18 - Joyce-Lettera Dalla Posterità
18 - Joyce-Lettera Dalla Posterità
18 - Joyce-Lettera Dalla Posterità
Sommario. 1. James Joyce e la famiglia. 'Far so closer'. 2.“Infinito universo e mondi”. Mappatura
delle mappe. Patriarchi. Rifondatori. Prosecutori. 3.La 'Summa' di James Joyce. 4. L' “Allegoria”
dalla critica distinguente di Croce al radicale ripudio do Beckett. 5. Joyciana. Allegoria Simbolo
Poesia.6. Psicologia analitica. 7. Toponomastica e memoria storica irlandese. 8. Nino Frank e
Nicola Pàstina. 9. La 'ontrora di Barletta' e la 'meravigliosa Tebaide di Croce' (NinoFrank ).10.
Programmi di ricerca 'pluridirezionali'. “Unravelling Universals”.11. Momento culminante,
Catarsi tragica e Tempo. 12. Momento culminante in arte: il caso sintomatico di Caravaggio. 13.
Momento culminante nel cinema, “arte figurativa”. 14. Conclusione. Tempo e senso del celeste in
Baudelaire e Joyce. Mappe
1. James Joyce e la famiglia. 'Far so closer'
“ Ma divertitevi voi, con i castelli di sabbia, i mulini a vento e le pareti-biblioteca !”. “Va bene con
la lettura in-finita del Work in progress”. “Va bene anche che io abbia voluto 'benedire quel lettore
che, avendo condiviso un mio pensiero, lo abbia commentato per tutta la vita'. Ma non in qualunque
modo, non fino a questo punto. Si è persino arrivati a farmi vedere nella dipintura paesistica del
Gargano, che si profila dalla spiaggia di Barletta, città natìa dell' amico co-interprete Nino Frank, in
Finnegans Wake, un' allusione oscena al “cunnilinguus”! O a scrivere di Talking of Joyce, anziché
Talking about Joyce, come sarebbe stato corretto ! Lo sapete, amici italiani del Mare Adriatico, da
Trieste a Barletta e Trani, i cui cives dalle spaziose fronti a nessuno si son sentiti inferiori ( dichiarò
Francesco De Sanctis nel nobile 'Discorso' del 29 gennaio 1883 ) ! Lo sapete, amici apuli che il
vostro San Nicola di Mira esportaste fino a Galway, nella collegiata della città sull'Oceano della
mia Nora, dove sostai a lungo da innamorato, versatile e poliedrico – ma sognante ! Sino alla
Taranto di Grazia Lodeserto, che ha messo in tela le stazioni della mia “Via Crucis”, mentre Gianni
Amodio dedicava la sua Joyceide.Viaggio poetico intorno all'Uomo Comune,'A Giuseppe Brescia
studioso di Joyce fuori dal 'comune', referente privilegiato per reciproche odissee dublino-pugliesi' !
Ma, per ciò, non scambiate mai il mio 'giochicchiare' linguistico per puro 'divertimento', o artifizio
fine a se stesso, complicato quanto si voglia ! Meglio: oltre il gioco multidirezionale, pluri-postillato
da me e dai miei figli, come nelle pecette del secondo libro di Finnegans Wake (gioco che ammisi
fino alle conseguenze estreme), c'è il dolore. C'erano, e restan, l'amore-dolore per Nora Barnacle,
così vicina così lontana: far so closer. L'amore-dolore per Lucia, nata in Trieste il 1907, e sbattuta
di qua e di là in Italia e mezza Europa, vicina, ohsì! così vicina nella follia, nella genialità della
follia, debole indifesa, fino al punto che io non seppi per niente proteggerla a Parigi, quando,
danzante tellurica dolcissima, il pubblico l'acclamava per vincitrice (‘L’Irlandese!L’Irlandese! ’), e
la giuria di nazionalisti gallici la bocciò, invece, senza appello né pietà, alla gara di danza, cui per la
vita la stessa Lucia teneva. Ma nemmeno la seppi difendere, allorché fu conquistata dal genio
aquilino del mio primo allievo, Samuel Beckett, fino a consentire che questo mio 'aiutante' (sì,
'aiutante' nelle ricerche per biblioteche, dizionari e repertori parigini), ahimé la ripudiasse, oltre a
non corrisponderle alcun affetto! Lucia mi sprezzò, e non più ammirò, per questo! E iniziò a
precipitare nel baratro: depressione, strabismo, catatonia (grave per una ballerina, 'sintomo' di una
'malattia' ancora più grave), schizofrenia, oggetti scagliati contro la madre, ricovero, analisi, forme
di isteria e altre cure in sanatorio, fino all'inutile approccio macché 'terapeutico' (neppur
'colloquiale’) con il professor Jung, nei primi quattro mesi del '34! E la Lucia, che affidava agli
stemmi con sigillo, alle lettere miniate per le mie poesie, redimeva così il proprio dolore! Hecco,
volevate, volete ancora, le mie 'perle' nell' 'arena', per la 'Veglia' !? - Queste son le mie 'perle', le
'gemme', che lasciammo impresse nel libro autobiografico 'da un soldo', con cui speravo, puntando
su uno stratagemma, di far guadagnare qualcosa alla tenera pallida azzurrovenata figlia mia!” 2
“Come la mia terra, come la patria, e come l'etnìa, così la mia famiglia, non alla 'dolcezza' era
orientata: 'the milk of human kindness' ! E, nonostante tutto, o contro tutto: tutto il valore, tutta
l'intelligenza, la nascosta genialità, il fuoco sotto la cenere, quasi batteria sempre accesa ! 'Love
loves to love love': quattro volte amore, agognato nel mio raccontarmi dell' Ulysses; ma, ancor
negato e distratto !”
Così diceva, andando in avanti e all'indietro incessantemente nel tempo, sull' alta parete della mia
biblioteca, Giacomo Joyce, svelando note profonde e incastonando ricordi, percorsi e discorsi
( critici, storici, geografici, paesaggistici, ampiamente 'ermeneutici' ), a più riprese e a più livelli d'
insondabile intensità. “Va bene l'architettonica della 'Veglia' ! Può andare la visitazione del rapporto
tra le parti, le 216 pagine degli otto capitoli della Prima; le circa 190 dei quattro capi della Seconda;
e le altre 190 degli altrettanti della Terza; con l'eccezione fluida e ricorrente delle trentotto pagine
(591-628) dell'unico capitolo della Parte quarta, il “Ricorso”: dove l'ultimo verso riannega nel
primo del primo libro, con la struggente poesia per quella “giovane gracile pallida soffice timida
sottile piccola cosa, che va come a zonzo lungo il lago argenteolunare” ( 'a young thing pale soft shy
slim slip of a thing sautering by silvermoonlake' ). “
“Ma non potrò mai dimenticare quando Lucia danzava scattando dalla terra e in alto spingeva tutta
se stessa, addolcendo le movenze, dalla lezione dei fratelli Duncan cavando il senso barbarico della
regione d'origine e poi evocandola magistralmente, alzandola al cielo: alla guisa di quel che saprà
dire poi, con altra “voce”, la “voce” di Dolores O' Riordan, col gruppo di Cramberries, esempio
tipico di “vitalità” prorompente e tellurica in “Zombies”, cercante disperatamente luce e pace! E io
scrivevo, scrivevo, dando il mio meglio, poetando-filosofando, simultaneamente, io, pure; mentre la
Lucia dava il meglio di se, danzando. “Or-do-vico or Vi-ri-cor-do”. Uno – due – tre - quattro: al
tempo. E poi ancora: “Anna was.- Livia is.- Plurabelle's to be”. Passato, presente e avvenire.
'Amnis'-fiume-Anna. 'Livia' Svevo-fiume Liffey. 'Plurabelle'- futuro o stare per essere, 'ad-venire'.
Cioè: sempre sono i 'momenti-forme' del tempo, come 'momenti-forme' dello spirito umano, da
leggersi con la metafisica del tempo di Pantaleo Carabellese, per la Critica del concreto del 1921:
“Fu, è, sarà. Sempre essere”. E tutto questo, io in due righe lo dico, esemplari e modulari, purissimo
distillato delle 'forme'. Ma il mio linguaggio era potuto arrivar a tanto, mentre la Lucia danzava:
'Anna was' – passo a destra. 'Livia is' – passo a sinistra. 'Plurabilità della prospettiva' – 'Plurabelle's
to be' – giro vorticoso completo della persona, esultante piroetta. Tutto si esaltava, e reciprocamente
( ma drammaticamente ) schiariva, una volta per sempre. E qual meraviglia, poi, rilucevan le sue
“lettere miniate” ! Sbagliando, confidavo a un amico: 'Qualche volta mi dico che quando lascerò
questa lunga notte, anche lei guarirà'. Macché, la poco pia illusione! Meglio, la 'razionalizzazione'
della tragedia in fieri. Anche sbagliava il professore Jung, vent'anni dopo il fallito approccio, a
giudicare: 'Lucia è rimasta intrappolata nella psiche di James'. Quando mai, 'intrappolata', no!
'Indifesa', 'non difesa', da James, da 'padre', questo sì ! E' come se io l'avessi spinta a scoprirsi: 'Ma
allora io non valgo !', e proprio mentre sapeva di più 'valere' ! Come 'danzatrice senza radici'. Come
donna, come amante, come madre potenziale equiprobabile equipossibile. Come figlia! E quando lo
scoprivo, 'Hecco', io le davo l'idea delle letterine miniate, dove certo potesse esibire tutta la sua
latente valentìa ! E l'11 novembre del '31, scrissi all'amica: 'Ho persuaso Lucia ( con uno
stratagemma ) a disegnarmi delle maiuscole miniate per le poesie e le ho spedite in Inghilterra
all'editore'. Come il 7 dicembre, alla stessa: 'Credo di aver reso un buon servizio a Lucia. Lei ha
fatto le iniziali per le poesie in P.(omes) P.(enyeach) su grandi fogli e io ho scritto il resto. Le
lettere sono molto belle. E' stata una mia idea'. Fino al 20 aprile 1932, sempre a Parigi, dall'Hotel
Belmont: 'Ho disposto che Lucia veda la dottoressa Fontaine e uno specialista in malattie del
sistema nervoso. Cercherò di darle una casa qui, sebbene sia molto difficile, ma in verità è soltanto
una bambina e le iniziali miniate che ha fatto sono squisite'. Hecco, 'squisite'! Ma mentre le faceva, 3
e perché le faceva, allora esplodeva, allora, la crisi. Più belle e accurate negli angoli e nelle trame
riuscivano, più dolore e lacrime portavano, e schiarivano, alla luce. Ecco, le 'perle' ( miste alla
molta 'arena' letteraria ), che cercate. Ma, queste, son state le 'perle' della crisi della 'mia' bambina,
my bluevenued child “!
E Giacomo stava per andarsene, svettando verso l'alto della biblioteca a tutta parete e di lì al cielo,
quando si fermò un attimo, e riprese. “Mi avete messo perfino nei libri per gli schoolboys” -diceva-
“a proposito della mia 'Veglia', ispirata alla dottrina viciana dei corsi e ricorsi storici. Sì, ma che
cosa significa ? In quali 'guise', io ho inteso e sviluppato questa dottrina ? Avete capito, davvero?
'Natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre
che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose' ( SN seconda, Libro I-Sez. II, par.147 ). E ancora
prima, il gran Maestro della Orazione inaugurale 'De Antiquissima Italorum sapientia' ci insegna
come lo scettico 'sostiene che la sua certezza di pensare è coscienza, non scienza: è cioè una
cognizione volgare presente in un qualunque illetterato, come il Sosia della commedia plautina. (..)
Sapere vuol dire infatti possedere la guisa o la forma in cui una cosa avviene: mentre si ha soltanto
coscienza di quelle cose delle quali non possiamo dimostrare la guisa o la forma in cui avvengono'
( bella resa in vostra lingua del professor Paolo Rossi nel 1959, pp. 199-209 ). E l'originale latino:
'Scire enim est tenere genus seu formam, quo res fiat: conscientia autem est eorum, quorum genus
seu formam demonstrare non possumus'. Avete capito bene voi questo ? Voi italiani, che avete
Dante e Pico e Bruno, 'Nowlan', e – proprio – Vico ? Corpo di barragio ! Cosa andate intorno
intorno al mondo delle chiacchiere ! 'You spoof of visibility in a freakfog' . 'Voi cianciate di
visibilità in una fitta nebbia da cani !' (FW, I, III,48-74 ) Andate dietro a 'Mary nothing' ( 'Maria
nullità': FW, I, III, 52bis ). Inseguite la 'gossipocrazy', il 'faroscopo della televisione', 'questo
strumento della vita notturna' ( 'the faroscope of television, this nightlife instrument': FW, I, VI,
150bis ). Per tacer d'altro, di 'gossip' o 'talk show'. Sapete le 'formole', non i 'passaggi' né le 'forme'
della 'sapienza dei secoli'. Corpo di barragio ! Sotto il nebbione della nessunità, oltre la coltre di
semiologia e anatomia strutturale, sempre rode il “tarlo del filosofare”, come il molfettese Pantaleo
Carabellese tonitruante accademico romano insegnava. Ma Vico resta 'Altvater'. E cioè: il 'maestro
delle guise', 'guise' che vanno prese alle volte come forme 'solide' ( le 'modificazioni della mente
umana' ) e una, due, tre, troppe, tante volte, per forme 'liquide', 'modalità', 'maniere' ( senza di che
non ci sarebbero state la 'filosofia positiva' dello Schelling, e l' idealismo, il fluire degli opposti
nell'unità del nesso vitale io-mondo ). E' stato perspicace, dal luglio 1939, Edmund Wilson a
cogliere i vari poli opposti, nella mia lunga e suprema 'Veglia': il masso e l'olmo; morte e vita; terra
e cielo; inferi e superni ( insiem legati in Yggdrasyl, l'albero della scienza che rapporta rami a
radici ); l'Arcangelo Michele e Satana ( oh! il Saint-Michel! ); la Volpe e l'Uva ( 'The Mookse' e
'The Gripes'); la Cicala e la Formica ( 'The Gracehoper' e 'The Ondt' ). E via. Ma poi l'equilibrio
reciproco si può rompere o polarizzare: e le varie coppie 'si sciolgono l'una nell'altra'; e quante volte
il nesso si può sciogliere, in quali e in quante 'guise', questo è il nodo. Ma è il nodo del “vitale”
( come dice 'Cross', Croce, alla fine ); e del “vitale”, come nesso io-mondo. Hecco il mio “segreto”:
il mio “hidden crocianism”. E badate bene, che non si tratta di una “scoperta straordinaria”. Dacché
'Ordovico' e 'Cross' ripigliano il 'Nolano', allo 'Spaccio della bestia trionfante'. Vi sta scritto: 'Dove è
la contrarietade, è la azione e reazione, è il moto, è la diversità, è la moltitudine, è l'ordine, son gli
gradi, è la successione, è la vicissitudine' ( 'Opere italiane', ancor sì da Laterza, 1909, 22-23:
Ormiricordo, la 'Una Bina Laterza' di FW). Non c'entra la 'Metafisica' di Aristotele ( I,34 ), tutta
puntata su Empedocle e la teoria dei Contrari, nella coppia Amore e Discordia. Non c'entran le
'Categorie', 14 dell' 'Organon', accolte sulle sei specie 'generazione – corruzione – accrescimento –
diminuzione – modificazione di qualità – movimento'. Il Nolano bene antivede, prima del dotto
svizzero Jean Starobinski: vede, cioè, che, oltre 'azione e reazione', c' è il moto o passaggio tra le
'modificazioni'; ci sono e diversità e moltitudine ( e questo è Platone del 'Sofista' ); e l'ordine, o 4
principio d'unità e armonia ( e questo è Croce, pur nella distinzione ); ci sono i gradi, o 'modi
categoriali' ( mediazioni, guise spirituali ); e la 'successione' ( che arriva bella bella a Kant 1781 ,
con l 'analitica' della prima 'Critica' ), con la 'vicissitudine', che dà l' impronta sia alla 'simultaneità'
che alla 'permanenza', porgendola 'in nuce' per l'orologiaio di Koenigsberg. Hecco qua: la mia
filosofante lunga intensa 'Veglia'. 'Easy Ulysses'. 'Easy Deep Wake'. Meditate, gentili, meditate!”
- “ Ma perché Giacomo mi parla così ?” - rimurginavo - “E perché mai, dovendo rivisitare
l'antesignano Jean Baptiste Vikar ( come è segnato nella 'Veglia' ), si è mosso lui, e non lo storico
attento Fausto Nicolini, o altro erudito, filologo onesto e intelligente prosecutore ? “- nel sogno
confidavo all'ombra, o alla luce spirituale ( chissà ! ), di quel genio irlandese.
