Effetti Contratto Terzi

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Il tema è molto ampio ed è difficile affrontarlo in un’unica lezione.

Oggi cercheremo di vedere quali sono le origini della regola codificata all’art. 1372 cc che stabilisce
l’efficacia relativa degli effetti dell’atto e quale si la sua effettiva portata.

L’art. 1372 cc. Rubricato efficacia del contratto al primo comma stabilisce che il contratto ha forza
di legge fra le parti.
Il secondo comma: il contratto non produce effetti nei confronti di terzi

Come vedremo il principio di relatività del contratto pone una serie di questioni:
1) Quali siano le eccezioni e se valga ancora la regola;
2) Chi sono i terzi
3) Cosa si intenda per effetti del contratto.

La disposizione riproduce alla lettera l’art. 1123 del codice del 1865 cc a sua volta elaborata sul
modello dell’art. 1134 code nap. “les conventions legalment formées tiennent lieu de loi à ceux
qui les ont faites”.
La disposizione è stata definita pleonastica eccessiva pittoresca
Ragioni storiche: già il Codex accostava il contratto alla legge “contractus ex conventione legem
accipere dignoscuntur”. I contratti si distinguono perché ricevono forza di legge dall'accordo fra le
parti.
La formula moderna è stata coniata da Domat e nel contesto storico giuridico dell’epoca aveva una
precisa ragion d’essere. Essa esaltava il contratto quale strumento della classe mercantile e
segnava il superamento deli privilegi e del particolarismo dell’Ancient Regime.
Il contratto veniva quindi paragonato alla legge per la sua forza vincolante quale strumento
principe della moderna realtà economico-giuridica. Queste le ragioni della sacralità della formula.
Nella dottrina successiva e in particolare secondo la tesi volontaristica la formula esalta la volontà
delle parti e l’inviolabilità dell’accordo.
Il legislatore italiano ha mantenuto la formula, che alcuni avevano suggerito di abrogare, quale
espressione dell’autonomia privata riconosciuta ai singoli per dettar legge ai propri interessi.
L’espressione per quanto altisonante ha lo scopo di evidenziare la forza vincolante dell’accordo,
che non può più essere modificato per volontà unilaterale di una sola delle parti (salvo non sia
previsto diversamente dalla legge o dalle parti stesse) e di limitarne l’efficacia alle sole parti
contraenti.

Il secondo comma dell’art. 1372 cc. sancisce infatti il principio della relatività degli effetti dell’atto.
Come vi ho detto questa norma pone una serie di questioni che andremo ad analizzare.
Prima fra tutti è quali e quante sono le eccezioni ammesse dalla legge.
La dottrina ha rilevato che le eccezioni alla regola della relatività degli effetti sono tante e tali da
sovvertire il rapporto regola/eccezione.
Prima fra tutti il contratto con effetti nei confronti dei terzi.
Come sapete l’art. 1411 cc stabilisce che è valida la stipulazione a favore di un terzo se lo
stipulante vi ha un interesse.
La norma ha portata generale ed è nella parte sul contratto in generale sicché la configurazione di
un contratto che possa produrre effetti nei confronti dei terzi ha portato la dottrina a ritenere che
il principio di relatività sia un retaggio del passato ma che in concreto ora sia lettera morta perché
il contratto come fatto giuridico produce sempre effetti verso i terzi.
Prima di analizzare tale aspetto e quindi cercare di capire cosa si intenda per “effetti”, bisogna
vedere quale sia l’origine del principio di relatività per comprenderne appieno la sua portata
nell’ordinamento vigente.
La regola trova nel diritto romano classico il suo antecedente.
In diritto romano vigeva infatti la regola per cui nemo stipulare alteri postest che aveva una duplice
portata: divieto di stipulare per conto di un terzo e divieto di stipulare a favore di un terzo.
La ratio e la funzione di tale regola è però radicalmente diversa da quella operante nei sistemi
giuridici moderni.
In diritto romano la funzione del divieto era quella di individuare i soggetti per mezzo dei quali il
pater familias poteva validamente stipulare.
I soggetti sottoposti alla patria e alla dominica potestas non avevano autonomia patrimoniale essi
nei rapporti negoziali potevano acquistare solo per il pater familias, essi agivano come se fossero il
pater familias, il quale non poteva concludere negozi per mezzo di altri uomini liberi o estranei alla
famiglia.
Da tale regola antica fondata sul peculiare sistema patriarcale romano sarebbe poi sorta la regola
generale insita nel divieto di stipulare alteri.
E ciò anche in ragione del rigido formalismo del diritto romano. La stipulatio era un negozio
formale che si perfezionava solo attraverso la pronuncia di certa verba alla presenza delle parti fra
cui si formava il vincolo.
Per tale ragione non poteva stipularsi per altri e per conto di altri.
Già in età postclassica il divieto era discusso.
Esempi si possono rinvenire nei negozi dotali e in particolare nei patti di restituzione della dote.
Infatti, di regola il padre della sposa si faceva promettere la restituzione della dote in caso di
scioglimento del matrimonio e in caso di sua premorienza la restituzione a un terzo (es. alla figlia o
ai nipoti).
Tali accordi inizialmente erano considerati nulli per lo ius civile stante il divieto di alteri stipulari,
ma con il tempo, data la loro diffusione, attraverso i rimedi pretori si è cercato di far salvi tali
accordi.
Le fonti attestano quindi che già in età post classica la regola era messa in discussione, tuttavia i
casi riguardavano una cerchia molto limitata di accordi economici e quindi non si sentì l’esigenza di
sovvertire il principio che venne codificato nel corpus.
Nei secoli a venire il divieto fu superato perché le esigenze delle moderne economie mal si
conciliavano con il divieto. Tuttavia, nella dottrina francese del 700/800 fedele al diritto romano
riprese la regola che ben esaltava la concezione volontaristica del contratto.
Il contratto quale atto di volontà dei soggetti contraenti vincola solo le parti e non i terzi.
Così la regola è stata inserita nel Code Civil e il legislatore italiano, che si è ispirato al codice
francese, l’ha mantenuta. Pothier Traites des obligations
La norma sembrerebbe significare che il contratto non produce alcun effetto.
In realtà l’art. 1372 cc si riferisce al contratto quale atto giuridico, ossia quale fonte delle
obbligazioni. Sono quindi le obbligazioni che sorgono da contratto che non possono avere effetti
verso i terzi.
Non il contratto come fatto giuridico: quale fatto modificativo della realtà il contratto produce
sempre effetti nei confronti della collettività.
Ad esempio: la compravendita.
Quale contratto di scambio di cosa contro prezzo vincola solo le parti contraenti. (Non è possibile
vendere un bene altrui. Anche se come vedremo sulla circolazione dei beni la regola della relatività
degli effetti conosce eccezioni).
Come fatto oggettivo si riflette verso i terzi: ad esempio coloro che erano interessati al bene che è
stato venduto.
Vi sono poi dei soggetti, che pur essendo terzi, sono indirettamente coinvolti dal negozio: ad
esempio i creditori dell’alienante che vedono così diminuita la garanzia patrimoniale di
quest’ultimo.
Come è noto, se sussistono i presupposti, questi soggetti hanno a disposizione l’a. revocatoria.
In altri termini la regola posta dall’art. 1372 cc significa che:
il contratto non può far sorgere obbligazioni in capo a terzi (e una specificazione è contenuta
nell’art. 1381 cc Colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo e' tenuto a
indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso.

