Dimagrire Con L'intestino Axt Gadermann

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Michaela Axt-Gadermann

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DIMAGRIRE
CON
L’INTESTINO
Perdi peso e torna in forma con
la corretta flora intestinale

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Michaela Axt-Gadermann
Dimagrire con l’intestino
Titolo originale: Schlank mit Darm
Traduzione di Silvia Camatta
Copyright © 2015 Südwest Verlag, München - negotiated through Giuliana Bernardi
Literary Agent.
Copyright © 2016 Edizioni Il Punto d’Incontro per l’edizione italiana
Prima edizione originale pubblicata nel 2015 da Südwest Verlag, una divisione di
Verlagsgruppe Random House GmbH, München, Germany.
Prima edizione italiana pubblicata nell’aprile 2016.
Prima edizione digitale: maggio 2016
Edizioni Il Punto d’Incontro, Via Zamenhof 685, 36100 Vicenza,
tel. 0444239189, fax 0444239266
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna
forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni
destinate alle recensioni.

ISBN 9788868203320

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INDICE

Capitolo 1
Cosa c’entrano i batteri intestinali con il peso?
I batteri intestinali fanno dimagrire
Un ambiente confortevole: lo spazio vitale dei batteri intestinali
Grassi i topi, grasse le persone
Lilliput nell’intestino
L’intestino: un pianeta sconosciuto come Marte?
Un ecosistema equilibrato
Più batteri nell’intestino che stelle nel cielo
Un lavoro digestivo che pesa tonnellate
Multiculturalità
I rapporti di parentela fra i batteri intestinali: chi appartiene a quale famiglia?
I batteri possono farvi cambiare idea sulle calorie
Il gruppo dei batteri snelli e belli
I batteroidi ogni tanto si lasciano scappare qualcosa
L’Akkermansia ha paura dei lipidi
I bifidobatteri, microrganismi amici
Il gruppo dei batteri cicciottelli
I Firmicutes fanno ingrassare, però erano utili ai nostri avi
Certe fibre diventano bombe caloriche
Noi diamo da mangiare a loro, loro danno da mangiare a noi
I batteri acidolattici rimpinzano animali e bambini
L’analisi delle feci, un metodo che fornisce certezze
Le varie possibilità

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Capitolo 2
Possiamo prevedere il nostro peso futuro grazie ai batteri intestinali?
Gettare uno sguardo nella sfera di cristallo?
Raccontami come sei nato e ti dirò come evolverà il tuo peso
I batteri fanno ingrassare gli ex fumatori
Gli antibiotici alterano l’equilibrio nell’intestino
Problemi di peso dopo una cura antibiotica
Ma è consentito?

Capitolo 3
Perché un intestino permeabile può far ingrassare?
L’intestino “bucherellato”
Le infiammazioni allargano i fianchi
Fattori che disturbano la pace nell’intestino
Il cibo per i batteri: un cerotto per l’intestino permeabile

Capitolo 4
Il cervello nella pancia
L’intestino, il nostro secondo cervello
Pensare con l’intestino?
Il Papa del busto
Il linguaggio del cervello e dell’intestino
Il subconscio si trova nell’intestino?
Attenzione, zucchero in arrivo!
Emozioni intestinali
Germi stimolanti
Comandante Gondii, a lei!
La sindrome del colon irritabile: quando l’intestino diventa isterico
Il social network dei microbi

Capitolo 5
Che ne pensano i batteri dello sport e dello stress?
Gli ormoni dello stress fanno spuntare i “salvagenti”
Lo stress fa apparire vecchi i batteri intestinali
La mancanza di sonno fa venire fame
E lo sport?
Tenetevi alla larga dai rotolini di ciccia

Capitolo 6
Strategie per avere un intestino sano e “snello”
Quattro strategie efficaci
Strategia numero 1: come dare una mano alla flora intestinale
Pilotare la flora intestinale

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Modificare la dieta creando un clima piacevole nell’intestino
La flora intestinale cambia nel giro di pochi giorni
I prebiotici, un banchetto per i nostri coinquilini
Se mancano i prebiotici, i batteri intestinali “buoni” patiscono la fame
Le patate fredde: una goduria per i batteri snelli e belli
Inulina e oligofruttosio: sostanze dai nomi complicati, ma che fanno bene
Si può bere una tazzina di caffè?
I probiotici danno man forte alla squadra dei batteri dimagranti
Strategia numero 2: le fibre, un alleato prezioso
La carenza di fibre ci complica la vita
Strategia numero 3: rafforzare la barriera intestinale
I batteri, custodi dell’intestino
Il fruttosio è (mal)sano?
Infiammazioni che fanno ingrassare
I grassi possono far dimagrire
L’ideale giapponese del 2:1
I lipidi che stimolano le infiammazioni si trovano ovunque
Curcuma e zenzero, un duo di straordinaria efficacia per l’intestino e per la linea
Strategia numero 4: stimolare gli ormoni della sazietà, bloccare gli ormoni che
fanno ingrassare
Il peptide YY e i suoi amici
Le proteine attirano il peptide YY
L’ormone della fame e l’ormone della sazietà
L’insulina, un ormone che fa ingrassare
Il guardiano dei grassi
La flora intestinale e il cibo per i batteri abbassano il livello di insulina
Come domare l’ormone che scatena gli attacchi di fame

Capitolo 7
La dieta che rafforza l’intestino: indicazioni generali
Come sfruttare al meglio la dieta per l’intestino
Consigli per dimagrire
Suggerimenti per mantenere il peso attuale o semplicemente per rafforzare la flora
intestinale

Appendice
Altre informazioni importanti
Indirizzi dei laboratori di analisi
Analisi delle feci che possono risultare utili in determinati casi specifici
Altri prodotti che fanno bene alla flora batterica intestinale
Integratori alimentari contro le infiammazioni utili a stabilizzare la barriera
intestinale

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Bibliografia

Nota sull’autrice

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Capitolo 1

COSA C’ENTRANO I
BATTERI INTESTINALI
CON IL PESO?

I batteri intestinali fanno dimagrire


o sapevate che, se volete dimagrire e poi mantenere stabile il
L
peso raggiunto, i batteri intestinali sono i vostri migliori alleati?
Non c’è da meravigliarsi che non ne abbiate mai sentito parlare,
perché le ricerche in questo campo non sono cominciate che
qualche anno fa e gli studiosi stanno scoprendo un po’ alla volta
il potere di questi microrganismi. Sono in grado di sciogliere i
rotolini di grasso, placare l’appetito e migliorare l’umore:
capacità di cui si stupiscono persino gli esperti. Tutti sono
concordi sul fatto che solo chi ha una flora batterica
perfettamente funzionante può restare magro a lungo. Finora,
nell’elaborare le diete, questa scoperta non è stata tenuta in
nessun conto. Eppure una persona che, con l’alimentazione, non

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si limita a far sparire i depositi di grasso, ma si prende cura
anche dei batteri intestinali, ha buone probabilità di rimanere
magra a lungo. Nelle prossime pagine, quindi, scoprirete come
attivare questi batteri e impostare il sistema digerente nella
modalità “dimagrimento”.

Probabilmente il vostro primo pensiero sarà: “Batteri


intestinali? Che schifo!”. In effetti non parliamo volentieri di ciò
che si trova nell’intestino. È un argomento tabù e non ci piace
raccontare cosa combinano le budella, nemmeno in famiglia o al
nostro migliore amico: il tratto digerente non gode di buona
fama, e non solo a causa del suo “prodotto finale”. Invece
sarebbe bene interessarsene un po’ di più, perché l’intestino per
molti versi è assai affascinante. In passato, quando si trattava di
perdere peso, si sono ignorate le potenzialità che, nel vero senso
della parola, sonnecchiano dentro di noi, ma grazie ai nostri
suggerimenti scoprirete come sfruttarle. Siate gentili con la
vostra flora intestinale: ne trarrete parecchi vantaggi.

I BENEFICI DI UNA DIETA AMICA DEI BATTERI INTESTINALI

Consumerete fino al dieci per cento di calorie in più al giorno.


Eliminerete più rapidamente i depositi di grasso, mentre verrà bloccata la
formazione di nuovi cuscinetti adiposi.
Il tasso glicemico si stabilizzerà.
Dopo aver mangiato vi sentirete sazi più a lungo e farete meno fatica a
rispettare la dieta.

Un ambiente confortevole: lo spazio vitale


dei batteri intestinali
I batteri intestinali popolano un regno molto esteso, che va dalla
bocca fino all’ano e offre loro sufficiente spazio e protezione.
Molti credono che la cute sia la più ampia superficie di contatto

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con il mondo esterno. Beh, non hanno fatto i conti con
l’intestino: con i suoi due metri quadrati, la pelle è grande circa
come una tovaglia, ma è una bazzecola rispetto all’intestino. Il
nostro organo digerente arriva a una superficie di cinquecento
metri quadrati abbondanti e occupa quindi un’area pari a due
campi da tennis. Insomma, è la porta d’accesso principale per i
germi patogeni. Ed è anche una superficie di contatto con il
mondo esterno. Si snoda dentro di noi senza avere collegamenti
diretti con la parte interna del corpo. I cibi e i liquidi vengono a
contatto prima di tutto con la superficie dell’intestino, e
qualsiasi cosa l’intestino non voglia assimilare viene espulsa
senza essere digerita.

Naturalmente viene da chiedersi come facciano a starci, due


campi da tennis, in una donna alta un metro e sessanta. Se il
sistema digerente fosse un tubo liscio, in effetti, la pancia
faticherebbe a contenerne anche solo uno o due metri quadrati.
Per fornire ai nostri numerosi aiutanti, i batteri, la possibilità di
espandersi, il corpo ha fatto ricorso a un trucco: l’intestino è
tutto ripiegato. È un po’ come nelle gonne plissettate: in settanta
centimetri di giro vita si legano insieme diversi metri di stoffa.
Inoltre nelle pieghe dell’intestino si trovano milioni di villi,
piccole estroflessioni della parete intestinale. Su un centimetro
quadrato possono essercene fino a quattromila. Così il piccolo
intestino si trasforma in una superficie enorme, che offre
protezione e alloggio a tutti i suoi inquilini.

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L’apparato digerente nel suo complesso

Come in una vera e propria casa, anche nelle singole


“camere” dell’intestino soggiornano vari ospiti temporanei
oppure abitanti fissi. Ci sono stanze molto confortevoli, altre
che invitano la flora intestinale a trattenersi un po’ meno a
lungo. La densità di microrganismi che colonizzano questi spazi
aumenta notevolmente man mano che si procede dalla bocca
(l’ingresso) fino all’ano (l’uscita). Già in bocca i batteri “buoni”
fanno in modo che i germi indesiderati vengano respinti. Se
diamo loro la possibilità di farlo, ci proteggono dalla carie e
dalle gengiviti. Attraverso il “corridoio” dell’esofago si arriva
quindi nello stomaco, che per la maggior parte dei germi è tanto
inospitale quanto una soffitta piena di spifferi o una cantina
umida. I succhi gastrici creano un ambiente molto acido e
quindi ostile ai batteri. Particolarmente aggressivo è l’acido
cloridrico, prodotto dalle cellule della mucosa gastrica; lo sa
bene chi, durante le lezioni di chimica, si è trovato a fare
esperimenti con questa sostanza. Ogni giorno ciascuno di noi
produce circa due litri di succhi gastrici contenenti acido
cloridrico. Se si volesse imbottigliare una quantità simile di
acido, bisognerebbe usare occhiali protettivi, guanti di gomma e
magari anche un camice da laboratorio. E se dovessimo

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attraversare la città con la bottiglia che racchiude il contenuto
del nostro stomaco, in base alle disposizioni di legge il trasporto
rientrerebbe nella categoria delle “merci pericolose” e dovrebbe
essere segnalato in maniera adeguata. Lo stomaco, insomma,
non è proprio il luogo ideale per i batteri. Eppure determinate
specie, per esempio l’Helicobacter pylori, ci si trovano
perfettamente a loro agio, con grande rammarico di quelle
persone che poi devono fare i conti con l’ulcera e il mal di
stomaco. La maggior parte dei microrganismi, però, si trattiene
nell’intestino. Dal piloro al sedere, i batteri intestinali hanno
ancora a disposizione un’oasi di benessere lunga circa sei metri,
accogliente e confortevole: una regione ospitale, che per almeno
quattro o cinque metri appartiene all’intestino tenue. In questo
tubo, largo circa tre centimetri, vivono molti batteri che aiutano
il corpo nell’azione digestiva. Ed è qui che viene assimilata la
maggior parte delle sostanze nutritive e dei liquidi.

Per i batteri, però, l’ambiente si fa davvero intimo e piacevole


nell’intestino crasso, che misura circa un metro e mezzo. È
l’ultima parte dell’intestino, poi i resti di quanto abbiamo
mangiato abbandonano il corpo tramite l’ano. Dal punto di vista
dei microrganismi, qui c’è un affollamento incredibile: quasi il
novantanove per cento dei batteri intestinali alloggia in questo
tratto, e non sto esagerando. Probabilmente per loro l’intestino
crasso rappresenta ciò che per noi è il salotto a una festa: un
luogo in cui si stabiliscono contatti utili, si fanno le
chiacchierate migliori e le conversazioni più interessanti e dove
inoltre c’è da mangiare e da bere a sufficienza. E qui, se
vogliamo parlare di cuscinetti di grasso e chili che non ci
lasciano più, succedono parecchie cose interessanti.

Grassi i topi, grasse le persone


Attualmente nel mondo un gran numero di esperti è impegnato

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ad analizzare la cosiddetta flora batterica intestinale, cioè
l’infinità di microscopici esseri viventi che popola il nostro
intestino, e a studiare che effetto abbia sulla salute, ma
soprattutto sul peso. Uno di questi è Jeffrey Gordon, direttore di
un laboratorio presso la Washington University di Saint Louis.
Si occupa con grande passione di un tema che certo farebbe
inorridire la maggior parte di noi: ogni giorno esamina campioni
di feci, centinaia e centinaia. Intanto si domanda per quale
motivo certe persone possono mangiare quanto vogliono senza
ingrassare, mentre ad altre basta anche solo guardare una
tavoletta di cioccolato per prendere un chilo. Gordon e la sua
équipe hanno fatto una scoperta entusiasmante: quando una
persona finisce sovrappeso o sviluppa disturbi metabolici come
il diabete, il ruolo giocato dalla comunità dei batteri che vivono
nel corpo è fondamentale.

I ricercatori hanno messo a confronto il microbioma (o


microbiota, cioè il complesso dei batteri intestinali) degli
intestini di persone sovrappeso e di persone magre, riscontrando
evidenti differenze. Che in questo la predisposizione genetica
non abbia un ruolo decisivo, lo fanno pensare le indagini svolte
su gemelli omozigoti, dei quali uno aveva problemi di peso,
mentre l’altro era normopeso. Gli studiosi hanno adottato un
metodo insolito: hanno cioè inserito le feci dei gemelli umani in
topi il cui intestino era privo di batteri (gli animali erano stati
allevati in gabbie sterili). A un gruppo di topi vennero
somministrati i campioni degli individui magri, all’altro i batteri
intestinali dei fratelli grassi. Tutti i topi vennero poi nutriti allo
stesso modo e tenuti in gabbie sterili. I topi con i batteri dei
magri mantennero stabile il loro peso corporeo. I roditori che
avevano ricevuto i batteri intestinali dei gemelli sovrappeso,
invece, nel giro di pochissimo tempo diventarono paffuti come
criceti e accumularono circa il venti per cento di grasso
corporeo in più.

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Il destino successivo dei topi dipendeva dalla compagnia in cui
si trovavano. Mettendo insieme nella stessa gabbia i topi grassi
e quelli magri, i primi mangiavano gli escrementi dei loro
compagni magri e quindi anche i batteri che fanno dimagrire, e
il loro peso diminuiva. Non si assisteva invece al processo
inverso: i topi magri restavano magri, pur vivendo insieme ai
colleghi grassi.

Gli studiosi però si sono accorti anche di qualcosa che dovrebbe


farci rizzare gli orecchi: ai due gruppi di topi vennero
somministrati pasti che davano le stesse calorie, ma avevano
una diversa composizione. Un cibo conteneva abbondanti fibre
ed era povero di grassi, l’altro invece era una cosiddetta “dieta
Western”, insomma una sorta di menu da fast food, ricco di
grassi e con poche fibre. I batteri intestinali dei roditori magri si
insediavano stabilmente nei topi sovrappeso solo se questi
ricevevano un’alimentazione sana ed equilibrata. Se invece
mangiavano il menu da fast food, potevano assumere quanti
batteri “dimagranti” volevano, ma non c’era verso che i
microrganismi “buoni” si stabilissero nel loro intestino e i topi
restavano grassi. Anche noi sembriamo diventare più snelli, più
sani e contenti, se nel nostro intestino alloggiano i batteri
“giusti” e se li viziamo con uno specifico “cibo per batteri”.

Lilliput nell’intestino
Ma come fanno creature così piccole ad avere un’influenza
tanto grande sul nostro peso e sul nostro benessere? Chiunque si
sia beccato una grave infezione batterica sa che i microrganismi
non sono deboli e inermi, ma possono essere molto robusti e
potenti. Questi esseri microscopici sono in grado di mandare al
tappeto un uomo adulto. Possono causare febbre, ascessi,
infiammazioni polmonari o meningiti. Insomma, ci sono batteri
capaci di scatenare tutta una serie di fenomeni nel corpo. Ma

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questo discorso vale anche per i batteri intestinali? Anche loro
hanno così tanto potere su di noi? Qualcuno potrebbe pensare
che “quello che producono là sotto è solo spazzatura”. In effetti,
svolgendo il loro lavoro, i batteri un po’ di immondizie le fanno,
e quanto importante sia la rimozione dei rifiuti può capirlo bene
chiunque abbia avuto a che fare con uno sciopero della nettezza
urbana in una grande città soffocata dall’afa estiva. La nostra
flora, tuttavia, può fare molto di più che ripulire l’intestino dai
rifiuti. Lasciatevi sorprendere e cominciate un viaggio
nell’intestino, in un mondo lillipuziano che si nasconde dentro
di noi, nel quale non si ragiona in metri o in chilometri, ma in
micrometri e microgrammi – un mondo che, pur avendo
dimensioni microscopiche, ha un’importanza inimmaginabile
per gli esseri umani.

L’intestino: un pianeta sconosciuto come


Marte?
Non si sa ancora esattamente quanto vari siano i compiti dei
batteri intestinali, perché persino gli scienziati hanno ignorato
per anni questi minuscoli abitanti della pancia. Stanno
cominciando solo adesso a indagare l’importanza dello spazio
vitale rappresentato dall’intestino e a studiare il ruolo dei suoi
inquilini. Una delle ragioni di questo ritardo è che in passato
molti batteri erano difficili da coltivare e riconoscere in
laboratorio, per cui la vita nell’intestino è rimasta a lungo
inesplorata, proprio come la vita su Marte. Molti organismi
esotici che popolano l’universo quasi sconosciuto delle nostre
viscere non hanno nemmeno un nome. Quando, nel 2005, il
microbiologo statunitense David Relman cercò di realizzare un
prospetto dei subinquilini presenti nel nostro intestino, osservò
con stupore che di quattro microbi su cinque si ignorava
l’esistenza. Solo poco tempo fa Henrik Bjørn Nielsen, uno

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studioso dell’Università Tecnica della Danimarca (che ha sede a
Lyngby, nei pressi di Copenaghen), ha individuato cinquecento
nuovi microrganismi nell’intestino umano.

Che finora si sapesse così poco su questo microcosmo è


stupefacente, perché da molti punti di vista i batteri intestinali
sono un fattore chiave per la nostra salute. E forse possono
spiegare per quale ragione nei paesi industrializzati il problema
del sovrappeso si stia aggravando sempre più. In futuro le
conoscenze sul microcosmo dei batteri intestinali potranno
aiutarci a controllare meglio i problemi di peso.

Un ecosistema equilibrato
Intanto nuovi metodi hanno permesso di studiare in maniera più
approfondita gli abitanti dell’intestino e si è osservato che i
batteri intestinali non sono una zavorra inutile, ma convivono
con la persona che li ospita in un rapporto da cui traggono
vantaggio entrambe le parti. I microrganismi svolgono un
enorme lavoro metabolico e costituiscono un ecosistema
prezioso che, se intatto, risulta importantissimo per la salute e il
benessere. I batteri esercitano un’influenza notevole su
determinati processi corporei, perché non si limitano solo a
digerire, fanno molto di più: si preoccupano che l’intestino sia
integro, che la mucosa possa svolgere i propri compiti e che le
cellule rimangano sane. I germi patogeni non hanno
praticamente nessuna chance di diffondersi nell’intestino, se i
batteri che ci proteggono stanno bene. Tre quarti delle difese
immunitarie si trovano proprio nel luogo di cui parliamo così
malvolentieri. Le cellule immunitarie vengono per così dire
istruite dai batteri intestinali: se la flora intestinale è
danneggiata, quindi, ne risentono pure le difese immunitarie.

Stiamo bene o male? L’intestino ha voce in capitolo anche a

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questo proposito. Ormai è stato dimostrato che esiste un legame
fra gli abitanti dell’intestino e quasi trenta patologie, dal diabete
alle malattie del sistema cardiocircolatorio, dalle allergie ai
disturbi nervosi. Il rischio di contrarle aumenta o diminuisce in
base alla composizione della flora intestinale.

I batteri gestiscono una grande fabbrica di microsostanze


nutritive, in cui si estraggono o producono vitamine e altro: la
vitamina K, l’acido folico, la biotina e altre vitamine del gruppo
B, ma anche l’acido lattico e i messaggeri chimici ormonosimili
sono generati dalla flora intestinale. Se questa è alterata,
possiamo soffrire di carenze vitaminiche, pur seguendo una
dieta sana e varia.

I microrganismi del nostro intestino, inoltre, influenzano


l’umore, sia in positivo sia in negativo. Se l’intestino è in
disordine, possiamo soffrire di ansia e depressione. Queste
piccole creature condizionano anche il senso di fame e sazietà e
sono ritenute responsabili persino del sovrappeso e dell’alto
tasso di colesterolo.

Dato che l’apparato digerente ha un ruolo così centrale per la


nostra salute e il nostro benessere, molti studiosi in tutto il
mondo stanno svolgendo ricerche per capire meglio cosa
succeda in questa “terra inesplorata” di cui si sa così poco, nella
speranza di scoprire come si possano influenzare a nostro favore
i processi che vi si svolgono.

Per stimare quanto alto sia il rischio di contrarre malattie e


disturbi, in futuro basterà una semplice analisi delle feci. Magari
un giorno persino lo psicologo chiederà ai suoi pazienti di
effettuare prima di tutto questo esame, constatando che, per
vincere una depressione, bisogna alimentarsi diversamente. E
forse tra qualche anno avremo a disposizione anche apposite
pastiglie che, alla bisogna, ci procureranno i batteri intestinali

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che ci servono: tasso ematico di lipidi elevato? Niente paura, ci
sono i lattobacilli. Infelici e stressati? Una bevanda con i giusti
microrganismi ci farà guardare di nuovo con fiducia al futuro.
Mangiato troppo a Natale? Nessun problema, qualche milione
di batteri snelli e belli, e a capodanno torneremo in forma. Tra
qualche tempo forse sarà possibile addirittura insediare singoli
ceppi batterici nell’intestino oppure eliminarli, a seconda delle
nostre esigenze. Chissà se allora potremo usare i microrganismi
per combattere gli agenti patogeni, come si fa oggi con gli
antibiotici.

Ma non dovremo aspettare così tanto perché tutto questo diventi


realtà. Già oggi è possibile addestrare la flora intestinale in
maniera che modifichi il peso, la salute e l’umore.

I BATTERI INTESTINALI:

sono importanti per ottenere energia dal cibo e quindi decidono se una persona
sarà magra o grassa;
con i loro prodotti metabolici nutrono le cellule dell’intestino, che altrimenti si
atrofizzerebbero;
stimolano il sistema immunitario;
influenzano le funzioni cerebrali e l’umore;
possono condizionare il tasso glicemico e la colesterolemia;
producono importanti vitamine, per esempio la vitamina K e le vitamine del
gruppo B;
fanno in modo che determinate sostanze che abbiamo ingerito risultino meno
dannose (azione disintossicante);
con i loro enzimi influenzano il metabolismo dei farmaci, rendendoli efficaci.

Più batteri nell’intestino che stelle nel


cielo
Il canale alimentare di una persona è l’ecosistema più
densamente popolato della Terra. Sulla superficie dell’intestino

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scorrazzano circa 1014, cioè cento bilioni, di batteri! È un
numero enorme, inimmaginabile: scritto in cifre corrisponde a
100.000.000.000.000 ed è mille volte superiore al numero delle
stelle che compongono la nostra galassia. Insomma, non siamo
mai soli. Anzi, nel nostro corpo siamo in minoranza, perché i
microrganismi che vivono nel tratto digerente sono dieci volte
più numerosi rispetto alle cellule del corpo. Verrebbe da dire
che siamo più batterici che umani. Se arrivassero sulla Terra
degli alieni e vivisezionassero un uomo per controllare di cosa
siano fatti questi esseri senza antenne sulla testa, la risposta
sarebbe rapida e chiara: perlopiù di una grande quantità di
batteri! E avrebbero ragione. Gli extraterrestri quindi potrebbero
essere indotti a pensare che l’uomo non sia altro che un grosso
veicolo carico di batteri.
Dobbiamo tenere ben presente che il contenuto del nostro
intestino è formato per metà da questi cortesi subinquilini, i
quali, benché minuscoli, nel complesso pesano pur sempre quasi
due chili, cioè ben più della gran parte degli organi. Spesso
l’insieme dei batteri intestinali viene considerato addirittura
come un organo a sé stante, che svolge un’azione metabolica
maggiore rispetto al fegato.

Da che mondo è mondo gli uomini e i batteri intestinali sono


rimasti in stretto contatto, si sono evoluti insieme e hanno capito
che la convivenza poteva essere vantaggiosa per entrambi. Il
principio è che una mano lava l’altra: i microbi si fanno carico
di compiti che il corpo, da solo, non è in grado di svolgere. Gli
uomini in cambio offrono ai batteri una casa in cui c’è fin
troppo da mangiare.

Un lavoro digestivo che pesa tonnellate


Dire addio ai chili di troppo non è semplice per tutti, perché i
fattori che condizionano il controllo del peso sono numerosi.

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L’attitudine al sovrappeso dipende per circa un terzo dai geni:
se mamma e papà tendono al sovrappeso, spesso anche i figli si
trovano a dover lottare con “tenaci” chili in più. Lo stile di vita
è responsabile per un altro terzo. E queste sono cose risapute.
La novità, ma per voi ormai è chiaro, è che anche i batteri
intestinali hanno voce in capitolo a questo proposito: il fatto che
restiamo magri senza faticare o che, viceversa, dobbiamo
combattere costantemente con la bilancia dipende per un altro
terzo dall’intestino.
È qui che si decide la nostra forma fisica, in almeno quattro
modi.

• Per cominciare, le cellule dell’intestino, con l’aiuto della flora


intestinale, possono condizionare il nostro appetito tramite
vari messaggeri chimici, decidendo se ci sentiamo sazi o
affamati.
• In secondo luogo, eventuali problemi della mucosa intestinale
e infiammazioni croniche possono segnalare al corpo che
deve depositare più grasso, soprattutto nell’addome.
• Se il vostro intestino ospita i batteri “sbagliati”, questi si
mettono subito all’opera per attivare un enzima chiamato
lipasi lipoproteica, che ha il compito di creare depositi di
grasso.
• Per finire, il mix di batteri stabilisce anche se sfruttiamo bene
o male il cibo e determina la quantità di calorie che ricaviamo
dall’alimentazione.

Nel corso della vita, in fondo, digeriamo circa 30 tonnellate di


cibo e quasi 50.000 litri di liquidi. Per portare avanti questa
fatica erculea, l’intestino ha bisogno di rinforzi e gli aiutanti più
efficienti sembrano essere proprio i batteri che lo popolano. Uno
dei loro compiti principali è procurarci energia. Con il loro
lavoro i batteri producono circa il trenta per cento delle calorie
che arrivano al corpo (più o meno, a seconda della

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composizione della flora intestinale). In quanto “predigeritori”,
scompongono le componenti vegetali più ostiche, che altrimenti
per noi sarebbero del tutto indigeribili.

La capacità dei batteri di ricavare energia dall’alimentazione è


dimostrata da un esperimento. I topi che vivono in gabbie sterili
e non possiedono alcun tipo di flora intestinale non ingrassano.
Per raggiungere lo stesso peso dei loro compagni “colonizzati”
dai batteri dovrebbero aumentare l’apporto calorico di almeno
un terzo, e comunque avrebbero molto meno tessuto adiposo.

Noi ovviamente non abbiamo la possibilità di vivere senza


entrare in contatto con i germi. E il nostro intestino, da solo, non
riesce a gestire gran parte dei cibi. Per sminuzzare le
componenti difficili da digerire gli mancano gli appositi
“strumenti”, che nel corpo sono chiamati enzimi. Sono i batteri
intestinali a fornirli, sollevando l’organismo dall’onere di
produrre ancora più succhi digestivi, con un notevole risparmio
di energia.

Non tutti i batteri, però, svolgono il loro compito con la stessa


determinazione. Alcuni lavorano con grande zelo e ricavano da
ogni singola foglia di insalata tutte le calorie possibili. Certi loro
colleghi, invece, ogni tanto lasciano tranquillamente “scappare
via” qualcosa e non prendono così sul serio il loro incarico. Ed
ecco una brutta notizia: chi ha nell’intestino i batteri sbagliati
ingrassa rapidamente. Però c’è anche una notizia buona: noi
possiamo fare qualcosa per stabilire quali batteri debbano
trovarsi ai posti di comando nell’intestino. Se si modifica
un’alimentazione poco sana, se in tavola compare spesso “cibo
per i batteri” e se, allo stesso tempo, si osservano poche e
semplici regole, nell’intestino si diffonderanno i microrganismi
che ci rendono più sani e più magri, migliorando al contempo il
nostro benessere. Essi aiuteranno la mucosa intestinale a
rimanere in salute e potranno svolgere un’azione positiva

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persino in caso di infiammazioni.

NON TUTTI SONO CATTIVI

I batteri hanno una cattiva reputazione, perché spesso si sente parlare di germi
che fanno ammalare. È per questo che in passato ci si è concentrati soprattutto
sulla lotta conto i microrganismi nocivi, piuttosto che sul sostegno a quelli utili.
Eppure i batteri non provocano solo la peste, il colera e il mal di gola.
Costruiscono anche la corazza acida che protegge la cute da organismi
pericolosi, sono lo sparring partner migliore per il nostro sistema immunitario,
ci procurano benessere e una buona digestione. Solo che i batteri benefici in
passato sono stati studiati molto meno, dunque sono ancora in larga parte
sconosciuti.

ADDESTRARE LE DIFESE IMMUNITARIE CON I BATTERI


INTESTINALI

Nei primi mesi di vita le difese immunitarie imparano a distinguere tra batteri
pericolosi e innocui. In questo periodo di allenamento il nostro alleato più
importante è la flora intestinale: una flora intatta e un sistema immunitario
integro vanno mano nella mano. Se però il panorama dei batteri non è molto
vario, le difese del corpo non sviluppano abbastanza forza contro i germi
pericolosi e non imparano nemmeno a tollerare i batteri innocui e le sostanze
provenienti dal mondo esterno. Così possiamo ritrovarci con un sistema
immunitario nel complesso troppo debole e soffrire di malattie autoimmuni,
allergie e asma.

Multiculturalità
I cento bilioni di batteri che popolano l’intestino si combinano
in maniere diverse. Si conosce un migliaio di batteri intestinali,
ma nessuno di noi possiede tutte le specie note: ogni persona
ospita circa centosessanta microrganismi differenti. Anche i
funghi e i virus fanno parte della cosiddetta flora intestinale. La
comunità che popola l’intestino è dunque individuale, cambia
da persona a persona.

