BERNARDINO TELESIO
TRA filosofia naturale
E SCIENZA MODERNA
a cur a di
giuliana mo cchi, sandr a plastina, emilio sergio
PIS A · ROMA
FABRIZIO SERRA E DITO RE
MMX I I
Volume pubblicato con un contributo della
Facoltà di Lettere e Filosofia - Università della Calabria,
e con un contributo del Dipartimento di Filosofia sui fondi Miur (ex 60%)
e del Comitato Nazionale per le celebrazioni
del v centenario della nascita di Bernardino Telesio.
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SOMMARIO
Mario Alcaro, Giuliana Mocchi, Premessa
Emilio Sergio, Parrasio, Antonio Telesio e l’Accademia cosentina
Carlo Fanelli, Umanesimo e teatro in Calabria prima di Telesio : l’attività di
Coriolano Martirano
Elisabetta Selmi, ‘Formazione’ e ‘ricezione’ del pensiero telesiano nel dialogo con
i filosofi e i letterati dello Studio Patavino
Luigi Maierù, Alcune riflessioni attorno al contesto in cui leggere il De rerum
natura di Bernardino Telesio
Raffaele Cirino, Bernardino Telesio e « delle cose che in aria si fanno »
Hiro Hirai, Il calore cosmico di Telesio fra il De generatione animalium di
Aristotele e il De carnibus di Ippocrate
Gabriele De Anna, Telesio e il naturalismo : le critiche alle tesi aristoteliche
sull’immortalità dell’intelletto
Elisabetta Scapparone, Telesio in volgare : fisionomia di una traduzione coeva
del De rerum natura
Jean-Paul De Lucca, Giano Pelusio : ammiratore di Telesio e poeta dell’«età
aurea»
Sandra Plastina, Bernardino Telesio nell’Inghilterra del Seicento
Giuditta Bosco, Elia D’Amato e l’eredità telesiana nell’Accademia Montaltina
degli Inculti
Luca Parisoli, Dalla cristianizzazione di Aristotele al naturalismo telesiano : una
lettura alla luce di Pierre Legendre
Abbreviazioni
Indice dei nomi
11
15
23
37
51
65
71
85
99
115
133
145
155
167
169
GIANO PELUSIO : AMMIRATORE DI TELESIO
E POETA DELL’« ETà AUREA »
Jean-Paul De Lucca
1. Sentieri poetici
ernardino Telesio, che nella sua canzone Agl’Italiani Campanella chiamava « il Consentin, splendor della natura », 1 ha lasciato un segno indelebile non
solo nella storia e nella cultura intellettuale della Calabria ma più ampiamente nella
transizione fra il naturalismo rinascimentale e la scienza moderna. A lui fanno riferimento e da lui traggono ispirazione tanti autori, filosofi e scienzati ma – come
spesso accade – pochi fra questi erano suoi conterranei. Nella canzone appena citata, infatti, Campanella denunciava l’Italia come « sepoltura / de’ lumi suoi, d’esterni
candeliere ; / ond’ancor oggi non chiere / il Consentin [...] ». 2 Campanella, che di
questo atteggiamento ne sapeva qualcosa, era fra quei pochi che difesero i princìpi
della filosofia naturalistica di Telesio contro quelli che si ostinavano ad attaccarlo e
a proibire i suoi scritti. Basti ricordare con quale forza si adoperò a difendere colui
che « riempì il [suo] animo di gioia, sia per la libertà del filosofare, sia perché derivava le sue dottrine dal mondo naturale, e non dalle parole degli uomini » 3 nella sua
prima opera significativa, la celebre Philosophia sensibus demonstrata del 1591. 4 Il filosofo di Stilo tuttavia non era il solo a voler rivendicare la filosofia telesiana contro
l’assalto da parte dei seguaci di Aristotele, come non erano solo i filosofi a volerla
sostenere. Si diffuse presto in uno spazio culturale più ampio un movimento che
apprezzava le dottrine del naturalista cosentino e che vedeva in questa figura un
rifondatore delle scienze. Fra coloro che composero versi in lode di Bernardino Telesio troviamo il poeta e oratore crotonese Giano Pelusio, un’altra figura calabrese
poco nota ma che compose molte bellissime opere in latino, al punto che Francesco
Crisario – che risulta essere stato, come Pelusio, membro dell’Accademia degli Eubolei e dell’Accademia dei Sireni di Napoli – avrebbe detto che i suoi versi « erano
più scorrevoli delle acque dell’Esaro : come quelli di Catullo ». 5
B
Desidero ringraziare Germana Ernst per il suo aiuto e per i suoi consigli.
1
T. Campanella, Agl’Italiani, in Tutte le opere di Tommaso Campanella, i : Scritti letterari, a cura di L.
2
Firpo, Milano, Mondadori, 1954, p. 102.
Ibidem.
3
T. Campanella, Sintagma dei miei libri e sul corretto metodo di apprendere / De libris propriis et recta
ratione studendi syntagma, a cura di G. Ernst, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2007, pp. 32-33 : « sed Telesius me
delectavit ... ».
4
T. Campanella, Philosophia sensibus demonstrata, a cura di L. De Franco, Napoli,Vivarium, 1992.
5
G. Argentieri-Piuma, Giano Pelusio Crotonese del xvi secolo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1984, p.
58. Da quello che mi risulta, questo piccolo volume di una sessantina di pagine è la più recente introduzione al pensiero e alle opere di Pelusio dopo quella di A. Aceti, Giano Pelusio nella vita e nell’arte,
Cosenza, Tip. R. Riccio, 1920. L’Argentieri-Piuma ricorda il Crisario (o Crysario) senza citare la sua
fonte, ma da una ricerca effettuata nel Database of Italian Academies della British Library (comprendente
le accademie attive a Padova, Siena, Bologna e Napoli fra il 1530 e il 1700) risulta sia stato membro delle
116
jean-paul de lucca
Giano, o Giovanni, Pelusio nacque nella città di Crotone – alla quale rimase sempre
profondamente legato – nel 1520. Morì a Roma il 10 febbraio 1600 e fu sepolto nel
vestibolo laterale dell’antica basilica romana di Sant’Eustachio. 1 Una lapide posta
sotto un suo mezzo busto in marmo raffigurava lo stemma gentilizio e l’epigrafe
funebre. 2
Giovane precoce, Pelusio ricevette una formazione umanistica sotto la guida di
Giano Cesareo e Francesco Vitale. Dopo « aver preso l’abito chiesiastico da giovanetto » – secondo ciò che riferisce il biografo Giovanni De Tommaso di Gallipoli
– proseguì per Roma dove fu in seguito assunto dal potente Governatore dei Paesi
Bassi e Duca di Parma e Piacenza, Alessandro Farnese, come precettore dei figli
Ranuccio (1569-1622) e Odoardo (1573-1626), più tardi cardinale. Si ricorda qui che fu
proprio Odoardo Farnese uno dei cardinali ai quali, nel 1606, Campanella si rivolse
con una lunga lettera trattando delle sue funeste vicende giuridiche ed elencando
gli scritti compiuti fino ad allora, supplicandolo affinché « faccia il suo di favorire la
ragione », « ch’al re non giova uccider un fraticello che può esser tanto utile ». 3
Gran parte delle opere di Pelusio consistono in antologie di poesie, odi, carmi
e inni, fra i quali vengono segnalati i Lusuum libri quattuor (Napoli, 1567), l’Odarum
libri duo (dedicato al cardinale Farnese), l’Hymnorum libri duo ad Clementem VIII ed
i Poematum libri duo (tutti stampati a Parma, 1592), nonché gli inediti Carmina in
obelisci vaticani traslationem e i Carmina quibus fere omnia commemorat quae Sixtus V
ab initio sui pontificatus ad hanc usque diem fecit (entrambi scritti a Roma nel 1586).
