Linguistica Generale e Glottologia

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Trascrizione appunti delle lezioni del corso “Linguistica

generale e glottologia”

Indice lezioni:

Variazione sociolinguistica
L’architettura della lingua: variazione diamesica, diafasica, diastratica
Variazione diacronica e mutamento linguistico
Variazione diatopica
Il repertorio linguistico dell’italiano
Lingua e dialetto

Classificazione delle lingue

Classificazione delle lingue del mondo

Parametri extralinguistici

Parametri linguistici

Lingua e linguaggio
Definizione di lingua e linguaggio
Proprietà della lingua

Fonetica e fonologia
Fono e fonema
IPA (International Phonetic Alphabet)
Tratti segmentali 
Tratti soprasegmentali

Morfologia
I morfemi
Il processo di flessione, derivazione, composizione

Sintassi
I costituenti sintagmatici
La struttura argomentale
Le funzioni sintattiche e i ruoli tematici
Tipi di frase

Testualità
Oltre la frase: testo, anafora e deissi

Pragmatica
Struttura dell’informazione: topic/comment
Ordini sintattici marcati
Gli atti linguistici e la presupposizione
Analisi della conversazione
Turno
Alternanza di turno
Le coppie adiacenti
Le strategie di rimedio

Lessico e semantica
Lessema e parola
Le relazioni semantiche tra lessemi
Analisi semantica componenziale
Le categorie prototipiche

Lezione 1; 1.1

Variazione Sociolinguistica:

Cos’è la variazione linguistica?


Trattasi della presenza di differenti forme di lingua nell’ambito della comunicazione
di una specifica lingua.
La lingua è infatti un sistema articolato al suo interno da una moltitudine di varietà
di lingua, originate dai differenti contesti sociali ove la lingua viene utilizzata. Risulta
dunque chiaro di come la società abbia effettivamente un’evidente ricaduta sulla
lingua.

La domanda risulta dunque lecita: “Quante e quali tipologie di italiano


esistono?”. /citando Pirandello, “Una, nessuna o centomila?”/.

Ecco qui delle frasi dalle quali è possibile dedurre alcune varietà della lingua italiana:

A. L’esemplare di “Felis catus” insegue l’esemplare di “Mus musculus”

Questa viene definita “varietà accademico scientifica”.


Risulta semplice individuarla poiché vengono adottati termini aulici usati solamente
dagli studiosi di un determinato ambito. Parole come “Felis catus” e “Mus musculus”
sono facilmente intuibili come appartenenti ad una realtà di tipo accademico e il
loro uso è di conseguenza limitato a quella sfera.

B. Il felino domestico insegue il piccolo roditore

Questa varietà viene invece definita “letteraria”. Ci risulta decisamente di più facile
comprensione rispetto a quella “accademico scientifica”, ma non è ancora quella più
usuale, che utilizzeremmo quotidianamente.
C. Il gatto rincorre il topo

In questo caso trattasi invece della varietà per così dire “normalizzata”, quella che in
gergo viene etichettata come “standard”. Essa viene insegnata a scuola e come
lingua straniera a chi vuole imparare l’italiano.

D.Il gato ci core dietro al topo/la gatta rincorre al sorcio


Ci troviamo invece ora dinnanzi ad una varietà popolare, ove l’influenza della varietà
regionale della lingua è molto forte. La frase: “Il gato ci core dietro al topo” è
ovviamente fortemente influenzata dalle varietà settentrionali dell’italiano, che
tendono, per esempio, a rimuovere le doppie ove necessario ( ad esempio nel caso
di “gato”). Abbastanza evidente è anche l’utilizzo di una forma verbale quale “correre
dietro” che è fortemente influenzata dalla varietà regionale settentrionale. La
seconda frase invece “la gatta rincorre al sorcio” è evidentemente influenzata dalla
varietà regionale meridionale. Ce lo fanno intuire la presenza di termini come
“sorcio”, tipici del centro-sud Italia.

E.Il micio corre dietro al topolino

Trattasi di una versione oserei dire più “infantile”, vista la presenza di termini come
“micio” e del diminutivo di topo, ossia “topolino”.
Definiamo questa varietà come “informale”.

F.Il baffone tampina il topastro


Questa è invece una varietà più “creativa”, tipica dei fumetti e delle vignette per
esempio. Essa viene definita come “gergale”, poiché solo un piccolo sottoinsieme di
parlanti lo utilizza.

Varietà:
A Accademico-scientifica
B Letteraria
C Standard
D Popolare
E Informale
F Gergale
Le varietà linguistiche sono dunque differenti varietà della medesima lingua; esse
differiscono tra loro poiché utilizzate in differenti contesti comunicativi.

Lezione 2; 1.2

La sociolinguistica è la branca della linguistica che si occupa del rapporto lingua e


società.

L’esemplare
Varietà di felis
accademico catus…
scientifica

Assi grafici
Al loro interno vengono
collocate e collegate le
differenti varietà di
lingua.

Il baffone
tampina…

Varietà
gergale

D.F: Varietà di lingua:


Le varietà di lingua rappresentano un insieme di forme linguistiche che, ai
vari livelli d’analisi (livello fonetico, morfologico…) tendono a presentarsi
in concomitanza con determinate caratteristiche della società, dei suoi
membri e delle situazioni in cui agiscono.

Proviamo a comprendere realmente questa definizione:


Per esempio, la varietà accademico scientifica della lingua italiana si presenta in
concomitanza di certe caratteristiche sociali degli interlocutori o in base alla
situazione in cui avviene il dialogo. Ad esempio, utilizzo la varietà accademico
scientifica ad un congresso scientifico, situazione peculiare che mi permette di
attingere ad una particolar varietà dell’italiano.

Attenzione però! Il termine “varietà accademico scientifica” è volutamente vago.


Infatti, non esiste solamente una tipologia di varietà accademico scientifica, esistono
invece delle “sotto-varietà”. La sotto-varietà accademico scientifica della matematica,
avrà terminologie differenti dalla sotto-varietà accademico scientifica della
geografia, della sociologia o della logica.

Tra una varietà di lingua e l’altra a variare sono le cosiddette “varianti”.

D.F. Variante
Varianti sono quegli elementi linguistici che variano da una varietà di
lingua all’altra.

Ad esempio, nelle frasi viste nella lezione precedente, la parola “gatto” è senz’ombra
di dubbio una variante, poiché è un elemento che è variato da una varietà
dell’italiano all’altra.
Micio; Baffone; Felis-catus; Gatto; Felino…
Abbiamo preso in analisi un sostantivo come elemento variante, ovviamente però
possono essere varianti tutte le parti del discorso (verbi, avverbi, preposizioni…).

D.F. Variabile
Si identificano con il termine “variabile” quei fattori extralinguistici che
determinano la variazione, vale a dire la differenza tra la varietà utilizzata
e quella standard di riferimento.

Per esempio, decido di utilizzare la varietà accademico-scientifica piuttosto che


quella gergale poiché influenzato da alcune variabili, vale a dire da alcuni elementi
extra-linguistici. Utilizzo, ad esempio, la varietà scientifica perché la variabile del
contesto (un congresso scientifico per esempio) me lo impone. O ancora scelgo di
utilizzare la varietà standard piuttosto che quella informale con uno sconosciuto per
chiedere indicazioni, poiché il basso livello di confidenza me lo consiglia caldamente.

In linea di massima troviamo 5 grandi tipologie di variabili:


1) Il contesto comunicativo e il suo livello di formalità (legato alla
confidenza vigente fra gli interlocutori, allo scopo della comunicazione e
al contenuto di quest’ultima).
2) I parlanti e le loro caratteristiche (demografiche, socio-culturali…)
3) Il canale utilizzato per la comunicazione (la comunicazione differisce
infatti significativamente se “vis a vis” o al telefono, o addirittura tramite
la chat di un social network).
4) Lo spazio (vale a dire l’area geografica di provenienza dei parlanti)
5) Il tempo (ossia l’epoca storica in cui i parlanti vivono)

La variazione è graduale, infatti gli assi sono dei


“continua”, ergo non rappresentano una
divisione netta. Tra rappresentazioni vicine c’è
infatti una certa fluidità. Questo significa che le
varietà contigue all’interno di questa
rappresentazione, non sono totalmente distinte
ma possono condividere alcune varianti, proprio
a mero livello terminologico.
(ad esempio, la parola “esplicativo” è comune a
più varietà dell’italiano).

Dunque, 2 varietà saranno


contigue se condivideranno
determinate varianti.

Variazione D.F.

Con variazione si intende la differenziazione di una lingua in


differenti situazioni al variare delle variabili, ossia dei fattori
extralinguistici.

La variazione è come se fosse la specifica abilità da parte di una lingua di


adattarsi al continuo cambiamento delle variabili, utilizzando perciò la
corretta varietà di lingua a seconda della situazione.
Sono state individuate 5 tipologie differenti di variazione:
attraverso la loro influenza la lingua si adatta e cambia varietà da
utilizzare.

1) Variazione diastratica: legata ai parlanti e alle loro


caratteristiche socio-economico-culturali.
2) Variazione diafasica: legata al contesto comunicativo, che può
essere più o meno formale.
3) Variazione diamesica: legata al canale utilizzato mentre si parla
(parlato, scritto)
4) Variazione diatopica: legata all’area geografica di provenienza
dei parlanti
5) Variazione diacronica: legata ad una serie di fenomeni
linguistici di mutamento che si verificano nel corso del tempo.

La variazione diamesica:

Diamesia: variazione legata al canale di


comunicazione e alle differenze di
elaborazione del messaggio linguisitico
(tempo e modalità di elaborazione,
sincronia/asincronia fra gli interlocutori,
condivisione del contesto…).

scritto parlato

Ma perché il canale di comunicazione è così essenziale ed è in grado di determinare


una variazione, facendo si che il soggetto si adatti utilizzando una differente varietà
di lingua?
Pensiamo molto banalmente ad una situazione di dialogo sincrono con condivisione
del contesto spaziale. In tale occasione avrò la possibilità di indicare oggetti o
direzioni senza necessariamente avvalermi di riferimenti verbali. Se invece questa
comunicazione avviene per messaggio scritto, ergo in asincronia, non potrò
ovviamente avvalermi di questi sostegni durante la comunicazione. Ergo la selezione
del canale di comunicazione è essenziale poiché andrà ad influenzare notevolmente
la nostra effettiva comunicazione.

Scritto Parlato
Più formale Più informale
del parlato dello scritto
Esempio di scritto informale:

Testo informale:

1) Assenza di punteggiatura
2) “un bel po’ di aria”
3) “mooolto”
4) “portato su”
5) Numerose ripetizioni

Esempio di parlato informale (fedelmente riportato in modo scritto):

1P06 ora ho appena visto un video in cui parla che si vede subito<oo> si nota subito
una ragazza <sp> che <sp> passeggiando per la via della città <sp> nota una
vetrina <sp> dove all’interno della vetrina ci sono<oo> <eh> <sp> delle<ee> <lp>
delle pagnotte <sp> // e proprio in quel momento <ride> <si schiarisce la voce>
<lp> il titolare del+ di quella panetteria <sp> stava scaricando il pane <sp> stava
importando il pane <sp> e mentre<ee> stava importando il pane però ha rimasto la
porta<aa> del furgone aperto <sp> <ehm> <sp> // questa ragazza <sp> <eh> ne
approfittò e ne ne prese un pezzo e se ne scappò <sp>.

Cosa si evince da questo esempio di parlato informale?


Comprendiamo come l’assenza di tempo materiale per pianificare il messaggio
influenzi fortemente la riuscita finale del dialogo. Infatti, nel parlato, a differenza
dello scritto, troviamo la presenza di allungamenti, pause, riempitivi, colpi di
epiglottide per schiarire la voce e guadagnare tempo per pianificare al meglio il
messaggio…

Riportiamo ora la varietà scritta, del medesimo episodio, raccontato dallo


stesso parlante:

1P06 Nel video che abbiamo visto, si notava subito una signora che stava
passeggiando in una via, la signora vide una vetrina e si affacciò, all'interno della
vetrina vi erano pagnotte di pane, proprio in quel momento il titolare del negozio
stava importando il pane dal furgone e la signora vide il furgone aperto e si prese un
pezzo di pane e se ne scappo

Tralasciando la presenza di evidenti errori grammaticali, questi dovuti all’età ancora


scolastica dei parlanti, è interessante osservare di come, a differenza della varietà
parlata, non vi sono pause, riempitivi, ripetizioni, allungamento delle vocali finali…
Questo perché la narrazione dell’episodio non avviene in sincronia, bensì in
asincronia. Ergo, il soggetto, ha più tempo per elaborare in maniera coerente il
proprio pensiero e rendendolo sicuramente più comprensibile. Non solo troviamo
l’assenza di riempitivi, ma osserviamo anche che la consecutio temporum è ora
rispettata e inoltre vengono utilizzati numerosi connettivi, al fine di rendere il
discorso più coeso. Troviamo inoltre la presenza della punteggiatura, connotato
tipico della varietà parlata.
In linea di massima la differenza principale e sostanziale tra l’elaborazione di un
messaggio in modalità sincrona (online) e asincrona (offline) è il tempo di
elaborazione del messaggio, che sarà più o meno serrato. Tutto ciò determina
differenze linguistiche, tra una modalità e l’altra, che vengono denominate correlati
funzionali, poiché correlati al buon funzionamento del messaggio.

Lezione 3; 1.3
Proseguiamo ora con l’analisi della variazione diamesica, ossia di come si influenza la
lingua in base al canale che viene utilizzato per produrla.

La componente “offline” e i tempi di elaborazione poco rapidi fanno si che lo scritto


risulti in linea di massima più complesso a livello sintattico rispetto all’orale. Domina
infatti l’ipotassi con le sue numerose subordinate. Ma non solo, lo scritto è anche
morfologicamente più complesso, infatti vengono spesso utilizzate forme nominali e
verbali decisamente più elaborate con rispetto a quelle tipiche del parlato. Comune
è difatti l’uso di congiuntivi, futuri anteriori, passati remoti ma anche
nominalizzazione: tutte forme richiedenti un’elaborazione cognitiva decisamente
elevate, richiedente, per forza di cose, un cospicuo lasso di tempo.
La varietà scritta si caratterizza inoltre per una maggiore complessità testuale.
Esempi efficaci possono essere i paragrafi o i capoversi, cui compito è articolare in
maniera più efficace il discorso. Questa particolare struttura presuppone ovviamente
la presenza di connettivi, solitamente assenti all’interno delle varianti parlate, cui
compito è collegare i vari paragrafi e rendere il testo più armonico. La varietà scritta
presenta anche una maggior densità semantica; vengono infatti utilizzate meno
parole rispetto alla varietà parlata, ma più dense di significato. Ad esempio, se
oralmente preferiamo di norma utilizzare il termine “spostarsi” data la sua
immediatezza e generalità, prediligiamo invece per la varietà scritta un termine più
circoscritto e attinente alla nostra azione reale. Per esempio, se ci mossi a piedi,
utilizzeremo il termine “camminare”. Tutto ciò è possibile perché ho il tempo
materiale di effettuare una selezione lessicale.

Al contrario, la varietà parlata è invece caratterizzata da una minore complessità


sintattica e testuale, proprio perché la comunicazione avviene “online” ed il tempo di
elaborazione del messaggio è decisamente ridotto. Morfologicamente la
complessità diminuisce, si utilizzano forme verbali più comuni, poiché
istantaneamente reperibili, dato dobbiamo ricordarci che i soggetti si ritrovano in
sincronia tra di loro. Da un punto di vista lessicale osserviamo una minor densità
semantica: si prediligono parole generiche, meno specifiche. In questo caso si parla
di “strategia diluita”.

Questo esempio illustra chiaramente questa strategia e le sue funzioni:

Varietà parlata:
1P13 però lui si cerca di nascondere dentro a un tombino <sp> però<òò> lo
vedono se lo prendono e lo portano<oo> in prigione

Varietà scritta:
1P13 Lui fugge e cerca di nascondersi in un tombino ma la polizia lo vede e lo
arresta.

Come si evince da questi 2 esempi, la varietà scritta è stata in grado di riassumere,


in una sola parola, la medesima informazione che la varietà parlata aveva
diluito in ben otto. Ovviamente la strategia diluita è funzionale al contesto:
non abbiamo il tempo d’elaborazione necessario a ricercare sempre il termine
adeguato, ergo diluiamo l’informazione articolando il nostro pensiero
attraverso l’utilizzo di più parole dalla connotazione decisamente più generica.
Tempo e modalità d’elaborazione del messaggio determinano anche tanto altro.
Ad esempio, nella varietà parlato, tempi stretti e conversazione “online”
determinano frequenti ripetizioni e frequenti “riferimenti anaforici pieni”
(quando ripeto spesso il nome del protagonista del racconto per rimarcarne il
suo ruolo all’interno della narrazione).
Tutti queste peculiarità della lingua, parlato o scritta che sia, hanno la medesima
finalità: offrire, in qualunque condizione, offline o online, scritto o parlato, la
miglior comprensione possibile del messaggio da parte di colui che lo riceve.
La varietà scritta è invece ricca di sinonimi, questo perché vi è più tempo anche per
revisionare il proprio prodotto ed osservare se un termine fosse già stato
utilizzato in precedenza.

L’esempio ci fa comprendere al meglio quest’ultimo concetto:

Varietà parlata
3P01 nel mio video c’è un personaggio che parte da un ospedale e si sta in questo
ospedale che sta uscendo poi… ehm ehm esce appunto da questo ospedale […]

Varietà scritta
3P01 All’inizio del video c’è un uomo che si trova in un ospedale ed è
in procinto di andarsene […]
Risulta evidente come all’interno della varietà parlata vi sia la presenza di costanti
ripetizioni che, in quella scritta, scompaiono, lasciando posto al pronome ne.

Un’altra differenza extralinguistica è, che nel parlato, si può far riferimento al tempo
condiviso (oggi; domani; tre giorni fa; dopo…) poiché si condivide il medesimo
contesto temporale. Tutto ciò non è invece possibile per quanto riguarda lo scritto
(chat sincrone escluse), dato che ci si ritrova in asincronia tra interlocutori.
Nel parlato è anche possibile effettuare riferimenti al contesto spaziale se condiviso
(per esempio non se mi trovo al telefono o su una riunione Zoom).
Gli interlocutori che condividono il medesimo contesto spaziale potranno avvalersi
dunque di espressioni come “qua sotto” o “laggiù”, che sarebbero invece
completamente prive di senso se utilizzate in modalità scritta.
Condividendo il medesimo contesto spaziale si delineano meglio i ruoli degli
interlocutori, ossia chi proferisce il messaggio e chi invece lo ascolta, quindi sarà
sicuramente più comune l’utilizzo dei pronomi personali “io”,” tu” e “noi”.
Le forme appena introdotte (io; tu; qua; laggiù…) vengono definiti deittici, dal greco
indicare. Essi sono elementi linguistici che indicano una determinata realtà extra-
linguistica, poiché condivisa tra destinatario e diffusore del messaggio.
/esempio del cartello “torno subito”, i clienti sono spesso disorientati poiché non
possiedono le informazioni necessarie per dedurre quando effettivamente il
commerciante tornerà. Questo perché il commerciante ha utilizzato un deittico
(subito) che presuppone la condivisione del tempo per interlocutori che in realtà
non lo condividono/.

Quanto appena descritto non riguarda la varietà scritta. Deittici, impliciti ed allusioni
non sono efficaci nello scritto, eccezion fatta per i giornali. Nei quotidiani assistiamo
infatti ad una ricreazione artificiale della condivisione del tempo tra scrittore e
giornalista. Per questo motivo, quando in un articolo si legge il deittico: “oggi”, il
lettore comprende che il giornalista sta facendo riferimento al giorno in cui il
quotidiano è stato pubblicato.

Nel parlato si fa spesso riferimento a canali di comunicazione non verbale, come ad


esempio la cinesica, che consiste in una serie di movimenti cui obiettivo è
accompagnare la comunicazione (gesti, mimica facciale…). Ad esempio, se diciamo
un qualcosa di ironico, la mimica facciale risulta essere essenziale, così come lo è
anche il tono di voce. Quest’ultimo non rientra però nella cinesica, quanto più nella
prosodia, ovviamente presente solo nel parlato. Anche la prossemica, vale a dire
l’utilizzo delle distanze spaziali fra interlocutori, è tipica della varietà parlata ed
influenza il nostro modo di comunicare.
N.B.
Le emoticon sono invece un tentativo da parte della varietà scritta, di portare la
cinesica nello scritto, rendendo così possibile esprimere determinati concetti anche
nello scritto, con la medesima o simile efficacia di come sarebbero stati espressi
oralmente.

Oggigiorno risulta banalizzante ridurre la comunicazione alle due sole varietà scritto
e parlato. Esistono infatti modi di comunicare che intrecciano questi 2 canali: varietà
scritte con caratteristiche extralinguistiche del parlato (come la sincronia tra
interlocutori) oppure situazioni di parlato in asincronia rispetto alla pianificazione del
testo, il che offre ai parlanti una pianificazione che porta ad una maggiore
complessità linguistica (ad esempio il parlato recitato).
Vediamo le varietà scritte all’interno dell’asse diamesico (ricordiamo che trattasi di
un continua, ergo la variazione è graduale, tanto più marcato quanto più le varietà si
trovano distanti lungo il continua).
/piccolo off topic: i gesti non sono segni, i segni sono gesti a cui sono affiancati dei
significati, ergo la lingua dei segni è una lingua totalmente a sé/.
Documenti Chat
ufficiali

Scritto E-mail Parlato

Documenti ufficiali:
Ovviamente gli interlocutori si trovano fra loro in completa asincronia. Proprio
per questo motivo, il tempo di pianificazione e di effettiva elaborazione del
messaggio risultano essere particolarmente elevati. Vi è inoltre la possibilità di
effettuare più e più cicli di revisione, in modo che il testo possa risultare il più
coeso possibile e di immediata comprensione; è anche un momento, quello
della revisione, per sostituire eventuali ripetizioni con adeguati sinonimi.

E-mail:
Anche in questo caso vi è asincronia tra gli interlocutori. Di conseguenza,
tempo di pianificazione e d’elaborazione del messaggio risultano essere
“offline”. Tuttavia, a seconda della situazione e dell’urgenza della mail tempo
di pianificazione, elaborazione e soprattutto revisione, possono risultare di
gran lunga inferiori rispetto a quelli dei documenti ufficiali.

Chat:
Nonostante siano a tutti gli effetti messaggi scritti, vi è sincronia fra gli
interlocutori; il destinatario attende infatti in tempo reale il messaggio del
mittente. Perciò, pianificazione ed elaborazione del messaggio sono
completamente “online”, quindi molto ristrette. Addirittura la revisione è
spesso del tutto assente, data la sincronia fra gli interlocutori. Conseguenze di
tutto ciò sono le emoticons (elementi paratestuali per veicolare informazioni
in modo rapido); frequenti ripetizioni; errori ortografici (spesso causati da
disattenzione dovuta all’eccessiva fretta nel comporre il messaggio);
punteggiatura alle volte assente; abbreviazioni (tt=tutto; pk=perché;
bn=bene…).
Osserviamo invece ora le varietà parlate all’interno dell’asse diamesico:

Parlato
trasmesso
Scritto Parlato Parlato Parlato
letto/recitato parlato

Parlato letto e parlato recitato:


In questo caso vi è ovviamente sincronia tra gli interlocutori, ma attenzione: la
pianificazione è offline. I teatranti non improvvisano, hanno un vero e proprio
copione da rispettare (sicuramente nel caso degli attori veri e propri), o comunque
un canovaccio solitamente abbastanza rigido da rispettare. Per questo motivo, il
produttore del messaggio può anche operare scelte complesse da un punto di vista
linguistico, proprio perché, nonostante il dialogo avvenga in sincronia;
pianificazione, elaborazione e revisione sono già avvenute in precedenza, ergo
“offline”. Questo vale a maggior ragione quando il parlante altro non deve fare che
leggere un messaggio scritto da lui in precedenza, con tutti i tempi di pianificazione,
elaborazione e revisione del caso.

Parlato trasmesso:
Vi è ovviamente sincronia tra gli interlocutori. La pianificazione avviene in parte
offline e in parte online: gli speaker radiofonici, gli streamer di Twitch… sanno, bene
o male, di cosa andranno a parlare e i punti nevralgici del discorso che
affronteranno. Ovviamente il dialogo non sarà riprodotto in modo del tutto fedele,
per questo motivo trattasi di una sorta di ibrido, caratterizzato da una preparazione
in parte offline e in parte online.

Parlato parlato:
Chiaramente vi è sincronia tra gli interlocutori. Pianificazione, elaborazione e
revisione sono completamente online, ergo i tempi sono altamente serrati.
La variazione diastratica:

Italiano colto
Utilizzato dal ceto intellettuale; un
suo utilizzo richiede un elevato
livello d’istruzione, poiché la varietà
utilizzata non solo dovrà essere
grammaticalmente impeccabile, ma
anche ricca di forme complesse ed
inusuali.
Utilizzato dal ceto semi-colto. I
suoi parlanti sono caratterizzati da
un basso livello d’istruzione e
spesso riproducono forme
grammaticalmente incorrette, del
tipo “c’ho fame”. Queste forme
vengono poi socialmente
stigmatizzate come forme di bassa Italiano popolare
connotazione sociale.

La diastratia è la variazione legata a fattori di tipo sociale, come lo status sociale ed


economico del parlante, il suo livello di istruzione, la sua professione, il suo sesso,
l’età… questo perché la lingua varia in base a tutti questi fattori, viene da essi
dunque largamente influenzata.

Vediamo ora un esempio di varietà scritta di italiano popolare risalente al 1948.


Lo scarso livello d’istruzione di
colei che ha prodotto il messaggio è
assai evidente. Il testo è infatti
caratterizzato da povertà sintattica
(sono assenti congiunzioni e
preposizioni, ne risulta un testo
poco coeso e chiaro). Assenza
totale di punteggiatura. Utilizzo
dell’incorretta forma “io
stottoscritta” al posto di “io
sottoscritto”.

Italiano
colto

Italiano
giovanile

Italiano
popolare
La varietà giovanile è una sorta di ibrido tra la varietà colta e quella popolare, per
questa motivazione la poniamo al centro dell’asse diastratico. Tipiche della varietà
giovanile sono le neoformazioni lessicali. Ad esempio, la parola sfiga, cui significato
è sfortuna, altro non è che una neoformazione lessicale. Molte innovazioni lessicali
hanno spesso vita breve, e vengono utilizzate solamente per un limitato lasso di
tempo, come ad esempio i termini “swattare” o “gino”, in voga negli anni ’80 ma
oramai definitivamente scomparse dall’uso comune. Caratteristica peculiare della
varietà giovanile è anche il prestito di parole ed espressioni da altre lingue straniere,
come ad esempio “selfie” dall’inglese, oramai entrato nel linguaggio comune.
Sempre tipici di questa varietà sono anche i prestiti dai dialetti, come il termine
“ciospa” preso in prestito da alcuni dialetti settentrionali per indicare una ragazza
particolarmente brutta. Sono peculiari anche i prestiti da altre varietà dell’italiano,
come i termini “sapiens” e “fossile”, appartenenti originariamente ad una varietà
accademico scientifica dell’italiano, ma utilizzati in modo ironico dall’italiano
giovanile per indicare una persona anziana e poco all’avanguardia. Ma non solo, la
varietà dell’italiano giovanile fa spesso uso di termini gergali e volgari per rimarcare
l’espressività dell’esclamazione (ad esempio fi’). Molto più raro è invece che si
vengano ad instaurare delle vere e proprie regole morfologiche autonome, come ad
esempio il “verlan”, varietà giovanile del francese in voga nelle periferie delle grandi
città, dotata di vere e proprie regole, consistenti, basicamente, nell’inversione della
struttura sillabica classica. Ad esempio, la parola “merci” in verlan diviene “cimer”, o
la parola “maison” diviene “sonmai”. In Italia un qualcosa di veramente simile è il
riocontra, sviluppatosi nelle periferie milanesi intorno agli anni ’70 e tutt’oggi
utilizzato dalla scena hip hop underground milanese.
In linea di massima, nella varietà giovanile, si preferiscono, a mero livello pragmatico,
varianti più informali. Ad esempio, si utilizza “ciao” al posto di “salve” per salutare, e
si tende a dare del tu piuttosto che del lei.

