Re - Lear - e - Ballo - in - Maschera PASCOLATO 1913

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Re Lear

e Ballo in Maschera
LETTERE DIG I u s E p pE
VERDI AD ANTONIO
At

SOMMA ;i.w ;i.w ;i.w ;i.w ;i.w ;i.w

PUBLICATE

·DA

ALESSANDRO PASCOLATO

CITTA DI CASTELLO

CASA EDITRICE S. LAPI


j :

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PROPRIETÀ LETTERARIA

* * *
Stabilimento tipo,([rafico della Casa Editrice S. Lapi.

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RE LEAR
E

BALLO IN MASCHERA

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' n piazza di San Marco, sotto le Pro-

Il
-. . curatie vecchie, là dove ora si trova
_ ; l'angusto Camerino dei teatri, esi-
steva, fino a pochi anni fa, un ne­
gozio di musica, il solo, io credo,
che ci fosse allora in Venezia. .Era quello il
ritrovo dei tre amici più fidi e più cari che avesse
Giuseppe Verdi nella città delle lagune; il dot­
tore Cesare Vigna, l'avvocato Antonio Somma e
il proprietario di quel negozio Antonio Gallo,
suonatore di violino e maestro di musica. Un
bel ritratto del Verdi, coll'autografo di un rigo
musicale, pendeva da una parete della bottega.
Cesare Vigna da Viadana nel Cremonese era
medico dei più reputati. Dedicafosi special­
mente allo studio delle malattie mentali, vi ac­
quistava fama ed autorità non comuni, anche
presso i dotti stranieri. A Venezia fu dapprima
2
pri::
Servilio, poi direttore, ·fino quasi all' ultimo di qud'.a
sua vita, del grandioso manicomio femminile di dipe:i
San Clemente. Alla coltura varia e profonda la rai:
univa animo retto e mitissimo e squisita dolcezza relar,
di modi. Oltre a ciò (io direi anzi per ciò) un'arr.
amantissimo dell'arte de' suoni. Di questo amore potè t
fanno testimonianza molti suoi pregevoli scritti del \.
di estetica e di fisiologia musicale, "tutti tendenti, frume
scrive un suo biografo, a respingere le invasioni De
prosuntuose degli eruditi senza ingegno, a conser­ ilfr
vare alla musica, come al linguaggio del senti­ r.on si
mento, la sua impronta emotiva, e quindi l'onda · redo r
dell' ispirazione melodica, ad assicurarle sempre Stuill I

più l' ufficio d' arte civile ed educativa. ,, 1 nostra


Questa coltura artistica e questa tendenza a ma bt
cogliere nella musica, sopra ogni altro, l' ele­ critica
mento passionale fecero comprendere al Vigna migliv
i tesori di ispirazione della Traviata, fino dalla SCOmJ
prima fortunosa rappresentazione di quell'ope­ 'Io r
ra alla Fenice di Venezia, il 6 marzo 1853. scier.z
Allora egli prese arditamente la difesa dello rate,
spartito contro la sentenza del publico. Il Mae­ stissin
stro, che dopo quella caduta era rimasto per­ �ona1
plesso, non sapendo se attribuirla a colpa pro- 11ncer

-
mio ai
1 Co111memorazio11e del dottore Cesare Vigna, di ARRI­ leale,
GO TAMASSIA, Venezia, 1894, p. 16. - Gli scritti principali
del Vigna di soggetto musicale sono i !leguenti: Sulla im•
portanza fisiologica della 111usica (1877) - Sulle bifiuenze
diveru della 111usica sul fisico e sul moralB (1880) - Sulla
fisiologia della musica (1883) - Sull'importanza fisiologica
e terapeutica della ,,,usica (1887) - Sul magistero fisio-psi­
cologico dell'armonia (1888).

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3
1
pria o dei cantanti senti tutto il valore di
<)_nella difesa: valore morale per la prova d' in­
dipendenza e di coraggio ; vajore artistico per
la rapidità e la finezza dell'intuito che vi si ri­
velava. Da allora in poi si strinse fra i due
un' amicizia che soltanto la morte del Vigna
potè troncare. Pegno squisito della gratitudine
del Verdi resta la dedica a Cesare Vigna in
fronte allo spartito della Traviata.
Dei saggi fisiologico-musicali dell'amico suo
il Verdi era ammiratore convinto. " Benchè io
non sia fisiologo, gli scriveva un giorno, intra­
vedo nondimeno la massima importanza dei tuoi
studì e l' interesse che può ridondarne all'arte
nostra, non solo per quanto spetta alla medicina,
ma ben anco nei riguardi dell'estetica e della
critica, le quali abbisognano sicuramente di un
migliore e razionale indirizzo ,, . 2 E dopo la
scomparsa del Vigna così ne tesseva le lodi :
" Io non potrei parlare del suo valore nelle
scienze da lui professate e da me tanto igno­
rate. Ma certamente la sua erudizione era va­
stissima, come era vastissima la sua mente : ra­
gionatore acuto, profondo, e sopra tutto con­
vincente : un cuor d'oro, un angelo di bontà, e
mio amico da più di trent'anni, sincero, costante,
leale, di cui deploro amaramente la perdita ,,. 3
1 V. il laconico annunzio, rimasto famoso, dato dal Verdi
all'amico maestro Emanuele Muzio dopo la rappresentazio­
ne: " La Traviata, ieri serà, fiasco. La colpa è mia o del
cantanti? .•. Non so nulla. Il tempo giudicherà ,, .
I TAMASSIA, op. cit., p. 18.-
3 TAMASSIA, op. cit., p. io.

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4
Dalla famiglia dei proprietari dei teatri di
San Giovanni Grisostomo e di San Benedetto, •
ora Malibran e Rossini, era uscito Antonio Gallo,
una macchietta caratteristica che molti certo ri­
cordano ancora. Di lui e dei sobbalzi del suo
cappello a cilindro parla scherzando Giuseppe
Verdi in una di queste lettere. 1 Lungo, asciutto,
allampanato, tutto fuoco e tutto scatti, il Gallo
coltivava la musica con passione maggiore della
fortuna. Rifacendomi agli anni della mia fan­
ciullezza, io lo rivedo ancora dirigere coli' ar­
chetto del violino, come allora usava, con fiere
e comiche scosse del capo, l'orchestra de' nostri
teatri d'opera. Allora la funzione di direttore
domandava certo meno scienza e non aveva an­ .,u :;:e
. ,

cora assunto l'importanza, parte vera e parte


artitìciale, di oggidl, ma pur dava modo di mo­ lar.:(:
·strare, chi ne avesse, intelletto e se.ntimento ar­ Sl(crt•

tistico. Antonio Gallo ne aveva tanto che qual­ inia�­


che volta si lasciava prender la mano dall' en­ mt::
tusiasmo: e non la mano soltanto, ma pur troppo preci:c
si lasciò prendere anche la testa quando si in­ liete.
vescò nelle imprese teatrali e volle offrire a are;-.:
Venezia degli spettacoli d'opera degni dei tempi cui i:
e della città. Chi vive da più di un quarto di Cof
secolo certamente non ha dimenticato le magni­ dopo
fiche esecuzioni da lui procurate del JJfejistofele, Bereè
della Gioconda, dell'Aida, della JJfcssa da requiem,
in fondo alle quali egli, lasciato solo, trovò la romp.
rovina. mo, 1
Ed anche il nome del Gallo è indissolubil-
----
ierenr

l Lettera XII. - Lo rammenta spesso anche in altre.

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...
5
mente legato alla storia della Traviata. Invero
fu per il suo coraggioso ardimento che la causa
di quest' opera ingiustamente condannata alla
Fenice fu portata in appello quattordici soli mesi
più tardi (il 6 maggio 1854) davanti allo stesso
publico veneziano al teatro di San Benedetto :
protagonista la Spezia, tenore Landi, baritono
Coletti. Il publico lealmente e senza farsi pre­
gare riconobbe d'avere pigliato una cantonata
e ne fece ammenda col portare alle stelle lo
spartito. Giustizia però vuole che si dica che
la cantonata l'altra volta glie l'aveva fatta pi­
gliare , non tanto la novità delle forme • del-
1'opera, quanto la insufficienza degli artisti: la
Salvini-Donatelli cantava bene, ma non aveva
il fisico della parte : nè il tenore Graziani nè il
baritono Varesi " trovavansi in piena sanità e
sicurezza di gola ,,. Così scriveva dopo l'esito
infausto Tomaso Locatelli, il quale però non
accettava la severa sentenza degli spettatori e
prediceva allo spartito verdiano delle sorti più
liete. "Non giurerei, conchiudeva, che non
avesse a ripetersi il caso della Semiramidc, in
cui il primo giudizio ben fu un pregiudizio ,, .
Coglieva davvero nel segno, tanto che l'anno
dopo in cima alla rivista dello spettacolo di San
Benedetto potè mettere il titolo: ima ripara­
zione. 1 Una riparazione che il Maestro, lo si
comprende da due delle lettere che publichia­
mo, 2 non osava sperare e di cui certo gli durò
perenne la gratitudine verso il povero Gallo.
1 Gazzella di Venezia, 7 e 11 marzo 1853 e 8 maggio 1854.
2 Lettere XI e XII.

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6
Dell'altro amico di Verdi, Antonio Somma, dio di :i
di antica ma povera famiglia udinese, allora in tegrità e
Italia non ignorava il nome alcun uomo di mez­ dopo, ne
zana coltura. Chi null'altro sapeva di lui lo co­ chiamate
nosceva almeno come il poeta di Parisina, una tanti e r
tragedia scritta, per cosl dire, sui banchi del- ralse !'o:
1' Università, che interpretata da Gustavo Mo­ immortal
dena, da Luigi Capodaglio, dalla Carolina In­ Rira1
ternari aveva fatto il giro dei principali teatri iione, in
d'Italia con grande fortuna e meritata. Quella studio cc
tragedia era stata seguita da altre e da una an­ srenture
che, secondo me, superata : intendo la Cassan­ austerò.
dra scritta per Adelaide Ristori, che la rappre­ rani�, ic
sentava con grande successo a Parigi nel 1859. propna.
Il poeta era, naturalmente, un patriota. e dei cor.dusst
buoni: giovanissimo aveva dato l'anima e la penna 1i parla
alla causa nazionale, legato per l'amor delle Quan
lettere e per l' aspirazione alla libertà coi suoi �o del I
conterranei Pacifico Valussi e Francesco Dal- onoraron
1' Ongaro e col trentino Antonio Gazzoletti. Da lizia aus:
Trieste, dove aveva trascorso parte della gio­ iunerale
ventù collaborando nella Favilla diretta da Gio­ iublicazi
vanni Orlandini I e sopraintendendo alle cose tendere
del Teatro Comunale ora Teatro Verdi, il Somma di un rie
era poi passato a Venezia e vi aveva messo stu- il nome:
rat.1una
I Il triestino Giovanni Orlandini, di antica famiglia di
rirnlgen1
librai, fu amico dei principali letterati ed artisti italiani del
suo tempo: Manzoni, Grossi, Cesare Balbo, Carrer, Dal• QUt \Olt

-
l'Ongaro, Cantù, Ippolito Caffi; intimo poi di Massimo D' A· �roro e
zeglio, Da quell'estremo oriente italico egli molto operò Fu a
per il risveglio della coscienza nazionale e per la prepara­ dal Gal!(
zione della riscossa. Merita di essere ricordato. Ne parla
con affetto GIUSEPPE CAPRIN nei Tempi andati, pagine di i A.,r,
vita triestina (1830-1848), Triest.-, 189r. .lltiilndro

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dio di avvocato, acquistando in breve per in­
tegrità e per sapere cosi nobile fama, che poco
dopo, nelle elezioni del febbraio 1849, egli era
chiamato a s�dere nell'Assemblea dei rappresen­
tanti e ne diventava secretario, carica che gli
valse l'onore di apporre la sua firma al decreto
immortale della resistenza ad ogni costo.
Ricaduta Venezia, dopo la gloriosa rivolu­
zione, in balìa dello straniero, Somma chiese allo
studio cd all' arte le sole consolàzioni che le
sventure della patria comportavano. Carattere
austero, non modesto, ma rifuggente da ogni
vanità, scrittore non guari contentabile dell'opera
propria, poco publicò, ma molti lavori letterari
condusse, fra gli altri i due melodrammi di cui
si pàrla in queste lettere.
Quando il Somma venn.e a morte l' 8 di ago­
sto del 1864, a 54 anni, amici ed ammiratori ne
onorarono la memoria nel solo modo che la po­
lizia austriaca allora tollerava, con un grande
funerale religioso nel trigesimo giorno e colla
publicazione d'un'epigrafe, in cui si lasciava in­
tendere più che non si dicesse. Indi a spese
di un ricco patriota, (perchè si dovrebbe tacerne
il nome ?) del conte Angelo Papadopoli, fu cu­
rata una edizione delle maggiori opere del poeta, 1
rivolgendone l'fotero prodotto a vantaggio delle
due sorelle, che egli aveva sostenuto coll'onesto
lavoro e lasciava alle prese col bisogno.
Fu allora eh' io seppi dal dottore Vigna e
dal Gallo avere il Somma scritto pure, per com-
1 ANTONIO SOMMA, Opere scelte, edite per cura di
Alessandro Pascolato, Venezia, 1868.

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8
missione di Giuseppe Verdi, due drammi per
musica : il Re Lear, del quale ancora non s'era
sentito parlare, e il Ballo in maschera, che cor­
reva senza nome d'autore. Bramoso di inserire
il Re Lear nel volume che si stava publicando,
ne feci domandare licenza al grande Maestro,
ma non la ottenni: probabilmente allora egli non
aveva deposto il pensiero di vestire delle sue
note quel soggetto, del quale era, come dimo­
strano queste lettere, innamorato. Ma pur troppo
nulla più se ne seppe : esiste, per quanto ci fu
assicurato, il dramma del poeta udinese, ma la
musica, . se mai fu scritta, scomparve probabil­
mente nel rogo apprestato per ordine del Verdi.
E per quanto dolore se ne possa sentire,· biso­
gna lodare senza riserve coloro che, in tempi
di tanta disinvoltura e di così scarso ossequio
alla volontà dei morti, provvidero affinchè quel-
1' ordine fosse puntualmente eseguito.
A spiegare l'anonimo serbato dal poeta del
Ballo in maschera si disse che il Somma fosse
rimasto malcontento dei mutamenti, delle corre­
zioni, delle amputazioni cui fu dovuto assogget­
tare il libretto per superare le dure prove delle
Censure poliziesche di Napoli e di Roma. Per
questo egli avrebbe rigettato da sè la paternità
al
dell'opera. Ma la spiegazione, lo si vedrà più
avanti, non è la vera.
si
Trattano appunto di questi due melodram­
mi le ventotto lettere del Verdi, che qui ve­
dono la luce. Io le acquistai molti anni or sono
dalle sorelle ed eredi del poeta, affinchè non
andassero disperse e potessero un giorno recare R,.(

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qualche contributo alla biografia dei due artisti
ed alla storia dell'arte. Pur troppo, per la scom­
parsa del Maestro, è venuto il momento della
publicazione, nè questa, per quanto a me sem­
bra, offende verun delicato sentimento. Essa
varrà a mettere in luce fatti, giudizi, proponi­
menti fino ad ora non bene conosciuti. Pur
ieri Ferdinando Fontana, dando alla luce un
elenco di soggetti di melodramma trovato in un
prezioso libro di memorie del Verdi, 1 mostrava
d' jgnorare che al primo di quei soggetti, il
Re Lear, avesse il Maestro dedicato un lungo
lavoro, preparandone la tela, facendone scrivere
i versi da poeta non volgare, e probabilmente
cominciando a musicarlo.

*
* *

Giuseppe Verdi cercava e sceglieva volen­


tieri da. sè i soggetti dei suoi melodrammi : vo­
leva esserne bene compreso, e stimava, al pari
del Bellini, che la scelta del soggetto è " cosa
più difficile dello stesso creare musica ,, . t An­
che il soggetto del Re Lear fu dunque propo­
sto, non dal poeta al Maestro, ma dal Maestro
al poeta.
Ammiratore di Shakespeare, com'egli stesso
si dichiara, più che di tutti gli altri poeti dram-

1 Curiosità verdiane, nella "Gazzetta musicale ,, di Mi­


lano, 5 decembre 1891, n. 49.
2 Vincenzo Bellini, Studi e ricerche di ANTONINO A:110-

RE, Catania, 1892, pag. 274.