Nella sua prima collezione di versi, i Lusuum libri quattuor, 4 incontriamo due poesie
che sicuramente ci interessano in questa occasione : una indirizzata a Bernardino
Telesio e un’altra al fratello vescovo Tommaso, a cui Bernardino cedette la sede
cosentina offertagli da Pio IV nel 1565. Il volume venne dedicato al cavaliere Pietro
Portocarrero (« Petro Portucarerio »), che di lì a sette anni, in qualità di Castellano
della fortezza della Goletta, dovette difendere il litorale calabro dall’incursione di
suddette accademie napoletane, un dato interessante che verrà rilevato più avanti. Il Crisario compose
una breve poesia inclusa in uno degli scritti di Pelusio discussi più avanti; vedi G. Pelusio, Ad proceres
Christianos cohortatio, Neapoli, apud Io. de Boy, 1567, f. 2v.
1
Si tratta evidentemente di una svista ciò che riferisce A. Zavarroni, Bibliotecha Calabra, sive illustrium virorum Calabriae [...] elenchus, Neapoli, ex typographia J. de Simone, 1753, p. 317 : « Obiit Romæ
An. MDC. sepultusque est in Ecclesia S. Eusebii [sic], ut ibi Tumuli docet inscriptio ». Altri biografi
concordano sulla tumulazione avvenuta a Sant’Eustachio, che fra l’altro fu luogo di sepoltura di molti
artisti e letterati nel ’500 e ’600.
2
Ci sarebbe da pensare che il monumento funebre andasse distrutto durante la ricostruzione quasi
ex novo della basilica nei secoli xvii e xviii. Ringrazio il rettore della basilica, mons. Riccardo Antonio
Menegaldo, per le utili informazioni. L’iscrizione è riprodotta in L. Accattatis, Le biografie degli uomini
illustri delle Calabrie, Cosenza, Tip. Municipale, 1869-1877, vol. ii, p. 2. Un secolo prima, Giovanni Cristoforo Amaduzzi (Iohannes Christophorus Amadutius), aveva incluso l’iscrizione assieme ad alcune
informazioni sulle opere di Pelusio in una lettera « ad praeclarissimum adolescentem » marchese Ippolito
Pindemonte, cavaliere gerosolimitano (Roma, 13 giugno 1782). Questa lettera all’amico di Ugo Foscolo
venne riprodotta un anno dopo in G.C. Amaduzzi, Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, Romae,
apud Gregorium Settarium, 1783, vol. iv, p. 431.
3
T. Campanella, Lettere, a cura di G. Ernst, Firenze, Olsckhi, 2010, p. 53. La lettera è del 30 agosto
1606.
4
G. Pelusio, Lusuum libri quattuor, Neapoli, apud Io. de Boy, 1567.
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 117
Occialì Pascia e Scipione Cicalà (ovvero Sinan Pascia). La poesia Ad Thomam Thylesium, Archiepiscopum Consentinum si trova nel terzo libro e in essa il poeta esalta la
virtù, la maniera candida e la perizia del prelato, augurandosi ch’egli possa accedere
al titolo cardinalizio. 1 Questo in un momento in cui, scrive metaforicamente il poeta, la sede di Pietro viene assalita dal furore dei forti venti e dalla rabbia del mare.
Il Telesio, uomo integro e di notevole cultura, viene rappresentato come un porto
sicuro che tutti può nutrire, stimare e proteggere.
Seguono subito dopo la poesia al vescovo Tommaso, i versi dedicati al fratello
Bernardino, Ad Bernardinum Thylesium Philosophum : 2
Quot legunt iuvenes, senesque docti
Quae scribis varia, et referta sensa
Attica, et Latia eruditione,
Nihil candidius, politiusque,
Nihil doctius, elegantiusque
Uno ore esse fatentur : hoc Thylesi
Sic tuum est proprium, ut natare thynni,
Et volare aquilae, boumque arare.
Quid mirum est igitur repertus unus
Si e tanto es numero virum Italorum
Qui veris rationibus refellas
Scripta Aristotelis : tibique cedat
Sophus, qui fugiens Sami tyrannum,
Civeis perdocuit meos Crotone.
Leggendo questi versi, appare ironico che in un casuale riferimento a Pelusio nel
suo volume su Telesio, il Fiorentino scrivesse : « A casa Farnese viveva [...] Giano Pelusio di Crotone, il quale poi nelle sue poesie non celebrò altro che duchi, duchini
e cardinali di quella famiglia. [...] Non mancava neppure quest’altro di coltura classica, ma è senza affetto ». 3 Viene da pensare che il Fiorentino non conoscesse questa
elegante poesia in lode di Telesio.
« Niente è più candido e più raffinato / Niente è più dotto e più elegante » di ciò
che si riconosce da « dotti giovani e vecchi » negli scritti di Telesio. Questi versi, che
risalgono a pochi anni dopo la stampa della prima stesura del De rerum natura, vogliono esaltare non tanto la raffinatezza dello stile telesiano quanto l’unicità dello
spessore intellettuale con cui egli si proponeva come critico del sistema metafisico
ed epistemologico aristotelico. Pelusio percepisce la tensione che stava diventando
sempre più profonda fra la teleologia dell’immanenza di Aristotele e le posizioni
critiche di Telesio, che dalla cosmologia si estendevano alle teorie della percezione
e della conoscenza. Erano proprio alcune di queste idee che nei decenni seguenti
vennero esplorate ed elaborate da Bacon, Cartesio, Hobbes e altri grandi fondatori
del pensiero moderno. « Tu sei l’unico fra molti uomini italiani », scrive il poeta,
« che con veri ragionamenti smentisci / gli scritti di Aristotele ; davanti a te cede
/ il Sapiente [cioè Pitagora], che fuggendo dal tiranno di Samo [cioè Policrate] /
ammaestrò i miei concittadini di Crotone » : è proprio in questi versi conclusivi che
1
2
G. Pelusio, Lusuum libri quattuor ..., ff. 52v e 53r. Vedi appendice i, p. 127.
4
Ivi, f. 53r.
