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Illuminismo rocaille: Villa Verri a Biassono

Il sistema delle residenze nobiliari. Italia settentrionale, a cura di M. Fagiolo, De Luca editore, Roma 2009, pp. 173-178.

Illuminismo rocaille: villa Verri a Biassono VITTORIA ORLANDI BALZARI Un tipico Angerdorf giocato sul primato della parrocchiale e dell’asse della Monza-laghi: questo lo schema urbano di Biassono che emerge dalla lettura catastale. Al tempo dei Verri era netto il prevalere del settore agricolo e delle attività connesse, con la conseguente organizzazione concentrata del nucleo urbano circondato dai campi. Si trattava perciò di un centro di attività agricola che avrebbe potuto essere autosufficiente per la relativa vicinanza con Monza se fosse stato interessato anche dal commercio; di qui l’iniziativa di don Gabriele Verri che nel 1753 fece ufficiale richiesta al Senato di creare a Biassono un mercato 1: ed edificio cittadino. Scontato ma pur sempre desolante il “riassetto” post-bellico: tutti i terreni circostanti sono ora occupati da costruzioni di varia natura e l’asse viario è stato spostato sul retro dell’edifico, sede dal 1970 del Municipio (fig. 1). In origine la villa appariva come un palazzo cittadino nella sua fronte principale verso strada, e come villa se osservata dai giardini. Oltre giardini si estendevano i terreni coltivati a càrpini, vigne e orti, quindi a carattere intensivo, mentre nelle zone più ampie e distanti si coltivava il grano in modo estensivo. La prospettiva dal salone centrale a pianterreno, affrescato dai fratelli Galliari, era quindi ad infinitum, di grande effetto. Nel 1558 il Pietro Antonio Verri possedeva un terreno di circa nel centro delle province del ducato di Milano giace il villaggio di 330 pertiche, altrettante ne possedeva il fratello Benedetto, ecBiassono Pieve di Desio, altre volte Borgo, ora luogo quanto popoclesiastico. Costoro probabilmente furono i primi della famiglia lato, altrettanto povero, attesta la mancanza d’ogni commercio. Per a sentire l’esigenza di affermare sul territorio il proprio casato, supplire a questo grave difetto anche a vantaggio delle ville circoncon un espediente comune a molte famiglie all’inizio della loro vicine, opportuno sarebbe, che vi s’instituisse un piccolo mercato, ascesa sociale e economica; ciò è testimoniato dal Gualtieri che per la minuta contrattazione di que’ Terrieri e de’ circostanti, non aveva visitato la villa nel 1858: “Nel palazzo esiste un’iscrizione essendovene alcuno, che non sia distante, tolto quello di Monza. antica: voto di Petronio Vero a Ercole: HERCULI PUBLIUS / PETRONIUS / VERRUS V.S.L.M.” 3. Si tratta evidentemente di Pare che l’intervento di don Gabriele abbia sortito il risultato una falsa lapide antiquaria, come accadeva alla fine del Cinquesperato, e nella zona di Monza vennero creati mercati non solo cento, per legittimare una più antica discendenza, di stampo ana Biassono ma anche a Vimercate e Gorgonzola, mettendo così cora umanistico. Proprio a quest’epoca si fa risalire il primo nuin stretta relazione piazze diverse ma vicine: ciò sicuramente fu cleo di villa Verri, e le attestazioni fandiarie della famiglia a Biaspossibile anche grazie alle migliori condizioni della viabilità losono 4. cale 2. Non a caso villa Verri si trovava sull’antica strada che da Il feudatario non residente era il marchese Crevenna, ma per Monza immetteva nel centro di Biassono e proseguiva verso nord. estensione di terreni i Verri erano secondi con 3.530 pertiche, La visibilità dell’edificio era innegabile, anche prima della rigrazie anche all’acquisto nel 1737 di palazzo Bossi dal marchese strutturazione, resa perciò necessaria dal ruolo predominante che Galeazzo, con annessi, e dato subito in affitto a uso di abitaziogradualmente la famiglia Verri stava acquistando. ni e botteghe, e il 25 maggio1757 del Luogo Pio delle quattro Dalla mappa catastale teresiana si vede infatti che due terzi del 5 Marie . Da un documento databile al periodo delle divisioni ereterritorio e della cittadina appartenevano ai Verri: i possedimenti ditari, quindi post 1783 6, è