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matici, non eccettuati i greci, 1 Verdi aveva da
molto tempo posto gli occhi sul Re Lear, vol­
gendo in mente l'ardito disegno di portarlo sulla
scena lirica. Prima che al Somma lo aveva
suggerito ad un altro poeta, a Salvatore Cam­
marano, del quale aveva già musicato quattro
libretti; ma il Cammarano era sceso nella tom­
ba, senza aver potuto assister� allo strepitoso
trionfo, che allora appunto si preparava, del suo
Trovatore. 2
Così, avendo avuto dal Somma la proposta
di alcuni temi di melodramma, Sordello fra gli
altri, Verdi gli rispondeva colla indicazione del
Re Lear. 3 Diceva di non averlo guardato da
un pezzo e si proponeva di rileggerlo. Ma un
mese dopo, pure sentendosi sgomento per la im­
mensa vastità della tela, esponeva a dirittura al
1 Lettera •J. - Era pur questa l'opinione di Fede­
rico Schlegel, che diceva di Shakespeare: "È il poeta (chi
lo consideri secondo il suo intimo sentimento) che nel
complesso sa più profondamente di qualunque altro espri­
mere il dolore, ed essere più austeramente tragico di Ittiti i
poeti del tempo antico e moderno ,,. (Storia della /ette,·atura
. antica e moderna, trad. Ambrosoll, Milano, 1828, lez. n a).
Carlyle va ancora più avanti: "Credo, egli scrive, che il
miglior giudizio, non dell'Inghilterra soltanto, ma di tutta
Europa in generale, tenda lentamente a questa conclusione:
che Shakespeare è sin qui il primo di tutti i poeti..... ,,
( Gli t1ro1� trad. di MARIA PEzz1':: PASCOLATO, Firenze, 1899,
pag. 130).
2 Salvatore Camrnarano mor} il 17 luglio 1852: il Tro­
vatore fu rappresentato all'Apollo (o Tordinona) di Roma
sei mesi dopo, il 19 gennaio 1853. Le altre tre opere di
Verdi su poemi del Cammarano sono: Alzira (1845), la
Battatrlia di Legnano (1849) e L,lisa llfiller (1849).
• • 3 Lettera J,

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poeta tutto lo schema del melodramma, colla
distribuzione degli atti e . delle scene, colle si­
tuazioni principali, col numero e colla qualità
dei personaggi. 1 Il Somma accettava la pro­
posta e si accingeva al lavoro: in breve tempo
presentava al Maestro il primo atto e il secon­
do: qualche mese dopo anche il terzo ed il
quarto erano finiti. 2 Verdi sborsava tosto il
• prezzo convenuto, ed era per quei tempi un bel
prezzo, che dimostrava la generosità del Mae­
stro e il conto eh' egli faceva del poeta: due­
mila lire austriache, ovvero milleseicento e più
della nostra moneta. 3
Ma si ·può dire che allora appunto incomin­
ciassero le vere fatiche del poeta. Per altri due
anni e mezzo gli convenne porgere orecchio alle
critiche sagaci e profonde del Maestro e cam­
. biare, correggere, ritoccare, limare. 4 Quando
il lavoro fu terminato, Verdi avrebbe potuto
attribuirne a _sè stesso una buona parte; egli ne
aveva creato lo scheletro: egli era concorso a
vestirlo di muscoli e di nervi, a infondergli il
sangue, a soffiargli la vita. Pure contento ap-
1 Lettera II.
2 Il primo atto era In mano di Verdi il 30 agosto 1853,
due mesi dopo che egli aveva rimandato a Somma il pro•
gramma colle sue annotazioni (Lettera III e V): il secondo
fu spedito dieci giorni dopo (Lettera VI). Dalla rettera VII
si comprende poi che il 15 ottobre il Maestro aveva rice­
vuto pure l'atto terzo ed il quarto.
3 Lettera VII e VIII.
• La corrispondenza tra i due per questo lavoro di
emenda e di perfezionamento va dal novembre 1853 al­
l'aprile 1856 (Lettera IX a XVIII).

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pieno non era ancora: nell'ultima delle lettere
relative a questo Re Lear egli dubita che il
quarto atto, quale il poeta lo ridusse, non vada
bene: ci sono troppi recitativi, c'è qualche cosa
che non lo sodisfa: difetto di brevità, forse di
chiarezza, forse di verità .... 1 Ed egli non di­
menticava mai che specialmente nell' ultimo atto
bisogna essere rapidi, caldi, efficaci.
Fu questa incertezza, questa specie di mal­
contento, che lo trattenne dall' applicarsi ad
un'opera, che gli aveva presentato tante attrat­
tive? Pure in quel soggetto egli aveva intra­
veduto la sorgente di ispirazioni originali, di
audaci novità: voleva farne qualche cosa di
meno cattivo delle altre sue musiche, 2 e desti­
nava l' opera ad uno dei grandi teatri d'Italia:
in Francia, diceva, non si potrebbe arrischiarla
per la vastità della tela, per le forme troppo
nuove e troppo ardite. 3 O dunque non era il
dramma, dopo tante amorose cure, riuscito quale
egli lo aveva desiderato? Veramente si dovreb­
be pensare il contrario riflettendo all'epiteto
ch'egli usa nell'ultima di queste lettere, scritta
quasi otto anni più tardi. Parlando di altri
soggetti proposti dal Somma, gli escono queste
parole: "Non penso a scrivere, e se più tardi
• vi penserò, ho diversi poemi in portafoglio, com­
preso il vostro magnifico Re Lear ,,. 4 Data
l'austera sincerità del suo carattere e la sua ri-
1 Lettera XVIII.
2 Lettera xr.
3 Lettera IX.
4 Lettera XXVIII: 17 decembre 1863.

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13
pugnanza per tutto che sapesse di cerimonia e
di retorica, quell'aggettivo buttato là all'occa­
sione dovrebbe valere più di qualsiasi meditato
ed ampolloso elogio in bocca d'altri.

*
* *

Ciò malgrado, il povero Re Lcar rimase ab­


bandonato: l'opera, che nella mente del Mae­
stro doveva essere una delle sue maggiori, non
venne. Egli portò nella tomba il frutto delle
sue meditazioni. Soltanto in queste lettere ri­
mane qualche traccia di quei tre anni di lavo­
ro: rimangono le riflessioni, i consigli, i sugge­
rimenti, i precetti, che quel lavoro gli ispirava:
e chi si fa a studiarli, tenendosi davanti il vo­
lume di Shakespeare, ne misura il valore e re­
sta compreso d'ammirazione.
Verdi penetra nelle viscere della tragedia e
ne coglie le bellezze con una sicurezza che è
resa ancor più evidente dalla somma concisio­
ne e dalla trasparenza di uno stile certo non
irreprensibile per eleganza e purezza. Riletto
appena il Re Lcar, egli ha già veduto tutto
quello che se ne può prendere per un melo­
dramma, ha segnato caratteri e scene quali do­
vranno restare. Una sola modificazione accet­
terà egli stesso più tardi, quando il Somma,
spinto da quella cura della brevità che il Mae­
stro non cessa di raccomandargli, suggerirà di
levare dai personaggi i due Glocester, Edgar­
do e il vecchio padre, conservando solamente
Edmondo, il figlio spurio. Il consiglio era forse

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14
ispirato anche dalle critiche cui fu fatto segno l1
l'episodio dei Glocester, come aggiunta o so­ G
vrapposizione non necessaria e dannosa all'unità g:
di azione. Si vede che il poeta nostro non si
era lasciato persuadere dalla difesa, che di quel­ m:
l'episodio fa Augusto Guglielmo Schlegel, 1 il bé
quale stima quasi necessario che alla miseria, in du
cui, per la crudeltà delle figliuole, è caduto il
vecchio Lear facciano riscontro le sventure di
un altro padre, cagionate pur esse dalla scelle­
raggine di un figlio. il;
Piacque al Maestro il partito di questa sop­ gli
pressione dei due personaggi, che gli riduceva lo 1
il dramma a più giusta misura, onde si con­ CIV
venne che il martirio del vecchio Glocester di­
ventasse un antefatto, e che Edmondo, il figlio gdc
perverso, divenuto conte di Glocester per la morte g!i t
del padre, si trovasse fino dal primo atto alla Slffi(
corte di Gonerilla. lvi egli avrebbe spiegato in cui
un'aria il proprio carattere, che Verdi, con pro­ ,ien
fondo concetto, voleva fosse quello di un fran­ per,
co e completo scellerato: non già di uno scelle­ rane
rato ributtante, ma di un cinico, che ride di gom
tutto e tutto schernisce e commette colla mas­ �ces
sima indifferenza i maggiori detitti. 2 Restava Lea1
una difficoltà. Nella tragedia shakespeariana tia�,
Edmondo viene ucciso in duello dal fratello ceri1
Edgardo: ora, tolto quest'ultimo, con chi si fa­ p iù
rebbe il duello? Proponeva il Somma di sosti­ dtlj:
tuirvi una energica riscossa del Duca di Alba-
1 Corso di letteratura drammatica, trad. Gherardinl,
-
glie:

Milano, 1817, tomo III, p. 134.


t Lettera XIII e XIV.

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15
nia, il quale, scoprendo la tresca della infedele
Gonerilla con Edmondo, li avrebbe fatti impri­
gionare. Ma il Maestro giustamente opponeva
non essere naturale questa improvvisa trasfor­
mazione d'un carattere, fino allora fiacco ed im­
belle come quello dell'Albania, e preferiva il
duello e la morte di Gonerilla. 1 Come la di-·
sputa andasse a finire, il sèguito della corrispon­
denza non dice.
Dei personaggi della tragedia, Cordelia ed
il Matto erano quelli ai quali più si volgevano
gli affetti e le cure del Maestro. Di Cordelia
lo commovevano la sincerità e la dolcezza; per­
ciò rifiutava di travestirla da guerriero nell'ul­
timo atto : " deve restare, diceva, donna ed an­
gelo, com'è in tuttò il dramma ,, . 2 Sulle prime
gli era sembrato insufficiep.te, quasi puerile, mas­
sime colle idee dei tempi nostri, il motivo per
cui Cordelia incorre nella collera del padre e
vien privata del suo retaggio; ma poi si lasciò
persuadere dal Somma e confessò, con grande
candore e modestia, di avere avuto torto. 3 L'ar­
gomento usato dal poeta si può supporre fosse
questo: che l'indebolimento delle facoltà di
Lear è già cominciato prima che cominci la
tragedia, ond'egli non sa più discernere la sin­
cerità e la menzogna, nè può ben giudicare se
più valgano la modestia e la ritenutezza di Cor­
delia o le ampollose proteste delle altre due fi-
. glie: bene è quindi che egli commetta un atto
1 Lettera XVII.
2 Lettera XIV.
3 Lettera II e X.

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16
tanto più ingiusto, quanto più futile e inconsi­
stente ne è la cagione. Infatti sulla fine della
prima scena le stesse figlie preferite biasimano
la condotta del padre. - "Vedete, dice Gone­
rilla, com' è volubile la sua vecchiaia l egli pre­
diligeva sempre la sorella nostra, ed ecco con
qual povero criterio I ora la scaccia ,, . - "È la
debolezza dell'età sua, risponde Regana, quan­
tunque egli non abbia mai ben conosciuto sè
stesso ,, . - E Gonerilla: "il suo tempo migliore
e più _sano non fu che sventataggine ,, . 2
Nei sarcasmi filosofici del Matto ravvisava il
Maestro una ricca vena di quei contrasti, onde
traeva la maggiore varietà dei coloriti musicali. 3
Poichè egli, maestro insuperabile di effetti tea­
trali, non perdeva mai di vista la ricerca del-
1'effetto, anzi la stimava doverosa per il musi­
cista che si dedica al teatro. "L'opera è l'opera,
diceva, e la sinfonia è la sinfonia ,, . 4 E quindi
non rinnegava mai i caratteri dell'opera, nè cre­
deva di dover dimenticare che gli spettacoli
teatrali sono fatti per il publico. Pregiudizi,
come si vede!... E pertanto egli non educò iI
publico alla virtù della pazienza e della rasse­
gnazione, non gli impose mai duetti di quaranta

1 Poor judge111e11t. ...


t Tlte be.<! and soundest oj is time ltath bet111 °but rask .. .•
(Atto I, scena I).
3 Veggansi a questo proposito le raccomandazioni al
poeta per il carattere di Edmondo nella lettera XIV.
4 Il pemiero artistico e politico di Giuseppe Vt1rdi -
Conferenza di A. LUZIO nella "Lettura ,, aprile 1901, pa­
gina 295.

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17
minuti .... Così largo di idee, così poco dogma­
tico e sentenzioso per temperamento, come ce
lo mostrano le sue lettere al conte Opprandino
Arrivabene, teneva però come canone fondamen­
tale dell'arte sùa che non bisogna annojare:
"lungo, diceva, è sinonimo di nojoso, e il nojoso
è il peggiore di tutti i generi ....1 Se a questa
massima si sia mantenuto fedele anche più tardi
dica p. es. la brevità miracolosa de 11' ultimo atto
di Otello. Ma all'effetto non vole,·a mai sacri­
ficata nessuna delle ragioni dell'arte vera: in
particolare premevano a lui, tanto almeno quanto
al poeta, la pittura dei caratteri, la chiarezza
delle situazioni, la logica dello svolgimento, e
sopra tutto la passione, la passione che deve in­
vestire tutto il dramma e crescere dalla prima
all'ultima scena. Ah, quando il dramma lo esige
si può sacrificare talvolta la stessa brevità pur
cosl necessaria I " Se lo vuole il momento, scrive
un giorno al poeta, fate pure dei recitativi an­
che lunghi: io ne ho fatto di lunghissimi nei
soliloqui di Macbeth e di Rigoletto! ,, . 2
La scena che egli avrebbe trattato con più
amore sarebbe stata quella del g_iudizio, che
qualificava originalissima e commoventissima. 3
E non è difficile imaginare che un maestro, il qua­
le sentiva ed esprimeva il dolore come l'autore
di Rigoletto, della Traviata, di At"da, d'Otello,
avrebbe trovato accenti sovrani per significare
1 Lettera II, III, X, XI ecc.
2 Lettera VI.
3 Atto III, scena VI di Shakespeare - V. lettere II
e XIII.

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18
l'angoscia del vecchio re, il quale, smarrita la
ragione per i feroci trattamenti di Gonerilla e
di Regana, le chiama nel suo delirio davanti a
un tribunale imaginario, per punirle della loro
condotta inumana. Comè dobbiamo rimpiangere
che non siano state scritte questa pagina di mu­
sica ed un'altra ancora: il duetto finale di Lear
e Cordelia, che il Maestro, compreso della sua
altissima bellezza drammatica , chiamava su­
blime! 1
*
* *

Però non fu per colpa del poeta che il Re


Lcar rimase un disegno incompiuto. Lo dimo­
stra il fatto che alcun tempo dopo Verdi e Som­
ma si trovano associati in un'altra impresa co-.
mune e n'esce il Ballo ù, maschera. Pur troppo
qui non sappiamo da chi fosse proposto il sog­
getto nè come avvenisse l'accordo: o i due
s' intesero a voce, o le prime lettere andarono
perdute.' Non si comincia a trattare del Ballo
i"n maschera che nella lettera del 6 novembre 185 7,
ma allora tutto il primo atto è già nelle mani
del Maestro. 3
II Ballo ùz maschera! Quanti frequentatori
di teatro, quante persone colte in Italia sanno
che è uscito dalla penna di Antonio Somma?
Tutte le volte che m'è accaduto di dirlo mi sono

1 Lettere II e X.
2-Probabilmente, per quello che si dirà più avanti, fu
il Maestro che portò da Parigi la proposta di questo ar•
gomento.
• Lettera XTX.

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19
sentito rispondere: "ma come? non è di Piave? ,, .
Invero l'anonimo serbato dall'autore e l'avere
Francesco Maria Piave, prima che venisse alla
luce il Ballo in maschera, già scritto per il Verdi
sei drammi, dei quali alcuni meritamente fa­
mosi, 1 crearono sin dal principio l'equivoco che
dura ancora. Ma il povero Piave, abilissimo
nel rendere le situazioni drammatiche, anche se
mediocre verseggiatore, • delle eccellenti situa­
zioni e dei versi meno eccellenti del Ballo ùi
nìaschera non ha proprio merito nè peccato.
Ma perchè poi il nome del Somma, tanto
favorevolmente conosciuto, non apparve mai sul
frontespizio? È egli vero che il poeta, sdegnato
per la condiscendenza del Maestro alle esigenze
tiranniche delle Censure di Napoli e di Roma,
abbia senz'altro ritirato il suo nome?
Per distruggere questa leggenda io non avrei
che ad invocare la testimonianza del dottor Vi­
gna, il quale asseriva che nessuna nube aveva
mai turbato la relazione amichevole del Verdi
col Somma, e che anzi quest'ultimo si era gua­
dagnata la perenne gratitudine del Maestro col
ristabilire tra lui e Andrea Maffei l'antica ami­
cizia, un momento interrotta da malintesi e da
dissensi. Ma non occorrono testimonianze dove
parlano i fatti, e � fatti risultano da queste let- ·
tere. 2 Basta quella dell'l 1 settembre 1858 a
dimostrare che i mutamenti necessari per otte­
nere a Roma il permesso della rappresentazione
l Ernnni e I due Foscari (1844), il Corsaro (1848), Ri­
goletto (1851), la Travintn (1853), Aroldo (1857). •
I X
t Lettere XX V, XXV, X VI e XXVII.

