Caproni
Caproni
Caproni
GIORGIO CAPRONI
scrittore in versi
Grazie alla generosa disponibilità della
Ottobre 2012
Dott. Michela Zompetta, saggista (Plurime
Editora Comunità corrispondenze. Giorgio Caproni e Myricae),
la sua recente monografia, responsabile
Rio de Janeiro - Brasil
www.comunitaitaliana.com
I
Wisconsin-Madison); Elisabetta Santoro
(USP); Ernesto Livorni (Univ. Wisconsin-
Madison); Fabio Pierangeli (Univ. di Roma l 7 gennaio 1912, a Livorno, na- analizzare, sia nelle tematiche sia nelle
“Tor Vergata”); Giorgio De Marchis (Univ. sce Giorgio Caproni. A cento anni scelte metrico-linguistiche, i peculiari
di Roma III); Lucia Wataghin (USP); Luiz dalla sua nascita (e a ventidue aspetti della sua voce poetica che, pur
Roberto Velloso Cairo (UNESP); Maria
Eunice Moreira (PUC-RS); Mauricio
dalla sua morte) la rivista “Mosai- muovendosi entro un ambito di tradizio-
Santana Dias (USP); Maurizio Babini co” coglie l’occasione – tra le diver- ne, persegue la sua personalissima stra-
(UNESP); Patricia Peterle (UFSC); Paolo se iniziative culturali organizzate da mediante un percorso complesso e
Torresan (Univ. Ca’ Foscari); Rafael quest’anno in sua memoria – per articolato che abbraccia sia la prima sia
Zamperetti Copetti (UFSC); Roberto onorarlo attraverso un numero a lui la seconda metà del secolo scorso.
Francavilla (Univ. de Siena); Roberto
Mulinacci (Univ. di Bologna); Sandra Bagno
interamente dedicato.
(Univ. di Padova); Sergio Romanelli (UFSC); Gli scritti – nella autonomia delle affer-
Silvia La Regina (UFBA); Wander Melo Musicista, teorico, critico, tradutto- mazioni e valutazioni, condivise e co-
Miranda (UFMG). re, di professione maestro elemen- munque rispettate – sono stati composti
COMITATO EDITORIALE
tare, Caproni è stato considerato da studiosi che ne hanno indagato e ap-
tra i massimi e più originali poeti prezzato l’opera (e continuano a farlo) e
Affonso Romano de Sant’Anna; Alberto
Asor Rosa; Beatriz Resende; Dacia del Novecento dopo aver scontato a hanno avuto, alcuni di loro, la ventura di
Maraini; Elsa Savino; Everardo Norões; lungo la sua marginalità rispetto alle conoscerlo anche personalmente.
Floriano Martins; Francesco Alberoni; dominanti poetiche del suo tempo
Giacomo Marramao; Giovanni Meo Zilio; ed è ormai da decenni oggetto di Attraverso gli interrogativi più profondi
Giulia Lanciani; Leda Papaleo Ruffo;
Maria Helena Kühner; Marina Colasanti;
grande attenzione da parte di colo- sul significato del vivere e del morire,
Pietro Petraglia; Rubens Piovano; Sergio ro che si propongono di esplorare la l’indagine caproniana sulla condizione di
Michele; Victor Mateus sua opera partendo dalle molteplici precarietà e di solitudine dell’esistenza,
prospettive che la stessa permette di dall’impressionismo sensoriale delle pri-
ESEMPLARI ANTERIORI
considerare. me prove fino alle dimensioni metafisica
Redazione e Amministrazione
e ontologica dell’ultima stagione, viene
Rua Marquês de Caxias, 31
Centro - Niterói - RJ - 24030-050
I saggi presenti in questo numero ‘restituita’ in versi di singolare forza e
Tel/Fax: (55+21) 2722-0181 / 2719-1468 sono rivolti a restituire alcuni ricordi bellezza e costituisce un prezioso patri-
Mosaico italiano è aperto ai contributi della sua riservata e sensibile perso- monio ricco di significati che ci ha conse-
e alle ricerche di studiosi ed esperti nalità, nonché ad evidenziare le sue gnato un grande poeta, o meglio – come
brasiliani, italiani e stranieri. I
collaboratori esprimono, nella massima
doti di fine critico e di esperto tra- preferiva definirsi egli stesso – un gran-
libertà, personali opinioni che non duttore, ma soprattutto sono tesi ad de “scrittore in versi”.
riflettono necessariamente il pensiero
della direzione. Michela Zompetta
SI RINGRAZIAno
“Tutte le istituzioni e i collaboratori
che hanno contribuito in qualche modo
all’elaborazione del presente numero”
STAMPATORE
Editora Comunità Ltda.
ISSN 2175-9537
2
Indice
SAGGI
RUBRICA
Marketing
Francesco Alberoni pag. 30
PASSATEMPO pag. 31
3
Scrittura parallela per
«Il muro della terra»
Luigi Tassoni
I
n alcune illuminanti pagi-
ne, propiziategli nel 1984
dal conferimento della lau-
rea honoris causa dell’Università
di Urbino, Caproni scrive: «Dirò
soltanto che in me la spinta a tra-
durre, identica all’urgenza del
mio scrivere in proprio, forse è
nata dalla certezza che ogni po-
eta vero, più che inventare,
scopre: desta e pone in luce
in noi – per dirla con René
Char – dei bouts
d’existence».
4
Una giustificazione, per comin-
ciare. La familiarità con la poesia
di Giorgio Caproni per me ha inizio
nel periodo dei miei diciassette
anni, e parte proprio dalla lettura
di Il muro della terra, edito nell’apri-
le 1975 da Garzanti, che acquistai in
una libreria milanese nella breve
sosta d’un viaggio. Avrei poi com-
pendiato a ritroso con gli antece-
denti, e puntualmente seguito le
occasioni ulteriori del poeta. Ma
quell’inizio non fu facile e non fe-
lice, anzi funesto. Dovetti letteral-
mente intraprendere un corpo a
corpo, non senza sfinimenti, per
sopportare ciò che allora per mia
colpa mi appariva una mancanza di
attrazione del testo, l’evasione da
una impegnativa rottura, la man-
cata affermazione di un linguaggio
altro che cercavo e trovavo nel
prolifico regesto della poesia con-
temporanea. Ma Caproni esigeva
un’attenzione “ossuta”, come i si-
lenzi di cui parlava nel libro, ed io che chiama in causa per intero il poetico europeo. Vediamo perché.
invece con quelle mie lenti fuori prezioso libro, percorso tante vol- Il lettore di Il muro della terra ha
misura avevo scritto un affilatissi- te nel mio quaderno caproniano. l’impressione di percorrere le tap-
mo articolo per una rivista d’allora, In alcune illuminanti pagine, pe di un racconto, dominato da un
dai toni insoddisfatti. Quando poi, propiziategli nel 1984 dal conferi- intreccio in cui l’io è protagonista,
alcuni anni dopo, incontrai Capro- mento della laurea honoris causa e tende a riconoscersi in qualcun
ni, a Viareggio, disponibile interlo- dell’Università di Urbino, Caproni altro che è in lui (parafrasando il
cutore, seppi che aveva perdonato scrive: «Dirò soltanto che in me la Valaki más di Kertész) e che esiste
il torto dell’improvvido lettore. Ne spinta a tradurre, identica all’ur- e resiste anche come Dio, il quale è
seguirono letture coinvolte, e uno genza del mio scrivere in proprio, solo se e perché rapportabile all’io.
scambio di lettere in cui dimostra- forse è nata dalla certezza che ogni L’alterità per la poesia di Caproni
va una generosità circostanziata poeta vero, più che inventare, sco- è universo prospettico che parte
nei confronti del giovane lettore pre: desta e pone in luce in noi – dalla figura centrale capace di dare
di poesia, e inoltre, fra le frequen- per dirla con René Char – dei bouts brevi tracce di sé e in quella brevità,
tazioni, una nella casa romana di d’existence»2. alla maniera di Dante nel suo viag-
via Pio Foà, in quello studio dove il Ora, i bouts d’existence di Il gio, di dare prova concretamente
violino accanto al leggio contende- muro della terra cominciano con del proprio esserci, corpo distinto
va attenzione, a lato della finestra, una dedica discreta e timorosa, dai dannati che incontra. La voce
alle letture e alla scrittura di quel criptica, alla compagna d’una vita, che narra e che ritma l’ironico tra-
giorno sulla scrivania linda. La casa Rina, il cui vero nome era Rosa gico gioco nel libro disegna la map-
silenziosa faceva pensare, oltre che (come scrive in un autografo: pa tutta interna al muro della terra,
alle attese della poesia, a quell’in- «nata in Val Trebbia, già dominio ovvero ai confini etici e spaziali che
faticabile cura di lettore e critico, longobardo»3): «Ah rosa, quando ti sono l’unica certezza d’una finitu-
che ha portato Caproni a scrivere colsi, / montana e quasi longobar- dine umana, paradossale e con-
pagine indimenticabili, purtroppo da ancora…»; e termina con una traddittoria che si ‘diverte’ a non
in gran parte affidate ancora alle citazione dall’autobiografia di Goe- supporre infinitudini immaginarie,
tante riviste che le ospitarono, con the. Quasi ad aulica dedica di fronte e a distinguersi dall’inspiegabile
l’eccezione del manipolo di scritti a Quasi da «Poesia e verità», o: L’au- nulla forse al di là del muro.
critici raccolti postumi in La scatola lico egoista, due titoli che valgono Intanto vale la pena di ricorda-
nera1. Ed è proprio La scatola nera un testo, e trattengono in un con- re, preliminarmente, che la ragione
a dare l’avvio alla lettura di Il muro fine tutt’altro che aulico uno dei primaria del testo sta nella consi-
della terra, alla presente rilettura libri fondamentali del Novecento stenza del libro come tale, organiz-
1
Cfr. L. Tassoni, La critica degli scrittori, in Aa.Vv., Storia della letteratura italiana, vol. XI, La critica letteraria dal Due al Novecento, coordinato da P. Orvieto, Roma,
Salerno editrice, 2003, pp.1252-1254.
2
G. Caproni, Sulla poesia, in Id., La scatola nera, prefazione di G. Raboni, Milano, Garzanti, 1996, p. 37.
3
Le carte caproniane, edite da Luca Zuliani, sono come in questo caso sempre di grande aiuto per l’interpretazione. Cfr. la sezione Apparato critico in G. Caproni,
L’opera in versi, edizione critica di L. Zuliani, introduzione di P.V. Mengaldo, cronologia e bibliografia a cura di A. Dei, Milano, Mondadori, 1998, che da qui in avanti
indico con la sigla Ov, seguita dall’indicazione della pagina, e in questo caso Ov,1539.
5
zato in flussi di versi, in sezioni non leopardianamente pieno, disposte Il fatto è che Il muro della terra
casuali, in pagine brevi e abbreviate sul sentiero, sullo spazio del testo, è il limite del possibile, e si misura
dove giocano ritmo e toni nei rinvii al di qua del muro. nella ostinata enunciazione dell’io
interni dei suoni che puntellano e Il muro della terra comincia con fino al suo confine estremo dell’al-
sono il discorso. Per questi motivi, Tre vocalizzi prima di cominciare, terità che è Dio: volerlo o non vo-
credo che vadano prese con le pin- vocalizzi scritti in corsivo, che più lerlo superare il fatidico muro di
ze le avvertenze di un grande criti- che preparare al libro, ci portano suggestione dantesca è questione
co come Mengaldo che ha parlato già nel vivo della sua percezione da poco, in sé, mentre l’interesse
di «disgregamento e dimagrimento del tragico, ovvero nel dilemma sta nel cercare di percorrerlo lun-
formale (alle porte dell’afasia)» di della contraddizione irrisolvibile go la sua traccia, sta nel cercare e
una poesia “a-lineare”4, così come di chi osa mettere le mani nella nel chiedere indicazioni, nel porre
con permalosi distinguo andrebbe testa della Medusa, immagine em- domande, anche se le risposte non
ricontrollata una sia pur magistrale blematica suggeritaci da uno dei arriveranno mai. In questo inces-
riflessione alta, quella di Agamben grandi tragici del teatro contem- sante domandare sta l’affermazio-
che ha parlato addirittura di apro- poraneo, Miklós Hubay. Dunque, ne della presenza del soggetto, e
sodia. Secondo Agamben nelle ul- cosa succede nel primo cosiddetto una traccia sostanziale per la sua
time opere di Caproni si attua una vocalizzo, Falsa indicazione? L’io, altrimenti inspiegabile identità.
progressiva “trasformazione del così dichiarato in prima battuta, Dove vanno le figure e cosa c’è
legame musaico”5 (dal Convivio: la non vede al di là di un cartello, ma dall’altra parte del muro il libro non
dolcezza e l’armonia acquisiti ritmi- vede cosa sta scritto sul cartello, e lo racconta affatto. Sicché non ci
camente), che configurerebbe una non vede dietro il cancello. Ma al- resta che percorrere, al di qua, ciò
sorta di aprosodia “distruttiva del lora cosa non vede? Appunto: non che il muro del presente, della me-
linguaggio” («alterazioni del suo vede “ombra di terra straniera” moria, del confine, racchiude e trat-
aspetto tonale e ritmico»), intesa (v. 4), impossibilità che genera un tiene, per cui il lettore assiste, sulla
come conquista rispetto ad una li- piccolo equivoco e forse un’anti- pagina, alle fughe ma non alla rap-
rica per tradizione moderna vinco- frasi: se l’io non vede “ombra di presentazione del “verso dove”.
lata al “legame musaico”, ostacolo, terra straniera”, non è detto che L’esperienza della brevità com-
secondo Agamben, alla traducibili- non veda una terra che straniera porta la scelta del metronomo: la
tà in altre lingue. Detto per inciso, non è. Eccolo tutto sotto gli occhi prosodia caproniana sopravvive
risulta smentito il responso dalla del lettore il gioco autodichiarativo in un andamento fonoritmico che
variabilità metrica della poesia ita- dell’io, che è il focus di tutto il libro, privilegia la dizione dell’io, la sua
liana contemporanea, a partire dai capace ora di vedere ciò che non ripetibilità ad eco, in modo da or-
cosiddetti ermetici che, non solo c’è: confine, dogana, terra stranie- ganizzare intorno a questa cellula
non avevano un “programma”, ra. Eppure questo confine è detto, il tessuto del discorso, e il battere
come invece ritiene Gian Luigi Bec- è enunciato nella sua qualità di se- del ritmo che ne anima la forma.
caria, ma neanche un indirizzo eroi- gno verbale che non indica un refe- Il muro della terra è il libro del de-
co e mitico in sé6, e fino agli esempi rente pertinente, oppure indica un vertere, del divertimento come
alti dell’ultima nostra poesia che ha non referente. L’io cercatore è alla rotazione del tragico, il luogo nel
saputo riformulare persino la strut- sua prima stazione del viaggio, e
tura formale del sonetto, particola- anche a patire il primo scacco. Il se-
re di un certo coinvolgimento nel condo vocalizzo, Tristissimo, lo co-
lavoro di Caproni7, e che ha saputo glie, l’io, proprio come traccia foni-
far rinascere il verso dalla prosa. ca rimescolata nel continuum dei
L’orecchio dovrà invece seguire suoni e dell’equivoco che è prima
con minore integralismo la voce, il omofonico e poi semantico: parte
ritmo, il suono, le figure di Il muro e/o non parte. Il terzo, Dedizione,
della terra, tenendo conto che Cal- nasconde e mostra nella dizione
vino lo aveva acutizzato in modo francese la resa, la sconfitta, lo
interessante, parlando dell’elegia sconvolgimento per l’arrestarsi del
della vita e della cantabilità ca- viaggio, insabbiato negli enunciati
proniane, entrambe al confine del e mostrato nella triplice anafora
nulla8, per imparare anche noi a se- che comunque dichiara il Je come
guire queste briciole di nulla pieno, soggetto attivo della trama.
