lunedì 31 luglio 2017
Ancora liberi Espenhahn e Priegnitz
Nella notte tra il 5 ed il 6
dicembre 2007 morirono nel rogo della Thyssen Krupp di Torino ben 7
operai. Erano: Antonio
Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario
Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino.
Di
questa vera e propria strage, secondo la sentenza emessa dai giudici,
sono risultati colpevoli 4 dirigenti italiani e 2 tedeschi. Gli
italiani, dopo che il processo si è concluso definitivamente il 13
maggio 2016, si trovano in carcere.
Invece
i tedeschi Harald Espenhahn (amministratore delegato) e Gerald
Priegnitz (consigliere d'amministrazione) sono ancora liberi.
Espenhahn ha riportato una condanna a 9 anni ed 8 mesi: Priegnitz, invece, a 6
anni e 3 mesi.
Come
ho letto ne Il fatto quotidiano (29
luglio 2017, p.9): “Un accordo bilaterale prevede che un cittadino
tedesco condannato in Italia possa scontare la detenzione nel suo
paese e che la durata non possa superare il massimo previsto dal
codice penale tedesco, che per l'omicidio colposo ammonta a 5 anni.”
Insomma, soprattutto per il
maggior colpevole la condanna, anche quando dovesse essere
applicata, sarebbe in sostanza
dimezzata;
probabilmente, l'altro (Priegnitz), se la caverebbe al massimo con 1 o
2 anni.
Ora,
il processo è durato poco meno di 9 anni:
in tutto quel tempo la tragedia della Thyssen è stata analizzata a
fondo fornendo agli imputati tutte le possibili tutele e garanzie sul
piano giuridico. Niente da eccepire, quindi, sulla correttezza della
nostra magistratura e su quella delle nostre forze dell'ordine.
Purtroppo,
c'è da eccepire sulla correttezza delle autorità tedesche.
Infatti: “Tre giorni dopo la sentenza, il 16 maggio, la Procura
generale ha emesso un mandato di arresto europeo.”
Attenzione
a questo che non è un semplice particolare: si tratta di un mandato
di arresto europeo,
mica di un capriccio della magistratura italiana. Un mandato di
questo tipo, prevede la sua esecuzione anche al di fuori del
territorio italiano; richiede, inoltre, un'esecuzione che non può
essere procrastinata, insomma rimandata sine die.
Ma
sempre nell'art. de Il fatto leggiamo che:
“Il 25 maggio sono state diramate le ricerche dei due condannati,
individuati in Germania, dove è stata inviata una prima parte degli
atti, ma il 4 agosto la Procura generale di Hamm ha comunicato al
ministero della Giustizia di Roma di essersi rifiutata di
arrestare i due cittadini, facoltà concessa dalle norme che regolano
il mandato di arresto europeo” (il corsivo è mio).
A
questo punto io mi chiedo: che razza di validità e
di serietà può mai
avere un mandato di arresto europeo che però, concede ad un Paese il
diritto di non arrestare chi
in base ad una sentenza definitiva risulta colpevole?
Però
sono state inviate in Germania le traduzioni delle
sentenze (quelle di appello e quella della Cassazione), depositate a
dicembre. “Le traduzioni sono arrivate un mese dopo e subito, il 17
gennaio scorso, gli atti sono stati inviati a Berlino.”
I
tedeschi, a cui il recht cioè
il diritto sta molto a cuore, hanno richiesto altre garanzie, atti ed
informazioni, così: “Ai primi di giugno sono partiti da Roma i
nuovi documenti. Da allora la questione è in mano alla Procura
generale di Hamm e alle autorità giudiziarie di Essen, ma non è
ancora conclusa.”
Pare
che il ministro della giustizia Orlando debba incontrare il suo
omologo tedesco Heiko Hess “al prossimo consiglio europeo dedicato
alla giustizia, il 12 ottobre.”
Intanto,
saranno passati altri 3 mesi e francamente, dubito che la questione
possa trovare immediata o almeno rapida soluzione.
