Expanded, unpublished version of a review published on Padova e il suo territorio , XXX, April 2105, p. 44.
TEOLOGIA VISIVA. ALBERTO DA PADOVA E GIOTTO
Di Paolo L. Bernardini
Il volume curato da Francesco Bottin, Alberto da Padova e la cultura degli Agostiniani (Padova
University Press, 2014, pp. 378, 34 euro), rappresenta un lavoro fondamentale, nel senso letterale,
ponendo le fondamenta di una ricerca, o piuttosto di una serie di ricerche, che si pongono nel quadro
del p ogetto st ategi o dell’Ate eo patavi o Medioevo ve eto, Medioevo eu opeo. Identità e
alte ità , sotto la di ezio e dello stesso Botti , di Furio Brugnolo, Dario Canzian, e Giovanna
Valenzano.1
Siamo di fronte, si vede da subito, ad un progetto ambiziosissimo, intrapreso nel 2008, anno per
molti aspetti fondamentale per la ricerca mediterranea (si pensi solo alla creazione, poi recentemente
ila iata, della Medite a ea U io , che in questo volume dà la prima consistente prova della
propria validità. Le considerazioni preliminari ad una presentazione più circostanziata sono diverse, per
certi aspetti doverose. Innanzi tutto, progetti come questo conferiscono al Medioevo europeo, alla
Ch istia itas sive Eu opa , o, piuttosto, Eu opa sive Ch istia itas , u a di e sio e o a al e te
multidisciplinare, ma sostanzialmente i te dis ipli a e, a pa ti e dall’i o t o t a due degli ele e ti
fondanti non solo del Medioevo – categoria che grazie a opere come questa si dimostra sempre più
fluida e dinamica – ovvero la la città di Padova da una parte, e la sua università dall’alt a: astro
brillantissimo in una costellazione di atenei europei in continua crescita, legata a doppio filo prima con
Bolog a, poi o Pa igi, e l’o di e degli Agosti ia i, he as e a idosso p op io dell’U ive sità di
Padova.
La prima nasce infatti nel 1222, iniziando proprio con quella Facoltà di Legge che ha in questo
volume ella fo a della o side azio e e t ale della iustitia i Giotto e Al e to da Padova
analizzata dal saggio fondamentale di Giuliano Pisani), gli Agostiniani sorgono invece o l’i iziativa di
Innocenzo IV, papa ligure, nel 1244, che riunì per la prima volta gli eremitani della Tuscia. Toccò alla
G a de U io e di Alessa d o IV la fo tifi azio e dell’O di e, el
.
Siamo, come si vede bene, in un crocevia di interessi, rivalità, e rinascenze religiose e accademiche,
laiche ed ecclesiastiche, che interessa e apparenta Parigi a Roma, attraverso nodi fondamentali come,
appunto, il Veneto (quel che era il Veneto allora), la Toscana (ovvero, soprattutto, la Tuscia), e quella
Roma che vide un papa degno anticipatore dei grandi papi-mecenati del Quattro e Cinquecento (simile
ad un Sisto IV senza però pericolose inclinazioni al bel vivere e al mondo dei sensi), quel Nicolò IV primo
papa francescano che da Montpellier a Macerata creò centri di sapere e università, e che, ancora una
volta proprio come Sisto IV due secoli dopo, accarezzò una grandiosa e irrealizzata idea di grande
C o iata, he o app odò alla fi e se o ai tu ulti i te i d’U ghe ia. Fu sul soglio di Piet o solo dal
1
Desidero ringraziare la Prof. Laura Orsi (Franklin University, Lugano), per i preziosi consigli nella redazione finale del
testo.
1
1288 al 1292 ma furono anni straordinariamente intensi, e la sua vita e carriera lo misero spesso in
contatto con la Serenissima che procedeva nei suoi trionfi, anche se il Veneto di cui qui si parla, in
ealtà, fatto di ta te pi ole pat ie a o a lo ta e dal do a si a “a Ma o, o esse e, talo a,
violentemente conquistate, come nel caso di Padova.
Ebbene, abbiamo qui, ampiamente trattati dai vari saggi, gli Agostiniani agli Eremitani, abbiamo
u ’u ive sità giova e e viva e, u a Fa oltà di Teologia parigina fatta per e dagli Agostiniani, una facoltà
che produce figure del calibro di Egidio Romano, allievo di San Tommaso, ma Agostiniano convinto (non
solo ell’a ito, a el pe sie o i età atu a, ua do si allo ta a otevol e te dall’a istotelis o,
non solo politico ma soprattutto politico, del de regimine principum per il quale gli storici della filosofia
e del pensiero politico soprattutto lo ricordano. In un certo senso Egidio Romano fu non solo il maestro
dei p i ipi Filippo il Bello
a l’e uivale te i dott i a di u Ni olò IV, di pa i e e gia e
determinazione.
