Storia di un Nonno
Tra leggenda e realtà, senza pretesa di verità
Chi non conosce la propria storia, nella sua vita sarà sempre un bambino!
Afferma Cicerone
Chi scrive la propria storia partendo da ipotesi fantasiose, è un bambino che si diverte!
Ironizza Marco
A cura dei tre nipoti conosciuti dal Nonno,
Marco, che scrive
Laura e Claudio, che integrano e correggono
Novembre 2020 - Giugno 2023
Storia di un Nonno
1
Indice
Premessa
Futili Domande e Pedanti Precisazioni
Genealogia
Principali Località
Leggenda Familiare
IX a.C.-I d.C Etruschi originari di Statonia
Sovrapposizioni Territoriali
Memorie Familiari
1000-1649 Abitanti dell'antica città di Castro
Memorie familiari
Illazioni Familiari
1649-1700 Guardiacaccia nel Feudo San Martino
Memorie familiari
Sincronismi Temporali
1700-1925 Proprietari del Podere Le Farine
1700-1860 Proprietari di Palazzo Gentili
Dissonanze di Palazzo
Memorie familiari
Illazioni Familiari
Dalla Leggenda alla Storia
4
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65
70
Memorie Familiari
Illazioni familiari
70
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Storia Familiare
110
1896-1915 Infanzia e adolescenza a Viterbo
1915-1918 Volontario per la I Guerra Mondiale tra Dolomiti e Albania
1918-1921 Studente Universitario a Roma
1919-1920 L'incontro con Angela
1921-1926 Primi Lavori a Firenze
1921-1926 Ufficiale dei Pompieri per il Comune di Firenze
1921-1926 Assistente per lo Studio Tecnico Squarcialupi
1926-1928 Direttore dei Lavori a Roma per l'Impresa Tudini-Talenti
1926-1928 Convitto Principe di Piemonte ad Anagni
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132
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2
1928-1932 Direttore dei Lavori a Roma per la Società Puricelli
1929-1930 Opere di bonifica nel territorio di Maccarese
1930-1931 Autodromo del Littorio a Roma
1930-1932 Ponte Salario e Via Salaria nel tratto Rieti-Antrodoco
1932-1935 Direttore dei Lavori a Cosenza per l'Impresa Parrini
1932-1935 Opere di bonifica nella Valle Media del Crati
1935-1940 Direttore dei Lavori a Roma per l'IAFCP
1935-1037 Case Popolari a Fiumicino
1936-1939 Borgata di Primavalle a Roma
1940-1944 Richiamato per la II Guerra Mondiale tra Trani e Roma
1942-1944 L'addio ad Angela
1940-1944 Maggiore del Comando del Genio
1942 Lavoretti in Proprio a Roma
1943-1944 Partigiano a Roma
1943-1944 Reparto Fronte clandestino di resistenza di Roma
1945-1958 Dipendente IACP e Imprenditore a Roma
1945-1958 Ingegnere Capo Sezione a Roma dell'IACP
1946-1949 Imprenditore con l'Associazione Gentili-Valci
1952-1956 Insegnante di Fisica
1956-1958 Imprenditore con la Società Pietro d'Assisi
1958-1965 Dipendente IACP a Roma e Consulente in giro per l'Italia
1958-1961 Capo Divisione a Roma dell'IACP
1961-1963 Consulente a Roma per l'IACP
1962-1965 Studio Tecnico Dr. Ing. Gentili Claudio
1962-1964 Malato
1965-1967 Direttore dei Lavori dell'ultimo cantiere a Ostia Antica
1967 Ancora a Caccia
1967 Testamento
1968 Diario
1/1/1968 - 7/1/1968, Tutte le annotazioni
8/1/1968 - 23/6/1968, Estratto delle annotazioni
24/6/1968 - 30/6/1968, Tutte le annotazioni
1/7/1968 - 20/5/1969, Epilogo
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3
Premessa
Ciao Nonno, spero non ti dispiaccia se ho frugato tra le tue "carte";
l'ho fatto per cercarti e, contento, sorpreso, emozionato, a volte perfino turbato, ti ho ritrovato!
Sì Nonno, sono cresciuto, adesso
sono vecchio come te! Lo sai che
sono diventato più alto di te? Di
ben 5 centimetri rispetto ai tuoi
188 cm (certificati dalla tua ultima Carta d'Identità), sono arrivato a 193 cm. Mi segue a ruota Luca con i suoi 190 cm;
Claudio è invece rimasto un
tappetto di soli 185 cm.
"Chi è Luca?", mi chiederai leggendomi. Nonno, scoprirai chi è
Luca proseguendo nella lettura
di questo sproloquio, perché lo
leggerai tutto vero? Così saprai
anche di Cristina, una spilungona di 180 cm, che sul fronte
femminile ha battuto Laura,
fermatasi a 173 cm.
Nonno, mi sono immerso per
due mesi nelle tue "carte", spulciandole, leggendole, riordinandole, con quella stessa meticolosità che ho scoperto t'appartiene. Tra le tue "carte" ho ritrovato quello che mi
hai raccontato. Eppure - ricordi? -non mi hai mai detto chi era Biagio Paffetti,
né quando ti sei sposato con nonna Angela, però le sue foto me le hai mostrate.
Ho anche rimaneggiato e fotografato tutti i tuoi oggetti, quelli che mi hai regalato da bambino e gli altri che mi sono arrivati da adulto, per il tramite dei tuoi
figli, Vittorio e Bruno, e di tuo nipote Claudio, il figlio di Aldo. Così ho recuperato quello che di te ricordavo.
Nonno, mica t'offenderai quando leggendomi scoprirai che t'appello "magnone e
beone"? Lo sono anch'io, del resto me lo hai insegnato proprio tu all'osteria di via
Candia! Ho continuato a gozzovigliare come te, continuando a frequentare i
tuoi luoghi del cibo preferiti che mi hai fatto conoscere bambino, almeno finché
sono esistiti: la salsamenteria Franchi a Via Cola di Rienzo , la Birreria Peroni a Via
Terenzio, ed i ristoranti Ferrantelli, ad Ostia, e la Pergola, ad Ostia Antica.
Storia di un Nonno
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Nonno, ti ho inseguito nei luoghi che hai amato, dove hai lavorato, dove hai vissuto, venendoti a cercare tra le rovine dell'antica città di Castro, a San Lorenzo
Nuovo, a San Martino al Cimino, a Viterbo, alle Farine, nelle trincee in cima al
Col di Lana sulle Dolomiti, nelle case popolari di Fiumicino, al Convitto Principe di Piemonte di Anagni, ad Ostia Antica, all'Orto e a Roma. Sì, lo so, ancora non sono stato sulle tue tracce a Firenze, Anagni, Orvieto, Cosenza, ma non
temere ti cercherò anche lì, prima o poi.
Nonno, ho scoperto qualcosa di quello che di te non sapevo. Ho percepito il tuo
impegno e la tua deontologia nel lavoro, con soddisfazione posso dirti di essere
riuscito ad assomigliarti anche in questo. Ti ho perfino rivisto nelle foto che mi
ha inviato Alessandro Guarnacci, sì, lo so, non lo conosci, scoprirai chi è sempre
continuando a leggere il seguito di questa storia. Chissà se queste foto le hai mai
viste? Sei pure finito sui giornali, lo sapevi?
Ma la cosa più pazzesca, incredibile, assurda, è stato il vederti camminare, mentre scrivevo questa storia nel dicembre del 2020, fiero della tua opera, all'inaugurazione della Borgata di Primavalle, in un cinegiornale Luce del Giugno del
1938.
Non tengo un diario come te Nonno, ma, solo per oggi, voglio fare un'eccezione
e riportare le annotazioni di questa giornata come avresti fatto tu, adottando il
tuo stile.
Giovedì 24 dicembre 2020
Sveglia ore 8:30. Temperatura 10°. Cielo velato, qualche goccia di pioggia.
Alle 9:50 mi ha messaggiato su WhatsApp Luca che è andato a fare spesette. Dovevo andare anche io, ma pensavo di non poter uscire per il COVID.
Alle 10:00 ho sentito Laura che è a Ostia Antica, nei pressi della trattoria la Pergola.
Sono rimasto a casa tutto il giorno, a scrivere.
A Pranzo minestrone di verdure, pan pepato, con Sabina, la mia compagna.
Saltato il pisolino pomeridiano. Ho ricominciato a scrivere. Fumato un Toscano
originale selected. Bevuto un bicchierino di Rum.
Ho completato la scrittura della "Storia di un nonno". Lavoro ben riuscito.
Alle 18:30 fatti gli auguri di Buon natale agli amici su WhatsApp. Stasera saltiamo la merenda. Peccato.
Alle 20:00 visto il telegiornale.
Cena con deliziosa arista di maiale all'arancia, cavolfiore lesso, pizza di piazza.
Alle 21:30 a letto a vedere la Tv. Poi a nanna.
Storia di un Nonno
5
Visto che siamo alla seconda edizione della "Storia di un Nonno" è inevitabile aggiungere l'annotazione della fine della complessa revisione della prima edizione.
Mercoledì 28 giugno 2023
Sveglia ore 7:30. Temperatura 22°. Cielo limpido, caldo afoso.
Alle 9:00 ho fatto colazione con l'amico Paolo, al solito baretto. Tè freddo al limone.
Alle 10:00 spesette, poi sono tornato a casa, e mi sono rimesso a scrivere e correggere.
A Pranzo misto di verdure alla griglia, con Sabina, la mia compagna. Saltato il
pisolino pomeridiano. Ho ricominciato a scrivere.
Alle 15:'00 messaggiato u WhatsApp con Claudio, per inviargli l'ultima parte
inserita sulle lezioni di fisica del Nonno.
Alle 18:30 ho completato la revisione della "Storia di un Nonno". Un lavoro faticoso che mi continua ad emozionare da ormai quasi tre anni, ma che in realtà è
cominciato nel 2007 con la scrittura di "Storia di una storia mai raccontata".
Alle 18:30 invitato amici per un sigaro toscano in terrazzo e relativa merenda.
Alle 20:00 visto il telegiornale.
Cena con piselli allo speck e mozzarelline affumicate.
Alle 10:00 a letto a vedere la Tv. Poi a nanna.
Storia di un Nonno
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Futili Domande e Pedanti Precisazioni
Chi è il Nonno in questione?
È Claudio Gentili, nato a Viterbo il 17 aprile 1896, morto a Roma il 9 ottobre
1968, di seguito, nella maggior parte dei casi, semplicemente indicato come il
"Nonno" con la maiuscola.
Chi potrebbe essere interessato a leggere la "Storia di un Nonno"?
La lettura è consigliata:
• ovviamente a chi abbia contezza d'essere in qualche modo imparentato con
il Nonno;
• come anche a chi dovesse fare di cognome "Gentili" ed essere originario del
viterbese, in particolare di una delle seguenti località: Viterbo, Le Farine,
San Lorenzo Nuovo, San Martino al Cimino;
• ancora a chi facendo di cognome "Paffetti", o "Saveri", o "Montebovi", o "Manni", o "Valci", o "Cecconi", o "Medori", sia in qualche modo legato ad una Famiglia Gentili o ad un Ingegner Claudio Gentili;
Allo stesso tempo la lettura potrebbe interessare chiunque, pur non legato ad
una famiglia "Gentili", sia curioso di una vita "figlia dei suoi tempi":
• vissuta in Italia, a cavallo di due Guerre Mondiali, dipanatasi tra Monarchia,
Fascismo, Resistenza e Repubblica;
• da un Ingegnere edile, all'epoca pochi lo erano, che lavora come Direttore dei
Lavori, prima per società private (Tudini-Talenti, Puricelli, E. Parrini), e successivamente per l'Istituto Autonomo Case Popolari (IACP), costituito nel 1903, presente in ogni provincia, per la costruzione, e successiva gestione, di alloggi
popolari a beneficio delle classi meno agiate;
• che collabora a lungo con l'architetto Alberto Calza Bini, che è uno dei principali attori in Italia della svolta modernista dell'architettura, conseguente
allo sviluppo delle società industriali, alla rapida crescita dell'urbanizzazione
ed alla reazione alle devastazioni della I Guerra Mondiale, che, negli anni
'20 e '30 del secolo scorso, diviene in Italia un'architettura rappresentativa e
monumentale del regime fascista;
• impegnato in cantieri disseminati per tutto il territorio nazionale inerenti: il
Convitto Principe di Piemonte ad Anagni; la bonifica di Maccarese; l'ormai
sconosciuto Autodromo del Littorio, all'interno di quello che è oggi l'Aeroporto dell'Urbe, a Roma sulla via Salaria; la bonifica della valle media del
Crati, vicino Cosenza; le case popolari di Fiumicino e della Borgata di Primavalle, a Roma.
Storia di un Nonno
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Chi racconta la storia del Nonno, tra leggenda e realtà, senza pretesa di verità?
È inevitabilmente uno dei nipoti, Marco, il più grande, che quando il Nonno
muore ha 10 anni e mezzo; maschio per giunta, cosa che, considerando gli standard del tempo, per cui le bambine stavano con le nonne ed i bambini con i
nonni, è per questo avvantaggiato dalla maggiore quantità di memorie dirette
dell'interazione con il Nonno.
Marco si è avvalso dell'aiuto, per correzioni ed integrazioni, datogli dagli altri
due nipoti che il Nonno ha avuto modo di conoscere: Laura e Claudio.
Un Nonno che non si ha remore a definire omertoso, per quanto concerne le
"memorie familiari", tratto caratteriale ereditato da tutti i suoi tre figli, nei confronti
dei quali, in assenza di uno snodo di mediazione femminile, conseguente alla
prematura morte della moglie Angela, si è rivelato essere un padre-padrone rigido ed autoritario, come tipico degli uomini nati alla fine dell'800. Per questo
non ha senso giudicarlo secondo gli attuali criteri di correttezza, anche se, parlando di relazioni familiari, nemmeno si può fare pieno affidamento sulla sua
retorica magniloquente ben espressa in certi suoi fraseggi, come anche dall'incipit delle registrazioni delle lezioni di fisica fatte per uno dei figli.
Questa pervasiva omertà familiare ha permesso di svelare, solo dopo la morte
dei figli, tratti della vita del Nonno, (che avesse una sorella morta prematuramente, quando si fosse sposato, chi fosse il suo antenato Biagio Paffetti, cosa legasse la Famiglia Gentili a Donna Olimpia Maidalchini, che fosse partito volontario per la I Guerra Mondiale ancora non maggiorenne, cosa gli permettesse di
appellarsi amico del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, dove e a
quali opere avesse lavorato), pur senza riuscire a rispondere a molte altre domande, a cominciare dal quando e perché della mitica perdita delle proprietà
terriere della Famiglia Gentili in Località Le Farine.
Come sostiene la nipote Laura, forse è ancora il Nonno che, anche dopo più di
50 anni dalla sua morte, ha scelto quali verità svelare, su quali altre continuare a
tacere: quello che è arrivato ai nipoti, scritti, fotografie, documenti, oggetti, potrebbe anche essere interpretato come un'autorappresentazione del Nonno, realizzata grazie ad un'accurata selezione di "memorie familiari" per i posteri.
La separazione dei retaggi familiari per linea maschile e femminile, inevitabilmente giunto fino alla generazione dei nipoti del Nonno, è quello che porta al
cautelativo sottotitolo adottato per la "Storia di un Nonno": "Tra leggenda e realtà,
senza pretesa di verità".
Come anche alla precisa scelta di non addentrarsi nello specifico delle relazioni
familiari del Nonno, con i propri genitori, la moglie, i figli e le nuore, limitandosi
ai fatti più possibile oggettivi perché legati ad evidenze oggettive di quello in cui
si è impegnato nel corso della sua vita.
Storia di un Nonno
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Cosa distingue le "memorie familiari" dalle "illazioni familiari"?
Nel muoversi tra leggenda e realtà, per tentare di ricostruire la storia del Nonno
e della sua famiglia, di seguito è nettamente marcata la distinzione tra:
• "memorie familiari", oggettivate da documenti, fotografie, oggetti, o almeno
racconti del Nonno, reiteratamente da lui fatti a più persone tra i suoi discendenti;
• "illazioni familiari", che esulano e trascendono il confine delle "memorie familiari", ma appaiono potenzialmente correlabili a queste memorie, essendo caratterizzate da plausibilità e coerenza con i fatti certi.
Cosa sono le "carte del Nonno"?
Con questa perifrasi di seguito mi riferirò all'insieme di variegati frammenti a
supporto delle "memorie familiari" arrivati ai nipoti, costituiti da carte, in senso
proprio, ed oggettistica varia:
• documenti, appunti manoscritti o dattiloscritti, fotocopie, diari, libri;
• foto, cianografie, disegni, quadri e due album fotografici, il primo sui lavori
eseguiti come ingegnere e Direttore dei Lavori dal 1926 al 1938, realizzato
verso il 1940; l'altro sulla creazione, dal 1958 al 1967, del nuovo Podere Le
Farine a Ostia antica, la cui realizzazione si completa nel 1968;
• penne e portapenne, medaglie e piastrine militari, orologi, e perfino la reliquia di un santo;
• forbici, posate, tra cui un cucchiaio con le iniziali "B. P.", e piatti;
• righelli e squadre, compassi e goniometri, regoli calcolatori, calcolatrici
meccaniche manuali;
• carte da gioco, scacchi e scacchiere, dischi, nastri magnetici di registrazione, francobolli registratore geloso, fonovaligia.
Quando sono entrato in possesso delle "carte del Nonno?
In quattro momenti distinti:
• nel periodo 1963-1967, ricevendole direttamente dalle mani del Nonno,
che, nel bambino appassionato di matematica che già dimostravo d'essere,
proiettava la sua frustrata ambizione di generare una genia d'ingegneri;
• nel 1968, appena dopo la morte nel Nonno, avendone una piccola parte,
essenzialmente parte dell'oggettistica, da mio padre Vittorio, il suo primo
figlio;
Storia di un Nonno
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• nel periodo 1996-1999, ottenendole da Franca, la moglie di Bruno, il secondo figlio del Nonno, che era rimasto su una sedia a rotelle a seguito di
un ictus e la cui coscienza stava lentamente iniziando ad evaporare; processo che si completerà nel 2010, anche se Bruno morirà solo due anni dopo
nel 2012; dopo la morte del Nonno, Bruno ha vissuto per qualche anno
nella casa paterna di Via Crescenzio 19 a Roma ed ha ereditato il Podere Le
Farine ad Ostia Antica, residenze in cui si trovava la maggior parte dell'oggettistica legata al Nonno;
• nel periodo 2006-2007, ritrovandole nella cantina della casa di mio padre
Vittorio, il primo figlio del Nonno, che procedo a svuotare, dopo la sua
morte appena avvenuta, per tornare ad abitare in questa casa;
• nel periodo 2000-2023, ricevendole da mio cugino Claudio, dopo la morte
del Padre Aldo, il terzo figlio del Nonno, principalmente inerenti l'impegno
del Nonno come insegnante di fisica, alcune sue caricature e le foto di Aldo
da piccolo.
Da dove provengono le immagini disseminate nella "Storia di un
Nonno"?
Le immagini in bianco e nero sono estratte dalle "carte del Nonno", scannerizzate da chi scrive, ad esclusione di quelle gentilmente fornitemi da Alessandro
Guarnacci, Presidente dell'Associazione Primavalle in rete, relative all'inaugurazione
della Borgata di Primavalle, e di quelle recuperate nel WEB inerenti:
• la chiesa di Santa Maria delle Farine, a circa 3 km da Viterbo;
• il Palazzo Gentili, a Viterbo;
• il paese di Civita di Bagnoregio, ed in particolare i lavori al suo ponte;
• il paese di San Lorenzo Nuovo, in particolare la piazza Europa;
• gli ottocenteschi documenti d'archivio che rimandano agli antenati del nonno, Biagio Paffetti e Nazzarena Paffetti;
• l'Aeroporto del Littorio visto dall'alto, ed in particolare il biplano pilotato da
Tazio Nuvolari ed il Ponte Salario.
Le immagini a colori sono scattate da chi scrive, ad eccezione di quelle recuperate nel WEB inerenti:
• le mappe di distribuzione dei cognomi (www.cognomix.it, dati 2018) e nomi
(www.nomix.it, dati 1980) in Italia;
• tutte le località viste dall'alto, ottenute tramite Google Earth;
• la patera Etrusca con iscrizioni in etrusco falisco, custodita nel Museo Nazionale di Valle Giulia a Roma;
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• il busto di Donna Olimpia in marmo di Carrara del 1650, del bolognese
Alessandro Algardi, custodita a Palazzo Doria Pamphili a Roma;
• il paese di San Lorenzo Nuovo, in particolare la piazza Europa;
• il Convitto Principe di Piemonte ad Anagni;
• il ponte ferroviario in ferro sul torrente Cocchiato;
• la casa di via Pietro d'Assisi in Roma;
• la palazzina a Villa Fiorelli in Roma;
• la fonovaligia RCA;
• il registratore Geloso.
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Genealogia
Lo schema genealogico seguente aiuta ad orientarsi all'interno della piccola parte di Famiglia Gentili di cui si ha notizia, diretta conseguenza di quello che chi
scrive ha sempre definito l'atteggiamento omertoso della famiglia su se stessa,
constatando l'adesione a questo atteggiamento del Nonno e di tutti i suoi tre figli. Lo schema genealogico è realizzato identificando ogni persona con una riga:
• la riga inizia con il Nome e Cognome (non riportato per gli eredi del nonno);
• il livello d'indentazione del Nome e Cognome codifica la generazione, dalla
più antica (1, minore indentazione) alla più recente (7, maggiore
indentazione);
• se la riga pertinente ad un uomo componente della Famiglia Gentili (indicato
solo con il Nome) è seguita, allo stesso livello d'indentazione, da quella riferita
ad una donna con un cognome diverso da Gentili, questa va intesa come moglie della persona che la precede ed eventuale madre delle persone a lei immediatamente sottoindentate ed elencate in ordine dal primogenito all'ultimo;
• dopo il Nome e Cognome, tra parentesi, sono indicate le date di nascita e
morte; la presenza di un punto interrogativo dopo la data distingue quella che
è un'ipotesi, da quella che, in assenza di punto interrogativo, è una certezza; a
seguire possono esserci notazioni per meglio identificare la parentela;
• la riga finisce evidenziando il legame di parentela della persona in questione
con il Nonno, la cui riga è evidenziata in rosso.
Per completezza, allo scopo di facilitare agli eredi del nonno la comprensione
dei legami parentali con gli avi, sono complessivamente contemplate 7 generazioni (quella del Nonno è la generazione 4): dalla più lontana di cui si abbia
qualche memoria (generazione 1, dei bisnonni del nonno) sino all'ultima (generazione 7, dei pronipoti del nonno) che, essendo composta di due donne, Clelia
ed Aurora, estingue la genealogia della Famiglia Gentili per quanto concerne il
ramo facente capo al Nonno. In ogni caso la narrazione della storia del Nonno
pertiene solo alle generazioni più antiche (generazioni 1-4), limitandosi, per
quanto riguarda le successive, alla sola citazione delle nascite dei figli (generazione 5) e dei nipoti (generazione 6). Queste 7 generazioni possono essere schematicamente correlate ad intervalli di 30 anni, assumendo che l'intervallo intergenerazionale sia di 30 anni, intendendo con questo l'età del genitore alla nascita del primo figlio sopravvissuto sino all'età adulta (data l'elevata mortalità infantile nell'800) così da poter lasciare tracce, come di seguito evidenziato:
1
2
3
4
5
6
7
1800
1830
1860
1890
1920
1950
1980
Generazioni
2010
Anni
In questo modo la generazione del Nonno, nato nel 1896, evidenziata in rosso,
è temporalmente riferibile ai nati nel periodo che va dal 1890 al 1920.
Storia di un Nonno
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1800
1830
1860
1890
1920
1950
1980
1
2
3
4
5
6
7
2010
Biagio Paffetti (1800?-dopo il 1870?) padre di Nazzarena
Anni
Generazioni
bisnonno
Luigi Saveri (1830?-dopo il 1885?) padre di Vittoria
nonno materno
Nazzarena Paffetti (1830?-tra il 1915 ed il 1922)
nonna materna
Luigi Gentili (1830?-1894?) padre di Raffaele
nonno paterno
Moglie Sconosciuta (1830?-dopo il 1870?)
nonna paterna
Raffaele Gentili (1860?-1923?)
padre
Vittoria Saveri (1860-12/7/1922)
madre
Annunziata Gentili (1893-17/2/1915)
sorella
Claudio Gentili (17/4/1896-9/10/1968)
protagonista
Angela Montebovi (16/6/1901-22/5/1944)
moglie
Vittorio Gentili (17/1/1924-20/5/2006) I figlio
Teresa Medori (14/4/1927-16/6/2004) I nuora
Marco (5/5/1958)
Clelia (22/11/1996)
Laura (21/7/1959)
I pronipote
II nipote
Bruno Gentili (18/2/1928-10/1/2012)
II figlio
Franca Milani (1928)
III nuora
Aldo Gentili (31/1/1933-20/11/1999)
III figlio
Anna Quinzi (11/6/1937)
II nuora
Claudio (2/6/1963)
III nipote
Cristina (29/11/1970)
IV nipote
Luca (27/12/1971)
V nipote
Aurora (12/12/2007)
Pietro Gentili (1870?-?) fratello di Raffaele
Ugo Gentili (1910-1946)
II pronipote
zio
cugino
Paolo Gentili (1934-?)
figlio cugino
Marilin Gentili (?-?)
figlia cugino
1
2
3
4
5
6
7
1800
1830
1860
1890
1920
1950
1980
Storia di un Nonno
I nipote
2010
Generazioni
Anni
13
Principali Località
San Martino
al Cimino
La seguente mappa della Provincia di Viterbo, aiuta ad individuare i diversi luoghi in cui si dipana la leggenda e comincia la storia familiare, permettendo di
constatarne la prossimità.
Storia di un Nonno
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Leggenda Familiare
La leggenda del Nonno riguarda la Famiglia Gentili (termine in
"corsivo" con cui ci si riferisce esclusivamente alla famiglia del
Nonno, le altre "famiglie Gentili" che s'incontreranno nella narrazione, di cui non è documentato il legame con la famiglia del Nonno,
saranno indicate "non in corsivo").
Famiglia Gentili in cui il Nonno ha svolto, o forse, meglio, ha pensato di svolgere, il ruolo di patriarca, nel senso più antropologico del
termine. Proprio per questo, divenuto l'uomo primogenito più anziano dei vari gruppi di discendenza (secondo la tipica organizzazione patrilineare), ha concentrato nelle sue mani il potere, i beni
materiali e, sopratutto, la piena e indiscussa autorità su tutti i suoi
discendenti.
La leggenda familiare del Nonno, totalmente localizzata all'interno del territorio
della provincia di Viterbo (nella mappa della pagina precedente si ritrovano tulle
le località successivamente citate), si articola in diversi intervalli temporali che,
allo scopo di non lasciare interstizi temporali dopo l'anno 1000, possono schematizzarsi come segue:
• IX a.C. - I Secolo d.C.
Etruschi originari di Statonia;
• 1000-1649
Abitanti dell'antica città di Castro;
• 1649-1700
Guardiacaccia della Pimpaccia a San Martino;
• 1700-1925
Proprietari terrieri in località Le Farine.
Successivamente alla nascita del Nonno, nel 1896, inevitabilmente
la leggenda si trasforma in storia.
Storia di un Nonno
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IX a.C.-I d.C Etruschi originari di Statonia
Secondo il Nonno, la sua famiglia d'origine, la Famiglia Gentili, è di
stirpe etrusca e proviene dalla città di Statonia, edificata nell'entroterra dell'Etruria meridionale, quella che oggi è la Maremma laziale, tra le varie possibilità in prossimità dell'odierna città di Ischia
di Castro (12 km di distanza), in provincia di Viterbo (50 km di distanza).
Statonia è il nome latino, che la città ebbe dal III-II sec. a.C.. Non se ne conosce
con certezza il precedente nome etrusco, forse era nota come Staties o Statnes.
Anche la reale collocazione di Statonia è ancora oggi oggetto di discussione, diverse le ipotesi emerse, tra cui dagli anni '70 prevale l'identificazione con il sito
dell'antica città di Castro. Di questa collocazione il Nonno era certo: per lui sulle
rovine di Statonia, dopo secoli di abbandono, nell'Alto Medioevo (dal 476, la
caduta dell'Impero Romano d'Occidente, all'anno 1000), sorse la città di Castro.
Sovrapposizioni Territoriali
Il cognome del Nonno, Gentili, come anche le altre varianti Gentilini, Gentiloni,
Gentilotti, Gentilucci, Gentileschi, dovrebbe derivare dal nome medioevale Gentile o
da soprannomi legati al termine latino Gentilis, col significato di appartenente ad
una determinata Gens, ossia ad una stirpe intesa come gruppo di famiglie con
comune capostipite. In ambito biblico, il termine Gentilis designa tutte le genti
non giudaiche partecipi dei costumi e della cultura greca nel mondo romano, il
che equivale a pagani in opposizione ad israeliti e cristiani. In epoca romana, il
termine Gentile diviene sinonimo di straniero, non facente parte del popolo
romano (www.cognomix.it).
Tutto ciò collima con la leggenda familiare promulgata dal Nonno per cui la
famiglia sarebbe di origine etrusca, cosa che ho sempre orgogliosamente e presuntuosamente rivendicato!
Chissà se l'essere un portatore sano di anemia mediterranea (privo di sintomatologie ma con il rischio di generare con un altro portatore sano un figlio che ne
soffra), può avvalorare ulteriormente questa leggenda sull'origine etrusca. Mio
padre Vittorio, il figlio maggiore del Nonno, come medico mi ha avvertito del
rischio quando ho iniziato a pensare a mia volta di fare il padre. È stata quella
l'occasione in cui, oltre che scoprirmi essere un portatore sano di anemia mediterranea, mi è stata rivelata una traccia di questa malattia nella famiglia Gentili.
L'anemia mediterranea, un tempo chiamata microcitemia, o β-Thalassemia, dal
greco thalassa, che significa “mare", perché la mutazione genetica alla sua origine sembra essersi originata intorno al mar Mediterraneo e diffusa a partire dal-
Storia di un Nonno
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l'Asia Minore per il tramite dei viaggi di Fenici, Etruschi, Greci, protegge dalla
malaria, offrendo un vantaggio di sopravvivenza selettiva.
Per questo motivo l'anemia mediterranea si è diffusa soprattutto nei territori in
cui, fino alla metà del XIX secolo, è stata molto diffusa la malaria. In Italia
principalmente buona parte delle aree costiere, dove infatti la maggior parte dei
decessi per malaria avvenivano nelle regioni di Sardegna, Sicilia, Puglia, Calabria e sulla costa tirrenica del Centro Italia, ossia la maremma a cavallo tra Lazio e Toscana (Luigi Torelli, Carta della malaria dell’Italia, Firenze 1882).
Storia di un Nonno
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È evidente la buona sovrapposizione esistente in Italia tra i territori malarici e
quelli etruschi. L'area in cui vissero gli Etruschi tra il IX secolo a.C. e il I secolo
a.C., corrispondeva:
• originariamente (750 a.C.), all'incirca agli odierni territori di Toscana,
Umbria occidentale, Lazio settentrionale e centrale (Etruria);
• successivamente, in conseguenza dell'espansione etrusca (750-500 a.C.), si
aggiungono altri territori: verso nord, l'Emilia-Romagna, la Lombardia
sud-orientale e il Veneto meridionale (Etruria padana); al centro, la Corsica; a sud, parte della Campania (Etruria campana).
Storia di un Nonno
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Tornando al cognome Gentili, oggi
in Italia sono 3.570 le famiglie che
così si firmano (www.cognomix.it,
dati 2018), corrispondenti a circa
11.000 persone (il fattore di conversione da famiglie ad individui riportato sul sito cognomix è pari a 3).
Famiglie Gentili soprattutto concentrate nei territori del Centro-Nord,
all'incirca sovrapponibili a quelli
dell'Etruria, con un'importante nucleo nel Lazio, interessato da 1.161
famiglie (il 33%).
Di questi Gentili laziali, 166 famiglie
(il 3%) vivono nella provincia di Viterbo. In particolare, 80 famiglie (il
2%) vivono in luoghi riferibili a
quelli citati dalla leggenda o storia
familiare:
• 36 a Viterbo, dove il nonno è
inequivocabilmente nato;
• 25 intorno al lago di Bolsena,
in cui risiedevano parenti del
nonno;
• 12 nei dintorni dell'antica città
di Castro, che il Nonno ritiene
costruita sulle rovine dell'antica
città etrusca di Statonia, di cui
il Nonno, come si vedrà, si è
lungamente occupato;
• 7 in prossimità di San Martino
al Cimino, a 5 km da Viterbo,
feudo di Olimpia Maidalchini,
nota come Donna Olimpia,
principessa di San Martino al
Cimino, popolarmente detta la
Pimpaccia (Viterbo, 1591 – San
Martino al Cimino, 1657), di
cui il nonno eredita una lettera
a sua firma autografa datata 14
agosto 1647.
Storia di un Nonno
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Evidentemente questi dati analitici non provano nulla, semplicemente mostrano
le buone sovrapposizioni esistenti tra territori:
• malarici, per questo caratterizzati da una popolazione in cui è diffusa
l'anemia mediterranea, a fine XIX secolo, l'epoca della nascita del Nonno;
• etruschi, abitati da genti percepite come straniere dalla civiltà romana del
VI secolo a.C., sebbene da queste fortemente influenzata (dei mitici sette re
di Roma, ai primi 4, autoctoni, succedettero i successivi 3, etruschi);
• Gentili, in cui si concentrano le famiglie con questo cognome;
• legati alla leggenda familiare del Nonno, interamente collocata all'interno
della provincia di Viterbo.
Se questo non rende fondata la leggenda familiare degli antenati Etruschi originari
di Statonia inizialmente ascrivibile al Nonno e di certo amplificata dal suo primo
nipote Marco, lo scrivente, almeno la connota di coerenza interna, così rendendola almeno plausibile.
Memorie Familiari
Ovviamente non esistono evidenze oggettive tra le "carte del Nonno" che possano avvalorare la leggenda sull'origine etrusca della Famiglia Gentili, ma nelle memorie familiari rimane il vivido ricordo di un'ampia narrativa al riguardo:
• i racconti del Nonno e il suo entusiasmo nel rivendicare l'etrusco che allignava
in lui; non a caso è lui che porta la prima volta al Museo Nazionale Etrusco di
Valle Giulia chi ne scrive la storia;
• la sua passione per i
territori dell'Etruria, divenuti poi Tuscia Romana, di fatto coincidenti con quelli dell'attuale provincia di Viterbo;
• i suoi piatti, risalenti
alla fine degli anni '50,
decorati con una frase
in lingua falisca, oltre
che con l'esplicita menzione di coloro in grado
di leggere e capire questa frase, la "Famiglia di
Claudio Gentili".
Storia di un Nonno
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La frase in lingua falisca utilizzata dal Nonno per decorare i suoi piatti in ceramica è la stessa che compare sul fondo di una kylix risalente al VI o V secolo
a.C., conservata nel Museo Nazionale Etrusco di Valle Giulia (immagine all'inizio della pagina seguente). La kylix è una coppa con manici, usata per bere vino
o servire libagioni, tipicamente utilizzata nei simposi, la parte finale dei banchetti degli antichi Romani e Greci, finalizzati alla degustazione dei vini prescritti
dal simposiarca, la persona eletta a presiedere il simposio, mentre i commensali
cantavano componimenti poetici conviviali, recitavano poesie, assistevano a intrattenimenti vari, conversavano. La kylix veniva anche utilizzata, sia per lo
spargimento rituale di vino o altro quale atto d'offerta alle divinità, che per l'intrattenimento ludico nel gioco del kottabos, consistente nel colpire un bersaglio
con il vino rimasto sul fondo della coppa.
Storia di un Nonno
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Il Nonno mi avrà mostrato questa kylix conducendomi al museo? Non ricordo.
Una doverosa precisazione sulla lingua falisca, che il Nonno, sbagliando, definiva
etrusca falisca, interpretandola come lingua di passaggio dall'etrusco al latino,
probabilmente per aver visto la kylix al museo etrusco. In realtà le lingue etrusca
e falisca sono ben distinte, cosa che si è appreso grazie all'intervento di Laura,
una nipote del Nonno, sorella di chi scrive.
I Falisci, in senso stretto "abitanti di Falerii", corrispondente alla moderna Civita
Castellana, condividevano con gli Etruschi il medesimo territorio, l'Etruria meridionale, ed erano popolazioni alleate. In passato gli studiosi non facevano alcuna distinzione tra la civiltà etrusca e quella falisca, soltanto grazie a studi abbastanza moderni, si sono andate a delineare alcune differenze tra queste due
antiche, contemporanee e confinanti civiltà. Come la scrittura etrusca anche
quella falisca non ci è nota: come quella etrusca, si legge prevalentemente da destra verso sinistra; i segni che la caratterizzano, pur denunziando una derivazione etrusca, risultano nel loro insieme affini a quelli dell'alfabeto latino, anche se
simmetricamente invertiti rispetto alla verticale, con qualche eccezione, come ad
esempio per la lettera "F", rappresentata con una freccia puntata verso l'alto.
Della lingua falisca si sono ritrovate meno di 200 iscrizioni, epigrafi funerarie, incise su pareti di tufo o dipinte su tegoloni (coperture di tombe e fognature), e
brevi iscrizioni su vasi, datate dal VII al II secolo a.C..
Storia di un Nonno
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La lingua falisca risulta dunque come un dialetto dall’ossatura fonetica e morfologica del tipo latino, localizzato in terra di confine linguistico. Quindi non
un’entità a sé, senza relazioni, ma una lingua a contatto, aperta a contributi culturali diversi.
Altri artefatti con la medesima iscrizione in lingua falisca si trovano al Museo
nazionale dell'Agro Falisco di Civita Castellana. La lingua falisca, di cui si sono
ritrovate un centinaio di iscrizioni, datate dal VII al II secolo a.C.,
Sulla base delle precedenti spiegazioni, la frase può riscriversi da sinistra verso
destra come:
"Foied Vino Pafo Cra Carefo", traducibile dalla lingua falisca in:
"Oggi bevo vino, domani ne sarò privo".
Evidentemente rappresenta una sorta di anticipazione (di ben cinque secoli) del
famoso inno all'attimo fuggente del poeta romano Quinto Orazio Flacco (65
a.C. - 8 a.C.):
"Carpe Diem, quam minimum credula postero", traducibile dal latino in:
"Afferra il giorno, confidando meno che puoi nel domani".
La kylix falisca, che il Nonno crede etrusca, ed i suoi piatti adornati con la stessa
frase, invitano a godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita, dato che il futuro
è imprevedibile, da intendersi non come invito alla ricerca del piacere, ma piuttosto ad apprezzare ciò che si ha nel presente. Dicono che:
"Oggi ho del vino e me lo bevo di gusto, a che pro conservarlo sino ad allora? Se domani non ne avrò, o non potrò berlo, ne farò tranquillamente a meno".
Prescrizione che il Nonno ha sempre assecondato, anche se si dubita che il vino
gli sia mai mancato nel suo domani.
Parole di estrema saggezza che racchiudono in sé una grande verità: se oggi ho
gli strumenti e le opportunità di stare bene, per bere vino, per essere felice, devo
approfittarne, senza rimandare, senza riporre speranze nel domani, perché forse
domani non mi sarà più possibile. Ho fatte mie, continuo a fare mie le antiche
parole della lingua falisca tramandatemi dal Nonno.
Una frase che il Nonno mi ha fatto amare bambino, che mi ha insegnato a pronunciare ancor prima che riuscissi a capire cosa significasse e quale saggezza
racchiudesse in sé, che a lui indissolubilmente lego, che ben ne rappresenta e ricorda la giovialità conviviale e mangiona, inevitabilmente legata al bere "vino",
l'unica parola della frase che si legge immediatamente.
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1000-1649 Abitanti dell'antica città di Castro
All'inizio del III secolo a.C., dopo la rovina di Statonia, che fine avrà
fatto la Famiglia Gentili? Il Nonno riteneva la famiglia, da etrusca
che era, essere rimasta in zona, giungendo così a definirsi viterbese,
in quanto residente nell'antica città di Castro o nei suoi dintorni, infatti il grande interesse del Nonno, non si concentra solo su Statonia
ma si riversa ancor di più sulla città di Castro che egli riteneva le
fosse sorta sopra. Motivo sufficiente per passare in rassegna la storia della città.
Nei documenti d'epoca romana la città appare per la prima volta denominata
Castrum, col significato di "luogo fortificato" in latino tardo romano, come molte
altre città d'Italia. Successivamente è anche indicata come Castrum Felicitas, perché per un periodo dominata da una donna, tale Madonna Felicita.
La città di Castro si sviluppa nel corso dell'Alto Medioevo (dal 476, la caduta
dell'Impero Romano d'Occidente, all'anno 1000), offrendo rifugio agli abitanti
delle zone circostanti in fuga dalle devastazioni grazie alla sua posizione arroccata su un costone tufaceo ubicato tra il fiume Olpeta e il fosso del Filonica (o
delle Monache), una collocazione tipica degli insediamenti etruschi. La presenza
di alcune Necropoli nelle campagne circostanti avvalora l’ipotesi che qui sorgesse la preesistente Statonia, di cui non rimangono tracce visibili.
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Tra l'VII e il IX secolo nella città di Castro sono trasferiti i titoli vescovili di: Bisenzio, città sul lago di Bolsena adiacente alla odierna Capodimonte, distrutta e
saccheggiata dai Longobardi; Vulci, antica città etrusca limitrofa alla attuale
Montalto di Castro, in declino dal I secolo e poi definitivamente abbandonata.
In questo modo la città di Castro diviene sede vescovile ed i territori su cui si
estendeva la giurisdizione dei titoli vescovili che vi sono trasferiti (diocesi) passano sotto il suo controllo.
Nel 1154, sotto Papa Adriano IV (1100.1159, l'unico pontefice britannico della
storia, la città di Castro entra a far parte dello Stato Pontificio.
Tra il XVI ed il XVII secolo, nell'arco di soli 122 anni, si colloca il travagliato
epilogo della storia della città di Castro, derivante da contrasti sia all'interno della famiglia Farnese, che tra la famiglia e lo Stato Pontificio.
Nel 1527 una fazione della popolazione di Castro guidata da Antonio Scaramuccia e Jacopo Caronio organizza un colpo di mano per sottrarsi al potere papale, invocando la protezione di Pier Luigi Farnese (1503-1547), all’epoca signore di Valentano, che entra in città nel mese di settembre così divenendo il I
Duca di Castro. Papa Clemente VII, esponente della famiglia fiorentina dei
Medici, ordina ai Farnese di restituire Castro alla Chiesa, motivo per cui Pier
Luigi a novembre abbandona la città. Questo non basta a Papa Clemente VII
che chiede al duca di Latera Gian Galeazzo Farnese (?-1529), cugino di Pier
Luigi Farnese, di infliggere ai cittadini di Castro, una punizione esemplare. All’alba del 28 dicembre, giorno che, ironia della sorte, è dedicato ai SS. Innocenti, Gian Galeazzo irrompe a Castro e saccheggia la città. La devastazione è descritta nel 1575 dal notaio castrense Domenico Angeli nel manoscritto "De Depraedatione Castrensium et suae Patriae Historia", traducibile come "Il Sacco di Castro e
la storia della sua Patria", in cui si legge:
Situata su un'altura a forma di lira, circondata da rupi scoscese, da una valle profonda e da vigneti dove gli abitanti si recano per procurare canne. Tutto intorno pascolano
le greggi. [...] Il centro di Castro è rappresentato da Piazza Maggiore. Castro prima
del saccheggio era una città ricca, munita di più di sette centurie di soldati ed era la
più forte tra le città del Patrimonio di San Pietro [una delle 4 province istituite
da Papa Innocenzo III (1198-1216) come ripartizione dello Stato Pontificio, comprendente l'attuale provincia di Viterbo e il comprensorio di Civitavecchia].
Per il notaio Angeli, Gian Galeazzo riesce ad entrare a Castro, tramite la Porta
di Santa Maria (usata dagli abitanti per raggiungere una vicina sorgente, l' unica
fonte d'acqua della città), grazie al tradimento di alcune guardie, mercenari originari di Pitigliano e di Sorano. Infatti i Castrensi erano soliti ripetere con orgoglio che le loro mura si "potevano scalare solo con le ali".
Nel 1534, con il nome di Paolo III, diviene Papa il cardinale Alessandro Farnese
(1468-1549), padre di quel Pier Luigi fuggito da Castro pochi anni prima.
Storia di un Nonno
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Papa Paolo III si propone di riunire sotto il governo della città di Castro, in ragione della posizione centrale della città, i territori dominati dalla famiglia Farnese, costituiti da una trentina di feudi che si estendono dal lago di Bolsena al
mar Tirreno, comprendendo anche una enclave nella zona di Ronciglione, prossima al lago di Vico. Per questo motivo realizza uno scambio tra lo Stato pontificio e la famiglia Farnese, in cambio della città di Castro, i Farnese cedono alla
Santa Sede, un'altro feudo della famiglia, lontano dagli altri, collocato a sud di
Roma, la città di Frascati, ben più ricca di quella di Castro.
Il 31 ottobre 1537, Paolo III, istituisce, il Ducato di Castro e Ronciglione, affidandolo
nuovamente al figlio Per Luigi, di cui la città di Castro, per la sua posizione strategica, è proclamata capitale. La città, è ancora scossa dalle devastazioni, causate da Gian Galeazzo qualche anno prima. Molti abitanti sono emigrati e la città
è ridotta ad essere un piccolo villaggio povero e silenzioso. Per questo si avvia un
grandioso progetto di ricostruzione urbanistica, che include mura difensive, palazzi pubblici, strade, case, mirato a far diventare la città il simbolo della potenza
e del prestigio della famiglia Farnese, affidandone l'ideazione e realizzazione all'architetto toscano Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546) che si mette subito all’opera. Antonio da Sangallo trasforma la città di Castro in un artistico
sito rinascimentale che attrae persone per le prospettive di lavoro e nobili interessati ad entrare nelle grazie
della famiglia Farnese e di
Papa Paolo III. L'entrata principale che si apre sulle mura
difensive della città, chiamata
Porta Lamberta, è edificata
come un arco di trionfo che
raffigura gli episodi più gloriosi
della storia della famiglia Farnese. Il cuore della città, è rappresentato da Piazza Maggiore,
pavimentata con un lastricato a
spina di pesce, decorata al centro si con una fontana. Sulla
piazza si affacciano le residenze private dei cittadini più importanti e due importanti edifici. La Zecca (disegno del Sangallo della facciata nell'immagine a destra), perché contestualmente alla ricostruzione il
Ducato inizia a battere moneta, dal 1538 al 1546 (immagine
della pagina seguente).
Storia di un Nonno
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Il Palazzo dell'Hostaria (disegno del Sangallo del prospetto nell'immagine sotto),
chiamata dai castrensi Palazzo del Duca in Piazza, perché destinato ad accogliere gli ospiti illustri del Duca;
Su questa stessa piazza doveva sorgere anche il Palazzo Ducale, mai realizzato
per il successivo (1545) spostamento degli interessi della famiglia Farnese a Parma, di cui restano solo i disegni del Sangallo (disegno del Sangallo della facciata
nell'immagine della pagina seguente).
Le strade e le piazze della città sono mattonate e provviste di fognature, fatto
raro nel Cinquecento.
Nella città sono presenti anche numerose chiese, tredici secondo alcuni documenti della Curia; tra cui spicca il Duomo, realizzato nel XIII secolo in stile romanico, sede della diocesi, dedicato al protettore della città, san Savino, la cui
festa è festeggiata il 3 maggio nella Piazza Maggiore, con una tradizionale giostra ed un palio con cavalli tra le contrade della città.
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Nel 1545 Papa Paolo III riesce a far assegnare ai Farnese il Ducato di Parma e
Piacenza, più grande e popoloso del Ducato di Castro e Ronciglione, cosa che sposta
gli interessi della famiglia in Emilia-Romagna e provoca nuovamente un lento e
graduale declino della città, anche se conserva il ruolo di centro amministrativo
e giudiziario del territorio circostante.
Nel 1623 Vincenzo Barberini, eletto Papa col nome di Urbano VIII, si scontra
con la famiglia Farnese per il mancato pagamento di numerosi debiti. Per per
estinguere i debiti la famiglia Barberini chiede a quella dei Farnese la cessione
della città di Castro. Odoardo Farnese (1612-1646), al tempo VI Duca di Castro, rifiuta.
Nel 1641 il fallimento delle trattative fra i Farnese e i Barberini porta allo scoppio della prima guerra di Castro, con le truppe pontificie che occupano la città.
Nel 1644, grazie all'intervento di Venezia, Firenze e Modena in favore dei Farnese, che capovolge le sorti della guerra, è firmato un trattato che sancisce il ripristino dello status quo, con la restituzione di Castro ai Farnese, ma lascia irrisolta la questione dei debiti.
Nel 1649 scoppia una nuova crisi tra la famiglia Farnese e lo Stato Pontificio,
Papa Innocenzo X, nato Giovanni Battista Pamphilj (1574-1655), nomina come
nuovo vescovo di Castro, il barnabita Cristoforo Giarda.
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Ranuccio II Farnese (1630-1694), il VII ed ultimo Duca di Castro, si oppone
alla nomina. Papa Innocenzo X conferma la nomina e invia il nuovo vescovo a
Castro. Il 16 marzo 1649, durante il viaggio verso la città di Castro, il vescovo
neonominato è assassinato a Monterosi, un paese sulla via Cassia. I nemici dei
Farnese, capeggiati dai Barberini, appoggiati da Donna Olimpia Maidalchini
(che nel proseguo della storia troveremo legata alla Famiglia Gentili), cognata e
consigliera di Innocenzo X, inducono il Papa ad accusare Ranuccio II Farnese
di essere il mandante del delitto ed ad attaccare il Ducato di Castro e Ronciglione,
cosi scatenando la seconda guerra di Castro. Il 19 luglio1649 le truppe pontificie
invadono il ducato e pongono sotto assedio la città di Castro, che capitola il 2
settembre. Papa Innocenzo X ordina la distruzione totale della città, comprese
le chiese e i luoghi sacri. L'unico edificio che viene risparmiato è una piccola
cappella dedicata al Santissimo Crocefisso (immagine sottostante), ancora oggi
meta di pellegrinaggio da parte della popolazione del luogo. A dicembre gli abitanti sono evacuati e la città è sistematicamente rasa al suolo, le campane del
Duomo sono trasferite nella chiesa di Sant'Agnese in Agone a Roma, altre opere
d'arte sono sparse nei paesi circostanti.
Storia di un Nonno
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Memorie familiari
Tra coloro che hanno sostenuto la sovrapposizione di Castro con Statonia, colui
che con certezza ha maggiormente influenzato il Nonno è stato il suo coetaneo
Don Eraclio Stendardi (8 dicembre 1884 - 27 luglio 1959), nato e vissuto a
Ischia di Castro (distante 12 km da Castro), in provincia di Viterbo, dal 1928 divenutone parroco. I compaesani di Ischia di Castro chiamano Don Eraclio "il
prete dei coccetti" per la sua grande passione per la storia e l'archeologia del suo
territorio, che lo porta a girovagare e raccogliere i reperti che trova nelle campagne o che gli sono consegnati dai contadini. La sua raccolta di reperti antichi,
insieme a quella del nipote Turiddo Lotti, ha originato l'Antiquarium di Ischia di
Castro, oggi divenuto il Museo Civico Archeologico Pietro e Turiddo Lotti.
Nel 1929 Don Eraclio scrive il suo primo saggio dedicato a Castro; trent'anni
dopo, nel 1959, lo stesso anno in cui muore, pubblica la seconda e più completa
edizione delle "Memorie storiche della città di Castro" (Tipografia Fratelli Quattrini,
Viterbo, 29 gennaio 1959; la prima edizione è del 1957) in cui esprime la tesi
che Castro sia stata edificata sulle rovine di Statonia. A questo libro di Don Eraclio collabora anche il Nonno, come palesemente si evince dal ringraziamento a
lui dedicato (Note, pag, 173):
L'ingegnere Claudio Gentili sempre verso di me benevolo con quella gentilezza che ben
corrisponde al suo cognome ha voluto dar pregio alla mia pubblicazione arricchendola della riproduzione del palazzo Ducale in Castro.
Storia di un Nonno
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A Lui riconfermo la mia amichevole gratitudine.
In aggiunta tra le "carte del Nonno" nel 2006 ho ritrovato il disegno (di cui alla
pagina precedente), riprodotto nel libro di Don Eraclio, del Palazzo Ducale che
doveva essere costruito sulla Piazza Maggiore della città di Castro, che riproduce
quello dell'architetto Antonio da Sangallo, pur con qualche differenza riguardante lo stemma sovrastato da una corona posto sopra l'ingresso principale.
Curiosa la storia che mi porta a possedere una copia del libro di Don Eraclio
Memorie storiche della città di Castro, nella
seconda edizione del 1959. Libro di cui
non ho conosciuto l'esistenza sino al
1983, quando, quindici anni dopo la
morte del Nonno, me ne viene fatta
vedere, per la prima ed unica volta, la
copia in suo possesso. All'epoca questa
copia del libro era custodita dal suo secondo figlio Bruno, in bella vista in una
libreria nel suo pied-à-terre in via del
Governo Vecchio a Roma. Vidi il libro
contestualmente alle vecchie monete
coniate nella città di Castro, anch'esse
ereditate da Bruno, di cui invece avevo
memoria, avendomele il Nonno già
mostrate da bambino, tra il 1965 ed il
1968. Le ricordo di color argento, alcune più scure, della dimensione di
quelle che all'epoca erano le cento lire
che ogni tanto il Nonno mi regalava.
Pur avendo memoria della copertina del libro, lo specifico volume in possesso
della Famiglia Gentili non l'ho ritrovato, tantomeno le monete, dopo la morte del
Nonno, né dopo quella di mio padre Vittorio nel 2006, nemmeno dopo la morte
di Bruno, avvenuta nel 2012. Accade però che nel marzo del 2008 proprio in
occasione di un solitario giro fatto per Viterbo sulle orme del Nonno - che mi
porterà a scoprire le tombe dei suoi genitori, i miei bisnonni - mi ritrovo a gironzolare in un mercatino dell'usato, allestito in una piazza del medievale quartiere
Pellegrino. Sto lì a guardare vecchi libri, li prendo, li sfoglio, li rimetto a posto,
attento a non rovinarli. Scartabellando tra i titoli, me ne balza agli occhi uno intitolato “Memorie storiche della distrutta Città di Castro”, la copertina mi ricorda quel
libro intravisto venticinque anni prima. Lo sfoglio eccitato, ancora memore delle
vecchie storie del nonno, incerto se sia proprio quello il libro che ricordo, poi,
tra la pagina 64 e la 65, intercetto un disegno che mi sembra di riconoscere, la
Storia di un Nonno
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didascalia recita: “Palazzo Ducale”. Tra le note alla fine del libro spunta fuori
l'esplicito ringraziamento dell'autore al Nonno.
Un brivido mi percorre la schiena, è come se il Nonno fosse dietro le mie spalle
a leggere con me quella dedica. Proprio lui, il Nonno, il mio primo dolore, la
mia prima perdita. Un Nonno spesso cercato nei suoi luoghi aviti, per incontrarlo nel tempo: sono ripassato spesso all'Orto, ad Ostia Antica; ho battuto più volte il territorio dell'antica città di Castro; ho vagato per la Tuscia Romana, passando per San Lorenzo Nuovo e San Martino al Cimino; ho girato per Viterbo
dove è nato e visitato la vicina località Le Farine; ho perfino perfino scalato il
Monte Sief e percorse le trincee che salgono verso il Col di Lana, nelle Dolomiti, dove ha combattuto nella prima guerra mondiale; ho visitato alcuni dei luoghi dove ha lavorato, le case popolari di Fiumicino, la Borgata di Primavalle,
l'aeroporto dell'Urbe ed vicino il ponte sulla via Salaria, il Convitto Principe di
Piemonte di Anagni.
Non riesco a posare il libro, devo averlo. Con voce tremante per l’emozione mi
rivolgo al venditore che gestisce la bancarella in cui l'ho trovato per informarmi
del prezzo. Pagherei qualsiasi prezzo per questo libro usato, ma chi me lo vende
non mi sa essere nipote di quel Nonno citato dall'autore. È mio per quindici
euro, avrei dato qualsiasi cifra per quella scheggia di memoria del passato.
Solo nel 2020, quando condivido questa storia con gli altri nipoti del Nonno,
scopro la copia del libro del Nonno, mostratami dal figlio Bruno, è da questo
data al fratello Aldo, i cui figli, dopo la sua morte, lo conservano con cura tra i
cimeli di famiglia.
Storia di un Nonno
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Ho precise e nitide memorie bambine dell'intrigo del Nonno per le città di Castro e Statonia. Tra tutte spicca quella di una stampa della città di Castro posta
sulla parete di fronte al portone d'ingresso del casale costruito dal Nonno nel periodo 1959-60 ad Ostia Antica, all'interno di quello che, come mio padre, chiamavo l'Orto, dal Nonno sempre e solo chiamato Podere Le Farine, in memoria di
antiche terre della Famiglia Gentili vicino Viterbo. La identifico, pur non essendone certo, con una stampa in bianco e nero del 1641 raffigurante l'assedio del
1649, la seconda guerra di Castro, a cui seguì la distruzione della città, che
compare anche nel libro di Don Eraclio (tra le pagine 16 e 17 del capitolo I intitolato Statonia, riprodotta nella pagina precedente). Memorie bambine confermate dalle molte tracce trovate nel 2006, dopo la morte di mio padre Vittorio,
tra le "carte del nonno", che testimoniano il suo interesse per la città di Castro,
protrattosi dal 1955 al 1967:
• un breve manoscritto redatto con
la calligrafia del Nonno, sulla
"Tragedia di Castro", di 9 pagine;
• il disegno fatto dal nonno del Palazzo Ducale di Castro, di cui si è
già detto;
• estratti battuti a macchina del libro "Dei Farnesi e del Ducato di Castro e Ronciglione" del Canonico Gaetano Carabelli, edito a Firenze nel 1865;
• un promemoria battuto a macchina che cita il bando di Marcello Ferri,
Agente Generale, indirizzato al Podestà di Castro, scritto a Gradoli, località
limitrofa a Castro, il 2 giugno del 1649;
• un articolo originale tratto da una ignota rivista, intitolato "Castro città scomparsa", a firma di Enrico Sisi, che esamina gli edifici principali della città;
• un estratto di un libro di cui non si conosce il titolo, sula capitolazione di
Castro, ed una cartolina con la stampa dell'assedio di Castro di cui sopra;
• una mappa altimetrica del territorio di Ponte S. Pietro, al cui centro si identificano le rovine di Castro, edita dall'istituto Geografico militare nel 1941;
• due lastre fotografiche in vetro con sopra impressi dei negativi, che interpreto come negativi per stampe cianografiche; sulla prima si riconosce la
stampa dell'assedio della città, collocata all'Orto; sulla seconda il panorama
della rupe su cui la città sorgeva;
• diverse foto delle rovine di Castro, risalenti all'inizio degli anni '60, che testimoniano le ricognizioni che il Nonno conduce in loco, nelle due riprodotte nelle pagine seguenti il Nonno è quello con il cappello più scuro e gli
stivali di pelle, più facilmente riconoscibile nell'ingrandimento riprodotto
dopo ognuna delle due foto.
