"L'Adalgisa" Una Performance Introduttiva

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L’officina de “l’Adalgisa”

Biblioteca Trivulziana
Venerdì, 20 aprile, ore 10.30

Studioso 1: Milano. 14 novembre 1893: ore 6. Via Alessandro Manzoni numero 3:


terzo piano...

Studioso 2: Nasce Carlo Emilio Gadda.

Studioso 1: Sempre a Milano: scuole elementari comunali; poi ginnasio e liceo al


Parini; infine la laurea in Ingegneria al Politecnico.

Studioso 3: La realtà milanese, in lui, nutre sentimenti contrapposti di uguale inte­


sità: un affetto commosso e al contempo il risentimento più violento.
Pagine tra le più intensamente liriche e accorate sulla sua città si alternano
ad una requisitoria satirica e impietosa. Milano reca per Gadda il codice
genetico della sua personale disarmonia con la realtà.

Lettore: “Oh confortevole aura, salubre terra e clima dell'Olona e del Lambro! oh,
Sèveso! oh, pioppi! Oh! plasma germinativo della gente! Dove tu, per quan­
to minchione te tu sia, o anzi proprio e precisamente per quello, che ci hai
nella testa un bel turàcciolo, te tu ti senti tenuto a galla come un papa senza
neanche darti pena di nuotare: da un clima unto e fraterno, da una pégola
vivificatrice. Come una sagace borda: o lardo sfriggente, che si strugga nel­
le opere, e nella padella de' civili soccorsi. Come feeders (barre alimentatri­
ci) da cui ogni derivato circuito metallopermeante dell'elettrico. Oh! terra e
aura, nei mattini di lavoro! A polmoni pieni, udendo battere cianfrini lonta­

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ni, te tu vi respiri e vi sguazzi in un etere elisio, però sanguigno e luganego­
ne, una specie di etere­lardo. Velato di fantasiose nebbie, o d'una allegante
calura: tale una pitture di Tosi. Lieto di ceci e verze. Che bollono e aggalla­
no, passato appena San Carlo, contubernali ad alcune costole di verdico
porco, in pentola. Un misto di ideologie di terza mano e di calci in culo au­
tentici, ai tempi di Spagna o di Francia: e a' miei anni la sana fatica avente
nel suo punto focale un «giambòn» o un «motore con valvole in testa», e con
l'osso da rosicare, dentro il giambone: e anche tutt'e due alla volta. Un
guazzabuglio di tram, un'epifania di meringhe, un rinascimento Bartesaghi,
una quasi civile convivenza di salumai uricemici, di bozzolieri onesti e di
elettrodomestici mazziniani: e di sballati architetti! Una bischeraggine ge­
nerosa e totale, una vena romantica e brodolona, una antica luce dalle torri
e dai tamburi delle cupole sui poveri morti. Oh! sangue e gente delle stragi
e delle ibridazioni lontane tra ligure e gallico e longobardo e minchione,
con quello spruzzo di bugie curuli in coppa a dargli il sapore e la parvenza
d'una civiltà, quasi polvere di cannella sulla panna frullata!”.

Studioso 1: Milano, Firenze e Roma scandiscono in tre stagioni il suo lavoro lette­
rario, anche dal punto di vista linguistico…

Lettore: A proposito senti questo esempio da l'Adalgisa: “Del resto non bisogna
credere che pensasse domà a godere”. Domà a gòdere: soltanto a godére, in
un italiano raggiunto partendo dal dialetto: gòt si tramuta in gòdere. Così
talvolta il romano ha sédere per sedére; da séde. “Si metta a sédere ­ basta
così”.

Studioso 2: Una sorta di cubismo della scrittura il suo, nel rifiuto della rigida mo­
nolingua, nel distacco ideologico dalle intenzioni e ai concreti risultati dei
suoi esponenti. Per questo si è voluto dedicare alla produzione letteraria del
periodo milanese uno studio linguistico specifico, ritenendo che uno stru­
mento come un glossario potesse portare un contributo concreto alla com­
prensione. Si è trattato dunque di fare una selezione, di mettere insieme
quei termini che costituivano uno scarto della lingua d’uso, i quali, pur non

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avendo un particolare interesse linguistico, diventano rilevanti per la lingua
di Gadda.

