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L'arte del simulacro. Il doppio legame tra finzione e realtà

2022, figura, ae. l'immagine delle immagini

La vicenda delle false teste di Modigliani, il caso dei falsi di Cascella venduti in televisione, o le polemiche relative ai falsi Michetti esposti nel 2017 nella sua città d’adozione, sono eventi che contribuiscono ad alimentare forme alternative di narrazione mainstream sull’arte, nel segno di un depauperamento dell’atto estetico e di una enfatizzazione del dato di cronaca, legato comunque alla notiziabilità dell’oggetto artistico decontestualizzato dal luogo di appartenenza. Si pensi alla vicenda della porta del Bataclan dipinta da Banksy per commemorare le vittime dell’attentato del 2015, rubata nel 2019 e ritrovata in Abruzzo, nel Teramano: nove persone sono sotto processo con i reati di furto e ricettazione. Sono questi alcuni casi di narrazione mediale che vedono al centro dell’attenzione il rapporto tra informazione, pubblico e opere d’arte, le quali fanno sovente notizia per ragioni extra-estetiche e acquistano rilevanza giornalistica allorquando il dato di cronaca (negativa) sfocia nel sensazionalismo e nella morbosità.

Palazzo San Domenico MuMi Museo Michetti Francavilla al Mare 30 luglio - 25 settembre 2022 Testi in catalogo Renato Barilli Nunzio Giustozzi Andrea Lombardinilo Mostra e catalogo a cura di Nunzio Giustozzi Giuria Costantino D’Orazio Presidente Angelo Piero Cappello Alessandro Caruso Andrea Lombardinilo Lella Mazzoli Cristina Ricciardi Daniela Simoni Il curatore ringrazia gli artisti che hanno aderito con convinzione al progetto, i galleristi, i collezionisti privati che hanno messo gentilmente a disposizione le loro opere e tutti coloro i quali, a vario titolo, hanno collaborato alla realizzazione della mostra e del catalogo: Antonello Andreani, Andrea Angiuli, Ilaria Brianti, Vito Nicola Bruno Cantacessi, Aureliano Catena, Dominika Cecot, Viviana Epicoco, Andrea Fioranelli, Camillo Langone, Ottorino La Rocca, Nicola Loi (Studio Copernico - Milano), Marino Provvisionato, Hawa Said, Lorenza Salamon (Salamon Fine Art, Milano), Paola Toro, Anais Trotti, Federico Valle. Ufficio stampa Paolo Bozzacchi Digital e social media Claudio Lanaro Visual designer Monica Simoni Ove non diversamente indicato in didascalia le opere si intendano provenienti dalla collezione degli artisti. Catalogo Edizioni Ephemeria, Macerata con il sostegno di TÀTÀI TIÀ I TÀ I TÀ I A A A CITTÀ ATÀ DI TÀ I REGIONE ABRUZZO A AREARE FRANCAVILLA ARE ARE A AL MARE ARE ARE con il patrocinio di PROVINCIA DI PESCARA COMUNE DI PESCARA COMUNE DI CHIETI COMUNE DI TOCCO DA CASAURIA UNIVERSITÀ T T DEGLI STUDI GABRIELE D’ANNUNZIO O DI CHIETI-PESCARA A Piazza San Domenico, 1 66023 - Francavilla al Mare (Chieti) www.fondazionemichetti.it fi Presidente Andrea Lombardinilo Segretario generale Stefania Antonucci Consiglio di Amministrazione Andrea Lombardinilo Presidente Luisa Ebe Russo Sindaco di Francavilla al Mare Riziero Zaccagnini Sindaco di Tocco da Casauria Diego Ferrara Sindaco di Chieti Pierluigi Biondi Sindaco de L’Aquila Carlo Masci Sindaco di Pescara Gianguido D’Alberto Sindaco di Teramo Ottavio De Martinis Presidente della Provincia di Pescara Diego Di Bonaventura Presidente della Provincia di Teramo Emilio Patrizio Rappresentante artisti abruzzesi Gaia Di Lorenzo Rappresentante del Ministero della Cultura Tesoriere Valerio Cavallucci Collegio dei revisori Luigi De Francesco Carlo Ricciuti Simone Ronca sommario Carlo Tatasciore, il filosofo, il curatore d’arte Renato Barilli 15 Come la luna di ieri e di domani Nunzio Giustozzi 19 Gli artisti 53 L'arte del simulacro. Il doppio legame tra finzione e realtà Andrea Lombardinilo 225 Premio Michetti 1947-2021 243 gli artisti Giulio Catelli Paolo Delle Monache Roberto De Santis Monica Ferrando Giovanni Gasparro Elena Giustozzi Matteo Massagrande Luca Pignatelli Luigi Spina Marzio Tamer Sandro Trotti Velasco Vitali Rita Vitali Rosati 54 66 78 94 104 124 136 148 156 170 184 202 214 L'arte del simulacro. Il doppio legame tra finzione e realtà Andrea Lombardinilo Massa e realtà: una questione di stile “L’adeguazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illimitata sia per il pensiero sia per l’intuizione”1. Nel riflettere sull’avvento della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, Walter Benjamin sottolineava l’ineludibile convergenza tra massa e comunicazione, agevolata dall’ascesa del cinema e della radio, ma anche della stampa popolare e del medium fotografico2. Siamo nella prima metà del Novecento, in un momento storico caratterizzato dall’evoluzione del rapporto tra arte e potere e dall’affermazione di forme nuove di propaganda, censura e persuasione collettiva. In questo senso, l’analisi del processo artistico inteso come spazio di produzione simbolica, oltre a innescare possibili consonanze con le ricerche di Pierre Bourdieu, legittima la prospettiva euristica dell’opera d’arte come medium collettivo, immersa in un coacervo di influenze, paradigmi, cornici culturali3. La transizione dalla visione romantica dell’arte propugnata da Schiller (e, più in generale, dagli idealisti tedeschi) alla concezione decadente dell’arte per l’arte, che vede in Baudelaire, Pater e d’Annunzio tre interpreti d’eccezione, avviene nel segno di quel rinnovamento della fenomenologia degli stili su cui Federico Boni ha scritto pagine stimolanti, sulla scorta della lezione di Marshall McLuhan: “Si pensi ai diversi stili che si sono avvicendati nei secoli nell’arte, così come nella lingua o nella moda, ma anche come convivano pluralità di stili in una stessa epoca e in uno stesso luogo. Ora, proprio dalla pluralità e instabilità degli stili muove la necessità di fissare dei criteri di ̒invarianzaʼ nel manifestarsi degli stili nell’arte”4. Fissare lo stile significa anzitutto individuare segmenti di linguaggio riconoscibili e plasmabili a seconda delle attese di un pubblico soggetto a fluttuazioni simboliche e ondulazioni emotive, come ben sapevano gli artisti del Quattrocento e del Cinquecento alle prese con le aspettative di una committenza facoltosa5. Ma fissare uno stile è operazione complessa e ardita, con o senza l’aiuto della tecnologia: quale differenza passa tra i quadri di Piero della Francesca e quelli di artisti contemporanei affermati, come Matteo Massagrande, Giovanni Gasparro, Roberto De Santis, che fanno del dato figurativo un tratto distintivo identitario? Parlando di “genesi sociale dell’occhio”, Bourdieu sottolineerebbe la ricorsività di alcune tendenze iconologiche, soprattutto in campo figurativo: “L’analisi storica che ripudia le generalità verbali dell’analisi di essenza per immergersi nella particolarità storica di un luogo e di un momento costituisce un passaggio obbligato, un momento inevitabile (contro il teoricismo vuoto) 14 e destinato a essere superato (contro l’iperempirismo cieco), per ogni ricerca scientifica delle invarianti”6. Studiare le “invarianti” della storia implica non solo un’attenzione filologica verso la fenomenologia del reale, ma anche una connaturata predisposizione al rilevamento del dato oggettivo, sovente filtrato dalla lente deformante dell’osservazione7. Un dipinto, un racconto o una statua possono pertanto costituire un mezzo di denuncia sociale o un medium ispirato alla conservazione, come denunciato da Vilfredo Pareto nel 1914 in riferimento al fenomeno del “virtuismo”, inaspettatamente tornato in voga in occasione della visita del presidente iraniano Rohani a Roma nel 2016, allorquando alcune statue esposte nei musei capitolini furono coperte per non urtare la sensibilità della religione musulmana8. O si pensi alla rimozione del quadro del pittore olandese Frans Snyders, The Fowl Market, dal refettorio di Hughes Hall dell’Università di Cambridge, in seguito alle proteste di studenti vegani e vegetariani, urtati dall’immagine dei capi di selvaggina