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LAURA BALLETTO

Quel grandioso evento storico di lunga durata che fu la costituzione dell'impero genovese d'Oltremare conobbe due fasi, nettamente caratterizzate sia in senso spaziale sia in senso cronologico. La prima s'innestò sull'esplosiva vicenda delle prime crociate, che capovolsero il rapporto tra Cristianesimo ed Islam, contrapponendo al dilagare della flotta musulmana nello stesso Mar Tirreno nei secoli VII-X la controffensiva cristiana, volta alla riconquista dei Luoghi Santi, la quale seminò -è vero -morte e sgomento tra gli eredi del sultanato, ma al tempo stesso aprì nuove vie verso l'Estremo Oriente. Genovesi, Veneziani e Pisani -per citare soltanto le grandi repubbliche marinare italiane -mossero alla conquista dei nuovi promettenti mercati del Levante, entrando in collisione tra loro, per accaparrarsi le posizioni migliori.

LAURA BALLETTO NUCLEI FAMILIARI DA GENOVA A CHIO NEL QUATTROCENTO Quel grandioso evento storico di lunga durata che fu la costituzione dell’impero genovese d’Oltremare conobbe due fasi, nettamente caratterizzate sia in senso spaziale sia in senso cronologico. La prima s’innestò sull’esplosiva vicenda delle prime crociate, che capovolsero il rapporto tra Cristianesimo ed Islam, contrapponendo al dilagare della flotta musulmana nello stesso Mar Tirreno nei secoli VII-X la controffensiva cristiana, volta alla riconquista dei Luoghi Santi, la quale seminò – è vero – morte e sgomento tra gli eredi del sultanato, ma al tempo stesso aprì nuove vie verso l’Estremo Oriente. Genovesi, Veneziani e Pisani – per citare soltanto le grandi repubbliche marinare italiane – mossero alla conquista dei nuovi promettenti mercati del Levante, entrando in collisione tra loro, per accaparrarsi le posizioni migliori. I Genovesi costituirono le loro signorie personali in Terrasanta; diedero vita a colonie economiche in quel grande centro di traffici che fu l’isola di Cipro, dove ad un certo momento giungeranno a porre le mani addirittura sulla città di Famagosta; impiantarono solide basi mercantili nel regno cristiano della Pic- 78 Laura Balletto cola Armenia. Ma il duro contrasto con i concorrenti pisani e, soprattutto, veneziani ed il crollo del primo e poi del secondo regno latino di Gerusalemme – e successivamente anche della Piccola Armenia cristiana – resero via via più limitato lo spazio del Mar di Levante, accentuando l’interesse, sempre più approfondito, sul nuovo quadro che i Genovesi stessi erano riusciti ad aprire nell’Egeo e nel Mar Nero: se Venezia li aveva costretti sulla difensiva con la quarta crociata – la quale disgregò l’impero bizantino e pose il nuovo Impero Latino d’Oriente, nel 1204, alle dipendenze della Serenissima –, la controffensiva scatenata da Genova, in appoggio all’Impero bizantino di Nicea, nel 1261, restaurò l’impero greco con la dinastia dei Paleologhi. Certo, questo non era più l’antico impero di Bisanzio, ma per Genova la situazione si presentò favorevole quanto mai, anche se avviata al crollo – dopo circa due secoli – di fronte all’espansionismo ottomano, a cui Genovesi e Veneziani non seppero contrapporre – in realtà non erano in grado di farlo – un’azione militare decisa: troppo erano lontane le loro basi di partenza, soprattutto quelle genovesi, perché si potesse organizzare e sostenere un confronto armato di lunga durata. Tra la metà del secolo XIV e la metà del XV corre il periodo più propizio e fortunato per la situazione e la vicenda della Superba sia nell’area dell’Egeo sia in quella del Mar Nero. Genova costruì infatti direttamente o tramite suoi, per così dire, rappresentanti – cioè genovesi assurti a posizione di signorie personali – un sistema economico-politico, ed altresì militare, tra l’Egeo ed il Mar Nero, fondato su tre caposaldi essenziali: l’isola di Chio, nell’Egeo; lo stabilimento di Pera, di fronte a Costantinopoli, tra l’Egeo ed il Mar Nero; Caffa, in Crimea. Fu un sistema che resse ottimamente per oltre un secolo; poi si ruppe in tre pezzi, passati l’uno dopo l’altro in mano turca: prima Pera, nel 1453; poi, inevitabilmente, Caffa, nel 1475; infine Chio, nel 1566, dopo che l’isola era rimasta per quasi Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 79 un secolo l’ultima testa di ponte cristiana nell’Egeo, ridotto a lago turco. L’isola di Chio, già in signoria degli Zaccaria tra la fine del Duecento ed il 1319, con il consenso dell’Impero bizantino, e poi da questo rioccupata, allo scadere della concessa investitura, venne riconquistata da Genova con azione militare nel 1346, sotto le spoglie di una spedizione