ALBERTO DI AACHEN E LA CHANSON DE JÉRUSALEM
La critica moderna ha sempre privilegiato l’ipotesi che il nucleo ciclico
primitivo dell’epica di crociata in antico francese, costituito dalla Chanson
d’Antioche, i Chétifs e la Chanson de Jérusalem, fosse il frutto della riscrittura
di testi più antichi attribuita alla mano di Graindor de Douai, un poeta
piccardo il cui nome compare nel prologo dell’Antioche e che si presume
sia vissuto alla ine del XII secolo.1 Benché il fascino di tale ipotesi abbia
mantenuto vivo l’interesse degli studiosi che ne hanno fornito delle possibili conferme attraverso lo studio dei caratteri intrinseci dei poemi del ciclo, numerosi interrogativi tuttavia sono rimasti ancora aperti. A tutt’oggi
niente di certo è dato sapere sul personaggio autore del rimaneggiamento,
ma soprattutto non sappiamo se Graindor sia realmente esistito e quale sia
stato il suo reale contributo alla composizione della Chanson de Jérusalem e
del ciclo della crociata.2 Strettamente legati alla questione dell’autore rimangono inoltre senza risposta gli interrogativi che riguardano i rapporti
dell’Antioche e della Jérusalem coi poemi antichi da cui esse probabilmente
derivavano, e i legami di questi ultimi con le fonti storiche della prima crociata che certamente erano alla base della formazione dei poemi stessi. Per
quanto riguarda nello speciico la Chanson de Jérusalem, invece, restano irrisolte altre e più peculiari questioni che rendono indispensabile uno studio
indipendente di questa chanson; rimane ancora da scoprire se è possibile
individuare e distinguere le parti rimaneggiate del poema da quelle più
antiche, e se è possibile proporne un’interpretazione adeguata ed una da1. Per gli studi complessivi sul ciclo della crociata e su quello attribuito a Graindor
de Douai vedi Pigeonneau 1877; Hatem 1973; Duparc-Quioc 1955; Bender e Kleber
1986.
2. Seri dubbi sull’esistenza di questo personaggio sono stati avanzati da Robert Francis
Cook (1980). Che Graindor de Douai sia il nome di un mecenate è invece l’opinione di
H. Kleber (1984), le cui tesi sono riproposte anche in “Graindor de Douai: remanieurauteur-mécène?” (1987a).
1
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
tazione più precisa.3 Resta inine da cogliere il senso (o i molteplici sensi)
che il poeta (o i poeti) ha via via cercato di afidare alla sua composizione
e se questi signiicati possano essere messi in relazione con le fasi della
riscrittura del poema.4 Nella miriade d’interrogativi appena accennati che
risultano irrimediabilmente legati, ed ai quali non pensiamo certo di fornire una risposta deinitiva ed esaustiva, lo studio delle fonti storiche che ci
accingiamo ad intraprendere sarà volto da un lato a delineare la dinamica
di composizione della Chanson de Jérusalem e dall’altro a cercar di individuare in forma coerente il signiicato originario del poema riconoscibile
ancor prima del suo rimaneggiamento.
1. L’importanza delle fonti storiche. Se consideriamo la lunga distanza temporale che separa gli avvenimenti che hanno ispirato i racconti
della chanson de geste dalla loro redazione scritta nella maggior parte delle
epopee francesi più antiche (si pensi ad esempio alla disfatta di Roncisvalle del 778 che viene cantata in volgare nella Chanson de Roland soltanto
alla ine dell’XI secolo), la prossimità delle vicende della prima crociata
rispetto al momento della composizione della Chanson de Jérusalem pone
questo poema (come del resto l’Antioche) in una situazione privilegiata
per studiare lo sviluppo dei rapporti fra le cronache latine —probabili
fonti ispiratrici— e la composizione dei poemi epici. Nel caso della Jérusalem, infatti, non solo si narrano avvenimenti storici che al massimo sono
distanti cento anni dalla loro redazione scritta nel ciclo della crociata,
ma si narrano anche dei fatti che hanno rilevanti risonanze con l’attualità del Regno di Gerusalemme, con i problemi legati alla terza crociata
e con il pericolo progressivo dell’avanzata dei Turchi in Terrasanta.5 La
storia narrata in forma epica nella Jérusalem non è più quella di un pas3. L’ambizione di riuscire a distinguere le parti più antiche da quelle rimaneggiate nei
poemi del ciclo rudimentale della crociata nasce dalla constatazione dello spiccato
carattere storico della Chanson d’Antioche alla cui analisi sono dedicate in particolar
modo due monograie: Sumberg 1968 e Duparc-Quioc 1977–1978.
4. La Jérusalem non ha mai avuto il beneicio di uno studio monograico completo. L’edizione più recente, ed alla quale faremo riferimento, è Thorp 1992. Oltre agli studi
sopra citati sul ciclo della crociata, che solo en passant si sono occupati anche della
Jérusalem, dobbiamo segnalare anche i seguenti contributi, a partire dalla prima edizione del testo a cura di C. Hippeau (1969)—in quest’opera troviamo la divisione in
canti alla quale ci riferiremo nella trattazione per facilitare il riconoscimento della
struttura narrativa del poema: Paris 1888–1893; Duparc-Quioc 1938, 1940; Cahen
1957; Bender 1978; Kleber 1987b; Thorp 1987; Subrenat 1995, 1997; Suard 2001; Zaganelli 2003; Tigges Mazzone 2004. Sulla tradizione manoscritta, oltre all’introduzione
alla già citata edizione di Thorp (1992), vedi Duparc-Quioc (1939); Myers (1977:xiii–
lxxxviii), dalla quale trarremo i riferimenti alla tradizione manoscritta e le sigle dei
codici; Hunt (1981).
5. Come rileva Bender (1978:159), le quattro fasi della storia del Regno di Gerusalemme
(la prima Crociata, l’epoca del Regno di Gerusalemme, la perdita della Città Santa nel
1187, le battaglie di Oltremare nella seconda metà del XIII secolo) hanno avuto importanti ripercussioni sull’epopea delle crociate. Del resto le vicende della prima crociata
e della lotta contro i nemici della fede cristiana hanno notevolmente inluenzato anche tutta la produzione medievale di poesia epica: cfr. Jonin 1964.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
3
sato lontano nel quale proiettare le problematiche storiche del presente,
come è il caso dei poemi del ciclo carolingio, ad esempio, ma è una storia
‘presente’ che si propone costantemente e realmente agli occhi dell’autore e del suo pubblico come qualcosa che suscita un interesse immediato
e riconoscibile. In altri termini, seguendo le rilessioni di K.-H. Bender
sull’epica francese, potremmo dire che “la première croisade a été l’occasion de dissoudre la symbiose qui existait traditionellement dans l’épopée
en ancien français entre l’histoire du passé et celle du présent” (Bender e
Kleber 1986:38).6 Se effettivamente i poemi del primo ciclo della crociata
sono stati composti (almeno in una forma originaria) o rimaneggiati alla
vigilia della seconda o della terza crociata, e se effettivamente sono serviti da excitatorium per arruolare nuove forze per la liberazione del Santo
Sepolcro, allora la storia che essi c’illustrano rappresenta l’attualità ancora all’epoca della loro composizione sul inire del XII secolo,7 e quindi
studiare le relazioni delle chansons de geste relative alla prima crociata con
le cronache latine diventa, se non fondamentale, per lo meno alquanto
interessante.
Da un altro punto di vista, la vicinanza e la somiglianza degli eventi
della Chanson de Jérusalem con quelli narrati nelle cronache latine ci offrono notevoli opportunità in prospettiva comparatistica per apprendere
come i poemi del primo ciclo della crociata siano stati composti e varie
possibilità per scoprire se effettivamente le cronache latine siano state la
fonte d’ispirazione del poeta per la creazione del suo racconto. A questa
seconda rilessione dobbiamo però aggiungerne un’altra che riguarda il
genere che andremo ad analizzare e la metodologia di lettura del testo
poetico: mentre i primi studi sull’Antioche erano costantemente rivolti a
ricercare quali fossero gli eventi storici veri e quelli inventati per cercare
di attribuire a certe parti del poema la isionomia di una cronaca rimata
e per ricostruire la storia della prima crociata,8 adesso invece, dato il carattere più marcato di poema epico che si attribuisce alla Chanson de Jérusalem, la possibilità di mettere in rilievo le qualità storiche di un’opera del
ciclo della crociata può risultare di massimo interesse soltanto se unita
alla consapevolezza e alla necessità di dover interpretare, non un testo di
carattere storico, ma un testo invece di carattere letterario, un testo, in
altre parole, che può contenere anche dei tratti di pura invenzione. Una
chiara rilessione su come le cronache latine abbiano ispirato la creati6. Bender e Kleber 1986:38; cfr. anche Bender 1974. Le chansons de geste tradizionali non
mettono in scena direttamente la storia contemporanea, ma la sua presenza è limitata da regole di trasposizione che caratterizzano fortemente il genere epico antico
francese.
7. Una panoramica diacronica sui momenti di composizione dei poemi del primo ciclo
della crociata la ritroviamo in Kleber 1987b.
8. Si pensi ad esempio al lavoro di Sumberg (1968) che attribuisce a Riccardo il Pellegrino il privilegio di essere un cronista della prima crociata e l’autore della prima
cronaca rimata in volgare.
4
Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
vità dell’autore potrà quindi condurci a far meglio emergere da un lato
le qualità letterarie dell’opera e dall’altro le modalità di trasformazione
poetica dei materiali storici.
L’abbondanza di cronache latine che narrano gli eventi della prima
crociata è la migliore testimonianza dell’importanza che assunse la liberazione di Gerusalemme per la storia del medioevo occidentale. Oltre ad innumerevoli accenni in cronache ed annali, ci sono pervenute undici opere
storiograiche latine interamente dedicate alla spedizione per la conquista
di Gerusalemme; un numero di testi così elevato costituisce un fatto quasi
unico nella storiograia medievale. Ma per apprezzare ancor più questo
dato basterà fare un confronto con la storiograia della seconda crociata,
limitata soltanto a quattro opere,9 oppure con quella della terza crociata,
limitata a sei opere,10 benché alla spedizione partecipassero i sovrani di
Germania, Francia ed Inghilterra, o con quella della quarta crociata, di
cui hanno parlato soltanto quattro cronache,11 benché la spedizione si
fosse conclusa con un evento fondamentale quale la conquista di Costantinopoli. Altro fatto degno di nota è che le undici cronache sulla prima
crociata furono scritte nell’arco di trent’anni (entro il 1130), ed almeno la
metà di esse entro il 1105, cioè ad una distanza temporale minima rispetto
agli eventi accaduti. Una tale copia di fonti storiche per un poema epico,
fonti redatte sia in Terrasanta, sia in Italia, Francia e Renania,12 non conosce paralleli nella letteratura della chanson de geste, e pertanto il raffronto
con i testi latini risulta uno strumento, se non fondamentale, almeno privilegiato per indagare, in particolare, sulla dinamica compositiva della
Chanson de Jérusalem.
Come già accennato, la storia della prima crociata è quasi interamente
desumibile da fonti contemporanee (o quasi) agli eventi,13 la cui esegesi è
stata rinnovata e rivalutata negli ultimi anni nell’ambito della critica stori9. Eudes de Deuil, La Croisade de Louis VII roi de France (Waquet 1949); Osbernus, De expugnatione Lyxbonensi (David 1936); Ottone di Frisinga e Rahewin, Gesta Friderici I Imperatoris (Waitz e Simson 1912); Guglielmo di Tiro, Willelmi Tyrensis archiepiscopi chronicon
(Huygens 1986).
10. Ansbertus, Gesta Frederici I imperatoris . . . in expeditione sacra (Holder-Egger 1892); Tageno, Historia peregrinorum (Mayer 1962); l’anonimo Itinerarium peregrinorum et gesta
regis Ricardi (Stubbs 1864); Ambroise, L’Estoire de la Guerre Sainte. Histoire en vers de la
troisième croisade (1190–1192) (Paris 1897); Haymar, De Expugnata Accone liber tetrastichus
seu rithmus de expeditione ierosolimitana (Riant 1866); la Narratio Itineris Navalis ad Terram
sanctam (Chroust 1928).
11. Goffredo di Villehardouin, La conquête de Constantinople (Faral 1961); Robert de Clari,
La conquête de Constantinople (Lauer 1956); Gunther von Pairis, Hystoria Constantinopolitana (Orth 1994); Devastatio Constantinopolitana (Andrea 1993).
12. Sulla loro diffusione in relazione alla tradizione manoscritta vedi Hiestand
1984–1985.
13. Sulle fonti della prima crociata i panorami più attendibili e completi sono quelli di
Cahen (1940:7–18) e di Runciman 1966:1099–1106. Ma vedi anche Iorga 1928; Cutolo
1944; Smalley 1979, che dedica un capitolo alle opere storiche sulla prima crociata. Un
aggiornamento sullo stato attuale della ricerca in Russo 2001.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
5
ca.14 Quelle che a noi interessano maggiormante per lo studio della Jérusalem sono però le fonti latine, molto più numerose e ricche di informazioni
rispetto a quelle bizantine o arabe, e sicuramente più facilmente reperibili
da un autore volgare. Fra gli studiosi è prevalente la tendenza a classiicare
tali cronache in due categorie principali secondo la natura e l’età dei testi.
Il primo raggruppamento è quello formato dalle opere composte da personaggi che parteciparono alla prima crociata e che quindi narrano gli
eventi per averli vissuti direttamente; questo gruppo di testi comprende
gli anonimi Gesta Francorum,15 la Historia Francorum qui ceperunt Jerusalem
di Raimondo d’Aguilers,16 la Historia de Hierosolymitano itinere di Pietro Tudebodo17 e la Historia Hierosolymitana di Fulcherio di Chartres.18 Tali fonti
sono le più antiche e dunque, per la completezza e l’originalità delle informazioni contenute, almeno in linea di principio le fonti dalle quali avviare
un’analisi comparativa. Il secondo gruppo di testi comprende invece le
opere di autori che non parteciparono alla prima crociata ma che compilarono le loro cronache sulla base di resoconti della spedizione, scritti ed
orali, o di opere storiche precedenti. Rientrano in questa categoria la Historia Hierosolymitana di Alberto di Aachen,19 la Hierosolymita di Ekkehard
di Aura,20 i Gesta Tancredi in expeditione Ierosolimitana di Rodolfo di Caen21 e
gli Annali genovesi di Caffaro di Caschifellone.22
All’interno del gruppo delle fonti della prima crociata scritte da personaggi che non parteciparono direttamente alla spedizione è individuabile un sottogruppo di opere che si poneva l’esplicito compito di riscrivere
14. Cfr. Flori 1999:33–49; France e Zajac 2003; Russo 2003a.
15. La più recente edizione è R. Hill 1979 [1962], dalla quale ricaveremo le citazioni
nel corso della trattazione. Rimane tuttavia molto utile l’edizione di Bréhier (1924),
e quella di Hagenmeyer (1890). Una recente ed aggiornata riproposizione del testo
dell’edizione Hill con traduzione italiana e commento è Russo 2003b.
16. Questo il titolo più noto dell’opera, come appare anche dal testo degli editori del Recueil des Historiens des Croisades (Historia Francorum qui ceperunt Jerusalem, RHC, Hist. Occ.
III:235–309). Riprende invece il titolo del ms. Paris BNF lat. 14378, l’edizione critica
più recente dalla quale trarremo le nostre citazioni: Le “Liber” de Raymond d’Aguilers,
a cura di John H. Hill and Laurita L. Hill (1969), da cui possiamo ricavare numerosi
ragguagli sull’autore e sull’opera. Prima ancora dell’edizione critica, l’opera era stata
tradotta in inglese dagli stessi Hill (1968). Alcune precisazioni agli studi degli Hill
nella recensione di Richard (1971).
17. Pietro Tudebodo, Historia de Hierosolymitano itinere (Hill e Hill 1977).
18. Fulcherio di Chartres, Historia Hierosolymitana (1095–1127) (Hagenmeyer 1913).
19. Alberto di Aachen (Albertus Aquensis), Historia Ierosolimitana (Edgington 2007). Ringrazio Susan B. Edgington per avermi gentilmente concesso di leggere la sua introduzione alla Historia Ierosolimitana prima che l’edizione uscisse alle stampe.
20. Ekkehard di Aura, Frutoli et Ekkehardi Chronica necnon anonymi Chronica imperatorum
(Schmale e Schmale-Ott 1972). Sulle vicende redazionali del testo vedi anche Cocci
1999.
21. Rodolfo di Caen (Radulfus Cadomensis), Gesta Tancredi in expeditione Ierosolimitana,
RHC, Hist. Occ. III:603–716.
22. Caffaro di Caschifellone, De Liberatione Civitatum Orientis Liber, in Annali Genovesi di
Caffaro e de’ suoi continuatori: dal 1099 al 1293 (Belgrano 1890; ed. riproposta in RHC,
Hist. Occ. V, parte I:41–73).
6
Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
i Gesta Francorum, il cui stile semplice e piano venne subito percepito come
inadeguato ad esaltare l’importanza della spedizione per la conquista
della Città Santa. Queste opere sono la Historia Iherosolimitana di Roberto
il Monaco,23 la Historia Hierosolimitana di Baldrico di Bourgueil24 e la Dei
Gesta per Francos di Guiberto di Nogent.25 Questi tre monaci raccolsero i
racconti di coloro che si erano recati in Terrasanta ed utilizzarono, oltre ai
Gesta Francorum anche le altre cronache dei testimoni oculari. I loro prodotti storico-letterari, quindi, non devono essere totalmente esclusi ai ini
della nostra ricerca; anzi, tali opere potranno benissimo essere di ausilio
nel caso in cui i racconti dei partecipanti alla prima crociata presentino
delle lacune.26 Benché non faccia parte dei gruppi di fonti sopra elencati,
consideremo inoltre la Historia rerum in partibus transmarinis gestarum di
Guglielmo di Tiro, una storia dell’Oriente latino dalla sua conquista ino
al 1184, che non può essere trascurata proprio per la sua vastità e l’ampissima fortuna dovuta alle sue eccellenti qualità letterarie.27
La Chanson de Jérusalem non presenta evidentemente il grado di storicità e l’esattezza documentaria che invece possiede la Chanson d’Antioche (e
questa è forse una delle ragioni che hanno tenuto la Jérusalem più lontana
dagli interessi della critica rispetto all’Antioche), ma al racconto dei fatti
storici che narrano della conquista della Città Santa combina con maggior
profusione dei materiali narrativi dal carattere leggendario e romanzesco
che sembrano essere il miglior frutto dell’invenzione del suo poeta. Tenuta nel debito conto questa considerazione, la Jérusalem riesce comunque
a sviluppare e a narrare nella loro completezza tutte le tappe della storia
della conquista di Gerusalemme, dall’arrivo dei crociati davanti alla città
ino alla battaglia di Ascalon che segnò il pieno possesso della Città Santa,
tanto che il carattere di epopea storica della crociata risulta pienamente
23.
24.
25.
26.
Roberto il Monaco, Historia Iherosolymitana, RHC, Hist. Occ. III:717–882.
Baldrico di Bourgueil, Historia Hierosolymitana, RHC, Hist. Occ. IV:5–111.
Dei gesta = Guiberto di Nogent, Dei gesta per Francos (Huygens 1996).
Quella in qui esposta è, in sintesi, la classiicazione delle fonti più nota; vedi Runciman 1966:1100–1103. Flori (1999:33–49), in funzione della ricostruzione della storia
di Pietro l’Eremita, ripartisce le fonti in quattro categorie principali: fonti A (partecipanti alla crociata): Gesta Francorum, Raimondo d’Aguilers, Tudebodo e Fulcherio di
Chartres; fonti B (rifacitori dei Gesta Francorum): Baldrico di Bourgueil, Guiberto di
Nogent e Roberto di Reims; fonti C: Alberto di Aachen e Guglielmo di Tiro (opere derivate da una sconosciuta fonte comune ai racconti dei Gesta Francorum, di Raimondo
d’Aguilers e di Tudebodo); fonti D (altre fonti): Rodolfo di Caen, Solomon Bar Simson
e Anna Comnena. Hiestand (1984–1985) ripartisce invece le cronache seguendo criteri parzialmente diversi: gruppo 1: testimoni oculari che narrano solo la storia della
prima crociata (Gesta Francorum, Raimondo d’Aguilers, Tudebodo); gruppo 2: scrittori
che collocano la prima crociata nell’ambito di un’opera più vasta (Fulcherio di Chartres, Ekkehard di Aura e Alberto di Aachen); gruppo 3: rielaboratori dei Gesta Francorum (Baudri de Bourgueil, Guibert de Nogent e Roberto di Reims); gruppo 4: altre
fonti (Rodolfo di Caen e Caffaro di Caschifellone).
27. Willelmi Tyrensis archiepiscopi chronicon. La letteratura su quest’opera è sterminata; vedi
tuttavia Krey 1941 e lo studio contenuto nell’introduzione all’edizione citata (Guglielmo di Tiro, Huygens 1986:1–95).
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
7
riconoscibile come tratto peculiare all’interno del genere chanson de geste e come tratto parallelo a quello leggendario all’interno del poema.28
Alla ine del percorso storico-ricostruittivo ed allo stesso tempo tematico
che stiamo per intraprendere ci interrogheremo inoltre su ciò che poteva
esistere alle origini della Jérusalem, cioè qual’era il nucleo primitivo della
chanson e cosa narrava, e cercheremo di formulare delle ipotesi sulla fonte
o sulla tradizione storica che il poeta avrebbe utilizzato (o rimaneggiato)
per costruire il suo poema. Analogamente a quanto accadeva negli studi
condotti sulla Chanson d’Antioche, primo poema storico a convogliare gli
interessi di storici e ilologi, talvolta apparirà manifesta l’analogia dei racconti della Jérusalem con una pluralità (coincidente) di fonti storiche tale
da far sospettare l’esistenza di una “vulgata” testimoniale non ben identiicabile e le cui tracce siano state ormai smarrite nelle varie tappe della
trasmissione manoscritta e nel terreno ipotetico, e alquanto vago, della
tradizione orale. Talaltra, invece, un’unica fonte latina emergerà come la
più autorevole ad identiicare un percorso da ricostruire, e in questa direzione ci sforzeremo di mostrare come in realtà la Chanson de Jérusalem si
inserisca in una tradizione storico-geograica ben riconoscibile i cui contorni non sono stati inora riconosciuti dalla critica.
2. I crociati davanti alle mura: fonti plurime e nuove identificazioni.
Così inizia la chanson: “Dedens Jerusalem s’armerent li felon”. L’esordio del
poema, come lo leggiamo nelle edizioni di cui disponiamo, non è altro
che una convenzione adottata dagli editori per dar comunque un inizio
al racconto della conquista di Gerusalemme e della battaglia di Ascalon
estraendolo dall’insieme del ciclo rudimentale quale appare nei manoscritti; in altre parole, i manoscritti del ciclo tramandano il testo dei tre
poemi come se si trattasse di una narrazione continua, senza evidenziare
l’inizio e la ine di ogni chanson.29 Tentare un’analisi della rappresenta28. Per lo studio completo delle fonti storiche nei loro rapporti con il poema, come pure
sugli sviluppi romanzeschi e sui legami con la tradizione del ciclo della crociata, rimando alla mia tesi di dottorato (2005): Le fonti storiche e letterarie della Chanson de Jérusalem (relatrice M. L. Meneghetti, Università di Siena). Il criterio metodologico “induttivo” che ho adottato per comparare i testi mi ha portato in un primo momento
ad analizzare le parti del poema che presentavano le maggiori analogie con i racconti
storici delle cronache ed in un secondo momento a cercar di ristabilire una linea derivativa fra i testi. In particolar modo, ho cercato di ricostruire in prospettiva diacronica
il racconto della conquista e della difesa di Gerusalemme per cercare di comprendere
come il poeta abbia organizzato la sua materia ed abbia alternato episodi realmente
accaduti ad episodi romanzeschi allo scopo di creare un’opera storicamente completa
ed allo stesso tempo variata ed avventurosa.
29. L’edizione Hippeau (1969) fa cominciare il poema al foglio 136v, col. 2, del ms. A (“Dedens Jerusalem s’armerent li felon”, v. 1), in un punto in cui non è presente nessun
segno di transizione nei codici (questa sembra essere stata la scelta più felice, e in
effetti è stata seguita anche dal Thorp (1992). La lassa 1 dell’edizione Hippeau è il
primo momento in cui l’attenzione del racconto è tolta ai chétifs ed è rivolta ai movimenti dell’esercito crociato in cammino verso Gerusalemme. Invece Duparc-Quioc
(1955:18), sulla scia di P. Meyer (1870:230), opterebbe per anticipare l’inizio del po-
8
Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
zione dei fatti storici nella Chanson de Jérusalem in dal suo inizio non è pertanto un’operazione esente da qualche rischio, sia dal punto di vista della
correttezza che dell’esattezza ilologica. La critica moderna, comunque,
ha unanimemente considerato il primo canto come il frutto dell’opera di
un rimaneggiatore che avrebbe legato in un unico racconto la trama e i
personaggi delle tre chansons, e ciò all’unico scopo di inserire il poema
dei Chétifs fra gli altri due poemi storici, l’Antioche e la Jérusalem. Data questa struttura, con ogni probabilità le parti maggiormente rimaneggiate
sarebbero quelle del primo e degli ultimi tre canti del poema, dove possiamo osservare la maggior parte degli episodi dal carattere immaginario,
ma è comunque possibile rintracciare in varie fonti la presenza di fatti
storici documentati, oltre che nella parte centrale del poema, anche nei
primi momenti dell’arrivo dei crociati a Gerusalemme e confrontarne
il racconto con quello delle cronache per far emergere le forti analogie
tematiche.
