Palazzo San Domenico
MuMi Museo Michetti
Francavilla al Mare
30 luglio - 25 settembre 2022
Testi in catalogo
Renato Barilli
Nunzio Giustozzi
Andrea Lombardinilo
Mostra e catalogo
a cura di Nunzio Giustozzi
Giuria
Costantino D’Orazio
Presidente
Angelo Piero Cappello
Alessandro Caruso
Andrea Lombardinilo
Lella Mazzoli
Cristina Ricciardi
Daniela Simoni
Il curatore ringrazia gli artisti che hanno
aderito con convinzione al progetto, i galleristi,
i collezionisti privati che hanno messo
gentilmente a disposizione le loro opere e tutti
coloro i quali, a vario titolo, hanno collaborato
alla realizzazione della mostra e del catalogo:
Antonello Andreani, Andrea Angiuli, Ilaria Brianti,
Vito Nicola Bruno Cantacessi, Aureliano Catena,
Dominika Cecot, Viviana Epicoco, Andrea
Fioranelli, Camillo Langone, Ottorino La Rocca,
Nicola Loi (Studio Copernico - Milano), Marino
Provvisionato, Hawa Said, Lorenza Salamon
(Salamon Fine Art, Milano), Paola Toro, Anais
Trotti, Federico Valle.
Ufficio stampa
Paolo Bozzacchi
Digital e social media
Claudio Lanaro
Visual designer
Monica Simoni
Ove non diversamente indicato in didascalia le
opere si intendano provenienti dalla collezione
degli artisti.
Catalogo
Edizioni Ephemeria, Macerata
con il sostegno di
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con il patrocinio di
PROVINCIA
DI PESCARA
COMUNE
DI PESCARA
COMUNE
DI CHIETI
COMUNE
DI TOCCO DA CASAURIA
UNIVERSITÀ
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DEGLI STUDI
GABRIELE D’ANNUNZIO
O
DI CHIETI-PESCARA
A
Piazza San Domenico, 1
66023 - Francavilla al Mare (Chieti)
www.fondazionemichetti.it fi
Presidente
Andrea Lombardinilo
Segretario generale
Stefania Antonucci
Consiglio di Amministrazione
Andrea Lombardinilo
Presidente
Luisa Ebe Russo
Sindaco di Francavilla al Mare
Riziero Zaccagnini
Sindaco di Tocco da Casauria
Diego Ferrara
Sindaco di Chieti
Pierluigi Biondi
Sindaco de L’Aquila
Carlo Masci
Sindaco di Pescara
Gianguido D’Alberto
Sindaco di Teramo
Ottavio De Martinis
Presidente della Provincia di Pescara
Diego Di Bonaventura
Presidente della Provincia di Teramo
Emilio Patrizio
Rappresentante artisti abruzzesi
Gaia Di Lorenzo
Rappresentante del Ministero della Cultura
Tesoriere
Valerio Cavallucci
Collegio dei revisori
Luigi De Francesco
Carlo Ricciuti
Simone Ronca
sommario
Carlo Tatasciore, il filosofo,
il curatore d’arte
Renato Barilli
15
Come la luna di ieri e di domani
Nunzio Giustozzi
19
Gli artisti
53
L'arte del simulacro.
Il doppio legame
tra finzione e realtà
Andrea Lombardinilo
225
Premio Michetti 1947-2021
243
gli artisti
Giulio Catelli
Paolo Delle Monache
Roberto De Santis
Monica Ferrando
Giovanni Gasparro
Elena Giustozzi
Matteo Massagrande
Luca Pignatelli
Luigi Spina
Marzio Tamer
Sandro Trotti
Velasco Vitali
Rita Vitali Rosati
54
66
78
94
104
124
136
148
156
170
184
202
214
L'arte del simulacro.
Il doppio legame tra finzione e realtà
Andrea Lombardinilo
Massa e realtà: una questione di stile
“L’adeguazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di
portata illimitata sia per il pensiero sia per l’intuizione”1. Nel riflettere sull’avvento
della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, Walter Benjamin sottolineava
l’ineludibile convergenza tra massa e comunicazione, agevolata dall’ascesa del
cinema e della radio, ma anche della stampa popolare e del medium fotografico2.
Siamo nella prima metà del Novecento, in un momento storico caratterizzato
dall’evoluzione del rapporto tra arte e potere e dall’affermazione di forme nuove
di propaganda, censura e persuasione collettiva. In questo senso, l’analisi del
processo artistico inteso come spazio di produzione simbolica, oltre a innescare
possibili consonanze con le ricerche di Pierre Bourdieu, legittima la prospettiva
euristica dell’opera d’arte come medium collettivo, immersa in un coacervo di
influenze, paradigmi, cornici culturali3.
La transizione dalla visione romantica dell’arte propugnata da Schiller (e, più
in generale, dagli idealisti tedeschi) alla concezione decadente dell’arte per l’arte,
che vede in Baudelaire, Pater e d’Annunzio tre interpreti d’eccezione, avviene nel
segno di quel rinnovamento della fenomenologia degli stili su cui Federico Boni ha
scritto pagine stimolanti, sulla scorta della lezione di Marshall McLuhan: “Si pensi
ai diversi stili che si sono avvicendati nei secoli nell’arte, così come nella lingua
o nella moda, ma anche come convivano pluralità di stili in una stessa epoca e
in uno stesso luogo. Ora, proprio dalla pluralità e instabilità degli stili muove la
necessità di fissare dei criteri di ̒invarianzaʼ nel manifestarsi degli stili nell’arte”4.
Fissare lo stile significa anzitutto individuare segmenti di linguaggio
riconoscibili e plasmabili a seconda delle attese di un pubblico soggetto a
fluttuazioni simboliche e ondulazioni emotive, come ben sapevano gli artisti del
Quattrocento e del Cinquecento alle prese con le aspettative di una committenza
facoltosa5. Ma fissare uno stile è operazione complessa e ardita, con o senza
l’aiuto della tecnologia: quale differenza passa tra i quadri di Piero della Francesca
e quelli di artisti contemporanei affermati, come Matteo Massagrande, Giovanni
Gasparro, Roberto De Santis, che fanno del dato figurativo un tratto distintivo
identitario? Parlando di “genesi sociale dell’occhio”, Bourdieu sottolineerebbe
la ricorsività di alcune tendenze iconologiche, soprattutto in campo figurativo:
“L’analisi storica che ripudia le generalità verbali dell’analisi di essenza per
immergersi nella particolarità storica di un luogo e di un momento costituisce
un passaggio obbligato, un momento inevitabile (contro il teoricismo vuoto)
14
e destinato a essere superato (contro l’iperempirismo cieco), per ogni ricerca
scientifica delle invarianti”6. Studiare le “invarianti” della storia implica non
solo un’attenzione filologica verso la fenomenologia del reale, ma anche una
connaturata predisposizione al rilevamento del dato oggettivo, sovente filtrato
dalla lente deformante dell’osservazione7.
Un dipinto, un racconto o una statua possono pertanto costituire un
mezzo di denuncia sociale o un medium ispirato alla conservazione, come
denunciato da Vilfredo Pareto nel 1914 in riferimento al fenomeno del “virtuismo”,
inaspettatamente tornato in voga in occasione della visita del presidente iraniano
Rohani a Roma nel 2016, allorquando alcune statue esposte nei musei capitolini
furono coperte per non urtare la sensibilità della religione musulmana8. O si pensi
alla rimozione del quadro del pittore olandese Frans Snyders, The Fowl Market,
dal refettorio di Hughes Hall dell’Università di Cambridge, in seguito alle proteste
di studenti vegani e vegetariani, urtati dall’immagine dei capi di selvaggina
rappresentati nell’interno di una macelleria secentesca. Vecchie e nuove forme
di censura si palesano nella sfera pubblica, nonostante la globalizzazione
comunicativa e l’interattività delle relazioni connesse, nel segno di quelle
“politiche della visibilità” che Ulrich Beck ha evidenziato nel 2016 a proposito
della metamorfosi del mondo in atto: “Allo stesso tempo, nella comunicazione
digitale individualizzazione e cosmopolitizzazione sono momenti contrapposti. La
comunicazione digitale da un lato, scardinando il sistema delle identità collettive
date, costringe gli individui a contare solo su sé stessi. Dall’altra parte, impone
loro di utilizzare le risorse presenti negli spazi d’azione cosmopolitici”9.
Gli spazi d’azione cui fa riferimento Beck sono per loro natura liquidi e dinamici,
ma non immuni da aporie simboliche o valoriali. Le nuove forme di censura
della rete costituiscono la parziale conferma a questa tendenza subdolamente
distorsiva, che enfatizza una certa tendenza alla demitizzazione: si pensi al caso
della Gioconda imbrattata con una torta il 29 maggio 2022 e alla rivendicazione
ambientalista del responsabile, un giovane ragazzo francese con parrucca e
carrozzella, le cui immagini sono diventate virali in rete grazie a Tik Tok e Twitter.
