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La tavola reale alla corte di Carlo Alberto, 2022

in: Splendori della tavola. Le argenterie di Charles-Nicolas Odiot, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Reale, 17 marzo – 17 luglio 2022) a cura di Enrica Pagella e Franco Gualano, Cinisello Balsamo, Silvana, 2022

Nuove pratiche e nuovi spazi L' età di Carlo Alberto costituì un punto di svolta nella pratica dei pranzi di corte. Sino alla fine del Settecento, e poi di nuovo con la Restaurazione, il sovrano mangiava da solo o con la famiglia. Nessuno era ammesso alla tavola del sovrano, se non, in alcuni casi, le dame della regina. I pranzi pubblici, assai comuni nel corso del Seicento, erano stati abbandonati a partire dal 1713 1. Solo quando la corte si trovava in villeggiatura, i visitatori erano ammessi ad assistervi 2. Le pratiche sabaude incontravano allora il plauso della maggior parte dei viaggiatori stranieri, soprattutto dei francesi, i quali coglievano lo stridente contrasto con quelle di Versailles. È importante notare, però, che già nel 1771 Giuseppe Baretti, in un memoriale inviato da Londra a Vittorio Amedeo III (allora erede al trono) gli suggeriva d'utilizzare la tavola reale come un luogo in cui invitare e conoscere le migliori forze del Paese. Il consiglio era quello di tenere "una cena privata ogni sera, e tante sere la settimana" e invitarvi "gente scelta e capace di suggerire cose utili" 3. Una proposta troppo avanzata per una corte i cui costumi erano sostanzialmente refrattari ad ogni innovazione, e che vedeva, anzi, nella continuità secolare delle proprie pratiche (a volte vera a volte presunta) una fonte di legittimazione. A cambiare la situazione-ma solo parzialmente-fu, sessant' anni dopo il consiglio di Baretti, Carlo Alberto. A raccontarlo è Luigi Francesco des Ambrois de Névache (1807-1874), che del re fu a lungo intendente e poi ministro 4 , nei suoi Notes et souvenirs inédits:

Andrea Merlotti La tavola reale alla corte di Carlo Alberto Nuove pratiche e nuovi spazi L’età di Carlo Alberto costituì un punto di svolta nella pratica dei pranzi di corte. Sino alla fine del Settecento, e poi di nuovo con la Restaurazione, il sovrano mangiava da solo o con la famiglia. Nessuno era ammesso alla tavola del sovrano, se non, in alcuni casi, le dame della regina. I pranzi pubblici, assai comuni nel corso del Seicento, erano stati abbandonati a partire dal 17131. Solo quando la corte si trovava in villeggiatura, i visitatori erano ammessi ad assistervi2. Le pratiche sabaude incontravano allora il plauso della maggior parte dei viaggiatori stranieri, soprattutto dei francesi, i quali coglievano lo stridente contrasto con quelle di Versailles. È importante notare, però, che già nel 1771 Giuseppe Baretti, in un memoriale inviato da Londra a Vittorio Amedeo III (allora erede al trono) gli suggeriva d’utilizzare la tavola reale come un luogo in cui invitare e conoscere le migliori forze del Paese. Il consiglio era quello di tenere “una cena privata ogni sera, e tante sere la settimana” e invitarvi “gente scelta e capace di suggerire cose utili”3. Una proposta troppo avanzata per una corte i cui costumi erano sostanzialmente refrattari ad ogni innovazione, e che vedeva, anzi, nella continuità secolare delle proprie pratiche (a volte vera a volte presunta) una fonte di legittimazione. A cambiare la situazione – ma solo parzialmente – fu, sessant’anni dopo il consiglio di Baretti, Carlo Alberto. A raccontarlo è Luigi Francesco des Ambrois de Névache (1807-1874), che del re fu a lungo intendente e poi ministro4, nei suoi