1918 Dannunzio La Beffa Di Buccari
1918 Dannunzio La Beffa Di Buccari
1918 Dannunzio La Beffa Di Buccari
LA BEFFA DI BUCCARI
con aggiunti
La Canzone del Quarnaro
il Catalogo dei Trenta di Buccari
il Cartello Manoscritto
e due carte marine
i
D’annunzio volò su Pola in varie spedizioni nell’agosto 1917 insieme a
Luigi Gori, Maurizio Pagliano e Giovan Battista Pratesi, coniando in
questa occasione il motto Eia! Eia! Alalà! Nella Proposta di ricompensa al
valor militare per il capitano Gabriele D’Annunzio si legge: «Nelle notti sul 3-
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4-9 agosto con audacissima perseveranza portò la più lontana offesa su Pola,
trionfando su condizioni atmosferiche avverse per forte vento e bassi strati di
nubi, e sull’intensissimo tiro di sbarramento della piazzaforte.
Ideatore della lotta concorde delle armi terrestri con la milizia celeste, attuò
durante l’offensiva dell’agosto 1917 l’arditissimo impiego tattico dell’Ala Italia-
na in ausilio all’avanzata delle fanterie, secondo il vero stile del combattimento
nuovo.
Dell’audacissimo volo egli scrisse le regole nel maggio 1917 e nell’agosto ne
diede l’esempio magnifico.
Capo Gruppo di una squadra aerea egli seppe in numerosi voli renderne
l’azione concorde ed efficacissima nella simultaneità dell’offesa ed ottenne che
unanimi fossero l’entusiasmo, la fermissima volontà e l’arditezza». (Da Il sudo-
re di sangue).
ii
Maurizio Pagliano (1890-1917) è stato capitano di aviazione nella
prima guerra mondiale; ha ricevuto quattro medaglie d’argento e una di
bronzo al valor militare. Era in servizio con Luigi Gori, tenente
d’aviazione e suo secondo pilota. Insieme al tenente Giovanni Pratesi fu-
rono scelti da D’Annunzio per effettuare pericolosi bombardamenti su Po-
la, sull’Hermada e su altri obiettivi. Pagliano e Gori avrebbero dovuto par-
tecipare con D’Annunzio a un volo su Vienna. Entrambi muoiono per
l’abbattimento del loro aereo in azione nel 1917.
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iii
Costanzo Ciano (1876-1939), padre di Galeazzo, che sposò la figlia
primogenita di Mussolini, Edda, e fu fucilato durante la Repubblica So-
ciale per alto tradimento, avendo firmato l’ordine del giorno Grandi, che
provocò la caduta del governo Mussolini. Costanzo fu ufficiale di marina e
comandò unità siluranti (MAS) in pericolose imprese. Con D’Annunzio e
Luigi Rizzo partecipò alla beffa di Buccari per la quale ebbe la medaglia
d’oro al valor militare. Aderente all’Associazione Nazionalista Italiana, nel
1921 aderì ai Fasci Italiani di Combattimento; successivamente fu deputa-
to e ministro nel governo Mussolini.
iv
Costanzo Ciano era Conte di Cortellazzo.
8
v
Luigi Rizzo (1887-1951), ammiraglio della Regia Marina nella prima
e nella seconda guerra mondiale, partecipò all’impresa di Fiume con
D’Annunzio; fu insignito con due medaglie d’oro, quattro d’argento e due
croci di guerra al valor militare. Fece parte della squadriglia dei MAS e fu
con D’annunzio nella beffa di Buccari.
vi
La notte tra il 4 e il 5 ottobre del 1917 viene bombardata Cattaro,
importante base navale austro-ungarica da una flotta di 15 biplani Caproni
attrezzati solo per il volo su terra: è forse l’impresa più audace di
D’Annunzio, con aerei impiegati al limite della loro autonomia di volo, e
porta alla distruzione della flotta ancorata alle Bocche di Cattaro.
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vii
Disastrosa sconfitta navale contro la flotta austriaca avvenuta il 20
luglio 1866 durante la terza guerra d’indipendenza, aggravata dai tragici
errori dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano, che subì un processo e fu
degradato per la sua riconosciuta imperizia.
viii
Dopo il volo su Trieste del 7 ottobre 1915 il governo austriaco aveva
messo una taglia di 20.000 su D’Annunzio.