Il poema ci presenta subito i crociati di Goffredo che, separatisi
dall’esercito cristiano, giungono in vista di Gerusalemme. La commozione
e le lacrime di gioia alla visione della meta tanto agognata non potevano
costituire un miglior esordio, ed allo stesso tempo riuscire ad enfatizzare
l’approssimarsi della ine di quell’iter hierosolymitanum già avviato nel ciclo
con l’Antioche:
Virent le Tor David, l’ensegne et le dragon,
Le Porte Saint Estievene, le Carnier al Lion.
Jerusalem enclinent par grant afliction.
La veïssiés de larmes tant grande plor[i]son:
Cascuns en ot moilliet le face et le menton.
La peüssiés veïr, Dex! tant rice baron
Mordre et baisier la piere et la terre environ. (vv. 22–23)
I luoghi nominati dal poeta corrispondono a quelli nei quali, secondo il
racconto delle cronache, Goffredo dispose le sue truppe all’arrivo a Gerusalemme. Ma l’elemento tematico sviluppato da questi versi riguarda
innanzitutto la commozione dei crociati, il loro gettarsi a terra e baciare
la Terrasanta, meta ormai vicina del loro pellegrinaggio. Un simile coinvolgimento emotivo, ma dai toni alquanto retorici e patetici, lo ritroviamo
anche in Roberto il Monaco, esattamente nel momento in cui i crociati
arrivano in vista di Gerusalemme il 7 giugno del 1099 (p. 863):
O bone Jesu, ut castra tua viderunt hujus terrenae Iherusalem muros, quantos exitus aquarum oculi eorum deduxerunt! Et mox terrae procumbentia
sonitu oris et nutu inclinati corporis Sanctum Sepulcrum tuum salutaverunt;
teque qui in eo jacuisti, ut sedentem in dextera Patris, ut venturum judicem
ema nel momento in cui i chétifs escono dalla corte di Corbaran per cominciare la loro
marcia su Gerusalemme, episodio tradizionalmente messo a carico della trama dei
Chétifs.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
9
omnium, adoraverunt. Vere tunc ab omnibus cor lapideum abstulisti, et cor
carneum contulisti, Spiritumque Sanctum tuum in medio eorum posuisti.
Itaque contra inimicos tuos qui in ea erant, jam scilicet a longe positi, pugnabant, quoniam ad auxilium suum ita te concitabant; et melius lacrymis, quam
jacula intorquendo, pugnabant, quoniam licet ubertim in terram deluerent,
in coelum tamen ante te propugnatorem suum conscendebant: qui surgentes
ab oratione, ad regalem civitatem properarunt; inimicos regis aeterni intus
invenerunt: circa quos tali ordine castra sua posuerunt.
La cronaca di Roberto il Monaco, come sappiamo, è rifacimento degli
anonimi Gesta Francorum. Il fatto che il passo sopra riportato compaia soltanto nella cronaca di Roberto, e non nella sua fonte, ci farebbe pensare
piuttosto ad un’aggiunta della mano di Roberto, il quale avrebbe potuto
comporre l’episodio o ispirandosi ad un topos della letteratura dei pellegrinaggi, oppure riprendendolo direttamente da una chanson de geste più
antica della Jérusalem (ma probabilmente non più antica dei Gesta Francorum). La sintonia col passo della Jérusalem è in ogni modo evidente, ma
la conferma che siamo in presenza di un motivo già antico, epico o cronachistico, la possiamo avere se osserviamo un’analoga reazione descritta
nel racconto di Alberto di Aachen, sia pure con toni meno retorici e più
concisi: “Ierusalem uero nominari audientes, omnes pre leticia in letum
lacrimarum luxerunt, eo quod tam uicini adessent loco sancto desideratae urbis, pro qua tot labores, tot pericola, tot genera mortis et famis passi
sunt” (V 45:402 [RHC, Hist. Occ. IV:463]).30
Terminata la spedizione di vettovagliamento, il racconto della Jérusalem (ll. 2–6) prosegue mostrandoci i crociati carichi di preda (“Tant fu
grande la proie que nombrer nel savon, / Des camels et des asnes et de
maint cras moton”, vv. 43–44) tornare indietro attraverso la Valle di Josaphat ino a Santa Maria (monastero benedettino custode della tomba
della Vergine31). Nel frattempo, però, i crociati vengono assaliti dai saraceni guidati da Cornumaran, iglio di Cordabas. L’episodio reale della spedizione in cerca di bottino assume così i tratti di una cornice nella quale
inserire gli elementi narrativi del poema precedente del ciclo: assistiamo
infatti (ll. 7–10) all’incontro degli eroi delle due chansons, cioè i chétifs ed
il gruppo guidato da Goffredo di Buglione che insieme riescono a sbaragliare i saraceni. La Duparc-Quioc (1955:19–20) osserva giustamente che
la canzone, da qui ino al secondo canto, non fa altro che descrivere le
spedizioni in cerca di bottino durante la marcia dell’armata crociata verso
Gerusalemme, collocando un combattimento nella Valle di Josaphat, uno
30. Anche Guglielmo di Tiro, VII, 25, p. 378 (RHC, Hist. Occ. I:318), rappresenta lo stesso
momento di commozione riprendendo le parole di Alberto di Aachen.
31. Secondo le osservazioni di Hatem (1973:372), quando i crociati arrivarono nella Valle
di Josaphat, trovarono il monumento della tomba della Vergine completamente distrutto dai Saraceni. Goffredo afidò quindi l’abbazia di Notre-Dame de Josaphat a
dei benedettini. I lavori di restauro cominciarono allora, e verso il 1130 un magniico
monumento si elevava in onore della Vergine.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
a Cesarea ed uno a Ramleh. L’autore del poema, dunque, non avrebbe
inventato di sana pianta questi episodi, ma avrebbe ripreso sicuramente
i racconti dei partecipanti alla crociata o delle cronache latine. Alcune
testimonianze di quelle che dovevano essere delle vere e proprie spedizioni in cerca di rifornimenti (del resto numerose durante tutta la crociata) nel percorso fra Antiochia e la Città Santa, le possiamo ritrovare
infatti in Raimondo d’Aguilers, nei Gesta Francorum, in Fulcherio di Chartres e in Alberto di Aachen. Benché i riscontri possano essere abbondanti,
non è facile tuttavia stabilire con esattezza a quale cronista il poeta si sia
ispirato.
Il tema dei rifornimenti ritorna spesso nella cronaca di Raimondo
d’Aguilers. Dopo il primo attacco alle mura di Gerusalemme che viene
consigliato da un eremita del Monte degli Olivi, i crociati partono alla
ricerca di vettovaglie nella regione circostante;32 i saraceni pertanto, accortisi dell’arrivo dei crociati, chiudono i pozzi e le sorgenti per farli desistere. La cronaca poi prosegue con la descrizione della fontana di Siloé
che, secondo un misterioso fenomeno della natura, zampilla soltanto ogni
tre giorni:
Est quidam fons in descensu montis Syon qui natatoria Syloe appellatur. Magnus quidaem fons, sed non proluebat nisi tercia die. Dicebant autem incole
de illo fonte quod in .vi. feria tantum solitus erat proluere. Per reliquos vero
dies, quasi palus. Quid autem id fuerit preter Dei voluntatem, ignoramus.
Cum vero ut dictum est nobis in tercia die aqua decurreret, cum tanto impetu
et obpressione aqua hauriebatur, ut mutuo se homines in aqua proicerent, et
jumenta et peccora multa intus deperirent. Itaque repleto fonte collisione et
cadaveribus animalium, ad exitus ipsius aque, que per quamdam rupis incisuram egrediebatur, forciores se usque ad mortem obprimebant. Debiles
autem nichilominus illam aquam inmundissimam sibi tollebant. Iacebant autem multi secus fontem ex ariditate lingue non valentes emittere vocem sed
tantum ore aperto manus pretendebant illis quos videbant aquam habere.
(Raimondo d’Aguilers, 139–140; RHC, Hist. Occ. III:294A–C)
La crudezza ed il realismo della scena descritta da Raimondo,33 nella quale
gli uomini assetati e gli animali si accalcano per cogliere quel poco di acqua potabile che esce dalla sorgente, deve aver esercitato una certa impressione nell’immaginario giullaresco, e può aver inluito sulla composizione
del motivo narrativo della fontana di Siloé nella Chanson de Jérusalem. Il poema riporta comunque soltanto dei brevi cenni a questa fonte meravigliosa
conservando il particolare della natura malsana dell’acqua e l’aridità della
32. Raimondo d’Aguilers, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:293H): “Post hec omnes profecti sunt
per regiones, ad congreganda victualia. Et non erat verbum de necessariis comparandis, ad capiendam civitatem. Sed quisque ventri et gule serviebat. Et quod multo deterius erat non invocabant Dominum ut liberaret eos de tantis ac de tam multiplicibus
malis in quibus usque ad mortem gravabantur”.
33. Di carattere cursorio è l’accenno a questa fontana nei Gesta Francorum X, 37:88 (RHC,
Hist. Occ. III:159).
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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regione intorno alla città, temi che peraltro ci richiamano analoghi passi
di altre chansons de geste:
Del val de Josaphas dusqu’a Monte Sion,
Desci qu’a Silöé n’i ot arestison. (vv. 39–40)
Tant furent cil proudome et si fort aduré
Qui la misent le siege par vive pöesté
U il n’avoit riviere, ne herbage ne pré,
Fontaine ne sorjon desci qu’a Silöé –
C’est une eve salee; n’a gaires de bonté. (vv. 989–991)
Il motivo dell’aridità e della natura malsana dell’acqua compare in effetti
in un’altra epopea più famosa, La Chanson de Guillaume, che presenta tutti
gli elementi tematici che possiamo trovare sia nella Jérusalem che in Raimondo d’Aguilers:
Grant fu le chaud cum en mai en esté,
E long le jur, si n’out treis jurz mangé.
Grant est la faim e fort pur deporter,
E la seif male, nel poet endurer.
Par mi la boche vait le sanc tut cler,
E par la plaie del senestre costé.
Loinz sunt les eves, qu’il nes solt trover;
De quinze liwes n’i out funteine ne gué
Fors l’eve salee qui ert la lot de la mer;
Mais par mi le champ curt un duit troblé
D’une roche ben prof de la mer;
Sarazins l’orent a lur chevals medlé,
De sanc et de cervele fud tut envolupé.
La vint corant Vivien li alosé [. . .]34 (McMillan 1949–1950, vv. 838–851)
Altro elemento topico identiicabile nelle cronache, e che probabilmente ha colpito la fantasia del poeta così da diventare nella Jérusalem un
motivo epico ricorrente (utilizzato soprattutto nel descriverci gli assalti alla
città), è quello della sete che coglie i cristiani durante gli scontri. Se da un
lato è pur vero che la chanson rappresenta un aspetto realistico della guerra
in Palestina, dato che i combattimenti si svolsero in luoghi aridi e desertici
e con temperature sicuramente più elevate di quelle cui erano abituati i cavalieri occidentali, dall’altro il motivo della sete ha un risvolto religioso legato alla simbologia della Passione, ed al “sitivi” da Cristo pronunciato sulla
croce, una simbologia dunque che fa presa facilmente nell’immaginario
epico francese. Nel poema, i crociati sono così tormentati dall’arsura che si
34. La cronaca di Raimondo prosegue raccontando dei saraceni che tendono imboscate
ai crociati: “At ubi Saraceni cognoverunt nostros inhermes discorrere ad fontes per
montana que sunt asperrima insidias eis pretendebant, et multos ex ipsis trucidabant
et captivabant, et iumenta eorum, et peccora secum ducebant” (p. 140 [RHC, Hist. Occ.
III:294D]). La serie degli eventi (arrivo a Gerusalemme, allontanamento in cerca di
bottino, imboscate dei Saraceni) sembra avere lo stesso ordine in Raimondo d’Aguilers e nella Jérusalem.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
riducono a bere l’orina ed il sangue del bestiame: “François sont si destroit
et d’eve ont tes disietes / Que il boivent l’escloi et le sanc de lor bestes!”
(vv. 254–255); “De l’angoisse del soif en i ot des pasmis: / L’escloi de lor cevals boivent et des roncis. / Li sans qui jut a terre fu molt tos[t] recoillis— /
Cil qui l’ot en bevoit volentiers, non envis” (vv. 2370–2373). Senza che il
tema della sete corrisponda necessariamente alla realtà storica, esso risulta
essere comunque un espediente poetico atto a sottolineare i momenti di
pathos e di dificoltà in battaglia nonché a promuovere un’ottica in cui la
sete materiale diviene simbolo di quella spirituale. Se guardiamo a ciò che
riferiscono le cronache, il motivo della sete viene anche posto in relazione
con le tattiche di guerra e con i tentativi dei Saraceni di assetare i crociati
attraverso imboscate che impediscono loro di andare liberamente in cerca
d’acqua. Oltre a quello già citato di Raimondo d’Aguilers, sono numerosi i
passi che riportano simili episodi; fra tutti, il racconto dei Gesta Francorum
e di Alberto di Aachen sono fra i più suggestivi per le loro analogie.35
Legata al motivo della sete in battaglia ed alla mancanza di fonti
d’approvvigionamento è la bellissima immagine delle donne che portano
l’acqua ai cavalieri. Il motivo compare soprattutto durante gli assalti alla
città, e si trova sempre intercalato al racconto degli scontri delle truppe di
Goffredo:
La peüssiès veïr et dames et puceles
Emplir les boucials d’eve a pos a escuieles
Et issirent des loges: les routes furent beles.
Des loges se partirent no chevalier vaillant,
Li prince et li baron qui en Deu sont creant
Et dames et puceles qui vont l’eve portant
Contre lor cuers as cols tot le sablon boillant. (vv. 260–266)
La presenza nella crociata di donne che aiutano i combattenti è segnalata
e descritta accuratamente nei singoli gesti anche nell’Antioche.36 Il motivo
sembra marcare due sezioni narrative che si aprono nello stesso modo in
entrambi i poemi: le donne che portano l’acqua si collocano al momento
35. Gesta Francorum X, 37, p. 89 (RHC, Hist. Occ. III:159–160): “In eadem obsidione tanta
oppressione sitis fuimus gravati, ut sueremus coria boum et bufalorum, in quibus deferebamus aquas fere per spatium sex miliariorum. Ex illis quippe vasculis foetida
utebamur aqua, et quantum ex olida aqua et ordeaceo pane in nimia districtione
et aflictione eramus cotidie. Saraceni namque in cunctis fontibus et aquis latentes,
insidiabantur nostris, eosque ubique occidebant et dilaniabant, animalia quoque secum in suas cavernas et speluncas deducebant”. Alberto di Aachen, VI, 6:410 (RHC,
Hist. Occ. IV:469): “Hoc solis estu lagrantissimi, hoc defectu aquarum intollerabili et
ariditate inestimabili Christianorum populus in obsidione hac grauiter uexatus est.
Quorum socii ad hauriendos et inuestigandos fontes cum sparsim mitterentur, interdum incolumes hausto fonte redibant, interdum amputatis capitibus insidiis gentilium
periclitabantur”.
36. Antioche, vv. 2145–2150: “Molt desiroit de l’aigue li chevaliers Tangrés. / Mestier lor ont
eü celes de lor regnés, / Les dames, les puceles dont il i ot assés. / Quar eles se rebracent, s’ont lor dras jus jetés, / S’aporterent de l’aigue les chevaliers menbrés / As pos,
as escuieles et as vaisiaus dorès”.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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della partenza di alcuni crociati37 che vanno in soccorso dei loro compagni
in dificoltà: nell’Antioche è Goffredo ad accorrere in aiuto di Boemondo e
Tancredi; nella Jérusalem, invece, sono Raimondo, Boemondo e Tancredi
a partire in soccorso di Goffredo. Gli stessi personaggi, dunque, anche se
con ruoli invertiti. Anche per questo tema è possibile individuare una fonte
ispiratrice nelle cronache; la Duparc-Quioc (1977, I:121, nota al v. 2146),
in riferimento al passo già citato dell’Antioche, ci segnala un riscontro nei
Gesta Francorum,38 ma analoghi quadretti compaiono anche in Guglielmo
di Tiro39 e, tardivamente, nella Gran Conquista de Ultramar.40 L’episodio degli scontri nella Valle di Josaphat si conclude quando i turchi si ritirano in
Gerusalemme chiudendo Porta Santo Stefano; i crociati invece incontrano
Boemondo presso Monjoie e poi ritornano alla Mahomerie41 per spartire
il bottino (l. 17).
Il secondo canto della Jérusalem si apre con un nuovo personaggio. Pietro d’Amiens, detto l’Eremita, dall’alto della collina che domina la Valle
di Josaphat, mostra ai crociati i Luoghi Santi e li esorta a venerare la Vergine (l. 35). I crociati quindi, con le mani protese al cielo, pregano Dio ed
37. In Antioche, ll. 36–37, le donne sono presentate al momento della partenza per la Terrasanta, atto che segue al proclama papale di Clermont; le dame, mogli dei crociati,
temono per le sorti dei loro mariti e temono di rimanere abbandonate per sempre. Sul
tema della separazione dagli affetti familiari, un tema ben spendibile anche in contesto
lirico, vedi anche Jérusalem, vv. 1148–1151, e Canzoni di crociata, a c. di S. Guida (1992:31).
38. “Feminae quoque nostrae in illa die fuerunt nobis in maximo rifugio, quae afferebant
ad bibendum aquam nostris preliatoribus, et forsitan semper confortabant illos, pugnantes et defendentes” (Gesta Francorum III, 9, p. 19 [RHC, Hist. Occ. III:128]).
39. “Porro principes et qui columnae videbantur exercitus, hii alios precedebant et suo
exemplo reddebant animosiores, sed et mulieres, ne tanti expertes laboris esse viderentur, viris in agone desudantibus potum, ne deicerent, ministrabant in vasculis et
verbis eficacibus eos ad certamen animabant” (Guglielmo di Tiro, VIII, 16, pp. 407–
408 [RHC, Hist. Occ. I:349]). La presenza delle donne nell’esercito crociato è segnalata
anche da Alberto di Aachen II, 24:100 (“Nec dubitandum est cum tot capitaneis primis, non paucos affuisse sequaces et inferiores, seruos, ancillas, nuptas et innuptas,
cuiusque ordinis, uiros ac mulieres” [RHC, Hist. Occ. IV:317]) e II, 39:130 (“Ad hec
undique clamor magnus et tremor in populo exoritur, mulieres nupte et innupte una
cum uiris et infantulis detruncantur” [RHC, Hist. Occ. IV:329]).
40. “mas sobre todo las mujeres los acorrian mas, ca estas les traian mucha agua en cántaros, é en escudillas, é en copas, é en vasos, é en todas las otras cosas en que ellas la
podian traer. E esto hacian por acorrer á sus maridos é á sus parientes, que veian en
gran peligro. E sabian ciertamente que si ellos allí fuesen muertos, que quedarian
ellas cativas é deshonradas” (La Gran Conquista de Ultramar, Gayangos 1951:138, col. 2).
G. Paris (1888–1893) ritiene che questo passo riletta il testo dell’Antiocha provenzale
perduta.
41. È forse la moschea del profeta Samuele, a sud-est di Lifta, che i pellegrini chiamavano Monjoie (Nebi Samouil)? Oppure la città di Belin? Secondo l’editore della Jérusalem (Thorp 1992) si tratterebbe probabilmente di Parva Mahomeria o Qubaibah
(Qoubeibe/Emmaus, cfr. C. Enlart, 1925–1928, II [1928]:326–327), fra Anwas e Gerusalemme sulla strada dalla costa; mentre Magna Mahomeria, o Al-Birah (El Bireh/
Birra, cfr. Enlart 1925–1928, II [1928]:274–277), è circa alla stessa distanza da Gerusalemme, ma a nord. Invece secondo D. Régnier-Bohler (1997, index), la Grande Mahomerie sarebbe Gabaon, e la Piccola Mahomerie, Guibeah. Secondo la Duparc-Quioc
(1955:31) si tratterebbe di El Bireh, città della Palestina a dodici chilometri a nord di
Gerusalemme.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
invocano la vendetta sui musulmani (l. 36); Pietro li incita a combattere
promettendo il paradiso come ricompensa a chi morirà in battaglia (l. 37).
Segue il consiglio dei crociati, durante il quale ognuno espone a turno
il proprio parere sul da farsi. Thomas de Marle lamenta la solidità delle
mura della città (l. 38). Roberto di Fiandra, stupito della natura desertica
del luogo che ha accolto la Passione di Cristo e certo di preferire Arras al
deserto di Gerusalemme, esorta i crociati a combattere (ll. 37–39). Tancredi incoraggia Boemondo e invoca l’assalto immediato di Gerusalemme
(ll. 40–41). I crociati, sull’onda dell’entusiasmo provocato dalle parole di
Tancredi, partono immediatamente all’attacco, ma vengono fermati tempestivamente sotto le mura di Gerusalemme da Ugo di Vermandois (l. 42)
che consiglia di sospendere la carica per costruire delle macchine d’assedio che permetterebbero una più agevole conquista della città (ll. 43–44).
L’intervento del poeta alla lassa 34 (“Or conmence cançons de bien enluminee, / C’ainc tele ne fu faite ne si bone cantee!”), del resto tipico delle
chansons de geste e in particolare dello stile della Jérusalem, ci pone di fronte
all’apertura di una nuova sezione narrativa e crea una pausa fra il primo
e il secondo canto:
Or conmence cançons de bien enluminee,
C’ainc tele ne fu faite ne si bone cantee!
Dans Pieres li hermites sor son asne monta.
Les barons et les princes avoec lui enmena
Et le rice barnage que molt forment ama,
Et desor Caïphas le grant tertre puia.
Jerusalem la vile sorvit et regarda:
As barons et as princes le dist et devisa.
“En cele sainte vile, biau segnor, fui jo ja! . . .” (vv. 1011–1019)
L’immagine di Pietro che monta in groppa al suo asino e che illustra ai crociati i Luoghi Santi di Gerusalemme dall’alto di una collina è forse una delle
più affascinanti della poesia epica delle crociate; essa deriva da un motivo
narrativo utilizzato anche altrove nel ciclo,42 ma poi suggerisce a sua volta
un tema iconograico alla decorazione dei manoscritti. Quella che, con
ogni probabilità, era una delle personalità più carismatiche della prima
crociata fa la sua prima comparsa in testa ad una lassa che da alcuni codici
viene considerata il vero e proprio inizio del poema. L’avvenuto passaggio
ad una nuova narrazione viene evidenziato anche dalla tradizione manoscritta: il copista di C (Parigi, Bibliothèque Nazionale de France, fr. 795,
f. 198) colloca una miniatura prima della lassa 35, quello di G (Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, 3139, f. 176v) una miniatura e una rubrica.43
42. Cfr. Antioche, vv. 272–273: “Il monta sur un asne, prist eskerpe et bordon, / Droit al
mostier Saint Piere a faite s’orison”.
43. Forse che l’espressione “de bien enluminee” del v. 1011 può aver suggerito a dei
lettori-copisti successivi di confezionare il manoscritto con un’immagine miniata
(“illuminata”)?
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
15
Ancora una volta viene sottolineato il legame della Jérusalem col primo
poema del ciclo; Pietro l’Eremita (“En cele sainte vile, biau segnor, fui jo
ja!”) allude al suo precedente soggiorno a Gerusalemme, narrato alle lasse
15–17 della Chanson d’Antioche, e grazie a questa sua prima spedizione può
vantare una conoscenza dei Luoghi Sacri del tutto particolare e superiore
ad ogni altro. Nella visione epica del ciclo il primo viaggio di Pietro in
pellegrinaggio a Gerusalemme aveva infatti provocato la crociata e spinto
il papa Urbano II ad organizzare una spedizione per liberare il Santo Sepolcro durante la quale i combattenti dell’esercito di Pietro erano stati catturati dai Saraceni. Gli inizi di nuove sezioni testuali sono evidentemente
il luogo privilegiato degli interventi del narratore ed un’occasione propizia per il rimaneggiatore di operare dei richiami interni al ciclo. Tuttavia
l’accenno ‘ciclico’ che richiama il pellegrinaggio di Pietro a Gerusalemme
è perfettamente in accordo con la storia della crociata narrata da alcune
cronache, in particolare da quella di Alberto di Aachen, che fanno del
pellegrinaggio di Pietro l’inizio della prima crociata. L’Historia Hierosolymitana di Alberto di Aachen, quasi totalmente indipendente dalle cronache
dei cosiddetti testimoni oculari, è la migliore testimonianza della tradizione (ripresa da altre fonti germaniche e da Guglielmo di Tiro) che fa
di Pietro non semplicemente uno dei capi della prima crociata o uno dei
suoi predicatori, ma soprattutto l’iniziatore della crociata:44 la spedizione
infatti sarebbe iniziata in seguito ad una rivelazione divina che Pietro
avrebbe ricevuto al Sepolcro durante un pellegrinaggio; l’Historia inizia
proprio raccontando del pellegrinaggio di Pietro a Gerusalemme e della
sua visione.45
Torniamo adesso a considerare il passo poc’anzi citato e vediamo quel
che segue:
1020
Vés le Mont Olivet, la u Dex demanda
L’asnesse et son faon, quant on li amena.
Et vés la Portes Oires, par u Jhesus entra
Dedens Jerusalem, quant on li despoilla
Et le vair et le gris, quant il desus passa:
44. Il primus auctor secondo Alberto di Aachen I, 2:2 (RHC, Hist. Occ. IV:272).
45. Alberto di Aachen I, 2–4:4–6 (RHC, Hist. Occ. IV:272–273): “Hic uero sacerdos aliquot
annis ante huius uie initium, causa orationis Ierosolimam profectus est, ubi in oratorio
dominici sepulchri, presentatus uisa quedam illicita et nefanda tristi animo accepit, et
infremui spiritu; ipsum Deum uindicem super uisis iniuriis appellat. [. . .] Interim, tenebris celo circumquaque incumbentibus, Petrus orandi causa ad sanctum sepulcrum
rediit, ubi sicut orationibus et uigiliis fatigatus somno decipitur. Cui in uisu maiestas
Domini Iesu oblata est, hominem mortalem et fragilem sic dignata alloqui: “Petre,
dilectissime ili Christianorum, surgens uisitabis Patriarcham nostrum, et ab eo sumes cum sigillo sancte crucis litteras legationis nostre, et in terram cognationis tue
quantocius iter accelerabis, calumnias et iniurias populo nostro et loco sancto illatas
reserabis, et suscitabis corda idelium ad purganda loca sancta Ierusalem et ad restauranda oficia sanctorum. Per pericula enim et temptationes uarias paradisi porte nunc
aperientur uocatis et electis”.