“Ma non è un caso, mio caro, piccolo grande, amico” - riprendeva in punta d'ali il poeta pensante.
“Dopo Dante...Bruno.Vico..Joyce ( e lo ha messo in carta Samuel, il seduttore che ammaliò mia
figlia ), sono io a re-capitolare la residuale genialità dell' Occidente. Bongré – malgré; ma così è.
Gli altri ? - Sono solo accademici di nulla accademia, epitomatori di lungo corso, professori che
vanno al convegno, Treccani per .. quattrogatti, e scolari di Pitagora .. autoritratti ! Oddio! Ve ne
siete avvisti ? Con me, dopo di me: ci sono soltanto il Thomas Mann della Montagna incantata ! E
poi il russo, fucilato nella neve del '37 alle porte di Mosca da poliziotti sanguinari, il teologo
matematico e filosofo dell'arte, e dell'icona, Pavel Florenskj! Tutto il resto è noia. Ah !No !
Dimenticavo! Punta geniale è sopravvenuta da un siciliano di bella conversazione, amante di
pensiero poetante e universi mondi, e innamorato di Carabellese e Proust e Cross, il dotto senza
confini, Rosario Assunto. Più, non so ! Forse ce ne saranno ancora. Astrigotta ! Non è, il mio,
linguaggio maligno, nettamente oscuro, come scrisse alcuno! Sì – bene – è 'retorica del momento
culminante', con orchestrazioni multiple, e richiami a ripetizione, del 'risveglio'. Perciò: agiscono
'Mick', 'Nick' e le 'Maggies'. 'Arrihas !' 'Sandhiass !' 'Tunc' – 'Punc', per punti a capo delle stazioni
dell' ultimo 'Ricorso' – nel IV libro della Veglia ( 1939 ).
'Quando questa lunga notte finirà, forse lei guarirà'. - Ma io non sapevo, né riuscivo, né vedevo. -
Scusami se al dolore torno. Ci fu negata la felicità, negata la gioia ! Da un Hotel all'altro, e da una
casa a un condominio, o pensione, o città ! Parigi soltanto, con l'amica americana, mi protesse in
parte. E se questo fu il prezzo della genialità sottesa e insaziabile di tanti mondi percorsi, quanto
amaro ne fu il prezzo: l'integrità di mia figlia. E tu, forse, dovresti ora dire: 'Portami, tu figlia, Lolly,
alla fiera dei regali; così come mi hai portato, per il Natale, dai tuoi Abruzzi, con i formaggi e i
dolci, la voglia di donare !' - Tutt' al contrario che nel mio mondo, alla fine della lunga notte. Il Tuo
ciclo vitale gira al contrario del mio, meglio: lo complementa. Far so closer, pur mi si addice e ti
s'addice. 'Così vicini così lontani'. Ho visto: dove cercavi di più la gioia, l'appagamento e l'allegria
( nei compleanni, nella festa del Natale ), trovavi alle volte affanno e scontento: a Parigi o Dublino,
Roma e Ferrara. Tutte le visite a Palazzo dei Diamanti; tutte le mostre al Chiostro del Bramante o
alle Scuderie del Quirinale; le lezioni al Centro di cultura Italiana a Parigi e al Trinity; ed i sogni
nelle estati dello splendore ( Dublino 2003, Galway 2004, Dublino 2005 e 2006, Parigi 2008,
Bergen e Oslo il 2009, Villach – Spittal nel 2010 ), lasciavano talora l'amaro del rimpianto. Sì,
anche in Austria, sul lago di Millstadt, il più pulito d'Europa, con l'acqua da bere e la statua di San
Colombano sorvolante la tersa superficie; e poi il Castello che negl'interni Maria non volle vedere; e
la pensione serena di Pesentheinerhof, con l' ospitale epigrafe: 'Approfittati tu delle ore belle di
giovinezza; / niente voi ancora sapete dei motivi di lotta; / perché, infatti, scoccate le ore, una volta
passate le ore, / giammai tornerà indietro lucente Giovinezza'. In originale: 'O nutze der Jugend
schoene Stunden, / Sie wissen nichts von Zwiederkehr, / Einmal enlschhlupt, einmal enlschwunden,
/ Zuruck kehrt keine Jugend mehr'. E sì: 'Zuruck kehrt keine Jugend mehr'. Ma quei due coniugi
distinti e più giovani, non ci facevano caso, ognuno di essi leggendo, dopo ogni colazione, romanzi 5
voluminosi ! - Tornando al 'tempo', Hegel nelle Lezioni jenesi scrive: “Geist ist Zeit”, “Lo Spirito è
Tempo”, E Cross dice: 'iridata', la prospettiva dell' avvenire, cioè: non a senso unico, e senza il
'verso dove', illuminando così il 'colpo d'occhio' nella Filosofia della pratica del 1908. E io dico:
'Plurabelle's to be'; la 'plurabilità': proprio per ciò, multi-colore, non a unico schema ( 1922-1939 ).
Quel che poi, tu, little big Joe, hai coonestato in Il tempo e le forme, 1981. ”
“Così vicini, così lontani ! Avevo i figli fuori, desideravo abbracciarli; ma quando tornavano, non si
potevano evitar discussioni. E' così ! E' la tragedia del cuore, il guazzabuglio del cuore umano, o
mio filosofo in veste letteraria, 'vedente'-'non vedente', erede di Omero !” - “ Che vuoi che sia è,
nothing,a petto di quel che accadde alla mia vita”. - rispondeva ancora il Joyce, più volte curato per
operazioni agli occhi, senza successi -. “A proposito, te li abbiam mandati noi, io e Lucy, dopo un
annus horribilis, i due arcobaleni di Andria, memento dei versi del Paradiso dantesco ( XII, 10-21):
'Come si volgon per tenera nube due archi paralleli e concolori, / Quando Iunone a sua ancella jube,
/ Nascendo di quel dentro quel di fori, / Alla guisa del parlar di quella vaga, / Che amor consunse
come sol vapori, / E fanno qui la gente esser presàga, / Per lo patto che Dio con Noè pose, / Del
mondo che giammai più non s'allaga, / Così di quelle sempiterne rose / Volgìensi circa noi le due
ghirlande, / E sì l'esterna all'intima rispose'. - Ricordi ? Il lume spirituale della mia Lucia volava in
cielo da Portmouth il 1982, nello stesso anno centenario della mia nascita ( 2 febbraio ), a ciclo,
quando avevi schiarito l'iride del 'presente', la tessitura del 'momento' nel 'presente', a guisa di
momentum, tale che non si riadduca a 'punto' né a 'segmento':giusta la tripartizione passato-
conoscenza; presente-intuizione; futuro-azione. Altrimenti, proprio da sé, si tradirebbe il 'nostro'
Pantaleo Carabellese. Il 'presente' è 'tempo' non 'spazio', à la Bergson( 'Bitchson', come
scherzosamente ne storpiai il nome con la Veglia ). E così l'assioma del Tempo diventa: 'In quanto
senzienti, fummo siamo e stiamo per essere' ( non puramente: 'siamo', sicut voleva il teoreta della
metafisica del tempo ). Quindi: 'Plurabelle's to be', nel mio linguaggio, e con Vico, tuo e mio
Maestro.” “Possano ritornare attuali le tue parole” - sommessamente dicevo tra me e me -. “Possano
le luci spirituali farsi vive sempre, sempre più, nelle ore del bisogno. Effettivamente, il 28 dicembre
del 2016, la mia Andria sembrò protetta dal doppio, fascinoso, 'arc en ciel'. Rarità dell'evento; rarità
dell'interpretazione, nel 'mondo della vita'; 'prospettiva filosofica'; 'prospettiva iridata' sul mare
Adriatico”.
“Non Ti fare illusioni, mio caro little big Joe.” - riprese a dire Giacomo Joyce – “Ho capito ciò che
rimurgini. Torneranno presto a incombere rigori invernali e tormente di ghiaccio e neve sulla Tua
terra. Avrete casi gravi di malanni e linee interrotte nelle comunicazioni; disastri e morti premature:
sì da aver bisogno di tutta la sapiente prudenza e pazienza degna delle Città invisibili del Calvino
( Tant' è vero che “ Con l'opera tacendo “, è il vostro motto ) !”
La luce spirituale di Giacomo aveva finito di parlare, quando sotto una spinta verticale fortissima
stava per scomparire definitivamente, attraverso uno dei 'ponti' spazio-temporali da cuiera transitata,
precipitando e risalendo in continuazione.. “Basta adesso ! Abbiamo ancora una volta ricapitolato il
mondo dal punto di vista del 'vostro' e 'nostro' mondo vissuto: ma abbiamo ancora una volta lasciato
da parte, se non del tutto dimenticato, la Lucia !” - “E, sai, Te lo voglio anche dire. Non mi piaceva
e non piace il vostro ridondante Giosuè Carducci. Pure, quando scrive: 'I rei fantasmi oh non
seguire!/ I rei fantasmi che dai fondi neri / dei cuor vostri battuti dal pensier / guizzan come dai
vostri cimiteri / putride fiamme innanzi al passegger!' ( Davanti San Guido ), - beh, sì, in questi
squarci, mi convince e tocca, una volta per tutte. 'I fondi neri dei cuor vostri', è come dire l'
'archetipo' del dottor Jung; il fuoco segreto sotto la cenere dell'inconscio ! O la 'fragilità' femminile
più 'dolce' che ci dà forza, giusta la definizione del professore novarese Eugenio Borgna. Non ce ne
dobbiamo dimenticare”. Giacomo Joyce respirò per una breve pausa. “Addio, devo lasciarti. Ma
ricorda che potremo andare oltre la porta dell'altro universo, peregrinare nell' infinito universo et 6
mundi( lo prevede il Nolano ), scalare ogni parete, puntare alle stelle ( lo fanno gli astronauti Nebo e
Rebo; lo sognano tutti ); sempre, e comunque, rimarrà il necessario vincolo padre-figlio, padre-
figlia; perché love loves to love love; base di ogni indicibile narrazione. E quand' anche questa lunga
notte finirà, quando finiranno le tante lunghe notti di una in-finita 'veglia', da sommare in sé tutte le
altre 'veglie' possibili o immaginabili; ebbene 'lei', 'loro', le 'luci spiritali', guariranno, ravvivate - in
noi e per noi e con noi– di perenne giovanezza, come per la 'compresenza' dei vivi e dei morti' del
pedagogista e filosofo della non violenza Aldo Capitini”. E le trame disegnate dall'andirivieni di
James sembravano quasi le stesse dell'astronauta Cooper, dall'altra parte della biblioteca, alla fine di
'Interstellar'; “su una fuga prospettica di piani multipli, che si succedono e si richiamano a perdita
d'occhio”, come accade negli “echi stupendi e inesauribili” destati dallo stile di Proust – al dire di
Giacomo Debenedetti, Il Romanzo del Novecento ) -, nella Recherche du temps perdu.
2.“Infinito universo e mondi”. Mappatura delle mappe
Patriarchi
Dante, Convivio, Libri I-IV, 1304-1307: “i quattro sensi delle scritture”( letterale, allegorico, morale
e anagogico o sovrasenso spirituale); Lettera a Cangrande della Scala, capitoli 1-89 (1316-1320ca.).
Pier Cesare Bori, Pluralità delle vie, Alle origini del 'Discorso' sulla dignità umana di Pico della
Mirandola, Feltrinelli, Milano 2000 ( testo latino, versione e apparato di Cesare Marchignoli ).
Oratio 'De dignitate hominis' di Pico della Mirandola, premessa alle Conclusiones nongentae, 1486,
ed. a cura di Albano Biondi, Olschki, Firenze 1995; Confutationes adversus astrologiam, a cura di
Eugenio Garin, voll. I-II, Firenze 1944.
Giordano Bruno, Il Candelaio, in Opere italiane, Bari 1909, vol. I; Spaccio della bestia trionfante
(Parigi 1584), in Dialoghi italiani. Dialoghi metafisici e Dialoghi morali, ed. Gentile-Aquilecchia,
Sansoni, Firenze 1972, pp. 549-829; De l'infinito universo e mondi (Venezia 1584), in Dialoghi
italiani, Firenze 1972, pp. 343-537.
Giambattista Vico, De antiquissima Italorum sapientia, nelle Orazioni inaugurali, Bari 1911;
De nostri temporis studiorum ratione, Felice Mosca, Napoli 1709; Princìpi di una Scienza Nuova
d'intorno alla comuna natura delle nazioni, Felice Mosca, Napoli 1725; Scienza Nuova prima,
Napoli 1730; Scienza Nuova Seconda, Napoli 1744 ( ed. Nicolini, Bari 1953, voll. I-II ); Opere ( ed.
a cura di Paolo Rossi, Milano 1958 ); Opere (ed. a cura di Andrea Battistini, Milano 1990, voll. I-
II).
Johann Wofgang Goethe, La storia dei colori ( Zur Farbenlehre, 1810 ), ed. it. a cura di Renato
Troncon, Luni Editrice, Milano – Trento 1997.
Benedetto Croce, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, Sandron ( ma:
'Vecchi, Trani' ), Palermo 1900; Bari 1902 e 1908 (3^ ed.); Logica come scienza del concetto puro,
Bari 1909; Filosofia della pratica. Economica ed Etica, Bari 1908; Teoria e storia della
storiografia, Bari 1917 (ma: 1^ ed. in tedesco, Mohr, Tubingen 1915); La filosofia di Giambattista
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Eugenio Montale, Delta, lirica aggiunta il 1926 agli Ossi di seppia, edizione del 1928; Samuel
7
Beckett, “This Quarter”, II/4, Paris 1930 ( poi edita come Secret Transfusions da Marco Sonzogni,
Toronto 2010 ).
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Rifondatori
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problemi di estetica contemporanea.con una premessa kantiana, Feltrinelli, Milano 1960; La
critica d'arte nel pensiero medievale, Il Saggiatore, Milano 1961; Estetica dell'Identità. Lettura
della 'Filosofia dell'arte' di Schelling, S.T.E.U., Urbino 1962; Stagioni e ragioni nell'estetica del
Settecento, Mursia, Milano 1967 e Madrid 1988; L'automobile di Mallarmé e altri ragionamenti
intorno alla vocazione odierna delle arti, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1968; Immanuel Kant. Scritti
precritici, a cura di Rosario Assunto e Rolf Hohenemser, Bari 1953; L'estetica di Immanuel Kant,
Loescher, Torino 1971 e 1987; Il paesaggio e l'estetica, Giannini, Napoli 1973, voll. 2 e Palermo
1994 ( senza le pregevoli illustrazioni, mappe e didascalìe ); L'antichità come futuro, Mursia,
Milano 1973; Libertà e fondazione estetica, Bulzoni, Roma 1975; Ipotesi e postille sull'estetica
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Intervengono i personaggi ( col permeso degli Autori), SEN, Napoli 1977; Specchio vivente del
mondo, De Luca, Roma 1978; Infinita contemplazione.Gusto e filosofia dell'Europa barocca, SEN,
Napoli 1979 e Bucarest 1983; Filosofia del giardino e filosofia nel giardino, Bulzoni, Roma 1983;
La città di Anfione e la città di Prometeo, Jaca Book, Milano 1983; La Parola anteriore come
Parola ulteriore, Il Mulino, Bologna 1984; Ontologia e Teleologia del Giardino, Guerini e
Associati, Milano 1988 e 1994; La Natura, Le Arti, La Storia. Esercizi di estetica, Guerini, Milano
1990; Giardini e Rimpatrio, Newton Compton, Roma 1993.
Prosecutori
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Carlo Antoni, La lotta contro la ragione (1942), Sansoni, Firenze 1968; Considerazioni su Hegel e
Marx, Napoli 1948; Storicismo e antistoricismo, con prefazione di Antonino Pagliaro, Napoli 1960;
Commento a Croce, Neri Pozza, Venezia 1959; Il tempo e le idee, ESI, Napoli 1960.
Raffaello Franchini, Teoria della previsione, Napoli 1964 e 1972; Le origini della dialettica, Napoli
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Italo Calvino, Le città invisibili, Torino 1972; Lezioni americane ( Six Memos for Next Millennium),
Garzanti, Milano 1988.
