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Note sui Santi Cosma e Damiano. 1

Il Canon Romanus, ovvero la preghiera di offerta e di rendimento di grazie che costituisce il punto centrale della celebrazione eucaristica, ha origini e sviluppi ancor oggi in buona parte sconosciute. Per quanto se ne faccia risalire il nucleo centrale almeno al IV secolo con Damaso (366-384), dovrebbe tuttavia datarsi al pontificato di Gregorio Magno (590-604), tra l'altro, anche la definitiva selezione dei santi che sono ricordati nella sezione del Communicantes, il cui elenco si conclude coi nomi di Cosma e Damiano: privilegio di non poca importanza, essendo essi gli unici rappresentanti del santorale orientale, a documentarne fama e venerazione.

Considerazioni sulla santa narrazione dei curatori divini Il Canon Romanus, ovvero la preghiera di offerta e di rendimento di grazie che costituisce il punto centrale della celebrazione eucaristica, ha origini e sviluppi ancor oggi in buona parte sconosciute. Per quanto se ne faccia risalire il nucleo centrale almeno al IV secolo con Damaso (366-384), dovrebbe tuttavia datarsi al pontificato di Gregorio Magno (590-604), tra l’altro, anche la definitiva selezione dei santi che sono ricordati nella sezione del Communicantes, il cui elenco si conclude coi nomi di Cosma e Damiano: privilegio di non poca importanza, essendo essi gli unici rappresentanti del santorale orientale, a documentarne fama e venerazione. Anche la preghiera eucaristica ambrosiana inserisce a mezzo della sezione del Communicantes i nomi di Cosma e Damiano prima dell’elencazione specifica milanese: tenuto conto che questa parte della liturgia ambrosiana potrebbe affondare le radici nell’ambiente nordafricano e che indubbiamente si tratta di una forma arcaica del Canon Romanus, non sfugge il ruolo considerevole dei santi medici esaltato dalla loro presenza nella liturgia in forma normativa (canone); né si trascuri il fatto che la liturgia praticata nella sede di Como, a partire dalla “fondazione” ambrosiana della chiesa lariana, non poteva che essere “ambrosiana”. Accanto a documenti propriamente storici, agiografici, nonché archeologici, non è affatto trascurabile il versante eucologico, rigorosamente controllato dal potere ecclesiastico almeno dal momento in cui le controversie cristologiche e la conseguente preoccupazione per l’ortodossia finiscono per orientare verso formulari liturgici fissi, superando definitivamente la probabile improvvisazione eucologica originaria mediante il passaggio dall’oralità alla scrittura. Nel Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae, che viene a concludere il travaglio documentario dell’agiografia dei santi Cosma e Damiano, al 17 ottobre è assegnata la Memoria dei santi anargiri Cosma e Damiano e dei loro tre fratelli Antimo, Leonzio ed Euprepio (o Eutropio), coralmente menzionati, oltre che nei martirologi medioevali, ancora nel Martyrologium Romanum del Baronio. Abbandonata infatti la compagnia degli altri tre fratelli, a Roma il culto è installato da Felice IV (526-530) addirittura nel Foro romano. Lungo il percorso della riappropiazione dello spazio pubblico urbano da parte della chiesa di Roma, i magazzini delle spezie orientali e delle erbe officinali (horrea Piperataria), selezionati quale spazio funzionale alla cura della sanità del corpo in un ambito tradizionalmente destinato all’esercizio della medicina, non lontano dal tempio dei prodigiosi figli di Zeus, Castore e Polluce (Templum Castorum) - manifesto esempio dell’importazione di un culto greco già al tempo di Roma arcaica -, furono destinati alla chiesa intitolata ai santi Cosma e Damiano, nelle vicinanze delle acque salutari del lacus Iuturnae, la fonte della ninfa Giuturna, alla quale la leggenda fa abbeverare i cavalli dei Dioscuri. Trattandosi di edifici di proprietà del fiscus imperiale, fu l’ariana Amalasunta, reggente per il figlio Atalarico, a concederli al vescovo di Roma Felice IV: congiungendo alcune delle aule sud-occidentali del templum Pacis, sorto in parte sugli horrea Piperataria, con il cosiddetto tempio di Valerio Romolo, figlio di Massenzio, che ora si preferisce interpretare come ricostruzione massenziana del