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Rassegna Critica a Michel Masson, Du sémitique en grec

"Incontri Linguistici" 38 (2015), pp. 151-157

MICHEL MASSON, Du sémitique en grec, Paris (alfAbarre), 2013, pp. 340. Michel Masson, professore emerito presso l’Université de la Sorbonne Nouvelle (Paris-3), affronta per esteso in questo volume il tema degli apporti lessicali semitici al greco, coronando un filone di ricerca cui ha dedicato nel tempo numerosi studi, a partire da un fondamentale saggio del 1984 volto a esplicitare i criteri che consentono di stabilire l’origine semitica di alcuni nomi greci1. Nella breve ma illuminante introduzione dedicata allo stato della questione, dopo un accenno all’opera pioneristica di Samuel Bochart del diciassettesimo secolo2 e a quella del 1892 di W. Muss-Arnolt3, un catalogo dei termini greci, ma anche latini, cui è stata attribuita un’origine semitica a partire dal Rinascimento, sostanzialmente privo di prese di posizione sulle diverse ipotesi avanzate al riguardo, l’Autore elenca i tre altri studi che ritiene più significativi sull’argomento: quelli di Heinrich Lewy (1895), di Maria Luisa Mayer (1960) e di Emilia Masson (1967)4. Come in quello di Muss-Arnolt, nei tre studi successivi i termini presi in considerazione «sono classificati in rubriche semantiche» (p. 23). Mentre Lewy presenta un alto numero di confronti, a partire da essi Mayer ed E. Masson, oltre a escludere i nomi propri 1 M. MASSON, Á propos des critères permettant d’établir l’origine sémitique de certains mots grecs, «Comptes rendus du GLECS» 24-28 (1979-1984), pp. 199-231. Per le sigle indicanti le riviste, si rimanda in generale al repertorio della Bibliographie Linguistique. 2 S. BOCHART, Geographia sacra, Pars prior: Phaleg seu de dispersione gentium et terrarum divisione facta in aedificatione turris Babel etc. Pars altera: Chanaan, seu de coloniis et sermone phoenicium, Lugduni Batavorum, Boutesteyn-Luchtmans, 1646. 3 W. MUSS-ARNOLT, On Semitic Words in Greek and Latin, «TAPA» 23 (1892,) pp. 35157. Di qualche anno precedente è un lavoro di August Müller (A. MÜLLER, Semitische Lehnwörte im älteren Griechisch, «Beitrage zur Kunde der indogermanischen Sprachen» 1 (1877), pp. 273-301), non utilizzato da Masson, che esamina un centinaio di termini greci di origine semitica, una dozzina dei quali, riconoscibili come mots voyageurs, giunti in greco attraverso il tramite semitico benchè ritenuti d’origine «indogermanica» in quanto attestati in sanscrito. In tale studio il Müller presenta una prima tavola di corripondenze fonetiche greco-semitiche, o meglio greco-ebraiche (p. 282), e accenna al debito del greco nei confronti del semitico per quanto riguarda il nome delle lettere dell’alfabeto (p. 275). Ulteriori precursori di questo filone di ricerche sono ricordati da E. Masson alle pp. 12-15 del suo lavoro citato alla nota successiva. 4 Rispettivamente H. LEWY, Die semitischen Fremdwörter im Griechischen, Berlin, Gaertners, 1895, M. L. MAYER, Gli imprestiti semitici in greco, «RIL» 94 (1966), pp. 311351 e E. MASSON, Recherches sur les plus anciens emprunts sémitiques en grec, Paris, Klincksieck, 1967. 1 che Lewy prende in considerazione nella sezione riservata al culto, operano una progressiva drastica selezione degli altri. Per le fasi più antiche del greco, la Masson giunge così a riconoscere come d’origine semitica solo una trentina di termini greci, essenzialmente di natura tecnica. Tale risultato è del tutto in linea con i poco più che sessanta prestiti semitici complessivamente accolti nel fondamentale Dictionnaire étymologique de la langue grecque (DELG), esteso anche ad altre fasi della lingua greca, di Paul Chantraine, di cui Emilia Masson è allieva e collaboratrice. La questione, apparentemente chiusa a questo punto sulla base di una posizione «isolazionista» del greco scientificamente avallata, viene riaperta sul finire del secolo sia dal saggio dello stesso Autore citato qui in apertura, sia dalla discussa ma dirompente trilogia Black Athena di Martin Bernal (19872006). Masson ne riconosce il merito di aver riproposto, con un’ampia erudizione e