Ma Nu Ale
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spontanee, contrapposte a quelle artificiali, costruite a tavolino per superare le barriere linguistiche, come l'esperanto. Tratti sovrasegmentali (sopra la lingua, al di fuori), come l'intonazione, l'accento (intensit), la durata e il ritmo, le pause, la modulazione espressiva della voce (elementi prosodici), la prossemica (parte della semiologia che si occupa della distanza tra gli attori di un'interazione comunicativa) e la gestualit. La punteggiatura del trasmesso scritto, cerca addirittura di imitare gli aspetti di una comunicazione in presenza, ad esempio con le emoticon (modalit di rappresentazione interpuntoria grafica), utilizzate per riflettere tratti linguistici tipici della comunicazione parlata (:*, :), :().
2 per isolare meglio le realizzazioni intermedie della diamesia (compresenza di caratteristiche...) si utilizzano le etichette di parlato-parlato e scritto-scritto per designare scritto e parlato pi genuini. diastratia: studia le variazioni legate alle condizioni sociali dell'utente (non riguarda solo il livello sociale, ma anche il sesso, l'et, tutti quei fattori che distinguono la lingua dei giovani e dei vecchi, degli uomini e delle donne...). In base al livello sociale possiamo distinguere tra la variet dei ceti alti (italiano standard), dei ceti medi (categoria pi eterogenea, perch comprende anche gli insegnanti: uso di un italiano vicino allo standard ma interferito da popolarismi...) e dei ceti pi bassi (che avranno competenza attiva -conoscenza di un codice che consente sia la comprensione che a produzione attiva di enunciati: capire e usarlo- o solo dialettale o dell'italiano popolare. Una variet particolare quella dell'italiano praticato dagli immigrati. Per quanto concerne la variazione legata al sesso, le donne utilizzano un linguaggio pi corretto e forme attenuative o affettive, gli uomini cedono al turpiloquio. In merito all'et invece si distingue ormai come variet a s l'italiano giovanile. diafasia: studia la variazione della lingua che dipende dalla situazione comunicativa, dalle funzioni e dalle finalit del messaggio, dall'interlocutore e dall'argomento. Si distingueranno cos agli estremi dell'asse diafasico variet formali e informali (pi spontanee) e settoriali (i c.d. sottocodici: scientifico...) . La differenza maggiore tra diastratia e diafasia che che la prima legata all'utente, la seconda no (posso ricorrere a diversi registri). diacronia: studia la trasformazione legata alla dimensione cronologica (evoluzione storica); tutte le lingue si evolvono nel tempo. I pi anziani conservano alcune abitudini linguistiche come la prostesi (I davanti a S preconsonantica: Isvizzera), mentre i pi giovani sono portatori di usi innovativi, a cominciare dalla grafia (X anzich per; K anzich CH) per esigenza di contrazione derivata dai 160 caratteri degli sms, dal lessico (vengono coniati molti neologismi, alcuni effimeri, altri duraturi, come sfiga). diatopia: riguarda la variazione del linguaggio in relazione alla dimensione spaziale (luogo d'origine di chi parla). Si riscontrano regionalismi... Questo parametro davvero centrale, al punto che secondo alcuni studiosi investe tutte le variet del repertorio.
3 diatecnia: aggiunto di recente, si occupa di analizzare quanto l'evoluzione tecnologica agisca nella variazione della lingua. LINGUA, DIALETTI, ITALIANI REGIONALI Le differenze tra lingua e dialetto non vanno ricercare tra i fattori linguistici, bens tra quelli di carattere storico, sociale e culturale: esso utilizzato in un'area pi circoscritta, la sua codificazione descrittiva meno raffinata, la sua terminologia esclude termini scientifici o intellettuali (o li mutua dalla lingua nazionale); inoltre i dialetti godono di un prestigio inferiore, e sono stati visti a lungo come simbolo di arretratezza. interessante analizzare la variazione diatopica dell'italiano, dividendo la penisola in tre grandi aree sulle basi di due isoglosse4 (La Spezia-Rimini e Ancona-Roma): la prima netta lungo l'appennino settentrionale e segna i dialetti del nord; la seconda invece si sviluppa in direzione nordest-sudovest (seguendo in parte il corso del Tevere) dividendo le parlate centrali da quelle meridionali. All'interno di queste aree si individuano altre suddivisioni: al nord troviamo i gallo-italici dai veneti, mentre al sud distinguiamo quelli pi meridionali. Si collocano a parte quelli della Sardegna e del Friuli, da considerare veri e propri codici autonomi. L'uso dei dialetti oggi in declino, tuttavia dialetti e italiano sono i due estremi di una linea ideale che vede al suo interno anche: dialetti italianizzanti: risultato dell'influsso dell'italiano sulle parlate locali, in una reazione di superstrato5; si assiste cos alla nascita di nuove parole, dialettali per i tratti fonetici ma introdotte a partire dalla lingua, per designare nuovi referenti6, come il lombardo aceleradur per acceleratore; tendono anche d'altro canto ad affermarsi parole pure locali per i tratti fonetici e morfologici, ma pi vicine ai modelli offerti dalla lingua comune, a scapito di voci di pi antica tradizione dialettale, come fragula al posto di magiustra. variet regionali: l'italiano regionale consiste in una reazione di sostrato; con italiano regionale definiamo quella variet di italiano propria del parlato (ma diffusa anche nello scritto), che investe tutti gli strati sociali, che mostra a tutti i livelli del
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Linee tracciate su una carta linguistica a separare un'area geografica in cui si realizza un determinato fenomeno linguistico da un'altra in cui esso non si realizza, o si realizza in maniera diversa. detta lingua di sostrato quella che, diffusa in un'area geografica prima che ad essa se ne sovrapponesse un'altra, abbia in seguito influenzato in vario modo lo sviluppo di quest'ultima e si manifesti in uno o pi tratti linguistici peculiari. La lingua che si impone quella di superstrato. Termine con il quale ci si riferisce all'entit extralinguistica cui punta un segno, all'elemento del reale fenomenico, cio di cui esso prende in qualche modo il posto della comunicazione.
4 codice caratteristiche tipiche di un'area geografica, e che si manifesta soprattutto sul piano fonetico (E chiusa o aperta), lessicale (ometto=gruccia; si tratta di parole riferite soprattutto all'ambito pratico), intonativo (cadenza); addirittura per molti concetti si verifica la coesistenza di perfetti sinonimi (marcati in diatopia), o geosinonimi: bigiare, far sega... L'importanza di questa variet e dei dialetti va colta anche in diacronia: molte parole di matrice locale si sono affermate nella lingua: dal nord (bocciare, manfrina, barbone, giocattolo, imbranato, ciao); dal centro (giornalaio, burino, fregarsene), dal sud (malocchio, vongola, abbuffarsi, tamarro...), quindi possiamo affermare che il lessico dell'italiano si arricchisce di continuo con questi neologismi di matrice locale, forestierismi... In letteratura e negli scritti pi formali questa variet non presente, se non per precisi scopi (espressivi...). La partizione geografica dell'italiano regionale non condivisa da tutti gli studiosi: alcuni preferiscono parlare di macroregioni (grosse aree regionali), mentre alcuni operano una maggiore parcellizzazione (divisione regione per regione), ma una visione minoritaria. Detto questo, analizziamo alcuni tratti tipici della variet settentrionale: fonologia: timbri vocalici di E-O toniche diversa dallo standard: O toniche chiuse (bosco)... timbro aperto anche nelle parole tronche: perch, me... morfosintassi: uso del passato prossimo al posto del remoto; presenza di articolo determinativo con i nomi di persona (la Giada); lessico: anguria (cocomero), ometto (gruccia)... Passiamo alla variet dell'Italia centrale: qui evidente la centralit della Toscana (che presenta la formula impersonale della prima persona plurale -noi si-...); tra le caratteristiche comuni all'area: fonologia: affricazione della fricativa alveolare (bortsa, pentsare...); morfosintassi: uso dell'indicativo con verbi che esprimono un'opinione (credo che viene); lessicale: caciara, pupo...
Variet dell'Italia meridionale: fonologia: timbri delle vocali E-O difformi dall'italiano standard; vocali intermedie toniche sempre aperte (catEna...); sonorizzazione delle occlusive sorde in posizione postnasale, esito di ascendenza dialettale (biango, condendo); morfosintassi: uso del passato remoto anche ove non necessario; posposizione del possessivo (il libro mio); costruzione del complemento oggetto preceduto da a (chiama a mamma); collocazione del verbo in fondo alla frase, specie in Sardegna. LE MINORANZE LINGUISTICHE: si tratta di lingue diverse dall'italiano presenti nel territorio nazionale, in uso presso le minoranze linguistiche (o alloglotte); accanto al sardo, friulano, parlate rom, sinti e zingare, troviamo: parlate provenzali: nelle valli del Piemonte sud-occidentale (province di Cuneo e Torino), ai confini con la Francia, usate da 50.000 persone; dialetti franco-provenzali: in Valle d'Aosta e provincia di Torino, parlati da 100.000 persone; parlate ladine: nelle valli attorno al gruppo dolomitico del Sella, nelle province di Trento, Bolzano e Belluno, parlate da 30.000 persone. Sono tutelate e inserite nei programmi scolastici; parlate bavaro-tirolesi: in Alto-Adige (provincia di Bolzano), usate da 50.000 persone; dialetti sloveni: nella fascia di confine nord-orientale, parlati da 60.000 persone nella provincia di Trieste; croato: nel Molise (provincia di Campobasso), parlato da 2.000 persone e importato da emigrati provenienti dalla Dalmazia nel XV sec; parlate albanesi: importate anch'esse da migrazioni, sono diffuse in tutto il sud, specie in Calabria, parlate da 100.000 persone; dialetti di origine greca: profondo sud (salento e Calabria), circa 20.000 persone;
6 catalano: parlato ad Alghero e in provincia di Sassari da 20.000 persone, importato nel 1354 quando Pietro IV d'Aragona, conquistata la citt, la ripopol con coloni provenienti da Catalogna e Baleari; parlate minori: colonie tedescofone (Monte Rosa), tedesche (Trentino e Veneto), galloromanze (Foggia). Possiamo quindi dire che dal punto di vista linguistico si distinguono parlate neolatine (provenzale, franco, catalano, ladino) dagli altri ceppi; alcune hanno dignit di lingue nazionali (tedesco, sloveno, croato, greco, albanese), altre sono minoritarie a loro volta all'interno del loro paese. Dal punto di vista storico distinguiamo minoranze autoctone (costituite da popolazioni indigene: ladini, valdostani), e quelle costituitesi in seguito alle migrazioni. Occorre anche considerare che la rilevante presenza dei nuovi flussi d'immigrazione provenienti dal Terzo Mondo e dall'est molto eterogenea (per razze, tradizioni, istruzione), e si integra a fatica; spesso inoltre essi giungono da noi senza alcuna competenza della lingua; in questa realt chiaro che i tentativi di organizzare forme di insegnamento della lingua italiana siano complicati; ci si traduce nella formazione di interlingue7 instabili, che mostrano una grammatica semplificata e gli effetti di interferenze8. L'ITALIANO PARLATO La variet del repertorio che mostra oggi la maggiore capacit espansiva l'oralit, che conviene indagare nella sua forma pi tipica, ossia il libero colloquio fra due o pi interlocutori. Il parlato quindi ha un carattere in massima parte dialogico (ci sono anche espressioni parlate monologiche, ma marginali) che prevede un emittente e un ricevente compresenti che interagiscono, che si scambiano i ruoli con alternanza non programmata (la presa di parola libera, quindi irregolare e con sovrapposizioni). C' la possibilit di intervenire in vari modi nel messaggio, attraverso la retroazione (feedback), l'autocorrezione. Alle caratteristiche principali del parlato9 l'italiano contemporaneo
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Variet di apprendimento di una lingua storico-naturale realizzata da stranieri che apprendono una lingua senza specifico addestramento. Fenomeno di mutamento fonetico, morfologico sintattico, lessicale o semantico che sia innescato in un sistema dal contatto con un altro (es. fonetico: cinesi dicono L anzich R). Caratteristiche: linearit e immediatezza nella produzione e ricezione del messaggio; evanescenza del messaggio; uso dei tratti prosodici e paralinguistici; compresenza di parlante e interlocutore nello stesso spazio;
7 risponde con una serie di strategie, soprattutto a livello della testualit e sintassi. TESTUALITA': branca della linguistica che studia i fenomeni che caratterizzano i testi. Essa stata molto incrementata nella linguistica degli ultimi decenni. Il parlato fa ricorso a una serie di elementi linguistici, i c.d. SEGNALI DISCORSIVI, elementi privi di valore semantico, ma con una grossa importanza nel funzionamento dell'interazione verbale e nell'organizzazione del testo. Sono elementi linguistici che appartengono a categorie grammaticali diverse (verbi: senti, vedi; avverbi, interiezioni...), ma che hanno un po' perso la loro appartenenza grammaticale per acquistare una valenza testuale (per marcare delle parti, interrogare il destinatario: mi capisci? Mi segui?). Possono essere: fenomeni che derivano dalla volont di tener vivo il contatto col destinatario (dimensione che sta entrando anche nello scritto), assecondando la funzione fatica della lingua10. Rientrano in questa categoria gli elementi che segnalano l'inizio del turno (allora, dunque...) e la fine. segnali che attenuano la portata di ci che stiamo dicendo (avverbi come forse...); segnali utilizzati come semplici riempitivi per prender tempo (in sostanza, cio...), che non hanno valore semantico significativo in s (diventano veri tic linguistici). Queste caratteristiche che si riscontrano soprattutto nel parlato spontaneo e che si perdono man mano che si raggiunge un maggior livello di formalit. Uso allocutivo e vocativo (per richiamare l'attenzione); richiamare un parere ( vero o no?), guidare l'utente verso una conclusione, verso una riflessione (dunque, allora...) segnali di riformulazione (ci si corregge, si fanno precisazioni con avverbi: anzi, cio...). Segnali di accordo e disaccordo.