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20
furono eseguiti di buon grado dallo stesso Som­
ma, ed in tal modo che il libretto, a giudizio del
Verdi, che se ne intendeva, non aveva punto
scapitato. Del resto, anche ridotto quale ora lo
vediamo, il dramma è tutt'altro che privo di
merito. Ila dei brutti versi, delle espressioni
strane, delle frasi contorte: è verissimo. Non
ammireremo certo il raggiante di pallore, nè
l'orma dei passi spt"ctatt� divenuti proverbiali. 1
Somma, rispettabilissimo come tragico, non ave­
Ya, bisogna ben riconoscerlo, le qualità del poeta
lirico. 2 1\Ia non bastano i cattivi versi, quan­
d'anche fossero molti, a far condannare tutto
un dramma: ora r,el Ballo ùt maschera il dramma
vive e palpita e le sue peripezie da quarant'anni
in qua commuovono gli spettatori di tutti i tea­
tri del mondo. E bisogna ricordarsi che sul
teatro nbn vivono quei melodrammi il cui sog­
getto non appassiona il publico: le bellezze della
musica non bastano: se manca il dramma, in
poco volger d'anni anche la musica passa alla
storia.
A me pare di poter dire la vera ragione, da
cui un artista coscienzioso e di nobile fama, qual
1 Per vero dire se ne mena più scalpore del bisogno.
I ·passi spietati sono bruttissimi, ma l'orma, se nel signifi•
càto ordinario di impronta non si può sentire, ben si può
quando è presa per passo. "Il zoppo affretta l'orme, il
cieco vede,, ha Chiabrera (Rim. 3, 327). E Manzoni:
" Nè sa quando una simile - orma di piè mortale - la sua
cruenta poi vere - a calpestar verrà ,,. ( li cinq,u tnnggio).
L'orma calpesta, dunque si può sentire.
2 Veggansi in prova i cori della Parisina, del Marco
Bozzarz', della Cas.•andr n,

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21
era il Somma, fu indotto a tenersi nell'ombra:
di essa finora nessuno ha parlato, sebbene lo
scoprirla non fosse difficile. La ragione è que­
sta, che l'opera non è originale, ovvero, in ter­
mini più precisi, non è del Somma : è, nè più
nè meno, una libera traduzione del Gttstavo 11I
di Eugenio Scribe, messo in musica nel l 833 da
Daniele Francesco Spirito Auber, opera che
visse e vive ancora sulle scene francesi. 1 Ho
detto libera traduzione e non semplice imitazio­
ne, perchè, oltre al soggetto, sono eguali le si­
tuazioni, la distribuzione delle parti, lo svolgi­
mento dell'azione, il numero e il carattere dei
personaggi , anzi questi esprimono, quasi in tutto
il dramma, le medesime idee, i medesimi senti­
timenti, solo con parole e metri mutati I È na­
turale che Antonio Somma, il quale sapeva fare
ben di più e ben di meglio di una traduzione,
non riconoscesse per suo un figliuolo che così
poco gli apparteneva.
Non ebbe però lo stesso scrupolo, quindici
anni prima, .Salvatore Cammarano. Sicuro: an­
che Cammarano ! di lui pure abbiamo, e non
anonima, una traduzione liber� del Gustavo III:
è il melodramma di Saverio Mercadante, che
va sotto il titolo del Reggente, e venne rappre­
sentato la prima volta al Teatro Reg:o di To­
rino nel 1843, poi a Cagliari nel 1864 ed a Pa­
lermo nel, 1870.

1 Fu rappresentata la prima volta all'Opéra di Parigi


il 27 febbraio 1833.

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22

*
* *

Il soggetto delle tre opere è, non occorre


dirlo, un fatto storico dei più noti: la uccisione
di Gustavo III, re di Svezia, della dinastia dei
Wasa, per opera di Gian Giacomo Ankarstroem�
gentiluomo della sua corte. Principe di corrotti
costumi, ma dotato di qualità brillanti e di larga
se non profonda coltura, Gustavo, al pari d'altri
sovrani del suo tempo, portava sul trono uno
spirito riformatore e favoriva il popolo contro
il partito de' nobili. In realtà mirava a sciogliere
l'autorità regia dai vincoli in cui pretendeva te­
nerla stretta l'aristocrazia. Di qui le sue lotte
dapprima col senato, che dell'aristocra.tia era
appunto la cittadella, indi cogli stati generali,
dai quali il re aveva indarno sperato largo con­
senso di spese. Di qui pure le guerre da lui
condotte contro la Danimarca con mediocre, e
contro la Russia con avversa fortuna. Di qui
finalmente l'odio implacabile de' nobili e la loro
risoluzione di sopprimere un sovrano così infe­
sto ai loro interessi e ai loro privilegi. Una con­
giura venne ordita, di cui capi principali erano,
coll'Ankarstroem, i conti di Horn e di Ribbing,
il barone Bielke, il generale Pechlin, il colon­
nello di Liliehom. Sembra che l'onore di re­
care a Gustavo il colpo mortale fosse sollecitato

I
da più d' uno di costoro, onde la scelta fu ri­
messa alla sorte che decise in favore di Ankar­
stroem. Questi, non avendo trovato, come spe•

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23
rava, l'occasione di compiere il misfattò nella
Dieta convocata a Gefle nel mese di gennaio
1792, aspettò il re al ballo dell'opera di Stoc­
colma la notte del 15 al 16 marzo e gli scaricò
a bruciapelo un colpo di pisto!a. Tredici giorni
sopravvisse Gustavo, e durante questa lunga ago­
nia riordinò le cose dello stato, affidandone la
reggenza al fratello Duca di Sudermania du­
rante la minore età del figlio e successore Gu­
stavo IV. Ankarstroem, preso poco dopo, con­
fessò il regicidio, rifiutò di nominare i complici
e fu giustiziato il 29 di aprile.
L'argomento, molto drammatico, aveva ten-.
tato anche il genio di Vincenzo Bellini. Sap­
piamo infatti da sue lettere al Florimo com'egli
studiasse il Gustavo III e lo facesse proporre
per la preventiva approvazione alla Censura q.i
Napoli. "Magnifico soggetto, lo diceva, inte­
ressante, spettacoloso e storico"' ed aggiungeva
poi: " non si farà uccidere Gustavo (se così vor­
ranno), ma le situazioni sono belle, bellissime e
nuove. 1 Egli presentiva le difficoltà che venti­
quattro anni più tardi avrebbero impedito di por­
tare sulle scene del San Carlo il regicidio.

1 Lettere da Parigi a Francesco Florlmo del 18 no•


vembre e del decembre 1834. Sono pubblicate coi nn. 80
e 84 nel volume del Florimo (BELLINI, Memorie e lettere,
Firenze, 1882). A Belllni non poteva essere ignoto il Gu­
stavo III di Auber, rappresentato l'anno prima all'Opéra,
ma egli non ne fa parola. I tempi consentivano cosl di
lasciare da banda gli scrupoli per la proprietà artistica, co­
me di contare che un soggetto trattato a Parigi restasse sco­
nosciuto in Italia: e infatti quanti conobbero, anche dopo,
il Gustavo IIU

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2-1
Agli clementi, già così drammatici, offerti
dal fatto storico, altri ne aggiunse Eugenio Scribe.
Imaginò un amore ancora innocente, anzi nemme­
no reciprocamente palesato, tra Gustavo e la mo­
glie di Ankarstroem. Introdusse il maraviglioso
colla profezia della strega, che il re sarebbe uc­
ciso da chi primo gli stringesse la destra, cioè da
. Ankarstroem, che in quella appunto soprav­
viene. Fece che i due innamorati s'incontras- -
sero nel campo di giustizia, dove Amelia va a
cercare le erbe per il filtro che le deve t�gliere
dal seno l'amore per Gustavo: ivi li sorprende
il marito, che viene a salvare il re dalle insidie
dei congiurati. Da ciò la situazione capitale del
dramma, una delle più fertili di emozioni che
vanti la scena lirica: quella del marito che, per
indurre il re a porsi in salvo, gli promette di
proteggere la donna ed in essa poi scopre la
propria sposa. Ne segue la partecipazione di
lui alla congiura e la estrazione a sorte del nome
dell'uccisore, cui la stessa Amelia viene co­
stretta.
Questa ricchissima tela venne divisa dal poeta
francese in cinque atti. Il primo ha luogo nella
reggia, dove giungono le denuncie contro la fat­
tucchiera, che destano la curiosità di Gustavo,
e lo inducono a visitarne il covo sotto mentite
spoglie. Così si prepara l'incontro dell'atto se­
guente del re con Amelia, venuta a chiedere
il rimedio contro il suo amore; e così questo
amore è fatto palese a Gustavo dal dialogo, cui
assiste non veduto, tra Amelia e la strega. Il
terzo atto è quello del campo di giustizia, del

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25
quale si è già parlato, il quarto quello della con­
giura, il quinto il ballo mascherato e la cata­
strofe. 1 Bisogna convenire che alla ricchezza
drammatica del soggetto corrispor.de mirabil­
mente l'equilibrio della distribuzione e la logica
dello svolgimento.
Questo dovette pur essere il giudizio dei due
compositori e dei due poeti nostri, perchè situazio­
ni, distribuzione, svolgimento passarono dal Gttsta­
vo .ZI.l nel Reggente e nel Ballo Ùi maschera senza
quasi verun mutamento. 2 Anzi i tre drammi con­
baciano anco nei minuti particolari; identica p.
es., è la difesa della strega per bocca del pag­
gio Oscar nel primo atto: identico l'episodio del

1 Cinque sono pure le parti nei due libretti italiani e di


eguale contenuto, ma gli atti sono ridotli a tre riunendo
nel primo i due primi, nell'ultimo i due ultimi dello Scribe.
Qui si indicano sempre gli atti coi numeri del testo fran­
cese.
2 Per ragione di semplicità e di chiarezza useremo
sempre per i personaggi i nomi della storia e del dramma
di Scribe, Nei libretti di Cammarano e di Somma sono
mutati i tempi ed i luoghi, essendosi trasportata la scena
dall'uno nella Scozia nel 1570, dall'altro a Boston sul ca­
dere del secolo XVII. Cosl cambiarono nome anche i per­
sonaggi, pur restando sostanzialmente gli stessi. E cosl
Gustavo III si muta per Cammarano nel conte Murray
re· ggente di Scozia: Ankarstroem nel ministro Duca di
Hamilton. Nel Ballo ;,, ,,,auhera i due attori principali
sono Riccardo conte di Warwich, governatore di Boston e
Renato, creolo, suo secretario. La strega si chiama Ar­
vedson nel dramma di Scribe, Meg nel Reggente, Ulrica
nel Ballo in maschera. A tutti e tre i drammi sono invece
comuni i no· mi di Amelia e del paggio Oscar. Dei per•
sonaggi secondari i nomi sono diversi, ma qui non oc­
corre parlarne.

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26
soldato che, per la gentile soperchieria del re,
si trova in tasca la borsa ed il brevetto di uffi­
ciale; identiche le profezie della maga. Per
dare una idea del punto a cui arriva la somi­
glianza, ecco nelle tre versioni la preghiera che
Amelia, creduta più colpevole che non sia, ri­
volge al marito, affinchè le consenta di rivedere
il figlio prima di morire.
Dal Gustavo III:
Oui, de vo11s j' implore
Un dernier honkeur;
�"e je presse encore
JIIon ftls sur ,non CQeur !
JIIon ftls ! mon ftls ! . . . .
�ue je jouisse encore
De ser haisers ckérz's !

PrNe à qttilter la terre,


À mon k,ure dernière
N' otez pas cet e.,poir !
�,/ il ferme ma paupière;
�u• il sourie à sa mère
�u• il ne doit plus revoir !

Dal Reggente:
Pria che mi chiuda il gelido
Sonno di morte il ciglio,
Dek ! rivèder concedimi
L'ultima volta il figlio!
Lascia cke al sangue mio
Dica l'eterno addio! ....
Pensa che in breve il misero
Pit't madre non avrà! ...

Dal Ballo in maschera:


.kforrò - ma prima in grazia
Dek ! mi consenti ,llmeno

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27
L'unico figlio mio
Avvincerti al mio seno,
E se alla moglie niegki
�uest'ultitno favor,
Non rifiutarlo ai j>riegki
Del mio materno cor.

Il Somma, forsè perchè aveva già fermo di


non presentarsi-come autore, si mantiene fedele
all'originale dal principio alla fine e nulla vi
mette di suo. Sembra convinto che aggiungen­
do, togliendo, mutando, guasterebbe. Del resto
appena egli accenna a discostarsi dal dramma
francese, ecco Verdi che ve lo richiama,· come
nella lettera XXII a pròposito delle parole che
Ankarstroem rivolge alla consorte. Invece il
Cammarano introduce qualche variante e qual­
che aggiunta, che proprio non possono chiamarsi
felici. Egli sopprime quasi del tutto il terzetto
del campo scellerato e la sorpresa ironica .dei
congiurati quando scoprono nella donna la sposa
di Ankarstroem: con ciò quella magnifica situa­
zione drammatica resta quasi annientata, nè il
maestro può trar partito dalla varietà dei peri­
coli che sovrastano ai tre personaggi, dal con­
trasto delle loro ansietà, dagli accenti di scherno
con cui i congiurati accompagnano la dolorosa
scoperta dell'offeso marito.
Dicasi altrettanto della scena della congiura.
Cammarano ne esclude Amelia, e quindi l'estra­
zione del nome viene fatta, non da lei, ma da
uno dei cospiratori. Invero nel Gustavo e nel
Ballo in maschera il pretesto per far entrare
Amelia è meschino. Non si può ammettere che

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nella casa d'un ricco personaggio, com'è il conte
d' Ankarstroem, venga proprio la moglie a por­
tare un'ambasciata come questa:

A�1ic:. Sans votre ordre pardon d'oJser enlrer ain1i:


Un page du roi vo11s clemamle.
A:-.K. $!_111� moi ! . , , . !;!_1t' il attende!
(a Amélic) Rnte ! La ju.,tice cle Diet1
,Ve t' a pas san,< dcssein ent'oyée en ce lieu, 1

l\Ia lo Scribe non dubitò di valersi anche di


un sì piccolo mezzo per non rinunciare all'ef­
fetto potente che si ricava dalla presenza di Ame­
lia. Il poeta napoletano rifiutò il .mezzo, ma per­
dette l'effetto.
Non si comprende poi un cambiamento, af­
fatto inutile dell' ultimo atto. Perchè fa il Cam­
marano che il paggio riveli il travestimento del
Principe, non ad Ankarstrocm che lo cerca per
colpirlo, ma ad Amelia? non è più naturale che.
questa, donna e innamorata, riconosca colla sola
guida dell' istinto l'uomo amato dal quale vuole
stornare il pericolo, e che della indicazione in­
vece abbia d'uopo colui che medita e prepara
l'assassinio ?
Però la più strana fra le novità introdotte in
questo Reggente è l'aggiunta di alcune scene al

1 Ballo in maschera, atto III, se, III.


REN, " ..•• Tu!
AME, V'è Oscarre che porta
Un invito del Conte.
REN. (impallidendo) Di lui!
Che m'aspetti, E tu resta, lo dei;
Poiclzè pormi c1re il cielo t'ha sco1·ta ,,.

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29
principio del terzo atto, prima che Amelia si re­
chi al campo di giustizia. Queste scene avven­
gono nel palazzo di Ankarstroem, onde poi il
bisogno di un mutamento di scenario di più.
Ankarstroem medita sulla prof ezia della strega�
e palesa alla sposa che sopraggiunge il suo tur­
bamento. Ecco il dialogo :

- Sposo, perc!tè lungi da me t'ag,rirl


Turbato s) 1 che mai t'nffan1Ja?
- Nulla.
Invan lo nieghi. Io il veggo, ascoso duolo
T'n.ffligge .... Parla.
- E dirtelo degg'io?
C!te la 111aga proferse
Sovra i destini del R rgg ente ....
- (Io tremo).
E c!te disse colei?
C!t'ei di pugnale e di mia man cadrà
- Per la tua mano ! . . . o cielo!
- Ma che? ltt pur paventi,
Pen.Mr puoi tu che il mio più grande amico
Sr,enar pòtrei 1 Non è per lui eh' io sono
Felice e grande 1 No11 difese ei sempre
L'onor del no111e mio?
- (La 1110,·te ho in core!)
- Altra la man sarà c1re lo minaccia.
Ti lascio, o donna. Or pile che mai de_.rg'io
Vegliar sui giorni suoi.
- Si, 1•a11ne.
- Addio.