Lezione 4; 1.4

La variazione diastratica, come già osservato, è dovuta alle caratteristiche dei


parlanti, come ad esempio il loro genere. Non stiamo parlando ovviamente delle
evidenti differenze fisiche tra uomo e donna, ma di come varia la lingua in base ai
costrutti sociali. In linea di massima gli uomini tendono ad usare più spesso la loro
varietà di dialetto. Si vengono dunque a creare veri e propri casi di “code mixing”,
poiché si passa da una varietà dell’italiano al dialetto, che è a tutti gli effetti una
lingua a sé.

N.B. Il code mixing è un fenomeno che può avvenire non necessariamente tra
italiano e dialetto, ma tra due lingue in generale.
Ergo il code mixing è un fenomeno prettamente maschile. Nelle donne vi è infatti la
tendenza ad essere più conformi alla varietà standard dell’italiano; utilizzano dunque
una varietà decisamente più sorvegliata degli uomini.
Il che significa meno messaggi prodotti in maniera eccessivamente spontanea, “di
petto”, preferendovi tempi di elaborazione maggiori e alto controllo, evitando
dunque di proferire disfemismi (termine utilizzato in linguistica per indicare le
parolacce).
Inoltre, le donne tendenzialmente utilizzano elementi connotativi, ossia che
esplicitano le emozioni del parlante rispetto a ciò che sta esprimendo. Per esempio,
verranno preferiti i diminutivi e vezzeggiativi di determinate parole alla loro forma
standard, o ancora verranno utilizzate forme di mitigazione pragmatiche come ad
esempio “vorrei”, “mi piacerebbe; l’obiettivo di queste complesse strategie è
ottenere un certo effetto sull’interlocutore. L’opposto della dimensione connotativa
è quella denotativa, vale a dire totalmente oggettiva, scevra da qualsivoglia influenza
emotiva, e questo non è un tipico modo di esprimersi femminile.

La variazione diafasica:
Italiano accademico-scientifico

Con il termine diafasia si intende una variazione


legata al contesto comunicativo, al suo grado di
formalità, alla confidenza tra gli interlocutori, allo
scopo e al contenuto dello scambio.

Italiano gergale

Analizziamo ora la varietà accademico-scientifica:


Essa viene utilizzata da parlanti esperti di una determinata disciplina. Lo scopo della
comunicazione è altamente professionale: si mira a informare o ad accrescere le
proprie conoscenze. Per questo motivo si utilizzano termini tecnici, presupponendo
che l’ascoltatore già li conosca, senza spiegarli. Ergo i termini utilizzati saranno assai
densi a livello semantico e monoreferenziali, poiché utilizzabili solo in quel
determinato ambito (proprio per questa motivazione è spesso scritta più che
parlata). Peculiarità linguistiche di questa varietà sono l’alta elaborazione e l’alto
controllo da parte dei parlanti, ma anche una sintassi assai complessa predominata
dall’ipotassi. Questo perché l’obiettivo è comunicare un ragionamento complesso ed
articolato in argomentazioni solitamente tra loro collegate in un rapporto di causa-
effetto.
Tipica della varietà accademico scientifica è la deagentivizzazione del messaggio,
ossia si tende a non riportare il soggetto, in modo che il messaggio possa acquistare
oggettività. Ciò è permesso dall’utilizzo di forme verbali impersonali, dai passivi e
dalle nominalizzazioni ossia il preferire nomi deverbali a verbi veri e propri. Il lessico
utilizzato è un lessico tecnico, caratterizzato dalla presenza di termini mono-
referenziali, ossia quei termini che hanno solamente un significato applicabile
unicamente in quello specifico contesto accademico-scientifico, offrendo così il
massimo numero di informazioni in modo obiettivo ed inequivocabile piuttosto che
con giri di parole, che possono invece risultare fuorvianti. L’intento monoreferenziale
è espresso attraverso un processo morfologico specifico, ossia quello della
suffissazione. I suffissi veicolano non solo l’appartenenza ad una certa categoria
(avverbi, sostantivi, verbi…) ma anche informazioni semantiche: aggiungono
specificità, in modo tale da risultare più precisi. Ad esempio, il suffisso “ico” in
chimica indica una soluzione acida o “ite” in medicina indica un’infiammazione.
Facciamo un banale esempio: il termine raffreddore è troppo generale, ergo non
può essere utilizzato in ambito medico, poiché occorre essere più precisi per
individuare con tempestività la sede dell’infezione. Gli si preferiranno forme come
rinite (se l’infiammazione si sviluppa nel naso), tracheite (infiammazione sviluppatasi
nella trachea) e ancora laringite, faringite…

raffreddore

tracheite

laringite

rinite faringite
In linea di massima, quando si utilizza una varietà accademico scientifica, si
preferiscono termini monoreferenziali a termini polisemici, in modo da risultare al
massimo precisi.
Passiamo ora, ad analizzare la varietà gergale. Essa si connota per l’estrema
informalità da parte dei parlanti, l’esatto opposto dunque della varietà accademico-
scientifica. Vengono predilette forme base e polisemiche; i messaggi sono prodotti
in modo spontaneo con basso tempo di pianificazione ed elaborazione del
messaggio. Spesso la varietà gergale di una lingua presenta peculiari caratteristiche
lessicali, morfologiche e sintattiche, cui intento è l’esclusione di coloro che non
fanno parte del gruppo di appartenenza. Questa particolare funzione prende il nome
di “finalità criptolalica”. Solitamente questo particolare processo viene applicato
da peculiari gruppi d’appartenenza, solitamente stigmatizzati e socialmente esclusi,
come i tossicodipendenti e i malavitosi. Si andrà dunque a creare un vero e proprio
“gergo della malavita”, così come un “gergo dei tossicodipendenti”, in modo che gli
appartenenti a codesti gruppi possano comunicare in sicurezza, senza rischiare di
farsi comprendere dal prossimo.

Vediamo insieme un’ulteriore varietà diafasica: l’italiano colloquiale

Trattasi di differenti registri/varietà


Italiano accademico-scientifico che variano al variare della formalità

Italiano burocratico

All’interno di ciascun
registro/varietà troviamo delle
microlingue, ossia differenti
sottocodici che variano al variare Italiano colloquiale
dei contenuti di settore. Es:
microlingua della matematica,
sottocodice dei malavitosi

Italiano gergale

Osserviamo ora la varietà diafasica dell’italiano colloquiale. Anch’essa, come la


varietà gergale, è altamente informale, tuttavia non ne condivide la finalità
criptolalica. L’informalità caratterizzante questa particolare varietà dell’italiano è
dovuta all’alto livello di confidenza presente tra gli interlocutori. Lo scopo
ovviamente non è professionale e i contenuti sono tutt’altro che specialistici, sono
semmai più leggeri. La varietà colloquiale è solitamente più tipica del parlato che
dello scritto, o al massimo viene utilizzata in alcune chat o e-mail particolarmente
informali.
Il ritmo dell’eloquio è molto veloce, infatti quest’ultimo è caratterizzato dalla
presenza di ipoarticolazione fonetica e di riduzione sillabica, che rendono la
comprensione del messaggio meno semplice.
Esempi di riduzione sillabica sono ad esempio gli accorciamenti morfologici; ad
esempio, utilizzare “sto” al posto di “questo”. Invece incorriamo in casi di
ipoarticolazione fonetica quando comprendiamo una parola perché la deduciamo
dal contesto, non tanto perché l’abbiamo effettivamente sentita foneticamente.
Tipiche di questa varietà dell’italiano sono le varianti lessicali meno standard, quali
“casino” al posto di confusione, e la tendenza a dare del tu piuttosto che del lei.
Come si può ben osservare all’interno del grafico vi è la presenza di un’ultima varietà
diafasica: l’italiano burocratico.
Ma la vera domanda è: ora che abbiamo analizzato le tre differenti tipologie di
variazione, dove collochiamo la varietà standard all’interno del grafico?
La risposta più ovvia sembrerebbe essere nell’origine degli assi, peccato che non sia
così. La varietà standard si trova in posizione centrale orientata verso il polo
diastratico dell’italiano colto, diamesico dello scritto e poco sotto l’italiano
burocratico, ergo formale, lungo il continua della diafasia

Italiano
standard

La variazione diacronica:

Le lingue del mondo possono essere studiate e classificate secondo una prospettiva
diacronica o sincronica.
Nel primo caso si considera il mutamento della lingua avvenuto nel corso del tempo.
Nel secondo caso invece non considero minimamente la variabile tempo e studio la
situazione contemporanea di una determinata lingua.
Ad esempio, gli assi che abbiamo analizzato sino ad ora contribuiscono ad una
descrizione sincronica dell’italiano.
Andiamo però ora ad analizzare dei cambiamenti all’interno della lingua seguendo
una prospettiva diacronica. Per esempio, i processi di grammaticalizzazione tengono
conto del mutamento della lingua nel corso del tempo. Attraverso i processi di
grammaticalizzazione, da più elementi lessicali se ne originano di grammaticali. Ad
esempio, il costrutto latino “agg+mente” (lenta mente) con cui si indicava come
veniva compiuta un’azione, è andato in contro ad un processo di
grammaticalizzazione, grazie al quale da dei meri elementi lessicali se ne sono
originati di grammaticali, in questo caso l’aggiunta del suffisso “-mente” risulta
essere la regola basilare per la formazione degli avverbi di modo nella lingua
italiana.
Un’altra tipologia di mutamento linguistico che tiene conto della variabile tempo è il
processo di lessicalizzazione, l’esatto opposto di quanto visto in precedenza: dalla
grammatica al lessico. Attenzione però: il collegamento tra la struttura grammaticale
antecedente e la nuova struttura lessicale non è improvvisato, ha spesso un
collegamento di tipo metaforico o metonimico.
Ad esempio, dalla struttura grammaticale “tirami su” si è giunti a denominare il
tipico dolce “tiramisù”. Trattasi in questo caso di un legame di tipo metaforico,
poiché il tiramisù, grazie alla sua dolcezza, risolleva il morale di chi lo mangia.

È interessante osservare un mutamento linguistico ancora in corso, ossia quello


semantico e sintattico relativo alla parola “tipo”

A. Hai visto il nuovo tipo di stivali della Camper?

B. A diciott’anni è permesso credere ancora all’amore, alla fedeltà, alla donna tipo.
(LIZ - G. Verga, Una peccatrice, 1866).

C. Mi piacciono i libri gialli tipo detective story.

D. P1: Ho dei problemi a partecipare.


P2: Tipo?

E. P1: Non riesco a capire che problemi ti fai per stasera


P2: Tipo... tipo... tipo che non so cosa mettermi
A) Tipo (funzione referenziale:
Indica un referente)
B) Tipo (funzione descrittiva)
C) Tipo (funzione esplicativa)
D) Tipo (funzione interrogativa)
E) Tipo (funzione interazionale)

Sul vocabolario sono codificate solamente A e B, le altre sono considerate ancora delle
innovazioni in rapida fase d’assestamento nell’uso comune.
Ciò che abbiamo visto sino ad ora sono dei mutamenti linguistici. Ma da un punto di vista
diacronico si può andare in contro anche a mutamenti semantici.
Il mutamento semantico può seguire direzioni tra loro differenti. Un caso è ad esempio
l’allargamento del significato di una parola semanticamente estremamente densa e specifica,
a una descrizione più ampia.
Esempio:
In latino il termine “domina” era semanticamente assai specifico, poiché indicava
esclusivamente la padrona di casa. In italiano invece il termine da esso derivante, ossia
donna, ha notevolmente ampliato il proprio campo semantico, poiché non specifica
unicamente la padrona di casa come in latina, bensì indica ogni essere umano di sesso
femminile. Questo fenomeno prende il nome di
generalizzazione semantica.
Nulla vieta che possa avvenire anche il processo diametralmente opposto, vale a dire la
specializzazione semantica. Ad esempio, in latino il termine domus stava ad indicare la casa
in generale. Il termine italiano da esso derivato, vale a dire duomo, è andato incontro ad un
processo di specializzazione semantica; poiché il termine duomo non si riferisce ad una casa
in generale, bensì alla casa del Signore.

Il mutamento semantico può avvenire anche per metafora. Per comprendere al meglio questo
concetto osserviamo il molteplice mutamento semantico del sostantivo latino caput (testa)
nel corso dei secoli

metafora metafora
Caput

Capo come primo elemento di un Capo come estremità superiore:


insieme:

Es: vado d’accordo con il mio Es: Capodanno; Capo Nord…


capo.

generalizzazione generalizzazione

Capo come elemento di un Capo come estremità:


insieme:
Un’altra tipologia di mutamento linguistico è quello dell’analogia. Trattasi di un
mutamento che porta alla realizzazione di innovazioni inizialmente etichettate come
errori ma poi integrate nella lingua poiché funzionali alla comunicazione.
Esempio:

Teoricamente, il superlativo di aspro sarebbe asperrimo, trattasi infatti di


un’eccezione alla regola classica che prevede l’aggiunta del suffisso -issimo per la
formazione del superlativo. In realtà però questa forma è oramai desueta, gli si
preferisce infatti la forma “asprissimo”, che segue la regola classica per la formazione
del superlativo ed è dunque più funzionale alla comunicazione. In principio dunque
questa forma veniva individuata come errore; ma nel tempo, poiché utilizzata dalla
maggior parte delle persone, è stata accettata al punto da soppiantare lo forma
antecedente ormai caduta in disuso.

Stesso principio è stato seguito per l’evoluzione del plurale della parola pomodoro.
Trattasi di una parola composta da pomo e d’oro. La regola classica per la
formazione del plurale delle parole composte prevede che la seconda parola della
composta rimanga invariata al plurale. Ergo il plurale di pomodoro risulterebbe
essere pomidoro. Questa forma era in voga in passato. Tuttavia, nel corso del tempo,
la forma plurale che oggi tutti conosciamo, ossia pomodori, ha assunto rilievo, sino a
divenire la forma corretta scalzando l’antecedente e oramai obsoleta forma
pomidoro. Il plurale “pomodori” segue la forma classica della formazione del plurale
per i sostantivi maschili (ragazzo-ragazzi; tavolo-tavoli…), risulta dunque più
funzionale alla comunicazione.

Lezione 5; 1.5
Ricapitoliamo dunque quanto analizzato nell’ultima lezione.

L’analogia consiste in un processo di creazione di nuovi elementi linguistici


attraverso l’estensione di una regola morfologica frequente anche alle “eccezioni”.
L’analogia è un processo chiave del mutamento linguistico, cui obiettivo è costituire
una lingua sempre più simmetrica e con meno eccezioni, in modo tale che possa
risultare più funzionale alla comunicazione.
Quello dell’analogia è un fenomeno frequente negli stadi iniziali dell’interlingua,
ossia la lingua parlata da chi sta tentando di imparare un determinato codice
linguistico, che sia esso la sua futura lingua madre o una seconda lingua per
arricchire le proprie conoscenze. L’apprendente applica in modo intuitivo la regola
generale, pensando vada sempre bene, ignaro dunque della presenza di eventuali
eccezioni alla regola. Nell’interlingua queste forme analogiche vengono poi
superate, ed è proprio obiettivo dell’apprendente accrescere le proprie conoscenze
ed imparare dunque le eccezioni.
/si supera la forma analogica “fratella” apprendendo il termine “sorella”, ossia
un’eccezione alla regola standard/.
Ma anche i parlanti possono ricorrere a processi analogici, come abbiamo visto nel
caso del plurale della parola pomodoro, passato da esser “pomidoro” all’attuale
“pomodori”. Sicuramente, in principio, il plurale “pomodori” veniva etichettato come
errore. Man mano però, nel corso del tempo, ha ricevuto consenso da parte dei
parlanti stessi, poiché l’hanno reputato funzionale alla comunicazione; si è dunque
assestato ed ha finito per sostituire definitivamente il plurale “pomidoro”.

Andiamo ora ad analizzare un altro mutamento linguistico:

Il processo di rianalisi

La rianalisi è un processo di creazione di nuove forme tramite la “reinterpretazione”


di una parola o di un costrutto complessi.

Vediamo un esempio pratico per comprendere al meglio questa definizione:

La formazione del passato prossimo nelle nuove lingue romanze, rispetto al latino, è
andata incontro ad un processo di rianalisi, vale a dire ad una reinterpretazione del
valore semantico e del comportamento sintattico.

Si è passati infatti da:

“habeo epistulam scriptam”

Habeo: valore semantico pieno, inteso come possedere, avere in mano qualcosa.
Scriptam: participio passato, ha il ruolo di modificare l’oggetto, quasi come se fosse
un aggettivo. È infatti concordato con l’oggetto a cui si riferisce (epistulam-
scriptam).
a:

“ho scritto una lettera”


Ho: Perde il valore semantico pieno che possedeva in passato, è invece ausiliare, non
indica un’azione, segnala solamente che c’è una forma verbale.
Scritto: Scompare definitivamente l’accordo con l’oggetto.
Il cambiamento apportato dal processo di rianalisi risulta essere sia a livello
semantico che sintattico.
Altro mutamento diacronico è sicuramente la ristrutturazione di un campo
semantico tramite la sua espansione/riduzione.
/prima di procedere è sicuramente utile rinfrescare la memoria su cosa sia
effettivamente un campo semantico. Trattasi di un insieme di parole che rientrano
in uno specifico spazio semantico. Esiste per esempio un campo semantico degli
oggetti della casa, degli animali da compagnia, degli agrumi mediterranei…/.

I campi semantici possono rimanere immutati o variare poiché ne vengono


rianalizzati i tratti semantici, in un’ottica che può essere di semplificazione o di
arricchimento.

Esempio:

Latino Italiano:
Ater= nero opaco nero= sia opaco che brillante
Niger= nero brillante
Albus= bianco opaco
Candidus= bianco brillante bianco= sia opaco che
brillante

È stata apportata un’evidente modifica al campo semantico, attraverso la riduzione


del numero di tratti semantici rilevanti per la comunicazione

Per un latino risultava infatti utile distinguere tra nero opaco e brillante, per un
italiano semplicemente no. Per questo motivo il significato delle parole perse è stato
incorporato nella semantica di parole rimaste nel lessico che hanno espanso il loro
significato. In altre parole, hanno ora il potere di far riferimento a più referenti della
realtà.
Giusto per ripassare un poco… il mutamento semantico altro non è che una
sottocategoria del mutamento linguistico a livello diacronico, così come lo sono i
mutamenti morfologici e fonetici.
L’analogia è a livello morfologico, la rianalisi può avvenire a vari livelli, sia
morfosintattico (come nel caso del passato prossimo), che a livello pragmatico e
lessicale.
Analizziamo ora un’altra tipologia di mutamento linguistico:

la parentimologia (o etimologia popolare).

Trattasi di un processo di risemantizzazione di una parola per renderla più


trasparente tramite l’avvicinamento ad una parola più nota.
Facciamo subito un esempio per essere più chiari:

La parola italiana vedetta proviene dal portoghese Veleta dal verbo velar(vedere).
Dato che il verbo velar è, alle orecchie di un italofono, estraneo, tramite un processo
di parentimologia la parola Veleta è stata associata al corrispondente del verbo velar
in italiano, vale a dire il verbo vedere. Così è nata la parola “vedetta” tramite un
processo di parentimologia. I parlanti hanno avvicinato una parola estranea ad una
che conoscevano, in modo da farla loro e comprenderla al meglio.
Ennesimo processo da analizzare: la tabuizzazione
Trattasi della sostituzione di una parola che indica un referente extralinguistico
sgradito con un eufemismo, ossia una parola vaga ed allusiva.
Esempio:
Sostituzione della parola morte con “scomparsa”; “dipartita”; “perdita”. Tutto ciò
“protegge” in un certo senso l’interlocutore.
Osserviamo ora dei mutamenti linguistici a livello pragmatico, ad esempio il sistema
d’allocuzione di seconda singolare a livello ovviamente diacronico.

Latino Italiano 1500-1600 Italiano odierno


Tu= confidenziale
Tu= neutro Tu= confidenziale
Lei= formalità
Vos= Situazioni formali Voi= cortesia
Voi= Variante diatopica
Lei= formalità del Sud Italia come
allocutivo formale sing.

La variazione diatopica
Innanzitutto… di cosa si tratta?
La variazione diatopica consiste nel variare della lingua in base alla provenienza
geografica dei parlanti.

Prendiamo d’esempio la lingua italiana. Come ben noto esistono differenti varietà
regionali dell’italiano. Trattasi di dialetti? Assolutamente no. I dialetti sono proprio
delle lingue a sé. Dal contatto tra la varietà standard dell’italiano e i dialetti presenti
nelle varie zone della Penisola si origina le cosiddette varietà regionali; banalmente
trattasi di varietà dell’italiano standard influenzate dai dialetti locali.
Esiterà dunque una varietà catanese, che sarà però ben diversa dal dialetto catanese.

Un rapido test per distinguere dialetto da varietà regionale?

Se ascoltiamo, da italofoni, un qualsivoglia dialetto differente dal nostro,


difficilmente saremo in grado di comprendere appieno il messaggio espresso. Se
ascoltiamo invece una varietà regionale di una località differente dalla nostra
sicuramente saremo in grado di comprendere il messaggio e inoltre, aiutati dal
contesto, comprenderemo anche quelle parole di influenza dialettale che, a prima
vista, non riusciamo a comprendere.
Le varietà regionali presentano dunque varianti diatopicamente marcate, poiché
variano di località in località.
Tra queste varianti diatopicamente marcate ne possiamo trovare di fonetiche, come
ad esempio, l’aspirazione della “c” in toscano, la cosiddetta gorgia toscana, ma
anche di sintattiche. Vediamo insieme alcuni esempi:
1) L’articolo davanti ai nomi propri nella variante regionale del nord Italia.
2) L’inversione dell’ordine sintattico tipico nella variante regionale sarda (in spiaggia
andato sono).

Vi è la possibilità di incappare anche in varianti lessicali. Ad esempio, nella varietà


regionale toscana dell’italiano, si predilige l’utilizzo della parola babbo al posto di
papà. O ancora, nella varietà regionale meridionale dell’italiano, alla parola
spazzatura, viene sostituita la parola monnezza.

Il medesimo referente extra-linguistico può essere dunque espresso con più parole a
seconda della regione di provenienza del parlante. Trattasi in questo caso di
geosinonimi, ossia sinonimi usati in diverse aree geografiche

Alcuni famosi geosinonimi?


Questo oggetto per esempio, in varietà
standard, viene indicato come “gruccia”.
Possiede però numerosissimi geosinonimi
nelle numerose varietà regionali italiane.
Prende per esempio nome di omino,
ometto, appendino, attaccapanni,
appendiabiti, stampella… e altri ancora.

Questi dolci in varietà standard prendono


il nome di “chiacchiere”. A seconda della
varietà regionale a cui si fa riferimento
possono però essere denominate lattughe,
frittole, crostoli o galani.

La geosinonimia riguarda ovviamente tutte le classi di parola, anche verbi,


preposizioni, avverbi e via dicendo.

N.B.
Varietà diatopiche confinanti condividono molti tratti tra loro.
Andiamo a fare un’importante distinzione tra significato e significante
Il significato è l’elemento extralinguistico al quale una determinata parola fa
riferimento.
Il significante invece è la parola in sé, che può cambiare banalmente a seconda della
lingua che utilizziamo.
Per capirci meglio… il significato di Pferd, Cavallo e Caballo è il medesimo, ma non il
significante.
Una volta chiarito questa differenziazione andiamo dunque ad analizzare i
regionalismi semantici.
Essi possono portare confusione ai parlanti, poiché possiedono il medesimo
significante ma un differente significato in base alla provenienza geografica del
parlante.
Ad esempio, la parola baita, nella varietà standard e in quasi tutte le varietà regionali
dell’italiano, indica una casa in montagna (questo è il suo significato). Nella varietà
regionale bresciana, oltre che ad indicare una casa di montagna, indica proprio la
magione del parlante.
Esempio:
Oggi rimango a baita a studiare, detto da un bresciano, significa rimanere a casa
propria per studiare. Alle orecchie di un parlante italofono proveniente da un’altra
regione, risulterà sicuramente fuorviante, proprio perché la parola baita per un
bresciano allude contemporaneamente a due differenti realtà extralinguistiche, ma
questo non accade per un italofono di un’altra località.
Dunque, il significante è il medesimo, ma nella varietà regionale bresciana esso
acquisisce un significato differente, facendo riferimento ad un nuovo elemento
extra-linguistico.
Ricapitolando…
Geosinonimi: medesimo significato ma differente significante.
Regionalismi semantici: medesimo significante ma differente significato.
Le varianti regionali possono essere a livello sintattico, pragmatico o entrambi al
contempo. Non più solo a livello lessicale come appena visto.

Esempio di variante pan-settentrionale a livello sintattico:


Tutta sera al posto di tutta la sera
Esempio di variante pan-meridionale a livello sintattico:
L’uso transitivo di verbi di moto che in varietà standard sono invece intransitivi. “Ho
uscito il cane”.

Nella varietà Lunigiana troviamo una variante sia a livello sintattico che pragmatico.
Infatti, è osservabile una sovraestensione funzionale del connettivo anzi che assume
funzione rafforzativa.
“Andiamo anzi al cinema”.

Anche nella varietà alto-atesina troviamo un esempio di variante a livello pragmatico


e sintattico rispetto alla varietà standard. Infatti, è spesso osservabile una
sovraestensione d’uso dell’avverbio ben, che svolge il ruolo di rafforzativo. Quindi
oltre al ruolo sintattico, dato che altera la sintassi classica della frase, ha ruolo
pragmatico, poiché svolge appunto la funzione di rafforzativo.
“Ho ben prenotato ieri”.
Un’altra variazione diatopica è la preferenza di certi elementi linguistici in specifiche
varietà regionali. Ad esempio, al sud si preferisce il passato remoto rispetto al
passato prossimo; l’esatto opposto avviene invece al nord. Si indica dunque lo stesso
referente extralinguistico utilizzando però un elemento linguistico piuttosto di un
altro a seconda della provenienza del parlante.
“Ieri andai in bici al lago”. Variante meridionale
“Ieri sono andato in bici al lago”. Variante settentrionale
Ovviamente l’italiano varia in modo graduale e progressivo, lungo un continua di
variazione. Solitamente più le località sono diatopicamente distanti e più la
differenza sarà consistente.
La variazione diatopica va anche oltre i confini nazionali, anche nel cantone italiano
in Svizzera.
In questa particolare varietà dell’italiano troviamo infatti un geosinonimo di cassetta
della posta: “bucalettere”; di soffitto: “plafone”, di maglietta “gipponcino” e un
regionalismo semantico di mensa: “cantina”.

Lezione 6; 1.6-1.7

Il repertorio linguistico dell’italiano:

Analizziamo in primis il repertorio linguistico individuale, ossia l’insieme delle lingue


(dialetti inclusi, poiché lingue a tutti gli effetti), delle varietà di lingua conosciute
(anche non necessariamente ad un livello avanzato) possedute da un singolo
parlante.
Tutti hanno il proprio repertorio linguistico individuale. Molti parlanti hanno un
repertorio bilingue plurilingue.
La competenza sociopragmatica, tipica di ciascun parlante, è l’abilità da parte del
singolo individuo di scegliere quale lingua o quale varietà di lingua utilizzare, tutto
ciò in base al contesto comunicativo.
Come si compone ed arricchisce il repertorio linguistico individuale?
Attraverso le lingue parlate in casa e tra gli amici più stretti, le cosiddette lingue
della prima socializzazione. Ma non solo, anche attraverso le lingue apprese a scuola
o all’università, che possono essere classiche (latino e greco) o moderne (tedesco,
spagnolo…). Anche le lingue o le varietà di lingua apprese sul lavoro formano parte
del repertorio linguistico individuale. E per concludere: le lingue apprese in seguito
ad un lungo soggiorno all’estero, stile Erasmus. Ricordiamo che il nostro repertorio
linguistico può contenere anche lingue artificiali, come l’elfico o il klingon.
Abbiamo visto il repertorio linguistico individuale, analizziamo ora quello
comunitario, ossia il ventaglio di lingue, dialetti e varietà di lingua condivise da una
comunità di parlanti. Tale repertorio può essere:
Monolingue, se composto da una lingu
Bilingue, se composto da due lingue
Multilingue, se composto da più di due lingue
/ovviamente parliamo di lingue e non di varietà, poiché la varietà è interna alla
lingua/.