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già gusta il sapore della beffa. I giovani marinai si urtano col gomito
e si guardano con la coda dell’occhio.
«La nostra impresa è tanto audace che già questa partenza è una
vittoria sopra la sorte. Per ciascuno di voi l’averla compiuta sarà un
onore perpetuo. Domani il vostro nome, dorato come il siluro e di-
ritto come la sua traiettoria, traverserà l’aspettazione della Patria.
Ciascuno dunque oggi deve dare non tutto sé ma più che tutto
sé; deve operare non secondo le sue forze ma di là dalle sue forze.
Lo giurate? Compagni, rispondetemi.»
È come lo scoppio d una fiamma repressa.
«Lo giuriamo. Viva l'Italia!»
Contro quel muro di sangue grumoso, gli uomini ardono. Sopra
quella magra erba di cortile, l’animo irrompe a superare la statura.
Tutti sono grandi.
Sono i marinai d'Italia, sono il fiore delle nostre leve, sono il sale
della nostra guerra. Sono quelli che sempre combattono a oltranza,
comunque armati, dovunque mandati nel mare e nella laguna, nella
barena e nella passerella, nella petraia e nella macchia. Sono quelli
dell'Isola Morosina e quelli di Parenzo, quelli di Grado e quelli della
Sdobba, quelli di Monfalcone e quelli di Durazzo. Sono i buoni fi-
gliuoli che vanno incontro alla morte melmosa ridendo di allegria
marina perché chi li conduce, per tener fermo l’elmetto, s’è passata
sotto il mento una cima come in una puleggia.
Ve n’è di tutte le province, di tutte le contrade, di tutte le spiag-
ge, prole dei Tre mari, una e diversa. Ve n’è della Lunigiana e della
Romagna, dell’Umbria e della Marca; ve n’è della Sicilia e dell'Emi-
lia, della Liguria e dell’Etruria, della Terra di Lavoro e della Terra
d’Otranto.
Uno è di Viareggio. E mi sembra di averlo incontrato fanciullo
per la sabbia liscia in uno di quei canori mattini delle Laudi di Al-
cyone quando le Alpi Apuane vestite d’aria s’accostavano e menava-
no tra mare e cielo una canzone a ballo, tutte inchinate verso ponen-
te nel giro, pigliando per la mano la mia musa squammosa.
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ix
Umberto Biancamano (circa 980-1056) fu capostipite della famiglia
Savoia.
x
Disma e Misma sono i nomi tradizionali dei due ladroni crocifissi in-
sieme a Gesù.
xi
La moneta senese aveva il ritratto dell’Assunta, la lupa romana e la
scritta Libertas. Quando l’11 aprile 1555 la Repubblica di Siena cade oc-
cupata da Carlo V dal suo alleato Cosimo I de Medici, i senesi, guidati dal
Capitano del Popolo Mario Bandini, si rifugiano a Montalcino protetti
dal re di Francia Enrico II e nella roccaforte restaurano le libertà repubbli-
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alla nona e alla decima battaglia dell’Isonzo, col grado di tenente. La ban-
diera che avrebbe dovuto essere issata su Duino viene poi portata a Roma
e da qui a Fiume occupata dai legionari; attualmente è conservata nel Vit-
toriale. Sull’altura di fronte alla risorgiva del Timavo, ben visibile dalla
strada costiera per Trieste, un monumento ricorda i Lupi di Toscana ca-
duti nella battaglia.
xiii
Giuseppe Cangialosi (1895-1916), medaglia d’oro al valor militare,
muore sul Veliki Kribach presso Gorizia durante l’ottava battaglia
dell’Isonzo, anche lui con i Lupi di Toscana. Essendo stato accerchiato il
suo reparto, rifiuta la resa ed esce dal riparo agitando una bandierina trico-
lore e sparando con la rivoltella, seguito dai suoi uomini che spezzano
l’accerchiamento e riescono a mantenere la posizione.
xiv
Cleopatra in Antonio e Cleopatra di Shakespeare.
15
xv
Giuseppe Volpi, al comando di Luigi Rizzo, partecipò all’attacco dei
MAS che affondarono la corazzata austriaca Wien in rada nel porto di
Trieste nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1917; nell’occasione, Volpi tagliò i
cavi di protezione della baia operando in parte sott’acqua e Rizzo ricevette
la sua prima medaglia d’oro.