E qui un' aria di Amelia, e poi un coro di


famigliari, che vengono ad informarla della bella
festa che si prepara dal Reggente . . . . E pen­
sare che la povera donna, in mezzo ai savi ra­
gionamenti del marito e alle frivolezze dei fa-

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I
30
migliari, deve disporsi a fare quella amena
passeggiata che le ha suggerito la zingara I Si
pensi come resta indebolita e rallentata l'azione
da sì vano cicaleccio. Mercadante però lo com­
prese e lasciò da banda queste aggiunte, sicchè
non se ne vede traccia nello spartito. Ma non
avrebbe nuociuto alla fama del poeta che venis­
sero tolte anche dal libretto.
Fra i tre drammi nessun'altra differenza no­
tevole, se non vogliasi ricordare che manca ne­
gli italiani la prova del ballo nel primo atto, che
si trova nel francese. Lo Scribe, dovendo pre­
parare per l' Opéra di Parigi uno spettacolo
grandioso, ricorre alle attitudini artistiche e let­
terarie del suo protagonista e trasforma in un
ballo l'opera, composta da Gustavo e fatta rap­
presentare a Stoccolma, che ha per soggetto le
gesta del suo grande antenato Gustavo Wasa. 1
Così potè l'Auber comporre un'opera-ballo. Ma
queste non sono, come ognun vede, diversità
sostanziali.
*
* *
E la musica?
Per istituire un confronto fra i tre spartiti,
se questo fosse lecito a chi è pur troppo quasi
profano all'arte de' suoni, mi mancherebbe un
elemento di fatto indispensabile, non avendo
veduto rappresentare il Gustavo ed il Reggente.
Mal si giudica di qualunque lavoro teatrale senza

• 1 Si può leggerlo in francese nelle Ojer• di Gustavo


III stampate a Parigi nel 1805.

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31
l'esperimento della scena; peggio poi dei melo­
drammi, dei quali la lettura e l' audizione. al
cembalo non possòno dare un' adeguata idea.
Ma finchè venga un impresario amante di cu­
riosità storiche a farci conoscere le opere di
Auber e di Mercadante, bisogna contentarsi di
qualche rapido cenno, chi sa quanto soggetto a
rettifica e correzione !
Noto dunque, prima di tutto, che nei tre
spartiti i registri delle voci sono eguali per tutti
i personaggi, eccettuati soltanto i due capi della
congiura. Questi nel Ballo in maschera sono
due bassi : Auber e Mercadante ne fanno invece
uno basso e l'altro tenore. Ma quando si ricor­
dano i bellissimi effetti che il Verdi ha tratto
dal carattere egualmente cupo di quei due per­
sonaggi, si inclina a credere ch'egli abbia avuto
ragione.
A differenza del Ballo in maschera, che s'a­
pre col breve e bel preludio sui temi dei con­
giurati e della romanza " La rivedrò nell'estasi",
le altre due opere sono precedute da lunghe
sinfonie : quella del maestro francese è tessuta
sui motivi del finale terzo (Ankarstroem, Amelia
e congiurati), ma non sembra aver molto sapore:
quella di Mercadante, invece, melodica e ricca
di effetto, non si lega coi temi dell' opera.
Nel prim' atto di Auber è notevole taluna
delle danze, specialmente il passo dei contadini
di Dalecarlia. Ma sembra lunga e volgare la
romanza del re : povero d' invenzione ed acca•
demico il duetto di lui con Ankarstroem. Nè
hanno maggior pregio le strofe di Oscar: " Aux

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cieu.t: elle sait lil'e "' il coro che le accompagna
ed il troppo lungo finale.
Forse quello dei tre maestri che trovò per
questo primo atto più fresca e viva l'ispirazione
è il Mercadante, salvo che per le strofe del pag­
gio. Bello e maestoso è il recitativo del Reg­
gente: la cavatina e il duetto che lo seguono
hanno nobili frasi melodiche: magnifica è spe­
cialmente quella del baritono " Versa l'arcano
duolo ,, . L'atto si chiude con un coro non molto
originale, ma di effetto.
Il primo atto del Verdi, chi non lo ricorda?
ha vita e sentimento ed è spigliato e brioso sulla
fine, ma non tutto pregevole per finezza d' in­
venzione e di condotta. Però il grande Maestro
va molto innanzi agli altri due nell'intuire, nel
sentire e rel rendere le situazioni del dramma.
Ecco, per esempio, l'atto secondo. Anche
gli altri due compositori dànno agli scongiuri
della strega carattere e colorito appropriati, 1 ma
il terzetto del teriore e delle due donne è molto
superiore agli altri nel Ballo in maschera, e la
distanza aumenta sulla fine dell'atto. Il bellis­
simo quintetto del Verdi " È scherzo od è follìa �
ed il coro stupendo del finale non hanno riscon­
tro: del quintetto anzi non vi è traccia negli
altri due spartiti. Auber ha qualche tema pre­
gevole ed un felice movimento orchestrale al­
l'arrivo del re nell'antro della sibilla, ma riesce
quasi sempre freddo e pesante. Andamenti d'or-

I È curioso a notarsi che nel Gustavo III e nel Ballo


in masclrera la invocazione della strega è nella medesima
tonalità di do minore.

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33
chestra espressivi nell'aria della strega, graz1os1
nell'episodio del soldfltO, ha pure il Mercadante,
e rende con passione la frase d'Amelia "Si
d'amor, d'amore insano ,, . Ma alla fine dell'atto,
malgrado un buon largo corale, non si sostiene.
Nell'atto terzo, al campo scellerato, Merca­
dante non volle cogliere l'occasione di un ter­
zetto, quando i due amanti vengono sorpresi
dall'accorrere del marito: forse gli parve che
la situazione, ritardando troppo l'arrivo dei con­
giurati, non si reggesse. Così tutta la scena
dall'uscita del tenore allo svelarsi di Amelia è
da lui contenuta in un allegro di quarantotto
battute a tempo ordinario. È buoro il concer­
tato che segue, ma vi manca del tutto il con­
trasto della nota sarcastica de' congiurati,. il
" Ve' se di notte - qui colla sposa ,, . E cosi
questo finale riesce prolisso. Tale pur sembra
in Auber, quantunque non manchi di spigEa­
tezza nelle frasi ironiche del coro " La rencontre
est jolie n•
Verdi, non solo nel finale pieno di varietà
di coloriti, ma in tutto l'atto sta bene al di so­
pra. L' aria d'Amelia nel dramma francese "Et
lorsque d'une main tremblante ,, , pur bella ed in­
spirata, non regge per passione ed efficacia al
paragone di quella di Verdi " 1Wa dall'arido stelo
divulsa ,,. Il duetto d'amore che nel Gustavo
sembra banale nell' attacco, migliore nel seguito,
ed è bello invece nel Reggente per il calore e
lo slancio, è certo nel Ballo in Maschera uno
dei migliori pezzi dell'opera: ha carattere, pas­
sione, foga quasi esuberante, tocca il sublime.

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Doveva riuscire così, perchè il Maestro così lo
sentiva. Veggasi quello che egli ne scriveva al
l
poeta: " bello, bellissimo il duetto fra Gustavo
ed Amelia: havvi tutto il calore ed il disordine
che ci vuole nella passione.,, 1 Il duetto prepara
poi mirabilmente il movimento concitato, impe­
tuoso del terzetto seguente, che Mercadante,
come dissi, non ha fatto, e che riello spartito
• francese· ha una certa espressione d' ansia, ma
senza originalità.
La superioritit del Verdi nell'atto della con­
giura è incontrastabile: basterebbe a stabilirla
la romanza del baritono "·Eri tu che macchiavi
qttell' anùna ,, , dove il dolore e l'ira s'accoppia­
no per modo che la immensa popolarità della
musica non impedisce di sentirne ancora tutto
l'effetto. Nulla di simile negli altri due spar­
titi, e nulla che possa paragonarsi ali' entrata dei
congiurati, all'energia della perorazione "Dun­
que l'onta di tutti sol ttna ,, , ali'emozione susci­
tata dagli accenti dolorosi di Amelia nella scena
successiva.... Forse è meno felice e sa d'ap­
piccaticcio la chiusa, dall' entrata di Oscar in poi.
Questo stesso atto nel Reggente si apre con
una breve introduzione non priva di effetto: se­
gue il duetto di Amelia col marito, dove la pas­
sione è viva e trova bellissimi accenti bene se-

1
Lettera XX. - Veggasi invece nella successiva, dove
parla dell'aria di Amelia: "Non c'è foco, non c'è agitazione,
non c'è disordine (e dovrebbe essere estremo in questo pun­
to) .•. " E nella XXVII: " Queste parole ammettono un certo
non so che di logico e di riflessivo nei personaggi, che in
tale situazione è fuori di luogo ,,.

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condati dall'orchestra: calda, se non peregrina,
è la preghiera della donna " Pria che mi chiuda
il gelt"do ,, : la stretta di questo duetto " Trema,
trema! ... in me lo sdegno ,, , che presenta una cu­
riosa analogia col " Si vendeUa, tremenda. ven­
detta ,, del Rigoletto, è piena di vigore e d'e­
spressione. Buono è pure il recitativo seguente
del baritono e bella la frase dell'aria " Meova
ferita cruda, profonda ,, , ma è mediocre il �oro
che segue. Malgrado questi particolari prege­
voli, non pare che questo atto abbia tanto ri­
lievo da suscitare forte ·commozione.
Quello del Gustavo però deve lasciare ben •
più indifferenti: tutto da capo a fondo sembra
qui comune e scolorito. Il Maestro non deve
aver sentito la passione de' suoi personaggi. Il
preludi.o è concitato ed espressivo, ma insigni­
ficante è il duetto tra Ankarstroem ed Amelia,
dove • si ripete due volte la frase " il /aut mou­
rz'r ,, , da cui Verdi sentiva potersi trarre effetti
maggiori che forse egli stesso non ne abbia
tratto. 1 Il terzetto di Ankarstroem coi due con­
giurati, appoggiato ad un accompagnamento •
troppo leggiero e brioso, non ha forza nè pre­
gio d' invenzione. L'entrata di Amelia suggeri­
sce all'Auber poche eccellenti battute d'orche­
stra, ma poi si precipita nella volgarità tanto
nel quartetto che nell'aria del paggio.
Nè la fantasia ha servito meglio il maestro
francese nell'ultimo atto� mentre invece entrambi
i nostri vi spesero disegno e colori appropriati:

1 Lettera XXII.

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36
Mercadante forse tanto quanto Verdi. Un mi­
nuetto ed una Allemande, un'aria ispirata e bella
del tenore " Saintc amitié quc j' o.ffcnsc ,, , ecco
tutto quello che sembra degno di lode in que­
sto atto. Il dialogo del tenore con Amelia, pie­
no di passione e di angoscia nel Ballo in ma­
schera, negli altri due spartiti è senza rilievo:
povere e comuni son pure in tutt'e due le strofe
del paggio, che Verdi sa rendere cosi graziose
e vivaci. Ma nel Reggente si ammirano il re­
citativo e l'aria del tenore "È forza, è forza
estinguere ,, ed il canto finale del Reggente fe­
rito ".2.Jtando l'uom tu ri'vcdrai ,, : la situazione
è descritta dalla musica felicemente. Invece nel
Gusta1,10 III la catastrofe ci lascia indifferenti.
Verdi resta incomparabilmente superiore in tutto
l'atto, profondendovi tesori d'ispirazione musi­
cale, che ajutano il dramma senza opprimerlo
e senza diminuire la rapidità dello scioglimento.
Se dopo un esame necessariamente manche­
vole si potesse senza troppa audacia avventurare
un giudizio sintetico, vorrei dire che l'opera di
Verdi ha pregi di gran lunga superiori alle al­
tre due, e che r.el confronto tra il Reggente e
il Gustavo questo resta al di sotto. Per fre­
schezza e originalità, per unità di stile e di con­
dotta, per equilibrio di parti, per sobrietà e si­
curezza di disegno, per vivacità di sentimento
e di passione, il Ballo in maschera è opera d'alto
valore: non sembra che delle altre due si possa
dire altrettanto. E questo si direbbe essere pure
il giudizio della fama. Al Reggente poco ar­
rise la fortuna: esso, dopo gli esperimenti di
37
Torino, di Palermo e di Cagliari, che datano
da più di trent'anni, pare entrato nel dominio
dell'archeologia teatrale. Il Gustavo III si man­
tiene nel repertorio dell'Opéra, ma la sua rino­
manza andò così poco lontana che non giunse
fino a noi, pur così attenti a tutti i successi an­
che effimeri delle scene francesi. Quel melo­
dramma rimase. sconosciuto in Italia malgrado
l'identità del soggetto con un'opera nostra così
popolare. Il Ballo in maschera vive ancora di
vita gloriosa su tutte le scene.

*
**

"Il Ballo in maschera, scriveva Alfredo Co­


lombani, ha pure la sua storia. La primizia
dell'opera nuova di Verdi era destinata a Na­
poli, e già erano ivi cominciate le prove, quando
giunse l'annuncio dell'attentato di Felice Orsini. 1
La censura borbonica pensò che il momento non
sarebbe stato opportuno per l'esecuzione di un
melodramma in cui è sceneggiato un regicidio ....
e ne vietò la rappresentazione. Nacquero pro­
teste, diatribe, sommosse popolari. Il Maestro
non cedeva alle esigenze della Censura, che vo­
leva conservata la musica e cambiato il soggetto,
e il popolo lo seguiva per le vie acclamandolo.
E il W Verdi cominciò forse allora ad assumere
il doppio significato di omaggio al Maestro e di
aspirazione a V. E. R. D. I. (Vittorio Emanuele

1 14 gennaio 1858.

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38
re d'Italia). Per questo incidente l'opera potè
essere rappresentata solo un anno dopo a Roma,
ove la Corte pontificia, ottenuta la sostituzion�
di personaggi imaginarì a quelli storici del li­
bretto, concesse il permesso ,, . 1
Fu appunto così, ·e se ne ha la conferma
nelle ultime cinque lettere .di questa piccola rac­
colta, nelle quali Verdi non dà troppe spiegazioni
sui motivi e sulle circostanz_e del divieto, sa­
pendo che le sue parole devono passare la tra­
fila di tre q quattro polizie segrete. Tragico­
mico nella sua spartana breviloquenza è il primo
annuncio ch'egli manda al Somma della-disgra­
zia di Napoli. 2 Ma si rimette subito, o che la
sua abituale filosofia gli abbia rammentato che
non giova nelle fata dar di cozzo, o che le di­
mostrazioni popolari siano state, per il suo cuore
di patriota, bastevole compenso del disastro ar­
tistico ed economico. Tornato in calma, pensa
ai rimedì. Già aveva egli stesso proposto tempo
addietro al poeta di mutare l'epoca e i perso­
naggi ; ma non lo aveva sodisfatto l'idea di ri­
salire al secolo XII, troppo rozzo e feroce per
un protagonista come Gustavo, il quale, a suo
dire, doveva aver sentito l'aria della corte fran­
ces� al secolo XVII. 3 Ripensandoci, suggeri al
Somma di trasportare il dramma in una città del-
1'America al tempo della dominazione inglese. 4

1 L'opera italiana nel secolo .YIX, Milano, 1900, p. 200.


2 Lettera XXIV scritta da Napoli il 7 febbraio 1858,
ventiquattro giorni dopo l'attentato di Parigi.
3 Lettera XXI e XXII.
4 Lettera XXV.

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Così fu fatto, e fu buon partito tanto dal punto
di vista teatrale che dal politico: partito certo
preferibile al ripiego usato, probabilmente per
essersi incontrato nelle medesime difficoltà, dal
Cammarano, di mettere la scena nella Scozia ai
tempi di Maria Stuarda.
Rappresentata dunque la prima volta all'Apol­
lo di Roma, il 17 febbraio 1859, l'opera suscitò
un vero entusiasmo, e percorse poi trionfalmente
tutte le scene italiane e straniere. Anche a Pa­
rigi, dove fu presto riprodotta (1861), sostenne
evidentemente con vantaggio il confronto col
Gustavo III di Auber e riportò lodi incontra­
state dalla critica più arcigna. Fra noi, al dire
d'un recente biografo del Maestro, non è ora­
mai chi non convenga in questa sentenza, che
il Ballo in maschera per nobiltà di stile, per
elevatezza d' ispirazione, per accuratezza armo-
. nica e strumentale è uno dei più notevoli capola­
vori del teatro melodrammatico contemporaneo. 1

Come Giuseppe Verdi intendesse quella fu­


sione armonica di tutti gli elementi del melo­
dramma, che tante volte illustrò colle creazioni
del suo genio, spiega egli stesso a parole in
queste lettere: le quali ci permettono quasi di
assistere al suo lavoro intellettuale e di seguire
l'amorosa cura da lui posta ad ogni particolare
perchè fosse coordinato al risultato complessivo.
1
G. Verdi (1813-1901) per Ettgenio Cher:chi. Firenze,
1901, p. 144.