un’imponente e brillante argomentazione volta in particolare a smascherare i presupposti ideologici degli isolazionisti a vantaggio di un’opposta posizione «diffusionista», il significativo debito del greco nei confronti del semitico e, più ancora, dell’egiziano. L’Autore segnala favorevolmente inoltre la dichiarata condivisione da parte di Bernal degli scrupoli metodologici espressi nel suo studio del 1984, ma non può esimersi dal criticare l’eccessivo quanto pericoloso ricorso in Black Athena all’utilizzo di nomi propri di persona o di luogo (p. 30) e, per quanto riguarda i prestiti dal semitico, un sostanziale e contradditorio ritorno alle posizioni ottocentesche di Muss-Arnolt e di Lewy (p. 34). La prima delle due parti in cui il Masson suddivide la sua opera è dedicata ai prestiti dal semitico al greco costituiti dai «mots voyageur», definizione utilizzata a suo tempo da Marcel Cohen per indicare i «nomi tecnici dall’etimologia indeterminata» (p. 40), tra i quali l’Autore distingue i termini greci con corrispondenti semitici ma non funzionalmente semitici da quelli il cui etimo giudica funzionalmente semitico. L’acuto atteggiamento critico che pervade l’intero lavoro, viene qui esercitato dall’Autore nei confronti di se stesso. Questa prima parte si apre infatti con un’autocritica (capitolo I) in cui sottolinea un limite nel suo lavoro del 1984, quello di non aver sottolineato come la scelta programmatica operata in particolare da E. Masson e da Chantraine di limitare i confronti ai termini tecnici, i meno adatti a comprovare significativi contatti fra genti semitiche e greche, avesse contribuito all’eccessivo anatema di «isolazionisti» da parte di Bernal nei loro confronti: anatema ancor più inadeguatamente esteso a M. L. Mayer la quale prende in considerazione anche termini che non appartengono in alcun modo al vocabolario commerciale5. 5 L’Autore cita al riguardo «almeno» quattro termini greci (megara, magdalós, kelephos e bizakión). 2 Segue un secondo capitolo dedicato a integrare gli aspetti metodologici in parte già anticipati nell’autocritica. Essi costituiscono una costante preoccupazione dell’Autore, quanto mai opportuna quando oggetto di confronto sono termini in due lingue non geneticamente imparentate. Nell’ipotesi di prestiti, quella presa in considerazione, Masson sottolinea come occorra scegliere fra due direzioni opposte e possa entrare in gioco una terza lingua, sia come intermediaria che come fonte per entrambe (p. 46). Nei possibili confronti fra il lessico greco e quello di lingue semitiche, se nell’ambito dei termini tecnici quali sono i «mots voyageurs» l’equivalenza semantica è garantita dalla loro natura «monosemica», quella fonetica, complicata dagli aspetti grafofonemici6 dell’adattamento dell’alfabeto al greco, non può essere che approssimativa: malgrado l’esplicitazione della riserva che «altri prestiti possano essere effettuati al di fuori di queste regole» (p. 50), Masson non può comunque esimersi anche in questo caso dal formalizzare una dettagliata tabella di corrispondenze fonetiche di consonanti e vocali, in qualche modo rispondente a quella già estrapolata da E. Masson, a partire soprattutto dal confronto dei nomi propri7. Per quanto riguarda la direzione del prestito, le caratteristiche «funzionalmente semitiche» di un termine greco che non sia di origine indeuropea indirizzano a ritenerlo ragionevolmente esito di un prestito semitico in greco8. Dopo la valutazione di otto termini greci non riferibili a specifici raggruppamenti semantici, questa prima parte dedicata ai «mots voyageurs» entra così col capitolo III nel vivo dell’argomento attraverso un dettagliato esame di più di una ventina di altri termini con controparte semitica «ma non funzionalmente semitici» (III, 1, pp. 66-74). Già presi in considerazione da altri in precedenza, nell’analisi di Masson questi termini vengono suddivisi in quattro categorie semantiche: contenitori, prodotti d’abbigliamento, strumenti lavorativi, alimenti e medicinali. 6 In un suo lavoro del 2001, qui citato alla n. 36 di p. 42, Masson utilizza al riguardo lo specifico neologismo phonome. 