rappresentati nell’interno di una macelleria secentesca. Vecchie e nuove forme di censura si palesano nella sfera pubblica, nonostante la globalizzazione comunicativa e l’interattività delle relazioni connesse, nel segno di quelle “politiche della visibilità” che Ulrich Beck ha evidenziato nel 2016 a proposito della metamorfosi del mondo in atto: “Allo stesso tempo, nella comunicazione digitale individualizzazione e cosmopolitizzazione sono momenti contrapposti. La comunicazione digitale da un lato, scardinando il sistema delle identità collettive date, costringe gli individui a contare solo su sé stessi. Dall’altra parte, impone loro di utilizzare le risorse presenti negli spazi d’azione cosmopolitici”9. Gli spazi d’azione cui fa riferimento Beck sono per loro natura liquidi e dinamici, ma non immuni da aporie simboliche o valoriali. Le nuove forme di censura della rete costituiscono la parziale conferma a questa tendenza subdolamente distorsiva, che enfatizza una certa tendenza alla demitizzazione: si pensi al caso della Gioconda imbrattata con una torta il 29 maggio 2022 e alla rivendicazione ambientalista del responsabile, un giovane ragazzo francese con parrucca e carrozzella, le cui immagini sono diventate virali in rete grazie a Tik Tok e Twitter. Anche in questo caso, l’arte diviene un pretesto comunicativo, una sorta di volano semiotico utile ad amplificare e a personalizzazione vecchie e nuove forme di protagonismo. A sua volta il caso della Gioconda riporta in primo piano il tema della sicurezza e della salvaguardia dell’opera d’arte, che non riguarda soltanto i beni archeologici, ma anche quelli museali che, se non opportunamente difesi, vanno incontro a rischi di danneggiamento: la teca in vetro che protegge l’opera 15 costituisce il baluardo simbolico tra il genio e la massa, tra l’arte e il pubblico, nel segno di un distanziamento reso necessario non solo dal valore intrinseco dell’opera, ma anche dalla desacralizzazione cui è sottoposta la cultura alta10. Riprendendo l’intuizione baudrillardiana della “sparizione dell’arte”, si potrebbe parlare di una vera e propria demitizzazione dello spazio artistico, in cui l’osservazione oculare è in parte filtrata attraverso l’obiettivo fotografico del telefono, secondo una tendenza alla riproducibilità digitale delle immagini sempre più convulsa. Siamo forse in presenza del “suicidio dell’arte” evocato provocatoriamente da Baudrillard sulla scorta della pop art e in riferimento alla strategia della simulazione e dell’annientamento del segno estetico: “Ma c’è un momento disilluminato in cui essa apprende a sopravvivere di questa stessa banalità – un po’ come fallire il proprio suicidio. Riuscire il proprio suicidio è l’arte della sparizione, è saper dare a questa sparizione tutte le suggestioni dell’artificio. Come il barocco, che fu esso pure una grande epoca della simulazione, e che fu ossessionato allo stesso tempo dalla vertigine della morte e da quella dell’artificio”11. Lo stesso discrimine tra moralità e immoralità pone una serie di questioni cogenti in merito al bisogno di fuggire la banalizzazione e ribaltare la strategia dell’artificio, a sua volta legata a certe retoriche della sensazionalità dell’avvenimento estetico, come nel caso delle opere di Banksy o di Marina Abramović12. L’arte della simulazione, così in voga al tempo del Barocco, è sottoposta oggi a nuove dinamiche estetiche, agevolate dalle tecnologie e dalla condivisione sincrona di immagini e contenuti. Lo stesso principio dell’hic et nunc acquista risvolti semiotici inediti, come dimostra il tentato danneggiamento della Gioconda, che deve avvenire forzatamente in presenza. Come muta, dunque, la percezione dell’aura dell’opera d’arte al tempo delle visualizzazioni condivise? Val forse la pena di richiamare la considerazione di Benjamin sull’aura dell’opera d’arte e del mito dell’hic et nunc, che oggi sembra definitivamente liquidato, dopo l’esperienza del distanziamento sociale e della didattica a distanza: “Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova. Ma proprio su questa esistenza, e in null’altro, si è attuata la storia a cui essa è stata sottoposta nel corso del suo durare”13. Contrariamente a quanto rilevato da Benjamin negli anni Trenta, il segno estetico sembra aver acquistato una sua autonomia significante rispetto alla sua esclusività fruitiva, un tempo legata al vincolo della presenza e della non ripetibilità visiva. 16 Lo scambio simbolico esaminato da Baudrillard acquista, paradossalmente, una valenza epistemologica legata alla riproducibilità sincrona e circolare delle immagini, con tutto quel che ne consegue in merito alla sparizione e alla riapparizione dell’arte nella sfera pubblica14. La demitizzazione del prodotto estetico avviato dai dadaisti e sancito dalla pop art costituisce soltanto l’ultimo atto di un processo di desacralizzazione dell’opera d’arte che, stendhalianamente, acquista nuove forme di fascinazione, al netto dell’individuazione di quel vanishing point cui ogni work of art è ineludibilmente sottoposto15. In questo senso, il fenomeno dei falsi è soltanto uno degli aspetti legati alla riproducibilità fraudolenta dell’oggetto estetico, in cui imitazione, frode e finzione si legano all’unisono, senza soluzione di continuità, come messo in evidenza da Fabio Isman a proposito dell’arte “che va a ruba”16. La vicenda delle false teste di Modigliani, il caso dei falsi di Cascella venduti in televisione, o le polemiche relative ai falsi Michetti esposti nel 2017 nella sua città d’adozione, sono eventi che contribuiscono ad alimentare forme alternative di narrazione mainstream sull’arte, nel segno di un depauperamento dell’atto estetico e di una enfatizzazione del dato di cronaca, legato comunque alla notiziabilità dell’oggetto artistico decontestualizzato dal luogo di appartenenza. Si pensi alla vicenda della porta del Bataclan dipinta da Banksy per commemorare le vittime dell’attentato del 2015, rubata nel 2019 e ritrovata in Abruzzo, nel Teramano: nove persone sono sotto processo con i reati di furto e ricettazione. Sono questi alcuni casi di narrazione mediale che vedono al centro dell’attenzione il rapporto tra informazione, pubblico e opere d’arte, le quali fanno sovente notizia per ragioni extra-estetiche e acquistano rilevanza giornalistica allorquando il dato di cronaca (negativa) sfocia nel sensazionalismo e nella morbosità17. Di qui la centralità del tema dell’insicurezza, che diviene tema mainstream ogni qualvolta in siti archeologici importanti si verificano crolli, furti, danneggiamenti, dovuti anche a malagestione o negligenza nella tutela e nella salvaguardia. “Bad news is always good news” direbbe Harold Lasswell18. Ma anche nel caso dell’arte, il rapporto tra informazione e opinione pubblica acquista una valenza simbolica, come sottolineava Walter Lippmann un secolo fa: “Il solo sentimento che si può provare per un fatto di cui non si ha un’esperienza diretta è il sentimento che viene suscitato dall’immagine mentale di quel fatto”19. Così, al tempo della riproducibilità digitale di immagini e contenuti, l’immagine mentale dei fatti acquista valenze semiotiche inaspettate al cospetto di un 17 pubblico eterogeneo, abituato ad osservare attraverso uno schermo il divenire della realtà connessa20. The Market Fowl, o della censura accademica Il caso della rimozione dell’opera The Market Fowl del pittore olandese Frans Snyders, dal refettorio di Hughes Hall dell’Università di Cambridge, acquista una dimensione comunicativa complessa ed estremamente interessante da indagare, alla luce non solo delle implicazioni culturali e ideologiche che esso genera, ma anche delle istanze comunicative ed estetiche che la rimozione di un’opera d’arte può provocare oggi per ragioni ideologiche o di altra natura, che non siano riconducibili alla dimensione puramente estetica. The Market Fowl, Il banco della selvaggina, realizzato tra il 