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Modelli politici di Roma antica, Roma, Carocci 2015

Quali istituzioni politiche hanno accompagnato - e in parte determinato - la straordinaria vicenda storica di Roma antica? Cosa conosciamo del loro funzionamento e della loro evoluzione? Quali sono stati i principali interrogativi della lunghissima tradizione esegetica della quale siamo debitori? In base a quali suggestioni, invece, per secoli si è reinterpretato, attualizzato e, non da ultimo, strumentalizzato il vincente – e avvincente – “modello romano” nelle sue varie declinazioni? Per quali ragioni la comprensione di concetti politici d’indubbia attualità non può prescindere dallo studio di Roma antica? Tenendo presenti questi interrogativi di fondo, l’autore propone una guida sintetica al complesso sistema politico-istituzionale romano: un sistema che, sebbene lontano, offre ancora molti spunti di riflessione

INTRODUZIONE Quale tra gli uomini è così sciocco o indolente da non voler conoscere come e grazie a quale genere di regime politico quasi tutto il mondo abitato sia stato assoggettato e sia caduto in nemmeno 53 anni interi sotto il dominio unico dei romani, cosa che non risulta essere mai avvenuta sinora? O ancora, chi è appassionato di qualche altro argomento o di qualche altra scienza tanto da considerarli più utili di questa conoscenza? (Polibio, Storie, 1,1,5-6; trad. M. Mari) Quali istituzioni politiche hanno accompagnato – e quindi determinato – la straordinaria vicenda storica di Roma antica? Cosa conosciamo del loro funzionamento e della loro evoluzione? Quali sono stati i principali interrogativi della lunghissima tradizione esegetica della quale siamo, più o meno consapevolmente, debitori? In base a quali suggestioni, invece, per secoli, si è reinterpretato, attualizzato e, non da ultimo, strumentalizzato il vincente – e avvincente – ‘modello romano’, nelle sue varie declinazioni? Per quali ragioni la comprensione di concetti politici d’indubbia attualità – come imperialismo o repubblicanesimo – non può prescindere da quella di Roma antica? È a partire da queste domande che affronteremo la complessa realtà politico-istituzionale romana: realtà che, lungi dall’essere qualcosa di morto o lontano, pare ancora in grado di far riflettere. La principale sfida consiste nel dover delineare, a posteriori, un sistema basato sull’evidenza storica. Roma, infatti, non ha mai avuto una ‘costituzione’ e, «più di ogni altro Stato, si è formata ed è cresciuta naturalmente» (Polibio, Storie, 6,9,13). Non è neppure stata oggetto, nell’antichità, di riflessioni politiche paragonabili a quelle che hanno interessato il mondo greco. Roma non è stata neppure una realtà immobile. Dalla fondazione dell’Urbe – a opera del mitico Romolo nell’altrettanto mitico 21 aprile del 753 a.C. – sino alla ‘fine’ della romanitas occidentale – in genere fatta coincidere con la deposizione del giovane imperatore Flavio Romolo Augusto (detto poi Augustolo) da parte del germano Flavio Odoacre (476 d.C.) – trascorsero più di 12 secoli. In tale lasso di tempo, attraverso graduali ma non lievi trasformazioni, la città-stato dei sette colli costituì un’entità giunta a controllare – alla sua massima espansione, nel 117 d.C. – una superficie tra i 5 e i 6 milioni di chilometri quadrati. Poco più di un quarto dell’ex Unione Sovietica tra il 1945 e il 1991, e poco più di un sesto dell’Impero britannico nel 1922, ma pur sempre, per estensione, uno tra i maggiori imperi dell’antichità, disposto su tre continenti e, soprattutto, attorno al ricco, densamente e variamente popolato bacino del Mediterraneo. Fu soprattutto la ‘durata’ a rendere possibile la ‘romanizzazione’ di ampie regioni, che lascia tuttora testimonianze indelebili. Dal punto di vista della ‘ricezione’, il fenomeno politicoistituzionale romano è stato altrettanto importante. Ciò è più che palese nel caso del diritto, in primis nella sua componente privatistica, probabilmente la creazione più fortunata della romanitas. La giurisprudenza latina ha infatti costruito una realtà omogenea, che – grazie anche al successivo ordinamento giustinianeo – ha conservato, reinterpretandole, le stratificazioni di oltre un millennio. Gli insegnamenti del cosiddetto corpus iuris civilis* (529-534) permeano tutto il diritto dell’Europa continentale, soprattutto grazie a innumerevoli riprese: con il Sacro romano impero, il prerinascimento italiano, le scuole dei glossatori e dei commentatori, la scuola tedesca del ‘diritto naturale’, le codificazioni sintetiche successive alla Rivoluzione francese (tra cui quella passata alla storia come Code Napoléon, entrata in vigore con legge del 21 marzo 1804), e infine con la reazione tedesca in chiave storicistica, che diede vita a un sistema esegetico tuttora imprescindibile. Da un punto di vista più propriamente politico, anche dopo il 476 Roma ha costituito, per l’Occidente, un assai meno sistematico ma altrettanto ambìto ‘modello’ di ordine, stabilità e successo. Per secoli i governanti hanno guardato a essa come a un ideale, muovendosi tra dubbie continuità e improbabili rinascite, senza far mancare esiti infausti. Del resto, anche dal ben più autorevole punto di vista della riflessione istituzionale e politica si deve prendere atto di un’influenza mai venuta meno. Organismi