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Arrivo a Castro per la prima volta
nel febbraio del 2001, in moto, sette anni prima di ritrovare il libro
che cita il Nonno nei ringraziamenti.
Il parcheggio sterrato, da dove parte il sentiero che conduce all'antica
città, è deserto; lascio la moto di
fronte ai resti di una tomba etrusca.
Il sentiero s’inerpica sul costone tufaceo dalle pareti scoscese, ricoperto da fitta vegetazione, su cui sorgeva l’antica città di Castro; appare
sistemato di recente ma la zona non
ha perso il fascino selvaggio ed inesplorato. Salgo impaziente nella boscaglia fitta, la luce attenuata mi
costringe a togliere gli occhiali da
sole. Ovunque alberi e rami caduti,
rampicanti che li ricoprono, sottobosco fitto, terreno morbido da
calpestare, ricoperto di foglie secche.
Continuo a salire. Buche ovunque,
fori improvvisi, devo stare attento.
Cavità interamente scavate nel tufo,
verdi di muschio. Non sono naturali, sono state scavate dallo scalpello.
Alcune, dotate di un pilone centrale
,come ho visto in alcune tombe
etrusche che riproducono gli ambienti domestici. Altre, di certo
fondamenta e cantine degli edifici
medioevali; lo testimoniano gli archi di sostegno in mattoni che s’intravedono, a volte del tutto integri.
In una intravedo il bordo di un
pozzo ormai occluso; in un’altra
una vecchia macina a mano; in altre ancora otri interrati, che immagino deposito di olio e granaglie.
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Arrivato in cima alla collina, cerco il castello, di cui gli abitanti con orgoglio dicevano che le mura potessero scalarsi solo con le ali; ne rimane ben poco. Ne
scorgo tratti di mura e un paio di depositi con la volta ad arco, quasi interrati.
Raggiungo la piazza principale, Piazza Maggiore, il cuore della città, su cui si
affacciava la Zecca e il Palazzo dell'Hostaria; rimango avvinto dal luogo. Trovo
tracce di lastricati in pietra e mattonato posato a spina di pesce che pavimentano la piazza ed alcuni tratti di strada che da essa si diramano.
Silenzio, natura rigogliosa, mute pietre, a testimoniare il lavoro e la distruzione
dell’Uomo. Ci vuole molta fantasia per ritrovare nelle pietre sconnesse ad abbattute gli edifici ricostruiti nei disegni del Nonno. Riesco solo ad identificare il basamento su cui poggiava il loggiato del Palazzo dell'Hostaria e la facciata della
Zecca, sapendo, dalla lettura del libro di Don Eraclio, che giace abbattuta a terra in avanti, a seguito dell’opera di demolizione effettuata imbrigliandola con
funi agganciate ad un tiro di cavalli.
Una pietra alla base
di un muro distrutto
reca quella che a
prima vista sembra
una data, “1864”; in
realtà, a ben vedere,
si legge “IS64”Che può significare?
Storia di un Nonno
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Superata Piazza Maggiore, sono facilmente identificabili le rovine di una delle
numerose chiese della città; si tratta di Santa Maria dei Servi, chiesa di epoca
bizantina che sorgeva appena fuori dalle mura nella zona della porta murata, in
cui si trovano ancora tracce di affreschi in totale stato di abbandono.
Ottima occasione per una sosta, accendo un sigaro toscano, sono solo nel silenzio, avvinto dalla suggestione del
luogo.
Nelle dense volute di fumo compare il
Nonno, sembra aggirarsi tra queste rovine, indossa stivali e cappello, come
nelle foto scattate all'inizio degli anni
'60. Mi sorride, è contento di sapermi a
Castro.
Tornando verso la moto, scorgo i pochi
ruderi di una seconda chiesa in stile romanico, il duomo, dedicato nel 1286 al
santo protettore della città, San Savino.
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Illazioni Familiari
Ho visitato Castro più
volte, ci tornerò sicuramente, sarà l'occasione per andare a
comprare l'olio al
Frantoio Gentili, distante meno di 10 km da
Castro.
Un'occasione per parlare con Romolo Gentili, ultimo discendente di una famiglia di
olivicoltori che produce olio da cinque generazioni, ossia dal
1820, tempo in cui
Giovanbattista Gentili
apre il primo frantoio
nel centro storico di
Farnese, dove utilizza
macine in pietra trainate da muli; poi, passando per Pietro e
Romolo.
Dovrò capire se possa
esserci qualche legame con la famiglia del
Nonno, anche perché,
come si vedrà successivamente parlando
della parte della leggenda familiare che
vuole la Famiglia Gentili
proprietaria terriera
in località Le Farine, un
Pietro Gentili, probabilmente di San Lorenzo Nuovo, è un
cugino di primo grado
del Nonno.
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1649-1700 Guardiacaccia nel Feudo San Martino
Ancora secondo il Nonno, all'inizio del '600, quasi contestualmente
alla caduta del Ducato di Castro e Ronciglione ed alla distruzione
della città (1649), la Famiglia Gentili, priva di qualsiasi titolo nobiliare, lavora come guardiacaccia nelle terre di un nobile, con il
compito di evitare il bracconaggio, oltre che di provvederlo di cacciagione per i suoi banchetti.
In particolare, il nobile in questione sarebbe Olimpia Maidalchini
(Viterbo, 1591 – San Martino al Cimino, 1657), già citata per aver
appoggiato i Barberini e così contribuito all'inizio della seconda
guerra di Castro, meglio nota come Donna Olimpia, principessa del
feudo di San Martino al Cimino (a circa 55 km da Castro e meno di
30 da Viterbo), popolarmente detta la Pimpaccia o la Papessa per
l'influenza esercitata su Giovanni Battista Pamphilj (1574-1655), che
nel 1644 diviene Papa Innocenzo X .
Nell'immagine qui sopra, un busto in marmo di Carrara di straordinaria resa
fisiognomica, completato nel 1650 dallo scultore bolognese Alessandro Algardi
(1598-1654), il maggior esponente dello schieramento classicista dell’epoca a
lungo in rapporto con la committenza Pamphilj, ed oggi custodito nella Galleria
Doria Pamphilj inVia del Corso 305 a Roma, c'è tutta Donna Olimpia, la sua
fermezza, evidenziata dagli zigomi imponenti e dal mento risoluto della potente
nobildonna che saprà diventare. Il busto è una delle più alte testimonianze della
scultura romana di metà Seicento; il vertice del virtuosismo formale è raggiunto
nella resa del sottile velo vedovile che si gonfia d’aria dietro il capo.
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Nel 1591 Olimpia nasce da una famiglia viterbese benestante e, anche se non
nobile, possiede una grande qualità: è intelligente.
Come tradizione dell'epoca, il padre vuole rinchiuderla in convento insieme alle
due sorelle, così che l'erede possa essere l'unico figlio maschio. Ovviamente
Olimpia si oppone: accusa di tentata seduzione l'ecclesiastico ingaggiato dal padre per convincerla a prendere i voti, motivo per cui l'ecclesiastico è "sospeso a
divinis". Inutile dire che le sorelle invece si faranno suore! Interessante l'epilogo
della storia: qualche anno più tardi, dopo il 1612, quando Olimpia diverrà la
"Papessa", farà nominare Vescovo lo stesso ecclesiastico già da lei stessa ingiustamente accusato!
Non sembra una storia del '600, ma dei giorni nostri, cosa che dimostra la modernità di Olimpia.
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Nel 1608, a 17 anni evitato il convento, a 17 anni, Olimpia sposa un ricco concittadino viterbese, di cui rimane vedova tre anni dopo , perdendo di lì a poco
anche il loro unico figlio.
Nel 1612, a 21 anni, ambiziosa, avida, volitiva, si risposa di nuovo: il secondo
marito è ancora meglio del primo, ha 48 anni, 27 più di lei, ma fa parte di
un'importante famiglia nobile che vive a Roma ormai da più di un secolo, è
Pamphilio Pamphilj (1564-1639).
All'interno della Famiglia Pamphilj, Olimpia stringe una particolare amicizia
con il cognato, il cardinale Giovanni Battista, uomo "ruvido e bruttissimo", "cupo e
riservato", ma decisamente capace: nel 1644 diventa Papa Innocenzo X, un
grande Papa che fa costruire uno dei palazzi più belli della città, Palazzo Pamphilj
a Piazza Navona, dove vivrà anche Olimpia.
Nel 1639, a 42 anni, Olimpia rimane vedova per la seconda volta, cosa che rafforza il legame con il cognato, facendole assumere, dopo la sua elezione al soglio
pontificio, una posizione di assoluta centralità nella politica romana. Olimpia è
il consigliere più importante del papa, quasi la sua ombra. Il Papa si fida solo di
lei. Tutti sanno che, prima di prendere decisioni importanti, Innocenzo X chiede sempre consiglio a lei. Inevitabile il soprannome la "Papessa". Tutti quelli che
vogliono avere un contatto con il Papa devono cercare i suoi favori, molti per
mezzo di regali e denaro. Nascono così molti pettegolezzi: a corte si dice infatti
che Olimpia sia l'amante del papa.
Un personaggio così in vista non poteva certo sfuggire alle “pasquinate”, che la
soprannominano la "Pimpaccia", deformazione romanesca del titolo di una famosa commedia del 1600, “Pimpa”, la cui protagonista, come Olimpia, era dispotica, furba, presuntuosa, spregiudicata. Una delle più celebri “pasquinate” dedicate ad Olimpia recita:
Chi dice donna, dice danno,
chi dice femmina, dice malanno,
chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina.
Nel 1645, già proprietaria di una residenza a Viterbo, Olimpia riceve da Innocenzo X il Feudo ed il titolo di Principessa di San Martino al Cimino (a circa 55
km da Castro e meno di 30 da Viterbo). Piano piano Olimpia diventa sempre
più potente ed enormemente ricca.
Nel 1655, quando, dopo la morte di Innocenzo X, Fabio Chigi (1599-1667) diviene papa Alessandro VII, Olimpia è esiliata da Roma, costretta a ritirarsi nel
suo feudo di San Martino al Cimino.
Nel 1657, a 66 anni, proprio a San Martino al Cimino muore di peste, lasciando
,grazie al suo "talento", una enorme eredità, fondamento della ricchezza della
famiglia Pamphilj.
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Memorie familiari
Non esiste alcuna prova che la Famiglia Gentili abbia lavorato alle dipendenze
di Donna Olimpia nel suo Feudo di San Martino al Cimino, solo ovattati ricordi
dei racconti del Nonno che ha sempre vantato il possesso di una lettera di Donna Olimpia, raccontando di averla ereditata dal padre, che a sua volta l'aveva
ereditata dai suoi antenati al servizio di Donna Olimpia. Questa lettera, il Nonno non me l'ha mai fatta
vedere, forse era troppo
preziosa e delicata per
l'età bambina in cui mi
relazionavo con lui.
L'ho ritrovata nel 2006,
dopo la morte di mio padre Vittorio, tra le "carte
del nonno". È composta
di un unico foglio, ripiegato 8 volte ed originariamente sigillato con un
bollo a secco impresso sul
retro della pagina (immagine in alto). È indirizzata
ai Priori di Vetralla, a circa 15 km da San Martino
al Cimino, con firma autografa di Donna Olimpia, datata 14 Agosto
1647, e tratta del feudo di
San Martino.
Nell'intestazione arcaica
con cui la lettera comincia si legge "Molto maggiorenti", attributo riferito ai
Priori di Vetralla, come si
evince confrontandolo
con l'intestazione sul retro
dello stesso foglio (immagine in basso):
"Ai m.to [molto] mag.ti [maggiorenti] I Priori di Vetralla.
Vetralla".
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La calligrafia del '600 è abbastanza difficile da leggere, ma ci si riesce.
Molto maggiorenti Ho rinovato gli ordini a S. Martino, accioché
quei vassalli si astengano dal danneggiare in cotesto territorio
e perché desidero ch' in ogni maniera si rimedi à questo disordine, quando succederà ch' alcuno si mostri disobediente potranno
avvisarne il mio Podestà, accioché col gastigo di qualcuno si dia esempio à gli altri. Et auguro loro ogni
bene. Di Roma 14 Agosto 1647
Sua Amorevole
Olimpia Pamphilj
Sarà la Famiglia Gentili ad eseguire questi ordini? Il Nonno ne è sempre stato
convinto.
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Sincronismi Temporali
Come già accaduto per la leggenda degli Etruschi originari di Statonia, il possesso
da parte del Nonno della lettera di Donna Olimpia non rende vera la leggenda
dei Guardiacaccia della Pimpaccia, ma l'ammanta di plausibilità.
Inoltre, come già le sovrapposizioni territoriali di malaria, anemia mediterranea,
etruschi e Gentili, conferiscono coerenza alla leggenda degli Etruschi originari di
Statonia, il sincronismo temporale tra i seguenti eventi, appare coerente e compatibile con la leggenda dei Guardiacaccia della Pimpaccia:
• 1645, nomina di Donna Olimpia a Principessa di San Martino al Cimino;
• 1647, data della Lettera di Donna Olimpia in possesso del Nonno;
• 1649, fine del Ducato di Castro e Ronciglione e distruzione della città di Castro;
• 1655, esilio di Donna Olimpia nel feudo di San Martino al Cimino.
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1700-1925 Proprietari del Podere Le Farine
Sempre secondo il Nonno, la Famiglia Gentili, dopo aver lavorato
nel Feudo di San Martino al Cimino per Donna Olimpia, è stata
proprietaria per lungo tempo di una grande estensione di terre in
prossimità della località Le Farine, a circa 30 Km da Castro, a circa
di 3 km dalla città di Viterbo, seguendo la via Cassia verso sud in
direzione di Roma. Fino a quando un non meglio precisato avo (non
il padre del Nonno Raffaele, né probabilmente suo nonno Luigi), inveterato donnaiolo che se la faceva con le contadine delle famiglie
che lavoravano le sue terre, e con il vizio del gioco d'azzardo, perde
la maggior parte delle terre e forse anche il presunto palazzo di famiglia, Palazzo Gentili, sito in via Saffi 49, a Viterbo, ritirandosi nel
Podere Le Farine. Secondo il Nonno, il padre Raffaele, il bisnonno di
chi scrive, eredita il Podere Le Farine dal padre Luigi, il trisnonno di
chi scrive, che a sua volta lo riceve come eredità familiare, residuo
retaggio delle estese terre di famiglia di un tempo. Questo significa
che, essendo nato il Nonno nel 1886, e ignote le date di nascita di
Raffaele e Luigi, la Famiglia Gentili gestisce il Podere Le Farine almeno dall'inizio del 1800, tre generazioni prima di quella del nonno, e sicuramente sino al 1923.
La località Le Farine (il
cui perimetro è marcato su Google Earth,
come appare nella foto
a destra così appare
marcata), alta 300 metri sul livello del mare, è
ancora oggi un'area
prevalentemente verde,
disseminata di vigne ed
alberi d'olivo, connotata da una scarsa densità
abitativa, una ventina
di abitazioni per una
cinquantina di residenti.
L'etimologia del nome
Le Farine trova discordi
gli studiosi, che si dividono tra diverse ipotesi.
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Le Farine:
• potrebbe derivare dalla Dea Furina, protettrice dei ladri, della quale esisteva
un tempio nel luogo dove ora sorge una chiesa;
• in alternativa, potrebbe originare dal cognome del proprietario della zona,
De Refarinis;
• per ultimo, potrebbe discendere dal latino Refariae, furto, dato che per arrivarci si passava per Pianoscarano, luogo ai tempi frequentato da ladri.
La località è marcata dalla chiesa di Santa Maria delle Farine (foto sopra), costruita
nel 1320, in posizione sopraelevata rispetto alla via Cassia, per volere del capitano del popolo Silvestro Gatti, signore di Viterbo dal 1325, spodestato ed ucciso da una rivolta polare nel 1328. Il primo documento nel quale si ritrova citata
la chiesa, al tempo denominata Santa Maria delle farine tra le vigne, è del 1473. La
chiesa, inizialmente ad una sola navata, è in seguito rimaneggiata più volte: nel
16123 è eretto il campanile; al 1900 risale l'ampliamento a tre navate.
La facciata, molto semplice e lineare, è arricchita da un piccolo rosone del XIV
secolo e da un tondo in maiolica. L’abside, con un lato dritto ed uno obliquo, in
passato probabilmente era di forma rettangolare, come elemento tipico dell’architettura cistercense. All’interno, sopra l’altare maggiore, si trova un tabernacolo in pietra di stile lombardesco.
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1700-1860 Proprietari di Palazzo Gentili
Nei ricordi di chi scrive, il Nonno legava il possesso da parte della
Famiglia Gentili, all'incirca nello stesso periodo, del Podere Le Farine a quello di Palazzo Gentili, a Viterbo, a soli 3 km di distanza, in
via Aurelio Saffi, un tempo uno dei segmenti che costituivano
un’importante percorso che, attraversando l'intera città, collegava
la Porta Fiorentina, l’ingresso a Viterbo venendo da Nord, con la
Porta Romana, l'ingresso da Sud arrivando da Roma. Nell'angolo
tra via Saffi con via Fontanella di Sant'Angelo, si erge Palazzo Gentili, il cui ingresso principale si trova al civico 39, contiguo al Palazzo
Galeotti, che se ne distingue per il loggiato affacciato sulla via.
Del palazzo si ha notizia già nel XIV secolo, epoca a cui risale il
nucleo più antico dell’edificio, inizialmente
di proprietà della ghibellina Famiglia Lanfanelli (o Anfanelli, Amfanelli, Lamfanelli),
n o m i n at a g i à n e l
1356 in Contrada
Santa Croce. Del palazzo spiccano le
grandiose finestre del
primo piano, caratterizzate da elaborati,
inusuali, coronamenti,
di fattura tardomanierista, ascrivibile al
XVI secolo. All’interno le pitture sono realizzate da Antonio da
Viterbo, detto il Postura, che si ispira al
Pinturicchio. L’austero cortile è abbellito
da una fontana a nicchia del XIX secolo,
proveniente da palazzo Macchi.
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Nel ricordo della narrazione del Nonno, è molto confusa la sovrapposizione tra
la perdita delle proprietà terriere in località Le Farine, il cui ultimo residuo è il Podere Le Farine, perduto nel 1923, e quella di Palazzo Gentili, la cui responsabilità è
riferibile ad almeno tre generazioni prima di quella del Nonno, per questo databile attorno al 1850.
Per anni mi ha inorgoglito l'antico possesso da parte degli antenati di Palazzo
Gentili, da dopo la II Guerra Mondiale ad oggi sede della Provincia di Viterbo.
Orgoglio che si è palesato in diversi modi, a cominciare dal fatto che, prima o
poi, ho sempre parlato di Palazzo Gentili a chiunque conoscessi.
Per le mie peregrinazioni in
quello che definisco il "Virtuale", cominciate nel 1988,
ben prima che divenissero
comuni termini quali Internet, WEB, Metaverso, ecc.,
ho sempre assunto:
• come pseudonimo quello
di Sagredo, il veneziano
amico di Galileo Galilei,
emblema dell'approccio
razionale scettico alla vita,
che contraddistingue chi
scrive;
• come icona, da associare
allo pseudonimo, un'immagine (foto a destra) riproducente il bellissimo
grifo in ferro battuto posto su un angolo di Palazzo
Gentili, che, solo adesso
che ne scrivo, scopro essere copia dell'originale,
conservato nella Villa De'
Gentili-Siciliano fuori
Porta Romana, a Viterbo.
Infine ho sempre dichiarato d'essere l'erede dell'antico proprietario di Palazzo
Gentili, ogni volta che qui sono venuto, tra il 1997 ed il 2008, per partecipare a
riunioni di lavoro con la Provincia di Viterbo, quando lavoravo nella Pubblica
Amministrazione per occuparmi della sua informatizzazione. Dichiarazione della quale nessuno ha mai dubitato, e che sempre mi ha permesso di usufruire di
improvvisate visite guidate per i meandri del palazzo.
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Dissonanze di Palazzo
Nel 2006, dopo essere entrato in possesso delle "carte del Nonno", dove di Palazzo Gentili non vi è alcuna traccia, una volta approfondita la storia del palazzo
("L'illustrissima Città di Viterbo", Mauro Galeotti, Viterbo, 2002), e, infine, compiute, nel marzo del 2008, perlustrazioni a Viterbo, visitando per l'ultima volta il
palazzo, a causa delle dissonanza intercettate, ho iniziato a dubitare del ricordo
dei racconti del Nonno.
A partire dal XVI secolo, sino al XVIII, numerosi sono i passaggi di proprietà
che interessano Palazzo Gentili.
• Nel 1434, quando i Lanfanelli si traferiscono da Viterbo a Vetralla, il palazzo è dato in uso da Giovanni di Francesco Lanfanelli alle monache Terziarie Francescane, dette della Penitenza, che vi rimangono sino al 1479,
anno in cui papa Sisto IV concede loro la nuova sede del Monastero di San
Simone e contestualmente il palazzo ritorna in possesso dei Lanfanelli.
• Sempre nel 1479, Cuccio dei Filippeschi, figlio della sorella di Giovanni di
Francesco Lanfanelli, vende il palazzo a Paolo De Benignis di Camerino,
per 310 ducati d’oro papali. Successivamente, gli eredi De Benignis lo rivenderanno a Giovanni Mancini.
• Nel 1654, a sua volta, Giovanni Mancini vende il palazzo al cardinale viterbese Francesco Maidalchini (1621-1700), nipote di quella Donna Olimpia Maidalchini (1591–1657) già incontrata parlando della leggenda inerente i guardiacaccia del Feudo di San Martino. Probabilmente a questo
periodo risalgono i primi ampliamenti del palazzo, in particolare il prolungamento della facciata estesa sino a saldarsi con il contiguo Palazzo Costaguti, passato successivamente alla Famiglia Galeotti.
• Nel 1677 il cardinale Francesco Maidalchini vende il palazzo al nobile viterbese Paolo Bruni Franceschini, per 1.870 scudi.
• Nel 1738 eredita il palazzo Martino Innico Caracciolo, che prima lo destina all'uso come brefotrofio, dove si allevano i neonati illegittimi o abbandonati, della città di Viterbo, poi lo vende ad Alessandro Tozzi, per 3.000
scudi.
Ma quando prendono possesso del palazzo i Gentili? Solo tre secoli dopo la Famiglia Lanfanelli, verso la fine del XVIII secolo, sicuramente il palazzo diviene
proprietà di una famiglia Gentili.
Non è quella del Nonno (sempre evidenziata in corsivo, Famiglia Gentili), ci sono
evidenze che piuttosto sia la Famiglia De' Gentili (Viterbo, XVII-XX secolo), il
cui cognome è evoluto a partire dalla versione antica Gentili. Le generazioni di
questa famiglia interessate a Viterbo, ed in particolare a Palazzo Gentili, sono di
seguito elencate.
Storia di un Nonno
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• I generazione, Francesco Antonio Gentili, mercante di tessuti, è uno dei
primi esponenti della famiglia che arriva a Viterbo dalle Marche; sposa Rosata Nicolai, di Viterbo; nel 1703, assieme ad altri, ottiene l'appalto dei
macelli di Viterbo; muore nel gennaio del 1728.
• II generazione, alcuni figli di Francesco Antonio acquistano Palazzo Lanfanelli; l’Imperatore Giuseppe II, a seguito dell'ospitale accoglienza ricevuta
nel palazzo, dichiara nobili i componenti della famiglia, conferendogli il
titolo di Conti; Papa Clemente XIV (1705-1774) collega il titolo alla tenuta
di Castel Cardinale, già precedentemente acquisita; nel 1794 si compie l'assimilazione alla nobiltà viterbese, anche se già da alcuni decenni la Famiglia De’ Gentili è indicata come “Patrizia viterbese”.
• III generazione, Francesco Antonio De' Gentili, che porta lo stesso nome
del nonno (I Generazione), è antiquario ed organizza un piccolo museo in
famiglia; è eletto edile nella Repubblica Romana; nel 1799 è esule in Francia, ritorna in Italia negli anni della dominazione napoleonica; muore nel
1817; il suo erede è il figlio Giuseppe.
• IV generazione, Giuseppe De' Gentili, pronipote di Francesco Antonio (I
Generazione), nel 1813 fa parte della Guardia a cavallo dell’imperatore
Napoleone, e prende parte alle ultime battaglie dell’epopea napoleonica;
nel 1814 è decorato con la Legion d’onore; dopo la caduta di Napoleone,
rientra a Viterbo per prendersi cura del patrimonio di famiglia e partecipare all’amministrazione cittadina.
• V generazione, Francesco De' Gentili, figlio di Giuseppe, nel 1866 partecipa alla Guerra di indipendenza nel corpo degli Ussari; nella seconda metà
dell'800 i De' Gentili si imparentano con i Lenzi, tanto che spesso la famiglia di Francesco sarà denominata De’ Gentili-Lenzi, successivamente, nel
1895, diverrà una delle “Famiglie principali per censo”.
• VI generazione, Costanza De' Gentili-Lenzi, figlia di Francesco, sposa Giovanni Siciliano, marchese di Rende, ancora una volta portando all'unione
dei due cognomi De’ Gentili-Siciliano.
• VII generazione Giuseppe De'Gentili-Siciliano, figlio di Costanza e Giovanni; coetaneo del Nonno e come lui ufficiale nella I Guerra Mondiale,
nel 1917 rimane ferito nella rotta di Caporetto; rientrato a Viterbo si occupa dei beni di famiglia e partecipa alla vita amministrativa della Città; nel
1934-1943 è al governo del Comune diViterbo; nel 1952-1953 è Presidente
dell’Ente provinciale; muore nel 1974.
Evidentemente è un errore ritenere Palazzo Gentili collegato in qualche modo alla
leggenda della Famiglia Gentili (quella del Nonno): troppe le dissonanze rilevate, le
ultime delle quali legate ad eventi relativamente recenti, coevi alla storia del
nonno, ed ampiamente documentati (N. Angeli, Famiglie viterbesi. Storia e cronaca.
Genealogie e stemmi, Viterbo, 2003).
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Per anni ho creduto che Palazzo Gentili
fosse ascrivibile ai beni della Famiglia
Gentili. Per questo motivo ho entusiasticamente amplificato la leggenda familiare che ritenevo tramandatami del
Nonno, anche intrigato da come Donna Olimpia ne attraversi diversi luoghi:
da Castro, a San Martino, per "entrare" perfino a Palazzo Gentili a Viterbo.
Per anni ho creduto che fosse stato il
Nonno a parlarmi di Palazzo Gentili,
ascrivendolo ai beni della Famiglia Gentili. Nel 2020, accertato ed accettato che
la Famiglia Gentili non c'entra nulla con
Palazzo Gentili, non so se nemmeno chi
abbia sbagliato: se il Nonno, vantando
l'antico possesso del palazzo; o chi scrive, nel riportare un ricordo errato di
come il Nonno raccontava la leggenda
familiare e parlava del palazzo. Di certo so solo che è il Nonno che per primo mi
parla del palazzo, tanto vale raccontarne anche l'epilogo della storia.
Nel 1944 Palazzo Gentili è quasi completamente distrutto dai bombardamenti aerei alleati del 4 e 5 giugno, motivo per cui, dopo la fine della guerra, la Famiglia
De' Gentili-Siciliano, che ancora lo possiede, lo cede all'Amministrazione Provinciale di Viterbo. Il progetto di ricostruzione di Palazzo Gentili è del 1954, ma
l'appalto per i lavori è aggiudicato solo nel 1960.
Dalla metà degli anni '60,
completata la
ricostruzione
d e l p a l a z z o,
realizzata congiuntamente al
contiguo Palazzo Galeotti, ospita la sede dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo.
Storia di un Nonno
52
Memorie familiari
Concentrando l'attenzione sul Podere Le Farine, nelle "carte del Nonno" ho trovato un'evidenza oggettiva che testimonia inequivocabilmente il possesso di un casale collocato in località Le Farine. Si tratta di una nota spesa del Luglio 1923 che
dettaglia i lavori fatti a questo casale, vergata a mano su fronte e retro di un piccolo biglietto e indirizzata al Nonno (nella pagina seguente).
Carissimo Claudio 9 Luglio 23
Eccoti il conto dei lavori fatti alle farine, come da tuo ordine scritto.
Scalini N° 15 più uno sciacquatoio
Lire 30
Calce quintali 3
60
Opere di muratura fatte da Borghetti, per Lire 15 il giorno,
e però con il vino e mangiare, N° 5 giornate
75
Gesso, e Pezza Nera
5,55
Tramezzo tavole di abete dello spessore di Centimetri 1 1/2,
tavole 18 più 3 murali in tutto
104
Riporto Lire 274,55
Il retro del biglietto ricomincia minuziosamente con il riporto del totale con cui
si conclude la prima pagina.
Riporto Lire 274,55
Chiodi
2,50
Una giornata di lavoro per fare il tramezzo fatto da Borghetti,
con l'aiuto mio, e di Lorenzo
15
Vino somministrato da Lorenzo per le 6 giornate di lavoro
30
Spesa per mangiare un boccone insieme
fatte insieme a me e Lorenzo Nulla
00
Totale Lire 322,05
(Dico TreCentoVentiDue e centesimi 05)
Dice Lorenzo qui presente se puoi mandarle subito, mandale pure, diversamente
mandagli uno scritto, per dichiarare che gli devi quel tanto come al presente conto.
Pensa che il conto è da padre coscienziosissimo, ed io sia economico per opera mia
non c'è da dubitare di un centesimo.
Intrigante lo stile di scrittura, la meticolosità delle voci dei costo, l'imprescindibile presenza del vino tra i materiali necessari per i lavori, l'aulica precisazione circa l'onestà delle cifre evidenziate.
Storia di un Nonno
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Storia di un Nonno
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Il Nonno paga il dovuto il 22 luglio seguente, come gli riconosce lo stesso Lorenzo Signorelli che ha anche aiutato nell'esecuzione dei lavori e fornito il vino
necessario. La ricevuta permette di riconoscere Signorelli quale affittuario di un
podere in contrada Le Farine di proprietà del nonno in località Le Farine. Questo
significa che, oltre alla madre, con certezza morta il 17 luglio del 1922, nel 1923
anche il padre Raffaele è già morto, ed il Nonno ha ereditato il Podere Le Farine.
Tutto ciò dimostra solo l'esistenza di un Podere Le Farine di proprietà della Famiglia
Gentili ereditato dal nonno, senza dire nulla a riguardo dell'inizio del possesso e
dell'estensione di quelle terre che nel 1923 erano state perse da un pezzo.
Indipendentemente dalla perdita delle estese terre di famiglia, non si sono trovate evidenze oggettive di quando il Nonno vende il residuale Podere Le Farine. Molto probabilmente nel 1925, contestualmente al suo trasferimento a Roma di ritorno da Firenze. Per questo il 1925 segna la fine della leggenda familiare.
Nel maggio 2001, però, raccolgo anche una testimonianza orale che conferma
la grande vastità di terre un tempo possedute dalla Famiglia Gentili, estese da Viterbo sino a Siena.
Quel giorno mi trovo per la prima volta nel Podere Arlena (immagine sotto), che
s’affaccia sulle sponde del lago di Bolsena, oggi proprietà di Filippo Manni e,
prima di lui, della Famiglia Manni sin dal 1850. Io e Filippo siamo diventati padri, praticamente in simultanea, nel 1996. Ci siamo conosciuti incontrandoci a
Villa Sciarra, vicino casa, a Monteverde Vecchio, a Roma, entrambi spingendo
un passeggino.
Storia di un Nonno
55
Oggi siamo qui, entrambi con i figlioletti sgambettanti, per festeggiare la fine dei
lavori di ristrutturazione dell'antico casale all'interno del Podere Arlena, commissionati dal padre di Filippo, Luigi Manni (nella foto nella pagina precedente, di
fronte al casale). Una giornata di primavera, d’allegria, di bimbi urlanti, di giovani madri chioccianti, di padri ebbri e satolli, di vispi nonni presenti.
Mi piace il modo in cui Luigi mi estrae dal vociare delle chiacchiere postprandiali per invitarmi a fare un giro per il terreno, così da raccontarmi la storia del
casale che la sua abilità d’architetto gli ha permesso di ripristinare curando ogni
particolare. Io e Luigi camminiamo come peripatetici su un viottolo sterrato che
si dirige ver so la
sponda del lago. Calciando grosse zolle di
terra, come a saggiarne la consistenza, Luigi mi continua a raccontare di questa terra, un tempo etrusca,
che la sua famiglia
coltiva da generazioni.
Luigi accarezza le lignee traversine ferroviarie riutilizzate a sostegno di tralci che la
mia ignoranza mi fa
immaginare viti. Gentilmente mi corregge,
parlandomi del Kiwi,
che minimizza il numero di ore lavorate
per ettaro, per questo
rappresentando una
delle colture meno
impegnative: motivo
della sua scelta d'abbandonare il precedente allevamento di
vacche da latte per la
pesantezza delle burocrazie di accesso ai
contributi comunitari
e per la fatica d’accudire le bestie.
Storia di un Nonno
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Dritto, sui primi basoli romani di quella che fu prima la via Cassia, poi la via
Francigena, ora il finale del sentiero che, spezzando il lucido verde del prato all’inglese, arriva alla deliziosa spiaggetta dominata dal vecchio salice, Luigi improvvisamente s’interrompe.
Girandosi verso di me, mi chiede:
“Di dove è originaria la tua famiglia?”.
Gli rispondo che i miei luoghi d’origine sono vicini ai suoi:
“Mio nonno paterno ha sempre sostenuto di essere etrusco! Le tombe di famiglia
sono a Viterbo. Altre vaghe storie di famiglia parlano di Castro, Gradoli e San Lorenzo Nuovo, tutti paesi qui intorno al Lago di Bolsena”.
Luigi mi guarda in silenzio, riprende a passeggiare su quei vecchi basoli. Di
fronte al lago, nella piattezza immota delle acque, rotta al largo dalle brezze
pomeridiane, rifiutando il mezzo toscano che gli offro, mi chiede:
“Com’è che ti chiami?”
Appena gli rispondo ricomincia a camminare, appare perso nei suoi pensieri,
poi di nuovo inizia a raccontare.
“Conoscevo un 'omone', alto quasi come te, esperto cacciatore, grande forchetta e
amante del buon vino, un simpatico compagno, dalla chiacchiera fluente, affabulante, che sapeva tenere banco e mettersi a parlare con contadini e signori”.
Con voce incerta, incredulo dell'assonanza riscontrata tra quell' 'omone' ed il
nonno, chiedo a Luigi:
“Come si chiamava?”.
Luigi non mi sente, prosegue come se non parlasse più con me, perso nei suoi
ricordi di tempi lontani. Solo in prossimità del casale, dove ci aspettano gli altri,
ricomincia a parlare, per descrivere le battute di caccia, anche lì, in prossimità
del Podere Arlena, alternate alle mangiate pantagrueliche che hanno costellato la
sua gioventù, prima della guerra. Mi racconta dei bombardamenti che hanno
devastato il paese di San Lorenzo Nuovo, vicino a Bolsena, con la sua piazza ottagonale; e di come quell' 'omone' che ora si rivela anche ingegnere oltre che cacciatore, si fosse adoperato per la ricostruzione delle case di suoi parenti.
Ingegnere! Non riesco più a trattenermi. È da prima, da quando Luigi mi parla
della sua gioventù e di questo personaggio che l’ha animata, che un tarlo mi
rode. Fermo Luigi trattenendolo imperiosamente per un braccio, e gli chiedo:
“Questo ingegnere, aveva tre figli?”.
Mi risponde semplicemente:
“Si, erano miei lontani cugini, lui lo chiamavo Zio, se ricordo bene era un cugino di
mia madre”.
Storia di un Nonno
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Strano, Luigi non si chiede nemmeno come possa io sapere che questo suo Zio
avesse tre figli. Io sono inebetito, non riesco a parlare. Finalmente, quando già
tutti gli altri ci sono intorno e suo figlio Filippo avanza per chiederci dove eravamo finiti, Luigi si accorge che qualcosa mi turba. Ci guardiamo fisso negli occhi. Lentamente, a voce bassa, rispondo all'interrogativo sguardo di Luigi, mentre continuiamo a fissarci:
“Tuo Zio, l' 'omone', l’ingegnere compagnone, il cacciatore padre di tre figli, è il
mio Nonno etrusco; mio padre, Vittorio, uno dei tre tuoi cugini”.
Luigi letteralmente esplode. Ci siamo incontrati per la prima volta oggi, stamane, sarà un paio d’ore che parliamo e camminiamo, d’incanto è come se mi conoscesse dalla nascita: un diluvio di parole, di ricordi, di giovanili entusiasmi
prorompono da lui. Corre a cercare Maria, sua moglie, deve spiegargli, deve
raccontare. Il figlio Filippo mi è al fianco, a cercare di capire cosa sia successo, il
perché di tutto quel fervore, di quell’agitazione felice. Mentre mi attardo a spiegare a Filippo la straordinaria coincidenza, Luigi è nuovamente di fronte a me,
il cellulare all’orecchio; concitato, parla con qualcuno:
“Si, ti dico è proprio qui di fronte a me, devi venire subito; si, il nipote di Zio, vieni, dai fai presto …”.
Appena Luigi riattacca, entusiasta, mi spiega che ha chiamato un altro suo cugino, Paolo, figlio di Ugo, un ramo della Famiglia Gentili che non ho mai conosciuto. Paolo tra poco sarà qui, vive a Bolsena, arriva subito.
Sono frastornato dall’incredibile coincidenza, dal calore dell'accoglienza di Luigi, dalla veemenza del suo agire, dalla soavità dei suoi ricordi lontani. Ho belle
foto di quel giorno di primavera del 2001, nei luoghi etruschi delle nostre comuni origini, insieme, io e Luigi, sulla sua terra, per un bel pranzo di primavera...
ma i ricordi sono migliori.
Storia di un Nonno
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Quel pomeriggio ho conosciuto Paolo Gentili (1934-?), cugino di II grado sia di
Luigi Manni che dei figli del Nonno, Vittorio, Bruno, Aldo, e un tempo in contatto soprattutto con quest'ultimo perché più prossimo a lui come età. Paolo, che
si è occupato di logistica nella società informatica Bull, è figlio di Ugo, cugino di
I grado del Nonno: suo padre, Pietro, era il fratello di Raffaele, il padre del
Nonno.
Ricordo che da ragazzetto, nella prima metà degli anni '70, un giorno, rispondendo ad una telefonata, l'interlocutore mi dice di chiamarsi Paolo Gentili ; mi
chiede poi di parlare con mio padre Vittorio, glielo passo. Finita la telefonata,
mio padre mi dice che era un suo lontano cugino.
Sempre in occasione di questa telefonata di Paolo, mio padre mi racconta che il
padre di Paolo, Ugo Gentili (1910-1946), era un sommergibilista, Tenente di Vascello imbarcato su un sommergibile impegnato in diverse missioni nel Golfo di
Taranto, durante la II Guerra Mondiale. Successivamente, dopo aver assunto il
comando del sommergibile, verso la fine della guerra si era trovato costretto ad
affondarlo per sottrarlo all'imminente cattura da parte dei Tedeschi. Paolo mi
conferma queste informazioni su suo padre Ugo, precisandomi che l'affondamento è avvenuto il 9 settembre 1943.
Successivamente all'incontro con Paolo, trovo ulteriore conferma della storia di
Ugo consultando un sito della Marina Militare, così scoprendo che il sommergibile in questione è l' H 8, di costruzione canadese, incredibilmente già in servizio
sin dal 1917, durante la I Guerra Mondiale in attività nell'adriatico con base a
Brindisi, ovviamente sotto altri comandanti. Ugo ha avuto due figli Paolo e la
sorella Marilin.
Storia di un Nonno
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Paolo mi parla anche di Pietro Gentili (1870?-?), suo nonno, fratello di Raffaele,
padre del Nonno, che viveva nel paese di San Lorenzo Nuovo, in una casa affacciata sulla bella piazza ottagonale (oggi Piazza Europa, nella foto della pagina
precedente). Nel paese vivevano anche altri membri della Famiglia Gentili, parenti
di Pietro. Peccato che non abbia pensato di chiedere a Paolo se il padre aveva un
frantoio dalle parti di Castro, all'epoca non sapevo ancora dell'esistenza di un
Frantoio Gentili.
Per inciso, nel 1890 il sindaco di San Lorenzo Nuovo si chiama Raffaele Gentili,
come si evince da un'avviso d'asta pubblicato nella sezione inserzioni a pagamento della Gazzetta Ufficiale del Regno di Italia del 15 dicembre 1890.
Sarà davvero il fratello di Pietro, il padre
del Nonno?
Improbabile. Assumendo che il marito
non sia più giovane
della moglie, Raffaele
dovrebbe essere nato
non oltre il 1860,
l'anno in cui nasce la
moglie Vittoria Saveri. Nel 1890, anno
dell'avviso d'asta,
Raffaele dovrebbe
avere almeno 30 anni: un po' troppo giovane per essere sindaco seppure di un
piccolo paese, ma ulteriore dimostrazione di una famiglia Gentili a San Lorenzo
Nuovo.
La storia di San Lorenzo Nuovo (distante circa 45 km da Viterbo) si ricollega
ancora una volta a quella Etrusca, come per Castro con Statonia, in particolare
a quella dell'antico borgo di San Lorenzo alle Grotte, un'antica città abitata dagli Etruschi a partire almeno dal 770 a.C., così chiamata perché circondata da
una miriade di grotte, le cui rovine si trovano a 2 km di distanza dal paese nuovo, in una vallata pianeggiante a metà strada tra San Lorenzo Nuovo e la sponda del Lago di Bolsena.
Nel XVII secolo, a causa dell'innalzamento del livello del lago, la vallata si ricopre di paludi e si diffonde la malaria, che ne decima gli abitanti. A fine secolo,
nel 1683, un tremendo terremoto distrugge quasi del tutto il paese di cui oggi
restano solo rovine nella fitta boscaglia, come per la città di Castro.
Storia di un Nonno
60
Nel 1772, per interesse di Papa
Clemente XIV (1705-1774), si decide la costruzione del nuovo paese in
posizione più alta e salutare, motivo
per cui è aggiunta la parola "Nuovo" alla fine del nome della cittadina. Il progetto è affidato all'architetto Francesco Navone (1731 -1804),
che realizza una sorta di città ideale
secondo i canoni urbanistici del suo
tempo, costruendo la cittadina attorno ad un’insolita e bella piazza
ottagonale, ispirandosi alla piazza
Amalienberg, cuore ottagonale
del palazzo reale di Copenaghen.
Per questo la cittadina, con il proprio impianto urbanistico settecentesco d'impronta neoclassica, si distingue nettamente dai vicini centri
tipicamente medievali. I lavori iniziati nel 1772, sotto Papa Clemente XIV, si concludono nel 1779, sotto Papa Pio
VI (1717-1799), anche se l'anno di fondazione del nuovo paese risale al 1774,
quando v'è portata l'acqua.
Tra maggio e giugno del 1944, nel corso della II Guerra Mondiale, San Lorenzo
Nuovo subisce bombardamenti aerei da parte delle forze alleate, con numerose
vittime e danni considerevoli. Per questo, come mi ha accennato Luigi Manni e
confermato Paolo Gentili, il Nonno si è occupato della ristrutturazione di alcune
case del paese appartenenti al cugino Pietro e ad altri parenti. Inutile dire che in
una successiva smotorata mi sono battuto tutte le case che affacciano sulla piazza ottagonale di San Lorenzo Nuovo, leggendo i nomi sulle buche delle lettere e
sui citofoni, ma di Gentili non ne è spuntato nessuno.
Storia di un Nonno
61
Abbandonando San Lorenzo Nuovo, alla mia richiesta di notizie sui mitici possedimenti terrieri in località Le Farine, Paolo mi racconta che, effettivamente, ci
sono rami della Famiglia Gentili, con i quali ha avuto labili contatti, che tutt'ora
possiedono latifondi, estesi da Viterbo verso Siena.
Costoro discendono da antenati di Luigi Gentili, il mio trisnonno, il bisnonno di
Paolo, il nonno del Nonno. Paolo nulla di più sa dirmi sulla storia latifondista
della famiglia, del Podere Le Farine non parla, la località nemmeno la nomina.
La grande estensione di queste terre della Famiglia Gentili, Viterbo dista 120 km
in linea d'aria da Siena, mi ricorda un problema postomi dal Nonno quando ero
in IV elementare, nel 1967, cosa che sicuramente avrà stimolato il piccolo matematico che allignava in me:
Marco, immagina che il misterioso avo che perde le terre del Podere Le Farine sia il
tuo bisnonno Raffaele, mio padre. Se Raffaele non si fosse giocato le terre, a te ne ne
sarebbero arrivate per circa 1.000 ettari.
Secondo te a quanto ammontava l'estensione complessiva del Podere Le Farine?
Io rispondo "3.000 ettari", moltiplicando per 3, il numero dei nipoti del Nonno al
tempo, io, mia sorella Laura e Claudio, il mio unico cugino; non sapevo ancora
che poi si sarebbero aggiunti Cristina e Luca, ad erodere la quantità di terre che
mi sarebbe spettata. Il Nonno mi dice che ho sbagliato, non tanto per la matematica, quanto per la mia errata valutazione di come opera la discendenza:
• ho trascurato suo figlio Bruno, che, pure senza figli, rappresenta un terzo dell'eredità del nonno;
• un altro terzo va a Claudio, l'unico discendente dell'altro figlio Aldo, in attesa
di Cristina e Luca;
• l'ultimo terzo va diviso tra gli eredi di Vittorio, mio padre, motivo per cui a
me che ho una sorella spetta 1/6.
La risposta giusta si ottiene quindi moltiplicando per 6 la mia parte, così che la
fantasiosa eredità terriera del Podere Le Farine assommerebbe a complessivi 6.000
ettari (equivalente a 10 x 6 Km). Per inciso la superficie della località Le Farine,
almeno per come appare marcata oggi su Google Earth, è sicuramente inferiore
a 100 ettari (equivalente a 1 x 1 Km). Avrà voluto il Nonno mettere alla prova le
mie capacità matematiche? Chissà...
Da allora continuo a chiedermi che avrei fatto con i miei 1.000 ettari di terra,
ritenendomi fortunato d'averli persi, visto che il proprietario terriero non l'avrei
proprio gradito farlo. Certo che un casale vicino a Viterbo, con un poco di terra
attorno, tipo l'Orto ad Ostia Antica, mezzo ettaro di terra (equivalente a circa
70 x 70 m), dove molti anni dopo rinasce, per opera del nonno, il Podere Le Farine,
non sarebbe stato male.
Storia di un Nonno
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C'è un'ultima traccia emersa dalle "carte del Nonno", temporalmente riferibile a
questa fase della leggenda familiare legata al Podere Le Farine, che pure non ha alcuna attinenza con esso: è un documento che sposta la narrazione verso Tuscania (24 Km da Viterbo, circa a metà strada tra Viterbo e Castro). Si tratta di un
appunto vergato a mano dal Nonno (riprodotto qui sotto), in cui egli ricopia il
contenuto di una fattura, custodita nel Museo Nazionale di Viterbo e datata 15
febbraio 1852, relativa a restauri eseguiti in una chiesa di Tuscania che, inutile
dirlo, è stata anch'essa una città etrusca dall' VIII secolo a.C. .
Inevitabili le conseguenti domande:
• perché il Nonno si interessa di questa fattura del 1852?
• perché conserva l'appunto sulla fattura sino alla sua morte?
• qual'è la chiesa di Tuscania a cui il Nonno s'interessa, perché non l'esplicita?
Storia di un Nonno
63
La risposta a tutte queste domande me la fornisce mio cugino Claudio nel 2021:
• il Nonno s'interessa a questa fattura perché lo diverte;
• ne conserva l'appunto perché la trova originale;
• non esplicita la chiesa di Tuscania restaurata perché non esiste.
In questo modo Claudio ben evidenzia come questa volta il mio approccio razionalista sia del tutto inadatto alla indagine e decifrazione di questa fattura ed
alla comprensione dell'interesse che desta nel Nonno.
Leggendola meglio, si nota che il suo contenuto non è altro che una burla, un
esercizio di doppi sensi oscillanti tra grossolanità, stolidità, licenziosità e volgarità; che, comunque, fanno percepire il Nonno anche sotto una rara luce goliardica di cui s'intercetteranno altre tracce ed immaginare che, più che copiarla da
un antico documento visto in un museo, egli l'abbia o inventata o recepita da
qualche amico essendo rimasto divertito dalla provocazione che rappresenta.
Mal indirizzato dall'aver frainteso il senso della precedente fattura per il restauro
di una chiesa a Tuscania, dove si collocano ben 13 chiese:
• Duomo di Tuscania;
• Chiese romaniche di San Pietro e Santa Maria Maggiore;
• Chiesa di Santa Maria della Rosa, Santa Maria del Riposo, San Marco, San
Silvestro, San Francesco, San Giuseppe, San Giovanni Decollato, Santi Martiri (San Lorenzo), Sacro Cuore di Gesù, Nostra Signora di Lourdes;
mi metto alacremente alla ricerca di per capire chi avesse fatto l'inesistente restauro e come fosse legato al Nonno.
Così incappo in una nuova evanescente coincidenza, che lega la Famiglia Gentili
ad un'altra omonima famiglia, generando una nuova illazione familiare che
mette in campo un'altra location etrusca, spesso citata nei racconti del Nonno,
da lui molto frequentata per diversi motivi, non ultimo l'acquisto di eccellenti
salsicce: Civita di Bagnoregio.
Storia di un Nonno
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Illazioni Familiari
A Civita di Bagnoregio sono stato più volte, con il Nonno e mio padre, ben ricordo i pranzi fatti in loco, come anche la leggenda inerente il ligneo Santissimo
Crocifisso, che il Nonno, passeggiando per il paese, mi porta a vedere all'interno
della chiesa di San Donato. Il Nonno mi racconta che questo Cristo, si dice, abbia parlato ad una donna devota, la quale: ogni giorno pregava di fronte a lui
affinché finisse la peste, che nel 1499 interessò la zona; pochi giorni dopo aver
sentito la voce del Cristo, la peste finì, però la pia donna morì lo stesso.
Vorrà dire che faccio bene a non pregare perché la pandemia di COVID-19
s'estingua? Non so, ma almeno questo serve a datare quanto vado scrivendo,
così che, se un giorno un eventuale nipote di chi scrive venisse in possesso di
questo scritto, egli possa arrivare a dedurre quando è stato redatto e quanto sia
stato lucido chi l'ha scritto, in funzione dell'età che cercherà d'attribuirmi.
Anche Civita di Bagnoregio (distante 27 km da Viterbo) è fondata dagli etruschi,
come denota la sua struttura urbanistica, costituita da cardi e decumani secondo
l'uso prima Etrusco e poi Romano; l'intero rivestimento architettonico risulta invece medioevale e rinascimentale. La città si erge nella valle dei calanchi: a causa della morfologia della zona, dove gli strati più antichi sono argillosi e quelli
superiori tufacei e lavici, la collina su cui sorge la città è soggetta a forte erosione
sin dall'antichità, motivo per cui la cittadina è anche appellata "la città che muore".
Questa costante erosione, che nulla ha a che vedere con la scala tipica dei tempi
geologici, che al massimo dettaglio si misurano in migliaia di anni, attraversa veloce il tempo dell'Uomo (come si può ben vedere confrontando le due foto nella
pagina seguente, scattate ad una distanza di soli 83 anni). Delle due foto di Civita di Bagnoregio:
• la prima, in bianco e nero, risale al 1930; si può notare che non c'è ancora
un ponte, non serve, la strada per accedere alla città corre sulla dorsale di un
calanco.
• la seconda, a colori, del 2013, è stata scattata in occasione dell'ultima perlustrazione fatta, ovviamente in moto, da chi scrive, l'anno in cui l'accesso del
paese è divenuto a pagamento; sono evidenti i crolli su entrambi i fianchi
della rupe su cui s'abbarbica il paese; in aggiunta, compare il ponte in cemento armato costruito nel 1965, a sostituzione del primo ponte costruito
poco dopo lo scatto della prima foto, sempre nel 1930 (foto in alto a pag. 65).
Questa costante erosione ha sempre reso necessari lavori di consolidamento e
restauro di edifici storici, civili e religiosi, di notevole rilevanza architettonica ed
artistica, molto presenti nel territorio di Bagnoregio. Non stupisce perciò che
una antica famiglia, qui presente sin dal 1546 (come attesta un documento dell'amministrazione della città), si sia impegnata in un'attività da “capomastri-muratori”, come erano definiti gli imprenditori edili nell’antichità.
Storia di un Nonno
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1930, Vista di Civita di Bagnoreggio.
2013, Vista di Civita di Bagnoreggio, con l'attuale ponte d'accesso.
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...
Storia di un Nonno
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Di che famiglia si tratta? Ovviamente di una famiglia Gentili (www.gentilirestauri.it). Le ultime sei generazioni di questi “Gentili capomastri-muratori” fanno capo a:
• Giuseppe (1830-?);
• Bonaventura (1863-1942), che costruisce il primo ponte nel 1930 (foto in alto
nella pagina precedente);
• Nello (1893-1974), coetaneo del Nonno, che a seguito del crollo del ponte
avvenuto nel 1942costruisce una passerella di legno sostitutiva del ponte crollato nel 1941 (foto in basso nella pagina precedente e foto successiva);
• Antonio, detto Toto (1922-1988);
• Nello (1952), coetaneo di chi scrive;
• Andrea (1978) e Nicolò (1984).
Tantissime le chiese consolidate e ristrutturate da questa famiglia di “capomastrimuratori”, tra cui anche diverse chiese a Tuscania, l'ultima, quella di San Pietro,
fu restaurata successivamente al terremoto del 1971, dopo la morte del Nonno.
Proprio per questo sono arrivato a scoprire questa famiglia Gentili, ingannato
dalla mala interpretazione della fattura copiata dal Nonno riferita ad una chiesa
di Tuscania.
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Può il Nonno, anche perché ingegnere edile ed assiduo frequentatore della zona,
aver conosciuto il suo coetaneo Nello o suo figlio Antonio? O magari aver collaborato a qualcuno dei lavori fatti da questa famiglia?
Può esserci un legame tra questa Famiglia Gentili e quella del Nonno? Non ho risposte.
Non ho nemmeno una chiesa da restaurare, cosa che mi darebbe l'occasione per
tornare a Civita di Bagnoregio per scambiare due chiacchiere con il mio coetaneo Nello, nipote dell'altro Nello, suo nonno, coetaneo del mio.
Più facile che, sempre sulle tracce del perduto Podere Le Farine, scelga di andare a
rilassarmi proprio nel verde e nella quiete della campagna di questa località,
magari affittando una camera nel Casale alle Farine, una casa contadina dei primi
del '900, restaurata conferendogli uno stile che non ne snatura il fascino di altri
tempi. Peccato che la titolare della struttura non appartenga ad una famiglia
Gentili, però le potrei chiedere se ne ha mai sentito parlare da qualcuno lì, in
Località Le Farine.
Storia di un Nonno
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Dalla Leggenda alla Storia
Cosa lega la leggenda familiare alla storia familiare? Una manciata
di avi che appartengono a cinque generazioni: le tre immediatamente antecedenti a quella del Nonno (indicate nella Genealogia con
I, II, II); a cui si aggiunge la sua (IV) e la successiva (V). Un periodo
di 125 anni, compreso tra l'anno 1800 ed il 1925, in cui si sovrappongono:
• la leggenda familiare, il cui epilogo si avvia a partire dal 1800,
quando le precedenti vaste terre sono ormai ridotte al ben più
limitato Podere Le Farine, per concludersi con la vendita anche di
questo residuale terreno, effettuata dal Nonno presumibilmente
nel 1925;
• la storia familiare, che parte inevitabilmente nel 1896, con la nascita del Nonno.
Memorie Familiari
Ci sono due tracce riferibili a questa fase di transizione dalla leggenda familiare
alla storia familiare, diversamente da tutte quelle sinora evidenziate, non le ho
trovate tra le "carte del Nonno".
La prima traccia l'ho sempre avuta sotto gli occhi:
• da bambino, dall'emergere della memoria sino al 1968, esposta nella camera
da letto e studio del nNonno, in via Crescenzio a Roma;
• da adulto, dal 1969 al 2006, in evidenza a fianco della scrivania, nello studio
di mio padre Vittorio - che l'eredita dal Nonno - nella casa di via Basilio
Bricci dove ha vissuto sino al 2006;
• da vecchio, dal 2007 ad oggi, ben visibile nel salone di questa stessa casa,
dove vivo da dopo la morte di Vittorio.
Questa prima traccia è costituita da due oggetti appartenuti alla stessa persona:
• un quadro, che raffigura il ritratto di un vecchio dalla barba folta e fluente;
• un cucchiaio d'argento, di cui il vecchio è il proprietario, con incise le sue
iniziali "B. P.".
Inevitabili le conseguenti domande:
• chi è "B. P."?
• che c'entra questo "B. P." con la Famiglia Gentili?
Storia di un Nonno
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Facile rispondere alla prima domanda, non ho mai dimenticato come si chiamasse il vecchio raffigurato nel quadro, proprietario di quel cucchiaio (qui sotto,
con il dettaglio delle cifre "B.P." alla base del manico del cucchiaio), anche perché il suo nome da bambino mi faceva sorridere: Biagio Paffetti. Così mi raccontò il Nonno dicendomi che era un suo avo, nato e vissuto come lui a Viterbo.
Storia di un Nonno
71
Onestamente non ho risposta per la seconda domanda, motivo per cui dalle
memorie familiari è necessario passare nuovamente alle illazioni familiari, per
cercare di capire come Biagio Paffetti (qui sotto il suo ritratto) potrebbe legarsi
alla Famiglia Gentili.
Prima però devo esplicitare quale sia la seconda traccia.
