GIOVANNI
CARANDENTE
Il primo curatore italiano
con uno sguardo internazionale
The first Italian curator
with an international outlook
di Marco Tonelli
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Nella pagina precedente / on the previous page,
Carandente in casa a Spoleto / Carandente at home
in Spoleto
A destra / to the right, Giovanni Carandente con Willem De Kooning, Courtesy Archivio Carandente
Nel 2020 Giovanni Carandente
(1920-2009) avrebbe compiuto 100
anni; e proprio tra il 2020 e il 2022
si è celebrato il centenario della sua
nascita presso il suo museo, quello
di Palazzo Collicola a Spoleto, con
una mostra, un convegno e una ricerca sui suoi anni come ispettore
presso la GNAM di Roma (eventi
tutti seguiti da relative edizioni di
Silvana editoriale a cura del Comitato Nazionale a lui dedicato). Nel
2023 ci sarà invece la pubblicazione relativa alla sua donazione a Palazzo Collicola di opere d’arte:ben
140, senza contare 30.000 volumi
e tutto il suo archivio privato con
Calder e vari altri carteggi con artisti.
Mentre il Castello di Rivoli ha festeggiato con una mostra gli ottant’anni di Achille Bonito Oliva
nel 2022, e tra 2022 e 2023 si avviano diversi convegni in vari musei italiani per ricordare la figura
di Germano Celant (scomparso nel
2020), che possiamo ritenere i due
più importanti curatori italiani del
XX secolo, le attività di studio, valorizzazione e sistemazione critica
della figura di Carandente diventano tanto più significative; perché
Carandente fu, tra le varie cose, il
primo curatore italiano realmente
internazionale, conosciuto all’estero, in grado di organizzare mostre
dei più importanti artisti stranieri del suo momento storico, come Henry Moore,
Alexander Calder, Eduardo Chillida, Anthony Caro,
David Smith, Mark Di Suvero, a cui dedicò mostre,
cataloghi o con cui intrattenne duraturi e profondi
rapporti di amicizia. Senza contare le mostre da lui
organizzate per la GNAM tra il 1956 e il 1961 (Mondrian, Pollock, Kandinsky, per citarne alcune), la
direzione di due edizioni della Biennale di Venezia
tra il 1988 e il 1990 o le mostre spoletine di risonanza mondiale come “Sculture nella città” nel 1962,
“Disegni americani del MoMA”, le personali di De
Kooning (1969) e Balthus (1982), tutte organizzate
all’interno del Festival dei Due Mondi di cui fu consulente artistico e figura di riferimento.
La sua personalità assume realmente una dimensione quasi mitologica e senza dubbio unica e preminente nella storia dell’arte moderna e contemporanea del XX secolo. Basti pensare che nel 1963, su
invito del governo degli Stati Uniti, tenne un viaggio
di ben tre mesi da New York a Washington, passando per tutti i più importanti centri culturali e musei
nordamericani, incontrando direttori di musei, collezionisti, artisti, conoscendo di prima mano la nascente pop art (di cui affermò pubblicamente essere
un fenomeno di gusto ma non d’arte). Un viaggio
simile all’epoca lo aveva fatto un anno prima Palma Bucarelli, in Italia la donna istituzionalmente più
potente dell’arte nel campo del moderno e contemporaneo: quello di Carandente, che non ricopriva un
ruolo di tale preminenza come la Bucarelli, proprio
per questo assume una rilevanza ancor più significativa.
Organizzatore di eccezionali mostre (da Moore al
Forte del Belvedere di Firenze nel 1972, a Picasso a
Palazzo Grassi a Venezia nel 1981, da Calder a Palazzo a Vela a Torino nel 1983 fino all’Arte russa e so-
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Giovanni Carandente con Alberto Burri, Biennale di Venezia
Courtesy Archivio Carandente
vietica al Lingotto di Torino nel 1989), la sua carriera
è costellata di mostre non tanto sulla storia dell’arte,
ma che sono diventate esse stesse storia dell’arte, per
la loro completezza, ricchezza di materiali, visione
d’insieme e capacità di saper trovare risorse senza le
quali sarebbe stato difficile solo pensare quelle imprese.
