petramala, viene concessa dal Papa Sisto IV licenza di edificare una chiesa dell’Ordine di San Francesco degli Osservanti, intitolata a santa Maria delle Grazie. 210 In un messaggio rivolto ai giovani di Cleto, il sindaco Chiarelli dice: « Vi invito a lavorare forte per realizzare i vostri sogni e le vostre ambizioni in un mondo che sta cambiando ad un ritmo vertiginoso ma che, allo stesso tempo, offre delle possibilità che non avrei neanche potuto immaginare nella mia gioventù» . 211 FINO A L NOSTRO TEMPO 141 organizzato serate, inseguito sogni, realizzato desideri... Una storia di paesi che, in epoche diverse, sono sorti e si sono sviluppati lungo le sponde opposte del Savuto. Paesi che il fiume non ha mai diviso, nonostante le difficoltà di comunicazione e nonostante l’indifferenza delle Istituzioni. Ora c’è da costruire il futuro. E per farlo sono necessari momenti di maturazione. Perché solo così San Mango, Cleto e Savuto possono tornare a riconoscersi per riscoprire e condividere i valori che nei secoli hanno caratterizzato la loro esistenza. Solo così, i territori delle tre cittadine si salvano dal pericolo di diventare uno spazio, una zona impersonale e neutra impoverita dalla quotidianità, e possono tornare a essere dei luoghi, dotati di carattere e di voce propria e capaci di resistere all’ombra e all’oblio. Franco Pedatella, in occasione del recupero conservativo e della restituzione del castello di Pietramala ad una comunità che in quel manufatto ha individuato le origini di se stessa e la ragione del suo modo di essere, suggerisce di partire da tale “ patrimonio” per progettare il proprio avvenire. Non è impresa facile. La struttura sociale è debole e frammentata. Le iniziative ci sono. Cleto firma un patto di fratellanza con il comune di Jaunsvirlauka, della Lettonia. San Mango celebra il gemellaggio con Mioarele, comune della Romania. La confraternita Maria SS. Immacolata di San M ango e Castagneta visita San Mango d’Aquino e riannoda i fili di una storia antica che ci porta a San Mango Cilento. Ma le iniziative finiscono spesso per risultare episodiche e senza seguito. Mancano visioni di ampio respiro. Uscire dai compartimenti stagni, rompere i recinti, misurarsi con l’ altro in campo aperto… È questo il contributo al rinnovamento che possono dare personalità singole e istituzioni. Le associazioni Valle del Savuto e Amici della M usica a San Mango, Cletarte e La Piazza a Cleto, in tempi diversi, hanno animato e continuano ad animare le due cittadine, ma non basta. Serve un disegno di crescita globale e condiviso. Le amministrazioni comunali, nonostante il gemellaggio del 2006, si sono dimostrate pigre, entrambe interrotte da una gestione commissariale, mentre dalla parte dei cittadini, l’individualismo prevale sul bene comune e identità e senso di appartenenza appaiono deboli. Futuri tempi migliori sono necessari. Ma non appaiono tanto probabili. Per i motivi che abbiamo appena accennato. E perché la causa principale dell’arretratezza della Calabria sono proprio i Calabresi. Jean Meyriat, dopo aver osservato che la regione è rimasta estranea alle grandi correnti di idee e di scambi commerciali che hanno attraversato il 142 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Mediterraneo, non esita a dire che “ i calabresi sono psicologicamente degli isolati, chiusi ciascuno in se stesso, incapaci di instaurare fra loro comunicazioni sufficienti a formare una vera e propria comunità” . C’è da riflettere, perché simile affermazione viene da uno studioso francese chiamato a guidare un gruppo di lavoro che ha condotto un’indagine scientifica sulla Calabria. Un gruppo composto da Anne Marie Seronde, assistente di geografia alla Sorbona, Michel de Soultrait, economista, René Nouat, Conservatore della Biblioteca universitaria di Nancy, Joseph Rovan e Paul Lengrand, specialisti di educazione popolare, Elena Cassin, sociologa delle religioni, Jean Besson, professore di storia. Ho voluto ricordare i loro nomi, perché questi studiosi, tutti francesi, hanno fatto un soggiorno in loco negli anni 1957 e 1958, ricevendo spesso incoraggiamenti e aiuti diretti dagli italiani, e il risultato finale è sfociato in un’opera collettiva pubblicata a Parigi nel 1960, tradotta in italiano da Giorgetta Bartellini Moech e distribuita in Italia da Lerici nel 1961. Un libro che all’epoca è servito a una maggiore comprensione reciproca fra le due nazioni, ma che oggi è uno dei tanti libri dimenticati in Calabria e sulla Calabria. Ora c’è da costruire il futuro, dicevamo. Le idee del 1789 ci hanno insegnato che la volontà collettiva è capace di rinnovare il mondo. Ma in questo nostro tempo, costruire il futuro non è impresa facile. Servirebbe una rivoluzione. Anzi, la rivoluzione. Ma il crollo del muro di Berlino ha trascinato nella sua caduta anche il mito della rivoluzione, e allora tutto diventa difficile. «Nascere, vivere, mangiare, bere e infine morire, non è una caratteristica speciale, ma sono cose che fanno anche gli insetti», diceva Garibaldi; e poi aggiungeva: «Una pianta vale in ragione di quello che è il suo prodotto. E la stessa cosa vale per gli uomini, che devono essere giudicati per quello che riescono a donare ai loro simili». Spesso, quasi sempre, il destino di un paese è nelle mani dei suoi cittadini. Non è impresa facile, ma vale la pena tentare. In