Academia.edu no longer supports Internet Explorer.
To browse Academia.edu and the wider internet faster and more securely, please take a few seconds to upgrade your browser.
…
2 pages
1 file
Giornata Internazionale di studi "Dies Alliensis. Realtà, ideologizzazione e memoria di una sconfitta romana" Roma - École Française de Rome
Studi e saggi
Realtà e memoria di una disfatta does not address either the causes of the Six Day War or the consequences that the military conflict had for Israelis and Palestinians, about which much has been written. It focuses instead on the impact of the war on Arab countries, and the weighty legacy left by the defeat of 1967, which has been much less studied. There are several references to this in the short essay by Samir Kassir, L'infelicità araba, published posthumously in Italy in 2006. In his analysis, Kassir warns against falling into the dual trap that has ensnared the Arab world for the last forty years: on the one hand the Orientalist reading that lays the blame on Islam for the delayed modernisation of this part of the world, and on the other the temptation to heap responsibility for all evils on the West. To avoid this risk, as Kassir sees it, the Arabs have to take their destiny into their own hands, shrugging off victimism and coming to terms with modernity.
Tra il 264 e il 146 a.C., il Mar Mediterraneo divenne teatro del più grande conflitto armato dell’antichità: la guerra fra Roma e Cartagine. Uno scontro che superò ogni altro per la durata, per l’entità delle forze dispiegate e le perdite umane su entrambi i fronti, per il dispendio di risorse finanziarie e – soprattutto – per le implicazioni sul futuro dell’Occidente e della civiltà in generale. Non a caso, il ricordo di questa guerra, lunga più di un secolo, si è impresso universalmente nelle coscienze, e rappresenta ancora oggi, dopo ventidue secoli dal suo epilogo, la madre di tutte le guerre di civiltà.
Bucarest, dicembre 1989, in pochi giorni si avvinghiano una rivoluzione e un colpo di Stato. Se prima l'una e poi l'altro, non è ancora chiaro. Il risultato è il crollo di un sistema che stava in piedi da più di quarant'anni. Nei due decenni successivi vanno in scena tutti i cerimoniali acquisiti dalla lavorazione della memoria: gesti di purificazione-lustrazione della classe politica e non solo, istituzione di Commissioni ufficiali per l'analisi della dittatura comunista romena o per lo studio dell'olocausto in Romania, il Consiglio Nazionale per lo studio degli Archivi della Securitate, polemiche feroci sui manuali scolastici di storia, film che rivangano situazioni e protagonisti, libri che discutono o rivitalizzano memorie. Un eccesso abbastanza caotico di memoria che non annuncia il trionfo della Storia, bensì il declino di un agire collettivo sensato. Il crollo del comunismo proprio questo ha prodotto in giro per il mondo: l'appannamento, se non la decimazione, delle aspirazioni politiche collettive. Ogni frammento della società sprigiona ora la sua particolare memoria, la monumentalizza, la vuole riconosciuta, sacralizzata e risarcita simbolicamente o materialmente. Strumento di guerra guerreggiata o di conflitto politico acuto. Il quarantenne Filip Florian ha pubblicato nel 2005 in Romania il romanzo Dita mignole [traduzione di Maria Luisa Lombardo, pp.250, € 17,50, Fazi, Roma, 2010] che subito ha varcato i confini. Una strepitosa macchina narrativa che mette in moto ingranaggi ben oliati, ma compositi: è da poco caduto Ceauşescu, il tiranno, e in una cittadina di montagna viene scoperta una fossa comune. Apriti cielo! Sono resti di detenuti politici accoppati dal regime, no, sono resti "archeologici". Vengono ufficialmente chiamati tecnici argentini esperti di desaparecidos. Si danno da fare sulla fossa militari, poliziotti, archeologi, ex detenuti politici, giornalisti, monaci stralunati. Florian vi dipana attorno storie di
https://www.dominicanes.it/predicazione/meditazioni/1532-la-guerra-e-la-vittoria.html, 2019
"In realtà, un certo tipo di ‘storia’, spesso in modo pseudo-convincente perché intrisa un po’ di eresia, illuminismo, razionalismo, scetticismo, materialismo, ateismo, hanno presentato la storia del ‘nostro’ Cristo come la storia di un fallimento. È proprio così?"