4. La 'Summa' di James Joyce
Emblematicamente, la 'Summa' teorica esperita da Joyce è raccolta nella stessa pagina dell' Ulysses
( 491-2), dove si compendiano – all'inizio – la teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici, intesa nella
'vulgata' meccanicamente ripetitiva o positivistica ( “The year returns – History repeats itself”: “Lo
stesso anno torna. La storia si ripete” ), e - alla fine - la sua reinteroretazione, come ricorso di
momenti 'ideali', con implicazione della libera inventiva dell'individuo, che ne diede il Croce nei
primi anni del Novecento: “No. Returning not the same. - The new I want “: “No. Non ritorma mai
l'identico accadimento. E' la novità che io cerco”.
Nella sezione della cosiddetta “Biblioteca” dello stesso Ulysses, Russell risponde a Stephen
Dedalus, che vorrebbe che Amleto fosse lo stesso Shakespeare, manifestando la propria estetica
'idealistica': “Questo ficcare il naso nella vita intima di un grand'uomo, cominciò Russell
impazientemente. - Sei là, soldino buono ? - Interessa solo un impiegato dell'anagrafe. Dico,
Abbiamo i drammi. Dico, quando leggiamo la poesia di 'Re Lear', che ce ne importa di come è
vissuto il poeta ? (..) Sempre a ficcare il naso, a frugare fra i pettegolezzi di retroscena di quel
tempo, quel che il poeta beveva, i suoi debiti. Abbiamo 'Re Lear': ed è immortale.” Che è l'esatta
trascrizione della distinzione tra “personalità poetica” e “personalità pratica” , ragionata e dedotta
nel saggio sullo Shakespeare di pochi anni prima da parte di Croce. Sì che, prosegue Russell:
“L'arte deve rivelarci idee, essenze spirituali senza forme. La domanda suprema circa un'opera
d'arte è da quali profondità vitali essa scaturisca. La pittura di Gustave Moreau è una pittura d'idee.
La poesia più profonda di Shelley, le parole di Amleto mettono il nostro spirito in contatto con la
saggezza eterna, il mondo delle idee di Platone. Tutto il resto è speculazione di scolaretti per
scolaretti” ( pp. 250-252 della versione italiana del 1963 ). Dove Joyce risale dalla rivendicazione
crociana dell'autonomia dell'arte al fondamento della estetica platonica, operando un innesto che è
sapiente sintesi. “Art has to reveal to us ideas, formless spiritual essences. The supreme question
about a work of art is out of how deep a life does it spring. The painting af Gustave Moreau is the
painting of ideas. The deepest poetry of Shelley, the words of Hamlet bring our mind into contact
with the eternal wisdom, Plato's world of ideas. All the rest is the speculation of schoolboys for
schoolboys” ( p. 236 dell'originale Ulysses ).
“Era il tempo in cui si faceva un gran parlare dell' Estetica di Benedetto Croce e il Joyce, avendo
saputo che possedevo il libro, me lo chiese in prestito” confida Dario De Tuoni nel Ricordo di
Joyce a Trieste ( Scheiwiller, Milano 1966 ), dono dalla caratteristica copertina color mattone edita
da Laterza, che ci consente di datare alla terza edizione del 1908 ( la prima essendo stata di color
verdino, per i tipi del tranese Valdemaro Vecchi, prestatore di stampa per il Laterza ), come dire
all'edizione più accreditata in campo internazionale per i ritocchi arrecati dall' autore, la copia
lasciata al Joyce dall'amico triestino. La pagina, contrassegnata da una cartolina di un creditore
spedizioniere del 1913, e poi ritrovata compiegata dal donatore, riporta alla pagina 68 del capitolo
VIII della Parte Teoria della Estetica, Esclusione di altre forme spirituali, che valorizza il momento
'economico' ma lo centra nel paradigma dei 'quattro', caro al Joyce. “In questo schizzo sommario
che abbiamo dato dell'intera Filosofia dello spirito nei suoi momenti fondamentali, lo spirito è
concepito, dunque, come percorrente quattro momenti o gradi, disposti in modo che l'attività
teoretica stia alla pratica come il primo grado teoretico sta al secondo teoretico e il primo pratico al
secondo pratico. I quattro momenti s'implicano regressivamente per la loro concretezza: il concetto
non può stare senza l'espressione, l'utile senza l'una e l'altro, e la moralità senza i tre gradi che
precedono. Se soltanto il fatto estetico è, in certo modo, indipendente, e gli altri sono più o meno 9
dipendenti, il meno spetta al pensiero logico e il più alla volontà morale. L'intenzione morale opera
su date basi teoretiche, dalle quali non può prescindere, salvo che non si voglia ammettere
quell'assurdo pratico, ch'è la gesuitica direzione d'intenzione, in cui si finge a sé stesso di non sapere
ciò che si sa troppo bene”. Successivamente la molla della circolarità, quella che agisce a innescare
il 'passaggio', muterà in Croce, o nelle guise della reciproca e immanente “implicazione”, o sotto
specie del “sentimento”, come della “moralità” (1938) e della “vitalità” (1948.1952). Ma quel che,
per allora, interessava ai lettori intelligenti europei consisteva precisamente nell' assestamento di
doppio grado per le due 'scienze mondane' ( estetica ed economica ), che apprestano la materia
vitale o intuitiva per le affermazioni di logica ed etica: assestamento fondato sulla critica della
pedagogia gesuitica, da cui lo stesso Joyce s'era tratto fuori, giustificandone teoreticamente le
motivazioni di “crisi”.
Ancora, nell'episodio “Le mandrie del sole” ( Ulysses, versione italiana a p. 537 ), è parlante nel
“tuono” ( thunder ) la eco vichiana della “età dei bestioni” e dell' “avvertimento del cielo”. “Ma
grado a grado, come sopra detto, questa sera dopo il cader del sole, tirando il vento da ponente,
nuvole rigonfie grandiccie furon viste in cielo sul far della notte e gli strologhi a studiarle e qualche
lampo riflesso prima e quindi, dopo le ore dieci, un gran colpo con tuono prolungato e in batter di
baleno via tutti a capicollo al coperto per l'acquazzone furibondo, gli uomini facendo riparo ai
cappelli di paglia con stracci o fazzoletti, le femmine saltellando con le gonne tirate su appena
venne il rovescio”.
Di più, James Joyce attinge e quasi saccheggia dal Croce la netta distinzione tra la historia rerum
gestarum e lahistoria rerum gerendarum. Come dire tra “The irreparability of the past” e “the
imprevedibility of the Future, distinzione argomentata ed esemplificata autobiograficamente nel
lungo e culminante addio tra Leopold Bloom e Stephen Dedalus davanti al cancelletto del n. 7 di
Eccles Street, a Dublino. Lo scarto tra le due opposte dimensioni del tempo storico è evidenziato
con gli esempi del clown che in una serata al circo di Dublino si era dichiarato figlio di Bloom e,
viceversa, del contrassegno dato a una moneta dallo stesso Bloom, in una drogheria, per ricontrarne
il “ritorno”,
-“L'irreparabilità del passato: una volta a una rappresentazione del circo Albert Hengler alla
Rotunda, Rutland Square, Dublino, un pagliaccio intuitivo e multicolore in cerca di paternità era
penetrato dalla pista fino al posto dove Bloom, solitario, stava seduto tra il pubblico e aveva
dichiarato pubblicamente agli spettatori esilarati che egli ( Bloom) era il suo (di lui) papà. -
L'imprevedibilità del futuro: una volta, nell'estate del 1898, egli (Bloom) aveva contrassegnato un
fiorino ( 2 s. ) con tre tacche nel contorno zigrinato e l'aveva offerto in pagamento di un conto
dovuto a e ricevuto da J. E. T. Davy, drogheria con servizio a domicilio 1 Charlemont Mall, Canal
Grande, perché circolasse sulle acque della pubblica finanza, nell'eventualità di un possibile ritorno,
indiretto o diretto. - Era il pagliaccio figlio di Bloom ? - No. - Era tornata la moneta di Bloom ? -
Mai”- Si tratta di un passo di estremo interesse, perché riflette sui termini concettuali stessi del
Croce maturo, certo perfezionati ne La storia come pensiero e come azione del 1938 ( dove la
conoscenza del passato è 'preparante' ma non determinante' rispetto all'azione, cioè alla libera e
responsabile creazione del futuro ). Ma all'altezza dei primi anni del Novecento tali termini erano
già introdotti al Capo III “L'arte e la filosofia” della fondamentale e ben nota Estetica: “factum
infectum fieri nequit”. Cioè: 'Il fatto che non s'è realizzato non può accadere', al paragrafo L'attività
teoretica e la pratica. – Il che corrisponde al joyciano “The irreparability of the past”. Dunque, se il
pagliaccio millantatore non era stato generato da Bloom, non poteva esserne figlio, cangiando il
proprio passato, le res gestae( nel linguaggio dello storicismo ). - Viceversa, lo scarto tra res gestae
e historia rerum gestarum, anticipato nel capitolo Unità e diversità di storia e storiografia, alla 10
prima edizione di Teoria e storia della storiografia (1915-1917, rispettivamente in tedesco e poi in
italiano ), prima dell' Ulysses, e proprio nella sua formazione, corrisponde magistralmente alla
imprevedibility of the future: giustificando il netto “Mai” per la possibilità di un riconoscimento o
ritorno della moneta contrassegnata da Bloom !
Antonio Gramsci – si badi –, in una lettera del 12 dicembre 1927, dirà che Teoria e storia della
storiografia Contiene, “oltre che una sintesi del'intero sistema filosofico crociano, anche una vera e
propria revisione dello stesso sistema, e può dar luogo a lunghe meditazioni”. Onde, per Giuseppe
Galasso, questo “spunto è rimasto senza alcuno svolgimento; e ciò nonostante che a lui si siano
ispirati, dalla pubblicazione dei 'Quaderni' in poi, tanti studiosi del Croce o dei problemi del suo
pensiero” ( nella cura della nuova edizione Adelphi, Milano 1989, pp. 401-417, di Teoria e storia ).
In verità, nel contempo, Raffaello Franchini ( Teoria della storia di Benedetto Croce, Morano,
Napoli 1966 ) e Gennaro Sasso ( B. Croce. La ricerca della dialettica, ivi 1975 ) avevan posto in
relazione la distinzione tra pensiero e azione con il concetto di 'accadimento' ed il rapporto tra
'accadimento' totale e 'volizione del singolo'. Ma più interessa, ora, notare che la “revisione
dell'intiero sistema”, individuata dal Gramsci, si fondava sul criterio della “contemporaneità ideale
della storia”: dove il primato era conferito al “problema”, al presente che lo coglie e percepisce, lo
fa suo e, di conseguenza, lo affida al pensiero per il necessario schiarimento. Schiarimento che era,
però, solo “preparante”, e non “determinante”, rispetto all'azione ( affinerà, così, la distinzione il
Croce del 1938 ): ma che, per intanto, risultava già introdotto e parzialmente ragionato dallo stesso
Croce, nelle note Marginalia di Teoria e storia della storiografia e nelle parti storiche o corollari
della Estetica (1915-1917,o 1902-1908, rispettivamente ). E fu proprio James Joyce a capirlo bene,
mercé la netta demarcazione tra “the irreparability of the past” e “the imprevedibility of the future”,
incorporata poeticamente nella forma letteraria degli episodi, citati nel passo culminante di
Ulysses.Il “nostro” Giacomo Joyce, come dicono Croce e Nicolini nel secondo tomo della
meravigliosa Bibliografia vichiana ( Milano-Napoli, 1948, II, pp. 820-823), si conferma – anche per
questo - “filosofo travestito da letterato”, sulla strada principale che conduce alle osservazioni di
Antonio Gramsci, alle mature trattazioni di Croce, e al dibattito vivo nelle interpretazioni più
importanti del suo pensiero ( Galasso, Franchini, Sasso ).
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sono con Introduzioni, Schemi, Glossari e Aggiornamenti bibliografici).
Finnegans Wake. Libro terzo, Capitoli 1 e 2, a cura di Enrico Terrinoni e Fabio Pedone, ivi 2016
( con Introduzione di Terrinoni, Note di Commento e Postfazione di Fabio Pedone ).
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Rodolfo Wilcock, Oscar Mondadori, Milano 1961 e 2002; Lettere, a cura e con prefazione di
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Milano 1964 ( rarissimo e mal noto ). Se ne indicano i saggi: Prefazione di Sylvia Beach (1961: pp.
7-8); Samuel Beckett, Da Dante a Bruno, da Vico a Joyce (pp. 9-26); Marcel Brion, L'idea di tempo
nell'opera di James Joyce (pp. 27-34); Frank Budgen, La 'Work in Progress' di James Joyce e
l'antica epica scandinava (pp. 35-43); Stuart Gilbert, Prolegomeni alla 'Work in Progress' (pp. 45-
69); Eugène Jolas, James Joyce e la rivoluzione del linguaggio (pp.71-83); Victor Llona, Non
saprei come definirla: So però che è qualcosa di ben diverso dalla semplice prosa (pp. 85-91),
Robert Mc Almon, Un balletto verbale irlandese, con la coreografia di James Joyce (pp. 93-103);
Thomas MacGreevy, L'elemento cattolico nella 'Work in Progress' (pp. 105-113); Elliot Paul, Il
trattamento del tema nell'opera di Joyce (pp. 115-121); John Rodker, La dinamica giosiana (pp.
123-127); Robert Sage, Prima e dopo l' Ulisse ( pp. 129-148); William Carlos Williams, Un punto a
favore della critica americana (pp. 149-161); Due lettere di protesta (pp.163-165 e 167-168:
Un'epustula ). Il lodevole intento ermeneutico di questa raccolta è parzialmente inficiato nella
traduzione del titolo del saggio di Samuel Beckett, oggetto di una 'dissertazione', suggerita dallo
stesso Joyce: saggio che, in originale, suona Dante...Bruno.Vico..Joyce ( in Disjecta, Calder, a cura
di Ruby Cohn, London 1983, pp. 19-33; trad. it.,Disiecta, a cura di Aldo Tagliaferri, EGEA, Milano
1991). “3 – 1 – 2 – 4 = 10”: spiegano così, a livello 'esoterico', i bibliografi di Beckett, Federman e
Fletcher, la punteggiatura del titolo. “From Dante to Bruno is a jump of about three centuries, from
Bruno to Vico about one, and from Vico to Joyce about two”. Qui è la prova della tetrachtys
pitagorica, formata da “3+1+2+4 = 10”, e cioè “3 secoli...1 secolo. 2 secoli .. 4 autori = totale 10”:
significato che si perde nella resa diligente, ma inintelligente, Da Dante a Bruno, da Vico a Joyce.
A conferma della mia 'mappa' concettuale, si tenga presente che in un altro scritto dei Disjecta,
questa volta del 1938, Les deux besoins, Beckett riproduce il “dodecaedro”, “troppo regolare”, di
Pitagora ( alle pp. 55-56 ), a rilevare la divina figura dei “quattro elementi”, “quatre éléments”,
immessa in una fitta trama di riferimenti ( cfr. i miei Il giovane Beckett e il sostrato crociano
comune,Samuel Beckett e l'estetica multidirectional; Samuel Beckett 1937.'Human Whishes'
incunabolo di 'Aspettando Godot'; Digressione sulla tetrade; Dario De Tuoni e i ricordi di Joyce a
Trieste. L'impronta della 'Estetica', in Joyce dopo Joyce, L'Arte Tipografica, Napoli 2004, pp. 21-
50; Tra Vico e Joyce. Quaternità e fiume del tempo, Laterza, Bari 2006; Eliot e Joyce.Quattro
Quartetti – Quattro Momenti, Laterza, Bari 2005; Allegoria e Poesia. Il dibattito 'modernista' a
proposito dell'estetica di Croce, Laterza, Bari 2007; Del vitale, Laterza, Bari 2010; Bassani e Joyce,
ne “Il caro, il dolce, il 'pio' passato”. Bassani e la memoria, Laterza, Bari 2010, pp. 11-13; Il senso
del celeste e i princìpi vichiani in James Joyce, in “Filosofia e Nuovi Sentieri”, 2 novembre 2014 e
Italo Calvino e Andria. Variazioni sul senso del celeste, Matarrese, Andria 2016, pp. 41-51; Vitalità
è Libertà. La lezione di Giuseppe Galasso, “Archivio Storico Pugliese”, LXX, 2018, pp. 299-304 e
in Generazioni del tempo, Matarrese, Andria 2018, pp. 151-155, con prosecuzione in: 156-196 ).
