4
Empatia e relazione con Dio
in Edith Stein* in: AA.VV., Lumen fidei. L'intelligenza
Christof Betschart
mistica, Pontificio Istituto di Spiritualità
Teresianum, Edizioni OCD, Roma 2015,
pp. 73-92.
Il tema a me assegnato è l’empatia in Edith Stein, a partire dalla sua
tesi ino a Scientia Crucis. Possiamo chiederci perché parlare di empatia
nel contesto della vita spirituale e della teologia. Direi semplicemente perché la vita spirituale e la teologia hanno necessariamente una dimensione
relazionale. Propongo come punto di partenza della nostra rilessione il
numero 36 dell’Enciclica Lumen Fidei.
La teologia […] appartiene al movimento stesso della fede, che cerca l’intelligenza più profonda dell’autorivelazione di Dio, culminata nel Mistero di Cristo. La prima conseguenza è che nella teologia non si dà solo uno sforzo della
ragione per scrutare e conoscere, come nelle scienze sperimentali. Dio non si
può ridurre ad oggetto. Egli è Soggetto che si fa conoscere e si manifesta nel
rapporto da persona a persona (LF, n. 36).
Ciò vale anche per il teologo, il quale realizza il suo compito non soltanto nell’elaborare un discorso su Dio (con Dio come oggetto del suo discorso), ma nella sua vita di preghiera e dunque nella sua relazione “da
persona a persona” con il Dio tripersonale che alimenta la sua rilessione.
Ma la Lumen Fidei suggerisce qualcosa di più: la teologia stessa in quanto
discorso è chiamata a conoscere e parlare di Dio come soggetto che si
comunica particolarmente nel “mistero di Cristo”. La conoscenza di Dio
*
Ringrazio suor Maria Manuela Romano del Carmelo di Monte San Quirico per
aver riletto il testo e per i suoi commenti costruttivi.
73
Christof Betschart
come soggetto signiica che la conoscenza intersoggettiva è una questione
essenziale per la teologia.
L’empatia non dice tutto della conoscenza intersoggettiva, ma riguarda
una conoscenza allo stesso tempo privilegiata e limitata che cercheremo di
approfondire in questa sede. Vi propongo due parti principali. Nella prima
parte propongo una rilessione fondamentale sulla conoscenza intersoggettiva secondo la tesi sull’empatia, mettendo in risalto tre punti essenziali. La seconda parte tratterà lo sviluppo della comprensione steiniana
dell’empatia nell’ultimo scritto, Scientia Crucis, o piuttosto l’arricchimento
del suo pensiero in tre direzioni.
1. La conoscenza intersoggettiva nella tesi sull’empatia
Come ci conosciamo gli uni gli altri? Nella conoscenza intersoggettiva
possiamo evidenziare in primo luogo l’aspetto sensibile della nostra conoscenza. Posso vedere una persona, sentirla, parlare o ridere, darle la mano
o un abbraccio. La conoscenza sensibile non può essere isolata dalla conoscenza intellettuale, per esempio se facciamo un’afermazione su una
persona come bassa o alta, come magra o grassa, ecc., questi concetti
presuppongono un’attività intellettuale. Però questa conoscenza rimane
supericiale come se la persona fosse un oggetto, per esempio una statua
di marmo o un robot. La nostra conoscenza intersoggettiva va, in dal suo
inizio, al di là di una conoscenza oggettivante. Conosciamo le persone in
quanto soggetti umani, che hanno una vita interiore con diversi vissuti e
una struttura personale con abitudini e capacità. Che cosa ci permette di
percepire non soltanto l’aspetto isico di una persona o il timbro della voce,
ma anche qualcosa della sua vita interiore? Secondo la Stein1 è la nostra
1
Cfr. E. Stein, L’empatia, ed. it. a cura di Michele Nicoletti, Franco Angeli, Milano
1986; ed. ted.: Zum Problem der Einfühlung, a cura di Maria Antonia Sondermann, Edith Stein
Gesamtausgabe (ESGA) 5, Herder, Friburgo-Basilea-Vienna 2008. Dopo il primo riferimento
bibliograico utilizzo soltanto i titoli brevi.
74
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
capacità di empatia2 o in tedesco Einfühlung. Questo sostantivo, tradotto,
signiica “sentire dentro” l’altra persona. L’empatia fa sì che percepiamo
spontaneamente un uomo o una donna non unicamente come oggetto isico, ma come un soggetto di una vita interiore. In questo senso l’empatia
è presupposta nelle relazioni intersoggettive.
In questa sede, non ci è possibile seguire tutta la rilessione steiniana
sull’empatia 3, ma cercherò di sintetizzare ciò che la nostra Autrice intende
per atto d’empatia. Nel senso più fondamentale, l’atto d’empatia è la conoscenza intuitiva (il “sentire”) della coscienza straniera con tutta la sua
ricchezza: essere un soggetto con una struttura personale, con delle abitudini e soprattutto con tanti vissuti. L’atto d’empatia è mio, cioè un atto
originario, ma il suo contenuto è la coscienza straniera con i suoi vissuti
(il contenuto è non-originario perché appartiene al soggetto altrui). L’empatia nella prospettiva steiniana è un atto conoscitivo fondamentale, presupposto poi in tanti altri atti: per esempio, per avere compassione di una
persona, devo conoscere già il suo dolore e lo conosco per empatia. L’empatia è spontanea: quando vedo un bambino sorridere, colgo (gewahren)
allo stesso tempo la sua gioia senza rilettere. Questa empatia spontanea si
può sviluppare con il tempo, per esempio è più facile “empatizzare” la gioia
o la tristezza di una persona che conosciamo già da molto tempo rispetto
a un estraneo.
2
Talvolta la parola tedesca Einfühlung viene tradotta con «enteropatia» per
evitare una precomprensione psicologica che non permette di cogliere il senso steiniano.
Manteniamo qui la traduzione «empatia» utilizzata nelle traduzioni e linguisticamente
giusta.
