Books by Gabriele Zuppa
Recensione a G. ZUPPA, "Fondazione dell'anima e della democrazia nella loro legislazione universa... more Recensione a G. ZUPPA, "Fondazione dell'anima e della democrazia nella loro legislazione universale", Limina Mentis, Villasanta, 2014, pp. 106, di Antonio Lombardi, in "Libro Aperto", Rivista fondata da Giovanni Malagodi, XXXV (XX), n. 2/2014, pp. 158-159.
L’ultimo libro di Gabriele Zuppa Fondazione dell’anima e della democrazia nella loro legislazione universale (Limina Mentis, Monza (MB), 2014) non nasconde, sin dal titolo, la propria ambizione, che è a un tempo chiarificatrice e programmatica. Chiarificatrice perché la pretesa è quella, non da poco (e non a caso si è utilizzato il termine “ambizione”), di conferire – finalmente, verrebbe da dire – un significato concreto a quei «concetti riconosciuti e accettati da tutti» che tuttavia oggi, nei discorsi del politicante di turno o sulla bocca dell’ignaro cittadino che tenta, il più delle volte invano, di rappresentarsi un quadro della condizione socio-politica in cui versa, sanno più di parole di circostanza – paiono cioè più simili a irrinunciabili forme di cortesia da usarsi nei confronti dell’interlocutore o dell’auditorio – che a vocaboli scolpiti nell’esperienza storica, etica e culturale che vorrebbero e dovrebbero denotare: “libertà”, “democrazia”, “uguaglianza”, “diritto” … a cosa ci riferiamo quando ci serviamo di questi termini? Nella risposta a questo interrogativo è già contenuto il profilo programmatico cui alludevamo, che è soprattutto un auspicio derivante dall’idea antica per cui alla chiarezza del concetto segua per forza di cose il giusto orientamento all’azione: «La presunta soggettività dei valori e il diffuso relativismo sono risultato di una secolare miopia teoretica della filosofia, che oggi è divenuta definitiva cecità. Prossimi alla disperazione in questa congiuntura storica disfatta da un laissez-faire abominevole, da un’ignoranza che diviene ora cinismo ora burocrazia – v’è però da sperare che proprio a cagione di questo nero buio, che in quest’oscurità gli occhi possano incominciare a ritrovare un filo di luce, come un’ultima estrema esigenza – possano ritornare a vedere come mai prima».
Il conferimento a quei concetti vuoti, su cui a malapena la società occidentale contemporanea prova a sorreggersi, di un contenuto semantico che sappia suscitare in chi li legge o in chi li sente nominare quel fremito e quella devozione che s’avvertono, ad esempio (e, purtroppo, non come avveniva un tempo), al cospetto del nome degli eroi, dei patrioti, dei martiri, deve passare proprio per la presa di coscienza che essi, quei concetti, non hanno avuto che un fondamento individualistico e, dunque, non universale sin dai tempi in cui furono formulati e teorizzati. L’universale che la tradizione filosofica, politica e giuridica moderna ha provato a pensare dopo la crisi della teologia medievale non è riuscito se non a fondare se stesso su di un’astratta ipostatizzazione dell’individuo: da Hobbes a Rousseau e da questi a Rawls, il tentativo pare essere stato sempre il medesimo: quello di pensare il diritto e lo Stato come il risultato di un patto stipulato soltanto perché l’individuo si scopriva troppo debole per riuscire, da solo, a imporre agli altri la propria volontà; la quale considerata in se stessa e non in relazione alla forza di colui che ha intenzione di realizzarla avrebbe pari valore rispetto a qualsiasi altra. Insomma, la nascita del diritto e del contratto sociale non è stata altro che una trovata: un rimedio escogitato per andare avanti nonostante l’estrema fragilità dell’individuo. Così, diviene chiaro perché il primo passo compiuto da Zuppa sia quello della genealogia: per scoprire l’autentico significato di tutte le categorie che oggi risuonano ovunque senza però far vibrare nessuna corda interiore, bisogna capire cosa sia andato storto. E ad andare storto è stato proprio l’assunto di partenza: l’illusione che la volontà del singolo possa valere solo per il singolo e che dunque, sotto il profilo del contenuto, essa abbia pari dignità rispetto alle altre. Cosa succederebbe, invece, se ci avvedessimo davvero del fatto che ogni nostra scelta non è affatto isolata rispetto alle altre, ma si ripercuota inesorabilmente sull’universo intero? Allora la differenza tra la mia volontà e quella dell’altro diverrebbe evidente: la migliore volontà sarebbe quella che, se realizzata, meglio contribuirebbe a migliorare il mondo: «I valori sono bensì sempre miei, come si è soliti dire, ma non nel senso del soggettivismo odierno, che è il misconoscimento di una qualsivoglia universalità, nel senso invece per cui ogni mia azione sul mondo non ha come fine il mondo stesso, qualcosa di a me esterno, ma sempre qualcosa che mi appartiene come mio valore. Il gemito di dolore che non voglio udire è bensì il gemito di qualcun altro, ma commuove la mia persona, quella parte di me che vuole o non vuole quel lamento. La presenza è bensì del dolore dell'Altro, ma (anche) come mio dolore. Il dolore dell'Altro è il mio dolore, quella parte di me che lo riconosce come tale e che si commuove per negarlo.»
