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MODULO I ITALIANO

Prof.ssa Valentina Chiavazzo


A.s. 2019-2020 Corso AFM

L’ETA’ DEL REALISMO

Nella seconda metà dell'Ottocento si diffonde in Europa e in Italia una crisi del Romanticismo e si
fa strada una nuova tendenza più vicina ai problemi concreti della società: il Realismo. Questo
movimento prende il nome di Positivismo in filosofia; Naturalismo nella letteratura francese;
Verismo nella letteratura italiana.

REALISMO

_____________________________________________________________

POSITIVISMO NATURALISMO VERISMO

IL POSITIVISMO: CARATTERI GENERALI


Il Positivismo è un movimento filosofico e culturale, caratterizzato dall’esaltazione della scienza,
che nasce in Francia nella prima metà dell’Ottocento e che si impone, a livello europeo e mondiale,
nella seconda parte del secolo. Il termine “positivo”, da cui deriva il nome di questa corrente, viene
assunto, dai filosofi positivisti, in due significati fondamentali:
1)“positivo” è innanzitutto ciò che è reale, effettivo, sperimentale, in opposizione a ciò che è
astratto, chimerico, metafisico;
2)“positivo” è anche ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che è inutile e
ozioso. Il Positivismo appare quindi, complessivamente riguardato, come la filosofia della moderna
società industriale e come l’ideologia tipica della borghesia liberale dell’Occidente. Non per nulla
esso si sviluppa in quelle nazioni (come l’Inghilterra, la Francia e la Germania) che appaiono
all’avanguardia del progresso industriale e tecnico-scientifico, mentre impiega tempo ad affermarsi
nei paesi (come l’Italia) in ritardo da questo punto di vista. La diffusione in larga scala della
corrente positivistica è favorita soprattutto dalla Seconda rivoluzione industriale, che
parallelamente, porta al decollo del sistema industriale, della scienza e della tecnica, alimentando
quel clima generale di fiducia entusiastica nelle forze dell’uomo e nelle potenzialità delle scienze.
IL NATURALISMO FRANCESE
Il Naturalismo è l’indirizzo letterario nato in Francia nella seconda metà del XIX secolo, che
assegnava all'opera letteraria il compito di attenersi a una descrizione oggettiva e impersonale della
materia rappresentata. Emile Zola è lo scrittore che diede la sistemazione più compiuta alle teorie
naturaliste e che riassunse quasi completamente nella sua opera il movimento, ponendosi come
caposcuola. Questi, i principi fondamentali che verranno in parte ripresi dal Verismo:
· Scientificità: il romanzo deve essere realizzato con i procedimenti propri della scienza
sperimentale, cominciando dall’osservazione analitica, guidata dalle conoscenze della realtà
materiale, umana e sociale;
· Impersonalità: lo scrittore deve essere freddamente obiettivo, non far pesare sulla narrazione il suo
intervento personale. Al fine dell’impersonalità, lo scrittore impiegherà il linguaggio proprio dei
personaggi e ricorrerà, quando sia necessario, al dialetto e al gergo;
· Funzione sociale: l’arte, come la scienza, deve proporsi come fine il miglioramento della società,
attraverso la denuncia dei mali della società stessa.

IL VERISMO ITALIANO
Anche in Italia la tendenza realistica generò una corrente letteraria che interessò la poesia, la
narrativa ed il teatro. Tale corrente va sotto il nome di Verismo e si sviluppa negli anni successivi
all’Unità e prosegue fino al primo decennio del Novecento, raggiungendo la piena maturità
nell’ultimo trentennio dell’Ottocento. Il teorico del movimento fu Luigi Capuana, il quale,
richiamandosi al Naturalismo francese, faceva proprio il principio dell’“impersonalità dell’arte”, la
tendenza a fotografare la realtà e rappresentare il documento umano oggettivamente. A differenza
dei colleghi francesi, che denunceranno in tono polemico ma sempre fiducioso la degradazione del
proletariato industriale e lo squallore delle realtà urbane, i veristi descriveranno in tono più che mai
rassegnato la misera condizione degli umili nei piccoli ed arretrati paesi dell’Italia Meridionale, le
cui attività produttive principali erano l’agricoltura, la pesca e il lavoro nelle miniere. I punti
essenziali della poetica verista, sono espressi chiaramente nella prefazione di G. Verga alla novella
L’Amante di Gramigna (dalla raccolta Vita di campi). I tratti salienti e le caratteristiche della
corrente sono:
· accettazione delle leggi scientifiche che regolano la vita associata e i comportamenti: lo scrittore
cerca di scoprire le leggi che regolano la società umana, muovendo dalle forme sociali più basse
verso quelle più alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche
che stanno dietro ad un fenomeno;
· piuttosto che raccontare emozioni, lo scrittore presenta la situazione quotidiana come una indagine
scientifica, ricercando le cause del suo evolversi, che sono sempre naturali e determinate
(determinismo o darwinismo sociale);
· necessità di una riproduzione obbiettiva ed integrale della realtà, secondo quel canone
dell’impersonalità che è l’applicazione in letteratura del principio scientifico della non interferenza
dell’osservatore sugli oggetti osservati (derivante dal Positivismo);
· il modo di scrivere cambia nel verismo dando spazio ai dialetti, eliminando tutte le forme di
raffinatezza retorica e accademica e introducendo la mimesi linguistica (mimetizzazione =
nascondersi nell’ambiente circostante in modo da risultare non visibile). La sintassi è semplice e
disadorna, e continuamente intercalata da espressioni popolari e proverbiali che mettono in luce
l’oggettività della narrazione;
· l’autore si mette nella pelle dei suoi personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le
loro parole. In tal modo la sua mano « rimane assolutamente invisibile » nell’opera e il lettore ha
così l’impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i
suoi occhi;
· scomparsa del narratore onnisciente (modello manzoniano). Il lettore viene quindi introdotto nel
mezzo degli avvenimenti, senza che nessuno gli spieghi gli antefatti e gli tracci un profilo dei
personaggi. Questi ultimi si sveleranno da sé per mezzo delle loro azioni e in base a ciò che gli altri
personaggi diranno di loro.
DIFFERENZE TRA NATURALISMO E VERISMO
Il Naturalismo e il Verismo differiscono in alcuni punti:
• nei romanzi francesi è forte la denuncia delle ingiustizie sociali, accompagnata dalla fiducia in un
loro superamento; i problemi presentati sono comuni a tutto il popolo francese e hanno quindi un
carattere nazionale.
• nei romanzi italiani, invece, sono rappresentate le misere condizioni delle masse subalterne. Non
c’è però una precisa volontà di denuncia e non si intravede una possibilità reale di riscatto e di
miglioramento per gli umili.

I veristi vivono e scrivono in una società ancora arretrata, dove le plebi sono rassegnate, la
borghesia e l'aristocrazia sono chiuse nel loro mondo e sorde alle questioni sociali. I problemi
trattati, infine, hanno un carattere locale, meridionale, dialettale e non coinvolgono l'intera nazione.

GIOVANNI VERGA (Catania 1840 - Catania 1922)


LA VITA
Giovanni Verga nacque a Catania il 2 settembre 1840, discendente da una famiglia di antica nobiltà
rurale. Frequentò scuole private, si iscrisse alla facoltà di Legge dell’università di Catania, senza
conseguire la laurea, perché impegnato nel lavoro letterario. In questo suo proposito venne
pienamente appoggiato dal padre, che contribuì alle spese delle prime pubblicazioni.
Fra il 1865 e il 1871 visse a Firenze, a quel tempo capitale d’Italia, dove ebbe i primi contatti
letterari e relazioni e successi mondani. Dal 1872 al 1893 abitò a Milano, dove fu in stretto contatto
con gli ambienti letterari, che facevano di Milano la città più viva d’Italia. Inariditasi la vena
creativa, si ritirò a Catania, dove morì il 27 gennaio 1922, quasi in solitudine, in seguito a una
trombosi
LA POETICA
L'attività letteraria di Giovanni Verga, dopo le prime opere giovanili e di scarso rilievo, può essere
divisa in due fasi:
- una prima “MONDANA” caratterizzata dalle descrizioni di ambienti artistici e dell'alta società (fa
capo agli anni nei quali vive tra Firenze e Milano). Si trova in questi romanzi la volontà di
analizzare la società del suo tempo, soprattutto dello strato sociale più elevato, mettendo in evidenza
i fallimenti sentimentali e l'immoralità, non solo dei singoli personaggi ma di tutta la società.
Appartengono a questa fase i romanzi: Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Tigre Reale ed
Eros.
- una seconda che può propriamente essere definita quella verista. la serie di romanzi romantici e
sentimentali, che però denunciavano già una forma di preverismo, vengono interrotti da una
novella, intitolata Nedda, completamente diversa sia per l'argomento trattato che per lo stile. In essa
Verga non descrive più il mondo borghese dell'alta società milanese o fiorentina, ma il mondo umile
e povero, lontano da ogni specie di vita mondana, di un piccolo paese siciliano. In Nedda si avverte,
come già nei precedenti romanzi, l' accusa contro un certo tipo di società, ma l'accusa in questo caso
è molto più concreta e si basa su uno studio attento e realistico di una situazione sociale ben precisa
che l'autore denota di ben conoscere. Dopo questa novella, che può considerarsi un episodio isolato,
il Verga continuò a scrivere i romanzi alla prima maniera, per poi riprendere dopo un po' di anni le
posizioni stilistiche e umane che aveva espresso in Nedda, iniziando così la sua nuova fase
narrativa. Lo sfondo di tutte queste opere sono i luoghi intorno a Catania al quale lo scrittore era
fortemente legato e hanno tutte come protagonisti uomini di umili origini sociali, come contadini,
pastori, pescatori, artigiani. Appartengono a questa fase: Vita dei campi, Rosso Malpelo, Il Ciclo
dei Vinti. In queste novelle Verga descrive, dal punto di vista popolare, gli eventi e le situazioni di
quell'ambiente contadino siciliano che egli conosceva bene e a cui era particolarmente legato,
focalizzando l'attenzione sul piccolo mondo locale.
IL CICLO DEI VINTI
Lo scrittore siciliano aveva progettato un ciclo di cinque romanzi, Il ciclo dei vinti, dei quali, però,
scrisse solo i primi due: I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1888), ai quali interpose Il
marito di Elena (1882), romanzo che mostra ancora l'indecisione di Verga all'adozione del verismo.
I successivi tre titoli che dovevano completare il ciclo non sono mai stati scritti: essi comprendono
La duchessa di Leyra (di cui rimangono solo i primi capitoli), L'onorevole Scipioni e L'uomo di
lusso. Questi ultimi, in ordine, dovevano narrare la sconfitta di quella vanità che può sussistere solo
ad un alto livello sociale, la sconfitta nelle ambizioni politiche tese alla conquista del potere, e la
sconfitta nell'ambizione dell'artista che aspira alla gloria.
LE TECNICHE NARRATIVE
Verga per attenersi al canone dell’impersonalità, rivoluziona le strategie narrative attraverso diverse
tecniche narrative:
- Eclissi dell’autore: L'autore rinuncia ad esprimere il proprio punto di vista. Il racconto così avrà
così una visione oggettiva della realtà
- Regressione: L’autore si eclissa (si nasconde) dietro i personaggi per assimilare il loro livello
culturale e rappresentare così dall’interno il loro mondo.
- Straniamento (Rappresentare come strano qualcosa che non lo è, o viceversa ): Attraverso questa
tecnica l’autore evidenzia il divario tra la visione del mondo del narratore (analoga a quello dei
personaggi) e la visione del mondo dell'AUTORE (analoga a quello dei lettori).
- Discorso indiretto libero: Gli avvenimenti sono presentati direttamente dal punto di vista del
personaggio.
LA CONCEZIONE DELLA VITA
Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita. Pensava che tutti gli uomini fossero
sottoposti a un destino impietoso e crudele che li condanna non solo all’infelicità e al dolore, ma ad
una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare, sociale ed economico in cui sono venuti a
trovarsi nascendo. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non trova la
felicità sognata, ma va incontro a sofferenze maggiori, come succede a’Ntoni Malavoglia e a
Mastro Don Gesualdo. Con questa visione un po’ pietrificata della società Verga rinnova il mito del
fato ( cioè la credenza in una potenza oscura e misteriosa che regola imperscrutabilmente le vicende
degli uomini), ma senza accompagnarlo con il sentimento della ribellione in quanto non crede nella
possibilità di un qualsiasi cambiamento o riscatto. Per Verga non rimane che la rassegnazione eroica
e dignitosa al proprio destino. La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di
tutta la letteratura italiana se non fosse confortata da tre elementi positivi. Il primo è quel
sentimento della grandezza e dell’eroismo che porta Verga ad assumere verso i "vinti" un
atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le miseria e le sventure che li travagliano,
ammirazione per la loro rassegnazione. Secondo elemento positivo è la fede in alcuni valori che
sfuggono alla dure leggi del destino e della società: la religione, la famiglia, la casa, la dedizione al
lavoro, lo spirito del sacrificio e l’amore nutrito di sentimenti profondi ma fatto di silenzi, sguardi
furtivi e di pudore. Il terzo elemento è la saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci
porta a sopportare le delusioni.
OPERE
1) I Malavoglia
Il romanzo narra le vicende della famiglia Toscano, detta i Malavoglia (in realtà erano grandi
lavoratori, ma venivano così chiamati per contrasto), che abita il piccolo paese di Aci Trezza da
diverse generazioni. Il nucleo familiare di tipo patriarcale è composto, prima dal nonno, Padron
‘Ntoni, poi dal figlio Bastianazzo e dalla moglie Maruzza, detta la Longa ed infine dai nipoti:
‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Le uniche ricchezze della famiglia sono, la “casa del nespolo” , da
loro abitata, e la barca chiamata “Provvidenza”, unica fonte di reddito. Le disgrazie dei Malavoglia,
cominciano con la partenza alle armi di ‘Ntoni, che determina la mancanza di due forti braccia per il
lavoro della “Provvidenza” . Per colmare le difficoltà economiche, Padron ‘Ntoni si convince ad
acquistare a credito, da zio Crocifisso, un carico di lupini che, mediante la Provvidenza, deve far
giungere a Riposto. Ma, a causa di una violenta tempesta, la Provvidenza naufraga, va perduto il
carico di lupini e con esso anche la vita di Bastianazzo. La famiglia Malavoglia è sconvolta dal
dolore, ma non si rassegna e per far fronte al debito dei lupini decide di lavorare per Padron Cipolla.
Dopo il rientro di ‘Ntoni, questa volta è Luca a intraprendere il servizio di leva, ma con risvolti
tragici, poiché morirà nella battaglia di Lissa. La famiglia è di nuovo in ginocchio, anche perché gli
viene sottratta a causa dei debiti la casa del nespolo e per porre rimedio alle precarie condizioni
economiche, è costretta a vendere la barca, da poco pronta per il mare. Nonostante il dolore enorme
di Padron ‘Ntoni, è ‘Ntoni ad incrementarlo ancora di più. Egli, infatti, mira a ben altra vita da
quella che per lui, invece, riserva la tradizione di famiglia. Ma le sue ambizioni vengono presto
vanificate , poiché frequentando cattive compagnie si dà al contrabbando e finisce in galera ed in
più sua madre, Maruzza la Longa, muore di colera. Ma le disgrazie dei Malavoglia non sono ancora
giunte al termine, infatti Lia, travolta da uno scandalo, fugge di casa e finisce col diventare una
prostituta. Anche Mena a causa delle vicende familiari è costretta a rinunciare al matrimonio con
l’amato “compare” Alfio. Infine l’agonia della famiglia Toscano termina con la morte per malattia
di Padron ‘Ntoni. Sarà Alessi a riscattare la casa del nespolo, dove vivrà con la moglie e la sorella
Mena, mentre ‘Ntoni, tornato a casa, si sente come un estraneo e va di nuovo via, stavolta per
sempre.
Particolari elementi:
- Il nome della barca, la ‘Provvidenza’, è una risposta polemica a Manzoni. Per Manzoni la
Provvidenza (cioè l’intervento divino) salvava gli uomini da situazioni difficili, su di Lei si poteva
sempre contare. Per Verga non esiste alcuna Provvidenza, l’uomo è assolutamente solo
nell’afforntare le mille difficoltà della vita.
- L’ideale dell’ostrica. Per Verga l’uomo, soprattutto se povero, deve agire come le ostriche che si
salvano tenendosi aggrappate allo scoglio, altrimenti sarebbero massacrate da pesci e uomini.
Bisogna, in pratica, accontentarsi di quello che si ha e pensare alla sopravvivenza, vivere nella
famiglia e nel paese dove si è nati e dove si possono avere delle sicurezza. Se, invece, si cerca di
modificare la propria situazione per raggiungere la ricchezza, si va incontro a enormi disgrazie,
come per i Malavoglia.
- I Malavoglia sono ‘dei vinti’, cioè degli sconfitti, perché cercano di modificare la propria
situazione economica, anziché accontentarsi e vanno incontro a mille disgrazie.
2) Mastro Don Gesualdo
In Mastro-don Gesualdo Verga narra le vicende di un ex muratore, che con la sua tenace laboriosità
è riuscito ad arricchirsi. Non gli basta però la potenza economica, egli mira ad elevarsi socialmente
e sposa Bianco Trao, una nobile decaduta che ha avuto una relazione amorosa col cugino Rubiera
ed è stata da lui lasciata, perché la madre, la baronessa Rubiera, si è opposta al matrimonio
riparatore. Il matrimonio con Bianca non porta a Mastro-don Gesualdo la sperata soddisfazione,
perché, ora che è diventato "don", si sente escluso non solo dalla plebe dalla quale proviene, ma
anche dal mondo aristocratico, che lo considera un intruso e lo tratta con distacco. Egli porta nei
due titoli che precedono il nome "Mastro-don Gesualdo" il suo dramma: per la plebe è diventato un
"don", un signore quindi, e perciò appartiene a un altro mondo; per gli aristocratici rimane il
"mastro" di sempre, e quindi è un estraneo al loro mondo. Ma il dolore maggiore gli deriva dal non
sentirsi amato né dalla moglie né dalla figlia Isabella, che, d’altra parte, non è propriamente sua
figlia, ma è nata dalla relazione di Bianca con Ninì Rubiera. Egli, che ignorava tutto ciò, fa educare
la figlia in un collegio di nobili e la vizia accontentandola in tutti i desideri. Ma poi si scontra con
lei quando Isabella si innamora del cugino Corrado La Gurna, e la fa sposare ad un nobile
palermitano. Mastro-don Gesualdo, che nel frattempo ha perduto la moglie, è costretto a lasciare il
paese in rivolta per i moti del ’48; poi, essendosi ammalato di cancro, va ad abitare a Palermo nel
palazzo della figlia dove assiste allo scempio delle proprie ricchezze e muore solo e abbandonato da
tutti. Sul piano sociale il romanzo rappresenta la borghesia in ascesa di nuova formazione, avida e
ambiziosa simboleggiata da Mastro-don Gesualdo, e le vecchie aristocrazie in declino,
simboleggiate dai Trao. Mastro-don Gesualdo è un uomo senza riposo, sempre attento a custodire i
suoi beni e i suoi affari, morso dal cruccio interno della coscienza che ha del proprio fallimento
famigliare e sociale. Il mito del progresso e dell’innalzamento delle nuove classi, tanto spesso
sbandierato dalla cultura del positivismo, è sottoposto ad una critica assai più radicale che nei
Malavoglia, e tutto ciò mentre anche i privilegi e le tradizioni dell’ordine antico sono osservati con
occhio lucido, senza alcuna indulgenza. Nel Mastro lo scrittore, pur mantenendo la sua fedeltà al
metodo impersonale e obiettivo, è indotto dalla maggiore complessità dei temi e dal maggiore
approfondimento psicologico dei personaggi a usare soluzioni di linguaggio meno audacemente
innovative rispetto ai Malavoglia. La lingua è quella d’uso comune, ma non propriamente popolare.
MAPPA CONCETTUALE
VERISMO

Movimento artistico letterario che si diffonde in Europa alla fine dell’800

A seconda dei paesi e della scienza prende nomi diversi

POSITIVISMO NATURALISMO VERISMO


in filosofia nella lett. Francese nella lett. Italiana

CONTESTO STORICO

E’ il periodo della II Rivoluzione E’ il periodo delle “Questione Sociale”


Industriale con tantissime scoperte ovvero del contrasto tra proletariato
scientifiche e tecnologiche (operai) e borghesia

CARATTERISTICHE FONDAMENTALI

CARATTERE REGIONALE IL LINGUAGGIO FOTOGRAFIA DELLA


Ogni autore descrive cose della è semplice e con forme la realtà REALTA’ è presentata in
propria regione dialettali. Spesso si utilizza maniera oggettiva
il discorso diretto o il discorso
indiretto libero

DETERMINISMO o SCOMPARSA DEL NARRATORE ONNISCIENTE


DARWINISMO SOCIALE Il lettore viene quindi introdotto nel mezzo degli avvenimenti,
piuttosto che raccontare emozioni, senza che nessuno gli spieghi gli antefatti e gli tracci un profilo
lo scrittore presenta la situazione dei personaggi
quotidiana come una indagine
scientifica

DIFFERENZE TRA

VERISMO NATURALISMO
non c’è una precisa volontà di denuncia denuncia le ingiustizie sociali
e non c’è una possibilità di riscatto degli con la speranza di superarle
umili

I MAGGIORI ESPONENTI DEL VERISMO IN ITALIA

GIOVANNI VERGA LUIGI CAPUANA

In essi nasce il desiderio di raccontare il “vero” e di far parlare “i fatti” anche quelli più
insignificanti e crudi
GIOVANNI VERGA
Catania 1840- Catania 1922

Studia legge ma non si laurea per Viaggia tra Firenze e Milano Ritorna a Catania
dedicarsi alla letteratura. Dove conosce molti letterati nel 1893 vivendo in
La famiglia è benestante. In particolare Capuana a Firenze volontario isolamento.

(allora capitale d’Italia).