23
Per mantenersi in forma è bene avere dentro di sé una “truppa
batterica” il più possibile variegata. È come nella vita reale: se
fra noi non ci fossero persone con capacità e competenze nei
campi più disparati, moriremmo di fame, non avremmo un tetto
sopra la testa e dovremmo guidare su sentieri di campagna
anziché su autostrade asfaltate. Per i batteri è lo stesso: anche
fra loro esistono caratteri diversi, e quanti più talenti si
riuniscono insieme, tanto migliore è la vita nell’intestino.
Pensiamo anche all’ecosistema della foresta pluviale tropicale:
se ci abita una grande verità di specie, lo spazio vitale è intatto e
il terreno fertile. Ma se la foresta viene disboscata (nell’intestino
la “deforestazione” può corrispondere per esempio a una terapia
antibiotica o a un’alimentazione monotona) e sostituita da
piantagioni di canna da zucchero, di colpo insetti e piante
parassite hanno buone chance di imporsi. Nell’intestino
funziona all’incirca allo stesso modo: anche qui l’ecosistema è
intatto solo se composto dal maggior numero possibile di
specie. Se nella flora intestinale regna l’armonia, anche la nostra
salute sarà ottima. Le persone nel cui intestino vivono molti
ceppi batterici non solo corrono un rischio decisamente minore
di ritrovarsi con qualche chilo di troppo, ma hanno anche di
rado a che fare con il diabete e con un elevato tasso di
colesterolo. Tuttavia, la flora intestinale di circa un quarto degli
abitanti dei paesi industrializzati si è impoverita, cioè è
caratterizzata da una scarsa varietà di batteri. Singoli germi
indesiderati, allora, hanno gioco facile a prendere il sopravvento
nell’intestino. Di fronte a un equilibrio della flora batterica
alterato, i medici parlano di “disbiosi”. E questo fenomeno non
ha conseguenze solo sulla digestione: può provocare anche
problemi di peso, difficoltà di concentrazione e l’indebolimento
del sistema immunitario.

La composizione di questo efficace mix di batteri rappresentato


dalla flora intestinale dipende però da molti fattori: l’eredità
genetica e l’ambiente in cui viviamo, così come l’alimentazione,

24
lo stress, l’età o l’assunzione di antibiotici. Anche un viaggio
all’estero può, alla lunga, scombussolare la flora intestinale, se
veniamo aggrediti da germi nuovi, sconosciuti alle nostre difese
immunitarie. Infezioni simili portano spesso a disturbi digestivi
che si protraggono per molto tempo.

Il fattore determinante, tuttavia, sembra essere l’alimentazione,


perché uno dei compiti fondamentali dei batteri è di scomporre
e assimilare il cibo. Quando gli anziani vanno a vivere in casa di
riposo, nel giro di un anno la loro flora batterica intestinale
diventa più uniforme. La varietà si perde in pochissimo tempo,
probabilmente a causa della nuova dieta. Nelle case di cura si
somministrano spesso alimenti ricchi di lipidi e carboidrati, ma
poveri di fibre: insaccati grassi, purè, carne fritta, pudding. Con
l’alterazione della flora batterica aumentano anche la fragilità,
le infiammazioni e le malattie concomitanti. Anziani della
stessa età che vivono a casa o che trascorrono in un istituto di
cura solo parte della giornata hanno invece una varietà di batteri
paragonabile a quella dei giovani. Ed è addirittura possibile che
i provvedimenti miranti a mantenere “giovane” la flora
intestinale anche in età avanzata prolunghino l’arco della vita
attiva. Probabilmente l’industria alimentare è già ai nastri di
partenza con yogurt contenenti colture batteriche studiate
appositamente per favorire la salute degli ospiti delle case di
riposo. Forse non sarebbe nemmeno una cattiva idea!

Per il novanta per cento, le cellule che si trovano nel nostro organismo non sono
cellule somatiche, ma batteri, perlopiù viventi nell’intestino. Anche se non sono
direttamente parte del corpo, i benefici che apportano sono enormi.

I rapporti di parentela fra i batteri


intestinali: chi appartiene a quale

25
famiglia?
Il mio nome è Coli, Escherichia coli! Benché nell’intestino
faccia la sua comparsa solo in un numero limitatissimo di
esemplari, l’Escherichia coli, in genere abbreviato in E. coli, è
forse il batterio intestinale più famoso. Il motivo della sua
celebrità è che, mentre una volta la maggior parte degli abitanti
dell’intestino non poteva essere messa a coltura perché i comuni
procedimenti in uso non lo permettevano, l’E. coli era senza
pretese e cresceva bello vispo nel terreno nutritivo, ragion per
cui nei primi tempi gli si attribuiva una grande importanza. Ma
nell’intestino i capi sono altri. Batteroidi, Firmicutes o i
bifidobatteri non sono legionari romani intenzionati a mettere in
ginocchio piccoli villaggi di irriducibili Galli. Sono invece i
gruppi di batteri che compongono più del novanta per cento
degli organismi viventi ospitati nelle nostre viscere. Però lottano
per ottenere la supremazia con lo stesso spirito combattivo dei
soldati romani e, a seconda di chi trionfa in battaglia,
stabiliscono se saremo destinati a rimanere snelli senza fatica o
se invece tenderemo al sovrappeso.

Gli abitanti dell’intestino possono essere suddivisi in poche,


grandi famiglie. In una famiglia normale, anche se è composta
per la maggior parte da persone imparentate fra loro, i caratteri
non sono certo tutti uguali. Con i batteri è lo stesso: ce ne sono
di carini e di antipatici. Nella famiglia dei Firmicutes, per
esempio, molti adorano condividere con il padrone
dell’intestino le calorie supplementari ottenute mangiando, così
nel giro di poco tempo gli procurano problemi di peso, pur
senza fargli rischiare la vita. Il Clostridium difficile, invece, un
germe dal nome curioso, è il nipote maleducato dei Firmicutes.
Si trova nella pancia di molte persone e, finché gli altri abitanti
dell’intestino lo tengono in scacco, se ne sta lì col becco chiuso;
se gli altri batteri vengono decimati da una terapia antibiotica,
però, il Clostridium difficile conquista sempre più terreno e può

26
trasformarsi in una presenza spiacevole, se non addirittura
pericolosa. Il “nipote maleducato” dei Firmicutes produce
tossine che causano diarree gravissime. Spesso l’unica
soluzione è una cura a base di antibiotici in grado di colpire
anche questo tipaccio insolente; oppure si può ricorrere a un
trapianto di feci, procedimento finora adottato solo in casi
eccezionali.

Il “trapianto fecale” sembra una cosa disgustosa, e in effetti lo è,


ma si tratta di un intervento molto efficace: tramite un sondino
nasogastrico, al malato vengono iniettate le feci di una persona
sana. In questo modo riceve miliardi di batteri intestinali
protettivi, che si sbarazzano del germe pericoloso e così
probabilmente salvano la vita al paziente. Il trapianto fecale è
stato sperimentato anche per la cura di altre malattie. Il diabete
o il sovrappeso, per esempio, migliorano se il paziente riceve le
feci di un donatore sano e magro.

Ma conosciamo altri fratelli con un carattere tutto particolare.


Nel 2011 in Germania ci fu un’epidemia di EHEC che tenne la
popolazione e i mass media col fiato sospeso. EHEC è
l’abbreviazione di “Escherichia coli enteroemorragico”. Si tratta
del fratello cattivo dell’innocuo Escherichia coli e può causare
non solo crampi addominali, ma anche gravi danni ai reni e
disturbi nervosi. Alcuni pazienti stanno pagando ancora oggi le
conseguenze di quell’epidemia.

Poiché quindi in ogni famiglia ci sono caratteri diversi, anche


per gli studiosi spesso risulta piuttosto complicato scoprire quali
siano le peculiarità dei singoli membri. I lattobacilli, per
esempio, non sono tutti della stessa pasta. La pubblicità ne
esalta la presenza nei cosiddetti latticini probiotici, spacciandoli
per assolutamente sani. In effetti esistono ceppi che sembrano
proteggere dalle allergie, altri possono forse aiutare a diminuire
di peso; ma appartengono alla grande famiglia dei “batteri

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cicciottelli” e alcuni studi hanno dimostrato che una parte di
questi batteri è in grado di far schizzare in alto il peso.

LO “WHO’S WHO” DEI BATTERI INTESTINALI

Gruppo dei batteroidi = batteri snelli e belli


Specie del genere Batteroidi (Bacteroides thetaiotaomicron, Bacteroides
ruminicola e altri)
Specie del genere Prevotella (per esempio la Prevotella bryantii)

Specie del genere Actinobacillus = batteri snelli e belli


Bifidobatteri

Akkermansia muciniphila = batteri snelli e belli

Gruppo dei Firmicutes = batteri cicciottelli


Clostridi
Batteri acidolattici (lattobacilli)
Stafilococchi
Altri gruppi

Gruppo dei proteobatteri = funzione ancora poco chiara per quanto


riguarda la regolazione del peso
Escherichia coli
Proteus
Klebsiella
Pseudomonas
Altri gruppi

I batteri possono farvi cambiare idea sulle


calorie
Nella comunità dell’intestino non regna sempre la pace. I batteri
più forti, o quelli per i quali le condizioni di vita sono
particolarmente buone, si impongono con più facilità. Sono
soprattutto tre i grandi gruppi di batteri che si contendono la
supremazia nell’intestino, un po’ come le bande di strada nel

28
Bronx di New York: i batteroidi, i bifidobatteri e i Firmicutes. A
decidere chi avrà il sopravvento, e quindi anche come verrà
utilizzato il cibo, sono diversi fattori.

Per convivere in armonia con i microrganismi ed essere in


forma, la cosa migliore è che a dominare siano i batteroidi.
Questi “batteri snelli e belli” dovrebbero essere presenti in
quantità almeno doppia (o addirittura maggiore, a seconda dei
criteri adottati nei vari studi) rispetto ai “batteri cicciottelli”,
cioè i Firmicutes. Nelle persone magre si è osservato spesso che
la popolazione intestinale è composta fino al novanta per cento
da batteroidi e solo per un dieci per cento da Firmicutes, mentre
nei “digeritori efficaci” la proporzione può essere esattamente
inversa.

Il gruppo dei batteri snelli e belli


Quando si tratta di restare in linea, la parola passa soprattutto a
tre famiglie di batteri che hanno caratteristiche molto
interessanti, come la capacità di stimolare la combustione dei
grassi, di aumentare lo smaltimento delle calorie, frenare
l’appetito e far diminuire di peso.

I batteroidi ogni tanto si lasciano


scappare qualcosa
Nelle persone magre, a governare l’intestino sono i batteroidi,
microrganismi piuttosto pigri quando si tratta di sfruttare le
calorie. Si potrebbe pensare che si siano adattati all’abbondanza
di carboidrati e di calorie tipica delle diete moderne e che ormai,
quindi, sappiano che non è assolutamente necessario digerire
fino all’ultima briciola di cibo. Se si somministra a topi privi di

29
germi un mix di flora batterica in cui sono presenti pochi
batteroidi (cioè una flora intestinale grassa), la stessa quantità di
cibo li fa ingrassare molto più di quanto non accade se si
impianta loro una flora ricca di batteroidi (flora intestinale
magra).

Se nel nostro intestino sono presenti questi batteri snelli e belli,


possiamo ritenerci fortunati: digeriamo i cibi in maniera meno
accurata e, di conseguenza, eliminiamo quasi il dieci per cento
delle calorie assunte. Inoltre i batteri formano sostanze che
bloccano l’accumulo di lipidi e ci fanno sentire sazi in tempi più
rapidi. In breve: di fronte allo stesso piatto, è la flora intestinale
a decidere quante calorie il corpo debba assimilare e trasformare
in tessuto adiposo, e se ci alzeremo da tavola soddisfatti o
ancora affamati.

L’Akkermansia ha paura dei lipidi


Un altro batterio dal nome strano, l’Akkermansia municiphila,
sembra far bene alla linea: gli studiosi si sono accorti che è raro
trovarlo nelle persone sovrappeso e, quando c’è, è presente solo
in minime quantità. Per verificarlo hanno nutrito dei topi con
cibi estremamente calorici. Un gruppo però ha ricevuto in
aggiunta il “batterio miracoloso”. Dopo qualche settimana i
roditori con il cibo arricchito di batteri avevano accumulato solo
metà grasso rispetto agli animali dell’altro gruppo. Si potrebbe
trarne una semplice equazione: molto cibo + i batteri giusti =
meno peso.

L’Akkermansia municiphila vive nella mucosa che protegge le


cellule intestinali, a cui può agganciarsi. Il batterio attiva geni
che aumentano la combustione dei grassi. E ha anche una strana
predilezione per la mucosa, da cui deriva il nome:
“municiphila” significa pressappoco “che ama la mucosa”. Il

30
germe demolisce volentieri lo strato mucoso dell’intestino e se
lo mangia. Ed è per questa ragione che, per anni, è stato
considerato dannoso, finché non si è constatato che l’“amico
della mucosa” non fa altro che rinnovare l’intestino: rimuove la
mucosa vecchia, stimolando le cellule caliciformi a produrne di
nuova e fresca. Oggi si sa che questi microrganismi svolgono un
ruolo importante per il mantenimento della funzione di barriera
esercitata dall’intestino.
Le nostre viscere sono un po’ come un valico di frontiera: è
qui che si decide quali sostanze possono passare dall’intestino al
sangue e quali devono essere respinte. Ad alcune componenti di
cibo il transito è consentito, altre (perlopiù sostanze tossiche o
batteri patogeni) non hanno il permesso di uscire dall’intestino.

Cibi troppo grassi come le uova strapazzate con la pancetta,


l’insalata di patate con la maionese o un dessert a base di crema
al mascarpone, però, mettono fuori gioco il “doganiere
Akkermansia”. Nell’intestino degli animali nutriti con cibi ricchi
di lipidi la popolazione di batteri benefici è diminuita di cento
volte, di conseguenza lo strato mucoso che ricopre le cellule
dell’intestino si è assottigliato e la barriera intestinale si è fatta
più permeabile.

I bifidobatteri, microrganismi amici


Può dirsi contento anche chi, nel proprio intestino, dà alloggio a
molti bifidobatteri. Sono tipi in gamba, all’organismo che li
ospita fanno praticamente solo del bene. Ci accompagnano da
sempre e sono presenti in buon numero nell’intestino dei
neonati, soprattutto in quelli allattati al seno; fanno crescere
meglio i prematuri e mantengono magri i bambini. Fin dai primi
istanti di vita difendono il nostro intestino dagli intrusi
indesiderati. I bifidobatteri sono presenti in numero maggiore
nelle persone magre, mentre in chi è sovrappeso a volte non se

31
ne trova quasi traccia. Le donne in gravidanza aumentano meno
di peso se assumono buone quantità di questi batteri benefici.
Però dobbiamo prendercene cura: non amano i cibi molto grassi
e, se non rispettiamo questa loro preferenza, in due e due
quattro levano le tende, così in futuro il cibo grasso si depositerà
in tempi ancora più rapidi (Murphy 2010). I bifidobatteri sono
dei ghiottoni e si moltiplicano facilmente, se ricevono
abbastanza cibo per batteri. Adorano l’indivia belga, le cipolle e
gli asparagi. Nel capitolo 6 scoprirete cos’altro mangiare per
farveli amici.

Il gruppo dei batteri cicciottelli


Il gruppo dei batteri cicciottelli comprende in sostanza una
grande famiglia, che però è composta da un folto numero di
piccoli sottogruppi. Nei periodi di carestia questi batteri erano
molto utili, perché riescono a ricavare più calorie dal cibo,
favorendo la formazione di depositi di grasso (ed è per questa
ragione che vengono usati anche nell’allevamento). Al giorno
d’oggi, tuttavia, nei nostri paesi l’offerta di cibo non manca
quasi mai, per cui saremmo davvero contenti di poter cancellare
i batteri cicciottelli dalla lista degli invitati.

I Firmicutes fanno ingrassare, però erano


utili ai nostri avi
I batteri presenti nell’intestino crasso potrebbero essere definiti
“utilizzatori di rifiuti”. Scompongono e digeriscono soprattutto
le sostanze nutritive che più su, nell’intestino tenue, non sono
state trasformate. A quanto pare, però, nell’intestino crasso di
certe persone ci sono batteri che ricavano più energia di altri
persino da alimenti apparentemente ipocalorici. In questi

32
individui spesso domina il gruppo dei Firmicutes, che sono
ottimi utilizzatori di cibo e possono demolire tanto i lipidi,
quanto le proteine e i carboidrati. In genere nell’intestino crasso
arrivano solo componenti indigeribili, perché in realtà è
l’intestino tenue a filtrare le sostanze nutritive e le calorie. Ma la
forza dei Firmicutes sta proprio nel fatto che sfruttano le parti di
cibo difficilmente digeribili e possono mettere a disposizione
dell’organismo porzioni extra di acidi grassi. Sanno farlo così
bene che scompongono, ricavandone calorie da dare al corpo,
persino fibre come la cellulosa, che l’uomo in realtà non è
affatto in grado di digerire. La cellulosa è una materia prima
importante per la fabbricazione della carta. Chi ha molti batteri
cicciottelli nell’intestino potrebbe fare colazione anche con un
quotidiano, ricavandone energia. La brutta notizia è che, se
questi batteri sono in maggioranza, certe fibre che in teoria
dovrebbero prevenire il sovrappeso finiscono con il favorirlo. I
batteri cicciottelli ci faranno guardare alle calorie con occhi
diversi: secondo le comuni tabelle caloriche, normalmente una
mela fornisce circa 100 calorie, un hamburger circa 300 e una
porzione di pasta al pomodoro incide sul budget con 400
calorie. Ma in che misura il corpo davvero digerisca tutto
questo, può cambiare tantissimo da persona a persona. Le
tabelle caloriche quindi non valgono più, se i batteri cicciottelli
si sono diffusi nell’intestino. Sono “batteri dell’alba dei tempi”:
quando, durante le carestie, era necessario spremere dal cibo
fino all’ultima caloria, essi rappresentavano un vantaggio,
perché riuscivano a trasformare persino un pezzo di corteccia o
un ciuffo d’erba in un pasto nutriente, come per magia.

Questa specie di batteri è spesso presente non solo nelle persone


che si trovano a dover lottare con i chili di troppo, ma anche,
come hanno recentemente constatato studiosi dalla California e
dall’Arizona, negli abitanti delle regioni più fredde, e non è
difficile capire il perché. Un tempo gli uomini che vivevano
nelle zone fredde erano particolarmente avvantaggiati se

33
possedevano molti “batteri che fanno ingrassare”: a basse
temperature, infatti, le persone più pesanti e con uno spesso
strato isolante di tessuto adiposo perdono meno calore rispetto
ai magri. Una digestione più efficace delle sostanze nutritive era
dunque di straordinaria importanza per chi viveva in regioni
molto fredde, a differenza di quanto accadeva per gli abitanti
delle zone calde. Ma oggi questi antichissimi batteri esagerano e
ce ne libereremmo volentieri.

Certe fibre diventano bombe caloriche


Nelle persone con problemi di peso i germi presenti
nell’intestino sfruttano le fibre per produrre quantità notevoli di
acido acetico, acido butirrico e acido propionico, cioè acidi
grassi a catena corta noti ormai da tempo. Gli acidi acetici sono
familiari a chi cucina; dell’acido butirrico ci hanno parlato
quando andavamo a scuola, e pure il tipico odore che si sente
dopo aver fatto una figuraccia alla sbarra o un autogol, e che ci
portiamo dietro negli spogliatoi della palestra, è dovuto
all’acido butirrico: esso infatti non si trova solo nell’intestino,
ma anche nel sudore. Si tratta di una delle principali fonti di
energia della mucosa intestinale, ma noi non siamo in grado di
procurarcene a sufficienza con l’alimentazione, né di fabbricarlo
da soli. Il terzo acido grasso, l’acido propionico, è prodotto
soprattutto dai Firmicutes e, insieme ad altre sostanze, spesso è
causa di alitosi. In una certa misura, le cellule intestinali hanno
bisogno di questi acidi grassi, che danno loro l’energia
necessaria per rinnovarsi periodicamente, riparare i danni e
incrementare la produzione della mucosa che le protegge. Se
però i batteri intestinali forniscono più acidi grassi di quanti ne
servono all’intestino per mantenersi in salute, essi attraversano
la mucosa intestinale e vanno a finire nel fegato, dove fungono
da base per la formazione del grasso corporeo.

34
Noi diamo da mangiare a loro, loro danno
da mangiare a noi
L’efficacia con cui i “batteri cicciottelli” trasformano i cibi in
acidi grassi e quindi in calorie supplementari è dimostrata anche
dall’analisi delle feci: se la componente di batteri “dimagranti”
diminuisce anche solo del venti per cento circa e quella dei
batteri “ingrassanti” aumenta di altrettanto, le feci eliminate
contengono ogni giorno fra le 150 e le 200 calorie in meno. E
dove sono andate a finire queste calorie? Sui fianchi! I batteri
cicciottelli digeriscono i cibi in maniera talmente efficace che,
di fronte allo stesso piatto, ogni giorno forniscono al corpo dalle
150 alle 200 calorie in più. Magari non sembra tanto, ma le
oscillazioni di peso si verificano in tempi piuttosto lunghi. Chi
sostiene che “in genere il sovrappeso non si produce tra Natale e
Capodanno, ma tra Capodanno e Natale”, non sta dicendo una
sciocchezza. Se queste 150-200 calorie non vengono tagliate
quotidianamente da qualche altra parte, si arriva a un aumento
di peso pari anche a dieci chili in un anno. Per chi ha
nell’intestino troppi batteri cicciottelli, quindi, le tabelle
caloriche non valgono, perché il suo corpo ricava da ogni
singola carota o foglia di insalata molta più energia rispetto alla
norma.

I batteri acidolattici rimpinzano animali e


bambini
I batteri acidolattici, detti anche lattobacilli, sono membri della
famiglia dei microrganismi cicciottelli. In realtà sono
considerati salutari, esperti e pubblicità li chiamano probiotici.
“Probiotico” significa “per la vita”: è un nome che suona bene e
desta associazioni positive. Si trovano soprattutto nello yogurt e

35
nei latticini, ma anche negli alimenti fermentati come i crauti.

E qualche effetto positivo lo si è registrato sul serio. Per


esempio, i bambini le cui madri, per un periodo di due-quattro
settimane dopo il parto, hanno assunto un determinato ceppo di
lattobacilli (Lactobacillus rhamnosus), nei primi anni di vita si
sono ammalati molto più raramente di dermatite atopica. I
lattobacilli inoltre possono essere utili in caso di colon irritabile.
Ma si adoperano anche nell’allevamento (e questo dovrebbe
farci rizzare gli orecchi), per stimolare la crescita e accelerare
l’aumento ponderale di suini e polli. I capi nutriti con batteri
acidolattici pesano circa il dieci per cento in più rispetto ai loro
colleghi. Per gli allevatori è un risparmio di tempo e denaro,
perché questi animali possono essere mandati prima al macello.

I lattobatteri sono importanti anche per noi. Nell’intestino delle


persone sovrappeso sono state trovate alte concentrazioni di
determinati lattobacilli. Questo effetto “ingrassante” è stato
osservato persino nei bambini: in un esperimento, centoventi
neonati sani (fino ai due mesi di età) allattati con il biberon
hanno ricevuto un’alimentazione con o senza lattobacilli. Sei
mesi dopo, quelli che avevano bevuto il latte con una porzione
extra di lattobacilli erano molto più pesanti e grandi degli altri
neonati. In genere questo rapido sviluppo fa bene alla maggior
parte dei bambini, perché il sovrappeso non è ancora un
problema e sembra addirittura che i batteri acidolattici
proteggano dalle allergie e dalle dermatiti atopiche. Gli adulti
però dovrebbero andarci piuttosto cauti.

Un’altra ricerca interessante fornisce prove sul nesso che lega il


peso ai lattobacilli e ai clostridi, due tipi di batteri cicciottelli.
Con l’aiuto di un principio attivo (Tempol, un antiossidante),
nel giro di qualche giorno è stato possibile diminuire di molto la
quantità di entrambi i batteri nell’intestino dei topi. La
conseguenza è stata che gli animali, nonostante

36
un’alimentazione ricca di calorie, non sono ingrassati, e dopo i
pasti anche il tasso glicemico aumentava di poco.

Ma se i membri del gruppo dei lattobacilli facciano ingrassare o


se, al contrario, in certi casi favoriscano la diminuzione di peso,
è una questione su cui persino gli esperti non sono concordi.
Probabilmente dipende dal ceppo. Sapete già che i singoli
membri delle famiglie batteriche possono avere caratteri diversi.
A quanto pare, i lattobacilli non fanno eccezione. Assumendo
per due settimane Lactobacillus gasseri, un batterio
naturalmente presente nel latte materno, un campione di
individui ha visto ridurre il peso, il girovita, il grasso
addominale e il grasso corporeo in genere, senza seguire una
dieta rigida né sudare come matti facendo sport. Ed è diminuito
anche il tasso glicemico, prima elevato. Un altro studio è
arrivato a risultati simili. Con lo scopo di perdere peso,
centoventicinque uomini e donne hanno osservato una dieta di
tre mesi. Un gruppo ha ridotto le calorie e, nello stesso tempo,
assunto due capsule contenenti lattobacilli del ceppo
Lactobacillus rhamnosus; anche l’altro gruppo ha ridotto le
calorie, prendendo però due capsule vuote. Dopo dodici
settimane i primi erano dimagriti di 4,4 chili, i secondi solo di
2,6. Nei successivi tre mesi di pausa il peso del gruppo placebo
è rimasto stabile. Le persone che avevano preso i lattobacilli,
invece, hanno continuato a dimagrire e, alla fine, l’ago della
bilancia segnalava un calo di 5,2 chili. Insomma, chi aveva
ricevuto i batteri non solo aveva perso il doppio dei chili, ma
aveva anche ridotto il numero degli altri batteri cicciottelli
presenti nell’intestino.

Per riassumere, quindi: i dati relativi a questo gruppo di batteri


sono discordanti. Questo non significa che si debbano evitare
del tutto i latticini contenenti batteri acidolattici, certo è bene
fare attenzione a non assumerli in dosi eccessive.

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TEST: COME STANNO I VOSTRI BATTERI INTESTINALI?

LE DOMANDE CHE SEGUONO POSSONO DARE


INFORMAZIONI SULLO STATO DELLA VOSTRA Sì No
FLORA BATTERICA INTESTINALE.

1. Negli ultimi sei mesi avete assunto antibiotici?

2. Negli ultimi sei mesi avete smesso di fumare?

3. Praticate sport raramente? Fate moto per meno di trenta


minuti al giorno?

4. Siete sottoposti a uno stress costante nella vita


professionale o privata?

5. Mangiate quotidianamente meno di tre porzioni di


alimenti ricchi di fibre come noci, legumi (fagioli,
piselli), prodotti integrali, frutti di bosco o verdure? Una
porzione corrisponde all’incirca alla quantità contenuta
in una mano.

6. Privilegiate i carboidrati a rapida assimilazione (torte,


pasta, pane bianco anziché integrale, dolciumi)?

7. Ritenete di avere una dieta piuttosto monotona, poco


varia?

8. Mangiate spesso (più volte alla settimana) cibi presi al


fast food, piatti precotti o alimenti particolarmente
grassi?

9. In casa usate disinfettanti per le pulizie? Adoperate un


sapone disinfettante per lavarvi le mani?

RISULTATO

Se avete risposto “sì” a una delle prime due domande, è probabile che la vostra
flora intestinale sia alterata e tenda al “paffutello”.
Anche le domande dalla tre alla nove danno indicazioni importanti. Se avete

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risposto “sì” due o più volte, è altrettanto probabile che la composizione della
vostra flora batterica non sia ottimale. In ogni caso i nostri suggerimenti
alimentari possono aiutarvi a conquistare più benessere, salute e una buona
linea.

L’analisi delle feci, un metodo che


fornisce certezze
Se desiderate avere una conoscenza più approfondita dei vostri
batteri intestinali, potete far analizzare le feci. Esistono
laboratori medici specializzati in questo campo, trovate qualche
indirizzo alla fine del libro. Se non soffrite di particolari disturbi
intestinali, in genere i costi non vengono sostenuti dal Servizio
sanitario nazionale.

Le varie possibilità
Si può misurare il cosiddetto “indice di adiposità” (indice di
sovrappeso), determinando il rapporto fra i batteri snelli e belli
(batteroidi) e i batteri cicciottelli (Firmicutes). Inoltre dovreste
far controllare il numero di batteri del tipo Akkermansia
municiphila, perché, quando si tratta di sovrappeso, anche
questo dato può essere importante.

Chi vuole investire un po’ di più può far analizzare la


“composizione della flora”. L’esame serve a individuare i ceppi
batterici più importanti, determinandone il numero e i rapporti
reciproci. Inoltre è interessante esaminare la funzione della
barriera intestinale, perché anch’essa è collegata al sovrappeso.
In appendice trovate tutte le informazioni necessarie riguardo i
vari test.

Naturalmente queste analisi non sono indispensabili per trarre

39
beneficio da una dieta di rinforzo per l’intestino, che può essere
osservata con successo anche senza avere una conoscenza esatta
dei nostri coinquilini.

IL SOVRAPPESO PROVOCATO DALL’INTESTINO: RIASSUNTO


DELLE CAUSE

Ceppi batterici che traggono dal cibo più calorie rispetto ad altri.
Scarsa varietà di batteri intestinali.
I batteri intestinali producono messaggeri chimici che “costringono” il corpo
ad accumulare grasso.
Le cellule intestinali producono ormoni che saziano troppo poco.
La mucosa intestinale “bucherellata” provoca piccole infiammazioni, le quali a
loro volta segnalano al corpo che deve immagazzinare più grasso.

40
Capitolo 2

POSSIAMO PREVEDERE
IL NOSTRO PESO FUTURO
GRAZIE AI BATTERI
INTESTINALI?

Gettare uno sguardo nella sfera di


cristallo?
na volta la collaboratrice scientifica di un noto laboratorio
U
mi raccontò che, qualche tempo prima, aveva analizzato la
composizione della flora intestinale di vari colleghi. Era emerso
che un collega magro e sportivo aveva una popolazione
intestinale straordinariamente “grassa”. Gli chiese dunque come
mai fosse così in forma, dato che, osservando gli inquilini del
suo intestino, avrebbe dovuto piuttosto rientrare nella categoria
dei “digeritori efficaci”. Lui rispose che in passato era stato

41
fortemente sovrappeso, poi però aveva perso parecchi chili. Ora,
se non voleva ingrassare, doveva stare attentissimo, mangiare
solo piccole porzioni e praticare molto sport. Se nella flora
intestinale non cambia nulla, il peso può essere tenuto sotto
controllo solo a prezzo di una rigida disciplina e con un ridotto
apporto di calorie. Se il collaboratore magro cominciasse a
mangiare normalmente (non per forza in quantità esagerate),
con tutta probabilità gli verrebbero le “maniglie dell’amore”.

Con uno slogan del tipo “Parlami della tua flora intestinale e ti
dirò se un domani avrai problemi di peso”, probabilmente si
potrebbe far carriera come onesti indovini, perché in molti casi
è possibile predire il peso futuro grazie all’esame delle feci. A
quanto pare persino dai batteri intestinali dei bambini si può
capire se crescendo saranno magri o se arriveranno a scuola un
po’ paffutelli. In un campione di alunni di sette anni si è visto
che quelli sovrappeso avevano fin dall’inizio batteri intestinali
diversi rispetto ai bambini magri.

