lunedì 22 giugno 2015
La luce in ogni caso
Quando in un'ora imprecisata ed
imprecisabile che sta a metà tra il giorno ed il tramonto, la luce
del sole plana sul viso accigliato (ma anche perplesso) di alcuni
palazzi, sento un po' di malinconia: si tratta di una sensazione che
mi perseguita da sempre o quasi.
Ma a volte, il gioco della
luce mi dà serenità e forse anche della gioia.
Gioia? Be', adesso non esageriamo!
Però, qualche grammo di gioia sì,
me lo allunga.
In questo momento zio Bruce,
Diavolo del New Jersey, canta I wanna be with you ed
il sax di Grand'Uomo Clarence Clemons ricama note che sono una
melodia rock-soul allegra e grintosa.
In
quest'altro momento
sento sirene della polizia o di qualche ambulanza: ci sono tanti modi
per fare e per farsi male.
Ah... perché?!
E perché non possiamo essere
tutti su una spiaggia con la persona o con le persone che amiamo (ma
amare sé stessi, è quella
l'impresa), perché non possiamo lasciarci cadere su qualche prato
con una bottiglia di vino bianco ghiacciato mentre un gruppo strappa
scintille da chitarre elettriche & clavicembali?
Perché
non possiamo camminare in acque: pulite, non gelide né bollenti,
camminare con l'acqua alla vita e non alla gola?
Perché
non possiamo giocare ancora giù in strada infinite partite di calcio
con la stessa fame calciofilo-idrofoba di quando avevamo 16 anni?
Eppure
sarebbe facile richiamare con un guizzo del cuore e con un dribbling
della memoria tutti gli amici, tutte le amiche che non ci sono più.
Sarebbe
facile suonare il corno d'Olifante o (senza giudicare nessuno) le
trombe del giudizio per svegliare chi dorme da troppo tempo . Non
sarebbe come suonare il sax di Clarence, ma pazienza.
E
mi piacerebbe riprendere a parlare fra noi come si faceva una volta,
magari anche urlando, ma tenendo ben stretto un sogno
comune: al quale correre e
dissetarci quando il sole assassino dell'egoismo decide di seccarci
ogni gola possibile.
Ho
perso la libertà d'andare a suonare l'armonica al porto e su strade
invase da erbacce: è solo quella la mia vecchiaia. E' solo quello
l'errore che continuo a commettere. Ma l'ho voluto io, io
ho voluto che gli anni mi
piallassero via la lupesca gioia e la malinconica rabbia.
La
luce del sole splende anche di notte, se sai mettere tutta la tua
amarezza in in un vecchio cappello e lanciarla lontano, senza
perderne neanche una goccia.
Sempre
avanti, quindi!
Sempre
avanti verso la luce: in ogni caso. Perché se ci riescono Dracula,
Batman e qualche volta perfino io, può riuscirci chiunque.
lunedì 1 giugno 2015
“Oplà, noi viviamo!”, di Ernst Toller
Innanzitutto due parole sull'Autore.
Enst Toller nacque nel 1893 a
Samotschin, in territorio allora prussiano; morì suicida a New York
nel 1939. Una delle sue opere (probabilmente una delle più
rappresentative del 1° dopoguerra), è Una giovinezza in
Germania, del 1933.
Nella
Giovinezza Toller
mantenendo uno straordinario equilibrio tra l'autobiografia ed il
romanzo, racconta una fase cruciale della storia tedesca: quella che
va dalla I guerra mondiale all'avvento del nazismo.
Oplà, noi viviamo!
è un testo teatrale, ma le vicende in esso raccontate affrontano anche un altro punto cruciale: Oplà narra
infatti le vicende che seguirono
al soffocamento della rivoluzione comunista bavarese e documenta
altresì il tradimento da
parte di alcuni rivoluzionari.
Toller
scrisse Oplà nel 1927
e l'opera, validissima sul piano artistico, contiene anche molti
riferimenti autobiografici. Uno su tutti: anche l'A., così come Karl
Thomas (il suo alter-ego),
fu condannato a morte ed in seguito la pena fu commutata in alcuni
anni di manicomio.
La storia
comincia in carcere, nel quale tra i tanti prigionieri sono rinchiusi
Karl Thomas, Eva Berger (la sua donna) e Wilhelm Kilman. Benché
condannati morte, la pena viene sospesa per tutti: alcuni dovranno
rimanere in prigione, Karl finirà in manicomio.
La
pena non viene sospesa solo a Kilman: in apparenza,
perché in realtà lui è il solo che abbia presentato domanda di
grazia alle autorità. Così, rinnegati gli antichi ideali, la sua
azione politica si situa ormai tra la sinistra (davvero molto)
moderata e la destra: diventando in pochi anni ministro.
