La Musica Dell'Antica Grecia

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La musica nell’antica Grecia (4.11.

2020)

La storia della musica occidentale inizia dall’antica Grecia. Ma nonostante ci siano


moltissime fonti teoriche e dell’importanza della musica nella società del tempo, ci
restano pochissimi frammenti musicali poiché al tempo la tradizione musicale era
principalmente orale, poiché trascrivevano solo ciò che secondo loro era destinato alla
conoscenza, come ad esempio la poesia nei grandi poemi.
Vedremo un’altra disciplina che si occupa dello studio della musica dei popoli
extraeuropei e dei popoli che hanno tradizione orale, l’Etnomusicologia.
L'esistenza della civiltà greca la si può dividere in tre grandi periodi:
• Periodo arcaico dalle origini al 480 a.C.
• Periodo classico 480 a.C. al 323 a.C.
• Periodo ellenistico dal 323 a.C. al 146 a.C., anno della conquista dell'impero
romano.
Vedremo come la teoria greca influenzerà quella medievale ed è importante poiché da
le basi per la nascita del nostro sistema musicale moderno.
La musica era accostata sempre alla Musikè, ovvero alle arti delle muse, era quindi
sempre intesa insieme alle altre arti (poesia, pittura…) ma vediamo soprattutto dai
miti come quelli di Dioniso e Orfeo, come la musica avesse un ruolo di rilievo.
Pitagora mette la musica in relazione alle leggi del moto dei pianeti poiché entrambe
governate la leggi numeriche che si basano su proporzioni armoniche (Armonia delle
sfere). Ha quindi significato metafisico e matematico.
Dal V sec. a.C. la musica prende un ruolo nell’educazione dell’uomo, come
educazione dell’anima grazie a Platone poiché legata all’armonia degli astri , la
considera quindi oggetto della ragione capace di influire sull’animo umano.
Da qui nasce la teoria dell’Ethos, ovvero la capacità della musica di agire e incidere
sull’animo umano sia positivamente che negativamente a secondo dell’harmonia che
veniva eseguita
• Dorico dalla Lyra grave e virile determinava compostezza e moderazione
• Frigia dall’Aulos di Dioniso suscitava entusiasmo ed emozioni sfrenate
Platone quindi teorizza la sua Catarsi Allopatica ovvero la capacità della musica di
infondere una virtù che manca nell’uomo o che è in preda al vizio opposto,
purificandolo, difatti nella sua utopica città Platone vieta tutti gli strumenti che
possano eseguire le harmonie all’infuori di quella dorica e quella frigia e l’unico
repertorio consentito era quello che seguiva i nomoi ovvero delle leggi che si
attenevano a schemi ritmico-melodici.
Aristotele invece teorizza la Catarsi Omeopatica secondo la quale anche con un
perturbamento controllato con un ethos negativo si possono espellere le proprie
negatività, come una medicina.
Aristosseno si concentra sulla percezione che provoca la musica, più precisamente si
concentra sul problema dell’intonazione mettendo a fuoco il Telaon.
Il Telaon non è altro che il sistema musicale che suddivideva l’ottava in 6 parti e di
dividere il tono in due semitoni. Questo dato dallo studio della corda. Più
precisamente consisteva in una serie di 15 suoni (2 ottave) disposti in senso
discendente divisi in 4 tetracordi (4 suoni) che si intersecavano tra loro, ovvero
l’ultimo suono coincideva con il primo del successivo tetracordo, tranne tra il secondo
e il terzo che invece non si incontravano, e l’aggiunta di un suono grave
I suoni all’interno del tetracordo (il secondo e il terzo) sono mobili, ovvero possono
variare a secondo del genere:
▪ Diatonico tra i due suoni vi è la distanza di un tono (Do-Re)
▪ Cromatico tra i due suoni vi è la distanza di un semitono cromatico (Do#-Do)
▪ Enarmonico tra i due suoni vi è la distanza di un quarto di tono (Do- quasi Si)
I tetracordi si differenziano poi a secondo di dove si trova il semitono e prendono il