Fiorentino, vol. i, pp. 49-50.
118
jean-paul de lucca
l’ammirazione di Pelusio verso il filosofo cosentino raggiunge il suo apice. Il poeta,
anche quando più tardi si trasferì a Parma e a Roma, rimase strettamente legato
alla sua terra e alla sua città che, come qui ci ricorda, riconosceva la sua fondazione intellettuale negli insegnamenti di Pitagora e della sua scuola. Ed ecco quindi
che si aggiunge un significato ancora più profondo a queste parole, poiché vedono
nel Telesio non solo un ‘nuovo Pitagora’ per il proprio ingegno ma addirittura un
fondatore della cultura intellettuale e scientifica moderna che prende il posto delle
antiche dottrine. Pelusio esprime questo profondo senso di ammirazione per colui
che considerava come l’iniziatore di una nuova età aurea sotto il profilo intellettuale. Anche se Pelusio era soprattutto un poeta e un letterato, era comunque sensibile
agli sviluppi in ambito filosofico. Questa poesia dedicata a Telesio è infatti una delle
pochissime occasioni in cui il poeta prende una chiara posizione filosofica che si
rivela decisamente antiaristotelica. Ma se si considera che all’Accademia dei Sireni
apparteneva anche Ferrante Carafa, meglio noto come il marchese di San Lucido,
grande sostenitore del Telesio, allora un legame intellettuale fra Telesio e Pelusio
non è difficile da stabilire. Alla stessa Accademia dei Sireni, come anche a quella
degli Eubolei, 1 apparteneva anche Bernardino Rota, con il quale pare che il Pelusio
abbia avuto in un primo momento un aspro litigio a Napoli. 2 Nelle sue poesie Rota
invoca una pacificazione dopo questo scontro 3 e in seguito i due si scambiarono
affettuosi versi poetici. In altre pagine, lo stesso Rota dedica un elogio a una figura
che entrambi ammiravano, il letterato e scienzato napoletano Giovanni Battista
Della Porta. 4 Al Della Porta, allora ancora un « iuvenem omnibus bonis artibus eruditum » di poco più di trent’anni, il Pelusio dedica una poesia stampata nello stesso
Lusuum liber tertius, 5 pochi anni dopo la stampa della prima edizione giovanile della
sua opera più nota sulla magia naturale, la Magia naturalis del 1558. 6 I suoi libri –
scrive il Pelusio del Della Porta – sono sempre tenuti in mano da « dotti giovani e
vecchi », la stessa frase usata poco prima nella poesia al Telesio, legato al Della Porta
per il suo interesse per la filosofia naturale e soprattutto per il condiviso disagio nei
confronti della filosofia scolastica aristotelica.
Se si parla di Telesio, Della Porta e del loro antiaristotelismo, non può mancare
un ritorno a Campanella, che proprio nel palazzo dei Della Porta a Napoli, mentre
completava la Philosophia sensibus demonstrata in difesa di Telesio, ebbe l’occasione
di frequentare un ambiente di grande stimolo intellettuale che si contrapponeva
all’aridità che lo aveva afflitto nello studium domenicano della sua terra nativa. Le
conversazioni intercorse fra il giovane frate e Giovanni Battista Della Porta riguardo alla realtà naturale e alla magia diedero l’impulso a Campanella per comporre il
suo trattato Del senso delle cose e della magia, più tardi stampato in latino a Francofor1
Vedi p. 115, nota 5. L’Accademia viene menzionata in G. Pelusio, Oratio habita in nuptijs illustrissimi
Comitis Renati Borromaei, & illustrissimae Hersiliae Farnesiae, Parma, apud Seth Viothum, 1579, p. 26.
2
F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, vol. i, a cura di Silvio Vitale, Napoli, Controcorrente, 2005
(originale in spagnolo, Napoles ispanico, Madrid, Ediciones Montejurra, 1959), p. 125.
3
B. Rota, Delle poesie, vol. ii, Napoli, stamp. di Gennaro Muzio, 1726, p. 232.
4
Ivi, p. 199.
5
G. Pelusio, Lusuum libri quattuor ..., ff. 59v e 60r. Anche in questa poesia appare la frase « quod iuvenes, senesque docti ». Vedi appendice ii, p. 127.
6
G.B. Della Porta, Magia naturalis, Neapoli, apud Matthiam Cancer, 1558.
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 119
te (1620) e a Parigi (1636, 1637) col titolo De sensu rerum et magia e con la riedizione
parigina dedicata al Cardinale Richelieu. 1 Nei Medicinalium libri, poi, Campanella
ricorda anche il rimedio efficace che Della Porta gli somministrò per una infiammazione degli occhi. 2 La Medicina venne dedicata da Jacques Gaffarel al principe
Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio e nipote del Cardinale Odoardo, che per conto
del giovane Odoardo fu per alcuni anni reggente del principato.
Ritornando alla grande stima nutrita dal giovane Campanella per la dottrina di
Telesio, è opportuno ricordare il sonetto in italiano intitolato Al Telesio Cosentino
che gli dedica nella sua Scelta di alcune poesie filosofiche : 3
Telesio, il telo della tua faretra
uccide de’ sofisti in mezzo al campo
degli ingegni il tiranno senza scampo ;
libertà, dolce alla verità, impetra.
Cantan le tue glorie con nobil cetra
il Bombino e ’l Montan nel brettio campo :
e ’l Cavalcante tuo, possente lampo,
le ròcche del nemico ancora spetra.
Il buon Gaieta la gran donna adorna
con dïafane vesti risplendenti,
onde a bellezza natural ritorna ;
della mia squilla per li nuovi accenti,
nel tempio universal ella soggiorna :
profetizza il principio e ’l fin degli enti.
Non si può sapere fino a che punto questi versi giovanili ecchegiavano l’elegia (purtroppo andata perduta) che Campanella affisse al feretro di Telesio nel Duomo di
Cosenza, rammaricandosi di non averlo potuto incontrare mentre era ancora vivo. 4
Certo è che nel suo commento a questa poesia l’autore si autopropone come diffusore del pensiero telesiano in altri campi filosofici. Leggendo a confronto le due
poesie di Pelusio e Campanella possiamo forse notare una specie di cambiamento o
un rovesciamento dei ruoli : i sofisti ricordati da Campanella nulla hanno a che fare
con il Sophus ricordato da Pelusio, ma colui che, come altrove ricorda di se stesso,
nacque « a debellar i tre mali estremi » fra cui i sofismi, si riferisce a coloro che corrompono e sviliscono le verità delle scienze e della vera filosofia, in primis Aristotele. Il vecchio Pitagora, che nella poesia pelusiana fuggiva dal tiranno, cedette il
suo primato al Telesio, il ‘nuovo Pitagora’, che nella poesia di Campanella « uccide
Aristotele, tiranno degli ingegni umani » 5 e lo lascia « senza scampo ». Possiamo usare questa inversione dal tiranno persecutore al tiranno efficacemente perseguitato
1
Campanella stesso ci fa sapere che fu sollecitato a scrivere il Del senso delle cose « quando esaminavamo insieme [cioè con Della Porta] l’edizione del suo libro sulla Fitognomonia ». Vedi T. Campanella,
Sintagma, p. 35.