Le mostre sulla sua figura “Archives and Documents”, il convegno internazionale “Una vita per l’arte”,
la pubblicazione ad opera di due giovani ricercatrici
sugli anni alla GNAM, oltre a una pubblicazione sui
suoi scritti nel 2020 sulla scultura moderna (“Giovanni Carandente e la scultura moderna. Saggi dal 1957
al 2008”, Magonza Editore), sono solo una parte degli studi più recenti sulla sua ramificata attività storico-critica che prende le mosse dagli studi sull’arte
antica, dalla scultura lignea del Trecento ad Antonello da Messina, da Perugino ai Trionfi del Rinascimento (un argomento col quale tenne una conferenza al
Detroit Art Museum) fino a Giacomo Serpotta, delineando una figura di storico dell’arte a 360 gradi,
capace di cogliere la modernità di ogni epoca e di
metterla in mostra.
Ecco perché, senza retorica alcuna, non possiamo
non affermare l’unicità del suo operato e la straordinaria anticipazione di pratiche curatoriali che sarebbero diventate la norma, poi istituzione e infine
moda, avendole lui avviate in anni ancora lontani,
almeno in Italia, dalla consuetudine attuale. Potremmo chiederci semmai perché, comunemente, non si
associ il nome di Carandente alle due avanguardie
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italiane della seconda metà del XX quale l’Arte povera prima e la Transavanguardia poi. In realtà, se alla
seconda dedicò qualche attenzione, soprattutto per
Paladino e Chia, curandone una mostra e invitandone gli artisti alla sua Biennale, sulla prima abbiamo in
effetti ben poco, se non nulla. L’Arte povera esulava
dai suoi interessi formali ed estetici, troppo intenta
ad abbandonare tecniche e materie tradizionali per
tuffarsi nell’azzardo dei processi fisici reali, degli elementi naturali, delle situazioni ambientali e degli oggetti impersonali. Elementi lontani dalla sua visione
artistica, lui che al massimo si interessò ad artisti più
concettuali come Jan Dibbets, Panamarenko e Maurizio Mochetti.
Dei suoi progetti mai portati a termine (pochi per la
verità) ne rimane documentazione di uno, ambizioso,
eccedente: una grande monografia su Michelangelo
con l’editore tedesco Arthus, di cui si hanno l’indice,
appunti e elenchi di immagini. Se Carandente ebbe,
tra i vari primati, quello di occuparsi in maniera più
diffusa e capillare di tutti, almeno in Italia, di scultura moderna, il progetto michelangiolesco avrebbe
rappresentato la dimostrazione che la sua idea di modernità (non morta ma declinabile oggi in “modernità
contemporanea”) era alla base di una poetica curatoriale supportata da una vasta conoscenza della storia
dell’arte, se si pensa che curò mostre e monografie
anche sull’antica arte cinese o egiziana e realizzò una
famosa guida di Roma. Una figura quella di Carandente in anticipo sull’idea stessa di curatore globale.
In 2020 Giovanni Carandente (1920-2009) would
have been 100 years old; and it was precisely between 2020 and 2022 that the centenary of his birth was
celebrated at his museum, Palazzo Collicola in Spoleto, with an exhibition, a conference and research
on his years as an inspector at the GNAM in Rome
(all events followed by related Silvana editorial editions edited by the National Committee dedicated
to him). In 2023 there will be a publication on his
donation to Palazzo Collicola of works of art: no less
than 140, not counting 30,000 volumes and his entire private archive with Calder and various other
correspondence with artists.
While the Castello di Rivoli celebrated Achille Bonito Oliva’s 80th birthday with an exhibition
in 2022, and between 2022 and 2023 a number of
conferences will be held in various Italian museums to commemorate the figure of Germano Celant
(who passed away in 2020), whom we can consider the two most important Italian curators of the
20th century, the activities to study, valorise and
critically arrange the figure of Carandente become
all the more significant; because Carandente was,
among other things, the first truly international Italian curator, known abroad, who was able to organise exhibitions of the most important foreign artists
of his time, such as Henry Moore, Alexander Calder, Eduardo Chillida, Anthony Caro, David Smith,
Mark Di Suvero, to whom he dedicated exhibitions,
catalogues or with whom he had lasting and profound friendships. Not to mention the exhibitions
he organised for the GNAM between 1956 and 1961
(Mondrian, Pollock, Kandinsky, to name but a few),
the direction of two editions of the Venice Biennale
between 1988 and 1990 or the exhibitions in Spoleto
of worldwide resonance such as “Sculptures in the
City” in 1962, “American Drawings at the MoMA”,
the one-man shows of De Kooning (1969) and Balthus (1982), all organised within the Festival dei Due
Mondi to which he was artistic consultant and reference figure.