Master Thesis, 2022
A master's thesis in Ancient History that analyses the exploitations carried out in political communication and in the transmission of historical memory by Octavian Augustus, first during his multifaceted rise to power, then in the creation and legitimation - domestic and foreign - of the Principate.
Dossier Craxi, 2010
B ettino Craxi le commemorazioni le ha sempre vissute con disagio. Anzi, per essere sinceri, non gli piacevano per niente. Anche se le riusciva a costruire come esercizio di retorica politica rimanevano per lui un genere di discorso pubblico difficile da maneggiare, probabilmente perché comunque implicavano l'esistenza di un confine, quello tra la vita e la morte, da cui preferiva ritrarsi. E' per questa ragione che la moltiplicazione delle "pillole" commemorative e toponomastiche cui abbiamo assistito in questi giorni, come fossero un preliminare ai fuochi d'artifi-cio della ricorrenza decennale della sua morte, non mi pare una modalità utile da seguire nel ricordarne la figura ed il ruo-lo nella storia d' Italia. E per di più sulle pagine della rivista che fu, anche per lui, strumento importante di elaborazione e di lotta politica socialista. Più utile, ma anche più serio, è tornare dunque ad interrogar-si sull'opera politica di Bettino Craxi quale essa realmente fu: come uomo di partito e, senza contraddizione, servitore delle istituzioni repubblicane. Questo proseguiamo a fare, partendo dall'idea che ogni giudizio storico è sempre un giudizio sul presente ed insieme una interrogazione indirizzata all'avveni-re; e che cercare di comprendere cosa fu la politica mossa dal-l'uomo che dominò l'ultima fase della prima Repubblica significa indagare prima di tutto dentro noi stessi, rispondere alla domanda di cosa di vivo e di utilizzabile è rimasto di quella esperienza, di cosa di durevole e quotidiono ad un tempo di essa si è tramandato nella vita dell'Italia, infine di che cosa di quella vita ci sentiamo ancora capaci di trasmettere a coloro che verranno dopo di noi. Craxi fu socialista per tutta la vita, dalla nascita alla morte; e dal momento in cui smise i calzoni corti fu un figlio del par-tito, nel senso più pieno e tradizionale che questa scelta di vita aveva nella sua epoca, che era quella dominata dalla "Repub-blica dei partiti". Il socialismo del suo partito egli riuscì a modificarlo nel profondo, trasformandolo in maniera irrever-sibile in un moderno riformismo liberale, con ciò consenten-do che si potesse legare ad esso una classe dirigente innova-tiva; il modello di sistema politico che egli ereditò dalla Repubblica del 1948, quello fondato su di un "bipartitismo" obbligatoriamente "imperfetto", e che postulava un primato del partito sullo Stato di surrettizia derivazione fascista, egli non fu in grado di rimuoverlo: con la conseguenza di finire con l'essere la prima e principale vittima dell' inevitabile crollo che seguì al blocco del sistema. Minoritario e marginale da ogni punto di vista in quella "Repubblica dei partiti", Craxi tentò di spezzare i vincoli con-sociativi che ne derivavano appena potè muoversi, alla prima occasione utile. Agli inizi degli anni '80, utilizzando fino in fondo quella che sarebbe stata, storicamente, l'ultima "chia-mata alla fedeltà" di una guerra fredda ormai agli sgoccioli, fu in grado di dare finalmente concretezza alla sua linea del-la governabilità: una bandiera che cavalcò spregiudicatamen-te, ma che era tanto necessaria al paese quanto impraticabile per gli interessi del sistema partitocratico dominante. Essa lo portò alle realizzazioni della sua splendida stagione di gover-no, durante la quale Craxi fu in grado di dimostrare concreta-mente che era possibile andare oltre la "Repubblica dei parti-ti" e che rimuovere il vincolo