2
T. Campanella, Medicinalium libri vii, Lugduni, ex officina I. Pillehotte, Sumptus I. Coffin et F.
Plaignard, 1635. L’episodio è ricordato in G. Ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura,
Bari, Laterza, 2002, p. 191.
3
T. Campanella, Al Telesio Cosentino, in Tutte le opere, p. 137.
4
Vedi T. Campanella, Sintagma, p. 33 : « Dopo aver affisso un’elegia al feretro di Telesio, che non avevo avuto modo di conoscere mentre era vivo ... ».
5
Dal commento di Campanella al sonetto.
120
jean-paul de lucca
per mettere in evidenza il legame antiaristotelico del poeta crotonese e del filosofo
stilese, congiunti dalla loro comune ammirazione per il « gran Telesio ». 1 Sebbene
in Telesio Pelusio vide una stella nascente del nuovo ingegno scientifico, Campanella, in un’altra poesia scritta pochi decenni più tardi, successivamente alle sue
condanne, ebbe modo di esprimere il suo più profondo rammarico in alcuni versi
di stampo decisamente più critico. Nella già citata canzone Agl’Italiani, infatti, egli
si scaglia contro l’ostinazione dell’Italia che « oggi ancor chiere [i.e. rimpiange] / il
Consentin, splendor della natura, / per amor d’un Schiavone [i.e. Aristotele] ».
2. Sentieri politici
Se in Pelusio l’ammirazione verso Telesio, nonostante sia chiarissima, è ristretta ai
pochi versi ricordati sopra, una molto più ampia ed entusiastica adesione al filosofo
della natura è rilevata in Campanella – come molti scritti suoi e su di lui dimostrano
ampiamente. Lasciamo qui questi sentieri d’incontro fra Telesio e Pelusio da una
parte, e fra Telesio e Campanella dall’altra, per soffermarci invece sul terzo sentiero
che si propone di mettere a fuoco altri punti d’incontro fra Pelusio e Campanella,
primariamente sotto un profilo politico. Si spera che questa momentanea deviazione dalla figura centrale che questo volume vuole celebrare – dovuta anche al fatto
che il pensiero di Telesio non si occupa in modo esplicito della riflessione politica
– ci aiuti comunque a capire meglio il suo tempo. Poi non si deve dimenticare che
nella citata poesia di Campanella a Telesio, il frate-filosofo conclude dicendo che lui
stesso doveva dare un nuovo accento alla filosofia telesiana aggiungendo « la metafisica e la politica ». È proprio su questo versante politico che possiamo esplorare
delle affinità fra Campanella e Pelusio.
Durante la sua travagliata vita era maturata in Campanella la convinzione che
i mutamenti celesti e i fenomeni naturali di cui era stato testimone, designassero
l’inaugurazione di un nuovo periodo nel quale si sarebbero verificati grandi cambiamenti in ambito politico e sociale. Come spiega in tante delle sue lettere e in
molti scritti di ogni genere – qui ricordo solamente i famosi Articuli prophetales
e la Monarchia Messiae – la profezia divina e naturale annunciava l’inzio di quel
« secolo aureo » che doveva anticipare la seconda venuta del Messia e durante il
quale si doveva in ogni maniera accostarsi alla natura, tramite una riorganizzazione e una riconfigurazione dell’intera realtà politica e religiosa, giungendo in
fine alla felicità nell’unità tra i popoli come « un solo ovile sotto un solo pastore ». 2
Fra i tanti riferimenti di questo genere troviamo una menzione della « renovazion
del secolo » nella già citata lettera del 1606 che Campanella scrisse dal carcere di
Napoli al Cardinale Farnese. Sul piano politico, il messianesimo campanelliano
vedeva la sua realizzazione nella rifondazione delle leggi e degli stati secondo la
giustizia naturale, proponendo la conformità della legge civile con quella naturale. Ciò avrebbe dovuto eliminare tutti i mali sociali che avevano le loro radici
1
Una frase usata anche dal già ricordato Ferrante Carafa.
Vedi per esempio il titolo del cap. iii di T. Campanella, La Monarchia del Messia, a cura di V. Frajese,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1995, p. 61 : « Che la felicità del secolo aureo consiste in haver tutto
il mondo un solo prencipe sacerdotale senza superiore, et una fede vera come fu da principio et sotto
Messia deve esere, contro gli opinanti ».
2
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 121
nelle discordie fra gli uomini, i loro stati, i poteri politici e le religioni per ricondurre il corpo politico alla più precisa corrispondenza con il corpo vivo della
natura. Tutto questo ebbe in Campanella la sua più alta espressione poetica ne
La Città del Sole.
Dell’« età aurea » parla anche con solerte aspettativa il Pelusio. Il liber primus dei
suoi Lusuum libri quattuor veniva infatti inaugurato da una lunga e bellissima poesia,
quasi un poema, di dieci pagine, con il titolo « Aetas aurea ». 1 Il poeta auspica la fine
di tante « liti, rapine, risse, discordie, molestie, ingiurie, insulti ... » 2 sotto l’influenza
di Saturno, « re di tutti gli dèi e padre dei mortali » che « coltiva la terra » e insegna gli
« aureos mores ». 3 È interessante notare che Campanella esordiva la sua ultima opera significativa, l’Ecloga composta in occasione della nascita del futuro Luigi XIV di
Francia, citando i versi di Virgilio che richiamavano il ritorno dei regni di Saturno,
annunciando così l’inaugurazione di quel « secolo aureo ». 4
Riferendosi sempre alle stagioni e alla natura che in esse vive e muore, Pelusio
sollecita gli uomini a preparare le lucerne e le lampade per vegliare nelle tenebre
della notte. L’età aurea viene assimilata alla « vita felice » 5 della natura nella pienezza della sua fecondità, ai suoi suoni e ai suoi profumi, agli alberi e agli animali di
terra e di mare. Tale età è in forte contrasto con la situazione reale in cui è diffuso
tanto male, dove gli uomini e le donne sono morti, « sepolti nel corpo vivo ». 6 Ma è
di fronte a tutto questo che il poeta conclude esortando : « Viviamo, dunque, bene
e gradevolmente ». 7
Anche in Pelusio, come in Campanella, le speranze espresse poeticamente vengono riflesse, e in un certo senso contraddistinte, in termini decisamente più politici.