I repertori linguistici raramente sono monolingui; di norma le comunità e gli


individui conoscono più lingue, seppur ne padroneggino con sicurezza solo una.

Il repertorio linguistico comunitario dell’Italia contemporanea corrisponde a quello


che già abbiamo analizzato grazie al grafico di Berruto, illustrante l’italiano standard
e le sue differenti varietà.
Ritengo importante analizzare con cura la questione dei dialetti, più nello specifico
quella dei dialetti italo-romanzi Mettiamo subito in chiaro che i dialetti sono lingue
autonome a tutti gli effetti. La sempre attuale definizione di Max Weinreich ce lo può
confermare:
“Una lingua è un dialetto che possiede un esercito, una marina e un’aviazione”.
I dialetti non sono varietà locali dell’italiano, non sono delle sue deformazioni ma
sono delle lingue autonome: “sorelle” dell’italiano, proprio come francese e
spagnolo. Ovviamente, a differenza di quest’ultime, il loro uso è limitato, proprio
perché il loro peso politico è limitato. Ora possiamo dunque comprendere appieno
la precedentemente citata affermazione di Weinreich.
Tanto più un dialetto riceve consenso, tanto più viene utilizzato e tanto più
acquisisce peso politico, avrà quante più possibilità di essere ufficialmente
riconosciuto dalla legge come lingua. Sarà però solamente un riconoscimento
giuridico, da un punto di vista linguistico i dialetti sono lingue a tutti gli effetti.
La lingua italiana stessa si è formata grazie all’elezione di un dialetto a modello
linguistico di riferimento, trattasi del volgare fiorentino, selezionato per spessore
economico, politico e soprattutto culturale.
Abbiamo dunque potuto osservare che la principale differenza dialetto-lingua non
risiede sul piano della linguistica, quanto più sul piano della socio-linguistica, in base
al peso sociale del dialetto in questione.
Altre differenze degne di nota:

1) Il dialetto ha solitamente una limitata diffusione geografica


2) La lingua può essere utilizzata in numerose varietà. Può quindi accogliere
qualsiasi tipologia di scambio comunicativo, da comunicazioni formali ad
informali, dallo scritto al parlato. Il dialetto possiede invece un limitato raggio
di ambiti d’uso ed è solitamente utilizzato per varianti parlate. Ovviamente
questo non significa che i dialetti non possiedano varietà, molti dialetti hanno
infatti una varietà letteraria, come il milanese, il napoletano e il romano.

Ovviamente, tutte queste differenze sociolinguistiche hanno conseguenze


linguistiche:
L’italiano, e le lingue ufficializzate dalla legge in generale, sono caratterizzate da una
maggior elaborazione e controllo, poiché dispongono di più risorse lessicali come
tecnicismi. Il dialetto invece è caratterizzato da limitate elaborazione e
comunicabilità, questo a causa delle minori risorse lessicali, dovute al limitato utilizzo
del dialetto in differenti situazioni e alla sua relativa espansione geografica.
/paradossalmente tra 300 anni un nuovo dialetto potrebbe essere eletto a lingua
nazionale. Questo accadrà se sarà in grado di assumere un peso politico e sociale di
un certo livello. Del resto la storia della lingua è imprevedibile/
Mi sembra oramai chiaro, ma è sempre meglio sottolinearlo: varietà regionali e
dialetti sono due concetti completamente differenti. I dialetti, come ben osservato,
sono lingue a tutti gli effetti. Le varietà regionali invece provengono dall’accostarsi
della varietà standard dell’italiano e i dialetti di quei luoghi. Dunque trattasi di
varietà dell’italiano influenzate dalla presenza di un’altra lingua, il dialetto per
l’appunto, da cui sicuramente erediterà dei tratti peculiari. Dunque le varietà
regionali sono a tutti gli effetti varietà interne alla lingua, i dialetti sono invece lingue
autonome, esterne all’architettura dell’italiano.

Dialetto
Varietà siciliano
Varietà
emiliana Dialetto
siciliana
emiliano
Varietà
sarda Varietà
lombarda Dialetto
toscano
Varietà Varietà Dialetto
toscana svizzera lombardo

Curiosità:
American English e British English sono due varietà regionali o due dialetti?
Ovviamente trattasi di due varietà regionali, due varietà diatopicamente marcate
dell’inglese, che dunque differiranno in alcuni dei loro tratti.
Torniamo ad analizzare il repertorio linguistico comunitario dell’Italia
contemporanea. Esso comprende dunque:

1) L’italiano standard e le sue differenti varietà (come già osservato nello schema
di Berruto).
2) I dialetti italo-romanzi.
3) Le lingue di minoranza, ufficialmente e giuridicamente riconosciute dallo Stato
Italiano, come il ladino e il sardo.
4) Le lingue di minoranza storiche, come ad esempio il tedesco (parlato in Alto
Adige), il francese (in Val d’Aosta), lo sloveno (in Friuli), il catalano (ad Alghero)
e l’arberëshe (una particolare varietà di albanese parlata in Calabria e Puglia).
5) Le lingue di minoranza di recente immigrazione, ossia le lingue delle nuove
minoranze linguistiche non ancora ufficialmente riconosciute, a differenza
delle precedentemente citate lingue di minoranza storiche.
Esse sono ad esempio il cinese, l’arabo, l’albanese, il wolof e lo swahili.

Alcune minoranze linguistiche e i relativi codici linguistici sono tutelati in Italia dalla
legge 482/1999.
Esse sono:

1) Il tedesco in Alto Adige


2) Il francese in Val d’Aosta
3) Lo sloveno nelle province di Gorizia e Trieste
4) E all’incirca un’altra dozzina di lingue di minoranza lungo tutta la Penisola.

Esempi di repertorio linguistico comunitario in varie zone dell’Italia:


Trentino: italiano, varietà regionale dell’italiano, dialetto trentino, ladino,
cimbro, mocheno

Valle d’Aosta: italiano, varietà regionale dell’italiano, dialetto


piemontese, francese, patois (varietà regionale del francoprovenzale)

Sardegna: italiano, varietà regionale dell’italiano, lingua sarda e sue diverse


varietà (campidanese, logudorese, …), catalano (Alghero)
Curiosità: La lingua sarda è talmente estesa che ha a sua volta sviluppato delle
varietà diatopiche. A seconda della zona della Sardegna in questione troviamo
appunto differenti varietà, come il campidanese o il logudorese.
Il repertorio linguistico comunitario raramente è monolingue. Solitamente è
infatti o bilingue o plurilingue e il rapporto tra suddette lingue è oggetto di
studio. La domanda sorge dunque spontanea: “Che tipologie di rapporti
possono sussistere tra queste lingue?”. Si sono individuate 3 differenti tipologie
di rapporto:
Bilinguismo:
Ossia la compresenza di due lingue non differenziate funzionalmente. Ciò
significa che entrambe possono essere utilizzate in ogni contesto comunicativo.
Una situazione del genere è osservabile per esempio in Alto Adige, ove l’italiano
e il tedesco hanno la medesima valenza e possono essere utilizzati nei medesimi
contesti indistintamente.
Diglossia:
Vale a dire la compresenza di due lingue con funzioni differenti. Una delle due
risulterà essere più prestigiosa politicamente e socialmente.
Un esempio può essere il rapporto tra le esolingue (le lingue coloniali) e le lingue
locali in Africa. La lingua coloniale del posto sarà utilizzata nei contesti formali,
mentre le lingue locali in tutti gli altri.
Dilalia:
Ossia la compresenza di due lingue tra loro funzionalmente differenziate. Una
lingua è adoperata in ogni contesto, formale o informale che sia. L’altra è limitata
invece al solo contesto informale. Ad esempio, italiano e dialetto stanno tra loro
in un rapporto di dilalia.
Quando si parla di commutazione di codici ci si riferisce all’utilizzo alternato di
due lingue all’interno dello scambio comunicativo.
Vi sono due differenti tipologie di questo fenomeno:

1) Code switching:

Alterno tra due lingue differenti in concomitanza con aspetti pragmatici e


contestuali. Ad esempio, usufruisco del dialetto per favorire un cambio
d’intensità alla comunicazione ed aumentare così l’enfasi.
Esempio:
Poi io non è che mi posso mettere a fare le telefonate per niente, ogni
minuto/ U telefunu u pavu iu!/.

2) Code-mixing:

Alternanza casuale, imprevedibile e alle volte caotica tra due lingue. Trattasi
di veri e propri enunciati misti-lingui. Solitamente l’interlocutore rimane
disorientato riguardo alla scelta linguistica utilizzata dal parlante.
Esempio:
Bueno, in other words el flight que sale the Chicago around three o’clock
Attenzione:
Particolare caso di code switching:
Parlante A, che capisce spagnolo e inglese, parla inglese
Parlante B, che capisce spagnolo e inglese, parla spagnolo
La comunicazione funziona comunque
N.B.
Come già abbiamo osservato, negli uomini notiamo una tendenza sia al code
switching che al code-mixing.

Interferenza:
Trattasi del trasferimento di materiale linguistico da una lingua all’altra a
qualsiasi livello linguistico (lessicale, fonetico, morfologico, pragmatico…).
Essa avviene in modo del tutto inconscio; le interferenze si realizzano
solitamente infatti per sovraccarico cognitivo, soprattutto quando non si tratta
del mero livello lessicale. Si vanno proprio a mescolare le due lingue
nell’elaborazione del messaggio, come nel caso di venerdì su sabato.
Esempio a livello lessicale:
Ci vediamo questo weekend

Prestito a livello lessicale da un’altra lingua


Esempio a livello sintattico:
Venerdì su sabato
Prestito a livello sintattico dal tedesco “von Freitag auf Samstag”, ossia “la notte
fra venerdì e sabato”.
Trattasi proprio di un’interferenza linguistica tra italiano e tedesco in una
produzione di un immigrato italiano nella Svizzera tedesca. Le parole sono
italiane, ma il modello sintattico di riferimento è stato preso in prestito dal
tedesco.

Lezione 7; 2.1

Le lingue del mondo:

Quante sono le lingue del mondo?


Trattasi di una domanda ai limiti del possibile, si stimano all’incirca 6900 lingue
presenti in tutto il globo.
Alcune di esse presentano addirittura più di un miliardo di parlanti, come l’inglese e
il cinese putonghuā. Altre invece raggiungono a malapena i mille parlanti, questo è il
caso del matukar panau, lingua parlata in Papua Nuova Guinea, che si stima avere
600 parlanti. Sono assolutamente da aggiungere a questo conteggio anche lingue
considerate oramai estinte, quali latino e greco.

La domanda sorge spontanea: “È possibile classificare tutte le lingue del mondo?”.


La risposta è si, esistono infatti diversi criteri di classificazione delle lingue.
Vediamone dunque alcuni:
Classificazione su parametri extra-linguistici:

Classificazione demografica: In base al numero di parlanti

Classificazione geografica o areale: In base alla distribuzione geografica delle


lingue
Esempi di classificazione demografica:
L’organizzazione Linguasphere ha classificato le lingue del mondo in 10 fasce, in
base al numero di parlanti. Trattasi dunque di una classificazione di tipo
demografico.
Ecco un sunto dei dati da loro raccolti:

• 9 più di un miliardo di parlanti (inglese...)


• 8 più di cento milioni di parlanti (spagnolo..)
• 7 più di 10 milioni di parlanti (italiano...)
• 6 più di 1 milione di parlanti (lettone…)
• 5 più di 100 000 parlanti (maru… )
• 4 più di 10 000 parlanti (paiwan…)
• 3 più di 1000 parlanti (lhomi…)
• 2 più di 100 parlanti (torau… )
• 1 meno di 100 parlanti (miwa..)
• 0 lingue estinte (pali…)

La classificazione demografica è così affidabile?


Non proprio. Sorgono infatti problemi di affidabilità della classificazione
demografica, legati alla molteplicità e alla quantità del campione.
Sorge infatti spontaneo chiedersi come contare ed identificare:

- Dialetti e lingue di minoranza


- Lingue distinte a livello politico ma non strutturale (hindi, lingua ufficiale India, alfabeto devanagari – urdu, lingua
ufficiale Pakistan, alfabeto arabo)
- Lingue distinte a livello strutturale ma non politico (le diverse lingue parlate in Cina)
- Contare sia i parlanti nativi sia i parlanti non nativi? (inglese, lingue europee nelle aree ex-coloniali)
- Basta associare la competenza linguistica alla cittadinanza?

Un’altra classificazione sociopolitica è quella basata sulla distribuzione geografica


delle lingue:
Lingue d’Europa
Lingue d’Africa

Ma siamo sicuri che tutte le lingue appartenenti alla medesima area geografica
appartengano poi anche alla medesima categoria linguistica?
Decisamente no. Per questo motivo risulta più appropriato classificare le lingue
tramite criteri propriamente linguistici.
Esistono due differenti tipologie di classificazione linguistica:
La classificazione genealogica: Basata sulla condivisione di una lingua originaria e,
di conseguenza, la condivisione di elementi linguistici (lessicali, fonetici, morfologici,
sintattici, pragmatici…).
La classificazione tipologica: Basata sulla condivisione di regole linguistiche e non
di elementi linguistici (come nel caso della genealogica). Lingue anche lontane
condividono spesso regole linguistiche, seppur possedendo morfemi
completamente differenti tra loro, ma le regole per la loro composizione, a livello
cognitivo, sono le medesime.
Prendiamole in esame una per volta:
La classificazione genealogica:
La classificazione genealogica avviene in base alla possibile discendenza di una
determinata lingua dalla lingua archetipo, ossia la lingua originaria.

Esempio riportato sulle slide:

ted rom finn sved spa estone swahili ita basco hindi ing russo

Zwei Doj Kaksi tvo Dos Kaks Mbili Due Bi Do Two Dva

drei trej kolme tre tres kolm tatu tre hiryr tin three tri

Le lingue qui presenti appartengono a differenti famiglie linguistiche:

1) Famiglia indoeuropea: tedesco, romeno, svedese, spagnolo, italiano, hindi,


francese, russo, inglese
2) Famiglia ugrofinnica: finnico, estone
3) Famiglia nigerkordofaniana: swahili
4) Lingua isolata: basco

All’interno poi di ciascuna famiglia, sussistono dei sottogruppi ancora più specifici,
che in linguistica prendono il nome di rami.

Famiglia
indoeuropea

Ramo delle lingue


romanze Ramo delle lingue
Ramo delle lingue slave
germaniche
In linea di massima le lingue appartenenti ad una medesima famiglia sono tutte
relativamente simili, ma le somiglianze più marcate si evidenziano solo a seguito di
un ulteriore raggruppamento per rami.
Nello specifico, la famiglia indoeuropea è stata individuata a partire dal
riconoscimento di affinità dal campione delle lingue: latino, greco e sanscrito.
Curiosità:
Abbiamo la certezza che l’inglese faccia parte della famiglia indoeuropea, ma si è
tutt’oggi in dubbio sul suo ramo d’appartenenza, se germanico o delle lingue
romanze.
Famiglie linguistiche nel mondo con relativi esempi:

Famiglia indoeuropea (latino, greco, sanscrito, ...)


Famiglia afro-asiatica o camito-semitica (arabo, ebraico, Legenda
maltese, hausa, somalo, tuareg...).
Famiglia altaica:
Famiglia altaica (turco, ? Giapponese, ? coreano, ...)
Sicuramente fa parte di questa famiglia il turco,
Famiglia caucasica (georgiano, ...)
ma non tutti concordano sulla presenza anche
Famiglia uralica (finlandese, estone, ungherese, ...)
di giapponese e coreano. Alcuni credono infatti
Famiglia sino-tibetana (cinese, ...)
che giapponese e coreano siano lingue isolate,
Famiglia nigerkordofaniana (lingue bantu, ad es. swahili) proprio come il basco.
Famiglia paleosiberiana (coriaco, ...) Famiglia dravidica (tamil, ...)
Famiglia austroasiatica (vietnamita, khmer, ...) N.B.
Famiglia kam-thai (thailandese, laotiano, ...) giapponese e cinese, nonostante siano due
Famiglia austronesiana (tagalog, maori, samoano, malgascio, ...) nazioni geograficamente vicine, hanno una
Famiglia australiana (dyirbal, ...) struttura completamente differente a livello
Famiglia indo-pacifica (enga, ...) linguistico.
Famiglia khoisan, o boscimana (nama, ...)
Famiglia amerindiana (eschimese, navaho, apache, maya, N.B.
quechua, guarani, ...) Basco, Burushaki (lingua parlata nel nord del
Famiglia nilo(tico)sahariana (nubiano, ...) Pakistan) e Ket (lingua parlata in Siberia
centrale) sono lingue isolate, completamente
differenti a livello strutturale dalle altre.

Analizziamo con cura i vari rami della famiglia indoeuropea:


Ramo romanzo: italiano, francese, spagnolo, portoghese, romeno, catalano, ...
Ramo germanico: tedesco, svedese, danese, norvegese, nederlandese, ...
Ramo slavo: russo, polacco, ucraino, slovacco, ...

Ramo baltico: lituano, lettone


Ramo celtico: bretone, gaelico, gallese
Ramo indo-ario: hindi, bengali, punjabi, ...
Ramo iranico: farsi o persiano, curdo, ...
Tre lingue: greco, albanese e armeno
In totale troviamo 7 rami e 3 lingue non raggruppabili, che rientrano nella famiglia
ma in nessuno dei 7 rami.
Come già detto l’inglese si trova a metà tra le lingue romanze e le germaniche,
sicuramente trattasi di una lingua indoeuropea, ma si hanno dubbi sul ramo
d’appartenenza.

I vari livelli di classificazione genealogica:

Famiglia linguistica: lingue indoeuropee

Ramo linguistico: lingue celtiche, germaniche, italiche, slave, indiane…

Gruppo linguistico: lingue romanze occidentali, lingue romanze orientali

Sottogruppo linguistico: Sottogruppi del gruppo romanzo occidentale

1) Italo-romanzo (italiano,
dialetti italo-romanzi)
2) Gallo-romanzo
(francese, franco-
provenzale)
3) Ibero-romanzo
(spagnolo, catalano)

Ecco alcune lingue dalla storia un po’particolare:


Le lingue derivanti non dalla naturale evoluzione linguistica di una comunità ma dal
contatto linguistico tra più lingue. Un contatto improvviso tra due differenti
comunità di parlanti, anche geograficamente distanti, legato a fattori storici.
Ovviamente le due comunità sono l’espressione di due lingue tra loro differenti.
Queste situazioni si sono verificate ad esempio in seguito al colonialismo. Le lingue
che si vanno a creare da questo contatto prendono il nome di pidgin o di creolo.
Esse vengono solitamente collocate nella famiglia d’appartenenza della lingua che
ha fornito più materiale lessicale alla neo-lingua originatasi dal contatto. Qual è la
differenza tra le due?
Pidgin:
In seguito al contatto tra lingue differenti, la lingua che si va ad originare è pidgin se
non ha parlanti nativi, è dunque il primo stadio della neo-lingua di contatto appena
creatasi.
Es: WAPE (West African Pidgin English)
Creolo:
È l’evoluzione del pidgin, inizia ad essere utilizzato per l’educazione dei figli e come
lingua di prima socializzazione. È dunque più stabile di un pidgin, è un pidgin di
seconda o più generazione. Il pidgin diviene creolo quando riceve consenso ed inizia
ad essere utilizzato.
Es: Creolo haitiano

Classificazione tipologica:

La tipologia analizza le analogie e differenze a livello strutturale fra le varie lingue


del mondo, attraverso un’analisi di tipo sincronico-descrittivo.
La classificazione tipologica parte da 2 assunti teorici:

1) Le lingue del mondo si possono raggruppare e ha senso farlo poiché sono tra
loro diverse
2) La variazione che sussiste tra le varie lingue non avviene in modo casuale, ma
rientra in dei principi generali, definiti universali linguistici, che governano le
lingue possibili

Andiamo dunque ad analizzare suddetti universali linguistici:

1) Tutte le lingue hanno vocali e consonanti


2) Tutte le lingue hanno parole, sintagmi e frasi
3) Tutte le lingue hanno una costruzione negativa

Ovviamente trattasi di principi volutamente generalisti, proprio perché il loro


obiettivo è essere universali.

Come già affermato la tipologia linguistica analizza le analogie e le differenze


strutturali delle lingue con analisi di tipo sincronico-descrittivo.
Nello specifico, i metodi di studio di quest’ambito di ricerca sono:

a) L’esclusione della componente diacronica dall’indagine


b) L’esclusione della famiglia linguistica di appartenenza, trattasi dunque di una
classificazione completamente indipendente dalla genealogica.
c) La classificazione avviene in base ad analogie e divergenze strutturali delle
lingue, che permettono di identificare i tipi linguistici

Ma cos’è di preciso un tipo linguistico?


Un tipo linguistico si può definire come un insieme di tratti strutturali tra loro
correlati. In concreto trattasi di un raggruppamento di sistemi linguistici aventi molti
caratteri comuni.
Ogni sistema linguistico non corrisponde totalmente ad un unico tipo linguistico, ma
ha tratti prevalenti di un determinato tipo linguistico mescolati ad altri tratti
appartenenti ad altri tipi linguistici.
I tratti dei vari tipi linguistici possono essere morfologici, ossia relativi alla struttura
delle parole, o sintattici, ossia relativi all’ordine delle parole.

Lezione 8; 2.2

Cos’è un morfema?
Trattasi della minima associazione possibile tra significante e significato, l’unità di
base della morfologia, che permette alle lingue di strutturare parole, di creare delle
strutture linguistiche in grado di veicolare un significato comprensibile per i parlanti.

Rinfreschiamoci un attimo la memoria sulle definizioni di significante e significato:

Il significante è la forma delle parole, ossia l’elemento linguistico che effettivamente


contiene il messaggio. Per lo scritto trattasi banalmente dell’insieme delle lettere,
per il parlato dell’insieme del materiale fonico.

Il significato è invece il collegamento tra la forma e la realtà extra-linguistica che il


significante vuole indicare.

Il morfema concretamente non è una parola, ma una parte di parola comprendente


al contempo questi 2 livelli (significante e significato).

Esempio:
Analizziamo la parola bambino. Essa contiene al suo interno 2 morfemi:

bambin-o

Morfema 2

Il
Morfema 1
morfema 1 è in grado di farci capire il referente extra-linguistico al quale si riferisce:
“un giovane essere umano”. Attraverso le informazioni conferiteci da questo primo
morfema non siamo in grado di determinare se si tratti di un essere umano uomo o
donna, non sappiamo nemmeno se trattasi di un singolo o di più entità. Veniamo
infatti a conoscenza del genere e del numero del referente extra-linguistico in
questione attraverso le informazioni conferiteci dal secondo morfema.
In questo specifico caso il morfema -o ci specifica che si tratta di un singolo essere
umano uomo. Il morfema -o in italiano si oppone ai morfemi -a,-e ed -i. (È si vero
che vi sono alcune eccezioni ma in sostanza i morfemi son questi.
Grazie alla cooperazione tra i 2 morfemi siamo in grado di identificare con chiarezza
la realtà extra-linguistica indicata dalla parola.
Con un solo morfema non avremmo avuto abbastanza informazioni per indicare con
precisione il referente extra-linguistico in questione.

È stato fatto l’esempio con un sostantivo, questo non significa però che questo
procedimento non si estenda alle altre parti del discorso. Giusto per correttezza
osserviamo il comportamento dei morfemi componenti un qualsiasi verbo italiano:

Corr-o

Morfema -o, possedente il medesimo significante (la forma) del


morfema -o, di bambino, ma ha un significato completamente differente.
Morfema indicante a quale azione della
Indica infatti il tempo, il modo e la persona, che sono tutti tratti
realtà si fa riferimento: “correre”
semantici dell’evento descritto dalla parola unione dei 2 morfemi.

Ma funziona sempre così? Ciascuna parola, di qualsiasi lingua, è composta


unicamente da 2 soli morfemi?
Ovviamente no. Alcune lingue non si comportano in questo modo, ad esempio le
cosiddette lingue isolanti.
Di cosa si tratta nello specifico?
Le lingue isolanti sono lingue con una struttura differente ed hanno
tendenzialmente parole monomorfematiche, quindi il singolo morfema deve essere
in grado di veicolare sufficienti informazioni per rendere possibile la comunicazione.
Quando le informazioni espresse dal morfema non sono abbastanza, non si
aggiunge un altro morfema alla parola, bensì si aggiunge solitamente proprio una
seconda parola, anch’essa monomorfematica. Il cinese e il vietnamita ad esempio
sono lingue isolanti, ed operano proprio così. Esempio:

/vietnamita/:

Tôi doc sác

Io Libro/i
leggere

Il significato di una frase viene costruito con l’unione dei significati delle
parole e viene poi compreso dall’interlocutore in base al contesto. Proprio in
base al contesto comprenderò se si tratta di un tempo presente, futuro o
passato, e sempre grazie al contesto comprenderò se il parlante si sta
riferendo ad un singolo oggetto o ad una pluralità di oggetti. La stessa frase
può dunque, a seconda del contesto, essere intesa in maniera differente.

A causa di questa regola di base, secondo la quale le lingue isolanti per comporre
parole possono basarsi unicamente su di un singolo morfema, le lingue isolanti
hanno per forza di cose una ridotta morfologia flessionale, ossia quei morfemi che
permettono di flettere una parola. La -o di bambino per esempio altro non è che una
flessione nominale, poiché con la sia presenza è in grado di flettere la parola,
determinandone genere e numero.
Nelle lingue isolanti ovviamente la morfologia flessionale risulta ridotta quasi allo
zero (dico quasi poiché, anche se rare, pure nelle lingue isolanti vi sono parole non
sempre monomorfematiche).
Nelle lingue europee non ci sono lingue isolanti, solo l’inglese condivide affinità con
questo particolare gruppo di lingue poiché ha una ridotta morfologia, ma questo
non significa assolutamente che l’inglese faccia parte del gruppo delle lingue
isolanti.

Cerchiamo ora di comprendere il concetto di indice di sintesi:

L’indice di sintesi è la tendenza da parte di una lingua a fondere informazioni


all’interno di una parola. Comportamento opposto alla sintesi è l’analisi, quindi vi
sono lingue analitiche e lingue sintetiche.

L’indice di sintesi è dunque la tendenza da parte di una lingua a comportarsi in


modo sintetico, fondendo tante informazioni all’interno della singola parola.
L’indice di sintesi è calcolato attraverso la formula:

Numero di morfemi

Numero di parole

Applichiamo la formula ad alcune parole di determinate lingue per comprenderla al


meglio. Partiamo col cinese:

Numero morfemi? 1 1 morfema


“Mai” Numero parole? 1 =1
1 parola

1 è ovviamente un indice di sintesi molto basso, significa dunque che il cinese (e più
in generale tutte le lingue isolanti) è una lingua molto analitica, ciò significa che la
parola contiene poche informazioni.
L’italiano invece è una lingua mediamente sintetica. Analizzando per esempio la
parola “gatto”, a fronte di 2 morfemi ed 1 parola, osserviamo che l’indice sintetico
risulta essere 2, decisamente più del cinese che, da buona lingua isolante, è invece
poco sintetica, quindi altamente analitica.
Oltre alle lingue isolanti vi sono altre tipologie di lingue, ad esempio le agglutinanti.
Una singola parola in una lingua agglutinante è composta da più morfemi, ciascuno
dei quali veicolante solamente una informazione.
All’interno di una lingua agglutinante possiamo trovare dunque singole parole
composte anche da 5 o più morfemi, uno per ciascun tipo di informazione che si
vuole veicolare per rendere la conversazione comprensibile ed efficace.