Anche in questo caso, l’arte diviene un pretesto comunicativo, una sorta di volano
semiotico utile ad amplificare e a personalizzazione vecchie e nuove forme di
protagonismo. A sua volta il caso della Gioconda riporta in primo piano il tema
della sicurezza e della salvaguardia dell’opera d’arte, che non riguarda soltanto
i beni archeologici, ma anche quelli museali che, se non opportunamente difesi,
vanno incontro a rischi di danneggiamento: la teca in vetro che protegge l’opera
15
costituisce il baluardo simbolico tra il genio e la massa, tra l’arte e il pubblico,
nel segno di un distanziamento reso necessario non solo dal valore intrinseco
dell’opera, ma anche dalla desacralizzazione cui è sottoposta la cultura alta10.
Riprendendo l’intuizione baudrillardiana della “sparizione dell’arte”, si
potrebbe parlare di una vera e propria demitizzazione dello spazio artistico, in
cui l’osservazione oculare è in parte filtrata attraverso l’obiettivo fotografico
del telefono, secondo una tendenza alla riproducibilità digitale delle immagini
sempre più convulsa. Siamo forse in presenza del “suicidio dell’arte” evocato
provocatoriamente da Baudrillard sulla scorta della pop art e in riferimento
alla strategia della simulazione e dell’annientamento del segno estetico: “Ma
c’è un momento disilluminato in cui essa apprende a sopravvivere di questa
stessa banalità – un po’ come fallire il proprio suicidio. Riuscire il proprio suicidio
è l’arte della sparizione, è saper dare a questa sparizione tutte le suggestioni
dell’artificio. Come il barocco, che fu esso pure una grande epoca della
simulazione, e che fu ossessionato allo stesso tempo dalla vertigine della morte
e da quella dell’artificio”11. Lo stesso discrimine tra moralità e immoralità pone
una serie di questioni cogenti in merito al bisogno di fuggire la banalizzazione
e ribaltare la strategia dell’artificio, a sua volta legata a certe retoriche della
sensazionalità dell’avvenimento estetico, come nel caso delle opere di Banksy o
di Marina Abramović12.
L’arte della simulazione, così in voga al tempo del Barocco, è sottoposta oggi
a nuove dinamiche estetiche, agevolate dalle tecnologie e dalla condivisione
sincrona di immagini e contenuti. Lo stesso principio dell’hic et nunc acquista
risvolti semiotici inediti, come dimostra il tentato danneggiamento della
Gioconda, che deve avvenire forzatamente in presenza. Come muta, dunque, la
percezione dell’aura dell’opera d’arte al tempo delle visualizzazioni condivise?
Val forse la pena di richiamare la considerazione di Benjamin sull’aura dell’opera
d’arte e del mito dell’hic et nunc, che oggi sembra definitivamente liquidato,
dopo l’esperienza del distanziamento sociale e della didattica a distanza: “Anche
nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic
et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si
trova. Ma proprio su questa esistenza, e in null’altro, si è attuata la storia a cui
essa è stata sottoposta nel corso del suo durare”13. Contrariamente a quanto
rilevato da Benjamin negli anni Trenta, il segno estetico sembra aver acquistato
una sua autonomia significante rispetto alla sua esclusività fruitiva, un tempo
legata al vincolo della presenza e della non ripetibilità visiva.
16
Lo scambio simbolico esaminato da Baudrillard acquista, paradossalmente,
una valenza epistemologica legata alla riproducibilità sincrona e circolare
delle immagini, con tutto quel che ne consegue in merito alla sparizione e alla
riapparizione dell’arte nella sfera pubblica14.
La demitizzazione del prodotto estetico avviato dai dadaisti e sancito dalla
pop art costituisce soltanto l’ultimo atto di un processo di desacralizzazione
dell’opera d’arte che, stendhalianamente, acquista nuove forme di fascinazione,
al netto dell’individuazione di quel vanishing point cui ogni work of art è
ineludibilmente sottoposto15. In questo senso, il fenomeno dei falsi è soltanto
uno degli aspetti legati alla riproducibilità fraudolenta dell’oggetto estetico,
in cui imitazione, frode e finzione si legano all’unisono, senza soluzione di
continuità, come messo in evidenza da Fabio Isman a proposito dell’arte “che va
a ruba”16. La vicenda delle false teste di Modigliani, il caso dei falsi di Cascella
venduti in televisione, o le polemiche relative ai falsi Michetti esposti nel 2017
nella sua città d’adozione, sono eventi che contribuiscono ad alimentare forme
alternative di narrazione mainstream sull’arte, nel segno di un depauperamento
dell’atto estetico e di una enfatizzazione del dato di cronaca, legato comunque
alla notiziabilità dell’oggetto artistico decontestualizzato dal luogo di
appartenenza. Si pensi alla vicenda della porta del Bataclan dipinta da Banksy
per commemorare le vittime dell’attentato del 2015, rubata nel 2019 e ritrovata
in Abruzzo, nel Teramano: nove persone sono sotto processo con i reati di furto e
ricettazione. Sono questi alcuni casi di narrazione mediale che vedono al centro
dell’attenzione il rapporto tra informazione, pubblico e opere d’arte, le quali fanno
sovente notizia per ragioni extra-estetiche e acquistano rilevanza giornalistica
allorquando il dato di cronaca (negativa) sfocia nel sensazionalismo e nella
morbosità17.
Di qui la centralità del tema dell’insicurezza, che diviene tema mainstream
ogni qualvolta in siti archeologici importanti si verificano crolli, furti,
danneggiamenti, dovuti anche a malagestione o negligenza nella tutela e nella
salvaguardia. “Bad news is always good news” direbbe Harold Lasswell18.
Ma anche nel caso dell’arte, il rapporto tra informazione e opinione pubblica
acquista una valenza simbolica, come sottolineava Walter Lippmann un secolo fa:
“Il solo sentimento che si può provare per un fatto di cui non si ha un’esperienza
diretta è il sentimento che viene suscitato dall’immagine mentale di quel fatto”19.
Così, al tempo della riproducibilità digitale di immagini e contenuti, l’immagine
mentale dei fatti acquista valenze semiotiche inaspettate al cospetto di un
17
pubblico eterogeneo, abituato ad osservare attraverso uno schermo il divenire
della realtà connessa20.
The Market Fowl, o della censura accademica
Il caso della rimozione dell’opera The Market Fowl del pittore olandese Frans
Snyders, dal refettorio di Hughes Hall dell’Università di Cambridge, acquista
una dimensione comunicativa complessa ed estremamente interessante da
indagare, alla luce non solo delle implicazioni culturali e ideologiche che esso
genera, ma anche delle istanze comunicative ed estetiche che la rimozione di
un’opera d’arte può provocare oggi per ragioni ideologiche o di altra natura, che
non siano riconducibili alla dimensione puramente estetica. The Market Fowl,
Il banco della selvaggina, realizzato tra il 1618 e il 1621, è diventato un quadro
scomodo, soprattutto agli occhi di chi ha sposato la causa del veganesimo
e del vegetarianesimo, nel segno di un connubio molto stretto tra consumo,
immagine e ideologia. Snyders è un pittore ignoto al grande pubblico, ma la
polemica vegana che lo ha investito lo ha reso celebre ad un’audience più
vasta, che ignora probabilmente che egli fu allievo di Peter Brueghel il giovane
e amico del ritrattista van Dyck, nonché collaboratore di Rubens. La sua colpa
è di aver rispettato “l’occhio dell’epoca”, direbbe Bourdieu, descrivendo nel
dettaglio la bottega di un macellaio intento ad esporre la sua mercanzia. Una
rappresentazione dal vivo della vita commerciale del Seicento, che pone in primo
piano alcuni paradigmi sociali, culturali ed economici del secolo della “maraviglia”,
indigesti agli studenti dell’Università di Cambridge che rifiutano il consumo di
carne, latte e loro derivati. Se poi si considera che l’opera rimossa in verità è una
copia, e non l’originale, conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, la vicenda
assume una cifra estetica ancor più complessa, con tutto quel che ne consegue
sul piano degli effetti della ripetibilità dell’opera d’arte al tempo della cultura
convergente21.
