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PIRANDELLO STUDENTE A BONN

Ripropongo qui le pagine che ho dedicato al periodo bonnense di Luigi Pirandello, che presentano tuttora spunti interessanti e inediti, non del tutto colti dalla critica e dai lettori, pur in presenza dei molti documenti venuti alla luce in questi ultimi tempi e che ci hanno offerto un quadro preciso, ben diverso da quello tradizionale, sul giovane studente e sui suoi studi di filologia.

PIRANDELLO STUDENTE A BONN (dai COLLOQUI CON PIRANDELLO, ed. Polistampa, Firenze 2005) (Ripropongo qui le pagine che ho dedicato al periodo bonnense di Luigi Pirandello, che presentano tuttora spunti interessanti e inediti, non del tutto colti dalla critica e dai lettori, pur in presenza dei molti documenti venuti alla luce in questi ultimi tempi e che ci hanno offerto un quadro preciso, ben diverso da quello tradizionale, sul giovane studente e sui suoi studi di filologia). N. B. L'immaginario dialogo tra l'ombra dell'insigne scrittore e un suo sprovveduto famulus che lo ha evocato, è accompagnato a pie' di pagina da un subtesto di illustrazione critica. * * ** * * (parla Pirandello) – Questa è buffa! Dopo un secolo e più, io avevo completamente dimenticato quel mio taccuinetto con le pagine sulla gita a Kessenich; ed ecco che la filologia tedesca, alla cui scuola anch'io ahimè mi formai, si allea a un'altra temibile filologia, quella giapponese, per notomizzarmi ancora una volta! – Come se fossi un Procopio Scannamosche qualsiasi, mi mettono sotto osservazione, ripercorrono i miei passi ad uno ad uno, analizzano ogni mia mossa e fanno deduzioni e cercano spiegazioni cui nessuno, tanto meno io, aveva mai pensato. (famulus) – Mi perdonerà, caro Maestro, per il disturbo che le sto arrecando con quest'idea di anatomizzarla sul suo incontro con un giapponese sulla via di Venusberg. - Un giapponese? … Venusberg? … Può spiegarsi meglio? - Ma sì, non ricorda? Nelle pagine sulla gita a Kessenich Lei aveva scritto di quell'incontro con una persona dall'aspetto elegante, che pareva che facesse la sua stessa strada. Raggiuntolo, s'accorse che era un giapponese molto ben vestito, anzi troppo: – all'ultima moda di Parigi, così Lei diceva... - All'improvviso, quanti ricordi! Arrivai a Bonn all'una del pomeriggio del 10 ottobre 1889. Scesi dal treno senza un recapito e senza saper dove andare e così presi alloggio all'Hotel zum Münster. Poi, dal 1° novembre, su consiglio di un irlandese di nome Madden (non inglese come pure con suo gran dispetto qualche volta distrattamente io lo chiamavo), mi trasferii nella pensione della signora Mohr in Neuthorstrasse 1, dove anche lui alloggiava. Egli mi coinvolse nell'atmosfera goliardica Il Taccuino di Bonn, cui qui ci si riferisce, è in Saggi, poesie, scritti varii, a c. di M. Lo Vecchio Musti, Mondadori, Milano 19653. Tutti gli elementi per una dettagliata ricostruzione del periodo si trovano nelle Lettere da Bonn 1889-1891, a mia cura, Bulzoni, Roma 1984; ma esse non possono più esser lette senza cogliere le ambiguità e le contraddizioni di una situazione esistenziale assai più complessa e intricata, come a suo luogo queste note intendono chiarire. Per un inquadramento generale, intanto, v. W. Hirdt, Bonn im Werk von Luigi Pirandello, G. Narr, Tübingen 19902; id., Pirandello a Bonn, ovvero due autori in cerca d'un personaggio, in Pirandello poeta, Atti del convegno del Centro naz. di studi pirandelliani di Agrigento, Vallecchi, Firenze 1981, p. 69-94; id., Pirandello in Bonn, in «Rheinische Vierteljahrsblätter», XLVII, 1983, p. 302-24; id., Perché Ernesto Monaci mandò Pirandello a Bonn, in Pirandello e la Germania, Atti del Convegno del Centro naz. di studi pirandelliani di Agrigento, Palumbo, Palermo 1984, p. 33-44. Sull'Università di Bonn e sulla sua scuola filologica che fu prima di Friedrich Diez e poi di Wendelin Foester e di Heinrich Schneegans, v. l'opera in due volumi diretta da W. Hirdt con la collaborazione di Richard Baum, Birgit Tappert e Barbara Jaster, Romanistik Eine Bonner Erfindung, Bouvier Ver., Bonn 1993 che offre una ricchissima documentazione sull'attività scientifica (dal 1818 al 1916) di uno dei più rinomati centri europei della nuova filologia romanza. Sempre indispensabile rimane infine M. Adank, Luigi Pirandello e i suoi rapporti col mondo tedesco, Inauguraldissertation der Philosophischen Fakultät 1 der Universität Bern, Aarau, 1948. 2 della città renana, nella quale grazie al suo aiuto andavo ora ambientandomi senza difficoltà. Era un gran paesone dominato dalla sua università, polo d'attrazione di giovani d'ogni parte del mondo, i quali con la loro presenza mettevano in movimento tutta l'economia locale: richieste di alloggio, di vita sociale, di divertimenti, di donne. - Donne, Maestro? - Donne, sì! I costumi, lo notai subito, erano molto più liberi e – come scrissi a mia sorella Lina – meno impastati d'ipocrisia. In paragone con Girgenti o Palermo, o anche con Roma, quella città del nord, nebbiosa e scarsa di sole nei suoi gelidi inverni, era una bella novità per me. Per la prima volta mi trovavo a vivere in un ambiente tanto diverso, come non m'era accaduto neppure nel mio primo approccio con Roma, la terza Roma, che noi giovani carducciani definivamo bizantina per aver soffocato ogni ideale risorgimentale. Strinsi molte amicizie: con William Madden, appunto, cui io insegnavo l'italiano e lui a me il tedesco, l'inglese e il celtico addirittura; con il socialdemocratico Karl Arzt, un altro scavezzacollo sempre pronto a infiammarsi per la causa del proletariato; con Fritz Wichmann, il più raffinato del gruppetto, già avviato al giornalismo, che amava ascoltare la lettura delle mie elegie boreali e che poi s'invaghì talmente della Pasqua di Gea da offrirsi di tradurla in tedesco. La nostra combriccola cominciò a frequentare la casa di due ragazze che abitavano a Poststrasse, Mary