Per capirci meglio proviamo a fare un esempio dal turco, che è una lingua
agglutinante.

“Kitaplarimi”= I miei libri

“kitap” libro

“lar” Indica il plurale in turco

“im” Poss. I singolare

“i” Accusativo

Osserviamo dunque come la parola “kitaplarimi” contenga al suo interno ben 4


morfemi differenti, ciascuno veicolante una particolare informazione essenziale ai fini
di una corretta comprensione del messaggio.

Alcune caratteristiche tipiche delle lingue agglutinanti sono ad esempio quella di


possedere lunghissime catene di morfemi, ciascuno di essi veicolante una singola
informazione.
La loro morfologia è trasparente e regolare, molto ricca e complessa, composta da
tanti differenti morfemi.
La comprensione dell’accumulo dei morfemi all’interno delle parole è trasparente e
facilmente comprensibile, a patto ovviamente che si conosca la lingua in questione,
come abbiamo visto con l’esempio per la lingua turca in precedenza.
Ovviamente le lingue agglutinanti saranno caratterizzate da un altissimo indice di
sintesi, poiché conteneti in una singola parola numerosi morfemi. Ad esempio la
parola precedentemente analizzata “kitaplarimi” ha indice sintetico 4, trattasi dunque
di una lingua altamente sintetica e per nulla analitica.

Alcuni esempi di lingue agglutinanti sono:


Turco, ungherese, finlandese, basco, giapponese, coreano, swahili, esperanto…

Andiamo ora a scoprire insieme le caratteristiche della terza tipologia di lingue prese
in esame: le lingue flessive o fusive.
Una parola di una lingua fusiva è composta dapiù morfemi, ciascuno dei quali
veicolanti non più una singola informazione, bensì più informazioni.
L’italiano ad esempio è a tutti gli effetti una lingua fusiva, basta un banale esempio
per confermare quest’affermazione:

legg-o Morfema 2 indicante persona,


modo e tempo verbale

Morfema 1 indicante
l’azione di leggere.

All’interno di una parola appartenete ad una lingua fusiva le catene di morfemi


risultano essere meno lunghe poiché le informazioni vengono fuse in un unico
morfema. Le lingue fusive risultano dunque ben differenti dalle lingue agglutinanti.
Come conseguenza, possiedono un indice di sintesi nella media. Ad esempio, la
parola italiana “leggo” ha indice sintetico di 2.
A differenza di quanto avviene invece nelle lingue agglutinanti, la morfologia non
sempre risulta essere trasparente, proprio perché non vi è una correlazione tra una
specifica informazione ed uno specifico morfema; tutto ciò è dovuto al fatto che i
morfemi delle lingue fusive risultano essere cumulativi. La morfologia risulta dunque
essere meno regolare e con più eccezioni.

Alcuni esempi di lingue flessive?


La quasi totalità delle lingue indoeuropee: italiano, inglese, tedesco, francese,
romeno, portoghese…

I morfemi cumulativi delle lingue flessive possono collocarsi in diverse parti della
parola. Dove questi morfemi effettivamente vadano a collocarsi dipende dalle
singole parole: possono trovarsi all’inizio come all’interno o al termine.

Vi è inoltre un piccolo gruppo di lingue: le introflessive. Sono un sottogruppo delle


flessive e possiedono una regola aggiuntiva per quanto riguarda la composizione
della parola. Non solo la parola deve avere più morfemi cumulativi per veicolare
diversi significati, ma i morfemi indicanti significati grammaticali debbono trovarsi
nel mezzo della parola (da qui introflessive).

L’arabo, ad esempio, fa parte di questo sottogruppo linguistico.


Esempio arabo:
La radice è k-t-b ed al suo interno si inseriscono i morfemi veicolanti poi
informazioni aggiuntive alla mera radice.

Kataba= scrisse
Kutiba= fu scritto
Kitâb= libro
Kutub= libri

Ma non ci fermiamo assolutamente qua, del resto abbiamo ancora le lingue


polisintetiche o incorporanti da analizzare.

Una parola di una lingua polisintetica comprende moltissimi morfemi, ciascuno dei
quali veicolante una singola informazione. Questi morfemi non si limitano però a
descrivere caratteristiche di un singolo referente extralinguistico, bensì in una
singola parola troveremo morfemi in grado di riferirsi a differenti realtà
extralinguistiche.

Un esempio di lingua polisintetica è il groenlandese.

Esempio groenlandese:

Angyaghllangyugtuq= Vuole acquistare una grande barca

Angya Ghlla ng yug tuq

Accrescitivo Acquistare Desiderativo Terza


Barca singolare

Ovviamente l’indice di sintesi di parole appartenenti a lingue polisintetiche risulta


essere elevatissimo, per esempio all’interno della parola Angyaghllangyugtuq
troviamo ben 5 morfemi, il che determina un indice sintetico di 5, che è molto
elevato.

Il fenomeno dell’incoerenza tiopologica:


Una lingua appartenente ad un tipo morfologico può comprendere anche parole
appartenenti ad altri tipi morfologici.
L’italiano stesso, che, come abbiamo visto, fa parte delle lingue flessive, presenta
alcuni tratti agglutinanti al suo interno, ossia parole composte da un alto numero di
morfemi veicolanti un’unica informazione.

Alcuni esempi sono le parole:


Delocalizzazione
Retrocederemmo
Anticiperebbero

(Anche il tedesco si comporta così, possiede infatti numerosi tratti agglutinanti, pur
trattandosi di una lingua flessiva a tutti gli effetti).
Tutto ciò accade perché difficilmente una realtà linguistica così ricca può essere
ingabbiata in queste formule.

Ecco infine un breve schema riassuntivo riguardo l’indice di sintesi nei vari tipi
morfologici (in ordine crescente).

Isolanti flessive agglutinanti polisintetiche

Vista ora la classificazione tipologica su base morfologica, passiamo a quella su base


sintattica.
Innanzitutto, il costituente sintattico, ossia verbo (V), soggetto (S) o oggetto (O), è
composto da una o più parole all’interno della frase.
Gli ordini sintattici possibili di suddetti costituenti sintattici sono 6 (trattasi del
numero massimo di combinazioni possibili a livello matematico).
Non tutte le distribuzioni degli ordini sintattici dei costituenti avvengono con la
stessa frequenza. L’ordine SOV è ad esempio uno dei più comuni e ricorrenti nelle
varie lingue del mondo. Ma osserviamoli più da vicino e nello specifico:

1) SOV= 33%-66% delle linge del mondo Questi due sono


2) SVO= 33%-50% delle lingue del mondo sicuramente gli
ordini più frequenti
(tra cui l’italiano)
3) VSO= 11%-15%
4) VOS= 5%-10%
5) OVS=1%-5%
6) OSV=1%
Ma a cosa è dovuta una differenza così marcata tra i vari ordini sintattici?
Come mai alcuni sono così frequenti ed altri praticamente inutilizzati?

Questo perché gli ordini sintattici più utilizzati rispettano due principi logici: il
principio di precedenza ed il principio di adiacenza. Rispettando suddetti
principi risultano più logici ed intuitivi alla mente umana, per questo più
diffusi.

Analizziamo però nello specifico i 2 principi:

1) Il principio di precedenza:

Fra i due costituenti nominali il soggetto precede l’oggetto, data la priorità logica
del soggetto. Del resto, è decisamente più logico esprimere in primo luogo chi
compie l’azione piuttosto di chi la subisce.

2) Il principio di adiacenza:

Verbo ed oggetto devono essere sempre contigui, data la stretta relazione


sintattico-semantica che vi è tra i due.

SOV e SVO rispettano entrambi questi principi logici, e proprio perché risultano alla
mente umana più logici ed intuitivi, sono i più utilizzati ed alla base della stragrande
maggioranza delle lingue del mondo.

Vediamo insieme alcune lingue rispettanti l’ordine logico SOV:


latino, turco, giapponese, coreano, ungherese, persiano, hindi, tamil.

Esempio: turco

Klz kitabl okuyor

Ragazza S libro O legge V

Ora invece alcuni esempi di lingue rispettanti l’ordine logico SVO:


italiano, francese, spagnolo, inglese, finlandese, ebraico moderno, swahili.
Esempio: italiano

Lui S studia V linguistica O

Incoerenza tipologica:

Vi sono alcune lingue con compresenza di differenti ordini dei costituenti al loro
interno. Un esempio è sicuramente il tedesco; in alcuni casi infatti la lingua tedesca
eccede alla sua regola sintattica tipica SVO. Uno di questi casi è, per esempio, la
formazione di frasi secondarie.
Esempio:

Das Mädchen S liest V das Buch O

Questa frase segue l’ordine sintattico classico della lingua tedesca

Ich sehe, dass das Mädchen S das Buch O liest V

Questa frase invece, dato che si tratta di una secondaria, eccede alla regola e varia il
suo ordine sintattico, passando dal seguire l’ordine SVO all’ordine SOV.

N.B.
Al di la di questa peculiarità, la lingua tedesca segue anche un’altra regola sintattica,
ossia quella del verb-second: il verbo in tedesco deve sempre necessariamente
trovarsi in seconda posizione.
Oltre ai diversi ordini sintattici la classificazione tipologica si basa sull’individuazione
di correlazioni fra l’ordine dei costituenti all’interno della frase (S;V;O) e l’ordine
interno ai costituenti, ovvero l’ordine degli elementi che compongono i costituenti
stessi (Art; N; Aus; V; Gen; Rel…).

1) Preposizioni (Pr) o Posposizioni (Po)

N.B.
Italiano: dopo cena vs giapponese: yuusyoku go In italiano, per quanto riguarda le preposizioni,
troviamo un caso di incoerenza tipologica, che non
mette in dubbio l’appartenenza dell’italiano a quelle
lingue che costituiscono il sintagma veicolante
informazioni temporali con il sintagma
“prep+nome”, trattasi semplicemente di
un’eccezione. Quest’eccezione è rappresentata dalla
N
Po
Pr N

2) Complemento di specificazione o genitivo (G)

Italiano: cavallo di Maria vs Inglese Mary’s horse Il cosiddetto genitivo sassone tipico
anche della lingua tedesca.

G G

N N
3) Aggettivo

Italiano: cavallo bianco vs inglese: white horse

Agg N

N Agg

Cos’ha fatto la ricerca in campo tipologico?

Ha individuato delle correlazioni sistematiche tra l’ordine dei costituenti all’interno


della frase e l’ordine degli elementi nei sintagmi. Ad esempio, è stato rilevato che se
la lingua presenta l’ordine SOV, allora necessariamente avrà anche la composizione
AggN e GenN.

Formula logica

SOV ‫( ﬤ‬AggN ‫ ﬤ‬GenN)


Se una lingua presenta l’ordine SOV allora presenta l’ordine
AggN e GenN

Il latino per esempio funziona proprio così:


librum legit
puella
la ragazza S il libro O legge V

fortunatus homo
fortunato Agg uomo N

pacis foedus
di pace Gen trattato N

Questi studi sulla correlazione dell’ordine dei costituenti della frase e dell’ordine
degli elementi all’interno dei costituenti ha portato come conclusione più generale
all’individuazione di 2 fondamentali tipi di lingua:

1) Il tipo postdeterminante, ossia quelle lingue strutturate secondo la formula


VO, ossia posizionano l’oggetto dopo il verbo. Per comodità si dice che queste
lingue costruiscono a destra, significa che veicolano informazioni relative al
referente principale dopo averlo introdotto, e non prima.
Queste lingue hanno dunque la struttura sintattica composta da:

NG, NPoss, NRel, VAvv, AggAvv, AusV, PrN

2) L’altro tipo sintattico principale è quello delle lingue OV, le


cosiddette lingue predeterminanti. Esse, a differenza delle
precedenti, costruiscono a sinistra: l’esatto opposto rispetto a
prima. La struttura sintattica di codeste lingue sarà dunque
composta da:

GN, PossN, RelN, AvvV, AvvAgg, VAus, NPo

L’italiano è del tipo VO, trattasi dunque di una lingua postdeterminante.

Vi sono però alcuni costituenti nella lingua italiana che mostrano un’incoerenza
tipologica, ossia sono costituiti attraverso la regola delle lingue predeterminanti, pur
essendo l’italiano una lingua postdeterminante.
Per individuare le più comuni svolgiamo questo breve esercizio:

La libertà produce ricchezza e benessere


Sogg-V-O in linea
La cara libertà
Art-agg-Nome non in linea
Per la libertà
Prep-art-Nome in linea
La libertà dei popoli
Art-Nome-Gen in linea
Abbastanza libero
Avv-agg non in linea

La libertà universale
Art-Nome-Agg in linea
La mia libertà
Art-Poss(Agg)-Nome non in linea
La libertà che tutti anelano
Art-Nome-Relativa in linea
Ho scelto la libertà
V-Ogg in linea
Anni fa
N-Po non in linea

N.B. Le incoerenze tipologiche ovviamente non sono errori, trattasi di vere e proprie
eccezioni della lingua e sono del tutto naturali.

Lezione 9: 2.3-3.1

Che cos’è la linguistica?


È lo studio scientifico della vita del linguaggio umano.
Essa non ha fine normativo, non stiamo parlando di grammatica, bensì descrittivo. La
linguistica ha infatti il compito di spiegarci come funziona la lingua. Possiamo
aggiungere che ha scopo conoscitivo ed esplorativo della lingua. Vengono esplorate
le dinamiche che stanno dietro alla lingua stessa.
Il concetto di linguaggio:
Nel nostro quotidiano interagiamo con diverse tipologie di linguaggio:

- Il linguaggio degli animali


- Il linguaggio del corpo
- Il linguaggio dei numeri
(…)

Tutte queste differenti tipologie di linguaggi rientrano nei sistemi di comunicazione


Tra di essi rientra ovviamente anche il linguaggio verbale umano che si distingue
dalle altre tipologie di linguaggio per delle esclusive peculiarità:

1) La biplanarità del segno

Ossia il fatto che vi siano in un singolo segno 2 facce, che sono dunque
compresenti. Queste 2 facce prendono il nome di SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO

Il significante:
È la faccia fisicamente percepibile, quella che cade sotto i nostri sensi, il qualcosa
di fisicamente tangibile, ergo la parola pronunciata (che udiamo) o la parola
scritta (che vediamo)

Il significato:
È chiamato anche contenuto, è la parte non materialmente percepibile, il
concetto, l’idea che si rifà ad un elemento tangibile della realtà.

Tutti i segni (i segni sono le parole) sono necessariamente costituiti al contempo


dall’unione di queste 2 facce.
Di conseguenza ogni codice può essere inteso come un insieme di
corrispondenze fra significati e significanti

2) Arbitrarietà:

Essa consiste nel fatto che non vi è alcun legame naturalmente motivato fra il
significante e il significato di un segno.
Esempio: il significante di gatto di per sé non ha nulla a che vedere con l’animale
felino a quattro zampe…
Ciò non significa assolutamente che tra significante e significato non esistano né
legami né rapporti, bensì vuol dire che i legami non sono dati naturalmente ma posti
convenzionalmente, ergo in maniera del tutto arbitraria.
Trattasi di un concetto tanto essenziale quanto inconfutabile.
Ponendo per assurdo che questo principio non fosse vero, le parole delle diverse
lingue dovrebbero essere o tutte uguali o comunque molto simili.
Ma così non è
Gatto è “gatto” in italiano, ma in inglese è cat, in tedesco Katze, in albanese mace…
E il fatto che in spagnolo si dica gato non significa che i gatti spagnoli sono simili ai
gatti italiani, bensì significa solamente che tra italiano e spagnolo vi sono delle
affinità a livello genealogico, del resto entrambe derivano dal latino.
Allo stesso modo …
Se i segni non fossero arbitrari, parole simili ma di diverse lingue dovrebbero
corrispondere ai medesimi concetti, ma ancora una volta così non è.
Esempio:

“Bell” in inglese significa campana


“Bello” in italiano significa bello
La questione dell’arbitrarietà è molto più complessa di quanto possa sembrare.
A tal proposito il linguista Hjelmslev ha distinto 4 differenti tipi di arbitrarietà.
All’interno del suo schema: il triangolo semiotico, Hjelmslev rappresenta tre
differenti entità:

Significato (felino domestico)

segno

Significante (gatto) Referente (realtà esterna)

Ai 3 vertici del triangolo troviamo le 3 entità in gioco:


Un significante, attraverso la mediazione di un significato con cui è associato e
insieme al quale forma il segno, si riferisce ad un elemento della realtà esterna
extralinguistica: un referente.
Vediamo un esempio pratico per comprendere realmente:
Al significante “s-e-d-i-a” si associa il significato “sedia” (ed insieme compongono il
segno). La parola “sedia”, formata da queste 2 facce (significante e significato) si
riferisce all’oggetto reale sedia e lo identifica.

ATTENZIONE:
La linea di base del triangolo è tratteggiata, mentre i due lati no!
Perché? Perché il rapporto tra significante e referente non è diretto, ma è mediato
dal significato.

Lezione 10: 3.2


Tenendo bene a mente questo triangolo possiamo allora distinguere i 4 livelli di
arbitrarietà della lingua:
1° Livello:
È arbitrario il rapporto tra segno e referente
Ossia…
Non vi è alcun legame naturale e logico fra un elemento della realtà esterna ed il
segno a cui esso è associato
2° Livello:
È arbitrario il rapporto tra significante e significato
Ossia…
Il significante “s-e-d-i-a” non ha nessuno rapporto logico o naturale col significato
oggetto d’arredamento con 4 gambe…

3° Livello:
È arbitrario il rapporto tra forma e sostanza del significato
Ossia…
Ogni lingua ritaglia a modo suo un certo spazio di significato, distinguendo più
entità.
Un esempio?
All’italiano “andare” corrispondono in tedesco 2 differenti verbi: “gehen” e “fahren” a
seconda che si vada a piedi o tramite un mezzo di trasporto.
La lingua tedesca ha ritagliato a modo proprio un certo spazio di significato, in
modo completamente differente rispetto all’italiano. Il tedesco distingue 2 entità
laddove l’italiano ne distingueva una sola.
(altri esempi: to tell e to say in inglese o pedir e preguntar in spagnolo)

4° livello:
È arbitrario il rapporto tra forma e sostanza del significante
Ossia…
Ogni lingua specifica in maniera culturalmente pertinente la scelta dei suoni,
rendendo pertinenti specifiche unità foniche.
Un esempio?
In italiano è pertinente la durata della consonante e associamo la sua durata ad una
doppia (pena ≠ penna). La durata della consonante fa cambiare il significato della
parola in questione
Sempre in italiano non è pertinente la durata della vocale, infatti a seconda della
durata vocalica non cambia il significato, al massimo può cambiare l’enfasi con cui
comunichiamo ma non ha valore distintivo
Vi sono però lingue in cui avviene l’esatto opposto, come in tedesco (Staat ≠ Stadt)
In alcune lingue sia vocali che consonanti hanno valore distintivo, come in latino.

A questo radicale principio di arbitrarietà dei segni linguistici troviamo delle


eccezioni:
Le onomatopee
Esse riproducono o richiamano nel loro significante caratteri fisici di ciò che viene
determinato.
Per esempio, tintinnio; chicchirichì; din don dan… richiamano nel loro significante
caratteristiche tipiche del referente extralinguistico.
Tuttavia, va notato che anche le onomatopee possiedono un certo grado di
arbitrarietà al loro interno. Prendiamo per esempio la parola “tintinnio”. Il suffisso -io
è completamente arbitrario. Inoltre, se le onomatopee fossero completamente
esenti da questo principio di arbitrarietà, esse sarebbero pressoché identiche in ogni
lingua, ma è risaputo non esser così.
/ In inglese chicchirichì è cock-a-doodle-doo, in tedesco kikeriki. Vi sono si delle
somiglianze, ma non sono precisamente le medesime/.

La doppia articolazione:
Trattasi di una proprietà del linguaggio verbale umano che sancisce la presenza nel
linguaggio umano di unità che vengono tra loro combinate per formare i messaggi
comunicativi.
Nello specifico i segni linguistici sono articolati e scomponibili a 2 livelli differenti:

1) Unità minima di 1° articolazione:


Dotate di significato, altro non sono che morfemi

Es: gatt-o

Entrambi i morfemi hanno un loro significato

2) Unità minima di 2° articolazione


Dotate di valore distintivo, altro non sono che fonemi

Es: g-a-t-t-o
Non hanno un valore semantico ma fonologico, determinano una distinzione
nell’articolazione delle parole, che porta a costruire parole diverse e ad identificare
parole e messaggi diversi.

/Nella parola gatto la lettera -o è sia fonema che morfema, dicesi sovrapposizione/

Quali sono i vantaggi della doppia articolazione?


Economicità del sistema linguistico:
Con un numero limitato di elementi di 2° articolazione si possono creare tantissimi
elementi di prima articolazione che, a loro volta, possono creare tantissime
combinazioni dotate di significato
Trasponibilità del mezzo:
Un atto linguistico può essere realizzato o trasmesso attraverso 2 canali:

1) Il canale fonico-acustico
/comunicazione parlata/
2) Il canale grafico-visivo
/comunicazione scritta/

La stessa parola può essere comunicata attraverso entrambi i canali


Possiamo arricchire entrambe le comunicazioni non soltanto di contenuto
informativo, ma anche comunicare, in entrambe le modalità, le emozioni del
partecipante al momento della produzione del messaggio (anche se con modalità
diverse).
A vari livelli si evidenzia una priorità del parlato, non tanto per una questione di
rilevanza ma perché il parlato è sicuramente più diffuso.
Inoltre la priorità del parlato è:

- Antropologica
Poiché tutte le lingue con varietà scritte hanno la corrispettiva varietà parlata ma
non tutte le lingue con varietà parlata presentano anche una varietà scritta.
- Ontogenetica
Un individuo impara prima a parlare che a scrivere e in modo completamente
automatico
- Filogenetica
La specie umana ha sviluppato prima il parlato che lo scritto

La priorità dello scritto è invece sociale. Lo scritto è lo strumento per la trasmissione


della legge e ha infatti validità legale, cosa che il parlato non ha
(si ufficializza con la firma non con l’accordo a voce).

La linearità:
Trattasi di un’altra proprietà specifica del linguaggio verbale umano.
Gli elementi del linguaggio verbale umano sono prodotti e ricevuti in successione
nel tempo e nello spazio, trattasi di una successione lineare. Il ricevente il messaggio
può dunque formarsi delle previsioni sul messaggio prima che questo sia stato
effettivamente completato.
Per altri sistemi di comunicazione non esiste questa possibilità di predizione, poiché
il messaggio appare nella sua completezza in un colpo solo, all’unisono (es: il rosso
del semaforo).

Discretezza:
Gli elementi della lingua non sono continui ma discreti, hanno limiti ben definiti.
Ad esempio, nella parola bambino il fonema -b è ben distinto dal fonema -a, trattasi
di componenti tra loro ben distinte.

Onnipotenza semantica:
Chiamata anche polifunzionalità comunicativa. Col linguaggio umano si può
veicolare qualsiasi tipo di contenuto:

- Informativo (trasmettere informazioni)


- Speculativo (esprimere il pensiero)
- Emotivo
- Sociale (instaurare relazioni interpersonali)

Le componenti necessarie per la comunicazione:


A ciascuna componente si collega una funzione o una classe di funzioni:

Pronto? Ci sei?

Testi informativi

Mi spiace

Letteratura; poesia

Libretti delle istruzioni

Regole grammaticali

Ecco alcuni esempi per comprendere la classificazione delle funzioni:

Lezione 11: 3.3


Riflessività:
Anche chiamata funzione metalinguistica. Trattasi della capacità attraverso la lingua
di parlare della lingua stessa.
Esempio: Quando parliamo della grammatica italiana stiamo riflettendo sulla lingua
usando la lingua stessa.

Ma alle volte lo facciamo anche inconsciamente:


“A casa parlo dialetto coi nonni”
Anche in questo caso stiamo riflettendo sulla lingua anche senza necessariamente
parlare di grammatica e lo stiamo facendo sempre utilizzando la lingua stessa come
mezzo.

Distanziamento e libertà dello stimolo:


Con il linguaggio umano si può parlare non solo di ciò che può essere toccato con
mano al momento della comunicazione, È infatti possibile costruire enunciati che
fanno riferimento a elementi e membri lontani nel tempo e nello spazio al momento
della comunicazione. Trattasi di una peculiarità del linguaggio umano, gli altri
sistemi di comunicazione possono solo fare riferimento alla realtà contingente il
momento della comunicazione.
Esempio:
Il cane quando abbaia fa riferimento al momento esatto in cui emette il suono
abbaiare= ho fame ORA, non ieri avevo fame o tra un mese avrò fame

Equivocità:
Con il linguaggio verbale umano si possono creare (potenzialmente) infinite
associazioni tra significato e significante
Es:
1 significato: parte anteriore della testa
Tanti significanti: faccia; viso; volto
Ma si verifica anche il caso opposto:
1 significante: carica
Tanti significati: la carica di sindaco; la carica del cellulare; la carica dei soldati; Gianni
carica la pistola
Questa proprietà presenta i suoi pro e contro.

VANTAGGI:

Maggiore flessibilità e adattabilità da parte della lingua ad esprimere contenuti


sempre nuovi. La lingua è infatti sempre incrementabile, sia che con nuovi significati
che con nuovi significanti
SVANTAGGI:
Possibilità di fraintendimento, per questo motivo mentre si parla il contesto è
essenziale e deve sempre essere ben chiaro.
Ma i vantaggi derivanti dall’equivocità prevalgono decisamente sugli svantaggi.

Produttività (o creatività regolare):


A partire da un numero limitato di segni si possono creare illimitate combinazioni, la
produttività si collega alla doppia articolazione e si ricollega alla Ricorsività:
Che sentenzia che vi è la possibilità da parte della lingua di applicare una procedura
di costruzione di parola (o di frase) alla parola (o frase) appena costruita,
riutilizzando lo stesso metodo, in modo potenzialmente illimitato.
L’esempio chiarisce ogni dubbio:

- Atto Abbiamo applicato un procedimento morfologico per


arricchire di volta in volta il significato di una parola,
- Attuale specificando meglio il referente che quella parola indica,
- Attualizzare creando così ad ogni passaggio una parola nuova.
- Attualizzabile
- Attualizzabilità

Concretamente parlando, per attuare un procedimento di derivazione morfologica,


abbiamo applicato ad una parola già esistente un affisso (prefisso, suffisso o infisso
che sia).
/per esempio, da atto ad attuale abbiamo aggiunto 2 morfemi (-tual ed -e) e così via
sino a giungere ad “attualizzabilità”.

Trattasi di un principio teoricamente illimitato, nella realtà concreta è limitato, ma


può essere molto produttivo e ripetuto più volte.
Oltre alla ricorsività a livello morfologico abbiamo anche ricorsività a livello
sintattico. Possiamo costruire frasi sempre più complesse replicando il medesimo
procedimento sintattico di costruzione della frase precedente.
Dunque la frase più complessa è costruita con una replica dei processi sintattici
utilizzati per la costituzione delle frasi precedenti.
Es:
Gianni corre
Mario vede che Gianni corre
Lo so che Mario vede che Gianni corre
La frase minima è stata espansa sempre e solo attraverso subordinate oggettive.
Potenzialmente, aggiungendo continuamente oggettive, potrei andare avanti
all’infinito.

Dipendenza della struttura:


Le frasi non sono una semplice successione di elementi collegati agli elementi
attigui. Quest’ultimi possono essere collegati anche ad elementi distanti:

Marco è alto
Marco, il fratello di Luca, è alto Discontinuità sintattica

Attenzione però, ciò non significa che le posizioni lineari degli elementi non abbiano
importanza, esse attribuiscono agli elementi una funzione:

Gianni vede Luca ≠ Luca vede Gianni


A seconda della linearità essi sono o sogg. o c. ogg.