L’eco giornalistica che la vicenda ha avuto, anche per le implicazioni
accademiche e culturali ad essa sottese, pongono in evidenza la validità
epistemologica della proposta di Franco Speroni a proposito della lettura mediale
dell’opera d’arte, e ripresa da Federico Boni proprio a proposito di una certa
pittura rinascimentale, dal tratto per così dire oleografico, come attestano
La macelleria di Annibale Carracci (1580) e Il banco di carne di Pietre Aertsen
(1551)22. L’esaltazione della merce e le attività di vendita rappresentano due
momenti complementari dell’azione commerciale, nel segno di una convergenza
18
poietica estremamente efficace sul piano simbolico e sociologico. Una vera e
propria spettacolarizzazione ante-litteram della merce, che esalta la relazione
spettatore/acquirente con l’opera d’arte e amplifica la cifra semiotica della
rappresentazione, così come osservato da Speroni: “La diffusione – in senso
etimologico, oltre che tecnico – scioglie di fatto, nel flusso, la merce, che pure
mantiene una presenza iconografica. Così smaterializzata, liberata e trasparente,
la merce può produrre, grazie al potenziale tecnico del mezzo televisivo, una
forma estetica nuova, spot, che sintetizza prodotto e spettacolo in un ritmo e
una luce nuovi. L’archeologia di tutto ciò si può rintracciare nelle rappresentazioni
dipinte di mercato, a cominciare da Aertsen”23.
Da questo punto di vista, il consumo dell’immagine acquista risvolti emotivi
molto significativi, soprattutto se si indugia sul processo di riconoscimento
individuale e collettivo in immagini, azioni e narrazioni. Inoltre, il dato di cronaca
è incrementato dalla contestualizzazione accademica dei fatti, secondo
una pratica comunicativa tesa ad evidenziare il cortocircuito istituzionale e
formativo che una vicenda di questo tipo pone in risalto. Si tratta di un episodio
che evidenzia alcune delle implicazioni mediologiche legate al cibo e al suo
immaginario mediale, come osservato da Valentina Grassi e Debora Viviani in
riferimento alla dialettica baudrillardiana tra simulazione, autenticità e consumo:
“L’immagine, così come ogni forma visiva, tra cui, come vedremo, anche il
simulacro, ha al suo interno un complesso gioco di identità e differenza che è
difficilmente riconducibile ad una concettualizzazione univoca”24.
Le fluttuazioni simboliche generano reticolati interpretativi mai neutri sul
piano semantico, come conferma la tendenza ad attribuire valenza politica
o ideologica a tutta una serie di simboli, miti, emblemi, di cui abbondano le
narrazioni giornalistiche al tempo della post-verità25. L’oggetto d’uso si lega
inevitabilmente all’economia politica del segno, in cui il sostrato semiotico si
innesta sull’elemento fattuale26. La lettura mediale dell’opera di Snyders acquista
dunque una portata comunicativa ulteriore, alimentata dalla contestualizzazione
dell’opera (uno dei più importanti atenei al mondo) e dalle conseguenze
ideologiche (oltre che culturali) dell’immagine rappresentata, riprodotta
e riproposta sul web ad infinitum. Proprio la questione della riproducibilità
tecnica delle immagini pone in primo piano la necessità di operare la necessaria
storicizzazione delle opere, soprattutto quando esse sono il riflesso di una
precisa epoca, come lo stesso Pareto ha efficacemente sottolineato ne Il mito
virtuista e la letteratura immorale27. Il tema della polemica artistica non è
19
naturalmente nuovo, soprattutto se si pensa alla censura cui furono sottoposti
libri e sculture ritenuti immorali dal governo di Luigi Luzzatti: “So bene che il
fanatismo non ragiona. Gli eretici sono sempre stati giudicati indegni di godere
le garanzie concesse agli accusati di delitto comune. Sotto questo aspetto, la
procedura dell’Inquisizione è un modello; e pare che i nostri virtuisti li vogliano
imitare”28.
Senza entrare nella questione puramente ideologica della vicenda Snyders,
val la pena rilevare che la rimozione di The Fowl Market evidenzia il cortocircuito
comunicativo che ancora oggi può generare un tentativo di censura che potrebbe
apparire non tale, se solo si contestualizzasse storicamente l’opera, realizzata in
un‘epoca in cui la cacciagione era molto ricercata dai ricchi borghesi di Anversa.
Se si considera, poi, che l’opera è stata subito dopo esposta nella mostra Feast
& fast: The Art of Food in Europe, 1500-1800, ospitata nel Fitzwilliam Museum
di Cambridge, si avrà un’idea più chiara della controversia, tutta giornalistica,
che la vicenda ha avuto, al netto delle nuove forme di censura “virtuista” tese a
considerare immorali immagini che collidono con abitudini e filosofie alimentari
un tempo in voga. Un discorso valido anche per il Novecento e le società
agiate descritte da Veblen29. Ancora una volta, il consumo acquista una portata
sinestetica, almeno in riferimento alla relazione strettissima tra l’oggetto e la
sua immagine filtrata e riprodotta dall’arte: “Così, il continuo riprodursi delle
immagini nella nostra società, che hanno reso la vista uno dei più importanti
sensi utili alla conoscenza, ha portato alla ribalta il problema dell’autenticità delle
rappresentazioni visive. Lo sviluppo dell’attuale processo di estetizzazione ha
portato alla supremazia dell’occhio e della vista, con una conseguente attenzione
in termini di autenticità”30.
L’estetizzazione del cibo, al pari della sua mediatizzazione mainstream
(si pensi a Masterchef) è il risultato della progressiva condivisione iconica
dell’esperienza conviviale, resa possibile dai social network. Di qui la
virtualizzazione e la simulazione dell’evento conviviale, che a sua volta rimanda
al concetto baudrillardiano di sparizione dell’arte, a conferma della tendenza a
consumare visivamente ciò che invece nasce per essere goduto al palato.
Ma ad una condizione: che tutto si svolga ad un livello di conoscenza che sia
quello condiviso e fruito a livello mainstream, al netto delle distinzioni contingenti
e dei tentativi di affermazione del proprio gusto31.
Si tratta di fenomeni indagati da Bourdieu in netto anticipo rispetto
all’avvento della cultura digitale, legando il principio della distinzione sociale al
20
processo del consumo e l’acquisizione di specifici habitus culturali: “Gli habitus
sono principi generatori di pratiche distinte e distintive – ciò che l’operaio
mangia e soprattutto il suo modo di mangiare ciò che mangia, lo sport che
pratica e il suo modo di praticarlo, le opinioni politiche che gli appartengono
e il modo di esprimerle, differiscono sistematicamente dai consumi o dalle
attività corrispondenti di un industriale; ma si tratta anche di schemi e
principi di classificazione, principi di visione e divisione e gusti differenti”32.
Ogni habitus culturale implica l’acquisizione di pratiche comportamentali
tese anche ad ottenere il riconoscimento pubblico del proprio ruolo, secondo
prassi drammaturgiche analizzate da Erving Goffman in molti dei suoi lavori, in
particolare Frame Analysis33.
D’altro canto, la riflessione di Bourdieu sul rapporto tra comportamento e
appartenenza sociale può contribuire a spiegare i risvolti del caso Snyders, in
cui convergono le ragioni della sensibilità e del rispetto con quelle, altrettanto
legittime, della cultura e dell’arte. La rimozione di un dipinto barocco, qualunque
soggetto esso rappresenti, può considerarsi un atto di censura o un tentativo di
salvaguardare le ragioni di una minoranza? Denota, quella decisione, l’affiorare
di nuove forme di virtuismo, non più di natura religiosa, come al tempo di Pareto,
ma legate al gusto e a scelte di vita, come nel caso degli studenti vegani di
Cambridge? Di qui la necessità di riflettere su come il consumo dell’immagine
si innesti su altre pratiche di consumo, più materiale e contingente, che
svolgono però un’azione decisiva nell’ambito del quotidiano, sia sul piano
simbolico che culturale: “Ecco allora che il consumo diviene l’arena sociale delle
lotte per l’appropriazione dei beni economici o culturali, lotte simboliche per
l’appropriazione dei segni di distinzione, che, secondo Bourdieu, concernono
essenzialmente i detentori distinti”34.
Non vi sono molti dubbi sulle implicazioni sociali che il consumo può
acquistare anche sul piano visivo e iconico, come accade a molti quadri barocchi,
ispirati alla quotidianità popolare del Seicento immortalata da Caravaggio,
Annibale Carracci, Mattia Preti o Luca Giordano. Le scene dal vero risaltano
nella loro nuda verità, anche grazie a un processo di esaltazione del dato
fenomenico fondato sulla descrizione del dettaglio e sulla rappresentazione
delle attività, anche economiche, che ruotano intorno al consumo. Di qui la
dimensione poliedrica dell’elemento figurativo sviluppata da artisti del calibro
di Paolo Delle Monache, Luca Pignatelli, Sandro Trotti, Marzio Tamer, in un tempo
caratterizzato dal consumo compulsivo di immagini e contenuti, che conduce al
21
ridimensionamento di quell’effetto “maraviglia” perseguito da artisti e scrittori
per fare breccia nell’opinione pubblica pre-elettrica e tipografica35.