e Johanna Rissmann. Quest'ultima durante quel rigidissimo inverno s'ammalò di polmonite e morì. Scrissi in sua memoria un'elegia che tradotta in tedesco da Karl Arzt, fu pubblicata su un giornale letterario a orientamento socialdemocratico di Berlino. Ebbene, lo credereste? Tra i tantissimi che si sono dedicati a ricercare e ad indagare ogni minimo particolare del mio soggiorno, nessuno è stato capace di trovare quel numero del giornale. Ed ora ecco che vanno a cercare a chi apparteneva quella faccia gialla di giapponese che incontrai nella passeggiata mattutina nei dintorni di Bonn! - Quando fu? - Fu esattamente – ora ricordo bene – il 17 gennaio del 1890, come del resto annotai nel mio taccuino. Ma troppe altre cose erano nel frattempo accadute. Debbo confessare che a causa della difficoltà della lingua io non seppi sulle prime rinunciare alla compagnia di un italiano, Giovanni Sambo, un mosaicista impegnato nei restauri della chiesa cattolica, anche lui cliente dell'hotel zum Müster. In quel mio iniziale isolamento mi arrampicavo sui ponteggi dov'egli lavorava e lì passavo le ore, leggendo e di tanto in tanto scambiando qualche parola con lui. Ma presto, come dicevo, fui coinvolto nella vita goliardica da William, che, tra l'altro, essendo squattrinato, si appoggiava a me, molto più ben fornito da questo punto di vista. Il 6 novembre mi recai all'università per l'iscrizione e ________________________________________________________________________________ Le ricerche intorno al giapponese di Kessenich sono esclusivo merito del professor Josef Kreiner e debbo alla sua gentilezza nonché all'intermediazione amichevole del prof. Willi Hirdt, se io abbia potuto così largamente profittarne e anche un po' scherzarci sopra. Cfr. J. Kreiner, Pirandellos Endenischer Japaner, in Heitere Mimesis, Festschrift für Willi Hirdt zum 65. Geburtstag, a c. di B. Tappert e W. Jung, Francke, Tubinga-Basilea, 2003, p. 217-29. Su Johanna Rissmann e sull'elegia scritta in sua memoria, quasi un preannuncio di quanto scriverà per la sua stessa morte (Bene avvisasti. Innanzi che informi le sperda la morte,//Cenere pura renda l'alme sembianze il foco.//Semplice e snella accolga un'urna di niveo alabastro//Te, dei candori amica d'inviolata neve... ) v. Lettere da Bonn, cit., p. 69-70 e 80-81. La data del 6 novembre è fornita dall'Adank (op. cit., p.10 e 79) che la desume dalla matricola universitaria dello studente, riprodotta ora in anastatica dalla Biblioteca-Museo Pirandello di Agrigento in “Peppino mio” lettere di Luigi Pirandello a Giuseppe Schirò (1886-1890), a c. di M. Mandalà, A Perniciaro, F. Capobianco, C. A. Iacono, Enna 2002, nelle illustrazioni finali non numerate. Scrive F. V. Nardelli nel suo L'uomo segreto, vita e croci di Luigi Pirandello, Mondadori, Milano 1932, p.106: «Il nostro si recò in incognito alle lezioni e non capì un bel niente dalla voce del professor Buecheler che era considerato uno dei più eccelsi latinisti del mondo. Essendo il grecista Usener, altrettanto insigne, occupato ad insegnare la propria materia, Luigi, fattosi in su la porta se ne ritrasse inorridito». 3 colsi l'occasione per affacciarmi nelle aule dove i celebri Buecheler e Usener svolgevano le loro lezioni: non capii un'acca e me ne ritrassi inorridito. Perciò, molto insicuro del mio tedesco, dovetti farmi davvero coraggio quando andai dal Foerster il 12 novembre a consegnargli il biglietto di presentazione del professor Monaci. Non potevo certo immaginare che egli, ben contento d'avere in mano una cavia fornita d'una perfetta conoscenza del dialetto siciliano, ne scrivesse subito a lui, ragguagliandolo sul piano di studi che m'aveva tracciato: – «per il primo semestre terminare almeno la fonetica e possibilmente anche la morfologia, tenersi comunque in continuo contatto per trattare insieme tutti i punti o difficili o arrischiati». Per giustificare il mio ritardo (il Wintersemester cominciava a metà ottobre) avevo addotto di essere stato malato; ma quando il Foerster vide che, dopo essermi presentato a lui, continuavo nelle mie assenze alle lezioni, si proccupò e venne di persona al mio alloggio a cercarmi. Ma lì non mi trovò. - Cosa accadde? Non ci tenga in ansia, caro Maestro. - Debbo dire che venivo da un'esperienza universitaria per nulla simile alla metodicità, alla disciplina ed anche alle cure quasi filiali che vedevo ora applicate nelle scuole tedesche. Ai nostri docenti poco importava che uno studente frequentasse o no le lezioni, fosse presente o no ai loro improbabili seminari: oltre tutto, occuparsi di queste cose era un fastidio di cui facevano volentieri a meno. Dare la massima importanza alle esercitazioni e ai seminari, e perciò al contatto diretto con gli allievi, era dal Mommsen in poi, il fulcro dell'insegnamento universitario tedesco e la ragione stessa della sua rinomanza nel mondo. Io che soprattutto correvo dietro ai miei sogni di poeta, sia a Palermo che a Roma avevo cumulato esperienze solo negative: m'ero congedato dall'università di Palermo il 1° dicembre 1887 senza aver dato alcun esame; a Roma m'ero iscritto al secondo anno della facoltà di lettere, ma anche lì, nei due altri anni di frequenza, avevo seguito, sì, molti corsi; m'ero accostato, è vero, al professor Monaci che prese a benvolermi; eppure rimanevo sempre dominato da una profonda avversione verso quegli studi privi per me di vero interesse, ai quali malvolentieri mi assoggettavo o cui recalcitravo del tutto. Ricordo solo per inciso il mio contrasto con il professor Occioni, del resto ben raccontato dal Nardelli, a dimostrazione di quanto antitetica mi fosse quella scuola. Così mi congedai anche dall'università di Roma ai primi d'ottobre del 1889 senza aver sostenuto neppure lì alcun esame e dimenticandomi financo di restituire il libretto d'iscrizione. Si può immaginare dunque quanto poco io, distratto dall'allegria studentesca e