L'altro giorno è venuto a farmi visita un mio conoscente di lunga data che non vedevo più da molto tempo. Mi ha contattato privatamente sui social con l'intenzione di vedermi e siamo usciti a cena insieme, a Milano. Per questioni di privacy, lo chiamerò X.
X ha su per giù la mia stessa età, forse è più vecchio di me di qualche anno. E' fidanzato da anni con una ragazza di status sociale elevato ed è manager in qualche azienda finanziaria. I soldi e lo status, volendo anche la compagnia femminile, di certo non gli mancano. Dato che so che è diventato manager, l'ho portato in un posto abbastanza chic, per non offenderlo. Lui ha apprezzato la cosa e mi ha offerto addirittura la cena. Perché quindi scrivere un post su un'esperienza di vita così banale? Perché ormai, dopo questa ennesima esperienza di persona apparentemente "arrivata" che mi confida un grande disagio esistenziale, sentimentale e psicologico, avverto come una sensazione di "capolinea della società", di "fine dell'umanesimo occidentale", se così si può dire. Ho come il sentore che il mito del successo solitario che noi italiani, figli di una società provinciale e pastorale, abbiamo (forzatamente) importato dagli yankee - successo che poi, insieme all'invidia, è l'ultima roccaforte su cui si basa il nostro sistema di valori post-religioso e post-ideologico -, sia ormai diventato insostenibile, grottesco, e ovviamente perseguibile soltanto mediante l'auto-sedazione (i.e. la dipendenza da sostanze o dal sesso) o surrogati di amore (i.e. il cane, lo psicologo).