Nicola Lugaresi
La Chiesa e la guerra dalla "guerra giusta" al Novecento
Q
uesto articolo prende spunto da un’opera di Daniele Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel
Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti (il Mulino, Bologna 2008, 330 pp., € 25),
che colma un vuoto in ambito storiografico, rappresentato dai rapporti fra cattolicesimo e promozione
dei conflitti e della pace nel corso del Novecento.
In questo àmbito diverse ricerche si sono svolte a inizio anni 1980 in relazione alle figure dei pretisoldato e dei cappellani militari nella Grande Guerra (1); mentre la figura di Benedetto XV (1854; 19141922), il papa della prima guerra mondiale, è stata approfondita solo recentemente, tanto da essere
definito come il "papa sconosciuto" del Novecento (2). Successivamente l’Istituto di Scienze Religiose di
Bologna, guidato da Giuseppe Alberigo, ha promosso una profonda attività di ricerca sul Concilio
Vaticano II (1962-1965), inteso come momento di ricongiunzione fra Chiesa e modernità. Oggi diversi
studiosi provenienti da quell’ambito, fra cui anche Menozzi, ripropongono, con diverse varianti, una
lettura del Concilio e del papato di san Giovanni XXIII (1881; 1958-1963) come svolta sostanziale
dell’atteggiamento cattolico nei confronti della società, caratterizzato dalla capacità di arrivare a
un’apertura, a un compromesso con i "segni dei tempi" (3). L’"età della catastrofe" — come l’ha definita
lo storico Eric John Ernest Hobsbawm (1917-2012) (4) — rappresentò senza dubbio uno dei più
qualificanti "segni dei tempi" a fronte dei quali la Chiesa Cattolica dovette tracciare un profilo etico da
seguire, ridefinire le proprie posizioni per continuare la propria missione tra le genti. Questo volume
rappresenta una delle più esaustive sintesi sul rapporto della giustificazione religiosa dei conflitti nel
secolo XX (5).
Menozzi è professore ordinario di Storia Contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. È
uno dei più importanti studiosi in Italia di storia della Chiesa in età contemporanea. Allievo di Giuseppe
Alberigo (1926-2007) e di Giovanni Miccoli, collaboratore presso l’Istituto di Scienze Religiose Giovanni
XXIII di Bologna, durante la sua carriera accademica ha pubblicato numerosi volumi riguardanti il
rapporto fra Chiesa e modernità.
La ricerca ha come oggetto l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti dei conflitti, in
particolare riguardo alle due guerre mondiali. Nella sua analisi Menozzi ha preso in esame
l’atteggiamento dei vari papati che si sono susseguiti da Benedetto XV (1854; 1914-1922) fino a
Giovanni Paolo II (1920; 1978-2005), tenendo in considerazione anche i settori della cultura cattolica,
in àmbito occidentale, che hanno manifestato particolare interesse nei confronti della legittimità della
guerra, nella loro capacità di fornire o meno una giustificazione etico-religiosa alla pratica bellica.
L’analisi parte dal dato odierno per cui "[…] si è fatta strada nel magistero pontificio una nitida
affermazione del legame tra giustizia sociale e azione nonviolenta" (6). Nella società odierna l’azione
non violenta rappresenta, per il cristiano, un mezzo idoneo ed efficace al fine di conseguire la vera pace
e la tutela dell’ordine sociale. Tuttavia nella riflessione cattolica dei secoli precedenti al XX, questa
sensibilità, complici differenti condizioni etico-sociali, non era presente.
La Chiesa nei secoli medievali aveva sviluppato un atteggiamento differente, a partire dalla svolta
costantiniana del IV secolo, caratterizzato dal costante richiamo alla cosiddetta dottrina della "guerra
giusta": una riflessione teologica ispirata dal giusnaturalismo tomistico che — nonostante
aggiornamenti e revisioni, in base ai vari contesti politici — ha garantito una moralizzazione del ricorso
alla forza armata stabilendone uno iustus modus, al fine di rendere conformi i conflitti all’etica
cristiana. La legge naturale, intesa come norma costitutiva e fondante della società civile, deve essere
infatti difesa e tutelata. In tal senso, la guerra per la tutela dell’ordine sociale e quindi di autodifesa di
una comunità (ad vim repellendam) o per la restaurazione del diritto (ad iura sancienda) era concepita
come diritto naturale, un mezzo legittimo per raggiungere un fine proporzionalmente superiore, la
giustizia tra gli uomini.
