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Giggi Zanazzo, Il teatro

2013, Giggi Zanazzo, Il teatro

Giggi Zanazzo (Roma 1860-1911) è lo scrittore italiano che ha meglio rappresentato, in dialetto romanesco, le trasformazioni di Roma da città papalina a città capitale della nazione. Lo studio competente e appassionato riservato dall'autore alla sua città si è espresso nelle forme più diverse: nella poesia, nelle canzoni, nella linguistica, nelle tradizioni popolari e nel folklore, nel giornalismo, nel teatro. Tale testimonianza è oggi ulteriormente documentata con la pubblicazione dl suo teatro inedito.

STUDI DI ITALIANISTICA Direttore: Claudio Giovanardi – 10 – Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 1 28/11/13 12.43 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 2 28/11/13 12.43 GIGGI ZANAZZO IL TEATRO a cura di Laura Biancini e Paola Paesano Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli LOFFREDO EDITORE UNIVERSITY PRESS Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 3 28/11/13 12.43 STUDI DI ITALIANISTICA Direttore Responsabile: Claudio Giovanardi Comitato scientifico: Pietro Trifone, Gabriella Alfieri, Simona Costa, Pietro Frassica Volume pubblicato con il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ISBN 978-88-7564-631-8 Finito di stampare nel mese di settembre 2013 © LOFFREDO EDITORE Srl Via Kerbaker 19 80126 Napoli http://www.loffredo.it E-mail: [email protected] Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 4 28/11/13 12.43 1. introduzione 5 Presentazione - Talvolta le date sono esplicite: 1860, la romantica generosa spedizione dei Mille, la vigilia dell’Unità d’Italia, l’attesa d’una rinascita popolare e del riscatto dei Fratelli d’Italia; 1911: il cinquantenario dell’Unità, l’inaugurazione del Monumento a Vittorio Emanuele, la guerra di Libia, il tentativo di trasformare l’Italia in una grande potenza colonialista, la vigilia delle tragedie della guerra prima, del fascismo poi. 51 anni. Proprio i 51 anni in cui si svolse la breve e intensa vita di Luigi Antonio Gioacchino Zanazzo, il quale volle però passare alla storia soltanto col suo nome romanesco: Giggi. Giggi era nato il 31 gennaio 1860 a «ora ventuna» secondo il computo di allora (cioè alle 15), al terzo piano di una casa a via dei Delfini 5, di fianco a Santa Caterina dei Funari. Dove oggi una lapide riporta i suoi versi: «Da la loggetta / di casa mia m’affaccio / e guardo in giù / vedo la strada / vedo la piazzetta». E a Roma Giggi muore il 13 dicembre 1913, e i suoi funerali divennero un’imponente manifestazione di cordoglio e di dolore popolare. 1860-1911: Roma in quegli anni da «capitale del mondo scende a diventare capitaluccia d’Italia», per dirla con una delle micidiali note azzurre (2319) di Carlo Dossi. «Capitaluccia» o no (e non so quanto si possa sottoscrivere il perfido giudizio di Dossi), certo Roma in quel cinquantennio si trasforma in maniera radicale da ogni punto di vista: urbanistico, demografico (da 200.000 a 520.000 abitanti), culturale, linguistico. Una trasformazione che viene vissuta da alcuni come liberazione e avvicinamento a una dimensione moderna, da altri come vera e propria disfatta. Una trasformazione che oggi possiamo valutare da una parte come l’ovviamente inevitabile risultato di trasformazioni epocali enormi, dall’altra parte come il risultato non sempre omogeneo del sovrapporsi di tendenze e di proposte, sospese fra rimpianto e modernità: a Roma insomma convivono il futurismo e il Sillabo, la piemontese famiglia reale e il siciliano Pirandello. Zanazzo diventa di quegli anni, e di quelle trasformazioni antropolo- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 5 28/11/13 12.43 6 introduzione giche, un protagonista assoluto. Educato all’amore della vita popolare, egli si impose il dovere di lasciare davvero il «monumento» (per usare la parola centrale dell’operazione straordinaria che il suo modello unico, Giuseppe Gioachino Belli, gli aveva dato) di quella Roma che si stava trasformando, e si impegnò in un’operazione complessiva utilizzando tutti i registri letterari e tutte le forme di scrittura: poesia lirica, poesia epico/narrativa, prosa, teatro. In tutte queste operazioni Zanazzo mostrò un grandissimo rigore, non solo documentario, sì che a lui dobbiamo la testimonianza fondamentale degli usi e dei costumi, delle storie e delle leggende, delle favole e della lingua, della Roma preunitaria (come documentano i suoi Novelle favole e leggende romanesche, 1907, e Usi costumi e pregiudizi del popolo di Roma, 1908), testi che nascono anche dalla collaborazione e dalla frequentazione con il grande filologo Francesco Sabatini, e al tempo stesso di eccellenza di scrittura, tanto da diventare il punto di riferimento nazionale per tutte le questioni relative a Roma, come dimostra il fatto che a lui si rivolse Puccini per i versi del pastorello che aprono il terzo atto di Tosca. Cosa succede in quegli anni nella cultura italiana? Sono gli anni che traghettano la cultura e la letteratura italiane verso la modernità. Sono gli anni di Carducci e di Verga, di Pascoli e di D’Annunzio, di Fogazzaro e di Pirandello, tutti autori peraltro che oltretutto hanno in qualche modo a che fare con Roma. Bisogna fare i conti con l’eccezionale novità che appunto, finalmente, l’Italia da patria poetica diventi anche patria civile. E diventi finalmente ‘una’, anche dal punto di vista linguistico. Ma c’è un rischio in questo processo: quello di perdere, e definitivamente, i tratti delle identità locali. E allora tutto si svolge in questa dinamica formidabile: da una parte il giovane Stato italiano deve trovare/imporre dall’alto una soluzione linguistica che unifichi i cittadini; dall’altra le singole aree regionali o locali hanno come la spinta a conoscersi e farsi conoscere, denunciando lo stato reale in cui versavano e cercando di testimoniare e mantenere una propria identità culturale che, talvolta oscuramente, si intuiva, o proprio si sentiva, minacciata dai processi di unificazione. In sostanza l’Unità segna l’inizio di una crisi e di declino per i dialetti che si protraggono sostanzialmente per tutto il Novecento: d’altra parte il dinamismo della nuova Italia spinge decisamente per l’unificazione linguistica di fronte a cui i dialetti cominciano a diventare vernacoli, parlate locali, strumenti per riconoscersi, che vengono utilizzate in abbondanza in giornali, nel teatro di varietà, nella letteratura umoristica. Lo statuto dei dialetti tende a ritornare nel chiuso ghetto di una lingua strutturalmente Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 6 28/11/13 12.43 1. introduzione 7 minore. Al tempo stesso, come è ovvio, tra lingua e dialetto ormai normalizzato si instaura un doppio processo di contaminazioni: così l’italiano tende a regionalizzarsi, mentre i dialetti tendono a italianizzarsi. Tanto più dunque il poeta dialettale sente il bisogno di conservare l’identità, aumentando con ciò il proprio isolamento. Le prime manifestazioni di questo articolato processo si avvertono nel periodo immediatamente successivo al raggiungimento dell’unità del paese, nel quale peraltro la contemporanea prevalenza delle soluzioni veriste forniva un ulteriore elemento di riflessione, di stimolo e sollecitazione: bisognava infatti fare i conti con la lingua parlata (cioè con il dialetto) anche se poi gli scrittori giungono a soluzioni diverse, come è per Nievo, Capuana, Verga, De Marchi, Dossi, Faldella, Imbriani. Si ricordi poi che nella seconda metà dell’Ottocento nasce lo studio scientifico dei dialetti e delle relative tradizioni letterarie, si fonda la scienza del folclore (Costantino Nigra a Torino, Giuseppe Pitrè in Sicilia, e appunto Giggi Zanazzo a Roma), si predispongono raccolte, si elaborano vocabolari. Insomma, due sono le tendenze prevalenti della scrittura in dialetto: da una parte, coerentemente a quello che sta succedendo alla contemporanea poesia in lingua (dove si verifica il fenomeno di un complessivo ‘abbassamento’ sia dei toni, sia della lingua, sia degli argomenti: è la linea che va dal secondo romanticismo a Pascoli, ai crepuscolari), la letteratura in dialetto sceglie un tono minore, idillico, bozzettistico, macchiettistico (con qualche perdonabilissima battuta magari anche un po’ greve, ma di quella grevezza che ha perso la violenza corporea e dissacrante di Porta e Belli); dall’altra l’opzione veristica e l’esigenza che l’Italia in qualche modo si conoscesse (o proprio si presentasse a se stessa) conducono a una produzione attenta a ritrarre il popolo e a riprodurre, e talvolta a celebrare, le parlate locali. Sono le scritture (diverse s’intende fra loro per toni, scelte di contenuti, soluzioni formali) del pisano Renato Fucini (1843-1921), del bolognese Olindo Guerrini (1845-1916), dei calabresi Antonio Martino (1818-1884) e Mastru Brunu (1837-1912), dei milanesi Giovanni Rajberti (1805-1861) ed Emilio De Marchi (1851-1901), degli abruzzesi Luigi Anelli (1860-1944) e Gaetano Murolo (1858-1903), dei siciliani Nino Martoglio (1870-1921) e Alessio Di Giovanni (1872-1946); sono gli anni dell’esplosione della scrittura in napoletano, con le formidabili personalità di Salvatore Di Giacomo (1860-1934), Ferdinando Russo (1866-1927), Giovanni Capurro (18591920), e dei successivi Raffaele Viviani (1888-1950), Rocco Galdieri (18771923), Ernesto Murolo (1876-1939) e Libero Bovio (1883-1942). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 7 28/11/13 12.43 8 introduzione Anche a Roma c’è una nuova letteratura in dialetto, che nasce all’insegna dell’ingombrante eredità di Belli con una serie di imitatori (Luigi Ferretti, Filippo Chiappini) e si identifica nei tre grandi coetanei, Crescenzo Del Monte (1868-1935), Cesare Pascarella (1858-1940), e appunto Giggi Zanazzo. Ma le strade seguite dai tre poeti sono molto diverse: Del Monte segue con assoluto scrupolo il magistero del sonetto belliano, testimoniando con la sua scrittura il dialetto giudaico-romanesco, altrimenti destinato a un oblio pressoché totale; anche Pascarella rimane costantemente fedele al sonetto, ma con un dialetto sempre meno plebeo e popolare, mettendo sulla scena un improbabile romano risorgimentale e patriottico, che canta l’epopea garibaldina di Villa Glori (1886), per poi aprirsi alle rappresentazioni d’ambiente di impianto verista, attraversa la soluzione epico-comica de La scoperta dell’America (1890), che è il suo capolavoro anche per il suo spassoso anacronismo, e infine per impegnarsi nella riscrittura della storia di Roma in Storia nostra, un poemetto improntato a ideali nazionali e carducciani; Giggi Zanazzo invece, si fa consapevole e scrupoloso testimone di una città in trasformazione, e si impegna a scrivere la storia popolare di Roma in tutte le sue manifestazioni e utilizzando tutti i linguaggi. Al tempo stesso poi Zanazzo si fa promotore di alcune operazioni di promozione culturale, come la fondazione del settimanale in dialetto ‘romanesco’ il «Rugantino», il cui primo numero uscì il 18 settembre 1887, e che pubblicò le prime poesie di un giovanotto alto alto che si chiamava Carlo Alberto Salustri, ma si firmava «Trilussa». In questa attività complessiva, un posto preminente occupa il teatro. Che era il genere popolare per eccellenza, come ci dimostrano anzitutto i sonetti di Belli, e come testimonia di per sé il grande numero di teatri che in quegli anni operavano: Apollo, Argentina, Quirino (fondato nel 1871), Costanzi (fondato nel 1880), Politeama, Valle, Capranica, Metastasio, Correa, Acquario, Goldoni, Rossini, e poi Adriano, Manzoni, Eliseo. Teatri nei quali ovviamente si esibivano i mostri sacri dello spettacolo italiano, da Zacconi alle sorelle Gramatica, da Ruggeri a Duse, da Pirandello a D’Annunzio. Di fronte a questo quadro così imponente, il teatro in dialetto deve tenere il passo, e cerca di adottare le soluzioni formali e drammaturgiche, senza però tradire la sua vocazione popolare. Quella vocazione che affonda le sue radici molto lontano: o bastino, solo per il secolo alla fine del quale opera Zanazzo, l’Ottocento, i nomi di Giovanni Giraud, Alessandro Barbosi, Luigi Randanini, dei mattatori Filippo Tacconi, Pippo Tamburi, Gastone Monaldi, solo per citare quelli allora famosi. E guida indispen- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 8 28/11/13 12.43 , 1. introduzione 9 sabile per chiunque voglia avvicinarsi a quell’autentico mare-maggna di presenze e di testi rimane il fondamentale lavoro di Anton Giulio Bragaglia. Storia del Teatro Popolare Romano. In questo percorso, che condurrà al genio di Ettore Petrolini, un posto di assoluto rilievo lo occupa la produzione teatrale di Zanazzo. Un teatro tanto popolare e fortunato durante la vita dell’autore quanto, inspiegabilmente, poi caduto nell’oblio. E invece adesso, e davvero possiamo dire finalmente, il teatro di Zanazzo, tutto il suo teatro (operette, commedie, monologhi, atti unici), torna alla luce con questa edizione curata con formidabile attenzione da Laura Biancini e Paola Paesano. E ce ne sono di scoperte. La scrittura, anzitutto, sempre attenta e mai sciatta, sempre aperta alla sua natura di testo, appunto, da recitare, e perciò da adattarsi drammaturgicamente alle situazioni in atto; la ricchezza delle situazioni rappresentate e l’articolazione (stavo per scrivere la ‘completezza’) dei tipi umani rappresentati e disegnati: monnezzari e pizzardoni, serve e cantanti, socialisti bestemmiatori ed elettori infruventi, Cammillo e Crementina che se le danno di santa ragione per poi abbracciarsi innamorati come sempre, pizzicagnoli e ragazzi che fanno sega, osti e donne che vanno di prescia ma perdono tempo in chiacchiere, ciabattini e senatori, Cencio Sferra, Rosa, Tuta, Meo, Picchiabbò, e anonimi Maganzesi, Giggi il paino e «voci da dentro»…; la facilità e la felicità delle trovate; l’indubbia comicità di tanti momenti; la severità del tutto inaspettata di altri momenti; l’articolazione della scrittura e della struttura del testo, in prosa e in poesia; la capacità di rapportarsi, con tutta l’umiltà del caso, perfino al gigante per eccellenza del teatro di ogni tempo, e cioè Shakespeare. Insomma, questo libro, che è il risultato di un lungo e attento impegno di lettura e di riscontro che Biancini e Paesano hanno svolto sui testi a stampa e sugli autografi di Zanazzo conservati nella Biblioteca Angelica di Roma, costituisce il punto finale d’un lavoro di grande scrupolo, e al tempo stesso apre la strada sia agli studi finalmente possibili sui testi, sia alla possibilità di una loro messa in scena che, siamo convinti, reggerà ancora tranquillamente nei confronti del pubblico di oggi. Risparmiatece - la vostra collera / Nun ce fischiate - per carità. MARCELLO TEODONIO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 9 28/11/13 12.43 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 10 28/11/13 12.43 1. introduzione 11 Claudio Giovanardi Che ne è del romanesco di Giggi Zanazzo? Nel leggere queste gustose commedie di Zanazzo, che la sollecitudine fruttuosa di Laura Biancini e Paola Paesano ha restituito da un lungo silenzio (mi riferisco ovviamente ai testi sinora inediti), la prima impressione è che quel romanesco sia ormai irrimediabilmente datato. A poco più di un secolo, dunque, la fisionomia del dialetto di Roma sembra aver assunto connotati nuovi che, se non sono tali da renderlo irriconoscibile, testimoniano comunque di un profondo maquillage, dovuto sia alla perdita di numerosi tratti che erano transitati sostanzialmente immuni dal romanesco belliano sino ai primi decenni del Novecento, sia all’acquisto di tratti innovativi (invero nettamente minoritari) sviluppati negli ultimi decenni. Pietro Trifone, nella sua storia linguistica di Roma 1, a proposito del cosiddetto romanesco ‘di terza fase’, cioè contemporaneo, osserva, ricorrendo a una metafora enologica, che è difficile stabilire se si tratti di un vino rosso, bianco o rosato, cioè se sia maggiormente caratterizzato dall’insorgere di nuovi elementi dialettali, oppure dalla progressiva italianizzazione, o ancora da entrambi i fenomeni. Personalmente inclino per il rosato, con l’avvertenza che l’italianizzazione non è avvenuta in modo uniforme (la fonologia presenta ad esempio forti sacche di resistenza dialettale che arrivano a lambire anche la pronuncia dei romani colti); ciò ha imposto una riconsiderazione del continuum lingua-dialetto a Roma ai giorni nostri2. Merita piuttosto un supplemento di riflessione l’etichetta di ‘romanesco postunitario’, ovvero il quarto e ultimo tempo della partizione cronologica proposta da Trifone3 e recentemente accettata e rilanciata anche da D’Achille4. La domanda che mi è venuto di pormi, leggendo ora i testi di Zanazzo e qualche anno fa quelli di Petrolini, che ho pubblicato con Ilde 1 P. Trifone, Storia linguistica di Roma, Roma, Carocci, 2008. p. 111. Mi sia permesso di rinviare a P. D’Achille - C. Giovanardi, Dal Belli ar Cipolla. Conservazione e innovazione nel romanesco contemporaneo, Roma, Carocci, 2001. 3 P. Trifone, op. cit. 4 P. D’Achille, Questioni aperte nella storia del romanesco: una rilettura dei dati docu2 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 11 28/11/13 12.43 12 introduzione Consales5, è la seguente: siamo davvero sicuri che l’unità d’Italia e la proclamazione di Roma capitale siano stati gli elementi scatenanti dell’evoluzione del romanesco verso la fase attuale? Certo, in una prospettiva storica è evidente che le grandi trasformazioni sociali e politiche subìte da Roma, prima fra tutte l’esplosione demografica (nel 1871 Roma aveva poco più di 200.000 abitanti, che solo sessant’anni dopo, nel 1931, erano diventati quasi un milione), hanno rappresentato il lievito della modificazione linguistica; tuttavia la sensazione è che la ‘sbellizzazione’ (se mi si passa l’ardito neologismo che ricalca il ben noto vocabolo smeridionalizzazione, usato dagli studiosi per sancire il passaggio del romanesco dalla fase medievale a quella rinascimentale toscanizzata) del romanesco vada spostata piuttosto in avanti, all’ultimo dopoguerra. Con ciò intendo dire che autori come Zanazzo e Petrolini, quando scrivono commedie, dando voce al popolo di Roma, offrono un dialetto che è sostanzialmente sovrapponibile a quello belliano; se diamo per acquisito che la lingua teatrale costituisce un testimone in buona parte affidabile dei veri usi linguistici di una determinata comunità in un determinato tempo, dobbiamo concludere che a fine Ottocento e ancora nei primi decenni del Novecento a Roma si parlava ancora come ai tempi del sor Gioachino e della sora Cencia. Dovendo indicare, anche se un po’ alla buona, i principali fattori che, in pieno Novecento, hanno contribuito alla compiuta sbellizzazione del romanesco, mi limiterei almeno a tre. Innanzi tutto l’avvento del Fascismo, con la conseguente politica antidialettale e la promozione ossessiva del mito di Roma imperiale, cui mal si confaceva un dialetto nato e cresciuto nei vicoli provincialissimi della capitale papalina. In secondo luogo la progressiva assunzione da parte di Roma, dopo la fine della seconda guerra mondiale, di un assetto cosmopolita, con un continuo viavai non solo di italiani provenienti da altre regioni, ma di uomini e donne di tutte le parti del mondo, condito da inevitabili spinte al conguaglio e alla perdita di marcatezza dialettale. Infine, il ruolo importantissimo svolto prima dal cinema e poi dalla televisione, i nuovi mezzi di comunicazione nati con una vocazione nazionale, vere e proprie levatrici di un romanesco (o di un italiano regionale romano) ormai depurato della patina arcaizzante, e largamente fruibile, vista l’indubbia contiguità con l’italiano, per gli spettatori dell’intera penisola. I veri protagonisti della svolta sono stati mentari in M. Loporcaro - V. Faraoni - P. A. Di Pretoro (a cura di), Vicende storiche della lingua di Roma, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012, pp. 3-27. 5 C. Giovanardi - I. Consales (a cura di), Petrolini inedito. Commedie, macchiette e stornelli mai pubblicati, Roma, Gremese, 2010. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 12 28/11/13 12.43 o 1. introduzione 13 registi come De Sica, Rossellini, Germi, e attori come Aldo Fabrizi, Anna Magnani, Renato Rascel, Alberto Sordi, Paolo Panelli, Nino Manfredi, Vittorio Gassman e altri ancora, nell’àmbito del neorealismo prima, e della commedia all’italiana poi, passando anche per la consacrazione televisiva (si pensi a un personaggio ‘mitico’ della paleotelevisione come il romanissimo Mario Riva). Prende forma, tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, quel ‘romanesco standard’ di cui ha parlato Claudio Costa6 a proposito di alcuni poeti come Fabrizi, Ferrara, Roberti e Rossetti; un romanesco sempre più italianizzato nel lessico, ma con alcune sopravvivenze fonomorfologiche che affondano le radici nei secoli. Si pensi, solo per fare qualche esempio, ai seguenti fenomeni già attivi nel romanesco rinascimentale: il monottongamento di uò in ò (il tipo bòno); lo scadimento della laterale palatale a jod (il tipo fijo, attestato almeno dal Seicento); l’assimilazione del nesso nd > nn (il tipo quanno); l’apocope dell’infinito (i tipi annà, partì, esse). A ben vedere, dunque, il romanesco novecentesco, quello che parliamo o che sentiamo parlare ancora oggi, ha mantenuto solidi collegamenti con la sua storia e, al tempo stesso, ha sviluppato anche tratti innovativi, talvolta accentuando la distanza dall’italiano7. Tra questi ultimi possiamo segnalare il progressivo ampliamento delle condizioni in cui avviene il dileguo di l negli articoli, nelle preposizioni articolate e nei dimostrativi (la cosiddetta ‘lex Porena’)8; il dileguo di v in posizione intervocalica (il tipo brao per bravo); l’assimilazione st > ss (il tipo quesso per questo); la realizzazione con e chiusa del dittongo jè sovente pronunciato jé anche nell’italiano regionale romano9. Nella dialettica tra conservazione e innovazione, spesso meno chiara e lineare di quanto si potrebbe pensare a tutta prima 10, appare evidente che 6 C. Costa, Il romanesco d’autore: Fabrizi, Ferrara, Roberti, Rossetti, in F. Onorati M. Teodonio (a cura di) La letteratura romanesca del secondo Novecento. Roma, Bulzoni, 2001, pp. 207-263. 7 P. D’Achille - C. Giovanardi, op. cit. 8 Sulla lex Porena rinvio a Trifone, op. cit., pp. 100-102. 9 Per questo tratto specifico rinvio al bel saggio di G. Biasci, Appunti sulla realizzazione del dittongo tonico ie nell’ italiano di Roma, in «La lingua italiana» (2012), VIII, pp. 171-187, il quale addebita il passaggio da jè a jé in buona sostanza proprio alla massiccia immigrazione cha ha interessato la città di Roma nel secondo dopoguerra e alla abitudini linguistiche degli immigrati che avrebbero, ad un certo punto, soverchiato quelle dei parlanti autoctoni. Uscirebbe dunque confermata, anche per questo fenomeno fonetico, l’ipotesi qui sostenuta che il momento cruciale del passaggio dal romanesco belliano a quello moderno vada spostato decisamente avanti nel tempo. 10 P. D’Achille, op. cit. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 13 28/11/13 12.43 14 introduzione i tratti eliminati nel corso del Novecento per favorire la nascita di un romanesco standard sono proprio quelli che più vistosamente caratterizzano il romanesco ottocentesco d’impronta belliana e che si continuano invece, abbastanza fedelmente, tanto in Zanazzo quanto in Petrolini. Ecco dunque che parlare di sbellizzazione del romanesco come fenomeno relativamente recente appare meno provocatorio di quanto si potesse supporre. Vale insomma per il romanesco, almeno a grandi linee, il medesimo percorso compiuto dall’italiano per diventare, da lingua scritta della tradizione letteraria, patrimonio comune degli italiani anche nella lingua parlata: il processo si avvia certamente dopo l’unità d’Italia, ma trova la sua consacrazione solo a partire dagli anni cinquanta, in seguito alle profonde trasformazioni della società italiana11. Tornando a Zanazzo e alla felice occasione della pubblicazione del suo teatro edito e inedito, credo che possa essere di qualche interesse misurare la distanza del suo romanesco da quello di oggi, per capire quali siano state le principali linee evolutive del dialetto. A tal fine, anziché proporre una puntuale descrizione della lingua delle commedie (indagine che può essere rimandata ad un’altra occasione), preferisco annotare e discutere brevemente, limitandomi alle opere sin qui inedite, quei fenomeni che risultano ormai opachi, se non proprio sconosciuti, ai romani di oggi. Con quest’ultima definizione alludo a parlanti maturi, non compromessi col neoromanesco giovanile12, senza sottolineare le distanze sociolinguistiche, dal momento che di là dal livello di competenza del dialetto di ciascuno e da singole idiosincrasie idiolettali, vi è un comune percezione di ciò che nel dialetto c’è ancora e di ciò che non c’è più. Quanto alla rappresentatività che la lingua della commedia e della letteratura in genere ha rispetto al dialetto, è ben noto che nessun genere letterario sfugge a qualche forma di stilizzazione del parlato; tuttavia la scrupolosa attenzione dello Zanazzo antropologo e folclorista per le usanze culturali e linguistiche del popolo romano mi sembra la miglior garanzia di un alto grado di attendibilità del parlato dei suoi personaggi, in particolare di quelli di estrazione popolare. Ci si può fidare di lui, così come è giusto fidarsi di Belli 13. Sep11 T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza (II ed.),1970 e ora T. De Mauro, Italiano oggi e domani, in C. Marazzini (a cura di), Italia dei territori e Italia del futuro. Varietà e mutamento nello spazio linguistico italiano, Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 29-56. 12 P. D’Achille – C. Giovanardi, op. cit. 13 L. Serianni, Per un profilo fonologico del romanesco belliano, in «Studi linguistici italiani», (1985), 11, pp. 50-89; poi in Saggi di storia linguistica italiana, Napoli, Morano, 1989, pp. 297-343. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 14 28/11/13 12.43 - - - - , a - - 1. introduzione 15 pure il dialetto dei personaggi di Zanazzo può presentare un’accentuazione quantitativa dei tratti che lo caratterizzano, dobbiamo pur riconoscere che i tratti erano proprio quelli e dovevano risultare del tutto trasparenti per il pubblico del tempo. Eviterò, per non appesantire troppo queste note introduttive, di indicare la localizzazione nelle varie commedie delle forme che citerò. Do in nota l’elenco delle commedie e dei bozzetti su cui mi sono fondato 14. Partiamo dalla fonetica. Un tratto costante in Zanazzo, oggi di fatto scomparso, se si fa eccezione per qualche forma residuale come la negazione nun, è il passaggio da o a u atona in posizione pretonica: accusì, bullente, cucchieri, curente, cusì, divuzione, Funtan de Trevi, funtanelle, furtuna, futtuto, giuveddì, giuvinotto, pulitica, scucciante, stuppino, suggizione, suverchià. Lo stesso vale per la chiusura in i della e pretonica: apprinsione, impidiranno, pittinata, priciso, prisidente, quarchiduno, ribbijone, siconno, sintimento, sipportura. In accordo con le fasi più antiche del romanesco, troviamo alcune forme con assenza di anafonesi: fongo, longa, onti, stregnere e fuor d’accento ognatura ‘unzione’. Compaiono forme iperdittongate come nuostra, puoco, suono, suonora, ma si tratta per lo più di forme ipercorrette messe in bocca a una popolana che si sforza di parlare ‘ciovile’. Per il consonantismo si noti la presenza di v- nelle forme di ‘guardare’: vardà, varda, vardate, vardateme. Scarse tracce della ‘lex Porena’, che non va mai oltre l’indebolimento della laterale e non arriva mai al dileguo: quela tavola, quele crature. Tra i fenomeni generali, notiamo una fitta presenza della -v- epentetica: appravusi, cavusa, ciovè, infruvente, Pavolo, pavonazzo, pavura, presuntuvoso (prosuntuvoso, prusuntuvoso), statuva. Prevalgono le forme del futuro e del condizionale prive di sincope: accaderà, anderete, averemo, saperemo, poteranno, vederai, averebbe, poterebbe, vederebbe. Forme con la tradizionale epitesi di -ne: a cchine?, a mmene, debbuttane, chi ène?. Tra fonetica e morfologia si collocano le forme verbali di ‘tenere’ e ‘venire’ con dittongo sia in posizione tonica (tienga, tiengo, vienga, viengo, 14 Queste le commedie: Giulio Cesere, La serva socialista, ’Na dichiarazione d’amore pe’ la Regola, La famiglia de la cantante, Essere o nun essere?, Elettori infruventi, Er pizzardone avvilito, Fanatica pe’ legge li romanzi, Doppo el 20 settembre, L’amore in Trestevere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 15 28/11/13 12.43 16 introduzione viengheno, vienghi, ariviengo) sia in posizione atona (tienemo, tieremo, vienicce, vienissivo, vienuto, vieranno, vierrà). Intreressante appare la conservazione di alcune forme pronominali tipicamente belliane: miodine, nostrodine. Per quanto riguarda la formazione delle parole, è particolarmente produttiva l’anteposizione di a-: abbasta, abbussate, accàpita, accusì, aggarba, amanca, amancare, ammacchiata, arippresentanti, ariuscito, assoddisfatte, avantamme. A questi fenomeni, ormai sostanzialmente spariti dall’orizzonte del romanesco contemporaneo, o comunque molto ridimensionati, se ne dovrebbero aggiungere diversi altri che, seppure ancora presenti, sono tuttavia in forte regresso nel dialetto attuale. Ne cito solo due: l’assimilazione -nd- > -nn- che oggi vive di fatto solo nelle forme di ‘andare’ e ‘mandare’ e nell’avverbio quanno, e che invece in Zanazzo è sistematica (per non dire dell’assimilazione -mb- > -mm- come in gamme e tommola, oggi impossibile); il passaggio di -o- a -e- nelle forme verbali proparossitone con pronome enclitico (annamesene, fermamese, incollamese, servimese), che se non proprio uscite dall’uso, sono tuttavia a dir poco residuali. Il settore della morfologia verbale appare assai lontano dal romanesco d’oggi, che ha subìto un indubbio percorso di progressiva italianizzazione15. Basti la breve esemplificazione che segue, per far intendere come Zanazzo offra un modello ancora pienamente omogeneo al romanesco belliano. Ci si limita a indicare le forme che non hanno più corrispondenza nel dialetto contemporaneo. Indicativo imperfetto I persona plurale: arimettemio, aspettamio, dicevamio, erimio, facemio, ruzzamio, sapemio, speramio, volevamio. Indicativo imperfetto II persona plurale: allumavio, arzavio, avevio, facevio, pagavio, venivio, volevio. Indicativo passato remoto II persona singolare: dassi, magnassi. Indicativo passato remoto III persona singolare: agnede ‘andò’, morse ‘morì’, vorse ‘volle’. Indicativo passato remoto I persona plurale: annassimo, incominciassimo, offrissimo, piantassimo. Indicativo passato remoto II persona plurale: allisciassivo, arzassivo, avessivo, battessivo, facessivo, incominciassivo, ordinassimo. 15 P. D’Achille - C. Giovanardi, op. cit.; E. Picchiorri, «Un popolante al Santo Padre»: una lettera in romanesco del 1846, in M. Loporcaro et alii, op. cit., pp. 177-193. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 16 28/11/13 12.43 , e o - - , - , - 1. introduzione 17 Indicativo passato remoto III persona plurale: cacciorno, s’ingropponno, offrinno, strillonno. Congiuntivo imperfetto III persona singolare: avessi, passassi, pijassi, stassi. Congiuntivo imperfetto I persona plurale: fussimo. Congiuntivo imperfetto II persona plurale: avessivo, fussivo, sapessivo, vienissivo. Congiuntivo imperfetto III persona plurale: avanzassino, avessino, cadessino, fussino (e fosseno), inchiodassino. Condizionale I persona singolare16: averebbe, caccerebbe, direbbe, fermerebbe, imposterebbe, metterebbe, sarebbe, troverebbe, vederebbe, vorebbe. Condizionale II persona singolare: averessi, desidereressi, doveressi, faressi, parleressi, poteressi, staressi. Condizionale I persona plurale: averessimo, diressimo, domanneressimo, poteressimo, saressimo, scusaressimo. Condizionale II persona plurale: averessivo, cureressivo, daressivo, faressivo, preferissivo, trasmetteressivo, voressivo. Condizionale III persona plurale: abbasterebbeno, averebbeno, farebbeno, pagherebbeno, porterebbeno, potrebbeno. Nel campo della morfologia nominale spiccano i plurali femminili in -e: bone azione, povere madre, da ’ste parte, tante osservazione, le raggione, quale anime?. Se la morfologia presenta vistose alterazioni rispetto al quadro attuale, anche l’assetto del lessico e della fraseologia appare profondamente cambiato. Le commedie di Zanazzo pullulano di parole e di modi di dire ormai opachi per i parlanti romani di oggi. È probabile che la competenza paremiologica vantata dall’autore possa averlo indotto a sovradimensionare nei suoi testi la presenza di frasi fatte, espressioni idiomatiche, adagi proverbiali del romanesco. Resta però il fatto che, trattandosi di opere teatrali, destinate quindi anche a un pubblico popolare, l’armamentario fraseologico messo in campo dall’autore doveva avere un riscontro reale nelle conoscenze linguistiche dei romani d’allora. Non si può non parlare di un impoverimento progressivo del patrimonio espressivo del romanesco, ormai privo di tante parole che ne innervavano e screziavano la compagi16 La forma in -ebbe della prima persona del condizionale ha indubbiamente delle propaggini sino ai giorni nostri. Tuttavia mi sembra ormai confinata, almeno in gran parte, in contesti scherzosi o comunque espressivamente marcati. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 17 28/11/13 12.43 18 introduzione ne lessicale, e sordo a una serie di locuzioni che davano brio e colore al discorso. Comincio col citare qualche parola presente nelle commedie zanazziane e uscita fuori corso, senza peraltro alcuna pretesa di completezza 17: anticòra ‘affanno, oppressione’, appennichetto ‘pisolino’, aspèttito ‘aspetto’, broccolaro ‘permaloso’, bungiancatte ‘accidenti a te’, burzugni ‘zotici’, a la buscarona ‘malamente’, buvatte ‘fandonie’, canercia ‘oggetto o indumento in cattivo stato’, cassabbanco ‘cassapanca’, ciancicone ‘sfruttatore di donne’, ciarlevo ‘prendo le botte’, cinico ‘pezzetto’, ciorcinato ‘poveraccio’, cirignoccola ‘testa’, codetta ‘striscia di cuoio per affilare il rasoio’, conocchie ‘donne da poco’, cornuto a paletta ‘cornuto consapevole’, corvatta ‘cravatta’, diàncine ‘diavolo’, ètte ‘quantita minima’, falloppone ‘smargiasso’, farajolo ‘mantello’, fiandra ‘donna senza scrupoli’, franconi ‘uomini gioviali’, fritto ‘amante’, fughenzia ‘fuga’, garaghè ‘gioco d’azzardo’, guitarino ‘deretano’, Jeso ‘Gesù’, indivisa ‘divisa (militare)’, ignommeratore ‘arcolaio’, insinenta (o infinenta) ‘fino a’, lecchetto ‘raffinatezza’, lendiere ‘ringhiere’, magoga ‘confusione’, marco ‘uomo’, mammone ‘gruzzolo’, marvone ‘persona mogia’, maschietti ‘ginocchia’, mentuvà ‘nominare’, miccarolo ‘truffatore’, musicarolo ‘cantante mediocre’, ognatura ‘unzione’, a paletta ‘in grande quantità’, pettinaro ‘cardatore di lana’, puzzetta ‘cosa o persona di nessun valore’, riarto ‘piccolo ricevimento’, te rizzollo ‘ti picchio’, ruzza ‘ripicca’, ruzzamio ‘scherzavamo’, saraga ‘pugnale a lama larga’, scaccione ‘addetto alle pulizie’, scarmato ‘trafelato’, scassate ‘cancellate’, scellonito ‘intontito’, sciattini ‘macellai ebrei’, scuffiara ‘modista’, sfrizzolo ‘colpo secco’, soffione ‘suggeritore teatrale’, spasa ‘spargimento’, tatanai ‘confusione’, tontolomei ‘sciocchi’, urione ‘rione’, zugna ‘da nulla’, zunnananà ‘persona di nessun conto’. Ed ecco un manipolo di modi di dire e adagi proverbiali decisamente datati: bizzochi e colli storti ‘bigotti e ipocriti’, ma fajela ‘su, coraggio!’, ma manco pe’ ’na picchia! ‘nemmeno per sogno’, sbatte la scucchia ‘mangiare’, chi fa bene ar somaro ciarimette lescia e sapone ‘inutile far del bene a chi non lo merita’, quant’è lunga la camicia de Meo! ‘di cosa monotona e noiosa’, s’è messo in testa Colonna trojana ‘è uscito di senno’, vestiteve e tocca ‘vestitevi in fretta’, da segnasse col carbone bianco ‘detto di evento eccezionale’, sputasse un’ala de pormone ‘faticare molto’, fà mosca ‘tacere’, dasse er cin17 Ho controllato le parole prese in considerazione nei vocabolari F. Chiappini, Vocabolario romanesco, Roma, Chiappini, 1967 e F. Ravaro, Dizionario romanesco, Roma, Newton Compton, 1994. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 18 28/11/13 12.43 , - 1. introduzione 19 quanta ‘stringersi la mano’ (oggi, in tempi di recessione economica, è stato sostituito da dasse er cinque), curre a pianara ‘arrivare in grande quantità’, va a gattaccia ‘va in cerca di facili amori’, annate a l’erba ‘andate a lavorare’, se ne vanno onti onti ‘camminano adagio’, annerebbe piuttosto a fà cicoria co li denti ‘ preferirei fare un lavoro molto faticoso’, ce vado proprio in guazzetto ‘vado in sollucchero’, me sa mill’anni ‘non ne potevo più di aspettare’, sinnò mo’ la sentimo la quaja cantà ‘sennò rischiamo una reprimenda’, daressivo un sedici ‘mettereste nel sacco’, arivate proprio a ciccio de sellero ‘a proposito’, fà bene la rucca-rucca ‘la ruffiana’, e tocca la viola! ‘e va via!’, Oh cielo li facioletti! ‘magari fosse così!’. La rassegna qui proposta, sia pure assolutamente parziale, e sia pure passibile di diverse interpretazioni circa la sopravvivenza nel romanesco d’oggi di singole forme e di singole parole, mi pare tuttavia confermare l’impressione di cui dicevo all’inizio di questo scritto: il romanesco di Zanazzo (come anche quello di Petrolini e di altri autori attivi tra Otto e Novecento, come ad esempio il Chiappini poeta18) guarda continuamente negli specchietti retrovisori e inquadra immancabilmente il dialetto belliano. Come già visto per i tratti fonetici e morfologici, anche il lessico è per la massima parte condiviso con quello che compare nei sonetti belliani. Viene da chiedersi, dunque, se l’etichetta di ‘romanesco postunitario’ non potrebbe essere efficacemente sostituita con quella di ‘romanesco postbellico’, alludendo ai complessi fattori storici, culturali, politici e, in ultimo, linguistici, che si mettono in moto dopo il primo conflitto mondiale, ma che trovano nel complessivo rimescolamento del rapporto lingua nazionale/dialetti, giunto a maturazione nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, il vero motore della definitiva sbellizzazione del romanesco. 18 Sulla lingua dei sonetti di Filippo Chiappini mi permetto di rinviare a C. Giovanardi, I sonetti romaneschi di Filippo Chiappini dai manoscritti alle stampe. Con un testo adespoto (o del Belli?), in M. Loporcaro et alii, op. cit., pp. 213-233. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 19 28/11/13 12.43 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 20 28/11/13 12.43 1. introduzione 21 Laura Biancini «E ppoi dicheno che ar teatro fanno ride»: introduzione al teatro di Zanazzo L’impegno economico che i vari stati in Italia dovettero sostenere per far fronte alle guerre risorgimentali chiude la grande stagione del teatro dell’Ottocento caratterizzata, a seguito della dominazione napoleonica, dall’affermazione dell’idea del teatro a gestione pubblica, come garanzia di qualità e di professionalità, nel quale operavano grandi compagnie stabili con finanziamenti statali. Venute meno le sovvenzioni pubbliche, l’attività teatrale passò nelle mani degli impresari privati mentre alcuni dei più importanti attori delle disciolte stabili diedero vita a compagnie proprie: la seconda metà del XIX secolo vede dunque il trionfo delle compagnie di giro, più o meno prestigiose, molte delle quali sposarono con impegno e passione la causa dell’Unità d’Italia e contribuirono con il loro nomadismo all’abbattimento di confini politici e linguistici, premessa indispensabile per una auspicata unità culturale. Purtroppo una gestione del tutto privata del teatro, a lungo andare, mostrò inevitabilmente l’altra faccia della medaglia, cioè la necessità di incassare per vivere, che spesso gravò sulla qualità tanto che alla fine del secolo «[…] le condizioni del teatro italiano erano desolanti. Le compagnie ormai risultavano tutte concentrate sulla figura di un grande attore, il cosiddetto ‘mattatore’, mentre le poche altre, dette ‘di complesso’ si basavano su una meccanica applicazione dei ruoli tradizionali o ripiegavano su un repertorio pochadistico e vaudevillesco.1» All’indomani dell’unità e di Roma capitale, in un paese tutto da costruire, o ricostruire, anche il teatro fu perciò oggetto di particolari attenzioni sia per migliorare in genere la sua qualità sia per realizzare l’aspirazione, ormai irrinunciabile, a far nascere, nell’ambito di una nuova cultura italiana, un nuovo teatro nazionale dignitoso e solido nelle forme e nei contenuti. Numerose furono in quegli anni le proposte, i tentativi, le tappe, le 1 A. Camilleri, I teatri stabili in Italia: 1898-1918. Bologna, Cappelli, 1959, p. 10. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 21 28/11/13 12.43 22 introduzione vittorie, i fallimenti che caratterizzarono i vari momenti di un percorso non facile il cui punto di arrivo doveva essere l’istituzione di strutture stabili che potessero assumersi il peso della fondazione e del mantenimento di un teatro capace di rispondere alle esigenze di un pubblico nuovo, in un paese nuovo, unito ma così variato e differenziato e nel quale ‘gli italiani’, popolo nuovo di zecca, si potessero riconoscere 2. Roma, nuova capitale, doveva naturalmente impegnarsi da protagonista in questo progetto e tale aspirazione si concretizzò sostanzialmente con tre iniziative: il Teatro Drammatico Nazionale, la Casa di Goldoni e la Drammatica Compagnia di Roma. Nel 1886, a spese e per iniziativa del principe Ruffo della Scaletta e di altri aristocratici, fu appositamente costruito in via Quattro novembre il Teatro Drammatico Nazionale dove inizò ad agire una Compagnia anch’essa appositamente istituita con eccellenti attori come Ermete Novelli, Luigi Biagi, Claudio e Teresa Leigheb, Angelo Vestri, Virginia Marini, Pierina Giagnoni, mentre il direttore era il commediografo Paolo Ferrari. Il debutto avvenne con La locandiera di Goldoni, ma nonostante le ottime premesse e le migliori intenzioni l’iniziativa naufragò. La Casa di Goldoni nacque nel 1899, su modello della Maison de Molière (Comedie Française a Parigi) con sede al Teatro Valle. Il promotore era Ermete Novelli. Si debuttò con un’opera di Goldoni, Il burbero benefico, alla quale seguì Pane altrui, di Turgheniev, annunciando così un repertorio nazionale e internazionale. Anche questa iniziativa non ebbe il successo sperato. Finalmente nel 1905 al Teatro Argentina iniziò la sua attività, sotto la direzione di Eduardo Boutet, la Drammatica Compagnia di Roma nella quale agivano, tra gli altri, la ormai anziana Pezzana e il giovane Ferruccio Garavaglia. I committenti stavolta erano la Società degli Autori di Roma, la Casa Reale, il Comune ed alcuni privati e il teatro si proponeva come un vero e proprio teatro ‘a gestione pubblica’ la cui finalità principale era quella di realizzare un teatro per tutti. Il debutto avvenne con una memorabile messinscena del Giulio Cesare di Shakespeare, che vedremo avrà grande influenza su Zanazzo. Seguirono Il ventaglio e L’Impresario della Smirne di Goldoni e successivamente non si trascurò di proporre opere di grande impegno sociale. 2 Cfr.: L. Biancini, Per un teatro nazionale, relazione al convegno Letteratura, lingua e dialetto: identità nazionale. Roma, 18-20 ottobre 2011, organizzato dal Centro studi G. G. Belli. Gli Atti sono in via di pubblicazione. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 22 28/11/13 12.43 - a o i - 1. introduzione 23 Nel 1909 Ettore Paladini, subentrato nella direzione artistica, cambiò il nome della compagnia in Nuova Stabile, ma il repertorio restò all’altezza della tradizione: La maschera di Bruto e La cena delle beffe di Sem Benelli, La professione della signora Warren di George Bernard Shaw, Il fuoco della morte di Luigi Antonelli, La vedova scaltra di Goldoni, Il malefico anello di Domenico Morello un’opera a favore del divorzio, Orione di Ercole Luigi Morselli. L’istituzione, sotto le diverse direzioni, sopravvisse con alterne vicende fino al 19173. Mentre dunque leggi, provvedimenti e quant’altro si impegnano a fare dell’Italia una nazione con un’unica identità politica, culturale, e perciò anche linguistica, si registra un fenomeno che sembra andare nella direzione opposta. Scrive, infatti, Silvio D’Amico che «la società italiana, fino alla grande guerra, sembrò dove più dove meno restia a fondere in caratteri unitari e comuni quelli delle rispettive regioni» 4. E l’allusione non è riferita soltanto alle proposte di teatro in dialetto di autori come, ad esempio, Augusto Novelli, Renato Simoni, Nino Martoglio o il grande Salvatore Di Giacomo, ma anche ad alcune opere in lingua di importanti autori, come Matilde Serao, Grazia Deledda e lo stesso Gabriele d’Annunzio, nelle quali è facile percepire un evidente regionalismo. Così a Roma come nel resto d’Italia, parallelamente alle alterne vicende di un teatro nazionale che abbiamo visto affermarsi tra mille difficoltà, vive, frutto di una tradizione più o meno illustre, un teatro popolare che riscuote un certo successo e che, seppure non sempre di grande qualità, continua a dare risultati non privi di interesse e di consensi. Giuseppe Gioachino Belli, amante del teatro, ma soprattutto esigente spettatore, aveva spesso dichiarato nei suoi sonetti di preferire proprio quegli spettacoli che andavano in scena nei piccoli teatri popolari, alla noia del teatro ufficiale, rivendicando dunque al teatro in dialetto indubbie doti di vivacità e vitalità grazie alle quali esso sopravvisse indisturbato anche nella seconda metà dell’Ottocento. All’indomani dell’unità d’Italia Anton Giulio Bragaglia registra, infatti, ben trentotto teatri attivi5 a Roma, nei quali agivano attori e compagnie con identiche caratteristiche delle compagnie attive in Italia alla fine del secolo: dominavano la scena i primi attori, i copioni erano di conse3 Per la storia delle istituzioni teatrali cfr.: F. Doglio, Il teatro pubblico in Italia. Roma, Bulzoni, 1969, pp.35-73. 4 S. D’Amico, Storia del teatro drammatico, Milano, Garzanti, 1960, II, p. 326. 5 Cfr.: A. G. Bragaglia, Storia del teatro popolare romano, Roma, Colombo, 1958, p. 497. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 23 28/11/13 12.43 24 introduzione guenza disattesi, anzi era ampiamente in uso l’improvvisazione con la riproposta di maschere o tipi fissi in un repertorio formato da opere di facile presa sul pubblico. Uno dei personaggi molto in voga a Roma era ad esempio Pippetto, una sorta di maschera derivata dall’Ajo nell’imbarazzo di Giovanni Giraud, che particolarmente si prestava alle esibizioni istrioniche del suo interprete. Proprio per queste sue caratteristiche Pippetto si affermò come protagonista di numerosi vaudevilles in chiave romanesca, un genere teatrale, simile all’operetta, composto di brani in prosa, poesia e musica che lasciava ampio spazio all’improvvisazione. Interpreti indiscussi di questo personaggio furono dapprima Oreste Raffaelli6 e poi Oreste Capotondi7 che ne fecero per anni il loro “cavallo di battaglia” trionfando sui palcoscenici dei teatri popolari romani. *** Proprio in questi anni si svolge la breve ma intensa parabola teatrale di Giggi Zanazzo iniziata al teatro Rossini di Roma dove egli operava con una sua compagnia, proponendosi in netta controtendenza con la tradizione dominante. Il debutto avvenne nel 1882 con I Maganzesi a Roma, operetta ambientata negli anni della prima Repubblica Romana e successivamente nel 1887 egli presentò un’altra operetta, intitolata Pippetto ha fatto sega, che ha come protagonista proprio quel personaggio che come abbiamo visto godeva di grandi consensi. Ma a differenza di quello che era l’uso comune, Zanazzo propose un testo completamente e definitivamente scritto e che all’attore interprete di Pippetto, cioè Oreste Capotondi, lasciava soltanto una occasione per improvvisare, la scena dell’interrogazione a scuola nella quale Pippetto impreparato e soprattutto sciocco dice e fa un’infinità di stupidaggini. DESIDERIO Come fu che avvenne il diluvio universale? PIPPETTO (ripetendo) Come fu che avvenne il diluvio universale… Come fu… ecco, ecco. Il Signore vedendo che gli uomini commettevano ogni sorta di nequizie fece piovere dalla terra… cioè dal cielo, per quaranta notti e quaranta giorni, ossia per quaranta giorni e quaranta notti e quaranta doppo pranzi cioè giorni… ossia (tossisce e s’ impappina) DESIDERIO Non lo sapete! 6 Oreste Raffaelli, (att. Roma sec. XIX). Attore, cantante e poi capocomico, creatore del personaggio di Pippetto detto per questo Pippetto Primo. 7 Oreste Capotondi, (att. Roma sec. XIX). Attore imitatore di Oreste Raffaelli detto per questo Pippetto Siconno. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 24 28/11/13 12.43 , - o 1. introduzione 25 PIPPETTO La sone, la sone! Ecco, pe’ quaranta notti un’abbondantissima quantità d’acqua che coperse tutta la terra insinenta a le più alte vette de le montagne… de le montagne. Ah! E non si salvò altro che Noè il quale essendo verniciato di dentro e di fuori… no, Noè il quale con la sua arca verniciata di dentro e di fuori, si salvò portando seco… (scena a soggetto) DESIDERIO Non la sapete. Siete un asino. A voi prendete. (lo frusta) PIPPETTO Ajo! Mamma aiuto! Li ragazzi de scola se tiengheno le mano su la panza pe’ nun schiattà da ride 8 . Successivamente nelle altre sue opere solo raramente troveremo l’indicazione ‘a soggetto’ e comunque soltanto in quei casi in cui sarà necessario movimentare una scena di gruppo. Con Pippetto ha fatto sega Zanazzo dichiara guerra all’improvvisazione e all’istrionismo per ristabilire, anche nel teatro in dialetto, serietà e professionalità sottraendo la recitazione al dominio istrionesco degli attori e riportando i testi nei ranghi di una vera drammaturgia. Il cambiamento non è semplicemente formale ma sostanziale, perché a quel teatro, per il quale invoca rigore e severità, egli vuole restituire un ruolo squisitamente culturale e sociale come testimone del tempo. In questo modo Zanazzo opera una vera e propria riforma, in senso moderno, del teatro in dialetto, sottraendolo ad un contesto limitato e locale per inserirlo a pieno diritto in un contesto nazionale. Spenti gli slanci ideologici che avevano condotto all’unità, e che avevano nutrito la dramaturgia risorgimentale il teatro italiano intanto aveva individuato altre e diverse finalità che tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento si identificavano con l’esigenza di osservare e descrivere la nuova realtà storica e cioè la nuovissima nazione italiana nella sua quotidianità problematica e contraddittoria. Chiunque non volesse a bella posta chiudere gli occhi dinanzi alla realtà, restare sordo alla voce della coscienza, non poteva rifiutarsi di compiere un esame obiettivo in sé e intorno a sé, non sentire insorgere un bisogno di sincerità, considerando la convivenza civile nel nostro paese. Così Verga vede con nuovi occhi il mondo contadino tra cui è cresciuto, comprende attraverso la forza del linguaggio nativo l’importanza di rivelarne il dolore e la natura. Attraverso un linguaggio volutamente consunto, Giacosa della classe a cui appartiene scopre le crisi morali, e il suo dibattersi nel ferreo alveo delle leggi economiche, i rapporti che si vengono a creare tra i potenti e i 8 Atto I, scena IX. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 25 28/11/13 12.43 26 introduzione deboli nel seno della stessa classe, tra la forza di volontà e l’incapacità di affrontare le più dure prove nella lotta per la vita, la miseria morale delle situazioni, il senso di rinuncia che si accompagna ad ogni soluzione. Da questo momento il dramma non solo interpretava la vita quotidiana, ma entrava a farne parte9. Analogamente Zanazzo, senza abbandonare il punto di vista da ‘antropologo’ che lo aveva guidato per le sue raccolte sugli usi e costumi romani, con la sua scrittura teatrale che parla in romanesco nelle forme più diverse dal vaudeville alla commedia, dal monologo al contrasto d’amore, fotografa e osserva la cultura e la società di una Roma che si stava dissolvendo per lasciare il posto a qualcosa di entusiasticamente nuovo, ma non privo di dubbi e incertezze e cioè la realizzazione del suo nuovo compito di capitale dell’Italia unita. *** In questa non semplice impresa Zanazzo doveva inevitabilmente fare i conti con un’ingombrante eredità del passato, con l’opera di chi aveva magistralmente assunto a protagonista assoluta della sua poesia quella Roma che sarebbe poi stata spazzata via dai nuovi eventi storici e cioè Giuseppe Gioachino Belli. A questo proposito è interessante leggere quanto scrive Leonardo Lattarulo citando una lettera scritta da Zanazzo a Pio Spezi il 6 luglio 1910 10: Quest’ultima [lettera] appare particolarmente interessante, perché contiene una decisa rivendicazione di originalità, soprattutto sul terreno dell’osservazione folklorica, da parte di Zanazzo rispetto alla grande lezione belliana, di cui pure il poeta riconosce tutto il valore. L’occasione della lettera è data da una recensione di Spezi, pubblicata in «Rivista storica italiana», 26 (1909), 2, p. 141-144, dedicata al libro di Giggi Zanazzo, Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma (Torino, STEN, 1908). Lo studioso aveva scritto che la maggior parte della materia contenuta nel libro era stata tratta dai sonetti romaneschi del Belli e Zanazzo così gli risponde: «Meno pochi giuochi, e pochi rimedi simpatici e qualche credenza, null’altro mi è stato offerto dal Belli, perché, per sua confessione, egli non è stato esatto ed ha esagerato nella descrizione delle credenze aggiungendovi del suo, come ho potuto riscontrare io stesso. Se il Belli avesse lasciato una 9 V. Pandolfi, Storia universale del teatro drammatico, Torino, UTET, 1964, II, p. 547. G. Zanazzo, Lettera a Pio Spezi, Roma, 6 luglio 1910. BNCR, ARC 46 Zanazzo 2. 10 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 26 28/11/13 12.43 - - n - a - 1. introduzione 27 raccolta di tradizioni romane (il che a’ suoi tempi era impossibile) io mi sarei ben guardato dal fare cosa già fatta e poi da chi!» E più avanti: «Quindi, per ristabilire la verità, ti prego appena hai un po’ di tempo, di confrontare quanto nel libro c’è di mio e quanto è del Belli. Ci tengo a questo favore e spero che vorrai farmelo alla prima occasione. Essendo io del Belli (come lo siamo tutti) ammiratore devoto ed entusiasta, non posso fare a meno di citarlo spesso, credendolo un mio dovere; ma altro è citarlo altro è dire che tutto quanto io dico è già stato detto dal Belli! Confronta e vedrai.»11 Molto tempo dopo in un interessante articolo uscito sulla Strenna dei Romanisti, Vittorio Clemente, nel fare il punto sulla condizione della poesia in romanesco tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, torna sul rapporto Belli-Zanazzo sostenendo senza esitazione come quest’ultimo sia riuscito a superare la pesante eredità belliana individuando nella letteratura in dialetto un diverso possibile compito, quello cioè di registrare e nello stesso tempo conservare l’identità della cultura cui quel dialetto appartiene. Il mondo del Belli era tutto da esplorare. Non era un mondo popolare oggettivamente riprodotto, ma era un mondo creato dalla fantasia di un grande poeta, con significati e contenuti di verità e di poesia ed espresso inoltre potentemente, con studio di grammatico e di filologo, usando un linguaggio vivo e adatto. Sfuggì agli imitatori e ai tardi epigoni il carattere unitario e ciclico che, nei duemila sonetti, risolveva insieme le definizioni e le classificazioni di genere, o di forma o di tema che i sonetti stessi, considerati ciascuno a sé stante, possono via via suggerire. Quel mondo immenso venne così a frantumarsi e al giudizio comune e corrente si ripresentò negli aspetti più appariscenti e deteriori; la musa faceta vi attinse a piene mani i suoi argomenti umoristici e scurrili. […] Tuttavia non mancò chi seppe riprendere con consapevolezza artistica e poetica l’esplorazione del mondo popolare, come il Chiappini, i due Marini – Augusto e Carlo – il Ferretti, il Tolli; e fra costoro venne bene a collegarsi il giovane Zanazzo. […] 11 L. Lattarulo, Per una storia della fortuna del Belli: il Carteggio Spezi in: P. Heyse, Il carteggio Paul Heyse – Pio Spezi. Un’amicizia intellettuale italo-tedesca tra otto e novecento, a cura di M. Battafarano e C. Costa, Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, 2009, p. 15, nota 8. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 27 28/11/13 12.43 28 introduzione Di fronte al Belli, Zanazzo ha sentito l’urgenza della ricerca folklorica, egli ne intende la grande lezione e intuisce che nel mondo dei duemila sonetti l’elemento folklorico, di oggettiva osservazione si trasforma in elemento lirico e di fantasia. Non ha però capacità di approfondire l’intuizione […] l’importanza della sua opera sta in questo: egli cercò di ricondurre a un significato una poesia di grandi possibilità, come quella romanesca ma che s’era svuotata di contenuti e valori per effetto di una imitazione accettata su modelli e mai chiarita criticamente. Bisognava riaccostare, secondo quanto pensava, la poesia dialettale al popolo genuino e vero; e la formula che tosto trova nel folklore è semplicemente quella di dipingere al vivo la vita e i sentimenti del popolo […] non però in una sintesi espressiva, come era avvenuto nel sonetto del Belli, ma in un quadro analitico di fatti e di costumi, perché la poesia dialettale – sempre a suo parere – non può ispirarsi al di fuori delle tradizioni popolari, né deformare popolarescamente ciò che all’animo popolare è estraneo12. Applicando questi stessi parametri alla drammaturgia Zanazzo nelle sue opere teatrali descrive la società che, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, vive o subisce le grandi inevitabili trasformazioni di un paese che si trova a nascere dalle sue proprie ceneri e che deve costruirsi dal nulla una sua identità, una società nella quale anche le classi di cui si compone cercano di ridefinirsi: l’aristocrazia sembra scomparsa, in realtà è solo defilata e pronta a recuperare le sue posizioni di prestigio, i ceti medi si stanno delineando in cerca di un nuovo più autorevole ruolo e il popolo appare momentaneamente annientato o persino senza coscienza del nuovo presente o forse è semplicemente troppo cosciente che per esso tutto è cambiato per rimanere tale e quale. Occupa pertanto il proscenio del teatro di Zanazzo una piccolissima e meschina borghesia, cialtrona e disgustosamente arrivista ne La famiglia de la cantante, il cui sottotitolo è non a caso Scene della borghesia romana, oppure stupidamente tronfia del benessere raggiunto come la protagonista de La Socera, o pericolosamente disonesta e imbrogliona come i lestofanti che agiscono negli Elettori infruventi o infine nostalgica del passato a vario titolo e senza troppa cognizione di causa come in Doppo il 20 settembre, o Er pizzardone avvilito, o Essere o nun essere. Qualche anno più tardi questa piccolissima borghesia rafforzata e affermata troverà il suo nuovo cantore in un poeta più giovane di Zanazzo di soli dieci anni, Trilussa. 12 V. Clementi, Giggi Zanazzo poeta e folklorista romanesco nel centenario della sua nascita. «Strenna dei Romanisti», 1960, pp. 42-43. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 28 28/11/13 12.43 - - , - 1. introduzione 29 Si sa che G. G. Belli deliberò di lasciare un monumento di quello che era ai suoi tempi la plebe di Roma; Carlo Alberto Salustri (universalmente noto con lo pseudonimo di Trilussa) inconsciamente lasciò un monumento alla piccola borghesia (detta generetto per distinguerla dal generone sotto il cui appellativo era ammantata l’alta borghesia) che a Roma, nell’evoluzione dei tempi e dopo il passaggio dei poteri pubblici dalle autorità ecclesiastiche alle autorità regie, aveva preso d’impeto il posto già tenuto per secoli dalla plebe ritiratasi volontariamente nei vicoli a rimembrare i tempi d’oro del passato. Man mano che ci si allontanava dal 20 settembre 1870 questa piccolissima borghesia prendeva forma e forza, si affermava, cominciava a fare sentire il suo peso in tutti i campi d’attività, ognora pronta a dire la sua e a far valere i suoi diritti con agitazioni, scioperi, sommosse, rivolte (famose quelle del 1889!). La plebe del Belli mormorava, mugugnava, prendeva in giro Papa e Cardinali, preti e frati, ma, avvinta dalla fede, accettava la propria condizione di sudditanza quasi come volontà divina. La borghesia nuova si muoveva, si agitava sotto la spinta dei fermenti ideologici, del romanticismo, del positivismo e dell’idealismo, affascinata dal libero pensiero, di cui tutti parlavano, ma nessuno sapeva esattamente cosa fosse. Trilussa, che apparteneva a questa piccola borghesia […] di questa piccola borghesia si fece cantore più immediato e più completo, e in ciò riuscì in quanto aveva il modello belliano a portata di mano13. Ma intanto quella borghesia è incerta, insicura e, attraverso i personaggi teatrali di Zanazzo, manifesta le sue paure e i suoi dubbi tanto che volentieri torna persino a ricordare con nostalgia il passato come nei versi di Che tempacci!: Chi ce lo avesse detto! ecchece qua… Prima che tempi, ma che tempi belli E stamio tutto er giorno a baccajà! Er Signore ciopprime co’ ‘sto morbo d’avecce fatto piove li fratelli. o nella battuta (purtroppo poi soppressa dall’autore) che ad essi sembra far eco e che pronuncia Ameleto protagonista di Essere o nun essere: 13 G. Vaccaro, Vocabolario romanesco trilussiano e italiano-romanesco: etimologico, lessicale, grammaticale, fraseologico, dei proverbi e modi proverbiali, dei sinonimi e degli opposti, Roma, Romana libri alfabeto, 1971, pp. 7-8. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 29 28/11/13 12.43 30 introduzione AMELETO Me viè da ride quando penso che sotto a li preti desideravamo più li fratelli che ll’ovo de Pasqua. A senticce, Roma doveva diventà Pariggi; l’arte se doveva inalzà a un livello spropositato, li quatrini doveveno piove dal Cielo ... E invece? È successo come tempo fa che per impedì al popolo de scortellasse, fu fatta la Lega contro el Cortello; e poi se scannaveno peggio de prima ...14 Né in Che tempacci! né nelle parole di Ameleto però leggiamo rassegnazione o sterile rimpianto per il bel tempo che fu; nei versi come in tutto il teatro emerge piuttosto una forma, seppure controllata, di delusione delle aspettative, una delusione che non solo è profonda, ma forse è soprattutto persino… troppo consapevole che la soluzione non c’è. E quale dialetto si parlava a Roma in quegli anni? Un dialetto ormai lontano dal modello belliano ma che non è ancora quello di Trilussa, un dialetto che come sempre si evolve, muta e in questo particolare periodo va progressivamente accogliendo in sé parole italiane. Zanazzo nelle sue opere teatrali lo usa con sottile abilità adattandolo via via alle diverse esigenze, al ceto, alla cultura, al carattere del personaggio, alla situazione contingente, passando dal dialetto crudo dei personaggi più popolari a quello più italianizzato parlato in ambienti più borghesi nei quali più evidente è la commistione con la lingua nazionale quale segno distintivo di una nuova nascente cultura. Anche le didascalie seguono le sorti della lingua usata: sono in romanesco se così parlano i personaggi, mentre altrove sfoggiano un italiano persino forbito. Diverso è il caso poi di quei personaggi che cercano di “parlare bene” e che Zanazzo teatralmente risolve reinventando per loro un linguaggio secondo le regole praticamente eterne della comicità: ad esempio Agheta ne La famiglia de la cantante, o Ustacchio, cameriere in Evviva la migragna! dicono cose senza senso, storpiano le parole, le usano in modo improprio, fanno persino fantasiose citazioni in latino, il tutto naturalmente con effetti esilaranti. Il risultato è una sicura efficacia della scrittura drammaturgica la quale, unita ad una sapiente conoscenza del linguaggio teatrale evita a Zanazzo di cadere nel facile bozzetto popolare o in un pedante realismo. E quando poi sceglie forme di spettacolo diverse da quelle classiche, il vaudeville ad esempio, sa bene dove cercare il modello, non si ferma a guardare le infinite imitazioni che poteva trovare intorno a sé, guarda dritto all’opera 14 Scena III. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 30 28/11/13 12.43 - - 1. introduzione 31 di Geoges Feydeau o di Eugène Labiche. Come i commediografi francesi perciò riesce ad utilizzare al meglio il delicato ma perfetto ingranaggio di questo genere teatrale troppo spesso ingiustamente trascurato e sottovalutato ma che Vito Pandolfi, ad esempio, identifica come diretto discendente della migliore tradizione della commedia dell’arte: Quel che la Commedia dell’Arte deve a Plauto, il vaudeville deve alla Commedia dell’Arte: l’impianto scenico e l’effetto comico. […] Il senso primo del genere vaudeville si lega all’accordo tra musica e prosa, alla scoperta della commedia musicale, in altri termini dell’esigenza spettacolare anzitutto nel testo e nella musica. Gli spettacoli italiani traevano il loro successo esclusivamente dall’interprete, cioè dalla Maschera. L’interprete prende il suo vigore dall’archetipo, che egli crea e rinnova. Finché non si fa frusto. Ed ecco sorgere la necessità di un nuovo genere, di un testo vero e proprio che dia modo all’interprete di trionfare sulla scena. Il vaudeville fornisce appunto questa trama, e a poco a poco diviene sinonimo nel teatro francese di genere comico, come a dire teatro professionale, fatto per il pubblico e dal pubblico sostenuto, in quanto dispone di ampie facoltà per quel che riguarda il suo potere nei confronti del riso, che sono contenute fin nel testo stesso. Lesage, e più tardi Scribe, Labiche, Feydeau, Bisson e gli altri scoprono il riso che conviene alla loro epoca, ogni volta: la satira o l’ironia non sono per loro un fine, bensì un mezzo, il fine restando la tecnica comica del gioco scenico, affidata sostanzialmente alla situazione, a volte anche alla battuta. Il professionismo teatrale ha bisogno della comicità come del pane per vivere, e deve di continuo rinnovarla perché il pubblico se ne stanca presto. La storia del vaudeville risulta appunto la storia di questo continuo lavorìo con trapasso dei poteri (e anche lunghe pause). Ci si rifà al costume contemporaneo, ai personaggi della vita quotidiana, ma per mero pretesto formale: ciò non toglie che alla fine ne risulti un quadro pittoresco. Dipinge a vivi colori il suo pubblico, in un ritratto che ne accomuna i gusti e i costumi15. Zanazzo ha bene assimilato la lezione francese tanto da poterla rimodellare sulla situazione romana. Alla leggerezza, all’eleganza del vaudeville francese egli risponde con i modi e le cadenze della sua scrittura in dialetto, all’ambiente borghese parigino egli sostituisce quello della sua Roma, e se l’operazione non riesce sempre, l’intuizione è assai interessante e qua e là offre più di uno spunto alla piacevole risata sottraendo il teatro in dialetto ad un destino che sembra negargli la possibilità di accontentare il 15 V. Pandolfi, Storia universale…, op. cit., II, pp. 385-386. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 31 28/11/13 12.43 32 introduzione pubblico al di fuori di una scontata comicità troppo spesso grossolana o persino volgare. Sono tre le opere scritte in forma di operetta e tutte edite: I Maganzesi a Roma (1882), Pippetto ha fatto sega (1887) e La Guida Monaci (1887) musicate rispettivamente da Giovanni Mascetti, Cesare Pascucci e Valerio Romano. Purtroppo non è restata traccia delle partiture musicali, o almeno finora non se ne è avuta notizia (chissà che in seguito a questa pubblicazione non possa emergere qualcosa da qualche ignorato cassetto o scaffale) ed è pertanto difficile giudicare le opere nella totalità della loro resa scenica. *** Li Maganzesi a Roma, come abbiamo già detto, è il primo lavoro teatrale di Zanazzo. Terminata il 10 ottobre 1880, l’operetta andò in scena per la prima volta al Teatro Rossini il 30 settembre del 1882 in collaborazione con la compagnia di Filippo Tamburri16. L’azione si svolge a Roma nel 1798 ed ha come protagonista il popolo romano che non tollera la presenza degli Austriaci, i Maganzesi, i quali, come è noto, il 27 novembre del 1798 erano giunti a Roma, e vi si erano insediati, al comando di Karl von Mach che aveva condotto vittorioso l’esercito napoletano contro la Repubblica Romana. Gli invasori, prepotenti e arroganti, parlano un italiano da burletta che ricorda quello dello sguizzero der Papa ne La pissciata pericolosa di Belli, o dei soldatini tedeschi delle Sturmtruppen di Bonvi17 e naturalmente insidiano le donne. Cencio che non può tollerare tale affronto riunisce i cittadini romani e così si rivolge loro: Prima, cqua, in ‘sto castelluccio, stamio guas’in paradiso; io le cose nu’ le sviso: nun è fforse verità? Ma dde post’in un momento, viè da ll’estro ‘na canaja che ppe’ Roma se sparpaja, e ce mett’a ttrìbbolà. 16 17 Filippo Tamburri, (att. Roma sec. XIX). Attore del teatro operettirstico romanesco. Pseudonimo di Franco Bonvicini (1941-1995). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 32 28/11/13 12.43 o . 1. introduzione 33 Poi, ne fa d’ogn’erb’un fascio; e protenne de f ’affronti, (manco noi fussimo tonti) a le femmine de equa. Romani, perbìo, su, ddite ‘da bravi: volet’ esse’ schiavi o sta’ ‘n libbertà18? Si decide perciò di dare ai Maganzesi una lezione. L’appuntamento è per la sera della Befana a piazza Sant’Eustachio dove il popolo tradizionalmente si ritrovava tra le bancarelle del mercato di Natale. Purtroppo l’edizione a stampa è lacunosa, mancano alcune scene e, ad esempio, proprio nell’atto terzo manca la scena in cui i popolani avrebbero dovuto picchiare gli austriaci. Si salta, infatti, dalla scena quinta che dovrebbe preludere all’agguato, alla scena ottava che chiude la commedia con un trionfale brindisi nel quale, però, i romani non inneggiano alla vendetta compiuta o alla libertà, ma solo al vino. Pippetto ha fatto sega, alla quale abbiamo già accennato, ha la struttura tipica del vaudeville che si sviluppa solida ed equilibrata nella sua rigorosa scansione di arie, duetti e cori. La vicenda a sua volta ha il ritmo concitato della farsa fatta di intrecci e di equivoci che troveranno soluzione soltanto alla fine, e ruota attorno alla stupidità del protagonista, Pippetto. Per acquistare credito agli occhi della promessa sposa egli, per volere dei suoi genitori si rassegna ad andare a scuola, ma poiché è anche poco diligente un bel giorno decide di fuggire uscendo dalla finestra della sua aula per raggiungere il luogo dove i suoi genitori, i futuri suoceri, la sua promessa sposa e anche il suo insegnante si sono dati appuntamento per far festa. Senza essere visto e comunque non potendo farsi vedere Pippetto, unico dichiarato ‘disobbediente’, nel suo vagabondare scopre situazioni assai imbarazzanti assistendo alla sfacciata ipocrisia di parenti e conoscenti. Il secondo dei vaudevilles, La Guida Monaci, propone un soggetto originalissimo. Quando Roma divenne capitale, gli innumerevoli almanacchi, guide e annuari stampati fino all’anno precedente per fornire preziose e fondamentali informazioni sulla città, sulle sue istituzioni religiose, civili e culturali, sui commerci, i servizi, gli abitanti, etc., furono sostituiti da un’uni18 Atto II, scena VI. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 33 28/11/13 12.43 34 introduzione ca pubblicazione, la Guida Monaci, che prese il nome dal suo editore e che, con i dovuti cambiamenti, esce tuttora. Il protagonista della pièce, Cucchimetto, di professione portiere, decide di usufruire di questo prezioso strumento di informazione che è la Guida Monaci: prende l’elenco degli abitanti di sesso maschile di Roma e a tutti loro spedisce un’identica lettera nella quale, insinuando il sospetto del tradimento da parte «di una persona che vi sta a cuore», li invita nel presunto luogo degli incontri clandestini dove, dietro pagamento di una mancia, potranno avere interessanti informazioni. L’indirizzo fornito corrisponde al palazzo dove Cucchimetto è portiere e dove naturalmente è pronto a ricevere il malcapitato e soprattutto… la sua mancia. In realtà egli cercherà di rassicurare il povero marito garantendo di non aver mai visto la sua signora e sostenendo per di più che lì non abita nessun uomo appetibile. A questo punto, convinto di essere stato vittima di un terribile equivoco, il marito non più ‘cornuto’ se ne dovrebbe andare felice rimpinguando la mancia, con piena soddisfazione del portiere. Le cose non andranno così e tra equivoci, inevitabili esilaranti situazioni e agnizioni a sorpresa la commedia si conclude felicemente. Evviva la migragna! (edita nel 1888) è un atto unico, non in forma di operetta, ma il protagonista canta sempre, anzi tutta l’azione ruota proprio attorno a questa sua abitudine. Il protagonista, Grispino, sfoggia un repertorio di tutto rispetto, alle strofette e agli stornelli popolari alterna arie da melodrammi che forse tranne la prima: «Ah dolce voluttà /desio d’amor gentil» dal Ruy Blas, libretto di Carlo d’Ormeville e musica di Filippo Marchetti, sono tutte facilmente riconoscibili e tutte verdiane: «Ah che la morte ognora» da Il Trovatore, «Rivedrai le foreste imbalsamate» da Aida, «Sei tu l’uom della caverna» da I Lombardi alla prima crociata e infine «Quando la sera al placido» dalla Luisa Miller l’unica che subisce una gustosa storpiatura: Quando le sere al placido chiaror d’un ciel stellato meco figgea nell’etere lo sguardo innamorato, diventa: Quanno la sera al placido chiaror d’un ciel stellato meco friggea nell’ellera... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 34 28/11/13 12.43 - 1. introduzione 35 E ancora: Addio mia bella addio, la famosa canzone di Carlo Alberto Bosi, musica di anonimo, nata nel 1848 per i volontari che partivano per andare a combattere a Curtatone. Anche ne La famiglia de la cantante si sfoggiano arie da melodrammi verdiani: «Sempre libera degg’io» dalla Traviata, mentre tutti cantano pasticciandolo il duetto di Leonora e Manrico dal Trovatore. Ma torniamo a Evviva la migragna! I dialoghi sono piacevoli e ben costruti ma la pièce risente di un certo moralismo riscattato però dalla sapiente costruzione del rapporto tra il ciabattino Cucchimetto e Agnesa sua moglie e il ricco senatore e la sua signora, un rapporto dignitoso e reciprocamente rispettoso, assolutamente privo di servilismo. I protagonisti, che non nuotano nell’oro, rifiutano infatti il compenso di una generosa cifra in cambio della rinuncia da parte di Cucchimetto a cantare mentre lavora, o almeno a non farlo in certi orari. Accettano invece, alle stesse condizioni, che il senatore si adoperi per procurare clienti che aumentino per loro lavoro e reddito. Ma assai più interessante è la lezione di felicità che Agnesa dà alla moglie del senatore: le consiglia, innanzi tutto, di occuparsi direttamente del figlio piuttosto che affidarlo ad una balia e aggiunge: AGNESE […] fate quarche bbella spasseggiata a ppiedi; ce sò certi siti indove la carozza nun ce pò annà, e llà sse troveno spesso certi poveretti vecchi, ammalati e infermi che hanno de bbisogno. Je date quarche ccosa senza offennelli, e bbona notte. E quanno aritornate a ccasa, abbraccicato ch’avete vostro marito e vostro fijo, annatevene a lletto presto, arzateve a bbon’ora e si ddoppo fatte tutte ‘ste cose voi nun sete contenta, nun me chiamate ppiù Agnesa Stella19! Quella precisazione: «senza offennelli» nella quale l’idea di solidarietà va a sostituire quella di carità, non è di poco conto. Una curiosa vicenda di coppia si rappresenta in Essere o non essere: un marito geloso, Ameleto, getta inconsapevolmente la moglie, che normalmente tiene reclusa in casa, nelle braccia di un vecchio amore. Scritta nel 1889, la pièce si apre con un lungo dialogo tra la protagonista Teta e Vittoria, amica e lavandaia, durante il quale la presentazione dei personaggi e dei fatti, avviene intercalata con la spunta dei capi di bucato. Nel 1887 era andata per la prima volta in scena al teatro Valle di Ro19 Scena VIII. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 35 28/11/13 12.43 36 introduzione ma, Tristi amori di Giuseppe Giacosa interpretata dagli attori della Drammatica Compagnia Nazionale. Certamente Zanazzo ebbe modo di assistere a quella rappresentazione e se ne ricordò poi al momento opportuno. Come è noto alla fine del primo atto, la situazione delicatamente critica che si è venuta a creare tra Emma, protagonista della commedia di Giacosa e il suo giovane amante, viene bruscamente turbata dalla domestica che deve risolvere un problema a proposito della biancheria riconsegnata dalla lavandaia nella quale è stata trovata una tovaglia che non è della casa: MARTA Signora! EMMA Che!... La bambina?... MARTA È rimasta di sotto a giuocare coi figli del droghiere. C’è la lavandaia che domanda se non ha portato ieri una tovaglia scompagna dalle nostre. EMMA Non so - c’eri tu! MARTA Già, il conto tornava, ma poi piegandola ho visto bene io che ce n’era una non nostra (apre la credenza e prende una tovaglia). Eccola qui. EMMA Dagliela. MARTA Lasci fare20. Lo stesso equivoco si ripete in Essere o nun essere, con la sola differenza che in questo caso si tratta di una camicia. Nel momento in cui sappiamo che Teta ha raggiunto il suo vecchio amore, l’amica lavandaia torna a casa e al marito ignaro di tutto e felice di aver convinto la moglie ad uscire, restituisce una camicia che precedentemente per errore si era portata via: VITTORIA sora Teta! AMELETO VITTORIA sua. AMELETO (con un involto sotto il braccio entra, chiamando) Sora Teta, Che vvòi? Ah gnente, je volevo fa’ vede si ’sta camicia la riconosce pe’ Be’ aritorna più tardi, allora perché Teta nun c’è21. La coincidenza non può essere casuale. Ancora sul tema dell’amore sono i due atti unici, che Zanazzo chiama scenette, L’amore in Trastevere (edita nel 1888) e ‘Na dichiarazione d’amore pe’ la Regola che ripropongono il tipico contrasto amoroso nel quale un “lui” e una “lei”, fra gelosie false o motivate, equivoci di ogni genere e ca20 21 Atto I, scena XI. Scena ultima. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 36 28/11/13 12.43 - 1. introduzione 37 pricci a volontà, battibeccano con una certa veemenza. Ma se nella prima i due protagonisti alla fine non fanno che riconfermarsi l’amore di sempre, un velo di malinconia copre la conclusione della seconda scenetta dove il timidissimo protagonista non riuscendo a palesare il suo amore si allontana tristemente. Curiosamente Zanazzo redige di questo atto unico una seconda versione pressoché identica con un titolo lievemente diverso ‘Na dichiarazione d’amore pe’ li Monti, ma con un finale lieto. Ne Li carbonari il contrasto fra “lui” e “lei” avviene davanti ad un giudice conciliatore, che si chiama Imbroji. Tra i vari querelanti in attesa di giudizio, la coppia più litigiosa, due venditori di carbone con le botteghe vicine che si accusano reciprocamente di concorrenza sleale, finiscono per convolare a giuste nozze. In queste ultime pièces che abbiamo definito ‘contrasti d’amore’ risulta inoltre assai interessante la scelta del linguaggio: il dialetto romanesco è particolarmente serrato e duro. La scelta di Zanazzo non risponde però semplicemente ad una esigenza di verità coerente con le caratteristiche dei personaggi, cioè non è soltanto una scelta squisitamente linguistica, anche se cronologicamente corrispondono ad un periodo in cui il dialetto è usato dall’autore in maniera praticamente esclusiva. Non ci sentiamo però di escludere in quella scelta anche una componente drammaturgica: l’uso di un linguaggio così intenso può essere più efficace per rendere scenicamente una situazione tesa e concitata come è teso e concitato il dialogo tra due amanti che bisticciano, si feriscono, si lanciano parole ed espressioni terribili sotto le quali però si celano l’amore e le passioni. Altra atmosfera troviamo in quelle opere che traggono spunto dall’attualità come Elettori infruventi e Doppo er 20 settembre. Nella prima, spietata rappresentazione di quanto gira attorno ad apparentemente normali operazioni di voto, i protagonisti sono coloro che devono compilare le liste da presentare poi nei seggi elettorali. I due schieramenti politici contendenti, sgangherati e rumorosi, sono riuniti nella stessa osteria, attorno a due tavoli poco distanti l’uno dall’altro. Tra un bicchiere di vino e l’altro scelgono e appoggiano candidati in situazioni di democrazia quanto meno improbabili: inetti fantocci che però sborsano quattrini e lestofanti chiacchieroni che approfittano della situazione e, mostrando disponibilità, disinteresse e spirito di sacrificio, sono in realtà solo pronti a conquistare il potere e certamente non a vantaggio del bene comune. Il quadro che dipinge Zanazzo è veramente scoraggiante; da esso emerge, infatti, con inesorabile lucidità, il ritratto di una classe politica che oltre ad essere improvvisata, millantatrice e… disonesta è anche scandalo- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 37 28/11/13 12.43 38 introduzione samente e disperatamente ignorante. Ecco la battuta del Caffettiere a proposito di uno degli elettori influenti, il presidente della Società Elettorale-Democratica: CAFFETTIERE Chi, quel somaro!? Adesso ve ne dico un’altra per farve ride. Ve basti el dire che ggiorni fa, me fece questa domanda. Dice: «Ma dditeme un po’ sor Pavolo, ma er parlamento sta ppe’ ttutti li paesi d’Itaja 22?» Tra uno sfacciato sfoggio di buoni propositi e la recita di tutto il repertorio delle promesse elettorali, il rito delle votazioni e dei conseguenti scrutini si consuma disinvoltamente con brogli e pasticci nella assoluta convinzione di recitare una pantomima perché tutto è inutile e nulla cambierà. E il ‘popolo’? Niente altro che un fantasma: è rappresentato infatti da poveri e ignoranti operai assoldati per poche lire e, come semplici ‘comparse’, costituiscono il raccogliticcio pubblico delle varie riunioni pre-elettorali: per tutto il tempo non fanno che dormire e solo a comando, come marionette, si svegliano, applaudono e crollano di nuovo in un sonno profondo. Doppo el 20 settembre, scritta nel 1908, è ambientata nei giorni successivi alla breccia di Porta Pia. Mentre si festeggia Roma Capitale, un gruppo di cospiratori, che vorrebbero restaurare il governo papalino, progetta di andare a Civitavecchia, richiamare i Francesi e con loro liberare il Papa e la città dagli ‘invasori’. Nel bel mezzo della riunione irrompe in casa un amico che finge di essere il delegato di polizia. I congiurati non si perdono d’animo e trasformano la loro assemblea clandestina in prove per uno spettacolo che vuole celebrare l’unità d’Italia e senza alcun turbamento inneggiano al nuovo re. Tutto ciò accade nei primi due atti e la commedia potrebbe concludersi qui. Ma c’è un terzo atto che solo apparentemente può sembrare estraneo e quasi artificiosamente aggiunto, ma che invece completa l’opera che altrimenti si risolverebbe come una esilarante ma troppo facile satira sui romani nostalgici del potere pontificio. Sono trascorsi cinque anni dagli eventi accaduti precedentemente e molte cose sono cambiate, qualcuno dei personaggi ha trovato il modo di adattarsi alla nuova situazione, mentre i protagonisti, che erano commercianti di stoffe, non ci sono riusciti, sono ormai poveri e la giovane figlia malata di tisi sta morendo. Naturalmente la responsabi22 Atto IV, scena IV. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 38 28/11/13 12.43 - - o - - - 1. introduzione 39 lità di tanta rovina va cercata nel nuovo assetto politico e di conseguenza economico, anche se manca una analisi, seppure esclusivamente drammaturgica, che chiarisca cause ed effetti, tranne qualche breve cenno ai nuovi esercizi commerciali romani, tra i quali è ricordata anche la Rinascente. Uguale scontento per il nuovo assetto politico emerge dal monologo de Er pizzardone avvilito nel quale il protagonista lamenta la sua impossibilità a riconoscersi nella nuova realtà e se la prende con tutti anche con «‘sti communisti de la…». La sua è però una ribellione senza costrutto che si risolve in momentanee quanto inutili lamentele o in improvvisi quanto sterili slanci durante i quali minaccia di esser pronto ad andare a protestare presso i suoi superiori, anzi persino a dare le «dimensioni» (dimissioni) salvo poi riflettere e rassegnarsi: Ah! a le mie dimensioni... (pausa. Si gratta il capo) Già, ddico bbene, già ma ddoppo, quanno je lò date, come se magna? Come se sbatte la scucchia?... (pausa) Ma ssò ppoco Ggiggi a ppijàmmene tanto! È mmejo a nun impicciasse: nun dico bbene? Nun ho raggione? Come se dice: chi vvò Tturchi se l’ammazzi!... (ridendo) Abbasta: nun ce pensamo: annàmmesene a riscote ‘st’antre du’ bbollette, pe’ ssentisse dì a ‘gni scampanellata: (imitando la voce) «Mamma, ecco er monnezzaro!» Resta infine un ultimo gruppo di opere nel quale prevale la donna come protagonista, si tratta de: La Zitellona, La famija della cantante, La socera, Accidenti a la prescia, Fanatica pe’ llegge li romanzi, e l’abbozzo La serva socialista. Nel teatro di Zanazzo i personaggi femminili difficilmente fanno una brutta figura, anche quando sono negativi. Fermezza d’animo, orgoglio, coerenza nel comportamento e soprattutto senso dell’indipendenza sono qualità in genere spese bene, soprattutto nelle situazioni che meglio afferiscono all’emancipazione femminile. È una donna, Crementina, in una popolazione prevalentemente analfabeta, la protagonista di Fanatica pe’ llegge li romanzi, vero e proprio omaggio alla lettura e in particolare alla letteratura ‘italiana’. Crementina è irrimediabile fan di Alessandro Manzoni, trascura le faccende domestiche, la casa, il marito, dimentica persino di mangiare pur di seguire le vicende di Renzo e Lucia e gioire alla sconfitta del prepotente don Rodrigo che odia in maniera viscerale. Mostra però un inaspettato interesse per la cultura e la lettura anche un’altra donna, un’altra Crementina, figlia di uno dei terribilli elettori influenti, la quale nell’ammirare il lussuoso studio dell’altrettanto terribile Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 39 28/11/13 12.43 40 introduzione candidato l’avvocato Tomboni, nota anche i numerosi libri sugli scaffali delle librerie che ricoprono le pareti. SPUTAROSSO (nel vederle) Sangue-der-naso! Ma cche vvienite a ffà a rompe la divuzione, quann’uno sta occupato in de l’affari. CRODOVEA C’è vvorsuta vienì la tu’ fija. CREMENTINA Che vv’arincresce? SPUTAROSSO (con importanza) No, ma capirete che quanno uno cià un craus d’affari da sbrigà, nun pò ddà retta a nisuno. M’hanno messo in mano... se tratta er maneggio de tutto quanto er corpo littorale. CREMENTINA (osservando lo studio) Che bella cammera! CRODOVEA Davero va! Che bbelle portrone, che quadri! CREMENTINA E tutti ‘sti libri. Eh papà cce sò romanzi da legge? (rovista mettendo ogni cosa ssossopra)23. Ne La famija de la cantante i personaggi femminili invece appaiono, per tutta la prima parte della commedia, irrimediabilmente negativi e senza possibilità di riscatto in confronto ai personaggi maschili, più miti o comunque privi della irriducibile protervia delle donne. Ma se è vero che anche nel male c’è una grandezza, Bice la cantante, Nena la madre e Agheta l’amica, tutte arriviste, pronte anche a prostituirsi pur di raggiungere il successo, sono altrettanto pronte a riconoscere le loro sconfitte e, testarde e coerenti fino in fondo, continuano a lottare pronte a tentare ancora la sorte, perché chissà… non si sa mai! La stessa cosa non può dirsi dei personaggi maschili più miti sì, ma in realtà anche più fragili e più meschini; incoscientemente e spavaldamente sicuri nella buona sorte, si abbattono nel momento della sconfitta e si arrendono senza opporre resistenza, incapaci di agire, ma soprattutto di reagire. E anche nei ‘contrasti d’amore’, che abbiamo già esaminato, la donna prevale in un certo senso sull’uomo: per nulla dolce e remissiva e tanto meno supplichevole o piagnucolosa rivela in genere un pessimo carattere che cela però orgoglio e dignità in nome dei quali, anche a costo di sembrare incrollabilmente testarda, non rinuncia ad un millimetro della propria fierezza e autonomia. Un insolito interno al femminile nel quale agisce un curioso campionario di donne con una variegata gamma di pregi e difetti troviamo in Zitellona che insieme a La famija della cantante e Doppo el 20 settembre 23 Atto III, scena IV. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 40 28/11/13 12.43 a - - - - 1. introduzione 41 potrebbe costituire un interessante trittico dei vinti in chiave antiunitaria o forse semplicemente postunitaria. In una atmosfera un po’ patetica e un po’ crudele ancora una volta si presenta la situazione di una famiglia distrutta dal nuovo assetto politico. Sempre poco chiare sono le profonde motivazioni (la concorrenza? le troppe tasse?) per cui il benessere di quella famiglia sotto il governo del papa sia miseramente svanito nel Regno d’Italia. È però evidente che il disastro è grande e travolge senza alcun riguardo vite e sentimenti innescando reazioni individuali finemente delineate dal punto di vista drammaturgico. Tra i personaggi di Zitellona, Vittoriona sembra essere il progetto in nuce o, per meglio dirla in termini teatrali, la ‘prova generale’ di Cammilla la protagonista de La socera che forse, insieme agli Elettori infruventi, è la più riuscita, compatta e coerente delle opere teatrali di Zanazzo. Sia Vittoriona che Camilla sono suocere, arricchite e presuntuosamente ignoranti, godono con grossolana ostentazione del benessere economico conquistato duramente e lo difendono con crudele tenacia. Mentre però la figura di Vittoriona resta allo stato di abbozzo, nel personaggio di Cammilla, summa di ogni cattiveria e negatività, queste caratteristiche sembrano fondersi perfettamente per dar vita ad un personaggio maturo, intenso e a tutto tondo che, con incredibile cinismo e sottile perfidia, muove i fili di un’intrigata vicenda che si sviluppa attorno a una lettera da lei malignamente interpretata a danno del genero. Ancora ne La socera compare, perfettamente compiuto e delineato, un altro singolare personaggio: Roma. Aveva fatto una fugace apparizione in Pippetto ha fatto sega mostrandosi all’orizzonte languidamente adagiata «immezzo ar crepuscolo» come «un chiarore smorto […] illuminata a gasse24». Ora invece si mostra in piena luce quando, durante le passeggiate non sempre innocenti del marito di Cammilla, si aprono insospettati spiragli sulla nuova città capitale che sta nascendo: CAMMILLA Indove ve n’andate che vve vedo tutto in arme e bagaji? GIUSEPPE El solito. A famme una passeggiata pe’ li quartieri novi, che sò una sciccheria. Si vedi che paradiso che sò li quartieri Ludovisi, li prati de Castello, l’Esquilino!... Che strade larghe, che aria, che sole! ah benemio, te senti arinato!... Tu, invece, te ne stai sempre a covà a ccasa…25 - n 24 25 Pippetto ha fatto sega, Atto III, didascalia iniziale. Atto I, scena III. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 41 28/11/13 12.43 42 introduzione Due personaggi femminili sono protagonisti assoluti di Accidenti alla prescia, una brevissima pièce nella quale, due amiche, Barbera e Mitirde, si incontrano di ritorno dal mercato. Sono indaffaratissime, ma nel saluto frettoloso non mancano di scambiarsi rapidi cenni a succulenti pettegolezzi. Non resistendo alla curiosità le due donne si fermano per darsi rapide spiegazioni ripromettendosi di riprendere subito il cammino. In realtà le chiacchiere si prolungano. A scandire il tempo che passa entra in scena il padrone del negozio davanti al quale sono ferme Barbera e Mitirde, il quale, a mo’ di siparietto brechtiano, si affaccia sulla soglia della sua bottega le osserva ironicamente e reca loro generi di conforto per aiutarle nella lunga sosta. Una insospettata e piacevole sorpresa è infine la traduzione in romanesco del Giulio Cesare di William Shakespeare. C’era già stato da parte di Zanazzo un primo timido omaggio al drammaturgo inglese, autore che evidentemente conosceva e amava, nelle scenette popolari pubblicate con il titolo Un mortorio a Roma26 . Divise in tre parti, le scenette descrivono i diversi momenti di un funerale: il compianto, il corteo funebre e la sepoltura. Nella seconda parte non è difficile scorgere dietro i frati in attesa della bara del defunto che discorrono del più e del meno, i becchini che scavano la fossa per seppellire Ofelia 27. Becchini e frati auspicano piacevoli bevute, anche se per i primi si tratta di una pinta di birra e per i secondi naturalmente di «un bicchier de vino bono». Zanazzo potrebbe aver maturato l’idea di tradurre il Giulio Cesare all’indomani della memorabile messa in scena del capolavoro shakesperiano avvenuta a Roma al teatro Argentina, il 29 dicembre 1905. Tra gli interpreti tutti componenti della Drammatica Compagnia di Roma diretta da Eduardo Boutet, ricordiamo l’anziana Giacinta Pezzana28 e numerosi giovani attori tra i quali Ferruccio Garavaglia29. Inoltre Zanazzo certamente conosceva le vicende del teatro in romanesco e non ignorava che nei primi decenni dell’Ottocento alcuni illustri 26 G. Zanazzo, Un mortorio a Roma, Roma, Cerroni e Solaro Edizioni, 1887. W. Shakespeare, Amleto, atto V, scena I. 28 Giacinta Pezzana (1841-1919), una delle più rappresentative attrici del suo tempo. Propose un nuovo modo di interpretazione fuori degli schemi ottocenteschi recitando con coraggio anche personaggi maschili come ad esempio Amleto. Nel 1915 girò anche un film, Teresa Raquin, con la regia di Nino Martoglio. 29 Ferruccio Garavaglia (1868-1916) importante attore di teatro ma che recitò anche in numerosi film tratti da opere liriche o da drammi: Otello (1909), La morte civile (1910), Rigoletto (1910), Romeo e Giulietta (1912). 27 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 42 28/11/13 12.43 , 1. introduzione 43 intellettuali, a scopo divulgativo o per semplice sperimentalismo, avevano tradotto in romanesco la Didone abbandonata di Metastasio, divenuta ad opera di Alessansro Barbosi la Didona der Metastazzio (1838) e Il Campiello e I Rusteghi di Goldoni divenuti La piazzetta (1843) e Una quaterna de quattro scontenti (1838) ad opera di Luigi Randanini. Molto probabilmente Zanazzo non aveva intenti divulgativi mentre è probabile che la sua traduzione sia un impegnativo esercizio linguistico, un modo per mettere ulteriormente alla prova le possibilità espressive del romanesco che aveva già così ampiamente sperimentato in tutto il suo teatro, ma che ora osava confrontare con il genio sommo della drammaturgia. Purtroppo l’opera è rimasta incompiuta. I soli tre atti tradotti sono però sufficienti per apprezzare la delicata e non facile impresa che risulta assolutamente rispettosa del testo originale, tranne qualche taglio e qualche anacronismo. È opportuno forse chiarire che non si tratta né di una parodia, né di un adattamento. Tutta la forza e l’intensità della vicenda della congiura per uccidere Giulio Cesare resta intatta, come intatte restano le psicologie dei personaggi. *** Infine a dimostrazione di una inesauribile creatività di Zanazzo nel proporre personaggi e situazioni per la magia del palcoscenico, nell’ultima carta del grande faldone della Biblioteca Angelica che raccoglie il suo teatro, si possono leggere due abbozzi La serva socialista, e Parlare di un socialista alla moglie. Il primo certamente prelude alla redazione di una commedia dal momento che sono già indicati i personaggi, l’altro potrebbe essere il nucleo per un monologo, genere già sperimentato da Zanazzo con Il pizzardone avvilito. Troppo brevi, troppo poco strutturati per capire il loro futuro sviluppo, i due abbozzi hanno in realtà un’importanza particolare per comprendere la scrittura drammaturgica di Zanazzo, la sua singolare evoluzione e la fortuna scenica del suo teatro. Paola Paesano nella sua relazione presentata nell’ambito del convegno del 2010, alla quale rinviamo per l’ampia e interessante analisi 30, 30 Cfr.: P. Paesano, Un poeta romanesco tra gli Arcadi: il Fondo Zanazzo alla Biblioteca Angelica in: Le voci di Roma... Omaggio a Giggi Zanazzo. Atti del convegno di studi Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 43 28/11/13 12.43 44 introduzione giustamente sottolinea come nel Parlare di un socialista alla moglie risulta evidente «la duplice natura dell’opera del nostro autore, di ascolto e osservazione dei parlanti, ma anche di originale e autonoma creazione31.» E ancora poco dopo scrive: «Quando si tratta di dar voce al ‘popolo minuto’, di rappresentarlo ma anche di intrattenerlo, Zanazzo insomma sembra sintonizzato sul parlare naturale del volgo, ma al contempo è la sua propria voce che abilmente inventa. Ecco, credo che questo frammento del laboratorio zanazziano ci dica molto, da solo, del processo di osmosi continua tra un teatro, per così dire, della vita, naturale e diffuso, e un teatro artificiale, che solo apparentemente restituisce una mimesi dell’oralità.32» Identico discorso può farsi per La serva socialista nel quale la protagonista, che non a caso si chiama Ardita Rivolta, si presenta come serva e donna evoluta, dal comportamento un po’ bislacco, ma certamente determinato e finalizzato all’emancipazione delle lavoratrici come lei per le quali Zanazzo annota nove punti fondamentali di rivendicazioni. La figura di Ardita Rivolta richiama inevitabilmente la protagonista della scenetta Fanatica pe’ li romanzi ed entrambe possono essere accomunate alla moglie del protagonista del monologo del Parlare di un socialista, a proposito della quale, esclusivamente dalle parole del marito, apprendiamo che è ben poco sottomessa e per nulla ciecamente compresa nel suo ruolo di moglie. Tralasciando le infinite implicazioni sociali e culturali che queste figure femminili lasciano intravedere, ai fini del nostro discorso teatrale non possiamo non soffermarci con Paola Paesano su una considerazione fondamentale. Nel delineare questi personaggi Zanazzo opera una vera e propria «forzatura, sul piano culturale e sociale» probabilmente frutto «di una idealizzazione, da parte sua, della plebe romana, alla quale attribuisce non soltanto briosità e fantasia, ma anche adeguatezza sociale e capacità di stare al passo nella mutata realtà di Roma capitale d’Italia 33.» In realtà il discorso vale per tutto il suo teatro ed ha inevitabili ricadute sulla sua fortuna. Se ripercorriamo cronologicamente, almeno per quanto è possibile ipoRoma, 18-19 novembre 2010, a cura di F. Onorati e G. Scalessa, Roma, Centro Studi Giuseppe Gioacchino Belli, 2011, pp. 103-109. 31 Ivi, p. 105. 32 Ivi, p. 107. 33 Ivi, p. 108 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 44 28/11/13 12.43 - e , o - - - - - - 1. introduzione 45 tizzare una cronologia in assenza di dati oggettivi, notiamo che il successo arride a Zanazzo finché la sua scrittura drammaturgica, benché rinnovata, si attiene a descrivere un mondo riconoscibile nella realtà e lo fa nelle forme rispondenti alle convenzioni in uso nell’ambito della finzione scenica. In termini di produzione teatrale possiamo indicare un arco temporale che va da I Maganzesi a Li carbonari. Nel momento in cui Zanazzo, pur continuando ad usare il dialetto, affida al suo teatro gli stessi compiti di quello in lingua, e cioè la rappresentazione e l’interpretazione della realtà, qualcosa non funziona più e le sue opere registrano dapprima successi con riserva e poi insuccessi veri e propri. Così come abbiamo visto che Zanazzo aveva idealizzato in alcune sue opere i popolani che assumeva come personaggi, allo stesso modo aveva probabilmente idealizzato anche il pubblico al quale si rivolgeva, un pubblico che stava cambiando, certamente, ma che non era ancora pronto ad accogliere un discorso così audace come quello che egli proponeva… e chissà quando lo sarebbe stato. Questo potrebbe forse spiegare quella specie di damnatio memoriae che da quel momento in poi ha cancellato il ricordo del nome di Zanazzo non soltanto dalle storie del teatro in lingua ma anche da quelle del teatro in dialetto, causando un grave danno per lo studio e la conoscenza della tradizione teatrale in genere e in particolare di quella romana e del suo dialetto che, come ogni altra lingua, trova sul palcoscenico uno dei luoghi più appropriati e significativi per formarsi, rinnovarsi e svilupparsi. Nel 1907 Zanazzo aveva legato la sua attività a quella di una delle più importanti attrici del momento, Giacinta Pezzana. Con lei, oltre ad aver ideato un concorso per opere teatrali in dialetto, preparò l’allestimento de La socera che andò in scena al Teatro Quirino di Roma il 18 aprile 1908. Il successo fu discreto tanto che incoraggiò la messa in scena, di lì a poco, anche de La famija della cantante che però non ebbe uguale riscontro34. Quella fu comunque l’ultima apparizione ufficiale del commediografo romano e del suo teatro. Dai copioni manoscritti della Biblioteca Angelica si può dedurre che esisteva ancora un altro progetto da realizzare al Teatro Quirino, ma che non andò in porto. Il copione dell’opera Doppo el 20 settembre sembra infatti destinato alla rappresentazione, ha tutte le caratteristiche di un copione ufficiale dal momento che reca, oltre al timbro di 34 F. Bonanni Paratore, Il teatro di Zanazzo, in G. Zanazzo, La sôcera, Roma, Bulzoni, 1980, p. 13. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 45 28/11/13 12.43 46 introduzione possesso dell’attrice Giacinta Pezzana, il visto della censura: 29 aprile 1908 e la scritta in alto a destra sulla copertina “Quirino” 35. Ma ormai il momento ‘magico’ era passato e inoltre le condizioni di salute di Zanazzo si facevano sempre più precarie. Lo scrittore morirà infatti poco tempo dopo, il 13 dicembre del 1911. Per tanto tempo la sua fama è stata affidata soltanto alle tante pagine dell’opera sulle tradizioni popolari di Roma mentre delle opere teatrali, sia edite che inedite, si era praticamente persa memoria. Finalmente, soprattutto dopo la scadenza del doppio anniversario di nascita e morte che ha inevitabilmente acceso i riflettori della ribalta su Giggi Zanazzo, si è cercato di ricostruire correttamente la sua figura di intellettuale a tutto tondo, attento testimone della sua epoca: giornalista e animatore in prima persona di fortunate pubblicazioni periodiche, antropologo ante litteram e interessante poeta, colto e raffinato spettatore, assiduo frequentatore del teatro di prosa e lirico, attore, che più di una volta si è esibito in palcoscenico e certamente regista, almeno delle sue opere e infine abile ed originale drammaturgo, in dialetto romanesco. A tale scopo speriamo possa contribuire questa pubblicazione del suo teatro, che oggi noi proponiamo «non per tesserne l’elogio», come fa dire Shakespeare al suo Antonio, o meglio «no’ pe’ laudallo», come dice invece Antonio in romanesco, ma per restituire a Giggi Zanazzo quella attenzione accurata e oggettiva che avrebbe da sempre meritato. 35 Francesca Bonanni cita altre possibili, seppure non documentate, riproposte di opere di Zanazzo nel 1911 all’Acquario Romano o forse anche al Metastasio dove agiva la compagnia romanesca di Oreste Raffaelli. Ivi Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 46 28/11/13 12.43 1. introduzione Paola Paesano «Er fatto succede a Roma». Il teatro di Zanazzo tra palcoscenico e memorie d’archivio. - - 47 A leggere il teatro di Zanazzo, l’immagine dell’archivio, di un archivio generosamente esposto (nella valenza di spazio sia fisico sia concettuale), prende paradossalmente corpo come deposito di testimonianza, che integra, nella sua specificità, il lascito di documentazione a tutto campo – poetico, antropologico, linguistico, musicale, giornalistico e di costume – che l’autore ha consegnato della sua città, un lascito che evidenzia quanto complessa e contraddittoria, alla fine, appaia la realtà sociale della capitale umbertina anche nella soluzione ‘comica’ prediletta da Zanazzo. Diciamo questo non solo perché – va ricordato – ‘archivistica’ è la chiave che permette l’accesso materiale alla parte più cospicua di tale teatro1; ma soprattutto in quanto, leggendo i testi delle sue commedie, entriamo in stretto contatto con un vero e proprio archivio storico e sentimentale di tipi umani, luoghi, oggetti, mestieri, rappresentativi della situazione sociale romana degli ultimi due decenni dell’Ottocento e del primo decennio del Novecento. Per non dire della mentalità, delle parlate, dell’immaginario di quella particolare società. Se poi volessimo considerare solo il gioco dilettevole e farsesco, a volte irresistibile, altre volte di una comicità più convenzionale, scopriremmo pure come si divertiva il pubblico romano e come, da un certo momento in poi, non si sia divertito più: è infatti noto come il successo, precedentemente arriso dalle platee al commediografo, sia venuto meno negli ultimi anni della sua vita, intorno al 1908-19112. E sempre che non si voglia considerare ancora l’approccio archivistico del contributo finora generalmente ritenuto 1 Facciamo riferimento al Fondo Zanazzo conservato nella Biblioteca Angelica dal 1948, quando il figlio dello scrittore, Alfredo, vendette le carte paterne all’istituzione romana. Cfr. P. Paesano, Un poeta romanesco tra gli Arcadi. Il Fondo Zanazzo alla Biblioteca Angelica, in: Le voci di Roma. Omaggio a Giggi Zanazzo. Atti del convegno di studi Roma, 18-19 novembre 2010, a cura di F. Onorati e G. Scalessa, Roma, Centro Studi Giuseppe Gioacchino Belli, 2011, pp. 97-109. 2 Ne parla Francesca Bonanni nelle pagine introduttive a La socera, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 12-13. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 47 28/11/13 12.43 48 introduzione più significativo dell’intera attività di Giggi Zanazzo: il lavoro di raccolta e rielaborazione narrativa compiuto dallo scrittore nei confronti delle tradizioni popolari di Roma e del Lazio. La città deve molto, infatti, alla passione archivistica di Zanazzo, il quale persegue con metodo originale il suo interesse antropologico di scrittore: che, in parte, è figlio di una sensibilità romantica nostalgica di un passato ritenuto più genuino, in parte è in sintonia con le istanze positivistiche del suo tempo, le quali favorivano, per l’appunto, operazioni di recupero sistematico di varie tipologie di documenti. Le competenze linguistico-antropologiche dell’autore, presupposto dei quattro volumi delle Tradizioni popolari romane3, attraversano infatti fittamente anche il teatro, così come succede per i suoi componimenti in versi e per le canzoni; queste competenze sono funzionali a una rappresentazione del popolo che coincide con la sua vita quotidiana e domestica, in cui popolani e popolane, ma anche, sempre più spesso, esponenti della piccola borghesia – il generetto romano –, sono ritratti, oltre che nella loro parlata ricca di modi di dire, di espressioni idiomatiche e proverbiali, anche nei costumi, nella ‘saggezza’, nell’arte di arrangiarsi. Nondimeno Zanazzo trasferisce la perizia di studioso del folclore sul terreno mobile dell’attualità, dove i suoi concittadini vengono variamente rappresentati nella capacità di adeguamento ai tempi presenti o, al contrario, nella resistenza e nel disagio causati dai nuovi assetti che si impongono nella realtà sociale ed economica della Roma post-unitaria. Troviamo perciò, nel suo teatro, umili casalinghe, che sono lettrici accanite (Fanatica pe’ llegge li romanzi) e serve non solo indomite, ma anche sindacalizzate (La serva socialista); come pure altri personaggi che recriminano sul governo laico e sui «buzzurri» e risentono in generale di una diversa ‘centralità’ di Roma, liberata dal medioevo e tolta a un letargo secolare, ma anche sottratta a una sorta di rapporto ombelicale con la sua popolazione che, ricordiamo, era ripartita nelle componenti sociali dell’aristocrazia nera, dei mercanti di campagna – il cosiddetto generone –, della piccola borghesia, e della plebe. Non vi è dubbio infatti che lo scrittore sia stato il termometro a un tempo delle euforie e dello smarrimento della base della società romana al cospetto di così rapidi rivolgimenti. La quale è colta da lui – da uno Zanazzo partecipe in prima persona: non solo come poeta, uomo di teatro e antropologo, ma anche come giornalista, impiegato ministeriale e 3 G. Zanazzo, Tradizioni popolari romane, Torino, STEN, 1907-1910, 3 voll., più il IV vol. uscito postumo a cura di G. Orioli, Roma, Staderini, 1960. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 48 28/11/13 12.43 i n - - e l , a e 1. introduzione 49 figlio di un padre commerciante – nelle contraddizioni tra sentimento di appartenenza alla nazione de li fratelli tajani e l’incapacità/impossibilità di esprimere una vera cultura civile. Basti pensare all’affondo satirico de Gli Elettori infruventi, il più feroce realizzato da Zanazzo commediografo, dove clientelismo e scadimento qualunquista sono il contrassegno del costume politico cittadino, preso di mira dall’autore e attribuito, in una comune irresponsabilità, a candidati politici ed elettori. Più in generale, quindi, attraverso il teatro, questa caratteristica ‘archivistico-museale’, che si diceva essere propria dell’arte di Zanazzo, aggiunge vive suggestioni al ricordo di una certa Roma di fine Ottocento/inizio Novecento, ed è in grado di animare una scrittura drammaturgica ammirevole, per la capacità narrativa, di sceneggiatura, di invenzione delle azioni, di mordacità delle battute e di calcolo quasi sempre efficacissimo dei tempi comici. Tra l’altro, i manoscritti teatrali di Zanazzo manifestano come queste qualità, godibili anche alla lettura, siano raggiunte grazie a un accurato lavoro di lima da parte dell’autore che procede a diverse stesure (fino a tre) dei suoi testi; molte delle quali sono tormentatissime, con cancellature di varia estensione, ripensamenti (spesso in funzione della ‘dicibilità’ delle battute), integrazioni, finali alternativi, inserti, note esplicative. Se da una parte, quindi, come ricorda il figlio Alfredo4, egli scrive sotto l’urgenza dell’andata in scena (in un’attività febbrile causa probabile della perdita di molti dei suoi lavori5), dall’altra egli sperimenta una fase, più tarda, che coincide con l’impiego presso la biblioteca del Ministero della Pubblica Istruzione, in cui l’approfondimento degli studi folclorici e una maggiore distensione nei tempi e nei modi della scrittura creativa sembrano andare di pari passo. Detto questo, rimane il fatto che le commedie di Zanazzo sono pressoché ignorate dalle storie del teatro italiano. C’è da ripetere che solo poche furono pubblicate al tempo, ma certo è inspiegabile che finanche Anton Giulio Bragaglia, nella sua Storia del teatro popolare romano, ricordi Zanazzo più che altro per aver dato vita al personaggio seriale di Pippetto (con Pippetto ha fatto sega). Si può anzi dire che Bragaglia ne liquidi il ruolo, quando attribuisce a motivi pubblicitari, di autopromozione, il fatto 4 A. Zanazzo, Mio padre, «Orazio diario di Roma», a. V, n. 5-7, maggio-luglio 1953, ora in: Omaggio a Giggi Zanazzo, a cura di F. Onorati, Roma, Quaderni delle Fondazioni Marco ed Ernesta Besso, XII, [pp. 33-56], p.39. 5 Cfr. più oltre la nostra Avvertenza. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 49 28/11/13 12.43 50 introduzione che l’autore romano porti in giro nelle rassegne carnevalesche italiane la maschera di Rugantino, più che altro per reclamizzare il suo giornale6. Ora, a parte la velenosità di questa asserzione, la circostanza che Zanazzo, nonostante faccia di Rugantino una bandiera della romanità, non lo utilizzi poi drammaturgicamente, è cosa che va sottolineata e che evidenzia il suo interesse per una scena naturalistica, fondata su un teatro di scrittura nel quale non trovano posto, salvo pochissime eccezioni, personaggi caricaturali o figure di popolani stereotipati. Certo vi sono contemplate suocere-virago, mariti-gelosi e cornuti, zitelle-predestinate, ma, ad esempio, la figura del ‘geloso’ porta in scena un raro esempio di artigiano mosaicista che ragiona pure sul decadimento del suo mestiere: SCENA III Ameleto solo (sedendo al banco) Mettiamose al lavoro... Eh povero Ameleto, chi tte l’avesse detto, d’ariducette, per tirà avanti la vita, a llavorà pel Quarantotto! Poveri artisti romani! Prima l’arte del musaicista te faceva mangià co’ la forchetta d’oro. E adesso? Adesso manco con quella de stagno. Prima tutti li musaicisti padronali, cominciando da papà mio, marciaveno in carrozza; e adesso è un pianto. Uno s’è ridotto a ffà el pizzardone, uno el poliziotto, un altro el cicerone... E ll’arte nostra che era la più aristocratica de tutte, adesso ha da fà le spille da quarantotto centesimi per annà a gegno a le serve!... Così la suocera molesta della commedia omonima non è in prevedibile polemica con la nuora, ma con il genero (e vedremo più avanti con quali dinamiche); il personaggio della Zitellona, infine, non appartiene affatto alla categoria delle zitelle risentite e, semmai, è un tipo soccorrevole e sempre pronto a mettere pace. In generale, a parte la Cammilla della Socera, la scena di Zanazzo non prevede un personaggio protagonista, conformemente con la tradizione di certo teatro popolare che sembra attingere più alla scena del presepe che a quella della commedia. L’autore rifugge tanto dal teatro d’improvvisazione quanto dal teatro che si regge sul carisma dell’attore brillante e funambolico, del capocomico o dell’attrice sciantosa che nell’Ottocento, anche a Roma, già si affermavano e in qualche caso furoreggiavano nel teatro leggero. 6 A. G. Bragaglia, Storia del teatro popolare romano, Roma, Colombo, 1958, p. 417. Per quanto riguarda il giornale Il Rugantino, che Zanazzo diresse dal 1887 al 1897, cfr. P. Puglisi, «Ggente mia, garbata e bbella»: Zanazzo giornalista, in: Le voci di Roma. op. cit., pp. 52-61. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 50 28/11/13 12.43 - - - 1. introduzione 51 Il teatro di Zanazzo si basa invece, perlopiù, su una scena corale, di cui protagonisti sono, come già dicevamo, un vasto campionario di tipi umani, ma, ancor più, gli intrecci e le parlate, le coloriture lessicali, i motteggi e gli alterchi fino all’insulto, il tutto poi tenuto insieme anche da una funzione larvatamente pedagogica. Pensiamo soltanto a quanto si diverta Zanazzo nell’esibire, in molte sue commedie, la parlata ciovile di personaggi che si sforzano di esprimersi nell’idioma nazionale infilando preziosi strafalcioni: «palco osceno», «librettino» (libertino), «bruttiferio» (putiferio), «speranze avane», «lupopanare», «il brandolo di questa matassa aruffianata», «lupus est in fabbrica», «animali [annali] dell’arte», «società filantronica» fino a quello sfondone che evidentemente deve essere una sorta di archetipo dello sproposito linguistico, «a ogni pier sospinto», riemerso intatto per bocca di un ministro della Pubblica Istruzione dei nostri ultimi anni e reso, così, indimenticabile. Si diceva degli aspetti corali della scena zanazziana, che predilige la piazza, l’osteria, la bottega, l’aula di giustizia, o la guardiola del portiere: spazio di confine dove si rifrangono le storie di fuori con quelle interne alle case; una dimensione corale che si realizza ancora nella simultaneità dell’azione, come in certe scene de Gli elettori infruventi (dove le azioni possono essere anche quattro o cinque contemporaneamente) o di Essere o nun essere, che pone in primo piano un intero inventario della biancheria di casa (un piccolo tesoro per quei tempi): per certi aspetti rientrante in quell’‘attrazione’ archivistica già detta, per altri confacente alla figura retorica del catalogo, dell’elencazione. Ma, sul piano dell’espressione vocale e della rappresentazione, si tratta di una sorta di litania impersonale, di un vero e proprio controcanto alle trame di due comari a colloquio (le sottolineature sono nostre): e SCENA I Teta e Vittoria VITTORIA (seduta; tiene ai suoi piedi un grande involto di biancheria, da cui ogni tanto ne toglie un pezzo e lo consegna a Teta) Dunque scassate. Avemo detto, quattro para de carzette... TETA (seduta al banco con un lapis e la nota della biancheria) Avanti. VITTORIA (c.s.) Cinque stracci; du’ lenzoli; quattro camicie de lui... TETA E quella camicia dell’altra settimana? VITTORIA Ve la porto giuveddì; perché l’ho ridovuta arimette in bucata... Scassate: du’ para de mutanne de lui... A preposito, tramente vienivo qua da voi, azzeccate un po’ chi ho incontrato? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 51 28/11/13 12.43 52 introduzione [...] VITTORIA Io?! Je metterebbe ppiù... Scassate: quattro tovaje; sei sarviette; un barettino da notte; cinque para de pedalini... [...] VITTORIA Annatevel’a ccerca, annatevela!... Sei fasciatori; otto fazzoletti de colore; cinque paracaduti [N. d. A.: sospensorio];... Anzi da oggi in poi, sapete che vve dico? Secca la lingua mia si vve n’ariparlo. Nu’ ne vojo sapé ppiù ppuzza. Aibbò!... Cinque fazzoletti de tela; una parannanza;... Dice bbene: Chi ffa bbene ar somaro ciarimette lescìa e ssapone. [...] VITTORIA Annatevel’a cerca! Io nu’ je l’ho domannato, perché nun me sta bbene a impicciamme. Lo sapete, sò ttanta dilicata in certe cose... Tre ffodere; quattro veste; otto panni; sei scuffiette der pupo... [...] TETA Sento rumore. Zitta, per l’amordeddio, che ecco lui! VITTORIA E cciarifà!... Cinque canavacci; quattro zinaloni der pupo... Non mancano ovviamente la coralità/convivialità che riunisce commensali per un brindisi o un pranzo, in casa e in trattoria. L’osteria, come è facile aspettarsi, è uno dei luoghi deputati del teatro di Zanazzo, ma il riferimento agli ambienti non è mai generico; questi hanno quasi sempre indirizzi precisi e reali. Per esempio, lo spazio antistante l’osteria di Melafumo (che si trovava in prossimità di Ponte Milvio) è la scena su cui si apre il secondo atto di Pippetto ha fatto sega. E cosi pure, sempre in Pippetto, ci si può imbattere nella trattoria Ar Farcone (in Via Trionfale, 60, tuttora attiva), mentre, in Evviva la migragna, è menzionata l’Osteria della Farnesina, detta del Ciarlotto, che si trovava in Trastevere. È anche vero che la tavola si fa notare, sulla scena, più per la sua precarietà e scarsezza che per l’abbondanza; insomma, si fa un gran parlare di pranzi e di ristoranti, ma il più delle volte il problema principale è trovare il modo di sfamarsi, di «sbattere la scucchia» e diviene, come è facile immaginare, l’elemento capace di condizionare schemi di comportamento e relazioni tra le diverse parti. E d’altra parte Zanazzo, meticoloso osservatore del quotidiano, non manca di portare sul palcoscenico tutta una serie di piatti e bevande a illustrazione della cucina popolare. Ecco di seguito cosa mangiano, cosa bevono (ma anche cosa vagheggiano) i suoi personaggi: ristoro (brodo ristretto con un uovo battuto), maccheroni/maccaroni, pasticcio di gnocchi, minestra cor sartarello, preciutto/presciutto, carne cotta ne la pila, stufatino ar sellero, provature (mozzarelle), cacio, alice coll’ermo (con l’elmo), torsoli Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 52 28/11/13 12.43 - - - - - - - - - - , 1. introduzione 53 d’uovo sbattuto, noce pe’ ffrutti, cocommeri, rumme e caffé rumato, Marsalla, ma anche il porazzo7 e, ovviamente, il vino che, possiamo dire, scorre a fiumi sulla scena del nostro: dal Chianti al Frascati. Sono in linea con il naturalismo e la coralità di Zanazzo i temi di ispirazione storica e di vago sapore epicizzante, come nella divertente operetta Li Maganzesi a Roma, ambientata nel 1798, durante la Repubblica Romana, opera prima del giovane commediografo, già capacissimo di destreggiarsi con le invenzioni linguistiche tra gergo francioso e parlata tedeschizzante, o come la commedia in tre atti Doppo er 20 Settembre che dichiara addirittura un valore di autentica testimonianza. Così recita l’annotazione manoscritta a margine nel copione: «Fatto storico avvenuto presso a poco nel 1876. Alcuni dei personaggi sono ancora vivi». E, per quanto Zanazzo abbia potuto giocare con la comicità veramente esilarante dell’azione centrale della commedia – l’irruzione delle forze di polizia (finte) nel covo di congiurati papalini (veri) –, certo essa dà molto bene l’idea, seppure in chiave satirica, di quali fossero i sentimenti e le posizioni di una certa piccola borghesia romana colpita nel vivo dell’«interesse», e in rapporti e abitudini consolidati. E del resto, sempre a proposito del teatro romanesco ‘di scrittura’ di Zanazzo, in buona parte storico e corale, non può che leggersi in questo senso anche il cimento, da parte sua, di tradurre in dialetto romanesco il Giulio Cesare, senz’altro la più ‘corale’ (insieme con il Coriolano) delle tragedie di Shakespeare. Se poi pensiamo alle commedie più tarde di Zanazzo, in cui la sua idea di popolo si estende al generetto romano – quel ceto piccolo borghese che a Roma si afferma in ritardo rispetto al Nord dell’Italia, e che è in gran parte il risultato sociale di un rapido travaso di popolazione nella capitale – la città stessa, in piena e rapida trasformazione urbanistica e demografica, diviene protagonista delle più articolate pièces zanazziane. In generale, in questa fase più tarda dell’attività dello scrittore, l’inquadramento dei luoghi romani si estende da un indistinto e astorico scenario trasteverino delle prime opere, al percorso di un’intera città, tanto che nel teatro-archivio di Zanazzo si possono rintracciare vecchie piazze oggi scomparse e quartieri di recente edificazione. In La Guida Monaci risaltano il «vicolo der boja» (in realtà vicolo del Campanile a Borgo, così chiamato perché al n. 4 c’era la casa del boja) e la chiesa di S. Maria in Cacaberis demolita 7 Una specie di acquavite ottenuta dalla fermentazione dei tubercoli del porrazzo (Asphodelus ramosus) pianta spontanea della campagna romana, indirettamente menzionata da Agnesa in Evviva la migragna! per insultare il marito Grispino: «purazziere!» Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 53 28/11/13 12.43 54 introduzione nel 1881, quando fu tracciata la via Arenula, e della quale si conserva tuttora il nome nell’omonima strada di Santa Maria dei Calderari. Le note dell’autore intervengono a chiarire particolari anche poco significanti come, per esempio, nella battuta iniziale di Mimma in Zitellona: «Sant’Antonio ha sonato le cinque e mezza; è ora che vadi a fare el caffé...», in cui l’autore specifica che la chiesa di «Sant’Antonio [dei Portoghesi] è meglio di S. Maria in Publicolis in piazza Costaguti». La scena del terzo atto della Socera si apre su «piazza Padella», un nome all’apparenza di fantasia e invece denotante, al tempo, la piazza realmente situata tra Via Giulia e il Lungotevere dei Tebaldi, nell’area oggi occupata dal Liceo Virgilio. Sempre nella stessa commedia, il marito della «socera» ama ricrearsi nei quartieri nuovi: CAMMILLA Indove ve n’andate che vve vedo tutto in arme e bagaji? GIUSEPPE El solito. A famme una passeggiata pe’ li quartieri novi, che sò una sciccheria. Si vedi che paradiso che sò li quartieri Ludovisi, li Prati de Castello, l’Esquilino!... Che strade larghe, che aria, che sole! ah bene mio, te senti arinato!... Tu invece te ne stai sempre a covà a ccasa... Dove non è poi tanto nascosto, come verrà chiarito qualche battuta più avanti, il senso metaforico adombrato nel desiderio di ‘respirare’ del povero Giuseppe, in fuga dall’opprimente personalità della moglie, e alla quale, non a caso, è attribuito, invece, l’attaccamento alla vecchia Roma e la derisione dei quartieri nuovi: CAMMILLA Sai che cose rare! Speciarmente queli belli nomi che j’hanno messo! Via Terenzia Mammana, via Pistalossi, Marco Pepe, Vitturino de Fertro, Ardo Pannuccio... GIUSEPPE Già, voi nun sete bona altro che a ccriticà tutto e tutti. Invece a me, me piaceno; ce vado e me ce trattengo con piacere8. Ove il richiamo dell’autore ai nuovi quartieri Ludovisi rinnova nei lettori odierni lo sconcerto per la distruzione delle ville tra il Castro Pretorio e Porta Pinciana avvenuta, non molti anni prima del riferimento che qui ne fa Zanazzo, in nome di una «febbre edilizia» che non volle tenere con- 8 Atto I, scena III. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 54 28/11/13 12.43 - - o 1. introduzione 55 to della bellezza secolare di quelle architetture, compresa appunto la villa Ludovisi, «il più bel giardino del mondo»9. In Zitellona, ambientata nel 1875, c’è una battuta che vale pure a segnalare il recentissimo collegamento della parte più nuova della Capitale con il cuore della vecchia Roma: «[...]Semo montati in tranvaise al Castro Petrolio [Pretorio] e siamo arivati infinenta a San Pietro indove la quale abbiamo cenato a la trattoria a piazza Rusticucci» 10. Risulta difficile immaginare il contrasto abbagliante di questo tragitto che, dalle alture dove sorgevano le trionfali e aperte ville della Roma patrizia, si infittiva nelle contorsioni dei vicoli di Borgo per riemergere in piazza Rusticucci, in seguito azzerata con il più recente sventramento per l’apertura di Via della Conciliazione. Una città, si diceva, che viene rappresentata anche nelle sue trasformazioni demografiche economiche e sociali. Non sorprende che l’osservatore del costume e delle tradizioni popolari abbia costellato l’intera sua produzione di ritratti e bozzetti che hanno a protagonisti i mestieri di Roma, gli antichi e i moderni11, ma soltanto un punto di vista teatrale, come quello di Zanazzo, poteva cogliere il valore di rappresentazione diffusa, offerto da bottegai e ambulanti. Le voci delle «piccole industrie nomadi» o le comunicazioni ‘sapute’ di bbarbieri e macellari sono riconosciute dall’autore e riprodotte come «parlata d’arte», per usare l’espressione con cui Giorgio Vigolo definisce la parlata immaginosa del popolano di Belli 12. Se le arti e i mestieri (ma anche, ovviamente, i tipi di preti e senatori) messi in scena, o anche solo menzionati da Zanazzo sono ancora di belliana memoria, – come osti e ostesse, camerieri, barbieri, pizzicagnoli, fornai/fornari, sordati, regazzi de bbottega, lavannare/lavandaje, stracciarole, rigattiere, carzolari, stiratrisci, pedanti, bidelli, cantanti, tenori, suonatori e suggeritori, – altri invece non compaiono nei 2279 sonetti: donne di casa e prime donne, postini, pettinari, musaicisti padronali, osti padronali, custodi alle scuole alimentari, maestri di musica, suonatori di corno, giornalisti e giornalai, commessi viaggiatori ma anche chi ha una «bottega di Stireria». In Belli, poi, curiosamente, abbiamo i calzolari, ma non i ciavattini, e, 9 Cfr. I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica 1870-1970, Torino, Einaudi, 1976, (1962), pp. 52-54. 10 Atto secondo, scena VII, battuta di Vittoriona. 11 Zanazzo dedica un intero capitolo - Parte V. Voci degli antichi e odierni venditori ambulanti di Roma - del III volume delle Tradizioni popolari romane (Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma), alle espressioni delle antiche e nuove occupazioni popolari. 12 G.G. Belli, I sonetti, a cura di G. Vigolo, Milano, A. Mondadori , 1952, 3 voll., I, p. LXVII. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 55 28/11/13 12.43 56 introduzione certo, neppure i ciavattini padronali, tanto meno, poi, i veramente molto zanazziani ciavattini con la «faccia da carzolaro padronale». Negli Elettori infruventi sono poi chiamate a raccolta tutta una serie di associazioni di mestieri – ancora un ‘elenco’ – di diverse categorie, di cui alcune decisamente strampalate: Società Parrucchieri-Ebbanisti-Falegnami, Società ariunite Scopatori e Tripparoli, Società Muratori-Stagnari-Callarari, Pertichini de l’Omminibbussi, Società Gassisti, Liquoristi, Asfaldisti, Marmisti, Callisti, Società de li vota-pozzi. Ma accanto alla lista stravagante degli Elettori infruventi possiamo anche ricordare i dati di una microeconomia, così come emergono, per esempio, in La Famiglia de la cantante che, in poche battute, illustra una situazione di dissesto insieme alla capacità di nuovi arrangiamenti; le donne di Zanazzo difficilmente si danno per vinte: NENA Accusì se siamo ridotti: che a lui, a forza de trascurà la bottega, gliè toccato a chiudella per via che nun veniva più un cane; e io per consiglio vostro sò venuta da un mese a stà qui con voi, indove per furtuna, nun ce conosce gnisuno; e ho messo ’sta stireria a lucido che cce va a rotta de collo… AGHETA (con autorità) Cianderà meglio allorquando metteremo scritto defora cor una mostra indorata, (che già ho ordinato): «Qui nun si addropa che l’amido Sbanfi». Lassate che venghi da un momento all’antro, da Milano el rippresentante viaggiatore de la casa Sbanfi e ve n’accorgerete13. E vale la pena di notare come lo spirito intraprendente ma poco attendibile di Agheta (che arriva a progettare un «Bar automonico a du’ soldi a la Stazione de Trestevere») sia poi integrato dall’autore con il dato realistico dell’«amido Sbanfi», evidente allusione alla casa Banfi di Milano, produttrice dell’amido industriale negli anni 1890-1910. Il senso per il commercio di Agheta «la saputa» rivela anche notevole spirito autopromozionale: AGHETA Nun ve l’ho detto fin’ora per pavura che lo propagandassivo; ma siccome ormai la cosa è avviata, ve lo dirò. Sto dunque facendo pratica cor Vaticano pe’ mette su la mostra «Fornitrice de li sacri palazzi apostolichi».14 13 Atto III, scena I. Atto III, scena I. Questa ultima parte della battuta nel manoscritto sostituisce una precedente versione cancellata: «[…] cor Ministerio de la Real Casa, pe’ mette su’ la mo14 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 56 28/11/13 12.43 - - - - - l - 1. introduzione 57 *** Se volessimo procedere ora a un tentativo di sistemazione, almeno schematica, della produzione teatrale di Zanazzo (di quella oggi disponibile), al di là del suo andamento puramente cronologico, si può fare riferimento a tre sostanziali raggruppamenti. 1. Il primo, di carattere ancora bozzettistico, spiccatamente popolaresco e di sapore arcaico, non situabile, si direbbe, per temi e linguaggio, in una precisa epoca storica. Ne fanno parte grosso modo: L’amore in Trastevere (1887), ‘Na dichiarazione d’amore (non datata), Evviva la migragna (1887), Accidenti alla prescia (1898), Er pizzardone avvilito, Parlare di un socialista alla moglie (entrambe non datate). 2. Il secondo, sempre di ambientazione strettamente popolare, comprende vere e proprie commedie in cui sono presenti, pur sempre, componenti farsesche e il cui scioglimento finale è rigorosamente lieto, a volte ingenuo, altre volte più efficacemente studiato nelle trovate burlesche. Vi fanno parte: Guida Monaci (1887), Pippetto ha fatto sega (1887), Essere o nun essere (1889), Li carbonari (non datata), Fanatica pe’ llegge li romanzi (non datata, ma non prima del 1894). 3. Il terzo gruppo è costituito, infine, dalle commedie di ambientazione piccolo borghese, più complesse delle precedenti sul piano della struttura, dei temi, del linguaggio, tutte accomunate da un medesimo esito amaro. Pur variando il dosaggio delle componenti comica e grottesca, e pur trovando diversi livelli fra patetico e ridicolo e fra patetico e malinconico, tutte chiudono, al meglio, nella disillusione-rassegnazione dei personaggi, al peggio, in una loro catastrofe economica e sociale. Appartengono a questo insieme: Zitellona (1894), La famija de la cantante (1902), Doppo er 20 Settembre (1906), Elettori Infruventi (non datata, ma non prima del 1895/1897), in parte La socera (1906). - 1. In generale, i bozzetti e le commedie che mettono in scena i popolani hanno ancora come presupposto l’idea quasi mitica di una plebe portatrice dei valori di genuinità, laboriosità e, a seconda dei casi, di un’indole oscillante tra mitezza, briosità e spacconaggine. - stra: “Fornitrice della Casa Reale”». È probabile che l’autore attribuisse indifferentemente questo o quel prestigioso committente alla strategia pubblicitaria del personaggio un po’ fanfarone di Agheta, ma al contempo il ripensamento può essere una spia ulteriore dell’indifferenza/incertezza con cui nell’immaginario collettivo veniva rappresentato il cliente più suggestivo oltre che più facoltoso. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 57 28/11/13 12.43 58 introduzione In L’amore in Trastevere e in ‘Na dichiarazione d’amore la scena della piazzetta romana e del «mignano» (del balconcino) sembra essere l’equivalente urbano della natura primitiva e pura, una sorta di sfondo bucolico-cittadino: non pastori, ninfe, satiri e creature del bosco, ma Giggi e Ninetta che giocano in un eterno contrasto d’amore. Un sapore decisamente arcaico, da favola moraleggiante e consolatoria ha il bozzetto Evviva la migragna, che non è privo di un buon andamento narrativo e di qualche interessante spunto di psicologia popolare. Tuttavia esso forse risente del sostegno di Fabrizio Colonna, cui l’opera è dedicata, e dell’occasione della sua messa in scena, che avvenne il 2 dicembre 1887 al Teatro Rossini, in una serata di beneficenza per l’«Infanzia abbandonata», in cui erano presenti la regina Margherita e il Principe di Napoli. La «scena succede a casa de Grispino in una piazzetta de Trestevere». Un ciavattino e sua moglie vivono allegri e innamorati, trascorrono il loro tempo lavorando, danzando e cantando, nonostante mangino un giorno sì e «dua no». Quando, in seguito all’incontro con il vicino senatore, entrano in possesso di una somma di danaro capace di migliorare la loro condizione, i due coniugi iniziano a litigare, il loro umore si incupisce, perdono la felicità. Il mammone, insomma, (che non a caso, in un romanesco di derivazione biblica, significa gruzzolo, denaro, ma anche demonio15) sprigiona effetti diabolici e corruttori ed è elemento che conferisce al bozzetto la sua patina di favola ancestrale: GRISPINO [...] maledetto mammone. È llui la causa de tutto ‘sto diavolerio... Da quanno è entrato qui drento, la mì’ casa è diventata un inferno. (se strappa li capelli) Dio potente, quanto se soffre a esse ricchi!16 Questa la conclusione: «Evviva la migragna che vordì l’allegria e la pace der core». La particolare occasione dello spettacolo può spiegare l’omaggio reso ai personaggi del senatore e di sua moglie, perfetti campioni di buona educazione e di autentiche e rispettose gentilezza e generosità; mentre il momento comico è affidato al loro cameriere, che parla ciovile ed è ostentatamente e grottescamente classista. Il pezzo più memorabile del gruppo che definiamo delle ‘arcaiche’ è senz’altro Accidenti alla prescia, la pièce più originale e la più irresistibile per comicità: due comari si incontrano per strada con la sporta della spe15 Cfr. F. Ravaro, Dizionario romanesco. Da «abbacchià» a «zurugnone» i vocaboli noti e meno noti del linguaggio popolare di Roma, Roma, Newton Compton, 1994, ad vocem. 16 Atto unico, scena XII. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 58 28/11/13 12.43 e a - - 1. introduzione sa salutandosi frettolosissime, senonché vari accenni di commiato si susseguono senza che le due donne riescano a congedarsi realmente, ma senza neppure concedersi una vera sosta; le due, «impicciate», accalorate, mettendo le mani ai fianchi, alternando il gesto di posare la sporta a terra, poi di riprenderla, sciorinano confidenze e rivelazioni mentre il droghiere Crescenzio, con aria canzonatoria, si gode la scena. Il dialogo tra le due donne propone molti dei temi ricorrenti nello Zanazzo più ‘popolare’: una spiccata caratterizzazione dei personaggi femminili come particolarmente volitivi e dominanti, ma anche litigiosi e linguacciuti, insinuanti e sospettosi, inclini tanto alla rivalità fra loro quanto anche a una sostanziale solidarietà di genere, e sempre comunque ritratti in atteggiamenti operosi, in contrapposizione alla flemma e all’indolenza (quando non alla cialtroneria e alla disonestà) riservata invece ai personaggi maschili. Vi compaiono, menzionati nel dialogo, vari motivi e situazioni più o meno conflittuali, sempre generatori di comicità: la querela, la maldicenza: BARBERA Una quarela! Capite? Doppo che l’ho ttirata su a mmollica a mmollica, annamme a mmette male co’ la madre de lui, cor dije che io m’ero azzardata d’annà ddicenno che quelli pochi sordi che lei s’è mmessi da parte… l’ha ffatti, gnentedemeno! Cor fa la rucca-rucca ar tempo de li francesi!17 - - - 6 le massime sentenziose («Eh la lingua, sora Barbera mia, nun cià ll’osso e rompe l’osso…»), le liti domestiche, le tresche amorose e l’adulterio, lo spauracchio della pigione da pagare; ma anche alcuni motivi che inquadrano, come in questa battuta esilarante e fulminea, il grado di estraneità del personaggio-popolo alla nazione italiana: - BARBERA Eh ddice bbene er proverbio: «Moje e bbovi de li paesi tovi!» De che nnazione era, a ppreposito? MITIRDE Era, lo possino scansallo, Cicijano de Catagna18. - - 59 Non mancano poi gli strafalcioni linguistici «[…]era ‘na lettra armonica indove la quale uno che se segnava N. N.[...]». La battuta contiene anche un riferimento all’espediente della lettera che, oltre a segnalare quasi sempre la condizione di analfabetismo del popolo (Mitirde: «M’abbussa er postino. M’affaccio; dico chi è? Dice: una lettra per Mitirda Nasca. 17 18 Scena unica. Ibidem. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 59 28/11/13 12.43 60 introduzione Abbasta, scegno, pijo la lettra, me la vado a ffà llegge dar computista der macellaro»), è spesso da Zanazzo utilizzato come elemento drammaturgico: una lettera infatti è il motivo del contrasto della coppia de L’amore in Trestevere, è il congegno ordito ai danni di un marito geloso in Essere o nun essere, è l’idea-fulcro della Guida Monaci, è «il corpo del delitto» nella Socera, è la maldestra risoluzione di una circostanza imbarazzante nella Zitellona. Il breve atto unico porta ancora la ‘firma’ riconoscibile di Zanazzo nella esibizione di un campionario di oggetti dell’uso quotidiano che si riconferma e si rinnova ricchissimo a ogni commedia. E del resto la puntualità con cui Zanazzo colloca gli oggetti nei suoi testi non crediamo sia un fatto soltanto spontaneo o dato per scontato in una scrittura che si prefigge di essere realistica. Si ha invece l’impressione che Zanazzo sia consapevole di operare un ‘salvataggio’ di quegli oggetti perché ne appaiono sempre di nuovi al passare da una commedia all’altra. La sua attitudine all’archiviazione, come sappiamo, fortemente operante e produttiva per quanto riguarda le tradizioni popolari, nel teatro si estende agli oggetti, ai mestieri (tutti, non solo quelli riferiti al popolo) con una vocazione rappresentativa che intende farli rivivere sul palcoscenico: il museo-archivio tutto sentimentale di Zanazzo. Qui la scena prevede quantomeno una «sporta colma ed altri impicci, il mazzetto della trippa compreso», e, non visti, ma menzionati, lo «spido», la «scopa», lo «stennarello». Non manca neppure, secondo un uso anch’esso abituale in Zanazzo, un riferimento almeno, ai quartieri della città, ai vecchi come ai nuovi, e alle forme varie della loro frequentazione: qui il ricordo va a una «merenna, all’osteria» in Prati. Riguardo al primo gruppo, anche il frammento Parlare di un socialista ubriaco (non datato)19, non si discosta da questa ambientazione sostanzialmente ‘primitiva’ e marcatamente dialettale, nonostante sia attualizzata in chiave ‘socialista’; mentre, al contrario, il monologo Er pizzardone avvilito (anch’esso non datato), che vi si potrebbe avvicinare per brevità di forma e taglio bozzettistico, mostra invece un tono ‘crepuscolare’ e ripiegato, più affine allo Zanazzo dell’ultima maniera. Le didascalie scritte in lingua e non in dialetto (come avviene sempre a partire dal 1894 con Zitellona) pure autorizzano a situarlo in una fase successiva della sua produzione. Inoltre, diversamente delle prove ‘arcaiche’, questo bozzetto trae spunto da occasioni reali della vita municipale (per esempio i provvedimenti per l’igie19 Rinvio, per questo frammento, a un precedente contributo: P.Paesano, op. cit., pp. 103-105. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 60 28/11/13 12.43 a 1. introduzione 61 ne e il decoro urbano) e della politica nazionale (alle prese con decisioni relative al calmiere), registrate qui nei ragionamenti umorali di un tipico esponente dell’ufficialità capitolina. Tale il caso del pizzardone, appunto, che viene ritratto con simpatia dall’autore e aggiunto a quella folta schiera di rappresentanti di arti e mestieri che abbiamo prima nominato. Estensione inoffensiva dell’autorità dell’Urbe fin dentro il cuore popolano di Roma, il pizzardone di Zanazzo patisce anche lui (come era stato per il mosaicista), lo svilimento della professione: essere ridotto a una sorta di tuttofare della municipalità, dal riscuotere la tassa per la nettezza urbana al comparire in servizi di guardia o di parata. Anche se ciò che soprattutto intristisce questo popolano in divisa, è il trattamento tra irriguardoso e diffidente riservatogli dal suo stesso popolo tipizzato in «lavandaie pubbliche» e «pezzi di marcantogne». Quasi venisse meno il calore del pubblico a questo attore del ‘civico proscenio’, che resta malinconico e patetico fino alla fine, soprattutto quando l’autore, per tirarlo su, prova a condire il suo monologo con doppi sensi un po’ maldestri e grossolani. 2. Altro sviluppo hanno i componimenti teatrali che abbiamo collocato nel secondo gruppo: soprattutto farse e operette, in uno o più atti (tre ne hanno sia Li Maganzesi a Roma sia Pippetto ha fatto sega). Sotto l’aspetto cronologico, esse sono contemporanee di quelle fin qui descritte, ma mostrano un interesse dell’autore per forme più recenti di teatro leggero, anche musicale alla francese, che guardano specialmente al genere del vaudeville, di cui astro e caposcuola è, in quegli anni, Georges Feydeau 20. In questo senso la farsa Li carbonari dichiara esplicitamente una non identificata fonte francese. E difatti appare molto generico e poco zanazziano il personaggio di questo giudice conciliatore: un pubblico ufficiale davvero improbabile, che filosofeggia spericolatamente e agisce in totale arbitrio: IMBROJI [...] ci sono degli individui i quali passano la loro vita a litigare [...] Eccone uno per esempio che si querela indovinate perché? Perché gli hanno rubato l’orologio davanti al casotto della donna barbuta! Che cosa me ne importa a me? E chi mi può provare che colui che gli hanno rubato l’orologio non sia cento volte più birbone di lui? Poiché è bene che lo si sappia una buona volta: sotto la veste di un giudice c’è la stoffa del filosofo... sicuro, del filosofo che capisce tutte le debolezze dell’uma20 Per il richiamo a Feydeau e al vaudeville come chiari modelli per Zanazzo, cfr. L. Biancini, «La scena arippresenta...». Zanazzo teatrale, in Le voci di Roma, op. cit., pp. 146-147. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 61 28/11/13 12.43 62 introduzione nità, che le sa scusare e le sa, nel medesimo tempo, incoraggiare. Infatti se togliamo totalmente dalla società i ladri, gli assassini, gli scrocconi... che cosa ci resta? Della gente onesta. E con la gente onesta si fanno in fede mia delle belle cose, dei buoni affari!... Tanto che, se ve lo debbo confessare, io amo più i malfattori, almeno non vi vengono mai ad incomodare per querelarsi della gente onesta, mentre questa è sempre in querela coi malfattori 21. Riconosciamo, invece, lo spirito del nostro autore non appena l’aula giudiziaria diviene il luogo deputato della lite, dell’incrocio di querele, in cui si affrontano e si esibiscono, in una sorta di arena protetta e controllata, tipi di popolani che raccontano di torti subiti, che, all’occasione, insultano e sottilizzano, e che, nel chiedere soddisfazione, portano sulla ribalta gli echi di antiche focosità e il costume di un’orgogliosa insubordinazione: MENICA [...] stavo a stenne li panni quant’ècchete che me se presenta un pizzardone e me dice che sò cascata in contravisione. Che volete io?! Dimme che ero cascata in contravisione e levàmmese er lume dall’occhi fu tutta ‘na cosa. Dico: e com’è uscita ‘sta contravisione si sò pe’ lo meno venti anni che viengo a stenne qui sor co... capite? Dico: che proprio stammadina v’ho dato sur naso? Dice: pagate e nun fate tante ciarle, sinnò ve porto in carcere. In carcere a me? dico: ce porterete... capite sor giudice? Allora lui me fa dice: me parete un po’ troppo vassallona. Nun me l’avesse mai detto, sor giudice mio, nun me l’avesse mai detto! N’antro tantino me j’attaccavo a l’occhi 22. E, d’altra parte, lo scontro tra lavandaie e pizzardoni aveva colpito l’occhio teatrale di Zanazzo già diversi anni prima, per esempio nel sonetto del 6 marzo 1880 – La murta a la lavannara23 – e in uno datato due giorni prima – La lavannara – che così, molto bellianamente conclude: [...] Loro nun vonno più che pe’ decoro s’abbi da stènne drento la città: loro... se pò sapé chi sò ‘sti loro?!... 21 Atto unico, scena I. Ivi, scena II. 23 G. Zanazzo, Poesie romanesche, a cura di Giovanni Orioli, Roma, Avanzini e Torraca, 1968, I, pp.57-58. 22 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 62 28/11/13 12.43 1. introduzione - Io stenno, incoccio, intigno più d’un mulo: m’avessino magara da squartà: nu’ me faccio schiaffà la zeppa in culo. 4 marzo 188024 o - , , a - - , r - 63 Quasi fossero depositari, alcuni personaggi femminili di Zanazzo, di un’atavica spavalderia, sia quando mettono mano allo spadino – estensione femminile e meno letale del coltello del bullo – sia quando esibiscono una sicumera da mattatrici (come vedremo meglio più avanti). L’Ufficio del giudice conciliatore è, di per sé, quindi, teatro di un rituale nel quale in qualche modo si fissano regole e modalità della convivenza civile e lo scioglimento dei conflitti che ne possono derivare. Anche l’aula di giustizia della commedia di Zanazzo, come luogo di concentrazione di un crescendo di conflittualità e di un successivo appianamento della tensione, viene a configurarsi come espressione emblematica della società e del suo rapporto con l’individuo singolo, pur in presenza della situazione decisamente comica dell’atto unico dei Carbonari. Al cospetto del giudice Imbroji si avvicendano i casi di lite che abbondano in tutta la produzione zanazziana, ma che qui trovano una debita esaltazione. Senonché lo scioglimento del conflitto si ottiene per un ribaltamento di situazione sfruttando, in un colpo solo, l’espediente teatrale del doppio, della maschera e dell’agnizione. I due querelanti, calati come per incanto in una nuova forma di relazione, interagiscono secondo il topos dell’agnizione, ma cambiato di segno: non un riconoscimento, ma un ‘disconoscimento’, per così dire. Infatti i due giovani carbonari abituati a vedersi (a non vedersi) con la faccia sporca e annerita, la domenica successiva, in un secondo incontro dal giudice col volto lavato non si riconoscono per i litigiosi reciproci querelanti di un tempo. E come se disponessero, quindi, di una doppia esistenza, si piacciono e decidono, seduta stante, di sposarsi; non prima di avere anche risolto tra loro il precedente litigio. Come si vede, lo spirito popolare, generalmente diffidente nei confronti delle autorità civili, in qualche modo trionfa su queste ultime, in una risoluzione del conflitto tutta esterna ai meriti della giustizia. I due, per così dire, si fanno giustizia da sé e ribaltano l’oppressione di un contenzioso, in sprigionamento di vitalità addirittura nuziale 24 Ivi, p. 53. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 63 28/11/13 12.43 64 introduzione PIPPO [...]Che domannamo? Domannamo che ce dite come se deve fà per annà a sposà ar Municipio, tutte le carte che ce vonno, e quello che bisogna scajà. TERESA Sì, sì perché se volemo marità llesto e presto25. Trovano anche su due piedi i testimoni; cosicché il rituale erotico trionfa sul rituale processuale. Tuttavia il tema dei popolani che alla fine risolvono nella retorica dell’autosufficienza vitalistica le loro controversie, non è del tutto slegato qui da un contesto di educazione civile. In fondo essi interloquiscono con l’istituzione e sono messi in relazione anche con un’aspettativa di laico risarcimento. Anche la lavandaia multata della scena precedente (a differenza dei tipi più selvatici e sofferenti dei due sonetti ricordati), in definitiva è conciliante: IMBROJI Dunque la multa l’avete pagata? MENICA Sicuro! (caccia ‘na carta) Ecco qua ciò tamanta de ricevuta! M’ha fatto spenne 80 bajocchi. Che ce se possi comprà 80 bajocchi de spezzieria 26. Così come la figura del giudice è poco zanazziana e il suo ufficio è, in qualche modo, strumentale a fare da palcoscenico all’alterco di alcune figure di popolani, anche lo schema dell’agnizione (derivato dalla commedia cinquecentesca che a sua volta lo riprendeva dal teatro di Plauto e di Terenzio) non appare una scelta di Zanazzo, che infatti non lo utilizza in nessun’altra opera teatrale. La vena autenticamente zanazziana di questi Carbonari è piuttosto nell’interesse dell’autore a rappresentare il temperamento della lavandaia che tiene all’‘onore’: MENICA Io moderà li termini? Me fa mórto spece come parlate. Io sò ‘na pubbrica cittadina e vojo fà quello che me pare e piace. Insinenta che m’ha fatto pagà la murta, nun m’è importato gnente; ma dimme vassallona a mme! A mme! lui se sbaja assai! Vassallone sarà lui co’ quell’antri quattro cani che stanno ar Municipio!27 Così pure del litigio dei due giovani carbonai conserviamo, al di fuori di uno schema scenico poco zanazziano (quello dell’agnizione), in fondo, una variante dell’arcaico contrasto fra ‘Giggi’ e ‘Ninetta’. Tuttavia già 25 Atto unico, scena X. Ivi, scena II. 27 Ibidem. 26 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 64 28/11/13 12.43 , , - i - ’ i à 1. introduzione 65 Li carbonari rivelano l’intenzione dell’autore di dedicarsi a una forma di spettacolo più studiato drammaturgicamente. Zanazzo sperimenta, con un occhio al teatro brillante francese (e con un occhio al successo del napoletano Eduardo Scarpetta28), una forma di spettacolo collocabile tra farsa e operetta che abbiamo, per comodità, raggruppato in un insieme a parte. Di questo gruppo, La Guida Monaci è la più interessante. L’intuizione del giovane commediografo è degna di una commedia brillantissima, in cui gli elementi di un potenziale sofisticato vaudeville in salsa trasteverina ruotano attorno al personaggio di un intraprendente portiere in cerca di più fortunati guadagni. La figura del (o della) concierge, comune a tanta narrativa d’oltralpe, aggiunge una ulteriore suggestione francese alla commedia che pure trova una originalità tutta zanazziana, tutta romana e tutta italiana nello scegliere, a protagonista della pièce, la «Guida Monaci», un nuovissimo ritrovato dell’editoria post-unitaria. L’insuperato repertorio anagrafico-istituzionale-commerciale uscito a Roma nel 1871 è il motore del «girotondo» di Zanazzo e conferma la natura corale-sociale del suo teatro. Lo scrittore antropologo, ma anche lo scrittore giornalista, capta immediatamente i segni dei mutamenti economici e di costume, e li esprime nel linguaggio che conosce meglio, ancora una volta quello della scena e quello dell’archivio: la Guida Monaci come archivio vivente, repertorio in atto di casi «industriali», «scientifici», «artistici» e quindi umani, realtà operosa consultabile nell’orizzontale dominio dell’ordine alfabetico, strumento che inaugura la violabilità della privacy, irresistibile dispositivo teatrale per la scena di Zanazzo. Lo sguardo intelligente dello scrittore coglie la portata innovativa della Guida, rubrica concreta e insieme repertorio virtuale di una moderna e diffusa comunicazione; e se ne serve per azionare drammaturgicamente un ‘girotondo’ di mariti sospettosi di essere ingannati dalle loro mogli: a questo serve la lettera circolare (che rinnova l’espediente consumato della lettera anonima) inviata agli indirizzi estratti dalla guida. Peccato che poi Zanazzo vincoli questa visione da rete urbana alle beghe di cortile di Cucchimetto e Totarella; e che lo stratagemma occasionato dalla Guida Monaci si annacqui e si disperda nell’impianto di uno scontato vaudeville, con tanto di canzonetta finale che ammicca al pubblico, e che suggella, così, l’esito di un puro intrattenimento da avanspettacolo. La farsa, tuttavia, segna un ulteriore passo avanti dello Zanazzo commediografo, che è qui intento a calare il suo già comprovato sguardo, naturalmente teatrale, nel linguaggio specifico del palcoscenico. L’autore, 28 Cfr. Eduardo Scarpetta. Cenni critici e biografici raccolti da Giggi Zanazzo, Roma, Edoardo Perino, 1890. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 65 28/11/13 12.43 66 introduzione poi, trova una misura del tutto originale, in questa prova, nell’utilizzare diversi elementi dell’attualità, come la voga del vaudeville ricercava. Il Giggi e la Ninetta di tante situazioni dello Zanazzo ‘trasteverino’ (che qui portano il nome di Cucchimetto e Totarella), e che, alquanto deludentemente, si insinuano anche ne La Guida Monaci, non impediscono tuttavia all’autore di modulare una sorta di loro crescita sotto l’aspetto del personaggio-popolo che essi rappresentano. Cucchimetto, sebbene sia male in arnese, come portiere in uno stabile abitato in prevalenza da buzzurri del Nord, è un tipo di popolano transitante verso la condizione di una piccolissima borghesia come è quella che i nuovi tempi determinano: CUCCHIMETTO (viè ffori dar casotto) Vardate che ber modo da trattà er portiere! Sò ccari davero st’appiggionanti. Tratteno er portiere come si fussi er servitore loro. Ma ggià da quanno sò vienuti questi, se ne vedeno de tutte le spece. Quelli de sta casa speciarmente sò propio grazziosi. Nun ve guardeno manco ‘n faccia, e pretenneno cho uno je se cacci er cappello, che je se portino su a ccasa le lettre, e poi si ve danno pe’ Agosto e Natale cinque pavoli è grasso che cola!...29 Alfabetizzato, ma subalterno di una nuova genia sociale – i piccolo-borghesi piemontesi – Cucchimetto rappresenta, come dicevamo, l’evoluzione del personaggio-popolano ‘primitivo’ e gradasso (gargante). Il popolano de La Guida Monaci, da bullo o timido si è fatto «strutto» e scaltro: inventa «un modo ingegnoso e novo[...]pe’ fà quatrini» come Cucchimetto, o tiene alla propria mercè stuoli di donne desiderose di farsi divinare il futuro con le carte, come Matteo. Evidentemente si tratta di una tappa necessaria per passare dal bozzetto o dalla farsa alla commedia leggera. La cosa, però, sotto questo aspetto, gli riesce, al momento, solo in parte, e giustifica la qualifica di «bozzetto popolare romanesco» che l’autore in definitiva attribuisce alla sua Guida Monaci. L’operetta comica Pippetto ha fatto sega a scola non offre, al contrario della precedente, spunti di particolare originalità inventiva, ma costruisce, attorno al personaggio seriale di Pippetto, una vicenda più articolata con la messa in scena di un numero maggiore di tipi umani. Satira e intento pedagogico vi compaiono nonostante che il personaggio-macchietta di Pippetto spinga in una direzione tutta ludica e di assoluta distensione. Il personaggio, degradato a caricatura dello scolaro discolo (pur essendo in età di prendere moglie), arriva però a ribaltare la sua sfavorevole posizione 29 Atto unico, scena III. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 66 28/11/13 12.43 i e e n - - , l - n l 1. introduzione 67 di partenza: egli teme la reazione del maestro per aver marinato la scuola, ma infine avrà la meglio su di lui e sugli stessi genitori che, come tutti gli adulti di questa vicenda, hanno ognuno qualcosa da nascondere. Primo fra tutti il maestro Don Desiderio, che, per esempio, incita la serva Tota a ‘fare la cresta’ al padrone che la corteggia, per avvantaggiarsene egli stesso. A parte un certo sapore arcaicizzante dovuto all’intreccio da commedia burlesca (al quale contribuisce pure, su un altro piano, l’uso del termine pedante per ‘maestro di scuola’30), si può rintracciare, anche in Pippetto ha fatto sega, la specifica predilezione di Zanazzo per il personaggio-popolo al femminile. Alla figura regressiva e caricaturale di Pippetto, giovanottone in calzoni corti, viene opposta quella francamente e consapevolmente infantile di Michelina: N. 7 (Romanza de Micchelina) MICCHELINA Viva la faccia mia sempre contenta, sempre burlona! Godo e me la canto; senza sapé che sii dolore e pianto; senza sapé che ssia soffrì e penà!31 Ciò che ne fa una sorta di derivato della Mirandolina goldoniana è la sua ostinazione a voler restare libera da vincoli affettivi, per perdurare nella sua lietezza infantile: MICCHELINA [...]E sento ‘na voce /ch’alegra me dice /per esse felice/l’amore nun fà. […] MICCHELINA […]Aibbò, io nun ciò lui; e nemmanco li vojo. GIGGI Nemmanco uno piccolo piccolo, ciuco ciuco, carinello carinello? MICCHELINA Nemmanco. Io vojo esse padrona de me stessa. Per questo Michelina, in virtù della libertà di cui gode, può stabilire e ordire i destini degli altri. Decide infatti di favorire l’amore di Giggi per Teta, riuscendo nell’intento, a dispetto dei diversi calcoli dei genitori della giovane. Questa condizione di disimpegno, ma anche di padronanza, tipico del gioco infantile, le consente, con Pippetto, di trionfare sul mondo degli adulti su di un piano morale: non ha niente di cui vergognarsi, niente da nascondere; e su di un piano pratico: può infatti imporre la sua 30 La figura del pedante è già messa abbondantemente in ridicolo nel teatro comico del Cinquecento. Basti qui ricordarne il capofila: Il pedante di Francesco Belo (Roma, 1529). 31 Atto II, scena V. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 67 28/11/13 12.43 68 introduzione volontà: «Ma dunque ‘sta sora Micchelina è una serpentina che se diverte a le spalle nostre»32. Possiamo considerare anche la scenetta Fanatica pe’ llegge li romanzi (che come Er pizzardone non è datata), come appartenente al momento più tardo della produzione delle commedie di ambientazione popolare di Zanazzo. Se vogliamo tenere conto di un paio di indizi, uno esterno, uno interno al testo, l’atto unico parrebbe riferirsi agli ultimi anni dell’Ottocento, quando Zanazzo lavorava alla Biblioteca del Ministero della Pubblica Istruzione (1894-1911)33. Ma anche sotto l’aspetto tematico la Fanatica pe’ llegge li romanzi ci porta a un periodo più tardo della produzione teatrale di Zanazzo. L’ambientazione ancora tutta popolaresca di questa scenetta a due (un terzo personaggio compare solo nel finale) non impedisce all’autore di accompagnare i suoi beniamini verso un destino di promozione sociale, improponibile nei bozzetti che per comodità abbiamo qualificato come ‘arcaici’. La lettrice della pièce, divoratrice di libri, al cui centro brilla il romanzo nazionale per eccellenza de I promessi sposi, è difficile ritenerla come rappresentativa di una intera generazione; tuttavia, è proprio sul piano dell’affacciarsi di una nuova fase generazionale (successiva a quella riferita al trentennio 1870-1900) che Zanazzo intende marcare la differenza con l’analfabetismo sempre da lui segnalato, sia nei personaggi di giovani delle commedie anteriori al 1990, sia nei personaggi di anziani delle commedie tarde (tra queste ultime è, per esempio, analfabeta l’agiata cinquantenne de La socera). E tuttavia, 32 Atto III, scena X, battuta di Antonio. L’unica stesura della commedia conservatasi, per di più di mano autografa, è infatti trascritta su un foglio tipo protocollo recante il marchio (cancellato a penna) del Ministero della Pubblica Istruzione, che è il supporto tipico di tutti i copioni più tardi dello scrittore. L’altro elemento determinante per una datazione collocabile nella fase più matura della produzione teatrale di Zanazzo è costituito dalle didascalie scritte in lingua, uso che si accompagna a tutte le commedie dell’autore a partire da Zitellona, il cui manoscritto è datato 16 febbraio 1894. Solo il manoscritto dell’atto unico Essere o nun essere sembra fare eccezione all’attendibilità di questo criterio di datazione: la pièce, che è trascritta anch’essa su fogli tipo protocollo, recanti il marchio del Ministero della Pubblica Istruzione, e che ha pure le didascalie scritte in lingua presenta, in calce, la data di giugno 1889. Dei due indizi, senz’altro quello riguardante la lingua delle didascalie è da tenersi in maggiore considerazione, poiché l’autore potrebbe avere ricopiato da una precedente stesura il copione angelicano. Sotto l’aspetto, invece, dell’uso distinto del dialetto per i testi delle commedie, e dell’italiano per le didascalie, è un dato certo che, a partire dallo «scherzo comico» di Essere o nun essere, (dopo il quale la successiva commedia datata è Zitellona del 1894), tutte le commedie hanno le didascalie in lingua. 33 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 68 28/11/13 12.43 i - - o , e i , , - - - - - 1. introduzione 69 in questa divertente commedia, la figura di Crementina da una parte è rappresentativa dell’adeguamento-emancipazione sociale del personaggio-popolo, senz’altro idealizzato del suo autore, dall’altra è generatrice di comicità come personaggio che ha un’idea fissa capace di sopravanzare la realtà stessa: Crementina legge un romanzo e ne è talmente assorbita da trascurare ogni altra occupazione, finanche mangiare e dormire. Ciò che legge prende il sopravvento sulla realtà vissuta quando la giovane sveglia il marito operaio al suo primo sonno, per informarlo che «Don Rodrigo se l’è presa in saccoccia». 3. Avevamo isolato un ulteriore insieme, tra le commedie di Giggi Zanazzo, riconducibile agli anni 1894-1906. Dicevamo che, tra gli elementi che caratterizzano questo gruppetto di testi, anche quello di un triste epilogo è significativo di una nuova fase della pratica teatrale di Zanazzo. L’autore sembra muoversi tra satira e commozione-malumore, riservando soprattutto alla conclusione, al momento di congedarsi dallo spettatore, la dose massima di cupezza di cui è capace. Così assistiamo al ‘sacrificio’ di Mimma, la zitellona della commedia che apre questo nuovo ciclo ‘borghese’; ai rovesci di fortuna e alla conseguente caduta sociale dei componenti di due famiglie: quella dei Laurini, in Doppo el 20 Settembre, e quella de La famiglia de la cantante. Così si spiega, ancora, il generale tono amaro preso dalla commedia satirica degli Elettori infruventi. Dunque Zanazzo, scrittore di operette, già ricettivo nei confronti di un vaudeville scacciapensieri, declina a modo suo l’immaginario Belle époque sfruttandone i luccichii per la scena sfarzosa di alcuni suoi atti primi, salvo poi precipitare negli allestimenti scenici della miseria e del congedo funebre negli atti terzi. In Doppo el 20 settembre il sipario cala giusto sul «grido lacerante» che annuncia la morte della giovane Peppina Laurini, mentre la cantante de La famiglia conclude la sua mai avviata carriera musicale, in una casa di appuntamenti. Insomma, Zanazzo, a un certo punto, sembra tentato dalle severità del dramma, e da toni anche tragici; e in questo senso la sua riduzione del Giulio Cesare di Shakespeare non è certo casuale. A tal proposito Francesca Bonanni ricorda un articolo dell’autore uscito sul «Rugantino» del 22 gennaio 1888, in cui egli senza mezzi termini auspicava che «alla ormai esagerata e antiartistica operetta si sostituisse la vera commedia o il dramma, e si creasse anche in Roma, come nelle altre nostre provincie, un teatro popolare [...]. Finiamola una buona volta con questi tenori soprani e cantori sfiatati e fondiamo un teatro romanesco in cui le forti passioni Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 69 28/11/13 12.43 70 introduzione e le magnanime virtù del nostro popolo siano messe a nudo e servano di ammaestramento e di esempio...»34. Proprio con La famiglia de la cantante Zanazzo prende di mira l’ambiente dello spettacolo, stigmatizzato nella vanagloria di certi suoi esponenti, ritratti in una medesima mitomania di stampo piccolo borghese, insieme con bottegai che aspirano a vivere della luce riflessa di mogli o figlie cantanti: un po’ da parassiti, un po’ da patiti dell’arte musicale e, in più di un caso, disposti a fare da mezzani pur di raggiungere la fama e i guadagni procurati dal palcoscenico; il quale, non a caso, è ribattezzato «palco osceno» da Agheta la Saputa, in uno strafalcione-lapsus che amplifica comicamente la sua inconsapevolezza linguistica in una inconsapevole metafora della sua leggerezza morale. Il teatro è ancora tema prediletto della commedia Doppo el 20 settembre, sulla quale vale la pena di soffermarsi come una delle più compiute e interessanti di Zanazzo: un punto d’arrivo anche della sua riflessione su temi e motivi che lo hanno sempre interessato e che qui troviamo riuniti in una nuova e più complessa struttura. Il teatrino di casa Laurini è motore dell’azione e, in certo modo, depositario dell’unica fede del capofamiglia che è indifferente sia alle smanie cospiratrici di papalini irriducibili (che frequentano a vario titolo la sua casa) sia al governo anticlericale appena insediatosi, di cui si fa portavoce Francesco, amministratore inascoltato della impresa commerciale della famiglia. Vale la pena riassumere in un rapido elenco i temi cari a Zanazzo tutti insieme presenti in questa commedia: il grande mutamento storico della Roma moderna, varie volte dall’autore raccontato come trauma culturale, antropologico, oltre che sociale ed economico, e qui affrontato quasi in presa diretta; un anticlericalismo franco, ma in definitiva bonario; la delineazione di precisi ambienti (lo spaccio di stoffe), e di alcuni mestieri: il mercantino e la scuffiara (è difficile che non venga rappresentato o nominato un nuovo mestiere passando da una commedia all’altra), ma anche i «mercanti di campagna», l’unica vera potente alta borghesia romana; la passione per il teatro, per il palcoscenico, gli attori, il pubblico, che spesso qui si esprime (come in altri testi) con il ricorso alla formula del teatro nel teatro, e che trova una felice esaltazione nella riuscita di una clamorosa burla, quest’ultima sempre gradita, come trovata scenica, a Zanazzo; la delineazione di caratteri femminili incisivi, sempre prevalenti sui personaggi maschili, che sono, al contrario, ridicolmente ambiziosi o cialtroneschi, 34 F. Bonanni Paratore, op. cit., pp.14-15. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 70 28/11/13 12.43 o , e e u i e a e a , l e a i 1. introduzione 71 spesso flemmatici e tiraccampare, se non profittatori e, in molti altri casi, ipocritamente benpensanti («bizzocchi e colli storti»); una fondamentale saggezza e schiettezza attribuita ai popolani; la tresca adulterina; la convivialità aiutata dal cibo e dal vino; la menzione di eventi storicamente accaduti; il ricorso a una onomastica e a una toponomastica precise e sempre realistiche (quelle che si riferiscono a strade, piazze, chiese, palazzi, titoli di giornali, insegne commerciali, attrici di fama), con i nomi talvolta (in pochi casi) lievemente camuffati e contraffatti: per esempio, il generale tedesco Hermann Kanzler comandante supremo delle forze armate pontificie e proministro delle armi durante la presa di Roma diviene, nella commedia, sia Andler sia Landller, mentre il nome del cancelliere Bismarck viene dialettilizzato in Sbimmarche. Rappresenta invece una novità, rispetto al linguaggio abituale dello Zanazzo commediografo, l’indugiare sul fallimento e sull’emarginazione sociale vissuti dalla famiglia Laurini; senza contare l’altissimo prezzo che si trova a pagare il personaggio della povera Peppina che, dopo essere stata la trascinante regista della burla spassosa orchestrata ai danni di grotteschi papalini, ritroviamo qui malata di tubercolosi e infine morta. Più che un colpo di scena, inteso a sbalordire il pubblico, questo mutamento di clima sembra l’interesse a esplorare una realtà teatralmente più ampia e anche il tentativo di trovare un nuovo rapporto con il pubblico: evidentemente chiamato non solo a divertirsi ma anche a immedesimarsi e a commuoversi. Aver preso in considerazione le commedie più tarde, in particolar modo sotto l’aspetto di un loro ripiegare verso conclusioni malinconiche, ci aiuta a comprendere di che natura è il rapporto di Zanazzo teatrale col personaggio-popolo. E in che modo questo rapporto ne abbia condizionato un altro: quello dell’autore con il suo pubblico. È significativo, infatti, che La socera, in tutto rispondente alle caratteristiche di questo terzo raggruppamento, se ne allontani proprio per la scelta conclusiva, che, sebbene giocata in chiave estremamente ironica e quindi con un esito non autenticamente felice per la protagonista, neppure ne profila il fallimento o un qualche ridimensionamento della posizione. Sotto questo aspetto, La socera la si potrebbe eleggere a commedia ‘ponte’ tra i due diversi trattamenti che Zanazzo riserva alla società romana del suo tempo, che si tratti della energica e trionfante vitalità da lui attribuita al popolo, o, al contrario, dei ridicoli e a volte velleitari tentativi di emancipazione attribuiti alla piccola borghesia. Zanazzo, insomma, si mantiene fedele alla convenzione per cui al di- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 71 28/11/13 12.43 72 introduzione vario sociale fra gli strati inferiori e quelli superiori della società corrispondeva un divario drammaturgico: i popolani nelle «scenette dal vero», nei bozzetti, nelle farse; i borghesi nel dramma in tre o quattro atti. Anche nelle commedie di impianto più strutturato in cui sono protagonisti esponenti del popolo, questi non sono mai posti in situazione drammatica, ma sempre lieta, tutt’al più sono messi in litigio. Solo i borghesi, piccoli e medi, soffrono. Tutto ciò trova conferma ne La Socera in cui l’agiata Cammilla, ex ‘pizzicarola’ di Panico, mantiene nei rapporti con i familiari di seconda generazione, più sensibili alle apparenze, il suo sanguigno temperamento di popolana dai modi diretti veraci e vissuti dagli altri come imbarazzanti. Ebbene, siffatto personaggio della socera, proterva e dominatrice, animata da un irriducibile odio verso il genero e sospettosa nei confronti degli uomini in genere, convinta di avere in pugno il flemmatico marito, viene ‘graziata’ dall’autore; gli viene concesso, cioè, di poter conservare la sua natura di personaggio trionfante; non importa se doppiamente ingannato35. Insomma il personaggio di Cammilla, tolto di peso dalle commedie di ambientazione più popolaresca, non consente al suo autore di farne una vinta, o quantomeno una vinta consapevole. La peripezia finale di piazza Padella ottiene il risultato che non le sia svelata la relazione adulterina del marito Paolo; questi riesce a farla franca, facendone fare le spese al giovane di studio del genero, che si assume una colpa non sua; ma, soprattutto, ne esce rinvigorita la sora Cammilla che in questo modo può mantenere intatta l’indomita protervia. Non ha importanza che al personaggio faccia difetto la capacità di capire come stanno veramente le cose, poiché la sua natura stolida è insieme la sua forza, la stessa che le consente di essere una personalità dominante. Ella, alla fine, mantiene il punto e rilancia, rivolta al genero: «Che si ‘sta vorta ho preso un granchio, spero un’altra vorta de nun pijallo. E si er vostro giovine ha fatto quer che ha fatto, averà imparato certo dar padrone» 36. Il carattere di Cammilla è travolgente; sbaraglia tutti senza eccezione; impone la sua personalità a dispetto della sua ignoranza (è analfabeta, non conosce alcun codice urbano di relazione) e a dispetto del suo amore per i parenti stretti (calpesta i sentimenti delle figlie, tiene in soggezione il mari35 Cammilla è a un passo dallo scoprire la verità sulle cui tracce è stata messa da una lettera fortuitamente trovata; si tratta di una verità per lei assai scomoda: che non solo non le consentirebbe di cogliere sul fatto, come avrebbe voluto, il genero sospettato ingiustamente di adulterio, ma che al contrario le svelerebbe il tradimento del proprio marito, della cui fedeltà si faceva vanto. 36 Atto III, scena XIX. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 72 28/11/13 12.43 - - - - o - - , ; i - 1. introduzione 73 to). Anzi impone questa sua natura primitiva come elemento di forza e di autenticità. Tanto è vero che la padronanza con cui dispone dei movimenti dei suoi prossimi è degna non solo di una commediante, ma anche di una commediografa, nel momento in cui inventa e ordisce una burla ai danni dell’osteggiato genero. La burla, poi, non è priva di un suo fondamento morale, riguardo a un argomento che Zanazzo ha già avuto modo di portare ne L’ammazzacani37: l’avvocato si ritiene oltraggiato quando finalmente si scopre che «il caro» di cui i due popolani lamentano il sequestro è un cane: senonché il dileggio escogitato dalla socera ai suoi danni non esclude che il sentimento dei due coniugi, addolorati per la perdita della bestia, sia autentico. Avevamo già incontrato un personaggio con le caratteristiche di questa Cammilla nei panni della Vittoriona della Zitellona. Ma quest’ultima, una ex «orbivendola» tosta e invelenita, tollerata dalla cerchia del parentado in virtù «dell’interesse» che ne trae, non agisce del tutto incontrastata. Altri personaggi le tengono testa: una consuocera forte di una migliore educazione, una figlia di quest’ultima, arrampicatrice sociale. L’umoralità di Cammilla è invece portata alle estreme conseguenze: ella talmente ribolle nella ostinata avversione nei confronti del genero da risultare un personaggio di ossessa. La sua ‘scontentezza’ di suocera si riversa anche sul pretendente della figlia più giovane, che pure viene travolto dalla sua esigente brutalità. L’acme di questo conflitto, molto efficacemente condotto da Zanazzo, viene raggiunto nel momento in cui la forsennata donna sembra trionfare doppiamente sul genero: e perché organizza una beffa ben riuscita ai suoi danni e perché ritiene di avere la prova della sua infedeltà coniugale. Senonché l’astio verso il genero avvocato si colora così dei due agenti che muovono l’agiata donna ben ancorata alle sue origini popolane: da una parte la rivalsa di classe sul professionista «strutto», dall’altro la rivalsa sull’uomo che le ha sottratto la figlia. Non che nella commedia il tratto della possessività di madre venga esplicitato più di tanto, ma certo è che la furia crescente di Cammilla si placa soltanto quando la figlia finalmente passa la notte a letto con lei, mentre tutti gli uomini della casa restano esclusi dai rispettivi talami. *** 37 Si tratta di un componimento in 22 sestine del 1884, (poi pubblicato a cura di G. Orioli, in G. Zanazzo, Poesie romanesche, op. cit., pp.588-594) su una figura di popolano che si ribella all’accalappiacani municipale spalancando lo sportello del «carettone», e liberando le bestie. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 73 28/11/13 12.43 74 introduzione Come si vede, diversi sono i registri utilizzati da Zanazzo nell’intento di realizzare un teatro popolare in lingua romanesca. Egli, come tutti gli scrittori in dialetto venuti dopo Giuseppe Gioachino Belli, ha dovuto fare i conti con quella materia poetico-linguistica definitiva e inesauribile che costituisce i 2279 sonetti. Ma non è accaduto che Zanazzo si sia fatto scoraggiare da un tale poderoso modello; egli ha perseguito con fedeltà e talento il suo originale percorso artistico-antropologico. Sostenuto dall’intuizione che il teatro avrebbe accolto tutta la gamma delle espressioni del popolo da lui osservate e reinventate, egli ha saputo spaziare, sul palco, dalle pareti domestiche ai più ampi scenari della storia e della politica, tutti offerti da una protagonista d’eccezione, e quanto mai presente anch’essa sulla scena, come la città eterna. Zanazzo ha riversato nel teatro tutto ciò che ha osservato e amato del popolo (come già indicato, oltre la lingua e la cultura: la salute, la psicologia, la forza, sia mite sia luciferina) ad un certo punto intrecciandone il destino con quello di una piccola borghesia emergente non altrettanto amata, e tuttavia parte consistente del pubblico al quale egli si rivolgeva. Lo stesso scrittore, con il consueto amabile garbo, fornisce i connotati di un tale pubblico: Un tempo s’andava a teatro per farsi straziare il cuore, per piangere; ma nell’anno di grazia 1889, coi pensieri della crisi edilizia, degli scioperi, dei cracs; dopo passata una giornata a sgobbare su di una scrivania, se impiegati; a far la divisione delle vostre sostanze per tasse e sopratasse, se proprietari; o a correr le vie per liquidare i vostri crediti, è giusto che ognuno la sera si voglia ricrear l’animo oppresso, e infili il teatro ove recita Eduardo Scarpetta, il re, anzi l’imperatore del buon umore!38 Non c’è dubbio che questi fossero gli interlocutori ai quali Zanazzo stesso si rivolgeva; ha poca importanza che egli si riferisca qui alle commedie brillanti di Eduardo Scarpetta, in occasione del caloroso omaggio da lui tributato in una raccolta di scritti per l’editore Perino. Il quadro, per la verità un po’ sconfortante e ingenuo, degli umori che l’autore attribuisce alla piccola e media borghesia romana o napoletana, è anche sufficientemente rappresentativo degli umori dello stesso Zanazzo se egli non esita a offrire un’immagine generica, ma che di lui conosciamo bene: quell’autobiografico impiegatizio «sgobbare» che è il rovescio esatto della molto più appagante, per lui, attività di commediografo, di regista e di attore. 38 Eduardo Scarpetta, op. cit, p. 7. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 74 28/11/13 12.43 o e l i a l e o i - o a e 1. introduzione 75 Ma, tornando all’auspicato «buon umore» e al teatro come ‘ricreazione’, da Zanazzo vagheggiati a proposito di Scarpetta, abbiamo visto come l’autore, in realtà, abbia dato voce anche al dramma della rassegnazione e dell’impotenza, riepilogando nel triste destino di singoli personaggi il crollo delle illusioni seguito a epocali trasformazioni politiche. In questo nuovo orientamento il pubblico non lo ha seguito: La socera riscuote un discreto successo, Zitellona non convince e La famija de la cantante è un fiasco clamoroso. Certo, anche alla lettura che noi oggi ne possiamo fare, le ultime due commedie rappresentate vivente l’autore, nonostante i molti spunti interessanti, sembrano non trovare il ritmo teatrale proprio di Zanazzo; probabilmente per un suo mutamento di prospettiva che qui, nei limiti degli interni borghesi, non può accordarsi alla voce corale delle sue migliori invenzioni. La sostanziale mancanza d’azione di Zitellona e de La famija non viene sostituita dal dramma-conversazione in cui i personaggi, per cosi dire, agiscono mentre conversano. Semmai, in assenza di una vera comunicazione e di una storia da raccontare, i personaggi si scambiano battute senza provocare, nel pubblico, immedesimazione, e senza dare luogo a una franca comicità. Al contrario Zanazzo trova (o ritrova, a seconda della datazione dell’opera, che è incerta) una sicurezza di andatura in Gli elettori infruventi, grazie a un genere teatrale più rigido, se vogliamo più convenzionale, ma intonato a rappresentare quella scena movimentata, affollata, corale che più volte abbiamo distinto in lui. Il ricorso a schemi collaudati del linguaggio teatrale popolare (lo spazio neutro dell’osteria con i suoi cerimonieri: l’oste, sua moglie, il garzone) e a tipi umani fissi (il «brillante», l’«insignificante», l’«imbecille», il «faticone che non fa niente») consente paradossalmente all’autore, in questa fase più matura della sua riflessione, una maggiore inventiva e una maggiore libertà d’azione. A suo agio in questo metro, Zanazzo coniuga al meglio satira e sentimento di amara rassegnazione. L’osteria è una sorta di arena dove si confrontano fannulloni prestati a una profittevole propaganda elettorale – gli «elettori infruventi» del titolo – e candidati politici di sicuro successo se appartenenti alla categoria dell’«homo novus», valido per tutte le stagioni: TOMBONI [il candidato] Ma per carità, veh, non disgustate nessuno. Sono momenti questi in cui si ha di bisogno di tutti. (si suona nuovamente il campanello) Di tutti: de’ clericali, de’ socialisti, de’ monarchici... di tutti, vi ripeto, di tutti. [...] DENTAMARO [elettore] A pproposito. De llà è vvenuto er prisidente der Circolo Imparziale che ppuzza un tantino de prete... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 75 28/11/13 12.43 76 introduzione TOMBONI Contentatolo, è più degli altri. (con precauzione) Anzi, se vi domandasse qualcosa intorno a’ miei principii, ditegli che in fondo poi sono moderato... sono monarchico... magari che vado a messa tutti i giorni. SPUTAROSSO [elettore] Avemo capito. A li realisti, che ssete realista, alli repubbricani che ssete repubbricano... DENTAMARO A li socialisti che ssete de li loro... SPUTAROSSO E accusì via discurrenno. Fanno tutti lo stesso... DENTAMARO Sete un gran omo! TOMBONI Eh miei cari, chi non sa fingere, non sa regnare...39 39 Atto III, scena II. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 76 28/11/13 12.43 1. introduzione 77 i BA. Ms. 2414, c. 81: Zitellona. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 77 28/11/13 12.44 78 introduzione BA. Ms. 2414, c. 523: Elettori infruventi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 78 28/11/13 12.44 1. introduzione 79 AVVERTENZA Sono dodici le commedie inedite di Giggi Zanazzo qui pubblicate dal faldone1 della Biblioteca Angelica (Ms 2414) insieme con le sette già edite. Si presenta quindi, per la prima volta, la raccolta completa di tutto il teatro zanazziano attualmente disponibile. Le sei commedie pubblicate vivente l’Autore (Li Maganzesi a Roma, La Guida Monaci, Pippetto ha fatto sega, Evviva la migragna!, Accidenti alla prescia! L’amore in Trastevere) vengono oggi riproposte a distanza di più di un secolo dalla loro prima apparizione. Una settima commedia, La socera, – l’unica pubblicata postuma (1980) – viene qui presentata in una diversa redazione inedita compresa anch’essa nel faldone angelicano. Viene infine riproposto, in appendice, un testo del 1882 – Un’infornata al Teatro Nazionale – il pezzo forse più noto della produzione letteraria di Zanazzo: un vero e proprio saggio di metateatro nonostante sia scritto in sestine. L’attività di commediografo di Giggi Zanazzo va dal 1876 al 1906 circa. I testi – che sono vari per estensione, temi, linguaggio – sono presentati in ordine di composizione. Sulla base di diversi indizi (materiali, linguistici, e storici), si è cercato di situare cronologicamente anche le opere non datate: ‘Na dichiarazione d’amore, Er pizzardone, Li carbonari, Elettori infruventi, Fanatica pe’ llegge li romanzi. Collocazione a parte trovano la traduzione in romanesco del Giulio Cesare di Shakespeare, anch’essa non datata, e due scritti in fase di abbozzo: La Serva Socialista e Parlare di un socialista alla moglie. 1 Il faldone insieme ad altro materiale archivistico di Giggi Zanazzo è stato acquisito nel 1948 dalla Biblioteca Angelica sotto la direzione di Francesco Barberi. Per ulteriori dettagli cfr. P. Paesano, Un poeta romanesco tra gli Arcadi: il Fondo Zanazzo alla Biblioteca Angelica, in Le voci di Roma. Omaggio a Giggi Zanazzo. Atti del convegno di studi Roma, 18-19 novembre 2010, a cura di F. Onorati e G. Scalessa, Roma, Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli, 2011, pp. 97-109. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 79 28/11/13 12.44 80 introduzione Tuttavia si ha notizia di una più ampia produzione teatrale di Giggi Zanazzo. Dai dati raccolti da Francesca Bonanni2, sulla base delle testimonianze di alcuni studiosi e dei giornali dell’epoca, risultano oggi introvabili le seguenti opere: Muzio Scevola3, operetta, 1882; L’obelisco incatramato, scherzo comico, musica del maestro Galanti, Teatro Rossini, settembre 1883; Crementinella, operetta, 1883; Chi sente ‘na campana e nun ne sente ‘n’antra, è ‘n brutto sòno, rappresentata per la prima volta al Teatro Corea nell’agosto 1883; Li fanatichi pel gioco der lotto, operetta, musica del maestro Mascetti, teatro Rossini, dicembre 1883; Streghe stregoni e fattucchieri, operetta, musica del maestro Pascucci, Teatro Rossini, dicembre 1884; Li tempi de Checco e Nina, operetta, 1884; Lo sposalizio der boccio, operetta (forse in collaborazione), 1884; E’ re Gobbetto4, Teatro Rossini, gennaio 1885; Fischi pe’ fiaschi, Teatro Rossini, ottobre 1887; Pippetto Mozzirecchio, musica del maestro Rispetto, Teatro Rossini, novembre 1887; Er testamento de padron Checco. A questi titoli Bonanni aggiunge tre riduzioni in romanesco: Maria la grevetta (dal francese), 1886; La consegna è di russare, 1908; Mastro Nino (dallo spagnolo, probabilmente una riduzione dal Juan Josè di Dicenta), 1908. La studiosa menziona ancora alcune riduzioni teatrali di Gaetano Sbodio in dialetto milanese da Zanazzo: Evviva la bolletta! Bozzetto in un atto da Evviva la migragna!, in: Repertorio del teatro milanese, 164, Milano, Carlo Barbini, 1889, pp. 5-28; In Viarenna: scena popolare da L’amore in Trastevere, Milano, C. Aliprandi, 1889; La me voeur? Milano, C. Aliprandi, s.a., dal bozzetto Me voressivo? (dallo stesso bozzetto si segnala anche una riduzione in dialetto veneziano ad opera di Emilio Zago). Criteri usati nella trascrizione dei testi Sono state conservate tutte le forme varianti nella grafia di una stessa parola anche in caso di un uso incoerente da parte dell’autore: es. ttutto/ tutto; pensacce/ppensacce; giuvedì/ giuveddì. 2 Cfr.: F. Bonanni, Il teatro di Zanazzo, in G. Zanazzo, La sôcera, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 11-12. 3 Nel Ms BA 2416, cc. 146-162, è conservato un esemplare a stampa incompleto (presenti solo i primi due canti) del poemetto: Muzio Scevola. Poema giocoso in Dialetto Romanesco di Luigi Zanazzo, Roma, Tipografia Economica, Via del Corso, 837, 1870 [ma 1875].[ Sul frontespizio:] Proprietà dell’Autore. 4 Presente, con lo stesso titolo, una fiaba nel Ms BA 2410, cc. 19v-22r. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 80 28/11/13 12.44 i e a o , n , a / , - 1. introduzione 81 Sono stati osservati, invece, criteri unitari normativi nell’uso dell’accentazione e dell’apostrofo, vario e contraddittorio nei testi originali, sia manoscritti che a stampa: – è stato eliminato il segno di apostrofo nelle voci verbali all’infinito, che spesso in Zanazzo è presente insieme con il segno di accento (es.: annà per annà’, vedé per vedé’); – la grafia delle forme: co, pe, nu; mi, tu, su; sto, sta, sti, ste, presenti nei testi a volte con apostrofo, altre con accento, altre senza segno, sono state così uniformate: co’, pe’, nu’; mi’, tu’, su’;‘sto, ‘sta, ‘sti, ‘ste; – si è normalizzata l’accentazione della voce verbale della I e della III persona del presente indicativo del verbo esse (=essere): io sò per io sô, io so’, io so; essi sò per essi sô, essi so’, essi so; – è stato sempre eliminato l’accento circonflesso; solo in pochi casi è stato sostituito con l’accento grave per maggiore chiarezza di comprensione e pronuncia: pòi per pôi (puoi); vòi per vôi (vuoi); – sempre per maggiore chiarezza di comprensione e pronuncia è stato aggiunto, in qualche caso, l’accento grave o acuto. Si è intervenuti sulla punteggiatura semplificandola, ai fini di una più agevole leggibilità del testo. Si è adattato alla forma moderna l’uso non coerente delle iniziali maiuscole dando quindi la preferenza alle minuscole. Sono stati corretti i pochi casi di errori ortografici. Le citazioni dei discorsi di terzi all’interno delle battute, dall’autore resi a volte in corsivo, a volte tra virgolette, sono stati riportati sempre tra virgolette caporali. Le note che lo stesso Autore ha aggiunto ai testi sono riportate a pié di pagina, contrassegnate da: N. d. A. Per le note esplicative dei termini romaneschi ci si e’ avvalsi di: F. Ravaro, Dizionario romanesco: da «abbacchià» a «zurugnone» i vocaboli noti e meno noti del linguaggio popolare di Roma, Roma, Newton Compton, 1994; più raramente si è fatto ricorso a F. Chiappini, Vocabolario Romanesco, con aggiunte e postille di U. Rolandi, Roma, Leonardo da Vinci, 1933; in questo secondo caso è ogni volta segnalata la fonte. I brani e le singole parole cancellati dall’Autore e le varianti fra le diverse redazioni sono riportati in nota soltanto nei casi ritenuti significativi ai Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 81 28/11/13 12.44 82 introduzione fini di questa edizione, che intende presentare il teatro di Giggi Zanazzo nella forma piu’ completa e rigorosa, ma anche agevolmente accessibile. Pertanto sono state segnalate varianti di testo solo se costituiscono un ripensamento di tipo espressivo (linguistico-lessicale), o censorio, e sempre nel caso in cui si tratti di forme alternative dell’azione scenica. Abbreviazioni BA: Biblioteca Angelica BNCR: Biblioteca Nazionale Centrale di Roma Ms: manoscritto. Le due curatrici hanno lavorato nella piena condivisione del metodo e della generale impostazione critica all’edizione del presente volume; tuttavia la responsabilità del volume va attribuita nel modo seguente: Laura Biancini: Li Maganzesi a Roma, La Guida Monaci, Evviva la migragna!, Li carbonari, Er pizzardone avvilito, Zitellona, La socera, Giulio Cesere, ‘Na dichiarazione d’amore pe’ la Regola, La serva socialista. Paola Paesano: Pippetto, L’amore in Trestevere, Accidenti alla prescia, Essere o nun essere, Fanatica pe’ llegge li romanzi, Elettori infruventi, La famija de la cantante; Doppo er 20 settembre, Parlare di un socialista alla moglie, Un’infornata ar teatro Nazionale. Si ringrazia, per i preziosi suggerimenti, Alberto Postigliola, Presidente del CESET-Centro per lo Studio e l’Edizione dei Testi dell’Università di Napoli ‘L’Orientale’. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 82 28/11/13 12.44 ELISA DE ROBERTO - LI MAGANZESI A ROMA Operetta in tre atti in dialetto romanesco Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 83 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 84 28/11/13 12.44 1. introduzione 85 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa (Misc. B 602,5) conservato nella BNCR recante il timbro di possesso di Giggi Zanazzo: Li Maganzesi a Roma. Operetta in 3 atti in dialetto romanesco, parole di Giggi Zanazzo, Musica del Maestro Giovanni Mascetti, Roma, Tipografia Commerciale Governo Vecchio, N. 34, 1882. [A pag. 3] Rappresentata per la prima in Roma nel Teatro Rossini il 30 Settembre 1882. Proprietà Letteraria. L’esemplare utilizzato presenta, come tutti gli altri consultati, alcuni salti nella successione delle scene, pur avendo paginazione completa e consecutiva. Così nell’atto I si passa dalla scena II alla VI e dalla scena VI alla IX; nell’atto II: dalla scena I alla scena V e dalla scena VI alla scena VIII; nell’atto III: dalla scena I alla scena V e dalla scena V alla scena VIII. Dovrebbe trattarsi di un opuscolo pubblicato in occasione della rappresentazione stessa. Nella tavola dei personaggi infatti compare l’elenco degli attori nell’ordine corrispondente: Augusto Ajani, Giuseppina Mancini, Filippo Ricci, Benedetto Tomassi, Filippo Tamburri, Maria Giordani, Maria Cicchi, Domenico Valeriani, Oreste Giordani. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 85 28/11/13 12.44 86 introduzione Personaggi CENCIO SFERRA amante di ROSA BERPELO figlia di MUCCIO BACIAMATTONI DIDON sergente GIORGIO STENNARELLO caporale CREMENTINA LA SBIRRA sua moglie TUTA LA ZINNONA MEO PICCHIABBÒ ER TARTAJONE Soldati, popolani, popolane, ecc. La scena accade in Roma Epoca 18981 1 Ma: 1798. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 86 28/11/13 12.44 1. introduzione 87 ATTO I Piazza di S. Giovanni della Malva. SCENA I Cencio Sferra, Rosa Tuta, Meo, Picchiabbò, popolani e popolane. CORO D’INTRODUZIONE Viva, viva l’allegria, viva sempre la sciampagna, si ddurassi ‘sta cuccagna se farebb’un ber campà! Viva er sugo de la vigna, dorce asciutt’e ttonnarello; si ne bbevi un caratello, t’arisenti aricreà. (bis) ROMANZA DI CENCIO Addio, Rosina, addio: ricordete de me. Lo sai ch’er core mio te cerca sempr‘a tte... Viemme ‘sta nott’in sogno, famme vedé quer viso: me par’er paradiso quanno m’insogn’a tte. Guardo la luna, guardo le stelle, ma non sò belle, mai come tte. SCENA II Didon, Stennarello e Maganzesi. CORO DE’ MAGANZESI Noi esser maganzese, fenut’a precipissie, tai nostre pei paese, Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 87 28/11/13 12.44 88 introduzione per mettere ciudissie al popole romane che star repubblicane. Se prentiam - queste canalie, 1’infilsiamo - come qualie con la canne - te lo schioppe; e al quartiere - te caloppe, le portiame - priccionier. S’ode un fischio; i soldati indietreggiano spaventati. ARIA DI STENNARELLO Accidente! - me n’infischio, si cche ggente - da rugà! Per un fischio - muffo, muffo fanno tutto - ‘sto sartà. Ecco ‘n fusto de corata, ecco ‘n greve che sta ‘n gamma: nun se mett’a strillà mmamma, per un fischio che sse fa. Io sò Giorgio Stennarello, caporal’antibbojano; e sò ll’unico romano fra ‘sti scoji che cce sò. Tartaifèlle, sapristì sacre-nom; ne pas, ne pas... che li possin’ammazzà. nun se vonno fà capì. Si mme sarta - la pazienza, sentiranno - ‘sti martufi che scadenza - che je do. ROMANZA DIDON Rosina - écoutez mes accents - ma prière et daignez - exaucer un amant - si sincère que je puisse - en retour vous prouver - mon amour Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 88 28/11/13 12.44 1. introduzione 89 Pour toujours. SCENA VI Osteria BRINDISI DIDON Ha de l’or il bel color questo vino frascatane: ner’è ll’occhio ruba cor de le giovine romane. Belle donnine chi vuol trovar, se viene a Roma le troverà. Chi del buon vino vuole gustar se viene a Rome lo gusterà. CORO Beviam, beviam; se vin’a amor congiunto vien rallegra il cor. Belle donnine, chi vuol trovar ecc. DUETTO Rosa e Didon DIDON Son’uscite tutte quante; sarà melio di fugire... Ma non so da dov’uscire ils pouraient me rencontrer. (vedendo Rosa) Uh, chi vedo! qui costei? Rosa mia, la mia fanciulla! mais c’est sur, è proprio lei. Come diable est-elle ici ? Oh Rosine! ROSA Chi mme chiama ? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 89 28/11/13 12.44 90 introduzione DIDON Chi tti ama. ROSA Ah! sei tu?! Brutt’infame - scellerato, e ccia faccia - de stá cqua? Si nun t’hanno - scorticato, te la pensi - de sfardá?2 (minacciando Didon) Tutt’ er giorno ‘sto scagnozzo, me lo trovo fra li piedi! Ma cche vvòi? vòi che tte strozzo?... Dunque vattene de cqua. DIDON Perchè, ti voglio bene, ti cerco tutt’il giorno; ti son sempre d’attorno perchè ti vuò sposar. ROSA Nun te pià ‘ste pene nu’ mme ne prem’un corno. Nun te ce voj’intorno, nun te ce vojo, no! DIDON Oh, Rosine, je vous aime; deh, lasciatevi guardar. ROSA Ma dde voi nun mme ne preme; ma sarete matto cqua! DIDON Su via, Rosina, cedi; sarò tuo sposo detto. ROSA Ma mmò, se nun te levi te fo vedè un giochetto. DIDON Un sol un sol bacetto... ROSA ’No schiaffo te prometto! DIDON Felice mi farà. ROSA Ma prima te lo do. (gli dà uno schiaffo) DIDON Pourquoì, mia Rosina, mi neghi un bacino? Quel viso bellino mi fa sospirar. ROSA Su, lesto, va via; sinnò, tte l’ho detto, sai quanto ce metto, 2 Fuggire, allontanarsi velocemente (con le falde della giacca). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 90 28/11/13 12.44 1. introduzione 91 già poco più sto. (si toglie lo spadino3 e minaccia Didon, il quale fugge) SCENA IX CORO Mosca, mosca; fate piano: lesti a cchiud’a ccatenaccio. Ma vvedete ‘r diavolaccio, si cche scene f ’accadé. Ringraziamo la Madonna; se la semo scampolata. Si se scrope la frittata chi ssa come v’a finì. CENCIO E ROSA Lesti, lesti, giuvinotti, ‘nisconnetev’er cortello. Si vieniss’er baricello, se potrebb’insospettì. Annatev’annisconne: squajàtev’in cantina; e ‘nsino a domatina cercat’a nun uscì. CORO Bonanotte: annam’ a lloffe4. Chi lo sa sse dormiremo? Co ‘sto spago che cciavemo chi ccìà voja de dormì! Fine dell’atto primo 3 Ornamento femminile, lungo spillone a foggia di sottile pugnale che le donne usavano per tenere ferma sui capelli la cartonella, una sorta di panno ripiegato che fungeva da copricapo. 4 Lloffe-sloffe: dormire, dal tedesco schlafen. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 91 28/11/13 12.44 92 introduzione ATTO II Corpo di guardia. SCENA I CORO DELLA SVEGLIA La trompe sone; compagne, alons: non tormir più, non far poltron. Star sfelte e dritte; compagne, su non cascar giù, non far così. Sonar la sveglie quant’esser scure, gran rompiture star te minchion. Compagne, su: non cascar, giù, non penter più; ti qua, ti là. SCENA V Rosa, Crementina, Stennarello e Soldati TERZETTO STENNARELLO (tremando) (Mamma mia! che brutt’incontro!) Da ’ste parte?... e cche... che nuova? CREMENTINA Ah, tte sò venut’a trova. STENNARELLO Ciò ppiacer’in verità. ROSA Sor Bencotto, a la grazzietta. CREMENTINA Sor Dondezio5, ariverito! Jer’a ssera indò se’ ito, quann’ha visto litigà? Nun so propio chi mme tienga, d’atterratte co’ ‘no schiaffo! 5 Riportato al femminile in Chiappini. Dondezzia: nome immaginario di donna usato in senso derisorio. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 92 28/11/13 12.44 1. introduzione 93 STENNARELLO Ddite voi! Me fat’un baffo. Si cciai core fatt’in qua. Io scappato! nun è vvero, sò venuto cqua ‘n caserma... Crementina, statte ferma; non ho vvoja de ruzzà... ROSA Crementina, eh llà fermateve. Nu’ sta bbene qui ‘n quartiere; nun sia mai sent’er furiere, pò vienì e cce pò caccìà! Me parete ‘na cratura! Su fermateve, commare; è pprudenza? Ma vve pare? Ma vve pare che po’ stà? CREMENTINA No, commare mia, levateve; ve lo chiedo pe’ ppiacere. Vò nnegà le cose vere, vò nnegà la verità. Jer’ a ssera che figura che facessi fà al compare; fà succede ‘ste cagnare, un po’ ppiù falli scannà. STENNARELLO Ma... mma io nun ne so gnente; Crementina, statte ferma: statte ferma; ché cc’è ggente. Arispettem’in caserma... E cche ssei, ssei addannata? stai a ccasa?... Abbi pacenza; sarv’armeno l’apparenza. Dico bbene, no, commà? STENNARELLO CREMENTINA ROSA Nu’ li senti ‘sti martufi, che risate che sse fanno! Ggià mme stanno minchionanno: sei content’ adesso, no? Pofere caporale, com’è rimaste prutte! S’è imminchienite tutte CORO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 93 28/11/13 12.44 94 introduzione ah, ah, ah, ah, ah, ah! Lui star minchion... minchione; la molie l’ha sonate. Ah criste che risate, ah, ah, ah, ah, ah, ah! SCENA VI San Pietro in Montorio. Meo, Popolani, quindi Cencio CORO Attent’attenti: viè ‘r principale. Fàmoje vede; che bben’o mmale, quarche mmanopra sapemo fà. CENCIO Bongiorno, giuvinotti. Ce sete tutti quanti?... Venite pur’avanti; e statim’a ssentì. Cencio Sferra, lo sapete, parlerà cor core in mano: chi ccià ‘r core da romano, ha dda piagn’insiem’a mme. Io me sento strappà er core pe’ ‘na cosa che mme còce; e mme trema ggià la voce ‘a ddovell’ariccontà. CORO Cacciate for’e’ rospo. Si cc’è quarche gargante, je dam’un par de sfrante lo famo moscheggià. CENCIO Prima cqua in ‘sto castelluccio, stamio guas’in paradiso; io le cose nu’ le sviso: nun è fforse verità? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 94 28/11/13 12.44 1. introduzione 95 Ma dde post’in un momento, viè da ll’estro ‘na canaja che ppe’ Roma se sparpaja, e ce mett’a ttribbolà. Poi, ne fa d’ogn’erb’un fascio; e protenne de f ’affronti, (manco noi fussimo tonti) a le femmine de cqua. Romani, perbìo, su, ddite da bravi: volet’esse schiavi o stà ‘n libbertà?! CORO Avemo ggià mmagnato: nun serve che tte sfèdichi; ar vento cqui nun predichi: dicce che s’ha da fà. CENCIO Ce vo ‘n córpo da maestro. Ce vorrebb’un serra-serra. ‘Sti paranzi6 e Ccencio Sferra lo potranno combinà. Ddoman’è la bbefana; ‘sta sera è la viggija. Pensav’ar parapija, ar chiasso che sse fa. ’Sta nott’a Sant’Ustacchio, sin’a li dent’armati, v’aspett’aridunati; cercat’a nun mancà. Appena do ‘r signale, li sfrizzoli cacciate, e sventole sonate giù! senza carità. CORO Ce carza ‘sta pensata. Se semo bell’e ‘ntesi. 6 Paranza: amico intimo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 95 28/11/13 12.44 96 introduzione Menà a li Maganzesi; è stat’un ber pensà. CENCIO Sonata mezzanotte, v’aspetto de bber novo; speranno che vve trovo tutt’ariuniti cqua. Ttoccàmes’er cinquanta; poi ‘gni paranza mia, arzi la cianch’e vvia; ché ssento scarpinà. CORO Su, llesti, scivolamo; sinnò cquarche ttrommetta, s’incaja7, ci ammanetta, ce mann’a spenzolà. SCENA VIII Osteria Cencio e Rosa DUETTO CENCIO Rosina mia der core, picchiett’amore mio! er’ bè cche tte voj’io nun te lo so ‘sternà. ROSA E io nun è llo stesso? si mme vedessi er core se strugge da l’amore... (Cencio le accenna col capo di no) Ah no! ah no! ppì, ppì! CENCIO Ce credo Rosa mia: lo so cche mme vòi bbene; lo so cche ssofri pene che nu’ mme poi ridì. V’ho fatta la bbefana; (offrendole un astuccio) sarìa ‘na sgarbatezza, 7 Incajasse: accorgersi (cfr. Chiappini). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 96 28/11/13 12.44 1. introduzione 97 nun favve ‘na sciocchezza de ‘ste giornate cquà. ROSA Sciocchezza? State zitto... (osservando l’astuccio) Vardat’uno spadino! Uh Ddio, quant’ è carino!... Ve stat’a incommidà. CENCIO Che sserve che dichi, grugnetto de bbaci, quell’occhi vivaci me fanno impazzì. ROSA Me guardi! me guardi (me mann’in guazzetto ‘sto grugno moretto, ‘sti baffi che ccià!) Fa llesto; scarpina: fa lesto, Cencetto, ch’er core m’ha ddetto che mmó viè papà. CENCIO Mó sfilo carina; ma ‘r core m’ha ddetto ch’in front’un bacetto ce posso sonà. SCENA VIII Osteria Picchiabbò, Tuta, Rosa, Crementina e popolane CORO Li regazzi e li mariti cianno tutt’abbandonate; voi sortanto ciarestate pe’ ppotecce accompagnà. (a Picchiabbò) – Un gallo solo solo, fra ttutte ‘ste galline? – Che cc’è dde male? infine sapemo sí chi è. CREMENTINA (a Picchiabbò) Ce venite puro voi? Accusí famo fortuna cqui, corpaccio de la luna, sott’ar bracc’insiem’a mme. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 97 28/11/13 12.44 98 introduzione ROSA Sola tu vvòi fà fortuna? Io lo vojo - io lo vojo: Ma vvedete sì cch’imbrojo, per un gobbo, che sse fa. PICCHIABBÒ Ma mmannaggha sa’ mmuttione! Ttate femme me cciattate. Ma cche diavolo ve fate, me volete dderenà. Io me ccejo Tuta mia: cqua vvenite sott’a bbaccio. Sarò bbutto, ma ttant’ accio pe’ san gneo mica sarò. CORO FINALE Finimo ‘sta cagnara. Mettemesel’i’ mmezzo, ccusí la cos’è cchiara se lo godem’a mmezzo, Sete contente, mó? – Sicuro; c’è dda dillo? contente, contentone. Adesso va bbenone; potemo pur’ annà. Fine dell’atto secondo Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 98 28/11/13 12.44 1. introduzione 99 ATTO III Dintorni di S. Eustachio SCENA I CORO DEI MAGANZESI Queste fredde, caporale... ci fa sbatter le procchette,8 ah! che gele maledette. Ah! che fredde! Accì, occì! Siamo gelate intirizzite; siam’agghiacciate! Accì, occì! Nemmanche lo scaltine con queste fredd’è pone, oh! che città pirpone! Che fredde che ci fa. Siam mezze morte; oimè, sergente, deh soccorete noi pofer gente che dal gran fredde facciam brè, brè, accì, occì! SCENA V Stennarello e Crementina STENNARELLO Mamma mia! chi vvedo! Lei?!... Crementina!... Ajuto, ajuto!... CREMENTINA Ah sei tu bbaron fujuto? fai a mme ‘st’ infamità? Te credevi d’avè ppreso Angiolona la tu’ ggioja? te credevi, bbrutto bboja, 8 Sbatte le brocchette: urtare tra di loro delle ossa delle ginocchia, per il freddo o per la paura. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 99 28/11/13 12.44 100 introduzione de mannà ppe’ mmicchi9 a mme ? Brutt’ assassino, arinnegato; te ciò agguantato ‘sta vorta, no? STENNARELLO Te volevo fà ‘na ruzza. Nun è vvero d’Angiolona... CREMENTINA Si la pio quela bbirbona l’averà da fà co’ mme. Tu intanto port’a ccasa ‘sti quattro sventoloni. Che razza de bbirboni che s’hanno da trovà! STENNARELLO Mi’ moje cqua m’ammazza: curéte: ajuto ggente! Questa nun sente gnente, me vò finì, me vò. SCENA V CORO (accorrendo) Ch’ è stato? Ch’è stato! Che fa ‘sta rabbiosa? Fermateve sposa; lasciatelo stà. CREMENTINA Lassatem’un po’ pperde sò mmezza disperata. ‘Sto cane m’ha ‘nsurtata lo vojo stritolà. CORO Chi questo? ‘sto sordato?! ma bbravo Stennarello! ma bbene, bravo, bello! vardate faccia; va’! – Oh questa sì ch’ è bbella; graziosa, veh, ‘sta scena; la moje sua je mena e llui cerc’a scappá. 9 Micco: credulone. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 100 28/11/13 12.44 1. introduzione 101 SCENA VIII Piazza di Sant’ Eustachio CORO DELLA BEFANA Questa sera - la bbefana esce fora - da la tana, pe’ ggirà - drin là, drin là. Er forestiere che dde ‘ste sere se trova cqua, drin là, drin là, vvede ‘na cosa, la ppiù graziosa, ch’ ar monno sta. Drin là, drin là! Un sartapicchio! Un ber galletto! Un ciufoletto! Chi vò crompà? Le trommette fann’uvà! Li fischietti: fisfifih, li galetti: chiccrichì, nun potete ppiù fiatà. Un muecco un merlo, un traccagnino, un arlecchino, Chi vò crompà? L’asini fann’ihà, ihà! Le bbiocche: coccodè! Le pecore: bbebbè! Le pupe fanu’uvà! Un muecco ‘n fischio, un purcinella, una guainella10, chi vò crompà? 10 Carruba. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 101 28/11/13 12.44 102 introduzione BRINDISI FINALE Evviv’er vino! - La vista sola ciarinconsola- ce fa ccantà. Viva Ggenzano, - Nemi, Marino l’Ariccia, Arbano - che cce lo da. Sia dorce, asciutto, - sia tonnarello, è bbono tutto - come ce sta. Viva, bbevemo - senza pavura; sino che ddura - s’ha dda scialà. Viv’er vin bianco - de color d’oro cantam’in coro - la gran bontà! 10 Ottobre -1880 Fine dell’atto terzo Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 102 28/11/13 12.44 PIPPETTO HA FATTO SEGA Operetta comica in tre atti Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 103 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 104 28/11/13 12.44 1. introduzione 105 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa (Ceccarius. Dial. IV. 91) conservato nella BNCR: Giggi Zanazzo, Pippetto ha fatto sega. Operetta comica in 3 atti, Musica del Maestro Cav. Cesare Pascucci Roma, Cerroni e Solaro Editori Piazza Colonna 358, Laboratorio Tipografico di Cerroni e Solaro,1887. [Sul verso del frontespizio] Per la rappresentanzione sia del presente libretto come della musica rivolgersi ai proprietari Sigg. Giggi Zanazzo e Cav. Cesare Pascucci, i quali avendo adempiuto a quanto la legge prescrive si riservano ogni diritto di riproduzione e di ristampa. [A pag. 4] Rippresentata pe’ la prima vorta ar Teatro Rossini a Roma er 15 Ottobre 1887. L’opuscolo, pubblicato in occasione della rappresentazione, reca nella tavola dei personaggi i nomi degli attori nell’ordine corrispondente: A. Bianchini-Bartoli, Romolo Balderi, Oreste Capotondi, Filippo Ricci, Ginevra Balderi, Franco Alberini, Margherita Massoli, Maria Cicchi, Giuseppe Ricci, Andrea Marini, Ida Pizzirani, Tommaso Fiorentini. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 105 28/11/13 12.44 106 introduzione Personaggi MICCHELINA DON DESIDERIO maestro de scola de PIPPETTO ANTONIO droghiere marito di VITTORIONA la scontenta GIGGI giovene de bottega d’Antonio amante de TETA fija de Antonio e Vittoria ROSONA genit. de Pippetto GIACHIMANDREA TITTA l’oste TOTA serva de padron Antonio DOMENICONE sargente de la Nazionale Regazzi de scola, serve e sordati } Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 106 28/11/13 12.44 1. introduzione 107 ATTO I La Scena arippresenta una piazza de Trestevere. A dritta c’è ‘na porta indove se legge: Scuola di fanciulli e fanciulle. A mancina una casa che viè su la scena co’ ‘na facciata verso la batteria de li lumi e ‘n’antra verso la scena che sarebbe la casa de padron Antonio. A piantereno bottega co’ l’entrata che guarda verso er pubblico. Ar primo un mignano1 che guarda tutte e due le facciate. Sopra la bottega un’iscrizione ‘ndove ce dice Droghiere. A dritta poi c’è ‘na bottega d’acquavitaro che sarebbe la bottega der padre de Micchelina; poi più ‘n su ‘n’osteria. SCENA I Giggi e Micchelina Intrattanto che va su er telone, Giggi apre la bottega d’Antonio; le serve e li cochi der vicinato co’ li secchietti del latte in mano e li canestri de la spesa sotto ar braccio, escheno da le case per annà a comprà la robba che je serve. Micchelina su la soja de la porta de bottega sta facenno colazione cor caffè e latte. N. 1 (Coro de le serve e de li cochi) COCHI Lesti lesti a ffà la spesa che l’orloggio de la chiesa già le cinque e mezza fa nun c’è tempo da spregà Annamo olà! Su fornaio e llest’a oprì nun è tempo da dormì; su Giggetto nun magnà, opri, opri e facce entrà Annamo olà! SERVE La madre de famija, appena spunta er giorno si nun se da ‘n po’ intorno, nun pò arisparambià. 1 Balcone, terrazzino. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 107 28/11/13 12.44 108 introduzione E quanno che va a spenne dall’oste o dal fornaio quer che costa ‘n centesimo je deve paré caro, la deve spaventà. Cusì pò baccajà. A imbrojone che me dai? Damme er giusto, che tte fai? Che t’imbroji nu’ lo so, pesa bene miccarò2! MICCHELINA (in polacchetta ecc.) Bon giorno vicino. GIGGI (doppo che ha traperta la porta de bottega fa per annà a beve er cicchetto da l’acquavitaro) Ben’arzata sora Micchelina. Volete favorì? MICCHELINA Grazzie ho fatto adesso. GIGGI Che bbella giornata eh? MICCHELINA Davero bbella. GIGGI Nun ve domanno come state, perché sete fresca e ccolorita come ‘na mela rosa. È un piacere a sentivve cantà sempre da la matina a la sera! MICCHELINA E perché nun averebbe da esse alegra? Ciò ppapà che me vò bene, a salute ggrazzie a Dio sto benone, ciò un grugnetto che nun fo pe’ dillo, nun è tanto da disprezzasse, l’affari der negozio ce vanno a vele gonfie; perché averebbe da piagne! GIGGI Lui puro ve vorà bbene...? MICCHELINA Chi llui? Aibbò, io nun ciò lui; e nemmanco li vojo. GIGGI Nemmanco uno piccolo piccolo, ciuco ciuco, carinello carinello? MICCHELINA Nemmanco. Io vojo esse padrona de me stessa. GIGGI Dunque nun è perché ve manchino cascamorti? MICCHELINA Magara ne vorrebbe de cascamorti. Ma io, per adesso, nun ne vojo sapé gnente... eppoi prima che trovi chi me piace a me troppo è indificile!... Basta: (chiamando) Tata, veniteme a ajutà a mette fora le mostre. GIGGI Nu’ lo chiamate che v’ajuto io! MICCHELINA No, no che voi n’averete abbastanza de quelle vostre. Grazie! 2 Miccarolo: persona che va in cerca di micchi (grulli, creduloni): truffatore, imbroglione. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 108 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 109 GIGGI Oggi noi nun oprimo antro che pe’ fà pijà un po’ d’aria ar negozio. MICCHELINA E pperché? GIGGI È la festa de sant’Antonio, der padrone. MICCHELINA Ah! È vero. Nun ce pensavo. Dunque apposta ve vedo che state tutto stilettato e profumato! GIGGI Già; fra un’ora chiudemo bottega e annamo a ffà merenna in campagna; in famija! MICCHELINA (con malizia) Già, lo so, me cianno invitato puro a me; ma io j’ho detto che io nun ciannavo perché je vojo fà verso er tardi un’improvisata. (ride forte) GIGGI Perché ridete, eh sora Micchelina? MICCHELINA Io? GIGGI Voi sì! MICCHELINA Che ve fa specie? rido sempre! GIGGI Sì, ma stavorta in quella risatina ce se vede un po’ de malizietta... Diteme la verità... Diteme perché. MICCHELINA Eh! Signore! In campagna a le vorte senza abbadacce uno se pò perde e trovasse insieme senza sapé ni er come, ni er quanno, in qualche sitarello, vicino a qualche bella paciocchella... abbasta mosca! GIGGI (co’ vivacità) Chi? Teta? MICCHELINA Chi ve l’ha detto? GIGGI La fija der padrone? Un semplice omo de bottega!... Poteressivo immagginavve?... MICCHELINA (ridenno) Io?... Ma pe gnente? GIGGI Ma dunque ve ne sete incajata 3? MICCHELINA Un tantinello. GIGGI (co’ vivacità abbassando la voce) Più piano per carità. E come avete fatto a incajavvene? MICCHELINA (traggicamente) Ma... da tutto disgrazziato... da tutto! Da la finestra de casa, da la faccia vostra; da tutto ve dico, da tutto. GIGGI (confuso) E avete veduto? MICCHELINA E nun sò nemmanco la sola. GIGGI (spaventato) Gnente se n’è incajato er padre... la madre?... MICCHELINA No... la fija! GIGGI Teresina?! Ciovè dico la sora Teresina se sarebbe accorta? 3 Incajasse: accorgersi (cfr. Chiappini). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 109 28/11/13 12.44 110 introduzione MICCHELINA Lo credo. E ce doverebbe avé avuto puro gusto. GIGGI Cià avuto gusto dite? Davero sora Micchelina mia bella bella? Cià avuto gusto? (abbraccia Micchelina) MICCHELINA (se scanza ridenno) Ma io nun sò mica lei? GIGGI Avete ragione avete; ma scusateme, la contentezza, er piacere... Eppoi, adesso che ce penso, lei s’ha da sposà Pippetto; je lo vonno dà pe’ forza li parenti de lei d’accordo co’ li parenti de lui. MICCHELINA Ma lei però nun ne vò sapé gnente, e quer tufo nu’ lo vò! GIGGI Davero? Ma allora er padre e la madre che je lo vonno dà pe’ forza? MICCHELINA A questo ce penserà lei. Voi nun ve ne incaricate. Oggi appena la vedete fateje la dichiarazzione. GIGGI Magara!... Ma chi me ne dà er coraggio? MICCHELINA Fatevelo venì! Vardateme ommini. GIGGI Ma er mi’ padrone e la mi’ padrona, nun sia mai detto lo sapessero, me caccerebbero via. MICCHELINA Perché? Un bravo giovene de negozio onesto, accorto come vvoi, e pe’ de più ber giovanotto, diventà er genero e er socio der su’ principale e poi l’erede nun sò cose che se vedeno tante vorte? GIGGI (infocannose) Ma tutti li giorni se vedeno. MICCHELINA E dunque allora? GIGGI Avete raggione... Sò arisoluto! Appena che la vedo je fo la mi’ brava dichiarazione. MICCHELINA Ecchela pe’ l’appunto! GIGGI (corpito) Chi? Teresina? MICCHELINA In persona. Su... via! Coraggio e sangue freddo. SCENA II Li medemi e Teta Teta in abbito da matina, sorte da la bottega der padre, cor secchietto del latte e va a comprallo senza accorgese de Micchelina e de Giggi. GIGGI (confuso e tiranno Micchelina pe’ la vesta) Nun credete che sarebbe mejo aspettà che annamo in campagna? MICCHELINA No, chi ha ttempo nun aspetti tempo. GIGGI No, io direbbe... MICCHELINA Mio caro, bisogna batte er fero quanno è callo. (va pe’ rientrà) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 110 28/11/13 12.44 r 1. introduzione 111 GIGGI (la trattiè pe’ la vesta) Nun me lassate armeno? MICCHELINA Che avete bisogno de me? povera craturella! GIGGI Sì, ho bisogno che m’ajutate. Arestate fateme er piacere. MICCHELINA Va benone, allora aresto. Se nojantri donne, fossimo coraggiose come vojantri ommini, staressimo bene! Teresina ritorna in scena col secchietto del latte e va pe’ rientrà a casa ma se ferma perché vede Micchelina e Giggi. N. 2 (Terzetto e strofe) MICCHELINA Bon giorno Teresina. TETA Stai bene Micchelina? MICCHELINA Cara, così, così. TETA Come sarebbe a dì? MICCHELINA (a Giggi) Ohé che fate lì? GIGGI (confuso) (Ah! Già Dio mio.) Bon giorno. Scusate signorina sì propio stammatina... TETA Scusavve: ma perché? GIGGI (piano a Micchelina) Lo vedete Micchelina che a parlaje nun sò bono m’inciafrujo, m’indispono nun me sò raccapezzà. È l’amore... MICCHELINA Ma va là! (concertato) MICCHELINA Che zuccone, che zuccone! Su perdio, quanto ce vò? Questo e ‘r tempo presto alò nun ve fate canzonà. GIGGI (a Micchelina) Tremo peggio de ‘na fronna resto qua come un minchione abbi un po’ di compassione Micchelì, dijelo tu! TETA ( fra de sé) Ah! lo so, lo so da un pezzo che cce prova a fasse core ma provannome a discore nun se sa riccapezzà. (bis) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 111 28/11/13 12.44 112 introduzione MICCHELINA Coraggio, Giggi presto, minchione, o l’occasione ve sfuggirà. (bis) GIGGI ( facennose coraggio) Sora Teta, Com’ha dormito? (Io sò sfinito; io moro qua). MICCHELINA (a Giggi) (Coraggio, su!) TETA Io bene: grazie e spererei che puro lei dormito avrà. GIGGI (Me vò bene.) TETA (Me vò bene.) MICCHELINA (Manco male je la fa!) MICCHELINA Su coraggio, presto avanti giovanotti, avanti; alò, fate quello che cce vò nun ve fate canzonà. Er sor Giggi, Teresì qualche cosa t’ha da dì. (je pija a tutti e due la mano e l’unisce) GIGGI (co’ calore) Ah! Teresina mia! TETA (co’ tenerezza) Ah! Sor Giggi mio. MICCHELINA Oh! Manco male (sbatte le mano) je l’hanno fatta. Allora io me ne vado. (ar pubblico) Speramo che er restante lo troveranno da loro. (rientra a bottega sua) SCENA III Vittoriona e quelli de prima VITTORIONA (dal mignano) A Teta!? TETA (se slontana da Giggi e va a ripijà er secchietto del latte) Me chiama mamma. GIGGI N’antra parola sola, sola...! Dunque ve posso volé bbene? TETA Sì, cchiedeteme a mi’ padre. GIGGI (co’ straporto) Oggi stesso. TETA Subbito. VITTORIONA A Tetaa! (comparisce sur mignano in disabijè) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 112 28/11/13 12.44 1. introduzione 113 TETA (scappa in der portone) Eccheme mamma. VITTORIONA Sbrighete, cicia, porta su e’ latte. E tu’ padre sai gnente ‘ndove è ito? GIGGI (viè in mezzo a la scena e se caccia er cappello) Sora padrona credo, che sia ito dar barbiere. VITTORIONA Ah! Sete voi Giggi? Allora fateme er piacere annàtelo a chiamà sinnò nun famo più a ttempo pe’ le otto. GIGGI Vado subbito sora padrona. VITTORIONA Sbrigateve. (rientra drento casa) SCENA IV Giggi solo poi er sor Antonio GIGGI Che bellezza... E io minchione nun m’azzardavo a dijelo si nun fusse stata la mi’ vicina. Oh! quanto sò contento. Mó le cose cammineno da sé. Doppo magnato quanno sò tutti alegri, la chiedo ar padre e a la madre... e allora?... Sarà quer che sarà... Ah! ecco er principale. ANTONIO (leggendo certe lettre) Ah! State qua? GIGGI Si, sor padrone. Anzi m’ha detto la padrona che ve venissi a cerca. ANTONIO E ‘ndove annavi? GIGGI Ah! Vado subbito. ( fa per annà via) ANTONIO Ma indove? GIGGI Ah! È vero. Ve chiedo scusa! ma la contentezza, er piacere... ANTONIO Er piacere. (confuso) Ma che me dai li nummeri? GIGGI Sì er piacere de la festa vostra. Anzi cento de ‘ste giornate. ANTONIO (je dà la mano) Bravo giovanotto. (Cià un bon core ‘sto regazzo. È un giovene che me va a sangue e che nun mannerò via per adesso). GIGGI Principà, dunque indove avete deciso che avevo d’annà? ANTONIO (je dà certe carte) Va in ‘sti du’ siti a avvertilli che oggi se tiè chiusa bottega e che aritornino domani. GIGGI Sì, padrone. ANTONIO Ahò aritorna subbito sa’. GIGGI Nun dubitate che oggi ciò l’ala a li piedi. (scappa via) ANTONIO Ma che ha oggi ‘st’accidente? (guardanno verso la bbottega de Micchelina) Sto solo!... Si agguantassi ‘st’occasione pe’ dà a quella ciumachella de Micchelina, ‘sto vijetto che j’ho preparato da jeri. Provamoce. (va in punta de piedi verso la bbottega de Micchelina e mette un vijetto drento ar canestrello suo che sta su ‘n tavolino) Accusì nun pò fà a mmeno d’accorgessene e... (rimane a guardà la bbottega) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 113 28/11/13 12.44 114 introduzione SCENA V Giachimandrea e er sor Antonio GIACHIMANDREA (viè con fagottello sotto ar braccio e nun s’accorge de padron Antonio) Potessi, co’ la scusa de sapé ‘ndove annamo oggi a pranzo, trovà Ttota e daje ‘sta lettra (caccia ‘na lettra) pe’ informalla che si oggi intanto che stamo in campagna, potessi trovà ‘no scanzo4 pe’ parlamme... Bbona quela Tota! Proprio bbona; l’altro giorno je detti un pizzico e si avessivo inteso come era tosta!... ANTONIO Quanto è cara quela Micchelina. Sortanto quer grugnetto, quela boccuccia, quer nasino... GIACHIMANDREA (ar pubbrico) La conoscete vojantri Tota la serva der mi’ compare Antonio? Si la vedete com’è paccuta! Che aritonnezze che cià davanti e de dietro! E che petto da berzajere!... (se svorta e vvede Antonio) ANTONIO (idem) Uh, varda chi se vede! E cchi cercavio? GIACHIMANDREA Proprio a vvoi. Cento de ‘ste giornate. ANTONIO Grazie. Guarda che combinazione, io puro ve venivo incontro. GIACHIMANDREA Io ero venuto pe’ ssapé si indove avevio deciso d’annà e pe’ davve cento de ‘ste giornate. ANTONIO Io e mi’ moje averessimo deciso d’annà da Melafumo5. Che ne dite? GIACHIMANDREA Nun mme dispiacerebbe mica. Eppoi dico sentimo la commare si cche ddice. Commare. (chiamanno) ANTONIO (idem) Vittoriona! VITTORIONA (de drento) Chi me vone? ANTONIO Semo io e er mi’ compare Giachimandrea. Viè ‘n po’ ggiù! VITTORIONA (idem) Ecchime. SCENA VI Li stessi e Vittoriona VITTORIONA Bbon giorno compare. Che nova? GIACHIMANDREA Ero venuto a ssentì si poi ‘ndove avevio deciso d’annà. 4 5 Breve lasso di tempo. L’osteria si trovava in prossimità di Ponte Milvio. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 114 28/11/13 12.44 4 e - o 1. introduzione 115 VITTORIONA Da Melafumo. Ma prima aspettavo ‘sto ber gingì de mi’ marito che se doveva annà a ffa li ricci... ANTONIO (scoprennose la testa) Che nun me stanno bene? VITTORIONA Già, qualche giretto vizioso che caverà in qualche urione qua vicino. ANTONIO Ma tte gira? VITTORIONA Nun me ggira gnente affatto, perché in fin de li conti nun ce tiengo. ANTONIO Vergognete! Su parlamo de cose serie. GIACHIMANDREA Allora oggi a pranzo, quanno ce semo tutti, combinamo er giorno de ‘sto pangrattato fra er mi’ fijo e la vostra fija. VITTORIONA Magara. ANTONIO Io sò pronto! GIACHIMANDREA Allora arestamo così. VITTORIONA Ma, dico, riguardo ar tempo quanto ve ne pijate? GIACHIMANDREA Mica tanto; ar più, ar più, un anno e mmezzo. Perché? che ve credete, sta avanti! VITTORIONA E che scola fa? GIACHIMANDREA Proprio che scola fa nun ve lo saperebbe a ddì, so che a scola ‘ndove va lui ce vanno li ragazzini piccoli, però lui ne sa più assai de quelli, come dice er maestro. Dunque poco je mancherà a fenì, nun ve pare compà? ANTONIO Io sò contento che la ‘struzzione nun je manchi. GIACHIMANDREA Ah! nun fo pe’ dillo che è er mi’ fijo, ma è accusì adducato, cusì aperto de mente, accusì timorato de Dio. Innocente poi, innocente! che ancora è come l’ha ffatto mamma sua. VITTORIONA E apposta je la damo contenti. ANTONIO Perché sapemo chi è er regazzo. VITTORIONA Abbasta, oggi ar pranzo ne riparleremo. ANTONIO A proposito. Allora ‘ndove se decidemo d’annassene? VITTORIONA Annamo da Melafumo e bona notte. ANTONIO E ppe’ pietanza? VITTORIONA Èrimio arimasti che ognuno portasse la sua. (per annassene) A proposito nun te scordà de ordinà er pranzo pe’ otto. ANTONIO Dirai pe’ sette. VITTORIONA Ma dirai pe’ otto. E Domenicone nun ce lo conti? ANTONIO Chi er sargente de la Nazzionale? VITTORIONA Quello è capace de pagavve la festa. Anzi appena ve viè a trova invitatelo subbito che sarebbe mejo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 115 28/11/13 12.44 116 introduzione ANTONIO Ma tu ciai le pigne. Io nun l’invito manco pe’ sogno. VITTORIONA Dunque nun l’invitate? ANTONIO (riscallannose) No! GIACHIMANDREA Ma invitatelo via! ANTONIO None, none! VITTORIONA Vergogna! Nun invità l’amico piú granne de la famija, un parente, un cugino carnale pe’ parte de madre!... ANTONIO Lo dice lui, ma le prove? GIACHIMANDREA Già le prove? VITTORIONA Si nun se crede un parente pe’ parte de madre chi s’ha da crede, allora? ANTONIO Ma si nun è? GIACHIMANDREA Ma si nun è? VITTORIONA Ma si ve dico che è da parte mia? ANTONIO Già queste sò chiacchiere che le fa tutto er vicinato, e io la vojo finì co’ le visite di quel tartufo. VITTORIONA Tartufo ar mi’ cugino? ANTONIO E sbafatore. S’invita a ppranzo, s’invita a ccena e mme mette in ridicolo in faccia a tutti. (in collera) VITTORIONA Falla finita, Antonio. ANTONIO Ma falla finita tu! VITTORIONA È mejo che me stia zitta e che ve pianti. GIACHIMANDREA Allora addio commare. Me mannate giù Teta che je vojo fà portà ‘sto fagottello de certe spesette, insinente a casa? VITTORIONA Subito. Teta, viè giù! TETA (da drento) Eccheme. (scegne subito) VITTORIONA Allora salutateme la commare e diteje che noi v’aspettamo fra un quarto d’ora per annà tutti insieme da Melafumo. GIACHIMANDREA Va bene. Se vedemo compare. Addio commare. Tiè Teta. (je dà a regge un fagottello) Annamo. (va via co’ Teta) ANTONIO (a Vittoria) Allora vatte a vestì e viè ggiù che ccusì annamo incontro ar compare. VITTORIONA Cor commido mio. (va via senza salutallo) ANTONIO E va bbene. Ha raggione lei. Io ho da passà pe’ micco pe’ ddà ggusto a llei e a quello sbafatore che ppe’ de filo vò passà pe’ mi cugino. (se senteno in lontananza li mandolini che soneno ‘na marcia) Che è? Vòi scommette che questo è proprio lui che me viè a fà la serenata. È lui. L’ariconosco da la voce. Brutto brigante. Aspetta che mó t’accommido io. (entra drento casa e chiude porte e finestre) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 116 28/11/13 12.44 1. introduzione 117 SCENA VII Domenicone, li sonatori poi Pippetto Domenicone viè in scena co’ ‘n gran mazzo de fiori in mano. DOMENICONE Attenti regazzi. Nun me guastate l’aria corpo d’un tono. Le parole l’ha scritte appostamente er sor Pippetto. (strillanno) Ah! sor Pippettoo! PIPPETTO (se presenta piano piano tutto pauroso) Sor sergente èccome! DOMENICONE Bravo. (je dà ‘na manata su la spalla che je fa ppiegà le ginocchia) Bravo corpo d’un tono! su fateve coraggio e cantate. PIPPETTO Dico, ce sarà pericolo che mme vedi quarchiduno? DOMENICONE Ma no chi volete che vve veda? PIPPETTO Si Dio ne guardi lo venissi a scoprì er mi’ pedante oppuramente mi’ madre, oprete cielo! DOMENICONE Ma va là che nun c’è pavura de gnente. Se tratta de sbafasse un ber pranzetto, antro che ppavura. PIPPETTO Ah sì! allora quanno se magna è un antro par de maniche. DOMENICONE (va verso la casa der sor Antonio e la trova chiusa) Chiuso? (bussa forte) Padron Antonio? ANTONIO (de drento) Chi ene? DOMENICONE Sò io cuggino, sò Domenicone, corpo de li pescetti. ANTONIO (idem) Nun ve posso uprì; Giggi è uscito co’ la chiave e m’ha piantato qua! DOMENICONE Accidenti! Volemio venì su a casa a favve la serenata!... Abbasta... Nun vordì gnente. (a li sonatori) Su, foco alla miccia! Ce vò pacenza; siccome ce tocca a cantà pe’ strada strilleremo più forte. Attenti! N. 3 (Aria de Pippetto) PIPPETTO Fra tutti li droghieri e li speziali e fra li sempricisti e farmacisti nun ce ne sò d’uguali. A quer Demonio de Mastr’Antonio. CORO A quer Demonio – un antro uguale de Mastr’Antonio – nun ce ne sta. PIPPETTO E fra tutti li padri ch’hanno famija Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 117 28/11/13 12.44 118 introduzione Nun c’è, nun c’è ‘na fija accusì vermija come ce l’ha quer boja de quer Demonio de Mastr’Antonio! CORO (idem) PIPPETTO e DOMENICONE E fra tutte le moje che stanno drento ar monno DOMENICONE largo e rotondo gnisuna è bella a ffonno com’è bellona quella de quer Demonio de Mastr’Antonio. E affaccete Antoniuccio e mostrece la testa ch’essenno la tu’ festa dev’esse più allisciata o caro Mastr’Antonio de quella der Demonio. Al rumore de li soni se vede venì gente da tutte le parte e le finestre sò piene de curiosi; Micchelina sta a la su’ finestra. Vittoriona s’affaccia sur mignano da la parte che guarda er pubbrico esprimendo tutta la contentezza che prova ner sentì cantà Domenicone. Mastr’Antonio comparisce sur mignano da la parte che dà sur parcoscenico senza vede la moje e dice a li sonatori: Ma finitela buffoni. Domenicone presenta a Antonio er mazzo de fiori e questo je lo dà in testa. Domenicone co’ aria marziale se ripulisce er chiappì abbozzato. Antonio intanto s’accorge de la moje e de la serva che stanno affacciate e le manna drento casa, poi se ritira puro lui sbattendo la finestra co’ rabbia. PIPPETTO ( finito ‘gni rumore dice) Ciavemo fatto un ber figurinaro. Se vede che jè piaciuta! DOMENICONE Possi morì guercio, ’st’azione da ‘n cugino nu’ me la sarebbe mai cresa. PIPPETTO Adesso che m’hanno invitato a pranzo sò contento propio! DOMENICONE (dà ‘na manata sulla spalla a Pippetto) Eh! Ma corpo d’un tono, aricordete Pippetto che mi’ cugino me la paga. PIPPETTO (attastannose la spalla) Ma me pare che invece la pago io. (accidenti che nespole!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 118 28/11/13 12.44 1. introduzione 119 DOMENICONE (idem) E si nun me la paga ‘sta vorta nun me chiamate più Domenicone. PIPPETTO Ma io vorrebbe sapé chi lo chiama, chi lo cerca. DOMENICONE (se svorta da li sonatori) Regazzi annate puro; e in quanto a li sòrdi che m’avanzate ve li passerà qui er sor Pippetto, che doppo je l’aridò io. PIPPETTO (strillanno) Ma sete curioso veh! Ma io indove li pijo? DOMENICONE (je dà ’na botta in de la panza) Brigante. Sempre alegro! Scherza sempre. Beato lui. Beati regazzi! Abbasta annamo. Ner mentre che Pippetto, Domenicone e li sonatori vanno pe’ uscì, se sente sonà la campana de la scola e comparisce don Desiderio che porta li ragazzini a scola. Pippetto ner vede er maestro comincia a tremà e se ’nisconne addietro a Domenicone e lo trattiè pe’ le farde der cappotto da Nazionale. PIPPETTO parte. Mamma mia! Stavolta sò ccotto. Er mi pedante viè da ’sta SCENA VIII Don Desiderio, li regazzi de scola e quelli de prima N. 4 (Lezione de li scolari) SCOLARI (leggenno) C-e ce C-i ci C-o co C-u cu Nun ne potemo propio più B-a ba... Uh! Dio che noja Che martirio ’sto studià ’Sto fà sempre ogni momento B-e be e b-a ba! DESIDERIO (con tono de commanno) Silenzio! Allineatevi e rispondete all’appello. (caccia da ’na farda der soprabbito un libretto e legge forte) Curzio Martelli PRIMO SCOLARO Presente!? DESIDERIO Luigi Trombetti. SECONDO SCOLARO Presente!? DESIDERIO Cesare Caciotta. TERZO SCOLARO Presente!? DESIDERIO Pippetto Marrampico. (nun risponne gnissuno) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 119 28/11/13 12.44 120 introduzione DESIDERIO Pippetto Marrampico. QUARTO SCOLARO Sor maestro nun s’è visto. PIPPETTO Mamma mia, aiutateme! DOMENICONE Io me squajo, nun vojo impicci. ( fa per annassene, Pippetto lo trattiè) DESIDERIO Corpo di mille bombe, manca Pippetto. E dove sarà andato quell’assassino? DOMENICONE (a Pippetto) Ahò! Dice a tte! PIPPETTO Eh! lo sento! DESIDERIO I suoi genitori me lo confidano ed egli mi sfugge. Ah! Ma per mille bombe, se quest’oggi mi capita nelle mani gli strappo le orecchie. Ragazzi, do la rilevante moneta di due soldi a chi me lo riconduce qui o vivo o morto. Andatene in cerca. (li scolari vanno via correndo da tutte le parte) Io intanto voglio domandarlo alla sua ragazza (bussa al portone de mastr’Antonio) DOMENICONE Mó caro Pippetto sete fritto! PIPPETTO Macché! Teta mia nun me tradisce, me vò tanto bene! SCENA IX Teta dar mignano e li medemi TETA Chi ene? DESIDERIO Avete visto niente quel furfantello di Pippetto che da stamane non posso rintracciarlo? TETA Sicuro che l’ho visto. Un momento fa è vienuto qui a fà la serenata a mi’ padre, insieme a cert’antri birbaccioni. PIPPETTO (a Domenicone) Ahò! dice a tte! DOMENICONE Eh! La sento! DESIDERIO E sapreste dirmi dov’è? TETA Veramente nu’ lo so. Guardate un po’ mai fosse ito in qualcuna de ‘ste botteghe de qua intorno. DESIDERIO Grazie, vado tosto a vedere. (Teta rientra drento casa, Don Desiderio cerca Pippetto pe’ tutte le botteghe) DOMENICONE Lo vedo come la tu’ regazza nun te tradisce. PIPPETTO Eh! Stavolta se ne sarà scordata. DESIDERIO (vedendo Pippetto) Ah! Brigante d’un furfante, è un’ora che ti cerco e tu vai facendo il vassallo. (Domenicone scappa) PIPPETTO Aiuto! Aiuto! (a li strilli de Pippetto aritorneno li regazzi de la scola) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 120 28/11/13 12.44 a 1. introduzione 121 DESIDERIO Invece di studiare la lezione di storia sacra che non apprendi mai, fannullone furfantone, te ne vai in zonzola cantando delle serenate. (caccia la frusta) Toh! Piglia su! PIPPETTO Grazie, ma però la lezione la sone. DESIDERIO Vediamo, a me il libro! PIPPETTO (caccia el libro e lo dà al maestro) DESIDERIO Come fu che avvenne il diluvio universale? PIPPETTO (ripetendo) Come fu che venne il diluvio universale... Come fu... ecco, ecco. Il Signore vedendo che gli uomini commettevano ogni sorta di nequizie fece piovere dalla terra... cioè dal cielo, per quaranta notti e quaranta giorni, ossia per quaranta giorni e quaranta notti e quaranta doppo pranzi cioè... giorni... ossia... (tossisce e s’ impappina) DESIDERIO Non la sapete! PIPPETTO La sone, la sone! Ecco, pe’ quaranta notti un’abbondantissima quantità d’acqua che coperse tutta la terra insinenta a le più alte vette de le montagne... de le montagne. Ah! E non si salvò altro che Noè il quale essendo verniciato di dentro e di fuori... no, Noè il quale con la sua arca verniciata di dentro e di fuori, si salvò portando seco... (scena a soggetto) DESIDERIO Non la sapete. Siete un asino. A voi prendete. (lo frusta) PIPPETTO Ajo! Mamma aiuto! Li regazzi de scola se tiengheno le mano su la panza pe’ nun schiattà da ride. SCENA X Li precedenti, Vittoriona, Antonio, Teta, Micchelina, Giggi e Tota escheno da la bottega e Giachimandrea e Rosona da la sinistra. Ognuno de li suddetti cià co’ sé o er canestrello o un fagottello sotto ar braccio. Tutti quanti stanno vestiti a festa. TUTTI (sentenno li strilli de Pippetto) Che d’ene? Che d’ene? VITTORIONA (trattenendo don Desiderio) Eh! fermateve aguzzino. DESIDERIO Aguzzino a me, che fo di tutto per dare un amorevole correzione al regazzo? ROSONA Ma che ha fatto? Se pò sapé ch’ha fatto er mi’ fijo? GIACHIMANDREA Già se pò sapé? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 121 28/11/13 12.44 122 introduzione DESIDERIO Invece di venire a scuola, mi sfugge per andare a cantare delle serenate insieme a degli altri vassalloni6. TUTTI Davero? (meravigliati) ANTONIO Già, me l’è vienuta a ffà a me assieme a quell’artro mascarzone de Domenicone. VITTORIONA Poveri regazzi. Ner caso poi nun averanno mica ammazzato gnisuno. DESIDERIO E a voi signora Vittoriona vi par poco? Io domando ai genitori che per l’offesa fatta a me qual pedagogo egli venga severamente punito, altrimenti me ne vado e l’abbandono al suo destino. Signor Giachimandrea a lei poi, come padre, spetta il grande assunto di punirlo. GIACHIMANDREA Io nun me posso impiccià perché cià la madre. Ah, Rosona che ne dichi? ROSONA Ce penso io pe’ ‘sto regazzino (chiama Pippetto) fateve avanti. Venite qua, sor vassallo. È vero quello ch’avete fatto? (lo pija pe’ ’n’orecchia) Dite la verità. PIPPETTO Sine mamma. (trema) ROSONA Ah! Sì? È questo er profitto ch’aricavate da li studi? D’annà a fà le serenate a la gente che se ne stanno per fatto loro? PIPPETTO Mbè, una serenata che c’è dde male? ROSONA Che c’è de male? Oggi ve n’accorgerete quanno a pranzo magnerete pane e acqua. PIPPETTO Accusì m’ingrasso de più! ROSONA Anzi no. Me viè n’antra idea. Oggi invece de vienì a pranzo co’ noi in campagna, ve n’annerete a scola come tutti l’antri giorni. VITTORIONA Ma questo è troppo. GIACHIMANDREA Puro a mme mme pare troppo! ROSONA Zitto tu, medico pietoso. Oggi Pippetto a scola. TETA (contenta) A scola! GIGGI (idem) A scola! TUTTI A scola! PIPPETTO (sbattendo li piedi per tera) Nun ce vojo annà! ROSONA Vergognete accusì granne e grosso a ppiagne davanti a la tu’ regazza. PIPPETTO E lei che se ne vada! Io a scola nun ce vojo annà. (idem) DESIDERIO Tacete mascalzone, salite subito alla scuola. 6 Canaglie. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 122 28/11/13 12.44 1. introduzione 123 ANTONIO Accusì n’antra vorta imparerete. PIPPETTO E io er sonetto che v’avevo fatto nun ve lo recito piune, ane, ane! (ballando) DESIDERIO (je dà un carcio a metà der corpo da la parte de la schina) A scuola vassallo. PIPPETTO (Pippetto piagnenno entra a scola; l’antri regazzi e don Desiderio je vanno appresso) SCENA XI Tutti meno Pippetto e don Desiderio ROSONA Veramente m’arincresce a nun portammelo co’ me. Ma cche volete? Si nun se fa accusì commare mia, nun s’ottiè mai gnente. GIACHIMANDREA Lo potevi fà pe’ riguardo a la sora Teta che oggi a stà sola s’annoierà. Nun è vero sora Teta; che v’arincresce. TETA ( fa finta d’esse addolorata) M’arincresce sicuro, che m’arincresce. GIACHIMANDREA Allora mó je vado a ddì che l’arilàssino. TETA (premurosa) No, no giacché Iddio l’ha vorsuto è tutto pe’ la mejo. Intanto quanno sposeremo averemo tanto de st’assieme. ANTONIO Allora annamo. E voi, Micchelina perché nun venite? (tutto tenero) MICCHELINA (sminchionata) Perché nun me capacita. VITTORIONA Ma però potressivo venì, quanto sete cattiva. MICCHELINA Davero nun posso stamattina. Però chi lo sa che ‘na scappatella nun ce la facci. Indove annate? ROSONA Da Melafumo! ANTONIO Allora v’aspettamo a mezzogiorno in punto. VITTORIONA (fra de sé) E quer boja de Domenicone che nun se vede! GIACHIMANDREA Sbrigamose accusì pijamo l’omnibusse a piazza der Popolo. ANTONIO Ma sarà mejo che pijamo er tranvàise. ROSONA Nun v’impicciate; perché io su quer coso intanto nun ce monto. VITTORIONA Nemmanco io. GIACHIMANDREA Viva la faccia dell’omnibusse! ROSONA Avete portato tutto? VITTORIONA Io sì! vedete li fagotti? TUTTI Allora annamo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 123 28/11/13 12.44 124 introduzione N. 5 (Concertato der finale atto primo) MICCHELINA (sola) Fa un tempo sereno un’aria leggera ch’imbarsima un core che ama e cche spera! Si l’occhio me specchio ner cielo sereno el core nel seno me sento ballà! E sento ‘na voce ch’alegra me dice per esse felice l’amore nun fà. TETA e GIGGI Che bella giornata che bbella mattina te dice cammina, te dice, su va! Sentimo ‘na voce ch’allegra ce dice ‘sto giorno felice a vvoi ve farà. PIPPETTO (piagnenno da la finestra) Destino bonaccia! Pedante birbone, tu sei la cagione si resto a ppenà. Ma mó me la batto scavarco ‘sto muro e vojo fà er duro me vojo squajà! Ner mentre che tutti canteno er coro finale Pippetto senza fasse vede co’ l’aiuto de Domenicone, che è vienuto in questo momento, scavarca la finestra de la scola e scappa facenno un parmo de naso a tutti. ROSONA, GIACHIMANDREA, ANTONIO, VITTORIONA, TETA, GIGGI, TOTA e MICCHELINA Che bella Giornata Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 124 28/11/13 12.44 1. introduzione 125 che bella matina te dice cammina te dice su, va! Annamo, compagni-là-là-là-là-là. Ballamo, cantamo-là-là-là-là-là! In questo punto se tira ggiù er telone e finisce er prim’atto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 125 28/11/13 12.44 126 introduzione ATTO SECONDO A sinistra c’è l’osteria de Melafumo. Un mignano co’ le scale. Un gran pergolato copre tutto er parcoscenico, sedie e tavolini pe’ la scena. A destra vicino a la prima quinta ce sarà un riarzo de tèra coll’erba sopra. Vicino al riarzo un arbero de briccocole7. In qua e in là piante de rose. SCENA I N. 6 (Coro de Sciampagnoni) Viva viva la campagna! e la sciampagna evviva viva er vino color rubbino. E Frascati con Marino paese fino che de core ce lo dà. Che piacere! quanno è festa, de vienì all’osteria co’ ‘na bbella compagnia a bbevé, magnà e ballà! SCENA II Antonio, Vittoriona, Teta e Tota ANTONIO (arriva dar cancello co’ ‘n canestro in mano) Ecchece arrivati! Finalmente poteremo magnà. (chiama) Ah! Vittoriona!? VITTORIONA (dar drento) Eccheme fijo! TETA (dar drento) Ecchece papà. VITTORIONA Via proprio nun stà a ffacce galoppà in ‘sto modo sotto ‘sta solina! TETA Davero che ccallo. ANTONIO Sbrigamose a tirà fori la robba da li canestri, che me sento ‘na lesca8. VITTORIONA E quest’antri che sò arimasti indietro nun l’aspettamo? ANTONIO Eccheli va. 7 8 Albicocche. Esca, cibo; lesca anche nel senso di fame (cfr. Chiappini). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 126 28/11/13 12.44 1. introduzione 127 SCENA III Li suddetti e Giggi, Rosona e Giachimandrea tutti cor canestrello sotto ar braccio. TUTTI Oh! Je l’avete fatta! ROSONA E subbito che riavete un passo più scellerato de quello de li sordati. ANTONIO Meno male voi, mannaggia li pesci, ma ar compare je pesa la panza. GIACHIMANDREA Sete curioso compà. Ciaverò qualche bbona raggione che m’obbrigherà d’annà pianino. ANTONIO E dite che ciavete qualche impedimento canonico, e bbona notte. GIACHIMANDREA Allora puro er sor Giggi nun minchiona! GIGGI Ma io armeno portavo ‘sti du’ canestri che ppeseno come diavoli. ANTONIO Abbasta via, annamese a mette a ttavola. ROSONA Perché nun restamo qui sotto ar pergolato? GIACHIMANDREA Ma no, è mejo che annamo su. ANTONIO Sicuro, siamo più liberi. VITTORIONA Allora che ffamo, decidemese! TETA Davero! Io ciò ‘na fame... VITTORIONA (fra dde sé) (E mi cuggino Domenicone che nun se vede incora. Eppure indove annamo je l’ho mannato a ddì!) ANTONIO (idem) (Io nun capisco gnente. Ho scritto a la sora Micchelina che se fusse trovata qui che averessimo magnato un boccone assieme e incora nu’ la vedo). TETA Annamo annamo! ANTONIO Sì, annamo. (tutti si incammineno) A proposito e la pietanza a ttesta ch’avemio da portà? GIGGI E er piatto pe’ ffà l’improvisata? Nun èrimio arimasti ch’ognuno portava er suo? TETA Io l’ho portato! TOTA Io puro! VITTORIONA Io puro! ROSONA Io puro! GIACHIMANDREA Io puro! GIGGI Io puro! ANTONIO Io puro! Mbè vedemela st’improvisata che me volevio fà? (tutti mettenno le mani in der canestro) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 127 28/11/13 12.44 128 introduzione TETA Ecco la mia! TOTA Ecco la mia! VITTORIONA Ecco la mia! ROSONA Ecco la mia! GIGGI Ecco la mia! ANTONIO Ecco la mia! (se troveranno tutti co’ un cocomero in mano) GIACHIMANDREA (ridenno) Sette cocommeri! TUTTI Quanti cocommeri. TETA E chi se li magna. Pe’ fortuna che m’è venuta l’ispirazione da portamme appresso quarch’antra cosa. (mette le mano ner canestro) VITTORIONA Puro io! (idem) TETA Puro io! (idem) GIGGI Puro io! (idem) TOTA Puro io! (idem) ROSONA Puro io! (idem) GIACHIMANDREA Puro io! (idem) (tutti quanti hanno tirato fora un pasticcio) Sette pasticci! TUTTI Quanti pasticci! VITTORIONA Aspettate ciavemo ancora una speranza. De che d’è er pasticcio tuo Antò? ANTONIO De gnocchi. E er tuo? VITTORIONA De gnocchi. E er tuo? (a Teta) TETA De gnocchi. E er vostro? (a Giggi) GIGGI De gnocchi. E er vostro? (a Giachimandrea) GIACHIMANDREA De gnocchi. E er tuo? (a Rosona) ROSONA De gnocchi. E er tuo? (a Tota) TOTA De gnocchi. TUTTI Quanti gnocchi! ANTONIO Poco male. Intanto qui all’osteria trovamo tutto. Ma si ttanto pe’ combinazione se fussimo trovati in mezzo a la campagna l’averessimo fatta bbona! Basta annamo! (s’ incamminano) SCENA IV Li soliti e Domenicone DOMENICONE Uh! Vardate che bbella combinazione! ANTONIO (vedendo Domenicone) (Ecco lo sbafatore. Accidenti a quanno me ne viè una bbene.) DOMENICONE ( fingendo maravija e sorpresa) Vojantri qui? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 128 28/11/13 12.44 - - 1. introduzione 129 VITTORIONA (idem) Voi qua? E che nova caro cuggino? DOMENICONE Ho visto ’sta bbella giornata e ho ddetto dico: Guasi, guasi oggi me n’annerebbe in campagna. E defatti ho preso un legno e pe’ combinazzione sò venuto qua! ANTONIO (Ha preso la carrozza a chiacchiere, la porvere a momenti j’entra in bocca.) DOMENICONE Ma varda er diavolo a trovasse tutti assieme. Nun pare fatto apposta cuggino? ANTONIO (sminchionato) Già. DOMENICONE Stammatina come ciavete accorto e bojaccia. (je da ‘na botta su la panza) Abbasta; cento de ‘sti giorni ve li do adesso. ANTONIO Grazzie! VITTORIONA (piano a Antonio) Invitatelo a pranzo. ANTONIO (idem) Manco si schiatti tu e llui. VITTORIONA Se preparamio per annà a magnà. (dà un’urtata ar marito pe’ faje capì ch’ inviti Domenicone) ANTONIO (tutt’ indiferente) Già, se n’annamo a magnà. VITTORIONA Perché nun favorite puro voi? (Giacché sei tanto maleducato l’ho invitato io.) (a Toto) ANTONIO (Ma doppo me la paghi!) DOMENICONE No grazzie. Ho già pranzato! ANTONIO (Cortellate in gola!) DOMENICONE Già; ho pranzato ar Farcone9... ANTONIO (In compagnia der merlo.) DOMENICONE Siccome ho ttrovato un amico d’infanzia ch’era tanto tempo che nun se vedemio e che m’ha ffatto dice: paghi da pranzo? Dico: volentieri. E accusì semo iti ar Farcone e avemo pranzato come du’ papi. ANTONIO E cchi ha pagato? DOMENICONE C’è da dillo... ANTONIO Voi...? DOMENICONE Macché... lui? Veramente volevo pagà io; ma in certi casi dice come che quello, la bbona intenzione abbasta. ANTONIO (Meno male che se lo dice da sé.) Annamo via famejela. (Signore mannecela bbona co’ tutto che ddice ch’ha magnato.) (piano a Vittoriona) (Co’ tte poi famo li conti a casa!) Annamo! TUTTI Sì annamo, annamo. 9 Trattoria sita in via Trionfale 60, tuttora attiva. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 129 28/11/13 12.44 130 introduzione Antonio va pe’ mettese sotto ar braccio a Vittoriona, ma Domenicone più sverto de lui ce se mette e se la porta via. Antonio fa un gesto de rabbia e je corre appresso. Entreno tutti quanti ner casale. SCENA V Micchelina sola N. 7 (Romanza de Micchelina) MICCHELINA Viva la faccia mia sempre contenta, sempre burlona! Godo e me la canto; senza sapé che sii dolore e pianto; senza sapé che ssia soffrì e penà! Come fate? Me direte, è un secreto ricercato che da piccola ho imparato e che tiengo chiuso qua! Appena ebbi l’età – che s’arisveja er core e parleno d’amore – tutte le cose qua, io nun je detti retta – nun feci mai l’amore e persuasi er core – parlannoje accusì: Si vvoi stà alegro senza un dolore lassa l’amore da’ retta a mme. Lui accettò er consijo – libbera me lassò e libbera d’allora – sò stata e lo sarò! Teta e la madre ggià doverebbeno stà a pranzo. Io me sò ffatta accompagnà fino qua vicino e j’ho detto che quanno ripassava me fussi venuta a ripijà. Veramente io nun sarebbe venuta, ma quell’imprudente der sor Antonio cor mannamme ‘sta lettra (la fa vede) m’ha proprio arisoluta de vienì a daje propio ‘na lezione come se la merita... Poi c’è n’antra cosa; c’è che smagno de sapé com’è andato l’affare der sor Giggi co’ Tetarella mia! Quante me fanno pena. Credete che si li potessi aiutà lo farebbe propio de core... Ma chi lo sa che nun m’arieschi?... ‘Sta lettra è un filo che lui stesso m’ha messo in mano. Abbasta n’ariparleremo... Adesso prima me ne vado sola sola a ffà ‘no stuzzichino pe’ ‘nu restà obbligata a gnisuno e poi li vado a trovà. (se mette a ssede a un tavolino) Veramente me ne ver- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 130 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 131 gogno a mettemme a magnà qui sola, potessi trovà un sito che nun ce sia gnisuno. SCENA VI Pippetto e lei MICCHELINA (s’accorge di Pippetto) Ah! Ah! Ma che ve gira stammatina? PIPPETTO Gnente, ma capirete che quanno v’ho visto pe’ strada ho smicciato quer ber grugnetto, io che quanno vedo ‘na bella regazza me pija subbito ‘na penetta qui, e ve sò vorsuto venì appresso. Embè che male ho fatto? La strada nun è pubbrica? Nun posso incarcà li serci che incarcate voi?... e diteme un po’... e... e... e... io dico nun ve farebbe? Marito voi nun lo cercheressivo pe’ gnente? MICCHELINA Macché, pe’ mme ce ne vorrebbe uno de quelli come dico io. PIPPETTO Allora l’avete trovo, ecco l’affare pe’ vvoi. Guardateme, io sò come un casamento imbiancato de novo, de du’ piani solo, senza er mezzanino, perché ssò basso. In quanto a comodità ce trovate tutto. Guardate la facciata, ve piace? adesso date ‘na guardata da la parte de li cortili. Ve piaceno? Mbé, si ve piace ‘sto casamento combinamo e io ve lo lascio a vostra indisposizione. MICCHELINA Eppure guardannove bene nun me dispiacessivo. PIPPETTO Eh! me l’hanno già detto tante regazze. Dunque semo soli se volemo dà ‘na bbona abbracciata? MICCHELINA Ma sete matto io nun me vojo compromette. PIPPETTO Una sola sola! MICCHELINA Ma levàte le mano. N. 8 (Duetto) MICCHELINA (Quanto mai sete seccante nun me state più a seccà!) PIPPETTO (M’ha sentito la ciumaca e un zocché già me sta a ddì.) MICCHELINA (smorfiosa) Che volete bello mio? PIPPETTO (contento) Che m’ha ddetto avete inteso? Bello mio...! Io già sò acceso Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 131 28/11/13 12.44 132 introduzione e sto un pelo pe’ schioppà! (tutto confuso a Micchelina) Nun volevo gnente affatto ve volevo solo dì che quer viso vostro è ffatto, fatto propio pe’ impazzì. MICCHELINA (sminchionata) Davero? Grazzie tanto. ’Sta cosa me consola ma invece d’annà a scola perdete er tempo qui. Eccheve un sordo pe’ la ciammella e a scola bella annate... alò! PIPPETTO (che nun cape drento de sé da la contentezza) Quant’è ciumaca che ber grugnetto un pizzichetto je vojo dà. (je dà un pizzico) MICCHELINA (je dà ’no schiaffo) Portate a casa ‘sto rigaletto e ariponetelo in der commò. Pippetto arimane tutto mortificato. Micchelina se ne va verso l’osteria senza dì gnente, ma arivata vicino a la porta se ferma e MICCHELINA (lo chiama) Pst, Pst! PIPPETTO (si rivolta e la vede) Ce voi scommette che me vò dà n’antro papagno? Dite puro! MICCHELINA Io, si nun lo sapete sò Micchelina la fija de l’acquavitaro che sta incontro a Teta la vostra regazza che m’è tanto amica. E adesso je lo vado a ddì subbito, subbito. PIPPETTO (atterrito) Davero? MICCHELINA Si nun ve dispiace, se vedemo! (s’avvia) PIPPETTO Sora Micchelì senti! MICCHELINA Addio sor Cacazibbetto10, annate a scola. (se ne va ridenno) 10 Ragazzetto arrogante. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 132 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 133 PIPPETTO Pst, pst, (la chiama) sora Micchelina. Sora Micchelinaaa! Nun je lo dite a Tteta... pst, pst. Se n’è ita davero. Mó l’ho ffatta bbona! Ma varda mannaggia li pescetti si me capita... E indove sto? (se guarda attorno) Me pare de stà in un’osteria. Già ciò ‘na fame che sbavijo, capita propio a proposito. Mó sai che ffo? Me fo un ber pranzetto e doppo me n’arivado a casa da mamma... Come je l’ho giocata bella. Si sapessino che me sò squajato e ssò venuto qqua, oprete cielo, sarebbe un finimonno!... Ma sì, chi me viè a trova qui? Sto in d’una botte de ferro. Dije che vienghino! Ciò in saccoccia ‘na mezza lira che me la sò messa da parte in dieci matine invece de comprammece le callalesse11. Mó me fo vienì un ber pranzetto e bonanotte. (chiama) Cameriere! Portateme ‘na minestra, un quintino, ‘na bistecca, ‘na pagnottella e gnent’antro! Cameriere! E mica se vede! Annamelo un po’ a chiama. (s’avvia verso l’osteria) SCENA VII Domenicone e detto DOMENICONE (Domenicone scegne da le scale dell’osteria co’ le mano in saccoccia tutto pensieroso) J’ho promesso che vienivo qui a crompaje li sigheri. Indove vado a pialli che nun ciò manco l’arma d’un sòrdo?... PIPPETTO Cameriere? (s’accorge de Domenicone e cerca de squajasse) Uh! Chi vedo Domenicone, famo finta de nun vedello. DOMENICONE Uh! varda chi si vede! Pst, pst sor Pippetto? E mica sente! Ah! sor Pippetto!? PIPPETTO Uh! Sor Domenicone e voi qui? DOMENICONE E voi qui? Che nova? Come va? PIPPETTO Benone. Sortanto ciò ‘na fame che me la vedo coll’occhi. DOMENICONE Ma dico come va che ssete venuto qui? PIPPETTO Sò venuto appresso a ‘na... Cioè, sò venuto qui ppe’ divertimme un po’! DOMENICONE Ah! Va bbè! Ma voi ve doveressivo esse ammattito, disgraziato. PIPPETTO Io! e perché? (sorpreso) DOMENICONE Perché!... Ma dunque nun sapete gnente? PIPPETTO Io no, sò piccolo e dormo da piede! 11 Castagne lessate. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 133 28/11/13 12.44 134 introduzione DOMENICONE Ma come scappate da scola d’anniscosto de tutti e dopo venite a cascà in bocca al lupo? Sapete qui chi c’ene? PIPPETTO (co’ premura) Chine? DOMENICONE C’è vostra madre... PIPPETTO (idem) Ah! DOMENICONE Vostro padre. PIPPETTO (idem) Oh! DOMENICONE La vostra regazza, la madre de la vostra regazza, er cane er gatto... PIPPETTO Ma dunque sò venuti a pranzo qui? DOMENICONE Si ve piace er zibibbo. Se ve troveno l’avete fatta bona, l’avete fatta. PIPPETTO Sì, si sò bboni d’arivamme. Io me squajo. ( fa per annà via) DOMENICONE (Che bell’idea!) Fermo disgrazziato. Da quella parte nun ce potete annà perché c’è ito vostro padre e ve potrebbe incontrà. Da questa parte c’è Teta che è ita a spasso pe’ la vigna. De qua vostra madre; dunque io direbbe che sarebbe meglio che v’annisconnessivo qua dietro e che aspettate quanno che sò usciti tutti perché da un momento a ll’antro ponno scegne. (orecchiando) Si nun me sbajo eccheli; scappate. PIPPETTO Oggi vado a ffinì dar salumaro pe’ tonnina12. Indove vado mó co’ ‘sta fame? DOMENICONE Me fate propio compassione. Io annerebbe su a trattenelli, ma siccome ho d’annà dall’oste a cambià ‘na carta da cinquanta piastre pe’ crompà certi sigheri, nun ve ce posso annà. Vordì che si ciaveressivo ‘na mezza lira da prestamme s’arimedierebbe a tutto. PIPPETTO Ce l’ho io. (caccia mezza lira e je la dà) DOMENICONE (je la strappa da le mano) Caro sor Pippetto sete sarvo. Adesso annisconneteve e quanno sarà l’ora che ve ne poterete annà ve vengo a chiamà io. (s’avvia pe’ tornà a ll’osteria). PIPPETTO Sine, ma siccome... DOMENICONE Nun perdete tempo. PIPPETTO Nun dite gnente a gnisuno e ariportateme la mezze lira presto perché nun ciò antro e me sento ‘na fame... DOMENICONE Si avete fame allora mó ve porto ‘na stozza co’ quarche cosa drento e magnerete, lassate fà a mme. (via) PIPPETTO Allora arestamo accusì, ma sbrigateve ch’ho fame. (strillan12 Tonno in pezzetti, per estensione sminuzzaglia, tritume. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 134 28/11/13 12.44 1. introduzione 135 no) Tutte a mme m’hanno da capità. Stammatina in penitenza, scappo da scola trovo ‘na regazza je vado appresso ciabbusco ‘no schiaffo e casco in bocca al lupo. N. 9 (Aria di Pippetto) PIPPETTO Mannaggia li pescetti da quanno che sò nato sò propio affortunato nun c’è che ddì, nun c’è! Mi’ madre pe’ castigo me mette in penitenza e io, santa pazienza, la vengo a trova qua! Incontro ‘na regazza che va pe’ strada sola pe’ dije ‘na parola se svorta e me fa ciaf! E si m’incontra mamma oh! disgraziato fijo sai quante ce ne pijo oh! disgraziato me! Ohimé! Ohimé! (se mette a ballà) SCENA VIII Giggi e er medemo GIGGI (scegne da la scala) Annamo a ffà du’ passi! PIPPETTO Chi è? Doverebb’esse Domenicone co’ tanto de stozza. GIGGI Uh! Varda Pippetto. Ah! sor Pippettoo. (chiamanno) PIPPETTO (Er sor Giggi!) (je fa segno da dì piano) St, st! GIGGI Ma che «st». Come va, va bbene? PIPPETTO (a voce bassa) Nun c’è male! GIGGI Come avete fatto a scappà via da scola? PIPPETTO Dite piano sinnò ve sente mamma. GIGGI Come avete fatto? PIPPETTO Eh, ho fatto che sur mejo me sò squajato. GIGGI E come è che sete venuto qui? Pe’ ttrovà Teta dite la verità? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 135 28/11/13 12.44 136 introduzione PIPPETTO Già, ciavete dato ciavete. (ridenno) E vvoi sete ’n’omo che ciavete poco sonno. GIGGI Defatti povera regazza se lo merita perché ve vò bbene, un bene matto. PIPPETTO Eh! lo so, me ne sò accorto che quella regazza ha bisogno d’un maritozzo come mme. GIGGI Tutto er giorno nun parla che de voi, nun pensa che a voi, nun rifiata che ppe’ vvoi... PIPPETTO E che voressivo che nun rifiatasse? allora starebbe bene! GIGGI (strillanno) Allora addio sor Pippetto! PIPPETTO St, st. Je cecherebbe ‘n’occhio! GIGGI (idem) Allora addio. PIPPETTO Per carità nun dite gnente a gnisuno, sor Giggetto! GIGGI Nun dubitate, nun dubitate. (arivato sur mignano) Addio sor Pippetto! (via) PIPPETTO Eh! Strillate l’anima; io sudo freddo. Avevo tempo a dije strillate piano, è come si j’avesse detto strillate forte. A la longa va, ma io oggi qua me moro, qua me moro, qua me moro. È mejo che m’annisconna da ‘sta parte. (va pe’ rientrà a sinistra vede er maestro) Er pedante! Mamma mia. ‘Sta vorta puzzo già de morto. (scappa e s’annisconne de dietro a l’ incannucciata) SCENA IX Don Desiderio e detto N. 10 (Aria de don Desiderio) DESIDERIO (buttanno per aria er cappello) Al diavolo i ragazzi ed il far l’uomo educato, sono stufo ed annoiato da non poterne più! Evviva l’aria libbera dei campi evviva l’erba fresca e i praticelli e i fiori belli! Evviva il vino color rubino che dentro i calici spumeggia e brilla Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 136 28/11/13 12.44 1. introduzione 137 come scintilla, e quiete e pace ridona al cuor del Professor! Auff! Finalmente sono arrivato! (se caccia er gibbodimmine13) Accidenti che caldo. Al diavolo il mestiere del pedante; qui almeno potrò sgranchirmi le membra sino a sera e ridonare alle mie articolazioni la primitiva elasticità. (stira le braccia e poi chiama) Ah! Titta. TITTA (viè fori dall’osteria) Ecchece qua don Desiderio che cce vò? DESIDERIO E i miei compagni sono venuti? TITTA Da mó! Stanno laggiù a ggiocà! DESIDERIO Portami un litro di quello rosso... TITTA De Marino? DESIDERIO Bravo devo mandar giù una passione che mi son preso stamane per quel brigante di Pippetto, un ciuco, un somaro, un mascalzone come suo padre e sua madre. Al diavolo tutti, razza d’ignoranti. Lesto Titta! TITTA Vado subbito. (entra in dell’osteria) DESIDERIO (chiamanno gente che nun se vede) A zi’ Cencio, a Schizzettaa!?... VOCE (di dentro) Ahonee!... DESIDERIO Tutti pedanti come me. Che vassalli! Sarebbe bella che i genitori i quali ci confidano i loro figlioli ci sorprendessero mentre stiamo riuniti fra noi. Non batteressimo più un chiodo fino alla fine dei nostri giorni. (strillanno) Ohenee! Eccheme! VOCE (di dentro) E sbrigateve! DESIDERIO Titta, allora il vino portamelo giù al prato. Non si può mica occuparsi tutto il giorno a far l’educazione di quelle marmotte. Un po’ di divertimento ci vuole. Ma prima d’andarmene voglio assolutamente discorrere con Tota. Potessi chiamarla senza svegliare l’attenzione della comitiva. Proviamo. (chiama) Tota!? TOTA (viè ffora dall’osteria) Che vvòi? DESIDERIO Prima di tutto abbracciarti, Tota mia del cuore. (l’abbraccica) TOTA E mò fatejela! 13 Gibbodimmine-giubbedommine-gibbidommine: soprabito. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 137 28/11/13 12.44 138 introduzione DESIDERIO E poi voglio domandarti come vanno i tuoi affari col signor Giachimandrea! TOTA Eh! Nun c’è male! DESIDERIO Senti figlia mia. Devi cercare di spolparlo fino all’osso perché te l’ho detto, te l’ho ripetuto e te lo torno a ripetere che per la fine del mese mi occorrono 30 lire come trenta angioli del paradiso e tu devi compiere questa operazione! TOTA Farò de tutto! DESIDERIO La mattina potresti fare un po’ di cresta quando vai a fare la spesa... TOTA Ma si se n’accorge er sor Giachimandrea? DESIDERIO Non se n’accorgerà, non dubitare anima dell’anima mia! VOCE (di dentro) Totaaa! TOTA Lassateme annà che me chiameno. DESIDERIO Va puro angioletto mio e ricordati di quanto ti ho detto. TOTA (intanto che se ne va) Sì, sì! (via) DESIDERIO Ed ora torniamo pure dai nostri compagni. (via) SCENA X Pippetto solo PIPPETTO (mette la testa fra l’ incannucciata e vedendo che nun c’ è gnissuno esce co’ precauzione) Per esse che er mi’ pedante fa tanto er ciovile e che mi’ madre lo tiene per un santo, è più vassallo de me... Avete inteso come je dà? (lo rifà) A zi’ Cenciooo?! (pavusa) Potessi aritrovà quer boja de Domenicone. Ciò ‘na fame... ‘na fame! (se svorta e vede Giachimandrea) Misericordia mi’ padre!! (s’annisconne) SCENA XI Giachimandrea, Teta e Pippetto anniscosto GIACHIMANDREA (intanto che viè ffori da ‘n pizzico a ’na ganassa a Tota) Uh! simpaticona! TOTA (co’ du’ boccioni in mano) Fermateve sor Giachimandreache nun sta bbè! Si nu’ sia mai ve vedesse la sora Rosa l’averessivo fatta bbona. GIACHIMANDREA Che c’è de male? Perché t’accarezzo un tantinello. Che ppuro questa tua nun è carne battezzata? PIPPETTO (co’ la testa fori de l’ incannucciata) Bene bbravo! GIACHIMANDREA (se svorta e guarda co’ sospetto) Me pareva d’avé Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 138 28/11/13 12.44 e à 1. introduzione 139 inteso... Me sarò sbajato... Dì dunque Totona mia, me prometti de piantà er compare e de vienitte a mmette ar servizio a ccasa mia? PIPPETTO (idem) Accusì famo casa e bottega. TOTA Ma mmo lassateme annà. N’ariparleremo ’n’antra vorta. Poterebbe venì quarchiduno da un momento all’antro... PIPPETTO (idem) Ma ffate puro!... GIACHIMANDREA E ssi’ bbona Totona mia, Totozza mia viettene armeno viettene a fà du’ passi pe’ la vigna che mica me te magnerò. Doppo magnato se spasseggia tanto bbene sotto l’ombra... PIPPETTO (idem) Mi’ padre va cercando l’ombra. GIACHIMANDREA Ma viè, ma sbrighete... TOTA Ma ssete matto?... GIACHIMANDREA (la tira pel braccio) Annamo! TOTA Misericordia. Che vedo! La padrona che viè da ‘sta parte. (vanno pe’ scappà e vedeno Pippetto) PIPPETTO Uh! Papane. (je dice de stasse zitto) GIACHIMANDREA e TOTA Uh! Pippetto. (je dicono lo stesso) SCENA XII Vittoriona e Domenicone DOMENICONE (portanno sotto er braccio Vittoriona) Cara cuggina accusì è! VITTORIONA (ridenno) L’affare da la cuggina è curioso? Ma come ve venne in testa de famme passà pe’ cuggina? DOMENICONE Come me venne in testa? Ma si semo cuggini pe’ davvero, pe’ davvero! VITTORIONA Io co’ ‘sta parentela mia nun ciò capito mai gnente. Spiegatemelo un po’. DOMENICONE Avete da sapé che er padre der padre der fratello der padre mio cor padre der padre der fratello der padre vostro annaveno a scola insieme. VITTORIONA Che miccarolo! DOMENICONE Miccarolo? Ma queste sò idee che viengheno antro che in ’sta testa qqua! Cara cugginona! (caccia da la saccoccia un ritratto) L’ariconoschi? Er tu’ ritratto che me dasti venti anni fa. Vedi come lo conservo? Eh! Allora ereno antri tempi. Te ne ricordi? VITTORIONA (intenerita) Si me n’aricordo!? (sospira) DOMENICONE Doppo tu, crudele, pijassi marito e me lassassi solo, affritto e sconsolato. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 139 28/11/13 12.44 140 introduzione PIPPETTO (Che tenerume me poteressi aridà la mezza lira che me moro de fame! Ah! Sbafatore?!) DOMENICONE (se svorta) Me sbajo o me pare che m’abbino chiamato a nome? VITTORIONA Lassateme annà avessi da venì mi’ marito potrebbe sospettà quarche cosa mentre poi nun c’è propio gnente de male. DOMENICONE Lassalo che vienghi e che cce trovi! Che c’è de male? Un cuggino e ‘na cuggina nun se ponno abbraccicà quanto je pare? Eppoi dije che vienga che ciarifà li sòrdi ciarifà. Nun sò stato fatto pe’ gnente Sargente de la Nazzionale! Quanno che tu’ marito è stufo de campà, se presenti a mme e me dica ‘na mezza parola e je fo vede io sì chi è Domenicone er Nazzionale. Mannaggia la maiolica, la panza, un crivello j’avrebbe da diventà. PIPPETTO Bum! Fanno un sarto dalla paura. VITTORIONA Uh! Chi vedo, mi’ marito. Nun se famo trovà assieme. (va pe’ scappà) DOMENICONE (la trattiè pe’ la vesta) Aspettate scappamo assieme. Da cche pparte? VITTORIONA De qqua presto. (se lo strascina via) SCENA XIII Padron Antonio e Micchelina MICCHELINA (tiè in mano ’na lettra) E me fa specie che un omo come voi co’ moje e fij s’abbusi de l’amicizia d’un’amica de la fija sua cor mannà ste lettre a ’na regazza onorata. PIPPETTO (Sor onorata). MICCHELINA Ma caro padron Antonio avete sbajato strada. Me fa mórto, ma mórto specie. Che direbbe vostra moje oppuramente vostra fija si vienissero a ssapé ‘na cosa simile. PIPPETTO (Nun je piaceno li regazzini ma li sor Antoni co’ la barba a lei.) ANTONIO Sì sora Micchelina avete raggione ma abbiate pazienza. MICCHELINA Che pazienza e pazienza. La pazienza ce l’hanno li santi. Fate che ‘na cosa simile nun accada più ’n’antra vorta sinnò bella che donna e regazza sò capace caso caso de mettevve le budellaccia in Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 140 28/11/13 12.44 r 1. introduzione 141 mano così imparerete a distingue la diferenza che passa fra donna e donna. ANTONIO Scusate è stato n’accecamento. Ma ve prometto che n’antra vorta nun me succederà più. MICCHELINA Bravo, cercate a nun accecavve più, fate er piacere, sinnò sarebbe peggio pe’ vvoi. E annate sempre per vantaggio vostro che allora nun ve dirà più gnente gnisuno. ANTONIO Allora abbiate tanta pazienza e vve saluto. (Ciò fatto un ber figurino.) (se ne va) SCENA XIV Micchelina sola MICCHELINA J’ho ddato ’na lezzione propio a ciccio. Caro sor Antonio attaccatevela ar collo pe’ medajone e tenetevela stretta che ve sta propio a pennello! Oggi la furtuna me perseguita pe’ famme ottené tutto quello che vojo. Annamo a ritrovà er sor Giggi. (monta su pe’ le scale dell’osteria e va drento) SCENA XV Pippetto solo PIPPETTO (sorte dar nisconnjo) Ah! ah! ah! si nun ciavessi ‘sta fame che a mmomenti me leva er fiato ce riderebbe come ‘na cratura. Eppuro me sò divertito. (ride) A pensà chi me l’avesse detto, mi padre co’ Tota... mosca ( fa l’occhietto)...Otto je venne er vecchio. La sora Micchelina cor sor Antonio... mosca... Er mi’ pedante che massimamente mi’ madre teneva pe’ un milordo è più massiccio d’un facchino de Ripa. (lo rifà) Ah! Zi Cencio! Ah! Schizzettaa! Abbasta, n’ho scuperte de le bbelle... Armeno mó me ne potessi annà a casa in santa pace. (s’avvia pe’ sortì) Chi vedo!... La mi regazza cor sor Giggi? Ecco er córpo de grazzia. (se nnisconne) SCENA XVI Teta, Giggi e detto TETA Giggi mio! GIGGI Teta mia! PIPPETTO (Ohé! S’ariscalleno li ferri!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 141 28/11/13 12.44 142 introduzione GIGGI Finarmente te posso abbraccicà! TETA Fermo per carità, ce potrebbe vede quarchiduno. PIPPETTO (Ma no, anzi fate puro). GIGGI Che direbbe papà tuo e mammà tua si ce vedessino insieme. TETA Che voi che dichino? GIGGI E quanno lo saperanno? TETA S’averanno da contentà pe’ fforza!! GIGGI Ma come vòi che me dijeno a me un pover’omo de bottega che nun possiede gnente. TETA A lloro questo qui nun je deve importà. Te vojo bbene e questo abbasta! PIPPETTO (D’aregge ‘sto moccolo accusì a ddiggiuno propio nun me l’aspettavo). GIGGI E si adesso ce vedesse Pippetto? TETA Eh! Addio! PIPPETTO (Ce voi scommette che me menerebbe puro?) GIGGI Ma quer poveraccio che tte vò tanto bbene? TETA Nun so che fammene der bbene de quell’imbecille. PIPPETTO (Manco male che l’ha riconosciuto. E ddì che nun posso manco strillà, manco chiamà gente, e ho da soffrì ‘sto martirio). GIGGI Si mettemo er caso, adesso ce scropissino io che parte ce farebbe? TETA E io puro che parte ce farebbe? GIGGI Core mio! TETA Amore santo! PIPPETTO (Ohé qui ce vonno li pompieri co’ lo schizzo.) N. 11 (Terzetto fra Teta Giggi e Pippetto) TETA Ho tanta paura me parpita er core, che questi ce scopreno che ffamo l’amore! GIGGI Sta’ quieta, sta’ quieta ciumaca, tesoro nun stà a pensà a loro confidete a mme! PIPPETTO (Ma bbene, bbenone è già decretato che oggi contento Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 142 28/11/13 12.44 1. introduzione 143 baffuto e affamato cor core straziato io devo morì.) TETA Quanno annate da papà la mia mano a domannà? GIGGI Nell’annà che famo a Roma nun pensà ce proverò! (je bacia la mano) TETA Piano, piano sfacciatello nun sta bene ‘sto bbacià. GIGGI Ah! ‘Sto braccio è troppo bello me ne vojo satollà! (ripresa dell’ insieme) Giggi fa mette a ssede Teta sur riarzo de tera. Intanto da diverse parte ariveno Rosona, Vittoriona, Giachimandrea, Desiderio, Teta, Titta e coro. SCENA XVII Quelli de prima, Rosona, Giachimandrea, Tota, Desiderio, Domenicone, Vittoriona, Antonio, Micchelina e Coro PIPPETTO (Ecco Mamma! Mó viè la rotta de Roncisvalle. E quelli mica se n’accorgeno.) Rosona vede Teta e Giggi che ner bruciore de l’amore nun s’accorgheno de gnente, arza le mano ar cielo pe’ la sorpresa poi fa un segno e tutti l’antri vienghenno in scena. ROSONA (quanno sò arivati tutti) Vedete Sor Antonio che bello spettacolo ciavete preparato pe’ la festa vostra! TUTTI Che vedo?!... TETA e GIGGI (senteno e se rivolteno) Uh! Dio! PIPPETTO (Questo nun è gnente e quello ch’ho visto io!) ROSONA Er mi’ fijo poveraccio se ne stà a scola e la su’ regazza je prepara già l’arricciatura pe’ le penne. PIPPETTO (Intanto oggi er cappellaro l’ha ffatto.) VITTORIONA E chi se credeva quer birbaccione der sor Giggi fusse tanto traditore? ANTONIO ‘Sto spiantato doppo che l’ho messo drento casa mia ecco come m’aricompensa. Via de qua! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 143 28/11/13 12.44 144 introduzione VITTORIONA E a voi puro sora Teta! ANTONIO Io nun so chi me tienga de sfasciaje er grugno. MICCHELINA (lo trattiè) Fermo Orlando furioso. Nun tanta foja! ROSONA Adesso manno subbito a chiama er mi’ fijo e je dico come vanno le cose. Sor Desiderio fateme er piacere montate in carrozza e annatemelo subbito a pijà a scola. DESIDERIO Vado tosto! ROSONA Minchionati poi nun volemo esse! GIACHIMANDREA Già, minchionati poi nun volemo esse. VITTORIONA Io aresto de stucco. ANTONIO E io de pietra pomicia. MICCHELINA Ma via le cose se poterebbero accomidà senza fà tutta ‘sta cagnara. Volete sturbà la festa de ‘sta giornata accusì ricordativa pe’ ‘na sciocchezza? N. 12 (Concertato) VITTORIONA Che scannalo! ANTONIO Che scannalo! TUTTI Che scannalo! L’onore sano – d’una famija sbiancà così – così sporcà l’onore tuo – povera fija cusì sbiancà! TETA Pietà papà! GIGGI Pietà per me. Stavo per chiederla – oggi pe’ sposa. MICCHELINA Suvvia Vittoria siate pietosa. VITTORIONA e ANTONIO E tu bojaccia- l’hai da pagà! Nun sò più Antonio – credete a me si nun te manno – pe’ carità! GIGGI Come faccio! Chi m’aiuta! Chi lo prega a perdonà! TETA Micchelina resti muta parla tu per carità. (Romanza) MICCHELINA Ricordatevi un po’ quanno da giovini puro a vojantri ve bolliva er core. Ricordateve un po’ sí quanti tribboli Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 144 28/11/13 12.44 1. introduzione 145 e quanti affanni ve causò l’amore. Ah! si peccato è ddì te vojo bbè un innocente qui fra noi nun c’è! (Concertato) DESIDERIO ROSONA VITTORIONA ANTONIO GIACHIMANDREA Perdono no, giammai. TETA GIGGI MICCHELINA Pietà di noi pietà! ANTONIO e VITTORIONA a GIGGI Su birbone-vassallone lesto vattene de qua! E si mai ritornerai l’averai da ripagà! MICCHELINA TETA e GIGGI Nun negate o genitori un tantino de pietà nun crescete antri dolori a ‘sti pori fiji qua. Domenicone stracina Antonio, Vittoriona co’ l’aiuto de Micchelina se stracina Teta. Quanno questa sta per annà via dà ’na guardata amorosa a Giggi che è trattenuto da Giachimandrea. Succede un po’ de confusione e cala er telone. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 145 28/11/13 12.44 146 introduzione ATTO TERZO La scena è l’istessa der II atto meno che siccome quello che succede è verso l’avemmaria, così attaccati a le pergole, a l’arberi, dappertutto insomma ce saranno belli lanternoni colorati co’ la canneletta accesa. Da lontano immezzo ar crepuscolo se distingue un chiarore smorto. È Roma illuminata a gasse. SCENA I Teta, Micchelina e Coro N. 13 (Coro de sciampagnoni e duetto fra Teta e Micchelina) CORO Evviva er padrone de core stragranne che spenne che spanne pe’ facce godé! Da vero Romano nun pensa che a spenne perché se n’intenne der vero scialà. TETA Qui tutti godono antro che io tribbolo e peno che lo sa Iddio. MICCHELINA Animo Teta moto allegria, scotete, via nun stà accusì! Nun senti er sono nun senti er canto e tu sortanto voi tribbolà? TETA Lasseme, lasseme che soffro tanto lassame intanto vojo soffrì! MICCHELINA Su, cara Teta nun stà accusì malinconica che vvederai che poi arimedieremo a tutto, te l’assicuro io. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 146 28/11/13 12.44 a 1. introduzione 147 TETA Sarà come dichi, ma nun ce credo. Nun hai visto come hanno cacciato via quer poveretto. Manco si avessi arubbato. MICCHELINA Eppure io nun me sarebbe mai cresa che l’avessero trattato accusì malamente. TETA E che nun te l’aspettavi? MICCHELINA Io no. Me credevo che appena l’avessero saputo v’averebbero fatto sposà subbito! TETA Quanto sei credenzona. Nun me fussi capitato davanti quer freschetto de Pippetto, forse, meno male, ma cco’ la cosa che m’hanno promesso a quello nun c’è più speranza. MICCHELINA Dimme la verità je vòi bbene assai a Giggi? TETA Più che nun credi! MICCHELINA Defatti accusì dev’esse. Embè nun me chiamà più Micchelina si drento oggi st’affare nun dev’esse accommidato. Fidete de me. TETA Magara te farebbe fà ‘na statua d’oro. MICCHELINA Vederai. Ma nun stà accusì che nun te vojo vede. Allegria. Omo alegro Iddio l’ajuta. Fa’ come me che nun penso a gnente tutto er giorno. (pija ‘na ghitarra sur tavolino e se mette a cantà accompagnannose da sé) Senti: N. 14 (Aria di Micchelina) MICCHELINA Quanno un malanno m’affanna er core quanno un dolore me strappa er pianto cerco a distramme subbito cor canto! E in un attimo trovo sollievo che nun credevo più de trovà! Chi sa pe’ quanto ma che ritrovo subbito cor canto così è, così è! E l’allegria che co’ la musica da me riviè ecco cos’è. (Micchelina e Teta ripetono) Così è. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 147 28/11/13 12.44 148 introduzione TETA Beata te! Io puro vorebbe fà così ma nun m’ariesce. MICCHELINA Abbasterebbe che ciavessi la bona volontà. TETA Farò de tutto. MICCHELINA Vederemo si sarà vero. Adesso vattene in cammera superiore de sopra e fino che nun te chiamo nun te presentà. TETA Va bbene, abbasta che ciariesci. MICCHELINA Tu nun ce pensà va puro. TETA Addio. (se ne va all’osteria) MICCHELINA Nun c’è tempo da perde, se fa notte e a momenti se partirà pe’ Roma, e io prima de partì vojo in tutti li modi accommidà ‘sto pangrattato. M’arincresce che ancora nun ciò ttanto in mano da mettelli tutti ar posto. Pe’ mastr’Antonio ciò pensato ma pe’ la sora Vittoriona ancora nun m’ariesce. Basta, quarche santo m’ajuterà. Annamo a scoprì tereno. (s’avvia) SCENA II Pippetto e Detta PIPPETTO Sora Micchelina, sora Micchelina. MICCHELINA Voi? Incora qui? PIPPETTO Sentite, sentite... MICCHELINA Ma perché nun ve sete squajato? Che volete er resto der carlino? o aspettate che vostra madre ve dii quarche scadenza? PIPPETTO Eh! Lassamo un po’ fà Iddio. Intanto più scaduto d’accusì nun posso esse. Già me sò levato er vizio de magnà. MICCHELINA Dunque nun ve n’importa gnente si ve scopreno? PIPPETTO Gnente affatto, perché ciò ttanto in mano d’ammutolì tutti. MICCHELINA Davero e che ciavete? (premurosa) PIPPETTO (co’ prudenza) Che cciò? Che cciò? N’ho scuperte certe, ma certe da favve addrizzà tutti li capelli. MICCHELINA Pò stà? PIPPETTO Pò stà? Ahò dice si ppò stà? Ma è propio accusì. MICCHELINA E che avete scuperto? PIPPETTO Già lo dico a llei? Qua sotto. (insegnanno er barbozzo) Io mó javerebbe d’annà a ddì che mi’ padre insieme a Tota... mosca (ridendo) l’ho veduti io co’ sti du’ occhi che tiengo in fronte. MICCHELINA (beve) Mbè nun me n’importa gnente affatto. Addio. ( fa finta d’annassene) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 148 28/11/13 12.44 à 1. introduzione 149 PIPPETTO Sentite, sentite, nun ve n’annate. Lo so che a vvoi nun ve ne importa gnente, ma a me però nun sta mica bbene de divve pre-sempio che la sora Vittoriona co’ Domenicone lo sbafante... mosca m’arincresce che a vvoi nun ve posso dì gnente. MICCHELINA (Sarebbe propio quello che me ce vorrebbe, qualche prova de st’amore de Vittoriona.) Ve torno a ripete che io nun vojo sapé gnente affatto, che nun me n’importa gnente. PIPPETTO Lo so, lo so; ma intanto io ho trovato ‘na cosa, ‘na cosa... MICCHELINA Che cosa? PIPPETTO Che cosa? (co’ cautela) Vardate un po’? (je fa vvede un ritratto) MICCHELINA Er ritratto de Vittoriona!? PIPPETTO Leggete un po’ qua sotto che cce dice. MICCHELINA (leggenno) «Al mi’ caro Domenicone la su’ Vittoriona»! E cchi ve l’ha dato? PIPPETTO È cascato a Domenicone intanto che stava qui a discore co’ la sora Vittoriona. MICCHELINA E nun se n’è accorto? PIPPETTO No, macché! Siccome se sò spaventati perché vieniva ggente, mentre che scappava j’è cascato, io me ne sò incajato, sò uscito e l’ho ariccorto. MICCHELINA (Che bella combinazione!) Pippetto me dai ‘sto ritratto? (co’ indifferenza) PIPPETTO Fussi matto! MICCHELINA Nun me lo vòi dà? Mbè me la paghi. Addio! PIPPETTO Sentite nun dite gnente a gnisuno de quello che v’ho detto. Nun vorebbe che s’annasse dicenno che Pippetto ha visto er sor Antonio sgrinfià co’ ‘na certa signorina. MICCHELINA Davero? PIPPETTO L’ho visto io co’ ‘sti du’ occhi. Vòi scommette che nemmanco questo è vero? (Sfido era lei!) (la guarda sott’occhio) (Me ce fa l’innocentina!) MICCHELINA Sò tutte cose che ve le sete inventate da voi. PIPPETTO Brava inventate! Ma sò tutte cose vere, vere come la luce der sole. E che la mi’ regazza fa l’amore cor sor Giggi manco è vero? MICCHELINA Ah! Questa poi è nova di pianta! PIPPETTO Ma ccome nova si pe’ fino c’erivio voi quanno l’hanno agguantati in fragante tutti quanti, che stava qui a fà l’amore co’ Giggi? MICCHELINA Ma che amore, che amore nun se sa! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 149 28/11/13 12.44 150 introduzione PIPPETTO Nun era amore? Già perché voi ce fate a mezzo cor sor Giggi (risoluto) ma er sor Giggi me l’ha da pagà. E come! Sentite nun me chiamate più Pippetto, si la prima vorta che lo vedo nu’ lo stenno cadavere morto qua per terra! MICCHELINA Eccolo pe’ l’appunto! PIPPETTO (indeciso) Chine? MICCHELINA Er sor Giggi che viè da ’sta parte. Ecco er momento da vendicavve. Fateve sotto. PIPPETTO (tremanno come ’na fronna) Sì!... (Ma si tardava n’antra mezz’ora era mejo.) Dunque io direbbe che sarebbe mejo che noi s’annisconnessimo, e che mentre lui stassi qui, io sortissi fora e je facessi morì! MICCHELINA Fate un po’ come ve pare. Quantunque ’st’arimagnasse la parola sa un po’ de carogna. PIPPETTO Sì, vederete che la cosa viè mejo accusì. MICCHELINA (Famese ‘ste du’ risate!) PIPPETTO Figurateve che ggià me sento er sangue all’occhi, er dente amaro. Oggi succede er fatto. Abbasso le mmaschere e mora er tiranno. (se nnisconne co’ Micchelina) SCENA III Giggi e quelli anniscosti N. 15 (Romanza de Giggi) GIGGI Addio speranze mie, sogni indorati che fino a oggi me parlavio ar core. Tutto è finito ormai pe’ me tutto è perduto! A che serve la speranza a che serve un vero amore si pe’ dà la morte a un core basta e avanza o un sì o un no! Addio celeste immagine candida stella addio parto ma solo Iddio sa quer che soffro qui! MICCHELINA (esce dar nisconnijo) Sor Giggi indove ve n’annate? GIGGI Avete visto gnente Teta? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 150 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 151 MICCHELINA Sì propio adesso è salita lassù! GIGGI Mbè quanno la vedete diteje che me cerchi a scordamme! MICCHELINA Ma perché? GIGGI E me lo domannate? Nun avete visto come sò stato trattato? È inutile che pensi più a llei, li su’ genitori se sò messi in testa de daje pe’ marito quer parmo d’omo, quer mezzo bajocco fra cacio e fronna, quer cirifischio, quer reducello de Pippetto! Che si oggi me capita, mannaggia l’animaccia sua, me lo magno a mozzichi. PIPPETTO (de drento) Hai raggione tu che ho ppavura de sortì ffora, sinnò tte farebbe vede io che mozzichi! GIGGI Credete che io sora Micchelina, ciò ‘na sete, ‘na sete che si Dio ne guardi l’incontro lo scanno! PIPPETTO ( facennose vede) Eh! fatte sotto anima rea! MICCHELINA Voi dite bene; ma lui in fin de li conti che ccià che ffà povero fijaccio! GIGGI Povero fijaccio, povero fijaccio? Lassate che l’incontri e poi sentite le nove! PIPPETTO (Da mó che ssò sonate!) GIGGI Credeteme sora Micchelina, che io propio ho bisogno de sfogamme co’ quarchiduno. PIPPETTO (Va a insurtà la sentinella!) GIGGI Brutta carogna! PIPPETTO (Carogna poi!) GIGGI Qui te vorrebbe adesso pe’ scannatte. PIPPETTO (s’avvicina un po’) Coraggio! GIGGI Qui pe’ magnatteme er core. MICCHELINA (a Pippetto) (Ecco er momento bbono fateve sotto.) PIPPETTO (avanzannose) Puro io! GIGGI (cambianno tono) Uh! caro sor Pippetto! (je dá la mano) PIPPETTO Uh! Carissimo sor Giggi! GIGGI Come va la vita? PIPPETTO Io bbene, grazzie; accusì spero che sii de voi. Arivederlo e si conservi. (scappa) MICCHELINA (ridenno) Ah! Ah! Ah! Questa è bella! Ma come lo volevio ammazzà? GIGGI E che ssò matto d’annà in galera pe’ llui? L’ho detto apposta perché sapevo che da stammatina stava anniscosto là de dietro. MICCHELINA Bravo sor Giggi. Ciavete più spirito che nun credevo. Basta adesso nun perdete tempo, annate su a consolà quela povera Teta, e lassate fà er resto a me che penserò io a tutto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 151 28/11/13 12.44 152 introduzione GIGGI Grazie e che Iddio ve possi benedì. (va nell’osteria) MICCHELINA Nun c’è ttempo da perde. Bisogna in tutti li modi che ciabbia in mano quer ritratto che ccià Pippetto. Lo vojo annà a ttrova. (via) SCENA IV Desiderio solo DESIDERIO (entra tutto scarmanato e stracco) Auff! Ho girato tutta Roma e non mi è riuscito di poter raccapezzare quell’assassino de Pippetto. Alla scuola m’hanno detto: Pippetto s’è squagliato. Pippetto ha fatto sega! Capite? Pippetto s’è squagliato, Pippetto ha fatto sega! Ed ora cosa mai darò ad intendere alla sora Vittoriona! Ah! Ma se oggi lo trovo, per tutti i demoni passati presenti e futuri lo scanno. Così mi ripagherà il tempo e la scalmanatura che mi sono preso per causa sua. SCENA V Pippetto e detto PIPPETTO (minchionanno) Ah! Zi Cenciooo!? DESIDERIO (se svorta e lo vede) Chi vedo! Fulmini e saette! Tu qui? Ah! Brigante (je corre appresso pe’ arrivallo ma nun je la fa perché Pippetto je fa la cavalletta) N. 16 (Duetto buffo) DESIDERIO (correndo) Se ti arrivo, se ti colgo ti fo livida la schiena sono al pari d’una jena non ci veggo e sento più! PIPPETTO Corri, corri! Intanto hai voja! Nun sei bbono d’arivamme, antri piedi, antre gamme, te ce vonno credi a me. DESIDERIO Fermati Pippetto che è meglio per te! PIPPETTO Fermateve prima voi e stateme a sentì. Diteme adesso che m’avete trovo che intenzione averessivo? DESIDERIO Di romperti il capo e dopo d’andare ipso fatto a raccontare tutto alla sora Rosona. PIPPETTO (minchionanno) A quell’ignorante? DESIDERIO Come sarebbe a dire? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 152 28/11/13 12.44 1. introduzione 153 PIPPETTO Manco si nun avessi inteso poco fa, quello che stavio dicenno: A zi Cencio! Per esse che mi madre ve credeva un santificato, sete invece un vassallone peggio de me. E voi sete quello che me volete dà l’educazione a me. Adesso vado da mamma e je canto tutto. DESIDERIO Fermati Pippetto per carità, non dirle nulla se no farai la mia rovina, mi farai morire di fame. PIPPETTO (Qui te volevo.) Mbè si voi ve state zitto me starò zitto io puro e si voi parlerete parlerò puro io. DESIDERIO Ebbene quando vedrò tua madre che mi domanderà di te cosa mai dovrò dire? PIPPETTO Che quanno sete arivato a scola l’avete trovata chiusa... DESIDERIO Benone, benone! E che quindi non posso sapere se voi ci siete stato. Caro quel Pippetto! PIPPETTO Simpatico! (se stregneno la mano) DESIDERIO Sento gente; nascondetevi. PIPPETTO Manco pe’ gnente. Vienghi puro chi vò venì, l’aspetto. SCENA VI Giachimandrea, Antonio, Vittoriona, Tota e Domenicone TUTTI Pippetto ha ffatto sega!! PIPPETTO Nun è vero! Chi ve l’ha detto? TUTTI Er sor Desiderio. DESIDERIO Cioè piano, l’ho detto per ischerzo ma non è vero. Quando io sono giunto alla scuola l’ho trovata chiusa quindi non posso sapere se Pippetto vi era o non vi era stato. ANTONIO Già mó nun è più vero, è segno che se sò messi d’accordo. VITTORIONA Ce vò poco a capillo! DOMENICONE La cosa è chiara! TOTA E mó quanno lo saperà vostra madre? TUTTI L’avete fatta bbona! PIPPETTO E chi è bono d’annajelo a ridì? TUTTI Io, io!! PIPPETTO (ad Antonio) Voi? (je parla piano) Allora io dirò alla sora Vittoriona che Micchelina v’ha ferito er core. ANTONIO Che lo sapete? PIPPETTO È robba vecchia! ANTONIO Allora accidenti a chi parla. (je dà la mano) PIPPETTO Semo d’accordo, sora Vittoriona si voi dite a mi’ madre che Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 153 28/11/13 12.44 154 introduzione io ho fatto sega a scola io dico a vostro marito che Domenicone lo sbafante v’è cuggino pe’ via che er padre der padre der fratello der fratello der padre vostro insieme cor padre der padre der fratello der padre suo annaveno a scola insieme! VITTORIONA E come lo sapete? PIPPETTO Ho studiato drento la radica de la discendenza vostra. VITTORIONA Ma ve pare sor Pippetto che io faccia la spia a vostra madre. Ora sorda. Nun sia mai... Ve vojo troppo bene. (l’accarezza) PIPPETTO Se semo intesi! Papà puro voi e Tota volete annà a ffà la spia a mamma? GIACHIMANDREA Noi, ma te pare? ma nemmanco a dillo pe’ ruzza d’annà a mette zizzania in famiglia! Te pare! PIPPETTO Bravo papà. Adesso che semo tutti d’accordo aricordateve che Teta dev’esse la mi’ sposa e che la vojo a qualunque costo sinnò ve metto a tutti sur carro de Checco!14 VITTORIONA Dunque mó che viè Rosona? PIPPETTO Diteje che nun m’avete visto. ROSONA (de drento) Giachimo viette a pijà st’impicci che se fa tardi. VITTORIONA Ecco la sora Rosona. Dateme retta a mme, annisconneteve che ar resto ce pensamo noi. PIPPETTO Va bbene. (se ritira) SCENA VII Quelli de prima e Rosona ROSONA Regazzi se fa notte, perché nun se n’annamo. Io mó me sò stufata de stà qui, sbrigamose. VITTORIONA Annamo puro. ROSONA A proposito avete visto gnente, don Desiderio? DESIDERIO Signora! ROSONA E Pippetto er mi fijo? DESIDERIO Quando giunsi la scuola era chiusa! ROSONA Sicché a quest’ora, quer regazzo già se ne starà a ccasa? DESIDERIO Senza dubbio! ROSONA Raggione di più pe’ annassene via presto, sinnò quela povera cratura m’aresta a ccasa sola. MICCHELINA Abbiate pazienza, ma a mme st’annata via così asciut14 «Il carro di Checco», quotidiano romano (1882-1884). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 154 28/11/13 12.44 1. introduzione 155 ta asciutta nun me piace gnente affatto. Pò stà che s’aritornamo a Roma tutti co’ un parmo de muso? Ma via ggente mia, una festa accusì ricordativa bisogna finilla in piena regola. Bisogna ch’arifamo pace e che le cose aritornino come staveno prima. TUTTI Era quello che dicevo io! ANTONIO Ma certamente. MICCHELINA Via sora Rosona, presto sor Giachimo dateve la mano. (l’unisce) ANTONIO Eppoi noi che ciavemio a che ffà? VITTORIONA Nun era corpa nostra. ROSONA Allora nun ce pensamo più! GIACHIMANDREA Mettemece ‘na pietra sopra! MICCHELINA Padron Titta portate er vino. TITTA (porta da beve) Ecco er vino. MICCHELINA Teta (chiama) Teta viè un po’ ggiù! ROSONA M’arincresce che mò nun c’è Pippetto sinnò oggi se stringeva ‘sto pangrattato e bonanotte. MICCHELINA Lo potemo fà puro stasera. Tempo ce n’avemo quanto ce ne pare. SCENA VIII Teta e tutti quelli che c’ereno TETA Chi me voleva? MICCHELINA Via date un bacio a mamma, uno a la sora Rosona e quello ch’è stato è stato. E adesso prima d’annassene damoje de sartarello. TUTTI Su ballamo er sartarello. MICCHELINA Allora tutti ar posto. Avanti sonatori mano a li mandolini e cominciamo. (se metteno a ballà er sartarello) MICCHELINA (da sé) Le cose cominceno bbene, ma bisogna che trovi er modo, d’arestà sola pe’ parlà co’ Pippetto. Mó ce penso io. (chiama) A Tota? Vamme un po’ a pijà un bicchier d’acqua a la funtana. TOTA Va bene! (se ne va) MICCHELINA (a Giachimandrea) Sor Giachimandrea m’ha detto Tota che v’aspettava sotto a quella capannella laggiù; vicino ar pozzo. GIACHIMANDREA Davero! MICCHELINA In parola! Squajateve e annatela a ttrova. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 155 28/11/13 12.44 156 introduzione GIACHIMANDREA Vado subbito. (via) MICCHELINA (a Teta) Teta va a ddà du’ chiacchiere a Giggi che t’aspetta sotto al pergolato. TETA E si me vede mamma? MICCHELINA (a Vittoriona) Sora Vittoria v’ho da dà una brutta nova. VITTORIONA Dite puro. MICCHELINA Vostro marito ha dato un appuntamento a Tota! VITTORIONA Ah! Scellerato! Me ne sò accorta già da un pezzetto e indove se lo sò dato? MICCHELINA Se lo sò dato passato er viale dell’ormi vicino a la grotta. Se ve ciannate a mette in sentinella, vostro marito dovrebbe stà poco, Tota già c’è ita! VITTORIONA Si ce l’agguanto li pettino io! (via) MICCHELINA Avanti regazzi ballamo. ANTONIO Ma indove se ne sò iti quell’antri? MICCHELINA Se ne sò iti a spasso pe’ la vigna. ANTONIO A spasso! MICCHELINA A spasso, a spasso! ANTONIO E cco’ cchi? MICCHELINA Vostra fija se n’è ita pe’ de laggiù cor sor Giggi. ANTONIO Co’ Giggi? MICCHELINA Già! E vostra moje co’ Domenicone. ANTONIO (stordito) Co’ Domenicone? MICCHELINA L’ho intesi io che se sò dati l’appuntamento passato er viale dell’ormi vicino a la grotta. ANTONIO Davero? Oh! poveretto me oggi finisce che commetto quarche pazzia. E indove vado da mi’ moje o da mi’ fija? De qua de llà! MICCHELINA Annate in mezzo. ANTONIO È giusto, nun ciavevo pensato. (scappa) MICCHELINA Semo arimaste sole. ROSONA Già, che ber modo. Chi lo sa chi j’ha imparato l’educazione. Squaiasse tutti senza dì né asino, né bestia. Ma poi io vorebbe sapé sí indove sò iti! (chiamanno) Ah Teta? Ah Giachimo? MICCHELINA Avete voja a chiamà intanto nun ve senteno. Teta l’ho veduta laggiù che se n’annava a spasso co’ Giggi e vostro marito co’ Tota. ROSONA Che me dite? Mó ce penso io. (via) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 156 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 157 SCENA IX Micchelina e poi Pippetto MICCHELINA Adesso a me. (chiama) Pippetto, Pippetto. PIPPETTO Sete sola? MICCHELINA Sì, diteme la verità. Ve volete sposà davero Teta? PIPPETTO E me lo domannate? MICCHELINA Allora nun c’è da perde tempo. Si voi fate come ve dico io, stasera prima d’annà a Roma Teta diventa vostra moje. PIPPETTO Che volete che facci? MICCHELINA Dateme quer ritratto che ciavete. PIPPETTO Pe’ che facce? MICCHELINA Datemelo e nun ve n’incaricate. PIPPETTO Ma si poi... MICCHELINA Nun me lo volete dà? Peggio pe’ voi. Teta se sposerà un antro. PIPPETTO None none. Eccheve er ritratto e fate quer che er core ve spira. MICCHELINA Bravo Pippetto. Adesso voi nun avete da fà gnent’antro che annavvene su a l’osteria che adesso quanno ho ffatto tutto ve chiamo io stessa. PIPPETTO Va bbene. M’ariccomanno a voi. MICCHELINA Non dubbitate. PIPPETTO Fate le cose bbene. MICCHELINA Nun ce pensate. PIPPETTO Se vedemo! (va nell’osteria) MICCHELINA Caro Pippetto te servirò propio a dovere, lassa fà a mme imbecille mio che sei capitato a ciccio. Chi vedo! Aritornano li cacciatori. Me vojo annisconne pe’ sentì che dicheno. (se annisconne) SCENA X Antonio, Giggi, Teta, Vittoriona, Rosona, Domenicone, Tota, Desiderio e Titta ANTONIO (strascinanno Teta) Annamo ciovetta. VITTORIONA (strascinanno Giggi) Avanti somaro. ROSONA Disgraziati. ANTONIO Brutti boja. VITTORIONA Rovina casa! (a Tota) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 157 28/11/13 12.44 158 introduzione ANTONIO È tutta corpa vostra (a Vittoriona) È lo scannalo che date a tutta la famija co’ le vostre scappate. VITTORIONA Ma voi che ve date l’appuntamento co’ le serve. ANTONIO Ma voi che ve fate trovà intanata co’ li sergenti de la Nazzionale. VITTORIONA Chi ve l’ha ariccontata ‘sta bucìa. ANTONIO La sora Micchelina! VITTORIONA E a me che m’ha dato d’intenne che v’erivo dato l’appuntamento co’ Tota sotto ‘na capanna. ANTONIO Davero? TUTTI Puro a me! ANTONIO Ma dunque ‘sta sora Micchelina è una serpentina che se diverte a le spalle nostre. Si l’acchiappo sente lei! TUTTI Indovella, indovella? SCENA XI Micchelina e Detti MICCHELINA Eccheme, eccheme che robb’è? VITTORIONA Mó ve faremo scontà la burla che ciavete fatto. TUTTI Noi puro, noi puro! MICCHELINA Per carità uno pe’ vorta (piano a Antonio). De che ve lamentate voi de nun avé acchiappata vostra moje co’ Domenicone? ANTONIO Non dico questo! MICCHELINA (a Vittoriona) E voi de nun avé trovato sotto ar pergolato Tota co’ vostro marito? VITTORIONA Nun me n’importava gnente affatto. MICCHELINA Dunque aringraziateme dello scherzo che v’ho fatto! GIGGI Ma perché mannamme a spasso co’ Teta. MICCHELINA Perché ve la sposerete. ANTONIO Impossibile. Un omo de bottega sposasse la mi’ fija! Ma le pigne. MICCHELINA Ma nun sarà più garzone dar momento che diventerà vostro genero. ANTONIO Ma nemmanco a parlanne. Ma che ve sete impazzita? E poi l’avemo promessa a Pippetto. Sarebbe bella che un garzone de bottega sposasse la fija der su’ principale. MICCHELINA (piano a Antonio) È forse più birbone der principale che manna certe lettere a le belle regazze? (apre la lettera e legge) Angelo mio, mia moglie è tanto orribile, brutta... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 158 28/11/13 12.44 e e 1. introduzione 159 ANTONIO (spaventato) A me quella lettra. MICCHELINA (leggenno) Così insopportante... ANTONIO Zitta per carità. MICCHELINA Abbasta che date er consenso vostro sinnò... (je mostra Vittoriona) ANTONIO Ma prima bisogna sentì mi’ moje. MICCHELINA E si llei fusse contenta? ANTONIO Allora sarebbe un antro par de maniche. MICCHELINA Io sò sicura che la sora Vittoriona in core suo ha già deciso che ‘sto matrimonio se facci. VITTORIONA Io? MICCHELINA (a mezza voce) Che forse ne voressivo domannà un parere a Domenicone? VITTORIONA Domenicone? MICCHELINA E de favve restituì un certo ritratto. (je lo fa vede) VITTORIONA (impaurita) Er ritratto mio? MICCHELINA Accompagnato da du’ parole tenere tenere «Ar caro Domenicone la sua Vittoriona» VITTORIONA È mejo che dichi de sì. (ripija er ritratto) MICCHELINA ( forte) Ha detto de sì! TETA Grazie mamma! GIGGI Grazie! ANTONIO Piano però, ha detto de sì abbasta che sò contenti puro er sor Giachimo e la sora Rosa. ROSONA Ah! Me credevo che a nnoi due ce contassivo quanto er dua de briscola. Io nun vojo scorno. GIACHIMANDREA Nemmanco io! Oh! Cattera15. MICCHELINA (piano a Giachimandrea) E pure si Tota lassasse er servizio de casa der compare e venisse a servì da voi e ve dicesse de contentà Teta, voi ce scommetto che diressivo de sì. GIACHIMANDREA (Lo sa puro questa.) Ma io cara sora Micchelina, si Rosona se contenta sò arcicontento puro io. Quello che ffà lei è benfatto. ROSONA Io me contenterebbe; ma bisognerà vede si quell’anima innocente der mi’ fijo se contenta. 15 «Esclamazione: [...] deriva dal desiderio di dire una sozza parola che principia per ca... e insieme dalla pudicizia che vuol farla abortire» cfr. G.G. Belli, La scena de Bardassarre, sonetto, nota 6. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 159 28/11/13 12.44 160 introduzione SCENA XII Pippetto e Detti PIPPETTO (dalla scala) Nun me contento pe’ gnente affatto. Teta ha da esse mia pe’ forza sinnò metto sottosopra er monno sano. MICCHELINA Pippetto eppuro ce scommetto che voi ve contenterete. PIPPETTO Io? Ma nemmanco si me pregassi er papa! ROSONA Ve l’ho detto che era indificile. Quello nun se contenta manco si l’ammazzate. MICCHELINA (piano a Pippetto) Va bbene allora dico a mamma vostra che stammatina avete fatto sega a scola e me sete venuto appresso a me dicennome certe cose... PIPPETTO No sora Micchelina, nun je lo dite. MICCHELINA Allora dite de sì! PIPPETTO Questo mai! MICCHELINA No, va bene! Signori sappiate che stammatina un certo signorino... PIPPETTO No, no acconsento, acconsento. MICCHELINA Bravo Pippetto. Sor Giggi abbracciate vostra moje. ANTONIO Per esse che era parola da Re. GIACHIMANDREA Eh! Adesso puro quelle valeno poco, sò in ribbasso. (Tutti rideno) TUTTI Evvia li sposi! N. 17 (Finale concertato) MICCHELINA La promessa che v’ho ffatto ve l’ho bbella e mantenuta sò testarda e sò cocciuta! Je l’ho ffatta o si o no? GIGGI e TETA Grazie tanto Micchelina che possi essi bbenedetta hai giocato ‘sta farsetta co’ gran arte e verità. CORO Viva sempre li sposetti freschi, belli e giovanetti che l’amore finarmente ha vorsuto contentà. Fine dell’Operetta Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 160 28/11/13 12.44 LA GUIDA MONACI Bozzetto popolare romanesco in un atto Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 161 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 162 28/11/13 12.44 1. introduzione 163 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa (Ceccarius. Dial. IV. 90) conservato nella BNCR: Giggi Zanazzo, La Guida Monaci. Bozzetto popolare romanesco in 1 atto, Musica del Maestro Valerio Romano, Roma Cerroni e Solaro Editori, Piazza Colonna, Laboratorio Tipografico di Cerroni e Solaro, 1887. [Sul verso del frontespizio]: Per la rappresentanzione sia del presente libretto come della musica rivolgersi ai proprietari Sigg. Giggi Zanazzo e Valerio Romano i quali avendo adempiuto a quanto la legge prescrive si riservano ogni diritto di riproduzione. [A pag. 4] Rippresentata pe’ la prima vorta ar Teatro Rossini a Roma er 3 Novembere 1887. L’opuscolo, pubblicato in occasione della rappresentazione, reca nella tavola dei personaggi i nomi degli attori nell’ordine corrispondente: Romolo Balderi, Vittorio Loré, Giuseppe Ricci, Filippo Ricci, Margherita Massoli, Emma Paccaroni, Agnese Bianchini. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 163 28/11/13 12.44 164 introduzione Personaggi CUCCHIMETTO MATTEO BARBETTI BOMBA CREMENTINA LUISA TOTARELLA Er fatto succede a Roma Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 164 28/11/13 12.44 1. introduzione 165 ATTO UNICO La scena arippresenta er cortile d’una casa. A ffonno a la scena c’è er portone. A la terza quinta a dritta er principio de le scale. A la prima quinta a mancina c’è er casotto der portiere co’ la finestra che guarda da la parte der pubbrico. Li vetri de la finestra cor telarino movibbile. Porta da ‘na parte. SCENA I Crementina poi Luisa CREMENTINA (entra dar portone) Nummero 4. È propio qui. Che furtuna che ‘sto benedetto sor Matteo abbi cambiato casa...! Armeno ce lo trovassi. (bussa a li vetri der portiere) CUCCHIMETTO (mette la testa fori der finestrino) Chi desiderate? CREMENTINA Fateme er piacere, c’è a ccasa er sor Matteo? CUCCHIMETTO È uscito! (chiude er finestrino) CREMENTINA Uscito? Volevo dí! LUISA (scegnenno le scale) È un’ora che abbusso a ccasa nun ce doverebbe esse. (bussa ar finestrino) CREMENTINA Una donna!? CUCCHIMETTO (dar finestrino) Chi volete? LUISA Er sor Matteo? CUCCHIMETTO (co’ le buggere) È uscito! (richiude) CREMENTINA Ma io si nun me sbajo, ho avuto già er piacere d’incontravve dar sor Matteo? LUISA Quanno abbitava me pare all’Orso. Sicuro me n’aricordo. E come state? CREMENTINA Se campa. LUISA Come è possibbile, io domanno e dico, che er sor Matteo nun se facci trovà a ccasa all’ora che ariceve? CREMENTINA Siccome ha sgommerato l’antro jeri, pò esse che incora nun aspetti visite. LUISA Che brava persona quer sor Matteo. A me m’ha ddetto subbito ch’ero bbona... donna de casa... CREMENTINA Che disgrazzia si ‘nun ciaveressimo ‘sto poveretto pe’ consijacce in tante e tante circostanze. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 165 28/11/13 12.44 166 introduzione SCENA II Luisa, Crementina e Matteo MATTEO (entranno dar portone) Varda chi vedo! Due de le mi’ poste le mijore che ciabbi! Scusate tanto si nun me ciavete trovo; ma siccome nun ho finito d’assestà la robba, nun posso ancora ariceve gnissuno. LUISA Davero? Ma giacchè semo vienute... MATTEO Sò all’ordini vostri... Salite puro avanti, quanto dico ‘na parola ar portiere e viengo subbito. Musica N. 1 (Terzetto) CREMENTINA E LUISA L’avvenì-cià da dì Perchè fa-’st’arte qui Ma chi sa-si stavorta Qual’ugurio-ce farà! MATTEO L’avvenì - j’ho da dì Perché fo-’st’arte quì, Ma chi sa-questa volta Qual’ugurio-je darò! Le due donne salischeno le scale. Matteo bussa ar finestrino. CUCCHIMETTO (furioso) Chi volete? È uscito. (richiude er finestrino) MATTEO Ma che t’è uscito er fiato? (bussa un’altra volta) Ma sò io er sor Matteo... CUCCHIMETTO (mette la capoccia fori der casotto) Er sor Matteo? Ve dico che è uscito. (richiude) MATTEO Ma te dico che er sor Matteo sò io. CUCCHIMETTO (c. s.) Voi?!.. Ah! Già! Abbiate pazienza. Ma dico si sete voi, allora chi volete? MATTEO Nessuno. Ve volevo sortanto dì che insino a doppodomani nun aricevo gnissuno. CUCCHIMETTO Va bbene, va bbene annate puro. È uscito. Ecco fatto. Da quanno state qua nun dico antro. MATTEO Manco male che se semo capiti. (salisce le scale) SCENA III Cucchimetto poi Totarella CUCCHIMETTO (viè ffori dar casotto) Vardate che ber modo da trattà er portiere! Sò ccari davero st’appiggionanti. Tratteno er portiere Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 166 28/11/13 12.44 1. introduzione 167 come si fussi er servitore loro. Ma ggià da quanno sò vienuti questi1 se ne vedeno de tutte le spece. Quelli de ’sta casa speciarmente sò propio grazziosi. Nun ve guardeno manco ‘n faccia, e pretenneno che uno je se cacci er cappello, che je se portino su a ccasa le lettre, e poi si ve danno pe’ Agosto e Natale cinque pavoli è grasso che cola!... Annateve a mette quarche cosa da parte co’ certi avventori... Pe’ fortuna che io ho trovato er modo pe’ fà quatrini. Un modo ingegnoso e novo. (caccia da la saccoccia un mazzo de lettre) Eccolo er modo... N’ho fatte adesso propio cinquanta copie. TOTARELLA (entra dar portone co’ ‘n canestro da lavannara che tiè sotto ar braccio e che posa per tera) Ah ve ciò acchiappato! CUCCHIMETTO Saettaccie, Totarella! Musica N. 2 (Duetto) TOTARELLA Te ciò acchiappato che si’ mmazzato cor sorcio in bocca ’sta vorta qui? Cosa ciai llì vecchiaccio matto. CUCCHIMETTO Io, gnente affatto. TOTARELLA Fa vede a me. CUCCHIMETTO Sò certe lettre d’appigionanti; tutti abbitanti qua su da me. TOTARELLA Macché, macché, io nun ce credo sotto ce vedo quarche gran che. CUCCHIMETTO Credeme, Tota che nun è gnente è tutta gente ch’abbita quà. TOTARELLA Allora leggele. E doppo spiegheme lettra pe’ lettra ch’in- 1 Allusione ai nuovi governanti e, in senso ampio, agli Italiani giunti a Roma, ormai capitale del Regno. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 167 28/11/13 12.44 168 introduzione tenne dì. Doppo che ciò la debbolezza de volè bbene a vvoi che nun sete gnente affatto bbello... CUCCHIMETTO È vero. TOTARELLA Che sete vecchio... cucco! CUCCHIMETTO È vero! TOTARELLA E che me la fate puro in barba! Nun me volete manco dì qual’è er mistero de quele lettre. CUCCHIMETTO Nun è un mistero è un segreto! TOTARELLA Diteme qual’è ‘sto segreto. Ma già ce scommetto che sò tutte lettre indirizzate a tutte femminacce. CUCCHIMETTO A tutte femminacce? Ma pe’ chi m’hai preso? Per gran surtano!? TOTARELLA Meno chiacchiere e diteme ‘sto segreto sinnò nun ve sposo più, e la dota che me dà mi’ zia ve passerà davanti al naso. CUCCHIMETTO Davanti al naso? Perché je vòi fà fà ‘sta passeggiata accusì ridicola? TOTARELLA Allora fateve uscì er fiato! CUCCHIMETTO Subbito. Totarella: ’ste lettre nun sò lettre d’amore, infatti vanno tutte a ommini. TOTARELLA (leggenno) Al signor, signor Cornicchi... al signor, signor Corneli... al signor Cornu... CUCCHIMETTO Ferma. Nun leggete quel nome lì... o futura sposa Cucchimetta; voi ’sto nome nun dovete mai sapello, né mentuvallo. TOTARELLA Guardamo adesso che c’è scritto in de ‘ste lettre: (legge) «Signore una persona che vi sta a cuore v’inganna indegnamente. Ella si reca spesso ed in segreto in Via di San Francesco a Ripa n. 4. Il portiere di questa casa è al corrente della faccenda; se volete degli schiarimenti rivolgetevi al portiere e mettendogli in mano qualche cosa potrete farlo cantare». Che significherebbe? Che ve sete messo a fà la spia. E che v’ha fatto ‘sta povera signora cosa? CUCCHIMETTO Nu’ la conosco nemmanco! TOTARELLA Bravo, e tutte ‘ste lettre dunque? CUCCHIMETTO Lo stesso, medesime parole, medesima scrittura e medesima ortografia. TOTARELLA E per che cosa je le mannate? CUCCHIMETTO Mó ve lo dico. Quanno che ho visto che er posto de portiere nun dava o, si dava, dava poco e gnente, pensai d’arigiramme er talento pe’ guadambià in quarch’antro modo, e me venne l’idea de sperimentà un tantinello le noje e li disturbi de la gente accasata. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 168 28/11/13 12.44 e e 1. introduzione 169 TOTARELLA De la ggente accasata? CUCCHIMETTO Già, è la cosa la ppiù generale, la più sicura, la più certa. Musica N. 3 (Aria de Cucchimetto) Er foco lo smorzeno li ladri l’aresteno, e sui parafurmini saette e furmini appena che schioppeno ce vanno a cascà! Ma poveri sposi, li tribboli vostri nun c’è parafurmine pe’ falli fermà! Ed è precisamente quello che sto scanajanno. Ciò pe’ pposte tutti li mariti de Roma; pe’ mercanzia penna, carta e callamaro e oltre a 70.000 indicazzione che stanno stampate su la Guida Monaci e ecco come me contiengo. Manno la circolare a tutti li mariti e abbasta. Er primo giorno la leggheno e fanno tra de loro: Macché sò sicuro de mi’ moje! Nun pò stà! Er giorno appresso la lettra je trotta in der cervello... la moje l’adora, va matta pe’ lui, ma poterebbe esse che annassi puro matta pe’ quarchidun’antro. Allora pensa e t’aripensa ce se fissa, e er terzo giorno capita qui dar portiere; ma siccome er portiere se ne va dar muto, lui je fa scivolà in mano 5 lire pe’ faje scioje la lingua. TOTARELLA Ma è un’infamità! CUCCHIMETTO Anzi è ‘na cosa molta filantropica, perchè una vorta messi d’accordo je faccio svanì le cose che je passeno pe’ la testa, e je provo che la sposa nun è mai venuta in ’sta casa qui. E er marito contento come ‘na pasqua, me dà n’antra piastra: ha pagato l’entrata, m’aripaghi l’uscita! In ’sto modo ce n’ho da ripassammene in rivista un 25.000 e più, e 25.000 a 10 lire a testa fa 250 mila lire. Ecco la professione mia, ecco il mio stato, ecco la mia industria. Sfido er commercio è libbero! TOTARELLA E tutti ‘sti mariti che dite, ce viengheno? CUCCHIMETTO Tutti. Vado per ordine alfabetico. L’A non c’è male come m’ha fruttato, er B sta in padella, e fra tre giorni comincio ar C. TOTARELLA Ma li scapoli come l’ariconoscete? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 169 28/11/13 12.44 170 introduzione CUCCHIMETTO Come? Arileggete le lettra. TOTARELLA (leggenno) «Una persona che ve sta a cuore v’inganna indegnamente». CUCCHIMETTO Una persona che ve sta a core s’adatta a tutti quanti come un sacco. Tutti ciavemo una persona che ce sta a core. E ce ne sò puro certi che se troveno assai imbrojati perchè nun sanno si s’hanno da informà de la moje o... de quarcun’antra. Questi qua li fo pagà er doppio. E ecco come de qui a un po’ de tempo spero de cambiare stato e posizzione. TOTARELLA E poteremo fà sapè a mi’ zio Bomba che famo l’amore. CUCCHIMETTO Ma dunque, ’sto zio Bomba è proprio boja, pe’ nun aveje mai vorsuto dì che famo l’amore? TOTARELLA Si sapessi che me sò accaparato un portiere me scannerebbe. CUCCHIMETTO Vordì che io portiere nun lo suono che momentaneamente. È pe’ lo scanajo der mi’ progetto che ho occupato questo posto che era vacante. TOTARELLA A pproposito avete scritto intanto a mi’ zia? CUCCHIMETTO Sicuro ciumaca mia e che lettra! Senti: (legge) «Signore una persona che vi sta a cuore» no no, me sò sbajato, eccola la vera: (ne pija n’antra) «Signora voi sete sensibile e bona e voi solo ahi! purtroppo, averete pietade dell’amor mio... d’un amore infelice che nascondere io deggio al vostro consorte, a quel cane barbone, poichè io so che egli lui se ne piglierebbe. Non posso quindi venire in casa vostra... ma se vi fosse possibile di venirmi a trovare... TOTARELLA Viè ‘na persona... CUCCHIMETTO (guarda) Un signore! Doverebbe esse quarche avventore mio... Legge una lettra. È certamente una posta mia. Tu Totarella vattene a portà la biancheria, che er gabbiano me lo lavoro io. Entriamo nel nostro gabinetto. (entra) Musica N. 4 (Aria de Totarella) TOTARELLA Che ber mestiere da cavajere che s’è saputo accaparrà! È ’n’omo dotto Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 170 28/11/13 12.44 1. introduzione 171 de gran talento che co’ ‘sto vento sòrdi farà! Apposta me l’ho scerto e apposta me lo sposo. Nun è lo so grazioso, ma ricca me pò fà! È ’n’omo dotto de mente granne che spenne e spanne in quantità! (doppo che ha cantato se ne va) - - - SCENA IV Cucchimetto e Barbetti BARBETTI (piagne) Er portiere facci er piacere! CUCCHIMETTO Sono io signore. Che comandate? BARBETTI (c. s.) Sor portiere sò propio disgraziato! CUCCHIMETTO (Ecchene uno che presempio l’ha presa troppo sur serio.) Che volevio? BARBETTI (c. s.) Maestro, dico, ciavete moje? CUCCHIMETTO No grazziadio... E voi a quer che vedo pare de sì. BARBETTI Sì e credeteme che sò lo specchio de li mariti. CUCCHIMETTO E volevio? BARBETTI Viengo per accertamme d’una certa bojeria, che fra tutte le bojerie è la più boja! E voi sarete quello che me darete er córpo de grazzia per ajutamme a morì. CUCCHIMETTO Io? Avete sbajato strada annate ar vicolo der Boja 2. BARBETTI Nun scherzate, nun scherzate che m’hanno informato bbene. Voi state in mezzo a le faccenne e mettennove quarche cosa in mano... (mette la mano in saccoccia) CUCCHIMETTO (S’è imparato la mi’ lettra a mente). BARBETTI (caccia er fazzoletto) Voi parlerete nun è vero? CUCCHIMETTO (mortificato) (Me credevo chi sa che me volesse mette in mano.) Nun so gnente affatto affattissimo, nun capisco nemmanco che ve dite! Sò muto! 2 Vicolo del Campanile a Borgo, chiamato anche così perché al n. 4 c’era la casa del boia. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 171 28/11/13 12.44 172 introduzione BARBETTI (piagne) Io ve parlo de’ mi’ moie, che m’ha tradito, che m’ha... CUCCHIMETTO Ho capito, ho capito! (se gratta in testa)... BARBETTI Stammatina è uscita dicennome che annava in chiesa. CUCCHIMETTO È una scusa che generarmente metteno tutte le donne. BARBETTI Pe’ nun falla incajà 3 l’ho fatta uscì, ma appena uscita ho preso ‘na carettella e invece d’annà in pizzicheria... CUCCHIMETTO Ah! sete... BARBETTI Lo specchio de li pizzicaroli... e invece d’annà a bottega ho ggirato tutte quante le chiese... e n’ho fatte trecento... fino adesso. CUCCHIMETTO E l’avete trova? BARBETTI Pe’ gnente affatto. Tutte le chiese vote. In tutta stammatina nun c’è stata una messa sentita da una donna. CUCCHIMETTO Varda che combinazzione. E come l’avete saputo? BARBETTI Da li trecento sagrestani de le trecento chiese ch’ho girato. CUCCHIMETTO Gnisuna donna in trecento chiese. E a pensà che in ’sto momento ce saranno in tutta Roma centomila mariti che se dicheno in santa pace: Mi’ moje sta in chiesa! BARBETTI Già dicheno tutte che ce vanno ma invece nun ce vanno pe’ gnente. Trappolare! Capirete bbene, sor maestro mio, che ho capito tutto. Io sò tradito, disonorato impennacchiato... Ah! Credete che me ce sento strugge drento! (piagne) CUCCHIMETTO Ma via sò cose che, più o meno, succedeno a tutti! ( fra de sé) (Varda come piagne! Ma questo è un sarcio piagnente... è ’na funtana. Bisogna confortallo.) Vediamo, signore, voi me fate pena, ve vorebbe esse utile, ve vorebbe ajutà, ma nun posso mette in piazza l’affari de la casa. BARBETTI Spiegateve mejo, maestro, sta a voi si volete esse ricco! CUCCHIMETTO Ricco? BARBETTI Ma sicuro immensamente ricco. Eccheve intanto 5 lire per vostro incommido. CUCCHIMETTO (Accidenti a lo spreco! Me c’è voluta un’ala de fedico pe’ cacciajeli fora.) BARBETTI Voi la conoscete mi moje, è vero? Sciallo rosso, occhi neri, pelle bianca, abbito viola capelli castagnacci... CUCCHIMETTO ‘Sti connotati sò esatti? BARBETTI Esattissimi. Ce viè spesso qua? 3 Incajasse: accorgersi (cfr. Chiappini). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 172 28/11/13 12.44 . o 1. introduzione 173 CUCCHIMETTO Mai! BARBETTI Mai? CUCCHIMETTO Mai in parola da galantuomo. E perché volete che vienghi! In tutta la casa nun ciavemo antro che du’ ommini. BARBETTI Ma due abbasteno e avanzeno! CUCCHIMETTO Sicuro! Ma uno viaggia da un anno, e un antro è partito pe’ l’antri carzoni4 da du’ mesi! BARBETTI Davero? Nun m’ingermate5? CUCCHIMETTO Ingermavve? Ma pe’ chi m’avete preso? Credemme capace d’una cosa simile a me? Ah! Signore (piagnenno) Ah! Signore che acuta ferita che m’avete fatto! Ripijateve puro quello che m’avete dato... nun vojo più gnente... BARBETTI Ma levateve fateme er piacere! E anzi ecchevene un’antra de piastra perchè m’avete propio rimesso ar monno. CUCCHIMETTO Infatti se vede da l’aspettito. BARBETTI Eppoi adesso che ce penso, me sò scordato la chiesa de S. Maria in Cacaberis6. Doverebbe esse ita llà. Scappo a S. Maria in Cacaberis. (esce) CUCCHIMETTO Signore, dico signore, come se chiama? BARBETTI (ritorna addietro) Io? Barbetti Pasquale a li suoi commanni! CUCCHIMETTO Va bene sor Barbetti nun serve antro. Arrivederla. BARBETTI Addio. (va via de prescia) SCENA V Cucchimetto poi Bomba CUCCHIMETTO (va ner casotto e porta fori la Guida Monaci) Vediamo, vediamo Barbetti... (cerca in del libbro) Barbini, Barbuti, Barbati, Barboni!.. Ah! Barbetti (pija l’apise e scrive) Barbetti p che vordì pagato. Ossia contento e minchionato. (vedenno Bomba che cerca er nummero der portone) Un’antra persona... doverebbe esse un’antra posta certamente... famo vede che nun l’aspettamo. (se ne va in der casotto) 4 Annà a l’antri carzoni: andare all’altro mondo. Ingermà-inciarmà: incantare, ammaliare, dal francese charmer (cfr. Chiappini). 6 Antico toponimo che deriva dalla presenza nella zona delle botteghe di calderari fabbricanti di catini e vasi in rame, in latino cacabera. La chiesa fu demolita nel 1881 quando fu tracciata via Arenula. Se ne conserva tuttavia il nome nell’omonima strada, via di Santa Maria dei calderari. 5 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 173 28/11/13 12.44 174 introduzione BOMBA (furioso) Dunque è qui! La rabbia me se magna! Arileggemo!.. accusì me finisco d’arabbià. CUCCHIMETTO (guardanno dar finestrino) Bravo! S’aripassa la mi’ circolare... leggi, leggi bon’omo «Signore, una persona che vi sta a cuore v’inganna indegnamente...» BOMBA (leggenno) «Signora voi sete sensibile e bona e voi solo ahi purtroppo! averete pietade...» Pietede? Te le vojo dà io du’ pietade in der sedere. Seguitiamo... CUCCHIMETTO Bravo! Seguita! BOMBA «Pietade d’un amore infelice che nascondere io deggio al vostro consorte, a quel cane barbone... poiché io so che egli lui se ne piglierebbe... Nun posso quindi venire in casa vostra, ma se vi fosse possibbile di venirmi a trovare...» CUCCHIMETTO Quanto ce mette! Eh sbrighete «Ella si reca spesso e in segreto...» BOMBA E me chiamo Toto Cucchimetto... CUCCHIMETTO «Via de S. Francesco a Ripa n. 4» BOMBA Via de S. Francesco a Ripa n. 4! CUCCHIMETTO Là presentiamoci. (viè su la porta) Chi domanna signore? BOMBA Pst! Portiere viè qui! Viè qui! Pst! CUCCHIMETTO (maravijato) Come? BOMBA Accostete e parla! CUCCHIMETTO Nespole! BOMBA Parla te dico o te sotterro! CUCCHIMETTO (spaventato) Eh!... parlo, parlo! (Viva la faccia del sarcio piagnente!) BOMBA (Damoje 5 lire.) Fatte uscì er fiataccio, ma pe’ me solo. CUCCHIMETTO Sottovoce, parlamo puro! BOMBA Lei me tradisce lei, me disonora! CUCCHIMETTO Chine? BOMBA Lei m’ha lassato stammatina co’ la scusa d’annà in chiesa. CUCCHIMETTO (Puro quest’antra.) Infatti la scusa de la chiesa è ‘na scusa commida. BOMBA Ma io li scannerò tutti e due. A che piano sta er su’ comprice? CUCCHIMETTO Er su’ comprice! Nu’ lo conosco! BOMBA Ma corpo d’un tono, lo conosco io... pija la lettra; se chiama, se chiama... CUCCHIMETTO (da sé) (Cerca er nome in de la mi’ circolare...) BOMBA Ah! Se chiama... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 174 28/11/13 12.44 . - - 1. introduzione 175 SCENA VI Barbetti, Cucchimetto e Bomba poi Crementina e Luisa BARBETTI Nun ce l’ho trova! BOMBA ( fra sé) (Nun ce l’ha trova?) BARBETTI Nun c’erano antro che du’ vecchi, un gobbo e ‘no stroppio drento la chiesa... j’ho domannato er nome nun ereno lei, e desoprappiù stammatina come in dell’antre chiese nun c’è stata una donna! BOMBA (Una donna.) Cercate una donna? BARBETTI Sicuro, una donna che aveva detto a su’ marito che annava in chiesa. BOMBA (Come la mia.) BARBETTI Ma in chiesa nun c’è ita manco pe’ gnente. BOMBA (Come la mia!) BARBETTI Ma nun sa quela disgrazziata che su’ marito é venuto in chiaro de tutto. BOMBA Er fatto mio! CUCCHIMETTO Questo mó se crede che sii su’ moje. BOMBA Doverebbe esse lui er boja! BARBETTI E che si la trova l’ammazza tutti e dua! BOMBA L’ho ddetto e l’ho ggiurato! BARBETTI Che dite? CUCCHIMETTO Ve sbajate!... se sbaja... se sbajano tutti e tre. BOMBA Lasseme, lasseme che è llui propio! BARBETTI Sarebbe gnente lui quel figurino. BOMBA Sicuro, sò io, sò io. Areggeteme che sbotto!? CUCCHIMETTO Ma no, ma (se mette de mezzo). Stateme a sentì... BARBETTI Va’ via de qua. BOMBA Indietro portiere der diavolo! (se pieno per collo) CUCCHIMETTO Annatevene all’inferno! Va a fà bbene all’asini! Ve volevo fà capì che ve sbajate... (Bomba e Barbetti se lasciano annà) e che invece de du’ rivali sete du’ co... du’ compagni de sventura e voi m’accommodate... in ‘sto modo. (insegnanno Barbetti) ’Sto signore cerca su’ moje come voi cercate la vostra. BOMBA Ma pò sta? BARBETTI Ma potrebb’esse? BOMBA Sarebbe per mille diavoli possibile? CUCCHIMETTO Certamente. E de soprappiù le vostre moje sò innocente e pure come un bicchier d’acqua! BARBETTI Ma la lettra ch’ho ricevuta è chiara. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 175 28/11/13 12.44 176 introduzione BOMBA Puro la mia. CUCCHIMETTO Quarche brutto scherzo de quarche matto... e la prova ve la do io, dicènnove che io ve lo giuro che mai e poi mai le vostre du’ moje hanno messo er piede dentro a ’sto portone. BOMBA Ma dunque Luisa mia sarebbe innocente? BARBETTI Puro Clementina mia sarebbe una santa? CREMENTINA (de dietro) Addio, signore. BARBETTI Saette e furmini! CREMENTINA (c. s.) Addio, se vedemo! BARBETTI La voce de mi’ moje!! LUISA (c. s.) Nun v’incommodate, annate puro. BOMBA Corpo de mille bombe all’Orsini.7 La voce de Madama Bomba... Ah! La rabbia m’acceca! Se sarvi chi pò! (Crementina scegne le scale e esce dar portone) BARBETTI A quell’omo mio areggeteme che me sento morì! (casca fra le braccia de Bomba) CUCCHIMETTO Io puro me sentirebbe voja de fà antrettanto. BOMBA (a Barbetti) Dico quell’omo... quell’omo...! (Luisa scegne le scale e esce de prescia dar portone). Che vedo! Luisa... Luisa! CUCCHIMETTO Sì! Puro Luisa! BOMBA Ma state su un po’!... Io bisogna che je corra appresso, e je vojo fà una pubbricità in pubbrica Trestevere. (lo lascia e Barbetti casca per terra) Scappo. (se sente er rumore di una carettella che s’allontana) Troppo tardi, troppo tardi!... Ma me l’anno da pagà sangue der naso! Tutt’e dua! Lo conosco quell’infame! So er nome e qui l’aspetto! BARBETTI (piagnenno) Ah! Quanti pianti m’avrò da fà! (esce) BOMBA Sento proprio er bisogno de fà trentacinque o quaranta sanguigne a quarchiduno! (esce) SCENA VII Cucchimetto poi Matteo CUCCHIMETTO Erano le moje de loro!... Varda che combinazzione... faccio venì co’ la mi’ circolare ‘sti du’ mariti in de la casa indove le loro metà cianno proprio davero un contrabbarino... Ma per chi diavolo ce viengheno? Lo saperò!... Ma intanto la mi’ trovata me mette in 7 «Bombe all’Orsini»: espressione che fa riferimento alle bombe usate da Felice Orsini nell’attentato a Napoleone III (1858): bombe micidiali con innesco a fulminato di mercurio riempite di chiodi e pezzi di ferro. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 176 28/11/13 12.44 a - - - 1. introduzione 177 belli pasticci... ’Sta faccenna de stammatina puzza de corte d’Assise un mijo lontano. E sò arrivato ar B. Quanno sarò arrivato ar Z. Ah! Guida Monaci Guida Monaci. MATTEO Quele du’ donne sò uscite? CUCCHIMETTO Chi desiderate?... Ah! scusate nun v’ariconoscevo. MATTEO Sò venuto a ricommannavve da nun fà salì su da me antro che quelle du donne che sò uscite. CUCCHIMETTO Viengheno su da voi? MATTEO Sì, viengheno su da me! CUCCHIMETTO Davero? E me dichi un po’ Matteo ma quelle du’ donne ce viengheno in segreto? MATTEO Ner più gran segreto! CUCCHIMETTO Siccome l’ho viste riuscì tutte sospettose... MATTEO Pe’ forza! CUCCHIMETTO E staveno tutte e due insieme su da voi? MATTEO Ma sicuro! CUCCHIMETTO E nun ve ne vergognate de quello che fate? MATTEO Vergognammene? Ma io faccio er commido mio, non ho messo la socera. E anzi v’ariccommanno fino a quarch’antro giorno d’arimannà via tutte l’antre donne che me vieranno a cerca. CUCCHIMETTO Tutte l’antre? Ma che er signore è solito d’aricevenne assai? MATTEO Sfido! Puro cento ar giorno! Magara ce vengheno. CUCCHIMETTO (se lo guarda poi dice tra de sé) Puro cento ar giorno. A la larga! MATTEO Che ve fa caso? CUCCHIMETTO A me? Anzi! (Puro cento ar giorno... e poi dicheno de li mandrilli.) Ma dico e nun avete paura de li mariti? MATTEO Li mariti? Macché! Lo so che in generale poco ce tiengheno... CUCCHIMETTO Poco ce tiengheno? (Cento ar giorno! E come diavolo farà? Eppuro sta grasso e colorito.) Eppuro stammatina qua ce n’ereno massicci e grevi pe’ davero che staveno a fà le poste a le loro metà. MATTEO Diavolo! Li mariti de quelle donne? Nun fa gnente l’annerò a trova! CUCCHIMETTO ( fra de sé) L’annerà a ttrova? ( forte) Come, l’annerete a trova? MATTEO Ma sicuro, faccio sempre accusì. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 177 28/11/13 12.44 178 introduzione CUCCHIMETTO (fra de sé) (Bisogna che abbi inventato quarche porveretta pe’ carmà er rosore de li mariti... questo è un secondo Cajostro). MATTEO Sortanto cerco de nun fà scandali... perchè a divvela papale papale nun m’hanno dato incora er brevetto. CUCCHIMETTO (Er brevetto pe’ ingermà li mariti?) Ah! Ma questa é troppo grossa! MATTEO Perché? CUCCHIMETTO Nun ve lo daranno mai! MATTEO Nun se pò avé... ma a quarcuno però j’è stato dato. CUCCHIMETTO Aibbò! MATTEO J’è stato dato, ma sotto un’antra nomina, beninteso. CUCCHIMETTO Sfido nun ce metteranno mica signor Matteo; lo credo bbene! MATTEO Se sa! Generarmente è un brevetto come li permessi che danno a li fotografi... Come l’aveva accordato Pio IX a la bbona memoria der maestro mio. CUCCHIMETTO Come, er papa accordava certi brevetti? Lui... ah Pio IX, Pio IX! MATTEO Anzi, vojo annà a l’ufficio pe’ procurammene uno puro io... Se vedemo! (esce dar portone) SCENA VIII Cucchimetto, Totarella poi Luisa CUCCHIMETTO Io aresto intontito! Io resto de sasso! Io nun sò più io! Nun ce sò più Cucchimetti! Che tempi. Ma già da quanno che sò venuti questi nun me fa gnente specie! Che tempi! TOTARELLA (entra dar portone) Èccome... adesso sarete contento... me sò portata mi’ zia insieme co’ me! CUCCHIMETTO La zia? Mejo così. Armeno ’st’arispettabile signora me farà passà quarche cosa che me gira pe’ la testa. Indov’ella questa venerabbile zia? TOTARELLA Sta paganno er vetturino... Eh! È pratica de ‘sta casa, c’è stata tante volte. CUCCHIMETTO Gia c’è stata? TOTARELLA Si, ma no pe’ voi, manco sa che ce sete, eccola vardà. (entra Luisa) CUCCHIMETTO Signora (guardandola)... io... ciò. Dio! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 178 28/11/13 12.44 1. introduzione 179 LUISA Che v’ è successo? CUCCHIMETTO Ah! cielo di Dio! TOTARELLA Ma che avete? CUCCHIMETTO Ah! Dio del cielo! Quello che ho? Scusateme, signora, senza complimenti, voi sete stata qui stammatina? LUISA Ma sicuro! CUCCHIMETTO Al terzo piano? LUISA Che m’avete vista? CUCCHIMETTO E manco sò stato solo. Averessivo fatto mejo d’annisconnevve de più! TOTARELLA Co’ che aria je lo dite? Tutt’assieme che ha fatto poi de male? CUCCHIMETTO Come voi puro sapete? TOTARELLA Ma si! Mi’ zia m’ha confessato tutto... nun è forse una cosa naturale? È una debbolezza che ce l’ha fatta venì. CUCCHIMETTO Una cosa naturale? Una debbolezza? La chiama una debbolezza! Scusate, me ce vojo riccapezzà! La mi’ regazza trova la cosa naturale, la zia cià certe debbolezze, e er sor Matteo che sta aspettanno er brevetto... O io sò matto! oppuramente questo e un insogno! LUISA Ma sor Cucchimetto mio, sò cose che succedono tutti li giorni e gnissuno ciabbada più? CUCCHIMETTO Già, nun me fa gnente specie! Da quanno che sò entrati questi se ne vedono e se ne sentono... LUISA E quanno puro voi ve sarete ammojato vostra moje farà come l’antre... CUCCHIMETTO Mi’ moje? Dio ne guardi! È vero Totarella mia che nun è vero? TOTARELLA Che gnente v’arincrescerebbe? CUCCHIMETTO E me lo domannate? TOTARELLA Pe’ divve la verità, ho trovo la cosa tanto innocente, che ho pregato mi’ zia... anzi si voi... CUCCHIMETTO Io? Che?... TOTARELLA Si voi me date er permesso d’annamme a consijà un tantinello dar sor Matteo? CUCCHIMETTO Puro lei! Ma dunque quer diavolo l’affattura? Doverebb’esse un fattucchiere quel demonio dell’inferno. Tota ve provibbisco de montà un solo scalino de quela scala... TOTARELLA Me lo provibbite? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 179 28/11/13 12.44 180 introduzione CUCCHIMETTO Ma disgraziata! Un abisso ti aspetta su al terzo piano. TOTARELLA Ma voi sete matto! E siccome io nun sò ancora vostra moje e voi nun me potete commannà, io ciannerò ciannerò, ciannerò! Musica N. 5 (Terzetto) TOTARELLA Ciannerò – pe’ dispetto. Ve l’ho detto - e lo farò LUISA Ciannerà – pe’ dispetto. Ve l’ha detto - lo farà. CUCCHIMETTO Ma viè qua - nun ciannà. Ma te pare - che pò stà. LUISA e TOTARELLA Vecchio matto - dispettoso e bavoso - che non più! CUCCHIMETTO (trattenendola) Alò fermete resta giù e lassù nun ciannà. TOTARELLA (cerca d’ annassene) No, lassateme vado su io quaggiù nun ce sto! Luisa e Tota vanno su pe’ le scale. CUCCHIMETTO Dio de li Dei che m’è toccato a vede! Oh! sposi; oh! mariti miei confratelli! SCENA IX Bomba e Cucchimetto BOMBA ( furioso) Nun è ancora aritornata! CUCCHIMETTO Ecco l’amico Bomba che sputa veleno! Er zio de la mi’ regazza... Benone! Lo vojo scatenà addosso a Matteo. Sor Bomba!... BOMBA Nun ho ancora potuto mette l’ogna addosso a quella boja; ma me vojo vennicà cor compare! CUCCHIMETTO Bravo, bene!... E gnente misericordia gnente pietà... Nun c’è da perde tempo! È l’omo er più boja de la terra! BOMBA Ma metteteve puro in pace che ammazzà l’ammazzo. Indove scappa? Pe’ ‘ste mane ha da morì. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 180 28/11/13 12.44 1. introduzione 181 CUCCHIMETTO Bravo, perdína8! Vendetta tremenda! Giuramo de scannallo o vivo o morto. BOMBA ( furioso) Ah! Cucchimetto, Cucchimetto! CUCCHIMETTO (indiferente) Comanda? BOMBA Cosa? CUCCHIMETTO M’avete chiamato! BOMBA Ma no, io ho detto: Cucchimetto, Cucchimetto! CUCCHIMETTO Embè: ah! Cucchimetto, Cucchimetto. Me chiamate e io v’arisponno! BOMBA Voi?... Ve chiamate Cucchimetto? CUCCHIMETTO Me chiamo Cucchimetto. BOMBA Cucchimetto Antonio? CUCCHIMETTO A li su’ commanni! BOMBA Ah! Corpo d’una bomba! Lo sai chi sò io? Sò Bomba, er marito de Madama Bomba che mi ha tradito pe’ causa tua. CUCCHIMETTO Io! BOMBA Un’arma, una spada, un fucile, una pistola, uno spido! Ce l’hai un’arma tu? CUCCHIMETTO Io ve posso dà un par de forbice! BOMBA Te vojo assotterrà! Perché sei un brigante, scellerato, un assassino! Perché finalmente sei tu che hai scritto quella lettra; e io bisogna che t’ammazzi subito. CUCCHIMETTO (impiantato) Dico, nu’ lo potressimo arimette a n’antra circostanza? Perché ecco, nun nego d’avé scritto quela lettra lì, ma bisogna che sappiate che è un affare de commercio, una bbona speculazzione. BOMBA Una speculazione? Ma io aresto maravigliato de nun avello incora scannato! CUCCHIMETTO E io ve ne faccio li mi’ rallegramenti. BOMBA Finimola. Tu adesso me vierai appresso e nun te lascio finchè o tu o io non resti morto. CUCCHIMETTO Ma nun sarebbe mejo a rimettello a oggi? Doppo pranzato; a stommico pieno... BOMBA Tu dunque hai paura, vile... CUCCHIMETTO Ma sicuro ch’ho paura. BOMBA E me mettevi su pe’ vennicamme? CUCCHIMETTO Pe’ vennicavve sí, ma contro er su’ comprice! 8 Esclamazione. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 181 28/11/13 12.44 182 introduzione BOMBA Ma si er comprice sei tu? CUCCHIMETTO Io? BOMBA Tu! CUCCHIMETTO Io? Ma annate! V’ho scoperto l’artarino, ma non v’ho ddetto chi era er prete. BOMBA Chi era er prete? Ma dunque chi è? CUCCHIMETTO Ce vo tanto? Ecchelo perdìna! (se mostra Matteo) SCENA X Gli stessi e Matteo BOMBA Lui? El sor Matteo? CUCCHIMETTO (Lo conosce.) MATTEO Uh! Varda chi se vede, e1 nostro caro Bomba! CUCCHIMETTO (Come sò nemmichi, se saluteno, se danno er cinquanta.) BOMBA Bongiorno, bongiorno sor Matteo! CUCCHIMETTO (Caro sor Matteo!) MATTEO Com’ è che state tutto aggitato? BOMBA Perché? Perché ho scoperto un macchiavello, una trama contro la pace de casa mia! MATTEO Possibbile? CUCCHIMETTO (Je l’aricconta e lui se ne meravija?) BOMBA Ma ho scoperto tutto... Quela disgraziata de Luisa me tradisce, e pe’ ‘sto miserabile portiere. MATTEO Davvero? CUCCHIMETTO Nun je date retta... BOMBA Sst! S’è azzardato de scriveje ‘na lettra d’amore e lei è vienuta qui a l’appuntamento. CUCCHIMETTO A lei?... D’amore?.. BOMBA ( furioso) Già te! CUCCHIMETTO Adesso ho capito perchè sete inquieto, voi avete aricevuto quela lettra e ve sete creso che era pe’ vostra moje, e siccome lei veniva in segretezza a casa der sor Matteo. MATTEO (je fa segno de stasse zitto) Sst! Sst! CUCCHIMETTO L’aridìco già, in segretezza dar sor Matteo. M’avete incolpato a me er futuro marito de vostra nipote! Perché finalmente ‘sta lettra ve l’avevo scritta apposta pe’ domannavvela pe’ sposa. BOMBA Pe’ sposa mi’ nipote! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 182 28/11/13 12.44 n 1. introduzione 183 CUCCHIMETTO Già vostra nipote... che je volevo bbene prima che er sor Matteo me l’ingermasse, come ingerma tutte l’antre. BOMBA E mi’ moje annava dar sor Matteo? MATTEO Sicuro veniva da me in segretezza. CUCCHIMETTO (E je lo dice in faccia!) BOMBA Ah sor Matteo, m’averebbe da inquietà assai co’ voi. CUCCHIMETTO (Ma certamente.) MATTEO Sarebbe tempo perso... via caro sor Bomba siate un po’ più bbono... mica poi è un delitto... BOMBA Nun dico questo, nun dico questo. Certamente io nun sò un marito ridicolo... CUCCHIMETTO (E come te lo doma.) MATTEO Le visite che me fanno ‘ste donne nun fanno mica danno a la pace de casa. BOMBA Per questo lo so, lo so! CUCCHIMETTO (L’ha bello che addomato. È fatta.) BOMBA Er torto che cià mi’ moje è de nun avemme chiesto er permesso. CUCCHIMETTO (Je l’avrebbe dato). Je l’avressivo dato eh sor Bomba? BOMBA Ma certamente, su quarche cosa de la moje bisogna passacce sopra... CUCCHIMETTO (Ciarisemo via. Ariecco li nimmi9 che ricominceno.) SCENA XI Barbetti, Clementina e Detti BARBETTI (entra sotto al braccio a Crementina) Ah! Eccolo! CUCCHIMETTO (Ariecchete er salice piagnente!) BARBETTI (alegro) Signori, ho l’onore de salutarve! CUCCHIMETTO (Nun piagne più.) Ve sete consolato? BARBETTI Ma sì, ma sì! Subbito che ho saputo che mi’ moje annava a casa del sor Matteo... CUCCHIMETTO E ‘sta cosa v’ha rimesso er core in pace? BARBETTI Antro che in pace! Sò abbituato a mi’ moje de levajela da la testa ‘sta piccola fantasia. 9 Nimmi: enigmi. La parola, non presente né in Chiappini né in Ravaro, è attestata nel sonetto di Giuseppe Gioachino Belli Er zor Diego acciaccatello del 26 maggio 1837, al v. 7, e che Belli spiega in nota con “enimmi”). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 183 28/11/13 12.44 184 introduzione CUCCHIMETTO E va bbene! Benone! Benissimo! CREMENTINA Ma voi intanto v’erivo creso... brutto... BOMBA Come io m’ero insospettito de mi’ moje. BARBETTI Mettemoce ’na pietra sopra! Dar momento che saperemo che era lui nun se ne parli più... A proposito, caro amico, ve do ‘na bbona notizia... quell’amico m’ha mannato a bottega er brevetto che aspettavio. Eccolo! CUCCHIMETTO (Er brevetto). MATTEO Finalmente poterò esercità liberamente e in santa pace! CUCCHIMETTO (Oh! Er guverno, er guverno!) Che tempi! Che gente questi! Che gente! MATTEO Adesso la mi’ fortuna è fatta! CREMENTINA A proposito me sovviè che co’ lui ciavemo da regolà un certo conticino. Paghelo Barbetti. BARBETTI Eccheme qua. (pija li quatrini) CUCCHIMETTO (Lo paga puro! Ah! ah! ah! me ce vojo fà poche risate). BARBETTI Quant’è? MATTEO Dodici lire. BARBETTI Dodici? Ah! Già, perchè mi’ moje paga ogni mese... CUCCHIMETTO (È puro abbonata! Ah! ah! ah!) SCENA XII Luisa, Tota e Detti LUISA (scegne le scale co’ Tota e dice a Matteo che je viè davanti) Ah! Eccheve qua sor Matteo. V’avevo aspettato poco io e mi’ nepote... (vede Bomba) Mi’ marito?.. TOTARELLA Mi’ zio? LUISA Adesso ho capito... me sete venuto appresso pe’ famme le poste? BOMBA Io? Pe’ gnente affatto... ( fra sé) (Nun je dimo gnente del sospetto). Sò venuto a informamme der futuro sposo de vostra nipote. LUISA E je date la dote? BOMBA Sicuramente. CUCCHIMETTO Ciovè, ciovè... c’è sortanto ‘na piccola dificortà! TOTARELLA Che gnente gnente ancora l’avete con me?... Via su sete bbono, e ve prometto che nun lo farò mai più... CUCCHIMETTO (Basta a falle ’na vorta sola quele cose llí). TOTARELLA Intanto quello che volevo sapé l’ho saputo. Siccome er Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 184 28/11/13 12.44 1. introduzione 185 sor Matteo nun veniva, avemo trova aperta la cammera sua, semo entrate, e mi’ zia m’ha fatto le carte lei in persona. CUCCHIMETTO Come? Scusate le carte?... (a Matteo) Ma come, voi fate le carte e dite la ventura a le regazze? MATTEO E insino a qui de che avemo parlato? CUCCHIMETTO Ma varda er destino! Gente mia scusateme. Ve chiedo millanta scuse... LUISA Ma che v’erivo creso dunque? CUCCHIMETTO Io? Gnente, ero matto!... Totarella io me te sposo e rinunzio al mi’ progetto. L’onestà de le donne è tale e quale a un rivorvero, nun bisogna scherzacce tanto. (ar pubblico) E si fra tutti ‘sti signori a le vorte ce fusse quarche A o quarche B che avesse ricevuto la mi’ circolare nun vienga a parlà col portiere perché nun ce lo troverebbe più, prende moglie e mette tanto de catenaccio. Musica N. 6 (Finale concertato) TOTARELLA Si mai per caso gente mia care la circolare ve capitò, presto stracciatela a pezzettini e poi buttatela presto a brucià; e risparmiatece la vostra collera nun ce fischiate per carità! TUTTI Risparmiatece - la vostra collera. Non ce fischiate - per carità. Fine del bozzetto Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 185 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 186 28/11/13 12.44 L’AMORE IN TRESTEVERE Scenetta originale in dialetto romanesco Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 187 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 188 28/11/13 12.44 1. introduzione 189 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa conservato nella BA. Misc. B. 383: Giggi Zanazzo, L’amore in Trestevere. Scenetta originale in dialetto romanesco, Roma, Cerroni e Solaro Editori, Piazza Colonna 358, Corso V. E. 26 – Via del Corso 219, Laboratorio Tipografico di Cerroni e Solaro, 1888. [Nel verso del primo occhiello:] Proprietà letteraria dell’autore. [Nel verso del frontespizio:] Rappresentata per la prima volta in Roma nel Teatro Rossini la sera di Venerdì 2 Dicembre 1887, alla presenza di S. M. la Regina d’Italia e di S. A. R. il Principe di Napoli, nell’Accademia data da Giggi Zanazzo a beneficio dell’Infanzia Abbandonata, sotto il protettorato di S. E. Don Fabrizio Colonna Principe d’Avella.[Dedica nel secondo occhiello:] A la Sora Agnesa Bianchini che la parte de Nina recitò a pennello. L’opuscolo, pubblicato in occasione della rappresentazione, reca nella tavola dei personaggi anche il nome degli attori: Agnese Bianchini, Giggi Zanazzo. Altra stesura nell’esemplare: BA. Ms 2414. Un quaderno di 8 cc. (mm 333x230), composto da 4 fogli rigati e raccolto tra 2 carte di guardia. Cc. 477-484: le ultime 4 cc. bianche. Calligrafia autografa. A c. 477, in alto a sinistra prima del titolo, annotazione a matita di altra mano: «già rappresentata e in repertorio». Tra le due redazioni si è scelta quella pubblicata dallo stesso autore. Delle varianti più significative si dà notizia in nota. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 189 28/11/13 12.44 190 introduzione Personaggi NINA GIGGI LA MADRE DE NINA, che nun se vede ma se fa sentì1. Er fatto succede come ar solito a Roma diversi anni addietro (mó semo nell’88)2. 1 2 In BA. Ms 2414 (poi sempre Ms): Una voce di dentro. Ms: non è presente questa didascalia. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 190 28/11/13 12.44 1. introduzione 191 SCENA UNICA Una piazzetta de Trestevere, a sinistra der pubblico una scaletta che va sur un mignano.3 Se sta ppe’ ffà notte. Ammalappena s’arza er telone se sente de drento la casa Nina che canta ‘st’aritornelli. Fior de bambace in cielo c’è ‘na stella ch’ariluce: sarà l’amore mio che vò ffà ppace. Quanti sò belli l’ommini moretti, e specialmente quelli ggiuvenotti, ve fanno innamorà li soli occhietti. Rosa indorata; evviva la RIGGINA MARGHERITA, UMBERTO PRIMO4 e tutta la su’ armata Giggi solo poi Nina GIGGI (vestito a la carettiera5 in der vienì in scena dà una smicciata a la casa e ppoi fischia, ma siccome nun j’arisponne gnisuno arifischia ’n’antra vorta; Nina séguita da drento a cantà; Giggi fa ‘n’atto de rabbia e s’appoggia ar parapetto der mignano – un po’ de pavusa – poi arifischia) NINA (s’affaccia ar mignano tutta indiferente e guardanno Giggi je fa) Ah! Sete voi?! GIGGI (tra de sé) Oh! Manco male che je l’ha fatta! NINA (scegne la scala piano piano. Se danno ‘na bbona guardata tutt’e ddua senza disse gnente poi Nina fa) E che nova da ‘ste parte? Me credevo propio da nun vedevve ppiù! Già m’ero data er core in pace. GIGGI Averessivo fatto bbene. Accusì avevo da fà ppuro io; ma quanno qua ddrento (insegna er core) uno ce se sente qualche cosa, ce se sente; abbasta lo so io, lo so, nu’ le pò abbozzà certe bbojerie! 3 Balconcino. Il maiuscolo è del testo. Ms: non sono presenti i ritornelli. 5 Ms: a la paina. Paino: Bellimbusto, elegantone. 4 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 191 28/11/13 12.44 192 introduzione NINA (sminchionata 6) Davero? Sò bboni li facioletti? GIGGI Già, perché certe lettre accusì fulminante come questa (caccia ‘na lettra) nun se manneno de punt’in bianco a un ggiuvenotto come che mmene; a un carettiere de professione7! E aricordateve che io sò un ragazzo che ssi ppe’ fortuna ce potessi avé tutti li sordi che bbutto a mezze fojette che pago a l’amichi a ‘st’ora ciaverebbe quarche ppiastra e quarche ppiastra da parte! NINA (sminchionata 8) Mejo pe’ vvoi! Sbrigateve che mi’ madre sta a mmette a lletto quele crature e si nun sia mai viè de llà e nun me ce trova se pò inquietà! Diteme che ve s’è sciorto! GIGGI A mme? gnente! Ve volevo sortanto aribbatte l’affare de la lettra, e de favve considerà da voi si ssò queste le lettre da mannasse a un giuvenotto come che mmene. A vvoi, rileggetela bbene e dditeme che ve ne pare! NINA Io nun ciò tempo da perde! GIGGI Allora vordì che me la leggerò da me. (legge) «Carissimo amante. Ve faccio consapere che siccome ho saputo pe’ pparte de mi’ sorella cugina Tuta, che nun sò si vvoi la conoscete, la moje der sor Onofrio, che jerissera voi stavavio in de la bottega der tripparolo in Panìco a sgrinfià9 co’ quela bbella gioja de la su’ fija e che je dassivo insinenta un pizzico e che poi quanno Tuta ve fece dice: Bravo sor Giggi, mó vado a fà la spia a la vostra regazza, lei se n’uscì de fianco cor dì: Ditejelo puro a quela civettona. Dunque pe’ la quale io no ne voglio più sapere gnente affatto de voi, il quale mi farete il santo piacere de nun seccamme ppiù e de nun mette ppiù piede drento casa mia. Addio, addio state bbene e suono la vostra infelicissima amante Nina Pappini. Salutateme vostra sorella Marietta e diteglie che doppo domani l’aspetto a ccasa. Addio. Fine». NINA Mbè! Che nun v’aribatte? Annate annate puro a ddà li pizzichi a Giggiona, intanto a mme nun me ne preme affatto. Che siate scandalo voi e llei! GIGGI E ddico, ce volete puro bbatte de cassa? 6 Ms: ironica. Ms: A un giuvenotto de core e ppe’ de ppiù istruvito. Aricordateve che io ho fatto tre anni er sordato e lo so ce lo so si cche vor dì. 8 Ms: scanzonata. 9 Amoreggiare. Ms: ruzzà. Ruzzà: scherzare, stuzzicare. 7 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 192 28/11/13 12.44 a e 1. introduzione 193 NINA Sicuro! Che nun v’aribbatte? Gnente gnente me lo voressivo negà? GIGGI Piano! Io nun dico questo! (mettendose ‘na mano sur petto) e sarebbe un boja si lo negassi! Ma quello che nun posso mannà ggiù è l’affare der pizzico! E l’affare der pizzico sò du’ giorni che mme sta qui e nu’ lo posso ignotte! NINA (sminchionata10) Povero rintorcinato! GIGGI (co’ calore) E je vorrebbe dì a ‘sta sora Tuta, spiàccia nata, sí ccome pò ffà a inventasse certe bbojerie; perché finarmente poi è vvero che je sò ito avanti co’ le mano, ma pperò fu ppe’ famme dà ‘na spilla. NINA Scuse magre! GIGGI E vvoi allora nun ce credete! NINA Insomma a le corte; la confidenza c’è stata, ecco er busilli. GIGGI Che confidenza nun se sa! NINA Sicuro, confidenza! E anzi da ‘sto momento in poi nun me venite più intorno, cercate a squajavve, perché vardà (fa un gesto) ciò fatto tanto de crocione. GIGGI E quanto me ne preme. Vederete che dde regazze drento Roma nun ce sarete antro che vvoi! NINA E chi se n’importa? E ppoi ssi ssete stufo a mme me sa mill’anni! GIGGI E io nun vedo l’ora! NINA Figurate chi tte sente! GIGGI Sììì! NINA Davero? GIGGI Allora addio! NINA Se vedemo scuffia!11 GIGGI Addio bavutta12! (s’ incammina) NINA (che vede che se ne va pe’ davero je fa) E ddico adesso ve n’annate accusì, senza dimme nì asino e nì bbestia? Varda facce che caccia Ghetto! Io nun so cchi mme tienga da nun sfasciaje er grugno a quer bbabbuino13! GIGGI E voi sfasciatemelo! NINA E ssì, sta a vvede adesso che averebbe paura de te! Mannaggia Giuda14! Te vorebbe mette un deto in der naso e n’antro in d’un orecchia e portatte in giro pe’ manicotto. 10 Ms: scanzonata. Espressione ironica rivolta a persona che dice sciocchezze. 12 Velo usato dalle donne romane per coprirsi il capo quando entravano in chiesa e, per estensione, un copricapo femminile ridicolo, fuori moda. 13 Ms: er grugno a ‘sta facciaccia de Pasquino! 14 Ms: Mannaggia li cani. 11 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 193 28/11/13 12.44 194 introduzione GIGGI Accommidateve puro! NINA Dimme civetta a mme! a mme!! Ma diteje a quela scannata che sse sciacqui la bocca coll’acqua de raso e che preghi er su’ Ddio che nun l’incontri sinnò ‘gni serciata à d’annà a llecco15. GIGGI Adesso presempio me calate! NINA Ahò! Sai che tte dico? Che nun me farai sartà de ppiù la mosca ar naso, che sinnò ssò ffigura16 caso caso, bello che ppe’ strada de famme giustizia co’ le mi’ mano. ( fa l’atto de menaje17) GIGGI E vva bbene! Volete parlà sempre voi! Prima de menà però se ragiona! NINA Raggionà co’ ‘n’omaccio che doppo che me ce fa er tosto ce parte insinenta co’ lo stà quinnici giorni senza fasse vivo!? GIGGI Sicuro! NINA E cce vò ppuro avé raggione che è peggio! VOCE DE DRENTO Ninaa! Ninaaa! NINA Ma a tte bbello mio, sai che tte puzza? Er ben stà!? GIGGI Sarà accusì! NINA Però t’hai da mette in testa che si me te vòi sposà a mme, hai da lassà annà le sguardrine sinnò tte ggiochi ‘na brutta carta! GIGGI Diteme si da quanno se parlamo chi antra sguardrina ciò avuto a l’infori de Vittoriona Berpelo e Giggetta la Mapponcina che cciò ffatto l’amore prima de voi? NINA Avete fatto l’obbrigo vostro! VOCE DE DRENTO Ninaa! Ninaa! NINA Èccheme mamma! GIGGI Se sa ch’ho ffatto l’obbrigo mio, chi vve dice er contrario? NINA Manco male che v’ariconoscete! GIGGI Allora? NINA Allora... allora... n’ariparleremo! Abbasta però che me promettete?... GIGGI Ve lo giuro! NINA Allora se semo intesi. (monta qualche scalino de casa – pavusa) GIGGI E ddico ve n’annate accusì senza dimme addio? 15 Annà ar lecco: colpire nel segno. Esse figura de: essere capace di. 17 Ms: (mettennose la mano sullo spadino). Spadino: ornamento femminile: lungo spillone a foggia di sottile pugnale, che le donne usavano per tenere ferma sui capelli la ‘cartonella’, una sorta di panno ripiegato che fungeva da copricapo. 16 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 194 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 195 NINA Allora addio! VOCE DE DRENTO Ninaa? Ninaaa!? E smovete ciovetta! GIGGI Allora ggià che ssì, armeno dico dateme er cinquanta. NINA Veramente nun ve lo meriteressivo! GIGGI Eh llà!... NINA Abbasta pe’ ‘sta vorta. (je dà la mano) GIGGI Sicché m’avete perdonato? VOCE DE DRENTO Ninaa! Ninaaa! Viè ssu che er pupo piagne. GIGGI Ma che vvò vostra madre? E diteme un po’, allora quanno s’arivedemo? NINA Venite un po’ domani. GIGGI Ma ddico però nun vojo vede mutrie! NINA No, No. (ride) GIGGI (alegro) Ah, ridete! Boja, bbojaccia! NINA (c. s.) Subbito che conoschi er debbole mio apposta te n’abbusi. VOCE DE DRENTO Ah Ninaa! Ah Ninaaa! GIGGI Allora se vedemo! NINA Allora addio! GIGGI A domani! (Nina salisce diversi scalini) Addio Ninetta! Eh! Dico nun me fate sta più in pena come ‘sta vorta... NINA No, no! GIGGI Sentite Nina, giacché avemo fatto pace, fateme er piacere dateme quer fiore che portate in petto. (appassionato) NINA (amorosa) Ecchetelo! GIGGI (c. s.) Dateje prima un bacetto voi. (Nina lo bacia) E adesso un antro je lo do io! Addio ciumaca! NINA (co’ trasporto) Se vedemo! (se guardeno amorosamente – pavusa) VOCE DE DRENTO Ah! Ninaaa!!! GIGGI (a la voce seccato) E va a mmorì ammazzata!! - Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 195 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 196 28/11/13 12.44 ‘NA DICHIARAZIONE D’AMORE PE’ LA REGOLA Scenetta dar vero Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 197 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 198 28/11/13 12.44 1. introduzione 199 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 11 cc. (mm 310x215), composto da 5 fogli tipo protocollo più 1 c. sciolta, contenente due stesure della stessa scenetta. Trascritta la prima stesura: 6 cc. (608-613). Calligrafia autografa. Sul frontespizio, in alto a sinistra, annotazione a matita di altra mano: «copia buona / già rappresentata?» La seconda stesura è nello stesso quaderno (cc. 615-619). È priva di frontespizio e reca un titolo diverso: La dichiarazione d’amore pe’ li Monti. Sono presenti varianti minime salvo le didascalie che, tranne poche eccezioni, in questa versione sono in lingua. Le due redazioni divergono del tutto nel finale: senz’altro lieto nell’una, più rassegnato nell’altra (vedi pag. 127 nota 1). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 199 28/11/13 12.44 200 introduzione Personaggi CREMENTINA CENCIO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 200 28/11/13 12.44 1. introduzione 201 ATTO UNICO ’Na piazza: a dritta ‘na scaletta che porta a la casa de Clementina; in fonno ‘na funtana; a mmancina ‘na bbottega da falegname. SCENA UNICA CREMENTINA (sta empenno la brocca a la funtana) CENCIO (in manica de camicia e un bberretto de carta in testa sta guardanno co’ ppassione Crementina. Pausa) Ecchela llà quella che mm’ha stregato; ecchela là quella che nun me dà ppace nì notte e nì ggiorno!... E io, minchione, imbecille, pezzo de somaro, nun sò bbono a ddije: «Ve vojo bbene: volete fà l’amore co’ mme?» Tante vorte sò stato llì llì ppe’ ffermalla, pe’ ddijelo e nu’ mm’è mmai abbastata l’anima. Quanno sto p’oprì bbocca, abbasta che llei me guardi, che ssubbito me s’inciafruja la lingua, e le parole me moreno su le labbra. Che vvolete, è ttanta scontenta tanta superbia, che ll’omo er più coraggioso nu’ je la farebbe!... Ih cche ppossi esse bbenedetta! Ciumaca mia, nicchia de ‘sto core!.. (se vorta e vedenno Crementina che vviè avanti scappa drento bbottega e sse mette a ffà capoccella) CREMENTINA (co’ la bbrocca piena d’acqua si dirigge verso casa) Accidenti ar Municipio e a ll’acqua Marcia! Hanno fatto certe funtanelle pubbrighe che bbutteno a oncia a oncia. Pe’ j’empì ‘na bbrocca d’acqua ce vò un secolo. E cco’ ‘sto callo che ffa nun se fa ttempo a pportà ssu acqua. Quanto m’ha rotto er guitarino ‘sto fa’ ssu e ggiù! Abbasta annamo un po’ sinnò mmó la sentimo la quaja cantà. (nel vortarse vede Cencio, che la guarda) Ecchetelo tiè! Stavo co’ ppena. Sì guarda, guarda. Ah! Mmagna maccarò! È ttanto bber ggiuvinotto e ttanto cardeo. Je leggio in de ll’occhi che mme vò ddì quarche ccosa, e nun cià ffaccia... Manco si fussi ‘na femmina! Me fa ‘na rabbia ‘na rabbia!... Figurete che, ssi mme stassi bbene, je lo direbbe io si vvò fà l’amore co’ mme! E llui invece!... (ride) Si cce ne sò dd’ommini minchioni quello è ll’asso. (s’ incammina) CENCIO (esce arisoluto da la bottega) Sora Crementina... scusate; permettete quanto... v’appunto ‘na parola? CREMENTINA (indifferente) Padrone. CENCIO (apre la bocca pe’ pparlà mma ar solo oprì l’occhi che llei je fa in faccia, abbassa l’occhi e pperde la parola) CREMENTINA Era questo quello che mme volevio dì? Me piace assai, è ppropio bbello! Ho ccapito. Arivedella. (scanzonata) Si vediamo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 201 28/11/13 12.44 202 introduzione CENCIO (fa un movimento arisoluto come pe’ dije quarche ccosa ma ppoi se confonne e ddice)... Che ccallo che ffa oggi! Me fate er piacere de famme attaccà alla bbrocca? CREMENTINA Fate puro. Tanto l’acqua nun costa gnente. CENCIO (s’attacca a la bbrocca e bbeve a sorsi. ‘Gni sorso s’afferma, p’aripijà ffiato. Finito ss’asciuga le labbra co’ la manica de la camicia) Grazie. Apposta dunque me la favorite, perché nun ve costa gnente? CREMENTINA Se capisce! Me serve ggiusto pe’ ffà ‘n’opera de misericordia. Dice: «Dà dda bbeve a l’assetati...» CENCIO Vesti l’ignudi... CREMENTINA Si! E spoja li vestiti. CENCIO Sempre accusì scontenta! CREMENTINA Eh, cche cce voressivo fà? Nojantre romane ce nascemo tutte accusì. Ssarà l’aria!... Mbè, allora, se vedemo... CENCIO (confuso) Andove ve n’annate? CREMENTINA A spasso p’er Corso, co’ la bbrocca nu’ la vedete? Sapete quanto sarebbe carina: ma ddico, andove state co’ la testa? CENCIO (c.s.) Ah, è vvero; nun ce pensavo. CREMENTINA Subbito che state sempre co’ l’angeletti. CENCIO Eh cche vvolete! Quanno uno cià la mente fissa sempre su ‘na cosa, che nun vede antro che llei, che nun pensa antri che a llei... CREMENTINA (scanzonata) A cchine? CENCIO A vvo’... (ripijannose subbito) A quella cosa. CREMENTINA (c.s.) Ggià che in cammera ariposa!... Abbasta: fatemene annà ch’a mmomenti spara cannone e incora nun ho schiumato la pila... Mica sò ccome vvoi che nun avete da fà gnente. CENCIO (mortificato) Adesso perché cce sò ppochi lavori. Nun è dda dì cche io nun ci abbia fantasia; lo vedete voi che llavorà llavoro sempre... Io mica sò un giuvenotto sciupone... Tutto quer poco che gguadambio me lo metto da parte pe’... CREMENTINA Che ppensate a ppijà mmoje? CENCIO Sì; cciovè, sì! Incora no; pperché vveramente, incora... nun c’è nì principio, nì ffine. CREMENTINA E cchi è ‘sta bbenedetta pozzi esse? CENCIO Ve l’ho ddetto incora nun ce ll’ho. CREMENTINA E allora? CENCIO Ciovè, pper aveccela ce ll’ho, ma pperò qua, in de la mente. CREMENTINA E cchi è quarche intitolata che nun ve vò ddà retta? CENCIO Ma cche intitolata nun se sa! Sortanto che è ttanta bbella, tanta bbella, come ‘na madonna; e io... io... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 202 28/11/13 12.44 . u , 1. introduzione 203 CREMENTINA E vvoi? CENCIO Nun me vedete? Sò ttanto bbrutto a pparo a llei, che mme ne vergogno de dije si vvò ffà l’amore co’ mme. CREMENTINA ( facennose coraggio) Voi bbrutto?! Ma vvoi anzi sete un ber giuvenotto, un ber moretto che ppagherebbeno tante e ttante regazze d’avévvece pe’ regazzo. CENCIO (c.s.) Davero, davero? CREMENTINA Ma ssicuro. CENCIO (arisoluto) Mbè allora senti,... senti... (Mó je lo dico e bbona notte.) senti. CREMENTINA Eh sbrigateve! (sgarbata) CENCIO (avvilito) Senti... Ve volevo dì... Uh Ddio che arsura! me fate er piacere, me fate fà ‘n’antra ingozzata d’acqua? CREMENTINA ( fra ssé) (Ciarisemo!) Fate puro. CENCIO (pija la brocca fa una bevuta come pprima) CREMENTINA (Auffa li meloni!) CENCIO (j’aristituisce la bbrocca e ss’asciutta le labbra con la manica de la camicia) Ah! Com’è ffresca ‘st’acqua. CREMENTINA Ce fate ‘na forza a ddillo, l’ho ppijata adesso... Allora, io vado... CENCIO Aspettà... E ddite, vostra madre come sta? CREMENTINA Bbenone! Anzi fateme annà ssu; pperché si nun me vede, pò escì ffòra, e allora me ce fate pijà er viam pacis. CENCIO Che è ttanta scontenta? CREMENTINA Talecquale a mmene. Sapete come dice er proverbio: talis madris talis fijas... E ppoi nun vorebbe che ppassassi de qua llei e cce se pijassi ggelosia... CENCIO Nun c’è ‘sto pericolo. CREMENTINA Fatemela conosce vardà! Mme piji ‘n’accidente si nun ve la faccio io ‘sta ruffianata. CENCIO Ma ssi vve dico che nun ce ll’ho. CREMENTINA Aridaje! Ma ssi vve se vede in dell’occhi che vvoi sete innammorato come ‘na gatta in der mese di gennaro. CENCIO E a vvoi intanto che vve ne preme? CREMENTINA A mme? Gnente affatto. Ma ccapirete che mme fa ccosa a vvede un pezzo de ggiuvenotto accusì grosso... accusì... CENCIO Minchione, volevio dì? CREMENTINA Bravo! Nun m’azzardavo a ddivvelo; ma ggiacché l’avete indovinato, ve l’aridico: un giuvenotto minchione. CENCIO Embè cche cce volete fà? Quanno uno nasce accusì ttimido... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 203 28/11/13 12.44 204 introduzione CREMENTINA More cardeo. Questo ggià sse sarta quanno se bballa. CENCIO Bbeata voi che ssete accusì alegra! CREMENTINA Io?! Ih ffamme esse a vvoi! A ‘st’ora averebbe arivortato mezzo monno! Le regazze, m’averebbeno da ggirà intorno come le lape! Appena ne vederebbe una un po’ cciumamaca, l’imposterebbe pe’strada, e llì ccome ddua e ddua fa quattro, la fermerebbe, e jé direbbe ippesi fatto: «Bbella mia, volete fà l’amore co’ mme?» (dà un urtone a Cencio) Eh smoveteve, sangue de ll’ojo! Smoveteve! Io moje vostra, li cacchiotti, v’averebbeno da servì ppe’ ccompanatico. CENCIO ( facennose coraggio) Magara! Me li pijerebbe e vve ce farebbe puro la ricevuta de sardo. CREMENTINA Ma, ppe’ ddisgrazia, sò nnata donna e quello che sta bbene a un omo nu’ sta bbene a nnoi. CENCIO Ggià: cce vorebbe che io stassi in de li panni vostri e vvoi in de li mii. CREMENTINA (scanzonata) Sai che bbella figura che cce farebbe. CENCIO Lo potete dì fforte! Voi omo faressivo fighetto a quarchiduno e a quarchiduno. Daréssivo un sedici a ttutti li ppiù bbulli de Roma sana. CREMENTINA (c. s.) Llallero! CENCIO Magara! CREMENTINA Ma ddunque a ll’occhi vostri, io ve paro assai sciarmante?... Nun tanto però ccome Ggiuvannella vostra cuggina... CENCIO Chi Ggiuvannella? CREMENTINA Bravo! Sì! Ffatemece er finto tonto. Ggiuvannella, quella co’ quelli ggiochi d’acqua su p’er ccollo, che ‘gni tanto ve viè a ttrova? Quella che vv’ha fferito? CENCIO (inquieto) Ma vvoi v’insognate a occhi uperti. CREMENTINA Si, mm’insogno! Dite la verità vve ll’ha dato er su’ ritratto? CENCIO Possi cecamme si è vvero. CREMENTINA Ah nno! Ppì pì! CENCIO Ve ggiuro... CREMENTINA Chi ggiura è bbuciardo. CENCIO Anzi, vardà, ppe’ quanto nun è vero che io a Ggiuvannella nu’ je vojo bbene, e nu’ j’ì ho mmai parlato de ‘ste cose... Si vvoi me promettete d’esse bbona, de nun dì’ gnente a nisuno... Si vvoi ciavete piacere...io... io... CREMENTINA (ansiosa) Voi? Che?... CENCIO Io ve dirò... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 204 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 205 CREMENTINA Avanti!... (Ih cacchiotti che sse spregheno!) CENCIO (arisoluto) Ve dirò cche... (avvilito) Me fate er piacere me fate fà... CREMENTINA «’N’antra ingozzata d’acqua?» (presentannoje la bbrocca) A vvoi lo sapevo ggià l’avevo preparata. CENCIO (ppija la bbrocca e sse vede da li sforzi che ffa ppe’ bbeve che lo fa ppe’ nisconne la vergogna che ccià) CREMENTINA (ride) Ma cche avete magnato le saraghe? CENCIO (j’aristituisce la bbrocca doppo avella votata tutta) Pausa. Se guardeno tutti e due un momento. CENCIO Perché ridete? Dunque m’avete capito? CREMENTINA Antro! CENCIO (coraggioso) E cche avete capito?1 1 Seguono sei battute cancellate a penna di un diverso finale: Che mme ve sete bbevuta tutta l’acqua, e cche mme tocca a rifà la fatica d’ariempilla! CENCIO (mortificato) Abbiate pacenza... CREMENTINA ( fra sé) (Che rabbia! Je sbatterebbe la bbrocca sur muso). (si avvia verso il fondo) CENCIO Ve n’annate? CREMENTINA (sdegnosa) No sto qui a rimiravve a vvoi! (si avvia e dice) (Povero tempo perso!) CENCIO (resta mortificato a guardarla poi si dà un pugno sulla fronte e si ritira in bottega) Sì l’ho ddetto che ssò proprio un gran cardeo! CREMENTINA Cala lentamente la tela Questo stesso finale, con varianti minime, è presente in La dichiarazione d’amore pe’ li Monti (cfr. Nota al testo). CREMENTINA Che mme ve sete bbevuta tutta la brocca e cche mmó mme tocca a rifà la fatica de riempilla! CENCIO Abbiate pacenza... CREMENTINA ( fra sé) (Che rabbia! Io je la sbatterebbe sur muso!) (si riavvia verso la fontana) CENCIO Che ggià vve n’annate! CREMENTINA No sto qui a rimiravve a vvoi! (Povero tempo perso!) (se ne va a la fontana) CENCIO (resta mortificato a guardarla un momento poi dandosi un colpo sulla fronte rientra in bottega dicendo) Accidenti a mme e ‘sto minchione! [altra lezione] Sì l’ho ddetto che sò ppropio un gran minchione! Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 205 28/11/13 12.44 206 introduzione CREMENTINA Che ppe’ ddimme che mme volete bbene me ve sete bbevuta ‘na bbrocca sana d’acqua, e cche mmo mme tocca a ffà la fatiga d’ariempilla. CENCIO (strappannoje la bbrocca da le mane) Quanno sii pe’ questo ve la vado a empì’ io. CREMENTINA Eh mma si cciannate de ‘sto passo me la sfasciate... (maliziosa) Nun vorebbe che ffacessimo li broccoli prima der tempo. Uno mette le braccia ar collo dell’antra e gguardannose amorosamente e ridenno s’avvieno verso la funtana. Cala er telone sicc’ è Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 206 28/11/13 12.44 EVVIVA LA MIGRAGNA! - Bozzetto popolare in dialetto romanesco Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 207 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 208 28/11/13 12.44 1. introduzione 209 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa (Misc. B.364) della BA: Giggi Zanazzo, Evviva La Migragna!! Bozzetto popolare in dialetto romanesco, Roma, Cerroni e Solaro, Laboratorio Tipografico di Cerroni e Solaro, 1888. [Dedica nell’occhiello:] A S. E. Don Fabrizio Colonna Principe d’Avella con grato animo offro. [Sul verso dell’occhiello:] Proprietà letteraria dell’autore. [A pag. 5] Rappresentata per la prima volta in Roma nel Teatro Rossini la sera di Venerdì 2 Dicembre 1887, alla presenza di S. M. la Regina d’Italia e di S. A. R. il Principe di Napoli, nell’Accademia data da Giggi Zanazzo a beneficio dell’Infanzia Abbandonata, sotto il protettorato di S. E. Don Fabrizio Colonna Principe d’Avella. In margine alla tavola dei personaggi annotazione autografa contenente, nell’ordine, l’età dei primi quattro personaggi: «25, 20, 50, 30», e il nome dei primi tre attori: «Sig.r Bizzarri Oreste, [Sig.r] Ceccacci, [Sig.r] Cortesi». Sono presenti anche alcuni interventi autografi sul testo riguardanti a volte il taglio a volte la sostituzione di strofette cantate. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 209 28/11/13 12.44 210 introduzione Personaggi GRISPIGNO ciavattino AGNESA su’ moje UN SENATORE ricco LA MOJE DER SENATORE USTACCHIO cameriere der senatore La scena succede a casa de Grispino in una piazzetta de Trestevere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 210 28/11/13 12.44 1. introduzione 211 ATTO UNICO La scena arippresenta ‘na cammera micragnosa: una porta a ffonno a la scena; a la dritta ‘n’antra porta; a mano manca ‘na finestra; vicino a la finestra er banchetto da carzolaro co’ tutti li ferri der mestiere; du’ sedie sgangherate; su la dritta ‘na scansia dove stanno appoggiate sopra pile, tigami, scodelle ecc. In mezzo a la cammera un tavolino da strapazzo. SCENA I Grispino solo GRISPINO (entra in scena strofinannose l’occhi) (Grispino al lavoro) Allegria! Gnente accidia, gnente pigrizia... Aprimo le finestre der nostro appartamento. (apre la finestra) E adesso preparamo li nostri nobili feri der mestiere. (se mette a preparà le forme ecc.) Uh! Varda tutte le persiane der palazzo qua de faccia, sò tutte chiuse... A ppensà che la ddrento c’è ccerta ggente che nun ha mai visto l’arzata der sole; ggente che magna, bbeve, dorme, e nun ha gnente da fà antro che dde divertisse e annoiasse... E io, mannaggia la lesina, che nun ciò manco l’arma d’un muecco, e che da la matina a la sera me strazio la mi’ vita su ‘sto bbanchetto, a ppensà nu’ l’ho mai invidiati... Viva la fame e la migragna meno se magna, più bbene va! Tanto li guitti che li moschetti1 sò li più alegri de la città! Di quella pira l’orrendo foco tutte le fibre m’arse e avvampò! 1 Probabilmente moscetti: piccoli mercanti girovaghi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 211 28/11/13 12.44 212 introduzione Carolì co’ st’uocchie nire nire co’ sa voccuzza rossa tu me farai morire Mena Carolì... Oh! dolce voluttà desio d’amor gentil... Sò fatti apposta pe’ fà l’amore – a core a core... (chiamanno) Agnesì!? Ohé Agnesì! Sposettina mia! Nun arisponne... pare che ciabbi er sonno greve... Eh! Sfido mannaggia la lesina! Jeri a ssera ha bballato tanto a lo sposalizio indove semo stati! ‘Sti dianteni2 de sposalizi ve fanno sempre qualche brutta ruzza... Uno bbeve, ride, bballa... E poi quer vede sposà ddu’ sposetti mette allegria... specialmente quanno uno è omo de casa, che vò bbene a su’ moje, che cià er pensiere de li fiji, de la famija... che nun cià antro che una volontà... antro che un core antro che un... abbasta: me capisco da me... Ah! Che la morte ognora è tarda nel venire. Oh! Chi desia morire, Eleonora, addio! E janne, janne, janne quant’è bbello lo paperscianne! E la mia bbella voleva venire voleva venire a la guerra co’ me! Rivedrai le foreste imbalsamate le fresche valli, i nostri templi d’or! Fiore de mijo; oggi pe’ pranzo magno pane e ajo perché cciò ‘na migragna che sbavijo. 2 Esclamazione. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 212 28/11/13 12.44 1. introduzione 213 Viva la fame e la migragna meno se magna più bbene va! (chiama) Agnesì! Agnesì! E mica arisponne! (guarda ne la cammera accosto) Ah! Sì va! Eccola che se sta a vvestì... brutta mozzina 3...! Se guarda in der pezzo de specchio rotto che j’ho fatto in regalo per aranciasse la capitale. Eh! Io sò galante, io! Mi piace di fare dei regali alla mia sposa. Varda eccola che s’abbraccica er ragazzino; semo pace. Io l’ho abbracciato prima di lei. Ah! Finalmente, eccola che viè. SCENA II Agnesa e Detto AGNESA Bon giorno signor marito. GRISPINO Bon giorno signora moje! AGNESA (canta) Abbracceme, abbracceme. Grispino adorato giacché m’hai svejato cor tu gorgheggià! La le ra la, la le ra la! Lo svejarino der poveretto è lo stornello che ssa cantà. La le ra la, la le ra le! Chi abita in arto l’orloggio lo sveja o ’r servo che veja a sede ar sofà. M’a noi poveretti ciabbasta un stornello pe’ facce ber bello de posta svejà! 3 Mozzino: imbroglione, mestatore; appellativo dato in particolare ad un legale poco corretto. Deriva dalla pena inflitta nel medioevo ai truffatori e ai disonesti cui si tagliava un orecchio come segno distintivo infamante. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 213 28/11/13 12.44 214 introduzione (a due) Lo svejarino der poverello è lo stornello che ssa cantà! GRISPINO Brava poltrona; stamattina avemo fatto come le signore che s’arzeno a ora canonica. Gnentedemeno che sò le sette sonate! AGNESA Sfido. Ma ssenteme, Grispino mio, mica tutti li ggiorni se va a li sposalizi! E ppoi che sposalizi! GRISPINO Davero de cartello! Che ppappane! Io sortanto si ripenso ar vino me ce viè ll’acqua a la bbocca. AGNESA E che sciccheria d’invitati! Tutti abiti de lanetta. GRISPINO Tutto vino da sette... AGNESA E un violoncello e un crarino pe’ ssoni, senza contacce quello che ssonava la catubba4! Er ballà che nun avemo fatto!... Io ce scommetto, Grispì, che li signori che stanno lì de faccia a noi a quela serata che ha dato jeri sera er senatore nun se sò divertiti quanto a nnoi! GRISPINO Vardà! c’è da dillo! AGNESA A proposito, dimme Grespì, m’ero scordata da ditte ‘na cosa... tu nun lo sai?... Oggi pe’ la spesa nun ciavemo manco un sòrdo. GRISPINO (indiferente) Va cercanno! Abbasta che cce sii arimasta la bbotta der chi se ne f... AGNESA Ah! Quella ‘ntanto nun ciamanca mai! Pe’ dì la verità me credevo d’avecce incora quarche quarantina de sòrdi, ma nun pensavo che cce servirno jeri per annà a lo sposalizzio... defatti ho aperto er tiratore... e dommini aripulisti...5 GRISPINO (ridendo) Ah! ah! ah! Questa è crassica! AGNESA (c. s.) È mejo a rride. GRISPINO (ridenno forte) Ah! ah! ah! AGNESA Ma cche tte pija? GRISPINO Sto pensanno che siccome ‘sta notte la porta de casa è rimasta uperta; si veniveno li ladri, faceveno bottino. Ah! ah! ah! AGNESA (ride) Davero va! GRISPINO Embè ppe’ questo se ne voressimo stà a pijà? AGNESA Mma mmanco pe’ gnente! GRISPINO Perchè noi nun ciavemo li sòrdi? C’è chi cce ll’ha ppe’ nnoi! Nun sarà de certo la migragna che c’impedirà de cantà: 4 Grancassa. Questa espressione è una storpiatura di: «quare me repulistis» (= perché mi hai rifiutato), rivolto a Dio. Cfr. il sonetto di G.G. Belli, Lo spojo. 5 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 214 28/11/13 12.44 - è 1. introduzione 215 Viva la fame e la migragna meno se magna più bene va. Canteno assieme e se metteno a bballà. AGNESA (stracca se butta a ssede su ‘na ssedia) Nu’ ne posso più sò ttutta sudata. Nun ho bballato mai tanto de core. GRISPINO Come me; hai visto sí cche ppassi da bballerino? Avanti sbrighete, adesso va ar mercato! AGNESA Ar mercato? E cco’ cche? GRISPINO Ah! È vero nun ce pensavo più! AGNESA In tutti li modi quarche cosa in de la pila bbisogna mettecce. GRISPINO Mbè, tiè, pija ‘sto par de scarpe (je le dà)... AGNESA Pe’ mettelle in de la pila? GRISPINO Ma no bbestia! Va da la sora Susanna la Baffetta e dije che te ne dii venticinque fischi. AGNESA Me pareno cari. GRISPINO Cari? Je ciò rimesso un tacco e ‘na risolatura, mannaggia la lesina! AGNESA Ma nun t’aricordi più che er fijo più granne che la manteneva jè ito a ffà er sordato? GRISPINO Ah! È vero. Allora chiedejene ‘na quindicina de sordi... intanto o quinnici o venti semo poveretti lo stesso. AGNESA Addio Grispino, ariviengo subbito (va per uscire ma poi torna indietro) Si quela cratura a le vorte se mettessi a ppiagne, er pane nun c’è, ma ce sò un po’ de confetti de jeri; stanno drento la cassa. GRISPINO Va bbè, va bbè, va puro. AGNESA Addio Crispino, io me ne vado. (ripijeno tutte e due er motivo) Viva la fame e la migragna meno se magna più bbene va! (Agnese via) - Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 215 28/11/13 12.44 216 introduzione SCENA III Grispino solo GRISPINO Quela povera Agnesina è alegra come ‘na matta. O quatrini o nun quatrini canta sempre. Lo stesso a mme. Avemo fatto ‘na bella coppia! Lei bbella, io puro nun c’è male; mi moje ne pò esse contenta; tutto paro, fora che un ciavattino perchè tutti l’amichi mii me dicheno che cciò la faccia da carzolaro padronale... Abbasta arimettemese a lavorà che sinnò oggi nun se magna ‘na saetta. (se rimette a lavorà e ccanta) SCENA IV Ustacchio e Detto USTACCHIO (se presenta su la porta intanto che Grispino canta) GRISPINO Ah! Che piacere è l’esse ciavattino e a lavorà de grosso e no de fino! Tutto er giorno sur banchetto a ttirà e impecià lo spago fà er filosofo, fa er mago dà cconsurti in quantità. Ah! Che piacere granne è e’ llavorà! USTACCHIO (chiama) Mastro Glespì6. Ohè!? GRISPINO (seguita a ccantà) Sei tu l’uom de la caverna? Si lo suon: Da me che vuoi? Qual voluttà trascorrere sento di vena in vena... La Marianna la va in campagna chi sa quando ritornerà. Addio mia bella addio l’armata se ne va... USTACCHIO (chiama) Mastro Glespino?! GRISPINO (c. s.) Bigna avecce pacienza, bigna avecce. Co’ sta ggentaccia de la coroncina tireno serciate come bbreccie, bbigna avecce pacienza, bbigna avecce. USTACCHIO (je strilla a l’orecchia) Mastro Glespino?! 6 N.d.A.: I romaneschi quando pretendono di parlare civili sostituiscono la L alla R. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 216 28/11/13 12.44 1. introduzione 217 GRISPINO Saettaccie! E che m’hai preso pe’ ssordo? USTACCHIO Sfido! È mmezz’ora che vve chiamo! GRISPINO Era che ccantavo. USTACCHIO Me ne sò accolto. Anzi diteme, cledo che salete alimasto melavijato de la mi’ visita. El plimo cammeliere del senatole che abita qua, incontlo... GRISPINO Meravijato io? Pe’ gnente affatto! USTACCHIO Eppulo me pale che una pelsona del mi’ lango, che va a tlova una pelsona come voi... GRISPINO Ciarimette quarchecosa! Sete matto! A le corte sor Ustacchio, primo cameriere der sonatore qua incontro, che ve s’è sciorto? (strillanno) USTACCHIO Plima de tutto ve plego de nun stlillà tanto pelchè non sono soldo. GRISPINO Che ve s’è guastato er timpino? USTACCHIO No a me. Anzi è plecisamente a questo che dovete l’onole de la mi’ plesenza a casa vostla. Sò venuto pe’ ddivve che el mi padlone non vò assolutamente che je roppete de più l’anima coi vostli canti da olteria. GRISPINO Che gnente al tu’ padrone je piaceno le romanze? Allora senti: Quanno la sera al placido chiaror d’un ciel stellato meco friggea nell’ellera... USTACCHIO El mi padlone invece nun vò affatto che cantate più. GRISPINO Dichi a mme? Eh? Come? USTACCHIO Te dico che el mi padlone te ploibbisce di cantale! GRISPINO Ma dimme che mme dichi! Me proibbisce de cantà a me? Ar rossignolo der vicinato? Oh! Questa sì che è nuova de pianta! Quanno nascisti tu, nnascé lo sole la luna se fermò mmiezzo a lo mare ecc. ecc. SCENA V Agnesa e Detti AGNESA (co’ ’n canestro sotto ar braccio) Un signore! Che cciavemo de novo? GRISPINO Io ce scommetto moje mia, che ttu nun arriverai mai a im- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 217 28/11/13 12.44 218 introduzione magginà sì che vvò dda me ‘sto milordo... Gnentedemeno me vorebbe provibbì dde cantà?... Perché er canto sveja troppo presto lui e er su’ padrone. AGNESA Provibbitte de cantà? USTACCHIO Sì, ccala sola padlona, capilete bbene che celte olecchie delicate come le noltre, nun se ponno mai adattà a ssentì una voce de canna spaccata come la sua. AGNESA De canna spaccata? Ma vvoi ve sbajate e vve sbajate der gajardo, perchè mmi’ marito cià ‘na voce intonata come un campanello... E ppoi e ppoi... Sarebbe bbella, me garba a mme che ccanti, e llui canterà. GRISPINO Sicuro che canterò! AGNESA Sicuro che ccanteremo! USTACCHIO Ce salà, chi vve falà stale al posto! AGNESA Chi, vvoi? Nun sete bbono! USTACCHIO Ce salà chi vve falà scacciale da questa catapecchia. GRISPINO Faccie scaccià? Una catapecchia? Si sbotto, si sbotto, Iddio ne guardi, mannaggia la lesina! Dico, pe’ ‘na certa regola vostra signor servitore, sappiate che nun m’avanza gnente gnissuno e che ddrento a ‘ste mura sò er padrone de fà quello che mm’aggarba! AGNESA Bbravo, dice bbene; quello che cciaggarba. USTACCHIO Ma vvaldate che stlaccio d’alloganza un ciavattino! GRISPINO Un ciavattino ggià; e ppe’ bbene tuo te consijo de piantalla, me capischi? (arzanno la voce) USTACCHIO Ma, mi sbajo, o questo signole m’insulta? AGNESA Lasselo perde! Che fai llì? GRISPINO Gnente, me gratto, nun vedi? AGNESA Ma vvedo che agguanti ‘na forma! GRISPINO Me serve p’informà ‘no stivaletto. AGNESA (a Ustacchio piano) Fateme er piacere annatevene ch’è mmejo pe’ vvoi. Mi’ marito è bbono, ma Dio ne’ guardi je sarteno, sarebbe capace de tutto. Annàtevene! USTACCHIO (piano) Da una palte nun dice male; è mejo a nun peldecce tempo co’ ccelta ggente. ‘Sta gente di bassa estlazzione sono d’una blutalità! Chi ha più pludenza l’addopli. (a Grispino) Dunque signor ciavattino, senza che cc’inquietiamo tanto, ditemi che ccosa devo dile al mi’ padlone. GRISPINO Va, vaje a riportà che si un antra vorta Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 218 28/11/13 12.44 1. introduzione 219 lui t’arimanna qua invece de la porta io te farò sartà da ‘sta finestra. E ddije che - che lui co’ mme ddeve sapè - barcamenà che sinnò - sai che fo? Canterò - ballerò strillerò - urlerò finchè vò! AGNESA e GRISPINO E dije che puro co’ mme ddeve sapè bbarcamenà! Che sinnò - sai che fo? Canterò - ballero strillerò - urlerò finchè vò! Ustacchio scappa via atturannose l’orecchia; Grispino e Agnesa je vanno appresso fino a la porta sempre cantanno. Ustacchio ricomparisce da la finestra e seguiteno a perseguitallo fino che nun vedeno che ss’allontana. SCENA VI Grispino e Agnesa AGNESA (ridenno) Varda come scappa. GRISPINO Senz’aritorno! AGNESA Lasselo perde e ccambiamo discorso. Apparecchiamo la tavola e ffamo colazzione. GRISPINO Che mm’hai preparato de bbono? AGNESA (apparecchia) Sciccheria! Prima de tutto t’ho ppreparato du’ bbell’alice coll’ermo... GRISPINO Bene! AGNESA Poi t’ho ppreso du’ provature e ddu’ sordi de noce pe’ ffrutti, perchè vvedi, le noce me piaceno, scrocchieno me sò simpatiche. (ne rompe una co’ li denti) GRISPINO Accidemmoli che llusso! Puro li frutti? AGNESA E incora nun è tutto. Ciò dda fatte n’improvisata! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 219 28/11/13 12.44 220 introduzione GRISPINO Ehehe! Cche cciavemo! AGNESA Azzeechece? GRISPINO No, dimmelo subbito; lo sai che sò ccurioso. Dimmelo. AGNESA (je presenta ‘na bboccettina) Odora! GRISPINO (odora) Rumme! Ah! Fammene assaggià un goccetto. AGNESA Adesso no, adesso no, a ttavola a ttavola ve lo bbeverete co’ li frutti. GRISPINO Brutta preta! Tu tte sei strozzata ‘na noce. Mó lasseme fà a mme! AGNESA (v’a pijà ‘na ssedia vicino a la finestra) Ahó! Ddimme un po’; gguarda llà. Quer signore che esce dar palazzo nun è er sonatore? GRISPINO (guarda for de la finestra) Lui in persona! Er servitore je parla; vengheno da ‘sta parte... Chi lo sa? Se crederanno de mettemme pavura... Ah! sì! Io avè ppavura de loro? Ah! Ah! Ah! AGNESA (timida) E io puro! Mica ho ppavura. Varda va; sta assieme a su’ moje e viengheno qua dda vero! Grispino mio, in ogni modo faje vede che noi bbenchè cciavattini semo ggente garbata. GRISPINO Nun dubbità! Dì la verità, cche bbell’idea che avemo avuto de crompà cor guadambio dell’urtimo par de scarpe, ‘sto par dde sedie. Fa ppiacere d’essere bene equipaggiati di mobilio quando si danno dei ricevimenti. SCENA VII Senatore, la Signora e Detti SENATORE (de drento) Sta bene, sta bene Eustachio, non ho bisogno di voi. ( fori) GRISPINO Signore sapete che vvoi avete certi servitori che... SENATORE Sono villani, male educati, e che rendono una pessima idea dei loro padroni, non è vero? GRISPINO Bbravo! Ciovè bbravo no, perchè vvoi... fìnarmente... (a Agnesa) Eppure me credevo assai de peggio. AGNESA (a Grspino) E vvarda la moje co’ cche ccosa me guarda. SENATORE Non bisogna farsi dettar legge, mio caro vicino. SIGNORA Non restate incomodata per me, mia buona vicina. GRISPINO (a Agnesa) Ahó! M’ha ddetto mio vicino! AGNESA (a Grispino) M’ha cchiamato su’ vicina! (a la senatora) Signora vicina!... GRISPINO (al senatore) Signor vicino! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 220 28/11/13 12.44 a a 1. introduzione 221 SENATORE Grazie mille. Sapete, mio caro vicino, che avete una moglie deliziosa? SIGNORA (a Agnesa) E mi si dice che avete trovato un eccellente marito! AGNESA Defatti nun me posso lamentà! GRISPINO E io neppuro de lei... perchè è verissimo che mi’ moje è ppaciocca; ma bisogna dì la verità che ppuro la vostra è ppacioccona assai... Un giorno vedennola montà sul legno, je smicciai un piedino che era ‘na smorfia senza contacce quela bbella bboccuccia ciuca ciuca che ppare un cecio...! SIGNORA Ah! Ah! Siete galante a quel cche sembra; ma io pure ho a farvi i miei complimenti per la vostra bellissima voce. GRISPINO (s’ inchina) Signora sonatora... AGNESA (a Grispino) Er servitore invece t’ha ddetto che stonavi? SENATORE Anch’io sono del parere della mia signora; voi cantate benissimo.... solamente cominciate un po’ troppo prestino... GRISPINO (Ecchece ar busilli.) E è ppe’ questo che me volete fà ccaccià vvia dar mi’ negozio? SENATORE Farvi cacciare? Ah! Eustacchio ha avuto torto di parlarvi così; chi mi darebbe il diritto di commettere una simile ingiustizia! GRISPINO (a Agnese) Dimme un po’ Agnesì, mica parla male er nostro vicino, sò ppropio contento de lui! SIGNORA Ed ora amici miei ascoltatemi; voi converrete con me che la vostra posizione è molto differente dalla nostra. SENATORE Senza dubbio; voi vi alzate con il sole, l’allegria vi scorta la giornata e appena si annotta vi coricate; non è egli vero? GRISPINO Si, ssor sonatore, accusi arisparambiamo su ll’ojo. SENATORE Mentre noi ci corichiamo ad ora tardissima: quando voi vi alzate noi facciamo il nostro primo sonno; e quantunque alla mia signora ed a me piaccia moltissimo la musica converrete pienamente che un po’ di riposo ci è necessario. AGNESA È vverissimo, marito mio, bbisogna mettesse in de li panni de li nostri vicini. SENATORE E allorchè la vostra voce malgrado la sua bbellezza, ci risveglia di soprassalto, vi accerto che ci fa odiare la musica. GRISPINO Allora, vicino, nun canterò ppiù; ma è ccuriosa... A mme mmica me fa l’effetto che vve fa a vvoi! AGNESA E ssapete cara vicina perchè? Mo vve lo spiego: Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 221 28/11/13 12.44 222 introduzione Doppo el lavoro de la ggiornata si la casa sua qua incontro noi vedemmo illuminata e ssentimo canti e ssoni, de chi sa cche ssignoronì, puro noi sempre cantanno s’addormimo in quel pensiero e ssognamo che ddavero puro noi stamo a ggodé! SIGNORA Così poveri e così ccontenti. AGNESA Già, ssognamo, famo un sacco de castelli in aria, e quanno ce pare de bballà se damo ogni tanto certi carci in de li stinchi... È vvero Grispì? GRISPINO Come er vangelio! SENATORE Un uomo può benissimo sopportare senza lagnarsene, la privazione del sonno; ma la mia signora... una donna... una madre... AGNESA (risoluta) Alleva? Cià fìji la mi’ vicina? Grispino nun canterà mmai ppiù. SIGNORA Noi non vogliamo affatto un simile sacrificio dal vostro sposo. La sua gajezza è il suo tesoro ed io non voglio che se ne privi. Grispino, io intendo che ccantiate! GRISPINO Ah! Mme fa specie! Io ve chiedo scusa, ma nun canterò! AGNESA Nun canterà! SENATORE Dunque caro Crispino, volete farci inquietare! GRISPINO Nun sia mai! Vordì cche allora canterò a mmezza voce, a la sordina! SENATORE Grispino, voi siete un galantuomo; datemi la mano. GRISPINO Come signor senatore, voi voressivo? SENATORE Sì, lo esiggo; lo desidero! (se danno la mano) GRISPINO (a Agnesa) Io nun so cche ffaje pe’ llevamme l’obbrigazione... Uh! Che bbell’idea! (passa in mmezzo ar sonatore e a la moje) Mio vicino e mmia vicina. ( je mostra la tavola apparecchiata) Vonno arestà serviti. AGNESA (lo tira pe’ la camicia) Ahó! Mma cchee tte fai? GRISPINO Fo l’onori de casa! AGNESA È robba da poveretti, ma vve l’offrimo col core. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 222 28/11/13 12.44 a 1. introduzione 223 SENATORE Vi ringraziamo, miei buoni amici, ma non vi daremo mai questo disturbo. SIGNORA Grispino, voi per noi vi siete sacrificato; noi dobbiamo levarci 1’obbligazione; accompagnate mio marito spero che non vi rifiuterete.... GRISPINO Ma ccertamente... fìnarmente poi nun se deve negà gnente alle signore; aspettate sortanto un tantinello; quanto me metto la ggiacca che ssente messa co’ la mirza7 e... AGNESA Come, ve portate via mi’ marito? SIGNORA Tranquillizzatevi signora, non starà molto a tornare. D’altronde venendo qui, era mia intenzione d’intrattenervi in particolare. Bisogna che vi parli. AGNESA A mme? (E che me vorà ddi dde bbello?) (intanto Grispino s’ è vestito) SENATORE Andiamo! GRISPINO Addio, Agnesa mia. AGNESA Nun sta ttanto sai? Nun me lo trattenete sapete, caro vicino? SENATORE Non dubitate, addio! (escono) SCENA VIII La Signora e Agnesa SIGNORA Come va, mia cara vicina, che per un momento che vostro marito vi lascia, vi mostrate così inquieta? Ma io allora cosa dovrei fare che sto delle volte quindici, venti giorni, ed anche un mese senza vedere il senatore? AGNESA Dunque nun abbitate assieme? SIGNORA Si, ma abbiamo ciascuno il nostro appartamento. AGNESA Davero? E allora perché vve sete sposati? SIGNORA Che volete che io vi dica? È l’uso che lo richiede. Nata di famiglia ricchissima, maritata con una dote considerevole, credevo che per essere felice bisognava brillare nella società! AGNESA Ma ccome! Gnente nun sete contenta con tutti li quatrini che cciavete? SIGNORA No... ve lo confesso. Anzi la sorpresa della vostra felicità mi stupisce e son venuta apposta per chieedervi il segreto per divenire contenta come lo siete voi! 7 Cappello a cilindro. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 223 28/11/13 12.44 224 introduzione AGNESA Ma io nun ciò segreti. Io vojo bbene a Ggrispino, lui me vò bbene a mme; un giorno magnamo e dua no... e ecco tutto! SIGNORA Anch’io e mio marito ci amiamo... almeno così ci dicono tutti i giorni una quantità d’amici, di conoscenti i quali intervengono alle nostre serate. AGNESA Ah! Sì? SIGNORA Avete figli? AGNESA Uno, grosso e forte come un Ercole. Me fenisce du’ anni er giorno de San Grispino. Tenete, vardatelo la ddrento. (j’ insegna l’antra cammera) SIGNORA Ma, sbaglio, o mi sembra che pianga? AGNESA Lui... Ma ppe’ gnente affatto. Invece ride e ccome. SIGNORA Ah! Mio Dio; è caduto. Si è forse fatto male? AGNESA Macchè! C’è abbituvato... Vvardate. Già ss’è ariarzato! Quanto cià mmesso? SIGNORA Beata voi, che siete così di sangue freddo. Io fremo sempre che al mio piccolo Ernesto gli sia avvenuta qualche disgrazia! AGNESA Ma ccome! Er ragazzino vostro nu’ lo tenete con voi? SIGNORA No, è a balia, in Albano! AGNESA A bbalia? Io a ccosto de famme succhià er sangue er fijo mio nun ce lo mannerebbe. SIGNORA Anch’io lo stesso; ma il medico... molte mie amiche mi hanno consigliata così perché dicono che mi sarebbe stato d’impiccio. AGNESA (arrabbiata) D’impiccio un fijo? Ma che sieno ammazzate, quanno s’alleva nun cce se va in società... Uhm! Me scusi, signora mia si mme sò azzardata... SIGNORA No no, seguitate; anzi mi fate piacere. AGNESA Allora, si è così, si vvolete che vve parli cor core in bocca, ‘sta a vvoi a esse contenta e mmó vve dico come. In primise fate aritornà subbito er regazzino da bbalia, ma ssubbito perché nun c’è dda perde tempo, e vvederete che quanno quello starà qui ’vvostro marito ve vierà a ttrova in del vostro appartamento più spesso e vvolontieri. Doppo pe’ stà bbene in salute, mannate ar diavolo li medichi e le medicine e ttutte quelle imposture che vve danno a dd’intenne. Accupateve un tantinello de le cose de casa, accusí v’arruberanno de meno le gente de servizio; e invece d’annà sempre in carozza, fate quarche bbella spasseggiata a ppiedi; ce sò certi siti indove la carozza nun ce pò annà, e llà sse troveno spesso certi poveretti vecchi, ammalati e infermi che hanno de bbisogno. Je date quarche ccosa senza offennelli, e bbona Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 224 28/11/13 12.44 1. introduzione 225 notte. E quanno aritornate a ccasa, abbraccicato ch’avete vostro marito e vostro fijo, annatevene a lletto presto, arzateve a bbon’ora e si ddoppo fatte tutte ‘ste cose voi nun sete contenta, nun me chiamate ppiù Agnesa Stella! SIGNORA Mia buona vicina, vi ringrazio della vostra franchezza e vi prometto di provare il vostro sistema di felicità; e contate pure sulla mia riconoscenza, perché già mi sembra di essere felice. Arivederci. (via) SCENA IX Agnesa sola AGNESA (guardanno addietro a la Signora) Ccusì giovine, ccusì grazziosa, ccusì ricca e ccusì marcontenta. (pavusa) Ma vvarda ‘sto Grispino oggi sí quanto tarda! Ah! Eccolo. Ma mbè che c’è dde novo? Sta tutto pensieroso! Nun canta più; ma che in quer ber palazzo der sonatore uno ce s’avesse d’attaccà la malinconia? SCENA X Grispino (serio) e Ddetta AGNESA Quanto m’hai fatto aspettà! Accidemmoli. Ma ccome sei slavato! Che tt’è successa quarche disgrazia? GRISPINO Sarebbe un gran somaro si la chiamassi disgrazia! AGNESA Co’ quela mutria! GRISPINO Io co’ la mutria? Ma nun vedi invece cche ssò alegro! AGNESA Nun me pare! GRISPINO È pperchè ssò ccontento drento de me! AGNESA Va bbene, ma a mme quela contentezza nun me piace. È mmejo quella che ffà ccantà... annamo via, canteme una canzoncina. GRISPINO Ma io non voglio cantà... me dole la testa... E ppoi, e ppoi che ssugo c’é da cantà tutto er giorno come un mascarzone qualunque? AGNESA Hai raggione tu! Allora mettemese a ttavola e mmagnamo. GRISPINO Nun ho più ffame... Sippuro che ciaveressi da damme? AGNESA Nun lo sai? Ce sò le noce, er cacio, du’ alice coll’ermo, e’ rumme... GRISPINO Nu’ la vojo sta robbaccia (je fa vede un sacchetto pieno de Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 225 28/11/13 12.44 226 introduzione quatrini) Adesso sono ricco, vojo er ristoro8, er Chianti lo stufatino ar sellero... nun vojo magnà ccome la povera ggente. AGNESA Sei ricco? Che bellezza! E quanto ciai? GRISPINO Nun te deve preme a tte! AGNESA Nun me deve preme! Eh ché! Io invece dico che mme deve preme, che lo vojo sapè, e cche lo saperò! GRISPINO Dio mio... Quanto te sei fatta chiacchierona! AGNESA (passa dall’antra parte dove Grispino tiè er sacchetto) Via, dimme quanto ciai? GRISPINO (posa er sacchetto) E io nun te lo vojo dì! AGNESA Anzi me l’hai da dì e ssubbito! GRISPINO (seccato) Mbè, cce sò ccinquecento lire ecco! AGNESA Cinquecento lire? e quanto fa? GRISPINO Quanto fa? quanto fa! Che nemmanco sai fà ppiù li conti? AGNESA Chi l’ha mai imparati? Nun me ne sò mmai servita. GRISPINO Ce fo ‘na bella figura co’ ’na moje che nun sa manco contà. Mme fai compassione. 500 lire fanno 100 piastre, 100 piastre fanno 100 scudi e 100 scudi fanno 500 lire. AGNESA Tanto, ma ne sei sicuro! GRISPINO Ma, mmanaggia la lesina, ma che mme piji per un somaro ignorante come tte? L’ho ccontati adesso calli calli all’osteria del Ciarlotto9 quanno l’ho presi. AGNESA 500 lire! C’è proprio cascato er cacio su li maccaroni. Ne faremo adesso de le spesette necessarie! Prima de tutto vojo armà le posate d’argento, e lo sgummarello; poi io vojo ‘na bbella catena a la schiava poi ‘na bbella muntura de lanetta pe’ fà mozziccà un gommito a tutto er vicinato; pe’ tte ppoi te ce vonno una mezza dozzina de camicie de tela... Perché in una casa, pe’ prima cosa ce serve la biancheria. GRISPINO Te serve antro? AGNESA Che gnente voressi puro quarch’antra cosa? Me pare che pper adesso... GRISPINO Tutto quello che ddichi me va bbene ma intanto bbisogna annà in cerca d’un muratore. AGNESA Un muratore? Gnente te pijerebbe l’estro de ffatte fabbricà ‘na casa? Questo nun te lo consijerebbe mai! Piuttosto quanno hai ‘sta fantasia compretela bbella che ffatta. 8 9 Cordiale, bevanda ristoratrice; in particolare, brodo ristretto con un uovo battuto. L’Osteria della Farnesina, detta del Ciarlotto, era in Trastevere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 226 28/11/13 12.44 - - - - - 1. introduzione 227 GRISPINO Aibbò! Nun vojo fabbricà! Vojo fà un bucio sur cammino. AGNESA Ma, ssei matto! Perchè fà ’sto bbucio? GRISPINO Pe’ sotterracce er mammone. AGNESA Ma te ggira er boccino? GRISPINO Ma voi sarete matta. Che vvolete bbuttà ‘na somma che m’hanno dato pe’ esse ricco? AGNESA Ma gnente affatto. Te l’hanno dato pe’ tte e ppe’ ttu’ moje. GRISPINO Se pò esse più ttestarde e ppiù ccocciute de lei! Si ssapevo te ce portavo subbito a lo sposalizio. Se vede come n’hai approfittato. Nun hai sentito l’assessore che diceva? La moje deve ubbidienza al marito... che è er capo de la famija! AGNESA Embè, cche significa er capo de la famija? GRISPINO Significa che er marito s’ha da tenè tutti li sòrdi pe’ llui, e cche la moje deve arisparambià, e esse accorta. Perché qui nun ciavemo un catenaccio? Perché nun ciavemo una serratura? Vojo subito un catenaccio e ‘na bbona serratura subbito! AGNESA Insinenta adesso sarebbeno stati inutili, ma giacchè adesso ce li voi te li farò mmette! GRISPINO Sicuro, li vojo e in più subbito. Nun me fido de gnisuno. Nun vojo che mme s’arrubbi! AGNESA Mica pe’ questo c’è bisogno che tte c’inquieti? GRISPINO Me vojo inquietà quanto me pare e ppiace, e nun vojo che gnissuno me commanni e mme facci da maestro. AGNESA Ma sai che tte dico? Che finisce che me le farai sartà ppuro a mme! E si tu sei imbriaco io non ciò che ffà! GRISPINO Come io imbriaco! Io imbriaco! AGNESA Nun pò esse a mmeno! Subbito che nun me vòi dà quer sacco de quatrini! Via dammelo, Grispino. GRISPINO No, nemmanco si schiatti. Trattamme da imbriaco a mme? A mme! Insurtà un omo bbenestante! AGNESA Eh! Sei matto! Te dico che l’avrò! GRISPINO Te dico none, no! AGNESA L’averò! GRISPINO Questo mai tu giammai l’hai d’avé! Su vvia lasseme er braccio. AGNESA Nun fà tanto er cacchiaccio. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 227 28/11/13 12.44 228 introduzione GRISPINO T’ho ddetto de no, sii no! AGNESA Invece io l’averò! ‘Sti quatrini sò li mii! GRISPINO Bada, Agnese, ce le pii. ( fa pe’ menaje) AGNESA Arzà le mano a mme? Che core ciai d’avé! GRISPINO Così finisce sa? Si nun la fai finita. Sta’ ferma, inviperita, e statte ferma un po’. (c. s.) AGNESA No, no, no. Mai più! GRISPINO Hai detto no? Pia su! (je mena cola forma) AGNESA Ah! Sì? Ah! Sì? Villano, tirato, avarone, imbriacone, purazziere10... Arzà le mano a mme? Si nun m’aritenessi te strapperebbe l’occhi. GRISPINO Nun piagne via! Sta’ zitta, Agnese mia, nun lo farò più! AGNESA No vvillano, somaro, purazziere! Vattene sinnò oggi te scanno! (via piagnenno) SCENA XI Grispino solo GRISPINO Se n’è ita!... Nun me pò ppiù vvede! E ecco quela cratura che ppiagne... Che Dedia me perdoni... Me pare che je stii a mmenà ppovera cratura!... Agnesa, Agnesa, vòi venì qua ssubbito e nun stà a mmenà a quell’anima innocente? SCENA XII Agnesa e Detto AGNESA Tu mm’hai menato a mene e io meno a llui. GRISPINO Ah! Je vòi menà? (pija ‘na sedia e la sbatte per terra) Tiè! Pìja su! AGNESA E adesso che ffai? GRISPINO (se mette a ssede) Ecco che ffo! Me piaceno le ‘ssedie senza spalline. 10 Purazziere-porazziere: ubriacone. Da porazzo: sorta d’acquavite ottenuta dalla fermentazione dei tubercoli del “porrazzo”, pianta spontanea della campagna romana. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 228 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 229 AGNESA (pija una pila e la bbutta per terra) E io ecco che ffo! Me piaceno le pile rotte. GRISPINO (dà nn carcio ar tavolino) E io ecco che fo! AGNESA Io vojo esse sempre l’urtima. (pija tutte le scudelle e le roppe) GRISPINO E io puro! (butta tutte le sedie da la finestra poi va ppe’ bbuttasse ggiù lui puro) AGNESA Ah! (lo tiè pe’ la giacca) Grispino mio che ffai? GRISPINO Me ce vojo bbuttà puro io, maledetto mammone. È llui la causa de tutto ‘sto diavolerio... Da quanno è entrato qui drento, la mi’ casa è diventata un inferno. (se strappa li capelli) Dio potente, quanto se soffre a esse ricchi! SCENA XIII Senatore, Signora e Detti SENATORE Ebbene miei buoni amici dovete esser molto contenti adesso! Vogliamo anche noi rallegrarci della vostra felicità. GRISPINO (Ah! Vienghi bene!) Date un po’ ‘na guardata qui! SIGNORA (osservauno la robba rotta) Dio buono che significa ciò? GRISPINO Che vordì? Domannatelo un po’ a lei! Che ve volemo bbene, che vve stimamo, ma che rieccheve er mammone vostro perchè nun lo volemo più. SENATORE Questo danaro non m’appartiene più! GRISPINO E nemmeno a mme. (a Agnesa) Sposetta mia! Te fanno incora le lune?... L’hai incora co’ mme? Me te metto in ginocchione e te chiedo perdono. (se mette in ginocchio) Ah! Ecchela che ride! Mi moje ride; segno bono. AGNESA Abbasta che me prometti che le forme te serviranno antro che a ffà le scarpe! GRISPINO Te lo ggiuro in parola da ciavattino. AGNESA In ‘sto caso arifamo pace. (s’abbraccicheno) GRISPINO Ah! Mme sento mejo. Adesso nun c’è antro che er mammone che me dà impiccio. (dà el sacchetto ar senatore) Aripijatevelo. Adesso nun lo ripijerebbe pe’ tutto l’oro der monno. (er senatore lo pija) Me s’è llevato un peso da lo stommico. Adesso armeno posso arispirà!... Ariecco infatti l’allegria che m’ariviè e la fantasia de cantà che mm’aripija! Viva la fame e la migragna Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 229 28/11/13 12.44 230 introduzione meno se magna più bbene va! AGNESA Tanto li guitti che li moscetti sò li più alegri de la città! SIGNORA Ebbene vicina, anch’io voglio approfittare del vostro esempio! Prima d’ogni altro voglio alzarmi di buon’ora e perciò autorizzo Grispino di cantare quanto gli pare e piace. GRISPINO Mille grazie, mia vicina! SIGNORA Di più voglio cacciar via il medico e adesso parto sul momento per andare a riprendere mio figlio che da oggi in poi terrò sempre con me! AGNESA Ah! Signora, se potessi v’abbraccicherebbe, SIGNORA Se non volete che questo eccomi. (s’abbraccicheno) SENATORE Allora da oggi in poi darò ordine a tutti i miei famigliari che vi diano da lavorare e che diventino tutte vostre poste! GRISPINO Questo l’accetto e vv’aringrazio! SIGNORA Suvvia Grispino, giacché noi vi dobbiamo la nostra felicità accettate in segno di gratitudine questo denaro che v’appartiene. GRISPINO No signora mia, nun lo vojo, ma si ‘sto sacco ve dà impiccio, c’è qui vicino a nnoi un povero mi’ compagno che cià quattro fiji e nun cià llavoro, portateje ’sti quatrini che je faranno ppiù ppiacere cche a mme. SIGNORA Ve lo prometto. GRISPINO Evviva la .migragna che vordì l’allegria e la pace der core. TUTTI Evviva! Grispino e Agnese balleno er sartarello. Viva la fame e la migragna meno se magna più bbene va! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 230 28/11/13 12.44 ESSERE O NUN ESSERE? Scenetta popolare in dialetto romanesco i - Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 231 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 232 28/11/13 12.44 1. introduzione 233 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA, Ms. 2414. Un quaderno di 10 cc. (mm. 272x190) composto da 5 fogli tipo protocollo con righe orizzontali recanti il marchio, cancellato a penna, del Ministero della Pubblica Istruzione, raccolti in una copertina di cartoncino leggero color grigio. Cc. 244-254. Calligrafia autografa. Altro titolo in copertina: «Essere o non essere?!... Scherzo comico in dialetto romanesco di Giggi Zanazzo». A c. 254v, in calce: Giugno 1889. Nel faldone è presente un’altra stesura. Un quaderno legato immediatamente prima, con stesso formato e caratteristiche di quello sopra descritto, ma senza camicia. Cc. 234-243: bianca l’ultima carta. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 233 28/11/13 12.44 234 introduzione Personaggi TETA moglie di AMLETO musaicista VITTORIA lavandaja Un postino Un bimbo in fasce Epoca presente Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 234 28/11/13 12.44 1. introduzione 235 ATTO UNICO Una camera di meschina apparenza. Da un lato un banco con attrezzi da musaicista. Una porta in fondo che dà in una stanza da letto. A sinistra la porta d’ingresso e una fenestra. SCENA I Teta e Vittoria VITTORIA (seduta; tiene ai suoi piedi un grande involto di biancheria, da cui ogni tanto ne toglie un pezzo e lo consegna a Teta) Dunque scassate. Avemo detto, quattro para de carzette... TETA (seduta al banco con un lapis e la nota della biancheria) Avanti. VITTORIA (c.s.) Cinque stracci, du’ lenzoli, quattro camicie de lui... TETA E quella camicia dell’altra settimana? VITTORIA Ve la porto giuveddì; perché l’ho ridovuta arimette in bucata... Scassate: du’ para de mutanne de lui... A preposito, tramente vienivo qua da voi, azzeccate un po’ chi ho incontrato? TETA (tra sé) (Già mme l’immaggino). Chi? VITTORIA Quer povero ciorcinato der sor Nicola. TETA (ironica) Me lo saluti? VITTORIA Poveraccio, m’ha ffatto propio compassione. TETA Ma nun avete potuto piange? VITTORIA Eh, quello finisce che lo mannate a la Longara1... Puro voi, co’ ttutto quer bene che j’avete vorsuto, lo sete ito a ppiantà, pe’ sposavve ‘sto broccolaro2, ch’a mmomenti ve poterebbe esse padre... TETA Adesso quello ch’è ffatto è ffatto. Dunque è inutile a ppensacce. Doppo tutto è vvero che glie voglio... dico che glie volevo bbene come a ll’occhi mii; ma nun è vvero che lo piantai io; fu llui che mme piantò a mme; o pper dì meglio, se piantassimo tutti e due assieme per capriccio... VITTORIA E vvoi, pe’ ppunto, facessivo ‘sta minchioneria de sposavve questo. TETA È vero, sì; e mme ne sò ppentita e strapentita; ma mó sto nel ballo e bbisogna che bballi... Ve l’ho ddetto tante volte. È inutile dunque che ne riparlamo. A Nicola glie ho voluto bbene, come se vò bbene a 1 2 N.d.A.: al manicomio. N.d.A.: permaloso. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 235 28/11/13 12.44 236 introduzione la Madonna; glie voglio (vardate si cche v’arivo a ddì!) glie voglio ancora bbene; ma mmo sò mmaritata, ciò3 un figlio... me lassi perde. VITTORIA Eh bbenedette regazze!... Ve sete maritata!... Un omo che vve tiè ccome ‘na schiava; che nun ve fa mmai pijà una boccata d’aria. Ggeloso come la gatta quanno cià li fiji... Eh si stassi a mme! TETA Sentimo che faressivo. VITTORIA Io?! Je metterebbe ppiù... Scassate: quattro tovaje, sei sarviette, un barettino da notte, cinque para de pedalini... Quer povero sor Nicola, co’ la cosa che j’hanno ariportato che vvoi incora je volete bbene, farebbe carte farse pe’ stà assolo co’ vvoi dieci minuti. Ma nu’ j’ariesce. Nun sortite mai sola nemmanco per annà a mmessa. TETA Io vorebbe sapé cchi è cche s’impiccia a andaje a riportà che io ancora glie vojo bbene!... VITTORIA (scandalizzata) Io no, ssapé? Aibbò: io certe parte, abbiate pacenza, nun me piace a ffalle. Passa via! TETA Ma allora...? VITTORIA Annatevel’a ccerca, annatevela!... Sei fasciatori, otto fazzoletti de colore; cinque paracaduti4;... anzi da oggi in poi, sapete che vve dico? Secca la lingua mia si vve n’ariparlo. Nu’ ne vojo sapé ppiù ppuzza. Aibbò!... Cinque fazzoletti de tela, una parannanza... dice bbene: Chi ffa bbene ar somaro ciarimette lescìa5 e ssapone. TETA Ma io mica dicevo per voi; vengo per dì; ché Nnicola poi risapendolo se mette a ffà li castelli in aria... VITTORIA Antro si li fa, poveraccio, antro! Ve dico che quello è innammorato de voi come una gatta in der mese de gennaro. Me lo diceva, stammatina, co’ du’ occhi da matto, me lo diceva: «Finarmente l’ho ttrovo er modo de parlaje, l’ho ttrovo! E cche bbella pensata! Ciò studiato tanto ma l’ho ttrova». TETA E ch’ha ttrovato? VITTORIA Annatevel’a cerca! Io nu’ je l’ho domannato, perché nun me sta bbene a impicciamme. Lo sapete, sò ttanta dilicata in certe cose... Tre ffodere, quattro veste, otto panni, sei scuffiette der pupo... TETA Dio mio, si nun sia mai, ne venisse a trapelà una puzza, Ameleto! Ammazzerebbe prima a mme; poi Nicola, e ppoi... VITTORIA Se scannerebbe lui, che ssarebbe mejo. TETA Dio ne guardi! Geloso com’è... Anzi per carità... 3 N.d.A.: ciò: ci ho. N.d.A.: sospensorio. 5 Liscivia, ranno, acqua bollita con cenere ed usata per imbiancare il bucato. Dal lat. lixivia. 4 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 236 28/11/13 12.44 1. introduzione 237 - VITTORIA A mme?! Me fa specie; io sò piccola e ddormo da piede. Aibbò!... Se sa quer poveraccio de Nicola... TETA Sento rumore. Zitta, per l’amordeddio, ché ecco lui! VITTORIA E cciarifà!... Cinque canavacci, quattro zinaloni der pupo... - Ameleto e Dette - - - SCENA II AMELETO (con il fagotto della spesa) Accidenti quant’è llunga la camicia de Meo! Ancora nun avete finito de contà la biancheria? Sò uscito, ho fatto la spesa, sò ritornato; e ancora state a chiacchierà’! Ma cche v’avete da confessà? VITTORIA Già; v’aspettamio a vvoi che cce vienissivo a ddà l’assoluzione. Come sete ombroso! Già nun c’è dde peggio, pe’ ddiventà brontolone, dell’omo che s’invecchia. AMELETO E cche mmi hai preso per vecchio? VITTORIA Ah nno ddu’ vorte! Vederete che mmó l’anni passeno antro che ppe’ mme. Voi puro una quarantasettina nu’ l’averete mica d’annà a ccerca. V’aricordate che semo stati assieme a scola de cacca e ppiscia? AMELETO Eh bbeata te che tte va incora l’acqua per l’orto! Teta, eccote qua la spesa fatta. (le consegna l’ involto) Va dde llà a mmette la carne ne la pila. TETA Subbito. (esce dalla porta in fondo) Addio Vittoria. VITTORIA Addio, fija; se vedemo giuveddì. (ironica) Arivedella signor Ameleto. AMELETO Addio, ignommeratore sfasciato. VITTORIA Se vedemo bbussolotto. ( fra sé) Si stassi a mme tte ne vorebbe mette ‘ste dua, broccolaro mio! (esce dalla porta destra) - - . SCENA III Ameleto solo (sedendo al banco) Mettiamose al lavoro... Eh povero Ameleto, chi tte l’avesse detto, d’ariducette, per tirà avanti la vita, a llavorà pel Quarantotto! Poveri artisti romani! Prima l’arte del musaicista te faceva mangià co’ la forchetta d’oro. E adesso? Adesso manco con quella de stagno. Prima tutti li musaicisti padronali, cominciando da papà mio, marciaveno in carrozza; e adesso è un pianto. Uno s’è ridotto a ffà el pizzardone, uno el Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 237 28/11/13 12.44 238 introduzione poliziotto, un altro el cicerone... E ll’arte nostra che era la più aristocratica de tutte, adesso ha da fà le spille da quarantotto centesimi per annà a gegno a le serve6!... Eh diceva bbene el mio omonimo Ameleto re de Danimarca: Essere o non essere! Che significa fra li tanti altri significati: Se ciai li quatrini sei, e se nun ce ll’hai pòi pure morì dde fame... (si picchia al portone) Quattro tocchi: è da me. (grida) Chi è? POSTINO (dalla strada) Posta! AMELETO Èccome. (fa scendere dalla fenestra un panierino legato a uno spago) Ce sò lettere? POSTINO (c. s.) Teresa Becchetti. AMELETO Caspita, una lettera a mi’ moglie! (al postino) Grazie. (tira su il paniere, prende la lettera, l’osserva) È proprio diretta a llei! Gatta ce cova! Fortuna che mm’è ccapitata in mano... Chi ssarà? Io ce sudo freddo, pensando che... Basta: coraggio, aprimola. (l’apre, le dà una rapida scorsa, e quindi scoppia a ridere) Oh bella, bella! Oh questa è nnova davero. È un’antica amica de mi’ moglie che glie scrive per chiederglie un consiglio... E cche sorte de consiglio! (chiamando) Teta, Tetaa. SCENA IV Teta e Detto TETA Che volete? AMELETO C’è una lettera per te. TETA (meravigliata) Per me?! Io nun aspetto nessuna lettera. AMELETO È d’un’amica tua; una certa Nicolina. TETA Io nun ciò nessuna amica de ‘sto nome. AMELETO E pure è diretta a te. Guarda un po’. TETA (riconoscendo la galligrafia del suo Nicola) ( fra sé ) (El carattere de Nicola!) Uh varda che stupida che sò! Sì, adesso me ricordo: altro se la conosco. Semo state a scola assieme da regazzine. Uh cara Nicolina mia! E che dice, che dice? AMELETO (leggendo) «Mia cara Teresa, ti scrivo queste due righe, do6 Le seguenti righe della battuta di Ameleto sono cancellate con un tratto di penna: Me viè da ride quando penso che sotto a li preti desideravamo più li fratelli che ll’ovo de Pasqua. A senticce Roma doveva diventà Pariggi; l’arte se doveva inalzà a un livello spropositato, li quatrini doveveno piove dal cielo... E invece? È successo come tempo fa che per impedì al popolo de scortellasse, fu fatta la Lega contro el cortello; e poi se scannaveno peggio de prima... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 238 28/11/13 12.44 - - e 1. introduzione 239 po tanto tempo, per chiederti un segnalato favore. Ti ricorderai certamente di quando facevo l’amore con Nicola, quel giovinotto simpaticissimo, col quale ci volevamo tanto bene, e che ancora non ti nascondo che gliene voglio tanto. Ebbene egli, essendo gravemente malato, mi ha scritto per pregarmi che, prima di morire, vuol vedermi, e quindi vada a trovarlo domani mattina alle 11 in casa sua...» TETA Che sarebbe oggi! ( fra sé) (Che sfacciato!) AMELETO (c. s.) «Tu che mi consigli di fare? Io puoi pensare se ci andrei volando; ma, tu lo sai, ho un marito; e sebbene ami ancora Nicola più di me stessa e quindi più di mio marito che ho sposato per un capriccio, e che odio, perché mi tiene come una schiava, pure non mi so decidere. Tu, Teresa mia, che hai più esperienza di me, non mi abbandonare in questa penosa circostanza. Ti ricopio acciò che tu comprenda meglio di che si tratta, la lettera del mio povero Nicola. Senti quant’è caro!...» TETA ( fra sé) (Che faccia tosta!) AMELETO Brutta sgualdrina! «Angiolo mio! So che tu mi ami ancora. Quindi te ne scongiuro, non negare a un moribondo l’ultimo conforto di rivederti ancora una volta e di ricevere il suo bacio estremo. Avrai così il perdono di un poveretto che muore per averti troppo amata. Vieni, non mi mancare. Questa ultima speranza mi fa parere ancor belli questi dolorosi momenti. Tanti baci dal tuo Nicola». TETA (Ma questo s’è ammattito!) AMELETO «Non ti pare, Teresa mia, che sarei un’ingrata, se gli negassi questo ultimo conforto? Rispondimi subito, te ne prego. Non abbandonarmi in questo crudele momento. Un abbraccio dalla tua Nicolina». TETA ( fra sé) (È matto el paìno7! Questo s’è mmesso in testa Colonna trojana). AMELETO Mbè che ne dici? TETA Che nu’ glie rispondo nemmeno se more puro lei. AMELETO Fai male, perché qui se tratta da salvà un poveraccio da diventà... Capisci? TETA Già come si quello è moribbondo? AMELETO Eh, ma cchi tte dice che el malato nel rivedella, se senta meglio; e... capisci?... Essere o nun essere! È proprio il caso de dire come diceva el mio omonimo re de Danimarca. E cchi tte dice che quel 7 Bellimbusto, elegantone. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 239 28/11/13 12.44 240 introduzione fasse crede moribbondo non è un pretesto qualunque? Che ne sai che ‘sto Nicola stia invece meglio de noi? TETA Insomma io nun ciò ttempo da perde. Che s’arangi. Ce vadi nun ce vadi per me m’è indiferente. AMELETO Qui tu sbagli; perché questo anzi sarebbe el caso, invece de scriveglie, d’andacce in persona e de diglie a ‘sta Nicolina che faccia la donna, e pensi all’onore de casa e a quello del marito. Questa, presempio, sarebbe una bona azione da farse. TETA Ne convengo; con tutto che el marito se meriterebbe... AMELETO Che sse meriterebbe? Sentimo? Tutte compagne sete... Basta che un pover’omo se mostri tenero dell’onore suo... TETA Bell’onore! È un omaccio. Gliene fa de tutti li colori. Gioca, la rizzolla8 spesso, nu’ la fa mai uscì’ da casa sola... AMELETO Fa bbenone: bravo! TETA È ggeloso fracico... AMELETO È segno che glie vò bbene. TETA E poi, poi... AMELETO Sentimo. TETA Come vede una scopa con la vesta, se n’innammora. AMELETO È omo, è naturale, è cacciatore9. 8 Rizzollà: picchiare, bastonare. Seguono alcune battute cancellate con tratti di matita: TETA E cche ccacciatore! V’abbasti a ddì che doppo due giorni che v’avevo sposato a vvoi, nun c’ebbe el fégheto de famme certe proposte... AMELETO A tte? TETA E a chi se no? AMELETO E indove lo vedessi? A casa de Nicolina. AMELETO E c’ero puro io? In presenza mia? Io ‘sta circostanza nun me la ricordo. TETA Nun ve ricordate de quella amica che andassimo a ttrovà doppo sposato? AMELETO E cche vvoi che me ricordi; andassimo da ttanta ggente!... E c’ebbe core, me dici, che in presenza mia?!... Lo possino!... TETA Uno sfacciato. AMELETO Un vigliacco, un porco, un... Io, te ce stavo per mandà da su’ moglie acciocché nu’ lo facesse diventà... Martino*; e llui me ce voleva fà ddiventà a mme?! a mme?! Lo possino!... TETA Faccio bbene a nun impicciamme? AMELETO No: fai male. Vestete; vacce subbito e dì a Nicolina... TETA Che ccosa? AMELETO Che vadi subbito a consolà quel poveraccio. Chi ffà mmale aspetti male. TETA Ma vvoi scherzate? Io andà...? 9 * N.d.A.: becco. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 240 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 241 Insomma, da quel che vedo, voi ciaveressivo un gusto matto de sapé che quel pover’omo diventasse becco? Vedo che ve ciariscaldate tanto! TETA Da una parte je ce starebbe bene. AMELETO Ah sì? Metteteve subbito la ciavatta, pijate una carettella, e annate a consiglià quela vostra Nicolina che nun se move da casa, che nun sta bene. TETA (da sé) (Me fa da diavolo tentatore! Eh mi ciamancherebbe puro questa! Che me lo commandasse lui!) AMELETO Nun parlate? Che nun m’avete inteso? TETA Ma io... AMELETO Ma io ma io! Vestiteve e tocca10. Ve lo do io «je ce starebbe bene!» TETA Io nun ce vado! AMELETO Vorebbe vede questa! Marce. Ciavete d’annà e in carozza! TETA Ma vvoi scherzate? Io andà...? AMELETO Nu’ scherzo: dico sul serio! Puro me conoschi. Io sò come la capoccia de li prosperi; o pijo foco subbito, o per gnente. Vestete e vacce. TETA (supplichevole) Ma non me ce mandate che a voi nun ve sta bene. AMELETO Me sta benissimo. Se tratta d’una bona azione e ciavete d’andà perché nu’ lo volete. M’arincresce che ho da finì un lavoro de premura, si no ve ciaccompagnavo io in persona. TETA ( fra sé) (Era meglio.) E si sse sveglia el pupo? AMELETO Lo spupazzo io... Vestete e marce! TETA Ma ricordateve che si ppoi succede qualche guasto, ciavete che ffà vvoi. AMELETO Ma che guasto nun se sa. Qualunque cosa succede nun me ne preme un corno; capischi, un corno, un corno? TETA Quando un corno nun ve preme, ciovè dicevo, quando nun ve ne preme un corno... fiat voluntas tua. (si comincia a vestire) Io ce vado giusto per obbedivve; ma ricordateve che l’intenzione mia nun c’è, nun c’è, nun c’è. AMELETO (seccato) Quanto puzzi! Te dico vacce e sbrighete; sinnò11 10 E basta. La frase completa è: e tocca la viola, espressione usata anche da Belli (Ar sor Lello Scini, nota 1) ed era la formula conclusiva di alcuni giochi di bambini. 11 Seguono alcune righe cancellate con tratti di penna: quela poveretta nun fa a ttempo a sta a le 11 da quel poveraccio... Te dico, che me rincresce che sia moribbondo, perché in quelli piedi che se trova nun pò pensà a ffaglie danno, a quel vigliacco! Ma speriamo ch’el Signore glie dia forza e coraggio. Ah sor don Giovanni, me volevate fà Mmartino a mme? Ve sta bbene. A vvoi, cannella! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 241 28/11/13 12.44 242 introduzione a momenti sò le 11 e quella nun vedendote pò esse che el diavolo la tenti d’andacce. Che bbella sodisfazione ce provo io quando posso fà una de ‘ste bone azione12! TETA Mbè, giacché voi volete propio così; io ce vado. Ma ricordateve che... AMELETO ...Si succede qualche guasto ciò cche far io! Me l’hai detto già quattro volte: ho ccapito. Vattene. TETA (si pettina, guardandosi con civetteria nello specchio) Da quando avemo sposato, nun m’avete mai fatta uscì sola la porta de casa... E oggi sete voi che mme fate uscì, per un capriccio vostro, per mandamme a fà un bel lavoretto... AMELETO Nun tante osservazione! Sò io che lo voglio e nun ammetto repliche. Fenìscete da vestì e vattene. TETA Vado, vado; ma ricordateve che ssete voi che l’avete volute... AMELETO Ma quando te dico de sì! TETA Altrimenti io nun ce sarebbe andata, manco si me ce strascinaveno un par de bovi... AMELETO Embé farai conto che el bovo che tte ce strascina, sò io... TETA (pronta per uscire) Allora ce devo propio andà. AMELETO Ma quanto la fai lunga!13 Te ne vai o nun te ne vai? TETA Allora, addio14. AMELETO (trascinandola verso la porta) Va lesta sbrighete e prendi la carettella. Ecchete li soldi15. TETA ( fra sé) (Ce se vede propio la mano del destino!) (esce dalla porta d’ ingresso) AMELETO Se vedemo. Rotta de collo! Manco male che gliel’ha fatta! 12 Le ultime parole di questa battuta: «quando posso fà una de ’ste bone azione» sostituiscono le precedenti cancellate a penna: «assaporà li frutti de la vendetta». 13 Precedente lezione: Ma quanto puzzi! 14 Precedente lezione: (pronta per uscire) Lo dico per stà tranquilla de coscienza. 15 Precedente stesura, poi cancellata, di questa battuta: AMELETO Sta tranquilla. Dal momento che tte ce mando io, caspita! Se capisce che è mmia la colpa. Seguono, poi, alcune battute cancellate: TETA (esitando ancora) Allora vado? AMELETO (su tutte le furie le dà una spinta) Ma vattene a ffatte fotografare! TETA Che bbelle magnere! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 242 28/11/13 12.44 ! - 1. introduzione 243 SCENA V Ameleto solo AMELETO «Essere o nun essere!» Dice bbene: ecco un marito, per esempio, che si nun ero io che lo salvavo oggi16 ce diventava come è vvero el sole...17 (pausa. Guarda l’orologio) A ‘st’ora, Teta, già sarà arivata da la sora Nicolina... A proposito, che stupido! nun me sò ffatto dì nemmeno dove abbita ’sta sora Nicolina. (pausa) Me lo farò dì quando aritornerà a ccasa... Sarei curioso da vede Nicolina come se mette, quando se troverà ddavanti a quel povero ammalato... (pausa) (si sente piangere il bimbo) Oh s’è svegliato el pupo. È meglio a nun fallo piange, povero innocente. (entra nella camera da letto e ne ritorna subito col bimbo in braccio; finge di cunnarlo) Oh, ooh!... (pausa) Che serve, più cce penso a ’sta cosa più me ce viè dda ride. Me voglio rilegge la lettera. (se la cava dalla tasca e la rilegge) Quando farò conoscenza co’ ‘sta sora Nicolina, glié dirò: ringraziateme; perché si nun ero io, averessivo fatta ‘na gran buscarata.18 (pausa) Curiosa poi che lui se chiama Nicola, e llei Nicolina. Che combinazione strana! (ride) Si poi verrò a conosce quel pover’omo19 del marito della sora Nicolina, glie dirò: Si nun ero io a quest’ora, la gente ve diceva: Ah voi sete el marito de lei? Voi?! Bravo sor cornacopio20! (e scoppia in una clamorosa risata) SCENA ULTIMA Vittoria e Detto VITTORIA (con un involto sotto il braccio entra, chiamando) Sora Teta, sora Teta! AMELETO Che vvòi? 16 Cancellate da qui le seguenti parole della battuta: Quel povero Nicola, nun era moribbondo. 17 Cancellate a penna da qui le seguenti parole della battuta: Che peccato che sia bbello che andato!... Ma chi lo sa? Fino che c’è ffiato c’è speranza... Brutto vigliacco, volemme provà a... A mme?! A mme che allora, fra l’altre cose, ero pure sposetto fresco, e nun me conoscevi manco per prossimo. Te possino!... 18 Precedente lezione: perché si nun ero io, voi dal vostro Nicola, nun ce saressivo andata un accidente... 19 Precedente lezione: l’imbecille. 20 Precedente lezione: cornutaccio! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 243 28/11/13 12.44 244 introduzione VITTORIA Ah gnente, je volevo fà vede si sta camicia la riconosce pe’ sua. AMELETO Be’ aritorna più tardi, allora, perché Teta nun c’è. VITTORIA (meravigliatissima) Nun ce credo. (entra in camera da letto: osserva con curiosità in ogni canto) Sora Teta, sora Teta. AMELETO Guarda che tigna! VITTORIA (tornando) Nun c’è davero. AMELETO Quando te dico de no. È ita in un posto indove lei nun ce voleva andà. VITTORIA Bravo! ( fra sé) (La lettera è arivata e ha fatto affetto.) E perché nun ce voleva annà? Sfido poveraccia, siccome sola nun ce la mannate mai... AMELETO Io ce l’ho mmandata per forza. VITTORIA Voi? AMELETO Io! VITTORIA Doveva esse un posto che ve premeva assai! AMELETO Sicuro, l’ho mandata a fà una bona azione, in seguito a una lettera che glià scritto una certa Nicolina. VITTORIA (scoppiando a ridere) Bravo! (fra sé) (L’amica è ita a ppollo!) Questa davero è da segnasse col carbone bbianco! AMELETO Perché? Che c’è tanto da ride? VITTORIA (c. s. ) Perché da quanno sete sposi, questa è la prima vorta che vedo uscì lei sola. AMELETO E ce l’ho mannata io pe’ forza! VITTORIA Bene. (ride) AMELETO A spinte! (c. s.) VITTORIA Bravo! (c. s.) AMELETO E je ciò pagato puro la carozza! VITTORIA Come je ciavete puro... (accarezzandogli la testa, abbracciandolo e baciandolo) Ma benone! Dunque se trattava d’un’opera propio misericordiosa...? AMELETO Brava! Indovinate quale opera? VITTORIA Che vò da dì? Da vestì quarche ignudo... AMELETO ( fa cenno di no col capo) VITTORIA Ciò azzeccato! D’alloggià quarche povero pellegrino! AMELETO Macché. Venite qua (le si accosta all’orecchio e finge di dirle qualcosa) Eh che ve ne pare? È uno de meno! VITTORIA (sbotta da ridere) E vai cercanno uno de più uno de meno! AMELETO Ma perché ridi tanto? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 244 28/11/13 12.44 1. introduzione 245 VITTORIA (ridendogli sulla faccia) Perché mme fate ride, perché me va da ride, perché nun posso fanne a meno. Tutt’affatto devertì. AMELETO Infatti, io pure, oggi, contro el mio solito, nun farebbe che ride. VITTORIA E allora ridemo puro (scoppiano ambedue in una sonora risata) Cento de ‘ste giornate! AMELETO (stringendole con effusione la mano) Grazie! Cala la tela Giugno 1889 a Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 245 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 246 28/11/13 12.44 LI CARBONARI Scene comiche in dialetto romanesco Riduzione dal francese Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 247 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 248 28/11/13 12.44 1. introduzione 249 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 11 cc. (mm316x224) composto da 5 fogli tipo protocollo più 1 c. sciolta, recanti il marchio cancellato a penna del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 345-355, più 1 c. di guardia alla fine. Calligrafia non autografa. Testo a piena pagina. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 249 28/11/13 12.44 250 introduzione Personaggi PIPPO detto Tuttibozzi Carbonaio TERESA detta la Sbirretta Carbonaia IMBROJI Giudice Conciliatore MENICA Lavandaia TITO Scopatore Epoca presente Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 250 28/11/13 12.44 1. introduzione 251 ATTO UNICO La scena vierebbe a esse l’ufficio d’un giudice conciliatore, in der fonno una porta che s’apre e se chiude a siconna de le circostanze. A mancina una porta der giudice che dà in dell’antre stanze de l’appartamento. A man dritta un caminetto co’ lo specchio sopra. Un tavolino pieno de carte, libri e antri impiccetti, un campanello e una colazione che nun è finita. A li muri certe ‘scrizzione che dicheno: «Tassa municipale sui cani. Servizio medicale notturno. Indirizzi dei giudici concijatori». Diverse sedie. Una finestra a dritta. SCENA I IMBROJI (che sta facendo colazione) C’è della gente che crede che noi abbiamo le nostre ore fisse per mangiare. S’ingannano a partito. (beve) Si mangia... sì, soltanto non si mangia quando si vorrebbe. Che vi pare! Sono le tre suonate! Domando e dico se questa vi sembra l’ora in cui un povero disgraziato deve ridursi a trangugiare alla meglio un boccone di pranzo... E poi perché? Perché ci sono degli individui i quali passano la loro vita a litigare. (prende una carta) Eccone uno per esempio che si querela, indovinate perché? Perché gli hanno rubato l’orologio davanti al casotto della donna barbuta! Che cosa me ne importa a me? E chi mi può provare che colui che gli hanno rubato l’orologio non sia cento volte più birbone di lui? Poiché è bene che lo si sappia una buona volta: sotto la veste di un giudice c’è la stoffa del filosofo... sicuro, del filosofo che capisce tutte le debolezze dell’umanità, che le sa scusare e le sa, nel medesimo tempo, incoraggiare. Infatti se togliamo totalmente dalla società i ladri, gli assassini, gli scrocconi... che cosa ci resta? Della gente onesta. E con la gente onesta si fanno in fede mia delle belle cose, dei buoni affari!... Tanto che, se ve lo debbo confessare, io amo più i malfattori, almeno non vi vengono mai ad incomodare per querelarsi della gente onesta, mentre questa è sempre in querela coi malfattori. (si bussa alla porta) Avanti! Lo dicevo io che non si può stare un momento in pace!... SCENA II Menica e Detto MENICA (di dentro) Deo gratias! IMBROJI Avanti che qui non siamo mica in chiesa! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 251 28/11/13 12.44 252 introduzione MENICA Sete lei er signor giudice conciatore? IMBROJI (con severità) Che cosa volete? MENICA Perché me ce vojo fà propio quattro risate, si sete voi! IMBROJI Esponete il caso! MENICA Sentite stammatina sì cche me succede: stavo p’er prato de S. Cosimato a stenne li panni de ‘na posta mia che sarebbe la moje de... nun so si lo conoscete... er sor Pietro, quello che sta al Monte de pietà a fà er coso... er coso... aiutatemelo a ddì... ah! già, voi nun lo conoscete, è lo stesso; insomma, er sor Pietro che sta ar Monte de pietà. Dunque, come ve dicevo, stavo a stenne li panni quant’ecchete che me se presenta un pizzardone e me dice che sò cascata in contravisione. Che volete io?! Dimme che ero cascata in contravisione e levammese er lume dall’occhi fu tutta ‘na cosa. Dico: e com’è uscita ‘sta contravisione si sò pe’ lo meno venti anni che viengo a stenne qui sor co... capite? Dico: che proprio stammadina v’ho dato sur naso? Dice: pagate e nun fate tante ciarle, sinnò ve porto in carcere. In carcere a me? dico: ce porterete... capite sor giudice? Allora lui me fa dice: me parete un po’ troppo vassallona1! Nun me l’avesse mai detto, sor giudice mio, nun me l’avesse mai detto! N’antro tantino me j’attaccavo a l’occhi. Abbasta, poi me sò consijata co’ ‘na commare mia, e così je sò venuta a dà querela. IMBROJI Perchè v’ha fatto contravvenzione? MENICA Perché m’ha insurtata, perché m’ha detto vassallona. IMBROJI Anche voi, però, potevate moderare i termini. MENICA Io moderà li termini? Me fa mórto spece come parlate. Io sò ‘na pubbrica cittadina e vojo fà quello che me pare e piace. Insinenta che m’ha fatto pagà la murta, nun m’è importato gnente; ma dimme vassallona a mme! A mme! lui se sbaja assai! Vassallone sarà lui co’ quell’antri quattro cani che stanno ar Municipio! IMBROJI Dunque la multa l’avete pagata? MENICA Sicuro! (caccia ‘na carta) Ecco qua ciò tamanta de ricevuta! M’ha fatto spenne 80 bajocchi. Che ce se possi comprà 80 bajocchi de spezzieria. IMBROJI Ma se avete pagato la multa mi sembra ozioso il querelarsi per un nonnulla. MENICA Ah! Lo chiamate un «nonnula»? Lo chiamate un nonnulla? Dimme vassallona a me? Je vojo imparà come se tratteno le lavannare in ‘sti tempi che correno. 1 Canaglia, screanzata. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 252 28/11/13 12.44 ? 1. introduzione 253 IMBROJI Se volete così, se insomma non c’è il modo di riconciliarvi... Ditemi dove siete di casa! MENICA A Campo Carleo 23. IMBROJI La professione? MENICA Lavannara prubbica! IMBROJI E la guardia in questione come si chiama? Dove abita? MENICA Nu’ lo so come se chiama; ma abita ar Municipio dove staveno prima li frati de l’Ariceli, e se chiama la guardia 27. IMBROJI (scrive) Va bene, potete pure andare. Sarete chiamata. MENICA (senza salutare) Dimme vassallona a mme, a mme! Eh! Lo so io quer che ce vorebbe! (via) SCENA III Imbroji solo IMBROJI Ed ecco perchè bisogna interrompere il pranzo!... Vediamo a che punto ero! Ah! Stavo terminando di rosicchiare l’osso della mia costoletta. Se sente da dentro un gran rumore e poi un battibujo2 fra ’n’omo ’na donna. Se vede la porta der fonno che trittica da le spinte che je danno Pippo e Teresa. PIPPO (da dentro) E io te dico che vojo passà pe’ primo! TERESA (idem) E io te dico de no! IMBROJI Dell’altra gente, misericordia. PIPPO (idem) Ariprovece ’n’antra vorta? TERESA (idem) Ciariprovo sicuro; avessi da mettemme paura! Seguitano a baccajià. La porta se spalanca e un carbonaro e una carbonara con le facce tinte de nero entreno litiganno dentro l’ufficio. SCENA IV Pippo Teresa e Detto IMBROJI 2 Che cos’è? Volete spiegarvi? Rispondete! Battibecco. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 253 28/11/13 12.44 254 introduzione Pippo e Teresa sò tanto sfiatati che nun je la fanno manco a dì ‘na parola. Se sforzeno pe’ parlà e nun riesceno antro che a ffà quarche gesto e a ddì quarche mezza parola. TERESA (aripijanno respiro) Signor coso... PIPPO Sor giudice... TERESA Semo venuti... PIPPO Pe’ ffà pace... IMBROJI Eh! lo vedo bene!... TERESA ‘Sto signore è ‘n vassallo. PIPPO (risentito) Perdi er fiato. TERESA (più forte) ‘Na canaja. PIPPO Te vòi stà zitta? TERESA Nemmanco si m’ammazzi, vassallone! PIPPO Aricomincio da capo? (arza le mani) IMBROJI (si mette in mezzo) Vi faccio osservare, o signori, che un ufficio di giudice conciliatore non è un’arena! PIPPO Nun sente che colei m’insurta? TERESA Ne sentirai de peggio! IMBROJI Tregua... Siete davanti alla giustizia. Rispondete uno alla volta e quando sarete interrogati. PIPPO E TERESA Sì sor conciatore! IMBROJI Conciliatore, bestie! TERESA Sì; io però ve previengo che tutto quello che dirà ‘sto boja nun è vero! PIPPO E quello che ddirà llei nemmanco! TERESA No, io dico la verità. PIPPO Lalléro! TERESA Bisogna faje pagà ‘na bona murta e mannallo a le carcere nove. IMBROJI Vediamo, signori, chi è prima il colpevole. TERESA È lui! PIPPO È llei! IMBROJI Chi di vojaltri due viene a deporre, chi si viene a querelare? TERESA Io! PIPPO Io! IMBROJI Mio Dio ma che cosa avete? Siete spiritati? PIPPO E adesso pronunziate la sentenza! IMBROJI Basta. Vi proibisco d’influenzarmi! E prima d’ogni cosa debbo dirvelo, non ho assolutamente capito ciò che voi mi avete detto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 254 28/11/13 12.44 1. introduzione 255 PIPPO Eppure avemo strillato forte. TERESA Allora ricomincio... PIPPO Io pure... Li du’ discorsi (che vengono appresso) de Pippo e de Teresa se dicheno nello stesso tempo o meglio contemporaneamente. TERESA E st’infame de ‘sto carbonaccio che cià avuto gnentedemeno er core d’arzà le mano su una povera donna. Vojo giustizia, sinnò me la fo da me! PIPPO E ‘sta boja de ‘sta carbonara che cià ccore de cantà tutta la santa giornata e de rubbamme tutte le mi’ poste de bottega. È ora de finilla. O bisogna che mori lei, o che io ammazzi lei! IMBROJI (asciugandosi il sudore) Come volete che io renda giustizia a della gente simile? Maggiormente poi a della gente a cui è impossibile leggere sulle loro fisonomie... PIPPO Se potressimo spiegà cor un po’ de pacienzia. TERESA Co’ un un po’ de pacenza co’ un omo che mena a le donne? PIPPO Come t’azardi ancora... IMBROJI Silenzio! Siccome mi è impossibile procedere fra tanta confusione, v’interrogherò separatamente. TERESA Bravo, cacciate de fora lui! PIPPO Bravo, schiaffatela a sede ar posto suo. IMBROJI (spingendo Pippo verso la porta) Ebbene sarete voi il primo a essere cacciato. PIPPO Allora quanno dev’esse accusì me schiaffo a ssede su ‘sto canapène e nun opro più bocca nemmanco si llei me dicessi codica. IMBROJI (si mette a sedere) La parola alla signora! TERESA (alza la mano dritta) Giuro de dì tutta la verità gnent’antro che la verità! PIPPO Ecco le miffe3 che principieno. IMBROJI Può essere benissimo; ma ciò non vi deve interessare. Avanti! TERESA Dunque, caro sor giudice, io fo la carbonara. IMBROJI Me ne sono accorto! TERESA Sò quindici giorni che ho uperta bottega in via der Merangolo n. 44 de faccia propio a quer signore llì chiamato er sor Tuttibbozzi. 3 Bugie, menzogne, panzane. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 255 28/11/13 12.44 256 introduzione PIPPO Te possino!... IMBROJI Sts!... (sona il campanello) PIPPO Nun fiato più. TERESA E sia che sarò più de bone magnere de llui... PIPPO Pò esse, pò stà! TERESA Sii che la mercanzia mia sia più bbona... PIPPO Sor giudice, nun posso permettere che se dichi male de la mi’ mercanzia. Fatecela vede la vostra, sora scontenta, fatecela vede!... IMBROJI Silenzio! (Pippo se mette a sede) TERESA Io nun j’arisponno pe’ gnente. Dunque, come ve dicevo, tutti quelli der vicinato viengheno in de la mi’ botteguccia... PIPPO Bisognerebbe vede perché ce viengheno. IMBROJI Giusta osservazione. Sarebbe bene saperlo. TERESA Sia perché fo affari più de lui, che me sta incontro, è ggeloso, ce magna l’ajo; e stammatina, anzi, mezz’ora fa ha traversato la strada e m’ha sonato... PIPPO Nun è vero! TERESA Si è vero! M’ha sonato un leccamuffo4... PIPPO Nun è vero! IMBROJI Diavolo! PIPPO ( forte) Nun è vero, nun è vero!... IMBROJI Vorreste dire che non avete colpito questa carbonaja? TERESA Ma questa è un’infamità! PIPPO Nun dico questo... IMBROJI Allora che cosa le avete fatto? PIPPO (s’alza e s’avvicina a Imbroji) Prima de tutto, scusi, ce l’ho la parola? Posso parlare? IMBROJI Ma certamente! PIPPO Allora io puro giuro de dì tutta la verità, gnent’antro che la verità. J’ho dato un papagno5. IMBROJI (a Teresa) Allora perché dicevate un leccamuffo? PIPPO C’è differenza, diavolo! Er papagno se dà accusì, e er leccamuffo, in quest’antro modo. E poi dico, sor giudice, guardate l’articolo de li leccamuffi. IMBROJI (a Teresa) È vero? TERESA Io nun me n’intenno! IMBROJI Ho capito! Ma la giustizia avrà cura di occuparsene. (con dol4 5 Sberla, ceffone, manrovescio. Pugno violento, cazzotto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 256 28/11/13 12.44 1. introduzione 257 cezza a Filippo) Mio caro, spiegatevi alla vostra volta. (a Teresa severamente) E voi sedete e tacete. Farò prendere delle accurate informazioni sul conto vostro. TERESA Come, doppo che ce l’ho prese...?! IMBROJI Silenzio! (a Pippo) Abbiate la compiacenza di sedervi (gli dà una sedia) PIPPO (Che bravo giudice, che bravo giudice!) Ecco qua, sor giudice mio, come stanno le cose. Stavo facenno l’affari mia, anzi stavo per annà ar Ministero de l’Interno... IMBROJI A che farci? PIPPO A pijacce l’Impresa de le stufe. Quanno ‘sta sora sposa... TERESA Sò zitella e ve lo proverò! PIPPO Pò esse: chi te dice gnente! IMBROJI Avanti! PIPPO Quanno ‘sta zitelluccia me s’è venuta a mette davanti a la bottega mia, co’ la stessa mercanzia. Che è successo? Se capisce. Siccome io nun potevo fornì l’avventore de quello che li poteva fornì lei... (co’ rabbia) annàveno a pijà a bottega sua, quello che nun poteveno trovà in de la mia. TERESA Lui m’insurta! PIPPO Insomma, pe’ spiegasse: lei cià una qualità de carbonella che io nun ciò; e de soprappiù, pe’ fà cascà li merlotti in de la su’ rete, sta tutto er giorno a cantà l’animaccia sua. Capirà, sor giudice mio, che ‘sta cosa m’ha incominciato un po’ a seccà... me vedevo sparì tutte le poste... TERESA Avanti e poi e poi...? PIPPO E poi, chi dà a llei er diritto de cantà tutto er giorno er Caprone? Nun se chiama questo un rumore notturno? IMBROJI Un momento. Che cos’è questo Caprone? TERESA Una canzoncina de li Monti... IMBROJI Ci sono forse delle parole indecenti? PIPPO Nun dico questo; ma capirete che una canzona che se chiama er Caprone e che quanno se canta aripete sempre, caprone, caprone, sippuro lei la sentisse co’ tutto che è giudice conciatore, puro je seccherebbe. TERESA Se ne ponno sentì de peggio! (ride) IMBROJI Scusate. C’è un mezzo molto semplice. Fatemi sentire la canzone e così potrò giudicare della gravità del delitto! PIPPO Embè la dichi puro. E si llei nun me dà ragione quanno l’ha intesa, sangue dell’aio!... (batte sul tavolino) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 257 28/11/13 12.44 258 introduzione IMBROJI Basta!... (Pippo se scosta) Declamate come si conviene davanti alla giustizia; perchè non occorre che la cantiate. TERESA Sì, sor giudice... IMBROJI E non aggravate, vi prego, la vostra situazione. TERESA (declama) Du’ villani de Fumone nell’annasse a divertì incontrarono un caprone (indica Pippo il quale fa atto di protesta) co’ ddu’ corni da nun dì! Uno disse: segno brutto, pe’ chi è? Gnente pe’ te? L’antro disse: pò stà tutto, ma le corna no, sapé! Pe’ conosce er disgraziato, vanno su da n’avvocato che je disse crudo crudo prima datemi uno scudo: poi je disse, amici cari! Si può esser più somari? Il capron per dir com’è v’è comparso, ma per me...! IMBROJI Non c’è niente di male. PIPPO Per un ufficio de giudice conciatore nun c’è niente de male; ma per una bottega de carbonaro ar minuto... IMBROJI E in seguito alla canzone avete dato alla signora uno schiaffo? PIPPO No, un papagno, scusi! IMBROJI Alla signorina! PIPPO Sfido io! Metteteve in de li mi’ panni! TERESA E pe’ questo vojo che sia condannato a li lavori forzati a vita. PIPPO No, anzi l’averebbero da mannà a Civitavecchia. TERESA No, anzi mannatelo a morì in d’un’isola co’ l’acqua da tutte le parte. PIPPO Capite che core? Eppoi dicheno che le donne sò tenere de corata, ammàzzele! IMBROJI (serio) Signora voi tacete. (a Pippo) Mio caro io non ho facoltà di giudicarvi ma se voi mi giurate d’aver detto la verità... PIPPO (dà un pugno sul libbro der vangelo e strilla) Lo giuro!... TERESA (c. s.) Lo giuro!... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 258 28/11/13 12.44 1. introduzione 259 IMBROJI Perdio, ma che cosa vi siete fatti? ( fa vedere il libro dove ci sono rimaste stampate le mani dei due carbonari) Si appoggiano delle mani come codeste sopra il libro dei santi Evangeli? E poi è regolare, domando io, avere delle mani come codeste? TERESA Oggi nun era domenica. Noi se lavamo antro che la domenica, è vero? PIPPO Su questo tasto ha raggione! IMBROJI Basta, allora tornate domenica mattina e avrete la vostra condanna. TERESA De che? Avressimo d’aspettà insinenta a domenica a mattina? Ma voi ciavete le patate? PIPPO Ma voi ciavete le pigne? Io voglio esse giustiziato! TERESA Io puro vojo esse giustiziata! IMBROJI Vi prego di dir meno insolenze, o son costretto di farvi mettere alla porta dai miei uscieri. Tornate allora fra poco e giustizia vi sarà resa... ma mi duole il dirvi, mia cara signora, che il vostro caso non è punto rassicurante. TERESA Ma come, doppo che ciò preso la sveja!... IMBROJI E va bene; ma voi tenete della carbonella... PIPPO Che io nun tiengo! E lì sta er punto! TERESA Abbasta, se la vedremo! Addio, sor conciatore. (andando via) Ma eh! Vatte a ffidà de la giustizia. (via) PIPPO Io saluto e aringrazio er signor conciatore, er magistrato alluminato... (con tenerezza) Questa è giustizia vera. ( fa per andarsene poi torna) Si ve serveno un po’ de tizzi boni, nun fate comprimenti. A carbonella sto male; ma a tizzi ve ne posso fornì quanti ne volete. (via) SCENA V Imbroji solo IMBROJI Ecco per esempio un buon giovine che ha destato in me dell’interesse. Son certo che da questo impiccio ne uscirà bianco come la neve! È un’anima delicatissima in un corpo di carbonaio. Vedi che testa! Mi sono dimenticato di domandare loro il nome... Non fa nulla. (scrive) «Il carbonajo di faccia alla carbonaia di faccia ha schiaffeggiato la seconda perché la seconda seccava il primo, cantando il Caprone». (rilegge) Ben scritto. Ora finiamo di mangiare. (si sente sonà el campanello) Ah, ah, della gente ancora! Avanti. (Tito apre la porta) Vi dico che entrate. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 259 28/11/13 12.44 260 introduzione SCENA VI Tito (scopatore ) e Imbroji Tito porta la montura di scopatore, cià la pippa in bocca, la scopa in mano. Si presenta con aria importante. TITO A, sor coso, me faressivo er piacere de dimme si è qui che se giustizia la gente. IMBROJI Che cosa dite? TITO Domanno si è qui che se fa giustizia? IMBROJI Sentite, se ci si facesse qualche volta ne proverei un gusto matto. Di che cosa avete a lagnarvi? TITO De che? De che? Ve lo direbbe io de che...! Abbasta, è mejo a stasse zitto. IMBROJI Se siete venuto qua per tacere, ecco la porta; potete andarvene. TITO Ma sentite sicché me capita stammatina. Me ne venivo in giù doppo d’avé scopato, cor timor de Dio, tutto er Corso insinenta a S. Marcello: capite? Perché io scopo sempre cor timor de Dio, qualunque sia strada. Quanno pànfete! un paìno6, si’ scannato, me dà n’appettata7, n’appettata che llèvete! E quanno te dico lèvete, llèvete; perché la botta che m’intesi dà sur petto, io sortanto la posso ggiudicà!... IMBROJI Eh! sta bene, lo credo; avanti! TITO Io, sor Giudice mio, je feci dico: Ma che sei guercio? Chiunque antro, ar posto mio, javerebbe detto artrettanto, nun è vero? Embè, quer musolino nun c’ebbe core d’arisponneme che ero guercio io?! Insomma: incominciò a sgaggià: capite? Come si llui avesse avuto raggione, e io fussi stato da la parte der torto. Io che vedevo che s’ariddunava gente, dico, mó questi me danno torto a me! E detto fatto, me metto a strillà si era quello er modo de pijà de petto un pubbrico scopatore... IMBROJI (da sé) (Anche questo ha la mania di voler esser pubblico come la lavandaia di dianzi.) TITO Lui naturalmente, sor giudice mio, me dà der tipo. Io che aspettavo quella parola che je scappasse da la bocca più della manna der 6 Bellimbusto, elegantone. Qui Zanazzo, come esplicitato più avanti nella battuta, usa il termine appettata nel significato di «botta data sul petto», non registrato in RAVARO, (dove è riportato solo il significato di: «pesante fatica, grave sforzo»), né in CHIAPPINI (che riporta: «fatica che conviene sostenere nell’ascendere una salita, ed anche la salita stessa»). 7 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 260 28/11/13 12.44 o . 1. introduzione 261 cielo, nun je la feci a ripete du’ vorte. E je dissi: Se la vederemo davanti ar giudice conciatore, si sò un tipo. E detto fatto me ne sò venuto qui pe’ daje quarela. IMBROJI Per qual motivo? TITO Perché? Perché m’ha pijato de petto. IMBROJI Ma scusate non ve l’avrà mica fatto appositamente. Succede tutti i momenti. TITO Nun fa gnente! Pò stà! Ma perché damme der tipo? A mme nun me capacita pe’ gnente. Si ppoi lui ciavessi quarche raggione da dimme che sò un tipo me lo provi! IMBROJI Ma sicuro che ve lo proverà! Insomma sentite, se voi vi ostinate nel voler dar querela a quel signore dal quale vi siete creduto offeso, ditemi il suo nome, la sua abitazione... insomma le sue generalità! TITO De chene? Oh! questa è bbella! Io averebbe da sapé...? Allora er guverno che starebbe a ffà? Me pija de petto una persona e io ho da sapé come se chiama! Indove abbita!... Ma le patate! Voi che ssete quelli del guverno l’avete da sapé, no io! IMBROJI Oh! Sapete, io non ho tempo da perdere. Io non posso dar querela ad una persona di cui non conosco né il nome, né l’abitazione. Capite? TITO Ho capito, ma mme fa specie, ve torno a ripete, che er guverno nun sappi er nome de le persone! Allora che guverno se chiama? IMBROJI Oh! io non posso entrare in discussione con voi sui meriti del governo. Andate a trovare la persona che vi ha offeso, domandategli il nome e l’abitazione, tornate qui e giustizia vi sarà resa! Altrimenti non ne facciamo nulla. TITO Già! Io mó averebbe d’annà a trovà quello per domannaje...; belli consiji che me dà! Accusì, si lo trovo, co’ un mozzico me je porto via er naso! Macché! Nun me fo giustizia da me? Pi, pi!... Se vedemo! IMBROJI Addio! TITO (batte la mano sul tavolo) Eh! Ma che, mm’ha da venì la repubbrica?! Antro si ha da venì! Basta, è mejo annàssene. (via) IMBROJI E va al diavolo te e la tua repubbrica, imbecille. Vedete che bel modo da ragionare. E dire che gente di tal fatta mi capita tutti i giorni! C’è da impazzire... oh andiamo a portare queste carte al copista. (si sente sonà il campanello) Entrate! (Pippo entra) Buon giorno signore; aspettatemi un momento che torno subito. (via) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 261 28/11/13 12.44 262 introduzione SCENA VIII Pippo solo PIPPO (s’ è lavato mani e viso, s’ è levato il vestito da carbonajo e si è messo quello della festa) M’ha chiamato signore; è segno che nun m’ha ariconosciuto... Sò arivato er primo ‘sta vorta... Siccome m’ha detto er giudice che lui legge molto bene su le fisonomie... me sò dato ’n’aranciata a la mejo, e mme sò lavato er grugno accusì me pò guardà bene su la fronte... Intanto che aspetto ‘sta strega, me vojo annà a ffaccià su ‘sta loggetta pe’ vedella arivà. (si affaccia) SCENA IX Teresa e Detto TERESA (pure lei s’ è cambiata l’abito e lavato il viso) Sò arivata la prima; siccome er giudice ha detto che lui legge bene su le fisonomie, me sò lavata la faccia... (si guarda a lo specchio) Oh! signore, ma sò io? me pare fino impossibbile. Provamo a fà quarche gesto. (alza un braccio) Ma sicuro! Ma certo sò io, propio io. Sò carina magara!... Me capacita assai d’esseme lavata, bisogna che lo facci tutti li giorni... Armeno si averò da trovamme ‘no straccetto de marito, lo troverò più presto. Accusì ce l’avessi avuto in ‘sta circostanza! Sarebbe stato lui che averebbe ricevuto er papagno e l’averebbe arestituito ar sor Tuttibbozzi! (siede) Basta, mettémose a sede! PIPPO (rientra) È chiaro come er sole che l’amica s’è squajata e nun aritorna più. (vede Teresa) Una signora!! TERESA (c. s.) Un signore!!! PIPPO (da sé con importanza) (Eh! A casa de li giudici c’è sempre gente piuttosto, diciamo accusì, pulitina... questa doverebbe esse quarche signora che campa de rènnita. E che ber pezzo de regazza, che Iddio la benedica!) TERESA (Che ber giovinotto.) (da sé) PIPPO (Se poteressimo mette a ffà conversazione si nun antro ce servirebbe pe’ spassasse er tempo.) TERESA (È propio un giovene simpatico!) PIPPO (È propio bona bbona! Come potrebbe fà pe’ attaccacce discorso?) Dichi, lei scusi, ce starà incommida a sede su quer canapène? TERESA No grazzie! Anzi ce sto bene perché pare più morbido d’un sofà. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 262 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 263 PIPPO Lo direte pe’ comprimento? TERESA Nemmanco pe’ sogno. PIPPO (Quant’è sugosa!) TERESA (Quant’è ciumaco8!) PIPPO Signorina... TERESA Che volete? PIPPO Dicevo tra de me, che forse lei sur canapè sta alquanto scommida... TERESA Oh!... grazzie, troppo bono... PIPPO Vole la mi’ ssedia?... TERESA Lo vojo contentà. Grazie. (accetta la sedia) PIPPO (da sé) (Quant’è cara che bellezza!) TERESA (c. s.) (Com’è garbato!) PIPPO (c. s.) (Quant’è carina! Potessi armeno sapé come se chiama!) TERESA (c. s.) (Quant’è educato, chissà che straccio de signore sarà! se vede da l’aspettito, e dar modo come marcia!) PIPPO Signorina! (le fa una riverenza) TERESA Signore! (c. s.) PIPPO Che bella giornata oggi! TERESA Bellissima! PIPPO Scusate, ve vorebbe domannà ‘na cosa. TERESA Dite puro! PIPPO Vorrebbe sapé perché sete venuta qui. TERESA E voi? PIPPO Io? Eh! per un affare mórto serio, ma mórto. TERESA Non tanto quanto er mio! PIPPO Io perché sò stato insurtato! TERESA Io perché sò stata abbussata! PIPPO (s’alza) Voi abbussata?! Indove? quanno? da chi? come? quanno? TERESA (c. s.) Che dite? PIPPO Dico: indove? quanno? da chi? come? quanno? TERESA Stammatina da un mascarzone (insegna la guancia) qui!... PIPPO Indove llì? Su quel lettino de rose? TERESA Già qua! PIPPO Che gente! Io nun posso arivà a capì come ce possi esse certa gente capace de mette le mano addosso a ‘na donna... Ma lassateme fà a me che je do ’na lezzione io... Diteme indove abita, come se chiama che mestiere fa? (infuriato) 8 Avvenente, simpatico. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 263 28/11/13 12.44 264 introduzione TERESA Nun dubbitate che l’ho fatto segnà qui... Sortanto però io credo che invece de condannà llui me doverebbeno condannà a mme. PIPPO (c. s.) Ma che giustizia! La giustizia bisognava che ve la fussivo fatta da voi... che l’avessivo detto a quarche omo de casa... TERESA Nun ciò gnissun parente, gnissun omo... PIPPO Possibbile? Ma nun ciavete... una conoscenza? Un protettore... Nun ciavete er regazzo? TERESA No, nun ce ll’ho! PIPPO Carina come sete, bisogna che ve lo trovate! TERESA Magari me lo potessi trovà! PIPPO Eccheme qua a mme! Ma prima bisogna che vennichi de l’insurto che v’ha fatto quer boja, vojo l’indirizzo suo, vojo che me dite er nome. TERESA Nun ve lo dico, ve potressivo compromette. PIPPO Comprometteme io? Allora voi nun me conoscete. Je vojo dà ‘na sgargamella. TERESA Un signore come voi mettesse co’ un carbonaro? PIPPO Un carbonaro? Mejo, è uno der mestiere. TERESA Uno der mestiere? Che voi sete carbonaro? Io pure sò carbonara! PIPPO Ma davero? Oh! quanto ce godo! Oh! quanto ce godo! E ssete de la provincia oppuramente sete romana? TERESA No, sò romana. PIPPO E ve chiamate? TERESA Teresa la Sbirretta. PIPPO Oh! Dio! Voi Teresa! Me sento male. (cade a sedere) TERESA Oh! Dio! ve sentite male? Volete che ve slarghi? PIPPO No, grazzie! Ah! Teresa, Teresa! Vojo che ve vennicate de me in sur momento... TERESA S’ammattisce!... PIPPO (da sé) (Bisogna che me facci arestituì er papagno pe’ fà le partite pare.) Pe’ rivenì in me c’è un modo: bisogna che me date uno sganassone forte forte. TERESA Iddio me vede che lo fo pe’ sarvallo! (gli dà uno schiaffo) PIPPO Ammazzete!! Ben dato! TERESA Ne volete quarchun antro? PIPPO No grazzie... ma voi ve sete vennicata! TERESA Io? de che? PIPPO E quer mascarzone, quer boja, quer carbonaro che ha avuto l’ardire de davve un papagno, quer Pippo Tuttibbozzi, sò io! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 264 28/11/13 12.44 1. introduzione 265 TERESA Voi?! A che mó me sviengo! (casca su la sedia) PIPPO Ve sentite male, volete che ve slarghi? (Pippo prende il vino che è rimasto dalla colazione del Conciliatore e l’offre a Teresa)9 TERESA No grazie! PIPPO A voi! bevete ché questo ve rimette in gamba! ( je dà il vino) TERESA (beve) Grazie, me sento mejo. PIPPO (beve pure lui) È vero? ‘sto vino ariscalla! TERESA Chi se sarebbe mai creso, che un omo così garbato come vvoi. ( fa segno di menare) PIPPO Avete mille vorte raggione... ma insomma diteme la verità parlateme cor core in mano, nun se potrebbe aggiustà ‘st’affare? TERESA Oh! no, no; che direbbe er vicinato? PIPPO Quanto je n’importa! (se sente la voce d’Imbroji) TERESA Zitti che viè er giudice! SCENA X Imbroji e Detti IMBROJI (si mette a sedere) Chi siete o signori? PIPPO Semo li du’ carbonari de stammatina. IMBROJI Non vi riconosco affatto! TERESA E PIPPO Ma si ve dimo che semo noi! IMBROJI (si mette in mezzo) Allora è evidente che le scene di questa mattina si ripeteranno. Interponiamoci. (a Teresa) Voi là (a Pippo) e voi là! Vediamo, che cosa domandate? PIPPO (guarda prima Teresa) Che domannamo? Domannamo che ce dite come se deve fà per annà a sposà ar Municipio, tutte le carte che ce vonno, e quello che bisogna scajà. TERESA Sì, sì perché se volemo marità llesto e presto. SCENA ULTIMA Tito, Menica e Detti TITO E MENICA Sor giudice, l’ho accomodata da me quela faccenna. IMBROJI Tanto meglio e allora che cosa siete venuti a fare da me? TITO E MENICA Pe’ ringrazziavve! 9 Questa didascalia è autografa a differenza dell’intero testo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 265 28/11/13 12.44 266 introduzione PIPPO (da sé) (Che bell’idea.) È er cielo che ce li manna, questi saranno li du’ testimoni che ce serveno pe’ stasera. Accettate? TITO E MENICA Se beve? TERESA E se magna puro! È ‘no sposalizio! TITO E MENICA Ce venimo co’ tutto er core! IMBROJI (a Teresa) Maritarsi? Ma signora conoscete quali sono i doveri d’una sposa? PIPPO (gli dà una botta sulla pancia) Burlone che ssete! Je l’imparo io quanno me la sarò sposata! Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 266 28/11/13 12.44 FANATICA PE’ LLEGGE LI ROMANZI Scenetta originale romanesca Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 267 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 268 28/11/13 12.44 1. introduzione 269 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 8 cc. (mm. 270x188) composto da 4 fogli tipo protocollo recanti il marchio, cancellato a penna, del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 329-336: bianche le ultime due carte. A c. 329r: annotazione a matita di altra mano: «meno buona». Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 269 28/11/13 12.44 270 introduzione Personaggi CAMMILLO, operaio, marito di CREMENTINA, donna di casa FULGENZIO, inquilino Epoca presente Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 270 28/11/13 12.44 1. introduzione 271 ATTO UNICO Una camera di povera apparenza. Un letto, un tavolo, un comod, alcune sedie; parecchi utensili da cucina ecc. È notte. Una porta d’ingresso. SCENA I Crementina sola CREMENTINA (sarà seduta dinnanzi a una tavola già pronta per la cena. Una candela accesa. Essa sarà tutta sprofondata nella lettura) Che bellezza ‘sti Promessi sposi!... Abbada che ne passeno quelli due poveretti de Renzo e dde Lucia!... Adesso sto quanno c’è la carestia a Mmilano... ‘Sta sera me lo vojo lavorà tutto: me sa mmill’anni a vede come va a finì quer bojaccia de Don Rodrigo. Che infame!... Che ttempi! E se lamentamo de quelli d’adesso!... Tempi che una povera fija de madre nun se poteva sposà chi je pareva e piaceva!... Io armeno m’annava a ggenio Cammillo e mme lo sò sposato, senza annà a chiede tanti permessi... Abbasta vedemo come va a finì (si immerge di nuovo nella lettura. Pausa. Si picchia all’uscio) Èccome! (e legge) SCENA II Cammillo, Detta CAMMILLO (picchiando di nuovo) Crementina! CREMENTINA Èccome: un momento. CAMMILLO (c. s.) Ma fajela! CREMENTINA (si alza e va ad aprire) Bona sera, Cammillo. (e poi torna subito alla lettura) CAMMILLO Miracolo che nun leggi! CREMENTINA Mó finimo subbito. Sto a finì un pezzo interessante. (legge) Èccome, sai? CAMMILLO Abbasta che je la fai. (si toglie la giacca, si lava le mani ecc.) Che fatigata, oggi! Me sento stracco morto... Ciò una fame, poi, una fame che mme la vedo coll’occhi. Furtuna che ddomani è domenica. Me vojo fà una dormita ‘sta notte, una dormita che llèvete! Crementì, mbè; se magna? CREMENTINA Èccome, Cammì, quanto finisco un pezzetto e vengo. Sò quattro righe. (legge) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 271 28/11/13 12.44 272 introduzione CAMMILLO (sedendosi al tavolo manda un’esclamazione) Ah! Viva [...]1 de la pace de casa!... Che m’hai preparato de bbono? CREMENTINA (senza togliere gli occhi dal libro) Una minestra cor sartarello2, ch’è una sciccheria... (c. s.) CAMMILLO Sentimola!... CREMENTINA Ecco. (c.s.) CAMMILLO Ecco ecco; ma nun te mòvi mai! CREMENTINA Ho fatto. (c.s.) CAMMILLO Eh lo vedo! CREMENTINA (alzandosi) Povera Lucia, quante ne passa. CAMMILLO (distratto) Chi Lucia? CREMENTINA Quella de li Promessi sposi. CAMMILLO Ma va a la Mecca te e llei. CREMENTINA Già, poveraccia, perché tu nun hai letto quanto je n’hanno fatte!... CAMMILLO Ma sbrighete, fija, che ciò ‘na fame, ‘na fame... CREMENTINA Èccome. (indugiando) Si vedi c’è quer Don Rodrigo che è un boja, un boja... Invece da faje sposà Renzo, capischi, se la voleva rubbà llui, come si se fusse trattato d’una gallina... CAMMILLO Ho ccapito, va: doppo me la ricconti... Vamme intanto a pijà da magnà. CREMENTINA (va in altra camera e torna con una terina. Prepara due scodelle di minestra: una la dà a Camillo, l’altra se la mette al posto suo. E si rimette a leggere) CAMMILLO (mangiando) E tu nun magni? CREMENTINA Èccome; quanto finisco ‘sto pezzetto. CAMMILLO Io nun capisco, come tu te devi tanto infanatichì a llegge! Quanno incominci un libro nu’ lo pianti insinenta che nun sei arivata a la fine... CREMENTINA (c. s.) Perché me sa mille anni de vedé come va a finì er fatto. CAMMILLO Ho capito; ma lo leggerai doppo. Adesso magna. CREMENTINA Èccome: ho finito. (c. s.) CAMMILLO Fosseno poi fatti veri, meno male; ma invece sò ttutti romanzi inventati da ‘sti scrivani, che se vede proprio nun hanno antro da fà. 1 2 Parola incomprensibile. N.d.A.: grasso di prosciutto, lardo! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 272 28/11/13 12.44 e - 1. introduzione 273 CREMENTINA Già nun sò fatti veri! Lo dichi tu! Ma questo è un fatto sacrosanto. CAMMILLO Eh già tte ce sei trova tu! CREMENTINA (c. s.) Io no, ma lo dice quello che l’ha scritto. CAMMILLO E chi l’ha scritto? CREMENTINA Nu’ lo so, chi. (guarda il titolo) Ah è un certo Alesandro Manzoni. CAMMILLO Uhm chi è ‘sto Manzoni? CREMENTINA Uno scrivano bravo assai. Lo leggeveno puro le moniche, quanno stavo a le Zoccolette. CAMMILLO Sarà accusì... Ma perché nun magnà? CREMENTINA Ecco: me ciamancheno du’ righe sole sole. (c. s.) CAMMILLO Furtuna che nun ciavemo fiji sinnò, vorebbe vede, come te ce scapperebbe tanto tempo da legge. CREMENTINA Lo troverebbe lo stesso. (seguita a leggere) CAMMILLO Vedi, nun è pe’ fattene un rimprovero, Crementina mia; ma invece de legge, poteressi badà un po’ ppiù a rissettà ccasa. Nun vedi sì che spasa d’impicci? CREMENTINA (c. s.) Hai raggione. Ma quanno ho finito ‘sto libbro nun ne ricomuncio più gnisun antro. Pausa. CAMMILLO (che ha finito di mangiare. Si pone con i gomiti sulla tavola) Crementina, ma fajela fija a mmagnà. Lassa annà... Fusse armeno quarche cosa d’interessante! CREMENTINA Ah no! (c. s.) CAMMILLO Ma vattene! CREMENTINA (prende una cucchiaiata di minestra ogni tanto) Senti quant’è bbello: In un paese c’era una volta un certo Renzo e una certa Lucia che se voleveno sposà. Va bene; fanno le carte fanno tutto: ecco ch’ariva er giorno de lo sposalizio. Prepareno li confetti, vengheno l’invitati. Ma che d’è che nun è, Don Abbondio, el curato nun li vò più sposà. CAMMILLO (dando evidenti segni che ha sonno) Ah. CREMENTINA E sai perché? Perché Don Rodrigo, un barone de quelli tempi, s’ era innammorato de Lucia e sse la voleva pjià llui. Così aveva mannato due sgherri a intimorì Don Abbondio che, si faceva quel matrimonio, j’averebbe fatto la pelle. Così quello per la pavura, nun ne fa più gnente... brutta carogna! Ma aveva raggione Perpetua... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 273 28/11/13 12.44 274 introduzione CAMMILLO (c. s.) Chi? CREMENTINA Perpetua la serva der curato. CAMMILLO (c. s.) De chi curato? CREMENTINA De Don Abbondio. CAMMILLO (c.s.) Ma che cc’entra? CREMENTINA (alterata) Come che cc’entra? El curato te dico che li doveva sposà nun cc’entra? CAMMILLO (c. s.) Hai raggione, sì! CREMENTINA Ma io che cce sto a pperde tempo? Tu te ne caschi de sonno, vattene a letto. CAMMILLO Hai raggione; nun m’areggo in piedi. Te l’ho ddetto sò stanco morto. Bona sera. CREMENTINA Bon riposo. (legge) CAMMILLO E tu nun venghi? CREMENTINA Tra dieci minuti. Finisco ‘sto capitolo e vengo. (leggendo) CAMMILLO Abbasta che sia. (si spoglia, si corica e si addorme profondamente) Pausa. CREMENTINA Pausa. (sempre sommersa nella lettura) CREMENTINA (mentre legge comincia a dare dei segni di grande soddisfazione) Ecco che viè er bono!... Prima me vojo finì ‘st’antro cucchiaio de minestra. (e si mette a mangiare non staccando più gli occhi dal libro) ‘Sta minestra nun se pò magnà ppiù: è fredda ghiacciata. (la lascia) Che rabbia! Mó ce vorebbe che mme fenisse la cannela!... Accidempoli! Nun ciò pensato a compranne un’altra (osserva la candela) speriamo che ‘sto cinico3 m’abbasti... Me rincrescerebbe perché sto in un pezzo proprio interessante...mó dovrebbe arivà er gastigo pe’ quer bboja de Don Rodrigo (pausa)... Mor’ammazzato, quanto ciò piacere! (di nuovo si sprofonda nella lettura. – Pausa – Si sente russare Camillo) Pausa. CREMENTINA (dà un segno di grande soddisfazione, si alza, si precipita su Camillo e lo scuote fortemente) Cammillo, Cammillo mio! 3 Pezzetto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 274 28/11/13 12.44 1. introduzione 275 CAMMILLO (svegliandosi di sopprassalto) Cos’è? Che c’è?! Clementina, ch’è stato? CREMENTINA (allegra) Una bona nova. Lo sai? CAMMILLO Chi? Che? CREMENTINA Don Rodrigo se l’è presa in saccoccia! CAMMILLO (ancora insonnolito) Chi Don Rodrigo? CREMENTINA Quello de li Promessi Sposi! CAMMILLO (seccato) Per questo me ce svegli? Va a mmorì d’accidenti te e llui. CREMENTINA (lasciandosi cadere dalle mani il libro, e resta tutta mortificata) Che bbella magnera! CAMMILLO Se sa! A un poveraccio che schiatta e fatica tutto er giorno, je se va a roppe er sonno pe’ ‘na sciocchezza così! Quant’è ccara! CREMENTINA Eh ssete bbello voi! CAMMILLO E cce vò puro bbatte de cassa, manco si avessi raggione lei? CREMENTINA Se sa! CAMMILLO Abbada Crementina! CREMENTINA E sete matto, ce menate! CAMMILLO Eh nu’ lo dì du’ vorte! CREMENTINA Vorebbe vede questa doppo du’ mesi che se semo sposati. CAMMILLO Nun me mette sur punto, sa, cche tte rizzollo! (si alza dal letto e le corre incontro) CREMENTINA (si mette a correre gridando) Aiuto! CAMMILLO Brava, sveja tutto er vicinato! CREMENTINA Sì, vvojo strillà! CAMMILLO Ah vòi strillà! (le dà un ceffone) CREMENTINA Aiuto! (nel correre getta in terra un tavolo)4 n SCENA III Fulgenzio (di dentro) FULGENZIO (picchiando all’uscio) Ohé, ohé, sor Cammillo, sò io er sor Furgenzio..., sora Crementina! Chedè ‘sto tatanai5? Ma cche vve 4 Annotazioone a lato di questa battuta: Si picchiano rincorrendosi per la stanza e facendo un chiasso indiavolato. Un inquilino, irritato, picchia all’uscio e li sgrida. Allora essi rivolgono tutta l’ira contro il sopravvenuto, e per dare addosso a questi, rifanno pace loro. 5 Baccano, confusione, finimondo. Dall’ebraico ba Adonai. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 275 28/11/13 12.44 276 introduzione sete ammattiti!! Che bber modo da svejà la ggente a ‘st’ora! Manco si stassimo a ppiazza Navona... (picchia di nuovo) CAMMILLO (rivolgendosi verso il nuovo venuto) Ma cche vv’abbussate, l’animaccia vostra? Che vvolete?! FULGENZIO Vojo che la fate finita! CAMMILLO Sto a ccasa mia e ssò er padrone da far er commodo mio! FULGENZIO Ma nno a roppe l’anima ar prossimo che ddorme. Queste sò bbelle porcherie, sò! CAMMILLO Ma quanno la piantate?! FULGENZIO Ma quanno la piantate vojantri! Si mme mettete sur punto chiamo le guardie... CAMMILLO Eh quanto state? Avete raggione voi che sò spojato, sinnò ve facevo vede! CREMENTINA (che già aveva aperto la porta e stava ascoltando, rientra in scena) Sicuro, ha raggione Cammillo mio; avete raggione che stamo spojati sinnò ve facemio vede! FULGENZIO Annate a ffà bbene a li somari! Doppotutto io sentenno ‘sto tatanai volevo sapé sì che vv’era successo! CREMENTINA Impicciateve pe’ li fatti vostri! FULGENZIO Ve poteva, caso mmai, avé ppresa puro un accidente a ffarajolo6! CAMMILLO Ma a ombrello! CREMENTINA Vvarda che bber modo de parlà! Domani se la vedemo. FULGENZIO Vedemesela puro quanto ve pare, ignoranti che ssete! Un’antra vorta ammazzateve puro de bbotte ma avete voja a chiam’ajuto. CAMMILLO Chi vv’ha cchiamato? FULGENZIO Strillavi ajuto come un’addannata! CREMENTINA Ruzzamio! FULGENZIO Le bbotte le chiamate ruzze! In galera! CREMENTINA e CAMMILLO A l’infernaccio! FULGENZIO (se ne va brontolando) CREMENTINA Sicuro, io e mi’ marito se volemo menà quanto ce pare! CAMMILLO Sicuro, se volemo menà! CREMENTINA Che nun semo padroni de menasse? 6 Dall’arabo feriyûl, mantello. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 276 28/11/13 12.44 , r a 1. introduzione 277 CAMMILLO Finarmente se n’è ito! Viè qua (scostandola dall’uscio) falla finita! Annamesene a lletto. CREMENTINA Ma che vòi ride! Uno nun è padrone a casa sua de menasse quanto je pare e ppiace! Quant’è bbuffa! Tiè! (dà due schiaffi al marito) CAMMILLO (glieli restituisce) Quant’è bbuffa! Uno nun se pò menà quanto je pare! Pausa. CREMENTINA (stropicciandosi la parte indolenzita) Ahi ma ttu ma’ fatto male pe’ davero! CAMMILLO E ttu no! CREMENTINA E perché poi? CAMMILLO Pe’ ffà dispetto ar sor Furgenzio. (si guardano, scoppiano in una sonora risata, si abbracciano, si baciano) CREMENTINA Ce ne sò de tontolomei! CAMMILLO Ma ccome nnoi! Fine Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 277 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 278 28/11/13 12.44 ZITELLONA Scene originali in tre atti in dialetto romano Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 279 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 280 28/11/13 12.44 1. introduzione 281 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 32 cc. (mm322x220) composto da 16 fogli tipo protocollo recanti il marchio del Ministero della Pubblica Istruzione, più un inserto di 2 carte (cc. 53-54) (mm182x110). Cc. 34-67. A c. 44, in alto a sinistra, aggiunto a penna: «Zitellona Atto Secondo». Calligrafia autografa. Nel faldone è presente un’altra stesura. Un quaderno di 27 cc., composto da 14 fogli tipo protocollo, legato immediatamente prima, con stesso formato e caratteristiche di quello sopra descritto. Cc. 2,7-33. A c. 2: in alto a destra, a matita: «16 febb. 1894»; a tutta pagina, a matita, in blu «Zitellona Copiaccia La Suocera [in rosso] Copiaccia». Un inserto di 4 cc è presente tra le carte 2 e 7, composto da 2 fogli. Cc. 3-6 (mm 210x135). Scrittura a penna e a matita; testo a piena pagina; calligrafia autografa. Contiene un abbozzo della stessa commedia. A c. 3: Annotazione a penna: «Madregna altra commedia». Sono presenti altre due stesure del solo Atto III: [1] un quaderno di 22 cc. con stesso formato e caratteristiche dei precedenti, composto da 11 fogli tipo protocollo. Cc. 68-89: bianca l’ultima carta; [2] un quaderno di 19 cc. con stesso formato e caratteristiche dei precedenti, composto da 9 fogli tipo protocollo più 1 c. sciolta. Cc. 90-108. A c. 90, in alto a sinistra, a penna in rosso: «Zitellona Atto 3°», di seguito a matita: «dentro i primi 2». Presente ancora: un quaderno di 6 cc. formato da 3 fogli tipo protocollo. Cc. 109-114 (mm 310x210). Contiene: scene frammentarie della stessa commedia: testo interamente cancellato con matita blu (cc. 109-110r); altre tre stesure incomplete dell’atto II: testo in parte cancellato con matita blu (cc. 110-114r); un abbozzo dell’atto III (c. 114v). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 281 28/11/13 12.44 282 introduzione Personaggi MIMMA zitella, età circa 38 anni PAOLO marito di DOROTEA GIGGIA loro figlie ELVIRA VITTORIONA suocera di Elvira MEDARDO capitano dei bersaglieri COSTANTINO marito di Elvira ALFREDO MOSCETTI fidanzato di Giggia CLEMENTINA UN BIMBO di pochi mesi } Epoca anno 1875. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 282 28/11/13 12.44 1. introduzione 283 ATTO I Camera d’ingresso: due porte a destra, due a sinistra e in fondo. È l’alba. SCENA I Mimma poi Vittoriona (di dentro) MIMMA (esce dalla porta a sinistra con una bugia accesa) Sant’Antonio ha sonato le cinque e mezza1; è ora che vadi a fare el caffé... Elvira dormirà? Me pare... (origlia a una delle porte a destra) Quella benedetta cratura, nu’ glie fa cchiude mai un occhio a quella povera sorella mia. (nell’ interno s’ode piangere un bimbo di pochi mesi) Senti, senti come strilla! È meglio che glielo vadi a prendere. (picchia adagio alla porta) Posso entrà? (entra e ne riesce subito con un marmocchio in fasce) El cocco de zia sua, l’amore bello bello, che nun fa mai riposà la madre... Cattivello! (si mette a sedere a cunarlo e canta) O sonni sonni che de qui passate, venitel’a ddormì ‘st’angelo mio: si non venite voi l’addormo io... Oò, ooò, ooò! Ninna oò... S’ode un gran colpo come di una scarpa lanciata contro una delle porte a sinistra. VITTORIONA (dentro grida come un’aquila) Chi è cche roppe l’anima a quest’ora? È questo el momento de cunnolà le crature?!... Accidenti a ‘sta casaccia porca; nemmeno la notte ce se dorme in pace!... MIMMA (spaventata) L’ho fatta bella! (si avvicina alla porta della stanza della sora Vittoriona) Sora Vittoria abbiate pazienza sò io. VITTORIONA Che pazienza, pazienza! pazienza un corno! MIMMA E adesso questa me sveglia tutta casa. Oh santa pazienza, davero! 1 N. d. A.: la Chiesa di Sant’Antonio meglio di S. Maria in Publicolis in piazza Costaguti. N. d. C.: Probabilmente il riferimento è alla chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi, in Via dei Portoghesi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 283 28/11/13 12.44 284 introduzione SCENA II Dorotea, Costantino, Gigia, di dentro e Mimma DOROTEA (dentro) Chi è? (chiama) Clementina? Mimma? COSTANTINO (c. s.) Mimma, che cos’è stato? GIGGIA (c.s.) Cos’è questo chiasso? Mimma! MIMMA (si avvicina successivamente a tutte le porte) Gnente, gnente. M’è cascata una sedia per disgrazia. Dormite in pace. VITTORIONA (sempre di dentro) E Crementina? El solito; la signora starà incora a covare in del letto. Possi morire d’accidente!... Dite, eh Mimma, e Crementina? MIMMA (alla porta di Vittoria) Zitta, per carità sora Vittoria, ché Clementina eccola che viene. VITTORIONA (c. s.) Che zzitta, un corno? Voi aricopritela sempre, quela portronaccia che nun è bbona antro che a pigliasse la mesata. SCENA III Clementina e Detti CLEMENTINA (dalla porta in fondo) Se sa che stavo a letto se sane: che nun v’ aribbatte? MIMMA Zitta Clementina mia, per carità, ché svegli tutti. (trattenendo Clementina) CLEMENTINA No: m’abbasta da esse insurtata da ‘sta bagarinaccia 2. VITTORIONA (c. s.) A mme? Famme fenire da vestì che tte la do io la bagarinaccia! CLEMENTINA Eh sete matta! Da la pavura me trema tutto l’orlo de la camicia, me trema! MIMMA ( fermando Clementina) Fallo per me Clementina mia, statte zitta, perdi el fiato! VITTORIONA (uscendo in veste bianca) A mene bagarinaccia, brutta porca zellosa?! ( fa l’atto di schiaffeggiarla) CLEMENTINA (prendendo una sedia) Che nun v’azzardate; ché vve sfascio er cassabbanco! VITTORIONA A mme?! Costantino, figlio mio, corri ché vonno occidere tua madre! Corri!... MIMMA Santo Ddio, nun se pò stà ’n momento in pace! 2 Accaparratrice, trafficante. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 284 28/11/13 12.44 . , 1. introduzione 285 CLEMENTINA Sai che pavura! Intanto io me ne sò bbella che ita da ‘sta casaccia porca. Oggi me dieno er mio e mme ne vado. SCENA IV Costantino, Dorotea, Elvira, Giggia, Vittoria, Mimma e Clementina COSTANTINO (in mutande) Cos’è stato? DOROTEA (in veste bianca) Cos’è successo? GIGGIA (c.s.) Che paura! ELVIRA (c.s.) Ma che diavolo è stato? MIMMA Ma zitti, zitti, Dio mio; che nun è gnente. Una sciocchezza. COSTANTINO Ma insomma, mammà, se pò sapere che cosa è stato? VITTORIONA ( fingendo di piangere) Quela vassallona de la serva che mi vole occidere. CLEMENTINA Giusto occidere! J’ho appena fatto l’atto de daje una sediata, perché me voleva dà un papagno. È vvero sora Mimma? MIMMA Ma sì, non è gnente. Una sciocchezza. VITTORIONA La chiama sciocchezza, l’atto di damme una sediata, a mme! DOROTEA Ma che stiamo a piazza Navona? ELVIRA Che spavento m’avete messo! GIGGIA Io non ciò più una goccia de sangue ne le vene. COSTANTINO (con importanza) Tu, Clementina, vattene subbito via da casa nostra. P’el resto ci penserà la questura. CLEMENTINA (ironica) Davero? Sò bboni li fichi? De’ resto io è da mó che v’averebbe piantato si nun fusseno quele quinnici mesate sole che vv’avanzo. COSTANTINO L’averete. CLEMENTINA Sì quanno sarò più granne. Nun ciavete manco li sordi pe’ magnà. COSTANTINO Villana! Andate via... CLEMENTINA Lalléro! Accidenti a quanno ciò mmesso li piedi in ‘sta casaccia maledetta. (esce) VITTORIONA (declamando) Ecco figlio mio, ecco che ce si guadambia a stare qui drento: puro il risico di morire ammazzate. Già, ammazzate; perché in fin de li conti, a me quella zozzona nun m’avanza un corno. Io la parte mia de la mesata l’ho cacciata; e si lei poi nun l’ha avuta, è segno che li quatrini quarchiduno se li sarà magnati. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 285 28/11/13 12.44 286 introduzione DOROTEA Prego, nun se l’è mangiati nessuno; sò serviti per casa. Se qui sono in due a portà e cento a mangià. VITTORIONA Dite a me? Io mangio li miei bisogni, mangio. ELVIRA Semo alle solite. GIGGI Tutti li giorni è una storia. MIMMA Ah santa pace! COSTANTINO Già quando parla mammà mia, tutti contro. ELVIRA Ma chi glie dà contro? COSTANTINO Tu statte zitta; ché sei sempre la prima. ELVIRA Io manco la vedo, figurete se la sento. VITTORIONA Questo è il rispetto che porta alla socera! DOROTEA Eh, cara signora, per esse rispettati bisogna arispettare. VITTORIONA Ecco che cci mette bocca la donna sapiente, la signora protoquanquera 3! DOROTEA Sicuro sapiente; e, nel caso, più educata di voi. GIGGIA Mó cominciamo a litigarse la sapienza. MIMMA (mentre accadono coteste scene girerà per la stanza col bimbo in braccio, esasperata di non poter mettere pace) Che ve possi cascare la pace addosso! DOROTEA Sicuro; perché io nun ho fatto un corno la fruttivendola come avete fatto voi. Li mi’ genitori m’hanno dato bona educazione; e si nun era el cambiamento del governo che cce rovinava, saressimo ancora signori e signori de legno. ELVIRA Ci siamo! COSTANTINO Auffa! DOROTEA (a Costantino) Voi invece di fare auffa potreste dire a vostra madre che mi rispetti... Ma già talis madrise, talis fìgliose. COSTANTINO Io, sapete che ve dico? Che non posso vedere strapazzare mammà mia. E perciò vi volto le spalle e me ne vado. (esce) GIGGIA Bravo, Pippetto! DOROTEA Voltarmi le spalle! Bella educazione! VITTORIONA Ce vole pacenzia. La ducazzione che glià potuto dare una povera fruttarola, una povera orbivendola de strada. DOROTEA Apposta ve compatisco. VITTORIONA Troppa indegnazione. Avete anzi fatto male a daje per grazia quell’oracolo de vostra figlia. DOROTEA Così me fossi pentita de li miei peccati. 3 Protoquanquera o protoquanqua: voce scherzosa per indicare persona sapientissima. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 286 28/11/13 12.44 1. introduzione 287 VITTORIONA Ciavete rimesso un quarto di nobbirtà: co’ queli du’ occhi pe’ piagne che mm’ha portato in dota. ELVIRA Ma finiamola! Mi fa specie de voi mammà, che vi mettete a competere con certa gente. VITTORIONA Mejo de voi, sora pettegola! ELVIRA Mai all’altezza vostra. DOROTEA Zitta tu, Elvira. MIMMA (c. s.) Vergine Santa, ma che avete stammatina? Elvira vattene in cammera tua. (cercando di spingerla verso la camera) ELVIRA (dandole un urtone) Tu non t’impicciare. MIMMA (mortificata si mette in disparte) Oh santa pace! ELVIRA (a Vittoriona) Avete raggione voi che non mi voglio sporcare le mani, altrimenti ve lo farei vedere io si sono pettegola. Sò proprio stufa de dovere soffrire tutto il giorno quest’insulti! (si ritira in camera sua sbattendo la porta) VITTORIONA Questa se chiama ducazzione! DOROTEA Meglio de la vostra. Doppo tutto povera figlia mia non ha torto. Tutto el santo giorno nun glié fate mandà giù altro che bocconi amari, come ce li fate mandà a tutti noi. VITTORIONA Subbito che drento a ‘sta casaccia c’è er diavolo in persona. DOROTEA C’è venuto da quando ce sete entrata voi. E quando in una casa c’entra el diavolo da una parte, la pace se ne va dall’altra. VITTORIONA Brava! come se ne vanno a ffà bbenedì tutti li bbelli sòrdi che caccio. DOROTEA Sete bbona altro che a rinfacciare qualche piacere che cciavete fatto. VITTORIONA Eh cche cce volete da ’na fruttarola? DOROTEA In mancanza di un po’ de gentilezza ce fosse almanco un poco de core! VITTORIONA Me se l’è magnato tutto la ciovetta. DOROTEA Ha raggione la serva: sète una gran bagarina. VITTORIONA E voi una gran linguaccia sacriliga. Nun vedo l’ora d’andammene via. DOROTEA Magari. VITTORIONA Poi senza de me, vojo un po’ vedere come farete a sbatte er barbozzo. DOROTEA Eh mangeremo lo stesso, sora villana, screanzata, bagarina. Andate al diavolo! (se ne va sbattendole la porta in faccia) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 287 28/11/13 12.44 288 introduzione VITTORIONA A l’infernaccio! Vonno farmi arabbiare; ma io manco per niente. ‘Ste cose al core mio nun je le posso fà sapene. (entra in camera sua cantando) Questa è dunque l’iniqua mercede che serbassi al canuto guerrierro? MIMMA Sia lodato el cielo! GIGGIA ( fino ad ora rimasta seduta da una parte a godersi la scena, si alza battendo le mani) Che bellezza, che bbellezza! Andamo a fare una sonatina (entra in casa dalla porta a destra; poco dopo si odono gli accordi di una polka suonata al pianoforte) Pausa. MIMMA (cullando il bimbo che ha sempre tenuto in braccio) Che bella vita! Oh santa pazienza. Beato tu, cocco mio, che nun capisci gnente. Fa’ la ninna cocco: Oò, ooò, ooò! SCENA V Paolo e Mimma PAOLO (con tutta flemma le mani dietro la schiena) Eh, Mimma, ma famme el piacere: ch’è successo ’st’ammatina a bbonora? MIMMA Eh papà mio, beato voi: ve sete ricordato a tempo, a venì de qua. PAOLO Io? E che venivo a fà? Ormai ce sò abbituvato a ‘ste baruffe... ma almeno, come avete incominciato? MIMMA Per una sciocchezza. Tutt’assieme per esseme messa a cunnolà el pupo in questa cammera. Oprete cielo! Madamaccia ha tirato una scarpata a la porta... insomma un diavolerio. PAOLO Ma sentivo strillà Clementina: che aveva? MIMMA Puro quella ha raggione. Da jeri s’è licenziata per l’insulti de quella indemoniata. PAOLO E com’è andata a ffinì? MIMMA Sò venuti tutti de qua; e ve potete immagginà quello ch’è successo. PAOLO Figuramese: tredici fra morti moribondi e feriti! MIMMA Beato voi che avete sempre voglia de scherzà. PAOLO Eh già, mó me ne voglio stà a prende per tanto poco. Fussi matto! (e se ne va come è venuto) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 288 28/11/13 12.44 a 1. introduzione 289 SCENA VI Dorotea e Mimma DOROTEA ( facendo capolino dalla sua stanza) Mimma, se ne è andata quella signora? MIMMA Sta in cammera sua. DOROTEA Te volevo dì se hai pensato pel pranzo? MIMMA Mammà mia, a me de la spesa de ieri m’è rimasto un pavolo, un papetto me l’ha dato Elvira; che fanno trenta soldi. DOROTEA E come famo oggi? Ricorrere da quella villanaccia, manco a pensarce... MIMMA Eh in qualche modo faremo... Peccato che oggi co’ la cosa ch’è domenica el Monte è chiuso... DOROTEA Si nun ciabbiamo più gnente... MIMMA Eh in mancanza d’altro m’impegnavo ‘st’anelletto de povero zio... Eh, poveromo, se ritornasse! DOROTEA Davero, se vedesse a che punto semo ridotti rimorirebbe un’altra volta da la pena... Almeno s’oprisse qualche strada; ma nun se vede gnente. Pure te, povera figlia mia, sei stata disgraziata. Te fosse capitato un cane... MIMMA Guardate adesso a che andate a pensare. Ma ce vorrebbe che quela povera Giggia se trovasse a marità, altro che io. Giggia cià attorno quell’Alfredo, ma è un migragnoso peggio de noi. DOROTEA Già pure con quell’altro scaldassedie nun c’è da conclude gnente. MIMMA Sì, poveraccio, nun cià né arte né parte. DOROTEA Ma almeno se dassi pensiero de trovasse a fare qualche cosa. MIMMA Per questo troppo gira, poveretto. DOROTEA Sì, tu compatiscelo! Dì che a Gigia mia domani glié capitasse uno con la pila4 e che la sposasse subbito, vederessi che scaccione che ce prende el sor Alfredo. MIMMA Così quel poveraccio se ne morirebbe. DOROTEA Eh peggio per lui! Invece el pensiero mio sei tu; che si venissimo a chiude l’occhi noi, resteressi la peggio de tutti. Apposta io spero ch’el Signore me facci ‘sta grazia prima da morire. MIMMA (sorridendo) Ma pensatene un’altra. i 4 Stà in pila: avere disponibilità di denaro. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 289 28/11/13 12.44 290 introduzione DOROTEA Eh, figlia mia, hai 38 anni; mica però sei vecchia. MIMMA No, sò craturella. DOROTEA Eppure a me me sa che si Medardo dieci anni fa nun andava emigrato, a quest’ora te se sposava. Ve volevate tanto bene: sète cresciuti insieme. MIMMA A proposito de Medardo, giorni fa incontrai la sorella e me disse che dentro l’anno c’è probbabbilità che venga a Roma. È gnente de meno diventato capitano. DOROTEA Dio lo volesse che venisse a Roma. Vedrai, Mimma mia, che se viene quello te sposa. MIMMA Mammà mia, ma ve l’ho detto pensatene un’altra. DOROTEA Eh figlia mia; zitella che dura nun perde ventura. MIMMA Ma cche ve credete, che nun me vedo allo specchio? Nun vedete che sò diventata una strega? DOROTEA Abbasta, lassamo fare Iddio. Io allora, figlia mia, me vado a preparà per andare a messa... A proposito, e pel pranzo poi? MIMMA Lassate fare a me, ché m’è venuta un’idea. Per domani poi, siccome è la festa de zi’ Teresa, glié vado a ddà cento de ‘sti giorni; e vederete che qualche cosa rimedio. DOROTEA Basta, fa’ un po’ tu figlia mia, perché io non so più dove sbatterme la testa. (entra a destra) SCENA VII Mimma, Giggia, Elvira poi Vittoriona GIGGIA (di dentro) Mimma, m’hai scopettato l’abbito? MIMMA Si, Giggia mia; e te l’ho messo nel primo tiratore del commò. ELVIRA ( facendo capolino) Ah non c’è Mamma Calfornia5. MIMMA (sottovoce) Sta in cammera sua. ELVIRA Allora damme el pupo, così glié do el latte; ché me voglio preparà per andare a messa. (prende il bimbo) E Mammà? MIMMA Se sta a vestì. ELVIRA M’hai messo l’acqua? MIMMA C’è tutto preparato: acqua, asciuttamano pulito... tutto. ELVIRA Va bene. (entra in camera sua) VITTORIONA (di dentro) Mimma, portateme un asciuttamano pulito. 5 Allusione al personaggio del Meo Patacca di Giuseppe Berneri: vecchia che dispensa consigli, un po’ strega e un po’ indovina. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 290 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 291 MIMMA Ve l’ho preparato sopra la sedia. VITTORIONA (uscendo) E la saponetta mia de gricilina che tenevo sur lavabbo, me saperessivo dire indove è ita a finire? MIMMA E cchi l’ha vista?! VITTORIONA (rientrando) ‘Gni giorno me ce vole una saponetta nova, drento a ‘sta casaccia de ladri. Se lo magneno er sapone! GIGGIA (vestita elegantemente con un grazioso cappellino) Mimma, appunteme un po’ una spilla qui de dietro a la vesta, che mme s’è levato el bottone. MIMMA (eseguisce) Ecco fatto. GIGGIA Come me sta questo cappello? MIMMA Tanto carino. Sai come anderai a genio a Alfredo tuo. GIGGIA Quel nojoso! In quella lettera che gliai portato tu gliò dato un cantino6 a quel cretino... (pavoneggiandosi) È grazioso davero ‘sto cappello... La modista li dovrebbe prende per adesso li quatrini. Sò almeno dieci volte che viene per il conto... MIMMA Eh li prenderà. N’avanzamo tanti noi. GIGGIA Ma queste se sò andate a vestì? MIMMA Si: tutt’e due. GIGGIA Allora l’aspetterò qua. (si mette a passeggiare lungo la scena) VITTORIONA (di dentro) Mimma, è sonata la messa de mezzoggiorno? MIMMA Saranno cinque minuti. ELVIRA (di dentro) Mimma famme el piacere, vieneme a allaccià li stivaletti. MIMMA (entra in camera d’Elvira e ne riesce poco dopo col bimbo in braccio) GIGGIA Quanto sò lunghe queste. Auffa!... MIMMA Che lunghe! Eccole. Elvira già s’è messa el cappello. SCENA VIII - Elvira, Dorotea, Vittoriona e Dette ELVIRA, DOROTEA e VITTORIONA (aprono contemporaneamente l’uscio, ma nello scorgersi che fanno, si danno una guardata fiera e si ritirano sbattendo la porta. Saranno tutte tre vestite per uscire. Vittoriona con sfarzo e caricatura) 6 Dà er cantino: rimproverare con asprezza. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 291 28/11/13 12.44 292 GIGGIA introduzione Quanto sò care! Pausa. ELVIRA ( fa capolino e non vedendo più Vittoriona chiama) Mammà. DOROTEA (con circospezione) Se ne è andata? GIGGIA (le indica con la mano che Vittoriona sta rinchiusa in cameara) DOROTEA (c. s.) Allora andamo. Addio, Mimma. ELVIRA (c. s.) Me raccomando el pupo. MIMMA Ce penso io. Mica è la prima volta. DOROTEA ELVIRA e GIGGIA (camminando in punta di piedi sempre per non farsi sentire da Vittoriona, escono dalla porta in fondo) Pausa. MIMMA (passeggia per la scena baloccando il bimbo) SCENA IX Vittoriona e Mimma VITTORIONA ( fa capolino e non vedendo altri che Mimma, esce) E voi nun andate a sentire la santa messa? MIMMA Volentieri; ma lo sapete che nun posso pel pupo. VITTORIONA Eh, cara mia, quando se vòle se pòle... ma già quando in d’una casa nun c’è la religgione!... (esce dalla porta di mezzo) MIMMA (Ma va in galera!) Signore perdonateme! Abbasta, adesso vestimose per andare a fà ‘sti pochi figurinari per rimedià da sbattere la scucchia (va a mettere il bimbo a letto. Toglie da un attaccapanni una mantellina sdrucita, un cappellaccio, se li mette e mentre sta per uscire si sente suonare il campanello) E mó cchi sarà? Avanti. SCENA X Alfredo e Mimma MIMMA Voi sor Alfredo? Giggia è andata a messa. ALFREDO Scusi tanto, signora Mimma, ma io ricorro a lei perché non ho altri. Giggia in quella lettera che m’avete dato ieri sera mi dice che me glié levi d’attorno, che de me nun ne vuole più sapere. MIMMA Ma non glie date retta. Quella scherza sempre; pure lo sapete. L’amore non è bello si nun è litigarello. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 292 28/11/13 12.44 1. introduzione 293 ALFREDO Ah no, ‘sta volta dice proprio sul serio; m’ha rimandato perfino il mio ritratto... Io finisce che faccio qualche pazzia. MIMMA Nun ciamancherebbe altro, per carità; non le dite nemmeno per burla, certe cose. ALFREDO Ebbene prometteteme che glie direte qualche cosa per me, che la farete rimuovere dal suo fermo ma ingiusto proposito. MIMMA Ma sì sì, ce penso io. Voi venite pure oggi all’ora solita... ALFREDO Ma se lei non mi ci vuole più... MIMMA Nun glie date retta. Venite all’ora solita; ché ce penso io; ma adesso andatevene che potrebbe venì papà. ALFREDO Me lo promettete? MIMMA Ma sì, ve dico de sì. ALFREDO ( fuori di sé dalla gioia) Grazie, signora Mimma, grazie. (le prende la mano e gliela bacia con trasporto) SCENA XI Paolo e Detti PAOLO (vedendo baciare la mano a Mimma: sempre con la solita flemma) Eh bravi! MIMMA (sorpresa) Papà?! ALFREDO (c. s.) Papà?! PAOLO (senza scomodarsi) Già papà! MIMMA Ma come nun eravate uscito? PAOLO Io? Stavo in cucina a allustramme le scarpe; anzi mi rincresce d’avevve disturbato. (a Mimma) E, dico, si è lecito, chi è ‘sto signore? MIMMA È... insomma è un giovine che fa... cioè che vorrebbe fare l’amore con Giggia... PAOLO Con Giggia?! E scusateme, allora quel baciamano...? MIMMA Uno scherzo. Ma per carità, che se la sora Vittoriona... PAOLO Io? E chi pparla? ALFREDO È la prima volta che... (mortificato) PAOLO Ah ce credo benone... (Dorotea a me me tiè sempre per comodino; così quando poi je dà lo scaccione allora me fa fà la parte del tiranno). ALFREDO Del resto... le mie intenzioni sono più che oneste. È vero signora Mimma? MIMMA Verissimo; se no, ve pare che io me ne sarebbe impicciata? PAOLO E, dico, se è la prima volta che venite a casa mia, come fate a... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 293 28/11/13 12.44 294 introduzione ALFREDO (incerto) Ma... MIMMA (Si sapessi! Invece questo sta sempre qui) Embè se sa, come volete che faccia? Qualche lettera gliela porto io. PAOLO Brava sora porta pollastri. (ad Alfredo) E ditemi un po’ giovinotto che professione fate? ALFREDO Io?...finora...veramente nessuna. PAOLO Bella professione! Come la mia. Io pure sò disoccupato; siamo coetanei. Qua la mano. (si stringono le mani) ALFREDO Ma però ho diverse vedute... PAOLO Precisamente come me. Infatti girando pe’ Roma se ne godono tante de belle vedute!... ALFREDO (imbarazzatissimo) Già... PAOLO Insomma, ve sete proprio deciso a ammogliarvi? ALFREDO (c. s.) Ma sa... PAOLO Volete propio fare sta minchioneria? ALFREDO (c. s.) Eh come vede... PAOLO Volete un consiglio? Lasciate andà e ve ne ritroverete meglio. MIMMA (Me piace!... Ecco el guastamestieri). PAOLO E ricordateve bene de queste parole che ve dice un omo che cià esperienza: chi piglia moglie e casca bene, nun po’ sta peggio. Arrivederla; tanto piacere d’averlo conosciuto. (e con la solita calma se ne va. Arrivato alla porta in fondo, si rivolta e con la mano saluta Alfredo) MIMMA e ALFREDO (mortificati restano a guardare) Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 294 28/11/13 12.44 1. introduzione 295 ATTO II Un salotto riccamente addobbato. Si fa notte. Dopo la prima scena si accenderanno i lumi. SCENA I Clementina e Medardo MEDARDO (vestirà la divisa di capitano nei bersaglieri) Dunque, tutti bene? CLEMENTINA Tutti bene in salute; ma de rimanente... MEDARDO E Mimma, Mimma, come sta? CLEMENTINA Poveraccia, nun ve ne curate de sapello. Quela disgraziata è la scopa de casa; è propio una vera martira: è quella che attura tutti li buci de la famija. E poi pe’ ttappo, je danno tutti quanti carci in de li stinchi. MEDARDO Che me dici! CLEMENTINA Accusì nun fosse. Lei fa la serva a tutti peggio de me... C’è poi quela bbojaccia de quela pantafrana7 de la sora Vittoriona, che si’ ‘mmazzata, che de quella poveraccia, ne vorrebbe la pelle, ne vorrebbe. MEDARDO Poverina; ma come mai? CLEMENTINA Subbito che quane, fijo mio, combattemo er cecio cor faciolo. Ciavemo ‘na migragna tarmente incancrenita... MEDARDO E Giggia? CLEMENTINA Ah quella fa l’amore cor un giovinotto che sta impiegato co’ monsignor de le strade. Un antro bon affare. MEDARDO E el sor Pavolo? CLEMENTINA Sempre talecquale. Quello si je cascassi la casa addosso, nun se smoverebbe de pezza. Puro lui ha chiuso bbottega, e s’è impiegato assieme cor futuro genere co’ monsignor de le strade. MEDARDO E Costantino, Elvira? CLEMENTINA Cianno un fijo. Ma a lloro nu’ j’annerebbe male perché cianno quela vecchiaccia de la madre de lui che sfragne. Ma je ne dà de guai a quela povera nora!... 7 Pantafrana, patanfrana: donna grassa e grossa, pesante nei movimenti. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 295 28/11/13 12.44 296 introduzione MEDARDO E la sora Dorotea? CLEMENTINA Sta accusì moscia e ttenera... Figurateve che io (ma mosca veh?!) j’avanzo ppiù de quinici mesate sole; e si nun fosse questo da mó che averebbe pijato l’erba fumaria8. MEDARDO Basta: adesso sbrigati vammi ad annunciare... CLEMENTINA (s’allontana e poi ritorna) Si sapessivo che bber gode a sservì adesso qua drento. MEDARDO Eh ma non dicevi così, quando se trovaveno nel bene. CLEMENTINA Eh si nun fussi ch’aripenso a quer tempo, sarebbe un pugno, sarebbe, che j’averebbe dato er piantinaro9. MEDARDO Brava; ma sbrigati... CLEMENTINA (c. s.) Eccheme. Pe’ furtuna che io sò una che nun m’impiccio de le corna de l’antri... MEDARDO Eh lo credo... CLEMENTINA Si nno ce n’averebbe tante da riccontavvene, che me ce vorrebbe una sittimana. MEDARDO (impaziente) Infatti lo vedo. CLEMENTINA Ma voi me conoscete de cratura, e lo sapete che io è difficile che pparli; e ppe’ segretezza tanto sò ccome... MEDARDO La tramontana. Ma spicciati... CLEMENTINA Eccheme. (si avvia) MEDARDO Ascolta. Eccoti dieci lire; e senza dir niente a nessuno, vammi a comperare due fiaschi di vino buono e una pizza di pan de spagna. Ma silenzio! CLEMENTINA Voi lasciate fà Crementina. (nell’uscire vede Mimma che viene dalla sinistra) Ecco la sora Mimma che viè da ‘sta parte; scostateve, nun ve fate vedé... Sapete che improvisata! (esce) SCENA II Medardo e Mimma MEDARDO (si tira in disparte per non farsi vedere subito da Mimma) MIMMA (vestita poveramente, con un cappellino sdrucito) Andamo da zia. (si avvia) Almeno mi andasse bbene! MEDARDO (chiamandola) Mimma! 8 Pijà l’erba fumaria: fuggire, scappare. Dà er piantinaro: rompere un fidanzamento, lasciare in asso una persona, andarsene all’improvviso senza farsi più vedere. 9 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 296 28/11/13 12.44 a 1. introduzione 297 MIMMA (molto sorpresa) Tu, Medardo? (e si stringono con trasporto la mano)10 MEDARDO Cara, Mimma! MIMMA Nun me pare vero! MEDARDO (nascondendo la commozione) E la sora Dorotea e il sor Paolo? MIMMA Stanno benone; mica sanno gnente... MEDARDO E ttu? MIMMA Nun lo vedi? Me sò invecchiata eh? (ride) Sfido, l’anni passeno. Sai che a momenti sò venticinque anni che nun se vediamo? Tu stai bene, davero! Come te s’adatta questa muntura... Sai adesso la contentezza de mammà quando te vede!... MEDARDO Vall’a chiamare. (e seguita a tenerla per la mano) MIMMA Adesso; ma si nun me lasci... MEDARDO E dimmi, cara Mimma, come lo hai passato questo lungo tempo? MIMMA Io, grazie a Dio, benone. MEDARDO Davero? E pure, scusami sai se sono franco, ti trovo così sciupata, così dimagrita... MIMMA Eh l’anni passano. Te l’ho detto: mica sò più Mimma de 25 anni fa. MEDARDO Te ricordi?! MIMMA Altro si me ricordo! Come passa tutto! MEDARDO Le belle passeggiate fatte insieme, li nostri sogni da fanciulli, le nostre birichinate... MIMMA Eh! (sospirando) adesso è tutto cambiato. El passato me pare un sogno... Ti ricordi come ambivo de vestirmi bene. E adesso guarda: il primo straccio che mi capita me lo butto addosso e esco da casa. (si guarda addosso mortificata) Me guardi eh? (ridendo) Dì la verità, a momenti nun me riconoscevi? 10 Versione precedente delle prime battute di questa scena: Come me trema el core! Eccomi in questa casa dove ho passato i migliori anni della mia fanciullezza, educato e beneficato da questa buona e brava gente... Povera sora Dorotea, da una posizione così agiata, essersi ridotta quasi in miseria... Il marito disoccupato; una figliola maritata a un imbecille; una suocera ignorante; quella povera Mimma, la compagna della mia infanzia, rimasta zitella, schiava di tutti... Basta: giungo ancora in tempo... MIMMA (vestita poveramente, con un cappellino sdrucito) Tu, Medardo! MEDARDO Cara Mimma! MEDARDO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 297 28/11/13 12.44 298 introduzione MEDARDO No, non dico questo, ma... scusami, non offenderti, tutto l’assieme mi dice che tu hai sofferto, che tu soffri... MIMMA (sforzandosi di parer calma) Ma no, Medardo mio, non è vero: sto tanto bene. Mammà e papà nun me guardeno per nun lograrme; le sorelle pure... Se sa, povero papà ha avuto tante disgrazie, e non potemo fare la figura che facevamo prima... MEDARDO Povera Mimma mia!... MIMMA Embè che ce vorressi fà? Lassamo un po’ fà el Signore. Del resto l’unico dispiacere mio è de vedé papà, mammà e le sorelle che soffreno... Quanto a me, vadi come vò andà ché intanto è lo stesso. (asciugandosi una lacrima) Intanto per me nun c’è più speranza. MEDARDO Spera, spera e non t’affliggere. Alcune volte, Mimma mia, la virtù è premiata anche su questa terra... Basta: corri a chiamare mammà, papà, le sorelle tutti. MIMMA Sì, bravo. Allora facciamo una cosa. Io esco ché ho d’andà per un affare da zia; e tu intanto saluti mammà. (chiamando) Mammà! Sai che bbella improvisata! Mammà... SCENA III Medardo, Mimma e Dorotea DOROTEA Èccome. (vedendo Medardo) Tu, Medardo? Oh guarda: ma sei proprio tu? Davero che chi non more si rivede. MEDARDO (abbracciandola) Cara, signora Dorotea, con quanto piacere vi riabbraccio. DOROTEA Noi ce possiamo abbraccià davero senza scrupoli come madre e figlio. MEDARDO Eh se non ci avessi avuto voi che mi avete fatto da madre, poveretto me. MIMMA (asciugandosi gli occhi) Allora mammà, io vado da zì Teresa. Addio, Medardo mio; (gli dà la mano) se vediamo più tardi. (esce dalla porta di fondo) Dio ti ringazio, che consolazione! DOROTEA (a Medardo) Méttete a ssede. (siedono) E dimme un po’. Sei stato sempre bene? MEDARDO Grazie. E voialtri? DOROTEA Eh figlio mio, così così. Si t’avessi da raccontà tutte le disgrazie ch’avemo passate e che purtroppo stiamo passando!... MEDARDO So tutto, so tutto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 298 28/11/13 12.44 , 1. introduzione 299 DOROTEA A pensare che stavamo tanto bene!... Te ne ricordi eh? Eh quando in una casa comincia sciangarangà11... MEDARDO Eh, sora Dorotea mia, con chi vorreste pigliarvela? El mondo è fatto a scale: chi le scende e chi le sale... E a proposito il sor Paolo? DOROTEA Lui è andato in piazza a vedere un po’ d’arimediare qualche cosa. S’arangia a far da sensale; ma glie va moscia assai... MEDARDO E Elvira, Giggia? DOROTEA L’ho lasciate de là. Co’ la cosa che Giggia da un mese fa l’amore, e dde llà c’è l’innamorato, ciò lasciato Elvira che me ce dasse un occhio. MEDARDO Ah Giggia fa l’amore? DOROTEA Sì; ma è tutto tempo perso. È un bravo giovine, de bonissima famiglia; ma nun cià né arte né parte. MEDARDO Elvira so che cià un figlietto. DOROTEA Quella figlia mia, come interesse non starebbe male; (moderando la voce) perché a la morte de la sora Vittoriona, resterebbe tutto al figlio. Ma che vita con quella donna! È un’ignorante de la forza de cento cavalli; e da quando lei sta qua dentro, stamo in un inferno. MEDARDO E perché non la mandate al diavolo? DOROTEA Perché...perché Medardo mio si nun fusse lei, certi giorni qui se starebbe a crocetta... E poi se non altro me vedo quella figlia mia a casa. MEDARDO Che anche Costantino la strapazza? DOROTEA No, ma la madraccia me lo mette sempre su contro la moglie, e daglie oggi e daglie domani, lo sai come succede? MEDARDO Oh poveri amici miei!... Ma insomma queste benedette Elvira e Giggia se ponno o nun se ponno vedere? DOROTEA Adesso te le chiamo. (si avvicina a una delle porte a destra) Giggia, Elvira, Sor Alfredo, venite de qua che c’è un signore che ve desidera. SCENA IV Dorotea, Medardo, Elvira, Giggia e Alfredo ELVIRA (vedendo Medardo) Oh guarda, guarda che bell’improvisata! (stringendo la mano a Medardo) 11 Sciangarangà-sciangherangà: sfortuna, jattura, disgrazia, rovina. Dall’ebraico cha àh ra’ àh: ora infausta. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 299 28/11/13 12.44 300 introduzione GIGGIA (c. s.) E voi, mammà, nun ce dicevate gnente? (si stringono la mano) MEDARDO Come state? ELVIRA Bene. GIGGIA Tu già se vede. (a Medardo) Te presento Alfredo Moscetti, mio fidanzato. MEDARDO (stringendo la mano ad Alfredo) Fortunatissimo! ALFREDO Anzi! Ognuno siede, Giggia ed Alfredo sopra un sofà in fondo alla sala. ELVIRA (a Medardo) E ti trattieni assai a Roma? MEDARDO Quanto ne ho voglia: anche per sempre. Adesso mi spoglio perché passo maggiore e m’impiego al Ministero della Guerra. GIGGIA Come, lasci la carriera militare?! Stavi tanto ben vestito così: che peccato! ALFREDO (ingelosito alza le spalle e dà un colpo sulla gamba di Gigia) (scena a soggetto) MEDARDO Allora, poiché ciò ti fa piacere, ti dirò che questa divisa la seguiterò a portare perché resto maggiore nella riserva. ELVIRA Bravo! Sai Costantino quanto ciaverà piacere quando te vede! MEDARDO Sfido, siamo cresciuti insieme. E a proposito, e il tuo bambino? ELVIRA Dorme. Appena se sveglia te lo faccio vedere. Si vedi quant’è caruccio. MEDARDO Eh somiglierà alla mamma. ELVIRA Già: allora sarebbe bello assai! MEDARDO E lo pòi dir forte. GIGGIA E fischiare pure. ELVIRA (a Gigia) È bella lei! GIGGIA Eh nel caso. DOROTEA Brutte sceme: mó stateve a litigare la bellezza. GIGGIA Che adesso nun se pò scherzà? DOROTEA Eh ciamancherebbe che facessivo sul serio. ELVIRA Eh non lo dite tanto forte; perché qui me pare che non facciamo tutto il giorno altro che litigare. DOROTEA Eh se sa, quando in una casa ciamanca el necessario, ce se trova sempre da ridire. MEDARDO Passerà anche questa. Sapete che vi dico? Adesso sò venu- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 300 28/11/13 12.44 1. introduzione 301 to a Roma io e voglio che state tutti alegri. Pure lo sapete che io porto furtuna. DOROTEA È vero davero. GIGGIA Passasse l’angelo e dicesse: ammen. MEDARDO Dunque alegri, corpo di Bacco! E lei signor Alfredo, dica qualche cosa. ALFREDO (timido impacciato) Cosa vuole che dica? non saprei... GIGGIA Nun ce far caso: è timido proprio per natura. ELVIRA Già, è vergognoso lo sfacciatello. GIGGIA Sicuro: non ti confinfera? DOROTEA (impazientita) Ah ah! Quant’è lunga la camicia de Meo12. (s’ode suonare il campanello di casa) MEDARDO Forse el sor Paolo! DOROTEA Dev’esse lui in persona. SCENA V Paolo, Dorotea, Medardo, Gigia, Elvira e Alfredo DOROTEA Paolo, vedi un po’ chi è venuto. PAOLO (nel vedere Medardo perde l’abituale calma; gli salta al collo e l’abbraccia a più riprese) Tu?! Ma sei proprio tu?! MEDARDO Non mi aspettavate? PAOLO Davero. Lo sai che qui nun me dicheno mai gnente. DOROTEA Che tt’avevamo da dì si manco noi nu’ lo sapemio. È vero Medardo? MEDARDO Verissimo. Siccome credevo di ritardare la mia venuta almeno di un mese per un affare che avevo a Torino, non ho scritto a nessuno che venivo; nemmeno a mia sorella. Poi a Torino non sono più andato e così sono partito improvvisamente per Roma, dove sono arrivato oggi alle tre. PAOLO Eh bravo! Ciai fatto propio uno de quelli piaceri che llèvete! (rimettendosi poi della nota sorpresa e riprendendo l’abituale calma si guarda attorno e si avvede della presenza di Alfredo) Uh guarda chi c’è, quello che a casa mia nun ce veniva mai. ALFREDO (alzandosi) Io veramente già l’ho salutato; ma lei... GIGGIA Si papà, già v’ha salutato; ma voi non ciavete fatto caso. 12 Camicia de Meo: cosa monotona, noiosa, che non termina mai. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 301 28/11/13 12.44 302 introduzione PAOLO Lo credo; ma è stata tanta la sorpresa de trovà qui ‘st’amico grande, che me scuserete si nun ciavevo dato che stavate qui. State bene? ALFREDO Benissimo; e lei? PAOLO (ironicamente) Sempre bene, quando se sta in grazia vostra. (si siede) State commodo. (ad Alfredo) PAOLO E dimme un po’ Medardo mio, te trattenghi assai? MEDARDO Dipende da me; forse anche per sempre. PAOLO (incredulo) Ma vattene! DOROTEA Sì davero ce l’ha detto pure a noi. È vero Elvira? ELVIRA Verissimo. GIGGIA Resta impiegato qui al Ministero de la Guerra. PAOLO Ma davero? Ma sai che mi hai dato una gran consolazione, Medardo mio? Viè qua che tte vojo dà un altro bacione. (lo bacia con trasporto) E Mimma lo sa? MEDARDO È stata la prima che ho visto. PAOLO Figuramese sarà stata contenta? DOROTEA Te lo poi immagginà. PAOLO Oh bravo, bravo, bravo! MEDARDO Oh caro sor Paolo mio! PAOLO Già, dico, ‘ste donne, t’averanno messo al corrente de tutte le cose nostre? MEDARDO Sì sì, so tutto purtroppo! PAOLO Chi me l’avesse detto! Basta, è meglio a nun pensacce; si no ce sarebbe da sbattese la testa al muro. Ma siccome dice el proverbio che cent’anni de pensieri nun pagheno un soldo de debbito, così nun me ne voglio stà a prendere per gnente. DOROTEA Eh già, tu li dolori li lasci prende a li cani... MEDARDO Fa benone. Finiamola una bona volta con questi argomenti dolorosi. PAOLO Davero finimola. Anzi, dico, ma perché stamo qui come le bestie? MEDARDO È quello che dicevo anch’io. PAOLO (chiama) Clementina, Clementinaa! DOROTEA Che vòi da Clementina? SCENA VI Clementina e Detti CLEMENTINA Che volevio? PAOLO (dandole una moneta) Tiè, va ggiù da Rampichino a nome mio e fatte dà du’ litri... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 302 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 303 CLEMENTINA (rifiutando il danaro) Ho capito: mó ce penso io. (avviandosi) PAOLO Ma tiè... CLEMENTINA (con alterigia) Quanno ve dico che cce penso io, me pare che abbasti. (esce) PAOLO Abbasta che nun me meni! ELVIRA Viva la faccia de la bona grazia. MEDARDO ‘Sta benedetta Clementina è sempre come era trent’anni fa. DOROTEA Come l’hai lasciata, così la ritrovi. GIGGIA Anzi anche un pochetto peggiorata, considerato il tempo che tira. PAOLO A proposito de li spropositi: ma Costantino e la madre? DOROTEA Si nun me sbaglio, eccoli. Me pare d’avé inteso aprì la porta de casa. SCENA VII Vittoria, Costantino, Mimma e Detti VITTORIONA (sostenuta) Bona sera a tutti. COSTANTINO (nel vedere Medardo) Tu! (si abbracciano) MEDARDO (salutando) E lei sora Vittoria, come sta? VITTORIONA (c. s.) Benone: a dispetto de chi cce vò mmale. (si danno la mano) MIMMA Bona sera a tutti questi signori. (si avvicina all’orecchio di Dorotea) (zi’ Teresa m’ha rigalato 20 pavoli!) DOROTEA (Sia ringraziato Iddio! Brava figlia mia) Intanto Medardo e Costantino discutono fra loro; e Gigia e Alfredo sempre seduti al sofà fanno l’amore. PAOLO (ironico) Signora Vittoria, li miei rispetti. VITTORIONA (c. s.) Oh scusate se non vi avevo sfigurato prima. PAOLO (c. s.) Oh le pare! Anzi a lei. ELVIRA Costantino, dove siete stati di bello? COSTANTINO A fare due passi con mammà. VITTORIONA (con alterigia) A fare mezz’oretta de commido nostro. ELVIRA (Ignorante!) Mimma, ma che tu sei uscita con loro? MIMMA Macché. Se semo incontrati qua su la porta de casa. MEDARDO (a Vittoria) E avete fatto una bella passeggiata? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 303 28/11/13 12.44 304 introduzione VITTORIONA Magnifica. Semo montati in tranvaise al Castro Petrolio e siamo arivati infinenta a San Pietro indove la quale abbiamo cenato a la trattoria a piazza Rusticucci13, soli soli; e... COSTANTINO Come due papetti. VITTORIONA (con serietà a Costantino) Zitto voi, quando parla vostra madre! PAOLO (a Vittoria) Lo sapete però che glie succede a chi mangia solo? VITTORIONA Creperà lo stroligo. (risata di tutti) MIMMA Elvira, e el pupo? ELVIRA Dorme. Vammece a dare un occhio. MIMMA Vado, Elvira mia. (entra in camera e ne riesce subito) Dorme come un angioletto. MEDARDO (alzandosi) Allora lo vedrò domani. MIMMA Che già te ne vai? PAOLO Già cce lassi? MEDARDO (guardando l’orologio) È tardi veh; mezzanotte passata. DOROTEA E poi poveraccio sarà stanco. COSTANTINO Da quando stavi in viaggio? MEDARDO Da jeri mattina a le cinque. VITTORIONA E nun ve vergognate de trattienello, povero regazzo? PAOLO Aspetta un altro po’ ché intanto adesso l’accompagno io. Prima avemo da beve. (chiamando) Ah Clementina, eh fajela che te possi roppe li maschietti14: Clementinaaa! SCENA VIII Clementina e Detti CLEMENTINA (recando un gabarè con bicchieri, bottiglie di vino e una pizza che depone sopra un digiuné) Eccoli serviti. PAOLO MIMMA GIGGIA ELVIRA DOROTEA (nel vedere tanta grazia di Dio, si guardano prima fra loro interrogandosi con lo sguardo, poi guardano Clementina la quale resta impassibile) VITTORIONA (Li quatrini pe’ li sciali li troveno ‘sti scannati!) MEDARDO (offrendo da bere a Vittoria e Costantino) Bevete. VITTORIONA Grazie: un goccetto tanto per aggradire. Voi, Costantino, nun bevete tanto; ché già avete bevuto abbastanza. 13 Piazza Rusticucci, scomparsa con il tracciato di Via della Conciliazione, era nell’area dell’odierna piazza Pio XII. 14 Ginocchia. Dal disusato vocabolo volgare mastietto: cerniera. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 304 28/11/13 12.44 - a ) - 1. introduzione 305 PAOLO (serve tutti gli altri) Bevete sicuri; ché questo è de quello de Rampichino. MEDARDO (alza il bicchiere) Alla salute nostra. PAOLO (c. s.) E un anticòre15 a chi cce vò male. VITTORIONA (con intenzione) Per me vadi puro. ELVIRA (Quant’è permalosa!) MEDARDO E al diavolo la malinconia. PAOLO E la disperazione! Si beve e si mangia: scena a soggetto. MEDARDO (posando il bicchiere) Molto buono questo vino. Allora io, col permesso di questa amabile compagnia, lascio la buonasera a tutti. TUTTI (si alzano e salutano Medardo) DOROTEA T’aspettamo domani a pranzo. MEDARDO Non mancherò, siate sicuri. PAOLO (intanto si sarà già messo il cappello e sarà uscito senza dir verbo, precedendo Medardo) DOROTEA (divenuta tenera per il vino bevuto, si fa alla porta e lo chiama) Paolo, Paolo, te ne vai così senza dirme né asino né bestia? MEDARDO Viene ad accompagnarmi: che vi rincresce? PAOLO (ritorna con calma sulla porta e dice a Dorotea) Asino, bestia, bestia, asino! (e se ne va con Medardo) TUTTI (scoppiano in una sonora risata) VITTORIONA Io puro allora ve do la bona notte. Mimma, m’avete preparato l’acqua, la camicia da notte, le pantofole...? MIMMA Tutto in ordine. VITTORIONA (ad Elvira e Costantino) Voi puro regazzi andatevene a sloffe16 ché si nun erro mi pare de sentire el pupo che piagnucola. (esce) ELVIRA Uh davero! Bona sera a tutti. (e se ne va in fretta) Mimma, m’hai messo l’acqua? MIMMA Sì, Elvira mia, tutto pronto. COSTANTINO Mimma, domani stireme la camicia bianca, e porteme el caffè a le sei. Bona notte. (esce) MIMMA Appena mi alzo sarà la prima cosa. DOROTEA Bona notte figli miei. (rivolgendosi a Giggia e Alfredo) Regazzi mbè è ora de fargliela? È tardi assai: sapete? 15 16 Accidente. Dormire; dal tedesco schlafen. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 305 28/11/13 12.44 306 introduzione GIGGIA Noi, mammà, stamo ancora un pochetto. Intanto Mimma ce fa compagnia. DOROTEA Non più d’un quarto però, avete inteso Alfredo? MIMMA Voi mammà andate pure in santa pace; ché a loro ce penso io. Mica è la prima sera. DOROTEA Allora bona notte. (esce) ALFREDO Altrettanto. MIMMA e GIGGIA Bonariposo, mammà. SCENA IX Mimma, Alfredo e Giggia MIMMA (dopo di aver dato assetto alla camera prenderà la calza; ma si vede dagli sforzi che il sonno la vince) GIGGIA (ad Alfredo) Mbè la finisci da stà col muso? Quanto sei antipatico! Almeno se pò sapere che te s’è sciolto? ALFREDO (sostenuto) Ma se ti dico gnente. MIMMA (sbadigliando) Che avete eh Alfredo? GIGGIA (infastidita) Ce capisci qualche cosa? È da stasera che sta ingrugnato... Quant’è bello! ALFREDO Ma se non è vero. GIGGIA Allora se pò sapere perchè è da oggi che stai con quella mutria?... Ma già, io che ce perdo tempo. (si alza e si mette a passeggiare per la stanza) MIMMA (sbadigliando) Eh che ve possi cascà la pace addosso, brutti mocciolosi! GIGGIA Vedrai che adesso nun sarò padrona di parlare con chi me pare e piace. Tutto glie fa ombra. Doppotutto se Medardo c’è venuto a trovare, è un amico di famiglia: siamo cresciuti insieme. Adesso per far piacere a lui, dovevamo metterlo alla porta. MIMMA In questo poi ha raggione Giggia. De che avete paura? (sbadigliando) Sete poco scemo! GIGGIA Sò più stufa io che nun se sa. (si siede di nuovo vicino ad Alfredo) Dì stupido: nun te pare che queste sò gelosie fori de posto? ALFREDO Sia pure; ma io sono fatto così. GIGGIA Sei fatto male assai! E poi, dico, fra me e Medardo ce correranno almeno una dozzina di anni... Vedi sì che idee da imbecille, cretino, stupido, come sei. ALFREDO (rabbonito) Grazie, troppo incomodo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 306 28/11/13 12.44 1. introduzione 307 GIGGIA Su via, vieni qua finiscela. (lo prende per la mano) E un’altra volta, non farmelo più. Me lo prometti? ALFREDO (sorridendo) Farò il possibile. Ma ti ripeto, la mia volontà è più forte di me. GIGGIA Che volontà! Uno se corregge. ALFREDO Dopo tutto, questo è un segno evidente che ti voglio bene. Dove non c’è gelosia non c’è amore. GIGGIA Sì lo capisco. Ma intanto a me mi fa rabbia. MIMMA (svegliandosi) Avete inteso, creature è tardi assai. Quando ve spiccicate? GIGGIA Aspettamo che ritorni papà. MIMMA Ma tu sei matta. Papà cià la chiave e chi lo sa a che diàncine d’ora ritorna. GIGGIA Mbè un altro pochetto, pochetto. ALFREDO Altri cinque minuti. MIMMA Tutte le sere una storia. Pure lo sapete che io a le quattro e mezzo ho da stà su. GIGGIA Tu minchiona, che tte ci alzi! Intanto adesso pure papà lo sa. A proposito, Alfré, come te disse? ALFREDO Mi disse: Ricordatevi, figlio mio, che chi piglia moglie e casca bene, nun pò star peggio. GIGGIA M’ha fatto una bella raccomandazione! ALFREDO Del resto fu gentilissimo. GIGGIA Povero papà, è tanto bono che è fin troppo. ALFREDO Allora io è meglio che vada. (si alza) GIGGIA Mettete a sedere un altro pochetto. ALFREDO Ma no, ché la povera sora Mimma... GIGGIA Dille che non secchi tanto, quella nojosa. MIMMA (supplicante) Ma sì, sì; state pure. Ho detto così per dire. Nun ho sonno per gnente. (sbadigliando) Potrei stà qui fino a domani... Non ho più sonno. (sbadiglia) Fate pure, fate. GIGGIA Poi quando sposamo te facciamo un bel regalo. MIMMA Nun voglio gnente. Basta che ve sbrigate a sposà; almeno così la notte nun ve starò a ffà ppiù la sentinella. GIGGIA Eh ciamancherebbe altro. (ad Alfredo dandogli la mano) Allora ce vediamo domani all’ora solita. ALFREDO Alle dieci e mezzo domattina. Addio. MIMMA (intanto sempre sbadigliando avrà acceso una bugia e starà in piedi ad aspettare che Alfredo se ne vada) Bonasera sor Alfredo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 307 28/11/13 12.44 308 introduzione GIGGIA Guàrdelo, nun vede l’ora d’andarsene! ALFREDO Io? Ma lo faccio per riguardo di Mimma. GIGGIA Se sa che cià che fa tutto lei. MIMMA Io? Ma se ho scherzato. (sbadiglia) Se nun ho sonno per niente. Magari Alfredo vò restà fino a domani... ALFREDO (avviandosi verso la porta ed aprendola) Allora domani me ce porto il letto. Arrivederci. GIGGIA Non venire però con quella mutria, domani. ALFREDO Farò il possibile. GIGGIA Se no te butto per tutte le scale... MIMMA Bonasera. (ad Alfredo dandogli la mano) SCENA PENULTIMA17 Mimma, Giggia e Alfredo MIMMA (rimettendo a sesto la stanza dice tra sé) Quanto sò contenta! Oggi proprio è stata una gran bella giornata per noi. Chi me l’avesse detto de rivedere Medardo, dopo tanti anni!... E pensà che io sò diventata una strega, e lui più sta e più se fa un bell’omo... Ma che dico un bell’omo, più sta e più se fa un bel giovinotto!... Ah è vero, ce l’avevo tanto in mente de domandaglie si fa l’amore, e poi me ne sò scordata come una stupida. E sippuro lo fa, a me che ne deve importà? (sbadiglia) Per me tanto sò finite le messe a San Gregorio18... Varda sì a che vado a pensare!... (sbadiglia) Almeno adesso ‘sti ragazzi gliela facessero a sbrigasse!... Io, sarà la stanchezza, o la contentezza, ‘sta notte ciò un sonno un sonno che stento a tené l’occhi aperti. (sbadiglia) SCENA X Paolo, Detti e Dorotea (di dentro) PAOLO (presentandosi con calma sulla porta) Come v’alzate presto la mattina, eh sor Alfredo? ALFREDO (imbarazzato) Che è tardi assai? PAOLO No, macché. Sò le tre sole doppo mezzanotte. ALFREDO (correndo) Scusi tanto; bona notte. (esce) GIGGIA (in fretta) Bona sera papà; addio Mimma. (se ne va in camera) 17 18 N. d. A.: aggiunta all’atto secondo. San Gregorio taumaturgo protettore dei casi disperati. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 308 28/11/13 12.44 1. introduzione 309 PAOLO Se vedemo. (poi rivolgendosi a Mimma in tono canzonatorio) E tu Mimma mia che stai facendo a quest’ora in piedi? DOROTEA (di dentro in tono languido) Paolo, Paolo mio! PAOLO Mó cciamancavo puro questa che sse svegliasse! (a Mimma) Dì che stai facendo? MIMMA (che è rimasta con la bugia accesa in mano fa un grande sbadiglio) Nun lo vedete, papà, che faccio? DOROTEA (di dentro chiamando c. s.) Paolo, Paolo mio, perché non vieni? PAOLO E questa mó cche vò? Quanno ha bbevuto un goccetto ‘sta bbenedetta donna è un affare serio!... Basta el Signore ce la mandi bbona (e si avvia verso la stanza nuziale; giunto però alla porta si volta fa un inchino alla figlia che glielo restituisce) Cala la tela a Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 309 28/11/13 12.44 310 introduzione ATTO III La stessa del primo atto. SCENA I Dorotea e Mimma sedute DOROTEA Dunque, figlia mia, te sei proprio decisa? MIMMA Decisissima, mammà mia. DOROTEA Ma abbada che è un gran sagrificio quello che fai, figlia mia. Pènsece bene. MIMMA Ciò poco da pensà. Io ormai sò vecchia; e el più l’ho fatto, e poi nun ve voglio lascià a vojaltri due. È meglio che s’accommodi quella povera Giggia. Oggi o domani (che sia fra cent’anni) che vojaltri chiudete l’occhi, come resterebbe? DOROTEA Ma tu piuttosto come resteressi! MIMMA Eh el Signore me provederà. DOROTEA E Medardo come l’ha presa? MIMMA Sul principio nun voleva assolutamente; ma poi, vista l’insistenza mia, e visto pure che quella birbona de Giggia nun s’è l’è fatto dire due volte, ha inchinato la testa... Ciavesse da perde nel cambio! DOROTEA Io, quando Medardo me l’ha ddetto, sò ccascata da le nuvole. Credevo che me ti chiedesse a te; e invece... MIMMA Ma ringraziamo Iddio. E poi, avete inteso; sposeno subbito adesso per ottobre. DOROTEA Signore te ringrazio! Famme un po’ sentì quela birba de Giggia sì che dice. (chiamando) Giggia, Giggia, vieni un po’ de cqua. SCENA II Giggia e Detti DOROTEA Dunque, eh figlia mia? GIGGIA (indifferente) Dunque de che, mammà? DOROTEA De quello che m’ha detto tanto Medardo che Mimma. GIGGIA Che me sposo Medardo? È verissimo. DOROTEA Figlia mia, ma ciai riflettuto bene? GIGGIA Altro che riflettuto! DOROTEA Pensa che quello ha una dozzina d’anni più de te... GIGGIA Meglio così: me vorrà più bene. Mammà mia, c’è poco da Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 310 28/11/13 12.44 i 1. introduzione 311 pensà, quando se sta in uno stato come el nostro. È come quando uno se sta per affogare che trova una tavola de salvezza. DOROTEA Basta: contenta te, contenti tutti. MIMMA Vòi o nun vòi, Medardo cià una bella posizione. Che tte pare: mó passa maggiore. DOROTEA Moglie d’un maggiore, che consolazione! MIMMA E poi quela montura glie s’adatta proprio. GIGGIA Apposta ciò fatto el patto che deve fare carriera. DOROTEA Davero? GIGGIA Sicuro: seguita la carriera per amore mio. MIMMA E quando diventerà colonnello? GIGGIA ( fuori di sé dalla gioia) Ma quando diventerà generale! MIMMA (c. s.) Che sarai la moglie d’un generale: la sora Generalessa! DOROTEA (c. s.) E Medardo ce diventa davero; perché oltre all’essere istruito, non ha mai avuto punizione; senza contare le campagne c‘ha fatto. GIGGIA Altro! Cià diverse medaglie, oltre all’èsse cavaliere. MIMMA (inchinandosi a Giggia) Sora cavalieressa! GIGGIA Ciò piacere per quella pettegola de la sora Vittoria. Sai quando lo saprà come ce mangia l’aglio! DOROTEA Che nu’ gliel’ha detto Elvira? GIGGIA Gliel’ho proibito assolutamente. Voglio che lo sappia come un fulmine a ciel sereno. MIMMA (asciugandosi gli occhi) Che felicità, che bellezza! DOROTEA ( fuori di sé dalla gioia) Lo dicevo, ragazze mie, che Medardo ciaverebbe portato fortuna co’ la sola sua presenza!... SCENA III Clementina e Dette CLEMENTINA (annunciando) Er sor Arfredo! DOROTEA GIGGIA MIMMA (a questo annuncio come se fosse caduto loro addosso un catino d’acqua ghiaccia, si guardano meravigliate ed esclamano) Alfredo! E chi ciaveva pensato? MIMMA E adesso?! GIGGIA Clementina, è entrato? CLEMENTINA No: sta su la porta. GIGGIA Mbè,... diglie... che io sto a letto cor un po’ di dolor di testa... Che venga fra poco. (Prendiamo tempo). CLEMENTINA (nell’uscire) ‘Sto povero merlo se le beve tutte. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 311 28/11/13 12.44 312 introduzione SCENA IV Dorotea, Mimma, Giggia poi Clementina MIMMA Avemo fatto li conti senza l’oste. La cosa è stata tanto inaspettata, che a ‘sto poveraccio nessuno de noi ciavemo pensato! DOROTEA E mó come se fa? Almeno tu Giggia, prima di... ce dovevi pensare! MIMMA El bello è che pure noi ce ne semo scordate. DOROTEA Ma che vòi, la cosa è stata tanto precipitata... Chi se l’immagginava mai!... CLEMENTINA (ritornando) Sora Ggi, er sor Arfredo ha detto accusì, che annava a pija un sighero e aritornava subbito. (esce) GIGGIA Sì, salutemelo tanto! E mó chi glielo dice? MIMMA Diglielo tu. (nell’ imbarazzo) GIGGIA Poveretta davero? Io nun ciò coraggio. DOROTEA E adesso?! (imbarazzata) MIMMA Oh che bell’impiccio! e tutto per causa mia. DOROTEA (imbrogliatissima) Ma, dico io, come se fa a prendere un impegno accusì senza pensare a l’ostacolo principale?! Che testa!! GIGGIA E cce lo domandate a noi?! MIMMA E mó come facciamo? DOROTEA (c. s.) Come, come!... Eh poi poi, qualche modo troveremo. Se c’ero preparata ci pensavo io. Pure lo sapete che nun sono scarsa... Lasciamo un po’ correre per adesso... MIMMA Che volete lascià corre, mammà mia? A quel ragazzo bisognerà dirglielo. E si facesse qualche minchioneria? GIGGIA Peggio per lui! MIMMA Ha raggione papà. Tu davero sei senza core!... Adesso a quel poveretto che riviene su che glie diciamo? DOROTEA Così su due piedi a darglie lo scaccione... Capisco che ognuno fa li propri interessi; ma le convenienze pure... MIMMA (imbrogliatissima) Oh che impiccio, oh che impiccio! (si suona il campanello) Rièccolo: e mó come facciamo? GIGGIA Diteglie che io sò uscita. MIMMA Ma come, mó gliai mandato a dire che stavi male?! GIGGIA (spazientita) Insomma diteglie un po’ quello che vi pare a me nun me ne preme niente. (se ne va in camera e si chiude dentro) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 312 28/11/13 12.44 . a 1. introduzione 313 SCENA V Alfredo, Dorotea e Mimma ALFREDO È permesso? Signora Dorotea, signora Mimma come stanno? MIMMA (imbrogliata e fredda) Bene grazie. DOROTEA (imbrogliata e sostenuta) E che nuova così presto? ALFREDO (meravigliato) L’ora solita: le dieci e mezzo. DOROTEA Eh ma pure voi sete un benedetto ragazzo; sempre fra li piedi; tutto il santo giorno a covare qua dentro... ALFREDO (intimidito) Ma scusi, vengo tutti li giorni a quest’ora, e lei mai mi ha fatto, scusi, di queste osservazioni... DOROTEA (c. s.) Osservazioni no; perché... perché quando c’è l’educazione una se ne astiene da farle... ma poi... poi viene el momento che una sbotta... ALFREDO (c. s.) Veramente non so spiegarmi... DOROTEA (c. s.) Eh ma me capisco bene da me, me capisco... e voi co’ la cosa che una è bona, tre volte bona, e lascia correre, ve ne approfittate; e state qui dalla mattina alla sera fino alle due e anche alle tre doppo la mezzanotte...E io... io, poi ce vado di mezzo. ALFREDO (credendo di colpire nel segno) Ah! scusi, l’altra sera sì, veramente era tardissimo. E forse il signor Paolo che ci sorprese... DOROTEA (prendendo la palla al balzo si rianima) Sicuro; venne de là da me come una furia!... MIMMA (Ecco povero papà in ballo!) DOROTEA Come una furia! Bisognava che lei ci si fosse trovato, bisognava, per sentire quel corpo quante me ne disse. Fu un finimondo! Un òprete cielo!... Insomma: questa è una vita che non pole durare, proprio non pole. È uno stato tale di cose che deve finire e subbito. Non è vero, Mimma, che deve finire, e subbito? MIMMA (imbarazzatissima) Eh non saprei... DOROTEA (c. s.) Come non saprei, come non saprei? Pure l’hai sentito tuo padre?!... Quanto me fa rabbia questa benedetta regazza che non sa mai niente! (entrando in camera a passi concitati) Ah io ci schiatto, io ci schiatto! SCENA VI Alfredo e Mimma ALFREDO (divenuto piccino piccino) Oh quanto mi rincresce!... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 313 28/11/13 12.44 314 introduzione MIMMA A voi? ma a me! Lo vedete? Io poi sò sempre la causa de tutto. Ve lo dico la sera: sbrigateve, sbrigateve; ma voijaltri sì col cuccù! ALFREDO E chi s’immaginava mai che il signor Paolo, così pacifico all’aspetto... MIMMA (imbrogliata) Pare pacifico, pare: ma guai si glie piglieno!... guai! ALFREDO Oh che disdetta! E figuriamoci quella povera Giggia mia?! Apposta è malata?!... MIMMA Pare un panno lavato! (Signore perdonateme; io sto sopra una brace de foco). ALFREDO Almeno la potrei salutare? MIMMA (c. s.) Come?... se è uscita. ALFREDO Come uscita, se un momento fa la serva è venuta a dirmi che stava a letto?! MIMMA (c. s.) Ma Clementina sarà stata matta. Niente de meno è venuta a prenderla quell’amica sua, tanto amica... ALFREDO Quale? MIMMA (Io a momenti crepo!) Quella... quella che hanno fatto insieme la prima comunione... ALFREDO Chi la Giorgi?... Ma se quella sta a Napoli... MIMMA (c. s.) Cioè no quella; quell’altra compagna sua che fecero la cresima insieme... ALFREDO E dove sono andate? MIMMA A fare la devozione. ALFREDO E ieri non mi ha detto niente... MIMMA Che v’aveva da dire si, poveretta, nun lo sapeva. ALFREDO Io ci perdo la testa! MIMMA (Eh figurete io! che serve, io nun sò bbona a imbroglià la gente! ce sudo fredda!) SCENA VII Clementina e Detti MIMMA (vedendo Clementina) (Signore ti ringrazio!) CLEMENTINA Sora Mimma, ve vò... ALFREDO Clementina, ma adesso quando ho bussato, non m’hai detto che la signorina stava ancora a letto? CLEMENTINA Sicuro... (ma vedendo che Mimma le fa dei cenni di diniego) Sicuro stava a letto; ma saranno state le sette de ‘sta mmatina; m’ha chiamato e m’ha detto: Quanno viene Arfredo, diglie che aripassi che a me mi dole er capo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 314 28/11/13 12.44 1. introduzione 315 ALFREDO E poi è uscita? MIMMA (dietro Alfredo: fa de’ cenni di assentimento a Clementina) CLEMENTINA (credendo di aver capito) Sicuro è uscita cor portiere... MIMMA (le accenna di no) ALFREDO Col portiere? (e si rivolta a Mimma) Ma non mi ha detto con quell’amica? CLEMENTINA (riprendendosi) Che bestia! Già è uscita con quell’amica... MIMMA Che cià fatto assieme la cresima... CLEMENTINA Brava! Che cià fatto assieme la cresima. Che anzi io quanno l’ho vista manco la riconoscevo, è vero sora Mimma? È diventata arta che pare uno stennardo. (Guarda quante buvatte19 me tocca a infirzà). MIMMA (riprendendo fiato) Chi me voleva a me Clementì? CLEMENTINA Lesta curéte; ché ve vò quela scannata de la sora Vittoriona. MIMMA (Sia lodato el cielo!) E me lo dici adesso? Pure lo sai! Compermesso. ALFREDO Scusi, senta... MIMMA Me lassi scappà. (va via a precipizio) CLEMENTINA La lassi; che si no quella fa cure la patuja. SCENA VIII Clementina e Alfredo ALFREDO Io ce faccio una malattia... La cosa che più mi rincresce è che il signor Paolo abbia fatto quella scenata... CLEMENTINA E quale? (con curiosità) quale? ALFREDO Quella dell’altro giorno, per avermi trovato qui in casa alle tre dopo la mezzanotte. CLEMENTINA Annàteje a dà torto! E me dite davero ch’er sor Paolo s’è impaturniato co’ vvoi?! ALFREDO Con me no: anzi fu a bastanza gentile. Ma, dice, che ne fece una di quelle alla moglie! CLEMENTINA (Manco si lo vedessi! Quante se ne beve ‘sto cardeo20). ALFREDO E in conseguenza la sora Dorotea l’ha presa con me; e chi lo sa come andrà a finire... 19 20 Bugie. Sciocco, imbecille. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 315 28/11/13 12.44 316 introduzione CLEMENTINA Eh più che lo scaccione nun ve potranno dà! ALFREDO (disperato) E allora io? Ma che dico, io! Quella povera Giggia mia?! (si lascia cadere piangendo sopra una sedia) CLEMENTINA (Sei matta quella se ne fa una stincatura: cià un core quela regazza, un core che ce dovrebbe avé er pelo come un manicotto!) ALFREDO (c. s.) L’unica cosa che mi resta da fare è d’attendere il signor Paolo o di andarlo a cercare altrove, buttarmegli ai piedi e chiedergli perdono... (risoluto) Non c’è altro scampo! Che ne dice eh Clementina? CLEMENTINA Io puro direbbe da fà accusì. Annate dar sor Pavolo e bona notte. (esce) ALFREDO Sicuro sarà meglio. (per uscire) SCENA IX Costantino e Alfredo COSTANTINO Oh sor Alfredo, bongiorno, dove andate così de corsa? ALFREDO Bongiorno, signor Costantino... (si ferma) COSTANTINO (avvedendosi dello stato di Alfredo) Ma voi avete pianto? Che cosa avete che v’addolora? ALFREDO Eh se sapeste? COSTANTINO Che cosa vi è mai accaduto? ALFREDO Un diavolerio, un finimondo, un opretecielo! Il sor Paolo mi ha trovato qui in casa con Giggia alle tre dopo la mezzanotte... COSTANTINO Tombola! ALFREDO È andato su tutte le furie, e ne ha fatta una di quelle che non ve ne dico!... COSTANTINO E mammà mia lo sa? ALFREDO Almeno che non abbia inteso le grida! COSTANTINO Oh bella, bella! Sentiamola un po’. (si accosta alla porta della camera e chiama) Mammà, mammà. VITTORIONA (di dentro) Èccheme che viengo. SCENA X Vittoriona e Detti VITTORIONA Che vve s’è sciorto? COSTANTINO Sentite un po’ d’Alfredo sì che nnespole! VITTORIONA Bongiorno, sor Alfredo: sentimo un po’ che sò ‘ste nespole. (con curiosità) COSTANTINO Che gnentemeno ieri sera el sor Paolo ha fatta una Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 316 28/11/13 12.44 i a 1. introduzione 317 scenata perché ha sorpreso qui alle tre doppo mezzanotte el sor Alfredo con Giggia... VITTORIONA (sorpresa) Che me dichi?! È vero davero? ALFREDO Verissimo: ma non era mica la prima volta. VITTORIONA Ah l’avete fatto puro qualch’altra sera? Ma bravi! Qui Costantino mio se va di male in peggio. ‘Sta casaccia è addiventata un cràus21. Pórtete presto via tua moglie si nno qua drento diventi un cérebro22 . COSTANTINO Figuriamoce la sora Dorotea, la sapientona, che cosa v’averà detto! ALFREDO È inquietissima. Stamane m’ha strapazzato in un modo che non me l’aspettavo... VITTORIONA Che immoralezza! Tutte a ‘sta casaccia porca se devono vedere e sentire, tutte. Qui nun c’è religgione, qui nun c’è rispetto a chi è più de loro, qui sfondoni, qui... Apposta si moreno de fame: è el Signore che li gastiga. Lo dicevo io, che qua da un momento all’altro una castràtofe doveva succedere. (gira agitata per la stanza declamando) COSTANTINO E poi ce vonno fare tanto le caste Susanne, le sapienti! ALFREDO Ma non crediate mica che io e Giggia... VITTORIONA (interrompendolo c. s.) Eh vedete un po’. (otturandosi le orecchie) E poi io non voglio sapere gnente. Ne ho già sapute abbastanza. ALFREDO E poi c’era... VITTORIONA (c. s.) Perdete er fiato: v’ho detto che non voglio sapene gnente. COSTANTINO E adesso che intendete di fare? (ad Alfredo) ALFREDO Di andare in cerca del signor Paolo, buttarmegli ai piedi e chiedergli perdono. VITTORIONA A quell’altro omo senza personificazione di sorte! ALFREDO Potessi almeno sapere dove potrei trovarlo! COSTANTINO (guardando l’orologio) Si ve sbrigate, adesso lo trovate sicuramente al caffé a li Caprettari. ALFREDO Ci corro subito. Ci vediamo. (esce correndo) 21 N.d. A.: caos. Probabile allusione alle corna del cervo. In altra stesura, a c. 96v, in luogo di cérebro: «cornacopio». 22 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 317 28/11/13 12.44 318 introduzione SCENA XI Vittoriona, Costantino poi Elvira VITTORIONA (misurando la scena a lunghi passi) Costantino, fijio mio; qui oramai el vaso strabbocca; prendiamose li nostri giocarelli e bbattémosela. COSTANTINO Sto a li ordini vostri. VITTORIONA (chiama) Elvira, signorina; venite un po’ de qua. ELVIRA (entra) Cosa volete? VITTORIONA (c. s.) Cosa vojo? Cosa voglio?! Vergognateve! ELVIRA Io?! (sorpresa) VITTORIONA (c. s.) Sicuro: vergognateve voi, vostra madre, vostro padre... tutti! COSTANTINO (imitando la madre) Tutti! ELVIRA Ma c’è pericolo che vi siete ammattiti? VITTORIONA È ora di farla finita. Questa casa è addiventata un lupopanare. ELVIRA (con calma) Ma per quale raggione? VITTORIONA Fatevelo dire dalla vostra signora madre. ELVIRA Da mammà mia? COSTANTINO (con importanza) Già da mammà vostra. ELVIRA (chiama) Mammà, mammà! SCENA XII Dorotea, Mimma, Giggia, Clementina e Detti DOROTEA Cos’è questo strillare? GIGGIA Ah ah siamo da capo? ELVIRA Mammà, sentite un po’ qui alla sora Vittoria cosa glie s’è sciolto. DOROTEA (con le mani sui fianchi) Sentimo, cosa ciabbiamo de novo. ELVIRA Dice che quanti siamo qui dentro, ce dovemo vergognare. DOROTEA (risoluta a Vittoria) Perché se è lecita la domanda? VITTORIONA (con alterigia) Lo sapete meglio de me. DOROTEA Dico, c’è poco da sapere. Io non so gnente e nun ciò gnente da vergognamme, capite? GIGGIA (a Vittoria) Piuttosto voi, vergognateve! VITTORIONA Zitta, voi che sete lo scandelo de casa. DOROTEA (adirata) Che scandalo, che scandalo? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 318 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 319 VITTORIONA Io si fossi vojartri me vergognerebbe come una ladra. DOROTEA E fareste bene! Chi sa quanto averete rubato quando facevate l’erbivendola. VITTORIONA Meglio l’orbivendiola che la... mezzana come fate voi. DOROTEA (scattando) A me, a me, mezzana?! (minacciandola) Rimangiateve ‘sta parolaccia! GIGGIA ELVIRA MIMMA A mammà?! (minacciose) COSTANTINO ( fa scudo alla madre) Alto là. CLEMENTINA Pe’ conosce una bona pezza ce vò un bravo mercante. COSTANTINO Tu fa mosca: si nnon ce voi quattro schiaffi. CLEMENTINA (ironica) A quanto li vennete, a bon mercato? DOROTEA (passeggiando agitata) Via, questa è una vita che non se pò fà più. C’è da schiattarce. ELVIRA Ma io vorrei sapere qual’è il bandolo di questa matassa aruffata. VITTORIONA Il brandolo di questa matassa aruffianata, come avete detto a proposito voi, domannatelo al sor Arfredo. Lui me l’ha detto: eh, vero Costantino? DOROTEA E che ha potuto dire quel tisico svenato? VITTORIONA Che ‘sta notte el sor Pavolo l’ha agguantato a le tre doppo mezzanotte qui con vostra figlia, e è nasciuto un bruttiferio. DOROTEA (calmandosi) Ma si non è vero. GIGGIA È verissimo anzi; e nel caso non è la prima volta che mme cià trovato. VITTORIONA Che sfacciata! MIMMA E si ce l’ha trovati non ereno mai soli perché ce stavo sempre io insieme. DOROTEA Intendevo di dire che nun era vero che Paolo ce s’è inquietato, questo è stato un pretesto... VITTORIONA Un bel protesto!... DOROTEA (con calma) Si nun me lassate parlare! Sicuro è stato un pretesto che ho dovuto prendere col sor Alfredo per levarmelo d’intorno. VITTORIONA Povero giovinotto! E perché? DOROTEA Lo volete sapere il motivo? Perché nel mese entrante mia figlia Gigia, qui presente, se marita col capitano, cavaliere, Medardo Faricelli. VITTORIONA Povero fijaccio, quanto lo compatisco! GIGGIA C’è poco da compatire, sora madre pietosa. VITTORIONA E allora nun dovevio allusingare quel regazzo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 319 28/11/13 12.44 320 introduzione DOROTEA Chi poteva prevede che a ‘sta figlia glie sarebbe capitata una furtuna simile? Poi ognuno fa l’interessi sui, signora protonquànquera dei miei ceroti. Così quando questi ragazzi me se saranno sposati, voi con quella gioja del vostro figlio, ve ce leverete da li medesimi. VITTORIONA Fosse vero, che terno a lotto che sarebbe! GIGGIA Figuratevi per chi ve sente. DOROTEA Almeno finiranno queste scenate da piazza Montanara. Che te pare, a sentì lei, ce dovevamo vergognare! ELVIRA Questa casa, a sentir lei, era diventata un lupopanare! GIGGIA E mammà era la nostra mezzana, a sentire madama patanflana, giusto ce fa rima. COSTANTINO (risentito) Dico, rispettate mia madre! GIGGIA Ecco l’avvocato delle cause perse! CLEMENTINA Macché avvocato! Mannataro de San Gregorio taumaturgo protettore de li casi disperati! (tutti ridono. Costantino morde il freno, ma fa silenzio) MIMMA Mbè allora adesso basta. Mettiamoce una pietra sopra, e quel ch’è stato è stato. VITTORIONA M’ariconosco da me che, salvognuno, sono come la capoccia de li prosperi che pijo subbito foco; ma vorebbe vedere chiunque de voi a sentirse dire: stanotte a le tre doppo la mezzanotte, Giggia è stata agguantata cor sorcio in bocca... GIGGIA Apposta prima di calunniare una persona ce se riflette bene. MIMMA Ma via finiamola una bona volta. E piuttosto pensamo al modo d’indorà la pirola meglio che se pò, a quel povero figlio d’Alfredo per nun farlo disperà tanto. VITTORIONA Uh mó dite bene. Questo è un dovere filantrònico, artro che le chiacchiere! COSTANTINO Se volete che questa gatta a pelare me la prendi io...? VITTORIONA Voi? Sete troppo brutto. Chi ha impicciato la matassa se la sbroji. Si cce provate v’appoggio du’ carci a la giberna che ve schiatto. COSTANTINO (diviene piccino piccino e non fiata più e se ne va via) CLEMENTINA Finisce che ‘sto spaccetto me l’ho dda cibbà io. ELVIRA Già, mó per chi l’abbiamo preso per la lavandara, che ce mandiamo la serva? MIMMA Piuttosto io direi che la sora Vittoria ch’è donna de mondo... VITTORIONA (scattando) Che?! Nun m’impiccio, io sò de l’Ariccia. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 320 28/11/13 12.44 1. introduzione 321 Quando mai si volete un parere supriore, io direbbe che questa parte starebbe a la madre o anche al padre de la regazza. ELVIRA Eh in questo nun glie posso dar torto. VITTORIONA (Manco male che una vorta tanto ho raggione). DOROTEA Mbè, allora adesso quando vierrà farò uno sforzo... Poi, poi, pure lo sapete: io mica sono tanto scarsa da confonderme per certe sciocchezze. Che venga pure ché m’assumo io l’impegno... (si ode bussare alla porta di casa) CLEMENTINA Si nun me sbajo, ecchelo er sor Don Dezio23 co’ le mela. (esce) DOROTEA El sor Alfredo? (spaventata) Me vado a preparà. (entra in camera e chiude la chiave) GIGGIA Io nun ciò coraggio. (entra in camera c. s.) ELVIRA Io neppure. (esce) VITTORIONA E io paja! (esce) MIMMA M’avesse da succede la seconda. (esce) CLEMENTINA (rientrando) Furtuna che nun è lui. Uh che commedia! SCENA XIII Paolo e Clementina PAOLO (che mentre succede lo scappa scappa s’ è fermato sul limitare della porta entra mentre le donne scappano ciascuna nella sua camera) Che ciabbiamo de bello, gnente le solite scenate? CLEMENTINA (s’ incammina senza neppure rispondergli) PAOLO (chiamandola) Clementina, che tte possi uscì el fiatuccio: che ciavemo de novo? CLEMENTINA Uhm!! PAOLO Meno male che adesso ne so più de prima. Già tu co’ me sei muta come una statua. Con queste benedette donne chi cce capisce qualche cosa è bravo. (si avvicina alle diverse porte ad origliare) Ma io vorebbe sapere, perché quando m’hanno sentito a me, sò scappate tutte come si avessero visto el diavolo? Eh Clementina? CLEMENTINA Uhm! (e se ne va) PAOLO Ah «Donne donne – eterni dei! – chi vi arriva a indovinar!» 23 Don Dezio: nome immaginario usato in senso derisorio (cfr. Chiappini); annà co’ le mela de fora: portare i calzini logori che lasciano scoperti i calcagni. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 321 28/11/13 12.44 322 introduzione SCENA XIV Alfredo e Paolo ALFREDO (nel vedere Paolo fa un atto disperato e corre a precipitarsi a’ suoi piedi) Ah finalmente! PAOLO (che pensava ad altro, si ritira spaventato; ma poi accorgendosi di Alfredo se la prende in burletta. Cava dalla tasca del panciotto l’astuccio degli occhiali, l’ inforca e con calma si mette a guardare Alfredo) Voglio vedere sí quando averete finito de dì l’orazione. ALFREDO (disperato) Ah no signor Paolo; questo è il posto che mi spetta; questo è il posto che spetta a chi credete che abbia tradito l’ospitalità... PAOLO Eh eh tradito?! (Ma questo se dovrebbe esse ammattito!) ALFREDO Finché dal vostro labbro nun sarà pronunciata quella parola: perdono,... PAOLO Ma su alzateve... ALFREDO Ditela quella parola, pronunciatela... PAOLO Ma si nun me dite perché? ALFREDO Ah ché voi lo sapete purtroppo!... PAOLO (Ma che pasticcio è questo? Quelle che a vedemme se squaglieno; questo che me chiede perdono in ginocchioni!...) Sicuro che io so tutto: ma voi come lo sapete? Alzateve... (lo aiuta) ALFREDO (alzandosi) M’ha detto tutto la signora Dorotea. PAOLO Ah ve l’ha detto? E voi, allora? ALFREDO Sono venuto a buttarmi ai vostri piedi. PAOLO Avete fatto benone: era l’unica cosa che potevio fare. ALFREDO E l’ho indovinata! Siete tanto buono, tanto caro... Dunque mi perdonate? PAOLO (con calma) Ma diavolo, ne potete dubitare? Però ad un patto. Per una certa cosa mia, bisogna che me dite come mia moglie vi ha raccontato el fatto. ALFREDO (sollevato) Sono prontissimo. Ecco... PAOLO ( facendogli segno di tacere) Qui no però: non voglio che ce senta la sora Vittoriona... ALFREDO Ma se lo sa! PAOLO Elvira, Costantino... ALFREDO Ma se lo sanno. PAOLO Diavolo, lo sanno tutti? (El solito. L’unico che non sa le cose de casa mia, sò sempre io!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 322 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 323 ALFREDO Gliel’ho raccontato io ‘sta mattina. PAOLO Ma però è sempre meglio che per precauzione nun se facciamo sentire. Andamo che ve do una strappatina fino a casa. ALFREDO Ma posso sperare nel vostro completo perdono? PAOLO Ma si ve dico de sì! ALFREDO Allora compite l’opera, sor Paolo, datemi un abbraccio. PAOLO (abbracciandolo) Ma anche due. ALFREDO E anche un bacio. PAOLO Avanti anche un bacio. (lo bacia) Sete contento? Ve serve altro? ALFREDO (in estasi) E come si fa a non esserlo?! PAOLO (È quello che dico io: come se fa?!) (escono) SCENA XV Clementina indi Dorotea, Giggia, Vittoriona, Costantino, Elvira e Mimma CLEMENTINA (chiama alle diverse porte) Sora Dorotea, sora Elvira uscite uscite che se ne è ito. (si aprono contemporaneamente le altre porte e escono tutti sulla scena: Dorotea, Mimma, Giggia, Elvira, Vittoria, Costantino) DOROTEA Co’ chi è uscito? CLEMENTINA Cor sor Pavolo. MIMMA Un altro impiccio adesso! Papà nu’ ne sa gnente e mó chi sa che altro imbroglio nasce. DOROTEA Ah già, Paolo nu’ ne sa gnente, è vero. Ma che vòi con questa confusione! CLEMENTINA È mejo che io vadi a mette er catenaccio a la porta de casa. (esce) VITTORIONA Me sò messa a guardà dar bucio de la chiave, e ho pavura che quer regazzo del sor Alfredo, un altro pochetto s’ammattisce. ELVIRA Apposta conviene dirglielo e subito. DOROTEA È quello che faremo sul momento. (cavando una lettera) Ecco qua. Insieme con Gigia gliò scritto una bella lettera indove glie espongo tutte le nostre condizione, lo stato suo; e finisco per annunziarglie, con li debbiti riguardi, che Giggia è stata chiesta in isposa; che dunque cerchi da levarsela dalla testa perché forse la cosa se conchiuderà presto eccetra eccetra. VITTORIONA Brava! M’avete rubbato la prima idea mia. ELVIRA Ma adesso bisognerebbe trovare chi gliela porta; perché mica Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 323 28/11/13 12.44 324 introduzione bisogna lasciargliela dal portiere. Questa è una lettera che glie va lasciata in casa in modo che se lui ce se trova, se possa sapere come prenda la cosa. MIMMA Dateme qua la lettera, ché adesso m’infilo la bavutta 24 e ce vado subbito defilata. (prende la lettera) Intanto sta qui a un passo. DOROTEA Per carità, fa’ le cose con giudizio specialmente si ce trovi lui. MIMMA Ma voi lasciateme fà a me. (si mette il cappello ed esce dicendo) Vado e torno. DOROTEA Ringraziamo el cielo ché puro questa l’avemo quasi accommodata. VITTORIONA Eh l’avemo l’avemo! Se fa presto a dire l’avemo! Bisogna vedere quel giovinotto come se la piglia. DOROTEA Ormai o la piglia male o la piglia bene, io non so più come rimediarla. SCENA XVI Medardo e Detti MEDARDO È permesso? (salutando tutti) DOROTEA Avanti e siate el benvenuto. MEDARDO (a Giggia) E Mimma? GIGGIA È uscita; adesso torna subbito. MEDARDO (a Giggia) E tu come stai? GIGGIA Bene grazie. (si stringono la mano con affetto) MEDARDO Signora Vittoria, a proposito, già sarete informata del mio fidanzamento. VITTORIONA Sappiamo già tutto. Ve facciamo li nostri uguri, e ch’el Signore ve la mandi bona. GIGGIA (Creperà la strologa!) MEDARDO (scherzando) Mimma ha rifiutato la mia mano, ed io mi sposo Giggia. COSTANTINO Oh bella! Mimma non t’ha voluto? VITTORIONA (compatendo Medardo) Povero giovinotto! GIGGIA (Ma guarda ‘sta vecchiaccia!) ELVIRA Povera Mimma che cuore che ha! DOROTEA Eh, figlie mie, el core de vostra sorella de quela povera Ce24 Velo usato dalle donne romane per coprirsi il capo quando entravano in chiesa e, per estensione, un copricapo femminile ridicolo, fuori moda. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 324 28/11/13 12.44 - o - 1. introduzione 325 nerentola de casa e poi nun più! Quella povera figlia è stata e sarà sempre la consolazione nostra. VITTORIONA Apposta tutti je danno li carci in faccia! DOROTEA Cominciando da voi che date el bon esempio. VITTORIONA Almeno a me m’è cacio cotto e butiro squajato. ELVIRA Mó ricominciamo! MEDARDO (interrompendo) E el sor Paolo? Ho bisogno di vederlo per invitarlo a venire quest’oggi con tutti questi signori a pranzo da Màngani25, a festeggiare il nostro fidanzamento: è vero Giggia? ELVIRA Oh che bellezza! TUTTI (in coro) Sicuro dobbiamo stare allegri! COSTANTINO Viva li sposi! TUTTI Viva! DOROTEA Si nun me sbaglio, aprono la porta de casa. Forse è Paolo! SCENA XVII Mimma e Detti MIMMA (avrà un occhio coperto da una benda nera) TUTTI (spaventati le si fanno intorno) Cos’hai a quell’occhio? DOROTEA (c. s.) Figlia mia cos’hai fatto? Parla in nome di Dio. MIMMA (lasciandosi cadere sopra una sedia) Niente niente: nun ve spaventate così! Come sapete sò andata a portà quella lettera a quel tale. MEDARDO A chi? ELVIRA (all’orecchio di Medardo) (Al signor Alfredo...) MEDARDO (mortificato) (Ho capito!) DOROTEA Embè poi? Cosa t’è successo? VITTORIONA Come se l’è ignottita quela brugna 26? Come se l’è presa quer Marco? ELVIRA (con curiosità) Com’è andata? Che t’ha detto? MIMMA Si nun me lasciate parlà! È andata benone. Specialmente la madre ce ringrazia tanto a tutti. Ha detto che una consolazione più grande nu’ glie potevamo dà e che anzi pregherà el cielo che Giggia e lo sposo futuro siano felici. C’era puro l’avvocato Moscetti che s’è abbracciato el figlio e glià detto che stasera se lo porta a Napoli con lui. 25 Probabilmente si tratta del ristorante dei fratelli Giovanni e Domenico Mangani in via Nomentana 58 (nei pressi della Chiesa di Sant’Agnese) già azienda agricola. Il ristorante è attestato sulla «Guida Monaci» dal 1891. 26 Prugna. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 325 28/11/13 12.44 326 introduzione DOROTEA Ah Signore t’aringrazio! VITTORIONA Meno male ch’è finita bene. ELVIRA Meglio non poteva andare. COSTANTINO Sete stati fortunati. DOROTEA Ma a proposito, figlia mia; nun ciai detto come è andata l’affare dell’occhio. MIMMA Ah è vero. Dunque quando io sò andata su a casa c’era Alfredo: sicché la lettera l’ha presa lui, l’ha aperta, e non ha finita da leggerla che è cascato sopra un sofà e gli ànno preso le convulsione... GIGGIA (commossa) Poveretto! VITTORIONA (Ecco er coccodrillo che piagne!) MIMMA Vedendo le convulsione sò subbito corsi tutti de casa; ma io che je stavo vicino sò corsa la prima per andallo a sostenere e punf ! ciò preso un pugnetto in quest’occhio che llì per llì mi ha fatto vede tutte le stelle. TUTTI Povera Mimma! MIMMA Nun è gnente però. Me cianno fatto subbito li bagnoli. (levando la benda) M’è passato: guardate. TUTTI Com’è nero! DOROTEA Povera figlia mia! VITTORIONA (Cornut’e mazzata!) MIMMA (alzandosi da sedere) Ma è una sciocchezza! E poi andate a abbadare a queste inezie adesso che la cosa è andata così liscia che meglio non poteva andare? Ma mó pensamo invece a stà allegri e a ballà. Viè qua Giggia mia facciamose un balletto. (ballano) COSTANTINO Brava ballamo! (prende Elvira e ballano) DOROTEA (abbracciando Medardo) L’avevo detto che con te me sarebbe tornata a casa la pace e l’allegria. SCENA XVIII Paolo e Detti PAOLO (si ferma sulla porta meravigliato) Oh meno male che una volta trovo l’allegria a casa mia. DOROTEA (incontrando Paolo e abbracciandolo) E speramo, Paolo mio, che d’ora in avanti ce resti sempre. PAOLO El Signore te sentisse. MIMMA (inchinandosi) Caro sor Pavolo vi riveriamo. PAOLO E tu ch’hai fatto a quell’occhio? MIMMA Gnente è un callamaro. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 326 28/11/13 12.44 - - 1. introduzione 327 PAOLO Ah, me credevo che avessi preso de petto a qualche pugno... Ma se è lecito, se pò sapé el motivo de tutta ‘sta baldoria? DOROTEA Lo saperai adesso ch’anderemo a pranzo da Mangani. PAOLO E chi hai fatto piange? GIGGIA Andamese a vistì. Lo saperete da Mangani. ELVIRA Sbrighiamoci. PAOLO Allora aspetteremo in santa pazienza. MIMMA Dobbiamo festeggià gnentemeno che uno sposalizio. PAOLO Allora ciò indovinato. Volete fà? VITTORIONA Sentimo. PAOLO È Medardo che s’imbarca per Civitavecchia. VITTORIONA ‘Sta vorta nun ciavete dato. MIMMA Avete fatto fiasco. Mica me sposa a me. ELVIRA E nemmeno siete bono a indovinarce. PAOLO Eh si v’ho da dì la verità, nun ce capisco davero un bel gnente. MEDARDO Su via diciamoglielo. PAOLO Sì fateme el piacere. DOROTEA Allora diciamoglielo. Ti annunzio il prossimo matrimonio (in tono solenne) della nostra figlia Gigia col capitano Medardo Faricelli. PAOLO Eh potevi mandamme addrittura la partecipazione el giorno de lo sposalizio. DOROTEA Sei contento? PAOLO (Adesso mangio la foglia! Mó capisco perché all’occhio del sor Alfredo io sò passato per Orlando Furioso, e lui cià preso lo scaccione!) MEDARDO Ci riflettete? Che, non siete contento? PAOLO (abbracciando Medardo) Figlio mio, te pòi immaginà che consolazione che m’hai dato! Soltanto come te dicevo, me credevo... MEDARDO Che me sposassi Mimma? Ma se è lei in persona che non m’ha voluto. PAOLO (guarda con intenso affetto Mimma) Povera figlia mia, sei sempre tu! (l’abbraccia) Senti. Quando anderà al potere un ministero socialista a te tte fanno presidentessa del consiglio! Cala la tela (altra chiusa) Tu pensi a tutto, fai bbene a tutti glielo farai sempre. Ma si aspetti che qualcuno te lo facci a te, magna, cavallo mio, che l’erba cresce! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 327 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 328 28/11/13 12.44 ELETTORI INFRUVENTI Scene elettorali originali in quattro atti Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 329 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 330 28/11/13 12.44 1. introduzione 331 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 42 cc. (mm 320x215), composto da 21 fogli tipo protocollo rigati ai margini. Cc. 523-564: bianche le cc. 542 e 552. Testo incolonnato a destra. Calligrafia autografa. Nel faldone è presente un’altra stesura legata immediatamente dopo: un quaderno di 42 cc. con lo stesso formato e caratteristiche del precedente. Cc. 565-606: bianche le carte 584 e 594. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 331 28/11/13 12.44 332 introduzione Personaggi L’AVVOCATO TOMBONI (un lestofante) L’ON. CALLARELLI (un imbecille) } candidati SPUTAROSSO un futtuto in saccoccia DENTAMARO idem BUVATTA un faticone che nun fa niente RIGHETTONE brillante PANZELLA insignificante PANZABBOTTA id FALLOPPA id CORDALENTA id TIRILALLA id BIASTIMELLA id } elettori influenti SCARNICCHIA oste TETONA sua moglie CRODOVEA moglie di Sputarosso CLEMENTINA loro figlia VITTORIONA moglie di Buvatta PICCHIO garzone di Scarnicchia (tartaglia) UN SERVO de l’avv. Tomboni UN CAFFETTIERE UN DROGHIERE UN FORNAIO Quattro giuocatori di tressette. Due carabinieri. Quattro attacchini. Una guardia municipale. Diversi elettori. Banda. Diversi muratori. Epoca presente Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 332 28/11/13 12.44 1. introduzione 333 ATTO I Osteria. A destra il camino, un banco una scansia con libri mezzi litri ecc. In fondo l’ingresso dal quale si scorge la strada. È notte. SCENA I Sputarosso, Dentamaro, Righettone, Bbuvatta, Falloppa, Cordalenta sono seduti intorno a un tavolo e bevono. Panzanella, Panzabbotta, Tiriralla, Biastimella son seduti intorno a un altro tavolo. Quattro avventori seduti, in fondo, giuocano a tre-sette. Tetona (ostessa) sta seduta dietro il banco facendo la calza. Scarnicchia (oste) e Picchio (garzone) servono gli avventori. RIGHETTONE Aricordete che a ‘ste lezzione de oggi a quindici, chi se vò ffà pportà ppe’ cannidato, ha dda sputà ssangue. SPUTAROSSO E vve lo dico io! PRIMO GIUOCATORE Busso, la mejo! BUVATTA E llassù cianno d’annà cchi vvolemo nojantri! Ce n’ho llegati ar deto diversi che mme l’hanno da pagà. Insinenta ch’hanno bbisogno de fasse portà tte viengheno intorno, te leccheno e tte prometteno mari e mmonti, quanno poi hanno ottenuto l’intento loro, te guardeno dall’arto in basso come si tt’avanzassino quarche accidente che je pija. CORDALENTA Ma ‘sta vorta, chi ssò quelli che sse fanno portà? DENTAMARO Ar primo colleggio ce saranno ggià armanco cento cannidati... CORDALENTA Ar siconno un mijaro. RIGHETTONE Ar terzo artrettanti. FALLOPPA Mejo pe’ nnojantri. Ppiù ssò e mmejo stamo noi. SPUTAROSSO Mentre che ffanno tanta magoga1 per esse eletti, è ssegno ch’er da magnà cche cc’è llassù è fforte propio, sangue-der-naso! DENTAMARO Sete matti! Quanno stanno llassù, magneno a quattro ganasse. RIGHETTONE Sinnò ccome se spiega che bbutteno le mijara pe’ ffasse elegge. FALLOPPA Semineno pe’ riccoje! SPUTAROSSO Bbutteno cento pe’ riccoje mille. Ma ‘sta vorta ve l’ho ddetto. Hanno da sputà ssangue, sinnò nun ce li mannamo. SECONDO GIUOCATORE Striscio! 1 Affollamento, ressa, confusione. Dalla locuzione biblica Oga Magoga. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 333 28/11/13 12.44 334 introduzione TERZO GIUOCATORE Piego! CORDALENTA Prima d’annà llassù hanno da raggionà cco’ noi! DENTAMARO E ssi nun ce li volemo noi, nun ce vanno una madonna! QUARTO GIUOCATORE Bbusso! PRIMO GIUOCATORE Eh stupido che ssei! Sai che io ciò ll’asso, passa er due, c’armeno famo antri du’ punti! SECONDO GIUOCATORE Nun ciò ffatto caso. PRIMO GIUOCATORE E allora va all’inferno! SPUTAROSSO C’è dda dillo! Hanno da raggionà cco’ ‘sti fusti sangue-der-naso! RIGHETTONE Hanno da sputasse un’ala de pormone. BUVATTA Io me ce vojo pagà un anno de piggione de casa! FALLOPPA Io me ce vojo arivestì dde novo io mi’ moje e li mi’ otto fiji. DENTAMARO Vardà e io, no? Me ce vojo fà un carettino cor cavallo. CORDALENTA Morin’ammaiti! BUVATTA Vonno provà er gusto d’esse deputati, che sse svenino! SPUTAROSSO Vonno sentì er dorce? provino l’amaro, sangueder-naso! RIGHETTONE Alegri che incomincia Carnovale! BUVATTA (chiamando l’oste) Scarnicchia, portece du’ antri litri, che cce sò li micchi che ppagheno! SCARNICCHIA Viene! (reca da bere, poi torna a servire gli altri) Di quando in quando si affaccia alla porta o un cerinaro, o un altro venditore ambulante, i quali offrono la loro merce e vanno via. Entra un avventore in fretta si beve mezzo litro e va via. SPUTAROSSO E li deputati che mmanneremo su ‘sta vorta, hanno da esse o ripubbricani o ssocialisti. No dde marva e llatte come quelli amichi. (indicando con precauzione il tavolo di Panzella) DENTAMARO Diavolo, c’è dda dillo! O ripubbricani o ssocialisti. RIGHETTONE O armeno che cciabbino quatrini. Perché ccari mii, co’ li reprubbicani a bbajocchi se sta mmaluccio. BUVATTA C’è cchi li caccia pe’ lloro nun fa gnente. DENTAMARO Pijamo li quatrini da li cannidati realisti promettennoje che li portamo e invece de quelli sordi se ne servimo. RIGHETTONE Pe’ nnojantri, se capisce. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 334 28/11/13 12.44 1. introduzione 335 SPUTAROSSO Piano pe’ nnojantri; se ne servimo ppe’ pportà quelli der partito nostro. RIGHETTONE Ah mbè! (seguitano a bere e a far le viste di ragionare calorosamente) PANZELLA (ai suoi amici) Cari mii, er candidato che vve presento io, è un omo de talento, strutto, galantomo, e in quanto a idee avete da fà mmosca, perché nun è uno de questi come quelli marchi llà. (indicando con precauzione l’altra tavola) PANZABBOTTA Avemo capito è realista; e questo sta bbè; ma ttu lo sai che nnojantri ciavemo antri impegni. Potemo presempio fà un torto a ll’on. Pelacani? TIRIRALLA No ddavero. BIASTIMELLA Nemmanco a ppensacce. PANZELLA Abbasta: io adesso nun ve vojo persuade de più. Vederemo quello che sse deciderà a l’assembrea de ‘sta sera, che ttieremo a la società nnostra. BIASTIMELLA A pproposito attenta a vvienicce tutti. TIRIRALLA Diavolo! PANZABBOTTA Me sò ffatto bbuttà ggiù un programma littorale da l’avvocato mio, che ssenza divve bbucìa, quanno se legge, ve fa vvienì le lagrime a ll’occhi. È ppropio bbello credete; e quanno ve lo dico io, è bbello. PANZELLA A pproposito. Perché nun s’assicuramo pure de l’appoggio de Scarnicchia cqui cche ppuro lui è un elettore infruvente? PANZABBOTTA Dichi bbene. Sentimelo subbito. TIRIRALLA (chiamando) Scarnicchia! SCARNICCHIA Viene! (parlando al garzone) Ritira li cocci2 da quela tavola, pezzo de catapèzzo3! Hanno pagato quelli sotto a ll’arco? Hai da stà ssempre co’ la testa drent’ar sacco. Finisce che tte fo ppijà un fugone! TETONA Ma io è dda mó che l’averebbe mannato ar diavolo. TIRIRALLA Scarnicchia! (chiamando) SCARNICCHIA Viengo. (si avvicina al tavolo di Panzella) Scusate; l’avevo llà cco’ quelo scimmunito der mi’ ggiovine. (poi con uno sgambetto) Che ccommanna er sor Panzella e la compagnia? PANZELLA Bbevi, Scarnicchia. (gli versa da bere) 2 3 N.d.A.: I vetri. Pezzo d’uomo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 335 28/11/13 12.44 336 introduzione SCARNICCHIA Grazie ché io ho cchiuso. (tuttavia mette la bocca nel bicchiere offertogli) PANZABBOTTA Ecco, caro Scarnicchia (titubante) dicevamo... TIRIRALLA (incerto) Ve volevamio dire... PANZELLA (con precauzione) Ecco, ddicevo, se tu, nel caso, staressi co’ nnoi, si cciavessimo qualche deputato, de li nostri: intendiamoce bbene, de li nostri, da portà a le prossime lezzione? SCARNICCHIA C’è dda dillo! Quanno lei, sor Panzella e la compagnia me dicheno che ‘sto deputato è uno de li nostri... PANZABBOTTA (interrompendolo) E nno de quelli che la penseno come quelli amichi llà. (indica il tavolo degli altri) SCARNICCHIA Bravo! Loro me ce contino puro. PANZELLA Grazzie! (si stringono con effusione la mano) TIRIRALLA Semo intesi. (c. s.) PANZABBOTTA Semo d’accordo. (c. s.) BIASTIMELLA Una parola è ppoca. (c. s.) PANZELLA Allora, ‘sta sera, caro Scarnicchia, m’hai da fare un piacere. Devi venire all’adunanza che ttienemo noi a la ssedia4 de la Società Elettorale-Progressista, a piazza Padella5. Ce vieni? Me lo prometti? SCARNICCHIA Nun dubbitate. PANZELLA Allora ce conto. (altra vigorosa stretta di mano) TIRIRALLA E questo puro è dde li nostri! PANZELLA Ecco un altro voto assicurato. ( fan le viste di seguitare a discorrere) SPUTAROSSO (dando un vigoroso pugno sul tavolo) Sangue-der-naso, l’ho ddetto e l’aripeto o ha dda esse riprubbicano o gnente. DENTAMARO Se capisce. O ripubbricano o gnente. SPUTAROSSO Sarà insomma quello che l’avvocato Tomboni ce presenterà ccor un discorso, domani a ssera a la ssedia de la società nnostra. FALLOPPA Ma cchi è ‘st’avvocato Tomboni. SPUTAROSSO Quanno ve lo presenterò lo conoscerete. DENTAMARO Insomma: sarà uno der partito nostro e abbasta. RIGHETTONE A ssapello quale è er partito nostro! BUVATTA È er partito de la fratellanza e dde la libbertà dde li popoli. (con un pugno sul tavolo) 4 N.d.A: sede. La piazza era situata tra Via Giulia e il Lungotevere dei Tebaldi; oggi, nella stessa area, si trova il liceo Virgilio. 5 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 336 28/11/13 12.44 ’ ? 1. introduzione 337 SPUTAROSSO L’affratellamento de la società. (c. s.) DENTAMARO È l’abbolizzione de la schiavitù. (c. s.) RIGHETTONE Fraternité, Liberté, Egalité. (quello ch’è ttuo dammelo a mme) CORDALENTA Evviva l’uguajanza de li popoli. SPUTAROSSO Scarnicchia, portece da bbeve! SCARNICCHIA Eccolo. (reca il vino) SPUTAROSSO Di un po’, Scarnicchia, ggià a tte nun serve manco ddittelo, pe’ ‘ste prossime lezzione sarai de li nostri, voterai compatto co’ nnojantri? SCARNICCHIA C’è dda dubbitanne! DENTAMARO Bravo! Cqua er cinquanta. (vigorosa stretta di mano) SPUTAROSSO Noi, sangue-der-naso, mica semo de quella ggente, come quelli llà, (indicando il tavolo di Panzella) noi semo ripubbricani veri, ripubbricani sinceri e radicali de fonno. DENTAMARO Ciavemo er sangue rosso che ce bbulle in de le vene! RIGHETTONE E er vino bbono! BUVATTA Come quello de Scarnicchia! SCARNICCHIA Grazie. A la salute della compagnia. (beve) TUTTI Grazie. SPUTAROSSO Allora, caro Scarnicchia, te mettemo in nota... SCARNICCHIA Nun serve. Quann’è cquer giorno me dite c’è dda portà er tale e nun pensate a antro. ( fra sé) (Che nun vado a vvotà’ ppé gnente). DENTAMARO Allora, domani a ssera nun amancare a l’adunanza che cciavemo a la ssedia de la Società Popolare-Democratica-Ugnonista-Elettorale-Operaia, a ppiazza der Fico. RIGHETTONE Sentirai che pprogramma! Ce vienghi? SCARNICCHIA Nun dubbitate. DENTAMARO Te ce contamo. (altre strette di mano) TUTTI Semo intesi! (Scarnicchia va a servire) SPUTAROSSO E ecco un antro proselito trovato, senza fà ttanti ggiri. Seguitano a bere e a far finta di ragionare dando ogni tanto qualche pugno sul tavolo. Scarnicchia e Tetona, dietro il banco, fanno le viste di bisticciarsi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 337 28/11/13 12.44 338 introduzione SCENA II L’avvocato Tomboni e Detti TOMBONI (bell’uomo, accurato nel vestire, in tuba, due grandi favoriti e la caramella. Si presenta sulla porta dell’osteria e guarda) SPUTAROSSO (scorgendolo) Uh vvarda che ffurtuna l’avvocato Tomboni. (tutti gli amici di Sputarosso diriggono lo sguardo su Tomboni) Favorischi, lo vojo presentà a l’amichi. TOMBONI Grazzie, ora vengo. Ero qui per dire una parola all’oste... SPUTAROSSO (gridando) Scarnicchia, c’è qua l’avvocato Tomboni che tte desidera. SCARNICCHIA (accorrendo) Eccolo. Comanda el Signore? TOMBONI (lo conduce quasi sul proscenio, gli dà la mano, e finge di discorrere con Scarnicchia, dandosi molta importanza) DENTAMARO Chi ene? SPUTAROSSO Che ssete sórdi? L’avvocato Tomboni. TUTTI Lui?! SPUTAROSSO (con importanza) Eh ssemo tanti amichi! È er futuro deputato der partito de nojantri. BUVATTA Se fa pportà ‘sta vorta? SPUTAROSSO Sì; ciovè lui nun se fa pportà ppropio; anzi lui è quello che, ggià vve l’ho ddetto, appoggia la cannidatura de ll’on. Callarelli. RIGHETTONE Eh ccome sta a bbajocchi? SPUTAROSSO Male; ma li trova. RIGHETTONE (osservando Tomboni) Cià ‘na faccia da miccarolo6 che cconsola. SPUTAROSSO Hai da sentì ssí quant’è bbravo! Sí cche omo strutto! DENTAMARO Dice che ccià ‘na chiacchiera! SPUTAROSSO E ppoi lo sentirete domani a ssera a la Società quant’è ffeconno7. RIGHETTONE E ll’on. Callarelli se fida de questo? DENTAMARO Se capisce. L’avvocato Tomboni mette la chiacchiera e l’on. Callarelli li quatrini. RIGHETTONE Ma cche cce n’ha assai? BUVATTA Hai voja! FALLOPPA Allora meno male! Je daremo drento. RIGHETTONE Nun è dder partito nostro; ma nun fa gnente. 6 7 Persona che va in cerca di micchi (grulli, creduloni): truffatore, imbroglione. N.d.A.: facondo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 338 28/11/13 12.44 1. introduzione 339 SPUTAROSSO (dando un pugno sul tavolo) Sangue-der-naso, se capisce: quanno er partito nostro ce l’impone, bbisogna votallo compatto pe’ ddisciprina der partito. RIGHETTONE Bravo! FALLOPPA Ben detto. DENTAMARO La disciprina der partito. (seguitano a far sembiante di ragionare come sopra) PANZELLA (si alza e con lui Panzabbotta, Biastimella e Ttiriralla) PANZELLA (si avvicina a Scarnicchia lo chiama da una parte) Scarnicchia, te raccomando la promessa. SCARNICCHIA Nun dubbitate sor Panzella. PANZELLA (a Tomboni) Scusi. TOMBONI Prego! PANZELLA Se vedemo! (esce seguito dai suoi amici, ma prima nel passare avanti alla comitiva rivale, si fa impettito e serio) RIGHETTONE (e gli altri gli ridono sulla faccia) Addio, sor Marva! TOMBONI (come se seguitasse il discorso con Scarnicchia) Del resto, caro amico, i miei principii sono noti a tutto il mondo politico; e dico francamente la verità, se mi portassi qual candidato qui in questa città, e non vi riuscissi... SCARNICCHIA (che ha fretta d’andarsene) Eh ddiavolo!... TOMBONI Prego. E non vi riuscissi; credetemi pure, parola da galantuomo, lo dico con profonda convinzione, sarebbe per Roma la più grande vergogna... Ma che mi dico? non era questo l’argomento su cui io vi voleva intrattenere. TETONA (chiamando il marito) A Scarnicchia, te vonno. SCARNICCHIA (vuole andarsene ma è sempre trattenuto) Eccolo. Viene. Scusi. (a Tomboni) TOMBONI Prego, un minuto. Io, come vi diceva, sono venuto qui per pregarvi di appoggiare con le vostre forze la candidatura dell’on. Callarelli. Uh Dio mio, voi mi direte, egli non è republicano; non è dei nostri principii: ma cche importa? è un galantuomo, è una persona per bene, è facoltoso... Non bisogna quindi guardare tanto per il sottile; bisogna appoggiarmi, cioè dicevo bisogna appoggiarlo. E son sicuro che voi spenderete la vostra influenza a suo pro. SCARNICCHIA (c. s.) Co’ ttutto el piacere... scusi... TOMBONI Prego, un minuto. Capisco, l’on. Callarelli non è l’uomo del momento, l’Homo novus che richiedono i tempi. Poiché il regime parlamentare risiede nella capacità di potersi rendere agevole a tutti... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 339 28/11/13 12.44 340 introduzione TETONA Ahó (a Scarnicchia) Mma llassa annà quer chiacchierone, e vva a sservì l’avventori. Accidenti a tte e a la politica. SCARNICCHIA Scusi, un momento. Mó ariviengo subbito. (passa in fretta avanti al bancone, misura un ceffone a sua moglie Tetona e si perde nella bottega) SPUTAROSSO Avvocato, si ppermette je presento questi ggiovini tutti bboni amichi de li nostri... TOMBONI Non chieggo di meglio. È per me un onore. (stringe la mano a ognuno di loro. Gli amici Dentamaro, Falloppa, Bbuvatta, Righettone ecc. si alzano e gli offrono da bere nel proprio bicchiere) SPUTAROSSO Tutti bbravi ggiovini che ognuno vale pe’ mmille. Speciarmente pe’ le lezzione, cianno in de le mano tutta Roma sana! Je presento Peppe Dentamaro, prisidente de le Società Parrucchieri-Ebbanisti-Falegnami e dde le Società ariunite Scopatori e Ttripparoli. TOMBONI (stringendogli la mano) Per bacco una vera potenza! SPUTAROSSO Toto Buvatta, prisidente de le Società Muratori-Stagnari-Callarari-e dde li Pertichini8 de l’Omminibbussi. TOMBONI Tanti rallegramenti. (c. s.) SPUTAROSSO Righettone Pocanni, prisidente de la Società Gassisti, Liquoristi, Asfaldisti, Marmisti, Callisti e... RIGHETTONE (Pagnottisti!) TOMBONI (c. s.) Fortunatissimo! SPUTAROSSO (seguitando la presentazione) Pio Falloppa, segretario de ducento società elettorale democratiche; e Ppeppe Cordalenta censore e ccassiere de la Società de li Vota-pozzi. TOMBONI (c. s.) Troppo onore! CORDALENTA Grazie. TOMBONI Sicché, cari colleghi, Fervet opus? SPUTAROSSO Come dice? TOMBONI Dico si lavora con alacrità per queste prossime elezioni? BUVATTA Antro! Ce doleno li piedi dar gran girà che ffamo, da quindici ggiorni a ‘sta parte. RIGHETTONE (Che ffaccia! Nun fa un passo, manco si l’ammazzi). SPUTAROSSO Le cose se metteno bbene p’er partito nostro. DENTAMARO Semo sicuri de la vittoria! BUVATTA Avvocato, ma sse facci portà llei. TOMBONI Eh, amici miei (con solennità) il regime parlamentare risie8 Pertichino: così era denominato il cavallo che veniva aggiunto al tiro di un veicolo in salita o nei punti più pericolosi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 340 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 341 de nella capacità di potersi rendere agevole – come dicevo poc’anzi allo Scarnicchia – di potersi rendere agevole a tutti di aspirare all’aringo legislativo; questo è il fondamento etico e giuridico del sistema rappresentativo. RIGHETTONE (che come gli altri non ne ha capito niente) Embè cche j’importa a llei de questo? Se facci portà uguarmente che nnoi se faremo a ppezzi per appoggiallo. TUTTI Ma sse capisce. SPUTAROSSO Che je n’importa a llei si er fonnamento è etico? Nun abbi pavura; ce semo noi, sangue-der-naso e abbasta accusì. Quo dichise dichise 9. DENTAMARO Ciavemo forza e ssalute. SPUTAROSSO Ma cche stamo qui ccome le bbestie? Porta er vino Scarnicchia. RIGHETTONE Paga l’avvocato Tomboni. TOMBONI Ben volentieri. SCARNICCHIA (porta da bere) Ecco servita la compagnia. (bevono tutti) SPUTAROSSO Del resto l’avvocato Tomboni farà quello che vorrò io; e ssi io lo porterò ddeputato lui farà mmosca e nnojantri l’appoggeremo votannolo compatto. TOMBONI (con mal dissimulata modestia) Per carità, amici miei, non gli date ascolto. RIGHETTONE Perché ssete troppo modesto. Scarnicchia porta un antro litro che ppaga l’avvocato Tomboni. TOMBONI Anche altri dieci. (Scarnicchia reca da bere) SPUTAROSSO Eccoli li veri deputati nati: quelli che ppe’ mmannalli ar Parlamento, bbisogna tiracceli co’ ll’argheni. TUTTI Evviva l’avvocato Tomboni! TOMBONI (otturandosi le orecchia, si alza) Zitti amici miei; ve ne prego per carità. Io vi ringrazio, anzi dirò di più sono commosso a tanta dimostrazione di stima e di affetto, e mi rincresce con dolore di dovervi lasciare perché ho un appuntamento... SPUTAROSSO Ma aspetti un antro siconno. TOMBONI No: non posso sono atteso. Ci vedremo domani sera alla Società. Vi prego, anzi, di non mancare... DENTAMARO V’accompagnamo puro noi. Annamo. TUTTI Annamo (bevono in prescia ed escono preceduti da Tomboni) 9 Storpiatura dell’espressione latina: Quod dixi, dixi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 341 28/11/13 12.44 342 introduzione RIGHETTONE (di fuori) Viva er deputato Tomboni! TUTTI Viva! TETONA Aringraziamo Iddio! Ce se sò squajati da li piedi10 ’sti quattro vagabbonni! SCENA III11 Tetona, Scarnicchia e Picchio SCARNICCHIA Tu statte zzitta, e ccento: nun t’impiccià, pperdi er fiataccio. TETONA No: mme vojo dì ll’urtima. SCARNICCHIA Magara! (intanto è andato dietro il banco e dda sotto ne toglie una giacca e un cappello) TETONA E adesso, bbello mio, che ffaressi? SCARNICCHIA Er commodaccio mio. TETONA Che gnente gnente te squajeressi? SCARNICCHIA Mbè, nun t’aribbatte? TETONA (inquieta) Abbada, Scarnicchia, abbada! Io te l’ho ddetto mille vorte. Nun t’impiccià dde cose de pulitica nun dà retta a ‘sti quattro marfattori... SCARNICCHIA Ma quanto bbaccaji! (intanto s’ è infilato la giacca e si è messo il cappello) TETONA (in tono derisorio) Mó annerai, m’immaggino, a fà er saputo in quarche ssocietà? Quant’è ccaro! SCARNICCHIA Quanto sei bbona! Vado indove me pare e ppiace. Te l’ho ddetto e ridetto. L’avventori nun bisogna disgustasseli. M’hanno pregato d’annà ‘sta sera in d’una assembrea littorale e io bbisogna che cce vadi, e io bbisogna che cce vadi, e io bbisogna che cce vadi! Te va bbene accusì? TETONA Che tte n’hai da rintenne tu dde quelle cose, si nun sai nemmanco si ssei vivo! (si mette sulla porta per impedirgli l’uscita) SCARNICCHIA Scansete, ggioja mia! (ironico e inquieto) TETONA No: nun ciai d’annà! SCARNICCHIA Scansete, cassabbanco sfasciato! (la minaccia) TETONA Eh ssei matto! Me metti pavura! Me trema tutto l’orlo de la camicia. SCARNICCHIA Eh ddajela! 10 11 Piedi è scritto a matita a sostituire la parola minchioni. Aggiunto a matita: «Questa scena si può omettere». Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 342 28/11/13 12.44 1. introduzione 343 TETONA Vergognete! Un omo che ccià ffamija, s’ha dd’annà a mmette fra quelli impicci, che quanno semo ar dunque ce scappa sempre l’ammazzato. SCARNICCHIA Ma va a ffà la carzetta, va! TETONA A dda rivienì cqua, cquer ccarognone de Sputarosso, e ppoi me sentirà. SCARNICCHIA (minacciandola) Tu nun fiaterai. Tu l’avventori me l’hai da lassà ffà! Hai capito?! TETONA Ahó nun ciariprovà a ffamme quell’atto, che mme te magno! SCARNICCHIA (perdendo la pazienza) A mme?! a mme?! E vva a mmorì ammaita! (la prende di peso e la butta a sedere sopra una sedia poco distante dalla porta; quindi fugge dalla bottega) TETONA (si alza e piangendo di rabbia gli grida dietro) Brutt’assassino! bbrutto bboja! Stasera poi famo li conti. Nun possi aritornà a ccasa! PICCHIO (che tartaglia) E lla-lla-ssatelo fà. Ve-ve-dete che-che nun ve torna co-conto! TETONA (c. s.) Tu, ttartajone futtuto, impiccete pe’ tte... PICCHIO Vo-vo-lete se-sempre bbaccajà. TETONA Ah ssì?! Mó mme sfogo co’ tte. (afferra la granata dietro il banco e gliela dà sulla testa) PICCHIO A-a-ajuto! ( fugge per la bottega, rincorso da Tetona, la quale seguita a tirargli colpi di granata. Picchio infila l’uscio e fugge sulla strada. Tetona lo segue) Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 343 28/11/13 12.44 344 introduzione ATTO II La sala della Società Popolare-Democratica-Elettorale ecc. Molte sedie, il banco per la presidenza. Alle pareti ritratti, bandiere ecc. Lumi alle pareti. Porta in fondo. È notte. SCENA I Sputarosso, Dentamaro, Righettone, Falloppa, Cordalenta, Tiriralla, Biastimella e parecchi manuali muratori reclutati per le fabbriche della città. Essi avranno le loro giacche e i loro cappellacci sudici e chiazzati di calce; durante tutta la seduta essi non faranno che dormire: nei momenti di silenzio se ne udirà qualcuno russare. SPUTAROSSO (guardando l’orologio) Le dieci! E ssangue-der-naso, incora ’st’accidenti de Bbuvatta e dde Scarnicchia nun se fanno vivi! DENTAMARO Er solito. RIGHETTONE L’appuntamento era pe’ le nove e questi nun vieranno manco pe’ le unnici. FALLOPPA Stamo a aspettà li commidi de loro. SPUTAROSSO Intanto che pperdemo er tempo inconcrudente aspettanno quest’antri, co’ ll’on. Callarelli e Tomboni, poteressimo intanto fà cquarche ccosa. DENTAMARO Famo. RIGHETTONE Famo. FALLOPPA Famo. CORDALENTA Famo. TIRIRALLA Famo. BIASTIMELLA Famo! SPUTAROSSO Sangue-der-naso! «Famo, famo» e nun ve movete gnisuno. DENTAMARO Poteressimo intanto fà la scerta de li cannidati p’er primo, er seconno, er terzo, er quarto e er quinto colleggio de Roma. SPUTAROSSO Allora provisoriamente, farò dda presidente io. (siede sul banco della presidenza) RIGHETTONE (a Dentamaro) Ma ddimm’un po’ cchi ssò ttutti queli bburzugni? (indicandogli i manuali) DENTAMARO Sò ccomparse che avemo ariccapezzate io e Sputarosso a ccinque sordi a ttesta. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 344 28/11/13 12.44 . o e 1. introduzione 345 RIGHETTONE Eh cchi li paga? DENTAMARO Quarchid’uno li pagherà. Vvolevi fà vvienì cqui er cannidato e ll’on. Tomboni e je volevi fà ttrovà la sala vota? RIGHETTONE Abbasta che li pagate vojantri! Incominciamo bbene co’ ‘ste spese. SPUTAROSSO (dando un pugno sul banco) Sangue-der-naso, nun cominciamo a chiacchierà, sinnò ppijo er cappello e me la bbatto. RIGHETTONE Eh cchi sse ne frega? SPUTAROSSO Mbè allora piantatela! (con importanza) Cari amichi e ccolleghi. Da quanto finora risulta li cannidati che sse vorebbero fà eleggere a li cinque colleggi de Roma sò pparecchi. DENTAMARO Domanno la parola. SPUTAROSSO Parlate. DENTAMARO Ecco, io pregavo er sor presidente de dicce quale sò li nomi de tutti ‘sti candidati. SPUTAROSSO Volentieri. Ar primo colleggio ce concore l’on. Setacci, er cavajer Grostini, l’avv. Pelacani, l’avv. Impicci, l’ingegnere Spalla, l’oste Gramiccia, e er droghiere Zozzetti... RIGHETTONE Ehéhé! FALLOPPA Saette! DENTAMARO Che ccanizza! CORDALENTA Antro che le lape12! TIRIRALLA Ma cche er Parlamento l’hanno messo a l’incanto? SPUTAROSSO Silenzio! Fate mosca: sinnò ffra ttanti galli a ccantà nun se fa mmai ggiorno. DENTAMARO Vorebbe sapere quale, de tanti candidati, appoggierà la società nostra. RIGHETTONE Quello che ppaga mejo. C’è dda dillo! SPUTAROSSO Sta’ zitto Righettó. Tu hai da fà ssempre er burattino. Accidenti puro a le crature! RIGHETTONE Mó mme cucirò la bbocca. FALLOPPA Eh azzittete. DENTAMARO Eh pperdi er fiato. RIGHETTONE Si mme sto zzitto io, parlate vojantri; allora nun va bbene. CORDALENTA Eh cciarifà! BIASTIMELLA Eh zzitti! 12 Lapa: ape. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 345 28/11/13 12.44 346 introduzione TUTTI (in una volta) Ma ffinitela! (succede un momento di confusione nel quale gridano tutti) SPUTAROSSO (ristabilitasi la calma) Me pare de stà a scola! Dunque, dicevamio, de li nomi c’ho lletto, quale ve pare a vvoi che ppotemo sceje che sii der principio nostro e in der medemo tempo un galantomo. C’è l’on. Setacci... DENTAMARO Manco a pparlanne. RIGHETTONE L’appoggia er guverno. FALLOPPA È un fero de bbottega. CORDALENTA Eppoi nun arma un centesimo. SPUTAROSSO Dunque l’on. Setacci aresta escruso. Annamo appresso. Ciavemo er cavajer Grostini... DENTAMARO È un pretaccio. BIASTIMELLA Allora manco a pparlanne. FALLOPPA V’a mmessa tutte le mmatine. TIRIRALLA Dice e’ rosario a ccasa. RIGHETTONE Magna de magro er vennardì e er sabbito. CORDALENTA Lo volemo escruso. SPUTAROSSO Allora avanti. Ciavemo l’avvocato Pelacani. FALLOPPA A la larga! TIRIRALLA È un avarone. BIASTIMELLA Passa via. RIGHETTONE Un giorno lo portai un’ora in carettella e ccebbe core de mettemme trenta sordi in mano! DENTAMARO Avanti, avanti. SPUTAROSSO Annamo avanti. Appresso viè l’avvocato Paletti... RIGHETTONE È realista... e spiantato ch’è ppeggio. DENTAMARO Manco a pparlanne. SPUTAROSSO L’ingegnere Spalla... RIGHETTONE Quer magnone che pprima de l’ecrisse itirizia13 se moriva de fame, e adesso va in carozza a ddu’ cavalli? FALLOPPA Ggià. SPUTAROSSO E allora va escruso. L’oste Titta Gramiccia?14 13 N.d.A.: crisi edilizia. Seguono quattro battute cancellate con un tratto di matita: RIGHETTONE Passa via! DENTAMARO Quer cornuto a ppaletta! RIGHETTONE Aribbattuto. FALLOPPA Magna su la moje. 14 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 346 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 347 RIGHETTONE Invece da fà ll’oste fà er pettinaro, e la moje je dà ‘na mano. TIRIRALLA Che bbelli candidati! BIASTIMELLA Uno mejo de l’antro. RIGHETTONE A le Carcere Nove ce sò mmejio. SPUTAROSSO Allora nun ce sarebbe arimasto antro ch’er drughiere Zozzetti: una persona a cquer che mme dicheno facortosa, democratico pe’ la pelle... Lo conosce gnisuno de vojantri? (nessuno risponde. Pausa) Nu’ lo conosce gnisuno? RIGHETTONE Ma cchi è. DENTAMARO Chi lo conosce? FALLOPPA Io nemmanco. BIASTIMELLA Io è la prima vorta che lo sento de mentuvà. TIRIRALLA Io puro. SPUTAROSSO Quell’omone arto sarebbe, co’ quer barbone nero, bbell’omo, co’ l’occhiali d’oro che quanno morse Titta bbonanima ciannassimo a ccrompà la cera. TUTTI Nu’ lo conoscemo. SPUTAROSSO Allora, guasi guasi io direbbe de portallo senza che stamo a pperde tanto tempo inconcredente. È mmejo che sse fissamo su ‘sto nome e ppassamo avanti. Chi approva la cannidatura de Giorgio Zozzetti, ar primo colleggio de Roma, arzi la mano. TUTTI (alzano la mano) RIGHETTONE ( fra sé) (Vedi si cche furtuna a non esse conosciuti! Gnisuno j’ha ttajato li panni addosso e è stato scerto!) SPUTAROSSO Allora aresta stabbilito ch’er circolo Popolare-Democratico-Elettorale, eccetra eccetra, in solenne e strasordinaria adunanzia, e avanti un numeroso uditorio, nella quale c’ereno ppiù de cento arippresentanti de società operaie diverse fu a unanimità e compattezza proclamata la candidatura del signor Giorgio Zozzetti, ar primo colleggio di Roma. DENTAMARO ‘Sta notizzia bbisognerebbe subbito communicalla, io direbbe, ar Messaggero, accusì domani ne parlerebbe. SPUTAROSSO Ce vado doppo io. Semo amichi cor cronista. DENTAMARO E questo è ffatto, diceva quello che castrava li frati. SPUTAROSSO Oh riguardo ar seconno colleggio, nun ciavemo gnente da discute perché er candidato ce l’avemo bbello e ppronto... RIGHETTONE E grasso de quatrini. DENTAMARO Si nun me sbajo sento ggente... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 347 28/11/13 12.44 348 introduzione FALLOPPA (corre alla porta) Sò lloro, sò lloro! (l’on. Callarelli e l’avv. Tomboni appariscono sulla porta) SCENA II L’on. Callarelli, l’avv. Tomboni e Detti TUTTI (si alzano e bbattono le mani) TOMBONI Grazie, amici; grazie di tutto cuore per me e per l’on. Callarelli. Sedete ve ne prego. (siedono tutti) TOMBONI (si alliscia i favoriti, beve un bicchier d’acqua, raschia, e con molta importanza esordisce) Onorevoli colleghi e amici, elettori del secondo colleggio di Roma, ho l’alto e ambito onore di presentare questa sera a voi, l’on. avv.to Pietro Callarelli, al quale avete meritamente e giustamente offerto la canditatura del secondo colleggio di Roma (con solennità). Nel confusionismo politico nel quale è immerso il paese, il corpo elettorale è stanco di vedersi imporre i vecchi e i soliti pomposi nomi. Avendovi per tali ragioni la disillusione indotti a più mature idee, dinanzi allo sfacelo degli uomini e dei partiti, voi, o elettori del secondo collegio di Roma, avete pensato di rivolgervi a un uomo nuovo, il quale posto nell’arringo legislativo, possa spiegare la sua azione, la sua attività, la sua energia, la sua facondia a pro degli interessi di Roma... SPUTAROSSO (battendo le mani) Bravo! TUTTI (c. s.) Bravo! I manuali al chiasso si svegliano, battono anch’essi le mani e quindi si addormentano di nuovo. TOMBONI Grazie! (con forza) Ed Ella on. Callarelli, strenuo campione della libertà per tradizioni e studi, potrà, fra i pochi esporre chiaramente le sue idee sulla situazione, con quella facondia cui si distinse, come collaboratore dell’Avvenire di Rocca-Pizzuta, e nei suoi splendidi, forbiti e colti discorsi pronunciati a Parigi a Londra a Bruxelles a Berlino Genzano Frascati e Grottaferrata. SPUTAROSSO Bravo! Bene! (c. s.) Viva l’avv. Tomboni. TUTTI (c. s.) Bene! Evviva! TOMBONI (con mal simulata modestia) Prego; gridate tutti con me: Viva l’avv.to Callarelli! Nessuno risponde. SPUTAROSSO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 348 (soltanto grida) Viva! 28/11/13 12.44 1. introduzione 349 SCENA III Buvatta e Detti BUVATTA (è un uomo pingue, entra asciugandosi il sudore e va guardingo a sedersi facendo segno a tutti che è stanco morto perché ha girato per l’elezioni ecc.) RIGHETTONE (vedendo Buvatta) Ariva er treno lampo! SPUTAROSSO Silenzio, sangue-der-naso! CALLARELLI (è un uomo insignificante, melenso, parla a voce bassa e sembra dica la lezione: tutto l’opposto di Tomboni) La forma corretta con la quale le SS. LL. si degnarono di offrirmi la candidatura a questo collegio m’impone a...(s’ impappina) m’ impone a non esitare... TOMBONI ( finge di suggerirgli le idee) CALLARELLI E accetto volentieri il vostro cortese mandato. SPUTAROSSO Bravo! RIGHETTONE Silenzio, sangue-der-naso! CALLARELLI (c. s.) Il regime parlamentare risiede nella capacità di potersi rendere agevole a tutti di aspirare... di aspirare all’arringo legislativo. Fino ad ora i vecchi e i passati collegi diedero il triste... il triste, e miserando esempio, cioè spettacolo del feudalismo e della superiorità del censo e dell’affarismo sul valore intellettuale. TOMBONI Bravo! CALLARELLI (seguitando) Dal cui metodo abbiamo a deplorare le conseguenze gravide, dico gravi, del dissesto finanziario non soltanto, o signori, del bilancio dello stato, ma bensì ancora quello della... della pubblica economia. E riferendoci ai princìpi, dato una causa, debbono derivare da essa gli effetti conseguenti. La camera composta di elementi aristocratici e affaristi ai quali abbisogna l’appoggio del governo, pel disbrigo dei loro negozi, il paese non poteva risentire che i mali... che i mali... da noi deputati, cioè, dico, da noi deplorati. E speriamo che ssarà l’ultima forma dell’individualismo imperante... dico, spirante, se tutta Italia propugnerà il principio da voi emesso: Homo novus. SPUTAROSSO (battendo le mani) Bravo! Viva er deputato der seconno collegio de Roma! TUTTI Viva! CALLARELLI (c. s.) Siate sicuri che nell’unirmi a voi per questa... per questa campagna elettorale, mi propongo di esporvi con chiarezza, franchezza e lealtà le mie idee; e fra le linee del mio programma sarà marcata, innanzitutto, quella cui compete alla questione operaia e sociale; per noi la vita è intesa quale l’intuiva il grande Mazzini... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 349 28/11/13 12.44 350 introduzione TUTTI Viva Mazzini! (confusione enorme) SPUTAROSSO Silenzio, fiji de cani! CALLARELLI Ecco... ecco... quant’era nel mio intento di esporvi... arivederci dunque e e (qui s’ imbroglia nuovamente; il chiasso è enorme; non si capisce più niente) RIGHETTONE (a Dentamaro) È un gran impiastro! TOMBONI (approfittando della confusione salisce sul banco della presidenza, e con forza dice) Il nostro secolo, o signori, è un’epoca di febbrile eccitazione al lavoro, acciocché si possa rendere meno travagliata la lotta per la vita... SPUTAROSSO Zitti! Bravo! TOMBONI (con forza) I popoli vogliono essere con libertà e giustizia, o signori, amorevolmente governati... TUTTI Bene, bravo! TOMBONI (accalorandosi sempre più) La vita bisogna saperla intuire e usare spassionatamente! La grande scuola del sapere, o signori, è la vita! La propria osservazione è nel sapere creare uomini nuovi (batte sul tavolo si scalda, e non ricordandosi più di Callarelli che gli è vicino, gli dà un urtone e lo fa scendere dal banco. Tutti ridono. Callarelli, mortificato si pone a sedere) TOMBONI (non si avvede di nulla e seguita con forza) È, ripeto, nel sapere creare uomini nuovi, i quali amino, al pari di voi, o signori, il bene senza interessi particolari. RIGHETTONE (Cià indovinato). TOMBONI (c. s.) L’Italia... TUTTI Viva l’Italia! TOMBONI L’Italia... TUTTI Viva l’Italia! TOMBON Dal nuovo indirizzo attende che ne vengano cittadini onesti come me... cioè come l’on. Callarelli, i quali cittadini, o Signori, possono condurla fidente e sicura fra le braccia dell’avvenire! Una forza irresistibile mi conduce verso le nuove aspirazioni, e la patria da essa aspira a sollevarsi dalla miseria delle attuali, o signori, condizioni in cui geme... TUTTI (battono le mani) Bravo! bene! TOMBONI (c. s.) L’illusione non è una semplice parola; è una legge dell’intelletto capace ad elevarci a sublimi concezioni, e ad eccelsi voli, e spingere me e i popoli alla conquista dei suoi sacrosanti diritti. (battendo sul tavolo) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 350 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 351 TUTTI Bravo! TOMBONI (dando un poderoso colpo sul tavolo) Homo novus! Ecco il grido che scosse dalla neghittosa ignavia l’antica e potente Roma: Homo novus! E, nel rimescolarsi uomini e cose, si produsse quella schiera di valorosi, a’ quali la storia affidò le sorti della patria adorata... TUTTI Bravo! TOMBONI (c. s.) Homo novus! Codesto sia il grido di guerra che ora deve ripercuotersi come inno di vittoria dalle Alpi al Lilibeo, onde portare il riscatto de’ propri diritti, sull’egoistico e ambizioso istinto individuale! Homo novus sia il cenno della riscossa, sia il motto, sia In hoc signo vinces che recava sul labaro l’Imperatore Costantino, il valoroso, il vittorioso vincitore di mille battaglie. (con crescente forza) Alla pugna dunque, o miei fidi soldati, e se, come speriamo, le vostre fatiche saranno coronate da felice successo, e il mio nome sortirà trionfante dall’urna, io pieno di speranza nell’avvenire, lotterò coraggiosamente per il bene vostro, mio, e della nostra bellissima, amatissima, grandissima, e immortalissima Roma! TUTTI Bravo! (gli si fanno attorno e gli stringono la mano) Viva l’on. Tomboni! Viva er nostro futuro deputato! SPUTAROSSO (nel colmo dell’entusiasmo salisce sul banco e gli dá un sonoro bacio) Sangue-der-naso, me ne morivo! TOMBONI (è fuori di sé, non capisce più niente, saluta, ringrazia, ride, non sa nemmen lui quel che si faccia) SPUTAROSSO (suonando il campanello) Nun ve n’annate, regazzi, che cce sono antre questioni più gravide e urgente da discutesse. TOMBONI Silenzio! (tutti tornano ai loro posti) Siccome mancano pochi giorni alle elezioni, così, io direi, prima di sciogliere la seduta, di discutere qualche questione delle più urgenti. SPUTAROSSO Domanno la parola per un fatto personale! TOMBONI La parola all’egregio Sputarosso. SPUTAROSSO Ecco, io dicevo, che siccome er seconno colleggio è diviso in diversi urioni: Colonna, Trevi, Inquilino15, Agro romano, bbisognerebbe che ognuno de noi se dividesse un urione e incominciasse da domani in poi a llavorà dd’accordo co’ ll’antri prisidenti de le società cche ‘sta sera hanno aderito. TOMBONI Quante sono presso a poco le società? DENTAMARO Armanco un trecento! RIGHETTONE (Bbuum!) 15 N. d. A.: Esquilino. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 351 28/11/13 12.44 352 introduzione FALLOPPA Qui saremo armeno cinquanta. SPUTAROSSO L’urione Colonna me lo lavoro io. DENTAMARO Io Funtan de Trevi. RIGHETTONE Io l’Inquilino. BIASTIMELLA E io er Cassio Petrojo16. TOMBONI C’è la sezione più importante dell’Agro Romano alla quale bisognerebbe seriamente pensare. BUVATTA All’Agro nun dubbitate che cce penso io. RIGHETTONE (Fa e’ llimonaro). BUVATTA Conosco tutti li vignaroli der subbrubbio; anzi ggià ne sò stati a ttrova parecchi e quelli sò ttutti nostri. RIGHETTONE (Quanno lo dice lui!) DENTAMARO Domanno la parola per un fatto personale. TOMBONI Accordata. DENTAMARO Ecco, volevo dire all’on. nostro candidato, avvocato Callarelli, che è ggià ddiverso tempo che sse cammina e cche dde spese se ne sò fatte parecchie... Je volevo dire, se intanto ce volesse inticipare quarche piccola cosa... CALLARELLI Di questo ho già incaricato il mio amico avv.to Tomboni. TOMBONI Era quello cui avevo pensato di fare. (cava il portafogli e dà a Sputarosso due carte da cento lire) Per le altre spese venite domani al mio studio dove, fino al giorno delle elezioni, siederà in permanenza il comitato per la candidatura dell’on. Callarelli. SPUTAROSSO Io la ringrazio, a nome de tutti li miei colleghi. E la seduta, regazzi, è sciorta! (allora le grida di allegria non hanno più limite) TUTTI Viva l’on. Callarelli! Viva l’on. Tomboni! (e sempre gridando, accompagnano Callarelli e Tomboni fino sulla strada) SCENA IV Sputarosso rientrando subito SPUTAROSSO (dice ai manuali) Vojantri, regazzi, annateme a aspettà a ll’osteria de Scarnicchia. Che adesso vengo llà e vve pago. Le comparse escono. 16 Castro Pretorio, quartiere di Roma. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 352 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 353 SCENA V Righettone, Buvatta, Falloppa, Dentamaro, Tiriralla, Biastimella, e Detto RIGHETTONE (vedendo Sputarosso) Ah mme credevo che tt’eri squajato. SPUTAROSSO Perché mm’avevo da squaià? RIGHETTONE Perché mme pensavo che vvolessi fà ppuro ‘sta vorta tutto der santo17. Avemo da fà 29 lire a ttesta. SPUTAROSSO E cche ccapischi, sangue-der-naso che scappo? Adesso annamo a ll’osteria e ddomani poi... RIGHETTONE Niente domani. Io vojo la parte mia adesso. TIRIRALLA Ha raggione! SPUTAROSSO Accidentaccio, come sete marfidati! Che mme te sò magnato quarche vvorta, quarche accidente che tte piija? RIGHETTONE A le froce der naso. TIRIRALLA Accusì tte scola in bocca! RIGHETTONE Aricordete de la lezzione der ’90 che tte magnassi ppiù dde quattrocento scudi e a nnoi nun ce dassi gnente. SPUTAROSSO La faccia tua pò dì questo e antro. RIGHETTONE Ahó, a mme le chiacchiere nun me confonneno, damme quer che me spetta, sinnò ‘sta sera finisce male! SPUTAROSSO (minacciandolo) Sangue-der-naso, te crederessi gnente de mettemme pavura? BUVATTA E ALTRI (si mettono di mezzo e li dividono) FALLOPPA Nemmanco la vergogna. BIASTIMELLA Famela finita. RIGHETTONE (a Sputarosso) Nu’ mme guardà ttanto bbrutto, ch’intanto a mme nu’ mme metti mica suggizione. SPUTAROSSO (va per lanciarglisi contro, ma è trattenuto dagli altri) Io, sangue-der-naso, je vojo imparà ccome se parla. RIGHETTONE Lassatelo, nu’ lo tenete sinnò scappa... SPUTAROSSO (mentre lo conducono via i compagni) Hai raggione tu bbrutta carogna! Ma se vedremo co’ mmijor commido. (viene condotto via) RIGHETTONE Quanno te pare! Sto a ll’ordini tui. (raccoglie in terra il suo cappello che nella lotta gli è caduto e mentre lo pulisce con il gomito) Brutto ladraccio! Vardateme elettori influenti che nun ponno nem17 Fà tutto der santo: appropriarsi di tutto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 353 28/11/13 12.44 354 introduzione manco annà a vvotà perché ssò stati carcerati per essese presi collera co’ ddiversi portafoji. BUVATTA (trascinandolo via) Annamo va fijo; statte zitto; nun bbaccajà ttanto che dde nojantri er ppiù pulito cià la rogna. (escono ridendo Buvatta, Righettone, Biastimella e Tiriralla che erano rimasti sulla scena) Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 354 28/11/13 12.44 1. introduzione 355 ATTO III Lo studio dell’avvocato Tomboni. Scrivania, sedie, poltrone, ingombre di avvisi elettorali di ogni colore e di tutte le dimensioni. Una scansia con libri. Porte laterali e in fondo. Occorrente per scrivere. SCENA I Tomboni, Sputarosso e Dentamaro seduti innanzi alla scrivania. Si sente continuamente suonare il campanello di casa. TOMBONI (asciugandosi il sudore) Ve l’ho detto miei cari amici, ve l’ho detto, e ve lo ripeto: al punto in cui siamo, bisogna che io accetti il mandato di rappresentare Roma, altrimenti mi disgusto tutto il corpo elettorale. Ho resistito, ho scongiurato, ho pregato, e voi ne siete testimoni, ma a nulla sono valse le mie preghiere per farli desistere, e le mie ripulse. Vedete bene da ogni parte mi giungono nuove adesioni, tutti mi pregano, tutti mi pressano: è un vero plebiscito... E poi (mostrando una lettera) un mio caro amico, intimo del sottosegretario di stato per l’interno, mi assicura anche l’appoggio del governo... SPUTAROSSO E vvoi, ve l’ho ddetto, bbisogna che ffate l’omo: ‘sta vorta è nnecessario che vve sagrificate p’er bene der paese. Intanto o pprima o ppoi ciavete d’annà. Dunque... TOMBONI Era precisamente la riflessione che facevo io... tanto più che l’avv.to Callarelli si ritira. DENTAMARO E vv’assicuro che a la Cammera ce farete la vostra figura; perchè un omo autografo18 come voi è quello che cciamanca. TOMBONI Basta. Oramai mi sono spiegato... Io non vorrei. Siete voialtri che, mio malgrado, mi portate candidato e a mia insaputa. Quindi tutta la responsabilità è vostra... Ci siamo intesi... SPUTAROSSO Una parola è ppoca e ddue sò ttroppe. DENTAMARO Voi dormite. (si suona il campanello alla porta di casa) 18 N. d. A.: autocrate. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 355 28/11/13 12.44 356 introduzione SCENA II Un servo e Detti SERVO È permesso? TOMBONI Avanti. SERVO C’è el presidente del Circolo Popolare Elettorale, el presidente de la Società Cochi e Cammerieri, e quello del Verde Stendardo. TOMBONI Dove sono? SERVO L’ho fatti passare de là cogli altri. TOMBONI Ce ne sono ancora molti? SERVO Una settantina. (si suona il campanello di casa) TOMBONI Ancora?! Ma c’è da perdere la testa! Dio che noia: è da questa mane che non si fa che ricevere gente e pagarla!... (si alza) Ho pensato che sarà meglio che me ne vada... SPUTAROSSO Io ve lo sto ddicenno da ‘sta mmatina. Fintanto che vvoi state qui ce ne fusseno de mijara de lire! DENTAMARO Voi annatevene, che mmó questi se li lavoramo noi. TOMBONI Ma per carità, veh, non disgustate nessuno. Sono momenti questi in cui si ha di bisogno di tutti. (si suona nuovamente il campanello) Di tutti: de’ clericali, de’ socialisti, de’ monarchici... di tutti, vi ripeto, di tutti. SPUTAROSSO E nnoi, nun si dubbiti, che li contenteremo i’ mmodo che nun s’averanno da lagnà dde noi. DENTAMARO A pproposito. De llà è vvenuto er prisidente der Circolo Imparziale che ppuzza un tantino de prete... TOMBONI Contentatelo, e più degli altri. (con precauzione) Anzi, se vi domandasse qualcosa intorno a’ miei principii, ditegli che in fondo poi sono moderato... sono monarchico... magari che vado a messa tutti i giorni. SPUTAROSSO Avemo capito. A li realisti, che ssete realista, alli repubbricani che ssete repubbricano... DENTAMARO A li socialisti che ssete de li loro... SPUTAROSSO E accusì via discurrenno. Fanno tutti lo stesso... DENTAMARO Sete un gran omo! TOMBONI Eh miei cari, chi non sa fingere, non sa regnare... Insomma: mi affido pienamente alla vostra prudenza e sagacità. (va per uscire) SPUTAROSSO Onorevole, mma ddico... DENTAMARO Se scorda der mejo... TOMBONI Avete ragione: me ne dimenticavo (tira fuori il portafoglio, lo apre, ne tira fuori una manata di biglietti di banca e glieli dà) Sono Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 356 28/11/13 12.44 , : 1. introduzione 357 altre tremila lire... non ne ho altre. Sono le ultime... E vi raccommando, non mi disgustate alcuno. SPUTAROSSO Nun dubbitate. (suonano il campanello) TOMBONI Ci rivediamo questa sera. (esce) SCENA III Sputarosso, Dentamaro, quindi il Servo SPUTAROSSO (chiama il Servo) Sor coso! Sor coso! SERVO Comandi. SPUTAROSSO Mettete er catenaccio a la porta e nun fate entrà ppiù gnisuno. SERVO E se sonano? SPUTAROSSO Lassateli sonà. Fate vienì dde qua er prisidente der Circolo Imparziale. (suonano il campanello) SERVO Si ricordi che prima ci sono quegli amici suoi che stanno bestemmiando come turchi, e quelle due donne, vostra moglie e vostra figlia... SPUTAROSSO Ha raggione va, nun ce pensavo. Gnente j’avete detto che l’avvocato è uscito? SERVO No. (si suona il campanello) SPUTAROSSO Allora annateje a ddì cche abbino pazienza un momento, che adesso li fo introduce. (Servo via) DENTAMARO Allora prima dividémese er mammone, sinnò questi vonno fà tutto der santo. SPUTAROSSO Tiè, ècchete mille lire a tte. (gliele dà) Antre mille me le pijo io, e cco’ resto contentamece quest’antri. DENTAMARO E a ppensà cche si la Madonna ispira a l’avvocato d’annassene via ‘sta mmatina, se ne saressimo messe in saccoccia armeno tre mila peromo. SPUTAROSSO S’arimettemio una costa! DENTAMARO Abbada che cquer povero Callarelli n’ha cacciati!... SPUTAROSSO (chiamando) Cammeriere! SERVO Comanda? SPUTAROSSO Introduceteme drento mi’ moje e la fija. Tu (a Dentamaro) vamme a trattiené quell’antri; e vvedi de mannà vvia quarche scocciapalle. DENTAMARO Ce penso io. (esce dal fondo) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 357 28/11/13 12.44 358 introduzione SCENA IV Crodovea, Crementina vestite da popolane, e Detto SPUTAROSSO (nel vederle) Sangue-der-naso! Ma cche vvienite a ffà a rompe la divuzione, quann’uno sta occupato in de l’affari. CRODOVEA C’è vvorsuta vienì la tu’ fija. CREMENTINA Che vv’arincresce? SPUTAROSSO (con importanza) No, ma capirete che quanno uno cià un craus19 d’affari da sbrigà, nun pò ddà retta a nisuno. M’hanno messo in mano... se tratta er maneggio de tutto quanto er corpo littorale20. CREMENTINA (osservando lo studio) Che bella cammera! CRODOVEA Davero va! Che bbelle portrone, che quadri! CREMENTINA E tutti ‘sti libri. Eh papà cce sò romanzi da legge? (rovista mettendo ogni cosa ssossopra) CRODOVEA (si avvicina alla scrivania e vede il danaro) E ttutti ‘sti quatrini di chi ssò? CREMENTINA Quale? (si avvicina anch’essa) Ih quanti! SPUTAROSSO Nun è robba mia. Li devo dispensà a quella ggente che sta dde llà. CRODOVEA A cchine? A quelli imbrojoni? Oh vvojantri davero avete perso er cervello! Ma ppìjetili tu, pìjieteli, minchione! Oppuramente dammeli a mme. (prende una pizzicata di carte da cinque lire) SPUTAROSSO (adirato) Vattene, sangue-der-naso, che ne devo arisponne io! CREMENTINA (anch’essa arriva a prendersi una carta da cinque) Mejo a nnoi che a quelli. SPUTAROSSO (c. s.) Abbadate che vve pijo per un braccio e vve metto de fora. (raduna tutto il danaro e lo pone in un tiretto) Accusì ffiniremo ‘sta cagnara. Annateve a mmette a ssede che ssento vienì ggente. (Crodovea siede a fare la calza e Crementina seguita a sfogliare i libri) SCENA V Dentamaro, Bbuvatta, Falloppa e Detti BUVATTA Se pò ariverì l’amico? (porterà sotto il braccio dei grandi manifesti) FALLOPPA Je se pò stregnere er cinquanta? 19 20 N. d. A.: caos. N. d. A.: elettorale. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 358 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 359 SPUTAROSSO Che sse semo messi in comprimenti? Scusate si insino a mmó, nun v’ho fatto entrà mma cc’era l’avvocato, capite? BUVATTA Lo sapemio. SPUTAROSSO Mbè cche nnova ce sò? Se lavora? BUVATTA Nove eccelente. Io ‘st’ammatina me sò fatta tutta porta San Pangrazio, e li vignaroli de llà ssò ttutti li nostri. Eh vvero, Falloppa? FALLOPPA Antro! DENTAMARO (avvicinandosegli e parlandogli all’orecchio) Eh mma pperò c’è un contrordine. L’avvocato Callarelli s’è ritirato. BUVATTA Me l’immagginavo. SPUTAROSSO Invece de Callarelli portamo l’avv. Tomboni. BUVATTA Me lo diceva er core; eh vvero Falloppa? FALLOPPA Antro! BUVATTA Eppoi guardate si vve dico un punto de bbucìa. Ho fatto stampà er manifesto cor nome der cannidato in bianco. (si toglie di sotto il braccio un gran manifesto rosso) Falloppa, leggelo un po’. FALLOPPA (essendo il manifesto di smisurata grandezza, aiutato da Buvatta, lo spiega, monta sopra una sedia, e legge) «Elettori del II Collegio di Roma e dell’Agro. I deputati del nostro collegio si sono macchiati di tante e sì gravi colpe da non meritare di essere nuovamente rieletti. Il governo e il parlamento non sono che ninnoli e giocattoli in mano dei nostri governatori. Il potere è reso strumento di partigianeria e di vendette contro la parte più operosa, ossia l’operaia, della popolazione, ed una mano di violenti s’impone. Il dispotismo è il mezzo, l’affarismo e la ricchezza non sudata, ma nondimeno immancabile ed immediata, il fine...» (si suona il campanello) SPUTAROSSO Bene, sangue-der-naso! BUVATTA Questo nun è gnente: quello che vviè appresso!... Trotta, Falloppa. FALLOPPA (prosegue) «La corruzione invadente, e la generale sfiducia nell’imperio della legge è la conseguenza. Di bene pubblico si hanno le sole parvenze; si promette tutto, ma niente si opera e, se qualche cosa, a debito; sicché per tal rispetto il nostro governo rassembra un moscone agitantesi sotto ampia campana di vetro...» DENTAMARO Bello quer moscone! BUVATTA (pavoneggiandosi) L’idea der moscone è mia. SPUTAROSSO Mbè ddunque annamo ar bono. BUVATTA De ‘sti manifesti, cor nome in bianco, n’ho ffatti fà diecimila... è vvero, Falloppa? FALLOPPA Antro. È vangelio! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 359 28/11/13 12.44 360 introduzione BUVATTA Poi me ce voranno un quattro o ccinque o dieci legni p’er giorno de la votazione... Poi pija er vermutto co’ quello, bbevi er mezzo litro co’ quell’antro... DENTAMARO Insomma: quanto pretennete? BUVATTA Che vv’ho dda dì? Me darete un par de mila lire... SPUTAROSSO E BUVATTA (sbottano a ridere) Ma ssete matto?! V’abbasti a ddì che a nnojantri cianno dato mille lire sole e cciavemo da contentà ttutta quella canaja che sta dde llà. BUVATTA (sconcertato ) Allora che vv’ho dda dì? Nun me date gnente; semo pace e amichi ppiù dde prima. Vor dì cche io farò come me pare. (per uscire) SPUTAROSSO Che sse volemo stà a ppià ccollera? Venite qua, pijateve ‘ste ducento lire e mmosca. Doppo poi ce scapperà un caffè ppe’ vvoi. BUVATTA Famo armeno trecento... duecentocinquanta... (si suona ancora il campanello) DENTAMARO Nun potemo. BUVATTA (intascando le duecento lire) Abbasta poi che ppensate pe’ mme. SPUTAROSSO Nun dubbitate. Fateme er piacere si vvedete quer pretaccio de Panzella, mannatemelo su. BUVATTA Sta dde llà cche v’aspetta. Anzi, a pproposito, ve vojo dà un consijo d’amico. Sentite (con precauzione) nu’ je date gnente a quel ladraccio, veh, che quello è er primo ladro de Roma. Eh vvero, Falloppa? FALLOPPA È vangelio! BUVATTA Dice che è er presidente der Circolo Imparziale. Nu’ je date retta. Er circolo se compone de lui de la moje e dde la serva. E quanno hanno tenuto seduta, er giorno appresso vanno ar Messaggero e cce se fanno mette un articolo pieno zeppo de bbuvatte21. E ppoi de llà cce ne sò ppochi d’imbrojoni, state attenta! Allora se vedemo e grazzie. (si stringono la mano; poi Buvatta e Falloppa escono dal fondo) CRODOVEA (appena uscito Buvatta) Come! J’hai dato tutti quelli quatrini! CREMENTINA I’ rigalo? CRODOVEA E a noi nun ce vòi dà gnente? Ammazzete che ccore! A cchi ttanto a cchi gnente. Puro lo sai come se trovamo. Ciò quele crature senza le scarpe, io sto ignuda e cruda, quella lì (indicando Clementina) sta ssenza li stivaletti, io ciò ttutto ar santo loco... damme armanco una diecina de lire. 21 Buvatta: scatola di metallo, con coperchio, fig.: bugia, fandonia, invenzione fantasiosa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 360 28/11/13 12.44 ; e A 1. introduzione 361 SPUTAROSSO Sangue-der-naso, ho ddetto gnente e gnente ha dda esse. Dentamaro, famme er piacere, fà vvienì dde cqua er prisidente der Circolo Imparziale co’ Panzella. DENTAMARO Subbito. (esce dal fondo) SPUTAROSSO Armeno nun me fate fà ‘ste figure quanno c’è ggente, sangue-der-naso! CRODOVEA Vedo che bbutti li quatrini e a nnoi nun ce dai gnente. (si alza, si avvicina al tavolo e le [sic] sottrae altre cinquanta lire) Farò ccome dice er proverbio: Pija la robba indove sta, e ccampa onoratamente. SPUTAROSSO Ma ssangue-der-naso, vojantre me volete disonorà! Io ho dda renne conto de ‘sti sòrdi. Nu’ la capite che sse tratta d’onore?! CREMENTINA Ma cche onore! CRODOVEA Nun ce l’hai avuto mai; tutto mó tte preme st’onore? SPUTAROSSO Hai raggione che stamo cqui. A ccasa famo li conti. CRODOVEA Andove te pare. CREMENTINA Accusì vv’ajuto a ffà le somme; insinenta a mmó avemo fatto le sottrazione. (ride) SCENA VI Dentamaro, Panzabbotta, Panzella e Detti DENTAMARO Sbrigamese che dde llà è un inferno. SPUTAROSSO Ma pperché nu’ l’hai mannati via? DENTAMARO Certi se ne sò iti, ma ccert’antri nun se ne vonno annà. SPUTAROSSO Lassa fà cche ddoppo ce penso io. (a Panzabbotta e a Panzella) Dunque a nnoi. PANZABBOTTA A pproposito, dite un po’ gnente avete dato quarche ccosa a quell’imbrojoni, ladri, de Bbuvatta e dde Falloppa? Per carità, veh, nu’ je date manco un centesimo. Ma indove avete arimediato tutti st’imbrojoni? Dde llà cce ne sò ppochi!... SPUTAROSSO Eh mma a nnoi nun ce la fanno! Mbè finarmente er sor Panzella poi s’è cconvertito? PANZELLA Veramente io nun ce volevo venire, perché l’idee nostre le sapete; ma si è come Panzabbotta mi ha ddetto che el candidato che pportate, l’onorevole... SPUTAROSSO Tomboni! PANZABBOTTA Quello, me pare che stava l’antra sera a ll’osteria de Scarnicchia? DENTAMARO Pe’ l’appunto. Che j’offrissimo un vino d’onore. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 361 28/11/13 12.44 362 introduzione SPUTAROSSO ( fra sé) (Che ppagò llui.) PANZELLA Insomma: siccome m’è stato detto che oltre che l’avvocato Tomboni è un omo dottissimo... DENTAMARO Antro che ddotto! SPUTAROSSO È un lucernario22 de la scienza! DENTAMARO È uomo che ortre a una vasta accortura23 possiede una rodizione 24 profonda! SPUTAROSSO E ppoi... e ppoi, quanno semo ar dunque è ppiù realista de voi. PANZELLA Meglio, meglio. DENTAMARO È un marvone25! SPUTAROSSO (alzandosi) Volete che vve ne dichi una? (si avvicina con precauzione a Panzella) Andovinate un po’? ‘St’accidente nun me va a messa un giorno sì e un antro no. L’ho vveduto io uscì dda sant’Andrea de le Fratte. Ne posso esse testimogno, e ttestimogno ‘culare26. DENTAMARO Me pare che ne potete esse persuvaso. PANZELLA Non serve altro. SPUTAROSSO Allora, venimo a nnoi. PANZABBOTTA Ecco. (cava delle grandi strisce di color giallo) Noi avemo fatte fà quattromila de ‘ste strisce indove ce dice: (legge) «Romani! Volete il bene di Roma? Votate compatti il nome dell’avv. Pietro Tomboni.» E quest’altra: «Operai, volete il bene della vostra classe? Date il voto all’on. avvocato Pietro Tomboni.» PANZELLA (spiegando un gran foglioverde, che porta sotto il braccio) Qui poi abbiamo fatto un manifesto a nnome della nostra società. Lo volete sentì? SPUTAROSSO No, ché nun ciavemo tempo. DENTAMARO Intanto se fidamo de voi. SPUTAROSSO Annamo ar bono. Che ccosa protennete pe’ le spese? PANZELLA Fate voi. PANZABBOTTA Un mijaretto e mmezzo de lire... SPUTAROSSO Sentite: è inutile che ffamo tante chiacchiere. Ve daremo trecento lire adesso, e quarch’antra sciocchezza a affare finito. PANZABBOTTA È un po’ ppoco. Aricordateve che quanno se move22 N. d. A.: luminare. N. d. A.: cultura. 24 N. d. A.: erudizione. 25 Persona mogia, lenta, abulica (come chi prende abitualmente per sedativo un decotto di malva). 26 N. d. A.: oculare. 23 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 362 28/11/13 12.44 ! - 1. introduzione 363 mo noi, è ffesta. Io, nu’ lo dico per avantamme, ma ttiengo Roma su le déta. (girando le dita della man dritta) E dder valore der circolo nostro, ne parla la stampa. Sentite cqua er Messaggero de jeri cosa ne dice: (cava dalla tasca uno sdruscito giornale e legge) «Jersera ar Circolo Imparziale, sito in via Santa Maria in Cacàberis27, innanzi a più di trecento elettori e a non pochi rappresentanti di società operaie diverse si stabilì, a grande maggioranza, di appoggiare, nelle prossime elezioni, la candidatura dell’avvocato Pietro Tomboni. Il presidente Domenico Panzabbotta.» E questi nun sò cchiacchiere, ssò ffatti. Carta canta e villan dorme. PANZELLA Ma va là, contentàmose: intanto poi a nnoi ce penseranno a discrezione loro. SPUTAROSSO (conta loro il danaro) Ecco qua. PANZELLA Grazie e arivederci. SPUTAROSSO E attenta, m’ariccommanno, d’annà a vvotà ttutti compatti. PANZABBOTTA A quello nun ce pensate. Ve l’ho detto, nojantri co’ Roma ce ggiocamo a ppalla. Se vediamo. (escono dal fondo) SPUTAROSSO Oh, io nu’ ne posso propio ppiù! DENTAMARO E a quell’antri che stanno de llà nun ce pensi? SPUTAROSSO Va dde llà ttu, e ddije che sse ne vadino via in santa pace, perché li quatrini sono esavuriti. DENTAMARO ‘Sta vorta ciarlevo28 quant’è vvero er sole. Abbasta, famese coraggio. (esce dal fondo) CREMENTINA Papà, ffate conto che io puro sò una presidenta de ‘na società e ddateme puro a mme ttrecento lire. SPUTAROSSO Ma vvattene: che hai da esse bona tu! CREMENTINA (imitando Panzabbotta) Io tiengo Roma su le déta. Lei nun si dubbiti. Ho fatto tremila manifesti, tiengo in mano tutt’er corpo littorale. CRODOVEA Ne dicheno poche de bbuvatte! SPUTAROSSO (ridendo) Quello aveva presa Roma pe’ ‘na mosciarella 29 che la tieneva su le déta. CRODOVEA Abbada che ssò bbuffi! 27 Oggi via Santa Maria dei Calderari. Cfr. p. 173 nota 5. Ce le prendo. Dal verbo arcaico arlevà: essere percosso, bastonato; da levà nel senso di prendere, ricevere. 29 Castagna sgusciata ed essiccata che assume un aspetto rugoso, grinzoso ed una consistenza durissima. 28 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 363 28/11/13 12.44 364 introduzione SPUTAROSSO Quello ch’ha ddetto accusì, cce scommetto che nun sa nnemmanco indove se va a vvotà. È ccome mme... Ma cche robb’è? Di dentro si odono delle alte grida di protesta e un chiasso diabolico. SCENA VII Dentamaro e Detti DENTAMARO (dando il garbo al suo cappello, tutto ammaccato) A mmomenti m’ammazzeno. M’hanno fatto diventà er cappello una pizzetta. SPUTAROSSO Lasseli fà; è robba che ppassa; ce sò abbituato. (prende un giornale e finge di leggere in tutto il tempo che durano le scene che seguono) SCENA VIII Primo Elettore e Detti PRIMO ELETTORE (entra furiosamente; avrà dei manifesti sotto il braccio) Nun me l’aspettavo da esse trattato accusì. Tu (a Sputarosso) nun pensi antro che a tte, bbrutto magnone. Ma mme la paghi! (esce e dal di dentro si ode il fracasso della porta di casa chiusa con violenza) SCENA IX Secondo e Terzo Elettore e Detti Secondo e terzo elettore entrano c. s. SECONDO ELETTORE Se vedemo er giorno de le lezzione bbrutto ladraccio! TERZO ELETTORE Sbafatore a ppaletta! (escono c. s.) SCENA X Quarto e Quinto Elettore e Detti Quarto e Quinto elettore entrano c. s. QUARTO ELETTORE Chi mmagna solo se strozza! QUINTO ELETTORE Brutto imbrojone! (escono c. s.) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 364 28/11/13 12.44 n 1. introduzione 365 SCENA XI Sesto e Settimo Elettore c. s. SESTO ELETTORE Co’ li quatrini che tte sei messo in saccoccia, ce possi pagà er medico. SETTIMO ELETTORE E ttanto ojo de riggine. Escono c. s. SCENA XII Ottavo e Nono Elettore Entrano c. s. OTTAVO ELETTORE Accusì ce tratti? Accusì fanno tutti li ladri pari tui. NONO ELETTORE Azione da cornutaccio! Escono c. s. SCENA XIII Biastimella, Tiriralla, Cordalenta e Righettone Entrano c. s. uno dopo l’altro. BIASTIMELLA Iddio nun paga er sabbito. Se vedemo er giorno de l’elezione! (esce c. s.) TIRIRALLA E si nun te fo io una panza de cortellate, chiameme bboja, bbrutta spia. (esce c. s.) CORDALENTA Addio ladro de macchia! Brigante! Ansuini30! (esce c. s.) RIGHETTONE Addio, cornutaccio a ppaletta! (esce c. s.) SPUTAROSSO (con calma) C’è gnisun antro? DENTAMARO No, aringraziam’Iddio, che ssò ffiniti! CRODOVEA Ahó mma ddiceveno, a tte, sai? SPUTAROSSO Eh lo intesi. Ma ccome fai? in certi casi chi ccià ppiù pprudenza l’addopra. 30 Fortunato Ansuini, brigante nativo di Norcia, di cui si persero le tracce dopo la sua fuga a San Magno (FR) nel 1891. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 365 28/11/13 12.44 366 introduzione DENTAMARO Sò ccontento che l’avemo mannati via tutti sodisfatti. SPUTAROSSO Annamo fije, annamo. CREMENTINA (nell’avviarsi) Papà vve sete scordato d’una cosa. SPUTAROSSO De che, ffija? CREMENTINA D’aringrazzialli tanto! Il servo che ha udito tutti quei bei titoli che hanno dato a Sputarosso, quando questi esce, con la famiglia, gli fa un inchino molto significante. Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 366 28/11/13 12.44 1. introduzione . 367 ATTO IV Una piazzetta d’un rione popolare. Case e bbotteghe praticabili. In fondo una casa con fenestre praticabili e con porta sulla quale vi saranno, a guisa di trofeo, due bandiere: una nazionale, l’altra municipale, con in mezzo lo stemma del comune, e più sotto un cartello con la seguente scritta: «Sezione IV. Dalla lettera P alla Z dal N˚ 3640 al N˚ 3940». Ai due lati diverse botteghe con sopra fenestre praticabili. Un caffè, con tavoli e sedie di fuori, un forno, una drogheria, un’osteria. A sinistra, di contro al caffè, la casa di Buvatta con porta e fenestra praticabili. Manifesti di ogni colore e raccomandanti diversi candidati sono affissi su tutti i muri della piazza: specie su quelli della sezione. SCENA I Due carabinieri reali e una guardia municipale passeggiano silenziosi innanzi la sezione. Un fattorino sulla porta della medesima dispensa dei programmi elettorali. Due attacchini, con dei manifesti, il secchio della colla e il pennello sono intenti ad affiggere una grande striscia sulla quale è raccomandata la candidatura dell’on. Tomboni. I due attacchini hanno appena terminato l’affissione, che ne sopraggiungono due altri, i quali affiggono sull’ultima striscia dell’on. Tomboni un’altra raccomandante l’on. Pelacani. I due primi attacchini avvedendosi di ciò tornano indietro, si bisticciano con i due ultimi venuti, e finiscono col darsi i secchi sulla faccia, poi se ne vanno. Scena muta e rapidissima. SCENA II Sputarosso e Dentamaro Escono dalla sezione. SPUTAROSSO (guarda l’orologio) A cchi sse dice! Un’ora e mmezza doppo mezzoggiorno e incora nun avemo potuto costituvì er seggio! DENTAMARO A ppijà li bbajocchi sò ttutti bboni; quanno poi semo ar dunque, se squajeno tutti... Volemo bbussà a Bbuvatta? SPUTAROSSO J’ho bbussato; m’ha risposto la moje ch’è ito via prima de ggiorno. DENTAMARO Allora che ffamo? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 367 28/11/13 12.44 368 introduzione SPUTAROSSO Ariprovamo qui dar drughiere. (si avvicina alla bottega del droghiere) Sor Nicola, fateme er piacere, ce n’amancheno dua pe’ fformà er seggio; vienite su un momento. DROGHIERE (di dentro) Ah ah! ariecco ‘sti scoccia zebbedei! Quanno v’ho ddetto che nun posso, nun posso. È inutile che spregate el tempo. DENTAMARO Vardateme cittadini! SPUTAROSSO (parlando al fornaio) Sor Pietro, fateme er piacere voi; venite un tantinello su, quanto formamo er seggio provisorio. FORNAIO (parlando dalla bottega) E l’avventori me li servite voi? Ma ssapete che ssete propio curioso! Come se vede che nun avete da fà gnente. SPUTAROSSO Finisce che oggi er seggio nostro nun se costituvisce! DENTAMARO Saranno venuti armeno cento elettori e sse ne sò ariannati via tutti. SPUTAROSSO Provamo un po’ cqui ddar caffettiere. A questo abbasta che je lo dico io e vvederai come me sente. (chiamando) Sor Pavolo. (siedono tutti e due ) CAFFETTIERE (esce) Commandate? SPUTAROSSO Du’ caffè rumati. (caffettiere rientra) DENTAMARO Si ariva Tomboni adesso è ‘na bbuscarata! SPUTAROSSO Io sto ssu le spine! CAFFETTIERE (recando l’occorrente) Eccoli serviti. SPUTAROSSO Come va, sor Pavolo? CAFFETTIERE A la bbuscarona. Nun se fa un soldo. Tutta rimissione. Da una parte el municipio, dall’altra el governo, ve se mangeno tutto quel po’ dde guadambio. SPUTAROSSO Subbito che cqui a Roma gnisun cittadino fa ll’obbrigo suo. Basterebbe er giorno de le lezzione a mannà su ttutte persone oneste... CAFFETTIERE Eh caro mio, è ffinito el tempo dell’illusione. Ammazza, ammazza, sono tutti d’una razza. SPUTAROSSO Eppuro quarchiduno onesto ce n’è e vve lo dico io! DENTAMARO Abbasta ssapelli sceje. C’è ppresempio quello che ‘sta vorta portamo noi, che appena ariva llassù, ssemo sicuri che Roma diventerà un giardino... SPUTAROSSO E li quatrini averanno da curre a ppianare. DENTAMARO E vve lo dimo noi! SPUTAROSSO Su, ccoraggio, sor Pavolo; venite su cco’ nnoi a vvotà e vve n’aritroverete contentone. CAFFETTIERE (adirato) A mme? A mme? Eh sse aritornasse al mon- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 368 28/11/13 12.44 a 1. introduzione 369 do mio padre, e mme dicesse: vieni su a vvotà, lo caccerebbe via come un ladro. Passa via! Cianno ridotti a ttutti in mezzo a una strada... Per carità, se volemo restare amici, nun me parlate mai de ‘ste cose... (va per rientrare) SPUTAROSSO Eh vvenite cqua: per questo se volemo stà a prende collera? DENTAMARO Doppo tutto sò io er primo a ddavve no una, ma mmille raggione. SPUTAROSSO Sicuro, sò un sacco de ladri tutti, e io sò er primo a ddichiaravvelo. (bevono in fretta il caffè e si alzano) Se vedemo, sor Pavolo. CAFFETTIERE Addio. (ritira il gabbarè e rientra) DENTAMARO Sò ccontento che l’avemo persuvaso! SPUTAROSSO Tutti talecquale. Indove t’accosti te cacceno via com’un ladro. SCENA III Scarnicchia e Detti SCARNICCHIA (venendo dalla sinistra, in maniche di camicia, la salvietta sulla spalla destra, traversa in fretta la scena) SPUTAROSSO (vedendolo) Ah Scarnicchia! E cchi tte ce manna? Te ce manna la Madonna?! SCARNICCHIA Ch’è ssuccesso? SPUTAROSSO Viè cco’ nnoi va; nun perde tempo. SCARNICCHIA Io nun posso. Vado in prescia qui da ll’ortolano a ordinà ddu’ libbre de Zuppa Santé... eppoi sto accusì... DENTAMARO Se tratta d’un minuto. SPUTAROSSO Quanto vienghi su ppe’ fformà er seggio provisorio, e tte ne vai. SCARNICCHIA Abbasta che mme mannate via subbito; perché ho llassato bbottega sola. Nun sia mai detto, mi’ moje chi la sente? SPUTAROSSO Ma vviè ssu, viè; quanno te dico che sse tratta d’un momento. (lo trascinano alla sezione) CAFFETTIERE (sulla porta del caffè) Tanto hanno fatto che el merlo l’hanno trovato. SCENA IV e Righettone, Tiriralla e Detto RIGHETTONE (sedendo) Sor Pavolo ce portate una bbottija de gazzosa? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 369 28/11/13 12.44 370 introduzione CAFFETTIERE Subito. (rientra e riesce quasi subito con l’occorrente) Ecco. RIGHETTONE (con ironia) Mbè, come vanno sor Pavolo, le cose de ‘sta sezione? CAFFETTIERE Ma vvolete ride? Sò a mmomenti le due e un quarto e ancora non hanno costituito neppure el seggio provisorio. RIGHETTONE Me minchionate? CAFFETTIERE Altro che! È dda ‘sta mattina che Sputarosso e Dentamaro vanno pregando tutti li bbottegari de la piazza, e fino adesso ancora non gliela avevano fatta. TIRIRALLA Quanto ciò ppiacere! RIGHETTONE Come godo! (ridendo) CAFFETTIERE Un minuto fa poi hanno fermato Scarnicchia l’oste, che ttraversava in prescia la strada e l’hanno persuaso a seguirli alla sezione. RIGHETTONE (ridendo) Ce vorebbe che l’inchiodassino lassù ffino a ‘sta sera; accusì la moje lo scanna paro paro. CAFFETTIERE Ma vvojaltri non ne sapete una. Nientemeno, hanno cercato de persuaderme a mme per andà a ccostituire el seggio! RIGHETTONE E vvoi? CAFFETTIERE Eh se nun se ne vanno, li prendo a bbastonate. RIGHETTONE Er prisidente de la Società Elettorale-Democratica! L’elettore infruvente! CAFFETTIERE Chi, quel somaro?! Adesso ve ne dico un’altra per farve ride. Ve basti el dire che ggiorni fa, me fece questa domanda. Dice: «Ma dditeme un po’ sor Pavolo, ma er parlamento sta ppe’ ttutti li paesi d’Itaja?»31 RIGHETTONE (ridendo) E questi sò l’elettori infruventi! E a ppensà che a quer povero Callarelli je se sò mmagnate quarche diecina de mila lire. TIRIRALLA Senza contacce che nemmanco ponno annà a vvotà pperché una mucchia hanno perso li dritti civili. RIGHETTONE E quell’antro falloppone de Dentamaro? TIRIRALLA E cquer fatigone de Bbuvatta? RIGHETTONE Ah quello poi è unico ner genere! Volete ride? Quanto scommettemo che incora dorme? CAFFETTIERE Non me farebbe specie. TIRIRALLA Lui è quello de ll’Agro. Era quello che aveva d’annà in giro pe’ ttutte le vigne per annà a pportà a vvotà li vignaroli. RIGHETTONE Già, ha ffatto come a l’elezzione der novanta ch’er 31 N.d.A.: storico. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 370 28/11/13 12.44 : 1. introduzione 371 principe Descarchi32 jé mannò e’ llegno e llui se n’agnede co’ la famija a ffà un pranzo a Frascati! TIRIRALLA Questra è bbella! RIGHETTONE Ve vojo fà ride. Aspettate un momento. (va a bussare alla casa di Buvatta) Di quando in quando qualche elettore va alla sezione a votare. SCENA V Vittoriona, alla fenestra, e Detti. VITTORIONA Chi è? Ah ssei tu? E cche nnova? RIGHETTONE Senti, Vittoriò: ttu’ marito indove sta? VITTORIONA (ridendo) È uscito da ‘sta mmatina abbonora. RIGHETTONE Mbè ttanto mejo; viè ggiù cché tt’ho dda parlà dde premura. VITTORIONA Quanto me metto er fazzolettone e scegno. (si ritira chiudendo la fenestra) RIGHETTONE (sedendosi) Mó sse famo du’ risate. VITTORIONA (esce dalla porta di casa e siede vicino a Righettone) Mbè cche nnovità? RIGHETTONE T’ho fatto venì ggiù ppe’ ppagatte da bbeve. (glielo versa) VITTORIONA Mbè ccome vanno ‘ste lezzione? RIGHETTONE Ce lo poteressi dì ttu, cche cciai tu’ marito che cce sta i’mmezzo. VITTORIONA Quer carcone33? Quello lassatelo sparà bbuvatte e ffatelo dormì, nun è bbono a antro. RIGHETTONE Eh mma ‘sta vorta però ha ppreso bbone centinara de lire... VITTORIONA (con interesse) Ma vvattene! Sei sicuro che l’ha pprese? Giusto te lo volevo venì a ddomannà. Ddavero? RIGHETTONE Me possi diventà vveleno ‘sta gazzosa. VITTORIONA Bbrutto bboja! e a mme mm’ha nnegato, nun solo che nun ha ppreso manco un fanfulla, ma insinenta dieci lire pe’ ffamme un straccetto d’abbito, che vvado come una pezzente. 32 33 Allusione al principe Odescalchi. Pigro. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 371 28/11/13 12.44 372 introduzione RIGHETTONE Invece l’ha ppresi, e ccome. Ma ‘sta vorta però se l’è mmeritati perché, ppoveraccio, s’è ddato moto. VITTORIONA Ma nu’ je date retta, nu’ je date; che nun ha ffatto un passo. TIRIRALLA E mmó a ssentì vvoi nun sarà ito manco a vvotà. Che linguaccia infame! ( fa d’occhio a Righettone) VITTORIONA (offesa) Se sa cche nun c’è ito a vvotà. Si mme l’ha ddetto a mme cche llui nun c’è stato mai, perché nun è manco elettore. RIGHETTONE (facendo d’occhio al caffettiere) Eh mmó ppoi tu ne dichi poche! VITTORIONA Quanto me fate rabbia! Ne volete ‘na prova? Annate a ccasa mia e vve n’accerterete. S’è arzato a mmezzoggiorno ha mmagnato e ppoi se ne è ariito a lletto. RIGHETTONE (facendo d’occhio al caffettiere e a Tiriralla i quali ridono) (Che vve dicevo io?) A Vittoriò, mma intanto però li quatrini l’ha ppresi e ccome! E si ttu nun sei bbona a llevajeli sei una gran carogna. VITTORIONA Chi, io nun sò bbona? Eh mme possino scannamme, si ‘sta sera lui me li nega, a ccasa cià dda core la patuja. RIGHETTONE Brava! E ssi ssei bbona a llevajeli, domani te pago ‘n llitro. ( fingono di parlare fra loro) SCENA VI Sputarosso e Dentamaro dalla sezione, s’ incontrano con Tomboni che viene dalla destra. SPUTAROSSO (scorgendo Tomboni) Eccola, va! DENTAMARO V’aspettamio a bbraccia uperte. TOMBONI (un po’ perplesso) Miei cari amici, ebbene come vanno le cose? SPUTAROSSO Bbenone! DENTAMARO Io sò ccontentone! TOMBONI Come c’è stato concorso? SPUTAROSSO Qui assai. Nun faceveno a ttempo a vvotà li elettori. DENTAMARO Mó stanno facenno lo sgrutigno. SPUTAROSSO Allora noi annamo a ssentì li primi arisurtati su ar Municipio. DENTAMARO Alegro, avvocato, che ‘sta sera è festa. SPUTAROSSO ‘Sta sera ve venimo a ppijà cqui cco’ li soni, sangueder-naso! (poi fra sé) (Si nun sei ariuscito vedi che ffugone che ppijo!) DENTAMARO ( fra sé) (A mme puro me doveressi vede ppiù!) (si danno la mano) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 372 28/11/13 12.44 è 1. introduzione TOMBONI 373 Speriamo bene. (entra alla sezione) Dentamaro e Sputarosso escono a sinistra. SCENA VII Crodovea, Crementina, tutte ben vestite entrano dalla destra e Detti RIGHETTONE (quando Sputarosso e Dentamaro se ne sono andati) A Tiriralla, hai visti li fatigoni? Ce doverebbero avé una pavura! TIRIRALLA Si l’amico fa ffiasco, sai che ffugone che ppijeno! CRODOVEA (entrando con Clementina dice a Vittoriona) Avete visto gnente mi’ marito? VITTORIONA Come va, eh Crodovera? CRODOVEA Nun c’è mmale; aringrazziamm’Iddio. (si siede con Clementina) Bottega (al caffettiere), ce portate una bbottija de gazzosa? CAFFETTIERE (entra e riesce con l’occorrente) CREMENTINA (a Vittoriona) E vvoi, come state, commare? VITTORIONA Eh sse strappa a la mejo a ddispetto de chi cce vorrebbe vede ignuda e cruda. CRODOVEA Con chi l’avete? VITTORIONA L’ho cco’ cquer boja de mi’ marito. Ma nun sapete che mmi ha ffatto? ‘Sti ggiorni s’è gguadambiato un sacco de sòrdi, e a mme mm’ha nnegato dieci lire pe’ ffamme un straccetto de abbito. CRODOVEA Che ommini! Er mio, nun fo ppe’ ddillo, se li guadambia, è vvero, ma a nnoi nun ce fa amancà manco e’ llatte de la formica. È vvero, Crementina? CREMENTINA A mme ieri m’ha ffatto un bell’abbito de lanetta, e mm’ha comprato ‘st’orecchini che pporto a l’orecchia. RIGHETTONE (a Tiriralla) (Tutto sangue de quer povero Callarelli!) VITTORIONA Eh mma ‘sta sera, l’ho ggiurato. A ccasa cià dda córe la patuja. CRODOVEA (versando da bere a Vittoriona) Bevete, commare. VITTORIONA Grazzie. Aspettate vostro marito? CRODOVEA Sì, ‘sta mmatina, quann’è uscito, cià ddetto che je fussimo venute incontro che cce voleva portà a cena co’ llui. VITTORIONA Questi se chiameno mariti! Io saranno dieci anni che cco’ llui nun c’esco ppiù. RIGHETTONE Subbito che ttu marito s’è ffatta la commare; se sa cche a tte tt’ha mmesso in disponibbilità. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 373 28/11/13 12.44 374 introduzione VITTORIONA E cchi vvòj che sse l’accatti quer cataprasmo? Quarcuna che vvoji fà ppeccato e ppenitenza. CREMENTINA A mamma, io ggià mme sò stufata a stà cqui. Pperché nun se n’annamo? RIGHETTONE (a Clementina) Che avete dato l’appuntamento ar fritto34? CREMENTINA (altera) L’ho ddato a cchi mme pare. Che ffate la spia? SCENA VIII Tetona e Detti TETONA (entra dalla sinistra tutt’affannata e rivolge la parola a Righettone) Avete visto gnente quell’assassino de mi’ marito? Sò smontata da’ llegno adesso. Ho ggirata tutta Roma sana e nun l’ho ttrovo. È dda ‘sta mmatina che cquer boja m’ha ppiantata sola a bbottega... Si lo trovo lo scanno. RIGHETTONE Je volete fà una ruzza 35! TETONA Dite la verità, l’avete visto? RIGHETTONE L’ho incontrato ‘sta mmatina, in carozza che sse n’annava co’ ‘na bbella pacioccona, co’ ddu’ bbrocche che pareveno du’ palloni. TETONA Eh, nun me farebbe specie! Lo so, lo so, che vva a ggattaccia; ma ssi cce l’agguanto je metto l’ossa in d’una chicchera, je metto!... Ma, vvia, su ddìteme la verità. RIGHETTONE Nun possi ppiù vvede la faccia der padron de casa, si vve dico bbucìa. L’ho incontrati che annaveno verso porta Angelica. TETONA E ccom’era ‘sta puzzona? RIGHETTONE Arta, grossa bionda co’ li capelli neri, bbassa tutta riccia senza un capello in testa... TETONA Sì, ho ccapito! A vvoi ve va ssempre da ruzzà. Ve pare che questo sia er momento? CRODOVEA Ha raggione, poveraccia. CREMENTINA Sete propio sguajato! TETONA Dunque nu’ l’ha vvisto gnisuno? Sor Pavolo, (al caffettiere) dìteme la verità vvoi, avete visto gnente Scarnicchia, l’oste, quer giovinotto rosso de capelli...? CAFFETTIERE L’ho vvisto sicuro. 34 35 N. d. A.: all’amante. Ripicca, dispetto. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 374 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 375 TETONA E indove? CAFFETTIERE Saranno quattr’ore bbone che è salito lì alla sezione in compagnia de Sputarosso e Dentamaro. Lo dovrebbero avé ffatto del seggio. RIGHETTONE (Tommola!) TETONA (infuriata) Indove è ito llassù?! (va per salire alla sezione) RIGHETTONE (trattenendola) Per carità, nun ce provate che ssi annate a ffà una scenata llassù, ve porteno in catorbia 36. TETONA (c. s.) Io nu’ l’ho ttanto co’ llui quanto co’ quelli quattro impiccioni imbrojoni che mme lo metteno su. CRODOVEA (offesa) A cosa, co’ cchi ll’hai? TETONA E che cciavete la coda de paja?! CRODOVEA Eh sò un accidente che tte pija, me dai de l’imbrojone a mmi’ marito! RIGHETTONE (A ‘ste risate, presempio, nun ce facevo conto.) TETONA E llui perché me disvia mi’ marito? CREMENTINA Povero ciuco37, je lo disvia! CRODOVEA (a Crementina) Tu nun t’impiccià. TETONA Potrebbeno invece fà er testamento der burino che ddice: «Bada a li morti tua.» CRODOVEA E dde papà. TETONA Accusì arisponneno tutte le puzzone pulite. CRODOVEA Ma ttu ssarai una puzzona. TETONA Ma io nun ciò la camicia sporca; mentre cert’antra ggente... CRODOVEA Che cciai da dì dde me? Ddì? (andandole contro) Che cciai da dì? Un accidente che tte scanna? TETONA Ma mmagara! (minacciandola) T’avessi da crede ch’ho ppavura de te. CRODOVEA E quanto stai? (si danno addosso e si accapigliano) VITTORIONA, RIGHETTONE, CAFFETTIERE e CREMENTINA (le dividono) Eh ffinimola! Intanto è corsa gente alle fenestre di tutta la piazza e i bottegai si son fatti sulle porte delle botteghe e si godono la scena. TETONA Tirabbusciona! (si riattaccano) CRODOVEA Zozzona! 