magnis et voluisse sat est, ha lasciato scritto Sesto Properzio: nelle grandi cose, anche l’aver voluto è sufficiente. IL FIUME SAVUTO U n fiume, il Savuto, unico corso d’acqua tirrenico ad avere le sue sorgenti in Sila e che appartiene all’altopiano per soli 12 chilometri del suo corso 212. Un fiume che attraversa foreste di pino, faggio, cerro e castagno, diventa torrentizio, prosegue la sua marcia fino a valle, si tuffa nella macchia mediterranea e nelle terre dei pascoli, e dopo un percorso di 55 chilometri sparisce nel mare. Nasce da un altopiano granitico, fresco, cristallino, e attraverso una valle ricca di storia scende verso un mare caldo, dalle spiagge di ghiaia che denunciano la giovinezza del rilievo geografico, dice Pietro Brandmayr. Da sempre il suo corso traccia il confine tra le terre di San Mango e del vicino centro abitato di Savuto. Ma il fiume non ha mai diviso le due comunità: anzi, le ha unite. Da espressioni geografiche o delimitazioni confinarie – scrive Cosimo Damiano Fonseca – i fiumi sono divenuti essenziali tramiti di cultura e di civiltà fra centri dell’una e dell’altra sponda, tra il mare e le aree interne. «C’è qualcosa di più nella presenza di questi corsi d’acqua che solcano con un andamento più o meno regolare, a volte bizzarro, terre e città, forre e lame, fitte boscaglie e aridi calanchi: c’è il senso della sopravvivenza che si accompagna al dolce fluire dell’acqua, ma c’è anche l’alea del terrore nella costante e ancestrale paura che il letto del fiume diventi impari o insufficiente a contenere la veemenza delle piogge o le pulsioni delle sorgenti». «Vita e morte sembrano indissolubilmente legate allo scorrere dei fiumi, al loro ineludibile intersecarsi con le tormentate vicende delle comunità umane […] L’acqua come nemica dell’uomo in quanto essa va combattuta per preservare e proteggere la fertilità dei terreni e per evitare l’erosione del suolo attribuibile alle inondazioni o alla scomparsa della vegetazione delle montagne e delle colline […] D’altro canto l’acqua è amica dell’uomo in quanto fonte di vita e mezzo di trasporto, serbatoio di energia e strumento di sussistenza» 213. 212 G. ISNARDI, Luminoso A ltopiano, in Calabria. Tuttitalia, enciclopedia dell’Italia antica e moderna, Firenze, Edizioni Sadea Sansoni, 1963, p. 241. 213 C. DAMIA NO FONSECA , Introduzione, Le vie… cit., pp. 11-13. 144 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Tutto questo ben si adatta al Savuto, «fiume dalla scarsa fortuna letteraria, ma con una grande importanza in età classica. Infatti, insieme alla più centrale valle del Crati, costituisce il principale asse naturale di collegamento interno fra la Calabria settentrionale e quella meridionale, nel quale il nodo topografico di Cosenza fa da cerniera, e quindi da luogo forte di controllo, fra i due sistemi fluviali» 214. Un fiume che molti storici identificano con l’ Okinaros, l’Ocinaro che in Licofrone bagna il sepolcro della sirena Ligea. Un fiume antico, denominato di volta in volta Ares (figlio di Zeus e di Era, che i Latini chiamano Marte, dio della guerra), Eris (dea della discordia, sorella e compagna di Ares nelle battaglie), Sabazio (il dio dalle corna di toro, originario della Frigia, venerato in Grecia e a Roma e identificato spesso con Dioniso); e quindi Sabatus e poi Savuto. Un fiume importante al punto da dare il nome al colle Sabazio, come era chiamato nell’antichità il Piano di Tirena215. Il fiume che, prima di giungere al mare, rasenta Martirano (l’antica Mamers e poi M amertium; Martis ara – ossia altare di M arte – osserva Macchione), e per questo denominato pure Aquis Martis: acque potenti come Marte, ovvero acque provenienti da Mamers, da Martirano. Lo stesso fiume che, nella sua corsa verso il Tirreno, lambisce il Piano di Tirena, luogo ricco di fascino perché per gli abitanti di Nocera “ Terina era i Greci, le spade dei Romani, Annibale, i Saraceni” . «Fiume grosso, e navigabile, noto per la gran copia dell’Acque, e chiaro per la deliziosa caccia, vi si fa da’ Nocerini, di cefali e spigole…», scrive Fiore da Cropani nel 1691. «Amai di te la corsa verso l’ignoto», dice del Savuto Eugenio Adamo, il poeta di Altilia. Fiume che scandisce la storia del territorio, e lo fa ogni volta che le sue acque lambiscono i paesi che attraversa. E sono davvero tanti, quei paesi. Aprigliano, forse l’antica Arponium, centro della Sila cosentina infeudato per qualche anno al Granducato di Toscana e poi tornato casale di Cosenza; in località Spineto ospita le sorgenti del Savuto. Parenti, sorta alla fine del Seicento per opera di Luigi Ricciulli, luogo dove hanno trovato rifugio i briganti, ma anche terra di uomini illustri. Rogliano, l’antica Rullianum che prende il nome dal console romano Publio Rullio e che la tradizione mitica fa risalire a Enotrio, fondatore di una 214 G. P. GIVIGLIA NO, Geografia e mitologia cit., p. 119. 