L’analisi di questa apparente evoluzione prospettica nella considerazione dei conflitti parte dalla famosa
nota ai governanti dell’agosto 1917 di Benedetto XV (7). Già con l’enciclica Ad beatissimi apostolorum
principis del 1914 (8), il pontefice aveva dichiarato la propria neutralità allo scoppio della Grande
Guerra. L’imparzialità assoluta del papa — nei confronti di un conflitto che vedeva inquadrati negli
opposti schieramenti circa i due terzi dei cattolici del mondo — era sorretta da una visione
provvidenzialistica del conflitto, in cui si manifestavano ancora le reticenze verso la società moderna
tipiche della chiesa ottocentesca. Secondo questa lettura del conflitto, la guerra si configurava come
castigo divino imposto a una società occidentale europea che si era allontanata dal cristianesimo,
attraverso un processo di secolarizzazione che aveva distolto l’uomo e la società da Dio e dalla religione,
elementi fondamentali per garantire le pace fra gli uomini. Inoltre la guerra, secondo diversi settori
della cultura cattolica ispirati dal controrivoluzionario Joseph De Maistre (1753-1821), assumeva una
funzione catartica, un valore rigeneratore. Era un’occasione per rifondare, sulle macerie delle violenze,
una società interamente cristiana e ricondurre la vita collettiva sotto la guida della Chiesa.
La nota ai governanti dell’agosto 1917, con quel famoso appellativo di "inutile strage" (9), stabilì una
delegittimazione morale del conflitto che mise in luce drammaticamente il contrasto fra magistero
papale e chiese nazionali, le quali nel frattempo, si erano schierate con i rispettivi governi. Anche uno
strumento devozionale come il culto del Sacro Cuore di Gesù, promosso da papa Della Chiesa per la
promozione della pace, intesa come diffusione del regno dell’amore di Cristo, venne piegato alle
esigenze dei nazionalismi: "il ricorso alla devozione veniva presentato da esponenti delle chiese delle
due parti in conflitto come una garanzia di sicura vittoria per i rispettivi eserciti" (10). Questo
atteggiamento è documentato da due casi eclatanti: la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù delle
nazioni della Triplice Intesa — Francia, Regno Unito e Russia — a Paray le Monial, in Francia, nel marzo
1917 e della persona dell’imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916) d’Austria-Ungheria nel dicembre
1914.
L’insistenza dell’azione diplomatica di Benedetto XV viene inquadrata all’interno della lunga tradizione
della cristianità classica medievale in cui al pontefice era attribuito un supremo potere di arbitrato sulle
nazioni cristiane. Tuttavia il documento rappresentò, secondo Menozzi, una prima fessura nella
compattezza e coerenza del "principio di presunzione", secondo il quale era lecito delegare alle autorità
civili il compito di stabilire la liceità o meno di un conflitto. Definendo il conflitto come "inutile strage",
Della Chiesa voltava le spalle per la prima volta all’applicazione della teologia della guerra giusta: viste
le dimensioni e le atrocità del conflitto, cadeva la proporzionalità fra mezzi e fini necessaria a
legittimare lo scontro. La proposta di pace non ebbe seguito, secondo Menozzi, perché il contesto
complessivo in cui venne lanciata — caratterizzato dalla volontà di riproporre il papato come supremo
arbitro fra le nazioni e dall’obbiettivo ierocratico legato alla proposta di ripristino del Regno Sociale di
Cristo — ne condizionò inevitabilmente gli esiti concreti (11).
