Diritto Amministrativo

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DIRITTO AMMINISTRATIVO - INTRODUZIONE

1. GENERALITA’

Il diritto amministrativo disciplina l’organizzazione e l’azione della P.A.,


nonché i rapporti tra la P.A e gli altri soggetti dell’ordinamento.
Mancando una definizione generale di P.A., può essere desunta dalle
indicazioni tratte dall’ordinamento giuridico nel suo complesso.

Pertanto, LA P.A. PUO’ ESSERE INTESA:

 IN SENSO SOGGETTIVO → come insieme delle strutture


burocratiche costituite per lo svolgimento di pubbliche funzioni (cd.
amministrazione-apparato o organizzazione amministrativa o
amministrazione in senso formale);

 IN SENSO OGGETTIVO → in relazione all’amministrazione-attività o


alla cura degli interessi pubblici (cd. Amministrazione in senso
sostanziale).

Il DIRITTO AMMINISTRATIVO è:
a) Diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e
regola i rapporti in cui uno dei soggetti è necessariamente lo Stato o un
ente pubblico nell’esercizio di potestà amministrative;
b) Autonomo: in quanto si fonda su propri principi e proprie regole;
c) Comune: in quanto si rivolge genericamente a tutti i soggetti che fanno
parte dell’ordinamento e non soltanto a determinate categorie;
d) Ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini
differenti, inglobando o escludendo alcuni settori dalla propria gestione;
e) Ultrastatale: in quanto le norme giuridiche trovano la loro fonte non solo in
atti dell’ordinamento nazionale, ma anche in atti di origine sovranazionale.

2. FUNZIONE POLITICA E FUNZIONE AMMINISTRATIVA

La FUNZIONE POLITICA consiste nell’individuazione e nella scelta dei


fini di interesse generale che lo Stato vuole perseguire in un determinato
momento storico; essa incontra come unico limite le previsioni della
Costituzione.
Gli atti emanati dai soggetti pubblici, nell’esercizio di tale funzione, sono
detti ATTI POLITICI e sono caratterizzati da una particolare forza e da una
particolare disciplina.
La FUNZIONE AMMINISTRATIVA consiste nella concreta realizzazione
dei fini determinati dal potere politico ed è caratterizzata da una
limitata discrezionalità; essa deve essere svolta non solo nel rispetto dei
principi costituzionali, ma anche in armonia con le leggi ordinarie e con gli
atti ad esse equiparati (decreti legge, decreti legislativi).
Nell’esercizio di tale funzione i soggetti pubblici emanano gli ATTI
AMMINISTRATIVI.
In altri termini, la funzione amministrativa è la funzione
dell’amministrare, cioè di realizzare, mediante l’attività amministrativa,
gli interessi della collettività, predeterminati ed individuati in sede
politica ed attribuiti dal legislatore alla cura della pubblica
amministrazione.

Alla distinzione fra funzione politica e funzione amministrativa corrisponde


la differenza fra ATTI POLITICI E ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE:

3. ATTI POLITICI

Gli ATTI POLITICI sono espressione di una attività completamente


libera nel fine, riconosciuta dalla Costituzione ai supremi organi
decisionali dello Stato e, come tale, non sindacabile in sede
giurisdizionale.

L’atto politico presenta due elementi:

 SOGGETTIVO → dovendo provenire da un organo decisionale dello


Stato (Governo, Parlamento, Presidente della Repubblica, Regioni);
 OGGETTIVO → dovendo l’atto essere libero nei fini, perché
riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione,
salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri.
Rientrano in tale categoria:
 Atti aventi forza di legge
(leggi, decreto-legge, decreti legislativi);
 Atti aventi forza giurisdizionale
(sentenze della Corte Costituzionale);
 Atti formalmente amministrativi privi di forza legislativa o valenza
giurisdizionale
(es. proposte di nomina dei ministri).

4. ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE


Gli ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE, invece, sono veri e propri atti
amministrativi, aventi il compito di raccordare la funzione politica e la funzione
amministrativa. Come gli atti politici, essi si collocano al massimo livello
dell’organizzazione e dell’attività funzionale dei pubblici poteri, ma mantengono la
caratteristica tipica dei provvedimenti amministrativi, cioè la finalità di cura di
interessi pubblici nel caso concreto.
Gli ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE sono caratterizzati da una forte
discrezionalità, quasi parificabile a quella degli atti politici, ma non sono liberi
nei fini, essendo di conseguenza, soggetti al sindacato del giudice.
Sono, quindi, soggetti alla disciplina dettata per il procedimento
amministrativo ed impugnabili davanti al giudice amministrativo per vizi di
legittimità (violazione di legge, incompetenza e eccesso di potere).
Appartengono alla categoria degli ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE:
 La revoca dell’assessore comunale;
 La delibera del Consiglio dei ministri adottata nel contesto della conferenza
dei servizi;
 La nomina del direttore generale dell’ASL;
 La nomina da parte del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) delle
alte cariche dei Tribunali e delle Procure;
 L’annullamento straordinario da parte del Governo di un atto di un ente
locale.

CAPITOLO 1 – LE FONTI

1. QUADRO DELLE FONTI


FONTI DEL DIRITTO sono tutti gli atti o fatti da cui traggono origine le norme
giuridiche (leggi, decreti ecc.) che costituiscono l’ordinamento giuridico statale, cd.
Fonti di produzione, nonché i mezzi attraverso cui il diritto viene portato a
conoscenza dei cittadini (es. la Gazzetta Ufficiale) che, per la loro funzione, sono
detti Fonti di cognizione.
Caratteristica fondamentale degli ordinamenti giuridici moderni è la pluralità
delle fonti del diritto e il diverso livello delle stesse, tanto che si parla oggi di un
sistema multilivello delle fonti.

In generale, le FONTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO sono:


 Le fonti del diritto sovranazionale
(diritto dell’Ue);
 Le fonti del diritto internazionale
(in cui assume rilevanza la CEDU);
 Le fonti dell’ordinamento nazionale
2. LE FONTI DEL DIRITTO EUROPEO

Il sistema giuridico europeo è il complesso di norme che regolano


l’organizzazione e lo sviluppo dell’Ue e i rapporti tra questa e gli stati
membri.

SI DISTINGUE in:

1. ORIGINARIO, con riferimento ai Trattati istitutivi delle Comunità


europee e ai successivi Trattati di modifica, nonché ai principi
generali del diritto;
2. DERIVATO, comprensivo degli atti giuridici emanati dalle Istituzioni
europee. Vi rientrano i regolamenti, le direttive, le decisioni, le
raccomandazioni e i pareri.

A. REGOLAMENTI
I REGOLAMENTI sono atti normativi aventi carattere generale ed astratto;
sono obbligatori e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri;

B. DIRETTIVE
Le DIRETTIVE vincolano lo Stato membro a cui sono indirizzate solo in ordine al
risultato da raggiungere, lasciando ferma l’autonomia dello stesso per quanto
riguarda la forma e i mezzi con cui darvi attuazione. Non hanno efficacia
diretta negli Stati membri, ma necessitano di un atto di recepimento.
Tuttavia, esistono alcune categorie di direttive ad efficacia diretta: quelle che
impongono obblighi di non fare; quelle confermative di norme già previste dal
Trattato UE; quelle aventi un contenuto sufficientemente chiaro e preciso, tale da
non richiedere l’emanazione di ulteriori atti
(cd. Direttive dettagliate o self executing).

C. DECISIONI
Le DECISIONI sono obbligatorie in tutti i loro elementi; se designano i
destinatari, sono obbligatorie solo nei confronti di questi.
La decisione, dunque, può assumere due forme:
 La prima, rivolta agli Stati membri;
 La seconda, indirizzata a singoli individui, quindi a destinatari determinati.
D. RACCOMANDAZIONI E PARERI
Le RACCOMANDAZIONI e i PARERI sono atti non vincolanti. Il giudice
nazionale non è tenuto a disapplicare la norma interna che eventualmente
contrasti con essi.
 Le RACCOMANDAZIONI rivolgono agli Stati membri un invito a tenere un
determinato comportamento, senza porre alcun obbligo di risultato.
 I PARERI sono rivolti da un’istituzione ad un altro soggetto che li richieda e
hanno la funzione di far conoscere il punto di vista dell’organo emanante
riguardo a determinate questioni.

3. LE FONTI INTERNAZIONALI

Tradizionalmente le FONTI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO


INTERNAZIONALE sono distinte in:

1. NORME CONSUETUDINARIE, ivi compresi i principi generali di diritto


riconosciuti dalle nazioni civili, che si indirizzano, generalmente, a tutti i
membri della Comunità internazionale. Ad esse l’ordinamento nazionale si
conforma attraverso il rinvio operato dall’art.10 Cost.;

2. NORME CONVENZIONALI, o norme poste in essere da trattati


internazionali. Sono fonti vincolanti solo per i soggetti che hanno concorso
alla loro formazione. Esse possono essere distinte in formali e materiali, a
seconda che istituiscano ulteriori fonti di produzione di norme o regolino
direttamente i rapporti fra gli Stati contraenti.

3. ATTI VINCOLANTI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI, previsti


da regole formali contenute in accordi istitutivi, che hanno efficacia solo per
gli Stati che hanno aderito all’accordo.

4. LE FONTI DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE

Nel quadro delle fonti dell’ordinamento nazionale, in posizione gerarchicamente


sovraordinata, si trova la Costituzione, che contiene un nucleo di principi e di
norme di immediata forza precettiva, volte a disciplinare l’Amministrazione nel
suo complesso.
Alla Costituzione fa seguito la legge ordinaria e gli atti aventi forza di legge, in
qualità di FONTI PRIMARIE.
Accanto alle fonti primarie, ma in posizione subordinata, si collocano le FONTI
SECONDARIE, le quali sono sovente considerate le FONTI SPECIFICHE DEL
DIRITTO AMMINISTRATIVO.
Le FONTI DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE sono:
 FONTI DI RANGO COSTITUZIONALE → Costituzione; leggi
costituzionali e di revisione costituzionale; leggi costituzionali di
approvazione degli Statuti regionali speciali.
 FONTI DI RANGO PRIMARIO → leggi ordinarie; atti aventi forza di legge
(decreti legge e decreti legislativi); referendum abrogativo; statuti delle
Regioni ordinarie; leggi regionali e leggi delle Province autonome di Trento
e Bolzano.
 FONTI SECONDARIE → regolamenti e statuti degli enti locali;
 CONSUETUDINE

5. RAPPORTI TRA FONTI: RISOLUZIONE DELLE ANTINOMIE


I RAPPORTI TRA LE FONTI e le eventuali ANTINOMIE possono regolarsi
secondo determinati CRITERI:
a) CRONOLOGICO → tra fonti dello stesso rango si preferisce quella di data
posteriore;
b) GERARCHICO → tra fonti di diverso rango si preferisce quella di livello
superiore, sicché se la norma sottordinata è in contrasto con una di rango
superiore, essa è invalida e soggetta ad annullamento o a disapplicazione;
c) SPECIALITA’ → se tra due norme, l’una ha carattere generale e l’altra
speciale, troverà applicazione quella di contenuto più specifico.
d) COMPETENZA → secondo cui talune materie devono essere disciplinate dai
soggetti competenti in via precipua.

CAPITOLO 2 – LE FONTI SECONDARIE

Le FONTI SECONDARIE, cd. FONTI SPECIFICHE DEL DIRITTO


AMMINISTRATIVO, sono atti normativi subordinati alle norme di grado
primario.
Tale categoria comprende tutti gli atti espressione del potere normativo (o di
autonomia normativa) della pubblica amministrazione statale (Governo,
Ministri, Prefetti ecc.) o di altri enti pubblici (enti territoriali e altri enti pubblici).
Si tratta di ATTI:
 Formalmente amministrativi, in quanto adottati da una P.A., ma
 Sostanzialmente normativi, in quanto idonei ad innovare l’ordinamento
giuridico.
Sono, per tale motivo, caratterizzati da:
 Generalità → ossia indeterminabilità dei destinatari dell’atto;
 Astrattezza → ossia indefinita riferibilità e applicabilità delle previsioni in
esse contenute ai singoli casi concreti;
 Innovatività → ossia attitudine dell’atto a modificare l’ordinamento
giuridico.

Le fonti secondarie, in quanto atti amministrativi, sono soggette alle


leggi e agli atti aventi forza di legge. Pertanto, esse non possono
abrogare, derogare o modificare né le fonti di rango costituzionale né
quelle di rango primario, né dettare norme contrastanti con esse.
Perciò si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza
normativa: cioè non possono equipararsi alle leggi ma, nei limiti di esse,
hanno una loro forza giuridica quali fonti di diritto.

Tuttavia, le fonti secondarie possono modificare le leggi ordinarie solo se


una di queste abbia delegificato una materia, autorizzando atti del
potere esecutivo (di solito regolamenti) a disporre norme (in quella materia)
che hanno la stessa forza di quelle emanate con la legge.

Le fonti secondarie si distinguono in REGOLAMENTI, ORDINANZE E


STATUTI.

2. REGOLAMENTI
A. NOZIONE E LIMITI
I REGOLAMENTI sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da
organi del potere esecutivo, ed aventi forza normativa, in quanto contenenti
norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico, con i caratteri di generalità ed
astrattezza, quindi classificabili come fonti di produzione del diritto.
Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella LEGGE → gli organi
amministrativi possono emanare regolamenti solo quando la legge attribuisca loro
tale potere.
Principale norma attributiva del potere regolamentare è l’ART.17 L.n400/88
che funge da CLAUSOLA GENERALE.

I REGOLAMENTI NON POSSONO:


 Derogare o contrastare con la costituzione;
 Derogare o contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad
attribuire loro il potere, in un determinato caso, di innovare anche
nell’ordine legislativo (delegificando la materia);
 Regolamentare le materie per cui vi è una riserva di legge assoluta;
 Derogare al principio di irretroattività della legge;
 Contenere sanzioni penali
 Contrastare con regolamenti emanati da organi gerarchicamente superiori.

B. CLASSIFICAZIONI

1) A seconda dei SOGGETTI PUBBLICI che li emanano, i REGOLAMENTI SI


DISTINGUONO IN:

 REGOLAMENTI STATALI → emanati da organi statali; a loro volta


sono distinti in:
 Governativi, se deliberati dal Governo;
 Ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo o
dal suo Presidente;
 Non governativi, se emanati da autorità amministrative
inferiori (es. Prefetto). ↓
Tali regolamenti, a differenza di quelli governativi, hanno efficacia limitata al
territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità emanante.
 REGOLAMENTI NON STATALI → emanati dagli enti territoriali,
quali Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Possono
essere emanati anche da altri enti e organi, quali Collegi e Ordini
professionali, Camere di commercio ecc.

2) A seconda che siano destinati ad operare nell’ORDINAMENTO GENERALE


o in un AMBITO RISTRETTO, i REGOLAMENTI SI DISTINGUONO IN:

 REGOLAMENTI ESTERNI → espressione del potere di supremazia


dell’esecutivo verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel
territorio dello Stato. Sono fonti del diritto e la loro violazione
costituisce violazione di legge.
 REGOLAMENTI INTERNI → regolano l’organizzazione interna di un
organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte
dell’ufficio, organo od ente. NON sono fonti del diritto e la loro
violazione non costituisce vizio dell’atto.
3) A seconda del CONTENUTO, i REGOLAMENTI SI DISTINGUONO IN:

 REGOLAMENTI DI ESECUZIONE → volti a specificare una


disciplina di rango legislativo con norme di dettaglio. Sono gli unici a
poter operare nell’ambito di una riserva assoluta di legge;
 REGOLAMENTI DI ATTUAZIONE E DI INTEGRAZIONE → volti a
completare i principi fissati da leggi e decreti legislativi. Tali
regolamenti NON possono regolare materie riservate alla competenza
regionale;
 REGOLAMENTI INDIPENDENTI → autorizzano il Governo a
disciplinare materie in cui l’intervento di norme primarie non si sia
ancora configurato, purché non si tratti di materie soggette a riserva
assoluta o relativa di legge;
 REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE → disciplinano
l’organizzazione e il funzionamento delle P.A.;
 REGOLAMENTI DELEGATI O AUTORIZZATI, detti anche
REGOLAMENTI DI DELEGIFICAZIONE → sono emanati in base ad
apposite leggi che autorizzano i regolamenti ad introdurre una
determinata disciplina di una specifica materia che andrà a sostituire
quella di rango legislativo che, pertanto, si ha per abrogata al
momento dell’entrata in vigore di quella regolamentare.
Il procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie
coperte da riserva assoluta di legge.
 REGOLAMENTI DI RIORDINO → con cui si provvede al periodico
riordino delle disposizioni regolamentari vigenti e alla ricognizione di
quelle che sono stato oggetto di abrogazione.

C) IMPUGNABILITA’ DEI REGOLAMENTI

I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e, come tali,


POSSONO ESSERE IMPUGNATI INNANZI AL TAR. Tuttavia, ciò
che ostacola la loro impugnabilità è il fatto che essi non ledono in
via immediata la sfera giuridica di un soggetto: sicché, spesso,
non sussiste un interesse a ricorrere. Pertanto, colui che ha
interesse alla eliminazione di un regolamento o di una norma in esso
contenuta, non può impugnare di per sé il regolamento, MA
L’ATTO EMANATO DALLA P.A. IN ESECUZIONE DEL
REGOLAMENTO, allorché tale atto vada a ledere direttamente la
sua sfera giuridica.
In sede di impugnazione potrà poi impugnare anche il regolamento
di cui l’atto lesivo è l’applicazione (cd. DOPPIA IMPUGNATIVA).
3. ORDINANZE

Il termine ORDINANZA si riferisce a diversi tipi di atti, non


necessariamente emanati dall’autorità amministrativa.
In diritto amministrativo per “ordinanze” si intendono tutti quegli
atti che creano OBBLIGHI o DIVIETI e, in sostanza, impongano
ORDINI.

Le ordinanze per essere FONTI DEL DIRITTO devono avere


carattere normativo, e cioè CREARE DELLE REGOLE GENERALI E
ASTRATTE.

La dottrina prospetta la seguente CLASSIFICAZIONE:


 Ordinanze previste dalla legge per casi ordinari;
 Ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare
gravità, in cui sarebbe impossibile l’utilizzazione e l’osservanza delle
norme ordinarie;
 Ordinanze di necessità e urgenza emanate per far fronte a
situazioni di urgente necessità.
La legge attribuisce il relativo potere solo a determinate autorità amministrative,
ma non prevede casi concreti in cui esercitarlo né pone limiti (salvo il
rispetto delle leggi costituzionali e dei principi) al contenuto di tali ordinanze;
pertanto, esse sono atipiche.
Essendo atti straordinari, il relativo presupposto è costituito da un pericolo per
l’incolumità pubblica e/o sicurezza dei cittadini, tale da renderne
indispensabile l’emanazione.

4. STATUTI DEGLI ENTI PUBBLICI


Per STATUTO si intende un atto normativo avente ad oggetto
L’ORGANIZZAZIONE DELL’ENTE E LE LINEE FONDAMENTALI DELLA SUA
ATTIVITA’.
Lo Statuto è espressione di una potestà organizzativa a carattere normativo, che
può essere attribuita allo stesso ente sulla cui organizzazione si statuisce (cd.
AUTONOMIA STATUTARIA), o ad un altro organo o ente diverso (cd. ETERO-
STATUTI)
Vi sono:
 Gli STATUTI REGIONALI (ART.114 COST.) → si tratta di leggi regionali
rinforzate, cioè approvate con un procedimento rafforzato (due deliberazioni
successive adottate ad intervallo non minore di due mesi ed eventualmente
sottoposte a referendum popolare), non soggette ad alcun visto.
Gli statuti delle regioni speciali sono rivestiti della forma della legge
costituzionale;
 Gli STATUTI DELLE AUTONOMIE LOCALI (ART.114 COST) → in cui si
riconosce espressamente agli enti locali la potestà di adottare un proprio
statuto.
Esso definisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le
forme di controllo, le forme di partecipazione popolare, in armonia con la
Costituzione e i principi generali in materia di organizzazione pubblica;
 Gli STATUTI DEGLI ALTRI ENTI PUBBLICI.

Circa l’IMPUGNAZIONE DEGLI STATUTI si applica il regime della DOPPIA


IMPUGNATIVA (dello Statuto e dell’atto esecutivo).

5. TESTI UNICI E CODICI

I TESTI UNICI sono gli atti che raccolgono e coordinano le disposizioni


originariamente comprese in atti diversi, per semplificare il quadro
normativo.
È possibile DISTINGUERE FRA TESTI UNICI:
 NORMATIVI → se modificano o abrogano le disposizioni legislative esistenti;
 COMPILATIVI → se si limitano al raccoglimento in un unico atto delle norme
già esistenti, lasciando immutata la legislazione vigente.

Esistono, poi, i TESTI UNICI MISTI → aventi ad oggetto non solo il


coordinamento di disposizioni di fonte primaria (potestà legislativa
delegata) ma anche la raccolta di disposizioni di rango secondario (potestà
regolamentare delegificante)

6. NORME INTERNE E CIRCOLARI


Tutte le P.A. emanano norme relative al funzionamento dei loro uffici o alle
modalità di svolgimento della loro attività, dando luogo ad un ORDINAMENTO
AMMINISTRATIVO INTERNO. Queste norme hanno come destinatari solo coloro
che fanno parte di una determinata amministrazione.
Le NORME INTERNE NON SONO FONTI DEL DIRITTO, NON POSSONO
ESSERE IN CONTRASTO CON NORME DI LEGGE, né con REGOLAMENTI o
ORDINANZE, e la loro INOSSERVANZA da parte di funzionari o impiegati della P.A. può
dar luogo, a seconda dei casi, a RESPONSABILITA’ CIVILE, DISCIPLINARE,
CONTABILE, o anche PENALE.

Possono essere emanate attraverso diversi ATTI AMMINISTRATIVI:


 REGOLAMENTI → disciplinanti il funzionamento interno dell’ufficio;
 ORDINI → si tratta di atti amministrativi emanati da una autorità
gerarchicamente superiore, nei confronti di una inferiore, contenenti un
comando ad agire in un dato modo;
 ISTRUZIONI → sono atti contenenti regole di comportamento di carattere
tecnico, a chiarimento di altre norme, inviati da uffici superiori ad uffici
inferiori;
 CIRCOLARI → sono atti non aventi carattere normativo, mediante cui
l’amministrazione fornisce indicazioni in via generale e astratta in ordine
alle modalità con cui dovranno comportarsi in futuro i propri dipendenti ed
i propri uffici.
In quanto tali, le circolari non sono fonti del diritto, ma fonte direttiva per gli
uffici dipendenti dalla P.A. emanante.

Relativamente al regime impugnatorio, si esclude l’autonoma


impugnabilità delle circolari; è, invece, consentita l’impugnazione del
provvedimento attuativo cui esse si riferiscono.

7. CONSUETUDINE E PRASSI AMMINISTRATIVA


La CONSUETUDINE è la tipica FONTE DEL DIRITTO NON SCRITTA,
consistente nella ripetizione di un comportamento da parte di una generalità
di persone, con la convinzione della giuridica necessità di esso.
 ELEMENTO OGGETTIVO → il ripetersi di un comportamento costante ed
uniforme per un certo periodo di tempo (cd. Diurnitas o usus)
 ELEMENTO SOGGETTIVO → convinzione della giuridica necessità del
comportamento (cd. Opinio iuris ac necessitatis).
La PRASSI AMMINISTRATIVA consiste, invece, in un comportamento
costantemente tenuto da una amministrazione nell’esercizio di un potere, ma
in difetto della convinzione della sua obbligatorietà.
Essa NON COSTITUISCE FONTE DEL DIRITTO e la sua INOSSERVANZA non
configura una violazione di legge, ma può essere sintomo, se non sorretta da una
adeguata motivazione, di ECCESSO DI POTERE.

CAPITOLO 3 – SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE


Si definisce SITUAZIONE GIURIDICA SOGGETTIVA una situazione sostanziale
di interesse, che fa capo ad un soggetto o a un ente, tutelata dall’ordinamento
giuridico, anche nei confronti della P.A.
Le situazioni soggettive possono essere:
 ATTIVE O DI VANTAGGIO → (diritto, interesse legittimo, potere, potestà,
aspettativa), quando attribuiscono una posizione favorevole al titolare,
attribuendo all’interesse di quest’ultimo una prevalenza rispetto a quello di
altri soggetti.
 PASSIVE O DI SVANTAGGIO → (obbligazione, dovere, onore, soggezione),
quando attribuiscono una posizione sfavorevole al titolare, prevedendo la
subordinazione dell’interesse di quest’ultimo a quello di altri soggetti.

1. DIRITTO SOGGETTIVO

Il diritto soggettivo è la posizione giuridica di vantaggio che


l’ordinamento conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità
in ordine ad un bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso
in modo pieno ed immediato.

La figura del diritto soggettivo è oggetto di interesse al fine di


distinguerla dall’interesse legittimo, in quanto la ripartizione della
giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo è stabilita in base
alla natura della posizione giuridica soggettiva lesa.

 Se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della


P.A. è tenuto ad adire il GIUDICE ORDINARIO, salvi i casi in cui il
diritto soggettivo riguardi una materia devoluta dalla legge alla
giurisdizione esclusiva del GIUDICE AMMINISTRATIVO;
 Se chi agisce è titolare di un interesse legittimo nei confronti della
P.A., può ricorrere solo innanzi al GIUDICE AMMINISTRATIVO.

In diritto amministrativo, si distingue tra:

 DIRITTI SOGGETTIVI PERFETTI → sono attribuiti in maniera


diretta ed incondizionata al soggetto; il loro esercizio è libero, non
condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A., la quale non
può neppure comprimerli o estinguerli mediante un proprio
provvedimento. Esempio tipico sono i diritti di libertà, come la libertà
di manifestazione del pensiero.
 DIRITTI SOGGETTIVI CONDIZIONATI → sono quelli il cui esercizio
è sottoposto ad una condizione, che può essere sospensiva o
risolutiva.
In tale categoria rientrano:
 Diritti sospensivamente condizionati (o in attesa di
espansione) → sono quelli il cui esercizio non è libero, ma
incontra un limite di legge che deve essere rimosso da un
provvedimento amministrativo di autorizzazione (es. il diritto di
guidare).
 Diritti risolutivamente condizionati (o suscettibili di
affievolimento) → sono quelli su cui la P.A. può incidere
sfavorevolmente, limitandoli o sopprimendoli; tali sono i diritti
che possono essere sospesi o revocati dalla P.A. con proprio
provvedimento (es. il diritto di proprietà).

2. INTERESSE LEGITTIMO
A) CONCETTO
L’INTERESSE LEGITTIMO è una situazione giuridica soggettiva di vantaggio
concernente la pretesa alla legittimità dell’attività amministrativa,
riconosciuta a quel soggetto che, rispetto ad un dato potere della P.A., si trovi in
una particolare posizione differenziata rispetto agli altri soggetti (cd. POSIZIONE
LEGITTIMANTE).
Esso ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento con la L. 5992/1889
(nascita della Giurisdizione Amministrativa in Italia) che istituiva la IV sezione del
Consiglio di Stato, quale giudice di quegli interessi sostanziali diversi dai diritti
soggettivi.
Di INTERESSE LEGITTIMO si occupano espressamente anche 3 NORME DELLA
COSTITUZIONE, gli ARTT.24,103, e 113, che riconoscono a tali interessi piena
dignità e tutela, sebbene nessuna di essa fornisca una definizione di interesse
legittimo.
Circa la portata e il contenuto dell’interesse legittimo, la teoria ad oggi accolta in
dottrina e giurisprudenza cd. TEORIA NORMATIVA, collega l’interesse legittimo
ad un bene della vita, e lo definisce come la posizione giuridica soggettiva
riconosciuta ai privati grazie alla quale essi incidono sull’attività
amministrativa condizionandola, anche attraverso la partecipazione al
procedimento, per tutelare un bene pertinente alla loro sfera di interessi.
Tale tesi è stata fatta propria anche dalla GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI
UNITE con la SENT.500/1999. Tale sentenza ha aperto la strada alla
risarcibilità dell’interesse legittimo.

B) CARATTERI
I PARAMETRI che caratterizzano la figura dell’interesse legittimo sono:
 DIFFERENZIAZIONE → è titolare di un interesse legittimo colui che,
rispetto all’esercizio di un potere pubblico, si trovi in una posizione
differenziata rispetto a quella della generalità degli altri soggetti;
 QUALIFICAZIONE → nel senso che la norma preordinata a
disciplinare l’esercizio del potere della P.A. per il perseguimento
dell’interesse pubblico primario ha indirettamente preso in
considerazione, e quindi protetto, un interesse sostanziale individuale
connesso con l’interesse pubblico.
L’INTERESSE LEGITTIMO concreta, così, una POSIZIONE:
 GIURIDICA → in quanto si sostanzia in un potere giuridico avente la
struttura della pretesa;
 SOGGETTIVA → in quanto riconosciuta al singolo soggetto a tutela di un
suo interesse materiale;
 SOSTANZIALE → in quanto preesiste alla eventuale lesione di essa;
 AUTONOMA → rispetto all’azione giurisdizionale derivante dall’eventuale
lesione.

C) TIPOLOGIA
Nella categoria degli INTERESSI LEGITTIMI, in base al tipo di interesse
materiale protetto, SI DISTINGUE TRA:
 INTERESSI LEGITTIMI PRETENSIVI → Si sostanziano in una pretesa del
privato a che l’amministrazione adotti un determinato provvedimento o
ponga in essere un determinato comportamento;
 INTERESSI LEGITTIMI OPPOSITIVI → Legittimano il privato ad opporsi
all’adozione di atti e comportamenti da parte della P.A. che sarebbero
pregiudizievoli per la propria sfera giuridica.
Una diversa dottrina, seguita dalla giurisprudenza, DISTINGUE TRA:
 INTERESSE SOSTANZIALE → momento in cui l’interesse del privato (ad
ottenere o conservare un bene della vita) viene a confronto con il potere
della P.A. di soddisfare l’interesse o di sacrificarlo;
 INTERESSE PROCEDIMENTALE → è l’interesse del privato che emerge nel
corso di un procedimento amministrativo. Tali interessi possono essere fatti
valere in giudizio, al fine di eliminare quegli atti preclusivi della prosecuzione
del procedimento.

Interesse procedimentale e sostanziale rappresentano due aspetti


dell’interesse legittimo, in quanto il primo è strumentale alla tutela
degli interessi sostanziali, rappresentandone la proiezione in giudizio.

D) GLI INTERESSI LEGITTIMI SONO


RISARCIBILI?
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la storica sentenza n. 500/1999,
hanno ammesso che la tutela risarcitoria deve essere assicurata in relazione
all’ingiustizia del danno che può verificarsi sia nei confronti di un diritto
soggettivo, sia di un interesse legittimo.
La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di
altro interesse giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della
RESPONSABILITA’ DI CUI ALL’ART.2043 c.c. (RESPONSABILITA’
AQUILIANA) ai fini della qualificazione del danno come ingiusto.
ART.2043 c.c. → Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad
altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno.

La risarcibilità dell’interesse legittimo è consacrata oggi nell’ ART.30 DEL


CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (D. Lgs. 104/2010) che
disciplina, nell’ambito dell’azione di condanna, l’azione esperibile contro la P.A.
per danni da illegittimo esercizio dell’azione amministrativa (quindi, a tutela degli
interessi legittimi), nonché nei casi di giurisdizione esclusiva, per danni da lesione
di diritti soggettivi.

3. INTERESSI SEMPLICI E INTERESSI DI FATTO

 Gli INTERESSI SEMPLICI, detti anche AMMINISTRATIVAMENTE


PROTETTI, sono quelli vantati dal cittadino nei confronti della P.A. affinché
questa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, osservi le regole di
BUONA AMMINISTRAZIONE, di OPPORTUNITA’ e di CONVENIENZA (cd.
MERITO AMMINISTRATIVO).
Essi sono tutelabili solo amministrativamente attraverso lo strumento del ricorso
gerarchico, salvo i casi tassativamente indicati dalla legge in cui il privato può
adire il giudice amministrativo per vizi di merito.
 Gli INTERESSI DI FATTO possono essere definiti come quelle SITUAZIONI
GIURIDICHE SOGGETTIVE NON PROTETTE, cui, cioè, l’ordinamento non
accorda alcuna tutela. Tipici interessi di fatto sono quelli vantati da tutti
all’osservanza da parte dell’amministrazione dei doveri pubblici posti a
vantaggio della collettività indifferenziata (es. illuminazione, manutenzione
delle strade).
Sono interessi che, in quanto privi del carattere della differenziazione
(tipico dell’interesse legittimo) non ricevono alcun tipo di tutela.

4. INTERESSI COLLETTIVI E DIFFUSI

 Gli INTERESSI DIFFUSI (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui
di una formazione sociale non organizzata e non individuabile
autonomamente; si tratta di interessi che riguardano beni insuscettibili di
appropriazione individuale (ambiente, salute, qualità della vita).
NON sono tutelabili giudizialmente.
 Gli INTERESSI COLLETTIVI (o di categoria) sono, invece, quelli comuni a
più soggetti che si associano come categoria o gruppo omogeneo per
realizzare determinati fini (es. partiti politici, sindacati).
Sono suscettibili di tutela giurisdizionale.

L’interesse collettivo, a sua volta, si presenta come:

 DIFFERENZIATO → in quanto fa capo ad un soggetto individuato e


cioè ad una organizzazione di tipo associativo che si distingue tanto
dalla collettività che dai singoli partecipanti; pertanto, la sua lesione
legittima al ricorso solo l’organizzazione e non i singoli che fanno
parte di essa;
 QUALIFICATO → nel senso che è previsto e considerato sia pure
indirettamente, dal diritto oggettivo.

5. SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE PASSIVE


Le situazioni giuridiche soggettive PASSIVE o DI SVANTAGGIO sono quelle
che attribuiscono al titolare una posizione sfavorevole, prevedendo la
subordinazione dell’interesse di quest’ultimo a quello di altri soggetti.
Esse sono: OBBLIGO, DOVERE, ONERE e SOGGEZIONE.
 OBBLIGO → è il dovere di un soggetto di tenere un comportamento
funzionalmente rivolto alla realizzazione di un interesse particolare facente
capo ad un altro e determinato soggetto.
Tale dovere è correlato ad un diritto soggettivo altrui, nell’ambito di un
rapporto giuridico. Il comportamento in cui si sostanzia può consistere in
un DARE (es.: pagare una somma di denaro), un FARE (es.: eseguire un
manufatto), un NON FARE (es.: astenersi dalla concorrenza).
 DOVERE → è una posizione giuridica soggettiva passiva che si pone in
correlazione ad un diritto soggettivo; esso assume un contenuto diverso a
seconda che corrisponda ad un diritto assoluto o ad un diritto relativo
dell’altro soggetto: nel primo caso, infatti, si concreta in un mero dovere di
astensione da atti lesivi del diritto, mentre nel secondo caso, al titolare è
imposto un comportamento specifico, che si desume dal rapporto
obbligatorio.
 ONERE → è una posizione giuridica soggettiva passiva che comporta il
sacrificio di un interesse al fine di ottenere o conservare un vantaggio
giuridico. La legge condiziona il soddisfacimento di un interesse del singolo
ad un suo comportamento che, però, non costituisce un obbligo.
 SOGGEZIONE → è una posizione giuridica soggettiva passiva correlata
all’esercizio di un diritto potestativo di un altro soggetto. La soggezione si
caratterizza per un ruolo meramente passivo del titolare, in quanto, a
differenza del dovere, non richiede un’attività di cooperazione o di
adempimento.
CAPITOLO 4 – ENTI PUBBLICI
1. IL PLURALISMO DELLA P.A.
Nel nostro ordinamento, la funzione amministrativa è svolta da una PLURALITA’
DI SOGGETTI, ciascuno dei quali ha una competenza specifica e, in quanto
affidatari di un interesse pubblico, sono riconducibili alla nozione di PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE.

La pubblica amministrazione, pertanto, è formata da TUTTI GLI ORGANI DELLO
STATO e dagli ENTI PUBBLICI, territoriali e non, ai quali sono affidate le
funzioni di realizzare determinati interessi.
TITOLARI DELLA FUNZIONE AMMINISTRATIVA SONO:
 Lo STATO-AMMINISTRAZIONE che realizza la cd. Amministrazione
diretta, agendo attraverso propri organi;
 Gli ENTI PUBBLICI AUTARCHICI che realizzano la cd. Amministrazione
indiretta.

2. PRINCIPI COSTITUZIONALI
L’organizzazione della P.A. è retta da una serie di PRINCIPI COSTITUZIONALI:
 Il PRINCIPIO DEMOCRATICO e l’ORGANIZZAZIONE DEI PUBBLICI
UFFICI.

L’ART.1 COST. sancisce il principio democratico, in base al quale il popolo


esercita la sovranità, eleggendo i suoi rappresentanti ai vertici degli organi
pubblici per esercitare il potere politico.
Ai pubblici uffici, che sono organizzati in modo che siano assicurati il buon
andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, si accede invece mediante
concorso (EX ART.97 COST.).

 I PRINCIPI DI AUTONOMIA E DECENTRAMENTO:


sono proclamati dall’ART.5 COST., che riconosce e promuove le autonomie
territoriali.
Il decentramento può avere natura:
 BUROCRATICA → riguarda il trasferimento di competenze da organi
centrali ad organi burocratici di un medesimo ente, con assunzione di
responsabilità per gli atti posti in essere.
 AUTARCHICA → prevede il trasferimento di compiti pubblici ad enti
diversi dallo Stato.
 FUNZIONALE → comporta l’attribuzione di talune funzioni a strutture
che, pur facenti parte dell’organizzazione complessiva dell’ente di
riferimento, sono dotate di un certo grado di autonomia sul piano
operativo, contabile e finanziario.

 IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’ → enunciato dall’ART.28 COST.,


stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici
sono direttamente proporzionabili, secondo le leggi penali, civili ed
ammnistrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.

 I PRINCIPI DI SUSSIDIARIETA’, DIFFERENZIAZIONE E ADEGUATEZZA:


sono formulati negli ARTT.118 e 120 COST. e fungono da criterio di
ripartizione delle funzioni amministrative tra differenti centri di potere.

- Si predilige l’azione del Comune, in quanto ente più prossimo al


cittadino sino a giungere allo Stato, laddove l’intervento dello stesso sia
richiesto per esigenze di carattere unitario (cd. Sussidiarietà verticale);

- Il conferimento deve, inoltre, tener conto delle diverse caratteristiche


strutturali, organizzative, demografiche e associative dei diversi livelli di
governo e adeguarsi alle effettive capacità organizzative
dell’amministrazione cui le funzioni e i compiti sono attribuiti
(differenziazione e adeguatezza).

- I pubblici poteri si impegnano a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini


singoli o associati (sussidiarietà orizzontale).

3. LO STATO COME ENTE PUBBLICO


Ente pubblico per eccellenza è lo STATO, in veste di STATO-
AMMINISTRAZIONE, che agisce sullo stesso piano degli altri soggetti
dell’ordinamento, anche se dotato di un particolare potere di supremazia, e, come
questi, in ogni caso soggetto alla legge. Si tratta di un:
 Ente sovrano, cioè sovraordinato a tutti gli altri soggetti che operano
all’interno dell’ordinamento;
 Ente politico, poiché persegue fini di interesse generale;
 Ente necessario e ad appartenenza necessaria, nel senso che, da
un lato, la sua esistenza è indispensabile per il perseguimento dei
pubblici interessi e, dall’altro, tutti i cittadini ne fanno parte.

4. ENTI PUBBLICI

Gli ENTI PUBBLICI, o persone giuridiche pubbliche, sono quei soggetti, diversi
dallo Stato, che esercitano le funzioni amministrative e che costituiscono, nel
loro complesso, la PUBBLICA AMMINISTRAZIONE INDIRETTA.

Tutti gli enti pubblici sono persone giuridiche, in quanto questa qualità è loro
riconosciuta dalla Costituzione o dalle leggi.
Invece, ai sensi dell’ART.4 DELLA L.70/1975 (cd. Legge sul parastato, che
ha riordinato la materia degli enti pubblici) nessun nuovo ente pubblico può
essere istituito o riconosciuto se non per legge: dunque, sono oggi pubblici
solo quegli enti a cui la legge istitutiva riconosce espressamente tale
natura.
Tuttavia, l’ambito di applicazione di detta legge risultava ridotto, così la
dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato ulteriori INDICI DI
RICONOSCIMENTO da cui può essere desunta la NATURA PUBBLICA DI UN
ENTE:
 la sottoposizione dell’ente ad un penetrante controllo pubblico;
 l’ingerenza dello Stato nella nomina e nella revoca dei dirigenti
dell’ente;
 l’esercizio di un potere di direttiva statale sugli organi dell’ente;
 la corresponsione di finanziamenti pubblici nonché la partecipazione
dello Stato alle spese di gestione dell’ente.

A) CLASSIFICAZIONI DI ENTI PUBBLICI


In dottrina si distingue tra:
 CORPORAZIONI E ISTITUZIONI: nelle prime prevale l’elemento personale,
nelle seconde l’elemento patrimoniale.

 ENTI TERRITORIALI E NON TERRITORIALI: i primi sono lo Stato, le


Regioni, le Province, i Comuni, le Aree metropolitane; essi, a differenza dei
secondi, includono tra gli elementi costitutivi anche il territorio.
Enti non territoriali sono tutti gli altri, denominati anche enti istituzionali.

 ENTI NAZIONALI ED ENTI LOCALI: i primi perseguono un interesse


nazionale, i secondi un interesse pubblico proprio di una determinata
circoscrizione territoriale.

 ENTI NECESSARI: la cui esistenza, cioè, è necessaria per l’organizzazione


amministrativa del nostro ordinamento (es.: Camere di commercio e Ordini
professionali).

 ENTI AD APPARTENENZA NECESSARIA: sono quegli enti di cui si fa parte


per il solo fatto di risiedere sul loro territorio (es.: enti territoriali).

 ENTI AUTONOMI, AUSILIARI E STRUMENTALI: i primi esprimono


esigenze sociali autonome; i secondi perseguono fini propri dello Stato, ma
non esclusivi dello stesso (es.: CONI); gli ultimi perseguono i fini propri dello
Stato e sono legati ad esso da vincoli di soggezione (es.:CRI).
 ENTI AUTARCHICI PROPRIAMENTE DETTI ED ENTI PUBBLICI
ECONOMICI: i primi operano in regime di diritto amministrativo; i secondi
agiscono in veste imprenditoriale, attraverso strumenti privatistici.

5. ENTI PUBBLICI AUTARCHICI

Gli enti pubblici cd. FUNZIONALI, che agiscono in regime di diritto


amministrativo, e che possono, pertanto, qualificarsi Pubbliche
amministrazioni, sono gli ENTI AUTARCHICI. Essi godono di un
PARTICOLARE REGIME GIURIDICO, che si può riassumere descrivendo le
seguenti caratteristiche:
 AUTARCHIA → ossia la capacità degli enti di amministrare i propri
interessi svolgendo un’attività avente gli stessi caratteri e la stessa
efficacia dell’attività amministrativa dello Stato;
 AUTOTUTELA → ossia il complesso di attività amministrative con cui
ogni P.A. risolve i conflitti relativi ai suoi provvedimenti o alle sue
pretese. L’autotutela può essere:
o Decisoria → si attua attraverso l’emanazione di una decisione
amministrativa incidente su atti amministrativi precedentemente
emanati dalla stessa P.A. o su rapporti giuridici di diritto
amministrativo. L’autotutela su atti può essere anche DIRETTA,
se la P.A. esercita il potere spontaneamente, o INDIRETTA, se la
P.A. agisce su impulso dell’interessato che abbia proposto un
ricorso amministrativo.
o Esecutiva → consistente nel complesso di attività volte ad
attuare decisioni già adottate dalla P.A.

 AUTONOMIA → ossia la capacità della P.A. di darsi da sola le proprie


regole. Si distingue tra:
o Autonomia politica → cioè la libertà di cui l’ente gode nel
compimento delle scelte politiche e nell’individuazione dei fini da
perseguire;
o Autonomia giuridica → cioè la capacità dell’ente di agire e di
autodeterminarsi per il raggiungimento dei propri fini; essa
assume la configurazione di: AUTONOMIA NORMATIVA, quale
capacità dell’ente di porre in essere norme giuridiche vincolanti
per una generalità di soggetti, sotto forma di leggi, regolamenti
o statuti;
o Autonomia organizzatoria e amministrativa → cioè la
capacità dell’ente di fornire la propria struttura organizzatoria,
di solito mediante l’emanazione di regolamenti;
o Autonomia finanziaria → cioè la capacità dell’ente di imporre
tributi propri;
o Autonomia di gestione → cioè la capacità dell’ente di avere un
bilancio proprio, diverso da quello dello Stato.
 AUTOGOVERNO → ossia la facoltà di alcuni enti pubblici di
amministrarsi per mezzo di organi i cui membri sono eletti da coloro
che ne fanno parte.

6. STRUTTURA DEGLI ENTI PUBBLICI: ORGANI E UFFICI


Lo Stato e gli enti pubblici, come tutte le persone giuridiche, hanno una propria
organizzazione interna, composta di beni e persone fisiche che agisce per conto
dell’ente.
Si distinguono l’ORGANO e gli UFFICI:
L’ ORGANO rappresenta il principale strumento di imputazione attraverso cui
l’amministrazione agisce. ELEMENTI ESSENZIALI DELL’ORGANO SONO:
 Il TITOLARE DELL’ORGANO (cd. FUNZIONARIO) → il quale è, di
regola, una persona fisica, legata all’ente da un rapporto giuridico, il
cd. Rapporto di servizio. Eccezionalmente, titolare dell’organo può
essere anche una persona giuridica (cd. Organo-ente, di cui sono
esempi l’ISTAT, la Banca d’Italia): in tal caso, l’organo agisce non
come parte integrante dell’ente, bensì come soggetto autonomo, dotato
di propria personalità giudica.
 L’ESERCIZIO DI UNA PUBBLICA POTESTA’ da parte del titolare →
organo in senso teorico è solo colui che esercita una pubblica funzione
(Prefetto, Direttore generale, Ministro), non anche il dipendente che
svolga attività meramente esecutiva o materiale. L’insieme dei poteri e
delle funzioni che ciascun organo può esercitare si definisce
competenza.

Circa la NATURA GIURIDICA DELL’ORGANO, emergono 3 TEORIE:


 TEORIA SOGGETTIVA → l’organo è la persona fisica titolare
dell’ufficio;
 TEORIA OGGETTIVA → l’organo si identifica con l’ufficio;
 TEORIA MISTA → occorre coniugare i due aspetti; sicché l’organo si
definisce come le persone che sono destinatarie di determinate
competenze e che esercitano determinati poteri.

L’UFFICIO è il complesso organizzato di sfere di competenze, persone


fisiche, beni materiali e mezzi rivolto all’espletamento dell’attività
strumentale, tale da consentire all’organo (Ministro, Prefetto) di porre in essere i
provvedimenti per la realizzazione dei fini istituzionali dell’ente. Gli uffici
presentano 2 ELEMENTI:
 ELEMENTO FUNZIONALE: ad essi sono attribuite funzioni proprie
della persona giuridica di cui fanno parte;
 ELEMENTO STRUTTURALE: essi sono incorporati stabilmente nella
struttura dell’ente di cui fanno parte.
Il TITOLARE DELL’UFFICIO, di regola una persona fisica, è detto PREPOSTO ed
è posto in una posizione di primarietà rispetto ad altri addetti. Eccezionalmente,
può anche essere una persona giuridica. Nel caso in cui il titolare sia
temporaneamente assente o impedito, l’ufficio viene affidato ad un SUPPLENTE,
mentre nel caso di mancanza del titolare si ha la REGGENZA.
DISTINZIONE:
si è in presenza di un ORGANO, quando il soggetto ha la veste e la capacità di
impegnare l’ente di appartenenza nei confronti dei terzi.
Negli altri casi, si sarà in presenza di un mero UFFICIO, deputato al compimento
di attività meramente preparatoria e strumentale.

7. RAPPORTO ORGANICO E RAPPORTO DI SERVIZIO

Il RAPPORTO ORGANICO (O D’UFFICIO) è un RAPPORTO NON


GIURIDICO, giacché esprime solo la relazione interna (organizzatoria) che
intercorre tra organo (o ufficio) e soggetto preposto ad esso.
La dottrina prevalente ritiene che il rapporto organico sia un rapporto di
immedesimazione tra preposto ed organo: il primo, infatti, è un tutt’uno
con il secondo, non costituendo un soggetto a sé stante.

Configurare il rapporto organico, quale rapporto non giuridico, è rilevante


per la diretta imputazione dell’attività svolta dal titolare dell’organo all’ente
di cui costituisce elemento strutturale → infatti l’atto compiuto dal titolare
dell’organo risulta essere un atto dell’ufficio o dell’organo e, in quest’ultimo
caso, viene imputato direttamente all’ente.
Il rapporto organico si instaura con un ATTO AMMINISTRATIVO DI
ASSEGNAZIONE O INCARDINAZIONE del soggetto all’ufficio o all’organo;
tuttavia, può essere anche di fatto, quando cioè non sussiste un atto di
assegnazione, ricorrendo però i presupposti per la configurazione del
funzionario di fatto.

Il RAPPORTO DI SERVIZIO (che può essere coattivo o volontario, a


seconda che per il suo insorgere sia necessario o meno il consenso del
soggetto interessato) è una relazione esterna tra la persona fisica e l’ente,
mediante cui sorgono le posizioni giuridiche favorevoli e sfavorevoli tra 2
distinti soggetti giuridici.
Pertanto, il RAPPORTO DI SERVIZIO è un RAPPORTO GIURIDICO
intercorrente tra l’ente e la persona fisica, che viene inserita con determinate
funzioni nell’organizzazione dell’ente.
Il rapporto di servizio sorge con un ATTO AMMINISTRATIVO DI
ASSUNZIONE del soggetto, salvo casi eccezionali in cui può sorgere anche di
fatto.

8. PROROGATIO DEGLI ORGANI


Quando il titolare dell’organo resta nell’esercizio delle funzioni anche dopo la
cessazione della carica, finché non subentri il successore, si parla di
PROROGATIO.
La L.444/1994 ha determinato un PERIODO MASSIMO DI PROROGATIO
(45 GIORNI), decorrente dalla scadenza del termine di durata della carica,
durante il quale gli organi possono compiere solo atti urgenti ed indifferibili e
atti di ordinaria amministrazione. Pertanto, gli atti straordinari e quelli
emanati dopo la scadenza dei 45 giorni sono nulli.
Tale divieto di prorogatio non riguarda gli organi rappresentativi delle Regioni,
delle Province, dei Comuni, delle Comunità montane nonché gli organi che hanno
comunque rilevanza costituzionale.