Bastino dunque questi cenni per comprendere la centralità di una ricerca di questo genere, di un
nucleo tematico di tale rilevanza, che include in un cerchio magico la Toscana attraversata come il
Veneto dalla dialettica (talora estremamente positiva, foriera di immensa attività spirituale), tra guelfi e
ghibellini, offriva, assieme a Roma e Parigi, una circolazione (forzata o meno) di idee e di menti: non
casualmente abbiamo Dante a Padova, non casualmente, anche se in epoca posteriore, Petrarca decide
di vivere gli ultimi anni, e di morire, ad Arquà.
L’i te dis ipli a ietà o
i ve zio e di oggi. Pa adossal e te, i te dis ipli a e, ell’u ità della
o os e za ga a tita dalla teologia e dalla sua a illa Philosophia , e a il pe sie o di uel o e to
preciso del Medio Evo, he ge e azio i di sto i i ottusi ha o defi ito, più o e o ete odi etti, se oli
ui , fo se se pli e e te pe o esse e a e ati dalla lo o o us a lu e. E o du ue he el
volu e vi so o studi sull’a hitettu a e la egola agosti ia e, su Egidio Ro a o e le uaestio es
padovane, sulla chiesa e il convento agostiniano degli Eremitani, per finire con un viaggio attraverso
Voltai e e addi ittu a Pa eto, legati alla figu a dell’e e ita e a uell’Al e to da Padova, teologo, la cui
fortuna e la cui biografia so o a u ata e te i ost uiti ui, ell’attesa he si possa a iva e ad u a
edizione definitiva degli opera omnia, il poco rimasto, che sarebbe assai auspicabile: ché ci troviamo di
fronte ad un pensatore sostanziale, legato ad Agosti o o u doppio filo, elle idee, e ell’a ito.
“ia o, poi, ella stagio e dell’U a esi o, u u a esi o ve eto he o ha più fo da e to
distinguere in pre- o post-, dopo le i e he, t a l’alt o, olte estese di u Rola d Witt, he ha la sola
(ma non lieve) pecca di esaltare occasionali elementi di laicismo occasionali in una cultura
eminentemente, quasi esclusivamente, potentemente cristiana.
Il volume presenta dunque un numero altissimo di motivi di interesse, dunque, cui una breve nota
come questa può solo accennare. Certamente, vi compare questa figura riportata a nuova vita, Alberto
da Padova, secondo le parole di Delcorno – ipo tate all’i izio del saggio di A ia a Bo ato e F a es o
Botti , Nuove i e he pe u a iog afia di Alberto da Padova p.
fo se il più g a de p edi ato e
agosti ia o del T e e to da La predi azio e ell’età o u ale, Sansoni, 1974, p. 45), elemento
cardine del volume, figura che ebbe una vita postuma intensissima, fino a Voltaire, appunto, e Pareto, e
oltre. Un contemporaneo perfetto di un altro filosofo qui spesso citato, naturalmente (perché forse
a h’egli ispi ato e di Giotto, del i lo pe duto di Palazzo della Ragio e , Piet o d’A a o, a istoteli o la
ui iog afia pe alt o olto più ota, pad e dell’e briologia, morto in carcere per le torture subite
ell’ulti o dei suoi t e p o essi i uisito iali, a h’egli pe ola te t a Padova e Pa igi, oggetto di
attenzioni molto più costanti da parte della storia della filosofia, a partire almeno da Sante Ferrari, che
gli dedicò oltre 500 pagine nel lontano 1900: I te pi la vita le dottri e di Pietro D’A a o (Genova,
Sordomuti). Un predicatore agostiniano e un astronomo aristotelico, di ui i o e pe alt o uest’a o
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il settimo centenario della morte, accusato di eresia dunque sono di quei tempi non i due soli
protagonisti, ma due tra i diversi protagonisti.