militare, compiuta da privati armatori come impresa occasionale nel corso d’una crociata cristiana contro l’Islam dell’Anatolia. E formalmente fu proprio così. Conformemente con la consuetudine genovese di costruire il sistema coloniale attraverso azioni di privati imprenditori, Chio venne affidata dalla Superba alla gestione di una Società, costituita tra gli armatori partecipi della sopraccitata spedizione navale: la cosiddetta Maona. La quale ebbe il compito di assicurarne l’amministrazione civile, la difesa militare, l’organizzazione economica e specificamente commerciale, la rete dei rapporti a breve ed a lunga distanza: dunque sia con le altre sedi genovesi nel Vicino Oriente, sia con la madre patria, sia anche con le altre “piazze” mercantili di tutto il mondo mediterraneo, anzi oltre le colonne d’Ercole sino alla Britannia. L’elemento portante di tanto sviluppo ed intreccio di traffici era rappresentato da due materie prime essenziali, ampiamente richieste dal mercato internazionale: il mastice, prodotto in Chio ed essenziale in profumeria, in artigianato, in liquoreria, in medicina; e l’allume, prodotto soprattutto nelle vicine miniere anatoliche di Focea ed accumulato nell’isola, indispensabile per la concia delle pelli e la tintura dei tessuti. Fu grande abilità della Maona l’avere saputo interessare allo sviluppo di queste due industrie ed attività di esportazione anche i nativi isolani, che si sentirono così gradualmente, per così dire, genovesizzati, anche attraverso vincoli familiari. Oltre a tutto ciò, l’isola di Chio divenne ben presto meta d’un notevole afflusso immigratorio, che vide arrivare in loco non solo gente pro- 80 Laura Balletto veniente da Genova e dalla Liguria, ma altresì da altre regioni italiane ed anche extra italiane. Si trattò di un fenomeno vistoso, che si presenta agli occhi dello storico in modo frammentario, ma non tale da non potere essere in qualche modo, più o meno sommariamente, ricostruito. Ed uno degli elementi che caratterizzò questa immigrazione – e che storicamente appare fra i più importanti ed interessanti – è rappresentato dall’afflusso nell’isola di Chio di più membri di un medesimo gruppo familiare, i quali talvolta, dopo un certo tempo, rientrarono in patria e talvolta, invece, restarono colà vita natural durante, vi defunsero e vi vennero sepolti. Gli esempi che, circa questo fenomeno, si possono trarre dalla lettura di anche soltanto una parte dei numerosissimi atti notarili pervenutici, redatti da notai genovesi e/o liguri nell’isola di Chio nel Quattrocento, sono molti e si riferiscono ai più diversi livelli della scala sociale. Uno di essi, da considerarsi a sé, riguarda la presenza nell’isola, negli anni Cinquanta del secolo, di alcuni componenti del nucleo familiare di Antonio Pallavicino, vale a dire del successore, sulla cattedra episcopale di Chio, dello zio paterno Leonardo Pallavicino. Oltre a lui erano infatti colà per lo meno la madre Clara, il fratello Nicolò ed il cognato Lodisio Spinola, i quali risultano, tutti, implicati in un interessante atto, redatto in data 20 settembre 1450 dal notaio Bernardo de Ferrariis. Ne sono attori il vescovo stesso e la madre, i quali si preoccupano di ricompensare il rispettivo fratello e figlio, Nicolò, per il lungo periodo di tempo da lui trascorso al servizio del vescovo Leonardo: cosa che egli non avrebbe fatto – essi dichiarano – se non ampiamente esortato da loro ad accettare quell’incombenza e se Leonardo stesso non gli avesse promesso un’adeguata retribuzione. Ma Leonardo era morto ab intestato, senza avergli mai pagato nulla, così che essi – pur dicendosi consapevoli che Nicolò avrebbe aumentato molto di più le sue sostanze se si fosse dedicato alla Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 81 mercatura –, a titolo di parziale remunerazione per il tempo che egli amissit, deperdidit et compromissit ad servicia dicti quondam reverendi domini Leonardi, provvedono a fargli una donazione: il vescovo, di diversi oggetti preziosi (fra i quali otto candelabri ed un bacile di Damasco) e della parte di casa a lui spettante, in Chio, nella sua veste episcopale; e Clara – la quale aveva già provveduto a donare una parte dei suoi beni all’altro figlio Francesco (dal documento non risulta esplicitamente se anch’egli si trovasse in loco) –, della casa spettantele, in Chio, iure dotium suarum, sita in contracta Episcopatus, oltre che di un altro bacile d’argento cum sua stagnaria e di diversi capi di biancheria. Nicolò, che – in vita della madre, e senza il di lei consenso, – non avrebbe potuto vendere nulla di quanto riceveva se non al fratello