16
Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
Le enfant as Juus sternebant in via
Les rains des oliviers et les rains de palma
..........................
1047
Veez Monte Syon et la u devia
La mere Jhesu Crist quant cest siecle passa.
Et vés ci Josaphas, la u on l’emporta:
Si est li sepulture, la u on le posa.
Or deproiés la dame, si con Dex tant l’ama
Qu’a ses beneois angeles ens el ciel l’enporta,
Qu’ele prit son cier il, u si grant douçor a,
Nos peciés nos pardoinst li rois qui tot forma,
Les grans et les petis quan qu’en nostre ost en a!”
“Amen, bels Sire Dex!”46 cascuns d’els s’escria. (vv. 1020–1026,
1047–1056)
Questa panoramica dall’alto ci ricorda sicuramente un’analoga descrizione nel primo canto, allorché il poeta, dopo la scena emozionante
dell’arrivo, descriveva i movimenti della truppa guidata da Goffredo mentre attraversava i territori intorno a Gerusalemme, e di questi ricordava
i rapporti con la storia del Nuovo e Vecchio Testamento.47 Anche Pietro
l’Eremita dunque mostra ai crociati i Luoghi Sacri della città mescolando
alle parole in volgare delle citazioni in latino che sottolineano l’importanza del momento attraverso il linguaggio delle Sacre Scritture. L’ordine
cronologico della storia evangelica seguito dalle parole di Pietro, dalla Domenica delle Palme alla morte della Vergine, scandisce adesso in maniera
liturgica un itinerario immaginario attraverso i luoghi della vita di Cristo.
46. L’edizione del Thorp (1992) riporta stranamente la virgola dopo “Sire”.
47. Jérusalem, vv. 39–42, 45, 53–55: “Del Val de Josaphas dusqu’a Monte Sion, / Desci qu’a
Silöé n’i ot arestison. / Par devers Bethanie fu grans l’asension, / La u Dex suscita
le cors saint Lazaron. [. . .] Droit al Mont Olivet sont venu al toron [. . .] Ariere s’en
repairent, ne se targierent mie, / Le Val de Josaphas droit a Sainte Marie, / La u li
Mere Deu fu morte et sepelie”. Tale modo di procedere, che non è estraneo alle cronache latine, ricorda in particolar modo quello degli Itineraria ad loca sancta, sorta di
guide a beneicio dei pellegrini composte a partire dall’epoca tardo-antica. Solo per
citare un esempio, nell’Itinerarium Burdigalense di un anonimo aquitano del IV secolo
compaiono, una per una, le tappe del pellegrinaggio che nella Chanson de Jérusalem costituiscono semplicemente il tragitto di Goffredo di Buglione alla ricerca di cibo: “Item
exeuntibus Hierusalem, ut ascendas Sion, in parte sinistra et deorsum in ualle iuxta
murum est piscina, quae dicitur Siloa; habet quadriporticum; et alia piscina grandis
foras. Haec fons sex diebus atque noctibus currit, septima uero die est sabbatum: in
totum nec nocte nec die currit. In eadem ascenditur Sion et paret ubi fuit domus Caifae sacerdotis, et columna adhuc ibi est, in qua Christum lagellis ceciderunt. Intus autem intra murum Sion paret locus, ubi palatium habuit Dauid. Et septem synagogae,
quae illic fuerunt, una tantum remansit, reliquae autem arantur et seminantur, sicut
Isaias propheta dixit. [. . .] Item ad Hierusalem euntibus ad portem, quae est contra
orientem, ut ascendatur in monte Oliveti, uallis, quae dicitur Iosafath, ad partem sinistram, ubi sunt uineae, est et petra ubi Iudas Scarioth Christum tradidit [. . .] Inde
ad orientem passus mille quingentos est uilla, quae appellatur Bethania; est ibi cripta,
ubi Lazarus positus fuit, quem Dominus suscitauit” (Itinerarium Burdigalense, in Geyer e
Cuntz 1965:591,7–593,1, p. 16; 594,5–7, p. 17; 596,1–3, p. 18).
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
17
La ine del piccolo pellegrinaggio spirituale, marcato da vere e proprie
stationes visuali, è inine sigillata dal grido dei crociati (“Amen, bels Sire
Dex!”). Dopo che i crociati hanno pregato Dio per ottenere la vendetta
contro i saraceni, Pietro termina il suo discorso esortando a combattere e
promettendo agli eroi morti in battaglia la palma del martirio: “Car cil qui
ci morra en ara tel loier / Qu’en paradis celestre les fera Dex coucier, /
Ensamble as Innocens servir et aaisier!” (vv. 1107–1109). Alcuni commentatori della Jérusalem sorvolano su questo passaggio del poema. Anouar
Hatem (1973:260) ritiene l’episodio puramente inventato e lo attribuisce,
a differenza del racconto su Pietro presente nell’Antioche, ad un momento
storico in cui la igura dell’eremita era già passata dal dominio della storia a quello della leggenda; la Duparc-Quioc (1955:20) cita solamente en
passant l’episodio, probabilmente giudicandolo inventato dal momento
che non segnala nessun riscontro storico. Se invece riconsideriamo i testi
delle cronache, possiamo trovare numerose analogie col racconto della
Jérusalem su Pietro l’Eremita che ci portano a pensare che quest’episodio
sia stato ispirato da una cronaca a noi ignota, o che addirittura abbia un
riscontro nella realtà storica. Il 12 giugno, infatti, i principi crociati, dopo
essersi accampati fuori le mura di Gerusalemme, si recarono effettivamente in pellegrinaggio al Monte degli Olivi dove un anziano eremita li
accolse consigliando loro di attaccare la città il giorno seguente. I crociati
andarono l’indomani all’assalto della città, ma dopo parecchie ore di disperato combattere si ritirarono, convinti deinitivamente della necessità
di costruire delle macchine d’assedio.48 Il racconto delle cronache coincide dunque con quello della Jérusalem (ll. 35–44) con l’unica differenza
che, mentre nelle cronache non si precisa chi fosse l’eremita a consigliare i
crociati, nel poema il monaco in questione è proprio Pietro.
Quello della descrizione dall’alto della città (“Vés le Mont Olivet . . .
Et vés la Portes Oires . . .”) è sicuramente un topos letterario che non necessariamente si rifà ad una fonte precisa, e in questo caso costituisce quasi
una variante del tema della “descrizione dei Luoghi Sacri” considerato
in precedenza come tipico della letteratura degli itineraria. Secondo Jean
Flori, invece, all’origine del racconto romanzato di Pietro l’Eremita, che
descrive la città e pronuncia un discorso esortatorio da guerra santa comparabile a quello di Turpino nella Chanson de Roland (Segre 1989, I, vv.
1127–1135), non vi sarebbe l’episodio dell’eremita del Monte degli Olivi,
ma vi sarebbero piuttosto gli eventi successivi che si svolsero dopo i primi
attacchi e che sono narrati nelle opere di Alberto di Aachen e Tudebodo.49 Nelle due cronache si riferisce che i crociati, preso consiglio sul da
48. Cfr. Runciman 1966:243; Flori 1999:415–416; Hagenmeyer 1973, nota 387; Raimondo
d’Aguilers, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:293); Gesta Francorum X, 37:87–88 (RHC, Hist.
Occ. III:158–159); Alberto di Aachen VI, 2:406 (RHC, Hist. Occ. IV:467).
49. Flori 1999:594, n. 46. Cfr. Alberto di Aachen VI, 7–8:412–414 (RHC, Hist. Occ. IV:470–
471); Pietro Tudebodo, pp. 137–138 (RHC, Hist. Occ. III:105–106).
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farsi, consultarono per la seconda volta l’eremita del Monte degli Olivi
(siamo già all’8 luglio) e decisero di organizzare una processione intorno
alle mura della città e sul Monte degli Olivi. Alla ine della processione,
Arnolfo di Rohes (allora cappellano di Roberto di Normandia) pronunciò
un sermone al popolo;50 nel racconto di Alberto di Aachen si dice per di
più che fu anche Pietro l’Eremita a pronunciare un discorso.51 È probabile, pertanto, che il discorso di Pietro l’Eremita della Jérusalem faccia riferimento ad un episodio realmente accaduto e non sia dunque una pura
invenzione.
Al discorso di Pietro segue il consiglio di guerra dei capi crociati che
inizia con l’intervento di Thomas de Marle (l. 39), altro personaggio la
cui importanza capitale verrà rimarcata più volte nel poema. Il fatto stesso
che sia lui il primo a prendere la parola ci dimostra subito come Thomas
sia una delle personalità più in vista fra i capi crociati. Facendo notare
come la solidità delle fortiicazioni nemiche e l’ostilità delle condizioni
ambientali rendano l’assalto immediato un’impresa disperata, egli non
solo dà voce al sentimento generale dei crociati preoccupati per le dificoltà dell’assedio, ma propone anche la sua scelta strategica che in seguito, tra l’altro, risulterà vincente (l’assalto infatti verrà rimandato per
costruire le macchine da guerra). Il “lamento” di Thomas (“Si m’aït Dex
de glore, ne sai par quel maniere / Puisons prendre par force ceste cité
pleniere / Qui’st si forse et espesse, et de dure maniere! / Li fossé sont
parfont et roste li terriere, / Li murs fors et espés plus d’une grant quariere / Et la tors roide et haute plus d’une arbalestiere! / Et ci nen a fontaine, ne forest ne riviere, / ne aré ne semé, ne forment ne gaskiere! /
Ceste terre est deserte, coverte de bruiere”, vv. 1111–1118), che a prima
vista può sembrare un’invenzione totalmente epica (come infatti riteneva
Hatem [1973:260]), potrebbe invece avere anch’esso un riscontro nella
tradizione cronachistica: nella descrizione della città di Fulcherio di Chartres si enfatizza per esempio la posizione strategica di Gerusalemme, la
possanza delle sue mura, l’imprendibilità della Torre di David, l’ambiente
selvaggio ed ostile che circonda la città.52 Al discorso di Thomas de Marle
50. Anche le altre cronache riportano la processione intorno alla città e sul Monte degli
Olivi, ma non parlano affatto di un sermone al popolo. Cfr. Raimondo d’Aguilers,
p. 145 (RHC, Hist. Occ. III:296–297); Gesta Francorum X, 38:89–90 (RHC, Hist. Occ.
III:160); Roberto il Monaco, p. 867.
51. Alberto di Aachen VI, 8:412–414 (RHC, Hist. Occ. IV:470–471): “Iam ex uiri Dei consilio ab episcopi et clero triduanum ieiunium indicitur, et in sexta feria processionem
uniuersi Christiani circa urbem facientes, deinde ad montem Oliueti uenientes, in
loco ubi Dominus Iesus celos ascendit, ac inde procedentes alio in loco ubi discipulos
suos Pater Noster orare docuit, in omni deuozione et humilitate constiterunt. Illic in
eodem loco Montis Petrus Heremita et Arnolfus de Zokes castello Flandrie, clericus
magne scientie et facundie ad populum sermonem facientes, plurimam discordiam
que inter peregrinos de diuersis causis excreuerat extinxerunt”.
52. Fulcherio di Chartres, I, 26, 1:281–282; 4:284–285 (RHC, Hist. Occ. III:355–356): “Est
equidem civitas Iherusalem in montano loco posita, rivis, sylvis fontibusque carens,
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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segue quello di Roberto di Fiandra (l. 39) che riprende in parte i temi di
quello precedente: è ancora l’aridità del luogo e la mancanza d’acqua a
costituire motivo di sgomento e stupore, ma questa volta il capo crociato
osa mettere a confronto la natura della terra natia al deserto dei luoghi
della Passione (“Mius aim del cit d’Arras la grant chastelerie, / D’Arie le
bos de Niepe le large cacerie / Et de mes bels viviers la rice pescherie, /
Que tote ceste terre ne ceste cit antie!”, vv. 1148–1151). Fra i militanti della
crociata, evidentemente, oltre ai cavalieri fermamente motivati a partire e
che esaltavano la spedizione a ini propagandistici, vi erano anche coloro
che la disapprovavano, quei cavalieri per i quali il viaggio in Terrasanta ed
il distacco dai familiari costavano molta pena e sofferenza; un motivo ben
noto alle chansons de croisade liriche53 si rilette dunque nei lamenti di Roberto di Fiandra il quale, di fronte ai pericoli ed alle incertezze da affrontare per assediare Gerusalemme, rimpiange la sua amata città di Arras. La
lassa 39 è inoltre analoga alla lassa 147, dove lo stesso Roberto di Fiandra,
riiutando la corona di Gerusalemme offertagli dal vescovo di Martirano,
adduce analoghe motivazioni dicendo di voler tornare in patria per poter
riabbracciare la propria famiglia (la moglie Climence e il iglio Bauduin,
non a caso, sono nominati in entrambi i passi).
Le lasse 37–41, nelle quali si susseguono i discorsi dei capi crociati
(anche se è Pietro l’Eremita, unico chierico fra i capi, il primo a parlare),
mettono in scena il consiglio di guerra nel quale si decide di attaccare
immediatamente la città, e rappresentano quasi un blocco unico di lasse
caratterizzate da elementi similari, a cominciare dal verso d’intonazione
(“‘Segnor!’ ce dist dans Pieres . . .”; “Dist Tumas de la Fere . . .”; “Et dist li
quens de Flandres . . .”, vv. 1091, 1110, 1132). Il consiglio dei crociati che
segue al discorso di Pietro anche in questo caso non è un episodio leggendario, come voleva Hatem (1973:260); Alberto di Aachen accenna infatti
ad una riunione dei capi prima di sferrare il primo assalto alla città: “Sancta autem ciuitate sic undique uallata, quinta die obsidionis ex consilio
et iussione predictorum principum loricis et galeis Cristiani induti, facta
scutorum testudine, muros et menia sunt aggressi . . .” (VI, 1:406 [RHC,
Hist. Occ. IV:467]). Dopo l’incoraggiamento di Tancredi che invoca l’assalto, i crociati si armano e partono per la battaglia giungendo a Porta
Santo Stefano; là, sul punto di sferrare l’attacco, vengono fermati da Ugo
di Vermandois che consiglia loro la costruzione di macchine da guerra
excepto tantum fonte Syloe, distante ab urbe quantum jactus est arcus [. . .]. Praedicta
quidam Davidis turris, usque ad medietatem sui ab imo, solide massa est et de lapidibus cementata quadri set magni set plumbeo fusili sigillatis: quae si bene munita
cibario fuerit, quindecim homines vel vigenti ab omni assultu hostium difendere poterunt [. . .]”.
53. Cfr. ad esempio Hue d’Arras (Bédier 1909:137, vv. 1–6): “Aler m’estuet la u je trairai
paine, / En cele terre ou Diex fu travelliés; / Mainte pensee i averai grevaine, / Quant
je serai de ma dame eslongiés; Et saciés bien ja mais ne serai liés / Dusc’a l’eure que
l’averai prochaine”.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
(ll. 42–44). Riassumendo la sequenza narrativa, a partire dalla salita al
Monte degli Olivi, ci accorgiamo che gli eventi narrati in forma epica seguono d’appresso quelli ricostruibili dalle cronache: i crociati, infatti, riunitisi in consiglio dopo aver consultato l’eremita del Monte degli Olivi
il 13 giugno, compirono un primo assalto della città che non ebbe esito
positivo;54 si riunirono in assemblea una seconda volta il 15 giugno, e durante questa seconda assemblea decisero la costruzione delle macchine da
guerra.55
Anche le lasse 45–51 (come le precedenti ll. 37–41) formano un blocco
compatto caratterizzato da numerosi elementi similari. I capi crociati
prendono posizione intorno alla città e stabiliscono i loro accampamenti:
Goffredo sul Monte Sion (l. 45), Gerard de Gornai e Thomas de Marle
nella Valle di Josaphat (l. 46), Raimondo di Saint Gilles sul Monte degli
Olivi (l. 47), Roberto di Normandia alla Porta Santo Stefano (l. 48), Roberto di Fiandra alla Porta di David (l. 49), Tancredi e Boemondo sulla
strada per Betlemme (l. 50), Baldovino ed Eustache di Boulogne al Cimitero del Leone (l. 51). Nelle parole dei capi crociati che spiegano dove andranno a posizionare i loro eserciti, ricorrono anche altri motivi già noti
come la spartizione dei viveri e dell’acqua. Di nuovo è messo in rilievo il
personaggio di Ugo di Vermandois, che chiude la serie di lasse parallele
offrendo i suoi consigli, da tutti riconosciuti saggi (l. 52): “Çou dist Hües li
Maines qui molt ist a prisier— / A mervelles l’amoient li gentil chevalier, /
Car il les savoit bien loiaument consellier” (vv. 1322–1324). Tutte le cronache ci descrivono la posizione degli assedianti intorno a Gerusalemme,
anche se in maniera diversa dal poema:56 Roberto di Normandia in realtà
si accampò lungo il muro settentrionale, di fronte alla Porta dei Fiori (o
Porta di Erode) assieme a Roberto di Fiandra, che stava sulla sua destra,
di fronte alla Porta della Colonna (o Porta Santo Stefano, o di Damasco);
Goffredo si accampò nella zona compresa fra l’angolo nord-occidentale
della città e la Porta di Giaffa, dove fu raggiunto da Tancredi di ritorno
da Betlemme col suo bottino e le greggi; a sud si accampò Raimondo di
Saint-Gilles, che dopo qualche giorno, trovando che la valle lo costringeva
a rimanere troppo lontano dalle mura, si trasferì sul Monte Sion (cfr. Run54. Gesta Francorum X, 37:88 (RHC, Hist. Occ. III:159); Pietro Tudebodo, p. 135 (RHC, Hist.
Occ. III:103); Roberto il Monaco, p. 864B; Guiberto di Nogent, Dei gesta VII, 6:271
(RHC, Hist. Occ. IV:224G); Raimondo d’Aguilers, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:293FG);
Fulcherio di Chartres, I, 27, 1–5:292–295 (RHC, Hist. Occ. III:D); Rodolfo di Caen,
p. 688; Alberto di Aachen VI, 1:406 (RHC, Hist. Occ. IV:467); Cfr. Hagenmeyer 1973,
nota 389.
55. Gesta Francorum X, 38:89–90 (RHC, Hist. Occ. III:160); Roberto il Monaco, p. 863D;
Guiberto di Nogent, Dei gesta, VII, 6:275 (RHC, Hist. Occ. IV:225H–226A); Alberto di
Aachen VI, 1:406 (RHC, Hist. Occ. IV:467); cfr. Hagenmeyer 1973, nota 391.
56. Gesta Francorum X, 37:87 (RHC, Hist. Occ. III:158–159); Raimondo d’Aguilers, pp.
137–138 (RHC, Hist. Occ. III:293); Alberto di Aachen V, 46:402–404 (RHC, Hist. Occ.
IV:463–464); Roberto il Monaco, p. 863; Pietro Tudebodo, p. 134 (RHC, Hist. Occ.
III:102).
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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ciman 1966:242). Nel poema, con ogni evidenza, la posizione dei capi davanti le mura non corrisponde alla realtà storica. Tuttavia, se osserviamo
una mappa della città e confrontiamo le posizioni dei capi secondo le cronache con quelle riferite dal poema, possiamo vedere che gli accampamenti dei diversi contingenti crociati sono spostati di una posizione in direzione antioraria rispetto a quelli descritti dalle cronache (vedi igura 1).
È come se il poeta si fosse ispirato alla carta della città copiata in un manoscritto, avesse mal interpretato le posizioni sulla carta e le avesse fatte
scorrere tutte di un posto. È vero anche, tuttavia, che la scelta di disporre
in tal modo gli eserciti dei principi crociati può essere stata ugualmente
dettata da esigenze poetiche ed ideologiche allo stesso tempo: probabilmente non a caso la serie di lasse parallele comincia con la descrizione
dell’accampamento di Goffredo sul Monte Sion (l. 45) e termina con la
lassa su Ugo di Vermandois, col suo discorso sulla spartizione dei viveri
e dell’acqua (l. 52), cioè comincia e inisce con i personaggi legati alla
regalità di Francia ed a quella di Gerusalemme; inoltre, se pensiamo al
fatto che il nome ‘Sion’, sia nella Scrittura che nella letteratura cristiana,
è spesso interpretato come sinonimo di ‘Gerusalemme’, collocare l’accampamento di Goffredo sul Monte Sion può inoltre manifestare la volontà di
stabilire un legame simbolico fra la Città Santa ed il suo futuro re. Quali
che siano le ragioni della modiicazione della realtà storica, il poeta dimostra in ogni caso una notevole e precisa conoscenza della topograia della
Città Santa e della Palestina, dal momento che colloca con coerenza gli
eserciti intorno alle mura speciicando i nomi delle porte (“Dist li quens
de Saint Gille: ‘Et jo me logerai, / Droit el Mont Olivet mon tref tendre
ferai. / [. . .] Les rices Portes Oires tres bien vos garderai’”, vv. 1272–1273,
1279), i nomi delle strade e le direzioni che da esse si dipartono (“‘Segnor!’ çou dist Robers, li quens de Normandie / “Ici a Saint Estevene —se
Dex me beneïe— / Ferai tendre les tentes a ma grant baronie. / [. . .] Le
vitaille querrai desci qu’en Tabarie’”, vv. 1283–1285, 1295).
3. La conquista di Gerusalemme: convergenze e delinearsi di una tradizione. Il primo assalto alla città avviene sotto lo sguardo del re saraceno
di Gerusalemme, un mercoledì di sole splendente (“Çou fu un merquesdi
que solaus rai jeta. / Li rois de Jursalem as fenestres esta / De le grant Tor
Davi et François esgarda”, vv. 2134–213657), poco dopo mezzogiorno (“Godefrois de Buillon nos barons apela: / ‘Segnor, car nos hastons, mïedis
sera ja! “[. . .] Mïedis ert passés, ja estoit none plaine / Quant l’asaus conmença de nostre gent foraine’”, vv. 2160–2161 e 2229–2230). Il particolare
del giorno della settimana e dell’orario sembra essere piuttosto realistico
e rispettare la cronologia storica. Secondo Steven Runciman l’assalto alla
57. Cfr. anche i vv. 4451–4454: “Çou fu .I. merquesdi que on l’ot apresté. / La nuit, aprés
complie, quant tot sont aquée, / Par devers Saint Estievene ont lor engien mené, / Par
encoste le porte rez a rés del fossé”.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
città cominciò fra la notte di mercoledì 13 e giovedì 14 luglio, durante la
quale i crociati operarono un attacco simultaneo dal Monte Sion e contro
il settore orientale del muro settentrionale, con un diversivo contro l’angolo di nord-ovest, e per far ciò gli assalitori dovettero riempire il fossato
di detriti per permettere alle macchine di potersi accostare alle mura.58
Nei Gesta Francorum si dice soltanto che gli assalti cominciarono mercoledì
13 e inirono il 15 luglio (senza precisare l’ora) con la conquista della città,
combattendo giorno e notte: “Nocte vero ac die in quarta et quinta feria
mirabiliter aggredimur civitatem, ex omni parte”.59 Il racconto della Jérusalem ci dice che l’assalto cominciò un mercoledì e ci fornisce il particolare dell’orario che è invece assente nelle cronache. Benché l’indicazione
dell’orario dell’attacco a mezzogiorno possa essere un topos epico evidentemente ispirato all’ora nona della Passione del Signore,60 in ultima analisi
la cronologia del poema risulta pienamente coerente ed esatta facendo
iniziare l’assedio il mercoledì 13 luglio e facendolo terminare il venerdì 15
luglio con la conquista della città nell’ora nona.
Fra il canto III e il canto V della Jérusalem si concentra tutta l’abilità
e la perizia del poeta nel descriverci l’arte militare degli eserciti crociati
alle prese con l’assedio.61 Le tecniche militari che compaiono nel poema
sono quelle che i crociati appresero nel corso delle campagne in Terrasanta allorché dovettero confrontarsi con l’architettura militare delle città
musulmane più grandi e robuste di quelle occidentali. Ciò che appresero
sugli assedi, grazie al contatto con gli Armeni e coi Bizantini, è dovuto
soprattutto all’ingegneria bellica sviluppata da questi ultimi che per secoli
dovettero far fronte all’avanzata degli arabi e dei selgiuchidi. Con l’esperienza acquisita in Oltremare i crociati riuscirono così a conquistare le
città della Siria attraverso due strategie principali: il blocco dei rifornimenti alla città, oppure l’assalto diretto alle mura per mezzo di scale e di
torri mobili provviste di ponti levatoi; quest’ultimo è proprio il caso che
interessa il nostro poema. Per l’assedio di Gerusalemme furono impiegati
contemporaneamente tre sistemi: 1) il superamento delle mura per mezzo
di scale; 2) l’uso di torri lignee da cui si potevano scagliare proiettili o gettare ponti levatoi sulle merlature; 3) l’abbattimento delle torri della città
58. Runciman 1966:246. Gesta Francorum X, 38:90 (RHC, Hist. Occ. III:160); Pietro Tudebodo, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:107–108); Guiberto di Nogent, Dei gesta, VII, 6:276
(RHC, Hist. Occ. III:226C). Cfr. Hagenmeyer 1973, nota 403.
59. Gesta Francorum X, 38:90 (RHC, Hist. Occ. III:160). Dati cronologici confermati anche
da Pietro Tudebodo, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:108), e Guiberto di Nogent, Dei gesta,
VII, 6:276 (RHC, Hist. Occ. III:226C).