3
Cfr. la letteratura molto ricca sull’empatia secondo Edith Stein. Indico soltanto
alcune pubblicazioni in italiano: E. Costantini, L’empatia, conoscenza dell’io estraneo,
«Studium» 86/1 (1990), pp. 73-91; L. Boella – A. Buttarelli, Per amore di altro: l’empatia
a partire da Edith Stein, Rafaello Cortina, Milano 2000; L. Boella, Sentire l’altro. Conoscere
e praticare l’empatia, Rafaello Cortina, Milano 2006; M. Armezzani et al., Intenzionalità ed
empatia. Fenomenologia, psicologia, neuroscienze, «Quaderni dell’AIES» 3, Edizioni OCD,
Roma 2008. Ci sono tanti altri studi in altre lingue, per esempio in inglese di A. MacIntyre,
«Stein on Our Knowledge of Other Minds», in Edith Stein. A Philosophical Prologue (19131922), Rowman & Littleield, Lanham 2007, pp. 75-87. Per una bibliograia più ampia, cfr.
M.A. Sondermann, «Sekundärliteratur», in Zum Problem der Einfühlung, cit., p. XXXIIIs.
75
Christof Betschart
A questo primo approccio vorrei aggiungere tre precisazioni: la prima
concerne il fatto che l’empatia secondo la Stein è una nostra capacità che
dipende dalla nostra natura, ma anche dall’uso che ne facciamo. Ci sono
delle diferenze individuali e speciiche, date dal fatto che le donne di solito
sono più capaci di empatia, perché l’orientamento verso le persone è più
marcato nella loro natura sessuata. Questa capacità naturale si sviluppa
nella vita concreta e se non viene coltivata, non si può ainare e rimane
grossolana. Invece, anche con una capacità naturale piuttosto limitata, la
conoscenza delle persone può migliorare con il tempo.
La seconda precisazione tocca i limiti dell’empatia. Gli sbagli sono sempre possibili e sarebbe pericoloso non fare attenzione alla possibilità di
cogliere empaticamente qualcosa che non esiste in realtà. Le illusioni sono
tantissime, per esempio quando “empatizzo”4 la gioia di una persona che
di fatto è triste.
La terza precisazione, particolarmente importante nel nostro contesto, concerne il fatto che empatia signiica una conoscenza intuitiva fra
due o più soggetti. In primo luogo pensiamo evidentemente all’empatia
nelle relazioni fra soggetti umani, ma il termine “soggetto” ha un’estensione maggiore. Siamo capaci di empatia non soltanto rispetto ai soggetti
umani, ma anche rispetto ad alcuni animali5. Allo stesso tempo, la Stein
formula l’ipotesi di un’empatia rispetto a Dio e questo più di cinque anni
prima del suo Battesimo e senza ancora credere in Dio. Visto che l’empatia
è l’esperienza della coscienza straniera, allora anche l’esperienza di Dio è
data per empatia.
4
Questo neologismo segue la possibilità della lingua tedesca di distinguere fra il
sostantivo (Einfühlung) e il verbo (einfühlen).
5
Cfr. L’empatia 128 [66 ed. ted. originale del 1917] e 162 [97], dove la Stein utilizza
l’esempio del cane di cui si può empatizzare il dolore quando è ferito alla zampa o la gioia
quando scodinzola. Anche con le piante (cfr. L’empatia 140s. [77s.]), una certa empatia è
possibile riguardo al loro vigore (Frische) e alla loro iacchezza (Mattigkeit).
76
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
1.1. L’empatia nella relazione con Dio
Nella tesi sull’empatia, troviamo alcuni riferimenti alla dimensione religiosa dell’empatia. Il testo seguente è particolarmente importante per la
nostra ricerca, perché la Stein mostra bene l’analogia fra la conoscenza
delle persone umane e di Dio:
Così l’uomo coglie la vita psichica [Seelenleben] del suo simile; così anche il
credente coglie l’amore, la collera e il comandamento del suo Dio; e Dio non
può cogliere la vita dell’uomo in altro modo. Dio, che è onnisciente, non si
può ingannare sulle esperienze vissute dell’uomo, come invece si ingannano
reciprocamente gli uomini sulle loro esperienze vissute. Tuttavia neanche per
Dio le esperienze vissute degli uomini diventano sue proprie, né assumono la
stessa specie di datità di quelle proprie (L’empatia 64 [11])6.
La Stein mette in rilievo la reciprocità della conoscenza per empatia:
l’uomo può conoscere Dio per esempio mediante la lettura dei testi biblici,
in cui si parla dei “sentimenti” di Dio come il suo amore, la sua fedeltà, la
sua gelosia e collera. Si può trattare di una conoscenza concettuale dell’amore o della collera di Dio. Ma, come la Stein sottolinea, può esistere anche
una conoscenza per empatia, cioè una conoscenza intuitiva della vita di
Dio, dei suoi “sentimenti”. Sicuramente possiamo illuderci in questa empatia. Il rischio di antropomorismo è molto reale se prendiamo la gelosia
o la collera di Dio, ma anche il suo amore, semplicemente come attitudini
umane. L’empatia della vita divina non è data automaticamente, perché in
ultima analisi si tratta di un’esperienza mistica gratuita. Lo vedremo più
avanti.
6
«So erfaßt der Mensch das Seelenleben seines Mitmenschen, so erfaßt er aber auch
als Gläubiger die Liebe, den Zorn, das Gebot seines Gottes, und nicht anders vermag Gott sein
Leben zu erfassen. Gott als im Besitze vollkommener Erkenntnis wird sich über die Erlebnisse
der Menschen nicht täuschen, wie sich die Menschen untereinander über ihre Erlebnisse
täuschen. Aber auch für ihn werden ihre Erlebnisse nicht zu eigenen und nehmen nicht dieselbe
Art der Gegebenheit an» (Zum Problem der Einfühlung, cit., p. 11).
77
Christof Betschart
La Stein aggiunge che anche Dio conosce l’uomo per empatia e in questo caso si tratta di un’empatia perfetta senza possibilità di illusione. Ma
anche da parte di Dio, i nostri vissuti non diventano i suoi e di conseguenza
l’empatia non è da prendere nel senso di una fusione fra Dio e noi. L’empatia non è fusione perché i due soggetti sono consistenti in se stessi, Husserl
e Stein direbbero che sono un «io puro»7, un soggetto in senso forte come
condizione di possibilità di ogni relazione intersoggettiva8.