Nei primi si è registrata una carenza di bifidobatteri, in cambio


nelle loro feci c’erano abbondanti quantità di stafilococchi, che
appartengono alla famiglia dei “batteri cicciottelli”.
Evidentemente le trasformazioni della flora intestinale
precorrono lo sviluppo del sovrappeso. In uno studio su donne
incinte, quelle che avevano pochi batteri snelli e belli (batteroidi
e bifidobatteri) e numerosi rappresentanti del gruppo dei
cicciottelli (stafilococchi) o erano già sovrappeso, oppure
durante la gravidanza sono aumentate di molti chili. Anche
indicatori come il tasso ematico di glucosio e di lipidi erano
spesso elevati. L’assunzione di buone quantità di bifidobatteri,
invece, le faceva rimanere magre. I bifidobatteri vivono in
numero più o meno consistente nel nostro intestino. Se
mangiamo le cose giuste, si moltiplicano con facilità. A partire
da pagina 105 scoprirete quali alimenti è opportuno inserire nel
menu per ottenere questo risultato. Ma possiamo procurarci i

42
bifidobatteri anche mediante appositi preparati, i cosiddetti
probiotici. Trovate maggiori informazioni al riguardo nel
capitolo 6.

Raccontami come sei nato e ti dirò come


evolverà il tuo peso
Si decide molto presto quali batteri avranno una chance di
determinare il nostro peso. La colonizzazione dell’intestino
inizia non appena veniamo al mondo. Già in questa primissima
fase si possono gettare le fondamenta per una flora batterica
dalla composizione favorevole o sfavorevole. Finché il bambino
è nel grembo materno, il suo intestino è ancora privo di germi,
ma le cose cambiano rapidamente. I microrganismi che
prendiamo da mamma e papà, quelli che migrano nel tratto
digerente quando baciamo il nostro coniglietto da compagnia o
il primo fidanzato, oppure quando dividiamo il gelato con
l’amica d’infanzia, o ancora i batteri che ingeriamo mangiando,
colonizzano il tratto digerente. Mamma e papà non trasmettono
ai bambini solo i geni: da alcune ricerche è risultato che
nell’intestino dei bambini di un anno si trovano batteri di
entrambi i genitori.

A ogni contatto con gli altri o con l’ambiente, quindi, nuovi


batteri migrano nel nostro intestino e si moltiplicano con
rapidità. Quanto più, grazie all’incontro con varie cose e
persone, la flora intestinale è variegata, tanto meglio. Ecco
perché in casa non bisognerebbe usare disinfettanti per le
pulizie, soprattutto se avete bambini. Le nostre difese
immunitarie infatti si sbarazzano senza problemi dei normali
germi con cui veniamo a contatto nella vita di tutti i giorni. E
magari questo o quel batterio trova anche il modo di arrivare
nell’intestino, mantenendoci in forma per i prossimi decenni.

43
Non tutti i germi che entrano dalla bocca, infatti, vengono
distrutti dall’aggressivo acido gastrico, come sa chiunque abbia
consumato alimenti contaminato in vacanza all’estero,
pagandone le conseguenze con una permanenza di tre giorni sul
wc.

Così come ciascuno di noi ha un vissuto diverso, anche la


composizione della flora intestinale varia da persona a persona.
Potremmo definirla “impronta digitale batterica”. Quali germi si
impongano alla fine, insediandosi stabilmente dentro di noi,
dipende da molti fattori. Nell’intestino dei bambini nati con
taglio cesareo si trovano batteri diversi da quelli presenti nei
bambini nati per parto naturale, e i bambini nutriti con il biberon
sviluppano una flora intestinale differente rispetto a quelli
allattati al seno. In linea di massima, un parto naturale e
l’allattamento al seno favoriscono l’insediamento dei batteri
“buoni”. Nei bambini nati con taglio cesareo, per esempio, si
sono trovati pochi batteri snelli e belli. Se in seguito venivano
allattati, lo svantaggio poteva essere in parte recuperato, perché
il latte materno contiene particolari sostanze nutritive
(prebiotici) che danno forza non solo ai neonati, ma anche alla
loro flora intestinale. Queste “delizie per i batteri intestinali”
fanno anche in modo che nell’intestino dei bambini allattati al
seno ci siano maggiori quantità di bifidobatteri: più a lungo è
durato l’allattamento, tanto maggiore il loro numero. Già alla
fine della prima settimana di vita, le feci dei neonati allattati al
seno sono composte per il novantacinque per cento da questi
meravigliosi microrganismi, che fin da subito respingono
attivamente i germi estranei e dannosi; i bambini allattati con il
biberon devono accontentarsi di una quantità pari al massimo al
settanta per cento. In questa fase della vita gli antibiotici, ma
anche l’eccesso di igiene in casa, indeboliscono la popolazione
dell’intestino. Gli animali domestici, la vita in campagna, i
fratelli maggiori o il contatto precoce con altri bambini, invece,
contribuiscono alla varietà di batteri. Purtroppo nel nostro

44
mondo moderno, privo di germi, è sempre più raro che
nell’intestino viva una società multiculturale: essa cede il passo
a un paesaggio batterico monotono e piuttosto malsano, che non
solo favorisce i problemi di peso, ma provoca spesso la
comparsa di asma e allergie. Un po’ di sporcizia e di germi,
quindi, sono importanti per tenere impegnati l’intestino e il
sistema immunitario. Si potrebbe quasi parlare di “sporcizia
terapeutica”.

Ciò che accade nell’intestino nella primissima infanzia è


fondamentale sotto vari punti di vista. I batteri che acquisiamo
in tenera età sembrano essere molto fedeli: rimangono dentro di
noi a volte per decenni, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che
questo comporta.

Evidentemente, dopo la nascita i batteri che entrano per primi


nell’intestino scelgono chi in seguito avrà diritto di residenza,
quali microrganismi verranno tollerati solo in piccoli gruppi e
quali se ne dovranno andare. Se un giorno avremo uno
“stomaco da struzzo” e potremo mangiare tutto senza problemi
digestivi e senza ingrassare, o se invece saremo delicati,
prenderemo peso facilmente e non tollereremo determinati
alimenti, è una cosa che si stabilisce già nella culla.

Quel che è certo è che più la flora batterica intestinale è


equilibrata, migliori sono le chance di rimanere magri,
sviluppare un sistema immunitario forte e tutelarsi da numerose
malattie.

I BATTERI GIUSTI ALLUNGANO LA VITA?

Sembra proprio di sì, almeno per quanto riguarda i moscerini della frutta.
L’équipe di Heinrich Jasper, del Buck Institute for Research on Aging, con sede
in California, ha scoperto i meccanismi che provocano le mutazioni della flora
batterica tipiche della vecchiaia di questi insetti. Sembra che, in età avanzata,
anche nell’uomo l’equilibrio dei batteri intestinali si trasformi. Sia nell’uomo sia
negli insetti aumenta il passaggio nel sangue di radicali liberi (molecole

45
aggressive che accelerano i processi di invecchiamento) e di sostanze che
provocano infiammazioni. Il che comporta sovrappeso, infiammazioni
intestinali, diabete e cancro. I ricercatori californiani sono riusciti a prolungare
la vita dei moscerini modificandone la flora batterica. Basandosi su questo
risultato, attualmente si stanno studiando princìpi attivi che possano influenzare
in modo simile anche i batteri intestinali dell’uomo. Forse così si troverà una
“fonte batterica della giovinezza”!

I batteri fanno ingrassare gli ex fumatori


Per quanto i batteri intestinali siano microrganismi molto fedeli,
il loro mix nell’intestino non è immutabile. Quando una persona
abbandona il vizio del fumo, le conseguenze si vedono anche a
livello intestinale. Lo hanno provato in tanti: si lascia la
sigaretta e si prende qualche chilo. Spesso il fenomeno viene
spiegato con la cosiddetta “compensazione orale”: anziché la
sigaretta, non si fa altro che mettere in bocca più spesso biscotti
al cioccolato e caramelle gommose. Ma non sempre è così.
Circa l’ottanta per cento di chi smette di fumare, in effetti, nei
mesi successivi aumenta in media di quattro o cinque chili,
anche se l’apporto calorico è rimasto costante o è stato
addirittura leggermente ridotto. Una delle cause va cercata
ancora una volta nell’intestino. Se il corpo non riceve più
nicotina, nell’intestino crasso il numero di batteri cicciottelli
quasi raddoppia, mentre i batteri snelli e belli vengono cacciati
via. Le conseguenze le conoscete già: più “flora intestinale
grassa” abbiamo, migliore è il “riutilizzo degli avanzi”
nell’intestino crasso. A questo risultato è giunto Gerhard
Rogler, dell’ospedale universitario di Zurigo. Per nove
settimane i suoi collaboratori hanno raccolto campioni di feci di
persone che avevano appena smesso di fumare, quindi stavano
attraversando una fase in cui erano in corso profondi
cambiamenti nella composizione della flora intestinale. In quel
periodo gli ex fumatori sono ingrassati in media di 2,2 chili, pur
non avendo modificato di molto le loro abitudini alimentari.

46
Con la nuova flora batterica l’intestino avvia il programma
“aumento di peso”. Chi ha intenzione di smettere con il fumo
dovrebbe anche prendersi cura dei propri batteri intestinali e, se
possibile, cominciare immediatamente un regime alimentare che
favorisca i microrganismi benefici. Solo così avrà buone
probabilità di liberarsi sia delle sigarette, sia dei chili di troppo.

Gli antibiotici alterano l’equilibrio


nell’intestino
Anche gli antibiotici, di cui ormai non potremmo più fare a
meno, creano un certo scompiglio nell’intestino. In genere
questi farmaci sono una benedizione. Da quando, nel 1942, il
primo paziente fu curato con la penicillina, hanno salvato
migliaia e migliaia di vite ed estirpato pericolose epidemie. Ma
oggi il loro impiego non è più limitato a patologie
potenzialmente letali e viene esteso anche ad affezioni
banalissime come semplici raffreddori, in maniera sconsiderata
e troppo generosa. Così gli agenti patogeni diventano resistenti
ai medicinali. E non finisce qui: gli antibiotici interferiscono
pesantemente, e con conseguenze durature, nell’equilibrio della
flora intestinale, perché in genere non fanno distinzioni fra
batteri amici e nemici.

Questi farmaci però hanno anche altre caratteristiche, che gli


allevatori sfruttano da decenni: possono far ingrassare. Se ogni
mattina il pollo riceve un po’ di tetraciclina mescolata al
mangime, non è solo per proteggerlo dalle malattie in
allevamenti riempiti fino all’inverosimile, ma anche per farlo
ingrassare più in fretta. Dagli anni Cinquanta si adoperano
antibiotici a basso dosaggio anche per nutrire gli animali da
macello. Si è scoperto che questi farmaci aumentavano
l’“efficienza dei pasti”. Grazie alla loro somministrazione, cioè,

47
gli animali acquisivano più peso per chilo di mangime,
rendendo l’attività maggiormente remunerativa.

Perché questo accadesse, tuttavia, finora non si sapeva. Adesso


tre ricerche hanno fatto chiarezza.

Problemi di peso dopo una cura


antibiotica
Un gruppo di studiosi dell’Università di New York ha
somministrato a cuccioli di topo, subito dopo lo svezzamento,
vari antibiotici comuni. I princìpi attivi tuttavia erano presenti in
dosaggi limitati, di molto inferiori alle quantità necessarie per
trattare le infezioni. Rispetto ai topolini che non avevano
ricevuto farmaci, quelli nutriti con antibiotici sono aumentati
rapidamente di peso e hanno visto incrementare la percentuale
di grasso corporeo. Dopo sei mesi si sono potute constatare
differenze notevoli, non solo per l’appunto in termini di peso e
di grasso corporeo, ma anche per quanto riguardava la
composizione dei batteri intestinali. La flora e il metabolismo
dei topi trattati con antibiotici si erano modificati ed erano in
grado di ricavare più calorie dai pasti. Anche quando a ricevere
antibiotici erano le madri, poco prima del parto, i cuccioli da
adulti finivano spesso per avere problemi di sovrappeso. Il che
sembra spiegare per quale ragione questi farmaci trovino
impiego, con ottimi risultati, nell’ingrasso degli animali da
allevamento.

Gli antibiotici provocano cambiamenti radicali nella nostra


microflora. Non solo ne mutano la composizione, ma riducono
anche la varietà della vita batterica. È vero che, circa una
settimana dopo la sospensione della terapia, la flora intestinale
comincia a rigenerarsi, ma nella maggior parte dei casi la sua

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composizione rimane alterata ancora per mesi.

I risultati degli studi sui topi sembrano confermare gli effetti di


una terapia antibiotica nella prima infanzia. L’équipe di
ricercatori infatti ha osservato che spesso i bambini cui nei
primi sei mesi di vita era stato somministrato un antibiotico
erano già sovrappeso a tre anni. Anche i ragazzi in età scolare in
molti casi dovevano fare i conti con problemi di peso, se erano
stati sottoposti molto presto a cure antibiotiche. La prima
infanzia sembra rappresentare una finestra temporale
particolarmente delicata per la formazione di una flora batterica
sana e “magra”. A quanto pare, la somministrazione di
antibiotici in tenera età prepara il terreno per il futuro
sovrappeso.

Anche gli adulti possono avere problemi di peso dopo una cura
antibiotica di lunga durata, soprattutto se è stato usato un
antibiotico molto efficace contro i batteri intestinali. Si è visto
che, dopo una cura di sei settimane, il rischio di sovrappeso
aumenta in misura notevole. In un esperimento, a quarantotto
uomini è stata somministrata una combinazione di antibiotici;
altri quarantotto, della stessa età, privi di infezioni e non trattati
con antibiotici, sono stati usati come gruppo di controllo. Fra i
primi il peso è cresciuto fortemente: dopo un anno, diciassette
pazienti avevano aumentato il loro indice di massa corporea di
oltre il dieci per cento, cinque erano diventati addirittura obesi.
Solo una persona del gruppo di controllo, invece, era aumentata
notevolmente di peso. La cosa interessante è che il principio
attivo adoperato uccideva la maggior parte dei batteri intestinali,
compresi i batteri “cattivi”, cioè i cicciottelli. Solo una specie
era sopravvissuta senza danno all’attacco degli antibiotici: i
lattobacilli. Queste ricerche dimostrano in maniera molto chiara
che gli antibiotici possono avere effetti di lunga durata. Quindi
non bisogna avere paura di una terapia con questi farmaci, ma in
certi casi forse è opportuno riflettere per bene prima di

49
adoperarli.

Ma è consentito?
... potremmo chiederci a questo punto. Naturalmente in via
ufficiale gli antibiotici non vengono più adoperati per l’ingrasso
degli animali e gli allevatori devono dichiararlo apertamente, se
utilizzano farmaci. Ciò nonostante, negli allevamenti la polizia
continua a scoprire grandi quantità di antibiotici illegali. Si
trovano persino nel terreno: tramite il liquame finiscono nei
campi, quindi nelle piante e nelle falde acquifere.

Qualche cifra per indurci a riflettere: a livello europeo, con 1,7


milioni di chili all’anno, la Germania è il paese i cui gli
allevatori adoperano in maniera più massiccia i killer dei batteri.
Uno studio presentato nel 2011 e commissionato dal Ministero
per la tutela dei consumatori del Land Nordrhein-Westfalen ha
dimostrato che più del novantasei per cento dei polli degli
allevamenti ispezionati era stato trattato con antibiotici.
Corriamo dei rischi? In base a quanto stabilito dalle autorità e
dalle leggi, nella carne dovrebbero essere presenti solo residui
minimi di antibiotici. Tuttavia gli scandali alimentari
dimostrano che non sempre i controlli funzionano alla
perfezione. Gli esperti inoltre mettono in guardia anche da
queste tracce minime, che non sono del tutto innocue. Un
gruppo di ricercatori ha utilizzato carne che conteneva residui in
quantità tollerate, ossia carne che viene messa in vendita e che
potreste comprare nel reparto macelleria del supermercato, per
produrre salsicce a cui hanno aggiunto lattobacilli. Lo fa anche
il macellaio, perché i lattobacilli in genere si moltiplicano e
formano acido lattico, così la carne si conserva in maniera
naturale e non c’è la possibilità che si sviluppino batteri nocivi.
Ma le tracce di antibiotico sono bastate a bloccare la crescita dei
batteri “buoni”, mentre non hanno danneggiato quelli sgraditi,

50
che hanno continuato a proliferare. Nel nostro intestino le tracce
di antibiotico potrebbero avere un effetto simile e magari
provocare una strage fra i batteri. I microrganismi buoni e utili
vengono decimati, altri ceppi sviluppano resistenze e non
subiscono l’azione dei farmaci. E poi va a finire che spesso, in
caso di emergenza, gli antibiotici non facciano più effetto.

GLI ANTIBIOTICI: SOLO QUANDO BISOGNA

DURANTE LA DIETA CHE RAFFORZA LA FLORA INTESTINALE, E


ANCHE DOPO, BISOGNEREBBE LIMITARE L’ASSUNZIONE DI
ANTIBIOTICI PER DARE AI BATTERI LE MIGLIORI CHANCE DI
CRESCITA. QUINDI È OPPORTUNO:

1. Assumere antibiotici solo se il medico lo raccomanda vivamente. Non


bisogna usare l’artiglieria pesante per contrastare un banale raffreddore o
bruciore alla gola. Inoltre molte infezioni sono di origine virale, e contro i
virus sono inutili persino gli antibiotici più potenti. L’importante è che diate
alle vostre difese immunitarie la possibilità di liberarsi degli agenti patogeni,
e potete aiutarle restando a riposo e bevendo del tè caldo.
2. Se è necessaria una terapia antibiotica, una volta conclusa nutrite con amore
la vostra flora intestinale. Consumate soprattutto alimenti che favoriscano la
crescita dei batteri buoni.
3. Può essere utile anche rafforzare i batteri buoni con un preparato probiotico,
cioè con un farmaco che contiene batteri intestinali vivi. Chiedete consiglio in
farmacia. A partire da pagina 120 trovate informazioni sui probiotici.
4. Mangiate il più possibile frutta e verdura biologiche. Altrimenti, pulite tutto
con cura: in commercio esistono speciali prodotti, innocui per la salute, con
cui si possono lavare gli ortaggi. L’importante è che, alla fine, li risciacquiate
bene sotto l’acqua corrente. La verdura e la frutta non sono trattate
direttamente con antibiotici, ma a volte i campi vengono concimati con il
liquame, così le feci degli animali, che contengono farmaci, entrano in
contatto anche con gli alimenti vegetali.
5. Privilegiate la carne biologica. Benché a volte sia molto più cara, vale
senz’altro la pena acquistarla: anche le piccole tracce di antibiotici tollerate
nella carne convenzionale possono avere pesanti conseguenze sulla flora
batterica intestinale.

51
Capitolo 3

PERCHÉ UN INTESTINO
PERMEABILE PUÒ FAR
INGRASSARE?

L’intestino “bucherellato”
mmaginate di dormire ai Tropici sotto un telo antizanzare:
Il’aria per respirare passa, ma gli insetti rimangono lontani. Se
però c’è qualche buchino, la situazione cambia: benché il telo
sia ancora in gran parte intatto, bastano quei due o tre fori
perché le zanzare vengano a disturbarvi nel sonno, magari
lasciandovi come souvenir da portare a casa una malattia
tropicale come la malaria. La nostra mucosa intestinale funziona
un po’ come un telo antizanzare: da un lato è permeabile alle
sostanze nutritive che devono passare nel sangue, dall’altro
blocca quelle che vengono trasportate nell’intestino, ma che
sarebbe meglio non arrivassero nel corpo. Se finissero nel
sangue in grandi quantità, molti batteri intestinali, che nella

52
nostra pancia svolgono un lavoro utilissimo, potrebbero
provocare malattie sgradevoli o addirittura trasformarsi in una
minaccia assai pericolosa. Anche certe componenti di cibo,
tossine o acidi digestivi è meglio che rimangano dove sono, in
modo da essere eliminati dopo qualche tempo.

Così come la pelle, ossia la superficie esterna del corpo, ci


protegge dalle radiazioni e dalle sostanze inquinanti, l’intestino
forma una barriera interna la cui componente più importante è
lo strato mucoso. Esso contiene molti lipidi, soprattutto lecitina,
e di norma le sostanze idrosolubili scivolano via sulla sua
superficie grassa. Sotto la mucosa si trovano molti strati di
cellule. Il passaggio dall’intestino al sangue può avvenire
direttamente, attraverso le cellule, oppure tramite collegamenti
intercellulari chiamati giunzioni strette (in inglese tight
junctions). Il corpo fa come i buttafuori davanti all’ingresso
delle discoteche: decide chi può passare e chi invece è meglio
rimanga nell’intestino. Ma questo sistema di controllo così
raffinato può andare in tilt. Anche un buttafuori è impotente, se
un’intera banda di teppisti entra nel locale passando da una
finestra dello scantinato o da un’uscita di emergenza rimaste
aperte.

Nell’intestino le cose vanno più o meno allo stesso modo: quasi


tutto ciò che altera l’equilibrio dei batteri apre “uscite di
sicurezza” e buca la barriera intestinale, quindi i villi e le
circonvoluzioni diventano permeabili. Gli esperti parlano di
sindrome del leaky gut, o sindrome della permeabilità
intestinale, un problema che insorge quando si rompono i punti
di giunzione tra le cellule e, di conseguenza, i batteri e altre
sostanze che provengono dall’intestino, e che in realtà
dovrebbero essere eliminate, riescono a penetrare nella mucosa
intestinale o nel corpo. Il sistema immunitario fa quel che può
per combattere gli intrusi: le cellule immunitarie scatenano una
reazione infiammatoria che rende l’intestino ancora più

53
permeabile, con conseguenti disturbi metabolici; il corpo inoltre
genera tessuto adiposo.

LA PERMEABILITÀ DELLA BARRIERA INTESTINALE È LA CAUSA


DEL MORBO DI CROHN?

Il morbo di Crohn è una patologia intestinale cronica di natura infiammatoria.


Chi ne soffre è tormentato da mal di stomaco, diarrea, febbre e calo ponderale.
Una delle cause della patologia è l’alterazione della barriera intestinale, per cui i
batteri riescono a penetrare nella parete dell’intestino, scatenando
infiammazioni. Spesso i pazienti presentano squilibri nella flora batterica.
Soprattutto, si riscontra un numero bassissimo dei microrganismi che
proteggono la barriera intestinale. Da cosa dipenda, ancora non si sa. Tuttavia,
prima dell’insorgere dei disturbi molti pazienti avevano assunto antibiotici.
Forse ne è responsabile anche un ambiente troppo pulito e igienico, che può
danneggiare i batteri intestinali.

Le infiammazioni allargano i fianchi


Si sa da tempo che nel sangue delle persone sovrappeso possono
esserci un po’ più marcatori di infiammazione. A loro volta le
infiammazioni fanno aumentare di peso: è un circolo vizioso!
Se però adesso commentate: “Io sto bene, non sento nulla!”, può
darsi che abbiate ragione. Probabilmente associate le
infiammazioni ad arrossamenti, bruciore, dolori e intumescenze,
come succede in caso di infortuni sportivi, punture di insetti,
scottature da sole o reumatismi. Ma qui stiamo parlando di
un’infiammazione nascosta, latente. A occhio nudo le
alterazioni non si vedono, e non si avvertono nemmeno disturbi.
L’infiammazione tuttavia può essere scoperta con raffinate
tecniche di laboratorio. Già al microscopio è possibile
riconoscere un maggior numero di cellule infiammatorie e nel
sangue si rilevano ormoni che segnalano la presenza di un
processo infiammatorio.

Dai risultati di recenti ricerche effettuate in Svezia emerge un

54
legame tra le infiammazioni, l’intestino permeabile e il
sovrappeso. Le donne con un’elevata quantità di marcatori
dell’“intestino bucherellato” non avevano solo più grasso
intorno agli organi (tessuto adiposo viscerale), ma anche più
“salvagenti” nel girovita.

Perché? Si possono formulare solo delle ipotesi. Le


infiammazioni croniche spesso sono molto impegnative per il
corpo. Forse è per questa ragione che l’organismo produce
depositi di grasso: lo fa come misura preventiva, per aumentare
la capacità di resistenza. A loro volta, però, le cellule adipose
contribuiscono a tenere vive le infiammazioni. Il loro compito
principale è immagazzinare energia, certo, ma ogni singola
cellula adiposa è al tempo stesso un’industria chimica; più la
fabbrica delle cellule adipose è grande, maggiore è la
produzione. Se mangiamo molto, le cellule adipose possono
crescere fino a duecento volte. Ormai si conoscono più di cento
sostanze da loro prodotte. Alcune possono letteralmente gettare
benzina sul fuoco dell’infiammazione.

Ma uscire dal circolo vizioso “intestino permeabile –


infiammazione – sovrappeso – aggravarsi dell’infiammazione –
intestino ancora più permeabile” si può: perdendo peso, le
cellule adipose diventano più piccole e diminuiscono l’attività
produttiva. Lo si constata già dopo qualche settimana di dieta,
perché calano determinati marcatori di infiammazione. Anche
alimenti antinfiammatori come il pesce e gli oli vegetali, ricchi
di omega-3, oppure spezie come lo zenzero e la curcuma,
possono riportare la calma nell’intestino agitato e “cancellare”
l’infiammazione.

INDIZI CHE SEGNALANO UN PROBLEMA DI PERMEABILITÀ


INTESTINALE

La sindrome del leaky gut viene spesso collegata con patologie intestinali
croniche di natura infiammatoria. Ma anche persone apparentemente sane

55
possono avere una barriera intestinale indebolita. I sintomi che seguono sono il
segnale di problemi all’intestino:
stanchezza,
disturbi dell’attività intestinale come diarrea o stipsi,
flatulenze,
fortissimo appetito di cose dolci.

Se soffrite di questi disturbi, vi consiglio di occuparvi dei vostri batteri


intestinali. Come farlo, lo scoprirete nel capitolo 6.

Fattori che disturbano la pace


nell’intestino
I batteri sono importanti per mantenere intatta la barriera
intestinale. Fanno in modo che lo strato mucoso sia
sufficientemente spesso e che le cellule dell’intestino siano ben
nutrite. Più la flora è varia, più l’intestino è sano. Quasi tutto ciò
che altera l’equilibrio della flora batterica danneggia anche la
barriera intestinale. Il nostro stile di vita e i fattori ambientali
possono scombussolare in tempi rapidissimi questo fragile
sistema.

FATE ESAMINARE LA BARRIERA INTESTINALE

Esiste un test per verificare se la barriera naturale è alterata. Se nelle feci si


trova un’alta concentrazione di alfa 1-antitripsina, vuol dire che l’intestino è
molto permeabile. L’esame si svolge in laboratorio.

Gli antibiotici, in particolare, danno un gran fastidio. E non solo


quelli che prescrive il medico, ma soprattutto quelli adoperati
negli allevamenti, che attraverso la carne, le uova o il latte
finiscono nella catena alimentare e indeboliscono i batteri che
abbiamo nella pancia. Anche le sostanze inquinanti e lo stress
possono rendere permeabile l’intestino.

56
Per uccidere i germi, in tutto il mondo l’acqua viene sterilizzata
con il cloro. Nell’intestino il cloro fa la stessa cosa: uccide i
batteri. Una piccola quantità di acqua depurata per lavare i denti
non crea problemi, ma per dissetarsi bisognerebbe usare acqua
senza cloro.

Un particolare pericolo, tuttavia, sembra essere rappresentato


dai batteri intestinali “sbagliati”, quelli che, come direbbe mio
figlio, stanno dalla parte oscura del potere. Possiedono armi
segrete, chiamate messaggeri chimici, in grado di abbattere le
tight junctions, le giunzioni strette fra le cellule dell’intestino,
aprendo la strada a tutte le sostanze possibili e permettendo loro
di entrare nel corpo. La mucosa intestinale a questo punto non
riesce più a svolgere il proprio compito.

A quanto pare una dieta ricca di zuccheri crea problemi alla


barriera intestinale. L’indiziato numero uno è il fruttosio, che
non solo è contenuto nella frutta e nei succhi, ma viene usato
spesso e volentieri in molti altri prodotti industriali, visto che i
consumatori lo ritengono più sano del classico zucchero bianco.
Quindi chi consuma di frequente dolciumi, bibite, piatti precotti
e succhi di frutta può rendere la propria barriera intestinale più
permeabile.

Il cibo per i batteri: un cerotto per


l’intestino permeabile
Per chiudere i fori nell’intestino bisogna assecondare le
esigenze dei batteri. Come il proprietario di una casa ripara
regolarmente i danni per mantenerla abitabile, i batteri si
occupano della loro dimora, l’intestino: producono essi stessi il
“materiale da costruzione”, cioè gli acidi grassi a catena corta, i
quali funzionano come un cerotto che rattoppa l’intestino

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bucherellato. Gli acidi grassi li conoscete già: se prodotti in
eccesso, forniscono calorie aggiuntive. Entro certi limiti,
tuttavia, sono indispensabili per la salute dell’intestino. L’acido
butirrico dà energia alla mucosa intestinale e la protegge dal
cancro; l’acido propionico serve per la formazione di nuove
cellule; l’acido acetico favorisce l’irrorazione sanguigna della
mucosa intestinale.

Tutto questo è necessario perché l’intestino possa continuare a


funzionare come barriera. Solo così i batteri e le tossine, anziché
migrare nelle vie ematiche, rimangono al suo interno e ne
rendono acido il contenuto (logico, no?!). Non solo lo stomaco,
anche l’intestino crasso, in cui scorrazza la maggior parte dei
batteri, è un ambiente particolarmente acido, sgradito alle
salmonelle e ad altri visitatori indesiderati, che quindi non
amano trattenervisi più di tanto. E questo naturalmente è un
bene. Nel capitolo 6 scoprirete cosa piace ai batteri e cosa
stimola le cellule dell’intestino a provvedere in maniera attiva ai
lavori di manutenzione.

58
Capitolo 4

IL CERVELLO NELLA
PANCIA

L’intestino, il nostro secondo cervello


ra dieci minuti inizia l’esame, e l’intestino comincia ad
T
agitarsi: chi non ha mai vissuto una situazione del genere (se
non in prima persona, quanto meno indirettamente, stando con
un amico)? Nei bagni vicino alle aule universitarie si formano
lunghe code e molti studenti, prima di esami importanti, oltre a
gestire la paura devono anche preoccuparsi di non uscire in
ritardo da quel posticino tranquillo in cui si sono ritirati. Se
l’intestino un tempo veniva considerato un mero organo
digestivo, oggi si sa che può intervenire attivamente anche nella
sfera delle emozioni. Non decide solo se digeriamo bene o male
i cibi e se questi si trasformano in cuscinetti di grasso sui
fianchi, ma ci illumina anche sulla nostra “situazione interna”.

La saggezza popolare lo sa da tempo: parliamo di “decisioni

59
prese con la pancia”, lo stress e le seccature spesso ci “chiudono
lo stomaco” e, se qualcosa ci disturba, diciamo che “ci sta sullo
stomaco” o “non ci va giù”. Quando abbiamo paura, “ce la
facciamo addosso”, mentre la felicità si manifesta con le
“farfalle nello stomaco”. E a volte ci sono cose che ci fanno
davvero “vomitare”. Non c’è altro organo che reagisca in modo
tanto rapido alle nostre emozioni come l’intestino. Il centro del
corpo è collegato in maniera strettissima al mondo dei
sentimenti, ed è per questo che si parla di “cervello enterico”.
Ma come può una porzione di mucosa, sfiorata da feci più o
meno interessanti, essere capace di pensare?

A decidere come stiamo sono tre grandi


“unità” nella sala comandi dell’intestino:
• le innumerevoli cellule nervose presenti nell’intestino, che
stanno in un rapporto molto stretto con il cervello;
• i messaggeri chimici, che in gran parte vengono prodotti nel
tratto gastrointestinale, ma possono svolgere compiutamente
la loro azione anche nel cervello;
• i miliardi e miliardi di batteri intestinali che rimestano con
zelo le nostre emozioni e influenzano in vari modi l’umore,
l’appetito e il benessere.

