Ligorio e il ritratto dopo il Medio Evo.
Spigolature dal codice Torino 21 delle Antichità Romane
di Pirro Ligorio *
Patrizia Serafin
D
iscutendo sulla definizione di “ritratto” riguardo ad un’immagine che nulla aveva di fisionomico, in una moneta medievale, Francesco in tono perentorio e
conclusivo mi disse: «se sotto c’è scritto, vuol
dire che è lui e, quindi, è un ritratto». Non
replicai di fronte a tanta autorità e pensai
all’autocritica, ma tant’è: venivo da un Istituto
(ben prima della costituzione dei Dipartimenti) di Archeologia Classica, dove avevo sfiorato
l’insegnamento di Bianchi Bandinelli all’ultimo anno della sua attività accademica, per poi
godere di quello di Laura Breglia e, pur ricordando la distinzione tra ritratto fisionomico e
ritratto intenzionale1 e come si potesse ravvisare una sorta di parallelo tra l’artista greco arcaico e l’artista medievale2, seguitavo (e seguito) a
pensare al ritratto come alla «riproduzione
intenzionale delle fattezze di un determinato
individuo per fissarne il reale aspetto fisico e
l’espressione fisionomica individuale»3.
Certamente, lo studio di tante monete
romane con le splendide immagini di tradizione ellenistica e alessandrina degli imperatori
giulio-claudi, quelle così fisionomiche dei Flavi o quelle più tipicamente imperatorie-onorarie4, che pur nella meno marcata caratterizzazione, conservavano, tuttavia, sempre i tratti
distintivi individuali, prima di arrivare alle
schematizzazioni di fine III-IV secolo, mi confermava nell’idea del ritratto come riproduzione intenzionale….5. Era, dunque, per me difficile pensare che si potesse definire ritratto
un’immagine priva di qualsiasi riferimento
fisionomico riconducibile ad un ben definito,
talvolta anche ignoto, individuo. Era il qualis
Ligorio e il ritratto dopo il Medio Evo
fuerit aliquis pliniano6, ripreso negli studi classici fin dall’Umanesimo a riaffiorare ed avere
la meglio, nella mia visione forse troppo classicocentrica7 dell’archeologia.
È Paul Zanker, nei suoi tanti saggi, a sintetizzare con chiarezza il processo storico e logico dell’interesse per il ritratto individuale8 e,
nello specifico, ad applicare la metodologia
del confronto dei ritratti noti con la moneta,
a proposito di Cicerone9.
Fin dal periodo tardorepubblicano-prima
età imperiale, dunque, è palese un interesse
per il ritratto fisionomico anche per personaggi che, pur nella loro funzione pubblica, non
rivestono certo un ruolo di primo piano. E lo
stesso è nella sfera privata, dove, ad esempio, i
coperchi di sarcofagi in pietra o terracotta
riproducono le sembianze dei defunti o, ancora in antitesi con il mondo medievale, sono
individualizzate le fisionomie degli offerenti
anche là, dove una produzione in serie con
matrici come quella delle terrecotte tenderebbe, piuttosto, a far perdere la fisionomia del
singolo a favore del significato della sua azione: nei santuari i volti degli offerenti vengono
modificati come possibile, e «le matrici servivano a trarre un modello di argilla sul quale
erano segnati i caratteri individuali dei dedicanti»10. Nel mondo medievale, invece, anche
nella produzione non seriale, come affreschi e
mosaici, l’identità dell’offerente viene trascurata dal punto di vista figurativo perché attestata dal nome11.
Così, dopo la bella conferenza e la successiva pubblicazione del saggio di Francesco
Gandolfo, prezioso pendant al proliferare di
515
Fig. 1 - Denaro di argento di Carlo Magno.
studi sulla monetazione medievale12 che confermano l’individuazione del personaggio,
anche non identificabile fisionomicamente,
mi detti per vinta, o, meglio, tornai alla numismatica antica, confortata anche dalla considerazione goduta dal ritratto monetale da parte
di archeologi e storici13. È anche vero che già
dopo Costantino la fisionomia individuale si
perde a favore di un profilo la cui identità è
individuabile solo dalla legenda, fino ad arrivare al solo tipo epigrafico, come ad esempio,
CAROLVS REX (Fig. 1), che mostra chiaramente come anche il solo nome del sovrano
possa campeggiare nel dritto di una moneta, là
dove nella moneta imperiale romana è un bel
ritratto del sovrano; del resto, sappiamo bene
che, anche se appaga il nostro gusto, non è la
bellezza del tipo a rendere moneta, nel pieno
della sua valenza, un tondello di metallo, ma
l’assunzione di responsabilità da parte del soggetto emittente14.