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Non egli scriveva i versi e le parole dei suoi
melodrammi, ma questo carteggio dimostra come
ne fosse il vero ispiratore: il Maestro non si
associava, ma si identificava col suo poeta. Co­
m' egli doveva sorridere quando sentiva da filo­
sofi dottissimi, da critici eruditi bandirsi come
scoperte nuo,·e di zecca quegli stessi procedi­
menti artistici ch'egli aveva sempre applicato
senza domandare brevetto d'invenzione, paren­
dogli forse che tanti altri avrebbero potuto pre­
tendervi da Gluck in poi I
Sincerità assoluta di parola, che viene dalla
esattezza , dalla chiarezza , dalla sincerità del
pensiero: modestia non infinta, non ossequiosa,
non vile, ma accompagnata dalla coscienza del
proprio valore, ma ispirata da quel rispetto che
si crede dovuto ad ogni altra superiorità: visione
netta, completa, sincera dell'ideale cui si è posta
la mira : studio dei mezzi proporzionati allo
scopo: di tutto ciò fanno testimonianza questi
scritti del Maestro. Ond'è che essi possono ve­
nire licenziati alla publicità senza temere che
ne scapitino la devozione e l'affetto per questa
vera e purissima gloria italiana, per questa no­
bile e geniale figura, una certamente delle più
grandi del secolo testè tramontato.
Però si potrà forse osservare che tutti que­
sti tratti caratteristici erano già conos_ciuti. E
noi non vorremo negarlo. Giuseppe Verdi era
già entrato nella storia prima che per lui giun­
gesse l' ultimo giorno. Da molto tempo la sua
vita e la sua mente erano così note, come i li­
neamenti del suo volto, austeri insieme e bonari.

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41
Ed era pure entrato nella coscienza universale
quello stile suo affatto personale, e perciò non
suscettibile di felice imitazione, mantenuto co­
stantemente per tutto lo svolgimento d'una car­
riera di sessant'anni, la quale fu una continua
ascel;ìa alla perfezione e alla gloria: quello stile
di cui l'impronta è così schietta in tutte le opere
del Maestro, dal Nabucco al Falsta_ff, senza esclu­
dere la Messa da Reqiei'em. L'uomo e l'artista
appartenevano da lungo tempo al patrimonio in­
tellettuale dell'umanità. Perciò potrà rifarsi o
integrarsi qualche periodo della vita artistica di
Giuseppe Verdi, ma non sono da attendersi ora nè
poi nuove rivelazioni di elementi essenziali del-
1' anima sua.
Dev'esser caro invece di trovarlot come fu
. trovato sin qui, sempre coerente, sempre eguale,
attraverso i tempi ed i casi della sua vita. Chi
non si compiace nel riconoscere che la persona
cui ha donato il suo affetto ne è, ne fu sempre
degna? che i suoi pregi, le sue virtù non si
smentirono mai? Ecco perchè lice sperare che
questa publicazione non torni· discara a quanti
amarono Giuseppe Verdi, a quanti amano la sua
memoria.
27 gennaio 1902.

ALESSANDRO PASCOLATO.

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LETTERE
DI

GIUSEPPE VERDI AD ANTONIO SOMMA

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I.

Sant'Agata, 2:i aprile 1853.

Caro Somma,.

Sono mortificato di non aver risposto


prima d'ora al vostro amatissimo foglio, ma
una fa:r,raggine di piccoli affari a cui dovetti
dar passo, e più la necessaria riflessione sui
soggetti da voi propostimi, furono causa di
questo ritardo. Nulla per me di meglio,
nulla di più caro che unire il mio al vostro
gran nome: ma per musicare degnamente,

I
od· il meglio che da me si possa, l'altissima
poesia che voi certo non manchereste di
creare, permettetemi che io vi accenni alcu•
ne mie opinioni quali eh' esse sieno, La lunga
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esperienza mi ha confermato nelle idee che

I
io ebbi sempre riguardo all'effetto teatrale,
quantunque ne' miei primordi non avessi il
coraggio che di manifestarle in parte. (Per
esempio diec:i anni fa non avrei arrischiato '
/I,,
di fare il Rigoletto). Trovo che la nostra
opera pecca di soverchia monotonia, e tanto
che io rifiuterei oggi di scrivere soggetti
sul genere del Nabucco, Foscari ecc. ecc.
Presentano punti di scena interessantissimi,
ma senza varietà. È una corda sola, elevata
se volete, ma pur sempre la stessa. E per
spiegarmi meglio: il poema del Tasso sarà
forse migliore, ma io preferisco mille e mille
volte Ariosto. Per l' istessa ragione preferi­
sco Shakespeare a tutti i drammatici, senza
eccettuarne i Greci. A me pare che il mi­
glior soggetto in quanto ad effetto che io
m'abbia finora posto in musica (non intendo
parlare affatto sul merito letterario e poeti­
co) sia Rigoletto. Vi sono posizioni poten­
tissime, varieth, brio, patetico: tutte le pe•
ripezie nascono dal personaggio leggero,
libertino del Duca, da questo i timori di
Rigoletto, la passione di Gilda ecc. ecc.,
che formano molti punti drammatici eccel­
lenti, e fra gli altri la scena del quartetto,
che in quanto ad effetto sarà sempre una

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delle migliori che vanti il nostro teatro.
Molti hanno trattato Ruy Blas escludendo
la parte di D. Cesare. Ebbene, s'io dovessi
musicare quel soggetto, mi piacerebbe prin­
cipalmente pel contrasto che produce quel
carattere originalissimo. Voi avete già ca­
pito come io senta e pensi; e siccome so
di parlare ad uomo di carattere leale e fran­
co, così mi permetto dirvi, che nei soggetti
da voi proposti, quantunque eminentemente
drammatici, non yi trovo tutta quella varietà
che desidera il mio pazzo cervello. Direte
che nel Sordello si può mettere una festa,
una cena, anche un torneo: ma i personaggi
conservebbero nonostante una tinta severa e
grave. Del resto non havvi nessuna premura.
Quando· i miei impegni mi obbligassero di
scrivere per una prossima stagione, io mi
assoggetterei a musicare un libretto fabbri­
cato alla meglio, aspettando più tardi la
fortuna di vestire di note un vostro lavoro,
che avrebbe in faccia al mondo letterario
tutta l'importanza di un avvenimento. Vi­
vente il povero Cammarano, io gli aveva
suggerito il Re Lem·. Dategli una scorsa se
non vi spiace. Io farò altrettanto, essendo
qualche tempo che non l'ho letto, e ditemi
il vostro parere.

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Perdonate a questa pazza chiacchierata,
credetemi vostro ammiratore e sincerissimo
amico
G. VERDI.

Il.

Busseto, ::a:a maggio 1853.

Caro Somma,
Ho riletto il Re Lear, che è meravi­
gliosamente bello; se non che spaventa il
dovere ridurre sl smisurata tela a propor­
zioni brevi, conservando l'originalità e gran­
dezza dei caratteri e del dramma. Ma co­
raggio, e chi sa non si riesca a fare qualche
cosa di non comune,
Io sarei per altro d'opinione di ridurre
il melodramma a tre atti od al più quattro.
Nell'atto primo la divisione del regno
colla partenza di Cordelia (che sarebbe un'a­
ria): le scene delle due corti successivamente,
e finirei coli' invettiva del Re là dove dice
che farà cose tremende, non sa ancora qua- .
li saranno, ma ne avrà spavento la terra.
L'atto secondo lo comincerei colla scena
della tempesta, poi le altre scene, fra le altre
quella del giudizio (originalissima e commo-

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ventissima), e finirei quando Cordelia man­
da a cercar suo padre, il quale fugge al ve­
dere gli uffiziali ecc.
Il terzo atto lo comincerei con Lear ad­
dormentato : Cordelia lo assiste (sublime
duetto); ecc. ecc. Battaglia: e scena ultima. 1
Prime par#: Lear, Cordelia, i due fra­
telli Edgardo, Edmondo, il pazzo, che farei
forse contralto: - Comprimarz: Gonerilla,
Regana, Kent ecc. - Il resto seconde parti.
I pezzi capitali di quest'opera parmi ca­
pire fin d'ora che saranno: L' introduzione
coll'aria di Cordelia; 2 la scena della tem­
pesta; 3 la scena del giudizio; 4 il duetto di
Lear e Cordelia; 5 e la scena ultima.
Ecco quello che pare a me, del resto
nella vostra saggezza fate quello che stimate
meglio. Abbiate solo in vista la necessaria
brevità. Il pubblico s'annoja facilmente!
1 Secondo questa distribuzione il primo atto del me­
lodramma corrispondeva ai due primi della tragedia shake­
speariana; il secondo comprendeva il terzo ed il quarto
fino alla scena VII; il terzo era formato da questa scena
VII e dall'atto quinto. Questo piano fu poi modificato,
come lo stesso Verdi qui prevedeva, e il melodramma ven­
ne diviso, non più in tre, ma in quattro· atti (V. Lette­
ra IX e segg.). Verremo man mano notando le scene del­
la tragedia a cui corrispondono i pezzi dell'opera.
2 Scena I dell'atto I di Shakespeare.
a Scena I e II dell'atto II.
• Scena VI dell'atto ·II.
5 Scena VII dell'atto IV.

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so
Mi è parso, sempre e mi pare ancora, che,
I
nella prima scena, il motivo per cui Lear dise­
reda Cordelia sia puerile, e pei nostri tem­
pi forse ridicolo. Non si potrebbe trovare
qualche cosa di più importante? forse allora
si guàster�bbe il carattere di Cordelia: in
ogni modo quella scena bisognerà trattarla
con molta prudenza. 1
Aspetto adunque l'orditura che ne vor­
rete fa.re, e, poichè lo permettete, io vi dirò
francamente il mio parere (intendo sempre
ì
parlare dell'effetto scenico). Una. volta com­
binata bene quest'orditura, il più è fatto. I
I
I
Intanto credetemi tutto vostro
G. VERDI.

P. S. - Vi raccomando la parte del Mat­


to che io amo assai; è cosl originale e cosl
profonda. Badate che la parte di Lear non
riesca eccessivamente faticosa.

III.
Busseto, 29 giugno 1853.
Caro Somma,
Fate quel conto che credete delle anno­
tazioni segnate nel vostro programma.
1 Veggasi, a proposito di queste riflessioni sulla causa
della collera di Lear, l'atto di resipiscenza dello stesso Ver­
l
di nella lettera X.

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Due cose mi dànno molto da pensare
in questo progetto. La prima si è che mi
pare che l'opera diverrà eccessivamente lun­
ga e specialmente i due primi atti, quindi se
trovate qualche cosa da levare o da restrin­
gere, fatelo pure che l'effetto non vi perde­
rà. E se questo non si può fare abbiate
almeno l'avvertenza nelle scene meno im­
portanti di dire le cose il più brevemente
che si può. L'altra che vi sono troppi cam­
biamenti di scena. La sola cosa che mi ha
sempre trattenuto di trattare con maggior
frequenza i soggetti di Shakespeare è stata
appunto· questa necessità di cambiar scena
ad ogni momento. Quando io frequentava
il teatro era cosa che mi dava una pena
immensa, mi pareva d'assistere alla lanterna
magica. I francesi in questo hanno ragione:
essi combinano i loro drammi in modo di
non aver bisogno che d'una scena sola per
ogni atto: l'azione cammina cosl spedita­
mente senza ostacoli, senza che nulla di­
stragga l'attenzione del pubblico. Capisco
bene che nel Lear sarebbe impossibile di
fare una scena sola per atto, ma se trovaste
la maniera di risparmiarne qualcheduna sa­
rebbe una bellissima cosa. Pensateci.. In­
tanto vi stringo le mani di gran cuore e

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quando avrete verseggiato qualche scena
mandatemela. Addio.
G. VERDI.

IV.

Busseto, 26 luglio 1853.


Carissimo,
Piave non m'ha parlato del Re Lear ed
10 trovo inutile dirglielo. In quanto all' in­
teresse resta fissato quanto voi dite nella
vostra carissima 19 corrente.
Proseguite intanto il lavoro fino alla fine
ed in quanto ai cambiamenti ecc. ecc. ci
penseremo in ultimo.
In tanto con tutta la stima ed amicizia
mi dico
vostro aff.mo
G. VERDI.

V.
Busseto, 30 agosto 1853.

Carissimo Somma,
Volevo scrivervi fino da quindici giorni,
ma ne fui sempre interrotto da qualche sec-

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catura o da qualche affare. Ora ecco final­
mente un'ora di libertà t Ho ricevuto il resto
del primo atto: nulla vi dirò dei versi che
sono seinpre belli e degni di voi, ma, con
tutto il rispetto che devo a! vostro· talento,
vi dirò che la forma non si presta troppo
alla musica. Niuno più di me ama la no­
vità delle forme, ma novità tali da potersi
sempre musicare. Tutto si può mettere in
musica, è vero, nia non tutto - può riescire
d'effetto. Per fare della musica ci vogliono
strofe per fare dei cantabili, strofe per con­
certare le voci, strofe per fare dei larghi,
degli allegri, ecc.· ecc. e tutto ciò alternato
in modo che nulla riesca freddo e monoto­
no. Permettetemi di esaminare questa vo­
stra poesia. Non vi parlerò dell'aria <li
Edmondo, nella quale, benchè si passi trop­
po bruscamente dall'adagio all'allegro, non­
ostante può stare. Nel duettino seguente
non avvi veramente ove fare una melodia,
e :ieppure una frase melodica, ma, essendo
breve, potrebbe stare, facendo nella fine del
duettino una strofa di quattro versi del-
1' istesso metro per Edmondo, ed altri quat­
tro per Edoardo. 1 Se ne potrebbero aggiun-

1 L'aria di Edmondo e il duettino devÒno corrispon­


dere alla scena II dell'atto I.

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gere due ai Vien ti cela ecc., e così for­
marne quattro.
Quello che imbroglia assai si è il resto,
il quale diverrebbe, musicalmente parlando,
il finale dell'atto. Le strofe del Matto van­
no benissimo, ma dal punto in cui entra
Nerilla 1 non si sa più cosa fare. Voi forse
avete inteso di fare un pezzo concertato
nelle sei strofe di sei versi l'una, ma in
quelle strofe vi è dialogo, quindi bisogna
che i personaggi rispondano l'uno all'altro,
e per conseguenza non si potrebbero unire
le voci. Poi bisognerebbe fare per la stes­
sa ragione un altro pezzo concertato delle
strofe di otto versi quando entra Regana. 2
In ultimo fate ·partire Nerilla e Regana, e
Lear termina solo l'atto. 8 Ciò sta bene in
una tragedia, in un dramma parlato, ma in
musica riescirebbe per lo meno freddo. Se
voi deste una scorsa ai migliori drammi di
Romani (da cui certo voi nulla avete da
imparare) forse direste che ho ragione. Mi
pare per altro che con poca fatica si po­
trebbe rendere questa scena musicabile e
1 Scena IV dell'atto I.
t Scena IV dell'�tto II.
3 Il contrario di quanto avviene nella tragedia, dove
Lear si allontana con Glocester, Kent e il Buffone, restan•
do sulla scena Regana, Cornovaglia e Gonerilla.

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d'effetto senza nulla togliere all' interesse del
dramma. Si potrebbero lasciare le prime
sei strofe di sei versi, e ridurre allo stesso
metro tutto lo squarcio dal "Lascierò le tue
soglle fino al
,, "Dileguisi da te"' Non è
necessario che tutti i personaggi abbiano
una strofa di sei versi ( ciò anzi riescirebbe
monotono) basta che ìl metro continui onde
io possa fare in musica un andamento mi•
surato. Dopo che Regana ha detto " la vil­
lana porta si deve dileguare ,, , Lcar stacca un
canto declamato ( diverrebhe il pezzo con­
certato) per cui potrebbe servire " Ohimè
de' nembi ,, ecc., ma di questo metro ci vor­
rebbe una strofa eguale per tutti gli altri
personaggi, ciascuno secondo i propri senti­
menti. Finito questo squarcio, Regana do­
vrebbe dire (cambiando metro) che Lear si
può servire dei servi del principe e riman­
dare tutti i suoi cavalieri. Pausa lunga.
Lear cerca la corona, poscia prorompere :
" Voi antri cupi,, ecc. Nessuno dovrebbe
partire e tutti dovrebbero dire (sempre cia­
scuno secondo i proprt sentimenti) almeno
una strofetta di sei versi dell'istesso metro.
Perdonate la lunga cicalata,. scrivetemi su­
bito, e credetemi come sempre
il vostro G. VERDI.

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VI.

Busseto, 9 settembre 1853.