emerso che palazzo Bossi non fu il si estendevano in tutta la porzione occidentale di Biassono, con nucleo originario di villa Verallargamento verso sud, dori e si trova sul lato opposto vuto all’acquisto delle terre e della strada. È quindi da prepalazzo dei conti Bossi. È da ferire la ricostruzione proponotare inoltre che sia villa Versta da Bai: l’analisi dei materi che le coeve seppur moderiali di costruzione della villa, ste villa Crivelli e Sagramora perlopiù di pessima qualità e lo stesso palazzo Bossi si innella parte centrale, attesta l’oseriscono nel centro del tesrigine fine cinquecentesca delsuto urbano, in prossimità del l’edificio. Dopo che Carlo sagrato della parrocchiale di S. Verri ebbe rilevato la villa, paMartino, determinando la lazzo Bossi rimase a Pietro morfologia della cittadina Verri, che in parte lo affittò in stessa. Gli edifici citati, tutti parte e vi ospitò il fattore Cazprovvisti di giardino, nascono zaniga con la famiglia dopo lo come case cittadine, lasciando sfratto dalla villa. al di fuori del villaggio i posIl mecenatismo della nobile fasedimenti agricoli, mentre vilmiglia milanese dei Verri avla Verri è circondata dai proviene in concomitanza con l’apri terreni, dunque appare coscesa socio-politica di Gabrieme una armoniosa sintesi tra le Verri, padre di Pietro, e del Ma n ca c ol l o ca z i on e ). 1. Biassono (Mi), villa Verri ora Comunale.Pianta (M insediamento isolato, rurale 1 2. Biassono, villa Verri. Cancellata d’ingresso (scomparsa) in una foto d’epoca. fratello monsignore Antonio, poi primicerio del duomo 7. Nel 1749 il conte Gabriele era stato nominato senatore e nel 1752 aveva partecipato al Congresso di Varese – dove furono stabiliti i confini definitivi tra Svizzera e Lombardia dopo la guerra di Successione austriaca – che gli valse il titolo di reggente del Supremo Consiglio d’Italia 8. Con questo titolo di “Signor Conte Reggente”, come lo indicava sprezzantemente Pietro nelle sue lettere, le possibilità economiche aumentarono. Per rafforzare il prestigio appena raggiunto, Gabriele e Antonio imitarono le grandi famiglie milanesi nel lusso domestico e per prima cosa ristrutturarono la villa di Biassono, considerata villa di famiglia, luogo inizialmente deputato a rappresentare l’aristocraticità dei Verri prima dell’acquisto del palazzo di Milano. La villa constava di 74 ambienti comprensivi anche dei locali agricoli, contro i 105 della residenza di Milano. Nel 1759 l’edificio di Biassono era stato l’unica abitazione di proprietà della famiglia Verri, che in Milano risiedevano in affitto dai marchesi di Soncino, vicino a palazzo Stampa. L’esigenza di ritrutturare la villa di famiglia venne perché l’edificio preesistente non permetteva modi di vita e di rappresentanza comodi e adeguati al nuovo rango acquisito. Per usare le parole di Mozzarelli, la nobiltà milanese del periodo teresiano era “una società che si riconosce e autodefinisce attraverso una pratica sociale” 9 e questa, a metà del Settecento, era la villegiatura. Di qui la necessità di edificare una villa, nella maggior parte dei casi di ristrutturare e adeguare alle nuove esigenze un edificio preesistente, villa come “mezzo di autolegittimazione aristocratica e di distinzione di ceto, strumento di governo della società” 10. Infatti essendo i maggiori proprietari di Biassono dopo i feudatari, i Verri si alternavano anche nell’amministrazione comunale. Che l’edificio sia stato costruito non seguendo un progetto unitario ma nel tempo, per sovrapposizione e giustapposizione, partendo dall’antico nucleo centrale, lo dimostra il fatto che, nelle 2 descrizioni inventariali della villa, nel 1783 dopo la morte di don Gabriele, e nel 1797, dopo la morte di Pietro, sembra che non vi siano collegamenti diretti tra la parte padronale, che occupa solo la parte centrale dell’edificio, e le due ali 11. Si può ben ravvisare come precedente villa Brentano a Corbetta, progettata solo un decennio prima da Francesco Croce 12: vi si nota lo stesso schema compositivo e la divisione degli spazi interni, ma più semplificato, con il corpo centrale rialzato, chiamato “Cappuccina”, e il loggiato, in questo caso non comunemente ad arcate, ma a trabeazione; similissime in entrambe le ville sono le strutture portanti dei cancelli, più vicine a eleganti apparati effimeri che a quinte scenografiche, sebbene la Bossaglia abbia ritenuto più vicini a quelli della rimaneggiata villa Penati di Monza 13 I cancelli, e direi anche la struttura, sono stati trasferiti a Rovellasca, a villa Crivelli Sormani per discendenza 14. Alla severità e semplicità della struttura, contrasta il fasto degli affreschi interni, atteggiamento tipicamente lombardo. Anche nella scelta della definizione degli spazi interni, dove “il maschio centrale è reso trasparente con la successione di due ambienti: il porticato e la sala, ampiamente finestrata, così da costituire una possibilità di legame ottico tra la corte e i giardini” 15 ci si rifa a un tópos delle ville milanesi. Come giustamante ha evidenziato il Langé, “lo schema a U ravvisato nelle ville settecentesche maggiori è pertanto un’astrazione della sola parte padronale” 16. Nel nostro caso la realizzazione della seconda ala avvenne dopo 35 anni la ritrutturazione della casa padronale, e comprendeva anche ambienti di servizio. In questa scelta, oltre all’uso di un portico centrale sostenuto da due colonne doriche, a trabeazione, in contrasto con i movimenti delle cornici delle finestre e dell’eleganza dei balconcini a ferro battuto, è possibile ravvisare una componente classicista. Nella biblioteca di Carlo Verri di Biassono che, come sappiamo dalle vicende ereditarie di famiglia, aveva rilevato gran parte della biblioteca paterna di Milano, si trovavano tutte le principali edizioni da Vitruvio, oltre ai più conosciuti trattati di architettura dal Cinquecento al Settecento 17. Due tipi di villa furono dedotti da Palladio: la prima “dove gli elementi della casa potevano essere separati come forme distinte e disposte in modo gerarchico, con gli appartamenti al centro, affiancati da “edifici annessi” (cucine, stalle)” e la seconda “come un unico blocco intorno a un cortile, dove gli edifici potevano essere collocati intorno a un forum” 18. Villa Verri appartiene al primo gruppo. Pur dovendo registrare la deprecabile perdita di tutte e quattro le cartelle della sezione Beni stabili del fondo Verri che riguardavano esclusivamente la proprietà di Biassono, è miracolosamente sopravvissuto un documento inedito quanto illuminante, dal significativo titolo “Spese fatte del proprio da monsignor primicerio Verri nella Casa nobile e Giardini di Biassono, delle quali il valore rimane confuso colle generale migliorie” 19: inizio spese prima del 1747 per il pagamento di “un camino di marmo nero per li mezzani” pagato al “Picasassi” Schira e per gli “Ornati di sei Pogioli e l’arma” allo stuccatore Domenico Muttoni. Da questo pagamento si deduce che la ristrutturazione dell’edificio era ormai conclusa, mentre, come la critica ha più volte evidenVITTORIA ORLANDI BALZARI 3. Biassono, villa Verri. Ingresso. 4. Biassono, villa Verri. Facciata principale. ziato, il completamento della corte con l’edificazione dell’ala sinistra che definisce la struttura a U, avvenne in seguito all’acquisto della torre Turconi del conte Ippolito nel 1775, “incuneata nel complesso edilizio dei Verri” 20. In oltre il 20 agosto 1768 Pietro scriveva al fratello Alessandro a Roma che lo zio primicerio fabbricava “in villa una bellissima stalla” 21. I lavori più importanti per la decorazione dell’edificio si concentrano tra il 1748 e il 1749, dove a questa data sono rilevati i pagamenti ai fratelli “Galleari per fregi di n° 8 stanze” e “la Salla abbasso, Portico e Scalone”. Questa notizia ci permette si sapere sia l’entità dei lavori eseguiti dai quadraturisti piemontesi, sia quali stanze forono da essi dipinte: in effetti, fin’ora si ignorava che anche lo scalone, presumibilmente il soffitto, e il portico fossero dipinti e proprio dai celebri artisti. Come si vede dalle sbiadite foto d’inizio secolo della raccolta fotografica Spreafico, pubblicate dalla Bossaglia, si trattava di decorazioni rococò che ornavano le sale principali della villa 22: a ridosso