SINTASSI: livello linguistico che esamina le parole in relazione tra loro, come anche l'ordine delle parole (topologia). La sintassi marcata (o ordine marcato delle parole)
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interazione fra i due Jakobson distinse 6 funzioni linguistiche, ossia i compiti che pu assolvere il linguaggio in quanto strumento di comunicazione: emotiva: legata al mittente; referenziale: legata al contesto in cui avviene la comunicazione; poetica: legata al messaggio; ftica: legata al contatto, al canale fisico e alla connessione di tipo psicologico e cognitivo; metalingusitica: legata al codice, ovvero lo strumento che rende possibili le comunicazioni; conativa: legata al destinatario.
8 riguarda quei costrutti che seguono un ordine delle parole non diretto11, ma che d priorit ad elementi che devono ricevere una particolare enfasi sul piano espressivo, o una certa priorit sul piano dell'informazione. Notiamo quindi una certa vitalit dei costrutti marcati, motivati sia da ragioni di carattere informativo (la collocazione di una frase in un testo, rende ragione di ci che prioritario in quel testo: sottolineatura informativa), sia espressivo/informativo. Queste due spinte molto spesso coesistono (ma non sempre), come ad esempio all'interno dei giornali, in cui questi costrutti hanno entrambe le valenze. Tra i costrutti marcati occorre ricordare: dislocazione a sinistra, topicalizzazione contrastiva, tema sospeso (o tema libero o nominativo assoluto), anacoluto, dislocazione a destra, frase scissa, c' presentativo. Analizzando invece la sintassi del periodo, possiamo notare come la lingua scritta si avvalga di una serie di modalit periodali di collegamento all'interno delle frasi, distinte dalle modalit della lingua parlata, e che riflettono maggiormente un'argomentazione logica. La lingua scritta crea periodi pi complessi e connessi sintatticamente (la lingua scritta tende per la struttura stessa della comunicazione scritta ad esplicitare i collegamenti logici), mentre la lingua parlata mette in fila le frasi una dietro l'altra, senza collegamenti logici (a causa della minore pianificazione del discorso), sar poi l'interlocutore a coglierli o a chiederci spiegazioni (il dialogo supplisce con correzioni alle carenze logico-informative che possono essere completate); ad esempio non allacci la cintura perdi i punti un cartello autostradale che riflette la lingua parlata, in cui si nota che il rapporto logico di condizione di una frase rispetto all'altra cade. Il discorso orale tende quindi verso la giustapposizione (frasi in fila), o il collegamento paratattico o coordinativo (con congiunzioni). La paratassi e la coordinazione sono le modalit periodali (assieme alla giustapposizioni) pi comuni nella lingua parlata. La coordinazione pu essere asindetica (senza congiunzioni ma con virgole e punti), sindetica (con congiunzioni coordinanti: e, o) o polisindetica (successione di frasi con congiunzioni). Nello scritto presente la paratassi, ma alternata alla subordinazione (pi complessa modalit di
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L'ordine diretto della nostra lingua (come anche delle lingue romanze e neolatine) stato determinato dal fatto che gli elementi della frase fossero trasparenti nella loro funzione logica (il latino ce l'aveva inserito nella parola attraverso le desinenze -dat, acc, gen- a prescindere dalla collocazione; col passaggio alle lingue romanze si perdono le desinenze che indicano i casi, quindi l'ordine diventa fondamentale. L'ordine diretto si indica con la sigla SVOI: (soggetto-verbo-complemento oggetto-complementi indiretti). L'italiano una lingua che per sua storia consente una maggiore libert di collocazione delle parole, rispetto per esempio al francese, questo perch l'italiano ha avuto una storia pi letteraria (soprattutto poetica) che comunicativa, mentre invece il francese una lingua di comunicazione, e come tutte le lingue che hanno avuto portata sociale, richiede ordine.
9 connettere le frasi); essa presente anche nel parlato, ma con modalit meno gradite e semplificate, ossia l'utilizzo circoscritto a certi tipi (semplice: relativa, oggettiva dico che ho freddo; livello semplice ma meno diretto: temporali quando piove ho freddo, ipotetiche se piove mi bagno; seguono poi livelli pi complessi dal punto di vista logicosintattico: causali, concessive e consecutive). Il parlato semplifica al massimo, e le causali ad esempio vengono introdotte principalmente con perch o che (mentre ci sono molte altre congiunzioni subordinanti, che vengono impiegate principalmente nello scritto: poich...), oppure con siccome, dato che e visto che, in prima posizione. MORFOSINTASSI: si tratta di fenomeni che riguardano sia la forma che la funzione delle parole (ad esempio il pronome LUI, oggi viene utilizzato anche come soggetto, non pi solo come complemento oggetto). La lingua scritta e quella parlata differiscono abbastanza significativamente (questo livello tuttavia quello che evidenzia il minor livello di differenziazione, come invece nel lessico e nella sintassi), perch si sta diffondendo una lingua neostandard in cui l'uso delle parole si rinnovato (innovazione grammaticale). Un esempio il c.d. CHE POLIVALENTE (il che un elemento linguistico di grande portata, e lo sempre pi), la cui funzione grammaticale non chiaramente delimitabile, e che comprende usi del CHE pi estesi rispetto alle forme canoniche (vedi capitolo 2). Per quanto riguarda la sintassi del verbo, nella lingua parlata mostra una grande semplificazione funzionale (non morfologica) di modi e tempi (riduzione nell'impiego corretto dei tempi e modi:) che porta ad utilizzare solo alcuni tempi verbali, caricati inoltre di valenze pi complesse (risponde all'esigenza di rappresentare sfumature modali): indicativo: il congiuntivo cede all'indicativo (anche se in questi giorni i linguisti hanno pubblicato un volume nel quale sostengono che questo tempo verbale ancora vitale). Presente pro-futuro (vedi dopo).
passato prossimo; imperfetto: in usi modali (vedi dopo); trapassato prossimo; futuro: un tempo verbale in forte contrazione, ma ci sono alcuni usi modali del futuro, come ad esempio il c.d. futuro epistemico, che esprime congetture in
10 riferimento al presente saranno le 15.00; non so che ora sia, lo ipotizzo. L'uso dei PRONOMI un altro ambito in cui si notano forti cambiamenti: impiego di LUI-LEI-LORO con funzione di soggetto; uso di GLI con valore di dativo sia plurale (loro) sia femminile (LE). I pronomi atoni sono molto pi utilizzati che nello scritto, per assicurare coesione; i pronomi tonici hanno valore deittico, ossia ci che esplicita il contesto spaziale e temporale di un atto linguistico, consentendo anche di omettere i riferimenti alle conoscenze comuni (gi note tra interlocutori). Si tratta di collegamenti con elementi extralinguistici (questo, quello, ieri, domani), per agganciarsi alla situazione reale. LESSICO: uno dei livelli d'analisi in cui si notano le maggiori differenze tra scritto e parlato. Caratteristiche del parlato (da considerare a seconda del tipo di parlato): in generale, minore variet che nello scritto, e pi ripetizioni: non c' la ricerca di sostituti, sinonimi, e si ricorre spesso alle parole tutto fare; lessico generico (parole tutto fare): coso, robo (parole informali, connotate diastraticamente), dare, fare (ampio uso di questi verbi al posto di altri pi precisi) affare, faccenda, tipo, andare, dire (si tratta quindi di un lessico meno preciso); minore densit lessicale, cio minore proporzione di parole piene (piene/vuote, lessicali/grammaticali): il parlato fa un ampio uso di parole vuote, grammaticali (congiunzioni e preposizioni), che non hanno piena densit semantica; espressioni analitiche: venir gi (cadere), mandare via (spedire), fare scuola (insegnare), metter gi (appendere); c' quindi una tendenza all'analiticit (alcune connotate diastraticamente, altre diafasicamente); perifrasi anzich utilizzo di terminologia lessicale precisa (quello del gas, quello del latte...): o per diastratia (mancata conoscenza del termine), o per mancanza di pianificazione; verbi pronominali, accompagnati da clitici (suffissi?): andarsene, cavarsela, valerci, vederci, sentirci. Sono verbi uniti con un pronome che rispondono a tre esigenze rispondono ad una regione di espressivit; d una valenza semantica diversa: valerci- ci vuole pazienza (anzich occorre..); funzioni intensive: vederci, sentirci (non ci vedi, anzich non vedi);
11 diffusa la forma riflessiva dei verbi in funzione espressiva, affettiva: mi voglio leggere questo libro (si fa propria l'azione in modo pi intenso); aggettivi superlativi, elativi (superlativi assoluti????), prefissi come super-extraiper-stra-mega; alterati e diminutivi, con finalit affettiva: letterina, un momentino, un attimino (questa in realt ha assunto anche un significato diverso: un po'); nell'ambito dei procedimenti derivativi, gradimento per certi prefissi (stra-super con significato elativo) e suffissi (-ata: porcata, cazzata, -aggine: stupidaggine, eriacretineria); sono suffissi che creano sostantivi a partire da aggettivi Quest'uso connotato anche diacronicamente: -ata utilizzato soprattutto oggi, mentre in passato -eria. Rafforzamento semantico con ripetizioni (bello bello, grande grande...) o con accostamento di parole (bello grande...), per dare maggiore espressivit; termini: espressivi, connotati, caratterizzati, come arrabbiarsi, seccatura, grana (alcuni con origini dialettali), espressioni triviali (soprattutto nel trasmesso e nel parlato), penetrati anche nello scritto. Onomatopee e ideofoni: bang (ho fatto bang con la macchina), trac (sono uscito e trac, l'ho visto), che derivano in buona parte dalla lingua dei fumetti; sfere lessicali proprie del parlato: saluti, esclamazioni, disfemismi (figura retorica che consiste nell'usare, invece di un termine o di un'espressione gradevole, un termine o un'espressione di per s sgradevole o persino offensiva che nel contesto linguistico ed extralinguistico acquista per un valore positivo e scherzoso, anche ammirativo o affettuoso: sei un demonietto, per un bimbo vivace), insulti, epiteti ingiuriosi; uso di moduli ed espressioni impersonali e generiche (uno, un tizio, un tale, un coso, un affare), uso di termini generici, dall'ampia gamma semantica (fare...), nomi, verbi tuttofare o ombrello (coso, fatto, roba, tizio, fare): scarsa gamma di variazioni; metafore, metonimie (figura retorica che consiste nel sostituire un termine proprio con un altro appartenente allo stesso campo semantico, che abbia col primo una relazione di contiguit logica o materiale: devo studiare Foscolo, anzich le poesie di Foscolo), parole-tab per scopi espressivi-affettivi, iperbole.