Con la fine della Grande Guerra, la Santa Sede rimase al di fuori delle trattative di pace di Versailles,
nonostante Benedetto XV avesse manifestato una certa apertura e vicinanza alle tesi di Thomas
Woodrow Wilson (1856-1924). Il presidente americano ipotizzava la nascita di un organismo
sovranazionale che potesse in futuro prevenire i conflitti. Con il papato di Pio XI (1857; 1922-1939),
Menozzi individua una evoluzione dell’atteggiamento del cattolicesimo nei confronti della Società delle
Nazioni: da una iniziale diffidenza, giustificata da accenti massonici e laicisti dell’organizzazione, a un
tendenziale avvicinamento, culminato una sempre maggiore collaborazione della Santa Sede con
l’Union Catholique d’études Internationales (UCEI), un’istituzione creata nel 1920 in Svizzera con il
consenso di Benedetto XV, concepita come canale di rappresentanza nella Società delle Nazioni degli
interessi cattolici.
Menozzi, sulla base di puntuali testimonianze di importanti interpreti della cultura cattolica, sottolinea
il tentativo di elaborare, nel primo dopoguerra, una delegittimazione della guerra su base religiosa. Un
importante contributo arrivò dai settori dell’intransigentismo che, in nome di una opposizione allo
Stato moderno figlio della Rivoluzione francese, sosteneva l’obiezione di coscienza, giustificando la
renitenza alla leva, rifacendosi ai trattati filosofici di Luigi Taparelli D’Azeglio, S.J. (1793-1862). Altri
settori più progressisti del cattolicesimo e del protestantesimo sostenevano un pacifismo
incondizionato, dichiarando l’assolutizzazione del quinto comandamento. Anche don Luigi Sturzo
(1871-1959) dall’esilio londinese elaborò una teoria volta a svuotare la guerra dal suo carattere di istituto
naturale. Nel 1931 viene pubblicato a Friburgo, in Svizzera, un documento sottoscritto da otto teologi
che "[…] voleva intervenire sulla tradizionale dottrina cattolica della guerra, rapportandola alle
condizioni storiche del momento, caratterizzate dall’esistenza della Società delle Nazioni e da uno
sviluppo senza precedenti del potenziale distruttivo degli eserciti, al fine di circoscrivere i casi in cui la
si poteva effettivamente accettare per legittimare un futuro conflitto" (12).
La via per un "pacifismo cattolico" era tracciata, tuttavia nel corso degli anni 1930 si ebbe un
ripiegamento della cultura cattolica verso una giustificazione etico-religiosa della guerra, determinata
dalla diffusione dei totalitarismi. Con il fallimento della Società delle Nazioni, l’avvento del bellicismo
nazionalsocialista neopagano e la ripresa dell’internazionalismo comunista, questo nuovo clima
politico, ostile ai principi cristiani e all’instaurazione del Regno Sociale di Cristo, portò la gerarchia ad
avere meno remore nel riproporre la guerra come strumento legittimo e a riconsiderare la renitenza alla
leva come peccato. In occasione della guerra italiana in Etiopia (1935-1936), il mondo cattolico italiano,
complice il clima politico fascista, elaborò una giustificazione religiosa del conflitto coloniale,
sconfessando l’autorità della Società delle Nazioni. Anche in occasione della Guerra Civile spagnola
(1936-1939) vi fu una netta presa di posizione vaticana a sostegno della crociata anti-repubblicana.
Alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, Pio XII (1876; 1939-1958), con un discorso all’Azione
Cattolica Italiana, esortava all’obbedienza alle autorità civili, riproponendo il "principio di presunzione".
In questo modo papa Pacelli, seguendo una prudente linea diplomatica, non condannò il conflitto di per
sé, ma si prodigò per garantire una sua moralizzazione. Nonostante ciò, le limitazioni all’applicazione
della guerra giusta restarono uno sterile esercizio teorico che incise poco nei fatti. Eppure era evidente
agli occhi dei contemporanei che il nuovo conflitto mondiale poneva inediti interrogativi sul piano etico,
sollevati dall’impiego di armi chimiche, di bombardamenti a tappeto e, soprattutto, dall’utilizzo della
bomba atomica.
Pio XII tuttavia ripropose, in continuità con il magistero di Pio XI, le tesi intransigenti circa l’origine del
conflitto, generato dall’apostasia della società moderna dalla Chiesa di Cristo. Come durante la Grande
Guerra "[…] la linea pontificia riproponeva quel nesso tra pacificazione e restaurazione della
cristianità che i cattolici delle due parti in lotta potevano piegare secondo i propri orientamenti e
interessi" (13).