I BATTERI STABILISCONO QUAL È IL NOSTRO PIATTO


PREFERITO

Chi comanda nell’intestino? Chi deve abbassare la cresta? Nell’intestino si


combatte una guerra tra i singoli ceppi batterici. Ogni germe vorrebbe ottenere
le condizioni migliori di vita e dominare gli altri gruppi. E i batteri intestinali
possiedono armi e strumenti per prendersi ciò che vogliono. Il dottor Carlo
Maley e la sua équipe dell’Università della California (San Francisco) ne sono
certi: “I batteri sono dei manipolatori. La flora intestinale persegue svariati
obiettivi e alcuni coincidono con le nostre abitudini alimentari, altri no”. Ciò
che fa bene ai batteri, infatti, non necessariamente è salutare anche per noi. Ma

60
come fa la flora intestinale a ottenere quello che desidera? I ricercatori
californiani sono certi che i batteri non influenzino solo il senso di sazietà e di
fame. Hanno scoperto che i microbi agiscono sul sistema ormonale, nervoso e
immunitario, determinando la nostra preferenza per questo o quell’alimento.
Condizionano il nostro umore finché non abbiamo mangiato quello che
vogliono. Persino i recettori del gusto sembrano stare sotto il loro controllo.
Sono i batteri, dunque, a ordinare al cervello cosa farci mettere in bocca. In
linea di massima il microbioma, con l’aiuto dei messaggeri chimici, chiede torte
al cioccolato, cheeseburger o gelato al lampone.

Per fortuna non siamo del tutto inermi e sottomessi alla dittatura dei batteri
intestinali, ma possiamo rovesciare la situazione. La nostra dieta ha
un’influenza enorme sulle colonie di batteri. Se per una volta mangiamo
alimenti diversi, nel giro di ventiquattr’ore la composizione della flora
intestinale cambia, e in maniera misurabile. Di colpo aumentano i batteri che
stimolano l’appetito di verdura, frutta o pesce. Più manteniamo questo stile
alimentare, più è facile che i batteri si insedino stabilmente nell’intestino.

Pensare con l’intestino?


Chaser, una femmina di collie, è probabilmente il cane più
intelligente del mondo. Riconosce e distingue oltre mille
oggetti. Riesce anche a classificare termini generici. Il border
collie “Rico” comprende più di duecento parole e sa agire di
conseguenza. Ma perché siamo passati dall’intestino alla
psicologia animale? Presto detto: un animale da compagnia
pensa più o meno con lo stesso numero di cellule nervose del
nostro “cervello enterico”. Naturalmente non tutti i nostri
coinquilini pelosi sono dei supergeni come i due collie citati
sopra ma, come sa ogni padrone, con i loro cento-duecento
milioni di cellule nervose anche cani e gatti normalissimi
possono essere piuttosto intelligenti, e pure il nostro intestino lo
è! Quanto a concentrazione di cellule nervose, infatti, al terzo
posto dopo il cervello e il midollo spinale si trova l’intestino. Si
parla di sistema nervoso enterico, cioè intestinale. La rete
nervosa si estende dall’esofago fino alla parte finale del tratto
digerente. L’intestino è l’unico organo al quale il corpo

61
permette di avere un sistema nervoso autonomo, e già questo
basta per sottolineare la sua importanza. Milioni di cellule
nervose, adagiate nella parete intestinale, fanno in modo che la
digestione funzioni senza intoppi. Si tratta infatti di un processo
assai più complicato di quanto si possa pensare: l’intestino
analizza la composizione delle sostanze nutritive e decide cosa
serve al corpo e cosa si può eliminare. Ogni alimento dev’essere
scomposto: a seconda che contenga lipidi, proteine o
carboidrati, è necessario mescolare succhi digestivi diversi e
attivare differenti sistemi di trasporto che trasferiscano nel
corpo le varie componenti di cibo. Inoltre il cervello enterico
governa i movimenti intestinali, che devono andare nella giusta
direzione, e cioè verso l’ano (al contrario, la faccenda potrebbe
diventare piuttosto fastidiosa). E già solo questo lavoro richiede
una buona quantità di nervi. Ma a quanto pare il tratto digerente
ha molte altre capacità. Abbiamo dunque una seconda
intelligenza nell’intestino? Può davvero fare qualcosa di tanto
complesso come il “lavoro intellettuale”? Gli studiosi sono
sicuri che in queste affermazioni ci sia del vero. In fondo, con i
suoi cento milioni di cellule nervose, l’intestino avrebbe
abbastanza “potenza di calcolo” per governare ed elaborare il
flusso di informazioni. Il grande numero di cellule nervose che
lo compongono gli dona un’intelligenza che gli esperti stanno
cominciando a studiare solo adesso.

Il Papa del busto


Se in passato si parlava di sentimenti come la paura, la gioia, la
contentezza o lo stress, gli esperti facevano sempre riferimento
alla testa. Essa dava ordini, il corpo doveva eseguire. Non è un
caso che chi ha funzioni di comando venga chiamato “capo”,
sinonimo di “testa”. La scoperta che, nel nostro organismo, il
capo a volte possa essere l’intestino è relativamente recente, è
stata per così dire catapultata da poco nella ricerca scientifica.

62
Si sta imponendo l’idea che nella pancia abbiamo un secondo
organo sensibile e intelligente, che in certi casi prende il
comando e scombussola le nostre emozioni o, viceversa, riporta
l’ordine nei sentimenti, a seconda di come sta. E così il comico
statunitense Stephen Colbert ha chiamato l’intestino “il Papa del
vostro busto”, con una definizione assai calzante.

Il sistema di istruzioni interne al corpo è caratterizzato quindi da


un sottile equilibrio e l’asse cervello-intestino funziona in
entrambi i sensi di marcia. Non solo il cervello dà ordini
all’intestino: quest’ultimo a sua volta trasmette alla testa una
gran mole di informazioni. Il cervello enterico, insomma, decide
in buona parte come reagiamo allo stress e alle paure, se ci
sentiamo affamati o sazi. Allo stesso tempo, però, il nostro
umore influenza la salute dell’intestino. Ma quali canali
rendono possibile questo scambio? In effetti esiste un
collegamento diretto fra la testa e la pancia: è il nervo vago, il
decimo nervo cranico, che dal centro del cervello si snoda lungo
l’esofago giù fino allo stomaco. Con i suoi tanti bracci laterali,
esso cinge anche l’intestino. La cosa interessante è che quasi il
novanta per cento delle fibre nervose va solo in una direzione,
cioè verso il cervello, e solo il dieci per cento delle informazioni
corre dalla testa all’intestino. Ciò significa che è soprattutto la
pancia a sfruttare quest’ottima autostrada di dati per dire alla
testa cosa sta succedendo laggiù in basso. A quanto pare
l’intestino manda al cervello più informazioni di quante ne
riceve. La testa interviene solo in caso di pericolo, per esempio
se abbiamo mangiato qualcosa di tossico o che non tolleriamo.
Appena il cervello viene a saperlo, preme il “pulsante rosso” e
“permette” all’intestino di scatenare il riflesso di vomito per
ricacciare fuori la sostanza non commestibile.

IL NERVO VAGABONDO

L’intestino e il cervello sono collegati e si scambiano

63
informazioni tramite il nervo vago, il vagabondo tra i nervi
cranici. Il nome viene dal latino vagare. È, per così dire, la
“linea calda” che collega in maniera diretta lo stomaco,
l’intestino tenue e l’intestino crasso alla testa.

Il linguaggio del cervello e dell’intestino


I due sistemi nervosi non sono in contatto solo tramite le vie
nervose: hanno altre possibilità per comunicare fra loro, e anche
in questo caso adoperano un unico linguaggio. Per capirsi,
infatti, usano gli stessi messaggeri chimici, i cosiddetti
neurotrasmettitori, che rappresentano, in un certo senso, le
parole con cui pancia e cervello dialogano fra loro. Il cervello
sfrutta le decine di neurotrasmettitori prodotti dall’intestino per
regolare processi mentali decisivi come l’apprendimento, la
memoria o la formazione di opinioni. Ed ecco qualche esempio
di cosa può preparare l’intestino con l’aiuto dei suoi batteri:
ormoni dello stress, allergeni, ormoni della felicità e sostanze
anoressizzanti. Tramite le vie ematiche o impulsi nervosi, essi
raggiungono la materia grigia, però non si attivano in tutte le
aree del cervello. Nella corteccia uditiva, che si trova in una
profonda grinza del cervello, o nella corteccia visiva, localizzata
nell’occipite, i messaggeri chimici che provengono
dall’intestino non possono combinare un bel niente. Altrimenti
riceveremmo di continuo impressioni visive e uditive dalle
nostre viscere, la qual cosa potrebbe risultare piuttosto
fastidiosa. I neurotrasmettitori che vengono dall’intestino si
trovano bene nelle aree responsabili delle emozioni,
dell’apprendimento e della motivazione. Il sistema limbico, con
l’ippocampo e l’amigdala, è fra le loro mete preferite. Lì si
raccoglie tutto ciò che influenza il mondo dei sentimenti.

Importantissima per il nostro benessere è la serotonina,

64
l’ormone della felicità. Che cosa induce gli sportivi a
tormentarsi con allenamenti continui, per esempio? Il fatto che
poi vengono ricompensati con il rilascio di ormoni della felicità,
i quali in seguito, al più tardi sotto la doccia, fanno sorgere un
sentimento piacevole, che rende le persone rilassate e contente,
e il giorno dopo le stimola a indossare di nuovo le scarpe da
ginnastica per andare a correre. Sotto l’influsso della serotonina
e di altre sostanze simili, all’improvviso problemi che prima
apparivano enormi diventano sciocchezze. Nella testa la
serotonina provoca uno stato di benessere, migliora l’umore e
scaccia la depressione. Nella pancia regola la digestione e dona
sazietà. Molti non lo sanno, ma il novantacinque per cento degli
ormoni della felicità a nostra disposizione non si forma nel
cervello, bensì nell’intestino. Tramite le vie ematiche, la
serotonina prodotta dall’intestino raggiunge il cervello e
influenza i nostri sentimenti. Quindi la pancia non è
semplicemente quella parte del corpo che subisce gli effetti di
stati d’animo come lo stress da esami: essa stessa è in grado di
generare emozioni.

L’intestino inoltre agisce sui centri dell’appetito nel cervello. A


seconda di quel che mangiamo e di cosa i batteri intestinali
trattengono, produce più o meno “ormoni della sazietà”. Quanto
pensiamo di dover mangiare, quindi, dipende non tanto dalle
calorie sul nostro piatto, ma molto più dall’intestino e dal
cervello, che insieme decidono se è il momento di mettere da
parte la forchetta o se è meglio chiedere una porzione
supplementare.

Il subconscio si trova nell’intestino?


L’intestino agisce in autonomia, cioè è indipendente: gestisce da
sé il proprio lavoro e non è sottomesso agli ordini del cervello.
Non serve a nulla comandargli: “Digerisci un po’ più in fretta,

65
una buona volta, tra venti minuti voglio andare in piscina!”.
Non si lascia impressionare, procede con il suo passo. Se anche
si recide il nervo vago, ossia il collegamento tra il cervello e
l’intestino, quest’ultimo continua indifferente a fare ciò che
deve.

Che la digestione sia un processo inconsapevole, naturalmente,


è una grande fortuna. Se noi o il nostro cervello dovessimo
dirigere in maniera conscia ogni singolo stimolo dell’intestino,
non potremmo dedicarci a nessun’altra attività, perché saremmo
sempre impegnati a digerire.

La divisione fra il cervello della testa e il cervello enterico si è


sviluppata nel corso del processo evolutivo. Il corpo ha per così
dire dislocato una parte del lavoro intellettuale. Siccome il
cervello della testa non doveva più occuparsi di tutto e il
cervello enterico lo sollevava di parecchio lavoro, il primo poté
svilupparsi ed escogitare cose folli come l’uso del fuoco, lo
sviluppo della ruota, la teoria della relatività o l’Eurovision
Song Contest.

Noi non ci accorgiamo degli scambi comunicativi in corso fra


intestino e cervello, né siamo consapevoli dei messaggeri
chimici che il primo manda al secondo. Eppure essi possono
modificare il nostro sguardo sulla realtà in cui viviamo. Possono
renderci lieti o timorosi, portare alla depressione o addirittura a
disturbi fisici. Forse persino malattie come l’autismo, il morbo
di Parkinson e l’iperattività (ADHD) sono strettamente
collegate con ciò che succede nelle nostre viscere.

Anche quando una decisione ci “chiude lo stomaco” o qualcosa


ci fa venire “il mal di pancia”, è possibile che il segnale
d’allerta provenga dall’intestino. Ancora una volta la saggezza
popolare lo ha capito molto presto, ben prima che la scienza
scoprisse “l’intestino pensante”. Il modo in cui reagiamo alla

66
realtà che ci circonda dipende dunque in gran parte dai segnali
che la centrale della testa riceve dalla centrale della pancia.
Viene da pensare che il subconscio abbia sede nell’intestino.

Attenzione, zucchero in arrivo!


Per capire quanto efficace possa essere la collaborazione fra
l’intestino e il cervello, è stato fatto un esperimento con dei
ciclisti: si è visto che, se si sciacquano la bocca per una decina
di secondi con una soluzione zuccherina, le loro prestazioni
aumentano in maniera misurabile, infatti dopo corrono più
veloci di chi si è sciacquato con una soluzione non zuccherata.
Ora, naturalmente, potreste addurre due obiezioni.

Primo: i partecipanti hanno ingerito una parte dello zucchero


contenuto nella soluzione, quindi esso è arrivato direttamente
nei muscoli, rifornendoli di nuova energia. Secondo: una
soluzione aveva un gusto dolce, l’altra no, quindi i corridori
hanno notato la differenza. Ma nessuna delle due è valida. Il
tasso glicemico, infatti, non era aumentato dopo il risciacquo in
bocca e le soluzioni avevano lo stesso sapore dolce. Basta usare,
per esempio, edulcoranti dal gusto dolce, che però non danno
energia al corpo. E d’altro canto esistono zuccheri, come le
maltodestrine, che non hanno un sapore dolce. Il motivo per cui
la prestazione è migliorata è da ricercarsi ancora una volta nel
fatto che fra il cervello e il tratto digerente la comunicazione è
ottimale: in bocca ci sono recettori del glucosio, cioè dello
zucchero, collegati direttamente con il cervello. Se vengono a
contatto con lo zucchero, ne comunicano l’imminente arrivo e
segnalano al corpo che può continuare lo sforzo. E cosa fa la
testa? Si adegua all’informazione proveniente dal tratto
gastrointestinale, di cui fa parte anche la bocca, e attiva aree
cerebrali che aumentano il rendimento e soffocano i sintomi di
stanchezza. Grazie a questo trucco i ciclisti sono riusciti a

67
pedalare più a lungo e più rapidamente.

Emozioni intestinali
Oltre alle cellule nervose, anche i batteri intestinali hanno
qualcosa da dire a proposito delle emozioni. Anch’essi
comunicano con il cervello e influenzano la materia grigia.
Potrà sembrare una scena tratta da un brutto film di
fantascienza, ma a quanto pare i nostri sentimenti sono
governati da un esercito di microrganismi. I batteri che hanno
scelto l’intestino come sede di lavoro sono attivi anche presso il
centro informazioni del tratto digerente. Dialogano fra loro per
mezzo di messaggeri chimici che inviano informazioni
attraverso la parete intestinale. Questi solerti e instancabili
aiutanti comunicano alla testa se sentiamo paura, gioia o fame.
Se non superiamo un esame, se il capo ci sta col fiato sul collo o
se abbiamo un appuntamento importante ma l’autostrada è
bloccata, i batteri intestinali reagiscono in autonomia, liberando
messaggeri chimici che favoriscono le infiammazioni e rendono
la parete intestinale più permeabile. Di colpo i “batteri cattivi”
riescono a moltiplicarsi senza freni. Allo stesso tempo
l’intestino manda segnali d’allarme al cervello, che reagisce con
nervosismo, inquietudine e ansia. I batteri intestinali sono in
grado di influenzare lo sviluppo dell’intero sistema nervoso,
governando la “chimica del cervello” e decidendo in che modo
sentiamo dolore, elaboriamo lo stress o ci rapportiamo agli altri.
Se i batteri sono contenti e ben nutriti, anche noi lo siamo. Ma
se nell’intestino c’è agitazione e i batteri sono deboli o
malandati, nemmeno noi ci sentiremo in forma.

Se ne può avere una dimostrazione convincente sia nell’uomo


sia negli animali. Se si modifica il sottile equilibrio fra i batteri
utili e i germi patogeni presenti nell’intestino delle cavie,
cambia anche il comportamento degli animali, che diventano

68
fifoni o spericolati. L’équipe del canadese Stephen Collins,
della McMaster University di Hamilton (Ontario), ha indagato
questo fenomeno. Gli studiosi hanno dato antibiotici ai
cosiddetti topi BALB/c, una specie allevata appositamente,
piuttosto timida e cauta. In questo modo il numero e la
composizione dei batteri sono cambiati, e di colpo le cavie sono
diventate audaci, spericolate e avventurose. Sospesi gli
antibiotici, dopo qualche tempo la flora intestinale è tornata alla
normalità e gli animali hanno recuperato il loro originario
carattere prudente. Poi i canadesi hanno dato ai topi timidi i
batteri intestinali di cosiddetti topi svizzeri, noti per la loro
indole aggressiva e temeraria (caratteristiche che non si possono
attribuire agli svizzeri come popolo). Nel giro di poco tempo i
roditori BALB/c, normalmente timorosi, sono diventati
impavidi esploratori. Contemporaneamente si è riscontrato
l’innalzamento del livello di un neurotrasmettitore che si chiama
BDNF, importante per la protezione e la crescita delle cellule
nervose. La carenza di questo messaggero chimico è collegata
fra l’altro alla depressione e all’Alzheimer.

Non sempre è necessario il trapianto dell’intero microbioma per


influenzare il comportamento. Il microbiologo texano Mark
Lyte ha dato a topi di laboratorio dosi bassissime del batterio
Campylobacter jejuni. D’un tratto i topi, posti dentro un
labirinto, hanno cominciato a evitare i punti esposti alla luce,
segno inequivocabile che improvvisamente erano diventati più
prudenti e timorosi. Anche gli esseri umani possono
contaminarsi, per esempio se consumano carne cotta male o
latte crudo. Le conseguenze possono essere fortissimi dolori
allo stomaco, diarrea e febbre. Forse, però, il contatto con
questo germe può portare ad alterazioni comportamentali anche
nell’uomo.

Germi stimolanti
69
Nel corpo raramente le cose sono univoche. Per esempio, i
batteri sbagliati possono renderci più riservati e timorosi, altri
microrganismi invece darci coraggio e fiducia. Che esistano
davvero batteri miracolosi, lo si è verificato sia negli uomini sia
negli animali. Cominciamo con gli animali, ancora una volta
con i topi: in un esperimento le cavie sono state portate al limite
della soglia di sopportazione, quindi sottoposte a un fortissimo
stress, tenendole in una cassetta che aveva una camera scura e
una fortemente illuminata. Ciò che interessava agli studiosi era
vedere quanto spesso i roditori osassero entrare nella parte alla
luce, che li spaventava. Ancora più duro il test del nuoto, che
farà inorridire gli amanti degli animali. È un procedimento che
serve per testare la motivazione, la capacità di resistenza o la
tendenza alla depressione e all’arrendevolezza. Se non vogliono
perdere la vita, i topi devono nuotare per diversi minuti in una
bacinella piena d’acqua; non possono toccare il fondo né
arrampicarsi sulle pareti lisce. I ricercatori hanno osservato fino
a che punto la cavia è disposta a lottare per la vita e quando
“getta la spugna”, sia con il “doping” dei batteri intestinali sia
senza.

Se ai roditori veniva somministrato un particolare ceppo di


lattobacilli (Lactobacillus rhamnosus, batteri che troviamo nello
yogurt o nel kefir), diventavano coraggiosi. Andavano più
spesso alla luce e nel test del nuoto erano molto determinati; il
tasso di ormoni dello stress cresceva in misura minore rispetto
ai compagni che non avevano ricevuto questi microrganismi
stimolanti. Se però si recideva il nervo vago, cioè il
collegamento fra l’intestino e il cervello, potevano mangiare
quanti batteri anti-ansia volevano, ma il coraggio non cresceva,
perché l’intestino non poteva più esercitare un’azione calmante
sulla testa. La qual cosa sembra provare che, almeno nel regno
animale, la pancia può avere un’influenza decisiva sul
comportamento.

70
Ma cosa succede negli uomini? Secondo uno studio i batteri
“giusti” rendono più felici anche noi e rafforzano la nostra
resistenza allo stress. Dopo un mese di assunzione di un
preparato probiotico contenente bifidobatteri e lattobatteri, non
solo i partecipanti al test si sentivano soggettivamente meglio ed
erano meno timorosi e stressati, ma anche il tasso di ormoni
dello stress diminuiva in maniera misurabile. Guardando la
materia grigia al lavoro con l’aiuto dell’immaginografia, si è
osservato che i batteri “buoni” esercitavano un’azione positiva
sull’attività cerebrale.

Comandante Gondii, a lei!


Ad alcuni l’idea che i nostri batteri intestinali abbiano così tanta
voce in capitolo e si immischino anche nelle nostre emozioni
potrà sembrare buffa. La cosa si fa raccapricciante, però, se si
pensa a quello che combinano nel nostro cervello certi parassiti
che assumiamo con l’alimentazione. Il caso della toxoplasmosi
è clamoroso. Questa malattia colpisce soprattutto i gatti, gli
unici animali in cui l’agente patogeno riesce a moltiplicarsi. Per
passare nel modo più rapido possibile al maggior numero
possibile di gatti, il parassita Toxoplasma gondii adopera un
trucco: trasforma i topi in zombie inconsapevoli. I roditori sono
un ospite intermedio importante per i parassiti, di cui
favoriscono la proliferazione facendosi mangiare dai gatti. Il
microrganismo manipola i topi in maniera quasi inquietante.
Una volta che il parassita si è insediato nel cervello, prende il
controllo del loro comportamento e li trasforma in kamikaze
suicidi: i topi diventano spericolati, non temono più i gatti, anzi
si sentono quasi magicamente attirati da loro. All’improvviso la
naturale paura provocata dall’odore dell’urina dei gatti cede il
posto alla predilezione per questo “profumo”, di modo che le
bestiole infettate diventano facili prede dei felini. Il parassita ha
raggiunto l’obiettivo: il topo viene divorato e un altro gatto si

71
infetta. Anche gli esseri umani si contagiano spesso con la
toxoplasmosi. Quasi un terzo di noi ha in sé l’agente patogeno.
La cosa interessante è che questo piccolo microbo governa pure
il comportamento umano e trasforma la personalità degli
individui infettati. Soprattutto quella dei maschi, che diventano
più spericolati e imprudenti. Gli uomini colpiti dalla
toxoplasmosi, per esempio, rischiano due volte e mezzo di più
di essere coinvolti in un incidente d’auto.

La sindrome del colon irritabile: quando


l’intestino diventa isterico
Diarrea, stipsi, flatulenze e mal di pancia: un intestino irritabile
può trasformare la vita in un inferno. E servono a poco le
rassicurazioni dei medici, quando dicono che la malattia non è
pericolosa e non mette a repentaglio la vita. Di questo disturbo
soffre circa il dieci per cento delle persone. La maggior parte di
loro ha già alle spalle un’odissea di vagabondaggi da un dottore
all’altro: gastroscopia, ultrasuoni, colonscopia, esame delle feci,
e all’apparenza tutto dà esito negativo. Spesso quindi la
sindrome del colon irritabile viene liquidata come un problema
meramente psichico, soprattutto se i pazienti hanno l’aria
timorosa o depressa. Ma questo, purtroppo, non aiuta chi è
colpito dalla malattia.

Di recente, però, alcuni studiosi sono riusciti a rilevare una


differenza tra le persone sane e i pazienti che soffrono di colon
irritabile. In questi ultimi la comunicazione tra il cervello e
l’apparato digerente sembra non funzionare a dovere. Il colon
irritabile manda al cervello segnali di disturbo, e la testa si
confonde. Evidentemente la pancia spedisce informazioni errate
alla materia grigia, infatti in un intestino irritabile le cellule
nervose sono molto più attive e reagiscono in maniera assai più

72
sensibile, addirittura ipersensibile, ai vari stimoli. Spesso la
malattia è scatenata dallo stress o da un brutto avvenimento,
così molte persone colpite ricorrono a metodi di cura che
bloccano il sistema nervoso. L’ipnosi e le tecniche di
rilassamento tranquillizzano non solo l’intestino, ma soprattutto
il cervello, mandato in tilt dalle informazioni negative che ha
ricevuto. I disturbi in questo modo non scompaiono, però
risultano più tollerabili.

C’è un’altra differenza: il mix di microbi presente nei malati si


distingue in maniera molto netta da quello delle persone sane.
Ricercatori del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles
hanno osservato che, nei pazienti con la sindrome del colon
irritabile, determinati gruppi di batteri si moltiplicano in gran
numero. Lo si è rilevato in più di un terzo delle persone colpite,
soprattutto quando uno dei sintomi principali è la diarrea. Mark
Pimentel, direttore del centro, suggerisce di arrestare la
proliferazione dei batteri con un apposito antibiotico. Il
principio attivo rifaximina agisce soltanto nell’intestino, senza
passare nel sangue, ed è efficace nel ridurre il numero di
malfattori responsabili dell’intestino irritabile e della confusione
che si è creata. Per fortuna l’effetto sembra durare a lungo,
anche dopo la sospensione della cura.

Il social network dei microbi


Insomma, sembra proprio che i batteri intestinali ci abbiano in
pugno. Ci rendono timorosi, audaci o spericolati, ottimisti o
timidi, aspetti del carattere che, negli altri, possono piacerci
oppure no. Sembra quasi di avere a che fare con una specie di
sito di incontri a misura di batteri. Pensate che sia un’utopia?
Allora date un’occhiata al sito www.my.microbes.eu, un
progetto nato anche grazie a Peer Bork, un biochimico del
Laboratorio europeo di biologia molecolare (EMBL) di

73
Heidelberg. Con la sua équipe ha analizzato vari campioni di
feci provenienti da Europa, Asia e America, conservando in una
grossa banca dati le informazioni sui singoli tipi di intestino. Al
progetto hanno preso parte soprattutto persone con disturbi
intestinali che, fino a quel momento, nessuno era stato in grado
di aiutare. Ognuno di loro ha dovuto versare mille euro di
contributo per effettuare una particolare analisi del microbioma.
In futuro le persone che soffrono di disturbi dello stesso tipo e
hanno una flora intestinale simile dovrebbero essere messe in
contatto tramite questa rete. Malati da Singapore potrebbero per
esempio scambiarsi informazioni con pazienti di Roma. Persone
provenienti da tutto il mondo potranno confrontarsi su ciò che le
ha aiutate. Magari si accorgeranno che i loro casi presentano
altre analogie: forse avranno le stesse intolleranze alimentari, o
scopriranno di aver preso gli stessi farmaci prima dell’insorgere
del disturbo. E chissà se le persone con una flora intestinale
simile proveranno anche una certa simpatia reciproca.

74
Capitolo 5

CHE NE PENSANO I
BATTERI DELLO SPORT E
DELLO STRESS?

Gli ormoni dello stress fanno spuntare i


“salvagenti”
annaggia, devo finire la relazione per domani. Su, dunque,
M
al computer! Una tavoletta di cioccolato mi aiuterà a tenermi
sveglio. Certo, così il lavoro sarà consegnato in tempo, ma state
sicuri che, il mattino dopo, vedrete l’ago della bilancia spostarsi
un pochino verso destra. Naturalmente le calorie in eccesso si
accumulano, soprattutto i carboidrati vuoti, e le persone sotto
stress sono esposte in modo particolare al rischio di ingerire
grandi quantità di cibo senza controllo.

Ma ci sono altri motivi per cui, nei periodi di tensione

75
psicofisica, il peso aumenta. Gli ormoni dello stress mettono a
rischio la linea. Il più famoso tra quelli prodotti dal corpo nei
momenti di stress è il cortisone, che fra le altre cose fa
aumentare la glicemia: una reazione utilissima per i nostri avi,
che un tempo dovevano reagire al pericolo con la lotta o la fuga.
L’alto tasso di zucchero nel sangue forniva loro l’energia
necessaria e veniva consumato nello sforzo. Oggi però la nostra
risposta allo stress è completamente diversa, perché non
abbiamo tempo per lo sport e conduciamo una vita sempre più
sedentaria: passiamo ore seduti davanti al computer, seduti a
una conferenza, seduti in macchina. Così lo zucchero finisce
dritto dritto nelle cellule adipose. Lo stress continuo favorisce
soprattutto i depositi di grasso nella zona addominale, che
rappresentano un rischio da non sottovalutare per la salute: il
grasso addominale, infatti, fa aumentare rapidamente il tasso
ematico di lipidi, e i vasi sanguigni ne soffrono.

Lo stress fa apparire vecchi i batteri


intestinali
Ma anche i batteri intestinali hanno le mani in pasta quando si
parla di stress e sovrappeso. Lo stress modifica la composizione
e la stabilità della flora intestinale, perché il cortisone disturba
gli inquilini dell’intestino e li indebolisce. Così i batteri si
sentono in pericolo e mandano al cervello segnali d’allarme che
rafforzano ulteriormente lo stress. In situazioni simili, se ci
viene fame, di solito non mangiamo una mela o una carota,
bensì alimenti grassi e a base di carboidrati, come barrette di
cioccolato e cheeseburger, che contengono sostanze
temporaneamente in grado di calmarci. Ma siccome, in questo
modo, non rendiamo davvero felici gli abitanti dell’intestino, il
numero di batteri utili diminuisce ancora e quelli che fanno
ingrassare proliferano.

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Soprattutto, si riduce in maniera drastica la loro varietà, così
importante per il sistema immunitario e per la linea. Risulta
particolarmente sgradevole, poi, il fatto che nei periodi di stress
ci abbandonino proprio i “batteri dimagranti”, mentre i batteri
cicciottelli si accomodano tranquilli nell’intestino, come se non
avessimo già abbastanza problemi a cui pensare.

Ancora peggio sono la grande ansia e il forte stress che ne


derivano, come si è potuto verificare almeno negli esperimenti
con gli animali. È probabile che nell’uomo gli effetti siano
simili. I cuccioli di topo che vengono separati dalla madre
subito dopo il parto sono sottoposti a una prova terribile, che
non rimane priva di conseguenze: non solo aumenta il tasso di
ormoni dello stress, anche la flora intestinale si altera
profondamente e per tutta la vita gli animali sono incapaci di
elaborare lo stress in maniera efficace.

La mancanza di sonno fa venire fame


Se siamo stressati, spesso a risentirne è il riposo notturno. Ed è
una tragedia, perché la mancanza di sonno aggrava
ulteriormente i problemi di peso. A prima vista è difficile capire
il nesso: se dormiamo due ore in più, in teoria, in quei
centoventi minuti non siamo attivi e quindi consumiamo molte
meno calorie rispetto a quando siamo svegli e ci diamo da fare.
Alcune ricerche hanno però dimostrato in maniera molto chiara
che la continua privazione del sonno non aumenta solo il rischio
di diabete, ma favorisce anche il sovrappeso. Il fenomeno ha a
che vedere con una coppia di ormoni molto diversi, la leptina e
la grelina. La prima funziona come anoressizzante, la seconda
invece aumenta l’appetito. Se una notte facciamo baldoria, il
giorno dopo il nostro corpo produce meno leptina, e allo stesso
tempo la stanchezza provoca un incremento di grelina. La
combinazione di questi due fattori rafforza la sensazione di

77
fame, stimolando l’appetito. Ma quante calorie in più
assumiamo, quando siamo stanchi? Per verificarlo, un’équipe di
ricercatori statunitensi ha condotto un esperimento, presentato
nel marzo del 2012 durante un congresso di cardiologi
americani tenutosi a San Diego. All’inizio a tutti i partecipanti
era consentito dormire senza limiti. Nelle otto notti successive
metà di loro ha potuto continuare a dormire quanto voleva,
l’altra metà ha dovuto interrompere il riposo notturno dopo 5,2
ore. Risultato: le persone svegliate in anticipo hanno assunto
circa 550 calorie in più rispetto a quando dormivano a
sufficienza. 550 calorie corrispondono a un hamburger con un
po’ di patate fritte, a un panino con gli affettati o a due porzioni
di torta. Queste persone rimanevano sveglie per più ore, è vero,
ma evidentemente erano anche più stanche e meno attive, quindi
non consumavano nulla. Le 550 calorie extra si sono adagiate
sui loro fianchi senza difficoltà. Dopo due settimane di
privazione del sonno la bilancia segna almeno un chilo in più.