Ma, quando il Caso mi portò ad occuparmi dei libri dell’Antichità compilati da Pyrrho Ligorio cittadino romano et patritio napolitano delle
Medaglie di Cesare … fino a Commodo15, non
potei fare a meno di rallegrarmi che, nel desiderio di ricostruzione del mondo antico e con
il rinnovato interesse per gli scrittori classici e
la storia romana come storia di avvenimenti,
vi fosse stata una rinnovata attenzione per l’individuo con le sue fattezze, per conoscere le
quali la fonte numismatica non è solo indispensabile, ma di capitale importanza. I ritratti monetali tornavano in auge: già nel margine
dei manoscritti trecenteschi si riproducevano
le monete relative alla storia trattata16, France516
sco Petrarca il più noto, ma non il primo e
solo, sempre andava ricercando i volti degli
antichi consoli e riproduceva le immagini
degli imperatori a corredo delle Vitae svetoniane e dell’Historia Augusta.
Seguirono “repertori”, come la raccolta
delle Imagines di Andrea Fulvio, una sorta di
schedario di ritratti imperiali tratti da monete
(talvolta di fantasia o mal attribuite) ed opere
più raffinate come quelle di Enea Vico, abile
disegnatore ed esperto conoscitore di monete,
“anticario” di corte a Ferrara, di cui Ligorio fu
successore. E seguirono ancora tanti altri in
un’Europa allora più che mai unita dal desiderio di conoscenza, che induceva ad un collegamento ed una frequentazione storici, letterati,
eruditi, collezionisti senza distinzione, per i
quali le monete costituivano una fonte di
documentazione assai più accessibile perché
numericamente di gran lunga superiore ad
altri reperti, diffusa con maggiore facilità per
le sue dimensioni, ancora non soggetta a vincoli di alcun genere e, infine, più affidabile
perché “self evident”. E come dimostra Cunnally17 era per questo il materiale documentario più utilizzato.
Ligorio, pur facendo parte di questa comunità, nella quale giocava un ruolo tutt’altro
che secondario, non ebbe in prosieguo la
notorietà che gli sarebbe convenuta, dato il
rilievo della sua opera, la quale, non essendo
pubblicata, né resa tanto facilmente disponibile dai proprietari dei voluminosi manoscritti18,
finì con l’essere dimenticata e finanche ignorata, né poté comparire negli elenchi degli alacri
raccoglitori di bibliografia specifica, quali
Dekesel19, che integra i precedenti Lipsius20,
Hirsch21 e Brückmann22 che, con non comune
acribia, hanno elencato anche le opere più
rare, ma “a stampa”.
Invece, Ligorio parla assai spesso di monete, non solo nei libri specifici, ma in molti altri
luoghi, ove ritenga opportuno fare confronti o
portare un valido documento alle sue asserzioni. Ciò che lo differenzia al suo tempo è il non
aver tentato di fare un’opera pianamente illuPatrizia Serafin
strativa o tentativamente catalogica. Nei suoi
voluminosi libri dedicati alle “medaglie”23,
infatti, Ligorio, più che illustrare le monete
compiutamente e singolarmente, le usa
come illustrazione e conferma per una storia
di Roma che egli scrive, o meglio, ripercorre,
raccogliendo, intrecciando ed interpretando
(non sempre correttamente) testimonianze
di autori latini e greci, che conosce direttamente o attraverso edizioni e traduzioni di
suoi contemporanei. Talvolta, le immagini
monetali sono lo spunto per la narrazione
storica, oltre che per la spiegazione di vicende umane, episodi, eventi, in cui si lascia
andare spesso a considerazioni personali e
che riempie ed ingigantisce con ampi excursus, anche di carattere immaginifico, ricorrendo al mito.