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xvi
Nazario Sauro (1880-1916), irredentista originario di Capodistria,
arruolato nella Regia Marina italiana, è decorato con medaglia d’argento e
promosso Tenente di vascello per le sue azioni militari. Era imbarcato sul
sommergibile “Giacinto Pullino”, che il 30 luglio 1916 si incaglia nel Car-
naro tra l’isola di Unie e lo scoglio della Galiola. Fatto prigioniero, viene
condannato all’impiccagione, sentenza eseguita a Pola. Medaglia d’oro alla
memoria.
xvii
Angelo Procaccini (1883-1992), muore quasi centenario a Venezia
(era originario di Mestre), ultimo dei protagonisti dell’impresa. Era al ti-
mone del MAS in cui era imbarcato D’Annunzio. Aveva proposto di rein-
terpretare la sigla MAS (Motoscafo Armato SVAN - Società Veneziana
Automobili Navali; l’acronimo era poi diventato Motoscafi Armati Silu-
ranti, poi Motoscafi Anti Sommergibili) come Motum Animat Spes;
D’Annunzio lo trasformò in Memento Audere Semper.
xviii
Angelo Emo di San Simeon Piccolo (1731-1792) fu un grande Ca-
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xx
Nell’isola di Veglia (Krk) era conservato uno Stradivari. Canalazzo è
un modo veneziano di chiamare il canal grande.
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svolge. I marinai sono tutti chini da una banda, tutti attenti al tra-
verso di sinistra. Uno vuol sapere da me che specie di uccello sia.
«Canta in italiano» gli rispondo. Allora si vede una ilarità infanti-
le rilucere nel bianco degli occhi. Allora si vede il riso muto sussul-
tare nelle grandi spalle di Costanzo Ciano che è ritto in prua a scru-
tare la costa per ritrovare l’imboccatura.
«Canta in italiano!» rimormora estatico il torpediniere di Mon-
talcino sotto la sua berretta di podestà. E penso che ha in bocca, col
sapore della Fonte Gaia,xxi la parlatura santa della madre Siena, la
favella dell'antica suora in Maria dolce,xxii la melodia delle donne di
Fontebrandaxxiii che cantilenano ai lavatoi schiumosi.
Ecco il becco dell'ocarina. Siamo alla stretta. La mezzanotte è
passata di trentacinque minuti. La canzone è finita. Prepariamo
un’altra musica. Lo scafo è tutto una struttura di volontà occhiuta e
armata. Il senso delle mani istintivamente si adatta già agli ordegni
da adoperare. Ci sono reti? ci sono sbarre?
Si rallenta. Si tenta. Nessuna specie di ostruzioni. Si rasenta la
punta Sersica. Si naviga a poche braccia dalla costa di ponente. Por-
to Re è al buio. La vigilanza giace. La batteria tace.
«Che buona gente, questi Austriaci!» mi susurra Luigi Rizzo ac-
costando al mio orecchio quella sua bietta mal rasa che gli è servita a
fendere il fianco della Wien con un colpo solo. Ma non dice «buona
gente» in verità. Mi scodella gli attributi di Bartolomeo Colleoni.
Gli prendo il polso, glielo tasto. Ride, abbassando i lunghi cigli su i
suoi occhi saracini. E il polso quieto di un Arabo che abbia trascorso
la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato a un muro
bianco.
xxi
Fonte Gaia, in piazza del Campo a Siena, realizzata da Jacopo della
Quercia intorno al 1419 sul luogo dove sorgeva una fonte preesistente.
xxii
Le lettere di santa Caterina da Siena iniziano con l’epigrafe: Al no-
me di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
xxiii
Fontebranda è la più antica delle fonti di Siena.
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xxiv
Titiro è il nome del pastore in cui Dante Alighieri ritrae se stesso
nella prima Egloga in risposta a Giovanni del Virgilio che lo esortava a
scrivere in latino anziché in volgare affinché potesse essere coronato con il
lauro di poeta. Si tratta di un carme bucolico, il che giustifica il riferimen-
to alla fistola (o siringa, flauto di Pan).