Storia di un Nonno
72
Nel marzo del 2008 mi dedico ad una solitaria peregrinazione a Viterbo e dintorni volta all'attenta esplorazione dei presunti siti della Famiglia Gentili: la contrada Le Farine; Palazzo Gentili
(quando ancora pensavo che
potesse avere a che fare con la
famiglia); una casa sita in via
Cairoli 20 (nella foto a fianco),
dove hanno vissuto i genitori
del nonno, almeno nel periodo
in cui lui era partito per la I
Guerra Mondiale.Quel giorno,
per la prima ed unica volta, mi
reco anche al cimitero monumentale di Viterbo. Sin da
quando ero bambino, il Nonno
mi ha detto che i miei bisnonni
sono sepolti lì.
Ne ho trovato conferma tra le
"carte del Nonno", in particolare nel testamento scritto a
mano, recante un post-scriptum
che conferma la presenza della
tomba nel cimitero di Viterbo:
Mio figlio Bruno,
provvederà alla illuminazione della tomba dei miei cari a Viterbo.
Non ho trovato però indicazione alcuna sul luogo in cui la tomba dovrebbe collocarsi, motivo per cui, prima ancora di imbarcarmi nell'esplorazione viterbese,
mi metto a studiare la storia del cimitero, che per l'occasione scopro chiamarsi
Cimitero di San Lazzaro.
Una storia che si rivela una stratificazione di morte dal 1576 ad oggi, ovvero da
molto prima dell'invenzione del cimitero moderno, codificato dall'Editto di Saint
Cloud del 1804 emanato da Napoleone Bonaparte per raccogliere tutte le precedenti e frammentarie norme sui cimiteri in Francia, esteso al Regno d'Italia dall'editto Della Polizia Medica promulgato nel 1806, che:
• per motivi igienico-sanitari, prescriveva di seppellire i cadaveri in cimiteri
lontani dall'abitato, al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e
arieggiati, e non più sotto i pavimenti delle chiese o nei giardini ad esse circostanti.
• per evitare discriminazioni tra i morti, coerentemente agli ideali egualitari
della Rivoluzione francese, stabiliva di ornare le tombe con lo stesso tipo di
lapidi.
Storia di un Nonno
73
Sin dal 1215, nell’area attualmente occupata dal Cimitero di San Lazzaro, sono
presenti l’Ospedale e la Chiesa di san Giacomo di Rianese (dal nome del torrente che scorre nei pressi), entrambi eretti dal viterbese Pietro d’Alberga, e da Pietro Guerrera di Vasanello.
Nel 1574 l'Ospedale è abbandonato; due anni dopo, nel 1576, nella stessa zona
è allestito il lazzaretto per gli appestati.
Nel 1853, questa stessa area nel frattempo divenuta proprietà del Monastero di
San Simone, è utilizzata per seppellire i morti causati dall'epidemia di colera che
si diffonde a Viterbo alla fine del settembre 1855, venendo così a costituire un
primo nucleo cimiteriale. Il terreno a disposizione presto si rivela insufficiente,
perciò si utilizza anche quello attiguo, di proprietà di tale Bottaccioli, detto Saltafratte: da allora, quando un individuo muore, a Viterbo si dice "è andato a trovare Saltafratte".
Al 1868 risale la decisione di realizzare l'attuale Cimitero di San Lazzaro, di cui nel
1872 è completato l'’ingresso, progettato dall’architetto romano Virginio Vespignani (1808-1882); noto per lavori fatti a Roma: di ricostruzione nell'aspetto attuale di due porte delle Mura Aureliane, Porta San Pancrazio (1857) nel quartiere di Monteverde Vecchio, e la facciata rivolta verso l'esterno di Porta Pia (1868);
di prosecuzione del progetto iniziale di Giuseppe Valadier per il cimitero del Verano (1807-1812), di cui realizza (1880) la chiesa e l'adiacente quadriportico
d'ingresso.
Il 26 Giugno 1872,Giacomo Lomellini d’Aragona (1820-1876), facente funzioni
di sindaco, comunica a mezzo manifesto che, dal 30 Giugno 1872...
[...] cesseranno le inumazioni nelle Chiese tutte della Città; e dal successivo 1° del
prossimo luglio in poi tutti i defunti entro la Città, senza distinzione di ceto o di
carattere riceveranno sepoltura nel provvisorio Cimitero fuori le mura in contrada S.
Lazzaro, che quanto prima verrà convenientemente decorato siccome esige il rispetto
dovuto ai trapassati. [...]
Nelle campagne, tranne le parrocchie dell’Ellera e di S. Maria delle Farine, si continuerà a seppellire nelle Chiese sino a nuove disposizioni; libero però sempre ai
congiunti dei defunti il far trasportar questi al Cimitero. [...]
Nel 1875 sono abbattute la chiesa e le rovine dell’ospedale per creare la piazza dell’attuale Cimitero di San Lazzaro.
Nel 1888 è decisa la costruzione della Chiesa di San Lazzaro, sull’area del cimitero detta il "Pincetto" perché sopraelevata rispetto al livello del cimitero stesso.
Dal 1890 al 1895, ne affrescata gli interni il pittore viterbese Pietro Vanni (18451905). Il 27 Ottobre 1895 è ufficialmente inaugurata, per essere aperta al culto
il seguente giorno dei morti.
Nel 1911 è necessario ampliare nuovamente il cimitero verso ovest per soddisfare le richieste di sepolture a pagamento.
Storia di un Nonno
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Nel 1920 è eseguito un ulteriore ampliamento, verso sud, a causa dell’epidemia
influenzale detta Spagnola, che fra il 1918 e il 1920, uccide decine di milioni di
persone nel mondo, prevalentemente giovani adulti sani, invece che anziani e
malati, come accaduto per le precedenti epidemie influenzali.
Verso il 1980 si realizza l'ultimo ampliamento del cimitero, sul lato nord ovest. A
cavallo del 2000 è costruito un nuovo cimitero prossimo al vecchio.
Nel marzo del 2008 passeggio all'interno del Cimitero di San Lazzaro con leggerezza, seppure con il dovuto rispetto che la "sacralità" del luogo impone; la parola
"sacro", per me priva di connotazione religiosa, individua qualcosa di assolutamente laico, nel senso di profondamente e dignitosamente umano. Mi piacciono
i cimiteri monumentali ottocenteschi, tanto quanto aborro quelli moderni, che
quasi sempre richiedono di inerpicarsi su scale, che scorrono su binari, per poter
leggere le iscrizioni sulle lapidi. Non ho nessuna informazione sulla collocazione
e l'aspetto della tomba da trovare, gli unici indizi in mio possesso sono i nomi dei
genitori del nonno, Raffaele Gentili e Vittoria Saveri, che so in questa tomba essere stati tumulati, e la data di morte della nonna mai conosciuta, 17 febbraio
1922. Per questo mi dirigo verso la zona del cimitero più vecchia.
Le prime tombe che intercetto sono quelle dei De Gentili, la famiglia che anni
dopo scoprirò essere la proprietaria di Palazzo Gentili. Altre ne incontro ma recano impressi nomi che non mi dicono nulla e date di morte successive al 1922.
Storia di un Nonno
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Vago da quasi due ore per il cimitero quando, addossata ad un muro e incastrata tra due sepolture singole, un sarcofago sorretto da zampe di leone a sinistra,
ed una tomba recintata da 4 pilastrini a destra, mi si presenta una semplice copertura larga il doppio di quelle adiacenti (immagine qui sotto).
Tre spessi lastroni di pietra posti in orizzontale, privi di qualunque iscrizione o
decorazione, coprono l'area di sepoltura. Sul primo di essi, accanto al vialetto
che costeggia le tombe, è poggiato un vaso che contiene una verde pianta di rosmarino. Sulla parete a cui la tomba è addossata sono collocate due lapidi rettangolari di marmo bianco. La prima che leggo, quella sulla sinistra, mi fa vibrare esultante: ho trovato la tomba della Famiglia Gentili! Lo dimostra quanto vi
è inciso sopra:
ALLA SANTA MEMORIA DI MIA MADRE
VITTORIA SAVERI GENTILI
CHE NON AVEVA VENA
OVE NON PALPASSE VIVO
IL SANGUE DI OGNI BONTÀ
IL FIGLIO CLAUDIO
Storia di un Nonno
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Claudio, il Nonno, figlio di Vittoria Saveri, sposata Gentili. Indiscutibilmente
questa tomba è la seconda traccia riferibile alla transizione dalla leggenda alla
storia familiare. Guardo fisso la pietra, incantato. Peccato non ci sia una foto sulla tomba, non ho trovato nessuna foto di Vittoria nelle "carte del Nonno", speravo di poterne averne un'immagine nel suo luogo estremo.
Ci metto parecchio tempo prima di riuscire a distogliere lo sguardo da questa
lapide, per cercare il nome del marito di Vittoria, Raffaele Gentili, sulla seconda. L'emozione del ritrovamento della tomba di famiglia si trasforma in attonito
stupore quando finalmente riesco a dare attenzione alla seconda lapide: non c'è
un solo nome! Ce ne sono tre:
RAFFAELE GENTILI
ANNUNZIATA GENTILI
NAZZARENA SAVERI
Sono basito, non riesco a ragionare. Raffaele era il nome
che m'aspettavo di trovare, ulteriore conferma che la tomba è
quella giusta, ma chi sono Annunziata Gentili e Nazzarena
Saveri?
Non so quanto tempo rimango in piedi, interdetto ed immobile di fronte alla
tomba. Ancora confuso mi riscuoto, impugno la macchina fotografica ed inizio
selvaggiamente a scattare foto, cercando di cogliere i particolari delle scritte
come della vista d'insieme. Mi fermo esausto da nemmeno so quale fatica.
Annunziata Gentili, mai sentita nominare dal Nonno, né da nessuno dei suoi tre
figli, ho sempre ricordato che il Nonno è figlio unico... Le domande mi s'accavallano in mente:
• può essere che il Nonno avesse una sorella di nome Annunziata?
• se sì perché non me ne ha mai parlato quando ero bambino, quando mi raccontava della tomba di famiglia?
Nazzarena Saveri, lo stesso cognome di Vittoria, facile immaginare che siano
parenti:
• chi è Nazzarena?
• la sorella di Vittoria? O forse la madre?
• perché Nazzarena è sepolta nella tomba della Famiglia Gentili?
Storia di un Nonno
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Sono emozionato, devo cercare di capire, guardo l'orologio, chissà se sarà aperto
l'ufficio che ho intravisto vicino all'entrata del cimitero. Finalmente riesco ad
emergere dall'intontimento in cui sono precipitato, quasi correndo mi dirigo a
chiedere informazioni su questa tomba. Faccio appena in tempo, l'ufficio sta per
chiudere per la pausa pranzo, un giovane impiegato riesce a tirare fuori la scarna documentazione attinente alla tomba: una sintetica scheda cartacea vergata a
mano.
Dalla scheda si evince solo che la tomba è stata acquistata il 18 novembre 1913
da Raffaele Gentili, il padre del Nonno. Vi trovo conferma della tumulazione di
4 salme. L'ufficio del cimitero, consultando vecchi registri, riesce a fornirmi ulteriori poche informazioni:
• la data di tumulazione di Annunziata Gentili, nata nel 1893, il 17 febbraio
1915, e la conferma che sia figlia di Raffaele, la sorella del Nonno quindi.
• la data di tumulazione di Vittoria Saveri, nata nel 1860, il 12 luglio 1922 ed
il nome del padre, Luigi Saveri;
L'ordine in cui compaiono i nomi nella scheda della tomba (diverso dall'ordine
in cui i nomi compaiono sulle lapidi) mi fa presupporre che possa indicare l'ordine temporale delle inumazioni, ne trovo parziale conferma dalle sole due date
di tumulazione che mi sono state fornite:
• Gentili Annunziata, morta nel 1915;
• Nazzarena Saveri, che quindi dovrebbe essere morta tra il 1915 ed il 1922;
• Vittoria Saveri, morta nel 1922;
• Raffaele Gentili, che quindi dovrebbe essere morto dopo il 1922, cosa coerente con il fatto che muoia poco dopo la moglie, prima del 1923, quando il
nonno è già il proprietario del Podere Le Farine.
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Sto per lasciare l'ufficio del cimitero quando l'impiegato mi tira fuori una seconda scheda che ritiene possa interessarmi.
Si riferisce ad una seconda tomba, acquistata il 22 ottobre del 1894, da Raffaele
Gentili per il padre Luigi Gentili, che vi risulta tumulato, ciò mi porta a credere
che sia morto in concomitanza dell'acquisto della tomba, nel 1894, fatta 19 anni
prima dell'altra. Inutile dire che mi precipito a cercare questa seconda tomba,
eppure, nonostante le indicazioni sull'ubicazione fornite dalla scheda, non riesco
a trovarla, per questo ritorno alla prima scarna tomba che, immobile, continuo
ad osservare.
F i n a l m e n t e, n o t o
quell'illuminazione
della tomba a cui il
Nonno teneva tanto
da affidarla al figlio
Bruno dopo la sua
morte. Tutto preso
dalla lettura delle lapidi, prima non l'avevo notata. È spenta.
Come mai? Bruno, il
secondo figlio del
nonno, nel 2008 è ancora vivo, gli altri due
figli sono già morti.
Anche se Bruno è ormai impossibilitato a venire su questa tomba, dato che è su
una sedia a rotelle dalla fine del 1995 a causa di un ictus, sicuramente continuerà a pagarne l'illuminazione. Forse la luce s'accende solo di notte.
Storia di un Nonno
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Poi m'accorgo di un particolare che prima m'era sfuggito, la pianta nel vaso di
fronte alle lapidi non è secca, anche se nemmeno curata. Chi la cura e l'innaffia?
Impossibile saperlo.
Nel Cimitero di San Lazzaro di Viterbo ho trovato qualche risposta:
• ho scoperto che il Nonno aveva una sorella, Annunziata Gentili, morta a soli
22 anni;
• ho trovato le date di nascita e morte della madre Vittoria Saveri, che ha vissuto 62 anni;
• ho scoperto che il padre di Vittoria si chiamava Luigi Saveri, il nonno materno del Nonno;
• ho scoperto l'esistenza di un'altra parente di Vittoria, Nazzarena Saveri, senza capire chi possa essere.
Come già per Biagio Paffetti, anche per Nazzarena Saveri, se si vuole capire
come entrambi si legano alla Famiglia Gentili, è necessario passare dalle memorie
alle illazioni familiari, e queste finiranno per coinvolgere anche Luigi Saveri.
Storia di un Nonno
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Illazioni familiari
Comincio da Biagio Paffetti, analizzando la distribuzione territoriale del cognome Paffetti per avere conferma di una ennesima sovrapposizione con i territori Gentili.
Diversamente dal cognome Gentili,
Paffetti in Italia è un cognome raro,
riferibile a sole 91 famiglie, corrispondenti a circa 273 persone
(www.cognomix.it, dati 2018; il fattore di conversione da famiglie ad
individui riportato sul sito citato è
pari a 3). Le famiglie Paffetti si concentrano principalmente: in Toscana, 65 (il 71%), e nel Lazio, 22 (il
24%). Di questi Paffetti laziali, solo 3
(il 3%) si collocano nella provincia
di Viterbo, nessuno nella città di Viterbo o negli immediati dintorni.
Questo conferma la sovrapposizione
tra i territori Gentili e quelli Paffetti,
di fatto un sottoinsieme dei primi,
ed entrambi in sovrapposizione con i
territori dell'antica Etruria. La sovrapposizione territoriale favorisce
la possibilità che le due famiglie si
siano incrociate, conferendo credibilità al fatto che Biagio Paffetti possa
essere un lontano parente, come
raccontato dal Nonno, che genericamente lo definisce "avo".
Nel 2001 quando incontro Paolo
Gentili, gli chiedo se avesse mai sentito nominare una Famiglia Paffetti
di Viterbo, ed in particolare Biagio
Paffetti.
Paolo ha memoria di un Biagio Paffetti, viterbese, è certo che sia un parente, ma
non è sicuro di ricordare quale sia il legame parentale con la Famiglia Gentili perché non appartiene al suo ramo familiare, che discende dal nonno Pietro. Tentenna incerto, poi mi dice che potrebbe essere un parente della moglie di Raffaele Gentili, Vittoria Saveri, la madre del nonno. In ogni caso mi ribadisce di
non esserne affatto sicuro.
Storia di un Nonno
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Per cercare altre tracce di Biagio Paffetti, che le "carte del Nonno" non raccontano, devo tentare di definirne la collocazione temporale, ovvero capire quando
potrebbe essere nato.
Per far questo, come già fatto per realizzare lo schema della genealogia, assumo
che l'intervallo intergenerazionale sia di 30 anni, l'età del genitore alla nascita
del primo figlio che sopravviva sino all'età adulta così da poter lasciare tracce. In
questo modo, partendo dalle uniche date certe per la Famiglia Gentili, che risalendo nel tempo sono quelle inerenti alla nascita:
• della madre del nonno, Vittoria Saveri, nel 1860;
• della sorella maggiore del Nonno, Annunziata, nel 1893;
• del Nonno, nel 1896;
si può ragionevolmente ipotizzare quanto segue:
• il padre del Nonno, Raffaele Gentili, potrebbe essere nato nel 1863, 30 anni
prima della nascita della figlia Annunziata; ma considerando che la moglie
Vittoria Saveri, è con certezza del 1860, per il costume dell'epoca è più realistico considerarlo almeno suo coetaneo, quindi presumibilmente nasce nel
1860;
• il nonno paterno del Nonno, Luigi Gentili, padre di Raffaele, potrebbe di
conseguenza essere nato verso il 1830, ed essere coetaneo dell'altro nonno
materno del Nonno, Luigi Saveri, padre di Vittoria;
• quanto a Biagio Paffetti, parente di Vittoria Saveri, la madre del Nonno, se
ne fosse il nonno, sarebbe nato sessanta anni prima di lei, cioè verso il 1800.
Il fatto che, come già evidenziato, le
Dato l'esiguo numero di Famiglie Paffetti sin Italia e in specie nella provincia di
Viterbo (solo 3 nel 2018), nel caso in cui si riuscissero a trovare tracce di un Biagio Paffetti vissuto a Viterbo nella prima metà dell'800, si potrebbe ritenere ritenere assai probabile che costui sia proprio quello imparentato alla lontana con il
Nonno.
Nel 2020, quando infine mi viene in mente di fare ricerche in Google Libri, un
grande indice di testi integralmente digitalizzati, vi trovo 5 distinte fonti riferibili
ad un Biagio Paffetti vissuto a Viterbo nella prima metà dell'800. Di seguito ricerco le sue tracce, esaminando queste fonti in ordine di pubblicazione:
1. 1833, Lezioni di giurisprudenza;
2. 1840, Almanacco Statistico della Delegazione di Viterbo;
3. 1841-1846, Diario di Roma, con riferimenti a vendite giudiziali;
4. 1849, Protocollo della Repubblica;
5. 1978, Risorgimento Viterbese.
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Fonte 1, 1833, Lezioni sulle azioni interdetti ed eccezioni delle persone col mezzo delle quali può starsi in giudizio e della pena de' temerari litiganti. Tomo Secondo.
Il testo, edito nel
1833 dall'avvocato
Pietro Tizzoni di
Viterbo, si conclude
( P a g. 1 0 9 ) c o n
un'appendice contenente l'elenco alfabetico dalla A alla
Z, "delli signori associati alla presente opera", in cui, alla seconda voce sotto la
lettera "P", compare citato Biaggio
(questa volta scritto
con due "g") Paffetti, con il titolo di
Dottore, quindi laureato, che nel 1833,
alla presumibile età
di 33 anni, lavora
con l'incarico di
Procuratore di Viterbo.
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Fonte 2, 1840, Almanacco Statistico della Delegazione di Viterbo.
Fonte che che conferma (a pagina 76) come Biagio Paffetti, alla presunta età di
circa 40 anni, sia già un procuratore che si occupa di cause civili e non penali.
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Fonte 3, 1841-1846, Diario di Roma.
Periodico stampato a Roma dal 1716 al 1848, noto ai lettori come Il Chracas.
Nel 1716 il periodico nasce con il titolo Diario Ordinario d'Ungheria, per iniziativa
di un'importante famiglia di tipografi ed editori di origine pugliese, Chracas, per
rendere conto della guerra austro-turca, chiamata anche "Guerra d'Ungheria".
La stessa famiglia ne produrrò le successive versioni sino al
Nel 1718 cambia titolo in Diario Ordinario, titolo che manterrà fino al 1774, riportando notizie di vario genere prevalentemente dall'estero, ma anche dall'Italia.
Nel 1798-99, durante la prima Repubblica Romana, proclamata a seguito della
Rivoluzione Francese (1789-99), il titolo diviene Gazzetta di Roma, ed i contenuti
si concentrano su quello che concerne la città.
Dal 1808 cambia nuovamente titolo in Diario di Roma, confermando così la centralità che viene ad assumere la città e le notizie ad essa inerenti.
Dal 1822 nel Diario di Roma compaiono anche notizie della Borsa di Roma, di
letteratura, e avvisi di vendite giudiziali.
Nel 1837 il Diario di Roma modifica completamente il suo aspetto ed il formato,
in prima pagina sotto l'intestazione (vedi immagine sopra) compare la scritta le
Osservazioni meteorologiche fatte nella specola del Collegio Romano, poi ci sono le notizie
da Roma, poi quelle dall'Italia e dall'estero desunte dai giornali esteri. È presente inoltre un'appendice di notizie varie: di letteratura, scoperte, arte, pittura, architettura, anatomia e storia. Diviene uno dei più importanti fogli della città, organo di informazione riguardante soprattutto la vita religiosa e politica locale.
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Nel 1848 il Diario di Roma termina le pubblicazioni, la famiglia Chracas esce di
scena, ed è sostituito dalla Gazzetta di Roma.
Come anticipato dal 1822 nel Diario di Roma compaiono i riferimenti a vendite
giudiziali, o aste giudiziali, che sono una particolare attività processuale attraverso cui il giudice, a seguito di un'esecuzione immobiliare (nel caso di beni da dividere tra più eredi), o di un fallimento (che richiede di far fronte ai debiti), dispone la vendita forzata di uno o più beni mobili o immobili di proprietà dell'esecutato o del fallito, al fine di ottenere una liquidità con la quale soddisfare, in
tutto o in parte, i creditori intervenuti nel processo.
Fonte in cui compaiono 5 diverse vendite giudiziali inerenti stabili e terreni (riportate nelle pagine seguenti), riferibili agli anni tra il 1841 ed il 1846, quando
Biagio Paffetti ha presumibilmente ha tra i 41 e 46 anni, che lo citano in diversi
ruoli:
3.1 9 Settembre 1841, rappresenta l'esattore che beneficerà
della vendita di uno stabile;
3.2 8 Ottobre 1841, rappresenta il possessore del fondo da
vendere;
3.3 24 Novembre 1841, firma il provvedimento di vendita di
stabili come Procuratore;
3.4 15 Dicembre 1841, firma il provvedimento di vendita di
stabili come Procuratore;
3.5 3 Giugno 1846, firma il provvedimento di vendita di un
fondo come Procuratore.
Storia di un Nonno
86
Fonte 3.1,
9/9/1841.
Biagio Paffetti
rappresenta
l'esattore che beneficerà della
vendita di uno
stabile.
Storia di un Nonno
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Fonte 3.2,
8/10/1841.
Biagio Paffetti rappresenta
il possessore del fondo da
vendere.
Storia di un Nonno
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Fonte 3.3,
15/12/1841.
Biagio Paffetti firma il provvedimento di vendita
di stabili come
Procuratore
("Proc.").
Storia di un Nonno
89
Fonte
3.4,15/12/1841.
Biagio Paffetti firma
il provvedimento di
vendita di stabili
come Procuratore
("Proc.").
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Fonte
3.5,3/6/1846.
B i a g i o Pa f f e t t i
firma il provvedimento di vendita
di un fondo come
Procuratore
("Proc.").
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Fonte 4, 1849, Protocollo della Repubblica Romana. Collezione degli
atti indirizzi e proteste trasmesse all'Assemblea ed al Governo dopo
l'invasione Francese.
Testo edito nel 1849 in cui Biagio Paffetti, quando potrebbe avere 49 anni,
compare come fautore della Repubblica Romana (Pag. 577-580), in qualità di
firmatario, assieme a molti altri, di una protesta contro l'intervento delle milizie
francesi per la conquista del colle del Gianicolo, a Roma, strenuamente difeso
da Giuseppe Garibaldi, asserragliato a Villa del Vascello. Nel protocollo si legge:
Noi protestiamo altamente innanzi a Dio , ed al Popolo contro ogni intervento qualunque, e giuriamo di volere 1'attuale Governo , la gloriosa nostra Repubblica, per
la quale combatteremo a tutta oltranza.
Sì noi abbiamo fermo di resistere contro le Armi Francesi, e rendiamo mallevadrice
[responsabile] la Francia di tutte le conseguenze.
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Seguono i nomi dei firmatari tra cui, a pagina 579, compare il nome Biagio Paffetti.
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Fonte 5, 1870, Il Risorgimento viterbese nel "Sommario" di Angelo
Mangani.
Libro del 1978 scritto da Bruno Barbini (1925-2014), docente di lettere, giornalista, storico, che ha pubblicato numerosi libri sulla storia di Viterbo e sul Risorgimento, sulla base dei documenti raccolti da Angelo Mangani (1827-1900),
primo sindaco di Viterbo dopo il plebiscito del 2 ottobre 1870 che decreta l’annessione al Regno
d'Italia del Patrimonio
di San Pietro, una delle 4 province dello
Stato Pontificio istituite da Innocenzo
III (1198-1216).
All'interno del volume (Pag. 101).è riportato il testo per la
nomina di una
Commissione Municipale per il governo
provvisorio della città di Viterbo, a valle
del 2 ottobre 1870,
in attesa di future
elezioni. Il Presidente di questa commissione è Biagio Paffetti, che nel 1870 ha
probabilmente 70
anni.
È chiamato, "Illustrissimo", "Dottore", "Patriota", come sono
considerati anche gli
altri membri della
Commissione, per i
quali la "Patria particolare" è il Comune di
Viterbo, e la "Patria
comune" l'Italia.
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In virtù delle facoltà conferitemi quale Reale Commissario di questa Provincia in
nome di Vittorio Emanuele II, dovendo venire alla nomina di una Commissione
Municipale Provvisoria, fino a che una nuova legislazione stabilisca le norme per
una elezione popolare delle stabili Magistrature Comunali, ho il piacere di annunciarle che, inteso anche il voto di molti fra i più spettabili dei suoi Concittadini, la
S. V. Ill.ma è stata prescelta ad uno dei membri componenti tale Commissione, a
cui sarà Presidente l'Ill.mo Signore Dott. Biagio Paffetti.
Io spero che atteso il provato suo patriottismo, vorrà accettare l'onorifico incarico,
che specialmente nelle attuali circostanze La renderanno sempre più benemerita, e di
questa sua Patria particolare [Comune di Viterbo], e della Patria comune
[Italia], e del Governo dell'invitto Re [Vittorio Emanuele II] cui tutta Italia
acclama. [...]
Purtroppo, non riuscendo a leggere il seguito del testo, rimane non precisata
l'esatta data del provvedimento di costituzione della Commissione Municipale.
In ogni caso da collocarsi, visto il carattere di provvisorietà della commissione in
attesa di leggi che regolino le elezioni comunali, all’indomani dell’ingresso a Viterbo delle truppe italiane, avvenuto il 13 settembre 1870, quando si pone il
problema del governo della città.
Riassumendo, il Biagio Paffetti che emerge dalle 5 fonti esaminate, peraltro tra
loro fortemente eterogenee (cosa che ne migliora l'attendibilità), appare la coerente evoluzione di una medesima persona:
• nasce ad inizio del secolo XIX da una famiglia benestante viterbese, in grado di pagargli gli studi per conseguire una laurea in giurisprudenza, motivo
per cui è sicuramente una persona colta (Fonti 1, 2, 3,4);
• almeno dal 1833, sicuramente sino al 1846, lavora a Viterbo come procuratore alle cause civili, occupandosi di vendite giudiziali (Fonti 1, 2, 3);
• raggiunta la piena maturità, nel 1849, è una nota ed illustre personalità tra i
suoi concittadini della città di Viterbo, che appare dotata di interessi politici
e mossa da impeti risorgimentali, che agogna l'unità d'Italia e l'affrancamento dallo Stato Pontificio, che depreca l'intervento francese in favore della
Chiesa che porrà fine alla breve Repubblica Romana (Fonte 4);
• nell'età più avanzata, nel 1870, dopo l'annessione di Viterbo al Regno d'Italia, la notorietà ed il rispetto per i suoi ideali lo fanno arrivare ad assumere
incarichi amministrativi nell'ambito del Comune ed a relazionarsi con Angelo Mangani, eletto primo sindaco di Viterbo nello stesso anno (Fonte 5).
Conforta ulteriormente il fatto che le date riferibili alle citazioni di Biagio Paffetti trovate nelle 5 diverse fonti siano coerenti con la vita di una persona:
• nata come ipotizzato all'incirca nel 1800;
• che lavora almeno dal 1833, quando dovrebbe avere circa 33 anni;
• ancora viva nel 1870, quando ha ormai circa 70 anni.
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Scoperto tutto ciò, quando mi fumo un sigaro in salone, nella casa di Via Bricci
e Monteverde Vecchio, proprio dove nel 1849 per la Repubblica Romana si è
combattutomi furiosamente, siedo sempre cercando di incrociare lo sguardo di
Biagio Paffetti. Indugio maggiormente a fissarlo, m'appare una bella ed interessante persona, non più lo sconosciuto dallo sguardo severo che mi fissava da
bambino nella stanza del Nonno, nella casa di Via Crescenzio.
Capisco meglio perché il Nonno abbia sempre voluto con sé questo suo bisnonno da parte di madre, io ancora oggi continuo a tenerlo con me, ormai so che è
il mio quadrisnonno, il quintavolo di Clelia e Aurora, le ultime eredi del Nonno.
Cercando tracce di Biagio sono incappato in due ulteriori indizi riferibili al cognome Paffetti: in questo caso si tratta di una donna, Nazzarena.
Avendo già constatata la rarità del cognome Paffetti nella città di Viterbo, è concepibile immaginare Nazzarena parente di Biagio.
Ricordando anche che una Nazzarena, di cognome Saveri, è seppellita nella
tomba di famiglia del Cimitero di San Lazzaro di Viterbo e non si è ancora capito
chi possa essere.
Chi è Nazzarena Paffetti? C'entra qualcosa con la Famiglia Gentili?
Diversamente da quanto fatto con le fonti riferibili a Biagio, di seguito, di quelle
riferibili a Nazzarena, si esamina anzitutto quella più recente, che mi ha spinto
ad indagare ulteriormente, permettendomi di trovare anche la seconda:
6. 1893, Inserzioni a pagamento della Gazzetta Ufficiale del Regno
d'Italia;
7. 1852, Libretto Tragedia lirica "Emma e Ruggero".
Storia di un Nonno
96
Fonte 6, 1893, Inserzioni a pagamento della Gazzetta Ufficiale del
Regno d'Italia.
Fonte in cui compare una pubblicazione (la stessa: a pagina 531, pubblicata il
17/3; a pagina 538, pubblicata il 18/3) del Tribunale Civile di Viterbo, di cui di
seguito si riproduce un estratto riferibile a diverse proprietà, tra cui compare un
terreno (lotto 3) in qualche modo legato ad una Nazzarena Paffetti, assieme ad
una Vittoria Saveri.
(1a Pubblicazione).
Tribunale civile di Viterbo
--Istante De Santis Vincenzo fu Francesco, avanti questo Tribunale, il 27
aprile 1893, avrà luogo l'incanto
giudiziale [vendita all'asta] dei
fondi seguenti a danno di Meschini
Nazzareno e Giorni Salvatore. [...]
Lotto 3.
Terr. [terreno] voc. [vocabolo,
minima unità toponomastica]
Valle Mezzogrono, sez. 21, nn.
422, 423, 424, [coordinate catastali], are 44.30 [superficie],
conf. [confinante] fosso, Paffetti
Nazzarena, Saveri Vittoria, tributo
L. 6. [...]
Tutti posti in città e territorio di Viterbo.
L'incanto si aprirà sul prezzo offerto
dall'espropriante in L. [...] 360 pel
3° [Lotto] [...].
Le altre condizioni sono contenute
nel relativo bando depositato in cancelleria del tribunale.
Avv. G. Ferdinando Egidi
procuratore.
Storia di un Nonno
97
Per quanto capisco, su iniziativa di
Vincenzo De Santis ("Istante"), i diversi lotti si è qui riportato solo
quello d'interesse, il 3) sono forzatamente sottratti ("a danno di") a
Nazzareno Meschini e Salvatore
Giorni - che immagino debitori
verso De Santis - per essere venduti
all'asta, così da rifondere il debito.
Il Lotto 3, "vocabolo Valle Mezzogrono", consiste in un terreno, "posto in
città e territorio di Viterbo", che all'epoca vale 450 lire, di superficie pari
a 44,30 are. L'ara è l'unità di misura specificatamente utilizzata per
misurare, a fini catastali e fiscali, la
superficie di terreni agricoli, equivalente a circa un decimo di ettaro
di terra (1 ara = 100 metri2).
Quello che non capisco è il ruolo
delle persone che nell'elenco dei
lotti sono ad essi associate. Ne sono
comproprietarie? Hanno forse un
diritto di prelazione per l'acquisto?
Non so rispondere.
Il Lotto 3, oltre Nazzarena Paffetti,
riguarda un altra donna, Vittoria
Saveri: nome e cognome coincidono con quelli della madre del Nonno. Proprio questo il motivo per cui
la pubblicazione m'intriga, ed offre
motivo per interessarsi anche della
distribuzione territoriale del cognome Saveri, anch'esso abbastanza raro in Italia.
Il cognome Saveri è riferibile a sole
205 famiglie, corrispondenti a circa
615 persone (www.cognomix.it, dati
2018, il fattore di conversione da
famiglie ad individui riportato sul
sito cognomix è pari a 3).
Storia di un Nonno
98
Le famiglie Saveri si concentrano principalmente in Umbria, dove se ne trovano
55 (il 27%), come pure nel Lazio, che ne registra 54 (il 26%). Di questi Saveri
laziali, solo 19 nuclei (il 9%) si collocano nella provincia di Viterbo, di cui 11 ( il
5%) anella città diViterbo. Domande si aggiungono alle domande:
• potrebbe essere che, data l'esiguità delle famiglie Saveri a Viterbo, la Vittoria,
citata assieme a Nazzarena, sia la moglie di Raffaele, la madre del Nonno?
• cosa lega Nazzarena Paffetti a Vittoria Saveri?
• che cosa c'entrano Nazzarena e Vittoria con il "vocabolo Valle Mezzogrono"?
Fonte 7, 1852, Teatro privato del conte Macchi: rappresentazione
della tragedia lirica "Emma e Ruggero".
Fonte che consiste in un libretto a stampa di 28 pagine, edito a Viterbo, che
identifica Nazzarena Paffetti come cantante a Viterbo (Il Teatro nel Lazio, https://
movio.beniculturali.it/asrm/ilteatronellazio/it/1/home). In particolare, nella
primavera 1852 Nazzarena risulta impegnata come cantante (non dilettante)
nella rappresentazione della tragedia lirica "Emma e Ruggero" presso il teatro del
Conte Oreste Macchi, collocato all'interno dell'omonimo Palazzo Macchi, in
piazza Luigi Concetti, a Viterbo (foto sotto).
Storia di un Nonno
99
Per inciso, Palazzo Macchi si chiama così dal 1611, quando è acquistato dalla famiglia. Prima è Palazzo Maidalchini, proprietà della famiglia di Donna Olimpia,
onnipresente nei luoghi della leggenda familiare.
La rarità del cognome Paffetti a Viterbo e la collocazione temporale indicata
dalla performance teatrale, fanno sì che si possa ipotizzare essere Nazzarena una
figlia di Biagio Paffetti. A partire dalla presunta data di nascita di Biagio, attorno
al 1800, Nazzarena potrebbe essere nata all'incirca nel 1830 (sempre usando la
distanza intergenerazionale di 30 anni). Tale ipotesi la renderebbe in grado di
cantare di fronte ad un pubblico a 22 anni, nel 1852, specie considerando che lo
spettacolo del Conte Oreste Macchi appare di tipo privato, dato che è ospitato
nel teatro di famiglia, e perché vi partecipa come cantante (dilettante) anche un
suo parente, Giuseppe Macchi (Fonte Il Teatro nel Lazio.
Ancora rimanendo concentrati su
Nazzarena, c'è un'ultima considerazione da fare: questo nome non
sembra essere così diffuso. Cercando di oggettivare questa ipotesi ho
trovato informazioni sulla numerosità e distribuzione territoriale della
versione maschile del nome, Nazzareno, (www.nomix.it, dati 1980),
mentre nessuna informazione è disponibile sulla versione femminile.
Nazzareno risulta essere il 412°
nome più comune in Italia, portato
da circa 20.649 persone (0,03% della popolazione italiana). È maggiormente diffuso nel Centro Italia,
soprattutto nelle Marche (31%) e
nel Lazio (24%), in cui ci sono
4.788 persone con questo nome, di
cui circa 600 (il 3%) nella provincia
di Viterbo.
Proprio per questa confermata rarità del nome Nazzareno, plausibilmente estensibile anche alla sua variante femminile, è incredibile che
sia incappato in due persone con lo
stesso nome di battesimo che mostrano qualche legame con la Famiglia Gentili.
Storia di un Nonno
100
È curioso che l'unione dalle tracce derivanti dalle memorie familiari inerenti:
• il misterioso antenato Biagio Paffetti da un lato;
• la tomba di famiglia al cimitero di San Lazzaro a Viterbo dall'altro;
abbiano fatto emergere due persone con lo stesso inconsueto nome:
• Nazzarena Paffetti, plausibilmente nata nel 1830 e figlia di Biagio Paffetti, in
qualche modo legata alla Famiglia Gentili;
• Nazzarena Saveri, probabilmente morta tra il 1916 ed il 1921, seppellita per
seconda nella tomba di Vittoria Saveri, appartenente alla Famiglia Gentili.
Le date presunte individuate per entrambe le tracce dimostrano come Nazzarena debba appartenere necessariamente ad una generazione antecedente a quella
di Vittoria, nata nel 1860. Una generazione antecedente... quindi quella della
madre di Vittoria!
Eureka! Ecco chi è Nazzarena:
• la figlia di Biagio Paffetti, quindi Nazzarena Paffetti;
• la moglie di Luigi Saveri, quindi Nazzarena Paffetti in Saveri;
• la madre di Vittoria Saveri, accomunata ad essa per quanto riguarda il "vocabolo Valle Mezzogrono", che è plausibile possa essere una qualche eredità congiunta; seppellita nella stessa tomba con la figlia;
• la nonna materna del Nonno, del cui padre, Biagio Paffetti, il bisnonno del
Nonno, egli conserverà sempre quadro e cucchiaio.
Avevo anticipato che le illazioni familiari su Nazzarena avrebbero finito per
coinvolgere anche Luigi Saveri, quello che adesso si è scoperto esserne il marito,
ebbene siamo arrivati al punto: Biagio Paffetti a chi potrebbe concedere in sposa
la figlia Nazzarena, poco prima del 1860 (data di nascita della nipote Vittoria),
quando è già un illustre e noto cittadino di Viterbo? Immagino non di certo ad
un contadino di scarsa cultura, tanto per fare un esempio.
Occorre quindi indagare su Luigi Saveri, per capire se avesse la dignità sufficiente per poter ottenere da Biagio la mano della figlia.
Questa ulteriore indagine produce due tracce di Luigi Saveri legate alle seguenti
fonti:
8. 1887-1988, Inserzioni a pagamento della Gazzetta Ufficiale del
Regno d'Italia;
9. 1895, Annuario del Ministero di Grazia e Giustizia.
Di seguito le si esamina in ordine cronologico, partendo dalla più antica.
Storia di un Nonno
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Fonte 8, 1884-1888, Inserzioni a pagamento della Gazzetta Ufficiale
del Regno d'Italia.
Fonte in cui compaiono 3 diverse vendite giudiziali inerenti stabili e terreni (riportate nelle pagine seguenti), che negli anni compresi tra il 1b84 ed il 1888,
quando presumibilmente Luigi Severi ha tra i 54 e 58 anni, lo vedono firmare i
provvedimenti di vendita come Procuratore:
Fonte 8.1, 23 agosto 1984, l'avviso di una vendita giudiziaria di quattro terreni;
Fonte 8.2, 7 ottobre 1887, un bando per la vendita giudiziaria di 12
lotti;
Fonte 8.3, 31 luglio 1888, la pubblicazione di un'altra vendita giudiziaria (la stessa riportata due volte: a pagina 2, pubblicata il 31/7/1888;
a pagina 4, pubblicata il giorno successivo 1/8/1888).
Se ne deduce che Luigi Saveri è laureato in giurisprudenza ("Avv.") e lavora, almeno negli anni 1884- 1888, come Procuratore che si occupa delle cause civili
per il Tribunale di Viterbo.
È quindi un collega di Biagio Paffetti, entrambi lavorano per il medesimo Tribunale Civile di Viterbo, dunque nessun problema a concedergli la figlia Vittoria.
Storia di un Nonno
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Fonte 8.1,
23/8/1884.
Luigi Severi firma
l'avviso per la
vendita giudiziale
di quattro terreni
come Procuratore
("proc").
Storia di un Nonno
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Fonte 8.2,
7/10/1887.
Luigi Severi firma il bando per
la vendita giudiziaria di 12 lotti
come Procuratore ("proc").
Si riporta solo l'inizio (in alto) e
la fine (in basso) del bando.
Storia di un Nonno
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Fonte 8.3,
31/7/1888.
Luigi Severi firma l'avviso
per la vendita giudiziale di
uno stabile come Procuratore
("proc").
Storia di un Nonno
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Fonte 9, 1985, Annuario del Ministero di Grazia e Giustizia.
Fonte in cui si trova l'elenco degli avvocati presso la Corte di Cassazione di
Roma (da Pag. 322 in poi) in cui compare l'Avv. Luigi Saveri Proc. residente a
Viterbo (Pag. 329). Ciò conferma quanto già appena dedotto (Fonte 8) circa la
professione di Luigi Saveri, che, nel 1895, ha presumibilmente circa 65 anni.
Storia di un Nonno
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In questo annuario non compare Biagio Paffetti, che, sempre nel 1895, avrebbe
95 anni, può significare che: o non ha mai fatto parte della corte di cassazione di
Roma, o è già morto da un pezzo.
Storia di un Nonno
107
Il fatto che Luigi Saveri e Biagio Paffetti siano colleghi apre un duplice possibile
scenario:
• può darsi che Luigi, una volta conosciuto Biagio in ambito professionale, abbia avuto modo di incontrarne la figlia, o per iniziativa di Biagio che la vuole
maritare con qualcuno che magari stima, o su iniziativa di Nazzarena stessa
che s'intriga di questo giovane avvocato che collabora con il padre;
• in alternativa, dopo che Luigi e Nazzarena si sono conosciuti indipendentemente, Biagio potrebbe aver aiutato il futuro genero laureato in giurisprudenza a trovare lavoro, introducendolo nell'Amministrazione giudiziaria di
Viterbo.
Chissà se uno di questi due scenari è quello vero?
Sono inebetito...
Sin da bambino mi sono chiesto chi fosse Biagio Paffetti ed ora, a 62 anni, sono
riuscito a scoprirlo, identificandone l'attività lavorativa di Procuratore del Tribunale di Viterbo, il pensiero repubblicano, il legame di parentela con il Nonno;
scoprendone la figlia, Nazzarena Paffetti in Saveri, cantante lirica, la nonna materna del Nonno.
Trovando tracce anche del marito Luigi Saveri, anche lui Procuratore del Tribunale di Viterbo, il nonno materno del Nonno.
Questa è la mia personale indimostrabile verità, il mio atto di fede, se si preferisce. Sono perfettamente e lucidamente cosciente che tutto questo è sicuramente
un'illazione, solo di questo stiamo parlando, ma assolutamente coerente con i
tanti indizi racimolati:
• le distribuzioni territoriali dei cognomi Gentili, Paffetti, Saveri;
• le ipotesi sulle date di nascita dei protagonisti, il 1800 per Biagio, il 1830 per
la figlia Nazzarena ed il marito Luigi, fondate sull'assunzione dell'intervallo
intergenerazionale di 30 anni;
• i documenti attestati il lavoro di Biagio (Fonti 1, 2, 3, 4, 5);
• il documento del 1893 (Fonte 6) sulla vendita di un terreno (Lotto 3), quando
Nazzarena Paffetti avrebbe 63 anni e Vittoria Saveri 33, che potrebbe legarsi
ad un'eredità destinata a madre e figlia;
• il documento del 1852 (Fonte 7) sullo spettacolo teatrale, in cui Nazzarena
Paffetti avrebbe 22 anni;
• i documenti attestanti il lavoro di Luigi (Fonti 8, 9);
• la data di morte di Nazzarena, compresa tra il 1916 ed il 1921, dedotta dall'ordine di sepoltura nella tomba della Famiglia Gentili, che la indicherebbe
come estremamente longeva per l'epoca, presumibilmente morendo tra gli
86 ed i 90 anni.
Storia di un Nonno
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Rimane più arduo fare illazioni sulle altre domande che le diverse tracce trovate
hanno fatto emergere:
• cosa lega Nazzarena e Vittoria, madre e figlia, con il "vocabolo Valle Mezzogrono"?
• perché Nazzarena è sepolta con la figlia Vittoria, nella tomba della Famiglia
Gentili e non con il marito Luigi Saveri?
Questa ricostruzione degli antenati del Nonno vissuti nell'800 esaurisce la leggenda familiare, dando la forza di spingersi oltre, per inoltrarsi nella storia familiare, che comincia tra fine '800 ed inizio '900 con le nascite del Nonno, Claudio,
e di quella che diverrà sua moglie, Angela, la Nonna che purtroppo nessun nipote ha mai conosciuto.
Il passaggio dalla leggenda alla storia è contraddistinto da un nuovo tipo di tracce, le fotografie, come quelle qui sotto che ritraggono quel bambino e quella
bambina, presumibilmente di circa 2 e 6 anni (quindi fotografati rispettivamente
nel 1888 e nel 1907), che diverranno i Nonni Claudio ed Angela,
Foto che, per quanto attiene alle generazioni precedenti a quella del Nonno,
sono totalmente assenti tra le "carte del
Nonno", ad eccezione di una che lo
vede ritratto assieme al padre Raffaele.
Storia di un Nonno
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Storia Familiare
Ricostruito il racconto della leggenda del Nonno, oscillando tra
memorie ed illazioni familiari, si può passare a raccontarne la storia, che comincia il 17 aprile 1896, o più esattamente circa 9 mesi
prima, quando la madre, Vittoria Saveri, rimane incinta per la seconda volta.
La storia familiare del Nonno, diversamente dalla leggenda, travalica i confini del territorio della provincia di Viterbo, dilagando per
tutta l'Italia, dal Nord al Sud, in ordine cronologico nelle seguenti
località: la montagna del Col di Lana delle Dolomiti (con un breve
sconfinamento in Albania), Roma, Firenze, Anagni, Cosenza, Trani,
Orvieto, Catanzaro, Gaeta, Casale Monferrato, Ostia Antica.
Come per la leggenda familiare, anche la storia familiare si articola in diversi intervalli temporali corrispondenti alle fasi in cui si articola la vita del Nonno:
• 1896-1915, Infanzia e adolescenza a Viterbo;
• 1915-1918, Volontario per la I Guerra Mondiale tra Dolomiti ed Albania;
• 1918-1921, Studente universitario a Roma;
• 1921-1926, Primi Lavori a Firenze;
• 1926-1928, Direttore dei Lavori a Roma per l'Impresa Tudini-Talenti;
• 1928-1932, Direttore dei Lavori a Roma per la Società Puricelli;
• 1932-1935, Direttore dei Lavori a Cosenza per l'Impresa Parrini;
• 1935-1940, Direttore dei Lavori a Roma per l'IAFCP
• 1940-1945, Richiamato per la II Guerra Mondiale tra Trani e Roma;
• 1945-1958, Capo Sezione IACP e Imprenditore a Roma;
• 1958-1965, Consulente in giro per l'Italia;
• 1965-1967, Direttore dei Lavori dell'Ultimo Cantiere a Ostia Antica.
Storia di un Nonno
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1896-1915 Infanzia e adolescenza a Viterbo
Il Nonno nasce a Viterbo il 17 aprile del 1896, da Raffaele Gentili e Vittoria Saveri, è il secondogenito, ha una sorella più grande di lui di tre anni, Annunziata.
Dell'infanzia del Nonno rimangono assai poche tracce.
La più antica è una foto (a sinistra) in cui appare stare con sicurezza dritto in
piedi da solo, quindi quando avrà all'incirca 2 anni, nel 1898.
La foto temporalmente successiva (a destra) potrebbe essere di 10 anni dopo, del
1908. Quella in cui il Nonno, "ragazzetto" di 12 anni, è con il padre Raffaele. Sul
retro di questa foto, vergate dal Nonno, appaiono poche parole:
Claudio, Padre mio
Claudio da Ragazzetto
Storia di un Nonno
111
Dove vive il Nonno con genitori
durante la sua infanzia?
Nel Podere Le Farine sicuramente in
possesso del padre?
O nella casa in Via Cairoli 20 a
Viterbo, dove nel 1918 vivono i
genitori, come attestano un paio di
cartoline inviate dal Nonno mentre
è in guerra?
Le finestre di questo edificio gli
conferiscono una certa antichità.
Per inciso, mi chiedo cosa significhi
la scritta che sovrasta le finestre del
primo piano, dove, sulla quella di
sinistra, si legge "INPERIO", su
quella di destra "DE TOZ".
Impossibile saperlo.
Storia di un Nonno
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La traccia più divertente dell'infanzia del Nonno è un disegno che si lega ad un
processo che nel 1911-12 ebbe risonanza nazionale, il Processo Cuocolo.
Ma il Nonno, che nel 1911 ha 15 anni, che c'entra con il processo?
Storia di un Nonno
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Il disegno rappresenta la finta copertina di un settimanale intitolato "La tribuna
illustrata”, pubblicato a Roma dal 1890 al 1969, uno dei preferiti dagli italiani,
dalla fine dell'Ottocento, fino all'avvento della televisione. Questa finta copertina, datata1910, mostra una caricatura del Nonno in piedi, in mezzo all’aula del
tribunale. Bisogna soffermarsi a guardarla bene, a meditarla, prima di leggere di
seguito la didascalia che l'accompagna, atta a spiegare:
• perché il Nonno sia nell'aula giudiziaria vestito da marinaretto;
• chi sia l'arrabbiato giurato che nel disegno è in piedi con le braccia alzate;
• cosa turbi i presenti, giudici, giuria e pubblico.
Il 16 Marzo 1911, presso la Corte di Assise del Tribunale di Viterbo, inizia un
tormentato processo alla camorra napoletana. La discrepanza di un anno con la
data riportata sulla finta copertina fa immaginare che il disegno sia realizzato
successivamente, cosa che spiega la facilità con cui si riconosce il Nonno, ritratto
con un viso adulto, ben differente da quello che mostra nella foto con padre presumibilmente del 1908.
Il Processo Cuocolo prende appunto il nome dai coniugi Cuocolo, uccisi il 5
giugno del 1906 a Napoli. Siccome si ritiene che non ci siano le condizioni di
sicurezza adeguate per celebrare il processo a Napoli, si decide di trasferirlo a
Viterbo, cosa che provoca grandi proteste da parte della popolazione viterbese,
preoccupata per l'arrivo in città di un gran numero di camorristi, visto che gli
imputati sono 55. Non è un processo breve: l'elevato numero degli accusati e le
numerosissime testimonianze, oltre alle rivelazioni del "pentito" Gennaro Abbatemaggio, tengono la corte impegnata per più di un anno. Il processo termina il
9 luglio 1912. Enrico Alfano e i principali imputati, otto in tutto, sono condannati a trent’anni, altri 47 imputati a pene minori, sempre per associazione a delinquere.
L'ironico e giocoso disegno che prende in giro il Nonno fa presupporre che il
padre Raffaele sia stato scelto come giurato per questo processo: dovrebbe essere
quello in piedi con le braccia alzate ed i pugni serrati, sulla destra dei giudici, in
mezzo agli altri giurati, gli imponenti baffi avallano l'ipotesi. La didascalia sottostante all'immagine spiega tutto:
Nella corte d’assise di Viterbo durante una seduta del processo della banda Cuocolo
un ragazzo che aveva marinato la scuola per venire a vedere il genitore nell’espletamento delle sue funzioni di giurato, nulla compreso della maestà del luogo, si abbandonava ad un atto che, anche a Viterbo, devesi ritenere sconveniente, fidando che
il medesimo rimanesse anonimo. E sarebbe riuscito nel suo intento, se non fosse capitato in un gruppo di assidui, già ben noti tra loro, uno dei quali con la frase
'Comme fete’sto quaglione', lo denunciava al pubblico disprezzo ed alla paterna
collera.
Acquisito che era uno scureggione, tra le "carte del Nonno" poche altre sono le
tracce della sua adolescenza.
Storia di un Nonno
114
Che studi avrà fatto il Nonno? Non esistono tracce, dovrebbe aver completato
degli studi superiori di tipo tecnico, come indicano:
• un paio di libri trovati tra le "carte del Nonno", sui quali ho studiato quando
ero alla scuola media; non sembrano propriamente di livello universitario,
uno di aritmetica e l'altro di fisica, rispettivamente del 1881 e del 1873;
• il fatto che si sia poi potuto iscrivere a quella che oggi chiameremmo la Facoltà d'Ingegneria dell'Università La Sapienza.
Scelgo di far finire l’adolescenza del Nonno nel primo semestre del 1915, in
concomitanza di due fatti tragici posti a cavallo del suo 19esimo compleanno, il
17 aprile, e plausibilmente tra loro consequenziali:
• il 17 febbraio 1915 muore la sorella maggiore del Nonno, Annunziata, a 23
anni, probabilmente a causa di tifo; viene sepolta nella tomba di famiglia acquistata dal padre del nonno, Raffaele, il 18 novembre 1913 nel cimitero di
Viterbo; non ne è pervenuta nemmeno una foto;
• il 15 maggio del 1915, il Nonno animato da uno spirito ribelle, che lui stesso
50 anni dopo definirà garibaldino, parte volontario per quella che chiama la
Grande Guerra Italo-Austriaca, che, per tutta la sua vita interpreta come
l’ultima guerra di indipendenza dell’Italia, la stessa che sui libri di storia si
studia come I Guerra Mondiale.
Storia di un Nonno
115
1915-1918 Volontario per la I Guerra Mondiale
tra Dolomiti e Albania
La storia del Nonno in guerra, sia durante la I che la II Guerra
Mondiale, è dettagliatamente raccontata da chi scrive nel 2007 in un
testo intitolato Storia di una Storia mai raccontata, arricchito della
documentazione di pertinenza. In questa sede ci si limita a riassumere sinteticamente i luoghi e le azioni in cui il Nonno è impegnato,
limitandosi ad allegare le sole immagini della documentazione e
oggettistica a corredo avute direttamente dal Nonno.
Sulla piastrina identificativa del Nonno (foto sopra) è sbagliato il cognome
della madre (Severi invece che Saveri)
e l'anno di nascita (1898 invece che
1896), cosa che magicamente lo rende
21enne.
Può essere che, non essendo ancora
maggiorenne (prima del 1975, in Italia, lo si era compiuti i 21 anni), abbia
falsificato la sua data di nascita per
partire militare?
Storia di un Nonno
116
Il 25 maggio 1915 il Nonno si trova nella zona di Agordo, a una quarantina di
chilometri a nord di Belluno.
Il 16 aprile del 1916 il Nonno è sul Col di Lana, nelle Dolomiti, col grado di sottotenente comanda il 2° Plotone, della 16ª Compagnia (composta di quattro plotoni), del 1° Battaglione, del 60° Reggimento di Fanteria (per la maggior parte
formato di viterbesi e costituito di due Battaglioni), della Brigata Calabria (composta di due reggimenti, il 59° e il 60°).
Il plotone comandato dal Nonno partecipa al caricamento di 60 quintali di gelatina (così il Nonno si riferisce all'esplosivo) in una camera di scoppio scavata sotto la cima del Col di Lana (2452 metri d'altezza), su cui sono installate batterie
di cannoni austroungariche che si vuole distruggere.
Il 21 aprile del 1916, dopo l'esplosione che fa saltare la cima del Col di Lana, il
Nonno dà l’assalto con il suo plotone al limitrofo Monte Sief. Il Nonno, visti morire molti compagni d’arme, passa 9 giorni d'inferno in mezzo al sangue e alla
neve sulla cima del Sief (2.424 metri d'altezza), dove rimane congelato e di conseguenza trasferito in ospedale per circa due mesi.
Nel marzo del 1918 il Nonno è il Tenente Comandante della 4ª Compagnia, del
137° Reggimento di Fanteria che, assieme al 138°, costituiva la Brigata Barletta.
Nel 1918 la Brigata Barletta, in seguito all’offensiva austriaca sul Piave, è trasferita sul Montello (poco a nord di Treviso, sul Piave), dove si distingue per i combattimenti contro le posizioni avversarie. Qui al Nonno è concesso un encomio,
l’8 marzo del 1918, in località Stallo dell’Agnello.
L’8 settembre del 1918 la Brigata Barletta è trasferita in Albania, dove presidia
la zona della Vojussa. Il Nonno è qui, come si evince da una cartolina del 9 novembre 1918, in cui compare la scritta “zona di guerra Albania”. Dalla stessa
cartolina si deduce l'indirizzo del padre Raffaele, in Via Cairoli 20, a Viterbo.
Nello stesso mese di novembre del 1918 la Brigata Barletta è inviata in Montenegro e Dalmazia (Cattaro e Sebenico), zone di occupazione interalleata, dove
opera fino all’agosto 1919.
Alla fine del 1918, il Nonno rientra dalla guerra a Viterbo. Poco dopo si trasferisce a Roma per iniziare a studiare ingegneria civile.
Il 2 febbraio del 1919 al Nonno è concessa la Croce al Merito di Guerra del Regio Esercito Italiano (immagine della medaglia nella pagina successiva, non
quella del Nonno di cui si è trovata traccia, se non tra le "carte del Nonno", nelle documentazioni cartacee che l'attestano), istituita da Vittorio Emanuele III).
