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Arte in Carandente

2022, Arte In

si è celebrato il centenario della sua nascita presso il suo museo, quello di Palazzo Collicola a Spoleto, con una mostra, un convegno e una ricerca sui suoi anni come ispettore presso la GNAM di Roma (eventi tutti seguiti da relative edizioni di Silvana editoriale a cura del Comitato Nazionale a lui dedicato). Nel 2023 ci sarà invece la pubblicazione relativa alla sua donazione a Palazzo Collicola di opere d'arte:ben 140, senza contare 30.000 volumi e tutto il suo archivio privato con Calder e vari altri carteggi con artisti. Mentre il Castello di Rivoli ha festeggiato con una mostra gli ottant'anni di Achille Bonito Oliva nel 2022, e tra 2022 e 2023 si avviano diversi convegni in vari musei italiani per ricordare la figura di Germano Celant (scomparso nel 2020), che possiamo ritenere i due più importanti curatori italiani del XX secolo, le attività di studio, valorizzazione e sistemazione critica della figura di Carandente diventano tanto più significative; perché Carandente fu, tra le varie cose, il primo curatore italiano realmente internazionale, conosciuto all'estero, in grado di organizzare mostre dei più importanti artisti stranieri del suo momento storico, come

GIOVANNI CARANDENTE Il primo curatore italiano con uno sguardo internazionale The first Italian curator with an international outlook di Marco Tonelli 60 Nella pagina precedente / on the previous page, Carandente in casa a Spoleto / Carandente at home in Spoleto A destra / to the right, Giovanni Carandente con Willem De Kooning, Courtesy Archivio Carandente Nel 2020 Giovanni Carandente (1920-2009) avrebbe compiuto 100 anni; e proprio tra il 2020 e il 2022 si è celebrato il centenario della sua nascita presso il suo museo, quello di Palazzo Collicola a Spoleto, con una mostra, un convegno e una ricerca sui suoi anni come ispettore presso la GNAM di Roma (eventi tutti seguiti da relative edizioni di Silvana editoriale a cura del Comitato Nazionale a lui dedicato). Nel 2023 ci sarà invece la pubblicazione relativa alla sua donazione a Palazzo Collicola di opere d’arte:ben 140, senza contare 30.000 volumi e tutto il suo archivio privato con Calder e vari altri carteggi con artisti. Mentre il Castello di Rivoli ha festeggiato con una mostra gli ottant’anni di Achille Bonito Oliva nel 2022, e tra 2022 e 2023 si avviano diversi convegni in vari musei italiani per ricordare la figura di Germano Celant (scomparso nel 2020), che possiamo ritenere i due più importanti curatori italiani del XX secolo, le attività di studio, valorizzazione e sistemazione critica della figura di Carandente diventano tanto più significative; perché Carandente fu, tra le varie cose, il primo curatore italiano realmente internazionale, conosciuto all’estero, in grado di organizzare mostre dei più importanti artisti stranieri del suo momento storico, come Henry Moore, Alexander Calder, Eduardo Chillida, Anthony Caro, David Smith, Mark Di Suvero, a cui dedicò mostre, cataloghi o con cui intrattenne duraturi e profondi rapporti di amicizia. Senza contare le mostre da lui organizzate per la GNAM tra il 1956 e il 1961 (Mondrian, Pollock, Kandinsky, per citarne alcune), la direzione di due edizioni della Biennale di Venezia tra il 1988 e il 1990 o le mostre spoletine di risonanza mondiale come “Sculture nella città” nel 1962, “Disegni americani del MoMA”, le personali di De Kooning (1969) e Balthus (1982), tutte organizzate all’interno del Festival dei Due Mondi di cui fu consulente artistico e figura di riferimento. La sua personalità assume realmente una dimensione quasi mitologica e senza dubbio unica e preminente nella storia dell’arte moderna e contemporanea del XX secolo. Basti pensare che nel 1963, su invito del governo degli Stati Uniti, tenne un viaggio di ben tre mesi da New York a Washington, passando per tutti i più importanti centri culturali e musei nordamericani, incontrando direttori di musei, collezionisti, artisti, conoscendo di prima mano la nascente pop art (di cui affermò pubblicamente essere un fenomeno di gusto ma non d’arte). Un viaggio simile all’epoca lo aveva fatto un anno prima Palma Bucarelli, in Italia la donna istituzionalmente più potente dell’arte nel campo del moderno e contemporaneo: quello di Carandente, che non ricopriva un ruolo di tale preminenza come la Bucarelli, proprio per questo assume una rilevanza ancor più significativa. Organizzatore di eccezionali mostre (da Moore al Forte del Belvedere di Firenze nel 1972, a Picasso a Palazzo Grassi a Venezia nel 1981, da Calder a Palazzo a Vela a Torino nel 1983 fino all’Arte russa e so- 61 Giovanni Carandente con Alberto Burri, Biennale