1.2. L’empatia né fusione, né separazione
Da un lato, dunque, l’empatia secondo la Stein non è fusione, ma dall’altro lato non è neanche separazione fra i soggetti. La conoscenza empatica
mi fa conoscere la vita altrui. Non si tratta soltanto di una conoscenza
sensibile che mi permetterebbe di riferirmi ai miei vissuti, da attribuire in
seguito a un’altra persona9. Se fosse così, il sorriso del bambino che vedo
rimanderebbe alla mia gioia che poi attribuirei al bambino. In questa pro-
7
Cfr. E. Husserl, Logische Untersuchungen. II/1 Untersuchungen zur Phänomenologie
und heorie der Erkenntnis, Niemeyer, Tübingen 19937, pp. 359-363 sull’io puro nella
quinta ricerca; cfr. anche Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie. Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, Niemeyer, Tübingen 20026,
p. 58 (§33), p. 109s. (§57) e p. 160 (§80). Più tardi, Husserl parlerà dell’ego trascendentale (cfr.
Cartesianische Meditationen, Meiner, Hamburg 19953, pp. 8-28: tutta la prima meditazione
col titolo “Der Weg zum transzendentalen Ego [Il cammino verso l’ego trascendentale]”); cfr.
L’empatia, cit., p. 100s. [41]: piccolo paragrafo sull’io puro come base di tutta la ricerca; cfr.
E. Stein, Introduzione alla ilosoia, trad. di Anna Maria Pezzella, a cura di Angela Ales Bello,
Città Nuova, Roma 20012 (1998); Einführung in die Philosophie, a cura di Claudia Mariele
Wulf, ESGA 8, Herder, Friburgo-Basilea-Vienna 2004, pp. 149-151 ed. italiana [104s. ed.
tedesca]. La Stein non ha mai messo in questione l’io puro come presupposto metodologico
della fenomenologia.
8
Questo vale anche per l’unipatia, per esempio nel caso del contagio psichico che
può condurre a una fusione in senso psicologico, ma non nel senso di una perdita della
propria consistenza soggettiva.
9
La sua rilessione sul rapporto fra la fenomenologia e la psicologia del suo tempo
si trova nella critica di tre teorie psicologiche che negano la possibilità di conoscere la
vita altrui: “La teoria dell’imitazione [Nachahmungstheorie]”, “La teoria dell’associazione
[Assoziationstheorie]” e “La teoria della conclusione per analogia [Analogieschlußtheorie]”;
cfr. L’empatia, cit., pp. 76-86 [21-30].
78
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
spettiva di separazione nessuna comunione spirituale sarebbe possibile.
La Stein invece pensa che sia possibile cogliere la gioia di un’altra persona
anche quando io stesso sono triste. Qui sorge una domanda: è possibile
empatizzare qualcosa che non ho vissuto? Secondo la Stein è possibile
empatizzare tutto ciò che potrei vivere, anche se non l’ho ancora vissuto.
Anzi si dovrebbe dire che molto spesso gli atti di empatia ci aiutano a
conoscere meglio noi stessi, perché i vissuti altrui svelano qualcosa della
nostra stessa struttura esperienziale (Erlebnisstruktur). Ma è anche possibile empatizzare qualcosa che io stesso non potrò mai vivere, perché non
corrisponde alla mia struttura esperienziale? Per esempio, è possibile per
un uomo empatizzare il dolore del parto di una donna? La risposta quasi
spontanea sarebbe “no”, perché l’uomo non partorisce. La Stein risponderebbe che l’uomo non può averne un’empatia con una rappresentazione
compiuta (erfüllt), ma può cogliere il vissuto del partorire con una rappresentazione vuota (Leervorstellung)10.
Cerchiamo adesso di applicare meglio questa rilessione steiniana
all’empatia fra Dio e l’uomo. Rispetto alla non-fusione negli atti di empatia,
l’approccio metodologico della Stein mi sembra una chiave sicura per pensare la relazione fra Dio e l’uomo. La nostra soggettività o subsistentia soggettiva è inalienabile: non può essere distrutta; potrebbe teoricamente ri-
10
La Stein dà l’esempio autobiograico dell’esperienza religiosa: «Ciò che invece
contrasta con la mia propria struttura di esperienza vissuta non posso portarlo a me
a “riempimento” ma posso però averlo dato nel modo della rappresentazione vuota. Io
stessa posso essere non credente e tuttavia capire che un altro sacriichi alla sua fede tutti
i beni terreni che possiede. […] Così ottengo empatizzando il tipo dell’“homo religiosus”
che mi è per natura estraneo e lo capisco sebbene ciò che là mi si fa incontro in modo
nuovo, rimarrà sempre “non riempito”» (L’empatia, cit., p. 199s.); «Was dagegen meiner
eignen Erlebnisstruktur widerstreitet, das kann ich mir nicht zur Erfüllung bringen, ich kann
es aber noch in der Weise der Leervorstellung gegeben haben. Ich kann selbst ungläubig sein
und doch verstehen, daß ein anderer alles, was er an irdischen Gütern besitzt, seinem Glauben
opfert. […] So gewinne ich einfühlend den Typ des homo religiosus, der mir wesensfremd ist,
und ich verstehe ihn, obwohl das, was mir dort neu entgegentritt, immer unerfüllt bleiben
wird» (Zum Problem der Einfühlung, cit., p. 129). Nel 1916, la Stein è convinta che il vissuto
della fede religiosa si oppone alla sua struttura esperienziale e che lei stessa non potrà mai
sperimentarlo. Ciononostante dice di essere capace di empatizzarlo, per esempio rispetto
alla persona che lascia tutto per la sua fede. Può empatizzare il tipo dell’uomo religioso con
una rappresentazione vuota anche se questa dimensione le manca.
79
Christof Betschart
cadere nel nulla, se Dio non fosse fedele e non ci mantenesse nell’esistenza.
Nei dibattiti sulla conoscenza intersoggettiva, questo signiica per la Stein
che l’io puro non è il prodotto dell’incontro, ma il suo presupposto11. Ciò
che cambia non è l’io puro, ma piuttosto l’io che la Stein chiama l’io personale che ha una storia e si sviluppa negli incontri con altre persone.