The Sad Young Girl: Banksy e l’immagine del rischio
La giovane ragazza in lutto realizzata da Banksy per commemorare le vittime del
Bataclan (13 novembre 2015), costituisce un caso del tutto atipico e, allo stesso
tempo, paradigmatico, dell’impatto mediale che un’opera d’arte può avere grazie
alla convergenza tra comunicazione e culto dell’immagine. Da un lato l’impatto
mediale dell’attentato parigino, il cui bilancio ha fatto registrare 137 morti e 368
feriti; dall’altro la scelta di Banksy di disegnare una ragazza piangente all’esterno
della porta d’emergenza, da cui molte persone cercarono la fuga. Sullo sfondo,
la trasformazione di un luogo in apparenza sicuro in un luogo di rischio, in cui
l’incombenza della catastrofe non è né percepibile né ravvisabile, al pari dei mass
shooting che periodicamente si verificano in scuole e college americani36. Nell’era
dei rischi globalizzati, la dialettica tra fatti e narrazioni acquista una valenza
sociologica di primo piano, come osservato da Ulrich Beck: “La teoria della
società mondiale del rischio distingue tra rischi vecchi e nuovi e afferma che i
nuovi tipi di rischio, che danno luogo a un’anticipazione globale delle catastrofi
globali, scuotono le fondamenta delle società moderne”37.
È soprattutto il principio dell’incalcolabilità del rischio a permeare la
narrazione mediale delle catastrofi, in cui sono le immagini (come nel caso
delle Torri gemelle e della guerra in Ucraina) ad imprimere una cifra semiotica al
discorso giornalistico, nel segno di un discrimine sempre più labile tra visibilità
e invisibilità degli accadimenti. Il tema dell’insicurezza si consolida, sul piano
mediale, mediante la percezione della discrasia tra verità e disinformazione, che
a sua volta si innesta sull’overlapping di informazioni e immagini. La vicenda del
Bataclan pone inoltre in risalto gli eventuali rischi legati alla mobilità accademica:
la morte di Valeria Solesin, dottoranda presso la Sorbone, pone una serie di
considerazioni sui rischi della mobilità internazionale accademica, soprattutto
in paesi ritenuti non sicuri, come attesta il caso di Giulio Regeni, nel segno di un
battage comunicativo legato a doppio filo all’efficacia iconica del suo ritratto e
dei banner gialli inneggianti alla verità39.
La porta di Banksy è il simbolo della catastrofe inaspettata, destinata a
rimanere scolpita nell’immaginario collettivo anche grazie all’alone di mistero che
avvolge il suo autore. La celebrità di Banksy si nutre, oltre che dell’originalità delle
22
sue realizzazioni e della cifra situazionale delle sue opere, anche dell’anonimato
che lo circonda, quasi a voler sfruttare gli effetti comunicativi dell’assenza,
evidenziati da Paolo Sorrentino nella serie televisiva The Young Pope. Negando
l’autorizzazione a riprodurre la sua effigie per ragioni di merchandising e
sposando il principio dell’assenza come presenza, papa Pio XIII (interpretato
da Jude Law), rammenta che alcuni dei più grandi artisti del Novecento hanno
scelto di celare la propria immagine al pubblico, come Salinger, Kubrick, Banksy,
Daft Punk e Mina. Proprio Banksy è additato dal giovane papa americano
come il più grande artista contemporaneo, in grado di alimentare il senso del
mistero che avvolge le sue opere attraverso il sentimento della scomparsa e
dell’assenza, fattore determinante per tenere desta l’attenzione del pubblico40.
La “protesta visuale” di Banksy, così come definita da Gianni Mercurio41, acquista
una rilevanza comunicativa assoluta, se rapportata alla dimensione globalizzata
dell’arte e della sua complessità estetica al tempo dei pericoli e delle catastrofi
globalizzati42. Si tratta di un tema messo in evidenza da Roger Silverstone a
proposito della “retorica del terrore” alimentata dai media: “Sotto molti punti di
vista, la globalizzazione della comunicazione è l’infrastruttura portante sottesa
a tutti gli altri processi di globalizzazione estesa. E se è vero che viviamo in un
mondo globalizzato, questo è possibile solo grazie a quello che, di questo mondo,
vediamo attraverso i mezzi di comunicazione”43.
Anche per questa ragione Banksy può considerarsi il paradigma della
sublimazione del rischio, attuata mediante la sedimentazione simbolica
di avvenimenti tragici, filtrati dalla lente onirica del segno estetico fatto
performance. L’indeterminatezza biografica dell’artista e la sua imprevedibilità
sono due ulteriori fattori determinanti per spiegare la portata mediale di
un’arte inaspettata e allo stesso tempo enigmatica, la cui portata estetica ha
la prerogativa di alimentare un immaginario collettivo sospeso tra memoria e
rimpianto. Dopo la sparizione dell’arte, tipica dell’era del mainstream, è la volta
della sparizione dell’artista, calibrata sulle istanze mediali dell’era digitale, in cui
la dialettica tra dato simbolico e fattore mediale assume una dinamica del tutto
peculiare. Si potrebbe richiamare la metafora baudrillardiana centrata sullo
scambio simbolico e la morte, utile a riflettere sulla genesi di un’arte, quella di
Banksy, realistica e concettuale allo stesso tempo, in cui l’elemento performativo
implica la demusealizzazione dell’opera d’arte invocata dai Futuristi44. Non vi
è dubbio che si sia al cospetto del tentativo di celebrare l’immagine nella sua
portata iperrealistica, secondo un processo semiotico
23
volto a legare performance e iconicità. Ancora Baudrillard: “E così il crollo della
realtà nell’iperrealismo, nella reduplicazione minuziosa del reale, di preferenza
a partire da un altro medium riproduttivo – pubblicità, foto, ecc. – di medium in
medium il reale si volatilizza, diventa allegoria della morte, ma si rafforza anche
con la sua stessa distruzione, diventa il reale per il reale, feticismo dell’oggetto
perduto – non più oggetto di rappresentazione, ma estasi di negazione e della
propria sterminazione rituale: iperreale”45.
Il rapporto tra vita e morte, transeunte e permanente, simbolico e reale
assume pertanto una valenza comunicativa a tutto tondo, nella misura in
cui l’impatto mediale dell’immagine consente di misurare la forza iconica di
frammenti visivi che rispondono a istanze metaforiche e metonimiche ispirate
alla sfera del dolore, del riscatto e della rivendicazione sociale. Può considerarsi
iperrealista un’arte che rifiuta le stanze dei musei e si fa itinerante per poter
parlare meglio al pubblico globalizzato? Si tratta di un’arte che lega gesto, luogo
e immagine, sviluppando nuove frontiere della street art e prefigurando una
dimensione sociale dell’arte inedita, che obbliga ad andare oltre le tradizionali
relazioni tra media e musei digitali46.
Il realismo onirico di Banksy si afferma come medium di rimozione del reale
e di affermazione di simulacri in grado di affermare l’esigenza visiva del ricordo,
mediante un’abilità iconica che non prescinde dalla perizia rappresentativa e
dalla metaforizzazione estetica del dato contingente. La sparizione dell’artista
coincide con il dominio mediale della sua arte, tanto da alimentare non solo una
narrazione permanente sulla sua identità, ma anche l’attenzione per così dire
feticistica delle sue realizzazioni, come dimostra il caso della porta del Bataclan.
La vicenda ha avuto naturalmente una vasta eco sui media e sui giornali di tutto
il mondo, a conferma dell’elevata notiziabilità degli eventi che riguardano Banksy
e, più in generale, il mondo dell’arte, allorquando il dato di cronaca assume una
matrice criminale. Un discorso tanto più valido per la ragazza piangente del
Bataclan, la cui immagine è legata a doppio filo al ricordo di uno degli attentati
più sanguinosi e discussi perpetrati dall’Isis negli ultimi anni, per di più a Parigi,
già teatro di altri sanguinosi attentati, tra tutti l’assalto alla redazione di
Charlie Hebdo47. Torna alla mente la distinzione tra effetti collaterali ed effetti
intenzionali proposta da Beck48, unitamente alla discussione sulla ricerca della
pace e della pratica della guerra: “La violenza eccessiva del terrorismo segue il
copione della guerra sentita; viceversa, la guerra per la ripartizione del rischio
ubbidisce al copione della pace sentita”49.