1618 e il 1621, è diventato un quadro scomodo, soprattutto agli occhi di chi ha sposato la causa del veganesimo e del vegetarianesimo, nel segno di un connubio molto stretto tra consumo, immagine e ideologia. Snyders è un pittore ignoto al grande pubblico, ma la polemica vegana che lo ha investito lo ha reso celebre ad un’audience più vasta, che ignora probabilmente che egli fu allievo di Peter Brueghel il giovane e amico del ritrattista van Dyck, nonché collaboratore di Rubens. La sua colpa è di aver rispettato “l’occhio dell’epoca”, direbbe Bourdieu, descrivendo nel dettaglio la bottega di un macellaio intento ad esporre la sua mercanzia. Una rappresentazione dal vivo della vita commerciale del Seicento, che pone in primo piano alcuni paradigmi sociali, culturali ed economici del secolo della “maraviglia”, indigesti agli studenti dell’Università di Cambridge che rifiutano il consumo di carne, latte e loro derivati. Se poi si considera che l’opera rimossa in verità è una copia, e non l’originale, conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, la vicenda assume una cifra estetica ancor più complessa, con tutto quel che ne consegue sul piano degli effetti della ripetibilità dell’opera d’arte al tempo della cultura convergente21. L’eco giornalistica che la vicenda ha avuto, anche per le implicazioni accademiche e culturali ad essa sottese, pongono in evidenza la validità epistemologica della proposta di Franco Speroni a proposito della lettura mediale dell’opera d’arte, e ripresa da Federico Boni proprio a proposito di una certa pittura rinascimentale, dal tratto per così dire oleografico, come attestano La macelleria di Annibale Carracci (1580) e Il banco di carne di Pietre Aertsen (1551)22. L’esaltazione della merce e le attività di vendita rappresentano due momenti complementari dell’azione commerciale, nel segno di una convergenza 18 poietica estremamente efficace sul piano simbolico e sociologico. Una vera e propria spettacolarizzazione ante-litteram della merce, che esalta la relazione spettatore/acquirente con l’opera d’arte e amplifica la cifra semiotica della rappresentazione, così come osservato da Speroni: “La diffusione – in senso etimologico, oltre che tecnico – scioglie di fatto, nel flusso, la merce, che pure mantiene una presenza iconografica. Così smaterializzata, liberata e trasparente, la merce può produrre, grazie al potenziale tecnico del mezzo televisivo, una forma estetica nuova, spot, che sintetizza prodotto e spettacolo in un ritmo e una luce nuovi. L’archeologia di tutto ciò si può rintracciare nelle rappresentazioni dipinte di mercato, a cominciare da Aertsen”23. Da questo punto di vista, il consumo dell’immagine acquista risvolti emotivi molto significativi, soprattutto se si indugia sul processo di riconoscimento individuale e collettivo in immagini, azioni e narrazioni. Inoltre, il dato di cronaca è incrementato dalla contestualizzazione accademica dei fatti, secondo una pratica comunicativa tesa ad evidenziare il cortocircuito istituzionale e formativo che una vicenda di questo tipo pone in risalto. Si tratta di un episodio che evidenzia alcune delle implicazioni mediologiche legate al cibo e al suo immaginario mediale, come osservato da Valentina Grassi e Debora Viviani in riferimento alla dialettica baudrillardiana tra simulazione, autenticità e consumo: “L’immagine, così come ogni forma visiva, tra cui, come vedremo, anche il simulacro, ha al suo interno un complesso gioco di identità e differenza che è difficilmente riconducibile ad una concettualizzazione univoca”24. Le fluttuazioni simboliche generano reticolati interpretativi mai neutri sul piano semantico, come conferma la tendenza ad attribuire valenza politica o ideologica a tutta una serie di simboli, miti, emblemi, di cui abbondano le narrazioni giornalistiche al tempo della post-verità25. L’oggetto d’uso si lega inevitabilmente all’economia politica del segno, in cui il sostrato semiotico si innesta sull’elemento fattuale26. La lettura mediale dell’opera di Snyders acquista dunque una portata comunicativa ulteriore, alimentata dalla contestualizzazione dell’opera (uno dei più importanti atenei al mondo) e dalle conseguenze ideologiche (oltre che culturali) dell’immagine rappresentata, riprodotta e riproposta sul web ad infinitum. Proprio la questione della riproducibilità tecnica delle immagini pone in primo piano la necessità di operare la necessaria storicizzazione delle opere, soprattutto quando esse sono il riflesso di una precisa epoca, come lo stesso Pareto ha efficacemente sottolineato ne Il mito virtuista e la letteratura immorale27. Il tema della polemica artistica non è 19 naturalmente nuovo, soprattutto se si pensa alla censura cui furono sottoposti libri e sculture ritenuti immorali dal governo di Luigi Luzzatti: “So bene che il fanatismo non ragiona. Gli eretici sono sempre stati giudicati indegni di godere le garanzie concesse agli accusati di delitto comune. Sotto questo aspetto, la procedura dell’Inquisizione è un modello; e pare che i nostri virtuisti li vogliano imitare”28. Senza entrare nella questione puramente ideologica della vicenda Snyders, val la pena rilevare che la rimozione di The Fowl Market evidenzia il cortocircuito comunicativo che ancora oggi può generare un tentativo di censura che potrebbe apparire non tale, se solo si contestualizzasse storicamente l’opera, realizzata in un‘epoca in cui la cacciagione era molto ricercata dai ricchi borghesi di Anversa. Se si considera, poi, che l’opera è stata subito dopo esposta nella mostra Feast & fast: The Art of Food in Europe, 1500-1800, ospitata nel Fitzwilliam Museum di Cambridge, si avrà un’idea più chiara della controversia, tutta giornalistica, che la vicenda ha avuto, al netto delle nuove forme di censura “virtuista” tese a considerare immorali immagini che collidono con abitudini e filosofie alimentari un tempo in voga. Un discorso valido anche per il Novecento e le società agiate descritte da Veblen29. Ancora una volta, il consumo acquista una portata sinestetica, almeno in riferimento alla relazione strettissima tra l’oggetto e la sua immagine filtrata e riprodotta dall’arte: “Così, il continuo riprodursi delle immagini nella nostra società, che hanno reso la vista uno dei più importanti sensi utili alla conoscenza, ha portato alla ribalta il problema dell’autenticità delle rappresentazioni visive. Lo sviluppo dell’attuale processo di estetizzazione ha portato alla supremazia dell’occhio e della vista, con una conseguente attenzione in termini di autenticità”30. L’estetizzazione del cibo, al pari della sua mediatizzazione mainstream (si pensi a Masterchef) è il risultato della progressiva condivisione iconica dell’esperienza conviviale, resa possibile dai social network. Di qui la virtualizzazione e la simulazione dell’evento conviviale, che a sua volta rimanda al concetto baudrillardiano di sparizione dell’arte, a conferma della tendenza a consumare visivamente ciò che invece nasce per essere goduto al palato. Ma ad una condizione: che tutto si svolga ad un livello di conoscenza che sia quello condiviso e fruito a livello mainstream, al netto delle distinzioni contingenti e dei tentativi di affermazione del proprio gusto31. Si tratta di fenomeni indagati da Bourdieu in netto anticipo rispetto all’avvento della cultura digitale, legando il principio della distinzione sociale al 20 processo del consumo e l’acquisizione di specifici habitus culturali: “Gli habitus sono principi generatori di pratiche distinte e distintive – ciò che l’operaio mangia e soprattutto il suo modo di mangiare ciò che mangia, lo sport che pratica e il suo modo di praticarlo, le opinioni politiche che gli appartengono e il modo di esprimerle, differiscono sistematicamente dai consumi o dalle attività corrispondenti di un industriale; ma si tratta anche di schemi e principi di classificazione, principi di visione e divisione e gusti