9. RELAZIONI TRA ORGANI (CD. INTERORGANICHE)


Tra gli organi possono instaurarsi diverse relazioni disciplinate dal diritto, definite
relazioni interorganiche. Pertanto, tra gli organi possono intercorrere
RELAZIONI DI:
 GERARCHIA → esprime la relazione di sovraordinazione tra un
organo e un altro. Il rapporto di gerarchia si distingue per il
riconoscimento di una serie di poteri: di ordine e di direttiva; di
avocazione e sostituzione; di risolvere i conflitti tra gli organi
subordinati e di decidere i ricorsi gerarchici.
 DIREZIONE → si caratterizza per la più ampia sfera di autonomia di
cui gode l’organo subordinato. L’organo sovraordinato ha, infatti,
un potere di indirizzo e di emanare direttive, nonché il potere di
controllo sulla realizzazione dei fini indicati nelle direttive stesse.
 COORDINAMENTO → intercorre tra organi equiordinati,
riconoscendo a un organo il potere di impartire disposizioni nei
confronti dell’altro, al fine di armonizzare l’attività per risultati di
interesse comune.
 CONTROLLO → consiste nell’esame sugli atti e sull’attività di un
altro organo col fine di verificare la conformità alla legge o ai criteri di
buona amministrazione. Il controllo è doveroso, giacché l’organo
chiamato ad esercitarlo non può poi rifiutarsi.
10. ESERCIZIO PRIVATO DI PUBBLICHE FUNZIONI
Vi sono dei casi in cui un’attività amministrativa di diritto pubblico è esercitata in
nome proprio da soggetti estranei all’amministrazione: in tal caso, si parla di
ESERCIZIO PRIVATO DI PUBBLICHE FUNZIONI.
Con tale espressione si indica qualunque attività, da cui deriva l’attuazione di
fini pubblici, esercitata da privati, ossia da persone fisiche che né si
configurano come enti statali né fanno parte di enti pubblici, ma che sono titolari
di una qualche potestà.
Si precisa che l’esercizio privato di pubbliche funzioni non rappresenta una
terza specie di amministrazione – dopo quella statale e quella degli enti
autarchici – giacché si tratta solo di un mezzo particolare, di cui si avvalgono,
per perseguire fini pubblici, sia lo Stato che gli stessi enti.
Il soggetto privato che svolge una pubblica funzione deve essere titolato → ciò
avviene o a causa della titolarità di un particolare ufficio (es.: comandanti di navi)
o in esecuzione di una specifica attività professionale (notai).

Relativamente al REGIME GIURIDICO:


 Gli atti compiuti da tali persone, non essendo soggettivamente atti
amministrativi, sono sottratti alle regole di questi ultimi, compresa
l’impugnativa in sede giurisdizionale;
 Dei danni prodotti ai terzi nell’esercizio della funzione o del servizio,
risponde sempre e solo il privato; mentre per i danni provocati dagli
organi della P.A. questa è tenuta solidalmente con l’autore del danno
verso i terzi;
 Sul soggetto che svolge pubbliche funzioni vige il controllo da parte
delle autorità statali;
 I contratti stipulati dai concessionari di pubblici servizi sono soggetti
alle procedure dell’evidenza pubblica.

CAPITOLO 5 – COMPETENZA
La COMPETENZA DI UN ORGANO indica il complesso di poteri e di funzioni
che esso può, per legge, esercitare per perseguire fini di pubblico interesse. Essa,
quindi, individua la misura delle attribuzioni proprie di ciascun organo
dell’amministrazione.
Nel diritto amministrativo il PRINCIPIO DELLA COMPETENZA si rinviene
nell’ART.97 COST. che, al COMMA 2, afferma
<< I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. >>
e al COMMA 3 stabilisce che
<< Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza >>
Ne deriva che:
 La competenza deve essere determinata sempre per legge;
 Il principio di competenza trova il suo fondamento nel principio di
buona amministrazione.
La competenza viene distinta in diverse categorie:
 COMPETENZA PER MATERIA → in relazione all’oggetto su cui
insiste l’esercizio del potere o della funzione. La più importante
ripartizione della competenza per materia è fatta con l’attribuzione dei
compiti ai Ministeri, ciascuno dei quali si trova a capo di un ramo
particolare dell’amministrazione.
 COMPETENZA PER TERRITORIO → avviene tra organi ugualmente
competenti per materia e comporta una ripartizione di attribuzioni
sotto il profilo territoriale.
 COMPETENZA PER GRADO → presuppone identità di competenza
per materia e per territorio e l’esistenza di un rapporto gerarchico
tra organi operanti nello stesso ramo dell’amministrazione.
 COMPETENZA PER VALORE → determinata con riguardo all’entità
economica dell’oggetto; per cui nell’ambito di una medesima
struttura organizzativa e con riferimento alla stessa funzione la
competenza di un organo è determinata da valore economico legato
al provvedimento da adottare.

1. DIFETTO DI COMPETENZA
Il DIFETTO DI COMPETENZA si verifica quando il soggetto che emana l’atto è
sfornito del relativo potere. Esso può dar luogo a TRE DIVERSE PATOLOGIE:
 ACOMPETENZA: si verifica quando l’atto o l’attività è posta in essere
da un soggetto che non ha la qualità di organo di un ente
pubblico, non avendo mai ricevuto l’investitura o essendo decaduto
dall’ufficio o, ancora, essendo stato investito con atto nullo o
annullato con effetti ex tunc.
 INCOMPETENZA ASSOLUTA: ricorre quando l’atto o l’attività è
inerente ad una materia riservata ad altro potere dello Stato,
ovvero quando, pur rientrando in una materia affidata
all’amministrazione, è adottata da un soggetto nell’esercizio di un
potere del tutto estraneo alle sue attribuzioni;
 INCOMPETENZA RELATIVA: si verifica quando l’organo che pone in
essere l’atto o l’attività appartiene al medesimo settore di
amministrazione di quello che sarebbe competente secondo le regole
generali. Essa può atteggiarsi come incompetenza per grado, per
materia o per territorio.
La distinzione è fondamentale nel ricostruire le conseguenze giuridiche
ricollegabili all’atto posto in essere dall’organo incompetente:
l’ART.21 SEPTIES DELLA L.241/1990 prevede che:
 In caso di incompetenza assoluta, il provvedimento sia nullo;
 In caso di incompetenza relativa, il provvedimento è annullabile.

2. TRASFERIMENTO NELL’ESERCIZIO DELLA COMPETENZA


La COMPETENZA AMMINISTRATIVA è TENDENZIALMENTE INDEROGABILE,
attesa la riserva di legge ex ART.97 COST.
Non può, quindi, essere operato alcun trasferimento della stessa da un organo
all’altro con un semplice provvedimento amministrativo. Tuttavia, esistono
determinati istituti mediante i quali, con provvedimenti amministrativi, nei
casi previsti dalla legge, pur non operandosi un trasferimento della titolarità
della competenza, si determina lo SPOSTAMENTO DELL’ESERCIZIO DI ESSA.

Tali istituti giuridici sono:


l’AVOCAZIONE, la SOSTITUZIONE e la DELEGA.
A) L’AVOCAZIONE → presuppone l’esistenza di un rapporto di gerarchia tra
avocante e avocato e comporta l’attribuzione a sé, da parte dell’organo
avocante, della competenza a compiere un determinato atto spettante
all’organo avocato. L’avocazione comporta, inoltre, l’impossibilità per
l’organo inferiore di esercitare in futuro la competenza avocata, salvo
che intervenga un atto di “restituzione” della stessa da parte dell’organo
avocante. Il potere di avocazione è legittimamente esercitato solo se
attribuito da una norma di legge.

B) La DELEGA → comporta il trasferimento dell’esercizio di un potere da


un organo ad un altro. Il potere oggetto di delega resta nella titolarità
dell’organo delegante, ma può essere esercitato dall’organo delegato
che acquisisce una competenza derivata da quella del delegante, come
tale sempre revocabile da quest’ultimo. Si tratta dell’atto amministrativo
di tipo organizzatorio, per effetto del quale un organo o un ente conferisce
unilateralmente ad un altro organo o ad un altro ente il potere di
provvedere in ordine ad una determinata materia, rientrante nella
propria competenza.
Il potere oggetto di delega è esercitato dal delegato IN NOME PROPRIO; l’atto
adottato nell’esercizio della delega è imputato soggettivamente al soggetto
delegato che ne assume la responsabilità, seguendo, quindi il regime giuridico
proprio degli atti di quest’ultimo. La delega può considerarsi legittima solo nei
casi previsti dal legislatore. Si ritiene, inoltre, che la delega debba essere
conferita in forma scritta.
Il delegante, per effetto della delega, acquista, nei confronti del delegato:
 Il potere di imporgli direttive relativamente ad atti da compiere
nell’esercizio della delega;
 Il potere di sostituzione in caso di inerzia del delegato nell’esercizio del
potere delegato;
 Il potere di annullamento, in sede di autotutela, degli atti illegittimi
eventualmente posti in essere nell’esercizio della delega;
 Il potere di revoca della delega.
Quanto ai tipi di delega, si distingue tra:
 Delega INTERORGANICA, che si ha quando lo spostamento di competenza
avviene da un organo ad un altro organo della stessa struttura
amministrativa;
 Delega INTERSOGGETTIVA, che si ha quando lo spostamento di
competenza avviene tra soggetti diversi.

C) La SOSTITUZIONE → sottende un rapporto di gerarchia tra sostituto e


sostituito; tuttavia, a differenza dell’avocazione, può avere luogo solo in
presenza di un’inerzia o di un inadempimento del sostituito e solo in
presenza di un’espressa previsione di legge che attribuisca il potere
all’organo superiore.
Essa presuppone anche l’ulteriore inerzia a seguito di formale diffida
ad adempiere. Un’ipotesi di potere sostitutivo è, oggi, previsto
dall’ART. 120 COST. in favore dello Stato: “Il Governo può sostituirsi a organi
delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di
mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.”

3. IL FUNZIONARIO DI FATTO
L’espressione FUNZIONARIO DI FATTO fa riferimento a quelle ipotesi in cui
L’ATTO DI INVESTITURA DEL TITOLARE DELL’ORGANO SIA VIZIATO O
MANCHI DEL TUTTO.
In assenza di una previsione normativa che fornisca la nozione, la dottrina ha
proposto DIVERSE NOZIONI DELL’ISTITUTO, discutendo sulle ipotesi della
usurpazione di funzioni pubbliche, della occupazione bellica, della prorogatio e
della ingerenza autorizzata per via dell’atto di investitura formale, risultato solo in
seguito viziato.
Per quanto concerne il regime giuridico degli atti compiuti dal funzionario di
fatto, la giurisprudenza, applicando la regola del cd. Fatto compiuto, ritiene
che, una volta decorsi i termini per l’impugnativa dell’atto di investitura, gli atti
siano validi, fatta salva sempre la loro impugnabilità per un vizio diverso da
quello dell’incompetenza.
Relativamente alla TUTELA DEI TERZI destinatari degli atti dallo stesso emanati,
la giurisprudenza tende a risolvere detto conflitto facendo ricorso al principio di
conservazione, in forza del quale gli atti in questione, anche se invalidi, devono
comunque ritenersi produttivi di effetti nei confronti dei terzi, eccezione
fatta per le ipotesi di usurpazione.

CAPITOLO 6 – ENTI PUBBLICI ECONOMICI


1. CARATTERI
Gli ENTI PUBBLICI ECONOMICI operano nel campo della produzione e dello
scambio di beni e servizi, svolgendo attività prevalentemente o
esclusivamente economiche.
Lo scopo di lucro NON è un elemento essenziale dell’attività dell’ente pubblico
economico; tuttavia, è necessario che l’ente operi secondo il criterio
dell’obiettiva economicità: ciò significa che l’impresa deve essere esercitata
in modo tale che dall’attività si ricavi almeno quanto occorra per coprire i
costi dei fattori di produzione impiegati.
Quanto al REGIME GIURIDICO, si segnala che:

 Sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese ex art. 2201 c.c.;
 Non sono assoggettabili al fallimento;
 A seconda dell’oggetto sociale dell’impresa stipulano con l’utenza contratti
disciplinati dal c.c.;
 Operano in regime di concorrenza con gli altri imprenditori privati.

2. FENOMENO DELLE PRIVATIZZAZIONI


A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, si è avviato un FENOMENO DI
PRIVATIZZAZIONE DEGLI ENTI.
Lo schema comune di tutti i processi di privatizzazione prevede:
1. Una PRIMA FASE (cd. FASE FREDDA o PRIVATIZZAZIONE FORMALE),
durante cui si ha il mutamento della forma giuridica dell’ente pubblico
in società per azioni;
2. Una SECONDA FASE (cd. FASE CALDA o PRIVATIZZAZIONE
SOSTANZIALE) in cui si ha la dismissione delle partecipazioni
pubbliche.

3. ENTI PUBBLICI IN FORMA SOCIETARIA


Sempre più spesso la P.A. si avvale di strutture societarie, a cui partecipa,
per l’esercizio di attività pubblicistiche: basti pensare, ad es., al fenomeno
delle privatizzazioni degli enti pubblici economici oppure, a livello locale, alle
società a partecipazione mista (cioè privato/pubblico) o totalmente pubbliche, per
lo svolgimento dei servizi pubblici locali.
Per disciplinare tale fenomeno – soprattutto al fine di non deviare dai principi
della libera concorrenza e della libera circolazione dei beni, persone e servizi – è
stato emanato il D.LGS. 175/2016, cd. T.U. PARTECIPATE.
Il legislatore, mediante tale normativa, si è prefisso 2 OBIETTIVI:

 Ridurre il numero delle società già esistenti;


 Individuare criteri ben precisi per razionalizzare la platea delle partecipate.

Il D.lgs. 175/2016 disciplina la costituzione di società da parte di pubbliche


amministrazioni, nonché l’acquisto, il mantenimento e la gestione di
partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale
partecipazione pubblica, diretta o indiretta.
OCCORRE DISTINGUERE:

 SOCIETA’ CONTROLLATE → in cui l’ente pubblico detiene la maggioranza


assoluta delle quote societarie; sono quelle che si trovano in una delle
situazioni di controllo, da parte della P.A., previste dall’ART. 2359 c.c.:

“Sono considerate società controllate:

1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili
nell'assemblea ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare
un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di
particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i
voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non
si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita


un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può
essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha
azioni quotate in mercati regolamentati.”

 SOCIETA’ PARTECIPATE → in cui una quota di capitale sociale è di


proprietà di un ente pubblico; sono quelle in cui la P.A. è titolare della
qualità di socio o dispone di strumenti finanziari che attribuiscono diritti
amministrativi (es.: il diritto di voto o la nomina di un componente del
Consiglio di amministrazione).
 REGOLA GENERALE è che, salvo eccezioni, sia le controllate che le
partecipate sono assoggettate al regime proprio delle società
disciplinate dal Codice civile e alle norme generali del diritto privato.

Secondo il T.U. (testo unico), le amministrazioni possono far parte


esclusivamente di società costituite in forma di SOCIETA’ PER AZIONI o di
SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA.
Relativamente alle attività consentite, le P.A. non possono costituire società
aventi ad oggetto la produzione di beni o servizi non strettamente
necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né
acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
Vuol dire che le amministrazioni possono costituire e partecipare a società,
ma SOLO SE FINALIZZATE A SCOPI DI PUBBLICO INTERESSE: il legislatore
prevede, dunque, uno stretto vincolo tra il raggiungimento di obiettivi
istituzionali (o di carattere generale) e la costituzione o la partecipazione in una
società.

4. SOGGETTI PUBBLICI NEL DIRITTO DELL’UE


Il concetto di P.A. si è delineato nel tempo non solo grazie alle elaborazioni del
legislatore nazionale, ma anche in virtù dell’incidenza sempre crescente del
diritto europeo sul diritto nazionale.
È nell’ordinamento dell’UE che, infatti, sono nate DUE NUOVE FIGURE che,
ormai, sono entrate a far parte del nostro assetto giuridico come soggetti
pubblici sostanzialmente assimilabili ad una amministrazione:
l’ORGANISMO DI DIRITTO PUBBLICO e l’IMPRESA PUBBLICA.

4.1. ORGANISMO DI DIRITTO PUBBLICO


La figura di ORGANISMO DI DIRITTO PUBBLICO si inserisce nell’ambito della
disciplina dei contratti pubblici, con riferimento a tutti i soggetti che,
indipendentemente dalla loro natura giuridica, presentino caratteristiche tali
da giustificare, da un punto di vista sostanziale, l’applicazione della
disciplina sull’evidenza pubblica.
Il previgente Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016), da un lato,
inseriva la figura dell’organismo di diritto pubblico tra le amministrazioni
aggiudicatrici e, dall’altro, definiva tale figura come qualsiasi organismo, anche di
forma societaria, istituito per soddisfare specifiche esigenze di carattere generale,
aventi carattere non industriale o commerciale, la cui attività sia finanziata in modo
maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o dagli altri organismi di
diritto pubblico, dotato di personalità giuridica.
In base al NUOVO CODICE DEI CONTARTTI PUBBLICI (D.LGS. 36/2023),
l’organismo di diritto pubblico viene individuato in “qualsiasi oggetto,
anche avente forma societaria, dotato di capacità giuridica; istituito per
soddisfare esigenze di interesse generale, attraverso lo svolgimento di
un’attività priva di carattere industriale o commerciale; la cui attività sia
finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o
da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al
controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione
o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata
dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.

4.2. IMPRESA PUBBLICA

Ai sensi del NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI (D. LGS.36/2023),


l’IMPRESA PUBBLICA è “l’impresa sulla quale le stazioni appaltanti possono
esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne
sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle
norme che disciplinano detta impresa.”
L’influenza dominante è presunta quando le stazioni appaltanti, direttamente o
indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente:
 Detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;

 Controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse


dall’impresa;

 Possono designare più della metà dei membri del consiglio di


amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa.

CAPITOLO 7 – AMMINISTRAZIONE STATALE


1. APPARATO AMMINISTRATIVO CENTRALE: GOVERNO E
ORGANIZZAZIONE PER MINISTERI
Il GOVERNO partecipa alla funzione di direzione politica dello Stato,
esprimendo la volontà delle forze politiche di maggioranza che lo sostengono
con la fiducia.
Ex ART.92 COST., il Governo si compone di ORGANI NECESSARI, quali: il
Presidente del Consiglio, i Ministri, il Consiglio dei Ministri. Il Ministero è la
ripartizione fondamentale dell’amministrazione centrale italiana; invero, ogni
Ministero è competente per un ramo di attività amministrativa e per determinate
materie ed affari.
La struttura organizzativa dei Ministeri è suddivisa, ex D.lgs. 300/1999, in
dipartimenti e direzioni generali; oltre a questi possono esserci degli uffici di
staff posti alle dirette dipendenze dei Ministri.
Circa l’ORGANIZZAZIONE INTERNA:
 Ad ogni Ministero è assegnata una missione fondamentale di ampia
portata;
 Le strutture di primo livello nei Ministeri sono alternativamente i
dipartimenti o le direzioni generali; a capo di queste ultime è possibile
prevedere un segretario generale;
 Al di fuori dei dipartimenti possono esistere solo uffici di staff con
funzione di assistenza diretta all’attività di indirizzo politico e di controllo
della gestione di competenza del Ministro. A capo di tali uffici può essere
posto anche un dirigente estraneo all’amministrazione;
 I Ministeri non articolati in dipartimenti, infine, sono divisi in direzioni
generali, le quali fanno capo ad un Segretario generale, organo di vertice
burocratico che ha funzione di collegamento fra il Ministro e la struttura
amministrativa sottostante.

2. AGENZIE ED AZIENDE AUTONOME


L’organizzazione statale conosce, accanto ai ministeri, le AGENZIE, disciplinate
dal d.lgs. 300/1999 e sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza del
ministro.
Tuttavia, le agenzie, nello svolgimento della loro attività sono dotate di
autonomia organizzativa e funzionale e, pur mancando di personalità
giuridica, dispongono di propri organi di gestione e di controllo interno,
operando al servizio non solo del ministero cui sono collegate, ma di tutte le
amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali.
Un regime speciale è dettato per le AGENZIE FISCALI (dotate di personalità
giuridica); sono le agenzie: delle entrate, delle dogane e dei monopoli e del
demanio. È, invece, un ente pubblico economico, strumentale all’Agenzia delle
Entrate, l’AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, che ha preso il posto di
Equitalia nell’attività di riscossione dei tributi.
Le AZIENDE AUTONOME, invece, sono incardinate nell’amministrazione dello
Stato per lo svolgimento di attività di tipo essenzialmente produttivo. Esse,
pur non dotate di personalità giuridica, godono di una propria autonomia
amministrativa, contabile e finanziaria e costituiscono una delle
manifestazioni dell’intervento pubblico in campo economico. Esse sono
sottese al controllo politico del Parlamento, gerarchico del Ministro competente e
successivo della Corte dei Conti.
Inoltre, esse sono state coinvolte dal fenomeno della privatizzazione, a seguito
del quale molte aziende sono state trasformate in enti pubblici economici,
prima, e in società per azioni, poi (es. Ferrovie dello Stato e Poste Italiane).
3. ORGANI DI RILIEVO COSTITUZIONALE
Vi sono ORGANI espressamente previsti, ma non disciplinati puntualmente dalla
Costituzione, bensì dalla legge ordinaria che godono di particolari prerogative in
virtù delle funzioni esercitate e della posizione di indipendenza dei loro
componenti. Essi esercitano FUNZIONI CONSULTIVE O DI CONTROLLO.
Si segnalano:
 Il CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO (CNEL):
formato da 64 consiglieri, oltre il Presidente, che restano in carica per 5
anni. Per quanto riguarda i poteri, vi rientrano: una funzione di
consulenza rivolta alle Camere e al Governo che si esplica nell’espressione
di valutazioni e pareri in materia economico-sociale e nel potere di
iniziativa legislativa.

 Il CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA: preposto all’esame di problemi


generali (politici e tecnici) attinenti alla sicurezza e alla difesa nazionale. È
presieduto dal Capo dello Stato ed è composto dal Presidente del
Consiglio dei ministri, dai Ministri per gli affari esteri, dell’interno,
dell’economia e delle finanze, della difesa e dello sviluppo economico
e dal Capo di stato maggiore della difesa.

 Il CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA: cui spetta il compito


di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ordinaria. È
composto da 27 membri, di cui 3 di diritto – il Presidente della
Repubblica, che lo presiede, il Primo Presidente della Corte di Cassazione e
il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione – e 24 elettivi: 1/3
dal Parlamento in seduta comune (cd. Membri laici) e 2/3 dagli stessi
magistrati ordinari (cd. Membri togati). Essi durano in carica 4 anni e
non sono immediatamente rieleggibili.

 Il CONSIGLIO DI STATO: è il massimo organo di consulenza giuridico –


amministrativa e di tutela della giustizia dell’amministrazione pubblica, con
indipendenza garantita dalla Costituzione. Esso svolge una funzione
consultiva, attraverso l’espressione di pareri:

- Facoltativi: si tratta di pareri che la P.A. ha la facoltà di chiedere al


Consiglio di Stato in casi determinati. Essi non sono mai vincolanti nei
confronti della P.A. richiedente;

- Obbligatori: pareri che la P.A. deve obbligatoriamente richiedere al Consiglio


di Stato in casi determinati, quali l’emanazione di atti normativi del Governo
o dei singoli ministri, la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della
Repubblica, gli schemi generali di contratto- tipo, accordi e convenzioni
predisposti da uno o più ministri. Essi possono essere vincolanti e non
vincolanti.
Il Consiglio di Stato svolge, inoltre, una funzione giurisdizionale
amministrativa:
- di secondo grado, in veste di giudice di appello, avverso le sentenze dei
Tribunali amministrativi regionali (TAR);
- esclusiva in un unico grado, come nel caso del giudizio di ottemperanza
avverso la sentenza dello stesso Consiglio di Stato passate in giudicato.

 La CORTE DEI CONTI: costituisce organo speciale della giustizia


amministrativa con giurisdizione sulle questioni inerenti alla
contabilità pubblica e su quelle espressamente indicate dalla legge; è,
inoltre, istituzione superiore di controllo. Essa, infatti, esercita
funzioni di controllo e giurisdizionali.
Ad esse si affiancano funzioni di autorganizzazione e consultive affidate alla
Corte da leggi ordinarie. In merito alla funzione di controllo, la Corte esercita:
- un controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo;
- un controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato;
- un controllo sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dello
Stato.

4. AVVOCATURA DELLO STATO


L’AVVOCATURA DELLO STATO è l'organo legale dello Stato alla quale sono
assegnati i compiti di consulenza politica e di difesa delle Amministrazioni
Statali in tutti i giudizi civili, penali, amministrativi, arbitrali, comunitari
e internazionali.
L'avvocatura assiste, consiglia, difende in via esclusiva ed organica le
Amministrazioni Statali, inclusi gli Organi Costituzionali, le Autorità
Amministrative indipendenti e le Regioni a statuto speciale; essa, inoltre, può
assumere, a determinate condizioni, il patrocinio delle Regioni a statuto
ordinario, purché la controparte del giudizio non sia lo Stato, degli enti pubblici
non statali, delle organizzazioni internazionali, degli Stati esteri, nonché dei
dipendenti chiamati in giudizio per fatti e cause di servizio.
L'Avvocatura dello Stato è posta alle dirette dipendenze del Presidente del
Consiglio dei ministri cui è subordinata gerarchicamente.

5. ORGANIZZAZIONE PERIFERICA DELLO STATO


L’Amministrazione statale comprende oltre ai Ministeri, alle Agenzie e agli uffici
operanti a livello centrale, una serie di ENTI PUBBLICI STRUMENTALI E DI
UFFICI AMMINISTRATIVI DISTRIBUITI SUL TERRITORIO NAZIONALE, aventi
una COMPETENZA LIMITATA AL TERRITORIO IN CUI OPERANO.
Tra questi si segnalano: il PREFETTO, il SINDACO quale ufficiale di Governo.
A) RUOLO DELLE PREFETTURE – UFFICI TERRITORIALI DEL
GOVERNO

Nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del


Ministro dell'Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, i
PREFETTI sono organi periferici dell'Amministrazione statale che:

 rappresentano il governo a livello provinciale;


 esercitano tutte le funzioni dell'Amministrazione periferica dello
Stato non espressamente conferite da altri Uffici;
 sovraintendono alle residue funzioni amministrative esercitate
dallo Stato coordinandole con quelle esercitate dagli enti locali;
 vigilano sulle autorità amministrative operanti nella provincia e vi
si sostituiscono, in caso di urgente necessità, adottando le misure del
caso.
Sono organi a competenza generale che rappresentano, in ambito provinciale, il
Governo nella sua unità; sono titolari dell'Ufficio Territoriale del Governo,
struttura cui sono attribuite tutte le funzioni esercitate a livello periferico dello
Stato, fatta eccezione per quelle relative ad alcune amministrazioni
espressamente individuate dal D.LGS 300/1999 (Affari esteri, Giustizia, Difesa,
Economia, Istruzione, Beni ed attività culturali).
Il Prefetto riveste anche la carica di RAPPRESENTANTE DELLO STATO PER I
RAPPORTI CON LE AUTONOMIE, al quale sono attribuiti tutti i compiti di
raccordo tra lo Stato e le Regioni.
Tale ruolo è stato assunto dal Prefetto avente sede nel capoluogo della Regione, il
quale cura, in tale veste, le attività dirette ad assicurare il rispetto del principio
di leale collaborazione tra Stato, Regioni e istituzioni, al fine di garantire la
rispondenza dell’azione amministrativa all'interesse generale.

B) SINDACO QUALE UFFICIALE DI GOVERNO


Il SINDACO ricopre un DUPLICE RUOLO:
 da un lato, è posto al vertice dell'amministrazione comunale e, in quanto
tale, esercita attribuzioni che gli sono proprie e non risponde del suo
operato esecutivo;

 dall'altro, svolge nell'ambito del territorio comunale alcune attività come


Ufficiale del Governo, rappresentando un organo periferico
dell'amministrazione statale. In quest'ultimo caso, il sindaco dipende
gerarchicamente dal prefetto e attraverso questi, dal Ministero dell'Interno.
Ex ART. 54 del D.LGS. 267/2000 il SINDACO, QUALE UFFICIALE DEL
GOVERNO, SOVRINTENDE:
 All'emanazione di atti che gli sono attribuite dalla legge e dai regolamenti
in materia di ordine e sicurezza pubblica;
 allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di
pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;
 alla vigilanza sulla sicurezza e l'ordine pubblico.
Inoltre, è tenuto alla tenuta dei Registri di Stato civile e di popolazione e agli
adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di
statistica.

6. AUTORITA’ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI


Le autorità amministrative indipendenti sono enti ed organi pubblici dotati di
SOSTANZIALE INDIPENDENZA DAL GOVERNO, caratterizzati da:
 autonomia organizzatoria, finanziaria e contabile;

 sottrazione al potere di direttiva dell'esecutivo;

 funzione tutoria di interessi costituzionali in campi socialmente


rilevanti;

 indipendenza rispetto al potere politico, governativo e ai relativi indirizzi;

 equidistanza e neutralità rispetto agli interessi su cui la loro attività


incide;

 alto tasso di competenza tecnica richiesta nell'esercizio delle


competenze assegnate;

 funzioni di regolazione di determinati settori della vita economica


quindi anche attribuzioni di poteri normativi, amministrativi e giustiziali.

L'INDIPENDENZA DI AZIONE DELLE AUTORITA’ è garantita da una serie di


prerogative espressamente riconosciute, tra le quali la più importante
l'AUTONOMIA. Questa può essere:
 ORGANIZZATORIA → la facoltà di darsi regole per il funzionamento degli
organi;
 D’ORGANICO → come facoltà di articolare e modificare le piante organiche
dei dipendenti;
 FINANZIARIA → come possibilità di disporre di entrate proprie;
 CONTABILE → come possibilità di dettare regole proprie per la gestione
del bilancio.
Al fine di esercitare le funzioni di tutela, la legge attribuisce alle AUTORITA’
AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI:
1. POTERI ISPETTIVI D’INDAGINE: consistono nella possibilità di chiedere
notizie ed informazioni, di convocare persone interessate alle attività
controllate, di esaminare atti e documenti;

2. POTERI SANZIONATORI E DI SOLLECITAZIONE: alle amministrazioni


indipendenti spettano poteri di sollecitazione, raccomandazione e proposta; ad
alcune autorità spettano anche poteri sanzionatori veri e propri: ad es.,
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni può diffidare le imprese editoriali
dal perseverare in comportamenti che violino le norme sull'editoria;

3. POTERI DECISORI: consistono nella facoltà di decidere su controversie


rientranti nella competenza dell'autorità indipendente.

4. POTERI REGOLAMENTARI: l'attribuzione di tale potere costituisce l'aspetto


più significativo dell'indipendenza delle Autorità in esame, poiché esse
possono decidere direttamente le modalità di espletamento dell'attività di
regolazione e di controllo dei settori alla cui salvaguardia sono preposte.

Nel nostro ordinamento rilevanti sono le seguenti autorità:


 BANCA D’ITALIA: ha importanti compiti di regolazione e vigilanza sugli
enti creditizi e sugli intermediari finanziari;

 CONSOB: istituita per la vigilanza sugli intermediari finanziari, sui mercati


e sugli emittenti quotati;

 AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO: ha la


funzione di garantire la libera concorrenza e il corretto funzionamento del
mercato;

 GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI: ha la funzione


di tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche con
riguardo al trattamento e all'agevolazione della libera circolazione dei dati
personali all'interno dell’UE;

 AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE (A.N.A.C.): inserita nella


governance del sistema dei contratti pubblici, ha il compito di vigilare sugli
stessi e di contrastare e prevenire la corruzione.
CAPITOLO 8 – AUTONOMIE TERRITORIALI
Le REGIONI, le PROVINCE, i COMUNI e le CITTA’ METROPOLITANE sono
collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica
dall'ART.114 COST., come modificato dalla L. cost. 3/2001.
L'ART.5 della Costituzione stabilisce che la Repubblica riconosce e promuove le
autonomie locali. La norma costituzionale enuncia, al contempo, il principio del
decentramento amministrativo.
Il sistema degli enti territoriali è stato profondamente modificato dalla L. cost.
3/2001 di riforma del TITOLO V, PARTE II, della Costituzione, dedicato appunto
a Regioni, Province e Comuni. L'adeguamento dell'ordinamento alla riforma del
Titolo V è avvenuto con la L.131/2003 cd. legge La Loggia.

1. LE REGIONI
Il territorio nazionale è diviso in 20 REGIONI, di cui 5 a Statuto speciale (Friuli -
Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta) e 15 a
Statuto ordinario.
La Regione, dunque, in quanto ente territoriale esponenziale degli interessi della
collettività sottostante, è composta da 3 ELEMENTI COSTITUTIVI:
1. TERRITORIO;
2. POPOLAZIONE;
3. APPARATO DI GOVERNO (Consiglio, Giunta e Presidente della Giunta).

2. AUTONOMIA DELLE REGIONI


A) AUTONOMIA STATUTARIA
LA REGIONE GODE DI AUTONOMIA STATUTARIA.
 ART.116 COST. → prevede che le REGIONI A STATUTO SPECIALE,
cui si aggiungono le due province autonome di Trento e Bolzano,
possiedono statuti adottati con legge costituzionale e godono di
particolari forme di autonomia;
 ART. 123 COST. → prevede che per le REGIONI ORDINARIE, gli statuti
siano approvati (e modificati) dal Consiglio regionale <<con legge
approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due
deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi>>;
Ciò conferisce loro, formalmente e sostanzialmente, la natura giuridica di
leggi regionali.

B) POTESTA’ LEGISLATIVA
Alla Regione è riconosciuta un'AUTONOMIA LEGISLATIVA che la pone in una
posizione differenziata rispetto agli altri enti territoriali, dotati solo di potestà
statutaria e regolamentare.
L’ART.117 COST. distingue infatti tra:
 LEGISLAZIONE ESCLUSIVA DELLO STATO → si tratta dei settori indicati
nell'ART.117, COMMA 2, nei quali la potestà legislativa spetta
esclusivamente allo Stato (ad es. politica estera, immigrazione,
previdenza sociale, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale);
 LEGISLAZIONE CONCORRENTE → si tratta dei settori indicati
nell'ART.117, COMMA 3, nei quali vi è una suddivisione dei compiti tra
lo Stato e le Regioni: al primo spetta il compito di “determinare i principi
fondamentali” (attraverso le leggi quadro o leggi cornice), mentre alle
Regioni spetta il compito di emanare la legislazione specifica di settore (ad
es.: protezione civile e tutela della salute);
 LEGISLAZIONE RESIDUALE DELLE REGIONI → i settori che rientrano in
tale ambito non sono definiti nella Costituzione, ma vanno ricavati per
esclusione: l'ART.117 dispone che “spetta alle regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.”

C) AUTONOMIA REGOLAMENTARE
L’ART.117, COMMA 6, COST. → prevede che la potestà regolamentare spetta
allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni,
mentre spetta alle Regioni in ogni altra materia. Pertanto, le Regioni sono
titolari di POTESTA’ REGOLAMENTARE:

 nelle materie di legislazione concorrente ad essere riservate ex ART.117, CO.


3;
 nelle materie di legislazione residuale ex ART.117, CO.4;
 nelle materie che l'ART.117 CO.2 definisce di legislazione esclusiva statale e
per le quali lo Stato abbia delegato alla Regione la normazione secondaria.
Allo Statuto spetta disciplinare tipologia e procedimento di formazione
dei regolamenti regionali.

D) ESERCIZIO DELLE FUNZIONI AMMINISTRATIVE E


PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
Alla riforma del 2001 si deve anche la NUOVA FORMULAZIONE
DELL’ART.118 COST. Risulta, infatti, superato il principio del parallelismo
delle funzioni, in base al quale l'ente che aveva la competenza legislativa in
un settore e svolgeva, in quello stesso settore, anche le relative funzioni
amministrative.
Oggi, quindi, i compiti di gestione amministrativa della cosa pubblica sono
affidati alla struttura più vicina alla cittadinanza (PRINCIPIO DELLA
SUSSIDIARIETA’ VERTICALE), lasciando ai livelli amministrativi sovraordinati
soltanto quelle funzioni che, per la loro natura, non possono essere svolte
localmente. L'attribuzione delle funzioni amministrative all'ente che ne sarebbe
istituzionalmente e naturalmente titolare, può aversi nei seguenti casi:
 per il PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA, per cui l'amministrazione che riceve
la funzione deve possedere una struttura organizzativa idonea a garantire
l'adeguato esercizio della stessa;
 per il PRINCIPIO DI DIFFERENZIAZIONE, per cui l’allocazione delle
funzioni deve necessariamente prendere in considerazione le diverse
caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli
enti riceventi.
Quanto alle funzioni amministrative esercitabili dall'autorità territorialmente più
vicina ai cittadini interessati, Comuni, Province e Città metropolitane sono titolari
di funzioni proprie nonché di funzioni conferite con legge statale o regionale,
secondo le rispettive competenze (ART.118 CO.2, COST.).
Dal punto di vista costituzionale rileva anche la cd. SUSSIDIARIETA’
ORIZZONTALE, in funzione della quale sia lo Stato che gli altri enti territoriali
sono venuti a favorire “l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale” (ART.118, COMMA 4. COST.).

E) AUTONOMIA FINANZIARIA E IL FEDERALISMO FISCALE


L’ART.119 COST. → riconosce AUTONOMIA FINANZIARIA ai Comuni, alle
Province, alle Città metropolitane e alle Regioni, vale a dire la potestà di
stabilire e gestire in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitano per
la realizzazione delle funzioni loro affidate. In particolare:

 l'autonomia finanziaria è attribuita non solo alle Regioni, ma anche agli


enti locali;
 è prevista un'autonomia di entrata e di spesa, che deve essere esercitata:
- in armonia con la Costituzione;
- nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario;
 la legislazione statale può imporre vincoli alle politiche di bilancio
che si traducono in limitazioni indirette all'autonomia di spesa;
 viene affermato il principio della territorialità dell'imposta, in base
a cui, almeno in parte, il gettito prelevato da un territorio dovrà essere
impiegato a favore della comunità che lo ha prodotto.
Inoltre, l'ART.119, CO.5, COST. prevede anche la possibilità che lo Stato
attribuisca a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni delle risorse
aggiuntive per:
 promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale;
 rimuovere gli squilibri economici e sociali;
 favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;
 provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.
Tali risorse, caratterizzate da un vincolo di destinazione, si differenziano dal
FONDO PEREQUATIVO, istituito “per i territori con minore capacità fiscale per
abitante”, non sottoposto ad alcun vincolo.
Il fondo perequativo è uno strumento che dovrebbe compensare eventuali
squilibri fra le entrate tributarie delle Regioni, consentendo a tali enti di
erogare i servizi di loro competenza a livelli uniformi su tutto il territorio
nazionale.
La L. 42/2009 (FEDERALISMO FISCALE) è finalizzata ad assicurare autonomia
di entrata e di spesa degli enti territoriali e a garantire l'applicazione dei
principi di solidarietà e di coesione sociale.
Tale legge stabilisce i principi fondamentali del coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario, disciplina l'istituzione ed il
funzionamento del fondo perequativo dei territori con minore capacità fiscale
per abitante. Sono dettati, ancora, principi generali per l'attribuzione di un
proprio patrimonio agli enti territoriali nonché norme transitorie
sull'ordinamento di Roma capitale.

1. ORGANIZZAZIONE REGIONALE
Gli organi fondamentali della Regione sono: il CONSIGLIO REGIONALE, la
GIUNTA e il PRESIDENTE.
Il CONSIGLIO REGIONALE esercita le funzioni legislative riconosciute alla
Regione nonché le altre funzioni a questa conferite dalla Costituzione e dalle leggi
statali. Inoltre, approva e modifica lo Statuto.
La GIUNTA REGIONALE è l'organo esecutivo della Regione, legato al Consiglio
da un rapporto di tipo fiduciario. Essa provvede alla predisposizione e
presentazione del bilancio e del conto consuntivo regionale; ha potere di iniziativa
legislativa e provvede all'esecuzione delle delibere adottate dal Consiglio regionale.
Il PRESIDENTE DELLA GIUNTA è il massimo organo di indirizzo politico nonché
l'organo rappresentativo della Regione, legittimato all'impugnazione di legge
dinanzi alla Corte costituzionale, alla promulgazione delle leggi e l'emanazione di
regolamenti regionali, alla nomina e alla revoca dei componenti della Giunta. È
eletto a suffragio universale e diretto, salvo che lo Statuto regionale disponga
diversamente.
2. AUTONOMIE LOCALI
L'autonomia degli enti locali è stata valorizzata dalla riforma costituzionale
del 2001, che oggi riconosce a comuni, province e città metropolitane
autonomia: normativa (di tipo statutario e regolamentare); amministrativa;
finanziaria (avendo la riforma riconosciuto loro la facoltà di stabilire ed
applicare tributi ed entrate propri per il finanziamento della loro attività).

3. COMUNE
Il Comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi
e ne promuove lo sviluppo.
Gli elementi costitutivi del Comune sono: il territorio (elemento materiale); la
popolazione (elemento personale); il patrimonio. Sono organi di governo del
Comune:
 CONSIGLIO COMUNALE: è l'organo collegiale, i cui membri sono eletti dal
corpo elettorale; svolge funzioni di indirizzo e di controllo politico
amministrativo ed è dotato di autonomia funzionale ed organizzativa;

 LA GIUNTA: i cui membri (assessori) sono nominati dal Sindaco, è


l'organo esecutivo con competenza generale e autonoma, seppur residuale
in quanto avente ad oggetto le materie non attribuite dalla legge alla
competenza esclusiva del Consiglio o del Sindaco; collabora con il Sindaco
nell'attuazione degli indirizzi generali del Consiglio, riferisce annualmente a
quest'ultimo sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso;

 IL SINDACO: eletto dal popolo, è l'organo monocratico che rappresenta


l'ente ed è legato alla Giunta da un rapporto di stretta fiducia. Il Sindaco
dura in carica 5 anni. Nella figura del Sindaco si concentrano due diversi
uffici: egli ricopre contemporaneamente la veste di capo
dell'amministrazione comunale e di Ufficiale del Governo.
In tema di FUNZIONI, ai Comuni spetta l'esercizio delle FUNZIONI
AMMINISTRATIVE, in ossequio al principio di sussidiarietà, trattandosi
dell'ente locale più vicino ai cittadini.
I comuni sono titolari tanto di FUNZIONI PROPRIE (che sono quelle che
riguardano la popolazione e il territorio comunale ), quanto di FUNZIONI
CONFERITE con legge statale o regionale che sono, invece, quelle relative a
materie di competenza esclusiva dello Stato o della Regione, o di
competenza concorrente, che in forza di apposito provvedimento sono attribuite
ai Comuni quale livello territoriale vicino ai cittadini.
Ruolo peculiare nell'ambito del Comune è poi svolto dal SEGRETARIO
COMUNALE, che sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e dei
responsabili degli uffici e ne coordina l'attività.
4. LA PROVINCIA
La Provincia è l'ente intermedio tra Comune e Regione che ha il compito di
rappresentare la propria comunità, curarne gli interessi, promuoverne e
coordinarne lo sviluppo.
Uno degli aspetti fondamentali della L.56/2014 è proprio la riorganizzazione
delle Province. Secondo l'impostazione, le Province sono enti di vasta area e
sono chiamate a svolgere funzioni fondamentali attinenti alcuni settori
specifici, tra cui la pianificazione territoriale, la valorizzazione dell'ambiente, la
pianificazione dei servizi di trasporto, la programmazione della rete scolastica e
la gestione dell'edilizia scolastica. Altre particolari funzioni possono poi essere
svolte a livello provinciale ma d’intesa con i comuni interessati.
Sono organi della Provincia:
 il PRESIDENTE DELLA PROVINCIA che rappresenta l'ente, convoca e
presiede il Consiglio e l’Assemblea. Egli è eletto dai Sindaci e dei consiglieri
dei Comuni della Provincia. Dura in carica 4 anni e in caso di cessazione
della carica di Sindaco decade anch'esso dalla carica;
 il CONSIGLIO PROVINCIALE, organo di indirizzo e controllo, dura in
carica 2 anni; ne fa parte anche il Presidente della Provincia. I suoi membri
sono eletti dai Sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni della
Provincia. La cessazione della carica comunale comporta la decadenza da
consigliere provinciale;
 l'ASSEMBLEA DEI SINDACI, costituita dai Sindaci dei Comuni della
Provincia, ha poteri propositivi, consultivi e di controllo secondo quanto
disposto dallo Statuto.

5. SEGRETARIO COMUNALE O PROVINCIALE


Il Segretario Comunale (o Provinciale) svolge compiti di consulenza giuridico-
amministrativa nei confronti dell'ente locale, in ordine alla conformità
dell'azione amministrativa alle leggi, allo Statuto ed ai regolamenti.
Il segretario è legato all'ente locale da un rapporto di servizio, che sorge con
la nomina da parte del vertice dell'amministrazione locale, ma allo stesso
tempo egli è il titolare di un rapporto organico con il Ministero dell'Interno,
che gestisce direttamente l'Albo Nazionale dei Segretari.
La L.190/2012 attribuisce al Segretario anche il ruolo di Responsabile
anticorruzione e trasparenza negli enti locali, indicando agli uffici
competenti all'adozione delle misure disciplinari, i nominativi dei dipendenti
che non hanno attuato correttamente le misure.

6. CITTA’ METROPOLITANA
La Città Metropolitana è uno degli enti locali dotati di propri statuti, poteri e
funzioni.
Esse sono state istituite con L.56/2014, che individua 9 città metropolitane,
cui si aggiunge quella di Roma Capitale. Sono di competenza della Città
metropolitana le medesime funzioni fondamentali attribuite alle Province,
unitamente ad altre funzioni fondamentali tra cui:
 l'adozione e l'aggiornamento di un piano strategico triennale del territorio
metropolitano;
 la strutturazione di sistemi coordinati per la gestione dei servizi pubblici;
 la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.
ORGANI DELLA CITTA’ METROPOLITANA sono:
 il SINDACO METROPOLITANO che è di diritto il Sindaco del Comune
capoluogo, quale organo responsabile dell'amministrazione dell'ente;
 il CONSIGLIO METROPOLITANO che è l'organo di indirizzo e controllo
dell'ente, composto dal Sindaco metropolitano e da un numero di
consiglieri che varia in rapporto al numero di abitanti;
 la CONFERENZA METROPOLITANA, composta dal Sindaco metropolitano
e dai Sindaci dei Comuni rientranti nella Città metropolitana; ha poteri
propositivi e consultivi. È competente ad adottare o respingere lo Statuto
proposto dal Consiglio.

7. CONTROLLO SUGLI ENTI TERRITORIALI


A) IL CASO DELLE REGIONI
ART.126 COST. → prevede che con decreto motivato del Presidente della
Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la
rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla
costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono
essere disposti anche per ragioni di sicurezza nazionale.

B) IL CASO DEGLI ENTI LOCALI


ART.141 del Testo Unico sugli Enti Locali→ dispone che i Consigli Comunali e
Provinciali vengono sciolti nei seguenti casi:
 compimento di atti contrari alla costituzione;
 gravi e persistenti violazioni di legge;
 gravi motivi di ordine pubblico;
 impossibilità di funzionamento degli organi e dei servizi per
impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del Sindaco o del
Presidente della Provincia o a seguito di loro dimissioni o di dimissioni
contemporanee della metà più uno dei componenti del Consiglio;
 mancata approvazione del bilancio nei termini di legge;
 mancata adozione, nel termine di 18 mesi dalla data dell'elezione degli
organi, degli strumenti urbanistici generali nei Comuni con più di 1000
abitanti.
Lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali è adottato con decreto del
Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno. Con il decreto
di scioglimento si provvede alla nomina di un COMMISSARIO che esercita le
attribuzioni conferitegli con il decreto stesso.
Nelle more del provvedimento per lo scioglimento, il Prefetto può SOSPENDERE
DALLE FUNZIONI il Consiglio comunale e provinciale per non più di 90 giorni,
nominando un COMMISSARIO PREFETTIZIO per la provvisoria
amministrazione.
PRESUPPOSTI PER LA SOSPENSIONE sono:
 l'avvenuta attivazione della procedura per lo scioglimento del Consiglio;
 la sussistenza di motivi di grave ed urgente necessità.
Il Sindaco, il Presidente della Provincia, i Presidenti dei Consorzi e delle Comunità
montane, i componenti dei Consigli e delle Giunte e i Presidenti dei Consigli
circoscrizionali, possono essere RIMOSSI se compiano:
 atti contrari alla Costituzione;
 gravi e persistenti violazioni di legge;
 gravi motivi di ordine pubblico.
In attesa del decreto di rimozione, il Prefetto può SOSPENDERE gli
amministratori da rimuovere, qualora sussistano motivi di grave e urgente
necessità.

CAPITOLO 9 – RAPPORTO DI LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLA


P.A.
1. IL PUBBLICO IMPIEGO
Il rapporto di lavoro pubblico, cd. PUBBLICO IMPIEGO, è quello per cui una
persona fisica pone, volontariamente e dietro corrispettivo, la propria attività
lavorativa, in modo continuativo, alle dipendenze di un'amministrazione pubblica,
assumendo, perciò, uno specifico status con particolari diritti e doveri.
Il RAPPORTO DI LAVORO PUBBLICO È:
 VOLONTARIO, perché sia per la costituzione che per la continuazione del
rapporto è richiesta la volontà della P.A. e quella del dipendente;
 STRETTAMENTE PERSONALE, in quanto la capacità intellettiva e tecnica
richiesta, nonché la fiducia che l'ente deve avere nella persona a cui affida
la cura dei propri interessi comportano che il rapporto sia costituito intuitu
personae;
 BILATERALE (o SINALLAGMATICO) poiché vi sono diritti e doveri specifici
in campo sia al lavoratore che al datore di lavoro (prestazione
lavorativa/corresponsione della retribuzione);
 DI SUBORDINAZIONE, essendo la prestazione lavorativa svolta alle
dipendenze di una pubblica amministrazione da parte di un soggetto
istituzionalmente subordinato alla stessa.
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è oggi PRIVATIZZATO.
In particolare, il D.lgs. 29/1993 (ora trasfuso nel D. lgs. 165/2001) ha
riformato il pubblico impiego, trasferendo la relativa disciplina dall'area
pubblicistica (dove era prima collocato) a quella privatistica, grazie
all’affermazione per cui i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono
disciplinati dal CAPO I, TITOLO II, DEL LIBRO V del Codice civile e dalle leggi
sul lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute
nel decreto medesimo.
L'assetto dei rapporti di pubblico impiego è incentrato sul valore dell'autonomia
contrattuale (individuale e collettiva); tuttavia, si tratta di un modello misto:
alle norme di diritto comune si affiancano, infatti, speciali disposizioni di legge,
regolamento o statuto che introducono discipline limitate ai soli dipendenti della
P.A.
Vi sono alcuni ASPETTI PECULIARI che connotano il rapporto di lavoro svolto
alle dipendenze di una P.A.:
 la PREDETERMINAZIONE DEL PERSONALE → le P.A. non possono
disporre liberamente del proprio personale, che viene predeterminato dalla
legge e/o da atti amministrativi a contento generale;
 il principio del CONCORSO PUBBLICO come modalità di accesso al lavoro
con la P.A.;
 il criterio della STABILITA’ DEL RAPPORTO NELL’AMBITO
DELL’ORGANICO → i pubblici impiegati sono “incasellati” in precise
posizioni e qualifiche, cui corrispondono le relative mansioni. Essi possono
accedere ad altra posizione solo previo svolgimento di un'apposita
procedura concorsuale.