Si noti come sul lato in cui compare la scritta "MERITO DI GUERRA", sopra
c'è la corona Savoia e le lettere che si intersecano "V" ed "E", sotto alle quali
compare il tre romano "III", tutto ciò ad indicare Vittorio Emanuele III di Savoia che istituisce questa onorificenza con Regio Decreto del 19 gennaio 1918.
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Il 31 marzo 1920, poco prima della laurea, è
concesso al Nonno il congedo illimitato, col
grado di Tenente del 14° Reggimento di fanteria.
Il 27 agosto del 1923 il Ministero della Guerra
esplicita la motivazione per cui gli è stata concessa la Croce al Merito di Guerra, che si riferisce all'assalto al Monte Sief, compiuto il 21
aprile del 1916:
Subalterno di una compagnia lanciata all’attacco
di una forte posizione nemica, si comportava coraggiosamente, e rimasto solo ufficiale, manteneva
l’occupazione di una quota fino all’arrivo dei rinforzi.
Storia di un Nonno
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Da bambino, come da adulto, non ho mai saputo nulla di questa storia svoltasi
sulla cima del Col di Lana, mai me ne ha parlato il Nonno, come nessuno dei
suoi figli. Ho sempre saputo, però, che il Nonno aveva combattuto nella I Guerra Mondiale, non per racconti che lui mi ha fatto, ma per una cosa che mi ha
regalato, che mi è sempre piaciuta un sacco: un periscopio da trincea (foto
sotto), con la sua custodia di cuoio da appendere alla cintura!
Storia di un Nonno
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1918-1921 Studente Universitario a Roma
Appena tornato dalla I Guerra Mondiale, nell’anno accademico 1918-19, a 22
anni, il Nonno si iscrive alla Regia Scuola d’applicazione per gli Ingegneri in Roma.
Se pure gli studi universitari del Nonno sono perfettamente tracciati, rimane da
chiedersi dove e con chi egli viva negli anni in cui studia a Roma, periodo in cui
i genitori si presuppone siano rimasti a Viterbo, nella casa di Via Cairoli 20.
Il corso per conseguire il diploma di ingegnere civile alla Regia Scuola d’applicazione per gli Ingegneri in Roma dura tre anni, prevede 20 esami, si conclude con un
esame generale (equivalente alla attuale discussione della tesi), grazie al quale si
può entrare nel Corpo degli Ingegneri Pontifici, ma anche, primi in Italia, accedere alla libera professione.
Il Nonno affronta gli studi con l'impeto garibaldino che l'ha già contraddistinto
in guerra, l' "attacco" all'Ingegneria è dirompente; come risulta dall'attestato degli esami (riprodotto nelle due pagine seguenti):
• nel primo anno accademico 1918/19, sostiene i suoi primi tre esami, dei
complessivi 20 che dovrà fare, tra cui mi meraviglia trovare l'esame di Meccanica Razionale, non più richiesto agli ingegneri edili quando lo sostengo
nel 1979 per laurearmi in Fisica;
• nell’anno accademico successivo, 1919/20, sostiene tutti i restanti 17 esami.
La media complessiva del Nonno, è di 79/100 (equivalente a 24/30):
• il voto migliore è 90/100 (equivalente a 27/30), in “Applicazioni di Geometria descrittiva”, “Elettrotecnica generale”, “Costruzione di strade e
gallerie”;
• il peggiore 65/100 (equivalente a 20/30), in “Fisica tecnica”, “Mineralogia e
geologia”.
Sicuramente voti non eccelsi ma è estremamente rimarchevole che il Nonno
completi gli esami del triennio in poco più di due anni.
Il 5 febbraio del 1921 il Nonno si laurea in Ingegneria civile, prendendo 80/100
(equivalente a 24/30 o 88/110) all'esame generale finale (si veda il diploma di
laurea di cui a pagina 122). È il laureato n° 1.980 (come si evince dal numero
del registro di laurea in alto a destra nell'intestazione del certificato degli esami
sostenuti, nella pagina precedente). Partendo dal 1873, anno in cui è istituita la
Regia Scuola d'applicazione per gli Ingegneri in Roma, significa che sino al 1921 si sono
laureati una media di circai 40 persone l’anno, a dimostrazione di quanto sia
raro un Ingegnere a Roma all'inizio del XX secolo.
Il Nonno non ha bisogno di fare l’esame di stato che verrà introdotto solo successivamente e può iniziare subito a lavorare, come esplicitamente specificato
nel diploma di laurea.
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Che rapporto ha la Regia Scuola d'applicazione per gli Ingegneri in Roma, dove studia il
Nonno, con l'Università La Sapienza e quella che oggi si conosce come la sua Facoltà d'Ingegneria? Rispondere a questa domanda permette di inquadrare storicamente dove studia il Nonno.
Il 23 Ottobre 1817, per iniziativa di papa Pio VII (1800-23), nato Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, è fondata la Scuola d'applicazione per gli Ingegneri,
quasi un secolo prima che il Nonno ci si iscriva. La motivazione per la quale è
istituita questa scuola nell'allora Stato Pontificio, dove è posta alle dirette dipendenze della Prefettura di acque e strade, si lega alla necessità di acquisire conoscenze
tecniche specifiche, di tipo ingegneristico, da applicare principalmente in ambito
militare. Ricorrere a tecnici "stranieri", cosa che si è fatta prima dell'istituzione
della Scuola, è ritenuto sia dispendioso, sia pericoloso dal punto di vista dell’autonomia e dell’autosufficienza operativa dello Stato Pontificio.
Al tempo la Scuola d'applicazione per gli Ingegneri non fa parte dell’Università La Sapienza di Roma, creata quasi cinque secoli prima, il 20 aprile 1303 da Papa Bonifacio VIII (1230-1303), nato Benedetto Caetani, con la promulgazione della
Bolla “In Supremae praeminentia Dignitatis”, con la quale veniva proclamata la fondazione in Roma dello “Studium Urbis”, ovvero un'istituto per l'istruzione superiore destinato ai non prelati.
Dal 1817 nella Scuola d'applicazione per gli Ingegneri si impartiscono insegnamenti di
Geometria descrittiva, Architettura statica, Costruzioni, Idraulica e idrometria
pratica e Topografia.
Nel 1826 si aggiungono altre materie tra cui Geometria grafica o descrittiva,
Teoria delle ombre e prospettiva, Disegno di macchine, Costruzione di ponti e
argini, Architettura statica.
Negli anni 1831, 1853, 1867 le materie continuano progressivamente ad aumentare con l'aggiunta di Agraria, Fisica applicata, Meccanica applicata, Architettura artistica e tecnica.
Nel 1886 è introdotta l'Elettrotecnica. Tra il 1892 e il 1998, Estimo, Economia
agraria, Igiene applicata.
Il 9 Ottobre 1873, dopo la breccia di Porta Pia avvenuta il 20 settembre 1870, e
il ricongiungimento di Roma all’Italia, il re Vittorio Emanuele II emana da il
Regio Decreto che istituisce la Regia Scuola d'applicazione per gli Ingegneri in Roma, di
fatto limitandosi ad anteporre l'aggettivo "Regia" alla preesistente scuola papale,
che continua a rimanere completamente autonoma rispetto all’Università la sapienza, anche se per accedervi adesso occorre prima aver seguito i corsi fisico
matematici dell'Università .Contestualmente viene cambiata la sede della Scuola
che viene ricollocata nell'ex convento dei Canonici Regolari della Congregazione del Santissimo Salvatore in Laterano, soppressi nel 1503, che sorge sul Fagutale, la maggiore delle alture dell'Esquilino, presso la chiesa di San Pietro in Vincoli, costruita nel 439.
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La nuova sede si sviluppa attorno a un bel chiostro, fra i più belli del Rinascimento romano, attribuito a Giuliano da Sangallo. Al piano terra si trova un portico rettangolare con i lati di sette od otto archi sostenuti da colonne dai bei capitelli ionici che recano gli stemmi Della Rovere Bella. Al centro del cortile c'è
un pozzo, dall'elegante pianta ottagonale, scolpita da Simone Mosca, sormontata da un semplice cavalletto formato da due coppie di colonne sostenenti un'architrave, da alcuni attribuita addirittura a Michelangelo Buonarroti. Il piano superiore è illuminato da finestre dalla sobria cornice.
Ancora oggi, questa sede, ospita il triennio della Facoltà di Ingegneria dell'Università La Sapienza.
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Nel 1913 un nuovo regolamento della Regia Scuola d'applicazione per gli Ingegneri
prevede due sezioni, una Civile e una Industriale; alle materie di ingegneria civile si aggiungono Geodesia, Geometria applicata, Fisica tecnica, Chimica applicata ai materiali da costruzione, Geologia applicata.
Nel 1923, la riforma Gentile che riguarda tutta la scuola, interessa anche la Regia Scuola d'applicazione per gli Ingegneri, consolidandone l’organizzazione e modificandone la denominazione in Regia Scuola di Ingegneria.
Nel 1933 il nome della Scuola è nuovamente modificato in Regio Istituto Superiore di
Ingegneria. Continua ad essere conservata l’autonomia rispetto all’Università La Sapienza ma è introdotta l’obbligatorietà del biennio propedeutico presso la Facoltà
di Scienze matematiche, fisiche e naturali di quest’ultima. Sono invece unificati
con quello dell'Ateneo i criteri di reclutamento del corpo docente ed amministrazione. Il semplice titolo universitario perde di validità per l'esercizio della
professione di Ingegnere: per potere esercitare è necessario superare un esame di
stato, prima riservato solo ai praticanti.
Solo nel 1935, anno in cui è inaugurata la Città Universitaria di Marcello Piacentini, la Scuola perde la sua autonomia amministrativa e diventa la Facoltà d'Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma. Aumentano gli insegnamenti impartiti,
ma continua ad essere previsto il biennio propedeutico impartito nella Facoltà di
Scienze matematiche, fisiche e naturali. Nascono le sottosezioni Edile, Idraulica e Trasporti per la sezione Civile.
La II Guerra Mondiale interrompe l’evoluzione della Facoltà d'Ingegneria, ripresa
solo nel 1960 con un altro importante riordino degli studi: pur mantenendo l’articolazione degli studi nei due segmenti biennio e triennio, la durata legale del
corso di studi è fissata in cinque anni di corso e sono definiti nove distinti corsi di
laurea per adeguarsi a una esigenza professionale sempre più diversificata e specializzata:
• l’Ingegneria civile, con le sezioni Edile, Idraulica e Trasporti;
• l’Ingegneria Meccanica; l’Ingegneria Navale e Meccanica; l’Ingegneria Aeronautica;
• l’Ingegneria Chimica; l’Ingegneria Mineraria;
• l’Ingegneria Elettrotecnica; l’Ingegneria Elettronica;
• l’Ingegneria Nucleare.
Contestualmente, la Facoltà d'Ingegneria, ormai sovraffollata, esce dalla sede storica di S. Pietro in Vincoli: gli insegnamenti dei primi due anni sono impartiti in
aule collocate nelle vicinanze della Città Universitaria, in una ex caserma situata
in via Scarpa; quelli del triennio continuano a svoltesi nella sede storica.
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1919-1920 L'incontro con Angela
Gli anni universitari del Nonno sono quelli in cui conosce Angela Montebovi,
sua futura moglie, la Nonna. Angela è la figlia di un fornaio che lavora a Roma,
non è dato sapere se la famiglia è romana o immigrata in città di recente.
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Il Nonno l'avrà incontrata al forno del padre? Chissà, non si sa nemmeno esattamente quando.
La prima data
certa è quella
dell'11 agosto del
1920 quando
Angelina, così si
firma, gli consegna a mano una
sua foto (pagina
precedente) in
formato cartolina, stampata a
Roma, sul cui retro (immagine a
destra) scrive:
Al mio Claudio il padrone del mio cuore e della mia persona.
Quanto tempo sarà servito al Nonno per diventare il "padrone" della
Nonna? Tenendo conto
che è tornato dalla I
Guerra Mondiale alla
fine del 2018, s'ipotizza
almeno un anno, quindi
il loro incontro potrebbe
risalire all'inizio del
1919, quando il Nonno
ha 23 anni, la Nonna 18.
Della famiglia Montebovi nelle "carte del Nonno" non si trova nulla se
non una foto (a sinistra),
probabilmente del 1962,
di una donna chiamata
Ines Montebovi, la sorella maggiore di Angela a
giudicare della foto. Rincontreremo Ines più
avanti, al pranzo per le
sue nozze d'argento nel
1945.
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1921-1926 Primi Lavori a Firenze
Una volta in possesso della laurea in Ingegneria Civile (5 febbraio del 1921) e
del foglio di congedo illimitato (31 marzo 1920), il Nonno non perde tempo; sei
mesi dopo, esattamente il 26 agosto del 1921, a 25 anni, trova il suo primo lavoro. Non a Roma dove ha studiato, non a Viterbo dove è nato ed ha vissuto infanzia e adolescenza, ma a Firenze, dove si trasferisce nel 1921.
Il 12/7/1922, quando il Nonno lavora da circa un anno a Firenze, gli muore la
madre, Vittoria Saveri, figlia di Luigi Saveri e Nazzarena Paffetti. Strano che
della madre non abbia rintracciato nessuna foto tra le "carte del Nonno", come
nemmeno notizie su quando si sia sposata con Raffaele, il padre del Nonno. Diversamente, su quando muore il padre non c'è notizia certa, sicuramente prima
del 1923, quando, come già detto, è il Nonno che si occupa del Podere Le Farine.
Dalle "carte del Nonno" non emergono nemmeno notizie e foto sul suo matrimonio con Angela, conosciuta quando ancora studiava a Roma. Il Nonno la
sposa il 23 aprile del
1923 (lo dichiara nel
suo diario del 1968),
quando ha 27 anni e
lei 22, quando è ancora a Firenze.
Perché tra le "carte del
nonno" non spunta
nemmeno una foto del
matrimonio con Angela? Di Angela le immagini sono pochissime.
Nessuna notizia emerge nemmeno su dove il
Nonno e la moglie viva n o e s at t a m e n t e.
L'unica cosa certa è
che il 17 gennaio
1924, sempre a Firenze, il Nonno ed Angela
avranno il loro primo
figlio Vittorio (nella
foto in braccio alla
madre), quasi 9 mesi
dopo essersi sposati.
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1921-1926 Ufficiale dei Pompieri
per il Comune di Firenze
Dal 26 agosto 1921 al 25 giugno 1926 il Nonno lavora per l’Amministrazione
comunale di Firenze (Delibera del Consiglio Comunale del 6 agosto 1921). Che
ruolo ricopre il Nonno presso il Comune di Firenze?
Lo si scopre grazie ad una lettera di molti anni dopo (1954), inviatagli da un conoscente, forse incontrato durante la I Guerra mondiale, visto che cita un Generale Bianchi ed un ufficiale Burchi, entrambi di Firenze come lui, anche loro conoscenti del Nonno, che, nonostante il tono formale della lettera, si firma "aff.mo", affezionatissimo, amico Michele Bacci.
Bacci risponde ad una richiesta del Nonno che, dalla fine del 1954, ha avviato la
sua battaglia pensionistica, che combatterà sino al 1959, per cercare, invano, di
ricongiungere i contributi pensionistici di questo periodo lavorativo con quelli
successivamente versati.
Firenze 2 Dicembre 1954
Carissimo Ing. Gentili
Non posso dirLe il piacere che mi ha arrecato la sua lettera, che mi portava dopo
diverso tempo le Sue buone notizie. Non credevo che Ella fosse al traguardo per passare fra lo stuolo dei miseri pensionati, miseri sia per gli anni ormai trascorsi, ed
anche un po' per gl'interessi. Ma indietro non si ritorna, e quindi bisogna contentarsi se si può godere un poco di salute, che per noi ormai è divenuta il più grande capitale, e bisogna contentarsi di tutte le gioie e dolori che la vita trascorsa ci ha riservato [...]
ed ora caro Ingegnere, avevo sempre avuto speranza di vederlo qua, ma si vede che
non ebbe occasione di venire quando c'era Suo figlio a Firenze [Vittorio, che qui
fa il corso, dopo la laurea presa nel 1952, per divenire Ufficiale medico all'inizio degli anni '50]. Speriamo che un giorno si possa vedersi e stare un
poco insieme. Intanto voglia gradire tante affettuose cordialità dall'aff.mo amico
Michele Bacci
Dal proseguo della lettera si scopre che
Ella entrò nel 1921, come Ufficiale dei Pompieri (ora Vigili del Fuoco) e quindi
personale di ruolo del Comune [...]
Ella fu nominato con Delibera del Consiglio del 6 Agosto 1921 e prese servizio il
26 successivo.
Cessò le sue funzioni il 25 Giugno 1926.
Questo lavoro non basta al Nonno, forse non guadagna molto e deve cercare di
avere qualche altro profitto, fatto sta che "durante le ore che l'impiego presso l'Amministrazione Comunale di Firenze gli lasciava libere", offre consulenza come Ingegnere.
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1921-1926 Assistente per lo Studio Tecnico Squarcialupi
Quando non impegnato come Ufficiale dei Pompieri, il Nonno lavora per lo Studio Tecnico Squarcialupi di Firenze.
Lo dimostra una attestazione a firma dell'Ing. Luigi Squarcialupi, del 7 giugno
del 1925, che evidenzia come il Nonno lo abbia "coadiuvato in molti ed importanti
lavori [...] eseguiti in Firenze" al tempo stesso riconoscendone “ottime attitudini e buona
volontà” e dichiarando che "si è distinto come ingegnere intelligente ed attivo [...] che ha
raggiunta ormai una completa maturità sia dal lato tecnico come dal lato professionale”.
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1926-1928 Direttore dei Lavori a Roma
per l'Impresa Tudini-Talenti
Verso maggio del 1926, a 30 anni, è evidente che il Nonno vuole cambiare lavoro, quello per l'Amministrazione comunale di Viterbo è in scadenza a fine giugno, per questo richiede l'attestazione all' Ing. Luigi Squarcialupi (di cui alla pagina precedente).
Il Nonno lascia Firenze poco dopo aver cessato le funzioni di Ufficiale dei Pompieri il 25 giugno 1926, presumibilmente a luglio del 1926 per tornare a Roma,
come fa immaginare il fatto che proprio qui, il 18 febbraio del 1928, nasce il suo
secondogenito, Bruno. Tra le "carte del Nonno" non emerge nulla che possa far
capire dove la famiglia viva; chiaro invece per chi, con chi, dove, si sviluppa la
sua seconda esperienza
lavorativa.
Lo testimoniano le prime foto con cui il Nonno
comincia l'album fotografico (realizzato dopo
il 1940, la cui copertina
è riprodotta nell'immagine a destra), sicuramente realizzato dopo il
1940, con il quale racconta la successione di
cantieri in cui lavora dal
1926 al 1938.
1926-1928 Convitto Principe di Piemonte ad Anagni
Dalla fine del 1926 sino alla fine del 1928, il Nonno lavora per la neocostituita
Impresa Tudini-Talenti di Roma, fondata nel 1924 dall'Ing. Giuseppe Tudini (18851961) e dall'Ing. Achille Talenti. Impresa che si afferma rapidamente, divenendo
una impresa edile italiana di importanza nazionale, nota per le grandi opere
pubbliche eseguite in ogni campo. Per l'Impresa Tudini-Talenti il "solerte ed instancabile" Nonno si occupa, "con alacrità e precisione" della Direzione dei Lavori per la realizzazione del Convitto maschile per gli orfani dei segretari e impiegati comunali ad Anagni, via G. Matteotti 2 (70 km a sud di Roma).
Oltre al suo album fotografico lo testimonia anche un articolo (riportato nella
pagina seguente) comparso sul quotidiano politico Il popolo di Roma; giornale
fondato da Mussolini nel 1914 per dare voce all'area interventista del Partito socialista italiano, poi dal 1922 organo del Partito nazionale fascista.
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I l Po p o l o d i
Roma
10 Febbraio 2028,
Claudio Gentili, Direttore dei lavori per
l'impresa Tudini-Talenti.
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Lo stesso articolo chiarisce che l'Impresa Tudini-Talenti deve realizzare due
opere distinte, collocate in posizioni limitrofe, appena fuori la Porta Cerere di
accesso al paese di Anagni (venendo da nord):
• un nuovo edificio scolastico,
da realizzarsi sul feudo Sibilia, che, come deliberato dal
Consiglio Comunale nel
1917, riunisca l'insieme delle
scuole elementari di Anagni;
l'edificio è inaugurato nel
1929; oggi l'edifico, sito in
Viale Regina Margherita 17,
ospita la sede centrale classi
dell'asilo, delle elementari e
delle medie dell'Istituto
comprensivo De Magistris; le "carte del Nonno" non forniscono alcuna evidenza che il Nonno partecipi alla realizzazione di questo edificio scolastico;
• il Collegio Convitto Principe di Piemonte, da edificarsi ampliando e ristrutturando
l'ex Convento dei Padri Cappuccini, che il Comune di Anagni ha ricevuto
alla fine del XIX secolo, e che, nel 1925, cede all’Istituto Nazionale Impiegati
Enti Locali (INIEL, nel tempo evolutosi in INADEL, INPDAP ed oggi INPS),
che vuole destinaread offrire vitto, alloggio (200 posti) ed istruzione scolastica
(400 posti), Istituto Tecnico e Liceo, ai figli dei dipendenti degli enti locali.
Il progetto del Collegio Convitto Principe di Piemonte ad Anagni è affidato all'architetto Alberto Calza Bini (1881-1957), già noto e famoso, dal 1924 Segretario del
Sindacato Nazionale Fascista Architetti. Alberto Calza Bini, assieme al coetaneo
Marcello Piacentini (1881-1860), è l'interprete del nuovo linguaggio architettonico dell’epoca, il modernismo, che diviene l'architettura rappresentativa e monumentale del regime fascista, per cui:
L’insieme degli edifici ha profonda significazione spirituale, e pare il simbolo del
tempo fascista guidato da Mussolini a tutte le conquiste della civiltà, del pensiero,
del lavoro sotto la protezione mistica e realistica delle armi invincibili.
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Quello del Collegio Convitto Principe di Piemonte è un progetto complesso, del costo
totale di 12 milioni di lire, che, oltre ad alloggi ed aule, comprende strutture di
supporto a variegati servizi, quali: campi da gioco, giardini, un teatro, una sala
da scherma, un orto, una biblioteca.
Per il progetto, Calza Bini utilizza un linguaggio architettonico d'ispirazione
medioevale. L'insieme degli edifici è caratterizzato da un sistema di aggregazione molto articolato che forma una pittoresca composizione che tiene conto delle
peculiarità paesaggistiche del terreno caratterizzato da sensibili variazioni di livello. Quello che emerge è una “cittadina scolastica” organizzata intorno alla preesistente chiesa di S. Pietro in Vineis.
La struttura, inaugurata il 28 ottobre del 1930, è ancora in funzione con la medesima funzione, con il nome semplificato in Convitto Principe di Piemonte, sotto la
gestione dell'INPS (inps.it/docallegatiNP/Mig/servizi/brochure_Anagni_Convitto.pdf).
Il convitto è una delle opere più note di Calza Bini, particolarmente apprezzata
dai contemporanei, tra cui Marcello Piacentini (1881-1860), lodata per:
Le magnifiche qualità di distribuzione dei locali addetti ai molteplici servizi. [...]
L'indovinato partito architettonico che trae vantaggio dalla variazione di livelli e da
tutto il caratteristico ambiente medievale della città di Bonifacio VIII.
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Tra le tante foto del cantiere
del Convitto Principe di Piemonte in cui compare il Nonno,
mi colpisce quella (a destra)
in cui assume una posa ieratica che, per il mento proteso in alto (forse per guardare
chi lo fotografa) e le braccia
piegate sui fianchi, un atteggiamento che potrebbe definirsi d'ispirazione fascista,
pensando alle tante foto
coeve di Benito Mussolini.
Ne sarà mai stato cosciente
il Nonno rivedendosi in questa foto anni dopo?
Accostamento tra il Nonno
ed il fascismo che mi porta
anche a chiedermi come si
sia trovato a collaborare con
Alberto Calza Bini che, per
la sua adesione al fascismo,
nel 1943 sarà internato in
un campo militare inglese.
Mi chiedo anche se la scelta
del Nonno di lavorare successivamente (1935-1940)
per l'Istituto Fascista Autonomo
Case Popolari (IFACP) sia in
qualche modo legata al fatto
che Calza Bini negli anni
'30 assunse la presidenza dell'Istituto che mantenne sino al 1943. Magari ad
Anagni era nato un proficuo rapporto professionale e di stima che ha portato
aCalza Bini, una volta divenuto Presidente dell'IFACP, a volere il Nonno con se.
Tante le evidenze oggettive, che incontreremo proseguendo la storia, che testimoniano come il Nonno, almeno dal 15 settembre 1943, prima ancora della fine
della II Guerra Mondiale sia dichiaratamente antifascista e, perfino, partigiano.
Ma cosa avrà pensato il Nonno del fascismo nella sua fase iniziale?
Prima delle leggi razziali (1938) e dell'affiancamento alla Germania nazista
(1940), ma dopo che Benito Mussolini si è assunto la responsabilità politica del
delitto Matteotti (1925).
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Il Nonno di fronte ai ruderi della
chiesa di S. Pietro in Vineis, all'interno del Convitto Principe di
Piemonte.
Il Nonno in basso a destra sul
cantiere del Convitto Principe di
Piemonte.
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Ho memorie bambine di una gita ad Anagni, fatta
verso la metà degli anni '60 con il Nonno e mio
padre, con annessa "magnata". Ricordo che il Nonno mi disse che qui aveva lavorato, e che quella fu
l'occasione per lui d'incontrare qualcuno che qui
aveva conosciuto.
Chissà se mi portò a vedere il convitto? Questo
non lo so più!
Solo nell'agosto del 2021, visito per la prima volta
il Convitto Principe di Piemonte. ad Anagni. Mi presento alla portineria, all'ingresso del convitto, chiedendo di potermi aggirare per gli esterni per scattare qualche foto, un addetto in cui m'imbatto mi
dice di andare pure. Inizio la mia passeggiata fotografica dirigendomi verso la chiesa di San Pietro in
Vineis (foto sopra), preesistente al progetto del
convitto che l'ha integrata al resto dell’edificio in
maniera funzionale, come cappella per il culto.
Salgo la scalinata, raggiungo il porticato sotto al
quale si apre l'ingresso della chiesa, è chiusa, peccato so che è decorata con antichi affreschi.
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Inizio a ridiscendere la scala quando vedo
correre verso di me un uomo in maglietta, jeans, e scarpe da ginnastica. Penso
che mi stia per fare un cazziatone per essermi introdotto all'interno del convitto,
per questo lo anticipo affermando:
"Guardi che ho chiesto il permesso di
visitare l'esterno convitto, dal suo collega
in portineria".
Non gli interessa, si ferma alla base della
scala e gesticolando mi urla perentorio:
"Venga mi segua".
Lo raggiungo, dispiaciuto dall'aver creato
scompiglio, arrivato di fronte a lui mi
chiede:
"È lei che è interessato ad una visita al
convitto?"
Si rispondo incredulo. Ne nasce una strabiliante e dettagliata visita guidata in
cui mi apre tutti gli edifici principali, a cominciare dalla chiesa di San Pietro in
Vineis, come anche i dormitori destinati agli studenti, le aule, il teatro. Dopo
quasi due ore e tante foto che ho scattato, si sono fatte le 2:00, ci salutiamo. Lo
ringrazio chiedendogli come si chiama e se lavora come guida per il comune di
Anagni.
Mi risponde sono Livio Gabrielli, poi con semplicità e modestia mi spiega che è
il Rettore del Convitto Principe di Piemonte, che gestisce per conto dell'INPS; in agosto ha poco da fare perché i ragazzi che solitamente affollano il convitto sono in
vacanza, e a lui, che è un entusiasta della struttura che gestisce, gli fa piacere divulgarla a chiunque ne sia interessato.
Sono basito, l'abbigliamento informale non mi aveva minimamente fatto sospettare di avere a che fare con la massima autorità di questo luogo. Mi commuove
la dedizione e l'attaccamento di Livio a questo luogo, per questo gli racconto
perché sono arrivato lì e gli prometto che gli farò avere tutte le foto dei lavori
realizzati dal Nonno. Livio ne è entusiasta, mi dice che aggiungerà le foto del
Nonno a quelle che mi ha fatto già vedere nella sala destinata a raccontare la
storia del convitto. Appena tornato a Roma, mantengo la mia promessa e invio
via mail a Livio le foto del Nonno; mi risponde immediatamente:
"Grazie di cuore, faremo in modo di condividere questi preziosi ricordi anche con i ragazzi".
Al Nonno sarebbe sicuramente piaciuto il racconto che mi ha fatto Livio del
convitto che ha contribuito ad edificare.
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1928-1932 Direttore dei Lavori a Roma
per la Società Puricelli
Alla fine del 1928 i lavori ad Anagni volgono alla fine, il Nonno, 32enne, sceglie
di cambiare per la terza volta lavoro, forse per riavvicinarsi a Roma, visto che
ormai la famiglia conta già due figli. Lo stesso anno s'iscrive all’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma. L'Ordine, giuridicamente un vero e proprio Ente
pubblico, nasce nel 1923, con la Legge n. 1395/1923 che dispone (art.2):
È istituito l'Ordine degli ingegneri e degli architetti inscritti nell'albo in ogni provincia.
Il regolamento di attuazione della Legge istitutiva, approvato nel 1925, ribadisce
e specifica (art.1) che:
In ogni provincia è costituito l'Ordine degli ingegneri e degli architetti, avente sede
nel comune capoluogo.
Ingegneri ed architetti sono originariamente riuniti in unica categoria, poi dal
1927, vengono accorpati in albi distinti.
Dal 9 novembre 1928 al 31 luglio 1932 il Nonno lavora come Direttore dei Lavori per la Società Anonima Puricelli Strade e Cave di Milano, come attesta una certificazione successivamente richiesta dal Nonno nel 1935.
La società è fondata il 4 giugno 1905 dal padre di Piero Puricelli (1883-1951).
Nel 1940 la società cambia ragione sociale in Italstrade SA, poi Italtsrade SpA con
sede a Roma sino al 1999. Nel 1924, poco prima che il Nonno ci lavori, la Società
Anonima Puricelli Strade e Cave realizza la prima "via per sole automobili", in Italia e
nel mondo, riservata al traffico veloce (niente carri, carrozze, biciclette o
pedoni), che prevede il pagamento di un pedaggio per coprire le spese di costruzione e di gestione: la prima autostrada! Si tratta della cosiddetta Autostrada dei
Laghi che unisce Milano alle vicine città di Como e Varese e con le zone turistiche del Lago di Como e del Lago Maggiore (oggi corrispondente alle A8, A9 e
A8/A26, per il tratto Gallarate-Sesto Calende, gestite da Autostrade per l'Italia
dal 1962).
Per conto della Società Anonima Puricelli Strade e Cave il Nonno si occupa della Direzione dei Lavori delle seguenti opere:
• nel 1929-30, costruzione di strade e manufatti vari, nella Bonifica di Maccarese (a circa 37 km da Roma);
• nel 1931-32, costruzione dell’Autodromo (poi distrutto) nell’Aeroporto Littorio (oggi Aeroporto dell’Urbe di Roma), in particolare della grande curva parabolica vicino all’ansa del Tevere;
• nel 1932, sistemazione della strada statale n°4, la Salaria, nel tratto RietiAntrodoco.
Storia di un Nonno
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1929-1930 Opere di bonifica nel territorio di Maccarese
Il primo lavoro del Nonno per la nuova società lo precipita nella "palude". La
bonifica di Maccarese interessa la vasta pianura alluvionale in mezzo alla quale
scorre il fiume Tevere per circa 14 Km prima della foce, un tempo sede di numerosi acquitrini e boschi pantanosi.
Le prime opere di bonifica risalgono al 1890, ma i criteri all'epoca adottati nel
progettare i lavori non producono risultati soddisfacenti. Per questo, dal 1926 al
1930, si realizza un'ultima fase di bonifica che prevede il rifacimento delle opere
precedentemente realizzate e l'esecuzione di molte altre come risulta da un documento del 1934:
• l’abbassamento di quasi due metri del fondo e l'aumento della sezione dei tre
canali principali preesistenti, costruiti per raccogliere e scaricare le acque a
mare; l'abbassamento di tutti i canali secondari (che buttano in quelli principali) persistenti; la costruzione di una nuova rete di canali terziari (che buttano nei canali secondari); la rete di canali di scolo primari e secondari raggiunge così lo sviluppo complessivo di 123 Km;
• l'ampliamento dell'impianto idrovoro preesistente, con la sostituzione di elettropompe alle vecchie macchine a vapore, e la costruzione di un nuovo impianto capace di estrarre 300 litri d'acqua al secondo;
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• la costruzione di un impianto di irrigazione ad uso agricolo per il sollevamento delle acque del Tevere e la sua distribuzione tramite canali d'irrigazione per complessivi 63 Km;
• opere stradali, per 101 Km di strade e 134 ponti in cemento armato di tipo
Gerber con interruzioni della campata che rendono la struttura più stabile
(nella foto sotto un ponte Gerber, sopra il Nonno, con le mani in tasca, a sinistra dello schiacciasassi usato per la prova statica, sotto al quale si legge
l'anno di edificazione del ponte, MCMXXX, 1930).
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Di tutte queste diverse tipologie di opere il Nonno partecipa come Direttore dei
Lavori solo alle ultime, strade e ponti, cosa che trova conferma dalle foto dell'album fotografico dedicato ai suoi cantieri, realizzato dopo il 1940.
Durante questi lavori il Nonno si definisce "nella palude", sarà per questo che nella foto a destra si è tolto pure cravatta e camicia?
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Intrigante la colorazione a mano della foto con cui gli operai omaggiano il
Nonno (la testa con cappello più in alto di tutte).
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1930-1931 Autodromo del Littorio a Roma
Uscito dalla "palude" di Maccarese, il Nonno si trova a collaborare alla creazione della Roma caput mundi fascista. Mussolini promuove la riscoperta e ricostruzione di Roma imperiale dando impulso a grandi opere urbanistiche e architettoniche nel tipico stile razionalista impostosi in quegli anni. Molte opere sono
dedicate all’esaltazione dello sport, come il Foro Mussolini (oggi Foro Italico), lo
Stadio dei Cipressi (oggi Stadio Olimpico), lo Stadio dei Marmi. La città, contagiata
dal mito della velocità, celebrato dalla corrente artistica Futurista, non poteva
rimanere senza un impianto atto ad organizzare le corse automobilistiche, l'Autodromo del Littorio.
Oggi quasi tutti ignorano quest'opera ormai scomparsa alla fine della II Guerra
Mondiale: un percorso lungo 4.440 metri, di cui 2.045 metri di rettilinei; un'enorme curva parabolica, sopraelevata di 7 metri rispetto al piano del rettilineo
con una pendenza di 48 gradi; una pista larga 12 metri che diventano 100 davanti ai box.
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Storia di un Nonno
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Promotore dell’iniziativa è il Conte Giovanni Bonmartini, fascista della prima
ora e imprenditore di rango nel settore aeronautico, titolare della Compagnia
Nazionale Aeronautica (CNA), azienda produttrice di aeroplani da addestramento e di parti di ricambio.
Il Bonmartini è anche promotore dell'Aeroporto del Littorio. Un aeroporto dotato di un campo di volo erboso di lunghezza idoneo al decollo e all’atterraggio
di qualsiasi aereo dell'epoca per collegamenti regolari ad ampio raggi, come anche di uno “scalo anfibio” per idrovolanti sul Tevere, inaugurato da Mussolini il
21 aprile 1928.
Una volta ultimato l’aeroporto, Bonmartini pensa che nella stessa area ci sia
spazio per un'ulteriore iniziativa. Ragionando in grande, concepisce un autodromo che possa rivaleggiare con quello di Monza, per dare lustro e modernità
alla città di Roma. I lavori sono affidati alla Società Anonima Puricelli Strade e Cave,
che nel 1922 ha già realizzato l’Autodromo di Monza.
Quando i lavori sono
prossimi alla fine, il 2
maggio del 1931, il
cantiere è visitato dal
Re Vittorio Emanuele III e del Duce (nella foto a destra il
Nonno è quello più a
sinistra; in quelle sotto, di spalle di fronte
al re e a fianco del
duce).
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Il 24 maggio 1931 l'Autodromo del Littorio è inaugurato da Benito Mussolini che
percorre la pista guidando un'automobile
che ospita anche il Conte Bonmartini.
La storia poco conosciuta di questa inconsueta sovrapposizione di aeroporto ed autodromo, che si dipana lungo il "Secolo
della velocità" (XIX secolo), è dettagliatamente raccontata da chi scrive nel 2023,
in un testo intitolato "Il Tempio della Velocità
di Roma" (https://www.academia.edu/
101865451/Il_Tempio_della_Velocità_di_Roma).
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Si prepara la gettata
di cemento sulla grade curva parabolica
su cui troneggia il
Nonno.
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Considerato il numero di collaboratori del Nonno, nel 1930, a 34 anni, con questo lavoro, ha di certo raggiunto un bell'avanzamento di carriera.
La foto seguente, del 1943, mostra l'Autodromo Littorio dall'alto; evidente la grande
curva parabolica sulla sinistra, incuneata in un'ansa del Tevere.
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Ma dove si trovano a Roma l'Aeroporto
e l'Autodromo Littorio ? L'aeroporto è
quello che oggi si chiama Aeroporto
dell'Urbe, posto tra il Tevere la via Salaria, uscendo dalla città, sulla sinistra, poco prima d'incontrare il
Grande Raccordo Anulare.
Il 19 luglio 1943 gli americani bombardano Roma, infliggendo danni
notevoli alle strutture dell'aeroporto e
dell’autodromo. L’aeroporto è ripristinato, prima dai tedeschi, poi dagli
alleati. L'autodromo è lasciato in stato di totale abbandono e demolito
nel 1947.
Sono andato bambino all'aeroporto
dell'Urbe, mai con il nonno, con mio
padre ed un suo amico, per far volare
quelli che all'epoca, prima dell'entrata in campo del telecomando, si
chiamavano "aeroplanini a maniglia",
nessuno mi ha mai raccontato dall'autodromo.
Ormai s'intravede con difficoltà anche la grande curva parabolica (qui
sotto, l'arco evanescente d'erba secca
più verso il Tevere).
Storia di un Nonno
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1930-1932 Ponte Salario e Via Salaria
nel tratto Rieti-Antrodoco
Degli ultimi lavori fatti dal Nonno per la Società Anonima Puricelli Strade e Cave nel
1932, una volta completato l'autodromo, ovvero la sistemazione della Salaria,
nel tratto Rieti-Antrodoco, non esistono tracce fotografiche nell'album dedicato
ai suoi cantieri.
A questi lavori si lega però una memoria bambina del Nonno che proprio sulla
Salaria si colloca, sebbene in prossimità di Roma e non nel tratto Rieti-Antrodoco, e riferibile più che al 1932 al 1930.
Memoria che mi ha portato a scattare una foto per celebrarla, riprendendo l'ultimo ponte sul corso del fiume Aniene, poco prima della sua confluenza nel Tevere (come si vede dal ponte parallelo, costruito dopo il 1967 per ospitare il raddoppio della carreggiata della Salaria in uscita da Roma).
Ogni volta che da bambino (1965-67) rientravo a Roma percorrendo la via Salaria, appena si passava sull'unico ponte collocato sull'Aniene, poco prima di
immettersi sulla via del Foro Italico, chi guidava (mio padre, o l'altro nonno materno, visto che il Nonno non ha mai preso la patente), ricordava come questo
ponte fosse stato costruito dal Nonno, che, se presente, confermava.
Non ho mai saputo il nome del ponte, lo scopro solo oggi che lo racconto, si
tratta di Ponte Salario, un ponte dalla lunga storia che fa riemergere prepotentemente la leggenda familiare.
Il ponte è antichissimo, distrutto e ricostruito più volte: i primi che l'edificano,
ancor prima dell VIII secolo a.C., come l'ultimo che, come Direttore dei Lavori,
lo ricostruisce nel 1930, sono Etruschi...
Non poteva essere altrimenti!
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Secondo la leggenda, non quella familiare questa volta, sul ponte, all'epoca del I
Re di Roma, Romolo (753-716 a.C.), sarebbero passate le donne Sabine vittime
del ratto romano.
Nel VI secolo, contro il ponte si accaniscono i Goti, o meglio gli Ostrogoti, il
ramo orientale dei Goti, la tribù germanica che influenza la politica del tardo
Impero romano:
• nel 537 è distrutto una prima volta da Vitige, Re degli Ostrogoti dal 536;
• nel 547 è nuovamente devastato dal Re Totila, succeduto a Vitige nel 541;
• nel 565 è ricostruito in travertino da Narsete, generale Bizantino dell'Impero
romano d'Oriente, di cui è imperatore Giustiniano, come testimonia una lapide da lui stesso fatta collocare sui due parapetti del ponte.
Narsete uomo gloriosissimo dopo la vittoria gotica dopo aver restituito la libertà a
Roma e a tutta l'Italia, restaurò il ponte di via Salaria distrutto fino all'acqua da
Totila crudelissimo tiranno e ripulito l'alveo del fiume lo sistemò molto meglio di
quanto fosse mai stato.
Fino al XVIII secolo, per la posizione strategica che rappresenta, il ponte è fortificato con una torretta quadrata dotata di merli, caratterizzato da pittoresche
fattezze, ben evidenziate in un'incisione del Piranesi (immagine sotto).
Tra XVIII e XIX secolo, distruzione e ricostruzione del ponte si ripetono nel
gioco di rimbalzi tra Impero Francese, Stato Pontificio e Repubblica Romana:
• nel 1799, è fatto saltare dai napoletani per impedire il passaggio dei francesi
di Napoleone;
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• nel 1849, l'operazione è ripetuta dai francesi per ostacolare l'avanzata delle
truppe garibaldine durante la ritirata francese; per l'occasione si perde la lapide inneggiante a Narsete;
• nel 1874 il ponte è ripristinato e restaurato (immagine sotto).
Nel 1930, per l'aumento previsto del traffico veicolare, è deciso l'ampliamento
del ponte. Il progetto, che prevede il raddoppio della carreggiata, facendola
poggiare sul ponte antico tramite grandi mensole, non è realizzato dal Nonno,
che, come sempre, opera come Direttore dei Lavori, ma curato dall'ingegner
Rodolfo Stoelcker. Questo fa assumere al ponte l'aspetto odierno, lasciando una
piccola traccia dell'antico: la parte più interna dei due archi minori posti a sinistra e destra dell'arco centrale moderno ancora oggi visibile.
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1
Poco dopo il 1967, in occasione del raddoppio della Via Salaria, è costruito un
secondo ponte (2, nell'immagine sotto) in cemento armato per ospitare la carreggiata in direzione nord, quasi parallelo al ponte preesistente (1, nelle immagini sopra e sotto) che veicola la carreggiata verso sud.
2
1
Storia di un Nonno
156
1932-1935 Direttore dei Lavori a Cosenza
per l'Impresa Parrini
Nel 1932, a 36 anni, il Nonno
cambia lavoro per la quarta volta,
lascia nuovamente Roma, con
tutta la famiglia, i figli Vittorio e
Bruno hanno rispettivamente 8 e
4 anni, si trasferisce a Cosenza,
interessata in epoca fascista da un
ampio processo di riqualificazione ed espansione urbana.
Qui, a Cosenza, il 31 gennaio del
1933, al Nonno nasce il terzo ed
ultimo figlio, Aldo (in alto una
foto presumibilmente del 1933, in
basso un ritratto riferibile a
quando Aldo ha circa 7 anni, nel
1940).
Come già a Firenze, poi a Roma
e Anagni, non si sa dove la famiglia viva.
Storia di un Nonno
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Di questo periodo a Cosenza è un'immagine della moglie Angela che il Nonno
porterà sempre con sé. Probabilmente un regalo di Natale, come si evince dalla
scritta retrostante l'immagine:
La mia cara Angelina,
coi suoi 34 anni suonati
sempre bella
sorridente
brava
come il primo giorno
e
così fino a quando
sorella morte
più tardi che sia
ci
chiami assieme
nel cielo.
Natale 1934
Tengo questo ritratto della
Nonna che non ho conosciuto vicino alla scrivania, accanto a due caricature del
Nonno, che non so datare,
né dire chi le abbia eseguite,
trovate tra le "carte del
Nonno".
Storia di un Nonno
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Propongo anche qui queste
caricature del Nonno, per
continuare a tenere assieme
Claudio ed Angela, come
da quel lontano Natale del
1934 a Cosenza.
Alle due in mio possesso ne
aggiungo un'ulteriore (in
basso a sinistra), la più bella, che è arrivata a mio cugino Claudio per il tramite
del padre Aldo.
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Il 1 agosto del 1932 il Nonno inizia a lavorare per l’Impresa E. Parrini & C. Bonifiche - Porti - Strade di Roma. Al tempo l'Ing. Eugenio Parrini, amico personale di
Mussolini e di Galeazzo Ciano, è uno dei più rilevanti imprenditori di Stato, che
dal governo fascista ottiene numerosi e remunerativi incarichi.
Il Nonno lavorerà per l’Impresa E. Parrini fino al 30 giugno 1935 dando prova di
“capacità, onestà e zelo”, stando alla dichiarazione dell'Ing. Eugenio Parrini del 18
maggio 1935 (immagine sotto).
In particolare il Nonno è impegnato nelle opere di bonifica che interessano il
principale fiume della Calabria, il Crati, che nasce sui monti della Sila, e poco
poco attraversala città di Cosenza, da cui s'introduce con ampio letto ciottoloso
in una stretta pianura, chiamata Valle del Crati, dove si arricchisce dell'apporto
di svariati affluenti.
Storia di un Nonno
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1932-1935 Opere di bonifica nella Valle Media del Crati
Se precedentemente (1929-30), nelle opere per la bonifica di Maccarese, il Nonno si è occupato solo di strade e ponti, adesso, in quella che nell'album fotografico dei suoi lavori compare come Valle Media del Crati, si occupa di tutte le tipiche
attività inerenti le opere di bonifica:
• sistemazione degli alvei dei fiumi, scavo di canali e collettori, costruzione di
argini e vasche di colmata
• costruzione d'impianti idrovori e d'irrigazione;
• opere stradali, ponti stradali in cemento armato e ferroviari in ferro.
Il Nonno è incaricato
della Direzione dei Lavori
delle opere di bonifica
per il Consorzio Valle Media del Crati (la foto sottostante è del 1932) finalizzate alla messa in
sicurezza del territorio
circostante.
Il Crati è il principale
fiume calabrese, che nasce nelle montagne della Sila sovrastanti Cosenza e, dopo un percorso di circa 90 km,
sfocia nel mar Ionio,
poco a sud di Marina di
Sibari. Il Crati ha un
carattere spiccatamente
torrentizio, che alterna
a forti e talvolta disastrose piene invernali
marcate magre estive.
Anche durante i lavori
di bonifica eseguiti dal
Nonno si verificano
problemi che ostacolano e rallentano i lavori,
in pochi casi addirittura
distruggono quello che
si stava costruendo.
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In particolare, nel 1934, il fiume Crati ed il torrente Raganello esondano, rovinando gli argini di contenimento, e danneggiando le opere di svuotamento degli
alvei.
Gli specifici lavori di cui il Nonno si occupa si deducono da un documento dell'Ufficio di Cosenza del Corpo reale del Genio Civile che, elencate le opere riportate di seguito, il 10 maggio del 1935, certifica che il nonno:
Ha assolto le dette mansioni di direzione esecutiva delle opere cui si riferiscono i
lavori sopra [ora elencati sotto] citati svolgendo la sua attività con piena competenza e gradimento completo di questo Ufficio cui è affidata l'alta sorveglianza delle
opere sopra citate.
In ordine cronologico, i lavori per il Consorzio Valle Media del Crati, eseguiti sotto il
controllo del Genio Civile, consistono:
• nella sistemazione delle valli dei torrenti Turbolo e Cocchiato, affluenti del
fiume Crati, e nella costruzione di tre ponti: uno in cemento armato sul torrente Turbolo, lungo la Strada Statale n° 19 delle Calabrie (collaudato il
17/12/1935); uno ferroviario in ferro sempre sul Turbolo, limitrofo a quello
stradale; un'altro ferroviario sul torrente Cocchiato (1934-35);
• nella costruzione dell’argine sinistro dei fiumi Crati e Cocchiato in località
Pietra della lavandaia (1933-34);
• nella costruzione del deposito di benzina AGIP di Cosenza (1933), unica
opera non direttamente legata alle opere di bonifica, unico lavoro non sottoposto alla verifica del Genio Civile;
• nella costruzione dei canali di irrigazione alla sinistra del Crati, nella valle di
Cosenza ed opere di bonifica, imbrigliamento del torrente Mucone, principale affluente del Crati, colmamento e scolo, dei pantani minori della località Macchia della Tavola caratterizzata da "indomabili polle d’acqua" (1934-35);
• nella sistemazione della valle del torrente Raganello e nella realizzazione della cassa di colmata in località Pietra della lavandaia (1934).
Si è già detto come i lavori di bonifica risultino particolarmente difficili per le
caratteristiche torrentizie del fiume Crati e dei suoi affluenti, oltre che per la
presenza di "polle d’acqua indomabili".
Lo testimoniano esplicitamente, oltre che alcune foto dell'album dei lavori del
Nonno, una lettera del 1932, a firma dell'Amministratore Delegato della società,
l'Ing. Eugenio Parrini:
In questa battaglia
Garibal... done senza pazienza e senza paura è l’ing. Gentili.
Sia sempre così.
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1932, Lettera dell'Amministratore Delegato Ing. Eugenio Parrini.
La lettera che, oltre agli elogi, assegna al Nonno un premio in denaro di 2.000
lire si conclude con l’affermazione che l’impresa ormai lo considera “vedetta fedele
in terra bruzia", dove i Bruzi, col significato di "brutti", sono un antico popolo italico che abitò il territorio Calabro.
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1933-34, le "polle d’acqua indomabili" del Crati.
1933, nella palude ... "si pompa giorno e notte".
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1934, il Nonno si sente "come in trincea..." sul Col di Lana.
1934, la cassa di colmata in località Pietra della Lavanderia.
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15 Febbraio 1934, Visita della commissione del Genio Civile per la
sorveglianza lavori, il Nonno è il quarto da sinistra.
23 Ottobre 1934, l'inaugurazione delle opere di Bonifica.
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1934, la passerella in legno sul torrente Crati, il Nonno a destra.
1934-35, il ponte ferroviario in ferro sul torrente Turbolo.
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18 Settembre 1934, il ponte stradale in cemento sul Turbolo.
Incredibilmente ho ritrovato questo ponte (immagine sotto) grazie a Google
Heart e Street View!
Si trova sulla strada provinciale 241, anche detta Strada Statale 19 delle Calabrie, che, all'altezza del ponte, scorre parallela all'Autostrada A2 Salerno - Reggio Calabria (costruita negli anni 1962-67); assai vicino all'Agriturismo Paglialonga, nel territorio del piccolo comune di Bisignano.
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1934-35, Il ponte ferroviario in ferro sul torrente Cocchiato, sulla
cui immagine esplode l'ironia del Nonno.
1933, il deposito di benzina AGIP e la "camera di manovra" della
benzina.
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Nel 1940, quando (fortunatamente) il Nonno ha smesso di lavorare già da 5 anni
per l'Impresa E. Parrini & C. da 5 anni, questa, su incarico del Ministero degli Interni, realizza il campo di concentramento Media Valle del Crati, poi rinominato campo di concentramento Ferramonti, destinato ad ospitare ebrei e cittadini
stranieri nemici:
• sicuramente è il più grande che il Fascismo realizza, per numero di internati;
dal giugno 1940 vi transitano circa 3.000 persone; il campo si estende su
un'area di 16 ettari ed è composto da 92 baracche di varia dimensione;
• forse è il meno violento, considerato che le condizioni di vita al suo interno
rimangono sempre discrete e umane; cosa comprovata dal fatto che vi muoiono solo 4 persone, a causa di un attacco aereo alleato, e nessuna è deportata verso i lager tedeschi.
La decisione di collocare il Campo Ferramonti, nel comune di Tarsia, vicino a
Cosenza, limitrofo al torrente Crati, in una zona paludosa, insalubre e malarica,
non deriva da una ragione razziale, ma solo dall'interesse economico del costruttore, l'Ing. Parrini, che riesce a pilotare la scelta della collocazione del campo facendola ricadere nei suoi ex cantieri di bonifica per il Consorzio Valle Media del
Crati, così da riutilizzare le strutture già presenti (le baracche che ospitano gli
internati sono quelle precedentemente utilizzate dagli operai impegnati nella
bonifica) ed ottenere il monopolio nello spaccio alimentare.
Avrà il Nonno, durante i lavori di bonifica, frequentato queste baracche?
Sarà venuto a sapere del successivo riuso del cantiere come campo di concentramento?
Immagino si possa rispondere "si" ad entrambe le domande.
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1935-1940 Direttore dei Lavori a Roma
per l'IAFCP
A maggio del 1935, a 39 anni, il
Nonno lascia la "palude" e le "polle
d’acqua indomabili" del Crati, per
rientrare a Roma la terza ed ultima
volta (la prima da studente universitario; la seconda quando lavora
per l'Impresa Tudini-Talenti e la
Società Puricelli).
Il figlio più piccolo, Aldo, ha ormai
2 anni, gli altri due sono già in età
scolare, Bruno e Vittorio, rispettivamente 7 ed 11 anni. Qui a Roma
il Nonno rimarrà a lavorare sino
alla pensione (1956).
Poco dopo, il 5 luglio del 1935, il
Nonno acquista per 52.000 lire, di
cui circa 34.000 di mutuo decennale con rate semestrali, la casa di Via
Crescenzio n° 19, al V piano, della
seconda scala, interno n° 11, con
affaccio su Piazza Adriana, proprio
di fronte a Castel Sant'Angelo (a
destra la pianta della casa allegata
al contratto).
Incredibilmente, sul contratto di
acquisto della casa, il Nonno risulta
essere già domiciliato lì. Significa
che prima di comprarla, in attesa
del compromesso, l'avrà avuta in
affitto?
In questa casa il Nonno vivrà sino
alla morte (1968). Dopo continuerà
a viverci il figlio Bruno per un paio
d'anni (1968-70); poi sarà affittata
dal figlio Vittorio, a cui il Nonno
l’ha lasciata in eredità, ad un ufficio
legale (1970-90); sempre Vittorio
successivamente la venderà (1991).
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Potrei raccontare tutto di questa casa, l'ho davanti agli occhi, oggi come allora.
Dov'era affissa la grande lavagna che il Nonno comprò convinto che i suoi figli
avrebbero studiato ingegneria come lui, su cui invece ho studiato io; dov'era la
macchina da cucire della Nonna ed il suo scrittoio; dov'era il mobile con incastonato il televisore in bianco e nero a un solo canale e la radio; dove si faceva il
presepe; dove si trovava una sorta di cuccia per la tartaruga che vagava per casa;
dov'era attaccato al muro il telefono duplex, in bachelite nera. Quello che scopro solo oggi è quanto era lungo il lungo corridoio sul quale giocavo bambino,
avrei detto infinito, ma non arrivava a 20 metri.
Tornando a Roma, il Nonno cambia lavoro per la quinta ed ultima volta, dopo
il lungo intervallo di tempo (9 anni) in cui, dopo l'esperienza per il Comune di
Firenze, ha lavorato per imprese private, Tudini-Talenti (1926-28), Puricelli
(1928-32), Parrini (1932-35), ritorna a lavorare per un ente pubblico.
Dal 1 settembre 1935, quando ha 39 anni, al 1956, quando ne compie 60 anni,
il Nonno presta servizio come funzionario per l’Istituto fascista autonomo per le case
popolari della provincia di Roma.
L'Istituto nasce come Istituto Case Popolari (ICP) nel 1903, con lo scopo di promuovere, realizzare e gestire edilizia pubblica finalizzata all'assegnazione di abitazioni ai meno abbienti, in locazione a canoni calmierati. Le prime iniziative
dell'ICP a Roma riguardano i quartieri Flaminio (1906), San Saba (1907) e
Garbatella (1920).
Tra la I e la II Guerra Mondiale, il fascismo interviene per far fronte alla crisi
degli alloggi, prevedendo facilitazioni per gli enti che si occupavano di realizzarli, tra cui l'Istituto Fascista Autonomo per le Case Popolari (IFACP) della provincia di
Roma.
Dopo la II Guerra Mondiale la denominazione dell'Istituto perde ovviamente la
connotazione fascista divenendo l'Istituto Autonomo Case Popolari (IACP).
Un documento del 20 giugno 1941 (riprodotto nella pagina seguente), a firma
del Direttore Generale dell’Istituto Fascista Autonomo per le Case Popolari, l'Ing. Innocenzo Costantini, certifica come il Nonno, in qualità di funzionario, prima provvisorio, poi di ruolo, si sia occupato, dal 1935 al 1941, della Direzione dei Lavori
delle seguenti opere:
• l'edificazione di case "popolarissime" a Fiumicino, distante circa 35 km da
Roma (1935-37);
• la realizzazione di diversi lotti di case popolari e semi rurali nella Borgata
Primavalle a Roma (1937-38).
Lo stesso documento del 1941 attesta come ...
Nell’assolvimento dei compiti affidatigli l'Ing. Gentili abbia dato prova costante di
grande pratica di cantiere, di soda preparazione tecnica, di zelo, attività e perfetta
correttezza.
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Storia di un Nonno
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1935-1037 Case Popolari a Fiumicino
Mio padre Vittorio mi ha raccontato che, quando era bambino, la famiglia andava in vacanza al mare a Fiumicino. Immagino in concomitanza con questi lavori del Nonno, quando i figli avevano tra i 2 e gli 11 anni.
Qualche anno fa, in occasione di una cena a Fiumicino, arrivo in anticipo per
girovagare per la cittadina "armato" del disegno sottostante trovato tra le "carte
del Nonno".
C
X
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Sono alla ricerca delle case popolari
di cui il Nonno segue come Direttore
dei Lavori l'edificazione.
Un particolare mi permette d'identificare inequivocabilmente le case: le
finestre rotonde di un edificio marcato con una X nel disegno prospettico
della pagina precdente) che si affaccia
sulla strada (un dettaglio di questo
disegno nell'immagine in alto a destra).
X
Il successivo raffronto tra questo edificio appena finito di costruire (foto in mezzo) e come appare oggi (foto in basso), conferma l'identificazione delle case popolari alla cui realizzazione partecipa il Nonno.
X
X
Il complesso occupa un'intero isolato, compreso nel quadrilatero tracciato delle
vie (in senso antiorario): della foce Micina, del Serbatoio, del porto di Claudio,
delle Ombrine (vedi immagine in alto nella pagina successiva).