differenti”32. Ogni habitus culturale implica l’acquisizione di pratiche comportamentali tese anche ad ottenere il riconoscimento pubblico del proprio ruolo, secondo prassi drammaturgiche analizzate da Erving Goffman in molti dei suoi lavori, in particolare Frame Analysis33. D’altro canto, la riflessione di Bourdieu sul rapporto tra comportamento e appartenenza sociale può contribuire a spiegare i risvolti del caso Snyders, in cui convergono le ragioni della sensibilità e del rispetto con quelle, altrettanto legittime, della cultura e dell’arte. La rimozione di un dipinto barocco, qualunque soggetto esso rappresenti, può considerarsi un atto di censura o un tentativo di salvaguardare le ragioni di una minoranza? Denota, quella decisione, l’affiorare di nuove forme di virtuismo, non più di natura religiosa, come al tempo di Pareto, ma legate al gusto e a scelte di vita, come nel caso degli studenti vegani di Cambridge? Di qui la necessità di riflettere su come il consumo dell’immagine si innesti su altre pratiche di consumo, più materiale e contingente, che svolgono però un’azione decisiva nell’ambito del quotidiano, sia sul piano simbolico che culturale: “Ecco allora che il consumo diviene l’arena sociale delle lotte per l’appropriazione dei beni economici o culturali, lotte simboliche per l’appropriazione dei segni di distinzione, che, secondo Bourdieu, concernono essenzialmente i detentori distinti”34. Non vi sono molti dubbi sulle implicazioni sociali che il consumo può acquistare anche sul piano visivo e iconico, come accade a molti quadri barocchi, ispirati alla quotidianità popolare del Seicento immortalata da Caravaggio, Annibale Carracci, Mattia Preti o Luca Giordano. Le scene dal vero risaltano nella loro nuda verità, anche grazie a un processo di esaltazione del dato fenomenico fondato sulla descrizione del dettaglio e sulla rappresentazione delle attività, anche economiche, che ruotano intorno al consumo. Di qui la dimensione poliedrica dell’elemento figurativo sviluppata da artisti del calibro di Paolo Delle Monache, Luca Pignatelli, Sandro Trotti, Marzio Tamer, in un tempo caratterizzato dal consumo compulsivo di immagini e contenuti, che conduce al 21 ridimensionamento di quell’effetto “maraviglia” perseguito da artisti e scrittori per fare breccia nell’opinione pubblica pre-elettrica e tipografica35. The Sad Young Girl: Banksy e l’immagine del rischio La giovane ragazza in lutto realizzata da Banksy per commemorare le vittime del Bataclan (13 novembre 2015), costituisce un caso del tutto atipico e, allo stesso tempo, paradigmatico, dell’impatto mediale che un’opera d’arte può avere grazie alla convergenza tra comunicazione e culto dell’immagine. Da un lato l’impatto mediale dell’attentato parigino, il cui bilancio ha fatto registrare 137 morti e 368 feriti; dall’altro la scelta di Banksy di disegnare una ragazza piangente all’esterno della porta d’emergenza, da cui molte persone cercarono la fuga. Sullo sfondo, la trasformazione di un luogo in apparenza sicuro in un luogo di rischio, in cui l’incombenza della catastrofe non è né percepibile né ravvisabile, al pari dei mass shooting che periodicamente si verificano in scuole e college americani36. Nell’era dei rischi globalizzati, la dialettica tra fatti e narrazioni acquista una valenza sociologica di primo piano, come osservato da Ulrich Beck: “La teoria della società mondiale del rischio distingue tra rischi vecchi e nuovi e afferma che i nuovi tipi di rischio, che danno luogo a un’anticipazione globale delle catastrofi globali, scuotono le fondamenta delle società moderne”37. È soprattutto il principio dell’incalcolabilità del rischio a permeare la narrazione mediale delle catastrofi, in cui sono le immagini (come nel caso delle Torri gemelle e della guerra in Ucraina) ad imprimere una cifra semiotica al discorso giornalistico, nel segno di un discrimine sempre più labile tra visibilità e invisibilità degli accadimenti. Il tema dell’insicurezza si consolida, sul piano mediale, mediante la percezione della discrasia tra verità e disinformazione, che a sua volta si innesta sull’overlapping di informazioni e immagini. La vicenda del Bataclan pone inoltre in risalto gli eventuali rischi legati alla mobilità accademica: la morte di Valeria Solesin, dottoranda presso la Sorbone, pone una serie di considerazioni sui rischi della mobilità internazionale accademica, soprattutto in paesi ritenuti non sicuri, come attesta il caso di Giulio Regeni, nel segno di un battage comunicativo legato a doppio filo all’efficacia iconica del suo ritratto e dei banner gialli inneggianti alla verità39. La porta di Banksy è il simbolo della catastrofe inaspettata, destinata a rimanere scolpita nell’immaginario collettivo anche grazie all’alone di mistero che avvolge il suo autore. La celebrità di Banksy si nutre, oltre che dell’originalità delle 22 sue realizzazioni e della cifra situazionale delle sue opere, anche dell’anonimato che lo circonda, quasi a voler sfruttare gli effetti comunicativi dell’assenza, evidenziati da Paolo Sorrentino nella serie televisiva The Young Pope. Negando l’autorizzazione a riprodurre la sua effigie per ragioni di merchandising e sposando il principio dell’assenza come presenza, papa Pio XIII (interpretato da Jude Law), rammenta che alcuni dei più grandi artisti del Novecento hanno scelto di celare la propria immagine al pubblico, come Salinger, Kubrick, Banksy, Daft Punk e Mina. Proprio Banksy è additato dal giovane papa americano come il più grande artista contemporaneo, in grado di alimentare il senso del mistero che avvolge le sue opere attraverso il sentimento della scomparsa e dell’assenza, fattore determinante per tenere desta l’attenzione del pubblico40. La “protesta visuale” di Banksy, così come definita da Gianni Mercurio41, acquista una rilevanza comunicativa assoluta, se rapportata alla dimensione globalizzata dell’arte e della sua complessità estetica al tempo dei pericoli e delle catastrofi globalizzati42. Si tratta di un tema messo in evidenza da Roger Silverstone a proposito della “retorica del terrore” alimentata dai media: “Sotto molti punti di vista, la globalizzazione della comunicazione è l’infrastruttura portante sottesa a tutti gli altri processi di globalizzazione estesa. E se è vero che viviamo in un mondo globalizzato, questo è possibile solo grazie a quello che, di questo mondo, vediamo attraverso i mezzi di comunicazione”43. Anche per questa ragione Banksy può considerarsi il paradigma della sublimazione del rischio, attuata mediante la sedimentazione simbolica di avvenimenti tragici, filtrati dalla lente onirica del segno estetico fatto performance. L’indeterminatezza biografica dell’artista e la sua imprevedibilità sono due ulteriori fattori determinanti per spiegare la portata mediale di un’arte inaspettata e allo stesso tempo enigmatica, la cui portata estetica ha la prerogativa di alimentare un immaginario collettivo sospeso tra memoria e rimpianto. Dopo la sparizione dell’arte, tipica dell’era del mainstream, è la volta della sparizione dell’artista, calibrata sulle istanze mediali dell’era digitale, in cui la dialettica tra dato simbolico e fattore mediale assume una dinamica del tutto peculiare. Si potrebbe richiamare la metafora baudrillardiana centrata sullo scambio simbolico e la morte, utile a riflettere sulla genesi di un’arte, quella di Banksy, realistica e concettuale allo stesso tempo, in cui l’elemento performativo implica la demusealizzazione dell’opera d’arte invocata dai Futuristi44. Non vi è dubbio che si sia al cospetto del tentativo di celebrare l’immagine nella sua portata iperrealistica, secondo un processo semiotico 23 volto a legare performance e iconicità. Ancora Baudrillard: “E così il crollo della realtà nell’iperrealismo, nella reduplicazione minuziosa del reale, di preferenza a partire da un altro medium riproduttivo – pubblicità, foto, ecc. – di medium in medium