ROMANZI MONDANI ROMANZI VERISTI


in questi anni scrive romanzi rispecchiano la situazione
dalle tematiche scabrose quali politica e sociale che segue
Eva, Tigre reale, Una Peccatrice l’Unità d’Italia, in particola-
ecc re nel Sud Italia. Racconta-
no storie dei ceti più umili
in modo schietto (nudo e
crudo). Il linguaggio è mol-
to vicino alla vita reale con
l’utilizzo di espressioni
dialettali.

OPERE

I MALAVOGLIA MASTRO DON GESUALDO

Rientrano nel progetto del “CICLO DEI VINTI” che prevedeva la creazione di 5 romanzi nei quali
si affrontava il tema della incapacità dell’essere umano di cambiare destino. I romanzi dovevano
essere: I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L’Onorevole Scipioni, L’uomo
di lusso. Di questi riuscì a scriverne solo i primi 3 e a pubblicare i primi due.

-PRIMO ROMANZO DEL CICLO DEI VINTI -SECONDO ROMANZO DEL


-TEMI: usi e costumi siciliani, rovina della piccola CICLO DEI VINTI
proprietà oppressa dalla corruzione delle amministra- - TEMI: fallimento ascesa sociale
zioni locali. Sconfitta del ceto umile: famiglia di pes- manovale che aspira alla nobiltà
catori. [da MASTRO (manovale/artigia-
- STRUTTURA: 15 capitoli con una vicenda che si no) a DON (nobile)]
svolge tra il 1863 e il 1878 STRUTTURA: diviso in 4 parti
-TRAMA: Ambientato nel paese siciliano di Aci per un totale di 21 capitoli
Trezza, il romanzo racconta le vicende della fami- TRAMA: narra le vicende di glia
Toscano detta “Malavoglia” (è un antitesi Mastro Don Gesualdo che da
perché in realtà sono grandi lavoratori). Questi muratore, con grande fatica e non
vivono di pesca in una casa detta la “Casa del pochi sacrifici, riesce ad
Nespolo” e possiedono una barca chiamata la accumulare terre e ricchezze e a
“Provvidenza”. Il nipote Ntoni parte per il servi- diventare un ricco proprietario
zio militare; il capo famiglia è Padron Ntoni terriero. A M. d.G. viene che
acquista un carico di lupini per migliorare la combinato un matrimonio con
situazione economica familiare; affida il compito Bianca Trao, appartenente ad una
di vendere i lupini al figlio Bastianazzo, ma la barca famiglia di nobili ormai
naufraga e il carico di lupini affonda causando la decaduta, che viene derisa dal
morte del giovane. La figlia minore Lia si dà alla resto della città perché
prostituzione mentre Ntoni tornato dalla leva compromessa con il cugino don e
trovata una situazione disastrosa si dà all’alcolismo. Ninì Rubiera. Bianca, che
Un’altra figlia muore di colera. Per ripagare tutti i de- disprezza il marito per le sue
biti il nonno è costretto a vendere la casa e la barca, umili origini e perché ancora
ma il più piccolo dei nipoti, Alessi, grazie al duro lavo- innamorata del cugino, dà alla
ro riesce a riacquistare la tenuta. luce Isabella, probabile figlia di
-TECNICHE: Eclissi del narratore, discorso indiretto don Ninì.
libero, utilizzo di proverbi e espressioni dialettali. Isabella viene chiusa in collegio
-CARATTERISTICHE: Ideale dell’ostrica, concezione ma il rapporto con le sue
patriarcale della famiglia. coetanee non è semplice perché
le umili origini del padre
diventano causa di scherno da
parte delle amiche. La ragazza
torna in paese per l’epidemia di
colera del 1837 ma non si trova
più a suo agio nel mondo
contadino. Si innamora di
Corrado, un ragazzo povero ed
orfano, ma il padre si oppone a
questa relazione tentando,
attraverso la figlia, di proseguire
la scalata sociale.
Isabella fugge con Corrado e
M.d.G. vuole imporle un
matrimonio di convenienza con il
duca di Leyra che però pretende
una cospicua dote dal genitore.
Una serie di eventi portano il
protagonista a rifugiarsi nelle sue
campagne, dove si ammala di
cancro ed accetta l’ospitalità del
duca di Leyra: qui morirà da
solo, davanti ad una figlia
indifferente e circondato da chi
pensa solo a sperperare le
ricchezze da lui faticosamente
accumulate.
-TEMI: oltre a mostrare la
decadenza dell’aristocrazia,
presenta una contrapposizione tra
successo economico-sociale e
affetti familiari
MODULO II ITALIANO
Prof.ssa Valentina Chiavazzo
A.s. 2019-2020 Corso AFM

Simbolo e inconscio, la dimensione psicologica

IL DECADENTISMO

Il Decadentismo può essere definito come un movimento culturale piuttosto vario che trova nella
critica al Positivismo e alla morale borghese un punto di coesione. Il termine “decadente”, coniato a
Parigi verso il 1880, ha, originariamente, una valenza negativa. La critica letteraria di fine
Ottocento, ispirandosi alla morale borghese allora dominante, definì “decadenti” quei poeti che
esprimevano lo smarrimento della coscienza di fronte ad una civiltà considerata in declino. Scrittori
e pittori che si riconoscevano nelle nuove idee si riunirono attorno ad una rivista letteraria “Le
Décadent” fondata nel 1886. Il Decadentismo è un fenomeno complesso, non esiste, come per il
Naturalismo o per il Romanticismo, una poetica a cui far riferimento. Abbiamo piuttosto una
proliferazione di poetiche che possiamo raccogliere in due distinti movimenti: il Simbolismo e
l’Estetismo.

IL SIMBOLISMO FRANCESE: L’ESTETISMO


FONDAMENTI TEORICI
In Francia, negli stessi anni in cui si afferma il Naturalismo L'estetismo è un movimento artistico ma
nella narrativa, la poesia è caratterizzata da un rinnovamento soprattutto letterario della seconda metà
tematico e formale, che trova la sua espressione, all’interno del dell'800.
Decadentismo, nel Simbolismo. Mentre i seguaci del A causa di un senso diffuso
Naturalismo rappresentano la realtà sociale e l’analizzano in d’insoddisfazione,
modo scientifico e razionale, i poeti simbolisti rifiutano la stanchezza e sfiducia nell’agire dell’uomo
ragione come strumento di indagine della realtà. Essi rivolgono l’artista finisce col sentirsi sradicato
la loro attenzione al mistero che si nasconde dietro la realtà, e dalla società in cui vive e dai valori che la
si accostano ad esso attraverso l’intuizione e la sensibilità tipici reggono (profitto e guadagno) e cerca
dell’artista. Questa nuova poesia esprime il rifiuto del di superare il mondo borghese sentito
Positivismo e il disagio dell’artista nei confronti della società come ristretto e mediocre. Nasce così la
borghese. La corrente del Simbolismo si sviluppa in Francia fuga verso un mondo raffinato ed insolito,
lungo la seconda metà dell'Ottocento come movimento interno prezioso e un po’ malato (rispetto ai
alla più ampia corrente del Decadentismo trovando la sua canoni borghesi). L’esteta cerca la
teorizzazione nel 1886 con la pubblicazione, sulla rivista “Le raffinatezza, l’eroismo, la gloria, un ideale
Figarò”, del Manifesto del Simbolismo. Il movimento si può supremo
quindi considerare come una fase del più ampio Decadentismo di bellezza (insolita, preziosa, perversa,
europeo e i suoi principali maestri sono Verlaine, Rimbaud e sensuale). L’artista, si pone quindi
Mallarmé. l’obbiettivo di ricercare e conseguire il
I poeti simbolisti considerano la poesia e, più in generale, l’arte bello, il sublime. L’arte è considerata
come l’unica possibile forma di conoscenza: mentre la scienza l’unico valore autentico dell’esistenza e lo
si limita a registrare e descrivere i fenomeni visibili, l’arte va scopo dell’intellettuale è diventare parte di
oltre le apparenze e si pone in contatto con l’ignoto, con il essa.
mistero. Compito della poesia è appunto quello di decifrare i Lo scrittore si propone di suscitare nel
simboli che compongono la realtà. Ne deriva una nuova lettore emozioni rare e sconvolgenti. Viene
concezione del linguaggio poetico, inteso non più come data importanza quasi totalmente alla
strumento per descrivere oggettivamente il mondo, ma come forma: il verso, la rima, la ricercatezza
formula magica che permette di accedere a un universo di stilistica sono spesso il fine stesso del
connessioni tra le cose. In linea con questa poetica comporre che presuppone una sensibilità e
irrazionalistica, i simbolisti mettono da parte il linguaggio un gusto del tutto eccezionali.
oggettivo con i suoi nessi logici e ad esso sostituiscono le L’esteta è colui che vive ricercando la
analogie, cioè le relazioni puramente emotive e intuitive che il bellezza e che giudica la realtà che lo
poeta stabilisce tra le cose. Il risultato di queste innovazioni circonda mediante parametri puramente
formali è una poesia nuova e moderna, ma anche oscura, estetici,disprezzando ciò che è brutto o non
rivolta a un pubblico di pochi eletti. originale.
Egli si presenta come uomo colto,
LA POETICA SIMBOLISTA VERRA’ RIPRESA IN ITALIA insoddisfatto ed egoista che non fa altro
DA G. PASCOLI E DA G. D’ANNUNZIO, MA ANCHE DA che cercare di evadere dalla vita ritenuta
G. UNGARETTI E DAI POETI DELL’ERMETISMO. avvilente.
Sono riconducibili al Decadentismo anche il nascere di quelle che verranno definite “avanguardie”,
ossia di quei movimenti artistici che, pur nella profonda diversità di poetiche, mirarono alla
sperimentazione di nuove tecniche espressive, caratterizzate dalla rottura radicale con il passato.
Sono le cosiddette “avanguardie storiche” che si svilupperanno, nelle diverse forme d’arte fino agli
anni ’30: il Futurismo, l’Espressionismo, il Dadaismo, il Surrealismo

Gli elementi principali che caratterizzano il pensiero decadente


Il nucleo principale del pensiero decadente può sinteticamente essere individuato nei seguenti
elementi:
1. sfiducia nell’agire degli uomini
2. rifiuto e disgusto per i valori borghesi
3. consapevolezza dell’isolamento dell’artista rispetto alla società (il poeta si rifugia in un colloquio
esclusivo con se stesso).
4. nessuna fiducia nelle possibilità conoscitive della ragione e della scienza, solo la poesia può
aiutarci a cogliere il senso del reale
5. negazione degli ideali egualitari e democratici, considerati come espressione di un mondo che
livella e annulla la personalità, sostituiti da un prepotente individualismo
6. interesse per lo studio dell’animo umano

IL DECADENTISMO IN ITALIA

Il Decadentismo si diffuse in Italia con un certo ritardo rispetto al resto d’Europa. Esso si espresse
in particolare nell’opera di Giovanni Pascoli (la poetica del “fanciullino”) e in quella di Gabriele
D’Annunzio (che probabilmente rappresenta il maggior esponente della cultura decadente italiana,
se non altro per il suo voler far coincidere arte e vita e per la sua completa adesione ai motivi
dell’estetismo e de superomismo). Il Decadentismo italiano presenterà spesso fenomeni di decisa
reazione e di rifiuto dei modelli europei. Tuttavia gli ambienti in cui tale rifiuto nasce hanno in
comune con il Decadentismo la cornice generale, vale a dire la sfiducia in qualunque certezza,
l’individualismo, l’isolamento dell’artista rispetto alla società. L’incertezza e la precarietà vengono
allora riconosciute come base della vita, e la “malattia” è accettata come condizione normale, alla
quale è possibile contrapporre solo una lucida, virile rassegnazione ad un destino di sconfitta.
Questa “coscienza della crisi”, che rifiuta ogni facile rifugio nei miti velleitari e consolatori del
superomismo, ha in Italia i suoi massimi esponenti in Italo Svevo e in Luigi Pirandello, due
scrittori la cui penetrante sensibilità umana e culturale precorreva i tempi, e la cui grandezza, non a
caso, ebbe proprio per questo un tardivo riconoscimento.

N.B. In Italia il decadentismo si sviluppò in due periodi: un primo, rappresentato da D'Annunzio e


Pascoli, attenti alle tematiche della raffinatezza estetica e della sperimentazione letteraria (è la fase
nella quale si cerca di costruire), ed un secondo, rappresentato da Pirandello e Svevo, che
elaborarono una critica molto lucida della realtà sociale (è la fase nella quale si dà per certa la crisi
della realtà e sulla base di ciò si cerca di indagarla in modo critico e lucido).

Uno stile poetico e narrativo del tutto nuovo

Per cogliere il senso profondo è necessario ricorrere al simbolo, gli oggetti, le parole, le immagini
diventano simboli che richiamano sentimenti, stati d’animo, idee, attraverso un misterioso legame
di analogia. La poesia diventa illuminazione, formata da immagini intense e brevi senza il supporto
di una adeguata trama narrativa (per questo aspetto l’Ermetismo deve molto alla poesia decadente).
In polemica con il realismo, il decadentismo mira a fornire impressioni soggettive anziché
descrizioni oggettive, e predilige gli aspetti misteriosi ed onirici della realtà, esprimendoli con le
figure retoriche dell'analogia (è una figura retorica che consiste nell'accostamento e la
comparazione, all'interno di un testo sia scritto sia orale, tra due o più parole simili per significato),
della metafora (una figura retorica che implica un trasferimento di significato. Si ha quando, al
termine che normalmente occuperebbe il posto nella frase, se ne sostituisce un altro. Differisce dalla
similitudine per l'assenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali "come") e della sinestesia (è
una figura retorica che prevede l'accostamento di due parole appartenenti a due sfere sensoriali
diverse: es. ODORINO AMARO; SOFFI DI LAMPO).

GIOVANNI PASCOLI
(San Mauro di Romagna [Forlì]1855- Castelvecchio di Barga [Lucca] 1912)

LA VITA

Crebbe in campagna, in una famiglia patriarcale e agiata. Nel 1867, il padre venne assassinato in
circostanze misteriose; fu un delitto destinato a rimanere impunito e che sconvolse il sereno nido
familiare: la madre morì l’anno seguente e il fratello maggiore Giacomo si trasferì con il resto della
famiglia a Rimini. L’ossessione di ricostituire il nucleo familiare lo spinse a riunire attorno a sé le
sorelle Ida e Maria (detta Mariù) rinunciando a sposarsi. i; visse pertanto il matrimonio di Ida come
un tradimento. Nel 1895 a Castelvecchio di Barga (Lucca) prese in affitto una casa che in seguito
acquistò, facendone il suo nido definitivo assieme alla sorella Mariù. In questi anni travagliati
nacquero le raccolte poetiche più celebri: Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi
conviviali. Morì di cancro nel 1912.

LE COSTANTI LETTERARIE (tematiche centrali nella poetica pascoliana)

1) La morte del padre


La morte del padre è l’episodio che ha segnato la vita di Pascoli e sta alla base della sua vocazione
poetica. L’elaborazione del lutto conferisce una nota dominante a tutta la sua produzione. L’evento
traumatico, spezzando la sua vita in un “prima” spensierato e in un “poi” drammatico, ha generato
in lui un meccanismo regressivo che attira il suo immaginario poetico verso quel “prima” rivissuto
come il periodo più bello.

2) Il nido
Il tema del nido simboleggia la famiglia e viene visto come un luogo caldo, protettivo e segreto.
Il nido difende chi vi sta dentro. In questa visione, il male più grande è la dispersione del nido, per
esempio,l’abbandono della casa, i lutti familiari o il fidanzamento della sorella Ida.

3)La regressione
La regressione, che si manifesta nel simbolo ricorrente del «nido» (luogo al riparo dalle insidie del
mondo sotto la protezione degli affetti familiari), prende tre diverse direzioni:
 una regressione anagrafica (la fanciullezza, stagione dell’innocenza, della fantasia e della
spontaneità, come alternativa al mondo adulto dominato dal calcolo, dall’egoismo,
dall’insensibilità);
 una regressione sociale (il mondo arcaico [antico] e armonico della campagna, regolato
dalle eterne leggi di natura, come alternativa all’universo alienante [che estranea dalla
realtà] della modernità tecnologica e cittadina);
 una regressione storico-culturale (il mondo classico, ai primordi della civiltà occidentale,
come alternativa alla cultura borghese contemporanea).
PERCHÉ PASCOLI È UN CLASSICO?

1. Perché è il maggiore rappresentante italiano della poesia simbolista.


2. Perché come nessun altro ha saputo cogliere e far percepire il mistero della vita.
3. Perché la sua ispirazione poetica è stata sorretta da una sensibilità sottile, capace di leggere le
voci della natura come un libro segreto, dove sono riposte le grandi verità dell’esistenza umana.
4. Perché, poeta evocativo e visionario, ha saputo guardare al di là della superficie del mondo fisico
per afferrare l’essenza delle cose.
5. Perché il suo occhio penetrante, guardando gli oggetti più umili con lo stupore incantato di un
fanciullo, raggiunge sempre verità eterne e universali.

PERCHE’ PASCOLI FONDE TRADIZIONE E INNOVAZIONE?

Pascoli segna una svolta fondamentale nel processo di rinnovamento culturale e stilistico apertosi in
Italia tra l’Ottocento e il Novecento. In consonanza con quest’epoca di trasformazione (crisi del
Positivismo, crollo dei miti della scienza e del progresso), la sua opera fu caratterizzata da elementi
contraddittori, sia sul piano ideologico sia su quello delle scelte espressive. Nella formazione del
poeta sono evidenti, anzitutto, tracce della cultura positivista e classicista dell’Italia del tempo,
dominata dalla figura di Carducci (di cui Pascoli fu allievo), ma moderne sono la sua sensibilità e la
sua concezione della poesia come rivelazione dell’ignoto. Poeta di bozzetti naturali e descrittore di
contenuti umili, Pascoli scoprì il valore segreto delle «piccole cose» (primo elemento di
innovazione), viste come simboli della realtà che si cela al di là delle apparenze. Al linguaggio
generico e dotto della tradizione letteraria sostituì un lessico preciso e tecnico, aperto al dialetto e ai
termini stranieri, ma sempre con qualcosa di prezioso e raffinato, teso a sperimentare, in sintonia
con il gusto decadente, registri inesplorati (secondo elemento di innovazione).

VOLENDO QUINDI RIASSUMERE IN POCHE PAROLE LA POETICA PASCOLIANA SI PUO’


AFFERMARE CHE L’AUTORE FU UN “RIVOLUZIONARIO NELLA TRADIZIONE” (proprio
alla luce di quanto affermato sopra).

LE OPERE

1) Il fanciullino [1897-1903] (opera in prosa considerata il Manifesto della sua poetica)

Un autore sincronico Pascoli fu autore sincronico: portava cioè avanti più opere
contemporaneamente, sicché la sua produzione può essere ricondotta a una medesima poetica, che
egli stesso ha illustrato nella prosa del Fanciullino. L’opera ebbe una lunga gestazione: uscita in
anteprima parziale nel 1897 (con il titolo Pensieri sull’arte poetica), solo nel 1903 fu pubblicata in
forma integrale (in 20 capitoli), anche se non definitiva (Pascoli pensava a ulteriori ampliamenti).
Secondo Pascoli, in ogni uomo si cela un «fanciullino», ovvero la capacità di guardare con stupore a
quanto lo circonda; ma gli uomini comuni, diventando adulti, tendono a perdere, a differenza del
poeta, questa particolare sensibilità dell’infanzia. Il «poeta fanciullo» vede tutto con meraviglia,
come per la prima volta; si sottrae alla logica ordinaria grazie all’attività fantastica, parla «alle
bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle», piange e ride «senza perché, di cose che
sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione», scopre legami inconsueti tra le cose, rovescia le
proporzioni e rimpicciolisce «per poter vedere» o ingigantisce «per poter ammirare». La poesia,
come ricordo del momento magico dell’età infantile non inventa nulla, ma scopre nelle cose
quotidiane gli echi dell’interiorità e delle inquietudini della coscienza. In altre parole, se la
formazione culturale positivista porta Pascoli a valorizzare la realtà concreta e a esprimerla con
esattezza linguistica, egli però rifiuta la visione scientifica del mondo (la scienza non è l’unica
possibile forma di conoscenza), per privilegiare la “vista” simbolica, carica di significati soggettivi
e allusivi: la poesia consiste «nella visione d’un particolare inavvertito, fuori e dentro di noi» e il
poeta sa cogliere il mistero che avvolge la realtà. . Il poeta-fanciullino ha le caratteristiche del
veggente, ma proprio perché ha in sé questi tratti di superiorità che gli vengono dal dono poetico,
può ricoprire anche il ruolo di poeta-vate: la poesia, in altre parole, può avere una funzione
consolatoria, spingere gli uomini alla fratellanza, pacificare le tensioni sociali, fermare la corsa
affannosa verso il benessere materiale, propria della società capitalistica.

N.B. Il nazionalismo pascoliano In Pascoli emerge una forte contraddizione tra il suo utopico
socialismo umanitario e la sua adesione alla guerra colonialista in Libia: l’autore non guardava
all’Italia come a una possibile super-nazione, alla maniera di D’Annunzio; al contrario, l’Italia era
per lui una nazione povera costretta a espandersi territorialmente per dare pane e lavoro ai propri
figli e per arginare la piaga dell’emigrazione.
PASCOLI E D’ANNUNZIO
Pascoli e D’Annunzio sono i rappresentanti più significativi del Decadentismo italiano, ma
presentano notevoli differenze nel carattere, nello stile di vita, nel rapporto con la società letteraria.
Pascoli, riservato e schivo, bisognoso di protezione, si fece portatore di un’ideologia fondata sui
valori della famiglia, della casa, del lavoro; D’Annunzio, estroverso e mondano, amò far parlare di
sé, dare scandalo, si compiacque del bel gesto, del bel motto, e si propose quale figura pubblica in
cui la borghesia italiana potesse proiettare i propri desideri di affermazione o di trasgressione. Allo
stesso modo, anche le due poetiche appaiono radicalmente diverse. Sebbene entrambi tentino,
raccogliendo le istanze simboliste, di superare il linguaggio mimetico, gli esiti risultano opposti e
complementari. Il «fanciullino» di Pascoli è un invito ritornare bambini per riconquistare l’antico
pudore, in cui il linguaggio torni a essere tramite per intuizioni profonde, pre-logiche, simboliche di
verità nascoste alla razionalità. Al contrario il «superuomo» d’annunziano crea una nuova realtà:
come a voler piegare il mondo alla propria visione, nel tentativo di fondere l’individuo con la
totalità dell’esistente. Queste differenze riemergono nel diverso appropriarsi del ruolo di vate:
Pascoli cantò i successi della patria ponendosi sulla linea di un nazionalismo per nulla esasperato,
come estensione dei legami di sangue dalla famiglia alla nazione, dal nido privato al nido comune
(l’Italia); D’Annunzio, invece, si sentì chiamato a esortare la patria a tornare a essere la potenza
egemonica di un tempo.