12 TRATTI FONOLOGICI: possiamo osservare: fenomeni di metatesi (areoplano anzich aeroplano), ritrazione dell'accento sulla terzultima sillaba in molte voci: dile (edle), mllica (mollca), rbrica (rubrca) fenomeni di allegro: esecuzioni di pronuncia veloci o trascurate: apocopi postconsonantiche: son anzich sono, passar-passare... aferesi sillabica: 'sto anzich questo, che si appoggia come proclitico al sostantivo seguente (parola priva di accento proprio). PARLATO TRASMESSO (DI RADIO E TV): va precisato che si tratta di uno scambio unidirezionale. L'oralit radiotelevisiva si colloca nel settore intermedio della diamesia che corre dallo scritto-scritto al parlato-parlato, presentando quindi caratteristiche di entrambe le modalit di comunicazione: oralit: utilizzo della voce e delle sue modulazioni, esitazioni...; utilizzo dei segnali discorsivi, gestualit, evanescenza. Ricorso alla paratassi e mancato uso di proposizioni incidentali (proposizioni slegate dal resto della frase, messe tra ); uso dello stile nominale (riduce l'utilizzo del verbo) e soprattutto presenza di regionalismi e di tratti fonetici e intonativi regionali (dovuti al fatto che i conduttori non sono pi addestrati alla ortoepia: retta pronuncia dei suoni e delle parole di una lingua); Scrittura: in particolare perch spesso si appoggiano a testi scritti (il linguaggio si pone quindi come espressione scritta nell'atto della produzione ma orale per la ricezione), ad esempio con scalette... L'ITALIANO POPOLARE Collocato nei gradini inferiori della scala diastratica troviamo l'italiano popolare, espressione linguistica degli analfabeti e dei semi-analfabeti (con istruzione scolastica di base ma senza piena competenza della lingua); spesso il registro alto di chi parla abitualmente dialetto. Questa variet visibile a tutti i livelli della lingua: incertezze grafiche: punteggiatura, uso delle maiuscole, uso di H (anno-hanno), uso di Q (squola-scuola), oscillazioni nella rappresentazione delle palatali (coniglo, franciesco), segmentazioni erronee (lo rigano-l'origano), consonanti scempie e doppie (eppoca, coloquio).
13 Fonetica: sempre molto (pissicologo...); morfologia: utilizzo delle forme un-i-il davanti a z-s preconsonantiche (i zii, un spazio, i Spagnoli), uso di CI con valore dativo (ci ho detto), uso del possessivo SUO alla terza persona plurale, formazioni irregolari del comparativo e superlativo (pi migliore), alterazioni linguistiche per effetto dell'analogia (ad esempio moglia anzich moglie perch femminile, venghi-venga, facete-fate: derivati dalla prima coniugazione...); Sintassi: uso erroneo delle preposizioni (non sono capace di), uso del CHE polivalente, uso delle concordanze a senso (soggetto singolare e verbo plurale se il soggetto collettivo, come la gente... andavano) e dei temi sospesi, del periodo ipotetico con doppio condizionale (se sarei ricco comprerei) o doppio congiuntivo imperfetto (se fossi ricco mi comprassi); lessico: impiego di voci generiche (tuttofare), utilizzo del suffisso -accio, scambio di suffissi (sollecitudine-sollecitazione) e cancellazione degli stessi (dichiaradichiarazione), malapropismi (storpiatura erronea di voci ricondotte ad altre pi note: si altera la parola riconducendola a qualcosa di noto, ad esempio febbrite anzich flebite). C' molto dibattito attorno a questa variet di italiano imperfettamente conosciuto da persone di madrelingua dialettale, in particolare alcuni studiosi lo identificano come la variante inferiore, altri addirittura azzardano prefigurandola come la variet del futuro, impossibile vista la mancanza di unitariet e la presenza di elementi regionali in tutti i livelli (la presenza di tratti panitaliani davvero modesta). IL GERGO nell'accezione pi ristretta (gergo storico) il termine indica una lingua propria di alcuni gruppi di persone ai margini della societ, che ne fanno uso all'interno della loro cerchia, con la finalit primaria di promuovere il senso di appartenenza al gruppo e col risultato di escludere dalla comprensione gli estranei; porta con s quindi un carattere di cripticit (rendere non comprensibile il proprio uso linguistico a elementi estranei alla propria comunit: quindi il gergo per essere tale deve essere condiviso da una comunit). Il parametro fondamentale per individuare il gergo quello diastratico: una lingua parlata marcata in diatopia, come alcune pronunce
14 (ma anche scritta) da categorie di bassa estrazione sociale. soprattutto nel lessico che si notano i tratti pi rilevanti: uso del suffisso -oso, troncamento di parole comuni con varie forme di storpiatura (pula, caramba...), ricorso alla metafora. Accanto ai gerghi storici rintracciamo anche: gerghi transitori: hanno origine dalla convivenza temporanea in ambienti di segregazione pi o meno coatta (collegio, carcere); un uso della lingua che porta con s alcuni elementi come la cripticit (specie nel gergo dei carcerati) e la componente ludica (pi o meno forte). Per quanto riguarda la lingua dei giovani notiamo la presenza del suffisso -oso, e di alcune voci che sono penetrate anche nell'italiano comune (sbolognare, malloppo, sfottere...); significati estensivi ricondotti all'asse della diafasia: terminologia specifica di una certa classe o professione (gergo dei medici...); modo di parlare oscuro e allusivo. L'ITALIANO BUROCRATICO il linguaggio della burocrazia quello dei pubblici uffici, volto a informare i cittadini e a indirizzarne normativamente il comportamento. un po' intimidatorio, tale da incutere nel destinatario un certo rispetto, e molto complesso, caratteristica derivata dal linguaggio giuridico, destinato per a specialisti, diversamente da quello burocratico che si rivolge a un pubblico pi eterogeneo: da qui si leva a gran voce la richiesta di una semplificazione. Caratteristiche: lessico: ricorso a sinonimi pretenziosi anzich monorematici dell'italiano comune (obliterare-cancellare, istanza-domanda); uso di sostantivi deverbali di grado zero, ossia nomi assunti da basi verbali senza alcun suffisso (inoltro, delega, scorporo...); formazione di verbi direttamente da nomi-aggettivi con la semplice aggiunta della desinenza all'infinito (disdettare...) o col suffisso -izzare (indicizzare...); utilizzo di forme antiquate: add, l, ove, altres... sintassi: sequenza cognome-nome, posposizione del numerale (di anni 33...), procedimento di nominalizzazione che spesso causa accumuli nominali in
15 formule come: in considerazione di, ai fini di...; futuro deontico (esprime un dovere): la domanda dovr essere presentata; frequenza di participi presenti con valore sostantivale e verbale (il dichiarante); subordinazioni di alta complessit. LE LINGUE SPECIALI l'espressione lingue speciali spesso sostituita da: linguaggi settoriali, lingue tecniche, professionali, microlingue, tecnolingue, tecnoletti. La prima importante distinzione quella con SOTTOCODICE, ossia una variet della lingua correlata all'argomento, alla disciplina di cui si tratta (ambito specialistico). Di diversa natura sono invece quei linguaggi che hanno ragione di essere in quanto veicolati da particolari mezzi di comunicazione: linguaggio dei giornali, giornalistico...; spesso questi linguaggi sono stati confusi coi sottocodici. La principale caratteristica del lessico dei sottocodici la tendenza alla monosemia, ossia il fatto che un vocabolo, unespressione, o un segno linguistico in genere, abbia un significato unico (ala nel calcio indica un ruolo ben preciso); molte parole dell'italiano dotate di forte polisemia (caratteristica di un segno di presentare pi significati correlati tra loro perch derivanti l'uno dall'altro o da un etimo comune) specializzino in pi sottocodici alcune delle loro accezioni, ciascuna diversa (esempio della parola base: chimica, geometria, matematica, baseball...). Fra le lingue speciali troviamo anche linguaggi relativi a campi dell'attivit umana non scientifici: moda, sport, turismo... Tutte le lingue speciali si possono realizzare in una pluralit di registri, differenziandosi al loro interno secondo la variabile della diafasia (diverso sar il linguaggio di un biologo nel rivolgersi ad un pubblico di specialisti o in una trasmissione televisiva) e della diastratia, individuata secondo categorie professionali e non socio-economiche, infatti la padronanza dei sottocodici pu verificarsi presso i ceti inferiori (elettrauto...). Analisi linguistica: LESSICO: caratterizzato dalla monosemia, e la corrispondenza fra parola e significato biunivoca nel senso che non solo i significanti (faccia espressiva di un segno, costituita da fonemi e grafemi: insieme di fonemi kane) delle lingue speciali hanno un solo significato, ma anche i significati sono rappresentati da un solo significante; ci accade per l'esigenza di precisione denotativa, di puntualizzazione semantica (escludendo quindi valori connotativi, ossia significati aggiuntivi dotati di soggettivit). Per tutte queste ragioni non si fa ricorso alla sinonimia (che rischia di minare la precisione e l'univocit delle designazioni semantiche) nelle scienze ad
16 alta specializzazione definitoria (botanica, chimica...), mentre invece presente nei sottocodici pi vicini alla lingua comune, alla quotidianit, come la medicina (anticoncezionale-contraccettivo...). Dal punto di vista della sua costituzione, si ricorre in particolare ai codici stranieri (soprattutto inglese e latino: legge e medicina), e come per l'italiano standard, a suffissati (specifici in ogni disciplina, ad esempio in medicina con -ite si designa un'infiammazione acuta, con -osi un processo degenerativo...), prefissati e composti (mediateca...), e a innovazioni semantiche (attribuzione di nuovi significati a voci gi esistenti come base); vero anche il processo contrario, ossia il passaggio di voci specialistiche all'italiano comune (salvarsi in corner...), e il travaso terminologico tra lingue speciali (il calcio usa molti termini di altri sport). Inoltre in forte espansione sono le sigle, spesso derivate da lingue straniere (AIDS, DNA, CAB, SMS...), ed alcune si sono talmente radicate nella nostra lingua da assumere funzioni figurate (ad esempio sei un milanista doc, inteso come genuino). Frequente anche l'uso di voci di origine greca e latina per la formazione di famiglie di parole: emo-, fito-..., e di eponimi (che ben rispondono alle necessit di precisione del discorso scientifico), ossia voci polirematiche (sequenza non modificabile di parole che costituisce un'unit di significato) che indicano qualcosa attraverso il nome dello studioso che se ne interessato: il teorema di Pitagora... TESTUALITA': il dettato scientifico ha una dimensione dimostrativo-esplicativa, e pertanto ricorre a elementi di connessione del testo come espressioni introduttive, premesse (dato che...), che costituiscono l'antecedente logico dell'argomentazione, cui segue la deduzione delle conseguenze (si conclude che...). SINTASSI: molto evidente il processo che porta alla cancellazione del verbo, sostituito da locuzioni proposizionali (a carico di...), e al suo utilizzo limitato nella gamma dei tempi, dei modi e delle persone. Fra i tempi prevale il presente (adatto alla dimostrazione) e il futuro; fra i modi l'indicativo (tipico della costatazione), e in maniera minore congiuntivo (linguaggio giuridico) e condizionale (per avanzare congetture non ancora condivise); per quanto riguarda le persone invece, non vengono mai utilizzate la 1-2 singolare e la 2 plurale, e si prediligono la 3 persona singolare e la 1 plurale, nel caso in cui l'autore utilizzi un noi di modestia per esprimere il parere della comunit scientifica; ma soprattutto si fa largo ricorso a forme impersonali, per esigenze di neutralit scientifica, e per lo stesso motivo, a forme passive del verbo.
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L'ITALIANO STANDARD per lingua standard si intende un'espressione dotata di una sostanziale stabilit (ma non rigidit), garantita dalla codificazione grammaticale, depositata nei vocabolari, capace di piegarsi alla produzione di qualsiasi tipo testuale. In quanto standard svolge una duplice azione: unificatrice (vi si riconoscono persone di diversa estrazione sociale e geografica) e separatrice (contrappone un'identit nazionale ad altre); inoltre si tratta di un'espressione non marcata lungo gli assi della variazione. Dal punto di vista dell'oralit possiamo affermare che esso posseduto solo da una cerchia ristretta di gruppi (attori) che abbiano seguito corsi di dizione, perch in realt l'italiano standard non patrimonio nativo di alcun cittadino (quindi l'italiano regionale dominante nel parlato). Nell'ambito della scrittura invece, posseduto da fasce pi ampie di popolazione, ed identificato come modello di riferimento per l'insegnamento scolastico, ma con attenzione quasi esclusiva alla scrittura. LINEE DI TENDENZA l'italiano oggi vive una situazione di fermento, con la manifestazione di alcuni tratti che ne rinnovano la fisionomia: morfosintassi: utilizzo dei pronomi lui-lei-loro; di gli dativo, di lo come pronome neutro che riprende un predicato o una proposizione (lo so...), di ci con avere, di cosa e che interrogativi, uso dei dimostrativi rafforzati con qui e l. Troviamo inoltre costrutti preposizionali col partitivo (esco con degli amici), uso di aggettivi invariabili di voci appartenenti ad altre categorie grammaticali (la Milano bene...), uso di come mai... sintassi: uso di imperfetti modali, presente pro-futuro, del futuro espistemico e delle perifrasi sostitutive del futuro, di verbi pronominali con valore di intensificazione affettiva (mi leggo un libro), di costrutti della sintassi marcata e di che polivalente. Largo utilizzo dell'indicativo e del passato prossimo a scapito del remoto. Costrutti in declino: i prostetica (Isvizzera), varianti sintetiche di per e con, forme eufoniche ad e ed, sostituzione vi-ci, uso di codesto-cost-cost e di ella-loro. Tutte queste evoluzioni definiscono secondo Sabatini un italiano tendenziale o dell'uso medio, variet individuata negli studi linguistici attorno agli anni '80, diverso dallo standard tradizionale, ma ormai ammissibile nel parlato e negli scritti di media formalit, e non interferito da variet geografiche ( unitario non regionale). Berruto parla invece di neostandard, a sottolineare la contiguit con lo standard e l'accettabilit dello stesso,
18 tuttavia non condivide il fatto dell'unitariet, e afferma che nel livello parlato l'italiano regionale dominante (pronuncia...): poche infatti sono le persone che non regionalizzano (attori...), dunque non va bene individuare un italiano neostandard non regionalizzato a livello parlato (mentre possiamo farlo a livello scritto).