vescovo ed a determinate condizioni – s’impegnò, in cambio, a mantenere la madre stessa vita natural durante bene et decenter, anche in caso di malattia, secondo le sue possibilità. Molti altri esempi si possono trarre dalla vasta documentazione in nostro possesso, con notizie più o meno numerose, ma sempre interessanti e significative. Risultano preziosi – in una ricerca di questo tipo – i testamenti, perché in essi, per lo più, il testatore e/o la testatrice non mancano di fare menzione dei vari membri della propria cerchia familiare e/o dell’entourage delle persone che li circonda. Ma anche altri tipi di documenti si rivelano utili a questo proposito, permettendoci talvolta di ricostruire più o meno ampiamente le vicende di persone singole e/o di nuclei familiari che scelsero di lasciare la propria terra per proseguire altrove (nel nostro caso, nel Vicino Oriente, e più specificamente nell’isola di Chio) la propria vita. Ricordiamo, ad esempio, i fratelli Giovanni e Iacopo de Semino, la cui presenza contemporanea in Chio è documentata esplicitamente per l’anno 1460, anche se è più che probabile che la loro convivenza colà si sia protratta per un periodo di tempo molto più 82 Laura Balletto lungo. Giovanni abitò per un certo tempo in Pera, lo stabilimento genovese sul Corno d’Oro di fronte a Costantinopoli, di cui visse il difficile momento della conquista turca da parte di Maometto II nel 1453. Egli non fu però tra coloro che – come tanti altri – si allontanarono di là precipitosamente, perché ancora nel giugno del 1454 è attestata la sua presenza in Pera. Ma poi dovette decidersi per il trasferimento a Chio, dove è certa la sua presenza per lo meno dal gennaio del 1457 e dove viveva il fratello Giacomo, che lo nominò suo erede universale quando, il 20 ottobre 1460, dettò le sue ultime volontà, disponendo per la propria sepoltura nella locale chiesa di San Francesco. Giacomo aveva in Chio ben sei figli naturali, – cinque maschi ed una femmina –, al cui futuro provvide legando a ciascuno dei maschi 1.000 fiorini genovesi e lasciando invece al fratello l’incombenza di decidere quanto assegnare alla ragazza nel momento in cui ella avesse preso marito. Notizie più abbondanti, e per un numero ben maggiore di membri, abbiamo per la famiglia del genovese Antonio de Bozollo, burgense di Chio, che nel 1450 possedeva colà diversi beni immobili e che sette anni dopo risulta essere defunto. Insieme con lui – sia che egli fosse stato il primo della famiglia a trasferirsi nel Vicino Oriente, sia che avesse raggiunto colà uno o più componenti della sua cerchia familiare che lo avevano preceduto, come non di rado accadeva, – si trovavano in Chio molti suoi figli: sappiamo con certezza di Sobrana, che nel 1451 risulta essere vedova di Pietro Giustiniani de Campis; di Isolta, che nel 1456 è vedova di Melchione Iosep – senza dubbio un ebreo – e le cui due figlie femmine, Pereta e Diamante, andranno rispettivamente spose, nell’isola, a Leonardo di Pornassio e ad Anfreono Cattaneo; e di almeno cinque figli maschi – Benedetto, Francesco, Giovanni, Paolo e Pietro –, a proposito dei quali i nostri atti chioti sono ricchi di informazioni sia con riferimento alla loro vita privata sia relativamente alle loro attività di natura economica. Di alcuni di Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 83 loro possediamo anche il testamento, redatto sempre nell’isola di Chio, che quindi si può ipotizzare fosse divenuta la seconda patria dell’intero nucleo familiare, dove trovare finanche sepoltura. Pietro, ad esempio, dettando le sue ultime volontà nel 1460, prima di intraprendere un viaggio di commercio ad quasvis mondi partes Deus administraverit, dispose per la propria inumazione – in caso di morte in Chio – nella chiesa di Santa Maria, videlicet in sepoltura antecessorum; mentre per quanto riguarda Benedetto, già defunto nel 1461, ci è pervenuto il testamento della moglie Florencia del fu Marino Usodimare; e per Francesco sappiamo che nel 1470, quando egli risulta essere defunto, viveva nell’isola, dove con tutta probabilità era nato, il figlio Nicolò. Le notizie – a quanto si vede – sono molte, ed oltretutto passibili di aumento via via che si vanno allargando le ricerche nella documentazione inedita, così che per diverse famiglie sarebbe possibile cercare di ricostruire in parte alcune vicende della loro vita. Noi abbiamo voluto compiere un tentativo in questo senso per un complesso familiare non proveniente direttamente da Genova, ma che dall’entroterra piemontese era confluito in prima istanza nella Superba, e di là aveva poi intrapreso la via dell’Oltremare. E