Ripigliando il filo della fortuna joyciana, tra gli scritti di diseguale valore di Our Exagmination
1929, il contributo di Stuart Gilbert dimostra conoscenza diretta della Autobiografia vichiana e delle
restituzioni di Croce e Nicolini, allorché si spinge a citare il detrattore di Vico e giureconsulto 12
malevolo Nicola Capasso ( Grumo Nevano 1671 – Napoli 1745 ), che aveva definito il Vico quale
“maestro tisicuzzo” o “pedantazzo” nella satira maccheronica De vera pedanteria, cui Vico stesso
rispose per le rime in dialetto napoletano ( Autobiografia, con XIV medaglioni illustrativi a cura di
Fausto Nicolini, Bompiani, Milano 1947, pp. 66 e 166-170 e passim ). Scriveva, dunque, il Gilbert
nei precitatiProlegomeni alla Work in Progress: “L'argomento della 'Work in Progress' può essere
afferrato con estrema facilità riferendosi alla Scienza Nuova del Vico, celebre trattato di filosofia
della storia, dato alle stampe circa due secoli fa. L'accoglienza riservata all'opera del Vico fu quella
che troppo spesso attende il filosofo il quale osi una nuova sintesi dei complessi fenomeni che
intessono la storia del mondo. Si vuole che un savant dell'epoca, il Capasso, dopo aver inutilmente
tentato di digerire l'opera del Vico, con grande ostentazione si recasse dal proprio medico per farsi
misurare la temperatura; e ancora che un nobile napoletano, a chi gli chiedeva notizie dello
scrittore, rispondesse asciutto asciutto: 'Bisogna tagliargli la testa'. Vico proponeva la composizione
di una storia ideale e atemporale, nella quale fossero incluse tutte le storie particolari di tutte le
nazioni” ( cfr. Introduzione a Finnegans Wake, cit., pp. 46-48 in: 45-69 ). Quindi Gilbert spiegava
la teoria vichiana della “ciclicità”, la sua ricorrenza in Finnegans Wake, la ricapitolazione di Jules
Michelet ( “L'umanità è la sua propria creazione” ), il rapporto tra gli eroi della mitologia e i
caratteri o le aspirazioni dei popoli, tratti della questione omerica e gli “albori della storia umana”,
situati “un paio di secoli dopo il Diluvio”.
Sorprendente trouvaille, non per noi, ma forse per l'anticrocianesimo già à la page, è poi il fatto che
anche Samuel Beckett, inviato dal maestro Joyce a caccia di fonti ed espressioni autorevoli nella
Biblioteca Nazionale parigina, citi, in 'italiano nel testo' della propria dissertazione giovanile,
“forma vivente dello spirito” ( alla p. 15 della Introduzione a Finnegans Wake, cit., e nei Disjecta),
proprio nel mentre sta illustrando la dottrina estetica di Vico. “Vico respingeva le tre concezioni
correnti dello spirito poetico, secondo le quali la poesia sarebbe, o un'abile espressione, accessibile
a tutti, di concetti filosofici, ovvero un divertente gioco di società, o ancora una scienza esatta alla
portata di chiunque sia in possesso della formula”. Rifiuto dell'allegorismo, del concettualismo e
dell'intellettualismo, che Beckett estenderà alla lettura della poesia di Dante e distenderà fino al
proprio capolavoro, “Aspettando Godot” ( Disjecta, ed. it. cit., pp. 24 e 27-33; Disiecta, trad. it. cit.,
1991, p. 27 in: 19-42; Proust, del 1931, Milano 1994, con prefazione di Sergio Moravia, p. 83). Ma,
per intanto, chiarisce: “La poesia,afferma Vico, è stata generata dalla curiosità, figlia dell'ignoranza.
I primi uomini si trovarono a dover creare con la forza della propria immaginazione, e 'poeta'
significa 'creatore'. La poesia è stata la prima operazione della mente umana, e senza di essa non
potrebbe esistere il pensiero.. L'atteggiamento animistico primitivo non fu che una manifestazione
della forma poetica dello spirito”. Ora, la 'dissertazione' è del 1929. Ma dell'anno prima, il1928, è
un fascicolo della “Critica”, che reca in epigrafe la postilla di Croce, titolata esattamente Forma
poetica dello spirito, e in riferimento a un aneddoto della vita di Ludovico Ariosto ( pp. 227-230 ).
Si trattava di una postilla, tratta Dal “Libro dei pensieri” e pubblicata nella Sezione “Varietà” ( “La
Critica”, Volume XXVI, II della Terza Serie, Napoli 1928, esattamente in cima alla pag. 229, con il
carattere maiuscoletto che attirò, evidentemente, l'attenzione del giovane Beckett ).
“FORMA POETICA DELLO SPIRITO. - Un esempio tipico della forma poetica dello spirito,
nella quale si è tutto presi e che tutto risolve in sé medesima, è dato dall'aneddoto che i biografi
sincroni raccontano del giovane Ariosto: il quale, rimbrottato da suo padre, ascolta attento, non già
accogliendo l'effetto morale del rimprovero, ma vivendo con la fantasia il rimprovero paterno, per
trarne colori per la scienza della commedia che andava ideando”. Onde, conclude Beckett, in
Finnegans Wake, “il contenuto è la forma, e la forma è il contenuto”. Aggiungerò che l'originale
della 'tesi' o dissertazione beckettiana potrebbe forse riservarci ulteriori sorprendenti conferme, dal
momento che il testo edito sia a Londra che in nostra lingua comprende evidenti tagli con parentesi 13
e punteggiature lineari, non sappiamo se risalenti allo stesso Autore o all'editore ( cfr. p. 20 ).
L' “allegoria”, dalla critica distinguente di Croce al radicale ripudio di Beckett.
La poesia di Dante di Benedetto Croce è del 1921, l'anno del sesto centenario dalla morte del
sommo Poeta. E Sulla natura dell'allegoria, il filosofo torna nella “Critica” dell'anno XXI (1923),
alle pp. 51-56, poi in Nuovi saggi di estetica, come significativa Appendice metodologica ( Bari
1926, alla sesta edizione e pp. 331-339 ). I giovani 'modernisti' europei leggevano Croce e la
“Critica”, rivista che arrivava in tutte le più importanti biblioteche ( lo abbiam visto per il giovane
Beckett di Dante...Bruno.Vico..Joyce del 1929, che fa propria una 'postilla' del 1928 ). Si tratta, di
'ragazzi' o 'giovani geniali' ( onde non appaia riduttiva la nostra dizione ). Beckett insiste in altro
saggio – questa volta su Proust – del 1931 ( edizione italiana citata, con prefazione di Sergio
Moravia, del 1978, pp. 82-94 ): “Chi non ha la forza di uccidere la realtà, non ha la forza di crearla”
( in italiano nel testo, a proposito della Poetica di Proust ). - “Proust non commercia in concetti, ma
persegue l'Idea, il concreto. Egli ammira gli affreschi dell' Arena di Padova, perché il loro
simbolismo è trattato come una realtà, speciale, letterale, concreta, che non è la mera trascrizione
pittorica di una nozione. Dante, ammesso che si possa affermare sia fallito in un punto, fallisce nei
suoi personaggi puramente allegorici, come Lucifero, il Grifone del Purgatorio e l'Aquila del
Paradiso, il cui significato è puramente convenzionale ed estrinseco. Qui l'allegoria fallisce, come
deve sempre fallire nelle mani di un poeta. (..) Questa tendenza romantica di Proust ci torna spesso
alla mente. Egli è un romantico nella sua sostituzione dell'affettività all'intelligenza, nel suo opporre
lo stato affettivo particolare a tutte le sottigliezze dei rinvii razionali, nel suo rifiuto del Concetto a
favore dell' Idea, nel suo scetticismo di fronte alla casualità”. Due anni dopo, Beckett recensisce,
stroncandolo, il Dante vivo di Giovanni Papini ( edito dalla Libreria Editrice Fiorentina nel '33 ),
sulla medesima linea interpretativa, tesa a rivendicare l'autonomia dll'arte e della poesia da ogni
cascame intellettualistico o agiografico: “Il fine di queste marginalia sarebbe ridurre Dante a
proporzioni amabili. Ma chi vuole 'amare' Dante ? Noi vogliamo LEGGERE Dante, per esempio il
suo imperituro riferimento ( episodio di Paolo e Francesca ) alla incompatibilità delle due
operazioni” ( Disiecta, ed. it. cit., pp.108-110 e in originale, cit., pp. 80-81).
Alla fine, il ripudio d' ogni allegorismo e simbolismo raggiunge i vertici della radicale e parodistica
negazione con Waiting for Godot (del 1955). “Ma non c'è nessuna allegoria”, sintetizza Carlo
Fruttero il senso delle Nouvelles et textes pour rien. “Se si spezza il filo verticale del simbolo, la
storia di Adamo ed Eva non è poi gran che diversa dalla Vispa Teresa, e le storie di Beckett hanno
appunto l'aria di simboli che non sanno più simboleggiare niente. (..) Diremo subito che, a nostro
parere, pretendere a tutti i costi questo ' sesamo apriti' non ha senso. Stabilireche Godot è Dio, la
Felicità, o altro, ha poca importanza”. ( Introduzione a Aspettando Godot, Einaudi, Torino 1956,
pp. 5-13).
5. Joyciana. Allegoria Simbolo Poesia
James Joyce, 'Carteggio' tra Thomas Stearns Eliot e Joyce: About, By, To Eliot; nelle Lettere,
Mondadori, Milano 1974, alle Sezioni VII. 'Ulisse' (Luglio 1920-Marzo 1923); IX. 'Parigi. Rue de
Grenelle' (Giugno 1925-Aprile 1931); X. 'Parigi Inghilterra Svizzera' (Aprile 1931-Gennaio 1935);
e XI. 'Parigi, Rue Edmond Valentin' (Febbraio 1935-Aprile 1939).
Douglas Ainslie ( a cura di ), traduzione di On the Nature of Allegory, “Criterion”, 1923, pp. 405-
412; da Benedetto Croce, Sulla natura dell'allegoria, “Critica”, XXI (1923), pp. 51-56 e, poi, in
Nuovi saggi di estetica, Bari 1926 (2^ ed.), pp. 331-339.
Montgomery Belgion ( a cura di ), recensioni di Bertrand Russell, Freedom and Organization 1814-
1914, e di Benedetto Croce, History of Europe in the Nineteen Century, “Criterion”, 1934, pp. 526- 14
530.
William J. Tindall, James Joyce, ed. it., Bompiani, Milano 1970: indulge su 'simboli' nel flusso
joyciano con una insistenza su cui: Francesco Flora, Poesia e impoesia nell'Ulisse di Joyce, Nuova
Accademia, Milano 1962; Francesco Flora, Guida alla poesia e Joseph Prescott, James Joyce's
Stephen Hero, in “Letterature Moderne”, A. VI/6, novembre-dicembre 1956, pp. 655-678 e 679-
688; e Giuseppe Brescia, Tra Vico e Joyce. Quaternità e fiume del tempo, Laterza, Bari 2006.
Richard Ellmann, James Joyce, Oxford University Press, 1959-1982; ed. it., Feltrinelli, Milano
1964 ( Esplorazione fondamentale da opere, lettere, interviste e scritti minori, con restituzione
filologicamente ineccepibile dei dèbiti verso Croce e Vico, segnatamente alle pp. 340-342 e 382 ).
James Atherton, The Books of the Wake: A Study of Literary Allusions in James Joyce's Finnegans
Wake, Faber & Faber, London 1959 e Viking, New York 1960.
John Mc Court, The Years of Bloom. James Joyce in Trieste 1904-1920, The Lilliput Press, Dublin
2000; trad. it., James Joyce. Gli anni di Bloom, Mondadori, Milano 2004.
Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962; Le poetiche di Joyce, Milano 1968; The
Aesthetics of Chaosmos. The Middle Ages of James Joyce, The University of Tulsa, Tulsa 1982; I
limiti dell'interpretazione, Milano 1990 ( “Economizzare su Joyce ?” ); Umberto Eco – Liberato
Santoro Brienza, Talking of Joyce, (“Sic!”) University College Dublin Press 1998, dove il Santoro
onestamente riconosceva: “We know that Joyce read Vico, at first through the mediation of Quinet,
Michelet and Croce” ( p. 72 in: 41-86 ); Ostrigotta, ora capesco. Introduzione a Anna Livia
Plurabelle nella traduzione francese di S. Beckett, I. Goll, E. Jolas, P. Léon, A. Monnier, A. Péron,
Ph. Soupault, J. Joyce. Versione italiana di James Joyce e Nino Frank, a cura e con un saggio di
Rosa Maria Bollettieri Bosinelli. In appendice versione italiana integrale di Luigi Schenoni,
Einaudi, Torino 1996, pp. V-XXIX.
Nonostante larghe aperture di credito concesse da 'rifondatori' dell'idealismo, quali Raffaello
Franchini e Rosario Assunto, a proposito di Umberto Eco, studioso di Estetica tomistica e narratore
de Il pendolo di Foucault, lo stesso semiologo alessandrino non risparmiava colpi né intemerate
tanto veementi, da far tremare i vetri dell'aula, avverso il metodo 'distinzionistico' crociano di poesia
e non poesia, poesia e allegoria, come accadeva nella James Joyce Graduate Conference del 1°-2
febbraio 2008, al Valco di San Paolo della RomaTRE, con la conclusione La 'sfortuna' italiana di
Joyce ( Joyce's Italian misfortune ) e la reprimenda al povero Gianni Amodio, obiettante in sede di
dibattito, nonché autore della Joyceide. Viaggio intorno all'uomo comune, con le Opere di Grazia
Lodeserto e l'alto Patrocinio dell'Ambasciata d'Irlanda in Italia ( per l'Era Nova – Bancheri Editore,
Caltanissetta 2002 ). Certo, la querelle sul punto era sempre stata accesa, dopo La poesia di
Dante( Bari 1921 e 1961, 11^ ed., pp. 12-16 ) e il carteggio con il filologo Michele Barbi del 27
dicembre 1931 ( da vedersi nel mio Croce inedito. 1881-1952, SEN, Napoli 1984, pp. 355 sgg.), via
via impegnando Mario Rossi, Momenti essenziali nello svolgimento spirituale di Dante (1930) in
Gusto filologico e gusto poetico ( Bari 1942, la cui ultima sezione coglie a volte nel segno, sulle
Chiose di Michele Barbi a versi della 'Commedia', alle pp. 166-200); Luigi Russo, La critica
letteraria contemporanea ( Firenze 1967, pp. 46-68 ); Aldo Vallone, Dante ( Vallardi, Milano 1971,
pp. 537 sgg. ); Mario Sansone, Unità poetica e unità dialettica ( Bari 1947); sino a Gian Napoleone
Giordano Orsini, Benedetto Croce Philosopher of Art and Literary Critic ( Southern Illinois
University Press, 1961 ); Mary T. Reynolds, Joyce and Dante. The Shaping Imagination (Princeton
University Press, 1981); R. J. Schork, Latin and Roman Culture in Joyce, University Press of
Florida, 1997 ( Chapter 10, Joyce's Own Latin ); o al Chapter 3, Naming the Aesthetics, dedicato
all'allegoria ed alla critica dell'estetica dello Hegel, in Massimo Verdicchio, Naming Things. 15
Aesthetics, Philosophy and History in Benedetto Croce ( Napoli 2000, pp. 67-93 ); e A Joycean
Scrapbook, compiled by Katherine Mc Shawy, National Library of Ireland, 2004.