LE STRUTTURE DELL'ITALIANO
FONOLOGIA E GRAFIA Un fono (suono) la minima entit fonico-acustica della lingua; un fonema invece la minima entit linguistica con valore distintivo, ossia non dotato di significato in s ma capace di distinguere due parole dal punto di vista semantico, come ad esempio Pane e Cane (P e C sono due fonemi), oppure psca e psca; queste coppie di parole sono dette coppie minime, formate cio da due parole che si oppongono per la minima entit linguistica (un fonema appunto). La fonologia (o fonematica) quindi quella disciplina che si occupa dei fonemi, mentre la fonetica tratta dei foni. Nell'uso scientifico i foni e la rappresentazione fonetica di una parola vengono indicati tra [], mentre i fonemi e la rappresentazione fonologica tra //; invece i segni grafici che riproducono foni e fonemi sono i grafemi (lettere), che insieme costituiscono il sistema alfabetico. Il concetto di fonema viene accolto nella lingua italiana all'inizio del XX secolo (qualche anno prima in Francia), rielaborato poi dalla linguistica strutturalista12 diventando elemento base della teoria della doppia articolazione di Andr Martinet: prendiamo la parola andavamo; in essa distinguiamo ad un primo livello dei morfemi, ossia elementi portatori di significato (and: d idea movimento, av: esprime il tempo; amo: indica la persona); ad un secondo livello segue un'articolazione di fonemi (che compongono un morfema e servono ad opporre semanticamente due parole identiche negli altri elementi). Morfemi e fonemi sono segni linguistici, ossia, secondo la teoria di de Saussure, i segni di cui si compone il codice della lingua: ogni segno linguistico composto dal significante (la parte esterna, percepibile, l'immagine acustica) e dal significato (contenuto concettuale), che si riferisce all'oggetto reale (referente)13; l'unione del significante e del significato spesso convenzionale, non motivata. Il sistema fonologico (insieme dei fonemi) dell'italiano standard si basa sul fiorentino, ed composto da 30 fonemi: 7 vocali, 21 consonanti e 2 semiconsonanti. Per vocale
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Lo strutturalismo prevede uno studio sistemico, di elementi in interconnessione. Ad esempio prendiamo la parola albero: un segno linguistico in cui distinguiamo il significante (insieme dei suoni -parlato- o delle lettere -scritto-), e il significato (che rimanda all'oggetto tangibile).
19 intendiamo un fono pronunciato senza che l'aria, uscendo dal canale orale, incontri ostacoli, e con la vibrazione delle corde locali (i foni nell'articolazione delle quali le corde vocali entrano in vibrazione sono detti sonori). In posizione tonica (accentata) abbiamo 7 vocali, e tenendo conto del loro grado di apertura e della parte della bocca con cui vengono articolate possiamo definire la [a] come la vocale di massima apertura, pronunciata con il canale orale completamente aperto, [o aperta] [o chiusa] [u: massima chiusura] rappresentano un grado maggiore di chiusura tra le vocali posteriori o velari (pronunciate con la lingua sollevata verso la parte posteriore della bocca e verso il velo palatino -palato molle-, e con il progressivo restringimento delle labbra), mentre [e aperta] [e chiusa] [i: massima chiusura] rappresentano successivi gradi di chiusura delle vocali anteriori o palatali (pronunciate con la lingua sollevata verso la parte anteriore della bocca e verso il palato anteriore). In posizione atona invece sono solo 5 (a-e-i-o-u). Le semiconsonanti (vocale che ha suono intermedio fra vocale e consonante) in italiano sono due: u e i [w] e [j], foni molto vicini alle vocali corrispondenti [u] e [i], ma di durata pi breve rispetto ad esse; le semiconsonanti non possono essere mai accentate e si trovano nei dittonghi ascendenti (quelli in cui la voce aumenta dal primo al secondo elemento) composti da una semiconsonante e una vocale (ieri, uomo), o in quelli discendenti, in cui seguono una vocale (sono considerate in questo caso semivocali: laico, feudo)14. Per consonante intendiamo invece un fono prodotto dal passaggio non libero dell'aria attraverso il canale orale: l'aria incontra un ostacolo o nella chiusura temporanea del canale orale, o nel suo forte restringimento, in modo che si senta il rumore del passaggio forato dell'aria. Per descriverle e classificarle occorre considerare tre elementi: il modo di articolazione: distinguiamo: occlusive (o esplosive o momentanee): consonanti nella cui articolazione il canale orale inizialmente completamente chiuso, aprendosi poi per lasciar uscire l'aria (C di cane, B di bacio, T di topo); continue (o costruttive): consonanti articolate in modo continuo, con la fuoriuscita dell'aria attraverso il canale espiratorio parzialmente ostruito (L di lato, S di sole, F di fatto); analizzando nel dettaglio le modalit di pronuncia delle stesse, distinguiamo: laterali: l'aria esce lateralmente alla lingua protesa verso il palato;
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Lo iato invece un incontro di due vocali che non formano un dittongo, ossia: in assenza di I e U; in presenza di vocali accentate (spia), dopo il prefisso -ri
20 vibranti: articolate facendo vibrare la lingua sul palato; fricative (o spiranti): l'aria passa attraverso uno stretto canale, determinando un sibilo, un fruscio; nasali: l'aria viene emessa dalle fosse nasali; affricate (o semiocclusive): consonanti la cui pronuncia inizia con un suono occlusivo, per poi lasciar posto a un suono continuo, articolato nello stesso punto del precedente (C di cena, Z [t] di zio: si passa di T a S). Si tratta di suoni compositi, evidenziati all'interno dell'alfabeto fonetico da un digramma (due grafemi). il luogo di articolazione: distinguiamo tra: bilabiali: pronunciate unendo le labbra e poi aprendole (P di palla, B di roba); labiodentali: coinvolge il labbro inferiore e i denti superiori (V di vero); dentali: con la lingua a contatto con la parte interna dell'arcata dentale superiore (T di tela, D di cade); alveolari: articolate con la punta della lingua contro gli alveoli degli incisivi superiori (L di ulivo); velari: pronunciate con chiusura del velo palatino (K in coda, G in riga); palatali: articolate con la lingua che tocca il palato ([ ]di gnocco, [] di scena). l'opposizione sordit/sonorit (in relazione al grado di articolazione): le consonanti sono sorde quando le corde vocali non vibrano (S in sale) e sonore quando invece lo fanno (D di dente). Rispetto invece alla forza articolatoria, possono essere: Brevi (scempie o tenui): lo sempre la fricativa sonora di uso [z] lunghe (intense o doppie): lo sono sempre in posizione intervocalica. Si tratta comunque di un fenomeno fonetico indipendente dalla rappresentazione grafica.
Bilabiali Labiodentali Dentali Alveolari Palatali Velari Sorda Sonora Sorda Sonora Sorda Sonora Sorda Sonora Sorda Sonora Sorda Sonora Occlusive Palla roBa Tela caDe Coda riGa Laterali ULivo taGLiare Vibranti [r] Fricative [f] Vero [s] [z] [SCena] Nasali [m] [n] GNocco Affricate [ts] Zio dz [] Cena [d]
21 La corrispondenza tra il sistema dei fonemi e dei grafemi (alfabeto) non totale, anche se l'italiano, rispetto ad altre lingue, dimostra una maggiore aderenza tra il piano della pronuncia e quello della grafia; poich il sistema alfabetico non sufficiente a rappresentare tutti i fonemi, quelli che non hanno un grafema alfabetico direttamente ad essi corrispondente vengono rappresentati da segni dell'alfabeto fonetico. Tra gli esempi di mancata corrispondenza tra fonema e grafema: a un grafema corrispondono due foni (o fonemi): C: dolce o dura (cosa, cena); E: aperta o chiusa (bello, verde) O: aperta o chiusa (cosa, torre); G: dolce o dura (ago, gente [dg]); Z: [tz] [dz](zero, azione) due grafemi (c.d. digramma) per pronunciare un singolo fonema (deriva dalla carenza di grafemi specifici): SC (fricativa palatale: scena), GL (laterale palatale: vaglia), GN (nasale palatale: gnocchi) grafemi a cui non corrisponde un fonema specifico: H: non ha valore fonetico ma diacritico, ossia distingue suono diversi dopo C e G, e prima di I ed E; distingue la pronuncia dell'occlusiva velare (chiarogheriglio) e quella dell'affricata palatale (ci-gelo). Inoltre rimasta come traccia di scrittura etimologica in alcune forme del verbo avere. Q: sempre seguita dalla semivocale /w/ e in seguito dalle vocali A-E-I-O, sovrabbondante, in quanto ha lo stesso valore fonetico di C (occlusiva velare sorda), mentre QQ un riflesso della grafia CQ (eccetto soqquadro). significativo (e non casuale) che proprio per i foni che non hanno una precisa corrispondenza nel sistema alfabetico si verifichino le maggiori incertezze di pronuncia e le maggiori discrepanze a livello regionale. Nell'italiano standard: E (ha valore fonologico psca, psca): aperta: nel dittongo -ie, nei gerundi in -endo e nei participi in -ente, prima e terza persona nel condizionale e nel passato remoto, nei suffissi -etti, -ella/o, -estra/e/o; chiusa: negli infiniti in -ere, nel futuro semplice e nell'imperfetto indicativo e congiuntivo, nella terminazione -mente, nei suffissi -eccio, -ese, -ezza, -mento,
22 -etta/o. S fricativa alveolare sorda e sonora (valore fonologico: fuso, fuzo): sorda: nella maggior parte delle parole; sonora: verbi che al passato remoto terminano in -usi, -uso, -isi, -iso, nelle parole inizianti per -es seguita da vocale, nei numerali in -esimo e in alcune voci, e voci comuni (caso, base, mese...). Gorgia: il fiorentino oggi la presenta, ed la pronuncia aspirata delle occlusive sorde tra due vocali (hasa...) e della prinuncia fricativa delle affricate palatali sorda e sonora (aSGile). Variet regionali: nord: Ei: E chiusa in sillaba libera (poeta, bene) E aperta in sillaba chiusa (pazzesco, bicicletta) eccetto davanti a nasale (venti). I due foni non hanno valore distintivo (come invece per lo standard: psca, psca) S fricativa alveolare sorda e sonora: sonora in posizione intervocalica; sud: E: -ie chiuso, -mente/o aperto. S fricativa alveolare sorda e sonora: orda in posizione intervocalica; Estremo sud: E: mancano la E chiusa e la o aperta. FENOMENI DI FONETICA SINTATTICA: molti si verificano in presenza di unione tra parole: rafforzamento (o raddoppiamento) fonosintattico (o anche sintattico): pronuncia rafforzata della consonante iniziale di parole quando questa preceduta da parole terminanti in vocale che hanno la propriet di provocare il rafforzamento: monosillabi accentati e molti non accentati (a, e, che, fra, ma, no, va), tutti i polisillabi tronchi (come perch), alcune parole piane (come, dove, sopra, ogni, qualche), i nomi delle lettere dell'alfabeto e delle note musicali. Questo fenomeno presente nell'italiano standard e al sud, assente al nord (c' una pronuncia scempia). Nella scrittura il fenomeno riflesso quando le parole sono scritte unite (accanto, daccapo, davvero, ognissanti, soprattutto). Questo fenomeno dipende da ragioni storico-linguistiche (caduta in alcune parole latine -ad, at- delle consonanti
23 finali, esempio: ad mittere=ammettere) e fonetiche. Elisione: caduta della vocale finale davanti ad altre parole inizianti per vocale, rappresentata graficamente con l'apostrofo (un'anta...); apocope (o troncamento): caduta della parte finale di una parola (spesso una vocale) sia davanti a vocale (solo vocali atone precedute da l, r, n, m; quasi mai si mette l'apostrofo, eccetto d, po', fa') -andar bene, vuol sapere- che consonante (eccetto s preconsonantica, z, gn, x, ps) -quel cane, Fra cristoforo-. Per distinguerla dall'elisione (e quindi sapere ne occorre l'apostrofo) occorre vedere se la parola pu essere elisa anche davanti a consonante (esempio un uomo, un cane; qual buon vento, qual era). SILLABA: costituita da un fonema vocalico o da un insieme di fonemi (di cui almeno uno vocalico), pronunciati con con un'unica emissione di voce. Si parla di sillaba aperta se finisce con vocale e sillaba (CAsa) e chiusa se finisce con consonante (CASsa). Graficamente la divisione in sillabe ha notevoli riflessi nell'andare a capo: la divisione in sillabe dipende da alcune regole: una vocale iniziale seguita da una sola consonante costituisce sillaba a s (e-de-ra) una consonante semplice fa sillaba con la vocale che segue (ca-sa); le consonanti doppie si dividono tra due sillabe (sot-to); gruppi di 2-3 consonanti diverse fanno sillaba con la vocale seguente (pra-to, magro), e ci vale anche per la S preconsonantica (pa-sta); gruppi di consonanti diverse sono divisi tra le due sillabe se non possono trovarsi a inizio parola (cal-ma, tor-ta); i dittonghi-trittonghi sono indivisibili (ie-ri, a-iuo-la); gli iati invece no (pa-u-ra, so-a-ve); digrammi-trigrammi non si dividono: ca-gna, a-glio.