Per ricordare un autore del Seicento che qui ritorna spesso, Angelo Portenari, sono proprio i tempi
della feli ità di Padova . E sia detto pe i iso, la vastissima opera del Portenari, del 1623, rappresenta
una mirabile storia filosofica (e non solo della filosofia e della teologia) degna di nuovissimi studi, nel
suo essere compendio storico-politico e architettonico della città di Padova, introdotta da un discorso
sulla feli ità he o si s ila ia ve so il doctor angelicus, né verso Agostino, citandoli anzi in prima
pagi a e t a i, a he se l’i evita ile, a fo se a alizza te o lusio e, la possi ilità stessa he u a
ittà he o sia uella eleste sia feli e fa alla fi e di Po te a i fo se più u a istoteli o he non
un platonico agostiniano. Ma, soprattutto per il discorso che faremo, su di uno dei saggi centrali del
libro, quello di Giuliano Pisani e la presenza di Agostino (e Alberto da Padova suo tramite) nel ciclo
giottesco degli Scrovegni, una rilettura di Portenari gioverebbe, soprattutto se si allarga l’o izzo te,
come è lecito fa e, gua da do ad u
i lo della “alvezza (teologico), all’idea di ittà salva (politica),
ovve o civitas fortiter christiana (e libera, chiaro riferimento alla situazione pre-1404, prima dunque
della conquista da parte di Venezia), i lo o t a io ovvia e te alla ivitas dia oli te e a.
Questo apre veramente il discorso sulla (insidiata, ma incontestabile) prevalenza aristotelicoto isti a el uad o della Padova fe ve te, e li e a del tempo. Se del Portenari ora citato abbiamo a
disposizione l’a astati a di Fo i 9 , ve a e te e o ia ile sa e e hi si a i gesse all’edizione
del postumo, e importantissimo (per tante ragioni) scritto del Portenari, un agostiniano (come Paolo
Veneto, come Zabarella, come Peraghini), ma un filosofo soprattutto, quella Apologia della libertà delli
popoli veneti antichi di Angelo Portenari dedicata all'illustriss. &t. eccellentiss. sig. Domenico Molino
pu li ata da Giova i Battista Ma ti i a Padova el
9. Ta to si o p e de e e del Ve eto di
allora, quanto del Veneto di oggi, diviso ancora nei rapporti, non mai chiariti, non mai del tutto pacifici,
tra la Do i a te e le ittà di Te afe a, a o a a o ate all’ideale o u ale e fi a he sig o ile, i
o t asto o l’u ifi azio e ve eta appo tata da Ve ezia, a he, o o e di e, a lo o e g a dissi o
beneficio.
Come si comprenderebbe molto del moto di concepire la filosofia agostiniana in età barocca se si
rileggesse, e rieditasse, la oratio de philosophiae laudibus in florentissimo patavino gymnasio pro primo
suae lecturae ingresso, del 1595, dedicata da Portenari al genovese Agostino Franzoni. Agostiniani sì,
ma forse più per abito che per pensiero, ove erano o sembravano saldamente tomisti, cosa che del
resto non stupisce. In ogni caso, proprio come breve paragrafo di collegamento alla presentazionediscussione del saggio di Pisani, che apre veramente st ade i usitate e lu i ose all’i te p etazio e
(vexatissima quaestio) del ciclo degli Scrovegni, giova rileggere quanto scritto alla fine del discorso
introduttivo proprio sulla felicità dal Portenari:
Co hiudia o adu ue, he se e e le pa ti p i ipali della feli ità ivile so o li e i dell’a i o, io le
operazioni provenienti da gli habiti virtuosi, fortezza, giustitia, temperanza, prudenza, liberalità,
magnificenza, magnanimità, & altri, nondimeno parti secondarie della stessa felicità sono gli altri beni, li quali
dall’istesso filosofo el li o p i o della Retho i a so o divisi i due o di i, io elli e i este io i, e elli
e i del o po. E soggiu ge, he li e i este io i so o la o iltà, l’a i izia di olti, gli a i i uo i, le
ricchezze, li molti figliuoli, li buoni figliuoli, e la buona vecchiezza; e che li beni del corpo sono la sanità, la
ellezza, la o ustezza, l’ho o e, e la uo a fo tu a. A uesto si aggiu ge se o do il pa e e dell’istesso
filosofo, che la città, la quale non è libera, ma serva, non merita il nome di città; perché la città, la quale
ve a e te ittà, opiosa di tutte le ose e essa ie alla vita hu a a, e o ha isog o d’al u o delli e i
altrui; ma il servo non ha cosa che sia sua, nemeno è padrone di se stesso. E da ciò ne segue, che la libertà
appa tie e alla feli ità, sì pe h la feli ità … , u e e pe fetto, e suffi ie te, e dove se vitù, vi il
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a a e to di tutte le ose; sì pe h la feli ità es lude og i ise ia, e l’esse se vo, o e di e Ci e o e, è
miseria grande, e mise ia tale, he più tosto si deve elegge e la o te, he i o e e i se vitù p. .