215 A. MA CCHIONE, op. cit., p. 55. IL FIUME SAVUTO 145 Rublanum alle falde del monte Santa Croce; una cittadina che sorge su un ter- ritorio ricco di risorse naturali, con le miniere di ferro assegnate in concessione dagli Angioini al fiorentino Lapo Clarizo. Santo Stefano di Rogliano, città dei Brettii col nome Hetriculum e poi rione di Mangone all’epoca della formazione dei casali del Manco, popolati dagli abitanti sfuggiti alle invasioni saracene che colpiscono il Cosentino dal 975 al 986; sede di insediamenti abitativi testimoniati dalla scoperta di un “ tesoretto” di monete elleniche. Marzi, edificata intorno al 984 e assegnata sotto i Normanni alla Bagliva di Rogliano, vanta anch’essa origini leggendarie che la vogliono fondata da un nucleo di Sanniti chiamati Marsi, giunti in quei luoghi alla ricerca di un’antica divinità. Carpanzano, con i suoi nomi Carpente e Carpadoro, visitato dall’imperatore Carlo V che vi lascia il suo mantello e che negli ultimi cento anni perde circa 1.800 abitanti, popolato oggi da 284 carpanzanesi. Malito, con la località Campi che assiste – secondo alcuni storici – alla battaglia tra i soldati di Pirro, re dell’Epiro, e i Mamertini di Martirano; luogo di transito della strada consolare romana e poi casale di Cosenza, con i profughi che popolano la zona denominata Casalini. Scigliano, a metà strada tra Cosenza e Catanzaro e tra la Sila e il mare, l’antica Sillano, che ospita il ponte Sant’Angelo, largo 3,45 metri, alto 11 e lungo circa 25 metri, volta unica con due archi concentrici, costruito a secco con pietra di tufo rosso calcareo, uno dei più antichi ponti d’Italia, dichiarato monumento nazionale. Scigliano, dal territorio un tempo vastissimo, con un castello fatto costruire dall’imperatrice Costanza d’Altavilla, con un Ginnasio fondato nel Settecento e due giornali pubblicati nell’Ottocento. Pedivigliano, fondato nella prima metà del Cinquecento ai piedi del vecchio abitato di Villanova, prima quartiere di Scigliano e poi centro autonomo con un proprio sindaco e propri eletti. Altilia, l’antica rocca fortificata dei Mamertini, ripopolata da profughi cosentini scampati alle incursioni saracene, feudo delle famiglie Scaglione e Alimena, e poi sede della prima vendita carbonara della Calabria. Aiello Calabro, che la tradizione vuole Tylesios per i Greci e Agellus per i Romani, con un castello considerato una delle principali fortezze del Mezzogiorno italiano, assediato per quattro mesi da Roberto il Guiscardo; Aiello sede della Contea dei Siscar, feudo dei Cybo Malaspina e patria del navigatore Angelo Manetti, membro delle spedizioni di Vasco da Gama e Cristoforo Colombo. 146 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Martirano, l’antica M amertum, dalle cui foreste si estraeva la pece, alleata dei Romani nella guerra contro Pirro re dell’Epiro, luogo di attraversamento della Via Popilia, Contea con i Normanni e sede di Diocesi istituita da Roberto il Guiscardo nel 1058, con un castello che dominava le vie di comunicazione e la stessa valle del Savuto. E poi San Mango d’Aquino, Savuto e Cleto, che sono i centri abitati ai quali è dedicato questo lavoro. Per finire con Nocera Terinese, ultimo comune della provincia di Catanzaro sul mar Tirreno in direzione nord, il paese che ha legato il suo nome a Terina, città ripopolata da Crotone al tempo della Magna Grecia. Terina distrutta da Annibale e poi dai Saraceni, per dare origine alla Nuceria medievale, feudo ecclesiastico sotto il baliaggio di Sant’Eufemia dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Il Savuto è luogo dove termina il mito e nasce la storia. Con la città di Temesa avvolta nel mistero, citata da Omero nell’Odissea e sparita nel nulla nelle vicinanze della foce del fiume o, più a nord e verso l’occidente, sulle alture di Serra d’Aiello; e con il Pian della Tirena, nel territorio di Nocera, che custodisce gelosamente nel suo grembo i resti di una città antica, certamente greca, forse fenicia, lambita in tre lati dalle acque di due fiumi e dal mare, tanto da sembrare un’isola. Il Savuto è importante strada di accesso. Via di penetrazione verso le zone interne, dove gli insediamenti che sorgono a mezzacosta e sui pianori sono occupati in epoche successive da vari popoli, fino agli Italici, che parlavano la lingua osca e che seppero dare vita ad una propria cultura locale. Attraverso la sua valle i Neolitici penetrano nelle zone collinari e montane e s’insediano nelle terre di Nocera, San Mango, Savuto, Cleto, Martirano e Conflenti, mentre il territorio di Falerna, più prossimo al mare, partecipa allo sviluppo della Piana di Sant’Eufemia, ricca di strutture abitative. De La Genière informa che i sentieri lungo il Savuto collegavano la costa tirrenica con la valle del Crati e con la piana di Sibari, e risalendo il fiume si poteva giungere pure alla valle del Neto e a Crotone. E il Piano di Tirena, posto allo sbocco del Savuto e del fiume Grande, era un punto d’incrocio delle strade terrestri e marittime216. Lungo la sua valle scorre la via Popilia, e sulle sue sponde poggia il ponte 216 Intervento di J. DE LA GENIÈRE, in G. MADDOLI (a cura di), Temesa…cit., p. 178. IL FIUME SAVUTO 147 Sant’Angelo, detto di Annibale, che la tradizione vuole costruito dai Romani quando la strada consolare non esisteva, distrutto dai suoi costruttori per tagliare le vie di fuga di Annibale e ricostruito con lo stesso materiale dagli uomini del generale cartaginese, quando nel 203 a.C. egli guida i soldati verso le coste tirreniche e distrugge la città di Terina. Via di comunicazione che accompagna per lunghi tratti l’antico percorso della strada consolare, il quale, nelle vicinanze della foce, da via interna diventa litoranea e attraversa gli attuali territori di Falerna e Gizzeria fino a Capo Suvero, passando