il reale si volatilizza, diventa allegoria della morte, ma si rafforza anche con la sua stessa distruzione, diventa il reale per il reale, feticismo dell’oggetto perduto – non più oggetto di rappresentazione, ma estasi di negazione e della propria sterminazione rituale: iperreale”45. Il rapporto tra vita e morte, transeunte e permanente, simbolico e reale assume pertanto una valenza comunicativa a tutto tondo, nella misura in cui l’impatto mediale dell’immagine consente di misurare la forza iconica di frammenti visivi che rispondono a istanze metaforiche e metonimiche ispirate alla sfera del dolore, del riscatto e della rivendicazione sociale. Può considerarsi iperrealista un’arte che rifiuta le stanze dei musei e si fa itinerante per poter parlare meglio al pubblico globalizzato? Si tratta di un’arte che lega gesto, luogo e immagine, sviluppando nuove frontiere della street art e prefigurando una dimensione sociale dell’arte inedita, che obbliga ad andare oltre le tradizionali relazioni tra media e musei digitali46. Il realismo onirico di Banksy si afferma come medium di rimozione del reale e di affermazione di simulacri in grado di affermare l’esigenza visiva del ricordo, mediante un’abilità iconica che non prescinde dalla perizia rappresentativa e dalla metaforizzazione estetica del dato contingente. La sparizione dell’artista coincide con il dominio mediale della sua arte, tanto da alimentare non solo una narrazione permanente sulla sua identità, ma anche l’attenzione per così dire feticistica delle sue realizzazioni, come dimostra il caso della porta del Bataclan. La vicenda ha avuto naturalmente una vasta eco sui media e sui giornali di tutto il mondo, a conferma dell’elevata notiziabilità degli eventi che riguardano Banksy e, più in generale, il mondo dell’arte, allorquando il dato di cronaca assume una matrice criminale. Un discorso tanto più valido per la ragazza piangente del Bataclan, la cui immagine è legata a doppio filo al ricordo di uno degli attentati più sanguinosi e discussi perpetrati dall’Isis negli ultimi anni, per di più a Parigi, già teatro di altri sanguinosi attentati, tra tutti l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo47. Torna alla mente la distinzione tra effetti collaterali ed effetti intenzionali proposta da Beck48, unitamente alla discussione sulla ricerca della pace e della pratica della guerra: “La violenza eccessiva del terrorismo segue il copione della guerra sentita; viceversa, la guerra per la ripartizione del rischio ubbidisce al copione della pace sentita”49. 24 Nel processo creativo di Banksy si riscontra il tentativo di esorcizzare la violenza della guerra, intesa come esacerbazione degli istinti conflittuali. Sentire la guerra implica la necessità di sentire la pace, nel segno di una convergenza comune verso quell’intesa comunicativa che Habermas ha messo in evidenza anche in anni recenti, a proposito del destino dell’Europa50. Ma la vicenda della porta del Bataclan non è soltanto il simbolo di una tragedia inaspettata, di una ferita profondissima inferta al cuore dell’Europa, alla sua vocazione multietnica e alla sua dimensione culturale; è anche l’emblema di un’arte in grado di far parlare di sé i media di tutto il mondo, al netto delle accezioni politiche, sociali, culturali, di cui è latrice. Se si considera poi il mistero che avvolge la vicenda della sua rimozione e del suo ritrovamento in Italia, con i relativi risvolti penali, si avrà un quadro più chiaro della dimensione mediale che l’opera di Banksy ha assunto negli ultimi mesi. La titolazione forgiata da alcune importanti testate internazionali è di per sé eloquente: Thieves stole Banksy Bataclan door mural with crowbar, French court told («The Guardian»), Banksy, la ragazza triste del Bataclan torna a Parigi («Il Sole 24 Ore»), Porte du Bataclan: l’équipée des Lyonnais qui ont dérobé l’oeuvre de Banksy détaillée par la justice («Le Monde»), Banksy artwork stolen from Paris’ Bataclan theater is found in Italy (CNN)51. Il dato criminologico finisce per sovrastare la sfera artistica, soprattutto se si considera l’evento terroristico che l’opera rievoca e il luogo in cui si è consumato l’efferato attacco terroristico, un importante teatro parigino, deputato all’aggregazione giovanile e alla produzione culturale. Il dato di cronaca iniziale (l’attacco terroristico), sublimato dall’immagine della ragazza piangente, si estende alla vicenda successiva del furto, alimentando così un immaginario dell’arte trafugata che può rimandare alle spoliazioni di Napoleone o alle razzie di Hitler52. Del resto, il furto della Gioconda, avvenuto il 21 agosto 1911 per mano dell’italiano Vincenzo Peruggia, raccontato anche da Gabriele d’Annunzio, può costituire un precedente illustre dal punto di vista della narrazione giornalistica delle opere d’arte trafugate sulla rotta Parigi-Italia, con tutto quel che ne può discendere in termini di amplificazione e notiziabilità informativa53. Narrare la cultura significa considerare tutti gli aspetti legati alla fruizione delle opere d’arte nella società connessa, come osservato da Lella Mazzoli: “In mezzo, vi sono i media che sono l’anello di trasmissione che le persone usano per raccontarsi, per farsi cultura e per fruirne (a seconda dei ruoli). Allorquando cambiano i modi che usiamo per raccontarci, cambiamo anche noi stessi e, di conseguenza, amiamo ascoltare storie raccontate in modo nuovo. Senza perdere 25 in profondità e conoscenza”54. La vicenda della porta del Bataclan testimonia il processo di innovazione in atto non soltanto nell’arte, ma anche nelle modalità di narrazione del processo artistico in chiave demusealizzata e connessa. L’arte di sublimare la violenza e la morte, unitamente ai rischi legati al possesso e al commercio clandestino delle opere d’arte, riapre un dibattito annoso sulla loro tutela e conservazione, al netto delle implicazioni criminali e processuali che il trafugamento dell’opera di Banksy genera. Di qui la costruzione di un immaginario del rischio che si concreta attraverso il potere simbolico di un’arte che sparisce e riappare, al pari del suo autore, misteriosamente celato all’attenzione dei media, tradizionali e digitali. Il vanishing point dell’arte coincide oggi con quello dell’artista, nel segno di una semiosi del segno estetico alimentata dall’iperrealismo connettivo del nostro tempo, come profetizzato da Baudrillard: “l’arte sarà la protesi integrale di un mondo da cui la magia delle forme e delle apparenze sarà scomparsa”55. Conclusione “Nella società di massa si affacciano sulla scena dell’arte nuovi attori dell’agire di consumo: si tratta di nuovi gruppi sociali che hanno caratteristiche economiche, sociali e culturali diverse dalle élite che tradizionalmente hanno monopolizzato il consumo dei beni culturali”56. Così Anna Lisa Tota sul rapporto tra arte e consumo nell’epoca delle riproducibilità istantanea delle immagini e della loro connettività permanente, in cui l’opera d’arte acquista una portata mediale assoluta, nel solco di un approccio estetico fondato sulla decontestualizzazione dell’opera e sulla costruzione di pubblici globalizzati e mediatizzati. In questo senso, la narrazione giornalistica focalizzata sull’arte è alla costante ricerca di elementi che conferiscano alla produzione artistica una notiziabilità elevata, sovente legata a dati di cronaca (furti, danneggiamenti, vendite all’asta) o alla notorietà degli artisti coinvolti. Le vicende di Snyders e Banksy possono essere derubricate alla voce arte mediatizzata, in cui narrazione e informazione si legano ai risvolti politici o ideologici dell’opera. Nuove forme di “virtuismo”, come nel caso di The Fowl Market, appaiono nella sfera mediale, così come nuove tecniche di commemorazione si fanno strada nella società del rischio, come nel caso della ragazza triste di Banksy. Il potere dell’immagine di trasformarsi nel suo simulacro risiede nella possibilità