Caro Somma,
Ilo ricevuto il secondo atto e la vostra
carissima del 2 corrente. Anche in questo
secondo atto ci sono alcune cose che non
sono troppo musicabili, ma per accomodare
queste, voi dite benissimo, è meglio aspet•
tare che voi abbiate totalmente finito il
dramma. In quanto ai recitativi, se il mo­
mento è interessante, possono essere anche
lunghetti. lo ne ho fatto dei lunghissimi,
per esempio il soliloquio nel duetto del pri­
mo atto del Macbet!t: e l'altro soliloquio
nel duetto dd primo atto del Rigoletto. Di
fretta mi dico
vostro aff.mo
G. VERDI.

VII.

Busseto, 15 ottobre 1853.

Carissimo Somma,
Avevo fissato di passare l' inverno a Na­
poli ed invece vado a Parigi, e part� oggi

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stesso. Ho letto e riletto il Re Lear e vo­
levo scrivervi particolarmente del secondo
atto, il quale più degli altri ha bisogno di
modificazioni, ma ora non saprei dire quali.
Vi scriverò da Parigi, e voi dirigete colà
vostre lettere poste restante.
Vi devo per questo Re Lear duemila lire
austriache. Ho sempre dei denari deposti pres­
so Ricordi, per cui appena me ne scriviate
io manderò l'ordine,
Intanto di gran fretta vi dico addio.

Vostro aff.mo
G. VERDI.

VIII.
Parigi, 7 novembre 1853.

Carissimo Somma,

Chi lo direbbe eh' io non ho avuto an­


cora un momento di tempo per rispondere
diffusamente alla carissima vostra 18 ottobre?
Io non mi sono ancora occupato del Re Lear,
ma lo farò al più presto. Intanto vi mando
questa lettera per Ricordi, il quale pagherà
duemila lire austriache effettive alla persona
che gli indicherete, oppure ve le manderà

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a Venezia scrivendogli una lettera unita a


questa per lui. Con vostro comodo mi fa­
rete poi la ricevuta e la cessione del Re Lear
onde io pure possa alla mia volta cederlo,
unitamente alla musica, all'Impresario od
Editore ecc.
Di fretta v1 stringo le mani e vi dico
addio.
G. VERDI.

IX.
Parigi, 19 novembre 1853.

Carissimo,
L'altra sera, appena impostata la mia,
ricevetti la carissima vostra 12 novembre:
a quest'ora avrete ricevuto una mia lettera
con entro l'assegno per Ricordi già spedi­
tovi da otto o dieci giorni. Il motivo che
mi ha condotto qui si è per soddisfare ad
un impegno contratto già da molti anni col­
l'Opéra. Voi vedete che io nulla ho a che
, fare col Teatro Italiano, e d'altronde il Re
Lear sarebbe soggetto troppo vasto ed ha
forme troppo nuove cd ardite per arrischiarlo
qui, ove non si capiscono che le melodie
che si ripetono da vent'anni. Veniamo a noi.

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59
Del secondo atto vi parlai a lungo nel-
1' altra mia. 1 Nel terzo atto non ci sarebbe
che da aggiustare due strofe onde poter fare
( chè il momento lo esige) due melodie nette,
quadrate, di ritmo ben giusto. Le strofe
sono: " Ti sien grazie ,, ecc. ecc. e l'altra
" Dek non volermi illudere ,, . 2 Nella prima
voi avete fatto due versi, poi cinque, poi
tre, ecc. Con questa irregolarità è impossi­
bile che la frase musi-cale non resti zoppa.
Lo stesso dicasi del verso che non finisce:
" Non ti far gioco I . .. ,, e dell'altro che è
prolungato: " Varcato ko l'ottantesimo anno ,,.
Fatevi risovvenire le cantilene le più popo­
lari delle nostre opere italiane e vedrete
come sono le strofe. Per esempio: " Casta
Diva ,, ecc. " Meco tu vieni o misera .... ,,
ecc. " No, non ti son rivale ,, ecc. Non si
trova mai nel verso nessuna interruzione,
nessuna spezzatura. Abbiate adunque la com­
piacenza di aggiustarmi le dette strofe, per­
chè, ripeto, la posizione esige di far due me­
lodie nette, giuste, appassionate, popolari.
Nell'aria " Ti sien grazie ,, sarebbe ancora

1 Manca la lettera di cui qui si parla.


t u Ti prego, non beffarti di me, Io sono un povero
e debole vecchio, che varcò già gli ottanta ... ,,. Atto IV,
acena VII.

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60
cosa buona che il recitativo terminasse con
due o tre versi di Delia. Poi per il can­
tabile fate otto versi, od anche dieci. Se
ne fate dieci badate sieno due quartine, e
due versi in fine. Nel duetto " Deh non vo­
lermi,, cercate di ridurre questo canto ad
otto versi in due quartine, e trovate un pen­
siero per fare altre due quartine a Delia
onde fare un bel largo affettuoso concertato
a due. Credo ciò non sia difficile per voi,
ed il pezzo musicale guadagnerà infinita­
mente.
Nel quarto atto nella scena Edmondo,
Eduardo, Alb., Reg. 1 dovreste aggiungere
in fine due versi a Rosane come volendo
impedire il duello, ed altri due versi ad
Albania afferrando pel braccio Rosane ecc. :
ciò dopo il tuo sangue berrà. Ben inteso
del metro precedente e col tronco in à per
rimare con sta e berrà. Dopo le ultime
parole del dramma sarebbe necessario ag­
giungere qualche esclamazione, qualche frase,
qualche vèrso a tutti: poi se potete strin­
gere e ridurrè quei settè versi di recitativo
sarà ottima cosa. Il dramma, l'azione è fi­
nita alla morte di Cordelia, quindi più pre-

1
Scena I dell'atto V.

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61
sto cala il sipario resta maggiore l' impres­
sione.
Mi diceste d' introdurre Albania nell' in­
troduzione: fatelo pure. Un'ultima cosa re­
sta a dirvi. Vi è un medico che non dice
mai una parola: non sarebbe meglio fargli
dire qualche cosa in mezzo al recitativo
dell'aria di Delia? ... Del resto ciò non mi
riguarda: fate voi. Nel principio del quar­
to atto non c'è da cavar nessun partito dalle
quartine tra Giorgio e Mira. 1 Sarebbe forse
meglio levarle e se avete bisogno di fargli
dire qualche cosa fatelo con due o tre versi
di recitativo. Sarebbe più breve, e più pre_.
sto s'arriva alla scena finale meglio è.
Eccovi tutto. Ed in questi ultimi atti
voi avete poco da fare.
Potrebbe darsi che in qualche punto, per
fare un cantabile o<l un motivo, avessi biso­
gno di qualche accomodamento, ma ciò non
recherà mai svantaggio all' interesse del dram­
ma. D'altronde non sarà mai per un' esi­
genza d'artista, ma piuttosto per una neces­
sità dell'arte stessa. Vi sovviene dell'aria
di Belisario : Trema Bisanzio? 2 Donizzetti
1 Non sappiamo a quali personaggi secondari della tra­
gedia corrispondano i due di cui qui si parla: forse al mag­
giordomo e al gentiluomo di Gonerilla.
2 " T,-ema, Bisanzio! sten11inatt'ice - su te la gue,-,-a di­
scende,-,ì ,,. Belisario, di S. Camma,,ano, p. II, se. III.

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62
non ha avuto nessuno scrupolo di attaccare
sterminatrice a Bisanzio facendo cosl un con­
trosenso orribile; ma il ritmo musicale lo
esigeYa assolutamente. Sarebbe stato impos­
sibile fare un motivo seguendo il senso di
quei versi. Non era allora meglio pregare il
poeta d'aggiustare quella. strofa? ...
È oramai tempo che vi dica addio.
Mandatemi al più presto interamente acco­
modato questo Lear, che lo daremo in qual­
che gr!1n teatro d'Italia. Per quest'opera
ci vuol un pubblico che si esalti e che ca­
pisca, e giudichi a seconda dell'impressione
che riceve. Addio, addio.
vostro aff.mo
G. VERDI.

P. S. - Dirigetemi vostre lettere: Rue


Riclter, 4.

X.
Parigi, 6 febbraio 1854.
Caro Somma,

Godo che abbiate ritoccato lo squarcio


noto del duetto terzo atto. È un punto che
val la pena di ridurre alla perfezione, per­
chè appartiene ad una delle più belle scene

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63
del dramma, e dovrebbe anche essere uno
dei migliori pezzi dell'opera. 1
I cambiamenti di qualche verso o frase
di cui potrei abbisognare sono inezie, che
non potrò dirli che mano in mano ch'io scri­
verò la musica. Ripeto saranno inezie di
qualche accento, a cui la nota non si po­
tesse piegare, o di qualche parola che suo­
nasse male in musica. Fate pure tutte le
varianti che credete per migliorare la frase
qua e là come _voi dite. Tanto più il verso
è bello e sonoro, meglio è per me.
È bene che abbiate tolta qualunque que­
stione sulla pronunzia di Lear e Gloster.
Da molti anni ho un contratto coll'Opé­
ra, ed ora ho ricevuto un libretto interamen­
te finito da Scribe. 2 Speravo di poter mu­
_
sicare prima il Re Lear per l'Italia, ma mi
è stato impossibile. Forse meglio è, perchè
cosl potrò occuparmi dopo con tutto agio
di quest'opera, e farne, non oso dire, una
cosa nuova, ma un po' diversa dalle altre.
Avete perciò tutto il tempo per i ritocchi
che volete ·fare.
Non mi avete risposto a quanto diceva

1 Già fino dalla II lettera Verdi chiamava questo duet­


to fra Lear e Cordelia sublime.
2 Il libretto dei Vespri siciliani di Scribe e Duveyrier,
del quale si parla nella lettera XII,

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64
sul carattere di Delia. Forse m'inganno:
persuadetemi. Persuadetemi come faceste
allorchè vi dissi che il motivo di disereda­
re Delia mi sembrava puerile pei nostri giorni:
appena lessi le primé parole della vostra ri­
sposta conobbi tosto la mia ignoranza ed il
mio torto.
Vi diceva anche che il libretto è riesci­
to un po' lunghetto, e, vi ripeto ancora, se
poteste levaré qua e là qualche verso, qual­
che strofa sarebbe buona cosa. Manca anche
qualche parola a qualche verso, come vi
diceva nell'ultima mia.
Rispondete con tutto vostro comodo, sa­
lutate Vigna che è veramente un'eccellente
persona, e credetemi per la vita
vostro atf.mo
G. VERDI.

XI.
Parigi, 31 marzo 1854.
Caro Somma,
Rispondo ben tardi alla vostra carissima
del 18 scorso I I
Per la Traviata credo che Gallo e Ri­
cordi avranno risolto ciò che loro conveniva

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65
di fare, giacchè io lasciai la facoltà a Ri­
cordi. 1
Per accorciare qualche poco il Re Lear
parmi si potrebbe nel finale del primo atto,
dal verso " Padre, angusto è il nzz'o castello ,, ,
fino all'altro " O cieli de' nembi il tuono ,,,
ridurre quei quarantadue versi a dodici o
quindici o venti v-ersi di recitativo con dialo­
go ben vivo e con qualche frizzo del Matto.
Nel secondo atto si potrebbero forse ri­
durre a pochi versi i primi sedici del coro
"Ricca Albz'on ,,.
Nel terzo potrebbero solo· levarsi due
strofe della scena. JI. Dal verso: « Ti scosta
è Delia ,, fino a " Buffoni ,,. Queste due stro­
fe parmi si possano levare del tutto perchè
l'azione sta egualmente.
Poi si potrebbe levare parte della prima
scena del primo atto fino all' entrata di
Lear. Tutto al più, se avete bisogno di spie­
gare qualche cosa pel dramma, fate dire cin­
que o sei versi di recitativo tra Kent e Glo­
ster. Lasciando il coro, bisogna fare un pezzo
di musica, ed un pezzo di musica richiede
sempre del tempo. E mi pare altresl che
facendo comi�ciare l'opera subito all'alzare
del sipario con squilli di tromba (non banda
1 V. la lettera seguente e la prefazione a p. 5.

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u,
ma trombe lunghe diritte all'antica) sarebbe
più imponente e caratteristico. Del resto
fate voi.
Se havvi qualche verso nei recitativi che
voi possiate od accorciare o togliere, sarà
tanto di guadagnato sul complesso dell'ope­
ra. In teatro il lungo è sinonimo di nojo­
so, ed il nojoso è il peggiore di tutti i generi.
Addio, mio caro Somma, non vedo l'ora
di potere applicarmi al Re Lear che mi
piace assai, e spero di fare qualche cosa di
meno cattivo delle altre mie musiche.
Salutate Vigna e Gallo. Dite a que­
st'ultimo che pensi bene alla Traviata, e di
fare in modo che non abbia a. pentirsi più
tardi. Addio, addio.
V ostro aff.mo
G. VERDI.

XII.
17 maggio 1854.
Caro Somma,
Sarà ottimamente tutto quello che dite
di fare del Re Lear. Levando quei versi il
libretto sarà ridotto a quasi gìusta misura.
Cosl poteste levare qualche cambiamento di
sc�na nei primi due atti. Sono tanti • che

1I

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..
67
temo veramente che il pubblico si distragga.
Pensateci!
Voi potete -lavorare a tutto vostro co­
modo, . perchè il freddo dell'inverno ed il
mal essere m'hanno impedito di finire l'opera
francese a tempo opportuno: così è arrivata
l'epoca del congedo della Cruvelli. Le pro­
ve non comincieranno che in settembre, e
l'opera non potrà darsi che nell'inverno,
per cui mi è forza privarmi del piacere di
avervi nel mio tugurio, come mi facevate
sperare. ·ciò sarà per un altro anno, e se
non avrete allora un Re Lear a por"tarmi,
mi porterete la persona vostra che mi sarà
carissima.
Vi ringrazio delle notizie della Traviata
e ne sono contentissimo. M'immagino il
baccano che farà Gallo, e la posizione del
suo capp�llo, cui avrà messò una cordetta
di dietro per farlo stare hen alto. Sento mi­
rabilia della Spezia. Potrebbe essere una
buona Cordelia? Ditemelo. La voce sareb­
be sufficiente per un gran teatro? Non im­
porta sia grossa o piccola, basta che si senta.
Intelligenza ed anima ne deve. avere....
Addio, addio; adesso e sempre
vostro aiT.mo
G. VERDI,

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68

XIII.

Parigi, 4 gennaio 1855.


Caro Somma,
Sono perfettamente del vostro parere.
Si guadagna il cento per cento levando i
due Glocester. Oltre l'azione, che resta più
chiara e più unita, si guadagna in brevità,
e si levano due o tre pezzi di nessun effetto.
Soltanto non vedo come farete per scovrire
le scelleraggini d'Edmondo. Chi farà il duel­
lo? forse Albania? o troverete qualche altra
cosa ? Parmi anche che vi sarebbe modo di
risparmiare una decorazione, la seconda:
quella del castello dei Glocester. Dal mo­
mento che Edmondo ha già commesso il
doppio assassinio ed è diventato duca, può
ben trovarsi alla corte di Lear nell' introdu­
zione, oppure nel parco del palazzo di Ne­
rilla, ed in una di queste due scene dire la
sua aria e mostrare il suo carattere.
Sviluppate pur bene quest'aria e dategli
anche un taglio nuovo coll'alternare recita­
tivo a strofe rimate ecc. ecc. Che vi sia
molta varietà di tinte: l'ironia, lo sprezzo,
l'ira sian bene spiegate, onde io nella mu-

1
.-

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69
sica, non potendo dare un cantabile a tal
personaggio, possa trovare dei colori diffe­
renti.
Mi rincresce solo che non avremo più
Eduardo nella scena della tempesta, e più
ancora mi rincresce che non vi sia oella
scena del giudizio. In questa scena coi pa­
stori quel quarto personaggio faceva bene
_assai. Forse si potrebbe mettere al posto
di Eduardo un poveretto, un accatta-pane,
che si è rifugiato nella capanna causa l'ura­
gano. Lear lo condurrebbe poi seco nella
scena seguente del giudizio. • Questo pove­
retto potrebbe anche essere un vecchio ser­
vitore, un maggiordomo, un cavaliere della
famiglia Glocester, il quale con qualche se­
gnale venisse a scoprire ad Albania tutte le
scelleraggini 4'Edmondo, e potrebbe anche
fare il duello ! Che ne dite?... In questo
fate come credete e come torna meglio al
dramma.
Voi troverete nelle altre mie lettere al­
cune osservazioni sulla forma di alcuni pezzi,
per esempio dell'introduzione od altro. Tro­
vo ancora che nel duetto tra Lear e Delia
il riconoscimento non cade bene, e dopo un
largo cantabile quel " Delia tu sei? ,, viene
un po' troppo brusco e senza effetto.