tempio di Giove Statore, egli collegò in tal modo la chiesa alla Sacra via, ossia con l’asse stradale più antico e più importante del Foro medesimo. Si compì allora un intervento dai molteplici significati, se si considera che si trattò del primo caso di riuso di un edificio pubblico e del primo impianto cristiano all’interno del Foro, che sanzionavano il miglioramento dei rapporti tra la chiesa di Roma e la corte di Ravenna e tra questa e la corte di Costantinopoli. Venustissime fabricavit [sc. basilicam] ebbe a chiosare Ioannes Hymmonides diaconus Romanus nella vita di Gregorio Magno ancora alla fine del IX secolo. A Roma e nella chiesa latina la loro commemorazione è assegnata al 27 settembre, in verosimile ricordo della dedicazione della basilica forense. Proprio Giustiniano, infatti, restaurò ed abbellì la più importante delle sei chiese che a Costantinopoli erano state erette ai santi medici fin dalla metà del V secolo, il santuario del Kosmidion, ov’era l’urna con le loro reliquie, vera e propria clinica sacra, come ringraziamento della sua guarigione dalla peste bubbonica nel 542, secondo il particolareggiato racconto di Procopio di Cesarea. E’ in questo sito, coincidente con il quartiere costantinopolitano tardoantico che ricorre nelle fonti sotto il termine di τὰ Παυλίνου, che si verificarono le innumerevoli guarigioni raccolte nel Libellus miraculorum Cosmae et Damiani. Un secolo prima, il vescovo di Kyrrhos (a nord-est di Antiochia, nell’Euphratensis), Teodoreto aveva ricordato il tentativo di incendio della basilica dei santi, nell’ambito delle controversie cristologiche post-efesine, con ciò documentando, a metà del V secolo, la diffusione del loro culto nelle parti orientali, che toccherà presto anche Edessa, Gerusalemme e Tessalonica. Il processo di risemantizzazione del culto dei Dioscuri, che pare evidente a Roma, si verificherebbe già a Costantinopoli, secondo quanto ebbe a sostenere nei primi anni del ‘900 Ludwig Deubner, in polemica con Ernst Lucius, che pochi anni prima aveva stabilito un collegamento tra il culto dei due santi e il santuario di Asclepio di Aegae. E’ nella Vita di Costantino che Eusebio di Cesarea si sofferma sulla lotta dell’imperatore contro il «demone cilicio» venerato nel santuario di Aegae ch’egli fa abbattere e che sarà ricostruito da Giuliano (361-363) - secondo il Chronikon di Giovanni Zonara – nel tentativo di reificare i monumenti di una sacralità “pagana” violentemente distrutta. La tesi del Deubner venne radicalmente demolita da Hippolyte Delehaye, contrario ad ogni tentativo di leggere la diffusione del culto degli anargiri in termini di cristianizzazione della pratica dell’incubazione; a sua volta, però, contestato da altri studiosi, a sottolineare quasi l’impossibilità di stabilire maggiore o minore credibilità ad una versione agiografica o ad un'altra e di risolvere alfine la vexata quaestio. E’ ad ogni modo chiaro che, moltiplicandosi i luoghi di culto e le relative feste liturgiche, andarono proliferando anche i racconti agiografici, a tal punto da pervenire alla tipica struttura dello sdoppiamento, frequentemente verificabile da parte della critica moderna. In essi, tramite elaborazioni tardive frutto del processo di leggendarizzazione, parte preponderante vennero ad assumere i miracoli finalizzati alla guarigione corporale, praticando i due santi la medicina tout court, diversamente da altri, per così dire, più specializzati. Viventi «semiofori del sacro», mutuando ed interpretando la definizione di Krisztof Pomian, la narrazione delle loro imprese taumaturgiche, lungi dall’attenersi ad una uera historia, è abilmente orchestrata dal punto di vista letterario e propagandistico in funzione di una nuova soteriologia. Peraltro la lettura liturgica delle loro passiones, così come le prime testimonianze scritte dei miracoli e la disseminazione delle reliquie (al di là dell’impossibile riconoscimento del luogo della deposizione dei loro corpi) comportarono l’uscita dallo spazio sacro della sepoltura e l’avvio di una geografia santuariale, che fu resa possibile a partire dall’età costantiniana al fine di marcare la presenza dell’invisibile nelle città dapprima e nelle campagne successivamente. 2