dalla convivialità renana, mi rendessi conto di questa nuova più seria e severa realtà. Seppi subito dalla signora Mohr del guaio, e allora il 5 dicembre corsi ai ripari presentandomi al Foerster con una esercitazione che avevo preparato alla bell'e meglio. Ma ormai egli aveva masticato la foglia, e così il 10 dicembre scrisse di me al Monaci: «Venne a trovarmi nella mia casa e mi portò due piccole pagine nel suo taccuino, trattanti di una particella di a nel girgentino [...], lavoro che con molta tranquillità avrà potuto terminare in una mezza oretta»... I guai per me erano appena cominciati, perché quando volle ancora informarsi della mia salute, io per impietosirlo gli parlai di quei dolori al petto che già ________________________________________________________________________________ Sulla qualità dell'insegnamento nelle scuole tedesche v. G. Pasquali, Pagine stravaganti, Sansoni, Firenze 19682, vol. II, Il testamento di Teodoro Mommsen, p. 383-96. Sugli scarsi risultati degli studi nelle università di Palermo e di Roma v. G. Ciampi, Gli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia: dati e notazioni, in Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza”, a c. di L. Capo e M. R. Di Simone, Viella, Roma 2000, p. 633; e, ivi, anche G. Monsagrati, Verso la ripresa 1870-1900, p. 443. I rapporti tutt'altro che idilliaci tra lo studente siciliano e il Foerster sono ora documentati nelle lettere del Foerster al Monaci pubblicate da G. R. Bussino, Pirandello nel carteggio Foerster-Monaci, in «Ariel», IX, 2 (maggioagosto 1994) p.119-25. Il Foerster, avvisato dal Monaci già nella primavera del 1889 della presenza nella facoltà romana di uno studente siciliano da poter impegnare nello studio della grammatica storica e comparata dei dialetti siciliani, si preoccupava subito di sapere se parlasse il dialetto sin dall'infanzia, se fosse ben preparato in rebus romanicis e capace d'una trascrizione accurata dei suoni, profondendosi in raccomandazioni con la premura di chi sa di avere in mano un'occasione da non perdere e timoroso insieme che il soggetto non corrispondesse in tutto alle sue aspettative. 4 a metà del 1888 mi avevano tormentato a Roma e che da un altro tedesco, il dottor Held, erano stati diagnosticati come endocardite. Questa parola magica, nella mia ipocondria, l'avevo usata molte volte come un grimaldello e, debbo dire, con un certo successo anche con il professor Monaci. In realtà – ora lo so con certezza – non d'endocardite si trattava, ma di questa mia maledetta costituzione, che mi ha sempre tenuto in una perennne ansietà nervosa, in una smaniosa oppressione, in uno stato di dissidio interiore... Non m'aspettavo che il Foerster, temendo invece un'affezione polmonare molto più comune allora tra i giovani, che spesso li conduceva alla morte, mi indirizzasse così su due piedi al professor Schultze, suo collega d'università, per fare subito una visita e riferirgliene il giorno dopo. Non so come fu, forse mi distrassi e non riuscii più a seguire il suo italiano tedeschizzato; fatto sta che dopo questo secondo incontro ancora una volta mi eclissai tranquillamente. Infatti in quella stessa lettera al Monaci così egli continuava a parlare di me: «Lo pregai di venire il giorno dopo (6 dicembre) nel mio seminario, di dirmi cosa abbia detto il medico e di venire poi meco a pranzare in mia casa. Il P. il giorno dopo non si fece vedere nella Seminarübung – come non è venuto finora mai in nessuna lezione, non venne al pranzo al quale lo ebbi invitato e non si fece sentire né vedere. Ebbi di nuovo paura che fosse ammalato, ma il mio figlio lo ha veduto girar a zonzo il medesimo venerdì nel nostro quartiere nelle ore pomeridiane. Per non dimenticar, avevo il 1° giorno già indirizzato il P. al nostro Studentisches Neuphilologen Verein, l'élite dei miei allievi: inutile di dire che non vi si è fatto mai vedere. – Se dunque è ben, diciamo, educato, almeno è un tipo, direi, piuttosto originale. Io temo che non avrò più tempo e occasione di vederlo». - Un disastro, davvero, caro Maestro. Ma come poté rimediare a questa difficile situazione? - Non rimediai affatto. Col Foerster, col quale mi sentivo in colpa, non mi feci più vedere. Non so com'è, ma m'aveva preso una febbre, una sete, un ardore di vivere mai provato prima e che mai più proverò. Proprio in quei giorni di dicembre io maturavo la decisione di liberarmi di tutti i vincoli che m'ero creati col mio sciagurato fidanzamento di Palermo. Sognavo di sparire, di non ritornare più, sognavo una libertà nuova, senza confini. Mentivo – dopo quel che avevo combinato col Foerster – mentivo spudoratamente, dicendo a mia sorella Lina in una lettera di quei giorni, del 12 dicembre, che «in aprile sarò dottore in filologia romanza e appena ottenuta la laurea e il titolo passerò a insegnare Lettere italiane in questa università di Bonn, con un emolumento di circa 4 mila lire italiane, suscettibili d'illimitato aumento»! Era un parlare a sorella (in Sardegna) perché la notizia corresse fino in Sicilia e giungesse alle orecchie di quell'altra Lina, alla quale seguitavo a scrivere lettere più o meno appassionate, secondo le mie già consolidate abitudini di grafomane. E ritorcevo il coltello nella piaga aggiungendo: «Ciò che in Sicilia, a casa nostra, quest'ultima estate dicevo per ischerzo pare si sia completamente avverato. Ti ricordi? “Chi s'è visto, s'è visto; e chi s'è baciato, s'è baciato”». – Non vorrei sbagliarmi, ma forse da questa specie di mio primo sdoppiamento cominciò l'ideazione del Mattia Pascal. - Questo che Lei dice, Maestro, è quasi incredibile, ma pure sconvolgente e affascinante... ________________________________________________________________________________ La prima edizione delle Lettere da studente a Ernesto Monaci è stata pubblicata da Luciana Finazzi Agrò, «Nuova Antologia», fasc. 426, 1° aprile 1943, p. 143-49. Noi seguiamo