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jO
Travagliate adunque a queste cose, onde
appena finita l'opera francese io possa met­
termi al lavoro del Lear.
Adesso e sempre
vostro aff.mo
G. VERDI.

P. S. - Mille cose al nostro carissimo


Vigna cd a quel terribile Gallo.

XIV.
Parigi, 8. gennaio 1855.
Caro amico,

Rispondo subito alla voitra del 3. Spero


che avrete ricevuta a quest'ora altra ':1}ia in
risposta dell'ultima vostra.
Nella nuova aria che voi avete imma­
ginato per Edmondo 1 mi pare che vi sia
troppa pretesa, troppa • ricerca dell'effetto.
Quel ballo, quel coro, anzichè portar va­
rietà, a me pare recherebbero monotonia.
In tutto l'atto vi sarebbe troppo pieno, vale
a dire troppi pezzi ove l' occhio non si ri­
poserebbe mai. Anche l'orecchio resterebbe
affaticato in quest'atto, ove vi sarebbero una

1 L'aria che il Maestro suggeriva di fare nella lettera


precedente.

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_
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71
introduzione in cui tutto il mondo canta;
un'aria in cui vi sarebbe doppio coro di
danza e di canto; un finale di passioni vee­
menti ecc. ecc. Io son sempre • di parere
di fare un pezzo solo nella scena d'Edmon­
do. Sviluppate tanto che volete e tracciate
bene questo carattere, nè abbiate paura d'es­
sere troppo lungo, perchè ora che si lavano
i due Glocester l'opera avrà le giuste di­
mensioni. Per me non farei Edmondo che
sente un po' il rimorso, ma lo farei un franco
scellerato : non uno scellerato ributtante co­
me il Fran�esco nei Masnadieri di Schiller,
ma uno che si ride e schernisce tutto e com­
mette i più atroci delitti colla massima in­
differenza. Ma in questo ne sapete più voi
di me e fate come credete. Soltanto per
l'effetto credo sarebbe male introdurre qui
un coro di ballo e di canto. Se vi deci­
dete a fare un'aria (solo) fatela per la for­
ma come vi dissi nell'ultima mia, e cercate di
evitare una decorazione, mettendo Edmondo
alla corte di Nerilla. Se nel corso dell'aria
vi abbisognasse di far comparire per un
istante o Nerilla stessa, od un messo, onde
dar pretesto ad Edmondo di far conoscere
i suoi intrighi collt'! due sorelle, fatelo pure
che non vi ha nissun inconveniente. V'ho

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72
detto di far Edmondo d'un carattere scher­
nitore, perchè in musica resterà più variato :
facendolo diversamente, bisognerebbe farlo
cantare una delle frasi grosie con dei gridi.
Lo scherno, l'ironia si dipingono (ed è più
nuovo) a mezza voce: diviene più terribile
e mi dà varietà di tinte rapporto ali'intro­
duzione e finale. Nel finale, riducendo le
strofe in versi sciolti, procurate che sieno
questi alternati fra settenari ed endecasillabi:
non perchè cosi si usa, ma perchè cantando
si perde maggior tempo che recitando, ed è
neéessario che i versi dei recitativi non siano
continunmente lunghi. Se potete mettere
Edmondo in questo finale; tanto meglio.
Nel secondo atto si levano molte cose e
va bene. Ho qualche dubbio su quel man­
driano che non parla nella scena del giudizio.
Guai a noi se dovesse far ridere ! Credo
sarebbe più prudente mettere un personaggio
secondario che dicesse qualche cosa: come
vi dissi, un poveretto trovato nella capanna
della scena della tempesta. Non sarei d' opi­
nione di mettere altre canzoncine al Matto,
ma solo qualche parola, qualche frase ecc.
ecc. Cercate, cercate di mitigare in questo
atto le troppe continuè forti frasi di Lear.
Per esempio nella strofa " O pigro Giove I

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e l'occhio "' invece di fare tutti i sei versi
violenti, non potreste racchiudere l' iQJpre,ca­
zione al cielo nei soli due primi versi, e ne­
gli altri quattro un improvviso e confuso
souvenir di Delia non potrebbe moderare le
espressioni?. .. Più avanti, dopo le due
strofe forti " Ella è morta ,, ecc.... , potre­
ste aggiungerne una terza per lo stesso Lear
di frasi spezzate. .. . tronche....che dimo­
strassero (come voi lo indicate) che le forze
mancano a poco a poco; ed infine si addor­
menta ecc. ecc.
Nel terzo atto, come ve lo dissi altra
volta, 1 non vestirei Delia da guerriero, ma
la lascicrei donna ed angelo come è in tutto
il dràmma. Nel rileggere questa scena trovo
che la preghiera " È tuo dono n riesce fred­
da, come tutte le preghiere in generale. Se
volete che ringrazii il cielo, dopo la parlata
di Kent aggiungetele due o tre versi di re­
citativo (chè anzi sarebbe bene ch'ella ter•
minasse il recitativo), poi trovate due belle
strofe, sentite, appassionate, onde fare un bel
largo cantabile.
Va bene quello che dite pel quarto atto,
soltanto lascierei la strofa di voci lontane:
"fuggitivi drizzatevi al mar. ... ,,
1 Forse nella lettera che manca. - V. sopra lettera XI•

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74
Spero di aver finito qui alla fine di feb­
braio, perciò sarei a Busseto ai primissimi
di marzo; e desidererei per quell'epoca fosse
pronto il Re Lear . ... Si .... Il Tro·vatore
va bene al Teatro Italiano. Boucardè però
non sta troppo bene; ma gli altri piacciono,
e l'insieme è buono ....
Mille e mille cose a Vigna.
Addio addio; credetemi sempre
vostro aff.mo
G. VERDI.

P. S. - Rileggendo il vostro post-sc1·ip­


tu111, trovo che avete ragione d'aggiungere
due strofette al Matto nel principio del se­
condo atto. Procurate di fare delle quartine,
e se i versi sono corti, cioè quinari o senarì,
inyece cli dodici o sedici versi, potete farne
anche venti o ventiquattro, se ciò vi acco­
moda. Ma non fate coro di uffiziali nella
tenda cli Delia.

xv.
Parigi, 24 gennaio 1855.
Caro Somma,

Sta bene quella sestina che mi mandate:


solo, se fate quattro sestine di decasillabi,

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75
l'aria, ossia il ritmo musicale sarà monotono.
Se per sviluppare la vostra idea vi abbiso­
gnano ventiquattro o trenta versi, fateli pure,
ma alternate i metri. Tenete pure quella pri­
ma sestina e fatene anche un'altra, se volete,
ma dopo cambiate metro : più vi sarà va­
rietà di metri, più vi sarà varietà nella mu­
sica. Se quest'aria avesse anche tre o quat­
tro metri diversi, . non sarebbe male: più vi
sarà originalità nella forma, meglio sarà.
Sulla scena del giudizio non vi è nulla
a dire, e sta bene come me la mandate.
Di gran fretta vi stringo le mani e mi dico
vostro atf.mo
G. VERDI.

XVI. 1

Caro Somma,

Dirigete qui il libretto del Lear, perchè


io vi starò sino all'apertura dell'Esposizione;
e d'altronde l'opera non potrà andare che
alla fine d'aprile. 2 Ora che avete finito il
Lear sapreste voi trovarmi un altro sogget-

1 Senza data. Porta i timbri postali di Parigi 10 e Ve­


nezia 17 marzo 1855.
t I Vespri Siciliani non furono rappresentati che il
13 giugno 1855.

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76
to che fareste per me con tutto vostro co­
modo? Un soggetto bello, originale, interes­
sante, con bellissime situazioni ed appassio­
nato: passioni sopra tutto! . . . . A tempo
perduto cercate, cercate, cercate !
Di fretta, addio, addio.
G. VERDI.

xv11. 1

Caro Somma,

Ho ricevuto da qualche giorno anche i


due ultimi atti del Lear. Trovo che non avete
fatto bene levare nell'aria di Delia l'andante.
Così non resta che un pezzo incompleto.
Cred·o che bisognava cambiarlo ma non to­
glierlo. A me piaceva molto quella strofa
di voci lontane dopo la battaglia: aveva ca­
rattere e colore. Il colpo di stato che fa Al­
bania non mi par naturale. Questo Duca, che
è stato imbecille fino a quel punto, come può
diventare sì forte da far imprigionare la vera
Regina ed il suo drudo, cui ella aveva dato
pieni poteri? La morte di N erilla ed il duello

1 Senza data: timbri postali di Parigi S aprile 1855,


di Venezia illeggibile: probabilmente 12.

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77
erano più naturali I .... Pensateci: del resto
ne parleremo in Italia.
In quanto al Monaco, se è quello di Le­
vis, non mi piace per dramma d'opera. Se
è di vostra invenzione, non vi posso dir nulla.
Soltanto mi è d�uopo dirvi che io vorrei un
soggetto, non a spettacolo, ma di sentimento,
una specie di Sonnambula, o di Linda, stac­
candosi però da quel genere, perchè è già·
conosciuto. Io non avrei soggetti pel mo­
mento a proporvi.
Se voi trovate qualche (sic) del genere
che vi ho detto, preparate, ma con tutto vo-•
stro comodo, un scenario, che mi manderete
quando sarò a casa in Italia.
Addio di fretta e credetemi
vostro aff.mo
G. VERDI.

XVIII.

Busseto, 7 aprile 1856.

Caro Somma,

Ho letto con molta attenzione il pro­


gramma che aveste la bontà di mandarmi.
Non vi parlerò dei pregi, che sempre se ne
trovano in ogni cosa vostra, ma parmi che

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7S
per un dramma per musica i caratteri sieno
un po' troppo tristi e trud, nè vi sia abba­
stanza varietà. Ammettendo pure che io
m' inganni, vi faccio sovvenire, che quando
ebbi il piacere di vedervi e di parlarvi en
passant di quest'affare, vi dissi come io avrei
desiderato di applicarmi a fare un dramma
quieto, semplice, tenero: una specie di Son-
11amlmla senz'essere un'imitazione della Son­
nambula. Qui siamo lontani mille miglia. Ve
lo rimando dunque onde possiate servirvene.
per altri o per altra cosa.
Non son sicuro se il quart'atto del Re
Lear va bene come ultimamente lo manda­
ste, ma ciò che è certo si è, che non sarebbe
possibile fare inghiottire al pubblico tanti re­
citativi di seguito specialmente in un quarto
atto. Non sono esigenze di compositore : io
metterei in musica anche una gazzetta, od
una lettera ecc. ecc; ma il pubblico ammette
tutto in teatro fuori che la noja. Tutti quei
recitativi, fossero anche fatti da Rossini o da
Meyerbeer, non potrebbero a meno di rie­
scire lunghi, quindi nojosi. Se devo dire il
vero, temo molto di questa prima metà del­
l'atto. quarto. Non saprei dirlo, ma vi è
qualche cosa che non mi soddisfa. Manca
sicuramente di brevità, forse di chiarezza,

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79
forse di verità .... non saprei. Vi prego dun­
que di rifletterci ancora, per vedere se è pos­
sibile trovare qualche cosa di più teatrale.
Addio, addio. Vogliatemi bene e credetemi
vostro aifmo
G. VERDI.

XIX.

Busseto, 6 novembre 1857.

Caro Somma,
Ho ricevuto la carissima vostra del 1 no­ °
vembre col resto dell'atto primo.1 Va bene
assai questa poesia, e non vi sono che picco­
lissime cose, che voi correggeret e in un mo­
mento.
Bene la scena tra Arnelia e Strega.
Bellissime le strofe " Della città all'oc­
caso ,, . Cosi pure i parlanti che seguono.
Trovo un po' deboli (forse m'inganno)
le tre strofe d'Amelia, Strega, Gustavo, che
formano il terzetto: forse vi sarebbe un poco
bisogno del vostro potente soffio.
Benissimo tutta la scena quando entra­
no i cori, la ballata di Gustavo, e sopratutto

1 Si tratta del Ballo in ltiaschera.

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.....---
80
è bello il parlante che vien dopo sino " scrit­
to è lassù ,, .
Nel quartetto ·che segue badate che ab­
biamo in scena un coro di congiurati a cui
bisogna far dir qualche cosa : fategli pure
una strofa. Anche in questo quartetto con
cori abbisognerebbe forse di quel tal sojfio
ecc. ecc.
La sola cosa che vi è da ritoccare comin­
cia da " Strega mia ,, sino al "ti trad't n• Tutto
questo squarcio non è abbastanza scenico:
voi dite, è vero, tutto quello che si deve
dire, ma la parola non scolpisce bene, non
è evidente, e quindi non sorte abbastanza
nè l'indifferenza di Gustavo, nè la sorpresa
della Strega, nè il terrore dei congiurati.
Come la scena qui ha vivacità ed importan­
za, desidererei che fosse ben resa. Forse
ve lo impedisce il metro e la rima ? Se cosl
è, fate di questo squarcio un recitativo. Pre­
ferisco un buon recitatito a delle strofe liri­
che n1ediocri.
Vi preghe!ei . cambiarmi è desso - ad
esso. Queste rime, essendo cosl vicine, suo­
nano male in musica. Levate anche " Dio
non paga il sabato ,,. Credetemi: tutti i pro­
verbi, gl'idiotismi ecc. ecc. sono pericolosi
in teatro.

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81
In questa chiusa deH'atto non bisogna di­
menticare Oscar ed Ankarstroem: sono in
scena e devono cantare una strofa ciascuno.
Aspetto le correzioni che spero saranno co­
me quest'ultima poesia di cui son molto
contento.
Vi prego di dirigere, non più a Cremona,
ma a Busseto (Ducato di Parma).
Addio, addio di cuore.

xx.
Busseto, 20 novembre 1857.

Caro Somma,
Ho ricevuto il second'atto. Bello, bellis­
simo il duetto tra Gustavo ed Amelia. Rav­
vi tutto il calore ed il disordine che ci vuole
nella passione. Cosi voleva l'aria precedente
d'Amelia. La forma forse guasta tutto, e
quelle due strofe impiccoliscono la situazione.
Il terzetto dopo il duetto non è riuscito
cosi bene. Prima di tutto procurate di finire
i recitativi con un endecasillabo: è una ne­
cessità! In tutto il dialogo tra Gustavo, Ame­
lia, Ankarstroem e' è qualche cosa di duro, di
stentato e anche d'oscuro.

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JJie la fe' - sarebbe orribile a cantarsi.

Co11gmrati ci so1l: ser,·ato


nel mantello: m' han creduto
della lega - 1m congiurato!
Trasvolai . . . . . . . . . . .

Questi versi, che non hanno la cadenza


regolare, riescono duri cd impossibili ad es­
sere messi in musica (intendo sempre mu­
sica teatrale). 1
Bisognerebbe evitare:

. . . . . . . . . l' innamorato
s'è corea/o nel suo letto
vo' sanar lo . . . . . . .
. si licenzi dalla gonna. 2

Insomma tutto questo terzetto mi pare


non cammini bene. Forse ci voleva altro

1 Sono le parole di Renato (Ankar.<trocm) quando vie­


ne in cerca del suo signore al campo di giustizia. Nel testo
adottato il passo è questo:
. . . . Trasvolai 111/ ,nanlo serrato,
Cosl che m'ha11 preso pe, un de/l'agguato
E tnte.< i talu110 p,o,ompe,: L'ho vuto,
È il Conte: 11n' ignota be/la,u è con ,sso - ·'
Poi a/1,o, qui volto: fuggevoli acquisto/
s•ei ,ade la fossa, ,. il tene,o amplesso

J.
,
Troticar, di ,11ia mano, r,pnt, saprò.

2 Queste parole, che più non si leggono nel dramma,


dovevano troyarsi nel brano mutato come alla nota pre­
cedente.

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metro. 1 La situazione è così interessante che
sare�be peccato mancarla t mi pare una delle
migliori e forse la migliore del dramma.
Pensateci bene; ma per me credo necessario
di rifarla completamente. Sono bellissime le
sei strofe

Odi tu come fremono cupi 2


ecc. ecc. . . . . . .

le quali devono restare. Sarebbe bene


cambiare " Egli è là che sz ricrea ,, - " Le
son frottole d'amore n·
·È impossibile fare una melodia (ed è
necessario farla in quel luogo) sul metro

.flui nel cor ;lella notte e colla sposa ecc.

Si possono tene:·e le rime, ma bisogna


fare o dei decasillabi, o quinad doppi, o
.•
meglio senari doppi. 3
Dal " Favellarvi a me gli• è d'uopo " 4
1 Il metro fu cambiato dagli ottonari nei doppi senari.
2 Il testo ha suonano in luogo di fremono, ma nello·
spartito rimase fremono.
� Fu mutato appunto in doppi quinari:

0
se di notte - q11,· colla sposa
L' inna,noYato - c.,mpion si posa .. . .

