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Femministe a parole. Introduzione.

Grovigli

Per tanti mesi la nostra parola d'ordine. Così, durante le prime riunioni insieme alle curatrici della collana che ci avevano passato in consegna il progetto originario, abbiamo cominciato a compilare una lista dei temi più «aggrovigliati». Che dire del velo, delle veline, delle modificazioni genitali e della chirurgia estetica? Della famiglia, del sex work, del postporno? Di Dio, della poligamia, del welfare e della globalizzazione? Le identità sono un bene o un male? E le culture sono solo «quelle degli altri»? Come interagire con la teoria queer e con la ricerca postcoloniale? E che significato assumono ora parole chiave della tradizione femminista come «sesso», «genere», «differenza», «autodeterminazione» e «riproduzione»? In nostro soccorso abbiamo chiamato 44 autrici. Ad ognuna abbiamo proposto una parola o un argomento chiedendo di mettere in risalto «l'aggrovigliamento» del tema che avrebbe trattato. Con la consapevolezza che se la «stanza tutta per sé» oggi forse è diventata una certezza, appena se ne esce fuori per le femministe cominciano i rompicapi.

Femministe

Femministe lo siamo tutte e non solo a parole. Ciascuna con il proprio percorso teorico e politico; ognuna con il suo posizionamento, a volte distante e perfino opposto. Parlare di femminismo al singolare, del resto, è un'impresa insensata, visto che di femminismo, ovviamente, non ce n'è uno solo. Questo libro, però, non voleva essere un'antologia della storia del pensiero e delle pratiche delle donne e dei tanti femminismi che l'hanno attraversata -liberale, radicale, marxista, della differenza sessuale, nero, postcoloniale, della terza ondata, e si potrebbe andare avanti ancora. L'idea era piuttosto quella di coinvolgere donne con esperienze, età, provenienze, competenze e vedute diverse, per invitarle a misurarsi con quelle parole e quegli argomenti su cui, per le femministe, pronunciarsi è diventato sempre più complicato. Abbiamo chiesto loro di discutere quei temi che investono i movimenti e la produzione teorica delle donne, e insieme animano il dibattito politico sulle donne, dando luogo spesso a semplificazioni (e talvolta anche a complicazioni) dannose.

Per questo abbiamo voluto provare a fare un po' di chiarezza, tentando di districare i nostri «grovigli», ma senza eliminare le tensioni e i conflitti che ne sono all'origine. Tensioni e conflitti, del resto, sembrano essere entrati a far parte del DNA del femminismo (Hirsch e Keller, 1990). Come suggerisce Alison Jaggar, il destino (e il pregio) delle femministe sembra proprio quello di aver imparato a «convivere con le contraddizioni»: arrovellarsi, discernere, discutere, comprendere, rivendicare, combattere e poi ricominciare ad arrovellarsi daccapo (Jaggar, 1994).

Vivere nelle contraddizioni può perfino diventare una passione politica o, per riprendere le parole di bell hooks nel sottotitolo al suo Feminism is for everybody, il presupposto necessario per una «politica appassionata» quale la politica delle donne è sempre stata e continua ad essere (hooks, 2000). L'introduzione di hooks -Come closer to feminism -è un messaggio indirizzato a chi di femminismo sa poco e niente e pur senza saperne abbastanza si mostra scettica/o o addirittura ostile. A loro l'autrice dedica un libro e rivolge un invito carico di ottimismo: avvicinatevi e vedrete che il femminismo è per tutte/i (o quasi).

Il nostro libro non manifesta intenzioni così ambiziose, ma chi da neofita si avvicinerà a questo volume potrà rendersi conto che, se forse il femminismo non è necessariamente destinato a chiunque, tra le file delle femministe davvero c'è di tutto. Che, in altre parole, il femminismo è tante cose e tante anime, tutte diverse e non sempre concordi. Le femministe navigate, invece, ritroveranno tra queste pagine la trama del dibattito contemporaneo a cui si è cercato di restituire senso e complessità.