Ma la quistione era ben più complessa, come si è tentato di chiarire nei precedenti paragrafi critico-
bibliografici e nel carteggio con Luigi Schenoni, inarreso interprete della “Veglia” ( anche con gli
interventi per la serie Joyce Sudies in Italy, Roma 1984-2002 , fino a The Benstock Library as a
Mirror pf Joyce. Edited by Rosa Maria Bollettieri Bosinelli e Franca Ruggieri, ma già ispirati da
Giorgio Melchiori ). Nei dintorni della morte di Schenoni ( nato a Bologna nel 1935 – Rosignano
Solvay, alle ore 10 del 18 settembre 2008 ), sono importanti: Richard Davenport-Hines, A Night at
the Majestic, Faber and Faber, London 2006 ( cfr. G. Bernardi, La notte delle stelle per l'ultimo
Proust, “Il Giornale” del 28 agosto 2006 ); Chiara Castaldi, Si è spento il traduttore del Finnegans
di Joyce – Morto Schenoni traduttore di James Joyce, “Il Tirreno”, anno 132, n. 285, 15 ottobre
2008; Giovanni Amodio, Luigi Schenoni: il grande traduttore del 'Finnegans Wake' di Joyce,
“Meridiano Sud”, 19 settembre 2008; Grazia Lodeserto espone alla Università RomaTRE,
“Meridiano Sud”e “TarantOggi” del 31 gennaio 2009; Alessandra Farkas, E Beckett bocciò Darwin
e Proust: 'Immondizia', “Corriere della Sera” del 7 marzo 2009; Giulio Busi, Il profeta creato da
James Joyce, “Il Sole 24 Ore”, 27 luglio 2008; Giovanni Pacchiano, Crémieux e Joyce.'Il primo
della classe', Lettera al Direttore del “Corriere della Sera”, 10 agosto 2008, in risposta alle
pedantesche 'note' di Franco Cordelli, ivi, 30 luglio e 1° agosto 2008; Aridea Fezzi Price, Joyce
esplora le tortuosità del matrimonio, “Il Giornale”, da Londra, 28 agosto 2006; Giovanni Mariotti,
L'immigrato Joyce, “Corriere della Sera”, 2 febbraio 2008; Mario Baudino, Irlanda: il pozzo di San
Joyce, “Corriere della Sera-Cultura e Spettacoli”, 29 giugno 2008 ( sul Convegno Triestino del
giugno-luglio coordinato da John Mc Court ); Paolo Bracalini, “Il web è come la Dublino di
Joyce”, “Corriere della Sera”, 2 giugno 2009 ( intervista a Giulio Minghini, autore parigino di
Fake); Filippo Maria Battaglia, Nelle osterie di Joyce trasudano gola e sensualità, “Liberal Estate”,
15 agosto 2009, pag. IV; Quando Nabokov si divertiva a stroncare Joyce, “Libero”, 16 giugno 2009
( “Si celebra il Bloomsday” ); Giuseppe Scaraffia, Proust a cena con Joyce, “Il Sole 24 Ore”, 27
settembre 2009, p. 32 ('Letture'); Luigi Mascheroni, Maledetto Joyce, ci hai lasciati senza parole –
Tradurre l'intraducibile, “Il Giornale” - “Album”, 29 gennaio 2011; Beckett contro Proust,
“Repubblica”- Cultura, 6 ottobre 2011; Grazia Lodeserto ricorda Ken Monaghan, nipote di Joyce,
“Arte e Cultura” a cura di Giovanni Amodio, Taranto, 8 ottobre 2010; Grazia Lodeserto e i suoi
quadri ispirati a Joyce, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 11 febbraio 2011 ( sintesi della produzione
poetica e pittorica, nell'arco dalle Quattro stagioni di Vivaldi alle quattro stazioni della vita di Joyce,
Dublino-Trieste-Zurigo-Parigi, e all' età di vita di ciascun uomo ); Nadia Fusini, Se amate le parole
rileggete Joyce. Una nuova traduzione del 'Finnegans Wake', “La Repubblica” - Cultura, 10
maggio 2011, p. 60; Elena Meli, La vita di Joyce: un'odissea da uno specialista all'altro – Pier
Francesco Borgia, Il 'Bloomsday''. Sfida su Twitter: condensare l'Ulisse di Joyce in 500 battute,
“Corriere della sera”, 22 maggio 2011; Dublino.A spasso in città sulle orme di Joyce, “Wemag”,
Weekly Magazine Taranto, III/8, 4 marzo 2011; Giorgio Pressburger, “Kafka Cervantes Joyce, gli
autori 'pesanti' sono i veri umoristi”, “Il Giornale”, Domenica 9 aprile 2017, p. 28; Stefano
Bartezzaghi, James Joyce, viaggio al termine del Novecento, “Repubblica-Venerdì”, 13 gennaio
2017 ( segnalazione della 'versione', curata da Enrico Terrinoni, di Finnegans Wake, Libro terzo, I-
II, Milano 2017 ).
Proprio Terrinoni nella prefazione Ostregatto, ora ho capeto! ,pp. XXXVIII-XL in: VII-LVII della
procecuzione ermeneutica al lavoro di Schenoni, dà risalto al Vico: “Finnegans Wake è diviso in
quattro libri che corrispondono alle tre età di Giambattista Vico ( Dèi, Eroi, Uomini ) con l'aggiunta
di un breve periodo di 'ricorso' preparatorio al nuovo inizio del ciclo”, “sebbene qualche studioso
tenda talvolta a sminuirne l'importanza” ( citando Giuseppe Cospito e Antonio Gurrado, Leggere 16
Joyce con le lenti di Vico, “Il Confronto letterario”, 66, Ibis, Pavia-Como 2016 ); e commenta
adeguatamente the four verilatest del testo. “Le quattro veritates sono anche le quattro last things
ricordate nel Portrait: la morte, il giudizio, il paradiso e l'inferno. Il quattro è un numero importante
per il Wake: all'accusa di usare trivial strategies, Joyce rispose che erano certo trivial ma senz'altro
anche quadrivial, alludendo alle arti del quadrivium, ai quattro sensi dell'interpretazione spiegati da
Dante nella Epistola a Cangrande, e anche alle four-letter words. Quattro sono pure le epoche del
sistema ciclico di Vico” ( p. 246 delle “Note di commento” ).
Invero, non si possono – qui – non ricordare: Giorgio Tagliacozzo ( a cura di ), Giambattista Vico.
An International Symposium, The John Hopkins Press, Baltimore 1969; Resumen de Ponencias.
Riassunto delle relazioni. Atti del Convegno Internazionale “Vico e la cultura europea”, Sevilla 4-9
ottobre 1999, 'La Città del sole', Napoli 1999 ( segnatamente i saggi di Alain Pons, Fulvio Tessitore,
Donald Ph. Verene e Andrea Battistini, George Pinton e Gustavo Costa ); Attila Faj, Vico e Joyce,
“Lettera Internazionale”, 5/20, Primavera 1989, pp. 39-42; AA. VV.,Vico e Joyce, Convegno
Internazionale della Fondazione “Giorgio Cini”, Venezia 1984; Donald Phillip Verene, La filosofia
e il ritorno alla conoscenza di sé, ed. it. a cura di Vincenzo Pepe, Vivarium, Napoli 2003; Sandra
Rudnick Luft, Vico's Uncanny Humanism, “Reading the 'New Science' between Modern and
Postmodern”, Cornell University Press, Ithaca and London 2003, passim; Alain Pons, Prudence and
Providence: The 'Pratica della Scienza Nuova' and the problem of theory and practice in Vico, in
Giambattista Vico' Science of Humanity, Baltimore and London 1976, pp. 431-448 e Présentation a
Giambattista Vico, La Science Nouvelle 1744, L'Esprit de la cité, Fayard, Paris 2001, pp. I-XXIII;
Barbara DiBernard, Alchemy and 'Finnegans Wake', State University of New York Press, Albany
1980; Giuseppe Brescia, C'era Croce nell' 'Ulisse' di Joyce, “Corriere della Sera”, 25 gennaio 2003;
Joyce dopo Joyce, L'Arte Tipografica, Napoli 2004, pp. 41-50; “Atti” dei Corsi di Formazione del
Liceo Classico 'Carlo Troya', Andria 2003; Tra Vico e Joyce, cit., Laterza, Bari 2006; Il senso del
celeste e i princìpi vichiani in James Joyce, in “Filosofia e nuovi sentieri”, 2 novembre 2014 e in
Italo Calvino e Andria. Variazioni del senso del celeste, Andria 2016, pp. 41-51.
In effetti, l'alternativa che i giovani poeti o estetologi modernisti ( Joyce, Beckett, Eliot ) avevano di
fronte era: credere ancora a Dante e alla pregiata dottrina dei quattro sensi delle scritture ( dunque
alla significatività della 'allegoria', scaturiente dal 'senso letterale' ), ovvero spostarsi nell'orizzonte
della pur discussa e controversa, ma rivoluzionaria e splendente, 'modernità', vichiana, flaubertiana,
baudelairiana ed infine – esponenzialmente – 'crociana', della invalidazione dell' allegorismo, lungo
un tragitto che andava dalla 'Poesia di Dante' del '21 sino alle chiose beckettiane giovanili e ai
risvolti radicalmente negativi del meno giovane drammaturgo e uomo civile? Il paradigma della
'quaternità' inquadrava bene il problema: perché in esso paradigma tutto ancora va a confluire,
ricomponendosi magistralmente: la teoria dei sensi e sovrasensi in Dante; le tre età vichiane, con il
quarto momento del 'ricorso'; le quattro forme dello spirito umano in Croce; il 'passaggio' tra le
quattro età, o 'forme', che risulta saldarsi sia strutturalmente ( nel 'sistema' ) sia temporalmente ( nel
'ricominciamento', pur sempre possibile come traversata difficile di tutta la storia personale e
cosmica, anche dopo la 'barbarie riflessa' - si badi -, che è tragica e scopre il baratro del 'declino
delle nazioni' in Vico maturo, e che è altra cosa rispetto alla 'barbarie' del senso, lucidamente
ragionata in polemica pedagogica anticartesiana dal primo Vico, con le 'orazioni inaugurali' e la
dissertazione De nostri temporis studiorum ratione ). Senza dire dei molteplici, pluri-prospettici,
riferimenti al 'quaternium', spalancantisi alla mente geniale di Joyce dentro la toponomastica e la
memoria storica dublinese e irlandese ( sino ai modi di dire, personaggi, quattro evangelisti, e via ).
Per non ripetere il già detto, vediamo meglio alle origini, e cioè proprio in Dante, la quistione.
Il rapporto tra senso letterale, 'primario', e senso 'secondario', allegorico, ma che si apre altresì nel
senso morale e in quello anagogico, si dispone giusto nello schema 'trifoglio-quadrifoglio', nel 17
Convivio Libro secondo, al Capitolo I: “ E in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare
innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile
ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico. E' impossibile, però che in
ciascuna cosa che ha dentro e di fuori, è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di
fuori: onde, con ciò sia cosa che ne le scritture la litterale sentenza sia sempre lo di fuori,
impossibile è venire a l'altre, massimamente a l'allegorica, senza prima venire a la litterale”.
Per il senso morale, Dante intende “quello che li lettori deono intentamente andare appostando per
le scritture, ad utilitate di loro e di loro discenti: sì come appostare si può ne lo Evangelio, quando
Cristo salio lo monte per transfigurarsi, che de li dodici Apostoli menò seco li tre; in che
moralmente si può intendere che a le secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia”. Infine,
con lo stesso esempio biblico addotto nella lettera a Cangrande, Dante illustra il quarto senso: “Lo
quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una
scrittura, la quale ancora sia vera eziandio nel senso letterale, per le cose significate significa de le
superne cose de l'etternal gloria, sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne
l'uscita del popolo d'Israel d'Egitto, Giudea è fatta santa e libera”. Quindi, il senso letterale è lo
'stelo'; l'allegorico, 'massimamente', si apre sulla sua base; dilatandosi poi negli altri due 'gambi',
superiori ma successivi, del morale e dell'anagogico, detto anche 'sovrasenso' o spirituale. Nel
paragrafo 14 dell' Epistola XIII: “Sicut dicit Philosophus in secundo Metaphysicorum: 'Sicut res se
habet ad esse, sic se habet ad veritatem'; cuius ratio est, quia veritas de re, que in veritate consistit
tanquam in subiecto, est similitudo perfecta rei sicut est”. Che suona: “Come dice il Filosofo
Aristotele nel libro secondo della Metafisica, ' nel modo in cui ogni cosa sta in rapporto all'essere,
allo stesso modo sta in rapporto alla verità'; il che vale che la verità di una cosa, che risiede nella
verità in quanto soggetto, consiste nella perfetta somiglianza con la cosa in quanto è”. E nei
paragrafi 20-22 della Epistula, di oramai consolidata ed autentica attribuzione, nonostante la
querelle filologica, Dante chiarisce ancora: “Ad evidentiam itaque dicendorum, sciendum est quod
istius operis non est simplex sensus, ymo dici potest polysemos, hoc est plurium sensuum; nam
primus sensus est qui habetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et
primus dicitur litteralis, secundus vero allegoricus, sive moralis, sive anagogicus. - Qui modus
tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis versibus: “In exitu Israel de Egypto, domus
Iacob de populo barbaro, facta est Iudea sanctificatio eius, Israel potestas eius”. Nam si ad litteram
solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Egypto, tempore Moysis; si ad
allegoriam, nobis significatur nostra redemptio facta per Christum; si ad moral sensum, significatur
nobis conversio anime de luctu et miseria peccati ad statum gratie; si ad anagogicum, significatur
exitus anime sancte ab huius corruptionis servitute ad eterne glorie libertatem. - Et quamquam isti
sensus mystici variis appellentur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici, cum sint a
litterali sive historiali diversi. Nam allegoria dicitur ab 'alleon' grece, quod in latinum dicitur
'alienum', sive 'diversum' “. “All'uscita di Israele dall'Egitto, e della casa di Giacobbe da un popolo
barbaro, la Giudea diventò il suo santuario, ed Israele la sua proprietà”, ripreso in senso allegorico
( per la condizione degli spiriti giunti alla spiaggetta del Purgatorio ) e anagogico ( per la situazione
del pellegrino Dante, che, liberatosi della schiavitù del peccato, si dispone a recuperare lo stato di
grazia ) nel canto secondo (vv. 46-48) della seconda cantica, diventa dunque il testo emblematico
per la individuazione dei sensi simbolici, come l'allegorico ( 'nostra redenzione operata per mezzo
di Cristo' ), morale ( 'conversione dell'anima dalle miserie e dal peccato nello stato di grazia' ) e
spirituale o anagogico ( come 'l'uscita dell'anima santificata dalla schiavitù della condizione terrena
alla libertà della gloria eterna' ). Ma il 'rapporto modale' nei confronti dell'essere ( detto dal
'Filosofo' ), come si struttura ? Non lo possiamo negare, tale rapporto( Croce, Beckett ); lo
possiamo ripensare ( Joyce ). Ecco il punto: e lo chiarisce l'immagine del trifoglio-quadrifoglio.
18
Se il senso letterale si assume per lo stelo, basilare e ineliminabile, e l'allegorico è la prima
efflorescenza 'necessaria' ( come detta Dante ), mentre gli altri due sensi si diramano verso l'alto;
ebbene, si costituisce lo stemma del 'trifoglio'. Se i quattro sensi si dispongono comunque a
raggiera, pur derivando i tre “mistici” sensi dal “letterale”, che serba la primaria importanza, si
costituisce il 'quadrifoglio', simbolo dell'Irlanda. Insomma, è il tema del 'vitale', mutato il dovuto,
nell'ultimo Croce: è quest'accento tellurico lo stelo su cui si ergono le tre categorie classiche del
bello, del vero e del buono; oppure, come categoria dell'utile, il 'vitale' sopravvive ancora nello
stemma della 'quadripartizione' spirituale ( Estetica e Logica, Economica ed Etica )? Modularmente,
certo, è lo stesso problema audacemente affrontato dallo Jung – Jung amato-odiato da Joyce – nel
Mysterium coniunctionis, a proposito delle tante possibili trasformazioni alchemiche di 'ternium' e
'quaternium' ( ed. di Torino 1991, Cap. I. L'unione degli opposti, e poi pp. 100-101 ). Dove Jung
raffronta lo schema ternario alchemico: 'Inizio-Sviluppo-Mèta' ovvero 'Origine-Mercurio', 'Sol et
Luna' e 'Filius-Mercurius', con lo schema ternario cristiano: 'Padre-Figlio-Spirito Santo' ( pur con le
interne variazioni ); e vede bene la 'polarità degli opposti' articolarsi per 'quaternità'. Da parte sua, il
teologo e filosofo Pavel Florenskj, segnatamente in La colonna e il fondamento della verità( ed. it.,
Milano 1988; Giuseppe Brescia, A proposito della Chiesa, 'peccatrice santa', in Del vitale, Laterza,
Bari 2010, pp. 63-72 ), vede il 'compimento della trinità' nel 'tetramorfo', ossia nel ruolo di Maria, la
'Sophia' della intensa religiosità ortodossa della 'icona', come virtù della 'intercessione' e della
'caritas'. Maria ha un altissimo ruolo 'modale'. E il 'quarto' costituisce una forma di primato 'morale'
dell'etica, si è indotti - a questo punto – a compendiare il senso del percorso quaternario o trinario-
quaternario, a guisa di 'colpo d'occhio'.