7 Una simile tabella di corrispondenze relativa alle unità di seconda articolazione manca nei citati studi di Lewy e di Mayer, ma è già presente, limitatamente al consonantismo, in quelli di Müller (1877, p. 282) e Muss-Arnolt (1892, pp. 47-50). 8 Alle pp. 50-51 Masson specifica queste caratteristiche rappresentate nel nome semitico dall’incrocio di un elemento radicale consonantico, perlopiù trilittero, con uno schema essenzialmente vocalico, dalla presenza di fonemi tipici delle lingue camito-semitiche come /‘/, /x/ , /$/ e da uno specifico fenomeno di morfogenesi per cui insiemi di radici trilittere aventi in comune due consonanti devono a questa «base bilittera», in qualche modo originaria, una certa comunanza di significato. 3 Premettendo a ciascun termine, così come nel corso dell’intero studio, la nota etimologica di Chantraine tratta dalle voci del DELG9, Masson ne tempera, con argomenti e dati convincenti, il giudizio negativo circa l’ipotesi di una mediazione semitica. Egli evidenzia infatti per molti di questi «mots voyageurs», pur privi delle caratteristiche che contraddistinguono formalmente un nome semitico, le prove di un’intervento semitico nel loro approdo in greco, contribuendo così anch’essi a confermare che «il mondo greco appartiene alla stessa rete commerciale del mondo semitofono» (p. 74). La seconda sezione di questo capitolo (III, 2, pp. 75-158), quella dedicata ai «termini greci il cui etimo è funzionalmente semitico», costituisce il cuore, anche in termini quantitativi, della prima parte del volume dedicata complessivamente a quanto di semitico figura presente in greco nell’ambito dei «mot voyageurs». L’Autore analizza qui trentacinque nomi greci, per i quali aggiunge come quinta la rilevante categoria semantica dei «nomi di corde e di oggetti intrecciati» e di cui argomenta la mediazione semitica prevalentemente tramite il fenicio-ebraico e l’aramaico; tale mediazione, a partire dal supporto di corrispondenze dirette o in qualche caso ricostruite in queste e in altre lingue semitiche, risulta a Masson garantita appunto dalla peculiare forma semitica dei nomi stessi. Si tratta di analisi approfondite su termini perlopiù trascurati nei precedenti studi fin qui considerati e in larga misura anche dallo stesso Bernal, nonostante il suo radicale diffusionismo che lo porta a proporre un alto numero di apporti orientali al greco10. L’Autore rielabora e integra in questa sezione i risultati di alcuni suoi precedenti studi, come i quattro degli anni 1986-1988 dedicati ai nomi dei contenitori, ai nomi delle corde, ai nomi dell’alimentazione in greco antico e a greco sphairasphairót¢r11; le numerose pagine (121-138) dedicate al debito del greco nei confronti del semitico per questi ultimi due termini, che evolvono dai significati più concreti di palla di materiali intrecciati fino a quelli di natura astrattamente geometrica, esemplificano adeguatamente il raffinato procedere dell’Autore che combina i principi comparativi da lui enucleati per questo specifico tipo di confronti lessicali con un’approfondita considerazione filologica. Il capitolo III e l’intera prima parte del volume dedicata ai «mots 9 La presa in esame dell’intero lessico greco a partire dal DELG (Dictionnaire étimologique de la langue grecque. Histoire des mots), anziché limitare l’esame della scelta di termini presa originariamente in esame da Muss-Arnolt e da Lewy, è un altro dei meriti peculiari dell’indagine di Masson. 10 Di questi trentacinque verosimili prestiti dal semitico al greco, Bernal, nel terzo volume di Black Athena dedicato alla Linguistic Evidence, ne considera solo sei: balsamon, kalathos, koros, khabitia, khidron e sphaira, cui attribuisce, tranne che al primo, una forzata etimologia egiziana. 11 Apparsi rispettivamente in «Kentron» 2 (1986), pp. 89-107; «RPh» 61 (1987), pp. 37-47; «RPh» 62 (1988), pp. 25-38, «BSLP» 81 (1986), pp. 231-252. 