nome delle popolazioni che li utilizzavano. Essi sono gli elementi fondamentali
dell’armonia, infatti due tetracordi della stessa tipologia forma “‘armonia di quel tipo:
• Dorica: semitono al 3º posto
• Frigia: semitono al 2º posto. 3 modi fondamentali
• Lidia: semitono al 1º posto
• Misolidia: il semitono sta nella congiunzione tra i due tetracordi
• Ipodorica
• Ipofrigia. Sono una 5ª sotto le fondamentali costituite dall’ipocordo
• Ipolidia
La musica era considerata la realizzazione sonora della poesia, questo perché la lingua
aveva una struttura fonetica che permetteva di dare ai discorsi qualità melodiche,
poiché le stesse sillabe si differenziavano per dimensioni ritmiche (breve o lunga),
dimensioni meliche (accenti acuti, gravi e circonflessi) e dimensioni timbriche (vocali
e consonanti).
Le più grandi testimonianze di notazione melica sono i due grandi Inni Delfici
dedicati al Dio Apollo che si basano sulla stessa metriche su un unico nomos Pitico. Il
primo risale al 138 a.C. mentre il secondo al 128 a.C.
I Greci definivano loro stessi Elleni e definivano gli altri popoli barbari, questo
perché questi ultimi nella loro lingua non utilizzavano la melica greca ma bensì
utilizzavano l’ictus.
Dionigi di Alicarnasso diceva al riguardo:
“C’è un Melos insito nel discorso ed è musica anche l’arte dei discorsi civili solo di
grado non di qualità differente da quella dei canti e degli strumenti, anche nel parlare
c’è Melos e ritmo e variazione e proprietà, e gode l’udito delle differenze d’altezza e
di durata delle sillabe ama la variazione e brama soprattutto la proprietà, la differenza
sta solo nella minore o maggiore ricchezza e precisione di suono.”
La differenza tra letteratura, musica e danza sta quindi nella maggiore o minore
ricchezza della pronuncia. Il Ritmo è ordine di movimento.
La sintesi della pratica musicale greca è quindi arrivare al logos (discorso) secondo il
ritmo e al melos secondo il nomos.
Il nomos fornisce quindi l’armonia, ovvero la gamma di suoni utilizzati.
La Tragedia
La tragedia greca era un genere teatrale utilizzato anche per riti religiosi e con
importante valenza sociale.
I maggiori esponenti sono Eschilo, Sofocle ed Euripide.
Qui l’attività melica e musicale sono legate e lo testimoniano due generi musicali: la
citarodia accompagnata dalla Kitara e l’aulodia accompagnata dall’aulos. Anch’esse
utilizzavano i nomoi che erano quindi degli schemi ritmico-melodici caratteristici già
noti e codificati.
Secondo Aristotele quindi il verso poetico si combinava con la melodia e con il ritmo
non solo nel nomos e nel ditirambo (canto corale in onore di Dioniso) ma anche nella
tragedia e nella commedia.
Ciò che ci rimane di tragedie classiche, sono due piccoli frammenti uno dall’Ifigenia
di Aulidene uno dall’Orestendi
ma Euripide.
La convivenza tra recitazione e canto, vediamo che era favorita dalla stessa lingua,
che imponeva di per se un innalzamento e un abbassamento del tono di voce in
corrispondenza delle sillabe toniche, e del,a metrica quantitativa dei versi, e
dall’adozione di un tono di recitazione “non realistico”ma declamato ed enfatico.
Nella struttura fondamentale di una tragedia la Parodo (ingresso del coro) e gli
Stasismi, cioè le parti cantate e danzate dal coro nell’orchestra si alternavano agli
Episodi (che corrispondono ai nostri atti) recitati sulla scena e gli stessi attori aprivano
e chiudevano la tragedia con il Prologo e l’Esodo.
La Parodo era in metro anapestico (uu-), adatto ad accompagnare l’ingresso solenne
del coro, o composta da versi lirici come gli Stasimi.
Prologo, Episodi ed Esodo, costituiti da monologhi o dialoghi tra personaggi,
potevano essere in:
Prologo attori
• Metro Giambico (u-) ferodo loro
ingresso_