però la più aggiornata e completa, pubblicata da G. R. Bussino, Lettere di Pirandello a Monaci, «Ariel», VI, 3, settembre-dicembre 1991, p. 98-116. Nella seconda lettera al Monaci, scritta in tedesco in data 14 novembre '89, si scusa che a causa della solita grave malattia sia stato costretto a interrompere il viaggio per Bonn una prima volta a Roma, rimanendo dodici giorni a letto (!) senza potersi recare dallo stesso Monaci a ringraziarlo del biglietto di presentazione per il Foerster. Aggiunge poi di aver dovuto interrompere nuovamente il viaggio per più di venti giorni (!!) fermandosi a Como, sempre a causa della sua cattiva salute. Dal Foerster viceversa sappiamo che il giovane si presentò a lui soltanto il 12 novembre giustificando ancora una volta il ritardo con la solita scusa della malattia. D'altronde le Lettere da Bonn, cit., p. 33-34, ci danno la certezza dell'arrivo a Bonn il 10 ottobre. Le università tedesche, com'è noto, dividevano le loro attività in due semestri, il Wintersemester (15 ottobre-15 aprile) e il Sommersemester (15 aprile15 ottobre). 5 - Si tenga forte. Non è finita. Anche col buon professor Monaci mentii spudoratamente: gli scrissi una lettera in tedesco proprio dopo il mio incontro col Foerster, facendogli credere d'essere appena arrivato a Bonn e che senza alcun indugio ero andato a presentarmi al professore. Sul ritardo di un mese gli impapocchiavo, al solito, d'esser stato molto male e di aver dovuto interrompere il viaggio fermandomi venti giorni a Como. Altro che Como! con la solita combriccola d'amici andammo ripetutamente a Colonia, la città santa, la Roma tedesca, attratti soprattutto dalla fama del suo carnevale e dalla bellezza delle sue donne. A Bonn facevamo spesso lunghe passeggiate nel circondario attraversato dal maestoso Reno, a Beuel, sul Drachenfels o sulle Sette Montagne, sfidando il freddo dell'inverno in allegre comitive cui si univano con entusiasmo le ragazze del luogo. E poi teatro, veglioni, una completa spensieratezza che taluni imprevisti non scalfirono neppure: un attacco influenzale, una distorsione alla caviglia per uno scivolone sul ghiaccio, il furto del denaro appena arrivato da casa, che mi costrinse a improvvise ristrettezze e a nuove menzogne per ottenere l'invio d'altro denaro da mio padre. Ma ciò che veramente m'accadde, io l'ho cantato nella Pasqua di Gea: il rinascimento della vita con lo sbocciare del fiore dell'amore. Abbandonati in una corresponsione completa dei sensi, senza più pensieri, noi innamorati ci affidammo confidenti all'abbraccio della Grande Madre. - Jenny Schulz Lander? - Sì, Jenny, naturalmente. Quella giovine si diede a me con la gioconda spensieratezza dei suoi vent'anni, offrendomi il dono del suo amore come un serto: il ricordo più bello, più struggente della mia vita. E di questo cantai con la mia voce più melodiosa, come un poeta antico che eleva il suo canto al miracolo della rinnovellata primavera, alla pasqua pagana della terra. – Si comprende come tutto questo non fosse compatibile con l'aridità arcigna degli studi dialettologici di Wendelino Foerster e che quindi io disertassi la fosca università dell'imperatore Federico-Guglielmo durante tutto il mio primo Wintersemester. In quell'aprile del 1890, allo spirare appunto del semestre invernale, mi trasferii a Breitestrasse 37a sotto lo stesso tetto della mia colomba, a pensione dalla signora Alwina Lander (sua madre). Conobbi per la prima volta l'ineffabile serenità della Gemütlichkeit, quel senso dolcissimo della vita familiare nella quale la mia piccola innamorata mi attirava pian piano, conducendomi per mano. Oh le indimenticabili notti di quella primavera renana, finite e lontane come la mia spensierata giovinezza e per sempre! - Commoventi ricordi, ineffabili sensazioni d'un tempo irrecuperabile... Ma come andò a finire? - Ho ridestato la sua curiosità, nevvero? – Ma io m'ero già troppo aggrovigliato nelle menzogne per potermene liberare, e così dovetti continuare a raccontarne di sempre maggiori e peggiori. Scrissi ai miei d'aver terminato il primo lavoro accademico, il famigerato Lessing, la Favola e le Favole, che ________________________________________________________________________________ Le prime approfondite ricerche su Jenny Schulz Lander dopo gli accenni del biografo Nardelli furono compiute da uno studioso scomparso prematuramente, Luigi Biagioni, lettore di italiano nelle università di Magonza e di Francoforte sul Meno, che in un decennio di attività, dal 1949 al 1959, scavò instancabilmente sul tema della fanciulla renana e sulla sua biografia. I suoi scritti, cinque in tutto, con i quali fornì elementi nuovi sulla vicenda, frutto dei contatti con la figlia di lei, Emily, furono poi utilizzati da F. Rauhut nel suo Der Junge Pirandello, C. H. Beck, Monaco, 1964. Dopo l'avvenuta acquisizione nel 1967 delle lettere di Pirandello a Jenny da parte dell'Harry Ransom Humanities Research Center (Università del Texas, Austin U.S.A.) passeranno oltre vent'anni prima che nel 1990 due studiosi italo-americani, Roberto Severino e Giuseppe Faustini, le pubblicassero quasi contemporaneamente, offrendo così una nuova prospettiva a tutta la vicenda. L'edizione Severino, Lettere a Bonn “Liebe Jenny...” (1890-91) apparve in «Lunario nuovo», XI, 52, 1990, p. 3-29; quella Faustini, Luigi e Jenny, storia d'un amore primaverile in «Nuova Antologia», fasc.2179, luglio-settembre 1991, p. 276-305. Cinque anni dopo un altro studioso italo-americano, G. R. Bussino darà una terza edizione di tali lettere, fornendo ulteriori notizie su Jenny e sulle sue vicende familiari, nuove fotografie e altri elementi bibliografici, Jenny, l'amica renana di Pirandello, in «Ariel», X, 3, settembre-dicembre 1995, p.139-84 e XI, 1, gennaio-aprile 1996, p. 204-207. A un ultimo ritrovamento è dedicato infine il mio“Deine Jenny” in Nuove Archeologie Pirandello e altri