60. Cfr. Matteo 27,45; Marco 15,33; Luca 23,44.
61. Non esiste uno studio speciico sulle tecniche belliche adottate dai crociati in Terrasanta. Ampie e interessanti spiegazioni, alle quali faremo riferimento per commentare
i passi della Jérusalem, si possono tuttavia ritrovare in Prawer 1982:404–412. Secondo
Vallecalle (1979), i poeti francesi che richiamano l’utilizzo delle macchine negli assedi
dimostrano di non fare molto afidamento su questi strumenti bellici preferendo attribuire il merito della conquista di una città al valore personale nel combattimento e
all’intervento di Dio nella storia.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
23
tramite bombardamento, ordigni di sfondamento o escavazione delle fondamenta (per mezzo di mine). Per usare questi sistemi era necessario oltrepassare il fossato, che veniva riempito con materiali lapidei (“Par devers
Saint Estevene fu emplis li fossés, / .V. toises de longor fu de terre rasés”,
vv. 2311–2312). Mentre si riempiva il fossato e si continuava il lavoro di
escavazione, gli assalitori tentavano di costringere a ritirarsi dagli spalti gli
arcieri assediati che bersagliavano di frecce gli scavatori (“Li ribaut assaillirent qui molt porent ahans. / As fondeles lor jetent les caillaus eslisans, /
A höes et a peles fouent conme fouans [. . .] Et paien les bersoient as ars
de cor traians [. . .] Illuec ot mainte piere et ruee et galie. / Grans cols
donent no gent es elmes de Pavie”, vv. 2232–2234, 2237, 2281–2282); oppure si difendeva l’assalto attraverso il fuoco di copertura di arceri nascosti in postazioni protette da graticci e pelli (“De cloies et de quirs orent
fait une entaille, / La seront li archier par itel devisaille / Ne douteront
paiens vaillant .I. oef de quaille / Et si trairont a eux, qui qu’en poist ne
qui caille”, vv. 2196–2199). Una volta raggiunte le mura ed issate le scale o
le torri per superarle, si entrava in città e si concentrava lo scontro presso
le porte per riuscire ad aprirle e far entrare altri combattenti (“Le porte
a le puelie conmencent a sachier / Tant que toute le lievent, puis le vont
atacier, / Plus de .XXX. ribaut a fors cordes loier. / Aprés vont l’autre
porte par devant estekier / Et cil defors i entrent, qui’n ont grant desirier”,
vv. 4794–4798). Gli assediati potevano anche rovesciare sugli assalitori
ogni sorta di liquido bollente, come acqua, olio, pece o cera incandescente
(“Li Turc lor jetent eve qui molt estoit boullans”, v. 2247; “Car Turc furent
amont qui ont le poi boulie, / Desor eux le jeterent, nes espargnierent
mie”, vv. 3447–3448; “Li Turc jetent pois caude et le plom couleïs, / Puis
ont le feu grigois alumé et espris”, vv. 4552–4553).
Gli assedi più importanti dell’epoca, come quello di Gerusalemme, fecero un uso intenso delle macchine da guerra. L’ordigno principale impiegato era la torre mobile chiamata ‘battifredo’, alta diversi piani e munita
di piattaforme per arcieri e balestrieri, e capace di contenere dei soldati
al suo interno (“Par desus l’engien, qui desous ert clöés, / Mucent .X.
chevalier; es les amont rampés”, vv. 2317–2318). Alcune di queste macchine erano così grandi da permettere che vi fossero montati dei mangani o delle catapulte. Sulla sommità del battifredo veniva montato un
ponte levatoio da far calare sulle mura per entrare nella città (“Li bons
dus de Buillon se valt dont molt pener, / Le pont de l’engien ist desor
le mur jeter / Si c’on i pot tres bien et venir et aler”, vv. 4717–4719). Gli
assediati cercavano di neutralizzare queste macchine rovesciandole, scagliando grosse pietre dalle mura, oppure incendiandole tramite proiettili
combustibili, frecce incendiarie, fascine ardenti ed il celebre fuoco greco
(“Li feus grigois estoit dedens l’engin jetés, / En plus de .XV. lius fu molt
tost alumés. / Cil s’en issirent fors qui sofert ont assés”, vv. 2357–2359).
Quest’ultimo era costituito da una mistura di zolfo, pece, nafta e olio alla
quale talvolta si aggiungevano carbone di pino e incenso, ed era lanciato
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
entro recipienti che si spezzavano nell’urto con la macchina liberando la
miscela incendiaria (“En coinials d’arain est li fus aportés: / Dex gart cels
de l’engien, qui en crois fu penés!”, vv. 2327–2328). Per combattere gli effetti del fuoco greco si rivestivano le macchine di pelli di animali scuoiati
di fresco o di feltro, imbevuti d’aceto o anche d’orina (“De cloies estoit fais
et de quirs ordenés”, v. 2314; “De coi il ont l’engien par deseure clée / Et
por le feu grigois espessement pieré”, vv. 4441–4442; “De quirs l’ont par
devant espessement hordé”, v. 4455), e quando queste venivano incendiate
si cercava di estinguere il fuoco con l’aceto (“Li fus iert en l’engien, tot
l’aloit bruïsant / Quant li dus Godefrois i est venus poignant, / A vin fort
aisillié le va tot restaignant”, vv. 4661–4663).
Oltre ai battifredi, si impiegavano altri ordigni che si basavano sul
principio del contrappeso. Uno di questi è l’ariete, che le fonti francesi
chiamano belier, mouton, o eue (‘ariete, montone, pecora’), costituito da una
grossa trave battente di legno rinforzata di ferro all’estremità e sospesa ad
una struttura lignea (“Un grant molton en isent, si l’ont devant ferré”,
v. 4437). La tettoia lignea che proteggeva la struttura battente ed il gruppo
di combattenti che azionavano l’ariete veniva chiamata ‘testuggine’. Altri
ordigni impiegati negli assedi lanciavano ogni sorta di proiettili. In generale erano chiamate ‘petriere’, cioè catapulte che scagliavano pietre (“une
grant perriere que cloee ert en son”, v. 4406), ma nello speciico esistevano
catapulte lancia-giavellotti (mediante una specie d’arco e corda tesa), oppure mangani (mangonel), che erano formati da un’asta che scagliava proiettili (“Li mangonel jetoient les grans quarels plomés. / En .VII. lius fu li
murs perciés et esfondrés”, vv. 2335–2336), con all’estremità una specie
di cucchiaio nel quale si mettevano le pietre (e talvolta le teste o i corpi
dei nemici decapitati: “Par desore le mur qui n’estoit mie bas / Fondelerent les Turs la dedens a .I. tas: / Li boiel, les cerveles envolent a .I. quas”,
vv. 1902–1904).
All’attività di supericie si afiancava quella sotterranea, ed anche
l’arte di scalzare le mura con zappe per farle crollare scavandovi sotto delle
gallerie era nata in Oriente. Una volta scavate le gallerie, si rompevano le
impalcature lignee che le sostenevano e così si facevano crollare anche le
mura (“Et ribaut ne inoient tote nuit de croser, / Tant que dedens le mur
isent le trau aler, / Pui le font .I. petit par devant estouper, / Dusqu’il
vient a l’asaut n’osent outre passer [. . .] A cele hore tot droit i sent no gent
user, / Del mur de Jursalem .I. grant pan jus verser”, vv. 4704–4707, 4715–
4716). Anche gli scavatori erano protetti nel loro lavoro da schermi, tettoie
di legno o ceste di vimini che fermavano il getto di frecce dalle mura (“Lor
cloier ont conduit molt pres del mur rasant, / Puis l’estançonent bien desor els en pendant / K’il ne crieme quarel ne piere en fondelant. / A peles
et a haues vont par desos fouant, / Le mur ont depeciet, les quarels vont
ostant, / Le ciment, le moilon a piçois escroisant”, vv. 4641–4646).
La Jérusalem si presenta con tutta evidenza come una fonte storica di
prim’ordine per quanto riguarda le tecniche di guerra e l’assedio di Ge-
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
25
rusalemme tanto che ci stupiamo che non sia mai stata presa in considerazione dagli storici. Le cronache latine sulla prima crociata non potrebbero
descriverci con altrettanta dovizia di particolari lo svolgimento dell’assedio e tutte le strategie militari che in esso appaiono. Se, infatti, vogliamo
ritrovare nelle cronache tutti gli elementi descrittivi che ritroviamo nella
Jérusalem, siamo costretti a cercarli in ordine sparso e in autori differenti.
Sembra pertanto impossibile negare che l’autore della Jérusalem, fra i canti
III e V, non abbia evocato un assedio in Terrasanta di cui è stato testimone,
o per lo meno che non abbia utilizzato una fonte storica a noi ignota (una
chanson o una cronaca) che lo descriveva dettagliatamente. Il racconto
della Jérusalem, per quanto riguarda i vari assalti alle mura, può essere comunque confrontato con quello della cronaca di Alberto di Aachen, che
meglio di tutte le altre fonti, e con maggiori dettagli, ci ha descritto la conquista della città. I Tafurs danno inizio alla battaglia scagliando pietre con
l’aiuto di ionde e scavando il fossato con zappe e pale (“As fondeles lor jetent les caillaus eslisans, / A höes et a peles fouent conme fouans”, vv. 2233–
2234); aprono una breccia nelle mura (“Un tel trau font el mur qui molt
fu lés et grans”, v. 2246; “En .VII. lius fu li murs perciés et esfondrés”, v.
2336), vengono feriti dal tiro di frecce e pietre scagliate dai saraceni sui
bastioni (“Et paien les bersoient as ars de cor traians. / .M. et .VII.C. ribaut
en ont les cors sanglans / Et navrés ens es testes, les costés et les lans”,
vv. 2237–2239) e dal getto di acqua bollente (“Li Turc lor jetent eve qui
molt estoit boullans”, v. 2247). Questo primo tentativo, che tuttavia non
ha esito positivo, ne ricorda uno analogo riportato da Alberto di Aachen
all’arrivo dei crociati a Gerusalemme (“muros et menia sunt aggressi, uiros Sarracenos bello fortiter lacescentes in iaculis saxorum, fundibulis et
sagittis trans muros uolantibus, et ab intus et deforis per longum diei spacium dimicantes. Multi ex idelibus sauciati et lapidibus quassati et adriti
sunt, quidam sagittarum inixione oculos amiserunt. [. . .] murosque exteriores urbis, quos barbicanas uocant, ualide impugnantes, ferreis malleis
et ligonibus partim sciderunt”, VI, 1:406 [RHC, Hist. Occ. IV:467AB]).
A parte il tentativo di romper le mura di difesa, il primo vero assalto
secondo il racconto della Jérusalem fu portato a Porta Santo Stefano (“Çou
fu .I. merquesdi que on l’ot apresté. / La nuit, aprés complie, quant tot
sont aquée, / Par devers Saint Estievene ont lor engien mené, / Par encoste le porte rez a rés del fossé, vv. 4451–4454). Le cronache invece ci
dicono che l’attacco avvenne sia presso la Porta Santo Stefano, dove Goffredo eresse la sua torre, sia a sud, nei pressi del Monte Sion, dove vennero
erette le macchine di Raimondo di Saint-Gilles. Mentre la maggior parte
delle cronache riportano sullo stesso piano gli assalti a nord e a sud della
città,62 la cronaca di Alberto di Aachen concentra tutta la sua attenzione
62. Raimondo d’Aguilers, p. 147 (RHC, Hist. Occ. III:298): “Instante autem iusse oppugnationis die, dux et comes Flandrensis atque Normannie comes [. . .] tota nocte machinas suas et crates et aggeres transportaverunt contra urbis partem que est ab ecclesia
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
sull’assalto di Goffredo presso Porta Santo Stefano concedendo all’episodio largo spazio (da p. 414 a p. 418 dell’edizione Edgington 2007) mentre
segnala quello di Raimondo di Saint-Gilles solo di sfuggita in un unico
passo.63 Alla Porta Santo Stefano venne riempito il fossato per far passare
le macchine d’assedio nella notte fra il 13 e il 14 luglio (“Par devers Saint
Estevene fu emplis li fossés, / .V. toises de longor fu de terre rasés. / Illuec
est li engiens conduis et ramenés. / De cloies estoit fais et de quirs ordenés. / Tant l’enpaignent et boutent c’al mur fu ajostés”, vv. 2311–2315).64
Dentro la macchina vennero nascosti dei cavalieri, dieci in tutto, che rimasero lì ino al momento di balzare allo scoperto.65 Alberto di Aachen
ci fornisce particolari interessanti sulla protezione delle pareti delle macchine, e su come i combattenti, fra i quali Goffredo e i suoi compagni,
si fossero celati all’interno nei vari livelli della torre: “parietes, cenacula,
cratesque illius operte coriis taurinis, equinis et camelinis, in quibus constituti sunt milites qui urbem inpugnarent, et resistentes facilius certamine fatigarent. [. . .] Ducem Godefridus suosque in superiori cenaculo,
Litholdum cum fratre suo et ceteris eorum sequacibus medio cenaculo
immorari decreuerunt [. . .]” (VI, 11:416–418 [RHC, Hist. Occ. IV:472). I
Saraceni, nel frattempo, resistono con ogni arma a loro disposizione e si
preparano a bruciare con il fuoco greco la macchina e i crociati in essa
Beati Stephani usque ad vallem Iosaphat. [. . .] Nichil minus laborabat comes et sui
in monte Syon qui civitate est a meridiem”. Gesta, X, 37:90 (RHC, Hist. Occ. III:160) =
Pietro Tudebodo, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:107–108): “Videntes autem nostri seniores
ex qua parte esset civitas magis languida, illuc in quadam nocte sabbati deportaverunt
nostram machinam et ligneum castrum in orientalem partem. [. . .] Comes namque
Sancti Egidii, a meridiana plaga reiciebat suam machinam”. Roberto il Monaco,
p. 866: “Quibus adductis, dux ducum Godefridus suam turrim construxit, et ab orientali plaga prope urbem conduci praecipit. Econtra venerandus comes Sancti Aegidii
consimile castrum statuit, et a meridiana parte applicuit. [. . .] Sexta vero feria, aurora
sereno lumine coruscante, turres egregii bellatores ascendunt, et scalas moenibus apponunt”. Fulcherio di Chartres, I, 27, 7:297 (RHC, Hist. Occ. III:358): “Ea quidem in
parte, qua Raimundus comes et homines eius adsistebant, scilicet in monte Sion, cum
machinis suis adsultum magnum dabant. Ex alia vero parte, qua dux erat Godefridus et Robertus Normanniae comes, Robertus quoque Flandrensis, maior erat muro
adsultus”.
63. Alberto di Aachen VI, 9:414 (RHC, Hist. Occ. IV:471 e VI, 12:418 (RHC, Hist. Occ.
IV:473): “Dehinc, ieiunio cum processione sancta et letania et oratione inito, iam celum tenebris operientibus noctis in silentio deportata est machina per partes et universa strues mangenarum ad ipsum locum ciuitatis ubi oratorium situm est protomartyris Stephani, uersus uallem Iosaphat, in die sabbati, collocatis tabernaculis in circuitu
machine ab hac statione sublatis. Vbi machina et omnia instrumenta mangenarum et
arietis ad unguem fabricata sunt. [. . .] Alio uero in latere urbis, supra montem Syon,
una a machina comitis Reimundi milites contorquebant lapides et iacula, muros ledentes et per menia assistentes, et huic machine comitis frustra nocere querentes, que
eadem nocte et hora qua et ducis erecta et muris applicata est”.
64. Cfr. Raimondo d’Aguilers, p. 147 (RHC, Hist. Occ. III:298B–C); Gesta Francorum X,
38:89–91 (RHC, Hist. Occ. III:160; l’anonimo precisa che fu l’armata di Raimondo
di Saint Gilles a riempire il fossato); Alberto di Aachen VI, 9:414 (RHC, Hist. Occ.
IV:471CD); Pietro Tudebodo, p. 139 (RHC, Hist. Occ. III:107).
65. Jérusalem, vv. 2317–2318, cit. supra.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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nascosti (vv. 2323–2328), portando il liquido esplosivo in recipienti di
bronzo (“En coinials d’arain est li fus aportés”, v. 2327). La strategia principale dei saraceni è dunque quella di incendiare le torri e le catapulte dei
crociati, e per far questo utilizzano dei vasi contenenti dei liquidi incendiari (ancora una volta segnalati solo da Alberto di Aachen) che vengono
lanciati sulle protezioni delle macchine: “Sarraceni milites uidentes quia
impetus mangenarum crates uimineas penetrare non poterat, interdum
ollas lammiuomas iactabant in crates machinam protegentes, ut prune
aut scintille aridae materiei adhaerentes leui aura suscitatae ampliarentur, et machinam consumerent” (VI, 16:424 [RHC, Hist. Occ. IV:475]). L’assalto termina con la ritirata dei crociati e così si conclude anche la prima
parte, prevalentemente bellica, del terzo canto. Il fuoco greco riesce ad
incendiare una macchina d’assedio costringendo i crociati ad uscirne
fuori. I turchi quindi riparano le mura danneggiate dagli assalti dei
crociati (ll. 81–82).
Il canto quarto dà l’avvio ad un nuovo assalto alla città, il secondo
(escludendo l’assalto interrotto riferito alla l. 42). La lassa 97 permette a
Ugo di Vermandois di esporre la strategia che adotteranno i crociati: mentre alcuni attaccheranno le mura d’arenaria, gli arcieri li proteggeranno,
e quando una schiera si sarà stancata, verrà allora sostituita nell’assalto
da un’altra, al segnale del corno di Goffredo.66 Segue la rassegna delle
échelles dell’esercito crociato, tutte caratterizzate da elementi similari come
nel canto III, e accompagnate dalle benedizioni del vescovo di Martirano,
dalle preghiere dei crociati alla vista di Gerusalemme67 e dalle maledizioni del re Corbadas dall’alto delle mura.68 Gli ingegneri Nicola e Gregorio portano davanti alle mura una macchina ed un ariete, mentre i saraceni contemporaneamente oppongono un’altra macchina che scaglia il
fuoco greco ed incendia quelle dei crociati (vv. 3375–3383; 3389–3397).
66. “Tout n’iront pas ensanble a .I. estecheïs, / Mais a cascune esciele soit uns assals furnis. / Des que li un assalent as murs d’araine bis / Li autre les desfendent as ars de cor
valtis. / Quant cil seront lassé et cascuns alentis, / Si se traient ariere quant li cors ert
bondis. / Puis viegne autre conrois armés et fervestis, / Par .X. fois soient hui en cest
seul liu requis” (Jérusalem, vv. 2996–3003). Il v. 3007, “Cis conseus fu löes et creantés et
pris”, conferma il proilo della igura di saggio consigliere che il poema assegna a Ugo
di Vermandois.
67. La preghiera di Thomas de Marle (Jérusalem, vv. 3184–3201) è quella più estesa e articolata, ulteriore segno della sua importanza nel poema.
68. Una schiera è afidata al Re dei Tafurs (l. 97), una a Enguerran de Saint Pol (scudieri
e valletti, l. 98), una a Roberto di Normandia (Normanni, l. 99); seguono poi i Boulonnais (l. 100), i Bizantini di Estatin (l. 101), i francesi di Thomas de Marle (l. 102),
i provenzali di Raimondo di Saint Gilles (l. 103), gli italiani di Boemondo e Tancredi
(l. 104), la schiera delle donne portatrici d’acqua (l. 105) e la decima schiera comandata da Goffredo e Roberto il Frisone (l. 106). Compare di nuovo l’immagine
delle donne che portano l’acqua ai crociati (vv. 3310–3312); il motivo ritorna ai vv.
3486–3489 e 3538–3541. Ai vv. 3512–3513 le donne incitano gli uomini alla battaglia
con quello che sembra essere un proverbio: “[. . .] “Ne soiés pas lanier!/ Li vallés por
s’amie, li hom por sa moillier!”.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
(Dell’incendio delle macchine d’assedio ci parla anche Fulcherio di Chartres.69) Seguono gli assalti e le ritirate delle varie schiere (ll. 107–112) con
i cavalieri che cercano di montare sulle mura usando le scale ad esse poggiate. Goffredo ogni volta suona il segnale della ritirata e le donne accorrono a dar sollievo ai combattenti portando loro dell’acqua (vv. 3486–
3489). Come in precedenza abbiamo ancora una serie di lasse (ll. 97–106)
caratterizzate da una loro unità compositiva e da elementi similari: questa volta si susseguono gli assalti delle schiere (e puntualmente Goffredo
suona il corno per far cominciare e far inire l’assalto) nello stesso ordine
in cui le échelles stesse sono state descritte. Dopo l’assalto delle prime
tre schiere, segue l’assalto generale di tutte le armate quando Goffredo
suona il corno per tre volte (vv. 3592–3596). Ai vv. 3520–3524 i saraceni
fanno precipitare dalle mura una grossa trave che uccide sette crociati.
Un evento analogo lo ritroviamo soltanto nella cronaca di Alberto di Aachen (VI, 18:426 [RHC, Hist. Occ. IV:476]), dove si riferisce che i Saraceni
sollevarono un enorme tronco incendiario di quercia per distruggere le
macchine d’assedio dei crociati ed alla quale attaccarono una catena per
far meglio presa sulle macchine.70 Il calare della notte segna il concludersi
della giornata del secondo assalto a Gerusalemme; Boemondo e Tancredi
vegliano sull’armata con settecento guerrieri; ma durante la notte vengono beffati dai saraceni che riescono ad incendiare le macchine d’assedio, l’ariete e le scale (vv. 3793–3799).
All’alba del nuovo giorno inizia l’ultimo e decisivo attacco a Gerusalemme. Roberto di Normandia chiama a consiglio i capi crociati e chiede
loro come fare per prendere Gerusalemme. Il vescovo di Martirano rivela
così di aver ricevuto in sogno un messaggio di Dio che gli diceva di recarsi sul Monte degli Olivi per avere il consiglio dell’eremita lì segregato
da quindici anni (“Anuit me fu uns dis de par Deu devisés / Qu’el Mont
Olivet ert uns sains hom enfermés— / En une roce bise bien a .XV. ans
passé. / Ja ne prendrés la vile se par lui ne l’avés”, vv. 4364–4367). L’arte
epica del poeta naturalmente moltiplica e ripete gli eventi inventandosi
un primo mancato incontro con l’eremita (l. 130), ma, in linea generale,
l’episodio ci viene raccontato da molte cronache, ed ancora una volta ritroviamo solo in Alberto di Aachen numerosi particolari comuni al poema. L’eremita rivela infatti ai crociati il luogo (il castello di Gastòn, a
Baghras) dove possono trovare il legname per costruire le macchine di
69. “Tum vero rari milites, tamen audaces, monente cornu, ascenderunt super eam [scil.
turrim], contra quos Saraceni nihilominus se defendendo faciebant, et ignem cum
oleo et adipe vividum cum faculis aptatis praedictae turri et militibus qui erant in
ea, fundibulis suis iaculabantur” (Fulcherio di Chartres, I, 27, 6:296 [RHC, Hist. Occ.
III:358]).
70. Alberto di Aachen VI, 18:426 (RHC, Hist. Occ. IV:476). Una catena ferrea verrà citata
più oltre anche nel poema, ma in questo caso servirà a sostenere una delle porte della
città che, una volta rilasciata, ucciderà dei crociati: cfr. infra.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
29
cui hanno bisogno; i crociati, recandosi così nel luogo indicato, trovano
delle travi lavorate e abbandonate da trent’anni. Indicativo in proposito
è un particolare comune soltanto al poema ed alla cronaca di Alberto di
Aachen: il luogo in cui si trova il legname è un bosco vicino a Betlemme.
Oltre al legname, dovevano essere raccolti i rami (“le plançon [. . .], le
vierge “; “omnes uirgulta”) per costruire dei graticci che avrebbero protetto le macchine dal tiro delle frecce (“les cloies [. . .] .I. grant cloier”;
“crates trilices”). Le petriere dovevano poi essere protette dal fuoco greco
(“Et por le feu grigois”; “hostili incendio”) rivestendole con pelli di cuoio
o con lastre di pietra:
El bos de Bellem cuederés le plançon
Dont vos ferés les cloies entor et environ [. . .]
El bois de Bellem ont le vierge colpé
De coi il ont l’engien par deseure cleé
Et por le feu grigois espessement pieré. [. . .]
De quirs l’ont par devant espessement hordé. [. . .]
El bos de Belleem vont le verge tailler
De coi li rois tafurs ist faire .I. grant cloier [graticcio]—
Par la desous vaura le mur fraindre et perchier
Et abatre le piere, le cauc et le mortier
(Jérusalem, vv. 4407–4408, 4440–4442, 4455, 4501–4504)
Deinde moniti sunt iuuenes, senes, pueri, puellae ac mulieres ut conuenirent
il uallem Bethleem omnes uirgulta in mulis ac asinis aut humeris suis allaturi,
de quibus crates trilices contexerentur, ex quibus machina vestita iacula Sarracenorum paruipenderet. Quod et actum est. Vimina et uirgulta plurima allata
sunt, quibus crates contexte coriis equinis et taurinis ac camelorum operte
sunt, ne facile hostili incendio machina cremaretur. (Alberto di Aachen, VI,
3:408 [RHC, Hist. Occ. IV:468B–C])
Le macchine e l’ariete vengono ancora trasportate vicino alle mura
così da riuscire a squarciarne un largo tratto; i saraceni nel frattempo le
incendiano col fuoco greco e, per far fronte al disastro, ai crociati non resta che far ricorso all’aceto. Confrontiamo ancora il poema con la cronaca
di Alberto di Aachen, unica a riportare il particolare dell’aceto:
Tant mainent le mouton par force en conduisant
Que par dalés l’engien le vont al mur hurdant
Et li perriere jete grans pieres en ruant,
Del mur ont abatu une lance devant. (Jérusalem, vv. 4624–4627)
Inter hec, ad augendam ruinam et stragem murorum allatus est prefatus aries,
horrendi ponderis et operis, uestitus uimineis cratibus. [. . .] barbicanas [. . .] a
uiris arietem impellentibus, graui impetu in momento comminuit ac deiecit; et
uiam machine ad interiores muros et antiquos aptauit, foramemque pergrande
et horrendum iam ad urbem pertransiens muros ciuitatis infregit. [. . .] igne
sulphureo, piceo et cereo suscitato, arietem, nimium uicinum muris succenderunt [. . .] (Alberto di Aachen, VI, 10:416 [RHC, Hist. Occ. IV:472])
Le molton lor ont ars, dont François sont dolant.