4 voyaguer» terminano con una breve revisione ed estensione della griglia delle corrispondenze fonetiche (III.3, pp. 159-166). La seconda parte del volume esplora il campo più indeterminato degli altri apporti semitici al greco, lingua meticcia in quanto ricca di «elementi d’origine oscura e probabilmente non indo-europei» (p. 170). Masson si avventura dunque in un ambito dove la rigorosa metodologia da lui esplicitata e applicata per i termini tecnici deve lasciare spazio a ipotesi, sempre convincenti, ma distribuite su livelli di probabilità differenziati. Pur condividendo quindi in linea di massima la posizione diffusionista di Bernal, ne denuncia l’approssimativo modo di procedere sul piano linguistico e il conseguente eccessivo numero di confronti troppo spesso incongrui, perlopiù pregiudizialmente connessi a un’origine egiziana. Tale ampliamento dei confini della ricerca accentua una caratteristica formale dell’opera di Masson che consiste in una sorta di avanzamento per accumulo di argomentazioni, spesso riprese e ampliate, sottolineato dall’uso di parole chiave come prolongement(s), extension, extrapolations nella titolazione dei capitoli; ma anche in quest’ambito del probabile, termine di cui fa prudentemente largo uso in questi ulteriori confronti, l’Autore non rinuncia ad agganciare le sue proposte a un presupposto metodologico, quello delle eventuali coincidenze semantiche estese a significati secondari nei termini polisemici12, oltre che alla macroscopica evidenza paralinguistica del debito della grecità al semitico occidentale, fenicio e aramaico, costituita dall’acquisizione dell’alfabeto col conseguente apporto lessicale dei grammatonimi. Il primo capitolo considera infatti in I.1 cinque termini, fra cui un verbo, rhiptó, i quali si caratterizzano come «una coppia greca di significanti omofoni ma significati differenti corrispondenti a una coppia semitica che presenta la stessa configurazione» (p. 200), inclusa una voce della rilevanza concettuale di kosmos già esaminata approfonditamente da Masson in altro suo studio13. E’ nel secondo capitolo di questa seconda parte che l’Autore si sofferma sulla rilevanza dell’adozione dell’alfabeto semitico da parte dei Greci agli effetti della tesi complessiva del volume, l’opportunità di riprendere e 12 Limitatamente alla comparazione interna alle lingue semitiche, Masson mette a punto questo requisito metodologico già in un suo articolo del 1984 (A propos des parallélismes sémantiques, « Comptes rendus du GLECS» 29-30 (1984-1986), pp. 221-242) e vi dedica successivamente la monografia Matériaux pour l’étude des parallélismes sémantiques, Paris, Presses de la Sorbonne Nouvelle, 1999. 13 Apparso in «Semitica & Classica» 5 (2012). Anche kubos, dettagliatamente indagato a partire dai suoi verosimili analoghi precedenti semitici nella sua duplice semantica di «dado da gioco» e di «cubo», incorpora un precedente studio di Masson pubblicato in «La Linguistique» 22 (1986). 5 ampliare la ricerca degli apporti lessicali semitici al greco a fronte delle posizioni eccessivamente riduttive di Chantraine ed E. Masson, ma, diversamente da Bernal, senza rinunciare allo scrupolo metodologico. «Il prestito dell’alfabeto suppone … una sorta di rivoluzione culturale di cui i Fenici sono la causa», sottolinea qui l’Autore (p. 206) e ricorda, a titolo esemplificativo, come «all’adozione dell’alfabeto greco legato alla cristianizzazione s’accompagnino numerosi prestiti greci in copto che non sono solamente tecnici». Appare opportuno qui ricordare (>segnalare) come il greco, in particolare il miceneo, fosse stato già protagonista di un evento del genere quando alla metà del secondo millennio, aveva adottato la scrittura lineare cretese e quindi contestualmente acquisito in tale occasione, secondo quest’ordine di considerazioni, prestiti dal sostrato minoico14. L’ «esplorazione» del terzo e ultimo capitolo, che porta appunto questo titolo, viene del tutto lasciata a questo punto sostanzialmente al lettore per poter passare a qualche considerazione conclusiva: ci si limita a segnalare come in questo ampliamento finale dell’opera il lettore incontrerà ulteriori «mots voyageurs», inclusi sette termini relativi alla vita marittima sulla cui rilevanza ritorneremo brevemente, e nomi di ambito più concettuale e astratto relativi ai campi semantici della disgrazia, dell’afflizione della violenza