del soffitto correva una fascia continua a elementi architettonici e vegetali a trompe-l’oeil, ripresi nelle sovrapporte, creando l’illusione di elaborate cimase, secondo il gusto del tempo. Completavano la decorazione, oltre ai “passasotto”, alcuni paesaggi racchiusi entro cornici dai profili irregolari, altro espediente illusionistico che dava la sensazione di veri quadri. In un altro salone si vedeva come l’uso del trompe-l’oeil si estendeva alle intere pareti creando finti prospetti a scenografici colonnati che annullano il limite spaziale della stanza ampliandola a dismisura, quasi che la sala fosse un casino aperto su un giardino all’italiana, un Grand Trianon nel cuore della provincia lombarda. Quelle dei Galliari non furono le uinche decorazioni che ornarono villa Verri: negli stessi anni sono registrati i pagamenti a Giuseppe Ripamoni “per li fregi di sei stenze”, a Onorato Gubbiolo “per fregi e altri ornati”, al Nava “per ornati alla stanza presso la scaletta”. La scaletta forse è la scala tutt’ora visibile nell’ala destra dell’edificio (fig. 3): l’unica parte mantenuta fedelmente dai restauri, a una rampa, semicircolare, illuminata da due ampie finestre, decorata da un’elegante ringhiera in ferro battuto, simile ai ferri dei cancelli originali. La presenza poi di due nicchie nella parete suggerisce una soluzione vicina al classicismo inglese, raro precedente in Lombardia. In oltre, si spesero 327 lire per “serramenti dipinti” a opera di Antonio Bonacina. Le stanze non di rappresentanza, furono dipinte dall’impresa “Antonio Zeriati, Perotta, Cietti, e Giovanola Compagni per n. 21 Soffitta di stanze dipinte negli anni 1748” oltre alla “stanza in volto”. Nel 1750 è registrato il pagamento per la sistemazione del giardino: “Al Giardiniere del S.r Co. D. Giulio Visconti per il disegno del Sig. Ing.re Galliari eseguito sul Parter del Giardino”: probabilmente si tratta del conte Giulio Visconti Borromeo, che forse prestò ai Verri uno dei realizzatori di parte del giardino della sua villa di Lainate. La scelta del parterre “alla francese” era quasi una scelta obbligata perché permetteva al committente di segnalare visivamente, in modo costoso e scenografico, il proprio potere sul territorio 23; in oltre ben si armonizzava alle scelte esteILLUMINISMO ROCAILLE: VILLA VERRI A BIASSONO tiche applicate alla decorazione degli interni. In una cartella del fondo Sormani Andreani Verri presso l’Archivio di Stato di Milano sono conservati 22 disegni di edifici, per lo più planimetrie, purtroppo prive di firma autografa e senza titolo, che, non potendo essere distinte tra quelle dei Sormani e quelle di pertinenza Verri, giacciono ignote e neglette 24. Un disegno pare essere molto vicino ai progetti originari di villa Verri, mostrando una struttura abitativa a L in espansione verso sud-est, la corte ancora occupata da elementi di partienza differente (la proprietà Turconi?) e soprattuto il giardino adiacente sulla sinistra, confermato dalle mappe catastali, a parterre, spazi rettangoli in successione che rachiudono siepi modellate a volute e spirali, tipica soluzione alla francese. C’è da chiedersi se i giardini (che erano tre attorno alla villa e uno di fronte, un tempo dei Bossi) fossero ornati di statue o fontane, dato che nell’attuale giardino comunale di fronte al Municipio si trova una fontana dalle linee barocche che al centro presenta due putti che sostengono la vasca elevata (fig. 4). 3 5. Biassono, villa Verri. Facciata posteriore. 6. Biassono, villa Verri. Stalla oggi sede della Biblioteca Comunale. Da questo momento, fino all’esecuzione della scuderia nel 1768 sembra che l’attenzione dello zio Primicerio si concentrasse sui giardini, in particolare nella realizzazione di prospettive dipinte dal pittore Ricardi, e per i ferri battuti dorati dei cancelli detti “teatri” per la disposizione a esedra dei pilastri sormontati da vasi ornamentali. Nel 1768 avviene la realizzazione della celebre scuderia, oggi adibita a biblioteca pubblica, edificio a volte e campate a tutto sesto sostenute da colonne a capitello dorico, semplice, elegante, con una netta definizione