Cenni politici si percepiscono in varie odi e canzoni del Pelusio. Ma il suo scritto più
manifestamente politico, che si esprime in uno stile retorico e non in versi poetici,
rimane il volume intitolato Ad proceres Christianos cohortatio, cioè un’esortazione ai
principi cristiani affinché mettano da parte le loro discordie e divergenze e si uniscano nella difesa di Malta, che nel 1565 fu sottoposta al terribile assedio da parte ottomana. 8 Questa opera venne dedicata dal Pelusio al Cardinale Guglielmo Sirleto,
1
G. Pelusio, Lusuum libri quattuor, ff. 5v-10r.
« Lites, rapinae, iurgia, / Discordiae, molestiae, / Iniuriae, convicia .... » (f. 5v).
3
« Saturnus omnium deum / Rex, et pater mortalium / Terras colebat, aureos / Mores docens ... »
(f. 6r).
4
T. Campanella, Ecloga in principis Galliarum Delphini nativitatem, in Tutte le opere, p. 282 : « Redeunt
Saturnia regna / et nova progenies coelo demittitur alto ». Vedi G. Ernst, Redeunt Saturnia regna. Profezia
e poesia in Tommaso Campanella, « Bruniana & Campanelliana », xi, 2005, pp. 429-449.
5
« Haec vita felix » (f. 9r).
6
« Non esse vivos iudico / Aetatis huius tam malae / Nec masculos, nec foeminas, / Sed mortuos, in
7
corpore / vivo sepultos ... » (f. 9r).
« Vivamus ergo, et suaviter » (f. 10r).
8
Mentre redigevo la relazione presentata al convegno telesiano all’Università degli Studi della Calabria per l’inclusione in questo volume, ho avuto il piacere di leggere in un recente studio sulle isole
maltesi nella letteratura mondiale un paio di pagine che l’autore dedica a quest’opera di Pelusio nel
contesto di un’interessante analisi di scritti contra Turcos. Questa breve ma densa discussione ci aiuta a
capire meglio lo sfondo entro il quale l’opera fu scritta nonché quella che chiamo la ‘percezione calabrese’ dell’isola di Malta e dei Cavalieri Gerosolimitani nella seconda metà del secolo xvi. Vedi T. Freller,
Verses and Visions : The Maltese Islands in World Literature, Valletta, Fondazzjoni Patrimonju Malti, 2008,
pp. 148-158. Freller anticipava inoltre la pubblicazione di una edizione del Ad proceres per opera dello studioso Gerard Bugeja (p. 189, nota 38). Questa edizione (con traduzione in inglese) è stata pubblicata nel
2
122
jean-paul de lucca
nativo di Stilo, che proprio nel 1565 veniva elevato al cardinalato per volontà di Pio
IV e su proposta di Carlo Borromeo suo nipote. 1 Il Sirleto fu vescovo di Squillace,
la diocesi di Campanella, dal 1568 al 1572, quando divenne Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e per decenni di seguito si succedettero in quella sede vescovile alcuni
dei suoi familiari. 2 Noemi Scipioni Crostarosa ci ricorda in una nota che nel carteggio del Sirleto si trova una corrispondenza sia col Pelusio che con i Telesio. 3 Pare
che di entrambi il Sirleto fu, se non protettore, sicuramente sostenitore. Varie volte
si accingeva a sostenere delle cause riguardanti il filosofo cosentino e i suoi fratelli, e pare che sia stato proprio il porporato stilese a raccomandare Giano Pelusio
come precettore dei piccoli Ranuccio e Odoardo Farnese. L’Ad proceres Christianos
cohortatio fu dedicata al Sirleto quando egli era ancora vescovo in Calabria. Poche
settimane dopo, il porporato scriveva al Pelusio ringraziandolo e congratulandosi
con lui per la « buona inclinatione de studii co’ quali fa honore al paese ».
Proprio il bene della sua patria e l’amore che per essa nutrì spinsero il poeta
crotonese a scrivere l’esortazione ai principi cristiani. La riluttanza delle potenze
europee nel soccorrere l’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani nell’assedio dell’isola
di Malta, che durò per quattro lunghi mesi da maggio a settembre del 1565, metteva
in evidenza il pericolo che la mancanza di unione fra gli stati europei rappresentava
non solo per l’isola che stentava a difendersi da quella incursione bensì per l’intero
continente. La Calabria, che da tempo subiva attacchi ottomani, sarebbe stata esposta a più gravi minacce se la fortezza di Malta fosse stata abbattuta dal « tiranno », « il
Gran Turco ». È questa la considerazione più immediata del Pelusio quando esorta
i principi cristiani a mettere da parte i loro dissensi per unirsi nella difesa di Malta,
il baluardo meridionale nella difesa contro gli ottomani. L’opera pelusiana rivolge
un’esortazione a tutti i regnanti e le potenze d’Europa, ma particolarmente a Filippo II di Spagna, poiché è chiara in Pelusio la visione di un primato iberico che
poteva accomunare tutti gli interessi europei, se non altro per la vastità del territorio che apparteneva all’impero del Re Cattolico. All’imperatore Filippo vengono
inoltre dedicate tre poesie che seguono il testo dell’esortazione, nei quali il poeta
richiama il « tutore della santa fede » (« sanctae fidei tutor »), il « re dei re » (« rex regum »), a prendere un ruolo decisivo nella difesa di Malta contro i Turchi. Ed è allo
stesso Filippo II che il testo del Ad proceres fa appello affinché continui l’opera iniziata dal padre Carlo V, che nel 1530 aveva donato in feudo perpetuo e libero l’isola
di Malta ai Cavalieri Gerosolimitani, che vengono più volte esaltati per la loro virtù
e l’abilità militare. Nonostante tutti i loro sforzi, comunque, protesta lo scrittore
calabrese, non potevano da soli respingere efficacemente e permanentemente la
minaccia che veniva dalla parte più meridionale del mediterraneo. In mancanza di
uno sforzo maggiore e più coordinato da parte dei principi cristiani, le conseguenze
volume curato da G. Cassar, From the Great Siege to the Battle of Lepanto : The Life and Times of the Order
of St. John, Malta, Sacra Militia Foundation, 2011, pp. 1-44.
1
Alla dedica (datata Napoli, 6 luglio 1567) seguivano, ai ff. 5v-6r, due poesie indirizzate al porporato.
2
Marcello Sirleto (vescovo dal 1573 al 1594), Tommaso Sirleto (dal 1594 al 1603) e Fabrizio Sirleto (dal
1603 al 1635).
3
N. Scipioni Crostarosa, Lettere inedite di Bernardino Telesio e Giano Pelusio nel Carteggio del Cardinale
Guglielmo Sirleto, « Archivio Storico per la Calabria e la Lucania », vii, 1937, 2, pp. 105-120.
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 123
di questa minaccia si sarebbero presto fatte sentire in Sicilia, nella sua Crotone, in
tutto il regno di Napoli e addirittura a Roma e poi in altri luoghi del continente.