Li fus iert en l’engien, tot l’aloit bruïsant
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
Quant li dus Godefrois i est venus poignant,
A vin fort aisillié le va tot restaignant. (Jérusalem, vv. 4660–4663)
Verum Christianis ab indigenis conchristianis res innotuit qualiter hic ignis
aqua inextinguibilis solo aceti liquore restingui ualeat. Vnde in utribus intra
machinam acetum ex prouidentia repositum, super robur iniectum et effusum est et sic grande incendium restinctum ultra machine nocere non potuit.
(Alberto di Aachen, VI, 18:426 [RHC, Hist. Occ. IV:476G])
Al calar della notte Goffredo raccomanda di rimanere a far la guardia
alle macchine (“Ja mais de cest engien ne me verrés torner / S’ert pris
Jerusalem qui tant nos fait grever / [. . .] Ainc la nuit as herberges n’en
osa uns raler, / Entor l’engien remesent por le fran duc garder”, vv. 4686–
4687, 4692–4693). I Tafurs per tutta la notte non cessano di scavare e,
una volta completato il tunnel, attendono il segnale dell’attacco per farlo
crollare (“Toute nuit se gatoient desci c’a l’ajorner. / Et ribaut ne inoient
tote nuit de croser, / Tant que dedens le mur isent le trau aler, / Puis le
font .I. petit par devant estouper, / Dusqu’il vient a l’asaut n’osent outre
passer”, vv. 4703–4707). Il venerdì mattina (il 15 luglio) si torna all’assalto,
e a mezzogiorno, “nell’ora in cui il Signore lasciò che il suo corpo fosse levato sulla croce”,71 i crociati fanno crollare il muro. Goffredo di Buglione
contemporanemente getta sulle mura il ponte della macchina (“Li bons
dus de Buillon se valt dont molt pener, / Le pont de l’engien ist desor le
mur jeter / Si c’on i pot tres bien et venir et aler”, vv. 4717–4719). Benché
il poeta conceda a Thomas de Marle un ruolo dominante nella conquista
della città, tuttavia non trascura l’exploit di Goffredo, fatto peraltro narrato da alcune cronache.72
Come avevamo annunciato, Thomas de Marle entra per primo nella
città facendosi catapultare dentro le mura dalle lance dei suoi compagni
(l. 139). A questo gesto che ha del meraviglioso segue l’irruzione violenta
nella città, che viene introdotta da un nuovo intervento giullaresco: “Segnor, or escoutés glorieuse chançon” (v. 4813). Ha inizio così il massacro
degli abitanti musulmani ed ebrei della città. Quest’evento della storia
delle crociate sarà destinato, purtroppo, a rimanere impresso a lungo nella
memoria collettiva orientale e occidentale per la violenza e il terrore che
sollevò, il delirio dello sterminio e la profanazione di un luogo simbolo
della fede di tutte le religioni mediterranee; sarà inoltre destinato a suscitare lo sdegno dei musulmani e degli stessi cristiani vincitori che vi assiste71. Jérusalem, vv. 4713–4714: “El point que nostre Sire laisa son cors lever / Ens en la vraie
crois por son pule salver”. Cfr. anche Gesta Francorum X, 38:90 (RHC, Hist. Occ. III:160):
“Appropinquante autem hora scilicet in qua Dominus noster Iesus Christus dignatus
est pro nobis sufferre patibulum crucis [. . .] “. A questo punto del poema si allude ad
una fonte orale (“[. . .] si con oï conter”, v. 4712), ma al v. 4803 l’allusione cambia e il
poeta si riferisce ad una fonte scritta (“[. . .] si con lisant trovon”).
72. Fulcherio di Chartres, I, 27, 8:298 (RHC, Hist. Occ. III:358FG); Guglielmo di Tiro, VIII,
18:409 (RHC, Hist. Occ. I:351).
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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rono con orrore; traccerà inine una direzione ben precisa nei rapporti fra
cristiani e musulmani in Oltremare. Le parole di Runciman ben sintetizzano la fatalità del momento per la storia e per il poema: “Quella sanguinosa dimostrazione di fanatismo cristiano risuscitò il fanatismo dell’Islam.
Quando, in seguito, i più saggi latini d’Oriente si sforzarono di trovare una
base qualsiasi sulla quale cristiani e musulmani potessero collaborare, il
ricordo del massacro si levò sempre sul loro cammino” (1966:248). Le cronache raccontano che, aperte le porte della città, il popolo cristiano entrò
nelle mura, fece strage di saraceni per le strade e poi si recò al Tempio di
Salomone, dove i crociati uccisero così tanti nemici che furono costretti a
camminare nel sangue e fra i cadaveri.73 Alberto di Aachen e la Jérusalem
descrivono invece il bagno di sangue fra le strade della città, e non quello
che avvenne al Tempio di Salomone; per di più, Alberto di Aachen riporta
un particolare testuale (“usque ad talos”) che sembra essere comune ad
una tradizione manoscritta della chanson (“dusc’al talon”):
Dont oïssiés paiens par ces rues chacier,
Ocire et craventer, ferir et estekier.
.....................
Aval par mi ces rues font tele ocision
Qu’en sanc et en cervele ierent dusc’al talon.
(Jérusalem, vv. 4799–4800, 4821–4822)74
Sarracenos per domum, que spaciosa erat, crudeli funere sternentes. Quorum adeo sanguinis facta est effusio, ut etiam riui per ipsa pauimenta regiae
73. Raimondo d’Aguilers, p. 150 (RHC, Hist. Occ. III:300C–D): “Videbantur per vicos et
plateas civitatis aggeres capitum, et manuum atque peditum. [. . .] Sed tantum sufi ciat, quod in templo et in porticu Salomonis equitabatur in sanguine usque ad genua,
et usque ad frenos equorum”; Gesta, X, 38:91 (RHC, Hist. Occ. III:160): “Mox vero ut
ascendit, omnes defensores civitatis fugerunt per muros et per civitatem, nostrique
subsecuti persequebantur eos occidendo et detruncando usque ad Templum Salominis. Ibique talis occisio fuit, ut nostri in sanguine illorum pedes usque ad cavillas mitterent”. Fulcherio di Chartres, I, 27, 13:301 (RHC, Hist. Occ. III:359): “Quod si inibi [scil.
Templum Salomonis] essetis, pedes vestri sanguine peremptorum usque ad bases tingerentur”. Roberto il Monaco, p. 869: “In nullo autem bello talem habuit intericiendi
facultatem, [. . .] multaque electorum millia militum, a summo capite usque ad renes
secabant humana corpora, et dextra laevaque per utraque latera. [. . .] Tantum ibi [scil.
Templum Salomonis] humani sanguinis effusum est, quia caesorum corpora, unda
sanguinis impellente, volvebantur per pavimentum, et brachia sive truncatae manus
super cruorem luitabant et extraneo corpori jungebantur [. . .]”. Pietro Tudebodo,
pp. 141–142 (RHC, Hist. Occ. III:108–109): “Omnes defensores civitatis dederunt fugam
per muros et per civitatem; nostrique erant illos persequentes occidendo et detruncando. [. . .] Nostrique tantos illorum interfecerunt quod sanguis per totum templum
luebat”. Rodolfo di Caen, pp. 694–695: “Per sata, per dumos, per tecta, per arva, per
hortos / Dissiliunt, intericiunt, rapiunt, populantur [. . .] Et Salomoniace quindeniforum latus aulae / Irrumpunt: piger ense cadit, celer effugit ensem; / Compos effugii
portam obserat, objice fulcit: / Aut vitae stabilis spes, aut mora quantula mortis”.
74. Cito la lezione dei mss. DEGIT (“dusc’al [jusqu’al I] talon”), che meglio potrebbe essere messa a testo in virtù del senso e del passo di Alberto di Aachen, invece di quella
di A (“dusc’al fellon”), ms. base dell’edizione del Thorp (1992).
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
aule deluerent, et usque ad talos fusus cruor accresceret. (Alberto di Aachen,
VI, 21:430 [RHC, Hist. Occ. IV:478])
Alcuni saraceni fuggono nella Torre di David: “[. . .] plurima multitudo
spe protectionis ad palatium regis Salomonis quod erat spaciosum atque
irmissimum fugam arripiunt” (Alberto di Aachen, VI, 20:428 [RHC, Hist.
Occ. IV: 478]); ma Raimondo garantisce loro salva la vita in cambio di
denaro, come narrano anche le altre cronache.75 Il poeta non nasconde
il suo biasimo per questo gesto ignobile (“Droit vers la Tor Davi fuit des
Turs grant partie, / Cels garandi Raimons s’en ot grant manandie, /
Cargiet de bons bezans .I. mulet de Surie: / Quant il avoir en prist ce fu
grans vilonie”, vv. 4854–4855), biasimo che probabilmente rilette polemiche contemporanee all’autore sull’avidità dei crociati, ma che ha anche un
riscontro nella realtà storica, come ci riferisce Alberto di Aachen, unica
fonte a manifestare la stessa riprovazione per l’avidità di Raimondo: “[. . .]
comes Reimundus, auaritia corruptus, Sarracenos milites quos in turrim
Dauid fuga elapsos obsederat, accepta ingenti pecunia, illesos abire permisit. Omnia autem arma, escas et exuuias illorum cum eodem praesidio
retinuit” (Alberto di Aachen, VI, 28:438–440 [RHC, Hist. Occ. IV:483]). Evidentemente furono sollevate delle critiche a Raimondo di Saint-Gilles per
aver patteggiato con i turchi rifugiati nella Torre di David, e per aver concesso al governatore di Gerusalemme, Iftikar, e ad alcuni suoi uomini un
salvacondotto per fuggire dalla città. Altri capi crociati invece non rispettarono i patti con i saraceni: la popolazione fuggita sul tetto del Tempio
di Salomone fu massacrata il mattino seguente alla conquista, nonostante
che Tancredi gli avesse garantito la sua protezione76 (ma un rammarico
per questo gesto altrettanto infame non compare nel poema!).
4. Il re taumaturgo. Mentre nella città avviene la carneicina, e si arraffa tutto ciò che si riesce a prendere nelle case dei saraceni, nel poema si
rappresenta un piccolo episodio sul quale vale la pena soffermare l’attenzione per chiarire i rapporti con le cronache: Goffredo si astiene dal far
preda e strage, e si reca con alcuni suoi compagni a puriicare il Sepolcro.
Della visita di Goffredo in questo luogo sacro abbiamo notizia soltanto
dalla cronaca di Alberto di Aachen e dalla Chanson de Jérusalem; i particolari in comune risultano evidenti:
[. . .] tant dura l’envaïe
C’ainc n’en remest uns sels de le gent paienie
Fors cels qui en la Tor Davi s’en fu fuïe. [. . .]
Que que François se painent de lor cors aaisier—
75. Gesta Francorum X, 38:91 (RHC, Hist. Occ. III:160). Pietro Tudebodo, p. 141 (RHC, Hist.
Occ. III:109). Raimondo d’Aguilers, p. 151 (RHC, Hist. Occ. III:300D). Fulcherio di
Chartres, I, 30, 3:308–309 (RHC, Hist. Occ. III:361). Cfr. Hagenmeyer 1973, nota 406,
per le fonti storiche più tarde.
76. Cfr. Runciman 1966:247; Hagenmeyer 1973, nota 407.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
33
Cascuns saisist maison u palais u celier
U grant sale de piere u tor avant solier;
Cascuns d’els se porvoit de l’avoir gaaignier,
Por poi que l’uns a l’autre ne se velt corecier—
Li bons dus de Buillon ne se val pas targier
Et Robers li Frison qui molt ist a proisier
Et dans Tumas de Marle qui le corage or ier,
Ainc cil troi n’entendirent a establer destrier
Ne a prendre maison ne lor cors aaisier,
Ains courent le Sepucre faire bel et niier
Et le saintisme Temple, que Dex par ot tant chier.
(Jérusalem, vv. 4878–4881, 4885–4896)
Ad hoc denique templum Domini, ut praedictum est, iter suum Tancredo
conuertente, pre avaritia sibi propalate pecunie, aliis uero ad praesidium turris
Dauid fugitiuos uelociter insequentibus, cunctisque principibus rebus et turritis ediiciis inhiantibus, et universo uulgo ad palatium Salomonis tendente, et
cedem nimia crudelitate in Sarracenos operante, dux Godefridus ab omni mox
strage se abstinens, tribus tantum suorum secum retentis, Baldrico, Adelolfo
et Stabelone, exutus lorica et linea ueste, nudatis pedibus muros egressus,
in circuitu urbis in humilitate processit, ac per eam portam que respicit ad
Montem Oliuarum introiens, ad sepulchrum Domini nostri Iesu Christi ilii Dei
uiui praesentatus est, in lacrimis, orationibus et diuinis laudibus persistens,
et Deo gratias agens quia uidere meruit quod illi semper fuit in summo desiderio. (Alberto di Aachen, VI, 25:434–436 [RHC, Hist. Occ. IV:481C–B])
Ma prima di proseguire seguendo lo svolgimento cronologico degli
eventi soffermiamoci a rilettere sulla igura di Goffredo di Buglione e
sul signiicato che assume nel poema. Ai vv. 1929–1930 una profezia di
Lucabel ci annuncia la futura carriera di Goffredo come re del Regno di
Gerusalemme: “Cil qui cest trait a fait ert de grant segnorie. / Rois ert de
Jursalem, si l’avra en baillie”. Quella che in apparenza può sembrare una
semplice anticipazione epica, in realtà richiama le già espresse parole di
Corbadas sulla venuta dei Franchi per la liberazione del Sepolcro:
“Bels ius Cornumarans” dist Corbadas li rois
“Passé a .II.C. ans que m’ont sorti Grigois,
Suriien et Hermin, Pateron et Gorgois:
Franc venroient sor nos, que tu ore as iex vois,
Por vengier le Segnor, qui çaiens fu destrois,
Batus et escopis, et ferus en la crois.
Mais li Juu le irent: ço fu par nos defois.
Molt en pesa les princes, les contes et les rois:
Titus Vaspazïens les mist en grans destrois,
Si en prisent venjance, car il fu molt bons rois . . .” (vv. 1380–1389)
La diaspora ebraica alla quale alludono questi versi (“Mais li Juu le irent”)
è interpretata comunemente dai testi medievali come una venjance, la Vendetta del Signore sulla crociissione. Ma il passo appena citato allude anche
a delle profezie antichissime che parlano della venuta dei Franchi per liberare la Città Santa, ed è proprio in virtù di queste profezie che Lucabel può
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
interpretare il presagio funesto del prodigioso tiro con l’arco. Goffredo, in
questi versi, è dunque il condottiero dei Franchi, colui che diventerà re di
Gerusalemme e sconiggerà i pagani per volontà divina.
Già prima della crociata circolavano testi profetici che annunciavano
la venuta di un popolo dall’Occidente per liberare il Sepolcro. Henry Glaesener (1940:72) aveva fatto notare un passaggio dell’opera di Rodolfo di
Caen nel quale (in una lettera che Alessio Comneno aveva inviato a Boemondo per sollecitare il soccorso dell’Occidente contro i Turchi) l’imperatore greco avrebbe utilizzato queste parole: “Il tuo arrivo promette
anche la realizzazione di ogni mio desiderio; tralasciando le altre considerazioni, ti dirò semplicemente che anche gli indovini musulmani annunciano il tuo futuro trionfo”.77 La tradizione divinatoria di cui fa menzione
il passo di Rodolfo risalirebbe addirittura ad un’epoca anteriore. Nel 964
Liutprando, vescovo di Cremona in ambasciata a Constantinopoli presso
Niceforo, allude a simili profezie: “I Greci e i Saraceni possiedono dei libri
che essi chiamano oravseiı, o visioni, di Daniele, io invece Libri Sibillini.
In queste opere troviamo scritto il numero di anni che ogni principe dovrà vivere, gli avvenimenti degni di rilievo che accadranno nel suo regno,
la pace o le ostilità, nel successo o nell’insuccesso per i Saraceni”.78 Il Glaesener identiica queste ‘visioni’ con quelle del profeta Daniele (Daniele
9,27) nelle quali l’arcangelo Gabriele rivela la caduta dell’impero di Babilonia, di quello dei Medi, dei Persi e dei Greci, e l’avvento dell’impero dei
Santi dell’Altissimo (cioè le crociate).
Un fatto storico, ed un racconto ad esso legato, ci possono inoltre testimoniare dell’esistenza di profezie, poco prima della crociata, sulla venuta di un popolo cristiano che libererà il Sepolcro. Nel 1088, infatti, un
viaggio che segnò profondamente le coscienze, e colpì l’immaginario collettivo cristiano, fu quello in Palestina del conte di Fiandra, Roberto il Frisone. Il conte, al suo ritorno da Gerusalemme, era stato ricevuto con onore
alla corte di Alessio Comneno, e la sua morte nel 1093 l’aveva trasformato
in una igura leggendaria. Nel secolo successivo, Guiberto di Nogent riferisce che il conte di Fiandra a Gerusalemme aveva inteso il suo ospite musulmano dirgli tutt’a un tratto: “Abbiamo visto nei movimenti degli astri
77. Rodolfo di Caen, p. 611D: “Meis quoque desideriis eficaciam tuus singulariter promittit accessus; nam, ut cetera taceam, ipsi etiam vates Turci de gente sua tibi destinant
triumphos”.
78. “Habent Graeci et Saraceni libros, o r av s e iı, sive visiones, Danielis vocant, ego autem Sibyllinos; in quibus scriptum reperitur, quot annis imperator quisque vivat; quae
sint futura, eo imperante, tempora; pax, an simultas; secundae Saracenorum res, an
adversae”: Liutprando da Cremona, Relatio de legatione Costantinopolitana (a. 968–969)
(Pertz 1839:355; ora in Liudprandus Cremonensis Opera Omnia (Chiesa 1998, citato in
Glaesener 1940:74–75). Anche Sumberg (1968:262–263) chiama in causa allusioni a
testi profetici per spiegare il passo dell’Antioche (vv. 6930–6938) nel quale Calabre, per
convincere il iglio Corbaran a non attaccare i crociati davanti ad Antiochia, ricorda i
presagi funesti dei suoi antenati.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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segni straordinari che ci predicono che i cristiani giungeranno in questo
paese e ci sottometteranno dopo molti combattimenti e vittorie”79 (ed è
proprio al iglio di Roberto che papa Urbano II, all’indomani del Concilio
di Clermont, aveva inviato una lettera pressante invitando i Fiamminghi
a seguire le tracce del vecchio conte80). Nel racconto di Guiberto non traspare soltanto l’importanza della igura di Roberto di Fiandra e dei iamminghi per la crociata, ma si palesa soprattutto l’esistenza di profezie che
predicevano la venuta dei crociati in Oriente. Un risconto dell’esistenza
di tali profezie lo si ritrova così anche nella Jérusalem. Non solo, ma dobbiamo anche notare che nel poema compaiono sia Roberto I di Fiandra,
detto il Frisone, sia suo iglio Roberto II di Fiandra. Il primo, come abbiamo visto, non si recò mai alla prima crociata, poiché morì nel 1093; il
secondo invece vi partecipò realmente. È possibile che il poeta della Jérusalem confonda le due igure, ma se non compie quest’errore, è possibile
che si lasci inluenzare dal ricordo della igura leggendaria di Roberto il
Frisone tanto da farlo comparire anche alla prima crociata.
Potevano esserci, in conclusione, dei testi profetici che inluenzarono
una fonte storica della Jérusalem e che entrarono a far parte della leggenda
di Goffredo? Jean Flori c’informa al riguardo che una miriade di documenti di carattere escatologico ebbero una diffusione molto più ampia
di quanto non si creda. I loro rimaneggiamenti ne sono testimonianza,
così come il gran numero dei manoscritti che li reca testimonia l’interesse
degli uomini per lo sviluppo di una storia guidata da Dio e nella quale essi
cercano di trovar posto; una storia che deve concludersi con l’apparizione
dell’Anticristo, sconitto a Gerusalemme da Cristo e dai suoi in una battaglia inale seguita dal giudizio e dall’annientamento degli empi (Flori
2003:281). In effetti, un gruppo di profezie non canoniche, che circolava in Occidente nell’XI secolo, parla di una Gerusalemme escatologica
(cfr. Benz 1991; Ward 1995); si tratta degli oracoli della Sibilla Tiburtina,
della Sibilla di Cuma, di due versioni differenti della profezia di Azzone
di Montier-en-Der sulla venuta dell’Anticristo e di un rimaneggiamento
di un testo attribuito allo Pseudo-Metodio (cfr. Sackur 1963 [1898]; Prinz
1985). In questi testi vediamo il cosiddetto Imperatore degli Ultimi Tempi
abdicare e rimettere le insegne monarchiche a Cristo sul Monte degli Olivi
prima dell’ultima tribolazione provocata dall’Anticristo (vedi Erdmann
1932), mentre l’Anticristo è chiamato a regnare a Gerusalemme sul trono
di David, o nel Tempio. È proprio nelle versioni del testo di Azzone che si
afferma che sarà un re franco a stabilire il potere su tutta la terra, e sarà
79. Guiberto di Nogent, Dei gesta, VII, 26:319–320 (RHC, Hist. Occ. IV:246): “Insolita, inquit, signa quaedam in ipsis stellarum cursibus recursibusque conspeximus, ex quibus
certa admodum coniectura collegimus christianae conditionis has in provincias homines deventuros nosque per prelia assidua et frequentes victorias devoncendos” (cfr.
Aubé 1987:115–116).
80. Sull’autenticità problematica di questa lettera vd. Joranson 1950.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
l’ultimo re di Gerusalemme a restituire scettro e corona sul Monte degli
Olivi (Verhelst 1976: 21 e sgg.; vedi anche Flori 20034:375–378). L’uccisione prodigiosa dei tre nibbi nominata nel poema81 e la profezia di Lucabel sulla venuta del re franco sembrano echeggiare questo genere di testi
e caricare di signiicato simbolico la igura di Goffredo.
Una forte tensione escatologica è del resto presente nelle prime fasi
della crociata ed è la causa dei tanti massacri di ebrei che si compirono
nelle regioni nord-europee: il massacro degli ebrei, e di coloro che riiutavano di convertirsi, era visto agli occhi dei crociati che transitarono
in quelle zone come una tappa necessaria per l’avvento della nuova era
spirituale. (Non è escluso, del resto, che Goffredo abbia realmente partecipato a questi massacri.) Il 3 maggio 1096, una banda di briganti comandata da Guglielmo il Carpentiere, visconte di Melun, e da Emich di
Leisingen, un mercenario della peggiore specie, entrò a Spira ed iniziò
una caccia all’uomo sterminando gli abitanti di religione ebraica. Il 18
maggio la stessa cruenta tempesta si abbatté su Worms; vi furono 800
vittime e alla ine del mese la truppa entrò anche a Magonza. Emich si
diresse verso sud, massacrò la comunità ebraica di Ratisbona prima di
partire per l’Ungheria a portare rovina e morte. Nello stesso momento,
Colonia fu vittima a sua volta di altre rivolte furiose (cfr. Runciman
1966:120–126). Salomon Bar Simeon, nella sua Relazione dei Gzérot del 4856
scritta alla metà del XII secolo, traccerà il ritratto di un duca della Bassa
Lotaringia assetato di odio e di sangue perpetrare questi brutali massacri, e dichiarare di voler vendicare il sangue di Cristo con il sangue dei
Giudei sterminandoli tutti, ino all’ultimo.82 Le altre due fonti ebraiche
del pogrom del 1096 in Renania, l’Anonimo di Darmstadt ed Eliezer bar
Nathan, anteriori al racconto di Salomon Bar Siméon che ne ha tratto largamente ispirazione, non nominano invece il duca della Bassa Lotaringia
(cfr. Aubé 1987:128–129).
Se poi osserviamo la storia della chiesa nello scorcio del XII secolo,
cioè all’epoca del rimaneggiamento del poema, possiamo osservare come
dai tempi della prima crociata rispuntarono vigorosamente le speranze
escatologiche e i sentimenti millenaristici. Sul inire del secolo si manife81. L’episodio dei tre uccelli traitti avrà in seguito un destino singolare: nelle Antichità
della Gallia Belgica (citato in Aubé 1987:331), della metà del xvi secolo, Richard di Wassemburg riporta un episodio analogo occorso a Goffredo; nell’episodio in questione si
parla però di alerioni. La Casa di Lorena che proveniva dalla famiglia di Alsazia, si era
velocemente creata, ad imitazione della maggior parte dei lignaggi illustri, una genealogia del tutto fantastica che affondava le sue radici i no ad Adamo, Carlo Magno e un
Guglielmo, preteso fratello di Goffredo di Buglione, ed aveva posto dunque sulle sue
insegne l’alerione, che “detiene un potente dominio su tutti gli uccelli del mondo”, e
ricordava le imprese dell’eccezionale antenato. I tre alerioni igurano ancor oggi sulle
armi della provincia di Lorena.