di volgere l’immagine nella metafora del contingente, nel segno di una costante sospensione temporale e spaziale, senza trascurare la dimensione manuale della realizzazione artistica57. L’era digitale pone quanto 26 mai in evidenza la centralità del discorso pubblico rivolto alla descrizione del “mondo sociale” cui Habermas ha fatto riferimento proprio a proposito dell’etica dell’agire comunicativo: “L’arte moderna, del resto, ha introdotto nel regno della soggettività un’analoga spinta problematizzante: il mondo delle esperienze vissute viene estetizzato, cioè affrancato dalle ovvietà della percezione quotidiana e dalle convenzioni dell’agire quotidiano”58. L’iperrealismo di alcuni artisti contemporanei, alcuni dei quali in mostra nell’edizione 2022 del Premio Michetti59, dedicata al principio dannunziano dell’immagine delle immagini, è la testimonianza della necessità di un ritorno ad un’idea del simulacro figurale dell’immagine, che mantenga un ancoraggio semiotico all’agire quotidiano, nonostante il filtro permanente di schermi, monitor e interfacce tecnologiche60. Una sociologia dell’immagine condivisa non può pertanto trascurare il connubio ineludibile tra arte, mediatizzazione e discorso pubblico, in cui il dato di cronaca costituisce il volano informativo in grado di attribuire alla creazione artistica quella valenza estetica sospesa tra rappresentazione e trasfigurazione del reale, al netto delle nuove forme di obsolescenza che alimentano “la civiltà dell’effimero” analizzata da Serge Latouche61. Sullo sfondo si stagliano forme originali di reificazione figurativa e di standardizzazione iconica, che l’arte ha il dovere di esorcizzare mediante nuove pratiche di condivisione dell’esperienza poietica, in cui immagine ed esperienza convergano a formare nuovi simulacri dell’agire quotidiano e mediatizzato, simboleggiato dall’immagine dei visitatori impegnati nel fotografare il busto della Gioconda ricoperto da uno strato di panna e crema, reso reale dall’invisibilità della teca in vetro posta a protezione del capolavoro di Leonardo. Immagine illusoria di una società ancorata al mito della provocazione pubblica e dell’infrazione politica, sempre più diffusa al tempo delle “geografie dell’arte” fluide e connesse62. 27 1. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935), Einaudi, Torino 2000, p. 25. 2. Su Benjamin si rinvia al lavoro di M. Goldschmit, L’écriture du messianique. La philosophie secrète de Walter Benjamin, Hermann, Paris 2010. Su Benjamin e la modernità urbana cfr. V. Mele, Metropolis. Georg Simmel, Walter Benjamin e la modernità, Belforte Salomone, Livorno 2011. Si veda anche: P. Osborne (ed.), Walter Benjamin: Critical Evaluations in Cultural Theory, 2 voll., Routledge, Abingdon-on-Thames (UK)-New York 2005. Interessante la lettura di D. Roberi, Leggere Benjamin contropelo. Alla ricerca dell’idea di natura, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2020; A. Ross, Walter Benjamin’s Concept of the Image, Routledge, Abingdon-on-Thames (UK)-New York 2014. 3. Sul rapporto tra sociologia e arte si segnalano i lavori di P. Bourdieu, Le regole dell’arte (1992), Marsilio, Venezia 2005, e di N. Heinich, La sociologia dell’arte (2001), il Mulino, Bologna 2004. 4. F. Boni, Teorie dei media, il Mulino, Bologna 2006, p. 164. 5. Sul tema si rinvia alle belle pagine di R. Sennett (2008), L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 70-78. 6. P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 409. 7. Sempre stimolanti gli studi sull’arte di G. Simmel: Stile moderno. Saggi di estetica sociale, Einaudi, Torino 2020, e Il volto e il ritratto. Saggi sull’arte, il Mulino, Bologna 1983, ivi compresi i saggi dedicati a Rembrandt, Michelangelo, Rodin. Per un approfondimento: A. De Simone, Amor vitae. Stili e forme dell’arte nell’estetica di Georg Simmel, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2021; C. Portioli, G. Fitzi, Georg Simmel e l’estetica. Arte, conoscenza e vita moderna, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2004. 8. Sul virtuismo paretiano si rinvia ai nostri saggi: The “virtuist” society. Pareto and the myth of immoral representations, «Metis», n. 1/2016, pp. 33-56; Pareto, o dell’immaginario virtuista. Il male “immorale” della cultura “velata”, «Im@go», n. 9/2017, pp. 219-241. 9. U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza, Roma-Bari 2016, p. 145. 10. Come bene hanno dimostrato U. Eco, Apocalittici e integrati (1964), Bompiani, Milano 2005, e J. Baudrillard, La società dei consumi (1970), il Mulino, Bologna 2010. 11. J. Baudrillard, La sparizione dell’arte (1988), Abscondita, Milano 2012, p. 31. 12. Su Bansky si vedano gli studi di S. Antonelli, G. Marziani, A. Andipa, Un artista chiamato Bansky, SAGEP, Genova 2020, e di X. A. Tapies, Ma dovè Bansky?, L’ippocampo, Milano 2020. Su Marina Abramoviç: G. Frangi, Marina Abramoviç. Estasi, Casa Testori, Milano 2019; M. Richards, Marina Abramoviç, Routledge, Abingdon-on-Thames (UK)-New York 2018. Sulle trasformazioni ambientali e strutturali nei musei: G. Grechi, Decolonizzare il museo: mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2021. 13. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., p. 22. 14. Cfr. P. Panza, Arte come comunicazione. Estetica e storia della letteratura artistica, Guerini Scientifica, Milano 2022. 15. Sulle possibili declinazioni di ricerca nella sociologia dell’arte: A. L. Tota, Etnografia dell’arte. Per una sociologia dei contesti artistici, Logica University Press, Roma 1999; M. Tessarolo, La comunicazione artistica e la sociologia dell’arte, in D. Bertasio (a cura di), Immagini sociali dell’arte, Dedalo, Bari 1998, pp. 75-86. Per ulteriori approfondimenti: C. Bordoni (a cura di), Introduzione alla sociologia dell’arte, Liguori, Napoli 2008; D. Bertasio, Studi di sociologia dell’arte. L’esperienza estetica fra rappresentazione e generazione di artificiale, FrancoAngeli, Milano 1996. 16. Sul tema si rimanda a F. Isman, Quando l’arte va a ruba. Furti e saccheggi, nel mondo e nei secoli, Giunti, Firenze 2021. 17. Cfr. L. Taiuti, Arte e media. Avanguardie e comunicazione di massa, Costan & Nolan, Genova 1996. 18. Si segnala il classico lavoro di H. Lasswell, La propaganda (1927), Armando, Roma 2020. 28 19. W. Lippmann, L’opinione pubblica (1922), Donzelli, Roma 1999, p. 12. 20. Sugli effetti sociali della connettività permanente: C. Giaccardi, M. Magatti, Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo, il Mulino, Bologna 2020; G. Boccia Artieri, Stati di connessione: pubblici, cittadini e consumatori nella (Social) Network Society, FrancoAngeli, Milano 2016. 21. H. Jenkins, Cultura convergente (2006), Apogeo, Milano 2014. 22. F. Boni, Teorie dei media, cit., pp. 163-169. 23. F. Speroni, Sotto il nostro sguardo. Per una lettura mediale dell’opera d’arte, Costa & Nolan, Genova 2005, p. 15. 24. V. Grassi, D. Viviani, Il cibo immaginato tra produzione e consumo. Prospettive socioantropologiche a confronto, FrancoAngeli, Milano 2016, p. 73. 25. Cfr. L. McIntyre, Post-verità (2018), Utet, Torino 2019. 26. J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno (1972), Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2010. 27. V. Pareto, Il mito virtuista e la letteratura immorale (1916), Liberlibri, Macerata 2013. 28. Ivi, p. 89. 29. T. Veblen, La teoria della classe agiata (1899), Einaudi, Torino 2007. 30. V. Grassi, D. Viviani, Il cibo immaginato tra produzione e consumo, cit., p. 71. 31. Stimolante l’approccio semiologico proposto da G. Marrone, Semiotica del gusto. Linguaggi della cucina, del cibo, della tavola, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2016. 32. P. Bourdieu, Ragioni pratiche (1994), il Mulino, Bologna 1995, p. 21. 33. Il rinvio obbligato è a E. Goffman, Frame Analysis. L’organizzazione dell’esperienza (1974), Armando, Roma 2001. 