2) Myricae [1891-1911] (si legge MIRICE)

Titolo e genere
Myricae è termine latino (preso a prestito dalla IV Bucolica di Virgilio) per indicare le tamerici,
umili arbusti comuni in area mediterranea, impiegati dai contadini per far ramazze (Scopa
grossolana fatta di rami sottili, usata per pulire strade, cortili, cucine...) o accendere il fuoco. Per
Pascoli simboleggiano il mondo umile delle piccole cose legate alla terra; inoltre rappresentano un
legame con il luogo natale perché particolarmente abbondanti proprio nei paraggi di San Mauro di
Romagna. La scelta del termine latino è carica di valori:
 valore simbolico = vuole rappresentare gli aspetti più semplici, propri dell’umile mondo
bucolico

 valore affettivo = le tamerici abbondano nella natia San Mauro ed il poeta parlerà delle
proprie poesie come di tamerici (anche nella prefazione ai “canti di Castelvecchio”, opera
che va letta in continuità con Myricae) e si augura che fioriscano intorno alla tomba della
madre.

Temi: la morte, il nido

Fin dalla Prefazione Pascoli suggerisce la chiave di lettura del libro, dominato dal tema funebre
della rievocazione dei lutti di famiglia: la morte, nel giro di dieci anni, del padre, della madre e di
tre fratelli. Ma la dimensione privata assurge a visione del mondo, in cui al bene assicurato da
madre natura si mescola il male provocato dalla malvagità dell’uomo. Il nido è il grande archetipo
(modello) attorno al quale ruota il mondo poetico pascoliano. Esso è il luogo degli affetti e il rifugio
contro la cattiveria degli uomini; ogni distacco dal nido è un trauma, così come ogni ritorno è una
regressione (un tornare indietro) alla beatitudine della prima infanzia (al nido il fanciullino guarda
come al grembo materno). Il nido è anche simbolo del riparo offerto dalla natura contro la violenza
della storia: pertanto è legato al polo positivo della campagna (ricco di risvolti ideologici, come la
celebrazione della piccola proprietà terriera e della serena semplicità della vita contadina),
contrapposto alla città (dove gli uomini si riuniscono solo per farsi del male). La tensione
drammatica che anima la raccolta è data dal fatto che anche nel nido la violenza si abbatte
comunque, trasformando lo spazio paradisiaco, meraviglioso, nel teatro di un dramma. Il nido
appare alla fine come il campo in cui il bene, la natura e la vita danno battaglia contro il male, la
storia e la morte.

Per riassumere - Tra i temi più ricorrenti nella raccolta “Myricae”:

memoria volontaria – scorrere continuo tra passato e presente;


nido - simbolo di una sicurezza spesso minacciata;
la siepe – elemento che isola e protegge dal male, dal dolore e dall’intrusione di elementi ostili;
riflessione sulla poesia - unica forma di consolazione e rifugio;
i morti - spesso incontrati in situazioni oniriche e visionarie

Poesia tratta dalla raccolta “Myricae”


Titolo della lirica: X AGOSTO (si legge 10 agosto)

TESTO PARAFRASI
San Lorenzo, io lo so perché tanto San Lorenzo (apostrofe - il Poeta si rivolge al santo celebrato il 10 agosto,
di stelle per l'aria tranquilla anniversario dell’assasinio del padre), io lo so perché così tante stelle (tanto
di stelle: per un particolare fenomeno astronomico, nella notte di San
arde e cade, perché si gran pianto Lorenzo le stelle cadenti sono molto più numerose del solito) ardono e
nel concavo cielo sfavilla. cadono nell’aria serena, perché un così grande pianto (gran pianto: le stelle
che cadono diventano metafora del pianto) si manifesta nella volta del cielo
Ritornava una rondine al tetto:
(concavo cielo – vista da terra appare come una smisurata cavità).
l'uccisero: cadde tra i spini; Mentre la rondine tornava al suo nido (al tetto - sineddoche): la uccisero:
ella aveva nel becco un insetto: cadde tra i cespugli spinosi (spini); ella aveva nel becco un insetto: la cena
dei suoi rondinini (la rondine era l'unica fonte di sostentamento per i
la cena dei suoi rondinini.
rondinini, così come Ruggero Pascoli lo era per la sua famiglia).
Ora è là, come in croce, che tende Ora è là, come in croce (la rondine abbattuta ha le ali aperte come se fosse
10. quel verme a quel cielo lontano; stata crocefissa) che tende quel verme (l’insetto del v.7) verso
il cielo lontano (metafora - aggettivo lontano utilizzato anche al v.20, in
11. e il suo nido è nell'ombra, che attende,
entrambi i casi vuole evidenziare l’indifferenza di Dio verso la sofferenza
12. che pigola sempre più piano. degli esseri viventi) e il suo nido (metonimia; il nido è emblema della gioia
13. Anche un uomo tornava al suo nido: familiare) è con il calare delle ombre della sera (nell'ombra l'ombra della sera
è anche metafora del dolore e della morte), in attesa (del cibo) che pigola
14. l'uccisero: disse: Perdono; sempre più piano (i rondinini rimasti senza la madre che provvedeva a
15. e restò negli aperti occhi un grido: portare il cibo sono ormai prossimi alla morte).
Anche un uomo (il padre del Poeta) stava tornando dalla sua famiglia (al suo
16. portava due bambole in dono...
nido - metafora): lo uccisero; disse: Perdono (prima di morire egli perdonò i
17. Ora là, nella casa romita, suoi assassini) e restò con gli occhi spalancati che dicevano il dolore che la
18. lo aspettano, aspettano in vano: voce ormai non poteva più esprimere (aperti occhi un grido: metafora -
Pascoli usa immagini incisive e molto suggestive per trasmettere la
19. egli immobile, attonito, addita
drammaticità della scena): portava due bambole in dono (metafora -
20. le bambole al cielo lontano. comunica l'idea della famiglia).
21. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi Ora là, nella casa solitaria (romita – prostrata dalla desolazione),
lo aspettano (aspettano – anadiplosi - il verbo viene ripetuto per indicare
22. sereni, infinito, immortale,
l’attesa piena di angoscia) inutilmente: egli immobile e attonito (stupito dalla
23. oh! d'un pianto di stelle lo inondi malvagità umana), indica le bambole a Dio (al cielo lontano).
24. quest'atomo opaco del Male! E tu cielo, dall’alto dei tuoi mondi sereni (perchè non conoscono il male e il
dolore, lontani dalle miserie umane), infinito e immortale, di un pianto di
stelle cospargi questo oscuro atomo del male (quest'atomo...Male: la terra,
oscuro frammento - nella vastità dell'Universo - dominato dal Male).
Analisi e commento

Questa poesia fu pubblicata sulla rivista “Marzocco” nel 1896 e poi inclusa nella quarta edizione di
Myricae.
La lirica rievoca uno degli eventi più doloroso e drammatico della vita di Pascoli, la morte violenta
del padre. Il giorno di San Lorenzo, ovvero il 10 agosto Pascoli, il padre di Pascoli venne
assassinato a colpi di fucile, per mano di ignoti, mentre tornava a casa sul suo calesse.
Attraverso la poesia il poeta vuole comunicare al lettore la sua tristezza per la mancanza del padre
assassinato e la accentua mettendo a confronto una rondine abbattuta col cibo nel becco per i suoi
rondinini e il padre che ritornava a casa portando due bambole alle figlie, in modo tale da
sottolineare l’ingiustizia e il male che prevalgono sulla terra.
La leggenda popolare identifica le stelle cadenti, che proprio nella notte del 10 agosto hanno la loro
massima manifestazione nel corso dell’anno, con le lacrime di San Lorenzo. Pascoli varia questa
simbologia, e il fenomeno astrale viene interpretato come il pianto che le stelle versano sulla
malvagità degli uomini e sull’ingiustizia del mondo.
Attraverso le analogie egli riesce a dilatare il dolore personale, facendolo diventare universale.
Ritorna il tema caro a Pascoli del “nido” unico rifugio al male e al dolore del mondo esterno.
Nel titolo, il “X” della data è utilizzato simbolicamente per trasmettere l’idea della croce.

2) I CANTI DI CASTELVECCHIO

La raccolta, dedicata alla memoria della madre, descrive sempre l’umile vita campagnola e il
mondo della natura, privilegiando in questo caso la realtà della Garfagnana (il poeta dal 1895
risiede a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca).
TEMATICHE DELLA RACCOLTA
La celebrazione del mondo della Natura
Dal punto di vista tematico, i Canti di Castelvecchio si avvicinano a Myricae nell'attenzione
riservata al mondo naturale, che si fa portatore e simbolo del valore delle cose semplici e umili,
intese spesso come uno “schermo”, una protezione contro i lutti e i dolori del mondo, e come un
universo protetto dove ricostruire il proprio “nido” familiare.
La prospettiva rispetto a Myricae è però in parte diversa: se nella prima raccolta Pascoli descriveva
un microcosmo misterioso (si pensi a L’assiuolo o Lavandare) qui si privilegia il ciclo naturale delle
stagioni, con l’alternarsi delle diverse stagioni. La scelta per Pascoli ha valore simbolico: all’eterno
ritorno del mondo naturale, che si rinnova e rinasce, si contrappone il tema pascoliano della morte e
l’angoscia della vita individuale (come ne La mia sera).
La morte, la poesia e il cosmo
La percezione della morte spinge da un lato il poeta a rifugiarsi nella dimensione del ricordo e della
giovinezza, spesso evocati sulla pagina con sapore nostalgico e malinconico; dall’altro acquistano
più rilievo i toni lirici, che, rispetto a Myricae, sono ben più numerosi di quelli narrativi o
descrittivi. L’incupirsi delle proprie prospettive esistenziali conduce Pascoli ad assegnare uno
specifico compito alla poesia, che ora deve esorcizzare (scongiurare/allontanare) il pensiero della
morte o consolare il dolore individuale, data anche l’insufficienza delle risposte assicurate dalla
fede religiosa.
Poesia tratta dai “Canti di Castelvecchio”
Titolo della poesia: La cavalla storna
TESTO PARAFRASI

Nella Torre il silenzio era già alto. Il silenzio era già assoluto presso la Torre.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I pioppi del Rio Salto sussurravano al vento.
I cavalli normanni alle lor poste I cavalli normanni, nelle loro stalle,
frangean la biada con rumor di croste. masticavano la biada con un sonoro ruminio.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia, Laggiù c’era la cavalla selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia; nata fra i pini di una spiaggia salata,
che nelle froge avea del mar gli spruzzi e questa sulle mucose del naso aveva ancora
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. gli spruzzi del mare, e negli orecchi le urla stridenti.
Con su la greppia un gomito, da essa Mia madre, a fianco a lei, le teneva un gomito
era mia madre; e le dicea sommessa: sul dorso; e le diceva con voce bassa:
“O cavallina, cavallina storna, “O cavallina, cavallina pezzata di grigio,
che portavi colui che non ritorna; che portavi con te chi non tornerà più;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto! tu che capivi i suoi gesti e i suoi comandi!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto; Lui ha lasciato un orfano di pochi anni;
il primo d’otto tra miei figli e figlie; [lui] è il primo dei miei figli e delle mie figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie. e lui non ha mai preso delle briglie in mano.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano Tu [cavallina] che senti ai tuoi fianchi il caos
tu dai retta alla sua piccola mano. del delitto e ti fidi della sua piccola mano.
Tu ch’hai nel cuore la marina brulla, Tu che hai nel cuore le erbe del mare.
tu dai retta alla sua voce fanciulla” tu che ti fidi della sua voce da bambino”.
La cavalla volgea la scarna testa La cavalla girava la testa piccola e magra
verso mia madre, che dicea più mesta: verso mia madre, che diceva ancor più triste:
“O cavallina, cavallina storna, “O cavallina, cavallina grigia,
che portavi colui che non ritorna; che portavi con te chi non può tornare più;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte! come so bene che l’amavi tantissimo!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte. Con lui, c’eravate solo tu e la morte.
O nata in selve tra l’ondate e il vento, O tu, nata in un bosco tra il vento e le onde,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento; tu hai tenuto stretto nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso, quando hai sentito allentarsi il morso in bocca,
nel cuor veloce tu premesti il corso: hai preso a galoppare nel tuo cuore:
adagio seguitasti la tua via, lentamente hai seguito la strada verso casa,
perché facesse in pace l’agonia…”. perché Ruggero morisse in pace…”.
La scarna lunga testa era daccanto La magra testa della cavallina era a fianco
al dolce viso di mia madre in pianto. al viso dolce di mia madre, rigato dalle lacrime.
“O cavallina, cavallina storna, “O cavallina, cavallina pezzata,
che portavi colui che non ritorna; che portavi con te chi non c’è più;
oh! due parole egli dové pur dire! oh! lui avrà dovuto pur dire qualcosa!
E tu capisci, ma non sai ridire. Tu l’hai capito, ma non lo puoi ripetere.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe, Tu, con le briglie che ti cadono tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, con lingue di fuoco dentro gli occhi,
con negli orecchi l’eco degli scoppi, con l’eco dei colpi di fucile negli orecchi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi: hai seguito la strada tra i filari dei pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole, tu riportavi a casa Ruggero al tramonto,
perché udissimo noi le sue parole”. affinché noi udissimo le sue parole”.
Stava attenta la lunga testa fiera. La lunga testa della cavallina stava attenta e fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera. Mia madre le strinse la criniera.
“O cavallina, cavallina storna, “O cavallina, cavallina dal manto grigio,
portavi a casa sua chi non ritorna! tu conducevi con te chi non può tornare!
a me, chi non ritornerà più mai! a me [portavi] chi non tornerà mai a casa!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai! Sei buona… ma non puoi parlare!
Tu non sai, poverina; altri non osa. Tu non sai [parlare], poveretta; altri non osano farlo.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa! Oh! Ma devi svelarmi una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: Tu hai visto il volto dell’assassino:
esso t’è qui nelle pupille fise. esso è qui, fissato nelle tue pupille
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. Chi è stato? Chi è? Ti dirò un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”. Tu fai un cenno - Dio ti dirà come”
Ora, i cavalli non frangean la biada: Ora, i cavalli non mangiavan più la biada:
dormian sognando il bianco della strada. dormivano, sognando strade bianche.
La paglia non battean con l’unghie vuote; Non picchiavano con lo zoccolo sulla paglia;
dormian sognando il rullo delle ruote. dormivano sognando il rotolio delle ruote dei carri.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: Mia madre, nel silenzio del mondo, alzò un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito disse un nome… s’alzò un nitrito nel cielo.
Analisi e commento
Lo sfondo poetico, come in numerose poesie della produzione pascoliana, è quello della campagna
romagnola; siamo infatti nei pressi di San Mauro. Il paesaggio agreste (di campagna), così familiare
al poeta, è tuttavia avvertito in termini simbolisti: il mondo di Natura, anziché rappresentare un
luogo pacifico e sereno, estraneo ai turbamenti della realtà, diventa, secondo la poetica del
fanciullino, il tramite per alludere (riferirsi) ad una realtà misteriosa, celata (nascosta) alla maggior
parte di noi ed indicata solo da ambigui segnali. L'atteggiamento della cavallina (e le tragiche
circostanze dell'episodio narrato dal poeta) sono allora il punto di partenza per una deformazione
quasi allucinata della realtà. Il tema affrontato è ancora una volta quello dell'assassinio del padre,
evento drammatico che colpisce profondamente l'esistenza del poeta e ne segna a lungo la poetica,
ossessivamente attraversata dalla percezione della morte, del dolore e della provvisorietà del “nido”
familiare. L’ambientazione del testo e la scena descritta contribuiscono all’atmosfera di angoscia e
di strazio dell’evento: la fedele cavalla del padre (detta “storna” in riferimento al manto grigio e
chiazzato) torna a casa trainando il calesse con il corpo del defunto, mentre la madre le si rivolge
quasi fosse un essere umano, cercando di scoprire chi abbia ucciso il marito. Il paesaggio naturale -
siamo ormai a sera inoltrata, contribuisce a creare un senso di inquietante mistero, come se dal
mondo esterno giungessero segnali indecifrabili della tragedia che s’è compiuta. In tal senso,
l’umanizzazione della cavallina, evidente soprattutto nelle parole che la madre del poeta le rivolge,
è un elemento fondamentale: essa infatti è l'unica testimone dell'omicidio di Ruggero, e deve
svelare il nome dell'assassino. Il dialogo tra la madre e la cavallina sfocia allora, in una scioccante
rivelazione finale, durante la quale la cavalla sembra indicare l'identità dell'omicida, nitrendo al
suono del suo nome (come detto nel distico conclusivo: "Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: |
disse un nome... Sonò alto un nitrito"). Attraverso il silenzio dell’animale e la sua sofferta
“confessione” a gesti e nitriti (v. 50: “Tu fosti buona... Ma parlar non sai!”) si esplicita la visione del
mondo di Pascoli: un segnale ambiguo e misterioso, carico di angoscia, che fa intravedere ed intuire
al di sotto della realtà le relazioni inedite tra le cose del mondo.

GABRIELE D’ANNUNZIO
(Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera [Brescia], 1º marzo 1938)
LA VITA
Appartiene ad una famiglia borghese e agiata; è uno studente brillante e diligente, vuole distinguersi
dalla massa e per farlo ricorre ad eventi eclatanti, come quello di divulgare il falso annuncio della
sua morte per attirare l’attenzione. D’Annunzio non prenderà mai la laurea distratto dalla vita
mondana della capitale a cui partecipa intensamente frequentando l’alta società . L’attività di poeta
e prosatore lo porta ad un immediato successo letterario ed a crearsi quel prestigio artistico grazie al
quale viene ammesso nel giro esclusivo delle case aristocratiche. D’Annunzio conduce una vita
molto dispendiosa e sofisticata. Il culto degli oggetti che lo spinge ad acquistare oggetti esotici e
raffinati lo porta a spendere grandi somme accumulando in breve tempo molti debiti. Ha anche
molte amanti, nonostante sia sposato ed abbia tre figli. Consapevolmente D’Annunzio mostra
l’immagine del peccaminoso, rendendosi protagonista di scandali mondani, quasi costruiti a
tavolino.
Agli inizi degli anni ’90 D’Annunzio legge Nietzsche e scopre l’ideale del superuomo, capisce che
per incidere sul mondo reale deve comunicare con le masse per indirizzarne gusti e scelte.
Prende parte alla vita politica come deputato dell’estrema Destra nel 1997, per passare poi nel 1900,
a seguito degli eventi storici legati al Governo Pelloux, alla Sinistra.
Tra i numerosi tradimenti, si può annoverare la relazione sentimentalmente con Eleonora Duse,
principale attrice del teatro italiano del ‘900, insieme alla quale si trasferisce a Firenze. Nel 1910
Gabriele D’Annunzio fugge in Francia per sfuggire ai creditori, ai debiti ed evitare di finire in
carcere.
Nel 1915 torna in Italia, le denuncie a suo carico vengono ritirate perché riesce a pagare tutti i suoi
debiti. D’Annunzio inizia una lunga tournée oratoria a favore dell’interventismo per l’entrata in
guerra dell’Italia. Partecipa attivamente alla guerra in qualità di aviatore arruolandosi come
volontario all’età di 53 anni. Crea la sigla dei reparti d’assalto italiani M.A.S. (MEMENTO
AUDERE SEMPER: ricorda di osare sempre). Prende parte ad eclatanti e pericolose azioni di
guerra: l’incursione aerea su Pola, il volo su Vienna, l’occupazione di Fiume. L’esito della guerra lo
delude e conia il termine di vittoria mutilata, per la rinuncia alla rivendicazione di Fiume e della
Dalmazia. Negli ultimi anni della sua vita D’Annunzio si ritira in una sorta di esilio dorato nella sua
fastosa villa di Gardone Riviera, sul lago di Garda, che trasforma in un museo delle sue gesta e della
sua attività, il Vittoriale. Qui D’Annunzio consolida il suo mito di poeta "vate".
Nel 1924 viene insignito del titolo di Principe di Montenevoso.
Muore per emorragia cerebrale il 1° marzo 1938.
LA POETICA DANNUNZIANA
La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio non può essere disgiunta dalla sua vita, è molto
ampia e si divide in 3 categorie:
ESTETISMO: idea della vita come opera d’arte. La vita deve essere colta, raffinata, esclusiva
e incarnare in sé l’opera d’arte. Per D’Annunzio la bellezza è al di sopra di tutto, è un valore
assoluto.
PANISMO: deriva da Pan, dio greco della natura e indica l’idea di una condizione di fusione
con la natura, dove il rapporto soggetto-oggetto viene superato.
SUPEROMISMO: deriva dal termine “superuomo”, introdotto da Nietzsche in filosofia. Il
superuomo di D’Annunzio è una figura per la quale non valgono i valori della gente comune, è
un personaggio legato all’idea dell’eroe tradizionale, al di sopra della morale comune e delle
regole imposte dal mondo.