distruttrice e dell’espressione dello straordinario, presi in esame in quanto portatori di parallelismi semantici15; il lettore non potrà non apprezzare, unitamente all’abituale ricchezza delle sue argomentazioni, la prudenza dell’Autore nell’avanzare alcune di queste ipotesi di prestito. Le tre pagine terminali di bilancio, che precedono oltre alla bibliografia e agli indici altre rilevanti proposte in qualità di «annessi» (quasi che l’Autore non sappia risolversi, e comprensibilmente, a por fine a questa affascinante 14 L’estensore di questa rassegna critica ritiene, ad esempio, che miceneo daburinthos sia una neoformazione nominale realizzata dai Micenei a Creta, attraverso l’aggiunta del suffisso greco -inthos a una base «minoica» attestata in lineare A come du-bu-re, verosimile designazione pre-greca dello specifico luogo di culto identificato da Evans come «bacino lustrale», che caratterizzerebbe a Cnosso, a motivo della sua pregnante valenza cultuale, l’intero palazzo (F. ASPESI, Archeonimi del labirinto e della ninfa, Roma, Bretschneider, 2011, pp. 13-37). Allo stesso modo parrebbe essere stato coniato, a partire dal sostrato minoico, il termine greco asaminthos «tinozza, giara», che Masson considera come primo fra i «nomi greci a controparte semitica ma non funzionalmente semitica» (pp. 66-67), concludendo, con l’abituale prudenza, che la sua origine ultima resta sconosciuta. La più antica attestazione di asaminthos figura su un sigillo miceneo di Cnosso in lineare B come a-sa-mi-to (KN WS 8497b), difficilmente dissociabile, sia pur grecizzata tramite il suffisso -inthos, dall’attestazione in lineare A a-sa-mu-ne (ZA Zb 3) che molto significativamente figura su una grossa giara minoica rinvenuta nel palazzo cretese di Kato Zakros. 15 Analogamente a quelli trattati nel cap. I.1 di questa seconda parte (ved. sopra e a n. 13). 6 indagine), si limitano ad accennare a quanto già fin qui evidenziato, ma che val la pena di ribadire: la posizione mediana dell’opera di Masson fra il rigore dei predecessori di fine secolo, eccetto naturalmente Bernal, e Bernal stesso, l’esplicitazione e l’applicazione sistematica in essa dei principi di metodo in precedenza solo implicitamente messi a punto, oltre all’aggiunta specifica dell’ulteriore attenzione metodologica ai parallelismi semantici, il ruolo fondamentale da essa attribuito al passaggio dell’alfabeto e infine la sua complessiva valenza «diffusionista». La ripresa dell’indagine sul tema degli apporti delle lingue semitiche al greco, messa in atto dalla provocatoria opera di Bernal, di carattere fondamentalmente storico-antropologico, necessitava di un’intervento di un linguista dall’esperienza e dal rigore metodologico di Masson, dopo i due immediati precedenti di Bai del 2009 e di Rosol/ del 2012, che pur si collocano in questo solco16. Du sémitique en grec stabilisce un’indispensabile scala di probabilità nel valutare i possibili apporti del semitico al greco a partire dai «mots voyageurs funzionalmente semitici», che, in un ambito decisamente ipotetico come quello dei contatti nella pre-protostoria delle lingue, approdano in tal modo a una ragionevole certezza. Mettendo in rilievo l’effetto trainante per questo flusso di prestiti del passaggio dell’alfabeto, l’opera c’indirizza così a collocare molti degli apporti lessicali di lingue semitiche occidentali al greco nelle prime fasi del primo millennio, in coincidenza con la supremazia marittima fenicia nel Mediterraneo orientale. Dei tanti termini presi in considerazione da Masson, oltre a quelli esplicitamente attribuiti «alla vita marittima» (pp. 232-241), i numerosi nomi relativi a materiali intrecciati d’uso marinaro (funi e contenitori), quelli di molti prodotti vegetali (per l’alimentazione, la farmaceutica e la cosmesi) applicabili a merci trasportate per mare e infine la terminologia commerciale (esempi alle pp. 219-226 e 296-297) delineano un quadro concreto di traffici per mare gestito in prevalenza da genti semitiche e governato presumibilmente da una loro egemonia linguistica, specie nell’ambito dei termini tecnici17. Allontanandosi nel tempo alla ricerca degli apporti più profondi, l’Autore è pienamente consapevole, nella sua prudenza che ne certifica il costante scrupolo scientifico, del suo progressivo inoltrarsi nel campo delle ipotesi, 16 G. BAI, Semitische Lehnwörter im Altgriechischen, Hamburg, Kova, 2009 e R. ROSOL/, Frühe semitiche Lehnwörter im Griechischen, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2013. 