La 'moralità' è, infatti, categoria guida nel Croce del 1938; così come la 'vitalità', essa è “modo
categoriale” nell'ultimo Croce. La Sophia è “quarta ipostasi della verità”, in Florenskj. Il “Ricorso”,
per evitare il declino delle nazioni e restaurare il “senso comune”, è ben parlante nel Vico di Pratica
di questa scienza 1725 e 1731 e poi, per fermare la “barbarie della riflessione”, nella chiusa della
Scienza Nuova seconda del 1744. L'amore per il “figlio”, o ”figlia”, sostiene la gran selva onirica,
linguistica, etimologica e metafisica di Finnegans Wake, al 4° Libro; e la ricerca del 'padre' Leopold
da parte di Telemaco in Ulysses del 1922. Ebbene sì, Joyce, come con lo stemma 'trifoglio-
quadrifoglio', come il gatto del mito irlandese che nel canto popolare acchiappa il più alto numero
di significati possibili; così, il veggente – non vedente Joyce accetta la sfida, ricomponendo i
'quattro sensi delle scritture', la dicotomia allegoria-poesia, la polisemìa infinita, con le architetture
della modernità ( Vico, Baudelaire e Croce ). E ci indica la nuova strada, che ripiglia in modi nuovi
l'antica. Il “quadrivio” è il “quaternium”. Così, Joyce non radicalizza, ancora,l'antitesi di poesia e
allegoria; ma latemporalizza. E la temporalizza, come fa per il 'momento culminante' del dramma,
vuoi nell' Ulysses( allorché si sofferma sull'addio tra Bloom e Telemaco, nel modo della
sospensione narrativa, dettata dalla cicatrice di Ulisse nel XIX° della Odissea ); vuoi nell'orgia
linguistica finale di Finnegans Wake. Noteremo ancora che, certo, è di Joyce il foglio triestino
“Chi”, allorché cita poeticamente alla ventesima paginetta l'inventore della chitarra rinascimentale
John Dowland e la sua languida canzone ( 'languid song' ), Restìo all'addio: 'anch'io restìo al
distacco' ( 'Loth to depart': “I too am loth to go”: cfr. Fogli triestini. Giacomo Joyce. La guerra, a
cura di Claudia Corti e Renzo S. Crivelli, Pacini, Pisa 2007, pp. 98-102; G. Pinguentini, James
Joyce in Italia , Verona 1963; Lia Guerra, Interpreting James Joyce's Dubliners. An Experiment in
Methods, Udine, Campanotto, 1992; Vicki Mahaffey, States of desire: Wilde, Yeats, Joyce and the
Irish Experiment, Oxford University Press 1998; Claudia Corti, Esuli. Dramma, Psicodramma,
Metadramma, Pacini, Pisa, “Joyciana”, 2007 ). Segno che il Joyce stava incubando il finale
'sinfonico' ispirato al fermar il tempo, 'restìo all'addio', tra Leopold e Telemaco, figura 'paterna' e
'filiale', di Ulysses. Il bello è che – tornando per un attimo alle fonti – anche padre Dante, navigando
a proposito dei sensi delle Scritture e della propria “alta Comedìa”, per spiegare il valore del titolo, 19
nel trentesimo capo dell' Epistola a Cangrande, aveva intuito come anche la commedia, alla stregua
della tragedia, conquisti alle volte un ritmo più alto, culminante, vissuto di tempo.”Comedia vero
inchoat asperitatem alicuius rei, sed eius materia prospere terminatur, ut patet per Terentium in suis
comediis. Et hinc consueverunt dictatores quidam in suis salutationisbus dicere loco salutis,
'tragicum principium, et comicum finem'. Similiter differunt in modo loquendi: elate et sublime
tragedia; comedia vero remisse et humiliter; sicut vult Oratius in sua Poetria, ubi licentiat
aliquando comicos ut tragedos loqui, et sic e converso: Interdum tamen et vocem comedia tollit, /
Iratusque Chremes tumido delitigat ore; / Et tragicus plerumque dolet sermone pedestri / Telephus
et Peleus etc.” Val a dire: “Come vuole Oratio nella sua Ars poetica, ove ammette a volte che i
poeti comici parlino alla stessa guisa dei tragici, e così viceversa: Ma qualche volta anche la
commedia si alza di tono, e Cremete irato rimbrotta con linguaggio tumido; mentre, invece, Telefo
e Peleo si dolgono con discorsi pedestri, e via” ( mie le sottolineature nei molteplici testi ).
Vero è che Dante nella Epistola a Cangrande ripiglia l'Epistola ai Pisoni di Orazio, a sua volta
debitrice verso la Poetica aristotelica, e intende perciò sul piano della “elocuzione” il raffronto
tragedia – commedia; ma è altresì vero che – dicendo “tamen et vocem comedia tollit” - scolpisce
un disegno 'temporale', che chiamo principio di 'catarsi comica', al fianco del classico principio di
'catarsi tragica' nel mio Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana ( Lacaita,
Manduria 1984, ai capitoli 'Teoria del Tragico' e Teoria del comico' della Parte terza, con rinvio al
Socrate del dialogo platonico Convito sulla equipollenza ritmica di commedia e tragedia, alla
restituzione del secondo libro della Poetica contenuta nel Tractatus Coislinianus, ai molti studi di
estetica antica di Augusto Rostagni e Manara Valgimigli,ed agli esempi tratti da Shakespeare
Goldoni e Pirandello: il fazzoletto di Desdemona, il ferro da stiro di Mirandolina, la giara e via ).
“Socrate li sforzava a convenire che s'appartiene allo stesso uomo il saper comporre tragedie e
commedie, e chi per virtù d'arte è poeta tragico, dev'essere anche poeta comico” ( Platone,Tutte le
opere, ed. Martini, Sansoni, Firenze 1974, p. 457; Giuseppe Brescia, Sul testo e la fortuna della
'Poetica'.Note di critica aristotelica, SPES, Milazzo 1984 ).
6. Psicologia analitica
Carl Gustav Jung, Problèmes de l'ame moderne, Paris 1961; Opere.Vol. 10. Civiltà in transizione. Il
periodo tra le due guerre, ed. it., Boringhieri, Torino 1970; Vol. 11. Psicologia e religione, ed. it.,
Torino 1979 e 1992; vol. 14. Mysterium coniunctionis. Ricerche sulla seprazioni e composizione
degli opposti psichici nell'alchimia, ed. it., Torino 1989.
Sul “Libro dei morti”, egizio e tibetano, noto a Joyce, vedasi, in particolare, Psicologia e religione,
cit., pp. 524 e 524-565. Nella Risposta a Giobbe, che è del 1952, cfr. la “dialettica degli opposti” in
Dio e il “Luciferi vires accendit Aquarius” ( l'Anticristo ), ivi, alle pp. 384 sgg. e, in special modo,
400-455; come nel saggio Bene e male nella psicologia analitica, alle pp. 469-481, le profonde note
su “luce e ombra”, a proposito della impronta della tonalità affettiva, della “dialettica delle
passioni” e della “cosa giusta al momento giusto e nel posto giusto”, hic et nunc.
Luigi Schenoni ricorda l'orientalista inglese Sir E. A. T. Budge ( 1857-1934 ), a proposito del
Capitolo del “Libro dei morti”, sul “non venire scottati dall'acqua” e per “l'andare avanti di giorno”
( “The Chapter of not being Scalded with Water” e “The Chapter of Going Forth by Day” ); fino al
mito di Osiris Ra, trionfante, che dice: “ Ho eseguito su di te tutte le cose che la compagnia degli
dèi ha ordinato nei tuoi riguardi circa la questione dell'opera della tua strage. Va indietro, tu,
abominio di Osiride.. Ti riconosco.. O tu che vieni senza essere invocato, e di cui il momento
dell'arrivo è ignoto” ( Finnegans Wake. Libro Primo. I-IV, Milano 1975 e 1982, alle pp. 146-147
dei puntigliosi Glossari ). Al momento della 'reinterpretazione della “Veglia” da parte dell'amico
benemerito Luigi Schenoni, eran già stati pubblicati: Jackson I. Cope, From Egyptian Rubbish- 20
Heaps to 'Finnegns Wake'. Ancient EgyptianThemes Initiated on the First Pge of 'Finnegans Wake',
“Studia Neophilologica, 47, II (1975), pp. 353-373.
Sulla “memoria mummificata” di Anna Livia, quasi alla fine della gran “Wake”, “in memoria di
me” ( Mememormee), con interna ed ulteriore allusione a Mem, la “m” in ebraico, ma anche “un
simbolo egizio fatto da piccole onde a indicar acqua mossa, in movimento”, vedasi Enrico Terrinoni
( che riprende un punto di Francesco Marroni ), nella sua Introduzione. 'Ostregotta, ora ho capeto' ,
Finnegans Wake. Libro Terzo. Capitoli 1 e 2, Milano 2017, pp. LVI-LVII. Insomma, si tratta di
“archetipi”, in senso junghiano, “universali che si liberano e si districano”, ( “Unravelling
Universals”, come piace all'esegeta Finn Fordham ), sulla scorta del mio “Quaternità e Fiume del
Tempo”, o delle “perle miste a di molta arena” ( a detta del giovane Croce, a proposito del Viaggio
in Italia di Wolfgang Goethe ). Intuizione archetipale, di cui appunto Jung era il 'maestro'; a
corroborare l'impianto ermeneutico dell'incontro-scontro, prima vitale poi metodologico, con James
Joyce. Infatti, la “critica vermicolare” di Jung a Ulysses era stata spietata, senza attenuanti né veli
( v. il mio Tra Vico e Joyce, Laterza, Bri 2006, cit., Parte Prima ). E pure, James fu 'indotto' a
consultare il capofila della 'psicologia analitica', nel disperato tentativo di salvare la figlia Lucy
dalle gravi turbe che la ottenebravano: purtroppo non solo senza alcun successo, ma con profonda
'incomprensione' esistenziale.
Non si dimenticno, su questa linea: Christian Gaillard, Le musèe imaginaire de Carl Gustav Jung,
Stock, Paris 1898, pp. 182-191: Romano Madera, Carl Gustav Jung, Bruno Mondadori, Milano
1998; Eugène Minkowski, Verso... ( Lo slancio verso... ), in Filosofia Semantica Psicologia, ed. it.,
Mursia, Milano 1968, pp. 153-161; Erich Fromm, Escape from Freedom, Holt Rinehart and
Winston, New York 1941 ( in italiano, Fuga dalla Libertà, Comunità, Milano 1960 ) ; Il linguaggio
dimenticato ( ed. it., Milano 1973 ) e Anatomia della distruttività umana ( ed. it., Milano 1975 );
con Giuseppe Brescia, Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana, Lacaita,
Manduria-Roma 1984; Armando Rigolbello, Pensare il profondo ed amare il più vivo, in
Autenticità nella differenza, Ed. Studium, Roma 1989, pp. 133-144; Aldo Carotenuto, Eros e
Pathos, Bompiani, Milano 1987; e, soprattutto, ai fini della nostra ricostruzione ermeneutica, Carol
Loeb Schloss, Lucia Joyce. To Dance in the Wake, Bloomsbury Publishing PLC, 2005; Eugenio
Borgna, Le prole che ci salvano, Einaudi, Torino 2016; Paolo Bartolini, La vocazione terapeutica
della filosofia. Cura del senso e critica radicale, Mimesis, Milano 2016; sino a John Maxwell
Coetzee e Arabella Kurtz, La buona storia. Conversazioni su verità, finzione e psicoterapia,
Einaudi, Torino 2017.
7. Toponomastica e memoria storica irlandese
Straordinaria è la insistenza della cultura italiana nella toponomastica e nella storia irlandese. La
“Vico Road”, a Dalkley, partendo dalla “Sorrento Road” e descrivendo il promontorio, dominante
dall'alto la baia con una passeggiata sempre invitante tra i venti minuti e i trenta ( il che dipende
anche dalla maggiore o minor lena del visitatore ), ripete il circolo sinuoso dell'ultimo periodo di
Finnegans Wake, confluente nel primo. A Nicola di Myra sono dedicate molte chiese da Dublino in
su, e fino a Galway, la città di Nora Barnacle. Si apre, così, la strada all' “archivio di Dalkley”.
Flann 'O Brien, L'archivio di Dalkley( 1964 ), trad. it., Adelphi, Milano 1995.
Martin Wallace, Famous Irish Writers, Appletree Guide, Belfast 1995.
Ici Dublin, Dublin 1994, pp. 5-87 ( su Sandicove, Dalkley e la Vico Road, “comparée à la baia de
Naples”, nella descrizione ammirativa ).
Vivien Igoe, James Joyce's Dublin Houses, Wolf Hound Press, Dublin 1997. 21
Robert M. Chapple, A Guide to St. Nicholas' Collegiate Church Galway, Galway 1996; “Volgendo
l'oscurità alla luce”, Biblioteca del Trinity College, Dublino 2000 ( Pangur Bàn: “Io ed il mio gatto
Pangur Bàn / lo stesso compito eseguiam: / lui a caccia di topi lieto corre intorno / io a caccia di
parole sto seduto notte e giorno” ).
John McCourt, Dubliners, Loffredo, Napoli 1998 ( “A Selection” con Introduzione di Francesca
Romana Paci, Pianta di Dublino ai tempi di Joyce e ritratto di Joyce ).
Sergio Perosa, Nelle viscere dell'Irlanda (“Un romanzo di Seamus Deane”), “Corriere della Sera” -
Elzeviro, 3 settembre 1998.
Robert Nicholson, The Ulysses Guide, New Island 2002.
G. O. Simms, The Book of Kells, Colin Smynthe, Trinity College, Dublin 2002.
Continente Irlanda, a cura di Carla De Petris e Maria Stella Carocci, Roma 2001 ( 'Storia-Parole-
Scenari-Scritture-Commiato' ); Simonetta De Filippis, “Itinerari”, Pescara 1-2, 2003.
“James Joyce. Bloomsday Magazine”, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 a seguire, sempre a cura
del “James Joyce Center”.
Luigi Quaranta, San Nicola non può parlare (solo) in dialetto, “Corriere della Sera” - “Corriere del
Mezzogiorno”, 5 dicembre 2002; “Il professore Hickey In Puglia”, “Corriere della Sera” - “Corriere
del Mezzogiorno”, 3 novembre 2002. Luigi Sampietro, Confessioni a orologeria (A proposito de “Il
seme inquieto” di Anthony Burgess) , “Il Sole 24 Ore” - Domenica 10 novembre 2002.
Bartholomew Gill, L'assassino ha letto Joyce ?, ed. it., Sylvestre Bonnard, Milano 2003.
Claudio Magris, Con Banville nella selva oscura dell'esistenza ( Sul romanzo “La spiegazione dei
fatti” ), “Corriere della Sera”- Terza Pagina, 24 gennaio 2003; John Banville, Eclisse (2000), ed. it.,
Guanda, Parma 2002.
Renato Bertacchini, Il 'magico' Yeats brindò al Nobel con due salsicce( Sul 'Meridiano' del poeta
irlandese, edito dalla Mondadori ), “Libero” - Cultura, 7 gennaio 2006, p. 25.
Franco Pelliccioni, Nella 'Jeanie Johnston' il simbolo di un tragico capitolo della storia
irlandese( sull'ormeggio del veliero alla sponda sinistra del fiume Liffey nella 'Grande Carestia' del
1845-1849), “L'Osservatore Romano”, 7 febbraio 2007, Terza Pagina.
Franco Cordelli, Per Joyce, l'eroe intellettuale( per la letturea dell 'Ulysses' e poi 'Finnegans Wake',
da parte dell'attrice Anna Paola Vellaccio ), “Corriere della Sera” - Spettacoli, Domenica 22 giugno
2008; Diana Del Monte, L' innominabile' arte di essere Beckett, “Liberal”, 3 marzo 2010.
Giuseppe Brescia, Il mito e l'universale concreto: ancora da Dublino a Galway; La Chiesa
collegiata di San Nicola a Galway;La Torre Martello a Sandycove e le torri di De Chirico, in Joyce
dopo Joyce, L'Arte Tipografica, Napoli 2004, pp. 107-125; Giuseppe Brescia, Bassani e Joyce, in
“Il caro, il dolce, il 'pio' passato”. Bassani e la memoria, Laterza, Bari 2009, pp. 11-13.