ciò perché una parte non indifferente dell’emigrazione da Genova stessa verso i suoi insediamenti nel Vicino Oriente era alimentata proprio da questi “forestieri”, di famiglia per lo più non altolocata – anzi, spesso, addirittura modesta –, che nella maggior parte dei casi andavano alla ricerca di un maggiore fortuna e che comunque furono preziosi per la Superba, la cui popolazione, da sola, non avrebbe potuto fare fronte ad un fenomeno che, necessariamente, fu di vasta portata. Essi contribuirono, infatti, a costituire quel nucleo di popolazione che le fu di valido appoggio nella conservazione del suo “impero” d’oltremare. Si tratta di un vero e proprio complesso familiare, quello dei De Elianis o De Illianis di Ovada, per il quale si fa sempre più evi- 84 Laura Balletto dente, a mano a mano che i ritrovamenti documentari vanno aumentando, l’ipotesi circa il trasferimento da Genova nel Vicino Oriente – probabilmente non contestualmente, ma in successione di tempo – di un gruppo sempre più consistente di suoi membri. I primi di essi ad intraprendere l’avventura d’oltremare sembrano essere stati – allo stato attuale delle ricerche – tre fratelli: Antonio, Giacomo e Nicolò, che tuttavia non sapremmo per ora dire se lasciarono Genova contemporaneamente oppure in periodi diversi. Comunque, la prima notizia rinvenuta fino ad oggi si riferisce a Nicolò, il quale, nell’ottobre del 1441 – quando la sua presenza è attestata nell’isola di Creta – è detto habitator Chii. Era un mersarius, ed esercitava la professione in una bottega sita nel bazar di Chio. Di lui sappiamo che nel giugno del 1449 acquistò, per 400 ducati d’oro, dodici luoghi della Compera della Maona di Chio da Vesconte Giustiniani, uno dei Maonesi; che nel successivo mese di luglio fu tra coloro che presenziarono al testamento di Paolo Giustiniani olim de Campis del fu Battista; che nel gennaio del 1450 provvide a pagare in parte la dote della nipote Catoihia, figlia del suo defunto fratello Giacomo de Illianis di Ovada; che il successivo 1° agosto fu uno dei testimoni alla sentenza arbitrale pronunciata da Cristoforo Giustiniani del fu Domenico in questione vertente fra Antonio e Bastiano Pesce; e che nel maggio del 1456, ancora in veste di testimone, presenziò all’espressione delle ultime volontà della domina Bianchina, vedova di Raffaele Giustiniani de Furneto. Il nome di Giacomo de Illianis di Ovada lo abbiamo reperito per ora soltanto nel citato documento dotale della figlia Catoihia, redatto in Chio dal notaio Tommaso di Recco il 31 gennaio 1450, dal quale risulta che egli era allora defunto. E’ però evidente, dato il tipo di notizia, che Giacomo doveva essersi trasferito a Chio da un certo numero di anni, e per di più insieme con la sua famiglia, dal momento che la figlia Catoihia è detta in quella data, nell’isola, uxor iam transducta del peliparius Antonio Qualioto, qualificato come Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 85 burgense chiota ed al quale ella ha portato in dote un totale di 300 ducati d’oro di Chio, pagati in parte – come si è detto – dallo zio paterno Nicolò (per un importo di 132 ducati, 3 gigliati ed un quarto) e per il resto da un altro membro del nucleo familiare: l’amita Agnexia, vedova di Simone di Imola. Tornando a Nicolò, possediamo il suo testamento, che egli dettò, in data 14 agosto 1456, dalla caminata della sua casa sita nella civitas chiota, dove giaceva ammalato. Indicò nella chiesa di San Francesco di Chio il luogo della propria sepoltura e delegò ai suoi fedecommissari l’entità delle spese che avrebbero dovuto essere destinate alle sue esequie ed alla sepoltura medesima. Dispose una serie di legati: 2 ducati per la cappella dei Disciplinati; 400 ducati per le nozze di ciascuna delle sue tre figlie – Antonina, Brigida e Pellegrina –, da versarsi al momento del matrimonio, con la specificazione che esse avevano diritto ad essere educate e nutrite con i suoi beni fino al momento del matrimonio medesimo; 400 ducati, corrispondenti all’ammontare della dote, per la moglie Luchineta, la quale si trovava anch’essa in Chio e sarebbe stata dona et domina ac gauditrix et uzufructuarix di tutti i beni del marito stante et habitante in habito viduali et non aliter. Destinò il decenum dei legati all’Opus Portus et Moduli di Genova, secondo gli ordinamenti statutari della Superba, e nominò eredi universali – sia dei beni mobili ed immobili sia di tutti i diritti spettantigli – i suoi tre figli maschi – Battista, Francesco e Gregorio –, in parti uguali. Nicolò elencò poi una serie di debiti e crediti che risultavano essere ancora in sospeso e che si sarebbe