Dipendenze:
Fra gli elementi della frase intercorrono rapporti gerarchici con dipendenze fra
elementi contigui e non (come visto negli esempi precedenti)

Incassature:

Incassare tra elementi tra loro in dipendenza altri elementi


Es: Il cavallo, che ha la zampa rotta, è ultimo
incassatura
Tante tipologie di subordinate vengono collocate all’interno della frase tramite
incassature, come ad esempio le relative.
Tutte le proprietà che abbiamo appena finito di vedere caratterizzano il linguaggio
verbale umano.
Dal linguaggio verbale umano abbiamo poi tante lingue che altro non sono che le
realizzazioni concrete del linguaggio verbale umano.

Tutte le comunità umane sono in grado di comunicare, ogni comunità ha però poi
sviluppato forme differenti di comunicazione, fondate sui medesimi principi (le
proprietà del linguaggio verbale umano appena viste), che sono poi le lingue del
mondo. Esse si distinguono l’una dall’altra per l’uso delle strutture linguistiche che
ne stanno alla base ((ad esempio l’ordine delle parole: SVO vs SOV…).

Trasmissibilità culturale:
Il linguaggio animale è interamente trasmesso geneticamente in maniera del tutto
innata, il linguaggio umano invece possiede sia una componente innata che una
componente culturale-ambientale.
La prima, quella innata, altro non è che la facoltà del linguaggio, ovvero l’abilità
innata dell’essere umano di saper comunicare.
La seconda, quella culturale, determina invece quale lingua impariamo.
La facoltà del linguaggio è specie-specifica, ovvero peculiare dell’essere umano
La lingua è appresa nel periodo della prepubertà linguistica (i primi 11-12 mesi di
vita) e nella prima infanzia in seguito all’esposizione all’input linguistico.

Il funzionamento della lingua:


serie di concetti chiave sul funzionamento della lingua:

Una sorta di “lingua in potenza”

L’atto concreto vero e proprio


Sempre Ferdinand de Saussure teorizza un’altra importante distinzione tra:

ASSE PARADIGMATICO E SINTAGMATICO

Partiamo con l’analizzare i rapporti paradigmatici tra elementi linguistici:

Un esempio renderà il concetto più chiaro

Es: Il gatto rincorre il topo

Andiamo incontro ad una scelta paradigmatica per ciascuno dei 3 elementi della
frase:
gatto-rincorre-topo
Scegliamo gatto e non cane o criceto perché vogliamo indicare proprio quello
specifico animale e, per fare questa precisa scelta linguistica, andiamo ad attingere
ad un preciso elemento da un paradigma di parole che indicano gli animali.
Compiamo la stessa operazione anche per gli altri 2 elementi della frase, attingendo
ovviamente a paradigmi di parole differenti.

Osserviamo ora i rapporti sintagmatici tra elementi linguistici:

Anche in questo caso l’esempio risulta essere decisamente più chiaro


Es:
Il gatto rincorre il topo
Il è stato selezionato perché c’è gatto. La selezione tra il, le, gli, lo, la avviene per il
rapporto sintagmatico che intercorre tra il e gatto. Non si tratta più di un rapporto
paradigmatico ma di un rapporto “in presentia” tra elementi compresenti in un
contesto comunicativo, legati da rapporti sintagmatici.
Riassumiamo questi ultimi concetti con gli enunciati di Saussure a tal proposito:

Lezione 12: 3.4-4.1

/Ripresa sul concetto di ricorsività, il superlativo può esser considerato caso di


ricorsività in variante giovanile/

Fonetica:
La fonetica è la branca della linguistica che studia i suoni della lingua
Esistono almeno 3 prospettive fonetiche da cui studiare i suoni:

1) Prospettiva articolatoria:
Studia l’articolazione dei suoni e i conseguenti movimenti degli organi fonatori
che compongono l’apparato fonatorio.
2) Prospettiva acustica:
Studia la consistenza fisica e le modalità di trasmissione dei suoni in quanto
onde sonore
3) Prospettiva uditiva:
Studia il funzionamento degli organi dell’apparato uditivo che entrano in gioco
nella percezione dei singoli suoni
Noi ci concentreremo esclusivamente su un approccio articolatorio, ergo andremo
ad analizzare come i suoni vengono articolati e quali sono i movimenti articolatori
dei vari organi fonatori che ne stanno alla base della realizzazione

Il suono viene prodotto a seguito di un’emissione d’aria. Il flusso d’aria compie un


percorso ben preciso:
polmoni-bronchi-trachea-laringe
Qui nella laringe incontra le corde o pliche vocali, quando l’aria le incontra possono
verificarsi situazioni tra loro differenti
Nella respirazione silente le corde vocali sono rilassate; nella fonazione le corde si
contraggono e si avvicinano tra loro, riducendo o ostacolando il passaggio dell’aria.
Se il passaggio dell’aria fa vibrare le corde vocali allora il suono prodotto sarà
sonoro, questo significa che la restrizione tra le corde vocali è stata importante
Se le corde vibrano in modo ridotto allora il suono sarà sordo. Ciò è sintomo di una
restrizione blanda da parte delle corde vocali.
Toccare con mano la sonorità di un suono è semplice: se la trachea vibra al
passaggio dell’aria allora il suono sarà sonoro, altrimenti dicesi sordo.
Tutti i suoni vocalici sono sonori
I suoni consonantici possono essere sia sonori che sordi

Dopo la laringe il flusso d’aria prosegue per la faringe sino a giungere alla cavità
orale (la bocca).
In quest’ultimo tratto si possono verificare una nuova serie di istanze a causa
dell’azione di alcuni elementi svolgenti un ruolo rilevante nel processo di fonazione.
Essi sono:

1) La lingua:

A sua volta divisa in:


-Radice (parte posteriore)
-Dorso (parte centrale)
- [Apice (punta) e lamina (parta anteriore)] che a loro volta formano la corona

2) Il palato:
-Velo o palato molle (parte posteriore)
-Palato duro (parte anteriore)

3) Alveoli (gengive posteriori)


4) Denti
5) Labbra
/Quando il velo e l’ugola sono rilassati il flusso d’aria può passare nella cavità nasale/

In base alla posizione dei sopracitati elementi si articolano suoni.


Alcuni suoni si articolano senza emissione d’aria: suoni avulsivi o clicks
In italiano certe tipologie di suoni non esistono.

Se lungo il percorso appena citato l’aria incontra un ostacolo, il suono prodotto si


definisce consonantico, altrimenti vocalico.

Consonanti:
La produzione di suoni consonantici dipende dal fatto che l’aria, nel suo passaggio
dai polmoni verso la bocca e/o il naso, incontra un ostacolo che la blocca o ne
rallenta il passaggio.
Le differenze nella produzione dei diversi tipi di suoni consonantici dipendono
essenzialmente da 3 parametri:

1) Il MODO di articolazione
Ossia il tipo di ostacolo che si frappone al passaggio dell’aria, se un ostacolo
totale o parziale.

L’occlusione totale per contatto fra organi articolatori genera le consonanti


occlusive: [p], [b], [t], [d], [k], [g]
Il restringimento parziale senza contatto fra organi articolatori provocante
frizione genera le consonanti fricative: [f], [v], [s], [z], [ʃ]

Il restringimento parziale senza contatto fra organi articolatori e non


generante frizione genera le consonanti approssimanti: [j], [w].

Rapida occlusione che si trasforma in un restringimento del canale=


consonanti affricate [ts], [dz], [tʃ], [dʒ]

Passaggio dell’aria anche nella cavità nasale = consonanti nasali [m], [ɱ], [n],
[ɲ], [ŋ]

Passaggio dell’aria solo ai due lati della lingua, o ad uno solo di essi=
consonanti laterali [l], [ʎ]

Rapidi contatti fra la lingua e un organo articolatorio = consonanti vibranti [r]

2) Il PUNTO di articolazione:
bilabiale → fra le labbra [p], [b], [m];
labiodentale → fra i denti superiori e il labbro inferiore [f], [v], [ɱ]
dentale (o alveolare) → fra i denti [t], [d], [ts], [dz], [s], [z], [n], [l], [r]
palatale → fra il palato duro e la lingua [tʃ], [dʒ], [ʃ], [ɲ], [ʎ]
velare → fra il velo e la lingua [k], [g], [ŋ]
uvulare → fra l’ugola e la parte posteriore della lingua [R]

3) SONORITÀ

Ossia la vibrazione più o meno consistente delle corde vocali


(discorso visto in precedenza su sordità e sonorità vocali/consonanti)

Le consonanti nasali, laterali e vibranti sono tutte sonore


Le consonanti occlusive, fricative, affricate possono essere sia sorde che sonore

Alfabeto fonetico internazionale (IPA):

Luoghi d’articolazione:

Sonorità:
Modi d’articolazione

Lezione 13; 4.2

Le vocali sono un flusso egressivo che non incontra ostacoli. Tutte le vocali sono
orali, ossia vengono articolate attraverso un flusso egressivo che esce dalla bocca. In
altre lingue, per esempio in francese, esistono vocali nasali, le quali richiedono il
coinvolgimento della cavità nasale.
Le vocali si distinguono in base alla loro articolazione.
Vi sono 3 parametri per descriverne l’articolazione. Trattasi di parametri relativi alla
lingua e agli organi della cavità orale con cui la lingua entra in contatto.

1) Posizione della lingua


Se la lingua si trova in posizione avanzata o arretrata
2) Elevazione della lingua
Se la lingua si trova innalzata o in posizione di riposo
3) Arrotondamento delle labbra
Se le labbra si trovano arrotondate

Le diverse posizioni che la lingua può assumere nella cavità orale vengono in genere
stilizzate nella forma di un trapezio: il trapezio vocalico

Posizione della lingua


anteriori posteriori(
Grado di elevazione della lingua centrali
(palatale) velare)

alte (chiuse)

Vediamone un esempio di
applicazione pratica:
Medio-alte
anteriore centrale posteriore

vino
Medio-basse uva

Basse
pesca(aperte)
(attività) botte
(contenitore)
Arrotondamento delle labbra
ala
Solo in italiano standard e solo
Labbra in sillaba tonica c’èlabbra
non arrotondate la distinzione
arrotondate fra vocali medio-
pesca (frutto)
alte e medio-basse. In varietà regionali non standard vi è infatti la tendenza a
botte (percosse)
produrre solo vocali medio alte/ medio basse.
Approssimanti:
Se il dorso della lingua si avvicina al palato ne risulta un suono né vocalico né
consonantico, bensì approssimante. Se la lingua si appoggia sul palato duro dicesi
approssimante anteriore (o palatale), se si appoggia al palato molle viene invece
denominata approssimante posteriore (o velare).

Palato duro = Palato molle = approssimante


approssimante anteriore posteriore (o velare)
(o palatale) [ w ] = [ ‘wɔ:mo ]
[ j ] = [ ‘jε:ri ]

Le approssimanti sono prodotte solo in combinazione con suoni vocalici


La combinazione di una vocale e un’approssimante si definisce dittongo.

I dittonghi possono essere:

- Ascendenti quando l’approssimante precede la vocale

[ ja ] es. fianco = [ ‘fjaŋko ]


[ jo ] es. sodio [‘ˈsɔdjo ]
[ wi ] es. guida = [ ’gwi:da ]
[ wε ] es. guerra = [ ‘gwε:r:a ]
[ wɔ ] es. cuore = [ ‘kwɔre ]
- Discendenti quando l’approssimante segue la vocale

[aw] es. auto = [ ‘aw:to ]


[ew] es. feudo = [ ‘few:do ]
[ aj ] es. baita = [ ‘bajta ]
[ ej] es. dei = [ ‘dej ]
[ oj ] es. poi = [ ‘pɔj ]

La combinazione di una vocale e due approssimanti si definisce trittongo:


es. miei = [ ‘mjɛj ] (semivocale + vocale + semivocale) (1 sillaba)
es. aiuola = [ a‘jwɔ:la ] (semivocale + semivocale + vocale) (3 sillabe)

La combinazione di due vocali, realizzate con due emissioni d’aria distinte, si


definisce iato.
[ ua ] es. bua = [ ‘bu:a ] (2 sillabe)
[ io ] es. dondolio = [ dondo’lio ] (4 sillabe)
[ εo ] es. galateo = [ gala’tε:o ] (4 sillabe)
[ ia ] es. filosofia = [ filozo’fia ] (5 sillabe)

La trascrizione fonetica:
La trascrizione fonetica è una riproduzione fedele della pronuncia dei suoni e riporta
i foni, la loro lunghezza e l’accento primario di parola.
Vediamo come realizzarla concretamente:

1) La trascrizione va inserita fra parentesi quadre


2) L’accento si indica con un apice prima della sillaba accentata (tonica)
3) La lunghezza della consonante si indica con il fono seguito da due punti [k:]
4) In posizione intervocalica sono lunghi i 5 foni [ʃ:], [ʎ:], [ɲ:], [t:s], [d:z]
5) Nei suoni affricati si indica la lunghezza dopo il simbolo dell’occlusione nei
suoni affricati si indica la lunghezza dopo il simbolo dell’occlusione [t:s], [d:z ,
[t:ʃ] , [d:ʒ ì]
6) la lunghezza della vocale si indica solo in sillaba tonica aperta non finale di
parola [‘pi:no]
7) le vocali medio-basse [ɛ] [ɔ] si possono trovare solo in sillaba tonica

Allungamento della affricata dentale sorda in


Accento posizione intervocalica
[o’spi:t:si]
Parentesi quadre
Allungamento vocalico in sillaba tonica aperta non finale

Analizziamo un aspetto per volta:

Accento:

L’accento si indica con un apice prima della sillaba accentata (tonica) nelle parole
plurisillabiche.
es. giù = [ ‘ʤu ]
es. nonno = [ ‘nɔ:n:o ]
es. inverno = [ iɱ’vɛrno ]
es. globalizzazione = [ globalid:za’t:sjone ]

Diagrammi e trigrammi:
I digrammi e trigrammi dell’ortografia italiana corrispondono ai seguenti foni:
<ch> = [ k ], es. chiesa = [ ‘kjɛ:za ]
<gh> =[ g ], es. ghetto = [ ‘ge:t:o ]
<ci> = [ tʃ ], es. ciao = [ ‘tʃa:o ] [ ‘tʃ i a: o ][ ‘tʃ j a: o ]
<gi> = [ ʤ ], es. giudizi = [ ‘ʤu:dit:si ] [ ‘ʤiu:dit:si ] [ ‘ʤju:dit:si ]
<cqu> = [ k:w ], es. acqua = [ ‘ak:wa ]
<gn> = [ɲ], es. gnomo = [ ‘ɲɔ:mo ]
<gli> = [ ʎ ], es. famiglia = [ fa’mi:ʎ:a ] MA gli = [ ‘ʎi ]
<sc>/ >sci> = [ ʃ ], es. scena = [ ‘ʃɛ:na] es. sciarpa = [ ‘ʃa:rpa ]

Nasali:
Nella trascrizione fonetica è necessario specificare il punto di articolazione delle
consonanti nasali:

consonante nasale dentale sonora


<n> = [ n ], es. nonno = [ ‘nɔ:n:o ]
consonante nasale labiodentale sonora
<n> = [ ɱ ], es. inverno = [ iɱ’vɛrno ], inferno [ iɱ’fɛrno ]
consonante nasale velare sonora
<n> = [ ŋ ], es. angolo = [ ‘aŋgolo ], anche = [ ‘aŋke ]
consonante nasale palatale sonora
<gn> = [ ɲ ], es. gnomo = [ ‘ɲɔ:mo ]
consonante nasale bilabiale sonora
<m> = [ m ], es. mamma = [ ‘ma:m:a ]
Sonorità:
Nella trascrizione fonetica si specifica anche la sonorità della fricativa dentale e della
consonante affricata dentale:
consonante fricativa dentale sorda
<s> = [ s ], es. sole = [ ‘so:le ] , rosa “part. pass. V. rodere” = [ ‘rɔ:sa ]
consonante fricativa dentale sonora
<s> =[ z ], es. rosa “fiore” = [ ‘rɔ:za ]
consonante affricata dentale sorda
<z> = [ ts ], es. razza = [ ‘ra:t:sa ]
consonante affricata dentale sonora
<z> = [ dz ], es. razza = [ ‘ra:d:za ]

N.B.
Varianti fonetiche diatopicamente marcate
<casa> = Sud [ ‘ka:sa ] vs Nord (e standard) [ ‘ka:za ]
<zio> = Sud (e standard) [ ‘tsi:o ] vs Nord [ ‘dzi:o ]

Lunghezza consonantica:
Le consonanti possono essere sia lunghe sia brevi, in base alla concreta articolazione
del suono nell’articolazione della parola:
< n > = [ n ] es. nono = [ ‘nɔ:no ]
< nn > = [ n: ] es. nonno = [ ‘nɔ:n:o ]
< l > = [ l ] es. molo = [ ‘mɔ:lo ]
< ll > = [ l: ] es. mollo = [ ‘mɔ:l:o ]
< c > = [ k ] es. ecologia = [ ekolo’ʤia ]
< cc > = [ k: ] es. ecco = [ ‘ɛ:k:o ]

Le seguenti consonanti in posizione intervocalica (fra due vocali) sono sempre


lunghe:
Affricata dentale sorda
<z> = [ ts ], es. pizza = [ ‘pi:t:sa ]
MA zio [ ‘tsjo ] posizione NON intervocalica
Affricata dentale sonora
<z> =[ dz ], es. gazza = [ ‘ga:d:za ]
MA zonzo = [ ‘ʣonʣo ] posizione NON intervocalica
Fricativa palatale sorda
<sc/sci> = [ ʃ ], es. coscia = [ ‘kɔ:ʃ:a ]
MA sciame = [ ‘ʃa:me ] posizione NON intervocalica
Nasale palatale sonora
<gn> = [ ɲ ], es. ragno = [ ‘ra:ɲ:o ]
MA gnocco = [ ‘ɲɔ:k:o ] posizione NON intervocalica
Laterale palatale sonora
<gl> = [ ʎ ], es. aglio = [ ‘a:ʎ:o ]
MA glielo = [ ’ʎe:lo ] posizione NON intervocalica

La vocale:
- è lunga in sillaba tonica aperta (che termina in vocale)
es. capo = [ ‘ka:po ]

- è breve in sillaba non tonica (sia aperta sia chiusa)


es. consapevole = [ konsa’pevole ] vocali brevi = [ kon ], [ sa ], [ vo ], [ le ]
- è breve in sillaba tonica chiusa (che termina in consonante)
es. campo = [ ‘kampo ]
- è breve in sillaba tonica aperta se la sillaba tonica è l’ultima sillaba della parola
es. tabù = [ ta’bu ] [ ta’bu: ]
- è breve nelle parole monosillabiche (composte da una sola sillaba)
es. giù = [ ‘ʤu ] [ ‘ʤu: ]

In sillaba non tonica si trovano SOLO le vocali semi-alte (chiuse)


In sillaba tonica si possono trovare sia vocali semi-basse (aperte) [ ɛ ] e [ ɔ ] sia
vocali semi-alte (chiuse) [ e ] e [ o ]
menta = [ ‘mɛnta ] sillaba tonica con vocale anteriore semi-bassa
sgomento = [ sgo‘mento ] sillaba tonica con vocale anteriore semi-alta
forte = [ ‘fɔrte ] sillaba tonica con vocale posteriore semi-bassa
apporre = [ a‘p:o:r:e ] sillaba tonica con vocale posteriore semi-alta

Il dittongo (vocale + semivocale/ semivocale + vocale) è pronunciato con una sola


emissione d’aria e costituisce una sola sillaba
ieri = [ ‘jɛ:ri ]
uomo = [ ‘wɔ:mo ]
Lo iato (due vocali) è pronunciato con due emissioni d’aria e costituisce due sillabe
filosofie = [ filozo’fi:e ]
Il trittongo (semivocale + semivocale + vocale/semivocale + vocale + semivocale) è
pronunciato con una sola emissione d’aria e costituisce una sola sillaba
miei = [ ‘mjɛj ]
La vocale non è allungata perché la parola è monosillabica

La sillaba non è accentata perché la parola è monosillabica


aiuola = [ a‘jwɔ:la ]
Lezione 14; 4.3:
/Esercizi e spiegazione trascrizione I.P.A., vedi IPad/

Fono e fonema:
Il fonema è l’unità minima dotata di valore distintivo. Non ha significato ma ha
valore discriminante e distintivo. Il fonema è confermato dalla presenza delle coppie
minime. Le coppie minime si distinguono tra di loro per 1 solo singolo suono
differente.
/’male/ vs /’mare/

Non soltanto foni ma fonemi, dato che hanno carattere discriminante poiché, come
abbiamo appena visto, distinguono almeno una coppia minima

/mare/ v.s. /’maRe/


R moscia

R e r sono 2 foni ma non 2 fonemi. Sono foneticamente diversi ma non


comunicativamente, dato che non crea coppia minima.

2 tipi diversi di trascrizione:

1) Trascrizione fonetica:
Riguarda sia i foni che hanno valore di fonema che quelli che non ce l’hanno.

2) Trascrizione fonematica/fonologica:
Essa si distingue perché utilizza solo foni che hanno valore di fonema.
La trascrizione deve avvenire tra parentesi oblique, non più quadre //
Trascrizione fonetica Trascrizione fonematica
antica = [ an’ti:ka ] antica = /an’tika/
angolo = [ ‘aŋgolo ] angolo = /‘angolo/
La ŋ non ha valore distintivo La n ha valore distintivo

Allofoni:
Diverse realizzazioni concrete dello stesso fonema, ad es. foni [n], [ŋ] rispetto al
fonema /n/

Lezione 15; 4.4-4.5:


Le regole di Trubeckoj:
Trattasi di regole che descrivono il funzionamento dei fonemi nella lingua.

- Regola 1

Quando 2 suoni ricorrono nelle medesime posizioni e possono essere scambiati fra
loro facendo mutare il significato delle parole o rendendole irriconoscibili allora
questi 2 suoni sono 2 diversi fonemi.

[ ’varo ] - [ ’faro ] = /’varo/ - /’faro/


I due foni [ v ] e [ f ] corrispondono a due fonemi /v/ e /f/

- Regola 2

Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e possono essere scambiati
fra loro senza far mutare il significato delle parole, allora questi 2 suoni sono
soltanto varianti fonetiche facoltative, o libere, di uno stesso fonema

[ ‘re:mo ] – [ ‘R e:mo ] = /‘re:mo/ - /‘re:mo/

I due foni [ r ] e [R ] corrispondono allo stesso fonema /r/

- Regola 3

Quando 2 suoni simili dal punto dal punto di vista articolatorio non sono
interscambiabili negli stessi contesti fonologici, allora questi 2 suoni sono varianti
fonetiche combinatorie (allofoni), determinate dalla combinazione con altri suoni nel
contesto fonologico, di uno stesso fonema.

[ ‘aɱfora ] – [ ‘aŋkora ] = /‘anfora/ - /‘ankora/


I due foni [ ɱ ] e [ ŋ ] corrispondono allo stesso fonema /n/ I due foni [ ɱ ] e [ ŋ ]
sono due allofoni del fonema /n/

Le coppie minime:

Le coppie minime sono composte da 2 parole distinte da:

La differenza di un unico fonema nella stessa posizione all’interno della parola


/’kalo/ - /’karo/, /’pesca/- /’pεsca/

La posizione dell’accento

/’ankora/ - /an’kora, /’papa/- /pa’pa/

La lunghezza consonantica

’nona/ - /’non:a/, /’papa/ - /’pap:a/


(invece la lunghezza vocalica non ha valore distintivo e non va indicata nella
trascrizione fonematica)

Non sono coppie minime parole composte da un diverso numero di fonemi: /kjare/
(5 fonemi) - /kare/ (4 fonemi)

La sillaba:

Unità soprasegmentale costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco


di intensità

favole= fa.vo.le
3 sillabe= 3 picchi di intensità (/a/, /o/, /e/)

Il picco di intensità cade sul nucleo della sillaba (in italiane solo sulle vocali).

Suddivisone interna della sillaba:

attacco nucleo coda

Le sillabe con coda sono sillabe chiuse


Le sillabe senza coda sono sillabe aperte

La sillaba che contiene la vocale su cui cade l’accento tonico della parola è detta
tonica
Esistono parole senza accento dette atone
Accento:
Trattasi della prominenza fonica di una sillaba (del suo nucleo: la vocale) rispetto alle
altre sillabe della parola.

Tipologie di accento:

1) Accento dinamico/intensivo:
Aumento della forza espiratoria durante la pronuncia, e conseguente aumento del
volume della voce e della durata della sillaba.

Lingue che utilizzano questa tipologia di accento:


Lingua italiana, inglese, francese, tedesca, spagnola, russa…

2)Accento melodico/tonale:

Tono o altezza musicale con cui le sillabe sono pronunciate e la curva melodica a cui
la loro successione dà luogo

Tono= altezza di pronuncia della sillaba, legata alla velocità e alla frequenza delle
vibrazioni delle corde vocali
Alta frequenza delle vibrazioni delle corde vocali= aumento di volume e tono
ascendente
Bassa frequenza delle vibrazioni delle corde vocali= riduzione di volume e tono
discendente

Una lingua tonale è ad esempio il cinese.


Lo stesso segno ortografico se pronunciato 89898989898989

mā (tono alto costante) “mamma”


má (tono ascendente) “lino”
mǎ (tono discendente-ascendente) “cavallo”
mà (tono discendente) “insultare”
mà (tono neutro) particella interrogativa

L’italiano ha un accento mobile e con valore distintivo.


In base alla sillaba su cui cade l’accento le parole in italiano si definiscono:

1) Tronche= accento sull’ultima


es: città
2) Piane= accento sulla penultima
es: lavoro
3) Sdrucciole= accento sulla terzultima
es: tavolo
4) Bisdrucciole: accento sulla quartultima
es: capitano (verbo capitare)

Le parole senza accento si definiscono atone. Trattasi di parole monosillabiche che


non hanno accento autonomo e per essere pronunciate si “appoggiano” al contesto
che precede o che segue.

Altri tipi di accento:

Accento fisso e con valore demarcativo

Il francese, ad esempio, adotta questa tipologia d’accento. In francese l’accento cade


sempre sull’ultima sillaba o sulla sillaba finale di un sintagma. Un altro esempio può
essere la lingua turca, ove l’accento cade sempre sull’ultima sillaba. Ovviamente
tutto ciò evidenzia il valore demarcativo che l’accento possiede in queste
circostanze.

Concetto d’intonazione:
L’intonazione è l’andamento melodico con cui è pronunciato l’enunciato.
In italiano l’intonazione distingue enunciati con funzioni pragmatiche differenti.

Esempi:

Enunciato interrogativo = contorno intonativo ascendente Gianni esce?

Enunciato dichiarativo = contorno intonativo costante Gianni esce.

Enunciato esclamativo = contorno intonativo discendente Gianni esce!

Concetto di lunghezza (o durata, o quantità):


È l’estensione temporale relativa nella quale i foni sono prodotti.

Lezione 16; 5.1

Concetto di morfema:

Il morfema è l’unità minima dotata di significato, il mattoncino più piccolo.

Un morfema è inoltre un segno linguistico, composto da significante e significato.

L’esercizio dell’individuare il numero di morfemi presenti all’interno di una parola


prende il nome di trascrizione morfematica.

Trascrizione morfematica di giorno:

Giorn-o

Morfema lessicale Morfema grammaticale:


flessivo o flessionale

Indica l’entità extralinguistica


a cui la parola fa riferimento
Strumento della flessione. Codifica
informazioni relative a numero,
genere, tempo e modo (nei verbi).
Giorn-al-ist-a

Morfema lessicale Morfema flessionale

Morfemi grammaticali: derivativi o derivazionali

Trattasi di 2 morfemi grammaticali ma non flessionali, indicano una derivazione, un collegamento tra quella
parola ed altre parole più semplici a livello morfologico presenti nel lessico della lingua in questione. Dicesi
morfemi derivanti. Sono strumenti del processo morfologico della derivazione. Trattasi di morfemi che
sanciscono la classe di parola della parola stessa, Li utilizziamo per creare parola a partire da parole più
semplici (come già abbiamo visto quando abbiamo analizzato il processo di derivazione nello specifico

Certe parole non possono essere scomposte in morfemi; esse si dicono


monomorfematiche. Un esempio è la parola ieri. Trattasi di morfemi autonomi, non
co-occorrono con altri. Vengono anche definiti morfemi liberi

Sono l’esatto opposto dei cosiddetti morfemi legati, morfemi che


obbligatoriamente cooccorrono con altri morfemi per formare una parola.