L’obiezione di coscienza verrà riproposta solamente dopo il bombardamento atomico avvenuto
nell’agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki in Giappone. Alcuni autori legati alla precedente corrente
"pacifista" come il domenicano tedesco Franziskus Maria Stratmann (1883-1971) (14), oltre a dichiarare
l’obiezione di coscienza come un dovere del cattolico, arrivarono a negare la liceità della guerra anche in
caso di difesa. Altri, come il futuro cardinale e assessore della Congregazione del Sant’Uffizio, Alfredo
Ottaviani (1890-1979), pur affermando la mancanza di proporzionalità fra la guerra moderna —
caratterizzata da mezzi tecnologici devastanti — e il fine morale che dovrebbe perseguire, continuava a
definire lecita la guerra difensiva, seppure con molte limitazioni (15). In questo modo non veniva
scardinato il principio di legittima difesa, appartenente a "[…] quella sfera del diritto naturale di cui la
chiesa si era proclamata autentica ed esclusiva depositaria [...] toccare questo ambito implicava
incrinare l’intera impalcatura concettuale che governava l’atteggiamento ecclesiastico verso la
società" (16). Questa linea, espressa da Ottaviani nel suo manuale di diritto pubblico ecclesiastico (17),
veniva confermata dal radiomessaggio natalizio del 1944 di Pio XII, occasione in cui il pontefice
dichiarò apertamente che "la teoria della guerra, come mezzo adatto e proporzionato per risolvere i
conflitti internazionali, è ormai sorpassata" (18).
Il richiamo a un diritto naturale, inteso come elemento costitutivo della realtà umana che andasse al di
là di posizioni confessionali, lo troviamo nell’enciclica Ad Petri cathedram del 1959 di papa Giovanni
XXIII (19). Menozzi evidenzia come in questo intervento papa Roncalli abbia posto la ragione come
denominatore comune fra gli uomini, il cui esercizio garantiva l’allontanamento dal fattore irrazionale
della guerra. Inoltre, nella tradizionale rivendicazione di un ruolo pacificatore, il papa non poneva più in
modo manifesto il perseguimento di un ordine cristiano, bensì solamente una promozione del dialogo
tra le parti (20) . La pace era per Roncalli "[…] affidata agli uomini di buona volontà, che operavano in
"buona fede e con retta coscienza"" (21), non solamente ai membri dell’episcopato della chiesa
universale, al clero e ai fedeli. La vicenda della crisi missilistica sovietico-americana di Cuba del 1962, e
quindi della capacità del pontefice di porsi come mediatore, confermò "[…] che la sua linea aveva
conferito alla chiesa una capacità di ottenere ascolto e attenzione in ambiti che da decenni erano stati
a essa preclusi" (22). Ma è nell’enciclica Pacem in terris del 1963 (23) che si raggiunse il culmine del
processo di delegittimazione religiosa dei conflitti e del "[...] ripensamento dell’atteggiamento cattolico
sulla guerra" (24). Nel documento pontificio infatti venivano formalizzate le principali acquisizioni
culturali della riflessione cattolica sulla guerra: l’abbandono a un atteggiamento volto a dettare i criteri
moralizzatori di un conflitto — in aperta antitesi, secondo Menozzi, con l’atteggiamento pacelliano —, la
costruzione della pace attraverso il dialogo, un appello alla ragione come effettivo punto di incontro fra
gli uomini e, infine, la condanna della guerra atomica come strumento per il ripristino della giustizia.
Il Concilio Vaticano II con la formulazione della costituzione pastorale Gaudium et spes del 1965
(25), nell’interpretazione di Menozzi, contribuì a indebolire il potenziale "pacifista" della Pacem in
terris, complice l’atteggiamento di papa Paolo VI (1897; 1963-1978) che, nell’intervento alle Nazioni
Unite del 1965, considerava possibile la guerra difensiva. Comunque il documento conciliare dava
spazio, seppure in modo prudente, a nuove vie per raggiungere la pace: la non violenza e il
riconoscimento legale dell’obiezione di coscienza (26). Anche il magistero di san Giovanni Paolo II è
connotato da forti oscillazioni fra rifiuto totale della guerra come "[...] violazione del basilare precetto
cristiano dell’amore" (27) e ripresa del tradizionale schema intransigente dell’apostasia della società
moderna dalla Chiesa (28).