24
Nel processo creativo di Banksy si riscontra il tentativo di esorcizzare la
violenza della guerra, intesa come esacerbazione degli istinti conflittuali. Sentire
la guerra implica la necessità di sentire la pace, nel segno di una convergenza
comune verso quell’intesa comunicativa che Habermas ha messo in evidenza
anche in anni recenti, a proposito del destino dell’Europa50. Ma la vicenda della
porta del Bataclan non è soltanto il simbolo di una tragedia inaspettata, di una
ferita profondissima inferta al cuore dell’Europa, alla sua vocazione multietnica e
alla sua dimensione culturale; è anche l’emblema di un’arte in grado di far parlare
di sé i media di tutto il mondo, al netto delle accezioni politiche, sociali, culturali,
di cui è latrice. Se si considera poi il mistero che avvolge la vicenda della sua
rimozione e del suo ritrovamento in Italia, con i relativi risvolti penali, si avrà un
quadro più chiaro della dimensione mediale che l’opera di Banksy ha assunto negli
ultimi mesi. La titolazione forgiata da alcune importanti testate internazionali è di
per sé eloquente: Thieves stole Banksy Bataclan door mural with crowbar, French
court told («The Guardian»), Banksy, la ragazza triste del Bataclan torna a Parigi
(«Il Sole 24 Ore»), Porte du Bataclan: l’équipée des Lyonnais qui ont dérobé
l’oeuvre de Banksy détaillée par la justice («Le Monde»), Banksy artwork stolen
from Paris’ Bataclan theater is found in Italy (CNN)51.
Il dato criminologico finisce per sovrastare la sfera artistica, soprattutto
se si considera l’evento terroristico che l’opera rievoca e il luogo in cui si è
consumato l’efferato attacco terroristico, un importante teatro parigino,
deputato all’aggregazione giovanile e alla produzione culturale. Il dato di cronaca
iniziale (l’attacco terroristico), sublimato dall’immagine della ragazza piangente,
si estende alla vicenda successiva del furto, alimentando così un immaginario
dell’arte trafugata che può rimandare alle spoliazioni di Napoleone o alle razzie
di Hitler52. Del resto, il furto della Gioconda, avvenuto il 21 agosto 1911 per mano
dell’italiano Vincenzo Peruggia, raccontato anche da Gabriele d’Annunzio, può
costituire un precedente illustre dal punto di vista della narrazione giornalistica
delle opere d’arte trafugate sulla rotta Parigi-Italia, con tutto quel che ne può
discendere in termini di amplificazione e notiziabilità informativa53.
Narrare la cultura significa considerare tutti gli aspetti legati alla fruizione
delle opere d’arte nella società connessa, come osservato da Lella Mazzoli: “In
mezzo, vi sono i media che sono l’anello di trasmissione che le persone usano
per raccontarsi, per farsi cultura e per fruirne (a seconda dei ruoli). Allorquando
cambiano i modi che usiamo per raccontarci, cambiamo anche noi stessi e, di
conseguenza, amiamo ascoltare storie raccontate in modo nuovo. Senza perdere
25
in profondità e conoscenza”54. La vicenda della porta del Bataclan testimonia il
processo di innovazione in atto non soltanto nell’arte, ma anche nelle modalità
di narrazione del processo artistico in chiave demusealizzata e connessa. L’arte
di sublimare la violenza e la morte, unitamente ai rischi legati al possesso e al
commercio clandestino delle opere d’arte, riapre un dibattito annoso sulla loro
tutela e conservazione, al netto delle implicazioni criminali e processuali che il
trafugamento dell’opera di Banksy genera. Di qui la costruzione di un immaginario
del rischio che si concreta attraverso il potere simbolico di un’arte che sparisce
e riappare, al pari del suo autore, misteriosamente celato all’attenzione dei
media, tradizionali e digitali. Il vanishing point dell’arte coincide oggi con
quello dell’artista, nel segno di una semiosi del segno estetico alimentata
dall’iperrealismo connettivo del nostro tempo, come profetizzato da Baudrillard:
“l’arte sarà la protesi integrale di un mondo da cui la magia delle forme e delle
apparenze sarà scomparsa”55.
Conclusione
“Nella società di massa si affacciano sulla scena dell’arte nuovi attori dell’agire di
consumo: si tratta di nuovi gruppi sociali che hanno caratteristiche economiche,
sociali e culturali diverse dalle élite che tradizionalmente hanno monopolizzato il
consumo dei beni culturali”56. Così Anna Lisa Tota sul rapporto tra arte e consumo
nell’epoca delle riproducibilità istantanea delle immagini e della loro connettività
permanente, in cui l’opera d’arte acquista una portata mediale assoluta, nel
solco di un approccio estetico fondato sulla decontestualizzazione dell’opera
e sulla costruzione di pubblici globalizzati e mediatizzati. In questo senso, la
narrazione giornalistica focalizzata sull’arte è alla costante ricerca di elementi
che conferiscano alla produzione artistica una notiziabilità elevata, sovente
legata a dati di cronaca (furti, danneggiamenti, vendite all’asta) o alla notorietà
degli artisti coinvolti. Le vicende di Snyders e Banksy possono essere derubricate
alla voce arte mediatizzata, in cui narrazione e informazione si legano ai risvolti
politici o ideologici dell’opera. Nuove forme di “virtuismo”, come nel caso di
The Fowl Market, appaiono nella sfera mediale, così come nuove tecniche di
commemorazione si fanno strada nella società del rischio, come nel caso della
ragazza triste di Banksy. Il potere dell’immagine di trasformarsi nel suo simulacro
risiede nella possibilità di volgere l’immagine nella metafora del contingente,
nel segno di una costante sospensione temporale e spaziale, senza trascurare
la dimensione manuale della realizzazione artistica57. L’era digitale pone quanto
26
mai in evidenza la centralità del discorso pubblico rivolto alla descrizione del
“mondo sociale” cui Habermas ha fatto riferimento proprio a proposito dell’etica
dell’agire comunicativo: “L’arte moderna, del resto, ha introdotto nel regno della
soggettività un’analoga spinta problematizzante: il mondo delle esperienze
vissute viene estetizzato, cioè affrancato dalle ovvietà della percezione
quotidiana e dalle convenzioni dell’agire quotidiano”58.
L’iperrealismo di alcuni artisti contemporanei, alcuni dei quali in mostra
nell’edizione 2022 del Premio Michetti59, dedicata al principio dannunziano
dell’immagine delle immagini, è la testimonianza della necessità di un ritorno
ad un’idea del simulacro figurale dell’immagine, che mantenga un ancoraggio
semiotico all’agire quotidiano, nonostante il filtro permanente di schermi,
monitor e interfacce tecnologiche60. Una sociologia dell’immagine condivisa
non può pertanto trascurare il connubio ineludibile tra arte, mediatizzazione
e discorso pubblico, in cui il dato di cronaca costituisce il volano informativo
in grado di attribuire alla creazione artistica quella valenza estetica sospesa
tra rappresentazione e trasfigurazione del reale, al netto delle nuove forme
di obsolescenza che alimentano “la civiltà dell’effimero” analizzata da Serge
Latouche61.
Sullo sfondo si stagliano forme originali di reificazione figurativa e di
standardizzazione iconica, che l’arte ha il dovere di esorcizzare mediante nuove
pratiche di condivisione dell’esperienza poietica, in cui immagine ed esperienza
convergano a formare nuovi simulacri dell’agire quotidiano e mediatizzato,
simboleggiato dall’immagine dei visitatori impegnati nel fotografare il busto della
Gioconda ricoperto da uno strato di panna e crema, reso reale dall’invisibilità della
teca in vetro posta a protezione del capolavoro di Leonardo. Immagine illusoria di
una società ancorata al mito della provocazione pubblica e dell’infrazione politica,
sempre più diffusa al tempo delle “geografie dell’arte” fluide e connesse62.
27
1. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica (1935), Einaudi,
Torino 2000, p. 25.
2. Su Benjamin si rinvia al lavoro di M.
Goldschmit, L’écriture du messianique.
La philosophie secrète de Walter Benjamin,
Hermann, Paris 2010. Su Benjamin e la
modernità urbana cfr. V. Mele, Metropolis.
Georg Simmel, Walter Benjamin e la modernità,
Belforte Salomone, Livorno 2011. Si veda
anche: P. Osborne (ed.), Walter Benjamin:
Critical Evaluations in Cultural Theory, 2 voll.,
Routledge, Abingdon-on-Thames (UK)-New
York 2005. Interessante la lettura di D. Roberi,
Leggere Benjamin contropelo. Alla ricerca
dell’idea di natura, Mimesis, Sesto San Giovanni
(Mi) 2020; A. Ross, Walter Benjamin’s Concept
of the Image, Routledge, Abingdon-on-Thames
(UK)-New York 2014.
3. Sul rapporto tra sociologia e arte si segnalano
i lavori di P. Bourdieu, Le regole dell’arte (1992),
Marsilio, Venezia 2005, e di N. Heinich, La
sociologia dell’arte (2001), il Mulino, Bologna
2004.
4. F. Boni, Teorie dei media, il Mulino, Bologna
2006, p. 164.
5. Sul tema si rinvia alle belle pagine di R.
Sennett (2008), L’uomo artigiano, Feltrinelli,
Milano 2014, pp. 70-78.