e procedure palesemente ispirati a quelli antichi hanno contribuito a determinare, in innumerevoli contesti, le regole del gioco. Il pensiero politico ha poi reinterpretato Roma con costanza tale da permetterci di guardare alle infinite letture della stessa come a uno straordinario indice dei mutamenti di sensibilità. Tale tendenza, chiarissima per esempio in Dante (1313), Machiavelli (1531), Montesquieu (1734 e 1748) o Rousseau (1762), si è gradualmente ridotta solo a partire dalla Restaurazione. Pensatori quali Constant (1819), Hegel (1837) e Marx (1845 e 1852) hanno quindi sottolineato le molte differenze tra antichità e modernità: di natura politica (la partecipazione del cittadino al processo decisionale, in contrasto con la moderna rappresentanza), culturale (il peso della religione civica e del militarismo nella città-stato antica) ed economica (il sistema di produzione schiavistico, preindustriale e precapitalista). Sull’alterna fortuna politica del modello romano ci dovremo per forza limitare, nel corso della trattazione, a brevissimi cenni. Vale qui la pena ricordare invece che la cesura teorica sorta con la Restaurazione non ha tuttavia intaccato l’interesse per lo studio delle istituzioni, sino all’Ottocento incentrato soprattutto sull’età imperiale e sulle codificazioni, prime tra tutte il Codice teodosiano* e il cosiddetto corpus iuris civilis. Una riscoperta della repubblica, in chiave istituzionale, si è avuta a partire dal Diritto dello Stato romano (1871-1887) di Theodor Mommsen (1817-1903), padre dello studio moderno di Roma antica e premio Nobel per la letteratura nel 1902. L’indagine, da allora, è divenuta sempre più ‘scientifica’. Sono altresì sorte nuove tendenze, spesso critiche nei confronti di un’opera e di un metodo che hanno rischiato di modernizzare, alla luce dell’anacronistico concetto di Stato, quella realtà lontana, così come di ‘congelare’ in schematismi giuridici fenomeni di grande complessità. Ai primi del Novecento ha preso piede una lettura politica di carattere sociologico e soprattutto prosopografico, particolarmente attenta alle élite. Si sono affermate nel contempo letture d’ispirazione socialista, particolarmente sensibili al ruolo della plebe, e marxista, particolarmente concentrate sul tema della schiavitù. Vari e di diversa natura sono stati poi gli sguardi interessati alla Roma ‘imperialista’ e alla ‘romanizzazione’. Si è quindi sviluppata, sempre nel corso del Novecento e anche grazie ai progressi dell’epigrafia, un’attenzione particolare per la ‘periferia’, vale a dire per le diverse regioni dell’impero. Più recenti ma non meno centrali sono state le ricadute, anche negli studi politico-istituzionali, del dibattito sul ‘tardoantico’, con le sue continuità e cesure, tra antichità e medioevo. L’elenco, naturalmente, potrebbe essere ben più lungo; anche in questo caso ci dovremo limitare, nel corso della trattazione, a brevi cenni. Vale qui la pena ricordare che, sebbene lo studio delle istituzioni politiche romane sia divenuto sempre più ‘scientifico’, non per questo è rimasto alieno da possibili suggestioni intellettuali provenienti dalla contemporaneità. Tra queste, si può menzionare la più recente, caso assai evidente di ‘ripresa’ della romanità politica al di fuori degli steccati accademici. Nel mondo anglosassone, dove autorevoli voci della storiografia si sono spinte a sottolineare gli aspetti ‘democratici’ della repubblica romana (Millar, 1998), la teoria politica ha visto infatti sorgere il ‘neoromanesimo*’, corrente critica che rivaluta il linguaggio delle virtù civiche e il paradigma repubblicano: entrambi, affermatisi nell’esperienza dei liberi comuni italiani su ispirazione della res publica romana, attraverso Machiavelli sarebbero poi passati ai teorici della Rivoluzione americana, rimanendo produttivi sino a oggi, ma messi in ombra dal liberalismo (cfr. Pettit, 1997; Skinner, 1998). Tale richiamo solo per sottolineare, se fosse necessario, che la nostra materia non pare ancora qualcosa di lontano o definito. Tenendo conto del quadro sopra menzionato, il presente volume si propone come ‘guida critica’ al complesso sistema politico-istituzionale romano, nel suo lungo sviluppo storico. Una guida per forza di cose sintetica e incentrata sull’antichità, che però tenta di suggerire al lettore alcune ‘aperture’ sulle epoche successive. Ciò ha imposto una serie di scelte, non sempre pacifiche. Tra esse, un’attenzione concentrata sul potere centrale e un’impostazione legata alle fonti storico-letterarie, particolarmente utile per illuminare i rapporti tra storiografia e ‘ricezione’. L’andamento è, nei limiti del possibile, cronologico, lungo cinque principali momenti: la mitica monarchia, la res publica, la crisi della stessa, il principato e il ‘dominato’. Pare opportuno sottolineare sin da ora il particolare ruolo rivestito dalla res publica. Essa fu infatti – al di là di ogni altra possibile considerazione – uno straordinario laboratorio politico nel quale il popolo poté partecipare attivamente alla definizione di ‘modelli’ e istituti che anche in seguito, pur se svuotati di significato a causa dell’accentrarsi del potere nelle mani di un individuo, continuarono a perpetuarsi. Alla fine del volume è presente una Bibliografia e un breve Glossario su testi e concetti-chiave.