Nella composizione del volume seguono il testo principale alcune poesie dedicate a uomini illustri, come le due poesie che lodano il Gran Maestro dell’Ordine di
Malta che guidò i cavalieri durante l’assedio, Jean de Valette, 1 e uno al « Tiranno »
Solimano, morto nel 1566, al quale il poeta ricorda che il nome di de Valette vivrà
per l’eternità : « Semper erit nomen magne Valetta tuum ». 2 Poi nei Lusuum libri, troviamo una poesia sul comandante degli ottomani Dragut, che venne ucciso durante
l’assedio, e il Pelusio loda chiunque lo abbia ucciso. 3 E ancora nel Ad proceres troviamo una poesia dedicata a don Garcia de Toledo, il Viceré che – tardivamente (come
ben ricorda il Pelusio) – mandò il ‘Gran Soccorso’ verso Malta e che quindi sbilanciò l’assedio a favore dei difensori. La fuga dei Turchi da Malta alla fine dell’assedio
viene esaltata dal Pelusio in un’altra poesia, sempre nello stesso volume, col titolo
De Turcis a Melita fugatis. 4 Ancora a distanza di venticinque anni, in una raccolta
di poesie che lodavano i fratelli Farnese, Pelusio ricordava la liberazione di Malta
dall’assedio dei Turchi. 5 Ma la poesia più bella, a mio avviso, è quella intitolata Melitae obsessae apud Proceres Christianos conquestio, nella quale Malta, messa in pericolo
dalle discordie fra i principi cristiani, parla in prima persona : « Sum Melite infelix
terraque obsessa marique ... ». 6 Si lamenta che Francesi e Tedeschi nulla fecero per
soccorrerla, mentre l’aiuto da parte spagnola tardava ad arrivare. Né Venezia, né
Roma e neanche i nordici popoli « teutoni » fecero nulla. La richiesta di Malta è
chiara e rispecchia poeticamente l’intero scopo dell’opera : « Correte in un animo
concorde re cristiani / fate rapide guerre con mano feroce ». 7 Tutte queste opere
del Pelusio evidenziano ed esprimono ciò che potrebbe veramente essere descritta
come una ‘percezione calabrese’ di Malta, quell’isola che, nei versi del Tasso, « giace
[...] fra l’onde occulta e bassa », 8 e dell’Ordine che ivi soggiornava.
In Pelusio, quindi, vediamo il riflesso di una preoccupazione che da tempo si
manifestava nell’Italia meridionale, dove la presenza dei Cavalieri di Malta si era da
secoli stabilita per difendere i porti dalle incursioni. 9 L’Ordine annoverava fra i suoi
membri molti cavalieri appartenenti alle più note casate calabresi, fra i quali mi piace ricordare in questa occasione il nipote di Bernardino Telesio, Maurizio, figlio del
fratello Valerio e di Giulia Ruffo. Nei volumi dei Processi delle prove dei cavalieri italiani dell’Archivio dell’Ordine di Malta, custodito nella Biblioteca Nazionale di Malta,
troviamo il verbale della consueta procedura del processo per prove di nobiltà del
1
G. Pelusio, Ad Ioannem Valetam nobilium, sacrorumque equitum magnum magistrum, in Ad proceres, f.
46v, e Ad eundem, ff. 46v-47r. Vedi appendice iii, p. 128.
2
G. Pelusio, In Solymanum Byzantiorum Tyrannum, in Ad proceres, f. 47r. Vedi appendice iv, p. 128.
3
G. Pelusio, De Dragute Archipirata, in Lusuum libri quattuor, f. 87r.
4
G. Pelusio, De Turcis a Melita fugatis, in Ad proceres, ff. 44r-45v.
5
G. Pelusio, De Melita Turcarum obsidione liberata, in Odarum libri duo, pp. 15-16.
6
G. Pelusio, Melitae obsessae apud Proceres Christianos conquestio, in Ad proceres, ff. 43r-43v. Vedi appendice v, p. 129.
7
« Currite Christicolae concordi pectore reges, / Saevaque fulminea bella movete manu »
8
T. Tasso, Gerusalemme Liberata, canto xv, 18.
9
Per un panorama sulla presenza dei Cavalieri Gerosolimitani in Calabria vedi G. Valente, Il Sovrano
Militare Ordine di Malta e la Calabria, Reggio Calabria, Laruffa, 1996. Per l’espressione poetica di questa
preoccupazione vedi il già citato T. Freller, Verses and Visions, p. 145 sgg.
124
jean-paul de lucca
candidato « Sig[nore] Maurizio Telesio de la Cità di Cosenza », che ebbe luogo fra il
12 e il 24 novembre 1587. 1 Maurizio fu più tardi accusato almeno tre volte di vari crimini, inclusi l’aggressione e la rissa. 2 Un secondo Valerio Telesio, nipote di questo
cav. Maurizio, vestì l’abito degli Ospedalieri nel 1633. 3 Della presenza dei cavalieri
Gerosolimitani in Calabria era ben consapevole anche Tommaso Campanella, che
ha scelto proprio la figura dell’Ospedaliere (o più precisamente Ospitalario) come
uno dei due interlocutori ne La Città del Sole. Ho provato altrove a tracciare alcuni
sfondi culturali e storici che ci possono aiutare a capire quali motivazioni avrebbero
potuto spingere il filosofo stilese a fare questa scelta, che certo non era accidentale. 4
Sono molti i punti nei quali il pensiero e lo sfondo del filosofo incontrano quelli di
Pelusio. Entrambi, come ci ricorda l’Argentieri-Piuma, « odiava[no] gli autoritarismi e i sofismi e ... lottava[no] contro chi fingeva di possedere conoscenze e virtù ». 5
Entrambi avevano un profondo senso di identità calabrese ed erano indignati per
l’oppressione tirannica del loro popolo. Entrambi erano perlopiù filoispanici, anche
se nel caso di Campanella l’adesione giovanile alla monarchia di Spagna si mutò
gradualmente in una presa di posizione filofrancese. Entrambi vedono l’espansione
politica ottomana come tirannica, ed entrambi ammirano figure come quella di
Scanderbeg, il generale che aveva sconfitto le truppe ottomane in Albania. 6 Entrambi lodano la nobilità e l’abilità militare dei cavalieri di Malta. Gli eventi del 1565,
sui quali Pelusio rifletteva nell’ambito della preparazione per la formazione della
‘Santa Lega’ del 1571 – che di lì a pochi anni avrebbe vinto la battaglia di Lepanto
– avevano mostrato una realtà alla quale sia Pelusio stesso che Campanella erano
molto sensibili : la frammentazione nociva tra le potenze europee. L’opera politica
di Pelusio, anche se è ristretta alle circostanze immediate alle quali si riferisce, preannuncia in un certo modo la soluzione che più tardi Campanella offrirà per fronteggiare questa situazione generale di disaccordo : la realizzazione della monarchia
universale che doveva adoperare l’arte militare sul piano politico ma la forza della
persuasione e la predicazione sul piano intellettuale e religioso, appellandosi alla
ragione naturale. Era proprio in questa maniera che Campanella voleva trasporre
i princìpi del naturalismo telesiano nella propria teoria politica, secondo ciò che
annunciava nel sonetto Al Telesio Cosentino.