6. P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 409.
7. Sempre stimolanti gli studi sull’arte di G.
Simmel: Stile moderno. Saggi di estetica sociale,
Einaudi, Torino 2020, e Il volto e il ritratto. Saggi
sull’arte, il Mulino, Bologna 1983, ivi compresi
i saggi dedicati a Rembrandt, Michelangelo,
Rodin. Per un approfondimento: A. De Simone,
Amor vitae. Stili e forme dell’arte nell’estetica
di Georg Simmel, Mimesis, Sesto San Giovanni
(Mi) 2021; C. Portioli, G. Fitzi, Georg Simmel e
l’estetica. Arte, conoscenza e vita moderna,
Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2004.
8. Sul virtuismo paretiano si rinvia ai nostri
saggi: The “virtuist” society. Pareto and the
myth of immoral representations, «Metis», n.
1/2016, pp. 33-56; Pareto, o dell’immaginario
virtuista. Il male “immorale” della cultura
“velata”, «Im@go», n. 9/2017, pp. 219-241.
9. U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza,
Roma-Bari 2016, p. 145.
10. Come bene hanno dimostrato U. Eco,
Apocalittici e integrati (1964), Bompiani, Milano
2005, e J. Baudrillard, La società dei consumi
(1970), il Mulino, Bologna 2010.
11. J. Baudrillard, La sparizione dell’arte (1988),
Abscondita, Milano 2012, p. 31.
12. Su Bansky si vedano gli studi di S. Antonelli,
G. Marziani, A. Andipa, Un artista chiamato
Bansky, SAGEP, Genova 2020, e di X. A. Tapies,
Ma dovè Bansky?, L’ippocampo, Milano
2020. Su Marina Abramoviç: G. Frangi, Marina
Abramoviç. Estasi, Casa Testori, Milano 2019;
M. Richards, Marina Abramoviç, Routledge,
Abingdon-on-Thames (UK)-New York 2018.
Sulle trasformazioni ambientali e strutturali
nei musei: G. Grechi, Decolonizzare il museo:
mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi
incarnati, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi)
2021.
13. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica, cit., p. 22.
14. Cfr. P. Panza, Arte come comunicazione.
Estetica e storia della letteratura artistica,
Guerini Scientifica, Milano 2022.
15. Sulle possibili declinazioni di ricerca nella
sociologia dell’arte: A. L. Tota, Etnografia
dell’arte. Per una sociologia dei contesti
artistici, Logica University Press, Roma 1999;
M. Tessarolo, La comunicazione artistica e la
sociologia dell’arte, in D. Bertasio (a cura di),
Immagini sociali dell’arte, Dedalo, Bari 1998,
pp. 75-86. Per ulteriori approfondimenti: C.
Bordoni (a cura di), Introduzione alla sociologia
dell’arte, Liguori, Napoli 2008; D. Bertasio, Studi
di sociologia dell’arte. L’esperienza estetica fra
rappresentazione e generazione di artificiale,
FrancoAngeli, Milano 1996.
16. Sul tema si rimanda a F. Isman, Quando l’arte
va a ruba. Furti e saccheggi, nel mondo e nei
secoli, Giunti, Firenze 2021.
17. Cfr. L. Taiuti, Arte e media. Avanguardie
e comunicazione di massa, Costan & Nolan,
Genova 1996.
18. Si segnala il classico lavoro di H. Lasswell,
La propaganda (1927), Armando, Roma 2020.
28
19. W. Lippmann, L’opinione pubblica (1922),
Donzelli, Roma 1999, p. 12.
20. Sugli effetti sociali della connettività
permanente: C. Giaccardi, M. Magatti, Nella
fine è l’inizio. In che mondo vivremo, il Mulino,
Bologna 2020; G. Boccia Artieri, Stati di
connessione: pubblici, cittadini e consumatori
nella (Social) Network Society, FrancoAngeli,
Milano 2016.
21. H. Jenkins, Cultura convergente (2006),
Apogeo, Milano 2014.
22. F. Boni, Teorie dei media, cit., pp. 163-169.
23. F. Speroni, Sotto il nostro sguardo. Per una
lettura mediale dell’opera d’arte, Costa & Nolan,
Genova 2005, p. 15.
24. V. Grassi, D. Viviani, Il cibo immaginato tra
produzione e consumo. Prospettive socioantropologiche a confronto, FrancoAngeli,
Milano 2016, p. 73.
25. Cfr. L. McIntyre, Post-verità (2018), Utet,
Torino 2019.
26. J. Baudrillard, Per una critica dell’economia
politica del segno (1972), Mimesis, Sesto San
Giovanni (Mi) 2010.
27. V. Pareto, Il mito virtuista e la letteratura
immorale (1916), Liberlibri, Macerata 2013.
28. Ivi, p. 89.
29. T. Veblen, La teoria della classe agiata
(1899), Einaudi, Torino 2007.
30. V. Grassi, D. Viviani, Il cibo immaginato tra
produzione e consumo, cit., p. 71.
31. Stimolante l’approccio semiologico proposto
da G. Marrone, Semiotica del gusto. Linguaggi
della cucina, del cibo, della tavola, Mimesis,
Sesto San Giovanni (Mi) 2016.
32. P. Bourdieu, Ragioni pratiche (1994),
il Mulino, Bologna 1995, p. 21.
33. Il rinvio obbligato è a E. Goffman, Frame
Analysis. L’organizzazione dell’esperienza
(1974), Armando, Roma 2001.
34. P. Parmiggiani, Consumo e identità nell’Italia
contemporanea, FrancoAngeli, Milano 1999,
p. 130. Sul tema si rimanda a D. Secondulfo, Il
mondo di seconda mano. Sociologia dell’usato e
del riuso, FrancoAngeli, Milano 2016.
35. Sull’avvento del medium tipografico si
rinvia a E. Eisenstein, Le rivoluzioni del libro.
L’invenzione della stampa e la nascita dell’età
moderna (1983), il Mulino, Bologna 2011.
Sugli effetti della galassia Gutenberg e sulle
dinamiche mediali contemporanee cfr. A.
Lombardinilo, La scuola di Toronto tra Harold
Innis e Marshall McLuhan, in M. Centorrino,
A. Romeo (a cura di), Sociologia della
comunicazione. Teorie, concetti, strumenti,
Mondadori, Milano 2021, pp. 342-361.
36. A. Spaulding Flowers, C. Lane Pixley, Twenty
Years of School-Based Mass Shootings in The
United States: Columbine to Sante Fe, Lexington
Books, London 2021.
37. U. Beck, Conditio humana. Il rischio nell’età
globale (2007), Laterza, Roma-Bari 2011, p. 86.
38. Sull’evoluzione del giornalismo al tempo
del digitale: C. Sorrentino, S. Splendore,
Studiare giornalismo. Ambiti, logiche, attori,
Carocci, Roma 2013; E. Valentini, Dalle gazzette
all’iPad. Il giornalismo al tempo dei tablet,
Mondadori, Milano 2012; M. Morcellini (a cura di),
Neogiornalismo, Mondadori, Milano 2011;
M. Pratellesi, New Journalism, Bruno Mondadori,
Milano 2008.
39. Sui rischi insiti nello spazio accademico cfr.
A. Lombardinilo, Università del rischio e mobilità
accademica: la drammatizzazione mediale
della violenza, «Rivista trimestrale di scienza
dell’amministrazione», n. 1/2018, pp. 1-29.
40. Sulla strategia comunicativa del giovane
papa americano proposto da Paolo Sorrentino
si rinvia ad A. Lombardinilo, “Presence is
absence”. Communication and rhetoric in Paolo
Sorrentino’s The Young Pope, «Metis»,
n. 2/2020, pp. 115-134.
41. Ci si riferisce a G. Mercurio, La vera arte è
non farsi beccare. Interviste a Bansky, Sole 24
Ore Cultura, Milano 2020. Significativo il lavoro
di L. Ciancabilia, C. Omodeo, Street Art: Bansky
& Co: l’arte allo stato umano, Bononia University
Press, Bologna 2016.
42. Fondamentale il libro di N. Luhmann,
Sociologia del rischio (1991), Bruno Mondadori,
Milano 1996.
43. R. Silverstone, Mediapolis. La responsabilità
dei media nella civiltà globale (2007), Vita &
Cultura, Milano 2009, p. 220.
29
44. Cfr. C. Salaris, Futurismo. I movimenti e le
idee, Editrice bibliografica, Milano 2016.
45. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la
morte (1976), Feltrinelli, Milano 2015, p. 85.
46. Sul tema si rimanda a N. Mandarano, Musei e
media digitali, Carocci, Roma 2019; L. Branchesi,
V. Curzi, N. Mandarano, Comunicare il museo
oggi: dalle scelte museologiche al digitale, Skira,
Milano 2016.