• Metro Anapesti (uu-) Episodi attori -


alti

Stasini coro e dona

• Metro Trochei (-u) Esodo attori

Lo Stasimo assumeva una forma codificata: due sedie di versi lirici (strofe e
antistrofe), ordinate secondo la stessa successione di schemi metrici e verosimilmente
cantate entrambe su una medesima melodia, formavano una coppia strofica. A
conclusione di una serie di 2 o 3 coppie strofiche subentrava di solito una serie finale
di versi lirici (epodo), cantata su una melodia autonoma.
Un tipo particolare di canto era il commo, dal carattere patetico.
L’alternanza tra canto corale e recitazione è un sentore dei compianti funebri
(trenodie) da cui i commi derivano. Altre parti della tragedia hanno l’alternanza tra
attore e coro come Parodo commatica o Stasimo commatico.
Non diversi sono i canti ambei in cui il coro è diviso in due.
Il coro poteva avere diverse funzioni a secondo del tipo di scrittura utilizzate, nello
Stasimo il canto era un’appendice dell’azione, nei commi partecipava attivamente
come un personaggio.
Questa duplice funzione assunta dal coro la si può notare nella struttura dell’Oreste di
Euripide.
Nei primi tre stasimi, l’azione si arresta dando modo ad Elettra di esprimere il suo
stato d’animo.
Nel quarto e nelle parti cantate dell’esodo il coro prende parte attiva all’azione.
Dal V sec. notiamo uno spostamento del baricentro drammaturgico dal coro agli attori,
e lo si può notare nel terzo Stasimo in cui il coro viene sostituito dalla voce solista di
Elettra che è giustificata dal fatto che mette in evidenza il fattore psicologico del
personaggio.
Oltretutto rappresenta una svolta per l’intera tragedia poiché da questo momento il
gioco tra sezioni cantate e recitate si fa più complesso ed articolato.
Nell’Esodo tra la strofa e l’antistrofa è inserito l’”a solo” del frigio più lungo del
teatro Euripide o probabilmente eseguito utilizzando dei nomoi conosciuti dal
pubblico.
Già in quest’epoca si possono riconoscere alla musica inserita nella finzione scenica
alcune prerogative che i secoli a venire capitalizzeranno.

Frammento dell’Oreste di Euripide


Il frammento che è sopraggiunto a noi sono i primi versi del primo stasimo scritti in
notazione vocale sopra le sillabe e una nota strumentale a metà di ogni verso.
Piango ed affliggomi:

=]
il sangue di tua madre è che ti fa impazzire strofa .
coro
femminile
Grande felicità nei mortali non sta:
Così la vela di nave veloce
Squassando un demone sommerge di terribili
sciagure, del mare in violenti rovinosi
antistrofe
flutti
Risale al III sec. a.C. Da Ossirinco, ha poi fatto parte della collezione dell’arciduca
Ranieri d’Asburgo e oggi è depositato alla Biblioteca nazionale di Vienna.
Il frammento va dal verso 338 al 443 e la prima rappresentazione fu nel 408 a.C.
È formata da 7 dimetri docmiaci in armonia Dorica di genere cromatico e enarmonica.
Il testo recita il rimorso di Oreste nell’aver ucciso la madre per vendicare il padre ←
o
viene cantato da un coro femminile che lo compiange.
-

Ad accompagnare la voce c’è l’Aulos e uno strumento a percussione Metallica (nella


riproduzione moderna un triangolo).Ergoterapia
Vi è l’alternanza tra solo e tutte.
Oreste di Euripide angusto

ritmo del parlato

Tragedia Greca prologo → Attori


parado → Coro →
veniva utilizzato il metro
angusto
( di marcia )
Episodi → Attori
Stasi no → Coro
Esodo →
Attori

L' unico
frammento rimasto è strofa antistrofe del Staino che è
una e un' I
qui
eseguito da un coro
femminile
( 7 di metri donatici ) Armonia Dorica
bramosia cromatico
genere e

Accenti
inflessione della voce

Qui il coro ha una


duplice funzioni →
narrativo o come
personaggio
Notazione strumentale in mezzo ai versi
Stele di Sicilo
È un Epitaffio ovvero una dedica ad un defunto (in questo caso la moglie Euterpe’).
Risalgono al I sec. d.C. provengono probabilmente da Tralles nell’Asia Minore.
I segni ritmici e melodici sono incisi sui versi.
La boom
loro utilità è ignota, probabilmente era un arredamento o un manufatto funebre.
Sua

Le prime 5 righe dell’incisione contengono un distico e poi una breve canzone di 4


dimetri giambici con notazione melica e ritmica con armonia frigia in tropo ionio e
alla fine un verso di dedica.
Il distico e la dedica finale sono un parlato declamato, che nella scrittura moderna
viene trascritta con l’odierno Sprechgesang Schöenberghiano da un solista mentre la
parte centrale è intonata.
Pietra non son, ma immagine: Distico
Sicilo qui mi pose SOLISTA DECLAMATO " li
aqteàsinai
"

Segno longa di memoria immortale "" " "

di metri giambici
Quanto vivi, splendidi!
Non t’affligger mai
Canzone /
solista+ notazione ritmica e melodica
Corta è la vita con
e il tempo ne reclama la fine
armonia
frigia in tropo ionio
Sicilo ad Eutérpe. Dedica
2 SOLISTA DECLAMATO

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