34. P. Parmiggiani, Consumo e identità nell’Italia contemporanea, FrancoAngeli, Milano 1999, p. 130. Sul tema si rimanda a D. Secondulfo, Il mondo di seconda mano. Sociologia dell’usato e del riuso, FrancoAngeli, Milano 2016. 35. Sull’avvento del medium tipografico si rinvia a E. Eisenstein, Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna (1983), il Mulino, Bologna 2011. Sugli effetti della galassia Gutenberg e sulle dinamiche mediali contemporanee cfr. A. Lombardinilo, La scuola di Toronto tra Harold Innis e Marshall McLuhan, in M. Centorrino, A. Romeo (a cura di), Sociologia della comunicazione. Teorie, concetti, strumenti, Mondadori, Milano 2021, pp. 342-361. 36. A. Spaulding Flowers, C. Lane Pixley, Twenty Years of School-Based Mass Shootings in The United States: Columbine to Sante Fe, Lexington Books, London 2021. 37. U. Beck, Conditio humana. Il rischio nell’età globale (2007), Laterza, Roma-Bari 2011, p. 86. 38. Sull’evoluzione del giornalismo al tempo del digitale: C. Sorrentino, S. Splendore, Studiare giornalismo. Ambiti, logiche, attori, Carocci, Roma 2013; E. Valentini, Dalle gazzette all’iPad. Il giornalismo al tempo dei tablet, Mondadori, Milano 2012; M. Morcellini (a cura di), Neogiornalismo, Mondadori, Milano 2011; M. Pratellesi, New Journalism, Bruno Mondadori, Milano 2008. 39. Sui rischi insiti nello spazio accademico cfr. A. Lombardinilo, Università del rischio e mobilità accademica: la drammatizzazione mediale della violenza, «Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione», n. 1/2018, pp. 1-29. 40. Sulla strategia comunicativa del giovane papa americano proposto da Paolo Sorrentino si rinvia ad A. Lombardinilo, “Presence is absence”. Communication and rhetoric in Paolo Sorrentino’s The Young Pope, «Metis», n. 2/2020, pp. 115-134. 41. Ci si riferisce a G. Mercurio, La vera arte è non farsi beccare. Interviste a Bansky, Sole 24 Ore Cultura, Milano 2020. Significativo il lavoro di L. Ciancabilia, C. Omodeo, Street Art: Bansky & Co: l’arte allo stato umano, Bononia University Press, Bologna 2016. 42. Fondamentale il libro di N. Luhmann, Sociologia del rischio (1991), Bruno Mondadori, Milano 1996. 43. R. Silverstone, Mediapolis. La responsabilità dei media nella civiltà globale (2007), Vita & Cultura, Milano 2009, p. 220. 29 44. Cfr. C. Salaris, Futurismo. I movimenti e le idee, Editrice bibliografica, Milano 2016. 45. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte (1976), Feltrinelli, Milano 2015, p. 85. 46. Sul tema si rimanda a N. Mandarano, Musei e media digitali, Carocci, Roma 2019; L. Branchesi, V. Curzi, N. Mandarano, Comunicare il museo oggi: dalle scelte museologiche al digitale, Skira, Milano 2016. 47. Da segnalare: G. Divine, Art for freedom: Prayers for Charlie Hebdo, Createspace Independent Publications, Scotts Valley (CA) 2016. 48. U. Beck, Conditio humana, cit., p. 26. 49. Ivi, p. 241. 50. Di J. Habermas si suggeriscono i seguenti volumi: Nella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europea (2013), Laterza, Roma-Bari 2014; Questa Europa è in crisi (2011), Laterza, Bari 2012; Il ruolo dell’intellettuale e la causa dell’Europa (2008), Laterza, Bari 2011, pp. 63-107. 51. Tutti gli articoli sono in rete: Reuters in Paris, Thieves stole Bansky Bataclan door mural with crowbar, French court told, «The Guardian», June 8, 2022; M. Pirrelli, Bansky, la ragazza triste del Bataclan torna a Parigi, «Il Sole 24 Ore», 14 luglio 2020; R. Schittly, Porte du Bataclan: l’équipée des Lyonnais qui ont dérobé l’oeuvre de Bansky détaillée par la justice, «Le Monde», 03 mai 2022; H. Messia, Bansky artwork stolen from Paris’ Bataclan theater is found in Italy, CNN, June 11, 2020. 52. Per approfondimenti: R. Fagiolo, L’ombra del Caravaggio. Sei grandi storie di arte rubata, Nutrimenti, Roma 2007; V. Gabbrielli, Patrimoni contesi, Polistampa, Firenze 2009; P. Wescher, I furti d’arte: Napoleone e la nascita del Louvre, Res Gestae, Milano 2022; A. Brand, Sulle tracce del tesoro di Hitler, Newton Compton, Roma 2022. 53. Si pensi alla miniserie televisiva di due puntate, dal titolo L’uomo che rubò la Gioconda, con Alessandro Preziosi, Violante Placido e Tom Novembre, regia di Fabrizio Costa, andata in onda su Canale 5 il 23 ottobre 2006 e incentrata sulla storia di Vincenzo Peruggia. 54. L. Mazzoli, Raccontare la cultura: come si informano gli italiani, come si comunicano i musei, FrancoAngeli, Milano 2018, p. 28. 55. J. Baudrillard, La sparizione dell’arte, cit., p. 29. 56. A. L. Tota, Etnografia dell’arte. Per una sociologia dei contesti artistici, Ledizioni, Milano 1997, p. 49. 57. Come evidenziato da R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (2018), Feltrinelli, Milano 2020. 58. J. Habermas, Etica del discorso (1983), Laterza, Roma-Bari 2009, p. 118. 59. Curata da Nunzio Giustozzi, l’edizione 73 del Premio Michetti, “Figura,ae. L’immagine delle immagini”, coinvolge tredici tra i più convincenti e originali artisti italiani impegnati nel campo della figurazione: Giulio Catelli, Paolo Delle Monache, Roberto De Santis, Monica Ferrando, Giovanni Gasparro, Elena Giustozzi, Matteo Massagrande, Luca Pignatelli, Luigi Spina, Marzio Tamer, Sandro Trotti, Velasco Vitali, Rita Vitali Rosati. 60. S. Paone, Arte e tecnologia, Ledizioni, Milano 2014. 61. S. Latouche, Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata (2013), Bollati Boringhieri, Milano 2015, p. 93. 62. La definizione è di N. Frapiccini, N. Giustozzi, La geografia dell’arte, 3 voll. Hoepli, Milano 2005. Sulla portata provocatoria dell’arte contemporanea: L. Bonfante, Catastrofi d’arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento, Johan & Levi editore, Monza 2019; F. Bonami, L’arte nel cesso. Da Duchamp a Cattelan, ascesa e declino dell’arte contemporanea, Mondadori, Milano 2017. Premio Michetti 1947-2021 1947 Non assegnato [edizione a cura di Ettore Gian Ferrari] 1948 Vincenzo Ciardo, Luigi Montanarini, Enrico Prampolini, Aligi Sassu, Alberto Ziveri 1949 Emanuele Cavalli, Mauro Reggiani 1950 Vincenzo Ciardo 1951 Vincenzo Colucci, Carlo Dalla Zorza, Antonio Donghi, Luigi Pera 1952 Pompeo Borra, Alberto Chiancone 1961 Achille Funi 1962 Gino Morandis 1963 Carmine Di Ruggiero, Riccardo Licata, Carmelo Zotti 1964 Fausto Pirandello 1965 Arturo Carmassi, Sergio Romiti [Fausto Pirandello e Giuseppe Ajmone, a cura di Carlo Barbieri] 1953 Giuseppe Cesetti, Mario Marcucci 1966 Giannetto Fieschi, Marcolino Gandini [Mostra delle opere premiate dal 1947 al 1965; Francesco Paolo Michetti, disegni, incisioni e pastelli] 1954 Bruno Cassinari, Sante Monachesi, Luigi Montanarini, Enrico Prampolini 1967 Piero Dorazio, Enzo Mari [edizione a cura di Palma Bucarelli] 1955 Enrico Paulucci 1968 Mario Ceroli, Gianfranco Ferroni [Andrea e Pietro Cascella, a cura di Emilio Tadini e Mario De Micheli] 1956 Bruno Saetti 1957 Domenico Spinosa 1958 Fiorenzo Tomea 1959 Guido La Regina 1960 Sergio Saroni 1969 Non assegnato [Mostra d’arte contemporanea a cura di Giorgio de Marchis, Marcello Venturoli, Marisa Volpi] 1970 Alberto Biasi, Angelo Cagnone, Gino Marotta, Massimo Radicioni 1971 Maurizio Bottarelli, Carlo Maschietto, Vittorio Matino, Giorgio Ramella 32 1972 Crescenzo Del Vecchio, Armando De Stefano, Pietro Gallina, Riccardo Guarnieri, Valentino Vago [edizione a cura di Marcello Venturoli] 1973 Guido Biasi, Giorgio Celiberti, Joxe Ciuha, Andrej Jemec, Claudio Verna, Mehmed Zaimović [edizione a cura di Garibaldo Marussig e Zoran Krzisnik] 1974 Luis Edoardo Aute, Agueda De La Pisa, Equipo Realidad (Jorge Ballortes e Juan Cordelia), Giuseppe Gallizioli, Romano Notari, Vanni Viviani 1975 Non assegnato 1976 Franco Tassi “La presentosa d’oro” [L’uomo e il suo ambiente] 1977 Antonio Cederna “La presentosa d’oro” [L’uomo e il suo spazio] 1978 Non assegnato [Su… per… da… con F. P. Michetti] 1979 Non assegnato [Quattro questioni di linguaggio;Omaggio a Francesco Paolo Michetti nel cinquantenario della morte; Ricordo di Guido Montauti] 1981 Non assegnato [Omaggio a Teofilo Patini; Omaggio