2. LA PRIVATIZZAZIONE
L'attuale disciplina del lavoro pubblico è contenuta nel D.lgs. 165/2001, cd.
TESTO UNICO SUL PUBBLICO IMPIEGO. Si tratta del provvedimento che ha
consolidato il PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE DEL LAVORO PUBBLICO e che
intende perseguire determinati obiettivi fondamentali, tra cui la crescita di
efficienza delle amministrazioni, la razionalizzazione dei costi e la maggiore
utilizzazione risorse umane.
Circa L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL D.LGS.165/2001, sono ESCLUSI
DALLA PRIVATIZZAZIONE alcune categorie di pubblici dipendenti
(tassativamente indicate): magistrati ordinari, amministrativi e contabili; avvocati e
procuratori dello Stato; personale militare e delle Forze di Polizia; dipendenti dalla
Banca d'Italia, ecc.
Sul versante processuale, la privatizzazione della disciplina sostanziale del
rapporto di impiego ha comportato l'attribuzione al giudice ordinario del
relativo contenzioso; invece, è rimasto nella cognizione del giudice
amministrativo il contenzioso sulle modalità di selezione di dipendenti
pubblici, che riguarda, quindi, una fase che precede l'instaurazione del rapporto.

3. ATTI DI MACRO E DI MICRO ORGANIZZAZIONE


Per capire il sistema delle fonti regolatrici del pubblico impiego, occorre partire
dalla DISTINZIONE TRA ATTI DI MACRO E ATTI DI MICRO
ORGANIZZAZIONE, giacché solo per i primi e conservato il regime
pubblicistico.
 ATTI DI MACRO-ORGANIZZAZIONE → sono quelli emanati dalla P.A. e
diretti alla definizione delle linee fondamentali di organizzazione dei
pubblici uffici, all'individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e
dei modi di conferimento della titolarità degli stessi, alla determinazione
delle dotazioni organiche e complessive. Si tratta di atti adottati
nell'esercizio di poteri pubblicistici, con veri e propri provvedimenti
amministrativi, come tali impugnabili dinanzi al G.A.
 ATTI DI MICRO-ORGANIZZAZIONE → sono quelli a regime privatistico
emanati dalla P.A. in veste di datrice di lavoro, relativi
all'organizzazione minore degli uffici e alla gestione diretta del
rapporto di lavoro, aventi ora natura paritetica, espressione di capacità e
di potere analoghi a quelli di qualsiasi datore di lavoro privato.
Pertanto,
 Alle leggi e ai regolamenti spetta delineare la struttura degli apparati
pubblici;
 Agli atti di diritto privato spetta a disciplinare il funzionamento di
uffici e gestire i rapporti di lavoro.

4. SISTEMA DELLE FONTI E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA


A) DALLA LEGGE AL CONTRATTO
ART. 2, COMMA 3, D.lgs. 165/2001 → prevede espressamente che i rapporti di
lavoro individuali sono regolati contrattualmente. La disciplina del rapporto di
pubblico impiego privatizzato è passata attraverso 3 fasi:
 in origine era demandata esclusivamente alla legge e ad atti
regolamentati;
 successivamente, il contratto, individuale e collettivo, è diventato la fonte
privilegiata, affiancandosi alla legge e ai poteri riconosciuti al datore di
lavoro dall'ART. 2086 c.c.;
 oggi, la disciplina di fonte normativa del rapporto di lavoro pubblico
contrattualizzato prevale su quella di fonte contrattuale, anche se
quest'ultima è successiva, e le disposizioni poste da atti normativi possono
essere derogate dalla contrattazione collettiva, cessando di essere
applicabili, solo nel caso in cui la legge espressamente lo prevede.

B) IL MODELLO PER LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA


In particolare, il Governo ha provveduto a rinnovare il modello per la
contrattazione collettiva, introducendo un MODELLO CONTRATTUALE A 2
LIVELLI, uno nazionale, l'altro aziendale o territoriale e la durata triennale dei
contratti, sia per la parte economica che per quella normativa.
Quanto al CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DEI CONTRATTI
COLLETTIVI, per effetto del D.lgs. 75/2017, resta devoluta alla contrattazione
collettiva la disciplina della struttura contrattuale, dei rapporti tra i diversi livelli e
della durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, nonché la competenza a
determinare i trattamenti economici; mentre, nella materia della responsabilità
disciplinare ed in quella della valutazione ai fini del trattamento accessorio, della
mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva può
intervenire nei limiti stabiliti dalle norme di legge.
Sono, invece, escluse le materie inerenti all'organizzazione degli uffici, i compiti e i
poteri dei dirigenti, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali.
Sul versante SOGGETTIVO, l'applicabilità dei contratti è generalizzata, sia
rispetto alla sfera del singolo lavoratore che a quella del datore di lavoro
pubblico, a prescindere dal recepimento dei contratti da parte
dell'amministrazione. Infatti, per il singolo lavoratore il vincolo di efficacia del
contratto collettivo trova fondamento nel principio di parità di trattamento e di
inderogabilità in peius del contratto collettivo da parte del contratto individuale,
impegnando le P.A. a garantire trattamenti non inferiori a quelli previsti dai
rispettivi contratti collettivi.

5. ACCESSO AI PUBBLICI UFFICI


L’ART.97, CO.4, COST. → prevede che agli impieghi nelle P.A. si accede
mediante CONCORSO, salvo i casi stabiliti dalla legge. Il concorso pubblico
rappresenta, infatti, la forma ordinaria di accesso ai pubblici uffici,
strumentale all’efficienza della P.A. perché diretta a scegliere i candidati più
capaci e preparati.
L’ ASSUNZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI avviene:
 tramite PROCEDURE SELETTIVE volte all'accertamento della
professionalità richiesta (concorsi pubblici);
 mediante AVVIAMENTO DEGLI ISCRITTI NELLE LISTE DI
COLLOCAMENTO (tale modalità di accesso in genere riguarda i profili e le
qualifiche per cui è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo);
 sono fatte salve le ASSUNZIONI OBBLIGATORIE dei soggetti appartenenti
a categorie protette, ossia i soggetti disabili.
6. CONCORSO PUBBLICO
La decisione di dare avvio ad un concorso pubblico spetta alla P.A., sulla base del
PIANO TRIENNALE DEI FABBISOGNI DI PERSONALE. Le procedure devono
rispettare alcuni principi fondamentali: adeguata pubblicità della selezione,
modalità di svolgimento imparziali e trasparenti nonché decentramento delle
procedure di reclutamento.
In genere, i REQUISITI che devono essere posseduti alla data di scadenza del
termine per la domanda di ammissione al concorso sono:
a) cittadinanza italiana ed europea;
b) età non inferiore ai 18 anni;
c) godimento dei diritti politici;
d) titolo di studio.
I bandi di concorso devono prevedere anche l'accertamento della conoscenza
dell'uso delle apparecchiature e applicazioni informatiche più diffuse e della
lingua inglese. Per quanto riguarda le modalità operative dei concorsi, la prova è
prevista dal BANDO, che viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana nonché sul sito internet dell'ente che bandisce il concorso.
La PROVA si articola, di regola, in una prova scritta e una orale, con una
eventuale fase preselettiva, in caso di consistente numero di domande.
Le Amministrazioni affidano allo svolgimento operativo dei concorsi ad
un'apposita COMMISSIONE GIUDICATRICE (nominata ad hoc per ogni concorso).
Una volta terminate le prove, viene formulata una GRADUATORIA, la quale deve
essere approvata dalla P.A. che ha bandito il concorso e rimane in vigore per 2
anni dalla data di pubblicazione.
Terminata la procedura di selezione, viene stipulato il CONTRATTO DI LAVORO
INDIVIDUALE con i candidati che l'abbiano superata.
Tuttavia, l'impiegato pubblico prima di ottenere l'iscrizione in ruolo è sottoposto
ad un PERIODO DI PROVA, superato il quale, senza che nessuna delle parti
receda, il dipendente si intende confermato in servizio.

7. TIPOLOGIE CONTRATTUALI FLESSIBILI E INCARICHI


ESTERNI
La REGOLA è che le P.A. assumano esclusivamente con contratti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, seguendo le ordinarie procedure di
reclutamento. Tuttavia, per rispondere a comprovate esigenze di carattere
esclusivamente temporaneo o eccezionale, le stesse possono stipulare
contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e
contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi
delle forme contrattuali flessibili previste dal Codice civile e da altre leggi sui
rapporti di lavoro nell'impresa, solo nei limiti e con le modalità in cui se ne
prevede l'applicazione alle P.A.
8. INQUADRAMENTO DEI PUBBLICI DIPENDENTI
I pubblici dipendenti, in genere, possono essere SUDDIVISI in due modi:
 IN SENSO ORIZZONTALE, prendendo a riferimento i comparti e le aree
dirigenziali;
 IN SENSO VERTICALE, in base cioè all'area funzionale, che si riferisce
alla mansione e al conseguente livello di responsabilità di ciascuno.
All'interno di ogni singola area, sono collocati i PROFILI PROFESSIONALI
che, in quanto riconducibili ad un medesimo settore di attività, possono essere
tra loro omogenei o affini. I profili professionali definiscono i contenuti tecnici
della prestazione lavorativa e le attribuzioni proprie del dipendente, attraverso
una descrizione sintetica ed esaustiva delle mansioni svolte, dei requisiti e del
livello di professionalità richiesto.

9. MANSIONI
La mansione è l'insieme di compiti e delle concrete operazioni che il lavoratore è
chiamato ad eseguire.
Il prestatore di lavoro può essere adibito:
 alle mansioni per le quali è stato assunto;
 alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a
quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente
acquisito per effetto di procedure selettive: si tratta del cd. diritto alla
funzione.
Tuttavia, per obiettive esigenze di servizio, il prestatore di lavoro può essere
adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di 6 mesi,
prorogabili fino a 12 qualora siano stati avviate le procedure per la
copertura dei posti vacanti;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente (con esclusione
dell'assenza per ferie) con diritto alla conservazione del posto per la durata
dell'assenza.
In queste ipotesi, per il periodo di effettiva prestazione, il LAVORATORE HA
DIRITTO AL TRATTAMENTO PREVISTO PER LA QUALIFICA SUPERIORE. Al
di fuori di esse, è nulla l'assegnazione a mansioni proprie di una qualifica
superiore; il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del
maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. Ne consegue IL
DIVIETO PER LA P.A. DI ADIBIRE IL LAVORATORE A MANSIONI INFERIORI,
integrando in tale ipotesi un ILLEGITTIMO DEMANSIONAMENTO.
10. PROGRESSIONI

Le progressioni sono mutamenti della prestazione lavorativa e si distinguono


in:
 ECONOMICHE, laddove si sostanzino in scatti da una posizione economica
all'altra nell'ambito della medesima area funzionale;
 DI CARRIERA, nel caso riguardino avanzamenti di posizione da un'area
contrattuale a quella superiore.
Le PROGRESSIONI ALL’INTERNO DELLA STESSA AREA avvengono secondo
principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali,
dell'attività svolta e dei risultati conseguiti.
La disciplina delle PROGRESSIONI TRA LE AREE è, invece, stata
completamente modificata nel 2021: è, infatti, previsto che le progressioni fra le
aree, e negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite
procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal
dipendente negli ultimi 3 anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti
disciplinari, sul possesso di titoli, competenze professionali o di studio ulteriori
rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonché sul numero e
sulla tipologia dell'incarico rivestiti.

CAPITOLO 10 – DIRIGENZA PUBBLICA


1. DISTINZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE
Per inquadrare la disciplina della dirigenza pubblica, occorre partire dalla
DISTINZIONE TRA ATTIVITA’ DI INDIRIZZO POLITICO E ATTIVITA’ DI
GESTIONE AMMINISTRATIVA: l'indirizzo politico è la base dell’azione dei
pubblici poteri e si sostanzia nella individuazione, da parte degli organi di governo,
delle scelte e dei programmi che verranno poi “concretizzate” mediante
l'esplicazione dell’attività di gestione, di spettanza della burocrazia, cioè della
dirigenza pubblica.

Al DIRIGENTE compete, infatti, l'adozione degli atti e dei provvedimenti


amministrativi, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa delle
risorse di un determinato ufficio; egli deve individuare i profili professionali
necessari allo svolgimento delle attività di dato settore e deve monitorare lo
svolgimento concreto delle relative operazioni, visto che di tale gestione i
dirigenti sono specificamente responsabili, specie in caso di scarso
rendimento dei propri dipendenti.
2. DISCIPLINA
La riforma Brunetta del 2009 ha profondamente inciso sulla dirigenza. In
particolare:
 il dirigente viene delineato come vero e proprio datore di lavoro pubblico.
Tale figura diventa responsabile della gestione delle risorse umane e della
qualità e quantità delle prestazioni poste in essere dei dipendenti;
 viene previsto che i dirigenti siano tenuti anche ad effettuare la
valutazione del personale assegnato ai loro uffici, ai fini non solo della
progressione economica tra le aree, ma anche nella corresponsione di
indennità e premi incentivanti.
Ai dirigenti generali viene, inoltre, attribuito il compito di lottare contro la
corruzione tra gli uffici pubblici; tali maggiori poteri corrisponde anche una
responsabilità più accentuata: infatti, i dirigenti risponderanno del mancato
esercizio dei poteri datoriali, se tale omissione cagioni lo scarso rendimento dei
propri dipendenti.
Il mancato raggiungimento degli obiettivi o l'inosservanza delle direttive
imputabili al dirigente comportano l'impossibilità di rinnovo nello stesso
incarico dirigenziale.

3. CONFERIMENTO DEGLI INCARICHI DIRIGENZIALI


In ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è istituito
il RUOLO DEI DIRIGENTI, che si articola nella PRIMA e nella SECONDA
FASCIA.
 I DIRIGENTI DELLA PRIMA FASCIA sono detti anche dirigenti generali
ed hanno una posizione sovraordinata a quelli della seconda fascia;
essi, ad esempio, formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro delle
materie di competenza, curano l'attuazione dei piani, dei programmi e delle
direttive generali definite dal Ministro, attribuiscono ai dirigenti gli incarichi
e la responsabilità di specifici progetti e gestioni, coordinandone e
controllandone l'attività. Alla prima fascia si accede tramite concorso
pubblico per titoli ed esami.

 I DIRIGENTI DELLA SECONDA FASCIA, invece, formulano proposte ed


esprimono pareri ai dirigenti generali, svolgono tutti i compiti delegati,
nonché dirigono, coordinano e controllano le attività degli uffici che da essi
dipendono. Alla seconda fascia si accede tramite concorso indetto dalle
singole amministrazioni oppure per corso-concorso selettivo di
formazione bandito dalla Scuola Nazionale dell'Amministrazione (SNA).
Ad ogni dirigente va conferito un INCARICO → si tratta dello SPECIFICO
UFFICIO a cui il dirigente viene assegnato a TEMPO DETERMINATO. Infatti, la
durata dell'incarico non può essere inferiore a 3 anni ed eccedere il limite di
5 anni. Gli incarichi sono rinnovabili e possono essere revocati in alcuni casi,
ad esempio, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi o per
riorganizzazione interna della P.A.

Con il provvedimento di conferimento sono individuati l'OGGETTO


dell'incarico e gli OBIETTIVI da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e
ai programmi definiti dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle
eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto.
Al provvedimento di conferimento dell'incarico, poi accede un contratto
individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico del
dirigente.

4. “SPOIL SYSTEM”
L’istituto dello SPOIL SYSTEM caratterizza una parte del personale burocratico
come di stretta estrazione fiduciaria, legandone ingresso e uscita
dall'amministrazione all'avvicendamento dei diversi esecutivi.
Quanti conseguono un ufficio in virtù dell'esercizio della prerogativa governativa
di assunzione/nomina discrezionale restano, infatti, legati all'amministrazione da
un rapporto di lavoro segnato, geneticamente, dalla previsione della sua
cessazione al mutare dell'esecutivo.
Una forma di spoil system si ha in relazione agli incarichi dirigenziali apicali
delle amministrazioni statali (Segretario generale, Capo di dipartimento), le cui
funzioni risultano strettamente contigue con indirizzi politico-amministrativi
espressi dagli organi politici (i ministri).
Tali incarichi apicali cessano automaticamente, decorsi 90 giorni dal voto
sulla fiducia ottenuto dal Governo subentrante.
Non risulta inciso, però, il sottostante rapporto di lavoro del dirigente di
ruolo, scaturente dal contratto a tempo indeterminato stipulato al momento
dell'immissione in ruolo.

CAPITOLO 11 – RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE


1. DOVERI E DIRITTI DEL PUBBLICO DIPENDENTE
A) IL CODICE DI COMPORTAMENTO
I DOVERI DEL DIPENDENTE possono essere raggruppati in 2 AMPIE
TIPOLOGIE:
 la prima è riconducibile al dovere di fedeltà alla Repubblica, ai principi
di imparzialità e buon andamento, al carattere democratico della
Repubblica, che impone di favorire i rapporti di fiducia tra
amministrazione e cittadino;
 la seconda si richiama, invece, ai doveri di diligenza, obbedienza e
fedeltà.
Il NUOVO CODICE DI COMPORTAMENTO dei pubblici dipendenti è stato
approvato con (Decreto del Presidente della Repubblica) D.P.R. 62/2013:
esso definisce i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona
condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare; introduce, inoltre,
stringenti divieti a carico dei dipendenti che non potranno chiedere sollecitare
ed accettare regali o altre utilità per compiere atti del proprio ufficio.
L'unica eccezione è per i regali di modico valore, effettuati occasionalmente
nell'ambito delle normali relazioni di cortesia.

B) IL WHISTLEBLOWING
L'espressione “whistleblowing” indica la condotta di chi denuncia,
pubblicamente o alle competenti autorità, attività illecite o fraudolente
all'interno di un'organizzazione pubblica o privata.
La norma prevede che il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della
P.A., SEGNALA oppure DENUNCIA all'autorità giudiziaria ordinaria o contabile
condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di
lavoro, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o
comunque sottoposto a misure che incidano in maniera negativa sulle sue
condizioni di lavoro.
Inoltre, l'identità del segnalante non può essere rivelata: ciò vale sia per il
procedimento penale, sia per quello dinanzi alla Corte dei conti, sia per l'iter
disciplinare.

C) I DIRITTI DEL LAVORATORE PUBBLICO


I DIRITTI DELL’IMPIEGATO si distinguono a seconda che abbiano contenuto
patrimoniale o non patrimoniale:
 DIRITTI PATRIMONIALI → il più importante è quello alla retribuzione. Si
tratta di una prestazione periodica in denaro cui la P.A. è tenuta verso i
propri dipendenti, come corrispettivo del servizio prestato, commisurata
alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dall'impiegato.
La retribuzione si articola in un trattamento fondamentale, comprensivo delle
voci a carattere fisso e continuativo, e in un trattamento accessorio, costituito
da emolumenti eventuali ed occasionali;
 DIRITTI NON PATRIMONIALI → vi rientrano: il diritto all'ufficio, inteso
come diritto alla permanenza nel rapporto di lavoro; il diritto allo
svolgimento delle mansioni; il cd. diritto alla progressione; il diritto al riposo;
il diritto alla riservatezza; il diritto alle pari opportunità tra uomini e donne
sul luogo di lavoro e i diritti sindacali.
2. RESPONSABILITA’ DELL’IMPIEGATO
La RESPONSABILITA’ DELL’IMPIEGATO per l’inosservanza di norme
giuridiche può essere:
 PENALE, quando la trasgressione dei doveri d'ufficio da parte dell'impiegato
configuri un reato (ad esempio, abuso d'ufficio, concussione e corruzione
ecc.);

 CIVILE, quando dalla trasgressione dei doveri d'ufficio derivi un danno per
l'ente pubblico (cd. responsabilità patrimoniale). La relativa sanzione
consiste nell'obbligo di risarcire il danno (sempre che vi sia dolo o colpa);

 AMMINISTRATIVA, quando l'inosservanza dolosa o colposa degli obblighi


di servizio comporti un danno patrimoniale all'amministrazione. In tale
forma di responsabilità si inquadra anche la RESPONSABILITA’
CONTABILE, che emerge in caso di violazioni di norme sui procedimenti di
spesa e sulla custodia del danaro pubblico da parte di chi si è tenuto al
maneggio: gli agenti contabili.
Tali forme di responsabilità possono sussistere congiuntamente nei riguardi
della stessa persona, ancorché unica sia la trasgressione da questa commessa.

3. RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE
La RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE deriva dalla violazione dei doveri
inerenti al rapporto l'impiego da parte del dipendente. Al fine di integrare un
illecito disciplinare occorre un'azione od omissione, compiuta in violazione di
legge, regolamento o contratto e, in particolare, dei doveri previsti da quest'ultimo.
La materia delle sanzioni e responsabilità disciplinari rappresenta uno dei
principali punti di intervento della riforma Brunetta del 2009 che della riforma
Madia del 2017.
L'attuale sistema, infatti, si connota per i seguenti aspetti generali:
 la materia disciplinare è regolata dagli ARTT.55-55 OCTIES D.LGS.
165/2001, che sono norme imperative;

 la violazione dolosa o colposa le suddette disposizioni costituisce


illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione;

 ferma restando la disciplina in materia di responsabilità civile,


amministrativa, penale e contabile la tipologia delle infrazioni e delle
relative sanzioni viene definita dai contratti collettivi;

 la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice


disciplinare, recante l'indicazione delle infrazioni e sanzioni, equivale alla
sua affissione all'ingresso della sede di lavoro.
Il PROCEDIMENTO DISCIPLINARE SEGUE DUE STRADE, a seconda della
gravità dell'infrazione:
 per le infrazioni di minore gravità, ossia quelle per cui è previsto il
rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del
responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente;

 per le infrazioni punibili con sanzioni superiore al rimprovero verbale,


invece, ciascuna amministrazione deve individuare l'Ufficio per i
procedimenti disciplinari competente.
L'iter deve concludersi entro 120 giorni decorrenti dalla contestazione
dell'addebito al dipendente.

4. ILLECITI PER I QUALI È PREVISTO IL LICENZIAMENTO


DISCIPLINARE
L’ART.55 QUATER D.LGS. 165/2001 → regolamenta una serie di infrazioni
per le quali, fermo restando la disciplina generale dei licenziamenti per giusta
causa, giustificato motivo e di cui alla contrattazione collettiva, è prevista la
sanzione del licenziamento disciplinare:
a) falsa attestazione della presenza in servizio;
b) assenza priva di valida giustificazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative;
e) reiterazione di gravi condotte aggressive o moleste dell'onore e della
dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, rispetto a cui è prevista l'interdizione
perpetua dai pubblici uffici;
g) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento;
h) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell'infrazione di cui
all’ART.55 SEXIES, COM.3;
i) reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa;
j) insufficiente rendimento.

5. CONTRASTO AI “FURBETTI” DEL CARTELLINO E DEL


WEEKEND
Con i decreti attuativi della riforma Madia (D.LGS. 116/2016 e 118/2017) il
legislatore ha attuato una disciplina più rigorosa in tema di responsabilità
disciplinare, predisponendo un iter più celere in caso di falsa attestazione
della presenza in servizio: questa, se accertata in flagranza o mediante
strumenti di sorveglianza o di registrazione, determina l'immediata
sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, senza obbligo di
ascoltarlo preventivamente.
La sospensione del “furbetto” è disposta in via immediata e comunque
entro 48 ore dal momento in cui si è venuti a conoscenza. Si intende, inoltre,
colpire i cd. “FURBETTI DEL WEEKEND”, demandando alla contrattazione
collettiva il compito di fissare le condotte e le sanzioni in caso di ripetute e
ingiustificate assenze dal servizio in continuità con le giornate festive e di
riposo settimanale.

6. VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE E VALORIZZAZIONE


DEL MERITO
La “VALUTAZIONE DEL PERSONALE” è una procedura volta ad assicurare
che su ogni dipendente si svolga periodicamente un giudizio che serva a
valutarne il rendimento.
A tale fine, è previsto un apposito ciclo di gestione della performance,
destinato all'attuazione di specifici obiettivi, tra cui il miglioramento dello
standard dei servizi offerti dalle amministrazioni, nonché la crescita delle
competenze professionali dei lavoratori pubblici, attraverso la predisposizione
di premi per il raggiungimento dei risultati stabiliti.
I SOGGETTI coinvolti nel ciclo di gestione della performance sono: il
Dipartimento della Funzione pubblica; gli Organismi indipendenti di
valutazione; l'organo di indirizzo tecnico-amministrativo di ciascuna
amministrazione; i dirigenti di ciascuna amministrazione, preposti alla
valutazione del personale.
Al centro, poi, di questo sistema si colloca il cittadino, quale utente finale
dei servizi erogati dagli uffici pubblici.

CAPITOLO 12- VICENDE DEL RAPPORTO DI IMPIEGO


1. SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI IMPIEGO
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è un RAPPORTO DI LUNGA
DURATA, destinato a subire nel corso del tempo modificazioni che possono
investire sia la P.A. datrice di lavoro (modificazioni soggettive), sia i contenuti
della prestazione lavorativa (modificazioni soggettive). Esclusa è, invece, una
modificazione del rapporto che interessi il dipendente, stante il carattere
strettamente personale del rapporto di lavoro.
Alcune di tali modificazioni sono:
 ASPETTATIVA: comporta la sospensione dell'obbligo della prestazione
lavorativa e, di regola, anche la sospensione dell'obbligo retributivo gravante
sul datore di lavoro. Essa può essere concessa per servizio militare; per
comprovati motivi personali o di famiglia; per mandato parlamentare;
amministrativo o sindacale.
 COMANDO: quando il dipendente viene chiamato a prestare
temporaneamente servizio presso un'amministrazione statale diversa da
quella di appartenenza o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla
vigilanza dell'amministrazione cui l'impiegato appartiene.

 DISTACCO: riguarda gli enti diversi dallo Stato e consiste in un


trasferimento della sede di servizio presso un ente diverso dalle pubbliche
amministrazioni.

 COLLOCAMENTO FUORI RUOLO: può essere disposto per disimpegno di


funzioni dello Stato o di altri enti pubblici attinenti agli interessi
dell'amministrazione che lo dispone e che non rientrino nei suoi compiti
istituzionali.

 COLLEGAMENTO CON LE ISTITUZIONI INTERNAXZIONALI, DELL’UE E


DI ALTRI STATI: il personale che presta temporaneo servizio all'estero
resta a tutti gli effetti dipendente della P.A. di appartenenza.

 ASSENZE PER MALATTIA: il dipendente assente per malattia ha diritto


alla conservazione del posto, purché la malattia non superi i 18 mesi
accumulando le assenze degli ultimi 3 anni; in casi gravi, tale periodo
si raddoppia (ma senza retribuzione) previo accertamento da parte
dell'Azienda USL competente, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali
cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi lavoro.
All'esito di tali periodi, o dell'accertamento della inidoneità assoluta,
l'amministrazione può risolvere il rapporto di lavoro con il dipendente.

 MOBILITA’: si distingue, a sua volta, in due tipologie:


- individuale: comporta il passaggio di singoli dipendenti che ne fanno
richiesta da un'amministrazione ad un'altra (mobilità volontaria) o il cui
trasferimento è disposto dalla P.A. (mobilità obbligatoria);
- collettiva: concerne i casi di eccedenza di personale.

MOBILITA’ E CONCORSO PUBBLICO: le amministrazioni, prima di


procedere all'espletamento di nuove procedure concorsuali, finalizzate alla
copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le PROCEDURE DI
MOBILITA’, provvedendo in via prioritaria all'immissione in ruolo dei
dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, anche in posizioni di
comando e fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano
domanda di trasferimento.
2. ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI IMPIEGO
Il RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO è soggetto a VICENDE ESTINTIVE di
varia natura, che trovano la loro origine nella disciplina dei CCNL (contratto
collettivo nazionale di lavoro), pubblicistica e privatistica:

 la DISCIPLINA DEI CCNL → la cessazione del rapporto di lavoro a tempo


indeterminato, secondo la contrattazione collettiva, ha luogo per:
 licenziamento (con o senza preavviso) disciplinare;
 compimento del limite di età, ai sensi delle norme di legge in vigore;
 dimissioni del dipendente;
 decesso del dipendente;
 superamento del periodo di comporto in caso di malattia.

 la DISCIPLINA PUBBLICISTICA → si tratta di alcune ipotesi di decadenza


dall'impiego (ad es., perdita della cittadinanza italiana o accettazione di
un incarico da un'autorità straniera senza autorizzazione del Ministro
competente)

 la DISCIPLINA PRIVATISTICA →in base all'ART.2, CO.2, DEL D.LGS.


165/2001 sono estensibili ai rapporti di pubblico impiego le norme del
Codice civile e delle leggi speciali sul lavoro nell'impresa.
Nel privato vi sono tre tipologie di licenziamento: per giusta causa, per
giustificato motivo soggettivo, per giustificato motivo oggettivo. L'inadempimento
degli obblighi contrattuali può, infine, causare il licenziamento disciplinare del
dipendente.

3. CONTROVERSIE D LAVORO NEL PUBBLICO IMPIEGO


Il PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO ha comportato
la devoluzione delle controversie in materia di rapporto di lavoro al GIUDICE
ORDINARIO, in funzione di giudice del lavoro.
ART.63 D.LGS.165/2001 → regolamenta i criteri di attribuzione delle
controversie al giudice ordinario o al giudice amministrativo.
In particolare:
 la COMPETENZA DEL GIUDICE ORDINARIO concerne “tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni”, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di
lavoro non privatizzati. Sono incluse le controversie riguardanti
l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca di incarichi dirigenziali e la
responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine
rapporto, i comportamenti antisindacali delle P.A., le procedure di
contrattazione collettiva.
 restano devolute al GIUDICE AMMINISTRATIVO, le controversie in
materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti
pubblici nonché quelle relative ai rapporti di lavoro di pubblici
dipendenti non assoggettati alla privatizzazione. Alla giurisdizione
amministrativa spettano le controversie relative alla fase antecedente alla
costituzione vera e propria del rapporto di lavoro: dal bando alla formazione
della graduatoria

CAPITOLO 13 - ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA


L' ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA è quella mediante cui determinati soggetti,
riconducibili alla nozione di P.A. provvedono alla cura degli interessi
pubblici ad esse affidati. Essa è il mezzo con cui viene svolta la funzione
amministrativa ossia quella funzione dello Stato volta alla realizzazione
concreta delle finalità pubbliche. Si distingue tra:
 ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA ATTIVA (O PURA): vi rientra tutta
l'attività posta in essere direttamente da una P.A. per realizzare
concretamente le proprie finalità pubbliche. Vi rientrano sia l'attività
deliberativa, con la quale si estrinseca il potere decisionale della P.A.,
che quella puramente esecutiva, di attuazione di precedenti decisioni.

 ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA CONSULTIVA: vi rientrano quelle


attività diretti a fornire, sotto forma di pareri (facoltativi o obbligatori)
consigli e direttive alle autorità che devono concretamente agire;

 ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA DI CONTROLLO: è quella diretta a


sindacare, secondo diritto (controllo di legittimità) o secondo le regole
della buona amministrazione (controllo di merito), l'operato dei soggetti
agenti cui sono affidati compiti di amministrazione attiva.

1. DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA
A) NOZIONE E LIMITI
La DISTINZIONE tra ATTIVITA’ VINCOLATA e ATTIVITA’ DISCREZIONALE
attiene al rapporto che, di volta in volta, intercorre tra l'attività amministrativa e la
legge, tenendo presente che l'attività amministrativa non è mai libera, in quanto i
fini di interesse generale, cui essa mira, sono sempre predeterminati dalla legge.
 Se il legislatore, nel disciplinare un'attività amministrativa, oltre ad
indicare i fini che l'attività deve perseguire, dispone anche quando, in che
modo, con quale contenuto e con quali mezzi l'attività deve esplicarsi, tale
ATTIVITA’ si dice VINCOLATA perché è un'attività nel cui esercizio nulla è
lasciato alla libera scelta dell'organo che deve esercitarla.
 Se invece, il legislatore, dopo aver indicato i fini che l'attività deve
perseguire, lascia un certo margine di scelta all'autorità che deve
esercitarla, l'ATTIVITA’ attività si qualificherà DISCREZIONALE.
La DISCREZIONALITA’ può definirsi come la facoltà di scelta fra più
comportamenti leciti, lasciata all'autorità amministrativa nell'esercizio di un
potere, per conseguire il soddisfacimento di un interesse pubblico individuato dalla
legge.
Costituiscono LIMITI all'attività discrezionale:
a) l'INTERESSE PUBBLICO: da intendere come interesse della collettività;
b) la CAUSA DEL POTERE: cioè il potere in base al quale l'atto è emanato e
si identifica con il fine specifico per cui il potere è stato conferito;
c) I PRINCIPI DI LOGICA E DI IMPARZIALITA’;
d) il PRINCIPIO DELL’ESATTA E COMPLETA INFORMAZIONE.
In ogni caso, anche quando alla P.A. sia attribuito il più ampio potere
discrezionale, come nel caso degli atti di alta amministrazione, LIMITE
FONDAMENTALE dell'attività amministrativa è quello determinato dalla necessità
di perseguire la cura dell'interesse pubblico generico nonché quella specifica
finalità di interesse pubblico specifico che la legge pone come ragione
giustificatrice (cioè causa) del potere attribuito alla P.A.

B) DISCREZIONALITA’ TECNICA E MISTA


La discrezionalità tecnica consiste in un potere di valutazione di carattere
tecnico, da effettuarsi in base alle regole, alle cognizioni ed ai mezzi forniti dalle
varie scienze e arti.
Es. → è espressione di discrezionalità tecnica il giudizio sulla pericolosità
epidemica di una malattia.
La valutazione tecnica ha lo scopo di accertare la sussistenza delle condizioni
previste dalla legge per l'adozione di un determinato provvedimento; pertanto,
una volta che tali condizioni siano ritenute esistenti, la P.A. dovrà agire nel modo
stabilito dalla legge.
Talvolta, la P.A. dispone sia di discrezionalità tecnica sia di discrezionalità
amministrativa (cd. DISCREZIONALITA’ MISTA), per cui essa è chiamata prima
a valutare la sussistenza delle condizioni necessarie per la sua azione, per poi
decidere, secondo criteri di opportunità, il provvedimento da adottare.

C) DISCREZIONALITA’ E MERITO AMMINISTRATIVO


Dalla discrezionalità occorre tener distinto il cd. MERITO AMMINISTRATIVO.
Mentre l'esercizio della discrezionalità deve avvenire nel rispetto di norme
giuridiche di buona amministrazione, il merito, invece, consente una maggiore
libertà di scelta, nel senso che la sua valutazione segue solo un criterio di
opportunità e convenienza amministrativa.
Ciò si traduce nella circostanza che un giudice può sindacare la scelta
discrezionale della P.A., verificando se la norma giuridica a monte sia stata
rispettata o meno, ma non può giudicare la scelta di merito, completamente
libera e non condizionata da regole giuridiche prestabilite.

2. PRINCIPI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA


A) PRINCIPI EUROPEI
L'azione amministrativa è governata, oltre che da principi nazionali, da PRINCIPI
EUROPEI. Si ricordano:
 PRINCIPIO DI CERTEZZA DEL DIRITTO, per cui le situazioni giuridiche
soggettive nonché i rapporti devono essere conoscibili e prevedibili;
 PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO, che impone una situazione
di vantaggio, assicurata ad un soggetto mediante un atto dell'autorità
amministrativa, non possa essere in seguito rimossa, se non strettamente
necessario per l'interesse pubblico e salvo indennizzo;
 PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’: vieta alle pubbliche autorità di
imporre obblighi e restrizioni in misura diversa da quella necessaria per
raggiungere lo scopo;
 PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCEDIMENTO: è il diritto degli interessati ad
essere ascoltati nel corso del procedimento amministrativo;
 PRINCIPIO DI BUONA AMMINISTRAZIONE: impone di garantire la
tempestività dell'azione amministrativa e di evitare, in casi analoghi,
trattamenti difformi senza adeguata motivazione.

B) PRINCIPI COSTITUZIONALI

 PRINCIPIO DI LEGALITA’: afferma la corrispondenza dell'attività


amministrativa alla legge.

 PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’: afferma l'obbligo per la P.A. di svolgere la


propria attività nel pieno rispetto della giustizia, senza discriminazioni
arbitrarie.

 PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO: i pubblici uffici sono organizzati


secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Tale principio mira a soddisfare i seguenti criteri generali: economicità rapidità
efficienza efficacia miglior contemperamento degli interessi; minor danno per i
destinatari dell'azione amministrativa.
 PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA: in esso confluiscono i principi di
eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento.

 PAREGGIO DI BILANCIO: le P.A. assicurano l'equilibrio dei bilanci e la


sostenibilità del debito pubblico.
C) PRINCIPI DELLA LEGGE SUL PROCEDIMENTO
Gli ARTT.1-3BIS della L.241/1990, LEGGE GENERALE SUL PROCEDIMENTO
AMMINISTRATIVO, individuano una serie di principi e criteri che devono
orientare l'attività delle amministrazioni.
 LEGALITA’ → l'attività amministrativa deve essere conforme alle
prescrizioni normative, nonché ai valori di efficacia, efficienza e adeguatezza
che promanano dall'intero corpus normativo.

 GIUSTO PROCEDIMENTO → attraverso la garanzia della partecipazione


degli interessati al procedimento, viene consacrata la dialettica tra interessi
pubblici e privati mediante la composizione degli eventuali contrasti.

 SEMPLIFICAZIONE → in forza di tale principio sono stati introdotti alcuni


istituti volti a snellire l'azione della P.A. (conferenza di servizi; scia; ecc.).
Da tali principi discendono i criteri fondamentali della L. 241/1990 a cui
l'Amministrazione deve attenersi:
 ECONOMICITA’, EFFICACIA, IMPARZIALITA’, PUBBLICITA’ E
TRASPARENZA;

 DIVIETO DI AGGRAVAMENTO DEL PROCEDIMENTO


AMMINISTRATIVO;

 COLLABORAZIONE E BUONA FEDE;

 OBBLIGO DI CONCLUSIONE ESPLICITA DEL PROCEDIMENTO


AMMINISTRATIVO;

 OBBLIGO GENERALE DI MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO


AMMINISTRATIVO;

 USO DELLA TELEMATICA NELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA.

3. TRASPARENZA E ANTICORRUZIONE
L'azione delle P.A. è connotata dal PRINCIPIO DI TRASPARENZA e dalla LOTTA
ALLA CORRUZIONE.
La TRASPARENZA va intesa quale accessibilità totale, anche attraverso lo
strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle P.A., delle informazioni
concernenti ogni aspetto dell’organizzazione e dell'azione della P.A.
Le espressioni più significative di tale principio sono:
a) l'accesso ai documenti amministrativi;
b) l'obbligo di motivazione dei provvedimenti;
c) gli istituti della partecipazione al procedimento amministrativo.
Il principio di trasparenza, a sua volta, è condizione e presupposto della LOTTA
ALLA CORRUZIONE. La prima normativa a carattere generale che si è occupata
dell'argomento è stata la L.190/2012, cd. LEGGE ANTICORRUZIONE, che ha
introdotto un articolato sistema di strumenti per il contrasto ai fenomeni
corruttivi.
In particolare:
 il PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE → ha il compito di promuovere,
presso le P.A., l'adozione di misure di prevenzione della corruzione. Esso è
adottato dall'A.N.A.C., ha durata triennale ed è aggiornato annualmente;

 i PIANI TRIENNALI DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE → sono


predisposti da ogni singola amministrazione sulla scorta delle indicazioni
contenute nel PNA (Piano Nazionale Anticorruzione).
La L.190/2012 individua alcune AREE DI RISCHIO all'interno
dell'organizzazione e azione della P.A., ossia i settori in cui è più elevato il
pericolo di corruzione:
 procedimenti di autorizzazione o concessione;
 scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi;
 concessione ed erogazione di contributi, sussidi, ausili finanziari a persone
ed enti pubblici e privati;
 concorsi pubblici e prove selettive per l'assunzione del personale e
progressioni di carriera.
Nel sistema della lotta alla corruzione, un ruolo di primo piano è rivestito, a livello
nazionale dall'A.N.A.C. e, all'interno di ogni singola amministrazione, dal
Responsabile anticorruzione e trasparenza, che ha il compito di segnalare le
eventuali disfunzioni nonché i nominativi dei dipendenti che non hanno
attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di
trasparenza.

CAPITOLO 14 – ATTI E PROVVEDIMENTI


1. ATTI AMMINISTRATIVI
L'atto amministrativo è qualsiasi manifestazione di volontà, di conoscenza e
di giudizio, posta in essere da un'autorità amministrativa nell'esercizio di una
funzione amministrativa per un caso concreto e per destinatari determinati o
determinabili. Attraverso gli atti amministrativi la P.A. agisce in vista del
perseguimento e della cura degli interessi pubblici concreti.
Tra gli atti amministrativi, come categoria generale, una posizione di spicco è
rivestita dai PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI, che si differenziano dagli atti
in quanto sono suscettibili di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica
soggettiva dei privati nonché di essere portati ad esecuzione anche contro la
volontà di questi.
Gli ATTI, invece, si caratterizzano perché sono strumentali e preparatori al
provvedimento finale. Degli atti amministrativi è possibile operare DIVERSE
CLASSIFICAZIONI in base alla natura dell'attività, alla discrezionalità,
all'efficacia, al risultato, ai destinatari.

2. PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
I provvedimenti sono atti consistenti in manifestazioni di volontà, mediante cui la
P.A., nell'esercizio della propria potestà d'imperio, unilateralmente e
concretamente costituisce, modifica o estingue una situazione giuridica, per
realizzare un particolare interesse pubblico affidato istituzionalmente (quindi, con
legge) alla sua cura.
Essi presentano caratteri ulteriori rispetto agli atti amministrativi, che sono:
IMPERATIVITA’ (O AUTORITARIETA’) → consiste nella capacità del
provvedimento di imporre unilateralmente modificazioni nella sfera
giuridica dei destinatari. Si sostanzia:
- Per i provvedimenti positivi: nella costituzione, modificazione o estinzione
dei poteri e delle facoltà del destinatario indipendentemente dal suo
consenso e, quindi, anche contro la sua volontà. I provvedimenti positivi,
dunque, purché efficaci, ed anche se illegittimi, sono sempre imperativi ed
esecutivi;
- Per i provvedimenti negativi: nella cd. non spettanza e cioè nella
definizione autoritativa che quel determinato provvedimento positivo non
spetta al destinatario.
ESECUTORIETA’→ le P.A., nei casi e con le modalità stabilite dalla legge,
possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro
confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi deve indicare il termine e le
modalità di esecuzione; qualora il soggetto obbligato non ottemperi, le P.A.,
previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo
le modalità previste dalla legge.
ESECUTIVITA’ → consiste nell’ idoneità del provvedimento efficace ad essere
eseguito immediatamente. L'efficacia o l'esecuzione del provvedimento può
essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario; il
termine della sospensione può essere prorogato o differito per una sola volta,
nonché ridotto sopravvenute esigenze.
TIPICITA’ → i provvedimenti amministrativi sono solo quelli previsti dalla
legge e ciò con riferimento sia al contenuto che alla funzione che lo stesso è
destinato a realizzare; i provvedimenti, pertanto, costituiscono un numerus
clausus.
NOMINATIVITA’ → ad ogni interesse pubblico corrisponde un certo tipo di atto
definito e disciplinato dalla legge;
INOPPUGNABILITA’ → si riferisce all'idoneità del provvedimento a diventare
definitivo, decorso un breve termine di decadenza per l'impugnazione.

3. ELEMENTI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO


Gli ELEMENTI dell'atto amministrativo si distinguono in:
 ESSENZIALI: se necessari giuridicamente per dar vita all'atto;
 ACCIDENTALI: eventuali, che non devono necessariamente essere
contenuti in ciascun atto;
 NATURALI: elementi che, in quanto previsti dalla legge per il tipo “astratto”
di atto, si considerano sempre inseriti in esso, anche se non apposti
espressamente.

ELEMENTI ESSENZIALI sono:


 SOGGETTO: l'autorità che emana l'atto;
 OGGETTO: può consistere in un comportamento (dare, facere) un fatto o
un bene;
 CONTENUTO: ciò che con l'atto si intende autorizzare, concedere, ordinare;
in ogni caso, deve essere possibile determinato o determinabile;
 FINALITA’: lo scopo che l'atto persegue;
 FORMA: in mancanza di prescrizioni legislative, vige il principio generale di
libertà di forma. Eccezione alla forma scritta è data, ad esempio, dalle
ipotesi di silenzio significativo;
 DESTINATARIO: colui nei cui confronti si producono gli effetti del
provvedimento.

ELEMENTI ACCIDENTALI sono:


 TERMINE: può essere apposto solo a quegli atti per cui la legge non
disponga diversamente: esso differisce l'inizio o la cessazione degli effetti
dell'atto;
 CONDIZIONE: apponibile solo agli atti di amministrazione attiva e di
controllo; subordina l'inizio o la cessazione degli effetti dell'atto realizzarsi
di un evento futuro e incerto;
 ONERE: valido solo per le autorizzazioni e concessioni, cioè ad atti che
determinano un ampliamento della sfera giuridica del destinatario;
 RISERVA: mediante cui la P.A. può adottare futuri provvedimenti, in
relazione all'atto emanato.

ELEMENTI NATURALI sono quegli elementi che, in quanto previsti dalla


legge per il tipo astratto di atto, si considerano sempre inseriti nello stesso
anche se non a posti espressamente
4. MOTIVAZIONE
La MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO è lo strumento
attraverso cui la P.A. esterna i presupposti fattuali e le ragioni giuridiche che
hanno portato all'emanazione di un dato provvedimento:
Essa è richiesta per tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli
concernenti l'organizzazione, lo svolgimento dei concorsi e il personale, ad
eccezione degli atti normativi e a contenuto generale.
Sottratte alla disciplina della motivazione sono anche le forme di silenzio assenso.
Circa la STRUTTURA della motivazione, si parla di:
 PRESUPPOSTI DI FATTO → cioè gli elementi e i dati fattuali acquisiti
durante l'istruttoria e che sono stati oggetto di valutazione da parte della
P.A.;

 RAGIONI GIURIDICHE → cioè le norme che sono state considerate


applicabili nella fattispecie concreta all'esame dell'amministrazione
precedente.
La ratio della motivazione risiede nell'esigenza di garantire agli interessati la
ricostruzione dell'iter logico seguito dall'amministrazione, allo scopo di
verificarne la correttezza ed eventuali profili di illegittimità.
Inoltre, se le ragioni della decisione risultano da un altro atto
dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla
comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile anche l'atto
cui essa si richiama → si tratta della cd. MOTIVAZIONE PER RELATIONEM,
ossia della motivazione risultante da altri atti posti in essere nel corso dell’iter
procedimentale.
Ogni atto notificato al destinatario deve indicare il termine e l'autorità a cui è
possibile fare ricorso. La MANCANZA DI MOTIVAZIONE può essere
considerata VIOLAZIONE DI LEGGE, mentre in precedenza si parlava di vizio di
eccesso di potere. In caso di motivazione perplessa e contraddittoria, invece,
può continuare a parlarsi di eccesso di potere, riguardando il vizio, in tale caso,
non la motivazione in sé, ma il concreto svolgimento del potere amministrativo.

5. REQUISITI DI LEGITTIMITA’ E DI EFFICACIA


I REQUISITI DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO sono quelle condizioni
che, soddisfatte, consentono allo stesso di raggiungere il fine per il quale è posto
in essere. SI DISTINGUE TRA:
REQUISITI DI LEGITTIMITA’ → sono tutti quelli richiesti dalla legge affinché
l'atto, oltre che esistente, sia anche valido (quindi, perfetto in tutti i suoi
elementi). I requisiti di legittimità più importanti sono quelli concernenti
l'elemento soggettivo e sono indicati:
nella compatibilità (ossia mancanza di cause che comportino astensione o
ricusazione); nella legittimazione (ossia l'esistenza di un'investitura effettuata
nei modi di legge); nella competenza (per territorio, grado e materia) a procedere
all'emanazione dell'atto;
REQUISITI DI EFFICACIA → comprendono tutte le condizioni richieste affinché
l'atto, già perfetto, divenga anche efficace, ossia in grado di produrre effetti.
Tradizionalmente, si distinguono in: requisiti di esecutività, che consentono di
portare ad esecuzione l'atto con effetti ex tunc; requisiti di obbligatorietà, che
consentono all'atto, già esecutivo, di divenire obbligatorio nei confronti dei
destinatari con effetti ex nunc.
Vi è, dunque, DIVERSITA’ TRA ESISTENZA ED EFFICACIA: l'esistenza di un
provvedimento è condizione necessaria ma non ancora sufficiente si devono
svolgersi dell'efficacia, posto che un provvedimento esistente può, infatti, ancora
non essere efficace perché sottoposto ad una condizione sospensiva o perchè
ancora da sottoporre ad un controllo preventivo.