8. Nino Frank e Nicola Pàstina
“Latinami ciò, laureata di Cuneo, da lingua aveta in gargarigliano”, così traduce James Joyce –
Nino Frank il passo di Finnegans Wake( 215, 26-27, rr. 223-224 ), oggetto di plurime attenzioni:
“Latin me, that, my trinity scholard, out of eure sanscreed into our eryan”. Anna Maria Bollettieri
Bosinelli lo reca come esempio significativo di un “autore/traduttore completamente determinato a 22
riscriversi in un'altra lingua”. E spiega: “L'atteggiamento irrisorio della cultura classica ammuffita
dall'accademia fa scomparire il Trinity College di Dublino per rimpiazzarlo con un'improbabile
'laureata di Cuneo' ( anche qui l'ironia derogatoria femminilizza l'ambiguo 'scholar' dell'originale ),
si introduce un fiume (garigliano ), scompare l'Irlanda ( Eire/eryan), e la trinità, e delle lingue
evocate nell'originale si salva il latino, ma non c'è traccia di sanscrito ('sanscreed') con il
conseguente gioco di parole sulla mancanza di fede ( 'sans creed', senza credo ) né di ariano
( 'eryan' ), sostituito da un inventato dialetto locale pugliese ( Gargano ), storpiatura gorgogliante
( come si conviene a un contesto fluviale ) di una non meglio identificata lingua ancestrale ( lingua
aveta )” : cfr. Anna Livia Plurabelle, Torino 1996, p. 63 e Giuseppe Brescia, Joyce dopo Joyce,
L'Arte Tipografica, Napoli 2004, pp. 69-76. La Bollettieri indora la pillola, correggendo la netta
interpretazione sessuale esibita da Umberto Eco, che definisce lettura “ricca di doppi sensi”,
riportando l'attenzione sul naturale sfondo ambientale e paesistico della personale reinterpretazione
del meridionale e barlettano Nino Frank ( Garigliano; Gargano ); e, di conseguenza,. sulla centralità
epistemologica del passo reso in nostra lingua da altri importanti esegeti. Si tratta della stessa
pagina che in dieci righe sintetizza un millennio di “metafisica del tempo”, e qui cade opportuno
rievocare: “Ma lascia, era una stramba duenna, quell' Anna Livia, zampolona. Sacco di secoli che
mi rallegri. E sempresia. Ordovico e viricordo. Anna fu, Livia è, Plurabella sarà. La sforza di Dio fe'
l'urbe ad uomo, ma quinquecuente pluraglie ne fe' caduno. Latinami ciò, laureata di Cuneo, da
lingua aveta in gargarigliano. Hircus Civis Eblanensis !Ebbe mamme da becco, e molli per orfani.
Toh Signore! Del seno gemelli. Dio ci liberi! E oh! Eh? Ciò che ognomo. Osa? Le ridacchianti
figlie di Orva? “ (Anna Livia Plurabelle, Crosby Cage, New York 1928; “Nouvelle Revue
Française”, XIX, 1931, n. 32; Ed. it., cit., Torino 1996, pp. 26-28 ). Dove il barlettano Nino Frank
mette del suo, alludendo alle spie fasciste dell' OVRA e all'esperienza parigina del giornale satirico
“Becco Giallo”. Il Frank, nato nella cittadina pugliese il 27 giugno 1904 e deceduto il 17 agosto
1988 a Parigi ( nel cui cimitero di Montparnasse è sepolto ), prediletto da Joyce per il sincronismo
della data di nascita con i destini della sua stessa vita ( il “1904” ), aveva infatti collaborato al
giornale fondato da Alberto Giannini nel 1924, caporedattore essendone Eugenio Guarino e – nella
Nuova Serie che durò dal 1° agosto 1927 all'agosto 1931 – condirettore Alberto Cianca. Alla Prima
Serie collaborarono, con il Frank, Adriano Tilgher, Corrado Alvaro, Roberto Bencivenga, Giuseppe
De Falco, Eugenio Giovannetti, Augusto Camerini, Gabriele Galantara ( “Rata-Longa”, come
pseudonimo ) e Tullio Gramantieri, passati in parte al giornale altrettanto satirico “Marc'Aurelio”,
con la sopravvenuta chiusura disposta per censura del “Becco Giallo” da parte del regime fascistico
( il 1926 ). Ciò spiega le allusioni del Frank, che fa propria la “lettura” del celebre passo di “Anna
Livia”, almeno altrettanto sentitamente dello stesso Joyce. Va notato che tra i finanziatori della
Seconda Serie erano il socialista riformista Filippo Turati e l'industriale italo-argentino Tullio Di
Tella, con la “Concentrazione antifascista” e – poi- “Giustizia e Libertà”, finché contrasti tra Carlo
Rosselli e il direttore Giannini portarono alla chiusura della rivista ( dopo 77 numeri ). Nino Frank
va ricordato per la poliedricità degli interessi, in quanto sia collaboratore della rivista “900”.
Cahiers d'Italie et d'Europe, con il Bontempelli, e di “Bifur” (1929-1931: ristampata da Jean-
Michel Place, Paris 1976, in 2 voll.), sia in quanto coniatore dell'espressione “film noir” ( a
proposito di “Il mistero del falco” ) e collaboratore del “Dizionario Biografico degli Italiani”
( Roma 1964, 6° vol., alle pp. 369-372, per il profilo di Bruno Barllli, scrittore di aforismi ). Ma il
Frank è presente anche nei carteggi di Eugenio Montale e letterati del suo tempo, come punto di
riferimento significativo, fino ai volumi di prosa autobiografica Mémoire brisée( Calman -Levy,
1967 ); Mémoire brisée. 'Bruit parmi,le vent' ( ivi 1968: Anedoctiques ); e lo Ecrit sur la sable ( due
anni dopo ). L'interesse del “Becco Giallo” è affermato nella sua riedizione a cura di Oreste Del
Buono e Lietta Tornabuoni ( “Il Becco Giallo, dinamico di opinione pubblica 1924-1931”,
Feltrinelli, Milano 1972 ); per la recensione di Arturo Colombo sul “Corriere della sera” del 20
dicembre 1972; la pubblicazione del Carteggio tra Filippo Turati e Torquato Di Tella (1928-1931) 23
da parte di Bruno Tobia ( “Storia Contemporanea”, Bologna, XVIII/4, agosto 1992, pp. 627-680 );
la raccolta di Andrea Donofrio, El 'Becco Giallo': sàtira en tiempo de fascismo ( in : Antonio
Laguna Platero y José Reig Cruanes, El humor en la historia de la comunicaciòn en Europa y
America, Universidad de Castilla – La Mancha, 2015 ); e, sul piano etico-politico e letterario a un
tempo, intriso di sofferta autobiografia, nei Ricordi di Nino Frank dettati dal crociano e 'azionista'
di Trani Nicola Pàstina ( “L'Osservatorio Politico Letterario”, Milano, XVI/10, 1972, pp. 107-109,
poi in estratto ), che intervenne in una lettera al “Corriere” del 23 dicembre 1972, alla pag. 5, su Il
'becco giallo'. La riporto ora per omaggio al dimenticato scrittore e uomo politico meridionale:
“Ho letto con commozione e non senza malinconia il bell'articolo di Arturo Colombo sul 'Becco
giallo'. Dico con commozione e con malinconia, perché, del complesso giornalistico 'Il Mondo' – 'Il
Risorgimento' – 'Il becco giallo', che aveva gli uffici redazionali e la tipografia in Roma, via della
Mercede 9, un indirizzo diventato rapidamente famoso in quegli anni torbidi, siamo rimasti, dopo la
scomparsa di Giacomo Cabasino Renda e di Mario Vinciguerra, soli superstiti soltanto Giuseppe
Sprovieri, Raffaello Ferruzzi ed io. Quanto ad Alberto Giannini, ritngo che non si debba insistere
troppo su quelle che Arturo Colombo definisce 'le sue contraddizioni'. Giannini fu un giornalista di
razza, coraggioso, battagliero e geniale, sia quando fu redattore capo del Paese dell'on. Ciccotti, sia
quando fondò Il Becco Giallo, di cui fu direttore. Non si passono dimenticare quegli anni così
tempestosi della sua vita ed il valido contributo da lui datro alla disperata battaglia di opposizione al
fascismo. Nicola Pàstina ( Trani)”.Il libro di Nino Frank, “Le bruit parmi le vent”, prevenuto dalla
raccolta di Nicola Pàstina alla Biblioteca “Bovio” di Trani ( segnatura “4-B-2031”), prendendo il
titolo da un verso di Guillaume Apollinaire ( “Les souvenirs sont cors de chasse / dont meurt le
bruit parmi le vent..” ), risulta ancora commovente per la rievocazione della sua città natale,
Barletta, negli anni della prima guerra mondiale, le corse in bicicletta ai tempi del Giro d'Italia, il
'meeting' dell'aviazione e il ritiro dei giornali esteri all'ufficio postale, con l'evocazione di
personaggi di rilievo europeo: “Le vrai sage est celui qui fonde sur le sable, sachant que tout est
vain..” ( “Mon parisien de Naples”, nel capitolo “Une heure d'oubli” ). “La vita di Nino Frank si
svolgeva dunque ben lontana dalla Puglia nativa, in una Parigi caleidoscopica e favolosa, fra gli
splendori di un periodo particolarmente felice; e bisogna dire che la sua conoscenza dei pittori e
scultori, dei poeti, scrittori e giornalisti, non soltanto francesi, ma convenuti colà da tutti i paesi del
mondo, fu così prodigiosamente rapida che gli permise ben presto di scrivere su di essi saggi
interessanti e originali, rievocazioni di fatti ed episodi di vita vissuta, tutta una fioritura ricchissima
e variegata di ricordi e aneddoti riguardanti una vasta galleria di personaggi e figure affascinanti
come Blaise Cendrars, Max Jacob, James Joyce, Isaak Babel, Francis Scott Fitzgerald, Il'jà
Ehrenburg, André Malraux, fino ai nostri Pirandello, Bontempelli, Italo Svevo, Bruno Barilli, De
Chirico, Montale, e tanti altri” ( Nicola Pàstina ).“Ricorda Frank in Mémoire brisée che, per tre
mesi, due volte alla settimana, andava alla casa di Joyce, a lavorare in una stanza senza carattere e
senza ricordi, dove questi lo accoglieva in vestaglia, sdraiato su un divano. In un'atmosfera cupa e
rarefatta, dove le parole di Joyce, lungamente meditate, cadevano come verdetti e diventavano
sempre più rare, più circospette, più lontane. Prima Frank leggeva il testo originale e lo interpretava
a suo modo, poi Joyce interveniva a spiegarglielo, parola per parola, rivelandogli i diversi livelli di
senso e le allusioni alla complessa mitologia della sua Dublino” ( James Joyce, Scritti italiani,
Milano 1979, p. 179, nel contributo della Risset; Anna Maria Bollettieri Bosinelli, A proposito di
'Anna Livia Plurabelle', in op. cit., pp. 52-64 ).
9. La “controra di Barletta” e la “meravigliosa Tebaide” di Croce ( Nino Frank )
“I ricordi sono corni da caccia, di cui muore il rumore nel vento..”: il bel verso di Apollinaire resta
come emblema della “Memoria infranta” ( Mémoire brisée ) del poliedrico spirito europeo di Nino
Frank. A conferma della mia tesi per cui la traduzione Joyce/Frank del passo di Finnegans Wake, 24
detto “Anna Livia Plurabelle”, in cui si cita il “Gargarigliano” non contenga, né si restringa a guisa
di, mera allusione sessuale ( giusta la veduta di Eco ), ma si caratterizza per la nostragica dipintura
paesistica del “Gargano”, citerò tutti i passi dei capitoli Hiver noir: “Par quelle complicité l'enfant
parvient-il à s'y introduire, grimper jusqu'au chemin de ronde, trouver là-haut le coin idéal pour
contempler la mer, libre de tout esquif jusqu'à la pointe du Gargano, au pénitentiaire des ^iles
Tremiti? On le laisse s'aposter là, au milieu des senteurs des figuiers, où les premiers fruits ,
minuscules, naissent dejà. Le Chateau , qui sert de caserme , est naturellement pourvu d'un poste de
défense antiaérienne, mais autonome: nul porte-voix ne peut l'atteindre , dans sa toute puissance”
( pp. 214-215 ); e de “le long couloir de l'Adriatique, qui m' était familier” ( nel capitolo L' éléphant
de Schoenbrunn, alle pp. 70-71 ). Molto bello è anche il ricordo del tranese Giovanni Macchia
(Trani 1912 – Roma 2001), nel capitolo Une heure d'oubli: “S'il existe un successeur d'Albert
Thibaudet, dans sa manière gourmande et toujours surprenante de disséquer oeuvres et parentés,
c'est en Italie qu'il sied de le chercher, et c'est Giovanni Macchia, de qui tout l'oeuvre élégant
d'essayste concerne le lettres françaises” ( pp. 138-139: v. il mio Croce e i comparatisti,
“Osservatorio Letterario Ferrara e Altrove”, XX Anni, Ferrara 2017, pp. 272-276 in: 258-287 e in
“traninews”, rubrica “Tempo e Libertà”, 29 agosto 2016 ). Vero è che Nino Frank riferisce, altresì,
di interpreti e astri nascenti della “intelligenza italiana” a Parigi ( quali Elemire Zolla, Edoardo
Sanguineti e lo stesso Umberto Eco, ivi, alle pp. 139-140 ); ma riesce particolarmente gustoso nel
ritratto della Napoli ai primi decenni del Novecento, con le sue “sfogliatelle”, i suoi vicoli, la
famiglia di attori e artisti De Filippo al completo, il quartiere di Toledo, la “Galleria” e il giornale
“Il Mattino”, “le grand quotidien de la ville” ( pp. 146-147 ). Né vogliamo lasciarne disperder la
“voce” - ancora una volta - “nel vento”, senza soffermarci su due preziosità di storia patria. Le
rievocazione di Barletta alla “controra” è la prima: “Enrico. Commence une nouvelle histoire, dans
la découverte de l'amitié, pour les fous de vélo que nous étions. Folie est le mot: elle s'épanouissait
dès la belle saison venue, qui dure un semestre à cette latitude, jusqu'aux vendanges tardives; et
sourtout au sommet de la courbe, en pleine incendie, à l'heure de le contre-heure, la controra, temps
des siestes. La ville morte, assommée par le ciel; tout, portes, fenestres, boutiques, clos, derrière les
persiennes et les volets intérieurs, les ridaux de perles ou de bambou; inhumainement immobile à sa
place, Héraclius, le géant de bronze, dont personne ne se serait risqué à toucher l'énorme pouce
Brulant; et quelques rares chiens errant, cependant que le vent d'Afrique charrie le moustique
porteur de malaria.Eh bien, ces chiens avaient leur distraction: le passage des deux jeunes déments,
courbés sur leur guidons, piquant soudainement des pointes de vitesse, se relayant à la conduite,
pour aboutir comme toujours, le souffle brisé, au port. La clef des champs, c'était la clef de la mer”
( nel capitolo Petites Reines, alle pp. 46-47 in: 37-53 ). La seconda 'reminiscenza', ricca di echi , è
nel capitolo sul periodico francese “Bifur”, cui Frank collaborò, con firme di prestigio e risonanze
autobiografiche, scandite su più livelli di lettura. Discorrendo dei numeri 5 e 6 della “rivista”, il
Frank rievoca gli anni in cui gli era consentito di rientrare in Italia, e i messaggi incrociati di Max
Jacob per il giovane surrealista André Breton, cui veniva consigliato di avvicinare la “meravigliosa
Tebaide di Benedetto Croce”. Ecco il testo originale in lingua franca, altrimenti ignorato, se non
proprio evaporato in lontanante oblìo: “Quelques années avant, alors que le portes de l'Italie
m'étaient encore ouvertes, Max Jacob m'avait adressé, à Naples, à un jeune Breton qui y enseignait
à l'Institut français, proche de la merveilleuse thébaide de Benedetto Croce: singulièrement
flegmatique, les lèvres volontiers serrées quand elles n'esquissaient point un sourire à la Vinci, un
peu poisson des profondeurs, Jean Grenier arrivait de Saint-Brieuc. Nous allors nous promener dans
la fasteuse villa Floridiana au Vomero, où il avait ses entrées: au belvédère dominant le soleil et le
golfe, je me souviens du regard quelque peu réprobateur que ce citoyen des Cotes-du-Nord jetait sur
cette prodigalité trop méridional” ( capitoloLe heurtoir de l'impasse, pp. 188-189 in: 157-194 ).
Testimonianza ancor questa dell'estimazione riscossa in ambito europeo da Benedetto Croce, anche 25
in ambito di poetiche surrealiste e moderniste, di “avanguardia” e di “sperimentazione estetica” ( e
dove la “meravigliosa Tebaide” dottamente allude al mondo della “filosofia”, la “Tebe dalle cento
porte”, in cui entra “ognuno”, anche joycianamente “Here Comes Everybody”, e – con variante
ermeneutica - “Hecco che CircolaEntrando ogn'idea”: Giuseppe Brescia, Nino Frank barlettano
'vip' del Novecento, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 'Cultura', mercoledì 9 giugno 2004; Croce e
Joyce. Abstract del Bloomsday 100 Years. June 16th 1904 – June 16th 2004, Under the Patronage
of the Irish Embassy to Italy – Università RomaTre, Rome 2004; e Il ricorso in Giambattista Vico e
James Joyce, negli 'Atti' del Convegno Nazionale “Il problema del male nel mondo e la ricerca di
Dio oggi”, a cura di Ambrogio Giacomo Manno, Loffredo, Napoli 2004, pp. 55-86 ).