PASCOLI E D’ANNUNZIO A CONFRONTO


Anche D’Annunzio come Pascoli, avvertì i limiti e la crisi del naturalismo e del Positivismo di fine
secolo. Tutti e due avevano infatti in comune la sfiducia nella ragione e nella scienza, rivelatesi
incapaci, nonostante la conclamata onnipotenza, di dare una spiegazione sicura e definitiva della
vita e del mondo. Dalla comune sfiducia nella ragione i due poeti derivarono il senso della
solitudine dell’uomo; ma da questo momento il loro pensiero approdò a due diverse concezioni
della vita, muovendosi in due direzioni opposte: Pascoli nell’ambito del vittimismo romantico con
sgomenti e ansie decadenti, D’Annunzio nell’ambito dell’estetismo e del superomismo. Pascoli, di
temperamento sensitivo e fragile, ha una percezione ombrosa e trepida della solitudine, che lo
spinge a cercare la solidarietà con gli altri, perché gli uomini, se si uniscono, possono meglio
sopportare il loro destino di dolore. D’Annunzio ha invece un temperamento sensuale, e perciò ha
una percezione egoistica, orgogliosa e arrogante della solitudine, derivata dalla consapevolezza
della eccezionalità della propria persona, che lo spinge ad affermare la propria supremazia sugli
altri, a conquistare il dominio del mondo.
OPERE
1) Il Piacere (è il primo romanzo di D’annunzio)
Questo romanzo ed i seguenti: L’Innocente e Il trionfo della morte, verranno uniti da D’Annunzio in
un ciclo dal nome “I romanzi della Rosa”, dove la rosa è simbolo della lussuria.
Struttura del romanzo
L’opera è suddivisa in quattro sezioni (libri), ognuna strutturata in capitoli.
Le quattro parti si collocano cronologicamente in quattro momenti ben definiti della vita di Andrea
Sperelli.
Riassunto
I libro: La relazione tra Andrea Sperelli ed Elena Muti II libro: La convalescenza nella villa Schifanoja
Nella villa della cugina, chiamata aristocraticamente Schifanoja,
Il protagonista è Andrea Sperelli Fieschi d’Ugenta (alter ego conosce una giovane donna in vacanza con la figlioletta, Maria Ferres,
dell’autore), ultimo rampollo di un’antica famiglia nobile che vive a moglie di un ministro guatemalteco, immagine di dolcezza e purezza
Roma in un ambiente raffinato e molto ricercato. Da un lato è un uomo aristocratica. Tra i due si accende l’amore, un amore puro e spirituale,
dai gusti elevati, che predilige gli studi insoliti ed è un esteta, dall’altro è inizialmente platonico.
senza alcun freno morale. Ha avuto una relazione con l’affascinante L’amore per Maria occupa tutta la seconda parte del romanzo. Andrea
Elena Muti, donna torbida e capace di inganni, che dopo un po’ si stufa che mira a possedere Maria anche carnalmente, cosa che gli appare come
di lui e se ne va da Roma. una stuzzicante profanazione data l’alta moralità della donna, riesce
Abbandonato, Andrea inutilmente cerca di sostituire la passione per infine a sedurre Maria che dopo qualche resistenza cede alla passione,
Elena Muti con altri piaceri e numerose avventure, passando da un amore come la stessa descrive nelle pagine del suo diario.
all’altro. Si abbandona alla dissoluzione e si butta in una serie di vicende
amorose fino a quando l’amante geloso di una donna che corteggia,
Ippolita Albònico, lo sfida a duello. Andrea durante il duello colpisce
l’avversario ma viene a sua volta ferito. Abbandona Roma e va a
trascorrere la convalescenza in campagna dalla cugina, marchesa
d’Ateleta, dove spera di trovare pace e riconquistare la perduta purezza
morale.

III libro Il ritorno a Roma IV libro: La sconfitta dell’esteta


L'azione conclusiva è ambientata nella casa di Maria Ferres, che nel
Finita la convalescenza Andrea in autunno rientra a Roma convinto di frattempo è stata abbandonata dal marito che è fuggito lasciandola in un
essere un uomo profondamente cambiato. Anche Elena è tornata in città mare di debiti dovuti al vizio del gioco. Nell’abitazione si sta svolgendo
e quando Andrea la incontra con il nuovo marito a teatro e viene invitato un’asta pubblica per poter fronteggiare i creditori e Andrea si aggira nelle
per il giorno successivo nella loro casa, entra in crisi; il ricordo della sale del Palazzo dei Ferres avvilito per la propria meschinità morale e
passata passione torna ad insinuarsi in lui. L’incontro con Elena (con cui disgustato dal volgo che ha riempito la casa per acquistarne il mobilio,
si apre il romanzo), in cui Andrea aveva riposto grandi speranze, si rivela che vede come una folla di rozzi furfanti. Tutta la scena si basa sul
deludente perché Elena rifiuta di riprendere la relazione. Andrea inizia a confronto tra la bellezza e il pregio del luogo dove si svolge l’asta e la
confrontare le due donne e sempre più velenosamente il desiderio e volgarità degli acquirenti che lo hanno invaso. La volgarità della società
l’immagine di Elena si frappone alla figura di Maria. L’amore per le due di massa domina lo scenari contribuendo al sentimento di sfascio e
donne – di natura così diversa – finisce per confondersi e per diventare profanazione, la bellezza è sconfitta e con essa il progetto del
tutt’uno. Verso Elena, Andrea prova un amore morboso e non fa che protagonista. Andrea che assiste alla scena dell’asta è pervaso da un
rivivere con la nuova amante l’amore per la prima, in un ambiguo gioco senso di morte. Nelle ultime righe emblematiche Andrea è costretto a
di trasposizioni di persona: ha una relazione con la donna angelo ma seguire lentamente su per le scale, come se fosse ad un funerale, i
continua a desiderare la donna lussuriosa. facchini che trasportano in casa sua un immenso armadio, appartenuto a
Un giorno, annebbiato dalla gelosia per Elena, che si è concessa a un Maria.
altro amante, egli si lascia sfuggire il nome di lei mentre ha tra le braccia Al conte Sperelli non resta che prendere atto del fallimento del proprio
Maria che lo sta salutando prima di un lungo distacco, compiendo un stile di vita.
grave errore. Maria scopre il fondo equivoco di quel legame, lo respinge
e fugge. Andrea senza troppa convinzione la richiama ma alla fine resta
solo in preda alla disperazione.

Analisi
L’elemento di grande importanza di questo romanzo è dato dal fatto che con esso viene introdotto in
Italia la figura dell’eroe decadente già presente nella letteratura straniera (vedi Dorian Gray di Oscar
Wilde, in Inghilterra). Il protagonista, Andrea Sperelli, è l’incarnazione dell’eroe decadente:
raffinato, aristocratico, dandy, freddo, cultore solo del bello.
Nel Piacere si trovano ancora tracce della tradizione naturalistica:
è soprattutto l’impianto narrativo e strutturale che risente ancora di modi di rappresentazione che
appartengono al naturalismo (per es. narratore esterno onnisciente), mentre lontano dal naturalismo
è l’utilizzo del discorso indiretto libero, l’analisi psicologica dei personaggi, il ricorso al flash-back
ed anche il registrare in presa diretta il punto di vista del protagonista o di altri personaggi (una
parte della narrazione è per esempio affidata al diario di Maria).
Il racconto non segue il corso cronologico degli accadimenti ma avanza per blocchi discontinui,
infatti spesso ci sono flash-back (scarto temporale con il quale si interrompe la narrazione al
presente e si parla di un evento passato) legati ai ricordi di Andrea ed avvenimenti passati, che
mescolano passato e presente.
D’Annunzio utilizza uno stile molto ricercato e dotto, la prosa è levigata e preziosa, l’italiano
utilizzato è ricco e raffinato, lo scrittore sceglie infatti con grande accuratezza parole rare e preziose,
intenzionalmente non alla portata di tutti in cui le parole sono ordinate secondo un preciso schema
metrico. Nonostante la componente autobiografica il romanzo è scritto in terza persona.
Il Piacere affascina più per le atmosfere che per la vera e propria storia. L’autore vi esalta la sua
esperienza di vita salottiera, mondana, preziosa.

Vita = opera d’arte

Per Andrea Sperelli l’arte è un valore assoluto e la vita stessa viene concepita come arte: “Bisogna
fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”, questo l’insegnamento trasmessogli dal padre.
La massima fondamentale dell’eroe decadente, data dall’equazione vita = opera d’arte: la meta da
raggiungere è la raffinatezza e la bellezza ad ogni costo e ciò implica a livello sociale un’innalzarsi
al di sopra degli altri ed a livello personale un affinamento del gusto. Personaggi
D’Annunzio dedica alla descrizione dei personaggi particolare attenzione, soprattutto per quanto
riguarda i pensieri del protagonista Andrea Sperelli, che vengono illustrati in maniera precisa e
minuziosa dal narratore.
Personaggi

1) Andrea Sperelli: è forse il più famoso tra i personaggi dannunziani.


Andrea Sperelli è, per molti aspetti, la personificazione dell’autore, la vita estetizzante e mondana
del giovane D’Annunzio si trasfigura in Andrea. Andrea Sperelli non è capace di provare veri
sentimenti, è vuoto, fine a sé stesso. L’estetismo diventa in lui una forza distruttiva, che lo porta alla
solitudine e alla sconfitta nel rapporto con l’universo femminile, come emerge chiaramente nel
finale del romanzo.
2) Elena Muti: duchessa di Scerni, è la donna fatale
3) Maria Ferres: è la donna pura, dolce, appassionata e piena di curiosità intellettuali, che
impersona una femminilità opposta a quella di Elena: delicata, spirituale e sensibile. Maria
rappresenta per Andrea Sperelli l’opportunità di una riabilitazione e di una elevazione spirituale, ma
in seguito la donna–angelo diventa solo parte di un gioco erotico più sottile e perverso, in
sostituzione di Elena, che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta.

Inizio del romanzo

L’incipit (inizio) del romanzo fornisce immediatamente il dato cronologico, è l’ultimo giorno
dell’anno e, sapremo dalle pagine successive, che si tratta del 1886.
Andrea Sperelli attende di rivedere l’antica amante, Elena Muti, che egli non vede da circa due
anni, dopo la fine del loro amore e che ora trova sposata con il ricco e vizioso inglese, Lord
Heathfield. Dopo una prima descrizione dell’ambiente, D’Annunzio segue i pensieri del
protagonista che attraverso il flash-back rievoca l’ultimo incontro con la donna e la brusca
interruzione della relazione voluta da Elena. Poi il racconto ritorna sul presente e sull’attesa di
Andrea il quale sentirà rinascere in sé la passione e il desiderio di riannodare i rapporti con la
donna.
A questo punto la narrazione fa un nuovo passo indietro, ricostruendo le vicende della passata
relazione, il ricordo di come Andrea abbia conosciuto Elena ad una festa e del successivo
appuntamento per il giorno successivo ad una corsa di cavalli, dove Andrea è riuscito a strappare un
invito nel suo appartamento.
Conclusione del romanzo
Il romanzo si conclude sulle conseguenze dall’effetto devastante dello scambio di persona tra le due
amanti (Elena e Maria) e registra il fallimento del protagonista e del suo progetto di vita come opera
d’arte.
L’esteta infatti, volendo subordinare tutto all’arte, in una società di massa dove invece, domina la
volgarità economica e che rimane ostile o indifferente all’arte, è inevitabilmente destinato a fallire.

Temi
Le tematiche che emergono dal romanzo Il Piacere sono:
la critica alla società alto borghese di fine ottocento, completamente vuota di contenuti e
sentimenti.
La decadenza di questo tipo di società che ha mercificato tutto finalizzando ogni fervore al
profitto e trascurando il senso del bello;
affermazione della figura dell’esteta intellettuale inquieto, che vive in un mondo tutto suo,
dominato dal culto della bellezza.
La riflessione sui diversi tipi di amore: da quello finalizzato al puro piacere, il cui
raggiungimento diventa una vera e propria ossessione, all’amore puro e spirituale.
I vari temi vengono introdotti direttamente dal personaggio di Andrea Sperelli attraversi i suoi
pensieri e le sue passioni.

2) Alcyone (si legge Alcione)


In questo libro l’autore celebra la stagione estiva, che simbolicamente rappresenta la fase più
rigogliosa nella vita di un uomo. Alcyone nella mitologia greca classica è la figlia di Eolo, il re dei
venti. Il libro, che in sostanza è una raccolta di liriche (poesie), si compone di 88 testi ed è suddiviso
in cinque sezioni. Ogni sezione affronta una tematica specifica facendo riferimento ad una stagione,
ad un ambiente naturale e allo stato d’animo ad esse associato. Nell’Alcyone il tema fondamentale è
l’identificazione dell’uomo con gli elementi della Natura (Panismo). In particolare, D’Annunzio
abbandona le vesti del “Superuomo” e si abbandona a godere della natura che lo circonda.
Prima sezione
In questa prima parte, ambientata nel mese di Giugno, quando la primavera lascia il posto all’estate,
il poeta descrive il paesaggio tra Fiesole e Firenze attraverso lodi (laudi pagane), che esaltano gli
elementi naturali e paesaggistici del luogo.

Seconda sezione

L’ambientazione si sposta in Versilia, durante il mese estivo di Luglio. L’uomo si abbandona alla
bellezza della natura fino a fondersi con essa (vedi liriche “Le Stirpi canore” e “La pioggia nel
pineto”).

Terza sezione

Anche in questa parte dell’opera si celebra la stagione estiva nella sua pienezza, e qui il panismo si
armonizza perfettamente con la teoria del “Superuomo”, di cui il poeta si fa portavoce.

Quarta sezione
Compaiono i primi assaggi autunnali, l’estate sta per finire. Dal punto di vista simbolico, il poeta
intende affermare che, così come si assiste al tramonto della stagione estiva, così tramontano i miti
improntati sulla ricchezza e i beni strettamente materiali. Ciò che rimane per sempre sono invece
l’Arte e la Poesia.

Quinta sezione

Questa parte del libro, intitolata Sogni di terre lontane, è dedicata interamente al mese di Settembre,
quando l’estate volge al termine lasciando il posto all’autunno. Nel testo si trova anche una dedica
al poeta Pascoli ed un saluto a Carducci. Qui è presente la poesia “I pastori“.
La vicenda narrativa è alquanto semplice e scorrevole, D’Annunzio ci tiene più che altro a
descrivere i diversi stati d’animo che si alternano durante la stagione estiva. I luoghi descritti dal
“Vate” si trovano in Toscana, ma si ispirano a quelli della Grecia arcaica e classica. Le donne di cui
si parla all’interno dell’opera sono piuttosto sfuggevoli, quasi creature eteree e mitologiche, tutte
rappresentate dalla figura dell’attrice Eleonora Duse.
Gli argomenti principali che ritroviamo nell’Alcyone sono tre:

1.il Recupero del mito (D’Annunzio restituisce alla Natura la verginità e la vitalità che il mondo
moderno ha distrutto);
2.lo scambio tra Uomo e Natura (l’uomo riesce ad identificarsi con gli elementi naturali giungendo
a diventare quasi un vegetale. In alcuni casi l’identificazione avviene con creature animali;
3.esaltazione della parola: attraverso questa gli uomini possono creare altri miti e indagare i misteri
più profondi della natura.
L’Alcyone fa parte del più ambizioso progetto letterario di D’Annunzio, intitolato “Laudi del cielo,
del mare, della terra e degli eroi”: più precisamente, l’Alcyone è il terzo dei quattro libri.

Lirica tratta dall’Alcyone:


Titolo della poesia: “La pioggia nel pineto”
La lirica è dedicata ad una donna amata dal poeta, che viene identificata con lo pseudonimo (nome
fittizio, falso) “Ermione”. Nella realtà si tratta dell’attrice Eleonora Duse, che ha portato in scena
alcuni dei più famosi drammi scritti da Gabriele D’Annunzio.

Testo Parafrasi
Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo Taci. All’ingresso del bosco non sento più alcuna parola che tu possa
parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove considerare umana; ma odo parole più nuove che gocce e foglie
dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini pronunciano in lontananza. Ascolta. Piove dalle nuvole rade. Piove sulle
scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori tamerici piene di sale e seccate dal sole, piove sui pini con la corteccia a
accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti silvani, scaglie e gli aghi pungenti, piove sui mirti sacri a Venere, sulle ginestre
piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi risplendenti per i fiori dalla corolla chiusa, sui ginepri intricati di bacche
pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri t’illuse, che diffondono il loro profumo, piove sui nostri visi ormai parte
che oggi m’illude, o Ermione . Odi? La pioggia cade su la solitaria integrante del bosco, piove sulle nostre mani nude, sulle nostre vesti
verdura con un crepitìo che dura e varia nell’aria secondo le fronde più leggere, sui freschi pensieri che l’anima rinnovata dalla pioggia rivela in
rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il maniera inedita, sul sogno che ieri ti ha illuso, che oggi mi illude, o
pianto australe non impaura, né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il Ermione. Senti? La pioggia cade sulle foglie solitarie creando un crepitio
mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto che si diffonde costante e si modifica nell’aria a seconda che le fronde
innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, d’arborea siano più o meno fitte. Ascolta. Risponde alla pioggia che scende come
vita viventi; e il tuo vólto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le lacrime il canto delle cicale che né la pioggia portata dal vento Austro né
tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai il cielo grigio spaventano. E il pino ha un suo suono, e il mirto un altro,
nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo delle aeree cicale a poco a ed il ginepro un altro ancora, [e tutte le piante sono come] strumenti
poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce musicali differenti sotto un numero infinito di dita. E noi siamo immersi
più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo, e più nello spirito del bosco, e condividiamo la stessa vita degli alberi; ed il tuo
fioco s’allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, volto inebriato è bagnato dalla pioggia come una foglia, e i tuoi capelli
trema, si spegne. Non s’ode voce dal mare. Or s’ode su tutta la fronda profumano come le ginestre splendenti, o creatura terrestre che hai nome
crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la Ermione. Ascolta, ascolta. Il canto concorde delle cicale che stanno sugli
fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria è muta; ma la alberi a poco a poco diventa più sordo ed attenuato con l’aumentare
figlia del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, dell’intensità della pioggia; ma un canto si unisce più cupo e sordo che si
chi sa dove! E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere alza da là in fondo, dall’intricata vegetazione lacustre. Più sordo e più
sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par sfumato [questo suono] diminuisce, si spegne. Solo una unica nota
da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è ancora vibra, si ferma, riprende, vibra ancora, si tace del tutto. Non si
come pèsca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i sente alcuna voce dal mare. Ora si sente su tutte le fronde scrosciare la
denti negli alvèoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in pioggia argentata che purifica, lo scroscio che si modifica in base al
fratta, or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli fogliame che incontra più o meno folto. Ascolta. La cicala è muta; ma la
c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti figlia del fango lontana, la rana, canta dove le ombre sono più fitte,
silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su chissà dove, chissà dove! E piove sulle tue ciglia, Ermione. Piove sulle
i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri tue ciglia nere così che sembra che tu stia piangendo, ma di piacere; e
m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione. pare che tu esca, non bianca ma quasi di colore verde, dalla corteccia di
un albero. E tutta la vita in noi è fresca e profumata, il cuore nel petto è
come una pesca non ancora còlta, gli occhi tra le tue palpebre sono
sorgenti d’acqua tra le zolle d’erba, i denti nelle gengive sono come
mandorle acerbe. E andiamo tra i cespugli, ora insieme ora separati (e la
forza selvaggia e primitiva degli arbusti ci lega le caviglie ci stringe le
ginocchia) chissà dove, chissà dove! E piove sui nostri volti ormai parte
integrante del bosco, piove sulle nostre mani nude, sulle nostre vesti
leggere, sui freschi pensieri che l’anima rinnovata dalla pioggia ci rivela,
sulla favola bella che ieri ti ha illuso, che oggi mi illude, o Ermione.

Analisi
Questa composizione poetica, che è una delle più note di D’Annunzio, si caratterizza per la spiccata
sonorità, poiché sembra tradurre in parole il suono della pioggia che scroscia, il canto delle cicale, il
verso di una rana che fa capolino dopo l’acquazzone. Inoltre, in questa bellissima poesia l’autore è
molto abile nel descrivere la vegetazione (ad esempio lo fa riportando spesso l’uso della parola
“colore verde” all’interno dei versi). La lirica presenta la scena del poeta intento a passeggiare in
compagnia della sua donna, Ermione appunto, in un bosco sul litorale toscano. Lui la invita a
mettersi in ascolto del meraviglioso suono della pioggia estiva che batte sul fogliame degli alberi.
La coppia si lascia andare alle sensazioni inebriandosi del suono della pioggia e di quelli della
natura circostante, e finisce con l’identificarsi a tal punto con essa da sentirsi simili a creature
vegetali. Nella “Pioggia del pineto” ritroviamo, molto più che in altri componimenti del poeta,
l’ideale tipico del decadentismo, il “Panismo” (che esprime la fusione completa tra l’uomo e gli
elementi della natura). Ogni strofa di questa poesia finisce con il nome dell’amata, Ermione: si
tratta di un tipico riferimento classico utilizzato dai poeti per rendere immortali le donne amate. In
questa famosa poesia si fonde l’amore umano e passionale (quello che lega D’Annunzio alla Duse)
e quello per la natura con la sua bellezza e la pace che arriva dritto al cuore delle persone più
sensibili e predisposte. In questo D’Annunzio si ispira al Simbolismo francese. Per D’Annunzio, in
questa poesia, non esiste confine tra l’uomo e la natura, che finiscono per fondersi con meravigliosa
armonia ed equilibrio: la stessa Ermione diventa, man mano che le strofe si susseguono, parte della
natura bagnata dall’improvvisa pioggia estiva.