Lettore: “Le parole dei molti poeti sono come gli asciugamani dei molti coscritti, in
camerata, che il tuo di oggi è il mio di domani”.

Studioso 3: Tre sono i termini che presentiamo oggi, tre tecnicismi.

ATEUCO

Lettore: "Ricordò la famosa cattura dell’Ateuco, lo scarabeo nero «che perfino i re


dell’Egitto, ma pensa un po’ che epoca superstiziosa in confronto alla scien­
za del dì d’inkoeu, lo veneravano come un animale sacro, come un
pavone…». Carlo aveva raccontato mille volte la storia, ai ragazzi divertiti,
a tavola: «Per quanto… al momento che si è dietro a mangiare… cara te!…
tant petitosa l’è poeu minga…».
Erano al mare, verso Viareggio, l’anno che avevano fatto i corni a Varazze
suscitando le proteste del nobile Gian Maria e alcuni tentennamenti ironici
della sarcastica parrucca di donna Eleonora: «quel Carlo!». Dove la sabbia
scottava sotto i piedi: e lui ci andava appostario: si appostava lì delle ore,
in agguato.
Il forte e nero animale gli era apparso a un tratto, sul dorato folgore dell’a­
rena. Avvedutosi dell’uomo, si era dato subito a fare il morto, raccogliendo
le zampe, acquattandosi, simulando l’indifferenza levigata di un cottolo…
d’un sassolino… Una grossa e rotonda pallottola gli stava davanti, ossia
dietro: Carlo s’avvide, riflettendoci, che l’ipocritone aveva camminato a ri­
troso…
Vele erano nel mare, lontane.
Sul fronte del nerissimo insetto il ragioniere,felice, riconobbe l’epistòma,
cioè la potente pala dentata, quasi uno spazzaneve di locomotiva. Dopo un
po’, vedendo che non succedeva nulla di nuovo, quella brutta bestia riprese
la fatica. Puntava sulle zampe anteriori e retrocedeva in sicurezza perfetta,

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come se ci vedesse dal pigìdio. Ogni volta bisognasse afferrava la pallottola
con le posteriori ed ecco, ecco la sospingeva all’insù, terribilmente, valican­
do con la tenacia di Sisifo le piccole dune, le increspature dell’arena; a noi
un nulla, bastioni enormi a lui. La pallottola, perfettamente sferica e infari­
nata come una polpetta, era venti volte più grossa dell’Ateuco, ma doveva
averlo inebriato col suo profumo, come l’odor solo della «borsa» inebria il
pugile alla lotta.
E la sfera ascendeva, lenta: si sublimava sopra la repulsione di quella pa­
zienza color pece, superava i tenebrosi divieti della gravità. Trasgredito il
vertice, ripiombava rotolando nella gravità. L’Ateuco, infaticato, la sospin­
geva per monte e per valle fino alla dimora di sua donna: che attendeva an­
siosa, per il piccolo, per la imminente larva, quella balia provvidenziale.
Accorsero dei ragazzi di bronzo, ignudi. Carlo, tutto chino, con un batticuo­
re, aveva già estratto le pinze. Con quelle afferrò l’Ateuco mentre si dibatte­
va furente, lo rinchiuse nel vasetto… Un ragazzo prese invece la pallottola,
eccitato a conquistar la sua parte di fortuna; che però la sentì molle e anzi
gli si spiaccicò fra i quattro diti: «Ma un vedi che la è cacca, ettù
bischero!…», strillarono ridendo i compagni. Quello rimase esterrefatto,
con la polpetta stiacciata fra i quattro diti; poi corse alla battima dicendo
madonnabona madonnabona ziohàne.

ISOPERIMETRICO

Analista: Isoperimetrici sono i problemi di ottimizzazione delle forme di perimetro


dato. Fra questi pochi sono i problemi di facile soluzione: immediato è ve­
dere che la figura piana che a parità di perimetro occupa la più ampia su­
perficie possibile è il cerchio, ma per risolvere problemi appena più com­
plessi, bisogna ricorrere al formalismo del calcolo delle variazioni. Risol­
vere ad esempio il problema di sagomare la forma che a parità di superficie
offra la minima resistenza all’acqua, non è solo non banale ma anche non
risolto.