Se si prende sul serio la preghiera come possibilità di relazione con Dio,
che la Stein scorge in alcuni amici, allora non si può assolutizzare la trascendenza o l’alterità di Dio nel senso di una separazione radicale fra Dio
e noi12. La conoscenza intersoggettiva e di conseguenza la comunione con
Dio sarebbero impossibili. La tradizione giudeo-cristiana insiste sul fatto
che siamo creati a immagine di Dio (Gn 1,26s.). Tommaso ha riconosciuto
l’immagine di Dio nell’uomo, nella nostra attività intellettiva e volitiva e
dunque nella nostra vita spirituale che rassomiglia alla vita divina e più
particolarmente alle processioni intratrinitarie13. Questo indica, a mio
avviso, che siamo capaci di empatizzare la vita divina al di là di una rappresentazione vuota, anche se nessuna esperienza di Dio può essere totalmente “compiuta” in questa vita14. In più, non ne siamo capaci con le nostre
11
Buber aferma nel suo saggio molto conosciuto Io e tu già all’inizio della sua
ricerca: «Non c’è alcun io in sé, ma solo l’io della parola fondamentale io-tu, e l’io della parola
fondamentale io-esso» (M. Buber, «Io e Tu (1923)», in Il principio dialogico e altri saggi, San
Paolo, Milano 1993, pp. 57-157, qui p. 59; ed. ted.: «Ich und Du», in Das dialogische Prinzip,
Lambert Schneider, Heidelberg 1984, pp. 7-136, qui p. 8). La Stein sarebbe d’accordo nel dire
che nella vita concreta, le relazioni non vanno da io puro a io puro, ma da persona a persona.
In questo senso si può veriicare che non ci comportiamo in modo identico nelle diverse
relazioni personali o impersonali. Ma se l’io nella relazione personale e impersonale non
è lo stesso, che cosa permette di utilizzare la stessa parola “io” nei due casi? Con la Stein e
la tradizione da lei seguita (Agostino, Cartesio, Kant, Husserl) potremmo rispondere che la
condizione di possibilità di questo uso è l’io puro o la soggettività trascendentale.
12
A questo proposito si può indicare il paradosso dell’assolutizzazione dell’alterità
di Dio. Se Dio fosse tutt’altro, non potremmo neanche fare l’afermazione che è tutt’altro,
perché ogni afermazione è resa impossibile. L’espressione si contraddice.
13
Tommaso d’Aquino, Summa theologiae Ia, q. 93, a. 7c.
14
Per dirla con le parole di Paolo: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora
conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto [ἐπιγνώσοµαι καθὼς καὶ
ἐπεγνώσθην]» (1Cor 13,12). È il modo paolino di sostenere la trascendenza e l’alterità di
Dio, ma non si tratta di una trascendenza che escluderebbe già in questa vita almeno una
conoscenza imperfetta.
80
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
forze, perché questa capacità si inserisce nella storia di Dio con l’uomo,
nella storia della caduta e della salvezza. L’empatia con la vita di Dio è resa
possibile soltanto da Lui.
1.3. L’empatia senza mediazione corporea?
L’empatia verso altre persone umane è spontaneamente legata alla percezione sensibile: vedere la faccia di qualcuno, toccare la mano, sentire la
voce, ecc. ci permette di empatizzare la vita interiore, come già detto con
limiti e illusioni possibili. Nei confronti di Dio non abbiamo la stessa possibilità, la divinità non si può conoscere con i sensi esterni. A questo proposito, la Stein sviluppa il suo pensiero: nella tesi di dottorato insiste sulla
mediazione del corpo vivente per poter empatizzare. Nell’Introduzione alla
ilosoia invece, la Stein mette in rilievo un’empatia senza mediazione corporea, ma che funziona in modo analogo al contagio psichico. Se il mio
vivere cambia senza motivo, posso rendermi conto che un altro vivere
modiica il mio vivere. Questo si può applicare alla conoscenza empatica
puramente spirituale, come la Stein dice:
In tali casi [di contagio] può accadere che io sia consapevole nel mio vivere del
vivere estraneo, poiché nella sua mancanza di motivi [Motivlosigkeit] rimanda
oltre se stesso alla sua origine. (A partire da ciò ci sarebbe la possibilità di
rilettere sul fatto che senza la mediazione del corpo vivente estraneo, solo sul
fondamento del proprio stato di vissuto [Erlebnisbestand], si potrebbe giungere alla datità della spiritualità estranea) (Introduzione alla ilosoia 215 trad.
mod. [165])15.
15
«Es kann in solchen Fällen vorkommen, daß ich in meinem eigenen Erleben selbst
des fremden innewerde, indem es in seiner Motivlosigkeit über sich selbst hinausweist auf seinen
Ursprung. (Von hier aus wäre die Möglichkeit zu erwägen, daß man ohne die Vermittlung des
fremden Leibes, rein auf Grund des eigenen Erlebnisbestandes zur Gegebenheit von fremder
Geistigkeit kommen könnte)» (Einführung in die Philosophie, cit., p. 165).
81
Christof Betschart
La Stein si riferisce alle situazioni in cui non riesce a capire il cambiamento del proprio vivere. Per esempio, se sono triste e incontro una persona gioiosa, la sua gioia mi rende gioioso per contagio. Forse non mi rendo
subito conto di questo cambiamento, ma soltanto quando riletto sull’accaduto. La Stein suggerisce che qualcosa di simile possa accadere senza
mediazione corporea: nel vissuto religioso, per esempio nel riposo in Dio e
nel sentimento di sicurezza (Geborgensein) di cui la Stein parla in prima persona singolare16, si rende conto di una pace interiore e di una nuova forza
di cui non può spiegare l’origine, perché hanno un’origine al di là della sua
vita. Come dice, si tratta dell’«alusso di un’attività e di una forza che non
è mia»17, ma non ne parla ancora in termini di relazione personale. La Stein
sperimenta il riposo, la pace, la sicurezza e la forza. È toccata da Dio in un
incontro senza mediazione corporea, ma il Dio che sperimenta è per lei soprattutto una forza trascendente e non ancora un essere personale. Certo,
l’interesse per il vissuto religioso è già presente negli scritti giovanili della
Stein, ma non ancora nel senso di un incontro personale. Mi sembra che la
lettura della Vita di santa Teresa sia stata determinante per entrare in una
relazione personale con Dio e per arricchire la sua concezione solamente
conoscitiva dell’empatia di Dio. La deinizione conosciutissima dell’orazione nel libro della Vita sarà per lei una spinta per rinnovare la rilessione
sull’empatia riguardo a Dio: «l’orazione mentale non è altro, per me, che
un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo
con colui da cui sappiamo di essere amati» (V 8,5)18. Sarebbe molto interessante vedere come questa deinizione si sia progressivamente attualizzata
nella vita della nostra Santa, ma dobbiamo limitarci a cogliere i frutti maturi del suo pensiero in Scientia Crucis.