4
P.V. Mengaldo, Per la poesia di Giorgio Caproni, in Ov, p.XXI. A Mengaldo si deve, fra l’altro, un’attenta
analisi di una traduzione caproniana di Apollinaire, nella quale parla di «fedeltà ai caratteri melodici e
cantilenanti, e in certo modo, gnomici dell’originale, che vengono rafforzati e dal legato fonico e dalla
chiusa in consonanza con la rima baciata». Cfr. La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi,
1971, pp. 179-180.
5
G. Agamben, Disappropriata maniera, in G. Caproni, Res amissa, Milano, Garzanti, 1991; ora in G. Agam-
ben, Categorie italiane. Studi di poetica, Venezia, Marsilio, 1996, p. 102.
6
G.L. Beccaria, L’autonomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio,
Torino, Einaudi, 1975, soprattutto p. 30.
7
L. Tassoni, Il Senso nascosto. Un sonetto di Caproni, in Id., Senso e discorso nel testo poetico, Roma,
Carocci, 1999, pp. 175-186.
8
I. Calvino, Il taciturno ciarliero, in G. Devoto e S. Verdino (a cura di), Genova a Giorgio Caproni, Genova,
Edizioni S. Marco dei Giustiniani, 1982, pp. 247-250.
6
quale l’io si sposta con il suono del- brevità, ripetitività, ritorni, incisi, la tua inesistenza» (vv. 9-10); ed è
la parola dalla superficie dello spa- e rifiuta all’opposto la rapidità. Il così che la stonatura può essere
zio alla sua profondità, o meglio muro della terra è il libro che prova interpretata come un fatto dell’in-
(ecco la sezione Due divertimenti) la resistenza della parola e quella coerenza, dell’irrisolvibile, nel gio-
all’altezza delle costellazioni «a dell’immagine e del senso fino alla co anche fonico che porta dal dono
piombo / (…) / nere» (Toponimi, loro estrema possibilità referen- al furto, dal non perdono a Dio, e
vv. 8-10), svelato ancora un limite ziale. Per questo, a proposito del poi all’odio, possibile perché tra-
nascosto. Per cui sembrerebbe, a nulla, di cui parla frequentemen- dimento del suo opposto, detto
un certo punto della lettura, che la te Caproni, diremo che si tratta di nel testo con un ritmo variabile,
linea appartenga al significato del qualcosa di materialmente cosa- breve, armonizzato in rima, ‘sto-
filo che unisce e tiene distinto ciò le, pungolato nella brevità, e non nato’ nel suo andamento prosodi-
che si vede da ciò che non si vede. sono proprio convinto che esso si co. Dunque, la rima e quell’allegra
L’immagine naturalmente si forma contrapponga al poco, come ha cantabilità del fonoritmo finiscono
sempre dalla parte del visibile. Il la- scritto Italo Calvino, perché sem- per dire cose non lievi, come il non
voro della parola e sulla parola (lo bra essere piuttosto ciò che scatu- essere di Bisogno di guida, il testo
dimostra il geniale omaggio a Dino risce dal poco9, ciò che lo continua, eponimo della sezione, stempera-
Campana, poeta della ripetizione) ciò che nella parola in verso, nella to dalla risposta: «“Non sono,” /
batte (cfr. Batteva, vv. 37-38) come poesia, nel suo microscopico pun- mi rispose, “del luogo.”» (vv. 3-4).
su materia resistente, il nome è tellato ritmo è persistente, è esi- Inesistenza di Dio da un lato, inesi-
battuto tanto nel conio della mo- stente anche per noi. Insomma il stenza dell’io dall’altro. Posizione
neta quanto nel vento, e sul finale nulla è per Caproni concretamente questa che a fil di lama, percorren-
del testo «nel nome / vuoto che si tangibile e fa parte dell’esperienza do l’apodittico muro, dà nuovi trat-
perdeva / nel vento» (vv. 17-19). Il del presente. Ecco ancora una ca- ti a quel cercatore, di cui parla la
lettore deve tenere conto che la ratteristica della scrittura tragica. poesia eponima, che inventa la si-
particolare disposizione dei testi Potremmo immaginarci il per- gnificativa e bellissima immagine di
è volutamente insistita sul fram- sonaggio del libro, quello che dice una sorta di Diogene perso con la
mento di pochi versi, spezzata, “io”, quello che prende a schiaffi sua lanterna in una inondazione di
che invade la pagina successiva, di Dio, come ce lo fa intravedere il luce nell’abbaglio che equivale alla
modo che la brevità si suddivida di poeta, ovvero impegnato a bat- tenebra e alla perdita della traccia,
pagina in pagina. Diversamente, a tere la testa contro il muro della tema coinvolgente, peraltro, in
partire dal libro successivo di Ca- terra. In un intervento del 1975 su tutto Il franco cacciatore (1982). Ed
proni, Il franco cacciatore (1982), «La Fiera Letteraria», lo stesso Ca- è per questo che vedere nel buio,
la brevità del verso si dispone oriz- proni ammette ironicamente: «C’è naturalmente, o ad occhi chiusi,
zontalmente in modo non linea- un piccolo pazzo nel mio libro, che equivale a chiedere, e per Caproni
re e discendente, riproducendo vorrebbe forare quel muro, ma a interrogare, a porre la domanda,
formalmente l’immagine di quella non per vedere cosa c’è di là, bensì piuttosto che ad affermare, affer-
spezzatura, e tuttavia del rispetto cosa c’è di qua: qua»10. Il punto è, rare la risposta, risolvere l’enigma
del discorso. Un rispetto che esige non tanto sapere se il “piccolo paz- (ecco i versi lapidari di Istanza del
zo” vede cosa c’è di qua, ma come medesimo). La coerenza etica sta
vede cosa c’è di qua. Il libro proce- nella costanza di questa richiesta.
de per nuclei di sezioni che hanno E se è impossibile perforare la te-
una loro continuità non occasiona- nebra con la luce, dilemma apo-
le interna, come ho già detto, e in calittico, figuratevi se è possibile
relazione fra i nuclei. Altri, se non «perforare / il muro della terra»
l’ha già fatto, saprà rendere meglio (Anch’io, vv. 4-5), con quell’effet-
di me il computo di questa percepi- to inquietante della “guerra d’un-
bile sintonia interna al libro stesso. ghie” (vv. 2-3).
Il tema portante dell’inesi- La paradossalità di spaccare la
stenza di Dio implica un irrisolvi- faccia a Dio (“Faccia”, scrive Ca-
bile sillogismo: che cos’è, infatti, proni), ‘vero’ forse solo nella locu-
l’esistenza di qualcosa se non una zione popolare (Lo stravolto), ma
prova di realtà richiesta? Il bambi- assente e inesistente, nascosto,
no di Cantabile (ma stonato) (con suicidato (Deus absconditus), e in-
la consueta reductio nel primo dei vocato dalla bugia di chi invita a sal-
testi di Bisogno di guida) è ritratto varlo sull’altare (Il pastore). Quale
in un percorso consequenziale del confessione sarà allora possibile, se
paradosso: parte dal superamento è possibile? Per capirlo, leggiamo
della “vergogna nera”, crede, pre- di seguito Testo della confessione e
ga, dona il suo mazzetto di fiori, Coda della confessione. Nella prima
ma poi non perdona «il furto / del- poesia l’azione del killer è rivolta
9
Ivi, p. 250.
10
Cfr. la citazione di Zuliani nell’apparato critico del Meridiano Mondadori, Ov, 1551-1552.
7
a qualcuno che non c’è ma c’è, in vento è in equivalenza con il vuoto, Due svolazzi finali. Il secondo, Quasi
un alternarsi di dubbio, o di realtà con «un soffio / senz’anima, morto» da «Poesia e verità», o: L’aulico egoi-
doppia, di mondi paralleli, in cui chi (Dopo la notizia, vv. 21-22): e così sta, è la citazione di una citazione
accoltella si riconosce nell’accoltel- ribadisce il poeta richiamando Ago- dall’autobiografia di Goethe, come
lato. Anche l’effetto di immedesi- stino en passant. La fine del tempo già detto, adattata alla circostan-
mazione-sostituzione nell’alterità è l’eternità senza misura: «Un ven- za (cfr. per i particolari Ov, 1571),
costituisce nel discorso di Caproni to / spopolato» (vv. 24-25). In effet- perché allude, seguendo il punto
un incentivo all’intervento del pa- ti Agostino nella Confessioni (XI, 14) di vista di Caproni, ancora una vol-
radosso, ovvero del paradosso in- si preoccupa proprio di chiarire la ta al “bel sole cadente” (v. 7), che
teso come inversione dei contrari. percezione del tempo come misura è riferimento al limite del giorno,
Prova straordinaria questa della rispetto a ciò che va al di là d’esso e guardato fin dove e fino a quan-
coesistenza e della comunicazione che non è più misura umana: «non do è possibile. Ecco, persino nelle
fra individualità, tanto che il nome, possiamo dire che il tempo è in conclusioni Il muro della terra spe-
proprio perché distingue, potrebbe quanto tende a non esistere?». rimenta la brevità e in essa mette
separare e separa, appartenendo a Sulla sua copia delle Confessio- alla prova il limite del senso e i limiti
uno solo, ma è (come vediamo nel ni, a margine del libro XIII, capitolo del discorso in atto, tanto nel riuti-
testo) un nome inutile, un richia- 29, Caproni annota: «nel mio verbo lizzo di materiali verbali e prosodici
mo senza risposta che fa ricadere non cade tempo» (cfr. Ov, 1559). di risulta, quanto nell’intrecciare il
ad eco il richiamo nel vuoto. Nella Agostino in un passo spiega: «men- proprio fonoritmo dei paradossi.
seconda poesia il riconoscimento tre voi vedete tali opere nel tempo, L’altro frammento, in chiusura, Ca-
dell’alterità porta il paradosso fino io le vedo fuori dal tempo, come le denza, è la conclusione appropriata
all’estremo irrisorio, divertito e de- dico fuori del tempo, mentre voi le per il libro dell’irrisolvibilità tragica,
vertente (in questi frangenti viene dite nel tempo». cantata nella strofetta con un’ul-
sempre in mente la giocosità tragica In questo passaggio di Il muro tima estrema domanda: «Rimane
di I cavalli bianchi di Palazzeschi), del della terra, prima di chiudere la se- così irrisolto / l’accordo della mia
dirsi morto o dirsi Dio, in quell’equi- zione con una citazione di Emily vita?» (vv. 3-4). La soluzione, come
valenza con l’altro. Così l’interroga- Brontë (Versi incontrati poi, in ef- la risoluzione e la risposta, stanno
tivo di Postilla (fra parentesi, distico fetti due versi qui divenuti quattro, nella rilettura, a ritroso, di uno dei
precedentemente pensato come che parlano del desiderio di non libri di poesia più intimamente ra-
finale di Deus absconditus, secondo abbandono della propria casa fino dicati nella necessità autoriflessiva,
l’autografo di Ov, 1553), può essere alla tomba), troviamo il testo più nel confronto dell’io, nella speri-
ascritto alla medesima zona dell’au- esteso di tutto il libro, Parole (dopo mentazione di un senso che non
toriflessività del “tu”: «(Non ha sa- l’esodo) dell’ultimo della Moglia. La andrà mai, per correttezza etica, al
puto resistere / al suo esistere?)». poesia, insinuando ora il motivo di là del fatidico muro.