47. Da segnalare: G. Divine, Art for freedom:
Prayers for Charlie Hebdo, Createspace
Independent Publications, Scotts Valley (CA)
2016.
48. U. Beck, Conditio humana, cit., p. 26.
49. Ivi, p. 241.
50. Di J. Habermas si suggeriscono i seguenti
volumi: Nella spirale tecnocratica. Un’arringa
per la solidarietà europea (2013), Laterza,
Roma-Bari 2014; Questa Europa è in crisi (2011),
Laterza, Bari 2012; Il ruolo dell’intellettuale e la
causa dell’Europa (2008), Laterza, Bari 2011, pp.
63-107.
51. Tutti gli articoli sono in rete: Reuters in Paris,
Thieves stole Bansky Bataclan door mural with
crowbar, French court told, «The Guardian»,
June 8, 2022; M. Pirrelli, Bansky, la ragazza triste
del Bataclan torna a Parigi, «Il Sole 24 Ore»,
14 luglio 2020; R. Schittly, Porte du Bataclan:
l’équipée des Lyonnais qui ont dérobé l’oeuvre
de Bansky détaillée par la justice, «Le Monde»,
03 mai 2022; H. Messia, Bansky artwork stolen
from Paris’ Bataclan theater is found in Italy,
CNN, June 11, 2020.
52. Per approfondimenti: R. Fagiolo, L’ombra
del Caravaggio. Sei grandi storie di arte rubata,
Nutrimenti, Roma 2007; V. Gabbrielli, Patrimoni
contesi, Polistampa, Firenze 2009; P. Wescher,
I furti d’arte: Napoleone e la nascita del Louvre,
Res Gestae, Milano 2022; A. Brand, Sulle tracce
del tesoro di Hitler, Newton Compton, Roma
2022.
53. Si pensi alla miniserie televisiva di due
puntate, dal titolo L’uomo che rubò la Gioconda,
con Alessandro Preziosi, Violante Placido e Tom
Novembre, regia di Fabrizio Costa, andata in
onda su Canale 5 il 23 ottobre 2006 e incentrata
sulla storia di Vincenzo Peruggia.
54. L. Mazzoli, Raccontare la cultura: come si
informano gli italiani, come si comunicano i
musei, FrancoAngeli, Milano 2018, p. 28.
55. J. Baudrillard, La sparizione dell’arte, cit., p. 29.
56. A. L. Tota, Etnografia dell’arte. Per una
sociologia dei contesti artistici, Ledizioni, Milano
1997, p. 49.
57. Come evidenziato da R. Sennett, Costruire
e abitare. Etica per la città (2018), Feltrinelli,
Milano 2020.
58. J. Habermas, Etica del discorso (1983),
Laterza, Roma-Bari 2009, p. 118.
59. Curata da Nunzio Giustozzi, l’edizione 73 del
Premio Michetti, “Figura,ae. L’immagine delle
immagini”, coinvolge tredici tra i più convincenti
e originali artisti italiani impegnati nel campo
della figurazione: Giulio Catelli, Paolo Delle
Monache, Roberto De Santis, Monica Ferrando,
Giovanni Gasparro, Elena Giustozzi, Matteo
Massagrande, Luca Pignatelli, Luigi Spina,
Marzio Tamer, Sandro Trotti, Velasco Vitali, Rita
Vitali Rosati.
60. S. Paone, Arte e tecnologia, Ledizioni, Milano
2014.
61. S. Latouche, Usa e getta. Le follie
dell’obsolescenza programmata (2013), Bollati
Boringhieri, Milano 2015, p. 93.
62. La definizione è di N. Frapiccini, N. Giustozzi,
La geografia dell’arte, 3 voll. Hoepli, Milano
2005. Sulla portata provocatoria dell’arte
contemporanea: L. Bonfante, Catastrofi d’arte.
Storie di opere che hanno diviso il Novecento,
Johan & Levi editore, Monza 2019; F. Bonami,
L’arte nel cesso. Da Duchamp a Cattelan, ascesa
e declino dell’arte contemporanea, Mondadori,
Milano 2017.
Premio Michetti
1947-2021
1947
Non assegnato
[edizione a cura di Ettore Gian Ferrari]
1948
Vincenzo Ciardo, Luigi Montanarini,
Enrico Prampolini, Aligi Sassu, Alberto Ziveri
1949
Emanuele Cavalli, Mauro Reggiani
1950
Vincenzo Ciardo
1951
Vincenzo Colucci, Carlo Dalla Zorza,
Antonio Donghi, Luigi Pera
1952
Pompeo Borra, Alberto Chiancone
1961
Achille Funi
1962
Gino Morandis
1963
Carmine Di Ruggiero, Riccardo Licata,
Carmelo Zotti
1964
Fausto Pirandello
1965
Arturo Carmassi, Sergio Romiti
[Fausto Pirandello e Giuseppe Ajmone, a cura di
Carlo Barbieri]
1953
Giuseppe Cesetti, Mario Marcucci
1966
Giannetto Fieschi, Marcolino Gandini
[Mostra delle opere premiate dal 1947 al 1965;
Francesco Paolo Michetti, disegni, incisioni e
pastelli]
1954
Bruno Cassinari, Sante Monachesi,
Luigi Montanarini, Enrico Prampolini
1967
Piero Dorazio, Enzo Mari
[edizione a cura di Palma Bucarelli]
1955
Enrico Paulucci
1968
Mario Ceroli, Gianfranco Ferroni
[Andrea e Pietro Cascella, a cura di Emilio Tadini
e Mario De Micheli]
1956
Bruno Saetti
1957
Domenico Spinosa
1958
Fiorenzo Tomea
1959
Guido La Regina
1960
Sergio Saroni
1969
Non assegnato
[Mostra d’arte contemporanea a cura di Giorgio
de Marchis, Marcello Venturoli, Marisa Volpi]
1970
Alberto Biasi, Angelo Cagnone, Gino Marotta,
Massimo Radicioni
1971
Maurizio Bottarelli, Carlo Maschietto, Vittorio
Matino, Giorgio Ramella
32
1972
Crescenzo Del Vecchio, Armando De Stefano,
Pietro Gallina, Riccardo Guarnieri,
Valentino Vago
[edizione a cura di Marcello Venturoli]
1973
Guido Biasi, Giorgio Celiberti, Joxe Ciuha, Andrej
Jemec, Claudio Verna, Mehmed Zaimović
[edizione a cura di Garibaldo Marussig e Zoran
Krzisnik]
1974
Luis Edoardo Aute, Agueda De La Pisa, Equipo
Realidad (Jorge Ballortes e Juan Cordelia),
Giuseppe Gallizioli, Romano Notari, Vanni Viviani
1975
Non assegnato
1976
Franco Tassi “La presentosa d’oro”
[L’uomo e il suo ambiente]
1977
Antonio Cederna “La presentosa d’oro”
[L’uomo e il suo spazio]
1978
Non assegnato
[Su… per… da… con F. P. Michetti]
1979
Non assegnato
[Quattro questioni di linguaggio;Omaggio a
Francesco Paolo Michetti nel cinquantenario
della morte; Ricordo di Guido Montauti]
1981
Non assegnato
[Omaggio a Teofilo Patini; Omaggio a Vincenzo
Ciardo]
1982
Non assegnato
[L’immagine dialettica, a cura di Roberto Sanesi;
Omaggio a Remo Brindisi]
1983
Maria Lai, Angelo Titonel, Claudio Verna
[L’immagine diversa, a cura di Marcello
Venturoli]
1984
Non assegnato
[Premio Michetti 1947-1983. Arte e politica
dell’arte dal dopoguerra ad oggi, a cura di
Luciano Caramel)
1986
Mauro Berettinii, Mimmo Conenna,
Carlo De Lucia, Piero Di Terlizzi, Ignazio Gadaleta,
Pasquale Liberatore, Antonio Matarazzo,
Lucia Narducci, Mario Ranieri, Giorgio Ruasi,
Loreno Sguanci, Franco Summa, Anna Valla,
Sando Visca. [Il mare, a cura di Enrico Crispolti;
Francesco Paolo Michetti mare & figure, a
cura di Marcello Venturoli; Artisti teramani
dell’Ottocento. Giuseppe Bonolis, Pasquale
Celommi, Gennaro Della Monica, Raffaele
Pagliaccetti]
1987
Tamas Banovich, Per Barclay, Christopher
Boutin, Beth Brenner, Carlo Ciarli, Philippe De
Luych, Mitchell Kane, Paola Fonticoli, Andy
Moses, Giandomenico Sozzi
[Nuovi Territori dell’arte, Europa America e
Mario Schifano 25 luglio 1987, a cura di Achille
Bonito Oliva; Nicola D’Antino, a cura di Maria
Grazia Tolomeo Speranza; Smargiassi e il suo
tempo]
1988
Non assegnato
[L’astratto vissuto e i suoi maestri italiani degli
anni Cinquanta; Giovani artisti italiani e bulgari]
1989
Non assegnato