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C
X
Nella foto seguente, scattata quando i lavori sono appena finiti, il particolare di
un cortile (marcato con una C nel precedente disegno prospettico), che finisce su
una facciata con aggettanti balconi semicircolari.
X
C
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Indagando sul complesso IFACP di Fiumicino, scopro che il progetto è:
• dell'Ing. Innocenzo Costantini (1881-1962), direttore generale dell'Istituto fascista autonomo per le case popolari (IFACP) della Provincia di Roma dal 1917 al
1946;
• dell'Ing. Massimo Piacentini (1898-1974), che dopo il 1946 succederà a Costantini nella direzione dell'Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP); cugino
di Marcello Piacentini, quest'ultimo strettamente legato ad Alberto Calza
Bini (1881-1957), il progettista del Convitto Principe di Piemonte di Anagni,
realizzato sotto la Direzione dei Lavori del Nonno, e dal 1930 al 1943 il Presidente dell'Istituto fascista autonomo per le case popolari;
• l'Arch. Ignazio Gentili, che con la Famiglia Gentili non c'entra nulla.
Il Nonno collabora quindi con i vertici dell'Istituto Case Popolari, tutti strettamente relazionati tra loro, cosa che porta a ripropone la domanda già precedentemente espressa: sarà Calza Bini che avrà voluto l'assunzione del Nonno da
parte dell'IFACP?
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1936-1939 Borgata di Primavalle a Roma
Dal 1930 Alberto Calza Bini accresce il ruolo dell’IFACP, avocando all’istituto la
piena competenza degli interventi di edilizia pubblica, fornendo la spinta razionalista alla pianificazione urbanistica, non solo delle borgate romane ma anche
delle città neo fondate (come Sabaudia, Guidonia, ecc.), egli scrive:
Fra casermoni grattacielo ove alberghi il proletariato urbano, ed abituri isolati nei
campi dei lavoratori rurali, in mezzo all’uno e all’altro tipo c’è qualcosa di intermedio, rappresentato dalle città giardino, dalle borgate rurali, dallo sforzo, per
quanto è possibile, di individualizzare le case per gli umili anche in città.
La Borgata di Primavalle, a cui il Nonno si dedica completato il complesso di
case popolari di Fiumicino, rappresenta proprio quell’intermedio tra il villaggio
estensivo agreste e la domanda di casa della popolazione aggrappata alla città.
Ci si può meravigliare che, tra tutte le 12 borgate Fasciste realizzate tra il 1930
ed il 1937 nell'Agro Romano, lontano dal centro abitato dell'epoca, il Nonno
collabori proprio all'edificazione di quella di Primavalle? No di certo, se si tiene
conto di dove si colloca la borgata di Primavalle... Edificata:
• sulla destra del Tevere, tra la via Boccea, a sud, e la via Trionfale, a Nord,
nel quadrante ovest-nord-ovest di Roma;
• in una zona abitata sin dal I secolo a.C., che in epoca pre-romana è sotto il
dominio degli Etruschi che qui edificano villaggi fortificati, poi conquistati
dalla nascente potenza di Roma nei suoi primi anni di espansione.
Chi poteva quindi partecipare alla sua riedificazione? Solo un etrusco come il
Nonno, le cui foto (a partire da quella sottostante) ben esemplificano l'avanzamento dei lavori!
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Con il declino dell'Impero Romano la zona di Primavalle viene abbandonata, e
rimane praticamente disabitata per molti secoli. Nel 1547 il toponimo Primavalle compare la prima volta in una mappa, quando è già proprietà del Patrimonio
di San Pietro (Stato Vaticano), lo rimarrà sino al 1923, quando il territorio è ceduto alla Società Anonima Laziale di Bonifica Agraria (SALBA).
Nel periodo 1923-31 la SALBA, su incarico del Governatore di Roma (in epoca
fascista equivalente al Sindaco), comincia ad urbanizzare parte del territorio costruendo 160 "casette", per complessivi 240 alloggi, abitati da circa 1.150 persone, a cui s'aggiungono i capannoni dei dormitori pubblici per 500 posti letto,
una scuola elementare e la chiesa di Piazza Clemente XI.
Poco dopo l'inaugurazione di quella che già il 21 gennaio 1931 il quotidiano Il
Giornale d’Italia ha titolato "La nuova borgata di Primavalle", il settimanale“Roma Fascista”, inevitabilmente favorevole al regime, l’8 febbraio 1931, racconta come e
per chi sono queste "casette".
Sono case senza pretese, costruite alla buona e divise in alloggi di due o tre stanze
[...] dove i principi igienici sono rigidamente rispettati [...] Le nuove casette bianche, sorte in una quadruplice fila e divise fra loro da strade abbastanza ampie,
hanno infatti sostituito per quella gente la baracca.
Erano, questi che oggi vivono nella serenità di Primavalle, tutti abitanti di un superstite villaggio abissino [nel linguaggio dell'epoca un insediamento fatiscente o abusivo, con esplicita allusione alle condizioni di vita di Etiopia che, durante il Fascismo, è chiamata Abissinia] pullulante nella valle
delle Fornaci [...].
[Le casette sono accompagnate] dall’illuminazione elettrica all’acqua delle
fontane, dagli ampi lavatoi ad un asilo per i bimbi, da una comoda strada carrozzabile, che allaccia Primavalle alla via della Pineta Sacchetti, alla fognatura.
Non è questa "prima edizione" della Borgata Primavalle quella alla cui edificazione il Nonno partecipa. Sarà invece la "seconda edizione", quella inerente i
Lotti I-VII, cominciata nel 1936, ad opera dell'Istituto fascista autonomo per le case
popolari della Provincia di Roma, destinata ad ospitare, non più i superstiti di un
"villaggio abissino", ma circa 5.000 sfollati, principalmente provenienti dalle
zone del centro dove sono realizzati gli sventramenti per la costruzione di via
della Conciliazione e via dei Fori Imperiali.
Coerentemente alle direttive Fasciste per le borgate, il "Piano Urbanistico della nuova Borgata residenziale di Primavalle" (Tipografia Editrice Italia, 1938), realizzato
dall'Architetto Giorgio Guidi, già protagonista, con l’Ing. Innocenzo Costantini,
del lotto IX nella città giardino della Garbatella (tra via della Garbatella e via
Luigi Fincati, contraddistinto da una palazzina convessa), si prefigge:
• l'eliminazione di ogni insediamento fatiscente o abusivo che, nel linguaggio
dell'epoca, è definito “villaggio abissino”;
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• la costituzione di nuovi siti residenziali (semi-rurali) in grado di accogliere la
manodopera della capitale e di metterla in veloce contatto con la città;
• la conseguente deurbanizzazione della città, che viene così liberata dalla
congestione, umana e sociale, più opprimente, con la popolazione che s'insedia in aree limitrofe al centro urbano.
Emblematica l’introduzione di Giorgio Guidi al Piano Urbanistico:
[...] In una metropoli come Roma, che vuol riportarsi alla grandiosa bellezza dell’epoca imperiale, insieme ai grandi lavori di risanamento interno, occorre in primo
luogo spazzar via del tutto gli accampamenti zingareschi formati dalle misere baracche del suburbio. Codesti accampamenti abusivi sono delle vere e proprie culture
di germi patogeni che contagiano i margini delle grandi città.
Quale può essere il rimedio più efficace ad estirparli radicalmente?
Nulla di più logico che combattere il male alle sue stesse radici: provvedere al ricovero dei “senzatetto o baraccati”, facendo sorgere nel territorio suburbano moderne
borgate operaie a carattere semi-rurale.
A risolvere questo problema specifico di capitale importanza, che presenta difficoltà
economiche, tecniche, sociali e politiche non indifferenti, sono chiamati gli Enti specializzati che per la loro attrezzatura ed esperienza sono in grado di impiantare con
la massima rapidità vasti cantieri di costruzioni e di approntare nel tempo più breve
le moderne, igieniche, ridenti abitazioni popolari, destinate ad accogliere il maggior
numero di famiglie. [...]
Con la creazione di queste borgate satelliti si ristabilirà il giusto equilibrio fra lo
sviluppo urbano e quello rurale favorendo l’auspicato deurbanamento, poiché la loro
funzione prevalente sarà di raccogliere le famiglie degli operai che lavorano in città:
saranno quindi borgate operaie residenziali ed orticole da comprendersi nella zona
d’influenza più prossima alla capitale e da collegarsi ad essa con i percorsi più brevi.
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Lo stesso Piano Urbanistico prevede un quartiere di 1.800 alloggi per 8.000 residenti distribuiti su tre tipologie edilizie (nella foto sotto il Lotto 2):
• case estensive, fabbricati di dimensioni contenute rispetto alla superficie del
lotto, separati da larghi spazi vuoti, di solito verdi, occupano aree di dimensioni contenute rispetto alla superficie totale del lotto fabbricabile;
• edifici a schiera, caratterizzati dall'accostamento di più unità abitative, una a
fianco dell'altra;
• residenze a ballatoio, tipologia di appartamenti in cui i ballatoi sono usati
come spazi comuni per accedere alle singole unità abitative.
Gli edifici hanno tre piani, gli appartamenti sono piccoli ma decorosi e provvisti
di servizi igienici. La struttura portante è in blocchi di tufo con solai in laterizio e
ferro; gli esterni sono finiti con intonaco verniciato di giallo ocra (nella foto sotto
il Lotto 4). Le strade interne tra le palazzine sono ampie per soleggiare le case, ci
sono spazi verdi, predisposti per il gioco dei bambini, ogni complesso ha un portierato.
Il Piano Urbanistico si sviluppa secondo un impianto alquanto lineare, secondo i
principi funzionalisti dell’urbanistica razionalista, da ambo i lati dell’asse viario
di via della Borgata di Primavalle, oggi via Federico Borromeo. Ieri come oggi,
via Borromeo, da Piazza Clemente XI a Piazza Alfonso Capecelatro, è l’asse
principale della borgata, ne costituisce la traccia antica.
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Lo evidenzia l'immagine sottostante in cui sono indicati: con una linea arancione il perimetro della Borgata di Primavalle; con una retta verticale rossa l'asse di
via Borromeo; con una trasparenza verde l'area del Lotto II, con una marrone il
Lotto IV, i due Lotti di cui il Nonno conserva le foto.
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6
Nel 1938 sono completati i primi 4 Lotti (1-4) del Piano Urbanistico, l'anno successivo, nel 1939, altri 3 Lotti (5-7), tutti a destra dell'asse di via Borromeo (in
rosso), andando da Piazza Clemente XI verso Piazza Alfonso Capecelatro.
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Questi sette Lotti, i soli alla cui edificazione ed inaugurazione il Nonno partecipa come Direttore dei Lavori (anche se documenta fotograficamente solo i Lotti 2 e
4), compaiono nella parte inferiore del plastico nell'immagine sottostante.
Assieme ai primi 7 Lotti della Borgata di Primavalle sono anche realizzate:
• la scuola elementare Cerboni e le palestre;
• la casa del fascio con la sua torre italica;
• i giardini ed il progetto di una strada di collegamento con via Boccea.
Nel 1938 il trasporto pubblico è assai limitato: il tram 34 passa sull’Aurelia fino
al capolinea a Forte Braschi, da lì un autobus bus porta a Piazza Clemente XI.
Il 1 giugno 1938 la Borgata di Primavalle (Lotti 1-4) è solennemente inaugurata
alla presenza del Governatore di Roma (oggi si direbbe Sindaco), Pietro Colonna (1891-1939) e del Presidente dell'Istituto fascista autonomo per le case popolari, l'Architetto Alberto Calza Bini.
Tra le "carte del Nonno" non trovo nessuna foto di questo evento ma le sorprese
non sono finite.
Quando arrivo a scrivere di questa fase della storia del Nonno, intercetto nel
WEB un esperto conoscitore di Primavalle, il Prof. Alessandro Guarnacci (1953),
qui nato e cresciuto. Laureato in Scienze dell’educazione con una tesi intitolata
"Primavalle 1937 – 2007: le memorie di una borgata di Roma"; poi insegnante presso la
scuola di Primavalle (1978-2016), socio fondatore e Presidente dell’Associazione
culturale Primavalle in rete, che nel 2020, assieme a Gianluca Chiovelli, anche lui di
Primavalle, ha pubblicato il libro "La storia di Primavalle" (Typimedia, 2020).
Inevitabilmente l'incontro con Guarnacci diviene parte integrante della storia
del Nonno.
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Planimetria Lotto 2, realizzato con la Direzione Lavori del Nonno.
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Planimetria Lotto 4, realizzato con la Direzione Lavori del Nonno.
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Il Prof. Guarnacci, che ringrazio sentitamente, anche per avere portato il Nonno
su Facebook (www.facebook.com/primavalle1938, post del 9 dicembre 2020),
mi ha inviato:
• molte foto dei lavori a Primavalle integranti quelle del Nonno (Lotti 5-7);
• un ritaglio di giornale che racconta l'inaugurazione della Borgata Primavalle
celebrata nel 1938, nella cui foto compare il Nonno;
• altri due ritagli di giornale e delle foto relative ad una "Befana Fascista" organizzata a Primavalle nel 1939, che citano e fotografano l'Ing. Gentili definendolo il Direttore dei Lavori.
È stato molto emozionante ed al tempo stesso anche assai turbante scoprire la
presenza del Nonno in mezzo a queste "schegge di memoria" sull'edificazione di
Primavalle.
Emozionante, per essere riuscito a trovare oggi, anche abbastanza facilmente,
tracce del Nonno risalenti a circa 80 anni prima, quando ha 43 anni.
Turbante, perché prima del 2020 non ho mai visto il Nonno in divisa fascista, al
massimo in divisa militare in alcune foto emerse dal "carte del Nonno". So bene,
perché ne ho evidenze oggettive, che si esamineranno nel proseguo della sua storia, che durante la II Guerra Mondiale, dal 1943 al 1944, il Nonno opera come
partigiano. Eppure vederlo col fez, gli stivali e la divisa nera da gerarca fascista
mi sconvolge. Poi mi fermo a ragionare, lavora per l'IFACP, ente fascista, evidente che in occasione di cerimonie ufficiali come l'inaugurazione dei lavori debba
presenziare, apparendo in modo consono al fianco di personaggi dichiaratamente fascisti, che proprio per questo hanno assunto le cariche di Governatore di
Roma e Presidente dell'IFACP.
Del resto, anche a me, sempre per motivi di lavoro come per il Nonno, è toccato
stringere la mano a Silvio Berlusconi Presidente del Consiglio, come anche al
ministro dell'Innovazione Renato Brunetta, ma non ho mai aderito alle idee di
nessuno dei due. Fortuna che i tempi lavorativi che ho vissuto mi hanno evitato
di dover indossare una divisa, la costrizione si è limitata alla giacca e cravatta!
Di seguito si propongono gli articoli di giornale, le foto dell'inaugurazione della
Borgata di Primavalle del 1 giugno 1938 e della "Befana Fascista" del 6 gennaio
1939.
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Nella foto sopra in basso da sinistra destra, tutti in uniforme fascista, compaiono: il Governatore di Roma, Piero Colonna; il Federale, responsabile del partito
Fascista a livello provinciale; il Presidente dell'IFACP, Alberto Calza Bini; il Direttore dei Lavori, ovvero il Nonno.
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Nella foto sopra, da destra compaiono: uno sconosciuto
di spalle; il Presidente dell'IFACP, Alberto Calza Bini; il
Direttore dei Lavori, ovvero il Nonno, con il fez, il copricapo fascista (nell'immagine qui a sinistra).
Nella foto a destra,
(Anno XVII E.F.,
1939), scattata sempre in occasione
della "Befana Fascista", da sinistra: il
secondo è Alberto
Calza Bini; il terzo
il Nonno.
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1 giugno 1938, a sinistra Calza Bini, ultimo a destra il Nonno.
1 giugno 1938, il Nonno s'intravede a sinistra di Calza Bini.
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1 giugno 1938, secondo da sinistra il Nonno a fianco di Calza Bini.
1 giugno 1938, secondo da sinistra il Nonno che segue Calza Bini.
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1 giugno 1938, terzo da sinistra il Nonno al fianco di Calza Bini.
1 giugno 1938, a sinistra il Nonno chinato su Calza Bini, a destra, il
Nonno con Calza Bini.
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1 giugno 1938, terzo da destra il Nonno dietro a Calza
Bini.
Questa è la foto pubblicata sul
giornale che parla della "Befana
Fascista".
6 gennaio 1939, secondo da
sinistra, il Nonno con Calza
Bini alla "Befana Fascista".
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6 gennaio 1939, quarto da sinistra il Nonno visto di fianco.
6 gennaio 1939, primo da sinistra il Nonno alla "Befana Fascista".
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Le sorprese non sono finite, sempre sulle tracce del Nonno, reindirizzato dalle
nuove foto intercettate, mi viene in mente di razzolare nel WEB alla ricerca di
vecchi cinegiornali LUCE. L'Istituto L'Unione Cinematografica Educativa (LUCE) nasce nel 1924 come società per azioni; nel 1925 Mussolini lo ridefinisce ente morale di diritto pubblico, in questo modo diviene un potente strumento di propaganda del regime Fascista, la finalità dell'Istituto è infatti volta alla:
Diffusione della cultura popolare e della istruzione generale per mezzo delle visioni
cinematografiche, messe in commercio alle minime condizioni di vendita possibile, e
distribuite a scopo di beneficenza e propaganda nazionale e patriottica.
Di fatto è la più antica istituzione pubblica destinata alla diffusione cinematografica a scopo didattico e informativo del mondo.
Nel 1927 è creato il cinegiornale Giornale LUCE, destinato a venire proiettato
obbligatoriamente in tutti i cinema d'Italia prima della proiezione dei film, cosa
che permette di considerarli antesignani del telegiornale.
Dal luglio 2012, una vasta collezione di circa 30.000 filmati è resa pubblica, grazie a un accordo con Google, attraverso un canale YouTube.
La ricerca è fruttuosa, sono riuscito a trovare un filmato girato il 1 giugno 1938
in occasione dell'inaugurazione dei Lotti 1-4 della Borgata di Primavalle (si tratta del Giornale Luce B1315, scaricabile dal sito dell'Archivio Luce Cinecittà, al seguente link: patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000029558/2/lenuove-case-popolari-primavalle.html).Il filmato lungo circa 40 secondi, arricchito di un commento audio che comincia con l'affermazione "Il regime per il
popolo ...", mostra:
• la strada con gli edifici delle nuove case popolari di Primavalle;
• la gente lungo la strada;
• il Governatore di Roma Piero Colonna ed il federale di Roma che inaugurano le abitazioni;
• una bimba che dona dei fiori ad una signora;
• la benedizione delle case.
• il cammino delle diverse persone che circondano Calza Bini tra i primi lotti
della Borgata di Primavalle.
In mezzo a queste immagini s'aggira il Nonno, sempre in divisa da gerarca fascista con il fez in testa.
M'incanto fino a quando, dopo circa 20 secondi, rimango inebetito, blocco la
ripresa, rimango a fissare a lungo il fotogramma (in alto nella pagina seguente).
Al centro l'Architetto Calza Bini, alla sua destra uno sconosciuto, appena dopo,
in secondo piano il Nonno, proprio sotto la scritta LUCE in sovrimpressione...
Il Nonno che saluta...
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1 giugno 1938, saluto romano, ma che dico... Un saluto fascista!
1 giugno 1938, primo da destra in prima fila, sotto la scritta LUCE,
il Nonno.
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Il 28 ottobre 1939 viene concessa al Nonno "in considerazione di particolari benemerenze" l'onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Non so se questo
riconoscimento si lega in qualche modo ai lavori fatti per l’Istituto fascista autonomo
per le case popolari della provincia di Roma, ma il sincronismo temporale tra
l'inaugurazione della Borgata di Primavalle e la concessione dell'onorificenza lo
fa supporre.
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La Borgata di Primavalle non finisce con i lavori del Nonno, la sua edificazione
richiederà molti altri anni. Il Piano Urbanistico prevede l’edificazione di complessivi 32 lotti, realizzati con tipologie diverse per evitare una noiosa uniformità
degli interventi. La realizzazione di questi lotti richiederà ben trent'anni:
• 1937, Lotto 1;
• 1938, Lotti 2, 3, 4;
• 1939, Lotti 5, 6, 7, a cui si aggiungono le cosiddette "case de corsa”, esteticamente migliori rispetto alle precedenti ma inferiori dal punto di vista abitativo, dei Lotti 15 (edifici 1-12), 16, 17;
• 1940-43 Lotto 18, 19, 25 (edifici 1-3), la II Guerra Mondiale porta molti sfollati a rifugiarsi nel quartiere;
• 1949, Lotto 27;
• 1950, Lotto 25 (edifici 4-5);
• 1955, Lotti 11 (edifici 1-2), 26;
• 1957, Lotto 15 (edifici 13-17);
• 1958, Lotti 11 (edifici 3-6), 12, 13;
• 1967-69, Lotti 28, 29, 30, 31, 32.
Nel dopoguerra sarà ancora l’Architetto Giorgio Guidi a completare la realizzazione della Borgata di Primavalle con gli ultimi edifici popolari che affacciano su
piazza Alfonso Capecelatro, su cui finisce via Borromeo provenendo da Piazza
Clemente XI, e la chiesa di S. Maria della Salute che chiude la piazza alla Giorgio de Chirico, con i portici ad archi che si inseguono.
In questo stesso periodo, con l’espansione urbanistica, la Borgata di Primavalle è
totalmente inglobata nella città di Roma. Pur rimanendo riconoscibile per il differente stile costruttivo e planimetrico rispetto ai fabbricati limitrofi, in parte caratterizzati da uno sviluppo edilizio abusivo, soprattutto nella parte nord, risalente agli anni ‘50.
Della borgata originaria, rimangono molti dei lotti situati sulla destra di Via
Borromeo, provenendo da da Piazza Clemente XI, ed il nucleo dei servizi che si
sviluppa intorno all’ex dormitorio sul lato sinistro dell’asse viario.
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1940-1944 Richiamato per la II Guerra Mondiale
tra Trani e Roma
Il 10 giugno del 1940 Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia al fianco
della Germania Nazista. Di conseguenza il Nonno torna in guerra, questa volta
non volontario, ma come ufficiale richiamato in servizio, quando ha 44 anni ed i
figli Vittorio, Bruno, Aldo, rispettivamente 16, 12 e 7 anni.
Il 1940 è presumibilmente anche l'anno in cui:
• interrotti temporaneamente i lavori per l’Istituto fascista autonomo per le case popolari a causa della guerra, il Nonno, in attesa dell'impegno militare che nuovamente lo attende, realizza l'album fotografico che testimonia dei suoi lavori
e si conclude con quelli inerenti la Borgata di Primavalle;
• è scattata la gioiosa foto qui sotto, che ritrae il Nonno con la moglie Angela;
non si capisce dove sia scattata, di certo non sembra a Roma.
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1942-1944 L'addio ad Angela
Purtroppo questa gioia dell'unione del Nonno con la sua adorata Angelina non è
destinata a durare: il 22 maggio del 1944 la Nonna muore a Roma, probabilmente a causa di un non precisato tumore.
Quando si è ammalata la Nonna? Sicuramente prima che il figlio Vittorio
s'iscriva alla facoltà di medicina dell'Università La Sapienza di Roma. Vittorio
ha sempre raccontato che la sua scelta di divenire medico è nata quando ancora
era al Licelo, dettata dalla speranza di poter curare la madre; egli, nato nel
1924, dovrebbe aver conseguito il diploma al Liceo Classico Visconti a 19 anni,
quindi nell'anno scolastico 1942-43, quindi è ipotizzabile che Angela fosse già
malata nel 1942.
Nelle pagine seguenti il fronte ed il retro del biglietto stampato per la cerimonia
del trigesimo, che si celebra il trentesimo giorno dopo la morte, il cui incipit è al
tempo stesso razionalmente lucido ed emotivamente straziante:
Per conservarti alla vita, sperimentammo tutti i rimedi della scienza, ascoltammo
trepidanti il responso dei medici più insigni che, concordi predissero la catastrofe. [...]
Anche dopo la morte di Angela la sua macchina da cucire Singer risalente all'inizio degli anni '20 rimarrà sempre nella casa del Nonno, a via Crescenzio, finché egli vivrà, ma nessuno la userà più, per questo diverrà una sorta di monumento ad Angela.
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Presumibilmente da quando la moglie Angela è malata, e quindi non riesce più
ad occuparsi della casa e dei figli più piccoli, quindi almeno dal 1943, nella casa
del Nonno arriva, probabilmente dalla campagna abruzzese, Olga Zanello.
Olga è quella che oggi si chiamerebbe una colf e all'epoca forse una governante,
ovvero una collaboratrice familiare a tempo pieno, che si occupa di spesa, cucina, pulizia della casa, oltre che della sorveglianza e cura dei bambini. Non certo
dell'istruzione, ricordo quanto poco fosse istruita, forse addirittura analfabeta.
Olga sarà una costante nella vita del Nonno, non certo dal punto di vista affettivo, ma sicuramente da quello operativo, negli anni ai compiti da colf si aggiungeranno quelli di baby-sitter dei nipoti del Nonno e poi quelli da badante.
Per i tre figli del Nonno la morte della madre Angela ed il contestuale ingresso
in campo di Olga, il cui ruolo inevitabilmente s'allarga dopo la morte di Angela,
la cui autorità in casa cresce soprattutto in assenza del Nonno, è un trauma forte. Ognuno reagisce a suo modo ma ho sempre constatato una diversa modalità
relazionale verso Olga del figlio più grande del nonno Vittorio, che alla morte
della madre ha 20 anni, e i più piccoli Bruno e Aldo, rispettivamente di 16 e 11
anni. Ne ho rilevato tracce nei comportamenti e racconti adulti di Vittorio,
Bruno ed Aldo, di cui sono stato diretto osservatore.
• Vittorio rispetta Olga, ne riconosce l'utilità per il padre, ma se ne tiene lontano affettivamente; le attribuisce desideri di matrimonio con il Nonno che
lui avversa con decisione;
• Bruno è molto più empatico di Vittorio verso Olga, ci vivrà anche assieme
dopo la morte del Nonno, sia a Via Crescenzio a Roma, che al nuovo Podere
Le Farine, di cui si dirà successivamente; non paventa matrimoni tra il Nonno
ed Olga;
• Aldo si aggrappa ad Olga, travolto dalla perdita della madre, e le rimarrà
molto affezionato, anche se da adulto sarà quello che avrà occasione d'interagirci meno perché vive lontano da Roma.
Ho un affettuoso ricordo di Olga, gli ho voluto bene, ho sentito che mi voleva
bene, l'abbracciavo appena arrivavo a casa del Nonno. Le intere giornate qui
passate, che da primo nipote maschio mi sono state riservate, sono ricche:
• della sua cucina intrigante, non scorderò mai il suo abbacchio brodetttato
per Pasqua, le costolette d'agnello impanate; i fegatelli di maiale con la foglia
d'alloro; le fettuccine fatte in casa;
• delle sue attenzioni affettuose, seriamente testimoniate dagli abbracci che mi
facevano sentire grande perché lei era assai piccolina ed io spilungone, dalle
telefonate per farmi gli auguri ad ogni mio compleanno, anche dopo la morte del Nonno, anche dopo essersi sposata con un vedovo molto più anziano
di lei che non aveva voglia di pagarsi una badante; scherzosamente testimoniate da quella volta che, avendo avuto un problemino d'incontinenza, ritornai a casa indossando delle mutande di Olga che ricordo nere ed "ascellari".
Storia di un Nonno
203
Contestualmente alla morte di Angela ed
all'arrivo di Olga, un'altra novità segna
una svolta nella vita sociale del Nonno.
Il figlio più grande Vittorio incontra alla
festa di capodanno del 1944, in casa di
una cantante di nome Luciana Vieri, una
ragazza di 17 anni di nome Teresa. Quella stessa notte la bacia sotto al Vischio. Il
conseguente ed immediato fidanzamento
di Vittorio con Teresa (a sinistra passeggio
per Roma nel 1944), aprirà all'incontro
della Famiglia Gentili con quella Medori e,
soprattutto, a quello tra i due futuri suoceri, il Nonno e Luigi Medori (1903-1981),
l'altro nonno di chi scrive, che di seguito
continuerò a chiamare Luigi per evitare
confusioni col Nonno Gentili.
Tra il Nonno e Luigi, di sette anni più
giovane di lui (nato nel 1903), nascerà un
sodalizio che durerà sino alla morte del
primo (Luigi morirà molti anni dopo nel
1981), favorito da una serie di casuali convergenze, perché Luigi (nella foto della
pagina seguente ritratto nel 1948):
• vive accanto al Nonno, a 500 metri
dalla casa di Via Crescenzio, in Via
Vitelleschi;
• è mangione e beone come il Nonno ed
altrettanto amante della convivialità;
• è un grande appassionato d'auto e intrigato dalla guida, dotato di un'auto
da prima del 1924, ed in possesso della
patente n° 10 rilasciata in Italia, cosa
che si rivelerà utile al Nonno che la patente non l'ha mai presa;
• lavora come il Nonno nell'edilizia,
come imprenditore edile, con la società
Medori Costruzioni, fondata dal padre, che si occupa principalmente di
ristrutturazioni di proprietà immobiliari del Vaticano;
Storia di un Nonno
204
• motivo per cui condivide parte della socialità professionale romana con il
Nonno; anche se diversamente da lui non è un Ingegnere, gli studi di Luigi si
fermano a quella che lui chiamava la VI elementare, (all'epoca la Legge Orlando del 1904, imponeva l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno, prevedendo quattro anni di "Corso Elementare" a cui se ne aggiungevano due
di "Corso popolare", una scuola di avviamento professionale, presente solo
nei comuni di più di 10.000 abitanti, a conclusione della quale si conseguiva
la licenza elementare, le scuole medie non erano ancora state istituite).
Finito il racconto familiare relativo agli anni della II Guerra Mondiale, relativamente alle sue esperienze lavorative di questi anni, dalle "carte del Nonno"
non emergono evidenze oggettive che lavori per l'Istituto fascista autonomo per le case
popolari.
Vi si trovano invece diverse Fonti che mostrano come i "lavori del Nonno" si sovrappongano convulsamente, ripartendosi su tre distinti filoni:
• 1940-44, la partecipazione alla II Guerra Mondiale, come Ufficiale del Genio militare (Fonti 1, 2, 3); nel 1940 inizialmente a Trani in Puglia, per circa 2-3 mesi, e poi a Roma per il resto della guerra, dal 1940 al
1945;
• 1942, i lavori svolti a Roma, come Ingegnere civile (Fonti 4, 5); che
appaiono eseguiti a titolo privato perché testimoniati da fatture redatte a
mano su carta libera, forse per arrotondare lo stipendio da militare, probabilmente minore di quello percepito dall'Istituto fascista autonomo per le case popolari;
• 1943-44, la partecipazione alla Guerra di Liberazione, come partigiano (Fonti, 6, 7, 8, 9, 10).
Di seguito si esaminano queste Fonti nell'ordine cronologico di cui sopra, per poi
tirare le somme di quello che raccontano.
Storia di un Nonno
205
1940-1944 Maggiore del Comando del Genio
Conseguentemente all'entrata
in guerra dell'Italia, nel giugno
del 1940, il Nonno è:
• richiamato in servizio (a destra in divisa in una foto
presumibilmente scattata in
occasione della sua partenza nel 1040) con il grado di
Maggiore del Comando Genio
del XVII Corpo d’Armata;
• nominato Comandante
delVIII Battaglione Artieri.
Per maggior chiarezza riguardo agli incarichi del Nonno
nella II Guerra Mondiale:
• il Genio militare è una delle
specialità delle forze armate, il cui compito è la realizzazione, manutenzione
ordinaria e straordinaria di
infrastrutture ed opere di
supporto all'attività di
combattimento, evidentemente adatta ad un Ingegnere;
• l'Artiere è il soldato del genio
militare, addetto a lavori di
vario genere (scavi, trasporti, costruzioni, ecc.).
Visto che il Nonno comanda
l'ottavo Battaglione Artieri del diciassettesimo Corpo d'Armata,
cosa significa allora il numero
che compare sul cappello del
Nonno (dettaglio ingrandito
nella foto a destra)? Potrebbe
indicare la sua destinazione
successiva? Non si è riuscito a
capirlo.
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Fonte 1, 14/8/1940, Verbale di consegna del Battaglione Artieri.
Questo verbale: conferma il grado di Maggiore del Nonno; interessante anche
l'esplicitazione del titolo Cavaliere (Gentili Cav. Claudio), che gli è stato riconosciuto l'anno precedente, nel 1939, alla fine dei lavori per la Borgata di Primavalle
(Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia); al tempo stesso indica che, molto probabilmente, dall'entrata in guerra nel Giugno del 1940, quando è richiamato al
servizio militare, sino a questo passaggio di consegne, nell'Agosto dello stesso
anno, per 2-3 mesi il Nonno è di stanza in Puglia, nella città di Trani, al comando del Battaglione Artieri.
Immagino che il passaggio di consegne si renda necessario in conseguenza del
rientro del Nonno a Roma, località in cui lo collocano con certezza, dal 1941 in
poi le Fonti, che saranno successivamente esaminate relative, sia ai lavori qui
svolti a titolo privato come Ingegnere civile (Fonti 3, 4), che alle attività di Partigiano svolte in ambito metropolitano (Fonti 6, 7, 9).
Tante le domande cui non è possibile rispondere:
• Cosa ci fa in Puglia con i soldi della cassa? Finanzia la realizzazione di opere
militari?
• A quali incarichi è assegnato?
• Perché rientra a Roma? Può essere che la moglie Angela inizi a stare male?
• Lo ha chiesto il Nonno per essere più vicino alla famiglia, o lo si sposta perché è più utile a supporto della direzione del Genio militare a Roma?
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Fonte 2, 5/11/1941, Conferimento di un Distintivo di guerra.
La circolare N° n. 91700 citata nel biglietto di conferimento chiarisce che il Distintivo di guerra consiste in un nastrino di seta, della larghezza di circa 4 centimetri, formato da 19 righe verticali, alternativamente di colore verde (10 righe) e
rosso (9 righe). Sul nastrino si applica una stelletta in metallo brunito per ogni
anno di servizio passato in guerra.
Questo Distintivo di guerra:
• conferma solo che il Battaglione Artieri fa parte del XVII Corpo d'Armata, che conferisce il distintivo;
• indica che, molto probabilmente, nel novembre del 1941 il Nonno è ancora
arruolato da più di un anno.
In quegli anni il Distintivo di guerra era concesso ai caduti in guerra, o a coloro che
si erano trovati in una delle seguenti condizioni:
• avevano prestato servizio per un periodo di almeno tre mesi alle dipendenze
delle Forze armate operanti;
• avevano riportato ferite o mutilazioni, o contratto infermità riconosciute, dipendenti da cause specificamente derivanti da azioni di guerra;
• avevano onorevolmente partecipato ad un importante fatto d'arme;
• avevano ottenuto in dipendenza dell'attività bellica una ricompensa al valor
militare o la Croce al Merito di Guerra.
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Di queste motivazioni, quella che so applicabile al caso del Nonno è di sicuro
l'ultima, aver ottenuto la Croce al Merito di Guerra, la stessa onorificenza che, come
raccontato, il Nonno ha già ricevuto nel 1923, relativamente ai fatti sul Col di
Lana della I Guerra Mondiale. Questo concorda con il fatto che le "carte del
Nonno" non mostrano evidenza che durante la II Guerra Mondiale abbia riportato ferite o infermità, o abbia partecipato ad importanti fatti d'arme.
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Questa seconda Croce al Merito di Guerra, relativa alla II Guerra Mondiale, di cui
tra le "carte del Nonno" non compare documentazione attestante il conferimento, si differenzia da quella della I Guerra Mondiale esclusivamente perché sul
lato dove compare la scritta "MERITO DI GUERRA":
• al posto del simbolo che rimanda a Vittorio Emanuele II di Savoia, che, ricordiamo, istituisce questa onorificenza nel 1918 (immagine sotto a destra),
coerentemente al contesto Monarchico della I Guerra Mondiale;
• adesso compaiono due lettere incrociare, "R" e "I", ad indicare Repubblica
Italiana (nell'immagine sotto a sinistra), che rimandano alla nascita della Repubblica nata dopo la II Guerra Mondiale.
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Fonte 3, 19/10/1966, Conferimento dell'onorificenza di Cavaliere
dell'Ordine "Al Merito della Repubblica Italiana".
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Molto probabilmente il Nonno rimane a Roma, dalla fine agosto del 1940, al
rientro da Trani, sino alla fine della della II Guerra Mondiale, nel 1945, quando
è congedato con il grado di Tenente Colonnello, il grado successivo a quello di
Maggiore con il quale è stato richiamato in servizio nel 1940.
Lo si deduce da una lettera inviatagli dal Ministero della Difesa il 19 ottobre
1966 (Fonte 3, riprodotta nella pagina precedente), che gli conferisce l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine "Al Merito della Repubblica Italiana" per le sue "benemerenze militari".
Quali "benemerenze militari"?
L'aver operativamente partecipato anche alla II Guerra Mondiale, dopo essere stato volontario nella I Guerra Mondiale?
O l'impegno partigiano nella Guerra di Liberazione?
Propendo per la prima, l'impegno partigiano sarà riconosciuto in altri modi successivamente documentati (Fonti 6, 7, 8, 9).
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1942 Lavoretti in Proprio a Roma
Tornato a Roma, ma ancora arruolato nel Genio Militare, il Nonno affianca alle
attività militari, l'esecuzione di lavori fatti non certo per conto dell'Istituto Fascista
Autonomo per le Case Popolari (IFACP) della provincia di Roma, per cui ha lavorato
sino all'inizio della II Guerra Mondiale. Lo testimoniano due fatture, custodite
assieme dal Nonno (Fonti 4, 5), relative a lavoretti di poco conto che, unitamente
al fatto di essere vergate su carta semplice, lasciano immaginare che egli esegua
questi lavori in proprio.
Questi lavori non rappresentano nulla d'importante, probabilmente servono al
Nonno per racimolare qualche lira, per integrare lo stipendio da ufficiale militare, immaginabile inferiore ai compensi da Direttore dei Lavori IFACP:
• la prima fattura (Fonte 4), di importo pari a circa 870 lire, oggi equivalente
ad un potere d'acquisto di circa 1.560 euro, riguarda dei lavori, essenzialmente di tinteggiatura, di una villetta ubicata nella Borgata di Primavalle,
dove il Nonno ha lavorato per l'IFACP fino allo scoppio della II Guerra
Mondiale; interessante che la fattura evidenzi come le tariffe applicate dal
Nonno siano proprio quelle applicate per l'edificazione della case popolari di
Roma nel 1941;
• la seconda fattura (Fonte 5), di importo pari a circa 1.100 lire, oggi equivalente ad un potere d'acquisto di circa 1.970 euro, si riferisce alla sistemazione
di finestre, soffitti e pavimentazione di un terrazzo, di un appartamento all'interno 3 di una palazzina sita in Via Basento 78; questa fattura è priva di
una data immediatamente riconoscibile, ma l'intestazione "20-10" potrebbe
significare Ottobre (10) del 1942 (anno XX dell'era fascista).
Lavoretti che confermano la permanenza del Nonno a Roma nel 1942.
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Fonte 4, 30/3/1942, Fattura per villetta a Primavalle.
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Fonte 5, 1942, Fattura per appartamento in via Basento 78.
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1943-1944 Partigiano a Roma
L'impegno del Nonno come partigiano, nel periodo che va dal 15 settembre
1943 al 6 giugno 1944, è testimoniato dai seguenti riconoscimenti elencati in ordine cronologico:
• 14 ottobre 1944, Dichiarazione del "Reparto Fronte Clandestino
di Resistenza" (Fonte 6); in cui il Nonno è qualificato "Attivo" nei ruoli del
"Gruppo Monte Mario", impegnato nella "lotta clandestina contro i tedeschi" senza
specificare dove si svolgano le azioni di lotta ed in cosa consistano; secondo
questa fonte l'"anzianità", che interpreto da quando il Nonno aderisce al
gruppo, decorre dal dicembre 1943 ma le tre successive (Fonti7, 8, 9) invece
retrodatano l'inizio dell'attività da partigiano al settembre 1943, contestualmente alla resa incondizionata dell'Italia agli Alleati, sancita con l'armistizio
firmato il 3 settembre a Cassibile, una frazione di Siracusa in Sicilia, il fulcro
degli sbarchi Alleati;
• 20 giugno 1944, Attestato del "Comitato di liberazione" della Democrazia Cristiana, neocostituito partito, rimasto in clandestinità sino al
1943 (Fonte 7); in cui si specificano le attività svolte dal Nonno come partigiano, dal settembre 1943 al giugno 1944, legate alla consulenza (su cosa?)
ed alla sottrazione di carte topografiche al Comando del Genio, che immagino siano da trasferire agli Alleati; operazione evidentemente facilitata dall'essere il Nonno un ufficiale del Comando del Genio, ed al tempo stesso assai rischiosa visto che il Nonno veste la divisa dell'esercito fascista, se lo scoprono risulta un traditore e la fucilazione è di prammatica;
• 4 ottobre 1946, Dichiarazione della "Commissione laziale per il
riconoscimento della qualifica di partigiano e di patriota" della
Presidenza del Consiglio (Fonte 8); in cui il Nonno è riconosciuto come
"Partigiano Combattente" col grado di "Gregario" della formazione "O.M. Democrazia Cristiana" (ignoro cosa indichino le lettere O.M.), dal 15 settembre 1943
al 6 giugno del 1944, senza specificare esattamente in che azioni sia coinvolto;
• 5 Novembre 1956, Dichiarazione integrativa del Ministero della
Difesa (Fonte 9); diversamente dalle altre temporalmente prossime ai fatti
testimoniati, datate 1944-46, questa dichiarazione viene rilasciata 10 anni
dopo, nel 5 Novembre 1956, quando già il Ministero dell Guerra è diventato
Ministero della Difesa; la dichiarazione attesta che il Nonno ha partecipato
ad "operazioni di guerra svoltesi in ambito metropolitano"con la formazione partigiana combattente "O.M. Democrazia Cristiana", , dal 15 settembre 1943 al 4 giugno 1944 (anticipando di due giorni la conclusione di dette operazioni rispetto alla Fonte 8).
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Fonte 6, 14/10/1944, Dichiarazione del "Reparto Fronte Clandestino
di Resistenza".
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Fonte 7, 20/6/1944, Attestato del "Comitato di liberazione" della
Democrazia Cristiana.
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Fonte 8, 4/10/1946, Dichiarazione della "Commissione laziale per il
riconoscimento della qualifica di partigiano e di patriota" della Presidenza del Consiglio.
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Fonte 9, 5/11/1956, Dichiarazione integrativa del Ministero della
Difesa.
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Tirando le somme dalle precedenti Fonti esaminate si deduce quanto segue.
Nel giugno del 1940, allo scoppiare della II Guerra Mondiale, il Nonno
è richiamato al servizio militare con il grado di Maggiore del Genio
Militare, ed inviato in Puglia, a Trani, al comando del Battaglione Artieri (Fonte 1), dove rimane per 2-3 mesi, sino all'agosto del 1940.
Dal settembre 1940 al giugno del 1944, il Nonno presta servizio presso
il Comando del Genio Militare a Roma (sicuramente: nel 1941, Fonte 2;
nel 1942, Fonti 3, 4; nel 1943-44, Fonti 6, 7, 9).
Nel settembre 1943, il Nonno comincia l'attività partigiana (Fonti 6, 7,
8), questo è contestuale con la resa incondizionata dell'Italia agli Alleati, proclamata il 3 settembre 1943 (armistizio di Cassibile) così sancendo:
• il disimpegno dell'Italia dall'alleanza con la Germania nazista;
• l'inizio della Campagna d'Italia, ossia le operazioni militari condotte dagli Alleati in Italia, nel periodo giugno 1943-maggio 1945, volta ad ottenere la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazifascista;
• il contestuale inizio della Guerra di Liberazione, la lotta alla Repubblica Sociale
Italiana condotta dalle brigate partigiane operanti nell'ambito della resistenza italiana.
Dal 1943 al 1944, il Nonno opera come partigiano nell'area metropolitana di Roma (Fonte 8), non fugge su per le montagne, con un ruolo definito
molteplicemente come "Attivo" (Fonte 6), "Clandestino della resistenza" (Fonte 7),
"Gregario" (Fonte 8), che lascia intendere non avesse responsabilità di comando.
In particolare il Nonno opera con i "Partigiani Bianchi" nella formazione "O.M Democrazia Cristiana" (solo la Fonte 6 si discosta dalle successive Fonti 7, 8, 9, legandolo al "Gruppo Monte Mario") che, all'interno del variegato movimento partigiano, sono la formazione di estrazione cattolica, che si affianca: ai "Partigiani Azzurri", di tendenze liberali e sentimenti monarchici ed ai
"Partigiani Rossi" di fede comunista, che rappresentano la parte politicamente e
militarmente preponderante. Colori differenti: tutti accomunati dalla medesima
forte volontà di abbattere il regime fascista; tutti divergenti, comunque, sul nuovo soggetto politico che avrebbe dovuto sostituirlo (Monarchia, Repubblica guidata dalla Democrazia Cristiana, Partito Comunista).
Come partigiano il Nonno offre consulenza e trafuga carte topografiche al Comando d'Armata del Genio (Fonte 6). Quindi non combatte, si
limita a mettere a disposizione le sue competenze, immagino per la valutazione
di come attaccare o demolire opere difensive, o costruire ponti provvisori, oltre
che per trafugare mappe, che forse indicano la dislocazione di truppe, o gli insediamenti di specifiche difese militari, che possono essere utili sia agli alleati che
ai partigiani.
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Visto che indossa ancora la divisa, quest'attività è inevitabilmente svolta parallelamente all'impegno militare presso il Comando del Genio Militare, quindi di
nascosto, da infiltrato, cosa che trasforma il Nonno in una spia.
Nel giugno 1944 l'attività partigiana del Nonno cessa (Fonti 7, 8, 9), molto probabilmente quando egli, avendo da poco perso la sua personale guerra,
quella contro la grave malattia della moglie Angela che la porta a morire il 22
maggio 1944, non sembra più interessato a combattere contro nulla. Comprensibile, come biasimarlo.
Non riesco a capire come mai una sola Fonte, peraltro quella temporalmente
più vicina ai fatti, faccia riferimento al "Gruppo Monte Mario" (Fonte 6) non esplicitamente legato alla formazione "O.M. Democrazia Cristiana".
Per cercare di capire meglio la collocazione dell'azione partigiana del Nonno,
non trovando nessuna informazione inerente il "Gruppo Monte Mario", scopro che
il documento adatto potrebbe essere la relazione intitolata "Consuntivo attività Reparto fronte clandestino", del 21 febbraio 1945, indirizzata allo "Stato Maggiore Generale — Ufficio Patrioti", nonché al Gabinetto del Ministro della Guerra, firmata
dal capo di detto reparto, il Generale di divisione Mario Girotti (1885-1957),
che dal settembre 1943 ha aderito al Reparto fronte clandestino di resistenza operante
nella Capitale, lo stesso che firma la dichiarazione per cui il Nonno è "Attivo" nel
"Gruppo Monte Mario" (Fonte 6).
Di questo documento (conservato nell’archivio del Museo storico della lotta di
Liberazione di Roma, via Tasso 145) trovo una sintesi nell'articolo "Una relazione
ufficiale sui militari nella resistenza romana", articolo dello storico Giorgio Rochat
(contenuto nel libro "Il movimento di liberazione in Italia", 1969, n. 96, pp. 88-95).
Riesco così a ricostruire il contesto in cui, prima il Nonno opera come partigiano, e poi nascono le attestazioni inerenti (Fonti 5, 6, 7, 8), quello del Reparto fronte
clandestino di resistenza.
1943-1944 Reparto Fronte clandestino di resistenza
di Roma
Il Reparto fronte clandestino di resistenza (dizione che compare nell'intestazione della
Fonte 5) è costituito il 10 luglio 1944 con l’incarico di raccogliere la documentazione relativa alle varie organizzazioni clandestine romane e di studiare il comportamento dei singoli militari per la ricostruzione delle loro carriere e la concessione di ricompense.
La relazione redatta dal Reparto fronte clandestino di resistenza, presentata il 21 febbraio 1945, traccia un panorama generale della resistenza dei militari in Roma
fornendo dati quantitativi sulla forza delle varie organizzazioni, sulle perdite,
sulle ricompense proposte, senza scendere nell’esame dei casi personali.
Storia di un Nonno
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La relazione, seppure provvisoria e lacunosa, è avallata da autorevoli esponenti
militari (i generali Armellini, Odone, Bencivenga; il colonnello Pacinotti); grazie
alla tempestività della sua stesura presenta un quadro della resistenza dei militari
in Roma non inquinato da esigenze propagandistiche.
La relazione chiarisce come, subito dopo l’occupazione tedesca, nell’Italia ancora non liberata dagli Alleati, si verifichi un forte afflusso di militari e civili verso
Roma, con lo scopo di avvicinarsi il più possibile alle linee di combattimento ed
unirsi al più presto alle unità alleate.
Poiché le operazioni belliche non si svolgono con la celerità auspicata, quest'insieme di militari, ispirati al più alto senso del dovere e dell’amor di Patria, e di
civili, animati da ideali politici, è costretto ad attendere mesi prima di poter realizzare le sue aspirazioni.
Ovvio che tutti costoro non vogliano attendere inerti l’arrivo degli Alleati, motivo per cui, organizzati da capi capaci e coraggiosi, raggruppano le loro forze,
allo scopo di:
• cooperare allo sforzo bellico dal punto di vista strettamente militare, fornendo tutte le informazioni possibili, sia sulle sistemazioni difensive germaniche,
che sul transito delle truppe, svolgendo attiva opera di controspionaggio,
compiendo atti di sabotaggio, preparando azioni di antisabotaggio;
• assicurare l’ordine nella città di Roma al momento di evacuazione della capitale da parte germanica;
• svolgere azioni offensive vere e proprie, nel caso che ciò fosse richiesto dalle
autorità militari alleate, in cooperazione di un eventuale sbarco a nord di
Roma, onde ostacolare la conseguente ritirata tedesca;
• svolgere larga azione di propaganda e di contropropaganda.
La relazione distingue due tipologie di gruppi clandestini a Roma:
• il Fronte clandestino militare che, "in diretto collegamento col Comando Supremo italiano,
raggruppava tutti gli elementi militari, organizzandoli in bande e gruppi di bande"; questo fronte raggruppa 16.500 aderenti di cui 3.000 ufficiali, 3.500 sottufficiali,
8.000 uomini di truppa e 2.000 civili;
• il Fronte clandestino di resistenza costituito, "dalle formazioni armate dei vari partiti
politici che operavano per proprio conto e da altre formazioni collaterali"; questo fronte
conta 6.500 persone, di cui 3.800 militari, ed è costituito da una ventina di
gruppi che, pur non dipendendo dal centro militare, ne accettano di fatto le
direttive di azione.
Nell'ambito del Fronte clandestino di resistenza, i gruppi clandestini di cui si occupa
la relazione sono quelli dei partiti di centro-destra, tra cui la Democrazia Cristiana, e quelli genericamente apolitici, di fatto monarchici.
Storia di un Nonno
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Questo perché i gruppi afferenti ai partiti comunista, socialista e d’azione, scelgono di non documentare la loro attività al Reparto fronte clandestino di resistenza,
motivo per cui non sono conteggiati nella relazione. Buona parte dei gruppi del
Fronte clandestino di resistenza (non militari) nasce comunque per iniziativa di ufficiali che per ragioni varie, preferirono non appoggiarsi al Fronte clandestino militare.
L’alta percentuale di militari anche nei gruppi partitici non deve ingannare: civili o militari, politici o apolitici, i gruppi di cui parla la relazione preferiscono tutti
lasciare la lotta armata agli Alleati Anglo-Americani, limitandosi a svolgere essenzialmente attività assistenziale e propagandistica. Solo alcuni si azzardano a
raccogliere e trasmettere informazioni militari, pochissimi a commettere sabotaggi.
I gruppi clandestini di orientamento cattolico della Democrazia Cristiana, i
"Partigiani Bianchi", appaiono meno ideologizzati rispetto a quelli del Partito
Comunista e del Partito d'Azione. Questi gruppi hanno in genere un atteggiamento prudente:
• sia nei confronti della popolazione, cercando di trattarla umanamente e di
non esporla inutilmente a rischi;
• sia nei confronti degli avversari, evitando nei loro confronti provocazioni che
possano portare a rappresaglie sulla popolazione.
Nei confronti dei gruppi partigiani di diverso orientamento politico i "Partigiani
Bianchi" cercano di collaborare, nonostante momenti difficili e, in alcuni casi,
anche di scontro.
Il Comando del Fronte clandestino militare decide di adottare e fare adottare all’interno della città un contegno tendente a risparmiare Roma, i suoi abitanti, i suoi
monumenti, da rappresaglie tedesche in grande stile. I partiti facenti capo al
Comitato di Liberazione Nazionale (CNL), che indirizzano l'operato del Fronte clandestino di resistenza, aderiscono in pieno a questa linea di condotta, conseguentemente l’attività partigiana a Roma è:
• intensa nel campo organizzativo ed in quello informativo;
• limitata nel campo operativo, fatta eccezione per azioni svolte nelle periferie
e nelle campagne circostanti.
L’inconsulta reazione tedesca provocata da elementi irresponsabili che, per poche perdite inflitte ai tedeschi in via Rasella, causa l’eccidio delle Fosse Ardeatine, dimostra la ragionevolezza della decisione presa dal Comando dei gruppi
clandestini. Roma non diviene un campo di battaglia, bensì un centro importantissimo a scopo informativo, organizzativo e di irradiazione propagandistica patriottica. Questo stesso atteggiamento assicura al fronte clandestino militare e di
resistenza l’appoggio morale ed anche materiale del Vaticano.
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I gruppi clandestini a Roma non sono destinati alla guerriglia urbana, bensì a
riunire elementi fedeli, incoraggiandoli moralmente a mantenersi sulla via dell’onore, sostenendoli materialmente nelle dure necessità della vita (chi paga gli
stipendi dei militari dopo la paralisi di ministeri e comandi?), organizzandoli per
il giorno in cui sarà necessario entrare in azione sia per l'avvicinarsi delle forze
liberatrici, sia nell'eventualità di gravi violenze che potrebbero essere perpetrate
a Roma dai tedeschi.
La resistenza dei militari in Roma, è quindi una resistenza passiva, che chiede
alla grandissima maggioranza degli aderenti soltanto di non passare al servizio
diretto dei tedeschi. Non deve quindi sorprendere la contrapposizione tra la
massa ingente di iscritti nei gruppi clandestini militari e di resistenza (complessivamente circa 23.000 persone) e la scarsezza delle azioni offensive (poche decine
di sabotaggi, rarissimi colpi di mano), dato che ci si propone, non di scatenare,
bensì di impedire la lotta armata a Roma. La composizione organica dei gruppi
clandestini si presta a questo tipo di impiego data la larghissima percentuale di
ufficiali anche di grado elevato. In sostanza, su un grande numero di iscritti ai
gruppi clandestini, gli elementi veramente attivi sono solo gli organizzatori
(capi-gruppo), gli informatori ed altri pochi che hanno svolto isolate azioni di
sabotaggio. Questo nucleo di attivi (912 ufficiali del Fronte clandestino militare e 512
del Fronte clandestino di resistenza) è particolarmente esposto alle rappresaglie delle
polizie tedesche e fascista, come dimostrano le percentuali di arresti e di caduti
(la relazione fornisce un totale di circa 120 militari fucilati, l'8% degli ufficiali
attivi).
Il Nonno è dunque uno di questi 1.424 ufficiali del nucleo di attivi e così è infatti
definito quando messo in relazione al "Gruppo M. Mario" (Fonte 5), non correlato
ad un Partito, quindi molto probabilmente facente parte del Fronte clandestino militare, a firma della stessa persona che firma il Consuntivo attività Reparto Fronte Clandestino", il Generale di divisione Mario Girotti. Può essere che il Nonno abbia
successivamente cambiato gruppo clandestino? Se fosse passato al gruppo "O.M.
Democrazia Cristiana" (Fonti 6, 7, 8, che lo definiscono Gregario), facente evidentemente parte del Fronte clandestino di resistenza, questo risolverebbe la discrasia tra le
fonti.
Chissà se quest'impegno da partigiano del Nonno, che in realtà sa più di controspionaggio, abbia riscattato la sua coscienza, con riguardo a quanto emerso dalle parate inaugurali della Borgata di Primavalle, in cui veste la divisa nera da gerarca fascista, col Fez e gli stivali, e fa il saluto romano? Spero vivamente di sì.
Peraltro, l'adesione del Nonno alla lotta clandestina nel 1943, come "Partigiano
Bianco", per questo tramite la Democrazia Cristiana vicino al Vaticano, permette
di spiegare come è possibile che il figlio maggiore, Vittorio, che lo stesso anno ha
compiuto 19 anni e per questo rischia di essere cooptato nelle file del neonato
esercito della Repubblica Sociale Italiana (RSI o Repubblica di Salò), riesca a trovare
rifugio in Vaticano.
Storia di un Nonno
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Ricordando che la Repubblica Sociale Italiana è il regime voluto dalla Germania
nazista e guidato da Mussolini tra il settembre 1943 e l'aprile 1945, per governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi, tra cui Roma,
dopo la resa incondizionata dell'Italia agli Alleati (Armistizio di Cassibile).
Questa permanenza in Vaticano di Vittorio non è testimoniata da nessuna evidenza oggettiva ma ben ricordo il racconto di Vittorio di quando vi si era rifugiato assieme al coetaneo Eugenio Scalfari (1924), il futuro fondatore del quotidiano La Repubblica, che nel libro intervista "Grand Hotel Scalfari" (di Antonio
Gnoli e Francesco Merlo, 2019) raconta così il passaggio dal fascismo all’antifascismo:
A Roma la montagna [dove si rifugiano i partigiani] è il Vaticano [...]
Bisognava combattere nel 1943 o modestamente e umilmente ci si doveva difendere
dalla storia mentre i tedeschi occupavano Roma, rastrellavano, fucilavano?
Al Nonno, molti anni dopo, il 21 febbraio 1958, pochi mesi prima che egli divenga tale in conseguenza della nascita del primo nipote, per la sua attività partigiana è conferita la Croce al merito di guerra (Fonte 10, nella pagina seguente).
Il Nonno me la regala che sono un bambino, quando nemmeno so ancora leggere la parola "guerra" che vi compare, senza dirmi per quale motivo l'ha avuta.