Nel distico in sé testo, scritto fra pa- dell’abbandono della dimora, fa Per finire, dunque, senza finire,
rentesi come una glossa al margine, egualmente parte di questa rifles- ricordo con piacere un brano caro
è evidente, invece, la summa di una sione tra la materialità del tempo a Caproni, scritto da René Char, e
poetica. Qui si capovolge l’afferma- come movimento- misura delle da lui tradotto e citato nel saggio
zione in dubbiosa interrogazione, cose e l’inspiegabile spazio fuori introduttivo del grosso volume
la negazione dell’esistere in prova del tempo: «Mi sento / perso nel di traduzioni dell’opera del poeta
ontologica, come se il fatto di non tempo. // Fuori / del tempo, forse» francese: «La poesia è ad un tem-
esistere (nell’autografo il poeta (vv. 33-36). Qui murare l’interlocu- po parola e provocazione silenzio-
scrive in un primo tempo solo “esi- tore, che è anche l’io autoriflessi- sa, disperata, del nostro essere-esi-
stere”) costringa a passare al suo vamente, nel «silenzio sordo / d’un gente per l’avvento di una realtà
contrario, essere perché il non esse- frastuono senz’ombra / d’anima. Di che non avrà rivali»11. Questa pa-
re comporta comunque una traccia parole / senza più anima» (vv. 50- rola e questa provocazione silen-
di presenza, è azione, è persistenza 54), è il rischio che si vuole scongiu- ziosa e disperata non smetteremo
della mancanza. E dunque: Dio esi- rare. Alla fine di tutto rimane il filo mai di ascoltare.
ste perché non ce la fa a non esiste- sospeso del dubbio (un altro muro
re, e con esso l’io che afferma una della terra, lo stesso da cui il vian-
presenza piena perché non resiste dante stacca la lanterna) tra l’addio
al vuoto dell’inattività, alla negazio- anche al vuoto (vv. 79-80) del pre-
ne del proprio riconoscersi. sente e l’incognita di chi, abbando-
La sezione Tema con variazioni nata la solidità del proprio sasso (v.
accentua con il gruppetto di testi 87), non sa se altrove l’io avrebbe
che raccoglie la sparizione dell’al- senso (e il sasso non è forse tanto
tro «col quale amorosamente / po- la dimora quanto la sepoltura?).
ter altercare?» (Lasciando Loco, vv. Il finale di un libro così cruciale,
26-27), persino la maggiore alterità tragico e lieve allo stesso tempo,
che è qui Dio. La sola presenza del non poteva che essere assegnato a
11
Tratto da A une sérénité crispée (1950), il brano è tradotto da Caproni nel volume di R. Char, Poesia e prosa, trad. it. di G. Caproni, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 517.
8
Ritorno a
Giorgio Caproni
Dante Maffìa
9
te e di affinare lo stile, di essenzia-
lizzarlo e pulirlo via via dalle scorie
troppo sporche di letteratura, per-
ché l’assillo di Caproni è comunque
identico a quello di Saba: anch’egli
guarda a Metastasio, a Chiabrera,
alla poesia melica settecentesca, ai
libretti d’opera dai quali ricava ac-
censioni vitali per i propri versi, in
direzione di una intensità musicale
che possa dare alle immagini e alle
emozioni uno scatto di luce visiva.
Ma non si lascia andare all’apoteosi
del suono, pur essendo un cultore
del violino, non s’innamora di fat-
tori esterni e smorza il canto con
una maestria che lo porta sui ritmi
della prosa senza tuttavia inficiare
minimamente la sinfonia, anzi ren-
dendola più accattivante.
Si è dibattuto se Caproni abbia
subito, nei primi anni della sua scrit-
tura, il magistero di Giosue Carducci.
Giuseppe de Robertis vi accenna in
un famoso articolo del 5 settembre
19596 e Giacinto Spagnoletti7 inve-
ce lo nega. Io credo che Carducci
sia entrato negli interessi del primo
Una prima lettura delle poesie rilevanti e desueti. Insomma, fuori Caproni, ma il Carducci senza enfasi,
di Giorgio Caproni dà l’impressione dalla mischia, dalla bagarre che poi quello di Alla stazione in un mattino
che egli non sia transitato attra- travolge istituzioni e paludamenti, d’autunno, per esempio, che gli por-
verso le ultime esperienze poeti- soprattutto a partire dal 1963, cre- ge il primo segno grafico per il ritrat-
che, che abbia ignorato futurismo, ando la malattia del significante e to di Annina. Comunque stabilire
crepuscolarismo, surrealismo ed riducendo la poesia a una poltiglia parentele di Caproni con i poeti a lui
ermetismo ma senza mettersi in di intenti filologici fine a se stessa. più consanguinei (Giovanni Pascoli,
barricata, senza contrastare nes- Giorgio Caproni prosegue per come ha dimostrato in un recen-
suno, facendo la scelta che il cuore la sua strada con lo scetticismo e a te e documentato studio Michela
gli ha dettato. Fuori dal suo tempo, un tempo la fede di chi è sicuro dei Zompetta8; Alfonso Gatto, come è
dunque, in disparte, come un alpi- propri mezzi e delle proprie virtù. stato più volte ripetuto da Baldacci9,
nista solitario che punta alla vetta Non scende a patti (e non era facile da Pampaloni10, da Iacopetta11, da
ma non vuole percorrere i sentieri resistere alle tentazioni visto che si Mengaldo12, da Marco Marchi13) non
usuali. In ciò mi viene spontaneo erano ‘sbracati’ diventando pala- porta molto lontano per compren-
apparentarlo a Umberto Saba: dini della moda quasi tutti i critici dere la forza e la bellezza di testi che
stesso atteggiamento riservato e militanti e quelli accademici), non hanno sempre uno spiccato senso
sornione, stessa rinuncia agli in- recrimina e coltiva ostinatamente di assoluta libertà e di autonomia.
tellettualismi di moda, medesimo la sua tecnica espressiva impegnan- Anche quando, all’inizio, Caproni ha
atteggiamento incantato-disincan- dosi in traduzioni talvolta difficilissi- sullo sfondo i maestri e le suggestio-
tato davanti allo svolgersi caotico me, Proust1 e Frénaud2, Char3, Céli- ni recenti, questi assumono la sua
del mondo letterario, con una per- ne4, Cendrars5, per esempio, che fisionomia, vengono, per così dire,
sonalissima lente d’ingrandimento gli permettono di approfondire il immediatamente adottati e fusi nel-
che focalizza particolari per altri ir- linguaggio, di chiarirlo ulteriormen- la propria identità.
1
M. Proust, Il tempo ritrovato, Torino, Einaudi, 1951.
2
A. Frénaud, Il silenzio di Genova e altre poesie, Torino, Einaudi, 1967; Id., Non c’è paradiso, Milano, Rizzoli, 1971.
3
R. Char, Poesia e prosa, Milano, Feltrinelli, 1962.
4
L.F. Céline, Morte a credito, Milano, Garzanti, 1964.
5
B. Cendrars, La mano mozza, Milano, Garzanti, 1967.
6
G. de Robertis, Il seme del piangere, in «La Nazione», 5 settembre 1959 (poi in Altro Novecento, Firenze, Le Monnier, 1962).
7
Cfr. G. Spagnoletti, Storia della letteratura italiana del Novecento, Roma, Newton, 1994, pp. 490-494.
8
M. Zompetta, “Plurime corrispondenze”. Giorgio Caproni e Myricae, Viterbo, Sette Città, 2011.
9
Cfr. L. Baldacci, Luzi aveva previsto la fine del neorealismo, in «Epoca», 2 maggio 1965; Id., L’assenza dalla storia, in «Il Gazzettino», 2 settembre 1975; Id., Caproni
e il Dio impossibile, in «La Nazione», 30 agosto 1982; Id., Dimenticare Petrarca: rime e ritmi del Novecento, in «La Nazione», 23 luglio 1986; Id., Versi fra sentimento
e concetto, in «La Nazione», 23 gennaio 1990.
10
G. Pampaloni, Fa freddo nella storia, in «Il Giornale», 8 settembre 1982; Id., Tra l’Apocalisse e il Nulla, in «Il Giornale», 23 gennaio 1990.
11
A. Iacopetta, Giorgio Caproni. Miti e poesia, Roma, Bonacci, 1981; Id., Costanti e varianti nella poesia italiana del Novecento, Roma, Bonacci, 1988.
12
P.V. Mengaldo, La tradizione del Novecento, Torino, Einaudi, 1991.
13
M. Marchi, Giorgio Caproni, in «Il Ponte», XLVI, 3 marzo 1990 (poi in Pietre di paragone, Firenze, Vallecchi, 1991).
10
Egli aveva il dono naturale e, musicali ci sono lo strazio e il dolo- forte e distinguibile nei suoni, nelle
secondo me, eccelso, di saper ade- re, il senso della perdita che a volte parole ricorrenti, nel disegno melo-
rire quasi carnalmente alle letture assume toni struggenti, e la dispe- dico, nelle rime, sì da renderla una
che lo appassionavano e gli scardi- rata consapevolezza del nulla che musica conclusa, esatta»14.
navano gli archetipi e gli stereotipi lo angoscia. Con voce il più possi- E questa musica conclusa ed
accumulati. Ma poi sapeva discer- bile semplice, quasi elementare, esatta si riverbera poi anche nelle
nere prontamente l’essenziale dal che lo porta a utilizzare espressio- opere della maturità che per mol-
marginale e trovare le sue adesioni ni e immagini quasi usuali, egli ridà ti critici hanno subito mutamenti
a pelle, soprattutto tra quei poeti verginità e nuova vita alla parola notevoli rispetto alla produzione
genericamente chiamati espres- accendendola di caldi e sincopati degli esordi. In realtà a me pare
sionistici. I lirici classici sono stati palpiti, di improvvisi scatti che fan- che Caproni mirasse a conservare
il suo pane quotidiano, ma anche no pensare a un grande giocatore la propria identità di voce al di là
in questo caso senza mai chiudere di scacchi. Si noti come egli sappia delle nuove acquisizioni, al di là dei
la porta ad altre occasioni, a con- creare uno sposalizio direi naturale nuovi interessi. Il suo timbro rima-
fronti, a letture e riletture che po- tra la tragicità e l’idillio servendosi ne fermo e denso come in principio
tevano dargli la facoltà di entrare di assillanti domande, mai carican- e su questo timbro, come usavano
all’interno dei meccanismi musicali do di frenesia le dosi del dubbio, fare i poeti e gli scultori barocchi,
e metrici che hanno una rilevanza divagando appena e rientrando avviene l’innesto mobile. Certo, la
che andrebbe studiata con cura. subito nel misterioso palpito della metafora del viaggio e il senso del
Caproni era stanco degli affa- vita. Sottolineo della vita, perché in divino che si affacciano nella sua
stellamenti e delle complicazioni Caproni sono gli affetti a condurre vita creano una dilatazione dell’io,
inutili che le avanguardie avevano la partita, affetti che portano dolo- ma niente si scompone, semmai
portato creando una confusione re, perdite e strazio, ma che rendo- egli si rinserra maggiormente all’in-
senza rimedio e banalizzando il sen- no trepidante il senso del viaggio, terno di un mondo che aveva orga-
so della poesia che così andava ver- a cominciare dall’infanzia. Ci sono nizzato per esplorare la realtà e il
so una deriva senza sbocchi e verso annotazioni finissime fatte a volo divenire umano in modo che i suoi
un dettato bassamente realistico. di rondine da Caproni nel mentre dubbi scoppiano in filigrane più lu-
Durante alcune conversazioni avu- descrive e nel mentre si lascia an- minose e più amare.
te con lui mi sentii ripetere, se non dare alla ricostruzione memoriale Per molti anni ho dovuto sen-
ricordo male, più volte: «Immagina del suo mondo. I dubbi s’accavalla- tire scrittori e critici che parlando
il Po che si gonfia d’acqua dopo no, fremono, sostano e poi ridanno del poeta livornese si esprimevano
violenti piogge e non ha sbocco al voce al poeta che così può prose- in maniera dubitativa utilizzando le
mare. Che succederebbe?». guire la sua indagine (che altro può categorie di “maggiore” e di “mi-
La poesia in lui nasceva dalla considerarsi) sul senso del vivere e nore”. Un palestra che non porta
presa d’atto di un particolare re- del morire, sul senso dell’amare e da nessuna parte e non fa entrare
alistico ma subito dopo si trasfor- del restare fuori dal “ballo”. nel mondo dei poeti senza sovra-
mava in dato direi metafisico. Co- «L’arte del poeta consiste nel strutture. Sono testimone che Ca-
munque dietro la semplicità della trattenere queste differenze e con- proni ci soffrì, fino al punto da con-
canzonetta tutta efflorescenze trasti sotto un segno unico, che è fidarmi che gli sarebbe dispiaciuto
rapide di annotazioni e di accordi poi un timbro accorato di voce, diventare, invece che linfa viva di
arte, un nome in una via periferica
di Livorno o di Genova. Io gli risposi
che in fondo anche questo dubbio
poteva diventare un’altra disso-
nanza della sua scrittura e ricordo
che sorrise, come a cogliere una in-
dicazione tutto sommato proficua,
anche se paradossale.
Ma ormai che Giorgio Caproni
è diventato (scrive Luigi Surdich:
«Caproni è poeta i cui libri sono
da leggere come quelli di un clas-
sico»15) un classico proprio perché
«non ha mai finito di dire quello
che ha da dire», secondo l’espres-
sione di Italo Calvino16, credo che
bisogna ritornare a leggerlo e a
rileggerlo con “Affetto e simpa-
tia”, come sostiene Vittorio Sereni,
perché egli ha il «gusto della vita,
14
Cfr. G. Spagnoletti, op. cit.
15
L. Surdich, Prefazione a M. Zompetta, op. cit., p. 11.
16
Cfr. I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988.
11
dei colori e della luce del mondo, e Così facendo egli ci porta nel fuoco L’idrometra è un insetto che si
dunque calore, ricchezza dei sensi scoppiettante di quei risvolti che si muove velocemente sulla super-
sebbene filtrata attraverso la con- muovono tra realtà e finzione sul ficie dell’acqua, metafora tipica-
venzione, ancora accreditata in teatro della vita. Da ciò quella sorta mente caproniana, che ancora una
quegli anni, della malinconia»17. di spaesamento che a volte il letto- volta ci fa entrare nel sublime di
re subisce per subito essere spinto quella conoscenza lucida che si ser-
Malinconia, dentro movenze che hanno il ritmo ve della musica per non soccombe-
ninfa gentile, del sangue, la cadenza del cuore. re, per non morire nella banalità
la vita mia La poesia di Caproni è cosparsa del risaputo.
consegno a te. di lievito e proprio mentre afferma la Quindi un ritorno a Caproni non
cancellazione e l’azzeramento ritrova solo ci permetterà di scandaglia-
I tuoi piaceri la sua forza di rigenerazione, di meta- re meglio un mondo ancora poco
chi tiene a vile, morfosi, ribadendo così che tutto va esplorato, ma ci darà anche la pos-
ai piacer veri verso la dissoluzione e il deserto: sibilità di comprendere che la poesia
nato non è18. vera si ottiene soltanto se si perse-
Di noi, testimoni del mondo, gue con totale abbandono il sogno
E su questo si potrebbe aprire tutte andranno perdute che ci fa lievitare e fa lievitare il mon-
un lunghissimo discorso, per ritor- le nostre testimonianze. do in mezzo a contrasti e passioni,
nare ancora a Pindemonte, Meta- Le vere come le false. tra i dubbi persistenti e la consape-
stasio, e perfino ad Arrigo Boito e a La realtà come l’arte. volezza di non esistere esistendo:
Salvatore Di Giacomo. Del resto se
Gatto ha guardato a Di Giacomo e Il mondo delle sembianze No, non è questo il mio
Caproni a Gatto, mi pare che l’equa- e della storia, egualmente paese. Qua
zione torni, ma sempre tenendo porteremo con noi – fra tanta gente che viene,
presente che Caproni non assom- in fondo all’acqua, incerta tanta gente che va –
ma e non diluisce, ma rigenera e dà e lucida, il cui velo nero io sono lontano e solo
la sua impronta con quel calore che nessun idrometra più (straniero) come
fa vibrare le immagini come su un pattinerà – nessuna l’angelo in chiesa dove
palcoscenico al punto che spesso libellula sorvolerà non c’è Dio. Come,
mi è sembrato che il poeta adotti il nel deserto, intero19. allo zoo, il gibbone20.
passo e le misure del drammaturgo.