scritti, Polistampa, Firenze, 2009, p. 9-17, che si può vedere ora anche in www.academia.edu. 6 null'altro era se non una raccolta di esercizi di traduzione dal Lessing (che utilizzai anni dopo in varie occasioni e anche su un giornaletto per bambini), suggeritami dalla lettura dei Saggi di critica letteraria del Canello e in particolare del capitolo dedicato a Favole, fabliaux e fiabe su Renardo e Isengrino. Mi vantai, nelle lettere dell'8 e del 18 aprile (che mi bruciano ancora nel ricordo), d'esser già doctor candidatus e d'aver ricevuto gli elogi anticipati del Foerster per il suddetto fantomatico lavoro, e di prepararmi a svolgere un corso di lezioni sull'Inferno di Dante, nientemeno!, senza aver neppure superato lo Staatsexamen, che, con la solita faccia tosta, dicevo rimandato sine die in virtù degli esami brillantemente sostenuti a Roma e convalidati a Bonn per le forti raccomandazioni pervenute in mio favore dal consiglio dell'università romana! «Io – aggiungevo spudoratamente – non ne sapevo nulla, me l'ha detto giorni a dietro il Foerster, e io suppongo che questa sia tutta opera del Monaci, che mi ha amato e continua ad amarmi come un padre può amare un diletto figliuolo...». – Sul taccuino di Bonn c'è segnata un'altra data: 13 giugno 1890, con l'annotazione ________________________________________________________________________________ Mancano, al di là delle enunciazioni, tracce concrete del Lessing, la favola e le favole, che a detta dello studente sarebbe dovuto essere uno dei due (?) titoli di laurea da presentare al consiglio esaminatore dell'università ( Lettere da Bonn, cit. p. 92). E, trattandosi di un lavoro legato all'università, addirittura della dimensione di un volume di quattrocento pagine a stampa (op. cit., p.95), qualcosa si sarebbe pur dovuta trovare tra gli atti dell'ateneo bonnense. Accadrà invece che sui primi d'aprile '90, al termine del primo semestre, lo studente chiede al padre un sussidio straordinario di 300 marchi per l'acquisto dell'abito dottorale e per le tasse d'esame, sostenendo che la redingote gli servirà per il corso delle sue lezioni sull'Inferno dantesco che inizierà a svolgere dal primo maggio (op. cit., p.110-12). È la stessa cifra che chiederà di nuovo un anno dopo quando effettivamente si troverà a dover affrontare lo Staatsexamen e la discussione della tesi (op. cit., p.176-78). L'ultima volta che parlerà del Lessing sarà nel maggio '90 per confermare l'arrivo del primo sussidio straordinario paterno (oltre il ricco appannaggio mensile), e per informare spavaldamente d'essere sul punto di sostenere l'esame «il cui esito è assicurato», avendo ottenuto il maxima cum laude per il Lessing, che – promette al padre – farà pubblicare «con la dedica a Te» (op. cit., 118). Un'ultima singolarità è la notizia riportata dalla «Psiche» di Palermo del 15 maggio 1890 nella recensione di Giuseppe Pipitone-Federico al Mal giocondo, in polemica con lo Gnoli che sulla «Nuova Antologia» l'aveva stroncato: «Tra breve il Luigi nostro, conseguita in Bonn la laurea in filologia romanza, pubblicherà [...] Le favole di Renardo – lavoro di squisita finezza – venutogli in mente nel tradurre le favole di Lessing per la memoria dottorale sul tema Lessing, la favola e le favole». Qui appare evidente che, scrivendo all'amico palermitano, Luigi ridimensiona a una sorta di traduzione dal Lessing il suo lavoro, pur sostenendo ancora che facesse parte della fantomatica memoria dottorale (al riguardo v. anche A.Barbina, L'ombra e lo specchio Pirandello e l'arte del tradurre, Bulzoni, Roma 1998, p.38-44). Il cospicuo esborso straordinario dovette quindi servire a ben altro: a colmare il buco apertosi nelle sue finanze per le dissipazioni del carnevale e per il furto del suo gruzzolo, che l'aveva costretto a un precipitoso ritorno dalle feste di Colonia (Nardelli, L'uomo segreto, cit., p.109). Non si può far a meno a questo punto d'osservare che il periodo intercorrente dall'incontro col Foerster (novembre '89) fino al viaggio precipitoso in Sicilia del luglio 1890, è pieno di evidenti contraddizioni. Arrivato a Bonn il 10 ottobre, si presenta al Foerster con un mese di ritardo inventando malattie e disertandone poi le lezioni. Nella sua terza lettera al Monaci, del 24 giugno 1890, fa apparire il primo semestre passato a Bonn come un susseguirsi di malattie con lunghi soggiorni di riposo in Sicilia (?), e con un rientro a Bonn quando «già il semestre era per chiudersi, ed ebbi a pena il tempo di fare apporre la firma al mio libretto, ma il Foerster non potei vederlo ». La verità verrà fuori a distanza di quarantadue anni quando Nardelli (op. cit., p.106) riferirà che «siccome l'anno era diviso in due semestri, per intedeschirsi a modo decise di attendere che spirassero i sei mesi in corso, e s'occupò a poetare». Incredibili anche le vanterie sull'incarico di lector di letteratura italiana addirittura ottenuto agli inizi degli studi, e infatti nessuna traccia risulta negli annali della facoltà pubblicati dalla Jaster (Romanistik Eine Bonner Erfindung, cit., vol. I, p. 403-404), dove nel Sommersemester del 1890 figura, sì, un corso sull'Inferno dantesco, ma tenuto proprio dallo stesso Foerster; analogamente l'Adank (op. cit., p.80), che osserva: «Non c'è accenno al suo lettorato negli atti dell'università, sebbene ogni mutamento nel corpo insegnante accademico vi fosse stato notato minuziosamente». Risulta confermata quindi l'inattendibilità del frammento autobiografico del 1893 raccolto da Pio Spezi, che sposta però il lettorato più ragionevolmente all'anno successivo alla laurea,(Saggi, poesie, scritti varii, cit., p.1281-83), su cui già esprimeva dubbi lo stesso Lo Vecchio Musti. Ma occorre osservare a parziale risarcimento dai così tanti imbrogli, che al fondo di tutto c'è il disagio d'un giovane che unisce alla voglia di vivere, naturale per la sua età, un'autentica inadattabilità e il rifiuto degli obblighi da lui stesso assunti, che vorrebbe allontanati e rimossi da sé: l'infelice fidanzamento, l'avvenire senza prospettive, l'oscuro destino d'artista, un mal di vivere che lo mette contro se stesso e le sue stesse scelte. A ben guardare l'impressione che egli ci dà è quella di un prigioniero che si dibatte alla ricerca di un'uscita che non sa trovare. 