Ci ho giocato moltissimo, fino a capire leggendo che si legava alla guerra, senza
saper discernere tra I e II Guerra Mondiale. Poi dopo la Morte del Nonno l'ho
riposta.
Solo nel 2007, quando ho trovato anche la sua piastrina identificativa della I
Guerra Mondiale, ho scoperto che storie c'erano dietro queste onorificenze militari del Nonno.
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Fonte 10, 21/2/1958, Concessione della "Croce al Merito di Guerra"
del Esercito Italiano.
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1945-1958 Dipendente IACP e Imprenditore
a Roma
Nel 1945 il Nonno ha 49 anni, la morte di Angela l'anno precedente ha lasciato
un vuoto incolmabile in lui e nei figli; tuttavia, la fine della guerra, la ripresa dell'attività lavorativa per l'Istituto Autonomo Fascista Case Popolari (IACP), inevitabile la
cancellazione dell "F" per "Fascista") e l'incontro con la famiglia Medori, che si è
fatto stretto, aprono prospettive più positive in grado di rimuovere la cupezza del
periodo di guerra e lutto che si è appena concluso. Lo testimoniano bene le
Nozze d'argento di Pietro Valci con Ines Montebovi, la sorella di Angela, celebrate a Roma, il 3 ottobre 1945 (sposatisi nel 1920), con un pranzo con tanti invitati tra cui ci sono: il Nonno con tutti e tre i figli, Vittorio, Bruno e Aldo; Luigi
Medori con la moglie Elena ed i figli Teresa, fidanzata con Vittorio, e Franco.
Nella foto sopra: in fondo i figli grandi del Nonno
e di Luigi, a capotavola, Bruno (con la barba),
alla cui destra, s'intravede Vittorio, che nasconde
Teresa seduta tra lui e il fratello; nel mezzo della
tavola, a sinistra i festeggiati Ines Montebovi e
Pietro Valci (dettaglio a sinistra) di fronte ai quali
svetta il Nonno (dettaglio a destra); all'altro capo
della tavola i figli più piccoli, in basso a destra
Franco e più in alto Aldo, pressoché coetanei
(nati rispettivamente nel 1932 e 1933).
Storia di un Nonno
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In fondo i figli
grandi: a capotavola Bruno,
con la barba,
spostandosi
verso destra,
prima Teresa e
poi Vittorio.
Al lato opposto
i figli piccoli:
Franco in basso a sinistra e e
Aldo in alto a
destra.
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In questa seconda foto (in basso nella pagina precedente), al centro della tavola,
il Nonno, nella posa ieratica che ben lo rappresenta: la "sforchettata". Da lui
spostandosi verso destra Luigi Medori e la moglie Elena.
Non ho potuto esimermi dallo scegliere, tra tutte le foto del Nonno a mia disposizione, questo ritaglio iconico per la copertina di questo lavoro.
Le foto di questo pranzo non le ho trovate tra le "carte del Nonno", tra le quali,
a parte le foto dei lavori, altri generi di fotografie sono assai rare; provengono
invece dall'immenso archivio fotografico della Famiglia Medori, che dal 1945 includerà spesso anche il Nonno in occasione di feste e gite fuori porta.
Tra le "carte del Nonno" spunta però una foto di Pietro Valci (del 1962, nella
pagina seguente) che testimonia un altro legame col Nonno, oltre quello per
tramite di Ines, la sorella della sua Angela.
Riconosco immediatamente quel mantello!
È quello che marca indelebilmente l'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
(OESSG), detto anche Ordine del Santo Sepolcro o Ordine dei cavalieri del Santo Sepolcro,
si tratta di un ordine cavalleresco cattolico, un'associazione di fedeli della religione cattolica, la cui costituzione risale al 1099.
Storia di un Nonno
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Riconosco quel mantello bianco (foto a destra) perché ho diverse medaglie che
richiamano quella croce di Gerusalemme impressavi (foto sopra). Non sono medaglie del Nonno, bensì dell'altro nonno, Luigi Medori, anch'esso facente parte
dell'Ordine del Santo Sepolcro.
Luigi conoscerà per questo Pietro Valci? Inequivocabilmente si!
Lo dimostra una foto del
1956 (nella pagina seguente) in cui da destra il primo
è Luigi, il terzo Pietro. L'invito alle nozze d'argento di
Pietro Valci non è ottenuto
per il tramite del Nonno,
ma discende direttamente
da quest'autonoma ed indipendente conoscenza.
Il motivo per cui m'interrogo sulle diverse relazioni
che si dipanano da Pietro
Valci si lega al fatto che il
Nonno nel 1956 avvierà
anch'esso un'attività imprenditoriale, costituendo la
Società Pietro d'Assisi, tra i cui
soci ci saranno anche Pietro
ed il fratello Antonio Valci.
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Il Nonno non farà mai parte dell'Ordine del Santo Sepolcro. Diversamente, per l'altro nonno, Luigi Medori, la sua appartenenza all'ordine è assai probabilmente
dettata dalle esigenze di public relations legate alla sua attività imprenditoriale
nel settore delle costruzioni, che vede il Vaticano essere il cliente più importante,
più che da motivazioni ideologico religiose.
Di sicuro il Nonno conosce Pietro Valci molti anni prima di Luigi Medori, almeno dal 1920 quando Pietro sposa Ines, la sorella di Angela con cui il Nonno è
assai probabile stia da almeno un anno prima.
C'è quindi da chiedersi ...
È tramite Pietro, lo zio di Vittorio, che quest'ultimo conosce Teresa, che il Nonno conosce Luigi?
Oppure del tutto casualmente Vittorio e Teresa s'incontrano e successivamente
il Nonno e Luigi scoprono di avere un comune conoscente, Pietro Valci?
Impossibile saperlo.
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Il Nonno appare più composto, di quanto fosse al pranzo per le nozze d'argento
di Ines e Pietro Valci, nella foto di famiglia per antonomasia, sicuramente realizzata in uno studio fotografico nel 1950, che ritrae il Nonno, 54enne, accanto ai
figli Vittorio, Bruno, Aldo, rispettivamente di 26, 22 e 17 anni. Tutti con una
camicia a quadretti. Per l'occasione fu realizzata una quinta camicia, per Teresa,
la fidanzata del figlio maggiore Vittorio.
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È negli anni '50 che, anche
grazie alle frequentazioni
con la famiglia di Teresa
Medori, prima fidanzata e
poi sposa (1954) del figlio
Vittorio, si intercettano più
foto del Nonno.
1951, Roma.
Il Nonno con Vittorio e Teresa.
Lo sguardo del Nonno che
esprime?
1953, Firenze.
Il Nonno con Elena, la madre di Teresa.
1953, Fiesole.
Il Nonno appare sempre
istrionico.
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29 Marzo 1953, Maccarese.
Nella foto sopra in primo piano da sinistra
Luigi Medori e la moglie
Elena, tra loro s'adagia il
Nonno col basco in testa.
La "magnata" citata dalla
scritta in verde fatta dal
Nonno, è successiva ad
una battuta di caccia.
Nella foto a destra Elena
e Luigi, che non è mai
stato un cacciatore, con
fucile, basco e pallottoliera in vita del Nonno.
Il Partigiano Giggetto e la
partigiana Elena sul fronte di
Maccarese
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Gennaio 1955, Civitavecchia.
Da sinistra Elena, il Nonno, sempre con le sue pose istrioniche, e Luigi Medori
Gennaio 1955,
Roma.
Casa di via Cresenzio, sul balcone
della stanza di
Bruno e Aldo (Vittorio è già sposato
con Teresa) a cui
s'ag giungono il
Nonno e Teresa;
scattata da Vittorio dall'altro balcone, della stanza
del Nonno.
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Aprile 1955, Lago di Bracciano.
Con Teresa.
Ottobre 1955, Roma.
Con il figlio Aldo.
Aprile 1956, Nettuno.
Da sinistra Franco, il fratello di Teresa, Luigi Medori, Teresa, il Nonno, Elena la
moglie di Luigi.
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1945-1958 Ingegnere Capo Sezione a Roma dell'IACP
Nella seconda metà del 1945, una volta finita la II Guerra Mondiale, a 49 anni,
il Nonno riprende a lavorare, con la qualifica professionale di "Ingegnere Capo Sezione", per l’Istituto autonomo per le case popolari (IACP) della provincia di Roma,
nato sulle ceneri del precedente Istituto semplicemente cancellando l'aggettivo
Fascista e commissariando l'Istituto per sostituirne il Presidente (Alberto Calza
Bini alla fine della guerra è temporaneamente internato nel campo inglese di
Padula). Purtroppo, dal dopoguerra in poi, il Nonno non documenta più analiticamente e fotograficamente i lavori di cui si occupa, come ha invece fatto fino a
prima della II Guerra Mondiale.
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Probabilmente anche perché, più che di Direzione dei Lavori sui cantieri, adesso
dirige e coordina le perizie sui fabbricati da ultimare (volte alla verifica del rispetto dei progetti, degli standard costruttivi, dei tempi, dei costi). L'attesta una
lettera del 14 maggio 1946 (nella pagina precedente) che al tempo stesso elogia il
Nonno che "ha assolto il suo compito con tenace, diligente e proficua operosità" e per questo gli concede una gratificazione di 6.000 lire.
Dal 1953 (la foto sotto del Nonno è di quell'anno) a queste attività se ne aggiungono altre, che oggi si definirebbero di "know how transfer", probabilmente all'epoca un'attività innovativa di formazione nell'ambito dell'IACP.
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Quando quell'anno il Nonno conclude un primo ciclo di "Cantieri-Scuola", il Presidente dell’Istituto V. Scognamiglio gli scrive per esprimergli il suo...
Vivo elogio per l’impegno e la competenza con cui Ella ha diretto la realizzazione
di questa importante iniziativa ed il mio apprezzamento per i notevoli risultati raggiunti con vantaggio dell'Amministrazione e, ciò che più conta, a vantaggio dei numerosi allievi che hanno conseguito una qualificazione professionale.
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1946-1949 Imprenditore con l'Associazione Gentili-Valci
Evidentemente il Nonno è meno impegnato sui cantieri per l'Istituto Autonomo
Case Popolari, per questo si dedica parallelamente ad attività da imprenditore, la
prima delle quali coinvolge Pietro Valci, il marito di Ines, la sorella di Angela.
Un documento intitolato "Convenzione" (riprodotta nelle due pagine seguenti)
mostra come il Nonno abbia costituito, con Pietro Valci ed il fratello Antonio, in
una data non precisata ma molto probabilmente non antecedente al 1946, una
"Associazione" (società?) per l'esecuzione di lavori che, tre anni dopo, nel 1949,
risultano tutti da tempo ultimati, motivo per cui il 12 luglio del 1949, proprio
con questo documento, l'Associazione Gentili-Valci è sciolta.
Nell'ambito dell'"associazione", il Nonno, come Ingegnere, ha la responsabilità
sia della redazione dei progetti, che della Direzione dei Lavori; mentre i fratelli
Valci sembrano ricoprire unicamente il ruolo di investitori.
I lavori di cui si è occupata l'Associazione Gentili-Valci, sono quelli effettuati, tra il
1946 ed il 1947, per le Ferrovie dello Stato e riguardano dei lavori di manutenzione sulla tratta, di circa 70 km, compresa tra la stazione di Roma Trastevere e
quella di Capranica.
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1952-1956 Insegnante di Fisica
Le memorie familiari dei tre nipoti che hanno avuto modo di conoscere il Nonno concordano con il ritenerlo assai desideroso che i suoi figli seguano la sue
orme, facendo la sua stessa scelta di studio e professionale: divenendo ingegneri!
Questo non avverrà:
• Vittorio si iscriverà alla Facoltà di Medicina, presumibilmente nell'anno accademico 43/44, segnato dalla malattia della madre che forse immagina di
poter curare; superato un momento di crisi e la guerra, si laureerà nel 1952,
come comprovato dal suo diploma; subito dopo inizierà a lavorare come Ufficiale medico militare ad Udine; poi, tornato a Roma, prima farà il medico
di base, poi lavorerà per l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti
statali, ENPAS, ed infine sarà il direttore dell'Ambulatorio del Ministero degli
Esteri;
• Bruno s'arrenderà al desiderio del Nonno -me lo raccontò lui stesso - iscrivendosi alla Facoltà di Ingegneria, presumibilmente nel 1947/48; in ogni
caso non conseguirà la laurea, scegliendo poi di lavorare in un contesto limitrofo all'ingegneria edile, in aziende produttrici di manufatti e componenti in
cemento armato, in cui però ricoprirà sono ruoli commerciali e non tecnici;
• Aldo, secondo i ricordi del suo figlio più grande, si sarebbe iscritto anch'esso
a medicina, presumibilmente nel 52/53 in concomitanza con la laurea del
fratello più grande; come già Bruno anche Aldo non conseguirà la laurea;
dopo aver prestato servizio come ufficiale presso il corpo dei Granatieri di
Sardegna per circa due anni, nel 1962 entrerà nel mondo del lavoro a Torino, prima come rappresentante di prodotti caseari e poi per la fabbrica di
dolciumi Dufour; dal 1966, tornato a Roma, lavorerà 'per circa 30 anni nella
catena di grandi magazzini UPIM, di cui dirigerà diverse sedi tra il Lazio e
l'Abruzzo, di cui l'ultima in Via Nazionale a Roma.
Della passione del Nonno per l'ingegneria, e le scienze che la supportano, matematica e fisica, ho diretta esperienza.
Se è vero che da bambino, sin dalle elementari, non eccello in tutte le materie (lo
testimonia emblematicamente il fatto che in II elementare sono rimandato in
dettato, perché nella scrittura sono un disastro, in particolare sbaglio: le doppie,
confondendo "palla" con "pala" e viceversa; l'uso della lettera "h", togliendola
quando ci vorrebbe nelle declinazioni del verbo avere, mettendola davanti alla
preposizione "a" o a parole che per "a" iniziano, come "anno"), trovo il mio riscatto nella matematica, che mi diverte ed apprezzo risultandomi facile da capire ed applicare.
Questa mia precoce capacità matematica è assai apprezzata dal Nonno che molto probabilmente già m'immagina ingegnere come lui, avendo ormai da tempo
perso la speranza che uno dei figli lo diventi.
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Ben ricordo come il Nonno mi
abbia introdotto alla geometria
euclidea, all'uso del compasso, del
righello, del goniometro, perfino
del regolo calcolatore (limitatamente alle moltiplicazioni e divisioni) e di una macchinetta calcolatrice meccanica in grado di fare
addizioni e sottrazioni che aveva
regalato al figlio Vittorio quando
era ragazzetto (immagine a destra, sotto alla quale si riportano
le istruzioni per l'utilizzo).
All'inizio delle elementari volevo
fare il muratore, entusiasmato dai
sopralluoghi sui cantieri dell'Impresa Medori in cui mi portava
Luigi, il consuocero del Nonno, e
dal coinvolgimento da parte dei
fratelli Cecconi in alcuni lavoretti
al Podere Le Farine, l'ultimo cantiere
del Nonno.
Già in III elementare avevo cambiato idea, volevo essere un Ingegnere Edile come il Nonno, idea
che manterrò sino al terzo liceo
scientifico, quando l'incontro con
la fisica, mi farà abbandonare
l'idea dell'ingegneria edile, abbagliato dall'idea di fare il Fisico
Teorico.
La laurea in fisica l'ho presa, ma il
fisico non l'ho mai fatto; il Nonno
comunque mi ha sempre pensato
Ingegnere, perché la passione per
la fisica è divampata solo dopo la
sua morte.
Però due nipoti alla fine hanno
soddisfatto l'ambizione del Nonno
di una progenie votata all'ingegneria.
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Sono quello che porta il suo stesso nome, potendosi così firmare come il Nonno
Ing. Claudio Gentili; e Luca, il nipote più piccolo; però nessuno dei due è un Ingegnere edile.
Peccato che con il Nonno non abbia mai parlato specificatamente di fisica, probabilmente perché mi riteneva troppo piccolo; eppure il Nonno si è dedicato anche a preparare lezioni di fisica. Ben lo dimostrano due tracce emerse dalle "carte del Nonno", rimaste in possesso del figlio Aldo dopo la morte del Nonno.
Queste due tracce di lezioni di fisica sono:
• una "ripetizione sonora", come la chiama il Nonno, ovvero una registrazione su
bobine, della durata di 30 minuti per lato, su un registratore a nastro Geloso
g258, prodotto dalla Magnetofoni Castelli (1947-1972) da un'idea dei fratelli
Arrigo e Attilio Castelli e commercializzato dalla Geloso a partire dal 1955;
la registrazione del Nonno, digitalizzata dal nipote Claudio, ha una durata di
circa un'ora e s'interrompe all'improvviso, in quanto questo è solo il frammento iniziale della "ripetizione sonora", distribuita su più bobine;
• un "libro a fisarmonica", intitolato "Elementi di Fisica", vergato a mano dal Nonno, con la stessa calligrafia che compare sui disegni tecnici dei vari cantieri in
cui lavora, su un unico rotolo di carta, piegato alternativamente per segnare
le diverse pagine, per un totale di 192 pagine a cui si aggiunge la copertina;
considerato che una pagina ha una larghezza di circa 12 centimetri, significa
che distendendo la fisarmonica cartacea del Nonno ad eliminare le piegature
delle pagine, l'intero libro si dipana su un nastro di carta lungo circa 23 metri
e largo 15 centimetri.
L'inizio della "ripetizione sonora" chiarisce inequivocabilmente, quanto retoricamente, perché il Nonno si dedichi alle lezioni di fisica.
Per te da tuo papà [si sente distintamente "papà", il resto si capisce poco].
Mi preme che tu diventi medico sul serio, si inizia questa ripetizione sonora della
fisica, e ti dà così un'altra prova del suo affetto e di quello che è capace di fare per il
bene tuo, e tu lo saprai apprezzare.
Adesso vediamo, cominciamo dalla misura delle lunghezze, la geometria elementare
insegna ...
Il Nonno realizza le sue lezioni per un figlio, che vorrebbe vedere diventare medico, questo riduce la scelta a Vittorio o Aldo.
Il fatto che la "ripetizione sonora" si rimasta ad Aldo dopo la morte del Nonno e
poi arrivata a suo figlio Claudio assieme al testo "Elementi di Fisica" fa presumere
che il destinatario fosse Aldo. Claudio, il figlio maggiore di Aldo, lo conferma
ricordando come il padre gli abbia confessato quanto gli fosse risultata ostile la
fisica al liceo e all'università, e quanto suo padre si fosse, a sua volta, inutilmente,
prodigato per introdurlo (per plasmarlo?) alle gioie di questa materia. Evidentemente, almeno per Aldo, il Nonno ha rinunciato a volerlo ingegnere.
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Una ulteriore conferma indiretta è l'uso del registratore Geloso g258 (immagine
sotto), come detto commercializzato a partire dal 1955, quando Vittorio è già
laureato in medicina, ed Aldo dovrebbe essere iscritto al II o III anno.
Fisica è un esame del I anno del corso di laurea in Medicina, ma molti studenti
anche oggi lo rinviano al secondo anno, l'aiuto del Nonno potrebbe verosimilmente essersi concretizzato dopo un primo esame andato male ad Aldo.
Da appassionato di Fisica, quando, qualche anno dopo la morte di Aldo (1999),
all'inizio degli anni 2000, ottengo dal figlio Claudio la versione digitalizzata della "ripetizione sonora" del Nonno, sono intrigatissimo d'ascoltare la lezione. Risentire la voce del Nonno, a distanza di oltre trent'anni della morte, è stata un'esperienza straniante, indelebile, dolorosa ma bella.
Da allora ogni tanto riascolto il Nonno, ma solo per rimembrare il timbro della
sua voce, non certo per la Fisica.
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Se pure bisogna riconoscere al Nonno una gran dedizione, visto gli sforzi notevoli fatti per allestire questi corsi paralleli, in un periodo in cui si sovrappongono
tanti impegni lavorativi come dipendente dell'Istituto Autonomo Case Popolari, al
tempo stesso, ascoltando le sue soporifere registrazioni su bobina, bisogna riconoscere che la didattica non era certo tra le migliori attitudini che il Nonno sapeva esprimere.
Non ce l'ho mai fatta ad ascoltare l'ora di "ripetizione sonora" del Nonno: la noia
dilaga immensa, la sua voce è monocorde, la monotonia della lettura travalica i
contenuti, li cancella, l'impressione che ne ricavo è che il Nonno legga piattamente un libro.
Nel 2020 questo libro (nell'immagine sotto) l'ho finalmente trovato, grazie a mio
cugino Claudio, che già circa 20 anni prima mi aveva dato la "ripetizione sonora"
del Nonno, ed ora, dopo la prima stesura di questa "Storia di un Nonno", ha avuto
l'idea di citare anche il "libro a fisarmonica".
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Questo mi ha costretto ad un nuovo riascolto del noioso blaterare del Nonno,
cosa che mi ha permesso di constatare come le prime trenta pagine del "libro a
fisarmonica" coincidano con il racconto della sua registrazione, non esattamente
la lettura del libro, ma:
• il coerente susseguirsi degli argomenti esposti; dopo l'ascolto delle prime
trenta pagine ho nuovamente ceduto alla noia, ma immagino che questo parallelismo duri per tutta la durata della registrazione;
• il riutilizzo degli stessi stranianti termini; come ad esempio "tempuscolo", un
termine mai incontrato nei miei studi di fisica, che invece ritrovo, oltre che
nelle parole registrate e scritte del Nonno, anche nel Dizionario delle Scienze
Fisiche Treccani (1996) a significare: intervallo di tempo infinitesimo, o anche finito ma molto piccolo, quello che i fisici indicano con il simbolo Δt.
Questo libro (sotto la copertina) è sicuramente stato realizzato dal Nonno, dopo
l'iscrizione del figlio Aldo a Medicina, riferibile all'anno accademico 1952/53,
ma prima della "ripetizione sonora", come visto databile 1955/56, quindi tra il
1953 ed il 1955.
L'ho letto tutto,
tratta della meccanica classica (cinematica, dinamica), della fluidodinamica, che si studia nel corso al I
anno di medicina
(e non nei corsi al I
anno di ingegneria
e fisica), alla base
del funzionamento
del sistema sanguigno, e della termodinamica.
Di seguito mi limito a riproporne le
sole prime 4 pagine del "libro a fisarmonica" del Nonno.
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1953-55, Elementi di Fisica, Leggi Fisiche Definizioni e Formule, p. 1-4.
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1956-1958 Imprenditore con la Società Pietro d'Assisi
Dopo qualche anno dalla chiusura della Associazione con i fratelli Valci, completate le lezioni di fisica a base di "libri a fisarmonica" e "ripetizioni sonore", presumibilmente dal 1956 il Nonno è socio di una nuova società a responsabilità limitata
(S.r.L.) denominata “Pietro d’Assisi", costituita con persone di cui conosco solo il
nome (da una scrittura privata del 12 giugno 1958), senza sapere di più delle
loro pregresse relazioni con il Nonno, Le quote della società in possesso del
Nonno sono 60 su un totale di 800, pari al 7,5%, le altre sono ripartite tra gli
altri soci:
• Pini Cav. Giovanni, amministratore della società;
• Satragno Ing. Fernando,
• Di Meo Dr. Lorenzo,
• Mandolini Nazareno,
• Del Bello Ing. Alessandro,
• Cunsolo Dr. Dante,
• Di Lorenzo Dr. Agostino.
Lo scopo per cui la società è costituita è la costruzione e successiva vendita di
due palazzine, per un totale di 14 appartamenti, in Via Pietro d’Assisi n° 5, cosa
che spiega anche il nome dato alla società, nel quartiere di Monteverde Nuovo a
Roma, limitrofo a quello di Monteverde Vecchio, in cui dal 1955 si è trasferito
l'altro nonno, Luigi Medori, il sodale del Nonno.
Dai disegni planimetrici e delle facciate delle palazzine di cui tra le "carte del
Nonno" ritrovo copie cianografiche ritengo che egli abbia progettato le palazzine. La calligrafia che vi compare, ho meglio la “scrittura tecnica”, anche basata
sull’uso del normografo, fatta su carta traslucida da ingegnere tipica degli anni
sessanta, è coerente con quella del Nonno che appare su altri progetti. In ogni
caso il Nonno non si occupa della Direzione dei Lavori, egli si occupa però di
effettuare sopralluoghi volti a definire il rispetto del progetto e lo stato d'avanzamento dei lavori.
I primi documenti che testimoniano la partecipazione del Nonno alla società
sono “documenti interni per notizia e controllo” della società, attestanti versamenti di
quote di compartecipazione al finanziamento per la costruzione, che datano dal
24 luglio 1956 all’8 novembre del 1958. I versamenti sono variabili con cifre
comprese tra le 660.000 e le 50.000 lire; complessivamente il Nonno investirà 5
milioni di lire. Le spese preventivate sono di 90 milioni di lire, di cui: 28 per
l’acquisto del terreno; 62 per la costruzione. Il preventivo sarà rispettato con un
risparmio di poco più di un milione. Il piano vendite prevede di realizzare 115
milioni di lire, con un guadagno del 28%, di cui la parte del Nonno, in virtù delle quote della società detenute dovrebbe essere di poco circe di 2,4 milioni.
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1956, Pianta e collocazione viaria delle palazzine.
Chissà perché non compaiono i nomi del Progettista e del Direttore dei lavori?
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1956, Prospetti e sezione longitudinale delle due palazzine.
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1956, Prospetto della palazzina che affaccia su via Pietro d'Assisi.
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L’8 ottobre del 1957 il Nonno compie
un sopralluogo del cantiere, redigendo
un dettagliato rapporto di 84 pagine)
da cui risulta “virtualmente ultimata” la
palazzina B, più indietro la gemella A.
Complessivamente per il Nonno...
i lavori sono a buon punto, ma non tanto
come, con una conduzione energica,
avrebbero dovuto essere.
Secondo il Nonno l’Assistente...
non si preoccupa di dare impulso ai lavori, non controlla il rendimento di ogni
singolo operaio che lavora svogliatamente
sicuro della sua impunità.
Per questo il Nonno propone di...
richiamarlo ad una più energica condotta
dei lavori.
Diversamente il Direttore dei lavori...
è da elogiare per l’accurato studio del
progetto e per il taglio razionale degli
alloggi che li renderà appetibili agli acquirenti.
In conclusione, il Nonno stima che...
visto lo stato odierno dei lavori, questi
potranno essere definitivamente ultimati
entro un periodo di tempo di circa 50
giorni e cioè entro i primi del mese di dicembre [del 1957].
In realtà i lavori si protrarranno sino
alla metà del 1958.
Per maggiore chiarezza e continuità,
anche se il periodo esaminato in questo
capitolo si conclude nel 1958, con il
completamento della palazzina, si sceglie di finire di raccontare qui di seguito l'epilogo della storia inerente la Società Pietro d'Assisi che si trascina sino al
1964.
Storia di un Nonno
256
Con una scrittura
privata del 16 giugno 1958 la società
determina le modalità di vendita degli
appartamenti ai soci.
Al Nonno (nella foto
a destra del 1954, a
58 anni) spetta per
sorteggio l’appartamento composto da
due vani più ingresso, cucina, bagno e
cantina, situato nella
Palazzina A, interno
7, del civico n° 5 di
via Pietro d’Assisi.
Il valore stimato è di
4.000.000 lire (più
150.000 per la cantina), di cui
2.694.400 lire da assorbire con le quote
sociali precedentemente versate. Al
Nonno poi spetta la
sua parte di quota
sociale e l’8% degli
utili distribuiti a
chiusura degli esercizi annuali.
Il 1 settembre del
1958 il Nonno mette
a reddito l'appartamento, lo affitta ad
un primo conduttore, non proprio preciso nei pagamenti,
con contratti annuali, rinnovati per due
anni, sino al settembre 1960.
Storia di un Nonno
257
Il 1 dicembre 1961 subentra un secondo affittuario, dopo che, nel novembre
1960, il Nonno ha provveduto a ritinteggiare pareti ed infissi. Quest’ultimo affittuario rimane nell'appartamento, sempre con contratti annuali, sino al 1967,
quando il Nonno gli vende l'appartamento.
Il 1 ottobre del 1963, vendendo delle obbligazioni, il Nonno estinguerà il mutuo
relativo all’appartamento acquistato dalla Società Pietro d'Assisi.
Il 19 febbraio del 1964 il Nonno, passati più di sei anni dal completamento dei
due villini, venduti tutti gli appartamenti (mancano solo due cantine per cui si è
già trovato l'acquirente), sollecita la liquidazione della società in quanto ne è ultimato lo scopo sociale, egli scrive (lettera qui sotto):
[...] la Pietro d'Assisi S.r. L nei riguardi dei suoi socie è diventata una cosa inoperante, cioè morta. [...]
Storia di un Nonno
258
La riunione dei soci, propedeutica alla messa in liquidazione, da effettuare alla
presenza di un notaio, si tiene nella seconda decade del mese di marzo 1964,
come da richiesta del Nonno (lettera qui sotto).
Per quella data il Nonno non solo è disponibile ma soprattutto:
[...] In questo particolare momento la mia salute è discreta (questo è il fattore principale del quale debbo tenere il debito conto).
Della malattia del Nonno si parlerà di seguito quando si arriva agli anni '60 raccontandone l'epilogo lavorativo.
Storia di un Nonno
259
2020, Palazzina A sul fronte strada di via Pietro d'Assisi, civico n° 5.
Storia di un Nonno
260
1958-1965 Dipendente IACP a Roma
e Consulente in giro per l'Italia
Il 1958 è l'anno in cui il Nonno acquisisce la qualifica più importante di tutta la
sua vita; la più essenziale, altolocata, significante, insigne, di tutte quelle ricoperte, come anche dei numerosi elogi, riconoscimenti, gratificazioni, titoli, medaglie
di cui si è già detto.
Il 5 maggio del 1958, quando il nonno ha 62 anni, egli ottiene la qualifica di
"Nonno"; questa volta, per la prima volta, oltre alla maiuscola ci vuole l'enfasi
del "grassetto"! Lo testimonia il certificato di nascita del primo nipote che gli
nasce, per giunta maschio, che all'epoca fa ancora differenza. Mi risparmio di
accludere il certificato nella speranza d'essere creduto, limitandomi ad una foto
(qui sotto) che non esce dalla "carte del Nonno" ma da quelle del nipote.
Nella foto, da sinistra Luigi Medori, già da tempo divenuto il principale sodale
del Nonno per magnate e sbevazzate varie; sua moglie Elena e, dietro di lei, il
Nonno, reggono un cero acceso davanti all'infante piangente a bocca spalancata.
Sono io, Marco, colui che emozionato s'intriga a raccontare la storia del Nonno.
Piango, forse perché spaventato dal naso prorompente del Nonno che mi sovrasta? Non ricordo!
Storia di un Nonno
261
La qualifica più importante del Nonno, quella di "Nonno", gli sarà conferita
ben altre quattro volte, anche se, purtroppo, gli ultimi due conferimenti li riceverà postumi, alla memoria. In ordine cronologico i conferimenti riguardano:
• il 21 luglio del
1959, Laura;
• il 2 giugno del
1963, Claudio, che
prende il nome del
Nonno sicuramente inorgogliendolo
(nella foto del luglio 1963, Claudio
in braccio alla madre Anna con il
Nonno a sinistra e
Bruno il secondo
figlio del Nonno a
destra;
• il 29 novembre del
1970, Cristina;
• il 27 dicembre del
1971, Luca.
Il 12 marzo del 1962 il
suo terzo figlio, Aldo,
responsabile del conferimento delle tre ultime qualifiche da
"Nonno", si è sposato
a Torino con Anna Quinzi (1937).
Le prime due qualifiche da "Nonno" sono invece dovute al primo figlio Vittorio.
Il secondo figlio, Bruno, s'astiene dal contribuire al "medagliere nonnesco" e si
sposerà solo dopo la sua morte con Franca Milani (1928) senza avere figli.
Sempre nel 1958, il 2 settembre, il Nonno acquista mezzo ettaro di terra, vicino
ad Osta Antica, dove, come egli stesso scrive, “fino all’anno 1887 furono le saline di
Ostia”. Non è questo l'inizio di una terza avventura imprenditoriale del Nonno,
piuttosto l'inizio del suo progetto post pensionistico, la creazione del nuovo Podere
le Farine di cui sarà ancora una volta, l'ultima, Direttore dei Lavori.
Il Nonno sarà in pensione dal 1961, questo non significa che smette di studiare e
lavorare, forse perché la pensione è esigua? Probabile, visto che interessi alternativi al lavoro non sembrano mancargli.
Storia di un Nonno
262
Dal 1958 al 1965 il Nonno, infatti, realizza una doppia dissolvenza incrociata:
• se il lavoro per l'IACP si avvia al suo epilogo sfumando progressivamente tra
le consulenze per l'Istituto Autonomo Case Popolari (1961-63) e quelle fatte come
Studio Tecnico Dr. ing. Gentili Claudio (1962-65) che egli ha creato dopo il suo
pensionamento;
• il progetto del nuovo Podere le Farine a Ostia Antica si materializza prendendo
progressivamente consistenza a partire da un arido quadrato di terra salata
(foto del settembre 1958 qui sotto, con il terreno del Nonno immediatamente
alla destra dell'acquedotto che costeggia la strada).
Purtroppo, questa bella dissolvenza è rovinata dalla malattia (1962-64), testimoniata, come si vedrà, dalla corrispondenza trovata tra le "carte del Nonno". Superata la malattia, nel 1964, finito di lavorare nel 1965, il Nonno si dedicherà
esclusivamente al nuovo Podere le Farine ad Ostia Antica, alla raccolta di francobolli, alla caccia, all'antica città di Castro, alla socialità nell'osteria di via Candia
a Roma, sempre insieme a tanti amici tra cui Luigi Medori, ed alle sue diverse
battaglie burocratiche:
• quella per il riconoscimento della medaglia d'argento per l'eroica impresa
compiuta sul Col di Lana durante la I Guerra Mondiale, raccontata nel testo
intitolato Storia di una Storia mai raccontata;
• quella pensionistica di cui si dirà successivamente;
• quella inerente una divertente querelle telefonica, che inizia il 31 marzo del
1964, quando il Nonno chiede alla Società Telefonica Tirrenia (TE.TI.) di convertire l’impianto telefonico della casa di Via Crescenzio.
Storia di un Nonno
263
Il Nonno da un impianto duplex (ancora negli anni '60 due utenze potevano
condividere lo stesso numero, ovviamente chiamando o ricevendo telefonate
solo una alla volta, cosa che abbatte i costi telefonici) vuole passare ad un utenza
telefonica individuale. Questa richiesta non viene evasa per motivi tecnici ed ancora nel 1967 la pratica si trascina senza esito con la SIP, nel frattempo subentrata come gestore telefonico (lettera sotto).
Per tutto il resto della sua vita il Nonno si è dovuto accontentare del duplex condiviso con il suo vicino di casa l’Ing. Vincenzo Piccomerli.
Storia di un Nonno
264
1958-1961 Capo Divisione a Roma dell'IACP
Dal 1958 il Nonno continua a lavorare per l'Istituto Autonomo Case Popolari (IACP)
della provincia di Roma, assumendo (non si sa esattamente in che anno) il ruolo
di Capo Divisione, probabilmente continuando ad occuparsi di dirigere e coordinare le perizie sui fabbricati ed organizzare interventi formativi per i dipendenti IACP.
Il 17 aprile 1961, contestualmente al compimento del 65-esimo anno d’età del
Nonno, il presidente dell'IACP firma la lettera di dimissioni per raggiunti limiti
d'età.
Storia di un Nonno
265
Il presidente dell'IACP scrive:
[...] Esprimo il vivo apprezzamento mio e dell'Amministrazione per il servizio prestato dalla S. V. nell'interesse dell'Istituto. [...]
Il 5 febbraio 1962 l’IACP della provincia di Roma comunica al Nonno l'ammontare della liquidazione concessagli, circa 12 milioni di lire (lettera sotto).
Sin dal 1954, quando ha solo 58 anni, ben prima di aver raggiunto i limiti d'età
fissati a 65 anni, il Nonno inizia a pensare alla pensione, lo testimoniano le prime richieste di chiarimenti, datate 30 ottobre, ad un esperto dell’Istituto per informarsi sul ricongiungimento del periodo per cui ha lavorato per il Comune di
Firenze (1921-26) con quello per cui lavora per l'IACP (dal 1935).
Storia di un Nonno
266
Il 30 ottobre del 1954, queste richieste di chiarimento rivolte all’INPS, segnano
l'inizio della lunga battaglia pensionistica del Nonno, mirante al ricongiungimento dei diversi periodi in cui lavora:
• prima per il Comune di Firenze (1921-26);
• poi per diverse "Ditte Costruttrici" (1926-1935);
• infine per l’Istituto Autonomo Case Popolari (già IFACP) della provincia di Roma
(1935-61).
La battaglia proseguirà ininterrotta per ben tredici anni, sino al 1967 (l'ultima
lettera è datata 9 novembre 1967, in un crescendo di reclami rivolti alle Istituzioni, a partire dal 1954. Quando il Nonno inizierà a perdere le speranze di veder riconosciute le proprie argomentazioni, a partire dal 1958, si rivolgerà anche
alla stampa. Il Nonno scriverà a più riprese ad un ampio spettro di interlocutori:
• il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi ed il suo successore Antonio
Segni;
• il Ministro del Lavoro e della previdenza sociale ed il Ministro del Tesoro;
• l’INPS e la Cassa Previdenziale Impiegati Enti Locali (IEL);
• il sindacato CISL e la Federazione pensionati;
• il quotidiano Il Tempo ed i settimanali la Domenica del corriere, Oggi;
• una manciata di onorevoli, Vigorelli, Giulio Pastore, Attilio Jozzelli, Luigi
Preti, tra cui per notorietà spicca Giulio Andreotti.
Inutile dirlo, la battaglia sarà persa ed il Nonno perderà i contributi pensionistici
versati nel periodo in cui lavorava al Comune di Firenze. In aggiunta, poiché nel
periodo 1927-34 è stato impiegato presso imprese edilizie che non avevano per
legge obbligo di versamenti assicurativi a suo favore, la sua pensione sarà calcolata esclusivamente come se avesse lavorato solo per l'IACP, dal 1935 al 1961, su
26 anni invece che sui complessivi 40 che ha lavorato. Alla morte del Nonno, nel
1968, la sua pensione ammonta ad un importo mensile di 82.250 lire; questa
pensione gli è corrisposta al compimento del suo 60° anno di età e quindi dal
1954, anche se lui continua a lavorare per l'IACP sino al 1961. Dal 1 ottobre
1961 a questa si aggiunge la pensione integrativa da Ingegnere del valore di
15.00 lire al mese.
Dalle parole del Nonno disseminate su un totale di ben 22 lettere, viene fuori
una storia:
• sulla nascita del sistema pensionistico della Repubblica Italiana che differenziava l’operaio dal lavoratore intellettuale;
• sul garbuglio di leggi che ne hanno regolato l’avvio;
• sulla pluralità degli enti previdenziali coinvolti e la mancanza di coordinamento tra gli stessi;
Storia di un Nonno
267
• sulla burocrazia amministrativa complessa, stritolante ed inumana che ha
provveduto ad applicare tali leggi.
Di seguito qualche stralcio estratto da questa imponente corrispondenza (Fonti
2-10), certosinamente archiviata dal Nonno, come ben testimonia il riepilogo
degli atti da lui stesso redatto e continuamente aggiornato(Fonte 1).
Fonte 1, 12/1/1958, Riepilogo documenti di pensione.
Storia di un Nonno
268
Fonte 2, 18/12/1954, Lettera al Ministro del Lavoro e della Previdenza
Sociale e per conoscenza al Segretario Generale della CISL.
[...] La mia [...] è la situazione tipica di un non trascurabile gruppo di lavoratori
negletti (impiegati, tecnici, ecc. per i quali nessuna previdenza era obbligatoria perché all'epoca del Fascismo erano esclusi dalle leggi previdenziali) e quella dei lavoratori assistiti, che è l'attuale generazione e che comprende indistintamente tutti coloro che col braccio o con la mente, si dedicano al lavoro. [...] Nel periodo di tempo
in cui fui impiegato presso le Ditte, vigevano rigorose leggi ed assidui controllo per le
"marchette assicurative" solo per gli operai. Chi percepiva uno stipendio (certe volte
inferiore al guadagno di un cottimista) non poteva obbligare il datore di lavoro a
contribuire alla sua assicurazione presso la Previdenza Sociale.
Fonte 3, 26/6/1955, Lettera al Presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi.
Anche un Ingegnere che ha svolta sempre la sua attività quale impiegato, è un lavoratore: sono prossimo a compiere il 60° anno e sono preoccupato dall'incipiente vecchiaia. [...] All'Amico Gronchi, oggi amatissimo Presidente della Repubblica, chiedo un atto di sollecita giustizia: al represso sperpero delle pensioni di guerra ingiustamente assegnate a famiglie intere, faccia riscontro il riconoscimento dei diritti di
un lavoratore che non chiede che il suo.
Il Presidente Gronchi (1887-1978) chiamato amico dal Nonno? Amicizia che
nasce quando e da che cosa?
Il 29 settembre del 1942, Gronchi, insieme ad alcuni esponenti politici cattolici,
tra i quali Alcide De Gasperi, prende parte alla prima riunione clandestina propedeutica alla fondazione della Democrazia Cristiana. Dopo l'8 settembre 1943
Gronchi si trasferisce a Roma, dove diviene membro del Comitato di liberazione nazionale, assumendo il nome di copertura di Giacomelli. Plausibile, dunque, che il
Nonno abbia conosciuto Gronchi durante l'esperienza da "Partigiano Bianco"
della Democrazia Cristiana. Gronchi è nominato III presidente della Repubblica Italiana l'11 maggio 1955 e il Nonno non perde tempo: poco più di un mese
dopo s'appella "all'Amico Gronchi".
Fonte 4, 19/1/1956, Lettera al Ministero del Tesoro e per copia conoscenza al Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, al Segretario Generale della CISL.
[...] Le leggi assistenziali, assai progredite oggi in Italia, non credo consentano che
un lavoratore, trasferito da un Ente Previdenziale ad un altro, perda ogni diritto su
quanto versato al primo Ente. Come da una banca si trasferiscono ad un'altra le
somme depositate, così non ci dovrebbe essere difficoltà per trasferire da un Ente all'altro le somme versate [...].
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Fonte 4, 5/3/1956, Lettera al Ministero del Tesoro e per copia conoscenza al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, alla Confederazione Italiana Lavoratori.
[...] Ritengo impossibile, che, con le perfezionate norme previdenziali che oggi vigono, io possa essere espropriato di somme che avevo accantonato per le necessità della
mia vecchiaia [...].
Fonte 5, 12/12/1957, Lettera al Presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi, al Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, al Ministro del Tesoro, al Segretario CISL, al Presidente INPS, al Presidente
della Cassa di Previdenza Impiegati Enti Locali e per conoscenza, all'onorevole Attilio Jozzelli.
[...] Alla età di quasi 62 anni, la mia situazione è questa:
dall'anno 1921 al 1926, Assicurato presso la Cassa di Previdenza Dipendenti
locali - Somme perdute;
dall'anno 1927 al 1934, Impiegato presso Imprese edilizie che non avevano per
legge obbligo di versamenti assicurativi a mio favore [...] - Tempo perduto;
dall'anno 1935 al compimento del 60° (1956) presso l'Istituto Autonomo delle
Case Popolari della Provincia di Roma - UNICO PERIODO UTILE.
Fonte 6, 4/1/1958, Lettera al quotidiano Il Tempo.
In questi ultimi mesi, si è svolta da parte degli organi legislativi, un'intensa attività
per fornire di pensione tutti i lavoratori e ciò costituisce indubbiamente un confortante esempio di comprensione sociale. Però i provvedimenti adottati, sono frammentari e contraddittori e risolvono la questione creando situazioni inconcepibili.
Fonte 7, 20/6/1958, Lettera al Presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi, al Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Al Ministro del Tesoro, al Segretario CISL, al Presidente INPS, al Presidente
della Cassa di Previdenza Impiegati Enti Locali e per conoscenza all'onorevole Luigi Preti.
Mi sono recato al Ministero del Tesoro [...] per ascoltare la lieta novella (che attendo da ben quattro anni), che i fondi versati alla Cassa di Previdenza Dipendenti
Enti Locali, quale impiegato dal Comune di Firenze, dal 1921 a tutto il 1926,
sarebbero stati trasferiti all'INPS ad aumentare la esigua pensione che fruisco, ma
ho avuto la spiacevole notizia che nulla sarà possibile fare al riguardo, perché la
legge non può essere interpretata retroattivamente. E allora chi beneficerà di questa
legge? I Posteri!!! Poiché mentre si dispone per sanare situazioni future, non si provvede alle situazioni passate che riguardano lavoratori viventi che potrebbero giustamente dolersi di essere stati non solo dimenticati, ma defraudati [...].
Storia di un Nonno
270
Fonte 8, 18/9/1964, Lettera al Direttore della Domenica del Corriere.
Fin dall'infanzia sono immancabile lettore della Domenica del Corriere che oltre il
diletto è anche apportatrice di buone notizie [...] leggo un frammento che ritengo
possa applicarsi al mio caso [...].
Fonte 9, 2 marzo 1965, Lettera al Presidente della Repubblica Antonio
Segni, al Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, al Ministro
del Tesoro, al Segretario CISL, al Presidente INPS.
[...] La presente situazione è stata creata da un guazzabuglio di leggi e leggine che
vanno dalla famosa "era fascista" e sono proseguite fin quasi ai nostri giorni. Queste leggi, che mi permetto di definire "scolleganti", hanno disorientato anzitutto il
lavoratore, e, ritengo, anche chi deve applicarle e migliorarle. [...]
Fonte 10, 9/11/1967, Lettera al settimanale Oggi.
[...] È giusto che lo Stato incameri il nostro denaro, accumulato previdentemente per
la nostra vecchiaia, per distribuirlo ad altri? È questo il modo logico ed umano di
applicare una legge previdenziale tanto umana, tanto attesa e tanto giusta? Vedo
con amarezza e sconforto che, salvo una clamorosa campagna di stampa, la questione può considerarsi chiusa [...].
Non poteva sapere il Nonno, appartenente alla prima generazione che ha usufruito della pensione, che, pensionisticamente parlando, ai suoi figli sarebbe andata meglio, ma i suoi nipoti si sarebbero ritrovati come lui ad essere una generazione a cavallo di sistemi pensionistici differenti con tutte le incertezze del
caso. Quanto alle pronipoti del Nonno, Clelia ed Aurora, sperare in una pensione significativa appare addirittura utopistico.
Questa "battaglia" del Nonno evidenzia una perseveranza pazzesca:
• per scrivere almeno 22 lettere in 13 anni, tante ne ho trovate tra le "carte del
Nonno", ma chissà se erano ancora di più;
• per resistere all'interazione con la burocrazia.
Un atteggiamento combattivo del genere mi fa immaginare che oggi, che la carta stampata è sempre più accessoria rispetto ai media televisivi ed al WEB, il
Nonno:
• sarebbe andato in Tv, forse più da Giletti che dalle Iene;
• sicuramente avrebbe poi aperto un profilo Facebook per perorare la causa
pensionistica di tutti quelli che come lui non sono riusciti a ricongiungere i
versamenti fatti su diversi enti di previdenza.
Storia di un Nonno
271
1961-1963 Consulente a Roma per l'IACP
Il 28 aprile 1961 il Consiglio di amministrazione dell'Istituto Autonomo per le Case
Popolari della Provincia di Roma, "per le eccezionali esigenze dell'Istituto", con la certezza che nei nuovi compiti continuerà a dare il pieno contributo della sua capacità ed esperienza, conferisce al Nonno un incarico professionale di carattere
tecnico per altri due anni, sino al 1963.
È cosa che ho visto accadere anche durante la mia esperienza lavorativa in ambito pubblico alla soglia del 2000: dipendenti pubblici in pensione a cui vengono
attribuiti incarichi di consulenza.
Storia di un Nonno
272
Nell'anno accademico 1961-62, già pensionato, ormai 65-enne ma ancora attivo
come consulente IACP, il Nonno frequenta, presso la facoltà d'Ingegneria dell’Università degli studi di Roma La Sapienza, il corso di cultura sul cemento armato precompresso.
Ho un ricordo bambino di questi ultimi studi del Nonno, qualche anno dopo,
mi dice che i calcoli (sulle strutture in cemento armato) erano tutti cambiati rispetto a quelli di cui aveva dimestichezza, che sapeva ben fare, cosa che lo affaticava e gli smorzava la voglia di ricominciare da capo a studiare per imparate a
progettare con il cemento precompresso.
Ho memoria del Nonno che lavora alla sua scrivania, che traccia disegni tecnici
su carta cianografica, che usa squadre e righelli, regoli calcolatori, compasso e
goniometro, normografo, pennini per l'inchiostro di china (immagini nella pagina seguente), che abbandona poi per le prime penne Rapidograph (introdotte
nel 1960), dal tratto di spessore predefinito in funzione del puntale adottato,
sempre preciso, uniforme e continuo tale da rendere quasi perfetti linee, curve,
segmenti.
Storia di un Nonno
273
Sono tutti strumenti che mi ha progressivamente regalato dopo il 1963, quando
ha smesso d'usarli. M'intrigano dall'epoca, li ho usati per tutto il liceo, li custodisco attentamente.
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Il 4 gennaio del 1964 il Nonno chiude definitivamente, in grande bellezza la sua
lunga esperienza lavorativa per l'Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di
Roma.
È invitato dal Presidente dell'Istituto ad una cerimonia, che si tiene all'interno di
un cinema per la grande affluenza di pubblico, in cui alla presenza del Ministro
dei lavori Pubblici gli verrà offerta una medaglia d'oro.
Storia di un Nonno
275
Nella lettera del 27 dicembre del
1963 (un bel regalo di Natale),
con cui il Nonno è informato del
conferimento della medaglia, il
Presidente IACP della Provincia
di Roma scrive:
A titolo di riconoscenza per il lodevole e fedele serio da Lei per
lunghi anni prestato.
[Per] il vivo apprezzamento per
l’opera prestata nell’assolvimento
dei compiti di elevata natura sociale.
sul retro della medaglia:
• la scritta in latino "SUUM
CUIQUE TRIBUERE"significa"suo dovuto";
• la data a si riferisce all'anno
1961, in cui il Nonno raggiunge i i 65 anni, corrispondenti al limite d'età lavorativa
previsto per legge.
La medaglia non l'ho trovata tra
le "carte del Nonno", me l'ha regala mio padre Vittorio nel
1997, in occasione della vincita
del primo concorso pubblico che
mi ha portato a lavorare per la
Pubblica Amministrazione.
Storia di un Nonno
276
1962-1965 Studio Tecnico Dr. Ing. Gentili Claudio
Presumibilmente a partire dal 1962, quando ha già 66 anni, dopo le dimissioni
dall'IACP per raggiunti limiti d'età ed il concomitante inizio dell'attività da consulente, il Nonno avvia lo Studio Tecnico Dr. Ing. Gentili Claudio, che ha sede nella
stessa abitazione dove vive, in Via Crescenzio n° 19 a Roma (nella foto sotto l'intestazione delle cartelle che usa per archiviare le carte inerenti i lavori seguiti).
Riguardo all'attività dello Studio, emergono dalle "carte del Nonno" sei consulenze, riferibili al periodo 1962-65, che offrono al Nonno l'occasione per fare
trasferte girando per l'Italia, di seguito esaminate in ordine cronologico:
1. Settembre 1962 - Luglio 1963, Consulenza per un arbitrato tra
la banca Monte dei Paschi di Siena ed i fratelli Stramaccioni, a
Orvieto, provincia di Terni, Umbria (Fonti 1.1 - 1.6, a cui si aggiungono le
Fonti 1.7 - 1.15, che testimoniano la concomitante malattia del Nonno);
2. Giugno 1963 - Novembre 1963, Collaudo di palazzine per dipendenti dell'INPS, a Catanzaro, capoluogo dell'omonima provincia,
Calabria (Fonte 2.1);
3. 1964-1965, Progetto di un acquedotto, a Orvieto, provincia di
Terni , Umbria (Fonti 3.1, 3.2);
4. Dicembre 1964 - Ottobre 65, Perizia tecnica sulla situazione
idrica del fiume Po alla confluenza con il Sesia, a Frassineto Po, in
provincia di Alessandria, Piemonte (Fonti 4.1 - 4.4);
5. 1965, Direzione dei Lavori per la costruzione di edifici sulla
proprietà Montani, in località San Nilo, a Gaeta, provincia di Latina,
Lazio (Fonti 5.1);
6. 1965, Perizia sulla stabilità del Condominio di Via Crema, civico n° 15, a Roma, in zona Villa Fiorelli, nel quartiere Tuscolano (Fonti
6.1, 6.2).
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Settembre 1962 - Luglio 1963, Consulenza per un Arbitrato tra il
Monte dei Paschi di Siena ed i Fratelli Stramaccioni, Orvieto.
Nel settembre del 1962, mentre è in vacanza all'albergo Augustus a Montecatini
Terme, il Nonno, accetta di far parte di un Collegio Arbitrale che deve pronunciarsi in merito ad una vertenza tra la filiale della banca Monte dei Paschi di
Siena di Orvieto, in Via Garibaldi, e l'Architetto Alberto Stramaccioni ed il fratello Adolfo (Fonte 1.1).
Fonte 1.1, 12/9/1962, Lettera dell'Avv. Fausto Gradoli al Nonno.
Un amico del Nonno, l'Ingegnere Ugo Borghetti, evidentemente anche conoscente dell'Avvocato Fausto Gradoli, che rappresenta i Fratelli Stramaccioni di
Orvieto, li ha messi in contatto.
Un Borghetti senza nome, è già emerso dalle "carte del Nonno", è una delle persone citate nella fattura del 1923 inerente i lavori fatti al Podere Le Farine vicino
Viterbo. Può essere che sia la stessa persona? Ne dubito, il primo appare essere
un semplice manovale.
Storia di un Nonno
278
Ugo potrebbe essere il figlio, all'incirca coetaneo del Nonno, di quel primo Borghetti, cosa che spiegherebbe il lungo legame di amicizia tra il Nonno ed Ugo,
nato dall'aver entrambi vissuto da bambini in località Le Farine. Questo ben s'accorda coll'incontrovertibile fatto che Ugo Borghetti è un amico stretto e di lunga
data del Nonno.
Tra le "carte del Nonno" ho rinvenuto 4 sue lettere autografe di Ugo Borghetti,
scritte tra il 1963 ed il 1965, in concomitanza di lavori del Nonno ad Orvieto
per cui s'è fatto intermediario, in cui afferma: "sarà mio grande piacere riabbracciare il
fraterno amico Claudione!".
Da una in particolare (Fonte 1.2, riprodotta qui sotto) si evince come conosca
tutta la sua famiglia del Nonno, perfino me che non ho memoria alcuna di Ugo,
sono uno dei due "nepotoni" che saluta, al tempo non ce ne sono ancora altri.
Fonte 1.2, 14/2/1963, Lettera dell'amico Ugo Borghetti al Nonno.
Storia di un Nonno
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Lettera dell'amico Ugo Borghetti al Nonno, in cui si legge:
Intanto da Alò [soprannome della moglie di Ugo, Olimpia] e da me i rinnovati, centuplicati auguri con la certezza che tutto andrà bene [il Nonno al
momento è malato], come già sta andando bene.
Ti abbraccio tanto
Tuo Ugo.
Salutami Vittorio, Bruno, la gentile Sig.ra Teresa [moglie di Vittorio] e i nepotoni bellissimi [Marco e Laura, figli di Vittorio e Teresa]! Auguri anche per
Aldo.
Tornando all'oggetto della consulenza che è richiesta al Nonno nel
settembre del 1961 la banca Monte
dei Paschi di Siena inizia i lavori di
demolizione di una parte del fabbricato di sua proprietà in Via Garibaldi ad Orvieto.
I fratelli Stramaccioni, proprietari di
un fabbricato confinante con quello
della banca, affermano che, in conseguenza dei lavori di demolizione e
ricostruzione effettuati dalla banca,
sono comparse nel loro edificio delle
lesioni (danni alle pareti e fissurazioni), progressivamente aggravatesi,
particolarmente nei locali da loro
affittati ai gestori del Bar Giardino. La
banca nega qualunque responsabilità, motivo per cui, il 30 settembre
del 1962, le parti arrivano ad un
compromesso, un "arbitrato irrituale",
per cui è necessario costituire un Collegio Arbitrale a cui a partecipano:
• l'Ing. Aldo Crespi di Orvieto, Presidente del Collegio, nominato di comune
accordo da entrambe le parti;
• l'Ing. Sisto Mastrodicasa di Perugia, perito di parte della banca;
• il Nonno, perito di parte dei fratelli Stramaccioni, suggerito dall'Avvocato
Fausto Gradoli, amico di Ugo Borghetti.
Tra il 9 novembre 1962 ed il 30 gennaio 1963, il Collegio Arbitrale effettua diverse visite ispettive agli immobili coinvolti. Qualche estratto del vasto carteggio
(Fonti 1.3, 1.4, 1.5), aiuta a capire cosa pensino della vicenda il Nonno ed il Collegio Arbitrale, oltre che ad addentrarsi in un linguaggio a tratti straniante.
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Fonte 1.3, 16/11/1962, Lettera del Collegio Arbitrale al Direttore Generale del Monte dei Paschi di Siena e ai Fratelli Stramaccioni.
In una lettera del Collegio Arbitrale indirizzata ai contendenti si legge:
Questo Collegio Arbitrale [...] ha rilevato che il muro divisorio tra le loro proprietà
presenta, nella facciata verso la proprietà Stramaccioni, un rigonfiamento e lesioni
che si reputano fortemente pericolose per la stabilità delle strutture e per la sicurezza
delle famiglie occupanti i piani superiori, tale situazione esige un immediato intervento di consolidamento. [...]
Si invitano le Parti a attuare con assoluta urgenza un congruo puntellamento della
parete pericolante per evitare deprecati eventi.
Fonte 1.4, 12/1/1963, Lettera del Nonno all'Avvocato Gradoli.
In una lettera del Nonno all'Avvocato Gradoli che rappresenta i fratelli Stramaccioni (riprodotta per intero nella pagina seguente), si legge:
Ieri, dopo oltre quattro ore di discussione, tra i tre arbitri si è finito di imbastire lo
schema di lodo. [...]
Fra molteplici obiezioni e contrasti, ero riuscito a far stilare la risposta [...] che sarebbe stata approvata all'unanimità. [...]