36 37 Prigione. Piccolo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 375 28/11/13 12.44 376 introduzione TETONA Pidocchiosa! (vengono divise) CREMENTINA (a Tetona) Ahó mma la vòi finì dd’insurtà mi’ madre?! TETONA E ttu cche cc’entri? CREMENTINA C’entro, sicuro che cc’entro. RIGHETTONE Sicuro che c’entra! TETONA Io te posso dà una bbona pittinata. CREMENTINA Te posso abbottà er grugno de cazzotti. TETONA Nun sei bbona. CREMENTINA Eh llà! (la sfida) TETONA Eh su! (si attaccano si danno una scarica di pugni) RIGHETTONE Finimola ‘sta cagnara! Là cche un ber gioco dura poco. (le divide) CREMENTINA Si mm’aricapiti. TETONA Te do e’ resto. CREMENTINA Cimiciara! TETONA Conocchia! CRODOVEA (che si sta accomodando la chioma) Ma lassela perde, Crementina, ché cco’ ccerta ggente ce se perde de riputazione, ce se perde! TETONA Intanto li cazzotti che tt’ho ddato nun te li leva gnisuno. RIGHETTONE Eh mmica la piantano! TIRIRALLA Eh mmica j’abbasta! CRODOVEA Ce se sa mmette co’ ‘na cratura! CREMENTINA Ma lassa che vvienghi mi’ padre! TETONA Tu’ padre, me ce fa un baffo. RIGHETTONE Ma insomma, la finimo o nu’ la finimo? Avete raggione tutt’e tre. Va bbene accusì? VITTORIONA (che fino allora è stata semplice spettatrice) In certi casi chi ha ppiù pprudenza l’addopra però. RIGHETTONE Brava: mó mettétece bbocca puro voi! VITTORIONA Sicuro! Apposta me fa specie de Tetona! TETONA Che vve sete perso quarche sganassone? Puro voi? VITTORIONA A cquer che ppare ‘sti sganassoni li vennete a uffa. TETONA A cchi je rode. RIGHETTONE Ah, ah! Cciarisemo. VITTORIONA Eh ma la signorina si sbaja (ironica) perché a mme nun me rode affatto. TETONA Me pare de sì, chiacchieri tanto. VITTORIONA Invece te doverebbe rode a tte. RIGHETTONE Auffa, quant’è llonga! TETONA Ma quanto scocci! (minacciosa) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 376 28/11/13 12.44 1. introduzione 377 VITTORIONA Lallero! (ironica) TETONA Ah sì?! (le dà addosso) VITTORIONA Io mica sò Crementina, sa’?! Si azzuffano e nella lotta buttano i tavolini del caffé, i sedili, ogni cosa. CAFFETTIERE (con le mani fra i capelli) Poveretto me sò arovinato! SCENA IX Scarnicchia, dalla Sezione, e Detti SCARNICCHIA Ched’è, cch’è ssuccesso? (si fa largo tra la ggente e vede Tetona ridotta in quello stato) E ttu cche fai cqua bbrutta pettegola? marcia subbito a ccasa, alò! TETONA Tutto pe’ ccausa tua, bbrutto bboja! SCARNICCHIA A mme bboja? Alò a ccasa! (la prende a calci e la fa uscire fra le risate e qualche fischio) Crodovea, Crementina, Vittoriona e Tiriralla escono dietro Scarnicchia e Tetona. RIGHETTONE (ridendo) E poi dicheno che ar teatro fanno ride. (entra nel caffé) CAFFETTIERE Brutte pettegole, mi hanno rovinato. (mette ogni cosa a posto e poi rientra) Le fenestre si chiudono, i bottegai rientrano. La scena rimane vuota. Si fa notte; i bbottegai accendono i lumi fuori le botteghe. SCENA X Buvatta, alla fenestra, e poi Righettone dal caffè BUVATTA (osservando la piazza) Se ne sò iti tutti. Sarà mmejo a uscì. (rientra e chiude la fenestra) (dalla porta di casa) Ah cche ddormita me sò ffatta! (siede a un tavolo e grida) Un caffé! CAFFETTIERE (di dentro) Viene! BUVATTA Nun me sò mmai inteso bbene come oggi! CAFFETTIERE (recando l’occorrente) Eccolo servito. BUVATTA (si serve) RIGHETTONE (dal caffé) Uh vvarda che sse vede! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 377 28/11/13 12.44 378 introduzione BUVATTA E ttu bbona lana, che stavi a ffà? RIGHETTONE Me sò mmesso a llegge el fojo. CAFFETTIERE (fa occhio a Righettone e poi dice a Buvatta) Sarete stanco? BUVATTA Le gamme nun me le sento più. RIGHETTONE Ma sfido, uno che ha ddormito, dico, che ha camminato tutto er giorno! CAFFETTIERE Sarà dda ‘sta mmatina che state in giro pe’ Roma? BUVATTA Pe’ Roma? Magara! Ma invece è dda le tre e sino adesso che ssò stato for de le porte. RIGHETTONE (In sogno!) CAFFETTIERE Ve compatisco. Sarete sfinito? BUVATTA Morto addirittura! (caffettiere via) SCENA XI Tomboni e Detti TOMBONI (esce dalla sezione) Uh, mio caro signor Buvatta, come va? (si siede) RIGHETTONE Sor avvocato! TOMBONI Carissimo! (gli da la mano) BUVATTA (cava subito un gran fazzoletto colorato e finge di asciugarsi il sudore) Come se suda! TOMBONI (a Buvatta) E cche nove abbiamo? BUVATTA A le sezzione indove sò stato io, eccelente. TOMBONI Molti elettori? BUVATTA A mmijara! Ppiù dde 300 vignaroli ce l’avemo portati in legno io e Falloppa. RIGHETTONE (Senza quelli che cce sò iti da loro!) TOMBONI E incidenti ce ne sono stati? BUVATTA Quarcheduno. A la centunesima sezione... TOMBONI Eh diavolo! direte alla undicesima. BUVATTA Bravo, sí; all’undicesima: me sò sbajato. Ho ddato uno schiaffone a un prete che nun voleva che un amico mio ve votasse a vvoi. TOMBONI Bravo! RIGHETTONE Come ciavete arlevato uno schiaffo? BUVATTA Ma je l’ho ddato io! RIGHETTONE Ah mbè! BUVATTA A la prima sezione... TOMBONI (interrompendolo) Se m’hanno detto che alla prima il seggio non è stato costituito. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 378 28/11/13 12.44 n 1. introduzione 379 BUVATTA Avete raggione. Me so sbajato. Subbito che ‘sta sera nun ce sto cco’ la testa. Volevo dì a la seconna sezione. TOMBONI Ebbene? BUVATTA Ho contrestato quattro schede de Pelacani perché ereno scritte male. TOMBONI Ottimamente. RIGHETTONE Eh ddìteje un po’ quello che vv’è successo a l’ottava sezione? BUVATTA (perduto) Che mm’è ssuccesso? RIGHETTONE Quer carcio ch’avete dato ar prisidente del seggio... Che vve voleveno arestà... BUVATTA (che suda dalla smania) Ah ah ah! Sì: nemmeno me n’aricordavo ppiù. RIGHETTONE Eh mma io no. (A ogni elezzione je succedeno sempre le stesse cose. Armeno cambiasse.) TOMBONI Ma ssiete un vero terremoto. BUVATTA Eh mma caro sor avvocato, si nun se fa accusì, nun se fa gnente. Bisogna esse prepotenti. RIGHETTONE E quanto doveressi esse stanco! Sei palido che ffai pena (invece è rosso: ha una faccia da ubriacone) BUVATTA Ma sfido! me sò arzato, te dico, ‘sta mmatina a le dua e mme so mmesso a ssede adesso. Sto cco’ ‘sto caffè. TOMBONI Poverino! RIGHETTONE (Che sfacciato!) TOMBONI Ma sse riesco, come spero, non avrete a lagnarvi di me. BUVATTA Lo credo, e cce conto! RIGHETTONE (È mmejo che mme ne vadi via, sinnò lo pijo a schiaffi quant’è vvero Ddio!) (si alza) Di dentro arrivano voci d’allegria. TOMBONI Cos’è? SCENA XII Sputarosso, Dentamaro, Tiriralla, Falloppa, Biastimella, Cordalenta, Panzella, Panzabbotta, Crodovera, Crementina, Vittoriona e Detti, seguiti da quattro o cinque suonatori e da molto popolo: alcuni porteranno degli enormi fiaschi a colori inastati, sui quali è scritto a grossi caratteri: «A. Setacci» «A Pelacani» ecc. Le fenestre e le botteghe son piene di gente. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 379 28/11/13 12.44 380 introduzione SPUTAROSSO (entrando per il primo abbraccia e bacia Tomboni) Vittoria, sangue-der-naso! DENTAMARO (c. s.) Vittoria! TOMBONI ( fuor di sé) Sia lode al cielo e alle vostre onorate fatiche! BUVATTA (abbracciando e baciando Tomboni) Lo dicevo io, ciaverebbe scommesso mille scudi che ariusciva! SPUTAROSSO Io nun capo in de li panni! BUVATTA Avemo faticato, se semo ammazzati, è vvero! Ma la sodisfazione è granne! TOMBONI (distribuendo strette di mano e abbracci) Grazie, grazie, amici! SPUTAROSSO Viva l’on. Tomboni! TUTTI Viva! DENTAMARO Viva er deputato der seconno colleggio! TUTTI Viva! SPUTAROSSO Viva er deputato der popolo! TUTTI Viva! DENTAMARO Viva, l’on. Tomboni deputato democratico! TUTTI Viva! SPUTAROSSO (al maestro della sminfia38) Musica, sor Peloso. I musicanti suonano fra le grida dei dimostranti. DENTAMARO Zitti, che’ parla er deputato. TUTTI Zitti! TOMBONI (monta sopra una sedia del caffè, impone silenzio e dice con forza) Elettori del secondo collegio di Roma. Non vi allarmate. Io non vi minaccio un discorso. Qui non siete venuti per ascoltarmi, ma per fare una solenne affermazione. E quale, o signori, quale più grande affermazione della vostra presenza qui, voi che rappresentate tutto quello che il paese offre di più eletto, di più intelligente, di più patriottico? Io però sento il dovere di fare un voto di ringraziamento oltre che a voi, o signori, anche al partito nero il quale con le sue provocazioni, rese oggi possibile l’attuazione di un grave fatto politico, la elezione di tutti uomini come me, provati e liberali, i quali sono riuniti in un solo concetto: Guerra a chiunque farà guerra alla libertà!... TUTTI Viva la libertà! TOMBONI (c. s.) La concordia di oggi, o signori, è un gran bene, ma 38 Ma sminfa: musica strimpellata alla buona; e non sminfia: ragazza pretenziosa, avvenente. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 380 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 381 acciò che questo bene divenga duraturo, sarebbe mio vivo, mio grande desiderio che il fatto d’oggi, o signori, divenisse permanente... TUTTI Viva l’on. Tomboni! Viva el deputato liberale! Viva l’amico del popolo! La confusione è al colmo; e fra le grida di viva alcuni, i capi, si caricano sulle spalle Tomboni e seguiti dai suoni e dai gridi lo portano in trionfo. Musica. RIGHETTONE (dice al caffettiere) Sempre accusì. Chi ppiù sporca la fa ddiventa priore!39 Cala la tela 39 Annotato a margine: «si può omettere questa battuta». Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 381 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 382 28/11/13 12.44 ACCIDENTI A LA PRESCIA! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 383 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 384 28/11/13 12.44 1. introduzione 385 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa (Misc. B.372) conservato nella BA: Nelle Fauste Nozze della gentile signorina Olga De’ Gregori con l’egregio amico signore Augusto Andreoni Giggi Zanazzo bene augurando Offre 24 Ottobre 1898 [Titolo a pag. 1] Accidenti a la prescia! Roma, Officina Tipografica A. Cerroni Santa Maria in Via 3 e 4 Roma. Interventi a penna autografi: – sulla copertina: «Accidenti a la prescia! scenetta in dialetto Romanesco». – sul verso del frontespizio, in corrispondenza della tavola dei personaggi, sono aggiunti, nell’ordine, i nomi delle attrici: «Signora Trucchi Giulia, [Signora] Franchi»; – le didascalie sono sottolineate, perché erroneamente stampate in tondo invece che in corsivo; – correzioni nell’ultima battuta (vedi nota 2). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 385 28/11/13 12.44 386 introduzione Personaggi BARBERA due serve o donne di casa anziane MITIRDE } CRESCENZIO droghiere Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 386 28/11/13 12.44 1. introduzione 387 SCENA UNICA Una piazzetta. A destra la drogheria del sor Crescenzio, a sinistra altri negozi. È giorno. Barbera e Mitirde, poi Crescenzio BARBERA (con la sporta colma ed altri impicci, il mazzetto della trippa compreso, esce dalla bottega del sor Crescenzio e s’ imbatte in Mitirde, anch’essa con la sporta che va attorno a far la spesa. Crescenzio si mette sulla porta a fumare tranquillamente) MITIRDE ( frettolosissima senza fermarsi) Uh sora Barbera! State bbene? Io vado de prescia se vediamo. BARBERA (c. s.) Io puro ‘sta mmatina ciò l’argento vivo sotto li piedi. La prescia d’annà me se divora. Se vederemo con mmijor commido. Addio... (sempre camminando) MITIRDE (c. s.) La salute ggià se vede? BARBERA (c. s.) Nun c’è mmale, grazzie. Voi puro state benone? Addio. MITIRDE (c. s.) Se vedemo... Un saluto a vostra cognata. BARBERA (sostando) A quela pettegola? MITIRDE (c. s.) Come sarebbe? BARBERA (c. s.) Ma dunque nun sapete gnente? MITIRDE (c. s.) Me possi cecà. BARBERA (c. s.) M’arincresce che ho pprescia oggi, ma nun m’ammancherà modo da informavve de tutto. (in atto di camminare) MITIRDE (c. s.) Che me dite! Io casco da le nuvole. Erivio du’ sorelle... BARBERA (c. s.) Si ssapessivo! MITIRDE Eppuro nu’ la credevo donna de cattiva azione! BARBERA (avvicinandosi) No? Beata voi! MITIRDE (c. s.) Ma ddunque l’ha ffatta propio grossa? BARBERA (dimenticando la fretta, posa gli impicci a terra, e si mette le mani sui fianchi) Grossa? v’abbasti a ddì che fra dde noi ce cure ‘na quarela. MITIRDE Saémmole! Una quarela? BARBERA Una quarela! Capite? Doppo che l’ho ttirata su a mmollica a mmollica, annamme a mmette male co’ la madre de lui, cor dije che io m’ero azzardata d’annà ddicenno che quelli pochi sordi che lei s’è mmessi da parte (posando in terra la sporta e accalorando- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 387 28/11/13 12.44 388 introduzione si di più) l’ha ffatti, gnentedemeno! cor fà la rucca-rucca1 ar tempo de li francesi! MITIRDE (interessandosi maggiormente) Acciderba che llingua sacriliga. Dice bbene er proverbbio: «Nun fà mmai bbene che nun averai mai male.» Crescenzio rientra in bottega. BARBERA Ve potete immagginà, fìnché nun furno appurate le cose, la vecchia co’ cche mmutria che mme stava! Un giorno a mmomenti facemio a ccapelli! E ppoi, e ppoi, le collere co’ llui, l’insurti, le pene... le pene! Abbasta quello ch’ho ppassato io in queli ggiorni, nun ve ne curate de sapello. Nu’ lo possino provà nnemmanco li cani! (raccogliendo la sporta) Questo nun è gnente poi; v’avessi d’ariccontà tutto!... M’arincresce che oggi ho propio pprescia! Ma nun m’amancherà mmodo. Se vedemo. (per andare) MITIRDE Eh la lingua, sora Barbera mia, nun cià ll’osso e rompe l’osso... Abbasta io puro ciò ‘na prescia maledetta. Ciò l’esattore che mm’aspetta a ccasa pe’ ppijà la piggione. Saranno le otto? Stateve bbene. (allontanandosi in fretta) BARBERA (allontanandosi anch’essa) Se vediamo. (poi rivolgendosi) A preposito e un saluto a Spiridione. MITIRDE ( fermandosi) Si vvall’a ripija! BARBERA (c. s. meravigliata) Me bburlate? MITIRDE (c. s.) È vvangelo! BARBERA (avvicinandosi con interesse) Ma ccome nun dovevio sposà ppe’ ccarnovale?! MITIRDE (c. s.) Tanto vero che ggià avemio fatto le spubbricazzione in Chiesa... BARBERA (c. s.) E ccom’è ita? MITIRDE (c. s.) M’arioprite una gran piaga, m’arioprite! BARBERA (c. s.) Oh vvarda er diavolo! E ccom’è stato? MITIRDE (c. s.) È stato... è stato... che llui ciaveva moje! BARBERA Spiridione?! MITIRDE Spiridione! BARBERA Ah bboja d’un Spiridionaccio! Tutti lo stesso ‘st’omminacci porchi! 1 Voce eufemistica, parafonica per ruffiana, mezzana. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 388 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 389 CRESCENZIO (viene sulla porta, osserva le donne e ride) MITIRDE Tutti!... ‘Na diecina de giorni prima de lo sposalizzio incivile, m’abbussa er postino. M’affaccio; dico chi è? Dice: una lettra per Mitirda Nasca. Abbasta, scegno, pijo la lettra, me la vado a ffà llegge dar computista der macellaro. Azzeccàtece un po’? Ched’è e cche nun è, era ‘na lettra armonica indove la quale uno che se segnava N. N. me scriveva accusi, accusi, accusì. Insomma che llui ciaveva moje, fiji, e... e’ resto! Eh vve potete immagginà io, sora Barbera mia; si nun morsi d’accidente fu un miracolo. (posando in tera la sporta) Ecchete che llui la sera co’ ‘na faccia de bbajocconi da cinque, siconno er solito, me s’appresenta tutto lillero. Io (mettendosi le mani sui fianchi) de punto in bianco je fo: M’ha scritto tu’ moje, te saluta tanto. BARBERA Che ssangue freddo! Io l’averebbe scannato! Dite, dite. (con interesse) MITIRDE Lui a quanto diventò bbianco come u’ mmorto, e nun c’ebbe corata de risponnemme nemmanco: ‘a’. Infilò er portone e... incora fugge! BARBERA (c. s.) Che mme dite! MITIRDE Abbasta llì pe’ llì, io co’ lo spido, mi’ sorella co’ la scopa, mi’ madre co’ lo stennarello, je curessimo appresso, ma sì vvall’a ripijà! ciaveva l’ala a li piedi! BARBERA Eh ddice bbene er proverbio: «Moje e bbovi de li paesi tovi!» De che nnazzione era, a ppreposito? MITIRDE Era, lo possino scansallo, Cicijano de Catagna. BARBERA Ggià ggente forestiera e ttant’abbasta. A ppreposito e io me ne sto qui, in santa pace?! (raccogliendo la sporta) se vedemo... (per andare) MITIRDE (c. s.) Avete capito che disallusione? Pe’ mme è stato er corpo finale. Era er dodicesimo lui che mme la faceva! D’allora in poi io nun sò stata ppiù io! BARBERA Eh sse vede!... Abbasta, ‘sta vorta propio salutamese pe’ ddavero. Io vado... MITIRDE Io puro. Se vedemo. (allontanandosi tutt’e due in fretta) A preposito, sora Barbera, sora Barbera... BARBERA (voltandosi) Dite presto... MITIRDE (avvicinandosele) Per carità, sapete a chiunque ve lo domannasse, nu’ je state addì gnente, veh? BARBERA De che? Me fa specie, me fa. MITIRDE Capirete doppo quela canzonatura a ffasse puro ride dedietro a le spalle c’è sempre tempo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 389 28/11/13 12.44 390 introduzione BARBERA (ritornando) Eppuro, eppuro. Io ciavevo dato che quello ve canzonava... MITIRDE Ma annate! BARBERA Annate? m’arincresce che oggi ho pprescia; ma un’antra vorta che cciò un’ora disponibbile ve lo dico. MITIRDE E ccome avete fatto? BARBERA A mme? a mme m’abbasta un atto, una guardata... MITIRDE Ma ggià quanno le cose sò successe tutti le sapevano tutti le sanno! BARBERA (avvicinandosi di nuovo a Matilde, offesa) E vvoi nun ce credete! V’aricordate de quer giorno che annassimo assieme co’ vvostra madre e Spiridione in Prati, a ffà mmerenna, all’osteria? MITIRDE Embè, embè? (con interesse) BARBERA Embè, lui, er sor Spiridione, capite, intanto che vvoi v’inchinavio pe’ ppijà le forchettate d’insalata, de sopra a la testa vostra, ce partiva cor famme l’occhietto... MITIRDE Bbrutto bboja! BARBERA ‘Gni tantino, de sotto ar tavolino, me toccava cor piede suo la gamma... MITIRDE Brutto bboja! BARBERA M’acciaccava er detone der piede... MITIRDE Brutto assassino! BARBERA Me dava li pizzichi ar... se capimo! MITIRDE (ingelosita) Eh mma, dico puro voi! BARBERA Che cc’è? MITIRDE Stavve zzitta! BARBERA V’avevo da compromette? MITIRDE Chi nun parla, acconsente. BARBERA Eh ssete matta! Er ppezzo era bello. MITIRDE Sempre mejo der vostro. BARBERA (scanzonata) No, ssapè? MITIRDE A vvoi, però ccome amica, ve stava d’avvisammelo. BARBERA Ve lo volevo avvertì; ma poi stassimo tanto tempo senza vedesse, e mme se levò dda la testa. MITIRDE Scuse magre... Abbasta mò quer ch’è stato è stato e nun ce pensamo ppiù... Che vve sete presa collera? BARBERA Io? Me conoscete poco. MITIRDE Però l’ommini a mme nu’ mme la fanno ppiù. BARBERA Sinnò bbisogna stacce co’ ll’occhi aperti come du’ lenterne, come fo io. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 390 28/11/13 12.44 i o 1. introduzione 391 MITIRDE Io ciò ffatto tanto de crocione! BARBERA Che assassini! MITIRDE Che ccani! CRESCENZIO (entra in bbottega e ne riesce subbito portando seco due sedie. Si avvicina alle due donne dicendo loro) A vvoi, spose, metteteve a ssedé, fateme er piacere. So ddu’ ore che vve vedo discore in piedi e mme fate propio pena. BARBERA Du’ ore?! (meravigliate) MITIRDE Du’ ore?! BARBERA È vvero va, e a mme cche la prescia me se divora? MITIRDE E a mme ppaja. Ch’or’è? CRESCENZIO Mezzoggiorno! BARBERA Furmini e saette! se vedemo. ( fugge a destra) MITIRDE Poveretta me! Addio! ( fugge a sinistra) Pausa. CRESCENZIO (appoggiato alle du’ sedie, dopo aver veduto fuggire le due donnette dice 2) Pe’ ffurtuna che annaveno de fretta! Che la prescia se le divorava! sinnò oggi qui, cce faceveno la muffa! (rientra ridendo in bottega) Accidenti a la prescia! Cala il sipario 2 Aggiunto a penna qui di seguito: «scoppiando dal ridere». Cancellata da qui, con tratti di penna, l’intera battuta fino alla didascalia seguente. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 391 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 392 28/11/13 12.44 ER PIZZARDONE AVVILITO Monologo in dialetto romanesco Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 393 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 394 28/11/13 12.44 1. introduzione 395 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA, Ms 2414. Un quaderno di 6 c., compreso tra 2 carte di guardia, composto da 3 fogli tipo protocollo di diverse dimensioni (mm 321x220) (325x220) (333x220), recanti il marchio, cancellato a penna, del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 338-343: le ultime 2 bianche. Calligrafia autografa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 395 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 396 28/11/13 12.44 1. introduzione 397 MONOLOGO La scena rappresenta una strada qualunque del Trastevere. A sinistra dell’attore un portoncino praticabile ER PIZZARDONE (vestito in bassa tenuta, con una borsa di pelle a tracolla, con in mano un lapis e un libretto di ricevute. Uscirà dal portoncino a sinistra) (imitando la voce di una ragazzina) «Mamma, er monnezzaro è vvienuto a cchiede li sòrdi de la monnezza! Mamma ha bbussato er monnezzaro!...» Ecco l’insurti che ss’avemo da ignottì da quanno cianno fatto er piacere de dacce ‘sta ‘mmazzata mensione d’andà a riscote la tassa de la nettezza urbana!... Ma ccome, dico io, ma ccome, in d’una Roma un milite che ss’arispetta, s’ha dda sentì, da la mmatina a la sera, dà del monnezzaro a ttutto spiano?!... Io nun so qui indove anneremo a ffinì!... Io nun so cche ne penseno ‘sti nostri communisti de la... Mó la dicevo grossa, la dicevo!... Dice ( facendo l’occhietto): «Ma quarche filetto, l’arimediate sempre». Ma cche filetto? Si levi quello de godette, quarche vorta, quarche bber pezzo de... Marcantogna che tte tocca la mano ner datte li sordi!... Come si a Roma li pezzi de... Marcantogne fussero rari! Ce ne sò a mmijara!... (pausa)... Tutte le speranze nostre staveno su ’sto magno reggio commissionario. Speramio che cco ‘sto reggio commissionario ‘sta jella finisse una bbona vorta; speriamo che ‘sto bbenedetto commissionario se mettesse in de li nostri panni e ddicesse: (con autorità) «Abbasta oramai ‘sta storia, che smoralizza tutta un’arma bbenemerita de la città; abbasta ‘sta canizza!» Ma mmanco pe’ ‘na picchia!... Loro hanno da pensà ar carmiere; hanno da pensà a sfrattare da la città ‘ste du’ povere vacche che, doppo tutto, nun danno fastidio a gnisuno... A ccresce el dispendio a li monnezzari e a li scopatori!... Ecco sì a cche hanno da pensà!... Da pensà a pperde er tempo inconcrudente!... Ma a nnoi, a li poveri militi municipali, a ll’arma ppiù bbenemerita de le bbenemerite de la città, de carta che cce penseno!... E ppoi si famo valé li nostri dritti, si ffamo sciopero, ce spuzzeno dar corpo!... Nun sò bboni antro che a commandacce servizzi de piantone de qua, parate de llà... Tutte cose che cce fanno pijà in odio dar fiore de la popolazzione... (cambiando tono di voce) Abbasterebbeno li soli carettieri, e li vetturini, che cce vonno tanto bbene, che er minimo scherzo che cce farebbeno sarebbe quello de mettecce, a uno per uno, un déto in bocca e un antro vicisverza e cce porterebbeno in giro pe’ Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 397 28/11/13 12.44 398 introduzione mmanicotti... (pausa, cambiando tono di voce) E nnotate, che io de tutti li municipali, sò er milite er più ppacioso e er ppiù Giggi1 che sse possi trovà!... Ce credete? In trenta anni che pporto addosso ‘st’onorata indivisa, nun me la sò mmai ammacchiata d’un ètte de... gnente... (ridendo) Accezzione de quarche macchia de vino; perché ddico la verità, er vino me piace forte... E a cchi nun piace er vino?... (cambiando tono di voce) E si oggi me sò ppermesso de favve ‘sto sfogo a quattr’occhi, è pperché so cco’ cchi parlo... si nnò dda la bbocca mia nun ce se pija pesce, nun ce se pija!... E ssi ppoi me ciariscallo un tantino er... diciamo sangue, ce credete? mica è ppe’ la mi’ persona, mica è p’er l’individuvo mio, aibbò! (riscaldandosi gradatamente) È ppe’ l’onore de la indivisa, è ppe’ l’onore der corpo! De tutto er corpo sano, de tutti li militi municipali, la quale sta in d’un modo accusì avvilito, in d’un modo accusì bbuttato ggiù, che ssi ddomani, puta er caso, uno ce strufina un tantinello, pijamo tutti quanti foco come la capoccia de li prosperi!... (toccandosi la sciabola) E allora, chi lo sa?!... Abbasta: siccome dicheno tutti che ‘sto signor reggio commissionario, bontà sua, è una persona tanta a la mano, tanta de bbon core, si li mi’ compagni me danno udienza a mme, la pappa è ffatta! Ciavemo d’annà in commissione cor un bravo pappié, indove la quale ce deveno esse aridunati tutti li bbisogni der corpo... Si ppoi li mi’ compagni nu’ ne vonno sapé dde commissione, ah tte la pianto! Sò ccapace, sò, dde presentammece io solo, e dde dije: «Me la saluta, ‘sta puzzonata d’annà a riscote?»... (rivolgendosi a un tale del pubblico che riderà sgangheratamente) E cche ccapischi che io nun sarebbe bbono de presentamme puro davanti a un soprano, e cco’ la fronte arta, dije: «Questa per san Mucchione, è una inconcrudenza2 che per l’onore del corpo alla quale appartengo, bisogna che ccessi! E ssi nun cessi, suono pronto seduta distante di mettervi in mano le mie dimensioni.3» (sempre a quel tale del pubblico) Eh nun me mette sur punto, ché ttu ppoco me conoschi!... (pausa) (rivolto al pubblico) Indove ero arimasto?... Ah! a le mie dimensioni... (pausa. Si gratta il capo) Già, ddico bbene, già ma ddoppo, quanno je lo [l’ho] date, come se magna? Come se sbatte la scucchia?... (pausa) Ma ssò ppoco Ggiggi a ppijàmmene tanto! È mmejo a nun impicciasse: nun dico bbene? Nun ho raggione? Come se dice: chi vvò Tturchi se l’ammazzi!... (ridendo) Abbasta: nun ce pensamo: annàmmesene a riscote ‘st’antre du’ bbollette, pe’ ssentisse dì a ‘gni scampanellata: (imitando la voce) «Mamma, ecco er monnezzaro!» 1 N. d. A.: cioè a dire il più cretino. N. d. A.: incongruenza. 3 N. d. A.: dimissioni. 2 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 398 28/11/13 12.44 LA FAMIGLIA DE LA CANTANTE Scene della borghesia romana, in tre atti e o Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 399 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 400 28/11/13 12.44 1. introduzione 401 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 40 cc. (mm 332x215), composto da 20 fogli tipo protocollo recanti il marchio, cancellato a penna, del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 288-327: bianche le cc. 296-297, 315. La c. 297 è tagliata a metà longitudinalmente. Testo incolonnato a destra. Calligrafia autografa. Nel faldone è presente un’altra stesura legata immediatamente prima: un quaderno di 30 cc., composto da 15 fogli dello stesso formato e caratteristiche del precedente. I due quaderni sono raccolti tra due carte di guardia: cc.256 e 328. Cc. 257-287: bianche le ultime due cc. A c. 258r: «Epoca presente. Dal II al III atto corrono quattro o cinque anni»; a c. 269r, in alto a sinistra, a matita: «La famiglia de la Cantante»; a c. 285v: «Aprile 1902». Testo incolonnato a destra. Calligrafia autografa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 401 28/11/13 12.44 402 introduzione Personaggi NENA moglie di Paolo BICE loro figlia AGHETA la saputa TETARELLA donna di casa di Mena PAOLO barbiere CESARE suggeritore GREGORIO amante di Bice TADDEO suonatore di corno PROCOPIO maestro di musica CAVALIER CANTINI celebre tenore POMPILIO giornalista IL MARITO della Prima Donna TORCOLO pizzicagnolo, avventore Un ragazzo di bottega Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 402 età anni 50 “ “ 20 “ “ 55 “ “ 18 “ “ 60 “ “ 35 “ “ 25 “ “ 40 “ “ 50 “ “ 30 “ “ 35 “ “ 40 “ “ 45 “ “ 15 28/11/13 12.44 1. introduzione 403 ATTO I Una modesta bottega di barbiere. Specchi, poltrone e tutto l’occorrente all’arte del barbiere. In fondo una porta a vetri che dà sulla strada. A destra una porticina coperta da una portiera che si suppone conduca alla sovrapposta casa del barbiere. SCENA I Paolo, cavaliere Cantini, Torcolo, Marito della prima donna, Cesare suggeritore Al levarsi della tela, Torcolo sarà seduto sulla poltrona in attesa di farsi radere la barba. Il cavaliere Cantini in pelliccia e le mani piene di brillanti seduto leggerà attentamente un libro, facendo ogni tanto una risata ironica e un atto di diniego. Il Marito della prima donna con tutte le tasche gonfie di giornali in grande pelliccia e le mani cariche di brillanti, anch’egli seduto leggerà un giornale. Paolo si accinge a servire Torcolo ma, preoccupato dai discorsi degli altri personaggi, non vi si raccapezza, Cesare è seduto vicino al Marito e fuma. TORCOLO (avrà un pancione di smisurata grandezza, un beretto in testa, e sarà sucido come un pizzicagnolo. Allorché Paolo tutto compreso dell’arte lo lascerà per parlare cogli altri, egli sonnecchierà) Sbrighete, ch’ho pprescia. PAOLO Èccome subbito. TORCOLO È un’ora che me dichi: èccome; e nu’ te movi. (sonnecchia) PAOLO (mettendogli l’asciugamani) Ecco fatto. MARITO (ridendo) Ah, ah questi giornali nun si ponno più leggere. Portare alle stelle quella cagna sfiatata della Ronchetti! Ma allora che cosa si dovrebbe dire di mia moglie? Che artista subblime! Quando stavamo a Pietrobburgo... CESARE Quando, la prima volta? MARITO No, la decima. (mostrando un ritratto che cava dalla tasca del soprabito) Ecco il ritratto di mia moglie. TUTTI (se lo passano di mano in mano, lo guardano ed esclamano per complimento) Bella! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 403 28/11/13 12.44 404 introduzione CESARE ( fra sé) (Ossa ettenercosse1: vera Stuppini de nome e de fatti!) MARITO Dunque quando, come dicevo, eravamo a Pietrobburgo... (seguita a parlar piano con Cesare, il quale farà atti di gran meraviglia) TORCOLO (piano a Paolo) Ma chi è quel marco2? (accenna al Marito ecc.) PAOLO Ché nu’ lo conoscete? Quello è el marito de la celebre Stuppini la prima donna che indove è stata ha rivoltato el mondo. Successi strepitosi! (insapona la faccia a Torcolo) Lui però nun canta... CANTINI Ma quante minchionerie fanno dire a quel povero Dante! Questi commentatori sò uno più bestia dell’altro. Ma se Dio me darà vita, lascia che mi ritiri dall’arte, e poi io lo commenterò, come mai nessuno l’ha saputo fare fino a oggi. PAOLO (lasciando Torcolo) Eh farà bene, cavajere, farà benissimo. Una cosa fatta da lei nun pò che riuscì subblime. È molto che cce studia su la Divina Commedia? CANTINI Dall’ultimo mio viaggio che feci a Lisbona dove ottenni quel successo colossale che tutti sanno... me ricordo che da la sorella del re l’ultima sera, nun me ne potevo liberare... MARITO Come a noi a Mosca l’anno passato. Cantammo così bene, che l’arciduca Sciupaloffe cugino dello zar era lì lì per impazzire, nun me voleva abbraccicare mia moglie per forza? Tanto che me convenne a diglie co’ le bone, che era tempo de finirla. Era delirante. Ma sfido, con un’artista come mia moglie! CESARE Eh cce ne sò poche! PAOLO Doppo la Patti3, io credo... TORCOLO Ma je la fai? PAOLO Vengo. (e non si muove) CANTINI Sicuro è bravissima. Io pure un altro gran successo lo ebbi a Novejorche... MARITO Noi pure a Novejorche... (cavando giornali) CANTINI A Cicago, invece... (stizzito di quelle interruzioni) MARITO A Cicago pure noi. (mostrando altri giornali) CANTINI A Barcellona poi... (freme per le interruzioni del Marito, ecc.) MARITO Anche noi, successi immensi a Barcellona, Valparaiso, Bonossarias, Boston, Patagonia, Cirenaica, San Francisco, Montevideo, California, Alessandria d’Egitto... 1 Storpiatura delle parole del Pater noster: et ne nos inducas in tentationem. Marca o marco, dal nome proprio Marco: per indicare genericamente una persona. 3 Il riferimento è al celebre soprano Adelina Patti (1843-1919). 2 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 404 28/11/13 12.44 ) 1. introduzione 405 PAOLO Tutti paesetti de qui intorno! Ah l’arte che bbella cosa! E pensare che pure noi presto averemo una furtuna simile! MARITO Ah già co’ la vostra Bice. A quando il debbutto? PAOLO Fra ggiorni al Quirino. Anzi adesso sò andati da l’impresario a sentire quando sarà... MARITO (con disprezzo) Al Quirino? CANTINI Con che opera? PAOLO Nel Trovatore4... Eh quella figlia mia cià un grande avvenire. Me lo dicheno tutti. Peccato che Toto, el gran Toto, stia a Pietrobburgo; si no bastava che quell’amicone me j’avesse dato un’attastata e poi ero sicuro de la profezzia! CESARE Eh promette bene assai! ( fra sé) (Si nun se guasta nel cresce!) PAOLO Promette?! Ma si ttanto me dà ttanto, de quella figlia mia ne faremo un’altra Pattarella5! ( fregandosi le mani) CESARE (da sé) (Giusto patatèlla!) TORCOLO Ahó ma la pianti?! Me la fai o nun me la fai ‘sta bbarba? PAOLO (ritornando in sé si avvicina a Torcolo) Èccome. TORCOLO Accidente a tte e a la musica! (sonnecchia) SCENA II Detti, Gregorio GREGORIO (entrerà dalla porticina a destra. Avrà l’aria triste) Sor Paolo, ma Bice dove è andata? Quando tornerà? PAOLO A momenti. GREGORIO È un’ora e più che l’aspetto... Sapete gnente dove potrebbe trovalla? PAOLO Io nun ve lo saprebbe dì. È uscita un momento con Nena... GREGORIO (agitato percorre a grandi passi la bottega, dice fra sé) Nun ce se trova mai! E nun posso mai sapé se dove diavolo va! PAOLO (a Gregorio) Accommodateve un momento; ché staranno minuti a ritornà. GREGORIO (alzando le spalle) Macché!... PAOLO Allora fate come ve pare! GREGORIO È meglio che glie vadi incontro. PAOLO Si tirate dritto p’el Corso, le incontrate de sicuro. 4 Precedente lezione: «Cor Rui-Blasse». Riferimento a una delle tre opere liriche tratte da Ruy Blas, pièce teatrale di Victor Hugo. 5 Allude di nuovo ad Adelina Patti. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 405 28/11/13 12.44 406 introduzione GREGORIO (piano) E me vò dà a intendere che nun sa dove sò andate! (esce dalla vetrina) CESARE Povero colleggiale! PAOLO La gelosia se lo divora. Nun vorebbe che Bice vadi sul teatro. Ma eh che pretensione? MARITO Ma mandatelo a spasso. La donna che abbracci l’arte deve essere libera. Mia moglie, a Brussellese... CANTINI Dice bene. Libera, senza impegni, senza impedimenti, senza famiglia. (canta) Sempre libera degg’io Folleggiar di gioia in gioia!... MARITO Apposta io di figli, nun ne ho voluto sapere. Me ricordo che a Londra, una staggione... PAOLO Veramente sarebbe un bon partito perché è figlio d’un oste padronale, ma... CANTINI (declamando) «Libertà... libbertà, vò cercando ch’è sì ccara!» Dice l’Ariosto. CESARE Ma allora perché nun ciavete el coraggio de diglielo? PAOLO Ah, io nun m’impiccio. Pe’ ste cose ce pensa Nena ch’è ppiù adatta... E quando sarà el momento penserà lei a darglie lo scaccione. CESARE (piano) Doppo che glie se sò mangiati una spalla! MARITO Ma che cos’è un oste, sia pure padronale, a petto dei guadagni, delle risorse, de le gioie che ci procura l’arte? Noi, presempio, ne sappiamo qualche cosa. Mia moglie a Barcellona, in una sera sola si guadagnò ventimila lire, e io il cavalierato dell’ordine di Cristo! CESARE ( fra sé) (Povero Cristo!) CANTINI Io in una stagione nell’America del Nord centomila! L’anno successivo a Monaco... MARITO Nun mi parli de Monaco! Ce facemmo una staggione io e mia moglie, straordinaria. Ritornammo carichi d’oro... PAOLO ( fuori di sé dalla gioia) Me sa mille anni da buttà per aria el rasore e da mandà al diavolo la bottega, el sapone, la codétta! CANTINI E poi le avventure galanti che nun si conteno! Io, ma io, me ne posso contare più di mille che ne ho avute. Reggine, figlie di sovrani, principesse, duchesse, marchese, contesse, baronesse. CESARE (fra sé) (Lavannare, stracciarole!... Pì pì: è un mare a casa mia quando ce piove!) PAOLO (che li sta ad udire estasiato e trascura Torcolo il quale dorme) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 406 28/11/13 12.44 - e e 1. introduzione 407 Bisognerebbe avecce lo stommico, esse ommini de ferro! Peccato ch’io sò vecchio! MARITO (sorridendo) Verità sacrosante! Io stesso, con tutto che ho una moglie, la sera dopo un successo, non mi posso liberare dalle signore: tutte mi vorebbero... A Montevideo presempio una staggione... CESARE (ironicamente alzandosi va alla porta e la spalanca) Paolo mio, si qui nun fai entrà un po’ dd’aria, se schiatta dal gran caldo. ( fra sé) (Le dicheno tante grosse che nun ce n’entreno più!) TORCOLO (la faccia insaponata, russa che è un piacere) CANTINI (si alza e va a richiudere la vetrina.) Per carità ché già sono raffreddato!... Siccome poi aspetto da un momento all’altro un telegramma dal Cairo!... SCENA III Detti, Taddeo, Procopio (dal fondo) PROCOPIO (salutando) Signori, li miei rispetti. MARITO Ciao, maestro! (con aria di protezione) CANTINI (c. s.) Maestro, evviva! CESARE Professore, bongiorno! PROCOPIO (a Paolo) E Bicetta? PAOLO È uscita con Nena. Sò andate a sentì dall’impresario, quando glie tocca finalmente! PROCOPIO Lo sapevo; apposta, dirò così per dire, sono venuto. TADDEO Io lo stesso. (salutando famigliarmente Paolo) Come stai Paolo mio? PAOLO (c. s.) Benone, caro sonatore de corno, e tu? TADDEO Senza chiave in do6. (poi saluta Cesare e si siede vicino a lui) Mentre Paolo, Marito, Procopio, Cantini fingono di proseguire il discorso fra loro, Cesare e Taddeo dicono CESARE (piano a Taddeo) Si sapessi quante n’hanno sparate quelli due! (mostrando Cantini e il Marito della prima d[onna].) M’è toccato d’andà a uprì la vetrina! TADDEO Eh, li conosco! 6 N.d.A.: Senza chiave in do nel gergo dei suonatori significa: senza danari. (La nota è in una seconda stesura del testo, a c. 262v). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 407 28/11/13 12.44 408 introduzione CESARE El marito de la prima donna, poi nun te ne dico! Come si a Roma nu’ lo conoscessimo, da quando faceva l’imbiancatore! TADDEO Dì piuttosto el ciancicòne! Perché s’è fatto sempre mantené da le donne, fin da regazzo. CESARE Già poi sposò la Stuppini, andò a Milano, gliè trovò una scrittura per l’America... TADDEO Ce la mandò sola; e llà trovò quattro signori che se ne invaghirono, e che la rimandarono qua ingrassata come ’na vacca. PROCOPIO Mbè la sapete la novità? CESARE Quale? quella della dote al Costanzi7? TADDEO Una miseria: ottantamila lire! MARITO Che straccioni a questa Roma!... A Pariggi, presempio... PAOLO Dite piuttosto che municipio migragnoso! CANTINI Cose che fanno schifo, come si protegge l’Arte a Roma! Mentre a Pariggi a Londra... TORCOLO (svegliandosi di soprassalto) Ahó ma me la fai ‘sta bbarba? Accidenti a te e a la musica! PAOLO Ma si ddormite ch’è un piacere! (si rimette a far la barba a Torcolo) MARITO È meglio a nun parlarne dei nostri communisti... CANTINI «Non ti curar di lor, ma guarda e passa!» TADDEO E sapete perché è passata in Consiglio? P’er lecchetto d’avé la sera a sbafo el palco a disposizione de quele quattro panze gonfie de vento che vanno a mette in mostra l’importanza loro. SCENA IV Detti, Pompilio POMPILIO (salutando) Signori. MARITO (con importanza) Ciao Pompilio. POMPILIO Tu qui? (si abbracciano) MARITO Come mi vedi, di ritorno da Nova Yorche dove abbiamo ottenuto un successo colossale. POMPILIO E la tua signora? MARITO Si sta riposando sugli allori nella nostra sontuosa villa a San Remo (cavando dalla tasca una cartolina e mostrandola) di cui eccone la fotografia. TUTTI (man mano osservano la fotografia ed esclamano) Bella, magnifica! CANTINI (con dipsrezzo) Nun c’è male! 7 Il teatro Costanzi, oggi Teatro dell’Opera di Roma. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 408 28/11/13 12.44 1. introduzione 409 MARITO Quello che si vede lì sul cancello con quel cane di S. Bernardo sono io! CESARE (piano a Taddeo) Amanca che ce facci vede la fotografia del gatto de casa. PAOLO (complimentoso offre una sedia a Pompilio) S’accomodi, prego. POMPILIO (accettando) Grazie. PAOLO (lasciando Torcolo va a presentare Cantini) Ho l’onore di presentalle el celebre tenore cavaliere Cantini reduce pure lui da li trionfi di Barcellona. (a Cantini) Il signor Pompilio cronista teatrale del Fucile8. CANTINI (dandogli la mano) Fortunatissimo. POMPILIO Il piacere è mio, di conoscere un così provetto artista che fa onore all’Italia. CANTINI (con importanza) Si fa quel che si può! CESARE (piano a Taddeo) (E quello che nun se pò). TADDEO (c. s.) (Ma che pallonari, er cielo li perdoni!) CESARE (c. s.) Ma dì piuttosto che Ddio l’ammazzi! POMPILIO (a Paolo) E questo debutto? PAOLO Una de queste sere, per servilla. Anzi, aspetto Bice con lei, che sò andate da l’impresario per restà d’accordo sul come e sul quando. POMPILIO Allora l’attenderò per saperlo. Voglio avere l’onore di pubblicare l’annuncio sul giornale almeno due giorni prima della rappresentazione. PAOLO Troppo onore! POMPILIO Un dovere. Tanto cara quella ragazza, tanto promettente... PAOLO Bontà sua! POMPILIO Una speranza dell’arte... PAOLO ( fuori di sé) Lo dicheno tutti; ma a sentillo dire da lei... poi... POMPILIO È la verità. Spero che quanti virtuosi qui sono, siano del mio parere. CANTINI Perfettamente. MARITO Siamo d’accordo. Anzi glie profetizzo l’immensi successi ottenuti da mia moglie di cui ecco l’ultimissimo suo ritratto. (lo mostra a tutti) CESARE (piano a Taddeo) Miracolo che incora nun cià fatto vede el ritratto suo! TADDEO (c. s.) Lo tiè pe’ ddoppo. 8 Titolo di giornale che non ha riscontro nei repertori. In una seconda stesura (a c. 264r) presente la variante: Il Pensiero, con probabile allusione a «Il Pensiero di Roma. Giornale politico quotidiano», 1904-1905. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 409 28/11/13 12.44 410 introduzione PAOLO Tutto merito del maestro Procopio là, che ho l’onore di presentarglie. POMPILIO Eh ce conosciamo! (si salutano con Procopio) PROCOPIO Merito mio? Merito, dico così, della ragazza la quale ha studiato con gran trasporto. CESARE (piano a Taddeo) Ce volemo crede? TADDEO (c. s.) E credémece! SCENA V Detti, Bice, Nena, Agheta, Ragazzo di bottega PAOLO (che ha veduto dalla strada avanzare le donne, pianta Torcolo di soprassalto e grida nell’andarle ad incontrare) Ecco loro! CESARE (piano a Taddeo) Questo s’ammattisce quant’è vero el sole! BICE (sarà vestita con civetteria) Signori riveriti. (tutti si alzano e salutano, meno Cesare e Taddeo e Torcolo che dorme) NENA Finalmente gliel’avemo fatta! Doppodomani a sera, debbuttiamo! (con gioia) PAOLO Quando, quando? ( fuori di sé) AGHETA Doppo domani. (con importanza) PAOLO ( fuori di sé) Finalmente! Intanto Pompilio, Cantini, Marito, ecc. circondano Bice molto dappresso e le fanno complimenti e smancerie. Torcolo russa. Cesare e Taddeo parlano fra loro e ridono sardonicamente. Il ragazzino di bottega ogni tanto si mischia agli altri ridendo e prendendo parte alla gioia comune. Paolo, di quando in quando, gli dà uno scapaccione e lo manda via. POMPILIO (a Bice) Allora ve lo annuncerò sul giornale di questa sera. BICE (con civetteria dando la mano a Pompilio) Troppo gentile! POMPILIO Ma che non farei per voi, bella figliuola. (le bacia la mano) CANTINI (a Bice) Dunque, coraggio; dopodomani sii padrona di te stessa. MARITO Franchezza e gnente paura... Mia moglie, a Vienna... BICE Conto sul suggeritore che mi dia bene a tempo li spunti. (mostrando Cesare) Ecco là chi deve fare la forza. Cesare, me raccommando a te. CESARE Ma nun avé pavura; ce penso io. Abbasta che ogni tanto me butti un occhio. NENA Se sa, Cesere mio, che contamo su te! Perché si ‘sta figlia mia spera che glie facci coraggio io, sta male assai. Io già sò nervosa da oggi, figuramose doppo domani a sera! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 410 28/11/13 12.44 1. introduzione 411 AGHETA Ma in quanto a incutéglie coraggio, ci suono qua io, per cristallina! Siamo o nun siamo madre di un’artista? Quando debbuttò mia figlia all’Adriano de Civitavecchia, me feci tutto da me, me la spogliai, me la vestii, glie detti puro li spunti, e a ogni cantata un rosso d’ovo. E grazziaddio è diventata quell’artistona che tutti sanno, per cristallina! E si nun me la sposava quel barone, a quest’ora... CESARE (piano a Taddeo) (Senti pure questa quante ne pianta! Scappò cor un barone quela cagna, e dice che sse l’è sposata; e adesso sta a Milano in una casa... de salute. Senti se dove sta...) (piano all’orecchio di Taddeo) TADDEO (c. s.) (Allora è baronessa co’ parecchi F.!) PAOLO Eppoi nun c’è el nostro carissimo maestro? (mostrando Procopio) PROCOPIO Ma, dirò, c’è obbligo che me lo diciate? Sarà pensiere mio di andare sul palco e di aiutarla, dirò cosí, in quel poco che posso. AGHETA (mettendosi in mezzo) Ed io eziandio... come a mia figlia... PAOLO Insomma noi contamo su l’amici: ne le circostanze se riconoscono quelli proprio veri. Come dice: in manus vostra commendum spiritus meus 9. AGHETA ( frapponendosi) Ma, per cristallina nun ce sono io!... MARITO E a noi, nel caso, ci contate per poco? Eccoce qui per la vita e per la morte. PAOLO (stringendogli con trasporto la mano) Grazie, cavaliere. MARITO Tutto el teatro dopodomani dipenderà da un mio cenno. Già lo tengo in mano. CESARE (piano) Mbù! CANTINI Diventeremo i claqueur d’occasione. E se non ti pagano, non gliela dar vinta! MARITO Danari avanti. Noi, quando la sera quando semo in teatro se l’impresario non ci dà li soldi prima di vestirci, diciamo: «Stasera non si canta!» Una sera a Santiago... sentite questa qui. BICE Insomma io sono nelle vostre mani. MARITO ([...10]) Anzi abbandonateve puro fiduciosa nelle nostre braccia! POMPILIO E dormite tranquilla i vostri dorati sogni. CESARE (piano) (Oh cielo li facioletti!) BICE (sempre con civetteria) Mi rincresce che non saprò mai in che modo riccompensarvi. Ma se mai per combinazione fussi buona... POMPILIO Ma altro che buona! 9 Storpiatura del versetto dei Salmi: In manus tuas commendo spiritum meum. Parola illeggibile. A c. 266v (altra stesura): «con galanteria». 10 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 411 28/11/13 12.44 412 introduzione CANTINI Buonissima! MARITO Superlativamente! CESARE (piano a Taddeo) (Povera fija, quanto la vedo brutta!) TADDEO (c. s.) Co’ tutti ‘sti diavoli che la leccheno tanto, l’anima nun se la salva, davero! BICE Basta, col permesso de lor signori, io mi ritiro su in casa. Vado a ripassare la parte col maestro. PROCOPIO Eh, dirò così, una ripassatina ed anche, dirò così, due non sarebbero fuori di proposito. POMPILIO Verrò a trovarvi domani, se permettete. BICE È il mio padrone! (si danno la mano) NENA Casa nostra per lei è sempre uperta. POMPILIO Troppo gentile! NENA Anzi lei. (si danno la mano) AGHETA (guarda Pompilio e declama con civetteria fra di sé) Quant’è grazioso! CANTINI A domani (c. s.) mia Beatrice! MARITO (con protezione) Ciao Bice e in bocca al lupo! (si salutano) PAOLO Arivederli a tutti e tante grazie. (si salutano) Bice, Nena, Agheta, e Procopio escono dalla porticina a destra. Marito, Cantini, Cesare, Taddeo e Pompilio escono dalla vetrina in fondo11. 11 Segue testo cancellato: SCENA ULTIMA Torcolo, Paolo e Ragazzo (avvedendosi finalmente che Torcolo dorme sempre, lo scuote) Varda questo incora sta qua! E chi se n’era accorto! (scuotendolo) Padron Torcolo, padron Torcolo... TORCOLO (svegliandosi di soprassalto) Eh, chi è?... Ah sei tu? Ma me la fai ‘sta barba, accidenti a te e a la musica? PAOLO Eh da mó che vve l’ho finita. TORCOLO (si tasta il mento, le guance, si specchia) Ah sì è vero... Ma c’è vorsuto ‘sto poco c’è vorsuto. PAOLO SCENA ULTIMA Torcolo e Ragazzo RAGAZZO (rimasto solo con Torcolo che dorme sempre russando come un mantice, fa uno scoppietto di carta, e lo fa scoppiare sotto alla sua poltrona e si nasconde) TORCOLO (si sveglia di soprassalto) Che cciavemo! Chi è?... Quanto salame?... (avvedendosi di essere sempre dal barbiere) Ah Paolo, ma me la fai ‘sta barba? (guarda da per tutto) Nun c’è più gnisuno. (si tasta il mento, le guance, si guarda allo specchio) Ah finalmente me l’ha fatta! Nemmanco me lo credevo... Ma dio me furmini si dentro a ‘sta bottegaccia ce metto più piede!... Basta curemo a bottega (si alza lemme lemme e con tutto comodo se ne va uscendo dalla porta in fondo) Il ragazzo lo segue smascellandosi dalle risa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 412 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 413 SCENA ULTIMA Marito, Paolo, Cantini, Cesare, Taddeo, Pompilio e Torcolo e poi Voce di Nena TORCOLO (svegliandosi di soprassalto) Ah Paolo, ma ‘sta bbarba, me la fai o nun me la fai? PAOLO Ah èccome: me n’ero scordato! Capirai la confusione... eppoi tu ddormi! TORCOLO Ma che tte dormo un accidente? È da stammatina che sto qua drento e a momenti è mezzoggiorno... PAOLO Èccome va: mó famo subbito. TORCOLO No, nu’ me la vojo fà più. (si alza si straccia dal collo l’asciugamano, si leva il sapone dalla faccia) PAOLO Una combinazione! scusa... TORCOLO Che combinazione, combinazione un corno! Sò venti anni che me servo qui, e nun m’è mai successo. Quanno invece de fà er barbiere vòi fà er musicarolo, mettete a sonà er corno e piantela. Accidenti a te e a la musica! (se ne va tutto infuriato) NENA (dalla casa chiama) Paolo, viè su che avemo minestrato. PAOLO Chi se n’importa poi poi! Doppotutto poi nun ho più bisogno de nessuno. Fra poco se ne sapremo riparlà! Vojo fà morì tutti da la rabbia! MARITO Ma sicuro lasciatelo quel pezzente. Siete chiamato ad altri destini!! Andate a pranzo, addio. (esce) CANTINI Altri lidi ti attendono. (esce provando la voce) Pì-pò, pì-pò. CESARE ( fra sé) (Altri fiaschi!) Addio. (esce) TADDEO (c. s.) Altra via crucise. Se vedemo. (esce) POMPILIO Altre fortune! (esce) PAOLO Ma dite bene, dite bene. Me sa mille anni da chiude ‘sta porca bottega! Quanto starò: altri due, tre, quattro mesi, un anno? E poi, poi sarò un signore anch’io; anch’io ritornerò a Roma carico d’oro. NENA (c. s.) Paolo, ma venghi o nun venghi? PAOLO Èccome!... sarò carico d’oro. (e se ne va cantando) Dio dell’oro del mondo signor, Sei potente e risplendente! - (nell’uscire getta a terra due o tre sedie) Cala la tela RAGAZZO Lo diceva Tuta, che ffiniva coll’ammattisse! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 413 28/11/13 12.44 414 introduzione ATTO II Decente camera da pranzo, varie sedie ingombre di vestiti da donna. Da per tutto disordine. Una tavola grande quasi imbandita. Una porticina a sinistra che si suppone conduca nella sottostante bottega; a destra la camera di Bice; altra porta in fondo. SCENA I Tuta sola poi Paolo TUTA (mettendo a sesto la camera) Varda qui sì che spasa de robba! Si ‘sta strega nun se sbriga presto a fà quer c’ha da fà, qua perdemo la testa tutti quanti! Nun c’è requie ní giorno, ní notte, nun c’è! E io vojo seguità a fà ‘sta vita? Eh, si prima se scànneno tutti! PAOLO (dalla sinistra, molto affaccendato; appena entrato poserà un fagotto sulla tavola) Ecco fatta la spesa! E Bicetta s’è alzata? TUTA Sì, se sta a vvestì. PAOLO E Nena? TUTA È uscita puro lei. PAOLO Allora io ritorno un tantino giù a bottega. Si c’è qualche cosa de novo, damme una voce. (esce dalla sinistra e poi torna subito) TUTA Vabbè. PAOLO Dicevo: e el sor Gregorio? TUTA È venuto già du’ vorte; ma io l’ho mannato via. PAOLO (sempre agitato) Hai fatto bene. Quela regazza mó nun sarà padrona nemmeno de dormì. Allora io vado... (esce e poi torna subito) TUTA (a parte) (Ariècchetelo, tiè!) PAOLO (c. s.) Dicevo: hanno portato certi fiaschi de vino? TUTA Sì: ve l’ha mandati el sor Gregorio: l’ho messi de là in cucina. PAOLO Allora... Se semo intesi. (esce e poi torna) TUTA (a parte) (Ma quanno la pianti dico io!) PAOLO (c. s.) Dicevo: appena viè Nena, me l’avverti... TUTA (a parte) (E ciarifà, Ciriàco!) ( forte) Va bene. PAOLO (c. s.) Allora se semo intesi... (se ne va) TUTA Rottadecollo! Madonna santa e ch’edè? Puro questo ce s’ammattisce! Sò du’ giorni che salirà ‘ste scale cento vorte ar minuto!... Pare che l’abbi mozzicato la tarantola... E quer povero fijo der sor Gregorio che fa propio compassione?... Tanto bon regazzo a martrattallo accusì, doppo che je se sò magnati una costa!... Ma già la furtuna nun accàpita antro ch’a le ciovette... Cor cuccù che m’accàpita a me, povera Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 414 28/11/13 12.44 1. introduzione 415 fija de madre!... Adesso la signorina ha da “debbuttane!” che si’ civica!... Io poco me ne rintenno; ma sarà che co’ quela voce de gatta scorticata farà tutto ‘sto furore che dicheno!... Abbasta: come se dice? Da qui ar Bervedé ce curre poco. Me ne vojo fà ‘ste dua de risate!... - SCENA II Detta, Pompilio POMPILIO (dalla sinistra, con un mazzolino di fiori in mano) È permesso? TUTA (a parte) (Ecco ‘st’antro morto de sonno!) ( forte) Favorischi. POMPILIO E la signorina? TUTA Sta in cammera sua a vestisse. POMPILIO (avviandosi verso la camera di Bice) Allora vado a trovarla... TUTA ( fermandolo) Armeno aspetti che je lo vadi prima a avvertì... POMPILIO Voglio farle una sorpresa. TUTA (c. s.) Ma si viè er padre? POMPILIO Ma si me lo ha consigliato lui di farle uno scherzo! TUTA Ah, si ve l’ha detto lui, nun parlo più! (lasciandogli libero il passo) Se servi puro. POMPILIO (socchiude l’uscio della stanza di Bice ed entra dicendo) È permesso? Dall’ interno si ode un grido di sorpresa; poi null’altro. TUTA Quer vecchio de la zugna12 s’è arimbambito pe’ davero. Furtuna che quella se sarà bella che vestita! Ma abbada che l’ho da vede tutte drento a ‘sta casaccia!... Puro aregge li moccoli, me tocca!... E l’innocentina come ce sta!... (si mette ad orecchiare alla porta di Bice) Rideno!... Meno male che l’ha presa in canzona!... Adesso, venisse quer povero sor Gregorio!... (si suona il campanello di casa) SCENA III Detta poi Gregorio TUTA Lupus est in frabbica! Questa è la sonata sua. E mó come me metto? (va ad aprire) GREGORIO Mbè s’è alzata? 12 Parola senza significato che sta per nulla. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 415 28/11/13 12.44 416 introduzione TUTA (imbarazzata) Incora sì... ciovè... incora no... povera fija è ita a letto tardi... GREGORIO Vall’a sveglià, famme el piacere... Ce voglio parlà un’altra volta sola; l’ultima... Poi...poi... lo so io quello che me resta a fà!... TUTA Sì è mejo!... Ma ‘ste cose nu’ le dite nemmeno per da burla... Ce ne sò tante de regazze! Morto un papa se ne fa un antro... GREGORIO (sospirando) Eh, tu dici bene!... Ma quando... Sbrìghete, vaglielo a dì. TUTA (a parte) (E adesso come faccio?... un’idea!) ( forte) A proposito, m’ha detto (adesso che ce penso) mi ha detto el sor Paolo che appena venivio fussivo annato giù a bottega che v’aveva da parlà de premura... (a parte) (Me servirà pe’ pijà tempo!) GREGORIO Sì? Allora intanto che io vado giù tu svejela... TUTA Bravo! E quanno s’è svejata ve viengo a chiama. GREGORIO Ma lesta però. (esce dalla porticina a sinistra) Appena uscito Gregorio s’ode un’altra scampanellata. TUTA Accidèmmoli, oggi me pare er campanello de la mammana! (va ad aprire) SCENA IV Detta, Agheta AGHETA (molto affaccendata, avrà un grande involto che depositerà sopra una sedia. Appena entrata si butterà a sedere) Bongiorno, fija... sò stracca morta!... C’è Bice?... Mena indov’è andata? E Paolo? TUTA C’è antro che Bice de là con quer giornalista. AGHETA (con civetteria) Ah er sor Pompilio? Quel bel giovene?... Indovèllo, indovèllo? (si alza per andare da Bice) TUTA (trattenendola) Anzi, sor’Agheta mia, arivate propio a ciccio de sellero... AGHETA Che c’è? TUTA C’è che la sora Bice se stava a vestì; e quer... quer giornalista j’è entrato de là in cammera, senza dije nì asino nì bestia... AGHETA (declamando) Eh, fija mia, tu nun sai come suono codesti giornalai, suono un puoco franconi; ma bisogna lassalli fare. Abbiamo d’uopo di lui e bisogna chiudere un occhio e magara tutti e dua... Eh io puro con la baronessa mia figlia!... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 416 28/11/13 12.44 1. introduzione 417 TUTA Ma er peggio si è che mentre staveno chiusi de là, è venuto er sor Gregorio... AGHETA Per cristallina! TUTA Già! E io me sò trova proprio brutta, me sò trova! Lui puro la voleva vede... E furtuna che cor una scusa l’ho mannato giù dar sor Pavolo che sò sicura che ppe’ trattenello nu’ j’amanca modo. AGHETA Hai fatto bene. Ora penso io ad avvertilli del pericolo... TUTA Brava, pensatece voi, perché io in certi impicci nun me ciaritrovo. Sbrigateve però perché da un momento all’antro er sor Gregorio ve capita qui. AGHETA (si avvicina alla porta di Bice e guarda dal buco della serratura) Ho pavura di disturballi. Quanti sò cari! Stanno a scherzare innocentemente come du’ piccioncini!... Mi rincresce propio l’importunalli!... TUTA (a parte) (Come sa fà bene la rucca-rucca13!) ( forte) Basta: pensatece voi ché io me ne vado in cucina. (a parte) (Oh che fiandra14 oh che fiandra buscarona!) (se ne va) SCENA V Agheta sola, poi Gregorio AGHETA Veramente nun vorrei che se la pigliassero a male!... Quando siamo gioveni... eh!... (mettendo nuovamente l’occhio al buco della serratura) Adesso stanno a discorre... Quanti sò cari!... Quel sor Pompilio è propio un giovinotto garbato, per cristallina! Nemmeno me lo sarebbe cresa!... Sta a sede tutto composto... Parleranno del debbutto di codesta sera, se vede... GREGORIO (dalla porticina sinistra entra pian piano e tutto sospettoso. Nel veder Agata curiosare alla porta di Bice, si ferma senza farsi vedere da lei) Che diavolo guarderà? AGHETA (curva, sempre con l’occhio alla serratura, in modo che non possa vedere Gregorio che le si avvicina) Guasi guasi entro e li vado avvisare che el sor Gregorio da un momento all’antro pò venì su e agguantalli in fregante crimisi... (ridendo) Ah ecco ch’el sor Pompilio glie fa una ruzza15... Questo, per Cristallina è el momento d’entrà... i 13 Voce eufemistica, parafonica per ruffiano, mezzano. Donna furba, sfrontata, senza molti scrupoli. 15 Scherzo, giuoco, capriccio, ripicca. 14 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 417 28/11/13 12.44 418 introduzione GREGORIO ( furibondo, frenando a stento l’ ira) Sor’Agheta, pare che la scena ve diverta assai?! AGHETA (spaventata oltremodo, all’udire la voce di Gregorio, si alza, slarga le braccia, e ricopre della sua persona la porta di Bice, e dice in preda allo spavento) Voi, sor Gregorio?!... Per carità... Nun è gnente!... uno scherzo innocente!... Nun v’avvicinate, si no succede una catacomba! GREGORIO (fremendo) Voglio vede io puro; n’averò el dritto!... (si collutta con Agata che gli impedisce di entrare) AGHETA (c. s.) Per carità, nun entrate!... Sentite... E poi lo sapete come suono li giornalai?... Spareno, infirzeno!... Fatelo per mamma vostra!... GREGORIO (c. s.) Ma finimola; nun me seccate! (abbraccia Agata, e la fa cadere di peso sopra una sedia, spalanca la porta di Bice) Finalmente! Signora Bice, me rallegro tanto! AGHETA (gridando) Bice, Pompilio, sarvatevi!... Agliuto, Sor Pavolo... Tuta, regazzino... Agliuto! SCENA VI Detti, Bice, Pompilio, poi Paolo, Tuta, e Ragazzo di bottega BICE (confusa, vergognosa) Tu, Gregorio?!... Senti... una combinazione... uno scherzo... GREGORIO (c. s.) Nun so chi me tenga de nun datte quattro schiaffi, brutta ciovetta! POMPILIO ( facendo scudo a Bice) Dico, signore, non dimentichi che lei mi offende! GREGORIO Tanto piacere! Famme dì due parole a ‘sta signorina, e poi sto a disposizione tua. AGHETA (correndo per tutta la stanza, grida come un’aquila) Paolo!... Tuta... Guardie!... Agliuto! qui s’ammazzeno!... (poi abbraccia Gregorio per impedire che inveisca contro Pompilio) Fermo sor Gregorio: pensate che ‘sta sera Bice deve debbuttare; nu’ la spaventate!... GREGORIO (svincolandosi dalle braccia di Agata) No, perdio! me l’hanno da pagà tutt’e due!... (va per slanciarsi contro Pompilio; ma Paolo che è entrato in quel momento, l’afferra per le spalle; intanto Tuta e il Ragazzo di bottega entrano la prima con la scopa, e il secondo con un randello) PAOLO (tenendo fermo Gregorio che cerca di svincolarsi) Cos’è ‘sta robba a casa mia?! BICE ( finge di cader svenuta, sopra una sedia) Dio che spavento! AGHETA (correndo a soccorrerla) Bice, per carità! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 418 28/11/13 12.44 o ! e . - - - a 1. introduzione 419 TUTA (Lo dicevo io che finiva a ognatura16!) BICE Papà, correte, presto; allontanate Gregorio, cacciatelo via!... GREGORIO ( fremente) Me ne vado da me, me ne vado, brutta zozzona! E ringrazia el tu’ ddio che stai a casa tua, se no stasera me la pagavio tutti! POMPILIO (prendendo coraggio dalla venuta degli altri) Imprudente! GREGORIO Mascalzone! POMPILIO Ci vedremo più tardi... GREGORIO Quando te pare, pagliaccio! PAOLO (risoluto respingendo Gregorio verso la porta in fondo) Insomma: andate via da casa mia. GREGORIO Me ne vado, me ne vado, da ‘sta casaccia, indove me vergogno d’averce messo li piedi la prima volta, signor mezzano! PAOLO ( fremente; ma timoroso) A me?! GREGORIO (c. s.) A voi, a vostra moglie, a tutti! Mezzani che altro non sete! Ma v’ho pagato abbastanza, canaglia! (a Pompilio e a Paolo, che sono rimasti sospesi) Quanto a vojaltri ce vedremo con miglior commodo! (esce sbattendo la porta) PAOLO (uscito Gregorio, si fa coraggio, toglie dalle mani del Ragazzo di bottega il randello e finge di volerlo rincorrere) A me mezzano? A me canaglia? Aspetta!... AGHETA (lo trattiene e declama) Ma basta, per carità! Abbiamo piuttosto compassione per questa povera regazza laonde ‘sta sera possa debbuttare!... Tuta, lesta: un poco d’aceto, un goccio di Marsalla... qualche cosa! (Tuta esce) PAOLO (agitato) È un pretesto che ha preso quel mascalzone per fà nasce uno scandolo e spaventamme ‘sta figlia mia!... E c’è riuscito c’è!... (passeggiando per la stanza) E stasera come se fa? POMPILIO Si rimanda il debbutto!... BICE (che sta meglio di prima) Ma si nun occorre! Me sento meglio: nun è stato gnente. Specialmente adesso che me sò levato d’intorno quel nojoso!... PAOLO (c. s.) ‘Sto mascalzone c’è riuscito, c’è! Tanto l’ha detto che l’ha fatto... E adesso come se fa?... E stasera, come se fa? AGHETA (chiamando) Tuta, lesta, co’ quest’aceto, per cristallina!... Ma è mejo che ce vadi io! (si alza ed esce) POMPILIO Ora vado io dall’impresario... 16 Unzione, e più particolarmente il sacramento dell’estrema unzione. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 419 28/11/13 12.44 420 introduzione BICE Ma no no. (supplicando Pompilio) Voi nun uscirete de qui. Quel matto pò stà per strada ad aspettarvi e non sia mai!... POMPILIO (con spavalderia) Ma signorina, lei allora non mi conosce! Ben altri Rodomonti ho messo a posto che il signor Gregorio! PAOLO Si, ma è meglio a nun fà nasce altri scandali! Si se riviè a sapé... nun sia mai!... E ‘sta sera, questa figlia mia, deve debbuttà!... (c. s.) E adesso come se fa?... (al Ragazzo) Va giù, e senza fatte vede, guarda per strada si quel mascalzone se ne è andato! RAGAZZO Subito. (esce dalla sinistra) AGHETA (con un bicchiere nel quale sta frullando un rosso d’uovo) Bicetta mia, mandete giù cotesto torsolo d’uovo sbattuto, e te sentirai meglio... BICE (bevendo a sorsi l’uovo) Adesso è passato... Lì per lì, se capisce, m’ha fatto un po’ di cosa... Ma adesso, nun è più gnente. Anzi, ve l’ho già detto, nun me pare vero, d’esseme levato d’intorno quell’impiastro. AGHETA Speriamo che ti sentirai sempre meglio, laonde questa sera possi cantare... In del caso poi che non potessi, se fa una striscia de carta indove la quale ce se mette stampato: «Per disposizione della prima donna assoluta, la rippresentazione che aveva loco ‘sta sera serà rimandata a domani». Eh io suono pratica l’abbiamo fatto tante volte per la baronessa mia figlia!... POMPILIO Sicuro: si vede che lei è pratica! AGHETA (con importanza) Eh, per cristallina, altre buriane abbiamo superate! PAOLO (con premura) Bicetta, come te senti? BICE Ma si me sento bene! PAOLO Ma varda el diavolaccio!... E ‘sta sera a pensà che devi andà in scena!... E si te fussi calata la voce?... Prova un po’ a fà du’ vocalizzi... BICE Ma doppo quando viè el maestro ce proverò. Quanto sete nojoso puro voi! AGHETA Sicuro: è meglio attendere un altro puoco. RAGAZZO (dalla bottega, grida) Sor Paolo, potete puro scegne che quer marco se n’è ito! PAOLO Allora io vado che devo dà un zompo al Quirino, a comprà li biglietti per ‘sta sera... E Nena, che nun se vede? AGHETA Bravo, andate ché a Bicetta glie facciamo compagnia io e il signor giornalaio. PAOLO Grazie. Anzi si el sor Pompilio oggi volesse restare a fà penitenza con noi ci onorerebbe. BICE Uh davero! Resti, resti... (con uno sguardo dolce) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 420 28/11/13 12.44 . a l 1. introduzione 421 AGHETA Ce facci questo onore! (piano a Bice) (Famelo restà sinnò questo se va a sbatte!) BICE (a Pompilio c. s.) Dunque ce lo fa questo regalo? POMPILIO Poiché lo volete assolutamente, accetterò. PAOLO (stringendogli la mano) Grazie dell’onore! Allora io vado!... (a parte) Ma guarda che combinazione!... E si nun sia mai detto... stasera come se farebbe? (esce e poi ritorna subito) Ma dicevo, Bicetta, te senti proprio bene davero? BICE (spazientita) Ma si ve dico de sì, davero che sete proprio nojoso! PAOLO Va bene, va bene. Li miei rispetti. (saluta Pompilio ed esce dalla sinistra) SCENA VII Detti meno Paolo AGHETA Oh adesso, regazzi miei, che il pericolo è passato, fate come se io nun ce fussi: parlate quanto ve pare, discorrete... Insomma: fate el commido vostro... In quanto a me, fino ad ora mi suono fatta coraggio; ma la tremarella me la sento incora... Un altro spavento del medemo calibro e di me nun se ne parla più: suono decessa... Quello che è certo, è che quel signorino la scena l’aveva promeditata da glieri, laonde fare avere un aresto di sangue a questa povera figlia, e metterla in posizione di non poter cantare... Ma per furtuna mi ci suono trovata io, ed abbiamo deviato l’uragano. POMPILIO Eh certamente, se nun eravate voi che mi tenevate fermo, la cosa finiva male... AGHETA Altro che male! finiva, ve lo dico io, finiva in una catacombe di morti, in un vero macello!... Eh, nun ve conoscessi a voglialtri giornalagli, come la pensate! Abbasta che prendete e infilzate indove ve capita, è tutto el piacere vostro! POMPILIO Oh ma un duello ormai è inevitabile... BICE Ma che duello, con quel villano!... POMPILIO Allora lo schiaffeggerò dove lo trovo. AGHETA Speriamo che nun l’incontrerete mai più! (alzandosi) Abbasta, regazzi miei, compremesso un tantino. Io vado un momento in cucina; ché Tuta è uscita. Giudizio, veh (con malizia. Ed esce) BICE (a Pompilio) Avete capito? Me lo dovete promette. POMPILIO Che cosa? BICE Che non lo anderete a cercare. POMPILIO Ma l’onore me lo vieta... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 421 28/11/13 12.44 422 introduzione BICE Ed io ve lo permetto. POMPILIO Ma quanto siete crudele!... BICE Me date la vostra parola? POMPILIO Ma nun posso... BICE (in collera) Ah nun lo potete? Siete deciso? Allora... POMPILIO Allora, che cosa?... E se vi obbedissi? BICE Mi fareste felice... e... POMPILIO E... me ne dareste un pegno? BICE Se ne potrebbe parlare... POMPILIO No: lo vorrei subito... BICE E in che cosa consisterebbe questo pegno? POMPILIO In un bacio... BICE (civettuola) Cattivello! Ma non sta bene!... POMPILIO Su via!... (mentre si abbracciano e si stanno quasi per baciare entra improvvisamente Tuta, dalla sinistra) SCENA VIII Detti, Tuta, poi Nena TUTA (dalla sinistra, con una bottiglia di Marsala. Finge di non accorgersi di ciò che succede. Tossisce forte) Sora Bice, ‘sta bottija de Marsalla, ve la manna vostro padre pe’ ‘sta sera. BICE (rimettendosi dalla sorpresa) Ah va bene. Mettela lì sopra a la tavola. TUTA (posa la bottiglia e se ne va via dal fondo, dicendo) (Ammappela che core!) POMPILIO Accidenti a li seccatori! BICE (con civetteria) È segno che non ve lo meritate! POMPILIO Ah sì?! (si mette a correre dietro a Bice; nel momento che sta per abbracciarla entra) NENA (a parte, dice) (Maledizione!) ( fingendo di non avvedersi, tossisce. Avrà un grosso involto che deporrà sopra una sedia. Saluta Pompilio) Uh chi se vede, lei! (poi a Bice con premura) Bice, ma ch’è stato? Chi è rimasto ferito?... Come sei pallida!... Io nun ciò più sangue ne le vene. Insomma Bice, racconteme ch’è successo?... POMPILIO Ma che ferito! Chi glielo ha detto? NENA Giù a bottega. BICE (ridendo) Ma una de le solite scene de gelosia de quel matto! Nun è stato gnente. NENA Tanto quel signorino l’ha voluta fà prima del debbutto!... E tu, come te senti?... A rischio de nun fatte più debbuttà... Dì come te senti. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 422 28/11/13 12.44 , 1. introduzione 423 BICE Meglio de jeri: specialmente adesso che me sò libberata da quel matto furioso. NENA Che spavento che ho avuto! Chi lo sa che me credevo! POMPILIO Una sciocchezza, un piccolo alterco... NENA Ah ce s’è trovato puro lei? Me racconti, me racconti... SCENA IX Detti, Agheta AGHETA (entra dal fondo, frullando un torlo d’uovo in un bicchiere) Zitti che glielo voglio ariccontare io, che me sò trova al fatto dal comincio fino al sinenta. NENA Ah meno male che, per furtuna, ve ce sete trovata voi, sor Agheta mia. AGHETA (con importanza) Ah si ve la piantavo? E si nun ero io a quest’ora averessivo trovato un macello! BICE (a Pompilio) Adesso, figuriamoce, ce mette un secolo a raccontarglielo. È meglio che ce n’andiamo. (a Nena) Mammà, io me ne vado a ripassà la parte... POMPILIO E io, se permettete, vado a tenerle compagnia... NENA Anzi me fa un onore! Pompilio e Bice escono dalla destra. Poco dopo si ode un lieve accordo di pianoforte. AGHETA (disponendosi a raccontare, sempre frullando l’ovo) Dunque io, sora Nena, di ritorno da la sora Cammilla, la Fighetta, che m’ha imprestato quel paro de guanti bianchi longhi tutto el braccio per questa sera per Bicetta nostra; avevo appena picchiettato all’uscio de la porta vostra, che la Tuta, tutta scontrafatta in volto, è venuta a uprimme dicendomi: Accusì, accusì: Bice, sta in cammera sua col giornalaio... NENA Col sor Pompilio? AGHETA Quel caro giovine! Sì: c’era entrato un momento, col premesso paterno, laonde farglie uno schelzo. Cose da regazzi!... (sempre frullando l’uovo) allorché in quel momento sopraggiunge Gregorio, con una faccia tutta inalterata, e sora Nena mia, òprete cielo! Uprì la porta de Bice, entrare, sorprendelli in fregante crimisi, fu un istante, un soffio, un nulla!... NENA Che combinazione! Manco a farlo apposta! AGHETA Io, sora Nena mia, che conosco li giornalai come suono de Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 423 28/11/13 12.44 424 introduzione primo impito, me te butto addosso a Gregorio onde trattenerlo, e incomincio a strillare: «Agliuto, agliuto!» NENA (con interesse) Ma varda un po’! AGHETA Ècchete che in quel mentre corre su Pavolo che per furtuna viene a darme man forte: tutte e dua ci precipitiamo allora su quel forsenato e, doppo una lotta furibbionda a corpo a corpo, te l’abbiamo messo fora de la porta! Avessivo inteso, però, quella bocca quante improperie ha dette: mezzani, canaja eccetra eccetra. NENA Figuramese Bice! AGHETA Gnente: quela regazza è de fero: è una vera artista! Lì per lì sì, ma poi, cor un torsolo d’uovo che gliò fatto madare giù, s’è subbitamente rimessa... Insomma: si nun me ce trovavo io, oggi qui succedeva un macello, un massacro, una Casamicciola!17 NENA Che vergogna!... Tanto l’ha detto che l’ha fatto!... E Bice? AGHETA Ve l’ho detto: nun è più gnente. Male che passa. Tant’è vero che momenti fa stava a schelzare col sor Pompilio... Ve dico, che si nun ero io, per cristallina!... NENA Eh ce credo, e ve ringrazio tanto. AGHETA E de che? de la carrozza!... Mó a Bice je fo ingozzare ‘st’antro rosso d’ovo, e tocca la viola18! (esce chiamando) Bicetta, Bicetta! SCENA X Nena sola poi Agheta NENA Croce e chiodi! Nun se pò stà un momento tranquilli... Ma ringraziamo Iddio, che se semo levati d’intorno quel matto furioso!... (scioglie l’ involto che ha portato seco, e ne cava fuori un abito di seta celeste) ‘St’abbito me lo sò fatto affittà da la rigattiera: trenta lire per poche sere!... Se ne fanno de sacrifizi! (guardandolo) Ma è bello, proprio bello! Ce deve fà uno spicco Bice mia... Che Leonora sarà ‘sta sera, che Leonora!... AGHETA (tornando con il bicchiere vuoto) Se l’è mandato giù, come un giuramento farso, e ha messo dei colori che ce se posseno accendere li prosperi!... (vedendo l’abito che ha in mano Nena) Uh, che bell’abbito! NENA È vero? 17 Allusione al terremoto del 28 luglio 1883 che distrusse completamente Casamicciola (Ischia). 18 E basta. L’espressione usata anche da Belli (Ar zor Lello Scini, nota 1) era la formula conclusiva di alcuni giochi di bambini. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 424 28/11/13 12.44 1. introduzione AGHETA (prendendo l’abito e osservandolo bene) È una magnificenzia!... Me pare quello che portava la prima sera quella figlia mia! (sospirando) Eh figlia, figlia!... Sapete che figura che cce farà stasera Bice quando se lo metterà!... (nel trasposto, canta) Eleonora, addio! Eleonora, addio! NENA (cavando dall’ involto un diadema, e una cintura di pietre false) Poi, me sò fatta prestà queste gioglie de la fija de la Baffuta, che ha cantato el Trovatore l’an passato. AGHETA Puro ‘sto diadema e ‘sta cinta, sono magnifiche!... Insomma: nu’ glie mancherà gnente... Sarà la meglio vestita de tutti quanti l’altri artisti. (canta di nuovo tragicamente e stonatamente) Non ti scordar di me, non ti scordar di me!... n - 425 SCENA XI Dette, Paolo, poi Tuta PAOLO (dalla sinistra, recando un panierino pieno di uova) E Bice, come sta? AGHETA (abbracciando il signor Paolo) Benone! Sta de là a ripassasse la parte; cià la voce più suonora di prima. PAOLO Ringrazziamo Iddio! Ecco l’ova pe’ ‘sta sera. Sò fresche vive... AGHETA (prendendo il paniere) Questa è una riccompensa che tocca a me. Stasera se l’ha da ingogliare tutte quante, per cristallina! PAOLO (a Nena) T’hanno riccontato?... NENA So tutto, so tutto... Meno male ch’è finita bene! PAOLO (osservando l’abito e il diadema) Belli! proprio belli. Tutta robba per Bice? AGHETA Tutta. NENA Costa cara; ma in certi casi... PAOLO Ma sicuro! In certi casi stai a badà a scudo più e scudo meno... Ho fatto più de cento scudi de buffi!... Hanno da crepà tutti da l’invidia... A proposito, quando se mangia quel boccone? Amanca poco a mezzoggiorno... NENA La tavola è guasi apparecchiata... Adesso la finimo. (chiama) Tuta, Tutaa!... PAOLO E famo le cose per bene; ché oggi ciavemo a pranzo puro el sor Pompilio, oltre a Cesere el soffione, e al maestro Procopio... (affaccen- Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 425 28/11/13 12.44 426 introduzione dato) Allora io vado da Torcolo a pijà du’ fette de preciutto. Ritorno subbito. (esce dalla sinistra) TUTA (dalla porta in fondo. A Nena) Che volevio? NENA Che finisci d’ammannì la tavola. TUTA Subbito. (da ora in poi si occuperà della tavola uscendo e tornando a piacere) AGHETA Je la volemo fà misurare ora ‘sta robba? NENA No, no: viè a ttempo oggi doppo pranzo. Intanto l’abbito je deve stà un pennello. La regazza che l’ha portato era de la medesima statura de Bice mia. AGHETA Meglio accusì. Date qua, ché la vado a ripone. (tutta in faccende, prende l’ involti, li porta via, poi torna) Si nun succedeva ‘sto piccolo accidente de’ stamane, sarebbe andato tutto a vele gonfie. (dalla porta a sinistra si sente rumore di gente che viene) NENA Ecco gente che viene. Me raccommando: nun dimo gnente de tutto quello ch’è successo ‘sta matina. AGHETA Me faccio maraviglia! SCENA XII Dette, Cesare e Procopio PROCOPIO (tutto complimentoso) È permesso? NENA Favorite. Bongiorno maestro, bongiorno Cesere. CESARE Bongiorno, sora Nena e la compagnia. AGHETA Li miei assequi. PROCOPIO E la nostra artista? NENA Sta de là a ripassasse la parte. PROCOPIO Eh c’è tempo. Oggi la proveremo, dico così per dire, un altro paglio di volte. AGHETA Eh ma lo sapete come suono le vere artiste, nun suono mai assoddisfatte! E nun hanno torto. Come dice? Melius est abbondanzio quamm’este indificile. CESARE E Paolo? NENA Sta a momenti. (a Tuta) Tuta, hai messo la pasta? TUTA Mó la vado a bbuttà giù. NENA Mbè, sbrigàmose. AGHETA (tutta in faccende, dà sesto alla roba, sgombra le sedie, aiuta Tuta a preparare la tavola) Me sa mille anni a questa sera! NENA Figurateve chi ve sente! Io ciò el core che me sbatte come una tamburella. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 426 28/11/13 12.44 - o a 1. introduzione 427 AGHETA (con grande importanza) Gnente pavura, sora Nena. Coraggio, ce siamo qua noi! SCENA XIII Detti, Paolo poi Bice, Pompilio e Tuta PAOLO (dalla sinistra con un involto in mano) Ecco el preciutto... Uh, guarda chi se vede! Benvenuto maestro, Cesere evviva! CESARE Evviva noi! PROCOPIO Eccoce qua, dirò così per dire! PAOLO Tutto pronto? (a Tuta) E Bicetta? (intanto prende un piatto e vi dispone il presciutto) NENA (chiamando) Bice, Bice, venite a pranzo. AGHETA Eccoli. BICE (entrerà a braccetto di Pompilio) Bongiorno. POMPILIO (salutando, stringendo la mano a tutti) Bongiorno, signori! TUTTI Bongiorno. CESARE (a Procopio piano) (Volevo dì che nun c’era, el cane! Co’ quele batoste de stammatina!) PROCOPIO (piano a Cesare) (Pare che non se ne sieno presi affatto). AGHETA Avanti, prendino posto, signori... Bice, accanto al signor Pompilio, qua io, qua el maestro, appresso Nena, qua er sor Pavolo e appresso al sor Pavolo el sor Cesare. (tutti prendono i loro posti) AGHETA (offrendo l’affettato a Pompilio) Tiri lei... POMPILIO (passando il piatto a Bice) Non lo posso permettere, prima alla signorina. NENA (a Pompilio) Ma se servi prima lei... Sa, ce compatirà, se non abbiamo fatto gnente de straordinario; gradirà, si nun altro, el piatto de bona cera19. POMPILIO Ma così va benissimo. E così mi piace. PAOLO L’onore che cià fatto è grande, e meritava qualche cosa de meglio... Ma con questa confusione ce compatirà... (a Procopio) Tirate, maestro, sèrvete, Cesere... POMPILIO Per carità, nun facciamo complimenti. PROCOPIO (a Paolo dopo essersi servito) Grazie. CESARE Bono ‘sto preciutto! PAOLO Veramente avevo invitato pure el tenore, cavajer Cantini e el 19 Un piatto offerto con il cuore. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 427 28/11/13 12.44 428 introduzione marito de la prima donna; ma hanno detto che nun potendo, sarebbero venuti a bere un bicchiere più tardi. NENA Speriamo che nun amanchino a la promessa. CESARE Ah per venì, vengono; me l’hanno detto poco fa. TUTA (dal fondo, con un gran piatto di maccheroni) Ecco li maccaroni! PAOLO Evviva li maccaroni! AGHETA (sempre in grandi faccende, mentre mangia a quattro ganasce e beve come un otre, si alza continuamente per cambiare i piatti, mescere il vino. Avrà sempre grandi premure per Pompilio al quale farà l’occhio dolce; dirà ogni tanto piano) (Quant’è grazioso!) NENA (a Pompilio) A preposito, nun ciò pensato: glie piaceno, sor Pompilio, li maccaroni? POMPILIO Sono la mia passione, il mio pasto favorito! (si serve, avendo cura di servire prima Bice, a cui durante il pranzo farà mille galanterie) Poi successivamente tutti gli altri si servono i maccheroni. Scena a soggetto durante la quale si diranno le rituali parole: – Grazie! – Tiri lei. – Ma tiri lei. – Se servi! – Tira. – Bevi. – Bevete. – Grazie! ecc. ecc. PROCOPIO Speriamo che questa sera, dirò così per dire, sia una serata memorabilissima. AGHETA Sicuro: memorabbilissima negli animali20 dell’arte! Tutti ridono. POMPILIO (smascellandosi dalle risa) Benissimo: brava, signora Agata! AGHETA Che non mi suono forse ‘spremuta bene? CESARE (a parte) (Te possino!...) 20 N.d.A.: annali. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 428 28/11/13 12.44 1. introduzione 429 POMPILIO Anzi ammiro il vostro sapere! AGHETA (prendendo sul serio il complimento) Troppo onore! CESARE (c. s.) (Quant’è somara!) Tuta intanto va e viene portando le altre vivande mentre, come ho già avvertito, Agata si alza continuamente a cambiare i piatti, versare il vino ecc. Scena mossa, altrimenti mancherebbe di effetto e di vivacità. PROCOPIO El tenore, veramente, dirò così per dire, me mette un po’ in pensiere; no che nun abbia voce, perché anzi ha molti nummeri; ma secondo me nun è, dirò così per dire, abbastanza padrone della scena, né della sua parte. AGHETA Ma ce penserà Bice a strascinasselo seco appresso, e a metteglie spirito, per cristallina! BICE Ma se io potrò appena appena pensare a me. AGHETA E via, fra cucchieri ‘ste frustate? Nun te conoscessi! Tu, figlia, ciai cento spiriti come li gatti! POMPILIO È vero, è vero. PAOLO Basta: auguriamose bene. Si seguita a mangiare. Scena a soggetto. BICE Mammà, a proposito, avete portato tutti quelli biglietti miei da visita a li giornali? NENA Appena uscita da casa è stato el primo pensiero: sei matta?! Sò stata a la Tribbuna, al Giornale d’Italia, all’Avanti, all’Osservatore Romano, a la Vita, al Signor Pubblico e al Messaggero. Anzi al Messaggero ciò trovato proprio el cronista teatrale, la quale mi ha detto: ‘Sta sera averò l’onore di conoscere la signorina sua figlia in cammerino... POMPILIO (con importanza) ‘Sta sera penserò io a presentare alla signorina tutta la stampa di Roma, a cui già l’ho raccomandata calorosamente. AGHETA Che bellezza! Questa sera, el palco osceno e el cammerino de Bice nostra sarà un giardinetto! PAOLO A proposito de giardino (intanto qui fra noi se può dire) ho ordinato un gran canestro e un mazzo de fiori, che te lo offriranno doppo la romanza... AGHETA (già brilla) Che magnificenzia! Bice mia, io vorei essere te per questa sola serata! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 429 28/11/13 12.44 430 introduzione POMPILIO Anch’io, come era mio dovere, ho pensato ai fiori. Vedrete che non ne avremo penuria. BICE Sempre compito! AGHETA Da vero Cavajere della Rotonda. CESARE (a parte) (Si, e del Panteònne!) POMPILIO Un dovere, un sacrosanto dovere! PAOLO Facciamo un brindisi a la salute nostra, e al prossimo trionfo della prima donna! Agata va in giro mescendo a tutti da bere. TUTTI (levando i bicchieri) Alla salute, al trionfo di Bice! AGHETA Viva la grande artista! TUTTI Evviva! SCENA ULTIMA Detti, Marito della prima donna, cav.re Cantini, e Taddeo Entrano tutti dalla sinistra. CANTINI È permesso? MARITO Nun v’incommodate prego! PAOLO Viva el celebbre cavajer Cantini! TUTTI Viva! CANTINI Grazie, grazie! MARITO Ciao Pompilio, ciao maestro, ciao Bice, sora Nena e Agheta vi saluto. AGHETA (traballando, si alza, offre le sedie, poi i bicchieri e verserà loro da bere) CANTINI (a Bice) Ebbene, come si porta la nostra futura prima donna? BICE Bene, grazie! TADDEO (piano a Cesare, vicino al quale si sarà seduto) (Pare che de la buriana de stammatina nun se n’è preso nessuno? Specialmente la sora Bice?) CESARE (piano a Taddeo) (Che vòi che se piji quela regazza che invece del core ce doverebbe avé un sercio). PAOLO A proposito, chi ha bisogno de li biglietti per questa sera? MARITO (con importanza) Io già n’averò dispensati cento, a spese mie. Così siamo fatti noi! (pavoneggiandosi) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 430 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 431 CANTINI Anch’io, modestia a parte, ho fatto el mio dovere. PAOLO (commosso) Ecco li veri amici!... Ma, dico, si alle volte ve ne servisse qualcun’altro... MARITO Già, può essere, non dite male. Date qui. (prende da Paolo parecchi biglietti e l’ intasca) CANTINI (c. s.) Anch’io allora ne accetto qualched’uno. TADDEO (a Paolo) Qund’è accusì, dammene un paro pure a me. PAOLO Eccoteli qua. E m’ariccommando de sbatte forte le mano! MARITO Lassate fare a noi... TADDEO Semo pratichi! AGHETA (c. s.) Ah nun vedo l’ora che venghi ’sta sera! CANTINI (levando in alto il bicchiere) Alla vittoria di questa sera. TUTTI (si alzano e toccano i bicchieri) Alla vittoria! MARITO (c. s.) All’arte de Melpomeno e de Talia! TUTTI (c. s.) Evviva! POMPILIO (c. s.) Augurandoci di trovarci qui domani a solennizzare il trionfo della signorina Bice. PAOLO Sicuro. Allora domani, resto inteso. Tutti a pranzo qui da me per onorare la futura artista. AGHETA E potete dirlo forte, perché Bicetta c’è nata artista; come me che ciavevo una voce, una voce fienomenale! Si io avessi studiato, a quest’ora, a quest’ora!... TADDEO (a parte) (L’averebbeno ammazzata!) PAOLO Anche noi lo stesso. C’era Nena che, da regazza, ciaveva una voce che a casa, quando cantava, la gente de sotto ce se fermava a bocca uperta accusì! (riunendo le cinque dita della mano dritta) È vero Nena? NENA Altro che! Accusì avessi studiato!... Tutti de casa siamo nati artisti. C’è Pio, quel figlio mio che me fa el soldato, che l’hanno messo in orchestra a sonà la catubba 21. PAOLO Eh sí è vero, semo nati tutti artisti. Io presempio da giovinotto, al dì de parecchi maestri con tanto de stivali, ciavevo una bona imboccatura pel trombone! AGHETA È vero: tutti artisti. Perfino ciavete el regazzino de bottega che sòna la ghitarra, e Tuta, la serva, la tamburella. MARITO (con grande importanza) Eh, dite bene, artisti ce se nasce o niente. Mia moglie, presempio a Vascintonne... 21 Grancassa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 431 28/11/13 12.44 432 introduzione CANTINI (interrompendolo) L’arte si succhia col latte! MARITO (c. s.) Eh già, in arte libertasse! dice quello. AGHETA (fuori di sé dalla commozione per il gran vino bevuto) Chi vorrà vedere ‘sta sera Bicetta nostra vestita da Leonora, cantare: Al suon delle preci NENA (c. s.) Solenne in quest’ora! PAOLO (c. s.) Ah, che la morte ogn’ora! È tarda nel venire... MARITO (c. s.) Non ti scordar di me!... CANTINI (c. s.) Non ti scordar di me! Eleonora addio, Addio addio. TUTTI (c. s. in coro) Al suon delle preci, Solenne in quest’ora! Insomma: tutti alticci dal vino cantano qualche pezzo del Trovatore a piacere, stonando maledettamente; meno Cesare e Taddeo che inorriditi si turano le orecchie. Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 432 28/11/13 12.44 1. introduzione 433 ATTO III Una stireria con tutto l’occorrente. Le stiratrici si finge che, essendo domenica, riposino. In fondo una vetrina che dà sulla strada. A sinistra una porta. SCENA I Nena e Agheta NENA (vestita dimessamente sta seduta vicino ad Agheta e cuce) Eh, oggi mi sento accusì infastidita che nun riccapezzo manco a lavorà... AGHETA (anch’essa seduta, con gli occhiali; lavorando di calza) Tutt’affetto dell’antimosferia: noi, o meglio l’organesimo nostro, va cor tempo come l’orloggi... NENA Eh, altro ch’el tempo, sor’Agheta mia, sò li dispiaceri... sò... AGHETA Sì anche quelli infruvenzischeno... NENA Chi cce l’avesse detto doppo tante speranze, a finì come semo finiti! A momenti sò sei anni da quella ammazzata sera... AGHETA Come passa el tempo: a me mi sembra glieri che facemio tutti quelli sogni indorati! E mi’ figlia va per li dieci anni! NENA Quella maledetta sera gliela tirarono proprio forte a quella figlia mia!... AGHETA Ma se comprende! Quel forsenato del sor Gregorio, se vede che aveva comprato tutto el teatro, laonde vendicarsi, e ci riuscì... NENA Eh, m’abbadi a lui; perché si l’incontro, bella che donna! AGHETA Ah dunque nun l’avete più visto da quella sera? NENA Nun cià avuto faccia: s’è condannato da sé... AGHETA Se capisce; e da ciò se ne introduce che l’amico Cerasa 22 è stato lui! NENA Capisco che quella sera andò tutto a rottadecollo. AGHETA Tutto andò all’unìsino! Dal direttore d’orchestro [sic] all’ultimo coristo [sic]. Tenore, contratto, bariteno, basso... Tutti! Fu un vero catechissimo. NENA Parse una cosa fatta appositamente: fu un disastro, un vero disastro! AGHETA Per antro, l’unico che se la cavò, fu il sovrano. Tanto vero che quando se decise da entrare in d’una compagnia d’operette, come l’in22 Verme delle ciliege, si usa genericamente per persona che non si vuole nominare, o della quale si sta parlando o sparlando. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 433 28/11/13 12.44 434 introduzione tese el capocomico sor Gargano, Bicetta fu scritturata subbito... Eh, cara mia, quando si nasce artiste! NENA Viva la faccia! Almeno nell’operetta sò venti lire, nun ce piove e nun ce fiocca! Mentre al Quirino ce toccò a ppagà a noi p’el debbuttolo. AGHETA Ma sí l’arte è finita, ma sí l’arte sta in estrèmise: nun dà più risorse: siamo in troppe d’artiste, siamo in troppe! (con convinzione) NENA (sospirando) Almeno, però, quella figlia se la fosse saputa mantené quela furtuna!... AGHETA Già: anche essa, andarsi a innamorà d’un conte e sposasselo! Come la mia: la mia baronessa, e la vostra contessa!... NENA (sospirando) Già, contessa!... AGHETA Quanto temp’è che nu’ scrive? NENA È un pezzo. AGHETA Come, m’ha detto Pavolo che glieri ha ricevuto una cartolina allustrata?... NENA Sentite, sor Agheta mia, è inutile che stamo a finge; intanto voi sete come una sorella, e ve posso dì’ la verità; sicura che nun l’anderete dicendo a gnisuno: nemmeno a Paolo che lo sapete... AGHETA Ma ve pare! NENA (si guarda attorno; poi abbassando la voce) Dunque, sappiate che Bice... AGHETA Per cristallina, che me dite?! Anch’essa gnente n’ha fatta qualcuna grossa? NENA Ma... me raccommando! È scappata col soffione de la compagnia... AGHETA Col soffione? (a parte) (come la mia!) E da quando? NENA Da circa sei mesi e nu’ ne sapemo più nova. Ve potete immagginà le pene mie e del padre!... AGHETA (offesa) E a me, a Agheta, nun diglie gnente! NENA A che serviva?... Eh me sò fatta più pianti, me sò fatta! E incora nun me posso dà pace... AGHETA Fate male, sora Nena: nun ve ne pigliate; ché intanto ‘ste figliacce suono tutte d’una rìsima!... E siccome male comunale è mezzo gavudio, sappiate che anche la mia, nun è vero che s’è sposato un barone. Me scappò via puro lei col soffione de la compagnia, che glie se mangiò, doppo pochi giorni, tutto el varsente23, e poi me te la piantò scalza, e strappina in mezzo di una contrada nella più squalida posizione finanziaria. (dirà tutto ciò declamando, come sempre) 23 Denaro in genere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 434 28/11/13 12.44 1. introduzione 435 NENA (meravigliata) Ma davero? Puro a voi v’è successo lo stesso?! AGHETA Preciso, come du’ gocce d’acqua! NENA E nun m’avete mai detto gnente?!... AGHETA Eh capirete, sora Nena mia, l’amor propio, la casa, l’onore de casa!... NENA Dunque se potemo dà la mano? AGHETA Diàmosela puro, perché siamo coetanee nun solo nella sventura ma anche nei due soffioni! NENA Oh povera sor Agheta! AGHETA Ahi sventurata Nena! NENA Accusì se siamo ridotti: che a lui, a forza de trascurà la bottega, gliè toccato a chiudella per via che nun veniva più un cane; e io per consiglio vostro sò venuta da un mese a stà qui con voi, indove per furtuna, nun ce conosce gnisuno; e ho messo ’sta stireria a lucido che cce va a rotta de collo... AGHETA (con autorità) Cianderà meglio allorquando metteremo scritto defora cor una mostra indorata (che già ho ordinato): “Qui nun si addropa che l’amido Sbanfi”24. Lassate che venghi da un momento all’antro, da Milano, el rippresentante viaggiatore de la casa Sbanfi e ve n’accorgerete. NENA Quando lo dite voi... AGHETA Nun nascondo la mia ignoranzità che c’è troppa concorenzia, questo è vero. Soltanto in questa contrada ci suono tre stirerie! E per quanto li vòmmini si faccieno stirare, quello ch’è troppo è troppo!... Eh cara sora Nena, nun solo l’arte, ma eziandio puro el commercio è ruvinato! NENA Puro questo è vero. AGHETA Fortunatamente che io me so riggirà el talento! Finita ch’averò l’operazione co’ la casa Sbanfi, per l’affare dell’amido, ciò pe’ le mano un antro progetto che si me viè bene, è fatta: semo mijonare. NENA E quale sarebbe ‘sto progetto? AGHETA Nun ve l’ho detto fin’ora per pavura che lo propagandassivo; ma siccome ormai la cosa è avviata, ve lo dirò. Sto dunque facendo pratica cor Vaticano pe’ mette su la mostra “Fornitrice de li sacri palazzi apostolichi”25. 24 Allusione alla casa Banfi di Milano, produttrice dell’amido industriale negli anni 1890/1910. 25 Lezione precedente: «Cor Ministerio de la Real Casa, pe’ mette su’ la mostra: “Fornitrice della Casa Reale”». Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 435 28/11/13 12.44 436 introduzione NENA Magari! AGHETA Fatto questo, nun avemo più pavura de gnente! Possiamo puro mettere la carrozza! NENA Speramo bene basta: fortunatamente fra tante disgrazie ho potuto imbucà quel povero Paolo mio, pe’ custode... AGHETA (interrompendola) A le scuole alimentari. E nun fui io? Chi ve lo consigliò? Chi ve fece caccià le carte?26 NENA E con quel poco la strappamo avanti a la bona de Dio... De tanti sagrifici che avemo fatto per quella figlia, nu’ n’avemo ricacciato altro che dispiaceri e miseria. AGHETA Come la mia, precisa, autentica! NENA Bice, m’avessi mai mandato un soldo! E tutti li debbiti che avemo fatto per quel maledetto debbutto, el padre li sta scontando a forza de barbe che va a fà a destra e a sinistra nell’ore de scanzo che glie dà l’ufficio. AGHETA Eh poveri martiri dell’arte che siamo tutti! NENA Accidenti al momento che me venne l’idea de faglie imparà la musica!... E un po’, se non tutta, la cavusa fussivo voi però... AGHETA È vero! Ma che ciò che fare io si la figlia vostra era chiamata all’arte livida? Si era una vera artista nata e creata, come sete artisti tutti de famiglia?! SCENA II Dette e Torcolo TORCOLO (entrando dalla vetrina) C’è Pavolo? NENA No: stà a scola. TORCOLO M’aveva promesso de venimme a ffà la barba, e incora nun se fa vede. Pure oggi è domenica! NENA Cià avuto un servizio strasordinario; ma vederete che prima de mezzogiorno vierà de certo. TORCOLO Ce farà el piacere! Doppo che me sò assoggettato a scontaje queli quaranta scudacci che j’imprestai, a forza de barbe, m’ho puro da vienì a riccomannà!... NENA Eh, li sconterete, nun avete pavura! AGHETA Nel caso c’è chi ce penserà per lui. Fra poco sarete estinto. 26 Segue una battuta cancellata: AGHETA (interrompendola) E si nun me va bene questo, de proggetto ce n’ho un altro più magnifico. De mettere ciovè un Bar automonico, a du’ soldi, a la Stazione de Trestevere. Eh che ve ne pare? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 436 28/11/13 12.44 - - - - - 1. introduzione 437 TORCOLO Li sconterò? Lo dite voi. Nemmanco si campo l’anni de Matusalemme! NENA Via, sete bono!... AGHETA Giacché lo sete stato infinenta adesso. TORCOLO Eh lo so che a esse minchione a ’sto monno ce s’arimedia sempre. Diceva bene la bon’anima de Pippo Mojéra: «Nun fa mai bene che nun averai mai male!...» Abbasta: appena viè diteje che l’aspetto. (se ne va) SCENA III Dette, poi Paolo, Cesare e Taddeo NENA Vedete si è vero? Quel poveraccio de Paolo, per pagà li debbiti, nun fa a tempo a corre de qua e de là, a fà barbe a li creditori. AGHETA Fortunato lui che lo puole! A me che abbitavo pel Babbuvino, per nun potello fare, suono stata disobbligata a venire in Trestevere; perché laggiù a ogni pié respinto me vedevo un creditore apparteddietro o appart’avanti! NENA Insomma avete sempre raggione voi.27 27 Segue testo cancellato: PROCOPIO (entrando dal fondo) C’è Paolo? NENA Maestro, bongiorno! PROCOPIO Eh piano, perché, dirò così per dire, lo sapete che maestro non lo sono più, grazziaddio. Ora sono esattore dell’acqua Marcia. AGHETA Nu’ lo sapevo! Come puro lei ha abbandonato l’arte, come nojaltre? NENA (ad Agata) Che nun lo sapevio? PROCOPIO Da circa due anni. L’arte, dirò così per dire, nun rende più: l’arte in Italia, è morta... Per carità nu’ ne parliamo... Dunque, Paolo? NENA Starà a momenti. PROCOPIO L’aspettavo, dico così per dire, a casa a farmi la barba; e nun s’è visto. Pu- re oggi è domenica... NENA Poveraccio, cià avuto un servizio straordinario. PROCOPIO Capisco, sora Nena mia; ma quando uno se fa la barba a sconto del dana- ro che si avanza per le lezioni date a vostra figlia, dico così per dire... A proposito e di Bicetta che nove? NENA Grazie; bone. AGHETA Sta benone! Beata lei che se la gode! Capirete ha sposato un conte! PROCOPIO (a parte) (Si è contessa, potrebbe allora pensà a pagarme le lezione!) SCENA III Detti, Cesare, Taddeo e Paolo CESARE (con un voluminoso involto) È permesso? NENA Avanti! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 437 28/11/13 12.44 438 introduzione PAOLO (vestirà la divisa dei custodi delle scuole comunali) Nena, guarda un po’ chi tte porto? NENA Uh guarda Cesare, Taddeo! AGHETA Oh, questa sì che è cronica! CESARE Come state? PAOLO L’ho incontrati qui per la Longara. TADDEO Vojaltri puro sete venuti a abbità in Trestevere? PAOLO E la sapete la novità, sor Agheta? Puro Cesare ha abbandonato l’arte. AGHETA Me n’arillegro per la risoluzione presa! CESARE Grazie. NENA Ma guarda che combinazione! È da quella maledetta sera che nun ce vedemio più!... CESARE Sapevo che vojaltri avevio chiuso bottega de barbiere; ma nun sapevo che eravate venuti qui... PAOLO Da poco però. TADDEO E Bicetta? AGHETA È contessa: ha sposato un conte. CESARE (piano a Taddeo) (Com’è baronessa la sua). TADDEO Insomma tutti hanno abbandonato l’arte meno che io. CESARE Perché nun hai trovato de meglio! TADDEO Bravo! Co’ tutto che a quel corno mio ce sò troppo affezionato. AGHETA Ma guarda che strana condiscendenza, doppo guasi sei anni, ritrovarsi accusì tutti uniti dal caso, e tutti lontani da quell’arte infamante. (nel riconoscere Nena, Agata e Procopio resta meravigliato a guardarli; così è di Taddeo) La sora Nena? el Maestro? TADDEO La sor’Agheta! CESARE (a Taddeo) Ah, Taddeo, ma nu’ li vedi? TADDEO Eh che m’hai preso pe’ guercio? NENA E che nova? CESARE Lo direbbe a voi. PROCOPIO (a Cesare) Ma come nu’ lo sapevate? AGHETA Oh questa sì che è cronica! CESARE Ho visto scritto Stireria e sò entrato a portà queste camicie (mostra l’ involto) de li regazzi che stanno qui al Collegio Militare a la Longara... PROCOPIO Che anche voi, avete abbandonato l’arte? CESARE (a Procopio) Che puro voi? PROCOPIO Da quella sera in poi!... Io sono esattore della Società dell’Acqua Marcia. CESARE E io custode o bidello del Collegio Militare. Considerato che l’arte nun buttava bene, m’è capitata ‘sta furtuna e l’ho agguantata. CESARE Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 438 28/11/13 12.44 n ) - 1. introduzione 439 PAOLO Bisogna bagnalla questa combinazione! TADDEO E quanto stamo? CESARE (a Nena) Miracolo che oggi ch’è festa tenete uperto. NENA Co’ la cosa che la sor’Agheta aspetta da Milano un viaggiatore, nun avemo chiuso. AGHETA Ciò un proggetto pe’ le mano, che si me viè bene, ce divento miglionara. CESARE Voi sete sempre stata la donna de li proggetti! TADDEO E nun c’è caso che ve ne vadi uno bene!28 AGHETA Lo dite voi. CESARE Ma dunque, bevemo o nun bevemo? PAOLO C’è bono assai, m’hanno detto, qui a Santa Dorotea, a un’osteria che hanno uperta ieri. Mó ce mando a ordinà un par de mezzi da un regazzino dell’orzarolo qui accanto. Mentre sta per uscire entra il cavalier Cantini, il quale si sarà fatto crescere la barba. Porterà sotto il braccio destro una cassetta di campioni come i viaggiatori di commercio. 28 Segue testo cancellato: CESARE (piano a Taddeo) (E si ciarimette li quadrini nun sò li sui!) PROCOPIO Che bell’improvisata che sarà per Paolo che adesso viè. SCENA V Detti e Paolo (vestirà il costume dei custodi delle Scuole Comunali) Ih guarda quanta gente! (poi meravigliato) Cesere el soffione, Taddeo el sonatore de corno!... Doppo tanto tempo: e che novità? CESARE Caro Pavolo, dimme pure ex-soffione, perché adesso sto qui a la Longara, per custode... PAOLO De li matti? CESARE No: del Collegio Militare. PAOLO E come hai trovato Nena? CESARE Avevo da fà stirà ‘ste camicie de premura; ho visto ‘sta stireria nova che nun ce lo sapevo ce sò entrato e ho avuto ‘sta sorpresa. PAOLO Dunque tu puro hai detto addio a l’arte come me? CESARE Per sempre. PAOLO Io puro nu’ ne ho voluto sapé più gnente. AGHETA Anche noi talecquale! PROCOPIO Altro che Taddeo j’è rimasto fedele. CESARE Perché glie frutterà. AGHETA Eh li corni hanno fruttato sempre! PAOLO Ma bravi, bravi, bravi! Damese tutti el cinquanta! (si stringono la mano) PAOLO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 439 28/11/13 12.44 440 introduzione SCENA IV Detti, Cantini CANTINI ( fermando sulla porta Paolo) Scusi, è qui una bottega di stireria, dove fa recapito una certa signora Agata Disordinati? PAOLO Per l’appunto. Favorischi. (poi ad Agata) Sor’Agheta sete desiderata. AGHETA Ah ho capito. (a Cantini) Favorischi. Lei è il commissario viaggiatore della Casa Sbanfi? CANTINI Lei è la sora Agata? ( fra sé) (Me pare di averla veduta un’altra volta!) (seguita a parlar piano con Agata) PAOLO (come seguitando un discorso con Cesare, Nena, Taddeo e accennando a Cantini) (Ma me pare che sia lui?) AGHETA (a Cantini) Torno a ripeteglielo: la sua fisonomia nun m’è nova. PAOLO (osservando bene Cantini) Ma scusi, se non mi sbaglio, noi ce conosciamo? CANTINI (a parte) (Maledizione, guarda dove sò capitato!) (poi facendo lo gnorri, per non farsi riconoscere) Ma lei prende un equivoco; io è la prima volta che faccio la piazza di Roma... (poi a parte) (Ma guarda el diavolo! Sò caduto proprio in bocca al lupo!) PAOLO Eppure, scusi, me pare tutto un certo signor cavaliere Cantini, un celebre tenore, amico d’un amico nostro... CESARE Che ha ottenuto successi colossali in tutto el mondo... TADDEO Spiccicato a lei... AGHETA Fora la barba, sarebbe priciso. E si lei nun è, sarà un suo fratello giamello. CANTINI (vinto dall’evidenza) Ma sono proprio io! PAOLO E nun m’ariconosce? NENA Nemmeno a me? PAOLO El sor Paolo el barbiere de via de l’Impresa... AGHETA El padre del sovrano, che glià fatto qualche volta la barba. CANTINI (come se cadesse dalle nuvole; vedendo che ogni resistenza sarebbe inutile) Uh guarda guarda! Sì avete raggione... Infatti sì, adesso che vi guardo bene a tutti, mi pare di riconoscervi; (eh altro si vi riconosco!) (si danno la mano) PAOLO Cavajere, e che novità, doppo tanto tempo che nun avevo più l’onore di vedello! NENA Davero! (ad Agata) (Da quella sera!) AGHETA (a Nena) (Già puro lui Gesù Gesù se squajò e nun s’è visto più!) PAOLO A quel che pare puro lei ha abbandonato l’arte? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 440 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 441 CANTINI Sì, da oltre due anni. Mio Dio, cosa vuole, l’arte purtroppo qui in Italia è finita, anzi è morta addrittura. Così mi sono ritirato dalle scene con una vistosa rendita... E per non stare in ozio mi vado occupando (ma lo faccio più per avere il gusto di viaggiare!) CESARE (a Taddeo) (Se capisce!) CANTINI Mi vado occupando, come dicevo, facendo il viaggiatore della casa Sbanfi, e dei prodotti elementari della casa Maggi29... AGHETA Ho capito, quelli in buvatte30? TADDEO (Cusì finalmente ha trovato el modo de spaccialle, ne sparava tante de buvatte!) (a parte a Cesare) CESARE (c. s.) (M’almeno adesso cià l’equivalente!) AGHETA Ma oggi è la giornata de l’incontranze. CANTINI Chi me l’avesse detto, dopo tanto tempo, di ritrovare tutti questi buoni amici. Sono propio contento! CESARE (piano a Taddeo) (Questo nun se l’aspettava davero!) TADDEO (piano a Cesare) (Quanno cià riconosciuti a momenti glie pigliava un accidente!) PAOLO Nena, che ne dici de ‘sta combinazione? NENA Che me pare un sogno! L’avé riveduto oggi Cesere e Taddeo. AGHETA Davero! Il caso è così estraneo che bisogna pigliacce li nummeri e giocacce al lotto. CANTINI A proposito, e la nostra artista la signorina Bice? AGHETA Un conte se n’è innammorato cotto, l’ha torta dall’arte e se l’è imparamata! CANTINI Anche lei dunque glià detto addio? AGHETA Come tutti noi! CANTINI Com’è caduta in basso! A me da 2.000 lire per sera, hanno avuto el coraggio di offrirmi 500 lire! PAOLO Che infamità! AGHETA Che opprobio! CANTINI L’arte, amici cari, è in piena decadenza. E non si rialzerà più. AGHETA (sospirando) Me ne duole; ma è purtroppo la verità. Il rialzarla è una speranza avana. CANTINI Me rincresce che ho dato appuntamento a un negoziante a Frascati, altrimenti questa sera vi invitavo tutti a cena... AGHETA Come, parte cavajere? Allora me facci vedere questi campioni. CANTINI (porgendole una cassetta di legno) Eccoli. Li guardi bene, e mi dica subito la qualità che sceglie. 29 30 Industria alimentare, nota per il dado da brodo. Buvatta: scatola di metallo con coperchio. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 441 28/11/13 12.44 442 introduzione AGHETA (prendendo la cassetta) Si permettete mi aritiro un minuto su a casa laonde fare la scelta, e torno subbito. (va via dalla porticina sinistra) TADDEO Ma insomma bevemo o nun bevemo? CESARE Adesso me pare che sarebbe propio l’occasione... PAOLO Adesso lo mando subbito a ordinà. (esce in fretta) CANTINI (a Taddeo) Lei dunque è l’unico rimasto fedele al corno? TADDEO Pe’ nun aver trovato de meglio. CANTINI (con importanza) Nun ci pensi. Appena sarò a Milano, glie farò avere un posto di 300 lire al mese. TADDEO Grazie! ( fra sé) Allora magno! SCENA V Paolo, Detti e poi Marito della prima donna PAOLO (tornando dal fondo) Cavajere, ho mandato a ordinà un goccio de vino in un’osteria che hanno aperto ieri sera, che m’hanno detto ch’è una vera manna celeste. CANTINI Lo sentiremo, e lo beveremo alla salute nostra. NENA A la fortunata combinazione che cià fatto ritrovà. (avvicinandosi alla porta sinistra e chiamando) Sor Agheta, venite giù presto. TADDEO Finalmente ecco el vino! MARITO (entra in maniche di camicia, un beretto in testa. In una mano porterà tre litri di vino, nell’altra sei o sette bicchieri nei quali, per tenerli saldi, avrà introdotto le cinque dita. Entrerà franco esclamando) Ecco el vino! (ma poi, riconoscendo tutti i suoi antichi colleghi, rimane interdetto e meravigliato in mezzo alla stireria con quegli oggetti in mano) PAOLO (riconoscendolo subito esclama meravigliato) Lei?! MARITO (c. s. a Paolo) Voi?! CANTINI (c. s. al Marito) Tu? MARITO (c. s. a Cantini) Tu?! (poi a Nena) Voi? TADDEO (c. s. al Marito) Lei?! MARITO (c. s. a Taddeo) Tu?! CESARE (c. s. al Marito) Lei oste?! NENA (c. s.) Oste, voi?! TUTTI (c. s. al Marito) Oste?! MARITO (rimettendosi dalla inaspettata sorpresa) Già oste! Sono aritornato all’antica professione per amore del mestiere. NENA Chi vorrà vede la sor Agheta, quanno lo saprà! (chiamando) Sor Agheta, sor Agheta, lesta a scegne, per carità! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 442 28/11/13 12.44 o 1. introduzione 443 AGHETA (di dentro) Ch’è successo?! Èccheme... NENA Lesta che nun c’è tempo da perde! PAOLO Ma varda oggi le combinazione! Davero bisogna giocare a lotto! MARITO E chi se lo sarebbe creso de trovavve! PAOLO El marito della prima donna oste?! MARITO (a Cantini) Io oste, e tu? (agli altri) e vojaltri? CANTINI Io, commesso viaggiatore per diporto. PAOLO Io, custode delle scuole alimentari. CESARE Io, bidello al collegio militare. TADDEO Io, sempre sonatore de corno. MARITO E la sor Agheta, quella cara sor Agheta? NENA Io e la sor Agheta, stiratrice de colli per ommini e regazzi. SCENA ULTIMA Agheta e Detti AGHETA (con gli occhiali, un cappello ridicolissimo) Eccomi, eccomi, ho udito tutto. Qua un abbraccio e un bacio. (abbraccia e bacia Marito) MARITO A me incora nun me pare vero! AGHETA Davero oggi è la giornata de le strutrefazioni! (poi volgendosi a Nena) Sora Nena, sabbito vederete che vinceremo al lotto! MARITO Doppo tanto tempo, arivedesse qui tutti d’un’idea, tutti d’un principio, tutti d’una fede. Damese un bacio. (posa sul tavolo ogni cosa; e si abbracciano tutti) AGHETA (commossa) Io me sento scegnere le lagrime dalla commemorazione! MARITO Sì, rivedesse doppo tanto tempo e in un’altra condizione è davero commovente!... Eh arte infame!... Ma è inutile che stamo qui a piange el morto... Venite tutti a bottega mia che ho uperto ieri sera. Ve presenterò mia moglie, la celebbre prima donna, e mangeremo un boccone assieme in allegrezza d’esserse ritrovati tutti doppo tanto tempo, e tutti d’un idea: odio all’arte!! AGHETA Bravo! questa del pranzo è una gran bella e nobbile pensata! Anzi, a me me ne viene un’altra più al sublimato. Oggi a tavola, mangiando, fonderemo la bassa d’una nova società filantronica che porterà l’intitolo: Le vittime dell’arte musicale! Cala la tela Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 443 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 444 28/11/13 12.44 LA SOCERA Scene originali romane in tre atti Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 445 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 446 28/11/13 12.44 1. introduzione 447 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 86 cc. (mm 320x220), composto da 43 fogli tipo protocollo recanti il marchio del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 117-202: bianche le carte 172 e 202. A c. 201r, in calce, a matita: «2 Marzo 1906». Un inserto di 1 c. (c.146/1, mm135x103) tra c. 145 e 146/2. Testo a piena pagina. Titolo ripetuto in alto a sinistra alle cc. 143 e 173. Calligrafia autografa. Nel faldone è presente un’altra stesura legata immediatamente dopo: un quaderno di 30 cc. composto da 15 fogli dello stesso formato e caratteristiche del precedente. Cc. 203-232: bianca l’ultima carta. Alla c. 203, in basso a sinistra, a matita blu: «Copiaccia rivista e corretta» A c. 231, in calce: «2 Marzo 1906». Testo incolonnato a destra. I due quaderni sono raccolti tra due carte di guardia: c.116 e c.233. Di questa commedia esiste un’ulteriore redazione manoscritta conservata nell’Archivio Capitolino. Cfr.: G. Zanazzo, La sôcera. Commedia inedita in tre atti a cura di Francesca Bonanni Paratore, Roma, Bulzoni, 1980. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 447 28/11/13 12.44 448 introduzione Personaggi CAMMILLA la suocera, moglie di GIUSEPPE PACETTI agiato negoziante ritiratosi dal commercio ADELE loro figlie ELEONORA } LUCIANO RIVOLTA avvocato, marito di Adele FILIPPO FORLINDI fidanzato di Eleonora ADOLFO MICCARELLI giovane di studio di Luciano MENICA serva in casa di Cammilla EBE toscana, serva di Luciano AGNESE lavandaia ORSOLA id GIACOMANDREA scopino GRISPINO calzolaio ARTEMISIA custode della fontana comunale PRIMA LAVANDAIA che parla LAVANDAIE che non parlano Epoca 1886 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 448 28/11/13 12.44 1. introduzione 449 ATTO I Camera di ricevimento in casa di Cammilla. Arredi di lusso, tappeti. Porte ai due lati e in fondo. SCENA I Cammilla sola, poi Menica CAMMILLA (seduta su di una poltrona osservando una lettera) È inutile che me stii tanto a sguercià, intanto, confesso la mia ignoranzità, nun so llegge... Però sarebbe tanta curiosa de sapere de chi ène ‘sta lettra ch’ho ttrovo jeri sera per tera in de lo studio der mi’ genero!... Er core me dice: leggela, leggela: ché tte n’aritroverai contenta... (spinge un campanello elettrico) Chi lo sa che finarmente nun me rieschi de sbuciardà quer gesuvito farso der mi’ genero?! (suona di nuovo) Bella invenzione che sò ‘sti cosi! È mezz’ora che me sto a spigne l’animaccia mia, e ‘ste scannate de le serve incora nun se fanno vive. (chiama) Menica, Èbbete, Menica! SCENA II Menica e Detta MENICA Ècchime. CAMMILLA Che sete sorde? È mmezz’ora che spigno er campanello eretico. MENICA E cchi l’ha inteso?! CAMMILLA Allora bisogna dire che ‘sti freschi se sò guastati, e bisogna mandà a cchiamane l’ereticitista che li vienghi a accommidane. MENICA Ce posso annà in sur subbito. CAMMILLA Annatece; ma prima dite a Èbbete che vienghi un momentino de qua. MENICA Èbbete è uscita per un servizio de la sora Adele, e prima de mezzogiorno nu’ starà a ccasa. CAMMILLA Allora ammalappena aritorna, mannatemela de qua. Nun serve antro. MENICA (esce da la porta in fondo) CAMMILLA Èbbete, esenno toscana, è ‘na regazza ‘strutta, e ‘sta lettera me la farò legge da lei... Sò propio curiosa de sapè quello che cc’è scritto. (se la ripone in tasca) Abbasta: adesso quanno vierà se leveremo la fantasia. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 449 28/11/13 12.44 450 introduzione SCENA III Giuseppe e Detta GIUSEPPE (esce dalla porta destra; e credendo di esser solo si fruga nelle tasche) Dove l’averò messa? In saccoccia nu’ me la trovo, nel portafojo nemmeno... CAMMILLA Che cercate? GIUSEPPE (sorpreso, si ricompone subito) Ah gnente; cercavo el fazzoletto da naso. CAMMILLA Ve l’ho preparato sul commodino da notte. GIUSEPPE È quello che dicevo; perché me ricordo d’essemelo messo in saccoccia ( finge di ritrovarlo) Ah eccolo! L’avevo messo ne la saccoccia de le falde. CAMMILLA Indove ve n’andate che vve vedo tutto in arme e bagaji? GIUSEPPE El solito. A famme una passeggiata pe’ li quartieri novi, che sò una sciccheria. Si vedi che paradiso che sò li quartieri Ludovisi, li Prati de Castello, l’Esquilino!... Che strade larghe, che aria, che sole! ah bene mio, te senti arinato!... Tu invece te ne stai sempre a covà a ccasa... CAMMILLA Sai che cose rare! Speciarmente queli belli nomi che j’hanno messo! Via Terenzia Mammana, via Pistalossi, Marco Pepe, Vitturino de Fertro, Ardo Pannuccio... GIUSEPPE Già, voi nun sete bona altro che a ccriticà tutto e tutti. Invece a me, me piaceno; ce vado e me ce trattengo con piacere. CAMMILLA Abbasta, da quanno abbiamo chiuso bottega, nun fate antro che annare in giro tutto el santo giorno facenno el bigantone1... Oggi però co’ la cosa che aspetto l’innamorato de Lonora che me la viè a cchiede, poteressivo fanne condimeno... GIUSEPPE Cammilla mia, quello che fate voi è ben fatto. Intanto io, si anche nun me va bene qualche cosa, me tocca a inchinà la testa lo stesso. Dunque è inutile... CAMMILLA Una gran bella scusa, pe’ fà sempre el commodo suo! Abbasta: a ‘sto monno gnente è necessario. Annate puro e giudizio: capite? giudizio. Nun ve dico antro. Si no ‘mara la vostra pelle. GIUSEPPE Allora posso andà? CAMMILLA (con protezione) Annate: ve do el permesso; e ch’el Signore v’accompagni. 1 Bighellone. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 450 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 451 GIUSEPPE Se vedemo. ( fra sé) Me credevo de peggio... Ma dove diavolo l’averò messa? ( frugandosi nelle tasche. Esce) CAMMILLA Ommini, bisommini2... Tutti compagni! Puro questo cardeo si nun ero io, averebbe fatto più broccoli che quatrini. Ma grazziaddio, nun me posso lagnà: è bono, bono tre vorte bono. Davero che posso dire d’essemelo tirato su a mmollica a mollica: e infatti ècchevelo lì, un antro marito accusì è indificile a trovallo. Bono, rispettoso, nun vede antro che pell’occhi mii. E nun ha conosciuta, ce metterebbe la mano sur foco, antra donna a l’infori de me... Mentre ‘sti ganimedichi d’oggi giorno, è uno peggio de l’antro... Come quer ber tomo der mi’ genero! Eh ma co’ me ha trovo l’osso pe’ li su’ denti. Una che je ne scropo, le paga tutte!... St’ammatina poi ciavemo la visita de quell’antro tisico der fidanzato de Lonora; puro quer regazzino si nun ara dritto me lo lavoro io! Artronde piuttosto che ffaje fà l’amore d’anniscosto, è mejo che venimo a una concrusione; tanto più che è de bona famija e er padre, a quer che sento, è ingroppato forte... Si nun me sbajo, ecco Adele co’ quer gesuvito farso, che viengheno da lo studio. Sentimo che dicheno. (si nasconde dietro un paravento o altra cosa) SCENA IV Luciano e Adele (dalla porta a destra) LUCIANO (vestito per uscire) Ma sta tranquilla, Adeluccia mia, non dubitare de me. Tu comprendi bene che io, per farmi conoscere e farmi largo nella mia professione, ho bisogno di girare, di frequentare, di... E no di starti sempre fra i piedi... Se tu invece di dar retta a tua madre, avessi più fiducia in me, le cose andrebbero meglio per tutti e due. ADELE Ecco che entra in ballo mammà. LUCIANO Ma sicuro che entra in ballo! Se è lei che te mette in testa di tali idee!... È sempre lei la causa de tutti li nostri dissapori. In tutto, anche nelle cose più innocenti, ce vede el tradimento. Senti: credevo che piovesse, ma no che diluviasse. Che donna insupportabile! ADELE Basta: giudizio. Ci vediamo a pranzo; e questa sera poi vieni prestino. LUCIANO (baciando Adele) Addio, mia cara sposina! (Luciano esce dal fondo) 2 Accenno all’adagio: Ar monno ce sò ommini, bisommini, mezzommini e cazzabbubboli. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 451 28/11/13 12.44 452 introduzione ADELE Chi lo sa se me dice la verità? Io nun so a chi dare retta, o a lui o a mammà... Certo mammà è troppo sospettosa e vede oscuro da per tutto... SCENA V Cammilla e Detta CAMMILLA (mostrandosi) Se n’è ito via quela facciaccia de san Gennaro a bocca sotto? ADELE (sorpresa) E voi, mammà, dove stavate? CAMMILLA Me sò trova per caso là dedietro a quer paravento, mentre entravio qui in sala e ho inteso tutto. Je la do io l’«insupportabile». ADELE ( fra sé) (El solito: sospetta sempre de tutti e de tutto). CAMMILLA E sai perché nun sò uscita fora a ddaje quattro sganassoni a quer lecchino? Pe’ nun datte un dispiacere a tte. Je la vojo dà io «l’insupportabbile», «nun dà retta a tua madre»! Staressi bene, fija mia, staressi mejo der cacetto si nun ciavessi a me. Ringrazia Dio che ciai tua madre che tte guarda le spalle e te consija p’er tu’ bene. ADELE E io ve ne ringrazio. Ma Luciano non bisogna prenderlo poi tanto di petto: non ve pare? CAMMILLA Nun bisogna, nun bisogna! E allora perché lui nun viè la sera a ccasa abbonora?! Credeme, fija mia, che quanno l’ommini de la notte ne fanno giorno, gatta ce cova! ADELE Ma dice che la sera va al Circolo Giuridico e frequenta altri ritrovi per cercare di farse conosce, e de farse strada. Infatti se è poco che ha aperto lo studio, bisogna pure che li clienti se li trovi. CAMMILLA Daje retta! Eh povera minchiona, come te se lavora. Chi sa che Circolo Giudìo buggiarone che sarà! Ch’ha da fà, ch’ha da fà si m’hanno ariportato che sta tutto er giorno a fà er ciovettone drento ar Baro automanico a piazza de Venezia? ADELE (seccata) Ma se, poveretto, non trova... Trovateglie voi da fare qualche cosa. CAMMILLA Je l’ho detto: er primo criente bbono che me capita, je lo manno in su. Già te dico che je l’ho detto. Perché intanto lui cor su’ Circolo Giudìo, li crienti da sé nun è bbono a trovasseli. E tu minchiona stallo puro a ccompatì. ADELE Ma insomma, mammà mia, che cosa volete ch’io faccia? CAMMILLA Gnent’antro che damme retta a mme che sò navigata, che sò tu’ madre, e che tt’odoro. Opri l’occhi; perché cco’ tutto che Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 452 28/11/13 12.44 - ’ - 1. introduzione 453 sò pochi mesi che t’ha sposato, quello te la fa, e guai si je lassi la brija su l’imbasto in sur comincio; poi nun sarai più a tempo. Pija ‘sempio da tu’ padre. Eccolo lì; quello me lo sò fatto da me, e da me me l’arivorto come me pare e piace. Lui antre donne a l’infora de me, nu’ ne conosce e nu’ l’ha mai conosciute. Quello è un sant’omo, un marito ‘semprare! ADELE (da sé) (Eppure io de quella gatta morta de papà, poco me fiderei! Sarà). SCENA VI Eleonora e Dette ELEONORA (entrando dalla porta sinistra) Mammà, mammà! CAMMILLA Cosa ve dole? ELEONORA Sò le dieci e mezza... CAMMILLA Aringraziam’ Iddio che ce semo arivati. ELEONORA Ve volevo ricordà che a momenti verrà Pippetto. CAMMILLA Che vienghi puro, che sò ppronta a ricevello quell’antro patirai3. ADELE Basta, mammà mia, che davanti a quel giovane nun ve ne uscite co’ le solite... cose vostre. ELEONORA (piano ad Adele) Brava, sorella mia, hai fatto bene a avvertilla. CAMMILLA E, dico, s’é llecita la dimanna, quale sarebbeno «‘ste cose mie»? ADELE Eh, mammà mia, le sapete meglio de noi. CAMMILLA Adesso ciavemo bisogno de pijà lezione da le fije! Ecco cosa vòr dì l’avelle tirate su sur quinto e ciovè, l’avelle fatte struvì. J’è servito pe’ mortificà ‘gni tantino li genitori, a ‘ste spuzzette. ELEONORA Nu’ lo diciamo mica per mortificavve; ma soltanto perché davanti a la gente, nun ce piace da diventare rosse per causa vostra. CAMMILLA Quant’è cara lei! Sapete quanto sto, quanno viè quer morto de sonno, a daje un carcio indove se sente mejo, e fallo arotolà pe’ tutte le scale! ADELE Eh nun ce sarebbe male! ELEONORA (ad Adele, ammiccando) Ma non te sei accorta che mammà scherza? 3 Spasimante, innamorato. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 453 28/11/13 12.44 454 introduzione CAMMILLA Se sa che scherzo. Dopo tutto, sò anch’io er mi’ dovere. E quando vojo fare la persona de garbo, nun me lo deve venire a insegnare gnisuno. Suono chi suono! (con pretensione) ADELE Non dico mica de no. ELEONORA Ne sono più che convinta. ( fra sé) (El cielo ce la mandi bona!) Si suona alla porta di casa. ADELE Sòneno a la porta de casa. ELEONORA (Come me batte el core!) CAMMILLA Dev’esse lui l’ammazzato. ADELE ( fra sè) (Ah cominciamo bene!) SCENA VII Menica e Dette poi Filippo MENICA (sulla porta in fondo) Er sor Filippo Forlindi. CAMMILLA Diteje che vienghi. (Menica esce) ADELE Io mi squaglio. (entra a destra) ELEONORA (supplichevole) Mamma mia, me raccommando, per carità! CAMMILLA (seccata) Ma quanto puzzi! FILIPPO (si presenta sulla porta in fondo alla scena, tutto cerimonioso; sarà vestito con molta ricercatezza) È permesso? Si può riverire la signora Cammilla Pacetti? CAMMILLA (inchinandosi ridicolmente) Padrone mio; s’accommidi. FILIPPO Bongiorno, signorina Eleonora. ELEONORA Bongiorno; sta bbene? FILIPPO Per servirla. CAMMILLA (offrendogli una poltrona) Se metti a sedere; s’assedi senza comprimenti, come famo noi; ché col sedere se raggiona meglio. FILIPPO (siede) Scusi se me son preso la libertà de venirla ad incommodare. CAMMILLA Ma gnente! Si nun se conoscessimo buggiancà4; ma io ve conosco abbastanza; perché nun guardi s’io faccio la finta tonta, ma io le cose le agguanto a volo come le mosche. Fussi la prime vorta che la vedo vienicce appresso come un cane! 4 Buggiancà: eufemismo per buggiarà (cfr. Chiappini), o buggerà: truffare, imbrogliare, ingannare. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 454 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 455 ELEONORA (finge di tossire per distrarre l’attenzione di Filippo da Cammilla) FILIPPO Anzi mi perdoni tanto; ma lei sa bene, l’amore è cieco... Ed ogni volta che io aveva l’onore d’incontrarle non potevo fare a meno di seguirle... CAMMILLA (strizzando gli occhi maliziosamente) Eh se capisce, la donna è come la calamita, attira... Eh!... ELEONORA (da sé) (Io sto sopra una brace!) FILIPPO E il suo signor consorte? CAMMILLA Dite a me? Eh quello, a quest’ora beato lui, va facendo l’ingrese pe’ Roma. FILIPPO Ne sono proprio dispiacente; perché... CAMMILLA Dispiacente de che? Parlate, parlate puro; intanto lui quanno se tratta d’affari accusì, lo sa che faccio tutto da me. E poi lui qua vale quanto er dua de briscola. LUCIANO Quindi posso... CAMMILLA Eh speramo de sì. FILIPPO Allora io mi metto nelle sue mani. Sono innamorato pazzo di sua figlia Eleonora qui presente, e sono venuto a chiedergliene la mano... CAMMILLA Come annamo de’ cariera!... E, dico, quanto tempo ve pijeressivo? FILIPPO Uno, due, tre... quattro anni, forse, al più lungo. CAMMILLA E cce mettete puro er «forse»? FILIPPO Pure dovrò consolidare la mia posizione... CAMMILLA Che state incora impiegato co’ monsignor de le strade? FILIPPO Non lo creda; mi maraviglio. Io sto con mio padre... CAMMILLA Ah me credevo; perché mi figlia, nun faccio per avantalla, cià quarche cosetta ar suo commando. È abbituvata a una vita commida e signorevole... Nun vedete sí cche casa che ciavemo?! (guardandosi attorno) ELEONORA (tossisce) (Io mi sento morire dalla vergogna!) CAMMILLA E dunque né io né lui je volemo fà sposà quarche migragnoso, spiantato patirai, pe’ nun fà la siconda. ELEONORA (tossisce più forte ancora) CAMMILLA (ad Eleonora) Lo senti come te sei ariffreddata? Questi sò li frutti che ne ricacci cor fà l’amore, la notte, a la finestra. Ringrazziene ‘sto ber gingì der sor Filippo! ELEONORA (arrossendo) Macché raffreddata! È un po’ de tosse convulsa... ( fra sé) (Che vergogna!