SUGGERIMENTI PER UN SONNO SNELLO

Tenete fuori dalla camera tutti gli apparecchi elettronici. Se sono in stand by,
possono ostacolare il rilascio di melatonina, l’ormone del sonno. Quindi:
regalate pure la radiosveglia e staccate la spina del computer o del televisore. Se
possibile, dormite al buio. Qualsiasi luce ha effetti paragonabili a quelli degli
apparecchi elettronici e disturba gli ormoni del sonno.
Una breve passeggiata dopo cena, tisane rilassanti o integratori alimentari a base
di luppolo e valeriana vi faranno addormentare serenamente.

Tenendo conto di questo studio, è facile comprendere i risultati


di altre ricerche: dall’elaborazione dei dati sul sonno di
diciottomila persone si è riscontrato che dormire meno di
quattro ore al giorno aumenta del settanta per cento il rischio di
sovrappeso. Bisognerebbe riposare per circa sette ore; con sei
ore di sonno il rischio di sovrappeso è ancora superiore del
ventitré per cento.

78
C’è un altro motivo per cui il sonno rappresenta un ottimo
alleato per la dieta. Mangiando di meno e dormendo di più,
nell’ambito di un regime alimentare a ridotto apporto calorico si
consumano più grassi e meno muscoli. In un esperimento sulla
dieta condotto in Canada, nel giro di due settimane tutti i
partecipanti persero tre chili. L’analisi della percentuale di
grasso corporeo, tuttavia, portò alla luce alcune differenze: in
coloro che avevano riposato otto ore e mezza per notte la
perdita di peso consisteva per più della metà (cinquantacinque
per cento) di grasso, mentre con cinque ore e mezza di sonno la
percentuale era solo del venticinque per cento. Quando si fa una
dieta, quindi, è bene seguire il consiglio di riposare e dormire a
sufficienza.

E lo sport?
Lo sport rappresenta una magnifica opportunità per smaltire lo
stress e arrivare a sera belli rilassati. Ma cosa ne pensano i
nostri amici nell’intestino? I fondisti hanno una flora intestinale
diversa dai ballerini? Nell’intestino dei giocatori di rugby
scorrazzano altri microrganismi rispetto a quelli presenti nella
pancia dei pelandroni che passano ore e ore sul divano
mangiando patatine fritte? I nostri batteri sono contenti se ci
iscriviamo in palestra o ci uniamo a un gruppo podistico, oppure
quello che facciamo li lascia del tutto indifferenti?

Fino a poco tempo fa questi aspetti non erano stati indagati.


Tuttavia qualcosa indicava che per quei bei tipetti non è
indifferente se stiamo seduti o se sudiamo. Il movimento –
anche la semplice camminata veloce – sembra far aumentare il
numero di batteri snelli e belli e ostacolare i germi cicciottelli.
Anche in presenza di sostanze inquinanti, normalmente in grado
di irritare parecchio la flora intestinale, questi aiutanti solerti
sono protetti meglio se evitiamo di poltrire tutto il giorno sul

79
divano.

IL RUGBY DIVERTE I BATTERI INTESTINALI

La questione è stata spiegata da un’équipe di ricercatori irlandesi guidata da


Fergus Shanahan, dello University College di Cork: a quanto pare, i batteri
intestinali sono felicissimi se facciamo sport. Gli studiosi hanno esaminato la
microflora nell’intestino di quaranta giocatori di rugby professionisti,
confrontandola con i batteri di quarantasei uomini che conducevano una vita
normale. Tutti i giorni i partecipanti dovevano prendere nota di cosa
mangiavano. Il risultato è sbalorditivo: la flora intestinale degli sportivi era
decisamente più varia ed eterogenea rispetto a quella del gruppo di controllo. Il
panorama intestinale più monotono era quello delle persone non sportive e in
sovrappeso. Nell’intestino dei rugbisti i ricercatori hanno trovato anche una
vecchia conoscenza: i batteri dell’Akkermansia, presenti in numero molto
elevato. Questi microrganismi, si sa, proteggono dal sovrappeso e dal diabete. È
vero che gli sportivi avevano un’alimentazione un po’ più varia, ma gli studiosi
irlandesi non hanno dubbi: lo sport è un fattore importante, che esercita
un’azione estremamente positiva sul nostro microbioma.

Tenetevi alla larga dai rotolini di ciccia


Che bello avere a disposizione questi dati: adesso posso dirvi
senza alcuna esitazione che dovete alzarvi più spesso dalla
poltrona! A mio parere un piccolo programma di attività fisica
fa parte di ogni dieta. Non serve fare chissà cosa e può
cominciare anche chi finora ha evitato con cura qualsiasi tipo di
sforzo. Pianificate per esempio dai quindici ai trenta minuti di
moto al giorno. Se mezz’ora vi sembra troppo, potete anche
spezzarla. Magari camminate un quarto d’ora per raggiungere il
negozio del panettiere e tornare a casa; la sera poi, prima di
andare a letto, fate il giro del quartiere a piedi, ed ecco che avete
compiuto il vostro dovere. Naturalmente potete benissimo fare
di più, ma se riuscite a muovervi con costanza anche solo per
mezz’ora ogni giorno, o almeno per la maggior parte dei giorni
della settimana, avrete già fatto molto per la linea e la salute.

80
Basta un piccolo calcolo per rendersi conto di quanto sia
importante questo darsi da fare: consumando circa 100-130
calorie al giorno (senza reintegrarle subito con cioccolato e
patatine) con una passeggiata di mezz’ora, all’anno
raggiungerete un totale di cinque o sei chili in meno. Tanto
meglio se abbinate a questa attività l’allenamento muscolare
(per esempio a giorni alterni). Chi avesse in mente bodybuilder
ricoperti di sudore che sollevano pesi cromati e luccicanti, stia
pure tranquillo. Vanno bene anche il nuoto, lo yoga o il pilates.

I muscoli infatti non sono degli sciocchi e stanno dalla nostra


parte. Si tratta di un tessuto che svolge un’attività metabolica,
cioè consuma molte calorie, anche quando ce ne stiamo seduti
davanti al televisore o alla guida di un’automobile. Questo
significa anche, però, che meno muscoli abbiamo, minore è il
fabbisogno quotidiano di calorie, quindi le porzioni devono
essere ridotte. Ogni chilo di muscoli in più aumenta il consumo
calorico giornaliero di 75 calorie. Il tessuto adiposo invece non
consuma niente, al contrario: isola il corpo dal freddo, facendoci
bruciare ancora meno calorie.

E se vi chiedete perché di colpo, arrivati a mezza età, i


cuscinetti di grasso diventano così tenaci, la risposta ve la danno
i muscoli: se non provvediamo facendo sport, ogni dieci anni
perdiamo circa il cinque per cento di massa muscolare. Intorno
ai cinquant’anni, quindi, le porzioni sul nostro piatto dovrebbero
essere ridotte più o meno di un quarto rispetto alla fase
adolescenziale. Se non vogliamo arrivare a questo, cerchiamo di
fare un po’ di moto e di prenderci cura della flora intestinale.

81
Capitolo 6

STRATEGIE PER AVERE


UN INTESTINO SANO E
“SNELLO”

Quattro strategie efficaci


in qui avete letto un sacco di cose su batteri insoddisfatti,
F
buchi nell’intestino, cervello enterico e germi che ci caricano
chili sui fianchi. Bene, è giunto il momento di tradurre in pratica
quanto avete imparato. Nelle pagine che seguono affronteremo
quattro aspetti della questione.

Il primo, e forse il più importante, è la flora intestinale. Da


questo punto di vista, una dieta che aiuti i batteri dell’intestino
si distingue nettamente da quelle tradizionali, che puntano solo
sulla riduzione delle calorie. Con una dieta concepita per dare
supporto alla flora batterica intestinale potrete bruciare più
calorie, smaltire più in fretta i grassi e moderare l’appetito. In

82
questa prima sezione ci occuperemo di come accontentare i
microrganismi intestinali, dare sostegno ai batteri snelli e belli e
scacciare i germi cicciottelli. Per farlo vi serve innanzitutto il
cibo giusto. Inoltre, tramite i batteri vivi aggiunti ai latticini o
assunti in polvere e in capsule, arruolerete nuove leve
nell’esercito dei microrganismi buoni.

Il secondo riguarda le fibre, di cui bisognerà aumentare la


quantità complessiva. Le fibre mettono in moto i processi
digestivi, catturano le tossine e le eliminano: è un po’ come se
aiutassero l’intestino a fare le pulizie di primavera. Inoltre ci
lasciano sazi più a lungo, e i risultati si vedranno sulla bilancia.

Nella sezione successiva parleremo della barriera intestinale,


scoprendo come tappare i “buchi” e bloccare le infiammazioni.
In questa impresa ci vengono in soccorso i lipidi giusti,
determinate spezie con proprietà antinfiammatorie e la lecitina,
una sostanza di cui la barriera intestinale ha urgente bisogno.
Questa parte è importante per tutti coloro che soffrono di
disturbi intestinali. Ma una barriera intestinale intatta aiuta
anche a perdere peso.

Infine ci occuperemo degli ormoni prodotti dalle cellule e dai


batteri intestinali o da altri organi che hanno a che fare con
l’intestino: sono loro a decidere se ci sentiamo sazi o affamati e
possono far crescere la pancia oppure demolire i depositi di
grasso.

Questi quattro fattori vengono influenzati dall’alimentazione e


dal nostro stile di vita.

Strategia numero 1: come dare una mano


alla flora intestinale

83
Da sempre gli esseri umani stabiliscono la loro dimora nei
luoghi in cui si trovano bene e hanno le migliori chance di
sopravvivere. Se abbiamo a disposizione abbastanza cibo, se il
clima è adeguato e i vicini sono simpatici, allora ci sentiamo a
nostro agio, ci costruiamo una casa e facciamo figli. I batteri
intestinali fanno lo stesso. Chi vuole creare un ambiente
gradevole per gli abitanti del proprio intestino e desidera offrire
loro una società multiculturale e variegata, dunque, riceverà in
premio una salute migliore e avrà meno problemi di peso. Ma i
batteri sono creature esigenti: se le condizioni generali non sono
buone, se ne vanno. L’importante, per quanto possa suonare
scontato, è avere una dieta varia. Ogni specie di batteri, infatti,
ha le proprie esigenze, quindi dovremo offrire loro prelibatezze
diverse. Chi mangia soprattutto dolci, orsetti gommosi e pane
bianco alimenta solo un gruppo di batteri e crea condizioni
simili a quelle di un ghetto: i batteri snelli e belli non hanno
molte chance e cedono il campo ai batteri cicciottelli, che presto
diventano dominanti, visto che amano i carboidrati a facile
assimilazione e i grassi, con cui convivono benissimo.

Ma come si può allevare una flora batterica intestinale magra?


Bisogna innanzitutto tener presente una cosa che vale per
qualsiasi altra dieta o programma di alimentazione: non si può
prescindere da un cambiamento dello stile di vita. Se non
modifichiamo le nostre condizioni di vita o il regime alimentare,
dobbiamo mettere in conto che la composizione della flora
intestinale rimanga relativamente stabile per anni e anni, e con
lei i problemi di peso. Gli esperti sono sicuri che solo chi ha una
flora intestinale perfettamente funzionante possa dimagrire in
maniera definitiva. Per raggiungere questo obiettivo è
necessario ridurre i batteri che fanno ingrassare e aumentare i
batteri anoressizzanti.

Pilotare la flora intestinale


84
Fondamentalmente, a oggi ci sono solo due modi per
influenzare la composizione della flora intestinale. In teoria,
sarebbe possibile eliminare i batteri che fanno ingrassare
ricorrendo agli antibiotici. In pratica, però, non è proprio vero,
perché questi farmaci non hanno un’azione così selettiva da
aggredire solo un gruppo di batteri, senza toccare gli altri. Gli
antibiotici sono come bombe atomiche lanciate nell’intestino:
uccidono indifferentemente amici e nemici e creano pessime
condizioni di vita per un periodo molto lungo. Nella maggior
parte dei casi quindi l’assunzione di antibiotici produce
un’alterazione profonda dell’ecosistema intestinale e spesso,
dopo la fine della terapia, si moltiplicano a grande velocità
proprio i germi che non vorremmo avere nella pancia. Alcuni
studi hanno riscontrato addirittura un aumento di peso dopo
l’uso di antibiotici.

Una flora particolarmente variegata sembra essere fondamentale


per la linea. Le persone con una grande pluralità microbica
soffrono meno di sovrappeso. Gli antibiotici, per quanto assunti
in quantità minime, alterano notevolmente la società
multiculturale che vive dentro di noi.

È molto meglio, ed è anche una strategia più efficace, favorire i


batteri che fanno dimagrire con il nostro stile di vita. Ormai si
conoscono parecchi modi per aiutare i microrganismi “buoni”.

Modificare la dieta creando un clima


piacevole nell’intestino
Ricordate la storia che abbiamo raccontato all’inizio? I topi a
cui sono stati somministrati i batteri intestinali di persone
sovrappeso diventavano grassocci. I batteri delle persone senza
problemi di peso, invece, avevano fatto dimagrire i loro

85
compagni, benché alimentati allo stesso modo. Nella fase
successiva gli animali sono stati messi nella stessa gabbia, ed
ecco cosa è successo: un po’ alla volta i “topi grassi” sono
dimagriti, perché mediante la convivenza i “batteri dimagranti”
si sono trasferiti nel loro intestino. L’inverso non è accaduto: i
topi magri non sono ingrassati. La loro flora intestinale è
sembrata resistere all’aggressione dei batteri “pesanti”.

Ma perché noi esseri umani non ci “infettiamo” con i batteri


delle persone magre? In effetti, stando a questo studio, a poco a
poco dovremmo diventare tutti snelli, vivendo abbastanza a
lungo a contatto con persone magre. Non è così, molti purtroppo
lo hanno provato sulla propria pelle. L’esperimento spiega
anche questo: evidentemente i batteri dimagranti trovano un
buon terreno nutritivo solo se ci alimentiamo in maniera sana,
equilibrata, e soprattutto se evitiamo di mangiare cibi troppo
ricchi di zuccheri e grassi.

Inoltre parte della dieta deve consistere in “cibo per i batteri”,


cioè in alimenti graditi ai batteri dimagranti, che li stimolino a
crescere in abbondanza. La nostra dieta quotidiana, invece,
nutre soprattutto i batteri “ingrassanti”. Anche nell’intestino
delle cavie paffutelle i batteri magri potevano diffondersi solo
se gli animali venivano nutriti con molte fibre, abbondanti
proteine e pochi grassi. Se invece ricevevano cibi molto grassi e
con poche fibre, non si assisteva alla benefica colonizzazione da
parte dei batteri “giusti”. Evidentemente un’alimentazione
molto ricca di grassi fa diminuire anche il numero e la varietà
dei batteri. Ne soffrono soprattutto due batteri importanti e
simpatici, il Bifidus e l’Akkermansia. Ed è terribile, perché
proprio queste famiglie di microrganismi, insieme ai batteroidi,
sembrano proteggere dal sovrappeso e dai disturbi metabolici,
oltre a diminuire il rischio di infiammazioni dell’intestino e a
contribuire a darci una silhouette snella.

86
La flora intestinale cambia nel giro di
pochi giorni
Con che velocità possa trasformarsi una normale e sana flora
intestinale, lo mostra un’altra ricerca svolta dalla stessa équipe.
Se topi fino a quel momento alimentati con cibi poveri di grassi
e ricchi di fibre passavano alla tipica dieta americana, ricca di
grassi e zuccheri e povera di fibre, diventavano paffutelli.
Probabilmente starete pensando: grazie tante, con
un’alimentazione del genere! Ma non dipendeva solo da quello,
infatti in pochissimo tempo cambiò anche la composizione della
flora intestinale. E con la pancia governata da nuovi capi, i topi
diventarono molto rapidamente belli grassi, benché il nuovo
regime alimentare non fosse più calorico. A quanto pare, i germi
intestinali specializzati in patatine fritte, hotdog, hamburger e
Coca-Cola erano in grado di ricavare più calorie dalla stessa
quantità di cibo.

Lo stesso meccanismo si riscontra negli esseri umani, sia in una


direzione sia nell’altra. Un’équipe di ricercatori americani ha
scoperto che, apportando qualche modifica alla dieta, la quantità
di batteri cicciottelli diminuisce rapidamente, mentre aumenta il
numero dei batteri snelli e belli. Gli studiosi hanno individuato
due tipi di dieta efficace. Esaminando i batteri intestinali di
persone sovrappeso prima e durante l’introduzione di nuove
abitudini alimentari, hanno visto che, parallelamente alla
diminuzione di peso, si assisteva all’incremento dei “batteri
dimagranti”. E questo risultato è stato raggiunto sia con
un’alimentazione a ridotto apporto di grassi, sia con
un’alimentazione povera di carboidrati. Va detto, però, che la
crescita dei batteroidi snelli e belli per chilo di peso perduto era
senza dubbio più netta in chi seguiva la dieta povera di
carboidrati che nelle persone che avevano adottato quella a
ridotto apporto di grassi. I primi cambiamenti si sono registrati

87
nel giro di poco tempo. Qualche giorno dopo l’introduzione
della nuova dieta, i ricercatori hanno trovato nell’intestino un
numero maggiore di batteri snelli e belli, mentre era diminuito il
numero di batteri ingrassanti.

Per vedere i primi risultati non bisogna stravolgere di punto in


bianco la propria alimentazione. Si può cominciare un po’ alla
volta. Con due mele al giorno potete accattivarvi le simpatie dei
batteri intestinali buoni. Questa piccola quantità di frutta, infatti,
fa crescere i batteri graditi e sparire quelli fastidiosi (almeno in
parte). Lo dimostra un altro studio: dopo due settimane di
consumo di mele, nei partecipanti all’esperimento il numero di
bifidobatteri che fanno dimagrire è aumentato di parecchio; i
lattobacilli, i clostridi e altri batteri cicciottelli, invece, sono
diminuiti di giorno in giorno. L’importante è mangiare la mela
con la buccia, perché la pectina in essa contenuta crea
nell’intestino un clima gradito ai batteri. Ma per riprogrammare
a lungo termine la colonizzazione dell’intestino, purtroppo non
basta qualche giorno, bisogna aver pazienza per diverse
settimane. Siete voi, quindi, a decidere chi abbia diritto ad
abitare nelle vostre viscere. Con pochi trucchi, comunque, il
cambiamento può essere accelerato.

DOPPIA PENITENZA

Chi mangia troppo o male viene punito doppiamente. Da un lato con l’eccessiva
introduzione di calorie, dall’altro con l’aumento dei batteri cicciottelli, che
sfruttano meglio il cibo e depositano cuscinetti di grasso sulla pancia e sui
fianchi.

I prebiotici, un banchetto per i nostri


coinquilini
A tutti piacerebbe avere un aspetto attraente, una digestione

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regolare ed essere più spesso di umore allegro. Ma ora, invece
di invidiare gli altri per i loro buoni geni e accoccolarci sul
divano con una tavoletta di cioccolato, faremmo meglio a
correre al mercato, dove troveremo tutto ciò di cui ha bisogno
un intestino sano: indivia belga, asparagi, cipolle, aglio, noci,
funghi e prodotti a base di soia. Con questi ingredienti, e con
altri tipi di frutta e verdura, si possono preparare piatti molto
graditi ai batteri. Pensiamo un po’ a cosa succede quando
vengono a trovarci degli amici vegetariani: non ci verrebbe mai
in mente di portare in tavola un involtino di manzo o una
bistecca al sangue. Dovremmo trattare come amici anche i
nostri batteri perché, se stanno bene, ci fanno un sacco di favori.
Cerchiamo di offrire anche a loro gli alimenti che amano di più!

Purtroppo le opinioni dei padroni e quelle degli inquilini


dell’intestino spesso non coincidono. Mentre noi amiamo i
carboidrati facili da digerire come gli orsetti gommosi e i dolci,
i nostri “ospiti” nell’intestino hanno appetito di tutt’altro. La
loro passione sono i prebiotici. Alla lettera, “prebiotico”
significa “prima della vita” (prae- = prima, bíos = vita), ma si
potrebbe tradurre anche con “cibo per batteri”.
Fondamentalmente queste sostanze aiutano i batteri buoni e utili
a “diventare grandi e forti”, che è ciò che noi stessi promettiamo
ai nostri figli quando vogliamo spingerli a mangiare. I prebiotici
contribuiscono allo sviluppo di una flora intestinale sana e
soprattutto varia, ne sostengono l’attività e favoriscono
l’insediamento dei probiotici, cioè dei batteri utili (di cui si
parlerà meglio più avanti). A rendere i prebiotici così
interessanti è il fatto che piacciono soprattutto ai batteri
intestinali salutari e dimagranti. Appena questi cominciano a
consumare il loro pasto, nell’intestino si crea un clima acido. I
batteri snelli e belli, allora, si danno animo e cominciano a
produrre sostanze che sconfiggono i batteri cicciottelli e li
cacciano via. Questi germi indesiderati, infatti, non sono in
grado di sfruttare le delizie riservate ai batteri, né stanno bene in

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un intestino acido. Non c’è da meravigliarsi che il loro numero
diminuisca drasticamente. E voi, in qualità di padroni di casa
dei batteri intestinali buoni, avrete raggiunto il vostro obiettivo!

PRE-, PRO-, E SIMBIOTICI

I prebiotici (prae- = prima, bíos = vita) sono componenti alimentari indigeribili


gradite ai batteri intestinali, che mediante questo cibo si rafforzano, crescono e
si moltiplicano. L’inulina, l’oligofruttosio e l’amido resistente sono alcune fra le
sostanze amiche dei batteri. Secondo gli esperti, gli effetti positivi cominciano a
farsi sentire consumando almeno 5 grammi di prebiotici al giorno. Importante:
non tutte le fibre sono prebiotici. Sono tali solo quelle che resistono ai succhi
gastrici e agli altri succhi digestivi presenti nella prima parte dell’intestino e che
successivamente vengono “fermentate”, cioè rielaborate, dai batteri intestinali.

I probiotici (prō- = per, a favore di, bíos = vita) sono batteri che arrivano in
forma attiva nell’intestino, dove esercitano un’azione benefica per la salute.
L’importante è che i germi riescano a opporsi agli attacchi dell’acido gastrico e
dell’acido biliare, arrivando vivi nell’intestino crasso. Alla categoria dei
probiotici appartengono in particolare i lattobacilli e i bifidobatteri.

Gli alimenti o gli integratori che contengono sia prebiotici sia probiotici si
chiamano simbiotici (syn- = con, bíos = vita). Presentano il vantaggio che i
batteri probiotici, una volta arrivati nell’intestino, trovano subito qualcosa da
mangiare. In questo modo le loro condizioni di partenza migliorano
notevolmente.

Se mancano i prebiotici, i batteri


intestinali “buoni” patiscono la fame
Poiché la maggior parte dei batteri intestinali responsabili del
nostro peso vive nell’intestino crasso, è lì che deve arrivare il
rifornimento di cui hanno bisogno. In fondo, non metteremmo
mai il cibo per gli ospiti su uno scaffale fuori dalla loro portata.
Se però il nostro pranzo è formato perlopiù da panini con la
Nutella o spaghetti alla carbonara, questi carboidrati a rapida
assimilazione vengono digeriti del tutto già nell’intestino tenue

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e il corpo li assimila. Così i nostri utili amici, posizionati più
sotto nel tratto digerente, rimangono a bocca asciutta e muoiono
di fame, potremmo dire, pur essendo seduti a tavola. Nelle
condizioni di debolezza in cui si trovano, vengono facilmente
sopraffatti e allontanati da quei rompiscatole che sono i batteri
cicciottelli. In questo modo si crea uno squilibrio nell’intera
flora intestinale. Per rifornire i batteri snelli e belli e rafforzare
la loro resistenza, dobbiamo mangiare anche cibi che riescano
ad attraversare la maggior parte del tratto gastrointestinale senza
essere digeriti.

CONCIME PER IL GIARDINO BATTERICO

L’intestino può essere paragonato a un giardino. La definizione “flora” per


l’insieme degli inquilini che lo popolano è particolarmente azzeccata: come un
giardino fiorito ha bisogno di un terreno sano e di sufficiente concime, anche
per la flora intestinale è importante disporre del giusto terreno nutritivo,
affinché possa sentirsi bene e prosperare. Un’alimentazione ricca di fibre,
quindi di verdure, frutta, noci, legumi e alimenti integrali, rappresenta un’ottima
base per il “giardino intestinale”. I prebiotici sono il concime per questo terreno.
E hanno anche un altro effetto: l’inulina, l’oligofruttosio e altri “concimi
intestinali” favoriscono il rilascio di messaggeri chimici del senso di sazietà.

Le patate fredde: una goduria per i


batteri snelli e belli
Ci sono leccornie particolarmente apprezzate dalla flora
intestinale. All’amido resistente non riesce proprio a dire di no.
Ma dove trovarlo? Nelle patate fredde e nel riso freddo!
Scaldando e poi lasciando raffreddare certi alimenti, infatti,
l’amido che essi contengono si trasforma e diventa più
resistente alla digestione da parte dei primi tratti dell’intestino.
Quindi nell’intestino crasso ne arriva una quantità maggiore,
che rimane a disposizione come fonte di cibo. Forse state
pensando che nessuna, tra le persone che conoscete, mangia riso

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o patate fredde. Ma in pochi resistono a una deliziosa insalata di
patate o a un buon sushi in un ristorante giapponese. Il
raffreddamento è fondamentale perché si formi l’amido
resistente: basti pensare che una piccola patata calda ne fornisce
circa 1,8 grammi; una patata delle stesse dimensioni, ma
raffreddata, ne dà quasi il doppio.

L’amido resistente si chiama così perché si oppone in maniera


efficace alla digestione nei primi tratti dell’intestino. La
maggior parte delle persone ne mangia meno di 5 grammi al
giorno. Per bruciare i grassi e influenzare l’appetito solo con
questo prebiotico, però, bisognerebbe assumerne almeno 10-15
grammi. La cosa migliore, comunque, è combinare diversi tipi
di prebiotici.

Adesso ovviamente non dovete andare tutti i giorni al ristorante


giapponese o chiedere alla nonna di prepararvi ogni sera una
buona insalata di patate! Questo particolare tipo di amido si
trova anche nei fagioli bianchi, nei fagiolini e nel pane integrale
all’avena.

Una dritta: mangiate le banane non del tutto mature: quando


sono ancora un po’ verdi forniscono 12,5 grammi di amido
resistente, mentre una banana matura ne contiene solo 4,7. Chi,
nelle banane verdi, non ci trova niente di buono può mescolarle
allo yogurt e prepararsi un frullato.

Alcuni studi hanno dimostrato che l’amido resistente può


aiutare a perdere peso, dal momento che:
• fa crescere soprattutto il numero di bifidobatteri, cioè dei
batteri “buoni” che ci mantengono magri;
• attiva enzimi in grado di bruciare in primo luogo i grassi della
pancia: aumentando di molto la quantità di amido resistente
nella dieta (circa 16 grammi al giorno), il consumo dei lipidi
cresce di oltre il venti per cento;

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• induce il fegato a bruciare più grassi;
• stimola la formazione di ormoni della sazietà e quindi frena
l’assunzione di calorie: in una ricerca si è visto diminuire
questo dato del dieci per cento nel giro di ventiquattr’ore, se
in tavola c’era abbastanza amido resistente; 109
• arresta le infiammazioni nell’intestino, anch’esse ritenute
potenzialmente responsabili del sovrappeso.

Anche le mandorle, tritate più o meno finemente, fanno


prosperare i batteri buoni. Possono essere aggiunte al müsli
o usate per preparare panini integrali.

VIA LIBERA AL PANE BIANCO

Chi mangia pane bianco sentirà forse la flebile voce della coscienza: “Compra
piuttosto del pane integrale, è molto più sano!”. In linea di principio è vero, se
parliamo di batteri intestinali, ma a volte questa voce può anche essere messa a
tacere. Adriana Cuervo e la sua équipe dell’Università di Oviedo, in Spagna,
hanno scoperto infatti che i germi buoni si moltiplicano benissimo anche
mangiando pane bianco.
Il motivo è questo: il pane bianco contiene l’amido resistente tanto amato dalla
flora intestinale. D’ora in poi, quindi, se capita potete prendere anche del pane
bianco senza sentirvi in colpa. Se insieme ci mangiate un po’ di frutta, tanto
meglio. Cuervo ha scoperto infatti che certe sostanze contenute nelle arance
bloccano i batteri cicciottelli.

Inulina e oligofruttosio: sostanze dai nomi


complicati, ma che fanno bene
Un’altra delizia nella lista dei cibi preferiti dai batteri intestinali
è l’inulina, da non scambiare con l’insulina, l’ormone che
abbassa il tasso glicemico: a parte il nome simile, queste due
sostanze non hanno niente in comune. L’inulina è composta da
molte molecole di zucchero, chiamate tecnicamente fruttosio.

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Le singole particelle di fruttosio dell’inulina sono unite da
legami così saldi che l’intestino tenue non riesce a scomporle,
perché ci manca l’enzima inulinasi.

A grandi linee, l’oligofruttosio è uguale all’inulina, solo che la


molecola contiene meno particelle di fruttosio. Entrambi quindi
arrivano intatti nell’intestino crasso, dove nutrono i batteri
dotati di strumenti adatti a frantumare le fibre più tenaci.
Ancora una volta i bifidobatteri approfittano di queste
ghiottonerie. Ma anche l’Akkermansia municiphila (questo
microrganismo dal nome impronunciabile che tutti vorrebbero
accogliere nel proprio intestino, dato che è in grado di impedire
che si formino depositi di grasso) comincia a moltiplicarsi
facilmente se sul menu sono presenti prebiotici.

L’inulina è presente in grande quantità in alimenti che


purtroppo la maggior parte di noi porta in tavola di rado. Il
numero uno è il topinambur, che ne contiene dal diciotto al
trentacinque per cento. La pianta appartiene alla famiglia delle
Composite, come il girasole. Fiorisce nella tarda estate e in
autunno, è di colore giallo brillante e qualcuno di voi ce l’avrà
in giardino, magari senza saperlo. Il sapore del topinambur è un
misto fra la patata e la carota e può essere consumato crudo o
cotto. Può darsi che non lo abbiate ancora assaggiato, ma ormai
il tubero è diventato una “verdura alla moda”. Ma l’inulina si
trova anche nella scorzonera (tredici per cento circa), nei cuori
di carciofo (quindici per cento circa) e nell’indivia belga (dal
dieci al sedici per cento), nell’aglio, nel porro, nelle cipolle,
negli asparagi, nelle banane e nella segale.

In futuro cercate di inserire più spesso nel vostro menu alimenti


che contengono inulina e altri prebiotici. Almeno 5 dei 30
grammi raccomandati di fibre quotidiane, ma anche di più,
dovrebbero essere forniti da prebiotici. A queste condizioni,
stando all’opinione della maggior parte dei nutrizionisti, gli

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effetti si faranno sentire presto.

L’inulina e l’oligofruttosio sono sicuri anche per i bambini e


aiutano a formare la flora intestinale fin dai primi anni di età.
Inoltre rafforzano le ossa, perché i prebiotici favoriscono
l’assimilazione del calcio. Sono ottimali le combinazioni di
alimenti contenenti inulina con alimenti ricchi di calcio, per
esempio indivia belga gratinata al formaggio, uno yogurt con
pezzi di banana (non troppo matura) o un caffè di cicoria
macchiato con un bel po’ di latte. In alcuni esperimenti è
risultato che una quantità compresa tra 8 e 21 grammi quotidiani
di cibo per batteri viene ben tollerata e produce effetti positivi
sulla linea.