L'aver ottenuto [...] l'adesione a questo testo (che ritengo corrisponda all'acuto parallelo da lei espostomi in mattinata sulle diottrie ridotte al minimo in un sol occhio
ma non producenti la complessa cecità) ritenevo costituisse per noi un sostanzioso
successo.
Invece, portato a conoscenza degli Stramaccioni il testo [...], questi sono andati in
escandescenze e lei può immaginare la mia delusione e la mia mortificazione.
Di fatto il Nonno riesce portare il Collegio Arbitrale a riconoscere il danno all'immobile dei fratelli Stramaccioni come diretta responsabilità della banca.
Ciononostante, i fratelli vanno in "escandescenze", uno dei problemi che hanno innervosito gli Stramaccioni pare che siano le "trepidazioni", su cui il Nonno ritorna
nella successiva lettera scritta all'avvocato Gradoli (Fonte 1.5).
La risposta dell'avvocato a questa lettera del Nonno (Fonte 1.4) arriva il 25 gennaio 1963 ed invita il Nonno a non preoccuparsi per l'esuberanza dei Fratelli
Stramaccioni.
Quello che traggo da questa vicenda, come anche da una similare dinamica legata ad altro lavoro fatto successivamente dallo Studio Tecnico (Perizia tecnica sulla
situazione idrica del fiume Po alla confluenza con il Sesia), è che, anche quando il Nonno lavora per uno specifico cliente, non si appiattisce a scriverne la presunta verità sotto dettatura; piuttosto s'impegna a dettagliare la propria verità.
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Fonte 1.5, 29/3/1963, Lettera del Nonno all'Avvocato Gradoli.
In questa lettera si legge:
Avevo intenzione di venire a salutarla [...] anche per chiarirle a voce il nostro leggermente astruso linguaggio tecnico che risulta ostico a tutti gli esperti di questioni
legali: è la solita divergenza, apparente però, fra la scienza esatta e la scienza
astratta. [...]
Però lei, che è veramente di pronta intelligenza, rileggendo attentamente il responso
al quesito n° 4 (che rappresenta il fulcro della questione) noterà che ogni parola,
ogni concetto è estremamente favorevole alla parte Stramaccioni alla quale concede il
diritto di totale rivalsa verso il Monte dei Paschi.
[...] Lei ha una manifesta avversione per la formula delle trepidazioni (del resto da
lei inserita nella lettera che mi fu portata in clinica [ulteriore conferma che il
Nonno è malato]).
Le forti trepidazioni dovute allo scarico dall'alto dei materiali di demolizione dovettero turbare quell'equilibrio [...].
Come tecnico, ed in questo campo mi ritengo un espertissimo, sono arciconvinto che
queste trepidazioni (vibrazioni, scuotimenti, oscillazioni, ed altri sinonimi) furono
la causa principale che determinò il dissesto statico e tali trepidazioni furono provocate, come chiaramente esprime il testo, esclusivamente dal Monte dei Paschi.
Eco spiegato quali "trepidazioni" hanno scosso gli stessi fratelli Stramaccioni, così
destabilizzando anche loro in aggiunta all'immobile di loro proprietà confinante
con la sede della banca.
Il Nonno evidenzia la difficoltà d'incontro tra linguaggio tecnico e giuridico.
Come dargli torto... L'ho sperimentata sulla mia pelle, quarant'anni dopo di lui,
chiamato a scrivere leggi e regolamenti tecnici per l'innovazione informatica della Pubblica Amministrazione. I miei testi erano regolarmente "migliorati" dai
giuristi che li modificavano, così che, sottoponendomeli nuovamente per l'approvazione finale che pure mi spettava, mi facevano leggere cose incomprensibili, non solo a me ma anche a chi quelle leggi e qui regolamenti avrebbe dovuto
applicare.
Finalmente a fine marzo del 1963, con un percorso negli ultimi mesi reso più
complicato dalla malattia del Nonno, che non gli permette di recarsi ad Orvieto,
il Collegio Arbitrale redige la relazione finale:
• riconosce le responsabilità della banca:
• consente ai fratelli Stramaccioni di rivendicare il pagamento dei danni subiti;
• identifica le opere di consolidamento necessarie per la stabilità dell'edificio;
• riepiloga i compensi che i propri membri devono ottenere, al Nonno spettano 425.000 lire.
Storia di un Nonno
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Tutto sembrerebbe finito ma in realtà, in attesa che la Banca ed i Fratelli Stramaccioni accettino la relazione finale del Collegio Arbitrale, inizia un lungo
contenzioso per incassare quanto dovuto, dal Nonno e dagli altri componenti
del Collegio. Vorticoso a tal proposito l'accavallarsi delle lettere di cui l'ultima è
di fine luglio 1963(Fonte1.6).
Fonte 1.6, 23/7/1963, Lettera del Nonno all'Ing. Aldo Crespi e all'Ing.
Sisto Mastrodicasa.
Anche questa ultima lettera emersa dalle "carte del Nonno", inviata agli altri
due membri della commissione, non chiarisce quando e se saranno pagati.
[...] La mia insistenza è dovuta al fatto che la mancata corresponsione del compenso al nostro lavoro, avrebbe il sapore amaro di una beffa giocataci da chi vuol litigare senza sopportare le spese della lite, anzi a spese di chi interviene per dirimere
la lite, ed ancor peggio, avrebbe il chiaro significato di coprire di disistima il nostro
lavoro. [...]
Le nostre simpatiche "arrabbiature", i nostri dotti discorsi, il nostro appassionato
lavoro?
Tutto in fumo!!!
Ciò non dovrebbe essere!
Storia di un Nonno
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Giugno 1963 - Novembre 1963, Collaudo palazzine per dipendenti
dell'INPS, Catanzaro.
Nel 1963 il Nonno torna in Calabria, ma non a Cosenza dove ha già lavorato ed
è nato il figlio Aldo, bensì a Catanzaro. Il Nonno è incaricato del tardivo collaudo di 3 palazzine di tre piani ciascuna, per complessivi 24 alloggi e 120 vani,
edificate in località Ponte Piccolo, Via dell'Uccelluzzo, a Catanzaro, destinati ad
ospitare dipendenti dell'INPS.La costruzione delle palazzine è affidata dai Servizi
Tecnici dell'INPS di Napoli, responsabili per il mezzogiorno d'Italia, previa autorizzazione della Gestione INA Casa, all'Impresa SA.MA di Catanzaro. Per Gestione
INA-Casa s'intende il piano d'intervento dello Stato italiano per realizzare edilizia residenziale pubblica su tutto il territorio. Nella carta intestata che emerge
dalle "carte del Nonno" si legge infatti: Gestione INA-Casa - Piano Incremento per l'occupazione Operaia - Case per Lavoratori. L'Impresa SA.MA firma il contratto d'appalto
il 4 maggio del 1960, i lavori sono completati nel giugno del 1962, in ritardo rispetto ai tempi previsti e con il subentro di un'altra società. Il rallentamento della realizzazione verso la fine è conseguenza della crisi della ditta SA.MA, soggetta alla minaccia di una dichiarazione di fallimento, non avendo potuto far fronte
ai pagamenti, per i ritardi con cui sono state espletate le formalità burocratiche
relative ai lavori eseguiti dall'INPS (un cane che si morde la coda!), per questo
alla fine sostituita da un'altra ditta. L'Impresa SA.MA solo dopo il collaudo potrà
avere quello che le spetta, motivo per cui ha una fretta terribile, ciononostante le
visite di collaudo si svolgono solo alla fine d'ottobre del 1963, quando gli appartamenti sono occupati dagli inquilini da ormai più di un anno. Alle visite di collaudo partecipano: il Collaudatore, il Nonno; il Direttore dei Lavori, Ing. Aldo
Tesauro; il Liquidatore della SA.MA, Antonio Pallone. Il Certificato di Collaudo
(Fonte 2.1) di 21 pagine redatto dal Nonno è positivo ciò nonostante egli evidenzia (pag 12) la preoccupazione per opere non previste, non a carico dell'Impresa
SA.MA, quindi escluse dalle verifiche di collaudo.
Fonte 2.1, 7/11/1963, Certificato di Collaudo.
All'atto delle visite al cantiere 16570, ho avuto occasione di constatare che [Il terreno sui cui si edificano le palazzine è] in forte declivio che ha richiesti notevoli movimenti di terra per la preventiva preparazione della piattaforma da costruire. [...] Le acque meteoriche provenienti dai tetti [...] producono visibili erosioni,
asportano a valle ghiaia e sabbia, sconvolgono il terreno attualmente pericolosissimo
al transito, specialmente dei bambini, che negli spazi esterni trovano il loro campo
giochi. Il Collaudatore non può esimersi dal segnalare, a chi di dovere, tale situazione ed esortarlo a provvedere con somma urgenza, sia per evitare disagio e pericolo
all'inquilino; sia per stabilizzare il complesso della viabilità esterna.
Dire anche ciò che non è richiesto né dovuto, la propria verità, questo il marchio
distintivo del Nonno. Forse lo evidenzio perché mi ci specchio, è anche il mio
marchio.
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1964-1965, Progetto di un acquedotto, Orvieto.
Il Nonno torna a lavorare ad Orvieto, sempre tramite l'Ingegnere Ugo Borghetti
che vi risiede, ottiene dal Comune l'incarico di progettare l'acquedotto di due
Borgate limitrofe: la Borgata di Orvieto Scalo e la Borgata Colonnetta di Prodo.
Ancora due lettere autografe di Ugo Borghetti (Fonte 3.1, 3.2), che gli scrive per
dargli informazioni sui pagamenti di questi lavori, evidenziano la sua affezionata
amicizia per il Nonno.
Fonte 3.1, 23/3/1965, Lettera di Ugo Borghetti al Nonno.
Carissimo Claudio [...] Stiamo per compiere gli anni e non c'è migliore occasione,
coll'andata in pensione, che tu possa venire a festeggiare i nostri compleanni in una
data intermedia. Brinderemo col vino di Riparossa. Fammi sapere ad esempio se
puoi venire per Sant'Ugo (1° aprile) o il successivo 4 che è domenica. Un caro saluto anche ad Olga [la governante del Nonno]. Da me per tutti cose care e a te
un abbraccione.
Si conferma, con il saluto ad Olga, la dettagliata conoscenza della situazione
familiare del Nonno da parte di Ugo Borghetti. Evidentemente il Nonno non è
andato ad Orvieto, lo si evince dalla lettera seguente.
Fonte 3.2, 11/4/1965, Lettera di Ugo Borghetti al Nonno.
Carissimo Claudio [...] Poiché si avvicinano le date del tuo compleanno (sabato) e
della Pasqua (domenica) a nome anche di Olimpia [la moglie di Ugo] ti faccio
gli auguri migliori e fraterni, sperando sempre che ci sia data una favorevole prossima occasione di un nostro incontro. Ti prego di esternare gli auguri ai tuoi e affettuosamente credimi.
Dalle "carte del Nonno" non emerge nessun altro particolare a proposito di questi lavori sugli acquedotti, se non la parcella che il Nonno invia al Sindaco di
Orvieto il 28 novembre 1964 ed il mandato di pagamento del 18 marzo del
1965, di:
• 900.000 lire per la Borgata di Orvieto Scalo;
• 380.000 lire per la Borgata Colonnetta di Prodo.
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Dicembre 1964- Ottobre 1965, Perizia tecnica sulla situazione idrica
del fiume Po alla confluenza con il Sesia.
Questa volta il Nonno è nel nord Italia, nel bel mezzo della pianura padana, vicino al piccolo comune di Frassineto Po, in provincia di Alessandria. Ce lo ha
chiamato un amico, Carlo Falco di Casale Monferrato, che alla, successivamente
alla fine della perizia, il Nonno riterrà un Buffone, come esplicitamente scrive su
una lettera speditagli dall'amico (Fonte 4.1).
Fonte 4.1, 21/10/1965, Lettera di Carlo Falco al Nonno.
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Il Nonno "ha chiuso il sipario" su qualcosa che reputa scorretto da parte di Carlo,
sicuramente una critica alla propria perizia tecnica che Carlo vorrebbe "orientata" ad ottenere qualche vantaggio per sé. Ecco che riemerge l'integrità professionale del Nonno (analogamente a quanto già evidenziato per l'Arbitrato tra il
Monte dei Paschi di Siena ed i Fratelli Stramaccioni).
Carlo sembra tentare una riapertura, almeno amicale, dei rapporti. Evidentemente il Nonno lo ritiene solo un fraseggio mellifluo che marca, senza bisogno
di comunicarlo a Carlo, con l'esplicita scritta di traverso alla sua lettera:
"Buffone!"
Ma andiamo per ordine, cercando di capire prima quale sia l'oggetto della Perizia Tecnica (Fonte 4.2, di cui di seguito si riporta un sintetico riassunto delle 4
pagine di cui si compone).
Fonte 4.2, 14/12/1964, Perizia Tecnica.
[Carlo Falco, che risulta essere il] proprietario di zone di terreno coltivato
pioppo, sulla sponda destra del fiume Po [non lontano da Frassineto Po, dove
il fiume Sesia confluisce nel Po], [incarica il Nonno di procedere ad] un
accurato e minuzioso esame della situazione idrica che viene a crearsi in quell'importante snodo per la convergenza e confluenza del Sesia nel maggior fiume d'Italia.
L'apporto idrico del Po, nel caso di piena ed anche in regime di morbida, è di per sé
stesso imponente; quello del Sesia, che convoglia le acque del comprensorio definito
dal Monte Bianco, è di non minore importanza.
All'incontro dei filoni idrici, nel caso di piena del Sesia, la corrente del Po viene gettata, dalla violenza del suo affluente, sulla golena [lo spazio pianeggiante
compreso tra la riva di un corso d'acqua e il suo argine] di destra e ciò
per l'ovvio risultato della composizione dei due movimenti. [...]
Si verificano in tal modo vaste, quasi incredibili modificazioni elle golene tormentate
dalla forza erosiva e di trasporto delle acque.
In conseguenza di questo "caos" di correnti, si è costituito e stabilizzato, in direzione della difesa VIGNOTTO un assai ampio filone di "BOTTA" indicato con
la freccia gialla [foto in alto nella pagina seguente]. [...]
Allo scopo di evitare che il Sesia - Po, uniti in quel modo possano continuare la loro
corsa verso il sud [...] tra terre intensamente coltivate e Borgate Agricole popolate
da numerose famiglie [...] la soluzione classica di questo problema consiste nell'adozione di una difesa radente elastica impiantata da monte a valle senza soluzioni
di continuità onde evitare il pericolo di aggiramento che si traduce nella distruzione
dell'opera stessa.
Infatti l'Ufficio del genio Civile di Alessandria [...] ha progettato e fatto eseguire un
primo tronco di difesa radente [foto in basso nella pagina seguente].
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Non posso esimermi dal compiacermi con chi ha progettato questo sistema di difesa
radente, per la semplicità, la organicità, e la efficacia dell'opera.
Però ... il vedere questa opera incompiuta e forse abbandonata, è cosa che stupisce
chi conosce ed ama i fiumi. [...]
Il problema che è stato sottoposto al mio esame, che in un primo momento sembrava
difficile e sconcertante, nella realtà si è mostrato di evidente semplicità perché gli
organi dello Stato sono intervenuti con scienza e coscienza; hanno centrato in pieno
il problema ed ora ritengo siano in attesa dall'alto del "VIA" per proseguirei ultimare l'opera di difesa [...] che, data la semplicità della struttura ed il suo modesto
costo, e la sua perenne efficacia, dovrebbe verificarsi non oltre la prossima primavera.
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Nella mappa disegnata dal Nonno, qui sopra, la freccia gialla localizza il filone di
"BOTTA", nella foto sotto l'aspetto attuale della zona visto da Google Heart.
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Capito di cosa tratti la perizia, è ora di riaprire il "sipario" (leggendo integralmente la seguente lettera, Fonte 4.3), chiuso dal Nonno perché la sua perizia è
stata contestata e bollata come inutile da un "messere che ragiona come i Cinesi". Occasione per scoprire che il Nonno è anche contrario all'interpretazione della
guerra in Vietnam come aggressione americana.
Fonte 4.3, 18/10/1965, Lettera del Nonno a Carlo Falco.
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Questa è la lettera del Nonno che produce, come risposta di Carlo, la lettera del
21 ottobre 1965 su cui lo bolla "Buffone!" (Fonte 4.1).Il "messere che ragiona come i
Cinesi", è un geometra che ben conosce Carlo Falco: è lui che occultamente,
tramite Carlo, ha chiesto i servigi del Nonno; questo stesso personaggio è legato
all'impresa Zelmir Ferraris di Casale Monferrato, che lui stesso dichiara certa di
ottenere l'appalto per i lavori di messa in sicurezza del sistema Sesia -Po.
Quello che il Nonno sostiene: elogiando l'impostazione dei lavori già fatti dal
genio Civile; suggerendo l'economico e veloce prosieguo degli stessi; va contro
gli interessi della Impresa Zelmir Ferraris, del "messere" e, forse, anche dello stesso Carlo Falco.Interessi che, in ogni caso, con le terre di Carlo non c'entrano
nulla ma sono volti a far costruire qualcosa di molto più costoso ed evidentemente non necessario alla confluenza del Sesia nel Po.
Trovo l'uscita di scena del Nonno grandiosa! Non solo per le parole che usa ma
per la scelta con cui si conclude, rinunciare a mezzo milione di lire pur di non
avere nulla a che fare con gli intrighi del "messere".
Storia di un Nonno
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Fonte 4.4, Lettera predisposta dal Nonno per la firma di Carlo Falco.
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Il Nonno prepara perfino la lettera (riprodotta nella pagina precedente, Fonte
4.4 con cui Carlo Falco, coerentemente al suo obiettivo palese di mettere al sicuro i propri terreni lasciando in ombra gli intrighi del "messere", dovrebbe inviare
la Perizia Tecnica al Magistrato del Po ed al genio Civile di Alessandria; l'annotazione "Per me" in verde sta a significare come per il Nonno dovrebbe comportarsi Carlo Falco.
Questa lettera molto probabilmente non sarà mai spedita da Falco.
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1965, Direzione dei Lavori per la costruzione di edifici sulla proprietà Montani, Gaeta.
Dopo la delusione padana il Nonno rientra nel Lazio per un lavoro a Gaeta.
Considerato l'ordine in cui l'incartamento emerge dalle "carte del nonno" è ipotizzabile che si collochi verso la fine del 1965.
Nell'incartamento compaiono solo due grandi Tavole intitolate "Particolari esecutivi
strutture in cemento armato del fabbricato C, di proprietà Montani in località S. Nilo a
Gaeta", inerenti le "carpenterie":
• del piano terra (Tavola 1);
• del piano tipo e dei solai (Tavola 2, riproposta nella pagina seguente).
Quelle che il Nonno chiama "carpenterie", da ignorante di ingegneria edile
quale sono, le definirei planimetrie, dove invece per carpenteria edile s'intende:
la realizzazione e la messa in opera di sostegni e cassaforme (involucri) per i getti
di calcestruzzo per la realizzazione di opere in cemento armato.
Su queste Tavole è presente il timbro e la firma dell' Ing. Punzo Ciro, che immagino essere il progettista degli edifici, cosa che mi fa supporre che al Nonno
sia affidata la Direzione dei Lavori.
Nulla di più è dato sapere.
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Fonte 5.1, Tavola 2: Carpenteria Piano Tipo e Solai.
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Giugno 1965, Perizia sulla stabilità del Condominio di Via Crema
15, Roma.
L'ultimo dei lavori dello Studio Tecnico del Nonno è per la prima volta a Roma, in
zona Villa Fiorelli, nel quartiere Tuscolano.
Il Cav. Angelo De Falco, uno dei condomini del complesso edilizio in Via Crema 15, edificato
nel 1930, fa sì
che l'amministratore del Condominio, il ragioniere V. De Angelis, gli richieda
una perizia volta
ad accertare le
condizioni di stabilità della parte
condominiale interessante gli alloggi e gli annessi
inerenti la scala
F. L'edificio in
questione è evidenziato con una
semitrasparente
verde, in alto a
destra nell'immagine a fianco). La
Scala F, interessa
la parte sinistra
dell'edificio guardandolo dalla
piazzetta circolare compresa tra i
due edifici più in
alto.
Il Nonno esegue
un sopralluogo il
18 giugno 1965,
accompagnato da
De Falco e dall'Amministratore: scatta foto, visita gli alloggi, parla con gli inquilini. A fine giugno presenta la perizia richiesta (Fonte 6.1) di ben 17 pagine, di
cui di seguito si riporta qualche stralcio, interessante per il linguaggio adottato.
Storia di un Nonno
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Fonte 6.1, 25/6/1965, Perizia sulle attuali condizioni di stabilità del
corpo di fabbrica interessante la scala F del condominio di via Crema
5 in Roma.
Detta costruzione è una delle ultime realizzate con sistemi ormai sostituito da procedimenti moderni. [...]
Le strutture verticali consistono in muratura di pietrame di tufo listata con doppi
ricorsi di muratura in mattoni pieni aventi lo scopo di omogeneizzare e ripartire
uniformemente i carichi. Trattasi cioè della classica "muratura alla romana". [...]
La costruzione, come dianzi accennato è stata realizzata con sistemi ormai sorpassati [...] eppure questo sistema ha dato risultati ottimi e tutta la Roma dell'800 è
costruita con questo sistema di fondazioni e resiste e resisterà impavida ancora per
molti decenni.
L'uomo, quando innalza un edificio, nell'euforia dell'opera, ritiene d'aver costruita
una cosa eterna. Nulla di più ingannevole.
Dopo pochi anni anche le costruzioni le più studiate e le più accurate, cominciano a
mostrare segni di fatiscenti. [...]
Tutti questi fenomeni inevitabili, richiamano l'attenzione del tecnico che deve seguirli, coordinarli, studiarli e soltanto al momento opportuno deve intervenire con
opere di consolidamento tendente a mitigare o meglio ancora annullare o fenomeni.
L'intervento prematuro può significare denaro sprecato e ritorno di nuovo sullo tesso
problema; intervento tardivo può significare aggravamento e maggior spesa se non
guai peggiori. [...]
Nel luttuoso luglio 1943, Roma venne bombardata dagli alleati ed ancor oggi, a
22 anni di distanza, ne conserviamo vivo il doloro ricordo. In prossimità di Villa
Fiorelli caddero ed esplosero alcune bombe lanciate dagli aerei e qualcuna quasi di
fronte al nostro fabbricato di Via Crema 3.
L'edificio costruito per sopportare i normali carichi attribuitigli dall'uso di abitazione civile, venne investito da un'onda esplosiva assai potente; cioè venne avvolto
da un vortice di gas e di aria di elevata velocità e precisione, che lo scrollò e ne mise
a durissima prova tutti i suoi elementi statici costitutivi. [...]
Le lesioni caratteristiche di fatiscenti che si manifestano in tutti i fabbricati, sono in
netto contrasto con quelle esame: ciò conferma che la ipotesi della loro origine da
eventi bellici centra il problema e lo mette a perfetto e giusto fuoco. [...]
Tutte le lesioni si presentano di colore nerastro, effetto della polvere e del vapore acqueo intervenuti durante il lungo tempo trascorso a modificarne le caratteristiche.
Questo tetro colore e questa polvere, che nessuna diligente massaia saprà mai togliere, stanno a certificare la vetustà delle lesioni stesse. [...]
Quindi nulla di pericoloso: soltanto l'effetto, otticamente sgradevole, della evidente
scrollata cui fu sottoposta la struttura. [...]
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Prima di chiudere la presente relazione. sento il dovere di assicurare e tranquillizzare alcuni occupanti lo stabile erroneamente e visibilmente allarmati per la loro incolumità personale. Nessun timore di crollo, in maniera assoluta. [...]
[...] Le piccole segnature, le modeste crepe, i microscopici cedimenti, si manifesteranno nel loro fabbricato in seguito, col tempo, per fatiscenti ed a prescindere dallo
scossone che il loro casamento ha sopportato resistendo in modo incredibile ad una
offesa bellica che avrebbe potuto segnarne la fine.
Oggi questo veterano [l'edificio] vuol essere liberato dalle cicatrici che lo deturpano
e lasciato in pace.
Il Nonno pare averci azzeccato, sono passati altri 55 anni dalla sua perizia ed il
palazzo è sempre in piedi (nella foto sottostante la facciata su via Crema dell'edificio come appare nel 2020).
Mi ha colpito una frase che compare nella relazione(a pagina 8):
Debbo premettere che, per eventualità professionali, fin dal 1948 e fino agli inizi
del 1953 ebbi a interessarmi saltuariamente del fabbricato oggi in esame, nel complesso non ho trovate progredite le lesioni che tuttora appaiono.
Il Nonno, dunque, conosce e frequenta l'edificio dal 1948, quando ancora lavorava per l'Istituto Autonomo Case Popolari.
"Per eventualità professionali" significherà che egli sperava di farvi qualche lavoro?
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Questa perizia testimonia come lo Studio Tecnico del Nonno è attivo almeno sino
al giugno del 1965. Molto probabilmente dopo, la mancanza di evidenze legate
ad ulteriori lavori, fa immaginare che egli si dedichi esclusivamente al suo Ultimo
Cantiere ad Ostia Antica (1965-68), di cui si dirà successivamente.
Quest'ipotesi è confermata dall'evidenza di come il Nonno, di sicuro almeno a
partire dal 1967, quando ormai ha 71 anni, abbia deciso di rifiutare ulteriori incarichi di lavoro, come testimoniato dalla risposta ad nuova proposta che gli arriva dall'Amministratore del condominio di Via Crema, circa due anni dopo la
perizia sulla stabilità dell'immobile.
Evidentemente l'Amministratore ed i condomini rimangono sono rimasti soddisfatti della perizia del Nonno, infatti l'11 marzo del 1967 l'Amministratore ricontatta il Nonno, scrivendogli una lettera per proporgli la Direzione dei Lavori proprio degli interventi da lui suggeriti quasi due anni prima.
Il Nonno non ci pensa troppo, risponde dopo soli tre giorni, rifiutando l'incarico, come dimostra esplicitamente una lettera indirizzata all'Amministratore
(Fonte 6.2).
Fonte 6.2, 14/3/1967, Lettera del Nonno all'Amministratore del condominio di Via Crema 15, Rag. V. De Angelis.
Storia di un Nonno
300
Nella lettera del Nonno si legge:
In risposta alla sua pregiata dell'11 corrente mese debbo anzitutto ringraziare lei
ed i Condomini di Via Crema 5 per la fiducia dimostratami.
Sono spiacente però di dover rifiutare l'incarico conferitomi causa la tarda età raggiunta e le preoccupanti condizioni di salute che mi impediscono in ogni forma
l'esercizio della professione.
Quello che adesso il Nonno vuol fare è ben rappresentato dall'immagine seguente.
Che lo ritrae a fare quello che più gli piace, peraltro nel suo Podere "Le Farine", il
frutto del suo Ultimo Cantiere.
Storia di un Nonno
301
1962-1964 Malato
Tra le Fonti emerse dalle "carte del Nonno", a testimonianza dei lavori eseguiti
dallo Studio Tecnico, compaiono diverse lettere (Fonti 1.7 - 1.15, inerenti la Consulenza per un arbitrato tra la banca Monte dei Paschi di Siena ed i fratelli Stramaccioni), da
lui spedite o ricevute, che danno vaghe notizie di una sua malattia che, testimoniata la prima volta nel dicembre del 1962 (Fonte 1.7), quando ha 66 anni, è di
sicuro antecedente a questa data visto che risulta già operato prima del dicembre 1962. Che problemi di salute ha avuto il Nonno? Ho ricordi infantili del
Nonno malato, per questo ricoverato in una clinica, incredibile visto che nel dicembre 1962 ho solo 4 anni. Solo da adolescente ho appreso, da mio padre Vittorio, che il Nonno ha avuto un tumore alla prostata, motivo per cui è stato operato.
Di seguito stralci dei carteggi che danno notizie della malattia e confermano i
miei vaghi ricordi.
Fonte 1.7, 15/12/1962, Lettera del Nonno all'Ing Aldo Crespi.
Si ricorda che l'Ing. Aldo Crespi è il Presidente del Collegio, nominato di comune accordo da entrambe le parti, per l'arbitrato tra la banca Monte dei Paschi
ed i Fratelli Stramaccioni ad Orvieto. Nella lettera si legge:
L'altro ieri, trovandomi a Napoli per motivi professionali, ho avuta la sgradita sorpresa di una emorragia prodotta da lesioni interne alla prostata dove ho subito una
recente operazione chirurgica. Ieri sono stato ricondotto con tutte le cautele a Roma
ed immediatamente sottoposto alle necessarie cure, nonché assistito valorosamente da
mio figlio medico. Per circa 10 giorni non potrò uscire di casa e dovrò osservare una
relativa immobilità; pertanto non mi sarebbe possibile trasferirmi in Orvieto per il
noto arbitrato.
I motivi professionali per cui il Nonno è a Napoli riguardano un'incontro con i
Servizi Tecnici dell'INPS in merito al collaudo di palazzine per i propri dipendenti a Catanzaro, di cui si è già detto parlando delle attività dello Studio Tecnico
del Nonno. Il figlio Medico, è il più grande, Vittorio.
Nel dicembre 1962 il Nonno è già stato operato, quando si saranno palesati i
problemi alla prostata? Probabilmente sempre nel 1962.
Fonte 1.8, 21/12/1962, Lettera dell'Ing. Crespi al Nonno.
In risposta alla precedente (Fonte 1.7), L'Ing. Crespi risponde scrivendo:
Ho avuto la sua lettera del 15 corrente e sono rammaricato per la sua indisposizione. Le faccio i migliori auguri per una pronta e completa guarigione, che sarà tanto
più rapida e solida sotto la valida, affettuosa cura di suo Figlio medico.
Storia di un Nonno
302
Fonte 1.9, 19/1/1963, Lettera del Nonno all'Ing. Crespi.
La pronta guarigione auspicata dall'Ing. Crespi (Fonte 1.8), non si realizza:
Il mio male, ha avuto una improvvisa e grave ricaduta ed in conseguenza entro la
settimana prossima sarò ricoverato in Clinica per degli esami che arieggiano però ad
un serio atto operatorio
Quindi il Nonno in clinica ci va almeno due volte, non ne avevo memoria.
Fonte 1.10, 26/1/1963, Lettera dell'Avvocato Gradoli al Nonno.
Si ricorda che l'Avvocato Fausto Gradoli, rappresenta i Fratelli Stramaccioni
nell'arbitrato con la banca Monte dei Paschi ad Orvieto. Nella lettera, indirizzata alla Clinica Villa Flaminia, in Via dei Malvezzi N° 10, a Roma, si legge:
Caro ingegnere apprendo dall'amico Borghetti il momentaneo recapito al quale indirizzo la presente. Le auguro che il soggiorno sia brevissimo e che Lei possa riprendere prima possibile le sue occupazioni. Comunque al momento pensi solo a curarsi:
quando si sentirà in condizioni di potermi ricevere senza suo eccessivo disturbo me
lo farà sapere.
Fonte 1.11, 11/2/1963, Lettera dell'amico Ugo Borghetti al Nonno.
Storia di un Nonno
303
Si ricorda che l'amico Ugo Borghetti, di Orvieto, ha fatto da tramite per far ottenere al Nonno la consulenza per l'arbitrato tra la banca Monte dei Paschi ed i
Fratelli Stramaccioni. Gli auspici si rinnovano, questa volta da parte dell'amico
Ugo:
E che si possa - auguriamocelo - presto tutto appianare. Hai fatto bene a mettere al
corrente [della malattia] anche Aldo. Certo è che - nella gioia della ritrovata unità familiare [chi si è disunito? Aldo che almeno dal marzo 1962 è a Torino dove si è sposato con Anna?] - questa coppola non ci voleva. Ma Claudione vedrai che tutto andrà per il meglio.Olimpia [la moglie di Ugo] di vero
cuore si unisce a me per formulare gli auguri più vivi, più sinceri, più fervidi perché
tu possa guarire presto e nel corpo e nello spirito. Io ti stringo al cuore.
Fonte 1.12, 15/21963, Lettera dell'Ing. Crespi per conoscenza al Nonno.
Purtroppo come ella saprà l'Ing. Gentili da vario tempo è indisposto, né è prevedibile quando potrà trasferirsi da Roma ad Orvieto.
Fonte 1.13, 22 febbraio 1963, Lettera del Nonno all'Ing Crespi.
Come dimostra un appunto vergato a mano dal Nonno egli è ricoverato dal 17
Febbraio 1963 nella Clinica Villa Flaminia, cinque giorni dopo ne esce dandone
immediata notizia all'Ing. Crespi:
Le do la confortante notizia che sono uscito dalla Clinica e ritornato a casa; però
con la condizione di ripresentarsi per un periodo di tempo (ogni dieci gioni) per un
doloroso ma necessario controllo. [...] Nel deprecato caso che occorresse la mia presenza in Orvieto, date le mie debilitate condizioni fisiche, ciò potrebbe accadere entro
la prima decade di marzo; salvo che al primo controllo (2 marzo) non mi trattengano per l'atto operatorio.
Fonte 1.14, 13/3/1963, Lettera del Nonno all'Avvocato Gradoli.
[Si] convoca il Collegio arbitrale presso il mio domicilio di Roma per venerdì 15
corrente alle ore 10:30. Per evitarmi il disagio certamente nocivo di una trasferta in
Orvieto causa la mia recente malattia.
Fonte 1.15, 29/3/1963, Lettera del Nonno all'Avvocato Gradoli.
Lettera che lascia immaginare che le condizioni del Nonno sono migliorate sebbene non si possa ancora dire aver raggiunto l'agognata "definitiva guarigione":
La ringrazio per i suoi rinnovati auguri che (speriamo) si avverino e mi conducano
alla definitiva guarigione.
Storia di un Nonno
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4 marzo 1963, Lettera dell’Amministratore del condominio di via Saracini a Ostia Lido al Nonno.
A queste lettere relative alla Consulenza per un arbitrato tra la banca Monte dei Paschi di
Siena ed i fratelli Stramaccioni (Fonti 1.7 - 1.15), a conferma del miglioramento dello
stato di salute del Nonno, se ne aggiunge una inerente una bega condominiale, a
lui indirizzata da parte di un Amministratore di condominio del 4 marzo 1963
A parte confermare il miglioramento della salute del Nonno, questa lettera costituisce l'unica testimonianza di una sua proprietà a Ostia Lido: un piccolo appartamento, l'interno 4, al civico n° 14 di Via Andreotto Saracini. Un'immobile degli anni '60, sito alle spalle di quell'icona dell'architettura moderna di inizio '900
rappresentata dall'Ufficio Postale di Ostia Lido, progettato nel 1933 dall'architetto e ingegnere Angiolo Mazzoni ed inaugurato nel 1934 con il nome di Ricevitoria Postelegrafonica di Ostia Lido, che si trova nel tratto finale di via Ostiense (l'antica via del Mare) poco prima di giungere di fronte al mare. Un contenzioso tributario inerente i servizi di nettezza urbana del marzo 1964 permette di
dedurre che questa casa il Nonno l’abbia posseduta nel periodo che va dal 1960
al 1964, altri documenti su questa casa non emergono dalle "carte del Nonno".
Nella lettera l’Amministratore lamenta che i figli dell’affittuario fanno chiasso,
compiono atti di danneggiamento, urinano per le scale. In aggiunta rileva che
dalla porta dell’appartamento, spesso lasciata aperta, si diffondono odori di fogna.
Il Nonno effettua un sopralluogo nell'appartamento il 18 maggio del 1963, evidentemente le condizioni di salute glielo permettono, dovendo:
[...] con somma sorpresa e dispiacere constatare il pessimo uso da lei [l'affittuario] fattone ed i danni ingenti arrecati all’immobile.
È danneggiato l’impianto fognario, abrasi gli intonaci, asportate numerose maioliche, rotte le serrande, senza parlare dello stato pietoso in cui versano pareti
ed infissi assolutamente da ritinteggiare. All'Amministratore il Nonno dirà che
l'appartamento è dato in affitto ad una "pessima famiglia".
Il fatto per cui cito anche questa bega condominiale è dovuto ad un passaggio
della lettera in cui l’Amministratore si augura che la sua lettera giunga:
[...] In un momento di tranquillità d’animo e di ritrovata fiducia circa la sua salute, per la quale formulo i migliori auguri.
Nel rispondere a stretto giro all'Amministratore il Nonno ringrazia e afferma:
[...] La mia malattia sembra superata; però ho lasciata la Clinica a condizioni di
presentarmi ogni quindici giorni per un controllo assai doloroso.
Che è il motivo per cui di controlli alla prostata ancora non ne ho fatti, di certo
incombono.
Storia di un Nonno
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La guarigione definitiva è sancita dal Nonno quasi un anno dopo, nella lettera,
del 19 febbraio del 1964, che i invia ai liquidatori della Società Pietro d'Assisi,
per la conclusione di questa avventura imprenditoriale (già pubblicata a pag
249), in cui scrive:
[...] In questo particolare momento la mia salute è discreta (questo è il fattore principale del quale debbo tenere il debito conto).
Una volta guarito, il Nonno, per farsi una risata, si
sarà sentito i dischi a 78
giri di Aldo Fabrizi sulla
sua fonovaligia RCA a valvole stereo?
Storia di un Nonno
306
1965-1967 Direttore dei Lavori
dell'ultimo cantiere a Ostia Antica
Nel 1965, il Nonno smette di lavorare, fortunatamente ha superato i problemi
alla prostata, ha 69 anni, tre qualifiche da "Nonno", può finalmente dedicarsi a
quello che metaforicamente chiamo l'ultimo cantiere, un cantiere infinito, in continuo divenire, il cui epilogo non può che coincidere con quello del Nonno. Un
cantiere, che non segna l'inizio di una sua quarta avventura imprenditoriale
(dopo quelle rappresentante dalle società Gentili-Valci, Pietro d'Assisi, e dallo Studio
Tecnico Gentili), quanto piuttosto l'inizio della sua Ricreazione, nel duplice senso:
• di rinascita, per antica memoria e nostalgia di quel Podere le Farine, vicino Viterbo, che fa da ponte, tra la fine della Leggenda Familiare e l'inizio della Storia
Familiare, che il Nonno trasla ad Ostia Antica;
• come anche di molteplici occasioni di socialità e momenti di svago da lavoro,
rogne familiari, contenziosi, rivendicazioni, malattie.
La storia del Podere Le Farine la racconta il Nonno stesso in un album fotografico
(nell'immagine sopra la copertina, di cui ho realizzato anche una versione virtuale sotto forma di filmato), motivo per cui lascio la parola al Nonno mentre
sfoglio il suo album (le parole in corsivo sono tratte dal suo album).
Storia di un Nonno
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L'ultimo cantiere, per essere raccontato con continuità costringe a tornare indietro
nel tempo, al 1958, l'anno del primo conferimento del titolo di "Nonno".
2 settembre 1958, il Nonno acquista circa mezzo ettaro di terra (esattamente
5.429 mq, un quadrato di circa 75 x 75 metri), la dimensione di un Orto, come
tutta la famiglia, escluso il Nonno, chiamerà questo luogo, vicino Ostia Antica
(oggi a Via Agostino Chigi, civico n° 198), dove fino all’anno 1887 furono le Saline di
Ostia (effettivamente si trovavano conchiglie tra la terra), su cui stentatamente
spuntano tre soli cipressi malridotti, sul lato della strada di bonifica dalla quale si accede al terreno. Il Nonno non perde tempo, quello stesso giorno con la sua macchina fotografica Zeiss (nelle immagini qui sotto) inizia a scattare foto al nulla.
Storia di un Nonno
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4 ottobre 1958, un mese dopo l'acquisto, il terreno, è già "recintato, dissodato,
pronto ..." a trasformarsi nell'opera senza fine che il Nonno desidera.
2 settembre 1959, (occasione in cui il Nonno scatta nuove foto, esattamente a
12 mesi dall'acquisto) dopo un anno, le prime pietre segnano dove sorge la costruzione,
compaiono anche le prime piantagioni.
4 ottobre 1959, (ancora una foto, precisamente a 12 mesi dalla sistemazione
del terreno) la villetta procede, si definisce ed è già coperta, ed idonea al ricovero.
5 aprile 1960, la villetta è completata (foto nella pagina successiva, ripresa da
via Agostino Chigi, in primo piano le vasche di cemento dell'acquedotto), dotata
di: ingresso, salone, tre stanze, due bagni e cucina, con il doppio arco che ad angolo retto insiste su un'unica colonna, a delimitare una sorta di pianerottolo rialzato davanti l'ingresso della casa.
Storia di un Nonno
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Non è questa la villetta nella forma definitiva che ricordo bambino: appare essere ad un solo piano, anche se la mansarda appare finestrata; ancora priva della
scala d'accesso esterna a quello che successivamente diventerà l'appartamento al
piano superiore. che ospiterà la famiglia del figlio più piccolo, Aldo, che all'epoca vive a Torino; in aggiunta la casa ancora s'erge su un terreno del tutto privo
di vegetazione.
Estate del 1965, è questo il momento, quando il Nonno ha 69 anni ed inizia a
fotografare a colori, che l’Orto assume le sembianze che personalmente ricordo,
(per questo di seguito continuo a chiamarlo così):
• l'ingresso, il grande cancello di ingresso di legno verde, con i pilastri di cemento prefabbricato gialli ed il tettuccio in coppi, posto al centro del lato del terreno che affaccia sulla strada di bonifica (ben visibile nella foto dell'aprile
2010 qui sotto, in cui ritraggo mia figlia Clelia che, sin da bambina, ho portato a vedere questo mio luogo bambino);
• il parco, il viale d'accesso alla villetta dall'ingresso, di ghiaia e contornato di
grandi vasi ed alberi;
Storia di un Nonno
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• la fonte, alla fine del viale d'accesso sulla destra, di fronte alla villetta, una fontana con i pesci rossi ed una specie d'angioletto, con tanto di zampillo, delimitata da massi tufacei e circondata di salici piangenti;
• la villetta, che adesso è dotata della scala e porta d'accesso all'appartamento al
piano superiore (due piccole stanze riservate al figlio Aldo, a sua moglie
Anna, al nipote Claudio, quando vengono a Roma da Torino dove vivono);
ormai c'è anche il box per la macchina, un corpo di fabbrica staccato dalla
villetta con accesso sulla sinistra del viale d'ingresso.
• la selva, che nel linguaggio del Nonno indica diverse parti del giardino; davanti alla villetta, i due corridoi di alberi (eucalipti?) che impediscono la vista
della casa dalla strada di Bonifica; entrando a sinistra, quello dove parcheggiano gli ospiti, per non intasare il parco, che termina in un fitto canneto; entrando a destra, quello che originariamente era il viale d'accesso all'Orto,
prima della costruzione dell'ingresso, dove il Nonno avrebbe voluto costruire
un campo di bocce, nei fatti mai realizzato; dietro la villetta, i molteplici filari
di pioppi dove si attacca l'amaca; su entrambi i lati della casa filari di alberi
che inglobano gli originali tre cipressi ora rinvigoriti, sempre a protezione
dell'intimità all'interno dell'Orto;
Estate del 1967, l’Orto continua ad evolvere, il Nonno realizza:
• la villetta sempre più fiorita, con un abbraccio di rose sulla colonna che ne marca
l'ingresso;
• il pergolato, su cui s'abbarbica una vite da cui d'estate penzolano grappoli
d'uva, alla destra della villetta venendo dal viale d'accesso, sotto la cui ombra
trova posto un lungo tavolo fatto di grezze assi di legno destinato ai banchetti, sul quale il Nonno, oltre che mangiare d'estate, in mezzo alle nuvole di
pappataci che hanno sempre infestato il Podere Le Farine, faceva solitari con le
carte e m'insegnava a giocare a scacchi;
• la pineta, che si aggiunge alla selva, alla sinistra del viale d'accesso, così come
gli alberi di fico, dietro la casa alla sua destra, almeno tre alberi di fichi settembrini, ognuno con la sua etichetta attaccata, Marco, Laura, Claudio, un
albero per ogni nipote del Nonno (Cristina Luca non sono ancora nati);
• il pollaio con galline, tacchini e soprattutto germani reali, per i quali è costruita anche una piscinetta in cemento nel mezzo del pollaio, recintato da una
rete; arriveranno poi anche i conigli;
• il vivaio degli allori, ed un viale di rose, l'orto, dietro la villetta sulla destra.
Olga, la governante del Nonno, sarà impegnatissima su questi nuovi fronti agricoli: il pollaio, l'orto, la raccolta della frutta (oltre ai fichi anche albicocche e ciliegie) e delle rose (nella foto della pagina seguente, Olga ritratta con un canestro
di verdura in mano appena raccolta nell''orto)
Storia di un Nonno
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Purtroppo questa è l'unica foto che ho di Olga, mi dispiace molto non avere
immagini di una persona che ha sempre dimostrato di volermi molto bene.
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1 agosto del 1967, per completare l'album, non certo il Podere Le Farine in costante evoluzione, nell'ultima pagina il Nonno scrive:
I frutti della vita ed i frutti delle farine ...
... e la vegetazione movimentandosi col tempo, accrescerà il fascino del mio ritiro da
cui attingo serenità e salute.
Fra poco tutto sarà sommerso in una fitta e deliziosa selva, ricca di ombra, profumata dai fiori e piena di dolce frutta ...
Una foto nella penultima pagina dell'album in cui si vedono il figlio minore
Aldo, con la moglie Anna, ed il suo primo figlio, Claudio; il terzo nipote del
Nonno, chiarisce inequivocabilmente cosa il Nonno intenda per i "frutti della vita"
(immagine nella pagina seguente).
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La didascalia della foto (pagina seguente) che accompagna nell'ultima pagina
dell'album queste poetiche parole sui "frutti della vita ed i frutti delle farine" ribadisce
un concetto spesso ripetuto dal Nonno: "il padrone sono sempre me... raccolgo i frutti
del mio lavoro".
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1967 Ancora a Caccia
In quello che io chiamavo l'Orto ed il Nonno Podere Le Farine, egli custodiva i suoi
fucili da caccia, una sua antica passione, che suscitavano in me una grande attrazione, in quanto bambino appassionato di film western. Ne ricordo due, pesantissimi per il bambino che ero, che il Nonno mi faceva imbracciare rigorosamente scarichi; ben ricordo anche le sue cartucciere di pelle marrone scura e
quando si metteva a ricaricare le cartucce con i pallini da caccia, attività che
cercò perfino d'insegnarmi con scarso successo.
Una volta, sarà stata la primavera del 1967, poco dopo la mia prima comunione
(nella pagina seguente in quell'occasione con il Nonno, qui sotto foro del Nonno
di quell'anno), quando stavo per compiere 9 anni, il Nonno mi portò perfino a
caccia vicino al Podere Le Farine. Chissà se mio padre l'avrà saputo? Non credo
proprio, non glielo avrebbe permesso.
Quella volta ho sparato un solo colpo, l'unico in tutta la mia vita, sotto l'attentissima supervisione del Nonno alle mie spalle. Ho memoria, come fosse oggi, del
rinculo sulla spalla, dell botto spaventoso, della puzza di polvere da sparo bruciata. Cosa peggiore ricordo il Nonno che, dopo avermi tolto il fucile di mano, si
dirige di fronte a me, attonito, a raccogliere tra le sterpaglie l'uccellino che incredibilmente ero riuscito ad abbattere. Il Nonno era molto soddisfatto della mia
impresa, e mi preconizzava un futuro da grande cacciatore. Io inebetito ero schifato dal sanguinolento passerotto che ancora caldo mi aveva deposto in mano, il
suo occhio dilatato ed accusatorio non l'ho mai scordato.
Storia di un Nonno
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Storia di un Nonno
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La passione della caccia ha contraddistinto tutta la vita del Nonno, come ben
dimostra la data della sua ultima richiesta di rinnovo della relativa licenza fatta il
5 luglio 1967 (lettera qui sotto).
Che la licenza di caccia gli è stata rinnovata, lo dimostra il diario che il Nonno
tiene per i primi sei mesi del 1968, in cui il 28 marzo annota di essere andato a
caccia con un amico, sarà questa la sua ultima battuta di caccia.
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1967 Testamento
Alla fine del 1967, forse sentendo d'avere completato il suo Ultimo Cantiere, anche
se i lavori al Podere Le Farine, prevalentemente agricoli ma anche di affinamento
dell'appartamentino al piano superiore della villetta utilizzato dal figlio Aldo,
continueranno fino alla sua morte, il Nonno redige il suo testamento olografo su
un foglio protocollo.
Il testamento olografo è stato introdotto in Italia nel 1960, il codice civile lo definisce un testamento scritto per intero ed esclusivamente a mano (cosi da poter
meglio confermare l'identità di chi lo sottoscrive), con qualsiasi mezzo e su qualsiasi materiale che sia idoneo a tener traccia della scrittura, datato e firmato dal
testatore, ovvero da colui che vuole fare testamento.
Non credo che le pronipoti del Nonno, Clelia ed Aurora, come anche i loto coetanei, sappiano oggi cosa sia un foglio protocollo; quelli che ho conosciuto io, su
cui scrivevo i miei temi alle scuole medie, alla fine degli anni '60 del secolo scorso, erano fogli di formato A3 ripiegato in due, per complessive 4 facciate di formato A4, caratterizzate dall'essere segnate da due linee verticali a contraddistinguere ampi margini (più grande a destra e più piccolo a sinistra) e 25 righe orizzontali.
8/12/1967, Testamento del Nonno, Roma
Pagina 1/2
- Testamento Il giorno della Immacolata Concezione [8 dicembre], dell'anno 1967,
con mente limpida e lucidità d'intelletto, perfettamente sano di corpo, ho
disposto che alla mia morte, le mie sostanze vengano così ripartite tra i miei
tre figli:
Al mio caro Vittorio, lascio in proprietà l'appartamento di Via Crescenzio 19
così come esso trovasi e con la mobilia completa.
Al mio caro Bruno, lascio il terreno di Ostia Antica, Via Agostino Chigi e
relativa casa colonica.
Al mio caro Aldo, lascio tutte le obbligazioni di mia proprietà depositate presso il Monte dei Paschi di Siena, filiale di Roma.
L'eventuale denaro liquido del c/c Postale 1/18888 e del Monte dei Paschi
di Siena (Agenzia n° 3 Via Cola di Rienzo, c/c 1607) servirà alla mia tumulazione nella [segue]
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Storia di un Nonno
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8/12/1967, Testamento del Nonno, Roma
Pagina 2/2
[continua] tomba del Verano di Roma ed alla eventuale soddisfazione di
altre spese.
Funerali: semplicissimi e con pochissima gente, possibilmente solo i figli
con le mogli ed i nipoti.
Dare notizie della mia morte sulla stampa, cinque giorni dopo la mia tumulazione.
Roma li 8 dicembre 1967.
Ing. Gentili Claudio
P.S. Mio figlio Bruno, provvederà alla illuminazione della tomba dei miei cari a
Viterbo.
Ing. Gentili
Storia di un Nonno
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1968 Diario
L'impegno/divertimento del Nonno al Podere Le Farine prosegue densamente anche nel 1968, lo testimonia un suo diario di cui entro in possesso nel 2010, ricevendolo da Franca Milani, la moglie di Bruno, il secondo figlio del nonno,
quando questo, a causa di reiterati ictus, è ormai incapace d'intendere.
Il diario copre esattamente 6 mesi, da gennaio a giugno del 1968 (26 settimane),
a cavallo del 72esimo compleanno del Nonno. Di questo semestre il Nonno non
salta nemmeno un giorno, poi all'improvviso alla fine del primo semestre cessa
di scrivere annotazioni. L'ho letto più volte dal 2010 ad oggi ma solo adesso con
la puntigliosità e meticolosità necessari a fare le ultime scoperte sulla storia del
Nonno.
Se nel diario del Nonno sono del tutto assenti riflessioni sulla propria vita o pensieri profondi e assai limitati i ricordi, è invece ben evidenziato il piacere della
socialità e delle frequentazioni familiari. Di ogni giorno viene sistematicamente
e puntigliosamente rivelato, con meticolosa indicazione di orari e coprotagonisti:
• dove si trova il Nonno, quasi sempre a Roma, o al Podere Le Farine ad Ostia
Antica;
• a che ora si sveglia il Nonno e come ha passato la notte;
• la temperatura esterna al momento della sveglia e le condizioni climatiche
con cui la giornata si presenta;
• cosa ha fatto il Nonno, rigorosamente ripartito tra mattina e pomeriggio; attività tra cui dominano passeggiate per spesette varie, solitari e partite a carte
con gli amici; allestimento e modifica dei tanti album di francobolli, lavori
agricoli alle Farine, sbevazzate e chiacchierate; lettura di libri e visione di specifici programmi televisivi;
• che ha mangiato il Nonno, a pranzo; a merenda, sempre rigorosamente con i
compagni di merenda, tipicamente consumata: all'Osteria Da Valerio in Via
Candia (detta Via Candida da Olga), o alla Birreria Peroni di Via Terenzio, o
alla Bottega di Franchi, quando a Roma; al ristorante La Pergola quando a
Ostia Antica; a cena, che quando è consumata a casa, tipicamente dopo una
merenda, consiste quasi sempre in una semplice minestrina in brodo;
• se il Nonno ha schiacciato un eventuale pisolino pomeridiano;
• se il Nonno ha socializzato, dal vivo o telefonicamente, con parenti, limitati
ai tre figli ed amici, tra i quali per assiduità spiccano Giggetto, Luigi Medori,
il consuocero del Nonno; i fratelli Ubaldo e Dino Cecconi, suoi vicini alle Farine; Nello che gli offre spesso un passaggio da Roma alle Farine; Tebaldo,
compagno di caccia; Bergia, compagno di francobolli;
• a che ora si ritira a letto il Nonno; solitamente presto.
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Quindi un diario tragicamente noioso, ma mai quanto le registrazioni delle lezioni di fisica, non tanto per quello che racconta ma soprattutto per come lo
racconta, con un'agghiacciante e meticolosa sistematicità. Perché allora leggere
il diario del Nonno?
• Per riuscire, anche se a fatica, a intravedere come si sente il Nonno e come si
percepisce, cosa lo preoccupa e lo diverte, lo intristisce o lo rallegra.
• Per rimanere colpiti, tenendo conto che il Nonno non guida e non ha mai
avuto la patente, dalla sua mobilità di 72enne, come anche dalla tanta socialità sempre disponibile a scarrozzarlo, che gode della sua compagnia.
• Per rimanere sorpresi e contenti che il Nonno abbia quasi sempre voglia di
fare, in questo il sempre incompiuto Podere le Farine, col bel tempo, e gli album
di francobolli altrettanto infiniti, quando freddo o pioggia lo rinchiudono in
casa a Roma, sono grandi attrattori d'impegno.
• Per scoprire piccoli dettagli e trovare risposta a domande rimaste aperte.
Un esempio tra tutti: solo ieri 22 dicembre 2020, ho scoperto quando si sposano
il Nonno ed Angela. L'ho capito da una breve annotazione all'interno del suo
diario; nessuna altra traccia di quest'evento è emersa dalle "carte del Nonno".
Di seguito è proposto un estratto del diario del Nonno, così organizzato:
• si sono interamente riprodotte tutte le annotazioni del Nonno (riprodotte in
"corsivo") della prima ed ultima (26esima) settimana del diario, per evidenziare la metodica puntigliosità di cui si è detto;
• di tutte le altre settimane, dalla seconda alla 25esima, ci si è limitati pubblicare degli estratti delle annotazioni del Nonno (riprodotti in "corsivo").
Questi estratti, accompagnati da mie spiegazioni ed eventuali approfondimenti
(non in "corsivo"), riguardano principalmente:
• incontri familiari, soprattutto attinenti a Vittorio ed Aldo che vivono meno a
contato con il Nonno perché sposati e con figli, rispetto a Bruno, che in parte
ancora coabita con il Nonno, sia a Roma che al Podere Le Farine;
• eventi più significativi per il Nonno, o fatti che che comunque lo identificano
e lo caratterizzano.
Storia di un Nonno
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1/1/1968 - 7/1/1968, Tutte le annotazioni
Lunedì 1 gennaio
Giornata tetra e piovosa. Sono solo e triste in casa.
Solo Bruno è venuto ed è stato con me il pomeriggio e la sera.
Un incipit del diario che contrasta con quello che lo stesso Nonno testimonia: è
spessissimo in compagnia degli amici, e comunque anche dei figli, oltre che costantemente affiancato da Olga.
Martedì 2 gennaio
Ho spedito tramite "Oggi" [settimanale ancora esistente] il reclamo per la
mia decorazione al valore al Ministro [della Difesa] Tremelloni. Mi auguro che
sia fatta giustizia.
Giornata piovosa con acqua gelida. Alle ore 12:00 5° sopra zero.
Non posso andare alle Farine. Pazienza. Bruno è stato a pranzo con me.
La sera con gli amici alla Birreria. Indi minestrina squisita e a ... nanna.
Già da questo si deduce come il Nonno andrebbe alle Farine sempre, dove però
manca il riscaldamento, cosa che in pieno inverno limita i suoi spostamenti.
Mercoledì 3 gennaio
Ore 8:00 sveglia: bel sole sereno! Temperatura 8°. Tramontana e freddo intenso.
Bruno mi telefona dalle Farine sconsigliandomi ad andarci e mi assicura che è tutto
a posto.
Pranzo spaghettoni al ragù di funghi e salsicce alle olive.
Storia di un Nonno
324
La sera con Medori [Luigi, il consuocero del Nonno, sodale di magnate e
bevute] da Benito a Via Vespasiano: ottimi gli agnolotti.
Giovedì 4 gennaio
Ore 8:00 sveglia. Temperatura 6°. Cielo nuvoloso.
A mezzogiorno è venuto a visitarmi Aldo [che nel 1968 vive con la famiglia a
Roma in Via Ferdinando Galiani] e mi ha regalato il pullover grigio. È tanto
affettuoso con me.
A pranzo fagioli con la pasta, magnifici, e zampone con lenticchie avanzo di capodanno.
La sera con Bergia [un amico del Nonno] dal Velletrano; abbiamo scambiato
francobolli.
Venerdì 5 gennaio
Ore 8:00 sveglia. Temperatura 5°.
Mi ha scritto Carlo da Casale Monferrato [si tratta di Carlo Falco, quello
sulla cui lettera del 21 ottobre 1965 il Nonno ha scritto "Buffone!"] e
verrà il 17 a Roma. Gli ho subito risposto.
A pranzo una minestrina da... sturbare, fagioli con aringa e ricotta! Pomeriggio a
casa. Bagno e pulizia ai francobolli di Bergia.
La sera con Medori siamo tornati a via Candia da Valerio [osteria], mangiato
salsiccia di Amandola con olive. A casa presto e niente altro nello stomaco. Nottata
quieta.