di Venezia Courtesy Archivio Carandente vietica al Lingotto di Torino nel 1989), la sua carriera è costellata di mostre non tanto sulla storia dell’arte, ma che sono diventate esse stesse storia dell’arte, per la loro completezza, ricchezza di materiali, visione d’insieme e capacità di saper trovare risorse senza le quali sarebbe stato difficile solo pensare quelle imprese. Le mostre sulla sua figura “Archives and Documents”, il convegno internazionale “Una vita per l’arte”, la pubblicazione ad opera di due giovani ricercatrici sugli anni alla GNAM, oltre a una pubblicazione sui suoi scritti nel 2020 sulla scultura moderna (“Giovanni Carandente e la scultura moderna. Saggi dal 1957 al 2008”, Magonza Editore), sono solo una parte degli studi più recenti sulla sua ramificata attività storico-critica che prende le mosse dagli studi sull’arte antica, dalla scultura lignea del Trecento ad Antonello da Messina, da Perugino ai Trionfi del Rinascimento (un argomento col quale tenne una conferenza al Detroit Art Museum) fino a Giacomo Serpotta, delineando una figura di storico dell’arte a 360 gradi, capace di cogliere la modernità di ogni epoca e di metterla in mostra. Ecco perché, senza retorica alcuna, non possiamo non affermare l’unicità del suo operato e la straordinaria anticipazione di pratiche curatoriali che sarebbero diventate la norma, poi istituzione e infine moda, avendole lui avviate in anni ancora lontani, almeno in Italia, dalla consuetudine attuale. Potremmo chiederci semmai perché, comunemente, non si associ il nome di Carandente alle due avanguardie 62 italiane della seconda metà del XX quale l’Arte povera prima e la Transavanguardia poi. In realtà, se alla seconda dedicò qualche attenzione, soprattutto per Paladino e Chia, curandone una mostra e invitandone gli artisti alla sua Biennale, sulla prima abbiamo in effetti ben poco, se non nulla. L’Arte povera esulava dai suoi interessi formali ed estetici, troppo intenta ad abbandonare tecniche e materie tradizionali per tuffarsi nell’azzardo dei processi fisici reali, degli elementi naturali, delle situazioni ambientali e degli oggetti impersonali. Elementi lontani dalla sua visione artistica, lui che al massimo si interessò ad artisti più concettuali come Jan Dibbets, Panamarenko e Maurizio Mochetti. Dei suoi progetti mai portati a termine (pochi per la verità) ne rimane documentazione di uno, ambizioso, eccedente: una grande monografia su Michelangelo con l’editore tedesco Arthus, di cui si hanno l’indice, appunti e elenchi di immagini. Se Carandente ebbe, tra i vari primati, quello di occuparsi in maniera più diffusa e capillare di tutti, almeno in Italia, di scultura moderna, il progetto michelangiolesco avrebbe rappresentato la dimostrazione che la sua idea di modernità (non morta ma declinabile oggi in “modernità contemporanea”) era alla base di una poetica curatoriale supportata da una vasta conoscenza della storia dell’arte, se si pensa che curò mostre e monografie anche sull’antica arte cinese o egiziana e realizzò una famosa guida di Roma. Una figura quella di Carandente in anticipo sull’idea stessa di curatore globale. In 2020 Giovanni Carandente (1920-2009) would have been 100 years old; and it was precisely between 2020 and 2022 that the centenary of his birth was celebrated at his museum, Palazzo Collicola in Spoleto, with an exhibition, a conference and research on his years as an inspector at the GNAM in Rome (all events followed by related Silvana editorial editions edited by the National Committee dedicated to him). In 2023 there will be a publication on his donation to Palazzo Collicola of works of art: no less than 140, not counting 30,000 volumes and his entire private archive with Calder and various other correspondence with artists. While the Castello di Rivoli celebrated Achille Bonito Oliva’s 80th birthday with an exhibition in 2022, and between 2022 and 2023 a number of conferences will be held in various Italian museums to commemorate the figure of Germano Celant (who passed away in 2020), whom we can consider the two most important Italian curators of the 20th century, the activities to study, valorise and critically arrange the figure of Carandente become all the more significant; because Carandente was, among other things, the first truly international Italian curator, known abroad, who was able to organise exhibitions of the most important foreign artists of his time, such as Henry Moore, Alexander Calder, Eduardo Chillida, Anthony Caro, David Smith, Mark Di Suvero, to whom he dedicated exhibitions, catalogues or with whom he had lasting and profound friendships. Not to mention the exhibitions he organised for the GNAM between 1956 and 1961 (Mondrian, Pollock, Kandinsky, to name but a few), the direction of two editions of the Venice Biennale between 1988 and 1990 or the exhibitions in Spoleto of worldwide resonance such as “Sculptures in the City” in 1962, “American Drawings at the MoMA”, the one-man shows of De Kooning (1969) and Balthus (1982), all organised within the Festival dei Due Mondi to which he was artistic consultant and reference figure. His personality truly takes on an almost mythological dimension and is undoubtedly unique and pre-eminent in the history of modern and contemporary art of the 20th century. Suffice it to say that in 1963, at the invitation of the United States government, he took a three-month trip from New York to Washington, passing through all the most important North American cultural centres and museums, meeting museum directors, collectors, artists, and learning first-hand about the nascent pop art (of which he publicly affirmed that it was a phenomenon of taste but not of art). A similar trip at the time had been made a year earlier by Palma Bucarelli, in Italy the institutionally most powerful woman in the field of modern and contemporary art: Carandente’s, who did not hold a role of such prominence as Bucarelli, took on even more significance for this very reason. An organiser of exceptional exhibitions (from Moore at Forte del Belvedere in Florence in 1972, to Picasso at Palazzo Grassi in Venice in 1981, from Calder at Palazzo a Vela in Turin in 1983 to Russian and Soviet Art at Lingotto in Turin in 1989), his career is studded with exhibitions that were not so much Veduta d’installazione / installation view Centenario Carandente, 2020 63 Ritratto / portrait di Giovanni Carandente, Venezia, 1988 Courtesy Archivio Carandente about art history, but which themselves became art history, due to their completeness, wealth of material, overview and ability to find resources without which it would have been difficult to even think of those undertakings. The exhibitions on his figure “Archives and Documents”, the international conference “A Life for Art”, the publication by two young researchers on his years at the GNAM, as well as a publication on his writings in 2020 on modern sculpture (“Giovanni Carandente e la scultura moderna. Essays from 1957 to 2008”, Mainz Publisher), are only a part of the most recent studies on his branched historical-critical activity that starts from studies on ancient art, from 14th-century wooden sculpture to Antonello da Messina, from Perugino to the Triumphs of the Renaissance (a topic on which he held a conference at the Detroit Art Museum) to Giacomo Serpotta, 64 outlining an all-round art historian, capable of grasping the modernity of every era and displaying it. This is why, without any rhetoric, we cannot fail to affirm the uniqueness of his work and the extraordinary anticipation of curatorial practices that were to become the norm, then the institution and finally the fashion, having been initiated by him in years that were still far, at least in Italy, from the current custom. If anything, we might ask why, commonly, Carandente’s name is not associated with the two Italian avant-gardes of the second half of the 20th century, first Arte Povera and then Transavanguardia. In fact, if he devoted some attention to the latter, especially to Paladino and Chia, curating an exhibition of them and inviting artists to his Biennale, on the former we actually have very little, if anything. Arte povera was beyond his formal and aesthetic interests, too intent on abandoning traditional techniques and materials to dive into the hazard of real physical processes, natural elements, environmental situations and impersonal objects. Elements far removed from his artistic vision, he who at most was interested in more conceptual artists such as Jan Dibbets, Panamarenko and Maurizio Mochetti. Of his projects that were never completed (few in truth), documentation remains of one, ambitious, over-the-top project: a large monograph on Michelangelo with the German publisher Arthus, of which we have the index, notes and lists of images. If Carandente had, among his various primacies, that of dealing with modern sculpture in a more widespread and capillary manner than anyone else, at least in Italy, Michelangelo’s project would have represented the demonstration that his idea of modernity (not dead but declined today in “contemporary modernity”) was at the basis of a curatorial poetics supported by a vast knowledge of art history, if we think that he also curated exhibitions and monographs on ancient Chinese or Egyptian art and produced a famous guide to Rome. A figure that of Carandente in advance of the very idea of the global curator.