7 «Visitata la casa natale di Goethe, in Francoforte». Si trattò di una nuova occasione di svago che noi amici inseparabili ci prendemmo soggiornando a Francoforte sul Meno, appunto, e a Wiesbaden, l'elegante città termale dell'Assia. Era giustamente celebrato a Francoforte lo Zoologische Garten, uno dei più grandi della Germania, che io mi recai a visitare. Ma preso e affascinato dalla maestosità dei luoghi e dalle sterminate varietà faunistiche, non mi accorsi del trascorrere del tempo e del sopraggiungere della sera; così, nel cercare inutilmente gli amici già andati via e un'uscita, mi smarrii. Vagando nel buio mi vidi all'improvviso addosso gli occhi fosforescenti d'una tigre che mi fissavano: istintivamente arretrai, caddi all'indietro e battei la testa, rimanendo senza conoscenza. Quando mi ripresi nel silenzio di quella notte indimenticabile (che m'ispirò molto tempo dopo alcune pagine del Si gira...) mi balenò – non so come né perché – un'idea singolare per troncare il mio sciaguratissimo fidanzamento. Ancora una volta la trovata della malattia inguaribile mi sembrò la più plausibile. Scrissi dunque alla Lina di Palermo una lettera lacrimevole sull'infausto esito di una visita a un fantomatico specialista di malattie del cuore a Wiesbaden. A una mia precisa domanda, egli m'aveva risposto: «L'affezione cardiaca è ormai molto invecchiata, l'organo non è più integro, e però bisogna che ella muti per sempre e radicalmente modo di vita». A un'ulteriore mia richiesta – Crede Ella che da qui a un anno io possa trovarmi in condizione di prender moglie? , la risposta suonava sinistra e definitiva: «Non lo faccia mai, se ha cara la vita!». Debbo dire che m'ero invaghito di questo mio stato di malato immaginario, e ne scrissi in quegli stessi giorni al professor Monaci, inventando un nuovo e inesistente rientro in Italia per una malattia durata pressoché tutto il primo semestre del 1890, che m'aveva condotto quasi alle soglie della morte. Non potevo immaginare che il Monaci, in corrispondenza col Foerster e tenuto da lui al corrente dei fatti, scoprisse le mie menzogne. Detto ciò, passavo a parlare degli studi condotti a termine, vantando una traduzione della grammatica delle lingue romanze del Meyer-Lübke che avevo solo iniziato a studiare insieme agli altri testi canonici, facendone ampi riassunti in alcuni miei quaderni. Infine, sicuro di far colpo su di lui che aveva curato la pubblicazione di un codice chigiano di poeti umoristici del XIII secolo (Cene della Chitarra, Folgore di San Gimignano, Cecco Angiolieri), mi dilungavo a illustrargli un progetto di edizione critica dei testi di questi poeti con collazione accurata di tutti i codici reperibili (progetto, questo sì, elaborato quand'ero a Roma alla sua scuola, ma poi non attuato), e concludevo seraficamente promettendo di dedicargli questo mio primo lavoro filologico. Mi arrivò invece una risposta che lessi arrossendo fino alla radice dei capelli e che subito bruciai: nessuno oltre me l'ha mai letta, ma le parole severe del mio buon maestro servirono a darmi il primo salutare scossone e un'indimenticabile lezione di vita. – Ben più violenta bufera stava intanto salendo dalla Sicilia, suscitata dalla mia lettera a Lina. Ella aveva reagito con un aspro telegramma a me e con l'invio della lettera incriminata a mio padre! Credetti bene di correre ai ripari scrivendo una lettera d'identico contenuto ad Annetta, la mia sorella più piccola, (che sapevo non avrebbe potuto nasconderla ai nostri genitori); ma nei giorni seguenti un fitto scambio di telegrammi con la Lina furibonda e con mio padre giustamente indignato, mi aprirono come una voragine sotto i piedi che mi spinse a partire precipitosamente per la Sicilia. Ennesima bugia fu quella che raccontai alla po________________________________________________________________________________ Il Taccuino di Bonn fa fede sul soggiorno a Francoforte. Quanto al soggiorno nella vicina Wiesbaden abbiamo due riferimenti: il primo è nella lettera alla fidanzata Lina (Lettere da Bonn, op.cit., p.124, in nota), e l'altro in Nardelli (op.cit., p.120-21). La discrepanza tra la lettera a Lina (del giugno 1890) e quel che riferisce Nardelli, su un periodo di riposo che il giovane si sarebbe concesso nella città termale dell'Assia dopo la laurea (e quindi tra la fine di marzo e i primi d'aprile del 1891), potrebbe esser superata supponendo, come io faccio qui, che anche la visita a Wiesbaden si sia svolta durante il viaggio registrato nel Taccuino e testimoniato dalla lettera a Lina, e non dopo. Quanto all'episodio del giardino zoologico contestualmente riferito dal Nardelli, esso non può che essersi svolto a Francoforte, dov'era il grande Zoologische Garten, e non a Wiesbaden. Uno di questi quaderni di appunti derivati dal Meyer-Lübke, dal Diez, dal Demattio e da altri maestri degli studi provenzali è ora pubblicato in riproduzione anastatica dalla Biblioteca-Museo di Agrigento. V. Provenzale. Bonn a/Rh. 1889-90, Zangarastampa, Siracusa 1998. L'unico elemento di invenzione (e ne chiedo venia a chi legge) è l'aver immaginato una lettera di rampogna del Monaci al suo allievo, che questi distruggerà appena letta. 