L’opera di Menozzi risulta particolarmente utile per diversi motivi. Innanzitutto rappresenta
un’esaustiva sintesi dei rapporti fra Chiesa cattolica e guerra nel corso del Novecento, attraverso la
tematizzazione del processo di delegittimazione religiosa dei conflitti. Quest’ultimo è presentato
attraverso un utilizzo sistematico di fonti e un criterio metodologico volto a evidenziare la complessità e
molteplicità di accenti acquisiti di volta in volta dal magistero e dalla cultura cattolica.
Nel periodo preso in esame la crescita delle ideologie come nazionalismo, colonialismo,
nazionalsocialismo e bolscevismo hanno contribuito fornire giustificazioni ideologiche ai conflitti: la
Chiesa cattolica ha di volta in volta modulato le proprie posizioni, abbandonando a mano a mano il
modello teorico elaborato nei secoli precedenti, la teologia della guerra giusta, che è diventato
gradualmente desueto di fronte alla crescita dell’invasività dello Stato moderno nella società e
all’incontrollato progresso tecnologico. L’autore si sofferma più volte sul richiamo, all’interno del
magistero papale, a una tanto mitizzata, quasi astorica e artefatta cristianità medievale. Tuttavia è
proprio all’interno di quel contesto che il paradigma della guerra giusta trovava applicazione e
fondamento. Fondamentalmente, la Chiesa medievale poteva contare su un potere secolare cristiano,
legittimato da una nozione di sovranità derivata da Dio. A partire dalla Rivoluzione Francese questo
legame di trascendenza si è spezzato, facendo provenire l’organizzazione della società dalla società
stessa e non da un principio superiore. In questo modo con l’avanzare dello Stato moderno, il principio
di presunzione ha sempre più perso di validità, come ben evidenziava già a fine Ottocento Taparelli
D’Azeglio. Una importante corrente di opposizione alla guerra moderna, sul piano teorico, è quindi
scaturita dai settori cosiddetti intransigenti del cattolicesimo, come conseguenza di una opposizione allo
Stato liberale. Eppure, secondo Menozzi, la visione provvidenzialistica dei conflitti propria della cultura
intransigente, avrebbe favorito il bellicismo perché tale logica poteva essere piegata alle esigenze di
ciascuna nazione. Tuttavia esiste una contraddizione interna a questo ragionamento: l’intransigentismo
non presupponeva la possibilità di assumere un atteggiamento nazionalistico perché, almeno sul piano
teorico, privilegiava la missione universale della Chiesa e osteggiava l’invasività dello Stato moderno:
non necessariamente i tentativi di restaurazione dell’autorità papale sulla vita civile internazionale
hanno determinato una giustificazione alle violenze belliche. Anzi, sono state le ideologie politiche,
come il nazionalismo durante la Prima Guerra Mondiale o il fascismo durante la Seconda Guerra
Mondiale, che hanno saputo strumentalizzare e fare proprie molte istanze del cristianesimo, potendo
anche contare sulla partecipazione di larga parte dei cattolici.
In questo modo si spiega il motivo per cui questo cambiamento di paradigma non ha portato la Chiesa
ad auspicare un pacifismo esasperato o un "pacifismo evangelico" (29) che arrivasse a negare
l’autodifesa in qualunque situazione, come alcuni settori dell’ala progressista vorrebbero: i fondamenti
del diritto naturale, fra cui il diritto alla legittima difesa, hanno retto a questa evoluzione. Questo è un
dato importate, una permanenza strutturale forse sottovalutata nell’analisi di Menozzi.