E poiché la sua storia di Roma è una storia di “capi”24, di singoli, il ritratto è fondamentale per introdurre il personaggio di cui
parla, che deve essere bene individuato ed
individuabile; per questo le monete offrono
un inesauribile repertorio, divenendo, nello
stesso tempo, fonte di documentazione e conferma della narrazione. Sono, dunque, l’oggetto del suo primario interesse, così come le epigrafi, le erme, le ville, i vasi, i pesi etc. lo sono
degli altri libri. Le monete sono il documento
più affidabile in quanto i personaggi sono
identificati (salvo errori od omissioni), ben
individuabili e i “documenti” da utilizzare,
ovvero, gli esemplari da cui trarre il disegno, di
facile reperibilità. Tanto più a chi, nella lunga
attività in Roma aveva potuto giovarsi di tutta
una serie di rapporti con personaggi di diversa estrazione, dai quali riceveva notizie e materiale, che utilizza a piene mani nella redazione
dei suoi libri. E una prova generale era stata
fatta con i libri scritti proprio in Roma e venduti ai Farnese (ora a Napoli). Il codice ferrarese (ora a Torino), più ampio ed aggiornato,
si giovava, oltre che della precedente redazione, anche dell’eredità del Vico, sia nelle opere,
edite e manoscritte, sia nelle nuove annessioni
alla collezione estense, derivanti dall’acquisiLigorio e il ritratto dopo il Medio Evo
zione di piccole collezioni o singoli pezzi25, trovate nel suo nuovo incarico.
La grande attenzione del Ligorio nel riprodurre ritratti, particolarmente numerosi, talvolta anche ripetitivi, consiste anche nell’indicare varianti nei tipi (imperatore a testa nuda,
laureata, radiata, velata), oltre che nel riportare legende con cambiamenti nella titolatura, le
quali, evidentemente, vogliono indicare una
diversa cronologia dell’emissione, pur senza
riscontro evidente nella resa del ritratto26. Al
contrario, talvolta si colgono differenze nella
resa dei tratti fisionomici dello stesso personaggio; tali differenze possono essere dovute, oltre che alla ripetizione manuale del
disegno che, pur della stessa mano, non può
mai essere identico, anche alle monetemodello disponibili: monete prodotte da
conii diversi, eseguiti da incisori più o meno
abili e in tempi diversi o derivate da conoscenza più o meno diretta dei tratti fisionomici del soggetto, o, piuttosto, esemplari in
diverso stato di conservazione, dai quali i
lineamenti possono risultare alterati27, o
esemplari di maggiori dimensioni, in cui i
dettagli sono più evidenti28.
Ligorio, dunque, architetto, storico e “anticario”, non certo artista come Michelangelo
(che disdegnava il ritratto) cui, pure, fu chiamato a succedere, è interessato alle singole
fisionomie perché vuole raffigurare i suoi personaggi sulla base delle monete, li vuole rendere vivi e presenti, secondo la sua storia di individui, in cui fonde ritratto fisico e morale; la
sua visione è dominata, tuttavia, dal senso della sorte o della Provvidenza, anche là, dove
sembra mettere l’uomo con le sue peculiarità,
al centro della storia. Grande parte del l.
XXVII è dedicata alle imprese del giovane
Ottaviano fino alla più matura esperienza di
Augusto, e già all’inizio della sua trattazione,
egli osserva ...il quale significato tutto ritorna alla
buona et regale sorte di esso Octaviano, perciò che
di un figliuolo di un banchiere, mediante la buona
dottrina, hebbe tutto il mondo sotto di sé in governo29. Il suo giudizio su Ottaviano, non del tut517
Fig. 2 - Ritratto di Ottaviano.
Fig. 3 - Ritratto di Augusto.
Fig. 4 - Ritratto di Caio Cesare.
Fig. 5 - Ritratto di Lucio Cesare.
Fig. 6 - Immagine di Ercole.
Fig. 7 - Ritratto di Antonio.
to positivo in un primo tempo, forse per il suo
sodalizio con Antonio, migliora, poi, grazie
alle buone azioni di governo.
Ma, nella sua fedeltà ai modelli nella resa
grafica, non corrisponde un parallelismo fra
racconto ed immagini: mette insieme, infatti,
i ritratti di un giovane Ottaviano (Fig. 2) con
un più maturo Augusto30 (Fig. 3), senza considerazione per la cronologia monetaria; in
seguito, nella sua ansia di ritrovare la fisionomia degli uomini, attribuisce agli amati nipoti
Caio (Fig. 4) e Lucio (Fig. 5) quelli che in realtà
sono i ritratti, l’uno di un giovanissimo Ottaviano del 43 a. C., l’altro di un Augusto già
ben consolidato, anche se ancor giovane31.