Il contratto non può sottrarre a terzi i loro diritti: la disciplina della vendita di cosa altrui è infatti
espressione del principio in esame.

Art. 1478 Se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è
obbligato a procurarne l'acquisto al compratore [1476 n. 2]

Il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare
di essa

La regola però subisce rilevanti eccezione nella regolamentazione degli acquisti a non domino e
nella doppia alienazione del medesimo diritto.
La regola del possesso vale titolo
La disciplina della doppia alienazione che fa prevalere se è un bene immobile o mob. Registrato chi
trascrive per primo e in caso di bene mobile chi per primo acquista il possesso (art. 1155 cc)
La regola che in caso di più cessioni del medesimo credito fa prevalare quella accettata per prima

Sono eccezioni al 1372 cc.


Così come il principio di relatività degli effetti non esclude che dal contratto possano sorgere
situazioni giuridiche che i terzi sono tenuti a rispettare (ad esempio nei casi di induzione
all’inadempimento).
In altri termini il CONTRATTO ha una propria RILEVANZA ESTERNA che deriva dalla circolazione
giuridica dei beni e dei diritti e che il principio di relatività non può impedire.
I divieti di alienazione (art. 1379 cc.) è invece espressione del principio: laddove il contraente leso
ha un’azione significa che il divieto (che ha effetto solo fra le parti) non produce effetto verso i
terzi il cui acquisto è valido.
Anche in questi casi vi sono delle eccezioni: ad esempio le clausole di gradimento e di prelazione
negli statuti societari. Esse hanno efficacia reale e sono opponibili ai terzi.

La dottrina in sintesi ha distinto fra effetti diretti e effetti riflessi.


Il contratto quale fatto giuridico produce sempre effetti riflessi nei confronti dei terzi ma non può
pregiudicare i loro diritti o far sorgere obbligazioni in capo ad essi.
Il contratto invece come atto giuridico, ossia come accordo produttivo di obbligazioni, ha effetto
solo fra le parti.
La dottrina italiana che tenuto conto delle numerose e rilevanti eccezioni al principio di relatività
afferma il venir meno di tal regola non considera che in realtà il principio è ancora operante ma ha
una portata molto più limitata e ristretta da quella che a una prima lettura potrebbe apparire.
In altri termini il concetto di “effetti” non significa indiscriminatamente qualsivoglia effetto che
promana dall’atto, ma solo gli effetti giuridici propri del contratto, ossia gli effetti obbligatori.
Il discorso potrebbe apparire banale, ma in realtà ha portato per molto tempo, a far sorgere dei
dubbi sulla applicabilità nei confronti dei terzi di alcune pattuizioni contrattuali.
Significativa è la presa di posizione del legislatore francese che nella recente riforma del diritto
delle obbligazioni ha modificato la norma, la cui formulazione, come abbiamo visto, è frutto della
rilettura che i giuristi dell’800 hanno fatto delle fonti romane: ora l’art. 1199 in cui è stato
trasposto l’originario 1165 cod. nap prevede: le contrat ne crée des obligations qu’entre lea
parties.

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