Infine, risulta particolarmente fertile il punto di vista transnazionale adottato da Menozzi, capace di
mettere a confronto il magistero papale con le varie realtà nazionali, senza tuttavia entrare troppo nei
particolari di ciascun ambito. Appare però poco equanime la scelta di inserire all’interno della
trattazione anche un capitolo dedicato all’atteggiamento della Chiesa nei confronti della guerra
d’indipendenza algerina e, nel contempo, dedicare pochissimo spazio alla Guerra Civile spagnola ed
escludere totalmente qualsiasi accenno all’esperienza dell’insurrezione cattolica dei "cristeros" in
Messico (1925-1929). Quest’ultima, in particolare, costituisce una lacuna nel panorama storiografico
italiano (30). Sarebbe interessante cercare di comprendere quale sia stato il paradigma dominante
all’interno di conflitti che hanno visto l’attuarsi e il protrarsi di spietate persecuzioni anticattoliche. A un
primo sguardo, il conflitto dei contadini cattolici messicani contro le forze militari del governo laicistamassonico di Plutarco Elías Calles (1877-1945) ha determinato una ripresa del paradigma della guerra
giusta: di fronte alla violazione di diritti naturali come la libertà di culto, di stampa e di associazione, i
cattolici messicani hanno giudicato indispensabile mettere da parte i metodi di resistenza pacifica e
rispondere alle persecuzioni con la forza. Il diritto alla legittima difesa si riconferma come permanenza
strutturale, in una occasione in cui il richiamo il culto del Sacro Cuore e al Regno Sociale di Cristo ha
costituito un elemento fondamentale intorno al quale la popolazione messicana, conscia delle proprie
radici culturali e religiose, si è coesa.
Nicola Lugaresi
Note:
(1) Cfr. Roberto Morozzo della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti-soldati, Studium, Roma
1980; Luigi Bruti Liberati, Il clero italiano nella grande guerra, Editori Riuniti, Roma 1982; e Francesco
Marchisio (a cura di), Cappellani militari 1870-1970, Tipografia San Pio X, Roma 1970. Segnalo anche la
pubblicazione degli atti di un convegno del 1962 sul tema "Chiesa e guerra": cfr. Giuseppe Rossini (a cura
di), Benedetto XV, i cattolici e la Prima guerra mondiale, Edizioni Cinque Lune, Roma 1963.
(2) Cfr. il titolo di John Francis Pollard, Il papa sconosciuto: Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace,
trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001. Su papa Della Chiesa segnalo anche Gabriele De Rosa
(1917-2009), Benedetto XV, in Enciclopedia dei Papi, Treccani, Roma 2003, vol. III; e Antonio Scottà, Papa
Benedetto XV. La chiesa, la grande guerra e la pace (1914-1922), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009.
(3) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo
contemporaneo, del 7 dicembre 1965, n. 4; cfr. altresì "Per Giovanni XXIII il termine evangelico, a lui
particolarmente caro, "segni dei tempi" sta a significare le situazioni concrete, l’attenzione a cogliere quello che,
magari impercettibilmente, cambia. è la capacità di percepire l’arrivo di una primavera anche solo dal primo
mutare dei colori della natura" (Umberto Mazzone, Cristianesimo. Istituzioni e società dalla Rivoluzione francese
alla
globalizzazione,
Archetipolibri,
Bologna
2011,
p.
82).
(4) Cfr. Eric John Ernest Hobsbawm, Il secolo breve. 1914/1991, trad. it., Rizzoli, Milano 2006. Per "età della
catastrofe", espressione con cui è intitolata la parte prima del volume, lo storico britannico intende il periodo fra il
1914
e
il
1945,
comprendente
i
due
conflitti
mondiali
e
la
crisi
del
1929.
(5) Sul rapporto fra Chiesa e guerra è da segnalare anche la raccolta di saggi Mimmo Franzinelli e Riccardo
Bottoni (a cura di), Chiesa e guerra. Dalla "benedizione delle armi" alla "Pacem in terris", il Mulino, Bologna
2005, in cui è contenuto il saggio di Daniele Menozzi, Ideologia di cristianità e pratica della "guerra
giusta" (ibid.,
pp.
91-110).
(6) Idem, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, il Mulino,
Bologna
2008,
p.8.
(7) Benedetto XV, Esortazione apostolica Dès le Début per il ristabilimento della pace, in Acta Apostolicae
Sedis,
9,
1917,
pp.
421-423.
(8) Idem, Lettera enciclica Ad beatissimi apostolorum principis, del 1° novembre 1914, in Erminio Lora e Rita
Simionati (a cura di), Enchiridion delle encicliche. 4. Pio X. Benedetto XV. 1903-1922, testo bilingue latino e
italiano, 2a ed., EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1999, pp. 468-473 (cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace
e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 18).