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 455 28/11/13 12.44 456 introduzione CAMMILLA (a Filippo) Eppoi noi, a casa nostra, vogliamo le cose leste. Nun ce piaceno li scallassedie, li patirai, li... se capimo? A preposito poi quando saremo al momento importuno, ce farete conosce li vostri genitori, la quale, speramo, che saranno contenti de ‘sto pangrattato? FILIPPO Contentissimi. CAMMILLA Ciavete antri fratelli? FILIPPO Sissignora, un altro che è professore di antropologia all’Università di Camerino. CAMMILLA (fra sé) (Ar paese de li mosciarellari!) Che fa a Cammerino? FILIPPO È un distinto antropologo. CAMMILLA (da sé) (Un antropofago?! Accidente se magna la gente allora!) FILIPPO E poi ho una sorella maritata a Montefiascone. CAMMILLA ( fra sé) (Un paese mejo de l’antro!) A proposito e vostro padre che mestiere fa? FILIPPO Mio padre? È avvocato concistoriale. CAMMILLA Nespole! Dunque sete gente attaccata forte ar preciutto?! ELEONORA (indignata) Ma mammà mia, questo che c’entra? CAMMILLA Centra perché ce cape. Che c’è de male? Ho vorsuto intenne che suono gente nera, attaccata ar papa. Mica j’ho detto codiga, j’ho detto. Che ve ne sete preso, eh sor Filippo? FILIPPO Ma le pare! Nemmeno per ombra. CAMMILLA Ah me credevo! Allora co’ me staressivo bene, staressivo! Dunque, caro sor Filippo... Come fate de casato? FILIPPO Forlindi, a servirla. CAMMILLA ( fra sé) (Proprio er nome che je ce vò!) Dunque, caro sor Forlindo, ce siamo intesi. Intanto, si per principià, volete venì una o du’ vorte la sittimana a fà l’amore co’ la mi’ fija, sete er padrone. Ma dico, aricordateve che sur sangue mio ce commanno io. E attenta a arà dritto; perché Lonora, ortre a esse un ber pezzo de grazziadeddio, cià salute, struzzione, bajocchi, varsenti5... ELEONORA Ma questo ce lo sappiamo. CAMMILLA Sta zitta tu. (a Filippo) E nun vorebbe che doppo passati li primi furori, cominciassivo a fà e’ libbrettino, come se dice adesso, appresso a ‘ste zozzone... ELEONORA (c. s.) Mammà!... CAMMILLA Insomma, pe’ capisse mejo, nun vorebbe che quanno se5 Denaro in genere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 456 28/11/13 12.44 ! , 1. introduzione 457 te arivato ar vostro intento, facessivo er puzzone come quell’antro genero mio... ELEONORA (Io ce crepo!) CAMMILLA Perché io, nun me guardate che sò donna, ma sò ccapace de... SCENA VIII Adele e Detti ADELE (interrompendo Cammilla) Mammà, mamma, presto è necessario che andate subito de là. C’è Menica e la lavandara che se sò attaccate. ELEONORA (Cielo ti ringrazio!) CAMMILLA (scattando) Ah brutte zozzone! (a Filippo) Me scusi si la lasso. Adele, Leonora, teneteje compagnia infinenta che nu’ ritorno. FILIPPO (alzandosi da sedere) Intanto mille grazie per la sua cortese accoglienza. CAMMILLA De che grazie? De che? Ma questo nun è gnente: quello che vierà in appresso! (esce dal fondo) SCENA IX Adele, Eleonora e Filippo ADELE (a Eleonora) Ho fatto bene a venire? Ho inteso che le cose prendevano una brutta piega, e ho preso il pretesto che sai per venirti a liberare. ELEONORA (a Adele) Sei arrivata in tempo. Io me sentivo morire! Che benedetta mammà! ADELE (a Filippo) E lei, per carità, non dia peso a tutto ciò che dice la nostra mamma; è una donna d’un temperamento un po’ vivace, un po’ troppo franca, se vogliamo; ma in fondo è bonissima. FILIPPO Ah lo credo ( fra sè) (Dio me la mandi buona!) ELEONORA (a Filippo) Che te nei sei offeso? FILIPPO Affattissimo. Se non l’avessi saputo, te lo confesso, mi avrebbe sorpreso; ma sapendolo non m’ha affatto meravigliato. ADELE Del resto è con tutti la stessa. C’è quel povero papà e anche quel povero Luciano mio che ce ne prendono de mortificazione! ELEONORA Te ripeto, è un temperamento così nervoso quella povera mammà, che Dio ce ne scampi e libberi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 457 28/11/13 12.44 458 introduzione SCENA X Luciano, Giuseppe, e Detti LUCIANO (entrando dalla porta in fondo) Bongiorno! GIUSEPPE (c. s.) Bongiorno! ADELE Bongiorno papà. (e gli bacia la mano) Luciano, ben tornato. (si danno la mano) ELEONORA Bongiorno papà. (gli bacia la mano) Vi presento il signor Filippo Forlindi mio fidanzato. (si danno la mano) GIUSEPPE Tanto, tanto piacere. FILIPPO Grazie dell’onore. ELEONORA (a Filippo) Mio cognato Luciano avvocato Rivolta. (poi a questi presentandogli Filippo) Filippo Forlindi, mio fidanzato. LUCIANO Fortunatissimo di conoscerla. (gli dà la mano) FILIPPO (stringendogli la mano) Cosa dice, la fortuna è tutta mia! GIUSEPPE E lei? ELEONORA Mammà è andata un momento in cucina. GIUSEPPE E così, crature mie, s’è combinato poi questo pangrattato? FILIPPO Sembra di sì. Anzi mi scusi tanto se abbiamo trattato senza di Lei. GIUSEPPE Ah nun ce fate caso sor Filippo mio; in ‘sta casa quello che fa llei è ben fatto. Io me rimetto sempre a la sapienza de mia moglie, e me ne ritrovo contentissimo. Contenta lei, contenti tutti. (tra sè) (Insomma io de ‘sta casa sò el puzzetta). LUCIANO ( fra sè) (Un bell’affare, star tutti sottomessi a quell’addannata). (poi rivolgendosi a Filippo) Sicché lei sarà il mio fortunato compagno? (da sè) (Di sventura!) FILIPPO Lo spero ardentemente. LUCIANO ( fra sè) (Stai fresco!) ADELE E a quando le nozze? ELEONORA Eh vedi adesso sì a che cosa vai a pensare! LUCIANO Ogni cosa a suo tempo. GIUSEPPE Bravo avvocato. Oggi intanto se sò fidanzati ufficialmente; in appresso poi se parlerà de sposalizio. ( fra sè) (Magna, cavallo mio, che ll’erba cresce!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 458 28/11/13 12.44 1. introduzione 459 SCENA XI Cammilla e Detti CAMMILLA Oh che bella conversazione! LUCIANO (alzandosi da sedere) Bongiorno, mammà. CAMMILLA (sostenuta) Bongiorno, avvocato. State commidi. Tutti siedono. ADELE Mbè, mammà, com’è andata a finire la lite? CAMMILLA Benissimo: co’ le bone magnere s’ottiè tutto. Ho sonato uno sciacquadente peromo che l’ho intontite, e accusì se sò azzittate. GIUSEPPE Brava ( fra sè) (Le chiama bone magnere!) LUCIANO ( fra sè) (Che terremoto!) CAMMILLA Peppe, v’hanno presentato qui el sor Forlindo? GIUSEPPE Sicuro; me lo ha presentato Eleonora. CAMMILLA E v’hanno detto che avemo guasi concruso l’affare? GIUSEPPE Sicuro. CAMMILLA (scattando) Che omo! Invece de rillegrasse; nun è bono antro che a dì: «sicuro, sicuro»! Tu davero sei Peppe-peppe de nome e de fatti. GIUSEPPE Bona grazia tua che me ciai fatto diventà! FILIPPO Ma sì che si è rallegrato, appena l’ha saputo. ELEONORA Verissimo. FILIPPO È stato anzi d’una compitezza squisita. LUCIANO È stato gentile. CAMMILLA Come un fico bruciotto6! Quando lo dite voi. LUCIANO Volete testimone migliore? CAMMILLA Sarebbe indificile a ttrovallo. (ironica) Eh, avvocato, a proposito, e ‘sti crienti vengheno o nun vengheno? LUCIANO Eh sempre pochini; molti, come desidererei, nun ne vogliono venire. CAMMILLA (ironica) Eh vieranno vieranno. Lassate fà... ( fra sè) (Oggi te n’ho combinati dua che valeno un perù). ADELE (per fuorviare il discorso) Papà, dove sete stato de bello? GIUSEPPE A li quartieri Ludovisi. Ma che bbellezza, che strade, che aria, che sole! 6 Brugiotto: varietà di fichi dalla pelle violacea o nerastra, dal sapore molto delicato. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 459 28/11/13 12.44 460 introduzione CAMMILLA Eh beato lui, lassatelo andà briccocolando7 tutto er santo giorno, è la contentezza sua. ADELE Magari lo potessi fare io! ELEONORA Dopo tutto nun fa male a nessuno. FILIPPO Facendo molto bene a se stesso. GIUSEPPE E è uno spasso innocente, come me. CAMMILLA Povera cratura! SCENA XII Ebe e Detti EBE (presentandosi sulla porta in fondo) Signori, la minestra è in tavola. FILIPPO (alzandosi) Signori, io vi tolgo l’incomodo. Tutti si alzano. CAMMILLA Che incommido, oggi starete, spero, a magnare un boccone co’ noi. (ad Ebe) Èbbete, aspettateme un momento. ELEONORA Brava mammà. ADELE Ma sicuro che deve stare con noi. Si adatterà alla meglio. GIUSEPPE Si Cammilla vò, sono contentissimo de l’onore che ce farete. LUCIANO Il pranzo del fidanzamento. FILIPPO Quando loro mi obbligano, io accetto. CAMMILLA (da sé) (Manco male che ccià fatta la grazzia!) GIUSEPPE Andamo che ciò una rana8 che me la vedo co’ l’occhi. CAMMILLA Eh voi (a Giuseppe) sete 1’omo più magnanimo der monno. LUCIANO (con affettazione a Cammilla) Se accettate il mio braccio? CAMMILLA Grazie. Sete troppo scivoloso oggi. ( fra sé) (O me l’ha fatta o me la sta pe’ ffà!) LUCIANO Io sono sempre gentile con tutti ed in ispecie con mia suocera. CAMMILLA ( fra sè) (Allìsceme, allìsceme intanto nun me cucchi!) GIUSEPPE Sbrigamese, Cammilla mia; puro lo sai che io oggi doppo pranzo devo partì per Marino, per andà a riscòte quelli conti. CAMMILLA Allora vojantri procedeteme puro; quanto do un ordine a Èbbete e viengo subbito. ADELE V’aspettiamo. CAMMILLA Ma si ve dico che mme sbrigo subbito. Annate. (tutti partono) 7 8 N.d.A.: bighellonando. Fame. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 460 28/11/13 12.44 a e 1. introduzione 461 SCENA XIII Cammilla e Ebe CAMMILLA (assicurandosi prima che tutti se ne siano andati) Èbbete, venite qua. Voi che sapete leggere bene, perché sete toscana (cava una lettera), fateme un po’ el piacere de sapemme a dire che cosa ce dice in de ‘sta lettra che ho trovo in de lo studio de l’avvocato. EBE A servirla. (prende la lettera) CAMMILLA Io mi suono persa l’occhialino e, per dì la verità, senza occhiali nun ce sbologno affatto. EBE ( fra sé) (Come se non sapessi che non la sa leggere!) CAMMILLA A chi è diretta? EBE (dopo letto) A Nninnì. CAMMILLA (con grande interesse) A Ninnì?! E nun ce dice antro? EBE Ci dice solo: «Mio carissimo Ninnì.» CAMMILLA Dunque è diretta, se vede, a un omo? EBE Sembra anche a me. CAMMILLA Ma a chi? Vattel’a ppesca. L’ho trova accusì senza inveloppo. EBE (leggendo) «Ieri finalmente ho finito lo sgombro e domani sera spero di dormire nella nuova casa in piazza Padella9, n. 80. Anzi volendola inaugurare con un buon principio ho pensato invitarti a un bel tete a tete. Vieni da me lunedì alle tre. Un abbraccio dalla tua Lucrezia. Roma 13 Gennaio 1886». CAMMILLA (sorpresa) Ce dice propio accusi? EBE Proprio così. CAMMILLA ( fra sé e con grande enfasi) (Signore t’aringrazio! Ecco finarmente che m’hai messo in mano una prova pe’ poté smascherà quer gesuvito farzo der mi’ genero!) EBE Chi la potrà aver perduta? CAMMILLA Er mi’ genero, o forse quarche criente... ( fra sè) (Bisogna usà prudenza). Èbbete, grazie; nun me serve antro. Annatevene. E si ve preme de stà qui, nun dite un fiato a gnisuno de quello ch’avemo detto e letto fra noi. EBE La non si dubiti. ( fra sè) (Povero avvocato, come lo vedo acconciato!) (esce) 9 La piazza era situata tra Via Giulia e il Lungotevere dei Tebaldi; oggi, nella stessa area, si trova il liceo Virgilio. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 461 28/11/13 12.44 462 introduzione SCENA XIV Cammilla sola, poi Luciano CAMMILLA (trionfante, percorrendo a grandi passi la scena) Ècchela la prova, ècchela! E poi dicheno che io suono una visionaria, una che vede tutto nero! È vero o nun è vero adesso, che quer puzzone fa le fuse torte10 a quela povera mi’ fija, doppo nemmanco sei mesi che me se l’è sposata? Nun meriterebbe da esse squartato?... Ah te la vojo dà io Lucrezia! E chi sarà, ‘sta Madama Lucrezia?!... Abbasta per adesso, famo infinta de gnente. Ma lunedì lo vojo pijà cor sorcio in bocca, quer morto de fame, gesuvito farzo, che s’è venuto a levà le grinze da la panza a casa mia! LUCIANO (prima, di dentro, chiamando) Mammà! CAMMILLA E cià puro la prosumea, puro la faccia tosta de chiamamme: mammà! Lo dicevo io che quanno er diavolo te lecca, è segno che vò l’anima. Me la stava pe’ fà er bojaccia, l’assassino!... Nun so chi me tienga de nun cacciaje l’occhi prima de subbito! LUCIANO (entrando) Mammà, tutti siamo impazienti di avervi con noi. CAMMILLA (ricomponendosi, si mette la lettera in tasca) Èccome, èccome... Un conto che avevo da mandà a fà pagà a Èbbete... Andamo... LUCIANO (offrendole il braccio) Prego. CAMMILLA (mentre lo accetta dà a piena mano tale una stretta al braccio di Luciano che questo non può fare a meno di gridare) LUCIANO Ahi, Ahi! ( fra sé) (Maledetta cià due tenaglie, per mani!) CAMMILLA (ironica) Genero mio, quanto ve ringrazio de la vostra garbatezza! LUCIANO (tastandosi il braccio indolenzito) Ma le pare, niente, un dovere. ( fra sè) (Che te possino... Quanto m’ha fatto male!... Che tte possino!) CAMMILLA (sotto al braccio di Luciano, avviandosi) Ma eh, quanto semo carini?! Nun paremo, voi l’abbate Luviggi e io (scandendo le sillabe) Ma-da-ma Lu-gre-zia11?! LUCIANO (sforzandosi di ridere) Ah ah ah ah! CAMMILLA ( fra sè) (Rìdete l’animaccia tua!) Fine dell’Atto primo 10 11 Fusatorte: corna. Statue parlanti romane. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 462 28/11/13 12.44 , e a e 1. introduzione 463 ATTO SECONDO Lo studio dell’avvocato Luciano. Scrivania, scaffali, sedie ecc. Porte laterali e in fondo alla scena. SCENA I Adolfo e Ebe ADOLFO Ma davero? Cosa me dici mai, mia cara Ebbe! EBE È un fatto. Appena gliela lessi, la signora Cammilla, la diventò una furia. ADOLFO E che cosa diceva? EBE Delle grandi cose. E poi se non ho male inteso... Ma per carità!... ADOLFO Me faccio meraviglia. EBE Ella sospetta che la lettera sia d’un’amante dell’avvocato e vuole andare a sorprenderli in piazza Padella n° 80. ADOLFO ( fra sè) (Diavolo, diavolo!) Come hai detto? EBE In piazza Padella n° 80. Una piazza ch’io non aveva mai udito nominare da poi che sono in Roma. ADOLFO E la lettera che era senza anveloppe, da chi era firmata? EBE Da una certa Lucrezia. ADOLFO (fra sè) (Per bacco, ho capito. Lucrezia Zorzi la canzonettista veneziana). E il sor Giuseppe, lo sa? EBE Affattissimo. ADOLFO ( fra sè) (Sarebbe stato meglio per lui che lo avesse saputo!) EBE Lo sa altro che la sora Camilla. Anzi mi ha assolutamente comandato di non dirlo ad alcuno. ADOLFO Quella benedetta donna vaneggia. Sò sicuro che quella lettera l’ha perduta qualche cliente dell’avvocato, e tutto finirà in una bolla di sapone. EBE Anch’io la penso così. ADOLFO Parlamo d’altro, la mia cara Ebbina. (abbracciandola) EBE Ehi, dico, cosa sono codeste sue libertà?! ADOLFO Scusami, amore mio; ma sei tanto bella che non so resistere... A proposito, dimenticavo che ho da dare una risposta al signor Giuseppe, me lo vai a avvertire? EBE Volentieri s’egli non stesse a Marino per certi suoi affari. ADOLFO (sorpreso) A Marino?! E sai quando tornerà? EBE È partito quest’oggi, quindi immagino ch’egli sarà qui domani. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 463 28/11/13 12.44 464 introduzione ADOLFO ( fra sè) (L’appuntamento è per domani... Bisogna che io l’avverta in ogni modo, anche a costo d’andà a Marino). EBE Oh, a cosa pensa? ADOLFO Pensavo a te, mia cara Ebbina! EBE La non mi confonde, sa? (si suona alla porta) ADOLFO Mia cara Ebe, hanno sonato: famme el piacere d’andà a vedere chi è. EBE Vado subito, caro il mio signor Adolfino. (esce dalla porta in fondo) ADOLFO Certe volte a spaghettare12 co’ ste benedette serve, è una furtuna. Io, per via sua, sò tutti li fatti del padrone. Senza de lei, come avrei scoperto questo po’ po’ de buriana che se sta per scaricà addosso al benefattore mio; a quel povero sor Giuseppe, l’omo più pacifico, più bono e più caritatevole che stia sotto la cappa del sole? SCENA II Ebe e Detto EBE Signor Adolfo, vi sono un uomo e una donna costì in anticamera che voglian consultare l’avvocato. ADOLFO Chi sono? EBE Non mi han voluto dire i loro nomi. ADOLFO Ebbene favorite avvertirne l’avvocato. EBE Vò subito. ADOLFO (fra sè) (Sì, sì è meglio fà animo risoluto. Domani prendo il primo treno che va a Marino. Si nno qua succede qualche guaio grosso). EBE (tornando) L’avvocato viene subito. Addio, caro Adolfino. ADOLFO Addio, gioia mia; arrivederci più tardi. EBE Prima ch’ella vada al Tribunale. (esce) SCENA III Luciano e Adolfo ADOLFO Bongiorno, sor avvocato. LUCIANO Bongiorno. (con importanza) E così dove sono questi miei nuovi clienti, quest’uomo e questa donna? ADOLFO Stanno de là in anticamera. LUCIANO Fateli passare. (Adolfo esce) LUCIANO (con aria boriosa prende posto nella sedia a braccioli dinnan12 Amoreggiare, flirtare. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 464 28/11/13 12.44 1. introduzione 465 zi alla scrivania) Sarei curioso di sapere a chi devo questi due clienti... A me che aspiro con desiderio intenso a raggiungere l’apice d’una brillante carriera, le poche volte che m’annunzieno un cliente novo, quando me se presenta un affare, il che m’accade così raramente, vado in estasi; e dalla gioja, nun capo più entro li miei panni!13 SCENA IV Orsola, Giachimandrea e Detto LUCIANO Bongiorno quell’omo; vi saluto buona donna. Che ciabbiamo? Sedete qua. GIACHIMANDREA (vestito da scopino) (entrando non fa che mettersi e togliersi il cappello, salutando) Ciavo, avvocato. ORSOLA (ravvolta in uno scialle si siede barcollante e, senza parlare, singhiozza) LUCIANO Dunque in che cosa vi posso servire? GIACHIMANDREA Ciavo, avvocato! LUCIANO Grazie. State comodo. ORSOLA Sor avvocato mio, me scusi tanto... GIACHIMANDREA (interrompendola) Avvocà, la tieni da scusare, si essa sta un poco ignorande; perché essa nun è fatto il sordato in gavalleria, come lo sono fatto io; la quale... LUCIANO Ma scusi, lei chi è? GIACHIMANDREA Il cuinate di essa donna. ORSOLA È mi’ cognato, sor avvocato mio; me scusi tanto; ma lei m’ha da fà una forza, una gran forza... GIACHIMANDREA Avvocà, ma de quelle che sapete fà lei!... LUCIANO Va bene; parlate; vedremo... GIACHIMANDREA Ma propio de quelle forze, avvocà, che sapete fà sordando tu!... LUCIANO Ma se prima non mi dite... ORSOLA Me se lo preseno... (scoppia a piangere) 13 Prima versione cancellata di questa battuta: (con aria boriosa prende posto nella sedia a braccioli dinnanzi alla scrivania) Sarei curioso di sapere a chi devo questi miei due nuovi clienti. A me che vagheggio gli alti voli d’una brillante carriera con tutte le sue belle conseguenze, ogni volta che m’annunziano un cliente novo, ogni volta che mme se presenta un nuovo affare, me soride l’anima nel godimento più assoluto. LUCIANO Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 465 28/11/13 12.44 466 introduzione GIACHIMANDREA Ce se lo pigliorno, poveraccia. Apposta essa è affritta... ORSOLA (sempre piangendo) Ha detto una signora a una commare mia, che m’ha cconsijato a venì da lei, che voi potete fà tutto, e che me potete llevà da le pene. (nuovo scoppio di pianto) GIACHIMANDREA Perché tu, tieni mórde canoscenze, e forsi sei una persona strutta. LUCIANO (con interesse maggiore) Va bene; ma se non mi dite come andò il fatto... ORSOLA (c. s.) Ha raggione. Ma sa, lei me devi scusà; perché io in de ‘ste brutte cose, nun ce sò passata mai. Apposta me sò portata appresso mi’ cugnato, tanto strutto, perché m’aijutasse a divve come era ito er fatto. LUCIANO (c. s.) Dunque coraggio: avanti sentiamo. ORSOLA Dunque lui stava su la porta... (singhiozzando) e lì propio me se lo pijorno. LUCIANO Ma c’era il mandato di cattura? GIACHIMANDREA Ma che cratura!... Avvocà, me fa specie de tu!... LUCIANO Allora l’hanno preso in flagrante? ORSOLA Ma cche in fregante! Me l’agguantorno p’er collarino... LUCIANO Ma che c’entra il collarino!... Va bene, sarà stato magari in maniche de camicia, e li carabinieri... GIACHIMANDREA Ma magari fussino stati li cherubbigneri! Invece fu quer bogliaccia... ORSOLA Sicuro quer boja... LUCIANO Va bene, o boja o non boja, quelli aveveno l’ordine e lo hanno eseguito. Dite piuttosto cosa aveva fatto, quale delitto aveva commesso... A me potete dir tutto come al confessore. ORSOLA (piangente) Ma nun aveva fatto gnente... GIACHIMANDREA Quanno te siamo detto gnente! ORSOLA Stava, poverello, a fà un socchè su la porta de casa, e quell’infamaccio de l’ammazzacani... povera bestiola!... (piange) LUCIANO (scattando) Come, come?! È di un cane che si tratta?! Chi vi ha mandato da me? ORSOLA La lavannara de quella signora... LUCIANO ( furibondo) Quale signora?! ORSOLA Quella tanta ricca, che prima faceva la pizzicarola in Panìco. LUCIANO ( fra sè, fremendo) (Maledetta, mia suocera!) (a Orsola) Io non ho tempo da perdere con voi. Se si tratta di un cane, andate al Municipio, reclamate, pagate la tassa, e ve lo restituiranno. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 466 28/11/13 12.44 - o 1. introduzione 467 GIACHIMANDREA Andove sei detto, che tenemo d’annà? LUCIANO A l’inferno! (li spinge tutt’e due fuori dello studio) GIACHIMANDREA ( fra sé andandosene) (Màzzate te e ‘sto mozzirecchio14!) ORSOLA (c. s.) (Un accidente a farajolo15 a te e chi me cià mannato). SCENA V Luciano solo poi Adolfo LUCIANO (chiamando) Adolfo, Adolfo! ADOLFO A servillo, sor avvocato. LUCIANO Chiunque venga, non ce sò per nessuno. Chiudete la porta... ADOLFO Sarà servito. Permetta, sor avvocato: domani averebbe d’andà fori de Roma per un affaruccio mio: me pò dà el permesso? LUCIANO Si, andate dove vi pare: andate magari al diavolo anche voi: ma presto! ADOLFO (nell’andarsene fra sè) (E chi j’ha mozzicato, la tarantola?) (esce) SCENA VI Luciano solo poi Adele LUCIANO (affranto, si butta sopra una poltrona) Questa maledetta bagarinaccia16 de mia socera, me vò fare schiattà! Vedi in che modo indegno se compromette la riputazione d’una persona come me, d’un avvocato!... Fortuna che non ha inteso nessuno... Ah, sì qui bisogna prendere un’estrema risoluzione. Andarsene da questa casa ad ogni costo; altrimenti ‘sta vecchiaccia me mette in procinto di fare qualche buscarata... Maledetta!...(chiamando) Adele, Adele!... Mandarme, a me, degli straccioni ai quali è stato accalappiato un cane! (c. s.) Adele, Adele!... Apposta ieri me domandò sardonicamente se avevo avuto nuovi clienti... Maledetta! ADELE Cosa volevi, Luciano?... Oh che aria stravolta! Che cosa t’è successo? 14 Imbroglione, mestatore; appellativo dato in particolare ad un legale poco corretto. Deriva dalla pena inflitta nel medioevo ai truffatori e ai disonesti cui si tagliava un orecchio come segno distintivo infamante. 15 Mantello; dall’arabo feriyùl. 16 Accaparratrice, trafficante. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 467 28/11/13 12.44 468 introduzione LUCIANO (si alza percorrendo a grandi passi la scena) M’è successo che con quella maledetta donna di tua madre, finisce male! ADELE Che c’è di nuovo? LUCIANO C’è che mi manda anche a far deridere nel mio studio, compromettendo la mia riputazione. ADELE Deridere? Possibbile?! LUCIANO Sì, deridere, insultare, corbellare, avvilire... ADELE Ma davero?! (sorpresa) LUCIANO Stallo anche a mettere in dubbio. Oggi dopo pranzo, appena ho aperto lo studio, mi ha mandato una lavandaia e uno scopino ai quali, essendo stato accalappiato un cane, pretendevano che io glielo facessi restituire... ADELE E che ne sai che sia stata mammà. LUCIANO Che ne so? Ma se me l’han detto essi: «Ce manda la lavannara de quella signora tanta ricca, l’antica pizzicarola de Panìco!» ADELE Che benedetta donna! LUCIANO 17Qui, cara Adele, bisogna fare animo risoluto. Andarsene e subito. ADELE L’avemo risoluto tante volte! Ma poi?... LUCIANO Poi, poi!... Meglio gli stenti che schiattare di rabbia, e mettermi in procinto di fare qualche corbelleria. Perché, ti giuro, in parola d’onore, che se un momento fa avevo tua madre nelle mani mi sentivo capace di strozzarla! ADELE Eh diamine! LUCIANO Ma se lo vuole lei. Ma se non me lascia mai un momento de pace! Se me sorveglia come un ammonito. Me manda sempre dietro le spie ogni volta che esco di casa... ADELE Eh, via!... LUCIANO Sì sì le spie! Ne ho le prove: e le deve anche pagare bene. Domandelo al mio giovane de studio... Me sorveglia quando sto in casa; me mortifica sempre e in presenza de tutti... Insomma questa è una vita da cani... È meglio andare a fà lo stracciarolo! ADELE (desolata) Ah santo Dio! LUCIANO (mettendosi il cappello) Basta: io ho bisogno d’aria; altrimenti oggi crepo, schiatto, scoppio! (passeggia agitato) ADELE Mbè, va Luciano mio... Abbi pazienza sai? Non te ne stare poi 17 Testo cancellato: ltro che benedetta!... Apposta si burla sempre della scarsità de’ miei clienti! E infatti me ne ha procurati due scelti nel mazzo!... A Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 468 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 469 a prendere tanto. Finalmente el diavolo non è brutto quanto se dipinge. Dello scherzo non ne siamo a parte altro che noi... Quei due ignoranti sono venuti in buona fede. Che ne sanno essi che mia madre se ne è servita per burlarti?... Ebe e Adolfo, come mi dici, non se ne sono accorti; dunque?... LUCIANO Dunque, dunque, sta a vedere che ha ragione lei. Ha fatto una bella cosa. Anzi l’andrò pure a ringrazià! Davero che me faresti uscì fuori dei gangheri!... (esce) ADELE T’aspetto a cena. Vieni presto. SCENA VII Adele, poi Cammilla ADELE Che vita d’inferno!... Ma già qui dice bene Luciano, è meglio a fare animo risoluto, e andarsene a star soli... Meglio fare una vita stentata, che una vita d’angustie e d’affanni come questa che facciamo noi. CAMMILLA (gridando di dentro) Fija mia, fija mia! (entra poi trionfante con una lettera in mano) Ho aspettato che quer puzzone fusse uscito... ADELE (inquieta) Cosa c’è de novo?... Eh mammà, ve ringrazio; avete fatto una bella prodezza, a mandà quela lavandara e quello scopino qui da Luciano. CAMMILLA Diceva sempre che nun ciaveva crienti e io, li primi che me sò capitati, j’ho mannato! Varda dolori de testa!... Ma nun se lagni piuttosto quer puzzone, perché finarmente ho scuperto l’artarino. (in aria trionfante) ADELE Qualche altra diavoleria in vista? Cos’è quella lettera? CAMMILLA (patetica) Coraggio, fija mia, coraggio. M’arincresce de fatte toccà co le mano che quello che tu’ madre provedeva, è la pura verità. ADELE (spaventata) Santa Vergine! Che cosa c’è de novo, mamma mia?! CAMMILLA C’è de novo che quer signorino te tradisce, fija mia; e ècchete la prova der corpo der delitto... (le mostra la lettera) ADELE (c. s.) Una lettera?! CAMMILLA Sì una lettera che ho trovato per tera qui in de lo studio de quer gesuvito farzo de tu’ marito. ADELE Una lettera diretta a lui? Da chi? CAMMILLA Da un’antra zozzona compagna a llui. ADELE (esasperata) Possibbile?! CAMMILLA Accusì nun fosse! Leggi un po’. (le dà la lettera) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 469 28/11/13 12.44 470 introduzione ADELE (dopo aver letto) Che orrore! Ah ma se fosse vero, meriterebbe d’esse ammazzato! (sdegnata) CAMMILLA E che incora lo metti in dubbito? Quanno tu’ madre te lo dice, è segno che è vero com’er vangelio. ADELE (indignatissima) Dopo pochi mesi de matrimonio!... Ma sarebbe un’infamia tale, che meriterebbe la galera in vita!... CAMMILLA Ma che galera! Qua ce vò una bona lezione de quelle che auso a dà io; e poi vederai si quer zozzone mette giudizio. ADELE (c. s.) È tale un’infamia, che mi vergogno di me stessa! CAMMILLA Avevo raggione, o nun avevo raggione?! E poi dicevio che ero io che esaggeravo, che vedevo scuro, che ero una visionaria!... Ma si io l’annasavo per aria, che quer bojaccia già tte la faceva!... ADELE (piangendo) Ah che colpo inaspettato è mai questo!... Io questa volta ce moro davero. (cade sopra una sedia e scoppia a piangere) CAMMILLA (confortando Adele) Fija mia, sangue de mammà tua, sta su che mamma tua nun t’abbandona... E tutto per quer bojaccia! Si me capita davanti, er pezzo più grosso ha da esse er naso... Su, Adele mia, nun te ne stà a ppijà; ché a tutto c’è arimedio fora che a la morte... SCENA VIII Filippo e Dette FILIPPO (presentandosi sulla porta) Disturbo? CAMMILLA No: anzi venite proprio in tempo. FILIPPO Che ha la povera signora Adele che si dispera? CAMMILLA Eh, caro lei; vojantri ommini meriteressivo tutti d’esse squartati, scannati e rincannati come li crapetti. FILIPPO Eh nun ce sarebbe male! E perché se è lecito? CAMMILLA Domannatelo a ‘sta povera martira de la mi’ figlia. FILIPPO Signora Adele, posso esserle di conforto? Qual dolore l’affligge tanto? ADELE Niente, grazie. È cosa che riguarda soltanto a me; dispensateme dal dirvelo, ve ne prego. CAMMILLA Quanto sei scema! Anzi è mejo che lo sappino tutti. Er disonore è suo, mica tuo. (a Filippo) Dunque sapete ch’è stato? Che quela faccia de san Giacinto a bocca sotto de l’avvocato, doppo manco sei mesi de matrimonio, semo venuti in chiaro, che cià la commare. FILIPPO (maravigliatissimo) Possibile? CAMMILLA Eh che ve fa tanto specie? State a vede che voi puro nun sarete capace de fà artrettanto! Ammazza ammazza sete tutti de ‘na razza. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 470 28/11/13 12.44 1. introduzione 471 ADELE (prendendo una risoluzione) Ma sì, dite bene: avete raggione: non vale la pena che io me stia ad angustiare per un infame. Mammà, qui a un partito bisogna attenersi. Che risolviamo? CAMMILLA Fija mia, quello che vòi tu è ben fatto. ADELE Io direi da cacciarlo su due piedi, appena rientra in casa. CAMMILLA Io invece, fija mia, me vorrebbe levà la voja d’agguantallo cor sorcio in bocca. Domani annameli a coje sur fatto. Ce viè a fà compagnia er sor Filippo. FILIPPO Ben volentieri. CAMMILLA Anzi me faressivo un piacerone, si ce portassivo puro l’antropofego vostro fratello. ( fra sè) (Accusi se lo magna!) SCENA IX Eleonora e Detti ELEONORA (di dentro) Mammà, mammà! FILIPPO Ecco Eleonora. Per carità, signora Cammilla, facciamo che le caste orecchie di essa non ne sappiano nulla... CAMMILLA De che?! Quanto sete scemo! Anzi è mejo che quella regazza opri presto l’occhi, e impari a conoscere quanti sete puzzoni vojantri ommini. (chiamando) Lonora, Lonora, stamo qui a lo studio. ELEONORA (entrando) Dove ve sete rintanati? È tanto tempo che ve cerco... Uh Pippo! FILIPPO Per l’appunto. (le va incontro e si danno la mano) ELEONORA (avvedendosi dello stato d’Adele) E tu, Adele mia, che hai che te vedo così addolorata? Tu hai pianto? Ma se pò sapere che hai? CAMMILLA (sospirando) Eh, fija mia, impara a tempo: opri l’occhi prima de fidatte de ‘st’ammazzati de ‘st’omminacci. ELEONORA (stupita) Che cos’è stato? CAMMILLA È stato che quell’infame de l’avvocato già s’è fatta la commare. ELEONORA La commare? Non capisco... CAMMILLA Come nun capischi?! Povera innocentina!... FILIPPO ( fra sé) (Povero angelo, che me lo guastano!) CAMMILLA Insomma: avemo scoperto che Luciano cià un’antra donna. ELEONORA (meravigliata) Ma possibbile? Dopo così poco tempo che è sposo?! CAMMILLA Eh che te fa specie? Questi sò zuccherini per la tosse. Impareli a conosce chi sò l’ommini. E te servi d’esempio ‘sta ciorcinata de tu’ sorella. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 471 28/11/13 12.44 472 introduzione ELEONORA Povera Adele mia! (l’abbraccia e la bacia) E che avete risolto di fare? CAMMILLA Siccome sapemo che domani, a le tre, se sò dati appuntamento da lei... FILIPPO In che luogo, scusi? CAMMILLA In piazza Padella n. 80. FILIPPO Non so nemmeno dove sia. CAMMILLA Lo so io però. Da regazza, quanno facevo la lavannara, bazzicavo sempre pe dde là. ELEONORA (da sé) (Mammà è sempre lei! Che c’entrava adesso la lavandaia!) CAMMILLA Domani a le tre annamo tutti là e l’agguantamo sur fatto. ADELE Andiamo pure, sono risoluta a tutto. CAMMILLA Je vojo dà una scapijata a tutt’e dua, ch’er Messiggero n’ha da parlà pe’ du’ sittimane sane. ELEONORA Uno scandalo, dunque? ADELE (risoluta) Uno scandalo! FILIPPO E l’onore della casa? E i pettegolezzi della gente: non ci pensate? CAMMILLA Che me n’importa a me della gente? Quanno me vojo levà ‘na sodisfazione, io passo puro sopra a la panza d’un soprano. FILIPPO Ma si potrebbe raggiungere lo stesso scopo, senza fare schiamazzi. ELEONORA Era quello che pensava io. ADELE Sentiamo voi cosa fareste? CAMMILLA (scanzonata) Sentimo Pippetto! FILIPPO A noi basta constatare che quando si sospetta sia vero davero? Dunque gnente schiamazzi, gnente busse, gnente scandali. CAMMILLA Bella soddisfazione de li miei bottoni! ADELE Però el signor Filippo non ha tutti i torti. Io poi non vorrei abbassarmi fino al punto di andare in quella casaccia equivoca. ELEONORA Nun c’è el decoro tuo; hai raggione. CAMMILLA E allora? FILIPPO Andiamo sul luogo, ci nascondemo, e quando abbiamo constatato che l’avvocato è salito in quella tal casa, nun c’è più dubbio ch’egli sia un traditore. ELEONORA Così va fatto. ADELE Anch’io sò del medesimo parere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 472 28/11/13 12.44 r 1. introduzione 473 CAMMILLA Scusate, sor Filippo, si io suono un po’ curiosa. Che vor dì ‘sto costatare costato, che sò du’ vorte che l’aripricate? FILIPPO Oh bella! Constatare, vuol dire assicurarsi de visu, con i propri occhi, toccare con le mani, che è vero quanto noi sospettiamo. CAMMILLA E quanno, come dite voi, je l’avemo toccato co’ le mano, che sodisfazzione provamo? FILIPPO Che soddisfazione? Chiamamo un commissario, lo mandiamo su, onde s’accerti dell’adulterio e, ciò fatto, la signora Adele gli dà querela. Luciano va in prigione... CAMMILLA (giubilante) Magari lo potessi vede in gabbia, ciannerebbe a nozze, ciannerebbe! Me sa mill’anni d’annaje a portà du’ sordi de canipuccia! Allora famo accusì che sò contenta. ELEONORA Me pare el miglior modo. ADELE E la sodisfazione sarà più completa. Io non vedo l’ora di vederlo umiliato come merita. CAMMILLA E de tutto quello ch’avemo combinato, pe’ l’amordeddio, nu’ne sappi puzza gnisuno. Specialmente che Èbbete e Menica nu’ lo sospettino nemmanco. ELEONORA S’intende. ADELE Ce mancherebbe che lo sapesse la gente di servizio. CAMMILLA E nemmanco vostro padre. Si nno quello cià el core tanto bono, che l’annerebbe subbito a ridì a l’avvocato... Eh fije mie, vostro padre, e poi nun più! Un antro omo semprare, un altro marito come lui che abbi sempre vorsuto bene a su’ moje, nun c’è in tutto el monno. Aricordatevelo. FILIPPO Che, el sor Giuseppe è tornato da Marino? CAMMILLA No, per furtuna. E forse manco aritornerà per oggi. ADELE Ma io stasera, come me devo contenere? CAMMILLA Tu stasera dormirai co tu’ madre. Lassa che quer signorino vienghi a casa, che me lo lavoro io. ADELE Fate voi, mammà; io sono nelle vostre mani. CAMMILLA Fidete sempre de me, fìja mia, e te n’aritroverai bene. FILIPPO È già tardi; ed io poi è meglio che per delicatezza, me ne vada. Arrivederci domani alle tre in piazza Padella, e coraggio. ADELE Tante grazie di tutto. E ce scusi. (si danno la mano) ELEONORA Arrivederci. (c.s.) CAMMILLA Se vediamo, e mosca! (lo saluta) FILIPPO Non dubiti. La riverisco. (esce dalla porta in fondo) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 473 28/11/13 12.44 474 introduzione SCENA X Cammilla, Adele ed Eleonora ELEONORA Almeno, questo povero Pippetto mio me pare bono. ADELE T’auguro che ci si mantenga. CAMMILLA Scopa nova, scopa bene. Beata te! Dà tempo ar tempo, e te lo vederai diventà un puzzone peggio de quell’antro scannato. Te l’ho detto: ammazza, ammazza, sò tutti de ‘na razzaccia porca. ELEONORA A sentì a voi, allora, non c’è altro che papà nostro che sia un galantomo? CAMMILLA E lo poi dì forte, lo poi! Ma perché? Perché me lo sò tirato su a mollica a mollica; perché me lo sò fatto da me. Che sii benedetto, che omo! che coscienza, che intriguità! ADELE Sento salì le scale. Temo che sia quel signore... CAMMILLA Lasselo venì; e lasseme fà a me. ELEONORA Ho pavura che voi stasera ve fate scoprì, e così el progetto nostro va tutto per aria. CAMMILLA Adele mia, tu vattene de là in cammera mia, spojete, e mettete a letto ar posto de tu’ padre. ADELE Mammà mia, me raccomando a voi. Prudenza fino a domani, e sarà quel che sarà. (saluta Cammilla ed Eleonora ed esce dalla porta a sinistra) SCENA XI Luciano, Cammilla ed Eleonora LUCIANO (entra e saluta) Sora Cammilla, cognatina, vi do la buona sera. (da sé) (Fingiamo di non aver rancore). CAMMILLA (sostenuta) Bonasera. ELEONORA (c. s.) Addio, Luciano. LUCIANO (da sé) (Che c’è di nuovo?... Vuoi scommettere, dopo l’azione che mi ha fatto, che ha ragione lei? Se vede che Adele l’averà sgridata! Ora capisco). E la mia Adele? CAMMILLA Adele oggi s’è intesa male assai. J’ha pijato uno sturbo tanto brutto, e l’ho mannata a letto in cammera mia. LUCIANO (turbato) Oh, che me dite mai! Andiamola a trovare, povera cocca mia! (avviandosi) CAMMILLA (trattenendolo in malo modo) Adesso dorme e per ordine der medico gnissuno la po’ andà a disturbà, capite? Gnisuno. LUCIANO Non fa niente; le farò nottata io, la curerò... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 474 28/11/13 12.44 1. introduzione 475 CAMMILLA (c. s.) Nun serve. Cià bona madre! ELEONORA (con modi bruschi) E bona sorella! LUCIANO (al colmo della sorpresa) ( fra sé) (Ma se sò impazzite?!) CAMMILLA (c. s.) E bon padre, a l’accorenzia! (si avvia per uscire, seguita da Eleonora) LUCIANO ( frenandosi) Ma sapete, signora CammiIla, che certe volte non vi arrivo a comprendere? Siete così curiosa!... CAMMILLA (risentita) Eh che capischi che ciò la gobba, che me dichi curiosa?! (a Eleonora) Annamo, Leonora. (si avviano verso la porta a sinistra) LUCIANO (c. s.) Me fareste uscì fuori dai gangheri!... CAMMILLA Faressivo un’antra fatica p’arientracce. LUCIANO ( furibondo) Siete una gran villana. CAMMILLA (ironica) Tirate er fiato a voi: giucate er 6. LUCIANO Oh insomma!... (tenta trattenere Cammilla) CAMMILLA (rapidamente si svincola da Luciano dandogli uno spintone) Ma va in galera! (entra con Eleonora alla porta sinistra e chiude a doppia mandata la porta) LUCIANO ( furibondo, spinge la porta, la prende a calci e grida) Signora Cammilla del diavolo, voi volete farmi commettere qualche sproposito!... Io sono disperato!... CAMMILLA (di dentro griderà forte) Buttateve a fiume! LUCIANO (c.s.) Sicuro che me ce farete buttare, sicuro; ma prima ve butterò da la finestra a voi!... CAMMILLA (sempre di dentro, griderà come un’aquila) E che capischi che a la mi’ fija je puzza er fiato, che te vai a scapicollà co’ le conocchie, doppo sei mesi soli de matrimogno?! LUCIANO (disperato) Sora Cammilla del diavolo, strega maledetta, io stasera vi ammazzo a voi e poi mi suicido! CAMMILLA (sempre di dentro, gridando) Passa via, cane rognoso! SCENA XII Giuseppe e Detto GIUSEPPE (con la valigia in mano; entrerà e resterà sulla porta in fondo alla scena, ad osservare ogni cosa, dal momento nel quale Cammilla si è chiusa in camera) LUCIANO (sempre furibondo) Ah ma questa donna è un’energumena, è un’ossessa, è una rovina, un terremoto, un vulcano in eruzione!... Maledetto el momento che ciò messo el piede in quest’inferno!... È Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 475 28/11/13 12.44 476 introduzione meglio ch’io me ne vada, per non tornarci mai più... (nell’uscire s‘ incontra con Giuseppe) GIUSEPPE Alto là! Vostra socera ve scaccia; e io invece v’opro le braccia. (abbracciando Luciano) LUCIANO (sorpreso) Come, voi a Roma, papà?! GIUSEPPE Arivo fresco fresco da Marino... Ma diteme un po’, che diavolo v’è successo? LUCIANO Ah lasciateme, papà mio; ché quella maledetta donna... GIUSEPPE Che sarebbe mi’ moglie. Avete mille raggione... LUCIANO Si nun me ne vado presto da ‘sta casa, io commetto qualche eccesso... GIUSEPPE Lo so; e per questo è meglio che con vostra moglie ve ne andate a stà soli. Già ciò pensato e ne ho parlato con Adele tante volte. Riguardo poi a l’interesse, ce penso io a accomodà tutto. LUCIANO Siate benedetto!... Se sapeste quella bocca che improperi ha saputo vomitare!... GIUSEPPE E v’ho intesi a tutt’e due; perché è un pezzetto che me ve stavo a godé. Ma diteme la verità, avvocato, che j’avete fatto? LUCIANO Io lo domanderei a voi. GIUSEPPE Me pare impossibbile! Invelenita ce stà sempre; ma come ‘sta sera poche volte ce l’ho veduta! LUCIANO Dice che quest’oggi Adele s’è intesa tanto male, che ha avuto uno sturbo, e che quindi questa notte se la tiene a dormire con lei. GIUSEPPE Lo vedete che una causa c’era? Ma, per carità, calmateve e parlate piano, ché nun ce senta nessuno. LUCIANO (abbassando la voce) E per questo mi si tratta così? Me s’impedisce a me, che sò il marito, di andarla a trovare?... Dice che dormiva e che il medico ha provibito a chicchessia di disturbarla. Ma questo che cosa c’entrava con tutte quelle altre improperie che mi ha saputo dire? GIUSEPPE Cor una fava ha voluto acchiappà due piccioni; ha preso ‘sto pretesto pe’ sfogasse un po’. LUCIANO Stasera me prenderebbe davero l’estro de far qualche pazzia; e così finirla una bona volta... GIUSEPPE (con calma) Avvocato, me fa specie: sete omo o nun sete omo? Date retta a me; intanto sò sicuro che lo sturbo d’Adele nun è gnente: sarà effetto de gravidanza... Date dunque udienza a me. Nun ve ne state a prende. E giacché mi’ moglie ha disposto così, venite con me. Andamose a fà una bona cenetta, poi se ne anderemo al teatro, e quando ce farà commodo se n’anderemo a dormì a la locanda. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 476 28/11/13 12.44 1. introduzione 477 LUCIANO Bravo! e se lo viene a sapere quell’accidente? GIUSEPPE Nun pò esse che lo risappia; perché io faccio finta d’aritornà da Marino, domani a mezzogiorno. Tanto più che nessuno m’ ha visto: nemmeno la gente de servizio, che a quest’ora dorme. LUCIANO (sorpreso) Ma sete voi che me date certi consigli? «quell’omo esemplare!» «quell’omo santo» che a ssentì vostra moglie, non ce n’è un altro al mondo?! GIUSEPPE Io, io, ve li do! Che v’ho consigliato forse de venì a fà la serenata col paletto in qualche negozio d’oreficeria? lo v’ho detto de venì con un galantomo a divertivve un po’. Gnente altro. LUCIANO (abbracciandolo) Voi mi ridate la pace. Accetto con riconoscenza l’offerta generosa, perché ho proprio bisogno di distrarmi un po’. GIUSEPPE Bravo! E vederete che se divertiremo. LUCIANO Ma come va, caro papà, questo cambiamento? È la prima volta che voi mi apparite sotto tutt’altro aspetto. GIUSEPPE Eh, caro genero mio, è un pezzo che mando giù. E con trentacinque anni de quel santo matrimonio che sapete, si me ne fossi preso, a quest’ora de me nun ce ne sarebbero più nemmanco li denti... Così ho imparato a piglià el mondo come viè. E quando la gatta nun c’è el sorcio balla... LUCIANO Bravo, me ne rallegro con voi! Siete più spiritoso de me. GIUSEPPE Ecco: più spiritoso no, sò più furbo, perché ho più esperienza de voi in primise; e poi perché mi’ moglie, a forza de predicamme per trentacinque anni de seguito, notte e giorno, m’ha convertito a la vera fede. (si mette sotto braccio Luciano e se ne vanno tutti e due ridendo) Fine del Secondo Atto e e Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 477 28/11/13 12.44 478 introduzione ATTO III Piazza Padella. In fondo un lavatoio pubblico comunale con diverse lavandaie che lavano. Sulla strada alcune corde tese con panni ad asciugare. A sinistra la casa di Lucrezia Zorzi veneziana col n. 80; a destra la casa di Agnese lavandaia, tutte e due con porte e finestre praticabili. SCENA I La Custode della fontana, Prima Lavandaia e Mastro Grispino All’alzarsi del sipario la Custode della fontana sarà seduta fuori della fontana a fare la calza. La Prima lavandaia, intenta a stendere panni, canterà. Mastro Grispino, innanzi al suo descbetto, è intento a lavorare. PRIMA LAVANDAIA (mentre stende, canta) Santa Maria Maggiore a la salita, de qua e de llà ‘na bella scalinata: in mezzo ce stai tu, Rosa fiorita! GRISPINO (risponde al canto della Lavandaia) A Roma, a Roma le belle romane, e le più belle sò tresteverine, l’arubbacore sò le monticiane. CUSTODE Beato voi, mastro Grispì, che ve la cantate! GRISPINO Che volete fà? Tiramo a campà. Intanto quanno semo per antro a la fin der mese sò più lladri che sbirri18 lo stesso. Accusì io fo: Trenta dì, ventotto mija, è un minchion chi se ne pija. (seguita a lavorare) CUSTODE La pensate proprio da omo de monno. Ma intanto me fa specie che oggi che è lunedì, lavorate. GRISPINO Eh lo so; ma per antro, siccome jeri ho fatto ragno ragno, oggi me tocca a sgobbà pe’ sbatte la scucchia. (seguita il suo lavoro) SCENA II Orsola e Detti ORSOLA (viene dalla destra, con un fagotto di panni sulla testa; avrà gli zoccoli. Parlando con la custode) Sor Artimizia, è venuta in fontana quella gioja de la commare Agnesa? 18 N. d. A.: son più debiti che crediti. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 478 28/11/13 12.44 1. introduzione 479 CUSTODE Incora nun s’è vista. ORSOLA Vojo provà si stasse a casa. (prima bussa al portone della casa di Agnesa, e poi chiama) Commare Agnesa, commare Agnesa! AGNESE (si affaccia) Chi è?! Ah sete voi? Che ve s’è sciorto? ORSOLA Salutatemelo tanto quer ber pezzo d’allesso de l’avvocato! AGNESE Mbé come è ita? ORSOLA ‘Cci sua, bu bbu! M’avete fatto fà un ber figurinaro, tanto a me quanto a mi’ cugnato! AGNESE Che nun v’ha vorsuto ariceve? ORSOLA Sì; ma quann’ha saputo che se trattava d’un cane, c’è amancato un tommolo d’un pidocchio, che cce buttasse a tutt’è dua pe’ le scale; che sì scannato! (entra in fontana) AGNESE Ecco che vòr dì a impicciasse!... Un’antra vorta, de carta! (si ritira e chiude la finestra) SCENA III Adolfo e Detti ADOLFO (dalla destra, con una borsetta di viaggio) Ma vedi la combinazione! Sò andato a Marino stammatina, e el sor Giuseppe invece era partito jeri sera pe’ Roma. El diavolo ce mette propio la coda!... Almeno arivassi in tempo per informallo bene de tutto. A casa sua non ho fatto a tempo a andacce, perché sò arivato una mezz’oretta fa; così ho pensato de scappà subbito qui che, a la peggio, l’informerò de tutto appena verrà. Ho scritto pure una lettera all’avvocato per informarlo, non solo de tutto quello che ho scoperto, ma pregandolo de venì qui per aiutacce a rivoltà la frittata. Dentro la busta glie ciò messo una lettera anonima, e tutto un piano de la commedia che ho pensato de rappresentà... Anche quella povera Ebbe, l’ho ammaestrata bene e m’ha promesso di fare a puntino quanto gliò raccomandato. Arischieremo de perde el pane, ma el Sor Giuseppe ce riccompenserà, perché cià un core da vero da romano!... (si guarda attorno tutto sospettoso) A proposito, almeno spero che non m’abbia visto nessuno!... Presto presto. Ecco el numero 80. Imboccamo dentro, e chi s’è visto s’è visto. (entra dentro il portone della Zorzi) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 479 28/11/13 12.44 480 introduzione SCENA IV Custode e Grispino CUSTODE Mastro Grispì, ma chi è quela marca19 ch’è vienuta a abbità qui a l’80? sapete gnente? GRISPINO Ar frontispizio (sí, per antro, è vero quello che dice er curato bello nostro, ch’er frontispizio è lo specchio de l’anima) ar frontispizio, cià l’aria d’esse una mezza zunnananà 20... Ma, per antro, pò esse che me sbaji. CUSTODE Nun sò nemmeno due o tre ggiorni ch’è vienuta a stà qua, e già ce vedo un giro de paini 21 che consola. GRISPINO Per antro, bisogna dì la verità, che nun hanno torto; perché, Dio la benedichi, è un gran ber pezzo de marcantogna. CUSTODE Avete incajato22 come annava sospettoso quer paino ch’ha imboccato un momento fa? GRISPINO Mica sò cieco! Se guardava de dietro come si fusse stato perseguitato da la forza. CUSTODE Quello è quarchid’uno de sicuro che cià moje. GRISPINO Se capisce e ne sarà stufo. Lo sapete quer fatto de que’ re che diceva: «Sempre reggina, sempre reggina!» Ar monno per antro ce vò un pò de divario. Mutatise mutandise. CUSTODE Speramo che puro su’ moje je facci altrettanto, accusì fanno facche et refacche 23... GRISPINO E bòna notte ar secchio! (ride e si mette di nuovo al lavoro) CUSTODE (ride anche essa. Poi si alza) Annamo un po’ a vvede che fanno ‘ste quattro zitelluccie. (entra nella fontana) SCENA V Adolfo, in finestra ADOLFO Io sto sulle spine. Almeno se el sor Giuseppe arivasse prima de la sora Cammilla sarebbe una furtuna!... Ma intanto, ancora nun se vede nessuno... Comincio a pentimme d’esserme impicciato... Furtuna che ho trovato ‘sta ragazza de Lucrezia, proprio bòna come un 19 Marca o marco, dal nome proprio Marco: per indicare genericamente una persona. Parola onomatopeica per «puzza» (cfr. Chiappini). 21 Paino: bellimbusto, elegantone. 22 Incajà, incajasse: notare, accorgersi. 23 Traduzione popolare della locuzione latina fac et refac: quel che è fatto è reso. 20 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 480 28/11/13 12.44 1. introduzione 481 pezzo de pane... Poveraccia, m’ha promesso che farà tutto quello che vogliamo... Ma intanto ‘sto sor Giuseppe santo, nun se fa vivo!... Eccolo... No macché, nun è lui... È el sor Filippo Forlindi el fidanzato de la sora Eleonora. Nun se facciamo vedere, per carità. (si ritira e chiude la finestra) SCENA VI Filippo e poi la Custode FILIPPO (si ferma davanti al portone col n. 80, poi va a vedere nei portoncini di contro) Sembra che ancora non sono giunte. Sono il primo che se trova all’appuntamento. (osservando il suo orologio) Le due sonate. Dunque staranno a momenti... La cosa che m’affligge è che anche la mia Eleonora deve essere spettatrice di queste infamie. Ma come impedirglielo se quella benedetta sora CammiIla s’è ficcata in capo che le serviranno d’esempio?... Basta: oggi el cielo ce la mandi buona. Ritiriamoci qui, in questo portone. (si ritira nel portone della casa di Agnese; e ogni tanto mette fuori il capo per accertarsi se viene alcuno) CUSTODE (la quale intanto è uscita dalla fontana, e si è di nuovo seduta) Mastro Grispì, avete sgamuffato24 quell’antro patirai?... Qui l’affare se comincia a fà serio davero. GRISPINO S’avessimo da trovà a quarche bella incontranza? Per antro... CUSTODE Per antro, (burlandosi di Grispino) vederete che accusì finisce. A la longa va, ma qui quarche ber terno lo cacciamo fòra... Ma quer marco ch’è arivato adesso, ch’è ito a fà su d’Agnesa? GRISPINO Macché, nun è ito su, ma, per antro, sta in der portone, e ‘gni tantino fa capoccella pe’ scutrinà, me pare, le finestre de Madam’Angò25. CUSTODE Aspetterà forsi che eschi fòra quell’antro. GRISPINO (cantando l’aria di Figaro del Barbiere di Siviglia) «Figaro qua, Figaro là, Uno alla volta, per carità!» CUSTODE (imitando Grispino) Ah Ah Ah, c’è proprio da ridere in verità! 24 Sgamuffà: osservare di sottecchi, sbirciare senza farsene accorgere. Madame Angot: personaggio di varie opere teatrali francesi. Nell’uso: donna arricchita, avventuriera. 25 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 481 28/11/13 12.44 482 introduzione SCENA VII Adolfo in finestra e Detti ADOLFO (assicurandosi prima di non esser visto) Si veniva prima el sor Giuseppe, lo facevo subbito scappà, e così la sora Cammilla restava con un palmo de naso!... Invece adesso me tocca a cambiare tutto el piano che avevo concertato... Chi me l’avesse detto in vita mia de fà pure le commedie... Si nun me sbaglio... Tombola! Ecco Proserpina co’ le figlie... Nun se facciamo vede, si nno siamo persi, o reggina! (si ritira e chiude la finestra) SCENA VIII Cammilla, Adele, Eleonora, Filippo e Detti FILIPPO (uscendo dal portone) Meno male; eccole arrivate. (saluta) CAMMILLA (a Filippo) Quanto tempo è che state qui? FILIPPO Una diecina di minuti. (si danno la mano) ADELE (a Filippo) (con dolore) Ancora nessuno? CAMMILLA (a Filippo) Incora nun s’è visto quer puzzone? FILIPPO Non ho visto alcuno. ELEONORA Meno male che siamo ancora in tempo. CAMMILLA E si era arivato prima, peggio per lui. Ce mettevo la scala de seta, a salì su da quela madamaccia, e a cacciaje l’occhi a tutt’è dua! ADELE Mammà, ricordateve de la promessa. Si me volete bene prudenza. FILIPPO Senza schiamazzi. ELEONORA Con giudizio, come abbiamo concertato. CAMMILLA (a Filippo) Avete pensato a chiamà er commissionario de li pulizzotti, pe’ falli agguantà in fregante crimisi? FILIPPO Sicuro. È qui ad un passo, ed è un amico mio. Se occorrerà lo chiameremo. CAMMILLA Come si occorrerà?! Avete voja si occorerà; anzi averessivo da curre a chiamallo. FILIPPO Adesso adesso; non dubitate. CAMMILLA Allora ce pensate voi. Va bene cusì. ELEONORA Dove ce nascondiamo? CAMMILLA In d’uno de ‘sti porticini. Adele, tu nu’ lassà mai mamma tua; viemme qua sotto ar braccio e coraggio; coraggio fìja mia ché stai co’ tu’ madre che t’odora e che nun te guarda pe’ nun logratte. ELEONORA Se mettiamo tutti insieme? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 482 28/11/13 12.44 ! 1. introduzione 483 FILIPPO È meglio. Tanto in un portoncino di questi c’entriamo tutti. CAMMILLA (accennando il portone d’Agnese) Entriamo in questo qui che je sta quasi de faccia. Accusì, senza nemmanco fà capoccella, potemo scutrinà tutto quello che succede drento ar portone de madama Lugrezzia. ELEONORA (entra nel portone e ne riesce subito, inorridita) Dio che tanfo! Che peste!... (otturandosi il naso) CAMMILLA Eh vai cercanno, in certe circostanzie puzza più puzza meno! Lesti, entramo: nun perdemo tempo. (entra) ELEONORA (col naso otturato) Io ce schiatto qui dentro. CAMMILLA Accusì è mejo, famo doppia càntera 26. (tutti gli altri entrano; poi ogni tanto qualcuno di essi mette fuori il capo) SCENA IX Custode, Grispino e Detti (ritirati nel portone) CUSTODE Avete visto, mastro Grispì, quanta painerìa?! GRISPINO E come?! La zinna se fà bona! CUSTODE Che ne pensate? GRISPINO Che la matassa s’imbroja. Per antro, incora nun me ce sò ariccapezzà. CUSTODE Che ne dite, ce li daranno li nummeri per un ber terno? GRISPINO Però nun se famo accorge che li tenemo d’occhio; si nno artrimenti se ponno, per antro, mette in suggizzione. ( fa finta di lavorare) CUSTODE Nun dite mica male. È mejo a fà l’indiani... Ecco che rifanno capoccella. ( fa sembiante di lavorare la calza) SCENA X Cammilla, Adele, Eleonora, Filippo e Detti CAMMILLA (uscendo seguita dagli altri) Avete raggione, fije mie, qua drento c’è una puzza ch’appesta... Respiriamo un po’ d’aria balzanica. ELEONORA Si stavo un altro secondo me ne venivo meno. Fortuna che ciò la bottiglietta d’acqua de colonia. (l’annusa) FILIPPO Io intanto sto alla vedetta. (si allontana verso il fondo della scena) CAMMILLA Bravo, e avvertitece subbito. Dunque, come te dicevo, Adele mia, si quer pover’omo, quer sant’omo de tu’ padre sapessi la 26 Puzzo, fetore insopportabile, latrina in genere. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 483 28/11/13 12.44 484 introduzione parte che ce tocca a ffà a noi, pe’ cavusa de quer boja, lui che nun c’è passato mai, sai quanto ce soffrirebbe?... Fortuna che sta a Marino!... (declamando) Quello se chiama un omo, quello se chiama un santo de marito, un marito semprare!... FILIPPO (accorrendo) Nascondemose. Un omo s’avanza fischiando! ELEONORA E ADELE È lui? CAMMILLA È quer puzzone? FILIPPO Per fare a tempo a scappare, non l’ho visto. Presto ritiriamoci. Entrano tutti in fretta nel portone, e si mettono poi a ficcanasare. SCENA XI Adolfo (dalla finestra) Giuseppe e Detti ADOLFO (dalla finestra con circospezione nel vedere Giuseppe) (Beato lui, come se ne viè locco locco! Co’ ‘sta zuppetta che cià preparata!... Eh roppete le gambe! fajela; ché io sto su le spine!...) GIUSEPPE (le mani dietro la schiena, e fischiando l’aria dell’ inno: «Noi siamo i capi fondatori della lega, del chi se ne frega» si avanza placidamente, ed entra nel portone della Zorzi) ADOLFO (dalla finestra) (Meno male che je l’ha fatta! Adesso presto a preparà la commedia) (si ritira chiudendo la finestra) SCENA XII Cammilla, Adele, Eleonora, Filippo (uscendo dal portone) ELEONORA (stupita) Avete visto papa?! ADELE (c. s.) Papà?! FILIPPO (c. s.) Papà?! CAMMILLA ( fuori di sé) Papà?! Peppe mio?! lui? Macché è uno sbajo, nun pò esse... Ah traditore, assassino der sangue suo! Ah fije mie, io moro, io schiatto!... (sviene) ADELE (soccorrendola) Mammà mia, coraggio. Bisogna vedere perché motivo è venuto qui... Io perdo la testa!... ELEONORA L’averanno avvertito... FILIPPO E per mettere pace, sarà corso anche lui... Presto, quel1’omo (a Grispino) portate una sedia. GRISPINO (recando la sedia) Eccola pronta. (aiutato da Adele, Eleonora e Filippo vi adagiano Cammilla la quale agiterà le braccia e le gambe) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 484 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 485 CUSTODE (accorrendo anch’essa) Nun vedete, poveretta, che straveri che fa? Ce vorebbe un po’ d’aceto, (chiamando) sor’Agnesa, sor’Agnesa! ADELE Mammà, mammà mia!... ELEONORA Presto ‘st’aceto per carità!... SCENA XIII Agnese dalla finestra, Lavandaie e Detti AGNESE (affacciandosi) Ch’è stato? Ch’è successo?! CUSTODE Una donna svenuta. Lesta, un po’ d’aceto. AGNESE (ritirandosi) Scegno subbito. FILIPPO Che diavolerio! ADELE E ELEONORA (confortando la madre) Mammà, su che non è gnente! GRISPINO ( fra sé) (Donna vedere svenuta sta ar 44!) AGNESE (recando l’aceto) Ecco l’aceto... (poi riconoscendo Cammilla) Uh povera sora Cammilla, povera signora mia! Eh ch’ha fatto? CUSTODE J’ha preso un sturbo. (fra sé) (Lo dicevo io che oggi ridemio!) ELEONORA (disperata) Che vergogna!... Mammà, mammà mia!... AGNESE Povera signora, portamela su a casa da me e mettemela su lletto. FILIPPO Sì è meglio che ci leviamo da questa fiera. ADELE Mammà, venite su con noi da questa buona donna. ELEONORA Ancora nun dà segno de vita! (disperata) AGNESE (a Filippo) Quer signore, lei, m’ajuti. FILIPPO Andiamo. Adele, Eleonora, Filippo e Agnese sollevano Cammilla e l’aiutano a salire in casa di Agnese, seguendola. SCENA XIV Grispino, Custode, Orsola e Prima Lavandaia ORSOLA (accorrendo dalla fontana) Chi è stato? Chi hanno ammazzato?! CUSTODE Che ammazzato, la luna! È una signora che j’ha pijato uno sturbo. GRISPINO Ma che sturbo! È stato uno svenimento bello e bono! PRIMA LAVANDAIA Eh cche straccio de svienimento! Nun dava più segni de vita! ORSOLA Poveraccia, davero?! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 485 28/11/13 12.44 486 introduzione GRISPINO Antro! È cascata su quela sedia che per antro j’ho portato io che, si avessivo visto, povera ciorcinata, pareva un bovo in de l’ammazzatora. ORSOLA (a mastro Grispino) Mastro Grispì, donna svenuta vedere a che nummero sta? GRISPINO Ar 44. ORSOLA Ma, perché j’ha preso lo svienimento? CUSTODE Doverebbe avé visto imboccà er marito in de l’80, qui a quer portone indove abbita quela marca ch’è vienuta giorni fa. Eh povera moje!... GRISPINO Io per antro, incora nun ciò capito gnente; o pe’ dì mejo incora nun me ce so ariccapezzà. CUSTODE Eh, mastro Grispì, accusì avessimo vinto un terno, come oggi avemo incajato che qua, quarche buriana, stava pe’ succede! GRISPINO L’avemo capita per aria. CUSTODE (a Grispino) E che ne dite? che antri nummeri poteressimo pijà? ORSOLA Pijamo moje, bruttone, amica... GRISPINO Per antro, si me volete dà udienza a me, io direbbe da nun precipità la cosa. Adesso vojantre annatevene, si nno date sospetto, e nun me fate scoprì ppiù gnente. Quanno poi saperò tutto, li nummeri ve li do io. Li saperò o nu li saperò pijà?! CUSTODE Antro, voi pe’ sapé pijà li nummeri, sete l’asso! ORSOLA Sete mejo de qualunque frate torsone27! PRIMA LAVANDAIA Sete mejo d’un mago! GRISPINO Dunque, corpo d’una lesina, pijate l’erba fumaria 28 e fate moschiera. (si siede al suo deschetto e si mette a lavorare) CUSTODE E si nun buggiancamo er guverno ‘sta sittimana, me fo tajà la lingua! Custode, Orsola e Lavandaia si ritirano nella fontana fingendo di discutere animatamente. 27 28 Frate converso che si è dedicato alla religione senza aver preso i voti. Pijà l’erba fumaria: fuggire. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 486 28/11/13 12.44 1. introduzione 487 SCENA XV Filippo e Adele (escono dal portone) e Detto FILIPPO Pare che stia meglio. ADELE Molto meglio. Anzi a quel che pareva, non è stato gnente! FILIPPO Io, con la scusa di andare a cercare un medico (del quale non ce n’è bisogno) sono uscito per venire un poco a vedere come è stato ch’el signor Giuseppe si trova qui all’80 dalla signorina. ADELE Io pure ardo di saperlo. FILIPPO Ora salgo da quella signorina... (indeciso) ADELE Si potrebbe provare... FILIPPO Domando del signor Giuseppe e... e in ogni caso mica me se mangeranno! (avviandosi) ADELE Fermateve; ché se nun mi sbaglio, in fondo al portoncino se vede qualcuno che viene fuori. FILIPPO (osservando) Pare anche a me. Mettiamoci qui in disparte. Si ritirano in fondo alla scena facendo attenzione a chi esce, e a tutta la scena che segue. SCENA XVI Giuseppe e Adolfo (dal portone di Lucrezia) e Detti GIUSEPPE (fingendo di essere adirato con Adolfo lo sgrida facendo in modo di essere udito da Adele e Filippo, che finge di non vedere) Sicuro, sono indegnatissimo con voi. Sete un ragazzaccio, un libbrettino! Per cavusa vostra, oggi, Dio lo sa, che diavolerio poteva succede!... Fortuna che mi’ moglie, quell’angelo, quella donna providente, quella perla, non è ancora venuta; e io ho fatto a tempo a venire a rimediare a tutta questa porcheria. ADOLFO ( fingendo di essere umiliato) Ha raggione, sor Giuseppe mio; me scusi tanto... GIUSEPPE Nun c’è scusa che tenghi. Un omo ammogliato, commettere tale azione, vergogna! Far compromette quel povero innocente del mi’ genero!... ADOLFO (c. s.) Ma io... ( fra sé) (Lo posso sopportà, m’ha promesso cento scudacci!) GIUSEPPE (c. s.) Zitto: fate mosca! Ché io nun so chi me tenga da nun davve puro quattro schiaffi... (lo minaccia) ADOLFO ( fra sé) (Sarebbe meglio!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 487 28/11/13 12.44 488 introduzione ADELE ( fermando il braccio a Giuseppe) Papà, per carità, nun ve compromettete! GIUSEPPE (fingendo grande sorpresa) Come, tu qui Adele?! Voi qui, sor Filippo?! ( fingono di parlare piano) GRISPINO (alla Custode) (Vedete che v’erivio sbajata? Invece è er padre che ha agguantato er fijo co’ quela madamaccia). CUSTODE (Eppure ciaverebbe messo la mano sur foco... ) GRISPINO Mosca (alla Custode) che mó sentimo e’ resto. (finge lavorare) ADELE Non v’inquietate più papà; a casa poi ce racconterete tutto. GIUSEPPE Andamo a casa dunque. (volgendosi ad Adolfo) E ‘sto signore poi me la pagherà! ADELE Ma infine, papà mio, bisogna vedere che colpa ce ne ha lui! GIUSEPPE Che colpa?! E tu lo difendi?! Ma allora tu non sai gnente? (vedendo che Cammilla s’ è affacciata con Eleonora alla finestra, finge di non vederla e grida più forte) Non sai gnente, tu? Adesso te lo dico io. SCENA XVII Cammilla, Eleonora in finestra e Detti GIUSEPPE (gridando più forte) Dunque, io un’ora fa appena arrivato da Marino, ho trovato a la stazione una degna e rispettabile persona che mi ha informato dall’a alla z, de la lettera trovata da Cammilla mia, de li sospetti de tutti voi, e insomma de tutto quello ch’è successo per cavusa de ‘sto signore che... (tragico) un nome da daglie nun ciò! CAMMILLA (sempre in finestra fa grandi atti di meraviglia) ADELE Ma dunque la lettera trovata nello studio di Luciano? GIUSEPPE (a Adolfo) Rispondete voi, mascalzone! ADOLFO ( fingendo avvilimento) Era mia purtroppo, signora: ve chiedo perdono... ADELE Dunque quel povero Luciano mio è innocente?! GIUSEPPE Sicuro, poveretto, innocentissimo come una colomba! E si non ero io che arivavo in tempo, oggi chi lo sa che putiferio succedeva, sempre per cavusa de questo... assassino che... (tragico) peggio nome da daglie nun ciò! CAMMILLA (dalla finestra non potendosi più frenare, grida) Lo dicevo io, lo dicevo, che Peppe mio era innocente! Er core nun se sbaja! GIUSEPPE (alzando gli occhi e fingendo sorpresa) Che sento! che vedo! Tu, Cammilla mia?! Tu qui?!... E io che credevo!... Adele, Filippo, e nun me dicevate gnente?! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 488 28/11/13 12.44 - ) 1. introduzione FILIPPO Siccome alla sora Cammilla le è venuto male, volevamo aspettare prima di darvi un dispiacere... GIUSEPPE Male?! Male?! Cammilla mia, èccome. ( fa atto di salire) CAMMILLA Aspetteme che scegno io; intanto me s’è passato tutto. (si ritira dalla finestra) ADOLFO (da sé) (Guarda la paura che spirito ha messo in corpo al sor Giuseppe. Io nu’ lo riconosco più!) SCENA XVIII - - - - - 489 Cammilla, Eleonora e Detti GIUSEPPE (andando incontro a Cammilla, con affettata tenerezza) Cammilla mia, come te senti? E pensà ch’io credevo d’esse arivato prima de vojaltri, per accomodà tutto alla meglio! CAMMILLA Ma chi è venuto a dittelo a la stazzione? GIUSEPPE Una degna e rispettabile persona, che poi te dirò. ELEONORA Certo ce lo ha mandato l’angelo! Che momenti brutti, papà mio, che abbiamo passati! GIUSEPPE Ce credo, figlie mie! ADELE Povero Luciano mio! CAMMILLA Ma povera me che me sò cresa de morì! GIUSEPPE (ingenuamente) Tu, Cammilla mia? e perché? Averai mangiato a pranzo qualche cosa che t’ha fatto peso?... O forse, l’aggitazione, el dolore de vedere Adele afflitta... (rivolgendosi ad Adolfo) Eh, signorino, sete contento? Lo vedete in che stato compassionevole, per cavusa vostra, s’è ridotta la mia famiglia? ADOLFO (c. s.) Perdono! (poi fra sé) (Almeno finisse presto!) CAMMILLA (ad Adolfo) Dunque quella lettera era vostra? Bravo, signor Ninnì! E nun ve vergognate co la moje che ciavete, de fà certe puzzonate?! ADELE Me sa mill’anni de rivedere quel povero Luciano mio, di buttarmegli al collo, e di chiedergli perdono! CAMMILLA (vedendo Luciano che si avanza dal fondo della scena) Zitto, che eccolo l’amico Cerasa 29! Pò esse che ce vadi adesso a trovà quella marca. Mettémese qui da ‘na parte. (tutti si ritirano dietro lei) ADELE Ma mamma mia, ancora nun ve basta?! Sete proprio crudele? GIUSEPPE ( fra sé) (Ammazzela, ancora nun è persuasa!) 29 Verme delle ciliege: si usa genericamente per persona che non si vuole nominare o della quale si sta parlando o sparlando. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 489 28/11/13 12.44 490 ADOLFO introduzione ( fra sé) (Accidenti che tigna! San Galligano30 è carogna!) SCENA XIX Luciano e Detti LUCIANO (si avanza dalla sinistra leggendo una lettera) Piazza Padella è questa me pare... (avanzandosi) El numero 80 eccolo. ADELE (con trasporto) Luciano mio! LUCIANO (voltandosi) Tu, Adele!... Oh, guarda quanta gente! E che novità è questa? (vedendo Giuseppe) Anche voi, sor Giuseppe?! GIUSEPPE (facendogli dei segni) Sicuro, io che sò venuto adesso da Marino adesso, adesso, proprio adesso! LUCIANO (da sé) (Che furbo!) ADELE E dove andavi, Luciano? Mostrami un poco quella lettera. LUCIANO Eccola; mi è arivata dieci minuti fa allo studio. ADELE (guarda la lettera) È anonima. (leggendo) «Appena letta la presente, prendete una vettura, e recatevi in piazza Padella n. 80, ove vi godrete una bella scenetta. Per altro, siccome la vostra presenza potrebbe rendersi necessaria, non mancate di recarvici, Un amico». (volgendosi a Cammilla) Mammà, sete persuasa? CAMMILLA Che t’ho da dì? E certo, si nun è vera è ben trovata! LUCIANO Ma di cosa si deve persuadere? GIUSEPPE D’un granchio a secco preso da Cammilla mia, per una lettera trovata nello studio vostro, d’una certa Lucrezia che dava l’appuntamento, oggi a le tre, qui a un certo Ninnì. ADOLFO ( fra sé) (Che sarebbe el sor Giuseppe! Che faccia da Ninnì). LUCIANO Che, m’imagino, la mia amata socera avrà subito creduto che fossi io?! Apposta le improperie di ieri sera!! ADELE Hai indovinato. LUCIANO (a Cammilla) Vi ringrazio della stima che fate di me! Ma già non me fa specie. ELEONORA E apposta eravamo tutti venuti qui, per sorprenderti in flagrante crimine. LUCIANO Anche voi? Ma bravi. Tante grazie. Siete veramente gentili. E invece poi chi si è scoperto colpevole? GIUSEPPE ( facendo dello spirito) Io, lassate che parli io. El colpevole eccolo. (insegna Adolfo) E semo venuti in chiaro de tutto, perché el reo 30 Si allude all’ospedale intitolato a San Gallicano che cura le malattie della pelle. (Cfr: G. Z., La Sôcera, a cura di F.Bonanni Paratore, op. cit., p. 100 n.) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 490 28/11/13 12.44 1. introduzione 491 oltre all’esse confesso, alle 3 in punto l’ho sorpreso qui al n. 80 in flagrante crimini. LUCIANO (ad Adolfo) Bravo, signor Ninnì. Dunque quella lettera era diretta a voi? ADOLFO ( fingendo confusione) È vero, me scusi. Anzi credo che la sora Cammilla l’abbia trovata senza anveloppe... CAMMILLA (mostrando la lettera) Sicuro, eccolo qui: era senza malloppo. ADOLFO Tanto vero che m’era arimasto in saccoccia. Guardate se la calligrafia è la stessa. (mostra un’enveloppe) ( fra sé) (La parte mia l’ho finita: è meglio che me squagli). (e se ne va) GIUSEPPE ( fra sé) (Ma che bravo commediante! Altro che 100 scudi, se ne meriterebbe mille!) ADELE (dopo aver letto) Nun c’è che dire; è diretta al Signor Adolfo Miccarelli e la calligrafia è identica a quella della lettera. CAMMILLA Vediamo (prende l’anveloppe, finge di leggere) È verissimo: la galligrafina è la medesima. GIUSEPPE (fra sé) (Prodiggi del cielo! Mi’ moglie ha imparato a legge!) LUCIANO (a Cammilla) Che ne dice la mia cara suocera? CAMMILLA Che si ‘sta vorta ho preso un granchio, spero un’antra vorta de nun pijallo. E si er vostro giovine ha fatto quer che ha fatto, averà imparato certo dar padrone. ADELE Mammà mia, nun farete più a tempo a prenderlo perché io e Luciano, da questo momento in poi vi salutiamo tanto. CAMMILLA Come ci averessi core de lassà tu’ madre che fino a oggi ha fatto tanto per te?! GIUSEPPE Ma sì, è mejo, lassamoli andà soli. Casa grande quanto Roma, ma moje e marito, dice el proverbio, hanno da stà soli. Cusì adesso, quando ce se marita Eleonora, mandamo all’erba puro loro; e noi, Cammilla mia, aritornamo a fà li sposetti freschi! (da sé) (Che consolazione!) CAMMILLA Ma sì sì; mica dichi male. Intanto vedi che cce succede? Fai tanto, fai tanto pe ‘sti mmazzati fìji e poi che ne ricacci? Carci in faccia. (seguita fingendo di discutere animatamente con Filippo, Adele ed Eleonora, formando così un gruppo a parte) LUCIANO Sor Giuseppe, permettete una parola? GIUSEPPE Genero mio, dite pure. LUCIANO (piano a Giuseppe) Dico, voi con la vostra consorte fate da galeotto a marinaro, eh? Però all’età vostra, dico, signor suocero mio, all’età vostra avete di certe... Ma che diavolo vi fate? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 491 28/11/13 12.44 492 introduzione GIUSEPPE (pacioso) Eh, faccio quel che posso!... CAMMILLA (tenera) Peppe mio, volemo andare? (mettendoglisi sotto al braccio) GIUSEPPE Cammilla mia, io sò pronto. CAMMILLA (sotto al braccio a Giuseppe) ( fra sé) (E pensà che oggi ho pensato male de ‘sto sant’omo! (ridendo) Quanto sò minchiona!) Allora andamo a ccasa, crature mie. Mettiamo una pietra sopra a tutto quanto, e quello ch’è stato è stato. (si avviano Giuseppe sotto al braccio di Cammilla, Adele di Luciano, ed Eleonora di Filippo) GRISPINO (alla Custode) Commare Artimizia, allegria! Invece d’un terno ciavemo una cinquina lampante! Cala la tela 2 marzo 190631 31 Data annotata a matita. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 492 28/11/13 12.44 DOPPO EL 20 SETTEMBRE Scene in dialetto romano in tre atti Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 493 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 494 28/11/13 12.44 1. introduzione 495 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 40 cc. (mm 330x215) composto da 20 fogli tipo protocollo recanti il marchio, cancellato a penna, del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 396-435: bianche le carte 423 e 435. A c. 396r: al centro dopo il sottotitolo: «(Proprietà Letteraria dell’Autore)»; in calce: timbro di nulla osta alla rappresentazione recante data e firma a penna «29 aprile 1908 G. Petragnani»; in alto, a destra a penna: «Quirino»; due timbri di possesso dell’attrice Giacinta Pezzana. A c. 408r: altro timbro di possesso di Giacinta Pezzana. Testo a piena pagina. Calligrafia autografa. Nello stesso faldone sono presenti altre due stesure legate l’una immediatamente prima, l’altra immediatamente dopo: [1] un quaderno di 40 cc. composto da 20 fogli con lo stesso formato e caratteristiche di quello sopra descritto. Cc. 356bis-395: bianche le cc.383 e 395. A c. 384r: timbro di possesso di Giacinta Pezzana; [2]un quaderno di 40 cc., composto da 20 fogli con lo stesso formato e caratteristiche del precedente. Cc. 436-474: bianche le cc.: 446-448, 463-464, 475. A c. 436r a matita blu: altro sottotitolo: «Doppo el 20 Settembre Scene originali romane di Giggi Zanazzo»; a c. 437r: «Doppo el 20 Settembre Atto Primo Copiaccia rivista e corretta»; a c. 438r: «Doppo er 20 Settembre 1870»; a c. 465, ripetuto ancora il titolo: «Doppo el 20 Settembre». A c. 474r, a penna: «12 Ottobre 1906. Fatto storico avvenuto presso a poco nel 1876. Alcuni dei personaggi sono ancora vivi». Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 495 28/11/13 12.44 496 introduzione Personaggi PEPPINA di anni 18 LISA 12 anni figli di RENZO 13 anni LAURA 45 anni e FILIPPO LAURINI 55 anni agiato negoziante ANNA altra figlia di Laurini maritata a GIACOMO BERGONZONI ex ufficiale paladino DON ANDREA SCALCHI vecchio prete FRANCESCO SAVIO 35 anni ministro nel negozio Laurini LUCASI GINO fidanzato di Peppina 24 anni AMALIA 28 anni moglie a GIUSEPPE SPAGHETTI ex ufficiale della Guardia Urbana FLANELLA ANSELMO due esseri insulsi e ridicoli SBAFI CAMMILLO ARISTIDE FIOCCHETTI giornalista MENICA domestica dei Laurini BALIA e TRE SERVI che non parlano } } Il fatto si suppone accada in Roma. Il primo e il secondo atto nell’Ottobre del 1870. L’atto terzo nel 1875. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 496 28/11/13 12.44 1. introduzione 497 ATTO I Un salotto sfarzosamente arredato, che serve di platea ad un elegante teatrino, il cui palcoscenico con la tela calata sarà situato in fondo al salotto, ai due lati di esso una porta. Un lampadaio con candele, un pianoforte, due altre porte laterali. SCENA I Sbafi, Flanella, Lucasi, Aristide, Amalia, Lisa, Renzo, stando seduti, fanno circolo intorno a Peppina e Laura anch’esse sedute. LUCASI ( fingendo continuare una conversazione da tempo avviata) Insomma se ne parla per tutta Roma. Mia cara Peppina, fosti inarrivabile! ARISTIDE Divina! AMALIA (che siederà vicino ad Aristide, in atto di sdegno, l’urterà col gomito)1 LAURA Senti, eh figlia mia? Sei contenta? PEPPINA Eh, si seguitate con questi sperticati eloggi, me farete diventare rossa! Mica poi sono la Ristori 2. AMALIA Che c’entra? Noi diciamo la verità. E poi questa è l’oppignone di tutti coloro la quale assisteveno alla recita. FLANELLA Eh già, sicuro! RENZO Eh quanta gente c’era! ‘Sta sala era piena zeppa! LISA Come un ovo! LAURA Zitti vojaltri. (ai figli) Figurateve che lui aveva pavura che se sprefondasse el pavimento. Mandò due volte Francesco giù al negozio a vedere si li travi aveveno fatto nessun movimento. PEPPINA Ci sarebbe mancato che fossimo precipitati! SBAFI (che come al solito, non sa che ridere) Ah ah ah, sarebbe stata bella! LAURA Misericordia! RENZO (battendo le mani) Che bella cosa che sarebbe stata! ARISTIDE Ma se non c’è mai stato pericolo. Allora sarebbe già successo. LUCASI Sciocchezze! Dunque a quando la replica, mia cara Peppina? 1 Tratto a matita su questa didascalia. Il manoscritto presenta alcuni tratti a matita come a cancellare alcune battute e didascalie (probabilmente finalizzati alla messinscena), che qui sono state mantenute nel testo a evitare alcune incongruenze nella lettura: è segnalata ogni volta in nota l’estensione del taglio. 2 Adelaide Ristori (1822-1906), attrice. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 497 28/11/13 12.44 498 introduzione PEPPINA Sentiremo papà; sebbene io avrei stabilito di farla sabbato a sera. FLANELLA Ah sì? Già?! SCENA II Don Andrea e Detti DON ANDREA (entra da una delle porte laterali al teatro. Recherà un giornale) Scusate si entro così all’improviso. Bongiorno a tutti. TUTTI Bongiorno, don Andrea. LAURA Sete passato giù da bottega? DON ANDREA Avete letto? LUCASI Che cosa? DON ANDREA Un articolone sulla vostra famiggerata cosa di jeri sera. AMALIA Che foglio è? LUCASI (che ha tolto il giornale a don Andrea) El Giornale di Roma. AMALIA (indicando Aristide) Allora eccone l’autore. ARISTIDE (pavoneggiandosi) Sì, due parole alla meglio, scritte in fretta, alle due dopo la mezzanotte sotto la grata impressione avuta dalla recita. (seguita a parlar piano con Amalia) PEPPINA Sentiamole. FLANELLA Eh già, bisogna sentirle. TUTTI (meno don Andrea) Assolutamente. Leggete. (a Lucasi) LUCASI (legge) «Ieri sera nell’elegantissimo teatrino in casa Laurini si rappresentò avanti uno sceltissimo uditorio Adriana Lecouvreur. La vaga signorina Giuseppina nella parte della protagonista, nelle scene più emergenti ha fatto pensare a certe sfumature ammirevoli in Virginia Marini3, e nell’insieme della scena era come un’immagine nuova che ha fatto tornare con la mente ora alla Tessero4 ora alla Pezzana5... Infine fu una perfetta interprete dell’Adriana. Essa insieme a Piccardi, Colonnelli, Ferrero e gli altri che recitarono tutti col consueto impegno furono assai applauditi. Gli onori di casa furono squisitamente fatti dal Signor Filippo e dalla signora Laura Laurini. A quando la replica?» LAURA (entusiasmata) Avete inteso che ce sono puro io? PEPPINA (ad Aristide) Grazie; ma non merito tanto. ARISTIDE Merita anche di più. 3 Virginia Marini (1842-1918), attrice. Adelaide Tessero (1842-1892), attrice. 5 Giacinta Pezzana (1841-1919), attrice. 4 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 498 28/11/13 12.44 1. introduzione 499 AMALIA (con gelosia dice piano ad Aristide) Eh dàjela! LAURA (ad Aristide) Noi ve ringraziamo tanto. Figuramose quando lo leggerà Pippo mio, che contentezza!... Èsse messa puro su li fogli!... Sei contenta, sei, eh Peppina mia? AMALIA Sicuro: si se lo merita! RENZO (gridando) La rivolemoo! LUCASI Era quello che dicevo io, bisogna replicarla. FLANELLA Eh già bisogna. ARISTIDE Assolutamente. LUCASI E presto anche. LAURA Ma certo. E doppo, in onore della recitante, faremo una bella cena, ma con li fiocchi, per stare tutti in allegria. SBAFI (ridendo, soddisfatto) Ah ah ah, che bella pensata! LUCASI Ce viene pure don Andrea. DON ANDREA Alla cena contatemece pure; ma alla cosa io? Alla recita io?! Nun ce pensate. PEPPINA Siamo alle solite! DON ANDREA Ma che sete matte?! Io, un coso, un sacerdote, divertisse come fate vojaltri, mentre sua Santità è prigioniero, mentre la Chiesa è così perseguitata, mentre questi ce ne stanno facendo de tutti li colori?!! Capisco che questo stato de cose durerà altri pochi giorni; ma intanto!... FLANELLA Eh già, dice bene don Andrea. PEPPINA (a Flanella) Bravo! Anche voi gli date raggione? FLANELLA (confuso) Ciovè, eh già, volevo dire, intendevo dire... che don Andrea cià un pochino torto. (poi ride) AMALIA Don Andrea la pensa come mio marito. ARISTIDE ( facendo l’occhietto a Peppina) Ha raggione don Andrea. (piano ad Amalia) Secondiamolo. DON ANDREA Apposta, io ve torno a ripetere, non capisco come un Filippo, un Pippo Laurini, una famiglia rispettabbile come la sua, fornitrice de li SS. Palazzi cosi Apostolici, possa permette in tempi di lutto, come quelli che corrono, di fare il coso in casa! LAURA Queste sò sciocchezze! Allora sotto el papa, l’Ottobre e el Carnevale, nu’ lo facevamo? LUCASI Si lo aveste fatto apposta doppo el 20 Settembre, sarebbe stata una provocazione; ma una cosa che seguita da un pezzo... AMALIA Non bisogna essere poi tanto caricati come fa anche Peppe Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 499 28/11/13 12.44 500 introduzione mio, la quale da quando suono venuti questi,6 a la rippresentazione nun c’è volsuto più venire. DON ANDREA E fa bene, e lo stimo! In certi casi: melio est abbundare quam deficere. LUCASI (scherzando) S’intende però, che chi non assiste alla replica dell’Adriana, non farà parte de la cena. DON ANDREA (risentito) Questo lo dite voi, lo dite! Io alla cena ce sarò e glie farò onore. LAURA Ma tutto er tempo de la recita, v’annojerete. PEPPINA Certo, v’annojerete. DON ANDREA A questo nun ce pensate. Io me ne starò de là in cucina con cosa, con Menica. Dirò l’uffizio, e... magari l’ajuterò a cosare, a cucinare. RENZO e LISA (battendo le mani) Ih, che bellezza a vede don Andrea co’ la parannanza! DON ANDREA (a Renzo e Lisa) Zitti voi, mocciolosi! SBAFI (ridendo) Ah ah ah, questa è graziosa! ARISTIDE E così tardi, vi fiderete poi, con quest’aria che tira per li preti, de ritornavvene a casa? DON ANDREA Dormirò qui. Io m’accommodo dovunque, purché se dorma. RENZO Dorme a letto con Menica! LISA Sai quanto saranno graziosi! SBAFI (ridendo) Ah ah ah, oh questa è classica! LAURA (a Renzo e Lisa) Zitti, screanzati! LUCASI (c. s.) Tuttavia se si saprà che voi pure avete preso parte alla cena tutti sospetteranno che siete stato anche alla recita. FLANELLA Eh già, dice, me pare, bene. DON ANDREA Male nun fà, pavura non avere. ARISTIDE (scherzando) Oh perlomeno si dirà, se non altro, che approvate pienamente le baldorie che si fanno in casa Laurini. DON ANDREA (riscaldandosi) Eh, caro mio, sono troppo conosciuti li miei cosi, perché si possa sospettare di don Andrea Scalchi! Io e’ lutto lo porto nel coso, nel core (accennandolo), lo porto: come ce lo portono tante persone rispettabbilissime come un principe Maltieri, un principe Calviati, un Cancellotti7, li quali dal 20 Settembre in poi, 6 Allusione ai nuovi governanti e, in senso ampio, agli Italiani giunti a Roma, ormai capitale del Regno. 7 Evidente allusione alle famiglie Altieri, Salviati, Lancellotti. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 500 28/11/13 12.44 a e 1. introduzione 501 capite? hanno, in segno de lutto, messo tanto de coso, de catenaccio al portone de li loro palazzi. Senza pregiudizio de quello che faranno in appresso. AMALIA Benissimo fatto! LUCASI (c. s.) E benissimo detto! FLANELLA Eh, già sicuro. ARISTIDE Se vede che quelli signori hanno il coraggio della propria opinione. LAURA Io puro, e vojaltri ce lo sapete, non sono tanto scarsa pel papa e per la religgione; ma quel che fanno ‘sti signori, scusate, a me me pareno caricature. PEPPINA Auffa! Per carità, amici, lasciamo andare questi discorsi che da venti giorni li sento ripetere a pranzo a cena e in tutte le salse. LUCASI E parliamo della replica dell’Adriana. Quando vogliamo stabilirne il giorno? LAURA Bisognerà che sentimo prima lui. Sibbene, Peppina, qua, la vogli fà sabbato. (chiama) Menica Menica!... PEPPINA Che cosa volete, mammà? LAURA La voglio mandà giù a bottega si mai fosse venuto lui. FLANELLA Eh già sicuro, bravo! (intanto tutti gli attori fingono parlare fra loro animatamente) RENZO (alzandosi) Ce posso andà io. LISA (c. s.) Mammà, ce vado a vede io. (avvicinandosi) RENZO No ce voglio andà io. (c. s.) LISA No, io: eh vero mammà? LAURA Nun ve movete nessuno de li due. (poi finge di proseguire il discorso cogli altri) RENZO Io fo più presto. LISA ( fermando Renzo) No faccio più presto io! RENZO (gridando) No: tu fermete! (minacciandola) LISA Mammà, vedete Renzo, m’ha menato! LAURA (senza muoversi affatto) Ecco, adesso m’alzo, e sentite che sveglia ce pigliate! Renzo e Lisa sempre altercando giungono sulla porta a destra del teatrino, e mentre entra Menica le pestano un piede e poi se ne vanno. Sbafi e Flanella divertendosi a quella scenetta, ne ridono a smascellarsi. i Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 501 28/11/13 12.44 502 introduzione SCENA III Menica e Detti MENICA (zoppicando per la pestata ricevuta) Eh un accidempoli! LAURA (come se niente fosse stato) Jeso8, che diavoli scatenati che sò sti figliacci mii! (poi grida) Renzo, Lisa, ecco che m’alzo. (non si muove) Finitela, e venite subbito de qua. MENICA ( fra sé) Manco male che l’hanno intesa! (poi a Laura) Che volevio? LAURA Sei venuta a tempo! MENICA Stavo co’ le mano a mmollo a ll’acqua bullente de li piatti... Che volevio? LAURA Te volevo mandà giù a vedere si lui sta in bottega. Ma nun serve più; vattene puro. MENICA (zoppicando, se ne va, dicendo fra sé) Si l’agguanto ‘sti scannati, me la pagheno! SCENA IV I suddetti eccettuata Menica PEPPINA Insomma: voglia o non voglia papà, la replica la faremo sabbato. LAURA Ma pure lui, bisognerà sentillo. PEPPINA (crucciata, facendo spallucce) Ecco che mi contradite. Nun sò mai padrona de gnente, in questa casa! LAURA Bè, nun t’inquietà, via. Faremo come vòi tu. Manderemo l’inviti per sabbato. DON ANDREA E sabbato, dunque, avremo la pappata! LUCASI (scherzando) Ma senza de voi. DON ANDREA Voi lo dite! SBAFI (ridendo a non poterne più) Oh, bella, bella! ARISTIDE Allora bisogna che provamo la farsa nòva, la Sposa e la cavalla. AMALIA Nel quale io farò la parte da sposa. PEPPINA La proveremo questa sera: che ne dici, Gino? LUCASI Sono ai tuoi ordini, Peppina mia. ARISTIDE (levandosi da sedere) Allora a questa sera. AMALIA (c. s.) Se vediamo. Il sor Aristide, si permette, me farà da cavagliere. 8 Gesù. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 502 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 503 ARISTIDE Anzi sarò fortunatissimo. (offre il braccio ad Amalia che l’accetta subito. Tutti si alzano e si fanno i saluti) PEPPINA (a Lucasi) Tu, Gino, aspetta un altro momento, che oggi starai a pranzo con noi. LUCASI E chi si mòve? (e si mette a parlare con Peppina) LAURA Aspettate che chiamo Menica. AMALIA Nun v’incommodate; intanto scendemo da la scala il quale conduce a bottega per salutare, si c’è, il sor Filippo. Se vediamo (escono) LAURA (a Flanella e Sbafi) E loro ce lasseno puro? FLANELLA ( facendo un inchino) Eh, già, sicuro. SBAFI Ce n’andamo, come se dice al manducandume. (e qui una risata e salutati tutti partono) SCENA V Don Andrea, Laura, Lucasi e Peppina DON ANDREA Io me trattengo ancora un pochetto. Devo dì una cosa de premura a Pippo. (si siede) LAURA (sedendo) State pure. Anzi me fate compagnia. Co’ la cosa che m’è venuta a trovare Balia, de là nun ciò gnente da fare. ( finge parlare con don Andrea) PEPPINA (che intanto s’ intratteneva con Lucasi) Ci siamo intesi? LUCASI Ma sì, cocca mia, farò come vòi tu. PEPPINA Non la devi guardare più. Giuramelo. LUCASI Te lo giuro. PEPPINA Che sfacciata! Almeno poi usasse un po’ di prudenza... Hai veduto che occhiate che si dava col sor Aristide? LUCASI Eh, lasceli fare; lascia che si divertino. Quanto sei scioccarella. PEPPINA Eh lo so! Voi sete di manica larga per queste cose. Chi sa quante ne fate! LUCASI ( fingendosi offeso) Io? Dio me ne guardi! (seguitano a parlare, tenendosi per la mano in un angolo della sala) DON ANDREA Io, cara sora Laura, sò fatto così, tutto d’un pezzo. Se fossi io Pippo, avrei chiuso pure la bottega. Gnente teatrino, gnente divertimenti, finché la Chiesa è perseguitata. Tanto più che se tratta di pochi giorni. LAURA Ne sete sicuro? DON ANDREA Come due e due fanno quattro. Anzi apposta voglio parlà con Pippo. LAURA Eh io puro da un momento all’altro m’aspetto qualche gran Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 503 28/11/13 12.44 504 introduzione avvenimento, (con fede) qualche gran miracolo della Madonna. Lo dicono tutti, pure el papa. PEPPINA Mammà, vado de là con Gino a farglie vedere una cosa. (esce con Gino dalla destra) LAURA (senza scomporsi) Giudizio, veh, ragazzi. DON ANDREA (entusiasmato) Avverranno cose da sbalordire! Come quando papa Coso andò incontro a Coso re de li Vandali e con l’ajuto de san Pietro e san Paolo, che scesero giù dal cielo, con le cose sguainate, libberò Roma. LAURA Lo stesso preciso a quel quadrone che sta a san Pietro? DON ANDREA Brava! Talecquale. Vedo che avete bona memoria.9 SCENA VI Giacomo, Filippo, Anna e Detti GIACOMO (sarà vestito con eleganza e in istrettissimo lutto, in testa il cilindro) Giusto a voi cercavo don Andrea. DON ANDREA E io cercavo Pippo. Lupus in fabula. FILIPPO (a don Andrea) Che volevi? ( fingono parlare con molto interesse anche con Giacomo) LAURA (ad Anna) Nannina mia, come stai? (si baciano) ANNA (vestita anch’essa in lutto stretto) Bene, mammà; e voi? (proseguono a parlare) GIACOMO (a don Andrea) Te dico che quando lo saprai, stupirai! DON ANDREA Sarà lo stesso segreto che già conosco. GIACOMO Impossibile! Me l’ha comunicato proprio adesso el generale Andler10 che l’ha avuto fresco fresco dal Cardinale Segretario di Stato. FILIPPO Eh, mio genero, se le vò sapere le cose, le sa davero. Con quell’appoggi! DON ANDREA (offeso) E io no, che te pare! (proseguono fingendo di parlare calorosamante) ANNA (a Laura) Come, Peppina sta de là sola col sor Gino? 9 Tratto a matita: da qui alla battuta seguente di Giacomo fino a: cilindro. Allusione a Hermann Kanzler (1822-1888), dal 1865 comandante supremo delle forze armate pontificie e proministro delle armi; continuò ad essere nominalmente proministro fino al 1888. 10 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 504 28/11/13 12.44 e - 1. introduzione 505 LAURA (con la solita calma) Eh, che c’è de male? Nun conoscessi che persona garbata è Gino, averessi raggione... ANNA Questo nu’ lo metto neppure in dubbio; ma... che forse s’è dichiarato? LAURA Sì, figlia mia, sì. Che consolazione che sarebbe si se sposasse quello. Dio lo volesse! È una famiglia tanta ricca: sò mercanti de campagna11, che te pare! ANNA Bisognerà vedere li genitori si se contenteno. Eppoi la ricchezza, mammà mia, a che giova? È tanto ricco Giacomo, e pure passo tanti guai. LAURA Nun se vò dunque moderà per gnente? ANNA Macché sempre peggio... Furtuna che ho fatto a modo vostro. Ah!... (sospira) LAURA (per cambiar discorso) A proposito, Pippo... Pippo!... Eh senteme! FILIPPO (che stava sempre discutendo con don Andrea e Giacomo) Che dicevi, Laura mia? LAURA Hai letto el foglio de la recita de jeri sera? FILIPPO (con gioja) Che dice, che dice? DON ANDREA (tirando a sé Filippo) Doppo lo leggerai. Senti. FILIPPO Per altro sarei tanto curioso... (a Laura) E de Peppina nostra, figuramoce che dirà! GIACOMO (sdegnato a Filippo) Ma adesso lasciate andare queste buffonate! DON ANDREA Bravo Giacomo! Bene, benone! Vere buffonate. Mentre el Santo padre è prigioniero, un Pippo Laurini, un coso, un cattolico di quello stampo, fornitori de li sacri palazzi, spassarsela col coso!... Vergogna! FILIPPO (offeso nel suo debole che è sempre stato il teatrino in casa, si riscalda) Si facciamo el teatro nun facciamo gnente de male, doppo tutto! Io del resto sento el dolore del cambiamento del governo più di qualunque altro; ma nun me piaceno ridicolaggini... Per altro protesto che un cattolico più cattolico apostolico de me, credo che nun se ne trovi!... DON ANDREA Doppo de me! GIACOMO Doppo de noi! Io finché a Roma ce resterà questa marmaglia, questi ladroni, èccome qui, vestirò in lutto stretto io e la mia famiglia. E quando ce sarà da prendere la spada, el fucile, el cannone, èccome qua sono pronto! (con calore) 11 Ceto sociale tipico dello stato della Chiesa affermatosi tra il XVI e il XIX secolo. Amministrava per conto dell’aristocrazia il patrimonio fondiario e tutte le sue rendite. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 505 28/11/13 12.44 506 introduzione FILIPPO Questione di temperamento. GIACOMO De temperamento? Ma de princìpi veri e morali. DON ANDREA Bravo coso... Giacomo! Bravo! SCENA VII Peppina, Lucasi e Detti. PEPPINA Ih quanta gente! (scorgendo Anna) Tu, Nannina? (si abbracciano e baciano) LUCASI (salutando) Signori, bongiorno! FILIPPO A proposito, Gino, me date quel foglio che v’ha dato don Andrea? LUCASI (porgendogli il giornale)12 Eccolo. FILIPPO Grazie. (si mette a leggere) GIACOMO (indicando a don Andrea, Filippo) Lo vedete? DON ANDREA È pazzo, è fanatico, è coso: nun ve l’avevo detto? GIACOMO Capisco; ma quando la patria è in ballo, ma quando la nostra santa religgione è in pericolo, me pare troppo, me pare! ANNA (che è rimasta a parlare con Laura e Peppina) Chi lo sente mio marito, lo prende per l’omo più santo de la terra; e sò due notti che non viene a casa a dormire per andare da una ballerina. PEPPINA Dice bene: bizzochi e colli storti13... (seguitano come sopra) FILIPPO (dopo letto con entusiasmo) Ma quest’articolo è degno d’essere letto forte. Sentite... GIACOMO (idrofobo) Ah sì?! Io me ne vado. (per andare) DON ANDREA (imitando Giacomo) Io puro. FILIPPO Ih, come prendete foco, genero mio! DON ANDREA Ha raggione! GIACOMO Si ve l’ho detto che quando ce sono io, non voglio che se parli de queste buffonate, almeno per el tempo che dura questo stato de cose. PEPPINA Poverino! Non lo fate inquietare! (ironicamente) Che non sapete che mio cognato ha lo scrupolo del tarlo? GIACOMO Insomma, finimola. PEPPINA Prima però, caro cognatuccio mio, mi permetterai di dire 12 Tratto a matita su questa didascalia. Bizzoco: bacchettone, bigotto, ipocrita. Collostorto: persona ipocrita, falsa. In passato usato, come dispregiativo, per indicare un appartenente al clero. 13 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 506 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 507 ancora un’altra parola su questo stesso argomento e poi... se me farà commodo non ne parleremo più. (da sé) Fariseo! Papà, quando la replichiamo l’Adriana? FILIPPO Lunedì prossimo. PEPPINA Impossibile, papà caro. FILIPPO Ma se ho stabbilito così. PEPPINA Ma se te dico che è impossibbile, papà mio. FILIPPO (con autorità) Dico, signorina, a casa per altro, commando io! PEPPINA (indispettita) Scusate; ma non è il caso di prenderla su questo tono. LAURA Ha raggione, povera figlia mia! FILIPPO Ma allora quando la vogliamo replicare? PEPPINA Sabbato prossimo. FILIPPO Per altro, io volevo farvi riflettere... LAURA (risoluta) Sabbato prossimo! FILIPPO Ma io dicevo, per altro... LAURA (c.s.) Abbiamo detto sabbato prossimo e me pare che abbasti... Nun ce martirizzare, tanto a me che a quella figlia! FILIPPO Ma allora, fin da principio, me potevate dire che avevate stabbilito sabbato e bona notte. No che venite a prendere consiglio quando per altro avete deciso de fare come ve pare! Nun ho raggione, eh don Andrea? DON ANDREA ( finge non udirlo) FILIPPO (scuotendolo) Nun ho raggione, eh don Andrea? DON ANDREA Hai torto, torto marcio. Se me domandi cose che non sono, dirò così, omoggenee allo stato del coso mio, non mi interrogare perché sono deciso di non risponderti. FILIPPO Ma va al diàncine! DON ANDREA Tu cianderai con tutto el coso, el cappello, se non muti vita. GIACOMO No nnoi! DON ANDREA Che siamo tutti d’un pezzo. GIACOMO E sempre coerenti. Lutto de fori e lutto di dentro. DON ANDREA Come me. GIACOMO Io non transiggo co’ li miei principii! FILIPPO Per altro... DON ANDREA Per altro, per altro. Io vedi cosa t’arrivo a dire, vedi che cos’è la potenza d’un principio radicato in me. Ebbene, io da quel 20 Settembre maledetto, è tanta la bile che ciò in corpo che alle volte nun mangio né a pranzo né a cena. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 507 28/11/13 12.44 508 introduzione LUCASI (piano a Peppina, Laura ecc.) Meno che quando viene a pranzo qui! LAURA A proposito de pranzo, sbrigamoce ch’è ora. DON ANDREA Io me ne devo andà? LAURA Ma che andavvene nun se sa! Voi averete intenzione da scherzare. Su presto sinnò la minestra ve se fredda. FILIPPO (scherzando) Me ne rincresce per altro che don Andrea dal gran dolore non potrà mangiare. DON ANDREA M’arangerò, come dicono li buzzurri. Intanto vi precedo. (entra in camera da pranzo) GIACOMO Io però nun posso, perché ciò un affare di gran premura. PEPPINA (ad Anna, ecc.) Abbiamo capito quale. ANNA Ce rimango io; basta che questa sera ti ricordi de venirme a prendere. LAURA Allora andamo che se fa tardi. LUCASI Andiamo. GIACOMO Bon appetito! (poi giunge fino alla porta della camera da pranzo e grida) Don Andrea siamo intesi. (se ne va) DON ANDREA (di dentro) Non dubitare. FILIPPO (tornando quasi subito) Ho riflettuto14 che la cosa riescirà meglio. È necessario che ce venga pure lui; un prete è sempre un prete... (si avvicina alla porta di camera da pranzo e chiama) Don Andrea! Don Andrea! Una parola. SCENA VIII Don Andrea, Giacomo, poi Renzo e Lisa DON ANDREA (esce col tovagliolo al collo e la bocca piena di pane che stava sbocconcellando) Che ciabbiamo? GIACOMO (misterioso) Assolutamente ho pensato che è necessario che puro voi venite con me. DON ANDREA (si lascerà cadere le braccia in atto di sconforto, per far capire quanto gli riesce dolorosa quella proposta)15 E ce sei ritornato apposta? Nun ti ricordi più come eravamo rimasti d’intesa? GIACOMO Lo so. Ma se Sua Eminenza volesse?... È assolutamente necessario, che venite. 14 15 Lezione precedente: Credo. Tratto a matita su questa didascalia. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 508 28/11/13 12.44 - - a 1. introduzione 509 DON ANDREA (sudando freddo dice fra sé)16 Che bell’idea! (poi si accosta all’orecchio di Giacomo e gli parla con aria di gran mistero.17 Giacomo approva del capo). RENZO e LISA (saranno intanto entrati dalla porta in fondo, dietro don Andrea e nel vedere abbandonato sopra un mobile il cappello e il pastrano di questo, facendosi scambievolmente segno di tacere, uno indossa il pastrano l’altra il cappello, imitano tutti i gesti dei due attori e li beffeggiano, senza però farsi vedere) GIACOMO (convinto di quanto ha sentito) Bravo, l’avevo scordato. È meglio, è meglio che vada da solo. Ma prima però di svelare il segreto, anche voi, mi raccomando fate le cose con prudenza! DON ANDREA (da sé) (Respiro!) È interesse mio, capirete. Mica se tratta d’una bagattella, se tratta de mettere in gioco la testa! GIACOMO Allora vado solo. Coraggio e gnente paura! (si stringono con entusiasmo la mano; poi ponendo l’ indice alla bocca Giacomo esce dalla porta in fondo) DON ANDREA (che non le par vero d’essersela scampata di non lasciare il pranzo) Quanto me la sò vista brutta!18 (e ritorna in fretta in camera da pranzo) RENZO e LISA (sempre occultandosi ai suoi sguardi lo seguono beffeggiandolo. Al loro apparire in sala da pranzo mascherati da preti si odono partire grida e risate clamorose). Cala la tela 16 Tratto a matita su questa didascalia. Tratto a matita da qui a sentito, nella battuta seguente di Giacomo. 18 Tratto a matita da qui a Cala la tela. 17 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 509 28/11/13 12.44 510 introduzione ATTO II La bottega di Laurini. A sinistra il bancone dietro il quale una porta, che si suppone conduca in casa Laurini, a cui si accederà anche per altri vani aperti fra gli scaffali, ricolmi di merce. Sul lato destro, in mezzo, coperta dalle merci, un’altra porta che si suppone metta nel portone della casa suddetta. In fondo l’ingresso con vetrina praticabile, da cui si vedranno la strada, le case prospicienti ecc. Addossati alle pareti vi saranno degli scaffali con stoffe, e grandi balle di stoffe saranno sovraposte le une alle altre. Sul bancone alcuni libri di commercio, l’occorrente per iscrivere e due grandi lucerne d’argento a quattro becchi. Insomma: l’interno d’un antico negozio romano, con smercio all’ingrosso. SCENA I Francesco e Menica MENICA (avrà il fazzolettone sulle spalle, usato in quell’epoca da tutte le donne di servizio. In mano una sporta o un fazzoletto a colori per la spesa. Sta a discorrere con le braccia appoggiate sul bancone, dalla parte riservata agli acquirenti, mentre Francesco sarà seduto dal lato opposto, cioè nello spazio riservato al mercante) E cusì, caro sor Checco mio un po’ p’er teatrino, un po’ pe’ l’entrata de l’Itajani, li mi’ padroni perdeno addrittura la cirignoccola! Nun se sa mai chi commanna o er padrone o la padrona o li fiji. Quanno poi la vò vinta la sora Peppina, oprete cèlo! Er padre e la madre, diventeno puzzetta, diventeno: sò troppi de manica larga, co’ li fiji; je le danno troppe vinte, je le danno! Ma ve pare, sor Che’, che stii bene a lassà quela regazza fà l’amore sola co’ regazzo pe’ l’ore e l’ore?! FRANCESCO (sospirando) Eh, Menica mia, che cce vòi fà? MENICA Eh, lo so. Sai che te ce sarebbe vorsuto? Una dozzina d’anni de meno... FRANCESCO E una ventina de mila scudi al commando mio. Dunque è tempo perso. MENICA Dichi bene... Basta: damme li quatrini pe’ la spesa de la cena. E dammene assai che ‘sta sera, siconno er solito, c’è riarto19. Damme ‘na quarantina de pavoli. FRANCESCO (glieli conta, dopo averli presi dal cassetto, e segnati sopra un libro) Eccote servita... E avanti co’ li sciupi! 19 Piccolo ricevimento. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 510 28/11/13 12.44 1. introduzione MENICA Se vedemo, sor Che’. FRANCESCO Addio, Menica mia. (Menica se ne va dalla vetrina) SCENA II Francesco solo a i 511 FRANCESCO E si anche fossi stato ricco, chi lo sa si m’averebbe dato retta? È tanta volubbile, tanta... Ma, povera figlia, non è colpa sua. Colpa del come è stata allevata; con quel padre tre volte bono, quella madre che non cià altra volontà che quella della figlia... Ambiziosi poi!... Hanno sacrificato quella povera Anna per darla a quel... paladino del papa. Un vero paladino che per quanto è ricco è altrettanto debbosciato e villano. E poi, a sentirlo, li mascalzoni, li ladri, sò li buzzurri, sò l’Italiani!... L’Italiani (con entusiasmo) che per me nun ciaveremo mai abbastanza lingua per ringraziarli d’essece venuti a libberà da la schiavitù che ce teneveno li preti... (vede dalla strada giungere don Andrea) Oh, stamoce zitti; ché eccone uno. SCENA III Don Andrea e Francesco DON ANDREA (dalla vetrina) Bongiorno, caro Checco. FRANCESCO Come va, caro don Andrea nostro? DON ANDREA De salute, ringraziamo el coso; ma in quanto al resto, va male. Ce credi che ogni volta che esco da casa, dico: ce ritornerò? (siede sopra un panchetto) FRANCESCO Ma perché ‘sta paura? V’ha forse molestato mai qualcuno? DON ANDREA No: nun dico questo; ché all’occasione poi, dico, ciaverebbero trovato el coso, el padrone! (con ostentata bravura) FRANCESCO (con sarcasmo) Ce volemo credere? DON ANDREA Sei anche padrone de non crederlo. Ma, dicevo, a parte l’essere molestato; ma te pare poco in quale angoscia deve trovarse el cuore d’un vero cattolico apostolico romano. FRANCESCO (l’ interrompe con lo stesso tono di voce) Pensando a questi tempi de lutto per la santa Chiesa, a questi tempi ne’ quali si perseguitano tutti li religgiosi con le più nere trame, e si vitupera il capo visibbile de la Santa Romana Chiesa... DON ANDREA (che lo è stato ad ascoltare a bocca aperta e con crescente stupore) Che me canzoni?! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 511 28/11/13 12.44 512 introduzione FRANCESCO Dio me ne guardi! Ma siccome dal 20 Settembre, questo discorso, me l’avete fatto due volte al giorno, l’ho imparato a mente. DON ANDREA Che forse nun ho raggione? Ma gnente, pure tu, fussi un buzzurro? FRANCESCO Ma si ve l’ho detto mille volte che avete raggione! DON ANDREA (prendendo tabacco) Sai qual’è la furtuna nostra? Che questi ce staranno pochi altri giorni. FRANCESCO Ne sete sicuro? DON ANDREA Come te vedo a te. FRANCESCO E ‘sta cosa in che modo avverrà? DON ANDREA (con mistero) Per ora è un segreto. Ma sapràilo, fra breve, anche tu. Forse anche in giornata. A proposito, stasera, questa bottega me serve per una certa operazione... (si pone ad osservare in lungo e in largo la bottega) FRANCESCO ( fra sé) Che diavolo avrà in mente di fare? DON ANDREA (c. s.) Quante persone, presso a poco, dici che ce ponno entrare fra la bottega e l’annesso magazzino? FRANCESCO Un centinaro: perché el magazzino è grande assai. DON ANDREA Allora ( fra sé) anderebbe a maraviglia! (poi a Francesco) E dimme un po’, s’è visto gnente Giacomo Bergonzoni e Giuseppe Spaghetti? FRANCESCO ( fra sé) Li capitani de la Paladina e de la Guardia Urbana! Non l’ho visti ancora. DON ANDREA Ma com’è che nun se vedeno? (gira con impazienza) FRANCESCO (da sé) Eh vajelo a domandà! SCENA IV Laura (di dentro) e Detti LAURA (chiamamndo dalla scala interna) Checco, Checco! FRANCESCO (affacciandosi alla porta dietro il bancone) Sora padrona, che commandate? Èccome. (poi voltandosi) Don Andrea, io mó ritorno. (esce dalla porta che dà alla casa) DON ANDREA È curiosa, m’hanno detto a le cinque... SCENA V Lucasi e Detto LUCASI (dalla vetrina; per intimorire don Andrea, grida) Alto là! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 512 28/11/13 12.44 1. introduzione 513 DON ANDREA (sobbalzando spaventato, si rivolta e vedendo Lucasi) Bungiancatte20, m’hai messo pavura. LUCASI E apposta l’ho fatto! Ce scommetto che arrivo per il primo. A pranzo m’avete detto alle cinque. DON ANDREA E le cinque in punto sò. Bravo, testamatta, così si fa! LUCASI E gli altri? DON ANDREA Devono stà poco. LUCASI (simulando serietà) Insomma, che si tratta di combinare? DON ANDREA (dandogli un buffetto sulla guancia) Sapràilo e tosto. LUCASI (c. s.) Ho udito, se nun m’inganno, parlare di congiura. DON ANDREA (otturandogli la bocca con una mano) Per carità, ragazzo mio, cosa, prudenza! (con mistero) Dico, sedioguardi, semo scoperti, se tratta de giocarse la cosa, la testa! LUCASI Ma qui nun ce sente nessuno. Siamo soli e senz’alcun sospetto!... ( fra sé) (Quanto mi verrebbe da ridere! Chi lo crederebbe che mi son fatto congiurato per amore!) SCENA VI Peppina e Detti PEPPINA (viene dall’ interno del negozio) Buonasera. DON ANDREA (accennando Peppina a Lucasi) Eccotela tiè! Che hai inteso l’odore, eh bricconcella? LUCASI (stringendo la mano a Peppina) Come stai, cocca mia? DON ANDREA (imitando la voce e il gesto di Lucasi) Cocca mia! Dico, ma adesso mica è tempo di fare l’amore! (a Peppina) E voi, signorina, andatevene su a casa e lasciatece libero el vostro spasimante. (poi vedendo che quei due si parlano affettuosamente senza curarlo, sgrulla le spalle, e se ne va alla vetrina a vedere la strada) Tanto móccolo più mòccolo meno!... PEPPINA (piano a Lucasi) Ma che diavolo avete da combinare? LUCASI (c. s.) Ah già non te l’ho detto prima, perché ci saremmo veduti presto. Dunque, sono venuto qui (con caricato mistero) per prendere parte a una congiura... Insomma cara mia, par intrattenermi di più con te, metto a repentaglio la testa! PEPPINA (ridendo) Macché non c’è pericolo, la congiura finirà con una burletta. C’è di mezzo mio cognato Spaghetti e don Andrea e tanto 20 Buggiancà: eufemismo per buggiarà. (Cfr. p. 372 n.) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 513 28/11/13 12.44 514 introduzione basta. In compenso, io prevedo che rideremo molto. Anzi devo comunicarti un’idea in proposito. Non te ne andare senza prima vedermi. DON ANDREA (che è sempre rimasto in vedetta alla vetrina, torna indietro esclamando) Finalmente eccoli! SCENA VII Giacomo, Spaghetti, un Servo con due involti e Detti DON ANDREA Je l’avete fatta! GIACOMO (con mistero) Adesso saprete la causa del ritardo. SPAGHETTI ( figura ridicolissima) Un vero impedimento canonico! DON ANDREA (accennando al Servo che li segue) E quell’omo che porta in quelli due fagotti? GIACOMO e SPAGHETTI (uno da un lato e l’altro dalla parte opposta parlano con mistero alle orecchia di don Andrea) DON ANDREA ( fingendosi entusiasta del segreto) Bene! Bravi! Magnifica idea, subblime! (e con trasporto abbraccia e bacia prima Giacomo e poi Spaghetti) GIACOMO (al Servo) Andate a posare quelli due fagotti su da mio suocero e poi ritornatevene a casa. (il Servo esce) DON ANDREA (sempre con mistero) E dunque? Avevo o nun avevo raggione io?! GIACOMO No, sbagliavate. Ho rivisto adesso il General Landller...21 (si volta sospettoso e vedendo Peppina e Lucasi, s’ interrompe) LUCASI Caro Giacomo, parla pure liberamente; sono de’ vostri. GIACOMO (interroga con lo sguardo don Andrea e all’affermazione di questi) Ah già è vero. (poi a Lucasi) E mica ti avevo veduto prima... LUCASI Sono venuto apposta. GIACOMO Eh, ma le donne!... (alludendo a Peppina) SPAGHETTI Già le donne!... PEPPINA Eh, non avete paura che adesso me ne vado. (piano a Lucasi) Io me nascondo qui dietro, così parliamo lo stesso. ( finge di andarsene; invece si nasconde; monta sopra alcune balle di stoffa e sporge il capo come da una finestra) 21 Vedi la n. 10. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 514 28/11/13 12.44 1 1. introduzione 515 SCENA VIII Filippo i Precedenti e Peppina (c. s.) FILIPPO (entra dalla vetrina) Oh che bella compagnia! Mbè, mbè, che novità? DON ANDREA Bonissime. Anzi facendo seguito a quanto oggi dicevamo, contamo molto su di voi. FILIPPO Per altro, io sono padre di famiglia. Non me vorrei trovare in qualche brutto incastro... Il locale ve lo cedo; sebbene da parte mia è un’imprudenza. GIACOMO Ma che paura avete, quando ce siamo noi? SPAGHETTI La vostra è una paura ingiustificata. A noi, ce contate per niente, a noi? (spavaldo) DON ANDREA Se nun fosse una cosa più che sicura, credete che io me ce sarei impicciato? GIACOMO (con convinzione) Credetelo, è questione di altri pochi giorni. Se diceva (guardandosi attorno con sospetto) per il giorno de tutti li Santi, ma sarà invece per l’otto decembre festa de l’Immacolata dalla quale Sua Santità spera in un miracolo. DON ANDREA In un miracolo, e ne siamo più che convinti. SPAGHETTI Che bell’improvisata! Alzasse la matina, e trovarse co’ li francesi... DON ANDREA (interrompendolo) Abbraccicati! FILIPPO (grattandosi il capo) Per altro... E da che porta entrerebbero? GIACOMO Da le porte Portese e San Giovanni. DON ANDREA Arriveno per mare a Civitavecchia e a Napoli. SPAGHETTI Dice che a Civitavecchia già ce sono arrivati certi vapori francesi che se chiameno le Ranocchie, pieni zeppi de soldati. DON ANDREA Che cose, che Ranocchie nun si sa! Si chiamano l’Orenoque 22. GIACOMO Oh quale felicità! Che soddisfazione! SPAGHETTI Quale consolazione! DON ANDREA ( fuori di sé dalla gioia, grida) Viva Pionono! TUTTI (meno Filippo) Vivaa! FILIPPO Zitti ché passa gente! Lo dicevo io, che m’avreste compromesso... GIACOMO (entusiasmato all’eccesso) Gnente paura, ce siamo qui noi! 22 Fregata francese a vela e a vapore. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 515 28/11/13 12.44 516 introduzione SPAGHETTI (c. s.) Noi ce semo, pronti a pagare, anche con la nostra testa! DON ANDREA (c. s.) Sicuro con la nostra cosa! (a questo punto Peppina fa espressamente cadere qualche cosa nell’attiguo magazzeno, il che produce un sordo rumore: Filippo, don Andrea, Spaghetti, e Giacomo rimangono allibiti. Lucasi frena a stento le risa) Che già fussimo scoperti? SPAGHETTI (pallido dallo spavento) Incominciamo bene! LUCASI (che è andato a vedere di che si tratta, torna) Non è nulla: è il gatto che ha fatto cadere una tavola. Eccolo là che scappa. GIACOMO (rianimandosi a sentir ciò) Del resto che venga chissesia, ce sono qua io! SPAGHETTI (c. s.) E io! DON ANDREA Tutti uniti per la vita e per la cosa, per la morte! FILIPPO Per altro, quale sarebbe proprio il vostro piano? DON ANDREA El coso, el piano... GIACOMO (l’ interrompe) Zitto che parlo io. El piano sarebbe questo (si guarda attorno con mistero e sorprende Lucasi con la testa in aria il quale si fa dei cenni con Peppina, Giacomo lo guarda fissamente – pausa – scena a soggetto) Ecco dunque (abbassando la voce) qual’è il nostro piano già approvato dalle Autorità Superiori. D’accordo coi nostri ministri delle Armi e della Marina, abbiamo... (nuova guardata attorno e nuova, se occorre, scenetta come sopra) abbiamo deciso di raccogliere più uomini fidati e risoluti che ci è possibile, siano dei cessati corpi militari, siano guardie urbane, palatine, nobili, e nuovi aruollati. La notte del 7 (altra guardata ecc.) ci armiamo tutti e poi alla spicciolata andiamo incontro all’armata francese alla quale ci ricongiungiamo, per poi ritornare insieme nella città gloriosi e trionfanti!... DON ANDREA (con delirio) Tutti con qualche cosa in mano gridando: Viva Pionono! FILIPPO Una bella e santa idea. Per altro, io non capisco a che cosa ve serva la mia bottega con l’annesso magazzino. DON ANDREA A raccogliere parte de l’armati la viglia dell’8 decembre, e stasera a cominciarvi l’aruollamento. FILIPPO (grattandosi il capo) Ma qui, peraltro, ce n’entrano ben pochi. GIACOMO E che altro che questo locale? Ce n’abbiamo altri cento di altri cento sudditi del Sommo pontefice che se sono offerti spontaneamente per il bene della santa causa. La nota ce l’ha in mano el cardinale Segretario di Stato. FILIPPO E cce sono in nota anche io? Dunque è stato el cardinale che conta sulla mia cooperazione? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 516 28/11/13 12.44 o o - a i 1. introduzione 517 DON ANDREA E se capisce! FILIPPO E allora nun ne parlo più. (sospira e si gratta la testa) GIACOMO E da stasera in poi ci serviremo di questa bottega per gli aruollamenti. FILIPPO E, tanto per dire qualche cosa, ammettiamo la dannata ipotesi anche per essere preparati, che fossimo scoperti, come ce scuseressimo? DON ANDREA Come? Ve lo dico io subbito, come. Diressimo che stiamo a fare le prove d’una commedia nova... GIACOMO Ben trovata! El teatrino è pronto; e se vogliono persuadersi, che si accomodino. FILIPPO (raggiante) Bravo! Anzi a proposito del teatrino, ti dovrei parlare d’un proggetto che da tempo ciò in mente, di fare cioè un altro teatro dieci volte più grande del mio, in un immenso salone del palazzo Farnese che potrei avere in affitto... GIACOMO (interrompe) Va bene ne riparleremo con più commodo. Ve prevengo intanto che l’8 decembre, voi saluterete in me, un generale. FILIPPO Corbezzoli! SPAGHETTI E in me, un colonnello. FILIPPO E in don Andrea, un... DON ANDREA (premendosi le dita della man destra sulla bocca) Mó te lo dicevo! Ma che capisci che io lo faccio per coso? Io lo faccio p’el bene che voglio a Sua Santità. (entusiasmato) Viva Pionono! FILIPPO (otturandogli la bocca) Per carità, nu’ ricominciamo! SCENA IX Francesco e Detti FRANCESCO (dalla porta dietro il bancone) Sor padrone, ve vòle su la sora Laura. (accende le lucerne) FILIPPO Vengo subbito. Anzi salite anche vojaltri, così ve bagnerete el becco. Avete parlato tanto! DON ANDREA Nun dici mica male! Un bicchier de vino ce mette in coso, in forza, per la fatiga che dobbiamo sostenere questa sera. SPAGHETTI Eh, mica me dispiace questa pensata. GIACOMO Andiamo che è notte e l’appuntamento è per le otto. Nun ci abbiamo tempo da perdere. (escono tutti dalla porta dietro il bancone) LUCASI (resta a farsi i cenni con Peppina, quasi si fosse dimenticato dei compagni. Poi avvedendosi ch’ è rimasto solo, corre dietro loro dicendo) Per bacco mi ero dimenticato che congiuravo! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 517 28/11/13 12.44 518 introduzione SCENA X Francesco, quindi Peppina FRANCESCO E avanti col bere e col mangiare. In questa benedetta casa è sempre festa, sempre tavola apparecchiata. Chi viene mangia... Vorrei un po’ vedere se gli altri darebbero da mangiare a loro, dato il caso ne avessero necessità... PEPPINA (mostrandosi improvvisamente) Checco! FRANCESCO Voi, signorina? E dove stavate? M’avete messo pavura! PEPPINA Sono stata fin’adesso nascosta qui dietro. Zitto, Checco mio, si sapeste quante risate me sò fatta. FRANCESCO E perché, perché? PEPPINA Ho inteso tutto il piano dei congiurati. FRANCESCO Adesso capisco quell’aria de mistero de don Andrea. Una congiura?! PEPPINA Sicuro, una congiura. FRANCESCO Caspita! PEPPINA Aruollano gente per una levata di scudi da farsi in favore dell’armata francese, che l’8 decembre, come se cadesse dal cielo, giungerà a Roma dalle porte Portese e San Giovanni. FRANCESCO (scoppiando dal ridere) Ah ah ah! Ma servirsi del negozio a quale scopo? PEPPINA A quale? Ve lo dirò io; (con mistero) per l’aruollamento. FRANCESCO E quando comincia? PEPPINA Questa sera... Ma perché ve preme tanto di saperlo? (da sé) (Scopriamo terreno). FRANCESCO Perché me ce voglio arollare pure io. PEPPINA Ma che, giusto! Voi siete tutt’altro tipo. Io sono furba; voi, secondo me, ve volete burlare de loro. FRANCESCO Dio me ne guardi! PEPPINA D’altronde fate bene. Anch’io quando in un affare qualunque, c’entra quel fariseo di mio cognato e quel ridicolo de Spaghetti nun posso farne a meno di prendermela in burletta. FRANCESCO Zitto, ché ecco er sor Aristide. PEPPINA Allora non starà tanto a comparire la sora Amalia. SCENA XI Aristide e Detti ARISTIDE (entra dalla vetrina) Oh, signorina! (si salutano) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 518 28/11/13 12.44 a l . 1. introduzione 519 PEPPINA Venivate forse in cerca del signor Spaghetti? ARISTIDE No: perché? PEPPINA (ironica) Allora della signora Spaghetti? ARISTIDE (un po’ imbarazzato) Manco per sogno. Né dell’uno, né dell’altra. Mi aveva dato l’appuntamento qui don Andrea. PEPPINA Può anche darsi. Sicché anche voi siete dei nostri? (con affettato mistero) FRANCESCO (da sé) (Si finisce con una cena tanto tanto!) SCENA XII Amalia e Detti AMALIA (chiamando di dentro) Peppina! (poi entrando dalla porta dietro il banco) Peppina! PEPPINA La sora Amalia! (scambia un’occhiata significativa con Francesco) Dunque voi stavate su in casa nostra? AMALIA Già da un pezzo. Co’ la cosa che sapevo de trovarce mio marito, ve sono venuta a fare una visita; ma invece che da la bottega, sono passata dal portone. (fingendo avvedersi allora della presenza di Aristide) Uh signor Aristide, scusi, nu’ l’avevo visto. (si salutano) ARISTIDE Ed io nemmeno. Sta bene? PEPPINA (a Francesco) (Come fanno bene la parte). AMALIA (ad Aristide) Quanto tempo è che nun si vediamo! ARISTIDE Davero! PEPPINA (piano a Francesco) (E magari saranno venuti insieme qui!) Sora Amalia che cosa volevate da me che m’avete chiamato venendo giù? AMALIA Ah già me n’ero scordata. Ve voleva mammà. PEPPINA Ebbene andiamo. (avviandosi) ARISTIDE Ma non sarebbe meglio che don Andrea, io, l’aspettassi qui? AMALIA Davero qui fa più fresco. Nun sentite oggi che scirocco? PEPPINA Ma si don Andrea sta su da un’ora! FRANCESCO (da sé) (Ce vonno fà reggere el moccolo per forza!) ARISTIDE Don Andrea sta su? Allora potevate dirmelo prima, potevate. (si avvia) AMALIA (si mette vicino ad Aristide e gli da un pizzicotto al braccio) (Te ciò acchiappato a fare el ciovettone con quest’altra ciovetta!) ARISTIDE Ajo! (se ne vanno dalla porta dietro il banco) PEPPINA (tornando indietro) Sentite, Checco, m’è venuta un’idea magnifica. Adesso quando venite su, ve devo parlare in segreto. Se nun ce sono, aspettateme in cucina che fra dieci minuti vengo. (esce) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 519 28/11/13 12.44 520 introduzione SCENA XIII Francesco solo FRANCESCO Che vorrà mai da me con tutta quell’aria de mistero? Qualcuna delle sue. Sia benedetta!... Ecco a me me basta de diglie una parola sola a quell’angelo, e me sento rinasce da morte a vita! Ma quant’è graziosa! Che finezza di profilo, che portento!... Basta: nun ce pensamo... A proposito, è già bello tardi e nun me ne sò accorto. Chiudiamo bottega, e andiamocene a prendere gli ordini dalla bella padroncina. (chiude bottega di dentro; accende un pezzo di cerino smorza le lucerne e se ne va dalla porta dietro il bancone) SCENA XIV Peppina, Laura, Amalia, Balia (in costume), Renzo, Lisa, e Anna entrano con precauzione, dalla porta che comunica col portone di casa. PEPPINA (con in mano un cerino acceso) Facciamo piano; perché si ce scoprono è finito lo scopo. RENZO (battendo le mani) Che bellezza! PEPPINA (a Renzo) Un’altra parola che dici, te mando a letto. LAURA Ma, figlia mia, dobbiamo stare tutto ‘sto tempo a l’oscuro? LISA (battendo le palme) È meglio: facciamo a niscondarello! AMALIA Io ho pavura de li sorci. Giusto qua ce ne sò ‘sti pochi! RENZO (gridando) Eccone là uno! TUTTE (alzandosi le vesti, gridano, scappando chi qua chi là) Ah! Ah! Zitte per carità! nun date retta a questo mascalzone! Renzo, mó senti che schiaffone che t’appoggio! (cessa lo spavento e tutte riprendono la loro calma) ANNA Ma che pazzia è la vostra? Capisco, io pure sono curiosa de sapere quello che fanno, ma chi lo sa quanto tempo ce vorrà ancora. PEPPINA Pochi minuti. LAURA Puro lo sai. Quando se mette in testa qualche cosa ‘sta benedetta figlia de Peppina, bisogna fare a modo suo. Se venivamo più tardi nun era lo stesso? AMALIA Già, non era lo stesso? PEPPINA Non cominciamo coi rimproveri. Obbediteme e ve ne ritroverete bene. RENZO Anzi, benissimo. ANNA Infatti già lo vedo! LAURA Ne sò più che ccerta. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 520 28/11/13 12.44 ? - - 1. introduzione 521 PEPPINA Quando ve dico de sì! LISA Quanto sò sceme con tutte queste pavure! LAURA Io sto in pensiere, ciavessero da scoprì. AMALIA Mio marito, nu’ me la perdonerebbe. PEPPINA Ve ne perdona tante! Seppure, mica ce se voranno mangiare! AMALIA Sento rumore. LISA Sì qualcuno scende la scala de’ bottega. ANNA Che fossero già loro? LAURA Ma vedi che imbroglio! AMALIA Presto, nascondiamose. ANNA No tutti in un posto, chi qua chi là. PEPPINA Ve l’ho detto che staveno a momenti a venire? Fate piano, in punta di piedi, e per carità zitti, ché eccoli. (si nascondono qua e là. Peppina quando l’ ha visti nascondere, smorza il cerino, poi a tentoni va dietro il bancone vi nasconde un involto, e se ne va via dalla porta dalla quale è entrata dicendo) Questo è fatto, adesso andiamo a istruire el sor Checco. SCENA XV Don Andrea e Filippo DON ANDREA (con una bugia accesa, entra dalla porta situata dietro il bancone) È ora che ci prepariamo. Prima de tutto accendemo li lumi. (eseguisce) Peccato che da la strada se vedrà el coso, e se sospetterà che qua dentro c’è gente; ma poco male... Quando sono in compagnia de quelli due valorosi ufficiali, me sento pieno de coraggio! Preparamo el calamaro, la penna, un quinterno de carta (eseguisce)... Questi nuovi volontari, poco staranno a venire... E chi lo sa quanti saranno!... Averemo da fare chi sa quanto! FILIPPO (che dal principio ha seguito sempre don Andrea, con l’ intenzione di interrogarlo, senza averne il coraggio, ogni volta che gli si avvicina don Andrea affaccendato cerca torglierselo d’attorno) Don Andrea, senti... DON ANDREA (a Filippo) Ma che vòi? Abbi pazienza. Nun lo vedi quanto sò occupato? (poi come parlando a se stesso) Che dicevo?! Ah che chi sa questa sera quanta gente accorrerà al nostro appello. Perché io l’averò detto a un centinaro d’amici; Giacomo a un migliaro... Sicché li volontari devono fioccare... A proposito prepariamo qualche sedia... Così. (eseguisce) N.B. La scena, abbenché le lucerne siano accese, deve rimanere in penombra. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 521 28/11/13 12.44 522 introduzione SCENA XVI Detti quindi Peppina FILIPPO Don Andrea! Don Andrea, senti, e rispondemi con calma. Lasciamo andare li scherzi, e parliamose da veri amici. M’assicuri proprio che nun passeremo nessun guajo? DON ANDREA Fidati de me... FILIPPO (grattandosi il capo) Per altro... DON ANDREA Coraggio, Pippo, sii omo, come lo sei sempre stato... A proposito e Giacomo e Peppe, perché non scendono? FILIPPO Se sò rinchiusi de là in cammera mia con una cert’aria de mistero, che me dà a pensare!... E siccome io volevo entrare, mi hanno mandato via a spinte. DON ANDREA Già so perché. È una sorpresa. Fra poco sapràilo. FILIPPO Dico per altro, nun ariveranno al punto di fare qualche sciocchezza, salvognuno, de portare qualche bomba, qualche esplodente... Avessimo da fare la seconda della caserma de Serristori 23! DON ANDREA (ridendo) Ma vattene! FILIPPO Eh, capirai, con quell’esaltato de Giacomo... DON ANDREA Ma finiscila con queste corbellerie. PEPPINA (scende dalla casa, traversa con precauzione la scena senza farsi vedere da Filippo e don Andrea, e si nasconde) FILIPPO Allora io m’abbandono, fidandomi in te. DON ANDREA Oh, mó sei omo! SCENA XVII Aristide, Giacomo, Spaghetti, Francesco e i Precedenti Aristide e Francesco, precederanno Giacomo e Spaghetti, i quali indosseranno le rispettive divise di ufficiali della Guardia Paladina e Urbana 23 L’attentato contro la caserma Serristori dei zuavi pontifici fu compiuto il 22 ottobre 1868. L’azione, insieme ad altre progettate ma non eseguite, aveva lo scopo di provocare una sollevazione popolare che facilitasse il proposito di Garibaldi di occupare Roma con i suoi Garibaldini, cosa che poi, come noto, non avvenne. I due barili di tritolo che furono fatti esplodere causarono il crollo della caserma e la morte di 25 militari e due civili. Dell’attentato furono accusati Gaetano Tognetti e Giuseppe Monti, poi condannati alla ghigliottina. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 522 28/11/13 12.44 - - 1. introduzione 523 FRANCESCO (mettendosi sull’attenti, in modo canzonatorio) Presentat’arm! ARISTIDE (c. s.) Attenti! ( fa il saluto militare) DON ANDREA ( fa altrettanto ma con serietà) Bene, per bacco baccone! (abbraccia con entusiasmo i due amici, e batte loro le mani) GIACOMO (tronfio e impettito) Ebbene s’è visto nessuno? Tutto è pronto? SPAGHETTI (più ridicolo del solito) Tutto è all’ordine? Possiamo incominciare... (a Francesco) Voi, Francesco, accudite alla porta. FRANCESCO Me sò offerto apposta, per servirvi. DON ANDREA (a Filippo che è rimasto poco soddisfatto di quelle divise) Che te ne pare? È stata una bella trovata? FILIPPO (grattandosi il capo) Per altro, ne potevate fare a meno! Se fossimo sorpresi in quell’arnesi, hai tempo a dargli d’intendere che facevamo le prove del teatrino... DON ANDREA (seccato) Ma sei proprio insupportabile! Ancora hai paura? (con entusiasmo) Alla sola vista, di quelle onorate divise, me sento venire un coso, un coraggio da leone! GIACOMO (a Filippo) Non capite che così, ai volontari farò più spicco? FRANCESCO (ironico) Ma certamente! ARISTIDE (c. s.) Imporrete di più! SPAGHETTI (pavoneggiandosi) Almeno io, la pavura, nun so nemmeno dove abbiti de casa! ( finge parlare con don Andrea, Giacomo e Filippo) FRANCESCO (piano ad Aristide) E il 20 settembre si non glie mandavano li panni da borghese, per la gran pavura, non usciva dal quartiere24! ARISTIDE (a Francesco) Almeno Giacomo, quel giorno, si contentò di nascondersi in cantina! Due colpi vigorosi dati all’uscio che dalla bottega si suppone metta nell’ interno del portone fan trasalire Giacomo, Filippo, Spaghetti e don Andrea. GIACOMO (rimettendosi) Cominciano a giungere gli invitati. (con autorità) Francesco, aprite. FRANCESCO (apre la porta a sinistra, quella che si suppone dia nel portone) Chi è? Chi siete? Chi volete?... Ah! (riconosce Flanella e Sbafi) Bungiancavve, sete vojaltri? Entrate. (richiude la porta) 24 Lezione precedente: Vatic [Vaticano]. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 523 28/11/13 12.44 524 introduzione SCENA XVIII Flanella, Sbafi e i Precedenti SBAFI Bonasera!... (poi vedendo i due in divisa, scoppia a ridere) Oh, bella, oh bella! Ah ah ah! In montura! FLANELLA (c. s.) Ohé, che ciabbiamo de novo? In grande uniforme! DON ANDREA (con mistero) Non è stata una bellissima idea? GIACOMO Siete accorsi anche vojaltri? Bravi! SBAFI È naturale... (ride) Ah ah ah, bella, bella! FLANELLA Eh già che siamo venuti; siamo stati invitati da padron Filippo. GIACOMO Prendetene nota. (a Spaghetti) DON ANDREA (con enfasi) Nota speciale, per essersi cosati, dico presentati per li primi, quando il dovere li ha chiamati. ARISTIDE Mentre a chi spetterebbe per dovere, non si fa ancora vivo. DON ANDREA È vero: presempio, il signor Gino Lucasi, che c’è stato tutto il giorno tra li piedi, al momento del bisogno s’è dileguato. FRANCESCO (simulando) Davero che questo procedere del signor Gino è incomprensibile. FILIPPO Sciocchezze; sarà andato un momento a casa sua, e adesso ritornerà. DON ANDREA Non era questo el momento adatto, però; e me fo molto specie de lui. Eccoli qui li veri amici (mostrando Sbafi e Flanella) eccoli! A la prima chiamata, taffete! Si presentano pronti e giulivi. SBAFI (ridendo con indifferenza) Ma sfido, noi quando siamo invitati a mangiare, semo sempre li primi. GIACOMO (sorpreso) Come, a mangiare? DON ANDREA ( furibondo) Come a cosare? SBAFI e FLANELLA (sgranano tanto d’occhi e si stringono nelle spalle) FILIPPO Sicuro è verissimo a mangiare! Nun ce pensavo. L’ho invitati io a venire a cena da me... Eh ciò altro per la testa!... DON ANDREA (a Sbafi e a Flanella) Dunque, non sapete, non sapevate?... FLANELLA Eh già, accosì pare... (interdetto) DON ANDREA Non fa gnente. Segnateli lo stesso. Poi l’informerò bene io di tutto. Intanto sono dei nostri e io ne rispondo. SBAFI (si guarda con Flanella, tutti e due ridono. Non capiscono nulla. Poi Sbafi dice) Ah ah ah, oh questa è bella, vestiti in montura per venire a cena. FILIPPO (a Sbafi e a Flanella) Accommodateve intanto; ché adesso, Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 524 28/11/13 12.44 - - 1. introduzione 525 quando ce siamo spicciati andiamo su a mangiare. (siedono sempre interrogandosi con lo sguardo e ridendo) GIACOMO Io non capisco, come si fa a dimenticare di avvertire li nostri migliori amici, come questi, su li quali uno ce pò contare... FRANCESCO (ad Aristide) (infatti quando c’è da pappà nun mancheno mai!) SBAFI (ripensando alle divise indossate dai suoi amici, scoppia a ridere clamorosamente) Oh bella, venire a cena in uniforme! Pausa. All’ improvviso si sente picchiare con forza all’uscio a sinistra. DON ANDREA (soddisfatto) Eccoli, eccoli! Tutt’è che ne incominci a venire qualcuno, ché poi gli altri sapete come fioccheranno! Ma se lo dicevo, io? Si picchia di nuovo e con più forza. FILIPPO Ih che furia! FRANCESCO (avvicinandosi alla porta) Un momento. Chi è? LUCASI (di dentro, con voce alterata) La forza! In nome della legge, aprite! FRANCESCO (tornando e fingendo timore) Avete inteso? È la forza! FILIPPO La forza!?! (cade come un cencio, sopra una sedia) Ah, povera famiglia mia rovinata! Lo prevedevo, io! Don Andrea, Giacomo, Spaghetti, Aristide all’udire la forza scattano in piedi allibiti dallo spavento, tremano come foglie al vento. Sbafi e Flanella i quali non si fanno un concetto preciso di ciò che sta accadendo, smaniosi, van supplicando or questo or quell’attore, per esserne informati; ma da tutti sono respinti. Scena a soggetto. ARISTIDE (anch’esso impaurito) Ah incominciamo bene! FRANCESCO (con accento tragico) Ah, fummo dunque traditi?! (poi da sé) Ci riuscisse almeno a star seri! LUCASI (picchiando con più forza) In nome della legge, aprite!... FRANCESCO (aprendo la porta) Avanti, signori, favorischino! (poi a Lucasi, piano)Te possino, quanto sei brutto! LUCASI (di dentro) Due guardie, mi seguano, le altre circondino il palazzo. DON ANDREA Nascondiamose!... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 525 28/11/13 12.44 526 introduzione SCENA XIX Lucasi, da delegato, due guardie in borghese e i Precedenti Peppina, Anna, Amalia, Laura e gli altri arrampicati chi qua chi là osservano senza esser veduti. LUCASI (travestito, con barba folta, occhiali neri, e sciarpa tricolore. Per non farsi riconoscere altererà la voce. Sorprende don Andrea e gli altri mentre tentano di nascondersi) Fermi tutti! Nessun si muova, in nome della legge! Don Andrea, Giacomo, Spaghetti, Filippo, Aristide, Sbafi, Flanella, si fermano in vari atteggiamenti, esprimenti tutti la paura da cui sono invasi. LUCASI (con accento feroce) Ah, dunque, nun ci avevano ingannati. Qui si cospira e in divisa, anche! In nome della legge, siete dichiarati in arresto! SBAFI (piangendo) Chi me l’avesse detto! FRANCESCO (simulando coraggio) Ebbene, signor delegato, ella è in errore. Qui non si cospira. Si stava facendo la prova di una commedia... LUCASI (c. s.) È ciò che vedremo. Guardie, fate il vostro dovere. (le guardie si avanzano) FRANCESCO (c. s.) Signor delegato, badi bene a ciò che sta per fare; poiché possiamo farvelo pentire e amaramente. (fra sé) (Io mó crepo!) DON ANDREA (a Francesco) Bravo, coso! Che co...coraggio! FILIPPO Vòl ve... vedere il nostro teatrino? LUCASI (c. s. a Filippo) Tacete voi! (poi fingendo di perquisire, va dietro il banco e ne cava un involto) Anche degli esplodenti! FILIPPO (fra sé disperato) (Lo dicevo! Povera famiglia mia assassinata!) LUCASI (con accento feroce) Traditori della patria! Tutti meno Francesco s’ inginocchiano dinanzi a Lucasi, piangenti, costernati. TUTTI Perdono! Perdono! LUCASI (c. s. fra sé) (Se non scoppio è un prodiggio!) Preghiere, pianti, giovano a nulla! Traditori, siete rei di lesa maestà e la pena del taglione, vi aspetta! Pausa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 526 28/11/13 12.44 - ) 1. introduzione 527 FRANCESCO Ma noi, signor delegato, facciamo appello all’animo suo buono e generoso. SBAFI (piangendo dirottamente) Perdono! Io ero invitato a cena... FLANELLA Maledetta cena! TUTTI Perdono, signor delegato! LUCASI ( fingendo commozione, si asciuga una lacrima) E pure mi fate compassione. Pensare, che voi, padri di famiglia dovrete lasciare le vostre teste sopra un palco, mi fa orrore!... Si, voglio dimostrarvi che noi liberali, siamo più umani di voi sciagurati clericali... Ma ad un patto, però. Sareste pronti a darmi una prova non dubbia del vostro patriottismo, come il signore (accennando Francesco) mi promise, testè? TUTTI (all’unisono) Si, lo giuriamo! LUCASI Ebbene, vi lascio liberi sul momento, se mi promettete di gridare all’unisono con me: Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele! TUTTI Sì siamo pronti! (e gridano in coro) Viva l’Italia, Viva Vittorio Emanuele! FRANCESCO e LUCASI (togliendosi il cappello, gridano più forte degli altri) Viva, vivaaa!25 SCENA ULTIMA Peppina, Amalia, Laura, Menica, Balia, Lisa, Renzo, Anna, e i Precedenti Al grido di Viva l’Italia ecc. Peppina, Amalia, Laura, Balia, Lisa, Renzo, ecc. i quali già si stavano godendo la scena dal principio, senza però farsi vedere, compariscono ciascuno recando un cerino acceso, e prorompono in una sonora risata. Tutto ciò deve farsi rapidamente. Allora Don Andrea, Giacomo, Filippo, Aristide, Sbafi, e Flanella, rimangono sbalorditi, confusi annientati. LUCASI (togliendosi, unitamente ai due facchini, la barba posticcia e gli occhiali, esclama freddamente) Bravi soldati de stoppa! DON ANDREA ( facendo lo spiritoso) Eh da mó che me n’ero accorto! - Sipario 25 Di seguito annotato a matita: «meglio il finale: Bravi soldati del papa!» Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 527 28/11/13 12.44 528 introduzione ATTO III La stessa scena del secondo atto; con la differenza però che la bottega sarà quasi sprovvista di mercanzia. SCENA I Laura, Peppina e Lisa intente a lavorare LAURA (senza smettere il lavoro) Sicuro, figlie mie; non se lo sarebbe mai immaginato nessuno che in poco più de cinque anni, se saressimo ridotti guasi in miseria eh, aveva raggione don Andrea quando diceva che con la venuta de questi a Roma, saressimo rimasti tutti rovinati!... Basta, comunque se sia, sia fatta la volontà del Signore!... Soltanto, me rincresce per voi, figlie mie, ché a la miseria non c’eravate assuefatte... (rivolgendosi amorosamente a Peppina) e tu, Peppina mia, come te senti? PEPPINA (pallida, disfatta, con una tossetta insistente) Meglio, mammà, meglio. È male che passa. LISA (che sarà intenta a lavorare un cappellino) Dio mio, però, ce venisse a trovare più un cane! Prima tutti qui, tutti a mangiare alle spalle nostre; e adesso ce sfuggono come la peste. LAURA Eh, figlie mie, così succede. L’unico che c’è rimasto fedele è questo povero Francesco, el ministro nostro, che per noi, per modo de dire, se spaccherebbe per mezzo, se spaccherebbe. PEPPINA Davero, mammà; quanto c’è affezionato! Nello stato miserevole nostro, se riconoscono li veri amici!... (tossisce) Chi si sarebbe, come lui, sagrificato anche negli interessi, per salvare a noi? LAURA (c. s.) Certo, poveretto. E io gliene sò proprio riconoscente. Ma anche de don Andrea nun ce potemo lamentare. PEPPINA Sì è vero anche lui è bono, e ci vòle tanto bene; ma... LISA (interrompendo) È sempre prete. Adesso, quando sòna mezzoggiorno, mica se vede più come una volta... LAURA (con serietà rimproverandola) Andamo via! Questa Lisaccia, è venuta su con certe idee che sanno troppo de moderno. LISA Effetto dell’aria che tira!... Mammà mia, se tutto il male fosse questo. Almeno lasciateci parlare. LAURA A proposito, come sarà, davero, ch’è sonato mezzogiorno e Renzo mio, nun se vede?... Pure quel povero figlio mio, chi gliel’avesse detto de fenire a fà el mercantino. (sospirando) LISA E io la scuffiara. Tutto si fa per la fabbrica de l’appetito! (simula allegria per tener sollevati gli altri) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 528 28/11/13 12.44 a è a 1. introduzione 529 PEPPINA (tossendo) Beata te, Lisa mia, che hai voglia di scherzare. LISA (c. s.) Non sai come dice il proverbio? Chi se ne piglia mòre. PEPPINA (addoloratissima; fra sé) (E infatti è vero. Me lo sento io!...) SCENA II Francesco e i Precedenti FRANCESCO (entra dalla vetrina; sarà molto abattuto. Salutando) Sore padrone. LAURA (con interesse) Mbè che hanno deciso in tribunale? FRANCESCO (indeciso) Gnente de preciso... cioè... ancora veramente nun se sa. LAURA Ma ce sarà speranza? FRANCESCO Speranza proprio... (c. s.) Ma l’avvocato lo assicura... E quando lui... LAURA (sospirando) Dio lo volesse!... E, Pippo l’avete gnente veduto? FRANCESCO Stava adesso con me e con Renzo. Sono saliti a casa passando dal portone. Forse, credeveno de trovarve su. LAURA (alzandosi da sedere) Allora, ragazze, andamo su a mangiare quel boccone, ché papà ci aspetta. (tutte si alzano ed escono precedute da Laura) SCENA III Francesco indi Sbafi e Flanella FRANCESCO (seguendo con lo sguardo le padrone) Nun ho nemmeno avuto el coraggio de diglie la verità... Li creditori hanno rifiutato el concordato; sicché da ieri è dichiarato el fallimento. (con dolore) Ah poveri padroni mii! SBAFI e FLANELLA (che sono entrati dalla vetrina, accomodando l’aspetto alla circostanza) Sor Checco! FRANCESCO (voltandosi, riconosce i due e dice tra sé) (Ecco questi che già hanno inteso la puzza del morto!) (poi salutandoli) Bongiorno. FLANELLA ( fingendo dolore) Scusate, con la cosa che io, e l’amico qui (indicando Sbafi) ce siamo per caso incontrati a passare de qua, abbiamo detto andamo a sentì come sta la famiglia Laurini. FRANCESCO Doppo tanto tempo, ve ne sete ricordati! FLANELLA Eh, già, ma sa l’affari... SBAFI Tanti che, nun ce lasseno nemmeno da respirare... Dunque tutti bene, eh? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 529 28/11/13 12.44 530 introduzione FRANCESCO Bene de salute... Ma el resto... l’affari a rotta de collo... FLANELLA Eh già, la salute, come dice: Salus prima lècchese.26 SBAFI Quanto a l’affari nu’ ne parliamo semo tutti rovinati... A Roma, el commercio è morto e seppellito. FLANELLA Eh, già: in seppoltura jacet. SBAFI (con intenzione) Li fallimenti a l’ordine del giorno... FLANELLA Eh, già li fallimenti poi li fallimenti, è una cosa seria... SBAFI Anzi, a proposito, ma è vero, sor Checco, quello che se dice? FRANCESCO (sospirando) Eh, purtroppo! SBAFI Un negoziante tanto ricco come el sor Laurini! Uno de li primi de Roma, riducésse in questo stato! FRANCESCO Eh, cari signori, con l’affare della concorrenza, el commercio romano è rovinato. FLANELLA Eh, già sicuro; nun dite male. FRANCESCO Ma non vedete che stabbilimenti commerciali hanno aperto a Roma? Basterebbero quello de Foà 27, quello de Guastalla, quel gran negozio de li fratelli Bocconi 28, eccetra, eccetra. SBAFI È vero, verissimo. FRANCESCO Andate a metterve a compete con loro che cianno la massima (che per noi è falsa), che nello spaccio sta el guadagno. E accosì danno via la robba auffa. E mentre loro la pensano in questo modo, noi viceversa la pensiamo come se pensava cinquant’anni fa. Nun avemo voluto andare col progresso e adesso la concorrenza ciarovina. È naturale: el pesce grosso se mangia el piccolo. FLANELLA (ridendo del suo solito riso stupido) Bello, ‘sto paragone del pesce! SBAFI E, dico, figuriamose la povera moglie e le figlie del sor Filippo? FRANCESCO Ve lo potete immagginà! FLANELLA Eh già, me lo figuro. Ce se stava accosì bene a casa loro! (ride) SBAFI Davero quante belle allegrie ciabbiamo fatto!... Furtuna, dico, che cianno el genero che è ricco e li potrà ajutare... FRANCESCO (meravigliato) El genero? Ma nun sapete che quel satiro s’è sciupato tutto el patrimonio con le ballerine, e ha ridotto in mise26 L’espressione riprende, storpiandola comicamente, quella latina salus animarum prima lex est. 27 Il riferimento è alla sartoria che dal 1882 aveva sede in Via del Corso 103-105, nata dalla fusione delle ditte di stoffe e confezioni Foà e Guastalla. 28 I grandi magazzini dei fratelli Bocconi aprono nel 1887 sotto l’insegna Alle città d’Italia. Nel 1917 Gabriele D’Annunzio conia per essi il nome La Rinascente. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 530 28/11/13 12.44 , - - 1. introduzione 531 ria la moglie e li figli?! E lui, l’ex capitano de li Paladini, gnente de meno, sta per scrivano da un notaro. FLANELLA Dunque nun cianno più nessuno che li soccorra? FRANCESCO Nessuno al mondo... Almeno che qualche loro vecchio amico, avesse intenzione... FLANELLA (che ha capito a che voleva alludere Francesco, sente bruciarsi la terra sotto i piedi) Me fa pena sola a sentirlo, povera gente!... Allora noi... (volendo accomiatarsi) FRANCESCO Anzi, giacché è tanto tempo che nun ve se vede, perché nun andate su a farglie una visita? Sò soli abbandonati da tutti... FLANELLA (c. s.) Volentieri... Ma in questo momento, nun possiamo; ciabbiamo un appuntamento. Anzi (guarda l’orologio) già abbiamo fatto tardi, è vero Sbafi? SBAFI Eh, già! Se dovemo trovà a tre quarti a pranzo da un amico a Monte Giordano. Sbrigamoce anzi... (per andare) Se vediamo... FLANELLA (che nun vede l’ora di andarsene) Allora tanti saluti al sor Filippo e arrivederci con miglior commodo. (esce frettoloso, preceduto da Sbafi) SCENA IV Francesco quindi don Andrea FRANCESCO (osservando Sbafi e Flanella che se ne vanno correndo. Una pausa) E pensare che questi erano due dei migliori amici de casa Laurini, e che stavano sempre qui a scroccà pranzi e cene!... Povera Peppina! (si asciuga una lagrima) DON ANDREA (entra dalla porta dietro il bancone, se ne avvede) Oh, coso! (battendogli sulla spalla) FRANCESCO (asciugandosi in fretta gli occhi) Oh, don Andrea nostro, bravo: sete stato su da loro? (con interesse) Mbè, mbè, che ve ne pare? DON ANDREA ( fra sé) (‘Sto povero Checco è un eroe!) Povera gente, ce credi che nun me dà core de vederli ridotti in questo stato? FRANCESCO (con grande interesse) E la sora Peppina, come la trovate? DON ANDREA Non certo bene. Anzi... Ma capirai queste continue scosse... L’abbandono de quel perverso de Lucasi, che doppo averla per tanto tempo lusingata, appena ha sentore del cambiamento de fortuna della famiglia, la pianta in un modo indegno... FRANCESCO Doppo avere anche lui scialato alle spalle della famiglia Laurini per parecchi anni, ed avere anche abbusato di qualche altra cosa... Anime nere, vigliacchi!... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 531 28/11/13 12.44 532 introduzione DON ANDREA Eh, figlio caro, mica tutti te rassomigliano!... Poi abbandonata da Lucasi, te ricordi? credendo di farglie dispetto se misse a far l’amore con quello scultore, poi con quel giornalista che è andato screditandola de qua e de là... FRANCESCO Aggiungete a tutte queste sofferenze, gli affari sospesi, il commercio rovinato, l’incaglio, e per chiusa el fallimento... DON ANDREA (sorpreso) Che me dici, el coso?! FRANCESCO El fallimento dichiarato definitivamente fino da jeri! DON ANDREA E Pippo, stammatina, nun m’ha detto gnente. Anzi pareva tranquillo. M’ha fatto vedere un disegno d’un nuovo teatrino che vò fare nel cortile del palazzo, coso... Costaguti. FRANCESCO Poveretto, s’è mezzo rimbambito... Eh, se invece de pensà al teatrino, avesse avuto più cura de l’interessi sui, e mi avesse dato retta a me, forse, anzi, senza el forse, a quest’ora nun se troverebbe come se trova. DON ANDREA S’è cosato, s’è illuso! Quello se credeva che le cose camminassero da loro a la carlona, come prima del Settanta. Nun s’è accorto che l’entrate diminuivano e le spese cresceveno... FRANCESCO (interrompendo) Cresceveno?! Ma se triplicaveno. E loro invece de diminuirle l’hanno aumentate... (scorgendo Aristide) Ecco quest’altro ficcanaso! SCENA VI Aristide e Detti ARISTIDE (dalla vetrina entra si ferma e con accento desolato, esclama) Ma, eh, povero Laurini? DON ANDREA Davero, povero e disgraziato. ARISTIDE Andato a dirittura a gambe per aria?! FRANCESCO Ma, per carità, adesso nun fate che l’andate a pubblicà su li fogli... ARISTIDE (offeso) Me fa specie!... Sono sempre stato amico della famiglia Laurini e mi vanto di esserlo ancora. DON ANDREA Sebbene non vi sete, da un coso, da un pezzo, fatto più vedere in casa di essa... ARISTIDE Eh, le occupazioni soverchie, gli affari... E poi dopo quello ch’è passato fra me e la famiglia Laurini... DON ANDREA Pettegolezze de donne, che lasceno el tempo che troveno. FRANCESCO Don Andrea, io vado un momento su da li padroni. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 532 28/11/13 12.44 . 1. introduzione 533 Dateme un occhio a bottega. Nel caso venisse qualcuno, me chiamate. ( fra sé, nell’andarsene) (È meglio che me ne vado!) DON ANDREA Va pure in santa pace; ché intanto io oggi posso restà pure fino a mezzanotte. E poi se anche non potessi, potrei cosare, dicevo, abbandonare quest’infelici in tale stato? (Francesco esce dalla porta dietro il banco) SCENA VII Amalia, Spaghetti, e i Precedenti SPAGHETTI Don Andrea! (Spaghetti entra con Amalia dalla vetrina) DON ANDREA Guarda chi se vede doppo un secolo! (si salutano) Accommodateve un momento. (tutti siedono) AMALIA (ironica) Bisognava venire qua per trovare el signor Aristide! SPAGHETTI (che entrando non ha salutato Aristide) Apposta io nun me degno più de salutallo! El migliore, el più affezionato amico de casa mia, che cià abbandonato. ARISTIDE Adesso esaggerate! Non sarà manco un mese che ci siamo visti al Valle... AMALIA (con ironia) Eh, ora, il sor Aristide, cià altri grattacapoli, la quale lo tengono occupato, altre visite!... (poi piano ad Aristide) (Brutto boja, si me capiti!...) (e poi si mettono a parlare) SPAGHETTI (alla moglie) Amalia mia, daglie più guai che poi, a quel Signore. (accennando Aristide. Poi accomodando il volto alla circostanza) A proposito, eh don Andrea, dice che quel povero sor Filippo nostro, eh?... DON ANDREA Nun ne parliamo, nu ne parliamo. SPAGHETTI Anzi, appena l’ho saputo, io e Amalia mia, che una volta erimio amici de lui e de la famiglia, semo subito scappati a sentire... Ma dunque è propio vero quello che se dice per Roma? (con interesse) ARISTIDE (cercando di togliersi d’attorno Amalia) Così non fosse! Rovinato del tutto, povero disgraziato, del tutto, capite? DON ANDREA (con dolore) Fallito, capite, fallito! SPAGHETTI (in tono solenne) Eh, da quando sono venuti questi, nun abbiamo avuto mai nessuno un’ora de bene, mai! Lo dicevo, io! AMALIA Povera famiglia; me fanno propio pena quelli poveri figli. E con tutto che ce sii stato fra nojaltri qualche dicerina, puro io suono così fatta che sdimentico tutto. SPAGHETTI Sebbene l’offesa che recarono alla mia onoratezza, fusse stata atroce... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 533 28/11/13 12.44 534 introduzione DON ANDREA Via non ne valeva la pena di addolorarsi poi tanto!... SPAGHETTI (offeso) Come! Dire che Amalia mia, la perla delle moglie, la donna più onesta del mondo, era una ciovetta!... Inventarse (e questo mi ha esulcerato il core) che el sor Aristide, qui presente, l’omo più integgerrimo, l’amico più leale e sincero che m’abbia conosciuto, gnente de meno! se l’intendeva con la mia pudica consorte! ARISTIDE (ironico) Ma, eh?! DON ANDREA Bisogna poi vedere da dove sono venute queste chiacchiere, e da chi. Escludo assolutamente che siano cosate, dico, partite da questa brava gente... In ogni caso poi sono tutte chiacchiere che lasceno el tempo che trovano. SPAGHETTI Lo dite voi!... A rischio de farme sbudellare in duello quel povero Aristide, qualora il minimo sospetto me fosse balenato... E, dite un po’, e quello scherzo che ce fece la sora Peppina quella malaugurata sera, ve pare poco?... Io d’allora non la sono più andata a trovare... Compromettere così la riputazione d’un ufficiale come me, come me! Robba che fa sangue!... DON ANDREA Anche tua moglie, quella sera, allora, se divertì a minchionarce. AMALIA Io però nun sapevo de che si trattava. Nun suono quelli li modi però! Me credevo che a povero Peppe mio glie prendesse, salvognuno, un incidente. SPAGHETTI (coraggiosamente) Mica da la pavura! DON ANDREA Da lo spavento, se capisce!... Che anche tu t’eri accorto de lo scherzo?... Ma è robba vecchia, ormai. Sò passati diversi anni... Sebbene, quando me la ricordo, ce ridi ancora. AMALIA E specialmente in questi casi dolorosi, suono attasti il quale vanno posti in ombrivione. Mettiamoce dunque una pietra sopre. DON ANDREA Bravo! Così va fatto! Siamo prima d’ogni altra cosa cosi, cristiani, perdoniamo. SPAGHETTI Perdonamo e del passato nun se ne parli più. AMALIA È dolorosa che una famiglia accusì benestante s’abbi da riduce sopra un elastico. DON ANDREA Ve ricordate le belle feste che abbiamo fatto qua dentro, le serate, li pranzi, le cose?! ARISTIDE E quando si davano le recite? AMALIA Che magnificenze! Casa Laurini in quelle sere era zeppa di gente il quale non sapevano indove insediarsi. ARISTIDE Tutta Roma sarebbe voluta accorrere qui. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 534 28/11/13 12.44 1. introduzione 535 SPAGHETTI (con solennità) Eh, a questo mondo tutto passa. DON ANDREA E tutto se scorda. De tutti quelli adulatori, adesso non glien’è rimasto neppure mezzo. Se sono cosati tutti come neve al sole. SPAGHETTI (c. s.) Eh, caro don Andrea, el mondo è fatto così. Dimmi chi sono e no chi sono stato!... Ma in conclusione delle conclusioni, però, la vera causa prima, la fonte de tutto questo disquido, de tutte queste sciagure nostre, chi è stato? Siamo sempre lì. Sono stati questi, questo governo de prepotenti, che hanno rovinato el Sommo Pontefice, la Chiesa, el commercio, le famiglie, le case, insomma Roma e li Romani. AMALIA (sospirando) Chi ce l’avesse detto! ARISTIDE E ormai nemmeno c’è più speranza che questi se ne vadano. SPAGHETTI (desolato) Speravamo tanto su li Francesi; ma purtroppo pare che per adesso nun se ne parli più, per causa de quell’impiccione de Sbimmarche che non ha voluto che venissero. AMALIA Già, a sentire voglialtri, pareva che da un momento all’altro aveveno da calare... DON ANDREA (sospirando) E da cosa, da domenica in domenica che l’aspettamo, sono passati cinque anni e ancora l’aspettamo. Ma se capisce perché, tutti intrighi di Gabinetti, tutti imbrogli politici... SPAGHETTI E dire, e pensare che pareva una cosa tanta sicura! Quante domeniche, eh don Andrea, quante domeniche, glie siamo andati incontro fori de porta Portese e de porta San Giovanni: ve ne ricordate? DON ANDREA Si me ne ricordo! E con che cosa ciandavamo, con che fede! ARISTIDE Fede degna d’altri tempi. Ma ora che vale l’illudersi? AMALIA Sarebbero speranze avane. DON ANDREA E pure io ce scommetto che per fare ritornare sul trono el coso, el papa, un mezzo ce sarebbe ancora. ARISTIDE Lo credete possibile? AMALIA Davero?! SPAGHETTI E quale mezzo? Sentiamo. DON ANDREA Quale? La cosa, la guardia nazionale. SPAGHETTI E in che modo? DON ANDREA Ve lo dico subbito io. Se in un giorno de rivista, quando tutti li militi se troveno sotto le armi, essi cominciassero a gridare; viva Pionono, viva coso! io ce scommetto che el governo de questi impavurito dall’attitudine di quelli valorosi, cederebbe, abbandonerebbe Roma, e el papa ritornerebbe a cosare de bel novo... Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 535 28/11/13 12.44 536 introduzione SPAGHETTI Eh nun me dispiacerebbe mica questo bel proggetto! Bisogna tenerlo in considerazione. ARISTIDE Io però nun ciò fiducia. Diceva bene poc’anzi la signora Amalia: sono speranze avane. El governo cessato me ne duole, ma è morto e seppellito. AMALIA E forse per non mai più risorgere. DON ANDREA (offeso e con enfasi) Lo dite vojaltri, uommini di poca fede! Tempo verrà che ricoserà, coso, glorioso, e trionfante. SPAGHETTI Speriamolo sempre! Altrimenti, Dio ne guardi ci abbandonasse la speranza. DON ANDREA (c. s.) In te Domine speravimus... SPAGHETTI E noi, se occorrerà, rindosseremo l’onorata divisa, e ci batteremo come leoni, per il trionfo della santa causa! ARISTIDE Bravo! (poi fra sé) (Come nel settanta!) AMALIA Abbasta (alzandosi), andiamo, Peppe mio, ché se fa tardi. SPAGHETTI Dunque se vediamo, caro don Andrea, e tanti saluti a Pippo e a tutti li Laurini. DON ANDREA (con rammarico) Come ve ne volete andà via, senza nemmeno salire da quella povera e disgraziata famiglia? SPAGHETTI Volentieri, ma un’altra volta; perché noi, voi ce lo sapete semo gente generosa. Ma in questo momento proprio nun possiamo. DON ANDREA Un momentino, quanto li salutate; sono sicuro che glie darete una gran consolazione, glie fareste un grandissimo piacere. AMALIA No: grazie. E poi a me, me farebbe troppa apprinsione. SPAGHETTI Poveretta, è così tenera de pasta, che sono sicuro che me se sturberebbe. DON ANDREA Almeno, voi sor Aristide, datece un zompo. ARISTIDE Anche a me farebbe troppo pena. Tanti saluti a quei disgraziati amici. SPAGHETTI Anche da parte nostra. Arivederci, don Andrea... E voi, Aristide, oggi nun me scapperete. Amalia vieni qua, damme el braccio (prende il braccio sinistro alla moglie, lo mette sotto il braccio destro di Aristide, e poi tutto contento dice) March! (poi ad Amalia) E tu Amalia mia, tiettelo forte e nun te lo fà scappare. (e intanto che quei due lo precedono verso la vetrina, si rivolge con soddisfazione verso don Andrea e con aria di trionfo gli dice) Eh, come sò furbo io! Che ve ne pare? (poi esce seguendoli) DON ANDREA Bravo Peppe – peppe! (Segue con lo sguardo coloro che se ne vanno, poi volge gli occhi al cielo ed esclama) Quando se dice la predestinazione! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 536 28/11/13 12.44 1. introduzione - - i 537 SCENA VIII Don Andrea poi Anna DON ANDREA (che li vede, con rammarico, partire) M’incomincio anch’io a persuadere che la gente onesta non sta tutta nel partito nostro. Che egoismo, Dio santo! ANNA (dalla vetrina, vestita dimessamente, entra tutta trafelata e ansante) Don Andrea mio come sta Peppina?! DON ANDREA (interdetto) Così, così... Nannì, ma perché sei così affannata? ANNA (c. s.) Ma dunque voi nun sapete gnente?! (avviandosi) Lasciateme salire ché Peppina starà male assai, se mi hanno mandato a chiamare. (si slancia verso la porta di dietro al banco che conduce in casa) DON ANDREA (stupefatto) Santo cielo, che è mai questa novità?! (si avvia per salire la scala di casa, ma si arresta vedendo comparire sulla porta i seguenti) SCENA IX Francesco, Lisa, Renzo e Filippo FRANCESCO (dando segno di grave dolore) State qui sor Padrone, restate qui regazzi miei a far compagnia a papà vostro; ché su ve straziate e fate strazià l’altri. DON ANDREA (c. s.) Ma in nome di Dio, che cosa è dunque successo?! FRANCESCO (frenando a stento le lagrime) Una crisi improvisa che ha colpito la povera Peppina. LISA (con disperazione) Ma sfido, tutte le disgraziate combinazioni quest’oggi? DON ANDREA E quali figlia mia? FILIPPO Ci sono venuti a biffare tutto l’appartamento per conto dei creditori. RENZO (piangente) E domani verranno a bottega. LISA (c. s.) Così c’è rimasta libbera una sola stanza, oltre a quella dove sta la povera Peppina. FRANCESCO (c. s.) A quella vista quell’angelo è svenuta almeno tre volte... Poi, come se tanta sciagura nun bastasse, due ore fa, a mezzo della posta, ha ricevuto una busta chiusa. La sora Peppina l’ha aperta, e dentro, indovinate? C’era la partecipazione delle nozze de quell’infame de Lucasi!... (piange e non può più proseguire) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 537 28/11/13 12.44 538 introduzione LISA (proseguendo il discorso di Francesco) Allora quella povera sorella mia, è caduta come morta!... È corso il medico, l’ha fatta a stento rinvenire e poi... (scoppiando a piangere) glià ordinato li sacramenti! DON ANDREA Cielo che sento!... (allora, trasformandosi, dice con estrena dolcezza, mista a commozione) Pippo, Francesco, creature, coraggio! Iddio non v’abbandonerà!... Io vado ad assistere quella martire insieme a vostra madre e a Nannina. Tu, Francesco, sii ragionevole, ed abbi cura di questi infelici. (esce dalla porta dietro il banco) SCENA X Francesco, Filippo, Lisa e Renzo LISA (cade sopra una sedia, e scoppia in pianto) Povera Peppina, povera sorella mia!! RENZO Che strazio! (tentando di far coraggio alla Lisa) Lisa mia, non piange, non piange... (l’accarezza con passione) FILIPPO (quasi fuori di sé dal grande dolore) Quando facevo el teatrino veniveno tutti a trovarmi; quanti amici che ciavevo!... Adesso, m’hanno tutti abbandonato, tutti! Non ho potuto trovare un solo amico che m’abbia voluto prestare un ajuto, altro che quel povero ministro mio... Sono fallito, disonorato nun ciò più un pezzo de pane da dare a questi poveri figli miei!... (una pausa – poi s’ inginocchia e con grande fervore) Signore, che vedi le pene mie, nun m’abbandonare... Nun ho mai fatto male a nessuno, e bene quando ho potuto... Signore abbi pietà de me... abbi compassione de questi figli mii!... (scoppia in singulti) FRANCESCO (correndo a soccorrerlo) Principale, nun ve strazziate tanto come state facendo... Io finché sarò vivo e averò un bajocco, ve lo giuro, lo spartirò con voi e con questi figli vostri che l’ho riguardati e li riguardo come fratelli... LISA (facendo mille carezze al padre onde confortarlo) Papà mio, papà, sta’ su, via, fatte coraggio... nun piange così... Vederai io e Renzo con che fede lavoreremo per guadagnare tanto da pagare piano piano li nostri debbiti e poi vedrai che ritorneremo a risorgere... È vero, Renzo? RENZO (accarezzando anch’esso il padre) Sì, papà mio, sì; te lo giuramo... Abbasta però che non te fai vedere tanto addolorato!... Tu non lo puoi immagginare che strazio è el nostro a vederte soffrire! Papà nostro, bello bello!... LISA (c. s.) Papà, caro! FILIPPO (con passione) Renzo mio, Lisa mia, figli miei; sangue del sangue mio, le parole vostre sò un balsamo al dolore mio... Iddio ve benedica! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 538 28/11/13 12.44 1. introduzione 539 LISA (c. s.) Vedi, papuccio caro, così sei raggionevole; così ce piaci!... (sempre carezzandolo) RENZO (c. s.) In questo modo, te volemo più bene... Tutto quello poi che poco fa, te diceva Lisa, s’avvererà, e così tu ritornerai come eri prima, un negoziante ricco e stimato... LISA (a Filippo con ingenuità) Sei contento? RENZO (c. s.) Eh, papà, sei contento? LISA (c. s.) Peppina nostra allora se sarà rimessa in salute... Se sarà fatta sposa; e io farò da seconda mammetta a li figliuoletti suoi, che saranno nipotini nostri... A questo punto s’ode un urlo straziante che proviene dalla casa di sopra; poi un precipitoso scendere di scale. Francesco, Filippo, Lisa e Renzo si slanciano terrorizzati verso la porta, sulla soglia della quale comparisce don Andrea indossante la stola. SCENA ULTIMA Don Andrea, Filippo, Francesco, Lisa e Renzo FILIPPO FRANCESCO LISA RENZO (curiosi, attorniano don Andrea, e angosciosamente gli chiedono all’unisono) E Peppina e Peppina?! DON ANDREA ( frenando a stento il pianto, con dolce rassegnazione) Coraggio, figliuoli miei: Peppina, sta meglio di noi. Preghiamo il Signore per la bell’anima sua! (s’ inginocchia e con fervore prega) Requiem eterna dona eis Domine!... FILIPPO FRANCESCO LISA RENZO (inginocchiandosi, s’abbandonano al pianto, in diversi atteggiamenti di dolore) Cala lentamente il sipario , à Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 539 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 540 28/11/13 12.44 GIULIO CESERE Tragedia di Shakespeare Libera riduzione romanesca Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 541 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 542 28/11/13 12.44 1. introduzione 543 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. Un quaderno di 36 cc. (mm 330x220), composto da 13 fogli tipo protocollo recanti il marchio, cancellato a penna, del Ministero della Pubblica Istruzione. Cc. 486-521. Testo incolonnato a destra. Calligrafia autografa. La riduzione di Zanazzo si limita ai primi tre dei cinque atti della tragedia shakespeariana. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 543 28/11/13 12.44 544 introduzione Personaggi GIULIO CESERE OTTAVIO CESERE MARCANTONIO MARCO EMILIO LEVIDO SERVO di Marco Antonio CICERONE PUBBRIO POPIJO LENA MARCO BRUTTO CASSIA CASCA TREBBOGNO SIGARIO DECIO BRUTTO METELLO CIMBRO } triumviri dopo la morte di G. Cesere } senatori } congiurati contro G. Cesere } ZINNA FRAVIO tribbuni MEROLLO LUCIO servitorello de Brutto UN MAGO CARPURNIA moglie di Cesere PORZIA moglie di Brutto PRIMO E SECONDO CITTADINO che parlano UN SERVO DI CESERE che parla Senatori, Cittadini, Nobili, Artieri ecc. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 544 28/11/13 12.44 1. introduzione 545 ATTO I SCENA I Roma. Una strada. Entrano Fravio, Merollo, e una frotta di cittadini. FRAVIO (rivolto ai cittadini) Alò, a casa, oziosi: uscia: annate a l’erba: che, oggi, è forse festa? Che! Nun sapete che vojantri essenno artisti nun ve la potete spassà li giorni de lavoro senza er segno der mestiere vostro? (volgendosi a un cittadino) Tu che arte fai? PRIMO CITTADINO Io fo er falegname. MEROLLO Indov’elle la tu’ barchetta de carta in testa, e la sega? Perché s’è messo li panni che sentono messa? E tu (volgendosi a un altro), panzanera, che mestiere fai? SECONDO CITTADINO Io, sor Tribbuno, fo l’arte la più nobbile de tutte. MEROLLO Sentimo. SECONDO CITTADINO Un’arte che rimette l’anima a la pianta de li piedi. FRAVIO E che mestiere sarebb’a dì? fatt’uscì er fiato. SECONDO CITTADINO (a parte) (Magara!) Fo er ciavattino. FRAVIO Er ciavattino?! Te possino!... E me volevi dà a d’intenne che rimettevi l’anime? Quale anime? MEROLLO L’anima de... quer ponte che l’ha sbarcato a Roma. SECONDO CITTADINO (offeso) Me maravijo corpo d’una lesina! Essenno ciavattino, medico le scarpe che fanno la boccaccia; e co’ la mi’ abilità j’arimetto l’anima in corpo, che sarebbe la sòla e, le risano... FRAVIO Sputasentenze!... E perché oggi nu’ lavori? MEROLLO Perché te porti appresso ‘sta folla pe’ le strade? SECONDO CITTADINO Ce vò poco a capilla la raggione. Pe’ faje logrà le scarpe, e aranciamme accusì antro lavoro. E poi, sor E. noi famo festa pe’ vede Cesere e arillegrasse der su’ trionfo. FRAVIO Arillegrasse? MEROLLO Arillegrasse?! SECONDO CITTADINO Eh, si ve piace er zibbibbo! MEROLLO E perché arillegrasse? Che trofei l’accompagneno? Quanti schiavi je vengheno appresso strascinati per ornaje co’ le catene propie Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 545 28/11/13 12.44 546 introduzione le rote de la su’ biga? Eh, ommini e bisommini1! Ommini senza core, nun v’ariconosco più pe’ romani! Diteme un po’, e de’ Pompeo, der gran Pompeo già ve ne sete scordati, ve ne sete? FRAVIO Già nun v’aricordate più quante vorte arampicati su pe’ le ferate, pe’ li muri, in pizzo a li tetti, su le lendiere2, co’ li fijetti vostri tra le braccia, avevio la pacenza d’aspettà le giornate sane pe’ vede er gran Pompeo passà pe’ le vie de Roma?! E appena allumavio la su’ biga arzavio certi urli, ma certi urli, che insinenta ar Tevere je tremaveno li maschietti3 sotto le su’ rive, ner sentilli aripete dall’echi de le su’ tetre taverne! E adesso... MEROLLO Adesso? (ironico) adesso, lor signori se vesteno co’ l’abbiti de gala perché oggi, capischi? oggi, per lor signori è festa!... Bravi! ma bravi trippa!... Anzi, mó, infiorate puro la strada de quer Marco che se porta in trionfo er sangue de Pompeo!... Ma svejateve, cechi! Correte, correte de fughenzia a casa; buttateve in ginocchione e pregate er vostro Dio che nun ve manni una pioggia de furmini a farajolo4, pe’ ripagasse de tanta infamità. FRAVIO Annate, annate, regazzi; e pe’ scontà ‘sta corpa nun uscite più da casa pe’ tutta la giornata. (i cittadini escono) Varda, Merollo, come se sò inteneriti; se ne vanno ónti ónti5, come si je fusse successa quarche disgrazia... e mó, tu vattene su a Campidojo, pe’ ‘sta strada; io passerò da quest’antra; e si trovi quarche statuva impimpinata strappeje li trofei de Cesere. MEROLLO E si me ciacchiappa quarche pizzardone? FRAVIO Nun se la pò pijà cor un tribbuno... Io intanto indove trovo gente la fo squajà; artrettanto fa’ tu. ‘Ste tajate d’ala che famo a Cesere, j’impidiranno da volà tra le nuvole, e a noi nun ce faranno acciaccà le noce in testa. (escono) 1 L’espressione completa è: «ommini, bisommini, cazzabbubboli» cioè «uomini, superuomini, uomini da poco» (Cfr.: G. Zanazzo, La Socera, a cura di F. Bonanni Paratore, cit. p. 93 nota 15. 2 Ringhiera, balaustra, parapetto di un balcone o di una scala. 3 Ginocchia. 4 Mantello; dall’arabo feriyûl. 5 Camminare adagio, affettando disinvoltura e indifferenza cercando di non attrarre l’attenzione degli altri. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 546 28/11/13 12.44 , e 1. introduzione 547 SCENA II La stessa scena Entrano processionalmente, e a suon di musica Cesere, Antonio vestito per la corsa; Carpurnia, Porzia, Decio, Cicerone, Brutto, Cassio e Casca, con gran folla dietro fra cui un Mago. CESERE A Carpurnia... CASCA Mosca, regazzi, che parla Cesere! (cessa la musica) CESERE A Carpu... CARPURNIA Dite prima voi. Cosa ve dole? CESERE Fateve accompagnà a le corse d’Antonio, ché io oggi ciò un impiccetto da sbrigà, poi ve passo a pija. ANTONIO Nun dubbità ch’a lei te ce penso io. Sta in bone mano... Lo sai: abbasta che Cesere me dichi: «Fatt’ammazzà», che io ammazzà me fo. CESERE Annam’avanti, e famo le cose bene. (al maestro dei musicanti) Musica, sor Peloso! (ricomincia la musica) MAGO (chiamando forte) Padron Cesere! CESERE Chi me chiama laggiù tra la folla? Sento una voce de canna spaccata che passa li strumenti... CASCA Mosca, regazzi! (ai musicanti. La musica cessa) CESERE (al Mago) Che te s’è sciorto? Parla. MAGO Guàrdate da li quinnici de Marzo! Tiello d’occhio! CESERE (a Casca) Che je rode a quello? BRUTTO Un mago che v’avvisa de guardavve le spalle dar quinnici de Marzo6. CESERE Portatemelo davanti; je vojo smiccià er grugno. CASSIA Mago, esce de fora; viè davanti ar cospetto de Cesere. CESERE (al Mago) Ma che me dai li nummeri? Che vòi? MAGO Che sei sordo? Quo dichise dichise 7!... CESERE ‘Sto marco vaneggia; lassàmelo perde; avanti regazzi! Il corteggio si allontana. Escono tutti all’ infuori di Brutto e di Cassia. - 6 7 Precedentemente, poi cancellato: la prima metà de Marzo. Storpiatura dell’espressione latina: Quod dixi, dixi. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 547 28/11/13 12.44 548 introduzione SCENA III Brutto e Cassia CASSIA Brutto, vieni a le corse? BRUTTO Ciò antro pe’ la testa! A me li giochi nun me fanno. Io nun ciò tutti queli grilli che cià in testa Antonio; ma tu sei padrone de divertitte; se vedemo, Cassia. CASSIA Senteme, Brutto, è diverso tempo che te tiengo de mira; nun ce trovo più in de li tu’ occhi, quela guardata badiale8 d’una vorta. Mettemo le carte in tavola: co’ chi l’hai co’ l’oste o cor fornaro? BRUTTO Cassia, nun pijà fischi pe’ fiaschi; si ce vedo lusco, er mar talento che sta in der grugno me lo rosico drento da me solo... Da parecchio tempo er mi’ pensà contrario, certe idee mie sortanto, m’abbàcchieno... Insomma: me capisco in panza!... Ma pe’ questo, Cassia mio, nun te ne devi affrontà tu, che sei uno de li meio amichi mia! CASSIA Allora qua, dàmese er cinquanta (si danno la mano) e tte chiedo perdonanza si ho sbajato. Ma che t’ho da dì? È propio una disdetta Brutto mio, (e tutta Roma sana se ne fa maravija!) che tu in de ‘sti tempi accusì boja, nun abbi d’avecce uno specchio pe’ specchiàttece! BRUTTO Ma in che anima d’imbroji me vòi ammatassà co’ lo spignemme a cercamme in corpo quello che nun ciò? CASSIA Lo dichi tu, lo dichi! Ma sai che micco9 che sò io!... (s’odono suoni di musica e gridi) BRUTTO E mó ch’è successo? Che sò ‘sti strilli? Io ho pavura ch’er popolo nun voja ‘lègge Cesere pe’ re. CASSIA Hai pavura, hai? Ar mi’ pensà allora, tu pe’ re nu’ lo voressi? BRUTTO E se capisce; sibbè me sii com’un fratello. Ma, insomma, se pò sapé, perché me la fai tanta longa? Che m’hai da dì? Fatt’uscì e’ rospo. E si è una cosa che ariguarda er benestà de Roma, metteme davanti a l’occhi da ‘na parte l’onore, dall’antra la morte. E com’è vero er sole, te capaciterai che stimo millanta vorte più l’onore; e che la morte nu’ me mette pavura, nu’ me mette: je rido in faccia, je rido. CASSIA Eh, nun te conoscessi! Ma io te conosco com’er pane, Brutto mio. E de l’onore pe’ l’appunto qui se tratta. Pe’ me tanto me piacerebbe più d’esse carne mortaccina che de campà pe’ dovemme fà pijà la tremarella davanti a un omo uguale a me. Io sò nato libbero come 8 Badiale: Squisito, schietto, genuino, degno di una ricca abbazia; aspetto di persona ben pasciuta, gioviale, florida. 9 Di etimo incerto: persona credulona e ingenua. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 548 28/11/13 12.44 - - - - - - 1. introduzione 549 Cesere, come ce sei nato tu, campamo tutti de quer che magnamo, e ciavemo tutti e tre lo stesso fegheto, ciavemo. Pe’ dittene una, un giorno de buriana ch’er Tevere s’accavallava su la riva, Cesere me disse: Cassia, ciaveressi er coraggio de buttatte a nòto co’ me tra queli cavalloni e trapassà la currente da qui a San Pavolino a la Regola? Incora parlava che io, vestito com’ero, già tajavo la curente e lo chiamavo che me vienisse appresso. Cesere se buttò puro lui, e tutt’e dua incominciassimo a lottà incontro l’onne a mulinello che ce voleveno suverchià per ignotticce. Nun erimio arivati, che me te sento Cesere strillà: Ajuteme, Cassio, che m’affogo! Io, come Enea, nostro bisnonno, che sarvò da le fiare de Troglia er padre suo, agguantai Cesere p’un carcagno e lo sarvai... E adesso ‘st’omo è addiventato un Dio, è addiventato! Me lo saluti?... E noi, accanto a lui semo puzzetta; e Cassia, capischi, je s’averà da inchinà davanti quanno passa!... Eh si prima me fa vedé come se mòre! (nuove grida e musica) BRUTTO E ciarifanno! Senti, senti, che canizza! CASSIA Si semo schiavi, la corpa è nostra; semo troppe pecore, semo! (grida come sopra) Che possiate perde er fiato!... Povera Roma, sei diventata dunque un deserto, si drento le tu’ mura nun ciabbita che Cesere sortanto!... Aveva raggione la bon’anima de tu’ nonno Giugno Brutto, quanno diceva: «Proferisco de vede regnà a Roma Farfanicchio10 che de supportacce un re!» BRUTTO Senti, Cassia, che tu me vòi bene lo credo; indove vòi imbroccà ho magnato. Er mi pensà su ‘sta cosa e su li tempi curenti te lo farò consapé; per adesso, si l’amicizia me dà dritto a pregatte, nun intignacce de più, te ne scongiuro. Penserò a quello che m’hai detto; averò pacenza de sentitte dì e’ resto. Intanto, però, méttetelo bene in testa, paranza11, che Brutto, annerebbe piuttosto a fà cicoria co’ li denti, che chiamasse romano a ‘sti patti infami che ce stanno pe’ piombà addosso. CASSIA Ce credi che cce vado propio in guazzetto, in der vedé ch’er mi’ debbole pensà t’ha fatto breccia, Brutto mio! Rientra Cesere col suo seguito. 10 Nome di demonio immaginario, e per estensione, uomo vanitoso, leggero. Amico intimo con il quale si sta sempre insieme; la voce origina da paranza, barca da pesca, che naviga sempre in coppia con una barca gemella. 11 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 549 28/11/13 12.44 550 introduzione BRUTTO Deven’èsse finite le corse, vedo ritornà l’amico Cerasa12. CASSIA Quanno te passeno accanto, fa d’occhio a Casca de fermasse; accusì lui, cor su’ parlà marano, te dirà tutto quello ch’è successo. (si scosta e si mette in disparte) BRUTTO Mó ce penso io. Ma varda, Cassia, varda com’è pavonazzo da la rabbia er grugno de Cesere, e tutti l’antri come sò sdiguiliti! Le ganasse de Carpurnia sò slavate; e Cicerone gira intorno l’occhi addannati come quanno a Campidojo quarche mozzirecchio13 jé dà su la voce e je la canta! CASSIA Er perché lo saperemo da Casca. CESERE Antonio! ANTONIO Padron Cesere! CESERE Nun te sperde tra la folla. Lo sai che a me me piace de vedemme sempre intorno facce badiale e risarelle. Quer Cassia è uno stuppino; cià una faccia d’affamato che consola; quello lavora drento; certa gente è pericolosa! ANTONIO Nun avé pavura che nun è pericoloso; è un romano nobbile e la pensa bene. CESERE Me piacerebbe che fusse meno allampanato... Ma nun me mette pavura. Si però miòdine14 potesse avé pavura de quarcuno, da gnisuno averebbe da stà in guardia come da quer Cassia, che legge assai, scrive peggio e la mastica male. Quello nun è come che te, che te la spassi e te la godi; a lui nu’ je piace la musica; nu’ ride mai o guasi; e quanno je succede pare che cor su’ ride se compatischi da sé, se compatischi... L’ommini de quer tajo nun troveno riposo, sin’a tanto che je stà davanti a loro un majorengo15! e allora diventeno pericolosi... Ma io te l’ho detto, nun ho pavura nì de voi, nì de gnisuno perché io sò Cesere sò, e dico poco! Passa qua a la mi’ mandritta, e dimme con sincerezza che ne pensi tu de quer marco. (Cesere esce col seguito. Casca rimane) CASCA (a Brutto) Sei tu che m’hai tirato p’er cappotto? L’hai co’ me? 12 Precedentemente, poi cancellato: Cesere. Cesere viene sostituito con amico Cerasa: verme delle ciliegie e, metaforicamente l’amante, o più genericamente, persona che non si vuole nominare e di cui si sta parlando o sparlando. 13 Imbroglione, mestatore; appellativo dato in particolare ad un legale poco corretto. Deriva dalla pena inflitta nel Medioevo ai truffatori, ai disonesti cui si tagliava un orecchio come segno infamante. 14 Io, io stesso, il sottoscritto. 15 Maggiorente, persona eminente, che ricopre una carica importante. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 550 28/11/13 12.44 e , - - 1. introduzione 551 BRUTTO Volevo che ce dicessi tutto quello ch’è successo a le corse. Perché Cesere stava sbattutello? CASCA E che vojantri puro nun c’erivio? BRUTTO Bella raggione! Allora, nun te domanneressimo quello ch’è successo. CASCA Ah, allora ecco qua. Quanno Cesere è vienuto a ripijà la moje se sò tutti arzati in piedi a strillà: evviva Cesere, evviva! e poi j’hanno offerto una corona; ma lui nu’ l’ha vorsuta e ha fatto accusì cor gommito. ( facendo l’atto) E allora er popolo s’è messo a urlà com’un addannato. BRUTTO E quell’antri strilli che se sò intesi doppo? CASCA Ah, pe’ la medema raggione. CASSIA Ma l’appravusi sò stati tre. L’urtima perché l’hanno fatti? CASCA Sempre pe’ la raggione medema. BRUTTO Dunque je l’hann’offrita tre vorte la corona? CASCA Si, poveraccio, e tre vorte là scanzata, ma ogniduna più debbole de l’antra; e a ‘gni scanzata, queli quattro pecoroni de li mi’ vicini, se strillaveno l’animaccia loro. CASSIA E chi era che je dava la corona? CASCA Era Antonio. BRUTTO E dicce come. CASCA Averebbe più piacere de morì ammazzato, che riccontavve la cosa com’è ita. È stata una purcinellata! Io poco ciò fatto caso... Ho visto prima Marcantonio che je dava una corona... ciovè nun era nemmanco una corona, era un cerchiettaccio de quelli der ‘48... E, come ve dicevo, lui nu’ l’ha vorsuta, sibbè, siconno er mi pensà, l’averebbe agguantata volentieri. Allora quer torcimano je l’ha data un’antra vorta; e un’antra vorta lui l’ha riscanzata, ma se vedeva che j’arincresceva assai. Quann’ècchete che je l’ha ridata pe’ la terza vorta, e lui pe’ la terza vorta l’ha scansata e, ogni vorta che lui nu’ l’ha vorsuta, la folla strillava, sbatteva le mano, frullava per aria le scoppolette e, co’ lo strillà, mannava fora da la bocca una càntera tale che Cesere s’è svenuto e è cascato per tera come uno straccio che pareva morto. Pe’ me tanto, io nun ciò avuto coraggio de sbottà a ride; pe’ pavura d’oprì la bocca e de respirà quell’aria puzzolente de fiati ch’appestava l’aria. Se vedemo. (come se volesse partire) CASSIA Aspetta, famm’er piacere. Com’hai detto? Cesere s’è svenuto? CASCA T’ho detto de sine! È cascato quant’era longo, co’ la schiuma a la bocca e l’occhi invetriti. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 551 28/11/13 12.44 552 introduzione BRUTTO Sfido! che nu’ lo sapete che soffre de mar caduto?16 CASSIA Ma de mar caduto nu’ ne soffre Cesere, ma ne soffrimo io, voi, e Casca. CASCA Sarà; ma er fatto sta è che Cesere è cascato... BRUTTO E quanno aritornò in sé, che disse? CASCA Ah, prima de cascà, quanno vidde quela mandra de pecore arillegrasse perché lui arifiutava la corona, se scropì er cassabbanco offrenno a le botte er petto ignudo. Fussi stato io, uno de quell’artisti, e nu’ l’avessi preso in parola, me possin’ammazzà! Accusì cascò e poi quanno aritornò in cervello, s’ariccommannò a la folla che l’avessino compatito... Tre o quattro conocchie all’ora strillonno evviva evviva! e bona notte ar secchio. BRUTTO Apposta dunque stava accusì sbattuto? CASCA Sicuro. CASSIA E Cicerone nun parlò? CASCA Sì, se messe a parlà etrusco. CASSIA E perché etrusco? CASCA Vattel’a cerca. Pe’ me era etrusco; ma quelli che lo capiveno rideveno tra de loro e sgrullaveno la testa. Si poi volete sapé quarch’antra cosa, ve posso dì che li du’ Tribbuni Merollo e Fravio per avé spojato le statuve de Cesere, sò stati portati in catorbia17... Se vedemo. (per partire) CASSIA T’aspetto domani a pranzo? CASCA Ah, no du’ vorte! Contemece de sicuro. Se vedemo. (esce) BRUTTO Addio! (poi a Cassia) Più sta e più se fa jattuto18 e testone ‘sto benedetto Casca; mentre da regazzo era un demonio. CASSIA E un demonio è incora, quanno se tratti de stà ar posto e falla tonna. Quela su’ grevezza è er sugo der sale che cià in testa, e che fa mejo diliggerì le parole a chi lo sente. BRUTTO E accusì propio è. Io te lasso; domani, si se volemo vede, o tu vié da me, o io viengo su da te. (Bruto esce) Si ode da lontano rumoreggiare il tuono. CASSIA Bravo! Eh, Brutto, tu sei troppo nobbile; ma pe’ quanto sei impastato de nobbirtà, vedo che se ne po’ farsificà la sostanzia... E poi 16 N.d.A.: caduco. Carcere, prigione. 18 Robusto, tarchiato, muscoloso. Corruzione del napoletano chiattuto. 17 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 552 28/11/13 12.44 r o 1. introduzione 553 qual’è quell’omo tanto duro che nun se piega?... Padron Cesere me vede male; ma se tiè a caro Brutto. Dunque, si mettemo io fussi Brutto, e Brutto fussi Cassio, gnisuna padronanza ciaverebbe Cesere sopra de me... ‘Sta sera je vojo annà a bbuttà su le su’ finestre diverse copie de ‘sti fojetti stampati (li mostra) che parleno de le speranze che li Romani fanno carcolo su de lui, e dicheno de la prosumea de Cesere... Dopo de questo pensi sor Cesere a infortisse bene, perché noi o je sconocchieremo er trono o vederemo ariluce giorni più terribbili de questi. SCENA IV Tuoni e lampi. Entra Casca colla spada sguainata e Detto CASSIA De ber novo, Casca? Perché sei accusì scarmato19? Ch’hai fatto che sei tutto spaventato? E che vor dì quela saraga 20 i’ mano? CASCA E che nun vedi che pare er finimonno?! Bisogna dì o che lassù c’è guerra in famija; (indica il cielo) o che le bojerie der monno abbino straccata la pacenza de li santi! CASSIA E pe’ tutto ‘sto sòno de campane, ce sfoderi la guainella? CASCA Si te ce fussi trovo, nun parleressi accusì, nun parleressi? Ho visto un mago arzà la mancina, e subbito quela mano ha sfavillato e sbrilluccicato come fussino stati venti razzi accesi da un bajocco l’uno. Più in su davanti a Campidojo, ho incontrata una gobbaccia d’una strega che m’ha guardato e m’ha fatto le corna armeno un dieci vorte!... E pe’ tappo, capischi, jeri a mezzoggiorno la ciovetta è scesa a piazza Montanara e s’è messa a cantà come quanno sente la puzza de mortaccino!... E me dichi si perché ho pavura?! Dio ce la manni bona, ce la manni, perché qui quarche gran cataprasma sta pe’ succede! CASSIA Potevi fà li soliti scongiuri, e bona notte. CASCA Ah no, du’ vorte! (cavando un corno di becco) E questo qua nun ce lo conti? CASSIA Allora stam’a cavallo, stamo! Da un discorso annamo a un antro. Sai gnente si Cesere domani vierrà a Campidojo? CASCA Sì l’ho inteso che lo diceva a Antonio. Sò sicuro. CASSIA ( fregandosi le mano) Benone! CASCA Un’antra pavura accusì e poi nun più! Varda; tremo incora com’una foja. (lampeggia di nuovo) E ciarifà, ciriàco! CASSIA Senteme, Casca, nun te credevo accusì carogna. Piantela! Ciai 19 20 Eccitato, agitato, trafelato. Salacca, aringa salata. Qui nel significato di: (arc) daga, pugnale a lama larga. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 553 28/11/13 12.44 554 introduzione la faccia da morto, e l’occhi spaventati; tutto ‘sto spaghetto21 per un temporale! CASCA Embè io sò fatto accusì! Parleme d’affrontà qualunque pericolo che ce vado; ma li temporali, sin da cratura, me fanno ‘st’affetto che vedi. CASSIA E la sai la cavusa de tutti ‘sti segni de foco e de malaguri sí qual’è? Facce mente locale, e te persuvaderai che er cèlo ha dato a l’ommini e a le cose ‘sta straformazione pe’ falli incajà 22, pe’ mettelli ar curente de li tempi boja che sò questi d’oggiggiorno... Io, Casca, potrebbe insegnatte un omo talecquale, priciso, a ‘sta nottata d’inferno, un omo che scaja le saette, scrope le sepporture e urla come la lupa che sta in gabbia a Campidojo; un omo come me e te, e che co’ tutto ciò è addiventato terribbile e prodiggioso come li prodiggi che poca fa m’hai riccontato. CASCA Intenni de parlà de Cesere? Mica hai torto, Cassia! CASSIA Sia de chi se sia; però li Romani d’oggiggiorno cianno er fegheto de l’antenati; ma er talento de li padri nostri è morto e ciaregge quello de le nostre povere madre; e ‘sta pacenza, ‘st’abbozzà che famo, ce fanno comparì meno che femmine! CASCA Nun dichi male. Tant’è vero che domani li Senatori vonno ‘legge Cesere pe’ re... CASSIA Allora so già indove devo ficcà ‘sto pugnale! Cassia ropperà le catene de Cassia!... Quanno la vita è stracca, l’urtimi passi se fanno addolorati! (continua il tuono) CASCA (spaventato) Ah ah! ciarisemo! e mica la pianta! CASSIA Perché avemo da stà sotto un tiranno come Cesere? Un panzanera qualunque! Che s’è fatto lupo perché noi se semo fatti agnelli; e nun farebbe la parte der leone, si noi Romani nun fussimo carogne! Quanno se vò fà un focaraccio, abbasta un prospero!... Ma scavusarmente me sò fatto uscì da la bocca quello che nun volevo dì... Chi lo sa che nu’ sto parlanno davanti a una pecora... Si questo fusse, so che l’averebbe da pagà; ma ciò in saccoccia la corona e un buon cortello e li pericoli nu’ li stimo un fico. CASCA Aricordete che parli co’ Casca; e tra l’ommini de ‘sta stoffa mia, nun ce sò spie. Damme la mano; seguita ‘sta strada dritta; io puro la farò senza famme passà davanti da chi sse sia. CASSIA (stringendogli la mano) Dunque l’affare è concruso. Semo in21 22 Paura, tremarella, timore. Incajasse: accorgersi (cfr. CHIAPPINI). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 554 28/11/13 12.44 1. introduzione 555 tesi; e adesso sappi, Casca, che io ho fatto già invojà parecchi antri paranza de li nostri, a entrà in ‘sta faccenna piena zeppa de grolia e de pericoli. Loro me stann’aspettà sott’ar portico de piazza Colonna; perché in una notte accusì brutta nun se pò nì uscì nì camminà; l’aspettito der cèlo è come l’affare che ciavemo pe’ le mano, è menacciuto, torbido e teribbile. Sipario ’ o o - Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 555 28/11/13 12.44 556 introduzione ATTO II23 SCENA I L’orto de Brutto BRUTTO Ha da morì ammazzato, ha da morì!... Sibbè che io nun ciabbi gnisun motivo speciale per odiallo; ma me ce tira pe’ li capelli er benestà de Roma e de li Romani. Lui protenne d’esse fatto soprano... ma una vorta fatto tale, vatt’a cerca che presumea mette su! È la luce der sole che fa uscì la serpa da la tana, e allora pe’ nu’ fasse mozzicà, bisogna acciaccaje er pignolo, bisogna! Esse fatto soprano!... Sarebbe com’a daje in mano er cortello, pe’ facce scannà a bon pracido suo... L’abbuso de la grannezza me diviè dar separà la compassione dall’unnipotenza; e sibbè, per esse giusti, a Cesere nu’ j’ho mai visto le voje suverchiaje er sintimento, puro è vero che, per esperienza, l’umirtà serve de scalino a la presumea;... e che l’omo a fronte bassa va insinenta a la cima de l’artura; e quanno c’è arivato poi, affissa l’occhio in de le nuvole senza curasse più de li poveri scalini che l’hanno ajutato a salì... accusì poterebbe fa Cesere, e pe’ pavura che lo facci, è prudenza a pijà li passi avanti... Consideramelo dunque come l’ovo de la serpa che, covato, diventerebbe pericoloso come tutta la razza sua; e ammazzamelo sur nasce... SCENA II Lucio e Detto LUCIO Sor padrone, in de l’uprì la finestra, su la pietra ciò trovo ‘sti foji stampati (glieli dà) che jeri a sera quanno la chiusi, nun c’ereno. BRUTTO Grazie. Arivattene a letto che incora nun è giorno, regazzo mio... A preposito domani quanti n’avemo? LUCIO Nu’ me n’aricordo. BRUTTO Varda sur Barbanera e poi vemmel’a dì. LUCIO Vado. (esce) BRUTTO Leggemo. (trae dalla tasca una scatola di fiammiferi, accende un pezzo di cerino e si mette a leggere i foglietti recatigli da Lucio) «Brutto tu dormi; svejete e guardete da te medemo, de drento e de fora! Doverà Roma tremà d’un omo solo?! parla, tòna, amico, e taja ch’è rosso! Brutto tu dormi!...» Nun è la prima vorta che st’insorforazione le trovo spes23 In romanesco nel testo: Atto Siconno. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 556 28/11/13 12.44 e 1. introduzione 557 so e le riccojo pe’ strada... Ah, no! Roma nun tremerà d’un omo!... Li mi’ antenati cacciorno Teraquinio quanno se fece chiamà re... «Parla, tòna, amico e ttaja ch’è rosso!...» Io dunque sò pregato de parlà e mmenà?... Sì, Roma, oh sì, oh sì te lo prometto che da Brutto averai quanto j’addimanni! Rientra Lucio. LUCIO Sor padrone, domani n’avemo 15. BRUTTO Benissimo! Ho inteso bussà a la porta: chi era? Sei ito a uprì? LUCIO È vostro cognato Cassia che ve vò appuntà ‘na parola. BRUTTO Sta solo? LUCIO No, sta in compagnia de cert’antri. BRUTTO Li conoschi? LUCIO Ma che, tiengheno er fongo24 incarcato insinenta a l’occhi e nu’ j’ho potuto vede er grugno. BRUTTO Va bene; falli entrà. (Lucio esce) Sò li congiurati!... Da quanno mi’ cognato me vinne a insorforà contro de Cesere, nun ho più chiuso un occhio. Fra er pensà e er mette a fine un affare de sangue, er tempo che ce curre è un continuo insogno de pavure e de fantasimi. L’ingegno de l’omo e le su’ voje sventate tiengheno allora consijo e, com’un regno in tempo de buriana, la su’ anima patisce tutti li tormenti d’una ribbejone. SCENA III Cassia, Casca, Decio, Zinna, Metello Cimbro, Trebbogno e Sigario CASSIA Evviva! T’arincresce si te disturbamo? BRUTTO Sto in piedi da più d’un’ora, e tutta la notte nun ho chiuso un occhio. Tutti quest’amichi che t’accompagneno io li conosco? CASSIA Tutti, e a tutti già j’ho dato un’attastata indove ce dole: semo intesi. (presentandogli i compagni) Ecco Trebbogno. BRUTTO Sii er benvenuto. CASSIA Questo è Decio Brutto, Casca, Zinna, Metello Cimbro e Sigario, che sibbè malato, t’è vorsuto puro lui venitte a riverì. BRUTTO Grazie, caro Sigario: è assai tempo che stai male? 24 Fungo, (arc.) cappello. Cappello maschile dalla tesa piuttosto larga che ricorda la cappella di un fungo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 557 28/11/13 12.44 558 introduzione SIGARIO Nun sò più malato, si Brutto ha intenzione de fà quarche ber córpo! BRUTTO Accusì spero, Sigario: e te ce conterebbe puro a te, si la salute nun te la tirasse. SIGARIO Te l’ho detto, Brutto, che ar solo vedette, m’è sparito er male. Anima de Roma! sangue d’Enea! tu com’un ‘sorcista mai [m’hai] rimesso l’anima in corpo! Commanneme adesso, dunque e farò l’impossibbile p’obbeditte! Che c’è da fà? chi ho da levà de mezzo? BRUTTO Regazzi, dateme er cinquanta uno a la vorta... CASSIA E giuramo de fà quant’avemo arisoluto. BRUTTO No, niente giuramenti. Si li rimproveri der monno, li dolori nostri, la pecoraggine de ‘sti tempi, ve pareno motivi pochi boni, lassamo perde tutto, lassamo, e ritornamo ognuno a sloffe25. Accusì l’affamata tiranneria je darà sotto, co’ tutta la su’ forza, infinenta a tanto che ciarimanerà un omo solo da esse scannato! ma sì, come sò certo, questi sò motivi ch’abbasteno per infocà er petto puro a le carogne, allora amichi mia, che bisogno ciavemo d’antre promesse? Una vorta stretto un patto fra Romani de fà er dover loro a risico de la pelle, che bisogno c’è der giuramento? Lassate giurà li preti, le carogne, li marfidati, li vecchi cadenti e la gente debbole sempre pronta a supportà l’insurti; incatenate cor giuramento quelli che sò sospetti, ma nun sporcate la santità dell’azione nostra! perché quanno un romano ha promesso, nun potererebbe storce un ette da la promessa data, senza fasse imbastardì in sur subbito, ogni stilla de quer nobbile sangue che je scurre in de le vene. CASSIA Come s’averemo da comportà co’ Cicerone? L’avemo da scannajà? CASCA Nu’ lo famo fora. ZINNA Famecelo entrà... BRUTTO Nu’ me parlate de lui; nu’ je se dichi gnente; quello nun farebbe mai da coda a una facenna incominciata da un antro. CASSIA Allora, lassamelo perde. CASCA Eppoi nun c’è tajato pe’ ‘ste cose. DECIO Quanti n’avemo da fà cascà, ortre a Cesere? CASSIA Bravo, Decio, dichi bene. Quanti? perché, siconno er mi’ debbole pensà, nun ce convié che Antonio, tanto ben vorsuto da Cesere, morto che è lui, resti ar monno pe’ seme de cucuzza. Averessimo da 25 Dormire. Dal tedesco schlafen. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 558 28/11/13 12.44 1. introduzione 559 fà cor una lana, ma canercia 26! che ce darebbe rogna da grattà. A posto, pe’ ‘gni bon fine, s’accorino tutt’e dua assieme, Cesere e Antonio. BRUTTO Che se volemo fà pijà pe’ macellari? Si tajato che j’avemo er cestone, famo a pezzi er cadavere der morto, nun annamo bene. Dico accusì perché Antonio e Cesere sò tuttuna persona. Famo li sciattini27, ma no li boja! Tutti noi s’arivortamo contro er sintimento de Cesere, e in der sintimento dell’ommini nun c’è sangue. Magari potessimo domà er sintimento de Cesere, senza squarciaje er corpo! Ma purtroppo nun c’è via de mezzo, bisogna ammazzallo! Accusì, regazzi, nun ce pensamo tanto, ammazzamelo ardidamente, ma senza portaje odio: come si fussi una vitella degna d’esse offerta a un re28; nu’ lo famo a cinichi29, come la carnaccia che se dà a li gatti. Famo vedé ar popolo che a ammazzallo ce semo stati tirati pe’ li capelli, propio da la gran necessità perché nun se ne poteva fà a meno de levasselo d’intorno. In quanto a Marcantonio, nun ce pensate; perché lui nun potrà fà più der braccio de Cesere, quann’a Cesere la testa j’è cascata. CASSIA Con tutto ciò a me me fa ombra... BRUTTO Quanto puzzi, Cassia mio; quanno la pianti? (batte l’orologio) Mosca. Contate l’ora. TREBBOGNO L’orloggio ha sonato le tre. DECIO È ora de sbignassela. CASSIA Un momento. Se semo scordati er mejo. E si Cesere oggi nun vienisse a Campidojo? DECIO Nun ce pensà, che si puro questa fusse la su’ idea, penso io a fajela mutà. Conosco er male de la bestia, e so come pijallo; e fin d’adesso me pijo l’impegno de portavvelo sano e sarvo a Campidojo, come se porta er bove ar macello. CASSIA Anzi, annamelo a pijà tutti assieme. BRUTTO A le otto in punto. ZINNA E gnisuno amanchi. SIGARIO Semo intesi. CASSIA Spunta l’arba; se vedemo Brutto; regazzi ognuno uscite pe’ conto vostro; ma aricordateve de tutte le promesse, e fateve vede che sete Romani veri. 26 Oggetto o indumento in cattivo stato, mal ridotto; cattivo soggetto, persona di pessima fama. 27 Sciattino: macellaio. Persona di razza ebraica autorizzata alla macellazione del bestiame. Dall’ebraico sha hat, macellare, uccidere. 28 Precedentemente, poi cancellato: come si fussi un’ostia degna d’esse offerta a li Santi. 29 Briciole, pezzetti. Diminut. del lat. cinnus (ricciolo, ciocchetta di capelli). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 559 28/11/13 12.44 560 introduzione BRUTTO (salutando tutti) E accusì ve do er bon giorno a ognun de voi, e er Signore v’accompagni. (i congiurati escono) Oh, e adesso, annàmesene a fà un appennichetto. SCENA IV Porzia e Detto PORZIA Ah, Brutto, indove te sei ficcato che è un’ora che te cerco? BRUTTO Nun me vedi? Ma che vai facenno accusì mezza spojata? Perché te sei arzata accusì presto? Giusto ciai salute da venne, scherzece puro co’ st’aria riggida che tira la matina. PORZIA E vederete che a voi ve farà bene! Che te credi che nun me sò incajata che te sei arzato da letto che nun era nemmanco mezzanotte, e te ne sei ito, senza dimme nì asino e nì bestia? BRUTTO Embè, che vòi? PORZIA E jeri a sera, a cena nun v’arzassivo da tavola a l’improviso, e co’ le braccia in croce incominciassivo a annà in su e in giù pe’ la stanzia come si avessivo preso la purga pensanno e sospiranno? E quanno che dimannai sì che anticòra 30 avevio; me guardassivo tutto serio serio; io c’intostai e allora voi co’ la mano v’allisciassivo la fronte, battessivo er piede tutt’arabbiato, e cor un gesto da tiranno de li burattini, m’ordinassivo da piantalla e d’annammene. Ubbidii perché nun m’annava da inquietamme; e perché pensai che poteva esse uno de quelli estri matti che ogni tanto ve pijeno a vojantri ommini... Insomma da diversi giorni ve vedo in d’uno stato che nun ve consente nì da magnà, nì da parlà, nì da dormì. Diteme adesso si quest’è vita de poté annà avanti! (e si pianta con le mani sui fianchi avanti a Brutto) BRUTTO Me sento un po’ acciacatello e gnente antro. PORZIA Si fussivo ammalato ve cureressivo. BRUTTO E me pare che lo sto facenno... Ma, cara Porzia, arivattene a letto. PORZIA Lui se sente acciaccato, e s’espone mezzo ignudo all’aria riggida de la matina! Lui è ammalato, e s’arza dal letto, se ne va a spassiggià in de l’orto a risico de pijasse una bona pormonea! Dimme micca, dimme! A chi la vòi dà a d’intenne? No, caro mio, in de la tu’ memoria, sta er male de che te lagni!... Senteme, Brutto, fallo pe’ quer santo matrimogno, pe’ quelli dritti sacrosanti che ciò su te, dimme sì che stai ruminanno in der cervello! Dimme tutto, dimme. Chi ereno 30 Affanno, oppressione dolorosa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 560 28/11/13 12.44 , o 1. introduzione 561 quele grintacce che sò venute a trovatte poco fa? L’ho visti, veh?! ereno sei o sette e sibbè fussi de notte s’annisconneveno er grugno pe’ nun fasse ariconosce... E fatt’uscì er fiato fatte!... Quann’ero più giovine, quann’ero più bella, nun me trattavi accusì. (sospirando) Ma mó se sa me sò invecchiata... Nun sò più bbona... ( fingendo di piangere) BRUTTO Chi te lo dice? Ma sei bbona incora!... (a parte) (Ho capito via, finisce male!) PORZIA (c. s.) E allora perché nu’ me confess’er segreto che t’accora?... Io dunque nun sarebbe un antro te stesso antro che pe’ fatte compagnia a pranzo a cena e a letto? Pe’ gnisun’antra cosa? Si è accusì allora, io nun sò la sposa tua, ma sò la zunnananà 31! BRUTTO Ma ‘ste cose nu’ l’hai da dì nemmanco pe’ galleria!... Tu sei la mi’ onorata sposa, me sei cara, come le goccie der sangue che me fanno sbatte er core addolorato. PORZIA Si fusse accusì, saperebbe ‘sto segreto, saperebbe... (piangendo) So d’esse donna ma sò stata scerta pe’ sposa da Brutto; so d’esse donna, ma sò una donna onorata... BRUTTO Ma chi te dice er contrario?... PORZIA (interrompendolo) Onorata, me capischi? Sò la fija de Catone, sò! Che te pensi che io cor un padre tale e cor un marito come te, nun sò la donna la più forte der mi’ sesso? Confidame dunque ‘sto segreto, caccia fora ‘sto rospo, che io pe’ segretezza tanto sò peggio de la tramontana. BRUTTO Ma te pare che me possi dubbità? PORZIA (piangendo sempre) Ma già l’ho detto, l’ho; una diecina d’anni fa, a quest’ora, già m’averessi detto tutto... Ma mó nun sò più bbona a gnente... BRUTTO Ma si t’ho detto de no, Porzia mia!... (affettuoso) Piantela de fà l’ojo pe la lampena! PORZIA (piangendo e buttandosi addosso a Brutto) Nun sò più bona a gnente... nun sò più bella... BRUTTO (a parte) (Ho capito, via!)... (con risolutezza) Mbè, nun piagne. Annàmosene in cammera da letto, e là saperai tutto. (a parte) (Eh, fussi matto a spiferà un segreto a una donna!) PORZIA Davero? Oh quanto sò contenta. Brutto mio, (l’abbraccia. Lo guarda amorosamente) allora annamo me sa mill’anni!... BRUTTO (con espressione di noia) E figurete a me! (escono abbracciati) 31 Zunnanannà/zunnananà parola onomatopeica per indicare la banna (puzza). Cfr. CHIAPPINI. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 561 28/11/13 12.44 562 introduzione SCENA V Una stanza nel palazzo di Cesere. Tuoni e lampi. Entra Cesere in berettino da notte. Poi un Servo e Carpurnia CESERE ‘Sta notte nun c’è requia nì in cielo nì in terra. Che accidente sarà! Puro lei, pe’ tre vorte, in insogno, ha strillato: «Ajuto, ammazzeno Cesere!...» Chi c’è de là? Entra un Servo. SERVO Sor padrone! CESERE Va a ordinà a li sacerdoti d’offrì, lesto e presto, un sagrifizio e poi riviemme a dì la predizione. SERVO Scappo subbito. (esce) CARPURNIA (entrando con le mani in croce) Mbè, che avete deciso? Gnente penseressivo da uscì? Voi ciavete le pigne! Oggi nun s’esce! CESERE Dichi tu! Invece Cesere uscirà; li pericoli che m’hanno minacciato nun ce l’hanno mai [...]32 davanti ar mi’ cospetto; e puro ‘sta vorta se la fumeranno ar solo comparì che farà Cesere! Crepi l’astroligo. CARPURNIA Io nun ho mai dato retta alli maluguri, ma oggi me mettono spaghetto. Senza contà tutti quelli segni tanto strani che avemo inteso e visto noi; un fattucchiere che abbita qui p’er vicolo aricconta cose da fà addrizzà li capelli in testa! Una cometa è apparsa ier notte in cèlo; la ciovetta tutta ‘sta notte cià cantato sur tetto; la gallina de la vicina ha cantato da gallo; ‘gni pezzo de carbone che ardeva in cucina schioppava com’una raganella; e come si questo nun fussi gnente, abbasterebbe er temporale de ‘sta notte. Roma pareva, da li gran lampi, ch’annasse a foco!... Cesere, damme retta, ‘sti segni nun se sò mai visti, e me spaventeno. CESERE Si da lassù (indica il cielo) hanno imbastito da famm’ignottì quarche callalessa 33, nun semo boni né io e né tu a ripparalla. Si Dio vò accusì, accusì sia! E Cesere uscirà. CARPURNIA Puro averessi da sapé che le comete nun apparischeno mica pe’ predì la morte de quarche straccione; e quanno li cièli vann’a fiare e foco predicheno la morte de li soprani. CESERE E tu dajela! Le carogne moreno parecchie vorte prima de morì; l’omo de core una vorta sola. De tutte le cose le più maravijose da 32 33 Parola illeggibile. Castagna lessa. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 562 28/11/13 12.44 1. introduzione 563 che sto ar monno e che ho inteso ariccontà, la più curiosa è quella che l’omo possi provà ribrezzo de la morte; perché intanto o prima o poi ce deve toccà a tutti... (rientra il Servo) Che t’hanno detto li sacerdoti? SERVO La masticheno male. Hanno detto ch’è mejo che per oggi nun uscite. (il servo parte ) CARPURNIA Lo vedi che puro queli sant’ommini me danno raggione? E tu intostece! CESERE Li Dii hanno inteso de volé svergognà la carognanza, e Cesere sarebbe senza core si pe’ pavura arisorvesse de nun uscì da casa. No, Cesere uscirà! Er pericolo e nostròdine, semo come du’ leoni giamelli; ma io sò nato p’er primo, e sarò più terribbile; Cesere uscirà! CARPURNIA Abbada, Cesere, che la tu’ prudenzia t’amanca, perché te credi troppo sicuro de te. Nun uscì oggi; dì che la pavura mia, li dubbiti mii, e no li tui, t’hanno fatto arestà a casa. (inginocchiandosi) Er core me lo dice, nun uscì! Te ne supprico in ginocchione, concedeme ‘sta grazzia... Mannamo ar Senato Marcantonio a dije che stai poco bene!... CESERE Marcantonio dirà che sto poco bene; famo come vòi tu; per oggi me ne starò a casa. CARPURNIA Oh, sia benedetto Dio! Manco vale che je l’hai fatta 34! SCENA VI Decio e Detti CESERE Ecco Decio, je la manneremo da lui, ar Senato, l’imbasciata. DECIO Cesere, evviva! Evviva, grolioso Cesere; viengo p’accompagnatte ar Senato. CESERE E a puntino arivi pe’ portà un saluto mio a li Senatori, e pe’ dije che oggi io nun ce vado; no perché nun posso perché sarebbe bucía; pavura, bucía puro; insomma je dirai che nun ce vojo annà. CARPURNIA Diteje che lui sta male. Io ve saluto. (esce) CESERE Averà Cesere da esse buciardo? Ho dunque steso accusì lontano er mi’ braccio vincenno trecento battaje, per avé poi pavura de dì la verità a quele barbe canute da caproni? Decio, vaje a dì che oggi, faccio er commido mio. DECIO Onnipotente Cesere, dimme armeno la caggione pe’ nun esse preso in burletta da queli quattro arimbambiti. 34 Cancellato il seguito della battuta: (a parte) (Eh, cari mii, quanno la donna vô, nun cé so’ santi!) Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 563 28/11/13 12.44 564 introduzione CESERE La caggione è la volontà mia; nun vojo uscì; nun t’aribbatte a te e ar Senato?! Vòr dì, che, pe’ sodisfatte a te perché te vojo bene, te dirò quarch’antra cosa. Sappi dunque ch’è mi’ moje, lei, che me trattié pe’ de filo a casa; stanotte s’è insognata che la mi’ statua che sta a Campidojo, manco si fussi stata una funtana, pisciolava sangue da cento ferite; e intanto una folla de Romani smaniosi se faceveno avanti e ridenno c’intigneveno le mano. Una che spiega l’insogni j’ha detto che una gran disgrazia me stava pe’ succede; e lei (lo sai come sò le donne!) me s’è buttata in ginocchione e m’ha scongiurato de nun uscì da casa. DECIO Io però che d’insogni me n’intendo, te posso assicurà, ch’er tuo, te l’hanno tutto quanto spiegato male, ma male assai. La tu’ statuva che buttava sangue da tante ferite indove li Romani allegri c’intigneveno le mano, vordì invece che da te la gran Roma pijerà un sangue novo che la ringiovanirà. Ecco sì che vò intenne er sogno de Carpurnia. CESERE E che tu hai accusì a ciccio de sèllero, spiegato, DECIO Sicuro. E te ne persuvaderai de più doppo quello che t’ho da dì. Sappi dunque ch’er Senato ha deciso de dà oggi la corona ar potente Cesere! Si je manni a dì che nun eschi, ponno puro mutà pensiere. Eppoi te potrebbeno canzonà sentenno dì: «Sciojete er Senato fino ar giorno che la sposa de Cesere se sarà fatta un antro più ber sogno». E si Cesere s’annisconne averanno tutt’er dritto de dì: «vedete quela carogna de Cesere, trema!...» Scuseme tanto, Cesere, si er gran bene che te vojo me sforza a parlatte accusì, ma è la verità. CESERE Sò davero da matti le pavure de Carpurnia! Divento rosso d’avecce dato. Decio, damm’er manto, ché ci annerò... Uh, varda quanti antri boni amichi me viengheno a pijà, pe’ famme compagnia! SCENA VII Publio, Bruto, Sigario, Metello, Casca, Trebonio, Zinna e Precedenti, poi Antonio PUBBRIO Sarve, Cesere! CESERE Benvenuto, Pubbrio. Tu pure Brutto, accusì abbonora? Bongiorno Casca. Cajo Sigario, Cesere nun te fu mai tanto nemmico, come la frebbe che t’ha ridotto accusì male. Che ora abbiamo? BRUTTO (cavando l’orologio) Le otto sonate. CESERE V’aringrazio a tutti de le vostre garbatezze. (vedendo entrare Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 564 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 565 Antonio) Ecco Antonio, che sibbè de la notte ne facci giorno, s’è arzato puro lui. Antonio, bongiorno. ANTONIO E bon giorno sia pure p’er nobbile Cesere. CESERE Dite che preparino tutto... Scusateme si nun m’avete trovo pronto... abbiate pacenza... Addio, Zinna... Ciao, Metello... E tu Trebbogno? A proposito ricordame che oggi t’ho da parlà armanco per un’ora, stamme vicino. TREBBOGNO Nun dubbità, Cesere. (a parte) (E te ce starò tanto vicino, che desidereressi che nun ce stassi!) CESERE Amichi der core, entrate de qua, annamese a fà un gotto a la salute nostra. Eppoi, da boni amichi se n’anneremo ar Senato tutti quanti in compagnia. BRUTTO (a parte) (Boni amichi, davero! Ah Cesere, come me sento strazià er ore!) Escono tutti. Sipario o Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 565 28/11/13 12.44 566 introduzione ATTO III SCENA I Il Campidoglio. Il Senato è raccolto. La moltitudine ingombra la via che conduce al Campidoglio in mezzo ad essa il Mago. (leggendo) MAGO (leggendo un foglio) «Cesere, guàrdete da Brutto; tiè d’occhio Cassia; nun t’avvicinà a Casca; abbada a Zinna; varda bene Metello Cimbro: Decio Brutto nun te vò bene; tu hai offeso Caio Sigario. Sò tutti quanti d’un pensiere e ‘sto pensiere è rivorto a danno de Cesere. Si nun sei immortale, tiè l’occhi sopra de te; la sicurezza ingenera le congiure. Er cèlo te difenni. Er Mago.» Starò qui insinenta che nun passa Cesere e com’un poveretto je darò ‘sto fojo come si fusse una ristanza... Si Cesere lo legge sarà sarvo, si no bona notte ch’è notte. SCENA II Squillo di trombe. Entrano Cesere, Brutto, Cassio, Casca, Decio, Metello, Trebbogno, Zinna, Antonio, Levido, Popilio, Pubbrio, ed altri. CESERE Er 15 de Marzo, ce semo! MAGO Sì, Cesere, ce semo; ma nun è finito. Leggi ‘sto fojo, Cesere! DECIO Trebbogno te scongiura de legge ‘sta su’ povera istanza, Cesere. MAGO Nu’ je dà udienza, Cesere; legge prima la mia; perché la mia è una supprica che tocca Cesere e lo riguarda. Leggela, gran Cesere, leggela te ne scongiuro. (gliela porge) CESERE Quello che s’arifrette a nostròdine dev’esse esaminato all’urtimo; prima er bene de l’antri e poi er nostro. MAGO Nun aspettà, Cesere; leggela ma subbito. (insistendo) CESERE Ma che questo s’è ammattito? PUBBRIO (scansando il Mago) Scanzete, lombetto35. CASSIA (al Mago) Chi ve dà l’ardire de dà le suppriche pe’ strada? Salite su a Campidojo, mascarzoni! Cesare entra nel Campidoglio, gli altri lo seguono. Tutti i Senatori si alzano. 35 Ladruncolo, furfantello. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 566 28/11/13 12.44 o , 1. introduzione 567 POPIJO (a Cassia) V’aguro che la vostra faccenna d’oggi v’ariesca tonna. CASSIA Quale faccenna, Popijo? POPIJO Ah certa tela! Se vedemo. (poi, si avvicina a Cesere) BRUTTO (a Cassia) Che te diceva Popijo Lena? CASSIA Ciagurò che la facenna nostra d’oggi ciariuscisse. Ho pavura che hanno scuperto l’artarino... BRUTTO Guarda come s’avvicina a Cesere; smìccelo bene. CASSIA Casca, sta pronto, ch’ò pavura che semo stati scuperti... Brutto, che avemo da fà? Si è vero, o Cassia o Cesere nun usciranno de qui; perché io m’ammazzio da me, me suvicidio. BRUTTO Cassia, coraggio; Popijo Lena, nun parla de noi; perché varda, lui je ride e Cesere nun muta d’aspèttito. CASSIA Varda quer Trebbogno com’è furbo! Varda, Brutto, com’allontana da Cesere Marcantonio!... Escono Antonio e Trebbogno. Cesere e Senatori si assidono. DECIO Indov’ello Metello Cimbro? Adess’è er momento bono che vada a presentà la su’ ristanza a Cesere. BRUTTO Nun vedi che lo sta pe’ fà? Accostamese puro noi e ajutamelo. ZINNA Casca, tu sei er primo che devi arzà er braccio e menà. CESERE Semo dunque tutti pronti? Allora sentimo quali sò ‘st’abbusi che Cesere e er Senato hanno da riformà. METELLO Artissimo, fortissimo, potentissimo Cesere, Metello Cimbro s’inchina davanti ar trono tuo... (inginocchiandosi) CESERE Te previengo, Metello, che ‘ste leccate de zampe, ‘ste genuffressione, ponno tinticà la vanezza d’un omo dozzinale e faje vortà bandiera; ma nun te dà a crede ch’er core de Cesere se facci addorcì da ‘ste finezze da carogne! Tu’ fratello è stato esijato pe’ decreto der Senato; si m’allisci pe’ motivo suo, si te curvi pe’ lui, io te disprezzo com’er somaro che sporca le strade. Impara che Cesere nun fa suprusi e senza amancanze nun condanna gnisuno, nun condanna. METELLO (guardandosi intorno) Nun ce sarebbe qui voce più utorevole che aggradisse de più a l’orecchia der gran Cesere, e perorassi p’er ritorno de mi’ fratello da l’esijo? BRUTTO Io te bacio la mano Cesere, ma no pe’ strufinàmmete; e te scongiuro de fà ritornà a Roma Pubbrio Cimbro. CESERE Che, puro Brutto? CASSIA Cesere perdonelo, perdonelo Cesere; Cassia te s’inchina infinenta a li tu’ piedi pe’ dimannatte la libberazione de Pubbrio Cimbro. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 567 28/11/13 12.44 568 introduzione CESERE Riusciressivo a commovémme si ve rissomijassi; si fussi bono a pregà pe’ commòve, potrebbe esse impietosito da le preghiere; ma io sò immutabbile come la stella der Norde, che, dicono, pe’ la su’ fermezza nun ce n’è un’antra in cèlo che l’arissomiji. Li cèli sò seminati da mijara de stelle; sò tutte de foco e tutte sbrillùccicheno; eppuro nun ce ne sta una sola che stia eternamente fissa ar su’ posto. Cusì succede in der monno; è popolato da mijara d’ommini, formati de carne, de sangue e de memoria; ma tra de loro, uno solo ne conosco che sappi, senza mutà, fermo com’un sasso, conservà ogni sempre er posto suo; ‘st’omo è nostròdine: ècchelo qua! Vorsi l’esijo de Cimbro, e lo mantiengo. ZINNA Ah, Cesere mio!... CESERE Scostete! Voressi dà un pugno in cèlo? DECIO Gran Cesere... CESERE Ma si l’ho negato insinenta a Brutto! CASCA Ah sì?! Allora magna! ( ferisce Cesere nel collo. Cesere gli afferra il braccio. Vien quindi trafitto da parecchi altri congiurati, e per ultimo da Marco Brutto) CESERE (nel veder Brutto ferirlo) Et tu, puro tu Brutto?! Allora mòri Cesere, ch’è mejo! (muore. I Senatori e il popolo si ritirano in tumulto) ZINNA Libbertà! libbertà! La tirannia è morta! Currete, annatel’a strillà pe’ tutta Roma! CASSIA Quarcuno vadi su li purpiti e strilli: «Libbertà, libbertà! ringenerazione!» BRUTTO Popolo e Senatori! nu’ state impavuriti; nu’ ve la fumate, ch’er capo de la presumea è morto! CASSIA Va sur purpito, Brutto. DECIO E Cassia puro. BRUTTO Indov’èllo Pubbrio? METELLO Stamo tutti uniti, in modo che si quarche amico de Cesere avess’intenzione... BRUTTO Nun avé pavura. Pubbrio sta’ alegro; gnisun pericolo sta pe’ piombà addosso su quarch’antro romano. Vallo puro a annunzià ar popolo. E la responsabbilità der fatto se la volemo addossà antro che noi che l’avemo portato a fine. SCENA II Trebbogno e Detti CASSIA (a Trebbogno) Indove sta Antonio? Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 568 28/11/13 12.44 1. introduzione 569 TREBBOGNO È scappato, scellonito36 a casa sua; ommini, donne, regazzini cureno spaventati, e strilleno come si fussi er finimonno! BRUTTO Staremo a vede quello che ce tocca. Che avemo da morì lo sapemo: Morta certa, ora incerta, del morire l’ora è incerta... CASSIA Quello che se scórta de vent’anni la vita, averà vent’anni de meno pavura de la morte! BRUTTO Essenno accusì, la morte è un benefizio e noi semo l’amichi de Cesere, noi, che j’avemo scórtato er tempo che averebbe avuto pavura de morì. Inchinamese, Romani, inchinamese: ammollamo le braccia sino a li gommiti in der sangue de Cesere e arossìmene le spade; poi uscimo, fàmese vede ar popolo e arzanno su le nostre teste li ferri insanguinati strillamo co’ quanto fiato ciavemo in corpo: Pace, libbertà, ringenerazione! CASSIA Accusì famo... Chi lo sa quanti secoli vederanno arippresentà questa scena magnifica d’oggi, in certi popoli che incora nun sò nati e in certe lingue che incora nun se sanno! BRUTTO Chi lo sa quante vorte davanti all’occhi der pubbrico morirà in de l’avvenire ‘sto Cesere che adesso, morto a li piedi de la statuva de Pompeo, nun è gnente de più de la porvere! CASSIA E ogni vorta che ‘sto fatto accaderà, ‘sta congiura nostra sarà detta quella dell’ommini che diedeno ar paese de loro la libbertà! DECIO E adesso nun uscimo? CASSIA Sì, tutti; Brutto annerà avanti, e dedietro (a bon gioco) cianneranno li più coraggiosi e li più bulli de Roma. BRUTTO Fermateve; viè quarcuno. Si nun me sbajo è Antonio. SCENA III Antonio e Detti CASCA Ecco Antonio! BRUTTO Sii er benvenuto, Marcantonio. ANTONIO (contemplando il cadavere di Cesare) Povero Cesere! Ècchete lì per tera! Tutte li tu’ trionfi, le tu’ grolie, tutta la tu’ grannezza, stanno inzeppati in ‘sto cantoncello! Addio Cesere mio! (poi volgendosi agli altri) Romani, io nun so quello che avete intenzione de fà; qual’antro sangue deve pisciolà, qual’antra testa de grinta avete da fà cascà. Si è la mia, mejo accusì; nun saperebbe sceje, pe’ morì, momento più propizio de quello che ha visto cascà Cesere, ni strumenti più groliosi 36 Stordito. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 569 28/11/13 12.44 570 introduzione de quelle spade rosse der più nobbile sangue de tutt’er monno sano! Si sospettate de me, già che state co’ le mano in pasta, ve ne scongiuro, sfogateve puro sopra de me; si avessi da campà antri mill’anni ciarinunzierebbe pe’ morì adesso; gnisun sito mejo de questo, qualunque specie de morte nun me poterebbe convenì mejo d’adesso, contento de cascà qui, vicino a Cesere, e sott’a le botte de vojantri che sete li fiori der tempo nostro. BRUTTO No, Antonio. Sibbè apparimo feroci e sanguinarii si cce giudichi da le nostre mano e da quer che avemo fatto, tu nun ce legghi in der core che, sippuro, è umano e pietoso. Ma in quer modo stesso che chiodo scaccia chiodo, una pietà ne scaccia un’antra; e fu che spinti da un senso de pietà pe’ le miserie de Roma, pe’ li mali der popolo, che avemo ammazzato Cesere; riguardo a te, Marcantonio, le spade nostre nun cianno punta; e noi t’aprimo le braccia, e li nostri cori da fratello per ricevétte e abbraccicatte co’ tutti li sentimenti. CASSIA Pe’ l’elezione de li novi commannanti ce pòi mette bocca puro te come te pare. BRUTTO Lassa che avemo carmata la folla ch’è stata presa dar terore; poi te spiegheremo er perché, io, che odoravo Cesere puro in der momento che lo ferivo a morte, m’è stato impossibbile de nun fà accusì. ANTONIO Io nun dubbito de la bontà vostra; ognun de voi me dii la su’ mano insanguinata; tu pe’ primo Marco Brutto, poi Cajo Cassia, poi Decio; e puro tu Metello; e tu, Zinna, e tu, bravo Casca, e tu ottimo Trebbogno... Amichi mia... Dio mio, che v’ho da dì?... L’esse creso da vojantri in ‘sto momento è tanto indificile che averete da sceje tra du’ giudicamenti odiosi e credémme o carogna o leccazampe. (volto al cadavere di Cesare) Ch’io te volessi bene, Cesere è verità sacrosanta; e si adesso l’anima tua ce guarda, nun te n’affronterai de più de la tu’ morte ner vedé Antonio tuo fà pace e strigne le mani insanguinate de li tu’ nemmichi, in presenza tua? Si tu ciavessi tanti occhi pe’ quante ferite ciai, e si le mi’ lagrime cadessino in abbonnanza com’er sangue tuo, sarebbe più confacente in ‘sto momento che er mettémme da la parte de li sicari tua! Cesere, perdoneme! Leone intrepido, qui, fussi accerchiato, qui sei caduto, e qui stanno li tu’ persecutori tinti der sangue tuo! Ah monno! Tu eri la macchia indove ce regnava ‘sto leone, e nun avevi abbitatori più nobbili de lui! Com’e’ re de la macchia ferito da li cacciatori, ècchete adesso corcato qui!... CASSIA Marcantonio, dico... ANTONIO Scuseme, Caio Cassio, li nimmichi de Cesere diranno quer Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 570 28/11/13 12.44 - a - , 1. introduzione 571 poco ch’ho detto io; e sicché, per un amico, me pare ch’er parlà accusì sii assai modesto! CASSIA E nemmanco te rimprovero si lodi Cesere accusì; ma spieghete: vòi stà co’ nojantri o contro de nojantri? ANTONIO Fu per arimanevve amico che v’ho dato er cinquanta, ma poi co’ la cosa ch’ho visto er cadavero de Cesere me sò impappinato, me sò. De’ resto io ve sò amico a tutti e a tutti ve vojo bene: speranno che me spiegherete poi come e perché Cesere era tanto pericoloso. BRUTTO Si nun fusse stato accusì questo sarebbe lo spettacolo er più infame! Ma le raggione nostre sò state accusì bone e accusì pesate, Marcantonio, che l’averessi d’approvà puro si tu fussi stato er fijo de Cesere. ANTONIO Vederemo si è vero. Un antro piacere adesso. Me permettete de mostrà er cadavere der morto su la piazza, e de faje er discorso funebbre? BRUTTO Sí, te lo concedemo. CASSIA Brutto, una parola. (a parte) Tu nun sai manco quello che te fai! Nu’ je permette de parlà; nun pòi sapé, tu, si er popolo possi restà commosso da quello che dirà lui! BRUTTO Nun avé pavura. Salirò sur purpito prima de lui e spiegherò le raggione che cianno tirato a fà succede er morto; dirò che Antonio parla cor benepracido nostro, perché intennemo che a Cesere je sieno resi tutti li possibbili onori. ‘Sta cosa più che facce male, ce gioverà. CASSIA Io nu’ ne risponno de quer che ne pò succede; ‘sta cosa nu’ m’aggarba. BRUTTO Marcantonio, viè e pija er corpo de Cesere. In der tu’ discorso però nun hai da dì male de noi, mentre potrai dì de Cesere tutt’er bene che vòi, dicenno che lo dichi cor consento nostro. ANTONIO Accusì sia; io nun ve chiedo antro. BRUTTO Prepara dunque er cadavero e viecce appresso. Escono tutti, fuori Antonio. ANTONIO (al cadavere di Cesare) Ah perdoneme, tu, si me fo vede accusì agnello co’ ‘sti carnefici! Tu sei er cadavere der più gran omo ch’è apparso e apparirà sin ch’er monno sarà monno! Maledizione a la mano ch’ha sparzo ‘sto sangue prezioso!... Qui, su le tu’ ferite uperte, che, com’artrettante bocche mute, oprenno le labbra sanguigne me chiedeno vennetta, io fo ‘sta profezzia! La maledizione scegnerà su tutto er monno sano; le furie de casa, e la discordia fra Romani e Romani distruggeranno Roma; er sangue e la distruzione diventeranno accusì Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 571 28/11/13 12.44 572 introduzione de tutti li momenti che le madre insinenta, nun potranno che ride ner vede li fiji loro scannati in guerra! E l’ombra de Cesere accompagnato da tutte le furie dell’inferno venirà dall’antro monno a sfogà la su’ vennetta e co’ la su’ voce soprana urlanno: «Morte, morte!» Scatenerà li leoni de la guerra, finché una nuvola contaggiosa, appestata da li morti senza sepportura che formicoleranno per le strade, nun s’arzi su in cielo, pe’ testimognatte l’orrore de ‘st’infamità commessa qui. (a un servo) Ajuteme. (escono trasportando il corpo di Cesare) SCENA IV Il Foro Romano Entrano Brutto, Cassia con gran seguito di cittadini. CITTADINI Volemo sentì la raggione, volemo! BRUTTO Allora, vienitem’appresso e statem’a ssentì. Tu Cassia va nell’antra strada e dividemo la folla. Quelli che me vonno sentì a me se fermino qui; quelli che vonno sentì Cassia, vadino appresso a lui e accusì er pubbrico saperà li motivi de la morte de Cesere. PRIMO CITTADINO Io vojo sentì Brutto. SECONDO CITTADINO Io Cassia, e accusì quanno l’avemo intesi tutt’e dua, faremo er confronto de le raggione che cce porteno. Esce Cassia cor una parte dei Cittadini. Brutto sale sul Rostro. TERZO CITTADINO Er nobbile Brutto è salito. Mosca tutti! BRUTTO Abbiate pacenza a stamm’a ssentì insinenta a la fine, Romani, e fate mosca. Credeteme su la mi’ parola d’onore, e tenete conto der mi’ onore pe’ potevve convince de’ quello che ve dico. Condannateme si ho sbajato e appizzate bene er sentimento pe’ potemme mejo giudicà. Si tra vojantri c’è quarche bon amico de Cesere, io je dirò che Brutto voleva bene a Cesere quant’e llui. Si poi ‘st’amico dimanna perché Brutto ha fatto la pelle a Cesere, èccheve la mi’ risposta. Nun è che io volessi bene a Cesere de meno, ma volevo più bene a Roma. Che forsi preferissivo Cesere vivo pe’ morì tutti schiavi, a Cesere morto pe’ cantà tutti libberi? Cesere me voleva un bene de ll’anima e io piagno pe’ lui; lui era furtunato, io ciò piacere; era coraggioso, io je fo onore; ma era presuntuvoso, io l’ho ammazzato. Èccheve dunque pianti p’er su’ bene, piacere pe’ le su’ furtune, lode pe’ la su’ bravura, e morte pe’ Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 572 28/11/13 12.44 i o - e 1. introduzione 573 la su’ prosumea. Chi c’è qui accusì carogna che vò esse schiavo? Si qui c’è quest’omo, parli; perché io ho vorsuto intenne d’offennello. Chi c’è qui accusì gnoccolone de nun volé esse romano? Si un omo tale qui c’è, parli; perché io l’ho offeso. Si qui c’è un omo accusì schifoso de nun volé bene a Roma sua; si qui c’è, che se facci uscì er fiato; perché io l’ho offeso. Aspetto una risposta. CITTADINI (parlando molti in una volta) Gnisuno, Brutto, gnisuno! BRUTTO Quann’è accusì, nun ho offeso gnisuno. Io a Cesere nu’ j’ho fatto antro che quela ruzza che vojantri faressivo a Brutto. Le condanne de la su’ morte sò reggistrate a Campidojo; de la grolia sua gnisuno l’aveva fatto fòra, e nemmanco avemo ingrandite le córpe che l’hanno condannato! (entra Antonio e parecchi altri col corpo di Cesere) Ecco er morto che Marcantonio accompagna in coruccio; lui, sibbè in de la congiura nun cià preso parte, puro se ne goderà quarche filetto cor cibbasse un postarello in der guverno. E chi de tutti vojantri nun ne goderà artrettanto? In concrusione io ho ammazzato er mejo amico p’er bene de Roma; ciò qua lo stesso sfrizzolo pe’ me, quanno parerà e piacerà ar paese de chiede la mi’ morte. CITTADINI Evviva Brutto, evviva! PRIMO CITTADINO Portàmelo a cavacecio a casa sua! SECONDO CITTADINO Sì, portàmelo in trionfo! PRIMO CITTADINO Inarzamoje una statuva com’ar nonno. TERZO CITTADINO Che diventi un antro Cesere! SECONDO CITTADINO Le più belle grolie de Cesere sieno coronate in Brutto! PRIMO CITTADINO Accompagnàmelo a casa, fra l’evviva! BRUTTO Cittadini romani... SECONDO CITTADINO Mosca, zitti! Parla Brutto. PRIMO CITTADINO Mosca, regazzi! BRUTTO Mii boni cittadini, lassateme annà a casa solo, e per amor mio, fermateve qui co’ Marcantonio. Onorate er corpo de Cesere e onorate er discorso che lui, cor consento nostro, ve sta pe’ fà, pe’ celebbrà le grolie de Cesere. Ve ne supprico, gnisuno s’allontani, antro che io, fino a tanto che padron Antonio qui, nun v’ha parlato. (esce) PRIMO CITTADINO Alò, fermateve! e sentimo Marcantonio. SECONDO CITTADINO Salisca sur purpito e lo sentiremo. Padron Antonio, annate. TERZO CITTADINO Montate, padron Antonio. ANTONIO Pe’ cavusa de Brutto ve sò disobbrigato. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 573 28/11/13 12.44 574 introduzione QUARTO CITTADINO Ch’ha vorsuto dì de Brutto? PRIMO CITTADINO Dice che pe’ motivo de Brutto se sente disubbrigato a tutti quanti noi. SECONDO CITTADINO Farebbe mejo a nun parlà male de Brutto! TERZO CITTADINO Doppo tutto quer Cesere era un tiranno. QUARTO CITTADINO Nun dichi male; e è una gran furtuna che Roma se ne sia libberata! PRIMO CITTADINO Mosca! Sentimo che ce dirà de bono Marcantonio. ANTONIO Generosi Romani... SECONDO CITTADINO Mbè, je la famo, regazzi, a perde er fiato? ANTONIO Romani, amichi mii, concittadini, stateme a sentì. Vengo pe’ seppellì Cesere, e no pe’ laudallo. Er male che l’ommini se fanno ciarimane; er bene spesso se ne va seporto assieme all’ossa. Accusì avvienga pe’ Cesere. Er gran Brutto v’ha detto che Cesere era presuntuvoso; sì è vero, la córpa sua fu grossa e Cesere l’ha pagata forte. Io qui cor permesso de Brutto e dell’antri (perché Brutto è galantomo e pure quell’antri sò tutti galantommini), viengo a recità l’orazione da morto a Cesere. Lui era un amico sincero e leale co’ me; ma Brutto dice che era prosuntuvoso, e Brutto è un galantomo. Cesere se portò appresso, ner venì a Roma, mijara de prigiogneri, che pe’ riscattasse pagorno mijoni ar Guverno; e le casse de lo Stato s’ingropponno. Quanno li poveri se lagnaveno, Cesere piagneva; la prosumea ciaverebbe d’avé la coccia più dura, co’ tutto ciò Brutto dice ch’era superbio, e Brutto è galantomo. Tutti quanti vojantri sete tistimogni che io all’urtime corse a le Capannelle, je presentai tre vorte (dico tre) la corona da re, e lui tre vorte la rifiutò. Era prosumea quella? Ma Brutto dice che Cesere era prusuntuvoso, e Brutto è un galantomo. Io mica ve parlo pe’ contradì Brutto, Dio me ne guardi! ma sortanto pe’ mettévve in chiaro de quer poco che so. Voi una vorta je volevio tutti bene a Cesere e no senza un perché; quale raggione mó ve trattiè da lagrimallo? Oh memoria, tu te sei ita a riparà tra le berve, e l’ommini se sò persi er boccino! Compatitemi; er core mio sta qui ner cataletto de Cesere, e m’ho da riposà un tantino pe’ ripijà fiato. PRIMO CITTADINO Me pare che in quello che dice c’è un po’ de vero. SECONDO CITTADINO Si consideramo bene la cosa, Cesere ha patito un sopruso. TERZO CITTADINO Come dice? Peggio nun è morto mai. Abbasta che ar posto de Cesere nun ce vienga quarcun’antro più peggio de lui! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 574 28/11/13 12.44 o - 1. introduzione 575 QUARTO CITTADINO Avete fatto caso a quelle parole? Cesere nun vorse la corona, dunque nun era prusuntuvoso. PRIMO CITTADINO E je l’offrinno tre vorte, mica una vorta sola! SECONDO CITTADINO Si la cosa sta proprio accusì, sangue-der-naso, quarcuno l’ha da pagà cara salata! TERZO CITTADINO Poveraccio! Dar gran piagne l’occhi je se sò fatti rossi come una fiara de foco. QUARTO CITTADINO In tutta Roma sana, nun c’è un antro omo nobbile com’Antonio. PRIMO CITTADINO Attenti, zitti, ché riparla. ANTONIO In finent’a jeri la parola de Cesere teneva a freno er monno sano; mó sta qui corco, e gnisuno c’è che sii tanto costernato da faje onore! S’io, Romani, me sentissi drento da insorforà li cori vostri e l’anime a la ribbejone e ar furore, farebbe una cattiva azione, a Brutto, un insurto a Cassia, che, come tutti lo sapete, sò du’ galantommini; io però nu’ je vojo male; io preferisco d’insurtà er morto, d’insurtà me stesso, a voi, piuttosto che quell’ommini de tant’onore! però ecco un fojo cor siggillo de Cesere; l’ho trovo in de la su’ scrivenia; è er testamento suo. Si er popolo leggesse ‘sto testamento (che io, scusateme, nun vojo legge) ve vederebbe a tutti inchinati a bbacià le ferite de Cesere, a bagnà li fazzoletti vostri ner su’ sangue prezioso, a suppricà come ricordo un capello de li sui che co’ l’urtime volontà lo trasmetteressivo morenno a li fiji de vojantri come la più sacrosanta eredità! SECONDO CITTADINO Volemo sentì ‘sto testamento. Leggelo Marcantò! CITTADINI Er testamento, er testamento! Volemo sentì er testamento de Cesere! ANTONIO Abbiate pacenza, regazzi; io nun ve lo posso e nun ve lo devo legge; nun bisogna che sappiate quanto Cesere ve vorse bene. Vojantri nun sete nì de legno, nì de pietra, sete ommini; e essenno ommini er sentì er testamento de Cesere ve riscallerebbe, v’infurierebbe. Nu’ sta bene che sappiate che vojantri sete l’eredi sui; perché, si lo sapessivo, Dio lo sa quello che ne poterebbe succede! TERZO CITTADINO Legge er testamento, lo volemo sentì! QUARTO CITTADINO Antonio, er testamento, leggi er testamento! ANTONIO Volete avé pazienza? Volete aspettà un antro po’? Feci male a parlavvene! Ho pavura d’avé fatto danno a quelli galantommini c’hanno pugnalato Cesere; propio ho pavura. PRIMO CITTADINO Sò traditori, antro che galantommini! CITTADINI Er testamento! er testamento! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 575 28/11/13 12.44 576 introduzione SECONDO CITTADINO Furno assassini scellerati! Er testamento, legge er testamento! ANTONIO Me volete dunque forzà a legge er testamento? Allora metteteve intorno intorno ar corpo de Cesere, e lassateme che v’insegni quello che fece er testamento. Ho da smontà? Me date er permesso? TERZO CITTADINO Scegne. (Antonio scende dalla tribuna) QUARTO CITTADINO Te damo er permesso. PRIMO CITTADINO Fate largo, fate largo! SECONDO CITTADINO State scostati dar cataletto, scostateve! TERZO CITTADINO Fate largo a Antonio... ar nobbile Antonio! ANTONIO E nun v’affollate addosso a me; scostateve! CITTADINI Indietro! indietro! posto! ANTONIO Si ciavete le lagrime preparateve adesso a sversalle. Lo riconoscete tutti ‘sto mantello; me ricordo, com’adesso, la prima vorta che Cesere se lo misse addosso; fu una sera d’estate, in de la su’ tenna; in quer giorno aveva vinto li Nervi... Vardate in ‘sto punto è passato er pugnale de Cassia; vardate che squarcio cià fatto qui er gran Casca; qui diede la botta l’amato Brutto, e quanno lui aritirò er su’ ferro infernale, vardate com’er sangue de Cesere uscì con impito guasi per appurà si era propio Brutto quello che je l’aveva sonata; perché tutti vojantri lo sapete bene che Brutto era l’angelo de Cesere. Iddio solo sa quanto bene je volesse Cesere! Fra tutte le botte, questa fu la più crudele; e quanno Cesere vidde lui tra li su’ assassini, l’ingratezza più potente der braccio de li traditori, lo vinse der tutto; allora je schioppò er core quer su’ gran core; e coprennose cor manto la faccia, da piede a la statuva de Pompeo tutta rossa de sangue er gran Cesere spirò! Ah, che morte, che cascata, è stata questa! In quer momento, vojantri e io e tutti semo cascati sotto er tradimento sanguinoso che trionfa! Ah, piagnete adesso! me n’accorgo che sete impietositi: sò lagrime generose le vostre! E piagnete sortanto perché vedete er manto der nostro gran Cesere trapassato da li pugnali? Guardate allora (strappando il manto), guardate, qui sotto sta steso lui stecchito, scannato barbaramente, come vedete, da quelli traditori! PRIMO CITTADINO Oh, che pena! SECONDO CITTADINO Oh, omo troppo nobbile! TERZO CITTADINO Oh, giorno de pianto! QUARTO CITTADINO Ah, traditori, assassini scellerati! PRIMO CITTADINO Ce l’hanno da pagà, ce l’hanno! Annamo, trovamoli, abbruciamoli, foco, macello! Nemmanco uno famo che n’aresti vivo! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 576 28/11/13 12.44 a ò , - l - - 1. introduzione 577 ANTONIO Romani, sentiteme, fermateve! PRIMO CITTADINO Fermateve, sentite er nobbile Antonio! SECONDO CITTADINO Sentimelo, annameje appresso, morimo pe’ lui. ANTONIO Regazzi, per carità state boni. Ricordateve che quelli ch’hanno ammazzato Cesere, sò galantommini. Io nun posso sapé che ruzzine tra di loro e er morto ce fussi; ma sò gente bona e onorata e forsi ve poteranno portà una bona raggione der córpo fatto; io nun sò un parlatore come Brutto; io sò, come lo sapete tutti, un omo semprice e a la bona che vò bene a l’amico suo der core; e ve dico quello che già sapete; io v’insegno le ferite der gran Cesere e lasso a loro come si fussino tante bocche addolorate de divve tutto quele cose che ve vorebbe dì io. Ma si io fussi Brutto, e Brutto fusse Antonio, allora ce sarebbe un Antonio che v’insorforerebbe a rivortavve, e darebbe a ognuna de le ferite de Cesere una voce adatta a smove in ribbijone infinenta li serci de le strade! Cittadini rivoluzione, rivoluzione! PRIMO CITTADINO Annam’a dà foco a la casa de Brutto. SECONDO CITTADINO Annamo a cerca li congiurati. ANTONIO Stateme a sentì un antro tantino. CITTADINI Zitti, alò. Sentimo Antonio! ANTONIO Fermateve; che volete annà a fà? Nemmanco vojantri lo sapete; fermateve; ve sete scordati der testamento de Cesere che v’ho detto... CITTADINI È vero, er testamento! Fermamese e sentimo er testamento! ANTONIO Eccolo e cor su’ bravo siggillo. Lui lassava a ‘gni Romano, a ogniduno de voi dieci scudacci a testa... TERZO CITTADINO Quant’era nobbile quer Cesere! QUARTO CITTADINO Che core da soprano! L’avemo da vennicà, l’avemo! ANTONIO Abbiate pacenzia, de stamm’a ssentì... CITTADINI Mosca, alò! ANTONIO Ortre a questo ve lassava tutti li su’ giardini, li pergolati, e tutti l’orti che tempo fa ha piantato pe’ la Regola. Cesere l’ha lassati a voi a li fiji vostri... Questo era un Cesere, questo se chiamava un Cesere! Chi ce lo troverà un antro compagno? PRIMO CITTADINO Gnisuno, gnisuno! Annamo via, via! Abbruciamo le case de li traditori! Incollamese er cadavere der morto. SECONDO CITTADINO Annamo a pija er foco. TERZO CITTADINO Servimese de li banchi der Senato. QUARTO CITTADINO Mannamo per aria tutto! Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 577 28/11/13 12.44 578 introduzione ANTONIO ( fra sé) (Era quello che voleva! Adesso naschi quer che naschi è er gusto mio!) (entra un servo) Che c’è de novo? SERVO Principale, Ottavio è arivato a Roma. ANTONIO Indove sta? SERVO A casa de Cesere assieme co’ Levido. ANTONIO Mó ce vado subbito a trovallo; ariva propio a ciccio de sellero. La furtuna ciassiste e ciajuterà. SERVO L’ho sentiti a dì che Brutto e Cassia sò scappati da Roma de fughenzia. ANTONIO Forse averanno saputo che io ho fatto sollevà er popolo. Accompagneme da Ottavio. (escono) Sipario Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 578 28/11/13 12.44 e LA SERVA SOCIALISTA Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 579 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 580 28/11/13 12.44 1. introduzione 581 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. 1 c. sciolta (mm 316x218), (da un foglio tipo protocollo recante il marchio del Ministero della Pubblica Istruzione). C. 621. Testo su due colonne. Calligrafia autografa. Abbozzo di commedia. La stessa carta reca sul verso il testo del frammento: Parlare di un socialista alla moglie (vedi). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 581 28/11/13 12.44 582 introduzione Personaggi ARDITA RIVOLTA serva 35 anni GIUSEPPE CHICA vecchio di 70 anni padre di ANNA 30 anni, moglie di VITTORIO 40 anni ADELE loro figlia, 17 anni PIERINO amante di lei 23 anni NAPOLEONE fidanzato della serva 28 anni INES GHITA serve CLORINDA AGATA Un commissario di pubblica sicurezza } Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 582 28/11/13 12.44 1. introduzione 583 ATTO I I padroni escono per andare al teatro. La serva li prega di tornare presto perché non è umano farle perdere il sonno. Il vecchio resta in casa; egli, essendo innamorato della serva, la protegge. La serva ne approfitta; lo consola con quattro carezze e lo manda a letto. Poi introduce il suo ganzo al quale dà a mangiare e bere e parla con esso di socialismo e di un prossimo comizio delle serve. Egli fuma e appuzza tutta la casa. Vengono i padroni: a quel puzzo la sgridano, la padrona la riprende severamente. Essa dice che è lei che ha fumato. A una osservazione della signora, essa alza gli occhi al cielo ed esclama: Cristo Signore, dammi la pazienza tu onde sopportare questi dolori de Cristo! La serva mette confusione in tutto il casamento e congiura con le altre serve. Una volta reca in casa una bicicletta. Cos’è questa? – Mi serve per andare a cercare le mie colleghe perché io sono la presidentessa della Lega! Dà via tutta la biancheria dei padroni per beneficienza. Intanto – ella dice – tutto questo bene che hanno l’avranno rubato certamente. Favorisce gli amori della signorina con il suo amante, un fannullone, che i genitori della signorina detestano. Tiene in casa, in assenza dei padroni, un’assemblea di serve. Il vecchio padrone, innamorato pazzo di essa, una volta che essa è stata messa alla porta dalla padrona, è risoluto di andarsene di casa. Siccome è ricco, addio eredità. Determinazione a far restare la serva in casa. Ricordare l’episodio del telegramma che arriva, e la moglie commossa ne riconosce il carattere del marito dicendo – Poveraccio c’ è ito proprio lui a scrivemme el telegramma! Ne riconosco el carattere – 30 lire al mese – La camera nun deve esse sopra gli abaini – Si devono alzare alle 8 – Il letto dev’sse a molle col uno scendiletto – Nun deve attingere acqua in fontana Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 583 28/11/13 12.44 584 introduzione – Prendere il caffè la mattina – Due giorni di uscita libera alla settimana – Una ragazza pei servizi più bassi – 15 giorni di permesso nell’estate. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 584 28/11/13 12.44 PARLARE DI UN SOCIALISTA ALLA MOGLIE [frammento] Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 585 28/11/13 12.44 586 introduzione Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare conservato nella BA. Ms 2414. 1 c. sciolta (mm 316x218) (da un foglio tipo protocollo recante il marchio del Ministero della Pubblica Istruzione). C. 621v. Testo incolonnato a destra. Calligrafia autografa. Frammento. . La stessa carta reca sul recto e parte del verso l’abbozzo di commedia: La serva socialista (vedi). Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 586 28/11/13 12.44 1. introduzione 587 [FRAMMENTO] Brutta puzzona... tu guardi l’ora, ma nun guardi, hai capito, er dovere de la donna ammojata... che tte possino ammazzatte!... Che mmanco la vergogna der decoro pubblico dell’occhio de la famija... hai capito?... che certe macchie s’averebbeno da lavà cor sapone der revòrvere... M’ha dato in testa quello che ho, capischi? potuto vedere co’ la mia vista! Io nun sò omo, capischi? de’ trascendenza perché mannaggia la M... te faccio el grugno scassinato de cazzotti... La moje corruttibile nun deve, mannaggia la M... beve antro che cor marito, capischi er dialetto, mannaggia la M... italiano? Er beve, capischi è un’azione sociale come un antra quanno se fa in dua... Er compare doppo tutto, da che ne deriva? Da un regalo chiesastico qualunque, e siccome, capischi? la chiesa io l’abbolisco, mannaggia la M... La vergogna, doppo tutto, ce la deve avé chi commette, hai capito, li furti per arubbasse l’appropriazione indebbita, mannaggia la M... dell’antri. Io come omo sociale e de monno, ciò le mie azioni mannaggia la M... abbastanza disponibbili... L’educazione la porta mannaggia la M... a ggalla! Io sò l’imperatore, er gran surtano de l’educazione sociale e ‘sta puzzona... tu me voressi confonne mannaggia la M... co’ l’interpellanze tue! Ma aricordete, che io sò un omo, capischi? che te sò a ddì dar principio del garaghé37 fino a quanno, mannaggia la Mad... viengheno li carbigneri che fanno fugge tutti... Io nun sò omo de trascendenza su le mancanze de la donna er core abbrama er fisico, mannaggia la M... mica le ciarle! E quanno un marito, capischi? se sposa ‘na donna fatte conto co’ la fronte scoperta e la tira avanti, cor sudore che je cola, mannaggia la M..., da la matina a la sera, sippuro, capischi? ha bevuto un goccetto, aricordete, nun deve abborì li sui diritti... L’omo, capischi, è stato compilato apposta pe’ bbeve er vino. Homus pulvis estere! Mannaggia la M... vordì che ssemo, capischi, de porvere. E si la porvere nu’ l’innacqui ‘gni tanto se... smalloppa tutta e bbona notte. 37 Gioco d’azzardo. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 587 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 588 28/11/13 12.44 APPENDICE Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 589 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 590 28/11/13 12.44 UN’INFORNATA AR TEATRO NAZIONALE Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 591 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 592 28/11/13 12.44 1. introduzione 593 Nota al testo Il testo è ripreso dall’esemplare a stampa (Miscell. B 373) conservato nella BA: G. Zanazzo, Un’Infornata ar Teatro Nazionale, 2. ed., Roma, Agenzia Giornalistico-Libraria E. Perino, Piazza Colonna, 355, 1883. [Sulla carta che segue il frontespizio]: Proprietà letteraria riservata. Roma, Tipografia Bodoniana. L’esemplare, in formato pieghevole, reca sull’ultima c. il timbro di possesso «Luigi Zanazzo». Un’altra stesura del testo è nel faldone della BA. Ms 2416. Un quaderno di 4cc. (mm 312x215), composto da 2 fogli tipo protocollo rigati ai margini. Cc. 142-145. Calligrafia autografa. Le varianti di questa redazione sono riportate in nota al testo che pubblichiamo, premesse da: Ms. Un’ulteriore stesura incompleta di questo poemetto è presente, sempre nello stesso faldone, con il titolo: Ar teatro Nazionale. Un piccolo quaderno legato immediatamente prima, di 3 cc. (mm 218x154) composto da mezzo foglio tipo protocollo rigato ai margini, piegato a metà, più un foglio listato a lutto (mm 210x135) incollato nella piegatura. Cc. 139-141. Il testo è incolonnato di traverso nel mezzo foglio piegato a metà; nello stesso foglio, aperto e orientato secondo il verso della rigatura, è leggibile una precedente scritta autografa: «Illustrissimo Signor Sindaco Prego la S. V. Ill. ma, a volermi annoverare nella lista elettorale di questo comune. Luigi Zanazzo, nato il 31 Gennaio 1860, abitante in Via Montanara 7». Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 593 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 594 28/11/13 12.44 1. introduzione 595 Che volete voantri pappagalli Stà a mmette pècca a li teatri antichi?!1 G. G. Belli SCENA CLVI 2 Orlando e Rosavia Siam futtuti, o regina, il campo è perso – Parli da senno, Orlando, o il ver non dici? – Mi fulmini il Fattor dell’universo. Assaliti e respinti dai nemici... Oh rabbia! (je lo dico, o mme sto zitto?) il re presso di me cascò trafitto. – Ma dunque, o giusto Ciel, dunque tu puro contro di me congiuri?! E che t’ ho fatto?! – Fuggiamo; s’ode il rullo del tamburo, e salvar non ci può ch’un fuggir ratto... – Sì: ma pria di lasciare i lari miei, muoia Sanson con tutti i Filistei! La reggina dà ‘n pugno in d’uno specchio; cala ’r telone, e bbona notte ar secchio. 1 La citazione è tratta dal sonetto Er vecchio. Questa citazione non è presente in BA. Ms 2416 (poi sempre Ms). 2 Questa indicazione di scena non è presente in Ms. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 595 28/11/13 12.44 596 introduzione – Bbravaa! – L’arivolemoo! - Bbissee! – Bbenee! – Fora! - L’anima! - Bbissee! - A Limonaro! – A Tò3, tte piace? – Ah nno! Che belle scenee! – Hai visto Orlanno sí cche bber vestiaro? – Ma lo specchio s’è rotto pe’ ddavero? – Che nu’ l’avete visto ch’era vero? – Musica sor peloso4: je la famo? – Che vve ce vò quarch’antra cacchiatella? – Ah bbirbaccioni, fermi: non menamo;5 sinnò vad’a chiamà la sentinella... Ah! senteno ch’è ddolce, ciariffanno6! Che ffigli de pu…7 che cce stanno8! La solita, regazzi; attent’al segno. – Che nnummero? – Quattordici. Ce sete? Animo, avanti, damogli de sdegno... Che bbestie! Cqui c’è un do, nu’ lo vedete?9... A Peppe, famme bbene ‘sti solfeggi; me pare, sarvognuno, che scoreggi. – Che ssonata sarebbe? – Er mme-te-levi10. – ‘Sti musichi, sò propio strappacori! – A Ggiggi11, lass’annà che ddoppo bbevi12; annam’a ttinticà li sonatori. – Eh llà, ch’er sor Naticchia ce s’arabbia. Che ‘sta notte volemo dormì ‘n gabbia? 3 N. d. A.: To, Totò, Antonio. N. d. A.: Pelosi, celebre maestro di musica che guidava i concertisti per le premiazioni, gli sposalizi e le processioni. 5 N. d. A: Ostenta di parlar civile. 6 Ms: ciariocheno. 7 Ms: puttane. 8 Ms: altra lezione per l’intero verso: Ve do una trombonata che ve scanno. 9 Questo verso non è presente in Ms. 10 Appellativo sarcastico indicante un brano musicale di nessun valore artistico o suonato talmente male da essere irriconoscibile. 11 Ms: Peppe. 12 Ms: altre due lezioni per l’intero verso: [1]a Peppe macché nun lo sapevi? [2]: Arabbieli a Pe’ bevi o nun bevi? 4 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 596 28/11/13 12.44 1. introduzione – A sor Giuvanni13, che ne dite voi? – Ah! ffre... patron Marco, è propio bbello. Pareno personaggi come nnoi! Io me sò mmesso cqua a ‘sto cantoncello, e nu’ mme ne sò perso che sia ‘n’ogna14. – Quer boja de Margutte, che ccarogna? – Fa rabbia? Si nun fussi ’n burattino, ggià sarebbe salit’in cim’ar parco a ddaje ‘na stranit’a cquer grostino15! Me ce sento un socchene, patrò Mmarco, un socché, cche... – Mó ppoi viè Farfarello... – Zittateve; sinnò nun è ppiù bbello. E ddit’ un po’, Margutte chi l’ammazza? Coso… (come se chiama?...) Malaggiggi. – Nu’ me lo dite… E, ddite, e la regazza? – Angelica? –Sì. – Pparte pe’ Ppariggi. – E Orlanno? – More ‘n guera, poveraccio16, piscianno sangue com’un sanguinaccio17. – A Pizzangrilloo! – Uh, vvarda Gammacorta! – Viettene ggiù ‘n pratea, ché discuremo. – Ciò ‘na migragna, fio, che mme straporta. – Allora nun te sforzo; se vedemo. – Quann’è finito, aspetteme de fora, ché tt‘accompagn’insino a ppiazza Sora. – Ma ddimm’ un po’, ma la riggina more? Ah, nno! puzza de cacio! a ll’urtim’atto. – Chi l’ammazza? – Margutte traditore. Allora, Orlanno, dice: Ah mmentecatto! Eh llì zin! mette mano a Ddurlindana, e succede ‘na scarica pu...18 - - - 597 13 Ms: Mucchetto. Unghia. 15 Bellimbusto, scapestrato, scavezzacollo. 16 Ms: sconsolato. 17 Ms: altra lezione per l’intero verso: Nun me lo dite. – Adesso c’ho spicciato! 18 Ms: puttana. 14 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 597 28/11/13 12.44 598 introduzione Perfidi Maganzesi, orsù, moriamo: zin, zin, zin!... – A fregnone19 te stai fermo? m’inficozzi er cappello: nu’ scherzamo. – Scusate; me pareva ch’era l’ermo de Margutte ‘r gigante musurmano. – Mbè ccerca a statte fermo co’ le mano. SICONN’ATTO Orlando e Rosavia (svenuta)20 – Piangi, o Rosavia, ché ne hai ben donde. Non potevamio avere maggior danno: pur’ io veggio le piaghe tue profonde, e, nel vederle, piango e mi ci danno! O Musulmani! o pperfida arroganza!... – Nun vedi Lei? se st’a grattà la panza. Chi parla? Chi, sì dolci accenti espone? Son io, Rosavia. – Tu? Dammi un abbraccio – Ohé nu’ j’attastam’er cornicione!21 – Finché il mio stato avrà sì forte braccio, credimi, Orlando, il riposar mi è caro... – Dammen’un sordo a mme, bbrusculinaro!22 – Siedi, o Rosavia, e asciuga omai la faccia Siediti a mme vicino... – No! – E pperché? – Cià ’n pedicell’ar culo, poveraccia. – Potevi confessarlo pria con me. E perché mai nasconderlo, o Reggina? – Già! mó ppe’ llui se mette a columbrina 23. 19 Ms: Regazzo Questa didascalia non è presente in Ms. 21 N. d. A.: Il seno. 22 Ms: altra lezione per questi due ultimi versi: Non temo questi cani rinnegati... / Potemo dormì puro ariposati. 23 Mettese a columbrina: mettersi carponi, poggiando in terra mani e ginocchia. 20 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 598 28/11/13 12.44 - 1. introduzione 599 – Quest’ è dunque la fede che mi serbi? sposar non mi vuoi più?! Giuro al demonio!...24 – Orlando, pensa ai miei dolori acerbi. Sai tu ch’effetto faccia il matrimonio? – Fa ttritticà le tavole de lletto. – Lo sapeva; e per questo non l’ ho detto: Lo sapeva, ch’eredi tu non vuoi, per lasciar la corona al re di Francia. M’abandonarmi, tu, no, non lo puoi! pensa, che perdi omai la miglior lancia, pensa... Ma, veggo il re Carlon che viene; per non farlo incagliar piantarla è bene.25 Carlone e Rosavia. – Salve, o Rosavia, sira di Maganza; mi duole del reo caso ch’ ho saputo; ma, se tu poni in me la tua fidanza, sarei il tuo marito il più... – Cornuto!... – Quanno parla, ‘sto bboccio de Carlone, par’un gatto che cciàncica ‘r pormone? – E mmosca! – E zzitti! – E state quieti, state; accidentaccio pur ‘a le crature! – E ffermi, regazzì; nun intruppate: ‘sta sera famo quattro bott’ a ccure. – Sta ffermo co’ le mano! – E cche ssò io? È stato lui; io sto p’er fatto mio. Lla, ttu che rughi tanto, fatt’avanti; te possin’ammazzatte, te sfiguro! – Chi sfiguri? vardateme garganti! A mme ccerc’a nun famme tant’er duro… 24 Ms: altra lezione per l’intero verso: Io credea d’impalmarti, ma il demonio!... Ms: altra lezione per questi due ultimi versi: Zitti, Regazzi: ecco e re fregnone / co’ l’occhiali e tre parmi de pallone. 25 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 599 28/11/13 12.44 600 introduzione – A ggiuvenotti, otto! Er gatto incaja 26 vedo l’Incarcaserci27 che scannaja.28 – Mondo birbone, unni momento risse!29 Vogliamo smette o nno, brutta ‘anaglia? – Brav’er Pidalettaroo! – Bbene! – Bbisse! – Che ssò io? – Che ssò io? Ma llei se sbaglia – Oggi, di vesti ladri, dio patata, se dura, se n’ ha ffare una retata. LA RECITA DE DOMANI Rispettabbile pubblico, domani s’ arippresenterà quella tremenna30 stragge31 di Roncisvalle dei cristiani32 , co’ la morte d’Orlando in de la tenna. − C’entra Arlecchino? – Ah no! c’entra sicuro, ce fa la parte de Morgant’ er duro. Vederete, regazzi, che ttraggedia! Sciabbolate de cqua, sleppe de llà… Cose, dico, da facce ‘na commedia. Venite, che cc’ è ppuro da magnà. − E Ppurcinella c’entra, eh sor Capanna? − No: ccentra la frescaccia che vve scanna! Nun finisce de dì ‘sta parolaccia, che j’hanno còrto ‘na torsata ’n faccia 33. 26 N. d. A.: Gergo furbesco; all’erta che viene il questurino! .N. d. A.: Il questurino. 28 N. d. A.: Osserva. 29 N. d. A.: È un toscano. 30 Ms: altre tre lezioni per questo verso: [1] si rappresenterà quella tremenda. [2] faremo ‘na traggedia più tremenda. [3] faremo ‘na traggedia la più orrenda. 31 Ms: sconfitta. 32 Ms: altra lezione per questo verso: Roncisvalle, o la stragge dei Cristiani. 33 Ms: altra lezione per questo verso: che je cojesse un torzo su la faccia. A ltra lezione per l’intero distico: Ve vedo veh! Chi l’ha tirato er torso? / Si m’accorggio [altra lezione: si vengo llà] ve fo strillà soccorso. 27 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 600 28/11/13 12.44 1. introduzione 601 − Belli gusti de c…! chi è stato? 34 − Màgnatelo pe’ ccena, patirai!35 − Io patirai? ma sò ttant’abbottato, de vino, e de magnà, che nun sia mai36 v’ariggettass’ in bocca37, fii d’un cane, ce state bbene du’ ggiornate sane 38 . 21 Febbraio 1882. 34 Ms: altre tre lezioni per questo verso: [1] Regà sto torso qua, chi l’ha tirato? [2] Che belli gusti chi me l’ha tirato? [3] Io vorebbe sapé chi l’ha tirato. 35 Ms: altra lezione per questo verso: Magnatevelo voi sor patirai. 36 Ms: altre due lezioni per questo verso: [1] tanto ripieno che, si nun siamai. [2] che m’esce per de l’occhi nu’ sia mai. 37 N.d.A.: Questo è il rinfresco solito. 38 Ms: altra lezione per questo verso: ce state bene un par de settimane (1). [N. d. A] (1) (Variante) Ce state bene du’ giornate sane. Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 601 28/11/13 12.44 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 602 28/11/13 12.44 INDICE Presentazione Marcello Teodonio 5 Che ne è del romanesco di Giggi Zanazzo? Claudio Giovanardi 11 «E ppoi dicheno che ar teatro fanno ride»: introduzione al teatro di Zanazzo Laura Biancini 21 «Er fatto succede a Roma»: il teatro di Zanazzo tra palcoscenico e memorie d’archivio Paola Paesano 47 Avvertenza 79 Li Maganzesi a Roma Pippetto ha fatto sega La Guida Monaci L’amore in Trestevere ‘Na dichiarazione d’amore pe’ la Regola Evviva la migragna! Essere o non essere Li Carbonari Fanatica pe’ llegge li romanzi Zitellona Elettori infruventi Accidenti alla prescia! Er pizzardone avvilito La famglia de la cantante La socera Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 603 83 103 161 187 197 207 231 247 267 279 329 383 393 399 445 28/11/13 12.44 Doppo el 20 settembre Giulio Cesere La serva socialista Parlare di un socialista alla moglie 493 541 579 585 Appendice Un’infornata ar Teatro Nazionale 591 Il teatro di Giggi Zanazzo_6a bozza.indd 604 28/11/13 12.44