Notes et souvenirs inédits: Charles Albert invitait presque tous le jours à sa table quelqu’une des notabilés du Pays sans distiction de naissance.5 [...] Il dinait, entouré da la famille Royale et de sa cour en uniforme ou en costume de cour. A sa table le jours de conseil siégeaient aussi les ministres. er l’autore: inserire riferimenti infratesto alle immagini fig. 1 Massimo d’Azeglio, Nizza valorosamente difesa scampa dall’assedio dei francesi e dei turchi (1543), olio su tela, 1837. Torino, Musei Reali, Palazzo Reale, Appartamento dei Principi di Piemonte, Sala rossa Questo tipo di pranzi, che si svolgeva anche quando si riunivano il Consiglio di Stato e le altre più alte istituzioni del Paese, non era registrato nei cerimoniali di corte. Pur svolgendosi a palazzo, infatti, non era considerato una funzione di corte. Solo una volta il conte Paolino Gazelli di Rossana, maestro di cerimonie dal 1822 al 1844 (dal 1834 col titolo di gran maestro) nei suoi pur molto precisi registri cerimoniali accenna ad uno di essi, un pranzo per il Consiglio di Stato, tenutosi nel febbraio 1843 con trentasei commensali6. Des Ambrois notava che alla tavola privata del re erano invitate persone sia nobili sia borghesi, persino studiosi ed intellettuali: una assoluta novità rispetto a quanto era stato sino allora: Presque toujours y étaient invités des fonctionnaires éminents ou des personag- 51 ges distingués dans les arts, les sciences ou les lettres ou des étrangers de distinction qui avaient obtenu una audience. Après le diner le Roi s’entretenait avec ses commençaux, ayant toujours quelque mot gracieux pour chacun; puis il se retirait dans ses appartements et bientôt aprés se couchait.7 Carlo Alberto, quindi, affiancò alla pratica dell’ammissione (quella per cui ad un evento di corte poteva partecipare solo chi ne avesse diritto per il ruolo ricoperto) quella dell’invito. Esser invitati a pranzo dal re era un evento che non lasciava certo indifferenti. Ne ha lasciato una testimonianza Genova Thaon di Revel (1817-1910) nei suoi Ricordi. Nell’estate del 1841, giovane ufficiale, era stato invitato dal re a pranzare alla sua tavola. Genova non si faceva illusioni: all’epoca suo fratello maggior Ottavio (1803-1868) era primo ufficiale al ministero delle Finanze. “Era una prova di benevolenza del re per mio fratello”, scriveva, “ma figurarsi l’impressione prodotta in un tenentino da un invito personale alla tavola reale”8. E a scrivere così era l’esponente d’una delle più importanti famiglie della nobiltà piemontese, avvezzo alla vita di palazzo. Anche Carlo Alberto, peraltro, dava grande importanza a tali inviti. Il senatore Francesco Salata, curatore nel 1931 dell’edizione dei diari del re giunti sino a noi, racconta che nel manoscritto il sovrano riportava ogni giorno la nota degli invitati. Purtroppo egli ha espunto tali elenchi, rendendo quindi impossibile (almeno per ora) ogni riflessione che se ne potrebbe ricavare9. È interessante notare che sia des Ambrois de Névache sia Thaon di Revel cogliessero l’importanza che il sovrano partecipasse ai pranzi sempre in divisa: Le Roi se considérait constamment comme un suprème fonctionnaire dans l’exercise de son autorité et dans l’accomplissement de ses devoirs. Il ne recevait qu’en costume officiel (celui de général d’armée). Il dinait dans ce costume.10 Thaon di Revel, da parte sua, conferma che il re vestiva sempre in uniforme e solo nei pranzi in villeggiatura la smetteva, per indossare un abito di panno blu11. La nascita dei pranzi ad invito non mancò di avere ripercussioni anche sugli spazi dei palazzi reali