poi per Sant’Eufemia Vecchia e continuando fino all’Angitola: una strada che, dopo secoli di abbandono, è resa efficiente dai Normanni per motivi militari ed è ripresa da Ferdinando di Borbone nel 1774. Ed è proprio attraverso la valle del Savuto e poi quella del Crati che il generale francese Reynier ripara, con i suoi soldati, nella piana di Sibari, dopo la sconfitta inflitta alle truppe napoleoniche dagli Inglesi nella battaglia di Maida del 4 luglio 1806. Il Savuto è via di conquista. Sulla riva del fiume, nella località chiamata ancora oggi Passu du Piru, i soldati mamertini fedeli ai Romani affrontano e sconfiggono Pirro, re dell’Epiro, sbarcato in Italia nel 281 a. C. per portare aiuto alle colonie greche; e in quel luogo nel 1690 il principe Tommaso d’Aquino fa porre una lapide nella quale, in latino, viene ricordata la battaglia, “ affinché non si perdesse il ricordo di quell’evento” 217. Sulle sue sponde e lungo la consolare romana sorge la stazione Ad Sabbatum flumen, e anche per questo Martirano “ era tappa importantissima e fu punto di passaggio delle grandi invasioni saraceniche, nella Calabria Interna, durante il secolo X ” 218. Lungo i suoi sentieri transitano i cavalieri normanni che muovono alla conquista del Regno del Sud, e sotto Federico II schiere di Saraceni, risalendo la valle, si spingono verso l’interno e attaccano la popolazione. A presidio della valle, per rendere le vie inaccessibili ai soldati aragonesi che dalla Sicilia possono portarsi sulle coste della Calabria e mettere in pericolo la dinastia angioina, Carlo conte d’Angiò, nuovo re di Napoli dopo la morte di Corradino di Svevia, fa costruire sulla riva destra del fiume un forte castello, il Castrum Sabatii, i cui ruderi, visibili ancora oggi, dominano l’abitato di Savuto. Il fiume è tutto questo. Ma è anche pericolo. 217 M. MANFREDI-GIGLIOTTI, M emorie storiche sull’ antica città di Terina, Messina, Edizioni Pungitopo, 1984, p. 69. 218 O. DITO, La Calabria, Messina, libro I, Ed. La Sicilia, 1934, p. 238. 148 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Torbido, truce e spaventevole a tutti crudele, lo definisce Eugenio Arnoni. L’attraversamento delle sue acque rappresenta per secoli l’unica alternativa alle vie di comunicazione che mancano, ma la grande massa d’acqua è una seria minaccia e spesso le persone cedono alla furia della corrente. Il rischio di finire affogato tormenta la vita di intere generazioni e il ricordo di quelle tragedie si fissa nella memoria collettiva, dando origine a storie e racconti di altri tempi. Nei pressi del fiume muore Enrico, il figlio ribelle dell’imperatore Federico II, malato di una forma avanzata e deformante della lebbra, e non ucciso per volere del padre. E negli stessi luoghi la disgrazia tocca la famiglia del re di Francia. Succede quando, di ritorno da una Crociata in Terra Santa, Filippo III l’Ardito, figlio del re Luigi IX, e la moglie Isabella, figlia del re Giacomo d’Aragona, mentre da Nicastro si recano a Martirano, giunti al Passo del Savuto, si preparano a guadare il fiume, rapido e gonfio per le piogge. La regina Isabella, incinta di sei mesi, spinge il cavallo fra i sassi sdrucciolevoli, viene balzata di sella e cade nelle acque ghiacciate; salvata dall’annegamento, viene trasportata a Cosenza dove, però, perde il bambino. Qualche giorno dopo, il 28 gennaio 1271, muore anche lei. Le sue carni sono sepolte nel Duomo di Cosenza, mentre le ossa, portate a Parigi, sono sepolte nella chiesa di S. Dionigi, assieme a quelle del suocero Luigi IX il Santo 219. Sono numerose le persone che nel corso dei secoli lasciano la vita nell’attraversamento del tratto di fiume dove le acque bagnano i territori di San Mango e di Savuto. Virgilio e Pietro Baldascino di Savuto annegano nel 1737, Domenico Lancella di Paola nel 1756, Achille Adamo di San Mango nel 1812, Bruno Nabbotto di Grimaldi nel 1831, Pasquale Zimbaro di Serra Aiello nel 1853, Caterina Sacco di San Mango nel 1878, e poi tanti altri sventurati e sconosciuti… Un racconto di Carmine Ferrari si conclude con Michaela che si avvia lentamente verso il fiume, gonfio d’acqua e limaccioso, che si ingrossa sempre di più e che, rumoreggiando, trascina alberi e rami sradicati lungo la sua folle corsa, fino a quando un’onda più grossa ghermisce la giovane donna, avvolgendola nel suo lugubre manto e trascinandola lontano…220. E non solo annegamenti. La Statistica Murattiana del 1812, nel descrivere i 219 A . MENDICINO (a cura di), M artirano: memorie storiche – su ricerca di Francesco M endicino, Comune di Martirano, 1989, p. 32. 