6. EFFICACIA DEL’ATTO AMMINISTRATIVO


Per EFFICACIA DI UN ATTO AMMINISTRATIVO si intende l'attitudine dell'atto
a produrre effetti.
Gli EFFETTI DELL’ATTO possono essere:
a) COSTITUTIVI: se creano una situazione giuridica ex novo, o modificano
una situazione preesistente ovvero la estinguono;
b) DICHIARATIVI: se accertano o chiariscono una situazione già esistente;
c) AMPLIATIVI: se favorevoli per il destinatario;
d) RESTRITTIVI: se sfavorevoli per il destinatario.
Ai sensi dell'ART. 21QUARTER L.241/1990 → i provvedimenti amministrativi
efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito
dalla legge o dal provvedimento. In particolare, vengono in rilievo 2 figure:
la PROROGA: è il provvedimento con cui la P.A. differisce ad un momento
successivo, rispetto a quello previsto dall'atto, il termine di scadenza dell'atto
stesso. Per produrre di effetti, essa deve intervenire prima della scadenza e va
adottata con le stesse modalità richieste per l'atto da prorogare.
la SOSPENSIONE: è un provvedimento con cui si sospende l'esecuzione di un
precedente provvedimento. Può essere disposta per gravi ragioni e per il tempo
strettamente necessario, dallo stesso organo che ha emanato l'atto o da altro
organo previsto dalla legge.
Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e
può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per
sopravvenute le esigenze.
CAPITOLO 15 – IL SILENZIO AMMINISTRATIVO
Si parla di “SILENZIO” della pubblica amministrazione in riferimento ad un
COMPORTAMENTO INERTE della stessa, a fronte di istanze presentate da
privati, di per sé neutro, ma che il legislatore ha di volta in volta provveduto a
qualificare in maniera diversa.
In relazione alle singole fattispecie, infatti, il silenzio potrà qualificarsi come
SIGNIFICATIVO, in particolare come DINIEGO (laddove la domanda del cittadino
si intenda rigettata) o come ASSENSO (nel caso di accoglimento dell'istanza
medesima).
Accanto a tali 2 figure di silenzio significativo, vi è anche l'istituto del SILENZIO
INADEMPIMENTO, che ricorre quando l'inerzia dell'amministrazione non
assume un valore provvedimentale. Si tratta, quindi, di un'ipotesi di silenzio
non significativo.
Si parla, poi, di silenzio infra-procedimentale per indicare quelle ipotesi di
silenzio facoltativo e devolutivo aventi rilevanza nel corso dell’iter procedimentale
stesso.

1. SILENZIO SIGNIFICATIVO: SILENZIO ASSENSO E SILENZIO


DINIEGO
Quando al silenzio viene conferito il significato di RIGETTO oppure di
ACCOGLIMENTO dell'istanza del privato, si parla di SILENZIO SIGNIFICATIVO
(cioè che ha una valenza provvedimentale). In particolare:
il SILENZIO DINIEGO corrisponde ad un rigetto della richiesta; si tratta di una
figura residuale, che ricorre quando non ci si trovi di fronte al silenzio assenso;
l'ipotesi tipica di silenzio diniego è data dall'ART.25, CO.4, L.241/1990, per il
quale, decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta di accesso ai
documenti amministrativi questa si intende respinta.
il SILENZIO ASSENSO, invece, ricorre quando la legge attribuisce al
comportamento inerte della P.A. il significato di accoglimento dell'istanza. Esso
è stato reso di generale applicazione dall'ART.20 L.241/1990, che ha reso
l'istituto applicabile a tutti i procedimenti ad istanza di parte per il rilascio
di provvedimenti amministrativi, fatta salva l'applicazione dell'art.19 sulla
segnalazione di inizio attività.

2. SILENZIO INADEMPIMENTO
Questa forma di inerzia, a differenza delle 2 precedenti, NON ASSUME UN
VALORE PROVVEDIMENTALE, ed appare strettamente legata al tema della
conclusione del procedimento amministrativo, che deve essere sempre chiuso
dalla P.A. con un provvedimento espresso; provvedimento, cioè, che deve essere
necessariamente adottato entro un termine certo e ragionevole, non
essendo consentito in virtù degli interessi pubblici e privati coinvolti, che
l'azione amministrativa si protragga in maniera indefinita.
Tale SILENZIO, dunque, riguarda le ipotesi in cui la P.A., di fronte alla richiesta
di un provvedimento da parte del privato, abbia OMESSO DI PROVVEDERE
ENTRO I TERMINI PREVISTI DALLA LEGGE (o dalla norma regolamentare) e
QUESTA NON CONTENGA ALCUNA INDICAZIONE SUL VALORE DA
ATTRIBUIRE AL SILENZIO.
Per quanto attiene al PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL SILENZIO
INADEMPIMENTO occorre fare riferimento all'ART.2 L.241/1990, secondo cui
→ trascorso il termine fissato per la conclusione del procedimento il silenzio
può ritenersi formato.
In pratica, l'esatta determinazione del termine di conclusione del procedimento
rileva soprattutto sotto DUE PROFILI:
 da un lato, serve a scandire l'azione amministrativa e,

 dall'altro, rappresenta il momento a partire dal quale assume rilevanza


un'eventuale inerzia della P.A., laddove si configura l'ipotesi del silenzio
inadempimento.
Alla scadenza di questo termine è infatti possibile proporre RICORSO
GIURISDIZIONALE: il privato può, infatti, adire l'autorità giudiziaria per far
accertare l'obbligo della P.A. di provvedere.

CAPITOLO 16 – AUTORIZZAZIONI E CONCESSIONI


1. AUTORIZZAZIONI
L’AUTORIZZAZIONE è quel provvedimento mediante cui la P.A., nell'esercizio di
un'attività discrezionale in funzione preventiva provvede alla RIMOZIONE DI UN
LIMITE LEGALE che si frappone all'esercizio di un'attività inerente ad un diritto
soggettivo o una potestà pubblica. Tali situazioni giuridiche - diritto soggettivo o
pubblica potestà – devono, però, già precedentemente far capo al soggetto.
ELEMENTI COSTITUTIVI della fattispecie autorizzativa sono:
a) esistenza di un limite legale all'esercizio di un'attività inerente ad un
diritto soggettivo o a un potere;
b) apprezzamento discrezionale della P.A. in funzione preventiva;
c) rimozione del limite legale.

A) TIPI DI AUTORIZZAZIONI
1. ESPRESSE E TACITE:

espressa: è l'autorizzazione rilasciata con un provvedimento “ad hoc”.


Tipico esempio l'autorizzazione ad aprire una farmacia, rilasciata con
provvedimento definitivo dell'autorità sanitaria competente;

tacita: quando la volontà ha autorizzatoria della P.A. sia ricavata dal suo
silenzio a seguito dell'istanza (silenzio-assenso).
2. MODALI E NON MODALI:
modali: autorizzazioni per cui, per ragioni di pubblico interesse, è consentito
all'autorità amministrativa di inserire, nel provvedimento permissivo,
prescrizioni limitative o modali;
non modali: autorizzazioni il cui contenuto è predisposto dalla legge e non
sono, pertanto, suscettibili di limitazioni. La P.A. ha solo la facoltà di
emanarle o meno.
3. PERSONALI E REALI:
personali, quando l'apprezzamento discrezionale della P.A. concerne i
requisiti inerenti la persona del soggetto autorizzato;
reali, quando l'accertamento verte sui requisiti concernenti una “res”. E’ il
caso della carta di circolazione di un autoveicolo, o della certificazione di
abitabilità di un immobile.

B) FIGURE ANALOGHE ALL’AUTORIZZAZIONE


ABILITAZIONE → provvedimento che consente l'attività sulla base di un
riscontro tecnico circa la sussistenza dei requisiti di idoneità richiesti dalla
legge;
APPROVAZIONE → approvazione provvedimento mediante cui l'autorità
competente esercita un controllo preventivo di merito sull'atto o attività
compiuta;
OMOLOGAZIONE → sono rilasciate dalle competenti autorità per dimostrare la
conformità delle cose e dei prodotti alle discipline nazionali ed internazionali;
NULLA-OSTA → atto con cui un'autorità amministrativa dichiara di non avere
osservazioni sull'adozione di un provvedimento da parte di un'altra autorità;
LICENZA → provvedimento con cui si consente l'esplicazione di una certa
attività; se alla licenza preesiste un diritto soggettivo condizionato si è in
presenza di una specie del genus autorizzazione; se, invece, alla licenza
preesiste un interesse legittimo si è in presenza della cd. “licenza in senso
tecnico”, cioè di un provvedimento con cui la P.A., nell'esercizio di un'attività
discrezionale, conferisce a determinati soggetti nuovi diritti.
REGISTRAZIONE → provvedimento diretto a rimuovere un limite legale
all'esercizio del diritto, in base ad un semplice accertamento della sussistenza dei
requisiti di legge.
DISPENSA→ provvedimento con cui la P.A., sulla base di una valutazione
discrezionale, consente ad un soggetto di esercitare un'attività o compiere un
atto in deroga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto
all'adempimento di un obbligo.
2. CONCESSIONI
A) DE9FINIZIONE E TIPOLOGIE
La CONCESSIONE è definita come quel provvedimento amministrativo con cui la
P.A. conferisce ex novo posizione giuridiche attive al destinatario
ampliandone così la sfera giuridica. La dottrina distingue tra:
CONCESSIONE TRASLATIVA → è il provvedimento con cui la P.A. conferisce a
determinati soggetti poteri o facoltà inerenti a diritti di cui essa è titolare;
CONCESSIONE COSTITUTIVA → è il provvedimento con cui la P.A. conferisce ai
singoli diritti creati ex novo, ma la cui disponibilità resta ad essa riservata.
Relativamente alla natura giuridica, si tratta di un provvedimento discrezionale
ampliativo della sfera giuridica del destinatario; vi è la mancanza assoluta di
una posizione giuridica, qualificabile come diritto soggettivo, antecedente alla sua
emanazione, giacché il diritto soggettivo nasce solo se l'atto sia emanato.

B) DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI CONCESSIONE


I RAPPORTI CONCESSORI, anche nella loro diversità, presentano alcune
ANALOGIE, riconducibili ai seguenti aspetti:
SCELTA DEL CONCESSIONARIO → di regola, il concessionario deve essere
scelto a seguito dell'esperimento di una procedura di evidenza pubblica, capace
di individuare il soggetto dotato dei requisiti tecnici ed economici ideali, in
relazione alla singola fattispecie.
POTERI DI INDIRIZZO → poteri di indirizzo vengono esercitati da parte dell'ente
concedente sull'attività del concessionario.
CONTROLLI SULL’ATTIVITA’ DEL CONCESSIONARIO → il concessionario è
sottoposto ad un particolare regime di controlli e di vigilanza da parte dell'ente
concedente. Può trattarsi di un controllo preventivo (idoneità organizzativa,
economica e finanziaria per lo svolgimento il servizio) e di un controllo
successivo che si esplica in un potere di direzione e di vigilanza.
DIRITTI E DOVERI DEL CONCESSIONARIO → tra P.A. e concessionario si
instaura un rapporto di diritto pubblico ed il concessionario è titolare, nei
confronti dei terzi, di poteri pubblicistici (potere disciplinari e di
autorganizzazione).
RESPONSABILITA’ PER I FATTI ILLECITI DEL CONCESSIONARIO → il
concessionario agisce sempre e soltanto in nome proprio ed è responsabile in
proprio degli atti e dei fatti illeciti.
LE VICENDE DEL RAPPORTO → la concessione è rilasciata intuitu personae e
si estingue le cause automatiche (scadenza del termine, morte del
concessionario) o con atti risolutivi unilaterali (declaratoria di decadenza,
riscatto, revoca).
CAPITOLO 17 – POTERE ABLATORIO
Il POTERE ABLATORIO potere ablatorio è quello ATTRAVERSO CUI LA P.A.,
PER UN VANTAGGIO DELLA COLLETTIVITA’, SACRIFICA UN INTERESSE
AD UN BENE DELLA VITA DI UN PRIVATO CITTADINO.
Le forme e l'intensità del sacrificio variano in relazione ai diversi provvedimenti:
esso può consistere nella semplice limitazione di una facoltà (es., divieto di
transitare su di una strada), nell'imposizione di un obbligo (es., servizio
militare) o, ancora, nell'estensione di un diritto del privato (es.,
espropriazione). Da ciò si desume che si tratta di una categoria eterogenea sia
sotto il profilo funzionale che strutturale.
A LIVELLO FUNZIONALE, i provvedimenti ablatori hanno tutti sempre un effetto
privativo di una facoltà o diritto facente capo al destinatario del provvedimento;
alcuni di essi, poi, possono anche avere un effetto acquisitivo di una facoltà o
diritto a favore di un beneficiario (espropriante).
A LIVELLO STRUTTURALE, la dottrina prevalente si basa sulla natura della
situazione soggettiva sacrificata e distingue tra provvedimenti ablatori:
- personali: incidono su un diritto personale (es. ordini di polizia);
- obbligatori: incidono su rapporti di obbligazione (es. le imposizioni
tributarie);
- reali: incidono su diritti reali (es. l'espropriazione) e comportano un
obbligo di indennizzo per il privato.

1. PROVVEDIMENTI ABLATORI REALI


ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’

A) PARTI ED OGGETTO
ART.42, CO.3, COST. → afferma che “la proprietà privata può essere, nei casi
preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse
generale”.
Dalla norma si possono ricavare i presupposti essenziali dei provvedimenti
ablatori reali:
a) Il principio della RISERVA DI LEGGE, poiché solo una legge può
riconoscere alla P.A., caso per caso, il potere di sottrarre il bene al privato,
fissando i limiti, oggetto e condizioni dell'atto ablativo;
b) L'OBBLIGO DI INDENNIZZO, in quanto in tutte le ipotesi di appropriazione
di un bene o di una facoltà da parte dell'amministrazione è dovuta al
proprietario un'indennità, che si configura quale presupposto di legittimità
dell'atto ablativo;
c) La necessità di MOTIVI DI INTERESSE GENERALE, a fondamento
dell'atto ablativo.
L'ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’ rappresenta il più importante
provvedimento ablatorio reale.
ART.834 c.c.→ si può definire come quell'istituto di diritto pubblico in base a cui
un soggetto, previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato,
in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa
di pubblico interesse legalmente dichiarata.
L'espropriazione crea un RAPPORTO DI DIRITTO PUBBLICO, i cui elementi
sono: le PARTI e l’OGGETTO, l’INDENNIZZO.
Quanto alle PARTI DEL RAPPORTO, i soggetti che intervengono nella procedura
espropriativa sono:
L’espropriato ossia il soggetto, pubblico o privato, titolare del diritto espropriato;
L'autorità espropriante, che è l'autorità amministrativa titolare del potere di
espropriare e che cura il procedimento, oppure il soggetto privato a cui sia stato
attribuito tale potere in base ad una norma;
Il beneficiario dell'espropriazione, ossia il soggetto, pubblico o privato, a favore
del quale è emesso il decreto di esproprio;
Il promotore dell'espropriazione, cioè il soggetto, pubblico o privato, che
richiede l'espropriazione.
Relativamente all'OGGETTO, l'espropriazione può avere ad oggetto un diritto di
proprietà o altro diritto reale, compresi i diritti reali di godimento.
NON SONO ESPROPRIABILI:
o gli edifici aperti al culto, se non per gravi ragioni e previo accordo con la
competente autorità ecclesiastica;
o i beni demaniali;
o i beni patrimoniali indisponibili;
o le sedi di rappresentanze diplomatiche di Stati esteri.

B) INDENNIZZO
L'INDENNIZZO, tutelato dalla Costituzione, si pone come PRESUPPOSTO DI
LEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO ESPROPRIATIVO. Il fondamento
dell'obbligo di indennizzo va ricercato nell'esigenza di ripartire tra tutta la
collettività il sacrificio imposto al singolo soggetto che subisce
l'espropriazione.
L’indennizzo deve essere:
 UNICO: cioè pagato solo al proprietario o all'enfiteuta se il fondo è gravato
da enfiteusi. Nel caso in cui si espropri solamente un diritto reale altrui,
l'indennizzo va pagato al titolare di tale diritto;
 GIUSTO: cioè in conformità ad un'esigenza di giustizia sostanziale.
Attraverso di esso si vuole ripristinare l'equilibrio patrimoniale alterato a
danno del privato sia pure per motivi legittimi rappresentati dal
raggiungimento di una finalità pubblicistica. Pertanto, l'indennizzo deve
essere serio, congruo (cioè non simbolico né aleatorio) e adeguato.
Relativamente al CRITERIO DI COMPUTO dell'indennizzo, si determina nel
seguente modo:
o per le aree edificabili, nella misura pari al valore venale del bene;
o per le aree legittimamente edificate, nella misura pari al valore venale;
o per le aree non edificabili il criterio è quello del valore agricolo, tenendo
conto delle colture effettivamente praticate sul fondo.
PRINCIPIO DI SIMMETRIA → l’ART.6 DEL TESTO UNICO ESPROPRIAZIONI
(D.P.R. 327/2001) stabilisce come regola generale che l'autorità competente
alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità provvede
all'emanazione degli atti del procedimento espropriativo.

2. PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO
Le FASI DEL PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO sono:
APPOSIZIONE AL BENE DEL VINCOLO PREORDINATO ALL’ESPROPRIO: il
vincolo ha durata di 5 anni, entro cui deve essere emanato il provvedimento che
comporta la pubblica utilità dell'opera, pena la decadenza del vincolo;
DICHIARAZIONE DI PUBBLICA UTILITA’ DELL’OPERA: può essere emanato
fino a quando non sia decaduto il vincolo preordinato all'esproprio;
DETERMINAZIONE DELL’INDENNITA’ DI ESPROPRIO (PROVVISORIA E
DEFINITIVA): che potrà essere accettata dall’espropriato o rifiutata, con deposito
della somma, da parte della P.A., presso la Cassa Depositi e Prestiti;
DECRETO DI ESPROPRIO: con cui l'autorità espropriante dispone il passaggio
della proprietà del bene; la sua esecuzione si attua attraverso l'immissione nel
possesso dei beni, che deve intervenire nel termine perentorio di 2 anni dal
decreto.
Sono devolute alla GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL GIUDICE
AMMINISTRATIVO le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti,
gli accordi e i comportamenti riconducibili all'esercizio di un pubblico potere
della P.A.; resta ferma la GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO per le
controversie sulla determinazione e la corresponsione delle indennità in
conseguenza di atti di natura espropriativa o ablativa.
3. ATTI AMMINISTRATIVI DIVERSI DAI PROVVEDIMENTI
A) PARERI
Sono ATTI A CARATTERE AUSILIARIO consistenti in MANIFESTAZIONI DI
GIUDIZIO con cui gli organi dell'amministrazione consultiva mirano a
consigliare gli organi di amministrazione attiva. Sono, di regola, di
competenza di speciali organi collegiali.
Essi non sono autonomamente ed immediatamente impugnabili, ma vanno
impugnati solo insieme all'atto finale del procedimento cui si riferiscono.
I PARERI POSSONO ESSERE:
o FACOLTATIVI: se è rimesso alla discrezionalità degli organi
dell'amministrazione attiva di richiederli o meno;
o OBBLIGATORI: se la legge impone all'organo di amministrazione
attiva di richiedere parere l'organo consultivo. La mancata audizione
del parere comporta l'invalidità dell'atto per violazione di legge.
I PARERI OBBLIGATORI, a loro volta, possono essere:
a) NON VINCOLANTI: quando l'organo di amministrazione attiva è obbligato a
richiedere il parere, ma può anche non attenersi ad esso, discostandosene
con il proprio operato e motivando le relative ragioni;
b) VINCOLANTI: se l'organo di amministrazione attiva è obbligato a richiedere
il parere e a uniformarsi ad esso;
c) PARZIALMENTE VINCOLANTI: se l'organo di amministrazione attiva può
adottare un provvedimento difforme, ma solo in un dato senso o seguendo
un dato procedimento;
d) CONFORMI: quando la P.A. ha il potere discrezionale di provvedere o non
nel senso del parere che è obbligata a richiedere ma, ove decida di emanare
l'atto di amministrazione attiva, deve uniformarsi ad esso.
Quanto ai TERMINI, per i PARERI OBBLIGATORI, il termine entro cui devono
essere resi è di 20 giorni. Il mancato rilascio del parere nel termine previsto
comporta che la P.A. proceda indipendentemente dall'espressione del parere.
Un PARERE VIZIATO INFICIA TUTTO IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO,
per cui l'atto finale risulterà anch'esso viziato; ne deriva che anche i pareri
facoltativi, potendo viziare l'atto terminale, hanno rilevanza giuridica,
sempreché, pur se facoltativi, l'autorità di amministrazione attiva che li ha
richiesti ne abbia tenuto conto nell'adottare il provvedimento.
In quanto atto infraprocedimentale, dunque insuscettibile di ledere posizioni
giuridica dei privati, IL PARERE NON È DI NORMA AUTONOMAMENTE
IMPUGNABILE.
B) PROPOSTE
Le PROPOSTE tendono a sollecitare l'attività di un altro organo e al tempo
stesso ad esprimere un giudizio circa il contenuto da dare al provvedimento.
Nella proposta, quindi, vengono a convergere una manifestazione di volontà
propulsiva ed una manifestazione di giudizio.
Di regola, le proposte non sono vincolanti; tuttavia, qualora eccezionalmente la
proposta sia vincolante, l'autorità potrà anche rifiutarsi di emettere il
provvedimento, ma dovrà motivare il rifiuto e richiedere una nuova proposta; se
invece adotta il provvedimento, non potrà discostarsi dalla proposta vincolante.

DIFFERENZE FRA PARERI E PROPOSTE


1) i pareri sono condizionati ad una richiesta, le proposte sono spontanee;
2) i pareri derivano da organi neutrali, le proposte provengono da soggetti
interessati;
3) i pareri hanno un oggetto circoscritto alle questioni poste all'organo
consultivo dall'organo attivo, le proposte, invece, hanno un oggetto definito
dalla legge.

CAPITOLO 18 – NULLITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO


1. PATOLOGIA E VIZI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
Al pari degli altri atti giuridici, anche l'atto amministrativo può essere viziato. Si
considera VIZIO DELL’ATTO AMMINISTRATIVO la DIVERGENZA TRA LA
FATTISPECIE IN CONCRETO POSTA IN ESSERE DALLA P.A. E LA NORMA DI
RIFERIMENTO.
In diritto amministrativo esiste una particolarità in base a cui la fattispecie
concreta deve rispondere ad un duplice criterio: essa deve essere conforme
alle norme di legge, da un lato, ed alle regole di opportunità, dall'altro.
Si tratta di due parametri costituzionalizzati nell'ART. 97 COST., che sancisce il
principio di legalità, nonché quello di buona amministrazione. Dunque, i VIZI
che possono inficiare l'atto amministrativo possono essere:
VIZI DI LEGITTIMITA’ → se l'atto si discosti da quanto disposto da norme
giuridiche;
VIZI DI MERITO → se l'atto, sebbene conforme alle norme, non sia rispondente
alle regole di buona amministrazione. Tale vizio trova la propria giustificazione nel
fatto che l'attività della P.A. è un'attività funzionalizzata, nel senso che essa non
solo deve essere conforme alle norme di legge, ma deve essere, comunque, protesa
alla realizzazione dell'interesse pubblico.
2. STATI PATOLOGICI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
Gli STATI PATOLOGICI di un atto possono assumere diverse gradazioni a
seconda della maggiore o minore divergenza del provvedimento concreto dal
parametro normativo.
INVALIDO → quando difetti o sia viziato uno degli elementi o requisiti prescritti,
ovvero quando vi sia lesione dell'interesse concreto tutelato dalla norma violata. A
seconda della gravità dei vizi l'atto può essere nullo o annullabile;
IRREGOLARE → quando l'atto presenta un vizio per il quale la legge commina
solo delle sanzioni amministrative a carico dell'agente.
Oltre alle ipotesi di invalidità ed irregolarità dell'atto amministrativo, vi sono
ALTRI STATI PATOLOGICI in cui il provvedimento, pur conforme allo schema
legale, non è comunque idoneo a produrre effetti. Tali sono i casi di
IMPERFEZIONE, INEFFICACIA o INESEGUIBILITA’ dell'atto amministrativo:
IMPERFETTO → allorché non si sia ancora concluso il suo ciclo di formazione
(D.P.R. non controfirmato dal Ministro).
INEFFICACIA → quando l'atto, benché perfetto, non è idoneo a produrre gli effetti
giuridici, in quanto sono inesistenti i requisiti di efficacia previsti
o dalla legge (i controlli);
o dalla natura dell'atto recettizio (comunicazione);
o dallo stesso provvedimento (condizione sospensiva, termine iniziale).

INESEGUIBILE → quando diventa inefficace per il sopravvenire di un atto


ostativo.

3. INVALIDITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO


L'atto amministrativo è INVALIDO quando è difforme dalla norma che lo
disciplina. In relazione alla natura della norma si possono individuare 2 GRANDI
CATEGORIE DI VIZI:
se è una NORMA GIURIDICA, il vizio che consegue sarà un vizio di legittimità e
l'atto sarà illegittimo;
se una NORMA DI BUONA AMMINISTRAZIONE, il vizio sarà di merito e l'atto
sarà inopportuno.
L’ATTO ILLEGITTIMO può essere viziato in modo più o meno grave:
è NULLO → se manca uno degli elementi essenziali richiesti dalla legge, se è
viziato da difetto assoluto di attribuzione, se è stato adottato in violazione o
elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge;
è ANNULLABILE → quando sia stato adottato in violazione di legge o sia viziato
da eccesso di potere o da incompetenza.
4. NULLITA’
ART.21 SEPTIES L.241/1990 → è NULLO il provvedimento amministrativo che
manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di
attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato,
nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
Le cause di nullità sono da ritenersi tassative nonché a numero chiuso.
Quanto alle ipotesi di vizi che ingenerano nullità l'atto amministrativo, stante la
indeterminatezza legislativa, si ritiene in giurisprudenza che vanno ricompresi nel
concetto di ELEMENTO ESSENZIALE dell'atto amministrativo:
a) la qualità di pubblica amministrazione in capo al soggetto che emette il
provvedimento;
b) l'individuazione del soggetto o dell'oggetto nei confronti il provvedimento ha
effetti;
c) l'esistenza di una norma attributiva del potere alla pubblica amministrazione
precedente;
d) la volontà della pubblica amministrazione di adottare l'atto;
e) la forma, laddove prescritta dalla legge.
Con l'espressione DIFETTO ASSOLUTO DI ATTRIBUZIONE, la norma richiama
la nozione di carenza di potere (in astratto), volendo fare riferimento ai casi più
gravi in cui il potere non sussiste o in via generale o in capo ad una determinata
autorità.
Infine, con riferimento alla VIOLAZIONE O ELUSIONE DEL GIUDICATO, la
giurisprudenza ha chiarito che:
la VIOLAZIONE DEL GIUDICATO ricorre quando la P.A. abbia riesercitato il
medesimo potere già illegittimamente esercitato, in contrasto con il contenuto
preciso di giudicato;
l'ELUSIONE DEL GIUDICATO, invece, sussiste nei casi in cui l'Amministrazione,
pur formalmente provvedendo a dare esecuzione a quanto disposto con un
giudicato, in sostanza esercita un potere diverso, in assenza dei presupposti che lo
giustificano, configurando uno sviamento del potere al fine di evitare l'elusione del
giudicato.
ART.133 C.P.A (Codice del Processo Amministrativo) → la cognizione delle
controversie in materia di nullità del provvedimento amministrativo adottato in
violazione o elusione del giudicato è attribuita alla GIURISDIZIONE ESLUSIVA
DEL G.A. (giudice amministrativo).
La NULLITA’ comporta le seguenti CONSEGUENZE SULL’ATTO
AMMINISTRATIVO:
o INESISTENZA GIURIDICA: dell’atto e inefficacia dello stesso;
o INESECUTORIETA’: l'atto nullo è inefficace e, come tale, anche
inesecutorio. Qualora all'atto nullo venga data esecuzione, al soggetto
compete il cd. diritto di resistenza;
o INANNULLABILITA’: l'atto nullo è inesistente e, come tale, non può essere
annullato.
o INSANABILITA’ e INCONVALIDABILITA’: l'atto nullo non può essere
sanato né convalidato. È, invece, ammessa la conversione in altro atto valido
se l'atto nullo presenti i requisiti e gli elementi essenziali del nuovo atto e se
realizzi, se convertito nell'atto diverso, l'interesse pubblico.

CAPITOLO 19 – ILLEGITTIMITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO


1. ILLEGITTIMITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
L’atto amministrativo esistente che presenti dei vizi di legittimità che
incidono su elementi essenziali di esso è illegittimo e, come tale,
ANNULLABILE.
Attualmente la figura dell’annullabilità è rinvenibile nell'ART.21 OCTIES DELLA
L.241/1990 che, al COMMA 1, individua quegli stessi vizi come causa di
annullabilità del provvedimento amministrativo e nell'ART.29 del Codice del
Processo Amministrativo che, appunto, disciplina l'azione di annullamento, per
violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza.
L'atto annullabile è immediatamente efficace, ma è suscettibile di essere
rimosso con una pronuncia costitutiva del G.A. o attraverso un intervento da
parte della P.A. (ossia con un procedimento in autotutela).
Si sottolinea che → sono da considerare invalidi solo i provvedimenti
amministrativi viziati da violazione di norme di carattere SOSTANZIALE; le
violazioni di carattere FORMALE O PROCEDIMENTALE, invece, non danno
luogo ad annullabilità del provvedimento laddove il contenuto dello stesso
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, in quanto
è assente ogni discrezionalità.
Analogamente non è annullabile il provvedimento per MANCATA
COMUNICAZIONE DELL’AVVIO DEL PROCEDIMENTO se l'amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato (ART.21 OCTIES, COMMA 2,
L.241/1990).

A) INCOMPETENZA RELATIVA
Si ha INCOMPETENZA RELATIVA quando un organo amministrativo invade la
sfera di competenza di un altro organo appartenente allo stesso settore
amministrativo o comunque allo stesso ente.
Solo l'incompetenza relativa è causa di annullabilità dell'atto amministrativo.

B) ECCESSO DI POTERE
Per potersi configurare ECCESSO DI POTERE, che viene definito come
scorrettezza in una scelta discrezionale, occorrono TRE REQUISITI:
1. Un POTERE DISCREZIONALE DELLA P.A.;
2. Uno SVIAMENTO DI TALE POTERE, ossia un esercizio del potere per fini
diversi da quelli stabiliti dal legislatore con la norma attributiva dello
stesso;
3. La PROVA DELLO SVIAMENTO
Le FIGURE PIU’ RILEVANTI DI ECCESSO DI POTERE (cd. FIGURE
SINTOMATICHE) sono:
a) TRAVISAMENTO ED ERRONEA VALUTAZIONE DEI FATTI → quando la
P.A. abbia ritenuto esistente un fatto inesistente ovvero quando abbia dato
ai fatti un significato erroneo, illogico o irrazionale.
b) ILLOGICITA’ O CONTRADDITTORIETA’ DELLA MOTIVAZIONE →
quando la motivazione dell'atto sia illogica o contrastante in varie parti, o
quando la motivazione sia in contrasto col dispositivo.
c) CONTRADDITTORIETA’ TRA PIU’ ATTI → quando più atti successivi, ma
relativi ad un medesimo oggetto, siano contrastanti fra loro in modo da non
far risultare quale sia la vera volontà della P.A.
d) INOSSERVANZA DI CIRCOLARI → la violazione di una circolare (che è un
atto interno) non può dar luogo di per sé a vizio di legittimità; tuttavia,
l'inosservanza di circolari importa eccesso di potere per la contraddizione
esistente fra la volontà manifestata col provvedimento nel singolo caso
concreto e quella manifestata in via generale dalla PA con l'emanazione della
circolare.
e) DISPARITA’ DI TRATTAMENTO → quando per identiche situazioni si
adottino provvedimenti diversi.
f) INGIUSTIZIA MANIFESTA → si tratta di una figura rarissima, poiché in
genere l'ingiustizia attiene piuttosto all'opportunità o alla convenienza
dell'atto (quindi, al merito), e non alla legittimità. Il Consiglio di Stato,
tuttavia, ha individuato alcune ipotesi di ingiustizia manifesta che si
concretano in vero e proprio eccesso di potere: ad es., quando si infligga
una pena per scarso rendimento ad un impiegato menomato da un
infortunio subito sul lavoro.
g) VIOLAZIONE E VIZI DEL PROCEDIMENTO → in linea di massima la
violazione di una norma procedurale concreta una violazione di legge e non
un eccesso di potere.
Vi sono tuttavia delle ipotesi di vere e proprie figure di eccesso di potere quali:
l'atto emesso sul presupposto di un parere viziato dell'errore o travisamento di
fatto; il difetto di istruttoria, che ricorre sia quando la P.A. abbia omesso del tutto
di porre in essere un'attività di tipo istruttorio, sia quando l'istruttoria ci sia stata
ma presenti gravi vizi (ad es. perché incompleta o poco approfondita).
h) VIZI DELLA VOLONTA’ → alcuni fautori della teoria negoziale individuano
l'eccesso di potere nel procedimento non corretto di formazione della volontà.
i) MANCANZA DI IDONEI PARAMETRI DI RIFERIMENTO → la mancanza di
idonei parametri generali di riferimento concreta un'ipotesi di eccesso di
potere ogni qualvolta la pretesa tutelata del singolo sia in posizione di
conflitto con quella analoga di altri soggetti.
C) VIOLAZIONE DI LEGGE
Si tratta di una FIGURA RESIDUALE comprensiva di tutti gli altri vizi di
legittimità che non configurino né incompetenza relativa né eccesso di
potere. I casi di VIOLAZIONE DI LEGGE possono così raggrupparsi:
a) VIZIO DI FORMA → cioè inosservanza delle regole prescritte per la
manifestazione di volontà (la mancanza assoluta di forma è, invece, causa
di nullità);

b) DIFETTO DI MOTIVAZIONE O MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE →


quando si omette di prendere in considerazione qualcuna delle circostanze
rilevanti o si motiva esclusivamente riferendosi ad elementi irrilevanti o
insufficienti. La violazione di legge si configura solo quando vi è una
mancanza totale o parziale della motivazione, mentre in caso di
motivazione perplessa e contraddittoria si configura eccesso di potere;

c) INOSSERVANZA DELLE DISPOSIZIONI RELATIVE ALLA VALIDA


COSTITUZIONE DEI COLLEGI → quali le norme per la convocazione, le
votazioni, i quorum, la verbalizzazione ecc.;

d) CONTENUTO ILLEGITTIMO;

e) DIFETTO DI PRESUPPOSTI LEGALI;

f) VIOLAZIONE DEI CRITERI DI ECONOMICITA’, EFFICACIA,


IMPARZIALITA’, PUBBLICITA’ E TRASPARENZA DELL’AZIONE
AMMINISTRATIVA.
L'espressione “LEGGE” è da intendere in senso ampio, comprendendo tutti gli
atti di normazione primaria e secondaria. Non rientrano in tale nozione
le circolari, che sono norme interne e la cui violazione concreta eccesso di
potere.

2. CONSEGUENZE DELL’ILLEGITTIMITA’
L'esistenza di un vizio di legittimità non impedisce che l'atto amministrativo
produca ugualmente i suoi effetti e possa essere portato ad esecuzione,
fino al suo eventuale annullamento.
A differenza dell'atto inesistente, l'ATTO ILLEGITTIMO:
è giuridicamente esistente; è efficace; è esecutorio (finché non venga annullato).
L'annullamento si verifica solo a seguito di un apposito provvedimento
dell'autorità amministrativa o di una sentenza del giudice amministrativo; esso
può essere richiesto solo dal soggetto nel cui interesse era posta la norma
violata.
L'atto annullabile, infine, può essere sanato, ratificato o convertito in un atto
valido.

3. INOPPORTUNITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO: I VIZI DI


MERITO
A differenza dei vizi di legittimità, i VIZI DI MERITO NON SONO SUSCETTIBILI
DI UNA VERA E PROPRIA CLASSIFICAZIONE, data la mutevolezza
dell'interesse pubblico e, quindi, di quei criteri di opportunità e di convenienza cui
deve ispirarsi la P.A. nell'esercizio dei propri poteri.
Il fondamento di tali vizi non risiede nella contrarietà dell'atto a norme
giuridiche ma nella VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUONA
AMMINISTRAZIONE (ART.97 COST.), secondo cui l'attività amministrativa deve
svolgersi nel modo più idoneo riguardo all'uso dei mezzi e al raggiungimento dei
fini.
I vizi di merito possono invalidare solo gli atti discrezionali, consistendo così
nella violazione, da parte della P.A., di norme non giuridiche di opportunità,
di equità, di eticità, di economicità.

CAPITOLO 20 – POTERE DI RIESAME, ATTI DI RITIRO E


SANATORIA
1. POTERE DI RIESAME DELLA P.A. E ATTI DI RITIRO
A) RIMEDI CONTRO GLI ATTI ILLEGITTIMI E/O INOPPORTUNI
Il nostro ordinamento prevede una serie di RIMEDI CONTRO GLI ATTI
ILLEGITTIMI E/O INOPPORTUNI. In particolare, l'ATTO VIZIATO PUO’
ESSERE OGGETTO DI:
a) una sentenza del giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato) che
annulli l'atto su ricorso giurisdizionale dell'interessato;
b) una decisione dell'autorità amministrativa che annulli l'atto su ricorso
amministrativo dell'interessato;
c) un atto amministrativo adottato spontaneamente d'ufficio dalla P.A., che
ritiri l'atto viziato (cd. atto di ritiro).

B) ATTI DI RITIRO
L'amministrazione pubblica, nel perseguimento del pubblico interesse, gode di
una serie di POTERI DI AUTOTUTELA.
Con il termine AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA si fa riferimento al potere
dell'amministrazione di rimuovere unilateralmente ed autonomamente gli ostacoli
che impediscono la realizzazione dell'interesse pubblico per il quale il legislatore ha
conferito lo specifico potere.
In tale contesto, rileva la distinzione AUTOTUTELA DECISORIA CD.
SPONTANEA, in cui l'amministrazione ritorna sui propri atti - per eliminarli,
confermarli o emendarli - senza che ciò consegua ad un'iniziativa di 1/3,
e AUTOTUTELA DECISORIA CD. NECESSARIA collegata alla funzione di
controllo dell'amministrazione, posta in essere da un'autorità diversa da quella
che ha adottato l'atto sottoposto a controllo. Nell'autotutela decisoria cd.
spontanea rientra il potere di riesame, consistente “nella rivalutazione delle
situazioni di fatto e di diritto poste alla base di un dato provvedimento
amministrativo ad opera della stessa autorità che ha adottato l'atto originario, o di
autorità diversa.”
Quello del riesame è un potere discrezionale, che si esplica mediante l'adozione,
da parte della P.A., di atti di ritiro o cd. atti di secondo grado.
Gli ATTI DI RITIRO, quindi, sono quei provvedimenti amministrativi a
contenuto negativo, emanati in base ad un riesame dell'atto compiuto
nell'esercizio del medesimo potere amministrativo esercitato con l'emanazione
dell'atto al fine di eliminare l'atto viziato.
Gli atti di ritiro presentano i SEGUENTI CARATTERI:
o sono discrezionali, quanto alla emanazione → la P.A. valuta di volta in
volta se sussista un interesse pubblico concreto ed attuale a ritirare il
provvedimento;
o sono provvedimenti esecutori, una volta intervenuti i requisiti di esecutività
o di obbligatorietà;
o sono provvedimenti formali → il procedimento e le forme sono, di solito, le
medesime prescritte per l'atto ritirato;
o devono essere motivati obbligatoriamente;
o sono provvedimenti recettizi → devono essere necessariamente portati a
conoscenza dei destinatari;
o sono soggetti alle regole della L.241/1990 in tema di silenzio-rifiuto e di
obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento.
Generalmente, gli atti di ritiro sono classificati in CINQUE TIPI dalla dottrina:
1. ANNULLAMENTO D’UFFICO
2. REVOCA
3. ABROGAZIONE
4. PRONUNCIA DI DECADENZA
5. MERO RITIRO.

C) ANNULLAMENTO D’UFFICIO
L'ANNULLAMENTO è un provvedimento amministrativo di secondo grado, con cui
viene ritirato, con EFFICACIA RETROATTIVA (EX TUNC), ossia dalla data della
sua emanazione, un atto amministrativo illegittimo, per la presenza di VIZI DI
LEGITTIMITA’ ORIGINARI dell'atto (cd. invalidità originaria).
ART.21 NONIES L. 241/1990 → dispone che il provvedimento amministrativo
illegittimo, sempreché non si tratti di atti a natura vincolata, può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, entro un
termine ragionevole, comunque non superiore a 12 mesi dall'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici e tenendo
conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo
ha emanato o da altro organo previsto dalla legge.
L’ annullamento di cui si tratta questa sede è l'ANNULLAMENTO D’UFFICIO,
ossia su iniziativa della P.A., che va tenuto distinto dall'annullamento su ricorso
amministrativo (cd. autotutela contenziosa) e dall'annullamento in sede di controllo
cosiddetta (autotutela decisoria cd. necessaria). Il potere di annullamento d'ufficio
è un potere generale della P.A. e non occorre un'espressa previsione di
legge per il suo esercizio.
L'atto di annullamento ha EFFICACIA RETROATTIVA → cioè fa venir meno l'atto
annullato dal momento in cui fu emanato (quindi ex tunc). Pertanto, cadono anche
gli effetti dell'atto annullato.
ART.21 NONIES, CO.2 → fa salva la POSSIBILITA’ DI CONVALIDA del
provvedimento annullabile, se sussistono ragioni di interesse pubblico ed entro un
termine ragionevole, così come restano ferme le responsabilità connesse
all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

D) REVOCA
È un provvedimento di secondo grado, espressione del potere di autotutela
(motivato congruamente) con cui la P.A. ritira, con EFFICACIA NON
RETROATTIVA (EX NUNC), un atto inficiato da VIZI DI MERITO (inopportuno,
non conveniente, inadeguato), in base ad una nuova valutazione delle ragioni di
convenienza ed opportunità per cui l'atto fu emanato.
ART.21 QUINQUIES L.241/1990 → prevede che il provvedimento
amministrativo ad efficacia durevole (concessione, autorizzazione o altro atto
che instauri rapporti a durata prolungata) può essere revocato da parte
dell'organo che lo emanato o da altro organo previsto dalla legge nel caso di
sopravvenuti motivi di pubblico interesse, di mutamento delle situazioni di
fatto, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
La revoca determina l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori
effetti e l'obbligo di provvedere all'indennizzo degli eventuali pregiudizi verificatisi
in danno dei soggetti direttamente interessati.
Le controversie relative alla determinazione e corresponsione del suddetto
indennizzo sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A.
Esistono DUE TIPI DI REVOCA: l’AUTOREVOCA e la REVOCA GERARCHICA,
in relazione all’autorità amministrativa che la pone in essere:
→ nel primo caso, da parte dell'autorità che ha emanato l'atto,
→ nel secondo, da parte dell'autorità gerarchicamente superiore.
L'esercizio del potere di revoca PRESUPPONE:
o una mancanza attuale di rispondenza dell'atto alle esigenze
pubbliche, dedotta discrezionalmente dalla P.A. in base a una nuova
valutazione degli elementi, oppure la constatazione che non risultano
sussistenti le ragioni di opportunità che legittimavano l'atto al momento
della sua emanazione;
o l'esistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale all'eliminazione
dell'atto inopportuno.
SONO IRREVOCABILI:
o gli atti vincolati, perché rispetto a questi la P.A. non ha il potere di
valutare il merito;

o gli atti la cui efficacia si è già esaurita (ad es.: per scadenza del termine,
o per raggiungimento dello scopo);

o gli atti costitutivi di status;

o gli atti costitutivi di diritti quesiti;

o i provvedimenti contenziosi (ad es. le decisioni sui ricorsi amministrativi);

o gli atti di mera esecuzione e gli atti imperfetti.

La REVOCA HA EFFICACIA EX NUNC: gli effetti dell'atto revocato cessano solo


dal momento dell’operatività della revoca, mentre restano in piedi gli effetti già
prodotti in precedenza.

E) ABROGAZIONE
Una parte della dottrina ritiene che si tratti di un atto di ritiro che si attua per il
sopravvenire di nuove circostanze di fatto che rendono l'atto non più
rispondente al pubblico interesse; si differenzia dalla revoca in quanto
quest'ultima si concreta nella rivalutazione delle stesse circostanze
originarie. Altra parte della dottrina, invece, osserva che anche in tale ipotesi
ricorre la revoca.
Circa il REGIME GIURIDICO DELL’ABROGAZIONE:
o gli atti suscettibili di abrogazione sono gli stessi che possono essere revocati;
o gli effetti dell'abrogazione si producono (come per la revoca) ex nunc;
o la differenza tra revoca e abrogazione sarebbe nel fatto che la prima
comporta un riesame nel merito dell'atto al momento della sua emanazione;
la seconda, invece, una valutazione dell'opportunità di tenere in vita il
rapporto creato dall'atto in relazione a mutate situazioni di fatto.
F) PRONUNCIA DI DECADENZA
Secondo la dottrina è un atto di ritiro, con efficacia ex nunc (cioè dalla sua
adozione), che la P.A. utilizza nei confronti di precedenti atti ampliativi delle
facoltà di privati, in caso di:
- inadempimento degli obblighi o degli oneri incombenti sui destinatari;

- mancato esercizio da parte dei medesimi delle facoltà derivanti dall'atto


amministrativo

- venir meno di requisiti di idoneità necessari per la costituzione e per la


continuazione del rapporto.

G) MERO RITIRO
Secondo la dottrina è un atto di ritiro che si esplica, anche per fatti concludenti,
nei confronti di atti non ancora efficaci come, ad esempio, per gli atti del
procedimento non ancora perfezionatosi, gli atti privi di un requisito di esecutività
o di obbligatorietà, ovvero gli atti per loro natura inefficaci (ad es. atti nulli).
Perché possa farsi luogo al ritiro è condizione sufficiente l'accertamento
dell’illegittimità o inopportunità dell'atto, non essendo richiesto
l'apprezzamento di un interesse pubblico, concreto ed attuale al suo ritiro.

2. SANATORIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO VIZIATO


L' ATTO AMMINISTRATIVO che non sia radicalmente nullo, ma solo
ANNULLABILE può essere SANATO con una successiva manifestazione di
volontà da parte della P.A.
Si distinguono al riguardo ipotesi di:
o CONVALESCENZA, che tende direttamente a eliminare il vizio che inficia
l'atto;
o CONSERVAZIONE, che tende a rendere l'atto, nonostante la sua invalidità,
inattaccabile da parte dei soggetti destinatari con i ricorsi amministrativi
o giurisdizionali.

A) CONVALESCENZA
Rientrano nella categoria della convalescenza le seguenti figure:
CONVALIDA → è un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo con cui si
eliminano i vizi di legittimità di un atto invalido precedentemente
emanato dalla stessa autorità. Il provvedimento di convalida deve
contemplare:
o l’atto che si intende convalidare;
o l'individuazione del vizio da cui l'atto è affetto;
o la volontà di rimuovere il vizio invalidante.

Come tutti i provvedimenti discrezionali, anche la convalida deve essere disposta


solo quando vi sia un interesse pubblico a sanare l'atto viziato. La convalida
opera ex nunc, ma poiché si collega ad un atto precedentemente emanato
conservandone gli effetti anche nel tempo intermedio, di fatto opera ex tunc.
RATIFICA → è un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, con cui si
elimina il vizio di incompetenza relativa da parte dell'autorità
astrattamente competente, la quale si appropria di un atto emesso da
un'autorità incompetente dello stesso ramo.
Si differenzia dalla convalida per l'autorità che pone in essere l'atto (che non è
la stessa autorità emanante), e per il vizio sanabile (che è solo di incompetenza
relativa).
SANATORIA → è una forma di convalescenza di quegli atti che sono invalidi o per
mancanza di un presupposto di illegittimità o per il mancato compimento
di un atto preparatorio del procedimento. L'autorità provvede a sanare ex
post l'atto, facendo verificare il presupposto o compiendo l'atto omesso.

B) CONSERVAZIONE
A differenza della convalescenza, la CONSERVAZIONE mira solo a rendere l'atto
invalido INATTACCABILE dai ricorsi amministrativi o giurisdizionali:
CONSOLIDAZIONE → è una causa di conservazione oggettiva dell'atto
amministrativo che dipende dal decorso del termine perentorio entro cui
l'interessato avrebbe potuto proporre ricorso contro l'atto invalido.
Trascorso tale termine, infatti, l'atto amministrativo diviene inoppugnabile. Si
tratta di una figura processualistica simile a quella che si determina col passaggio
in giudicato della sentenza.
ACQUIESCENZA → è una causa di conservazione soggettiva dell'atto
amministrativo, che dipende da un comportamento con cui il soggetto
privato, dimostrando con manifestazioni espresse o per fatti concludenti, di
essere d'accordo con l'operato della P.A., si preclude la possibilità di
impugnare l'atto amministrativo;
CONVERSIONE → consiste nel considerare un atto invalido (non solo
annullabile, ma anche nullo) come appartenente ad un altro tipo (valido), di cui
esso presenta i requisiti di forma e di sostanza;
CONFERMA → è una manifestazione di volontà non innovativa con cui l'autorità
ribadisce una sua precedente determinazione, eventualmente ripetendone il
contenuto. È opinione comune che in tale categoria confluiscono la conferma
propria e la conferma impropria.
La conferma propria si ha solo qualora si adottata sulla base di un nuovo iter
procedimentale, con rinnovazione della fase istruttoria, con una nuova
ponderazione di interessi pubblici e, quindi, con un nuovo provvedimento.
Vi è, invece, conferma impropria (atto meramente confermativo) quando
provenga dalla stessa autorità, difetti una nuova istruttoria e si realizzi la
conferma della motivazione e del dispositivo per il provvedimento precedente.

CAPITOLO 21 – PROCEDIMENTO AMMINISTRATTIVO


1. PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
La modalità tipica in cui si esplica il potere amministrativo è data dal
provvedimento amministrativo, mediante cui si concretizza e formalizza la
volontà della P.A. su una determinata situazione o realtà.
La procedura che precede l'adozione di tale provvedimento si definisce
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO.
Pertanto, il procedimento si configura quale PRESUPPOSTO per l'EMANAZIONE
DEL PROVVEDIMENTO FINALE, mediante l'accertamento e la valutazione degli
interessi (pubblici e privati) in gioco e la garanzia della partecipazione dei soggetti
privati.
Il procedimento di risponde a molteplici ESIGENZE quali:
o l'accertamento, la valutazione dei dati di fatto e dei diversi interessi
pubblici e privati coinvolti dall'azione amministrativa, che la P.A. deve tener
presenti nell'emanazione dei provvedimenti;
o il coordinamento dell'operato e del parere degli organi che intervengono
nell'emanazione dell'atto;
o l'esercizio dell'attività di controllo;
o la garanzia che anche l'interessato venga sentito prima dell'emanazione
dell'atto e possa così far valere le proprie ragioni, riducendosi così i
successivi ricorsi.

2. L. 241/1990 SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO


Fino all'entrata in vigore della L. 241/1990, recante norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi, mancava nel nostro ordinamento una disciplina generale del
procedimento amministrativo.
Solo con la L.241/1990, improntata ai principi della trasparenza e della
partecipazione, si è avuto il passaggio da un’attività amministrativa frutto di
un'imposizione autoritativa della pubblica amministrazione ad un'attività che
tende ad essere sempre più il risultato di una concertazione con il destinatario
del provvedimento amministrativo.
Successivamente, con la L. 15/2005 e la L.80/2005 sono stati introdotti
numerosi istituti giuridici volti a realizzare dialogo e collaborazione reciproca (si
pensi, ad esempio, all'istituto del preavviso di rigetto). Tale logica è alla base
anche delle modifiche apportate con la L.69/2009 che ha contribuito a
definire una pubblica amministrazione sempre più efficiente e sollecita nel
rapportarsi con le esigenze del cittadino.
Da ultimo, il legislatore, con il D.L. 76/2020 convertito in L.120/2020 cd.
decreto semplificazione del 2020, nonché con il D.L. 77/2021, convertito
in L.108/2021, cd. decreto semplificazioni 2021 ha introdotto altre misure
volte a realizzare semplificazioni procedimentali, incidendo sulle disposizioni
della L.241/1990.