25
«Tutta la vita
dell’anima mia fu vissuta
perché quest'ora splendesse.»xxv
Il cuore balza al frullo gagliardo del primo siluro che lascia la te-
naglia e parte. Ora siamo tutti carica e macchina, innesco e percoti-
toio.
Uno all’albero di trinchetto.
Uno al centro sotto il fumaiolo.
Gli attimi sono eterni. S’ode la bestia dal muso di bronzo che
ronfa contro il bersaglio raggiunto, con le eliche in moto, conti-
nuando a scaricare aria rabbiosa, impigliata di certo dentro una rete
protettrice.
Uno al centro del secondo.
Uno al centro del terzo.
Ancora s’ode il gran ronfare, il gran travagliare sott'acqua, laggiù,
contro la carena, come quando un balenotto viene ad arenarsi in un
basso fondo o sopra un banco e soffia e sfiata e si sbatte. Siamo di
metallo anche noi, abbiamo il tritòlo nella testa, nel corpo la camera
segreta coi congegni di governo.
Uno al fumaiolo del quarto.
Uno al fumaiolo del quarto.
L’uno e l’altro percorrono la stessa traiettoria, raggiungono il ber-
saglio nello stesso punto. Il primo riesce a squarciare la rete, il se-
condo passa attraverso la squamatura e scoppia.
Alalà!
Una Vittoria latina, ch’era sommersa, si riscuote con un sussulto
potente, sprigiona dal fondo una grande ala acquosa c la sbatte su la
faccia della notte.
Alalà!
xxv
Laudi, I, Maia, “Laus vitae”: «E tutta la mia forza / fu pallida, tutta
la vita / dell'anima mia fu vissuta / perché quell'ora splendesse».
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I tre gusci danzano una danza frenetica come tre delfini invasi
dal furore nautico di Bacco.
Alalà!
Pel mio orecchio sottile è come una scossa di terremoto nella
bottega di un vasaio ben fornito. Mille e mille orciuoli, mille e mille
piatti, d’ogni sorta stoviglie, rotolano tutt’insieme e si frantumano
con un enorme acciottolìo. Scorgiamo la massa scura inclinarsi tra
qualche battito di bagliori come d'occhi che tentino di aprirsi e si
richiudano per morire. Un vocìo confuso, un gridìo sparso, un ac-
cendersi e un agitarsi di fanali, colpi di fuoco rari, qua e là: l’allarme!
Poso la prima bottiglia nell’acqua, con le sue belle fiamme spie-
gate. Ha l’aria giuliva di una piccola balia brianzola acconciata coi
suoi pettini e i suoi nastri, che galleggi dalle poppe in su e s’allontani
ballonzolando. Luigi Rizzo si china a guardarla, la segue con gli oc-
chi burlevoli, e non può tenersi dall’imitarla, come un bambino che
senza volere imita il giuoco della sua marionetta. Poso la seconda
bottiglia nella rotta del ritorno, prima di doppiare la punta di Babri.
Vedo la terza agitarsi nella nostra scia insolente, mentre usciamo
dalla stretta e ci dirigiamo come padroni verso l’imboccatura della
baia passando dinanzi alla batteria di Porto Re che s illumina senza
tuonare. L'allarme fa cecca, come un vecchio archibugio carico di
polvere umida. Luigi Rizzo pensa al Colleoni.xxvi
xxvi
Il cognome Colleoni ingentilisce un termine più usato e più volgare:
nel linguaggio comune affermarne il possesso indica forza e virilità, ma in
senso del tutto opposto, anziché possedere questo “attributo”, si può esser-
lo, e ciò indica un’estrema imbecillità. Qui, naturalmente, si sottolinea con
dileggio l’inefficienza delle difese austriache.
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sca non sono spente. Il vento della velocità è a noi acerbo di prima-
vera precoce. Se l'allarme è trasmesso almeno alla Farasina, andiamo
incontro a un’altra ora bella.
Ci bisogna ripassare per la strozza. Questo nemico non stritola
ma rece.xxvii Luigi Rizzo non si sazia di lodarne la triplice bontà, sot-
to il vocabolo del condottiero bergamasco.
Alle due e cinque minuti accostiamo per imboccare il canale.
Non abbiamo altre armi che due mitragliatrici a prua e una a poppa.