Il programma è così già stilato: bisogna che l’uomo riscopra questa dimensione essenziale della sua vita e di quella dei suoi simili, sebbene sia manifesto che non si tratti di un compito facile, come già Nietzsche riassumeva efficacemente in questo toccante aforisma: «Fin dove arriva il nostro sistema nervoso, noi ci difendiamo dal dolore: se esso giungesse oltre, cioè fin nei nostri simili, non faremmo male a nessuno» (Umano, troppo umano, I, 104), ma già l’averlo tutti presente sarebbe una sensazionale conquista!
E allora si rendono necessarie una Ontologia politica dell’azione e una Logica dell’anima, che Zuppa redige con maestria per mostrare in che modo l’Io e l’Altro siano, nel concreto, indissolubilmente legati e come il loro (apparente) entrare in contraddizione costituisca la fonte di ogni nostro malessere: nella buona sintesi tra noi e il mondo si nasconde il “segreto” della felicità! Sotto il segno di questa unità originaria (e, quindi, mai occultantesi, ma solo passibile di misconoscimento) i diritti universali, il dovere, il Bene, l’uguaglianza, la sovranità, la giustizia troveranno l’egida di un significato granitico, perché affiorante dal processo storico attraverso cui la nostra vita, in perenne dialogo con quella di ciascun altro, si realizza e acquista il suo senso.
Come ben sintetizza Ernesto Paolozzi, autore del prezioso Manifesto che apre l’opera: «Nella vita del pensiero come in quello della prassi l’universale e il particolare, la soggettività e l’oggettività vivono solo se considerati nella loro necessaria unità-distinzione. La stessa differenza fra teoria e prassi, fra pensiero e azione è pensabile solo in quel nesso fondamentale costituito dalla differenza (se non ci fosse differenza non ci sarebbe il problema), la quale è anche opposizione: ma rimarrebbe tale se si pensasse in modo unilaterale e separata. In questo senso il movimento dialettico, il processo dialettico motiva il giudizio: è ciò che mette in moto il pensiero.» Quando saremo in grado di avvedercene, ci ritroveremo, come chiosa Zuppa nella Prefazione, «su un fondo solido e duro».
Un libro (in realtà, molto più che un libro) in cui immergersi a capofitto: la messa nero su bianco di una consapevolezza maturata, meditata, interiorizzata. Una consapevolezza che mai dovrebbe abbandonarci: quella di abitare, tutti, dal politico all'anacoreta, nella medesima dimora e, dunque, di essere già da sempre coinvolti nella sfida che tale convivenza impone e che tale convivenza permette di migliorare, se intendiamo anzitutto migliorare noi stessi. Non un saggio, non un semplice trattato, ma un imprescindibile punto di partenza, perché imprescindibilmente collocato nell'"epoca immensa" che appartiene tanto a noi uomini del terzo millennio quanto agli individui che per primi popolarono il pianeta.
MB). Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata... more MB). Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo -elettronico, meccanico, digitale -se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore.
Papers by Gabriele Zuppa
Andrea Muni (ed.), Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, vol. II, Limina Mentis, Villasanta (MB), 2014, pp. 35-54., 2014
Schegge di filosofia moderna II, a cura di Ivan Pozzoni, deComporre Edizioni, Gaeta (LT), 2014, pp. 131-158., 2014
Nicolás Gómez Dávila: 1913-1994, «Libélula Libros» (Manizales), XXII, 63, luglio 2013, pp. 11-12., Jul 2013
Postfazione a Nicolás Gómez Dávila, "Alle origini del mondo. Intorno al sacro e alla trascendenza", tr. it. a cura di A. Lombardi, Limina Mentis, Villasanta (MB) 2013, pp. 75-82, 2013
Frammenti di cultura del Novecento, a cura di I. Pozzoni, Gilgamesh Edizioni, Asola (MN), pp. 287-315, 2013
Un saggio che, attraverso l'analisi di alcuni concetti fondamentali, mostra l'importanza e la sig... more Un saggio che, attraverso l'analisi di alcuni concetti fondamentali, mostra l'importanza e la significatività dell'opera di Gómez Dávila per il pensiero Occidentale.