ITALO SVEVO
(Trieste, 1861 – Motta di Livenza [Treviso], 1928)
Italo Svevo come Pirandello esce dalla crisi letteraria e filosofica da cui era nato il Decadentismo,
con posizioni molto diverse rispetto a Pascoli e a D’Annunzio, approdando ad una visione dell’arte
molto più problematica di quella del Decadentismo. Se con i poeti simbolisti e con gli stessi Pascoli
e D’Annunzio era ammessa una sorta di verità, pur se non univoca e granitica ma utile a dare
spiegazione dell’esistere, con Svevo e Pirandello la possibilità di arrivare a una qualsiasi verità
viene negata. La realtà è multi-prospettica e dinamica, in assidua evoluzione e mutazione, pertanto
la verità non esiste, ma esistono tante verità possibili e l’arte non può rappresentare la realtà ma sta
al lettore dare una propria interpretazione e la costruzione di un senso.
La modernità della visione di Svevo sta nell’idea di fare della coscienza di un personaggio il centro
del romanzo, coscienza considerata nell’ottica della psicanalisi di Freud, si tratta quindi di una
coscienza problematica, contraddittoria, in cui la parte istintiva e la parte razionale si contrastano in
continuazione. E’ una coscienza che mente, a se stessa e agli altri, che distoglie lo sguardo dalle
vere cause del proprio disagio.
Si definisce il personaggio che rappresenta la figura centrale per molta letteratura europea del ‘900,
un uomo inetto alla vita, “malato” di una malattia morale che spegne ogni spinta all’azione e ogni
impulso vitale o ideale
LA VITA
Il suo vero nome è Ettore Schmitz: Lo pseudonimo di Italo Svevo viene scelto da questo grande
scrittore per sottolineare la sua appartenenza a due tradizioni culturali differenti, quella italiana
(Italo) e quella germanica (Svevo).
Fa parte di un’agiata famiglia borghese ma nel 1880, in seguito ad un investimento industriale
sbagliato, l’azienda paterna fallisce e Svevo si trova a vivere l’esperienza della declassazione
sociale passando dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Italo Svevo è costretto a
cercare lavoro e ad impiegarsi presso la filiale triestina della Banca di Vienna, presso cui rimane per
un ventennio.
Parallelamente coltiva la sua passione letteraria cominciando a scrivere. A proprie spese, nel 1892
Svevo pubblica il suo primo romanzo Una vita e nel 1898 Senilità.
Una vita e Senilità raccontano le storie di due sconfitti, anzi di due predestinati alla sconfitta, di due
mediocri, di due inetti. La voluta banalità delle loro vicende contrasta rispetto al gusto prevalente
dell’epoca in cui prevalevano figure di tipo d’annunziano, eroi scaltri e dall’indole combattiva.
Anche per questo motivo queste due opere non incontrano i gusti del pubblico e della critica di quei
tempi e non trovano un editore disposto a puntare su di loro.
Lo scarso successo di questi primi due romanzi induce Italo Svevo ad abbandonare l’attività
letteraria.
Svevo giura a se stesso che non avrebbe mai più dedicato del tempo al "vizio" della letteratura. Nel
1896 Italo Svevo sposa la cugina Livia Veneziani, molto più giovane di lui e l’anno successivo
nasce la sua unica figlia, Letizia.
I suoceri sono ricchi industriali, ciò permette a Svevo di lasciare l’impiego in banca per entrare
come dirigente nella ditta dei suoceri ed uscire definitivamente dalla situazione di ristrettezza
economica.
A decenni di distanza da Senilità e Una vita, due eventi inducono Italo Svevo a riprendere l’attività
letteraria:
l’incontro nel 1905 con James Joyce, il celebre scrittore irlandese, che viveva allora a Trieste e
che diede dei giudizi lusinghieri sui due romanzi pubblicati in precedenza da Svevo.
l’incontro con la psicoanalisi e con le opere di Freud, ancora sconosciuti in Italia, che avviene
tra il 1908 e il 1910. L’occasione è data dal cognato di Svevo che in quegli anni aveva sostenuto
una terapia a Vienna con Freud.
Nel 1919, Svevo inizia il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che viene pubblicato nel 1923.
Come per i due precedenti romanzi, l’opera passa inosservata.
Grazie a James Joyce, a cui Svevo invia il romanzo, l’opera, tradotta in francese, conosce
immediatamente una larga fama in Francia, dove, all’epoca, Joyce si era trasferito a vivere, e
successivamente in Europa. L’Italia continua invece ad ignorare il valore di Svevo e l’unica voce a
suo favore è quella di un giovane poeta, Eugenio Montale, che entusiasta del romanzo gli dedica un
ampio saggio su una rivista letteraria.
Italo Svevo, già in condizioni di salute precarie, muore il 13 settembre 1928 a causa di un collasso a
seguito di un incidente automobilistico, nell’ospedale di Motta di Livenza.

PRODUZIONE LETTERARIA
Italo Svevo fa parte di quella generazione di autori, Proust, Joyce, Woolf, Pirandello, che, all’inizio
del Novecento rinnovano totalmente la struttura narrativa. I fatti narrati nei suoi romanzi, incentrati
sulla crisi della società borghese e sulla mancanza di certezze, acquistano significato in relazione
alle emozioni e ai pensieri dei personaggi, la cui psicologia viene scandagliata con i nuovi strumenti
psicoanalitici.
L’origine triestina di Svevo costituisce un fattore determinante per la sua produzione letteraria,
infatti Trieste è una città aperta agli influssi delle correnti europee, il che comporta il distacco dal
verismo regionalistico nostrano, la struttura psicologica dei suoi romanzi e lo stile antiletterario.
La Trieste del tardo Ottocento è un ambiente dinamico dove un’attivissima borghesia
imprenditoriale e la mescolanza di popoli, lingue e culture diverse, contribuiscono a farne un centro
culturale cosmopolita (chi riconosce il mondo intero come patria) e mitteleuropeo (letteralmente
dell’Europa di mezzo), che si distacca dalle tendenze e dai problemi della contemporanea cultura
italiana.

SVEVO PRECURSORE DEL ROMANZO MODERNO


Svevo può essere considerato un precursore del romanzo moderno, nelle sue opere vi sono già gli
elementi tipici del nuovo modo di far letteratura: l’analisi psicologica dei personaggi, grazie alla
scoperta dell’inconscio, il dissolvimento delle categorie temporali e causali, l’utilizzo del discorso
indiretto libero e del monologo interiore (è una tecnica narrativa costituita da un discorso
introspettivo che il personaggio fa, appunto, tra sé e sé ).
La sua letteratura si pone come studio delle contraddizioni e delle complicazioni dell’esistenza
dell’individuo, come analisi degli squilibri dell’io. L’opera di Svevo indaga i caratteri contraddittori
della realtà e le zone inesplorate ed oscure della soggettività, senza nessun compiacimento di tipo
decadente.
Il suo capolavoro "La coscienza di Zeno" è la storia di un’autoanalisi: Zeno Corsini, agiato
commerciante triestino, decide di ripercorrere in un diario le tappe fondamentali della sua esistenza,
alla ricerca delle cause delle proprie nevrosi. Il personaggio di Zeno è emblematico della condizione
esistenziale incerta e tormentata dell’uomo moderno. E’ un inetto a vivere, incapace di agire nella
realtà.
I protagonisti dei suoi tre romanzi sono dei letterati falliti:
Alfonso scrive un romanzo a quattro mani con Annetta e, alla fine, si suicida (Una vita);
Emilio è ancora una volta un letterato annoiato e deluso (Senilità);
Zeno Cosini scrive un diario che è definito dal dottore che lo ha in cura un cumulo di "tante
verità e bugie", togliendo così l'eventualità che possa essere un racconto reale (La coscienza di
Zeno).
I tre romanzi sono incentrati su un unico tema: l’inetto, il protagonista si scopre inetto a vivere, è un
malato, il disagio esistenziale determina la sua nevrosi, ma alla fine del percorso (nell’ultimo
romanzo) capisce che la malattia è ciò che lo distingue dai “cosiddetti sani” e determina il segno
distintivo della sua qualità e diversità.

STILE LETTERARIO

Svevo vede nella letteratura e nella scrittura degli strumenti di conoscenza della realtà. Per lui la
letteratura deve essere libera da formalismi, retorica e perfezione linguistica.
Il lessico di Svevo è essenziale e povero, utilizza una sintassi elementare, usa termini tecnici e
dialettalismi triestini. Il suo stile riflette, il mondo reale e le assurdità e contraddizioni della vita di
ogni giorno.
Svevo ricorre ad una nuova tecnica narrativa in cui il protagonista tramite il ricordo si auto-analizza.
Il narratore non è più esterno e onnisciente (come per la narrativa ottocentesca) ma interno e
partecipe.
Le categorie spazio-temporali si dissolvono, lo spazio diventa secondario, vi è una rinuncia alla
ricostruzione dettagliata dello scenario storico e sociale, il tempo è quello della coscienza che
prevale nettamente sulla narrazione dei fatti che segue il flusso della coscienza (come per Joyce) e
porta all’analisi dell’interiorità problematica del personaggio e al monologo interiore. Quindi la
narrazione non segue l’ordine cronologico dei fatti.

OPERA

La coscienza di Zeno

Riassunti dei capitoli

Il protagonista è Zeno Cosini, un benestante borghese triestino, che scrive un diario, seguendo il
consiglio del suo psicanalista, in cui narra gli episodi basilari e significativi della sua vita.
Il romanzo si struttura in otto capitoli, o meglio una Prefazione e sette capitoli:
Capitolo 1 - Prefazione:
Il primo capitolo del romanzo "La coscienza di Zeno" consiste nella prefazione scritta dal dottor S.,
lo psicanalista, di scuola freudiana, che ha avuto in cura Zeno, che in poche righe spiega che ha
deciso di divulgare le memorie del suo paziente per vendetta, dato che quest'ultimo ha abbandonato
la cura.
Capitolo 2 - Preambolo:
Da questo capitolo in poi la narrazione è fatta da Zeno che è dunque sia il protagonista che il
narratore.
Il secondo capitolo del romanzo rappresenta l’introduzione del protagonista in cui Zeno raccoglie
l’invito del suo psicanalista, Dott. S. di scrivere la sua autobiografia come cura, in modo da
facilitare la riemersione dei ricordi remoti e, dopo aver letto un libro sulla psicoanalisi, decide di
scrivere le sue memorie in cui rievoca i passi significativi della sua vita.
Non si tratta di un vero diario perché il tema della narrazione non è la vita del protagonista ma la
storia della sua malattia, e le tappe che Zeno ripercorre sono quelle della sua malattia dell’anima.
La malattia che lo affligge è l’inettitudine che qui assume le peculiarità di una patologia
psicologica, una nevrosi che si manifesta attraverso il senso di insoddisfazione costante, l’angoscia,
la paura incontrollabile, il conflitto costante con l’ambiente che lo circonda.
Capitolo 3 – Il fumo
Zeno inizia il suo diario partendo dal vizio del fumo che mette in evidenza la sua nevrosi basata sul
continuo rinviare ciò che si ripromette di fare.
Zeno da giovane è stato il classico perdigiorno, appartiene ad una famiglia borghese benestante, ed
è animato da buoni propositi, quali studiare seriamente e sistemarsi, che naturalmente vengono
sempre disattesi e rinviati. Questo aspetto della nevrosi di Zeno, il dilazionare e rimandare, è la
materia del capitolo sul fumo.
Il protagonista, fumatore incallito, fin da giovanissima età, racconta del proprio pigro dipendere dal
vizio del fumo, e dei suoi ricorrenti, quanto inutili, tentativi di liberarsene. Ogni sigaretta, si
ripromette Zeno sarà l’ultima e riempie di questo suo buon proposito, con le scritte “ultima
sigaretta”, il suo taccuino. In realtà, ogni volta, dopo aver assaporato con estremo piacere e
soddisfazione, proprio per il fatto che sarà quella definitiva, l’ultima sigaretta, a quella ne seguono
altre in un rincorrersi di decisioni prese e subito dopo disattese, emblematiche della sua vita
improntata sulla mancanza di volontà e sull’incapacità di perseguire fino in fondo un proposito.
Emergono in questo capitolo i temi fondamentali del romanzo: la continua irresolutezza, la malattia
della volontà, lo smascheramento degli artifici dell’inconscio, l’inettitudine, l’autoironia.
Capitolo 4 – La morte del padre
Il capitolo “La morte del padre” racconta del rapporto conflittuale con il padre, ricco di silenzi e
fraintendimenti.
La figura paterna in quanto figura che incarna la maturità suscita odio in Zeno, anche se egli non lo
confessa neppure a se stesso, rimuovendo, nell’accezione freudiana, questo sentimento per
adeguarsi alle convenzioni borghesi in base alle quali il sentimento filiale deve essere
inevitabilmente di amore e rispetto.
Zeno si sofferma con particolare attenzione sugli ultimi giorni di vita del genitore, quando in punto
di morte, per un equivoco, questi colpisce con uno schiaffo il figlio, sigillando con un ultimo
malinteso il legame tra i due.
Zeno interpreta l’episodio come intenzionale volto a infliggergli un’ultima punizione. Questa
interpretazione trova la spiegazione nel senso di colpa di Zeno per l’avere desiderato la morte del
padre, nonostante Zeno non voglia ammetterlo.

Capitolo 5 – La storia del mio matrimonio


Il capitolo “La storia del mio matrimonio” parla del rapporto con le donne. Zeno ha un rapporto
conflittuale e immaturo anche con le donne.
Egli è uno scapestrato e un donnaiolo ma decide improvvisamente di “mettere la testa a posto”
sposandosi. Inizia a frequentare le tre sorelle Malfrenti, figlie di un uomo d’affari triestino. Zeno si
innamora della primogenita Ada, la più bella, alla quale goffamente si dichiara. Ada, interessata al
più disinvolto Guido Speier, lo respinge per cui Zeno decide di dichiararsi alla secondogenita
Alberta, la quale a sua volta lo rifiuta. Finisce quindi per sposare quella che gli piace di meno,
Augusta, la più brutta delle tre sorelle con un occhio strabico. Augusta rappresenterà per lui un
affetto tiepido ma anche sincero e in grado di garantirgli una vita coniugale regolare e serena. In lei
Zeno trova una seconda madre che lo accudisce e lo ama. Anche in questa situazione il personaggio
di Zeno si caratterizza come inetto, inetto alla vita che non è in grado di fare delle scelte e che si
lascia trascinare dagli eventi, per cui, pur essendo amante della vita da scapolo senza regole, alla
fine Zeno finisce per accettare passivamente le regole del matrimonio.
Capitolo 6 – La moglie e l’amante
Zeno, per conformarsi agli usi della società dell’epoca, diviene l’amante di Carla Greco, una povera
ragazza che gli rimarrà fedele per tutto il periodo della relazione ma che, come tutto, non lo
coinvolge in maniera profonda. Rapporto matrimoniale ed extraconiugale si integrano e procedono
quasi di pari passo, tra sensi di colpa e l’attrazione per l’esperienza trasgressiva, finché Carla stanca
della situazione sposa il suo insegnante di canto.
Capitolo 7 – Storia di una associazione commerciale
Narra dell'impresa commerciale portata avanti da Zeno con Guido Speier, marito di Ada, e del
rapporto con il cognato nei confronti del quale Zeno prova forte antipatia e un sentimento di rivalsa.
I due cognati sono estremamente diversi, Guido è una persona espansiva e brillante, ma anche
superficiale e incapace, Zeno è inconcludente, insicuro e passivo.
L’azienda va in completa rovina, sia a causa dell’inadeguatezza e la disattenzione di Guido sia per
la svogliatezza e l’incertezza di Zeno.
Guido simula un suicidio, pensando così di salvare il proprio onore e di riuscire ad avere un
ulteriore prestito dalla famiglia della moglie. Le cose vanno però diversamente perché per errore
sbaglia la dose del sonnifero e muore.
Zeno dovendosi occupare delle questioni pratiche ed economiche legate alla morte del cognato,
cerca di riavvicinarsi ad Ada, sembra che tra loro possa nascere qualcosa ma anche questa
situazione si conclude in niente.
Capitolo 8 - Psico-analisi (Conclusione)
Nella conclusione del racconto Zeno ha sospeso la terapia e rifiuta e condanna con disprezzo la
psicoanalisi che non gli ha arrecato alcun beneficio ed è anzi stata fonte di nuove malattie
dell’animo.
Al termine del romanzo Svevo, tramite il personaggio di Zeno, fa una amara riflessione sulla
condizione esistenziale dell’uomo. Attraverso il protagonista che si dichiara completamente sano,
Svevo rivela che la malattia interiore che affliggeva Zeno è una condizione comune a tutta
l’umanità, è congenita in quanto insita nella civiltà dell’epoca che il progresso da una parte ha
migliorato ma dall’altra ha irrimediabilmente compromesso. Il progresso è in realtà per l’uomo un
falso progresso, è solo degenerazione e malattia, dovuti alla continua ricerca di qualcosa che la sete
di denaro e potere e il desiderio di possesso non possono dare.
La pagina che chiude il romanzo è famosa in quanto anticipatrice della moderna visione della fine
del mondo per mano umana. La scena è apocalittica: l’uomo in possesso di un “esplosivo
incomparabile”, che colloca al centro della terra, finirà per portare la terra alla catastrofe. “Ci sarà
un’esplosione enorme.. e la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli priva di parassiti e
di malattie”.

Analisi del testo

La coscienza di Zeno non è, come potrebbe apparire a prima vista, un’autobiografia di Zeno, ma è
la storia della sua malattia. La narrazione verte infatti sulla malattia del protagonista-narratore, e
non sulla sua vita. Di conseguenza la materia narrativa segue un percorso basato sulla specificità del
tema: la vicenda non ripercorre le tappe cronologiche della vita dell’uomo (infanzia, fanciullezza,
maturità), ma quelle della “malattia dell’anima”. La malattia in questione altri non è se non
l’inettitudine che assume le caratteristiche di una vera e propria nevrosi, una patologia di natura
psicologica che si manifesta in diversi modi: senso di insoddisfazione costante, angoscia, paura
incontrollabile, conflitto costante con l’ambiente in cui il soggetto vive, sensazione di
inadeguatezza, ecc. Le cause, in base alla psicoanalisi freudiana, vanno ricercate nei traumi e nei
conflitti irrisolti dell’infanzia che hanno impedito la piena maturazione psicologica dell’individuo.
L’utilizzo della psicoanalisi, nonostante Svevo non abbia alcuna fiducia nel suo potere terapeutico, è
strumentale perché ritenuto dallo scrittore molto efficace in campo letterario per le possibilità che
apre nella comprensione dei meccanismi che regolano il comportamento dell’individuo.

La funzione del primo capitolo

Perché questa premessa? Qual è la funzione del primo capitolo?


Lo scopo è porre il lettore in uno stato di sospetto, attraverso una voce autorevole, lo psicanalista, a
diffidare della voce narrante e a mantenere una posizione critica riguardo a tutto ciò che affermerà.
Mentre nell’arte tradizionale è fondamentale che il lettore non sia incredulo verso quanto raccontato
e riconosca come verità la storia per immedesimarsi in essa, anche quando si tratta di narrazioni di
fantascienza, per Svevo, ed altri rappresentanti dell’arte moderna, il lettore deve mantenere uno
stato di sospetto e vigilanza, diffidando delle vicende narrate.
Si fa appello quindi alla partecipazione interpretativa da parte del lettore che è chiamato a
discernere (separare) la verità dalla menzogna, il lettore deve dipanare (sciogliere) la matassa di un
racconto che si rivela un groviglio di verità e bugie e distinguere quando il personaggio sta
mentendo o sta dicendo la verità, per arrivare ad una possibile verità al di là di quella fornita dal
protagonista-narratore.
Ciò perché “La coscienza di Zeno” non è un romanzo basato sulla rappresentazione oggettiva e
precisa di una realtà sociale come nei romanzi naturalisti, né il resoconto autentico e semplice di
una vicenda biografica, ma è la narrazione di una coscienza in cui convivono sia le verità che le
falsità.

Stile
Zeno utilizza un lessico moderno: il testo è pervaso di un sottile umorismo ed è scritto con un
linguaggio semplice e vivace, vicino al parlato in cui, qua e là, si inseriscono espressioni tecniche,
ripetizioni, metafore, similitudini e giochi di parole che danno un tono ironico alla narrazione.
L’ironia è una componente stilistica fondamentale: ogni avvenimento presenta aspetti ironici.
L’elemento tecnico-stilistico più originale è il discorso indiretto libero che è alla base del monologo
interiore del protagonista.
Innovazioni formali:
Il romanzo si articola per capitoli a tema e non cronologici, la struttura narrativa non segue più
il modello del romanzo ottocentesco basato sul resoconto cronologico di una vicenda. I fatti
vengono narrati attraverso una continua alternanza di piani temporali (il passato e il presente)
che rappresenta quindi una novità rispetto all’andamento cronologico dei romanzi tradizionali.
E’ una tecnica narrativa in linea con quella utilizzata dai grandi scrittori contemporanei di Svevo
(Proust, Joyce, Woolf, Pirandello) in cui il tempo si relativizza in base alla percezione che ne ha
il personaggio: è il tempo interiore della coscienza.
A differenza del romanzo ottocentesco in cui il narratore si caratterizzava per la sua credibilità
(narratore oggettivo), nel romanzo di Svevo la voce narrante appare inattendibile, è insicuro e
incerto nell’interpretare le vicende del proprio passato e può solo immaginare ed avanzare delle
ipotesi interpretative.

LUIGI PIRANDELLO
(Agrigento 1867 - Roma 1936)

LA VITA

Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 a Girgenti (poi Agrigento) da Stefano Pirandello, di
origine ligure, garibaldino, e da madre siciliana, Caterina Ricci Gramitto, figlia di un esponente
della rivoluzione siciliana del 1848-49.
La famiglia è di tradizione garibaldina e antiborbonica ed è proprietaria di alcune zolfare.
Fin da ragazzo, Luigi Pirandello, ha difficoltà di comunicazione coi genitori e soffre d’insonnia.
Incoraggiato dalla madre manifesta molto giovane la sua vocazione letteraria.
L'allagamento di una miniera di zolfo porta la famiglia Pirandello ad un grave dissesto economico.
La moglie di Luigi Pirandello, manifesta i primi segni della malattia psichica di cui soffrirà per tutta
la vita. Pirandello si avvicina alle teorie della psicanalisi di Freud per studiare i meccanismi della
mente umana e poter essere d’aiuto alla moglie.
Per arrotondare l’esiguo stipendio universitario, Pirandello impartisce lezioni private ed intensifica
la sua collaborazione a riviste e a giornali.
Nel 1924 Pirandello aderisce al Fascismo, con un telegramma a Mussolini: “se mi stima degno di
entrare nel Partito nazionale Fascista pregierò come massimo onore tenermi il posto del più umile
gregario”.
Nel 1925 Pirandello firma il Manifesto degli Intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile, ma
presto si manifestano dei dissapori con le autorità fasciste così nel 1927 strappa la tessera del partito
e dichiara la propria apoliticità.
Si ammala di polmonite e muore nella sua casa romana il 10 dicembre 1936.