220 C. A. FERRA RI, Brandelli di vita, Soveria M., CLE, 1989. IL FIUME SAVUTO 149 focolai di malaria, testimonia: «Il Savuto è cagion di un medesimo oggetto nella pianura esser descritta di Nocera. Otto lagune che coprono 260 moggia di terreno potrebbero venir disseccate, mercé l’incanalamento delle acque, e si risparmierebbero agli abitanti dei luoghi finitimi i malori a’ quali li espongono le micidiali esalazioni che tramandano…». Il fiume è pericolo. Mentre attraversa il Savuto, nella ritirata verso il nord, il generale francese Reynier subisce un agguato da parte della popolazione insorta. Ma è anche luogo di speranza. E alla Fiera del Savuto, oltre che a Scigliano e Aprigliano, i carbonari calabresi mettono in atto, nel 1813, un primo tentativo di sollevazione contro i Francesi, nella speranza di poter ottenere anche per la Calabria la Costituzione liberale introdotta in Sicilia dal ministro plenipotenziario inglese Lord Bentinck. È pericolo, e non solo per le persone. Eventi alluvionali si ripetono negli anni e, oltre a lasciare danni e vittime, frenano lo sviluppo del territorio e incidono sulla sicurezza dei cittadini e sulla qualità della vita. Le alluvioni del 1903 distruggono i muri alla sinistra del ponte della provinciale Coraci-Parenti e provocano danni a muri frontali, parapetti e spigoli delle spalle del ponte in contrada Ascarona, nel tratto della provinciale che da Sorgente del Savuto va a Parenti e Rogliano. Le alluvioni dell’inverno 1930/ 31 provocano il crollo di una casa colonica a seguito dell’erosione della sponda sinistra del fiume, nella zona montana a Rogliano. Nel 1953 la piena e le alluvioni provocano danni alla rete viaria nella zona di Isca Romana e Parenti, e crollano i muri di sostegno a cento metri dal ponte. Nel 1959 l’enorme portata del Savuto distrugge un ponte nel territorio di Rogliano e provoca danni all’azienda che opera nel bosco Ricciulli, causando la perdita del materiale legnoso già pronto per il carico. Nello stesso anno il fiume colpisce la centrale idro-elettrica di Altilia e provoca danni alle opere di bacino, alla diga, ai canali di carico e scarico, alle abitazioni degli operai e alle linee di bassa e alta tensione. Nel 1960 le acque asportano un tratto della passerella a sei luci a servizio della strada mulattiera che lega l’abitato di Parenti a diverse frazioni. Nel 1971 il fiume straripa nell’area prossima alla foce e le acque travolgono un complesso turistico a Nocera Terinese. Nello stesso anno il fiume straripa lungo il medio corso nei pressi di Martirano, e travolge un ponte. Nel 1980 torna a essere colpita la zona di Nocera e le acque invadono i terreni coltivati a cavallo del confine tra le province di Catanzaro e Cosenza. 150 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Nel 2008 crolla il ponte sul Savuto che garantiva i collegamenti tra Nocera Terinese e Campora San Giovanni. Crolla lentamente, travolto dalla furia delle acque del fiume ingrossate a causa delle precipitazioni, e nel crollare sembra mettersi in ginocchio dinanzi alla forza della natura e alla stupidità degli uomini. Crolla dopo essere stato dichiarato pericolante due anni prima, forse per aver sopportato il traffico veicolare pesante, dirottato quando la strada nazionale litoranea è invasa ed erosa dalle onde del mare in tempesta nei pressi del bivio di Campora. Il fiume è violento. Ma è anche oggetto della violenza degli uomini. Una violenza che si perpetua nel tempo. Che inizia dalla sorgente in località Spineto del comune di Aprigliano, a circa 1.300 metri di altezza. Perché proprio lì, “ con i ripetuti prelievi dalle falde acquifere a monte, sotto le rocce granitiche, è venuta a mancare l’acqua alla fontana, incanalata in condotte per i bisogni della piana di S. Eufemia” 221. E poi continua lungo il viaggio, quando le acque sono convogliate nel suo lago artificiale e inviate al lago Ampollino, attese per alimentare le centrali idroelettriche costruite in Sila a partire dal 1919. Una violenza perpetrata ai suoi danni e che ha ridotto notevolmente la portata delle acque, come mostra la sua foce. Risorse rubate a un fiume che aveva una portata d’acqua che d’estate superava i due metri d’altezza e d’inverno, in media, i quattro metri: “ gonfio di verno e porta alberi all’impiedi” , aveva scritto Padula. Una violenza che arriva fino ai giorni nostri. « Il Savuto diventa discarica dell’A3, titolano i quotidiani in prima pagina, e l’elenco dei disastri ambientali è lungo: in una sua parte è stato letteralmente ristretto; sulla riva i fanghi chimici per le trivellazioni stagnano in piccole fosse argillose, formando un vero e proprio pantano; l’acqua è giallastra e circondata dalla schiuma; il torrente e i suoi piccoli affluenti sono usati come discariche per acque sporche e composti chimici; il corso è stato più volte incanalato in tubazioni sotterranee per permettere il passaggio dei mezzi…» 222. Tutto ciò accade mentre tre membri del Consiglio regionale della Calabria, IX Legislatura, presentano un disegno di legge per l’istituzione del Parco Fluviale bacino del fiume Savuto. “ Al fine di tutelare i caratteri naturalistici, storici e ambientali del territorio del Savuto” , scrivono. Violenza degli uomini, ma anche della natura. Le onde sismiche secondarie, generate dal terremoto del 1638, muovendosi 221 S. TUCCI, in www.parenticomune.it/savuto.htm. 222 « il Quotidiano della Calabria» del 9/ 10/ 2009, p. 9. IL FIUME SAVUTO 151 dal basso verso l’alto, provocano gravi dissesti geomorfologici lungo le rive, dove si verifica il fenomeno della liquefazione delle sabbie e il terreno passa improvvisamente da uno stato solido a uno fluido. Il fiume è via di comunicazione, strumento naturale per stabilire i contatti. In epoca romana, il territorio che orbita attorno alla sua foce è interessato da vivaci correnti di traffico, favorite dalla presenza della Via Popilia, diramazione della Via Appia che da Capua giunge a Reggio, e della Via Traiana, che segue un tracciato litoraneo lungo le coste del mar Tirreno. Ed è lì, a poca distanza dalla foce, e pressappoco nei pressi della Bocca