«L'arrivista. Quaderni Democratici», Anno I, Numero 1, Limina Mentis, Villasanta (MB), pp. 73-92, 2011
Annuario della filosofia italiana. L'ultima generazione, a cura di G. Panno e M. Quaranta, Edizioni Sapere, Padova, pp. 78-102, 2010
Benedetto Croce. Teoria e Orizzonti, Limina Mentis, Villasanta (MB), pp. 33-68, 2010
l silenzio degli angeli. Il ritirarsi di Dio nella mistica medievale e nelle sue riscritture moderne, a cura di G. Panno, Unipress, Padova, pp. 3-37, 2008
Questo saggio intende mostrare il rapporto che sussiste tra verità e metodo, ovvero tra una conos... more Questo saggio intende mostrare il rapporto che sussiste tra verità e metodo, ovvero tra una conoscenza e il suo grado di scientificità. È infatti errore diffuso ritenere che la scientificità di un enunciato dipenda dal metodo impiegato per ottenerla, mentre è invece la verità – che si impone all’interno di una concezione filosofica del mondo – a determinare il metodo (scientifico) per procedere nelle indagini ulteriori. Ne segue che, se non è il metodo scientifico il discrimine teoretico a determinare la svolta dello sviluppo scientifico degli ultimi secoli, essa dovrà essere ricercata altrove, segnatamente – questa è la tesi che viene qui sostenuta – nella cultura dell’Europa islamica che, nella figura di Averroè, porterà il contributo decisivo sulla questione del rapporto tra fede e ragione.
Conference Organizations by Gabriele Zuppa
Convegno internazionale nel centenario della nascita
Talks by Gabriele Zuppa
Editorial Direction by Gabriele Zuppa
Limina Mentis, Collana AM, 2013
Limina Mentis, Collana AM, 2012
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Books by Gabriele Zuppa
L’ultimo libro di Gabriele Zuppa Fondazione dell’anima e della democrazia nella loro legislazione universale (Limina Mentis, Monza (MB), 2014) non nasconde, sin dal titolo, la propria ambizione, che è a un tempo chiarificatrice e programmatica. Chiarificatrice perché la pretesa è quella, non da poco (e non a caso si è utilizzato il termine “ambizione”), di conferire – finalmente, verrebbe da dire – un significato concreto a quei «concetti riconosciuti e accettati da tutti» che tuttavia oggi, nei discorsi del politicante di turno o sulla bocca dell’ignaro cittadino che tenta, il più delle volte invano, di rappresentarsi un quadro della condizione socio-politica in cui versa, sanno più di parole di circostanza – paiono cioè più simili a irrinunciabili forme di cortesia da usarsi nei confronti dell’interlocutore o dell’auditorio – che a vocaboli scolpiti nell’esperienza storica, etica e culturale che vorrebbero e dovrebbero denotare: “libertà”, “democrazia”, “uguaglianza”, “diritto” … a cosa ci riferiamo quando ci serviamo di questi termini? Nella risposta a questo interrogativo è già contenuto il profilo programmatico cui alludevamo, che è soprattutto un auspicio derivante dall’idea antica per cui alla chiarezza del concetto segua per forza di cose il giusto orientamento all’azione: «La presunta soggettività dei valori e il diffuso relativismo sono risultato di una secolare miopia teoretica della filosofia, che oggi è divenuta definitiva cecità. Prossimi alla disperazione in questa congiuntura storica disfatta da un laissez-faire abominevole, da un’ignoranza che diviene ora cinismo ora burocrazia – v’è però da sperare che proprio a cagione di questo nero buio, che in quest’oscurità gli occhi possano incominciare a ritrovare un filo di luce, come un’ultima estrema esigenza – possano ritornare a vedere come mai prima».