(9) Idem, Lettera Dès le début ai capi dei popoli belligeranti, ibid., pp. 970-977 (p. 977).
(10) D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p.
34. Il tema del culto del Sacro Cuore è affrontato da Menozzi nell’opera monografica Sacro Cuore. Un culto tra
devozione e restaurazione cristiana della società, Viella, Roma 2001, in cui sostiene che questo strumento
devozionale aveva l’obbiettivo "ierocratico" di instaurare il Regno Sociale di Cristo, contrapposto alle tendenze
nazionalistiche
dell’epoca.
(11) Cfr. Idem, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 46.
(12) Ibid.,
p.
113.
(13) Ibid.,
p.
155.
(14) Il personaggio fu attivo nella redazione di articoli nella rivista domenicana Les Documents de la vie
intellectuelle, nata per combattere le idee conservatrici di Charles Maurras (1868-1952) nel mondo cattolico
francese, ed è menzionato fra i firmatari del documento di Friburgo del 1931, che ho menzionato. Le sue opere in
lingua
tedesca
sono
indicate
in ibid.,
p.
85n.
(15) Queste posizioni sono espresse nella terza edizione del volume Alfredo Ottaviani, Istitutiones iuris publici
ecclesiastici, 2 voll., Typis Poliglottis Vaticanis, Roma 1947, vol. I, I. Ius publicum internum, pp. 151-155.
Ottaviani venne nominato cardinale nel 1953 e fu stretto collaboratore di papa Pio XII. Qualche notizia sulla
vicenda biografica del prelato in Emilio Cavaterra, Il prefetto del Sant’Uffizio. Le opere e i giorni del cardinale
Ottaviani, Mursia, Milano 1990; cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una
delegittimazione
religiosa
dei
conflitti,
cit., pp.
171-172.
(16) Ibid.,
p.
172.
(17)
Cfr.
A.
Ottaviani, op. cit.,
vol
I,
pp.
151-155.
(18) Pio XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico. Radiomessaggio
natalizio Benignitas et humanitas diretto ai popoli del mondo intero il 24 dicembre l944 vigilia della Natività di
Nostro Signore Gesù Cristo, nuova trad. it., Edizioni di Cristianità, Piacenza 1991, p. 21.
(19) Giovanni XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram sulla conoscenza della verità, restaurazione dell’unità
e della pace nella carità, del 29 giugno 1959, in E. Lora (a cura di), Enchiridion della pace. Pio X-Giovanni
XXIII, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2004, pp. 1.482-1.487 (cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e
guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 258).
(20) Cfr. D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit.,
p.
260.
(21) Ibid., p.
264.
(22) Ibid., p.
263.
(23) Giovanni XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris sulla pace fra tutte le genti nella verità, nella giustizia,
nell’amore, nella libertà, in E. Lora e R. Simionati (a cura di), Enchiridion delle encicliche. 7. Giovanni XXIIIPaolo VI, testo bilingue latino e italiano, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna 1994, pp. 380-469.
(24) Ibid., p.
265.
(25) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo
contemporaneo,
cit..
(26) Cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti,
cit., p.
276.
(27) Ibid. p.
297.
(28) Sul papato di san Giovanni Paolo II cfr. Idem, Giovanni Paolo II. Una transizione incompiuta? Per una
storicizzazione
del
pontificato,
Morcelliana,
Brescia
2006.
(29) Secondo alcuni autori come Sergio Cotta — in G. Rossini (a cura di), op. cit., pp. 273-278 — e, più
recentemente, Nando Simonetti — Principi di teologia della pace nel magistero di Benedetto XV, Edizioni della
Porziuncola, Assisi (Perugia) 2005 — Benedetto XV è stato l’antesignano di un "pacifismo evangelico" (cfr. D.
Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 33.
(30) Sul tema segnalo, fra le poche opere in italiano, Mario Arturo Iannacone, Cristiada. L’epopea dei Cristeros
in Messico, Lindau, Torino 2013; e Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-29, il
Cerchio iniziative editoriali, Rimini 1999.
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