L’immagine di M. Antonio, al quale rivolge parole di dura critica, è messa a confronto
con quella del capostipite della sua famiglia,
poiché aveva origine da Hercole, nel suo danaro si
vede la effigie del suo edificatore, molto dalla faccia
sua differente manifestando, così, tutta la sua
attenzione ai due tipi di immagine, quella del
dio, dalla tipica iconografia con mascella robusta e tratti marcati (Fig. 6), rispetto al ritratto
fisionomico di Antonio32 (Fig. 7), cui affianca
la descrizione di un fisico di incredibile
gagliardia. Ne delinea, però, un ritratto mora518
le pessimo, dettato non solo dalla propria partigianeria per Ottaviano, pur dopo l’iniziale
perplessità, ma soprattutto dal proprio esasperato e particolare senso della moralità,
che lo porta ad una severa condanna della
palese licenziosità del triumviro nella sua
condotta in Egitto, e non solo, e il suo scorretto comportamento verso Ottavia, cittadina romana e donna rettissima.
Tuttavia, quando ritrae Cleopatra, anch’ella sul piano morale totalmente riprovevole,
non riproduce il rovescio del denario di Antonio di ritorno dall’Armenia nel 32 a. C., nel
conio che la ritrae con fattezze decisamente
non troppo attraenti33 (Fig. 8), ma utilizza un
più benevolo ritratto della regina regum34 (Fig.
9), che ne addolcisce i lineamenti: forse non
conosceva il conio che meglio avrebbe espresso la sua riprovazione (Fig. 8), secondo la vieta
equazione brutto = cattivo, e che, comunque,
avrebbe con più immediatezza ed evidenza
espresso il contrasto sottolineato da Plutarco,
tra il suo aspetto fisico e l’attrazione e la passione che aveva saputo suscitare in un uomo
della levatura di Cesare o del calibro di Antonio. Per documentare il legame con Antonio e
l’impudenza con la quale veniva esibito, riproPatrizia Serafin
Fig. 8 - Denario con i ritratti di Cleopatra
e di Antonio.
Fig. 11 - Ritratti di Cesare laureato al D/
e Antonio al R/.
Fig. 9 - Ritratto di Cleopatra.
Fig. 10 - Ritratti di Antonio e Ottavia.
Fig. 12 - Ritratto di Cesare
come Pontifex Maximus.
Fig. 13 - Ritratto di Giuba il Vecchio.
duce il bronzo emesso in Grecia, dove compaiono i busti affrontati dei due coniugi35, scambiando la pessima Cleopatra con la virtuosa
Ottavia (Fig. 10). Analogo errore, ma con riferimento al cistoforo con i due busti accollati,
commetterà due secoli più tardi, lo spagnolo
José Nicolas de Azara36, anch’egli cattolico di
stretta osservanza, che sottolineerà il contrasto
tra l’aspetto di Cleopatra e il suo successo, con
meno livore e più spirito, da uomo di mondo.
In ultima analisi, l’avversione di un personaggio come Ligorio, in perenne contrasto tra l’ammirazione per il mondo antico, pagano e la sua
adesione ad una fede cattolica sentita in modo
quasi ossessivo37, trova il suo miglior campo di
espressione proprio nei confronti di Cleopatra,
la straniera, causa di tanti mali per Roma.
Ancora una volta il ritratto morale prevale nella descrizione sul ritratto della fisionomia,
meglio tratteggiato dal disegno.
Si deve sottolineare come in questi disegni
Ligorio si discosti dal prototipo dell’immagine
di Cleopatra suggerita da Andrea Fulvio38,
probabilmente condizionato dall’iconografia
delle sovrane tolemaiche.
Ancora, nella lunga trattazione su Cesare,
introduce con un sintetico di persona bellissimo
Ligorio e il ritratto dopo il Medio Evo
la più articolata descrizione del carattere e
temperamento, per narrarne poi le gesta, fino
alla circostanza della crudele uccisione, in cui
si percepisce una partecipazione emotiva per
l’atto proditorio, pur riscattato dal nobile fine
della libertà. Il giudizio morale affiora di tratto in tratto, in rapporto alle di lui tante imprese e lascia trasparire il travaglio del narratore,
che da un canto, come storico, vuole astenersi
dal giudizio, ma partecipa del racconto ed è
combattuto tra ammirazione per il forte temperamento del personaggio, condottiero e
pagano, e il proprio ideale di libertà e la propria condotta di vita (e la sua radicata educazione, rafforzata dalla frequentazione dell’ambiente di Curia) dettata dalla morale cattolica,
che incombe ed affiora un po’ ovunque nella
trattazione e non può consentire una totale
approvazione.