Spero
soltanto che di rinvio in rinvio, il reato commesso anche dai 2
manager non cada in prescrizione.
Comunque,
anche se il dott. Hess ed il suo ministero dovessero procedere
all'arresto, dalla sentenza sarebbero comunque passati 17
mesi. Troppi, maledettamente
troppi per la giustizia e per quei poveri operai, morti in modo così
ingiusto ed inumano. Ma meglio tardi che mai.
martedì 25 luglio 2017
Di quella volta che fregai me stesso
Osservo il castello di S. Michele
ascoltando l'assolo di sax di Clarence Clemons in Trapped;
la versione di Springsteen con la “E” Street Band, non quella di
Jimmy Cliff.
Salta
fuori il mio Interlocutore Immaginario, che non vedo da tempo. Mi
demolisce una spalla con una pacca devastante e chiede: “Be', non
mi offri niente da bere, o almeno da mangiare?”
“Mi
dispiace, ma sono quasi a dieta.”
“Non
preoccuparti. In effetti, ho anche io 3-4 chiletti di troppo. Pensa
che ho dovuto eliminare il formaggio!”
“A
me”, rispondo, “quello non dice molto. Però non posso rinunciare
al pane ed al vino.”
“Eh”,
borbotta I.I., “la forma fisica è sempre un problema... Ma senti,
ultimamente stai leggendo qualcosa di interessante?”
“Docherty di
William Mc Illvanney. Parla dei minatori del nord della Scozia: un
gran bel romanzo; senza fronzoli, ma anche molto poetico.”
Noto
che si appunta il nome su qualcosa che sembra un'agenda elettronica.
Solo che i tasti sono tappi di sughero ed il display è di cartone;
neanche tanto pulito.
Ma non dico niente; se sapesse quanto è sporca
la coscienza di certi politici, banchieri, militari, poliziotti ed
alti prelati...
L'amico
apre la portiera della sua Jaguar Hooker-Berry e mi invita a saltar
dentro.
Salto,
ma poiché la dieta mi sta facendo riacquistare una forma eccessiva,
scavalco l'auto e volo in un canneto, dove la violenza
dell'atterraggio terrorizza papere, paperette ed anatroccoli (belli e
brutti).
Inoltre,
sollevo un'onda che richiama vari surfisti: soprattutto dalla Florida
e dalla California.
Li
caccio via a pedate, loro ed i loro vergognosi addominali, poi apro
una copia fradicia d'acqua e di alghe de Il mercante di
stoffe, della scrittrice ed
attrice catalana Coia Valls.
Poi
ecco Tana French. Chiedo sia alla Valls sia all'irlandese se alla
loro carriera di scrittrici abbia giovato l'essere state anche
attrici. Loro mi fissano e scoppiano a ridere.
Dalla
Jaguar, I.I. suona il clacson. Mi avvicino e lui: “Ci sei rimasto
male.”
“Un
po'. Mi hanno ricordato i tempi del liceo. Vabbe', pazienza.”
Lui
accende la radio, c'è Is it in my head? degli
Who. Gli chiedo: “E' nella mia testa? E qualcosa che sto
immaginando?”
“No,
Ric, ma tu non pensarci. Beh, dimmi, stai pensando di suonare
qualcosa di bello, con l'armonica?”
“Love reign o'er me,
sempre degli Who. Intendo il refrain.”
“Quadrophenia è
ancora un bel disco, vero?”
“Immenso,
I., immenso. Grandioso. Ed è grandioso anche il film. Nichilista,
forse, ma del resto, la vita è... be', sai come sia, Lady Life.”
“Già.
Bene, ora io devo andare”, sorride I.I. “Sai che Townshend deve
scrivere una Drowned part 2,
citando anche dei versi di T. S. Eliot?”
“Non
lo sapevo. Ma se non sbaglio, ora tu devi andare.”
“Vado,
vado”, fa lui, seccato. “Ma così che fine fa la tradizionale
ospitalità dei sardi? Complimenti!”
Però
sparì.
Per
una volta avevo avuto io l'ultima parola su me stesso.
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