OPERA

Il Fu Mattia Pascal

E’ il primo romanzo di Luigi Pirandello, pubblicato nel 1904. L’opera gli da la fama mondiale.
(Pirandello scrive questo romanzo in un momento della sua vita di grande difficoltà in cui assiste la
moglie malata).

Trama
E’ la storia paradossale, in diciotto capitoli, di un piccolo borghese, Mattia Pascal, protagonista di
una vicenda di morte e reincarnazione.
La storia comincia dalla fine.
I primi due capitoli costituiscono la premessa di tutta la storia, una premessa duplicata. Il
protagonista afferma che la sua è una vicenda particolarmente strana e difficile da raccontare e che
riguarda le sue prime due morti. L’amico che gli ha suggerito di scrivere la sua strana storia è il
reverendo Don Eligio Pellegrinotto, col quale collabora nella piccola biblioteca del paesino di
Miragno e al quale egli affida il suo manoscritto che potrà essere letto solo 50 anni dopo quella che
lui definisce la sua terza, e definitiva, morte. Dopo un’invettiva contro Copernico, a suo parere
colpevole con la sua scoperta della terra che gira attorno al sole di aver sconvolto il modo di pensare
fino ad allora in auge basato sull’antropocentrismo e quindi di aver scardinato la convinzione che
l’uomo fosse il centro del mondo e con essa le sue pretese di conoscenza certa e di verità
rendendole assurde e relative, ha inizio con il terzo capitolo il racconto vero e proprio.
I capitoli dal III al VI riguardano il racconto della vita di Mattia Pascal ed ha inizio quando all’età
di quattro anni Mattia Pascal perde il padre. La gestione economica familiare passa nelle mani di un
amministratore-ladro, Batta Malagna detto “la talpa”, la cui amministrazione impoverisce anno
dopo anno la famiglia di Pascal per arricchire la propria. Per fargli un dispetto Mattia Pascal seduce
Romilda, la donna da cui Malagna vorrebbe avere un figlio, e la mette incinta. La situazione si
complica perché Mattia Pascal ingravida anche Oliva, la seconda moglie dell’amministratore.
Mentre Malagna riconosce come proprio il figlio di Oliva, Mattia Pascal deve accettare le nozze
riparatrici con Romilda. La vita coniugale si rivela un inferno anche perché nel frattempo Pascal è
economicamente caduto in disgrazia.
Mattia Pascal è dunque un personaggio imprigionato nella trappola di un matrimonio infelice e di
una sventurata condizione economica e sociale. A seguito di nuove disgrazie familiari, la morte
delle sue due bambine (le gemelle) e della madre, egli fugge da casa e si reca al Casinò di
Montecarlo, dove inaspettatamente realizza una cospicua vincita alla roulette.
Il Capitolo VII segna un cambiamento radicale per Mattia Pascal. Durante il viaggio di rientro a
casa Mattia Pascal legge su un giornale del ritrovamento, presso il paese dove abita, del corpo di un
suicida annegato che la moglie e la suocera hanno identificato in lui. Il caso ha fatto sì che egli si
trovi improvvisamente nella condizione di poter essere un uomo libero e padrone di sé,
economicamente autosufficiente. Decide allora di utilizzare questa morte per liberarsi della sua vita
passata.
Nei capitoli dal VIII al XVI Mattia Pascal si costruisce un’identità nuova, sotto il falso nome di
Adriano Meis, nome scelto ascoltando sul treno dei frammenti di una conversazione tra passeggeri.
Pascal cerca di trasformare il suo aspetto: si taglia la barba, indossa un paio di occhiali scuri per
coprire lo strabismo, una giacca lunga a doppio petto e un cappello a larghe tese.
Inizia a viaggiare per l’Italia e per l’Europa, senza una meta prestabilita, senza uno scopo preciso se
non quello di godere appieno dell’inaspettata libertà. Ad un certo punto però comincia ad avvertire
il peso della solitudine e sente la necessità di riallacciare quella rete di rapporti sociali che in
passato lo soffocava e condizionava. Dopo un soggiorno a Milano e l’esperienza della modernità in
questa metropoli industriale, va a vivere a Roma nella pensione di Anselmo Paleari, pensione che
ospita strani personaggi appassionati di scienze occulte e di spiritismo. Si innamora della figlia del
padrone di casa, la dolce Adriana, con la quale potrebbe iniziare una vita diversa e autentica. Si
rende conto che in realtà il nuovo nome e il personaggio che impersona non esistono per la società e
lo stato civile e che non può realizzare nessun progetto di vita futura. Vive con il timore che venga
scoperta la sua vera identità, per non farsi riconoscere si fa operare all’occhio strabico e tuttavia
quando viene derubato, durante una seduta spiritica, si rende conto che non può neppure denunciare
il furto perché è una persona inesistente per lo Stato. Si sente così ridotto ad un’ombra. Sfidato a
duello da un pittore spagnolo per questioni di gelosia, Adriano Meis, alias Mattia Pascal, in quanto
privo di identità non è neanche in grado di procurarsi i padrini necessari per battersi, decide quindi
di abbandonare Roma e Adriana e di far perdere le sue tracce facendo credere ad un suicidio per
annegamento.
Nei capitoli conclusivi, XVII e XVIII, il protagonista cerca quindi di rientrare nella sua vecchia
identità, “risorgendo” come Mattia Pascal. Torna al suo paese natale, Miragno, ma scopre che la
moglie si è formata una nuova famiglia, si è risposata ed ha avuto una figlia con il suo amico
Pomino, da sempre innamorato di Romilda ed a cui Pascal l’aveva portata via. Rinuncia allora a
vendicarsi della moglie e ad avvalersi della legge in base alla quale è ancora lui il marito legittimo,
ma in tal modo non gli resta altro che adeguarsi a vivere una condizione sospesa di “forestiere della
vita”, “come fuori della vita”, che osserva gli altri dall’esterno, cosciente di non essere più
“nessuno”, o meglio, di essere “fu Mattia Pascal”. Aspettando la terza definitiva morte, si
accontenta di vivere nella biblioteca in cui aveva svogliatamente lavorato da giovane, scrivendo la
propria storia.
Incipit
L’incipit (inizio) del romanzo vede Mattia Pascal dichiarare di avere un’unica certezza quella di
chiamarsi Mattia Pascal ma di non essere Mattia Pascal. Emerge in questa dichiarazione
l’inettitudine del personaggio, cioè la sua incapacità di liberarsi della “zavorra” dell’identità, e
conseguentemente delle convenzioni e della forma, nonostante ne abbia avuto l’occasione, grazie al
duplice colpo di fortuna di una vincita consistente al casinò di Montecarlo e la sua presunta morte.
Nonostante abbia scoperto che il nome è una triste convenzione sociale, una maschera vuota ed una
gabbia soffocante che imbriglia il flusso vitale, Pascal commette l’errore di darsi una seconda
identità, chiudendosi in un’altra trappola. rivela di aver conservato tutto il suo carattere piccolo
borghese, il bisogno della casa, del tepore della famiglia.
Conclusione
Il romanzo si chiude con un paradosso: morto due volte e senza più la possibilità di avere
un’identità sociale, il protagonista può vivere solo come “il fu Mattia Pascal”, cioè come un
defunto, una persona morta, scomparsa per sempre.
Alla fine, dopo aver capito che la vita è una finzione alienante e tragica e che la realtà non è
riducibile a un’unica prospettiva e a un unico significato, il protagonista deve accettare di vivere la
condizione del “forestiere della vita”, ossia in una condizione di passività ed accettazione, nella
stasi totale. Ha intuito infatti che un’identità vera non esiste e neppure può essere conferita da
norme sociali false che riducono l’uomo a un nome e a una maschera.
Tematiche

Il Fu Mattia Pascal è il romanzo allegorico della crisi dell’uomo moderno e ciò emerge dalle varie
tematiche che affronta:
 La famiglia, viene vista sia come un nido, riferita alla famiglia originaria, soprattutto nel
rapporto di tenerezza con la madre, sia come una prigione da cui evadere, relativamente al
rapporto coniugale e con la suocera;
 Il relativismo espresso attraverso il gioco d’azzardo che mette in rilievo la casualità degli
eventi e il potere della sorte, e sottolineando i limiti della volontà e della ragione
confermano la teoria della relatività della condizione umana affermata da Pirandello; e lo
spiritismo, raccontato nell’episodio della seduta spiritica del Cap.XIV (evento presente
anche nella Coscienza di Zeno di Svevo), serve per sottolineare la crisi del razionalismo
positivista e affermare che il potere della ragione umana è limitato.
 L’inettitudine. Come i personaggi di Svevo anche Mattia Pascal è un inetto incapace di
adattarsi alla vita e dalla quale sogna un’evasione impossibile, è uno sconfitto dalla vita ed
un anti-eroe che finisce con il guardarsi vivere e con l’adeguarsi ad accettare l’estraneità nei
confronti della vita e di se stesso.
 La crisi dell’identità. Mattia Pascal non riesce a rapportarsi non solo con la propria anima
ma anche con il proprio corpo, ne è un sintomo il suo occhio strabico che guarda sempre
altrove. La perdita dell’identità viene evidenziata anche attraverso il tema del doppio: vi è
un brano del libro in cui l’ombra del protagonista viene posta in primo piano come doppio di
Adriano Meis, rappresenta infatti la memoria e l’anima di Mattia Pascal, da cui il
protagonista non riesce a staccarsi e di cui anzi è prigioniero.
Tutto il romanzo è improntato sulla duplicità, sul raddoppiamento delle situazioni: Mattia
Pascal seduce sia Romilda che Oliva; finge due volte il suicidio; si dà due diverse identità,
Adriano Meis e poi Fu Mattia Pascal, ecc.
 La maschera e la negazione dell’identità sociale. L’identità è una necessità sociale, ognuno
di noi indossa una maschera per rapportarsi agli altri, non mostra la sua vera persona e
quando Mattia Pascal prende coscienza di ciò capisce di essere passato da una situazione di
maschera a quella di maschera nuda, consapevole dell’impossibilità di qualsiasi identità, si
limita a guardarsi e guardare gli altri vivere.
Perchè Mattia Pascal rappresenta l'inetto?
 Perché non è in grado di sostenere fino in fondo la condizione di libertà assoluta, a cui
idealmente aspirava, dal peso delle convenzioni e dalla trappola della forma;
 Mattia Pascal si rivela non all’altezza delle proprie ambizioni, è destinato al fallimento.
Infatti la conclusione è negativa: Mattia Pascal si riduce a vivere una non-vita,
rassegnandosi ad una condizione di paralisi e stasi. Pur non essendo morto fisicamente, di
fatto vive in una condizione di estraneità alla vita, con l’atteggiamento distaccato di chi ha
capito come funziona il gioco ed assiste dall’esterno al meccanismo della finzione ed alla
messinscena della vita.
Stile
Il Fu Mattia Pascal rivela una grande originalità strutturale, riassumibile in 3 aspetti:
 E’ una narrazione retrospettiva in prima persona. L’impianto narrativo si basa infatti sul
racconto del protagonista stesso ed ha una struttura circolare e simmetrica, inizia a vicenda
terminata e si conclude tornando all’inizio.
 La verità della narrazione viene posta in discussione e il lettore viene sollecitato a
interpretare quanto raccontato con spirito critico e con diffidenza (anche Svevo nel suo
romanzo La coscienza di Zeno ha dato un’impostazione analoga).
 E’ un romanzo soliloquio che utilizza spesso interiezioni, esclamazioni, interrogazioni,
domande retoriche ecc.
In questi aspetti si evidenzia il superamento in Pirandello dei meccanismi narrativi propri del
romanzo naturalista e verista. L’inattendibilità della voce narrante che è nello stesso tempo il
protagonista delle vicende raccontate, si contrappone all’oggettività della narrazione in terza
persona del romanzo naturalistico e verista che basandosi sul racconto di un narratore esterno e
superiore al piano del narrato è perfettamente attendibile.
Al punto di vista oggettivo e verosimigliante della narrazione naturalistica, Pirandello sostituisce il
punto di vista soggettivo di un personaggio la cui unità è frantumata in tre diverse incarnazioni:
Mattia Pascal, Adriano Meis, il fu Mattia Pascal, ciascuna delle quali interviene sul racconto
presentando un punto di vista diverso.
Il fu Mattia Pascal unisce racconto e riflessione teorica e per questo assume i connotati del
romanzo-saggio, un genere narrativo, tipico del Novecento, in cui i momenti di riflessione teorica e
filosofica si intrecciano alla narrazione delle vicende.
MAPPA CONCETTUALE

DECADENTISMO

in Francia DECADENT
NASCE
deriva dalla
parola francese
inizi del ‘900 Poeti maledetti

Negativo ---------------------- Riferito ai nuovi poeti che


facevano scandalo nella
HA 2 SIGNIFICATI società dell’epoca

Positivo –---------------------- Accezione acquisita in seguito:

il poeta è una persona speciale


E’ colui che vede e
sente mondi lontani e invisibili

E’ capace di scavare nel Usa un nuovo


mondo interiore dell’uomo linguaggio:
nel mistero e nell’ignoto simbolico,
analogico,
suggestivo.

Sfiducia nella ragione e nella scienza

Senso di angoscia/solitudine/noia/vuoto
CARATTERISTICHE Isolamento dalla società nella quale non si riconoscono

Poeta come veggente: vede il vero significato


della realtà

Esasperazione dell’individuo: superuomo (uomo


che conosce i propri limiti ma li supera con la
ragione e il pensiero filosofico

AUTORI Pascoli
D’Annunzio

Svevo

Pirandello
Necessità di costruire:
Pascoli e D’Annunzio
FASI DEL DECADENTISMO ITALIANO
Dando per certa la crisi della realtà si tenta
di indagarla in modo critico e lucido: Svevo e
Pirandello

POST-DECADENTISMO
Le principali correnti che si sviluppano dal Decadentismo sono

SIMBOLISMO ESTETISMO
Descrizione della realtà in modo
soggettivo Esaltazione del gusto del bello.
attraverso l'uso di simboli, analogie, metafore.
In Italia l'esponente per eccellenza di questa PANISMO
corrente è - Mescolarsi dell’uomo con la natura

(es. emblematico “La pioggia nel


Pineto”)

SUPEROMISMO
- Nascita del mito del superuomo,
ovvero di colui che grazie alla cultura
si pone come modello per gli altri
In Italia il maggiore esponente è

Giovanni Pascoli Gabriele D’Annunzio

GIOVANNI PASCOLI
San Mauro in Romagna, (Forlì)1855- Bologna, 1912

EVENTI BIOGRAFICI A 12 anni perde il padre (assassinato); poi subisce


SIGNIFICATIVI una serie di altri lutti in famiglia. E’ alunno di Carducci
dal quale in seguito eredita il posto di insegnante presso
l’università di Bologna.

POETICA -La sofferenza della vita si riflette nella poesia


-La natura come fonte di ispirazione
-Linguaggio nuovo: utilizzo di onomatopee (parole
che riproducono il suono delle cose)
-Utilizzo di “corrispondenze”: associazione tra parole
e immagini.

PERSONALITA’ -Idee socialiste


-Pessimismo: impossibilità dell’uomo di cambiare il
corso degli eventi
-Il vero senso della vita è nascosto nelle piccole cose
e gioie di ogni giorno.

OPERE

RACCOLTE POETICHE PROSA

Myricae Canti di Castelvecchio Il Fanciullino


1891 1903 1897

Ogni persona ha dentro


di sé un fanciullino, il
- la natura che non è solo - le piccole cose poeta lo capisce e lo sa
dispensatrice di serenità ma - il mistero della morte esprimere

è celebrata nei suoi aspetti più inquietanti e misteriosi


- la morte del padre che lo POESIA STUDIATA

porta ad avere un legame


morboso con la famiglia, LA CAVALLA STORNA
rifugio dal male del mondo

POESIA STUDIATA

X AGOSTO

GABRIELE D’ANNUNZIO
Pescara 1863- 1938

EVENTI A Roma negli anni giovanili fu un personaggio dominante nella


BIOGRAFICI società intellettuale: ebbe incontri mondani (Eleonora Duse) e
e suscitò qualche scandalo. Visse una vita inimitabile, stravagante ed
PERSONALITA’ esibizionista. In politica fu un convinto interventista (a favore della
entrata in guerra) infatti, quando l’Italia entrò in guerra si arruolò
come aviatore e nel 1921 liberò la città di Fiume insieme ad altri
volontari. Nel 1922 stanco della vita mondana, si ritirò a vita privata
nella sua villa sul lago di Garda.

POETICA -Estetismo: per lui l’arte è bellezza, un valore aggiunto


-Panismo: il poeta diventa un tutt’uno con la natura
-Superomismo: superuomo è un uomo diverso, speciale, potente
eroico, che non deve obbedire a principi morali perché superiore
OPERE

RACCOLTA POETICA PROSA

LE LAUDI IL PIACERE
la raccolta è divisa in E’ un romanzo diviso
5 libri. La poesia studiata in 4 sezioni ed è
è contenuta nel terzo libro espressione dell’estetismo
che si chiama ALCYONE d’annunziano

TEMI

Il superuomo si fonde con


la natura e ne diviene parte
(panismo d’annunziano)

POESIA STUDIATA

LA PIOGGIA NEL PINETO

DIFFERENZE TRA
PASCOLI E D’ANNUNZIO

Invita ad accontentarsi delle piccole cose perché Vuole una vita straordinaria
solo così si sfugge alla crudeltà della vita

ITALO SVEVO
Trieste 1861- 1928

EVENTI Il suo vero nome fu Hector Schmitz. Per lavoro viaggiò molto
BIOGRAFICI conoscendo un mondo molto diverso dal suo. Dopo il
fallimento dell’azienda familiare, andò a lavorare con i suoceri
che producevano vernici per navi. Conobbe James Joyce e
grazie a lui ebbe successo come scrittore. Fu Joyce a far
conoscere la sua opera (La Coscienza di Zeno) in Francia e poi
attraverso Montale arrivò il successo anche in Italia.

POETICA Tema principale delle sue opere è la figura dell’inetto, colui


che è incapace di vivere, privo di qualità e destinato al
fallimento.
OPERA

LA COSCIENZA DI ZENO

STRUTTURA Il romanzo è diviso in 8 capitoli


che affrontano il tentativo di Zeno
di giustificarsi per le scelte compiute fino al momento in cui
scrive, prima con il padre, poi con la moglie, infine con
l’amante e il rivale.

TRAMA Zeno va dallo psicanalista che, per guarire, gli consiglia di


scrivere ogni giorno una pagina di diario. Egli accetta e
comincia ad analizzarsi da solo: il libro è il racconto della
sua vita a modo di diario.

CARATTERISTICHE -Zeno è un INETTO, un uomo debole che inganna anche se


stesso rifiutando qualsiasi tipo di responsabilità
- si rifà alle idee di Freud, il padre della psicoanalisi
- narratore inattendibile
- struttura che segue il flusso di coscienza ovvero i fatti non
sono raccontati seguendo l’ordine cronologico

LUIGI PIRANDELLO
Agrigento 1867- Roma 1936

EVENTI BIOGRAFICI Sposò una donna dal fragile equilibrio psicologico. La famiglia
subì un grave disastro economico cui seguì un
peggioramento delle condizioni della moglie (che sprofonda
nella follia): il figlio venne rapito durante la 1° guerra
mondiale e successivamente ucciso. Aderì al Fascismo e poi se
ne allontanò evitando però posizioni di aperto dissenso. Vinse
il premio Nobel per la letteratura.

VISIONE Credeva nelle teorie dello psicologo Binet secondo cui in un


DEL individuo coesistono diverse personalità (pluralità dell’io).
MONDO Infatti per lui l’identità personale era costituita da UNA
MASCHERA che veniva imposta dalla società e della quale
ci si poteva liberare solo attraverso l’immaginazione o la follia.

POETICA - Nel saggio “L’Umorismo” distingue il


COMICO dall’UMORISTICO

E’ un avvertimento del contrario E’ il sentimento del contrario che nasce


che nasce dal contrasto tra la da una considerazione meno superficiale
realtà e l’apparenza della situazione

- Il male di vivere: dovuto all’arretratezza


economica e culturale del sud (età giolittiana)
-La frantumazione dell’io: l’uomo non è uno
ma ha tante forme diverse, a seconda di come
gli altri lo percepiscono. Crediamo di essere
uno ma siamo uno, nessuno e centomila a
seconda di chi ci guarda. Per questo finiamo
per essere “nessuno”
- La maschera, necessaria per relazionarsi
con la società

OPERA

IL FU MATTIA PASCAL
MODULO III ITALIANO
Prof.ssa Valentina Chiavazzo

A.s. 2019-2020 Corso AFM

PRIMO NOVECENTO: AVANGUARDIE EUROPEE


AVANGUARDIE

Si tratta di movimenti culturali e artistici che rifiutano la mentalità ed i rapporti sociali borghesi e puntano ad una
radicale trasformazione dell’idea di arte attraverso uno sperimentalismo continuo. Esse si pongono come negazione e
distruzione di ogni legame con la tradizione, la memoria, i valori del passato; come rifiuto del presente del gusto e dei
valori dominanti. Su questo piano esse spesso, ma non sempre, si incontrano con le avanguardie politiche (così accade
per esempio in Unione Sovietica durante e dopo la rivoluzione, o in Germania nel primo dopoguerra, mentre i cubisti
non ebbero interessi politici).