dovuto quindi provvedere a regolare. Fra l’altro, doveva dare: 11 perperi e 12 carati a Battista Narixano pro comerchio tabularum; 13 ducati e mezzo al nipote Adornino di Ovada, figlio dell’altro suo fratello Antonio; 40 ducati di Chio al medicus doctor Giovanni de Itro, che evidentemente lo stava curando; e doveva avere: 21 fiorini dalla canzelaria Chii; 8 ducati – salvo iure carculi – da Gabriele Narixano per un’assicura- 86 Laura Balletto zione; 3 perperi e 2 carati da Battista Longo, secondo quanto era annotato nel suo libro di conti per mano dello stesso Battista; quanto risultava dal proprio medesimo libro di conti da Gregorio Giustiniani e da Andrea di Napoli; 70 perperi dal sopracitato nipote Adornino di Ovada per certo sale inviato a Pera. Egli dichiarò inoltre che la domus de solario, sita in baxale, di cui egli deteneva l’instrumentum di proprietà, apparteneva in realtà per il 50% a Pietro de Castiliono – e che pertanto era di spettanza di quest’ultimo la metà del canone di affitto –, e che il sale, che si trovava nel proprio magazzino, gli spettava soltanto per un terzo, essendo gli altri due terzi di proprietà del sopraccitato Pietro de Castiliono e di Nicolò di Travi. Per la sistemazione di tutte le pendenze e la messa in esecuzione del testamento nominò suoi fedecommissari ed esecutori testamentari Pietro de Castiliono (che era quindi, evidentemente, oltre che un socio negli affari, anche una persona di fiducia) e Raffaele di Asti. Ci è ignoto il giorno preciso della sua morte: da collocarsi comunque certamente in una data compresa fra il 14 agosto 1456 (data della redazione del testamento) ed il 3 gennaio 1460, quando suo figlio Battista – che risulta qualificato in tale data come burgense di Chio –, dichiarando di essere figlio del defunto Nicolò, di avere più di diciotto e meno di venticinque anni di età e di essere in grado di gestire in proprio i suoi affari sine adminiculo curatoris, richiese al vicario del podestà di Chio la concessione della venia etatis sulla base degli statuti di Genova. Ottenutala, dopo che il vicario aveva espletato tutte le pratiche previste dalla procedura – che si basavano principalmente su un certo numero di testimonianze e sull’esame dell’aspectus corporis del richiedente –, il nostro Battista, il 24 novembre successivo, nella sua qualità di erede testamentario del padre ed agendo in solidum mediantibus personis condam Francisci et Gregorii – i suoi due fratelli, anch’essi eredi testamentari del padre (non si comprende però qui se soltanto Francesco fosse nel frattempo defunto, o fossero defunti entrambi i fratelli) –, si Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 87 riconobbe debitore verso la sorella Antonina per la somma di 400 ducati d’oro di Chio, legatale dal padre, e per la somma di 150 ducati sulla dote della loro madre, secondo le indicazioni contenute nel testamento della medesima in data 3 luglio 1458. Sulla base delle disposizioni testamentarie del padre – e forse anche di quelle della madre, il cui testamento tuttavia non abbiamo reperito –, ma non facendo esplicito riferimento ad un imminente matrimonio, come invece risulta chiaramente dal medesimo testamento paterno, Battista s’impegnò ad effettuare il versamento della somma alla sorella in qualsiasi momento ella gliene facesse esplicita richiesta, dandole in pegno, per il momento, la domus magna del loro padre, sita in castro Chii. Nel documento si contiene una precisazione interessante, che in parte è in perfetta sintonia con quanto disposto dal padre ed in parte vi contravviene: se Antonina avesse continuato ad abitare con il fratello, quest’ultimo non avrebbe potuto pretendere nulla da lei pro scotis et aliis expensis finché egli non le avesse pagato il dovuto; da quel momento in poi, invece, Antonina avrebbe dovuto provvedere al proprio mantenimento, pur avendo la possibilità di continuare a vivere con il fratello. Dunque anche Luchineta, la moglie di Nicolò, risulta essere defunta nel novembre del 1460, avendo provveduto a fare testamento in data 3 luglio 1458. E dal medesimo documento sopracitato del 24 novembre 1460 si sa che era morto anche uno dei figli maschi (Francesco), se addirittura non erano morti entrambi. Comunque, tutta la famiglia di Nicolò doveva essersi trasferita a Chio, forse contemporaneamente a Nicolò medesimo o forse, come sembra più probabile, dopo che Nicolò aveva trovato nel Vicino Oriente una sistemazione tale da consentirgli di mantenere la propria famiglia. La quale dovette comunque conseguire un buon tenore di vita, a giudicare dai legati non indifferenti che Nicolò lasciò alle sue figlie