17
V. Sereni, Rassegna di poesia, in «L’Approdo letterario», I, luglio-settembre1952.
18
I. Pindemonte, La melanconia, in Aa. Vv., Poesia italiana – Il Settecento, Milano, Garzanti, 1978.
19
G. Caproni, L’idrometra, in Id., L’opera in versi, Milano, Mondadori, 1998 («I Meridiani»), p. 291.
20
G. Caproni, Il gibbone, in ivi, p. 264.
12
Giorgio Caproni
e il mito
Michela Zompetta
13
Nel lungo e articolato percorso di spensierata giovinezza – ormai Sognala, mentre già t’avvicina /
poetico di Giorgio Caproni la sua solo un ricordo – sia di un tempo la mente all’erba… / sempre / più
voce lirica si colloca nel panorama funesto sulla via del disfacimento, all’erba… / all’acqua / viva… / ai
letterario italiano del secolo scor- a sottolineare proprio lo scarto tra sassi / dove rimbalza».
so in una posizione autonoma e di passato e presente, tra speranza e Il viaggio caproniano prosegue,
emblematica inclassificabilità: nei delusione. nelle Stanze della funicolare, in uno
suoi diversi “io” il poeta livornese, Ne Le biciclette è significativa la spazio e in un tempo di cui non si
infatti, sia sul piano della forma che presenza dell’alba – immagine di conoscono l’inizio e la destinazio-
del contenuto, si discosta dai mo- consistente frequenza e originalità ne poiché non ha mai fine, ‘narra-
delli letterari ‘usandoli’ ma ‘indiriz- nell’immaginario caproniano – che to’ attraverso immagini di esube-
zandoli’ verso nuove prospettive. in questi versi si ritrova dapprima ranza giovanile, che ricordano le
Dalla dimensione esistenziale a nella quarta stanza dove appare poesie degli esordi («l’alba che sa
quella metafisica, l’universo poetico come il momento del giorno che di rifresco», «il mare col suo respi-
caproniano, costantemente attra- fa da sfondo alle “rinnovate bici- ro di plettri», il “melodioso tram”,
versato dalla consapevolezza dello clette” e l’ora in cui il sole sembra “le sassaiole”, gli “scogli freschis-
scorrere del tempo e della labilità “frantumarsi per sempre”, mentre simi”, le «ragazze il cui sciame /
della vita, appare costellato di im- nella quinta è un’alba “col gelo” discende fresco le scalinate», ecc.),
magini e di presenze che acquistano dove Alcina è distrutta, per poi es- insieme ad altre che rimandano a
valore allegorico consentendo al sere richiamata nell’ultima: «il lieve componimenti successivi (i “frago-
poeta di realizzare la sua inclinazio- / lieve trasporto di piume che sale / ri di carrette”, il richiamo al sangue
ne a conciliare realtà e simbolo. dal profondo dell’alba». e alla guerra, ecc.).
Anche la presenza del mito con- L’immagine di Alcina affiora Gli “utenti”, attraverso i vetri
ferma la disposizione ad accogliere anche in una fase successiva e in della funicolare, in lontananza e in
la tradizione per adattarla alle esi- particolare nella dimensione oni- modo quasi distaccato, scorgono
genze del proprio discorso poetico: rica del componimento Traümerai Genova, sovrastando strade, quar-
a partire dal “Terzo libro”, infatti, del Franco cacciatore: qui – in una tieri, ponti, case e figure umane
soprattutto nei componimenti che “scarnificazione” estrema della ma, nel contempo, attraversano le
testimoniano la volontà di espri- parola corrispondente alla consa- varie ‘stagioni’ di un percorso-esi-
mersi in strutture discorsive quali i pevolezza della fatale scomparsa stenza fatto di visioni di paesaggi
poemetti, appaiono diverse figure di tutte le presenze nel transito cittadini e portuali, di momenti bui
mitiche proprie della tradizione che dell’esistenza – il suo ricordo viene (i tunnel) e di luce, in una vicenda
tuttavia, nel suo caso, subiscono un associato, anche in assonanza, e ciclica di nascita e di morte2.
processo di ‘abbassamento’, di ‘ca- in qualche modo ‘attualizzato’, ad Insieme agli “utenti” il poeta
duta’, di accostamento alla realtà “Hiroshima”, richiamando ancora dall’alto della funicolare sorvola
quotidiana: ne Le Biciclette Alcina, un momento d’orrore della storia: come un passeggero, lungo l’arco
nelle Stanze della funicolare Proser- «Sogna Alcina… / Hiroshima… // di un’intera giornata (da un’alba
pina, nel poemetto che lo richiama
già nel titolo, Enea.
Caproni, nella consapevolezza
del passato come “tempo ormai di-
viso” dal presente, sapientemente
espressa ne Le biciclette, introduce
quindi la figura di Alcina, la maga e
incantatrice ariostesca che riman-
da inevitabilmente al sesto dei So-
netti dell’Anniversario («Nella luce
agitata ah la lettura / d’Orlando
verso l’Isola del Pianto»1).
Nel passaggio dal tempo della
giovinezza a quello del dramma
storico della guerra, mediante la
rappresentazione di una realtà col-
ta attraverso percezioni sensoriali,
Alcina viene prima ripresa attra-
verso immagini di esuberanza e di
ardore (“la prativa spalla”, i “rom-
penti impeti”, “i rossori nell’aria
nativa”), poi di distruzione e di
morte, per contrapporre i ricordi
e le sensazioni felici del passato
all’orrore del presente: diviene
quindi simbolo sia di un periodo
1
Tutti i versi delle poesie sono tratti da G. Caproni,
L’opera in versi, Milano, Mondadori, 1998 («I Me-
ridiani»).
14
alla successiva), la città sottostan- funicolare dove porta, / amici, nella conosciuto la mia Proserpina, che
te divenendo un testimone-narra- notte?» senza una risposta certa. nella scialba veste lavava all’albai
tore di questo simbolico percorso In tale atmosfera appaiono sia nebbiosi bicchieri.
esistenziale. l’Erebo sia Proserpina che si ritro-
Se, nelle prime stanze, dopo il vano nell’ultima stanza in cui domi- Proserpina, in un processo di
buio del tunnel appare, nella città na – anche sul versante linguistico degradazione mitica, è dunque cu-
all’aperto, l’alba ancora deserta – la nebbia (il sostantivo viene in- stode dell’Erebo-latteria, un luogo
«che sa di rifresco dai cocci e dai fatti ripetuto ben dieci volte): ven- di nebbia – e quindi di incertezza –
rifiuti gelidi», per poi scorgere, gono richiamati miti ancora una con “neri tavoli” frequentato dalle
nell’aprirsi del giorno, una città volta degradati e desublimati: “anime in fretta” e dove una ragaz-
mercantile, ci si avvia, nelle stan- za “senza figura” ha in mano una
ze successive, verso una stagione Perché è nebbia, e la nebbia è nebbia, tazza vuota e aspetta la “paura”
oscura, richiamata dal paesaggio e il latte del poeta.
ingrigito, fino a giungere in un’at- nei bicchieri è ancor nebbia, e nebbia ha L’immagine della fanciulla che
nella cornea la donna che in ciabatte
mosfera funerea e poi continuare «appare / sulla porta dell’osteria»
lava la soglia di quei magri bar
in un’alba senza «calore di figu- dove in Erebo è il passo. E, Proserpìna
di Borgoratti in Come un’allegoria
re e di suoni» dove tutto inizia ad o una scialba ragazza, mentre sciacqua sembra essere sostituita dalla dea
appannarsi ed ecco, nell’ambien- i nebbiosi bicchieri, la mattina dell’Ade che diviene una ragazza
tazione di un bar-Erebo, apparire è lei che apre nella nebbia che acqua d’osteria3. Si ha ancora un richiamo
la cameriera Proserpina che lava i (solo acqua di nebbia) ha nella nebbia al mito, ma non ci si trova di nuo-
bicchieri appannati anch’essi dalla molle del sole in cui vana scompare vo in un’atmosfera mitica, bensì in
nebbia. l’arca alla vista. La copre la nebbia un’ambientazione di misera quoti-
Si ritrova quindi, oltre all’alba, vuota dell’alba, e la funicolare dianità con l’immagine di Proser-
già lontana ed insipida, scolora
un’altra presenza significativa, pina “nella scialba veste” a com-
nella nebbia di latte ove si sfa
quella della nebbia, che proprio a l’ultima voglia di chiedere l’ora
piere un gesto (se si vuole umile)
partire dalle Stanze della funicola- fra quel lenzuolo di chiedere l’alt. che avviene in un’atmosfera quasi
re si trova associata ad un’idea di surreale dove tutto assume anche
appannamento a simboleggiare Sia l’Erebo, sminuito e ‘umiliato’ un significato metaforico.
uno stato di impedimento della a latteria, sia Proserpina che lava “i E la metafora del viaggio con-
conoscenza della propria identità nebbiosi bicchieri” si ritrovano in tinua anche nel poemetto Il pas-
e della realtà. un’altra poesia intitolata Interludio saggio d’Enea: si tratta ancora una
Tutto dunque si scolora e la funi- (prima dal titolo Su Cartolina): volta di un percorso non concluso,
colare scompare infine nella nebbia che qui diviene anche un transitare
che avvolge ormai ogni cosa, la- E intanto ho conosciuto l’Erebo dell’immaginazione in cui “l’occhio
sciando l’interrogativo iniziale «Una – l’inverno in una latteria.Ho della mente”, di fronte al “transi-
to” delle automobili, si abbandona
ad immagini sensoriali, fantastiche
ed oniriche: l’io si trova in una stan-
za e, in uno stato di dormiveglia,
vede apparire sui soffitti imbian-
cati, al passare dei fari accesi delle
“elastiche automobili” nella strada
notturna, l’immagine del monu-
mento genovese di Enea.
In un tempo funestato dalla
guerra il sopravvissuto monumen-
to di Enea, che lo raffigura mentre
sorregge il padre e tiene per mano
il figlio, porta il poeta a riconoscer-
si nella figura dell’eroe troiano che
diviene in tal caso simbolo umano
di precarietà, di smarrimento e di
solitudine:
2
G. Barberi Squarotti, Le stazioni della vita, in
Aa.Vv., Genova a Giorgio Caproni, a cura di G. Devo-
to e S. Verdino, Genova, San Marco dei Giustiniani,
1982, p. 247.
3
Cfr. S. Verdino, Per un inventario di liet-motiv in
Caproni, in ivi, p. 187.
15
e i loro bagliori, vanno ad inserirsi Enea, venir meno la protezione
in un’atmosfera di dormiveglia e della figura guida del padre «solo
di sogno, di nuovo dominata dalla nel cumulo d’anni e di mani / ina-
nebbia, e quindi da un alone di pre- sprite dal gelo», con “la spalla” che
caria consistenza8. “non regge più” e il passo abban-
Si tratta, dunque, ancora del donato” (I lamenti, VIII) e avverte
‘racconto’ simbolico di un faticoso “allentarsi” la mano paterna che lo
percorso nell’incertezza, sospeso aveva accompagnato nell’infanzia:
tra la vita e morte, tra la terra e gli
inferi, tra lo spazio e il tempo, tra […]…Ah padre, padre
il passato e il futuro, tra la realtà e quale sabbia coperse quelle strade
crolla e cercare di portare avanti l’immaginazione e in questo per- in cui insieme fidammo! Ove la
un avvenire che non si conosce… corso appare l’eroe troiano che di- mano
Ecco il mio Enea4. viene il simbolo dell’uomo contem- tua s’allentò, per l’eterno ora cade
poraneo, solo e affannato a salvare come un sasso tuo figlio – ora è un
Enea è quindi per Caproni sim- tradizione e futuro, una tradizione umano
bolo dell’umanità consapevole del- che non lo sorregge più e un futu- piombo che il petto non sostiene più.
la propria condizione di incertezza ro incerto, come i celeberrimi versi (da I lamenti, III)
e infatti ad ispirare la sua poesia che seguono raffigurano:
non è l’eroe, il mito, ma l’uomo: Il rapporto tra Enea, il padre An-
[…] Enea che in spalla chise e il figlio Ascanio sembra inol-
Enea è un uomo il cui destino m’ha un passato che crolla tenta invano tre essere recuperato – in una nuo-
sempre profondissimamente com- di porre in salvo, e al rullo d’un va dimensione di disorientamento
mosso. Figlio e nel contempo padre, tamburo esistenziale, propria dell’ultima
Enea sofferse tutte le croci e le de- ch’è uno schianto di mura, per la stagione della poesia caproniana
lizie che una tale condizione com- mano – ne Il muro della terra nel compo-
porta. E dico, si capisce, Enea non ha ancora così gracile un futuro nimento dall’indicativo titolo A mio
come progenitore della stirpe Julia, da non reggersi ritto […]. figlio Attilio Mauro che ha il nome di
di cui non m’importa un gran che, mio padre in cui la perdita di consi-
sibbene come un uomo posto nel La leggenda viene quindi nuo- stenza del reale, fino alla scompar-
centro d’un’azione (la guerra) pro- vamente attualizzata e il destino sa della propria identità, porta ad
prio nel momento della sua maggior d’Enea è in fondo quello del poeta un vero e proprio scambio dei ruoli
solitudine: quando non potendo più stesso – consapevole della propria tra il padre e il figlio-poeta�.
poggiarsi a nessuno (nemmeno al condanna alla solitudine – e di una Il confondersi delle parti tra chi
padre, vale a dire nemmeno alla tra- intera generazione a lui contempo- guida e chi è guidato, nonché il bi-
dizione che ormai cadente grava fra- ranea passata attraverso la tragica sogno di guida in un mondo senza
gilissima sulle sue spalle) egli deve esperienza della guerra, incerta di divinità – temi portanti de Il muro
operare, del tutto solo, non soltanto poter costruire un futuro e con un della terra – fanno emergere nella
per sostenere chi l’ha sostenuto fino potere «ridotto a nulla nell’inquie- poesia l’esigenza di ricercare un av-
a ieri (il padre, la tradizione) e chi al tante dominio della macchina»9, vicinamento alla figura paterna in
suo fianco lo segue: cioè anche per che cerca e crede di riscattare le uno scambio di ruoli ancora attra-
Anchise e per Ascanio5. proprie rovine e le proprie delusio- verso un richiamo all’immagine de
ni attraverso gli inadeguati risultati Il passaggio d’Enea del padre-figlio/
Il percorso della mente sopra meccanici della tecnica, ormai di- figlio-padre che si tengono per
richiamato continua anche nelle ventati i nuovi miti della civiltà. mano: «Portami con te lontano / …
strofe successive del poemetto: Tali considerazioni trovano lontano…/ nel tuo futuro // Diventa
nella seconda le immagini delle conferma nell’ultima strofa dove mio padre, portami / per la mano».