Come si individuano i morfemi di una parola?

Attraverso la prova di commutazione

/vedi schema sull’Ipad con la parola “dentale”/

Famiglia di parole:
Insieme delle parole derivate dallo stesso morfema lessicale

Vocale tematica:

lavor-a-v-o

Vocale tematica. Ci indica che si tratta di un verbo di


1°coniugazione (ARE; ERE; IRE)

La vocale tematica si trova in tutte le parole che derivano dal verbo, durante la
trascrizione morfematica dobbiamo individuarla ed isolarla.
Es:
Lavoratore

Lezione 17; 5.2

Fenomeni di riaggiustamento:

La sequenza di fonemi che compone il morfema quando si trova in specifici contesti


fonologici, per agevolare la pronuncia della parola, subisce delle modifiche. Trattasi
di sostituzioni di parte del significante, senza alterare però il significato.

Vi sono diversi tipi di aggiustamento fonologico:

Per assimilazione:

Il fonema sostituito diviene più simile al fonema successivo. Si assimila al contesto


fonologico.

In + pronunciabile = impronunciabile, In + legale = illegale

Per elisione:

Parte del sintagma viene elisa per facilitarne la produzione orale.

lungo + Arno = lungarno

/Le 2 parole sono state unite tramite l’elisione dell’ultimo fonema della parola/
Per inserimento:

Aggiunta di ulteriori fonemi nel punto di contatto tra i 2 diversi fonemi

Gas + oso = gassoso, Cognac + ino = cognacchino

Per sostituzione:

- Sostituzione della consonante finale del morfema lessicale. Trattasi di una


sostituzione a livello fonematico, non. Ortografico. Il suono cambia completamente

belga belgi

Sostituzione articolatori del suono senza una modifica del carattere ortografico.

- Sostituzione della vocale finale del morfema lessicale del primo elemento di un
composto

Dieta+ logo= dietologo


Calore+ fero= calorifero

Allomorfia:

morfo ≠ morfema

In- “negazione” Morfema

Illegale Impronunciabile Inadatto


Allomorfi

Il morfema è l’entità astratta mentre i morfi sono le realizzazioni pratiche del


Morfi
morfema. Tra i morfi ha rilevanza superiore quello utilizzato più frequentemente, che
viene elevato a morfema, ad entità astratta di riferimento. In questo caso -In è il
morfo che ha frequenza maggiore, per questo motivo si eleva a morfema.
Allomorfi sono quei morfi riconducibili ad un medesimo morfema in quanto ne
condividono il significato e la posizione all’interno della struttura morfemica della
parola. In questo caso Il-; Im- e In- sono tutti allomorfi del morfema (entità astratta)
In-. Gli allomorfi sono dunque diverse varianti a livello di significante del medesimo
morfema.

/Un discorso molto simile l’abbiamo già visto parlando di foni, fonemi ed allofoni/.

Vediamo alcuni esempi:

Mutamento Movimento

mut-a-ment-o mov-i-ment-o
ML VT MD MF ML VT MD MF

Morfi: -ament-; -iment-

Morfema: -ament- molto più frequente e regolare

Esistono anche allomorfi di morfi liberi:

I/Gli (Morfi)

I è morfema poiché più frequente in comunicazione

L’allomorfia può riguardare sia i morfemi lessicali che i morfemi grammaticali

Esempi:

Morfema lessicale:

Allomorfi = ten-e-re, tien-i, teng-ono, tenn-ero, ter-r-ò...

Morfema (il morfo più frequente) = ten-

Morfema grammaticale:

Allomorfi = in-giust-o, il-lecit-o, ir-real-e, in-esatt-o, ....

Morfema (il morfo più frequente) = in-


L’allomorfia riguarda morfi che sono il risultato di esiti diversi dell’evoluzione diacronica
(tenere, tieni) o di riaggiustamenti fonotattici sincronici (impronunciabile, illogico) dello
stesso morfema

Suppletivismo:
Il suppletivismo riguarda morfemi lessicali equivalenti per significato e posizione ma diversi
foneticamente tra di loro.

Esempi:

vad-o, and-iamo
acqu-a, idr-ic-o
avori-o, eburne-o

Non si tratta di 2 allomorfi ma di 2 morfemi distinti. La radice non è la medesima


riaggiustamenti fonologici determinanti allomorfia, bensì ci troviamo dinnanzi a 2 radici
completamente diverse che determinano 2 morfemi distinti, che condividono però posizione
e significato.
Il suppletivismo rappresenta esiti diacronici molto diversi della stessa origine etimologica.

La classificazione dei morfemi:

1) Classificazione funzionale

I morfemi vengono distinti in base al contributo che danno al significato della parola:

Se sono in riferimento ad un referente extralinguistico: ML (morfemi lessicali)

Se aggiungono informazioni semantiche o categoriali: MD (morfemi derivazionali)


Se codificano delle categorie grammaticali MF

2) Classificazione posizionale

Riguarda i morfemi grammaticali (MD e MF)


In base alla posizione che il morfema occupa all’interno della parola rispetto al morfema
lessicale

(questa parte è da rivedere)

Lezione 18; 5.3:

I morfemi flessionali:

I morfemi flessionali non modificano il significato del morfema lessicale (quindi il referente
extra linguistico) ma danno informazione sintattica sullo specifico referente chiamato in
causa durante una conversazione.
I morfemi flessionali sono dunque in grado di codificare i valori delle categorie
grammaticali.
Le categorie grammaticali sono coloro che esprimono i significati fondamentali e generali
che ciascuna lingua codifica obbligatoriamente sulle parole delle classi del discorso variabili
(in italiano troviamo dunque morfemi flessionali su nomi, verbi, articoli, aggettivi e su alcuni
pronomi).

In italiano vengono codificati attraverso i morfemi flessionali genere e numero


Vediamo in primis il genere:
La categoria del genere indica il tratto semantico “MASCHILE” o “FEMMINILE”, per lo
meno in italiano, dato che in altre lingue ad essi si aggiunge il “NEUTRO” (come in
tedesco).

Questo tratto semantico in italiano è il riflesso della categoria biologica del sesso solo per
quanto riguarda i referenti animati. Per quanto riguarda i referenti inanimati ed asessuati
abbiamo un’attribuzione completamente convenzionale ed arbitraria del genere, che può
variare interlinguisticamente.
Per quanto riguarda le lingue col neutro sarebbe logico indicare con suddetto genere tutti i
referenti inanimati ed asessuati. Purtroppo, non è così. Anche in questo caso vi è
un’assegnazione completamente arbitraria.

Passiamo ora al numero:

La categoria del numero indica la quantità di referenti a cui una determinata parola fa
riferimento.
L’italiano prevede una distinzione tra quantità singola e plurima, ma anche in questo caso si
tratta di una distinzione completamente arbitraria. Altre lingue fanno distinzioni differenti.
Ad esempio, in greco antico, sanscrito e aravo troviamo la distinzione tra singolare, duale e
plurale. In alcune lingue dell’Oceania vi è addirittura la presenza del triale.

L’accordo morfosintattico:

L’accordo morfosintattico è ciò che comunemente viene chiamato concordanza (d’ora in poi
cerchiamo di evitare questo termine). Consiste nell’allineamento delle marche delle parole
all’interno di un sintagma o di una frase.
Se si tratta dell’allineamento di marche all’interno delle parole all’interno di un sintagma
allora si parla di flessione inerente, se parliamo invece di frase allora si tratta di flessione
contestuale. In questo caso la flessione di articoli e aggettivi dipende dalla flessione della
testa nominale.

Esempi:

Flessione inerente:

vicina

Flessione contestuale:

La mia vicina è simpatica.

La categoria del caso:


Questa specifica categoria non riguarda la lingua italiana, noi ci fermiamo infatti a genere e
numero.
Trattasi di una categoria sintattica, codifica infatti la funzione sintattica di una determinata
parola. La categoria del caso possiamo trovarla in determinate lingue come tedesco e latino.

Esempio:

It.: il ragazzo ha dato una rosa a Maria

Lat.: puer rosam dedit Mariae

Non tutte le lingue hanno lo stesso numero di casi. Trattasi dell’ennesimo esempio di
variazione interlinguistica:
Finlandese: 16 casi ; Russo: 8 casi,
Latino: 6 casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo) Greco: 5 casi
(nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo) Tedesco: 4 casi (nominativo, genitivo,
dativo, accusativo).

A onor di cronaca, in italiano qualche traccia della categoria del caso è rimasta nel sistema
dei pronomi tonici: Io/me, tu/te, lui/lo/gli; Lei/la/le

Legato alla categoria del caso vi è il discorso sulla reggenza

La reggenza è il processo di assegnazione di una marca di caso al nome da parte del verbo o
della preposizione

Esempio:

Cum militibus

Prep Ablativo

Con i soldati

La nozione di reggenza si estende anche al rapporto fra vero e preposizione

Esempio:
Thinking of; Waiting for

Variazione interlinguistica:
Lingue diverse codificano informazioni diverse con marche morfologiche differenti.

In italiano le marche morfologiche ci indicano l’entità del nostro legame con il soggetto in
questione.

Michel-ino

In giapponese si codificano le relazioni sociali con marche morfologiche specifiche del


nome:

Lucasan = Sig. Luca (indica rispetto e distanza sociale)

Lucasama = Sig. Luca (indica deferenza)


Lucakun = il mio amico Luca (indica confidenza e forte amicizia)

In arabo si codifica la definitezza con un morfema flessionale specifico all’interno del


nome:

almaktabatu “la libreria” vs. maktabatun “una libreria”

La categoria grammaticale dell’aggettivo:


La morfologia aggettivale codifica l’informazione dell’intensità

In italiano la codifica morfologica avviene solo nel caso del superlativo assoluto:

Bellissimo

La codifica di superlativo relativo e comparativo avviene con mezzi lessicali:

Superlativo relativo: il più bello

Comparativo: più bello di

In altre lingue, come inglese e tedesco, anche la codifica del comparativo avviene per mezzo
dell’ausilio di marche morfologiche:

Schöner= più bello


Fitter= più in forma

Le categorie grammaticali del verbo:

La morfologia verbale codifica una serie di caratteristiche semantiche dell’evento a cui fa


riferimento. In italiano suddette caratteristiche sono:

1) Persona
2) Diatesi
3) Modo
4) Tempo
5) Aspetto

Iniziamo con l’analizzare la categoria della persona:


La categoria della persona codifica il collegamento fra il verbo e il soggetto, distinguendo i
casi in cui il soggetto è:

Colui che parla (prima persona)


Colui che ascolta (seconda persona)
Colui di cui si parla (terza persona)
In italiano la categoria della persona codifica anche il numero e, nelle forme verbali
composte, anche il genere del soggetto.

Esempi:
arrivo
arriviamo Prima persona singolare Codifica colui che parla e il numero
Prima persona plurale

Siete arrivati Seconda persona plurale maschile Codifica colui che


Siete arrivate Seconda persona plurale femminile parla, il numero e il
genere del soggetto

Vediamo alcuni casi di variazione interlinguistica per quanto riguarda la categoria della
persona:

In inglese, non viene codificato il numero nella seconda persona (you = “tu, voi”).

In vietnamita, la persona codifica la distinzione fra “noi inclusivo” chúngta, che include chi
ascolta, e “noi esclusivo” chúngtôi, che esclude chi ascolta

In giapponese, la persona codifica la distinzione dei diversi rapporti sociali (rispetto,


deferenza, confidenza) tra gli interlocutori

La diatesi:

La diatesi è la categoria esprimente il rapporto fra l’evento e i suoi partecipanti,


principalmente il soggetto.

Diatesi attiva:

Il soggetto esegue un’azione.


Gigi cammina. / Luisa aspetta l’autobus.
Diatesi passiva:

Il soggetto è coinvolto in un evento causato da un agente, che può essere espresso oppure no.

Gigi è stato nominato ieri da Giovanna.


D’estate si beve molta acqua. (si passivante= molta acqua è bevuta d’estate)

Diatesi riflessiva:

Il soggetto esegue e contemporaneamente subisce l’azione, che ricade sul soggetto


Giuliano si lava (= Giuliano lava sé stesso)

La categoria del modo:


La categoria del modo esprime la modalità con cui il parlante si pone rispetto all’evento
descritto dal verbo.

Modo indicativo: Asserzione (constatazione certa di un evento)


Domani Paolo verrà a prendere i libri (non si discute).

Modo congiuntivo: Desiderio/ ipotesi (presentazione incerta di un evento)


(Se) Paolo prendesse i libri!
Penso che domani Paolo venga a prendere i libri.

Modo condizionale: Desiderio/ Possibilità / Irrealtà


Paolo verrebbe a prendere i libri domani (se tu fossi in casa).
Paolo sarebbe venuto a prendere i libri domani (se tu fossi stato in casa)

Modo imperativo: Comando


Paolo, domani vieni a prendere i libri!

La categoria del tempo:


La categoria del tempo definisce il rapporto di anteriorità, contemporaneità e posteriorità fra
il momento dell’avvenimento dell’evento descritto dal verbo (MA) e il momento
dell’enunciazione (ME), in cui il mittente produce l’enunciato.

Tempo passato: MA anteriore a ME


Due giorni fa ho comprato un libro di Camilleri. (ME = ora)

Tempo presente: MA contemporaneo a ME


Ora c’è la lezione di italiano. (ME = ora)

Tempo futuro: MA posteriore a ME


Stasera andrò al cinema. (ME = ora)

Quando il ME non coincide col presente questo schema di rapporti si complica.


Dunque:

La categoria del tempo definisce il rapporto di anteriorità contemporaneità e posteriorità fra


il momento dell’avvenimento dell’evento descritto dal verbo (MA), il momento
dell’enunciazione (ME), in cui il mittente produce l’enunciato, e il momento preso a
riferimento nel discorso (MR), di solito coincidente con ME.

MA anteriore a MR anteriore a ME
Quando mi hai regalato il libro di Camilleri, ne avevo già ordinata una copia.

MA contemporaneo a MR anteriore a ME
Quando mi hai chiamato c’era la lezione di italiano.

MA posteriore a MR anteriore a ME
Mi hai detto che saresti andato al cinema.

La categoria dell’aspetto:

La categoria dell’aspetto esprime il punto di vista del mittente sullo svolgimento dell’azione,
sulla sua compiutezza o meno

Aspetto Perfettivo: azione compiuta e conclusa

Mario ha vissuto/visse ad Arezzo.

Presentazione dell’evento dall’esterno: si vede l’evento nella sua interezza, dopo la sua
conclusione, che può essere indicata

Aspetto Imperfettivo: azione non conclusa, presentata nel corso del suo svolgimento

Mario viveva ad Arezzo.


Presentazione dell’evento dall’interno: si vede l’evento nel corso del suo svolgimento e non
si può indicarne la conclusione

Vediamo dunque la variazione interlinguistica nella categoria dell’aspetto:

In georgiano troviamo la presenza di marche morfologiche per distinguere se il mittente è


stato testimone dell’azione descritta oppure ne è venuto a sapere senza testimonianza diretta.
In italiano certe informazioni vengono codificate tramite elementi lessicali come “ho sentito
dire che”. In georgiano invece c’è proprio una marca morfologica interna al verbo stesso.

La derivazione:
Vi sono 2 principali tipi morfologici di parole:

- Parole base (o primitive)

- Parole derivate

Corda Accordare
(parola primitiva) (parola derivata)

Come si deriva?

Le parole derivate possono essere derivate con morfemi derivazionali posti alla destra del
morfema lessicale originale.

Mano Man-esco

Esistono inoltre le parole alterate. L’alterazione è un sotto procedimento della derivazione


in cui i morfemi aggiungono informazioni semantiche che connotano aspetti affettivi

Esempio:
Mano Man-ina
In alcuni casi è difficile distinguere tra la parola base e quella derivata.
Ad esempio:

Tra lavoro e lavorare qual è la primitiva?


Risulta difficile comprenderlo dato che nessuna delle 2 parole presenta al suo interno
morfemi derivazionali.
Trattasi infatti di un caso di derivazione zero o conversione.

In questi casi si procede con l’individuare la parola base su base categoriale e semantica. Il
verbo solitamente si forma a partire dal nome. Dunque, arbitrariamente, diciamo che lavorare
deriva dal termine lavoro, assimiliamo un caso limite come questo alle regole seguite da casi
più frequenti.

Lezione 19; 5.4 e 5.5


Composizione
La composizione è un procedimento morfologico di formazione di nuove parole unendo 2
parole. I meccanismi di composizione sono spesso trasparenti, regolari e produttivi.

Esempio:

Capotreno

Cap-o Tren-o
ML MF ML MF

L’unione di capo e treno dà vita alla parola composta capotreno

La testa del composto è il costituente che assegna la classe del discorso alla parola composta
(N, V, Agg o Avv).
Inoltre, la testa è il costituente che conferisce le caratteristiche semantiche al composto.
Esistono parole composte che non possiedono una testa.
Esempio:
Portapenne
È un particolare tipo di penna? Oppure un particolare tipo di porta?
Dal sostantivo evinciamo la sua funzione ma non sappiamo effettivamente di cosa si tratti.
Per distinguere con assoluta certezza le parole composte dotate di testa da quelle che non ne
sono provviste sono stati creati dei test. Ve ne sono 3

1) Test sintattico
2) Test semantico
3) Test morfologico

Vediamo in primis il test sintattico:

La parola composta appartiene alla stessa classe del discorso di una delle parole che la
costituiscono?

ROSSOfuoco = AGG + N = AGG sì, quindi la parola composta contiene una parola che
funge da testa

INVECE saliscendi = V + V = N no, quindi la parola composta non contiene una parola
che funge da testa

Vediamo ora il test semantico:

La parola composta indica un referente extralinguistico che rappresenta un particolare tipo di


un referente indicato dalle parole che la costituiscono?

CAPOtreno = un particolare tipo di capo sì, quindi la parola composta contiene una
parola che funge da testa

euroDEPUTATO = un particolare tipo di deputato sì, quindi la parola composta contiene


una parola che funge da testa

INVECE portapenne ≠ un particolare tipo di portare /penna no, quindi la parola composta
non contiene una parola che funge da testa

E infine il test morfologico:

Una delle parole che costituiscono la parola composta si flette?

eurodeputatO MASCH. – eurodeputatA FEMM. sì, quindi la parola composta contiene una
parola che funge da testa
capOstazione SING. – capIstazione PLUR. sì, quindi la parola composta contiene una parola
che funge da testa

INVECE portapenne - *portopenne, *portapenna no, quindi la parola composta non contiene
una parola che funge da testa

L’ordine delle parole che costituiscono la parola composta non è rilevante per individuare la
testa della parola composta, che si può trovare sia in prima che in seconda posizione.

Esempio:

Pescespada
Ferrovia

I composti possono essere:

1) Endocentrici
Quei composti che soddisfano tutti e 3 i test per individuare la testa
Esempio:
Capotreno

2) Esocentrici
Quei composti che non possiedono una testa interna alla parola, ergo non soddisfano nessuno
dei 3 test
Esempio:
Portapenne

3) Composti DVANDVA
Entrambi i costituenti fungono da testa del composto
Esempio:
Caffelatte

In italiano prevalgono i composti esocentrici

Unità polirematiche:
Sono insiemi di parole che si configurano come una parola unica. Il significato dell’unità
polirematica non corrisponde alla semplice sommatoria dei significati delle parole
componenti.
Esempio:

Il gatto delle nevi non è un particolare tipo di gatto, è un oggetto terzo. Queste parole
evocano infatti un referente terzo non ricostruibile unicamente sulla base di quest’ultimo.

Alcune unità polirematiche, oltre che identificarsi come tali, possono anche essere:

Verbi sintagmatici:

Esempio:
Andare via

Sono verbi polirematici che solitamente presentano la struttura verbo+ particella. Il verbo in
questione è solitamente di movimento e la particella un avverbio locativo.

Binomi coordinati:

Esempio:
Usa e getta

Trattasi di unità polirematiche il cui significato è composto in maniera bilanciata dalle 2


parole

Le unità lessicali bimembri si piazzano invece in posizione intermedia fra parole composte
e unità polirematiche poiché il grado di fusione tra le due parole è intermedio

Esempi:
Parola chiave, ufficio concorsi, scuola guida

Sigle e parole macedonia:

Le sigle sono parole composte dalle iniziali delle parole che costituiscono un’unità
polirematica

Esempi:
CFU= crediti formativi universitari.
Le parole macedonia sono parole composte in cui uno dei morfemi lessicali si presenta in
forma elisa per discorsi fonologici

Esempio:
Cantautore= Cantante + autore

Fra derivazione e composizione:


Semiparole:

Trattasi di parole composte ridotte morfologicamente e semanticamente. Sono originate da


morfemi lessicali provenienti da parole delle lingue classiche che in sincronia operano come
morfemi derivazionali, apportando un significato analogo (o molto vicino) alle parole piene
da cui sono tratti.

Esempio:

Sociologia

Socio Logi-a
ML ML MF

Socio è un morfema lessicale, ma non si trova mai in forma indipendente. Dicesi prefissoide,
una forma lessicale che si trova necessariamente in compresenza con altre parole. Dunque,
pur essendo un morfema lessicale, si comporta da morfema derivazionale. Stessa cosa vale
per logia, solo che, data la sua posizione, prende il nome di suffissoide.
I prefissoidi non devono necessariamente essere combinati con suffissoidi (e viceversa),
possono anche stare con un morfema lessicale vero e proprio

Esempio:
Parola composta da prefissoide+parola
Telecomando
Tele- Comand-o
Prefissoide ML MF

Lezione 20; 6.1


La Sintassi:

La sintassi è la struttura della frase. Gli studi sintattici analizzano la funzione delle parole
all’interno della frase, la loro disposizione e la funzione delle frasi nel periodo

L’unità di misura della sintassi è la frase. La frase è l’espressione concreta del contenuto
informativo, espresso attraverso una predicazione, ossia un’enunciazione sulla realtà.
La predicazione può essere espressa da un verbo
Esempio:
Gianni corre

Oppure da un predicato nominale, in quelle che sono le cosiddette frasi nominali


Esempio:
Buona questa torta (il verbo qui sarebbe essere ed è sottinteso questa torta è buona)

La frase può essere sia semplice che complessa

La frase semplice:
Gianni corre
Buona questa torta

La frase complessa:
Gianni corre perché è in ritardo e sta per perdere l’autobus per Brescia

/sinonimi della parola frase in linguistica: proposizione o clausola/.

La sintassi ha elaborato un modello di descrizione della struttura della frase.


Alla base di ciò troviamo il concetto di sintagma.

Il sintagma è una combinazione di parole tra loro collegate, poiché riguardano il referente
espresso da una di queste parole che si configura come elemento prominente.
Le altre parole del sintagma codificano semplicemente informazioni aggiuntive al referente
veicolato da questo elemento prominente.
Il modello di descrizione della struttura della frase prende il nome di analisi in costituenti e
la rappresentazione grafica prediletta per suddetto tipo di analisi è quella del grafico ad
albero.

Analizziamo nel dettaglio il sintagma

Vediamo innanzitutto la definizione nel dettaglio:

Sintagma = la minima combinazione di parole (anche solo una) che costituisce un'unità
della struttura della frase, dotata di una specifica funzione nella struttura della frase e
articolata intorno a una testa, l’elemento prominente, che può costituire da solo un
sintagma e non può essere eliminato senza eliminare l’informazione veicolata dall’intero
sintagma
Innanzitutto: come si individua la testa, l’elemento prominente di un sintagma?

Il cane corre nel parco


Testa

Guida per individuare la testa:


andare a riflettere parola per parola sull’importanza di quella specifica parola all’interno del
significato comunicativo che quel sintagma ha.
Le altre parole che non son testa forniscono informazioni aggiuntive all’elemento
prominente, sono dicesi modificatori della testa.
I modificatori appartengono alla categoria dei determinanti = parole funzione che hanno la
stessa distribuzione (precedono il nome) e la stessa funzione (identificano, caratterizzano e
determinano il nome)
Esempio modificatori:

ARTICOLI
NUMERALI
AGGETTIVI DIMOSTRATIVI
AGGETTIVI POSSESSIVI
AGGETTIVI INDEFINITI
AGGETTIVI INTERROGATIVI

Oltre a questo semplice ragionamento logico per individuare la testa vi sono dei veri e propri
meccanismi automatici per non sbagliare mai e delimitare con assoluta certezza il sintagma
testa.

1) Test commutazione

Commutare una parte della frase, una parola (ergo un possibile sintagma testa) con un’altra
parola che possa avere lo stesso significato ma più semplice a livello sintattico (solitamente
vengono utilizzati i nomi propri).

Esempio:

Il cane corre nel parco

Billy corre nel parco

Se la frase regge allora il sintagma commutato è un sintagma testa

2) Test di mobilità

Un gruppo di parole costituisce un sintagma se si muove congiuntamente all’interno di una


frase
Esempio:

Mio cugino ha comprato un’auto

Ha comprato un’auto mio cugino

3) Test di scissione
Un gruppo di parole costituisce un sintagma se può essere separato dal resto della frase
costruendo una frase scissa

Esempio:
Mio cugino ha comprato un’auto
È mio cugino che ha comprato

4) Test di isolamento

Un gruppo di parole costituisce un sintagma se può costituire da solo un enunciato

Esempio:
Mio cugino ha comprato un’auto
Chi ha comprato un’auto? Mio cugino
Chi ha comprato un’auto? *mio, *cugino, *mio cugino ha

5) Test di coordinabilità

Un gruppo di parole costituisce un sintagma se può essere coordinato ad altri gruppi di


parole dotati della stessa funzione

Esempio:
Mio cugino ha comprato un’auto
Mio cugino e mia cugina hanno comprato un’auto
Mio cugino ha comprato e ha riverniciato un’auto
Mio cugino ha comprato un’auto e un garage

Diversi tipi di sintagmi:

/Parte che continua sull’IPad/


Lezione 21; 6.2
/Prima parte svolta sull’IPad/

La struttura valenziale:
I verbi come gli elementi chimici hanno bisogno di essere completati da altri elementi.

Quanti sono gli elementi necessari per completare il verbo?


Il loro numero varia di caso in caso e dipende dallo schema valenziale o argomentale del
verbo

Ogni verbo ha bisogno di un numero specifico di informazioni per veicolare in modo


completo l’evento.

Per esempio, la frase “il poliziotto catturò” è agrammaticale, poiché non è stato soddisfatto
lo schema valenziale del verbo catturare. Per essere completo suddetto schema necessita
anche di ciò che in analisi logica viene definito complemento oggetto. Dunque:

*Il poliziotto catturò


Il poliziotto catturò il ladro

In gergo si dice che il verbo catturare ha 2 valenze, ossia necessita di soggetto ed oggetto per
risultare completo

Chi Chi/Cosa

Catturare

Ciò non significa che non si possano aggiungere ulteriori informazioni alla frase,
semplicemente suddette informazioni aggiuntive non risultano essere essenziali, la
frase regge ed è grammaticale anche senza di essi. Suddette informazioni accessorie
prendono nome di circostanziali. Essi sono dunque completamente facoltativi e
hanno una certa libertà di movimento sintattico all’interno della frase.
Le informazioni necessarie invece sono dette argomenti.

Ma non tutti i verbi presentano la medesima struttura di catturare. Ad esempio, il


verbo regalare, ha 3 valenze. A soggetto e oggetto si aggiunge dunque un terzo
argomento essenziale per la comunicazione che è l’oggetto indiretto, volgarmente
denominato complemento di termine, risponde dunque alla domanda “a chi? A che
cosa?”.
Cosa
Chi

regalare A chi
Regalare si configura dunque come verbo tetravalente. Ma non è finita qui. Esistono
infatti anche verbi zerovalenti, quali piovere e nevicare ad esempio, che non
necessitano di argomenti, possono sussistere di per sé senza che la frase risulti
agrammaticale.