17 Il verosimile uso di un pidgin marinaro sulle navi da trasporto nelle rotte del Mediterraneo orientale, dovuto alla presenza a bordo di marinai di etnie diverse, avrebbe potuto favorire l’acquisizione di tale terminologia fenicia da parte degli equipaggi d’altro idioma e la sua diffusione in terraferma a partire dalle installazioni portuali. 7 malgrado l’efficacia del criterio dei parallelismi semantici. Oltre a rafforzare le ipotesi relative ai prestiti, tale criterio potrà aprire la strada all’estensione dell’indagine anche agli eventuali parallelismi semantici, se non a veri e propri calchi, indotti in greco dal semitico18. Né questo filone di ricerca, tanto autorevolmente riaperto, potrà esimersi dal fare i conti con i più antichi contatti linguistici affioranti dalle realtà linguistiche presenti nel bacino del Mediterraneo orientale precedenti l’insediamento di popolazioni di lingue semitiche e di popolazioni grecofone, il cosiddetto sostrato mediterraneo. Pur nella sua intrinseca indeterminatezza, tale categoria linguistica consente infatti, per gli elementi lessicali passibili di confronto nei due diversi lessici, di formulare, in alternativa all’ipotesi del prestito diretto o mediato qualora essa risulti poco convincente, quella di una loro autonoma penetrazione da una stessa lingua, o koinè linguistica, di sostrato19. FRANCESCO ASPESI 18 Per restare nell’ambito nautico, la metafora vaso-nave testimoniata, malgrado la diversa accentuazione, da greco gaulos (gaulós «vaso rotondo, secchio» - gaûlos «nave a forma arrotondata») potrebbe essere essa pure esito dell’influenza sul greco del lessico nautico semitico, dove, ad esempio, dalla radice ’NY si formano, oltre al nome generico per nave in ugaritico, fenicio, ebraico e aramaico, anche nomi per vaso sempre in aramaico, d’Impero e siriaco, e verosimilmente in ge‘ez (DRS, I, p. 25). Il rimando di gaulós a nomi di vaso in lingue semitiche, a partire da una base bilittera GL col significato di fondo di «essere tondo» (GW/IL, GLG, GLGL, GLL - DRS, I, p. 116 e s.v.), figura peraltro nella pur restrittiva ricerca di E. Masson (1967 cit., pp. 39-42), che avanza l’ipotesi di una matrice semitica anche per gaûlos «nave», ricordando «come i Greci abbiano preso dai Fenici un tipo di imbarcazione da trasporto, noto in particolare per la sua forma arrotondata» (p. 41). Lo stesso Autore, in apertura della sua monografia sui parallelismi semantici citata alla n. 12 (1999, p. 13), segnala la compresenza di questo parallelismo in semitico e in greco, facendo riferimento a ebraico teba (imbarcazione-cassa) e a greco skaphe (scafo-tinozza). Tale contaminazione semantica, presumibile apporto del semitico al greco, vive tuttora in lingue di cultura moderne ed è alla base del duplice significato dell’inglese vessel. 19 O. DURAND, A propos du «substrat méditerranéen» et des langues chamito-sémitiques, «RSO» 67, 1994, oltre a riferirsi in particolare alle lingue semitiche, è ricco di riferimenti bibliografici sulla storia delle ricerche sul sostrato in generale. D. SILVESTRI, Sostrati mediterranei rivisitati, in F. ASPESI -V. BRUGNATELLI -A.L. CALLOW -C. ROSENZWEIG (Edd.), Il mio cuore è a Oriente. Studi di linguistica e cultura ebraica dedicati a Maria Luisa Mayer Modena, Milano, Cisalpino, 2008, pp. 299-309, riporta la copiosa bibliografia dell’Autore sull’argomento, di cui è massimo studioso contemporaneo. Per gli studi del recensore sul sostrato egeo-cananaico che cercano di rendere ragione di omologie lessicali d’ordine cultuale in greco e nelle lingue semitiche occidentali prescindendo dai contatti greco-semitici in epoca proto-storica e storica ma ricorrendo all’ipotesi di separate acquisizioni da uno stesso sostrato linguistico, si rimanda al volume citato alla n. 14. 8