1 La Civiltà Musicale Greca
1 La Civiltà Musicale Greca
1 La Civiltà Musicale Greca
Quando si parla della musica nell’antica Grecia si intende il periodo compreso fra il V e
il VII secolo a.C.
Il sistema musicale dei Greci era fondato su delle strutture portanti chiamate
“harmonìai”, il cui significato è giuntura, connessione, ecc. Ogni harmonìai si
identificava con una precisa scala musicale che si differenziavano per la disposizione
dei semitoni all’interno delle prime 4 note (tetracordo) e ciascuna ricordava il nome di
un’antica popolazione ellenica, quindi avevamo 3 harmonìai principali:
Quindi come schema fondamentale veniva utilizzato quello del tetracordo (4)
discendente. Le note esterne del tetracordo erano fisse, invece variavano quelle
all’interno, a seconda del genere musicale.
1. Genere diatonico, successione di tono (t)- t- st (es. mi, re, do, si);
2. Genere cromatico, successione di un t e mezzo – st-st (es. mi, do#, do, si);
3. Genere enarmonico, successione di 2 t- ¼ di t- ¼ di t (es. mi, do, ¼ tra do e
si). (¼ di tono è uguale a mezzo tono).
Secondo la teoria dell’ethos ogni harmonìai aveva un particolare effetto sul corpo e
sull’animo umano, oltre che sugli oggetti inanimati e sugli animali.
La lyra, che era associata alla melodia dorica (mito della lyra: Hermes-Apollo);
L’aulos, che era associato alla melodia frigia ed era considerato uno strumento
straniero (mito dell’aulos: Atena-Marsia)
Strumenti a percussioni, considerati strumenti esotici e utilizzati per il culto di
Dioniso e quindi non avevano molta importanza (timpani=tamburelli,
crotali=legnetti schioccanti e cimbali=coppette di bronzo da far tintinnare).
1. La religione olimpica, in cui vi erano gli dei (immortali) e gli uomini (mortali);
2. Il culto dionisiaco, che credeva che si potesse avere un contatto con il divino,
praticato dagli strati sociali più emarginati, e per giungere allo stato di estasi
si utilizzava l’aulos.
La parola musica deriva dalle Muse, figlie di Zeus e Memoria (Mnemosyne) (mito
delle Muse: cantore Tamiri).
1. Platone;
2. Aristotele.
Secondo Platone vi era il principio detto “catarsi allopatica” (elementi opposti) ed era
più introverso, infatti la musica doveva essere utile e non piacere e ammetteva
l’harmonìai dorica e frigia, ma bandiva l’aulos!!! (contraddizione). Inoltre, egli
rifiutava la musica più moderna (ad esempio quella di Timoteo) perché non voleva
un rapporto troppo stretto con la narrativa del testo e la sua metrica.
Fin dall’età di Pitagora si riteneva che la vera musica fosse quella puramente teorica
cioè la scienza acustica, in quanto basata sul principio razionale per eccellenza ossia
il numero. Ecco perché la musica udibile (cioè quella generata da voci umane o da
strumenti musicali) era considerata un riflesso imperfetto dall’armonia cosmica. Visto
che secondo i filosofi pitagorici il moto degli astri è regolato da delle proporzioni
matematiche (armonia delle sfere) e anche gli intervalli musicali erano basati su
delle proporzioni matematiche simili essi consideravano la musica e gli astri
appartenenti ad uno stesso insieme (mito platonico di Er).
Timoteo era un virtuoso della kithara e portò questo strumento musicale ad avere 11
corde per ottenere tutti e 3 i generi in un unico canto. Voleva rinnovare la musica,
fondata in passato sull’alternanza di sillabe brevi e lunghe basandola invece su una
maggiore libertà ritmica, ma non viene capito dai suoi contemporanei. Inoltre, dopo
di lui non abbiamo altri compositori noti.
Secondo Aristotele la poesia era accompagnata dalla musica e dalla danza non
soltanto nel nómos e nel ditirambo (canto corale in onore di Dioniso), ma anche nella
commedia e nella tragedia. Ecco perché i tragediografi (tragedia) e i commediografi
(commedia) erano non solo coreografi ma anche compositori delle musiche dei loro
lavori, oltre che registi.
1. Dell’Ifigenia in Aulide;
2. Dell’Oreste di Euripide.
La convivenza fra recitazione e canto era permessa dalla natura stessa della lingua
che prevedeva abbassamenti o innalzamenti del tono di voce in corrispondenza delle
sillabe toniche (sillabe accentate), ma anche dalla metrica quantitativa dei versi e
anche dal tono di recitazione non realistico ma declamatorio. Infatti nella metrica
latina e greca si utilizzava una metrica basata sull’alternanza di sillabe brevi e lunghe
(metrica quantitativa) e non come adesso sulla successione di sillabe toniche e atone
(non accentate) (metrica accentuativa).
I coreuti erano i cantori del coro, invece il corifeo era il capo del coro.
Il coro cantava e non recitava, e si esibiva nell’orchestra ossia nello spazio antistante
la scena.
Lo stasimo era la parte danzata dal coro nell’orchestra e assumeva una forma
codificata ossia: 2 serie di versi lirici (strofe e antistrofe {risposta alla strofe}) che
sono ordinate secondo lo stesso schema metrico e sono entrambe cantate su una
stessa melodia e insieme formano la coppia strofica. Alla fine di una serie di 2 o 3
coppie strofiche abbiamo una serie finale di versi lirici (epodo) cantati su una
melodia autonoma.
Metro anapestico;
Metro giambico, che secondo Aristotele era il più vicino al tono normale della
conversazione;
Tronchei o versi in serie continua, che sono dei versi che hanno lo stesso
schema metrico.
Si ritiene che i versi in serie continua sono recitati, invece quelli lirici sono cantati.
Sembra credibile che alla recitazione e al canto può essere associata una
declamazione chiamata “paracataloghé”, cioè che i versi erano recitati
sull’accompagnamento dell’aulos.