Il conferimento a quei concetti vuoti, su cui a malapena la società occidentale contemporanea prova a sorreggersi, di un contenuto semantico che sappia suscitare in chi li legge o in chi li sente nominare quel fremito e quella devozione che s’avvertono, ad esempio (e, purtroppo, non come avveniva un tempo), al cospetto del nome degli eroi, dei patrioti, dei martiri, deve passare proprio per la presa di coscienza che essi, quei concetti, non hanno avuto che un fondamento individualistico e, dunque, non universale sin dai tempi in cui furono formulati e teorizzati. L’universale che la tradizione filosofica, politica e giuridica moderna ha provato a pensare dopo la crisi della teologia medievale non è riuscito se non a fondare se stesso su di un’astratta ipostatizzazione dell’individuo: da Hobbes a Rousseau e da questi a Rawls, il tentativo pare essere stato sempre il medesimo: quello di pensare il diritto e lo Stato come il risultato di un patto stipulato soltanto perché l’individuo si scopriva troppo debole per riuscire, da solo, a imporre agli altri la propria volontà; la quale considerata in se stessa e non in relazione alla forza di colui che ha intenzione di realizzarla avrebbe pari valore rispetto a qualsiasi altra. Insomma, la nascita del diritto e del contratto sociale non è stata altro che una trovata: un rimedio escogitato per andare avanti nonostante l’estrema fragilità dell’individuo. Così, diviene chiaro perché il primo passo compiuto da Zuppa sia quello della genealogia: per scoprire l’autentico significato di tutte le categorie che oggi risuonano ovunque senza però far vibrare nessuna corda interiore, bisogna capire cosa sia andato storto. E ad andare storto è stato proprio l’assunto di partenza: l’illusione che la volontà del singolo possa valere solo per il singolo e che dunque, sotto il profilo del contenuto, essa abbia pari dignità rispetto alle altre. Cosa succederebbe, invece, se ci avvedessimo davvero del fatto che ogni nostra scelta non è affatto isolata rispetto alle altre, ma si ripercuota inesorabilmente sull’universo intero? Allora la differenza tra la mia volontà e quella dell’altro diverrebbe evidente: la migliore volontà sarebbe quella che, se realizzata, meglio contribuirebbe a migliorare il mondo: «I valori sono bensì sempre miei, come si è soliti dire, ma non nel senso del soggettivismo odierno, che è il misconoscimento di una qualsivoglia universalità, nel senso invece per cui ogni mia azione sul mondo non ha come fine il mondo stesso, qualcosa di a me esterno, ma sempre qualcosa che mi appartiene come mio valore. Il gemito di dolore che non voglio udire è bensì il gemito di qualcun altro, ma commuove la mia persona, quella parte di me che vuole o non vuole quel lamento. La presenza è bensì del dolore dell'Altro, ma (anche) come mio dolore. Il dolore dell'Altro è il mio dolore, quella parte di me che lo riconosce come tale e che si commuove per negarlo.»
Il programma è così già stilato: bisogna che l’uomo riscopra questa dimensione essenziale della sua vita e di quella dei suoi simili, sebbene sia manifesto che non si tratti di un compito facile, come già Nietzsche riassumeva efficacemente in questo toccante aforisma: «Fin dove arriva il nostro sistema nervoso, noi ci difendiamo dal dolore: se esso giungesse oltre, cioè fin nei nostri simili, non faremmo male a nessuno» (Umano, troppo umano, I, 104), ma già l’averlo tutti presente sarebbe una sensazionale conquista!
E allora si rendono necessarie una Ontologia politica dell’azione e una Logica dell’anima, che Zuppa redige con maestria per mostrare in che modo l’Io e l’Altro siano, nel concreto, indissolubilmente legati e come il loro (apparente) entrare in contraddizione costituisca la fonte di ogni nostro malessere: nella buona sintesi tra noi e il mondo si nasconde il “segreto” della felicità! Sotto il segno di questa unità originaria (e, quindi, mai occultantesi, ma solo passibile di misconoscimento) i diritti universali, il dovere, il Bene, l’uguaglianza, la sovranità, la giustizia troveranno l’egida di un significato granitico, perché affiorante dal processo storico attraverso cui la nostra vita, in perenne dialogo con quella di ciascun altro, si realizza e acquista il suo senso.
Come ben sintetizza Ernesto Paolozzi, autore del prezioso Manifesto che apre l’opera: «Nella vita del pensiero come in quello della prassi l’universale e il particolare, la soggettività e l’oggettività vivono solo se considerati nella loro necessaria unità-distinzione. La stessa differenza fra teoria e prassi, fra pensiero e azione è pensabile solo in quel nesso fondamentale costituito dalla differenza (se non ci fosse differenza non ci sarebbe il problema), la quale è anche opposizione: ma rimarrebbe tale se si pensasse in modo unilaterale e separata. In questo senso il movimento dialettico, il processo dialettico motiva il giudizio: è ciò che mette in moto il pensiero.» Quando saremo in grado di avvedercene, ci ritroveremo, come chiosa Zuppa nella Prefazione, «su un fondo solido e duro».