Esempio:
Oggi piove

Per completare la casistica esistono anche verbi monovalenti, cui unico argomento
necessario ai fini del raggiungimento della grammaticalità è il soggetto.

Esempio:
Luca dorme

A onor del vero esisterebbero anche verbi quadrivalenti in italiano, o meglio, esiste
un solo verbo quadrivalente che è il verbo tradurre.

Esempio Io (Sogg) ho tradotto un libro (Oggetto) dall’italiano (Oggetto indiretto) al


giapponese (Oggetto indiretto).

Il verbo tradurre dunque ha 4 valenze: Soggetto, Oggetto e doppio Oggetto


indiretto.

Per riassumere… in italiano esistono verbi:

- Verbi zerovalenti
Piovere, nevicare, grandinare (…)
- Verbi monovalenti
Dormire, crescere (…)
- Verbi bivalenti
Mangiare, bere, cucinare (…)
- Verbi trivalenti
Spedire, dare (…)
- Verbi quadrivalenti
Tradurre
La struttura valenziale si dice ellittica (o non saturata), quando l’informazione è
recuperabile dal contesto.

Esempio:
“Io vado” dopo che il parlante aveva già esplicitato che da li a poco sarebbe andato
a casa. La struttura valenziale non è stata saturata per il semplice fatto che già si può
evincere dal contesto dove il soggetto se ne sta andando.

I verbi possono avere più di una struttura valenziale, questo accade quando
assumono diversi significati in diversi contesti linguistici
Vediamo dunque un esempio con il verbo portare:

Il cameriere porta i piatti ai clienti

Oggetto diretto
Soggetto I piatti Oggetto indiretto
Il cameriere Ai clienti

Portare

La professoressa porta gli occhiali

Soggetto
La professoressa Oggetto diretto
Gli occhiali

Portare

Lezione 22; 6.3

La sintassi della frase complessa:


Coordinazione:

Le frasi coordinate sono sul medesimo piano sintattico. Non vi è un rapporto di


dipendenza tra di esse. Possono pure sussistere da sole dato che si trovano sullo
stesso piano concettuale.

Esempi:
Gianni è partito e Maria è rimasta a casa.

Gianni è partito. Frase indipendente.


Maria è rimasta a casa. (ha senso compiuto anche da sola)

Subordinazione:

Le frasi subordinate dipendono dalla principale. Quest’ultima non si può omettere, la


subordinata si.

Esempi:

Quando Gianni è partito Maria è rimasta a casa

Subordinata Principale

*Quando Gianni è partito


La subordinata da sola non può sussistere

Maria è rimasta a casa


La frase principale da sola regge

Tipi di subordinate:
- Avverbiali o circostanziali
Fungono da modificatori e modificano l’intera frase da cui dipendono
aggiungendo un’informazione accessoria

Esempi:

Quando è arrivato Antonio, abbiamo potuto cenare.


Subordinata circostanziale temporale

Dato che Antonio è arrivato tardi, abbiamo cenato in fretta.


Subordinata circostanziale causale

Abbiamo aspettato Antonio per cenare tutti insieme.


Subordinata circostanziale finale

Abbiamo mangiato tanto che non abbiamo finito il dolce.

Subordinata circostanziale consecutiva

Se Emma avesse telefonato, avremmo potuto partire insieme.


Subordinata circostanziale condizionale

Nonostante io avessi avvertito Antonio, il gruppo era partito.


Subordinata circostanziale concessiva

Abbiamo scritto relazioni più articolate di quanto fosse richiesto.


Subordinata circostanziale comparativa

- Completive o argomentali
Rappresentano informazioni sostanziali ed essenziali perché la frase complessa sia
completa. Saturano dunque una delle valenze della principale

Esempi:

Subordinata completiva soggettiva

Occorre che facciamo tutti qualcosa per risolvere il problema.

Subordinata completiva oggettiva

Credo che dovremmo fare tutti qualcosa per risolvere il problema

Subordinata completiva interrogativa indiretta

Non so cosa fare per risolvere questo problema


- Subordinate relative
Le frasi modificano un costituente nominale, hanno per l’appunto funzione di
modificatore. La relativa ha vincolo di posizione a differenza delle circostanziali

Esempi:

Gli studenti, che hanno studiato con continuità, supereranno l’esame con il massimo dei voti.

Subordinata relativa restrittiva = individua un sottoinsieme dei referenti precedentemente


indicati da un SN, restringendo il numero di referenti a cui il SN può riferirsi (es. solo una
parte degli studenti)

Tua sorella, che è molto studiosa, supererà l’esame con il massimo dei voti.

Subordinata relativa appositiva = aggiunge delle informazioni sul referente precedentemente


indicato da un SN senza restringere il numero di referenti a cui il SN può riferirsi

Ruoli sintattici e ruoli semantici:

Il soggetto sintattico:

La definizione classica di soggetto è: colui che compie l’azione nella forma attiva e la
subisce nella passiva.

Ma la definizione classica presenta delle evidenti falle e non ha valenza assoluta


Ad esempio, nella frase “Luca ama Daria”, non possiamo indicare Luca come quel sintagma
che “compie l’amore”.

Nel corso degli anni sono state dunque create definizioni più moderne, come ad esempio
soggetto come costituente sintattico che indica il referente di cui parla il predicato. Anche in
questo caso la definizione non è completa. Basti pensare alla frase “A me piacciono i fiori”.
Il referente di cui parla il predicato in questo caso non è il soggetto sintattico.

La definizione più corretta è dunque:

Soggetto= costituente sintattico che è sempre accordato col predicato ed è esterno ad esso.
(infatti, SN è sempre esterno a SV ed è la prima divisione che facciamo quando analizziamo
sintatticamente una frase). Se vogliamo essere ancora più precisi possiamo aggiungere che il
soggetto all’interno di una frase non può mai mancare, escludendo però i verbi zerovalenti,
come piovere, grandinare e nevicare.
Prospettiva sintattica della frase:
Da una prospettiva sintattica la frase è una concatenazione di sintagmi governata da regole
di dipendenza, generate dallo schema valenziale del verbo, che attribuisce ai vari
costituenti le loro funzioni sintattiche

Prospettiva semantica della frase:


La frase si configura come la rappresentazione di una scena in cui gli attori interpretano
delle parti: i cosiddetti ruoli semantici

A seconda della prospettiva dalla quale analizziamo la frase vi sono ruoli sintattici (che
abbiamo già visto: Soggetto, Oggetto, Oggetto indiretto) e ruoli semantici.

Vediamoli insieme:

1) “Il ragazzo saluta gli amici”

Il ragazzo= soggetto sintattico / Agente semantico

L’Agente semantico è l’entità animata che provoca attivamente e intenzionalmente ciò


che accade.

gli amici= oggetto sintattico/ Paziente semantico

Il Paziente semantico è quell’entità coinvolta nell’evento senza però nessun intervento


attivo. Il paziente subisce l’azione in modo completamente passivo.

2) “Tutti amano la pace”

Tutti= Soggetto sintattico / Esperiente semantico

L’esperiente semantico è quell’entità animata che prova uno stato d’animo o un


processo psicologico

la pace= Oggetto sintattico / Stimolo/fonte semantico/a

Lo stimolo/fonte semantico/a è quell’entità animata o meno, che stimola uno stato d’animo o
un processo psicologico.

Altri ruoli semantici:

Strumento: entità inanimata mediante la quale avviene ciò che accade, un fattore
dell’evento non intenzionale
Una folata di vento ha rotta i vetri della finestra
Una folata di vento= Strumento semantico

Destinatario: Noto anche come beneficiario, l’entità che trae vantaggio


dall’evento.

Ho aperto la porta al postino


Al postino= Destinatario (o beneficiario) semantico

Lezione 23; 6.4 e 7.1

Testualità:
La testualità è l’analisi dei fenomeni linguistici che intervengono oltre il livello della
frase, per la cui interpretazione è necessario prendere in esame un contesto
linguistico superiore a quello della frase: il testo.

Il testo (scritto o orale):


È l’insieme di frasi prodotte all’interno di uno specifico contesto linguistico (il
cotesto) e di uno specifico contesto extralinguistico (lo scambio comunicativo).

Fenomeno della pronominalizzazione:

La pronominalizzazione è l’impiego dei pronomi all’interno del testo


Esempio:
Il cane abbaia. Maria si affaccia alla finestra. Lo vede tutto infuriato (...)

Se utilizziamo un pronome per far riferimento a quanto menzionato in precedenza


(proprio come nell’esempio appena visto), allora trattasi di riferimenti anaforici.
Se invece utilizziamo un pronome per far riferimento a quanto menzionato
successivamente ci troviamo in presenza di riferimenti cataforici.

Vediamo dunque le due definizioni nello specifico:

Anafora= riferimento ad un elemento co-referente (che indica lo stesso referente


extralinguistico) menzionato in precedenza (nella parte superiore del testo)
Catafora= riferimento ad un elemento co-referente (che indica lo stesso referente
extralinguistico) menzionato successivamente (nella parte inferiore del testo)

Il riferimento può essere di natura personale, temporale o spaziale ad elementi presenti nel
testo

Lunedì Luca ha parlato con suo fratello e si è deciso. Il giorno dopo ha lasciato la città e
l’ha raggiunto a Lione, dove si sono incontrati in stazione alle otto.

Dopo=riferimento temporale anaforico


Suo=riferimento personale anaforico
Dove=riferimento spaziale anaforico

La deissi:

Così come i riferimenti anaforici sono strumenti linguistici che permettono di indicare un
referente collegando quel referente ad altri riferimenti presenti nel testo, il meccanismo della
deissi è invece un riferimento diretto ai referenti extralinguistici sulla base delle
caratteristiche dello svolgersi della comunicazione. La deissi è dunque in grado di ancorare il
testo allo svolgimento della comunicazione per mezzo di riferimenti di natura personale ai
partecipanti, temporale o spaziale.

- Riferimento al momento dell’enunciazione (prima, ora)

- Riferimento allo spazio dell’enunciazione (qui, lì)

- Riferimento ai partecipanti all’enunciazione (io, tu, noi, voi)

La deissi temporale indica i riferimenti temporali dell’evento di cui si predica, collegando


suddetto evento al momento dell’enunciazione.

Esempio:
Il regista ha commentato: “Stasera (ieri, ndr) esce nelle sale il film in cui mi sono
impegnato di più. Parla di una storia tenera e delicata sul valore dell’amicizia...”
(I riferimenti deittici variano al variare dell’atto dell’enunciazione)
La deissi spaziale:

Esempio:

La lezione si svolge qui


(I riferimenti deittici variano al variare dell’atto dell’enunciazione)
In base a chi e dove enuncia l’atto “qui” può ancorarsi a realtà extralinguistiche differenti

La deissi personale

Esempio:

No, ascolta,
vado io

Vado io

(I riferimenti deittici variano al variare dell’atto dell’enunciazione)


In base a chi pronuncia il deittico io esso si ancora ad una persona differente, ergo ad una differente realtà extralinguistica

La deissi sociale

Esempio:

No, dopo
di te
Dopo
di Lei!
(I riferimenti deittici variano al variare dell’atto dell’enunciazione)

Lezione 24; 7.2; 7.3 e 8.1

L’ellissi:
L’ellissi è l’omissione di elementi che sarebbero indispensabili per una struttura frasale
completa, ma che sono accessibili grazie al contesto linguistico

Esempio:
A: “Dove vai?”
B:”A casa” (sottointeso vado, informazione che si può facilmente evincere dal contesto

Vediamo un altro esempio:


Mangio a casa vs io mangio a casa

Non è un caso di ellissi del soggetto, perché l’italiano è una lingua PRO-drop, il che
significa che il soggetto è facilmente desumibile dai morfemi flessionali di cui la forma
verbale è composta. Da “mangio a casa” comprendo facilmente che il soggetto è io grazie
alla presenza del morfema flessionale -o in mangio, quindi non è un caso di ellissi dato che il
soggetto è sempre desumibile dal contesto (ciò non accade per esempio in lingue come
l’inglese, che non è assolutamente una lingua PRO-drop).
In questo caso la voluta e ricercata esplicitazione del soggetto assume particolari valori
enfatici e contrastivi

La frase “mangio a casa” non ha carattere contrastivo, la seconda può assumerlo: “io mangio
a casa, Luisa va al ristorante”.

I segnali discorsivi:
Trattasi di collegamenti tra le diverse parti di un testo, sono unità lessicali esterne alla
struttura sintattica della frase e hanno funzione discorsiva ed interazionale

Vediamone alcune tipologie:

1) Filler (o riempitivo):

A: Dove vai
B: Ehm… boh… andrò a casa a studiare

Il filler ha il ruolo di impegnare il turno di parola mentre il parlante pianifica la


continuazione del discorso

2) Per richiamare l’attenzione

A: Tutto ok?
B: Guarda… lasciamo stare

Quel “guarda” ha appunto la funzione di richiamare l’attenzione dell’interlocutore

3) Tag question:

A: Vai a casa, no?


B: Vado prima al supermercato e poi a casa

La Tag Question richiede implicitamente una conferma da parte dell’interlocutore

Coesione:

La coesione di un testo è costruita con meccanismi coesivi, ovvero gli elementi linguistici
che esplicitano i collegamenti interni al testo. La loro finalità è una migliore efficacia
comunicativa del testo in questione.
Eccone un elenco:

- Tempi verbali (allineamento delle forme verbali senza salti temporali, ad es. iniziare un
testo con il presente e continuare con il passato)

-  Riferimenti anaforici e cataforici

-  Connettivi (in seguito, in conclusione, pertanto, ciononostante, ...)

-  Segnali discorsivi (insomma, esatto, ...)


Lezione 25; 8.2

Pragmatica:
La pragmatica si occupa dell’uso della lingua nell’interazione; lingua vista come azione, atto
concreto, che compie un’operazione e determina un risultato

L’unità d’analisi della pragmatica è l’enunciato nella sua concretezza, nel suo quotidiano
impiego di situazioni comunicative, come segmento del discorso in atto

L’enunciato è una porzione di comunicazione, superiore rispetto al livello della frase ma


inferiore rispetto al livello del testo

Il criterio d’analisi, la domanda ricorrente che si pone la pragmatica è: “Che azione si


realizza quando si dice qualcosa?”

La struttura dell’informazione:

La frase:

Abbiamo già definito la frase da una prospettiva sintattica e da una prospettiva semantica.
Vediamola ora da una prospettiva pragmatica:

La frase è un’affermazione fatta intorno a qualcosa, essa è composta dall’entità attorno


alla quale si afferma un qualcosa e dalla nuova informazione fornita

Queste 2 entità che compongono la frase prendono il nome di Tema e Rema

Esempio:

Laura va a Milano

Tema: l’entità attorno alla Rema: l’informazione


quale si afferma qualcosa fornita a proposito del tema

In sostanza, il tema è l’entità attorno cui si predica qualcosa, il rema è invece ciò che viene
predicato. In inglese il tema prende il nome di Topic mentre il rema di Comment.

Esistono lingue (come in giapponese, ove si utilizza la particella “wa”) che codificano il
tema con una specifica particella. In questo modo è facilmente riconoscibile all’interno della
frase.
In italiano non esistono mezzi morfologici per la codifica del tema e del rema, ma come
regola generale (non sempre valida purtroppo) si può utilizzare:

1) Il ruolo sintattico
Tema= soggetto
Rema= predicato

3) Ordine sintattico
Tema a sx e Rema a dx

3) Intonazione:
Prominenza intonativa sul rema

Queste regole sono valide solo nella maggior parte dei casi, può capitare infatti che il
canonico ordine “TEMA-REMA” venga invertito. Ogni conversazione va dunque
analizzata per esser certi che suddetto ordine sia stato rispettato o meno

Proprio per un discorso logico, la frase tipo si struttura in questo modo:


Informazione nota agli interlocutori (poiché precedentemente introdotta): il DATO, e
successivamente l’elemento dell’enunciato ritenuto dal mittente non noto, l’informazione
aggiuntiva: il NUOVO

Solitamente il Tema corrisponde al Dato e il Rema al Nuovo.


Ma possono esserci delle eccezioni.

Prendiamo come esempio la frase:

“Un gatto grigio sta giocando nel tuo giardino”

Il tema qui, ossia l’elemento attorno al quale si sta sviluppando l’azione, è “un gatto grigio”,
mentre il rema, ossia l’informazione aggiuntiva, è “nel tuo giardino”.
Il Dato in questo caso è “nel tuo giardino” mentre il nuovo è “un gatto grigio sta giocando”.
Possiamo dunque evincere che si tratta di un caso che sfugge alla regola precedentemente
citata dato che il tema non corrisponde al dato e il rema non corrisponde al nuovo, bensì
avviene l’esatto opposto.

Il focus:

Il focus è il punto di maggior salienza comunicativa dell’enunciato, è l’elemento su cui si


concentra l’interesse del parlante e fornisce la massima quantità di informazione nuova.
Il focus è solitamente parte del rema e per riconoscerlo, per lo meno in varietà orale, ci
basterà aguzzare l’udito poiché è l’elemento della frase enfatizzato a livello intonativo.
Laura va a Milano

Tema Rema

Focus

Il focus è sempre parte del Nuovo, mai del Dato, sia che esso si trovi in Rema o in Tema. È
l’elemento principale della comunicazione, ciò che non può essere cancellato

Come fare però a riconoscere il focus in varietà scritta?

Il focus è quell’elemento dell’enunciato che può essere:

- contrastato (enfatizzato in contrasto con altri elementi)

Laura va a Milano, non a Roma

- focalizzato (enfatizzato con l’uso di focalizzatori, avverbi e particelle che introducono il


focus)

Laura va solo/addirittura/anche a Milano

- focalizzato (enfatizzato con la frase scissa = frase principale + subordinata pseudorelativa)

È a Milano che va Laura

Strategie di enfasi:
Le strategie di enfasi sono strategie sintattiche per mettere in rilievo un costituente.
L’elemento enfatizzato viene presentato all’inizio dell’enunciato
Canonicamente suddetto elemento all’inizio della frase non ci dovrebbe stare, dovrebbe
esserci il soggetto in italiano. Quindi queste strategie seguono ordini sintattici marcati, che
alterano dunque il canonico ordine della frase SVO.

Vediamo nello specifico queste strategie per mettere in evidenza un costituente:

Topicalizzazione contrastiva:
Si mette a focus un elemento per segnalarlo in modo contrastivo

Io ho regalato una penna a Marco


- Anticipazione di un elemento rematico
A Marco ho regalato una penna
/A Marco, non ad altri/

- posposizione di un elemento tematico


Ho regalato io una penna a Marco.
/Io, non qualcun altro/

Ci hanno rubato la televisione.

- Focalizzatore con funzione aggiuntiva (la radio, il computer e anche la televisione)


Anche la televisione ci hanno rubato

-Focalizzatore con funzione restrittiva (la televisione, non la radio e non il computer)
Solo la televisione ci hanno rubato

Costruzione tematizzante:
Si manda a tema un elemento che di solito non è tematico

Tutti hanno letto quel libro!


- Costruzione passiva
Anticipazione dell’oggetto e sua codifica sintattica come soggetto modificando la struttura
sintattica della frase e la struttura morfologica del verbo

Quel libro è stato letto da tutti!

- Dislocazione a sinistra
Anticipazione di un elemento non tematico (O, OI) con un pronome di ripresa che ne indica
il ruolo sintattico

Quel libro, lo hanno letto tutti!


A Marco, gli ho regalato una penna.

- Costruzione a tema sospeso


Isolamento del tema rispetto alla predicazione

Marco, gli son sempre piaciuti i film gialli!


(come «riguardo a Marco, gli son sempre piaciuti i film gialli!»)
- Dislocazione a destra
Messa in rilievo di un elemento non tematico (O, OI) che rimane al termine dell’enunciato
ma viene richiamato da un pronome di ripresa promosso in prima posizione, in apertura di
enunciato

Gli ho regalato una penna, a Marco.


Lo vuoi un caffè?

Costruzione focalizzante:
Messa in rilievo del focus tramite frasi segmentate:

- Frase scissa
Si segmenta in due l’enunciato e si isola un suo elemento focalizzandolo con l’introduzione
del verbo «essere» + una frase pseudo-relativa:
Essere + focus + frase pseudo-relativa §

È Marco che ho incontrato ieri.


È a Marco che ho regalato una penna.
*È a Marco a cui ho regalato una penna. È quando si lamenta che non lo sopporto

/Se si focalizza il soggetto la struttura è Essere+ focus+ frase infinitiva/


È Marco a chiedere sempre di te.

- Frase pseudoscissa
Si introduce l’enunciato con un segmento preparatorio ed enfatizzante

Quello che volevo dirti è che ti stimo molto!

Enunciati tetici:

Gli enunciati tetici sono costituiti da solo rema, quindi da sola predicazione. Un enunciato
tetico può essere inserito in una conversazione in risposta a una domanda del tipo “Che
succede?”. Domande quindi molto generiche che mandano avanti la conversazione senza
esplicitare un argomento del discorso, lasciando l’interlocutore libero di parlare di qualunque
tema voglia.
Esempio:

Che succede? Cos’è successo?

Bisogna sistemare la camera Enunciato tetico, solo rema


Tra gli ordini marcati non canonici rientra la costruzione presentativa.
Essa si costruisce con: c’è+ sintagma nominale+ frase relativa/ pseudo relativa
Esempio:
C’è una camera che ha bisogno di essere sistemata

E per concludere: gli enunciati verbo soggetto


Un elemento spesso tematico (il soggetto) viene mandato a rema perché inserito in una
posizione non canonica, post-verbale e non pre-verbale
Esempio:
È arrivata una lettera

I verbi performativi:
I verbi performativi (dall’inglese to perform: compiere) realizzano l’evento che riferiscono.
Trattasi di verbi particolari poiché nel momento dell’enunciazione di frasi con all’interno
verbi performativi il momento dell’enunciazione coincide con il momento dell’avvenimento
dell’azione. Questo però avviene a patto che il mittente coincida con il soggetto sintattico.
Vediamo qualche esempio per comprendere al meglio:
“Prometto di partire”
Il momento dell’enunciazione coincide con il momento dell’avvenimento dell’azione.
Questo accade perché il soggetto sintattico e il mittente coincidono e perché promettere è un
verbo performativo.
La promessa si realizza nel momento in cui viene comunicata. Il verbo promettere non solo
comunica ma compie un certo avvenimento extralinguistico.
Con un verbo performativo in un solo enunciato c’è sia l’aspetto linguistico che
extralinguistico.
Altri verbi performativi sono per esempio “dichiarare”.

“La corte dichiara l’imputato innocente”


La comunicazione della dichiarazione della corte equivale all’emissione della sentenza e
quindi all’avvenimento extralinguistico indicato dalla comunicazione, Mentre si comunica
l’avvenimento lo si compie (aspetto linguistico ed extralinguistico).
Stessa cosa vale per il verbo scusarsi. Realizzo l’evento extralinguistico nell’esatto momento
in cui lo comunico.

Ovviamente questo “giochetto” funziona solo a determinate condizioni: quando il momento


dell’enunciazione coincide con l’avvenimento ed il soggetto sintattico coincide con il
mittente:
Verbo in forma presente attiva affermativa e parlo per me/noi

Ecco una carrellata di verbi performativi:


Prometto, giuro, assicuro, garantisco
Dichiaro, affermo, ammetto, confesso
Accetto, acconsento/rifiuto, nego
Ordino/proibisco, vieto
Consiglio
Confermo/smentisco
Saluto
Benedico/maledico
Auguro
Scommetto
Mi scuso
Ringrazio

Gli atti linguistici:

Lo stesso enunciato può essere letto a più livelli:

Mi scuso di essermi comportato così

Atto locutivo: struttura del messaggio


(produzione linguistica vera e propria, scritta o orale) 29 foni, 9 morfemi, 6 parole, 3 sintagmi,
2 frasi ...

Atto illocutivo: intenzione comunicativa (formulare delle scuse)

Atto perlocutivo: effetto dell’atto linguistico sull’interlocutore (essere perdonato dal


destinatario)
A livello di locuzione ha una sua struttura, è una produzione linguistica concreta. Ha il suo
significante

Oltre al suo significante ha un suo significato, ha un’intenzione comunicativa che viene


chiamata forza illocutiva. L’intenzione comunicativa qui è formulare delle scuse.

Infine il piano perlocutivo, l’effetto dell’atto linguistico ottenuto sull’interlocutore tramite


l’atto linguistico (essere perdonato dal destinatario)

Vi sono dunque 3 piani, 3 atti linguistici realizzati contemporaneamente in un singolo


enunciato

Uno stesso atto illocutivo può essere realizzato da diversi atti locutivi.
Quindi lo stesso significato può essere espresso mediante significanti differenti.

Esempio:
Atto illocutivo: richiesta di chiudere la porta
Vari atti locutivi per esprimerlo:

- Frasi imperative
Chiudi la porta!

- Frasi interrogative
Chiudi la porta?
Puoi chiudere la porta?
Potresti chiudere la porta?

Atti linguistici indiretti, o modulati o mitigati= atti illocutivi realizzati da atti locutivi atipici,
che sono tipici di altri atti illocutivi (es. una richiesta presentata come una domanda)
Gli atti indiretti sono manifestazione della politeness, o cortesia linguistica, secondo il
principio “non ti imporre all’interlocutore, lasciagli aperte alternative”
Esempio:
Potresti chiudere la porta?

Ma atti troppo indiretti tendono ad assumere valori ironici


Esempio:
C’è da pensare che non sarebbe sgradito se si chiudesse la porta

Cosa permette agli interlocutori di comunicare in modo efficace anche attraverso atti
linguistici indiretti (quindi non letterali)?

Secondo il filosofo Grice ciò risiede in 2 concetti fondamentali alla base della conversazione
La logica della conversazione e la presupposizione.

Lezione 26; 8.3 e 9.1

Prendiamo in analisi in primis il concetto di logica della conversazione. Alla base di suddetto
concetto ve ne sta un ulteriore ossia quello di intersoggettività.

L’intersoggettività o principio di cooperazione è il prodotto dell’accordo tra gli


interlocutori sul significato della conversazione che stanno svolgendo. L’intersoggettività si
costruisce grazie alla volontà da parte degli interlocutori di interagire.
L’intersoggettività è legata al rispetto di 4 regole o massime:

1) Massima della qualità (che a sua volta ha 3 “sotto regole”)


- Tenta di dare un contributo che sia vero
- Non dire ciò che credi sia falso
- Non dire ciò di cui non hai prove
2) Massima della quantità
- Sii sintetico ma al contempo esaustivo

3) Massima della relazione


- Sii pertinente attenendoti al contesto conversazionale

4) Sii chiaro, conciso e ordinato nell’esposizione

Il rispetto di queste massime garantisce il rispetto dell’intersoggettività e permette la


comunicazione.

Cosa accade quando una massima non viene rispettata?


Vediamo un esempio:

P1: “Mi aiuti a ripetere storia?”


P2: “Non ho ancora finito gli esercizi di tedesco”

In questo caso è stata violata la massima di relazione, P2 risponde non con una risposta alla
richiesta ma con un’esigenza che ha
Pur non dicendo no in modo chiaro P1 presuppone che gli enunciati siano interlogicamente
connessi. Questo fenomeno va sotto il concetto di implicatura, ossia il presupposto che gli
enunciati prodotti siano interconnessi logicamente

L’analisi della conversazione:

L’analisi della conversazione studia la logica che sta dietro alla conversazione, dunque tutti i
meccanismi sistematici che occorrono nelle interazioni quotidiane, che siano esse formali o
informali.

Il sociologo Harvey Sacks descriveva così la conversazione:


“la conversazione è un insieme ordinato e regolato da meccanismi specifici che permettono
agli interlocutori (o interattanti) di conversare con, relativamente, poche pause e
sovrapposizioni”.

Sacks nei suoi studi analizza principalmente conversazioni telefoniche.