degli spazi, scanditi anche alle pareti da paraste, luminosissima, che riprende soluzioni di stampo prettamente neoumanistico (fig. 5). Una nuova campagna di interventi si concentra negli anni 176869 con i pagamenti al pittore Fontana “per aver dipinto il nuovo oratorio e l’altra controstanza”, ai Bonacina e Sangiorgio di Monza “per aver dipinto la stanza di Pogiolo verso la Chiesa”, al pittore Stornino “per aver dipinte due piccole stanze del Casino annesso alla casa da Nob:e verso strada”, infine “all’imbiancatore Bergonzoli per imbiacatura di tutte le facciate della casa, Pilastri di giardini”: al 5 agosto 1769 l’edificio nel suo complesso era concluso: mancava solo l’ala sinistra, di cui forse il “casino annesso” costituiva un primo troncone in attesa di acquistare e smantellare la torre Turconi. Purtroppo non sappiamo a quale santo fosse dedicato l’oratorio al primo piano nobile, dato che gli inventari parlano sono di “9 quadri di carta rappresentanti Istorie sacre con cornice a vernice d’oro”. Tra il 1775 e il 1778 i pagamenti riguardano spese per materiali edilizi per l’ala mancante con realizzazione di un cortile laterale, che costrinsero a spostare i pilastri in serizzo e i muri di cinta: “Al Pirovano di Viganò per n. 6 vasi di cornettone per li 4 Pilastri del nuovo Cortile e Giardino, e due sopra la cinta del Cortil grande”. Si nota come i Verri siano legati alla tradizione locale sfruttando materiali locali come il serizzo e il cornettone, granito e travertino lombardi. Il legame con i Galliari continua nel tempo e il 18 agosto 1778 registra il pagamento “Al S.r Fabrizio Galleari per n. 19 Finte di 4 Finestre”. Il nome di questo Galliari era già stato ipotizzato dalla Bossaglia essere l’artista che realizzò la decorazione della stanza al piano nobile dove un tempo si leggeva la data 22 maggio 1749, oggi scomparsa, e che forse è ravvisabile anche in quel ingegner Galliari che produsse il disegno del parterre 25. Non ci sono testimonianze esaurienti del tempo per sapere come fosse villa Verri nel Settecento, e il breve accenno di un visitatrice d’eccezione, la marchesa Margherita Gentili Sparapani Boccapaduli, nel 1794 non può soddisfare la nostra curiosità: “è una bella casa con molti giardini e grandi campagne” 26, né al commento del suo accompagnatore: “Veniamo da Monza dove abbiamo veduto la Villa di Sua Altezza Reale, e tre miglia aistante siamo andati alla terra di Biassono, dove la nostra casa ha la sua maggior possidenza. La signora si è divertita, e non l’è sembrata indifferente quella nostra villeggiatura” 27; ma forse, attraverso le parole di Pietro Verri si possono cercare delle analogie in un articolo pubblicato nel 1764 nella rivista da lui fondata, il “Caffè”, dal significativo titolo Le Delizie della Villa – non la villa di delizie in senso rococò – un titolo di sapore squisitamente umanistico: si vuole sottolineare l’importanza delle attività “dilettevoli” a scapito dell’edificio, che doveva essere funzionale, non fastoso. Eppure qualcosa potrebbe trapelare della villa Verri, iniziando dalla sua collocazione fisica: “Io sono adunque in una villa lontana da […] quattr’ore, cioè circa dieci miglia italiane, appunto quanto basta ad allontanare dai rumori della città e dalle visite importune lasciandovi comodamente godere degli avvantaggi che si fanno nella vicinanza della capitale” 28. Lo stesso si può dire del giardino: “Il giardino, che resta dalla parte opposta del viale, è tutto sul gusto francese a parterre, circondato da due remote allées di portici verdi; questo è propriamente fatto pel gusto del secolo” 29. Anche in negativo le parole di Pietro Verri possono illuminarci, al di là del gusto personale dell’economista: “i quadri offuscano le stanze, piacciono al primo colpo d’occhio, poi vi si avvezza e non se ne sente che l’oscurità e la tetraggine” 30. Infatti dall’inventario del 1783 si deduce che la maggior- VITTORIA ORLANDI BALZARI 7. Biassono, villa Verri. Decorazione (oggi scomparsa) delle mostre delle porte al piano nobile, in una foto d’epoca. parte dei dipinti che ornavano la villa erano figure di santi e paesaggi. Stesso