Nate nei primi due/tre decenni del Novecento, le Avanguardie, vengono dette storiche per distinguerle dalle
neoavanguardie della seconda metà del Novecento e sono:

 L’Espressionismo
 Il Dadaismo
 Il Surrealismo
 Il Crepuscolarismo
 Il Futurismo
 Il Cubismo

Nonostante siano ben distinte, hanno alcuni elementi in comune:


- la tendenza a superare i confini nazionali,
- le separazioni tra le diverse forme di espressione artistica (letteratura, scultura, pittura, teatro);
- la volontà di rompere con la tradizione ottocentesca , cioè con le poetiche del Naturalismo e del Decadentismo
(dalle quali per altro prendono le mosse)
- La concezione dell’arte come di qualcosa che non deve e non può rispecchiare la realtà (come era già stato
indicato dal Simbolismo francese), in quanto non esiste una realtà oggettiva
- La creazione artistica si focalizza sulla soggettività e sceglie la provocazione come mezzo di rinnovamento
formale e contenutistico (prevalgono la deformazione grottesca, l’elemento onirico (del sogno), geometrico o
concettuale, la rappresentazione della simultaneità delle prospettive)
- L’arte non deve più fornire interpretazioni privilegiate del reale o offrire la possibilità di accedere ad una realtà
“più vera” che solo il genio sa e può individuare (Decadentismo), ma diventa gesto espressivo di una
soggettività che si ribella alla tradizione e all’ordine e che rivendica la propria libertà creativa al di là di
qualsiasi regola o finalità precostituita (stabilita).

Fondamenti teorici dei vari movimenti sopra citati:

 ESPRESSIONISMO (Primo movimento del ‘900)


Si sviluppa in Germania nei primi del Novecento (1905) come tendenza all’avanguardia, ma trova la sua massima
definizione negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra mondiale (fino al 1925). Nasce come reazione
delle arti figurative al Naturalismo e all’Impressionismo, considerato come un’emanazione della vecchia arte
naturalistica. Nell’Impressionismo, i particolari sono protagonisti, ma
vengono ancora collocati in posizioni e gerarchie tradizionali che l’artista deve rispettare; nell’Espressionismo,
invece, il singolo dettaglio è sciolto dall’insieme, le proporzioni non sono più rispettate e un particolare minimo
può occupare tutto il quadro. La realtà oggettiva non esiste più, esiste solo il mondo visionario, soggettivo in cui
essa è vista. Dal campo delle arti figurative si allargò poi alla letteratura, alla musica ed al cinema. Caratteristica
dell’espressionismo è una visione cupa e profondamente pessimistica del mondo. Si tratta di “una letteratura
d’urlo e distruzione” che denuncia la disperazione di un’umanità torturata dalla guerra.
Temi dominanti: città mostruosa e tentacolare, civiltà delle macchine che porta al caos convulso o
all’agghiacciante geometria; angoscia che si esprime nel “grido”, oppure nell’onirismo, nelle visioni allucinate. Il
personaggio espressionista è un uomo degradato in un mondo degradato. Tendenza alla rappresentazione grottesca
che trasforma i personaggi in animali o burattini e visioni soggettivistiche, oniriche e allucinate della realtà.
Sul piano formale, questa poetica trova riscontro in una radicale deformazione linguistica , in una violenta

1
rivoluzione stilistica che parte dal rifiuto della retorica (disciplina del parlare o dello scrivere) e del linguaggio
poetico della tradizione.
Caratteri formali: sinteticità, rapidità, simultaneità, paratassi [Costruzione del periodo fondata prevalentemente su un
criterio di coordinazione (parlava e rideva), contrapposta alla ipotassi (parlando, rideva)], periodi nominali, lessico
anti-accademico (che si oppone alle forme, alle norme proprie del gusto e della cultura ufficiale o tradizionale).
L’Espressionismo influenza parzialmente Francia ( Ferdinand Céline) e Irlanda (James Joyce).
In Italia risentono dell’Espressionismo i “vociani” Rebora, Campana e Tozzi , Gadda e in parte Pirandello.

N.B. I vociani Si definiscono scrittori vociani quegli scrittori che durante il primo Novecento dimostrarono il desiderio
di provare una nuova sperimentazione di linguaggio che superasse la tradizione dell'Ottocento.
Il termine “vociani” proveniva dall'esperienza della rivista La voce e si riconoscevano nel suo programma che esaltava
il rinnovamento della cultura e delle lettere; molti di loro si riconoscevano per le proprie posizioni interventiste e
cercarono di vivere la prima guerra mondiale non solo attivamente ma anche a livello letterario. Costoro, spinti dalla
necessità di abbandonare tutti gli schemi tradizionali della narrazione dell'Ottocento, sperimentano un tipo di scrittura
frammentata e di breve misura.

DADAISMO
Il movimento Dada, nacque a Zurigo nel 1916. Massimo esponente e teorico il rumeno Tristan Tzara (1896 – 1963)
La parola Dada ha una valenza polisemia: in rumeno e in russo significa “sì sì”, nel linguaggio infantile francese
significa “ cavallo” in swahili significa “sorella”; oppure è semplicemente un suono pronunciato dai bambini ad
indicare il rifiuto dell’utilità dell’opera d’arte e la spontaneità assoluta dell’artista che gioca e si esprime come un
neonato (rifiuto di ogni regola e ogni razionalità sino alla negazione nichilista di ogni tradizione)
Scopo del Dadaismo è la distruzione sistematica di qualsiasi possibilità di comunicazione convenzionale “Dada
non significa nulla” . In letteratura il linguaggio dei dadaisti tendeva alla dissoluzione della sintassi fino alla
distruzione di ogni legame logico del discorso, alla deformazione del lessico fino alla definizione di una scrittura
rivoluzionaria, formata di suoni e di fonemi in libertà. I dadaisti non propongono la demolizione della civiltà
borghese (questo avrebbe comportato una proposta alternativa, mente loro sono nichilisti, cioè non offrono nessuna
indicazione in positivo), quanto piuttosto la constatazione del suo fallimento.
La mancanza di progetti, il distacco abissale dal pubblico di massa, portarono rapidamente il movimento ad
esaurirsi(1923). Molti artisti dadaisti confluirono nel Surrealismo.

 SURREALISMO
La nascita del Surrealismo (1924 – pubblicazione del Manifesto del Surrealismo di Andrè Breton) è da mettere in
relazione alla crisi del movimento Dada e della sua spinta anarchica ed eversiva e coinvolge narratori, poeti,
pittori, scultori, registi di teatro e cinema. Proprio in opposizione al Dadaismo, i primi surrealisti svilupperanno un
atteggiamento più costruttivo, volto a sperimentare in modo rigoroso e quasi scientifico, un nuovo strumento di
conoscenza di territori fino ad allora inesplorati: l’inconscio, il sogno, la follia, gli stati allucinatori, il rovescio,
cioè, di tutto ciò che è logico. Tale strumento conoscitivo, in campo letterario è la scrittura automatica,un tipo di
scrittura che si propone di esprimere il reale funzionamento del pensiero, al di fuori di ogni preoccupazione di tipo
formale, estetica o morale e al di fuori di ogni controllo esercitato dalla ragione.
Obiettivo dei Surrealisti è la liberazione totale dell’uomo e l’instaurazione della “surrealtà”, ovvero una realtà
assoluta nella quale la scissione tra coscienza ed inconscio, tra realtà ed immaginario sia definitivamente superata.
Liberare l’inconscio, significa liberare l’uomo da tutti quei condizionamenti ai quali le imposizioni sociali lo
costringono. Coerentemente con questo progetto, molti poeti surrealisti si avvicinarono al comunismo.

 CREPUSCOLARISMO
Il termine nasce nel 1910. Antonio Borghese, critico letterario, lo userà per la prima volta per indicare il tono
grigio e spento delle composizioni di alcuni poeti. Borghese indicava così una poesia che si collocava ai margini
della grande tradizione ottocentesca, in una zona appartata, dove, in contrapposizione alla poesia aulica e solenne,
si prediligono temi quotidiani e malinconici, gli oggetti polverosi e dimessi della sonnolente vita di provincia. Il
Crepuscolarismo non è una corrente organizzata, ma è un clima psicologico dimesso e malinconico da cui discende
una particolare poesia e rientra nel clima del Decadentismo (la corrente che decreta la morte dell’arte). E’ una delle
risposte alla crisi della ragione e dell’io e consiste nella consapevolezza di essere giunti al crepuscolo della grande
produzione letteraria.
I crepuscolari, con il loro atteggiamento dimesso e autoironico, apparentemente molto lontano dalla tensione delle
avanguardie, ne anticipano alcuni importanti elementi: il rifiuto della tradizionale immagine del poeta “vate” o
“genio”, il rifiuto della tradizione rappresentata da Carducci, Pascoli e D’Annunzio, l’introduzione nella poesia di
nuovi temi e tecniche espressive.
Il crepuscolarismo interessa solo la poesia e si sviluppa in un periodo molto circoscritto: dal 1903, anno della
pubblicazione delle prime raccolte di Covoni e Palazzeschi, al 1911, anno di pubblicazione del secondo ed ultimo
libro in versi di Gozzano.

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Tra i massimi esponenti: Guido Gozzano (Aldo Palazzeschi, Corrado Covoni, già nel 1910 aderiranno al
Futurismo).
L’Arte si fonde con la vita (come per D’Annunzio), ma con una vita povera ed imperfetta ed è una compensazione
alle frustrazioni sociali ed esistenziali. La poesia non è più un valore, un segno d’elezione come per i simbolisti e
non conduce a nessuna conoscenza. Essa è solo un anacronismo ed esprime, in una società di massa, valori
sorpassati ed inutili. La letteratura è il luogo della consapevolezza dell’inutilità della letteratura stessa. Tecnica
utilizzata per esprimere questi concetti è quella dell’autoironia.
Nei crepuscolari manca del tutto l’idea di progresso e, benché si sia all’inizio di un secolo, essi non vedono
l’avanzare, ma un lento spegnersi. Viene a cadere l’intensità del sentire: non vi sono slanci, ma nemmeno angosce
tenebrose, non vi sono entusiasmi, ma nemmeno tragedie. Il loro tono è malinconico e molto lontano dal
maledettismo.
Linguaggio: povero, dimesso, basso impoetico, ai confini con la prosa.
Temi ricorrenti: continuo lamento, autocompiacimento del proprio ingrigirsi, il crogiolarsi entro il senso della crisi.

 FUTURISMO
E’ il più vistoso movimento artistico – culturale italiano del primo Novecento. Viene fondato nel 1909 da
Tommaso Marinetti che pubblica sulla rivista francese “Le Figaro” Il manifesto del Futurismo influenzando
pittura, scultura, architettura, poesia, teatro, moda e musica.
E’ il primo movimento del ‘900 che esprime chiaramente i propri scopi e i mezzi per raggiungerli. Alla crisi della
ragione e dell’io, i futuristi contrappongono il mito del progresso tecnico e l’esaltazione dell’individualismo
assoluto, della violenza, dell’aggressività, della guerra. Predicano l’abbandono e la distruzione del passato,
scagliandosi contro i simboli della tradizione: musei, biblioteche, accademie, per proiettarsi verso il futuro
esaltando le novità della società industriale (velocità, macchine, tecnologie), ma non hanno nulla a che vedere con
una ripresa del positivismo e della valorizzazione della razionalità scientifica, anzi, rappresentano un ‘altra faccia
della crisi della ragione, in quanto propongono uno slancio volontaristico e irrazionalistico verso il futuro fatto di
velocità, macchine, energia aggressiva e violenta che diventano i nuovi idoli del presente.
Il loro obiettivo è quello di rinnovare l’arte e la concezione della vita;
La bellezza della civiltà moderna si fonda sulla macchina e sulla velocità contrapposte polemicamente alla
tradizione artistica e all’ordine del perbenismo borghese, dunque l’arte si deve adeguare alla nuova realtà in tutte le
sue forme. Con riferimento specifico alla letteratura, nel 1912 fu pubblicato il “Manifesto tecnico della letteratura
futurista” , dove sono esaltate le parole in libertà, vi è il rifiuto della sintassi, degli avverbi, degli aggettivi e della
punteggiatura. La poesia deve essere immediata e l’impressione comunicata analogicamente dall’autore al lettore.
(influenza del simbolismo francese di fine Ottocento) I futuristi rivoluzionarono anche la struttura tipografica della
pagina disponendo le parole in modo da formare composizioni grafiche.
I futuristi trovarono nelle riviste un apporto fondamentale per diffondere le proprie idee (in particolare “Lacerba”,
“Roma futurista” e “ L’Italia futurista” (Milano - Firenze 1909 – 1919)
Nel movimento i programmi e le teorie artistiche e anche poetiche furono più importanti delle opere realizzate
Il movimento si politicizzò fortemente con l’avvicinarsi della Prima guerra mondiale. Dopo il 1920 la maggior
parte dei futuristi aderì al fascismo e lo stesso Martinetti accettò la nomina alla fascista Accademia d’Italia, ma il
movimento, pur sopravvivendo fino agli anni Trenta, non ebbe una reale incidenza nella realtà culturale e politica
italiana.

 CUBISMO
Nato a Parigi fra il 1906 ed il 1908 grazie a Pablo Picasso e Georges Braque, scompone lo spazio in piani diversi
tutti contemporaneamente presenti nell’opera.

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MODULO IV ITALIANO
Prof.ssa Valentina Chiavazzo
A.s. 2019-2020 Corso AFM
L’ERMETISMO
Prof.ssa Valentina Chiavazzo
L’Ermetismo è una corrente letteraria che ha visto la luce agli inizi del Novecento in Italia. Questo
movimento ha interessato essenzialmente la letteratura più che le altre arti figurative. Le quali però
erano investite comunque da una condizione di rinnovamento grazie all’avvento della rivoluzione
delle Avanguardie, all’inizio del secolo. Il termine Ermetismo è stato utilizzato per la prima volta
per indicare un gruppo di poeti vicini ad alcune riviste letterarie. Tra queste: «Solaria» e «Il
Frontespizio». Tali poeti erano strettamente legati da una comune poetica, e attivi a Firenze tra gli
anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento. Manifesto della poesia ermetica è considerato il
saggio di Carlo Bo, Letteratura come vita. In esso l’autore dichiara che letteratura e vita coincidono
perché sono entrambe impegnate ad interrogarsi sull’enigma dell’esistenza.

Dal senso negativo a quello positivo


Il termine Ermetismo è stato utilizzato per la prima volta dal critico letterario Francesco Flora in
senso dispregiativo per indicare quel gruppo di poeti che si erano ispirati al Simbolismo francese e
ad Ungaretti. Essi erano accusati di essere oscuri, indecifrabili ed ermetici. L’aggettivo ermetico,
infatti, significa chiuso e si riferisce a dei testi neoplatonici attribuiti alla leggendaria figura di
Ermete Trismegisto. Questi fu scrittore di testi filosofici del periodo ellenistico.
Forse l’aggettivo potrebbe anche essere legato ad Ermete inteso come dio delle scienze occulte. Da
questa accezione negativa pian piano si è poi passati a considerare il movimento positivamente.
Alcuni critici hanno infatti inserito in questo gruppo anche Montale e Ungaretti, regalando autorità
anche a tutto l’Ermetismo. L’Ermetismo era nato infatti come reazione alla propaganda fascista
attiva negli anni Trenta. Il loro modo di fare resistenza al regime era del tutto introverso. Invece di
denunciare alla società gli orrori che venivano commessi davanti ai loro occhi, i poeti ermetici
affidavano alla poesia la ricerca delle verità spirituali dell’esistenza.

La poesia ermetica
Con gli Ermetici, la poesia non era denuncia del male da vivere, ma espressione dell’intimità
dell’autore, che si interrogava sul mistero della vita. Essi avevano sviluppato una sorta di
indifferenza verso le vicende storiche contemporanee. Le liriche ermetiche, infatti, si erano
concentrate sul soggetto e spesso erano ambientate in paesaggi onirici (irreali, che riguardano il
sogno), molto distanti dalla realtà. Questo tipo di poesia aveva la caratteristica fondamentale di
esprimersi in forme elaborate e complesse e di essere rivolta solo ad un pubblico elitario e ristretto.
Essi riprendevano il concetto di poesia pura di Ungaretti. Utilizzavano analogie (relazione di
somiglianza fra due o più cose per alcune caratteristiche comuni ) difficili da comprendere,
sinestesie ( Fusione in un'unica sfera sensoriale delle percezioni di sensi distinti ) e metafore
(Sostituzione di un termine proprio con uno figurato). La poesia ermetica ricercava l’essenzialità,
anche da un punto di vista grafico. Venivano utilizzati molti spazi, aboliti gli articoli e i nessi
temporali. Da un punto di vista metrico i versi erano liberi ed erano presenti molti richiami sonori.

L’Ermetismo e il fascismo
Il tutto per giungere una ricerca dell’essenzialità e al tentativo di trascrivere su carta le verità della
vita. Gli ermetici spesso sono stati attaccati per non aver contrastato il regime fascista. Va detto,
però, che la loro fu una rivoluzione silenziosa. Fu soprattutto una condanna totale a quella cultura
massificatrice dei regimi totalitari.
Essi sono stati in grado di mostrare, anche se con termini complessi, le loro tormentate vicende
interiori e possono considerarsi testimoni preziosi di un periodo turbolento.

GIUSEPPE UNGARETTI (Alessandria d’Egitto 1888 - Milano 1970)


La vita
Giuseppe Ungaretti nacque l’8 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto dove i genitori, lucchesi,
gestivano un forno di pane; studiò in una scuola di lingua francese della città egiziana. Nel 1912 si
trasferì a Parigi, dove frequentò l’Università della Sorbona e incontrò alcuni tra gli esponenti più
importanti della cultura europea del tempo. Qui approfondì la conoscenza dei poeti simbolisti come
C.Baudelaire e S.Mallarmé, che esercitarono su di lui un’influenza fondamentale. Nel 1914 si
trasferì in Italia, dove, arruolatosi volontario come soldato semplice di fanteria, partecipò alla Prima
guerra mondiale combattendo sul fronte del Carso. Dall’esperienza diretta delle atrocità della
guerra, prese forma il primo nucleo della sua produzione poetica. Nacquero così le raccolte Il porto
sepolto (1916) e Allegria di naufragi (1919); le poesie furono poi riunite nel volume L’Allegria
(1931). Al termine del conflitto, Giuseppe Ungaretti visse a Parigi per un anno, come
corrispondente del giornale fondato da Benito Mussolini, «Il popolo d’Italia». L‘adesione al
fascismo nasceva dall’ingenua fiducia nel rinnovamento economico e spirituale del popolo italiano
che il regime prometteva attraverso la massiccia propaganda. Nel 1936 Giuseppe Ungaretti accettò
la cattedra di Lingua e letteratura italiana presso l’Università di San Paolo, in Brasile, dove andò a
vivere con la moglie e i due figli. Qui lo colpirono due gravi lutti familiari: la morte del fratello
Costantino e quella del figlio Antonietto. Il ritorno in Italia nel 1942 coincise con la Seconda guerra
mondiale. Alla tragedia privata si sovrappose così quella pubblica e questo duplice dramma ispirò la
raccolta emblematicamente intitolata Il Dolore (1947). Fu nominato Accademico d’Italia e ottenne
«per chiara fama» la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di
Roma. Nel 1970 fu colto da malore durante un viaggio negli Stati Uniti e, rientrato in Italia, morì a
Milano per broncopolmonite all’età di ottantadue anni.
La Poetica
Ungaretti è il maestro riconosciuto dell'Ermetismo. Il termine "ermetico" significa "chiuso",
"oscuro". Esprime il bisogno di recuperare la purezza originaria degli individui, la loro primitiva
semplicità e forza d'animo. Si oppone soprattutto al Decadentismo di D'Annunzio, cioè agli
atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo
bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale. L'Ermetismo si oppone anche ai
crepuscolari, ai futuristi, ai "vociani", perché non si accontenta di una riforma stilistica e non
sopporta la retorica. Giuseppe Ungaretti consegna ai pochi versi, scabri ed essenziali, la voce
disperata di un uomo che scopre di essere solo, con la sua carica segreta di ideali, di fronte a una
realtà spesso crudele, su cui sempre domina l’immagine della morte. Giuseppe Ungaretti ricerca una
poesia pura, essenziale, priva di enfasi e di insegnamenti, liberata da ogni schema metrico, che
esprime soltanto ciò che il poeta, con la sua fantasia e la sua sensibiltà, intuisce; poesie brevi e
lapidarie, veri e propri frammenti, in cui ogni termine si carica di una grande ricchezza di
significati. Giuseppe Ungaretti riduce al minimo la sintassi: elimina del tutto la punteggiatura e
limita la costruzione del periodo alle sue componenti essenziali. Il poeta rifiuta anche i vincoli della
metrica e della rima: non più strofe tradizionali, ma versi liberi, talvolta costituiti da una sola parola
dotata di grande pregnanza di significato. Mediante l’intuizione poetica, che rifiuta i collegamenti
logici e razionali, dà vita a una sintesi straordinariamente efficace, come nella lirica Mattina,
composta da due soli, brevissimi versi: «M’illumino / d’immenso».
OPERE
1) L’Allegria
Pubblicata nel 1931 e poi più volte rimaneggiata dall’autore fino all’edizione del 1942, comprende
le liriche concepite durante l’esperienza della Prima guerra mondiale, che Ungaretti visse in prima
persona, combattendo nelle trincee del Carso. Le liriche sono fortemente autobiografiche, quasi
come fogli di diario, tanto che ognuna reca l’indicazione del luogo e del giorno in cui è stata
concepita. Nonostante l’immediatezza dell’ispirazione, esse costituiscono il risultato di un lungo
lavoro di riflessione e di revisione, tanto che Ungaretti stesso ha scritto che ogni parola è «scavata
nella mia vita come un abisso». Le similitudini e le metafore rappresentano con efficacia la
desolazione del poeta, coinvolto in una realtà di orrore e massacro che lo induce a riflettere sulla
fragilità dell’uomo, la precarietà e il dolore dell’esistenza. E' suddivisa in varie sezioni: Prime, Il
Porto Sepolto, Naufragi, Girovago, Ultime. In questa raccolta troviamo tutte le sue innovazioni
poetiche, sia sul piano strutturale e lessicale, sia su quello sintattico e metrico:
 Abolisce la punteggiatura, sostituendola con spazi bianchi che hanno funzione di pausa
semantica e di pausa espressiva;
 Alle parole della tradizione classica sostituisce quelle comuni della lingua parlata, le sole
adatte ad esprimere l'intimo del pensiero perché scavate nella vita;
 Sconvolge la sintassi tradizionale e rompe i sintagmi o gruppi di parole legate logicamente
tra loro, in questo modo, le parole, acquistano una vita propria accentrando su di sé
l'attenzione del lettore;
 Rifiuta le forme metriche tradizionali, sostituendole con versi liberi;
 Reagisce allo stile di D'Annunzio, dei crepuscolari e dei futuristi usando frammenti di
immagini ed espressioni scarne, ridotte all'essenziale;
I temi
 Le sofferenze patite in guerra: la solitudine
 La caducità della vita: il dolore
 L'angoscia della morte che incombe: il desiderio di pace, di serenità
 La fratellanza umana: di sentirsi in armonia con la natura...
Poesia tratta da “L’Allegria”
Titolo della lirica: I fiumi
Ungaretti al fronte rievoca il proprio percorso di vita attraverso i quattro fiumi dai quali egli sente di
aver tratto linfa vitale: il Serchio dei suoi antenati, il Nilo che lo ha visto bambino e adolescente, il
Senna che ha completato la sua formazione e, infine, l’Isonzo,
il fiume in cui ora si bagna, in un momento di “pausa” della guerra. Immerso nelle sue acque il
poeta prova un indicibile senso di rigenerazione, che lo purifica dalle scorie del dolore e della
guerra.
Testo Parafrasi
1. Mi tengo a quest’albero mutilato 1. Sto vicino a quest’albero mutilato [privato dei rami a causa dello
2. abbandonato in questa dolina scoppio di una bomba]
3. che ha il languore 2. abbandonato in questa cavità [la dolina è tipica delle regioni carsiche]
4. di un circo 3. che ha la tristezza
5. prima o dopo lo spettacolo 4. di un circo
6. e guardo 5. prima o dopo lo spettacolo [quindi si riferisce ad un circo vuoto]
7. il passaggio quieto 6. e guardo
8. delle nuvole sulla luna 7. il paesaggio tranquillo
8. delle nuvole sulla luna
9. Stamani mi sono disteso 9. Stamattina mi sono disteso
10. in un’urna d’acqua 10. in una pozza d’acqua [l’utilizzo della parola urna in relazione alla
11. e come una reliquia successiva reliquia suggerisce il valore sacrale del gesto
12. ho riposato dell’immersione]
13. L’Isonzo scorrendo 11. e come una reliquia [=resto sacro]
14. mi levigava 12. ho riposato.
15. come un suo sasso 13. L’Isonzo scorrendo
16. Ho tirato su 14. mi levigava
17. le mie quattr’ossa 15. come un suo sasso.
18. e me ne sono andato 16-17. Mi sono rialzato
19. come un acrobata 18. e me ne sono andato
20. sull’acqua 19-20. camminando con difficoltà sull’acqua, passando sui sassi del
fiume, come un acrobata.
21. Mi sono accoccolato
22. vicino ai miei panni 21. Mi sono accovacciato
23. sudici di guerra 22. vicino ai miei panni
24. e come un beduino 23. sporchi di guerra
25. mi sono chinato a ricevere 24. e come un beduino [=nomade del deserto]
26. il sole 25. mi sono abbassato a ricevere
26. il sole
27. Questo è l’Isonzo
28. e qui meglio 27. Questo è l’Isonzo
29. mi sono riconosciuto 28. e qui, più che in ogni altro luogo,
30. una docile fibra 29. mi sono riconosciuto [in guerra il poeta ha modo di approfondire se
31. dell’universo stesso]
30. come una piccola, docile parte
32. Il mio supplizio 31. del tutto, dell’universo.
33. è quando
34. non mi credo 32. Il mio tormento
35. in armonia 33-35. è non riuscirmi a sentire in armonia con questo tutto