«folli falene accecate di luce» e lo spuntare dell’alba che cancella In una delle diverse interviste
delle «molli cantilene soffici delle quel transito sul soffitto non è un rilasciate il poeta afferma: «io cre-
gomme» precedono il richiamo risveglio da questo stato di imma- do alla forza della tradizione che va
ad un’altra figura mitica, quella di ginazione poiché è improbabile rinnovata dal didentro»�: il dichia-
Euridice (con il trasferimento della un “altro suolo” da fondare ne- rato impegno, che naturalmente
morte dalla fanciulla alla palla), se- gli “anni bui” della storia: Enea, e coinvolge l’interezza del suo uni-
guito di nuovo dall’immagine delle dunque l’uomo contemporaneo, verso poetico, trova dunque con-
automobili, ormai i nuovi simboli schiacciato da un passato di distru- ferma anche nella ripresa del mito.
della civiltà della tecnica7. zione, non intravede all’orizzonte, Non ci si trova più di fronte a
Nella terza stanza, poi, vi è nel futuro, una terra di ‘salvezza’. figure eterne, invincibili, dai po-
(come già nelle Stanze della funi- In realtà l’ipotesi di identifica- teri insuperabili, ‘distanti’ dalla
colare) il richiamo all’Averno che zione con il poeta stesso viene con- condizione umana: il viaggio poe-
precede ancora le immagini della fortata anche nei versi de I lamenti tico di Giorgio Caprioni, incentrato
nuova realtà accostando un tempo in cui egli, immerso nella tragica re- sull’esistenza dell’uomo, consape-
mitico all’era contemporanea. altà del suo presente, nella perce- vole del proprio stato di precarietà
Se nell’Averno si incontrano i zione della propria solitudine («Io e di solitudine, coinvolge anche il
campi dei Cimmeri, le automobili, come sono solo sulla terra» è l’in- richiamo delle figure mitiche che
quasi spettrali, con le loro ombre cipit del terzo), sente, come il ‘suo’ vengono ‘recuperate’ attraverso
un loro avvicinamento alla realtà
umana per incarnare anch’esse la
sofferenza facendole acquistare
4
R. Minore (a cura di), In via Pio Foà con candore e con sgomento, in «Il Messaggero», 17 febbraio 1983, p. 3.
5
G. Caproni, Enea a Genova, in «L’Italia socialista», 7 ottobre 1948, p. 3.
dignità universale.
6
Cfr. A. Barbuto, Giorgio Caproni. Il destino d’Enea, Roma, Ateneo & Bizzarri, 1980, p. 119. Ancora una volta si assiste ad
7
Cfr. A. Dei, Giorgio Caproni, Milano, Mursia, 1992, p. 90. una ripresa della tradizione riela-
8
G. Barberi squarotti, La cultura e la poesia italiana del dopoguerra, Bologna, Cappelli, 1966, p. 110. borata in modo funzionale alle esi-
9
L. Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto, Genova, Costa & Nolan, 1990, p. 99.
10
Enzo Fabiani (a cura di), Se mi lamentassi, che poeta sarei?, in «Gente», 3 aprile 1981, p. 44. genze del suo discorso poetico.
16
Per una lettura
di Alba
Luciano Vitacolonna
Ecco il testo1:
Alba
Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.
1
Il testo qui utilizzato è quello che si trova in G. Caproni, L’opera in versi, ediz. critica a c. di L. Zuliani, Milano, Mondadori («I Meridiani»), 20096, p. 111.
17
«i primi / fragori di carrette», «nel
profondo del sangue», nonché qua
che rima con alt. Per quanto con-
cerne Ad portam inferi, andrebbe-
ro citate per intero le prime due
strofe, e in particolare i vv. 9-10.
Alba è un tipico ‘sonetto à la Ca-
proni’, in quanto – come ha detto il
poeta stesso – «piuttosto lontano
da quello tradizionale. Un sonetto
monoblocco, dissonante, striden-
te perfino»6. A proposito di questa
‘forma chiusa’ del sonetto capronia-
no, così scrive la Zompetta: «Il poe-
ta livornese […] accoglie un genere
della tradizione poetica italiana ma,
nello stesso tempo, lo adatta alle
esigenze del suo discorso poetico
travalicando le barriere delle stro-
fe e disarticolando la linearità della
sintassi e del ritmo per giungere ad
una soluzione metrica che diviene
distintiva della sua opera»7.
Invero, alla disarticolazione del-
la linearità sintattica e ritmica con-
tribuiscono anche altri fenomeni,
anzitutto gli enjambements, a pro-
posito dei quali Mengaldo parla di
L’occasione per la sua composi- sere messa in relazione tanto col “enjambements a cumulo”8. E ricol-
zione ci viene narrata dallo stesso sonetto immediatamente succes- legandosi a Pasolini, sempre Men-
Caproni: sivo, ossia Strascico5, quanto con galdo afferma che la «marmoreità
A Roma, verso la fine del 1945. il sonetto viii («Ah padre i lastricati apparente del blocco» contrasta
Ero in una latteria, solo, vicino alla ancora scossi») della prima sezione con «il pathos sintattico o metrico-
stazione, e aspettavo mia moglie de Gli anni tedeschi (che a loro vol- sintattico»9.
Rina che doveva arrivare da Geno- ta costituiscono la prima parte de Alba è inoltre una tipica “poesia
va. Una latteria di quelle con i ta- Il passaggio d’Enea), o ancora con narrativa”, nel senso esplicitato dal-
voli di marmo, con le stoviglie mal Notte, che chiude la seconda se- lo stesso Caproni: «L’importante è
rigovernate che sanno appunto di zione de Gli anni tedeschi. In Notte, evitare la lirica. Quando mi chiama-
“rifresco”. Mia moglie non poteva oltre a bar e tram, troviamo anche no ‘poeta’ a me dà fastidio. Io sono
stare con me a Roma perché non nebbia, raggelo e sentore / vuoto uno scrittore che scrive in versi. La
trovavo casa e dovevo stare in dell’acqua, che ricordano, rispetti- poesia deve essere anche narrativa,
pensione. Erano tempi tremendi2. vamente, i vapori, il gelo (e la bri- avere un ritmo narrativo»10.
Come giustamente rileva Zu- na) e il rifresco di Alba. Importanti Passando ad un’analisi più det-
liani, quello dell’alba è un “topos rapporti si possono stabilire anche tagliata della poesia, si possono
fondamentale” nella produzione con alcuni componimenti de Le notare le seguenti caratteristiche:
di Caproni3. Infatti, «l’alba livida stanze della funicolare (soprattut-
che costella le poesie e conclude i to con Interludio e con la seconda 1. fenomeni fonico-timbrici
tre poemetti maggiori, ricorre an- stanza di Versi) e con Ad portam in- 2. ripetizioni
che in alcuni testi, pressoché co- feri (che fa parte dei Versi livornesi 3. opposizioni
evi, dedicati ad Olga Franzoni, la nella raccolta Il seme del piangere). 4. rima
fidanzata morta a Loco di Rovegno Se in Interludio troviamo nebbiosi,
in una gelida alba dei primi di mar- vapori, gelo, nella seconda stanza 1. Fenomeni fonico-timbrici
zo del 1936»4. Alba, dunque, è una di Versi troviamo non solo «l’alba Il sonetto presenta una altis-
poesia che ben si presta a indagini che sa di rifresco», ma anche «ri- sima densità di allitterazioni. Solo
intertestuali. Ad esempio, può es- fiuti gelidi», «i marciapiedi deserti», per citare i casi più notevoli:
2
Cit. ivi, p. 1131.
3
Ivi, p. 1128.
4
Ibidem. Cfr. il racconto Il gelo della mattina, in G. Caproni, Il Labirinto, Milano, Rizzoli, 1984.
5
A questo proposito v. M. Zompetta, “Plurime corrispondenze”. Giorgio Caproni e Myricae, Viterbo, Sette Città, 2011.
6
J. Insana, “Molti dottori nessun poeta nuovo”. A colloquio con Giorgio Caproni, in «La Fiera Letteraria», li, 10, 1975, p. 10.
7
M. Zompetta, op. cit., p. 40. Mengaldo definisce il sonetto caproniano un «blocco unico, sebbene morbido»; v. P.V. Mengaldo, Per la poesia di Giorgio Caproni,
introduzione a G. Caproni, L’opera in versi, cit., p. xvi.
8
P.V. Mengaldo, art. cit., p. xiv. Cfr. L. Tassoni, Senso e discorso nel testo poetico, Roma, Carocci, 1999, p. 177.
9
P.V. Mengaldo, art. cit., p. xvii.
10
Cit. in S. Bozzola, Narratività e intertesto nella poesia di Caproni, in «Studi Novecenteschi», XX, 45-46, giugno-dicembre 1993, p. 113.
18
«Sa / di rifreSCo anCHe l’oCCHio» 2. Ripetizioni. vapori vs. gelo
«eRMo / RuMoRe oltRe la bRina» Il testo presenta un alto nu- sole vs. inverno
(dove l’allitterazione è rafforzata mero di ripetizioni, che rafforzano marmo vs. sangue
dall’enjambement) la compattezza sia semantica sia “udire” vs. “vedere”
«in etTeRno / le DeseRTe sue poR- strutturale della poesia: “interiorità” vs. “esteriorità”
Te» (dove si ha una ipallage) Amore mio – Amore mio – Amore,
«enTRo il FRagoRe» io – amore Quanto a quest’ultima opposi-
«TRemiTìo TRa i DenTi». ora – ora che zione, essa è di natura sia fisico-og-
qua – qui gettiva (la realtà data dal bar, dal
Alle allitterazioni vanno aggiun- attenderti – attendo freddo, dal tram) sia psichico-sog-
te le numerose assonanze e le corri- porte – porte gettiva (l’amore, l’attesa, la pau-
spondenze fonico-timbriche. A pro- non dirmi – non dirmi ra), il tutto complicato, però, da
posito delle prime possiamo citare: io – io. una dimensione onirica che annul-
la qualsiasi confine o cesura tra le
inverno – rifresco – ermo – eterno Significativa è la serie Amore sfere della (ap)percezione. Pertan-
– fermo – eco – attendo mio – amore mio – Amore, io – amo- to se, in un’eco di Saffo o Catullo,
amore – dove – forse – ruote – sole re. Qui, infatti, dopo i due sintagmi l’attesa dell’amata si concretizza
– porte – morte identici «Amore mio», troviamo in un brivido e se il bicchiere trema
sangue – anche – quale – apre prima «Amore, io», poi il sempli- tra i denti perché riecheggia il ru-
ce «amore»: si assiste, cioè, a una more del tram, è altrettanto vero
Quanto alla dimensione fonico- progressiva separazione tra la per- che le porte del tram si aprono
timbrica possiamo evidenziare i se- sona amata (invocata metonimica- sul vuoto e il sopraggiungere dell’
guenti casi: mente) e il soggetto della poesia amata si fa timore di morte. Sicché
nonché “amante”, per cui mio si resta solo l’«ermo / rumore oltre la
amore – vapori riduce prima a io (fra l’altro separa- brina», quella brina che è, sì, sinoni-
«bar all’alba» to da Amore per mezzo di una vir- mo di gelo e di inverno, ma è altre-
«lungo [...] brivido» gola) e infine scompare del tutto12. sì senhal della donna attesa, Rina.
«oltre la brina». Perché è solo nell’attesa e non nel
A questi ultimi vanno accostate le 3. Opposizioni. compimento dell’amore che consi-
specularità vocaliche di AmOrE – A queste numerose ripeti- ste la felicità, ed è solo nel differire
fErmO, ErmO – rumOrE11 e attEndO zioni si possono affiancare al- la realizzazione del desiderio che
– mOrtE. cune opposizioni: sta la forza dell’eros13.
Va anche notato come ‘io’ si ritrovi in tremitìo, con cui instaura una rima interna.
12
Zuliani ci avverte che l’«odore di “rifresco” che permea il bar o la latteria nell’alba presenta in alcuni frammenti di poesie inedite [di Caproni] un’esplicita con-
13
19
quista un valore particolare, metafo-
rico o – più esattamente – simbolico,
anche grazie alla disseminazione – in
tutto il componimento – dei fonemi
/m/, /r/, /t/. In altre parole: l’uso delle
tronche vuole alludere alla (paventa-
ta attesa) della morte18.