destinati ad accogliere la tavola del re. Carlo Alberto, infatti, nel 1837 decise di far approntare una nuova Sala da pranzo per il Palazzo Reale di Torino. La decorazione della sala mirava a dare alla sala un senso politico immediatamente percepibile dagli ospiti e dai visitatori. A raccontarlo era Carlo Alberto stesso all’amica Maria di Robilant. “Si è deciso di decorarlo con scene storiche rappresentanti sia battaglie sia fatti rimarchevoli riguardanti Casa Savoia”, scriveva il re12. Ad occuparsi della sala fu chiamato per primo Francesco Gonin incaricato di dipingere la volta della sala con un affresco che raffigurava il conte Umberto Biancamano che, nel 1035, sfidava il conte Oddone de Cham- 52 pagne, agendo come “paladino dell’imperatore Corrado”, per riprendere ancora le parole dello stesso Carlo Alberto13. A rimarcare ancora il senso politico della decorazione, a Gonin fu chiesto anche di dipingere negli angoli le allegorie delle principali province dello Stato. In un primo momento il re coinvolse nella decorazione altri due pittori: Massimo d’Azeglio, per raffigurare la presa di Varna da parte di Amedeo VI e la difesa di Nizza contro le truppe franco-ottomane, e Ferdinando Cavalleri, che avrebbe dovuto raffigurare la contessa Adelaide che favoriva la riconciliazione a Canossa fra papa e imperatore e la presentazione del Baiardo al duca di Savoia. Nel 1840 Bertolotti scriveva nella sua Descrizione di Torino che la sala era decorata con “le battaglie de’ principi della Real Casa, pinte dal Cavalleri, dal d’Azeglio e da altri artisti piemontesi”14. Negli anni successivi, però, la decorazione sembra esser stata affidata alle opere del solo d’Azeglio, nel frattempo divenuto – oltre che pittore e letterato di spicco – anche protagonista della vita politica del regno. Nel 1858 Clemente Rovere scriveva, infatti, che la decorazione della sala era interamente affidata a sei quadri di battaglia, tutti opera di d’Azeglio15. La decorazione della Sala da pranzo andava letta, poi, insieme a quella della contigua Sala del caffè. Anche in essa le opere erano pressoché interamente dedicate alle glorie militari e culturali della dinastia (dipinti dedicati all’eroismo di Pietro Micca e Maria Bricca erano accostati all’accoglienza del Tasso da parte di Emanuele Filiberto e alla fondazione dell’università di Torino)16. La scelta dei soggetti delle opere pensate per queste sale acquista un senso solo se si pone mente al nuovo ruolo che la politica carloalbertina aveva dato ai pranzi di corte ed alla sociabilità ad essi relativa. La rimozione di tali opere in seguito ai riallestimenti delle sale voluti dalla regina Margherita nel suo inconfondibile barocchetto hanno quindi privato tali spazi del senso primo-->originale? che Carlo Alberto aveva loro voluto imprimere. I pranzi di gala Se la quotidianità dei pranzi di corte non ha lasciato particolare traccia di sé nei cerimoniali e pare sfuggire, almeno per il momento, ad una possibile ricostruzione, così non è per i pranzi di gala, tipica cerimonia di corte. Un esempio fra questi era quello che si teneva ogni anno, la sera del 2 ottobre, per il compleanno del re, il genetliaco. La giornata s’apriva alle 6 con lo sparo di dodici colpi di cannone, e vedeva un susseguirsi di cerimonie militari, fra cui una lunga sfilata in piazza Castello, cui la Casa Reale assisteva da Palazzo Reale. Nel loro carattere militare, in effetti, tali feste mostravano ancora una forte continuità con quelle nel Settecento. Per la corte, però, il clou della giornata era la sera. Questa iniziava alle 18 con il pranzo di gala. Esso, peraltro, costituiva