Prima di affrontare la brillante rilettura del ciclo di Giotto operata, a seguito di lunghe ricerche già
esposte in varie altre sedi, nel suo lu go studio da pa te di Giulia o Pisa i La o ezio e agosti ia a
del p og a
a teologi o della Cappella degli “ oveg i , pp.
-266), sono doverose alcune
osservazioni preliminari.
La lu i osità dei se oli ui data a he dalla i fi ita li e tà di pensiero garantita dalla teologia,
libertà di pensiero che si esprime, anche ma non secondariamente, nella forma cui trasmettere,
o u i a e, espo e, o sola e te di e il pe sie o.
Può apparire come una considerazione triviale, ma è bene ricordare la tradizione dantesca, la
teologia poetica, che tocca i culmini noti, e altri, meno noti, tutti, però, da riscoprire: come, per
rimanere in ambito platonico (ma anche parzialmente aristotelico), il poema, ispirato da Origene, la
Città di Vita, di Matteo Palmieri (riassunto brillantemente dal Dati, e anche la sola introduzione
dell’u a ista uatt o e tes o può sostitui e la lettu a del fati oso poe a , che da mezzo millennio
attende la doverosa riscoperta. E che secondo Bruno Cumbo, ispirò Michelangelo per il suo ciclo nella
volta sistina (Bruno Cumbo La Città di vita di Matteo Palmieri. Ipotesi su una fonte quattrocentesca per
gli affreschi di Michelangelo nella Volta Sistina, Palermo, Due Punti, 2006). Ut pictura theologia, ut
theologia pictura? E se, ipotesi fantasiosa assai, fossero i pittori essi stessi teologi diletta ti ? Non è il
caso di Giotto, neanche di Michelangelo. Certamente, un ciclo pittorico può compendiare
perfettamente, come mostra e dimostra Giuliano Pisani in questo volume (in uno studio che
app ese ta l’ulti o p odotto di u a i essa te i e a , u p og a
a , a a he fo se u siste a,
e perfino un metodo, filosofico-teologico. Co e di ost e à A
ogio Lo e zetti t e t’a i più ta di, la
pittura può farsi veicolo anche di filosofia politica, e il ciclo senese, ancora custode di diversi misteri, lo
dice ampiamente.
La parola scritta diviene dunque, da guida, da base, da fondamento, quasi ancillare. Sollevando
questioni solo apparentemente secondarie: perché, ad esempio, apporre la didascalia, o etichetta,
Fides , alla fides , appu to, dipi ta da Giotto, e osì via pe le alt e vi tù e gli alt i vizi? U a do a che
si i pi a o
fo se la Despe atio ? O sig ifi a ual he osa d’alt o, e la didas alia i di a il pe ato,
nozione astratta, e la figura (allegorica, ma non solo) invece le conseguenze di esso? Esiste davvero
una concatenazione gerarchica di fonti, dal trattato teologico alla poesia, dalla poesia alla pittura, o dal
trattato teologico alla pittura? Come istituire e dimostrare questo nesso, assai problematico?
In via preliminare, occorre qui inserire il richiamo alle riflessioni di Padre Giovanni Pozzi sulla
pa ola dipi ta , a olte i ta ti s itti, a sop attutto p op io i uello he po ta uesto titolo La
parola dipinta, Adelphi, Milano, 2002, ma la prima edizione è del 1981). Qui, in un atto di umiltà tutto
medievale, tutto mistico, la parola da maestra diviene ancella, ancella della teologia visiva di un Giotto
evidentemente ispirato, sorretto, guidato dal teologo agostiniano Alberto da Padova, vicino di casa
degli Scrovegni: nel giro di poche centinaia di metri quadrati, tra gli Eremitani e la Cappella degli
“ oveg i e i esti dell’A e a si o su a u a e avigliosa da za teologi o pittu ale, isti a e
razionalistica, tra Platone e Aristotele, Cicerone e Seneca, Agostino e Tommaso, Giotto e Alberto, e
molti altri ancora deuteragonisti del ciclo meraviglioso, e supremo: una via di Salvezza costellata, se
non altro, di trappole, non solo filologiche, mentre gli dèi pagani dell’A e a so o testi o i i pote ti
della loro (forse) definitiva sconfitta.