Vi serve un’“iniezione supplementare” di inulina?


Chi vuole andare sul sicuro può far uso di preparati a base di
prebiotici, che spesso contengono una moltitudine di sostanze
vegetali gradite ai batteri dell’intestino. L’inulina di questi
preparati è ricavata perlopiù dalla radice dell’indivia belga o
della cicoria. La cicoria l’avete vista sicuramente da qualche
parte: è una pianta dai fiori celesti, si trova spesso sul ciglio
delle strade e sulle superfici incolte.

Un modo semplice per aumentare l’assunzione di prebiotici è


mescolare farina contenente inulina o polvere di inulina con
altri tipi di farina (in genere è possibile sostituirne senza
problemi il dieci per cento), adoperandola per preparare cibi da
cuocere al forno. Le preparazioni risulteranno molto soffici e
sazieranno non solo voi, ma anche la vostra flora batterica
intestinale.

Per dolcificare, una buona idea è usare lo sciroppo di Yacón,


una pianta perenne che cresce nelle Ande ed è imparentata al
topinambur. Per produrre lo sciroppo, che ha un gusto dolciastro
e ricorda un po’ l’uva passa, se ne spremono le radici. È

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composto per il trenta-cinquanta per cento di oligofruttosio,
costituisce un ottimo nutrimento per la flora intestinale e, fra
l’altro, dà metà calorie rispetto al miele. Esercita un’azione
fantastica: stabilizza la glicemia e fa diminuire gli ormoni della
fame, impedendo gli attacchi di appetito incontrollabile; allo
stesso tempo le fibre contenute nello sciroppo nutrono i batteri
snelli e belli. Una meraviglia per chi vuole dimagrire! I
partecipanti a un esperimento hanno perso molto peso dopo
dodici settimane di utilizzo dello sciroppo di Yacón, e hanno
visto diminuire anche l’indice di massa corporea, oltre alla
circonferenza dei fianchi, senza modificare le loro abitudini
alimentari o sportive. Potete prendere un cucchiaino di sciroppo
di Yacón tutti i giorni a ogni pasto per dolcificare il tè, il caffè e
i dolci, o anche puro.

Nota: negli Stati Uniti e in altri paesi extraeuropei l’uso dello


sciroppo di Yacón è comune. In Europa è disciplinato dal
regolamento sui novel food del 1997, che riguarda innanzitutto
gli alimenti che prima di quell’anno non erano in commercio se
non in quantità trascurabili e che per questo devono ottenere
un’autorizzazione apposita. Per i produttori il procedimento è
costoso e richiede molto tempo. Se non doveste trovare lo
sciroppo di Yacón in nessun negozio, in Internet è possibile
ordinare sciroppi di buona qualità.

Altro cibo per i batteri


Come sapete, anche l’oligofruttosio è una fibra indigeribile e si
trova in vari alimenti. Nell’intestino nutre i batteri buoni; i
germi cattivi, invece, in genere non riescono a digerirlo.
L’assunzione quotidiana di oligofruttosio, in una quantità
compresa fra 1 e 4 grammi, aumenta di dieci volte il numero di
bifidobatteri e anche di alcuni importanti lattobacilli. La nostra
dieta tipica, però, molto spesso ne contiene ben meno di 1
grammo. Non c’è da stupirsi che i batteri snelli e belli non si
sentano troppo a loro agio nella maggior parte degli intestini: il

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problema è che non si saziano!

Ma l’oligofruttosio ha un’altra caratteristica meravigliosa: in


termini metaforici, potremmo dire che sigilla i “buchi”
dell’intestino permeabile. Chiaro, il meccanismo è un po’ più
complicato, ma di fatto questo cibo per batteri dà un
grandissimo contributo a mantenere intatto l’intestino,
riducendo la permeabilità della parete intestinale e
migliorandone la funzione di barriera.

CIBO PER I BATTERI? DOVE TROVARLO?

Molti libri dedicati all’alimentazione e alle diete contengono elenchi di piatti da


evitare. Noi per una volta facciamo qualcosa di diverso e vi diciamo quali cibi
potete tranquillamente consumare in porzioni abbondanti. I batteri faranno
festa!

Quantità particolarmente elevate di inulina sono contenute in:


indivia belga, carciofi, aglio, cipolle, scorzonera, asparagi, porro, topinambur,
pastinaca, radici di cicoria (contenute nel caffè di cicoria), scarola, sciroppo
di Yacón, polvere di inulina ricavata dalle radici della cicoria o dell’indivia
belga.

Quantità minori di inulina si trovano anche in:


banane, crusca di frumento, farina di segale.

L’oligofruttosio è contenuto in grandi quantità in:


segale, avena, cipolle, aglio, banane, pomodori, asparagi.

Quantità particolarmente elevate di amido resistente si trovano in:


banane verdi (non del tutto mature), fiocchi di avena, fagioli bianchi e rossi,
fagiolini, piselli, lenticchie, orzo, patate raffreddate, riso raffreddato, farina
integrale d’avena, pappa di avena (portata a ebollizione e raffreddata), miglio,
radice di manioca, pane bianco.

Contengono grandi quantità di pectina:


la frutta (con la buccia), la verdura.

Il lattulosio è contenuto in grandi quantità in:


latte riscaldato e latticini.

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Il lattulosio non è identico al lattosio: si tratta di uno zucchero
artificiale, che comunque è prodotto a partire dal lattosio. Ma si
forma anche quando il latte viene riscaldato. I nostri enzimi
digestivi si fanno male se cercano di aggredirlo, perché non
sono in grado di scomporlo. Per farlo i batteri intestinali lo
trasformano in acido lattico, una sostanza che crea un clima
gradito a diversi batteri buoni. In medicina e in naturopatia il
lattulosio è impiegato anche come blando lassativo e come
terapia di supporto in caso di salmonellosi. Nelle persone
intolleranti al lattosio, però, provoca spesso diarrea, quindi è
meglio evitarlo e ricorrere ad altri prebiotici.

I galatto-oligosaccaridi (GOS) si ricavano dal siero del latte.


Mediante un enzima, il lattosio crea legami particolari che gli
permettono di sopravvivere indenne al processo di digestione e
di tornare utile ai batteri dell’intestino. In forma naturale i GOS
si trovano soprattutto nei latticini, ma è nel latte materno che
sono presenti in una concentrazione particolarmente elevata:
essa supera di gran lunga quella del latte vaccino, perché per i
neonati la colonizzazione dell’intestino a opera di grandi
quantità di bifidobatteri è importantissima, e i GOS la
favoriscono. Si ipotizza che siano necessari anche per
l’evoluzione cerebrale del neonato e che ne favoriscano lo
sviluppo del quoziente di intelligenza, oltre che delle
competenze linguistiche.

Attenzione: chi soffre di intolleranza al fruttosio o di malassorbimento del


fruttosio deve andarci cauto con l’inulina e l’oligofruttosio: entrambi
contengono fruttosio e potrebbero aggravare i disturbi intestinali. Chi non
tollera il lattosio, invece, dovrebbe evitare il lattulosio e i galatto-oligosaccaridi,
ma nella maggior parte dei casi tollera bene i prebiotici contenenti fruttosio.

Si può bere una tazzina di caffè?

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Per perdere peso non abbiamo a disposizione solo i
bifidobatteri. C’è un altro tipo di batteri che abbiamo spesso
intorno e dentro di noi, i batteroidi. Se volete fare qualcosa di
utile per la linea, bevete più spesso caffè. Sembra difficile da
credere, ma nella bevanda preferita dagli italiani si nascondono
quantità non irrilevanti di fibre indigeribili. Due tazze di caffè
americano ne contengono quasi due grammi, la stessa quantità
di caffè istantaneo arriva fino a tre grammi, mentre un espresso
sta a metà fra questi due. Scienziati tedeschi hanno scoperto che
nei bevitori di caffè i batteroidi non solo si moltiplicano in
abbondanza, ma mettono in moto anche una reazione a catena:
trasformano le fibre del caffè in sostanze molto efficaci, in
grado di regolare il tasso di colesterolo. Il caffè sembra
rappresentare un trattamento wellness soprattutto per la mucosa
intestinale che, sotto l’influsso delle fibre in esso contenute,
riesce a rigenerarsi, diventando meno permeabile. Nello stesso
tempo l’intestino si fa più acido. “Acido” non nel senso di
“antipatico” o “maligno”, al contrario: i batteri intestinali sono
contenti se si trovano in un ambiente acido, in cui cioè il pH è
basso. È uno dei meccanismi di difesa dell’intestino contro gli
inquilini molesti, un po’ come il rivestimento acido che
protegge la pelle: anch’esso ha il compito di tenere alla larga i
batteri dannosi e di frenarne la diffusione. Allo stesso modo,
nell’intestino un ambiente acido è utile e favorisce la crescita
dei bifidobatteri.

Che il caffè contenga caffeina o meno è indifferente, quello che


ci interessa sono soprattutto le fibre. Va detto, però, che la
caffeina ha un effetto secondario curioso, ossia svolge
un’“azione lipolitica”. I lipidi sono grassi e lýsis significa
“scioglimento, dissoluzione”. Potremmo dunque tradurre
lipolitico con “sciogligrassi”. Suona bene, no? La caffeina
riesce a liberare acidi grassi dal tessuto adiposo, trasferendoli
nelle vie ematiche. Se gli acidi grassi vengono consumati
tramite il movimento, il girovita ringrazia. Se invece ce ne

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restiamo seduti in ufficio, dopo qualche tempo gli acidi grassi
ritrovano la via che conduce al morbido tessuto adiposo. Chi
vuole trarre un doppio vantaggio da questa bevanda dovrebbe
dunque bere una tazza di caffè non decaffeinato circa mezz’ora
prima di fare sport. Non che così perda di colpo cinque chili di
grasso, ma… si sa, la goccia scava la roccia.

IL PH: RINFRESCHIAMOCI LA MEMORIA

Il pH definisce il grado di acidità. Un valore pari a 7,0 è neutro, cioè né acido né


basico; un valore superiore è basico, un valore inferiore è acido. Un normale
sapone per le mani ha un pH pari all’incirca a 9, il succo d’arancia a circa 3,5.
Questo valore è importante anche per l’intestino. A seconda del lavoro digestivo
che deve svolgere, ogni tratto è più o meno acido. Per la presenza di acido
cloridrico, nello stomaco abbiamo un pH terribilmente acido, compreso tra 1,0 e
1,5. Anche l’intestino crasso ha bisogno di un ambiente acido. Gli antibiotici o
un’alimentazione scorretta portano il pH verso valori basici. I batteri snelli e
belli invece, se ben alimentati, si prendono cura dell’ambiente che li circonda e
lo fanno tornare acido.

Chi non ama particolarmente il caffè può far felici i propri


batteri intestinali anche con dei surrogati, per esempio con il
caffè di cicoria, per quanto esso non sia particolarmente
apprezzato. Ai bifidobatteri, ai batteroidi eccetera l’opinione
della gente non interessa, perché il caffè di cicoria fornisce cibo
di ottima qualità in forma di inulina e oligofruttosio.

IL CAFFÈ? MEGLIO SE LISCIO

Il caffè è tra i generi voluttuari analcolici più amati, ed è molto più sano di
quanto non lasci supporre la sua fama. Scienziati austriaci e francesi sono
riusciti a dimostrare che, trascorso un tempo che va da una a quattro ore dopo il
consumo dello stimolante, nelle cellule si attiva un processo che le purifica e le
disintossica. Importante: questo discorso vale solo per il caffè liscio.
L’aggiunta di latte ne manda in fumo l’effetto benefico. Anche la carne, il
formaggio e le uova dovrebbero essere consumati preferibilmente non insieme
al caffè nero, ma prima o dopo un certo intervallo di tempo. Però potete
macchiare il caffè con bevande vegetali come quelle a base di soia o di
mandorla. Per quanto riguarda le fibre, che beviate il caffè con o senza caffeina

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è indifferente, l’effetto è lo stesso.

I probiotici danno man forte alla squadra


dei batteri dimagranti
I probiotici sono allo stesso tempo salutari e utili per la dieta. Si
tratta di batteri bendisposti nei nostri confronti, che
appartengono perlopiù al gruppo dei lattobacilli, dei
bifidobatteri e dei batteri del tipo E. coli. Se volete perdere peso,
vi converrà cercare di conoscerli meglio.

I batteri intestinali giusti salvano la vita


Se dovete proteggere una fortezza dai guerrieri nemici, le vostre
chance aumentano quanti più difensori avete dalla vostra parte.
Anche l’intestino è sottoposto agli attacchi di microrganismi
“nemici”: funghi, salmonelle o clostridi sono solo alcuni fra
quelli che vorrebbero proliferare e prendere il controllo
dell’intestino. Ma possono farlo solo se i difensori “buoni” sono
deboli e in minoranza. Se, a causa di una scorretta
alimentazione o dell’uso di antibiotici, il vostro esercito si
ritrova temporaneamente o definitivamente in inferiorità
numerica mentre sopraggiunge la minaccia di un attacco di
batteri cicciottelli o di germi che provocano la diarrea, potete
chiamare in soccorso truppe di probiotici.

È stato per caso che, quasi un secolo fa, si è capito quanto sono
buoni con noi i batteri gentili: durante la prima guerra mondiale,
nelle trincee dei Balcani imperversavano gravi epidemie di
diarrea che provocarono la morte di molti soldati. Solo un
sottufficiale venne del tutto risparmiato, e questo fece venire
un’idea al medico tedesco Alfred Nißle, che dalle feci di
quest’uomo isolò un determinato ceppo batterico. In seguito lo
fece brevettare e gli diede in aggiunta il suo nome: “E. coli

101
Nissle 1917”. In un esperimento che oggi forse definiremmo
crudele, somministrò i batteri intestinali del sottufficiale ad altri
soldati; in questo modo riuscì a proteggerne alcuni dalla diarrea
e addirittura a guarirne altri da forme gravi della malattia.
Evidentemente i batteri del sottufficiale erano molto efficaci nel
respingere i germi patogeni.

È ciò che li rende ancora oggi interessanti. Un secolo dopo,


medici e naturopati continuano a curare la diarrea con i
successori dei microrganismi prelevati dall’intestino di quel
soldato.

Ma perché questo batterio è riuscito a tenere alla larga con tanta


bravura i germi pericolosi, forse salvando la vita al suo
“ospite”? Il batterio ha caratteristiche straordinarie. Per
esempio, è capace di assimilare più ferro rispetto ai suoi
concorrenti, quindi li supera nella lotta per ottenere i posti
migliori nell’intestino. Inoltre l’E. coli Nissle è in grado di
impedire agli intrusi di agganciarsi alla parete intestinale, così
questi vengono cacciati fuori con la successiva evacuazione.
Infine, i germi producono anche una sostanza difensiva che
allontana funghi, virus e alcuni batteri cattivi.

Dove trovare questi magnifici signori?


Probabilmente avete già sentito parlare dei “probiotici”, perché
ormai sono anni che questo concetto viene usato per
pubblicizzare soprattutto gli yogurt che contengono fermenti
lattici vivi. La parola “probiotico” d’altronde è decisamente più
invitante rispetto a una frase come: “Questo yogurt contiene
milioni di batteri intestinali”. Con grande probabilità, un
prodotto del genere lo riporremmo schifati sullo scaffale.

Ma anche senza consumare bevande probiotiche possiamo


sfruttare a nostro vantaggio questi microrganismi. Fin dai tempi
biblici si è data una grande importanza all’azione degli alimenti

102
fermentati e dei batteri che essi contengono (benché all’epoca
non si conoscessero affatto i batteri per ciò che sono). E l’età
ragguardevole di Abramo è stata ricondotta al consumo regolare
di prodotti a base di latte acido.

Anche le nostre nonne producevano in casa alimenti fermentati


per mezzo di batteri, per esempio i crauti. Essi contengono
grandi quantità di microrganismi probiotici. Ma, come
senz’altro avrete imparato a scuola nelle ore di biologia, per
uccidere i batteri si usa il calore: per non correre nessun rischio,
per esempio, i biberon si sterilizzano facendoli bollire e le uova
si mangiano perlopiù cotte. Anche i crauti che acquistiamo al
supermercato vengono riscaldati, perché così si conservano
meglio e hanno un sapore meno deciso. In questo modo, però,
non sono più davvero “probiotici”. Certo, contengono ancora
acido lattico, un prodotto metabolico dei lattobacilli, ma dei
microrganismi purtroppo non c’è più traccia. È meglio quindi,
ogni tanto, comprare crauti freschi nei negozi di prodotti
biologici e naturali o direttamente nei punti vendita delle
aziende agricole. E poi non vanno scaldati, ma mangiati crudi.

Anche altri alimenti fermentati, per esempio il latticello, lo


yogurt non sottoposto a trattamento termico, il kefir, il miso e il
kimchi forniscono grandi quantità di probiotici come i
lattobacilli e i bifidobatteri.

C’è poi la possibilità di assumere preparati probiotici, che


contengono perlopiù lattobacilli, bifidobatteri e batteri del tipo
E. coli. Essi appartengono alla flora acidificante dell’intestino e
fanno in modo di creare un clima gradito ai batteri snelli e belli.

Tuttavia è meglio fare attenzione a non esagerare con i


lattobacilli, se volete dimagrire. Come già sapete, nella stessa
famiglia di batteri possono trovarsi fratelli e sorelle con caratteri
spesso differenti. Anche per i lattobacilli è lo stesso. È vero che

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non creano difficoltà e sono considerati probiotici sani, ma si
sospetta che alcuni facciano aumentare di peso: i Firmicutes, per
esempio, che fanno parte della famiglia dei batteri cicciottelli.
In quantità moderate, i lattobacilli non danno problemi. Nella
scelta di un preparato probiotico, però, è meglio privilegiare i
bifidobatteri.

I probiotici influenzano la produzione di enzimi


La maggior parte dei microrganismi intestinali probiotici non si
insedia in forma stabile nel nostro tratto digerente. Sono
comunque efficaci, perché influenzano il comportamento dei
batteri che invece vi hanno residenza fissa. Tuttavia, questo
accade solo nel periodo determinato in cui le persone assumono
gli appositi preparati con regolarità, come dimostra una ricerca
su sette coppie di gemelli monozigotici. Uno dei due ha
consumato ogni giorno, per sette settimane, uno yogurt
probiotico con cinque diverse colture di batteri vivi, l’altro uno
yogurt senza microrganismi. Alla fine si è visto che, nel primo
gruppo di gemelli, due ceppi batterici non sono riusciti ad
arrivare fino all’intestino, perché per strada sono caduti vittime
degli acidi gastrici o di altri batteri intestinali. Gli altri tre hanno
raggiunto la meta, ma non sono stati in grado di stabilirvisi
definitivamente. Qualcosa però è successo: influenzati dai nuovi
arrivati, i microrganismi già presenti nell’intestino hanno
modificato la produzione di enzimi, generando quantità
maggiori o minori dell’uno o dell’altro messaggero chimico.
Questi enzimi sono, fra l’altro, gli strumenti che i batteri
intestinali adoperano per scomporre i carboidrati. Con
esperimenti successivi, Nathan McNulty e i suoi colleghi della
Washington University School of Medicine di St. Louis sono
riusciti a dimostrare ben più di ottanta trasformazioni nei batteri
intestinali.

Come sfruttare al massimo i probiotici?


Gli scaffali dei supermercati sono pieni di deliziosi yogurt da

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bere che promettono un’azione probiotica. Anche nelle farmacie
e in Internet si trovano parecchi alimenti contenenti batteri
intestinali. In cucina o nella dispensa, poi, abbiamo crauti, kefir
e simili, che aspettano solo di essere mangiati. Otterrete i
risultati migliori se seguite queste dritte:

1. Consumo regolare
Che effetti potete mai aspettarvi, se mettete nel carrello della
spesa uno di questi prodotti una volta ogni tanto? Siamo sinceri:
ben pochi! Non certo per colpa dei prodotti, che contengono
davvero il ceppo intestinale reclamizzato, e nella quantità
indicata. Gli operosi batteri che ci aiutano, infatti, devono essere
assunti regolarmente, meglio se tutti i giorni. Purtroppo,
assaggiare uno yogurt probiotico una volta ogni tanto non serve
a niente, perché i microrganismi introdotti dall’esterno non si
ambientano così in fretta nell’intestino. Per fare effetto devono
essere “rabboccati” di continuo. L’assunzione sporadica è
perlopiù inutile. Naturalmente nessuno ha voglia di mangiare
crauti tutti i giorni per aiutare la flora batterica, ma oltre ai
batteri gli alimenti probiotici contengono anche acido lattico, e
questo migliora il clima generale nell’intestino. La varietà nella
dieta, insomma, è importantissima, tuttavia ogni settimana
bisognerebbe portare in tavola più volte yogurt, crauti e simili.

2. La fedeltà è la chiave del successo


Anche chi va al supermercato e compra ogni volta un probiotico
nuovo rimarrà deluso. I vari produttori adoperano ceppi batterici
diversi, e cambiare di continuo ostacola l’insediamento dei
microrganismi e la loro capacità di influenzare la flora
intestinale già esistente. Chi non riesce a resistere all’offerta
variegata e prova sempre qualcosa di diverso, quindi, non noterà
nessun effetto. Per stabilirsi nell’intestino, i batteri hanno
bisogno di tempo e di un’ininterrotta ricarica. Quindi: una volta
individuato un prodotto con cui ci troviamo bene, dovremmo
assumerlo regolarmente e per lungo tempo, se possibile tutti i

105
giorni. Passare a un alimento che contiene un altro ceppo
batterico è come interrompere una terapia.

3. Attenzione al numero di batteri


Per vedere effetti tangibili, bisognerebbe assumere almeno
cento milioni di batteri probiotici tutti i giorni e per un periodo
abbastanza lungo. I prodotti che troviamo al supermercato
contengono davvero la quantità di batteri promessa, ma un po’
alla volta essa diminuisce. Più si avvicina la data di scadenza,
più scende il numero di batteri utili. È quindi preferibile
acquistare prodotti molto freschi.

4. Scegliere il prodotto giusto


Qual è il migliore? Nemmeno gli esperti sono in grado di
rispondere. I batteri intestinali che in una determinata bevanda
dovrebbero rafforzare le difese immunitarie non
necessariamente risultano utili per perdere peso. Può addirittura
succedere il contrario, come abbiamo già visto parlando dei
lattobacilli. È fondamentale, inoltre, rimanere fedeli al tipo di
probiotico di quel determinato produttore con cui ci siamo
trovati bene. Fra l’altro, non tutte le aziende indicano sulla
confezione il ceppo batterico che prevale nello yogurt. Anche
un normalissimo yogurt bianco naturale può fornire
microrganismi utili. L’importante è che non sia stato sottoposto
a un trattamento termico. Se il vostro obiettivo è perdere peso,
vi suggerisco di puntare soprattutto sui bifidobatteri. Una buona
alternativa è data dai probiotici in polvere o in capsule,
acquistabili in farmacia.

5. Nutrire i nuovi batteri in maniera adeguata


L’efficacia dei probiotici non è assicurata se i batteri rimangono
senza mangiare. Se mancano i prebiotici, i probiotici non si
insediano. È importante, quindi, assumere nello stesso tempo
una quantità sufficiente di “cibo per batteri”, cioè dei cosiddetti
prebiotici. Se ben alimentati, i batteri intestinali buoni come i

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bifidobatteri e i lattobacilli cominciano subito a moltiplicarsi.
Per fortuna i germi patogeni e quelli che fanno ingrassare non
trovano particolarmente interessanti i prebiotici, anzi spesso non
sono proprio capaci di digerirli. Chi vuole essere sicuro al cento
per cento dovrebbe far ricorso ai simbiotici, preparati che
contengono sia i batteri sia il loro cibo. Ma si ottiene lo stesso
effetto anche, per esempio, mangiando un soufflé all’indivia
belga e, come dessert, un bicchiere di kefir con la frutta.

ALTRI CINQUE MOTIVI PER CUI I PROBIOTICI FANNO BENE

1. Peso
Alcuni probiotici, soprattutto i bifidobatteri, sono un valido aiuto per chi
vuole perdere peso.

2. Sistema immunitario
La flora batterica è un alleato importante per l’addestramento del sistema
immunitario. Se i batteri intestinali stanno bene, ne traggono vantaggio anche
le difese del corpo. Varie ricerche hanno dimostrato che l’assunzione regolare
di probiotici può far diminuire la predisposizione alle infezioni.

3. Salute dell’intestino
Naturalmente l’intestino è il primo luogo nel corpo in cui i batteri hanno
modo di svolgere un’azione benefica. I probiotici possono offrire una
protezione preventiva dalla diarrea del viaggiatore o far passare più in fretta
un attacco di dissenteria. Sono utili anche dopo una terapia antibiotica, perché
grazie a loro gli episodi di diarrea e i problemi di stomaco risultano molto più
rari. Si sono dimostrati validi anche in caso di infiammazioni croniche come
la colite ulcerosa o il morbo di Crohn, oltre che per la terapia del colon
irritabile.

4. Allergie
Ormai sono molte le prove a conferma del fatto che i neonati nutriti con
probiotici nella prima settimana di vita si sono ammalati molto meno di
dermatite atopica. Sembra che, se sono all’opera i batteri intestinali giusti,
anche l’asma insorga con meno frequenza.

5. Salute psichica
Il collegamento fra l’intestino e lo stomaco e la loro stretta collaborazione
fanno sì che, a volte, i probiotici siano utili anche ai pazienti che soffrono di
depressione e ansia. Inoltre si è visto che i sintomi di determinate forme di
autismo sono migliorati dopo una terapia con probiotici.

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Qui di seguito sono elencati i risultati di
una selezione di ricerche che
documentano quali sono i batteri più
efficaci per il raggiungimento di certi
obiettivi o contro varie malattie:
• Perdita di peso = Bifidobacterium breve, Lactobacillus
plantarum, Lactobacillus gasseri
• Rafforzamento delle difese immunitarie = Lactobacillus
rhamnosus GG
• Diarrea acuta = Lactobacillus rhamnosus GG
• Colite ulcerosa = E. coli Nissle 1917, Saccharomyces
boulardii
• Morbo di Crohn = Saccharomyces boulardii
• Dermatite atopica = Lactobacillus rhamnosus GG
• Sindrome del colon irritabile = Lactobacillus plantarum

RIASSUNTO:

COME FARE AMICIZIA CON I BATTERI INTESTINALI

Portate in tavola più spesso prelibatezze per i batteri. Cercate in Internet


ricette ricche di prebiotici.
Usate verdure il più possibile fresche. Se vengono conservate a lungo in
magazzino, diminuisce non solo il contenuto di sostanze nutritive, ma
anche la qualità del cibo per i batteri.
Per il pane e i dolci sostituite il dieci per cento della farina con farina
contenente inulina o con inulina in polvere (si trova nei negozi di alimenti
biologici e naturali).
Come dolcificante usate lo sciroppo di Yacón.
Bevete pure senza preoccuparvi qualche tazzina di caffè, ma non
macchiatelo con il latte: i batteri ve ne saranno grati. La qualità che
preferiscono in assoluto è il caffè istantaneo, ma apprezzano anche
l’espresso e il caffè americano. Una buona alternativa è il caffè d’orzo: non

108
fornisce fibre solubili, ma in cambio contiene inulina.
I batteri possono essere alimentati anche con un integratore che contenga
inulina. Così è più facile nutrirli ogni giorno nel modo giusto e mantenere
in salute l’intestino.
I probiotici, inoltre, fanno sì che nell’intestino il clima sia gradevole.
Aumentate il consumo di alimenti fermentati come i crauti (non cotti), i
cetriolini sottaceto e le aringhe, o bevete prodotti a base di latte come il
kefir.

Strategia numero 2: le fibre, un alleato


prezioso
Non è detto che tutte le fibre siano automaticamente cibo per
batteri, ma anche le sostanze fibrose che essi rifiutano sono
importanti per l’intestino e per la linea: saziano più a lungo,
abbassano il tasso glicemico e stimolano i movimenti intestinali,
che favoriscono una buona digestione e impediscono la
stitichezza. Inoltre le fibre fanno letteralmente ordine, dato che
uno dei loro compiti principali è la pulizia dell’intestino. Le
sostanze fibrose assorbono le tossine e le portano con sé
all’esterno del corpo. Dopo un pasto ricco di lipidi, legano i
grassi saturi, e più ne catturano, minore è il rischio che si
trasformino in rotolini di ciccia. E anche il tasso di colesterolo
rimane basso.

La carenza di fibre ci complica la vita


Per colpa di Denis Parsons Burkitt, negli anni Ottanta i bambini
in età scolare dovettero mandare giù quantità spropositate di
crusca di frumento e di avena, versate ogni mattina sui corn-
flakes da genitori in ansia. All’inizio degli anni Settanta, infatti,
il chirurgo e medico tropicale irlandese affermò: “Un popolo
che evacua poco ha bisogno di grandi ospedali”. In questo modo

109
portò le fibre al centro dell’interesse dell’opinione pubblica.
Durante i suoi soggiorni in Africa si era reso conto che le
tipiche malattie del progresso, di cui soffrivano i suoi
connazionali, laggiù erano sconosciute. Analizzò le feci di
abitanti autoctoni dell’Africa, di bambini britannici e di marinai
inglesi, ed ecco quanto emerse: negli africani il cibo non solo
sfreccia via nell’intestino in maniera decisamente più veloce,
ma il prodotto finale della digestione è tre volte più abbondante
rispetto a quello degli europei. Se le sue teorie sul nesso tra il
cancro intestinale e l’introduzione di fibre oggi sono
ampiamente confutate, gli va comunque riconosciuto il merito
di aver reso l’opinione pubblica consapevole dell’esistenza di
queste sostanze difficili da digerire. Ognuno di noi dovrebbe
consumare almeno 30 grammi di fibre al giorno, meglio ancora
se di più. Ma la maggior parte delle persone è ben lontana da
questo obiettivo. In Germania, per esempio, si assumono in
media tra i 20 e i 25 grammi di fibre; due terzi degli uomini e
tre quarti delle donne non raggiungono il magico obiettivo dei
30 grammi giornalieri.

CINQUE TRUCCHI PER AUMENTARE L’APPORTO DI FIBRE

Ma come si fa a portare in tavola e quindi nello stomaco 30 grammi o più di


fibre al giorno? Ci sono molti alimenti gustosi che forniscono ottime
quantità di fibre e hanno un buon sapore. Per raggiungere la dose
raccomandata, tuttavia, dobbiamo combinare gli alimenti in maniera
intelligente. Ecco qualche trucco.

TRUCCO 1: UNA COLAZIONE PIÙ RICCA


Cominciate a pensare alle fibre fin dal mattino, durante la colazione. Un
müsli a base di fiocchi integrali è sempre un’ottima cosa. Magari
aggiungeteci una mela (con la buccia!) tagliata a pezzetti, oppure dei semi di
lino, di sesamo o un po’ di noci spezzettate. Anche i lamponi, i mirtilli e le
more, freschi o surgelati, danno circa 5 grammi di fibre ogni 100 grammi.
Arricchite i vostri pasti con altri alimenti ricchi di fibre.

TRUCCO 2: SE VI PIACCIONO, DATE LA PRECEDENZA AI


CEREALI INTEGRALI

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Non è detto che il pane, la pasta o il riso integrali non siano saporiti. Essi
forniscono quantità notevoli di fibre capaci di saziarci: in 100 grammi di
pasta integrale ci sono quasi 9 grammi di fibre, mentre la stessa quantità di
pasta bianca ne contiene solo 3,5 grammi. Se non siete proprio dei fan della
pasta integrale, mescolatela con un po’ di pasta bianca. Fate attenzione, però,
ai diversi tempi di cottura: può darsi che dobbiate iniziare a cuocere la pasta
integrale un po’ prima.

Anche il pane integrale è ottimo dal punto di vista dell’apporto di fibre, ma


non a tutti piace. Per chi non ama i cibi troppo grezzi, esiste del pane
integrale fatto con una farina macinata molto fine. A prima vista non si
notano tutte le virtù di questi pani, e nemmeno il sapore sembra così
“salutare” come quello di un pane integrale grezzo. La cosa migliore è
chiedere consiglio al fornaio.