36. Ma quelle occulte 36. Ma quelle occulte


37. mani 37. mani [si riferisce alle acque del fiume che, personificate, sono come
38. che m’intridono mani]
39. mi regalano 38. che mi bagnano
40. la rara 39. mi donano
41. felicità 40. la rara
41. felicità
42. Ho ripassato
43. le epoche 42. Ho ripercorso con la memoria
44. della mia vita 43. le epoche
44. della mia vita
45. Questi sono
46. i miei fiumi 45. Questi sono
46. i miei fiumi [vedi il Commento per la spiegazione dei diversi fiumi]
47. Questo è il Serchio
48. al quale hanno attinto 47. Questo è il Serchio
49. duemil’anni forse 48. al quale hanno attinto
50. di gente mia campagnola 49-51. i miei avi, gente semplice, e mio padre e mia madre
51. e mio padre e mia madre 52. Questo è il Nilo
52. Questo è il Nilo 53. che mi ha visto
53. che mi ha visto 54. nascere e crescere
54. nascere e crescere 55. e ardere di inconsapevolezza [si riferisce all’età adolescenziale]
55. e ardere d’inconsapevolezza 56. nell’estese pianure
56. nelle estese pianure 57. Questa è la Senna
57. Questa è la Senna 58. e nelle sue acque torbide
58. e in quel suo torbido 59. mi sono rimescolato
59. mi sono rimescolato 60. e mi sono conosciuto
60. e mi sono conosciuto 61. Questi sono i miei fiumi
61. Questi sono i miei fiumi 62. rievocati dall’Isonzo
62. contati nell’Isonzo 63. Questa è la mia nostalgia
63. Questa è la mia nostalgia 64. che in ognuno di essi
64. che in ognuno 65. mi si manifesta
65. mi traspare 66. ora che è notte
66. ora ch’è notte 67. che la mia vita mi sembra
67. che la mia vita mi pare 68. una corolla
68. una corolla 69. di tenebre [la corolla è la parte che avvolge il cuore del fiore, e in
69. di tenebre questo caso richiama l’idea della morte e della precarietà della vita, in
particolare nella situazione di guerra di cui è protagonista Ungaretti].

Analisi del testo


La poesia è stata scritta mentre il poeta era al fronte nella zona del Carso, sulle rive dell’Isonzo, il
fiume che è stato un’importante zona di guerra e il cui paesaggio è rimasto “mutilato”.

L’albero mutilato
Il poeta, immerso nel buio della notte, si trova vicino, come aggrappato a un albero mutilato,
colpito dai mortai, abbandonato come l’albero stesso nel vuoto malinconico di una desolata dolina,
e contempla il passaggio quieto delle nuvole sulla luna (vv. 1-8);

L’immersione (vv. 9-41)


il poeta ricorda l’immersione mattutina nelle acque, una sorta di riposo/morte (un’urna d’acqua)
che assume caratteri di sacralità (come una reliquia…) e di purificazione (mi levigava…) dalle
scorie della guerra (Vv. 9-15);
il poeta descrive il riemergere dalle acque e il camminare in equilibrio sui sassi, come un acrobata.
Sembra qui esservi un’allusione a Gesù, che cammina sulle acque e che risorge dalla morte. (vv. 16-
20);
il poeta si distende ad assorbire il calore del sole, che completa il processo di rigenerazione e
purificazione (vv. 21-26);
l’immersione nell’Isonzo fa sentire il poeta come penetrato dalle occulte mani del fiume, che lo
rende una docile fibra dell’universo, in armonia con la natura, donandogli un breve ma intenso
senso di felicità (vv. 27-41);

La rievocazione dei fiumi (42-62)


vv. 42-62: in questo momento di grazia il poeta ripercorre con la memoria i fiumi della sua vita,
che l’Isonzo gli ha fatto ricordare, legati alle esperienze che lo hanno formato: il Serchio, che bagna
la terra dei suoi genitori; il Nilo, nei pressi di Alessandria, dove ha vissuto la propria infanzia e
adolescenza; la Senna, di Parigi, dove ha vissuto le torbide passioni della giovinezza.

Il ritorno al presente con la sua corolla di tenebre (66-69)


Il ricordo di quell’immersione riaffiora nel buio della notte, che lo riporta al senso di precarietà e
di dolore della guerra, ora che la sua vita è oscura e sembra una corolla di tenebre.

L’armonia con l’universo


I motivi di fondo della poesia sono un riconquistato senso di armonia con l’universo, determinato
dall’immersione nelle acque dell’Isonzo, e il recupero memoriale del proprio passato, che permette
al poeta una riscoperta della propria identità, rievocata dal ricordo dei fiumi della sua vita.
L’immersione nel fiume è al tempo stesso morte e rinascita, riposo e purificazione, che lo portano a
una nuova consapevolezza di sé e a sentirsi, in quel momento, in armonia.
La struttura circolare
Il testo ha una struttura circolare, che vede la situazione iniziale riproporsi nella strofa conclusiva:
nella prima e nell’ultima strofa il poeta si trova immerso nella notte, a contemplare
malinconicamente il paesaggio, mentre nelle strofe centrali viene descritta l’immersione nell’Isonzo
e la successiva rievocazione memoriale. Non a caso, Ungaretti definì questa lirica come la propria “
carta d’identità”.
Nella poesia s’intrecciano alcuni dei motivi più ricorrenti nell’opera di Ungaretti: quello dell’acqua
e dell’immersione purificatrice, quello della scarnificazione, della riduzione all’essenziale nel sasso
levigato, quello dell’esule, del girovago, nelle figure dell’acrobata e del beduino.
Il componimento è più lungo degli altri della stessa raccolta (15 strofe di varia lunghezza per
complessivi 69 versi). Esso inoltre presenta una struttura narrativa e discorsiva, con un lessico che
presenta in prevalenza parole di uso comune, accanto ad altre appartenenti a un registro linguistico
più elevato. Alcune strofe presentano una simmetria evidente, costruite come sono attorno a una
similitudine: come una reliquia; come un sasso; come un acrobata; come un beduino. Analoga
simmetria presentano le strofe della seconda parte della poesia, in cui vengono ricordati i fiumi,
tutte aperte dall’anafora del pronome dimostrativo (Questi…Questo…Questa…ecc.). I tempi dei
verbi sono al presente nella prima e nell’ultima strofa, quando il poeta si trova abbandonato nella
dolina, mentre il passato prossimo descrive l’immersione mattutina e la rievocazione dei fiumi. Il
tempo presente compare anche nelle strofe in cui Ungaretti esprime il senso di felicità donatogli dal
bagno ristoratore.

2)Sentimento del Tempo


Passa ad una rappresentazione più complessa delle inquietudini, dei conflitti, delle ansie dell’uomo
(la sua solitudine di fronte al dolore e nell’attesa della morte, sulla inconoscibilità del proprio
destino, sulla pietà verso gli altri e verso tutti gli uomini), ma nello stesso tempo, riflette con gioia
la pienezza della sua vita. All’arido paesaggio carsico si sostituisce quello laziale, nella sua varietà
di boschi, acque, albe e tramonti. Dal punto di vista stilistico-espressivo, abbandonata la scarna
metrica de L’Allegria, Giuseppe Ungaretti compie una ricostruzione dei metri tradizionali della
poesia italiana, in linea con tutto un movimento della cultura europea che, senza rinnegare il
rinnovamento delle avanguardie, cerca il recupero del passato. Sentimento del Tempo è, almeno per
alcune liriche, la raccolta ungarettiana per la quale si può parlare decisamente di ermetismo.
Lo stile
Questa raccolta nasconde espedienti stilistici più ermetici: il verso libero lascia il posto
all'endecasillabo, ricompare la punteggiatura, si accentua l’analogia, vengono utilizzati
maggiormente il linguaggio aulico e le parole-simbolo. Costante è la cura dell’aspetto visivo delle
liriche e per la parola.
Poesia tratta da “Sentimento del tempo”
Titolo della lirica: Di luglio
La poesia Di luglio, scritta nel 1931, è contenuta in Fine di Crono, una sezione del Sentimento del
tempo, e racconta l’implacabile estate romana, simbolo del tempo che tutto sgretola e consuma.
Come il tempo, l’estate (nominata esplicitamente solo nella seconda strofa, verso 8) strugge, beve,
macina, acceca; è una creatura violenta (furia implacabile) dallo sguardo ardente che si avventa su
ogni cosa (si butta) e riduce in calcina (occhi calcinati) quello che tocca, spogliando la terra fino a
mostrarne lo scheletro.
Testo Parafrasi
Quando su ci si butta lei, Il fogliame diventa di un triste colore rosa
Si fa d'un triste colore di rosa quando l'estate ci si butta sopra.
Il bel fogliame. Consuma lentamente le gole strette e ripide, prosciuga i fiumi,
corrode gli scogli, splende,
Strugge forre, beve fiumi, è una furia, ostinata e implacabile,
Macina scogli, splende, si estende ovunque e impedisce la visuale,
È furia che s'ostina, è l'implacabile, è l'estate, che col suo calore
Sparge spazio, acceca mete, tutto consuma mostrando la nuda terra arsa dal sole.
È l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.

Analisi e commento
Giuseppe Ungaretti scrive Di Luglio nel 1931, al termine di un periodo difficile per la crisi
spirituale che lo aveva travagliato e il suo trasferimento a Roma avvenuto tra evidenti difficoltà
economiche. L’ambiente che lo circonda gioca un ruolo fondamentale nel suo animo che,
inevitabilmente, si riflette nello stile. Per sua stessa ammissione, il trasferimento a Roma gli infonde
un linguaggio barocco non sperimentato precedentemente e tutto proteso ad un effetto di durezza ed
immediatezza del testo. È un barocco reinterpretato da Ungaretti, dove la natura viene vista come
qualcosa di mitico e animato, distante anni luce dalla prosa ridondante, ad esempio, di D’Annunzio
(al quale viene, talvolta, accostato) e dove: …“tanto la sensualità dannunziana era ricca, prepotente
e straripante quanto quella di un poeta come Ungaretti appare estenuata, ridotta al suo diagramma
essenziale, scavata alla radice, incline ad esprimersi nei suoi strati più sottili e impalpabili”16 Ecco
riaffiorare, nella poesia, la memoria autobiografica del poeta, il ricordo della sua fanciullezza
trascorsa in Egitto dove l’estate si presenta non con i colori sgargianti e il rigoglio della natura ma,
come furia distruttrice, diviene metafora del tempo che dissolve ogni cosa e, per antonomasia, della
storia intesa come continua metamorfosi. L’incipit è spiazzante. L’estate non viene subito nominata
ma vengono descritti i suoi effetti devastanti sul mondo. È “Lei” (v. 1) che rende tristi anche le
foglie colorate, che sgretola le rocce ed evapora le acque. L’estate è furia che si ostina, “è
l’implacabile” (v. 6) che, trascendendo la dimensione spaziale, impedisce di distinguere le linee di
divisione e di contorno fino a dissolvere interamente l’immagine del reale. Il pensiero del poeta
ricorre all’immagine del deserto, da lui sicuramente conosciuto e in cui la luce abbagliante dilata
l’orizzonte e impedisce di vedere gli spazi nei loro giusti confini. La tensione creata nei primi versi
si stempera, finalmente, con l’indicazione del soggetto, il ritmo si allenta e la vetta emotiva
raggiunta nel verso “sparge spazio, acceca mete” (v. 7) si placa e subentra la considerazione degli
effetti che quest’azione ha prodotto nel suo cammino secolare. Il senso della Morte conclude la
poesia. L’ormai lento fluire del discorso devia verso una fissità macabra (quasi espressionistica) che
parte dagli “occhi calcinanti” (v. 9) dell’Estate-Morte per terminare nello “scheletro” (v. 10)
dissepolto e scarnificato della natura. Visti in chiave allegorica, questi versi, secondo i critici Getto
e Portinari, potrebbero rappresentare “una stagione della vita umana, la maturità che, esplodendo,
già si spoglia e consuma” per dissolversi nell’eterno. Analizzando la poesia, il primo verso, che si
traduce nell’uso di un verbo “forte” associato a particelle monosillabiche (“…su ci si butta lei”,
v.1), preceduto da un ineluttabile “Quando…” (v. 1), introduce un ritmo aggressivo e spezzato come
se, prima dell’arrivo della furia disgregatrice, tutto fosse incorruttibile. Si apprezza il periodare
breve, basato su sequenze rapidissime, sull’unione stringente fra un verbo d’azione e il suo
complemento oggetto. La continua tensione è ottenuta ponendo il soggetto, “è l’estate”, soltanto
all’ottavo verso e ad esso segue l’insieme della descrizione degli effetti dell’arsura estiva resi
attraverso un linguaggio incalzante. I versi “Strugge forre (v.4) […] acceca mete” (v.7), accentuano
ciò che il poeta intende comunicare usando un linguaggio impetuoso e devastante per voler
trasferire al lettore gli effetti dirompenti che l’estate provoca sulla natura. Dopo i primi quattro
versi, la furia dell’estate sembra come dissolversi e inizia il riferimento alle realtà naturali, le forre, i
fiumi, gli scogli e all’intera dimensione spaziale (spazio e mete). Come anticipato, lo stile di
Ungaretti sembra avvicinarsi alla poesia dannunziana, ma alla vitalità e alla sensualità di questa fa
da contraltare il prevalere di un destino, umano e spirituale, di dissoluzione e morte. Una costante
perplessità esistenziale ed una incertezza di fronte al mistero delle cose.
3) Il Dolore
La raccolta fu scritta piangendo. «Il dolore è il libro che di più amo, il libro che ho scritto negli anni
orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di
straziarmi» Nel denso e pregnante universo letterario del Novecento, la tematica del dolore diviene
centrale per molti dei più importanti esponenti della cultura decadente. In Giuseppe Ungaretti tale
topos e’ oggetto di una riflessione matura, basata sulla personale esperienza e sulla elaborazione di
tale sentimento. Il dolore del poeta è causato soprattutto dalle disgrazie familiari che hanno colto
impreparata l’intera famiglia Ungaretti; a tale condizione si aggiunge la lacerante esperienza dalla
visione di Roma occupata dell'Italia straziata dalla guerra. Ma il quotidiano prevale sugli eventi
storici: la morte del figlio e’ un evento sconvolgente, e le altre perdite parvero voler fare da
corollario ad una lenta, inesorabile cancellazione di quella sorta di residuo edenico che è l'età
infantile. Col fratello muore infatti l'ultimo testimone dell'infanzia del poeta, e col figlio la speranza
di rivivere di riflesso quest'esperienza. Insieme l'anomalia della morte di un bimbo di nove anni lo
porta a considerare la natura sotto un aspetto nuovo. Gli si configura così in modo preciso la
violenza che la vita stessa comporta e l'ineluttabilità di essa. Per esprimere l'angoscia di tale
scoperta e la sofferenza nella sopportazione della vita, Ungaretti modula il suo canto su un tono
nuovo utilizzando la parola gridata o l'affanno reso con dei puntini di sospensione. Non si può
tuttavia parlare di autocommiserazione, in quanto il suo non è atteggiamento passivo, ma
espressione di forza; anche nel dolore personale Ungaretti non si isola, ma s'immedesima nel ruolo
di cantore dell'umano dolore, non solo del proprio. E in tal senso, anche nelle composizioni ad
oggetto più intimo e personale, si avverte il senso di solidarietà che unisce i sofferenti singoli.
MAPPA CONCETTUALE
ERMETISMO
da Ermes, dio del mistero (parola coniata da Francesco Flora)

Poesia dal linguaggio difficile, I testi sono composti Ricerca del significato
ambiguo e misterioso. da poche parole ricche della vita attraverso
No punteggiatura di simbolismi l’indagine interiore della
Verso libero propria esistenza. Visione
pessimista della vita

GIUSEPPE UNGARETTI
(Alessandria d’Egitto1888- Milano 1970)

EVENTI BIOGRAFICI Come D’Annunzio, anche Ungaretti prende parte alla


I Guerra Mondiale. Negli anni 1915-18 combatte
come volontario (sul Carso): si rende presto conto
che la guerra è solo un inutile spreco di vite umane, ciò
lo porta a creare un rapporto di solidarietà e fratellanza con
i soldati. Di fronte alla guerra ogni essere umano vive la
propria fragilità.

POETICA E’ il massimo esponente dell’Ermetismo e intende la poesia


come testimonianza contro ogni tipo di guerra. Le caratteristi-
che della sua poesia sono:
- l’utilizzo di un linguaggio essenziale e breve con difficoltà
di comprensione (scrive versicoli)
- l’utilizzo di metafore ed analogie
- assenza di punteggiatura e spazi bianchi (silenzio)
- poesia non descrittiva ma evocativa, sentimentale, che parla
per immagini
- scrive le poesie come fossero un diario, annotando anche data
e luogo
-

RACCOLTE POETICHE

L’ ALLEGRIA SENTIMENTO DEL TEMPO


1919 sull’esperienza di guerra 1933 meditazione sull’esistenza

Entrambe le raccolte sono suddivise in capitoli:


(5 capitoli per l’Allegria e 8 capitoli per Sentimento del tempo)
ogni capitolo rappresenta un mondo a sé che per essere compreso
ha bisogno del contributo di tutte le poesie da cui è composto
3 edizioni: 3 edizioni: 1933-1936-1943
la prima col titolo Il porto sepolto
la seconda col titolo L’allegria dei naufragi Il discorso si fa più complesso. Ritorna
la terza col titolo L’allegria la punteggiatura

Il titolo indica il sentimento che spinge l’uomo Il tema principale è la percezione


a sopravvivere nonostante il dolore, la morte e dello scorrere del tempo, tra passato
la guerra. Il poeta cerca in questi componimenti e presente ed il rapporto tra la finitez-
la parola essenziale e scarna, elimina quindi la za dell’uomo e il senso dell’assoluto.
punteggiatura e sconvolge la metrica utilizzando La visione esistenziale del poeta muta
il verso libero. Anche in relazione alla riscoperta della
fede, avvenuta nel 1928.

POESIA STUDIATA POESIA STUDIATA

I FIUMI DI LUGLIO

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