Non sappiamo se Campanella avesse mai letto le opere del Pelusio o se addirittura lo avesse conosciuto personalmente tramite gli amici e le circostanze che
li accomunavano a Napoli e a Roma. Di certo li accomunava, nel contesto della
letteratura e del pensiero politico calabrese, la figura del politico e scrittore Ferran1
Vedi appendice vii, p. 131.
Vedi A. Campolongo, Catalogue of records of the Order of St. John of Jerusalem in the National Library
of Malta, « Historica », lxii, 1989, 3, p. 118.
3
M. Pellicano Castagna, Processi di Cavalieri Gerosolomitani Calabresi, Chiaravalle Centrale, Frama
Sud, 1978, p. 95.
4
Vedi J. P. De Lucca, Prophetic Representation and Political Allegorisation : The Hospitaller in Campanella’s
The City of the Sun, « Bruniana & Campanelliana », xv, 2009, 2, pp. 387-405.
5
G. Argentieri-Piuma, Giano Pelusio, p. 35.
6
Vedi per esempio, T. Campanella, Discorsi universali del governo ecclesiastico, in Opere di Giordano
Bruno e Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo e R. Amerio, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956, p. 1149.
2
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 125
te Carafa marchese di san Lucido (1509-1587). 1 Il nobile napoletano fu un fervido
sostenitore della sovranità spagnola e fu vicinissimo a Carlo V e Filippo II. Fu fra i
primi a Napoli a sentire la gravità della minaccia del pericolo ottomano e nei suoi
scritti troviamo l’invocazione di una crociata contro il Turco e l’auspicio, condiviso
da Pelusio e Campanella (almeno dal giovane Campanella), di una monarchia universale per opera della Spagna per fare « un sol Pastore, un solo ovile » 2 e una « gregge eterna ». 3 Sottolineava con forza anche lui l’importanza dell’unione fra i principi
cristiani per contrastare il potente nemico comune.
Come già si è visto, il nome di Ferrante Carafa, marchese di san Lucido, si collega a quello di Bernardino Telesio. Di quel « gran Telesio » il marchese – membro come Pelusio dell’Accademia dei Sireni – apprezzava moltissimo gli studi, in
particolare quelli sul calore e il freddo, 4 e ci sono poi varie lettere scambiate fra i
due. 5 Fu proprio mentre soggiornava nel palazzo napoletano dell’illustre omonimo
Ferrante Carafa II, duca di Nocera (figlio di Alfonso e Giovanna Castriota Scanderbeg), che Telesio mise a punto l’edizione definitiva del De rerum natura (Neapoli,
apud Horatium Salvianum, 1587), dedicandola al suo amico e benefattore. È con
un riferimento a questa dedica che questi sentieri politici che abbiamo brevemente
tracciato si possono completare proprio con Telesio. Benché si sia detto prima che
il Telesio apparirebbe distaccato da considerazioni politiche – e questo in linea generale è vero – i fatti storici e le prospettive politiche e culturali nei quali sviluppò
le sue dottrine naturalistiche gli fecero da inevitabile sfondo. Nella dedica del De
rerum natura, il filosofo paragona il Carafa ad Alessandro Magno, ringraziandolo
per averlo preso sotto la sua protezione allo stesso modo in cui il re macedone aveva
accolto Aristotele, 6 proprio il filosofo che lui stesso ora si accingeva ad abbattere,
chiedendo al suo benefattore di proteggerlo contro i seguaci dello Stagirita. Non vi
erano grandezze e virtù nell’imperatore – dice il naturalista cosentino – che non si
manifestassero anche nel suo protettore. In questo prolungato paragone, Telesio si
compiace in particolar modo con il duca per il fatto che egli aveva represso e respinto « il grande incomodo » dell’irruzione dei Turchi. 7 Questo breve ma significativo
riferimento agli scarni cenni politici che troviamo in Telesio completa la mappa di
questi sentieri che volevo tracciare. Nei tre personaggi di spicco che abbiamo qui
discusso, su vari livelli e in diversi modi, appaiono chiari due comuni nemici su due
versanti distinti : su quello intelletuale Aristotele e la filosofia peripatetica, e su quel1
Vedi G. de Caro, Ferrante Carafa, in Dizionario Biografico degli Italiani, xix, Roma, 1976, pp. 543-545.
F. Carafa, Della vera gloria humana, cit. in F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, p. 177. Il verso tratto
dal Vangelo di Giovanni (10,16) fu spesso usato da Campanella come ispirazione e fine ultimo del suo
pensiero politico, come illustra per esempio il frontespizio della sua Monarchia Messiae (Iesi, 1633).
3
F. Carafa, Della vittoria della santissima Lega, cit. in F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, p. 177.
4
F. Carafa, I sei libri di Carafè, cit. in F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, p. 93.
5
Vedi De Franco 1989, pp. 186-187.
6
B. Telesio, De rerum natura iuxta propria principia, Neapoli, apud Horatium Salvianum, 1587, [ii] :
« Nihil omnino, quam Aristoteles Alexandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore, quam ab illo
habitus fuit, nos a te in honore haberi homines intelligat ».
7
Ibidem « Animi porro magnitudine, fortitudineque, nihil Alexandrum te praestantiorem fuisse, res a
te in Peloponeso gestae manifestant : ubi innumerabilibus Turcarum equitibus in Christianorum exercitum turbatum iam, trepidantemque irruentibus (qui omnino nisi a te repressi, reiectique fuissent,
magnum nostris incomodum illaturi errant) non magno, veteranoque cum exercitu, ut Alexander ».
2
126
jean-paul de lucca
lo politico l’impero ottomano. Due tiranni quindi, che proprio su questi due versanti dovevano essere combattuti. Abbiamo visto come, per Pelusio e Campanella,
Bernardino Telesio fosse il cavallo di battaglia per sconfiggere il primo, mentre il secondo doveva essere sconfitto grazie all’unità dei principi cristiani, capeggiati dalla
Spagna, con l’intento di restaurare la stabilità politica. Campanella presto si accorse
che la tirannia più vicina a casa doveva essere combattuta con uguale impegno :
ma questo è tutto un altro discorso. Il felice esito di queste battaglie avrebbe dato
inizio all’auspicata età aurea sia nel mondo politico che in quello intellettuale. Di
questo movimento intellettuale, sicuramente, Bernardino Telesio fu tra i maggiori
esponenti e ispiratori.