a Vincenzo Ciardo] 1982 Non assegnato [L’immagine dialettica, a cura di Roberto Sanesi; Omaggio a Remo Brindisi] 1983 Maria Lai, Angelo Titonel, Claudio Verna [L’immagine diversa, a cura di Marcello Venturoli] 1984 Non assegnato [Premio Michetti 1947-1983. Arte e politica dell’arte dal dopoguerra ad oggi, a cura di Luciano Caramel) 1986 Mauro Berettinii, Mimmo Conenna, Carlo De Lucia, Piero Di Terlizzi, Ignazio Gadaleta, Pasquale Liberatore, Antonio Matarazzo, Lucia Narducci, Mario Ranieri, Giorgio Ruasi, Loreno Sguanci, Franco Summa, Anna Valla, Sando Visca. [Il mare, a cura di Enrico Crispolti; Francesco Paolo Michetti mare & figure, a cura di Marcello Venturoli; Artisti teramani dell’Ottocento. Giuseppe Bonolis, Pasquale Celommi, Gennaro Della Monica, Raffaele Pagliaccetti] 1987 Tamas Banovich, Per Barclay, Christopher Boutin, Beth Brenner, Carlo Ciarli, Philippe De Luych, Mitchell Kane, Paola Fonticoli, Andy Moses, Giandomenico Sozzi [Nuovi Territori dell’arte, Europa America e Mario Schifano 25 luglio 1987, a cura di Achille Bonito Oliva; Nicola D’Antino, a cura di Maria Grazia Tolomeo Speranza; Smargiassi e il suo tempo] 1988 Non assegnato [L’astratto vissuto e i suoi maestri italiani degli anni Cinquanta; Giovani artisti italiani e bulgari] 1989 Non assegnato [Radici del Sud, dal Sud: quindici artisti giovani, a cura di Luciano Caramel e Sandra Orienti] 33 1990 Wainer Vaccari, Carmelo Zotti [edizione a cura di Guido Giuffrè] 1991 Igor Mitoraj, Ivan Peter Theimer [Viaggio in Italia, a cura di Vittorio Sgarbi] 1992 Andrea Carnemolla, Claudio Corsello e Monica Cuoghi, Gaetano Sgambati [Trenta giovani artisti, a cura di Renato Barilli] 1993 Non assegnato [L’ultimo Michetti: pittura e fotografia] 1994 Roberto Almagno, Carlo Lorenzetti, Claudio Olivieri [Storie di pittura, a cura di Fabrizio D’Amico; Omaggio a Federico Spoltore, a cura di Giuseppe Rosato] 1995 Augusto Perez [Il bronzetto Italiano contemporaneo 1931-1995, a cura di Carlo Fabrizio Carli] 1996 Daniela Alastra, Luca Lampo, Giovanni Manfredini, Bernardo Siciliano [Consistenza della pittura, a cura di Flaminio Gualdoni] 1997 Marco Tirelli [Gli archetipi immaginali nell’arte contemporanea, a cura di Floriano De Santi] 1998 Non assegnato [Premio Michetti 50 edizioni, a cura di Luciano Caramel] 1999 Non assegnato [Francesco Paolo Michetti. Dipinti, pastelli, disegni; Francesco Paolo Michetti, Il cenacolo delle arti tra fotografia e decorazione] 2000 Franz Baumgartner, Gabriele Picco [Europa. Differenti prospettive nella pittura, a cura di Gianni Romano] 2001 Paola Pivi, Erzen Shkololli [Adriatico le due sponde, a cura di Angela Vettese] 2002 Paolo Fiorentino, Antonio Seguì [La città e le nuvole, Italia-Argentina, a cura di Carlo Fabrizio Carli e Guillermo Whitelow] 2003 Arduino Cantafora, Hidetoshi Nagasawa, Tito Rossini [L’amore per la terra. Italia-Giappone, a cura di Duccio Trombadori e Gabriele Simongini; Omaggio a Mario Ceroli] 2004 Marco Cingolani, Angelo Davoli, Hai Bo [Mito e realtà, uno sguardo ad Oriente, a cura di Anna Imponente e Stefano Zecchi] 2005 Marc Didou, Walter Valentini [In & out, opera e ambiente nella dimensione glocal, a cura di Luciano Caramel con Domenico Quaranta] 2006 Nicola Samorì, Maja Kokocinski [Laboratorio Italia, a cura di Philippe Daverio] 2007 Till Freiwald, Cristiano Tassinari [Nuovi Realismi, la centrale dei linguaggi tradizionali, a cura di Maurizio Sciaccaluga] 34 2008 Alessandra Giovannoni, Oan Kyu [I labirinti della bellezza, a cura di Maurizio Calvesi, Anna Imponente, Augusta Monferini] 2009 Non assegnato [Un sogno in riva all'Adriatico, retrospettiva Premi Michetti] 2010 Angelo Casciello, Francesco Cervelli [Diorama italiano, a cura di Carlo Fabrizio Carli] 2011 Non assegnato [Mattia Moreni. Ah, che scosse hai dato all’arte!, a cura di Renato Barilli; Giuliano Collina, il piacere dell’illusione; Antonio D’Acchille] 2012 Piero Gilardi, Chris Gilmour [Popism, l’arte in Italia dalla teoria dei mass media ai social network, a cura di Luca Beatrice; Omaggio a Mauro Reggio] 2013 Agostino Arrivabene, Christian Balzano, Giuseppe Modica, Armodio [La bellezza necessaria, Gabriele D’Annunzio nel 150° anniversario della nascita; Omaggio ad Aligi Sassu; L’energia dei giovani. Omaggio a Italio Picini; Progetto di conservazione Premi Michetti] 2014 Ana Kapor, Andrea Lelario, Vincenzo Scolamiero, Nicola Giuseppe Smerilli [Alimento dell’anima. Verso l’Expo 2015, a cura di Tiziana D’Acchille; Call for Papers. Italo Bressan, Franco Marrocco, Alessandro Savelli, a cura di Giovanni Iovane; Progetto di conservazione Premi Michetti] 2015 Non assegnato [Rivelazioni: arte contemporanea dalle collezioni del Premio Michetti; Mostra omaggio a Gaetano Memmo, a cura di Carlo Fabrizio Carli; Rassegna dedicata ad Emilio Sobrero, a cura di Giovanni Benedicenti; Mostra ex libris del primo Novecento] 2016 Sonia Clark, Bruno Di Bello, Lorena Pedemonte Tarodo, Giovanni Sabatini [Oltre, nel cosmo, nell’incognito degli universi e dello spaziotempo della contemporaneità, a cura di Luciano Caramel; Omaggio a Khaled al Asaad; Urban Rainbow, Franco Summa; Progetto di conservazione Premi Michetti] 2017 Non assegnato [Fantasmi di luce. Estetiche visionarie da Michetti al presente. Nel Settantennale del Premio Michetti 1947-2017, a cura di Silvia Pegoraro] 2018 Matteo Montani, Lucia Veronesi [Che arte fa oggi in Italia, a cura di Renato Barilli; Omaggio a Domenico Colantoni] 2019 Nataly Maier, Vito Bucciarelli [Attraversamenti tra arte e fotografia, a cura di Anna Imponente e Claudio Cerritelli] 2020 Sara Enrico, Pierpaolo Campanini [L’aureola nelle cose: sentire l’habitat, a cura di Guido Molinari] 2021 Leonardo Petrucci, Myriam Laplante [Michetti, Spalletti e nuovi paesaggi con e senza figura, a cura di Daniela Lancioni] Le tele michettiane al MuMi Museo Michetti Francesco Paolo Michetti, Le serpi, 1900, tempera su tela, cm 362x957, Francavilla al Mare, MuMi Museo Michetti (proprietà Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma) Francesco Paolo Michetti, Gli storpi, 1900, tempera su tela, cm 362x958, Francavilla al Mare, MuMi Museo Michetti (proprietà Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma) In copertina Francesco Paolo Michetti, Autoritratto (Scherzo), 1877, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum Alle pagine 2, 6, 14 Francesco Paolo Michetti, Le serpi, 1900, particolari, Francavilla al Mare, MuMi Museo Michetti A pagina 18 Giovanni Gasparro, San Nicola di Bari. Il miracolo del mattone, 2016, particolare, collezione dell'artista Alle pagine 224, 242 Francesco Paolo Michetti, Gli storpi, 1900, particolari, Francavilla al Mare, MuMi Museo Michetti © gli autori per i testi e gli artisti per le immagini delle opere © 2022 Fondazione Michetti tutti i diritti riservati Crediti fotografici © Archivio Luciano e Marco Pedicini, pp. 18, 25, 106-123 Foto di Giuseppe Anello, p. 26 Foto di Roberto Balestrini, Studio Close-Up, pp. 42, 126-135 Foto di Alberto Buzzanca, pp. 38, 138-147 Foto di Luciano Calzolari, pp. 32, 68-77 Foto di Alfredo Cortellucci, p. 46 Foto di David Ghaleb, pp. 36, 96-103 Foto di Nunzio Giustozzi, pp. 187, 194, 195, 197, 200 Foto di Francesco Pignatelli, pp. 150-155 Foto di Giovanni Scirè Ingastone, pp. 30, 80-93 Foto di Anais Trotti, pp. 186, 188-193, 196, 198-199, 201 Foto © SCV - Direzione dei Musei, tutti i diritti riservati, p. 23 © J. Paul Getty Trust, copertina, p. 20 SalamonFineArt, Milano, pp. 41, 172-183 © Luigi Spina, pp. 48-49, 159-169 Studio Boys, Roma, pp. 34, 56-65 Su concessione del Ministero della Cultura / Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea / foto Claudio Lanaro, pp. 2, 6, 14, 224, 242, 247 Velascovitalistudio, pp. 44, 204-213 © Rita Vitali Rosati, pp. 29, 216-223 Edizioni Ephemeria via Giuliozzi, 15 - Macerata www. edizioniephemeria.it Finito di stampare nel mese di luglio 2022 da Artelito S.p.A., Castelraimondo (MC) ISBN 978-88-87852-43-1