discorso per i mobili: “I mobili di questa casa sono fatti corrispondentemente; qui non vedrete oro né argento, ma tutte le sedie e le tavole comode, durevoli e lisce, cosicché maneggiandole non trovate angoli o asprezza che conservi la polve o v’imbratti o laceri in verun conto” 31. Pietro, che viveva sotto il tetto paterno, non era estraneo alle scelte decorative della famiglia e anzi si risentiva se non veniva interpellato: “A Biassono si fabbrica senza mia saputa nemmeno”, scriveva amareggiato ad Alessandro. Eppure i fratelli Verri indicano più spesso lo zio monsignore, rispetto al padre, come colui a cui si debbono maggiormente i lavori di arredo e il gusto barocchetto sia per la villa di Biassono che per il palazzo al Monte: “quale ha fin’ora dato legge di buongusto nella eccellentissima casa [...] ha fabbricato, distrutto, mobigliato, per dritto e per traverso”. In realtà lo zio Antonio e don Gabriele erano comproprietari dei possedimenti di famiglia, e agivano di comune accordo, per il bene comune della casa e della casata, come sempre accadeva spesso nelle famiglie lombarde del tempo 32. Proprio il Primicerio si trasferì a Biassono alla morte del fratello Gabriele per trascorrevi gli ultimi anni di vita lontano dalle lotte ereditarie dei nipoti. Apparentemente l’avvversione di Pietro e Alessandro per la proprietà biassonese è sempre stata giudicata dalla critica di natura contestatoria, basandosi sulle famose lettere del 30 marzo e del 7 aprile 1776 e sull’astio dei figli nei confronti del tirannico Gabriele: essa rappresentava l’autorità paterna, l’ancien régime di famiglia, il vetusto e opprimente passato. Pietro ad Alessandro: “Io non mi lascio mai vedere in quel maledetto luogo ove non trovo che sensazioni dolorose. Se un giorno potrò darvi il mio voto, il primo sarà di abbattere da’ fondamenti, un casa, che detesto”. Risposta di Alessandro a Pietro: “Io pure già do con te il mio voto per spianare il barbaro casamento di Biassono [...]. È veramente una fabbrica antidiluviana e quel che è peggio costa assai” 33. Io credo che il disamore verso la villa sia di natura estetica, come testimonia il gusto classicista di entrambi i fratelli attraverso i propri scritti e le committenze. Eppure Pietro non sembra essere stato del tutto assente da quel maledetto luogo, se le testimonianze coeve rivelano che “qui passava alcuni mesi dell’anno lo storico e economista di questa famiglia” 34. Sicuramente villeggiava spesso prima del 1787, anno della divisione ereditaria, e ciò è comprovato dalla presenza di alcuni oggetti tipicamente di Pietro che gli inventari ci hanno tramandato: infatti nella Stanza ammezzata, si trovava “un busto rappresentante Sua Eccellenza la Signora Contessa Verri Castiglioni di gesso” senza valore (così si definivano gli effetti personali, che non dovevano far parte delle stime), l’amatissima Marietta, prima moglie di Pietro, che egli venerava ancora anni dopo la morte, già risposato, apponendo una lunga epigrafe nella sua tomba e volendo esserne sepolto accanto: si tratta forse di quella copia per il fratello Alessandro che fu fatta dal busto in marmo dello scultore Giuseppe Franchi, eseguita nel 1781 su commissione dell’affranto vedovo 35. In oltre ILLUMINISMO ROCAILLE: VILLA VERRI A BIASSONO nella stanza annessa allo studio che lisquana verso il giardino si trovava un “quadro o. 22x28 rappresentante il ritratto di sua eccellenza Conte Presidente Don Pietro Verri con cornice a vernice”. Essendo l’oncia la dodicesima parte del braccio milanese e si calcola corrispondente a 4,95 cm, si deduce che il dipinto in questione non poteva essere il famoso ritratto di Pietro in veste da camera che indica un passo delle Filippiche, essendo quest’ultimo di dimensioni nettamente inferiori e riferibile con certezza a un altro ritratto, che si trovava nel palazzo di Milano. Un’altra scelta dovuta forse a Pietro è la presenza di “8 quadri grandi al traverso di carta rappresentanti medaglie degli Imperatori Sommi Pontefici” che decoravano il corritore al primo piano, conoscendo la sua passione numismatica. Infatti nell’inventario del 1797 leggiamo che sono sopravvissuti un “quadro al traverso rappresentanti principi e sovrani in medaglie di carte con cornice ingessata” e “3 ovatini rappresentanti Principi con cornice dorata”. Rimasero a Pietro anche i “dodici altri piccoli con vetro di carte rappresentanti Bestiami del Londonio con cornice tinta rossa” 36. 