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Lettore: "«Come quel giorno... ch'el m'è tornàa a cà consciàa, ma consciàa...»
Levò le mani inguantate a nascondere il volto, e quasi a smorzare, un atti­
mo, la fulgidità del ricordo. «Madonna Santa!... pareva che fosse caduto in
un lago di palta!...
Era caduto infatti in una specie di pantano, fra la roggia Brisighella e la
roggia Scondüda, ch'era straripata, quest'ultima: in territorio di San Co­
lombano al Lambro, in campagna, dov'erano andati per «San Péder», a tro­
vare certi partenti pieni di polli. Il dolce piano, quel pomeriggio, nel sole
fulgidissimo, brusiva di amori e di voli.
S'era cavata la giacca, s'era sporto avido, con il retìno, per una preda di
larve: e anche ditischi adulti, magari: così almeno riferirono i testimoni. Ma
quei vigorosi nuotatori, subodorate le intenzioni del retìno, (lo lumarono su­
bito, dal sotto in su), via! s'erano spiccati come altrettante spole dall'erbe e
dagli steli subacquei, dove pareva invece che ci dormicchiassero: e lui die­
tro! col suo retìno, bravo! come ci fosse probabilità di raggiungerli! In ma­
niche di camicia com'era, teso fino all'ultimo il braccio, Dio com'era pelo­
so!, perché aveva rimboccato la manica. Attaccandosi con la sinistra a un
ramo, sì! finché il ramo si scerpò netto: e lui patapùmfete!: dentro come un
salame fino al collo.
Una nuvola di fango lo aveva sùbito circondato.
Quelli intanto bucarono via l'acqua come siluretti felici, scampati nei roridi
e verdi regni, fra i capegli dell'erbe e dell'alghe: salvi dal loro profilo ellitti­
co o parellittico, che offre credo, un minimum di resistenza, che segna un
optimum della forma natante. E devono aver raggiunto quest'ottimo nella
pertinace evoluzione della discendenza, in un loro amore del meglio e poi
del perfetto, educendo dalla grossolanità primigenia il garbo del capo, del
corsaletto e dell'èlitre, sforzandosi di tendere, tendendo all'ellisse, entro pa­
ludi, o gore morte nelle golene de' fiumi: ogni acqua ferma un bacino da
esperimenti, ogni specchio livido un mondo da perforare col pensiero: tra­
verso generazioni e millenni raggiungendo il loro laborioso integrale isope­
rimetrico".

Studioso 2: È sorprendente come Gadda riesca a trarre da una situzione potenzial­

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mente comica, come quella di un uomo che cade nel fango nel tentativo di
catturare delle larve, lo spunto per una riflessione sulla natura dell’uomo.
Le larve e gli animali del fango, così insignificanti, schifosi si scoprono es­
sere invece esseri perfetti, in grado di risolvere problemi che l’uomo da se­
coli si pone senza saperne trovare la soluzioni.

Analista: Il più classico problema isoperimetrico è appunto quello posto da Archi­


mede sulla forma ottima per minimizzare la resistenza in acuqa, problema
che non sa risolvere nemmeno il moderno Calcolo delle Variazioni, che
vede uno dei suoi massimi esponenti in Tonelli, insigne matematico italia­
no contmporaneo di Gadda.

Studioso 2: L’uso del tecnicismo matematico è qui per Gadda un modo per espri­
mere l’inadegutezza dell’uomo, sia pure in manera implicita ma allo stesso
modo con una densità di significato che non avrebbe potuto raggiungere al­
trimenti.

PROIEZIONE ORTOGONALE

Geomètra: La proiezione ortogonale rappresenta uno dei tanti metodi propri della
geometria descrittiva per rappresentare oggetti, di forma qualunque, me­
diante disegno. La proiezione di una figura su un piano è il luogo dei piedi
delle normali al piano condotte alla figura stessa, e coincide con l’ombra
che questa proietterebbe sul piano dato.