3. FASI DEL PROCEDIMENTO


Il PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO SI SVOLGE IN QUATTRO FASI
PRINCIPALI:
a) FASE D’INIZIATIVA → è quella in cui prende avvio il procedimento e
attraverso cui vengono introdotti sia l'interesse pubblico primario che gli
interessi secondari di cui sono titolari i privati interessati all'oggetto del
provvedimento da emanare.
Al riguardo, si possono avere procedimenti:
 ad iniziativa privata, i cui tipici atti sono le istanze (domande dei
privati interessati volti ad ottenere un provvedimento a loro favore), le
denunce (dichiarazioni che sono presentate dai privati ad un'autorità
amministrativa, al fine di provocare l'esercizio dei suoi poteri con
l'emanazione di un provvedimento) ed i ricorsi (reclami
dell’interessato intesi a provocare un riesame di legittimità o di
merito degli atti della P.A. ritenuti lesivi di diritti o interessi legittimi);

 ad iniziativa d'ufficio. È autonoma, quando l'attività propulsiva


promana dallo stesso organo competente per l'emissione del
provvedimento centrale o conclusivo. È eteronoma, quando l'atto di
iniziativa proviene da una P.A. diversa da quella precedente e a cui
spetta emanare la decisione finale.
Tale iniziativa si attua attraverso richieste, che sono atti amministrativi
consistenti in manifestazioni di volontà con cui l'autorità amministrativa
competente si rivolge ad altre autorità per sollecitare l'emanazione di un atto che
altrimenti non potrebbe essere emanato oppure proposte, che sono
manifestazioni di giudizio dell'organo propulsivo cerca il contenuto da dare
all'atto.
Aperta la fase di iniziativa, la L.241/1990 ha previsto TRE OBBLIGHI
incombenti sull'amministrazione precedente:
o la previsione di un termine di conclusione dell'iter procedimentale,
o l'individuazione del responsabile del procedimento,
o la comunicazione dell'avvio del procedimento agli interessati.

b) FASE ISTRUTTORIA → in tale fase si acquisiscono e si valutano i


singoli dati pertinenti e rilevanti ai fini dell'emanazione del
provvedimento. È normalmente di competenza della stessa autorità cui
spetta l'adozione del provvedimento finale, ma il privato può collaborare
indicando i mezzi di prova o rispondendo a quesiti o questioni o integrando
con documentazioni. Le attività della fase istruttoria, caratterizzate dalla
partecipazione dei privati (principio del giusto procedimento), tendono alla:

 acquisizione dei fatti, ossia le condizioni di ammissibilità (posizione


legittimante, interesse a ricorrere) i requisiti di legittimazione
(cittadinanza, titolo di studio) e le circostanze di fatto (rilevabili con
accertamenti semplici quali ispezioni, inchieste ecc.);

 acquisizione degli interessi, ossia la raccolta degli interessi pubblici


e privati coinvolti nel procedimento, con conseguente partecipazione
dei portatori degli stessi;

 elaborazione di fatti e interessi, in cui rientrano le richieste di


pareri.

c) FASE COSTITUTIVA → è la fase deliberativa del procedimento in cui si


determina il contenuto dell'atto. Al termine di questa seconda fase l'atto
è perfetto, ma non ancora efficace. Quando l'atto è di competenza di un
organo collegiale la fase costitutiva costituisce, a sua volta, un
procedimento (cd. subprocedimento), in quanto l'atto verrà posto in essere
dopo che il collegio si è riunito, ha discusso e ha votato la delibera.

d) FASE D’INTEGRAZIONE DELL’EFFICACIA → l'atto già perfetto diviene


efficace. Vi rientrano:

o gli atti di controllo (il controllo deve essere eseguito dagli organi
competenti);
o gli atti di comunicazione: gli atti possono essere recettizi o non
recettizi, a seconda che la comunicazione agli interessati costituisca o
meno presupposto indispensabile per la loro efficacia (ad es.
notificazione; pubblicazione).

4. TERMINI DEL PROCEDIMENTO


ART.2, CO.1, L.241/1990 → il procedimento amministrativo deve
concludersi con un provvedimento espresso. Tuttavia, l'esercizio di tale dovere
da parte della P.A. non può essere protratto senza limiti; sicché, al fine di dare
certezza all'azione amministrativa e di garantire i destinatari della stessa, il
legislatore ha disposto una PRECISA TEMPISTICA PER LA CONCLUSIONE DEL
PROCEDIMENTO. Pertanto, i TERMINI DI CONCLUSIONE DEI PROCEDIMENTI
AMMINISTRATIVI SONO:
1. salvo diverso termine, stabilito per legge o con diverso provvedimento, il
termine generale per la conclusione dei procedimenti amministrativi è di
30 giorni;
2. per le amministrazioni statali possono essere individuati termini non
superiori a 90 giorni per la conclusione dei relativi procedimenti, mediante
decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri;

3. in presenza di particolari presupposti - natura degli interessi pubblici


tutelati o particolare complessità del procedimento - per la conclusione dei
procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti
pubblici nazionali il termine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un
massimo di 180 giorni, mediante D.P.C.M. Tale previsione non si applica ai
procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e a quelli riguardanti
l'immigrazione;

4. salvo quanto stabilito da specifiche disposizioni normative, “le autorità di


garanzia e di vigilanza disciplinano i termini di conclusione dei
procedimenti di rispettiva competenza”.

Tutti i termini fissati per la conclusione di un procedimento amministrativo


DECORRONO dall'inizio del procedimento se lo stesso è iniziato d'ufficio, o
dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

I termini di conclusione possono essere SOSPESI, per una sola volta e per un
periodo non superiore a 30 giorni, per l'acquisizione di informazioni o di
certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in
possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre
P.A. La disciplina dei tempi del procedimento NON SI APPLICA ai procedimenti
di verifica o autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali
archeologici, artistici e paesaggistici.
Inoltre, le P.A. se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità,
improcedibilità o infondatezza della domanda, concludono il procedimento
con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata la cui
motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto
ritenuto risolutivo.

L’ART.2 prosegue statuendo che le sentenze passate in giudicato che


accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento
dell'amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti;
precisa anche che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento
costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché
di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e
del funzionario inadempiente. Inoltre, innovativa è la previsione volta ad
incidere sugli atti “tardivi”, cioè quegli atti che la P.A. adotta dopo che sia
scaduto il termine di conclusione del procedimento.
Per scongiurare ipotesi di inefficienza nell'attività amministrativa, si prevede che
l'organo di governo individui un SOGGETTO nell'ambito delle figure apicali
dell'amministrazione o un'unità organizzativa a cui attribuisce il POTERE
SOSTITUTIVO IN CASO DI INERZIA.
Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento, il
responsabile o l'unità organizzativa, d'ufficio o su richiesta dell'interessato,
esercita il potere sostitutivo e, entro un termine pari alla metà di quello
originariamente previsto conclude il procedimento attraverso le strutture
competenti o con la nomina di un commissario.

5. MANCATO RISPETTO DEI TERMINI PROCEDIMENTALI


ART.2 BIS L.241/1990 → prevede in capo alla P.A. una responsabilità per
l'ipotesi di INOSSERVANZA DOLOSA O COLPOSA DEL TERMINE DI
CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO.
Quanto all'oggetto del risarcimento, questo consiste nel DANNO INGIUSTO
cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento. Al diritto di risarcimento del danno da ritardo si
affianca anche un INDENNIZZO che scatterà per il ritardo nella definizione della
pratica.

CAPITOLO 22 – RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO


1. RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
Tra le più importanti novità della L.241/1990 si segnala l'individuazione del
RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO in seno all'unità organizzativa
competente, la comunicazione agli interessati del nominativo del responsabile e la
precisazione dei compiti a questi spettanti.
ART.4 DELLA L.241/1990 → sancisce l'obbligo per le amministrazioni
pubbliche di individuare, per ogni procedimento, l'unità organizzativa
responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell'adozione del provvedimento finale.
Individuata tale unità, il dirigente della stessa provvede ad individuare, al suo
interno, il soggetto responsabile del procedimento, che, ex ART.5 della detta
legge, può essere sia il dirigente stesso che un altro dipendente.
Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione, è considerato responsabile del
singolo procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa. Al
responsabile, così individuato, il dirigente dell'unità assegna “la responsabilità
dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente al singolo procedimento nonché,
eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale”.
Quanto ai COMPITI affidati al responsabile del procedimento, l'ART.6 DELLA
L.241/1990 espressamente gli conferisce tutta una serie di attribuzioni
finalizzate alla cura della fase istruttoria del procedimento nonché, laddove ne
abbia la competenza, all'effettiva adozione del provvedimento finale.
In particolare, IL RESPONSABILE DEVE:
a) valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di
legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione del
provvedimento;

b) accertare di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari, e


adottare ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In
particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di
dichiarazioni erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed
ispezioni e ordinare esibizioni documentali;

c) proporre l'indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di


servizi;

d) curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste da leggi e


regolamenti;

e) adottare, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, o trasmettere


gli atti all'organo competente per l’adozione.

Inoltre, è previsto che l'organo competente per l'adozione del provvedimento


finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non possa discostarsi
dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento
se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.
Infine, allo scopo di garantire una maggiore trasparenza dell'operato della P.A. e
di prevenire fenomeni di illegalità, si impone alla responsabile del
procedimento e al titolare dell'ufficio, competente ad emanare pareri,
valutazioni tecniche, nonché il provvedimento finale, di astenersi in caso di
conflitto di interessi dalle dette operazioni, segnalando, altresì, ogni
situazione, anche solo potenziale, di conflitto.

2. PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO
Il PRINCIPIO DELLA PARTECIPAZIONE è di fondamentale importanza in quanto
consente la soddisfazione dei criteri informatori dell'azione della P.A.:
trasparenza, economicità, efficacia, imparzialità.
Si premette che le norme sulla partecipazione non si applicano ai procedimenti
diretti all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione, di
programmazione e ai procedimenti tributari.
Per tutti gli altri, la L.241/1990 sancisce:
1. L’OBBLIGO DI COMUNICARE L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO (ARTT. 7-
8) → ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari
esigenze di celerità del procedimento, la P.A. ha l'obbligo di comunicarne
l'avvio.
La comunicazione è personale; nelle ipotesi in cui essa non sia possibile, per
il numero di destinatari o perché risulti particolarmente gravosa, la P.A.
provvede a rendere noto il contenuto della comunicazione mediante forme di
pubblicità idonee, stabilite di volta in volta dalla stessa amministrazione.
Destinatari della comunicazione sono:
 i destinatari diritti del provvedimento finale;
 i soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento;
 i terzi che possono ricevere un pregiudizio dal provvedimento
finale.
Nella comunicazione devono essere indicati:
l'amministrazione competente, l'oggetto del procedimento promosso; l'ufficio, il
domicilio digitale dell'amministrazione e la persona responsabile del
procedimento; la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i
rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; nei procedimenti ad
iniziativa di parte, la data di presentazione dell'istanza; le modalità con cui è
possibile prendere visione degli atti.
Inoltre, l'omessa a comunicazione di avvio non dà luogo ad annullabilità del
provvedimento se sia palese che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato (tale disposizione non si applica al
provvedimento adottato in violazione dell'art.10 bis della legge stessa).
2. IL DIRITTO DI INTERVENTO NEL PROCEDIMENTO (ART.9) →
qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i
portatori di interessi diffusi, cui possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento, possono intervenire nel procedimento (si tratta di
intervento volontario contrapposto a quello obbligatorio di cui all’art.7).

3. IL DIRITTO DI PRENDERE VISIONE DEGLI ATTI DEL PROCEDIMENTO


E DI PRESENTARE MEMORIE SCRITTE E DOCUMENTI (ART.10) → i
destinatari della comunicazione e i soggetti intervenuti hanno diritto di
prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie
scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove
siano pertinenti all'oggetto della domanda e siano presentate in tempo
ragionevole.

4. IL PREAVVISO DI RIGETTO (ART.10 BIS) → nei procedimenti ad istanza


di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima
della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare
tempestivamente agli interessati i motivi ostativi all'accoglimento
della domanda. Gli interessati hanno il diritto di presentare, entro 10
giorni dal ricevimento della comunicazione, per iscritto le loro osservazioni,
eventualmente corredate da documenti. La comunicazione sospende i
termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere
10 giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, qualora queste non
siano presentate, dalla scadenza del termine concesso per la loro
presentazione.

5. LA STIPULAZIONE DI ACCORDI INTEGRATIVI E SOSTITUTIVI (ART.11)


→ nella ricerca di un'azione amministrativa condivisa tra P.A. e privato, il
legislatore ha previsto due forme di accordi: gli accordi integrativi e gli
accordi sostitutivi;

6. LA PREDETERMINAZIONE DEI CRITERI PER L’ATTRIBUZIONE DEI


VANTAGGI ECONOMICI (ART.12) → La concessione di contributi, sussidi
ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici a persone ed enti
pubblici e privati è subordinata alla predeterminazione da parte della
P.A. competente dei criteri e delle modalità a cui la stessa deve attenersi.
La violazione di tali criteri determina l'illegittimità dell'atto per violazione di
legge.

CAPITOLO 23 – SEMPLIFICAZIONE DELL’AZIONE


AMMINISTRATIVA

1. SEMPLIFICAZIONE DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA


Il CAPO IV (ARTT.14-21) della L.241/1990 contiene una serie di disposizioni
dirette a SNELLIRE L’AZIONE AMMINISTRATIVA e, di conseguenza, ad
uniformare la stessa ai principi e ai criteri di economicità, efficienza, imparzialità e
trasparenza.

A) CONFERENZA DI SERVIZI
La CONFERENZA DI SERVIZI costituisce UNA FORMA DI COOPERAZIONE tra
le P.A. che ha lo scopo di realizzare, attraverso l'esame contestuale dei vari
interessi pubblici coinvolti, la semplificazione di taluni procedimenti
amministrativi particolarmente complessi.
Vi sono varie TIPOLOGIE di conferenza di servizi:
la CONFERENZA DI SERVIZI ISTRUTTORIA, che può essere indetta qualora sia
opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti
in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi
connessi, riguardanti i medesimi attività o risultati;
la CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA, che deve essere convocata quando
bisogna assumere decisioni concordate tra varie amministrazioni, in
sostituzione degli atti di concerto, nulla osta, intese o atti di assenso comunque
denominati.
la CONFERENZA DI SERVIZI CD. PRELIMINARE, che può essere indetta
dall'amministrazione competente nel caso di progetti di particolare complessità
e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta
dell'interessato, corredata da uno studio di fattibilità, prima della presentazione
di un'istanza o di un progetto definitivo, al fine di verificare quali siano le
condizioni per ottenere i necessari atti di assenso, comunque denominati.
La conferenza si svolge, ordinariamente, IN FORMA SEMPLIFICATA E IN
MODALITA’ ASINCRONA, cioè senza che siano convocate riunioni fisiche, ma
mediante l'invio di documenti per via telematica.
Solo quando è strettamente necessario, l'amministrazione precedente può indire
una CONFERENZA IN FORMA SIMULTANEA ED IN MODALITA’ SINCRONA,
cioè mediante l'incontro tra i vari partecipanti.
La convocazione della CONFERENZA DI SERVIZI SIMULTANEA E IN
MODALITA’ SINCRONA avviene:
o in caso di conclusione infruttuosa della conferenza in modalità asincrona;
o nei casi di particolare complessità della decisione assumere;

Quando la conferenza è simultanea, i LAVORI DEVONO CONCLUDERSI non


oltre 45 giorni decorrenti dalla data della prima riunione; qualora siano
coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-
territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, il termine è fissato in 90
giorni.

B) ACCORDI
Gli ACCORDI fra amministrazioni pubbliche sono finalizzati a disciplinare lo
svolgimento di attività di pubblico interesse in collaborazione. Un esempio di tali
accordi sono gli “accordi di programma”.

C) SILENZIO DEVOLUTIVO
La figura del SILENZIO DEVOLUTIVO comporta la possibilità di richiedere ad
altri organi valutazioni tecniche di necessaria acquisizione ai fini dell'adozione
del provvedimento finale, che quelli precedentemente aditi non abbiano
effettuato. In tali casi, il responsabile del procedimento deve richiedere tali
valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad altri enti
pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad
istituti universitari.

D) SISTEMA DELLE DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE


Il RICORDO ALL’AUTOCERTIFICAZIONE consente al privato di poter provare
nei suoi rapporti con la P.A., determinati fatti, stati e qualità a prescindere dalla
esibizione dei relativi certificati, semplicemente presentando una
DICHIARAZIONE CD. SOSTITUTIVA. La materia è disciplinata dal D.P.R.
445/2000 (Testo Unico in materia di documentazione amministrativa).
La disciplina della documentazione amministrativa è ispirata ad un duplice
principio: da un lato, garantisce le esigenze della certezza pubblica e, dall'altro
lato, quelle di semplificazione dell'attività amministrativa.
Le dichiarazioni sostitutive, generalmente conosciute autocertificazioni,
consentono al cittadino di sostituire un atto amministrativo di certezza con
una propria dichiarazione.
In particolare, si distinguono:
 le DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI CERTIFICAZIONI → con cui
l’interessato può sostituire a tutti gli effetti e a titolo definitivo, attraverso una
propria dichiarazione sottoscritta, certificazioni amministrative relative a
fatti, stati e qualità risultanti da registri custoditi dalla P.A. La
dichiarazione sostitutiva di certificazione deve necessariamente essere
sottoscritta dall'interessato, ma non è richiesta, per la sua validità,
l'autenticazione della firma.

 le DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI ATTO DI NOTORIETA’ → con cui,


invece l'interessato può comprovare tutti quei fatti, stati e qualità personali,
di cui ha diretta conoscenza, che non risultano compresi tra quelli per cui è
possibile il ricorso alla dichiarazione sostitutiva di certificazione, con la sola
eccezione di quelli per cui questa possibilità si è esclusa espressamente da
una legge.
La MANCATA ACCETTAZIONE delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di
atto di notorietà costituisce VIOLAZIONE DEI DOVERI D’UFFICIO.

E) PRESENTAZIONE DI ISTANZE, SEGNALAZIONI O


COMUNICAZIONI
L’ART.18 BIS DELLA L.241/1990, introdotto dal D.lgs. 126/2016, prevede che
dall'avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni venga
rilasciata immediatamente, anche in via telematica, una RICEVUTA, che attesta
l’avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione e della comunicazione ed
indica i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere,
o entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza.

F) SILENZIO-ASSENSO
ART.20 DELLA L.241/1990 → NEI PROCEDIMENTI AD ISTANZA DI PARTE,
per il rilascio di provvedimenti amministrativi, IL SILENZIO
DELL’AMMINISTRAZIONE EQUIVALE A PROVVEDIMENTO DI
ACCOGLIMENTO della domanda, senza necessità di ulteriori istanze, se la P.A.
non comunica all'interessato, nel termine di conclusione del procedimento,
il provvedimento di rigetto ovvero non ìndice (organizza) una conferenza di
servizi.
Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.
Il meccanismo del silenzio-assenso non si applica per gli atti e nei procedimenti
concernenti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente e la difesa
nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute
e la pubblica incolumità; né si applica agli atti imposti dalla normativa
comunitaria, o ai casi in cui la legge qualifica il silenzio come rigetto dell'istanza,
e nemmeno agli atti e ai procedimenti che le stesse amministrazioni possono
successivamente individuare. Ogni controversia relativa all'applicazione di tali
disposizioni è devoluta alla GIURISDIZIONE ESCLUSIVA del G.A.

G) EFFETTI DEL SILENZIO E DELL’INERZIA NEI RAPPORTI


TRA P.A.
ART.17 BIS della L.241/1990 (modificato dal D.L 76/2020, convertito in
L.120/2020) → disciplina gli effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra
amministrazioni pubbliche (quindi non tra P.A. e cittadini come accade nella
fattispecie di cui l’ART. 20 della L. 241/1990).
Esso prevede che, se per l'adozione di provvedimenti normativi e
amministrativi sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta da
parte di altre amministrazioni pubbliche o di gestioni di beni o servizi pubblici, gli
stessi dovranno essere resi entro 30 giorni dal ricevimento dello schema di
provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte
dell'amministrazione precedente.
Quando per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la
proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella
competente ad adottare l'atto, la proposta stessa è trasmessa entro 30 giorni
dal ricevimento della richiesta da parte di quest'ultima amministrazione.
Il termine potrà essere interrotto se l'amministrazione che deve pronunciarsi
manifesti esigenze istruttorie o richieste di modifica: in tal caso, l'assenso, il
concerto o il nulla osta è reso nei successivi 30 giorni dalla ricezione degli
elementi istruttori o dello schema di provvedimento.
Non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini. Nel caso in cui la P.A.
non si pronunci entro il termine indicato l'assenso, il concerto o il nulla osta si
intenderanno acquisiti.

2. SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’ (SCIA)


La SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’ è un importante
strumento di semplificazione nel contesto dei rapporti tra P.A. – cittadino.
L’ART.19 L.241/1990 → prevede che OGNI ATTO DI AUTORIZZAZIONE,
LICENZA, CONCESSIONE NON COSTITUTIVA, PERMESSO O NULLA OSTA
COMUNQUE DENOMINATO, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli
richieste per l'esercizio di un'attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il
cui rilascio dipende esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia
previsto alcun limite o specifici strumenti di programmazione settoriale per il
rilascio degli stessi, E’ SOSTITUITO DA UNA SEGNALAZIONE
DELL’INTERESSATO.
A TITOLO ESEMPLIFICATIVO, tra le attività produttive che possono essere
iniziate previa presentazione della SCIA, si segnalano: attività ricettive (come
affittacamere bed & breakfast); attività di agriturismo; attività di acconciatore o
estetista etc.
Unica ECCEZIONE all'applicazione di tale disposizione riguarda i casi in cui
sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza,
all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia.
L'attività oggetto della segnalazione PUO’ ESSERE INIZIATA DALLA DATA
DELLA PRESENTAZIONE della segnalazione all'amministrazione competente.
Quest'ultima, tuttavia, conserva il potere di agire successivamente: infatti, essa,
in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di 60 giorni
dal ricevimento della segnalazione certificata, adotta motivati provvedimenti di
DIVIETO DI PROSECUZIONE DELL’ATTIVITA’ E DI RIMOZIONE DEGLI
EVENTUALI EFFETTI DANNOSO DI ESSA.
Qualora sia possibile CONFORMARE l'attività intrapresa alla normativa vigente,
l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere
prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore
a 30 giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da
parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si intende VIETATA.
ART. 19 BIS L.241/1990, introdotto dal d.lgs. 126/2016 → prevede che, in
tema di concentrazione dei regimi amministrativi, sul sito istituzionale di ciascuna
amministrazione debba essere indicato lo SPORTELLO UNICO al quale
presentare la SCIA, anche in caso di procedimenti connessi di competenza di
altre amministrazioni ovvero di diverse articolazioni interne dell'amministrazione
ricevente.

CAPITOLO 24 – GLI ACCORDI


1. GLI ACCORDI
Con l'espressione “ATTIVITA’ CONSENSUALE” della pubblica amministrazione si
fa riferimento, genericamente, a quei moduli convenzionali di esercizio
dell’attività amministrativa con i quali la P.A. ricerca il consenso del privato
destinatario del provvedimento finale.
Nell'ambito dell'ampio genus dell'attività amministrativa consensuale possono
includersi sia i CONTRATTI PUBBLICI che gli ACCORDI, che possono essere
conclusi sia con un privato che con altre amministrazioni.
A) ACCORDI INTEGRATIVI E SOSTITUTIVI DEL
PROVVEDIMENTO
ART. 11 DELLA L.241/1990 → prevede DUE FORME DI ACCORDI:
gli ACCORDI INTEGRATIVI: si tratta di accordi conclusi dall'amministrazione
precedente con gli interessati al fine di determinare il contenuto del
provvedimento;
gli ACCORDI SOSTITUTIVI: mentre gli accordi integrativi precedono il
provvedimento e ne determinano il contenuto, gli accordi sostitutivi sono stipulati
in sostituzione del provvedimento amministrativo.
Nello specifico, l'ART.11, nel conferire dignità di istituto generale agli strumenti
convenzionali dell'azione amministrativa, PREVEDE CHE:
a) nell'ambito di un procedimento amministrativo l'amministrazione
precedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e nel
perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di
determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale o in
sostituzione di questo;
b) gli accordi devono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo
che la legge disponga altrimenti;
c) ad essi si applicano, ove non sia diversamente previsto, i principi del
Codice civile in quanto compatibili;
d) i detti accordi devono essere motivati;
e) gli accordi sostitutivi di provvedimento sono soggetti ai medesimi controlli
previsti per questi ultimi;
f) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione può
recedere unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla
liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi
verificatisi in danno del privato.
Inoltre, ex ART.133 DEL CODICE DEL PROCESSO AMMIMINISTRATIVO, le
controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione di accordi
integrativi e sostitutivi sono devolute alla GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL
GIUDICE AMMINISTATIVO.

B) ACCORDI TRA LA P.A.: GLI ACCORDI DI PROGRAMMA


L'ART. 14 L.241/1990 disciplina gli ACCORDI FRA AMMINISTRAZIONI
PUBBLICHE, stabilendo che questi possono essere conclusi per “disciplinare lo
svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. A questa previsione
di carattere generale si ricollegano gli ACCORDI DI PROGRAMMA, che sono
un'applicazione specifica di quel potere.
Con gli accordi di programma, infatti le P.A. concordano le modalità di
programmazione ed esecuzione di interventi pubblici, coordinando le rispettive
azioni: a tale strumento si fa ricorso quando la realizzazione di opere e di
interventi coinvolga più livelli di governo (statale, regionale, provinciale o
comunale) tale da rendere necessaria una sinergia di azioni. Gli accordi di
programma vengono PROMOSSI dai Presidenti delle Regioni, delle Province o dai
Sindaci che abbiano competenza primaria sull'opera da eseguire (soggetti
necessari), i quali hanno il potere di iniziativa e possono invitare i rappresentanti
di altri enti locali o di altre amministrazioni interessate (soggetti eventuali).
Solo nel caso in cui l'intervento o il programma di intervento da realizzare
interessi due o più Regioni finitime, la conclusione dell'accordo è PROMOSSA
dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

2. SEMPLIFICAZIONE ED INFORMATIZZAZIONE: LA P.A.


“DIGITALE”
A) DIGITALIZZAZIONE DELLA P.A.
Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le P.A. agiscono mediante
strumenti informatici e telematici, sia nei rapporti interni, tra le diverse
amministrazioni, che tra queste ultime e i privati. In tale prospettiva è stato
emanato il D.lgs. 82/2002, CODICE DELL’AMMINISTRAZIONE DIGITALE.
Con l'espressione E-GOVERMENT si fa riferimento a quella particolare modalità di
miglioramento della circolazione interna ed esterna dei dati nonché dell'attività in
genere degli uffici pubblici.

B) CODICE DELL’AMMINISTRAZIONE DIGITALE


IL Codice dell'amministrazione digitale è il testo base in tema di
informatizzazione della P.A.
Esso introduce nuovi diritti per i cittadini e per le imprese e definisce il
quadro giuridico che ne garantisce l'effettivo godimento; predispone nuovi
strumenti digitali: disegna le basi per la costruzione di una pubblica
amministrazione che funzioni meglio e costi meno ai contribuenti.

C) CARTA DELLA CITTADINANZA DIGITALE


Nella P.A. “DIGITALE” i cittadini e le imprese hanno diritti che il Codice
dell'amministrazione digitale rende effettivamente esigibili:
- diritto all'uso delle tecnologie;
- diritto all'identità digitale e al domicilio digitale;
- diritto di effettuare qualsiasi pagamento con modalità informatiche;
- comunicazione tra imprese e amministrazioni pubbliche;
- diritto all'utilizzo del domicilio digitale;
- diritto dei servizi online semplici e integrati;
- alfabetizzazione informatica dei cittadini;
- partecipazione democratica elettronica;
Dal 28 febbraio 2021 l'identità digitale SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale)
e CIE (Carta d'identità elettronica) sono diventate le sole credenziali per accedere
ai servizi digitali della pubblica amministrazione.
SPID e la Carta d'identità elettronica assumono lo stesso valore di un qualsiasi
documento di identità nello svolgimento di pratiche amministrative in rete.
Viene inoltre potenziato il ricorso all'app IO, che diventa il canale per accedere
da smartphone a tutti i servizi pubblici resi in digitale. Con IO, in pratica, i
cittadini potranno effettuare autocertificazioni o presentare istanze e dichiarazioni
mediante telefono cellulare, come pure effettuare i pagamenti attraverso la
piattaforma PagoPa, integrata nell'app.
Dal canto loro, le amministrazioni, tramite l'utilizzo di IO, avranno il vantaggio di
raccogliere tutti i servizi, le comunicazioni e i documenti in un unico luogo e di
interfacciarsi in modo semplice e celere con gli utenti.
I diritti individuati nel CAD sono resi effettivi dalla P.A. mediante l'utilizzo di
alcuni STRUMENTI, quali: la firma digitale, siti Internet istituzionali della
P.A., Carte elettroniche, Posta elettronica certificata. (PEC)
DECRETO SEMPLIFICAZIONI 2021 E DIGITALIZZAZIONE DELLA P.A.
La TRANSIZIONE DIGITALE del nostro Paese è uno dei punti chiave del Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del correlato decreto
semplificazioni 2021 (D.L. 77/2021, conv. in L.108/2021)
Tra le innovazioni del decreto in tema di digitale, occorre ricordare, da un lato, la
possibilità per i titolari di SPID di delegare l'accesso a uno o più servizi digitali
ad un altro soggetto titolare di identità digitale e, dall'altro lato, quella di
attribuire un domicilio digitale a tutti coloro che ne sono ancora sprovvisti.
Viene attribuito all’AgID (Agenzia per l’Italia digitale) l'esercizio di poteri di
vigilanza, verifica, controllo e monitoraggio sul rispetto delle disposizioni del
CAD e di ogni altra norma in materia di digitalizzazione della P.A.

CAPITOLO 25 – SISTEMA DEI CONTROLLI


1. NOZIONE
Il termine “CONTROLLO”, in generale, indica il raffronto tra due elementi: un
oggetto (essenzialmente l'atto o l'attività) e un parametro di valutazione, al fine
di verificare la conformità del primo al secondo e di (eventualmente) adottare
misure in relazione all'esito del riscontro effettuato.
Il SISTEMA DEI CONTROLLI SI ARTICOLA IN DIVERSE TIPOLOGIE, sia a
seconda dell'oggetto che dei rapporti tra soggetto controllante e soggetto
controllato:
CONTROLLI DI LEGITTIMITA’ E DI MERITO:
i controlli di legittimità sono diretti a valutare e garantire la corrispondenza
formale dell'atto o dell'attività del soggetto alle norme di legge.
La loro funzione è qualificata vigilanza. I controlli di merito sono i diretti a
valutare l'atto o l'attività dell'organo sotto il profilo dell'utilità ed opportunità, cioè
della convenienza per l'amministrazione.
Tali controlli entrano, appunto, nel merito dell'atto, valutandone il contenuto e la
regolarità formale. La funzione dell'ora esercitata si denomina tutela.
CONTROLLI INTERNI ED ESTERNI: i controlli interni sono quelli che
l'amministrazione esercita nel proprio ambito in forza del potere di supremazia
gerarchica che le consente di vigilare sui propri atti e di disporne, eventualmente,
l'annullamento o la revoca (cd. controlli interorganici). I controlli esterni sono,
invece quelli provenienti da soggetti diversi dall'amministrazione interessata, o
perché di altri rami dell'ordinamento o perché collegati all'amministrazione ma in
posizione di indipendenza (cd. controlli intersoggettivi);
I CONTROLLI ORDINARI E STRAORDINARI: i controlli ordinari sono previsti
dalla legge come necessari ed abituali, in ordine a particolari atti o attività. I
controlli straordinari sono previsti dalla legge come eventuali e disposti, a
discrezione dell'autorità amministrativa, allorché se ne presenti la necessità o
l'opportunità.

2. CONTROLLI AMMINISTRATIVI
I CONTROLLI AMMIISTRATIVI sono diritti ad esaminare l'operato di organi
amministrativi con funzioni di amministrazione attiva. Essi SI DISTINGUONO
in:
a) CONTROLLI SUGLI ATTI → se diritti a valutare la sola legittimità o
anche l'opportunità di un singolo atto amministrativo al fine di
verificarne la sola legittimità oppure anche l'opportunità;

b) CONTROLLI SUI SOGGETTI O ORGANI → se diretti a valutare l'operato


delle persone fisiche preposte agli uffici o la funzionalità di un
organo di un ente pubblico. Si tratta di un controllo che attiene alla
gestione ed è qualificato, pertanto, come funzionale;

c) CONTROLLI SULL’ATTIVITA’ → finalizzati a valutare non il singolo


atto, bensì l'attività amministrativa nel suo complesso. Esse a loro
volta si distinguono in controlli di gestione (se posti in essere da un
organo interno all'ente; si realizza in tal modo un autocontrollo) e controlli
sulla gestione (se realizzati da un organo esterno che, nel nostro
ordinamento è la Corte dei conti).

3. CONTROLLI SUGLI ATTI


I CONTROLLI SUGLI ATTI si distinguono in:
PREVENTIVI → intervengono di norma su di un atto già formato (perfetto), ma
prima che produca i suoi effetti; incidendo esclusivamente su questi ultimi, si
configurano come condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento
stesso (sono preventivi, fra i controlli di legittimità, il visto; tra quelli di merito,
l'approvazione); lì si distingue anche fra antecedenti e susseguenti a seconda
che intervengano su di un atto non ancora perfezionato o su di un atto perfetto
ma non ancora efficace; hanno efficacia retroattiva (ex tunc);
SUCCESSIVI → se intervengono dopo che l'atto si è divenuto efficace: tale è
l'annullamento in sede di controllo; hanno anch'essi efficacia retroattiva;
SOSTITUTIVI → quando l'autorità gerarchicamente superiore, dotata del
relativo potere (cd. potere di sostituzione), accertata l'inerzia dell'autorità
inferiore, si sostituisce ad essa nell'emanazione del relativo
provvedimento. In tali casi, l’autorità controllante emana il provvedimento in
luogo dell'autorità controllata, direttamente o commissari ad acta.
Sono ATTI DI CONTROLLO:
visto, tipico controllo di legittimità;
approvazione, tipico controllo di merito;
omologazione, che è allo stesso tempo controllo di legittimità e di merito;
annullamento in sede di controllo, che è un atto di controllo successivo di
legittimità che interviene dopo che l'atto ha acquistato efficacia.

4. CONTROLLI SUGLI ORGANI E SUGLI ENTI


I CONTROLLI SUGLI ORGANI E SUGLI ENTI mirano, mediante un esame dei
comportamenti ed eventualmente delle emissioni, a garantire il buon
andamento e il buon funzionamento di un organo o di un ente, in ossequio al
principio sancito dall'ART.97 COST.
I CONTROLLI SUGLI ORGANI SI DISTINGUONO IN:
a) CONTROLLO ISPETTIVO → è il potere dell'autorità dello Stato (o della
Regione) di disporre ispezioni ed accertamenti sull'attività delle
amministrazioni controllate;

b) CONTROLLO SOSTITUTIVO-SEMPLICE → consiste nella sostituzione di


un organo superiore ad uno inferiore in caso di inerzia o ritardo nel
compimento di atti da parte di quest'ultimo;

c) CONTROLLO SOSTITUTIVO-REPRESSIVO → consiste nella sostituzione


dell'organo “controllato” e nell'applicazione al titolare di esso di
sanzioni (sospensione, revoca, sanzioni disciplinare ecc.);

d) CONTROLLO REPRESSIVO → consiste nell'applicazione di particolari


sanzioni amministrative o disciplinari al titolare dell'organo
controllato.
5. CONTROLLI SULL’ATTIVITA’
Il SISTEMA DI CONTROLLO SUGLI ATTI si è dimostrato sterile: perciò si è
giunti all'elaborazione di una FORMA DI CONTROLLO AVENTE AD OGGETTO
L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA NEL SUO COMPLESSO posta in essere da un
organo o ente entro un certo arco temporale.
Il controllo in esame si esplica sulla gestione amministrativa ed è finalizzato alla
verifica dell'efficacia e dell'efficienza e dei risultati ottenuti.
Ciò determina il passaggio da un'amministrazione per atti a un'amministrazione
per i risultati, con il fine di migliorare l'efficienza, l'efficacia e l'economicità
dell'azione amministrativa.
I CONTROLLI SULL’ATTIVITA’ si differenziano in CONTROLLI INTERNI (O DI
GESTIONE) e CONTROLLI ESTERNI (O SULLA GESTIONE), a seconda della
rilevanza dell'organo, interna o esterna all'ente, che li pone in essere.

6. CONTROLLI INTERNI E SULLA PERFORMANCE


La disciplina dei controlli interni è contenuta nel D.LGS. 286/1999, che ne
individua 4 DIVERSI TIPI:
1. CONTROLLO DI REGOLARITA’ AMMINISRATIVA E CONTABILE , volto a
garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione
amministrativa. Esso è svolto dagli organi di revisione, ovvero gli uffici di
ragioneria, nonché dai servizi ispettivi, ivi compresi i servizi ispettivi di
finanza per la Ragioneria generale dello Stato e quelli con competenze di
carattere generale;

2. CONTROLLO DI GESTIONE, volto a verificare l'efficacia, l'efficienza ed


economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare il rapporto
tra costi e risultati;

3. VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI, diretta a valutare le prestazioni del


personale con qualifica dirigenziale;

4. CONTROLLO STRATEGICO, volto a valutare l'adeguatezza delle scelte


compiute in sede di attuazione di piani, programmi ed altri
strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di
congruenza tra i risultati conseguiti e obiettivi predefiniti. Questa tipologia
di controlli è svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di
indirizzo politico-amministrativo.
7. CONTROLLI INTERNI E ORGANISMI INDIPENDENTI DI
VALUTAZIONE
Il D.LGS.150/2009 è intervenuto sul sistema dei controlli interni così come
delineato dal D.LGS. 286/1999.
Infatti, dal 2010 è abrogata la disciplina sulla valutazione della dirigenza,
sostituita da quella relativa alla misurazione e valutazione della
performance, svolta dagli ORGANISMI INDIPENDENTI DI VALUTAZIONE
DELLA PERFORMANCE, i quali sostituiscono i servizi di controllo interno.
L’Organismo indipendente monitora il funzionamento complessivo del sistema
della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni ed elabora una
relazione annuale sullo stato dello stesso; si occupa altresì della funzione di
valutazione e controllo strategico.
In particolare, viene trasferito agli organismi indipendenti di valutazione (OIV), il
compito di verificare l'andamento della performance rispetto agli obiettivi
programmati nel periodo di riferimento, anche avvalendosi dei risultati dei
controlli strategici e di gestione presenti nella P.A.
Agli OIV compete anche segnalare interventi correttivi all'organo di indirizzo
politico, in caso, ad esempio, di eventi imprevedibili che incidano
sull'organizzazione della P.A. e sulle sue risorse.

8. CONTROLLI ESTERNI E RUOLO DELLA CORTE DEI CONTI


La L.20/1994 ha introdotto un CONTROLLO ESTERNO DELLA CORTE DEI
CONTI SULLA GESTIONE DELLE SINGOLE AMMINISTRAZIONI, ivi compresi
enti locali e Regioni, al fine di valutare la rispondenza delle risultanze dell'attività
amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge.
Si tratta di un controllo esercitato da un soggetto terzo ed imparziale →
appunto, CONTROLLO SULLA GESTIONE.
LA FUNZIONE DI CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI, si esplica attraverso
i seguenti controlli:
 CONTROLLO PREVENTIVO DI LEGITTIMITA’ → la Corte verifica che gli
atti sottoposti al suo controllo siano esenti dai vizi di legittimità:
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. Il controllo incide
sull'efficacia degli atti, paralizzandola qualora la Corte ricusi il visto.

 CONTROLLO SUCCESSIVO DI LEGITTIMITA’ SUI SINGOLI ATTI → tale


controllo si conclude con l'apposizione del visto o con la sua ricusazione:
in tale caso, essendosi gli effetti dell'atto già prodotti e non potendo più
essere paralizzati, sorge l'obbligo per l'amministrazione di ripristinare
la situazione giuridica e finanziaria precedente, ove possibile;
 CONTROLLO SUL BILANCIO DELLO STATO. IL GIUDIZIO DI
PARIFICAZIONE → l’ART.100 COST. che la Corte dei conti esercita il
controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato.
A tal fine, entro il 31 maggio di ogni anno, il Ministero dell'economia e delle finanze
trasmette alla Corte il rendiconto generale dello Stato, cioè il documento
contabile in cui sono riassunti i risultati delle operazioni compiute nel corso di un
esercizio finanziario.
Sulla sua regolarità la Corte delibera a sezioni riunite con le formalità della
giurisdizione contenziosa (giudizio di parificazione). Il rendiconto è poi
trasmesso alla Corte al Ministro dell'Economia che lo presenta in Parlamento;
 CONTROLLO SUGLI ENTI SOVVENZIONATI → la Corte dei conti svolge il
controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle
amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui
fondi provenienti dall'UE, verificando la legittimità e la regolarità
delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a
ciascuna amministrazione;

 CONTROLLO SULLE GESTIONI STATALI PUBBLICHE IN CORSO DI


SVOLGIMENTO → se la Corte dei conti accerta gravi irregolarità
gestionali o gravi deviazioni da procedure con tempi di attuazione
stabiliti da norme o da direttive del Governo, ne individua, in
contraddittorio con la P.A., le cause e ne dà comunicazione, con decreto
motivato del Presidente, al Ministro competente;

 CONTROLLO CONCOMITANTE → per accelerare gli interventi di


sostegno e di rilancio dell'economia;

 CONTROLLO SUGLI EQUILIBRI DI BILANCIO → la Corte verifica il


rispetto degli equilibri di bilancio di Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni con riferimento al patto di stabilità interno e
ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'UE.

CAPITOLO 26 – DIRITTO DI ACCESSO


1. PRINCIPIO DI TRASPARENZA
Tra i criteri generali dell'azione amministrativa l’ART.1, CO.1, L.241/1990
include quello della TRASPARENZA, destinato a regolare il rapporto tra
amministrazioni ed amministrati.
Esso è da intendersi come immediata e facile controllabilità di tutti i
momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l'operato della P.A., onde
garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale.
Non a caso si è parlato di P.A. QUALE “CASA DI VETRO”, il cui operato fosse
conoscibile agli occhi dei cittadini.
Tra gli strumenti più importanti attraverso cui si esplica il principio di
trasparenza ricordiamo il DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI ED AI DOCUMENTI
DELLA P.A.

2. DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI →


ARTT.22 SS. (seguenti), L.241/1990
A) TITOLARI E OGGETTO
ART.22 L.241/1990 → definisce il “DIRITTO DI ACCESSO” come il diritto
degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi, ed individua come “interessati”, tutti i soggetti privati,
compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento a cui è stato chiesto l'accesso.
Il D.P.R. 184/2006 (Regolamento di disciplina in materia di accesso ai documenti
amministrativi) definisce l'AMBITO DI APPLICAZIONE SOGGETTIVO di tale
diritto, precisando che esso è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto
pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico
interesse, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è richiesto l'accesso.
Il soggetto che chiede l'accesso deve esplicitare le ragioni sottese alla propria
richiesta, giacché non è possibile che vi siano istanze volte ad un mero e generico
controllo sull'attività amministrativa.
Quanto all'OGGETTO, il legislatore non ha elencato i singoli documenti
accessibili, ma ne ha dato una DEFINIZIONE GENERALE → è considerato
documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica, o di qualunque altra specie, del contenuto di atti, anche interni, o
non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una P.A. e concernenti
attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o
privatistica della loro disciplina sostanziale.

B) I SOGGETTI PASSIVI
ART.23 L.241/1990 → sono OBBLIGATI A CONSENTIRE L’ESERCIZIO DEL
DIRITTO DI ACCESSO:
 le PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI → sono ricompresi tutti i soggetti di
diritto pubblico e di diritto privato limitatamente alla loro attività di
pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o europeo;

 gli ENTI PUBBLICI→ compresi gli enti pubblici economici relativamente allo
svolgimento dell'attività di diritto pubblico;

 AZIENDE AUTONOME E AZIENDE SPECIALI;


 GESTORI DI PUBBLICI SERVIZI;

 AUTORITA’ DI GARANZIA E DI VIGILANZA.


A questi soggetti, si aggiungono l'AMMINISTRAZIONE DELL’UE e le IMPRESE
DI ASSICURAZIONE.

C) ESCLUSIONE DEL DIRITTO DI ACCESSO


L’ART.24 L.241/1990 → prevede i casi di ESCLUSIONE DAL DIRITTO DI
ACCESSO.
In primo luogo, vi sono i cd. LIMITI TASSATIVI, ossia quelli sanciti
direttamente dalla legge, senza che residui in capo alla P.A. alcun margine
discrezionale di apprezzamento. Ove ricorra uno di tali limiti, la P.A. è obbligata
a dare risposta negativa alla richiesta di accesso. Si tratta di LIMITI
riguardanti:
a) i documenti coperti da segreto di Stato;
b) i documenti coperti da segreto o di divieto di divulgazione
espressamente previsti da legge e da norme regolamentari;
c) i procedimenti tributari;
d) l'attività della P.A. diretta all'emanazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione;
e) i procedimenti selettivi, relativamente ai documenti amministrativi
contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relative a terzi.
Le singole amministrazioni, poi, individuano le categorie di documenti da esse
formati, o comunque rientranti nella loro disponibilità, sottratti all'accesso:
ART.24, CO.6, L.241/1990 → attribuisce al GOVERNO IL POTERE DI
LIMITARE ULTERIORMENTE IL DIRITTO DI ACCESSO emanando un apposito
REGOLAMENTO DI DELEGIFICAZIONE, che disponga casi di sottrazione
all'accesso di documenti amministrativi.

3. MODALITA’ DI ESERCIZIO
ART.25 L.241/1990 e il D.P.R. 184/2006 → disciplinano l'ESERCIZIO DEL
DIRITTO DI ACCESSO. L'accesso si esercita mediante esame ed estrazione di
copia dei documenti amministrativi, richiesti (nei modi e limiti indicati dalla
legge) con istanza motivata rivolta all'amministrazione che ha formato il
documento o che lo detiene stabilmente.

A) ACCESSO INFORMALE
Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l'esistenza di
controinteressati, il DIRITTO DI ACCESSO PUO’ ESSERE ESERCITATO IN VIA
INFORMALE mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione
competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo
stabilmente.
In tal caso, il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della
richiesta o gli elementi che ne consentono l'individuazione; specificare l'interesse
connesso all'oggetto della richiesta; dimostrare la propria identità e, ove occorra,
i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le
notizie, esibizione del documento, estrazione di copie o altra modalità
idonea. Ove provenga da una P.A., la richiesta è presentata dal titolare dell'ufficio
interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo.

B) ACCESSO FORMALE
La P.A. cui è indirizzata la richiesta di accesso, qualora individui i soggetti
controinteressati, invita l'interessato a presentare RICHIESTA FORMALE DI
ACCESSO ed è tenuta a dare COMUNICAZIONE agli stessi, inviando copia
mediante raccomandata con avviso di ricevimento, oppure per via telematica per
coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. Entro 10 giorni dalla
ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare MOTIVATA
OPPOSIZIONE ALLA RICHIESTA DI ACCESSO.
Decorso tale termine, la P.A. provvede sulla richiesta, una volta accertata
l'avvenuta ricezione della comunicazione. Tale iter deve concludersi entro 30
giorni dalla richiesta, decorsi i quali quest'ultima si intende respinta.
Analogamente si prevede la RICHIESTA DI ACCESSO FORMALE qualora:
o non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale;
o vi siano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità e sui
suoi poteri rappresentativi;
o vi siano dubbi sulla sussistenza dell'interesse alla stregua delle
informazioni e documentazioni fornite;
o vi siano dubbi sulla accessibilità del documento o sull'esistenza di
controinteressati.

C) RISPOSTA DELLA P.A. E POTERE DI DIFFERIMENTO


Al termine del procedimento la P.A., nel caso in cui ritenga di NON ACCOGLIERE
la richiesta, può:
 respingerla, se la richiesta riguarda documenti esclusi ex art.24
dall'accesso;
 limitarla ad alcuno solo dei documenti richiesti ove gli altri non siano
accessibili, ex art.24;
 differirla nel caso in cui la P.A., anziché respingere la richiesta, reputi
sufficiente spostare l'esercizio dell'accesso ad un momento successivo.
Infatti, l'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia
sufficiente fare ricorso al potere di differimento.
4. TUTELA DEL DIRITTO DI ACCESSO
Il diritto di accesso è tutelato IN 2 MODI, tra loro alternativi.
1. IN VIA GIURISDIZIONALE → cioè dinanzi al giudice amministrativo, in
base all'ART.116 del Codice del processo amministrativo.
In particolare, decorsi 30 giorni dalla richiesta, questa si intende respinta
e, in tal caso, il richiedente può presentare ricorso al TAR contro le
determinazioni e contro il silenzio sulle richieste di accesso nonché per la
tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi
di trasparenza, mediante notificazione del ricorso all'amministrazione e ad
almeno un controinteressato.
Il giudizio, che si svolge con rito camerale, si conclude con una sentenza
in forma semplificata, che può essere di rigetto del ricorso o di
accoglimento dello stesso. In tale ultimo caso, il giudice amministrativo,
ricorrendone i presupposti, ordina alla P.A. l'esibizione e, ove previsto, la
pubblicazione del documento, dettando ove occorra, le relative modalità.
Il termine di appellabilità della sentenza è di 30 giorni; vi è giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.

2. IN VIA AMMINISTRATIVA → ossia dinanzi al difensore civico oppure alla


Commissione per l'accesso ai documenti, ex ART.25 L.241/1990; se il
difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica
all'autorità disponente che dovrà provvedere nel termine di 30 giorni dal
ricevimento della richiesta. In mancanza l'accesso è consentito. Si
precisa che il ricorso al difensore civico è ristretto agli atti delle
amministrazioni degli enti territoriali; il ricorso alla Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi è previsto per gli atti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato.