L'osteria di via Candia, che dico, di "via Candida", così la chiamava Olga, ovviamente sbagliandosi, l'ho frequentata assieme al Nonno sempre anche con la
presenza dell'altro nonno, Luigi Medori, e dei loro amici. È stata anche oggetto
di un mio tema di IV elementare in cui mi si chiedeva di parlare dei miei Nonni,
in cui esordii all'incirca così:
I miei nonni sono due beoni, mi portano con loro all'osteria dove con i loro amici
sgranocchio noccioline, mandorle salate e coppiette che mi piacciono molto ma mi
mettono tanta sete. I nonni che bevono solo vino bianco, a volte mischiandolo con la
gazzosa, per me ordinano dell'acqua. Il cameriere non la porta mai, così, assetato,
finisce sempre che i nonni mi offrono un bicchiere di vino che m'ubriaca. Quando la
sera torno a casa e lo racconto a mio padre lui si arrabbia un sacco con i nonni e
dice che sono dei beoni.
Inutile dire che mio padre fu convocato dal mio insegnante. Onestamente avevo
esagerato, di vino nel bicchiere ne mettevano poco, il resto era gazzosa. Quanto
mi divertivo con i nonni in quest'osteria che oggi non c'è più, mi faceva sentire
grande, venivo messo al centro dell'attenzione da tutti i commensali. In tutta
l'osteria l'unica donna l'intravedevo sempre in cucina ai fornelli, in sala c'erano
Storia di un Nonno
325
solo camerieri maschi ed una puzza di fumo di sigarette che creava una densa
nebbia. "Altri tempi" dicono quelli vecchi come me.
Sabato 6 gennaio
Befana
Sveglia ore 8:00. Temperatura 10°. Deve aver piovuto perché i marciapiedi sono
bagnati. Giornata nuvolosa e tempo incerto.
Telefonato a casa di Aldo: risposto Anna che non verranno perché Claudio è appena
sfebbrato. Verrà Vittorio e la sua famiglia.
Pranzo delizioso con Vittorio, Teresa, Marco e Laura. Antipasto di purè di Merlo
[non so di cosa si tratti] preparato da Bruno, brodo o pastasciutta a piacere,
vitella arrosto, dolce frutta e vini ottimi. Ottima è stata la conversazione affettuosa
sempre.
Alle ore 16:00 Vittorio e famiglia è tornato a casa. Io ho fatto un bel pisolino.
Alle 18:30 scappato alla birreria di via Terenzio [birreria Peroni che ho frequentato anche io negli anni '70 e 80, oggi i locali sono stati inglobati
da Castroni], alle 20:30 minestrina in brodo (gallina delle Farine) ed a nanna.
Nottata ottima.
Così nel 2010, appena entrato in possesso del Diario del Nonno scopro che cosa
ho fatto, con mia sorella Laura, quel sabato di 42 anni prima, quando avevo ancora 9 anni; Claudio invece, per scoprirsi febbricitante quello stesso sabato,
quando ha soli 4 anni, deve attendere il 2020, quando gli fornisco una prima
versione della "Storia di un Nonno".
La cronaca della giornata evidenzia l'imponenza della dimensione del cibo per il
Nonno. Egli non cucina, a casa lo fa Olga, egli degusta con questo ritmo sincopato: pranzo verso le 13:00; merenda verso le 18:00-19:00; cena a casa verso le
20:30. Di colazione il Nonno non parla mai nel diario.
Domenica 7 gennaio
Sveglia ore 8:30. Temperatura 8°. Cielo velato di nubi. Nella mattinata lavorato
un po' con i francobolli.
Abbiamo invitato Aldo e la sua famiglia a pranzo. Molto bene e tanta felicità.
Claudio si fa un bel bambino.
Riepilogando, in una settimana di feste natalizie:
• tre pranzi differenti ognuno con uno dei figli, che si concentrano inevitabilmente su feste e domeniche, in cui i figli non lavorano e i nipoti non vanno a
scuola;
• più 5 merende con gli amici, il cui ritmo non si lega alle festività natalizie,
rimane sempre questo anche per tutte le settimane successive.
Storia di un Nonno
326
8/1/1968 - 23/6/1968, Estratto delle annotazioni
Sabato 13 gennaio
Malato
Sveglia ore 8:30. Temperatura 4°. Nottata agitata: forse febbre. Stamane mi sento
molto meglio ed alle 10 posso dire di essere guarito. Però alle Farine non ci vado,
forse domani. Spesette da Standa per tegamini e colini. Pranzo di risotto e coppa.
Ho rovinato gli occhiali. La sera alle 18:00 vado da Calò [esiste ancora a
Piazza Cola di Rienzo] a comprarli nuovi 4.600 lire + 1.000 per un termometro. Fa freddo cane, ho messo il paltò pesante.
Vado dagli amici a via Candia [osteria Da Valerio]: vi rimango pochi minuti perché mi sento male. Minestrina ed a letto.
Alle 22:00 forte dolore al fianco destro se tasto o respiro. Notte agitata. Che male
avrò?
Possibile che il Nonno a 72 anni, con un figlio medico, non abbia un termometro a casa? Si sente male dalla notte precedente ma esce lo stesso e a va pure all'osteria, incredibile! S'intravede la paura della malattia che s'è insinuata nel
Nonno dopo l'esperienza del tumore alla prostata di qualche anno prima.
Domenica 14 gennaio
Malato
Sveglia ore 9:30, temperatura 3°. La notte è scesa a meno 7°. Povere Farine!!
Olga mi mette una borsa di acqua calda. Niente febbre. Ho telefonato a Vittorio
alle 9:30 ed ha promesso che verrà.
È venuto Vittorio assai premuroso: era accompagnato da Marco. Non ha trovato
nulla a carico dei polmoni e nemmeno la febbre. Il dolore è di carattere intramuscolare. mi ha lasciato pillole sedative per la tosse e supposte.
A pranzo : squisita minestrina in brodo, biscottini col burro. Non ho appetito.
Nel pomeriggio il cielo si è velato e siamo sui 5°-6°. Lunga dormita di recupero
della cattiva notte trascorsa. Non esco da casa. A cena minestrina in brodo ed uovo
affrittellato. Ha telefonato Vittorio per sentire come stavo.
Dalla struttura narrativa del diario, ben esemplificata da questa giornata, emerge il fatto che il Nonno scrive il diario aggiungendo una breve e sincopata frase
alla volta, nel prosieguo della giornata, a tracciare lo svolgimento cronologico
dei fatti.
Se scrivesse verso la fine della giornata, o il giorno dopo, non annoterebbe a
"Vittorio... ha promesso che verrà" e poco dopo "È venuto Vittorio", ma qualcosa come
"Vittorio ha mantenuto la promessa di venire".
Storia di un Nonno
327
Mercoledì 17 gennaio
Compleanno del figlio Vittorio
Ha telefonato Vittorio a cui ho ripetuti gli auguri [di compleanno].
Alle 17:00 ha telefonato Carlo [Falco, il "Buffone!"] giunto da Casale [Monferrato].
Interessante notare che il Nonno fa gli auguri a Vittorio perché quest'ultimo gli
telefona, sarebbe logico aspettarsi che sia il Nonno a telefonare. Non esistono
tracce di auguri nemmeno all'altro figlio Aldo, né ai nipoti; però, come si leggerà, il Nonno fa gli auguri per l'onomastico a Luigi Medori, il consuocero.
Anche per il fatto che il Nonno riporta sempre nel diario le telefonate ricevute
più che quelle fatte, immagino una sorta di sua avversione per l'uso del telefono.
Telefono in bachelite che, ancora nel 1968, è posizionato verso la metà del corridoio della casa, attaccato al muro, ad un'altezza fuori portata del bambino che
sono.
Quando alla seconda telefonata, evidentemente il Nonno ha superato il contrasto con Carlo Falco nato per i lavori alla confluenza del Sesia nel Po del 1965.
Sabato 20 gennaio
Verso la fine della malattia
Sveglia ore 8:30. Temperatura 10. Notte tranquilla, grazie all'applicazione delle
supposte veramente adatte. Niente insonnia e pochissima tosse. Cielo leggermente
velato, con un discreto sole.
Alle 11:00 siamo partiti con Bruno per Fiumicino, indi Ostia Lido. Bel sole ed
ottimo pranzo da Ferrantelli. Alle Farine nulla di nuovo, pochi i danni del gelo.
Alle 16:00 ritorno a casa. Piantate 12 taleee [frammento di una pianta appositamente tagliato e sistemato nel terreno o nell'acqua per rigenerare le parti mancanti] di olivo colte alla Macchia del Conte [vicino Viterbo]
il 20 del 1967. A sera cena con minestrina, un bicchiere di vino ed a letto.
D'inverno spesso le andate al Podere Le Farine si risolvono in giornata, come in
questo caso, la prima visita dell'anno, dalla primavera in poi invece ogni volta il
Nonno vi soggiorna più giorni.
Il ristorante Ferrantelli ad Ostia Lido è stato un altro caposaldo della mia infanzia, frequentato sempre con il Nonno; ho continuato ad andarci fino alla sua
chiusura, avvenuta molti anni dopo la morte del Nonno. Il mio piatto preferito
da Ferrantelli erano gli agnolotti al ragù.
Venerdì 26 gennaio
Guarito
Non posso andare alle Farine ma c'è Bruno che pensa a tutto! Sento d'essere vecchio!
Storia di un Nonno
328
Forse domani ripeterò il giro di Fiumicino-Farine con pappata ad Ostia da Ferrantelli. Serata con gli amici da Valerio [osteria a via Candia]. Minestrina e a letto.
Il Nonno sta guarendo ma si sente vecchio; per quella generazione a 72 si è effettivamente vecchi. Quando avevo 20 anni ho deciso che dopo i 60 si è vecchi.
Oggi 65enne confermo quell'intuizione giovanile, sono vecchio, come il Nonno
si sentiva.
Domenica 28 gennaio
Nel tardo pomeriggio è venuto Vittorio con Marco. Mi ha fatto tanto piacere. Ha
telefonato pure Aldo.
Il Nonno s'entusiasma sempre delle occasioni di compagnia di figli e nipoti.
Lunedì 29 gennaio
A casa per incontrarmi con Vittorio che mi ha comprato un televisore Brionvega del
costo complessivo di 120.000 lire.
Ricordo il precedente televisore del Nonno, un mobile che appare una credenza
con delle ante che aperte svelano lo schermo, sotto al quale, incastonata nel mobile di legno, trova posto una radio.
Venerdì 2 febbraio
Nel pomeriggio scritto per Olga ai cugini.
Cosa che conferma il mio ricordo di una Olga tanto analfabeta quanto affettuosa, premurosa ed accogliente verso di me nipote. Oltre "via Candida", per indicare l'osteria preferita del Nonno, ricordo anche il "Boro Italico" per indicare il borotalco , occasione in cui Olga si confonde con il Foro Italico.
Sabato 3 febbraio
Alle Farine
Sveglia ore 8:15. Temperatura 7°. Cielo coperto, Notte Tranquilla.
Alle 9 è venuto Nello [l'amico che spesso lo scarrozza ad Ostia Antica].
Siamo andati alle Farine dove abbiamo trovato Attilio [una delle persone che
gli fa lavori agricoli alle Farine] che stava lavorando alla vergatura del vecchio
canneto. Buon lavoro.
A pranzo alla Pergola ad Ostia Antica.
Mi hanno regalato le talee della vite rampicante che ho piantato per sostituire quelle
dell'attuale pergola. Piantate 10 arance ed un olivo.
Storia di un Nonno
329
È venuto alle 15:00 Cecconi: in due ore ha fatto lo "stravedere" [per dire che ha
fatto un gran lavoro]. È stato veramente bravo. Non ha voluto essere pagato e
ciò mi è molto dispiaciuto. Rimedierò.
So che in serata [il Nonno nel tardo pomeriggio è rientrato a Roma] è
venuto a trovarmi Aldo che mi ha lasciati i saluti [perché il Nonno è andato
all'osteria].
A via Candia [osteria] con gli amici 1/2 rigatoni e pagliata [la versione in
italiano del romanesco pajata che il Nonno stranamente non usa mai].
Caffè e a nanna.
Il Cecconi che ha fatto lo "stravedere", è uno dei due fratelli, Ubaldo e Dino, appartenenti ad una famiglia il cui rapporto con il Nonno, non è solo lavorativo,
ma soprattutto amicale; lo s'intravede da quanto egli scrive a proposito del fatto
che questa volta "non ha voluto essere pagato".
La lunghezza del rapporto della famiglia Cecconi con il Nonno è ben testimoniata da un bastone da passeggio realizzato nel 1939, alla fine del cantiere dell'Istituto Autonomo Case Popolari della Borgata di Primavalle (1936-39), dal padre di
Ubaldo e Dino, di cui so solo che il cui nome inizia per "S", come omaggio dedicato al Nonno, sotto la cui Direzione dei lavori aveva operato negli anni precedenti. Successivamente il Nonno, una volta divenuto amico di Luigi Medori,
conosciuto nel 1944, segnala al consuocero i fratelli Cecconi, che, presumibilmente dagli anni '50, li impiega nella sua Impresa.
Ritengo che siano stati proprio i fratelli Cecconi ad indirizzare il Nonno verso le
ex saline di Ostia Antica; quando egli avvia il progetto del nuovo Podere Le Farine,
entrambi partecipano ai lavori di costruzione della villetta che vi sorge su progetto del Nonno, peraltro abitano in un terreno che affaccia sulla stessa Via
Agostino Chigi a poche centinaia di metri da quello del Nonno.
Quando il Nonno è alle Farine, con i fratelli Cecconi gioca a carte e consuma
merende ad Ostia Antica, da loro ottiene passaggi in auto, la sera è spesso a casa
di Dino per vedere la Tv assieme.
Nel 1984, in occasione dei lavori che faccio nella prima casa in cui vado a vivere
da solo avendo iniziato a lavorare già da un anno, è stato molto bello incontrare,
tra gli operai che lavoravano alla ristrutturazione dell'appartamento uno dei fratelli Cecconi, Dino. È stato così affettuoso con me che non l'avevo riconosciuto,
non vedendolo dal 1968.
Incontro non casuale, i lavori sono realizzati dalla Medori costruzioni, l'impresa
di Luigi Medori, il consuocero del Nonno, al tempo gestita dal Figlio Franco,
subentrato al padre nell'impresa familiare dopo la sua morte; Dino Cecconi ancora lavora per l'Impresa Medori in cui l'ha inserito il Nonno trent'anni prima.
Storia di un Nonno
330
Tornando al bastone da passeggio regalato nel
1939 al Nonno, è una incredibile scultura lignea, che tutt'ora conservo all'ingresso di casa,
spesso accarezzandone il pomo immediatamente prima di uscire.
Di seguito tento di descriverla.
Un serpente s'arrotola a spirale lungo il bastone, salendo verso la sommità s'insinua tra spighe di grano, tralci di vite, ortaggi ed un'inevitabile fascio littorio, che ben definisce l'epoca in
cui il bastone è realizzato ed il contesto in cui
l'autore si è conosciuto con nonno, quello dell'Istituto Autonomo Fascista Case Popolari (IAFCP).
Il serpente finisce ai piedi di una donna dai
lunghi capelli abbracciata al bastone, a mordere la base dell'asta che essa sorregge sulla cui
sommità sventola una bandiera che le sovrasta
la testa.
Sopra questa bandiera il bastone finisce con un
pomo a forma di sbrozzoluta pigna.
Alla base del bastone si leggono le iniziali
"C.S.": "C.", l'iniziale del cognome Cecconi,
"S.", l'iniziale del nome mai conosciuto.
Verso la metà del bastone una scritta incisa nel
legno s'arrotola sotto al serpente:
"D. Ingi. Glaodio Gentile 1939",
per indicare
"Dottore Ingegnere Claudio Gentili 1939".
Evidentemente S. Cecconi non sa scrivere, cosa
che non gli impedisce di divenire amico del
Nonno.
Questo attesta quanto emerso molte altre volte,
sulla capacità del Nonno di socializzare, con
piacere e facilmente, anche con persone di diversa estrazione sociale e culturale, senza arroccarsi dietro il proprio titolo di Ingegnere e la
propria funzione di Direttore dei Lavori, ma
aprendosi anche verso gli operai con cui lavorava.
Storia di un Nonno
331
Giovedì 8 febbraio
Io tappato in casa con il mio divertimento invernale: i francobolli.
Dove il divertimento estivo del Nonno è lavorare alle Farine.
Sabato 10 febbraio
Alle Farine
Sveglia ore 8:15. Temperatura 13°. Cielo velato Notte Tranquilla.
Alle 10:45 siamo partiti per le Farine in treno. Ad Ostia Antica colazione alla
Pergola con spaghetti alle vongole ed involtini. Poi a piedi alle Farine. Visita a
Cecconi ed a Dino per concordare i lavori di vangatura e potatura essendo giunto il
momento forestale.
È venuto Bruno con la Signorina Luciana [la compagna di Bruno nel 1968]
e siamo stati bene.
Bruno ci ha accompagnato fino a via Crescenzio dove con Pietrini ho fatto cena con
pagliata, coppa e gorgonzola. Ho bevuto un po troppo. Mi metterò a letto con un
semplice caffè.
Fortuna che non avevo il diario del Nonno tra le mani quando ho fatto il tema
sui nonni beoni!
Ricordo di aver incontrato Luciana in un'altra occasione, sempre all'Orto quando, arrivando con i miei genitori e mia sorella, assente il Nonno, ci accoglie con
con Bruno, entrambi vestiti con un pareo, cosa che da bambino mi sembrava
assai buffa, sopratutto in riferimento a Bruno.
Poi mi sono abituato: Bruno ha continuato ad indossare i pareo, anche dopo essersi lascito con Luciana, almeno sino alla metà degli anni '90, quando già si accompagnava da una ventina d'anni a Franca, che non ho mai visto in pareo, che
poi diventerà sua moglie.
Domenica 11 febbraio
Ho telefonato a Vittorio e mi ha assicurato che stanno tutti bene.
Poi poco prima di pranzo è venuto Aldo, con Anna e Claudio. Grande gioia e conforto da parte mia ho insistito per trattenerli a pranzo ma avevano impegni.
Un raro esempio del Nonno che proattivamente telefona e la reiterata conferma
del suo piacere per gli incontri familiari.
Giovedì 15 febbraio
Cecconi, come d'accordo ha telefonato alle 7:30 che era al Vaticano [dove lavora
per l'Impresa costruttrice di Luigi Medori], perché alle Farine non si può
lavorare [causa maltempo?].
Storia di un Nonno
332
Sabato 17 febbraio
Alle Farine
Alle ore 11:00 siamo partiti con Olga per le Farine [in treno e poi a piedi da
Ostia Antica]. Lavoretti non faticosi ai vivai. Pranzo di magnifici spaghetti e
bistecca di filetto di manzo.
Alle 15:00 è venuto Cecconi a potare gli alberi di susine.
Alle 13.20 è venuto Vittorio con la famiglia e siamo stati magnificamente con lui.
Ci ha riportato a Roma.
Attilio ha vangato il vecchio canneto ed ha piantato 145 nuove grosse canne. La
sera accompagnato da Vittorio a Via Candia [osteria].
Domenica 18 febbraio
Compleanno di Bruno
Oggi Bruno compie 40 anni!!! Abbiamo pranzato assieme e gli ho fatti gli auguri
con quell'affetto che solo un padre può manifestare.
Forse del compleanno di Bruno, diversamente da quello di Vittorio ed Aldo, il
Nonno si ricorda in funzione della sua presenza nella casa di Roma e spesso anche alle Farine.
Lunedì 19 febbraio
Al mattino spesette per casa e scritte due pagine della storia di Castro [altre due
pagine le scrive il 22 febbraio].
Massaggio al ginocchio che ancora è dolente [chissà che è successo al Nonno,
sarà caduto?].
Riemerge la mai sopita passione del Nonno per l'antica città di Castro già testimoniata alla fine degli anni '50.
Mercoledì 21 febbraio
Minaccia di pioggia ed anche di neve. Non posso andare alle Farine che, per la mia
età, costituiscono per l'inverno, un fastidio non lieve.
Anche se rinuncia ad andare alle Farine, il freddo invernale fa ammalare il
Nonno pochi giorni dopo.
Lunedì 26 febbraio
Malato
È venuto Vittorio a visitarmi: mi ha prescritto una nuova medicina [per la bronchite] e mi ha tenuto un discorso molto rozzamente circa la sua situazione economica.
Storia di un Nonno
333
Questo dovrebbe essere il periodo in cui Vittorio non lavora in conseguenza di
un tumore al cervello curato con la cobalto terapia, motivo per cui, nonostante i
figli piccoli, la moglie Teresa ha iniziato a lavorare come professoressa di lettere
alle superiori. Colpisce la scarsa empatia che il Nonno dimostra verso un figlio
in difficoltà (più che economica, di salute, Vittorio non è speranzoso di farcela).
Chissà a cosa si riferisce la rozzezza rilevata dal Nonno nel discorso del figlio?
Forse ad una pragmatica richiesta di aiuto economico? Non traspare nemmeno
preoccupazione per le condizioni di salute del figlio.
Del resto come già detto il diario è solo la somma di annotazioni fattuali su quello che accade nelle diverse giornate, non la sede per esternare pensieri più profondi.
Giovedì 29 febbraio
Malato
Nel pomeriggio alle 19:00 è venuto a trovarmi Medori [Luigi Medori, il consuocero]. Grande cordialità e bevuta di vino con pizza di Olga. Ha telefonato
Vittorio per sapere della mia salute.
Certo che anche da malato il cibo per il Nonno rimane sempre in primo piano,
come evidenzia anche la cronaca del giorno successivo.
Venerdì 1 marzo
Malato
Alle 19:00 è venuto Medori ed Aldo. Cenato con spaghetti ai funghi, porchetta e
vino ottimo. A letto dopo sambuca.
Lunedì 4 marzo
Malato
Questa bronchite cronica si va migliorando ma le forze si accasciano, come ho notato dalla lunga passeggiata di mezzogiorno.
Giovedì 7 marzo
Chiarimento a Vittorio sul mio male su questioni di famiglia.
Visita delle sorelle Liberati [non so chi siano] alle quali Olga ha consegnato la
gallina faraona.
La sera con Giggetto [Luigi Medori, il consuocero] e gli amici da Valerio
[osteria di Via Candia].
Il male del Nonno su questioni di famiglia riguarderà i discorsi del figlio Vittorio
sulle sue difficoltà economiche fattigli pochi giorni prima?
Non si può sapere; l'argomento non riemergerà più nel diario del Nonno.
Storia di un Nonno
334
Sabato 9 marzo
Alle Farine
Alle 11:30 è venuto Medori [Luigi Medori, il consuocero che diversamente dal Nonno ha sempre guidato] e con Olga siamo andati pranzo da Ferrantelli ad Ostia Lido. Magnifica magnata.
Poi alle Farine a sistemare piccole cosette. È venuto Cecconi [il padre di Dino] e
Dino con cognato.
Giovedì 14 marzo
Mi ha telefonato Parboni [non so chi sia] per la stampa di Castro.
Non si tratta certo del libro a cui il Nonno ha collaborato eseguendo disegni del
Palazzo Ducale, la cui II edizione è del 1959, forse il Nonno vuole pubblicare un
nuovo libro da solo?
Oppure si tratta della grande stampa della battaglia di Castro che egli colloca
all'ingresso della villetta alle Farine?
Venerdì 15 marzo
Medori [Luigi Medori, il consuocero] mi ha regalati i francobolli della IV
serie di Malta.
Ennesima dimostrazione, oltre alle frequenti visite di Luigi al Nonno, della
grande amicizia tra i due consuoceri.
Sabato 16 marzo
Alle Farine
Abbiamo pranzato presto per andare con Bruno all'Orto.
Alle 13:30 partiti per le Farine, c'era anche la Signorina Luciana [la compagna
di Bruno].
Ho seminato molti elci [lecci]. La vegetazione sta bene. Ho pagato Cecconi per i
lavori fatti. Magnifica mezza giornata. Tornati in treno.
Visita a Via Candia [osteria].
Lunedì 18 marzo
Notte agitata da sogni ansiosi.
Alle 15:30 è venuto Aldo a trovarmi per scusarsi perché domani, dovendo lavorare
fino alle 3:00 del pomeriggio al negozio, non potrà venire alle Farine. Telefonato a
Vittorio per accordi preventivi per domani.
La sera alla Birreria [la Peroni di Via Terenzio] con gli amici.
Storia di un Nonno
335
Martedì 19 marzo
Festa del papà
Svegli a ore 8:15. Cielo poco sereno, Temperatura 10°.
Alle 10.30 siamo tutti partiti con Vittorio per le Farine. Lavoretti, trapianti finiti
di seminare gli elci [lecci], seminati i cipressi sulla linea di laterizio. A pranzo,
offerto da Vittorio, alla Pergola, ritorno alle 16:30.
La sera con gli amici a via Candia [osteria] affollatissima e puntata da Marini
con visita alla festa di San Giuseppe al Trionfale. Ore 21:00 a nanna.
Mercoledì 20 Marzo
La sera da Valerio [osteria a Via Candia] è venuto Vittorio ed abbiamo mangiato gli spaghetti. Poi è venuto Aldo e mi ha fatto compagnia, poi mi ha accompagnato a casa.
Un prolungamento della festa del papà?
Giovedì 21 marzo
La sera da Valerio [osteria a Via Candia] con gli amici. Verso le ore 20:30 è
venuto Aldo, Claudio e Anna. hanno cenato, quindi mi hanno accompagnato a
casa.
Quest'addensamento delle visite dei figli, che lo raggiungono perfino alla sua
osteria preferita sono casuali o significano che il Nonno ha qualche problema?
Domenica 24 Marzo
Alle Farine
Verso le 10:30 siamo partiti [l'uso del plurale indica il Nonno e Olga, il
Nonno non va mai alle farine da solo, o è con qualcuno che lo trasporta, o è con Olga ed usano i mezzi pubblici], in treno per le farine, arrivando a mezzogiorno. È venuto Attilio, l'ho liquidato ed ho indicato i lavoretti da
fare. Ho ritirato le chiavi a Cecconi.
Pomeriggio è venuta la signora Adele [potrebbe essere la madre dei fratelli
Cecconi, la moglie di "S."che scolpisce il bastone per il Nonno ] ed ha
portato piantine di zucchine. Poi Dino con il fratello [i fratelli Cecconi] e la
bambina. Indi ritorno con la metropolitana. A Termini abbiamo preso il 77.
Giovedì 28 marzo
A caccia ad Ardea, poi a Nettuno
Sveglia 6:45. temperatura 12°. Cielo sereno.
A caccia con Telemaco [l'amico cacciatore]. Siamo stati ad Ardea ed abbiamo
traversato la provincia di Latina. Ho preso un babbuzzo [che sarà? Un uccello?].
Storia di un Nonno
336
Poi siamo andati a Nettuno passando prima per la casa dove fu martirizzata Santa
Maria Goretti. Poi nella chiesa di Nettuno ho pregato davanti alla santa, ho messo
due candele ed ho acquistato alcuni ricordi. Da Nettuno ad Anzio.
Da Anzio lungo il mare abbiamo raggiunto Ostia Lido. A pranzo da Ferrantelli.
Poi all'Orto abbiamo trovato Bruno tutto contento perché le anatre sono tornate a
covare i nidi.
Tornati a Roma alle 15:30. Pisolino. Poi alle 18 dagli amici di via Candia
[osteria]. A cena solita minestrina e nanna.
Una giornata bella intensa per un 72enne, contraddistinta da un ritmo frenetico,
in sole 9 ore: da Roma a Ardea, battuta di caccia, poi aNettuno, preghiera, Anzio, Ostia Lido, pranzo, Ostia Antica, convivialità alle Farine, rientro a Roma.
Ovviamente poi, come se non bastasse, merenda in osteria.
Mi colpisce la devozione del Nonno verso Maria Goretti, una povera ragazzina
uccisa durante un tentativo di stupro nel 1902, testimoniata anche in un'altra
giornata del diario in cui in una chiesa di Roma prega per la santa.
Non ricordo il Nonno come un devoto credente ed un assiduo frequentatore della messa domenicale. Forse perché ero troppo bambino, visto che dalle "carte
del Nonno" emerge perfino una reliquia.
Si tratta di un pezzetto di carne rinsecchita, g rande
quanto una mosca,
microscopica reliquia di "S. Pii X
CP", che in latino
equivale a "Sancte Pii
X Confessoris Papae",
in italiano "San Pio
Decimo Papa Confessore".
Ovvero Papa Pio X,
dal 1903 al 1914,
nato Giuseppe Melchiorre Sarto (18351914), proclamato
santo nel 1954, 40
anni dopo la morte.
La reliquia è dunque successiva a questa data, come evidenzia l'attribuzione di
santo al Papa. Significa che hanno riesumato la mummia del papa e l'hanno
smembrata in pezzettini per venderli come reliquie? Terrificante!
Storia di un Nonno
337
In aggiunta, tornando a Maria Goretti, rilevo che, tra tutti i santi su cui il Nonno potrebbe riversare la propria fede ne sceglie proprio uno di quelli che definirei più politicizzati. Infatti, dopo che la devozione per la Goretti si è immediatamente diffusa tra la popolazione contadina appartenente allo stesso mondo in
cui la ragazzina è cresciuta:
• negli anni '20-30 il regime fascista utilizza e reindirizza questa devozione popolare per la Goretti allo scopo di creare un'icona locale cara ai contadini
insediatisi nelle paludi bonificate;
• negli anni '50, dopo la caduta di fascismo e monarchia, s'appropria dell'icona
Goretti pure il partito comunista; il leader del Partito Comunista Italiano
(PCI), Palmiro Togliatti, propone la Goretti come modello di vita alle giovani
comuniste della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI), mentre
per un giovane Enrico Berlinguer il coraggio e la tenacia della Goretti sono
un esempio da imitare per le giovani militanti comuniste;
• solo negli anni '70 il femminismo appanna l'icona prima fascista e poi comunista, rifiutando l'immagine associata alla Goretti di donna, casta, votata alla
maternità e al lavoro domestico.
Sabato 30 marzo
Alle Farine
Alle 16:00 siamo partiti per le Farine [l'accompagna Nello, l'amico che
spesso lo scarrozza ad Ostia Antica]. Visita ad Ostia Lido ed Ostia Antica
per spesa. Nello è ripartito alle ore 18:00 [il Nonno rimane a dormire alle
Farine].
Mi ha rattristato la notizia della morte di Tecchi, letterato e compagno di scuola.
Si tratta dello scrittore e accademico italiano Bonaventura Tecchi, nato a Bagnoregio, l'11 febbraio1896, morto a Roma il 30 marzo1968. Lui e il Nonno
sono:
• nati e morti nello tesso anno;
• contigui territorialmente;
• entrambi volontari nella I Guerra Mondiale;
• entrambi promotori dell'Etruria, il Nonno solo a parole, Tecchi, dopo la II
Guerra Mondiale, come deputato provinciale di Viterbo, si dedica alla rinascita del patrimonio storico della Tuscia danneggiato dai bombardamenti.
Domenica 31 marzo
Alle Farine
Ho dormito placidamente alle Farine.
Alle 13:00 venuto a pranzo Vittorio e famiglia.
Storia di un Nonno
338
Verso le 16:00 arrivato il cugino di Teresa con due bambini [chi sarà? Teresa di
cugini ne ha più di 20, ma di questi quello che, con due figlie, frequentava Ostia con maggiore frequenza era Giulio Ciapparoni]. Breve sosta
e poi partiti per Roma [il cugino di Teresa con i suoi bambini].
Siamo andati ad Ostia Antica [il Nonno con il figlio Vittorio e la sua famiglia]. Alla Pergola cenetta con ravioli.
Poi Ubaldo Cecconi ci ha accompagnato a casa sua dove abbiamo visto alla Tv la
seconda puntata di Ulisse.
Con Ulisse, il Nonno si riferisce all'Odissea, quella che oggi chiameremmo una
mini serie televisiva, andata in onda sulla RAI nel 1968, in 8 puntate, precedute
da un'introduzione del poetaGiuseppe Ungaretti che leggeva alcuni versi dell'omonimo poema di Omero. Ho un ricordo bambino bellissimo di questa serie;
ricordo che vira in straziante a causa della voce di Ungaretti, ridivenendo beato
alla vita di Penelope, interpretata dalla attrice greca Irene Papas.
Martedì 2 aprile
Lungo pisolo [pomeridiano]. Ho rincontrato Aldo con Claudio ed Anna. Siamo
andati a prendere la birra da Giuliani.
Bruno ha portato un piccolo e grazioso gufo ferito, vuole trattenerlo.
Poi ho rivisto Aldo che è venuto a mangiare la pizza con la moglie e Claudio.
Il Nonno si confonde e cita per due volte l'incontro con Aldo e famiglia o li vede
due volte nello stesso giorno?
Venerdì 5 aprile
Notte un po agitata. Occorre moderarsi la sera [a bere e mangiare meno immagino].
Questa è la seconda annotazione autocosciente del Nonno sui suoi eccessi alimentari ed alcolici.
Lunedì 8 aprile
Malato alle Farine
Alle ore 10:00 circa un forte dolore dentro il retto dove fui operato alla prostata.
Cosa sarà?
A pranzo rigatoni e uovo affrittellato con carciofi. È venuto Bruno all'ora di pranzo. Siamo partiti alle 15:15 ed arrivati a casa alle ore 15:45. Poi ritirato album
Farine.
Immagino che l'album di cui parla il Nonno sia quello che ho ritrovato tra le
"carte del Nonno", che così ha una data di realizzazione certa, l'8 aprile 1968.
Storia di un Nonno
339
Martedì 9 aprile
Malato
Nottata tranquilla fatico ad orinare e persiste il doloretto all'ano.
La sera con gli amici mangiata di fave al guanciale a via Candia [osteria].
Sarà malato, forse angustiato per il riaffacciarsi di quello che ha passato, ma il
Nonno a fave e guanciale con gli amici all'osteria non rinuncia. Bravo Nonno, io
farei lo stesso convinto che da vecchi, visti sistemati i figli, bisogna vivere da sani
e morire da malati.
Mercoledì 11 aprile
Guarito
Orinato molto e più chiaro.
Domenica 14 aprile
Pasqua
Sveglia 7:45. temperatura 14°. Cielo Coperto. Nottata tranquilla.
Nella mattinata preparativi per il pranzo di Pasqua. Uscito per l'acquisto del pane
fresco.
A pranzo c'erano i miei tre figli, le loro due mogli ed i miei tre nipoti. Antipasto,
bucatini ai funghi, abbacchio brodettato, frutta, dolce, caffè. Allegria ottima per
l'ottima cucina. Tutti contenti, ed io particolarmente felice.
Alle ore 17:00 si è risolto il convito [pranzo solenne] e tutti sono tornati alle
loro case sotto la pioggia.
Pisolino. Francobolli. Minestrina a cena. Poi l'Ulisse alla TV [la già citata serie televisiva] e quindi a dormire.
Ricordo ancora l'abbacchio brodettato di Olga, preparato per ogni Pasqua: limonoso, cremoso di rosso d'uovo, delizioso. Non l'ho mai più mangiato, da quella Pasqua del 1968 ad oggi.
Mercoledì 17 aprile
72esimo Compleanno del Nonno
Sveglia ore 8:30. temperatura 10°. Cielo sereno. Bella giornata. Nottata tranquilla.
Alle 9:00 ha telefonato per gli auguri Vittorio. Bruno me li ha fatti a voce. Telemaco [l'amico cacciatore] e Doppo [non so chi sia], con Terzei [non so chi
sia] me li hanno fatti per telefono alle 10:00.
Giretto per sgranchire le gambe e spesette per casa. Pranzo: cotolette di abbacchio
dorate fritte e carciofi fritti, pera e caffè. Pisolino. Pomeriggio al taglio cellophane
per nuovo album francobolli.
Alle 16:00 ha telefonato affettuosamente Aldo.
Storia di un Nonno
340
La sera ho offerto merenda da Valerio [osteria a via Candia] agli amici. A cena
minestrina leggera. Alla Tv un film con Totò, lungo e noioso specialmente nel finale, poi a nanna.
Giovedì 18 aprile
A Civitavecchia, Viterbo, Orvieto
Alle ore 9:30 è venuto Serafini [non so chi sia], siamo andati a Civitavecchia,
poi a Viterbo via Monte Romano - Vetralla. Poi a pranzo da Alfredo a Montefiascone. Poi ad Orvieto.
Borghetti [l'affettuoso amico di sempre del Nonno, dal tempo delle Farine a Viterbo, che gli ha procurato lavori ad Orvieto] non c'era. La signora Olimpia [la moglie di Borghetti] ci ha riempiti di gentilezze.
Partenza da Orvieto per Roma (autostrada del sole) ore 16:40 arrivo a Roma ore
18:15.
La sera a via Candia [osteria], gnocchi 1/2 porzione, poi a casa alle 20:50 ed a
nanna.
Un'altra giornata convulsa, anche questa volta in sole 9 ore: da Roma a Civitavecchia, Viterbo, Montefiascone, pranzo, Orvieto, convivialità con Olimpia
Borghetti, rientro a Roma ed ancora cena in osteria.
Venerdì 19 aprile
Al mattino non sono uscito di casa perché l'ascensore guasto.
Stupisce un'affermazione del genere fatta da chi a 72 anni regge una giornata
come quella immediatamente precedente a questa. Vero che il Nonno a via Crescenzio abitava al quinto piano.
Domenica 21 aprile
Alle Farine
Sveglia ore 8:00. Temperatura 14°. Giornata splendida. Nottata Tranquilla.
Cecconi ha lavorato un'ora e mezza all'acqua ramata alle vivide ai susini.
Poi è venuto Vittorio con Teresa e i cari nipoti. Allegria maxima. Bucatini alla Rigorè, carne, carciofi, frutta, vino ottimo. Lavoretti al vivaio. Alle 17:30 Vittorio e
famiglia sono rientrati a Roma.
È poi arrivato Bruno da Anzio col suo unico, gli ho fatta ottima accoglienza. La
sera a cena pasta e fagioli.
Poi a vedere la Tv da Dino. C'era Ulisse, con fonia poco chiara (non ci entra la
mia sordità). Alle 23:30 a nanna.
Mai sentito parlare di pasta alla Rigorè! Indagando scopro che è un piatto della
tradizione di uno storico ristorante Alfredo, frequentato dal Nonno ed ancora
esistente, in piazza Augusto Imperatore, 30, a Roma.
Storia di un Nonno
341
Rigorè in "dialetto trasteverino" significa “Enrico Re”, un omaggio al regista
Henry King, assiduo ospite del ristorante, indica un sugo di pomodorini freschi,
prosciutto crudo e basilico, una sorta di variante alleggerita della pasta all' amatriciana.
Martedì 23 aprile
45 anni di matrimonio con Angela
Oggi compio 45 anni di matrimonio con la mia sempre adorata Angelina.
Solo questo appunto, tra tutte le "carte del Nonno", mi svela, oggi che l'ho riletto con attenzione, quando si è sposato con Angela.
Matrimonio di cui non esiste nemmeno una foto, probabilmente distrutte dopo
la morte di Angela, forse per cercare di contrastare il dolore della perdita.
Giovedì 25 aprile
Alle Farine
Si parte per le Farine [dove il Nonno rimane sino al 29 aprile].
È primavera, le andate alle Farine s'intensificano ed iniziano i pernotti in loco.
Martedì 30 Aprile
Telegiornale e a nanna.
Mentre mi stavo spogliando è arrivato Aldo per salutarmi, parte per Milano per
perfezionarsi [relativamente al lavoro, che immagino sia quello all'UPIM].
A luglio tornerà alla nuova destinazione ancora ignota. Ci siamo salutati affettuosamente.
Sabato 4 maggio
Alle Farine
Si parte per le Farine [dove il Nonno rimane sino al 7 maggio].
Martedì 14 maggio
Ci siamo telefonati con Vittorio. Laura è sfebbrata, Marco ancora no [all'alba del
mio decimo anno di vita sono pure malato!].
Mercoledì 15 maggio
Alle Farine
Con Bruno si parte per le Farine [dove il Nonno rimane sino al 19
maggio].
Storia di un Nonno
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Domenica 19 maggio
Alle Farine
Alle 10:00 è venuto Vittorio: pranzerà con noi con Teresa ed i bambini.
Alle 11:20 ha telefonato da Milano Aldo.
Poi ha telefonato Bruno che verrà alle 17:00. Poi Fabiano [amico e collega di
Bruno].
Pranzo lieto e squisito. Bucatini al pomodoro, bistecche al tegame, fava al guanciale, frutta, caffè, sambuca.
Sono partito per Roma, alle 18:00 a casa di Vittorio. Alle ore 20:30 ho votato V.
Borgia. Olga e Bruno sono rientrati alle 21:00. Traffico Faticosissimo.
A cena da Giulietta e Romeo: fettuccine e piselli. Alle ore 22:00 a letto.
Non sono riuscito a scoprire di che partito fosse questo V. Borgia, ma penso
che il Nonno votasse per la Democrazia Cristiana, in coerenza con l'impegno da "Partigiano Bianco" del 1943-44.
Sabato 25 maggio
Alle Farine
Con Bruno si parte per le Farine [dove il nonno rimane sino al 29 maggio].
Abbiamo spostato di un'ora le lancette dell'orologio, dalle 23 alle 24, poi a nanna.
Annotazione che ricorda come l'ora legale nel 1968 scattasse solo da fine maggio a fine settembre.
Lunedì 27 maggio
Alle Farine
Alle 9:15 ha telefonato Vittorio. Ci siamo scambiati gli auguri consueti. Alle
10:30 ha telefonato Bruno che è venuto alle ore 13:00 ripartendo quasi subito.
Quali auguri consueti?
Mi risulta che la moglie del Nonno, Angela, è morta il 22 maggio del 1944, potrebbe essere la ricorrenza di questa morte l'occasione di scambio di auguri?
Sabato 1 giugno
Alla Tv le comiche di Stanlio ed Ollio, reminiscenza dell'adolescenza!
Incredibile che Stanlio (1890-1965) ed Ollio (1892-1957) si leghino alle reminiscenze adolescenziali del Nonno, evidentemente si confonde. I due, di poco più
grandi del Nonno, esordiscono insieme nel 1919, quando egli ha già 23 anni,
anche se il duo si ufficializza solo nel 1927.
Sicuramente Stanlio ed Ollio sono parte dei miei ricordi bambini, non di quelli
del Nonno.
Storia di un Nonno
343
Lunedì 3 giugno
Lungo giro per la presentazione documenti per il riconoscimento merito reduci di
guerra 1915-18. Portato tutto alla Delegazione VIII di Prati compreso certificato
penale.
Il Nonno non demorde mai nella lotta per il riconoscimento del suo impegno
nella I Guerra Mondiale già riportato nella Storia di una Storia mai raccontata;.
Martedì 4 Giugno
Alle Farine
Alle ore 18:00 partito col treno assieme ad Olga per le Farine [dove il Nonno
rimane sino all' 11 giugno].
In chiesa ad Ostia Antica per le solite preghiere [a Santa Maria Goretti?]
Mercoledì 12 Giugno
Alle 9:00 ha telefonato Vittorio: stanno tutti bene ed i bambini stanno dando gli
esami [chi scrive sostiene quello di V elementare] e ne avranno sino al 20
prossimo.
Mercoledì 13 Giugno
Ho telefonato a Bergia [l'amico appassionato di francobolli come il Nonno] e la sua signora mi ha data la notizia che Pippo [non so chi sia] ha avuto
un attacco di angina pectoris.
La sera a Via Terenzio [birreria Peroni] con Conti e gli amici, poi da Ugo ai
Villini. Dopo una pizzetta ed un supplì di Franchi [un'altro tempio della gastronomia romana frequentato dal Nonno] ed una buona bevuta di vino.
Nel 1910 emigrano a Roma due fratelli, Benedetto e Felice Franchi, provenienti
dal territorio di Norcia, per iniziare la loro attività come “garzoni di bottega”
nella vendita di prodotti alimentari. Negli anni '20 aprono due botteghe, una
delle quali in via Cola di Rienzo, all'angolo con via Terenzio, non lontano da via
Crescenzio. Dopo la II guerra mondiale Benedetto Franchi gestisce autonomamente la bottega nel quartiere Prati.
Negli anni ’60 la gestione passa da Benedetto al figlio Pietro, in quegli anni la
bottega diviene uno dei principali punti di riferimento nel panorama dell'enogastronomia romana di qualità. Dalla fine degli anni '90 a Pietro succede il figlio
Benedetto, che porta lo stesso nome del nonno.
Il Nonno arriva a via Crescenzio nel 1935 e presto inizia a frequentare la bottega di Benedetto, divenendone amico. Quando il Nonno ci andava con il figlio
più piccolo Aldo, questi era sempre chiamato da Benedetto dietro al bancone
per raccattare deliziosi assaggini.
Storia di un Nonno
344
Comportamento che è stato riservato anche a me quando accompagnavo il
Nonno da Franchi, per questo ho certamente conosciuto Benedetto di cui però
non conservo memoria.
Vittorio, Bruno e Aldo hanno sempre continuato a frequentare la bottega dei
Franchi, impossibile: che Aldo si presentasse a casa di Vittorio senza i supplì di
Franchi; che Bruno non organizzasse cene senza le mazzancolle adagiate su un
tappeto d'insalata russa; che Vittorio non ci comprasse il roast beef, passione che
mi ha passato.
Anche io ho continuato a recarmi da Franchi rarefattamele ma ininterrottamente, da quando mi ci portava il Nonno sino al Natale 2006 per l'ultima porzione
di roast beef portata a Vittorio. La spesa che ci facevo per il Natale, con la quale
organizzavo il pranzo della vigilia per mio padre e mia madre, era gigantesca.
Ogni volta che andavo alla bottega portavo i saluti di mio padre Vittorio a Pietro, suo coetaneo; venivo immediatamente riconosciuto come nipote di quell'antico, godurioso e spendaccione cliente che era stato il Nonno.
Purtroppo, sotto la gestione della terza generazione, l'eccellenza della gastronomia di Franchi si è progressivamente perduta, come anche modificata la missione della bottega che ha iniziato ad ospitare perfino un angolo bar, rimuovendo
le griglie dedicate agli arrosti. Per questo, dopo la morte di mio padre Vittorio,
ho smesso di frequentare questo luogo d'infanzia che tanto m'ha accomunato al
Nonno ed ai suoi figli. Questo tempio della gastronomia romana ha poi definitivamente chiuso nel 2021.
Mercoledì 14 Giugno
È arrivato alle 8:00 Aldo da Milano [dove è dal 30 aprile per perfezionarsi
relativamente al lavoro, che immagino sia quello all'UPIM].
Sabato 15 Giugno
Alle Farine
Alle ore 17:00 si parte con Olga per le Farine [dove il Nonno rimane sino al
2 luglio].
Martedì 18 Giugno
Alle Farine
Alle 10:30 arrivati i bastoni per la recinzione del terreno di Bruno [mai saputo
che Bruno avesse un terreno limitrofo all'Orto; sicuramente ci si riferisce ad una porzione dell'Orto stesso].
A pranzo doveva venire Aldo, ma non si è fatto vivo.
Storia di un Nonno
345
Mercoledì 19 Giugno
Alle Farine
Ho finito di leggere la Vita di Garibaldi.
Preciso lavoro di tracciamento della staccionata [che interessa il terreno di
Bruno].
Giovedì 20 giugno
Alle Farine
Nel pomeriggio con Bruno alla recinzione.
Venerdì 21 giugno
Alle Farine
Roscioni ha finito di piantare i pali e messi su tre fili di ferro spinato [sempre
per la recinzione che interessa il terreno di Bruno].
Medori [Luigi, il consuocero del Nonno] mi ha ringraziato telefonicamente
degli auguri per S. Luigi.
Un raro esempio di iniziativa telefonica del Nonno (di sotto fotografato all'Orto
nel 1966) in occasione di un compleanno.
Domenica 23 giugno
Vittorio e famiglia a pranzo da noi. C'era anche Bruno. Squisiti bucatini al pomodoro e bocconcini alla genovese specialità culinaria di Olga.
Storia di un Nonno
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24/6/1968 - 30/6/1968, Tutte le annotazioni
Lunedì 24 giugno
Alle Farine
Sveglia ore 8. Temperatura 20°. Nottata temporalesca con pioggia e fulmini. Al
mattino cielo limpido tendente però ad annuvolarsi. Durante la giornata infatti
piogge. La sera da Dino, pari le partite a carte. Alle 23:00 a letto.
Martedì 25 giugno
Alle Farine
Sveglia ore 8:15. Temperatura 22°. Cielo sereno.
Alle 12 ultimata la recinzione al terreno di Bruno. Lavoro ben riuscito.
È venuto Aldo ed ha pranzato con noi, mangiato pasta e sogliole fritte, portate da
Bruno. Alle ore 15:30 partito per Roma con Aldo.
Alle 16:45 a casa. Sbrigate faccende. La sera a Via Candia con gli amici. Minestrina stracciatella ed alle 22:30, dopo TV a letto.
Non ho mai saputo di un altro terreno di Bruno limitrofo al Podere Le Farine., che
viene recintato nella seconda metà di giugno del 1968 come s'evince dalle numerose annotazioni su questo lavoro.
Chissà cosa intende il nonno?
Mercoledì 26 giugno
Alle Farine
Sveglia 8:15. temperatura 23°, Cielo sereno. Alle 10:30 con Nello [l'amico trasportatore] siamo andati a comprare gli infissi per la mansarda alle Farine
[quella destinata ad ospitare la famiglia di Aldo]. Poi pranzato alla Pergola (Ostia Antica) e tornati a Roma.
Alle 18:30 a casa di Bergia [l'amico appassionato di francobolli come il
Nonno]. Sta bene dopo l'attacco cardiaco, siamo usciti ed abbiamo fatto un bicchierotto. Indi da Trinca con gli amici del gruppo Carmelo [non so di cosa si
parli]. Magnate due ciambelle di pagliata. A cena minestra ed alle 22:30 a letto.
Giovedì 27 Giugno
Alle Farine
Sveglia ore 7:45. temperatura 20°. Cielo sereno. Notte Tranquilla. La mattina
spesetta e lavoretti per la sistemazione delle Farine. A pranzo gnocchi fettine di vitello. Pisolo assai lungo.
La sera con Conti e Gino a via Terenzio [birreria Peroni]. Minestrina per cena.
Tv con la Pavone [la cantante Rita Pavone] ed a Letto.
Storia di un Nonno
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Venerdì 28 Giugno
Alle Farine
Sveglia ore 8:00. Temperatura 22°.Notte molto insonne per nervosismo. Cielo sereno.
Alle 18:00 con Nello [l'amico trasportatore] all'Orto. Cenato alla Pergola, A
letto presto.
Sabato 29 Giugno
Alle Farine
Sveglia ore 8:15. Temperatura 22°. Cielo sereno. Verniciato infissi per il primo
piano [l'appartamentino destinato ad ospitare la famiglia di Aldo].
Pranzato con Aldo e Famiglia. La sera è venuto Vittorio con la famiglia. Laura è
ammalata. Cenetta leggera ed a letto.
Domenica 30 Giugno
Alle Farine
Sveglia ore 8:15. Temperatura 22°. Cielo sereno.
Buona giornata.
Cessa il diario.
Storia di un Nonno
348
1/7/1968 - 20/5/1969, Epilogo
La minuziosità delle annotazioni del Nonno, ben evidenziata dall'estratto
proposto del suo ultimo diario 1968, trova riscontro nella sua tenuta del
budget familiare.
Il Nonno è di fatto un precursore di Visicalc, il primo foglio di calcolo per personal computer per l'Apple II del 1979, poi soppiantato da Excel.
Lo dimostrano i suoi
quaderni (immagine
sopra) in cui annota
dettagliatamente le
spese (data, importo,
motivo), fornendone
dei riepiloghi per tipologia (viveri, vestiario,
tasse, spese personali,
donna di servizio,
condomini, servizi).
L'attenzione è alla
lira, del resto il Nonno
uscirà da casa sempre
con il "porta soldi
spicci", il cosiddetto
Tacco (immagine a destra).
Storia di un Nonno
349
Dopo il 30 giugno 1968, le restanti pagine del diario del Nonno sono vuote
ad esclusione dell'annotazione di dove egli si trovi: raramente a Roma,
molto spesso al Podere Le Farine:
• dal 4 al 23 luglio;
• dal 25 luglio al 9 settembre;
• il 19 ed il 24 settembre.
Dopo il 24 settembre 1968 il Nonno non annota più nulla sul diario, nemmeno
dove si trova.
Perché il Nonno cessa di scrivere il diario esattamente a metà dell'anno? Può essere che il motivo, soprattutto dopo il 24 settembre del 1968, sia legato alle condizioni di salute del Nonno? Nessuna risposta a queste domande.
Nella notte tra l'8 ed il 9 ottobre del 1968 la storia del Nonno finisce. Per quello
che ricordo, un'allarmata telefonata di Olga a mio padre Vittorio, la mattina del
9 ottobre, ancora prima che andassi a scuola, ne provoca l'immediata partenza
per Le Farine a Ostia Antica. Pensavo che il Nonno si fosse sentito male, non che
fosse morto.
Quello stesso giorno, appena uscito da scuola,
sono a pranzo a casa dell'altro nonno, Luigi Medori, con lui passo il pomeriggio: mi porta in Vaticano, dove con la sua
impresa di costruzione
sta eseguendo dei lavori.
Lì in Vaticano incontra
persone che evidentemente conoscevano il
Nonno, confabula sottovoce con costoro, che
dopo poco si girano verso
di me, che sto a poca distanza, intrigato dai ponteggi del cantiere, mi sorridono pur senza conoscermi. È in quel momento che realizzo che il
Nonno è morto. Lo so
dentro di me ma non ne
chiedo conferma a Luigi.
Storia di un Nonno
350
Quella sera Vittorio mi conferma la morte del Nonno. Dopo Carosello, rintanato nel mio letto a casa, mi addormento serrando in mano il Re bianco degli
scacchi alla francese del Nonno (immagine nella pagina precedente). Quel Re
con cui mi ha sempre fatto giocare, perché il bianco è avvantaggiato dal fare la
prima mossa. Lo serro nella mano per tenere stretto il Nonno a me. Non ho mai
più giocato con quei pezzi da Scacchi, ma li ho sempre custoditi.
Per quello che ricordo il Nonno, ormai settantaduenne, muore improvvisamente
nella notte, nel suo letto, nella villetta in mezzo alla selva del suo Podere Le Farine,
dove, come lui stesso scrive, “la passione per la terra e la tenacia dell’uomo hanno così
operato”. Vittorio quando arriva trova il Nonno morto.
Eppure il Certificato di Morte che trovo tra le "carte del Nonno", datato 9 ottobre,
ne riporta la morte a Roma. Può essere che Vittorio si sia occupato del trasferimento del cadavere a Roma, del resto è sempre Vittorio che firma il Verbale di
Ricevimento di Dichiarazione che attesta la morte del Nonno il 9 ottobre a Roma e
ne identifica come eredi i tre figli.
Dalle "carte del Nonno" emerge anche un'altra carta che potrebbe raccontare
una storia diversa.
Il 4 ottobre 1968, solo 5 giorni prima di morire, il Nonno firma una lettera inviata alla sede centrale della banca Monte dei Paschi di Siena con la quale prega
di voler trasferire i titoli depositati presso la banca in una custodia intestata al
figlio Aldo che si presenterà con questa lettera agli sportelli della banca per regolarizzare il deposito. Si tratta delle stesse obbligazioni che già il testamento, fatto
quasi un anno prima alla fine del 1967, intesta ad Aldo.
Perché quindi provvedere operativamente ad un passaggio di proprietà ancora
prima della sua morte? Come mai la lettera firmata sia da Claudio che da Aldo
rimane tra le "carte del Nonno" e non è consegnata alla banca? Domande che
ne sottendono un'altra: può essere che tra fine settembre (quando cessano anche
le annotazioni più minime sul diario) ed inizio ottobre (quando scrive alla banca)
il Nonno si senta in fin di vita?
Spero di sbagliarmi, mi auguro che il Nonno si sia semplicemente addormentato
dopo una giornata di lavoro nel suo Podere Le Farine, per non svegliarsi mai più.
Questa sì che sarebbe una morte bellissima, quella che auguro anche a me.
Per quanto riguarda i funerali, richiesti nel testamento “semplicissimi e con pochissima gente; possibilmente solo i figli con le mogli ed i nipoti”, il Nonno non sarà esaudito:
• io come gli altri nipoti, non presenzio al funerale; ricordo benissimo che il
giorno del funerale, lo passo a giocare col Lego a casa dei miei cugini Medori, gli altri nipoti di Luigi, il consuocero del Nonno;
• anche la notizia della morte del Nonno sulla stampa (annuncio nella pagina
seguente) non è data dopo la sua tumulazione come da lui richiesto ma il
giorno stesso del funerale.
Storia di un Nonno
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Storia di un Nonno
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Il 1968, l'anno in cui muore il Nonno è anche il cinquantenario della vittoria italiana nella I Guerra Mondiale, motivo per cui al fine di "esprimere la gratitudine della Nazione" a tutti i soldati italiani che avessero combattuto durante la
prima guerra mondiale, o nelle guerre precedenti, per almeno sei mesi e conseguito la croce al merito di guerra, viene istituito (con la Legge n. 263 del 18
marzo 1968) l'Ordine dei Cavalieri di Vittorio Veneto.
Benché spettante di diritto, l'onorificenza non era concessa automaticamente, in
quanto l'onere di richiederla era in capo al reduce avente diritto, che doveva
farne richiesta tramite il comune di residenza (art. 4 della Legge)
La legge istitutiva dell'onorificenza prevedeva
che chi ne fosse insignito avesse diritto a un
Diploma di Cavaliere di Vittorio Veneto, su cui figurano come maniero e chiesa d'onore rispettivamente il castello del Buonconsiglio di Trento e la cattedrale di San Giusto di Trieste.
La decorazione che si aveva diritto a indossare
era invece una croce greca piena, incisa, caricata di uno scudetto a forma di stella a cinque
punte sorretta da un nastro con i colori della
bandiera italiana e una riga azzurra.
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Evidentemente tra il marzo e l'ottobre del 1968 il Nonno ha fatto richiesta di
iscrizione all'ordine, tra le "carte del Nonno" si è ritrovato il diploma (immagine
nella pagina seguente), firmato il 20 maggio del 1969, nessuna traccia invece
delle medaglie. La mia memoria bambina ricorda dissapori tra i tre figli del
Nonno che non si misero d'accordo per il ritiro di una medaglia del Nonno
dopo che era morto, forse era questa.
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