per il loro matrimonio e dai vari beni immobili che risultano essere di sua proprietà: almeno la domus magna in castro Chii, che suo figlio Batti- 88 Laura Balletto sta diede in pegno alla sorella Antonina il 24 novembre 1460; la casa dove egli era vissuto – che forse è la medesima dove Battista viveva nel 1460 –, ubicata in civitate Chii; il 50% della casa che egli, come risulta dal testamento, possedeva in comproprietà con Pietro de Castiliono; il magazzino in cui si trovava custodito il sale, che nel testamento medesimo è detto essere destinato a Pera. Dobbiamo ricordare che quanto Battista fece nei confronti della sorella Antonina, egli medesimo ed i fratelli – o chi di essi fosse in vita – avrebbero dovuto fare nei confronti delle altre due sorelle; ma per ora non ci è stato dato di reperire i relativi documenti, se essi si conservano ancora tra gli atti pervenutici, e se Brigida e Pellegrina effettivamente sopravvissero al padre e si maritarono. D’altra parte, non è escluso che, continuando nelle ricerche fra gli atti redatti a Chio che si conservano ancora inediti, si possa riuscire a sapere qualcosa di più circa i figli di Nicolò de Elianis o de Illianis di Ovada, se essi seguitarono a vivere nell’isola e non decisero invece, ad un certo momento, di rientrare in patria. Va infatti tenuto presente che i tempi erano cambiati, dopo la conquista turca di Costantinopoli e la resa di Pera. Ciò non toglie, tuttavia, che molti genovesi e naturalizzati genovesi continuassero a vivere e ad operare nel Vicino Oriente, soprattutto nell’isola di Chio, che per molti era ormai divenuta una seconda patria. *** Dal testamento di Nicolò si evince che egli – come quasi tutti i Genovesi trasferitisi nel Vicino Oriente – si era dedicato attivamente ad affari commerciali, provvedendo anche a tenere, in proposito, un libro di conti. Ebbe senza dubbio rapporti con altri stabilimenti genovesi, soprattutto – a quanto si sa con certezza – con Pera, benché ormai l’ex-stabilimento genovese fosse già passato da tempo nell’area di dominazione turca. Intrecciò rapporti di affari con altri genovesi e/o liguri e con il nipote Adornino di Ovada, figlio Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 89 dell’altro suo fratello Antonio. Il quale ultimo – che era uno speciarius e della cui presenza in Chio siamo informati almeno a partire dall’aprile del 1450 –, doveva anch’egli avere raggiunto Chio in epoca precedente, e probabilmente insieme con la famiglia (a meno che – come già abbiamo ipotizzato per Nicolò – la famiglia non lo avesse raggiunto in un secondo tempo), dal momento che è nell’isola che il 9 aprile 1450 venne stipulato il contratto dotale tra sua figlia Andreola (che tuttavia non presenziò all’atto) e Bartolomeo de Insula del fu Giorgio, dal quale apprendiamo che la dote ammontò a 500 ducati d’oro di Chio (200 in una casa in castro Chii – nella quale Antonio abitava – e 300 in oro, perle, rauba e denaro contante) e l’antefatto a 100 lire di genovini. Questa, relativa al matrimonio della figlia, rappresenta la prima testimonianza circa la presenza di Antonio nel Vicino Oriente, e più specificamente nell’isola di Chio. La notizia successiva risale a circa tre anni dopo – e cioè al 16 marzo 1453 –, quando Maometto II stava completando la mobilitazione dell’esercito contro la capitale dell’Impero bizantino, prima di iniziare il vero e proprio assedio dalla parte di terra, entrare nel Bosforo con la flotta e dare inizio ai bombardamenti contro le mura. E’ in questo clima che si colloca la presenza di Antonio in Pera, lo stabilimento genovese sul Corno d’Oro, dove si viveva giorno per giorno il dramma di Costantinopoli e dove il Nostro si rese garante per il figlio Adornino – una delle parti contraenti nell’atto di cui stiamo discorrendo – nei confronti del genovese Lorenzo Spinola del fu Damiano, al quale Adornino doveva pagare la somma di 594 perperi e 10 carati per una partita di cera ed altre pendenze. Insieme con Antonio fece da garante per Adornino anche l’altro figlio di Antonio, Cosma, del quale sappiamo che si trovava a Pera anche il precedente 24 gennaio. Poiché Antonio, come si è visto, viveva in realtà già da tempo nell’isola di Chio, è probabile che la sua presenza in Pera nel marzo del 1453 sia da considerarsi temporanea, mentre la situazione non 90 Laura Balletto stava forse negli stessi termini per i suoi figli Adornino e Cosma. Cosma – lo si è visto – era a Pera anche il precedente 24 gennaio, e Adornino sarà definito – in un successivo documento chiota del 1457 – olim burgensis Pere, nunc habitator Chii. D’altra parte, accadeva abbastanza di