di Portavecchia, che le due strade si congiungono, una proveniente da Cosenza e l’altra da Clampetia. S’incontrano, e attraversano il Savuto passando, ovviamente, sopra un ponte la cui ubicazione è incerta; è una struttura di cui si è persa la memoria, oppure è il ponte di “ Fra Guglielmo” , lungo un centinaio di metri e menzionato nel Cabreo di Nocera del 1656? Macchione ricorda che Bocca di Portavecchia è luogo d’incontro di viaggiatori provenienti da Nord mediante la litoranea Traiana e dall’interno mediante la Via Popilia, punto di snodo per passare dal mar Tirreno al mar Ionio. Una volta superato il fiume Grande - il Tannus dei Fenici e dei Romani, come riportato dalla Tabula Peutingeriana – e quindi utilizzato un altro ponte, le strade probabilmente si allineano, per proseguire verso Sud: lungo quella che oggi è una strada di campagna che dal Piano del Casale giunge a Castiglione e che la tradizione popolare chiama Via Appia, e lungo un tratto di strada che porta in località Schipani e che poi si abbassa gradualmente a filo di costa, per finire quasi a combaciare dopo Capo Suvero. Lo studioso di Nocera ricorda che il luogo, con il Girone della Brace, è ancora oggi punto d’incontro di vie di comunicazione, dove la strada proveniente dalla marina si biforca per Nocera centro e per Campora, e dove l’Autostrada quasi combacia con la vecchia Statale, “ così come un giorno la Popilia s’intrecciava con la V ia Traiana” 223. Il territorio è attraversato da due corsi d’acqua, il Savuto e il Grande. È naturale, quindi, che il percorso di uomini e carri fosse agevolato dalla presenza di altrettanti ponti. Dove sorgessero quelle opere non è dato sapere, anche perché il letto dei fiumi ha subito variazioni, ma una cosa è certa: sul Savuto e sul Grande, nelle immediate vicinanze della foce, due ponti esistevano già all’epoca dei Romani, e quello del Savuto in particolare, doveva sorgere più all’interno rispetto ai ponti moderni, verso Portavecchia, come dimostrato da Macchione nella trattazione delle distanze comprese negli Itinerari romani e 223 A. MA CCHIONE, op. cit., pp. 225-278. 152 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO nella Carta di Konrad Peutinger224. Nel 1582, mentre in Spagna governa Filippo d’Asburgo e a Napoli è viceré Marc’Antonio Colonna duca di Tagliacozzo, viene costruito in località Ischia Romana il primo ponte in muratura, utilizzando materiale del posto. E pochi anni dopo, ecco un altro ponte sorgere in località Tavolaria, a poca distanza dal torrente Cannavina, primo affluente del Savuto. Via di pace, scrive Folco Quilici, non di guerra, nell’incontro tra genti diverse e non di rado avverse225. E anche per la gente di San Mango e Savuto il fiume è luogo di transito e favorisce scambi commerciali, rapporti personali e relazioni parentali. Via di comunicazione, e lungo il suo percorso Giuseppe Bonaparte incrocia il corriere che gli consegna il Decreto di nomina a re di Napoli, firmato dal fratello Napoleone il 30 marzo 1806. Le condizioni delle strade sono pessime. L’Università di Martirano e altre terre limitrofe, in occasione del viaggio del re, pensano di costruire a proprie spese un ponte sul fiume Savuto, nei pressi del Piano di Mario; ma il progetto rimane sulla carta e solo nel 1812, per opera di Gioacchino Murat, viene completata la nazionale napoleonica che taglia la regione da Lagonegro a Villa San Giovanni. Nelle acque del Savuto si imbatte Craufurd Tait Ramage, il viaggiatore inglese che da aprile a giugno del 1828 inizia un viaggio nel regno delle Due Sicilie, e dalla frazione Diano di Scigliano parte alla volta di San Mango. Sceso nell’alveo del Savuto – un fiume che «anche a questa stagione l’attraversarlo a cavalcioni sulle spalle della mia guida era un’impresa ardua» – egli prosegue il cammino in maniera agevole per molte ore, fino a giungere in un canalone che «saliva su nelle montagne, un luogo dove i briganti solevano tenersi in agguato»; la guida allora consiglia di «attraversare nuovamente il fiume risalendo su per l’argine opposto e proseguire poi lungo il fitto bosco sull’altra riva». Ramage raccoglie l’invito, però ammette che «non fu cosa facile arrampicarsi su per l’argine opposto del fiume che era ricoperto di un fitto sottobosco, allarmato anche dal gran numero di vipere e di serpi che andavamo disturbando mentre stavano scaldandosi al sole» 226. Pensando al ponte sul Savuto costruito durante il Fascismo, dichiarato pericolante nel 2006, crollato nel 2008 e ancora non ricostruito, mi viene da osservare che c’erano più ponti nell’antichità che oggi; e allora non esistevano le autovetture! 224 225 F. QUILICI, Il lucore di aride pietraie, in C. DAMIA NO FONSECA (a cura di), Le vie… cit., p. 26. 