8 vera Jenny, di dover partire per il peggioramento dello stato di salute di mia sorella Lina. Questa delle malattie era proprio una fissazione! Passai quindi anche tutta la prima parte del secondo semestre, il Sommersemester, lontano dall'università e in tutt'altre faccende affaccendato, cercando di rabberciare una situazione francamente paradossale: da un lato la Lina che sin dall'inizio non aveva creduto alla mia malattia e che riuscii a rassicurare soltanto con la mia vicinanza e accantonando ogni velleità di rottura, dall'altro cedendo alle apprensioni dei miei sulla mia salute, e soprattutto di mia madre, con la promessa che mi sarei fatto visitare a Palermo dal dottor Bianchi, uno specialista delle malattie del cuore. Naturalmente quando fui a Palermo feci credere di non averlo trovato e rimandai tutto a un'altra visita dal grandissimo Baccelli nel mio passaggio per Roma prima del mio rientro in Germania, ma neppure da lui ovviamente andai. - Quando, Maestro, ritornò a Bonn? - Fui di nuovo a Bonn ai primi di agosto. E fu soltanto allora che cominciai a dedicarmi assiduamente alla preparazione della mia tesi. Mi rendevo conto d'averla fatta grossa e, trovato il coraggio, riscrissi circa un mese dopo, il 7 settembre, al professor Monaci prospettandogli i criteri adottati per l'ortografia vocalica e consonantica del dialetto girgentino e assicurandolo d'essere giunto alla fine della mia dissertazione di laurea, ma soprattutto cercando, tramite lui, di riconquistare la fiducia del Foerster. Gli dicevo che speravo, con la presentazione del mio lavoro, di riottenerne la stima perduta «a cagione della mia ultima malattia e d'uno spiacevole malinteso». Così affermavo, e mi dilungavo ad attribuire tutte le mie sventure alla diserzione involontaria dal malaugurato invito a pranzo, e imbastendo, infine, un altro progetto, al momento del tutto inattuabile, di un incarico per me di lector di italiano presso l'università di Lipsia dove in quel momento sapevo essere il Foerster. Insomma, per concludere, quegli ultimi mesi del 1890 io li passai a recuperare il tempo perduto e a studiare accanitamente. Ma quando, nel cuor della notte, le dolci dita di Jenny all'improvviso si posavano sui miei occhi distraendomi dallo studio... oh come tutto mi si tingeva del colore dell'amore! In quegli intervalli di serenità vissi, più che scriverla, la mia Pasqua di Gea. - Maestro, come, malgrado tutto, le Sue parole riescono a rasserenarci quand'Ella ripercorre quei giorni felici prima della laurea. - Presentai la mia tesi alla Philosophische Fakultät il 28 gennaio 1891 e l'accettazione mi pervenne il 7 febbraio. Foerster finalmente consentì, non senza farmelo pesare, che io fossi considerato a tutti gli effetti sodalis ordinarius della sua Seminarübung per i due semestri canonici, mentre io ne avevo trascorsi in realtà tre e con una presenza che era stata quel che era stata. I risultati della prova di ________________________________________________________________________________ La capacità di recupero e l'impegno che il giovane seppe allora dimostrare, preparando tra la fine del semestre estivo e l'inizio di quello invernale, il suo lavoro sulla fonetica del dialetto girgentino dovette apparire all'ormai scettico Foerster una sorta di miracolo tipicamente italiano. E in effetti la dissertazione stampata ad Halle an der Saale ebbe la recensione assai lusinghiera del Meyer-Lübke in «Literaturblatt für germanische und romanische Philologie», XI, 1891, p. 375, e quella dello Schneegans in «Zeitschrift für romanische Philologie», XV, 1891, p. 571-74, il quale, in verità, dovette impegnarsi soprattutto a difendere le proprie tesi criticate dal siciliano «in modo veramente polemico e troppo soggettivo» (Adank, op. cit., p. 84). I primi a mettere in luce l'interesse e il valore del Pirandello filologo furono G. Cocchiara, La tesi di laurea di Luigi Pirandello, in «Retroscena», XV, 2, febbraio 1937, p. 39-40, e poi soprattutto G. Piccitto, Schizzo di storia della dialettologia siciliana, in «Bollettino storico catanese», V, 1940, p.43-65. Ma la vera rivalutazione avverrà molto tempo dopo con lo studio di G. Nencioni, Pirandello dialettologo, premesso alla ristampa anastatica della tesi di laurea, ed. Marlin, Pisa 1973. Ricorderò, per il loro rilievo, i contributi di M. Spampinato Beretta, Pirandello filologo romanzo, in Letterature e lingue nazionali e regionali, Studi in onore di N. Mineo, Il Calamo, Roma 1996, p. 461-490; S. Covino, Pirandello e Monaci: tra filologia e linguistica italiana, in «AnticoModerno», 4, 1999, p. 285-318; M. Castiglione, Pirandello e la metafonesi. Due lettere inedite da Bonn, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, tip. Luxograph, Palermo 2004 (ora anche in www.academia.edu). Le due lettere da Bonn a Gaetano Di Giovanni pubblicate dalla Castiglione, la prima dell'agosto 1890 e la seconda del novembre successivo, confermano che la stesura della tesi avvenne entro quelle date. 9 laurea risentirono dunque delle mie precedenti traversie (chiamiamole così): pur con tutto l'impegno profuso nell'ultimo Wintersemester, e pur riconoscendomi le qualità di observatione accurata et docta expositione, nel diploma il giudizio sulla dissertazione era probabilis, e quanto al risultato del famigerato Staatsexamen, un semplice rite superavit e nulla di più. – Una ulteriore ragione perché io non attendessi oltre a lasciare definitivamente e senza rimpianto quell'università, malgrado il dolore del distacco dalla mia Jenny. - Finalmente, caro Maestro, siamo al definitivo chiarimento di una vicenda che aveva intrigato fortemente schiere di studiosi, esegeti e filologi suoi ammiratori! - Se non l'avessi affrontato io, chi mai dei miei illustri studiosi, esegeti e filologi, come lei me li ha elencati, si sarebbe accostato all'argomento? – Ma ora parliamo d'altro. - Già, Maestro, della questione del giapponese... - A pensarci bene, se non fosse stato per lui, non starei qui a rievocare quell'anno e mezzo trascorso a Bonn. Vorrei però sapere prima di tutto chi è stato quel bello spirito che s'è presa la briga di fare questa ricerca speciosissima... - È stato per così dire un felice connubio nippo-tedesco: – Lei conosce, caro Maestro, il professor