His personality truly takes on an almost mythological dimension and is undoubtedly unique and pre-eminent in the history of modern and contemporary
art of the 20th century. Suffice it to say that in 1963,
at the invitation of the United States government, he
took a three-month trip from New York to Washington, passing through all the most important North
American cultural centres and museums, meeting
museum directors, collectors, artists, and learning
first-hand about the nascent pop art (of which he
publicly affirmed that it was a phenomenon of taste
but not of art). A similar trip at the time had been
made a year earlier by Palma Bucarelli, in Italy the
institutionally most powerful woman in the field of
modern and contemporary art: Carandente’s, who
did not hold a role of such prominence as Bucarelli,
took on even more significance for this very reason.
An organiser of exceptional exhibitions (from Moore at Forte del Belvedere in Florence in 1972, to Picasso at Palazzo Grassi in Venice in 1981, from Calder at Palazzo a Vela in Turin in 1983 to Russian and
Soviet Art at Lingotto in Turin in 1989), his career
is studded with exhibitions that were not so much
Veduta d’installazione / installation view Centenario Carandente, 2020
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Ritratto / portrait di Giovanni Carandente,
Venezia, 1988 Courtesy Archivio Carandente
about art history, but which themselves became art
history, due to their completeness, wealth of material, overview and ability to find resources without
which it would have been difficult to even think of
those undertakings.
The exhibitions on his figure “Archives and Documents”, the international conference “A Life for Art”,
the publication by two young researchers on his
years at the GNAM, as well as a publication on his
writings in 2020 on modern sculpture (“Giovanni
Carandente e la scultura moderna. Essays from 1957
to 2008”, Mainz Publisher), are only a part of the
most recent studies on his branched historical-critical activity that starts from studies on ancient art,
from 14th-century wooden sculpture to Antonello
da Messina, from Perugino to the Triumphs of the
Renaissance (a topic on which he held a conference
at the Detroit Art Museum) to Giacomo Serpotta,
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outlining an all-round art historian,
capable of grasping the modernity
of every era and displaying it.
This is why, without any rhetoric,
we cannot fail to affirm the uniqueness of his work and the extraordinary anticipation of curatorial
practices that were to become the
norm, then the institution and finally the fashion, having been initiated
by him in years that were still far, at
least in Italy, from the current custom. If anything, we might ask why,
commonly, Carandente’s name is
not associated with the two Italian
avant-gardes of the second half of
the 20th century, first Arte Povera
and then Transavanguardia. In fact,
if he devoted some attention to the
latter, especially to Paladino and
Chia, curating an exhibition of them
and inviting artists to his Biennale, on the former we actually have
very little, if anything. Arte povera
was beyond his formal and aesthetic
interests, too intent on abandoning
traditional techniques and materials
to dive into the hazard of real physical processes, natural elements,
environmental situations and impersonal objects. Elements far removed from his artistic vision, he
who at most was interested in more
conceptual artists such as Jan Dibbets, Panamarenko and Maurizio
Mochetti.
Of his projects that were never
completed (few in truth), documentation remains of one, ambitious,
over-the-top project: a large monograph on Michelangelo with the German publisher Arthus, of which
we have the index, notes and lists of images. If Carandente had, among his various primacies, that of
dealing with modern sculpture in a more widespread and capillary manner than anyone else, at least
in Italy, Michelangelo’s project would have represented the demonstration that his idea of modernity (not dead but declined today in “contemporary
modernity”) was at the basis of a curatorial poetics supported by a vast knowledge of art history, if
we think that he also curated exhibitions and monographs on ancient Chinese or Egyptian art and
produced a famous guide to Rome. A figure that of
Carandente in advance of the very idea of the global
curator.