226 C. T. RA MA GE, Viaggio nel Regno delle Due Sicilie, Napoli 1982. IL FIUME SAVUTO 153 Il fiume è fonte di soddisfazione di bisogni primari. Di sicuro attraverso l’approvvigionamento idrico e la pesca. Ma non solo. Scrive Pasquale Versace: «Nei confronti del fiume l’uomo non si è limitato alla utilizzazione delle acque, ma ne ha occupato in modo sempre più intenso il territorio di pertinenza». E poi aggiunge: «Le aree di pianura e poi, progressivamente, i grandi materassi alluvionali delle aree di deposito sono stati via via occupati da insediamenti agricoli e civili» 227. Il Savuto, con le sue acque limpide che scendono impetuose fino al mare, ha reso fertili le due sponde, e il fiume, con i prodotti della terra, ha nutrito e ha dato da vivere ad intere generazioni, alleviando le sofferenze di un’esistenza avvolta nella miseria e nella disperazione. C’è ancora gente che ricorda gli appezzamenti di terreno chiamati macchie e coltivati ad ortaggi. E c’è anche chi ha in mente la poesia che Eugenio Chieffallo ha dedicato al Savuto. Un vero e proprio inno al fiume, che il poeta vedeva giungere dai Cannavali e vedeva poi sparire dietro la curva dei Vignali, e in tutto quel tratto c’era il suo mondo di fanciullo. «La valle ti ama come si ama una consorte – dice Chieffallo nei suoi componimenti in vernacolo – e per meglio accoglierti stende cento valloni come se fossero braccia… E le migliaia di macchie che tu, o fiume, hai lasciato, con il lavoro sono diventate conche d’oro per questa gente… Come l’edera si attacca al muro, così io, con il pensiero, resto attaccato alle mie macchie… E vedo mille persone al lavoro, curve, da marzo in poi per interi mesi, fino a ottobre, fino a quando salgono a San Mango lasciando un’isoletta che rappresenta il bene di Dio sulla terra» 228. Ma le piene, gli allagamenti e gli straripamenti sono frequenti, specialmente al tempo in cui “ la Buda era popolata di gente allegra ed al lavor pensosa” (per usare il verso di un altro poeta sammanghese, Antonio Chieffallo); e allora la natura si riprende il territorio e rende inutile il lavoro degli uomini: i campi spariscono, le frane e gli smottamenti si portano via i tratti delle strade e il tutto rende precarie le condizioni di vita dei contadini. Il fiume è luogo dove l’uomo non è solo. Non è solo neanche di notte, scrive Antonio Chieffallo nel raccontare un viaggio con l’asinello fatto nel 1956 da Campora a Grimaldi, quando, lasciato 227 P. VERSACE, Aspetti idraulici e idrologici del sistema fluviale, in C. DAMIA NO FONSECA (a cura di), Le vie… cit., p. 99. 228 E. CHIEFFA LLO, Sucu de mente vagante, Cosenza, Tipografia MIT, 1981. 154 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO all’imbrunire il ponte di Donn’Arrigo, egli s’infila nella sabbia del Savuto e, raggiunta la mulattiera, oltrepassa le località di Fabiano, Vignali, Piano della Madonna e Vettorello. «Lontane voci – scrive Antonio – si levano dalle case di campagna sparse lungo la valle, ed i fuochi si vedono fino ai paesi di Savuto da un lato e di San Mango dall’altro…» 229. Lo scorrere delle acque allevia la solitudine e, per le genti dei paesi che si affacciano nella valle, il fiume è luogo di socializzazione. Lungo le vie dell’acqua corrono i sentieri attraversati da interi nuclei familiari, corrono le mulattiere percorse da asini e muli, corrono i tratturi battuti da pecore e capre. Il fiume è strumento per la vita. Lungo le vie e i canali, ai margini dei fiumi e dei ruscelli, scrive Pietro De Leo, si moltiplicano i primi motori per l’Occidente, i mulini ad acqua, segno di dominio e di possesso del territorio, che rappresentano altresì un luogo favorito di incontro, di ritrovo e di lavoro. «Il mulino, infatti, sino alle soglie della Rivoluzione industriale non solo fu struttura indispensabile per l’alimentazione di una popolazione urbana e rurale che si nutriva prevalentemente di cereali, ma fu anche, nell’immaginario collettivo, al pari delle fonti, luogo in cui si stringevano sodalizi notturni fra diavoli e mugnai che vegliavano nelle lunghe sere aspettando, con l’alba, la fine della propria fatica (Morelli 1984)» 230. Il Savuto è luogo di miti e di favole. È terreno di sepoltura di Ligea, la sirena trovata morta perché sbalzata dalle onde, o meglio di Ligea la menade: una delle baccanti, sacerdotesse di Dioniso che, invase dal nume, si abbandonavano alla danza in mezzo ai satiri. È spazio abitato da gnomi, magare, streghe, lupi mannari, mostri, sampaulari. È terra di tesori nascosti, dove vivono galline dalle uova d’oro e dove si trovano anelli fatati. È un punto magico che rievoca racconti antichi, narrati dagli anziani nelle sere d’inverno con la famiglia raccolta attorno al focolare. Il Savuto è luogo di antiche leggende. Come quella che parla di Ulisse sospinto dai venti verso la città di Temesa e di Polite, suo compagno, che violenta una vergine del posto e gli abitanti lo uccidono con la lapidazione. L’ombra di Polite, però, comincia a perseguitare i suoi uccisori, i quali, per placare l’ira del demone, costruiscono un tempio in 229 A. CHIEFFALLO, Un mulattiere del ‘56 , in A. ORLANDO, San Mango d’A quino, la storia, San Mango, A ssociazione Valle del Savuto, 1997, p. 107. 