Io
considero i personaggi di Oplà più
persone che
personaggi: dato il realismo con cui sono resi da Toller, non sembra
proprio che recitino una parte. Inoltre se l'A. scrive aderendo con
la sua carne e con la sua anima all'oggetto di quel che trasformerà
in commedia, dramma o tragedia, allora i personaggi salteranno fuori
dalla pagina e/o dalla scena.
Ecco
perché, a distanza di decenni o anche di parecchi secoli, i
personaggi dei lavori di Ibsen, Brecht, Pirandello, Plauto, Sofocle,
Euripide, Aristofane ecc. continuano a sembrarci non cartacei
bensì umani.
Nel
caso di Oplà questa
umanità non si trova nel solo protagonista:
oltre a Karl Thomas, sostengono (e con passione) posizioni forti
anche Eva
Berger ed il traditore Kilman.
Karl,
dopo anni di ingiusta segregazione in manicomio, riacquista la
libertà ed in modo solo apparentemente ostinato, riprende la sua
vita da dove era stato costretto a lasciarla: dalla rivoluzione,
progetto questo che vorrebbe rilanciare senza esitazioni o
compromessi
Egli respinge
i tentativi di quelli che vorrebbero farlo “ragionare”: mi
riferisco ai suoi ex-compagni, che in sostanza lo accusano di
avventurismo, ma mi riferisco anche a quelli come Kilman, per i quali
la giustizia e l'uguaglianza arriveranno... ma con pazienza e lente,
graduali riforme... calate comunque dall'alto.
Ed ormai per
Kilman le parole d'ordine sono: potere “responsabile”, “armi
morali”, “spirituali” ecc. Intanto egli provvede a far
licenziare in tronco varie operaie: tra queste anche la sua
ex-compagna Eva Berger.
A Karl che gli
chiede: “Quelle donne non lottano per i tuoi antichi ideali?”,
ribatte: “Posso tollerare che le operaie di una fabbrica qualsiasi
danneggino la macchina statale?”
Ed ancora: “In
una democrazia io devo tutelare i diritti dei datori di lavoro allo
stesso modo dei diritti dei lavoratori.”
Karl: “Ma
gli altri hanno stampa, denaro, armi. E i lavoratori? Un pugno di
mosche.”
Ma per Kilman
la replica di Karl è la solita sparata retorica e violenta.
Del resto, si
chiede il solerte funzionario: “Ma cos'è la massa? E' mai stata
capace di un lavoro positivo? (….). La massa è inetta e rimarrà
inetta chissà per quanto altro tempo ancora (….). Più tardi...
tra decenni... tra secoli... con l'educazione... con lo sviluppo...
le cose cambieranno. Oggi dobbiamo governare.”
Karl
rifiuta il danaro offertogli da Kliman e trovato lavoro come
cameriere, resiste anche alle tentazioni della vendetta e
del terrorismo: ma
sarà ingiustamente accusato d'aver assassinato appunto Kilman.
Non è
semplice neanche il rapporto con Eva, che è sì rimasta fedele alla
causa, ma ormai non è più la 17enne che pendeva dalle labbra di
Karl. E' un'operaia e delegata sindacale preparata e combattiva,
inoltre a Karl che disgustato si chiede: “Per questo, lottare? Per
rivedere poi i nostri ridotti a oscene caricature del passato?, e che
la invita ad una fuga d'amore, lo richiama alla realtà ed alla
lotta.
Del resto Eva
rifiuta i legami tradizionali: “Un solo sguardo che io scambi con
un estraneo in una via perduta, può legarmi a lui più profondamente
di qualunque notte d'amore: che non deve essere se non un bellissimo
gioco.”
Karl: “E che
cosa prendi sul serio?”
“Queste cose
prendo sul serio. Anche il gioco prendo sul serio... Sono una persona
viva. Ho forse rinunciato al mondo, perché mi batto? L'idea che un
rivoluzionario debba rinnegare le mille piccole gioie della vita è
assurda.”
Ma allora, le
chiede lui: “Che cosa rimane?”
Eva: “Noi. Con la nostra esigenza di sincerità. Con la nostra energia per
rimetterci al lavoro.”
Ecco,
Oplà meriterebbe non
un post ma un libro...
perciò mi fermo qui.
Del
resto, la quasi mistica fede rivoluzionaria di Karl; la lucida
fedeltà alla causa di Eva e la sua spregiudicatezza come donna; la
“ragionevole” politica del rinnegato Kilman, incarnano dei tipi
umani che a 88 anni dall'esordio di Oplà
sulle scene, a me sembrano ancora attualissimi.
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