consociativo che, morto De Gasperi, ne era derivato era concretamente fattibile, almeno politicamente se non ancora istituzionalmente. Se oggi proviamo a ricapitolare il risultato sistemico che egli realizzò tra il 1983 e il 1987, possiamo farci un'idea concre-ta della straordinarietà di quella esperienza. Allora un leader forte che aveva dimostrato di non essere condizionabile da mandarinati e doroteismi di ogni colore riuscì a saldare il suo buon governo con un'apertura ai ceti e agli interessi emer-genti che era insieme credibile e funzionale al progresso col-lettivo; ne derivò un corto circuito diffuso, che iniziò ad inter-rompere antichi consociativismi, operando concretamente nel ridisegnare e modificare la rete corporativa che aveva fruttifi-cato su di essi. È in questo quadro che va collocato anche l'aumento della corruzione che si realizzò in quegli anni, giacchè esso muo-veva da una ragione politica propria: un movimento in qual
2002
Secondo la tradizione, l'impero romano d'occidente sarebbe "caduto", per usare l'espressione entrata in uso, i primi giorni di settembre dell'anno 476 d.C., a seguito della "deposizione" del suo ultimo sovrano, Romolo Augusto(lo), da parte di un capo barbaro, ma inquadrato nelle forze armate romane, di nome Odoacre. Ma cosa accadde effettivamente in quei lontani giorni e, soprattutto, quale percezione ne ebbero i contemporanei? In buona sostanza: ci fu qualcuno che si rese conto della "caduta dell'impero romano"? E "quando" se ne sarebbe reso conto? A che distanza dai fatti? E poi, che cosa rimane? Di quali fonti disponiamo? Cosa sappiamo di questa percezione e, soprattutto, quali risultati avrebbe avuto tale "caduta"?
Minoranze negli Imperi. Popoli fra identità nazionale e ideologia imperiale. Atti della LIII Settimana di Studio (Trento, 19-22 settembre 2011), a c. di B. Mazohl, P. Pombeni, Bologna 2012, pp. 19-33
Ogniqualvolta si è misurato con la vicenda storica di grandi entità statuali sovranazionali, consistenti in strutture di potere in grado di esercitare un'egemonia diretta o indiretta su entità politiche o statuali minori, il pensiero occidentale ha riconosciuto l'impossibilità di prescindere dal confronto con l'Impero romano, assumendolo quale archetipo e termine di paragone a cui una riflessione plurisecolare ha inevitabilmente ricondotto tutte le esperienze imperiali successive a quella di Roma; la quale, ovviamente, è andata a sua volta incessantemente ridefinendosi sulla scorta dei modelli teorici e delle griglie interpretative che quella medesima riflessione ha via via formulato e messo a punto, in un ripensamento continuo dell'idea stessa di Impero di cui mi limiterò qui a prendere brevemente in esame solo alcune linee, a mio parere di un certo interesse, proprie della più recente storia degli studi.
Lete e i musei. Modi, forme e ragioni del dimenticare nei luoghi della memoria, a Cura di N. Barrella, Luciano editore, Napoli, 2024
In this contribution, I aim to explore the issue of oblivion in terms of the loss of connection with historical and cultural heritage or, more broadly, in the sense— which became rather prevalent in German philosophy from the late 19th century onward—of a "crisis of historical consciousness."
American Journal of Physical Anthropology, 2009
Comportamento organizacional: uma perspectiva brasileira, 2007
SSRN Electronic Journal
Hrvatsko obvezno pravo u poredbenopravnom kontekstu, 2022
Food Structure, 2014
Materials Today: Proceedings, 2018
European Journal of Archaeology, 2017
Cluster, 2004
Carnegie Middle East Center, 2019
IOP Conference Series: Materials Science and Engineering
The Journal of Thoracic and Cardiovascular Surgery, 2018
Scientific Reports
Nordic Journal of Health Economics
European Journal of Mental Health, 2021