5. ACCESSO CIVICO → ARTT.5 SS. D.LGS.33/2013


Nell'attuale ordinamento, accanto all'ACCESSO CLASSICO previsto dalla legge
sul procedimento amministrativo, si colloca la disciplina predisposta dal
D.lgs.33/2013, cd. Testo Unico trasparenza, novellato dal D.lgs. 97/2016.
Si tratta dell'istituto dell'ACCESSO CIVICO, nella sua versione tradizionale, e
nella sua veste di ACCESSO CIVICO “generalizzato” o “universale”:
o ACCESSO CIVICO “SEMPLICE”: è disciplinato dall'art.5 co.1.
d.lgs.33/2013, secondo cui l'obbligo previsto dalla normativa in capo alla
P.A. di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di
chiunque di richiedere i medesimi nei casi in cui sia stata omessa la
loro pubblicazione. In sostanza, al dovere di pubblicazione della P.A.
corrisponde il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e
informazioni interessati dall’ inadempienza;
o ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO “UNIVERSALE”: è disciplinato
dall'art.5, co.2, d.lgs.33/2013, secondo cui, per favorire forme diffuse di
controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle
risorse pubbliche e per promuovere la partecipazione al dibattito pubblico,
chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle
pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di
pubblicazione.
È proprio in relazione a tale fattispecie che si è parlato di “Freedom of
information Act” (FOIA): ciò si traduce nella possibilità per i cittadini di accedere
a dati e documenti della pubblica amministrazione anche se non resi pubblici,
senza peraltro dover dimostrare un interesse diretto. Entro 30 giorni le
amministrazioni dovranno rilasciare gratuitamente i dati e i documenti richiesti.
L'ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO conosce, tuttavia, alcune ipotesi di
esclusione e/o limitazione. In particolare, esso è RIFIUTATO se il diniego è
necessario per evitare un pregiudizio alla tutela di uno degli interessi pubblici
inerenti a:
a) sicurezza pubblica e ordine pubblico;
b) sicurezza nazionale;
c) difesa e questioni militari;
d) relazioni internazionali;
e) politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) regolare svolgimento di attività ispettive.
Esso è RIFIUTATO se il diniego è necessario per evitare pregiudizio alla tutela di
uno dei seguenti interessi privati: protezione dati personali; libertà e segretezza
della corrispondenza; interessi economici e commerciali di una persona fisica o
giuridica, compresi la proprietà intellettuale e il diritto d'autore.
L’ ESCLUSIONE si ha nei casi di segreto di Stato e nei casi di divieto di accesso o
divulgazione previsti dalla legge.

L'esercizio dell'accesso civico, in entrambe le due versioni, NON E’ SOTTOPOSTO


AD ALCUNA LIMITAZIONE QUANTO ALLA LEGITTIMAZIONE SOGGETTIVA
DEL RICHIEDENTE (→ questo profilo è una delle più rilevanti differenze tra tale
istituto e l'accesso di quella legge sul procedimento amministrativo).
L'esercizio dell'accesso civico (in entrambe le versioni) non va motivato e
può essere presentato: all'ufficio che detiene i dati/documenti, all'U.R.P. (UFFICIO
PER LE RELAZIONI CON IL PUBBLICO), ad altro ufficio indicato nella sezione
“Amministrazione trasparente” del sito-web istituzionale, al Responsabile
anticorruzione e trasparenza.
DIFFERENZE
La DIFFERENZA tra l'ACCESSO CIVICO e il DIRITTO DI ACCESSO AI
DOCUMENTI EX ART.22 L.241/1990 va ravvisata nell'ampliamento della
legittimazione soggettiva del richiedente. Infatti, nella legge sul procedimento,
il diritto di accesso è riconosciuto ai portatori di un interesse giuridico diretto
concreto e attuale, invece il d.lgs. 33/2013 riconosce a tutti e senza motivazione il
diritto di accesso civico.

6. RISERVATEZZA E ACCESSO
Problematico è il RAPPORTO TRA ACCESSO E RISERVATEZZA. Si tratta di due
diritti avente il medesimo ambito di applicazione, pur essendo, allo stesso
tempo, l'uno il limite dell'altra.
Quando, infatti, si chiede di accedere ai documenti amministrativi che
contengono dati di soggetti terzi, si pone il problema di CONCILIARE IL DIRITTO
DI QUESTI ULTIMI ALLA RISERVATEZZA DEI PROPRI DATI PERSONALI CON
IL DIRITTO DI ACCESSO DELL’ISTANTE.
Il DIRITTO ALLA RISERVATEZZA può definirsi come il diritto al riserbo
relativamente a notizie, dati o informazioni la cui diffusione non risponde ad
alcun interesse pubblico prevalente. Esso è riferibile sia alle persone fisiche,
come diritto al rispetto della sfera intima della personalità, sia alle persone
giuridiche, enti e associazioni. Il legislatore ha risolto codificando una serie di
principi-guida, contenuti sia nella legge sul procedimento che nel Codice sulla
privacy, al fine di trovare un bilanciamento tra accesso e riservatezza.
Nella L.241/1990, la disposizione di riferimento è data all'ART.24, CO.7 che
afferma la prevalenza del diritto di accesso in tutte le ipotesi in cui questo è
preordinato all'esercizio del diritto di difesa di un interesse giuridicamente
rilevante. Tuttavia, nel caso di documenti contenenti dati sensibili e
giudiziari l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente
indispensabile, mentre in presenza di dati idonei a rivelare lo stato di salute e
la vita sessuale l'accesso è consentito, ex ART.60 D.LGS.196/2003, se la
situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di
accesso sia di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consista in
un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale.

CAPITOLO 27 – LEZIONE DEI DATI PERSONALI E PRIVACY


1. PRIVACY E RISERVATEZZA
La RISERVATEZZA si configura sia come RISERVATEZZA DELLE PERSONE
FISICHE, ossia come diritto del singolo di vedere rispettata la propria sfera
personale da ingerenze esterne, sia come riservatezza di gruppi, persone
giuridiche, enti ed associazioni, come ad esempio quelle conoscenze in
ambito commerciale che vanno sotto il nome di segreto industriale o di impresa.
La riservatezza può essere ricondotta all'ART.2 COST. ed in particolare ai
DIRITTI DI CD. QUARTA GENERAZIONE, se si considera l'art.2 COST. quale
fattispecie aperta, suscettibili di dare tutela anche a nuovi diritti che emergono
nel contesto sociale e politico. Ai nostri tempi, invero, la riservatezza appare
sempre più compromessa nelle nuove tecnologie; esse hanno portato il
legislatore europeo ad innovare la normativa in tema di protezione dei dati
personali, rivedendo il concetto stesso di “sfera privata”.
Da qui, la DIFFERENZA TRA RISERVATEZZA E PRIVACY:
o RISERVATEZZA → è il diritto all'intimità della propria sfera privata e
dei propri dati personali, che devono essere salvaguardati dalla curiosità
altrui. Essa ha quindi un'accezione prevalentemente negativa (→ diritto di
escludere gli altri dalla propria vita privata).

o PRIVACY → è una “estensione” di tale diritto, poiché individua tutti gli


elementi che definiscono l'identità dell'individuo, la sua storia, le sue
abitudini e ogni suo status (ad es. nome e cognome, codice fiscale, dati
sanitari, dati fiscali, giudiziari, busta paga, preferenze religiose o sessuali).
Il diritto alla privacy, ove legato alla protezione dei dati personali e al controllo
sulla loro circolazione, estende la tutela dell'individuo al di là della sfera della
vita privata (ossia riservatezza) e la trasferisce nella dimensione sociale,
attribuendo al soggetto che ne è titolare anche il diritto di impedire che vengano
divulgate informazioni sulla sua persona. In tal senso, la privacy rappresenta
una sorta di versione “dinamica” della riservatezza, come strumento a
disposizione del singolo per controllare la classificazione e l'uso di quelle
informazioni da parte di chi gestisce le banche dati (soggetti pubblici o privati che
siano), nelle quali i dati stessi sono inseriti e conservati.
Tale distinzione è fondamentale per capire l'evoluzione normativa in materia,
culminata nel GDPR (General Data Protection Regulation) ossia il
Regolamento europeo per la protezione dei dati personali.
La nuova disciplina europea si basa sul BINOMIO
RESPONSABILIZZAZIONE/CONSAPEVOLEZZA:
o RESPONSABILIZZAZIONE (accountability) → a carico di chi gestisce i dati
personali e li tratta (quindi, sia pubbliche amministrazioni che enti privati);
o CONSAPEVOLEZZA → da parte dei possessori di dati medesimi, ossia i
cittadini.

2. NORMATIVA IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI


PERSONALI E REGOLAMENTO EUROPERO N.679/2016
Il REGOLAMENTO UE 2016/679 (cd. GDPR) garantisce la protezione delle
persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati
personali e intende assicurare un livello coerente di protezione in tutta l'Ue, al fine
di prevenire disparità che possano ostacolare la libera circolazione dei dati
personali.
In ogni Stato dell'UE una o più autorità pubbliche indipendenti devono essere
incaricate di controllare l'applicazione del regolamento, al fine di tutelare i
diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al
trattamento e di agevolare la libera circolazione dei dati personali all'interno
dell'Unione.
L'art.2 del Codice della privacy individua tale autorità nel GARANTE PER LA
PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI. Si tratta di un’autorità indipendente,
composta da 4 membri, di cui 2 eletti dalla Camera e 2 dal Senato.
Tra le sue FUNZIONI ricordiamo:
o controllare se i trattamenti sono abituati nel rispetto della disciplina
applicabile;
o trattare i reclami presentati;
o denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d'ufficio, dei quali
viene a conoscenza nell'esercizio o a causa delle funzioni;
o assicurare la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali degli individui,
dando idonea attuazione al regolamento europeo e allo stesso Codice.
Il Garante, inoltre, collabora con altre autorità amministrative indipendenti
nazionali nello svolgimento dei rispettivi compiti.

3. CONCETTO DI “DATO PERSONALE”


Per DATI PERSONALI si intendono quelle informazioni che identificano o
rendono identificabile, direttamente (ad es.: i dati anagrafici) o indirettamente
(ad es.: il codice fiscale) una persona fisica.
Vi sono poi i dati personali rientranti in particolare categorie, come quelli
sensibili (origine razziale ed etnica, opinioni politiche o religiose, stato di salute e
vita sessuale – quest’ultimi due sono detti anche “supersensibili”) e quelli relativi
a condanne penali o reati (cd. giudiziari).
Il regolamento europeo definisce il dato personale come qualsiasi informazione
riguardante una persona fisica, identificata o identificabile (interessato).
La normativa oggi in vigore si discosta dalla precedente impostazione e le
originarie definizioni di “dati sensibili” ed i “dati giudiziari”, presenti nel Codice
del 2003, lasciano il posto alle più generiche “categorie particolari di dati
personali” (ART.9 GDPR) e ai “dati personali relativi a condanne penali e
reati” (ART.10 GDPR).
In particolare, facendo un parallelo con la precedente nozione di dato sensibile,
la disposizione europea ne amplia la portata e affianca all'originaria definizione i
dati genetici, biometrici e quelli relativi alla salute.
Lo stesso può dirsi per il dato giudiziario che di fatto non scompare del tutto,
ma viene presentato sotto la veste dei “dati personali relativi alle condanne
penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza”.

4. TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI


A) PRINCIPI E CONDIZIONI DI LICEITA’
Il dato personale è “TRATTATO” quando è sottoposto a qualsiasi operazione o
insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati
quali: la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'estrazione,
la consultazione, l'uso, la limitazione, nella cancellazione o la distruzione.
Ai sensi dell'ART.5 DEL REGOLAMENTO → i dati personali devono essere:
a) trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell'interessato
(liceità, correttezza e trasparenza);

b) raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente


trattati in un modo che non sia incompatibile con tali finalità iniziali
(limitazione della finalità);

c) adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le


quali sono trattati (minimizzazione dei dati);

d) esatti e, se necessario, aggiornati (esattezza);

e) conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un


arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per cui sono
trattati (limitazione della conservazione).
Il trattamento deve garantire un'adeguata sicurezza dei dati personali,
compresa la protezione da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita o
dal danno accidentale (integrità e riservati).
Il trattamento del dato personale deve essere anche LECITO. Un trattamento è
lecito SOLO SE E NELLA MISURA IN CUI ricorra ALMENO UNA delle
condizioni indicate:
a) che l'interessato abbia espresso il consenso al trattamento dei propri dati
personali per una più specifica e finalità;
b) che il trattamento sia necessario all'esecuzione di un contratto di cui
l'interessato è parte;
c) che il trattamento sia necessario per adempiere a un obbligo legale a cui
il titolare è soggetto;
d) che il trattamento sia necessario per la salvaguardia degli interessi vitali
dell'interessato;
e) che il trattamento sia necessario per l'esecuzione di un compito di
interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è
investito il Titolare del trattamento;
f) che il trattamento sia necessario per il perseguimento del legittimo
interesse del titolare o di terzi.

I dati personali trattati in violazione della disciplina in tema di trattamento NON


POSSONO ESSERE UTILIZZATI.

B) TRATTAMENTO DI CATEGORIE PARTICOLARI DI DATI


PERSONALI
ART.9 DEL REGOLAMENTO → stabilisce il DIVIETO DI TRATTARE DATI
PERSONALI che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le
convinzioni religiose o filosofiche, l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati
genetici dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati
relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.
Sono, però, previste delle ECCEZIONI: ad es., il trattamento di tali categorie di
dati è consentito qualora l'interessato abbia prestato il proprio consenso
esplicito per una o più finalità specifiche, o laddove il trattamento sia necessario
per tutelare interesse vitale dell'interessato.
L'ART.2 SEXIES DEL CODICE DELLA PRIVACY stabilisce che i trattamenti
delle categorie particolari di dati personali necessari per motivi di interesse
pubblico rilevante sono ammessi qualora siano previsti dal diritto dell'Ue o da
disposizioni di legge, di regolamento o da atti amministrativi generali che
specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il
motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche
per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato.
Il legislatore individua, poi, le ipotesi in cui ex lege è considerato rilevante
l'interesse pubblico.
Con riferimento i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, per la loro
peculiarità, l'ART.9 DEL REGOLAMENTO rimette agli Stati membri la possibilità
di MANTENERE O INTRODURRE ULTERIORI CONDIZIONI rispetto a quelle
genericamente individuate dalla norma stessa.

C) TRATTAMENTO DI DATI PERSONALI RELATIVI A


CONDANNE PENALI E REATI
Il trattamento di questa categoria di dato personale, secondo il legislatore
europeo, per essere LECITO deve avvenire solo sotto il controllo dell'autorità
pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati
membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati.
Di rimando, il nuovo ART.2 OCTIES DEL CODICE DELLA PRIVACY prevede che
il trattamento di dati personali relativi a condanne penali e a reati o a
connesse misure di sicurezza, che non avviene sotto il controllo dell'autorità
pubblica, è consentito solo se autorizzato da una norma di legge o di
regolamento, che prevedano garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli
interessati. In mancanza, le garanzie sono individuate con decreto del Ministro
della giustizia, sentito il Garante.

CAPITOLO 28 – TITOLARE DEI DATI E DEL TRATTAMENTO


1. TITOLARE DEI DATI: L’INTERESSATO
L'INTERESSATO è la persona fisica identificata o identificabile che è TITOLARE
DEI DATI. In quanto titolare dei dati da trattare, tale figura ha diversi diritti,
primo tra tutti il CONSENSO AL TRATTAMENTO.
Per CONSENSO si intende qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica,
informata e inequivocabile con la quale l'interessato manifesta il proprio assenso a
che i propri dati personali siano trattati.
Se il trattamento si basa sul consenso, il titolare del trattamento deve essere in
grado di dimostrare che l'interessato ha prestato il proprio consenso al
trattamento dei propri dati personali. Il diritto di revocare il consenso può
essere esercitato in qualsiasi momento, ma la revoca non pregiudica la liceità del
trattamento basata sul precedente consenso. Per poter prestare il consenso in
modo consapevole, l'interessato deve essere preventivamente notiziato di una
serie di informazioni: a tale scopo risponde l'INFORMATIVA RAFFORZATA che il
titolare del trattamento ha l'obbligo di fornire all'interessato prima che questi
presti il consenso.
L'informativa è data in genere in forma scritta e, per essere comprensibile
all'interessato, va redatta con linguaggio semplice e immediato.
Gli ULTERIORI DIRITTI RICONOSCIUTI ALL’INTERESSATO sono:
 il DIRITTO DI ACCESSO → si tratta del diritto di chiedere al titolare la
conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo
riguardano e in tal caso, di ottenere l'accesso ai dati personali e alle
informazioni;

 il DIRITTO ALLA PORTABILITA’ DEI DATI → il diritto dell'interessato di


ricevere in un formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo
automatico, i dati personali che lo riguardano e ha diritto di trasmettere tali
dati a un'altro titolare del trattamento senza impedimenti;

 il DIRITTO DI OPPOSIZIONE → consiste nel diritto dell'interessato di


opporsi in qualsiasi momento al trattamento dei dati personali che lo
riguardano;

 il DIRITTO A NON ESSERE SOTTOPOSTO A DECISIONI


AUTOMATIZZATE → l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a
una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato;
 il DIRITTO ALL’OBLIO → consiste nel diritto dell'interessato di chiedere e
ottenere la cancellazione dei propri dati personali, anche online, da parte del
titolare del trattamento, se essi non sono più necessari rispetto alle finalità
per cui sono stati raccolti o trattati, se l'interessato si oppone o revoca il
consenso o, ancora, se vi sia stato un trattamento illecito dei dati.
Se l'interessato ritiene che il trattamento dei dati personali che lo riguardano
non sia conforme alla normativa vigente, può rivolgersi o all'autorità
giudiziaria o al Garante. Gli strumenti di tutela dinanzi al Garante sono DUE:
il RECLAMO e la SEGNALAZIONE.

2. TITOLARE DEL TRATTAMENTO E RESPONSABILE DEL


TRATTAMENTO
Il TITOLARE DEL TRATTAMENTO è colui che determina le FINALITA’ e i
MEZZI DEL TRATTAMENTO DI DATI PERSONALI: può trattarsi di una
persona fisica o giuridica, di un'autorità pubblica, un servizio o altro
organismo che operano singolarmente o insieme ad altri soggetti. Questa
figura corrisponde al soggetto che ha la PIENA RESPONSABILITA’ di
controllare che i dati siano trattati in modo sicuro, nel rispetto della legge.
Al titolare del trattamento si affianca un'altra figura, un soggetto fisico o
giuridico, nominato dal titolare anche in base al rapporto fiduciario che
intercorre tra i due, che abbia una competenza specialistica, una solida
professionalità e capacità operative nella materia del trattamento dei dati
personali: cioè il RESPONSABILE DEL TRATTAMENTO.
Egli svolge una funzione di supporto al titolare nel trattamento dei dati. In
pratica, al responsabile il titolare chiede di eseguire specifici compiti di
gestione e controllo nel trattamento. Se poi le esigenze lo richiedano, il titolare
può designare più di un responsabile, da individuare per iscritto.
Inoltre, si impone ad ogni titolare del trattamento e al responsabile del
trattamento, per le imprese o organizzazioni con più di 250 dipendenti,
l'obbligo di tenere un registro delle attività di trattamento svolte sotto la
propria responsabilità.

3. ACCOUNTABILITY E VALUTAZIONE DEL RISCHIO


Il regolamento analizza specificamente 2 ASPETTI essenziali propri della figura
del titolare e delle sue competenze: la responsabilizzazione e la valutazione del
rischio. In particolare:
 ACCOUNTABILITY O RESPONSABILIZZAZIONE → è l'obbligo del titolare
di mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate a
garantire, ed essere in grado di dimostrare, che il trattamento sia
effettuato conformemente alla normativa europea;
 VALUTAZIONE DEL RISCHIO → il rischio legato al trattamento consiste
nell'impatto negativo che il trattamento potrebbe avere sulle libertà
dei diritti degli interessati. I rischi per i diritti e le libertà delle persone
fisiche possono derivare da trattamenti di dati personali suscettibili di
cagionare un danno fisico, materiale o immateriale.
In particolare, la valutazione di impatto del trattamento è un onere posto a
carico del titolare del trattamento, che dovrà effettuare una valutazione
preventiva delle conseguenze del trattamento dei dati sulle libertà e i diritti degli
interessati. La valutazione del rischio deve essere effettuata per ogni singolo
trattamento e, in presenza di rischi elevati, il titolare dovrà individuare le
misure specifiche richieste per attenuare o eliminare il rischio.

DATA BREACH
Le VIOLAZIONI DEI DATI PERSONALI sono dette DATA BREACH → si tratta di
violazioni di sicurezza che comportano - accidentalmente o in modo illecito - la
distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l'accesso ai
dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.
Esse sono quindi capaci di pregiudicare la riservatezza, l'integrità o la disponibilità
di dati personali.
In caso di violazione dei dati personali, il titolare deve darne informazione
all'autorità di controllo (Garante), senza ingiustificato ritardo e, ove possibile, entro
72 ore dal momento in cui ne è venuto a conoscenza.

4. DATA PROTECTION OFFICER (DPO)


L’ART.37 del REGOLAMENTO → introduce la figura del RESPONSABILE DELLA
PROTEZIONE DEI DATI (Data Protection Officer – DPO), un vero “guardiano del
dato”. La designazione di un DPO non è obbligatoria, ma viene circoscritta alle
sole ipotesi in cui:
a) il trattamento è effettuato da un'autorità pubblica o da un organismo
pubblico, eccettuate le autorità giurisdizionali quando esercitano le loro
funzioni giurisdizionali;
b) le attività principali del titolare del trattamento o del responsabile del
trattamento consistono in trattamenti che richiedono il monitoraggio
regolare e sistematico degli interessati su larga scala;
c) le attività principali del titolare del trattamento o del responsabile del
trattamento consistono nel trattamento, su larga scala, di categorie
particolari di dati personali (dati sensibili e super sensibili) o di dati
relativi a condanne penali e a reati (dati giudiziari).
La DESIGNAZIONE DEL DPO viene effettuata dal titolare del trattamento e dal
responsabile del trattamento in funzione delle sue qualità professionali. Egli potrà
essere un dipendente del titolare del trattamento o del responsabile del
trattamento oppure un collaboratore esterno.
Dal punto di vista giuridico si tratta di una FIGURA DEL TUTTO AUTONOMA
che agisce senza alcun vincolo rispetto al titolare del trattamento o al
responsabile del trattamento; egli deve essere adeguatamente coinvolto in tutte
le questioni riguardanti la protezione dei dati personali; ha il compito di
informare e fornire consulenza al titolare o al responsabile del trattamento in
materia di privacy e di sorvegliare l'osservanza del regolamento europeo. Egli,
inoltre, è la figura di raccordo e di contatto con l'autorità di controllo (il
Garante privacy) per tutte le questioni connesse al trattamento.
In pratica, il DPO è un riferimento essenziale per assicurare un corretto approccio
al trattamento dei dati personali, specie in una P.A. sempre più incline alla
digitalizzazione e trasformazione.

CAPITOLO 29 – CONTRATTI DELLA P.A.


1. ATTIVITA’ CONTRATTUALE DELLA P.A.: CARATTERI
L'AZIONE AMMINISTRATIVA DELLA P.A. può esplicarsi tanto nelle forme del
diritto pubblico, mediante il provvedimento amministrativo, quanto nelle
forme del diritto privato, stipulando ad esempio i contratti.
L'attività contrattuale dello Stato e degli altri enti pubblici è tuttavia regolata,
oltreché dal diritto privato, da norme dell'ordinamento giuspubblicistico.
La possibilità riconosciuta alla P.A. di esplicare la propria attività amministrativa,
scegliendo, alternativamente, tra il provvedimento amministrativo e il contratto,
comporta conseguenze diverse in ordine al RAPPORTO P.A. – CITTADINO,
soprattutto con riferimento al regime che caratterizza i relativi atti.
Infatti, qualora la P.A. decida di utilizzare strumenti propri del diritto pubblico,
la stessa agisce in una POSIZIONE DI SUPREMAZIA rispetto al privato; laddove,
invece, la P.A. utilizzi strumenti propri del diritto privato si pone su un PIANO
DI PARITA’ con il privato cittadino, dividendo “parte” del relativo rapporto.
Si precisa che il ricorso a schemi privatistici non implica una rinuncia a quelle
connotazioni legate alla sua natura “pubblica”, che le impongono il
perseguimento di quei fini pubblici alla cui tutela essa è preposta.
ART.1, COMMA 1 BIS, L.241/1990 → prevede che “la P.A., nell'adozione di atti
di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la
legge disponga diversamente”: tale norma formalizza una piena e generale
capacità di diritto privato dell'amministrazione, che trova quale unico limite
quello per cui può essere esercitata “solo nei casi in cui vi sia attinenza con le
finalità pubbliche”.

2. CLASSIFICAZIONE DEI CONTRATTI DELLA P.A.


I contratti della P.A. possono distinguersi:
a) CONTRATTI ORDINARI → sono i cd. contratti di diritto comune
caratteristici dell'autonomia privata (es. vendita, locazione). Essi non
presentano alcuna particolarità rispetto agli schemi contrattuali utilizzati
dai soggetti privati;
b) CONTRATTI SPECIALI DI DIRITTO PRIVATO → contratti regolati da
norme di diritto privato speciale (ad es. i contratti di trasporto ferroviario).
La loro peculiarità risiede nel fatto di essere regolati da norme civilistiche
speciali rispetto a quelle generali del Codice civile;
c) CONTRATTI AD OGGETTO PUBBLICO → si caratterizzano per la
commistione tra provvedimento amministrativo e contratto (es.: convenzioni
che si accompagnano alla concessione di un bene pubblico).
Inoltre, un'altra importante distinzione è quella tra:
 CONTRATTI PASSIVI → ossia quei contratti con cui la P.A. si procura
beni e servizi necessari al proprio funzionamento dietro erogazione di
somme di denaro (es.: appalti, compravendita, locazione, contratto
d'opera ecc.)
 CONTRATTI ATTIVI → ossia quei contratti mediante i quali
l'amministrazione si procura delle entrate finanziarie (es.: compravendita,
nel caso in cui la P.A., riveste il ruolo di venditore; locazione quando il
soggetto pubblico è locatore)

3. CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI (D.LGS. 36/2023)


Nel nostro ordinamento, la definizione di una normativa sui contratti pubblici
non è mai stata di facile funzione, giacché si tratta di un settore normativo che
è in continua evoluzione. L'ultima tappa di questo processo ha portato
all'approvazione del CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI 2023,
D.LGS. 36/2023, che è il terzo Codice intervenuto in materia; i primi due
codici dei contratti pubblici, il D.LGS.163/2006 e il D.LGS. 50/2016, sono
stati approvati per attuare delle direttive europee.
Dal punto di vista strutturale, il CODICE 2023 è formato da 5 LIBRI, a loro volta
suddivisi in TITOLI e PARTI ed è composto da 229 ARTICOLI. In particolare,
abbiamo:
o LIBRO I → che tratta di principi, digitalizzazione, programmazione e
progettazione.

o LIBRO II → che tratta dell'appalto e si compone di 7 parti, le quali


disciplinano tutti gli aspetti legati agli appalti nei settori ordinari, alle
procedure di scelta del contraente, dallo svolgimento delle procedure
all'esecuzione del contratto, concludendo con l'individuazione di
disposizioni particolari per alcuni contratti dei settori ordinari.

o LIBRO III → che è dedicato all'appalto nei settori speciali.

o LIBRO IV → che detta la disciplina del partenariato pubblico-privato e


delle concessioni.
o LIBRO V → che contiene disposizioni relative al contenzioso e all'Autorità
nazionale anticorruzione. A queste si aggiungono disposizioni finali e
transitorie.
Inoltre, gli allegati al Codice assumono un ruolo determinante in quanto vanno
ad integrare le disposizioni del testo principale, sostituendo ogni altra fonte
attuativa e, specificamente, le 17 linee guida A.N.A.C. e i 15 regolamenti ancora
vigenti, tra cui il D.P.R. 207/2010 (attuativo del Codice dei contratti del 2006).
Ciò significa che per avere una visione unitaria la disciplina in materia di
contratti pubblici non si può prescindere dalle disposizioni contenute negli
allegati.

IL PERIODO TRANSITORIO TRA VECCHIO E NUOVO


Il CODICE 2023 entra in vigore il 1’ APRILE 2023 e acquista efficacia,
insieme agli allegati, il 1’ LUGLIO 2023; tuttavia, sono individuate alcune
disposizioni che entreranno in vigore il 1’ GENNAIO 2024.

4. SISTEMA DI GOVERNANCE SUI CONTRATTI PUBBLICI


Il CODICE 2023 di dedica una serie di disposizioni contenute nel LIBRO V
(PARTE II, ARTT. DA 221 A 223) a tutti i SOGGETTI che, a vario titolo,
concorrono a garantire una gestione efficiente del sistema dei contratti stipulati con
le amministrazioni pubbliche. In particolare, la governance sui contratti pubblici
è affidata: alla Cabina di regia, all'Autorità nazionale anticorruzione (A.N.A.C.) e al
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
CABINA DI REGIA → istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, è la
sede istituzionale per il coordinamento nell'attuazione del codice, per l'analisi delle
proposte di modifica legislativa regolamentare, per la condivisione delle
informazioni e per la diffusione della conoscenza delle migliori e delle peggiori
pratiche.
AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE (A.N.A.C.) → svolge i compiti in
materia di vigilanza e controllo dei contratti pubblici, agendo anche al fine di
prevenire e contrastare i fenomeni di illegalità e corruzione. Il D.LGS. 36/2023
individua le funzioni dell'A.N.A.C. e, nell'individuare i correlativi poteri
sanzionatori, rispetto al passato, ne rafforza il ruolo e la capacità di incidere
direttamente sul mercato dei contratti pubblici.
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI → promuove le
attività tecniche e amministrative ai fini della progettazione delle infrastrutture ed
effettua le attività di supporto agli enti territoriali.

5. PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI


Una novità assoluta del CODICE 2023, che lo contraddistingue e differenzia
rispetto al precedente D.LGS. 50/2016, è l’individuazione dei PRINCIPI GUIDA
che riguardano l'intera materia dei contratti pubblici (LIBRO I, PARTE I). I
principi generali sono esplicati negli ARTT. DA 1 A 11 del testo, a cui si aggiunge
l'ART.12 che, a chiusura del sistema, contiene un rinvio esterno alla legge sul
procedimento amministrativo (L.241/1990) e al Codice civile per
regolamentare “quanto non espressamente previsto nel Codice”.
I PRINCIPI SONO:
il PRINCIPIO DEL RISULTATO (ART.1) implica che le stazioni appaltanti e gli
enti concedenti devono perseguire il risultato dell'affidamento del contratto e
della sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile
tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
il PRINCIPIO DELLA FIDUCIA (ART.2) si traduce nella reciproca fiducia
nell'azione legittima, trasparente e corretta nelle pubbliche amministrazioni,
dei suoi funzionari e degli operatori economici. Lo scopo del principio della fiducia
è quello di favorire e valorizzare l'iniziativa e l'autonomia decisionale dei funzionari
pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l'acquisizione
e l'esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato. La disposizione
circoscrive, ai fini della responsabilità amministrativa, le ipotesi di colpa grave.
Nell'ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione,
affidamento ed esecuzione dei contratti, costituisce COLPA GRAVE, infatti:
o la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi;
o la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza;
o l'omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive
normalmente richieste nell'attività amministrativa, in quanto esigibili nei
confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e relazione
al caso concreto.
Non costituisce, invece, colpa grave la violazione o l'omissione dal riferimento a
indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti.
il PRINCIPIO DELL’ACCESSO AL MERCATO degli operatori economici (ART.3)
prevede l'obbligo per le stazioni appaltanti gli enti concedenti di favorire tale
accesso secondo le modalità individuate dal Codice stesso e nel rispetto dei
principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e
proporzionalità.

6. CONTRATTI PUBBLICI TRA SETTORI ORDINARI E SETTORI


SPECIALI
Per comprendere la disciplina sui contratti pubblici e il funzionamento del
sistema bisogna partire da una distinzione di carattere generale che riguarda i
settori nei quali trovano applicazione le norme in materia.
LA DISTINZIONE È QUELLA TRA SETTORI ORDINARI E SETTORI SPECIALI.
o I cd. “SETTORI SPECIALI” sono individuati negli ARTT. DA 146 A 152
(contenuti nel LIBRO III) e sono: gas ed energia termica, elettricità, acqua,
servizi di trasporto, porti e aeroporti, servizi postali, sfruttamento di area
geografica.
o Per esclusione, i “SETTORI ORDINARI” sono tutti gli altri.
7. AMBITO DI APPLICAZIONE DEL CODICE
Affinché le norme del Codice possano essere applicate è necessario individuare
sia i SOGGETTI che sono tenuti alla loro applicazione nello svolgimento la
propria attività contrattuale (ambito soggettivo) sia le TIPOLOGIE
CONTRATTUALI alle quali le norme si applicano (ambito oggettivo).

A) AMBITO SOGGETTIVO
I SOGGETTI tenuti all'applicazione delle norme del Codice sono: le
AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI e gli ENTI AGGIUDICATORI.
o Le AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI sono le amministrazioni dello
Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli
organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque
denominati, costituiti da “detti soggetti”.

o Gli ENTI AGGIUDICATORI sono, invece, soggetti operanti nei settori


speciali e sono: lo Stato, le autorità regionali o locali, gli organismi di diritto
pubblico o le associazioni costituite da uno o più di tali autorità o da uno o
più di tali organismi di diritto pubblico; le imprese pubbliche o gli enti che
operano in detti settori in virtù di diritti speciali o esclusivi.
Il legislatore del Codice utilizza, inoltre, le espressioni generiche di stazione
appaltante ed ente concedente, collegate alle due macro-aree degli appalti e
delle concessioni.
La STAZIONE APPALTANTE è identificata in “qualsiasi soggetto, pubblico o
privato, che affida contratti di appalto di lavori, servizi e forniture e che è comunque
tenuto, nella scelta del contraente, al rispetto del Codice”;
L'ENTE CONCEDENTE è “qualsiasi amministrazione aggiudicatrice o ente
aggiudicatore, ovvero altro soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di
concessione di lavori o di servizi e che è comunque tenuto, nella scelta del
contraente, al rispetto del Codice”.
Sempre dal punto di vista soggettivo, il Codice disciplina anche tutti quei
soggetti che possono partecipare a una gara e, a seguito dell'aggiudicazione,
stipulare il contratto con l'amministrazione: i soggetti aggiudicatari.
Il legislatore ha definito l'operatore economico, il candidato e l'aggiudicatario:
OPERATORE ECONOMICO → è qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di
lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata,
può offrire sul mercato prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a
quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica.
CANDIDATO → è l'operatore economico che ha sollecitato un invito o è stato
invitato a partecipare ad una procedura ristretta, a una procedura competitiva con
negoziazione, a una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando
di gara o un dialogo competitivo.
AGGIUDICATARIO → è l'operatore economico al quale è affidato un appalto o una
concessione.

B) AMBITO OGGETTIVO ED ESCLUSIONI


Le norme del Codice si applicano ai CONTRATTI DI APPALTO E DI
CONCESSIONE:
i CONTRATTI DI APPALTO sono i contratti a titolo oneroso stipulati per
iscritto tra una o più stazioni appaltanti e una o più operatori economici, aventi
per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di
servizi. Il contratto di appalto può essere di lavori, servizi o forniture.
i CONTRATTI DI CONCESSIONE sono, invece, i contratti a titolo oneroso
stipulati per iscritto a pena di nullità in virtù dei quali una o più amministrazioni
aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l'esecuzione di lavori o la
fornitura e la gestione dei servizi a uno o più operatori economici, ove il
corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o servizi oggetto di
contratti o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
L’ART.13 DEL CODICE individua, inoltre, alcuni contratti che non rientrano
nell'ambito di applicazione dello stesso: i contratti esclusi, i contratti attivi e i
contratti a titolo gratuito, anche qualora offrano opportunità di guadagno
economico, anche in diritto. Ove tali contratti offrano opportunità di guadagno
economico, anche indiretto, il loro affidamento avviene tenendo conto dei principi
del risultato, della fiducia e dell'accesso al mercato.
Infine, la disposizione stabilisce che le previsioni codicistiche non si applicano ai
contratti di società e le operazioni straordinarie che non comportino nuovi
affidamenti di lavori, servizi e forniture. Si ricorda, poi, che anche i contratti
esclusi sono sottoposti alla vigilanza e al controllo dell'A.N.A.C.

C) CONTRATTI SOPRA SOGLIA E SOTTO SOGLIA


Le disposizioni del Codice disciplinano sia i CONTRATTI DI RILEVANZA
EUROPEA, O SOPRA SOGLIA, che i CONTRATTI CD. SOTTO SOGLIA, la cui
DISTINZIONE si basa sull'importo stimato del contratto al netto dell'imposta
sul valore aggiunto: i primi sono quei contratti il cui valore stimato al netto
dell'IVA è pari o superiore a determinate soglie economiche; i secondi sono quei
contratti il cui valore stimato al netto dell'IVA è inferiore alle dette soglie
economiche.
La determinazione economica di tali soglie è contenuta nell'ART.14 DEL
CODICE, ma le stesse sono periodicamente rideterminate dal legislatore europeo.
La determinazione del valore di un appalto o di una concessione rispetto alle
soglie economiche fissate è fondamentale in quanto dalla qualificazione come “di
rilevanza europea” o “sotto soglia” derivano conseguenze diverse in ordine al
regime normativo da applicare al contratto. Con riferimento ai CONTRATTI
SOTTO SOGLIA, il LEGISLATORE DEL 2023, a differenza di quanto fatto in
precedenza, ha dedicato agli stessi l'intera PARTE I DEL LIBRO II,
raggruppando così in un'unica parte tutte le disposizioni che li disciplinano
(ARTT. DA 48 A 55).

8. RESPONSABILE UNICO DEL PROGETTO


L’ART.15 D.LGS. 36/2023 individua la figura del RESPONSABILE UNICO DEL
PROGETTO o intervento che assicura il completamento dell'intervento pubblico
nei termini previsti e nel rispetto degli obiettivi connessi al suo incarico, svolgendo
tutte le attività necessarie.
Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono nominare nell'interesse proprio
o di altre amministrazioni, nel primo atto di avvio dell'intervento pubblico da
realizzare mediante un contratto, un RESPONSABILE UNICO DEL PROGETTO,
per le fasi della programmazione, della progettazione, dell'affidamento e
dell'esecuzione. Egli deve essere scelto tra i loro dipendenti, anche a tempo
indeterminato, preferibilmente in servizio presso l'unità organizzativa titolare del
potere di spesa.
In caso di mancata nomina del RUP nell'atto di avvio dell'intervento pubblico,
l'incarico è svolto dal responsabile dell'unità organizzativa competente per
l'intervento. L'ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato.

9. DIGITALIZZAZIONE DEI CONTRATTI PUBBLICI


Il CODICE DEI CONTRATTI 2023 dedica una serie di previsioni del LIBRO I
(PARTE II, ARTT. DA 19 A 36) alla DIGITALIZZAZIONE DEL CICLO DI VITA
DEI CONTRATTI PUBBLICI.
Tali norme, però, salvo quelle sulle procedure di acquisizione (sistemi dinamici di
acquisizione, aste elettroniche e cataloghi elettronici) si applicano a decorrere dal
1° gennaio 2024.
Si tenga presente che le procedure sono esclusivamente telematiche e la
partecipazione agli appalti avviene attraverso l'intermediazione di una
CENTRALE ACQUISTI (come la Consip S.p.A. - Concessionaria servizi informatici
pubblici) o mediante PIATTAFORME ELETTRONICHE (ad esempio MePA -
Mercato elettronico della pubblica amministrazione).
Per aderire al sistema i concorrenti devono accreditarsi presso la
piattaforma scelta dall'amministrazione che indice il bando.

CAPITOLO 30 – FASE PROPEDEUTICA ALLA GARA


1. PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI E DEGLI ACQUISTI DI BENI
E SERVIZI
La programmazione dei lavori e degli acquisti di beni e servizi è regolata dagli
ARTT.37-40 DEL CODICE 2023 e dall’ALLEGATO I.5 al Codice stesso.
Le STAZIONI APPALTANTI E GLI ENTI CONCEDENTI DEVONO:
 adottare il PROGRAMMA TRIENNALE DEGLI ACQUISTI DI BENI E
SERVIZI e il PROGRAMMA TRIENNALE DEI LAVORI PUBBLICI. Essi
sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori e in coerenza con
il bilancio e, per gli enti locali, secondo le norme della programmazione
economico-finanziaria e i principi contabili.

 approvare l'ELENCO ANNUALE che individua i lavori da avviare nella


prima annualità e specifica per ogni opera la fonte di finanziamento,
stanziata nello stato di previsione o nel bilancio comunque disponibile.
I lavori, i servizi e le forniture da realizzare in amministrazione diretta, cioè quelle
acquisizioni effettuate dalle stazioni appaltanti con materiale e mezzi propri e con
personale proprio sotto la direzione del RUP, non sono inseriti nella
programmazione.
 Il PROGRAMMA TRIENNALE DEGLI ACQUISTI DI BENI E SERVIZI →
indica gli acquisti di importo unitario stimato pari o superiore al
valore economico di 140.000 €.

 il PROGRAMMA TRIENNALE DEI LAVORI PUBBLICI → contiene i lavori,


compresi quelli complessi e da realizzare tramite concessione o
partenariato pubblico-privato il cui importo si stima pari o superiore a
150.000 €.
I lavori di importo pari o superiore alla soglia di rilevanza europea (ossia di
importo pari a 5.382.000 €) sono inseriti nell'elenco triennale dopo
l'approvazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali e
nell'annuale dopo l'approvazione del documento di indirizzo della progettazione.

2. PROGETTAZIONE
Il sistema della progettazione è delineato negli ARTT. 41 e 42 DEL CODICE,
nonché nell'ALLEGATO I.7 DEL CODICE. La PROGETTAZIONE in materia di
lavori pubblici è volta ad assicurare il soddisfacimento dei fabbisogni della
collettività; la conformità alle norme ambientali, urbanistiche e di tutela dei beni
culturali e paesaggistici, nonché il rispetto di quanto previsto dalla normativa in
materia di tutela della salute e della sicurezza delle costruzioni, ecc.
La progettazione si articola in 2 LIVELLI DI SUCCESSIVI APPROFONDIMENTI
TECNICI:
il PROGETTO DI FATTIBILITA’ TECNICA ED ECONOMICA → ha un contenuto
complesso: individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra
costi e benefici per la collettività; sviluppa tutte le indagini e gli studi richiesti dai
lavori; individua le caratteristiche dimensionali, funzionali e tecnologiche dei lavori
da realizzare.
il PROGETTO ESECUTIVO → determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare, il
costo previsto, il cronoprogramma, e deve essere sviluppato in modo che ogni
elemento sia identificato in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo.
Per la progettazione di servizi e forniture, essa è articolata in un unico livello
ed è predisposta dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti mediante i propri
dipendenti in servizio.

3. QUALIFICAZIONE E AGGREGAZIONE DELLE STAZIONI


APPALTANTI
ART.62 del CODICE 2023 → prevede che tutte le stazioni appaltanti possano
acquisire direttamente e autonomamente forniture e servizi i cui importi non
sono superiori alle soglie stabilite per gli affidamenti diretti (140.000 €), mentre
per l'affidamento dei lavori tale soglia fissata nel limite di 500.000 €, nonché
attraverso l'effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a
disposizione delle centrali di committenza e dei soggetti aggregatori.
La CENTRALE DI COMMITTENZA è una stazione appaltante o un ente
concedente che forniscono attività di centralizzazione delle committenze in
favore di altre stazioni appaltanti o enti concedenti e, se del caso, attività di
supporto all'attività di committenza.
I SOGGETTI AGGREGATORI sono delle centrali di committenza più
qualificate e sono iscritti di diritto nell'elenco A.N.A.C.
Oltre ai suddetti limiti, le stazioni appaltanti devono ottenere una qualificazione.
La QUALIFICAZIONE delle stazioni appaltanti e delle centrali di
committenza attesta la loro capacità di gestire direttamente, secondo criteri di
qualità, efficienza e professionalizzazione, e nel rispetto dei principi di
economicità, efficienza, tempestività e correttezza, le attività che caratterizzano il
processo di acquisizione di un bene, di un servizio o di un lavoro e riguarda
almeno uno dei seguenti ambiti: progettazione tecnico amministrativa e
affidamento delle procedure; esecuzione dei contratti.
Il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti è regolato dall'ART.63 che
prevede l'istituzione, presso l'A.N.A.C., di un elenco delle stazioni appaltanti
qualificate, periodicamente aggiornato.
L’allegato stabilisce, poi, quali sono i requisiti di qualificazione che le stazioni
appaltanti devono possedere per ottenere, appunto, la qualificazione.
ESSI SONO:

 l’iscrizione all'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti;


 la presenza nel proprio organigramma di un ufficio o struttura
stabilmente dedicati alla progettazione e agli affidamenti di lavori o
di servizi e forniture;
 la disponibilità di piattaforme di approvvigionamento digitale
(richiesto dal 1° gennaio 2024).
Oltre ai suddetti requisiti obbligatori, le stazioni appaltanti ottengono un
punteggio a seconda del grado di possesso di alcune qualità previste dalle
specifiche tabelle riportate dall'Allegato II.4.
La QUALIFICAZIONE PER LA PROGETTAZIONE SIA PER I SERVIZI E
FORNITURE SIA PER I LAVORI, SI ARTICOLA IN TRE FASCE D’IMPORTO:
o qualificazione di base o primo livello (per servizi e forniture fino a
750.000 € e per i lavori fino a 1 milione di euro);
o qualificazione intermedia o di secondo livello (per servizi e forniture fino
a 5 milioni di euro e per i lavori fino alla soglia di cui all’art.14);
o qualificazione avanzata o di terzo livello (senza limiti di importo).

La QUALIFICAZIONE ha ad oggetto le attività che caratterizzano il processo di


acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione ai seguenti ambiti e
riguarda:
o la capacità di progettazione tecnico-amministrativa delle procedure;
o la capacità di affidamento e controllo dell'intera procedura;
o la capacità di verifica sull'esecuzione contrattuale, ivi incluso il
collaudo e la messa in opera.

CAPITOLO 31 – PROCEDURA DI EVIDENZA PUBBLICA


1. PROCEDURA DI EVIDENZA PUBBLICA
Per poter stipulare un contratto è necessario che la P.A. segua una determinata
e specifica procedura, la quale deve garantire che l'affidamento del contratto
avvenga in favore dell'offerta più meritevole, all'esito di un confronto
concorrenziale tra tutte quelle presentate e che renda evidenti le ragioni che
inducono a stipulare proprio con un determinato soggetto:
la cd. EVIDENZA PUBBLICA.
In tale sede, ci si sofferma sulla procedura di affidamento che deve essere seguita
dalla stazione appaltante per scegliere il contraente con cui stipulare il contratto,
per gli APPALTI NEI SETTORI ORDINARI. La procedura è contenuta negli
ARTT.17 E 18 del CODICE (inseriti nel Libro I, Parte I, Titolo II) e si applica
anche alle concessioni.
Per gli APPALTI NEI SETTORI SPECIALI, invece, trovano applicazione il Libro
III, nonché le altre disposizioni individuate nell'ART.141 DEL CODICE, tra cui
rientrano anche gli ARTT.17 E 18 concernenti la procedura.
Tali articoli, inoltre, si applicano anche per l'affidamento contratti di lavori, servizi
e forniture di importo inferiore alle soglie europee, cd. SOTTO SOGLIA, in virtù
del richiamo contenuto nell'ART. 48 DEL CODICE.
ART. 17 DEL CODICE → innanzitutto, pone a carico delle stazioni appaltanti e
degli enti concedenti l'obbligo di adottare, prima dell'avvio delle procedure di
affidamento, un atto con il quale manifestano all'esterno la volontà di contrarre
(cd. DELIBERA O DETERMINA A CONTRARRE).
Una NOVITA’ DEL CODICE 2023 è la previsione di precisi termini entro cui le
stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono concludere le procedure di
selezione.
Si stabilisce, inoltre, che il superamento del termine di conclusione della
procedura comporta espressamente la formazione di un silenzio inadempimento
da parte della stazione appaltante o dell'ente concedente (avverso il quale è
proponibile azione innanzi al giudice amministrativo) e che tale comportamento
costituisce violazione del dovere di buona fede e del connesso principio di
tutela dell'affidamento del concorrente (ex ART.5 DEL CODICE).
Quanto allo svolgimento della procedura di affidamento, dagli ARTT.17 E 18
DEL CODICE può dirsi che, oltre alle ATTIVITA’ PREPARATORIE, i momenti
salienti sono:
1. La fase di SCELTA DEL CONTRAENTE, che termina con
l'AGGIUDICAZIONE del contratto;
2. la CONCLUSIONE DEL CONTRATTO;
3. l'APPROVAZIONE DEL CONTRATTO.

2. DOCUMENTI DI GARA E INDIZIONE


Una volta deciso di voler affidare un contratto, l'amministrazione predispone i
DOCUMENTI DI GARA (cd. LEX SPECIALIS), che regolano nello specifico la
singola procedura concorsuale, rendendo nota e terzi la volontà di affidare un
contratto pubblico. Costituiscono documenti di gara, in particolare:
o il bando, l'avviso di gara o la lettera di invito;
o il disciplinare di gara (che fissa le regole per il procedimento di selezione
delle offerte);
o il capitolato speciale (che definisce i contenuti del futuro rapporto
contrattuale tra aggiudicatario e stazione appaltante);
o le condizioni contrattuali proposte.

Tuttavia, si precisa che il Codice disciplina una fase preliminare a quella di avvio
della procedura di gara, prevedendo che le stazioni appaltanti possono avviare
CONSULTAZIONI DI MERCATO per predisporre gli atti di gara, compresa la
scelta delle procedure di gara, e per informare gli operatori economici degli appalti
da esse programmati e dei requisiti relativi a questi ultimi.
Inoltre, nella stesura dei documenti di gara le stazioni appaltanti hanno l'obbligo
di inserire specifiche tecniche che definiscono le caratteristiche previste per
lavori, servizi o forniture.
L'INDICAZIONE DELLA PROCEDURA avviene mediante il BANDO DI GARA o, in
ipotesi specificamente indicate, mediante avviso di preinformazione o mediante
inviti a partecipare rivolti ai candidati. La SELEZIONE dei partecipanti delle
offerte avviene mediante i sistemi e i criteri individuati dal Codice.