Sono pronte, con le loro cassette di nastri. Ma per tutte le coste, a
dritta e a manca, non appare indizio di allarme. Cerchiamo di con-
servare la formazione a triangolo, dando la voce. La terza silurante
perde velocità, non ci può seguire.
D’improvviso, all’altezza di Prestenizze, parte un fuoco di fucile-
ria da qualche posto di vedetta. Nessuno curva il capo. Nel fosso di
poppa c’è il solo timoniere. Uno scoppio di facezie risponde. Per
giunta, accendiamo il fanaletto di poppa e rallentiamo, la terza saet-
tìa non essendo più in vista dietro di noi.
Che accade? un’avaria? di che sorta ?
La seconda è a portata di voce. È comandata da Profeta de San-
tisxxviii di Chiusi, da un imperturbabile Etrusco di poche parole tra-
smigrato al lido ligure e temprato nelle virtù della razza assuefatta ai
mali. Udiamo il suo accento netto e breve come il suo lineamento.
Egli riferisce che si tratta d’un fallo al motore di sinistra e che An-
drea Ferrarmi ha fermato lo scafo in mezzo al canale perché i suoi
due fochisti attendano a riparare il guasto.
Questo buon Ferrarini di Mantova comanda il terzo equipaggio.
È un vecchio navigatore brizzolato, pepe e sale, col naso rabbuffato
xxvii
Rece: da recere, rarissimo sinonimo di vomitare.
xxviii
Il Tenente di vascello Odoardo Profesta de Santis comandava il
MAS 95; il MAS 94 era comandato dal Sottotenente di Vascello Andrea
Ferrarini; il MAS 96, con a bordo D’Annunzio, era comandato da Co-
stanzo Ciano, Capitano di fregata.
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xxix
Imbaccato: da imbaccarsi, ubriacarsi: ubriacone.
29
IL PRIMO EQUIPAGGIO.
Il capitano di fregata Costanzo Ciano da Livorno.
Il capitano di corvetta Luigi Rizzo da Milazzo.
Il volontario motonauta Angelo Procaccini da Mestre.
Il capotorpediniere Giuseppe Volpi da Viareggio.
Il sottonocchiere Benedetto Beltramin da Donada.
Il marinaio scelto Giuseppe Corti da Ponza.
Il fochista scelto Edmondo Torci da S. Arcangelo di Romagna.
Il fochista Menotti Ferri da Massa Fiscaglia.
Il torpediniere Achille Martinelli da Montalcino.
Il volontario marinaio Gabriele D'Annunzio da Pescara
d’Abruzzi.
IL SECONDO EQUIPAGGIO,
Il tenente di vascello Profeta Odoardo de Santis da Chiusi.
Il capotimoniere Gino Montipò da Sassuolo.
Il capotorpediniere Arturo Martini da Napoli.
Il marinaio scelto Salvatore Genitivo da Favignana.
Il marinaio Raffaele Esposito da Conca Marini.
Il cannoniere scelto Galliano Furlani da Fano.
Il torpediniere Oniglio Calzolari da Pitelli.
Il fochista scelto Antonino Macaluso da Palermo.
Il fochista Virgilio Gaddoni da Massa Lombarda.
Il torpediniere Vincenzo Gaggeri da Casale Monferrato.
IL TERZO EQUIPAGGIO.
Il sottotenente C. R. E. Andrea Ferrabini da Mantova.
Il capotimoniere Vincenzo Lazzarini da Viareggio.
II sottonocchiere Emilio Davide da Finalmarina.
Il marinaio Paolo Papa da Trapani.
Il sottocapo torpediniere Cesare Dagnino da Sestri Ponente.
Il sottocapo torpediniere Domenico Piccirillo da Vietri sul Mare.
Il cannoniere scelto Umberto Biancamano da Gallipoli.
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Fiume fa le luminarie
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TRE LIRE.
SI VENDE PER LA PIETRA E PER II BRONZO D’UN CIPPO DE-
DICATO ALLA MEMORIA EROICA DEL COMANDANTE ANDREA
BARILE NEL CIMITERO DEI MARINAI A CA' GAMBA, BASSO PIA-
VE.
XI MARZO MCMXVIII,
TRIGESIMO DELL’IMPRESA DI BUCCARI