1. Conclusioni.
Alba sembrerebbe essere – e
comunque è – una poesia d’amo-
re sospesa tra il sogno e la realtà,
l’illusione e il disincanto, il quoti-
diano e il mitico. Eppure, anche
sulla base del titolo, credo che sia
possibile avanzare una (rischiosa e
A tutto ciò si possono aggiungere: tricano, poi, mediante il ricorso a arrischiata) ipotesi.
una sintassi articolata e complessa, All’alba, in un misero bar, il poe-
- l’opposizione fra amore (parola in grado di incanalare – mediante ta attende la donna amata. Il testo
che apre la poesia) e morte (parola le frequenti inversioni e gli enjam- non ci permetterà mai di sapere se
che chiude la poesia); bements – alla non coesistenza l’incontro ci sarà o se il sole si so-
dell’ansito logico-argomentativo stituirà alla donna. È possibile che
- il chiasmo «Amore, io» – «tu, amore»;
con quello metrico-musicale. In l’alba non porterà al ricongiungi-
- le due sinestesie «sa / di rifresco breve, all’interno dell’ossatura ap-
anche l’occhio» e «fragore sottile» mento degli amanti.
parentemente lieve e semplice si Quella di Caproni non è un’alba
(che è anche un ossimoro). mescolano una vitalità e una gra-
‘trobadorica’ che dice la separa-
vità che la smascherano, senza tut-
Va comunque precisato che tavia rucusarla. Difatti, in genere,
zione degli amanti, bensì un’alba
non è sempre facile districarsi nel la sintassi si traduce in schiettezza che dice l’attesa dell’incontro de-
groviglio fonico-timbrico del testo, narrativo-descrittiva, con l’impiego gli amanti. La situazione è dunque
in quanto non è sempre possibile frequente della rima, che ridefini- rovesciata. Ma lo è solo apparen-
differenziare nettamente un’asso- sce liricamente la peculiarità ordi- temente, perché se è vero che il
nanza da una rima o consonanza naria e colloquiale dei contenuti17. componimento non parla di un di-
da una paronomasia. Si viene così scidium, ma anzi di un incontro, è
a creare «una fitta serie di corri- Proprio a causa del suddet- altrettanto vero che il poeta teme
spondenze fonoritmiche, fono- to “corto circuito fonico”, non è (“non dirmi”) che la donna sia an-
simboliche, di campi semici, nessi possibile assegnare ad Alba uno nuncio di morte19. Per dirla con De
analogici e associativi (più che op- schema metrico preciso. Vere e Marco, «il poeta-viaggiatore del
positivi)»14 che porta a quel “corto proprie rime si hanno tra inverno Passaggio d’Enea si aggira in manie-
circuito fonico” su cui ha richiama- ed eterno, qua e sa, ermo e fermo ra smarrita fra luoghi e spiriti pur-
to l’attenzione Mengaldo15. (una rima ricca, dunque), fragore e gatoriali, riconoscendo se stesso
amore, porte e morte. Il tutto viene come viandante che s’incammina
4. Rima complicato da assonanze (per es. per varcare la soglia della morte.
Per Caproni la funzione della tra inverno-eterno ed ermo-fermo), Vero è che, nella quasi totalità, i
rima non è «certo esornativa, tan- da assonanze allitteranti (forse- viaggi in direzione dell’Erebo si
to per carezzare l’orecchio, ma una sole), da rime interne (tra rumore, compiono all’alba»20. Non si trat-
funzione portante, pari a quelle fragore e amore, tra mio, io e tre- ta dunque tanto di un’alba come
delle consonanze e dissonanze in mitìo), ecc. “crepuscolo invertito”21, quanto di
polifonia, o, in architettura, a quel- Non c’è dubbio, però, che la ca- un’alba come Dämmerungserwar-
la delle colonne che reggono l’ar- ratteristica più notevole sia costi- tung, attesa dell’«ultima coinciden-
co»16. E De Marco precisa: tuita dalle rime tronche, fra le quali za / per l’ultima destinazione»22,
spicca quella fra bar e tram. Questo paura della separazione dalla vita,
sebbene si registrino nei testi ca- ricorso alle rime tronche non è un di cui il “marmo nel sangue” e le
proniani forme metriche facili e caso unico nella produzione di Ca- porte deserte23 del tram sono spie
popolari, è pur vero che esse si in- proni: tutt’altro; tuttavia in Alba ac- rivelatrici.
14
L. Tassoni, op. cit., p. 177, e cfr. ivi, p. 182.
15
P.V. Mengaldo, art. cit., p. xv.
16
G. Caproni, La scatola nera, Milano, Garzanti, 1996, p. 35.
17
G. De Marco, Caproni poeta dell’antagonismo e altre occasioni esegetiche novecentesche, Genova, il Melangolo, 2004, p. 128.
18
Se tram contiene, seppur in ordine inverso, tutti e tre i fonemi /m/, /r/, /t/, la parola bar, venendosi a legare mediante enjambement alla parola seguente (all’),
nasconderebbe la parola “bara”.
19
Sul rapporto vita-morte-amore in Caproni v. L. Tassoni, op. cit., p. 180.
20
G. De Marco, op. cit., p. 127.
21
P. V. Mengaldo, La tradizione del Novecento. Quarta serie, Torino, Bollati-Boringhieri, 2000, p. 178.
22
Così si legge in Ad portam inferi, vv. 9-10. Cfr. «il domani / cui è impossibile un’alba» nel sonetto viii de Il passaggio d’Enea, Gli anni tedeschi, 1, I lamenti.
23
Ricordiamo che ‘deserto’ significa etimologicamente ‘privo di connessione’, ‘vuoto’. E non sfuggano il punto interrogativo e, soprattutto, i puntini di sospensione al v. 8.
20
Giorgio Caproni
e un poeta calabrese del
Novecento: Lorenzo Calogero
Carmine Chiodo
N
e La scatola nera trovia-
mo l’articolo Il caso Ca-
logero: una recensione
alla edizione lericiana del primo
volume delle sue Opere poetiche
apparso nel 1962 mentre il secon-
do vedrà la luce nel 1966. Forse di
nessun poeta del Novecento ita-
liano si potrebbe parlare di caso
letterario quanto a proposito di
Calogero.
21
L’intento di questo articolo è editore-fantasma milanese. rie, la chiarezza, la limpidità, l’asso-
quello di analizzare uno scritto di Lo scritto del poeta livornese luta non arroganza della scrittura1.
Giorgio Caproni su Lorenzo Calo- è posto nella terza sezione de La
gero (Melicuccà, Reggio Calabria, scatola nera dal titolo Recensioni: Raboni e Caproni sono stati
1910-1961) che è, insieme a Franco qui figurano Pasolini, Quasimodo, insieme molti anni nella giuria del
Costabile, uno dei due più grandi Rebora, Penna, Sinisgalli, Palazze- Premio Viareggio, quindi il primo
poeti del Novecento che si sono schi, Luzi, Marin, per fare qualche ha avuto modo di apprezzare le
avuti in Calabria, ma che è ormai nome. Una sezione vistosa e attra- doti di saggista, di critico, di “teo-
conosciuto anche fuori dalla sua ente ma non bisogna trascurare le rico” del secondo. Quest’ultimo fu
regione. altre due che la precedono e in cui anche critico militante nell’imme-
Quando l’editore Lerici pubblicò sono stati raggruppati gli Scritti di diato dopoguerra – e più precisa-
negli anni Sessanta il primo volume poetica e quelli Sul tradurre. mente nel 1947, con una collabo-
delle sue opere poetiche, Caproni Come si sa negli aerei la scatola razione molto intensa a «La Fiera
scrisse una straordinaria e mirabile nera è l’apparecchio che registra Letteraria» – e nel periodo 1956-
recensione nella quale – come si ve- momento per momento tutto ciò 1970, sempre sulla stessa rivista,
drà – ben mette a fuoco la poetica che riguarda il volo e che quindi poi su alcune altre e infine organi-
non certo facile del reggino. rende possibile ricostruirne la rot- camente, anche se con un ritmo
Ne La scatola nera dopo le pagi- ta. In Caproni La scatola nera era discontinuo e, da ultimo, tutt’altro
ne dedicate a Valeri, a Sbarbaro, a l’intestazione della cartellina in cui che intenso, sul quotidiano di Fi-
Tobino, ad esempio, seguono quel- il poeta conservava i suoi interventi renze “La Nazione”. Orbene quelle
le che si intitolano Il caso Calogero: critici, in previsione di una raccolta. doti sottolineate già da Raboni del
una recensione alla edizione leri- Giovanni Raboni nella prefazione a Caproni critico le troviamo nelle
ciana del primo volume delle sue La scatola nera scrive: pagine dedicate a Calogero.
Opere poetiche apparso nel 1962 Il poeta calabrese, insieme a
mentre il secondo vedrà la luce nel Del critico di razza […] Caproni ha Costabile, è stato giudicato da un
1966. davvero tutto: il fiuto nel ricono- grande italianista del passato, il ca-
Forse di nessun poeta del Nove- scere a colpo sicuro, con una tem- tanzarese Umberto Bosco (1900-
pestività che rasenta, a volte, la 1982), in questi termini:
cento italiano si potrebbe parlare
divinazione, non soltanto la qualità,
di caso letterario quanto a propo- ma la funzione, il destino, il senso
sito di Calogero, esordito postu- Che le voci poetiche calabresi più
storico della qualità; l’infallibile feli- autentiche dei nostri tempi, quella
mo nella maggiore anche se non cità nell’esprimere giudizi e nel for- di Calogero e quella di Costabile,
diffusa editoria agli inizi degli anni mulare descrizioni in forma di me- siano state spezzate misteriosa-
Sessanta (1962), ma l’esordio effet- tafora; la spregiudicata inventività mente dagli stessi poeti, è una
tivo del poeta, un esordio discreto nell’indicare connessioni tanto sba- tragica coincidenza che può an-
e modesto quanti altri mai, risale al lorditive a prima vista quanto, nella che assumere, chi voglia, valore
1936 con il volumetto Poco suono sostanza, pertinenti, e illuminanti simbolico: ma non più di questo:
[…]; infine, ma non certo seconda-
pubblicato a pagamento presso un troppo diversi i due poeti, profon-
1
G. Raboni, Prefazione a G. Caproni, La scatola nera, Milano, Garzanti, 1996, p. 9.
22
damente dissimili le loro vicende siderato anche Giuseppe Tedeschi: preceduto da un’ampia e calda
umane e l’essenza del loro dolore. dobbiamo infatti al suo entusia- prefazione dello stesso Tedeschi,
Del suicidio di Calogero non si può smo e alla sua tenacia (egli non dove con dovizia d’illuminanti
dare alcuna causale razionalmente nascondeva il fascino esercitato su testimonianze, […] l’uomo Calo-
determinandola, ammesso che un gero è ritratto intero nella sua an-
di lui dalla “scombinata figura” e
suicidio possa mai averne2. gelica grandezza, come nelle sue
dall’ancor più scombinata esisten- più umane debolezze: un uomo,
za del poeta calabrese) se oggi, diresti, tutto penne ed ali, con in
Caproni ne Il caso Calogero os-
sia pur postuma a Calogero, è resa sé quel tanto di celeste e anche
serva giustamente che per tutta la
un poco di quella giustizia che egli di sottilissimamente scostante
sua tormentata esistenza il poeta
invano sospirò per tutta la vita e (nell’odore: nel bestino) che han-
calabrese, «medico di provincia no gli uccelli dell’aria, e che come
che «certissimamente la sua poe-
che antepose a ogni altra cosa la gli uccelli dell’aria si mosse goffo e
sia – un vero tesoro rimasto finora
poesia, bruciandosi interamente disarmato e di continuo minaccia-
sommerso – merita al cento per
in una sorta di romantico furore to sulla terra, quasi il suo mondo
cento»6.
che gli dettò migliaia e migliaia di vero, in una «somma nudità dell’es-
A Sinisgalli spetta il merito – lo sere (p. 89), o «contrada rarefatta»
versi rimasti in massima parte ine-
sottolinea anche Caproni – di aver (p. 88), fosse lassù e non quaggiù,
diti, aspettò invano che “il mondo”
scoperto Lorenzo Calogero presen- dove egli sempre si trovò – e ormai
s’accorgesse di lui»3.
tando le raccolte Parole del tempo e sempre si troverà, per la fotografia
Per farsi pubblicare le sue poesie
Come in dittici (entrambe del 1956) che di lui c’è rimasta – con una bor-
Calogero si mise in corrispondenza
che tuttavia non destarono parti- sa da viaggio in mano8.
con personaggi illustri e meno illu-
colare attenzione di critica, né inte-
stri, logorò la salute già malferma Il volume, osserva ancora Ca-
resse di editori che puntualmente
in lunghi e penosi viaggi per tenta- proni:
respingevano i suoi testi manoscrit-
re di parlare con gli editori di grido
ti. Proprio Sinisgalli scrisse una liri-
(ad esempio Mondadori, casa edi- avrebbe raggiunto meglio il suo
ca significativa su Calogero, Un po-
trice presso la quale allora lavorava scopo primo, che senza dubbio è
eta in città (compresa nella raccolta
il poeta Vittorio Sereni), ma magre quello di avvicinare il Calogero al
L’età della luna, del 1962):
furono le soddisfazioni, come pure pubblico e di rompere il cerchio di
distratti e platonici furono gli inco- Quale vergogna per voi un isolamento durato un quarto di
raggiamenti, per cui un’infinita sco- amici vittoriosi, splendenti, secolo, se accanto a tanta linfa di
ratezza lo vinse, fino a provocarne quale scherno alla vostra boria notizie biografiche, e a tanta disin-
la sfortuna, la miseria teressata dedizione […], i compi-
la morte, avvenuta nel 1961 in un
di un uomo inetto, innocente! latori avessero aggiunto non dico
remoto paese (Melicuccà della Ca- Lorenzo Calogero da Melicuccà un vero e proprio profilo critico
labria, dove era nato cinquant’anni è venuto a chiedervi pietà del poeta, ma almeno un tentativo
prima). Egli muore in circostanze so- in nome della Poesia. d’interpretazione sia pur personale
spette: aveva già tentato due volte Come un cane infetto della sua poesia, o magari di sem-
il suicidio; venne trovato morto tre ha raspato alle vostre porte, plice descrizione della stessa, e in-
nessuno gli ha aperto.
o quattro giorni dopo la visita a un somma un sia pur piccolo piccolo
Oh i meschini crucci
fratello, durante la quale era appar- per il lauro che appassisce sesamo, capace in qualche modo
so “calmo come non mai”4. intorno alle tempie secche! d’avviare il lettore alla non agevole
Sono più vispe le sue pulci. penetrazione dei testi9.