solo uno dei pranzi ufficiali che si svolgevano contemporaneamente in città per il compleanno in onore del so- 53 fig. 2 Veduta della Sala da pranzo, direzione di Emilio Stramucci, 1886-1899. Torino, Musei Reali, Palazzo Reale, Appartamento di rappresentanza vrano. Fra questi spiccava per importanza quello che il segretario di Stato per gli Affari Esteri offriva nel suo palazzo al corpo diplomatico. Il pranzo precedeva la soirée a palazzo in onore del festeggiato, che terminava di norma fra le 22.30 e le 23, e cui venivano invitati anche coloro che avevano partecipato agli altri pranzi ufficiali. Per quanto riguarda il pranzo del re, ad esso partecipavano non solo i grandi di corte, i grandi di corona curiali e i cavalieri dell’Annunziata, ma diversi personaggi invitati direttamente dal re. I cerimoniali di corte forniscono a volte i loro nomi, ma più spesso danno solo indicazioni sul numero complessivo dei commensali. Un elemento importante a questo proposito è dato proprio dall’incremento di tale dato. Nel 1837, infatti, i commensali erano 29, saliti a 54 fig. 3 Veduta della Sala da ballo, progetto di Pelagio Palagi, 1834-1841. Torino, Musei Reali, Palazzo Reale, Appartamento di rappresentanza 35 l’anno successivo. Era il primo segnale di una progressione che pare non essersi più arrestata nel corso del regno del sovrano. Nel 1839 il numero dei commensali era salito a 35-->già 35 nel 1838, nel 1842 a 44, nel 1843 nel 54, sino ai 62 del 1846 ed ai 63 del 1847. Di dimensioni più ridotte era, invece, il pranzo di gala per il genetliaco della regina. Nel 1845, per esempio, esso vedeva la presenza di 25 commensali (“comprese le persone reali”). Il gran maestro delle cerimonie, il duca Vivaldi Pasqua, informa che erano divisi in due gruppi17. Il primo era composto da “non invitati” perché presenti di diritto. Si trattava di: “dame di servizio alla regina e alla duchessa [di Savoia]; primi scudieri del re, dei duchi di Savoia e di Genova; secondo scudiere del re; gentiluomo di camera del re, maggiordomo di servizio; aiutante di campo di servizio”. “Invitati” erano, invece, otto donne e sette uomini. Scorrendo i loro nomi si vede, però, che si trattava delle dame di palazzo non in servizio e di alcuni fra i più importanti cortigiani. In questo caso, il pranzo di gala restava quindi tutto interno alla corte. Altro era, invece, il pubblico che partecipava alle soirées del dopo pranzo. Nel 1835, per esempio, a quella successiva al compleanno della regina si contarono centodieci dame e duecentocinque cavalieri. 55 L’incremento dei partecipanti ai pranzi reali fu permesso anche dalla definizione di nuovi spazi per il loro svolgimento. Sappiamo, infatti, che almeno dal 1842 fu scelta come sede del pranzo per il compleanno del re non la Sala da pranzo, allora realizzata, ma la “nuova Sala da ballo” realizzata anch’essa da Pelagi e inaugurata nel 1841 con le feste per il matrimonio del duca di Savoia (il futuro Vittorio Emanuele II). La Sala da pranzo, infatti, non poteva accogliere più di una trentina di commensali. Ben maggiore, come visto, era la capienza della Sala da ballo. Questa, peraltro, s’affermò come il principale spazio cerimoniale della reggia, soppiantando l’antico Salone degli svizzeri. Fu in essa, infatti, che si decise di svolgere diverse cerimonie di corte. Fra queste anche alcune legate ad importanti ricorrenze religiose, come il “lavabo” della regina, che si svolgeva ogni anno il giovedì santo18 e i matrimoni civili dei membri della Real Casa19. I cerimoniali si rilevano reticenti, purtroppo, in merito ai pranzi offerti dal re