I ritratti di Cesare sono numerosi, fedeli
alle emissioni monetali che si offrono ad un
facile confronto, dal condottiero laureato (Fig. 11)
ritratto nel dritto di un denario con il suo luogotenente M. Antonio al rovescio39, al Pontefice Massimo velato con gli attributi pontificali40 (Fig. 12), sempre puntualmente riconoscibile.
519
Fig. 14 - Ritratto di Juba il Giovane.
Fig. 15 - Ritratto della Diva Paula.
Somiglianti o meno, ma certo fortemente
caratterizzati sono i due ritratti di Juba, il Vecchio (Fig. 13) e il Giovane (Fig. 14), ben diversificati nelle diverse tipologie41, merito dei
conii scelti a modello, ma ulteriore, sicuro
indice di estrema attenzione ed interesse. La
fedeltà al tipo monetale quanto ad iconografia, talvolta non trova piena corrispondenza
nell’attribuzione; nella sua volontà di testimoniare tutto con l’immagine o, viceversa, di trovare per tutte le monete una spiegazione, Ligorio forza le identificazioni: disegna un bel
ritratto di una Diva Paula (Fig. 15), di cui conosce solo due esemplari in bronzo42, di proprietà di Alessandro Corvino e del signor
Tavera; lo attribuisce a Paula, madre di Adriano ed avula di Antonino Pio, che procede alla
di lei divinizzazione, nonostante il disaccordo
con altri che le attribuiscono un diverso consorte e, pur in assenza di testimonianze43, la
inserisce nell’ambito della trattazione del
periodo antonino, perchè assimiglia all’effigie
delle Faustine d’Antonino Pio.
Pur nel fondamentale errore storico e nell’errore metodologico di attribuzione, dovuto
con tutta probabilità a difficoltà di lettura di
un esemplare in bronzo, forse un po’ consunto (se non di un esemplare ritoccato o addirittura falso), Ligorio dimostra non solo la sua
già nota attenzione ai tratti fisionomici, ma
anche un approccio critico nel trattare gli
esemplari che gli si propongono e nella loro
collocazione storica.
Nella lunga esperienza e nell’instancabile
opera di raccolta di documenti, Ligorio doveva disporre di una gran quantità di appunti,
schede44 e schizzi a cui attingere per comporre
la sua grande opera. È così (ma, forse, non
520
Fig. 16 - Ritratto di Lucilla.
solo) che possono spiegarsi alcune errate e
maldestre indicazioni di monete che risultano
composte di dritti e rovesci non coerenti45 o
ritratti effettivamente fisionomici, ma erratamente attribuiti.
Testimoniando anche con ritratti la sua
storia, fa buon uso di quella che è stata una
singolare, splendida creazione dell’arte
romana: i medaglioni, una sorta di quid
medium tra la moneta e la futura medaglia46,
in cui l’incisore (artista) antico ha raggiunto
le massime realizzazioni figurative, anche
nelle più composite elaborazioni dei rovesci.
Più numerosi sono i medaglioni da Traiano
in poi, cui Pirro attinge abbondantemente e
con profitto, data la varia e pregevolissima
produzione, come i ritratti di Adriano visto
di tre quarti, di spalle47 come di Marco Aurelio48 di Antonino Pio, quasi a mezzo busto49
come Marco Aurelio50 o i due busti affrontati51 o accollati con Commodo52, medaglioni
che accolgono anche ritratti femminili, ad
es. Lucilla53 (Fig. 16) e Faustina54 (Fig. 17), ma
è emesso da Marco Aurelio, non da Commodo il bel medaglione55 (Fig. 18), noto allo
Gnecchi in soli tre esemplari56. Non mancano i contorniati, utilizzati soprattutto per il
periodo tra Nerva e Traiano.