230 P. DE LEO, Vivere tra fiumi e fiumare in Calabria in età medievale, in C. DAMIA NO FONSECA (a cura di), Le vie…cit., p. 233. IL FIUME SAVUTO 155 un bosco di ulivi selvatici e vi sacrificano ogni anno una fanciulla. E questo succede fino a quando il pugile Eutimo di Locri, di ritorno da Olimpia dove aveva vinto le Olimpiadi, si ferma a Temesa e qui si innamora della vergine destinata al sacrificio annuale. Inizia la lotta tra il pugile e l’ombra. Vince Eutimo, e il demone sconfitto lascia per sempre Temesa e si butta nel mare fino a scomparire. Il fiume è luogo di meditazione e di contemplazione. Sulle sue sponde sorgono i romitori degli asceti e le sue vie finiscono spesso per identificarsi con i sentieri dell’anima. E come tutti i sentieri dell’anima di ogni parte del mondo, anche quelli del Savuto portano verso edifici sacri: la chiesa dell’Assunta presso Savuto e la chiesa della Beata Vergine delle Grazie, o Buda, presso San Mango. Luoghi di culto costruiti per le messe domenicali e comuni a tutti i centri della valle del Savuto. Attorno ai luoghi sacri si concentrano gli scambi, si praticano piccoli commerci, si sviluppano relazioni e nascono rapporti familiari che rompono la solitudine e allargano l’orizzonte della vita. E quando il centro abitato di San Mango è staccato dal Feudo di Savuto diventando autonomo, i Savutani si costruiscono un nuovo edificio sacro dalla loro parte del fiume. La leggenda vuole che la Madonna sia apparsa in sogno e abbia chiesto l’erezione di un nuovo edificio nel territorio di Savuto. Nasce così la chiesa rurale della beata Vergine del Soccorso in località Giardino, affidata alle cure di diversi eremiti: Fra Michel’Angelo Arceri di Nicastro, morto nel 1733, Fra Michel’Angelo Coscarella morto nel 1737, Fra Pasquale Astorino di Scigliano, morto nel 1816231. Eremiti che frequentano la sponda destra del fiume, nel territorio di Savuto, ai quali si aggiungono gli eremiti che frequentano la sponda sinistra, nel territorio di San Mango: Giovanni di Napoli originario di Martirano, Romito in S. Maria in Buda, morto nel 1670; Francesco Bartolotta originario di Falerna, morto nel 1703; Francesco Maletta, morto nel 1749; tutti seppelliti nella chiesa della Buda, nelle immediate vicinanze del fiume. Luogo di riposo eterno. Non solo per eremiti, ma per tante altre persone scomparse mentre erano intente a condurre l’esistenza quotidiana. Come Fabio Manfredi nel 1712; Domenico Lancella nel 1756, sommerso dalle acque impetuose mentre attraversa il 231 R. LIBERTI, Storia dello Stato di Aiello… cit., p. 273. 156 CLETO SAVUTO SAN MANGO D’ AQUINO Savuto; Antonio Briglio Zigrino della Terra di Aiello nel 1823; Raffaele Pagliuso nel 1844, oriundo dei Cannavali; Edoardo Moraca nel 1856, aggredito di notte nel suo agro detto Buda e perito per morte violenta; Caterina Sacco nel 1878, morta affogata; Nicola Moraca, figlio di Francesco e di Fortunata Audino, nel 1878; Bruno Marco di Cleto nel 1880. Le chiese accolgono così le spoglie di persone che nascono e vivono nelle sponde opposte del fiume e che al fiume consegnano i resti mortali della loro esistenza terrena. Il Savuto è luogo di riposo anche per la mitologia. In prossimità della foce è esistito per secoli il sepolcro della sirena Ligea, con un’epigrafe, incisa sulla pietra, contenente parole greche che volevano dire: Muore Ligea che visse cento anni. L’iscrizione, citata dagli scrittori classici, è ricordata da Girolamo Marafioti da Polistena (Croniche et Antichità di Calabria, 1601), che dice di averla vista di persona, ed è rimasta nella memoria visiva degli anziani di Nocera fino all’inizio del Novecento 232. Sacro e profano s’incontrano e si confondono e il fiume diventa luogo dove si manifesta la religiosità popolare. Lo scorrere delle acque favorisce la nascita di leggende legate al culto della Madonna. Leggende che si ritrovano da una parte e dall’altra della valle e che narrano di apparizioni divine, di un tratto di fiume dalle acque miracolose, di fontane che la notte dell’Epifania versano olio al posto dell’acqua, di quadri della Madonna che lungo la via verso il centro abitato di Savuto diventano sempre più pesanti… Oggi le cronache dicono che la chiesa rurale della Madonna del Soccorso di Savuto, che i devoti chiamano Madonna della Mazzarella, risulta rovinata da un masso caduto dalla roccia a seguito del terremoto del 1905, e che la chiesa di Maria SS. Delle Grazie, che in San Mango assume la denominazione di Madonna della Buda, è stata demolita nel 1965 per lasciare il suo spazio al percorso dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. E siamo già in un’altra epoca, in un tempo in cui i miti non hanno più valore e le favole sono un lontano ricordo. 232 A. MA CCHIONE, op. cit., p. 80. INDICE Presentazione .................................................................................... 5 L’Età Antica ........................................................................................9 Tra mito e storia................................................................................21 Cleta sullo Jonio?..............................................................................35 Cleta città scomparsa?......................................................................41 Il Medioevo .......................................................................................55 L’Età Moderna..................................................................................75 Nasce San Mango .............................................................................87 Dagli Asburgo ai Borbone ...............................................................99 L’Età Contemporanea .................................................................... 109 Fino al nostro tempo ...................................................................... 129 Il fiume Savuto ............................................................................... 143 Finito di stampare nel mese di maggio 2013 da Universal Book srl Via Botticelli, 22 – 87032 Rende (Cs) Tel/ Fax: 0984.408929 per conto di Ma. Per. Editrice