in onore di importanti ospiti stranieri, per lo più “in incognito”. Quando nel maggio 1835, per esempio, Leopoldo di Borbone conte di Siracusa giunse a Torino, in incognito come conte di Teramo, si limitarono a registrare che l’ospite “in seguito all’invito restò a pranzo a corte”20. Il conte Gazelli, però, non scrisse nulla in merito alle pratiche poste in essere. Lo stesso vale per numerosi altri ospiti. Qualche dato in più è offerto in occasione dei pranzi di gala. Nel 1840 quello organizzato in onore dell’arciduca Carlo Ferdinando d’Asburgo vide quarantaquattro commensali21. Sette anni dopo, nel giugno 1847, per i principi di Salerno – Leopoldo di Borbone Napoli e sua moglie Maria Clementina d’Asburgo Lorena – fu allestito un “gran pranzo” con ventitré commensali22. I pranzi di corte al Palazzo Reale di Genova Se i cerimoniali quasi tacciono sui pranzi che Carlo Alberto organizzava a Torino, diversamente si comportano in relazione a quelli che si tenevano a Genova, dal 1815 seconda città degli Stati. Il primo sovrano di casa Carignano era solito trascorrere nella seconda città dei suoi Stati un mese circa, di solito fra ottobre e novembre23. In questo periodo egli invitava a pranzo quasi tutti i giorni. Nel novembre 1833 Gazelli commentava: “durante il soggiorno della real corte [a Genova] parecchi distinti personaggi ebbero l’onore di essere invitati a pranzar cogli augusti nostri sovrani”24. Un comportamento che evidentemente non mancava di colpire il maestro delle cerimonie, il quale nel 1835 scriveva: “si degnava […] la Maestà Sua d’invitare quasi ogni giorno a pranzo diversi personaggi”25. In effetti, nelle poche settimane in cui restava a Genova egli sfruttava ogni occasione per avere a corte gli esponenti principali dell’aristocrazia genovese, la quale stava lentamente inserendosi nelle strutture di governo sabaudo. Solitamente i registri di cerimoniale non riportano i nomi degli invitati. Fa eccezione, però, quello relativo al 1840. Esso ci permette così di gettare uno sguardo più attento su tale politica del sovra- 56 fig. 3 Veduta della Galleria degli specchi. Genova, Palazzo Reale no. Quell’anno Carlo Alberto e la sua corte restarono a Genova un mese: dal 4 novembre al 3 dicembre. In tutte le ventinove serate trascorse in città, il sovrano invitò sempre a cena degli ospiti. Come scriveva Gazelli. “Degnava il re ] invitare giornalmente alla regia mensa personaggi delle precipue dignità ecclesiastiche e secolari e delle cariche di impiegati di stato civili e militari”26. Fra i circa novanta invitati compaiono infatti le principali cariche del governo sabaudo in città27, le più alte cariche della Regia Marina28 e dei reggimenti di stanza in città29. L’attenzione ai militari, peraltro, si estendeva anche ai ranghi degli ufficiali meno elevati, come il colonnello e capitano di vascello Giorgio Mameli, allora celebre per il suo ruolo nelle spedizioni sabaude contro Tripoli ed oggi ricordato per lo più per esser stato il padre di Goffredo, e il comandante dell’Arsenale Giuseppe Zicavo30. Vi erano poi le più alte cariche religiose, dai cardinali Placido Maria Tadini, arcivescovo di Genova dal 1831, ed Adriano Fieschi sino ai vescovi di Sarzana e Savona31. Il Comune di Genova era rappresentato da diversi fra i decurioni di prima classe, a partire dal sindaco, il marchese Tommaso Spinola. A mancare, semmai, fra gli invitati era l’alta borghesia, che in una città come Genova rivestiva un ruolo determinante. Segno, quindi, che l’apertura della corte era ‘relativa’. Certo, il passo avanti rispetto ai pranzi della corte sabauda del Settecento e