Caproni richiama una ultima let-
tera del solitario poeta, in cui si leg- Contano più le sue parole
perdute insensate fragranti Inoltre sottolinea, come hanno
gono “parole agghiaccianti”: «… dei fiori scelti con i guanti,
non è certo una gran bella espe- fatto anche altri critici del passato
delle stelle irritanti7.
rienza quella che ho fatto, ma se e del presente (Montale, Luzi, Ber-
il mondo era in tal modo era bene Caproni nella recensione al pri- tocchi, Sinisgalli, Piromalli, Jacob-
pure che lo si sapesse, per quel mo volume lericiano (fu Tedeschi bi, ecc.) la difficoltà di penetrare
tanto, almeno, che non si doveva a far conoscere a Lerici Calogero) la poesia calogeriana in quanto si
distruggere la propria vita senza delle Opere poetiche del calabrese tratta di una poesia “ardua”, ten-
che nemmeno lo si sapesse…»5. afferma e svolge concetti e defini- dente all’arabesco,
Leonardo Sinisgalli ebbe fede zioni che poi saranno ritenuti pre-
impervia nella sua apparente –
in lui, lo aiutò anche, e non solo a senti dalla critica successiva che si
quasi femminea – levigatezza e
parole: il poeta lucano lo presentò è dedicata allo stesso: Piromalli e, musicalità (una musicalità, spesso,
sulla «Fiera Letteraria» e poi dettò come si vedrà, Giovanardi. fra il Rilke-Pintor e l’Ungaretti de
la prefazione per una sua raccolta In sostanza il poeta livornese os- L’isola in Sentimento del tempo),
poetica, pubblicata dall’editore serva che questo primo volume è: e certo non è facile trovarla e cir-
Maia di Siena; accanto a lui va con- coscriverla nella sua adamantina
purezza.[…] [Comunque c’è nella
poesia di Calogero una] visionarie-
2
U. Bosco, Dove matura il grano, in «La provincia di Catanzaro», III, nn. 5-6, 1985, p. 12. tà più onofriana forse che campa-
3
G. Caproni, op. cit., cit., p. 149. niana), soltanto un orecchio assue-
4
Ibidem. fatto può udire d’acchito in questa
5
Ibidem.
6
Ivi, p. 150. poesia, senza lasciarsi distrarre
7
L. Sinisgalli, Un poeta in città, in Id., L’età della luna, Milano, Mondadori, 1962, pp. 250-251. dall’intonaco esterno, il battito di
8
G. Caproni, op. cit., p. 150. quel cuor profondo che pur esiste,
9
Ibidem.
23
e pulsa, vivo nel suo rossore. Un fici, che si sono registrati in questi canzoniere amoroso in cui campeg-
cuore tutto teso all’incognita della anni (ad iniziare dagli studi molto gia la figura dell’infermiera della qua-
morte («non so quale sia della mia importanti di Luigi Tassoni, Anto- le egli stesso ci fa sapere il nome e il
morte il futuro»12). nio Piromalli, Paolo Martino, Giusy cognome, Concettina Barberio: per
Verbaro, ad esempio). lei scrive grandissime poesie d’amo-
Tutto sommato le considera- Il suo nome è entrato nelle storie re, lui che in vita non ebbe rapporti
zioni e le osservazioni di Caproni letterarie e nelle antologie della poe- se non platonici con le donne.
ci mettono nelle condizioni di ca- sia del Novecento. Penso ad esempio Giorgio Caproni è stato più volte
pire l’uomo e il poeta Calogero, a Poeti Italiani del secondo Novecento sollecitato da un valente italianista,
il quale, ed ecco ancora un’altra 1945-1955, a cura di Maurizio Cucchi e anch’egli calabrese di Lamezia, An-
intuizione del livornese – che sarà Stefano Giovanardi: il profilo del po- tonio Iacopetta, a scrivere su Calo-
ripresa da altri critici della poesia eta è redatto dal secondo e in que- gero, più volte lo studioso calabrese
di Calogero (ma, a dir la verità, lo sto volume è messo in una sezione gli ha parlato del poeta di Melicuccà
aveva riconosciuto lo stesso Sini- intitolata Quattro percorsi appartati invitandolo a scrivere su di lui:
sgalli) – nella raccolta Quaderni di insieme a Lucio Piccolo, Fernando
Villa Nuccia (si tratta dell’ospedale Bandini, Michele Ranchetti. M’interessava molto avere qual-
pediatrico presso Catanzaro ove il Stefano Giovanardi – come già an- cosa da Caproni, ma Giorgio non
poeta veniva spesso ricoverato e ticipato – nello stendere il profilo del era a Roma in giugno e non sareb-
dove compose molte poesie dedi- poeta calabrese cita proprio Caproni: be tornato prima di novembre di
cate all’infermiera Concettina che quest’anno. Avevo parlato sia con
lo assistette amorevolmente) si un violento analogismo, che si ca- Silvana, la figlia di Caproni, che con
spoglia «quasi interamente d’ogni rica sovente di qualità visionarie, Rina, la moglie. In ogni modo ogni
seduzione letteraria, non lascia più sembra spingere molto indietro volta che ero stato con Giorgio,
dubbi sull’autenticità e nobiltà del l’esperienza poetica del calabrese non dico sempre, ma qualche volta
suo messaggio, che è quello di una Lorenzo Calogero, facendolo addi- gli avevo chiesto di Calogero. Un
rittura scavalcare la maniera erme- giorno gli dissi che secondo me Ca-
disperazione ormai così alta, e cal-
tica per proiettare nei paraggi delle logero era lessicalmente povero.
ma, da non conservar più traccia di
punte estreme del simbolismo (fra Giustamente Caproni non fu d’ac-
romantico dolore, o d’esistenziale
Mallarmé e Rilke, come ebbe a no- cordo con me. Infatti per un poeta
sgomento e tremore; ed è sicura- tare Giorgio Caproni15. non esiste la povertà lessicale ben-
mente qui che il suo cuore vivo lo sì la capacità, se c’è, di reinventare
si intende più facilmente pulsare, Il poeta livornese viene citato un qualsivoglia lessico15.
come in questa stupenda CLXII, un’altra volta allorquando si parla
che nella sua calcinata lapidarietà di linguaggio: Caproni ha letto e valutato la
[…] piace appunto [a Caproni] ri- poesia di Calogero fedele alla con-
portare intera: frequente cedimento a facili si- cezione che egli ha appunto della
rene letterarie del linguaggio, poesia che prima di tutto non va
…e sembra un sogno, ma non ho nessuno. capita ma sentita e poi si passa a
nel quale volentieri s’intrufolano
O anima, o madre dei poeti comprenderla16.
moduli e cadenze già nell’orec-
e al tuo benigno regno, io poveruomo,
chio (è ancora Caproni che Per il poeta livornese «poesia
forse nessuno. E languisco nelle tenebre
osserva) va più che altro ricon- significa in primo luogo libertà. Li-
che mi ha lasciato il tuo smaltato
smalto; io due volte, pronto, dotto a una sorta di memoria bertà e disobbedienza di fronte a
sul punto di uccidermi e anche questo involontaria, a un’enfatizzazione ogni forma di sopraffazione o di an-
mi assale in dubbio. I detriti potranno fare dell’idea di poesia che a sua vol- nullamento della persona: di fronte
povere cose miracolose e questo mi sale ta enfatizza i lacerti di tradizione a ogni forma di irregimentazione o,
al labbro, ove io avevo un punto povero a quell’idea connessi, e che in- peggio, di massificazione»17.
un punto povero di poeta…»13. troducono in modo spesso del Anche oggi i critici quando stu-
tutto irrelato un reticolato di diano Calogero guardano a certe
E qui, afferma ancora, si sente citazioni all’interno di una com- idee e concetti espressi da Giorgio
già «non dico, euforicamente, spi- pagine testuale solo idonea a Caproni sul poeta calabrese che, ri-
rar l’ambrosia, ma che il “caso” straniarle e stravolgerle16. badisco, è insieme a Costabile uno
non è soltanto un’invenzione bensì dei due poeti più grandi che si sono
una serissima risposta?»14. Anche Giovanardi attribuisce avuti in Calabria e, soprattutto nel
Oggi come oggi il nome di Ca- grande importanza ai Quaderni di Vil- suo caso, non solo limitatamente
logero circola di più, grazie alla la Nuccia, apparsi nel primo volume alla regione: di lui Ungaretti ha det-
edizione di sue varie raccolte poe- lericiano del 1962. Qui la poesia di Ca- to che con la sua poesia ci ha dimi-
tiche, a convegni, a studi monogra- logero si apre alle misure e ai toni del nuiti tutti.
10
Ivi, p. 151.
11
Ivi, pp. 151-152.
12
Ivi, p. 152.
13
Cfr. Aa. Vv., Poeti italiani del secondo Novecento 1945-1955, a cura di M. Cucchi e S. Giovanardi, Milano,
Mondadori, 1966, pp. 603-604.
14
Ivi, p. 603.
15
A. Iacopetta, Presentazione ai testi, in «La provincia di Catanzaro», II, n. 4, p.4.
16
Cfr G. Caproni, Poesia chiara e oscura, in Id., op. cit., p. 29.
17
Id., Sulla poesia, in ivi, p. 38.
24
Giorgio Caproni.
La parola
Anna Langiano
25
elencazione di versi-parola, al- […]
tro che una densa e indistinta Abele
e Caino.
sonorità: inspessito tessuto di
consonanze e rime (amore/tre- In ruoli
more/rumore) o ritorni irrelati reversibili.
– e quindi musicali più che logici
Immagini
– di parole. d’uno stesso destino
Afferma Surdich: «Si infitti- o amor perfetto.
scono pertanto i puntini di so-
spensione, si allargano gli spazi Soli!
bianchi, si visualizzano le pau-
Un uomo solo in due.
se, a riflesso della profondità Due uomini in uno.
raggiunta da Caproni nella sua Due io affrontati.
immersione nell’essenziale: ai
limiti estremi, fra mondo e ol- Un solo io7.
tremondo, la parola deve esse-
La tensione fra rarefazione re estrema, ultimativa, finale»3. La coincidenza degli opposti
e impermeabilità colma di sé Al frastagliato silenzio metrico non suggella una ricomposizio-
l’ultima produzione di Giorgio si affianca un’impermeabilità del ne metafisica, bensì è un atto
Caproni, quella “quindicina pensiero che esaurisce le varianti di reversibilità8 che porta all’in-
d’anni d’attività” inaugurata dell’esistente in cieca identità. differenziazione del predicato
da Il muro della terra, «centro poetico. Che sia attraverso la
in realtà relativo, asimmetrico «Non c’era. Avevo ragione. dilatazione del vuoto grafico o
rispetto alla totalità dell’opera Così, venne lui in persona per il tramite dell’invertibilità
ad aprirmi. […] dei concetti perseguita fino alla
caproniana»1. Rarefazione in- Non era stato prudente,
nanzitutto del dettato poetico, quel giorno. Si fosse trovato puntificazione del pensiero, il
come – è un esempio tra i molti in casa, non mi avrebbe risultato ultimo è la percezione
– nella poesia Larghetto, in cui aperto. O forse mi avrebbe dell’indistinto: scardinata è la fi-
le sospensioni irretiscono quasi spinto giù per le scale. gurazione dello spazio, rintocco
Mi avrebbe salvato,
ogni verso nell’indistinta attesa comunque. Non mi avrebbe
di un’assenza («In sogno, forse.
delle frasi nominali, additando (io non lo avrei) accoltellato»4.
un oltre grammaticale che è an-
che un oltre geografico: «Forse, La contraddittorietà logica
oltre la dogana d’acqua…»; la serra i versi in un’architettura
poesia si sgrana in spazi che di- di contrapposti speculari che
latano il ritmo del verso e pau- non lasciano spazio che per la
sano lo sguardo del lettore, il perfetta corrispondenza. Il ro-
senso è sfumato dalla scelta di vesciamento delle antinomie è
un lessico indeterminato (il ri- ricercato con ansia totalizzan-
torno del “forse” così ossessivo te: l’io nell’altro, il viaggio nel
da erodere non solo il signifi- ritorno, il luogo nell’assenza5; la
cato ma la fiducia nello stesso poesia diventa una “tagliola”6
dettato poetico). Nel compo- che come uno specchio evisce-
nimento Albàro2 non rimane, a ra qualsiasi tematica nel pro-
tenere unita la poesia ridotta a prio contrario.
1
L. Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto, presentazione di Antonio Tabucchi, Genova, Costa & Nolan, 1990, p.
17.
2
G. Caproni, Il franco cacciatore, p. 485. Tutte le citazioni sono tratte da G. Caproni, Tutte le poesie, Milano,
Garzanti, 1999.
3
L. Surdich, op. cit., p. 106.
4
Testo della confessione, in Il muro della terra, pp. 345-346.
5
«Ma – certo – se non fosse morto / (se io non fossi morto) / – certo – lo avrei perdonato» (Coda alla confessio-
ne, in Il muro della terra, p. 347); «Il mio viaggiare / è stato tutto un restare / qua, dove non fui mai» (Biglietto
lasciato prima di non andar via, in Il franco cacciatore, p. 445); «– Si calmi. Dove vuol mai andare? / Un punto
è assodato. / Lei non potrà mai arrivare, / mi creda, dov’è già arrivato» (Apostrofe a un impaziente d’imbarco,
ivi, p. 447).