3. PROCEDURE DI SCELTA DEL CONTRAENTE


Le PROCEDURE DI SCELTA DEL CONTRAENTE sono:
 le PROCEDURE APERTE → in cui qualsiasi operatore economico
interessato può presentare un'offerta in risposta ad un avviso di indizione
di gara (ART.71 CODICE);

 le PROCEDURE RISTRETTE → in cui qualsiasi operatore economico può


chiedere di partecipare, presentando una domanda di partecipazione in
risposta ad un avviso di indizione di gara, ed in cui possono presentare
un'offerta solo gli operatori invitati dalle stazioni appaltanti e dagli enti
concedenti. (ART.72 CODICE);

 la PROCEDURA COMPETITIVA CON NEGOZIAZIONE → in cui qualsiasi


operatore economico può presentare una domanda di partecipazione in
risposta a un avviso di indizione di gara, ma solo gli operatori economici
invitati dalla stazione appaltante possono presentare un'offerta iniziale.
Questa è la base per la successiva negoziazione tra le parti al fine di
migliorarne il contenuto (ART.73 CODICE);

 le PROCEDURE NEGOZIATE SENZA LA PREVIA PUBBLICAZIONE DI UN


BANDO DI GARA → in cui le stazioni appaltanti individuano gli operatori
economici da consultare, sulla base di informazione economiche e
finanziarie desunte dal mercato, e selezionano almeno 3 operatori.
L'amministrazione sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni
più vantaggiose. (ART.76 CODICE)

 il DIALOGO COMPETITIVO → in cui qualsiasi operatore economico può


chiedere di partecipare in risposta a un bando di gara o ad un avviso di
indizione di gara, ma le stazioni appaltanti avviano un dialogo solo con gli
operatori che, sulla base delle informazioni fornite, vengono invitati. Il
dialogo è volto all'individuazione dei mezzi più idonei a soddisfare le
necessità dell'amministrazione. Concluso il dialogo i partecipanti sono
invitati a presentare le offerte finali. (ART.74 CODICE);

 il PARTENARIATO PER L’INNOVAZIONE → ricorre quando l'esigenza di


sviluppare prodotti o servizi e di acquistare successivamente le forniture, i
servizi o i lavori non può essere soddisfatta ricorrendo a soluzioni già
disponibili sul mercato, e a condizione che essi corrispondano ai livelli di
prestazioni e ai costi massimi concordati tra le stazioni appaltanti e i
partecipanti. (ART. 70 E 75 CODICE);
Nell'ambito delle norme dedicate alla DIGITALIZZAZIONE DEI CONTRATTI
(LIBRO I, PARTE II) vi sono alcune disposizioni, gli ARTT. dal 32 al 34, che
individuano delle PROCEDURE DIGITALI per la scelta del contraente e che
acquistano efficacia dal 1° luglio 2023. Tali procedure sono:

 i SISTEMI DINAMICI DI ACQUISIZIONE (ART.32 COD.) → Si tratta di un


procedimento interamente elettronico, per acquisti di uso corrente, le cui
caratteristiche, così come generalmente disponibili sul mercato, soddisfano
le esigenze delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, aperto per tutto
il periodo di efficacia a qualsiasi operatore economico che soddisfi i criteri
di selezione;

 le ASTE ELETTRONICHE (ART.33 COD.) → è un processo elettronico per


fasi successive che interviene dopo una prima valutazione completa delle
offerte e consente di classificarle sulla base di un trattamento automatico,
presentando nuovi prezzi, modificati al ribasso, o nuovi valori riguardanti
taluni elementi dalle stesse. Non si applica per l'affidamento di appalti di
servizi e di lavori aventi ad oggetto prestazioni intellettuali;

 i CATALOGHI ELETTRONICI (ART.34 COD.) → le stazioni appaltanti e gli


enti concedenti possono chiedere, ai candidati o agli offerenti, che le offerte
siano presentate sotto forma di catalogo elettronico o che includano un
catalogo elettronico. Le offerte presentate sotto forma di catalogo
elettronico possono essere corredate di altri documenti, a completamento
dell'offerta.

4. SELEZIONE DELLE OFFERTE E CRITERI DI


AGGIUDICAZIONE
Gli appalti sono aggiudicati secondo le disposizioni degli ARTT. DA 108 A 110
DEL CODICE. Prima di procedere all'aggiudicazione, le stazioni appaltanti devono
verificare la sussistenza di alcuni PRESUPPOSTI, ossia che:
 l'offerta sia conforme alle previsioni contenute nel bando di gara o
nell'invito a confermare l'interesse nonché nei documenti di gara;

 l'offerta proviene da un offerente che non è escluso ai sensi del Capo II


del Titolo IV e che possiede i requisiti di cui all’ART.100 (requisiti di
ordine speciale) e, se del caso, dell'ART.103 (requisiti di
partecipazione a procedure di lavori di rilevante importo).
Può accadere, inoltre, che la stazione appaltante decida di non aggiudicare
l'appalto all'offerente che ha presentato l'offerta economicamente più
vantaggiosa se accerta che la stessa non soddisfa gli obblighi in materia
ambientale, sociale o del lavoro previsti dalla normativa europea nonché
nazionale.
Nelle procedure aperte le stazioni appaltanti possono stabilire negli atti di gara
che le offerte siano esaminate prima della verifica dell'idoneità degli
offerenti, ma tale facoltà può essere esercitata solo dopo la scadenza del
termine per la presentazione delle offerte.
Inoltre, la stazione appaltante deve garantire che la verifica dell'assenza dei motivi
di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata con imparzialità e
trasparenza.
Quanto ai CRITERI DI AGGIUDICAZIONE, essi sono individuati dall'ART.108
DEL CODICE.
La norma prevede che le stazioni appaltanti procedono all'aggiudicazione degli
appalti e all'affidamento dei concorsi di progettazione e di concorsi di idee sulla
base dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del
miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base del prezzo o del costo, seguendo
un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita.
Il CICLO DI VITA è riferito al prodotto e le stazioni appaltanti quando valutano le
offerte sulla base di tale elemento devono indicare nei documenti di gara i dati
che gli operatori economici devono fornire nonché il metodo che seguiranno per
determinare i costi del ciclo di vita sulla base di tali dati.
Sono AGGIUDICANTI ESCLUSIVAMENTE SULLA BASE DEL CRITERIO
DELL’OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU’ VANTAGGIOSA, individuata sulla
base del miglior rapporto qualità/prezzo, I CONTRATTI RELATIVI:
o ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera assistenziale e scolastica;
o all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di
natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 €;
o i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 140.000 €,
caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno carattere
innovativo;
o gli affidamenti in caso di dialogo competitivo e di partenariato per
l'innovazione.
Il CRITERIO DEL MINOE PREZZO, invece, PUO’ ESSERE UTILIZZATO per i
servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono
definite dal mercato.
È nei documenti di gara che sono stabiliti i criteri di aggiudicazione
dell'offerta, pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del
contratto.
Se nessuna offerta risulta conveniente o idonea in relazione all'oggetto del
contratto, le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere alla sua
aggiudicazione, ma tale intenzione deve essere indicata espressamente nel
bando di gara o invito e può essere esercitata non oltre 30 giorni dalla
conclusione della valutazione delle offerte.

5. SOGGETTI PARTECIPANTI E I REQUISITI PER PARTECIPARE


A UNA GARA
I SOGGETTI che, nell'ambito di una procedura di evidenza pubblica per
l'affidamento di un contratto pubblico, possono presentare un'offerta e
partecipare alla gara, sono individuati dal legislatore in coloro che sono in
possesso di tutti i requisiti richiesti dall'amministrazione nell'atto di
indizione alla gara.
L'ART. 65 DEL CODICE elenca detti soggetti e stabilisce che possono partecipare
sia gli operatori economici nazionali, individuati dal Codice, sia gli operatori
economici stabiliti in altri Stati membri. Vengono, poi, specificati nel dettaglio i
soggetti inclusi nella nozione di operatore economico (Ad esempio gli
imprenditori individuali, anche artigiani, e le società, anche cooperative; e così
via).
Sono stabiliti sia i REQUISITI A CARATTERE GENERALE, legati all'affidabilità
morale del futuro contraente, la cui mancanza comporta l'esclusione dalla gara,
sia di CARATTERE SPECIALE.
L'ART.94 DEL CODICE 2023 individua le CAUSE DI ESCLUSIONE
AUTOMATICA di un operatore economico della procedura di appalto o
concessione per inaffidabilità morale. Sono causa di esclusione:
le condanne con sentenza definitiva o decreto penale irrevocabile (ad
esempio delitti per associazione per delinquere o associazione di tipo mafioso);
il tentativo di infiltrazione mafiosa;
la presentazione di false dichiarazioni o falsa documentazione nelle
procedure di gara e negli affidamenti di subappalti da parte dell'operatore
economico iscritto nel casellario informatico tenuto dall'A.N.A.C.
Il Codice disciplina anche CAUSE DI ESCLUSIONE NON AUTOMATICA dalla
partecipazione alla procedura di gara accertate della stazione appaltante (ART.95
CODICE).
Tra queste: la sussistenza di gravi infrazioni alle norme in materia di salute e
sicurezza sul lavoro, agli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro;
situazioni di conflitti di interesse; distorsione della concorrenza derivante dal
precedente coinvolgimento degli operatori economici nella preparazione della
procedura; la commissione da parte dell'offerente di un grave illecito professionale.
I REQUISITI DI ORDINE SPECIALE, cioè le qualità che gli offerenti devono
possedere e che provano l'effettiva capacità di realizzare l'attività richiesta, sono
(ART.100 CODICE):
 l'idoneità professionale;
 la capacità economica e finanziaria;
 le capacità tecniche professionali.
Nel caso dei requisiti speciali, essi devono essere richiesti dalle stazioni appaltanti
in maniera proporzionata e attinente all'oggetto dell'appalto.
Infine, il D.LGS. 36/2023 disciplina l'AVVALIMENTO, che è quel contratto che
consente all'operatore economico, il quale, per una determinata gara, non
possiede i requisiti richiesti di partecipare ed evitare l'esclusione
utilizzando i requisiti di altro operatore.
Più precisamente, l'AVVALIMENTO è il contratto con cui una o più imprese
ausiliarie si obbligano a mettere a disposizione di un operatore economico che
concorre in una procedura di gara dotazioni tecniche e risorse umane e
strumentali per tutta la durata dell'appalto.
Esso è concluso in forma scritta a pena di nullità con indicazioni specifiche delle
risorse messe a disposizione dell'operatore economico; inoltre, è un contratto
normalmente oneroso, salvo che risponda anche a un interesse dell'impresa
ausiliaria, e può essere concluso a prescindere dalla natura giuridica dei legami
tra le parti.

6. LA SCELTA DEL CONTRAENTE: PRESENTAZIONE


DELL’OFFERTA E OFFERTE ANOMALE
Conformemente a quanto stabilito nel documento di indizione della gara, i
soggetti interessati a partecipare alla procedura, in possesso dei requisiti
richiesti, presentano la propria offerta.
Relativamente all'OFFERTA, CIASCUN CONCORRENTE PUO’ PRESENTARE
UNA SOLA OFFERTA; questa è vincolante per il periodo di tempo indicato nel
bando o nell'invito, o, in mancanza di indicazione, per 180 giorni dalla scadenza
del termine per la sua presentazione (viene fatta salva, però, la possibilità che la
stazione appaltante chieda agli offerenti il differimento di tale termine).
L'ART.91 DEL CODICE → individua la documentazione necessaria per
partecipare alla procedura di gara e stabilisce che l'operatore economico deve
compilare i seguenti atti: la domanda di partecipazione; il documento di gara unico
europeo; l'offerta; ogni altro documento richiesto per la partecipazione alla
procedura di gara.
L’ART.110 DEL CODICE → disciplina le cd. OFFERTE ANOMALE.
La norma attribuisce alle stazioni appaltanti il compito di valutare la congruità,
la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, la quale, in base
a elementi specifici che devono essere indicati nel bando o nell'avviso, appaia
anormalmente bassa. Infatti, laddove un'offerta appaia anormalmente bassa le
stazioni appaltanti richiedono, per iscritto, all'operatore economico le spiegazioni
sul prezzo o sui costi proposti, assegnandogli un termine non superiore a 15
giorni.
La stazione appaltante esclude l'offerta se le spiegazioni fornite dall'operatore
economico non sono giustificate adeguatamente.

7. IL SOCCORSO ISTRUTTORIO
Nelle procedure di gara si inserisce l'istituto del SOCCORSO ISTRUTTORIO,
attraverso cui possono essere sanate o integrate le “carenze” della
documentazione trasmessa alla stazione, evitando così alle imprese in difetto
di essere escluse dalla gara (ART.101 CODICE), salvo che al momento della
scadenza del termine la presentazione dell'offerta il documento sia presente nel
fascicolo virtuale dell'operatore.
La stazione appaltante assegna un TERMINE non inferiore a 5 giorni e non
superiore ai 10 giorni per integrare ogni elemento mancante o per sanare ogni
omissione, inesattezza o irregolarità.
In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione di concorrente
escluso dalla gara.

8. L’AGGIUDICAZIONE
Esperita la gara, la fase di scelta del contraente termina con l'AGGIUDICAZIONE.
Dapprima si procede alla PROPOSTA DI AGGIUDICAZIONE DELLA GARA ALLA
MIGLIOR OFFERTA NON ANOMALA e, solo dopo i controlli opportuni, si
formalizza l'aggiudicazione, che è immediatamente efficace. Il provvedimento
di aggiudicazione NON EQUIVALE AD ACCETTAZIONE DELL’OFFERTA
dell'aggiudicatario, che è irrevocabile fino al momento in cui scade il termine per
la stipulazione del contratto.

9. STIPULAZIONE DEL CONTRATTO E LA SUA APPROVAZIONE


La STIPULAZIONE è la REDAZIONE PER ISCRITTO DEL CONTRATTO e deve
avvenire a pena di nullità in forma scritta, in modalità elettronica nel rispetto del
Codice dell'amministrazione digitale (D.LGS. 82/2005), in forma pubblica
amministrativa a cura dell'ufficiale rogante della stazione appaltante, con atto
pubblico notarile informatico oppure mediante scrittura privata.
Divenuta efficace l'aggiudicazione e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela,
LA STIPULA DEL CONTRATTO HA LUOGO ENTRO I SUCCESSIVI 60 GIORNI
ANCHE IN PENDENZA DI CONTENZIOSO.
 Se la stipula del contratto non avviene nel termine stabilito per fatto
imputabile alla stazione appaltante o all'ente concedente,
l'aggiudicatario può far constatare il silenzio inadempimento o, in
alternativa, può sciogliersi da ogni vincolo, mediante atto notificato.

 Se la mancata stipula del contratto nel termine fissato è imputabile


all'aggiudicatario, tale circostanza può costituire motivo di revoca
dell'aggiudicazione.
Il contratto stipulato è sottoposto alla CONDIZIONE RISOLUTIVA dell'esito
negativo dell'eventuale approvazione dello stesso, laddove prevista, da
effettuarsi entro 30 giorni dalla stipulazione.
Decorso tale termine il contratto si intende APPROVATO.

10. ESECUZIONE DEL CONTRATTO


Ultimati tutti i controlli sulla regolarità, IL CONTRATTO VIENE ESEGUITO
DALLE PARTI, nel rispetto delle previsioni del Codice civile (in particolare,
ART.1175 E ART 1375 c.c.).
Il CODICE 2023 dedica all'esecuzione dell'appalto gli ARTT. DA 113 A 126
(LIBRO II PARTE VI). L'esecuzione dei contratti aventi ad oggetto lavori,
servizi e forniture è diretta dal RESPONSABILE UNICO DEL PROGETTO, il
quale controlla i livelli di qualità delle prestazioni, avvalendosi del direttore
dell'esecuzione del contratto o del direttore dei lavori, del coordinatore in materia di
salute e di sicurezza, nonché del collaudatore ovvero della commissione di collaudo
del verificatore della conformità, e accerta il corretto svolgimento delle funzioni
ad ognuno affidate.
Per i contratti di servizi e forniture le funzioni compiti del direttore
dell'esecuzione sono svolti dal RUP. I contratti pubblici di LAVORI sono soggetti
a COLLAUDO, mentre i contratti pubblici di SERVIZI e FORNITURE sono
soggetti alla VERIFICA DI CONFORMITA’: all'esito del controllo vengono
rilasciati rispettivamente il certificato di collaudo e il certificato di verifica di
conformità.
Lo SCOPO di tali controlli è quello di certificare che l'oggetto del contratto in
termini di prestazioni, obiettivi e caratteristiche tecniche, economiche e
qualitative sia stato realizzato ed eseguito nel rispetto delle previsioni
contrattuali e delle pattuizioni concordate in sede di aggiudicazione o
affidamento. Il collaudo, in particolare, ha lo scopo di verificare che l'opera o il
lavoro siano stati eseguiti a regola d'arte.
Il Codice NON CONSENTE che il contratto sia ceduto né che possa essere
affidata a terzi l’integrale o prevalente esecuzione delle prestazioni o lavorazioni,
AMMETTE, tuttavia, il subappalto per l'esecuzione di parte delle suddette
prestazioni seguendo le disposizioni indicate dall'ART.119.

CAPITOLO 32 – I BENI DELLA P.A.


1. BENI PUBBLICI
Sono BENI PUBBLICI quelli che appartengono allo Stato o ad un'altro ente
pubblico (cd. CRITERIO SOGGETTIVO O DELL’APPARTENENZA), destinati a
soddisfare in modo diretto un pubblico interesse (cd. CRITERIO OGGETTIVO
O DELLA DESTINAZIONE).
In effetti, la P.A., come qualsiasi soggetto privato, necessità per perseguire i suoi
fini istituzionali, di mezzi, cioè di beni, sia mobili che immobili.
Il complesso di tali beni, definiti BENI PUBBLICI, costituisce il PATRIMONIO
DELLO STATO.
Tali beni sono assoggettati ad un regime particolare, diverso da quello che
regola i beni privati.
I beni pubblici si distinguono in DEMANIALI e PATRIMONIALI INDISPONIBILI.
Tale distinzione si basa su un criterio puramente formale, e cioè sul fatto che
la legge definisca il bene come demaniale o meno; infatti:
 l'ART.822 c.c. → elenca i beni che fanno parte del demanio pubblico;
 l’ART.826 c.c. → enumera le singole categorie di beni patrimoniali
indisponibili.
2. BENI DEMANIALI
I BENI DEMANIALI presentano DUE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI:
a) sono sempre beni immobili o universalità di beni mobili;
b) devono appartenere ad enti pubblici territoriali (quindi allo Stato, alle
Regioni, alle Province, ai Comuni).

A) DEMANIO NECESSARIO
I beni immobili costituenti il demanio necessario sono di esclusiva proprietà
dello Stato, per cui demanialità e appartenenza allo Stato sono 2
caratteristiche inscindibilmente connesse. Vi rientrano:
il DEMANIO MARITTIMO → il lido del mare, la spiaggia, i porti, le lagune, le foci
di fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra; i canali
utilizzabili per uso pubblico marittimo, le pertinenze del demanio marittimo. Non fa
parte del demanio marittimo il mare territoriale, che comprende la fascia di mare
fino a 12 miglia dalla costa e di golfi, i seni e le baie della costa.
il DEMANIO IDRICO → fiumi, laghi e torrenti, escluse le fonti che sboccano in
mare; le acque definite pubbliche dalle normative in materia; ghiacciai; porti e
approdi destinati alla navigazione interna.
il DEMANIO MILITARE → consiste in opere permanenti destinate alla difesa
nazionale, e cioè le fortezze, le piazzeforti, le installazioni missilistiche, le linee
fortificate e trincerate, i porti e gli aeroporti militari, le ferrovie e funivie militari i
ricoveri antiaerei.

B) DEMANIO ACCIDENTALE (O EVENTUALE)


A differenza del demanio necessario, il DEMANIO ACCIDENTALE comprende i
beni che possono anche non essere di proprietà di enti pubblici territoriali.
Qualora però lo siano, rientrano nel demanio, e non nei beni patrimoniali
indisponibili.
I BENI DEL DEMANIO ACCIDENTALE sono: il demanio stradale, il demanio
ferroviario, il demanio aeronautico, gli acquedotti di proprietà degli enti pubblici
territoriali; i beni di interesse storico, artistico ed archeologico (cd. demanio
culturale).

C) DEMANIO NATURALE E ARTIFICIALE


I beni del DEMANIO NATURALE sono demaniali per natura → tali sono i beni
del demanio necessario (tranne quello militare).
I beni del DEMANIO ARTIFICIALE sono demaniali per la loro specifica
destinazione → tale è il demanio militare e quello accidentale.

D) DEMANIO REGIONALE, PROVINCIALE E COMUNALE


Originariamente i beni demaniali erano di proprietà dello Stato, delle Province o
dei Comuni. Con l'introduzione delle Regioni come enti territoriali, è sorto anche
il DEMANIO REGIONALE, previsto dall'ART.119 COST. per le Regioni ordinarie,
mentre per quelle a statuto speciale un'elencazione dei beni demaniali è
contenuta nelle leggi costituzionali di approvazione degli Statuti.
Fanno parte, invece, del DEMANIO COMUNALE i cimiteri e i mercati di proprietà
del comune trattasi di una figura atipica, qualificata col termine di DEMANIO
COMUNALE SPECIFICO.
Dal tenore letterale dell'ART.119 COST. non si parla più di demanio con
riferimento agli enti territoriali, ma solo di patrimonio, riconosciuto alle
autonomie locali; tuttavia, ciò non significa che sia stato cancellato il demanio di
tali enti, ma solo che resta alla disciplina ordinaria la regolamentazione nel
dettaglio del settore.

E) REGIMO GIURIDICO
I beni che fanno parte del demanio pubblico:
a) sono INALIENABILI → ogni atto di trasferimento del bene demaniale è
nullo;
b) NON sono acquistabili per USUCAPIONE da parte di nessuno → in quanto
non possono formare oggetto di diritti di terzi, se non nei modi e nei limiti
stabiliti dalle leggi che li riguardano;
c) il diritto di proprietà pubblica su di essi, da parte dell'ente è
IMPRESCRITTIBILE;
d) sono INESPROPRIABILI, sia a titolo di esecuzione forzata che per pubblica
utilità.
La demanialità del bene si estende anche alle sue pertinenze e alle servitù
costituite a favore del bene demaniale.

F) UTILIZZAZIONE E TUTELA DEI BENI PUBBLICI


In base ai soggetti che utilizzano i beni pubblici, possiamo distinguere i seguenti
TIPI DI USO:
 USO DIRETTO (o ESCLUSIVO) → si ha quando i beni demaniali sono
strumenti che la P.A. utilizza esclusivamente e direttamente per il
perseguimento dei propri compiti istituzionali (es. attraverso i beni del
demanio militare lo Stato provvede alla difesa nazionale);

 USO GENERALE → quando l'interesse pubblico è conseguito con il


godimento dei beni demaniali da parte della collettività (è la destinazione
tipica dei beni del demanio marittimo, idrico e stradale);

 USO PARTICOLARE → quando l’uso non è permesso a tutti, ma riservato


solo a determinati soggetti;

 USO ECCEZIONALE → ricorre nel caso di concessione; provvedimento con


cui la P.A. attribuisce “ex novo” al concessionario diritti su beni demaniali
(es. concessione relativa all'occupazione di suolo pubblico).
ART.823 c.c. → attribuisce all'autorità amministrativa la TUTELA dei beni che
fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via
amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà (azioni
petitorie) e del possesso (azioni possessorie).
La tutela amministrativa (cd. AUTOTUTELA) consiste nell'esercizio di quei poteri
(cd. di polizia demaniale) previsti da leggi speciali, mediante i quale la P.A., per
garantire i beni in oggetto contro qualsiasi illecita occupazione o abusiva
utilizzazione da parte dei terzi, può: irrogare sanzioni; ordinare il ripristino dello
“status quo arte”; utilizzare speciale personale di vigilanza.

3. FEDERALISMO DEMANIALE
Con il D.LGS. 85/2010, cd. DECRETO SUL FEDERALISMO DEMANIALE, il
legislatore ha individuato i BENI STATALI che possono essere attribuiti A
TITOLO NON ONEROSO a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (ad
es., beni appartenenti al demanio marittimo al demanio idrico ecc.).
Sono ESCLUSI DAL TRASFERIMENTO: gli immobili in uso per comprovate ed
effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento
autonomo, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso
governativo e alle Agenzie; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e
internazionale; i beni appartenenti al patrimonio culturale; le reti di interesse
statale; le strade ferrate in uso di proprietà dello Stato; i parchi nazionali e le
riserve naturali statali.
L’ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell'interesse
della collettività rappresentata; tali beni entrano a far parte del suo PATRIMONIO
DISPONIBILE, ed è tenuto a favorirne la MASSIMA VALORIZZAZIONE
FUNZIONALE.
Qualora l'ente territoriale non utilizzi il bene come dovuto, il Governo
esercita il POTERE SOSTITUTIVO, al fine di assicurare la migliore utilizzazione
del bene.

4. BENI PATRIMONIALI
I BENI PATRIMONIALI dello Stato e degli enti pubblici sono tutti i beni che
non hanno i caratteri della demanialità.
Essi SI DISTINGUONO IN:
 BENI INDISPONIBILI → sono destinati ad un pubblico servizio e al
conseguimento di fini semplici; sono perciò beni pubblici.
 BENI DISPONIBILI → hanno carattere strumentale in quanto destinati
prevalentemente alla produzione di redditi. Non sono beni pubblici, ma solo
beni di proprietà di enti pubblici.

A) BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI


I BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI sono beni pubblici, al pari dei beni
demaniali, ma, a differenza di questi, possono essere tanto beni mobili che
immobili, e possono appartenere (salvo eccezioni) a qualsiasi ente pubblico, e
non soltanto ad enti pubblici territoriali.
I BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI sono: le foreste; le miniere; le acque
minerali e termali; la fauna selvatica; i beni di interesse storico, archeologico,
artistico; gli edifici destinati a sede degli uffici pubblici; beni costituenti la dotazione
del Presidente della Repubblica.
Il PRINCIPIO DI INALIENABILITA’ è previsto dall'ART.828 c.c. → tali beni “non
possono essere sottratto alla loro destinazione se non nei modi stabiliti
dalle leggi che li riguardano”.
Tuttavia, da tale disposizione la dottrina ha affermato il PRINCIPIO
DELL’ALIENABILITA’ (tranne rare eccezioni indicate dalla legge), purché tale
alienazione non comporti la sottrazione dei beni stessi alla loro
destinazione pubblica.
Sono comunque INALIENABILI: le miniere e le foreste; gli atti e i documenti di enti
pubblici; i beni di interesse storico e artistico.
I beni patrimoniali indisponibili sono altresì:
o soggetti ad USUCAPIONE da parte di terzi, solo se siano stati sottratti alla
loro destinazione a non domino e poi trasferiti a terzo in buona fede, il quale
quindi potrà acquistarli per usucapione;

o INSUSCETTIBILI DI ESPROPRIAZIONE FORZATA.

B) BENI PATRIMONIALI DISPONIBILI


Fanno parte del PATRIMONIO DISPONIBILE dello Stato e degli altri enti
pubblici tutti i beni ad essi appartenenti, diversi da quelli demaniali e da
quelli patrimoniali indisponibili. I beni patrimoniali disponibili NON SONO
BENI PUBBLICI, MA SOLO BENI DI PROPRIETA’ DI UN ENTE PUBBLICO.
Si distinguono da quelli indisponibili per:
a) CARATTERE PREVALENTEMENTE REDDITIZIO → hanno un valore
economico e sono usati dalla P.A. perché producano un reddito (beni
economici);
b) MANCANZA DI UNA DESTINAZIONE ATTUALE AD UN PUBBLICO
SERVIZIO.
Il PATRIMONIO DISPONIBILE COMPRENDE:
o il PATRIMONIO MOBILIARE: rientra il denaro privo di specifica
destinazione; i beni che derivano dalla partecipazione dello Stato al
capitale azionario di società pubbliche ed imprese private;
o il PATRIMONIO FONDIARIO E EDILIZIO

I beni patrimoniali disponibili sono BENI DI PROPRIETA’ PRIVATA


DELL’ENTE; pertanto, sono soggetti alle regole del diritto privato (salvo
eccezioni, come in caso di alienazione, che deve avvenire nelle forme del
diritto pubblico).
Essi sono:
 alienabili;
 usucapibili;
 assoggettabili ai diritti reali a favore di terzi.

5. DIRITTI REALI DELLA P.A. SU BENI ALTRUI: SERVITU’


PREDIALI PUBBLICHE E DIRITTI DI USO PUBBLICO
La P.A., oltre che proprietaria di beni, può anche essere TITOLARE DI DIRITTI
REALI SU BENI ALTRUI. Essi possono essere costituiti per l'utilità di un bene
pubblico o per il conseguimento di fini di pubblico interesse, ovvero per l'utilità di
un bene patrimoniale disponibile o per un fine privato. Nel primo caso si parla di
DIRITTI DEMANIALI SU BENI ALTRUI, nel secondo di DIRITTI PATRIMONIALI
SU BENI ALTRUI.
I DIRITTI DEMANIALI SU BENI ALTRUI sono quei diritti che spettano allo Stato
o ad un ente territoriale su beni di proprietà di altri soggetti e sono costituiti
per l'utilità di un bene demaniale o per il conseguimento di fini di pubblico
interesse, corrispondenti a quelli a cui servono i beni demaniali. Tali diritti reali
sono assoggettati dall'ART. 825 c.c. allo stesso regime giuridico dei beni
demaniali.
Le PRINCIPALI CATEGORIE DI DIRITTI DEMANIALI SU BENI ALTRUI sono:
a) le SERVITU’ PREDIALI PUBBLICHE (servitù di scarico per i fondi prossimi
ai laghi; servitù di scolo delle acque stradali sui terreni sottostanti). Le
servitù prediali pubbliche possono sorgere: per legge, per atto
amministrativo, per convenzione, per atto di liberalità del privato, per
usucapione da parte dell'ente;

b) i DIRITTI DI USO PUBBLICO (o servitù di uso pubblico): sono costituite a


carico di fondi privati per il conseguimento di fini di pubblico interesse
corrispondenti a quelli cui servono i beni demaniali. In tali servitù manca
un fondo dominante, perché non sono costituite a vantaggio di un fondo
demaniale, bensì dalla collettività. Rientrano nei diritti di uso pubblico:

 le strade vicinali, quelle non di proprietà del Comune, ma costruite da


privati che eventualmente il Comune, ove le ritenga utili alla collettività,
assoggetta all'uso pubblico con delibera espressa;
 gli usi civici spettano ad una collettività e ai singoli che la compongono e
consistono nel trarre utilità semplici dai territori (ad esempio: il diritto di
raccogliere la legna).
Per quanto riguarda i DIRITTI PATRIMONIALI SUI BENI ALTRUI, le servitù
possono essere costituite a favore di beni patrimoniali della P.A. Tali diritti
seguono la natura dei beni cui si riferiscono e sono, quindi, disponibili o
indisponibili a seconda che attengano a beni disponibili o indisponibili.
La P.A. può acquistare diritti reali in base: alla legge (es.: beni immobili privi di
proprietario); a fatti o atti di diritto comune (es.: l'occupazione); a fatti o atti di
diritto pubblico (es.: la confisca bellica o gli atti ablativi).

CAPITOLO 33 – RESPONSABILITA’ DELLA P.A.


1. RESPONSABILITA’: NOZIONE E TIPI
La RESPONSABILITA’ si configura come una situazione giuridica soggettiva
sfavorevole, in cui viene a trovarsi il soggetto che, avendo possono essere un
comportamento antigiuridico, sia assoggettabile ad una sanzione.
La responsabilità giuridica a sua volta può essere civile, penale o
amministrativa, a seconda della natura delle norme violate e delle
conseguenze di tale violazione. In particolare:
 RESPONSABILITA’ CIVILE → si concretizza nell'obbligo del risarcimento
del danno provocato ad un soggetto in conseguenza di un comportamento
qualificato illecito civile.

 RESPONSABILITA’ PENALE → concerne il comportamento di persone


fisiche che ledono particolari interessi, tutelati dall'ordinamento come
pubblici; consiste nell'assoggettamento personale del colpevole alla potestà
punitiva dello Stato, mediante l'inflizione di una pena (detentiva o
pecuniaria);
 RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA → deriva dalla violazione di
doveri amministrativi, ove sia prevista una sanzione amministrativa.
La RESPONSABILITA’ DELLA P.A. PUO’ ESSERE SOLO CIVILE O
AMMINISTRATIVA, in quanto QUELLA PENALE È PERSONALE, potendo
ricadere solo sulle persone fisiche preposte ad uffici o organi della P.A.

2. RESPONSABILITA’ CIVILE DELLA P.A.


La RESPONSABILITA’ CIVILE si può definire come il dovere giuridico, imposto
da un soggetto, di risarcire il danno prodotto ad un'altro soggetto in
conseguenza della violazione della sfera giuridica di quest'ultimo.
La RESPONSABILITA’ CIVILE SI DISTINGUE IN:
CONTRATTUALE → quando l'obbligo di risarcimento del danno deriva dalla
violazione di un preesistente rapporto obbligatorio (dunque, non solo da contratto);
EXTRACONTRATTUALE → quando la responsabilità deriva dal fatto di aver
provocato a terzi un danno ingiusto (ART. 2043 c.c.).
La dottrina individua anche un terzo tipo di responsabilità:
quella PRECONTRATTUALE (ARTT.1337 E 1338 c.c.), che nasce dalla
violazione delle norme che regolano la fase delle trattative negoziali.

3. RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE
ART. 2043 c.c. → stabilisce che qualunque fatto doloso o colposo che
cagiona ad altri un danno ingiusto non obbliga colui che ha commesso il
fatto a risarcire il danno. Anche la P.A. soggiace a tale regola.
Gli ELEMENTI della responsabilità civile della P.A. sono quelli comuni ad ogni
responsabilità civile; il giudice dovrà accertare l'esistenza di una condotta attiva o
omissiva, l'antigiuridicità di tale condotta, la colpevolezza della gente, l'evento
dannoso, il nesso di causalità tra condotta ed evento. In particolare:
 la CONDOTTA può consistere tanto in un'azione quanto in un’omissione
della P.A. dalla quale sia derivato un danno. In ogni caso, la condotta deve
essere riferibile alla P.A.: occorre, cioè, che essa sia stata compiuta da
un'autorità amministrativa nell'esercizio delle sue funzioni amministrative;ù

 la condotta, a sua volta, deve essere ANTIGIURIDICA, ossia ledere la sfera


giuridica di un soggetto e sorgere per la violazione di norme giuridiche
cosiddette di relazione (e non quando siano violate norme concernenti
regole di buona amministrazione), sempre che non ricorra una causa di
giustificazione;

 è necessaria la RIFERIBILITA’ DEL FATTO ALL’AMMINISTRAZIONE: ciò


avviene quando l'attività dell'ente sia rivolta al conseguimento dei fini
istituzionali di quest'ultimo;

 ELEMENTO PSICOLOGICO (o IMPUTABILITA’): l’ART.2043 c.c. richiede


che il fatto dannoso sia riferibile a titolo di dolo o colpa alla volontà del
soggetto che agisce;

 l'EVENTO DANNOSO: il danno deve consistere sempre nel pregiudizio


patrimoniale derivante dalla lesione di un diritto soggettivo perfetto e
dalla lesione dell'interesse legittimo;

 NESSO DI CAUSALITA’ TRA FATTO ANTIGIURIDICO ED EVENTO


DANNOSO: secondo l'opinione prevalente, una condotta può dirsi causa di
un evento quando ne costituisce conditio sine qua non, in quanto senza
di essa l'evento non si sarebbe verificato, e quando l'evento, al momento
della condotta, era prevedibile come verosimile conseguenza di essa (cd.
causalità adeguata).

4. RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE
La RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE è quella basata sulla VIOLAZIONE DI
UN RAPPORTO OBBLIGATORIO già vincolante per le parti, sorto in virtù di un
contratto, ex lege, di atto unilaterale o in base ad un precedente fatto illecito
(obbligazione di risarcimento). Trovano applicazione i principi generali previsti dal
Codice civile.

5. RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE
La RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE tutela l'INTERESSE
ALL’ADEMPIMENTO, cioè l'interesse del soggetto a non essere coinvolto in
inutili trattative, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire
alcun inganno in ordine ad atti negoziali. Dunque, nelle trattative le parti
devono comportarsi secondo buona fede e con diligenza. In tal senso, l'interesse
protetto in tema di responsabilità precontrattuale è quello della LIBERTA’
NEGOZIALE.
IPOTESI DI RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE sono riscontrabili: nella
violazione dei doveri di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto;
nel recesso ingiustificato dalle trattative; nella stipulazione di un contratto invalido
o inefficace; nella violenza e nel dolo; nella colposa induzione in errore.

6. RESPONSABILITA’ NEI CONFRONTI DELLA P.A.


La RESPONSABILITA’ VERSO LA P.A. trova il suo fondamento nel cd. POTERE
DI SUPREMAZIA DELLA P.A. nei confronti della collettività, che può essere:
GENERALE → se si esprime sulla collettività indifferenziata, prescindendo da
qualità particolari del cittadino e da rapporti specifici con i singoli.
SPECIALE → se si esprime esclusivamente nei confronti di alcuni soggetti (es.
funzionari statali).
Dalla subordinazione al potere di supremazia speciale verso la P.A. nascono
doveri specifici a carico di determinati soggetti - i pubblici impiegati - la cui
infrazione comporta a carico del trasgressore delle responsabilità, correlate
all'esistenza del rapporto di servizio che lega la P.A. e il suo dipendente.

7. RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA E CONTABILE


I dipendenti pubblici, qualora arrechino un danno patrimoniale alla propria
amministrazione o ad un'altro ente pubblico, possono incorrere in particolari
responsabilità definite AMMINISTRATIVA e CONTABILE.
La RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA è quel tipo di responsabilità che sorge
a causa di danni cagionati all'ente nell'ambito e in occasione del rapporto
d'ufficio: in particolare, per risponderne è necessario che il soggetto interessato,
con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto
esistente con l'amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si
ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta. La locuzione
ERARIALE che viene accostata a tale responsabilità sta proprio a sottolineare il
fatto che il danno prodotto inerisce alle finanze dello Stato.
I PRESUPPOSTI sono:
o l'ente danneggiato deve essere una P.A.;
o tra l'ente e danneggiante deve sussistere un rapporto di servizio;
o il danno provocato deve essere conseguenza diretta e immediata di una
condotta dolosa o gravemente colposa posta in essere dal danneggiante;
o il danno deve essere ingiusto (ossia non è sufficiente la mera violazione del
dovere d'ufficio o l'adozione di un atto illegittimo).
Tale responsabilità, poi, può presentarsi come CONTABILE quanto riguarda gli
AGENTI CONTABILI, ossia gli incaricati (a qualsiasi titolo, anche senza legale
autorizzazione) al versamento e riscossione delle entrate dello Stato, coloro
che maneggiano pubblico denaro o gli agenti che hanno in consegna
oggetti e beni di proprietà dello Stato.
La RESPONSABILITA’ CONTABILE di costoro risulta dall'annuale rendiconto
oppure come responsabilità formale, che riguarda, più genericamente, gli
amministratori per spese non autorizzate in bilancio, non deliberate nelle forme
legali ecc.

8. DANNO ERARIALE
Il DANNO ERARIALE consiste in un depauperamento del patrimonio che l'erario
(Stato o ente pubblico) abbia sofferto per la condotta illecita del pubblico
dipendente nell'esercizio di specifiche funzioni amministrative. Si tratta di un
pregiudizio suscettibile di valutazione economica che si compone di 2
ELEMENTI:
DANNO EMERGENTE, ossia una perdita per una cosa distrutta o perduta, una
spesa sostenuta o un'entrata non acquisita.
LUCRO CESSANTE, ossia un mancato guadagno.
Il DANNO ERARIALE si distingue in:
DIRETTO → se è cagionato direttamente dal soggetto responsabile alla P.A. di
appartenenza o ad altra P.A. (cd. danno trasversale o obliquo);
INDIRETTO → consiste nelle somme che la P.A. ha corrisposto al terzo a titolo di
risarcimento del danno commesso dal dipendente o dall'amministrazione.
Il danno erariale è un DANNO PUBBLICO, perché, in quanto pregiudizio alle
pubbliche finanze, si traduce in un danno alla collettività. Esso, inoltre, deve
essere certo e attuale nonché economicamente valutabile.
Circa le REGOLE SULLA RESPONSABILITA’ PER DANNO ERARIALE, l’ART.1
L.20/1994 prevede che:
 la responsabilità è personale, e limitata ai soli casi di dolo o colpa grave,
fermo restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali;
 il diritto al risarcimento del danno si prescrive per 5 anni, decorrenti
dalla verificazione del fatto dannoso o, in caso di suo accertamento, dalla
scoperta dello stesso;
 vi è giurisdizione della Corte dei conti.
Al danno erariale è possibile ricondurre anche il cd. DANNO ALL’IMMAGINE
DELLA P.A., che si traduce in una “perdita di prestigio” della P.A. agli occhi
degli amministratori.
Esso incide sul rapporto di fiducia e di affidamento che lega amministrazione
e amministrati, presupponendo la esplicazione di una condotta che abbia causato
la reiterata violazione di doveri di servizio e un discredito per l'amministrazione.
Per quantificare il danno in genere, il giudice contabile ricorre a criteri di tipo
oggettivo (ossia aventi riguardo alla gravità dell'illecito), di tipo soggettivo (cioè
attinenti alla posizione del soggetto che possono essere il danno), nonché criteri
di tipo sociale, in base, ad esempio, alla risonanza sociale e dell'opinione
pubblica.
L'entità del danno risarcibile si presume, salvo prova contraria, pari al doppio
della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità
illecitamente percepita dal dipendente.

CAPITOLO 34 – GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA


1. PRINCIPI GENERALI
L'espressione GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA indica quel complesso di mezzi
concessi all'ordinamento ai singoli per tutelare le posizioni giuridiche soggettive
di cui risultino titolari nei confronti della P.A.
Nel sistema di giustizia amministrativa coesistono TRE PRINCIPI
FONDAMENTALI:
1. il principio dell’AZIONABILITA’ in giudizio di tutte le lesioni di diritti
soggettivi di interessi legittimi (ART.24, CO.1, COST.) anche se derivanti
da atti e comportamenti della P.A. (ART.113, CO.1, COST.);
2. il principio dell'AUTONOMIA DEL POTERE GIUDIZIARIO (ART. 101
COST.: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”);
3. il principio di LEGALITA’ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA, la cui
conformità alla legge viene accertata dall'autorità giudiziaria.
Il nostro sistema giurisdizionale è organizzato secondo la DOPPIA
GIURISDIZIONE, in base al quale:
 L’AUTORITA’ GIUDIZIARIA È COMPETENTE A DECIDERE DELLE
VIOLAZIONI DI DIRITTI SOGGETTIVI, con il potere di disapplicare l'atto
amministrativo che risulti illegittimo e di dichiararne la illegittimità;
 L’AUTORITA’ GIUDIZIARIA AMMINISTRATIVA È COMPETENTE A
GIUDICARE DELLE VIOLAZIONI DI INTERESSI LEGITTIMI, salvo alcuni
casi eccezionali in cui giudica anche per violazioni di diritti (cd.
giurisdizione esclusiva) e ad annullare gli atti amministrativi illegittimi
(giurisdizione di legittimità), nonché in alcuni casi tassativi, anche a
sostituirli con altri atti o a riformarli in parte cd. giurisdizione di merito
sostituendosi, in tal caso, alla P.A);
 I CONFLITTI DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE
AMMINISTRATIVO sono attribuiti alle SEZIONI UNITI DELLA CORTE DI
CASSAZIONE.
Oltre alla tutela giurisdizionale (ordinaria e amministrativa) i portatori di interessi
hanno anche a disposizione dei mezzi di tutela amministrativa: i RICORSI
AMMINISTRATIVI.

2. MEZZI DI TUTELA DEL PRIVATO E NORMATIVA DI


RIFERIMENTO
Il privato che si reputi leso dall'attività poste in essere dall'amministrazione, per
poter difendere i propri interessi, può ricorrere sia alla tutela amministrativa,
che non necessita dell'intervento di alcun giudice per essere realizzata, che alla
tutela giurisdizionale (innanzi al G.O al G.A.).
Dal punto di vista della TUTELA AMMINISTRATIVA, la normativa di riferimento
è ancora il D.P.R. 1199/1971, con cui il legislatore ha dettato una disciplina
organica dei ricorsi amministrativi (ricorso gerarchico, ricorso in opposizione e
ricorso al Presidente della Repubblica).
Invece, dal punto di vista della TUTELA GIURISDIZIONALE esperibile innanzi al
G.A., il testo normativo di riferimento è il CODICE DEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO, approvato con il D.LGS. 104/2010 (e successive modifiche e
integrazioni).

3. TUTELA IN SEDE AMMINISTRATIVA


A) PRINCIPI GENERALI
La tutela in sede amministrativa è attuata dalla stessa amministrazione,
attraverso un procedimento amministrativo, che viene instaurato a seguito di un
corso dell'interessato.
Pertanto, non vi è alcun intervento giurisdizionale, né del giudice ordinario, né del
giudice amministrativo. La funzione della tutela in sede amministrativa è quella
di ricercare una soluzione alle controversie insorte nell'ambito dell'ordine
amministrativo stesso e coinvolgenti interessi dell'amministrazione, evitando il
ricorso a mezzi giurisdizionali.

B) RICORSO AMMINISTRATIVO
Il RICORSO AMMINISTRATIVO può definirsi come l'istanza o reclamo) diretta ad
ottenere l'annullamento la riforma o la revoca di un atto amministrativo,
rivolta dal soggetto che vi abbia interesse ad un'autorità amministrativa nelle
forme e nei termini fissati dalla legge, affinché questa risolva la controversia che
tale atto ha generato nell'ambito dello stesso ordinamento amministrativo.
La disciplina dei ricorsi amministrativi è contenuta nel D.P.R. 1199/1971.
PRINCIPI COMUNI A TUTTE LE FIGURE SONO:
a) l'obbligo di indicare nel provvedimento amministrativo l'autorità a cui si può
ricorrere ed il termine entro il quale il ricorso deve essere proposto;

b) l'obbligo dell'autorità cui è presentato il ricorso di esaminarlo e deciderlo.

I RICORSI AMMINISTRATIVI SONO:


RICORSO GERARCHICO PROPRIO → è un rimedio di carattere generale,
ammesso per motivi di legittimità e di merito e contro i provvedimenti non definitivi
ed è rivolto all'autorità gerarchicamente superiore;
RICORSO GERARCHICO IMPROPRIO → è un rimedio di carattere eccezionale,
proponibile - in casi tassativamente previsti dalla legge - ad un'autorità che non è
legata da un rapporto di superiorità gerarchica con quella che ha emanato il
provvedimento, ma è titolare di un potere generale di vigilanza sugli atti di
quest'ultima;
RICORSO IN OPPOSIZIONE → è proponibile, nei casi espressamente previsti
dalla legge, allo stesso organo che ha emanato il provvedimento impugnato ed ha
lo scopo di ottenere la rettifica di eventuali errori dell'amministrazione;
RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA → è un
rimedio di carattere generale che, a differenza del ricorso gerarchico, presuppone
un provvedimento definitivo; è ammesso solo per motivi di legittimità; è diretto al
Presidente della Repubblica; è alternativo al ricorso giurisdizionale amministrativo.
Ne discende che, una volta proposto, sarà preclusa al ricorrente la facoltà di
impugnare dinanzi alla competente autorità giurisdizionale la decisione sul
ricorso straordinario, salvo che per vizi di forma o difetti di procedura.

C) ELEMENTI ESSENZIALI DEI RICORSI AMMINISTRATIVI

1) SOGGETTI → possono presentare ricorso le persone fisiche e le persone


giuridiche (pubbliche o private) e le associazioni non riconosciute.
2) INTERESSE → il ricorso amministrativo non può essere proposto se non da
chi, ritenendosi danneggiato dall'atto della P.A., abbia interesse
all'annullamento (revoca o riforma) di esso.

3) OGGETTO → può essere un atto amministrativo in senso soggettivo e


oggettivo (ricorsi impugnatori), oppure un comportamento della P.A. o un
rapporto insorto tra la P.A. e un terzo o tra soggetti estranei
all'amministrazione (ricorsi non impugnatori). Nel primo caso deve
trattarsi di un atto emanato da un'autorità amministrativa nell'esercizio di
una funzione amministrativa.

4) TERMINI PER IL RICORSO → il ricorso deve essere presentato all'autorità


competente nel termine perentorio di 30 giorni per il ricorso gerarchico o in
opposizione e di 120 giorni per il ricorso al presidente della Repubblica.

5) FORMA DEL RICORSO → il ricorso deve essere redatto per iscritto su carta
da bollo uso amministrativo, salvo i casi nella legge esplicitamente lo
escluda (es. nei rapporti di lavoro).

6) ELEMENTI DEL RICORSO → il ricorso deve contenere:


a. l'indicazione dell'autorità cui è diretto;
b. gli estremi del provvedimento impugnato;
c. i motivi del ricorso, cioè i vizi di legittimità o di merito su cui il ricorso si
fonda;
d. la sottoscrizione del ricorrente.

4. RICORSO GERARCHICO
A) NOZIONE
È un rimedio di carattere generale consistente nella impugnativa di un atto
non definitivo, proposta dal soggetto interessato all'organo gerarchicamente
sovraordinato a quello che ha emanato il provvedimento impugnato. I
presupposti del ricorso gerarchico sono quindi, due:
1. rapporto di gerarchia esterna → fra organo che ha emanato il
provvedimento e quello a cui si ricorre.
2. non definitività del provvedimento impugnato → invero, l'atto
amministrativo si considera definitivo quando non vi è possibilità di esperire
rimedi amministrativi ordinari contro di esso.
Contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso:
ricorso amministrativo straordinario al presidente della Repubblica oppure
alternativamente ricorso giurisdizionale al T.A.R; eccezionalmente e nei casi
tassativi di legge, un ricorso gerarchico improprio.
Contro gli atti amministrativi non definitivi è ammesso:
ricorso amministrativo gerarchico;
ricorso giurisdizionale al T.A.R.

Nel ricorso gerarchico rileva la DISTINZIONE TRA:

 RICORSO GERARCHICO PROPRIO → la gerarchia che viene in


considerazione è quella esterna, ossia il rapporto di subordinazione tra
l'organo che ha emanato l'atto è quello a cui è proposto il ricorso;

 RICORSO GERARCHICO IMPROPRIO → si tratta di un rimedio di


carattere eccezionale, previsto in alcuni casi tassativamente disciplinati
dalla legge, in cui non esiste alcun rapporto di gerarchia.
Si tratta di un ricorso ordinario proposto ad:
- organi individuali avverso deliberazioni di organi collegiali e viceversa;
- organi collegiali avverso deliberazioni di altri organi collegiali;
- organi statali avverso provvedimenti di altro ente pubblico;
- organi statali avverso provvedimenti di organi di vertice.