82. Relatio di Salomon bar Simeon, secondo il ms. 28 del Collegio giudaico di Londra
(Neubauer e Stern 1892:87). Cfr. Hagenmeyer 1973, nota 24.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
37
stano, infatti, alcune tendenze estreme del cristianesimo; si assiste ad un
fervore religioso senza precedenti che vede la nascita delle eresie e dei movimenti millenaristici in tutta Europa. Gioacchino da Fiore, i cui annunci
di una rigenerazione del mondo attraverso l’Età dello Spirito sono ben
noti, aderisce al monachesimo cistercense nell’ultimo quarto del secolo;
Pietro Valdo afida la rinascita spirituale al Vangelo ed alla povertà, ed
inizia la sua predicazione con i suoi “poveri di Lione” a partire dalla metà
degli anni settanta. Nel 1184, con una decretale di Lucio III, si giunge alla
scomunica di tutti i movimenti eretici (Catari, Patarini, Umiliati, Poveri di
Lione, Passagini, Gioseini, Arnaldisti) e si inisce con il bando e la crociata
contro gli Albigesi indetta da Innocenzo III nel 1208.83 È in questo clima
di fervore religioso e millenarismo pauperistico, presente sia al tempo
della crociata che sul inire del XII secolo, che si può comprendere probabilmente il signiicato escatologico che il poeta della Jérusalem ha afidato
a Goffredo. Profezie e sogni premonitori si ritrovano anche nella cronaca
di Alberto di Aachen, tutti simbolicamente in riferimento all’elezione di
Goffredo sul seggio di Gerusalemme. Ricordiamone alcuni. Dopo che la
città è conquistata, uno dei compagni di Goffredo, Statelone, riferisce di
aver avuto una visione dove lui e Goffredo salgono al cielo attraverso una
scala dorata. Il sogno viene poi interpretato dall’autore dimostrando che
la scala rappresenta la via verso la Gerusalemme celeste (Alberto di Aachen, VI, 26:436 [RHC, Hist. Occ. IV:481–482]). All’indomani dell’elezione
di Goffredo come advocatus e protettore del Sepolcro, un altro suo compagno, Hezelone, riceverà una visione ancor più suggestiva: trasportato
sul Monte Sinai, vede Goffredo benedetto da due uomini vestiti di bianco;
la visione in questo caso manifesterebbe la volontà di Dio sulla nomina
del protettore del Sepolcro (Alberto di Aachen VI, 34–35:446–448 [RHC,
Hist. Occ. IV:486–487]). E ancora: il compagno d’armi Giselberto vede
Goffredo seduto sul Sole e circondato da una moltitudine di uccelli. Anche qui il signiicato è palese (per i crociati come per Alberto di Aachen)
VI, 36–37:448–450 [RHC, Hist. Occ. IV:487–488]): Goffredo deve risiedere
a Gerusalemme come nella visione risiede sul Sole.
Nel quinto canto del poema (e qui torniamo al racconto storico), dopo
un estenuante assedio, la città viene inine conquistata (“Prise est Jerusalem, la fors cités garnie”, v. 4844) mentre Goffredo, come dicevamo, con
alcuni suoi compagni si reca al Sepolcro e al Tempio per terminare il suo
pellegrinaggio. L’ingresso al Tempio (ll. 142–143), accompagnato da un
cerimoniale di puriicazione, si carica di signiicati rituali e gesti sacrali.
In un primo momento Goffredo, Roberto il Frisone e Thomas de Marle
baciano il Sepolcro e puliscono con drappi preziosi il luogo che ha custodito il corpo del Signore; si recano quindi al Tempio per una seconda pu83. Storia del Cristianesimo. Il Medioevo (cfr. Merlo1997). Sui movimenti ereticali vedi Merlo
1989:39–56.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
riicazione e per preparare l’altare dove, secondo il racconto del Vangelo
di Luca (2,21), Gesù fu circonciso:
Cascuns tient en sa main d’un cier paile .I. quartier,
Tres devant le Sepucre se vont agenoillier.
Ainc n’i laisierent porre ne festu ne ordier
Ne suie ne busquete, laidure ne porrier.
Ki veïst les barons le Sepucre baisier
Et plorer de pitié, estraindre et enbracier
Et puis aler au Temple l’autel aparellier
U Jhesus fu offers quant s’i laisa coucier.
Toute l’aire escoverent contreval le mostier.
Quant tot çou orent fait mis sont el repairier. (vv. 4897–4906)
In un palazzo di fronte, ancora non consegnato al saccheggio, si trova il
guardiano saraceno custode del Tempio; costui è privo della vista da più
di trent’anni e, ormai al corrente che la città è conquistata, chiede al duca
di aver salva la vita e di diventare cristiano. Goffredo getta allora il panno
col quale aveva puriicato il Tempio sul volto del saraceno ridonandogli
miracolosamente la vista; il guardiano offre a Goffredo il suo tesoro e si fa
battezzare:
Quant li dus ot le Temple fait bel et escouvé,
Il et li doi baron, et l’autel acesmé,
A l’issir fors de l’uis ont .I. palais trové
U nus de nos barons n’avoit encore esté,
Car Dex l’avoit as princes mis en sauf et gardé.
Cil qui li palais fu tint en sa main le clé,
Ne vit goute des iex lumiere ne clerté,
Sovent avoit le Temple fremé et desfremé.
Bien set que no gent orent Jursalem conquesté.
Quant il oï le duc, merchi li a crïé:
“Gentius Frans, ne m’ocire, jo voel crestïenté!”.
Quant li dus l’entendi s’a pres de lui alé.
Le paile qu’il tenoit li a el vis jeté:
“Tien” dist il “or le garde, jo t’ai asseüré.”
Si tost con il le paile ot as iex adesé
De maintenant li furent ens el cief ralumé.
Grant joie ot en son cuer, si l’a al duc conté
Qu’il n’avoit veü goute bien a .XXX. ans passé
Et ore a par cel palie lumiere recovré. (vv. 4909–4927)
L’episodio miracoloso potrebbe ricordarci la guarigione del centurione
Longino attraverso il Sangue di Cristo colato dalla lancia che traisse il suo
petto, o ancor meglio la guarigione attraverso il potere della Veronica (cioé
il panno che, per aver deterso il sudore di Cristo durante la Passione, conservava le fattezze del Redentore; vedi Tigges Mazzone 2004:640, n. 170)
ma a mio avviso può essere messo direttamente in relazione con il potere
guaritore dei re di Francia e così poter meglio spiegare il suo legame con
la igura di Goffredo. Sappiamo infatti che nel XII secolo la regalità del po-
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
39
tere secolare conservava un proprio potere sovrannaturale che attribuiva
ai re di Francia e d’Inghilterra la capacità di guarire in modo miracoloso
i malati. È la famosa opera di Marc Bloch, Les rois thaumaturges (1973) a
descriverci questa credenza e a ritrovarne le origini. Una delle fonti storiche che ricordano questa tradizione è proprio quella di Guiberto, abate
di Nogent-sous-Coucy, che in un suo trattato sulle reliquie parlava del miracolo della guarigione delle scrofole ad opera dei re di Francia, Filippo I
e Luigi VI.84 Il Bloch ci dice, inoltre, che già al tempo di Luigi VI (1108–
1137) ci troviamo di fronte ad una pratica consuetudinaria, un rito regolare che ha già le forme che gli saranno proprie per tutto il periodo della
monarchia: il re tocca i malati di scrofole e fa su di loro il segno della croce
(Bloch 1973:18). Ma con ogni probabilità il potere taumaturgico dei re capetingi non si limitava, nelle sue origini, alla sola guarigione delle scrofole:
Roberto il Pio (996–1031), secondo la testimonianza del monaco Helgaud,
era visto dai suoi fedeli come possessore del dono di guarire ogni genere
di malati;85 i suoi successori dunque ereditarono il potere, ma questa virtù
dinastica si modiicò trasmettendosi di generazione in generazione, e anzi
si precisò nella cura delle scrofole (Bloch 1973:26). È quindi possibile che
il potere taumaturgico del re di Francia, all’epoca del poema, venisse considerato di natura generica e per questo permettesse di guarire anche la
cecità. Quali che siano le caratteristiche peculiari di questo potere, in ogni
caso la visione sacra e taumaturgica della regalità sembra rimanere alla
base del signiicato del passo della Jérusalem. Il re sacro del novello Regno
di Gerusalemme, patria simbolica della nascita del Cristianesimo, accresce
e motiva la sua autorità grazie al dono divino della guarigione; la regalità
sacrale e taumaturgica acquista allo stesso tempo la natura sacerdotale
entrando in concorrenza con l’autorità del clero attraverso il gesto cerimoniale e rituale della puriicazione del Sepolcro e del Tempio del Signore.
Ma Goffredo di Buglione, al momento della sua visita al Sepolcro,
non è ancora diventato re, benché vi siano già tutti i presupposti simbolici
della nomina. Richiamiamo brevemente gli eventi che si svolgono nel frattempo: i cadaveri dei saraceni vengono cremati fuori della città e i cristiani
84. Guiberto di Nogent, De sanctis et eorum pigneribus (Huygens 1993, I:90; PL 156, col.
616A): “Quid, quod dominum nostrum Ludovicum regem consuetudinario uti videmus prodigio? Hos plane qui scrophas circa iugulum aut uspiam in corpore patiuntur
ad tactum eius, superaddito crucis signo, vidi catervatim, me ei cohaerente et etiam
prohibente, concurrere, quos tamen ille ingenita liberalitate serena ad se manu obuncans humillime consignabat. Cuius gloriam miraculi cum Philippus pater eius alacriter exerceret, nescio quibus incidentibus culpis amisit”. Il De sanctis et eorum pigneribus è
contenuto nell’unico manoscritto, Paris, BNF, lat. 2900, proveniente dal monastero di
Nogent. Del miracolo del tocco delle scrofole non si riparlerà più ino ai tempi di San
Luigi (1226–1270).
85. Helgaud, Epitoma Vitae Regis Rotberti Pii, PL 141, col. 931: “Tantam quippe gratiam in
medendis corporibus perfecto viro contulit divina virtus ut, sua piissima manu inirmis locum tangens vulneris et illis imprimens signum sanctae crucis, omnem auferret
ab eis dolorem ini rmitatis”.
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sepolti (l. 143). Corbadas consegna la cittadella in cambio della libertà e
della fuga da Gerusalemme (l. 144). Come nelle cronache86 la canzone
parla dei monti sui quali, il 17 luglio, vennero ammassati i cadaveri dei Saraceni: “Fors de Jerusalem ont les Turs traïné, / En .IIII. mons les misent,
cascun on enbrasé. / Çou fu desous le vent qu’il sont tot alumé. / Et nos
Crestïens ont a honor enterré” (vv. 4941–4944). Quando la città è ormai
nelle mani dei cristiani, nasce la necessità di afidarne il governo ad uno
dei capi crociati (e siamo già al 22 luglio). Il vescovo di Martirano offre
perciò la corona del Regno a Goffredo di Buglione su acclamazione popolare (vv. 5018–5025), ma Goffredo riiuta (“Sire” ço dist li dus “laisiés ceste
pensee. / Ci a tant rice prince de molt grant renomee. / Ja ne prendrai sor
moi avant els tel posnee, / Quant encore ne l’a nesuns d’els refusee. / Jo
voel qu’ele soit ains as autres presentee”, vv. 5033–5037) e come lui tutti gli
altri capi crociati che esprimono l’intenzione di tornare in patria poiché,
dicono, hanno ormai compiuto il loro pellegrinaggio. Tutto ciò viene immancabilmente narrato in una serie di lasse parallele costruite sul tema
del riiuto della corona (146–150).87 Queste lasse sono sicuramente da
confrontare con quelle dell’Antioche nelle quali i capi riiutano di portare
in battaglia la Santa Lancia offerta loro dal vescovo del Puy;88 ma ancora
una volta, fra le cronache latine, è l’opera di Alberto di Aachen, in merito all’elezione di Goffredo, la sola ad accennare all’offerta della corona
a tutti i capi ed al loro riiuto.89 Nella scena successiva, il vescovo di Martirano propone una notte di veglia penitenziale e digiuno e fa portare in
mano ai baroni un cero. Il volere di Dio farà sì che si accenda miracolosamente il cero di colui che sarà eletto re di Gerusalemme (“Tenés cascuns
.I. cierge d’une livre et demie, / Ja n’i avra esprise —se Dex me beneïe— /
Se Diex ne li envoie par lumiere esclairie”, vv. 5226–5228). Arriva quindi la
notte, i baroni aspettano in penitenza il segnale celeste (“Cascuns se gist a
terre, clainme soi pecheor: / —Dex miserere, sire: done nos hui cest jor /
Veïr par ton conmant de qui ferons segnor / De ceste grant cité, de qui
86. Gesta Francorum X, 39:92 (RHC, Hist. Occ. III:161); Pietro Tudebodo, p. 142 (RHC, Hist.
Occ. III:110); Roberto il Monaco, p. 869.
87. Nella lassa in cui Roberto il Frisone riiuta la corona offertagli dal vescovo di Martirano (l. 147) sono presenti elementi comuni alla l. 39 (il motivo del rimpianto per aver
abbandonato le Fiandre ed i propri cari; vedi supra), cosa che farebbe pensare a parti
del poema attribuibili ad una stessa mano.
88. Come osserva il Cook (1980:67), i riiuti di accettare la Santa Lancia da parte dei capi
crociati potrebbero essere un’eco dei riiuti di Roland (ma il Cook non segnala i versi
della Chanson de Roland). I cavalieri non vogliono portare in battaglia la Santa Lancia
perché preferiscono combattere; la Lancia, infatti, è considerata una reliquia, e pertanto chi la portava doveva astenersi dal combattere. Alla ine sarà il vescovo del Puy a
portarla in battaglia.
89. Cfr. Alberto di Aachen VI, 33:446 (RHC, Hist. Occ. IV:485E–486A): “Quo renitente, et
ceteris uniuersis capitaneis ad id oficium electis, Godefridus dux tandem licet inuitus
ad tenendum urbis principatum promouetur”. E cfr. Jérusalem, l. 146 (c. V), vv. 5030–
5037: “Ja ne prendrai sor moi avant els tel posnee, / Quant encore ne l’a nesuns d’els
refusee. / Jo voel qu’ele soit ains as autres presentee”.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
41
avons paor”, vv. 5235–5238). Dopo una serie di tuoni che impauriscono i
crociati, inalmente una luce accende il cero di Goffredo ed egli viene così
acclamato re di Gerusalemme:
Entrues que no baron se gisent en freor,
A mïenuit lor jete uns esclistres luor,
Dont descent uns tonoires, puis autres, puis plusor.
Avoec çou lieve uns vens qui tot met en tranblor.
Li vens estaint le lampe et toli la luor,
Dont orent no baron molt oroble paor.
Li vesque et li abé et clerc ont grant cremor,
Conmencent a canter letanie maior
Et pui autres proieres, puis Veni creator.
Es vos .I. grant tonoire par mi le maistre tor
Que tos nos barons ist caïr jus en pasmor.
Aprés vint uns esclistres, par issi grant rador
Que li esprist le cierge qui fu a cel segnor
Qui Dex voloit doner le roiame et l’onor
De terre de Surie, por tenir en valor. (vv. 5246–5260)90
Goffredo sbianca in volto e versa lacrime di rugiada (“Dels bels iex de
son cief li caï la rousee, / Lés le face li est mainte larme avalee”, vv. 5269–
527091); riceve il governo della città e accetta il sacriicio ‘ultimo’, come Cristo accettò quello della Croce (“Ahi, Jerusalem! Sainte cités löee! / Por vos
recevrai mort, tels est ma destinee, / Se Damedex n’en pense et sa vertus
nomee. / Voir ço puis jo voloir, quant Jhesus si le gree, / Que perdrai el liu
vie u sa cars fu navree”, vv. 5272–5276). Sul inire della lassa, come al culmine emozionale di una Passio nella quale Goffredo ricalcherebbe le orme
di Cristo, i poveri e gli umili acclamano e benedicono in coro il nuovo Re:
Et l’autre gens menue s’est molt halt escrïee:
“Sire dus de Buillon, hom de grant renomee,
Beneois soit vos peres qui ist tele engendree
Et li mere ensement qui de vos ist portee!
Bien avés hui no gent haucié et amontee.
Ahi, Jerusalem! or serés bien gardee
Del mellor chevalier qui ainc çainsist d’espee”. (vv. 5287–5293)
Si avverte una pausa. Sembra di assistere ad una sacra rappresentazione; il tempo è scandito dalle preghiere e dai gesti sacrali, e le immagini
del re-santo sono come inquadrate in stationes culminanti nell’intervento
corale del popolo dei fedeli. La rappresentazione continua: i baroni rapiti
dalla gioia abbracciano Goffredo e lo portano in solenne corteo nel Tempio. Il re dei Tafurs è saldamente al suo ianco destro:
90. Il miracolo si compirà di nuovo alla l. 211.
91. Goffredo aveva pianto anche in precedenza, allorché tutti i capi, lui compreso, avevano riiutato la corona ed il vescovo di Martirano aveva lamentato la grande vergogna
per Gerusalemme (Jérusalem, v. 5157 “Adont plora del iex li bons dus Godefrois”).
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
La fu li rois tafurs, il et si compaignon:
Le duc Godefroi tint par le destre geron [. . .]
Quant ot canté la messe et dite l’orison,
Le duc en ont porté a grant kirïeson
Enfresci c’al Sepucre, mis l’ont sor le perron.
Ha, Dex! la ot li dus si grant esgardison.
“Sire” dïent li prince “nos vos coroneron.”
Et li dus lor respont une gente raison:
“Segnor, bien le saciés, ja nel nos penseron
Que ja en mon cief ait corone d’or en son,
Car Jhesus l’ot d’espines quant sofri passion.
Ja la moie n’ert d’or, d’argent ne de laiton”.
De l’Ort Saint Abrahan ist venir .I. plançon
—Deça mer et dela espic l’apele on—
De cel fu coronés Godefrois de Buillon. (vv. 5302–5303, 5308–5320)
L’elezione di Goffredo si carica, inine, di signiicati sacrali; la prodezza guerriera della battaglia nella città lascia il posto alla liturgia ed al
compiersi del miracolo dei ceri. Il re di Gerusalemme è come un nuovo
Carlo Magno, eletto secondo la volontà divina e attraverso il manifestarsi
dei suoi segni. L’incoronazione ‘divina’ del re di Gerusalemme sembra seguire il percorso della Passione ed allo stesso tempo ricalcare la tipologia
dell’elezione del re di Francia, per la quale è spesso associato un evento
miracoloso.92
Ancora una volta sono le cronache latine ad aiutarci a rintracciare le
origini storiche dei fatti narrati, in particolar modo le origini del prodigioso evento dell’accensione dei ceri descritto nel poema. In Fulcherio di
Chartres si parla del miracolo del fuoco sacro che discende dal cielo ed
accende le lampade nel Sepolcro.93 Sembra che il ripetersi di quest’evento
soprannaturale fosse tradizionale in Palestina alla veglia della Pasqua, e
fosse in rapporto con il rito ben noto della benedizione, il Sabato Santo,
del fuoco nuovo e del cero pasquale. Secondo questa tradizione il fuoco
non deve essere preso da una iamma già esistente ma deve essere prodotto dalle scintille di un accendino sbattuto contro la pietra; con questo
fuoco vengono poi accese le lampade della chiesa. Un simbolismo scritturale è unito alla cerimonia: la pietra focaia è quella che i costruttori
avevano scartato e che è divenuta pietra angolare dell’ediicio (cfr. Luca
21,17); la pietra è il Cristo (cfr. Efesini 2,20); l’ediicio è quello spirituale
che Cristo ha elevato nel mondo per la gloria del Padre, ed è questa pie92. Si pensi alla leggenda della prima consacrazione regia di Clodoveo, battezzato nell’abbazia di Saint-Rémi a Reims ed unto dal sacro crisma recato in un’ampolla da una
colomba bianca discesa dal cielo. Cfr. Bloch 1973:173 e sgg.
93. Fulcherio di Chartres, II, 8, 1–2:393–397. Lo Hagenmeyer (1913:831–834), riporta in
appendice la descrizione della cerimonia contenuta nel solo codice L (Cambridge,
University Library, KK, VI, 15), descrizione che invece viene messa a testo nell’edizione del RHC (Hist. Occ. III:385–387). Cfr. anche Bartolfo di Nangis, Gesta Francorum
Iherusalem expugnantium (RHC, Hist. Occ. III:524–526).
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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tra che, con la Passione, ha fatto scintillare il fuoco divino che ha acceso
il mondo. La cerimonia avveniva in tutte le chiese della Palestina, ed è
tuttora esistente, ma era particolarmente nota nella chiesa della Resurrezione a Gerusalemme dove si accalcava la folla. Notizie della cerimonia
al Santo Sepolcro le troviamo a partire dal IX secolo, ma si è pensato che
l’uso fosse stato introdotto dai monaci latini in epoca carolingia.94
Che si tratti dello stesso evento rappresentato nella Jérusalem, oltre
alle palesi somiglianze, ce lo conferma anche il particolare del canto, il
kyrie eleison (v. 5309), che compare anche in Fulcherio. Vi sono tuttavia
alcune differenze nei due racconti. In Fulcherio sono le lampade ad accendersi all’interno del Sepolcro, mentre nella Jérusalem sono delle candele nelle mani dei capi crociati.95 Con il racconto della Jérusalem siamo
probabilmente ad uno stadio più tardo e modiicato della tradizione, e in
tal proposito un racconto di Bar Hebraesus ci può fornire dei ragguagli
su come si sia evoluta la tradizione (Budge 1932:184–185, citato in Canard
1965:25):
La persécution commença à cause d’un certain homme qui haïssait les
Chrétiens. Il raconta au calife al-Hākim une histoire selon laquelle les
Chrétiens, quand ils s’assemblaient au temple de Jérusalem pour célébrer la
fête de Pâques, par une machination adroite avec les prêtres du temple, enduisaient avec de l’huile de baume le il de fer auquel était suspendue la lampe
sur le tombeau. Une fois que le gouverneur arabe avait apposé le sceau sur la
porte du tombeau, les chrétiens, du toit, allumaient un feu à l’extrémité du il
94. Canard 1965. Oltre a Fulcherio di Chartres, il miracolo è riportato dal monaco
Bernardo in pellegrinaggio a Gerusalemme nell’870 (Bernardi itinerarium factum in
loca sancta anno DCCCLXX, PL 121, col. 572); da Guiberto di Nogent, Dei gesta, VII,
41:341 (RHC, Hist. Occ. IV:255–256), che riferisce anche dell’inganno del il di ferro
che innesca il fuoco dal tetto del Sepolcro; da Guglielmo di Malmesbury, Gesta Regum Anglorum (Mynors et alii 1999), che segue il racconto di Fulcherio; e da Ugo di
Flavigny, Chronicon Hugonis monachi Virdunensis et Divionensis abbatis Flaviniacensis
(Pertz 1848:395–396).
95. Si parla di candele invece in alcuni scrittori arabi: per esempio nella testimonianza di
Mas uˉdı̄ (morto nel 957) e in quella di Sib b. al-Djawzı̄ riportate da Ibn al-Qalānisı̄,
citate in Canard 1965:35–40, che descrivono il cerimoniale del XIII secolo. Cfr. inoltre
Ibn al-Qalānisı̄, citato e tradotto in Canard 1965:22: “Lorsque les Chrétiens y viennent au jour de leur Pâque, qu’ils font paraitre publiquement leur Metropolite, qu’ils
elevent leurs croix et accomplissent leurs prières et leurs cérémonies, tout cela fait impression dans leurs esprits et introduit la confusion dans leurs coeurs. Ils suspendent
les lampes sur l’autel et, par une machination font venir le feu dans ces lampes au
moyen d’huile de baume et d’un dispositif spécial, car cette huile a la proprieté d’y
produire le feu avec l’huile de jasmin, et elle donne une lumière d’une blancheur éclatante et une lueur brillante. Ils disposent, au moyen d’un strategème dont ils usent,
entre chaque lampe et celle qui la suit une sorte de i l de fer tendu grâce auquel ils
relient les lampes l’une à l’autre, et l’enduisent d’huile de baume. Ils dissimulent à
la vue ce il de fer, de façon qu’il coure le long de toutes les lampes (sans qu’on s’en
aperçoive). Quand ils font la prière et qu’arrive le moment de la descente (du feu),
on ouvre la porte de l’autel où ils croient que se trouve le berceau de Jésus et que
c’est de là (litt. de lui) qu’il a été enlevé au ciel. Ils entrent et allument de nombreux
cierges”.
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de fer et le feu descendait [le long du il] jusqu’à la mèche de la lampe et l’enlammait. Ils criaient alors “Kyrie eléïson” et fondaient en larmes, prétendant
qu’ils avaient vu la lumière qui descendait du ciel sur la tombe, et ils étaient
conirmés dans leur foi.
Il fuoco discende dal cielo (il tetto!), una lampada è sospesa sulla tomba,
come nel poema (“En tot le Temple n’ot candelle n’esplendor / Fors une
seule lampe de labaustre en l’autor / Qui ardoit tot adés et le nuit et le jor”,
vv. 5243–5245), ed è questa a fornire la miscela incendiaria. Commozione
inale e kyrie eleison.
Goffredo, come dicevamo, accetta di diventare re di Gerusalemme,
ma riiuta di portare la corona d’oro; il Re Tafur pertanto, unico ‘re’ fra i
tanti baroni, incorona Goffredo con una corona di spine ricavata dall’Orto
di Abramo e gli dona il bastone dell’investitura afidandogli il governo del
‘feudo’ di Terrasanta:
Li rois [dei Tafurs] prist le corone qui fu de grant renon
Si le mist ens el cief Godefroi de Buillon.
Li vesques de Mautran ist s’absolution. [. . .]
Li rois tafurs a pris en sa main .I. baston,
Le roi Godefroi tent l’onor et le roion,
Aprés li a baisié en plorant l’auqueton.