5 8. Biassono, villa Verri. Fontana nel giardino. Come Orazio scriveva al suo fattore nell’epistola XIV, libro I, così Pietro Verri, con atteggiamento volutamente simile al poeta romano, intrattenne un fitto epistolario col fattore di Biassono – anche dopo aver ceduto la sua quota ereditaria della villa in cambio di una rendita fondiaria 37 – del quale aveva cieca fiducia, affidandogli la gestione incondizionata dei suoi beni terrieri: “il Cazzaniga e tutta la sua patriarcale famiglia è affezionata a noi, e fa come una emanazione del ceppo nostro” 38. In effetti il ruolo del fattore di Biassono è giustamente paragonato dal Pongolini al “castaldo”, intermediario tra il padrone e i pignoranti, un supervisore di tutte le attività agricole che teneva l’amministrazione delle singole rendite. Più ancora del padre e dello zio, Pietro Verri affidava ogni compito a Giovanni Battista Cazzaniga in sua vece, evitandone ogni rapporto con Biassono. Di diverso avviso fu Carlo, penultimo dei fratelli di Pietro, che spesso vi aveva villeggiato durante la spensierata gioventù, e che divenne beneficiario della proprietà alla fine di un ennesimo contenzioso nel 1787, e vi dimorò sino alla fine dei suoi giorni. A differenza del fratello, vivendo stabilmente a Biassono con la compagna di tutta una vita, Teresa Colombi, preferì occuparsi direttamente della gestione agricola e patrimoniale delle sue proprietà, senza intermediari temendo la sorte di molti possidenti che “abbandonandosi alla direzione di qualche agente, ragioniere o fattore, depauperando se stessi scemano la pubblica ricchezza” 39. Carlo trasformò la tenuta da tradizionale campagna a fattoria sperimentale, studiando gli innesti più produttivi, e incrementando la coltura dei gelsi e la produzione dei bachi da seta. Egli si era reso conto che un’agricoltura razionalizzata era foriera di maggiore produttività, quindi di guadagno, avvantaggiando non solo sé stesso ma anche i familiari dei quali curava terreni e interessi, soprattutto dopo la morte di Pietro. Quest’ultimo, sempre scettico a qualsiasi cambiamento riguardasse la famiglia e le sue 6 emanazioni patrimoniali, si lagnava col fattore per le innovazioni apportate dal fratello minore, come il taglio dei càrpini, tipico arredo dei giardini all’italiana, da parte di Carlo: “mi figuro che il giardino diventa un orto e la brera ritorna una vigna” 40. Interessante è il nome che Pietro da a un terreno di proprietà Verri, la brera, termine per indicare la braida, quella zona periferica dei centri abitati lasciato incolto, che anticamente apparteneva alla comunità, e dai più poveri frequentata. Il fatto che questa zona invece fosse di proprietà privata dei Verri permette due ipotesi: si tratta di un toponimo, per indicare una parte di un campo aperto a riposo tra i vari a coltura, oppure ci troviamo di fronte a una forma di enclosure italiana: forse si trattava dell’antica braida comune, come fa supporre il nome di una via che tutt’ora costeggia la parrocchiale di Biassono, chiamata appunto via della brera, inglobata gradatamente dai Verri nelle stesse modalità della chiusura degli open fields inglesi 41. Alla morte di Carlo la proprietà venne divisa equamente in undici piedi, ripartendoli fra i nipoti, ma venne rilevata in toto dall’erede di Pietro, Gabriellino, che seppe rispettare le innovazioni dello zio se ancora a metà dell’Ottocento così veniva descritto Biassono e villa Verri: “Più in là è Biassono, cinto già di mura con porte a uso di Borgo […]. Parecchie ville vi fanno ornamento, tra cui quelle dei Verri, con deliziosi giardini e di cui le vigne, i campi possono essere considerati per modelli: né altrove, in nessun altro nei contorni danno un eguale o miglior prodotto” 42. Ereditata da Carlotta Verri, unica figlia di Gabriellino, la villa, come tuute