16
Cfr. E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione
ilosoica, trad. di Anna Maria Pezzella, a cura di Angela Ales Bello, Città Nuova, Roma 1996;
Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und der Geisteswissenschaften, a
cura di Beate Beckmann-Zöller, ESGA 6, Friburgo-Basilea-Vienna, Herder 2010, p. 115s. ed.
it. [76 ed. ted. originale].
17
Psicologia e scienze dello spirito, cit., p. 116 [76].
18
«[Q]ue no es otra cosa oración mental, a mi parecer, sino tratar de amistad, estando
muchas veces tratando a solas con quien sabemos nos ama» (V 8,5).
82
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
2. Scientia Crucis
Edith Stein, al Carmelo Suor Teresa Benedetta della Croce, scrive Scientia Crucis più di venticinque anni dopo aver difeso la sua tesi sull’empatia.
Di solito si dice che una tesi di dottorato è fondamentale per il percorso
ulteriore di un autore, ma nel caso della Stein, a prima vista, questo non
sembra accadere, perché utilizza molto poco lo stesso termine “empatia”
nelle opere seguenti19. Ciononostante, la realtà dell’empatia rimane molto
presente in tutte le sue ricerche antropologiche, ma si arricchisce proprio
mediante la deinizione appena citata di Teresa. Non si tratta soltanto
di mettere in rilievo l’aspetto conoscitivo della relazione interpersonale
(questo è il caso dell’empatia nella prospettiva steiniana), ma la relazione
come amicizia. In Scientia Crucis, il termine “empatia” non appare più, ma
la realtà stessa dell’empatia si sviluppa in tre direzioni20. L’empatia si sviluppa nella storia con Dio, chiama l’amore e viene mediata dall’umanità
del Verbo Incarnato.
2.1. L’empatia nella relazione storica con Dio
In Scientia Crucis21, scritta nel 1941-1942 alla ine della sua vita, Edith
Stein si occupa della vita e delle opere di Giovanni della Croce. La seconda
parte sulla dottrina della croce (Kreuzeslehre) propone una lettura dei
quattro trattati del santo Dottore (Salita al monte Carmelo, Notte oscura,
19
Cfr. Introduzione alla ilosoia, cit., pp. 197-226 [149-175] sulla conoscenza della
persona straniera (Erkenntnis der fremden Person); cfr. M.-J. de Gennes, «Une question
controversée: l’empathie chez Edith Stein», in Une Femme pour l’Europe: Edith Stein (18911942), Actes du Colloque international de Toulouse (4-5 mars 2005), Cahier d’études
steiniennes 2, Cerf-Carmel-Ad Solem, Paris-Toulouse-Genève 2009, pp. 107-129, qui pp. 124126.
20
Questo sviluppo presuppone la rilessione steiniana sull’empatia come
fondamento ilosoico. In questo senso, per avvicinarci alla spiritualità steiniana, dobbiamo
conoscere la sua ilosoia.
21
Cfr. E. Stein, Scientia Crucis, trad. di Cristiana Dobner, Edizioni OCD, Roma 2002;
ed. ted.: Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes vom Kreuz, ed. di Ulrich Dobhan, Herder,
Friburgo-Basilea-Vienna 2003.
83
Christof Betschart
Cantico spirituale, Fiamma d’amor viva). Soltanto in alcune pagine, la Stein
cerca di combinare l’insegnamento spirituale di Giovanni con le proprie
ricerche antropologiche. In queste rilessioni, inserisce anche un paragrafo
sulle tre specie di unione fra Dio e l’uomo:
[Per] la prima [specie di unione], Dio dimora essenzialmente in tutte le cose
create e così le conserva nell’essere; con la seconda, si deve intendere l’inabitazione per grazia nell’anima; con la terza, l’unione trasformante, divinizzante,
attraverso l’amore perfetto (Scientia Crucis 189 [139])22.
In questa sede, ci interessiamo alla distinzione fra l’inabitazione per
grazia e l’unione trasformante. Secondo la Stein, l’unione trasformante
non è soltanto un grado superiore dell’inabitazione, ma una nuova specie
di unione. L’unione non è diversa dal punto di vista di Dio, perché Dio è
fedele nel chiamare l’uomo alla comunione con Lui23. La distinzione speciica fra l’inabitazione per grazia e l’unione mistica concerne il vissuto
della relazione con Dio: l’inabitazione per grazia nell’essenza dell’anima
non è sperimentata direttamente, ma mediante la vita teologale nella fede,
speranza e carità. L’esperienza mistica e, a fortiori, l’unione mistica24 sono
secondo la Stein un sentire spirituale (Spüren) in un modo più originario
rispetto alla conoscenza discorsiva, perché il sentire spirituale è più pro22
«[D]urch die erste wohnt Gott wesenhaft in allen geschafenen Dingen und erhält sie
dadurch im Sein. Unter der zweiten ist das gnadenhafte Innewohnen in der Seele zu verstehen,
unter der dritten die umgestaltende, vergöttlichende Vereinigung durch die vollkommene Liebe»
(Kreuzeswissenschaft, cit., p. 139).
23
«È lo stesso Unico Dio in tre Persone, presente in tutti e tre i modi [Weisen], e
l’Essere è lo stesso Essere immutabile nei tre modi. Eppure l’inabitazione [Innewohnen] è
diversa, perché il luogo dove dimora l’unica e stessa, immutata, Divinità, ogni volta è diverso
[anders geartet]: perciò l’inabitazione stessa muta» (Scientia Crucis, cit., p. 200).
24
L’esperienza mistica è momentanea e può essere data alle persone senza grazia
santiicante, per esempio a una persona atea o agnostica (l’allusione autobiograica è assai
chiara); l’unione mistica invece presuppone una comunione permanente che necessita un
dono libero, reciproco e deinitivo che non si potrebbe concepire senza la grazia santiicante:
«Il nudo tocco [bloße Berührung] nel più profondo interiore non ha necessariamente come
presupposto l’inabitazione [Innewohnen] per grazia. […] L’unione, invece, come reciproca
consegna [wechselseitige Hingabe], non può avvenire senza la fede e l’amore, cioè senza la
grazia santiicante» (Scientia Crucis, cit., p. 204).
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Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
fondo delle facoltà spirituali (Scientia Crucis 178s. [131]). Ci sono dunque
due specie di atti da distinguere: da un lato, l’atto di credere che il Dio uno
e trino abita in me e, dall’altro lato, l’atto con cui si può sentirne la presenza
stessa.