Ligorio, dunque, nel mutato clima del
maturo Rinascimento, sviluppa e sfrutta a pieno quell’interesse per il singolo che, vivo già
prima del Petrarca, era poi stato fatto proprio,
e con specifico riferimento alla moneta, da
illustri studiosi ed eruditi57, portando a piena
maturazione l’attenzione per il ritratto fisionomico, nel solco tracciato da Andrea Fulvio ed
Enea Vico. Fa del ritratto un punto nodale
della sua trattazione, ma in una piena accezioPatrizia Serafin
Fig. 17 - Ritratto di Faustina.
Fig. 18 - Ritratto di Commodo.
ne del termine, vi aggiunge il ritratto morale
perché, volendo fare storia con le medaglie,
recepisce l’indispensabile premessa dell’intento catalogico per la conoscenza, da cui passare
ad ulteriore elaborazione; così i suoi personaggi prendono vita e quasi corporeità con l’incalzare fitto delle notizie desunte da una straordinaria varietà di autori, che valgono a dar loro
una collocazione nel tempo. Ma la loro caratterizzazione morale è dipinta da Ligorio, con
le sue capacità e i suoi limiti.
Egli vi mette la sua passione, la sua abilità di
disegnatore, e recepisce le esigenze del periodo.
Se fosse stato conosciuto, forse l’elaborazione critica del periodo successivo sarebbe
stata più rapida o, forse, invece, come per le
epigrafi, sarebbe stato condannato all’oblio
per tanti, tanti anni e tacciato di falsario.
L’elaborazione critica da Eckel in poi si è
sviluppata con ordine ed è tuttora in corso:
forse questo consentirà una pacata valutazione
di Ligorio anticario, mettendone in luce gli
aspetti positivi, come depositario di un’enorme mole di informazioni, e conferendogli il
posto che gli spetta nella storia degli studi
numismatici. L’elaborazione critica del periodo successivo, in buona parte si è sviluppata
senza conoscerlo. Se lo avessero conosciuto,
forse, gli studi numismatici si sarebbero sviluppati più precocemente. La vastità della sua
opera, impedendone la pubblicazione, ha fatto mancare una tessera significativa ad un
mosaico ricchissimo.
Non un grande numismatico, quale forse
non voleva essere, ma un ottimo conoscitore
di monete e raccoglitore di informazioni (fonti, notizie, documentazione), soprattutto capace di collegare le une alle altre.
Non un ritrattista, ma un occhio pronto e
una mano felice.
Note
Cfr. Bianchi Bandinelli, L’erma cit., p. 67.
Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 10.
7
Come amabilmente aveva sottolineato altro collega
ed amico (V. Fiocchi Nicolai), ma vedi Bianchi Bandinelli, L’erma cit., p. 74, per l’accezione di classico.
8
Per tutti, P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini,
Torino 2006, con bibliografia relativa.
9
Id., I ritratti di Marco Tullio Cicerone; visione, autorappresentazione, interpretazione, in Cicerone, prospettiva 2000,
Atti del I Symposium Ciceronianum Arpinas, Arpino, 5
maggio 2000, Firenze 2001, pp. 16-58, anche se, riprendendo F. Johansen [Ritratti antichi di Cicerone e Pompeo
Magno, “Analecta romana Istituti Danici”, VIII (1977),
pp. 39-69] e le sue perplessità sull’attribuzione, non tiene conto delle osservazioni di M. Grant, From imperium
to auctoritas. A Historical Study of aes Coinage in the Roman
Empire, 49 B.C.-A.D. 14, Cambridge 1946, p. 385, accet-
*
Le illustrazioni sono tratte dal codice 21 delle Antichità Romane di Pirro Ligorio nell’Archivio di Stato di
Torino, ad eccezione della n. 1 (da S. Balbi De Caro, La
moneta a Roma e in Italia, II, Monete e Popoli dell’età di mezzo, Cinisello Balsamo 1993, p. 102, n. 56) e la n. 8 (da J.
P. C. Kent, M. e A. Hirmer, Roman Coins, London 1973,
n. 111).
1
R. Bianchi Bandinelli, L’erma di Temistocle e l’invenzione del ritratto, in Storicità dell’arte classica, Firenze 1950,
p. 67.
2
Ibid., p. 68.
3
Ibid., p. 75.
4
R. Bianchi Bandinelli, L. Breglia, L’arte romana nelle monete di età imperiale, Milano 1968, p. 10.
Ligorio e il ritratto dopo il Medio Evo
5
6
521
tate e confermate dal più recente RPC (A. Burnett, M.