Lettore: “Il guaio fu «quando le cose precipitarono». Al ricordo, l'Adalgisa levò il


fazzoletto della borsetta, la cui molla, nel venir chiusa, fece un tràc assai ni­
tido. «Con due figli da tirar su, capirai!» Aveva dovuto «ridursi»: assoluta­
mente. «Ma dove metterla tutta quella roba?»
Il trasloco tragico fu una specie di cataclisma. La tromba marina della di­
sdetta l'aveva aggirata e ravvolta via verso il buio, forzandola a smaltire sui
due piedi un quattro quintali di sassi: per non dire dei ricci, dei conchiglio­

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ni, e alcune lunghe stanghe di calcio, pezzi di stalagmati: come candele
smoccolate. «E senza alcun profitto, senza poterne ricavare un centesimo!»
Anzi: «quas quasi dovevo pagargli io il trasporto... Ah! Madonna, che mo­
menti!... Che momenti ho passato!... Domà il Signore lo sa!...» E fortuna an­
kamò che il capomastro di casa Ingegnoli era buono come il pane. Aveva da
colmare una buca, nella fabbrica nuova lì a due passi, pènna foeura da Via
Pisacane. I «minerali in se stessi» finirono lì.
I facchini del trasloco, invece, «che sono come le bestie», avevano perfezio­
nato la disgrazia.
Anzitutto nell'agguantare le prime teche venutegli fra le mani, le avevano
«scorlìte» con una tal mancanza di riguardo, da disincagliare issofatto al­
cuni Curculioni dei meno felicemente infilzati, o forse un po' troppo secchi,
ormai. E anche dei Bupressidi.I costoro cadaveri avevano preso a vagabon­
dare nel sepolcreto inseguiti dal ciotolino di mirbano, il quale, essendo un
vetro d'orologio, non solo era andato in briciole lui, ma aveva anche infran­
to il vetro della teca. Poi, come non bastasse, e nonostante una tremenda in­
temerata dell'Adalgisa, avevano deposto alcune delle quindici scatole, le più
preziose naturalmente, quella dei Geotrùpidi fra l'altre, davanti a una ruota
del furgone: dove ci si leggeva sul fianco, a lettere cubitali, Fratelli... Fra­
telli... che so il!: e subito dopoi le avevano completamente dimenticate. (Lo
sdegno, al solo ricordo, dové metterle in subbuglio il fegato).
Ne consegui, appena mossi i cavalli, un appiattimento definitivo della più
eletta società dei Geotrùpidi e de' Curculioni, oltreche delle Blatte. La Blaps
Mortìsaga, alta e pretenziosa sulle zampe e dura e crocchiante sotto il cal­
cagno, si ridusse ad essere niente più che la proiezione ortogonale della sua
propria superbia”.
Studioso 3: Gadda ritiene dunque irrinunciabile il riferimento al concetto geome­
trico di “proiezione ortogonale” . Esso trasferisce al lettore in maniera
istantanea e precisa l’immagine della rapida e inesorabile fine della Blaps
Mortìsaga, nella maniera in cui è stata modellizzata dalla mente dell’auto­
re.
Il tono umoristico delle parole gaddiane cela tuttavia una riflessione che va
al di là della mera descrizione, colpendo inaspettatamente il lettore: ciò che

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è proiettato ortogonalmente sull’asfalto non è il corpo della Blaps Mortìsa­
ga, ma la sua superbia.

Geomètra: Superbia che diventa visibile proprio grazie alla proiezione, come in
Geometria: la proiezione è uno strumento in grado di rendere concreti enti
che altrimenti non lo sarebbero. Grazie proprio alla proiezione si sviluppa
la nuova Geometria Proiettiva per la quale anche l'infinito è un ente proprio
dello spazio, non più qualcosa di diverso e speciale. È questa un, delle di­
scipline matematiche, oltre al calcolo delle variazioni, più in auge ai tempi
di Gadda, soprattutto alla Sapienza ma anche al Politecnico dove, cinquan­
t'anni prima, aveva insegnato Cremona, fondatore di quella Scuola Italiana
di Geometria che proprio in questi anni stava ponendo le fondamenta alla
Geometria contemporanea.

Studioso 3: La ruota di quel furgone, proiettandola, esibisce la superbia della Blat­


ta che ormai privata della sua natura «speciale» non ha più motivo d'essere
superba. Dal momento che Carlo è morto, nessuno se ne cura più: la realtà
è compendiata in quell'immagine piatta, in quella proiezione rivelatrice.
La ruota del furgone è “a livella” di Esposito Gennaro, netturbino.

Lettore: "[...] Famme vedé..­piglia sta violenza...


'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?


Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti


paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,

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da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!


T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,


trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,


suppuorteme vicino­che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

(A livella di Antonio De Curtis in arte Totò)

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