Li uns rois contre l’autre sont mis a genellon. (vv. 5328–5330, 5342–5345)96
Che signiicato possiamo attribuire a questa bizzarra investitura nella
quale un re pezzente e bizzarro incorona nientemeno che il re di Gerusalemme? Alla simbologia feudale del bastone forse si aggiunge qualche altro
sovrasenso. Uno studio di Luc Ferrier (1997) analizza il racconto dell’elezione di Goffredo nelle cronache latine e fornisce un’interpretazione sul
signiicato della regalità a Gerusalemme. Il racconto di Raimondo d’Aguilers, secondo il Ferrier, sarebbe il più originale fra le cronache; i crociati
tennero un primo consiglio prima della caduta di Gerusalemme, ed è in
quest’occasione che si parlò per la prima volta di eleggere un re: allora
sarebbero sorte le opposizioni di principio del clero all’elezione di un sovrano nella città che aveva visto la Passione di Cristo e nella quale nessun
re doveva avere l’ardire di prendere la corona. Raimondo d’Aguilers ci
dice che Goffredo venne eletto, non re ma advocatus, solo dopo il riiuto
di Raimondo di Saint-Gilles. Il racconto dell’elezione compare anche in
Guglielmo di Tiro e viene confermato ed ampliato da quello di Alberto di
Aachen, che evoca il riiuto del conte di Saint-Gilles lasciando intendere
allo stesso tempo che tutti gli altri baroni si sottrassero alla nomina tranne
Goffredo, sia pure non entusiasta (“inuitus”).
L’elezione di un capo laico che non prendeva il titolo di re (ma quello
di advocatus Sancti Sepulchri) sarebbe stata, secondo il Ferrier, la conces96. I crociati si preparano quindi a partire per la madrepatria avendo ormai compiuto il
loro pellegrinaggio, ma Goffredo li prega di restare.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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sione fatta dai baroni al clero.97 Raimondo d’Aguilers è dunque il solo a
testimoniare la crisi iniziale dell’elezione di Goffredo, crisi che mescolava
giochi di potere e giustiicazioni di principio. Sempre Raimondo testimonia del clima di fermento e attesa escatologica dei crociati in Terrasanta
prima della conquista di Gerusalemme descrivendoci le sofferenze della
spedizione con i tratti di una tribulatio che è una prova di fede verso Dio
(Raimondo d’Aguilers, p. 143 [RHC, Hist. Occ. III:296B]); in questa prospettiva di attesa della Parusia che, come ci dimostra l’esistenza di profezie non canoniche, evidentemente doveva avere peso al tempo della
crociata, un potere monarchico a Gerusalemme risultava di natura ambigua e poteva essere considerato come un segno premonitore della ine
dei tempi, sia che il re eventuale fosse considerato l’Ultimo Imperatore,
sia che fosse considerato l’Anticristo. L’elezione di un monarca nella Città
Santa poteva entrare in contrasto con delle attese escatologiche rimaste
deluse, dal momento che evidentemente non si stava veriicando nessuna ine dei tempi, ed è per questo che si sarebbe giunti alla soluzione
di compromesso dell’elezione di un reggente (l’advocatus). Nella Jérusalem
la natura sacrale, ed allo stesso tempo ambigua, di questo potere risulta
sottolineata particolarmente dal fatto che il re della Città Santa viene incoronato dal personaggio più indegno e contraddittorio del poema: il Re
dei Tafurs.
Detto questo, rimane comunque da spiegare perché proprio il re dei
Tafurs sia stato promosso ad arteice dell’incoronazione di Goffredo. Lo
studio del Ferrier pone l’attenzione su un particolare aspetto della natura
della regalità a Gerusalemme. Prendendo in esame un passo di Guglielmo
di Tiro che parla di Goffredo, secondo Ferrier un carattere essenziale del
potere regale crociato dev’essere l’umiltà.98 Secondo lo storico d’Oltremare, Goffredo, riiutando la corona, esprime la propria umiltà di fronte
a Cristo ed al luogo della Passione. Guglielmo di Tiro così facendo inverte
l’immagine tradizionale del re realizzata attraverso l’incoronazione e
fa di Goffredo un modello esemplare (“speculum”) per gli altri re, mal97. Un caso in cui si sarebbero ripresentate le stesse problematiche si ebbe con l’elezione
di Baldovino I: sappiamo da Fulcherio di Chartres, II, 1, 1:352–353 (RHC, Hist. Occ.
III:373) e II, 6, 1–4:384–387 (RHC, Hist. Occ. III:382), che fu il popolo ad incitarlo a
prendere la corona ma che l’incoronazione ebbe luogo, non a Gerusalemme, bensì a
Betlemme, città di David, un’alternativa accettabile per i monarchici. Anche Baldovino II venne incoronato a Betlemme: vedi Fulcherio di Chartres, III, 7, 4:635 (RHC,
Hist. Occ. III:445).
98. Guglielmo di Tiro, IX, 9:431–432 (RHC, Hist. Occ. I:377): “Promotus autem, humilitatis causa corona aurea, regum more, in sancta civitate noluit insigniri, ea contentus et
illi reverentiam exhibens, quam humani generis Reparator in eodem loco usque ad
crucis patibulum pro nostra salute spineam deportavit. [. . .] Nobis autem non solum
rex, sed regum optimus, lumen et speculum videtur aliorum: non enim consecrationis
munus [l’incoronazione] et ecclesiastica sprevisse credendus est princeps idelis sacramenta, sed pompam seculi et cui omnis creatura subiecta est vanitatem, et perituram
humiliter declinasse coronam, ut inmarcessibilem alibi consequeretur”.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
grado l’assenza della consacrazione; da un tratto negativo per la monarchia (l’assenza della consacrazione), Guglielmo ricava quindi un fattore
di legittimazione (Ferrier 1997:260). La soluzione storica attuata con la
designazione di Goffredo, suggerita da Guglielmo di Tiro ed interpretata
dal Ferrier, sarebbe questa: non portare il titolo regale, ma assicurarne la
carica per smorzare la lettura escatologica di un potere laico cristiano a
Gerusalemme. Raimondo d’Aguilers e Guglielmo di Tiro si allontanano
dunque dalla tradizione storiograica che fa dell’elezione di Goffredo un
avvenimento carico di consenso, e ci offrono il mezzo per togliere una
parte dell’ombra con cui fu deliberatamente ricoperto il periodo fondante
del Regno di Gerusalemme. La Jérusalem, invece, modiica il dato storico,
facendo di Goffredo il re sacro di Gerusalemme e della sua elezione un
evento condiviso che nella realtà tale non fu. Il poema ribadisce inoltre
il profondo signiicato che ci si aspettava dall’elezione di un re nella città
che vide la nascita del Signore, attribuendo all’investitura regale nella
Città Santa il valore altamente simbolico dell’humilitas. Goffredo riiuta
così la corona d’oro ed accetta quella di spine (imitatio humilitatis Christi); è
poi il re dei Tafurs ad incoronarlo, il più umile fra gli umili, unico vero re
fra i crociati, e colui che meglio rappresenta i valori di povertà ed umiltà
dell’ottica religiosa cristiana (“Puis alés la vile a force et a bandon! / Et cil
le prenderont de plus povre façon”, vv. 4409–4410).
Termina qui la lunga parabola narrativa della conquista della Città
Santa, ma non altrettanto può dirsi delle sorti del Regno di Gerusalemme.
Mentre il Re dei Tafur, Raimondo di Saint-Gilles, Eustache e Baldovino
rimangono con Goffredo, gli altri capi partono per la madrepatria. Si dirigono prima a Gerico, poi alla Quarantine, e inine al iume Giordano
nelle cui acque si fanno battezzare. I crociati attaccano poi Tiberiade,
governata da Dodekin di Damasco; la città resiste, i crociati si ritirano e
si accampano presso il Mare di Galilea per vedere il luogo dove Cristo
riunì a tavola i suoi apostoli. Nel frattempo un colombo inviato da Dio
porta loro il messaggio che Goffredo è in pericolo a causa dell’esercito
saraceno in marcia verso Gerusalemme (ll. 160–161). Roberto di Fiandra, Ugo di Vermandois e Boemondo convincono tutti i crociati a tornare
indietro per soccorrere Goffredo, e così essi rientrano a Gerusalemme
(ll. 162–163).
Dopo l’elezione del re di Gerusalemme, la chanson predilige al racconto storico la varietà ed il movimento di episodi romanzeschi privi di
riscontri con le cronache. Negli ultimi tre canti non è dunque più possibile riconoscere i fatti storici, se non per brevi accenni immersi nella descrizione di scontri di pura fantasia fra saraceni e cristiani e in episodi
che riutilizzano temi e motivi ricorrenti nel ciclo rudimentale. Finita la
parentesi totalmente romanzesca del sesto canto, la storia del Regno di
Gerusalemme viene rievocata, sia pure per brevi tratti, nel settimo canto.
Già alla lassa 187 l’esercito del Sultano era partito per riprendersi Gerusa-
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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lemme dalle mani dei crociati, e ora (l. 188) giunge alle porte della città.
Il Califfo escogita un sistema per far uscire i cristiani allo scoperto: dispone fuori Gerusalemme oro e preziosi che stimolino l’avidità e la brama
dei crociati (“molt l’iront covoitant”) per attirarli in un’imboscata; ma
Goffredo riesce a scoprire lo stratagemma (“engiens”) e vieta ai crociati
di uscire (ll.189–190), benché il Re Tafur voglia lo stesso tentare di prendere il tesoro (l. 191). L’episodio, duplicato di quello analogo della l. 254,
si rifà certamente a ciò che narrano le cronache circa quanto avvenne
prima della battaglia di Ascalon. In questo caso la Jérusalem avrebbe utilizzato due volte l’episodio storico delle astuzie: una prima volta all’arrivo
dell’esercito del Sultano, davanti alle mura della città (l. 188); una seconda
volta, coerentemente col racconto delle cronache, sul campo nei momenti
precedenti la battaglia di Ascalon (l. 254). Il poema tuttavia sviluppa pienamente l’episodio delle astuzie solo nel primo dei passi citati, sia pure in
termini romanzeschi; e solo qui è possibile osservare i maggiori riscontri
con le cronache. Confrontiamo la chanson col testo di Alberto di Aachen:
“Segnor”, ço dist Califes, “entendés mon sanblant.
Faites metre vos casses totes fors, jel conmant,
Les rices ilatires99 de l’or arrabiant
Et le vaiselemente qui tant par est vaillant.
.X. mil paien l’enporcent a Jursalem avant—
Et vos a .C. mil Turs les alés porsivant!
Se François voient l’or, molt l’iront covoitant,
Por le prendre istront fors— et vos venrés poignant,
Les testes lor coupés illuec de maintenant!” (Jérusalem, vv. 6652–6660)
Armenta, cameli, boues, buli, et omne genus domestici pecoris a Sarraceni
in eisdem campestribus in multitudine grandi in dolo premissa ac dispersa
erant, ut populus Christianus hec concupiscens raperet ac cogeret, predeque
animaduerteretur ut sic rapinis impeditus, facilius ab hoste superaretur. Sed quidam nobilissimus ex Sarracenis [. . .] cum duce iniit, [. . .] dolositates Babyloniorum enucleat [. . .]. (Alberto di Aachen VI, 42:456–458 [RHC, Hist. Occ.
IV:491E])
“Segnor,”, dist il [Goffredo] a eus, “se vos plaist, entendés!
Jou vos pri qu’il ni ait .I. seul tant soit osés
Ki de la cité isse por cose que veés.
Cest engiens que Turc font de l’or —or esgardés!
Li agais de paiens n’est gaires loing remés. (Jérusalem, vv. 6700–6704)
Hac premonitione gentilis pricipis Dux et uniuersi rectores christiani exercitus rem precauentes, edictum in omni catholica legione statuunt, ut quicunque de peregrinis predam ante prelium contigerit, auribus et naribus truncatus puniatur. (Alberto di Aachen VI, 42:458 [RHC, Hist. Occ. IV:491F–492A])
Si noti che nella cronaca di Alberto di Aachen non si parla di oro e gioielli
ma di bestie da soma ed armenti che, disposti astutamente dai saraceni
99. “Reliquiari”. Cfr. Godefroy 1881–1902 e Tobler- Lommatzsch, s. v. ilatiere.
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(“dolose premissa”), dovrebbero attirare i crociati (“hec concupiscens”)
e renderli più pesanti negli spostamenti per favorire l’assalto dei saraceni
(“ut sic rapinis impeditus, facilius ab hoste superaretur”). Come nella chanson, anche in Alberto di Aachen lo stratagemma viene scoperto, ma è un
saraceno a rivelarlo a Goffredo, il quale a sua volta vieta di raccogliere gli
armenti con un editto che prevede il taglio del naso e delle orecchie per
coloro che lo violeranno. Di armenti appartenenti ai saraceni e catturati
dai crociati presso Ascalon parlano anche altre fonti,100 ma queste non
fanno minimamente cenno al fatto che siano stati disposti con l’inganno
dai saraceni; solo Guiberto di Nogent allude brevemente ad un inganno
e spiega a quale scopo sia stato ordito: “Illic fraude gentilium multa sunt
animalium exposita milia, boum, camelorum, oviumque examina, quae
cum seniores didicissent ad illiciendos predarum copiis nostros emissa,
celebrato per castra preconio mandant ne in cuiuspiam tentorio quicquam
predae eiusdem repperiatur, nisi quantum dietae instanti necessarium
fore probatur”.101
Arriviamo alla ine del settimo canto per riprendere le ila del racconto storico. Una veglia al Sepolcro è l’occasione per il rinnovarsi del miracolo della luce proveniente dal cielo (l. 211); una colomba bianca riporta
il messaggio del ritorno dell’esercito crociato in soccorso ed accende le
candele (l. 212). Il giorno dopo Goffredo raggiunge l’esercito e si decide,
d’accordo con i saraceni, che la battaglia avrà luogo il venerdì (ancora
una volta il giorno della settimana che simbolizza la Passione) a Ramleh
(l. 213). Accingendosi ad iniziare il racconto della storica battaglia di Ascalon, il poeta fa nuovamente riferimento ad una fonte scritta (“Li escris le
tesmoigne, s’est verités provee”, v. 7800). Arriva quindi l’esercito crociato,
dopo di che si decide di compiere una processione con le reliquie della
Passione (la Vera Croce, il Palo della Flagellazione e la Santa Lancia) e di
celebrare una messa a Betlemme. Dopo le cerimonie, l’esercito crociato
esce dalla città e la sua avanguardia si dirige a Giaffa (ll. 214–216). Anche
le cronache latine ci parlano della processione con le reliquie intorno a
Gerusalemme e della messa che venne celebrata a Betlemme.102 Il ritrovamento della Croce del Signore è narrato nel poema in forma meno ampia
100. Gesta Francorum X, 39:94–95 (RHC, Hist. Occ. III:162), Roberto il Monaco, p. 873, Pietro Tudebodo, p. 145 (RHC, Hist. occ. III:113), riferendosi all’11 agosto prima della
battaglia di Ascalon (cfr. Hagenmeyer 1973, nota 420).
101. Guiberto di Nogent, Dei gesta, VII, 17:296 (RHC, Hist. Occ. IV:235). Anche Pietro Tudebodo, p. 145 (RHC, Hist. Occ. III:113), accenna ad un inganno (“quae miserunt Sarraceni causa proditionis”), ma in questo caso non vengono spiegate le ragioni. Un simile
inganno compare anche in Guglielmo di Puglia, Gesta Roberti Wiscardi (De Rosa 2003,
III, vv. 36–40): “Praecipit [scil. Diogene] ut quicquid castris inerat solidorum, / Omnis
vestitus pretiosus, et omnia vasa / Auri aut argenti, castris spargenda ferantur: / Ut si
contigerit Turchis irrumpere castra, / Horum prospectu desistant laedere Graecos”.
102. Raimondo d’Aguilers, pp. 144–145 (RHC, Hist. Occ. III:296–297); Gesta Francorum X,
39:94 (RHC, Hist. Occ. III:162); Roberto il Monaco, pp. 872–873. Pietro Tudebodo,
p. 145 (RHC, Hist. Occ. III:113), riferisce che il patriarca di Gerusalemme portò la
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
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che nella testimonianza delle cronache.103 Alberto di Aachen ci dice invece che un cristiano mostrò una croce rivestita d’oro con incastonato un
frammento della Vera Croce (nascosta per timore delle spoliazioni dei saraceni), e che quindi i crociati si riunirono per iniziare la processione nel
luogo del ritrovamento.104 Fulcherio di Chartres precisa che fu un siriano
a rivelare il luogo dove era stata custodita la croce con il frammento, e che
questa venne poi conservata nel Sepolcro e portata in processione prima
della battaglia di Ascalon.105
Finite le celebrazioni, Goffredo si arma per la battaglia (l. 217) e come
lui anche gli altri capi crociati, in una serie di lasse similari che ripetono
gli schemi già osservati per i preparativi di guerra e gli assalti alla città.106
Nel canto ottavo anche il Sultano raduna le sue truppe e chiede ai suoi
quattordici igli di vendicare la morte di Brohadas (ll. 224–225); dopo di
che si passa in rassegna l’esercito saraceno con le sue popolazioni fantastiche (ll. 226–232) e si dà inizio alla mischia (l. 233). La Chanson de Jérusalem
colloca a Ramleh la battaglia che nella realtà storica si svolse ad Ascalon il
12 agosto 1099. Questa scelta del poeta non ha niente di bizzarro, se pensiamo che tre battaglie molto ravvicinate nel tempo si svolsero a Ramleh:
una il 25 luglio 1099, una seconda il 7 settembre 1101, e una terza nel 1103;
e due cronisti, Anna Comnena e Caffaro, collocano ugualmente a Ramleh
la battaglia di Ascalon.107 Dopo numerosi scontri e duelli, la battaglia di
Ramleh segna la vittoria deinitiva dell’esercito crociato, con l’intervento
delle schiere angeliche guidate da San Giorgio e l’ausilio della virtù miracolosa della Vera Croce che annienta i Giganti e ritorce sui saraceni il
103.
104.
105.
106.
107.
Croce in processione, mentre Raimondo d’Aguilers, cappellano di Raimondo di
Saint-Gilles, portò la Lancia.
“Li vesques de Maltran a pris no baronie, / Les prestres, les abés, tote l’autre clergie, /
A le crois les mena qui li fu ensegnie. / Le vesques de Mautran l’a premerains saisie /
Et l’abes de Fescamp, cil l’ont andoi bracie” (Jérusalem, vv. 7838–7842).
Alberto di Aachen VI, 38:450 (RHC, Hist. Occ. IV:488): “quidam idelissimus Christianus urbis indigena lege Christi pleniter instructus, crucem quandam semiulne auro
uestitam, cui dominici ligni particula in medio inserta erat, sed fabrili opere expers et
nuda, indicauit se abscondisse in loco humili et puluerulento deserte domus, propter
metum Sarracenorum ne in hoc turbine obsidionis inuenta eadem crux auro spoliaretur, et lignum dominicum ab hiis indigne tractaretur. Hac sancta reuelatione dominici
ligni universi letati ideles qui aderant, in omni abstinentia pura et disciplina, sexta
feria que est dies dominice passionis in processione sancta clerus et populus conuenerunt ad locum ubi absconditum fuit uenerabile lignum”.
Fulcherio di Chartres, I, 30:309–310 (RHC, Hist. Occ. III:361D). Cfr. anche Bartolfo di
Nangis, Gesta Francorum Iherusalem expugnantium (RHC, Hist. Occ. III:516F).
I motivi ricorrenti sono i seguenti: 1) i capi crociati si armano per la battaglia; 2) ogni
échelle sila di fronte alla Vera Croce; 3) Il vescovo di Martirano li benedice e i crociati
adorano la Croce; 4) Pietro l’Eremita, che nel frattempo era stato preso prigioniero
dai saraceni (alla l. 194), presenta al Sultano i capi crociati che si stanno armando
(ll. 218–223).
Anna Comnena, Alexiade (Leib 1967, III:32–33 [RHC, Hist. gre. I:65]); Caffaro di Caschifellone, De Liberatione Civitatum Orientis Liber (RHC, Hist. Occ. V:560E) colloca la
battaglia fra Ramleh e Giaffa, proprio come nella Jérusalem.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
fuoco da loro appiccato. I saraceni fuggono in massa, molti vengono trucidati dai cristiani. Il Sultano si lamenta per la sconitta ma riesce a fuggire
per mare come ci narrano le cronache.108 I crociati invece, dopo aver trascorso la notte nelle loro tende, tornano a Gerusalemme col bottino; molte
cronache riferiscono delle ingenti ricchezze che i cristiani raccolsero sul
campo di battaglia e che riportarono a Gerusalemme e dei saccheggi che
ebbero luogo fra le tende dei saraceni.109
5. Alberto di Aachen e le tracce di una fonte ignota. Che il poeta
della Jérusalem abbia avuto alle sue spalle dei racconti dal carattere storico che narrano, dall’inizio alla ine, la vicenda della conquista e della
difesa della città di Gerusalemme o, in altre parole, che abbia conosciuto
una vulgata testimoniale facilmente accessibile, ce lo garantiscono da
una parte la struttura narrativa della chanson, che segue da vicino quella
delle cronache latine mantenendo quasi interamente la stessa sequenza
cronologica, e dall’altra le numerose analogie tematiche riscontrate. Terminata l’analisi dell’elemento storico presente nel poema è allora più che
legittimo chiedersi (e molti se lo sono chiesto) se l’autore del poema abbia seguito una cronaca in particolare, una cronaca, nello speciico, che
ci permetta di identiicare una tradizione storica fra quelle a noi note. È
però dificile stabilire di primo acchito quale testo di carattere storico, o
quale tradizione, il poeta della Jérusalem abbia tenuto sott’occhio. Suzanne
Duparc-Quioc, che per prima ha cercato di esaminare le tracce dei racconti delle cronache nella Chanson de Jérusalem, trovandosi di fronte alla
constatazione che l’autore del poema, diversamente dal caso dell’Antioche, non seguiva alla lettera nessuna delle cronache latine, ha azzardato
l’ipotesi che la fonte storica più utilizzata fosse stata quella di Raimondo
d’Aguilers.110 Tuttavia, come è anche emerso nel corso della trattazione,
quest’ipotesi non regge al vaglio completo delle cronache sulla prima crociata. Dopo aver osservato da vicino il poema e aver confrontato le sue sezioni narrative con quelle di tutte le cronache latine sulla prima crociata,
abbiamo potuto constatare che nella Jérusalem si ritrovano numerosi par108. Cfr. Gesta Francorum X, 39:96–97 (RHC, Hist. Occ. III:163); Pietro Tudebodo, pp. 147–
148 (RHC, Hist. Occ. III:115–116); Roberto il Monaco, p. 877; Raimondo d’Aguilers,
RHC, Hist. Occ. III:306H–K (testo tramandato soltanto nel ms. Paris, BNP, lat. 5511
A [sec. XIII] e riportato soltanto nell’edizione del Recueil) testo identico a quello dei
Gesta. Sulla fuga per mare dei saraceni cfr. Gesta Francorum X, 39:97 (RHC, Hist. Occ.
III:163); Pietro Tudebodo, p. 148 (RHC, Hist. Occ. III:116); Roberto il Monaco, p. 879;
Raimondo d’Aguilers, RHC, Hist. Occ. III:307A–B (anche qui il testo del Paris, BNP, lat.
5511 A; Alberto di Aachen VI, 47:464–466 (RHC, Hist. Occ. IV:495).
109. Alberto di Aachen VI, 47:464–466 (RHC, Hist. Occ. IV:495); Raimondo d’Aguilers,
RHC, Hist. Occ. III:307 (vedi supra); Roberto il Monaco, p. 879; Pietro Tudebodo, p. 149
(RHC, Hist. Occ. III:117); Fulcherio di Chartres, I, 31, 10–11:316–317 (RHC, Hist. Occ.
III:363).
110. Duparc-Quioc (1955:30): “il n’est peut-être pas trop aventureux de dire que si l’auteur de la Conquête de Jérusalem a consulté une chronique, c’est avec celle de Raymond
d’Aguilers que son récit correspond le plus exactement”. Vedi anche Duparc-Quoic
1970.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
51
ticolari che sono presenti anche in altre cronache, e che quindi l’opera di
Raimondo d’Aguilers non può dirsi la fonte d’ispirazione principale del
poema. Una tavola riassuntiva potrà in proposito illustrare con più agio
la situazione dei riscontri testuali del poema con le cronache latine (vedi
“Tavola delle fonti”), riscontri analizzati nella mia tesi di dottorato (2005)
e alla quale rimando per un riscontro più dettagliato e completo. La cronaca che presenta i maggiori riscontri testuali con la Jérusalem risulta essere invece la Historia Hierosolymitana di Alberto di Aachen, e non solo per
questioni ‘quantitative’ (Alberto di Aachen può contare su un numero di
23 riscontri su un totale di 35 sezioni narrative analizzate, rispetto ai 12
di Raimondo d’Aguilers oppure ai 15 dei Gesta Francorum) ma soprattutto
in ragione della presenza di tre ordini signiicativi di analogie fra questa cronaca e la chanson: 1) vi sono analogie del racconto comuni a tutte,
o alla maggior parte delle cronache latine, fra le quali anche Alberto di
Aachen; 2) analogie comuni a molte cronache ma con dettagli comuni
soltanto all’opera di Alberto di Aachen; 3) e inine degli elementi narrativi e particolari testuali che accomunano direttamente nella tradizione i
due testi (l’uno epico e l’altro storico), elementi che deinirei coniunctivi
(ispirandomi al linguaggio dell’ecdotica) in quanto presenti soltanto nella
Jérusalem e nella cronaca di Alberto di Aachen (e di conseguenza assenti
nelle altre cronache): si tratta dei seguenti episodi già analizzati: a) una
trave scagliata dalle mura (Jérusalem, vv. 3520–3522, 4599–4606); b) l’eremita del Monte degli Olivi e il legname nel bosco di Betlemme (Jérusalem, vv. 4354–58, 4364–67, 4383, 4388); c) la visita di Goffredo al Sepolcro
(Jérusalem, vv. 4878–4881, 4885–4896); d) l’incoronazione di Goffredo
(Jérusalem, vv. 5030–5037). Tali elementi ci indicherebbero in particolar
modo che la perduta fonte storica della Chanson de Jérusalem debba essere ricercata nella tradizione lorenese alla quale fa capo la cronaca di
Alberto di Aachen, e non quindi nell’area provenzale legata a Raimondo
d’Aguilers.