Hirdt, uno dei suoi migliori studiosi in Germania e profondo cultore della sua opera, che ha ricoperto a Bonn con sommo merito la cattedra che fu del Foerster? Orbene egli aveva avuto occasione di donare al professor Kreiner, suo collega all'università, quel libro che aveva avuto tanto successo e due successive edizioni, Bonn im Werk von Luigi Pirandello, al quale era aggiunta un'appendice di testi, tra cui naturalmente la Gita a Kessenich. - ...mai immaginando lo sconquasso che ne sarebbe seguito. - Come ha fatto a indovinare? Effettivamente nell'animo dl professor Kreiner quand'ebbe letto di quell'incontro col giapponese, cominciò un rovello, un desiderio di conoscere, di esplorare... - Gliel'ho detto: il solito sconquasso, pirandellite acuta! - Accadde che la consultazione degli elenchi degli studenti iscritti nei due anni 1889 e 1890 permise di individuare tre studenti giapponesi immatricolati. Escluso il terzo, la cui data di immatricolazione era il 29 gennaio 1890, cioè tre giorni dopo il fatidico incontro, rimanevano gli altri due, Inazo Nitobé e Masakichi Miyazaki, entrambi con una loro storia particolare. Il primo, Inazo Nitobé, era figlio di uno degli ultimi esponenti della grande feudalità Daymiô ormai in dissoluzione. Spirito in___________________________________________________________________________________________ Nella Vita scritta dallo stesso laureando per la Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doctorwürde è detto: «Insigni Foersteri comitate factum est, ut in seminarium eius philologicum reciperer, cuius per duo semestria fui sodalis ordinarius». Nel diploma di laurea il Rector Magnificus Hüffer dichiara solennemente: «In virum ornatissimum Ludovicum Pirandello, siculum, postquam examina rite superavit et dissertationem lingua vernacula scriptam, cui titulus est Laute und Lautentewickelung der Mundart von Girgenti observatione accurata et docta expositione probabilem exibuit, ex decreto ordinis summos in philosophia honores doctorisque nomen iura et privilegia contuli conlataque esse testor in eiusque rei fidem has litteras ordinis philosophorum sigillo sanciendas curavi. Datum Bonnae die XXI mensis martii MDCCCLXXXXI» (riprodotto in“Peppino mio” lettere di Luigi Pirandello a Giuseppe Schirò (1886-1890), cit.). Adank in proposito osserva: «Sono due giudizi non tanto favorevoli in sé per Pirandello. Considerando però che egli era l'unico italiano che si presentava agli esami tedeschi in quell'anno, e ciò ancora dopo soli tre semestri a Bonn, questi giudizi son piuttosto una lode per lui» (op. cit., p.82). Un'ultima ossevazione ci sia consentita su quel Ludovicus, che non è l'Aloysius che avrebbe richiesto un corretto latino: come dire che anche nelle dottissime università della Germania imperiale si poteva incorrere in grossolani errori. Viene per ultimo ripreso il tema già accennato all'inizio, dal professor Kreiner trattato nel suo Pirandellos Endenischer Japaner, in Heitere Mimesis, cit., p.217-29. A lui chiedo ancora una volta scusa per la dimostrata insensibilità dello Spirito alla questione. 10 quieto e curioso come tutta la gioventù giapponese di quell'epoca, che risentiva fortemente dei cambiamenti imposti alla loro cultura dal contatto con la civiltà moderna europea, aveva soggiornato in America del nord e a più riprese in Germania, frequentando non solo l'università di Bonn, ma anche quelle di Berlino ed Halle, dove si laureò con una tesi sull'evoluzione dell'economia agricola giapponese nel trapasso dalla feudalità alle prospettive per un nuovo diritto agrario. Convertitosi al cristianesimo e sposato a un'americana, pubblicò nel 1899 un libro in lingua inglese, Bushido, the soul of Japan, un'interpretazione dell'etica samurai a confronto con le religioni e con l'etica dell'occidente, suscitando grande interesse e numerose edizioni. Ebbe presto posizioni di rilievo nell'università di Tokyo (1906-1913) e fece poi parte della missione nipponica a Versailles nel 1918 per i trattati di pace dopo la prima guerra mondiale. Nella Società delle Nazioni ricoprì a Ginevra la carica di vice capo della delegazione del suo paese fino al 1926. Nominato membro della Camera Alta giapponese, morì nel 1933 nel corso di una missione in Canada per il Congresso Pan-Pacifico. Una sua effigie è incisa sulle banconote da cinquemila yen. - Non riesco a riconoscerlo sulla banconota che lei mi mostra, perché l'immagine non è certamente dell'età giovanile in cui io, se fosse davvero lui, lo incontrai una sola volta. Mi faccia piuttosto la storia dell'altro giapponese. Mi sto divertendo. - La storia di Masakichi Miyazaki è molto più semplice perché non ebbe l'eminente carriera di Nitobé. Nacque nel 1864 nella città di Saga nell'estremo nord ovest del Giappone (isola di Kyushu); studiò a Bonn e a Lipsia prima di rientrare in patria nel 1891. Ivi seguì la strada paterna impegnandosi nell'ammodernamento dei servizi bancari e creditizi. Si dedicò anche con successo al commercio e all'esportazione della soya e dei suoi derivati. Morì nel 1950, ma la data non è sicura. - Ci sarebbe dunque solo l'imbarazzo della scelta. Del mio giapponese ricordo la ricercatezza nel vestire secondo la moda di Parigi, il cappello a bombetta grigioperla, la sua faccia rancia di vecchia cartapecora. Ma quale dei due? Il mio cane Mob, abituato alla socievolezza, gli era corso dietro per saltargli addosso, com'era nelle sue abitudini festaiuole, ma il giapponese, temendo gli sporcasse l'abito, l'allontanò bruscamente. Fu così, per via di Mob, che facemmo conoscenza e un pezzo di strada assieme. - Non c'è proprio modo, tra tanti riferimenti, trovare una connessione, un indizio?... - Amico caro, ci provi lei! Io già sto perdendo la pazienza a questo giuoco senza costrutto. Ah, ecco, lo chieda a Mob, che di sicuro l'avrà annusato per bene. Dicono che i cani hanno una grande memoria olfattiva. ELIO PROVIDENTI