le proprietà di famiglia passarono per asse matrimoniale ai Sormani Andreani, che la vendettero nel 1913 a una immobiliare, lottizzandola. Da allora, divisa e lasciata priva di manutenzione, trascorsero molti anni, perdendo definitivamente ogni lacerto delle decorazioni settecentesche, prima che il Comune ne decise l’acquisto e la conseguente ristrutturazione integrale, nel 1970. Per ragioni pratiche quasi nessuna stanza venne risparmiata nelle decorazioni, lo scalone nobile eliminato e il portico chiuso da vetri, per ricavarne una hall. Anche le decorazioni delle finestre e dei balconi sono state modificate, salvando fortunatamente i ferri battuti. Persino l’unico camino rimasto, in un salone al primo piano, è stato rifatto in stile neorinascimentale in materiale povero, rifacendo uno stemma che forse si trovava su un camino precedente, stemma partito con a sinistra i simboli verriani, l’aquila in volo e il verrus, mentre a destra l’albero degli Orrigoni, famiglia a cui apparteneva la nonna paterna di Pietro Verri. Oggi della villa originale rimane solo una larva: la struttura, la scaletta in ferro battuto e credo la fontana nel giardino antistante. Curiosamente sono stati salvati ed egregiamente rivalorizzati due edifici annessi, quella magnifica stalla ora Biblioteca Comunale, e la casa del fattore Cazzaniga, ora Museo Etnografico e Archeologico “Carlo Verri”. Ultime vestigia da segnalare sono le strutture dei cancelli che ora chiudono l’ingresso al Giardino Comunale, ma che un tempo si aprivano verso altri giardini, vigne, campi. VITTORIA ORLANDI BALZARI 1 Milano, Archivio di Stato (d’ora in poi ASMi), Commercio p.a., cart. 154. 2 S. Zaninelli 1969, pp. 88-89. 3 L. Gualtieri 1857, p. 544. 4 F. Bai 1972-1973. 5 F. Bai 1972-73 p. 4-5. 6 Milano, Archivio della Fondazione Raffaele Mattioli (d’ora in poi AFM), Verri, cart. 75. 7 F. Pino Pongolini 1984, pp. 32-37. 8 G. Gaspari 1980, pp. 762-766. 9 C. Mozzarelli 1997, p. 167. 10 C. Mozzarelli 1997, p. 162. 11 ASMi, Verri, cart. 174/02. 12 L. Giordano in R. Bossaglia, V. Terraroli 1991, p. 404. 13 R. Bossaglia 1971, p. 128. 14 Ville della Brianza 1978, p. 202. 15 S. Langé 1972, p. 42. 16 S. Langé 1972, p. 42. 17 Per le vicende collezionistiche della familgia Verri, si veda la tesi di specializzazione di chi scrive, intitolata La famiglia Verri: mecenatismo, collezionismo e mercato antiquario tra Roma e Milano nel Settecento, a.a. 20012002, Università Cattolica di Milano, relatori L. Spezzaferro, A. Spiriti. 18 R. Tavernor 1992, pp. 54-55. 19 AFMi, Verri, cart. 75, fasc. 1. 20 F. Bai 1972-73, p. 134. 21 P. e A. Verri, II, 1910 (agosto 1768luglio 1769), a cura di F. Novati, E. Greppi, pp. 3-4. 22 Per una descrizione puntuale delle decorazioni di Villa Verri a opera dei Galliari e per un approfondimento di questi artisti piemontesi, sono ancora insuperate le due monografie: R. Bossaglia 1962, pp. 29-38, e M. Viale Ferrero 1963. 23 A. Maniglio Calcagno in E. Accati, M. Devecchi 1995, p. 14. 24 ASMi, Sormani Andreani Verri, cart. 624, disegni non numerati: per il disegno qui riprodotto tutti i diritti spettano alla Archivio di Stato di Milano. 25 R. Bossaglia 1971, p. 127, con rimando a G.P. Bognetti 1942. 26 A. Giulini 1926, p. 162. 27 Archivio della Società Storica Lombarda (d’ora inpoi ASSL), Novati, busta 47, fasc. 193.1: “Lettere di Alessandro Verri a diversi”, Lettere inviate a Domenico e Gaetano Genovesi: lettera di Alessandro da Milano, 24 dicembre 1794. 28 P. Verri ed. 1993, p. 166. 29 P. Verri ed. 1993, p. 168. 30 P. Verri ed. 1993, p. 168. 31 P. Verri ed. 1993, p. 166. 32 E. Brambilla 1981, pp. 299-362. 33 P. e A. Verri, VII, 1931 (luglio 1774dicembre 1775), a cura di E. Greppi, A. Giulini, p. 72. 34 L. Gualtieri 1857, p. 544. 35 A. Musiari 1995, p. 26. 36 M. Scola 1994, p. 61. 37 F. Pino Pongolini 1984, pp. 32-63. 38 F. Pino Pongolini 1984, p. 48-49. 39 C. Verri 1823, p. 3. 40 C. Mozzarelli 1997, p. 167. 41 C. Hill 1996; il problema delle enclosures in Europa e in particolare in Italia non è stato ancora sufficientemente indagato. 42 Gualtieri 1857, p. 544. IL VALORE DELLE COSE: IL PALAZZO DI FAMIGLIA 7