ACCENTO: PUNTO DI VISTA FONETICO: in italiano di tipo intensivo, ossia conferisce alla sillaba accentata una maggiore intensit. Le sillabe accentate sono dette toniche, atone quelle non. La maggior parte delle parole italiane sono piane (o parossitone), ossia accentate sulla penultima sillaba (csa), ma esistono anche parole tronche o ossitone (accentate sull'ultima sillaba: virt), sdrucciole o proparossitone (accentate sulla terzultima: tnebra), bisdrucciole (molto rare: scvolano) e trisdrucciole (ancora pi rare, si
24 tratta di forme verbali composte con pronomi atoni: vncolameli). Le parole senza accento sono dette clitiche: enclitiche se poggiano sulla parola precedente, unendosi anche graficamente (dirVI), proclitiche su quella che segue, ma graficamente separate (mi vede). PUNTO DI VISTA GRAFICO: solo alcune parole lo richiedono: tronche, monosillabi che devono essere distinti da parole identiche ma con significato diverso (omografi: da-d). All'interno della parola solitamente non si usa, se non in presenza di omografi15 per evitare ambiguit. L'accento graficamente pu essere acuto o grave; il primo si utilizza di norma sulle vocali chiuse (n, perch...) grave su quelle aperte (caff). (Quello circonflesso in disuso). Per alcune parole (soprattutto di origine greco-latina) pu esserci una doppia accentazione: accento del greco (proparossitono) o del latino (parossitono), come dileedle, dema-edma; in altre parole, di diversa origine, alla corretta accentazione piana si affianca la sdrucciola (rubrca-rbrica, leccorna-leccrnia). L'accento (come anche l'intonazione) fanno parte dei c.d. fenomeni soprasegmentali (c.d. in opposizione ai segmentali: riguardano i singoli elementi -foni fonemi-) perch riguardano una sequenza di foni (al di sopra del segmento fonico). INTONAZIONE: riguarda la modalit di pronuncia di gruppi tonali, segmenti di discorsi tra due pause, caratterizzati da un particolare andamento melodico. Gli elementi che li caratterizzano sono il tono -frequenza delle vibrazioni delle corde vocali- la distribuzione e l'intensit degli accenti. L'andamento intonativo, percepibile soprattutto nella parte finale dell'enunciato, detto tona; ne esistono principalmente tre tipi: conclusiva, ad andamento discendente (tutto considerato, credo che tu abbia ragione); interrogativa, ad andamento ascendente (vuoi sempre avere ragione tu?); sospensiva (per essere sinceri...) Tuttavia influenzata dalla variazione diatopia.
MORFOLOGIA E MORFOSINTASSI Per morfologia si intende il settore relativo alla forma delle parole; nell'italiano contemporaneo semplice (nel passato c'erano invece forme concorrenti). Tra le parti variabili del discorso, il verbo quella di maggiore variazione morfologica, perch conserva la differenziazione latina di forme per le singole persone (il nome solo quella di numero e genere). Oltre allo studio della forma esiste anche quello delle relazioni tra la
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25 forma e il suo uso insieme ad altre parole (morfosintassi). La morfologia si divide in flessionale e derivativa: la prima di occupa di studiare e descrivere la flessione delle parole (modificazione in relazione alle diverse funzioni grammaticali), ad esempio nel nome la modificazione dal maschile al plurale e femminile (leone-leoni-leonessa) [morfemi flessionali]; la seconda invece si occupa dell'analisi dei meccanismi della derivazione di parole da termini base, attraverso l'aggiunta di elementi alla fine della parola (suffisi) o all'inizio (prefissi) [morfemi derivativi]. La lingua italiana parzialmente flessionale per alcune funzioni (persona-modo-tempo nel verbo ad esempio), mentre per altre ricorre a elementi diversi, come le preposizioni e gli articoli (per le funzioni logiche dei nomi). Tornando alle parti del discorso, esse sono le categorie fondamentali del sistema morfologico: i Greci ne individuarono otto, riprese poi dai Latini che eliminarono per l'articolo e aggiunsero l'interiezione; la grammaticografia italiana (attivit di ricerca dei grammatici) si basata su questo schema, reintroducendo l'articolo, separando il sostantivo e l'aggettivo, eliminando il participio come classe autonoma, ottenendo: nome, articolo, aggettivo, pronome, verbo, avverbio, proposizione, congiunzione, interiezione. Questo schema ha subito forti critiche, perch si basa su criteri non omogenei: criterio logico-contenutistico (o semantico-nozionale): si basa sul contenuto di ci che le categorie indicano (per il verbo azioni...). Possiamo distinguere in questo senso parole piene (con un contenuto semantico) e vuote (o grammaticali: hanno pi una valenza sintattica che semantica, come e, con, la)16. criterio funzionale: si basa sulla funzione esercitata dalla parola (collegamento per la congiunzione); criterio distribuzionale: si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto ad altre parole nella frase (preposizione: prima di un'altra parola); ARTICOLO: pu essere determinativo o indeterminativo; il primo serve per designare una classe-categoria, oppure indicare un oggetto-persona gi noto nel contesto precedente o precisato subito dopo. Derivano dall'aggettivo dimostrativo latino ILLE: nel latino non esistevano gli articoli perch le funzioni sintattiche erano affidate alle terminazioni del sostantivo che indicano il caso; le lingue romanze formano l'articolo determinativo dal dimostrativo latino, che nel latino volgare aveva un po' perso quel significato, quella forza, quindi ILLE uomo diventa L'uomo, attraverso la caduta della sillaba iniziale (aferesi). Il
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Secondo un criterio formale possiamo anche distinguere tra parole variabili -verbi, nomi, aggettivi, pronomi- e invariabili -avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione-.
26 secondo invece (deriva da unus) indica il membro di una classe, un oggetto-persona generico o non ancora precisato; ha solo forme singolari, mentre al plurale si usano le forme alcuni-alcune o dei-delle (partitivo). Ci sono scarse incertezze nell'italiano contemporaneo: sono ormai stabili l'uso di lo-uno davanti a S preconsonantica e Z, a nomi maschili che iniziano con X o con i nessi PS-PN, ai digrammi SC-GN, alle semiconsonanti I-U (nelle parole straniere il whisky). Anche le oscillazioni nell'uso sono limitate: davanti ai nomi propri di persona al nord utilizzano l'articolo; davanti al cognome si pu mettere se ci si riferisce a personaggi famosi o in casi di ambiguit (ho parlato con LA Zappa). I nomi geografici si comportano in modi diversi: non va davanti a nomi di citt e isole piccole, va invece davanti a continenti, nazioni, regioni e isole grandi, monti, laghi e fiumi. Tipico del neo-standard (specie parlato) inoltre l'uso dell'articolo partitivo plurale dopo preposizione (verr con degli amici). NOME: in italiano varia nel genere e nel numero, non nel caso, la cui distinzione affidata all'articolo e alle preposizioni articolate. In base al significato distinguiamo tra nomi propri, che designano un particolare individuo di una specie o categoria -persona, citt-, nomi comuni, che designano ogni possibile individuo di una specie o categoria, nomi collettivi che designano un gruppo di individui, nomi concreti e astratti (oggetti percepibiliconcetti), nomi numerabili e non (o nomi massa), che indicano oggetti o entit delimitabili (o meno: latte, sale...;); questi ultimi possono essere preceduti da aggettivi indefiniti solo al singolare (poco latte), gli altri al plurale (poche sedie). Dal punto di vista morfologico riscontriamo due irregolarit: i nomi maschili terminanti in -co/-go possono avere il plurale in -chi/-ghi o -ci/-gi senza che ci sia una regola precisa (alcuni hanno entrambe le forme). Ci dipende dall'evoluzione fonetica e dalla tendenza a mantenere al plurale lo stesso tema del singolare. I nomi femminili terminanti in -cia/-gia mantengono la I al plurale se preceduta da vocale (valigia), la perdono se preceduta da consonante (arancia), ma con alcune eccezioni. Si tratta di un problema grafico, in quanto la I al singolare ha valore diacritico (serve a indicare la diversa pronuncia della lettera precedente), ma al plurale un relitto grafico, in quanto un grafema senza funzione. AGGETTIVO: parte del discorso, variabile nel genere e nel numero, che serve a modificare il nome a cui si riferisce dal punto di vista della qualit (aggettivo qualificativo) o
27 della determinazione (aggettivo dimostrativo). Il primo ha tre diverse funzioni: attributiva -se si collega direttamente a un nome un ragazzo allegro-, predicativa -se si collega a un verbo quel ragazzo allegro-, avverbiale -se usato al posto di un avverbio gli piace guidare velocemente-. Pu esprimere anche il grado in cui la qualit posseduta: grado positivo, comparativo, superlativo -relativo o assoluto-. Una sottocategoria l'aggettivo relazionale (mensile, italiano...), che esprime una relazione stabile col nome da cui deriva, e che si deriva attraverso alcuni suffissi come -ale (finale), -ano, -are, -ario, -ico, -istico.gli aggettivi relazionali hanno alcune propriet grammaticali: non possono avere comparativo e superlativo e non possono essere usati in funzione predicativa, a meno che non siano utilizzati in senso traslato (io sono pi solare...). L'aggettivo qualificativo solitamente collocato dopo il nome, e prima nei casi in cui abbia valore ornamentale (molto prevedibile: la pallida luna). Talvolta uno stesso aggettivo pu avere significati diversi a seconda che si trovi prima o dopo il nome (pover'uomo-uomo povero). Gli aggettivi determinativi invece si distinguono in possessivi, indefiniti (alcuni cani), interrogativi (quale cane?), esclamativi (che cane!), numeri ordinali (due cani) e dimostrativi: aggettivi che determinano un oggetto o una persona in relazione allo spazio, al tempo, al discorso (funzione deittica). In relazione all'uso i dimostrativi sono tradizionalmente distinti in: questo (indica oggetto o persona vicino a chi parla), codesto (vicino a chi riceve -usato solo dai toscani e nel linguaggio burocratico-) e quello (indica oggetto o persona lontano da entrambi). PRONOME: ha diverse funzioni: funzione di sostituzione del nome o di un'intera frase (per evitare ripetizioni), funzione deittica (di indicare qualcosa: dammi questo), funzione sintattica del relativo (di congiunzione di due proposizioni: la casa che ho comprato...). Ci sono diversi tipi di pronomi: personali: la prima e seconda persona singolare al soggetto sono io e tu (funzioni solo deittica), all'oggetto me e te, che si usano anche dopo come e quanto, nelle esclamazioni e dopo la congiunzione. Il pronome soggetto di terza persona pu avere sia funzione deittica quando indica una persona presente nella situazione comunicativa (lui ha torto!), sia anaforica17 quando riprende un soggetto precedentemente espresso. Ha diverse forme: lui-egli-esso, lei-ella-essa, loro-essiesse. L'uso di lui-lei-loro si sta diffondendo soprattutto nel parlato e nel linguaggio informale. Queste forme si usano sempre: dopo come e quanto, nelle esclamazioni,
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Anaforica: rimanda a quello che c' su (ana=su), a qualcosa detto prima. Cataforica: rinvia in avanti (da kata, gi), quindi anticipa qualcosa
28 per evidenziare il soggetto, nelle contrapposizioni, quando il pronome da solo, dopo la congiunzione e, dopo anche-neanche-nemmeno-pure-neppure. L'uso scritto mostra una sempre maggiore propensione per l'ellissi del pronome personale soggetto. Quando ha valore riflessivo si usa s, spesso rafforzato da stesso. Oltre ai pronomi tonici, ci sono anche quelli atoni o clitici (proclitici-enclitici), tra cui merita attenzione GLI, dativo tradizionalmente limitato al maschile singolare, ma che si usa sempre pi al posto di loro (plurale) e al femminile (ma riprovevole). Pronomi personali particolari sono gli allocutivi, ossia quelli usati nel rivolgersi a qualcuno: oggi si usa soprattutto il TU in forma confidenziale e il LEI di cortesia, anzich VOI. Dimostrativi: sono questo-quello-ci (l'ultimo poco usato, specie nel parlato) indefiniti: alcuni... interrogativi: che cosa-cosa-che, differenziate nell'uso diatopicamente: che cosa la pi corretta, cosa usata al nord e che al sud. Relativi: consentono di collegare due proposizioni tra loro in modo semplice. Il pi comune il CHE, con funzione di soggetto (la donna che cucina mia madre), di complemento oggetto (il cane che ho trovato), mentre si utilizzano IL-LA QUALE in casi di ambiguit. CUI si usa dopo le preposizioni, in alternanza a IL-LA QUALE. Per i complementi indiretti, accanto ai pi corretti cui e quale, si utilizza spesso il che indeclinato, una delle tante sfaccettature del CHE POLIVALENTE, (il che un elemento linguistico di grande portata, e lo sempre pi), la cui funzione grammaticale non chiaramente delimitabile, dove il che non pi solo un pronome, ma anche una congiunzione. Il che polivalente mostra un allargamento dei confini canonici del CHE, sia come stretto pronome, sia come congiunzione, sia come sovrapposti; ci si dispiega nella gamma della variazione linguistica dell'italiano contemporaneo (analizzato sul piano della diastratia, diafasia...). Comprende quindi vari usi del CHE estesi rispetto alle forme canoniche: pseudorelativo a tua sorella che ho consegnato il libro: siamo in presenza di un elemento linguistico che collega due elementi della frase scissa; congiunzione: utilizzato al posto di perch (canta che ti passa); uso del pronome indeclinato (CHE) anzich di quello declinato con preposizione (a cui, alla quale): l'amico che hai dato il libro; la prima volta che ti ho visto; evidenzia un basso livello dell'asse diastratico (bassi livelli culturali).