Parole

La formula che abbiamo scelto è quella di un elenco ragionato di parole. Abbiamo deciso, non senza ironia, di chiamarci «femministe a parole» per richiamare l'attenzione su una delle tante locuzioni che tradiscono il valore limitativo -e in alcuni casi spregiativo -dato alle parole, in particolare alle parole delle donne. Basta dare uno sguardo ai modi di dire elencati nel lemma «parola» nell'enciclopedia Treccani: dalle espressioni che contrappongono le parole all'azione concreta (le parole non bastano, occorrono i fatti), a quelle impiegate per definire una persona inconcludente (è buono solo a parole) o per alludere a cose destinate a non realizzarsi mai (queste sono solo belle parole). Ci sono poi espressioni chiaramente denigratorie (delle tue parole non so che farmene) in cui alle «parole» talvolta si sostituiscono le «chiacchiere» (le chiacchiere non fanno farina) e le «ciance» (bando alle ciance). Se un antico proverbio di provenienza incertaprobabilmente riportato da Clemente VII che lo avrebbe appreso nella casa paterna De' Medici -recita: «le parole sono femmine e i fatti sono maschi», nel linguaggio comune «chiacchiere di donne» è un'espressione che si adopera tuttora per definire dei discorsi di nessuna importanza, quelli che solo le donne possono fare, perché si presume ne abbiano il tempo, mentre gli uomini sono impegnati in cose più importanti.

L'ironia sottintesa al titolo del volume, perciò, è un'ironia che rivendica e sottolinea la nostra esigenza, in quanto femministe, di fare i conti con le parole che usiamo e come le usiamo, e con quelle che non usiamo e perché non lo facciamo. La lezione che il femminismo insegna, infatti, è che il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione che le parole, a loro volta, possono contribuire a riprodurre e consolidare. Proprio perché le parole sono imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste, i «soggetti assoggettati» hanno costantemente sentito il bisogno di condurre delle battaglie contro e dentro il linguaggio, rimuovendo alcune parole e inventandone di nuove.

Hooks ci ricorda che «le nostre parole significano, sono azione, resistenza» e che «il linguaggio è anche un luogo di lotta» (1998, pp. 63-64). Virginia Woolf ne Le tre ghinee (1938) si rammaricava del fatto che alle donne mancasse il tempo di coniare parole nuove, sebbene il linguaggio ne avesse veramente bisogno. Anche se gli ultimi anni, per molti versi, hanno inaugurato una nuova stagione di fabbricazione e risignificazione di tante parole (si pensi a queer, a genere, a omonazionalismo, a postporno), le femministe -e non solo lorocontinuano ad adoperare una grande quantità di termini che ancora conservano l'impronta della dominazione, nonostante i tentativi di rovesciarli e sottoporli ad un nuovo impiego.

Di qui nascono infiniti interrogativi che riguardano da vicino la scelta delle parole usate in questo volume e che hanno animato il dibattito fra autrici e curatrici: «razza» si scrive con o senza virgolette? «Nera/o» con la maiuscola o la minuscola? Che cosa significano «Oriente» e «Occidente»? Cosa intendiamo con «differenzialismo»? La M di «Mgf» sta per mutilazioni o modificazioni? Perché si parla impropriamente di «burqa»? «Universale» ormai è un aggettivo connotato e inutilizzabile? La «seconda generazione» esiste al singolare? Cosa distingue il «sex work» dalla «prostituzione»?

Queste sono solo alcune delle tante domande che hanno accompagnato il lavoro collettivo svolto nel corso di undici, intensissimi, mesi. Rimarrà delusa/o chi in questo libro pensa di trovare risposte esaustive. La speranza, piuttosto, è quella di essere riuscite, con le nostre «chiacchiere» e le nostre «prese di parola», a stimolare una riflessione critica sulle esperienze teoriche e pratiche che oggi abitano l'universo femminista.

Roma/Parigi/Bologna 8 marzo 2012