6
La tagliola, in Res amissa: «“La parola / la tagliola[...]». Il meccanismo a trappola della poesia ricerca qui una
densità speculare dei versi, la poesia si struttura sull’immediato e sistematico ribaltamento degli enunciati, con
conseguente rigore geometrico del dettato: «– Signore, deve tornare a valle / Lei cerca davanti a sé / ciò che ha
lasciato alle spalle» (Conclusione quasi al limite della salita, in Il franco cacciatore, p. 458). La geometrizzazione
della poesia è d’altronde esplicitamente suggerita nel Franco cacciatore: «Così si forma un cerchio / dove l’inse-
guito insegue / il suo inseguitore. / Dove non si può più dire / (figure concomitanti / fra loro, e equidistanti) chi
sia il perseguitato / e chi il persecutore.». (Geometria, ivi, p. 502). Nel Franco cacciatore l’alternanza tra poesie
“a tagliola” e poesie rarefatte può diventare principio compositivo: si confrontino i ritmi di Rivalsa e della poe-
sia immediatamente successiva, L’esitante (p. 518 segg.).
7
Aria del tenore, in Il franco cacciatore, p. 539:541.
8
Appunto “reversibilità” è il titolo di una delle sezioni del Franco cacciatore.
26
/ In eco. // Nel battito già perdu- che si addensano nelle ultime cazione della cosa nominata»21.
tamente / dissolto di una por- poesie sono indifferentemente La parola disperde la cosa
ta.»9) o presenza atona e impe- bianche o nere – colori-superfi- nel suo nome e i nomi si confon-
netrabile («Guardai la finestra. ci, che isolano l’oggetto descrit- dono gli uni negli altri: i ritorni
Murata. / La porta. Condan- to17, increspature opache del semantici si equivalgono da un
nata.»10). Caproni «persegue corso atono dell’esistenza. ente all’altro, o sono le asso-
l’abitabilità dei luoghi […] del nanze foniche che confondono
vuoto e dell’assenza, nell’avver- […] termini tra loro irrelati.
Nel bianco del suo volto vuoto L’equivalenza è il principio
tita consapevolezza, tuttavia, di non mi vede.
una perdita di consistenza, per cardine dell’ultima produzione
progressiva cancellazione, del Lo fisso caproniana, la continuità agget-
reale»11. ancora (lui trasparente e quasi tivale tra i temi della poesia ne
di vetro), e il mio sguardo lede irrimediabilmente i confini:
Sfocata è la visività stessa – un ferro – mi si ritorce
della poesia, tra gli opposti poli contro.
dura come la parola è l’assen-
di una trasparenza vischiosa12, za di Dio22, e la durezza è una
quasi una forma visiva di reti- Nel vuoto caratteristica della luce23 così
del suo volto, afferro
cenza che oltrepassa il sé nell’al- me assente.
come dei morti24.
tro, o di superfici specchianti Nel Conte di Kevenhüller la
come l’ossidiana, densità scura Inesistente. Bestia è moltiplicazione dell’ap-
ma riflettente13, confine che ri- posizione: essa è chi la cerca
(O il perfetto contrario) e al contempo il luogo dove è
manda al punto di partenza: «La
barriera / – non te n’accorgi? – è […] cercata, è metamorfica elenca-
uno specchio»14. Neri zione di predicati25. L’ansia de-
Per mancanza o saturazio- – o persi – son tutti finitoria26 non la chiarisce, ma
i miei inerti pensieri18. la rivela come indifferente me-
ne, trasparenza e riflesso sono
ugualmente emblemi d’impe- tamorfosi di tutte le cose, che
Bianco o nero, l’oggetto del- perdono così la propria identità
netrabilità15, entrambi incatena-
la poesia è intangibile, impossi- per confondersi in predicati va-
no il guardante rimandandolo
bile da investigare, anzi la pa- riabili. Emblematico in tal senso
a se stesso. Le figure-ombra16
rola stessa è “biancomurata e è l’uso destabilizzante che Ca-
intransitiva”19. Caproni approda proni fa della parentesi che se-
così a un’ateologia della paro- gue una parola con due discordi
la; la parola poetica si oppone alternative lessicali, svolgendo
all’enunciazione biblica, non la funzione di vera e propria ap-
crea il mondo bensì lo dissol- posizione; invece di definire lo
ve20: «Io ho sempre visto nella statuto identitario del termine
parola, forse perché un mio lon- cui si riferisce, lo sfasamento
tanissimo antenato bazzicava la tra le due possibilità lessicali ne
scuola dei nominalisti, la vanifi- moltiplica infatti l’opacità: “la
9
Asparizione, in Il franco cacciatore, p. 425.
10
Espérance, in Il muro della terra, p. 398:399.
11
L. Surdich, op. cit., p. 91.
12
Si pensi alla diffusa presenza della nebbia, per la cui ascendenza pascoliana cfr. M. Zompetta, “Plurime
corrispondenze”. Giorgio Caproni e Myricae,Viterbo, Sette Città, 2011, p. 103.
13
Cfr. anche L’idrometra, in Il muro della terra, p. 307: «[…]in fondo all’acqua, incerta / e lucida, il cui velo
nero / nessun idrometra più / pattinerà».
14
Barriera, in Res amissa, p. 840.
15
Cfr. in particolare la poesia Invenzioni, in ivi, p. 817.
16
Cfr. Palo, in Il muro della terra, p. 394; Un niente, in Il conte di Kevenhüller, p. 626.
17
Si confrontino ad esempio i versi «Nella memoria / degli altri, resterà una storia / – bianca – mai esistita»
(Curriculum, o: in umor nero, in Il conte di Kevenhuller, p. 682) dove è chiara la coincidenza tra il colore
bianco e la non esistenza. Il valore fortemente connotato in senso simbolico del bianco e del nero nella
produzione matura di Caproni colpisce tanto più se si pensa al sensibilissimo colorismo – di chiara matrice
pasco liana – della prima parte della sua produzione poetica. Cfr. M. Zompetta, op. cit.
18
Parata, in Il conte di Kevenhüller, p. 713.
19
La porta, in ivi, p. 631.
20
«Le parole. Già. / Dissolvono l’oggetto. // Come la nebbia gli alberi, / il fiume: il traghetto» (Le parole, in
Il franco cacciatore, p. 478).
21
D. Astengo, Parole che dissolvono, in «Corriere del Ticino», 23 maggio 1987, p. 34.
22
«[la solitudine senza Dio è] Irrespirabile per i più. Dura e incolore come un quarzo. Nera e trasparente
(e tagliente) come l’ossidiana» (Il franco cacciatore, p. 439).
23
«La luce sempre più dura, / più impura» (Via Pio Foà, I, in Il muro della terra, p. 375)
24
«La durezza dell’acqua. // Franavo nella durezza. // La durezza dei morti / che hanno orecchi d’ortiche.»
(Sospetto, in Il conte di Kevenhüller, p. 587).
25
Nella raccolta la bestia è variamente identificata con l’ònoma [«la Bestia / (l’ònoma) che niente arresta»,
in Lei, p. 588], il luogo [«(La Bestia che bracchiamo,/ è il luogo dove ci troviamo.)», in Riflessione, p. 591];
e ancora nel Conte di Kevenhüller con la parola («[…la] bestia in fuga, che sempre/ – è detto – è nella
parola», p. 649).
26
Cfr. in particolare La preda, in Il conte di Kevenhüller, pp. 577-578 e Io solo, ivi, p. 580.
27
culare dei versi, la cieca pollu- d’inesistenza. Se la creazione
zione degli opposti rinchiudono divina dà forma alle cose, le di-
la poesia in se stessa, esauto- stingue dal nembo cieco dell’in-
rando il reale: «le ‘contraddizio- creato, la poesia al contrario è
ni’ infatti (come le ‘tautologie’) commistione, metamorfosi del
non dicono niente sul mondo, diverso nell’identico, perdita
poiché non dipendono dagli av- della distinzione nella conso-
venimenti reali il fatto che esse nanza. La rima, resa ottica e
siano giudicate vere o false»32. sonora dell’immagine-confine
Agli esasperati rispecchiamenti dello specchio, converte l’uno
logici, all’interscambiabile se- nell’altro significati incoerenti.
quenza di paradossi e identità
corrisponde la viscosità delle Fatalità della rima
rime, che serra la poesia in un La terra
gioco di echi fonici e rispecchia- La guerra.
La sorte.
menti grafici.
preda (un letame? una rosa?)”27. La morte34.
La struttura stessa della […]
poesia rimbalza su di sé, espri- La morte della distinzione. Il Nome, il “vacuo”35, racco-
mendo la clausura di un mondo glie e rimanda all’immagine di
Del falso. un mondo svaporato, dove le
intrappolato – come Dio – nella
propria inesistenza. Del vero.
singole identità sono ridotte a
sommovimenti melodici, coinci-
Per Caproni al di là della porta È un terreno selvaggio. denze risonanti. Alla fine dell’in-
“la nostra vera clausura”: l’infi- corporeo labirinto sonoro in cui
Il piede incespica.
nito è solo apparente e, oltre- la poesia – il poeta– intrappola il
passata la soglia, il mondo, di reale c’è uno specchio che ne ri-
Il viaggio
nuovo, si rivela claustrofobico. mai cominciato (il linguaggio manda l’immagine in negativo.
Nello spazio caproniano non lacerato) ha raggiunto È lo scandalo ultimo della poe-
esiste via d’uscita: l’al di là è il punto della sua incoronazione. sia: creare non l’essenza delle
specchio ingannevole che riflet-
te all’infinito la nostra irrime- La nascita.
cose, ma la loro assenza.
diabile chiusura. La frontiera, (La demolizione.)33
Nel vuoto
“specchio”che costringe entro
del suo volto, afferro
i limiti di “quanto è qua”, rac- Tutti gli strumenti della poe- me assente.
chiude un universo in cui sem- sia sono qui al servizio dell’indif-
brano muoversi a proprio agio ferenziazione: alla reversibilità Inesistente.
solo le ombre28. logica tra falso e vero corrispon-
(O il perfetto contrario)35.
de l’equivalenza fonica di viag-
Il dramma dell’insondabilità gio e il linguaggio, la struttura
del confine e del claustrofobico appositiva già esaminata invali-
timore che il confine non celi da l’opposizione tra “nascita” e
nulla se non il paradossale ritor- “demolizione”, parola quest’ul-
no dell’identico, su cui s’inne- tima legata dalla rima a un’altra
stava il Muro della terra29, si ri- sua antifrasi, “incoronazione”.
volge contro la parola stessa: lo Disgregando l’identità delle
spazio di Caproni è uno spazio cose, la poesia suggella la rever-
afono; la finestra è “murata”, sibilità degli enti e diviene cifra
la porta “condannata”30 così di un mondo afasico, autorefe-
come “occlusa”, “rinserrata”31 renziale. La poesia per Caproni
è la voce poetica. La genesi spe- è un’anti-creazione, una genesi
27
La preda, in Il conte di Kevenhüller, p. 578.
28
S. Morotti, Caproni: “Res Amissa” di Caproni o la verità delle ‘umbrae silentes’, in «Soglie», 2, 2008, p. 57.
29
Immediato fin dal titolo il riferimento alle barriere conoscitive. La raccolta si apre con l’immagine di un confine (si apre cioè con un punto d’arresto) vanificato
dall’inesistenza del territorio che dovrebbe circondarlo, e si chiude nell’evocazione di un’altra spazialità impossibile, il non-luogo dei campi dove il viaggio si
arresta (I campi, p. 401).
30
La porta, in Il conte di Kevenhüller, p. 631.
31
Ahi mia voce, mia voce, in Res amissa, p. 893.
32
C. Caracchini, Il linguaggio poetico nell’opera di Giorgio Caproni: a caccia di significato, in «Strumenti Critici», 1, gennaio 2000, p. 159.
33
Controcanto, in Il conte di Kevenhüller, p. 641:642.
34
Fatalità della rima, in Res amissa, p. 841.
35
Cfr. Abendempfindung, in ivi, p. 656.
36
Parata, in Il conte di Kevenhüller, p. 713.
28
Giorgio Caproni,
scritti di poetica
Redazione di Mosaico
S
oltanto una cosa ho sempre chiesto alla poesia: scoprire me stesso. Scoprire
me stesso anche per gli altri. Il poeta è un minatore. È poeta chi riesce a ca-
larsi così a fondo in quelle che il grande Machado chiama las secretas galerias
del alma da potervi attingere quei nodi di luce che, sotto gli aspetti superficiali,
diversissimi da individuo a individuo, sono comuni a tutti, anche se non tutti ne
hanno coscienza1.
Il poeta è un uomo come tutti gli altri, che qualche volta è visitato da quella cosa
che si chiama poesia. Rifiuto la qualifica di poeta. Sono uno scrittore in versi.[…]
Vedo che manca nel poeta giovane quella capacità inventiva, ritmica e timbrica che
solo può nutrire la poesia.[…] La poesia non si cerca, viene2.
[…] senza l’istinto la poesia non nasce, non c’è niente da fare: col cervello, con
l’intelligenza non si crea poesia, altrimenti uno scriverebbe poesia sempre.[…] la
poesia è un linguaggio a sé e molti lo ignorano. [Lo scopo della poesia è] quello di
scavare nel proprio io, di trovare un punto, come il minatore andando sotto terra,
che è l’io di tutti. Dove scopri impressioni, emozioni, idee che hanno tutti ma che
negli altri dormivano3.
La nostra è una civiltà massificata che non ha più lo scatto poetico, non ha più
quello che io chiamo il ‘grano di follia’ poetico. Oggi predomina il ragionamento e la
sociologia ha preso il posto della letteratura. […] vorrei che ogni giovane ritrovasse
se stesso e avesse il senso della propria poesia. […] Aver la poesia è per me avere
il dono della propria identità4.
La poesia è un mezzo per ritrovare se stessi perché l’io scavato dal poeta è l’io di
tutti, in cui tutti possono riconoscersi5.
1
C. Marabini (a cura di), Caproni il poeta dell’esilio, in «Il Resto del Carlino», 27 maggio 1981.
2
C. Marabini (a cura di), Puri distillati di versi, in «Il Resto del Carlino», 18 novembre 1989.
3
L. Luisi (a cura di), Ascoltiamo i nostri poeti. Giorgio Caproni, in «Il Gazzettino», 12 aprile 1980.
4
C. Pizzinelli (a cura di), Giorgio Caproni nostalgia dei Pancaldi, in «Toscana Qui», 5 maggio 1983.
5
D. Astengo (a cura di), Parole che dissolovono, in «Corriere del Ticino», 23 maggio 1987.
29
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