Per comprendere meglio i rapporti fra la Jérusalem e la cronaca di Alberto di Aachen, e per deinire le caratteristiche e i conini geograici di
appartenenza della tradizione storica che a queste opere si riferisce, è necessario tracciare velocemente una panoramica delle opere storiche sulla
prima crociata, indicando per sommi capi le loro iliazioni e comprendendo anche le opere non latine e quelle non considerate dalla nostra
analisi comparativa (vedi igura 2, “Schema derivativo delle fonti storiche
latine della prima crociata”). Abbiamo detto che nell’ambito dell’esegesi
delle fonti storiche della prima crociata esistono varie classiicazioni delle
cronache latine, ma allo stesso tempo esiste una linea prevalente che le
ripartisce in due più ampi raggruppamenti, comprendenti le opere più
importanti per la ricostruzione della storia della crociata (vedi supra §1):
un primo gruppo (Fonti A) è costituito dai cosiddetti testimoni oculari,
cioè da coloro che parteciparono direttamente alla crociata (l’anonimo
autore dei Gesta Francorum, Pietro Tudebodo, Raimondo d’Aguilers e
52
Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
Fulcherio di Chartres); un secondo gruppo invece riguarda coloro che,
non partecipando alla crociata, compilarono le loro cronache sulla base di
resoconti della spedizione, scritti ed orali, o di opere storiche precedenti:
in questo gruppo si distinguono gli scrittori riconducibili all’area tedesca
(Fonti C: Alberto di Aachen, Ekkehard di Aura, Guglielmo di Tiro, e la
Historia vie Hierosolymitane di Gilone di Parigi e dell’anonimo di Charleville), ed altre fonti indipendenti che fanno capo ad altre aree geograiche
(Fonti D: Rodolfo di Caen e Caffaro di Caschifellone). Inine, si segnalano
i rifacitori degli anonimi Gesta Francorum (Fonti B: Baldrico di Bourgueil,
Guiberto di Nogent, Roberto il Monaco, Ugo di Fleury, Ernico di Huntingdon e i due resoconti anonimi chiamati Historia belli sacri e Expeditio
contra turcos).
Le iliazioni che gli storici hanno potuto ricostruire fra le cronache più
antiche riguardano in primo luogo le cronache ritenute le più importanti
per la storia della prima crociata. Gli ultimi editori e studiosi dei Gesta
Francorum e della cronaca di Tudebodo, J. H. Hill e L. L. Hill, ipotizzano,
attraverso sistematici confronti testuali, che queste due opere derivino da
una fonte comune perduta che si rilette anche nel racconto della cronaca
di Raimondo d’Aguilers.111 J. France112 e J. Flori (1999:36) si associano nel
considerare valida quest’ipotesi. Il Flori, in particolare, si domanda quale
possa essere la natura di questa fonte ignota, che egli chiama convenzionalmente “SC” (source commune). Richiamando in causa la nota menzione,
nell’opera di Ekkehard, del ritrovamento a Gerusalemme di un “libretto”
che narra la storia della prima crociata,113 il Flori formula una nuova ipotesi (1999:38): quest’opera misteriosa di cui parla Ekkehard, e che sarebbe
stata la sua fonte, potrebbe essere la “SC” a noi ignota, ed il suo autore
potrebbe essere un crociato tedesco venuto con Pietro l’Eremita e i primi
pellegrini, o con Goffredo di Buglione; quest’autore sarebbe rimasto a Gerusalemme ino alla morte di Goffredo e sarebbe rientrato in seguito in
patria nel 1100 fornendo ad Alberto di Aachen una delle basi documentarie sulle quali poggia la sua storia, la sola che parla di Pietro l’Eremita
e dei crociati che passarono per la Germania. Il Flori aggiunge dunque
anche l’opera di Alberto di Aachen e quella di Ekkehard fra le cronache che avrebbero attinto alla fonte “SC”, comune ai Gesta Francorum ed
alle cronache di Tudebodo e Raimondo d’Aguilers. Le altre iliazioni fra
le cronache che gli storici hanno potuto stabilire riguardano i rifacitori
dei Gesta Francorum, che ovviamente hanno come loro fonte l’anonimo
normanno; stesse considerazioni valgono per i rifacitori di Fulcherio. In
111. Hill and Hill 1974:1–12; Pietro Tudebodo, pp. 8 e 21.
112. France però afferma cautamente che non è possibile dimostrare che i Gesta Francorum
derivino da una fonte scritta (2003:58–59).
113. Ekkehard di Aura, Hierosolymita (Schmale e Schmale-Ott 1972:148?) (RHC, Hist. Occ.
V:21): “Legimus Iherosolime libellum a loco presenti totam huius historie seriem diligentissime prosequentem [. . .]”.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
53
particolare, la cronaca di Orderico Vitale riprende il suo racconto della
crociata dall’opera di Baldrico di Bourgueil, e risulta quindi secondariamente dipendente dal racconto dei Gesta Francorum.
Per quanto riguarda invece le cronache di area germanica, il problema delle iliazioni interessa in particolar modo anche i rapporti con i
poemi della crociata. Su queste relazioni si è discusso a lungo fra gli storici
e i critici, ma per avere una visione più chiara, e testualmente motivata,
sulle opere del ciclo della crociata dobbiamo attendere però il 1976, con S.
Duparc-Quioc che elabora uno studio approfondito e sistematico dell’Antioche giovandosi soprattutto di una nuova edizione critica da lei elaborata.114 Per la studiosa francese, Graindor de Douai sarebbe intervenuto
su un testo poetico che già aveva subìto numerose alterazioni delle quali
i manoscritti riportavano le tracce, e confrontando il poema con le cronache di Alberto di Aachen e Roberto il Monaco ricostruiva quello che,
secondo lei, era il testo della perduta chanson di Riccardo il Pellegrino.
Attraverso una comparazione testuale attentissima115 cercava di stabilire
le relazioni fra i testi ed affermava, con ragione, che Alberto di Aachen
aveva conosciuto ed utilizzato la chanson di Riccardo, e che dunque quei
passi dell’Antioche che mostravano un’analogia con la cronaca di Alberto
dovevano essere spia della presenza della canzone originaria. Graindor
de Douai invece sarebbe intervenuto più tardi rimaneggiando il poema e
completandolo con delle parti intere (talvolta citazioni letterali) riprese
dalla cronaca di Roberto il Monaco, cronaca diffusa e di gran moda al
tempo del rimaneggiamento (la ine del XII secolo). Con l’operazione del
rimaneggiamento, Graindor avrebbe inoltre creato il nucleo ciclico fondamentale Antioche-Chétifs-Jérusalem. La tesi della Duparc-Quioc si riassume
con uno schema esplicativo (vedi sotto).
Gesta Francorum
[Riccardo il Pellegrino]
Roberto il Monaco
Alberto di Aachen
Chanson d’Antioche
(versione di Graindor de Douai)
Di recente Jean Flori, occupandosi di ricostruire la storia di Pietro
l’Eremita, è ritornato sulla questione accostandosi in parte alle tesi della
Duparc-Quioc. Secondo lui sarebbe impossibile provare l’esistenza di
un’Antioche primitiva attribuibile a Riccardo il Pellegrino e ricostruirne
114. Antioche, vol. II. Per i rapporti di iliazione dei poemi della crociata cfr. anche DuparcQuoic 1970.
115. Vedi le note alla sua edizione dell’Antioche, vol. I.
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Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
il testo, ma allo stesso tempo l’ipotesi dell’inesistenza di questo poema
e dell’origine tardiva e letteraria dell’Antioche non può essere provata e
non rende conto della totalità dei fatti osservati; pertanto, secondo lui,
l’esistenza di un’Antioche primitiva sarebbe fortemente probabile (Flori
1999:59). Anche per il Flori, Alberto di Aachen si sarebbe ispirato ad una
versione primitiva dell’Antioche, e quindi non sarebbe Graindor ad aver copiato Alberto.
Osserviamo adesso in particolare i rapporti fra l’opera di Alberto di
Aachen e le altre cronache latine collocabili fra nord-est della Francia e
regione renana. Per far questo il Flori chiama in causa la Historia vie Hierosolymitane, poema latino sulla prima crociata composto prima del 1110 da
Gilone di Parigi e completato prima del 1118 da un poeta anonimo della
regione di Charleville.116 La parte attribuita a Gilone, secondo il moderno
editore del testo, si rifaceva principalmente a delle tradizioni orali lotaringe, ma derivava anche da una fonte rimata, nota a Roberto il Monaco.
L’anonimo di Charleville, per colmare le lacune del racconto di Gilone,
attinge invece ad una fonte epica di cui poteva disporre anche Alberto
di Aachen e che, secondo il Flori, poteva essere l’Antioche primitiva: le numerose analogie fra il poema latino e la canzone sulla conquista di Antiochia fanno pensare, infatti, che entrambe dovevano aver attinto ad una
fonte rimata comune. Alberto di Aachen e l’anonimo di Charleville possono aver avuto accesso ad un’Antioche primitiva e a numerosi tradizioni
orali relative a Goffredo di Buglione che circolavano allora nella regione
di Charleville, situata proprio ad una ventina di chilometri dal castello di
Bouillon (cfr. Flori 1999:61; Grocock 1996).
Altro aspetto degno di nota è che la Historia Hierosolymitana di Alberto
di Aachen, pur derivando in parte dalla “SC” (secondo l’ipotesi del Flori),
si colloca, dal punto di vista ideologico, in una posizione quasi totalmente
indipendente dalle fonti dei testimoni oculari. La sua cronaca è il migliore testimone della tradizione (ripresa da altre fonti germaniche e da
Guglielmo di Tiro) che fa di Pietro l’Eremita non tanto uno dei capi della
prima crociata o uno dei predicatori di essa, ma soprattutto l’iniziatore
della crociata in seguito ad una rivelazione divina che avrebbe ricevuto al
Sepolcro durante un pellegrinaggio e della quale abbiamo già discusso.
Questo fatto, a dir poco macroscopico, basterebbe da solo a collocare sullo
stesso ramo della tradizione non solo l’Antioche e la cronaca di Alberto di
Aachen, ma anche la Jérusalem che offre ugualmente grande spazio alla
igura di Pietro l’Eremita. Dovendo dunque trarre le conclusioni di questa lunga analisi dell’elemento storico nella Chanson de Jérusalem, la presenza di numerosi materiali narrativi e di particolari testuali comuni mi
porta a formulare l’ipotesi che la Jérusalem e la cronaca di Alberto di Aa116. Gilone di Parigi e anonimo di Charleville, Historia vie Hierosolymitane (Grocock e Siberry 1997). La Duparc-Quioc chiama erroneamente l’autore del poema Folco: cfr.
Duparc-Quioc 1987.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
55
chen avessero una fonte storica comune di area germanica, lorenese/lotaringia per l’esattezza. Quest’ipotesi sarebbe inoltre suffragata dall’analoga
situazione che la Duparc-Quioc ha riscontrato per l’Antioche (vd. schema
precedente), dove i rapporti con la cronaca di Alberto di Aachen servivano da indicatori dei passi del poema riconducibili ad una canzone originaria. La situazione della Jérusalem potrebbe pertanto essere riassunta dal
seguente schema derivativo:
[fonte storica ignota]
Alberto di Aachen
Chanson de Jerusalem
I riscontri della Jérusalem con la cronaca di Alberto di Aachen si osservano
soprattutto nella parte centrale del poema, quella che narra dell’assedio e
della conquista della città; riguardano inoltre la igura di Goffredo, la sua
visita al Sepolcro e l’incoronazione. Alcuni episodi della battaglia inale
ad Ascalon completano, inine, tutta la parabola storica della conquista
della Città Santa offrendoci un nucleo compatto e coerente all’interno
della più ampia e leggendaria narrazione del poema. È possibile, dunque,
che la fonte storica ignota della Jérusalem narrasse proprio di questi eventi,
e fosse incentrata sulla igura di Goffredo come capo della crociata e re
di Gerusalemme. Che poi questa fonte storica fosse stata in rima, e chi
sa, magari fosse proprio la chanson di Riccardo il Pellegrino, o invece un
testo di natura cronachistica, magari la fonte “SC” di cui parla il Flori,
non ci è dato sapere data la mancanza di testimonianze dirette o indirette. Ma gli elementi similari che compaiono nelle parti del poema il cui
racconto si svolge in parallelo a quello delle cronache (ll. 1–6: spedizioni
di vettovagliamento davanti Gerusalemme; ll. 37–41: consiglio di guerra;
ll. 45–51: disposizione dei capi davanti alle mura; ll. 66–78: secondo consiglio di guerra, formarsi delle schiere e primo assalto alla città; ll. 97–112:
nuova formazione delle schiere e secondo assalto; ll. 133–136: terzo assalto;
ll. 146–150: riiuti della corona di Gerusalemme offerta ai capi crociati),
unitamente al ripetersi in queste lasse di motivi legati alla guerra e all’assedio (il formarsi delle échelles, il motivo della sete, le donne che soccorrono
i combattenti portando l’acqua, l’uso delle macchine da guerra, gli assalti
al suono del corno) ci presentano tratti poetico-stilistici più antichi e ci
potrebbero far pensare piuttosto che la fonte storica ignota fosse proprio
un componimento in rima.
Ancor più misteriosi, inine, rimangono gli aspetti relativi alla datazione e alla lingua di questa fonte. Se da un lato è legittimo pensare che
si tratti di una cronaca rimata in volgare risalente agli anni precedenti
la seconda crociata, dal momento che la storiograia in volgare inizia a
diffondersi quarant’anni dopo la prima crociata e ad avere il suo rigoglio
56
Romance Philology, vol. 63, Spring 2009
a metà del secolo,117 dall’altro lato potrebbe trattarsi benissimo di una
fonte latina, poiché anche la storiograia in questa lingua continua ugualmente ad essere iorente ed a produrre opere di grande diffusione118 che
potrebbero sicuramente aver inluenzato un poeta volgare della ine del
XII secolo.
Filippo Andrei
University of California, Berkeley
Sigle
Salvo diversamente indicato, i testi delle fonti sono citati dalle seguenti edizioni:
Antioche, Chanson de
Jérusalem
Duparc-Quoic 1977–1978
Thorp 1992
Per facilitare il lettore nella consultazione delle fonti storiche, alle opere citate
secondo le edizioni moderne aggiungeremo fra parentesi anche il riferimento
al testo nelle edizioni del Recueil des Historiens des Croisades, Historiens occidentaux (RHC, Hist. Occ.), 5 vols. Paris: Académie des Inscriptions et Belles-Lettres,
1844–1895.
Cronache latine della Prima Crociata
Alberto di Aachen
Historia Ierosolimitana
(Edgington 2007)
117. Sono di quest’epoca l’Estoire des Engleis (1139–1140 c.) di Geffrei Gaimar e la Vie d’Henri
Ier, roi d’Angleterre (1140 c.) opera perduta di un certo David (Sumberg 1968:370); abbondanti le opere storiograiche a partire dalla metà del secolo, soprattutto in ambito anglonormanno, con i testi derivati dalla Historia Regum Britanniae di Goffredo
di Monmouth (cfr. Legge 1963 e Meneghetti 1979 a cui rimando per una panoramica
della letteratura anglo-normanna e per le edizioni moderne dei testi); i romanzi di
Wace, il Roman de Brut (1155) e il Roman de Rou (1160–1174); la Chronique des ducs de
Normandie (1174 c.) di Benoît de Sainte-Maure; l’Histoire de la guerre d’Escosse (1173–
1174) di Jordan Fantosme; il Roman de Mont-Saint-Michel (1130–1180) di Guillaume de
Paier; la Vie de Thomas Becket (1174 c.; in alessandrini e lasse monorime) di Guernes de
Pont-Sainte-Maxence. Fra queste sappiamo che le opere di Gaimar, Wace e Benoît de
Sainte-Maure erano basate su modelli latini (cfr. Sumberg 1968:369–370). Sappiamo
però che, mentre una ricca storiograia latina si accompagna sin dall’inizio alle spedizioni crociate, queste vengono narrate in volgare solo alla ine del XII secolo con
l’Estoire de la guerre sainte (1195–1196) di Ambroise d’Evreux, e poi agli inizi del XIII
con le traduzioni di Guglielmo di Tiro (Roman d’Eracles, Chronique d’Ernoul), la Conquête de Costantinople (1202–1204) di Geoffroi de Villehardouin e la continuazione
(1208–1209) di Henri de Valencienne (Histoire de l’empereur Henri de Costantinople), la
Conquête de Costantinople (1205 circa) di Robert de Clari, la Histoire (1218–1243) di Philippe de Novare (che sopravvive nelle Geste des Chiprois, una compilazione trecentesca
di Gérard de Montréal), o la Histoire de Saint Louis (1272) di Jean de Joinville (cfr. Di
Girolamo 1994:281–285 e la bibliograia segnalata; Jacoby 1984).
118. Basti pensare a Guglielmo di Tiro, per cui vedi Krey 1941; Smalley 1979:159–204.
Alberto di Aachen e la Chanson de Jérusalem
Caffaro di Caschifellone
Fulcherio di Chartres
Gesta Francorum
Guglielmo di Tiro
Guiberto di Nogent, Dei gesta
Pietro Tudebodo
Raimondo d’Aguilers
Roberto il Monaco
Rodolfo di Caen
57
De Liberatione Civitatum Orientis Liber
(Belgrano 1890) RHC, Hist. Occ. V, parte I:41–73 (1895)
Fulcheri Carnotensis Historia Hierosolymitana (1095–1127)
(Hagenmeyer 1913)
[Anon.] Gesta Francorum et aliorum Hierosolimitanorum
(R. Hill 1979 [1962])
Willelmi Tyrensis archiepiscopi chronicon
(Huygens 1986)
Guitbertus abbas Novigenti Dei gesta per Francos
(Huygens 1996)
Petrus Tudebodus, Historia de Hierosolymitano itinere
(J. H. Hill e L. L. Hill 1977)
Raymundus de Aguilers, Historia Francorum qui ceperunt
Jerusalem (J. H. Hill and L. L. Hill 1969)
Robertus Monachus, Historia Iherosolymitana,
RHC, Hist. Occ. III:717–882 (1866)
Radulfus Cadomensis, Gesta Tancredi in expeditione
Ierosolimitana, RHC, Hist. Occ. III:603–716 (1866)
Opere citate
andrea, alfred j., ed. 1993. “The Devastatio Costantinopolitana, a Special Perspective on the Fourth Crusade: An Analysis, New Edition, and Translation”. Historical Relections/Rélections historiques 19:107–149.
andrei, filippo. 2005. Le fonti storiche e letterarie della “Chanson de Jérusalem”. Tesi di
dottorato, Università di Siena.
aubé, pierre. 1987. Goffredo di Buglione. Trad. italiana di Pierre Aubé, Godefroy de
Bouillon (Paris: Fayard, 1985). Roma: Salerno Editrice.
Baldrico di Bourgueil, Historia Hierosolymitana. In RHC, Hist. Occ. IV:5–111 (1879).
Bartolfo di Nangis, Gesta Francorum Iherusalem expugnantium. In RHC, Hist. Occ.
III:524–526 (1866).
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Fig. 2. Schema derivativo delle fonti storiche latine della prima crociata.
Lasse/Versi
Sezione narrativa
Tavola delle fonti
Cronologia
Fonti (Cfr. = quando il riscontro con
la fonte non è certo)
Arrivo a Gerusalemme:
1
Commozione e lacrime di gioia
7 giugno
Alberto di Aachen V, 45:402
Guglielmo di Tiro VI, 25
Roberto il Monaco 863
2–17
6 giugno
Cfr. Alberto di Aachen V, 42–45:396–402
Fulcherio di Chartres I, 25, 6–17
Cfr. Raimondo d’Aguilers 139
Gesta Francorum X, 37:87–88
Spedizioni di rifornimento
9 giugno
35–38
Discorso di Pietro l’Eremita
12 giugno
[cfr. 8 luglio]
Cfr. Alberto di Aachen VI, 2:406
Gesta Francorum X, 37:87–88
Raimondo d’Aguilers 139
Cfr. Alberto di Aachen VI, 7–8:412–414
Pietro Tudebodo 137–138
35
Descrizione dall’alto della città
Cfr. Gesta Francorum X, 38:98–99
Fulcherio di Chartres I, 26, 1–12
Rodolfo di Caen 683D–685B
Preparativi di guerra:
39–41
Consiglio di guerra
13 giugno
Alberto di Aachen VI, 2:406
42–44
Assalto interrotto
13 giugno
Alberto di Aachen VI, 2:406
Raimondo d’Aguilers 139
Gesta Francorum X, 37:88
Pietro Tudebodo 135
Roberto il Monaco 864B
Guiberto di Nogent VII, 6, 271
Fulcherio di Chartres I, 27, 1–5
Rodolfo di Caen 688
44
Secondo consiglio: decisione
di costruire le macchine
45–51
Posizioni dei capi intorno alla città
Primo assalto (canto III):
76 (vv. 2134–2136;
Dato cronologico del primo assalto
vv. 4451–4454)
15 giugno
Alberto di Aachen VI, 2:406
Gesta Francorum X, 38:89–90
Roberto il Monaco 863D
Guiberto di Nogent VII, 6, 275
Cfr. Alberto di Aachen VI, 6:463–464
Gesta Francorum X, 37:87
Raimondo d’Aguilers 137–138
Pietro Tudebodo 134
Roberto il Monaco 863
13 luglio
Gesta Francorum X, 38:90
Pietro Tudebodo 139
Guiberto di Nogent VII, 6, 276
78–79 (vv. 2233–2234)
Tentativo di escavazione dei Tafurs
Alberto di Aachen VI, 2:406
80–81
Assalto alle porte S. Stefano e Monte Sion
Alberto di Aachen VI, 9–12:414–418
Fulcherio di Chartres I, 27, 7
Raimondo d’Aguilers 147
Gesta Francorum X, 37:90
Pietro Tudebodo 139
Roberto il Monaco 866
(vv. 2311–2315)
Riempimento del fossato
(vv. 2313–2319)
(v. 2327)
Protezioni delle macchine
Vasi con liquidi incendiari
Secondo assalto (canto IV):
107
Incendio delle macchine
109 (vv. 3520–4352)
Una trave scagliata dalle mura
notte fra il 13
e il 14 luglio
Alberto di Aachen VI, 9:414
Raimondo d’Aguilers 147
Gesta Francorum X 38:89 91
Pietro Tudebodo 139
Alberto di Aachen VI, 11:416–418
Alberto di Aachen VI, 16:424
14 luglio
Fulcherio di Chartres I, 27, 6
Alberto di Aachen VI, 18:426
(continued)
Lasse/Versi
Sezione narrativa
Conquista della città (canto V):
130–131
Consiglio di guerra e consultazione
dell’eremita del Monte degli Olivi
Cronologia
Fonti (Cfr. = quando il riscontro con
la fonte non è certo)
[8 luglio?]
Alberto di Aachen VI, 7:412
15 luglio
Alberto di Aachen VI, 10:416
Alberto di Aachen VI, 18:426
136 (vv. 4624–4627)
(vv. 4660–4663)
L’ariete sfonda le mura
L’aceto estingue il fuoco alle macchine
137 (vv. 4717–4719)
Goffredo getta un ponte sulla muraglia
Fulcherio di Chartres I, 27, 8
Guglielmo di Tiro VIII, 18, 409
140
Ingresso nella città e strage per le strade
Alberto di Aachen VI, 21:430
141
Biasimo per Raimondo di Saint Gilles
Una gara ad accaparrarsi gli ediici
della città
Alberto di Aachen VI, 28:438–440
Fulcherio di Chartres I, 29, 304
142–143
Visita di Goffredo al Sepolcro e al Tempio
Alberto di Aachen VI, 25:434–436
143
I cadaveri dei saraceni cremati fuori
della città
17 luglio
Gesta Francorum X, 39:92
Pietro Tudebodo 142
Roberto il Monaco 869
146–150
Riiuto dei capi ed elezione di Goffredo
22 luglio
Alberto di Aachen VI, 33:446
159
Battesimo nel Giordano
28 luglio
Cfr. Raimondo d’Aguilers 153
Fulcherio di Chartres I, 32, 1
Gli ultimi tre canti:
189–191
Astuzie dei saraceni
Cfr. Alberto di Aachen VI, 42:456–458
Gesta Francorum X, 39:94–95
Roberto il Monaco 873
Pietro Tudebodo 145
Guiberto di Nogent VII, 17, 296
213–214
Processione intorno a Gerusalemme
e messa a Betlemme
10 agosto
Raimondo d’Aguilers 144–145
Gesta Francorum X, 39:94
Pietro Tudebodo 145
Roberto il Monaco 872–873
215 (vv. 7838–7842)
Ritrovamento della Vera Croce
233–272
Battaglia di Ramleh
266
Lamenti del Sultano
Raimondo d’Aguilers 306HK
Gesta Francorum X, 39:96–97
Pietro Tudebodo 147–148
Roberto il Monaco 877
272
Fuga per mare dei saraceni
Alberto di Aachen VI, 47:464–466
Raimondo d’Aguilers 307AB
Gesta Francorum X, 39:97
Pietro Tudebodo 148
Roberto il Monaco 879
272
Ricchezze conquistate dai crociati
e razzie fra le tende dei saraceni
Alberto di Aachen VI, 47:464–466
Raimondo d’Aguilers 307
Roberto il Monaco, p. 879
Pietro Tudebodo 149
Fulcherio di Chartres I, 31, 10–11
Cfr. Alberto di Aachen VI, 38:450
Fulcherio di Chartres I, 30
12 agosto
Anna Comnena III:32–33
Caffaro di Caschifellone 560E