29 Collegamento di una frase scissa; pleonastico e reduplicato: che bella che sei VERBO: le categorie che ne determinano le forme sono: modo: indica l'atteggiamento che il parlante assume verso la propria comunicazione e il tipo di comunicazione che instaura col suo interlocutore (certezza-affermazione, dubbio, comando...). Il modo anche condizionato dalla struttura sintattica della frase, soprattutto per le subordinate che, a seconda delle congiunzioni e dei verbi che le introducono, richiedono indicativo o congiuntivo. I modi finiti (cio quelli in cui la persona determina la flessione delle forme) sono indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo, mentre i modi indefiniti (o frasi nominali del verbo: possono essere usati al posto del nome -esempio infinito sostantivato- o aggettivo -participio-) sono l'infinito, i participi presente e passato e il gerundio. Tempo: indica il rapporto cronologico tra l'azione espressa dal verbo e il momento in cui viene raccontata (tempo assoluto), o tra un'azione e un'altra. Alcuni tempi sono per definizione relativi, ossia usati in relazione a un'azione collocata in un momento diverso (trapassato prossimo e futuro anteriore). Occorre inoltre distinguere tra tempo fisico e linguistico -espresso da avverbi e indicatori temporali-, che possono non coincidere. L'indicativo possiede otto tempi (presente, futuro semplice e anteriore, imperfetto, passato prossimo e remoto, trapassato prossimo e remoto), il congiuntivo quattro (presente, imperfetto, passato prossimo, trapassato), il condizionale due (presente e passato), l'imperativo due (presente e futuro). Persona: determina la flessione morfematica delle forme verbali. Ditesi (o voce): esprime il rapporto logico del verbo col soggetto e con l'oggetto. attiva quando il soggetto grammaticale coincide con l'agente dell'azione, passiva quando subisce l'azione, riflessiva quando soggetto e oggetto coincidono. Aspetto: categoria del verbo poco studiata per l'italiano che esprime i diversi modi di osservare la dimensione temporale interna alla situazione descritta dal verbo stesso. Si distingue tra aspetto imperfettivo (quando si descrivono eventi nel loro svolgersi) e perfettivo (quando si descrivono eventi conclusi); a proposito di questi ultimi possiamo distinguere ulteriormente tra perfetto aoristico (puntuale: in cui l'azione non ha riflessi sul presente -passato remoto-) e compiuto (in cui gli effetti perdurano nel presente -passato prossimo-).
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La classificazione dei verbi dipende: dalla funzione svolta (punto di vista sintattico): predicativi: quando indicano un'azione svolta dal soggetto, o uno stato di esso (la verit esiste, Paolo esce), e possono essere usati anche con soggetto sottinteso o in forma impersonale (piove). Questa funzione propria delle forme finite del verbo. Copulativi: collegano il soggetto con un aggettivo o un nome (verbi come essere, crescere, rimanere, apparire, diventare, sembrare, restare); attributivi: analogamente all'aggettivo; avverbiali: modificando un verbo o una frase (vive sognando); referenziali: come un nome (dormire necessario); transitivi: hanno un complemento oggetto (Giada mangia la mela) intransitivi: non hanno un complemento oggetto (dormiamo poco); ausiliari: si uniscono ad altri verbi per dare luogo alle forme composte (avere per i transitivi e essere per gli intransitivi, con eccezioni); modali o servili: -potere, volere, dovere- si usano in composizione con l'infinito, senza preposizione. Quando presente un pronome atono pu essere enclitico (unito alla fine dell'infinito) o proclitico. Fraseologici: si costruiscono con un infinito proceduto da preposizione, oppure con un gerundio; si formano le c.d. perifrasi verbali, con la funzione di indicare un particolare modo di essere dell'azione di un verbo -imminenza [stare per...], inizio, durata, svolgimento, continuit, conclusione-. punto di vista morfologico regolari: la cui flessione segue la regolarit delle forme per le tre coniugazioni; irregolari: presentano irregolarit di flessione in diversi tempi e modi. Difettivi: hanno solo alcune forme (ostare ha solo osta, ostava, osterebbe...) oppure mancano passato remoto e participio. Sovrabbondanti: appartengono a due coniugazioni (are-ire, o ere-ire); alcune hanno differenza di significato (arrossare-arrossire), altre no. Impersonali: non hanno un soggetto determinato e si usano solo per la terza persona singolare dei modi finiti o in quelli indefiniti: piove, sta nevicando... Sono impersonali i verbi che: indicano una condizione meteorologica, verbi
31 impersonali con la particella SI, costruzioni col pronome indefinito qualcuno-taleuno, verbi che possono essere costruiti col soggetto (mi sembra) e alcune terze persone plurali (mi hanno rubato...). Riflessivi: quelli in cui soggetto e oggetto coincidono, i riflessivi reciproci esprimono un rapporto scambievole (il gatto e il cane si odiano); intransitivi pronominali: intransitivi preceduti dai pronomi atoni -mi, ti, si, ci, vi-; Verbo nell'italiano contemporaneo: la lingua parlata mostra una grande semplificazione funzionale (non morfologica) di modi e tempi (riduzione nell'impiego corretto dei tempi e modi:) che porta ad utilizzare solo alcuni tempi verbali, caricati inoltre di valenze pi complesse (risponde all'esigenza di rappresentare sfumature modali). Uso dei tempi: presente: Presente pro-futuro: L'indicativo tende anche a sostituire il futuro, soprattutto in presenza di avverbi di tempo domani vado a Roma, anzich andr. Viene utilizzato in particolare per eventi di un futuro prossimo, a meno che non sia assolutamente certo (nel 2012 finisce il mondo). Presente storico.
passato prossimo: tende a diffondersi a spese del remoto (caratteristica tipica del nord entrata nel neo-standard), che regge invece al sud. imperfetto: ce ne sono molti tipi utilizzati in questo senso: imperfetto di pianificazione: vieni al cinema domani? No, domani andavo a Roma. Deriva dal fatto che l'azione stata pianificata precedentemente (avevo gi deciso che ci sarei andato). Imperfetto fantastico: avresti dovuto timbrare il biglietto, magari saliva il controllore!: evoca una possibilit che poi non si attuata; imperfetto irreale: tipico dei sogni e delle situazioni immaginarie ho sognato che mangiavamo dei dolci; imperfetto ipotetico: se lo sapevo non ci venivo, utilizzato al posto di congiuntivo e condizionale; imperfetto potenziale cos' successo? Doveva arrivare alle 8: esprime una forma di supposizione; imperfetto ludico: tipico dei giochi infantili giochiamo: tu eri il dottore...; imperfetto attenuativo (di cortesia o di modestia): volevo un etto di prosciutto
32 (anzich vorrei o voglio, per porre quindi una richiesta meno categorica); in questo caso ci si riferisce ad un passato intenzionale (la richiesta un'intenzione di comprare). Imperfetto epistemico (utilizzato al posto del futuro): richiama, in previsione del futuro, presupposti precedenti partivo stasera ma c' lo sciopero; futuro: un tempo verbale in forte contrazione, ma ci sono alcuni usi modali del futuro, come ad esempio il c.d. futuro epistemico, che esprime congetture in riferimento al presente saranno le 15.00; non so che ora sia, lo ipotizzo. Uso dei modi: finiti: indicativo: modo della realt, della certezza: si afferma sempre pi a spese del congiuntivo (specie nel parlato e nei registri informali), in particolare in alcune situazioni: verbi di incertezza, dubbio, interrogative indirette, periodo ipotetico. congiuntivo: modo del dubbio, della speranza; condizionale: indica eventualit; imperativo: modo del comando.
Indefiniti: infinito: presente e passato (valore verbale o nominale); participio: presente e passato (valore verbale, nominale -l'amante- o di aggettivo); gerundio: ha diversi valori logici, deve avere lo stesso soggetto della principale (ma non sempre), mentre raro il gerundio assoluto (essendo finito), PARTI INVARIABILI: le congiunzioni hanno la funzione di congiungere tra loro elementi della frase o proposizioni all'interno del periodo, e in quest'ultimo caso sono coordinative o subordinative. Nel primo caso si utilizzano e-ed-ma, sempre pi usate anche dopo il punto fermo, assumendo la funzione di collegamento tra parti di un testo (congiunzioni testuali), tra le seconde diffuso l'uso di CHE, spesso con altre funzioni (causale -copriti che fa freddo-, consecutiva -vieni che...). Le preposizioni possono introdurre le subordinate implicite (costruite con l'infinito), e preposte ai nomi di cui determinano la funzione. Quelle articolate si scrivono unite (in, su, a, da, di) o no (per, con, tra, fra). L'avverbio pu aggiungere significato o modificare il verbo-aggettivo-frase, e ha molte forme diverse:
33 alcuni derivano dagli aggettivi con la terminazione -mente, altri sono forme autonome, altri parole unite -soprattutto- o separate a formare locuzioni avverbiali -d'ora in poi-. Alcune possono avere funzione di avverbio e congiunzione -allora, nemmeno, dopo-. L'interiezione ha principalmente funzione espressiva, tra le pi comuni: ah, eh, oh, ahi, ehi, beh, mah... Alle tradizionali parti del discorso possiamo aggiungere i segnali discorsivi (vedi precedentemente). SINTASSI DEL PERIODO La frase l'unit di massima estensione della grammatica prima del testo, composta di unit inferiori (parole, sintagmi), dotata di senso compiuto e costruita secondo regole sintattiche. Essa pu essere semplice se costituita da un'unica proposizione18, indipendente, o complessa (o periodo), se costituita da due o pi proposizioni. L'enunciato l'unit di testo: il segmento di testo distinto dal resto del testo da pause-silenzio (parlato) e da segni di interpunzione forte (punto fermo); pu essere costituito da una parola, da una frase semplice o complessa. FRASE SEMPLICE: ANALISI LOGICA TRADIZIONALE: costituita da un soggetto, predicato e uno o pi complementi. Il soggetto il primo elemento che completa il significato del verbo e concorda con esso dal punto di vista grammaticale. Pu essere espresso o sottinteso, grammaticale [indica chi compie l'azione e concorda col verbo] o logico [indica chi compie l'azione ma non pu coincidere col soggetto grammaticale]. Pu essere costituito da un nome, pronome, un infinito sostantivato, una proposizione (non mi sembra vero) o altri elementi in frasi con contenuto metalinguistico (esempio: per una preposizione). Solitamente precede il verbo, ma lo segue nelle interrogative. Il predicato invece ci che si dice del soggetto [ne indica lo stato o l'azione]; si distingue predicato verbale -costituito da verbi predicativi- e nominale -costituito da verbi copulativi-. Il complemento oggetto (o diretto) ci su cui ricade l'azione compiuta dal soggetto ed espressa dal predicato, a cui legato senza preposizione. I complementi indiretti sono invece gli elementi che completano ulteriormente il significato del predicato verbale, e sono introdotti dalle preposizioni; sono individuati sulla base della relazione con soggetto e predicato e sulla base dei rapporti logici: di specificazione (la casa di Giada), di termine, di luogo, di tempo, di causa (mi sono ammalata per il freddo), di fine-scopo, di modo, di compagnia, di agente e causa efficiente (persona-cosa), partitivo (il migliore di tutti)... Oltre
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Definibile a sua volta come l'unit di base della sintassi, all'interno di un periodo.