L’insistenza sulla novità dell’unione mistica può stupire, perché sembrerebbe separare l’esperienza mistica della vita cristiana nella grazia. Perciò
è importante sottolineare come sia possibile esprimere la continuità nello
sviluppo della vita cristiana. Lo sviluppo si manifesta particolarmente
nell’analogia della conoscenza intersoggettiva. Esiste un tipo di conoscenza intersoggettiva perché sentiamo parlare di qualcuno, per esempio
di papa Francesco che non conosco personalmente, però mediante tante
testimonianze, l’Enciclica Lumen Fidei, ecc. La conoscenza indiretta può
svegliare il desiderio di conoscerlo di più e personalmente, da persona a
persona senza mediazione. Secondo la Stein, esiste qualcosa di analogo
nel rapporto con Dio. La fede rassomiglia alla conoscenza indiretta di una
persona nel senso della ides ex auditu (Rm 10,17). L’esperienza mistica invece rassomiglia alla conoscenza diretta fra due persone. La conoscenza
diretta rispetto a quella indiretta ofre qualcosa di nuovo nell’approfondimento della conoscenza reciproca. La Stein riprende a questo proposito il
concetto husserliano di “Erfüllung” (riempimento o anche compimento)25:
la conoscenza mistica “riempie” la conoscenza di fede. Ci sono certamente
varie possibilità per nutrire e approfondire la fede. La particolarità dell’esperienza mistica è che non dipende dallo sforzo umano e consente il passaggio a un’esperienza diretta della presenza di Dio. Si tratta di una conoscenza diretta che potremmo chiamare per empatia. E come l’empatia fra
persone umane è limitata, così a fortiori nella conoscenza di Dio. La Stein è
attenta ai limiti intrinseci della conoscenza per empatia, e di conseguenza
anche a quelli dell’empatia nei confronti di Dio che si compirà soltanto
25
A proposito del concetto di Erfüllung, si veda la trattazione nell’opera che ha
preparato la Scientia Crucis, cioè le Vie della conoscenza di Dio. La “teologia simbolica”
dell’Areopagita e i suoi presupposti nella realtà, trad. di Francesca De Vecchi, EDB, Bologna
2003, p. 55s.; Wege der Gotteserkenntnis. Studie zu Dionysius Areopagita und Übersetzung
seiner Werke, a cura di Beate Beckmann e Viki Ranf, ESGA 17, Herder, Friburgo-BasileaVienna, p. 48s.
85
Christof Betschart
nella vita eterna, essendo la visione beatiica la conoscenza dell’essenza divina per empatia. La conoscenza che Dio ha di noi è perfetta, ma la nostra
conoscenza di Dio può sempre svilupparsi e compiersi progressivamente
nella nostra storia di salvezza.
2.2. L’empatia chiama l’amore
L’interesse iniziale per l’empatia mi ha condotto a tematizzare la relazione con Dio dal punto di vista conoscitivo, perché l’empatia steiniana è
un tipo di conoscenza intuitiva di altri soggetti con la loro vita interiore.
L’aspetto conoscitivo tuttavia non basta per esprimere la relazione con Dio
in una prospettiva cristiana. Questa prospettiva deve necessariamente essere integrata dalla libertà dei soggetti e dal loro amore reciproco. L’incontro con Teresa d’Avila, mi pare, abbia rivelato questa dimensione “afettiva”
a Edith Stein: l’amicizia si costituisce non soltanto per la conoscenza, ma
anche e soprattutto per l’amore reciproco. Non si può rendere conto della
relazione con Dio senza l’amore che unisce Dio e l’uomo. A mio avviso, in
Scientia Crucis, la Stein non parla più di empatia perché non vuole unilateralmente focalizzarsi sull’aspetto conoscitivo. Di fatto, la terza specie di
unione si riferisce all’unione trasformante per amore, in Giovanni della
Croce. L’empatia fa capire i vissuti altrui, ma non unisce alla vita altrui.
Soltanto l’amore reciproco è unitivo. La Stein utilizza in alcuni passi l’espressione «unione mistica» (mystische Vereinigung o Einigung)26, ma
molto più frequentemente riprende l’espressione «unione d’amore» (unión
de amor; Liebesvereinigung) che si trova in Giovanni della Croce27.
26
Cfr. Scientia Crucis, cit., pp. 197, 199, 204-206, 300 [144, 146, 150s., 215]. Più
frequente è l’espressione “matrimonio mistico” (Ibid., pp. 184, 189, 197, 204, 219, 238, 295
[135s., 139, 144, 150, 160, 174, 211]).
27
Giovanni della Croce non parla di unione mistica, ma spesso di unione con Dio, di
unione delle volontà divina e umana e di unione d’amore (cfr. 1S 11,3; 3S 33,5; 2N 7,3; 2N 12,4.6;
2N 21,10.12; CB 28,10; 39,5; LB 1,16; 2,32). La Stein utilizza l’espressione Liebesvereinigung ca.
30 volte, per esempio in Scientia Crucis, cit., pp. 55, 61, 77, 98, 143, 151 ecc. [41, 45, 57, 72, 105,
111 ecc.].
86
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
Per capire meglio questo sviluppo del pensiero steiniano, mi riferisco
alla sua traduzione del De veritate di san Tommaso soprattutto dal 1926 al
192928. Si chiede nella quaestio 22 se sia superiore l’intelletto o la volontà.
Secondo Tommaso, assolutamente parlando, l’intelletto è superiore perché la conoscenza ci permette di possedere ciò che conosciamo a modo
nostro, mentre la volontà ci orienta fuori di noi verso l’essere stesso della
cosa voluta. Ma rispetto a Dio, la volontà è superiore, perché la nostra conoscenza di Dio è limitata alla nostra capacità (quidquid recipitur…), mentre con la nostra volontà amiamo Dio stesso al di là della conoscenza necessariamente limitata che possiamo avere di Lui29.
L’amore raggiunge una conoscenza più profonda di Dio, perché l’amore
unisce e assimila l’amante all’amato30. Questa somiglianza fa accedere a
un’empatia approfondita e “riempita”, perché la vita divina non è più una
vita straniera, ma una vita che diventa realmente nostra per grazia e che
diventa sperimentalmente nostra nell’unione d’amore. L’amore non si può
fermare prima di possedere l’amato e di conseguenza l’amore spinge a una
conoscenza sempre più profonda.