B) PROFILI PROCEDURALI
Il RICORSO GERARCHICO è ammesso in un'unica istanza: quindi, anche in
caso di pluralità di gradi di gerarchia, esso va proposto una sola volta. Il
provvedimento emesso in seguito al primo ricorso è definitivo.
Oggi la definitività dell'atto impugnato non è più condizione indispensabile per
l'impugnabilità dello stesso in sede giurisdizionale, di conseguenza, il ricorso
gerarchico ha assunto la caratteristica della facoltatività rispetto al ricorso
giurisdizionale, intesa nel senso di libera scelta tra l'uno e l'altro rimedio. In ogni
caso, non risulta mai preclusa la via giurisdizionale.
Il ricorso gerarchico, che può essere esperito sia a tutela di un diritto soggettivo
che di un interesse legittimo, e che può essere presentato per motivi di
legittimità e di merito, tende ad assicurare la possibilità di proporre quelle
censure di merito che, in linea generale, sono precluse in sede
giurisdizionale.
B) MANCATA DECISIONE DEL RICORSO: IL CD. SILENZIO –
RIGETTO
La P.A. ha l'obbligo giuridico di decidere sul ricorso gerarchico entro 90 giorni
dalla presentazione. Tuttavia, il legislatore ha disciplinato l'ipotesi che la P.A.
non sia in grado di adempiere a tale obbligo: in tale caso, DECORSI 90 GIORNI
DALLA PRESENTAZIONE DEL RICORSO SENZA CHE LA P.A. ABBIA
COMUNICATO ALL’INTERESSATO LA DECISIONE DELLO STESSO.
IL RICORSO SI INTENDE RESPINTO e l'interessato può proporre ricorso
giurisdizionale davanti al giudice amministrativo competente o ricorso straordinario
al Capo dello Stato direttamente avverso l'atto impugnato in sede gerarchica.

5. RICORSO IN OPPOSIZIONE
È un RICORSO AMMINISTRATIVO ATIPICO, rivolto alla stessa autorità che ha
emanato l'atto, anziché a quella superiore gerarchicamente. Non è un rimedio di
carattere generale, ma eccezionale utilizzabile solo nei casi tassativi e per i
motivi previsti dalla legge. Può essere proposto sia per motivi di legittimità che
di merito, e sia a tutela di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
Il termine per la proposizione è quello generale di 30 giorni dalla notifica o
emanazione dell'atto impugnato, ma la legge può prevedere, nei singoli casi,
termini diversi.

6. RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA


REPUBBLICA
Il RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA è un
rimedio di carattere generale contro i provvedimenti definitivi.
Esso è denominato straordinario non nel senso di ricorso eccezionale, ma nel
senso che può proporsi solo quando non è esperibile il ricorso gerarchico. Il
ricorso straordinario è ammesso solo per motivi di legittimità e può essere
proposto per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi, per i
quali sarebbe possibile ricorrere al giudice amministrativo. Infatti, ex ART.7, CO.
8 DEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO, il ricorso straordinario è
esperibile unicamente in ipotesi di controversie devolute alla giurisdizione
amministrativa.
Il RICORSO STRAORDINARIO HA CARATTERISTICHE DUE PROPRIE, che lo
differenziano sia nel ricorso gerarchico sia dal ricorso in opposizione.
Esso:
 può avere ad oggetto solo atti definitivi → da ciò consegue che prima di
proporre il ricorso straordinario deve essere esperito il ricorso gerarchico se
l'atto non è definitivo;
 deve essere proposto nel termine di 120 giorni dalla conoscenza del
provvedimento amministrativo;

 è proponibile solo per motivi di legittimità (quindi incompetenza, eccesso


di potere e violazione di legge);

 è alternativo al ricorso giurisdizionale amministrativo → nel senso che


chi ha proposto ricorso al Tar non può più proporre il ricorso straordinario e
viceversa. La regola delle alternatività ha la funzione di evitare che sullo
stesso atto amministrativo intervengano le pronunce, una giustiziale e
amministrativa ed una giurisdizionale, diverse (il divieto del ne bis in idem)
e che il Consiglio di Stato si pronunci pertanto, due volte sullo stesso atto
attraverso il parere obbligatorio in sede di ricorso straordinario e come
giudici di appello in sede di ricorso giurisdizionale;

 deve essere notificato, a pena di inammissibilità ai controinteressati a


cura del ricorrente → i controinteressati potranno aderire alla scelta
compiuta dal ricorrente oppure chiedere - mediante atto di opposizione da
proporsi entro 60 giorni dalla notifica del ricorso straordinario - che lo
stesso sia deciso in sede giurisdizionale;

 è ammesso il rimedio cautelare della sospensione del provvedimento


impugnato laddove esso provochi danni gravi ed irreparabili.
Il RICORSO STRAORDINARIO È DECISO CON DECRETO DEL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA, su proposta del Ministro competente, conforme al parere,
obbligatorio e vincolante, del Consiglio di Stato. Il decreto decisorio del Presidente
della Repubblica ha natura amministrativa; tale tesi appare, tuttavia, superata
dalla corrente giurisprudenziale che riconosce natura sostanzialmente
giurisdizionale al decreto decisorio.
Tale assunto ha come conseguenza che il giudicato presidenziale è assimilabile a
quello amministrativo, ed è, pertanto, suscettibile di ottemperanza. Sulla stessa
scia si è posta la Corte costituzionale AVVERSO IL DECRETO PRESIDENZIALE,
ove la decisione riguardi una questione di competenza del G.A., sono ammessi
DUE MEZZI DI IMPUGNAZIONE:
a) revocazione;
b) impugnazione innanzi al G.A. però circoscritta ai soli vizi di forma e del
procedimento, essendo impedita la valutazione di contestazione che
comportino un qualsivoglia riesame del giudizio formulato dal Consiglio di
Stato in sede consultiva.

CAPITOLO 35 – GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA


1. TUTELA GIURISDIZIONALE ORDINARIA
La GIURISDIZIONE ORDINARIA è costituita dal complesso delle Corti e dei
Tribunali ordinari che hanno il compito di amministrare la giustizia civile (sui
diritti soggettivi) e penale.
La disciplina fondamentale in tale materia resta ancora oggi quella contenuta
nell'ART.2 DELLA L.2248/1865 ALLEGATO E, che sancisce che “sono devolute
alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie
nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa
essere interessata alla P.A., ancorché siano emanati provvedimenti del potere
esecutivo o dell'autorità amministrativa”.
RIENTRANO NELLA GIURISDIZIONE DEL G.O.:
CAUSE PER CONTRAVVENZIONI → ossia tutte le violazioni della legge penale;
TUTTE LE MATERIE NELLE QUALI SI FACCIA QUESTIONE DI UN DIRITTO
CIVILE O POLITICO → ossia sono di competenza del G.O. tutte le controversie
relative all'esistenza e alla lesione di un diritto soggettivo. Fanno eccezione le
materie attribuite alla competenza esclusiva del T.A.R;
 COMUNQUE VI POSSA ESSERE INTERESSATA LA P.A → cioè, sia se
essa è parte attrice che convenuta;
 ANCORCHE’ SIANO STATI EMANATI PROVVEDIMENTI DEL POTERE
ESECUTIVO O DELL’AUTORITA’ AMMINISTRATIVA

2. LIMITI DELLA POTESTA’ DEL GIUDICE ORDINARIO NEI


CONFRONTI DELLA P.A.
Quando parte in causa sia una P.A., i POTERI DEL G.O. incontrano i
seguenti LIMITI, espressamente previsti dagli ARTT. 4 E 5 DELLA
L.2248/1865:
a) il G.O. deve limitarsi a conoscere gli effetti dell'atto in relazione
all'oggetto dedotto in giudizio: non può, cioè, conoscere dell'atto
amministrativo - in sé per sé - con effetti erga omnes, ma solo in funzione
della pronuncia sul rapporto dedotto in giudizio;

b) può estendere il suo sindacato solo alla legittimità dell'atto


amministrativo: non potrà, perciò, indagare sulla opportunità e sulla
convenienza dell'atto ne potrà sindacare l'esercizio del potere discrezionale
da parte della P.A.;

c) non può incidere sull'atto amministrativo: cioè non può annullarlo o


revocarlo né modificarlo;

d) quando ha accertato che il diritto del privato sia stato leso dall'atto
illegittimo dichiara tale illegittimità, senza, però, che sul punto si formi il
giudicato (si parla di accertamento incidentale) e disapplica l'atto: in tal
caso, il G.O. giudica come se l'atto non fosse mai stato emanato;
e) non può in nessun caso imporre alla P.A. comportamenti positivi, ma
può solo condannarla al risarcimento dei danni cagionati al privato.

3. AZIONI AMMISSIBILI NEI CONFRONTI DELLA P.A.


Non tutte le azioni esperibili nelle controversie tra privati possono essere
proposte contro la P.A.
a) AZIONI DICHIARATIVE → sono dirette al mero accertamento di una
situazione di fatto o di diritto ed hanno lo scopo di eliminare incertezze fra le
parti, procurando una prova pubblica ed inconfutabile dello stato di fatto
giuridicamente rilevante. Tali azioni sono sempre ammesse nei confronti
della P.A.;

b) AZIONI COSTITUTIVE → tendono ad ottenere dal giudice una sentenza


(costitutiva) che, accertati determinati elementi, costituisca, modifichi o
estingua un determinato rapporto giuridico. La dottrina e la giurisprudenza
ritengono ammissibili le azioni costitutive se non incidono sui poteri pubblici
della P.A.;

c) AZIONI DI CONDOTTA → quelle in cui il giudice, ha accertato l'obbligo di


una delle parti o di un suo comportamento antigiuridico produttivo di
responsabilità, ordina alla medesima una prestazione diretta a ristabilire
l'equilibrio giuridico violato. La prestazione ordinata la parte soccombente
può consistere nel pagamento di una somma di denaro a titolo di
risarcimento o in un determinato comportamento (facere, non facere, dare)
che costituisca concreta soddisfazione del diritto violato;

d) AZIONI POSSESSORIE → l'ammissibilità di tali azioni nei confronti della


P.A. è molto dibattuta. Allo stato, l'esperibilità da parte del privato delle
azioni possessorie è ammessa dalla giurisprudenza, a fronte di tutte le
attività poste in essere dalla P.A. iure privatorum, sine titulo e senza potere.

4. ESECUZIONE DELLE SENTENZE DEL G.O.

1. SENTENZE DICHIARATIVE → l'interessato può rivolgersi alla stessa P.A.


soccombente perché questa si uniformi al giudicato; se questa non si
uniforma alla sentenza l'interessato può adire il TAR o il Consiglio di Stato
col giudizio di ottemperanza.

2. SENTENZE DI CONDANNA → circa la possibilità di portare ad esecuzione


giudiziale le sentenze di condanna ottenute nei confronti della P.A., può
dirsi che l'esecuzione forzata, ove ammissibile, può esercitarsi sia nella
forma dell'espropriazione (ART. 2910 c.c.) sia nelle forme specifiche regolate
dagli ARTT. 2930 – 2931 – 2932 – 2933 c.c.
5. TUTELA GIURISDIZIONALE AMMINISTRATIVA
Gli organi investiti di giurisdizione amministrativa si possono così classificare:
a) GIUDICI AMMINISTRATIVI GENERALI (o ORDINARI):
 di primo grado: T.A.R.;
 di appello: il Consiglio di Stato; il Consiglio di Giustizia
Amministrativa della Regione Sicilia;

b) GIUDICI AMMINISTATIVI SPECIALI, aventi competenze speciali, stabilite


dalla legge:
 Corte dei conti;
 Tribunali delle acque pubbliche;
 Commissioni tributarie;
 Commissari per usi civici;
 altri organi particolari.
LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA SI DIFFERENZIA DALLA
GIURISDIZIONE ORDINARIA:
 la P.A. è parte necessaria nei giudizi davanti ad essa: infatti, i giudizi
che si svolgono davanti al giudice amministrativo sono giudizi fra P.A. e
privato o giudizi fra due P.A.;

 la causa petendi è costituita, generalmente, dalla lesione di un


interesse legittimo: vi sono, però, delle ipotesi, rientranti nei casi di
giurisdizione esclusiva, tassativamente fissate dalla legge e perciò
eccezionali, in quella causa petendi è data dalla violazione di un diritto
soggettivo.

6. ORGANI DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA


A) I TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI
ART.5 DEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO → i Tribunali
Amministrativi Regionali e il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la
Regione autonoma del Trentino-Alto Adige sono organi di giustizia
amministrativa di primo grado.
I TAR sono venti, per ogni Regione, con sede nel capoluogo regionale, oltre le
sezioni staccate istituite presso alcune Regioni.
ART. 7 DEL CODICE → i giudici amministrativi esercitano:
a) una giurisdizione generale di legittimità;
b) una giurisdizione di merito per materie tassativamente determinate dal
legislatore;
c) una giurisdizione esclusiva, anch'essa per materie tassativamente
determinate.
B) IL CONSIGLIO DI STATO
Organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa, il Consiglio di
Stato si compone di sette sezioni, oltre a quella consultiva, che svolgono funzioni
consultive e giurisdizionali.
Tale organo decide in composizione collegiale le controversie sottoposte al suo
giudizio. Sono organi interni del Consiglio di Stato:
a) il Consiglio di Presidenza;
b) il Presidente;
c) il Presidente aggiunto;
d) il Segretario generale;
e) l'Adunanza plenaria;
f) l'Adunanza generale.
In particolare, l'Adunanza plenaria svolge una funzione nomofilattica, consistente
nel dirimere i contrasti di giurisprudenza che siano insorti fra le sezioni e risolvere
le questioni di massima di particolare importanza.

C) CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA


REGIONE SICILIANA
ART.6 DEL CODICE → prevede che avverso le pronunce del Tribunale
Amministrativo Regionale della Sicilia si propone appello al Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana.

D) ALTRE GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE SPECIALI


Oltre alla giurisdizione esercitata dalla Corte dei conti, esistono nel nostro
ordinamento altri giudici amministrativi speciali che esercitano la propria
giurisdizione in ambiti specifici:
1. TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE → si occupano di controversie
concernenti il demanio idrico.

2. COMMISSARI PER GLI USI CIVILI → giudice speciale con competenza


specializzata in materia di accertamento e tutela dei demani civici e dei
diritti d'uso civico delle comunità locali.

3. COMMISSIONI TRIBUTARIE → si occupano di tutte le controversie tra


contribuenti e amministrazione inerenti ai tributi di ogni genere e specie,
nonché alle sovrimposte e alle addizionali, alle sanzioni amministrative,
comunque irrogate da uffici finanziari, agli interessi e ad ogni altro
accessorio.

7. TIPOLOGIE DI GIUDIZIO INNANZI AL G.A.


Con riferimento al CONTENUTO e all'OGGETTO delle pronunce del G.A., il
giudizio innanzi all'autorità giurisdizionale amministrativa può essere:
 DI COGNIZIONE → è volto a stabilire la fondatezza della pretesa vantata
dal ricorrente, per stabilire quale sia la volontà dell'ordinamento riguardo
l'attività dell'amministrazione.

 CAUTELARE → ha una funzione accessoria e strumentale rispetto al


processo di cognizione, in quanto è teso all'adozione di misure
preventive, volte a preservare le utilità che saranno fornite da un'eventuale
sentenza favorevole di cognizione da eventi che possono manifestarsi
durante il corso del processo. In tale ipotesi, il G.A. conoscere l'atto
impugnato limitatamente agli effetti dannosi che dallo stesso sono scaturire
per il ricorrente;

 DI ESECUZIONE → ha la funzione di assicurare anche coattivamente


l'attuazione concreta della pronuncia di cognizione. Al pari di quello
cautelare, tale giudizio, cd. giudizio di ottemperanza è tipizzato dal
legislatore agli ARTT.112 e SS. DEL CODICE DEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO.

CAPITOLO 36 – TIPI DI GIURISDIZIONE


1. ARTICOLAZIONI DELLA GIURISDIZIONE
ART.7 DEL CODICE → individua le 3 DIVERSE TIPOLOGIE in cui la
giurisdizione del può articolarsi:
GIURISDIZIONE GENERALE DI LEGITTIMITA’ → il giudice valuta la sola
legittimità dell'atto amministrativo, cioè verifica la conformità dello stesso ai
principi dell'ordinamento giuridico e la sua immunità dai tre vizi di legittimità
(eccesso di potere incompetenza e violazione di legge).
Si parla anche di giurisdizione di annullamento, perché il giudice può disporre
l'annullamento dell'atto giudicato illegittimo. In tale ipotesi il giudice conosce,
quindi, dei suoi interessi legittimi;
GIURISDIZIONE ESCLUSIVA → il giudice, in deroga al principio del riparto delle
giurisdizioni, ha cognizione anche in materia di diritti soggettivi;
GIURISDIIZONE DI MERITO → il giudice, può non solo annullare l'atto
amministrativo, ma sindacare anche l'opportunità o la convenienza dello
stesso, e sostituirsi all'amministrazione.

2. GIURISDIZIONE GENERALE DI LEGITTIMITA’


In sede di GIURISDIZIONE DI LEGITTIMITA’, il Giudice Amministrativo
conosce, delle controversie su atti, provvedimenti o omissioni delle P.A.,
comprese quelle sul risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi
e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via
autonoma.
La giurisdizione di legittimità dei T.A.R è:
GENERALE → riguarda ogni controversia relativa alla legittimità di un atto
amministrativo che abbia leso l'interesse legittimo (tranne le materie riservate alla
cognizione di altra giurisdizione speciale).
SIMMETRICA → come il G.O. è il giudice dei diritti, così il T.A.R. è il giudice degli
interessi.
LIMITATA, QUANTO AI POTERI DI COGNIZIONE, ALL’ACCERTAMENTO DEI
SOLI TRE VIZI DI INCOMPETENTENZA, VIOLAZIONE DI LEGGE ED ECCESSO
DI POTERE → il giudice, cioè, non può valutare autonomamente il fatto
(altrimenti si tratterebbe di giurisdizione di merito), ma solo verificarlo
limitatamente all'accertamento del vizio di legittimità percepito.
LIMITATA QUANTO AL POTERE DI DECISIONE → i T.A.R possono annullare
l'atto illegittimo, ma non possono riformarlo né sostituirlo.

Oggetto del ricorso al T.A.R. → l'atto impugnabile


ART. 7 del Codice del Processo Amministrativo → il ricorso al T.A.R. può
essere esperito contro atti, provvedimenti o omissioni delle P.A. È, quindi,
IMPUGNABILE INNANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO:
a) un atto amministrativo esistente: il ricorso, è improponibile se l'atto non
esiste, per mancanza di oggetto;
b) consistente in una manifestazione di volontà;
c) formalmente e materialmente amministrativo;
d) anche se non definitivo: il riferimento agli atti e ai provvedimenti
amministrativi quali oggetto della tutela giurisdizionale del G.A. inducono a
ritenere possibile il ricorso avverso un atto non definitivo ma
immediatamente lesivo per il ricorrente.

Casi in cui il T.A.R. può conoscere dei diritti soggettivi


ART.8 DEL CODICE → il Giudice Amministrativo, oltre ai casi di giurisdizione
esclusiva, può conoscere di questioni pregiudiziali o incidentali relativi ai
diritti soggettivi quando la soluzione delle stesse è presupposto necessario per
la decisione della questione principale, relativa ad un interesse. Si tratta, dunque,
di una decisione incidente tantum, cioè con valore nel solo ambito del giudizio
amministrativo in cui si inserisce, che non ha efficacia di giudicato.
Tale principio vale sia nel caso di giudizio di legittimità che di merito.
Tuttavia, TALUNE QUESTIONI DI DIRITTO CIVILE SONO RISERVATE IN OGNI
CASO AL G.O. Esse sono:
a) le questioni concernenti lo stato e la capacità delle persone fisiche,
esclusa la capacità di stare in giudizio;
b) le questioni relative alla falsità di atti e documenti (cd. incidente di
falso).

3. GIURISDIZIONE DI MERITO
ART.7, CO.6 CODICE → il Giudice Amministrativo quando esercita
giurisdizione con cognizione estesa al merito può sostituirsi
all'amministrazione.
Ciò perché in diritto amministrativo la GIURISDIZIONE DI LEGITTIMITA’ mira
ad accertare solo la legittimità dell'atto amministrativo, in relazione ai motivi
dedotti dal ricorrente senza preclusione dell'accertamento del fatto;
la GIURISDIZIONE DI MERITO, invece, mira all'esame dell'atto, oltre che sotto il
profilo della legittimità, anche sotto il profilo della convenienza e della
opportunità.
Il POTERE SOSTITUTIVO si concreta nel fatto che IL G.A. NEI CASI DI
GIURISDIZIONE DI MERITO ADOTTA UN NUOVO ATTO, OVVERO MODIFICA
O RIFORMA QUELLO IMPUGNATO.
LA GIURISDIZIONE DI MERITO DEL T.A.R. è:
a) eccezionale, in quanto ammessa eccezionalmente, in deroga al principio
del sindacato giurisdizionale, di sola legittimità sull'atto amministrativo;

b) tassativa, cioè ammessa nei soli casi previsti dalla legge;

c) aggiuntiva, in quanto non esclude, ma si aggiunge alla giurisdizione di


legittimità.
La principale ipotesi di giurisdizione di merito è il giudizio di ottemperanza per
l'esecuzione delle sentenze.

4. GIURISDIZIONE ESCLUSIVA
ART.7, CO.5 CODICE → la giurisdizione esclusiva è caratterizzata dalla
circostanza per cui al G.A. è attribuita la cognizione, in via principale, sia dei
diritti soggettivi che degli interessi legittimi. Data l'ampiezza della cognizione
del giudice, si suole affermare che la giurisdizione esclusiva non configura
un'ipotesi di sola giurisdizione su atti, ma anche di giurisdizione su rapporti.
La GIURISDIZIONE ESCLUSIVA PRESENTA I SEGUENTI CARATTERI:
a) è eccezionale, poiché limitata a quei soli casi indicati dalla legge;

b) si può ricorrere al Giudice Amministrativo per la lesione sia di diritti


soggettivi che di interessi legittimi;

c) è soggetta ai principi generali che regolano la giurisdizione


amministrativa, laddove si verta in tema di interessi legittimi;
d) se oggetto del ricorso è la violazione dei diritti soggettivi, il ricorrente
può esperire oltre all'azione di annullamento dell'atto lesivo del diritto,
anche autonoma azione di condanna.
Le MATERIE nelle quali il Giudice Amministrativo esercita la giurisdizione
esclusiva sono elencate nell'ART.133 del Codice del Processo Amministrativo
→ (a titolo di esempio: l'azione di risarcimento del danno ingiusto cagionato
in conseguenza della inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento; in materia di accesso ai documenti amministrativi e violazione
degli obblighi di trasparenza amministrativa; in materia di urbanistica ed
edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e di espropriazione
per pubblica utilità nonché di servizi pubblici.

5. AZIONI ESPERIBILI INNANZI AL G.A.


Con l'approvazione del Codice del processo amministrativo è stata introdotta
nell'ordinamento una disciplina organica delle azioni esperibili innanzi al G.A.
che, in modo più o meno completo, ricalca il sistema delle tradizionali azioni di
cognizione (costitutive, di accertamento e di condanna).
Le AZIONI ESPERIBILI INNANZI AL G.A. sono:
 l'azione di annullamento, ex art. 29 del Codice;
 l'azione di condanna, ex art. 30 del Codice;
 l'azione avverso il silenzio della P.A. e quella di declaratoria di nullità,
ex art. 31 del Codice del Processo Amministrativo.

A) AZIONE DI ANNULLAMENTO
L'AZIONE DI ANNULLAMENTO costituisce l'espressione più tipica del processo
amministrativo, in quanto tesa a realizzare la cd. tutela di tipo demolitorio, ossia la
demolizione dell'atto impugnato.
ART.29 DEL CODICE → l'azione di annullamento per violazione di legge,
incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di 60
giorni.

B) AZIONE DI CONDANNA
ART. 30 del CODICE → disciplina l'AZIONE DI CONDANNA, attraverso una
disposizione che, sebbene incentrata sulla disciplina del risarcimento del
danno, ha una portata generale.
Essa può essere proposta sia contestualmente ad un’altra azione che in via
autonoma, nei soli casi, però, di giurisdizione esclusiva e nei casi individuati dallo
stesso art.30 del Codice, quando risulti necessaria, dopo l’annullamento, una
tutela in forma specifica del ricorrente mediante la modificazione della realtà
materiale (condanna ad un facere) o sia rimasta inadempiuta un’obbligazione di
pagamento o debba comunque provvedersi mediante l’adozione di ogni altra
misura idonea a tutelare la posizione giuridica soggettiva del ricorrente.

Infatti, il G.A., con la sentenza con cui definisce nel merito il giudizio, PUO’:
 ordinare all’amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine;
 condannare al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di
risarcimento del danno;
 condannare all’adozione di misure idonee a tutelare la posizione giuridica
dedotta in giudizio: ipotesi di cd. condanna atipica.
ART.30 DEL CODICE → disciplina, nell’ambito dell’azione di condanna, anche
l’AZIONE RISARCITORIA esperibile contro la P.A. per danni da illegittimo
esercizio dell’azione amministrativa o da mancato esercizio di quella
obbligatoria (quindi, a tutela di interessi legittimi) nonché, nei casi di
giurisdizione esclusiva, per danni da lesione di diritti soggettivi.
Questa è esperibile nel termine di decadenza di 120 giorni da quando il fatto si
è verificato o dalla conoscenza del provvedimento qualora il danno sia derivato
direttamente da questo, al fine di riparare un danno ingiusto derivante
dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di
quella obbligatoria.
Ancora, è possibile chiedere al G.A. il RISARCIMENTO DEL DANNO IN FORMA
SPECIFICA, qualora ricorrano i presupposti ex ART.2058 c.c., ossia quando tale
forma di reintegrazione risulti in tutto o in parte possibile e non sia eccessivamente
onerosa per il debitore.
Infine, una peculiare ipotesi di risarcimento del danno è collegata alla
inosservanza, dolosa o colposa, dei termini di conclusione del procedimento
amministrativo.

C) AZIONE AVVERSO IL SILENZIO DELLA P.A. E


DECLARATORIA DI NULLITA’
ART.31 DEL CODICE → decorsi i termini di conclusione del procedimento e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere
l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
Tale azione può essere proposta fino a che dura l’inadempimento e, comunque,
non oltre 1 anno della scadenza del termine di conclusione.
Altra ipotesi disciplinata dall’ART.31 in questione è quella dell’accertamento, e
relativa declaratoria, delle nullità previste dalla legge. Questa azione va
proposta nel termine di decadenza di 180 giorni e la nullità dell’atto può sempre
essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.
D) AZIONE DI ESATTO ADEMPIMENTO
Il D.LGS. 160/2012 ha introdotto nel Codice del processo amministrativo
l’AZIONE DI ESATTO ADEMPIMENTO, consistente nella possibilità di chiedere
al giudice amministrativo la condanna della pubblica amministrazione al
rilascio di un determinato provvedimento, e quindi ad un facere specifico.
Tale innovazione è avvenuta attraverso una modifica dell’ART.34, CO.1, LETT.
C), DEL CODICE, ove è stata inserita la previsione che l’azione di condanna al
rilascio del provvedimento richiesto può essere esercitata contestualmente
all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso
il silenzio ed entro i limiti di cui all’ART.31, COMMA 3, C.P.A.
Ne deriva che la domanda può essere proposta solo unitamente alle tipologie
di azione individuate, e non in via autonoma, e che è ammissibile solo
quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano
ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione.
Sono a tali condizioni, infatti, il giudice può valutare la fondatezza della pretesa
sostanziale e condannare l’amministrazione al rilascio di un dato provvedimento.

CAPITOLO 37 – PROCESSO AMMINISTRATIVO


1. DEFINIZIONE E PRINCIPI
Il PROCESSO AMMINISTRATIVO è un processo ad istanza di parte, essendo
rimessa all’iniziativa del soggetto interessato sia l’inizio de giudizio che la sua
prosecuzione.
Il processo amministrativa ha, nel tempo, subito una evoluzione, volta a
imprimere una maggiore celerità al giudizio ed a realizzare una pienezza
della tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
Il processo amministrativo è regolato dai seguenti PRINCIPI GENERALI:
tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto
europeo;
parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo: inoltre, il giudice
le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo;
dovere di motivazione e di sinteticità degli atti: è stabilito, infatti, che ogni
provvedimento del giudice deve essere motivato e che il giudice e le parti redigono
agli atti in maniera chiara e sintetica.
Il processo amministrativo, quindi, si presenta come processo di parti,
caratterizzato dal principio della domanda e dal dovere di corrispondenza
tra chiesto e pronunciato. Occorre precisare, inoltre, che, in virtù del rinvio
operato dall'ART.39 del Codice, per quanto non disciplinato dallo stesso si
applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o
espressione di principi generali.

2. PROCESSO AMMINISTARTIVO TELEMATICO


In base al principio della ragionevole durata del processo, il legislatore ha previsto
UN PROCESSO AMMINISTRATIVO TELEMATICO (PAT), ossia svolto in
modalità informatiche, più celere e semplice.
In un primo momento, è stato emanato il D.P.C.M. 40/2016, che ha introdotto il
(SIGA), SISTEMA INFORMATIVO DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, avente
il compito di gestire con modalità informatiche in ogni grado del giudizio la
formazione del fascicolo, la tenuta dei registri, il deposito, la conservazione, la
pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali, le comunicazioni di segreteria, la
trasmissione dei fascicoli ed ogni altra attività inerente al processo
amministrativo telematico.
In seguito, con il decreto del presidente del Consiglio di Stato del 28 luglio
2021 sono state emanate le nuove regole tecnico-operative e le specifiche tecniche
per l'attuazione del processo amministrativo telematico e per le udienze da
remoto.

3. PARTI DEL GIUDIZIO


Il termine “PARTE” individua chiunque partecipi al processo. Sono parti del
giudizio il soggetto che propone l'azione in nome proprio nonché il soggetto
contro il quale l'azione è proposta.
Sono parti:
il RICORRENTE (PARTE NECESSARIA) → colui che, avendo interesse
all'annullamento o alla riforma di un atto amministrativo, propone ricorso;
il RESISTENTE (PARTE NECESSARIA) → il soggetto interessato a che il
provvedimento sia conservato, chiede al G.A. il rigetto del ricorso presentando
deduzioni e documenti. Di solito è la P.A.;
il CONTROINTERESSATO (PARTE NECESSARIA) → colui che ha interesse uguale
e contrario rispetto a quello del ricorrente e posizione analoga a quella del
resistente e che, se risulta dall'atto impugnato o è facilmente individuabile, deve
essere coinvolto nel giudizio per assicurare il contraddittorio;
il PROPONENTE UN RICORSO INCIDENTALE → è uno dei soggetti a cui è stato
notificato il ricorso principale, che impugna il provvedimento per motivi propri ed
eventualmente propone una diversa domanda. Tale situazione è diversa da
litisconsorzio; qui, infatti, abbiamo due ricorsi distinti;
l'INTERVENIENTE (PARTE EVENTUALE) → il nuovo Codice del Processo
Amministrativo prevede non solo l'intervento nel giudizio ad adiuvandum o ad
opponendum, ma introduce anche quello per ordine del giudice che si ha qualora
il giudice ritenga opportuno che il processo si svolga anche nei confronti di 1/3.
4. SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
A) FASE INTRODUTTIVA: IL RICORSO
L’ATTO INTRODUTTIVO del giudizio davanti al T.A.R. è il RICORSO. In linea
generale, si tratta di un'istanza rivolta al giudice dall'interessato al fine di
ottenere l'annullamento del provvedimento impugnato ovvero, ove consentito,
l'accertamento dell'esistenza di un diritto vantato dal ricorrente ed
illegittimamente negato o pregiudicato dall'amministrazione.
Solo in ipotesi di controversia rientrante nella giurisdizione di merito è
possibile chiedere al G.A. di sostituirsi all'amministrazione.
Per quanto concerne i TERMINI PER RICORRERE, si distingue in base alla
tipologia della domanda:
 60 GIORNI per l'azione di annullamento (ART.29);
 120 GIORNI per l'azione di condanna al risarcimento (ART.30);
 1 ANNO per l'azione avverso il silenzio della P.A. (ART.31)
Il ricorso deve essere notificato alla P.A. e ad almeno uno dei controinteressati
(ART.41).
ART.40 → IL RICORSO DEVE CONTENERE;
 elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui
confronti il ricorso è proposto;
 indicazione dell'oggetto della domanda, compreso l'atto o il provvedimento
eventualmente impugnato, la data della sua notificazione, comunicazione o
comunque nella sua conoscenza;
 esposizione sommaria dei fatti;
 motivi specifici su cui si fanno ricorso;
 indicazioni di mezzi di prova;
 indicazione di provvedimenti chiesti al giudice;
 sottoscrizione del ricorrente o del difensore (con indicazione della procura
speciale).

B) COSTITUZIONE DELLE PARTI IN GIUDIZIO


Una volta depositato il ricorso (entro il termine perentorio di 30 giorni dalla
notifica), il giudizio è instaurato (e, pertanto, il giudice è investito della causa) e
si procede fino alla decisione, salvo che intervengano cause di interruzione o
estensione del processo.
Il contraddittorio è integralmente costituito quando l'atto introduttivo è
notificato all'amministrazione resistente e, ove esistenti, ai controinteressati.
Se il giudizio è promosso solo contro alcune delle parti e non si è verificata alcuna
decadenza, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti delle
altre entro un termine perentorio.
Le parti intimate, nel termine di 60 giorni dalla notificazione, possono costituirsi,
presentare memorie, fare istanze, indicare i mezzi di prova di cui intendono
valersi nonché produrre documenti.

C) FASE CAUTELARE DEL GIUDIZIO


Lo scopo principale della fase cautelare è quello di evitare che il decorso del
tempo pregiudichi la completa soddisfazione della pretesa fatta valere in
giudizio. Infatti, può accadere che, durante il tempo occorrente per la
conclusione del processo, vengano a mutare le condizioni patrimoniali o di fatto di
una delle parti, con il pericolo che l'altra, a processo ultimato, possa non
conseguire il soddisfacimento della sua pretesa. Sia nel processo civile che in
quello amministrativo i PRESUPPOSTI per il ricorso alla misura cautelare sono:
a) PERICULUM IN MORA → ossia il rischio che, nelle more del giudizio,
dall'esecuzione dell'atto impugnato derivino danni gravi ed irreparabili per il
ricorrente;
b) FUMUS BONI JURIS → e cioè un giudizio positivo, di carattere sommario,
in merito alla fondatezza del ricorso.
Il Codice, pur confermando i tradizionali presupposti delle misure cautelari,
procede ad una SUDDIVISIONE tra le tipologie delle misure medesime, articolate
a seconda del grado di urgenza in (ART.55 SS. Codice del Processo
Amministrativo):
 misure cautelari collegiali → nel caso in cui il ricorrente alleghi di subire
un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario per
giungere alla decisione del ricorso;
 misure cautelari monocratiche → ossia richieste eventualmente concesse
dal Presidente del T.A.R. dinanzi a cui pende il relativo ricorso, in ipotesi di
estrema gravità ed urgenza tali da non consentire neppure la dilazione fino
alla camera di consiglio;
 misure cautelari anteriori alla causa → prevista in caso di eccezionali
gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la previa notificazione
del ricorso e la domanda di misure provvisorie con decreto presidenziale.

D) FASE ISTRUTTORIA
Uno dei momenti essenziali attraverso cui si articola lo svolgimento del giudizio è
l'ATTIVITA’ ISTRUTTORIA diretta all'acquisizione dei mezzi di prova, forniti
dalle parti o richieste dal giudice, sulla base dei quali fondare la decisione finale
del processo.
Tra gli aspetti più nuovi introdotti dal Codice occorre citare:
 un'analitica disciplina dell'acquisizione dei mezzi di prova → il Codice,
infatti, premesso l’onero della prova a carico delle parti, prevede che il
giudice possa chiedere le stesse chiarimenti e documenti anche d'ufficio,
ordinare a terzi di esibire in giudizio documenti o quanto altro ritenga
necessario nonché disporre l'ispezione;
 l'ammissione della prova testimoniale da parte del giudice → su istanza
di parte e in forma scritta;

 una puntuale disciplina della verificazione e della consulenza tecnica


d'ufficio;

 una specifica previsione dei termini e delle modalità di svolgimento


dell'istruttoria.

E) DISCUSSIONE E DECISIONE DEL RICORSO


Espletata la fase cautelare del giudizio, laddove richiesta dal ricorrente, e salvo il
verificarsi di cd. vicende “anomale” del procedimento (ad esempio: sospensione,
interruzione o estensione del processo) nonché possano essere la fase istruttoria
necessaria, viene fissata l'udienza per la discussione del merito della causa
ex ART.7.
ART.73 del C.P.A. → le parti possono produrre:
DOCUMENTI fino a 40 giorni liberi prima dell'udienza;
MEMORIE fino a 30 giorni liberi.
Esse possono PRESENTARE REPLICHE, ai nuovi documenti e alle memorie
depositate, fino a 20 giorni liberi.
Nell'udienza le parti POSSONO DISCUTERE SINTETICAMENTE. Se ritiene di
porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice
la indica in udienza dandone atto a verbale.
Nel caso in cui ravvisi la manifesta infondatezza o la manifesta irricevibilità
inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con
SENTENZA IN FORMA SEMPLIFICATA.
La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto
di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente
conforme.
Terminata la discussione, il COLLEGIO DECIDE LA CAUSA.
Le UDIENZE SONO PUBBLICHE a pena di nullità, salva la trattazione in
camera di consiglio di alcuni giudizi particolari che sono:
a) i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari
collegiali;
b) il giudizio in materia di silenzio;
c) il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi;
d) i giudizi di ottemperanza;
e) i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l'estensione o
l'improcedibilità del giudizio.
Il presidente del collegio può disporre che l'udienza si svolgano a porte chiuse, se
ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume.
La sentenza deve essere redatta NON OLTRE IL 45° GIORNO DA QUELLO
DELLA DECISIONE della causa. Essa è immediatamente resa pubblica mediante
deposito nella segreteria del giudice che l'ha pronunciata.

5. PRONUNCE GIURISDIZIONALI
Il giudice può pronunciarsi in vari modi:
 con SENTENZA, laddove definisce in tutto o in parte il giudizio;
 con ORDINANZA, se dispone misure cautelari o interlocutorie o se decide
sulla competenza;
 con DECRETO, nei casi previsti dalla legge.

Occorre distinguere:
a) le PRONUNCE DI MERITO. Tra queste, rilevante è la sentenza. Se accoglie
il ricorso, nei limiti della domanda, il giudice:
 annulla in tutto in parte il provvedimento impugnato;
 ordina all'amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine;
condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di
risarcimento del danno, all'adozione delle misure idonee a tutelare la
situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di
risarcimento in forma specifica ai sensi dell'ART.2058 c.c.;
 nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, o modifica o
riforma quello impugnato;
 dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle
pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta.

b) le PRONUNCE DI RITO. Si hanno quando il giudice, anche d'ufficio,


dichiara:
 l'irricevibilità del ricorso, in caso di tardività della notificazione o del
deposito; l'inammissibilità del ricorso, qualora l'interesse sia carente o
sussistano altre ragioni ostative ad una pronuncia di merito;
 l'improcedibilità del ricorso, quando nel corso del giudizio sopravvenga un
difetto di interesse delle parti alla decisione, o non sia stato integrato il
contraddittorio nel termine assegnato, o ancora sopravvengano altre
ragioni ostative ad una pronuncia sul merito.
Il giudice dichiara ESTINTO il giudizio:
 se non è proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o
dal giudice;
 per perenzione;
 per rinuncia.

CAPITOLO 38 – GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA


1. CONCETTO E PRESUPPOSTI
ART.112 CODICE → I provvedimenti del giudice amministrativo devono
essere eseguiti (spontaneamente) dalla pubblica amministrazione e dalle
altre parti del giudizio. Tuttavia, non sempre accade che il soggetto obbligato
all'attuazione di una decisione adempia spontaneamente a quanto dovuto: in
quest'ottica, il legislatore ha previsto il cd. GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA, ossia
la possibilità di adire l'autorità giurisdizionale amministrativa con un ricorso
diretto ad ottenere l'esecuzione, da parte della P.A., delle sentenze non
spontaneamente eseguite.
Esso costituisce l'ipotesi più importante di giurisdizione di merito del giudice
amministrativo.
ART.112, CO.2, CODICE → individua l'ambito di applicazione del giudizio di
ottemperanza. In particolare, tale giudizio è FINALIZZATO ALL’ATTUAZIONE:
a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;
b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del
giudice amministrativo;
c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse
equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento
dell'obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato;
d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse
equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al
fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della P.A. di conformarsi alla
decisione;
e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere
l'adempimento dell'obbligo della P.A. di conformarsi, per quanto riguarda il
caso deciso, al giudicato.
I PRESUPPOSTI ESSENZIALI dell'azione di ottemperanza sono:
a) un giudicato o una pronuncia esecutiva ovvero un lodo arbitrale
esecutivo divenuti inoppugnabili. In particolare, per l'esecuzione delle
sentenze del giudice ordinario, o del giudice speciale e dei lodi arbitrali
esecutivi è necessario che una P.A. o un soggetto ad essa equiparato sia
stata da parte del giudizio;

b) la necessità di un provvedimento della P.A. successivo alla pronuncia:


considerato che per l’esecuzione del provvedimento giurisdizionale non
occorre alcun atto della P.A., il ricorso stesso non ha ragione di essere (cd.
sentenze autoesecutive);
c) l'inottemperanza della PA successiva alla decisione non eseguita: non è
dunque ammissibile il giudizio di ottemperanza ove l'esecuzione sia già
avvenuta.

2. COMMISSARIO AD ACTA
Il GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA, in quanto ipotesi di giurisdizione di merito,
comporta che IL GIUDICE AMMINISTRATIVO HA IL POTERE DI SOSTITUIRSI
ALL’AMMINISTRAZIONE nell'esercizio della sua attività:
→ ciò significa che il giudice può modificare o revocare un atto in contrasto con il
giudicato, ovvero determinare il contenuto del provvedimento necessario per dare
esecuzione alla decisione da attuare o, ancora sostituirsi all'amministrazione
nell'adozione dell'atto stesso.
Tuttavia, nella prassi accade che il giudice amministrativo anziché emettere egli
stesso il provvedimento, ordini alla P.A. l'ottemperanza, assegnandole un termine
per provvedere e contestualmente NOMINI UN COMMISSARIO AD ACTA, il
quale, scaduto il detto termine senza che l'amministrazione abbia provveduto, si
surroga ad essa e adotta il provvedimento.
Tale pratica è, oggi, positivizzato dall'ART.21 DEL CODICE, il quale stabilisce
che, in tutte le ipotesi in cui il giudice amministrativo deve sostituirsi
all'amministrazione, può agire direttamente ovvero nominare, come “proprio
ausiliario”, un commissario ad acta.

3. PROFILI PROCEDURALI DEL GIUDIZIO


Il procedimento del giudizio di ottemperanza è disciplinato dall'ART.114 DEL
CODICE.
L’azione, che si prescrive in 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza da
eseguire, si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato la P.A. e
a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo di cui si chiede
l'ottemperanza.
Il giudizio è definito dal giudice con SENTENZA IN FORMA SEMPLIFICATA (o
con un'ordinanza, se sia chiesta l'esecuzione di una ordinanza).
Circa il contenuto della decisione di accoglimento del ricorso, l'ART.114,
CO.4, DEL CODICE prevede che con essa il giudice:
 ordina l'ottemperanza, prescrivendo le modalità, anche mediante la
determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o
l'emanazione dello stesso luogo dell'amministrazione;

 dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;


 nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri
provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci
gli atti emessi in violazione o elusione;

 nomina, ove occorra, un commissario ad acta;

 salvo che non sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la


somma di denaro dovuta alla resistente per ogni violazione o
inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del
giudicato: tale statuizione costituisce titolo esecutivo.

4. RITI SPECIALI
I “RITI SPECIALI” i sono nelle forme processuali particolari, previste
dall'ordinamento con riferimento alla peculiarità di alcune controversie.
Con l'approvazione del Codice del processo amministrativo, si è proceduto ad una
riorganizzazione dei riti speciali nonché alla eliminazione di quelli ritenuti
superflui.
Le REGOLE COMUNI per tutti i riti speciali sono riconducibili a:
1) La netta riduzione dei termini processuali rispetto a quelli ordinari;
2) la creazione di un particolare rito processuale “speciale”, finalizzato a
favorire la rapida definizione nel merito delle relative controversie.
Secondo la classificazione contenuta nel Codice, vi sono i seguenti RITI
SPECIALI:
 in materia di accesso ai documenti amministrativi e di violazione degli
obblighi di trasparenza amministrativa;

 in materia di tutela contro l'inerzia della P.A. (ricorso avverso il silenzio-


inadempimento della P.A.);

 il rito per decreto ingiuntivo;

 il rito abbreviato comune a determinate materie elencate nell'ART.119


C.P.A.;

 in tema di procedure di affidamento dei lavori pubblici, servizi e


forniture (ARTT.119 e 120 del Codice del Processo Amministrativo);

 in materia di operazioni elettorali relativamente alle elezioni di Regioni


Province, Comuni e membri spettanti all'Italia nel Parlamento europeo;

 il rito avverso gli atti del procedimento elettorale preparatorio,


limitatamente alle elezioni regionali, provinciali e comunali.
CAPITOLO 39 – LE IMPUGNAZIONI
I MEZZI DI IMPUGNAZIONE delle sentenze dei giudici amministrativi sono:
l'APPELLO; la REVOCAZIONE; l’OPPOSIZIONE DI TERZO e il RICORSO PER
CASSAZIONE per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

1. APPELLO
ART.100 CODICE → contro le sentenze dei T.A.R è ammesso appello al
Consiglio di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze
del T.A.R Sicilia.
Nel GIUDIZIO DI APPELLO:
 non possono essere proposte nuove domande e nuove eccezioni non
rilevabili d'ufficio; non è considerata domanda nuova ed è, pertanto,
proponibile in secondo grado la richiesta di interessi ed accessori maturati
dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni subiti con la
sentenza stessa.
 non sono ammessi nuovi mezzi di prova né possono essere prodotti
nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili per la
decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto
proporli o produrli in primo grado per causa ad essa non imputabile.

2. REVOCAZIONE
ART.106 CODICE → le sentenze dei T.A.R e del Consiglio di Stato sono
IMPUTABILI PER REVOCAZIONE, nei casi e modi previsti dagli articoli 395 e
396 del Codice di procedura civile.
ART. 395 C.P.C. → IL RICORSO PER REVOCAZIONE È AMMESSO:
1. se la sentenza è l'effetto del dolo di una delle parti a danno dell'altra;

2. se si è giudicato case a prove riconosciute o dichiarate false dopo la


sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute
e dichiarate tali prima della sentenza;

3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la
parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per
fatto dell'avversario;

4. se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o


documenti della causa. Ricorre tale errore quando la decisione è fondata
sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente
esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità
è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto
non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a
pronunciare;

5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti


autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa
eccezione;

6. se la sentenza è l'effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza


passata in giudicato.
ART. 396 del Podice di Procedura Civile → dispone che le sentenze per le
quali è scaduto termine per l'appello possono essere impugnate per
revocazione nei casi dei numeri 1,2,3 e 6 dell'ART.395 del Codice di
procedura civile, purché la scoperta del dolo o della falsità o il recupero dei
documenti o la pronuncia della sentenza di cui al n. 6 siano avvenuti dopo la
scadenza del termine suddetto. Se tali fatti avvengono durante il corso del
termine per l'appello, il termine è prorogato dal giorno dell'avvenimento in
modo da raggiungere i 30 giorni da esso.
La REVOCAZIONE è proponibile con ricorso dinanzi allo stesso giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata; contro la sentenza del T.A.R., comunque,
la revocazione è ammessa se i motivi non possono essere dedotti con
l'appello.

3. OPPOSIZIONE DI TERZO
ART.108 del CODICE → detta una disciplina specifica, esperibile dinanzi al
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e contro le sentenze del
T.A.R. o del Consiglio di Stato pronunciate fra altri soggetti, quando dalle
stesse siano pregiudicati i diritti o gli interessi legittimi di 1/3.
La norma, ricalcando l'ART. 404 del codice di procedura civile, accoglie sia
l'OPPOSIZIONE ORDINARIA che l'OPPOSIZIONE REVOCATORIA:
OPPOSIZIONE ORDINARIA (COMMA 1) → è quella proposta da 1/3 contro una
sentenza del T.A.R. o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti,
ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi;
OPPOSIZIONE REVOCATORIA (COMMA 2) → è quella esperibile dagli aventi
causa e i creditori di una delle parti, quando la sentenza sia effetto di dolo o
collusione a loro danno.
L'opposizione di terzo si propone al giudice che ha pronunciato la sentenza
impugnata. Relativamente ai RAPPORTI TRA OPPOSIZIONE DI TERZO E
APPELLO, è confermata la prevalenza dell'appello: invero, l'ART.109, CO.2,
C.P.A. stabilisce che, se è proposto appello contro la sentenza di primo grado, il
terzo deve introdurre la domanda intervenendo nel giudizio di appello.
Se l'opposizione di terzo è stata già proposta al giudice di primo grado, questo la
dichiara improcedibile e, se l'opponente non vi è ancora provveduto, fissa un
termine per l'intervento nel giudizio di appello.

4. RICORSO PER CASSAZIONE


ART.111, CO.8, COST. → Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte
dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.
Detta a disposizione è ripresa l'ART. 110 del Codice del Processo
Amministrativo → che ammette tale ricorso contro le sentenze del Consiglio
di Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
Sono MOTIVI attinenti alla GIURISDIZIONE:
 il difetto assoluto di giurisdizione è collegato all'assenza assoluta di
tutela giurisdizionale in ordine alla pretesa azionata: si verifica quando
il Consiglio di Stato ha sentenziato su una domanda che, invece, era
improponibile per la mancanza di una norma giuridica diretta a tutelare
l'interesse dedotto in giudizio, con la conseguenza che, in relazione allo
stesso, non era possibile individuare un giudice titolare del potere di
decisione. Una simile ipotesi si verifica anche quando la questione è
demandata ad altro potere dello Stato (ad es. potere legislativo), diverso da
quello giurisdizionale (in tal caso, alcuni autori parlano anche di eccesso di
potere giurisdizionale);

 il difetto di giurisdizione del G.A. rispetto al G.O. per essere la questione


demandata all'esclusiva cognizione di quest'ultimo;

 il difetto di giurisdizione del T.A.R. o del Consiglio di Stato rispetto ad


altri giudici amministrativi (es. Corte dei conti);

 il difetto di giurisdizione ove il G.A. abbia esplicato un sindacato di merito


su questione in cui esso aveva competenza solo di legittimità;

 il difetto di giurisdizione per irregolare composizione del collegio


giudicante.
La disciplina del ricorso per Cassazione è quella dettata dal Codice di
procedura civile in virtù del rinvio operato dal Codice medesimo.

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