34 a questi elementi primari troviamo l'attributo, aggettivo che qualifica o determina un sostantivo con cui concorda dal punto di vista morfologico in genere e numero, e l'apposizione, sostantivo che si aggiunge ad un altro con la funzione di caratterizzarlo e specificarlo meglio (Giada, una bella studentessa). Altri approcci linguistici individuano diversi elementi della frase: linguistica strutturalista: classifica gli elementi della frase in relazione al rapporto che essi instaurano col verbo. Il nucleo della frase quindi composto da verbo e argomenti [elementi necessari al completamento della frase], coi quali il verbo si combina in base al principio della valenza (un verbo impersonale senza soggetto zerovalente, con soggetto monovalente, con un complemento bivalente). I circostanti del nucleo sono invece elementi aggiuntivi che specificano non il verbo ma uno o pi costituenti del nucleo, ed espansioni, che si riferiscono all'intera frase. Linguistica pragmatica: individua elementi sul piano informativo, distinguendo cos un rema [nuovo o comment], ossia la novit informativa, e un tema [noto o topic], ossia ci a cui si riferisce il rema. Linguistica del '900: introduce il concetto di sintagma, ossia un gruppo di parole ce costituiscono un'unit nella frase; la testa la parola principale dalla quale il sintagma prende il nome: nominale [la tua casa bella], verbale [sono arrivati in tempo], preposizionale [il cappotto per l'inverno] e aggettivale [ molto intelligente]. Possiamo distinguere diversi tipi di frase: verbale: contiene un verbo in funzione di predicato; nominale: priva di verbo in funzione di predicato [superate tutte le previsioni]; ellittica: il verbo sottinteso perch presente in una frase precedente (pu essere ellittica del predicato, ma anche del soggetto); enunciativa o dichiarativa: contiene un'enunciazione affermativa o negativa [totali -se negano l'intera frase- e parziali -se negano alcuni componenti-]; volitiva: esprime un comando o un'esortazione, un desiderio o una concessione. Interrogativa: caratterizzata nel parlato da un'intonazione ascendente e nello scritto dal punto interrogativo, pu essere introdotta da un elemento interrogativo (pronome, aggettivo, avverbio). Distinguiamo le totali, dove l'interrogazione riguarda l'intera frase, e le parziali, solo uno degli elementi, le disgiuntive, se la domanda prevede l'alternanza di due elementi, e le retoriche, domanda fittizia di cui si
35 conosce gi la risposta. Esclamativa: caratterizzata nel parlato da un'intonazione discendente e nello scritto dal punto esclamativo. Esprime enfasi, stupore, e pu essere verbale (ce bella che sei!) o nominale (che caldo!). FRASE COMPLESSA (periodo o frase multipla): composto di frasi legate tra loro secondo diverse modalit. Il periodo, relativamente al numero di proposizioni che la compongono pu essere mono-pluriproposizionale (bi-tri). Secondo il loro ruolo, le proposizioni si distinguono in principali (reggenti o sovraordinate), dalle quali dipendono le subordinate (secondarie, dipendenti). Nella frase complessa esse possono legarsi secondo due modalit: coordinazione (o paratassi): due o pi proposizioni si susseguono sullo stesso piano, senza gerarchia. Il suo uso dilatato a causa della semplificazione dell'italiano contemporaneo. Pu essere di diversi tipi: asindetica o giustapposizione (indica l'avvicinamento senza collegamento: senza congiunzioni ma con segni di interpunzione: virgole, punti e raramente punto e virgola e due punti), sindetica (con congiunzioni coordinanti: e, o) o polisindetica (successione di frasi con congiunzioni). La sindetica, in base funzione logica svolta dalle congiunzioni che legano le proposizioni, pu essere: copulativa: indica un semplice affiancamento: e, n; avversativa e sostitutiva: contrapposizione tra due azioni che pu essere parziale -avversativa- espressa con ma, per, tuttavia, o totale -sostitutivaespressa con ma, bens, anzi, invece; disgiuntiva: alternativa tra due azioni: o, oppure, ovvero; conclusiva: introdotta da quindi, dunque, perci, pertanto, introduce una preposizione che completa la precedente; esplicativa o dichiarativa: preposizione che chiarisce-conferma la precedente: infatti, cio; Correlativa: consiste nell'avvicinamento di due proposizioni mediante congiunzioni o locuzioni congiuntive correlative (ripetute) come: e...e, n...n, sia...sia/che, non solo...ma anche, non tanto...quanto... testuale: una falsa coordinazione che consiste nella separazione col punto fermo della coordinata rispetto alla principale, e le congiunzioni utilizzate sono
36 c.d. testuali. Subordinazione (ipotassi): il periodo ipotattico si compone di proposizioni principali e subordinate, che possono essere tra loro coordinate (costituendo quindi un unico livello di dipendenza dalla reggente) o dipendenti a catena. Pu esservi il caso di subordinate prive di principale nelle risposte alle domande o nelle proposizioni dipendenti da sintagmi ellittici del verbo essere (peccato che non sia bel tempo). Le proposizioni dipendenti possono essere esplicite, se il predicato verbale di modo finito, o implicite. Nella lingua contemporanea scritta, si diffuso l'uso di separare la dipendente col punto fermo (c.d. subordinate frante o spezzate). La classificazione dei diversi tipi di subordinate pu essere fatta seguendo diversi criteri: di derivazione greco-latina: basata sulla funzione logica svolta dalla proposizione, riproducendo nella frase complessa i costituenti della semplice. (Accostabile a questo tipo di classificazione c' un altro tipo che si basa sulla corrispondenza tra proposizioni e parti del discorso, distinguendo quattro gruppi: completive, interrogative indirette, relative, avverbiali). In base a questo criterio si distinguono: soggettive: hanno la funzione di soggetto della proposizione reggente, e possono dipendere da verbi impersonali (bisogna, sembra...), usati impersonalmente (si vede, si dice...), da sintagmi composti dal verbo essere alla terza persona singolare unita a un aggettivo o sostantivo ( vero...). Nella forma implicita sono costituite da un verbo finito da solo o preceduto dalla preposizione di, in quella esplicita da verbo finito introdotto dalla congiunzione che, che vuole indicativo o congiuntivo a seconda che esprima certezza o dubbio. Oggettive: distinte in dirette -se corrispondono a un complemento oggetto- e oblique -ad un complemento preposizionale (mi accorgo che sei cresciuto)-. Possono dipendere da verbi che esprimono affermazione, percezione, opinione, desiderio, timore, oppure da nomi e aggettivi (felice di conoscerti). L'oggettiva esplicita introdotta dalla congiunzione che, talvolta omessa, o da come (sai come sono contraria). Il modo pu essere indicativo, congiuntivo o condizionale, a seconda che il verbo reggente esprima certezza, dubbio o ipotesi; l'implicita invece all'infinito (con o senza preposizione di).
37 Interrogative indirette: esprimono una domanda o un dubbio, e si distinguono in totali e parziali. Possono essere introdotte dalla congiunzione se, o da pronomi, aggettivi, avverbi interrogativi. Il modo pu essere indicativo o congiuntivo (registro pi formale e quando il verbo negativo: non so se sia). Relative: sono la modalit di collegamento proposizionale pi semplice e usato. Sono introdotte da pronomi o avverbi relativi (dove, come), che richiama un elemento della reggente (testa). Occorre distinguere tra determinative (restrittive o limitative) e appositive (esplicative): le prime determinanti per il significato della reggente, le secondo un'aggiunta della quale la reggente potrebbe fare a meno, senza perdere il significato. Le relative possono acquisire una funzione logica: causale, consecutiva, concessiva, temporale, ipotetica. Le relative doppie sono invece introdotte da pronomi doppi come chiunque; le implicite invece possono avere verbo all'infinito introdotto da a o da pronomi relativi in funzione di complemento indiretto (voglio una persona di cui fidarmi); inoltre possono avere valore relativo le proposizioni participiali, quando sono trasformabili in relative esplicite (ho visto un gatto investito dalla macchina). Causali: esprimono la causa di cui la principale l'effetto. In forma esplicita possono essere introdotte dalle congiunzioni perch (dopo la principale), poich, dalle locuzioni congiuntive dato che, visto che, dal momento che, per il fatto che (prima o dopo la principale), siccome, giacch o semplicemente che. Il modo l'indicativo, e il congiuntivo limitatamente alle cause fittizie (ti avverto non perch sia importante). L'implicita invece all'infinito introdotto da per o a ( triste per il 22) o al participio con valore causale-temporale (preso lo stipendio, pot comprare). Finali: esprimono il fine verso il quale tende l'azione espressa nella reggente. Sono pi comuni in forma implicita se il soggetto lo stesso della principale, introdotte dalle preposizioni per, a, al fine/allo scopo di (esco per fare la spesa) in forma esplicita, quando il soggetto diverso, sono introdotte da perch, affinch [accioch], che+indicativo. Le finali tipiche o apparenti sono quelle dove si individua piuttosto una semplice successione temporale (infine, per+infinito: per farla breve). Consecutive: esprimono una conseguenza rispetto al contenuto della
38 principale, che rappresenta quindi la premessa, la causa dell'azione espressa dalla dipendente. In forma esplicita sono introdotte da che, preceduto nella reggente da avverbi (tanto, cos, talmente) o aggettivi (tale, simile) o locuzioni (a tal punto, in modo che). Il modo l'indicativo, il congiuntivo solo se la conseguenza considerata ipotetica, possibile, o il condizionale per esprimere un augurio. La forma implicita introdotta da da o per +infinito (sono talmente bella da), o da sintagmi come atto a, degno di. Concessive: indicano una condizione la cui conseguenza naturale sarebbe normalmente in contrasto col contenuto espresso nella principale. In forma esplicita sono introdotte da congiunzioni (sebbene, nonostante, bench, quantunque, quand'anche) seguite dal congiuntivo, da locuzioni congiuntive (anche se, con tutto che) + indicativo. Spesso per rafforzare il valore concessivo della subordinata e la mancata realizzazione della sua conseguenza naturale, nella reggente si trova un connettivo avverbiale come tuttavia, eppure, nondimeno, ugualmente, lo stesso. In forma implicita, la concessiva pu essere introdotta da pur+gerundio/participio [pur sconfitto], per+infinito e dalle congiunzioni nemmeno, neanche a+infinito quando la reggente negativa, dalla locuzione a costo di+infinito. Ipotetiche (o condizionali): esprimono la condizione necessaria per l'avverarsi del contenuto della principale, assieme alla quale costituiscono il periodo ipotetico. La subordinata condizionale viene detta anche protasi (dal greco: premessa), mentre la principale apodosi (conseguenza). introdotta da se, qualora, nel caso che, nell'eventualit che, a condizione che. Nella forma implicita si usa a+infinito, gerundio, participio. Il periodo ipotetico introdotto da SE pu essere distinto in tre tipi: 1. della realt: i fatti sono presentati come certi: si usa l'indicativo sia nella protasi che nell'apodosi (se mi scrivi ti rispondo); 2. della possibilit: i fatti sono presentati come possibili: (se tu potessi venire, mi faresti un piacere); 3. dell'irrealt: i fatti sono presentati come impossibili: si usa il congiuntivo nella protasi e il condizionale nell'apodosi (se avessi saputo, non sarei venuta). 4. Nel parlato (sempre per esigenze di semplificazione) si sta diffondendo il doppio indicativo imperfetto (se sapevo non venivo).