Allo stesso tempo – questo stabilirà la reciprocità fra l’amore e la conoscenza di Dio – l’amore stesso si concretizza e si intensiica mediante questa nuova conoscenza di Dio. La fede viva nell’unione per grazia è accompagnata dall’amore. Ma questo amore dipende nella sua intensità dalla
conoscenza: la Stein paragona la conoscenza per fede a una conoscenza
personale indiretta, nella quale l’amore è meno intenso come accade per
una persona che conosciamo per sentito dire. Nell’unione d’amore, invece,
l’amore è più forte perché si fonda su una conoscenza per empatia. Ecco
uno dei passi in cui la Stein cerca di mostrare la novità dell’unione d’amore
rispetto all’unione per grazia:
28
Cfr. A. Speer – F.V. Tommasi, «Einleitung», in E. Stein, Übersetzung: Des Hl.
homas von Aquino Untersuchungen über die Wahrheit. Quaestiones disputatae de veritate,
Bd. 1, ESGA 23, Herder, Friburgo-Basilea-Vienna 2008, pp. XI-XCIII, qui p. XXV.
29
Cfr. Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae de veritate, q. 22, a. 11, in E. Stein,
Übersetzung: Des Hl. homas von Aquino Untersuchungen über die Wahrheit. Quaestiones
disputatae de veritate, Bd. 2, ESGA 24, Herder, Friburgo-Basilea-Vienna 2008, pp. 596-600.
30
Cfr. Giovanni della Croce, 1S 4,3, ecc.
87
Christof Betschart
Se Dio le si dona [all’anima] nel matrimonio mistico, allora ella conosce Dio in
un modo in cui prima non l’aveva conosciuto e non può imparare a conoscerlo
su nessun altro cammino; ella prima non aveva conosciuta neppure la sua
stessa ultima profondità. Quindi non ha mai saputo, come ora sa, a chi abbandonare la sua volontà, che cosa abbandonare e quale consegna possa desiderare da lei questa divina volontà (Scientia Crucis 204s. trad. mod. [150])31.
La nuova conoscenza di Dio e di se stessi perfeziona il dono di sé reciproco che inine si può paragonare all’intimità del matrimonio. La persona
umana si possiede e si dà a partire dall’ultima profondità dell’anima e si
indirizza a Dio di cui conosce – anche se oscuramente – la vita intima. Il
concetto di riempimento utilizzato per parlare della nostra conoscenza di
Dio si può applicare anche al nostro amore per Dio che si intensiica e alla
speranza che si esprime come desiderio ardente della visione beatiica 32.
2.3. L’empatia rispetto al Verbo Incarnato
Negli scritti fenomenologici, l’empatia nei confronti di Dio è un’empatia
senza mediazione corporea. Nell’incontro con Teresa e in quanto cristiana
la questione dell’empatia si rinnova di fronte al mistero del Verbo Incarnato33. Se il Verbo ha assunto la nostra umanità, allora nei suoi occhi, nel
suo volto, nei suoi gesti e parole si rivela qualcosa della sua vita interiore
umana e divina. Sicuramente non abbiamo oggi la possibilità di incontrare
Gesù in carne ed ossa come duemila anni fa, ma possiamo incontrarlo nella
31
«[W]enn Gott sich ihr [der Seele] in der mystischen Vermählung hingibt, dann lernt
sie Gott in einer Weise kennen, wie sie ihn vorher noch nicht gekannt hat und auf keinem andern
Wege kennenlernen kann; sie hat auch ihre eigenen letzten Tiefen vorher nicht gekannt. Sie hat
also noch gar nicht so wie jetzt gewußt, wem sie ihren Willen hingibt, was sie hingibt, und welche
Hingabe dieser göttliche Wille von ihr verlangen kann» (Kreuzeswissenschaft, cit., p. 150).
32
La distinzione fra unione per grazia e unione trasformante d’amore concerne
la conoscenza, l’amore e la speranza. Visto che si tratta di una relazione interpersonale si
mostra la continuità nella relazione fra il Dio uno e trino e l’uomo. Ma dal punto di vista del
vissuto, la Stein mette in evidenza una diferenza speciica, perché nell’unione trasformante
il vissuto si colloca nel centro personale (personale Mitte; cfr. Scientia Crucis, p. 205 [150]).
33
L’insistenza di Teresa sull’Umanità di Cristo è conosciuta: cfr. Vita 22 e 6 Mansioni
7.
88
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
sua parola, nella comunione ecclesiale, nei Sacramenti, nell’arte religiosa,
nel servizio ai fratelli e alle sorelle, ecc.34 Gesù si presenta come rivelatore
o esegeta del Padre (cfr. Mt 11,27; Lc 10,22; Gv 1,18) e della loro comunione
di vita (cfr. Gv 14,11.21; 16,15; 17,20). La questione nevralgica è dunque
come queste mediazioni permettono di cogliere non semplicemente la vita
umana dell’uomo Gesù, ma la sua vita divina.
La risposta deve rendere conto del fatto che la natura umana è distinta,
ma non separata della natura divina, perché in questo caso Gesù non potrebbe rivelarci il Padre. Si deve ammettere in ultima analisi non soltanto
una capacità umana di Dio – l’uomo in quanto capax Dei35 –, ma anche una
capacità divina dell’uomo – Dio o più precisamente il Verbo come capax
hominis36. Questa reciproca capacità si fonda su una somiglianza che
rende possibile l’empatia rispetto a Dio e anche l’empatia di Dio rispetto a
noi, perché l’empatia non si potrebbe concepire senza somiglianza. L’uomo
è fatto per Dio e può trovare il suo compimento soltanto in Lui. Ma visto
che l’uomo nello stato della natura caduta non è in grado di arrivare al suo
compimento, ha bisogno del Verbo che in quanto capax hominis si incarna
e si dona per noi sulla croce.
Posso precisare che l’Incarnazione per la Stein – in questo punto più
vicina ai Francescani – non è soltanto da considerare in vista della redenzione della natura caduta per poter di nuovo essere in comunione con il
Dio trinitario, ma che è motivata già «nell’ordinamento della creazione
verso il compimento in Cristo» (Scientia Crucis 299, nota 252 trad. mod.
[214, nota 490]). Il Vangelo ci mette in contatto con la vita dell’uomo Gesù,
34
Cfr. R. Körner, «“Einfühlung” im Sinne Edith Steins. Ein personaler Grundakt
im christlichen Glaubensvollzug», in Edith Stein. Testimone per oggi, profeta per domani,
Simposio internazionale su Edith Stein, Teresianum 7-9 ottobre 1998, Teresianum, Roma
1999, pp. 151-171; cfr. P. Manganaro, Verso l’Altro. L’esperienza mistica tra interiorità e
trascendenza, Città Nuova, Roma 2002: dopo un capitolo introduttivo sull’empatia, il tema
non appare più nella trattazione della Scientia Crucis.