Un libro (in realtà, molto più che un libro) in cui immergersi a capofitto: la messa nero su bianco di una consapevolezza maturata, meditata, interiorizzata. Una consapevolezza che mai dovrebbe abbandonarci: quella di abitare, tutti, dal politico all'anacoreta, nella medesima dimora e, dunque, di essere già da sempre coinvolti nella sfida che tale convivenza impone e che tale convivenza permette di migliorare, se intendiamo anzitutto migliorare noi stessi. Non un saggio, non un semplice trattato, ma un imprescindibile punto di partenza, perché imprescindibilmente collocato nell'"epoca immensa" che appartiene tanto a noi uomini del terzo millennio quanto agli individui che per primi popolarono il pianeta.
Papers by Gabriele Zuppa
Conference Organizations by Gabriele Zuppa
Talks by Gabriele Zuppa
Editorial Direction by Gabriele Zuppa
L’ultimo libro di Gabriele Zuppa Fondazione dell’anima e della democrazia nella loro legislazione universale (Limina Mentis, Monza (MB), 2014) non nasconde, sin dal titolo, la propria ambizione, che è a un tempo chiarificatrice e programmatica. Chiarificatrice perché la pretesa è quella, non da poco (e non a caso si è utilizzato il termine “ambizione”), di conferire – finalmente, verrebbe da dire – un significato concreto a quei «concetti riconosciuti e accettati da tutti» che tuttavia oggi, nei discorsi del politicante di turno o sulla bocca dell’ignaro cittadino che tenta, il più delle volte invano, di rappresentarsi un quadro della condizione socio-politica in cui versa, sanno più di parole di circostanza – paiono cioè più simili a irrinunciabili forme di cortesia da usarsi nei confronti dell’interlocutore o dell’auditorio – che a vocaboli scolpiti nell’esperienza storica, etica e culturale che vorrebbero e dovrebbero denotare: “libertà”, “democrazia”, “uguaglianza”, “diritto” … a cosa ci riferiamo quando ci serviamo di questi termini? Nella risposta a questo interrogativo è già contenuto il profilo programmatico cui alludevamo, che è soprattutto un auspicio derivante dall’idea antica per cui alla chiarezza del concetto segua per forza di cose il giusto orientamento all’azione: «La presunta soggettività dei valori e il diffuso relativismo sono risultato di una secolare miopia teoretica della filosofia, che oggi è divenuta definitiva cecità. Prossimi alla disperazione in questa congiuntura storica disfatta da un laissez-faire abominevole, da un’ignoranza che diviene ora cinismo ora burocrazia – v’è però da sperare che proprio a cagione di questo nero buio, che in quest’oscurità gli occhi possano incominciare a ritrovare un filo di luce, come un’ultima estrema esigenza – possano ritornare a vedere come mai prima».