Attenzione, però: non tutto il pane scuro con i semi sparsi sulla crosta è pane
integrale. Spesso l’impasto è a base di farina bianca e viene semplicemente
scurito con il malto o con del colorante al caramello. Meglio sempre
informarsi. Chi compra pane sfuso faccia attenzione alle etichette
nutrizionali.

TRUCCO 3: NOCI, FRUTTI DI BOSCO, CIBI CRUDI


Se introducete nel vostro menu noci o frutti di bosco e consumate a ogni
pasto un’insalata, verdure o altri alimenti crudi, a fine giornata il bilancio
delle fibre sarà corretto. La maggior parte delle persone è convinta che le noci
facciano ingrassare, perché sono molto caloriche.

Vari studi hanno invece dimostrato che, in genere, chi mangia noci ha un
peso inferiore a chi le esclude dalla dieta o, meglio, che aumentare il
consumo di noci non porta a un incremento di peso, ma addirittura a perdere
chili. Probabilmente dipende dalla loro buona capacità saziante. Le noci
raggiungono la massima efficacia se mangiate a colazione o a pranzo. Chi le
sgranocchia la sera davanti al televisore, al contrario, in genere si carica di
chili, perché di notte non si trae vantaggio dal loro effetto saziante.

TRUCCO 4: AUMENTARE GRADUALMENTE LE DOSI


Chi finora si è nutrito soprattutto di alimenti facili da digerire come il pane
bianco e il riso brillato non deve adesso passare da 0 a 30 grammi di fibre nel
giro di due giorni. L’intestino sarebbe messo un po’ troppo sotto pressione,
perché ha bisogno di tempo per rafforzare le truppe di batteri capaci di
digerire le fibre. Il rischio, altrimenti, è di soffrire di mal di pancia e
flatulenze. Quindi: aumentate le dosi in maniera lenta, ma costante.

TRUCCO 5: BERE A SUFFICIENZA

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Alcune fibre si gonfiano e assorbono acqua. Se aumenta l’apporto di fibre,
quindi, allo stesso tempo bisogna bere di più, il che, fra l’altro, è comunque
utile per la dieta. Naturalmente è meglio consumare solo bevande non
caloriche come acqua, tè, caffè o caffè d’orzo. È molto importante bere
quando si mangia crusca, perché essa fornisce tantissime fibre, ma assorbe
una quantità d’acqua da quattro a cinque volte superiore al suo peso. Per ogni
cucchiaio di crusca bisognerebbe quindi bere un bicchiere in più, altrimenti
nell’intestino si crea un “tappo di crusca”.

I CAMPIONI DELLE FIBRE

PIÙ DI 20 GRAMMI DI FIBRE PER 100 GRAMMI


Semi di lino e papavero, crusca di frumento

TRA 15 E 20 GRAMMI DI FIBRE PER 100 GRAMMI


Piselli, ceci, fagioli bianchi, fagioli rossi, sedano

TRA 10 E 15 GRAMMI DI FIBRE PER 100 GRAMMI


Lenticchie, arachidi, noci di Macadamia, mandorle, pistacchi, knäckebröd,1
carciofi (contengono anche inulina)

TRA 5 E 10 GRAMMI DI FIBRE PER 100 GRAMMI


Nocciole, noci, mirtilli, ribes nero, lamponi, müsli alla frutta,
Pumpernickelbrot,2 pane integrale di segale, pane integrale di frumento

TRA 3 E 5 GRAMMI DI FIBRE PER 100 GRAMMI


Ribes rosso, more, cavoletti di Bruxelles, pastinaca (contiene anche inulina),
broccoli, cavolo nero, finocchio, carote, peperoni

RIASSUNTO
LE FIBRE HANNO MOLTI PREGI:
riempiono lo stomaco,
regolano la produzione di “ormoni della sazietà”,
richiedono un grosso impiego di energia per essere demolite, il che
comporta un consumo calorico supplementare,
mantengono stabile il tasso glicemico, quindi c’è bisogno di meno insulina
per ridurre lo zucchero, inoltre le cellule adipose possono essere
smantellate più facilmente,
impediscono che l’intestino si impigrisca e che soffriamo di stipsi,
(alcune) svolgono un’azione prebiotica e nutrono i batteri snelli e belli.

112
Per una vita “più ricca di batteri” potete usare qualche stratagemma: arricchite la
vostra dieta soprattutto con frutti di bosco, legumi, verdure, noci e semi, che
contengono molte sostanze fibrose. Importante: bevete a sufficienza!

Strategia numero 3: rafforzare la


barriera intestinale
La barriera intestinale controlla cosa può uscire dall’intestino e
finire nel corpo, e cosa invece va eliminato. Per farlo dev’essere
spessa e resistente. A volte, però, il nostro stile di vita e la
presenza di sostanze esterne potenzialmente nocive la
danneggiano. Il sistema immunitario reagisce a ciò che, dal tubo
digerente, passa alla parete intestinale o la penetra, e insorgono
infiammazioni che fanno schizzare in alto il peso.

I batteri, custodi dell’intestino


I batteri, ormai lo sapete bene, sono importantissimi per
l’integrità dell’intestino. Se non ci fossero, le cellule intestinali
farebbero fatica a rigenerarsi e non avrebbero a disposizione
acidi grassi in quantità sufficienti, quando invece ne hanno
urgente bisogno. Sono i custodi tuttofare dell’intestino:
riparano, aggiustano, puliscono a fondo, tappano i buchi. Poco
fa avete letto come far sì che questo servizio di assistenza
raggiunga il top.

Ci sono poi sostanze nutritive di grande utilità per la mucosa


intestinale. Essa è particolarmente ricca di lipidi; fra questi, è
fondamentale la lecitina (fosfatidilcolina), che funziona come
una sorta di “colla”: chiude le fessure tra le cellule e può
migliorare notevolmente le condizioni della mucosa. Le
sostanze nocive idrosolubili non riescono a penetrare in una

113
barriera intestinale intatta. Compensare una carenza di lecitina
può restituire all’intestino il suo rivestimento protettivo. In
natura la lecitina è presente in molti alimenti, per esempio nella
soia e nelle uova; si può assumere inoltre come integratore
alimentare, da acquistare in farmacia.

Lo zucchero, in particolare l’apparentemente sano fruttosio, è


uno di quegli alimenti che fanno disperare le nostre viscere. Una
strategia efficace per evitare i “buchi nell’intestino” consiste nel
bloccare le infiammazioni: si può fare benissimo attraverso la
dieta quotidiana. Risultano utili, in funzione antinfiammatoria,
soprattutto determinate spezie e acidi grassi.

Il fruttosio è (mal)sano?
Il fruttosio fa pensare alle vitamine, alla natura. I suoi effetti
sulla salute, però, non sono così buoni come la fama di cui
gode, al contrario. La barriera intestinale soffre parecchio se nel
tratto digerente arriva troppo fruttosio. Questo zucchero non è,
come fa pensare il nome, contenuto solo nella frutta e nei
succhi: viene aggiunto spesso e volentieri ai prodotti industriali.
I consumatori infatti lo ritengono più sano del classico zucchero
bianco, inoltre ha un buon potere dolcificante.

Una volta il fruttosio si adoperava come surrogato per i


diabetici, oggi non più. Nel corso dell’evoluzione gli uomini si
sono abituati a questo zucchero della frutta e della verdura e
hanno imparato a digerirlo, ma deve rimanere in quantità
moderate. I nostri antenati ne assumevano probabilmente fra i
15 e i 20 grammi al giorno, e l’intestino era perfettamente in
grado di tollerarlo. Questa quantità, però, è stata superata di
molto. Oggi un americano mangia in media 50 grammi di
fruttosio al giorno, i giovani arrivano persino a 70 grammi e
oltre. Ma anche in Europa i succhi di frutta, le limonate, i

114
latticini per bambini, le barrette dietetiche, i gelati e i succhi
all’ACE contengono grandi quantità di fruttosio. I bambini
tedeschi, per esempio, raggiungono spesso i 50 grammi di
fruttosio al giorno. Così però la capacità di assimilazione di
questo zucchero è presto superata, e allora inevitabilmente
arrivano i problemi. Si è osservato che, considerando persone
adulte con l’intestino sano, una su due comincia ad avere
problemi se si trova a dover digerire 50 grammi di fruttosio.

ALIMENTI CHE CONTENGONO MOLTO FRUTTOSIO:


zucchero bianco comune
miele
succhi di verdura e di frutta
bibite
frutta
marmellata
prodotti per diabetici dolcificati con il fruttosio

Ricerche recentissime hanno dimostrato che, se assunto in


quantità elevate, il fruttosio non solo danneggia la barriera
intestinale, ma stimola anche la formazione del tessuto adiposo,
sazia meno rispetto ad altri carboidrati e addirittura stimola
l’appetito. Insomma, riducete la quantità giornaliera di fruttosio!
Niente da dire contro la frutta fresca, ma evitate gli alimenti a
cui viene aggiunto molto fruttosio. Il comune zucchero bianco è
composto per metà di fruttosio, il miele per più di un terzo. I
produttori si fanno spesso pubblicità con il “fruttosio”, oppure
usano, nell’elenco degli ingredienti, la dicitura “sciroppo di
glucosio-fruttosio”. Suona bene, sembra sano, invece non lo è.
Se soffrite di problemi intestinali, e questi si manifestano
soprattutto dopo aver mangiato dolciumi o bevuto bibite e
succhi di frutta, fareste bene a ridurre il fruttosio.

115
Infiammazioni che fanno ingrassare
Come abbiamo visto, le infiammazioni possono far aumentare
di peso, perché il corpo tende ad accumulare tessuto adiposo. E
il sovrappeso a sua volta favorisce le infiammazioni, perché le
cellule adipose gettano, letteralmente, “benzina sul fuoco”: nelle
cellule adipose rigonfie, infatti, si attivano processi
infiammatori che possono mettere in circolo messaggeri chimici
capaci di accendere nuove infiammazioni in altre parti del
corpo.

Spesso è tutt’altro che facile uscire da questo circolo vizioso.


Oltre alle sostanze infiammatorie prodotte nelle cellule adipose,
conta anche l’alimentazione: secondo alcune stime, la tipica
dieta occidentale moderna fornisce una dose di sostanze
infiammatorie almeno trenta volte maggiore rispetto a un secolo
fa. È quindi assolutamente consigliabile passare a
un’alimentazione che comprenda cibi in grado di bloccare le
infiammazioni. Ormai si sa che esse possono essere influenzate
dal tipo e dalla composizione della dieta: la natura infatti offre
in abbondanza alimenti e spezie antinfiammatori.

Le infiammazioni croniche non danneggiano solo l’intestino e la


linea. Possono accelerare i processi d’invecchiamento e far
insorgere malattie in tutto l’organismo. Sono state dimostrate
correlazioni tra malattie infiammatorie da un lato e, dall’altro,
arteriosclerosi, infarto, ipertensione, invecchiamento cutaneo,
diabete senile, morbo di Alzheimer/demenza, ictus e cancro. Se
in futuro osserverete una dieta “anti-infiammazioni”, non vi
limiterete a perdere peso più facilmente, ma vi sentirete meglio
nel complesso, sarete più produttivi e contrasterete il processo
di invecchiamento.
ALIMENTI CHE BLOCCANO O FAVORISCONO LE
INFIAMMAZIONI

116
HANNO UN POTERE ANTINFIAMMATORIO SOPRATTUTTO:
gli omega-3 (olio di pesce, determinati oli vegetali, certi tipi di noce),
carboidrati a lenta assimilazione e fibre che non fanno aumentare il tasso
glicemico (anche l’insulina, l’ormone che abbassa il livello di glucosio,
causa stress infiammatorio),
spezie con proprietà antinfiammatorie,
sostanze protettive (antiossidanti) ricavate dalla frutta e dalla verdura.

FAVORISCONO LE INFIAMMAZIONI SOPRATTUTTO:


gli omega-6 (determinati oli vegetali e la margarina che se ne ricava, certi
tipi di noce),
lo zucchero e i carboidrati a rapida assimilazione.

I grassi possono far dimagrire


Una dieta che renda felici i nostri batteri intestinali non
dovrebbe contenere troppi lipidi. Ma non va bene nemmeno
eliminarli del tutto. Ciò che conta è portare in tavola i grassi
“giusti”, che possono addirittura farci dimagrire: in alcuni
esperimenti si è visto che a perdere peso con meno difficoltà
erano le persone che arricchivano la loro dieta con alimenti
come le noci e l’olio di oliva.

I lipidi dovrebbero essere composti soprattutto da acidi grassi


monoinsaturi e polinsaturi di alta qualità, quelli che si trovano
negli oli vegetali, nel pesce e nella selvaggina. Essi non solo
favoriscono il calo di peso, ma frenano anche i processi
infiammatori. In una dieta, quindi, una dose moderata di grassi è
di grande utilità, mentre un’alimentazione ricca di grassi può
ostacolare lo sviluppo di una flora intestinale sana.

Ma dove si trovano i grassi “giusti”? Forse avrete già sentito


parlare degli acidi grassi “omega-3” e “omega-6”. Si tratta in
entrambi i casi di acidi grassi insaturi, che però producono
effetti opposti. Sono importanti perché, con le loro peculiari

117
caratteristiche, possono frenare o avviare determinati processi
nell’organismo, a seconda di cosa serve in quel momento. Gli
omega-3 bloccano le infiammazioni, gli omega-6 le
favoriscono; i primi rendono il sangue fluido, i secondi
stimolano la coagulazione ematica. È solo se entrambi vengono
introdotti nella giusta dose tramite la dieta che si produce una
situazione di equilibrio.

Con l’alimentazione moderna, che comprende grandi quantità di


carne e insaccati, il consumo frequente di prodotti industriali e
la carenza di alimenti naturali, ostacoliamo il rapporto omega-
6/omega-3 nel corpo. In Occidente questo rapporto è diventato
talmente critico che alcuni nutrizionisti parlano di un’“epidemia
di infiammazioni croniche”. Nella nostra alimentazione, infatti,
c’è un eccesso di omega-6, mentre gli omega-3, che svolgono
un’azione antinfiammatoria, sono assai carenti.

L’ideale giapponese del 2:1


Nei nostri antenati il rapporto omega-6/omega-3 era ancora di
uno a uno: gli omega-6 e gli omega-3 (fondamentalmente ci
servono entrambi) erano cioè in una proporzione equilibrata.

Nella cucina tradizionale giapponese si è riscontrato un valore


straordinario: il rapporto è infatti di due a uno. La dieta
dell’Occidente, invece, si allontana da questo ideale in maniera
a volte drammatica. Assumiamo quantità spropositate di omega-
6, che favoriscono le infiammazioni, e troppo pochi omega-3 ad
azione antinfiammatoria. Da noi il rapporto è di circa quindici a
uno. Ed è una proporzione pericolosa: nel nostro organismo gli
omega-6 vengono trasformati in messaggeri chimici che
favoriscono le infezioni. Se presenti in eccesso, gli omega-6
ostacolano molti processi corporei e possono scatenare o
intensificare le infiammazioni. Lo slittamento del quoziente a

118
favore degli acidi grassi che stimolano le infezioni mette il
corpo in uno stato di infiammazione cronica e favorisce il
sovrappeso.

I lipidi che stimolano le infiammazioni si


trovano ovunque
Le cause principali di questi cambiamenti sono il consumo
eccessivo di carne e l’uso di oli vegetali “sbagliati”, troppo
ricchi di omega-6. In passato l’olio di cardo e l’olio di semi di
girasole, nonché le margarine che si producevano partendo da
queste sostanze, erano considerati particolarmente sani e se ne
raccomandava il consumo frequente. Tanto frequente, che
adesso bisogna di nuovo sconsigliarne l’utilizzo. Lasciate
perdere questi oli vegetali: l’olio di cardo, di semi di girasole e
di vinaccioli, in particolare, contengono una quantità di omega-
6 cento volte (!) superiore a quella di omega-3 (vedi la tabella).
Altri oli, soprattutto quello di lino, l’olio di colza e l’olio di
semi di canapa hanno un rapporto omega-6/omega-3
straordinario e quindi proteggono l’intestino: usateli pure
tranquillamente.

Anche pesci come il salmone, lo sgombro, il tonno e l’aringa


contengono il rimedio antinfiammatorio contro gli omega-6.

Un’assunzione abbondante di omega-3 ha un altro, simpatico


effetto secondario: svolge un’azione benefica sull’umore, sul
comportamento e anche sulla personalità (ricerche svolte presso
la University of Pittsburgh School of Medicine). Gli individui
con un’alta concentrazione di acidi grassi nel sangue sono
risultati più equilibrati, più ottimisti e rilassati, e hanno
manifestato una minore tendenza alla depressione. Il fabbisogno
giornaliero di omega-3 è di 600-1000 milligrammi. Se non

119
volete mangiare una o due volte alla settimana pesci ricchi di
grassi come il salmone, lo sgombro o l’aringa, né consumare
noci o usare regolarmente gli oli vegetali giusti, potete coprire il
fabbisogno di questi importanti acidi grassi anche assumendo
capsule di olio di pesce.
ACIDI GRASSI CHE AGISCONO CONTRO LO STRESS
INFIAMMATORIO

PESCI CON UN ALTO CONTENUTO DI OMEGA-3

Pesce/100 g omega-3 in mg
sgombro 2700
salmone 1800
aringa 1700
tonno 1600
sarda 1300

CONTENUTO DI OMEGA-6 E OMEGA-3 NEGLI OLI VEGETALI

Oli vegetali/100 ml omega-6 omega-3 omega-6/omega-3


olio di cardo 73,9 0,5 148:1
olio di vinaccioli 69,2 0,5 138:1
olio di semi di girasole 61,0 0,5 122:1
margarina (acido linoleico > 50 %) 41,1 0,5 82:1
olio di sesamo 41,4 0,7 59:1
olio di germe di mais 54,3 1,0 54:1
olio di semi di arachide 25,8 0,8 32:1
olio di oliva 8,6 0,8 11:1
olio di germe di grano 54,2 7,1 8:1
olio di soia 49,5 7,0 7:1
olio di noci 57,3 10,1 6:1
olio di semi di canapa 60,3 20,2 3:1
olio di colza 20,4 9,3 2:1
olio di lino 15,1 61,5 1:4
Fonte: Mod., tratto da: Ernährungsinformationssystem der Universität Hohenheim,
2005

120
CONTENUTO DI OMEGA-6 E OMEGA-3 IN SEMI E FRUTTA SECCA
A GUSCIO

Semi o frutta secca/100 g omega-6/mg omega-3/mg omega-6/omega-3


semi di lino 1600 6300 1:4
noci 10.000 2500 4:1
noci di Macadamia 360 60 6:1
castagne 120 15 8:1
sesamo 6000 100 60:1
semi di zucca 5800 50 116:1
semi di girasole 5400 20 320:1
arachidi 4400 0,8 5500:1
noci di cocco 100 - 100:0
Fonte: Mod., tratto da: United States Department of Agriculture (USDA), 2013

Curcuma e zenzero, un duo di


straordinaria efficacia per l’intestino e
per la linea
Vi piace il curry? Se la risposta è sì, è un’ottima notizia, perché
questo mix di spezie è composto soprattutto di curcuma, un
ingrediente molto diffuso nella cucina indiana e asiatica in
genere. Ci sono vari tipi di curry, tutti caratterizzati dal colore
giallo, e in India si usano per condire vari piatti a base di pollo,
pesce, lenticchie e verdure. Se non amate il curry, magari vi
piacerà la curcuma pura. In ogni caso, in futuro vi invito a usare
maggiormente questa spezia, che in India è da tempo
considerata un farmaco. Ormai esistono varie migliaia di studi
sulla curcuma e, per quanto riguarda l’intestino e il peso, si sono
scoperti solo effetti straordinari. Negli animali la curcuma
scioglie le cellule adipose, perché blocca loro il rifornimento
energetico.

121
Particolarmente interessante è anche il suo effetto
antinfiammatorio: le sostanze in essa contenute esercitano
un’azione diretta sul sistema a cascata tipico delle
infiammazioni e bloccano la formazione di sostanze
infiammatorie, con beneficio della barriera intestinale e della
linea. Inoltre alcune ricerche hanno dimostrato che la curcuma
offre una straordinaria protezione contro i radicali liberi e i
danni alle cellule. Dando alle cavie un po’ di curcuma prima di
somministrare loro un principio attivo fortemente irritante per la
mucosa intestinale, si sono potute impedire persino
infiammazioni intestinali. I polipi, considerati precursori del
cancro, si presentano meno spesso, se si consuma curcuma in
abbondanza o se addirittura la si assume come integratore
alimentare in forma di capsule. Ci sono dunque ottime ragioni
per ampliare il nostro orizzonte e introdurre in cucina una nuova
spezia, oltre ai classici sale e pepe. A proposito del pepe: in
condizioni normali, la curcuma viene riassorbita male
nell’intestino. Quando la usate, aggiungete un po’ di pepe nero
(!), che aiuta ad assimilarla meglio. Anche gli agrumi e la
cannella ne migliorano l’assorbimento in maniera
considerevole.

Oltre alla curcuma, un altro “must” della cucina asiatica è lo


zenzero: è lui a dare ai piatti cinesi, giapponesi e thailandesi il
loro gusto tipico. Anche lo zenzero è considerato una “spezia
antinfiammatoria”, in quanto presenta varie componenti capaci
di impedire la formazione di sostanze infiammatorie.

Dose: tagliate ogni giorno un pezzo di zenzero fresco (un


centimetro circa), tritatelo finemente e cuocetelo in acqua
bollente, come per preparare un tè, oppure usatelo come spezia;
in alternativa potete adoperare mezzo cucchiaino di zenzero in
polvere. Se il gusto proprio non vi piace, assumetelo in capsule.

TISANA ANTINFIAMMATORIA

122
Fate bollire mezzo cucchiaino di curcuma, mezzo cucchiaino di cannella, un
pezzetto di zenzero fresco tritato (o mezzo cucchiaino di zenzero in polvere) e
un pizzico di pepe nero in mezzo litro d’acqua. Bevete la tisana un po’ alla volta
nel corso dell’intera giornata.

RIASSUNTO

COME BLOCCARE LE INFIAMMAZIONI E RAFFORZARE LA


BARRIERA INTESTINALE:
fate in modo che il rapporto tra omega-6 e omega-3 sia equilibrato;
in cucina sostituite l’olio di cardo, l’olio di semi di girasole e la margarina a
base di semi di girasole con olio di colza, olio di lino oppure olio di noci.
Va bene anche la margarina a base di colza e di noci;
preferite i pesci grassi come il salmone, lo sgombro e l’aringa;
ricordate che la lecitina è una componente importante della mucosa
intestinale: in caso di disturbi all’intestino, provate la lecitina granulare;
usate spesso la curcuma e lo zenzero per condire i vostri piatti: entrambi
bloccano le infiammazioni. Anche erbe aromatiche come il basilico, il
rosmarino e l’origano contengono sostanze protettive in buona quantità;
consumate meno zucchero e prodotti a base di farina bianca: tutti i
carboidrati a rapida assimilazione favoriscono le infiammazioni;
in appendice trovate informazioni sugli integratori alimentari che
contrastano le infiammazioni.

Strategia numero 4: stimolare gli ormoni


della sazietà, bloccare gli ormoni che
fanno ingrassare
“E dai, mangia più verdura per una volta, ho fame! Che ne
diresti di una minestra di porri o di asparagi freschi?”. Nella
maggior parte dei casi gli appelli dei nostri batteri intestinali
rimangono inascoltati: a loro manca la voce, a noi gli organi di
senso necessari a comprendere cosa desiderano. I nostri
coinquilini, però, possiedono altri mezzi e conoscono altre vie
per ottenere ciò di cui hanno bisogno: ci fanno sentire un grande

123
appetito nella speranza che, dopo un attacco di fame
incontrollabile placato con un banchetto degno di una festa di
nozze, fra le altre cose nell’intestino crasso finiscano anche un
fagiolo, una carota o una banana. I batteri, infatti, sono coinvolti
nel processo decisionale che ci fa stabilire se, dopo la prima
porzione, proveremo un piacevole senso di sazietà o se invece,
per alzarci da tavola contenti, dovremo mangiare un secondo
piatto e poi anche il dessert.

L’appetito è il fratello minore della fame e un acerrimo nemico


della magrezza. Può stare in agguato anche quando, in realtà,
siamo già sazi. Pensate ai momenti in cui vi viene una voglia
tremenda di prendere un dessert, anche se vi siete appena
riempiti la pancia fino all’inverosimile con una serie di
antipasti, un bel primo e un secondo sostanzioso. Il desiderio di
altro cibo è governato da vari ormoni della fame e della sazietà.
Ci sono poi gli ormoni che fanno ingrassare (per esempio
l’insulina e il cortisolo), i quali nutrono con gioia le nostre
cellule adipose ma, dopo, non liberano più così facilmente il
grasso accumulato. In questo modo i batteri intestinali
estendono la loro influenza ben oltre la loro dimora,
raggiungendo tutto l’organismo. Tramite le vie ematiche, infatti,
i messaggeri chimici che partono dalla centrale di comando
dell’intestino raggiungono ogni angolo del corpo, dalla singola
cellula adiposa della pancia fino al centro dell’appetito nel
cervello. Quali di questi ormoni vengono prodotti in
maggioranza, dipende in gran parte da voi.

Il peptide YY e i suoi amici


Uno studio ha dimostrato che ci sentiamo sazi solo quando lo
sono anche i nostri batteri. Due gruppi di partecipanti a un
esperimento hanno ricevuto capsule che contenevano,
rispettivamente, 16 grammi di “cibo per batteri” oppure 16

124
grammi di una sostanza che veniva digerita completamente
molto prima, nell’intestino tenue, e quindi non raggiungeva i
batteri. Le persone del primo gruppo mangiavano meno. Il
motivo: se i batteri ricevono abbastanza cibo a loro gradito,
producono sostanze particolari, fra cui il peptide YY, nome che
significa pressappoco “proteina YY”. Non si poteva magari
trovare una definizione più simpatica? Comunque sia, l’effetto
del peptide YY è straordinario. Questo ormone è formato dalle
cellule intestinali e poi trasmesso al cervello, dove si ferma in
determinate aree e comunica che non abbiamo più fame e siamo
sufficientemente sazi. Così in automatico mangiamo meno. Se
manca il messaggero chimico, il senso di sazietà non si attiva.
Si è visto che, modificando la produzione di ormoni nei topi in
modo che non fossero più in grado di generare il peptide YY, in
pochissimo tempo gli animali sono ingrassati in maniera
impressionante.

L’efficacia di questo freno naturale all’appetito è dimostrata da


uno studio svolto su individui, sia magri sia sovrappeso, a cui
l’ormone miracoloso è stato somministrato in forma diretta. Due
ore dopo l’iniezione sono stati messi davanti a un buffet, liberi
di gustarselo. Cos’è successo? Hanno assunto un terzo di calorie
in meno rispetto a quanto facevano prima di ricevere il peptide
YY, e per il resto della giornata non hanno avvertito una gran
fame. Ora, non voglio certo consigliarvi una terapia a base di
iniezioni: il magnifico peptide YY può venirci in soccorso
anche tramite la dieta.

Come dimostrano alcuni studi, aumentare i prebiotici


nell’alimentazione, per esempio, avvia un effetto a cascata del
tipo: “Anch’io ne voglio!” Sulle prime, nel sangue dei
partecipanti si è assistito a un aumento notevole dell’ormone
della sazietà (peptide YY), mentre l’ormone della fame (grelina)
è diminuito. Nel giro di qualche giorno i partecipanti si sono
resi conto che si sentivano sazi in meno tempo. Dopo alcune

125
settimane, grazie alla trasformazione della flora batterica
intestinale, hanno visto diminuire la percentuale di grasso,
l’indice di massa corporea, il giro vita e i fianchi. Allo stesso
tempo sono aumentati altri ormoni della sazietà (GLP-1) in
grado di frenare le infiammazioni e, in questo modo, influenzare
il peso e la salute.

Il peptide YY ha un’altra qualità degna di nota: ci rende forti e


resistenti dal punto di vista psichico. I topi diventano timorosi e
tendono a soffrire di stress, se i ricercatori rimuovono il peptide
con una manipolazione genetica. Sono più depressi (eh sì, anche
i topi possono esserlo) e, in caso di difficoltà, rinunciano prima.

Se dunque i nostri amici batteri mangiano bene, anche noi


siamo sazi e contenti e riusciamo ad affrontare le sfide della
vita. Il che dimostra ancora una volta quanto sia efficace la
collaborazione tra il cervello e l’intestino.

Le proteine attirano il peptide YY


Abbinare il delizioso cibo per batteri a un pasto ricco di proteine
probabilmente raddoppia l’effetto benefico della dieta. Gli
alimenti ricchi di proteine, infatti, saziano più a lungo rispetto,
per esempio, a un pranzo a base di carboidrati. Un’équipe di
studiosi dello University College London, guidata da Rachel
Batterham, è riuscita a spiegare il fenomeno: se portiamo in
tavola più spesso alimenti ricchi di proteine come legumi, carne
e uova, il livello di peptide YY aumenta notevolmente. Dopo un
pasto a base di carboidrati, invece, lo stomaco comincia a
brontolare molto prima, perché si attiva un numero ridotto di
ormoni della sazietà. Allo stesso tempo, i carboidrati a rapida
assimilazione stimolano di nuovo l’appetito e il desiderio di
dolci, gelato o pane bianco. Il che potrebbe anche spiegare per
quale motivo le persone diventano sempre più grasse. Nella

126
dieta la percentuale di proteine e di alimenti contenenti fibre in
grado di soddisfare i nostri batteri diminuisce di anno in anno,
mentre i carboidrati e i grassi “sbagliati” conquistano sempre
più spazio.

La dieta dei cacciatori preistorici era costituita probabilmente


per circa il trentacinque per cento da proteine di alta qualità.
Nella moderna dieta occidentale la quantità di proteine è
precipitata a un misero sedici per cento. Tuttavia l’aumento di
proteine dev’essere pianificato con cura, perché gli insaccati o
la carne grassa forniscono anche calorie e colesterolo. Devono
stare attente soprattutto le persone che hanno problemi ai reni:
prima di cambiare regime alimentare, farebbero bene a
consultare un medico. Comunque, in genere un leggero aumento
della quantità di proteine nella dieta non dà nessun problema, se
in cambio si riducono i grassi malsani e i carboidrati a rapida
assimilazione. Le proteine non dovrebbero essere solo di origine
animale. Anche legumi come i fagioli, i piselli, le lenticchie e le
arachidi forniscono proteine preziose. Nei piatti asiatici da
cuocere sul wok, le proteine della soia, ricavate dai semi di soia,
sono equivalenti ai prodotti sostitutivi della carne nel ragù alla
bolognese.

MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLE PROTEINE

Quando mangiamo proteine, l’importante è che siano di buona qualità, e per


stabilirlo si prendono in considerazione le singole parti che le compongono, i
cosiddetti aminoacidi. Più la composizione degli aminoacidi nel cibo assomiglia
a quella presente nel nostro corpo, più le proteine sono di alta qualità. Con un
mix intelligente di alimenti proteici è possibile migliorare la qualità delle
proteine anche nei pasti senza carne.

Ottime combinazioni sono:


fagioli + mais, oppure fagioli + riso, oppure fagioli + formaggio: perfetti
per accompagnare piatti messicani e insalate;
latte + grano: il müsli con vari fiocchi integrali è una fantastica fonte di
proteine ed è adatto anche per pasti diversi dalla colazione;
uova + grano: un panino integrale farcito con uova strapazzate o all’occhio

127
di bue è un abbinamento fantastico;
uova + patate, oppure uova + latticini: le patate condite con le uova
strapazzate e la salsa verde o un formaggio alle erbe sono un ottimo cibo
per i muscoli e forniscono proteine che saziano a lungo;
prodotti a base di cereali + legumi: un toast integrale con il burro di
arachidi oppure una zuppa di piselli accompagnata da pane integrale sono
combinazioni gustose.