39 Comparative: stabiliscono una comparazione con la principale. Possono essere di uguaglianza/minoranza/maggioranza e sono costruite con cos...come, tanto...quanto, tale...quale, meno...di quanto, meno...di come, meno...di che, pi...di quanto, pi...di che... Nelle prime si usa il modo indicativo o condizionale, nelle altre l'indicativo, il congiuntivo o il condizionale a seconda che il fatto sia ritenuto reale, possibile o ipotetico. Nella forma implicita, la correlazione costruita con pi che, piuttosto che, piuttosto di. Temporali: indicano un evento in rapporto cronologico con quello della reggente (rapporto anteriorit-posteriorit-contemporaneit-). Nelle esplicite si usa l'indicativo in quelle di contemporaneit e posteriorit, e il congiuntivo se il fatto ipotetico; in quelle di anteriorit riferite al presente o al futuro si usa il congiuntivo o l'indicativo futuro, in quelle riferite al passato l'indicativo. Nelle implicite la contemporaneit resa con dopo+infinito passato, col gerundio passato e il participio passato; l'anteriorit con prima di+infinito. Modali: [fai come vuoi] eccettuative: [non penso che venga a meno che] esclusive: [ti convincer senza che tu te ne accorga] limitative: [per quanto ne so, non le piace] incidentali (parentetiche o incisi): non sono davvero subordinate perch non dipendono dalla principale, essendone separate: nel parlato dall'intonazione e nello scritto da segni grafici come parentesi, lineette o virgole. Sono quelle non introdotte da congiunzioni o pronomi (domani andremo - previsto bel tempo- al mare). linguistica novecentesca: basata sul principio di valenza del verbo, che classifica le proposizioni in relazione al loro rapporto col verbo. Abbiamo cos argomentali -espansione di uno degli argomenti del verbo- e avverbiali -completano quanto espresso nella principale-; criterio formale: basato sulla forma dell'elemento introduttore della proposizione subordinata o la forma del suo predicato verbale. Troviamo quindi: congiuntive -introdotte da una congiunzione subordinante-, interrogative, relative, e, in relazione al modo del verbo, participiali, gerundive e infinitive. Questo criterio pu essere associato a quello logico.
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INTERPUNZIONE ha due funzioni fondamentali: collaborare a chiarire l'articolazione logica del pensiero espresso nella scrittura (separa e connette segmenti sintattici), e quella di riflettere l'intonazione del parlato. Detto ci, possiamo individuare le funzioni principali: segmentatrice-sintattica: consiste nel segmentare un testo distanziando i diversi componenti di esso (apertura e chiusura di un discorso diretto) e nel segnalare le divisioni e i rapporti sintattici all'interno della frase complessa, cooperando al chiarimento del suo significato; rientrano . ; , enunciativa: legata a fattori espressivi come riflesso del parlato, e a fattori informativi, come la separazione in una frase del rema rispetto al tema, per evidenziare la parte nuova; emotiva-intonativa: i segni interpuntori servono a dare una particolare linea intonativa; si tratta del punto interrogativo ed esclamativo; metalinguistica: uso di determinati segni interpuntori per inserire elementi di spiegazione relativi a parti dell'enunciato (parentesi, lineette, virgole che racchiudono incisi esplicativi). L'uso della punteggiatura varia inoltre a seconda del tipo di testo: argomentativo: deve rispondere solo a funzioni segmentatrici-sintattiche e mentalinguistiche. In maniera minore la funzione emotiva-intonativa mentre per nulla quella enunciativa. Letterario-creativo: qui sono presenti tutte, anche l'enunciativa, che in alcuni testi acquista molta importanza, in relazione allo stile dell'opera; un esempio sono i Promessi sposi di Manzoni, scritta secondo le abitudini del tempo anche per essere letta ad alta voce ad un pubblico di ascoltatori non alfabetizzati. Giornalistico: presenta sia la finalit denotativa sia quella connotativa, espressiva, che determina la ricorrenza di usi interpuntori riflettenti il parlato. Tra i segni interpuntori: virgola: spesso se ne fa un uso troppo ridotto (compromettendo la comprensibilit del testo) oppure troppo abbondante, frammentando il testo. Viene utilizzata: all'interno di una proposizione: obbligatoria: a separare gli elementi di una lista priva di congiunzioni;
41 facoltativa: a separare dagli altri elementi un complemento esteso; all'interno di un periodo: obbligatoria: tra due o pi proposizioni coordinate per asindeto; a separare una subordinata posposta che abbia forte autonomia rispetto alla principale; facoltativa, ma opportuna: tra una subordinata che precede la principale, e la principale stessa; con incisi in presenza di connettivi dal particolare valore oppositivo o testuale come per, infatti, tuttavia; tra due proposizioni coordinate introdotte da congiunzioni come ma, o. Davanti ad e solitamente non si mette, ma non perentorio. MAI: tra soggetto e predicato: per enfasi; tra predicato e complemento oggetto, eccetto quando sono collocati in posizione diversa da quella normale; prima di proposizioni oggettive; subito dopo il che introduttore di proposizione. Eccezioni: in presenza di relative, occorre fare attenzione al significato e al valore della relativa: si mette con le appositive e mai prima delle restrittive; lo stesso principio vale anche per altri elementi del discorso: prima di un elemento appositivo e mai di un elemento determinante per il senso della frase. Punto e virgola: rappresenta uno stacco maggiore della virgola, sia all'interno della proposizione sia di un periodo (in quest'ultimo caso intercambiabile coi due punti). Nell'uso comune si usa sempre meno. Si usa: per separare termini di un elenco se lunghi o complessi, o se contengono al loro interno altra punteggiatura (in questi casi in genere introdotto dai due punti); per separare proposizioni. Due punti: utilizzati per: introdurre il discorso diretto; introdurre elementi informativi ed esplicativi in aggiunta o precisazione a quanto detto nella parte precedente della proposizione o del periodo: nella proposizione: per introdurre elenchi (ma non quelli legati al verbo);
42 nel periodo, spesso al posto di una congiunzione coordinante e subordinante (quindi...). Punto fermo: interruzione massima all'interno del periodo. L'italiano neostandard ha la tendenza ad abusarne, in una sintassi spezzata, monoproposizionale (tipica della scrittura giornalistica). Punto esclamativo e interrogativo: sono considerati marche dell'intonazione; puntini di sospensione: devono essere sempre tre e si usano: indicano una sospensione di varia natura nel discorso, specie nella scrittura letteraria e creativa; indicano un cambio di progettazione del discorso; indicano l'omissione di una parte del testo che si cita, inseriti nelle parentesi quadre all'interno del periodo, o tonde alla fine. ORDINE DELLE PAROLE E SINTASSI MARCATA L'ordine basico, non marcato, quello diretto SVO (soggetto-verbo-oggetto) e SVOOI (soggetto-verbo-oggetto diretto-oggetto indiretto), diversamente dal latino (SOV). Nell'italiano contemporaneo sono frequenti le inversioni: l'ordine marcato molto presente per ragioni di espressivit o comunicative. Costrutti della sintassi marcata: soggetto posposto:
Tra i costrutti marcati occorre ricordare: dislocazione a sinistra: consiste nel dislocare il complemento oggetto a sinistra (anticipandolo), in una posizione diversa da quella naturale, e nel riprenderlo con un elemento anaforico (che rinvia cio ad un elemento antecedente, a sinistra), solitamente un pronome personale (lo, ci: pronome atono): Giovanni, L'ho incontrato al mercato. Giovanni in questa frase qualcosa di noto, un argomento di cui si sta gi parlando ( il c.d. tema, ossia il dato che si presuppone noto all'interlocutore), e con questo costrutto si aggiunge un elemento nuovo (l'ho incontrato al mercato; il c.d. rema, l'elemento informativo nuovo). Serve quindi a tematizzare, a rendere tema un elemento che generalmente non lo . pi frequente col complemento oggetto ma capita anche col partitivo [di amici non ne ho], col complemento predicativo del soggetto [avvocato non lo diventer mai], con un'intera preposizione [che non sarei venuta te l'avevo gi detto] e col complemento indiretto [a tuo padre
43 gli ho gi parlato]; in quest'ultimo caso la ripresa pronominale crea ridondanza pronominale. un costrutto tipico del parlato e dello scritto di bassa-media formalit. Ne fa parte la topicalizzazione contrastiva: in assenza di ripresa anaforica, l'elemento dislocato a sinistra assume funzione di rema, il giornale compra Mario, non il pane, ed spesso in presenza di un elemento di contrasto. Tema sospeso (o tema libero o nominativo assoluto): [l'elemento dislocato a sinistra del tutto esterno alla frase, dal punto di vista sintattico e intonativo: esso infatti non preceduto da preposizione ed sempre separato da una pausa.] un costrutto formato da un costituente, con apparente funzione di soggetto, collocato a inizio di frase, seguito poi da una costruzione non congruente e senza collegamento pronominale. Rientra nella categoria dell'anacoluto, e dipende dalla scarsa pianificazione del parlato, che ci porta ad un affioramento impulsivo del soggetto logico, posto in primo piano all'esordio del discorso, e a un successivo cambio di progettazione per terminare la frase , un esempio : la mamma, le ho regalato uno scialle. la mamma, un sostantivo lasciato in sospeso non collegato sintatticamente al resto della frase. Ci sono molto esempi letterari di questo costrutto (sono residui dell'oralit, utilizzati per mimesi della lingua parlata): Boccaccio: Calandrino. Se la prima gli era sembrata umana, la seconda parve amarissima; Manzoni: quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro; Pascoli: io, la mia patria, o dove si vive. Anacoluto: rappresenta costrutti che presentano un'interruzione, una sconnessione sintattica che lascia incompiuto il costrutto d'apertura. Dislocazione a destra: altro costrutto, meno frequente, dovuto ad una maggiore informalit diafasica; apparentemente il contrario: LA voglio chiusa, la finestra, e consiste nel dislocare a destra il tema, anticipato da un pronome cataforico (che rinvia a ci che segue, a destra), ed preceduto da una breve pausa. Il complemento oggetto normalmente gi presente, gi noto nel dialogo (questo costrutto caratteristico della lingua parlata), e quindi consiste in un'aggiunta alla frase, che sarebbe comprensibile anche senza. Il costrutto presuppone una condivisione di conoscenze con l'interlocutore, e ha spesso tono colloquiale. [Queste dislocazioni sono cos dette perch graficamente si trovano a sinistra e destra ( lampante nello scritto), ma sono fenomeni tipici della lingua parlata.]
44 Frase scissa: quando l'accentuazione enfatica converge sul rema, si ricorre ad essa. Ad esempio sono i banchi che sono nuovi: si isola l'informazione nuova a sinistra. costituita da una prima unit frasale contenente il verbo essere e l'elemento focalizzato (rema) e una seconda proposizione, pseudorelativa, in cui si richiama un'informazione in parte presupposta (tema). c.d. perch suddivide l'informazione in due blocchi distinti, supplendo alla mancanza di pianificazione del parlato; stata stigmatizzata per lungo tempo perch individuata come un costrutto francesizzante, ma data la sempre maggiore importanza dell'oralit, si ormai affermata nell'italiano contemporaneo. Ha il fine di evidenziare l'elemento nuovo, ma anche di spezzare il contenuto, e di mantenere la continuit referenziale con il discorso precedente. Solitamente l'elemento focalizzato un nome o pronome. Le pseudoscisse invece presentano nella prima parte il tema [quello che non capisco perch ti comporti cos], e sono composte da un elemento introduttore che+verbo base+copula+costituente focalizzato. Una particolare frase scissa : C' presentativo: c' Fabio che ti vuole al telefono; un costrutto che non presenta elementi noti, ma che ha il fine di marcare il soggetto e spezzare l'informazione in due momenti distinti e pi semplici. Presenta la struttura c'+che. Meno diffuso il costrutto col verbo avere [ho la testa che mi scoppia]. LESSICO llll
ELEMENTI DI TESTUALITA'
TESTO E TIPOLOGIE TESTUALI I REQUISITI DEL TESTO LA LINGUA E IL CONTESTO EXTRALINGUISTICO