Giuliano Pisani ci conduce dunque nel solco di una ricostruzione accurata della presenza
agostiniana in tutto il ciclo degli affreschi, testimoniata dalla figura che sostiene, o e fi a dell’ope a
vera e propria, la cappella finita e la presenta alla Madonna. Ci si avventura in un sistema di
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coincidenze, verosimiglianze, contatti, identificazioni. Si sgombra il campo da troppo sommarie
interpretazioni, e banali, come la presunta asse za della ava itia t a i vizi dipi ti pe h lo “ ovegni
era un mecenate milionario. Ava itia a u ulo ie o di denaro, qualcosa la Cappella ad Enrico sarà
costata pure, con Giotto superstar del tempo e quaranta lavoranti; e la ricchezza è bene se si profonde
denaro e lo si utilizza, anche, e soprattutto, in opere di bene: forse siamo in un territorio più aristotelico
che agostiniano, però, e si leggano le righe proprio sopra citate del Portenari, riguardo ai meriti della
ricchezza, se indirizzata (anche) ad opere di carità.
Le questioni capitali sono molte, come si vede subito. Come Pisani mette in chiaro subito vi è a
Padova t a Due e to e T e e to u a s uola teologi a agosti ia a he si uove o disi voltu a
all’i te o delle ope e del sa to di Ippona e assiste Giotto nella concezione del suo straordinario
apolavo o p.
. Ce ta e te, l’esp essio e o disi voltu a può las ia e el du io, se si
i te da o agio , oppu e p op io o ve a disi voltu a, ovve o da do i te p etazio i particolari e
forse eccentriche del complesso, contraddittorio, vastissimo corpus agostiniano. In ogni caso
pu tualissi i so o i ife i e ti all’ope a di Agosti o, ife i e ti o ui la tesi di Pisa i vie e passo pe
passo supportata, e sostenuta. A partire dalla contrapposizione tra vizi e virtù, passando,
sistematicamente, ai momenti in ui la tesi dell’agosti is o teologi o del i lo se
a esse e davve o
i o futa ile, o e ell’alte azio e della se ue za delle vi tù teologali, dove la t adizio e paoli a,
ripresa da Tommaso, viene mutata, p op io segue do appa e te e te Agosti o, i fede, a ità,
spe a za . Si tratta di un lavoro, come si intuisce chiaramente, di immensa portata, che inevitabilmente
susciterà discussioni tra gli studiosi, soprattutto in considerazione del fatto che non tutta la teologia del
te po si divide hia a e te t a to isti ed agosti ia i, all’o
a della divisio e aggio e, t a
Aristotele e Platone, che ha, anche e fondamentalmente, una valenza politica fondamentale, mentre la
libertas patavina, al suo culmine, si accinge a declinare.
In conclusione, un volume ricchissimo, sia per quanto illustra, sia per le strade che apre a future
ricerche. Molte domande sono sollevate, anche e soprattutto dal saggio di Giuliano Pisani. Ad esempio,
il ruolo della committenza, il grado di intervento concesso e previsto, eventualmente informalmente
stipulato, di Enrico Scrovegni stesso; il quale pagava di tasca propria, e molto, per tutto questo tripudio
celeste, avvolto nel blu color, anche, veneticus per eccellenza, oltre ad avere il noto, superno,
significato teologico. Possibile che fosse tutto un duetto tra Giotto e Alberto da Padova? Altra
questione, oltre al ruolo della committenza, è anche quello della fruizione del ciclo. La Cappella era e
doveva essere solo aperta alla famiglia di Enrico? Sembra di sì, ma allora diveniva, il tutto, una sorta di
compendio teologico-morale, un costante memento privatissimo delle difficoltà, e bellezze, del viaggio,
appunto, per aspera ad astra. Inoltre, non di solo teologia vive il ciclo di Giotto. Quanti echi, ad
ese pio, della ti a ia di Ezzeli o III da Ro a o du ata uasi ve t’a i, ell’allego ia, si gola e te
as hile, della i iustitia . Ezzeli o ha lo sgua do ivolto ad O ide te. E o solo i ta ti leoni e leoncini
presenti nel ciclo a ricordare che ad Oriente vi sono sia la luce, sia Venezia.
U ive sità degli “tudi dell’I su ia
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