frequente – ed anzi era normale – che membri di una medesima famiglia si stabilissero ed operassero in “piazze” commerciali differenti. Comunque stiano le cose, è ad ogni modo ipotizzabile che Adornino abbia lasciato Pera prima del 29 maggio 1453 – cioè prima della conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II e della quasi contemporanea resa di Pera –, perché già il 18 giugno di quel medesimo anno egli risulta essere in piena attività lavorativa in Chio, in una bottega di proprietà di Giovanni Bartolomeo de Podio, al quale apparteneva anche la casa dove Adornino abitava. Adornino, che professionalmente era anch’egli uno speciarius, fu molto attivo: implicato in diverse transazioni finanziarie ed in contratti di compravendita, operò e lavorò spesso in società con un collega: Bartolomeo di Ancona. Proprio a questa società si riferisce il maggior numero dei documenti che lo riguardano, per lo più posteriori alla morte di Bartolomeo. Essi trattano soprattutto della vertenza giudiziaria tra gli esecutori testamentari di Bartolomeo medesimo ed il nostro Adornino, per risolvere la quale le parti si affidarono, il 30 ottobre del 1459, al giudizio di tre arbitri. La controversia conobbe diverse vicende, e si concluse con una transazione soltanto il 24 maggio 1460, quando anche Adornino era ormai defunto. La sua morte non doveva comunque essere avvenuta molto tempo prima, perché egli era ancora in vita il 23 marzo 1460, quando – trovandosi in cattive condizioni di salute –, aveva fatto testamento, chiedendo di essere inumato nella chiesa di San Francesco di Chio, prope sepulturam dello zio Nicolò, mentre il successivo 5 maggio troviamo già in attività due dei quattro fedecommissari che Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 91 egli aveva designato nel suo testamento perché si occupassero dei suoi affari in civitate Chii et istis partibus orientalibus. Dal testamento apprendiamo che egli aveva contratto una societas anche con certo Giovanni de Messana o Mesana – uno dei suoi fedecommissari e forse un oriundo siciliano –, che aveva tenuto un “manuale”, nel quale aveva registrato debiti e crediti, e che alcune operazioni erano state riportate anche in un altro suo manualetum, oltre che in un “manuale” tenuto dal socio Bartolomeo di Ancona. Sappiamo inoltre che era sposato con Smeralda, figlia del defunto Pietro di Lavagna, ed era padre di una femmina e tre maschi, fra legittimi e naturali; però la famiglia non era con lui in Chio, tanto è vero che nominò la moglie ed un consanguineo suoi esecutori testamentari in Genova et partibus illis Occidentis, oltre che tutori e curatori dei figli. Nel testamento dispose altresì che alla figlia femmina, Perfetta, fosse destinata, ad suum maritare, una somma imprecisata, il cui importo sarebbe stato deciso al momento opportuno dalla moglie, la quale invece doveva ricevere i 1.800 perperi al saggio di Pera che risultavano dal publicum instrumentum dotale. Nominò eredi universali i tre figli maschi, senza alcuna disparità di trattamento tra i legittimi ed i naturali, e destinò alcuni legati pro anima a chiese ed istituzioni religiose chiote, senza ricordare invece nessuna istituzione religiosa e/o assistenziale genovese e/o della terra d’origine. Il fatto che nel testamento l’ammontare della dote della moglie sia espresso in perperi al saggio di Pera ci induce a pensare che lo strumento dotale possa essere stato redatto in Pera e che Adornino, almeno per un certo tempo, possa avere avuto con sé la moglie ed i figli colà, dove anzi forse qualcuno di loro potrebbe essere nato. Tutte le incertezze derivano dal fatto che lo strumento dotale spesso non veniva redatto in occasione delle nozze, ma in epoca successiva, talvolta addirittura prima che i coniugi – od uno di loro – facessero testamento. Comunque, anche se così era stato, evidentemente 92 Laura Balletto Adornino aveva preferito che la famiglia rientrasse in patria, dal momento che la situazione nel Vicino Oriente non poteva più assolutamente considerarsi sicura: e ciò potrebbe essere avvenuto direttamente da Pera, prima che la situazione precipitasse, o dall’isola di Chio, dopo il loro trasferimento colà. *** Anche Cosma, il fratello di Adornino, conduceva in Chio una bottega di speziale, che era ubicata in summitate bassalis, in angulo, e che, da un documento del 7 gennaio 1454, sembra che fosse stata aperta da non molto tempo. Forse quindi Cosma aveva lasciato Pera dopo Adornino, temendo la confisca dei beni che Maometto aveva decretato per coloro che non restassero a Pera o non vi rientrassero – se se ne erano allontanati – entro un determinato