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 127
APPENDICE
i
1
Ad Thomam Thylesium
Archiepiscopum Consentinum
Thoma gloria magna Brutiorum,
Et Graecae columen, decusque terrae,
Nunc virtus tua, candidique mores,
Et peritia grandis virtusque
Sermonis viridi caput galero
Ornarunt : tibi vera certus augur
Cano, ne dubita, brevi favente
Nostro maximo, et optimo Tonante,
Faedem perficient, patres ut inter
Possis ipse sedere purpuratos
Nam qui hoc tempore Pontifex carinam
Petri sic regit, ut furore spreto
Ventorum, et rabie maris, minisque,
Portum iam teneat, viros politos
Bonis artibus, integraque vita,
Fovet, diligit, et tuetur omnes.
ii
Ad Io. Baptistam Portam
Iuuenem omnib[us] bonis artib[us]
eruditum
Iucundissime Porta, Porta secli
Nostri gloria, quam tui labores
Acris ingenii, viris politis
Sint grati, hinc facile ipse iudicare
Potes : quod iuvenes, senesque docti
Semper in manibus gerunt, leguntque,
Seu domi libeat sedere ad ignem,
Cum frigus Boreae perurit agros,
Et Vesuvius albicat pruinis,
Seu magis libeat iacere ad umbram,
Cum mollis Zephyri tepentis aura
Flore gramina discolore vestit.
Nec mirum Hercule, ita apte, et eleganter
Condisti salibus, facetiisque,
Ut quo plus relegunt, magis, magisque
Hoc crescat studium legendi, amorque.
Nella trascrizione di questi versi si sciolgono i dittonghi e le abbreviazioni; si distingue la u da v rispetto alla stampa antica e si apportano lievi ritocchi alla punteggiatura; si correggono inoltre alcuni errori
tipografici.
128
jean-paul de lucca
Dum canent elegos Tibullianos,
Odas molliculas Horatianas,
Et culti hendecasyllabos Catulli
Boni, docti, et amabiles poetae :
Tuarum monumenta litterarum
Vivent atque hominum venustorum
Ibunt cuncta per ora continenter.
iii
Ad Ioannem Valetam
nobilium sacrorumque equitum
magnum magistrum
Ut libet Heroas alii quos Roma creavit,
Ilion, et Thebae, Spartaque, ad astra ferant ;
Dummodo non numerent te hos inter magne magister.
Facta horum superant si tua facta ducum,
Illi se iactent vicisse urbesque hominesque,
Plus est victores te domuisse Scythas.
Ad Eundem
Dii te beent Valetta magne caelites,
Vehatque fama ad aetera.
Dormire per te vtranque in aurem possumus,
Turca fugato in Thraciam,
Auso minari extrema nobili insulae,
Christique Sancto nomini.
Tibi Philippus Caroli Quinti genus
Dat nomen invicti ducis.
Tibique se fatetur esse obnoxium,
Quantum parenti filius.
Dii te beent Valetta, et alto ab aethere
Ad te volet felicitas.
iv
In Solymanum Byzantiorvm
Tyrannum
Ut libet Euboicos iacta Rhodiosque triumphos,
Dum Melitae vires torve tyranne tremas.
Omni te magnus fraudavit honore magister,
Cum pugnans vidit vertere terga tuos.
Unus homo nobis pugnando fortiter armis
Hic pene amissum reddidit imperium.
Sperasti Hesperium regnum tibi iungere Eoo,
Vah quam Turca ferox spes tua vana fuit.
Dum pelagus pisces, dum sidera pascet olympus,
Semper erit nomen magne Valetta tuum.
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 129
v
Melitae obsessae apud
Proceres Christianos conquestio
Sum Melite infelix terraque obsessa marique,
Sum Melite Othomano praeda relicta truci.
Hei mihi quem regum nostra infortunia tangunt ?
Hei mihi quis procerum vulnera nostra dolet ?
Gallus opem non fert, non fert Germanus, Iberos
Auxilia aspicio lenta parare mihi,
Non mihi succurrunt Veneti, non Martia Roma,
Nec pro me fortis Theutonus arma capit.
Quis letho eripiet, si divus vota Ioannes
Negligit? et surda respuit aure preces ?
Excidium iam cerno meum, iam cerno ruinam,
Aut igne, aut ferro moenia nostra ruent.
Turca ferox arcem fundo deiecit ab imo,
Tormentisque urbem nocte dieque quatit.
Si capiet, Venetus frustra me flebit ademptam,
Sentiet et cladem Roma superba suam :
Gallus, et Hispanus, rex bello insignis uterque
Non poterunt populis imperitare suis,
Parthenope pendet victori victa tributum,
Servitio discet Trinacris ora premi.
Omnia turbabunt quae pulsant aere triremes
Aequora ; qui posthac nauiget ullus erit ?
Currite Christicolae concordi pectore reges,
Saevaque fulminea bella movete manu.
Et dum fata sinunt, nostris e finibus hosteis
Pellite, et in medio mergite transtra mari.
Si mihi non vultis succurrere ad ima ruenti,
Nec vos haec factis tam miseranda mouet.
Vestra precor moveant vos damna, et cernite quaeso,
Ne quoque vos secum nostra ruina trahat.
Nanque suo arbitrio toto quae regnat in orbe
Fortuna, hic certum nescit habere modum.
130
jean-paul de lucca
vi
Frontespizio del Ad proceres Christianos cohortatio di Giano Pelusio
(Roma, Biblioteca Nazionale Centrale)
giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 131
vii
Primo e ultimo foglio delle prove nobiliari di Maurizio Telesio,
che venne accolto nell’Ordine di Malta nel 1588 (National Library of Malta,
Archives of the Order of Malta AOM 4838).
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Informazione de la Nobiltà del Sig[nore]
Maurizio Telesio de la Città di Cosenza
fatto alle 12 di novembre 1587
A di 24 di Novembro 1587 nella cità di Rigio
Noi f[ra] Attilio Mastrogiudice et fra Scipione Sifola commissarij diputati dal r[everen]do
Cap[ito]lo provinciale a far’ le prove di Nobiltà del sig. Mauritio Telesio facemo tale haver
esaminati li [retro ?]scritti testimonij tutti ex offitio nella città di Cosenza, di Terranova,
et di Regio le depositioni deli quali sono state scritte tutte di n[ost]re mani, et [per]che
trovamo detto S[ignor] Mauritio esser nobile di tutti quattro quarti, et in ogni cosa conforme a stabilime[n]ti di n[ost]ra sacra religione, semo di opinione il presente processo esser
accettato [per] valido, et buono cosi come noi lo accettamo et approbamo, et in fede de la
verità firmamo il presente voto di n[ost]re proprie mani, et segillamo di n[ost]ri soliti sugelli
datum ut supra.
Io f[ra] Attilio M[astr]ogiudice affirmo ut supra
Io fra Scipione Sifola affirmo ut supra