4 Ora si legge:

Co11verrest1 i11 casa mia


S11/ ,natti,,o di dommzif ,cc,

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sino alla fine bisognerebbe andare più rapi­
damente. È troppo lungo e la scena divien
fredda. Non mi piacerebbe "Altro che pianto,
o signore ". Addio, addio : e come al solito
vostro aff.mo
G. VERDI.

XXI.
26 novembre 1857.

Caro Somma,
Non ho per ora tempo di rispondervi
sulla proposizione di trasportare il soggetto
al XII secolo. Mi pare un ·po' lontano per
poter conservare il carattere brillante e un
po' francese di Gustavo: poi i costumi t ... ·,
Basta, vedremo.
Va meglio l'invocazione della Strega.
Non così l'aria di Amelia: quelle due
strofette aggiunte non rialzano la situazio­
ne che resta piccola. Non c'è foco, non
c'è agitazione, non c'è disordine (e dovrebbe
essere estremo in questo punto). Mi piac­ ..
ciono alcuni versi delle due prime strofe:
bisognerebbe conservarne alcuni, poi trovare
qualche cosa di diverso, cambiando metro
a seconda delle idee: qualche cosa che aves-

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se il diavolo addosso: la situazione lo vuole.
Nella prossima mia vi dirò a lungo del sog- .
getto e degli ultimi versi che ho ricevuto.
Addio in fretta.
G. VERDI..

XXII.

Busseto, 26 novembre 1857.

Caro Somma,
Mi pare proprio che il XII secolo sia
1de11i , troppo lontano per il nostro Gustavo. È
1geuo un'epoca cosi rozza, cosi brutale, special­
10�\ mente in quei paesi, che mi pare grave con­
e lll trosenso mettere dei caratteri tagliati alla
.J ,.... ) francese come Gustavo ed Oscar, ed un
dramma cosi brillante e fatto secondo i co•
�a. stumi dell'epoca nostra. Bisognerebbe tro­
due vare un principotto, un duca, un diavolo,
1aiio- sia pure del Nord, che avesse visto un po'
non di mondo e sentito l'odore della corte di
,eblie Luigi XIV. Finito il dramma, potrete pen­
piac· sarci a vostro comodo.
xo!è: V'ho scritto intorno il secondo atto:
ware -• ora vi dirò quello che penso del terzo.
1el.10 11 primo dialogo tra Ankarstroem ed
!l'fl• Amelia è riuscito freddo, malgrado la situa-

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zione molto viva: nel francese vi è quel '
" il faut mo1trir ,, 1 che viene di tratto in trat­
to, che è molto scenico. So bene che " appa­
reccltiati alla morte ,, " raccomandati al Si­
gnore ,, . voglion dire lo stesso, ma sulla
scena non hanno la stessa forza di quel sem•
plice " bisogna mori re,,. Poi quasi tutti quei
versi son duri per musica. Di più le parole
necessarie per la scena non spiccano bene.
Le quattro strofe pel cantabile d'Amelia
van bene, se non che mi sembrano comuni
i due primi versi:

Ah mi concedi in grazia
A11co una volta almeno ... 2

Tutta l'aria di Ankarstroem è buona. La


scena fra questi ed i congiurati vorrebbe più
rapida: fate qualche accorciatura, e cam-
1 La lezione adottata, che si ripete due volte nel li­
bretto, è questa:
Rea li /,sii - , <J"i morrai
e più avanti:
La lua preci al citi rivolJli.
Lo spartito ha im·ecc:
Sa11g11e vuolsi, 1 tu 1110,.rai,
2 Ora si legge:
..llorrò, ma 1)ri111a in grazi,, I

LJ�/1 mi COIISt:llti 11/,n�nO • • • • ,I

V crdi aveva ragione: la lezione precedente era infatti


COlllllne.

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ri e ç: bi atemi " Vi diletta giocar di 11oi?,,. Bene
attoiat:• la strofa " Tutti stretti ,, . 1
:he • afF· Quando entra Amelia ed estrae il nome
·Mal!:• , di suo marito, nel dramma francese la situa­
, ma llil zione è terribile e bella assai: nella poesia
• quel ii�· che mi avete mandato non mi scuote egual­
i tutti ici mente. Cominciando dal verso " Poi che
1 le paro'.1 par, ecc.,, sino alle strofe "Non piu fide ... ,,
I
ano �j,. vi è qualche cosa che non va: i personaggi
d'..\rn12 non sono bene in scena: la parola·non è evi­
10 corr::· dente e quel bel momento passa quasi inos­
servato.
Pensateci bene, perchè questo è un punto
capitale. È pure troppo lungo incominciando
dalle parole " Signora ho un invito ,, fino
1ona. ù alle strofe.
1cbbe piu > Colla solita amicizia addio.
I
e ca�- V.ostro G. VERDI.

10111 naE· P. S. - S cusate: una seccatura per con­


to mio! A me farebbe bene assai, nella stret­
ta dell'introduzione, di trasportare alla fine
della scena la strofa :

GusT. - Dunque, signori·, aspettovz"


. ......... . alle tre
1 Fu mutato poi così:

rrainiaro Dwiq,u l'onta di luth" sol una,


Uno il cor, ecc.

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Nelfantro de�'oracolo,
Della gran maga al piè.
TUTTI - • • • . • • • • • • alle tre
Nelf antro delf oracolo,
Della gran maga al piè.

E mi farebbe gioco se poteste trovarmi


una parola sdrucciola invece di al tocco, e
poter dire alle tre . ... Aggiustate poi affin­
chè Tutti possano dire l'intera strofa.

XXIII.·1

Caro Somma,
Restammo intesi di aggiungere nel finale
secondo due versi pel Coro, e porli dopo
le strofe. Ciò distrarrebbe, perchè l'uditore
sarebbe costretto d'andare a cercare alla
fine i versi che io devo far dire subito dopo
la strofa di Ermanno e Manuel. 2 Sarebbe
meglio che il coro dicesse un'altra quartina, e
più avrà carattere gaio, sarà meglio: io in­
tenderei così:

1 Senza data: timbro postale di Cremona 30 e Vene­


zia 31 decembre. Evidentemente del 1857.
2 Questi personaggi presero nel passare dalla scena sv e­
dese all'americana i nomi di Samuel e Tom: nell'origina•
le francese si chiamano Conte di Horn e Conte Warting.

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EaM. MAN. - Ve' se di notte qui colla sposa
L'innamorato conte riposa
E come al raggio lunar del miele
Sulle nJ gi'ade corcar si sa.
CoBo.-.. . . .. .... ...... .
Ah ah alt . . . . . . . . . .
Vaga storiella da raccontare
Domani a corte ed in città. 1

Dopo le due strofe degli sposi, io ho già


fatto la musica e conservate più che potete
quel carattere quasi comico.
Nell'aria del basso, il terzo verso in mu­
sica ha un bruttissimo suono " Che m'ajjidi
e con tratto esecrabile ,, . Con tratto in mu­
sica, per quanto abbia cambiato, risulta sem­
pre contratto . . . . e fa brutto effetto. 2 Se
inalr
voi non avete nulla in contrai:io, io omet­
lopo )
terei l'allegre> di quest'aria " Son dessi che
tori f
debito ,, ecc. ecc. 8 Il pezzo divien lungo;

Ota&° :'
bbe \
t l'azione riesce freddà, poi tutte quelle strofe
sono inutili.
1 Nel testo adottato:
a, I (
in· L'innamoralo - compio11 •i /Osa.

E il coro:
f E cl,1 baccano - sul coso 6'rono
Andrà do•oni - j6f' la eillàI

Nello spartito:
E eke commenti - per la città!

! Fu sostituito: e d'un tratto esecrabile.


3 Venne omesso l'allegro, come il Maestro desidcrav-a.

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Vi richiamo alla memoria due versi
d'Amelia:
Spenta per man del padre
La sua discenderà 1

e spero con questi saranno finite le vostre


nOJC.
Rispondetemi sempre ferma in posta ·a
Genova: tarderò ancora di qualche giorno la
mia partenza, perchè voglio finire l'opera qui.
Spero sarete arrivato felicemente a Ve­
nezia, e salutandovi di cuore sono
vostro aff.mo
G. VERDI.

XXIV.

Napoli, 7 febbraio 1858.

Caro Somma,
Sono in un mare di guai! La Ce_nsur a
è quasi certo proibirà il nostro libretto, Il
perchè? non -lo so I Aveva· ben io rag ione

1 Ora nel libretto troviamo:


Spenta p,, man del padr,
La mano ,i stenderà
Su gli occhi d'una madr,,
Ch, mai pi,, 110n vedrà.
91
di dirvi che bisognava evitare qualunque fra­
se, qualunque parola che potesse essere so­
spetta. Hanno cominciato per adombrarsi
di alcune espressioni, di alcune parole, dalle
parole sono venuti alle scene, dalle scene
al soggetto. Mi hanno proposto queste mo­
dificazioni (e ciò in via di grazia):
°
1 Cambiare il protagonista in signore,
allontanando affatto l'idea di sovrano ;
2 ° Cambiare la moglie in sorella; ·
3 ° Modificare la scena della Strega tra-
sportandola in epoca in cui vi si credeva;
4 0 Non ballo;
s 0 L'uccisione dentro le scene;
6 ° Eliminare la scena dei nomi tirati a
sorte.
• •
E poi, e poi, e poi. ·11 . ..
Come supporrete questi cambiamenti non
possono accettarsi; quindi non più l'opera:
quindi gli abbonati non pagano due rate;
quindi il governo ritiene la dote : quindi
l'Impresa che fa lite a tutti e minaccia a
me un danno di SO 000 ducati Il ... quale
inferno! ... Scrivetemi subito subito e ditemi
il vostro parere. Addio.
I
t,
G. VERDI. ;
'

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xxv.
Busseto, 8 luglio 1858.
Caro Somma,
Ho intenzione di fare una corsa a Ve­
nezia per parlare ancora una volta del li­
bretto. La Censura di Roma ha fatto nuove
facilitazioni, ed io vorrei pur vedere di dare
quest'opera, e, come vi scrissi altra volta,
dopo tutto quello che è avvenuto , Roma
è da preferirsi a qualunque altro sito. Dite­
mi se da qui a otto o dieci giorni circa po­
trei trovarvi a Venezia.
A_ddio, e credetemi
vostro aff.mo
G. VERDI.

P. S. - La Censura permetterebbe sog­


getto e situazioni ecc. ecc., ma vorrebbe
trasportata la scena fuori d'Europa. Che ne
direste del Nord dell'America al tempo della
dominazione inglese? Se non l'America, al­
tro sito. Il Caucaso forse?

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-
93

XXVI.

Busseto, 6 agosto 1858.


Caro Somma,
Armatevi di coraggio e <li pazienza, so.
pratutto di pazienza! Come vedrete dalla
qui acclusa lettera di Vasselli, la Censura
ha mandato una lista di tutte le espressioni
e dei versi che non vuole. Se a questa let­
tura vi sentite montare il sangue al capo,
deponete la lettera e ripigliatela dopo d'ave•
re pranzato e dormito bene. Pensate che
nelle circostanze attuali il miglior partito è
di dar quest'opera a Roma. I versi e le
espressioni colpite da quella Censura son
molte, ma potevano essere anche di più:
d'altronde è meglio così, perchè si sa come
regolarsi, e si sa quali sono i versi da la­
sciare e da togliere. Aggiungete che molti '1

versi bisognava egualmente cambiarli dal mo­


mento che il Re non è più che un Gover­
natore.
In quanto alle forche del secondo atto,
non ci pensate, che io procurerò di ottener­
ne il permesso.
Mettetevi dunque di buon animo; acco-

I
•'

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modate i versi segnati : disponete le cose
vostre per avere quindici o venti giorni di
libertà in carnevale per venire a Roma, ove
staremo, spero, allegramente.
Il vostro aff.mo
G. VERDI.
P. S. - Rispondetemi subito.

XXVII.
Busseto, 11 settembre 1858;

Caro Somma,
Ho ricevuto il libretto, il quale, secondo
me, ha poco perduto, e trovo anzi che in
qualche punto ha guadagnato: nonostante vi
siete lasciato sfuggire alcune parole che il
pubblico potrebbe trovare di cattivo gusto
e disapprovarle - per esempio io non arri­
schierei in teatro le parole: sentinella -
innanella (non tanto per l'espressione quan­
to pel suono na ne) - To' pure - Sortito
- Ti basti saperlo a letto.
Potreste aggiustare presso a poco come
prima ed eviteressimo dei pericoli.
Nella terza scena all'aria di Renato, ol­
trechè non mi riescono ben chiari i due versi

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Nel tuo core il genio palpita
Del suo splendido avvenir,

trovo che l'espressione è più debole di pri­


ma. Quel " Te perduto" dava un rilievo e
campo alla declamazione : ciò era teatrale
e mi faceva gioco. Procurate di consèr­
varlo, e non mi par difficile in due versi
dire: " Te perduto, a questa terra è tolto
ogni avvenire ,, . 1
Alla scena nona è �ecessario alla musi­
ca già fatta che Amelia dica un verso in­
tiero : " Lui che su tutti il cielo arbitro
pose" (se non questo un altro) ma senza
farlo spezzare da Ulrica.
" Un pugnale f aspetta ,, è peggio che
r l'assassinio. La Censura non ne vorrà. Cer­
cate dunque una frase, un giro di parole,
che significhi lo stesso " . . . . da ·mano ami­
ca ucciso sarai ,, . 2
1 Con vien dire che il poeta abbia insistito e sia riu­
scito a persuadere allora il compositore, perchè questi due
versi nel libretto sono rimasti. Pure Verdi non aveva tor­

to; il concetto è poco chiaro. Nello spartito invece si
lo legge:
Te p1rduto, ov' è la patria
B il 1uo splendido avvmir f

E cos\ infatti si canta.


- . . . . Ebb,11 pr,sto morrai
- Se sul campo d'o11or, ti .,o grado,
- No, p,r ma11 d'u11 amico.,. ,
È questo il testo attuale.

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Nell'atto terzo avete cambiato il "San­
gue vuolsi ,, in "Rea ti fasti ,, e sta bene:
ma più avanti gli altri cambiamenti snervano
la scena: " Tu m'oltraggi .... ,, " Men­
ti. . . . ,, " Più non t'odo ,, " Spunta l' al­
ba . . . . Queste parole ammettono un certo
non so che di logico e di riflessivo nei per..

l
sonaggi, che in tale situazione è fuori di
luogo. Avete guadagnato da. un lato, ma
perduto nella parte più importante. Come
prima, v'era più fuoco e più verità. Ad ec­
cezione del " Sangue vuolsi ,,, lascierei tutto
come prima, e sopratutto quel "Hai fini­ 1
to!.. . ;, tanto teatrale.
Più avanti la strofa " Dunque l'onta ,, ecc.
mi pare debole per la situazione: poi le
rime lui-nui sono troppe dure per musica!
e poi abbisogna alla musica fatta il secondo
verso piano. È proprio necessario qui fare
altra strofa.
Ecco tutto. Veclete che, ad eccezione
cli quest' ultima strofa, tutto il resto si riduce
a cosa ben dappoco: epperò sospendo di
mandare il libretto a Roma finchè non m'ab­
biate cambiato queste poche parole. Fate
presto dunque.
Disponetevi inoltre a venire a Roma,

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lt

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perchè credo che tutto oramai andrà rego­
larmente. Addio, addio.
vostro aff.mo
. ·.\h G. VERDI .
'llllfa [,'.
J un ce� P. S. - Mille cose a Vigna. Dite a
ro neit Gallo che ho ricevuto a Cremona l'involto
è foori : e gliel'ho scritto, o credo <l'averglielo scritto.
n lato, n:
te. Corr.,
tà. Ade:· XXVIII.
cierei :ut:
Busseto, 17 dicembre 1863.
• Hai fini•
Carissimo Somma,
o!lla" ec,.
Il soggetto <l'Ivan lo conosco. È gran­
ie: poi\:
dioso, è bello, è teatrale, pure non è sog­
:r musica '.
getto eh' io senta, e volendolo pur musicare
il seconèo
io vi renderei cattivo servigio senza fare il
io qui fari
mio interesse. D'altronde io non penso in
questo momento a scrivere, e, se più tardi
eccezioni
vi penserò, ho diversi poemi in portafoglio,
> si riduce
compreso il vostro magnifico Re Lear. Vi
I•1e
ndo ai
ringrazio però di aver pensato a me, ed ab­
on m'ab·
1e. Fate biatemi per iscusato se non posso accettare
la vostra onorevole offerta.
Se Vigna è in Venezia, ditegli eh'io so­
1 Rorna,
no ancor vivo e lo saluto.

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98
La Peppina ricambia i vostri saluti, ed
io, stringendovi cordialmente la mano, mi
dico
vostro aff.mo
G. VERDI,

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Prer:zo: Due Lire

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