della Restaurazione era enorme, 57 ma s’era ancora lontani dall’apertura della tavola reale al di fuori di quel mondo aristocratico e militare che da sempre era il cuore delle corti. Sarebbe un errore, però, sottovalutare l’evoluzione che era stata compiuta. La necessità di attirare a corte un’ampia parte della classe dirigente aiuta anche a capire lo sfarzo che Carlo Alberto diede a tali pranzi. La maggior parte di essi si svolgeva, infatti, nella galleria degli Specchi del Palazzo Reale e spesso al suono della musica. Nel 1833 Gazelli informa che a suonare erano chiamate le bande dei reggimenti di stanza in città, le quali s’alternavano nel servizio a corte32. A volte capitava che degli stranieri fossero ammessi ad assistere a tali pranzi. Interessante quanto accaduto nel novembre 1836. Protagonisti furono gli ufficiali d’un brik egiziano da un mese circa ancorato nel porto di Genova. Essi chiesero al sovrano di poter esser ricevuti a corte per recare al sovrano il loro saluto33. Stando al racconto del cerimoniere, gli ufficiali chiesero al sovrano “di sentire la musica che si suole suonare in Genova nel tempo che la Real Corte sta a pranzo, e di vedere dalla porta la tavola delle Loro Maestà”. Il re acconsentì un tal favore e diede ordine al maggiordomo di servizio “che li facesse servire di gelati e confetti”34. Col tempo, comunque, Carlo Alberto – almeno per quanto riguarda Genova ridusse sensibilmente la pratica dei pranzi ad invito. Già nel novembre 1843, infatti, scriveva alla Robilant: “Non invito più a pranzo tutti i giorni: oltre che alla domenica […] dò solo due grandi pranzi, lunedì e giovedì; la musica viene solo in quei due giorni, quando prima e dopo si passa nel mio nuovo grande salone, che è ben illuminato; gli altri giorni restiamo nella Sala del trono, come nei bei tempi”35. Qualunque cosa il sovrano volesse dire con quest’ultima espressione, certo il mondo era troppo cambiato negli ultimi cinquant’anni. Quando Vittorio Amedeo III era morto, nel 1796, certo non poteva immaginare un pranzo come quello che il suo lontano cugino Carlo Alberto avrebbe tenuto nel 1846. Se nel 1836 la mensa del sovrano non si era aperta ad accogliere gli ospiti egiziani, l’evoluzione politica del Mediterraneo fece sì che pochi anni dopo le cose andassero diversamente. Domenica 16 novembre 1845 giunse al porto di Genova il vapore egiziano Nilo con a bordo Ibrahim Pascià, figlio di Mehmet Alì, il generale musulmano d’origine albanese che aveva di fatto reso indipendente l’Egitto dall’impero ottomano. Ibrahim Pascià era arrivato in Toscana alla fine d’agosto, inizio d’un lungo viaggio europeo. Giunto a Genova chiese di esser ricevuto in udienza da Carlo Alberto, che desiderava conoscere. Il sovrano acconsentì e decise, inoltre, che al militare egiziano fosse riconosciuto il trattamento reale. Nel pomeriggio di domenica, quindi, Ibrahim fu accolto a corte, insieme al suo seguito di ventidue persone. Al termine dell’udienza il re invitò il suo ospite a cena. Alle 6 di quella sera, quindi, probabilmente nella splendida galleria di 58 quello che era stato palazzo Durazzo, Carlo Alberto e altri trentatré commensali accolsero a tavola Ibrahim Pascià, suo figlio Ismail Bey, il cugino Ibrahim Bey e tre persone del seguito. Intorno alla tavola, ad accogliere il generale musulmano, erano anche don Carlos di Borbone, il pretendente al trono di Spagna che aveva dato vita al movimento carlista, e i suoi figli. Purtroppo il conte Gazelli non ci ha lasciato alcun elemento sul modo in cui si svolse un pranzo tanto particolare. Certo, esso mi pare segnare meglio di ogni altra immagine quanto nel giro di pochi decenni fosse cambiata la tavola di corte, per i Savoia e insieme per la gran parte delle monarchie europee. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 59 Sulle pratiche dei pranzi di corte nel XVIII secolo si vedano Merlotti 2013 e 2021, pp. 47-52. Sul pranzo pubblico “à la campagne” cfr. Merlotti 2013, pp. 292-308; Merlotti 2021, pp. 114-115. Cfr. Bianchi 1877, p. 484. Sullo scrittore e il suo rapporto con la corte sabauda si veda ora Merlotti 2022b-->ok?. Prima degli interni dal 1844 al 1847, poi dei lavori pubblici nel 1848. Su di lui si veda la bella voce di P. Casana Testore, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma 1991. des Ambrois de Névache 1901, pp. 51-52. Gazelli 1841-1844, ms., c. 200. Il conte Gazelli (1782-1844), sui cui registri è costruita gran parte delle pagine che seguono, era inoltre decurione di Torino e fu sindaco della città nel 1841. des Ambrois de Névache 1901, pp. 45-46. Thaon di Revel 1892, p. 60. Salata 1931, p. 48. des Ambrois de Névache 1901, p. 45. Thaon di Revel 1892, p. 60. La lettera, datata il 7 giugno 1838, è (tradotta in italiano) in L’epistolario di un re 1999, pp. 67-68. Ibidem. Bertolotti 1840, p. 122. Risale probabilmente a questa fase la realizzazione da parte di Gonin della Battaglia di Mombaldone (1637), poi trasferita in un’altra sala del palazzo. Rovere 1858, pp. 153-154. Sulla Sala del caffè cfr. Gozzoli 1980. Vivaldi Pasqua 1844-1848, ms., c. 81. In tale occasione sul muro dalla parte opposta alla tribuna veniva posto un piccolo altare. Alla destra di questo era la tavola per le ventitré povere, cui la regina avrebbe lavato i piedi. Innanzi tavola, era il trono (“seggiolone”) su cui la regina sedeva durante il sermone dell’oratore di corte. Cfr. Vivaldi Pasqua 1844-1848, ms. Sulla cerimonia del lavabo cfr. Gentile 2009 e Merlotti 2021, pp. 84-86. Per esempio quello di Amedeo d’Aosta e del- 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 la principessa Maria dal Pozzo della Cisterna nel 1867. Gazelli 1835-1937, ms., cc. 44-45 (7 maggio 1835). Il principe si legò poi ai Savoia, sposando nel 1837 la principessa Maria Filiberta di Carignano-Villafranca. Il re e l’arciduca era parenti prossimi. Carlo Ferdinando, infatti, era figlio dell’arciduca Carlo, il celebre avversario di Napoleone, il quale a sua volta era cognato di Carlo Alberto, perché suo fratello minore Ranieri aveva sposato Elisabetta di Carignano, sorella del re di Sardegna. Vivaldi Pasqua 1844-1848, ms., c. 255 (15 giugno 1847). Cfr. Merlotti 2012, 2015, 2016. Gazelli 1833-1834, ms., c. 55. Gazelli 1835-1837, ms., c. 89. Ivi, c. 172. È il caso, per limitarmi ad alcuni esempi, del marchese Filippo Paolucci, governatore della città, del cavalier Crotti di Costigliole comandante della stessa, del conte Giacinto Borelli, primo presidente del Senato di Genova, del barone Gaspare Brunet, intendente generale di Genova. Ricordo qui solo il conte Carlo Alberti di Villanuova, viceammiraglio e comandante generale della Regia Marina ed il conte Giovan Giorgio de Viry, contr’ammiraglio della stessa, l’intendente generale di Marina Priamo Manconi. Come il maggiore generale Carlo Battaillard, comandante della Brigata Aosta. I due furono invitati a pranzo da Carlo Alberto la sera del 16 novembre insieme al barone Marcellino Corporandi d’Auvare, maggiore dei Carabinieri, ed al marchese Serra. Si tratta dei monsignori Francesco Agnini e Agostino Maria de Mari. Gazelli 1833-1834, ms., c. 50. Gazelli 1835-1837, ms., c. 172 (26 novembre 1836) Ibidem. L’epistolario di un re 1999, pp. 135-136.