Amandry, P. P. Ripolles, Roman Provincial Coinage, Cambridge 1992, I), n. 2448, che lo identifica come figlio di
Cicerone, legato in Siria e proconsole di Asia, agli inizi
degli anni venti dell’ultimo secolo della Repubblica.
10
A. Giuliano, Il ritratto romano dalle origini alla prima
età augustea e il ritratto di Marcello, in Marcello, Roma
2008, pp. 21-22.
11
F. Gandolfo, Il ritratto di committenza nella Roma
medievale, XX Conferenza dell’Unione Internazionale
degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte in
Roma, Roma 2004.
12
Si veda per tutti L. Travaini, Monete e Storia nell’Italia Medievale, Roma 2007, con ricca bibliografia.
13
Oltre ai bei lavori di P. Zanker e T. Hölscher, si
veda da ultimo G. L. Gregori, E. Rosso, Giulia Augusta,
figlia di Tito, nipote di Domiziano, in Augustae. Machtbewusste Frauen am römischen Kaiserhof?, Atti del convegno,
Zürich, 18-20 settembre 2008, pp. 193-210.
14
L. Breglia, Numismatica antica. Storia e metodologia,
Milano 1964.
15
Libri XXVII, XXVIII, XXIX e XXX, cod. 21 dell’Archivio di Stato di Torino, la cui edizione nazionale è
in corso di stampa, secondo il programma previsto dal
Comitato del Centro di Studio sulla Cultura e l’Immagine di Roma.
16
F. Panvini Rosati, La letteratura numismatica nei secoli XVI-XVIII dalle raccolte della Biblioteca di Archeologia e
Storia dell’Arte, Roma 1980, p. IX.
17
J. Cunnally, Of Mauss and (Renaissance) Men. Numismatics, Prestation, and the Genesis of the Visual Literacy, in
The Rebirth of Antiquity, a cura di A. M. Stahl, Princeton
2009, p. 27.
18
I Farnese per i codici conservati a Napoli (vedi R.
Cantilena, La collezione di monete dei Farnese: per la storia
di un “nobilissimo studio di medaglie antiche”, in I Farnese.
Arte e Collezionismo, catalogo della mostra a cura di L.
Fornari Schianchi e N. Spinosa, Milano 1995, pp. 139151) e i Savoia per quelli di Torino. In particolare, per
l’interesse suscitato da questi codici, vedi I. Massabò Ricci, Note sulla conservazione nella capitale sabauda dei manoscritti di Pirro Ligorio e sulla loro alterna fortuna, in Il libro dei
disegni di Pirro Ligorio all’Archivio di Stato di Torino, a cura
di M. Calvesi e C. Volpi, Roma 1994, pp. 43-58.
19
C. E. Dekesel, A Bibliography of XVI Century Numismatic Books, London 1997.
20
I. G. Lipsius, Bibliotheca numaria sive Catalogus auctorum qui usque finem seculi XVIII de re monetaria aut numis scripserunt de re monetaria aut numis scripserunt, Leipzig 1801.
21
J. C. Hirsch, Bibliotheca Numismatica Exhibens Catalogum Auctorum qui De Re Monetaria Et Nummis Antiquis
Quam Recentioribus Scripsere, Collecta Et Indice Rerum
Instructa, Norimbergae 1760.
22
F. E. Brückmann, Bibliotheca Numismatica oder Verzeichnis der meisten Schrifften, so von Münzwesen handeln,
was hiervon sowohl Historici, Physici, Chymici, Medici, als
auch Juristen und Theologi geschrieben, Wolfenbüttel 1729 e
supplementi 1732 e 1741.
522
23
Tale termine è usato indifferentemente per ogni
tipo di moneta, per i medaglioni, spesso usati da Pirro per
la riproduzione dei ritratti e per i contorniati. Tale uso perdura in qualche caso fino al XIX secolo, nonostante le fondamentali opere degli studiosi di Numismatica, quali
Eckel, Babelon, Lenormant, Mommsen e Head. E la fondazione dei grandi Gabinetti numismatici, che, non a
caso, si usano chiamare ancora Medaglieri.
24
Per l’impero, la storia si snoda attraverso gli individui più rappresentativi, capipopolo, capi militari o sovrani, quelli di cui le fonti ricordano le gesta gloriose o le
male azioni.
