Scrivere e Parlare in Italiano
Scrivere e Parlare in Italiano
Scrivere e Parlare in Italiano
In ognuna di esse c'è una forma tipica del parlato quotidiano e diversa
dallo standard aulico. L'uso del pronome lui in funzione di
soggetto che si rileva nella frase a) non è certo una novità dell'italiano
contemporaneo: vitale già nel parlato della Firenze del Quattrocento (era
accettato, per esempio, da Leon Battista Alberti), tale uso non venne
però accolto nella norma fissata nel 1525 da Pietro Bembo e da quel
momento fu censurato. Nell'Ottocento fu tra le forme che Manzoni
introdusse nei Promessi sposi nel corso della revisione linguistica
dell'opera, proprio per far sì che il suo romanzo suonasse "più parlato"
e quindi che la lingua avesse un andamento più naturale. Usi
pronominali implicati ci sono anche nella frase b), dato che lo standard
esclude l’uso di gli come complemento di termine plurale; e nella frase
frase c) in cui è usata una forma di connettivo detto che polivalente
(uso del che come connettivo generico, cioè come elemento
grammaticale che collega due enunciati). Nella frase d) è presente una
dislocazione, finalizzata a mettere in primo piano il tema di cui si sta
parlando: l'ordine delle parole è diverso da quello previsto dallo standard
e all'inizio della frase è collocato l'argomento di cui si deve parlare, il
tema (di questo), ripreso e sottolineato dal pronome (ne). Nella frase e)
questa volta si tratta di una frase scissa, dove abbiamo il verbo essere
a inizio frase e il pronome relativo che inglobano il rema (i bambini, ossia
l'elemento di novità) in una sorta di cornice, al fine di metterlo in risalto.
Nell'ultima frase, si tratta dell'imperfetto di cortesia, cioè dell'uso
dell'imperfetto non in funzione temporale ma in funzione modale. In
questo caso, al parlante ha usato la perfetto al posto del condizionale
per attenuare la forza del proprio atto linguistico, nonostante l'azione del
porre una domanda si riferisca a un momento presente.
CAPITOLO 2 (Scrivere e parlare)
2.1 Questione di canale…
2.2 …o questione di modalità?
2.2.3 La deissi
La deissi può essere di tipo spaziale, comunicazione parlata allo spazio
in cui avviene la comunicazione; temporale, usata in riferimento a
momenti anteriori o posteriori a quello dell’enunciazione; sociale,
relativa al ruolo sociale e al rapporto che lega tra loro gli interlocutori.
Usare i deittici quando si parla, oltre ad essere naturale è anche una
scelta economica con lo scopo di appesantire i testi prodotti. Quindi, chi
scrive un testo deve avere ben presenti le caratteristiche della deissi,
abbiamo uno studente che riassume la trama del film Avatar:
‘’L’ex marine, essendo l’unico al mondo con lo stesso codice genetico
del fratello, era l’unico in grado di poter guidare questo mostro L’avatar.’’
L’uso del deittico farebbe pensare che lo studente si riferisca a qualcosa
di cui già nel testo aveva parlato. Però, per l’appunto, non è così e forse
lo scrivente aveva l’immagine talmente vivida nella sua mente che,
pensava già di averne parlato o che comunque si trovasse in presenza
del mostro e, dunque, indicarlo.
Perché questo titolo? Perché questo capitolo si occupa del testo scritto/
cartaceo tradizionale e allora quando si dice tradizionalmente la
differenza tra lo scritto e il parlato, cosa si dice sempre? Il parlato è
volubile perché passa attraverso l’area; lo scritto è stabile, concreto
perché è scritto su un supporto e quindi su carta, su pietra, su
pergamena…, quindi è stabile e si può recuperare nel tempo. Da queste
caratteristiche fisiche dipendono scelte linguistiche, siccome è stabile
non c'è fretta chi lo legge non ha quei pochi secondi per decodificarlo.
Lo legge, lo rilegge e lo può rileggere tutte le volte che vuole per capire
meglio; quindi il testo può essere più complesso anzi deve essere più
complesso perché non deve essere ambiguo, deve essere autonomo.
Quindi il testo scritto stabile dev'essere preciso, articolato, corretto non
per un fatto di registro ma per un fatto di efficacia, dev'essere più vicino
alla norma perché è l'unico modo in cui quel testo non sarà ambiguo
quindi sarà chiaro in tutte le sue articolazioni. L'ortografia può creare
delle ambiguità.
3.1 L’ortografia
Avere dubbi sulla lingua che si usa è un’ottima cosa: significa porsi il
problema e quindi riconoscere che nel sistema grafico dell’italiano ci
sono dei punti di crisi. Da questa consapevolezza si può comunicare
almeno da un vocabolario e da un buon uso della grammatica.
Chi invece quando scrive non si pone alcun problema è destinato a
compiere molti errori, causati dall’abitudine di trasferire nel testo scritto
le parole così come vengono pronunciate.
3.2 L’interpunzione
Le pause che facciamo quando parliamo dipendono dalla necessità di
programmare il discorso e poi, ci sono anche le pause che possono
servirci per respirare. Oggi ci si è resi conto del fatto che sono possibili
anche gli usi asintattici della punteggiatura che sono sempre più
accettati. La funzione che oggi si attribuisce alla punteggiatura è
comunicativa. Per comprendere bene cosa sia corretto e cosa invece
costituisca un errore negli usi interpuntivi bisogna guardare al testo nel
suo complesso.
Il testo sarebbe stato molto più efficace se fosse stato formulato nella
maniera seguente:
immagine pag.82
immagine pag.83
immagine pag.87