LE PROTEINE DI ELEVATA QUALITÀ PRESENTANO MOLTI


VANTAGGI:

danno meno calorie dei lipidi,


attivano gli ormoni della sazietà,
se nel frattempo integriamo nella nostra vita quotidiana un po’ di
movimento, rafforzano la muscolatura,
fanno in modo che, durante le diete, si eliminino i depositi di grasso e non
vengano intaccati i muscoli, inoltre
sono importanti per le difese immunitarie.

L’ormone della fame e l’ormone della


sazietà
Nel capitolo 5, in cui abbiamo parlato di sport e stress, avete già
trovato informazioni sugli ormoni antagonisti leptina (un altro
ormone della sazietà) e grelina (un messaggero chimico che ci
rende affamati). Lo stress e un sonno cattivo fanno aumentare
notevolmente l’appetito. Se nel sangue abbiamo più ormoni
della sazietà o più ormoni della fame, dipende però anche da
chi, in quel determinato momento, ha il comando nell’intestino.
Quando sono presenti abbastanza batteri snelli e belli, come per
esempio i bifidobatteri e i lattobacilli, automaticamente cresce
anche il livello di ormoni della sazietà, mentre gli ormoni della
fame si fanno da parte. Se invece a prevalere sono i batteri
cicciottelli, l’ormone della sazietà leptina risulta raro.

128
L’insulina, un ormone che fa ingrassare
L’insulina è l’unico ormone del nostro corpo in grado di
abbassare il tasso glicemico dopo un pasto, quindi è
fondamentale per la vita. Chi ne è privo diventa diabetico e deve
introdurre l’ormone dall’esterno. Una volta l’insulina non
doveva lavorare tanto perché, dopo pasti con molte verdure,
semi e bacche, lo zucchero che finiva nel sangue era poco. Le
occasionali carestie facevano il resto. Oggi la situazione è ben
diversa. Lo zucchero ormai è diventato il nostro “pane
quotidiano” e siamo circondati da cibi dolci e golosi che ci
tentano di continuo.

Quando mangiamo un gelato o un panino con la Nutella, il


nostro corpo riceve in primo luogo energia da consumare
rapidamente, in forma di zucchero. In pochissimo tempo,
quindi, lo zucchero finisce nel sangue, dove però non serve a
molto, visto che può essere consumato e trasformato solo
all’interno delle cellule. A questo punto entra in gioco
l’insulina: sorveglia il tasso glicemico e interviene ogni volta
che lo zucchero nel sangue aumenta. Essa apre le porte al
fornitore di energia, che solo con l’aiuto dell’ormone riesce a
passare dal sangue nelle cellule. Dopo che l’insulina ha svolto il
suo compito, il livello di zucchero nel sangue si abbassa.

A volte l’insulina lavora talmente bene che il tasso glicemico


alla fine è persino più basso rispetto a prima del pasto. Succede
soprattutto dopo che abbiamo mangiato cibi ad alto contenuto di
zucchero. Il cervello a questo punto è confuso: glicemia bassa?
Può significare solo che si è rimasti per tanto tempo senza
mangiare! Quindi la materia grigia manda un segnale d’allarme
che significa “fame”: brontolio allo stomaco, nervosismo,
difficoltà a concentrarsi. E anche se solo un’ora prima abbiamo
ingoiato una fetta di torta, lo stomaco ha già ricominciato a
borbottare e si è avviata la spirale che porta inevitabilmente al

129
sovrappeso. Per quanto possa sembrare paradossale, con le
nostre tipiche abitudini alimentari occidentali attiviamo spesso
l’insulina, così ci viene ancora più fame. E questo meccanismo
provoca spesso problemi di peso.

Se vi alimentate come il “cittadino medio”, accumulate quantità


non indifferenti di zucchero: per fare un esempio, ogni tedesco
ne mangia più di 34 chili all’anno, quasi 3 chili al mese.
L’insulina quindi è impegnata ininterrottamente a trasportare il
dolce carico dal sangue nelle cellule. Ciò che non viene
consumato mediante lo sport e lo sforzo fisico si deposita nel
giro vita a mo’ di “salvagente”.

Il guardiano dei grassi


Lo zucchero non si nasconde solo nei cibi inequivocabilmente
dolci come la cioccolata, le torte e le caramelle, ma anche nei
piatti pronti, nel ketchup, nella senape e in altre salse e
condimenti. L’insulina è un ormone fondamentale per la vita,
ma se, con una dieta ricca di zucchero, ne richiamiamo grandi
quantità dal pancreas più volte al giorno, prima o poi avremo
problemi di peso. L’insulina infatti, oltre ad abbassare il tasso
glicemico, ha anche un effetto spiacevole: è un ormone
lipogenetico, che ha il compito di trasportare nelle cellule
adipose l’energia ricavata dagli alimenti e di trattenerla lì per i
tempi di magra. Solo che, nella nostra società dell’abbondanza, i
tempi di magra sono piuttosto rari. Ciò nonostante, l’ormone
non libera le riserve di grasso tanto presto. Come Cerbero, il
cane che nella mitologia greca sorvegliava l’ingresso negli
inferi, l’insulina sorveglia il grasso racchiuso nelle cellule
adipose. Finché assumiamo zucchero a intervalli regolari, essa
pattuglia senza sosta e non è possibile sfuggirle. L’ormone
sparisce dal sangue solo nelle pause in cui non mangiamo
zucchero, e il grasso può sfruttare questa opportunità per

130
scappare. Per aiutare il grasso addominale a levare le tende,
quindi, ogni tanto dobbiamo “mandare via” l’insulina. Come
farlo? Per esempio, aumentando gli intervalli tra un pasto e
l’altro. La formula magica, in questo caso, è: “tre pasti anziché
cinque”.

Forse vi meraviglierete, perché a lungo si è ritenuto che fare


tanti piccoli pasti fosse la strada maestra per ottenere una figura
snella. Ma se consumiamo ogni giorno cinque pasti piccoli, il
livello di insulina rimane sempre alto. Dopo che abbiamo
mangiato, per riportare il tasso glicemico a livelli abbastanza
bassi l’ormone deve lavorare per una, a volte quasi due ore. Se
facciamo colazione alle otto, alle dieci mangiamo una fetta di
torta per festeggiare il compleanno del collega e a mezzogiorno
andiamo in mensa, l’insulina non ha mai la possibilità di battere
in ritirata.

Il timore di abbuffarsi senza misura nei pasti principali, se non


si fa uno spuntino, è del tutto immotivato. In diverse ricerche si
è osservato che, con cinque piccoli pasti al posto di tre
importanti, nel corso della giornata quasi tutte le persone
assumono più calorie. E, come se non bastasse, il livello di
insulina costantemente elevato impedisce che venga consumato
il tessuto adiposo (attenzione: questa raccomandazione non vale
per i diabetici, i bambini, le donne in gravidanza e in
allattamento).

La flora intestinale e il cibo per i batteri


abbassano il livello di insulina
Come sapete, l’inulina è una prelibatezza per i batteri. Ma
questa sostanza meravigliosa ha altre virtù. Siccome è difficile
da digerire, dopo che abbiamo mangiato carciofi, indivia belga,

131
cipolle, asparagi, scorzonera, topinambur, scarola o porri, il
tasso glicemico non aumenta. Il corpo utilizza l’inulina senza
chiamare in causa l’insulina. E questo è un bene. Il pancreas
non deve secernere insulina per normalizzare la glicemia, e noi
ci sentiamo sazi più a lungo.

Anche i batteri intestinali, se ben nutriti, possono modificare il


livello di insulina. Sappiamo da tempo che i batteri giusti
proteggono dal diabete. Si è poi constatato che determinate
sostanze da essi prodotte si agganciano alle cellule adipose e
respingono l’insulina, impedendo gli accumuli di grasso; inoltre
lo zucchero e i lipidi vengono consumati più velocemente, e
così ci si avvicina sempre più alla forma perfetta.

IL CORTISONE, UN ALTRO ORMONE CHE FA INGRASSARE

Tra gli ormoni che fanno prendere peso c’è anche il cortisone, che avete
imparato a conoscere nel capitolo 5. Questo ormone dello stress è così carino da
condurre le calorie in eccesso soprattutto nelle cellule adipose della pancia,
procurandoci altri salvagenti. Meno stress e più sonno sono quindi dei toccasana
per dimagrire.

Esistono diversi modi per abbassare il livello di insulina:


• se non ci limitiamo a mangiare lasagne e toast di pane bianco,
ma portiamo in tavola anche minestre di verdure e insalate,
diamo ai grassi una chance di fuggire;
• un’alimentazione ricca di proteine lascia abbastanza tranquilla
l’insulina;
• anche i lipidi di elevata qualità, come quelli che si trovano nel
pesce, nella selvaggina e negli oli vegetali non hanno effetti
negativi sul tasso glicemico e sul livello di insulina;
• i carboidrati dovrebbero essere ricchi di fibre, così il livello di
insulina aumenta lentamente e si evitano gli attacchi di fame;

132
• anche gli alimenti che contengono cibo per i batteri saziano a
lungo e permettono all’insulina di prendersi una pausa;
• consumate solo tre pasti al giorno anziché cinque, rinunciate
agli snack e agli spuntini;
• se possibile, evitate i carboidrati di sera, così il livello di
insulina e la glicemia rimangono bassi per diverse ore durante
la notte.

Come domare l’ormone che scatena gli


attacchi di fame
Cercate di adottare uno stile di vita che vi permetta di tenere
sotto controllo l’insulina. Evitate soprattutto le sostanze che la
attirano, cioè gli alimenti che fanno salire il tasso glicemico in
tempi rapidi e provocano una forte produzione di insulina.
Sostituiteli con alimenti che la bloccano e la lasciano in pace.
Questo non vuol dire fare chissà quali sacrifici. Vediamo un
esempio: le banane ricoperte con una glassa di cioccolato al
latte fanno schizzare in alto la glicemia alla velocità della luce, e
poco dopo il corpo chiede ancora cibo. Mangiate piuttosto un
po’ di fragole con una glassa al cioccolato fondente, così il
livello di insulina rimarrà basso e avvertirete un senso di sazietà
che non procurerà danni alla linea. Il “segreto” sta nel
privilegiare gli alimenti in grado di bloccare l’insulina, e la lista
è lunga. Comprende prelibatezze come le ciliegie e le fragole, le
noci e il cioccolato fondente, la pasta integrale (cotta al dente) e
il müsli. Gli alimenti che attirano l’insulina, come le torte
zuccherate, il pane bianco senza sostanza, le patate che
grondano olio e le appiccicose barrette al cioccolato, invece,
dovrebbero essere banditi dal frigo e dalla dispensa e mangiati
solo una volta ogni tanto, in occasioni particolari. Anche le
bibite e i succhi di frutta contengono quantità enormi di

133
zucchero: eliminateli! Tutti questi cibi, infatti, provocano un
aumento repentino del livello di insulina e di conseguenza, poco
tempo dopo che li avete consumati, vi torna una fame
incontrollabile.

ALIMENTI CHE ATTIRANO O BLOCCANO L’INSULINA

ALIMENTI CHE BLOCCANO L’INSULINA – DA CONSUMARE


SPESSO

VERDURE E LEGUMI
Topinambur, cicoria, indivia belga, cipolle, aglio, porri, scorzonera,
pomodori, asparagi, carciofi, melanzane, broccoli, avocado, zucchine,
cetrioli, lenticchie, fagioli, prodotti a base di soia come il tofu, latte di soia,
carote (crude), sedano, barbabietole rosse (crude), cavoli, funghi, peperoni,
spinaci, germogli, succhi di verdura
ERBE AROMATICHE FRESCHE
Tutti i tipi di erbe aromatiche fresche
NOCI E MANDORLE
Per evitare eccessi calorici, non bisognerebbe consumarne più di una
manciata al giorno
FRUTTA
Mele, albicocche, pere, prugne, arance, nettarine, pesche, ciliegie, pompelmo,
albicocche secche, fichi secchi, lamponi, mirtilli, more, ribes, fragole
CEREALI, PRODOTTI A BASE DI CEREALI, RISO
Pumpernickelbrot, tutti i tipi di pane integrale, orzo, fiocchi d’avena, riso
integrale, müsli (senza zucchero), pasta alla soia, pasta integrale o di grano
duro cotta al dente, toast integrale, riso selvatico

ALTRI ALIMENTI
Latte (contenuto di grasso pari al 3,5 per cento), latticello, yogurt (senza
zucchero), bevanda al cocco (senza zuccheri aggiunti), cioccolato fondente
(con più del 70 per cento di cacao), tahina

Ricordate che anche la preparazione e il grado di maturazione possono


determinare se un alimento attira insulina o la blocca. Le carote crude fanno

134
aumentare il livello di insulina meno di quelle cotte. Le banane attirano più
ormoni della fame man mano che maturano, ecco perché è meglio mangiarle
quando sono ancora un po’ verdi. La pasta di semola di grano duro cotta al
dente va bene in una dieta che deve tenere sotto controllo l’insulina. Più si
cuoce, più salgono la glicemia e il livello di insulina.

QUESTI ALIMENTI FANNO AUMENTARE UN PO’ DI PIÙ IL


LIVELLO DI INSULINA RISPETTO AI PRECEDENTI: VANNO
CONSUMATI RARAMENTE E IN PICCOLE PORZIONI

Verdure e legumi
Carote (cotte), mais, mango, papaya, barbabietole rosse (cotte), patate (cotte),
patate americane

Frutta
Kiwi, banane (mature)

Cereali, prodotti a base di cereali, riso


Pane di segale (segale trenta per cento), pane al farro

Altri alimenti
Marmellata, cacao

ALIMENTI CHE ATTIRANO L’INSULINA, DA EVITARE


ACCURATAMENTE!

Verdure e legumi
Patate lessate senza buccia in acqua salata, patate saltate in padella

Frutta
Uva sultanina, conserve di frutta, melone, anguria

Cereali, prodotti a base di cereali, riso


Riso (bianco), risotto, riso al latte, pane al riso, orzo, polenta, pasta di grano
tenero, fette biscottate, purè di patate, pane bianco e tutti i prodotti da forno
preparati con farina bianca come baguette, panini, torte, biscotti, croissant

Altri alimenti
Dolciumi, caramelle, cioccolato al latte, cioccolato bianco, patate fritte, pop-
corn, zucchero, bibite

135
Deutsche Gesellschaft für Ernährung (DGE), 2004

RIASSUNTO:

COME APPROFITTARE DEGLI ORMONI DELLA SAZIETÀ


Il fatto di avere appetito non sempre indica che abbiamo mangiato troppo
poco. A volte il cervello ci gioca qualche tiro birbone e ci fa credere di
aver fame. Succede perché ha ricevuto informazioni false dall’intestino.
Per far sì che l’intestino segnali più spesso al cervello che siamo sazi,
dobbiamo nutrire per bene i batteri intestinali coinvolti nella produzione di
ormoni della sazietà e della fame. Mangiare molti prebiotici e una quantità
sufficiente di proteine blocca l’appetito continuo.
Ci sono però anche ormoni che fanno ingrassare e ostacolano il calo di
peso. Sono guidati dall’insulina, il guardiano che impedisce al grasso di
riserva di “fuggire” dalle cellule adipose. Rinunciate quindi agli alimenti
che attirano insulina. Sono elencati nella lista sopra. Eliminate inoltre i
piatti pronti, le salse e i condimenti: anche se non hanno un sapore dolce,
spesso contengono zucchero. Controllate la lista degli ingredienti sulla
confezione.
Cercate di consumare solo tre pasti al giorno, in modo che il livello di
insulina abbia la possibilità di scendere e il tessuto adiposo possa essere
demolito.
Il cibo per batteri contenente inulina lascia in pace l’insulina. Allo stesso
tempo, fa in modo che i batteri producano una sostanza che tiene lontana
l’insulina dalle cellule adipose e blocca l’accumulo di grasso.
Con una cena ricca di proteine e povera di zuccheri, o meglio carboidrati, il
tasso glicemico e il livello di insulina rimangono bassi per tutta la notte:
sono le condizioni ideali per smantellare le cellule adipose.
Anche una dieta ricca di fibre fa alzare di poco il tasso glicemico, così
l’insulina non è costretta a rimanere a lungo in circolo nel sangue. Un
effetto simile è prodotto da un’alimentazione ricca di inulina.
Stressatevi di meno. Il relax è un toccasana per la linea, perché fa diminuire
anche il cortisone endogeno. Come all’insulina, anche al cortisone piace
farci accumulare cuscinetti di ciccia sulla pancia e sui fianchi.

1 Tipico pane svedese, piatto, secco e croccante, composto prevalentemente di farina


di segale [N.d.T.].
2 Tipico pane di segale tedesco: nero e senza crosta, si conserva molto a lungo
[N.d.T.].

136
Capitolo 7

LA DIETA CHE
RAFFORZA L’INTESTINO:
INDICAZIONI GENERALI

Come sfruttare al meglio la dieta per


l’intestino
an mano che si sono acquisite conoscenze sull’importanza
M
che i batteri intestinali e una mucosa intestinale intatta hanno
per il peso, la salute e il benessere, sono emerse molte nuove
raccomandazioni utili per risolvere vari problemi di peso e stare
meglio in generale. In questo capitolo trovate esposti ancora una
volta i principali consigli per chi intende adottare una dieta che
faccia bene all’intestino.

Siccome con l’alimentazione potete sia dimagrire sia migliorare


la flora intestinale, nella prima parte troverete dei suggerimenti

137
per ridurre il peso, mentre la seconda è rivolta a tutti coloro che
sono soddisfatti del proprio peso, ma desiderano dare una mano
alla flora batterica.

Consigli per dimagrire


• Per stabilire cosa manchi alla vostra flora intestinale,
compilate prima di tutto il questionario che si trova a pagina
43. Vi darà già qualche indicazione su come stanno i vostri
batteri intestinali. Potete anche effettuare un esame delle feci
per far analizzare i batteri intestinali. In appendice trovate gli
indirizzi di alcuni laboratori che eseguono questi test.
• Grazie ai nostri consigli potrete nutrire al meglio la flora
intestinale, che avrà modo di rigenerarsi. Prendetevi tempo,
però: benché i primi cambiamenti siano visibili nel giro di
qualche giorno, ci vogliono diverse settimane perché i nuovi
batteri si sentano a loro agio nell’intestino e vi si insedino
stabilmente.
• Una dieta per l’intestino prevede l’assunzione di circa 1000
calorie al giorno. Per la colazione ne raccomandiamo circa
300, per il pranzo 400 e per la cena 300. Potete comporre da
soli il vostro piano giornaliero e combinare a piacimento le
singole pietanze. Però non scambiate il pranzo e la cena: il
primo deve fornire carboidrati complessi, che vi diano
energia per la giornata, mentre le cene devono essere ricche
di proteine e povere di carboidrati, per non ostacolare la
combustione notturna dei grassi.
• Fate in modo di mangiare ogni giorno i 30 grammi di fibre
raccomandati, così che l’intestino lavori a buon ritmo.
All’inizio l’aumento di fibre può provocare flatulenze. Non è
un cattivo segno, al contrario: dimostra che i batteri intestinali
si gettano a capofitto sulla ricca offerta di cibo. In questi casi,

138
una tisana al finocchio, cumino e anice placa l’intestino.
• Tra le fibre si trovano speciali prebiotici che nutrono in
maniera assai efficace la flora intestinale. Cercate di portarli
in tavola il più spesso possibile! Li trovate nella lista di
pagina 116.
• Per aumentare la percentuale di cibo per i batteri vi suggerisco
di usare anche l’inulina in polvere. Potete acquistarla nei
negozi di cibi biologici e naturali, oppure ordinarla in
Internet. Aumentate la dose un po’ alla volta, fino ad arrivare
a 10-15 grammi al giorno. Da alcuni esperimenti è risultato
che anche quantità maggiori vengono ben tollerate. Questo
cibo supplementare fa in modo che i batteri snelli e belli si
diffondano rapidamente.
• Cercate di consumare solo tre pasti al giorno. Se fra l’uno e
l’altro vi viene un grande appetito, bevete un bicchiere
d’acqua o una tisana non zuccherata. Ogni tanto vanno bene
anche due o tre tazze di caffè (compreso il caffè di cicoria o
d’orzo), ma senza latte: il caffè contiene fibre particolari,
gradite ai batteri snelli e belli. Potete anche masticare un
pezzo di zenzero crudo.
• Cercate soprattutto di bere a sufficienza. Entro sera dovreste
aver assunto due litri di liquidi, soprattutto acqua e tè.
Durante la dieta è meglio evitare l’alcol, che non solo
fornisce molte calorie vuote, ma ostacola la combustione dei
grassi.
• Le infiammazioni e il sovrappeso vanno mano nella mano: se
perdete peso, diminuisce lo stress infiammatorio, e se
contrastate le infiammazioni, dimagrire sarà più facile.
Durante la dieta, quindi, consumate oli che contengono
omega-3 (olio di lino, di colza, di noce) e mangiate pesci
come il salmone, lo sgombro, l’aringa o il tonno. Gli omega-3
bloccano i messaggeri chimici delle infiammazioni.

139
• Condite i vostri piatti con zenzero e curcuma, sostanze note
per il loro effetto antinfiammatorio.
• Tenetevi in movimento. L’equilibrio dei batteri che vivono
nell’intestino sembra migliorare se evitiamo di stare sempre
seduti. Dovreste riservare all’attività fisica almeno mezz’ora
al giorno, decidete voi se tutta di seguito o suddivisa in tre
sessioni da dieci minuti. Scegliete uno sport che vi diverta:
che si tratti della boxe, dello yoga o del karate, fa lo stesso.
Qualsiasi forma di movimento consuma calorie, tonifica i
muscoli e vi porta più vicino al vostro peso ideale. Ha inoltre
effetti secondari positivi: i batteri intestinali sono felici di non
rimanere con le mani in mano, e ogni passo in più attiva i
batteri snelli e belli.

Suggerimenti per mantenere il peso


attuale o semplicemente per rafforzare la
flora intestinale
• Per voi valgono consigli simili a quelli dati a chi vuole
perdere peso. Però potete servirvi porzioni più abbondanti. Se
non avete problemi di peso, sono permessi anche gli spuntini.
Ricordatevi comunque dei batteri: le banane non mature, le
mele, le noci e le mandorle fanno salire poco la glicemia e
allo stesso tempo forniscono fibre amiche dei batteri.
• Per farvi una prima idea di cosa manca alla vostra flora
intestinale, potete compilare il questionario che si trova a
pagina 43. Se lo desiderate, per avere un quadro più completo
potete far analizzare i batteri intestinali. In appendice trovate
gli indirizzi di alcuni laboratori che svolgono questi esami.
• Aumentate la quantità di cibo per i batteri nella vostra dieta.
Purtroppo l’inulina, la sostanza tanto amata dai batteri, si

140
trova solo in una dozzina di alimenti. Mangiate più spesso
indivia belga e asparagi, oppure provate ricette con il
topinambur e la scorzonera. La cipolla e l’aglio stanno bene
in molte pietanze, basta ricordarsi di tritarne un po’ nella
minestra, nel ragù o negli altri piatti.
• Nel caso non foste sicuri di assumere abbastanza inulina con
la dieta, potete prendere anche un integratore alimentare che
contenga per l’appunto inulina oppure oligofruttosio.
Aumentate la dose un po’ alla volta, fino ad arrivare a 10-15
grammi al giorno. In alcuni esperimenti si è visto che erano
ben tollerate anche dosi più alte.
• Un’altra possibilità è, per esempio, adoperare sciroppo di
Yacón o farina che contenga inulina. Li trovate nei negozi di
cibi biologici e naturali o in Internet. Potete sostituire parte
della farina con l’inulina, o mescolare la polvere con il müsli,
i dolci, i frullati e gli smoothies. Lo sciroppo di Yacón
contiene il trenta per cento di cibo per batteri ed è ottimo
come dolcificante.
• Una tazzina di caffè di cicoria o d’orzo completano il
banchetto per la flora intestinale.
• Cercate di aumentare la quantità di fibre. Dovreste arrivare in
ogni caso a 30 grammi al giorno. Noci, mandorle, frutti di
bosco e fiocchi di cereali integrali sono molto ricchi di fibre e
migliorano la qualità della colazione. Le noci o i semi di
sesamo sono ottimi anche nell’insalata e nei contorni di
verdura in genere.
• Bevete due o tre tazzine di caffè al giorno. Il caffè contiene
fibre particolari, gradite ai batteri snelli e belli. Bevetelo
preferibilmente liscio, perché il latte e la panna neutralizzano
sostanze preziose.
• In generale la dieta dovrebbe essere povera di carboidrati. Per
quanto riguarda i grassi, adoperate oli che contengono

141
omega-3, per esempio l’olio di colza, l’olio di lino e l’olio di
noci.
• Fate un po’ di moto: qualsiasi tipo di attività fisica sembra
avere effetti positivi sulla flora intestinale. L’importante è che
vi teniate in movimento quasi ogni giorno per almeno
mezz’ora. Che andiate a passeggiare, vi dedichiate al ballo o
alla lotta, è del tutto indifferente: quello che conta è
muoversi!

142
APPENDICE

Altre informazioni importanti

Indirizzi dei laboratori di analisi


Ecco alcuni indirizzi di laboratori che effettuano analisi mirate
delle feci. Si tratta solo di una piccola selezione, giusto per
orientarsi. Mettetevi preventivamente in contatto con il
laboratorio per avere informazioni sui costi e istruzioni su come
spedire i campioni. L’invio può essere fatto anche dal vostro
medico.

Laboratorio Dres. Hauss


Kieler Straße 71
24340 Eckernförde
Email: [email protected]
www.hauss.de

Biovi’s Diagnostik
Justus-Staudt-Straße 2
65555 Limburg an der Lahn
Email: [email protected]

143
www.biovis.de

Ganzimmun Diagnostics AG
Hans-Böckler-Straße 109
55128 Mainz
www.ganzimmun.de

Analisi delle feci che possono risultare


utili in determinati casi specifici
Per effettuare un esame delle feci, fatevi dare dal vostro medico
il contenitore adatto o chiedetelo al laboratorio. In genere è
sufficiente una quantità di feci grande come un pisello, non
serve riempire tutto il contenitore. Il procedimento per la
raccolta e per l’invio può essere diverso da un laboratorio
all’altro, quindi chiedete informazioni. I costi sono coperti dal
Servizio sanitario pubblico solo in casi eccezionali.

Indice di sovrappeso
Rileva la proporzione fra i due principali gruppi di batteri
intestinali. Il risultato dà indicazioni sul rischio di sovrappeso
(Bacteroides/Firmicutes ratio, rapporto tra batteroidi e
Firmicutes). Più il gruppo dei batteroidi è numeroso e quello dei
Firmicutes ridotto, più sembra che la flora intestinale influenzi
positivamente il peso.

Studio della flora batterica intestinale


Questo esame si esegue per controllare le alterazioni della flora
batterica intestinale. Permette di individuare i ceppi batterici più
importanti e il loro rapporto reciproco. Con l’aiuto del test si
può capire quali gruppi batterici siano ridotti e quali invece
siano presenti in eccesso nell’intestino.

144
Barriera intestinale
La barriera intestinale svolge parecchie funzioni importanti per
la nostra salute e può essere coinvolta anche nello sviluppo del
sovrappeso. Con il test alfa 1-antitripsina si può verificare se la
naturale barriera intestinale sia alterata. Un’alta concentrazione
di alfa 1-antitripsina nelle feci segnala un’elevata permeabilità
dell’intestino.

Altri prodotti che fanno bene alla flora


batterica intestinale
Inulina in polvere
Questa polvere, simile a farina, è ricavata perlopiù dalla radice
della cicoria e contiene importanti sostanze che favoriscono la
crescita della flora intestinale. L’inulina in polvere può essere
mescolata allo yogurt o cosparsa sui dessert, usata nei frullati o
per preparare dolci, biscotti e pane, così da arricchire la dieta di
fibre preziose. Si trova in farmacia, nei negozi di prodotti
biologici e naturali e in Internet.

Sciroppo di Yacón
Lo sciroppo di Yacón è ricavato dalla radice di Yacón, una
pianta che cresce nell’America del Sud. In Perù viene usato
come dolcificante. Consiste per il trenta per cento di
oligofruttosio, quindi è un ottimo alimento per i batteri
intestinali. Si acquista solo in alcuni negozi di prodotti biologici
e naturali, ma potete ordinarlo in Internet, dove si trovano
prodotti di buona qualità.

Bifidobatteri
I probiotici sono preparati che contengono microrganismi vivi e
hanno un effetto positivo sulla salute. Nei probiotici si usano
diversi ceppi batterici. Per perdere peso sono particolarmente

145
efficaci i preparati in cui prevalgono i bifidobatteri. Si trovano
in farmacia o in Internet. I probiotici attivano enzimi di altri
ceppi batterici, trasformano l’ambiente intestinale in maniera a
noi favorevole e svolgono una funzione antibatterica.

Integratori alimentari contro le


infiammazioni utili a stabilizzare la
barriera intestinale
Plantazym
Determinate spezie, estratti vegetali e alimenti contenenti
omega-3 combattono le infiammazioni. Il Plantazym è un
preparato creato appositamente per trattare le infiammazioni in
maniera naturale e contiene erbe, frutta e verdura selezionate,
oltre a curcuma e zenzero. Lo trovate in Internet all’indirizzo
www.juventahealthcare.com.

Omega-3
Il corpo trasforma questi acidi grassi in messaggeri chimici che
contrastano le infiammazioni. Gli omega-3 si trovano
soprattutto in pesci come il salmone, lo sgombro, l’aringa e il
tonno, ma anche nell’olio di lino, di colza, di noci e nelle noci
stesse. Per combattere le infiammazioni collegate a
un’alterazione della barriera intestinale e allo sviluppo del
sovrappeso, bisognerebbe aumentare la quantità di questi acidi
grassi. Chi non ne assume a sufficienza con la dieta può
ricorrere a integratori alimentari. Esistono preparati di buona
qualità e si trovano in farmacia, ma anche nei supermercati e in
Internet; a volte contengono olio di pesce, olio di krill oppure
olio di lino. Poiché gli acidi grassi polinsaturi come gli omega-3
reagiscono con l’ossigeno dell’aria, devono essere protetti
assumendo anche vitamina E: scegliete quindi un preparato che

146
la contenga.

Lecitina
La lecitina si trova in alimenti come il tuorlo d’uovo, il lievito, i
semi vegetali, i semi di soia, le noci, il pesce e i germogli di
grano. È importantissima per la mucosa intestinale: lega il muco
alla tunica mucosa ed è quindi indispensabile perché l’intestino
conservi la funzione di barriera. Nel muco dei pazienti che
soffrono di infiammazioni croniche all’intestino come la colite
ulcerosa o il morbo di Crohn si riscontra una quantità di lecitina
notevolmente ridotta. Questa carenza potrebbe essere una delle
cause delle patologie. Assumendo lecitina si può ripristinare la
funzione protettiva della tunica mucosa. Al supermercato o in
farmacia è possibile trovare preparati di buona qualità
contenenti lecitina.

147
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NOTA SULL’AUTRICE

La dottoressa Michaela Axt-Gadermann ha lavorato come medico sportivo e


dermatologa dal 1999 presso la Tomesa Fachklinik di Bad Salzschlirf, in Germania, di
cui è stata vice primario e direttore sanitario nel 2006. Dal 2007 è docente presso
l’Università di Coburg, dove collabora con il Dipartimento di salute integrata. È stata
molto attiva nel promuovere vari progetti di medicina preventiva basati
sull’alimentazione, l’esercizio fisico, lo yoga e il rilassamento. È autrice di nove libri
tradotti in diverse lingue, tra cui L’arte di rimanere giovani, pubblicato in questa
collana, ed Elogio della pigrizia. Ha pubblicato anche numerosi articoli e guide di
salute e benessere. Le sue conferenze sono sempre molto richieste.
www.axt-gadermann.de

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Via Zamenhof 685, 36100 Vicenza,
Tel. 0444239189, Fax 0444239266
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