Il conferimento a quei concetti vuoti, su cui a malapena la società occidentale contemporanea prova a sorreggersi, di un contenuto semantico che sappia suscitare in chi li legge o in chi li sente nominare quel fremito e quella devozione che s’avvertono, ad esempio (e, purtroppo, non come avveniva un tempo), al cospetto del nome degli eroi, dei patrioti, dei martiri, deve passare proprio per la presa di coscienza che essi, quei concetti, non hanno avuto che un fondamento individualistico e, dunque, non universale sin dai tempi in cui furono formulati e teorizzati. L’universale che la tradizione filosofica, politica e giuridica moderna ha provato a pensare dopo la crisi della teologia medievale non è riuscito se non a fondare se stesso su di un’astratta ipostatizzazione dell’individuo: da Hobbes a Rousseau e da questi a Rawls, il tentativo pare essere stato sempre il medesimo: quello di pensare il diritto e lo Stato come il risultato di un patto stipulato soltanto perché l’individuo si scopriva troppo debole per riuscire, da solo, a imporre agli altri la propria volontà; la quale considerata in se stessa e non in relazione alla forza di colui che ha intenzione di realizzarla avrebbe pari valore rispetto a qualsiasi altra. Insomma, la nascita del diritto e del contratto sociale non è stata altro che una trovata: un rimedio escogitato per andare avanti nonostante l’estrema fragilità dell’individuo. Così, diviene chiaro perché il primo passo compiuto da Zuppa sia quello della genealogia: per scoprire l’autentico significato di tutte le categorie che oggi risuonano ovunque senza però far vibrare nessuna corda interiore, bisogna capire cosa sia andato storto. E ad andare storto è stato proprio l’assunto di partenza: l’illusione che la volontà del singolo possa valere solo per il singolo e che dunque, sotto il profilo del contenuto, essa abbia pari dignità rispetto alle altre. Cosa succederebbe, invece, se ci avvedessimo davvero del fatto che ogni nostra scelta non è affatto isolata rispetto alle altre, ma si ripercuota inesorabilmente sull’universo intero? Allora la differenza tra la mia volontà e quella dell’altro diverrebbe evidente: la migliore volontà sarebbe quella che, se realizzata, meglio contribuirebbe a migliorare il mondo: «I valori sono bensì sempre miei, come si è soliti dire, ma non nel senso del soggettivismo odierno, che è il misconoscimento di una qualsivoglia universalità, nel senso invece per cui ogni mia azione sul mondo non ha come fine il mondo stesso, qualcosa di a me esterno, ma sempre qualcosa che mi appartiene come mio valore. Il gemito di dolore che non voglio udire è bensì il gemito di qualcun altro, ma commuove la mia persona, quella parte di me che vuole o non vuole quel lamento. La presenza è bensì del dolore dell'Altro, ma (anche) come mio dolore. Il dolore dell'Altro è il mio dolore, quella parte di me che lo riconosce come tale e che si commuove per negarlo.»
Il programma è così già stilato: bisogna che l’uomo riscopra questa dimensione essenziale della sua vita e di quella dei suoi simili, sebbene sia manifesto che non si tratti di un compito facile, come già Nietzsche riassumeva efficacemente in questo toccante aforisma: «Fin dove arriva il nostro sistema nervoso, noi ci difendiamo dal dolore: se esso giungesse oltre, cioè fin nei nostri simili, non faremmo male a nessuno» (Umano, troppo umano, I, 104), ma già l’averlo tutti presente sarebbe una sensazionale conquista!
E allora si rendono necessarie una Ontologia politica dell’azione e una Logica dell’anima, che Zuppa redige con maestria per mostrare in che modo l’Io e l’Altro siano, nel concreto, indissolubilmente legati e come il loro (apparente) entrare in contraddizione costituisca la fonte di ogni nostro malessere: nella buona sintesi tra noi e il mondo si nasconde il “segreto” della felicità! Sotto il segno di questa unità originaria (e, quindi, mai occultantesi, ma solo passibile di misconoscimento) i diritti universali, il dovere, il Bene, l’uguaglianza, la sovranità, la giustizia troveranno l’egida di un significato granitico, perché affiorante dal processo storico attraverso cui la nostra vita, in perenne dialogo con quella di ciascun altro, si realizza e acquista il suo senso.
Come ben sintetizza Ernesto Paolozzi, autore del prezioso Manifesto che apre l’opera: «Nella vita del pensiero come in quello della prassi l’universale e il particolare, la soggettività e l’oggettività vivono solo se considerati nella loro necessaria unità-distinzione. La stessa differenza fra teoria e prassi, fra pensiero e azione è pensabile solo in quel nesso fondamentale costituito dalla differenza (se non ci fosse differenza non ci sarebbe il problema), la quale è anche opposizione: ma rimarrebbe tale se si pensasse in modo unilaterale e separata. In questo senso il movimento dialettico, il processo dialettico motiva il giudizio: è ciò che mette in moto il pensiero.» Quando saremo in grado di avvedercene, ci ritroveremo, come chiosa Zuppa nella Prefazione, «su un fondo solido e duro».
Un libro (in realtà, molto più che un libro) in cui immergersi a capofitto: la messa nero su bianco di una consapevolezza maturata, meditata, interiorizzata. Una consapevolezza che mai dovrebbe abbandonarci: quella di abitare, tutti, dal politico all'anacoreta, nella medesima dimora e, dunque, di essere già da sempre coinvolti nella sfida che tale convivenza impone e che tale convivenza permette di migliorare, se intendiamo anzitutto migliorare noi stessi. Non un saggio, non un semplice trattato, ma un imprescindibile punto di partenza, perché imprescindibilmente collocato nell'"epoca immensa" che appartiene tanto a noi uomini del terzo millennio quanto agli individui che per primi popolarono il pianeta.