Studiandole ha notato che le aperture di conversazione si svolgevano secondo un
meccanismo ricorrente:
Esempio:

P1: This is Mr. Smith may I help you


P2: Yes, this is Mr. Brown
Quello del presentarsi del primo parlante (un operatore sociale) era un motivo ricorrente
nelle conversazioni telefoniche che Sacks analizzava. Inoltre, il presentarsi da parte
dell’operatore invitava sistematicamente ed implicitamente il secondo parlante a presentarsi.

La conversazione è organizzata dagli interlocutori attraverso meccanismi ricorrenti e


sistematici di alternanza di turno, la cui finalità è quella di co-costruire un’interazione fluida,
agile e scorrevole.

Se avviene uno scambio di turno tra P1 e P2 , con l’inizio del turno di P2, quest’ultimo
chiarifica la comprensione del fatto che P1 abbia completato il proprio turno ed inizia
dunque il suo. Questo concetto prende il nome di principio di sequenzialità.

La conversazione naturale è un fenomeno regolato da una serie di meccanismo che possono


essere osservati, analizzati e descritti

I meccanismi fondamentali sono:

- La presa del turno


L’alternanza dei turni e l’accordo su quale interlocutore prenda parola

- Il rapporto fra turni


/Ad un saluto segue un altro saluto, la presentazione di un parlante implica la presentazione
dell’altro parlante…/

Concetti di base:

Il turno:
TCU= Unità d’analisi della conversazione
Lavoriamo sulle Tcu e non sul turno come unità di base perché in un turno ci possono essere
più TCU (molto spesso)

Come si delimita una TCU?


Quando il turno raggiunge un punto in cui può essere considerato completo e un altro
interlocutore può iniziare un nuovo turno

Punto di rilevanza transizionale


Turno incompleto a livello sintattico ma completo a livello transizionale, P1 è pronto a
cedergli il turno, quindi P2 inizia il proprio
Esempio:
P1: E allora io quando posso::-
P2: Provi a ripassare fra un mesetto

PRT (punti di rilevanza transizionale)= Pause, allungamenti delle vocali finali di una
parola, rallentamenti nell’eloquio che si trovano in prossimità di possibili punti di
completezza del turno

Quando questi elementi si trovano in prossimità di possibili punti di completezza di turno P2


interpreta suddetti segnali come una volontà da parte di P1 di terminare il proprio turno. P2
capisce ed inizia il proprio. È una sorta di invito implicito che P2 fa a P1.

Sovrapposizioni:
Esse non corrispondono solamente ad interruzioni da parte dell’interlocutore (potenziali
conflitti tra interlocutori), ma possono essere momenti in cui gli interlocutori cocostruiscono
l’interazione, manifestano la loro intenzione di mandare avanti la loro conversazione.

Le sovrapposizioni possono essere transizionali, quando occorrono in prossimità di un


cambio di turno oppure di riconoscimento. Ciò accade quando l’ascoltatore prevede la
conclusione del turno ed inizia a parlare anticipando la conclusione da parte del suo
interlocutore. Questa sovrapposizione può essere più o meno gradita.
Situazione questa che si verifica banalmente in classe.
Esempio:
Insegnante: “Cosa dobbiamo fare in questo caso?”
P1: divi[dere
P2: [dividere

P2 ha compreso quello che P1 stava per dire e gli si è sovrapposto. Probabilmente trattasi di
una sovrapposizione sgradita in questo caso.

Le pause:
Le pause sono gli intervalli di silenzio che si producono nel corso della conversazione.
Possono svolgere le funzioni interazionali di:
- Richiamare l’attenzione dell’ascoltatore
- Cedere il turno

Le pause sono più tollerate nelle interazioni asimmetriche (quando il ruolo dei partecipanti
non è sullo stesso piano ma è gerarchico. Il partecipante più passivo tollera maggiormente le
pause perché riconosce all’altro interlocutore il diritto di gestire la conversazione come
meglio crede.

Quando una pausa supera la soglia di tolleranza, su cui gli interlocutori sono culturalmente
allineati, uno o più parlanti possono prendere il turno contemporaneamente per risolvere un
problema dell’interazione (partenze simultanee).

Vi sono 2 macrocategorie di pause:

Pause intra-turno (pause gestite dal singolo)


- all’interno di una TCU quando il parlante è alla ricerca di
una parola per completare il discorso;
- fra TCU dello stesso turno quando il parlante vuole manifestare la sua disponibilità a
cedere il turno.
P1: buongiorno, volevo sapere se sono arrivati dei romanzi di Christina Stead. Che
avevo ordinato, ancora tanto tempo fa. (0.5) (so:no) (.) forse sarebbero arrivati a
genna:io (0.5)

Pause inter-turno (pause condivise tra i 2 parlanti)


si verificano fra due turni, subito dopo i PRT (punti di rilevanza transizionale)

I: cosa si mette la prima cosa (0.2)


A1: il ti[tolo
A2: [il titolo

I: bravi

O il turno seleziona il parlante successivo in


modo esplicito oppure gli interlocutori si
auto selezionano (decidono di prendere il
turno poiché ritengono di averne il dovere).
/auto selezionandosi possono venire a crearsi situazioni spiacevoli o addirittura conflittuali/

Se nessun parlante si auto seleziona si vengono a creare imbarazzanti momenti di silenzio


che portano successivamente o a timide partenze in solitaria o ad affannose partenze
simultanee

Turno esteso:
Si sospende temporaneamente il meccanismo di alternanza. (Spiegazioni in classe).
Necessita di una fase preparatoria.

Lezione 27; 9.2 e 9.3

Le coppie adiacenti:

Le coppie adiacenti spiegano perché l’alternanza di turni viene co-costruita


Trattasi di sequenze di 2 turni contestualmente legati.
Il 2° non solo segue il 1° ma è determinato e chiamato in causa da esso

Esempi di coppie adiacenti:

P1: Buongiorno!
P2: Buongiorno!
P1: Desidera del tè?
P2: Sì, grazie.

P1: Scusi!
P2: Non fa niente!

P1: Vuoi andare al cinema domani?


P2: Volentieri!

La mancata produzione della seconda parte della coppia di alternanza è un’assenza


significativa che innesca:

- La giustificazione dell’assenza della seconda parte


P1: Bu[ongiorno
P2: [Mi dica, sì scusi buongiorno

- La richiesta diretta ed esplicita della seconda parte


P1: Buongiorno
P2: (1)
P1: Sto aspettando la tua risposta. Ti ho salutato

Le 2 parti della coppia possono anche non essere strettamente adiacenti ma essere distanziate
da uno o più turni che non impediscono di completare la coppia né di riconoscere l’adiacenza
delle tue parti, ma creano semplicemente degli scambi di turno più lunghi dello stretto
necessario. Queste sequenze prendono il nome di sequenze inserto

Esempio:

P1: Andiamo a cena?


P2: In che ristorante pensavi di andare?
P1: Non ci ho pensato. Tu dove preferisci?
P2: A me va di mangiare giapponese.
P1: Ah, c’è un giapponese nuovo sotto l’ufficio!
P2 non risponde direttamente alla
P2: Ok! domanda con un’accettazione/rifiuto ma
chiede ulteriori informazioni. Segnala la
necessità di voler conoscere di più
Esistono anche delle tecniche chiamate passes per completare la coppia.
Sequenza insertoEsse consistono
chiusa. P1 ha in
una serie di battute in cui il parlante passa il turno ad un altro interlocutore
lanciato affinché
una proposta al turnola
1, coppia
adiacente possa essere completata dopo averne discusso è ora per
Esempio: P2 di chiudere la sequenza, con
un’approvazione o con un rifiuto
P1: Andiamo a cena tutti insieme?
P2: Non so. Francesco cosa dici?
P3: Sì, volentieri!

P2 non chiede info a P1 a selezione un P3


dichiarandosi così non disponibile a chiudere
Le coppie adiacenti possono avere come seconda parte 2 alternative. Non necessariamente la
risposta deve essere positiva per far si che la coppia venga chiusa. Anche un rifiuto, un
disaccordo… sono modi per concludere la coppia.
A seconda del contesto le risposte possono essere preferite o dispreferite.

Invito:
accettazione vs. rifiuto

Domanda:
risposta esauriente vs. risposta inesauriente

Opinione:
accordo vs. disaccordo

Il fatto che una parte sia preferita o meno dipende unicamente dal contesto.
In linea generale la parte preferita è prodotta direttamente in continuità con il turno
precedente mentre quella dispreferita è preceduta da pause, esitazioni o giustificazioni al fine
di “rimediare. Le strategie rimediali (pause, esitazioni, filler, fasi, preparatorie…)
compongono la struttura tipica del formato dispreferito del turno
Le strategie rimediali svolgono la funzione di prendere tempo, rinviare la produzione del
turno dispreferito e invitare l’interlocutore a modificare o rettificare il proprio turno, con il
fine ultimo di evitare la risposta dispreferita

Ma tutto ciò vale unicamente in linea di massima. Per esempio, se P1 sta esprimendo
un’autocritica si aspetta che P2 possa negare e compatire con lui, se invece P2 risponde con
un secco “È vero” sicuramente la coppia si chiuderà ma la parte di P2 risulterà dispreferita
agli occhi di P1

Lezione 28; 10.1


Il Lessico è l’insieme delle parole di un sistema linguistico. Esso può essere studiato
nell’ottica della lessicologia
Il dizionario invece è la codifica delle parole di un sistema linguistico e rientra nell’ambito
della lessicografia

La parola è l’atto, l’oggetto linguistico concreto, applicato in un vero contesto comunicativo


Il lessema è una parola in potenza, vista dal punto di vista strettamente semantico e
decontestualizzato. È una delle possibili forme flesse di una parola che viene scelta come
forma di citazione. Suddetta forma di citazione, quando inserita sul dizionario, prende il
nome di lemma, ossia il corrispondente lessicografico del lessema.

Approfondiamo il concetto di parola:

La parola è la combinazione di significante, significato ed un referente extra-linguistico


Questa è la definizione generale, possiamo definire la parola da un punto di vista
ortografico:
un elemento che in un testo compare fra due separatori, come due spazi bianchi o due segni
di interpunzione

Trattasi però di una definizione imprecisa, basti pensare alle lingue senza varietà scritta e
quest’affermazione già crolla, anche loro hanno parole

Vediamo la definizione fonologica:


un elemento della catena parlata delimitato dall’accento

MA anche le lingue senza accento demarcativo hanno le parole ed esistono parole senza
accento. Ancora una volta una definizione imprecisa

Definiamola allora su criteri morfologici:


un elemento composto da una combinazione di morfemi che soddisfa il criterio della
coesione interna

Cos’è il criterio di coesione interna?


Esso è un criterio formato da alcuni sotto criteri:

1) Non interrompibilità della combinazione


Cane
Cmioane

2) Posizione fissa dei singoli morfemi


Gatt-o
O-gatt

3) Posizione mobile all’interno della frase


Marco telefona ogni sera
Ogni sera telefona Marco

4) Enunciabilità in isolamento
Marco (Chi ha telefonato?)

5) Pausa potenziale (i confini di parola possono coincidere con i confini di discorso)


Marco (Chi ha telefonato?)

6) Presenza di un unico morfema lessicale (ML)


Cane, corriamo, palazzetto, deglobalizzazione

(A quest’ultimo punto si può porgere un’obiezione: le parole composte sono parole ma


presentano 2 morfemi lessicali: pescecane 2ML)

Questo perché la nozione di parola è scalare: alcune parole rispettano tutti i criteri di
coesione, altre parole no e sono parole meno tipiche
Esempio:

dormire = un solo accento [dor’mi:re], un solo ML (dorm-), posizione fissa dei morfemi
(*iredorm), non interrompibile (*dormsempreire), mobilità sintattica (voglio
dormire/dormire è importante), enunciabile in isolamento (cosa vuoi fare? Dormire)

capotreno= 2 accenti [’ka:po’tre:no], 2ML (cap-, tren-), posizione fissa dei morfemi
(*trenocapo), non interrompibile (*capomiotreno), mobilità sintattica (il capotreno
arriva/arriva il capotreno), enunciabile in isolamento (che mestiere fai? capotreno)
2ML e 2 accenti. Rispetta 4 criteri su 6

dato che= 2 accenti [’da:to ’ke], 2ML (dat-, che), posizione fissa dei morfemi (*che dato),
interrompibile (dato sempre che), non mobilità sintattica (dato che piove/*dato piove che),
enunciabile in isolamento (Cosa hai detto? dato che)

Unità polirematiche/polilessematiche = parole complesse


composte da più elementi che rappresentano un costituente
semantico unitario con un unico specifico riferimento ad
un’entità extralinguistica.

Il lessico:
Il lessico è strutturato in più strati:

- Uno strato più centrale e nativo= Il lessico di base, che ammonta circa a 7000 lessemi (il
lessico posseduto da un parlante colto è di circa 50.000 lessemi)

Il lessico codificato sui dizionari è di circa 90.000-130.000 lemmi

- Vari strati meno nativi e più periferici come lessico specialistico e forestierismi.
I forestierismi sono lessemi provenienti da una lingua entrati nel lessico di un’altra. Sono
dunque la conseguenza dell’interferenza tra sistemi linguistici.
Essi si distinguono in prestiti e calchi.

I prestiti sono la riproduzione lessicale di una parola straniera.


Essi si dividono in

Prestiti non integrati:


Prestiti non adattati, non acclimatati, sono parole che hanno conservato lo loro struttura
originaria (hardware, computer, software…)

Prestiti integrati:
Prestiti adattati, non acclimatati. La parola originale ha subito un adeguamento alle strutture
della lingua ricevente (processore, formattare…)
I prestiti integrati producono parole derivate: (formattazione...)

Prestiti in corso d’integrazione:


La parola si presenta in forma alloglotta ma i parlanti stanno cercando di integrarla nella loro
lingua, sentono il bisogno di trattare la parola nella loro lingua. Da ciò deriva incertezza da
parte dei parlanti nell’utilizzarlo poiché è un processo in corso d’opera. Es: il gol o il goal?
Oppure… formazione del plurale il file/ i files?

Prestiti di necessità:
Avvengono quando necessitiamo di nuovi significanti per nuovi significati. Ad esempio,
l’utilizzo del significante hardware per far riferimento ad una realtà extralinguistica di nuova
generazione alla quale la lingua italiana non ha ancora provveduto

Prestiti di lusso:
Nuovo significante per un significato noto già munito del corrispettivo significante.
Ad esempio fare shopping e fare compere.

Pseudoprestiti:
Parole in forma alloglotta che non esistono però nella lingua in oggetto. Forme inventate dai
parlanti di una lingua sul modello di un’altra. Vi sono pseudo-anglicismi come “turn-over” e
“smoking” o pseudo-francesismi come “vitel tonnè”.

Prestiti di prestiti:
Parole provenienti da altre lingue che a loro volta hanno attinto da altre lingue, come
Computer, proveniente dall’inglese che a sua volta ha attinto dal latino computo.

I calchi:
Trattasi di forestierismi costituiti da un’imitazione non della parola ma del sistema
morfologico o della codifica semantica di una parola alloglotta.
2 tipologie:

Calchi strutturali (morfologici)


Riproduzione della composizione morfologica di una parola alloglotta utilizzando parole
natie. Esempio ferrovia su modello morfologico della parola tedesca Eisenbahn. Non è
definibile come un prestito poiché non abbiamo la presenza di un morfema lessicale
straniero, abbiamo solo una composizione morfologica alloglotta

Calchi semantici
Formazione di un nuovo senso per un lessema già esistente attingendo da un’altra lingua, che
diventa dunque polisemico.
Esempio:
Realizzare che oltre al significato rendere reale ha assunto il significato rendersi conto
dall’inglese to realize

L’organizzazione del lessico:


Distinzione tra lessemi contenuto/pieni e lessemi funzione/vuoti:

Lessemi contenuto/pieni:
Lessemi con un contenuto informativo
Aggettivi, nomi e verbi
Classe aperta, espandibile con neoformazioni lessicali

Lessemi funzione/vuoti:
Lessemi con un significato grammaticale, funzionale o strutturale
Congiunzioni, articoli e preposizioni
Classe chiusa, anche se con alcune eccezioni, come “in” influenzato dal contatto con
l’inglese che ha assunto anche senso temporale.

Solidarietà lessicale:
La solidarietà lessicale è un collegamento tra 2 lessemi in cui uno implica lessicalmente
l’altro. Lo cooccorrenza di un lessema con l’altro o è altamente preferenziale o addirittura
obbligatoria e la possibilità di combinazione con altri lessemi è fortemente ridotta
Esempi:

Capelli biondi vs. *capelli gialli


Il cane abbaia vs. * il cane comunica
Il cavallo nitrisce vs. * il cavallo comunica

Le collocazioni:
Le collocazioni sono combinazioni di lessemi fondate su cooccorrenze regolari e frequenti
Esempio:
Cordiali saluti
Le collocazioni possono differenziarsi interlinguisticamente:

foto
PRENDERE
take a picture (ingl.)
prendre une photo (franc.)
tomar una foto (spag. europeo)

TIRARE
sacar una foto (spagn. Sudamericano)

FARE
Fare una foto
ein Foto machen (ted.),
hacer una foto (spag. europeo)

Espressioni idiomatiche:
Le espressioni idiomatiche sono espressioni il cui significato viene stabilito in modo
convenzionale. Di conseguenza sono altamente soggette a varietà interlinguistica.
Sono la cosa più difficile da imparare poiché richiedono esclusivamente una conoscenza
mnemonica.
Esempio:
Chiudere un occhio
spagn. hacer la vista gorda
(lett. fare la vista grassa)
ingl. turn a blind eye
(lett. girare un occhio cieco)

Lezione 29; 10.2

Le relazioni semantiche fra lessemi:

1) Relazioni gerarchiche di inclusione

- Iperonimia-iponimia

- Olonimia-meronimia

2) Relazioni di equivalenza
- Omonimia, Polisemia, Enantiosemia
- Sinonimia, quasi-sinonimia

3) Relazioni di opposizione
- Antonimia
- Complementarità
- Inversione

1) Partiamo con le relazioni gerarchiche di inclusione:

Relazione di inclusione rappresentata dalla relazione iperonimia-iponimia.


Essa lega 2 lessemi di cui uno (iponimo) includente il significato dell’altro (iperonimo) e
specifica altri tratti semantici, il che lo rende più specifico

Veicolo Iperonimo
/Anche se solitamente questo tipo di analisi va fatta in maniera comparativa, tra 2 parole si
va a verificare quale delle 2 è l’iponimo e quale l’iperonimo/
Esempi:
Iperonimo: Veicolo
Iponimi: Automobile, aereo, imbarcazione

Un iponimo può essere iperonimo di qualcos’altro


Esempio:
Iperonimo: Automobile
Iponimo: Taxi, utilitaria, 4x4, fuoristrada

Test per individuare quando fra due lessemi c’è un rapporto di iperonimia-iponimia:

Il referente dell’iponimo è un particolare tipo del referente dell’iperonimo?

L’automobile è un particolare tipo di veicolo? Sì, allora il lessema automobile è iponimo del
lessema veicolo.

I referenti degli iponimi possono essere definiti come referenti degli iperonimi?

L’automobile, l’aereo e la nave sono tutti veicoli? Sì, allora i lessemi automobile, aereo,
nave sono iponimi del lessema veicolo.

Intensione ed estensione:

Iperonimo = minore intensione e maggiore estensione dell’iponimo

Iponimo = maggiore intensione e minore estensione dell’iperonimo

Intensione = l’insieme dei tratti semantici codificati dal lessema. Un lessema con intensione elevata è un lessema
particolarmente specifico

Estensione = l’insieme dei referenti extralinguistici a cui il lessema può far riferimento. Un lessema con estensione
elevata è un lessema particolarmente generico

Esempio:
Applicare la relazione iperonimia-iponimia ai verbi di movimento:
Iponimi di muoversi:

Saltare
Camminare
Correre
Guidare Co-iponomi (iponomi di uno stesso iperonimo)
Andare in biciletta

Anche le unità
polirematiche fanno parte
di queste classificazioni
Catena iponomica= catena composta da più iponimi e iperonimi

Esempio:

veicolo

Iponimi diretti
automobile

Mercedes Iponimi indiretti

classe A SLK

I nomi propri:
I nomi propri sono lessemi che designano un singolo e specifico referente. Hanno dunque
intensione massima ed estensione minima
(antroponimi= nomi comuni toponimo= nomi propri)

Olonimia e meronimia:

La relazione di olonimia-meronimia collega 2 lessemi dei quali uno (meronimo) indica una
parte e l’altro (olonimo) il tutto.
Esempio:
Biciletta= olonimo
Ruota, staffa e pedali= melonimi

2) Relazioni di equivalenza

Omonimia:

2 lessemi con medesimo significante ma significato diverso


Esempio:
Il riso abbonda sulla bocca degli stolti
Nel bar all’angolo si può mangiare un’ottima insalata di riso

Riso1 e Riso2 sono due lessemi omonimi

Polisemia:

Un unico lessema con più significati contestuali legati fra loro per procedimento metaforico
o metonimico
Esempio:
Nella partita hanno segnato tre reti.
Ogni estate qualche delfino rimane incastrato nella rete dei pescatori.
Quando sono tornata a casa mi sono accorta che il collegamento alla rete non funzionava.

Attenzione, non si tratta di omonimia ma di polisemia. Rete non ha 3 significati diversi


poiché rappresentante 3 entità extralinguistiche senza alcun legame tra loro, bensì rete
rappresenta 3 realtà extralinguistiche tra loro legate tramite processo metaforico o
metonimico

rete è dunque un lessema polisemico

1. Significato letterale: attrezzo per la cattura di animali.

Significati traslato per metafora (somiglianza fra due concetti):


1. Sistema informatico. (rete di computer = internet)
2. Sistema di corsi d’acqua che irrigano un territorio (rete idrografica) 3. Sistema di
conoscenze di un individuo (rete sociale)

Significato traslato per metonimia (contiguità fra due concetti)


1. Punto nelle partite di calcio (dalla porta, composta da una rete, al tiro che entra nella
porta)

Enantiosemia:

Lessema polisemico che ha significati contestuali opposti tra loro:


Esempi:
tirare “allontanare” tirare la palla “avvicinare” tirare la porta

ospite “chi ospita” ingl. host


“chi è ospitato” ingl. guest

Sinonimia:
La relazione di sinonimia lega 2 lessemi che hanno diverso significante ma uguale
significato
Esempio:
Tra/fra (varianti libere)
La macelleria è fra la salumeria e la lavanderia. La macelleria è tra la salumeria e la
lavanderia.

Nelle lingue del mondo è molto più comune la quasi-sinonimia, ossia 2 lessemi con diversi
significanti e significato simile, che differisce solo per alcune sfumature.
Esempio:

pieno\colmo
Diverso grado di intensità
gatto/micio
Denotativo/connotativo

raffreddore\ rinite Possibili livelli di distinzione


Varianti diafasiche tra quasi sinonimi

chiacchiere\ crostoli\ frittole\ frappe\ intrigoni


Geosinonimi

fare\effettuare
Varianti diafasiche

N.B.
La relazione di quasi-sinonimia può istituirsi solo fra alcuni sensi (significato contestuale) di
due lessemi
Esempi:

un biglietto da dieci euro = una banconota da dieci euro


quasi-sinonimi

un biglietto del treno ≠ *una banconota del treno


non quasi-sinonimi

Relazioni di opposizione:

Antonimia:
Lessemi che hanno significato opposto ma non si escludono a vicenda
Esempio:
Facile/difficile

Complementarità:
Lessemi che si escludono a vicenda, non presentano gradi intermedi
Esempio:
Test per individuare i diversi rapporti di opposizione fra due lessemi È
Parlare/Tacere
possibile usare(odei
ta parlet o ta fet sito)
quantificatori con entrambi i lessemi?
Luigi è poco alto, abbastanza basso, ...
Inversione:
Lessemi che inserire
È possibile esprimono la stessa
i lessemi relazione semantica
nell’espressione “non èvista
né xda
né2y”?
prospettive
Luigi opposte
Esempio:
non è né alto né basso
Comprare/Vendere
Un lessema implica concettualmente l’altro. Se sto comprando qualcosa significa che
qualcuno me l’ha venduta

Campo semantico

insieme dei lessemi che copre una sezione di uno spazio semantico, spesso co-iponimi (che
quindi condividono un iperonimo sovraordinato)
I co-iponimi dell’iperonimo colorato: bianco, nero, grigio perla, rosso, ...
I co-iponimi dell’iperonimo indumento: gonna, pantalone, camicia, pullover, ...

Sfera semantica

insieme dei lessemi che fanno riferimento ad un ambito o spazio semantico, ad es. un settore
professionale (lessemi della moda, dell’arredamento, ...) che può comprendere più campi
semantici

I lessemi della moda: bianco, nero, grigio perla, pullover, pantalone, ...

Famiglia semantica (famiglia lessicale, famiglia di parole)

insieme dei lessemi accomunati dalla condivisione dello stesso ML, formatisi con l’aggiunta
di diversi MD all’ML

socio, sociale, società, consociare, associazione, ... casa, casalinga, casereccio, accasare,
rincasare, ...

Gerarchia semantica

insieme dei lessemi che indicano le unità di misura di una stessa scala secondo, minuto, ora,
giorno, ...

millimetro, centimetro, decimetro, metro, kilometro

Il significato di un lessema può essere scomposto in tratti semantici, o


componenti semantiche, attraverso un’analisi semantica componenziale.
Se un tratto semantico non dà né un valore positivo né un valore negativo per un segno ma rimane sottospecificato, allora non è pertinente per la scomposizione del significato di quel segno

La differenza tra 2 parole, in termini di analisi componenziale, è rappresentata dai diversi


valori dati agli stessi tratti semantici e dalla specificazione di (eventuali) tratti semantici in
più in uno dei 2 lessemi. (vedi slide differenza uomo signorina).

Analisi componenziale
L’analisi semantica componenziale è un sistema di sotto categorizzazione del
significato che assume che il significato di un lessema sia scomponibile in unità
più astratte (i tratti semantici)

Un lessema è analizzabile in un fascio di tratti semantici Uomo = /+ UMANO +


MASCHILE + ADULTO/
Vantaggio: economia del sistema linguistico = con un numero limitato di tratti
semantici si possono originare un numero teoricamente illimitato di significati

Rapporti implicazionali fra i tratti semantici = /+ UMANO/ > /+ ANIMATO/ > /


+ VIVENTE/

tratti semantici rappresentano le caratteristiche del referente pertinenti per


identificarlo.

In un senso metaforico può verificarsi la sostituzione del valore di un tratto


semantico rispetto al senso letterale del lessema.
Sul monte si trovava un bosco di abeti.

Animato= -

D’inverno il bosco si addormentava.

Animato= +

Non tutti i lessemi appartengono al campo semantico nella stessa misura (marito-padre). Lo
si può intuire in primis a partire dalle categorie prototipiche piuttosto che dalle categorie
semantiche. È una sorta di analisi a livelli costituita graficamente tramite insiemi concentrici.

Uno dei vantaggi della descrizione di categorie semantiche su base prototipica è che la
struttura interna è gerarchizzata con elementi con diversi status di appartenenza alla
categoria. I confini tra una categoria e l’altra sono sfumati e graduali.
Le categorie discrete sono invece binarie e, in quanto tali, nette. Non sono ideali per indicare
elementi con diversi status di rappresentatività poiché all’interno di un’analisi discreta gli
elementi sono tutti ugualmente rappresentativi.

Concetto centrale per le categorie prototipiche è quello di prototipo. Concetto, quello di


prototipo, importato dalla psicologia. Studi di psicologia cognitiva sulla percezione (Rosch
1973) hanno infatti mostrato che la definizione dei colori non avviene in modo netto, ma in
termini scalari di maggiore o minore somiglianza ad un prototipo, l’elemento esemplare, il
punto focale, che rappresenta tutte le proprietà della categoria.

Rosso prototipico (percepito come rosso in maniera totalmente condivisa)

Rosso abbastanza prototipico (percepito come rosso in maniera molto condivisa)

Rosso poco prototipico (percepito come rosso in maniera parzialmente condivisa)


Rosso non prototipico (percepito come rosso in maniera poco condivisa)

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