35
Cfr. Origene, De principiis III, 6, 9; Agostino, De Trinitate XIV, 8, 11 (PL 42, col.
1044) e XIV, 12, 15 (PL 42, col. 1048).
36
Cfr. A. Gesché, Dieu est-il “capax hominis?”, «Revue héologique de Louvain» 24
(1993), pp. 3-37; cfr. F. Neri, Cur verbum capax hominis. Le ragioni dell’incarnazione della
seconda persona della Trinità fra teologia scolastica e teologia contemporanea, GBS, Roma
1999.
89
Christof Betschart
le sue attitudini, i suoi sentimenti e le sue parole nelle quali Gesù rivela il
Padre suo e la loro vita divina. Le mediazioni sono tre: la mediazione del
testo scritto che ci mette in contatto con la vita di Gesù, la mediazione
della percezione sensibile (vedere Gesù, ascoltarlo, ecc.) nella quale si rivela la sua vita interiore, e inine la mediazione della vita di Gesù nella
quale si manifesta la sua unità con il Padre e la loro comunione di vita,
conoscenza e amore. Questa terza mediazione si incentra sul mistero di
Cristo la cui umanità è personalmente – o con il termine tecnico ipostaticamente – unita alla divinità. Nel dono della fede conosco Gesù Cristo
come vero uomo e vero Dio. Conoscere la divinità di Gesù per empatia suppone un approfondimento della fede in un incontro personale con Gesù,
cioè in un’esperienza mistica. Rispetto all’empatia senza mediazione corporea l’empatia verso Gesù è più conforme al nostro modo di conoscere
che comincia di solito con la percezione sensibile, ma le due forme conducono allo stesso mistero di Dio capax hominis e dell’uomo capax Dei. Il
Verbo Incarnato attualizza nell’unione ipostatica questa duplice capacità
e diventa per noi il cammino verso il Padre (cfr. Gv 14,6). Sono cosciente di
toccare una questione che andrebbe sviluppata nell’ambito della cristologia37. Da un lato, l’Incarnazione rivela che come uomini siamo capaci di
Dio, perché il Verbo è capace di assumere la nostra umanità. La duplice
capacità, nonostante la diferenza fra il inito e l’ininito, indica una somiglianza nella vita da persona. La somiglianza rende conto della possibilità
di un’esperienza mistica, cioè di un “incontro” da persona a persona. Ma,
d’altro canto, per poter parlare di un’unione mistica, questa somiglianza
va perfezionata nell’amore che unisce e assimila l’amante all’amato come
indicato nel paragrafo precedente.
Per aprirci questo cammino l’Incarnazione è la condizione necessaria ma non suiciente, perché la nostra libertà umana ferita dal peccato
non ci permette di “camminare” da soli. Gesù nel suo mistero pasquale di
morte e risurrezione rinnova la nostra natura e libertà umane in Cristo.
La nostra natura umana libera è stata all’origine del peccato. Nel «Fiat»
Questo vale anche per la classica questione come l’uomo Gesù si conosce nella
sua divinità; cfr. C. Betschart, Unwiederholbares Gottessiegel. Personale Individualität nach
Edith Stein, Studia Oecumenica Friburgensia 58, Reinhardt, Basilea 2013, p. 350s.
37
90
Empatia e relazione con Dio in Edith Stein
al Getsemani (Scientia Crucis 211 [155]), Gesù sceglie liberamente il dono
totale di sé per rinnovare e orientare la nostra natura e libertà verso Dio.
La nostra Autrice insiste che nella passione «scomparve la beatitudine
esperita dell’indissolubile unione» (Scientia Crucis 211 [155]). Il paradosso
è che Cristo rinuncia per un momento a ciò che vuole ofrirci: una partecipazione cosciente alla sua unione ipostatica. Ciò che la Stein mette in
luce già nella sua tesi sull’empatia verso Dio è possibile soltanto perché
il Verbo si è incarnato e si è oferto per noi sulla croce per risuscitarci insieme a Lui. Il Verbo Incarnato, crociisso e risuscitato e il dono dello Spirito rendono possibile l’empatia nei confronti di Dio. Come Gesù è autore e
perfezionatore della fede (cfr. Eb 12,2), così è anche autore e perfezionatore
dell’empatia rispetto a Dio, cioè dell’esperienza mistica. Questo signiica
che ogni empatia nei confronti di Dio si concentra nel mistero di Cristo
e più particolarmente nell’unione delle due nature in Lui. L’empatia della
vita e delle persone divine è un’associazione – non necessariamente cosciente – al mistero di Cristo.
Conclusione
La sida del mio intervento è di mettere in relazione l’empatia nella tesi
della giovane Edith Stein con ciò che viene elaborato in Scientia Crucis,
dove il termine non appare più. Ho cercato di dimostrare che nonostante
l’assenza terminologica, la realtà c’è, ma sviluppata e arricchita in varie
direzioni: storica, afettiva (in senso spirituale) e cristologica. L’empatia (in
senso steiniano) nella relazione con Dio è un’esperienza mistica come si
evince dall’uso dello stesso verbo fühlen per parlare dell’esperienza di Dio
e dell’empatia (ein-fühlen). La diferenza con l’esperienza della fede è che
non crediamo soltanto di essere in relazione con Dio, ma sentiamo questa
relazione perché siamo interiormente toccati da Dio (Scientia Crucis 203
[149]).
Questo è importante per la comprensione della teologia. All’inizio ho
fatto riferimento al numero 36 della Lumen Fidei secondo il quale Dio è un
oggetto particolare, cioè un oggetto (in senso lato) che è soggetto. Chi dice
soggetto, dice capacità di relazionarsi: ciò è vero nella vita intratrinitaria,
91
ma anche nel relazionarsi del Dio uno e trino nell’oikonomia di creazione
e di salvezza. Visto che il messaggio di salvezza si indirizza agli uomini,
la relazione fra Dio e l’uomo sottostà a tutta la teologia. L’interesse teologico per il relazionarsi di Dio con l’uomo aiuta a capire che la teologia
non è un’indagine ine a se stessa, ma al servizio della comunione fra Dio
e l’uomo.