[Radici del Sud, dal Sud: quindici artisti giovani,
a cura di Luciano Caramel e Sandra Orienti]
33
1990
Wainer Vaccari, Carmelo Zotti
[edizione a cura di Guido Giuffrè]
1991
Igor Mitoraj, Ivan Peter Theimer
[Viaggio in Italia, a cura di Vittorio Sgarbi]
1992
Andrea Carnemolla, Claudio Corsello e Monica
Cuoghi, Gaetano Sgambati
[Trenta giovani artisti, a cura di Renato Barilli]
1993
Non assegnato
[L’ultimo Michetti: pittura e fotografia]
1994
Roberto Almagno, Carlo Lorenzetti,
Claudio Olivieri
[Storie di pittura, a cura di Fabrizio D’Amico;
Omaggio a Federico Spoltore, a cura di Giuseppe
Rosato]
1995
Augusto Perez
[Il bronzetto Italiano contemporaneo 1931-1995,
a cura di Carlo Fabrizio Carli]
1996
Daniela Alastra, Luca Lampo, Giovanni
Manfredini, Bernardo Siciliano
[Consistenza della pittura, a cura di Flaminio
Gualdoni]
1997
Marco Tirelli
[Gli archetipi immaginali nell’arte
contemporanea, a cura di Floriano De Santi]
1998
Non assegnato
[Premio Michetti 50 edizioni, a cura di Luciano
Caramel]
1999
Non assegnato
[Francesco Paolo Michetti. Dipinti, pastelli,
disegni; Francesco Paolo Michetti, Il cenacolo
delle arti tra fotografia e decorazione]
2000
Franz Baumgartner, Gabriele Picco
[Europa. Differenti prospettive nella pittura,
a cura di Gianni Romano]
2001
Paola Pivi, Erzen Shkololli [Adriatico le due
sponde, a cura di Angela Vettese]
2002
Paolo Fiorentino, Antonio Seguì
[La città e le nuvole, Italia-Argentina, a cura di
Carlo Fabrizio Carli e Guillermo Whitelow]
2003
Arduino Cantafora, Hidetoshi Nagasawa,
Tito Rossini
[L’amore per la terra. Italia-Giappone, a cura di
Duccio Trombadori e Gabriele Simongini;
Omaggio a Mario Ceroli]
2004
Marco Cingolani, Angelo Davoli, Hai Bo
[Mito e realtà, uno sguardo ad Oriente, a cura di
Anna Imponente e Stefano Zecchi]
2005
Marc Didou, Walter Valentini
[In & out, opera e ambiente nella dimensione
glocal, a cura di Luciano Caramel con Domenico
Quaranta]
2006
Nicola Samorì, Maja Kokocinski
[Laboratorio Italia, a cura di Philippe Daverio]
2007
Till Freiwald, Cristiano Tassinari
[Nuovi Realismi, la centrale dei linguaggi
tradizionali, a cura di Maurizio Sciaccaluga]
34
2008
Alessandra Giovannoni, Oan Kyu
[I labirinti della bellezza, a cura di Maurizio
Calvesi, Anna Imponente, Augusta Monferini]
2009
Non assegnato
[Un sogno in riva all'Adriatico, retrospettiva
Premi Michetti]
2010
Angelo Casciello, Francesco Cervelli
[Diorama italiano, a cura di Carlo Fabrizio Carli]
2011
Non assegnato
[Mattia Moreni. Ah, che scosse hai dato all’arte!,
a cura di Renato Barilli; Giuliano Collina, il piacere
dell’illusione; Antonio D’Acchille]
2012
Piero Gilardi, Chris Gilmour
[Popism, l’arte in Italia dalla teoria dei mass
media ai social network, a cura di Luca Beatrice;
Omaggio a Mauro Reggio]
2013
Agostino Arrivabene, Christian Balzano,
Giuseppe Modica, Armodio
[La bellezza necessaria, Gabriele D’Annunzio
nel 150° anniversario della nascita; Omaggio
ad Aligi Sassu; L’energia dei giovani. Omaggio
a Italio Picini; Progetto di conservazione Premi
Michetti]
2014
Ana Kapor, Andrea Lelario, Vincenzo Scolamiero,
Nicola Giuseppe Smerilli
[Alimento dell’anima. Verso l’Expo 2015,
a cura di Tiziana D’Acchille; Call for Papers.
Italo Bressan, Franco Marrocco, Alessandro
Savelli, a cura di Giovanni Iovane; Progetto di
conservazione Premi Michetti]
2015
Non assegnato
[Rivelazioni: arte contemporanea dalle
collezioni del Premio Michetti; Mostra omaggio
a Gaetano Memmo, a cura di Carlo Fabrizio Carli;
Rassegna dedicata ad Emilio Sobrero, a cura di
Giovanni Benedicenti; Mostra ex libris del primo
Novecento]
2016
Sonia Clark, Bruno Di Bello, Lorena Pedemonte
Tarodo, Giovanni Sabatini
[Oltre, nel cosmo, nell’incognito degli universi
e dello spaziotempo della contemporaneità,
a cura di Luciano Caramel; Omaggio a Khaled
al Asaad; Urban Rainbow, Franco Summa;
Progetto di conservazione Premi Michetti]
2017
Non assegnato
[Fantasmi di luce. Estetiche visionarie da
Michetti al presente. Nel Settantennale del
Premio Michetti 1947-2017, a cura di Silvia
Pegoraro]
2018
Matteo Montani, Lucia Veronesi
[Che arte fa oggi in Italia, a cura di Renato Barilli;
Omaggio a Domenico Colantoni]
2019
Nataly Maier, Vito Bucciarelli
[Attraversamenti tra arte e fotografia, a cura di
Anna Imponente e Claudio Cerritelli]
2020
Sara Enrico, Pierpaolo Campanini
[L’aureola nelle cose: sentire l’habitat, a cura di
Guido Molinari]
2021
Leonardo Petrucci, Myriam Laplante
[Michetti, Spalletti e nuovi paesaggi con e senza
figura, a cura di Daniela Lancioni]
Le tele michettiane al MuMi Museo Michetti
Francesco Paolo Michetti, Le serpi, 1900, tempera su tela, cm 362x957,
Francavilla al Mare, MuMi Museo Michetti (proprietà Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma)
Francesco Paolo Michetti, Gli storpi, 1900, tempera su tela, cm 362x958,
Francavilla al Mare, MuMi Museo Michetti (proprietà Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma)
In copertina
Francesco Paolo Michetti,
Autoritratto (Scherzo), 1877,
Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
Alle pagine 2, 6, 14
Francesco Paolo Michetti, Le serpi, 1900,
particolari, Francavilla al Mare, MuMi
Museo Michetti
A pagina 18
Giovanni Gasparro, San Nicola di Bari.
Il miracolo del mattone, 2016, particolare,
collezione dell'artista
Alle pagine 224, 242
Francesco Paolo Michetti, Gli storpi, 1900,
particolari, Francavilla al Mare, MuMi
Museo Michetti
© gli autori per i testi e gli artisti
per le immagini delle opere
© 2022 Fondazione Michetti
tutti i diritti riservati
Crediti fotografici
© Archivio Luciano e Marco Pedicini, pp. 18,
25, 106-123
Foto di Giuseppe Anello, p. 26
Foto di Roberto Balestrini,
Studio Close-Up, pp. 42, 126-135
Foto di Alberto Buzzanca, pp. 38, 138-147
Foto di Luciano Calzolari, pp. 32, 68-77
Foto di Alfredo Cortellucci, p. 46
Foto di David Ghaleb, pp. 36, 96-103
Foto di Nunzio Giustozzi, pp. 187, 194, 195,
197, 200
Foto di Francesco Pignatelli, pp. 150-155
Foto di Giovanni Scirè Ingastone,
pp. 30, 80-93
Foto di Anais Trotti, pp. 186, 188-193, 196,
198-199, 201
Foto © SCV - Direzione dei Musei,
tutti i diritti riservati, p. 23
© J. Paul Getty Trust, copertina, p. 20
SalamonFineArt, Milano, pp. 41, 172-183
© Luigi Spina, pp. 48-49, 159-169
Studio Boys, Roma, pp. 34, 56-65
Su concessione del Ministero della Cultura
/ Galleria Nazionale d'Arte Moderna e
Contemporanea / foto Claudio Lanaro, pp. 2,
6, 14, 224, 242, 247
Velascovitalistudio, pp. 44, 204-213
© Rita Vitali Rosati, pp. 29, 216-223
Edizioni Ephemeria
via Giuliozzi, 15 - Macerata
www. edizioniephemeria.it
Finito di stampare nel mese di luglio 2022
da Artelito S.p.A., Castelraimondo (MC)
ISBN 978-88-87852-43-1