lasso di tempo. Comunque, si era poi deciso per il trasferimento a Chio, avendo però egli forse con sé la moglie Caterina, figlia del defunto Raffaele Cassine, la cui dote di 1.000 perperi d’argento risulta versata nell’isola il 5 febbraio 1454 da Tommaso Spinola del fu Gaspare. Anche in questo caso, tuttavia, non possiamo avere la certezza assoluta, perché Caterina non presenziò alla redazione dello strumento dotale: potremmo quindi trovarci pure qui di fronte ad un documento redatto in epoca molto posteriore alle nozze. Comunque, questo medesimo strumento mostra i vincoli d’affari che legavano Cosma al fratello Adornino, dal momento che l’ammontare della dote risulta diviso in due quote: 825 perperi, versati da Tommaso Spinola sul proprio banco, e 175, con i quali Tommaso dichiarò di considerare in parte compensato un suo credito di 500 perperi nei confronti di Adornino, fratello di Cosma. Il quale Cosma anche in questa occasione si rese garante per il fratello Adornino, che anzi quattro giorni dopo, il 9 febbraio 1454, lo nominò suo procuratore per la cura di tutti i suoi interessi, compresi quelli in Pera e Costantinopoli, dove Nuclei familiari da Genova a Chio nel Quattrocento 93 evidentemente erano rimaste delle pendenze e/o dove Adornino – ed anche Cosma – continuavano ad operare dopo il trasferimento a Chio. Il giro di affari – abbastanza complesso, a quanto si può arguire – ci lascia intravvedere come forse i nostri personaggi si trovarono a dovere affrontare difficoltà e problemi che certamente erano in parte connessi all’evolversi degli avvenimenti che, loro malgrado, si trovarono a vivere in prima persona. Comunque, le notizie di cui siamo in possesso dimostrano chiaramente come i vari componenti del complesso familiare fossero stati e fossero profondamente legati fra loro ed avessero costituito un vero e proprio clan che, nonostante tutto, continuava ad operare nel Vicino Oriente, e soprattutto a Chio, dove risulta ormai attestata la loro residenza dopo che Costantinopoli era stata conquistata da Maometto II. Stando ai dati in nostro possesso, sembra che a raggiungere la migliore posizione dal punto di vista economico sia stata la famiglia di Nicolò, per la quale sappiamo – come si è visto – che almeno due dei figli (Battista e la sorella Antonina) si trovavano a Chio dopo la morte dei genitori, degli zii Antonio e Giacomo ed anche del cugino Adornino, mentre non abbiamo rinvenuto per ora nessun’altra notizia sugli altri due figli di Antonio – Andreola e Cosma – e su Catoihia, la figlia di Giacomo. Sarebbe interessante sapere qualcosa di più soprattutto di Battista e di Antonina. Continuarono a vivere a Chio o ad un certo momento rientrarono in patria? Ci auguriamo di trovare prima o poi una risposta tra i molti documenti che ancora restano da esaminare. Si tratta nel complesso, è vero, di vicende di vita comune, le quali però acquistano una loro valenza significativa soprattutto se si ricollegano al periodo storico al quale si riferiscono, un periodo ricco di avvenimenti che cambiarono completamente il panorama degli stabilimenti coloniali occidentali nel Levante. 94 Laura Balletto FONTI E BIBLIOGRAFIA Per la documentazione inedita, cfr. ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai Antichi, filze 764 e 765, notaio Bernardo de Ferrariis, e filze 847 e 848, notaio Tommaso di Recco. Cfr. inoltre Ph. P. ARGENTI, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the island (1346-1566), Cambridge, 1958; G. PISTARINO, Chio dei Genovesi, in “Studi Medievali”, 3a serie, X, fasc. I, 1969, pp. 3-68; M. BALARD, La Romanie Génoise (XIIe - début du XVe siècle), Genova-Roma, 1978; A. ROCCATAGLIATA, Notai Genovesi in Oltremare. Atti rogati a Pera e Mitilene, tomo I, Pera, 1408-1490, Collana Storica di Fonti e Studi diretta da Geo Pistarino (C.S.F.S.), 34.1, Genova, 1982; EAD., Notai Genovesi in Oltremare. Atti rogati a Chio (1453-1454, 1470-1471), C.S.F.S., 35, Genova, 1982; G. PISTARINO, I Gin dell’Oltremare, Civico Istituto Colombiano, Studi e Testi - Serie Storica (S.T.), 11, Genova, 1988; ID., Genovesi d’Oriente, S.T., 14, Genova, 1990; ID., I Signori del mare, S.T., 15, Genova, 1992; L. BALLETTO, Piemontesi del Quattrocento nel Vicino Oriente, Biblioteca della Società di Storia Arte Archeologia per le Province di Alessandria e Asti (B.S.S.A.A.), 26, Alessandria, 1992; G. PISTARINO, La capitale del Mediterraneo: Genova nel medioevo, Collana Storica di Fonti e Studi Italo-Ellenica, Serie Studi, 1, Genova, 1993, e Collana Storica dell’Oltremare Ligure, VI, Bordighera, 1993; L. 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