25
G. Bodon, Enea Vico fra memoria e miraggio della
classicità, Roma 1997.
26
Anche nella moneta moderna e contemporanea,
rari sono i casi di adeguamento del ritratto dei sovrani
con il passare degli anni (si veda ad esempio la moneta
britannica), forse anche per consentire l’immediata identificazione dell’autorità.
27
Questo si nota più di frequente nei tipi di R/,
dove qualche elemento è riportato, evidentemente perché mal letto, in maniera differente; Ligorio, quindi,
deve aver operato un’opera di restituzione.
28
Sul problema della conoscenza diretta del soggetto
da ritrarre si è a lungo dibattuto, dato il più ampio interesse acceso dallo studio della ritrattistica, non solo in sede
numismatica; per tutti si veda Zanker, Augusto e il potere
cit., con ricca bibliografia precedente. In generale, con riferimento alle immagini monetali, si riscontra una maggiore adesione ai tratti fisionomici nelle emissioni di zecca
centrale, più vicina all’imperatore, che non in quelle di
zecca periferica, in cui si trovano anche ritratti poco o nulla somiglianti, i cui conii possono essere stati incisi localmente, anche se è possibile una produzione centralizzata
di conii per la distribuzione nelle province [K. Butcher, M.
Ponting, Production of Roman Provincial Silver Coinage for
Caesarea in Cappadocia under Vespasian, A.D. 69-79,
“Oxford Journal of Archaeology”, XIV (1995), 1, pp. 6377 e I. A. Carradice, M. R. Cowell, The Minting of Roman
Imperial Bronze Coins for Circulation in the East: Vespasian to
Trajan, “Numismatic Chronicle”, 147 (1987), pp. 26-50].
Nei casi di scarsa somiglianza, probabilmente, faceva fede
la legenda nel campo della moneta. È la stessa “certificazione” propria del mondo medievale, anche se i presupposti sono diversi, come diversi lo erano tra il periodo greco
arcaico e il medioevo, vedi ancora Bianchi Bandinelli, L’erma cit., p. 68.
29
Cod. 21, f. 43v.
30
Ad esempio: f. 47v.
31
f. 59v.
32
f. 32r.
33
M. H. Crawford, Roman Republican Coinage, Cambridge 1974, n. 543.
34
f. 42r.
35
RPC cit., 1455, f. 38r.
36
J. N. de Azara, Historia de la vida de Marco Tulio
Ciceron, traduccion de the History of life of Marcus Tullius
Cucero por C. Middleton, Madrid 1790, T4. XII, final.
Patrizia Serafin
37
Si veda anche la lunga digressione sulle sirene, ff.
54r-57r, in cui condanna le loro turpi attitudini, tuttavia
traspare quasi un compiacimento nella descrizione nell’intento di suscitare anche più profondo lo sdegno.
38
Andrea Fulvio, Illustrium Imagines, Romae MDXVII.
39
f. 11r.
40
f. 5r.
41
f. 40r.
42
f. 264r.
43
Come egli stesso afferma ivi.
44
Consueto metodo di lavoro anche ai giorni
nostri. Dolorosa, ma nello stesso tempo, confortante
testimonianza del lavoro con schede e dei rapporti di
collaborazione tra studiosi è offerta dal caso di un corrispondente olandese, la cui raccolta fu bruciata nell’incendio dell’abitazione; i suoi corrispondenti si attivarono inviando notizie, per consentirgli di ricostituire il suo schedario.
Ligorio e il ritratto dopo il Medio Evo
45
Si veda Il codice 21 delle Antichità Romane di Pirro
Ligorio nell’Archivio di Stato di Torino, a cura della scrivente, Apparato numismatico, in corso di stampa.
46
J. M. Toynbee, Roman Medallions, New York 1986.
47
ff. 220v e 233v.
48
f. 282v.
49
f. 260v.
50
f. 282r.
51
f. 272r.
52
f. 342r.
53
f. 300v.
54
f. 310v.
55
f. 357v.
56
F. Gnecchi, Medaglioni Romani, Milano 1912, II, p.
65, n. 122.
57
Andrea Fulvio, Enea Vico, Sebastiano Erizzo, Fulvio Orsini, Onofrio Panvinio, Antonio Agustin, Cassiano Dal Pozzo etc.
523