10. Programmi di ricerca 'pluridirezionali':“Unravelling Universals”
Si moltiplicano i programmi di ricerca sul Joyce, l'autore forse più studiato nel mondo, con lo
Shakespeare, sì da render ragione – se mai ce ne fosse bisogno – della proverbiale “incompiutezza”
di ogni ricomposizioni bibliografica, a fortiori sugli sconfinamenti della 'bibliografia ragionata' in
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“Traduttologia”, 9-10, luglio 2013 – gennaio 2014, pp. 5-10; Alessandro Piperno, Immaginazione e
virtù: Baudelaire ( e Vico ), in “Corriere della Sera”, 20 gennaio 2014; Federico La Sala, La mente
accogliente. Una traccia per la rilettura della “Scienza Nuova”, “La Voce di Fiore”, 11 maggio
2013 e I due traduttori raccontano, “La Voce di Fiore”, 30 gennaio 2017; Stefano Bartezzaghi,
“Repubblica”, 13 gennaio 2017; Antonio Gurrado, “Il Foglio”, 21 gennaio 2017; con Fabio Pedone
ed Enrico Terrinoni, “La Stampa” del 23 gennaio 2017.
11. Momento culminante, Catarsi tragica e Tempo
Anche al fine di evitare l'effetto dispersione suggerito a volte dalla Ingens Sylva vichiano-joyciana,
è bene tornare – a questo punto – alle “radici dell' Occidente”, e cioè a quei princìpi fondamentali
che ineriscono alla prospettiva temporale, drammatica, processuale della mimesis, rappresentazione
o intuizione artistica: princìpi che i 'patriarchi' della sofferta modernità inseguono, recuperabili entro
l'analisi strutturale delle opere, complesse quanto si vuole, ma trasparenti attraverso le coincidenze
del 'senso del celeste' ( in mappe concettuali ). Bisogna riandare, allora, ai padri dell'ermeneutica e
della filologia classica d'inizio Novecento, per accertare i termini della ritrovata classicità di Joyce.
Il Campbell, nel saggio Sul punto culminante nella tragedia greca( Mélanges Henri Weil, Paris
1898, pp. 17-24 ), riconobbe nella catastrofe il momento risolutore della parabola tragica, nel senso
chiarito ancor meglio da Nicola Festa, con la mediazione delle “emozioni tragiche”, onde i due
sentimenti di timore e pietà non possono stare l'uno senza l'altro e “di fatto si combinano e
s'intrecciano durante tutto lo svolgimento dell'azione. Ma il timore è, più in particolare, qualla sorta
di aspettazione angosciosa della rovina imminente da cui è preso lo spettatore, finché coll'irrompere 28
della sciagura non prevale la pietà, non rimanendo ormai altro che lo spettacolo dell'infelicità
irreparabile” ( Sulle più recenti interpretazioni della teoria aristotelica della catarsi nel dramma,
Marini e C. Editori, Firenze 1901, pp. 41-45 ). “Prendiamo l' Edipo Re, la tragedia ideale – spiega
Manara Valgimigli riprendendo la argomentazione “più semplice e piana” del Festa -secondo
Aristotele. Un pauroso terrore occupa la situazione fin da principio. C'è uno in Tebe che ha ucciso
Laio, il predecessore di Edipo. Perché l'ira del nume si plachi e Tebe sia salva dalla pestilenza, è
necessario rintracciare e punire l'uccisore. E lo stesso Edipo cerca. S'interroga Tiresia. La verità
incomincia a balenare orribile e mostruosa. Di scena in scena le fila del dubbio si torcono e si
stringono; il terrore aumenta. Ed ecco, viene il messo da Corinto: la scena citata dallo stesso
Aristotele come un esempio mirabile di peripezia. Viene il messo e narra la morte del re Pòlibo, il
supposto padre di Edipo. Edipo dovrebbe allietarsi: è morto di natural malattia; non egli lo ha
ucciso. Ma il dubbio tuttavia incalza e preme. Non anche egli è sicuro che non si contaminerà di
nozze con sua madre. Anche per questo fuggì da Corinto. E il messo, perché più Edipo si racqueti,
gli rivela chi è, che egli non è figlio di Pòlibo, che la moglie di Pòlibo non è sua madre. E allora
tutto si chiarisce. Egli non è sfuggito all'oracolo di Apolline: veramente egli ha ucciso suo padre;
veramente egli ha sposato sua madre. E l'animo nostro, che fino a questo momento era stato come
rinserrato e chiuso dentro una sua cupa angoscia, ecco che finalmente si discioglie e si apre in un
respiro di liberazione; e libero è ormai dal terrore, e sottentra e prevale un senso di commossa
misericordia; onde a poco a poco, dinanzi all'accaduto irreparabile, riprende il suo corso e ritrova il
suo equilibrio pacato. Ognuno di noi può aver provato qualche cosa di simile a una sventura che ci
colpisca; come alla morte di una creatura amata: durante il male, nella incertezza dell'esito, pare che
tutte le nostre facoltà si ritraggano e si arrestino e facciano groppo, e non il più lieve fiato aliti nel
nostro petto: avviene la morte, ch'è una soluzione, e l'animo scoppia nel suo dolore, ma anche s'apre
e si scioglie e si deterge nel suo lavacro di lacrime. Or questa è appunto la edoné che il poeta tragico
deve procurare da fatti che destino pietà e terrore: dove la pietà è, dirò così, come termine medio o
di passaggio dal perturbamento precedente all'equilibrio restaurato. Ma questa edoné non è altro che
la catarsi della celebre definizione. Dice la definizione che la tragedia, mediante una serie di casi
che suscitano pietà e terrore, ha per effetto tèn tòn toiouton patemàton kàtharsin, cioè di sollevare e
purificare l'animo da codeste passioni ( 6, 1449 b27 ). Dunque catarsi è piacere, è sfogo, è sollievo,
è liberazione: sollievo da quel terrore che stringeva e mordeva il cuore nella trepida attesa della
catastrofe: sfogo di quella pirtà che, rattenuta dapprima e come raggelata tra le ombre dell'oscuro
destino, rompe ora e trabocca di fronte alla catastrofe irreparabile. Quel ch'era buio e incerto e
sconvolto si tramuta in consapevole lucidità: e come i personaggi veggono ormai ciascuno
nettamente il corso fatale della propria vita,così in noi si fa una luce nuova e lo spirito si ricompone.
E così catarsi è anche chiarificazione e purificazione: è il ritorno dell'anima dall'incertezza alla
certezza, dalla non conoscenza alla conoscenza, dall'oscurità alla luce, dal turbamento all'ordine e
all'equilibrio” (Introduzione alla Poetica (1916), Bari 1954, pp. 46-47 ).
Quel che si deve chiarire è come sia possibile – al di là della sopravvalutazione della “favola” o
“invenzione” rivendicata dal Castelvetro – che la pietà subentri al timore, pur a lui correlativa o
contestuale per tutta l'estensione del dramma. Perché, in effetto, al crescendo del terrore, come
durata che s'intensifica, succede un momento di risoluzione e rasserenamento ( la compassione ),
che si distende nell'ultima parte della tragedia. E dunque, il momento culminante è la catastrofe,
dialetticamente mediatrice di terrore e pietà, quando l'intensione del primo si risolve nella
distensione dell'altra. Ma dire – con Pantaleo Carabellese della Critica del concreto (1921–1948 )-
intensione e distensione vale dire, ancora una volta, rapporto quantitativo-qualitativo, nel farsi
qualità della quantità o viceversa, che è il grado o la misura, il “quanto qualitativo” di Hegel
(Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Parte Prima, §§ 107-111 e Scienza della
Logica, ed. Moni-Cesa, Bari 1974, Vol. I, Libro I, Sezione terza, pp. 441 sgg.). E, a sua volta, il 29
rapporto di grado o misura, il farsi qualità della quantità e quantità della qualità nell'unica
concretezza della espressività e del valore, con lo sciogliersi della intensità patetica nella
culminazione catartica, sancisce il riconoscimento della forma temporale, per cui al crescendo di
una emozione ( il dubbioso timore), come successione, subentra il 'momento culminante' come
simultaneità, dialetticamente risolutrice dell'angoscia nel supremo e ineludibile abbraccio con
l'emozione correlata della 'pietà'. E dunque, kantianamente, la variazione d'intensità è tempo, come
'successione'; e il suo vertice è 'simultaneità' e compresenza, nella dialettica intuita da Aristotele
anche con il geniale raffronto tra epica e tragedia; mentre il rapporto tra i due affetti è costante,
come 'permanenza', pur nel variare del grado o misura, con cui si prospettano nel corso della
peripezia, 'storia' narrata o dipinta e rappresentata. Già Platone in Repubblica X, 595c definisce
Omero “primo maestro e duce di tutti i poeti tragici”, pur in un contesto svalutativo dell'arte
rappresentativa, “rovina degli animi degli uditori”. E Aristotele, nella citata PoeticaVIII. 1451A 22-
30, vede Omero pietra di paragone per la “unità d'azione” secondo non l'accaduto ma il possibile,
ovvero la legge di verosimiglianza e necessità; stabilendo una relazione di somiglianze e differenze
tra epica e tragedia, dove la prima può esporre “più parti di un'azione nel loro svolgimento
simultaneo”, accrescendo al poema”maestà e bellezza”. Sicché: “Questo privilegio ha dunque su la
tragedia il poema epico: onde acquista magnificenza, suscita varietà e contrasto di sentimenti
nell'animo degli ascoltatori, si arricchisce di episodi l'uno dall'altro diversi. La mancanza di varietà,
come quella che sùbito sazia, è appunto una delle ragioni onde cadono spesso le tragedie” ( XXIV,
1459b - 1460b 5 ).
Da parte sua, Joyce non immette certo esplicitamente nel proprio “poiein” il giro di tutte queste
mediazioni e correlazioni concettuali, dal momento che non si riferisce alla analitica trascendentale
di Kant né alla logica hegeliana; ma conquista in pieno, con il riconoscimento della superiorità
dell'epica sul tragico, la evidenza della catarsi, in quanto 'momento culminante' della moderna
Odissea; e rende ragione del fatto che esso 'momento culminante' si collochi, per ciò, al penultimo,
e non all'ultimo, 'atto' della 'narrazione'. Il presente innesto adotta il Joyce come leva per incrementi
di poetica, o dottrina estetica, nell'ambito della più vasta ermeneutica filosofica; e, di concerto,
accerta la sintesi di filosofia e filologia, nella sapienza dei secoli di forma vichiana, per audace
rivisitazione del work in progress, come la struttura temporale, processuale, drammatica di Ulysses
e Finnegans Wake. “L'arte tanto intuisce quanto prospetta” ( Giuseppe Brescia, “Non fu sì forte il
padre”.Letture e interpreti di Croce, Salentina, Galatina 1978, pp. 212-216; Sul testo e la fortuna
della 'Poetica'.Note di critica aristotelica, SPES, Milazzo 1984, Capitolo III; Tempo e Libertà.
Teorie e sistema della costruttività umana, cit., Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1984, La teoria del
tragico, nella Parte Terza, pp. 221-266 ). E', dunque, il tempo( se di “canone” occidentale si vuol
parlare ), non la serie delle sefirah ( come dottamente ragiona Harold Bloom ), il “canone” della
“poetica”: tant' è, che esso si trasferisce in ottica ed estetica, in teoria dei colori e teoria dell'arte, dal
Caravaggio al Cezanne, e dal Goethe a Ragghianti, una volta acquisito grazie allo sconfinamento tra
i generi 'classici', l' epico e il tragico, il comico ed il tragico.
Fondamentale è il passo tratto dalla lettera all'amico e biografo di Cezanne, Emile Bernard (1868-
1941), vergata il 15 aprile 1904 da Aix-en-Provence: “Permettetemi di ripetere ciò che vi dicevo qui
da Aix: trattare la natura secondo la forma del cilindro, della sfera, del cono, il tutto messo in
prospettiva, cioè in modo che ogni lato di un oggetto o di un piano si diriga versoun punto centrale.
Le linee parallele all'orizzonte daranno l'ampiezza di una sezione della natura o, se volete, dello
spettacolo che il Pater Omnipotens Aeterne Deus ha disteso di fronte ai nostri occhi. Le linee
perpendicolari a questo orizzonte daranno la profondità. Ora, la natura, per noi uomini, è più in
profondità che in superficie, e da ciò la necessità d'introdurre nelle nostre vibrazioni di luce,
rappresentate dai rossi e dai gialli, una somma sufficiente di colori azzurrati per far sentire l'aria”. 30
Tre mesi dopo, Cezanne fa cogliere allo stesso Bernard l'importanza del climax, il “punto
culminante” della prospettiva, la inerenza della categoria spazio-temporale alle regole e modalità
della “visione”: “Se si vogliono realizzare progressi non c'è che la natura: l'occhio si educa al suo
contatto. Diventa concentrico a forza di guardare e di lavorare. Voglio dire che in una arancia, in
una mela, in una palla, in una testa c'è un punto culminante; e questo – malgrado l'effetto terribile:
luce e ombra, sensazioni cromatiche – è sempre il più vicino al nostro occhio; i bordi degli oggetti
sfuggono verso un centro situato al nostro orizzonte” ( 25 luglio 1904: Letters, a cura di John
Rewald, London 1941, pp. 234 sgg; Ernst H. Gombrich, Arte e illusione, ed. it., Torino 1960; Mario
De Micheli, Le poetiche, Feltrinelli, Milano 1981, p. 181; Giuseppe Brescia, Ottica ed estetica, in
“Atti” del Convegno Nazionale “Ecologia cosmologica, della biosfera, antropologica”, Benevento,
Ottobre 2004, Loffredo, Napoli 2005, pp. 85 sgg. eIl circolo cromatico di Goethe e altre note di
estetica, Laterza, Bari 2005, pp. 22-24 ). D'altra parte, già nel saggio Of Tragedy del 1757 di David
Hume si osservava: “Sembra che non sia possibile rendere ragione del piacere che gli spettatori di
una tragedia ben scritta ricevono dal dolore, dal terrore, dall'angoscia e dalle altre passioni che per
sé stesse generano pena e dispiacere. Quanto più essi vengolo colpiti e commossi dalla tragedia,
tanto più provano diletto per lo spettacolo; ed appena le passioni che generano pena cessno di
operare , ha termine lo spettacolo”, esemplificando tali notazioni con la “tecnica del rallentare” che
fortifica la emozione e impressione dominante, giusta la situazione di Jago e la “impazienza che
precede” la gelosia di Otello nella “famosa scena di Shakespeare” ( David Hume, Saggi e trattati
morali letterari politici e economici , a cura di Mario Dal Pra e Emanuele Ronchetti, Torino 1974,
pp. 406 sgg.; Luciano Anceschi, David Hume e i presupposti empiristici dell'estetica kantiana,
Milano 1956 e Autonomia e d eteronomia dell'arte (1936), Milano 1976; M. M. Rossi, L'estetica
dell'empirismo inglese, Firenze 1944, vol. II; Mario Corsi, Natura e società, Firenze 1953, pp. 72-
73; Antonio Santucci, Sistema e ricerca in David Hume, Bari 1969, pp. 193 sgg.; Antonio Corsano,
Hume e il teatro, “Belfagor”, XXII (1967), pp. 81-85 e Giuseppe Brescia, La teoria del tragico,
segnatamente alle pp. 238-252 del Capitolo II della Parte terza di Tempo e Libertà, Manduria
1984).Ortega y Gasset notava come alcuni dei capolavori di Fedor Dostoevskij, quali Delitto e
castigo e Fratelli Karamazov concentrano in pochissimi giorni la intensa e cruciale situazione
drammatica. Giorgio Bassani, l'autore del Giardino, reclama che i tempi del racconto “sono
costruiti rigorosamente come una pièce di Corneille o di Racine, col suo quinto atto, alla fine, dove
viene prodotto il massimo sforzo, dove si cerca di conseguire la famosa, indispensabile catarsi”
( Renato Bertacchini, Bassani, in Letteratura italiana. I contemporanei, Milano 1969, III, pp. 797-
816 e Giuseppe Brescia, Sul testo e la fortuna della 'Poetica', cit., Capitolo II, p. 45 ). Chi ha
raccolto sapientemente le fila di siffatta coscienza estetica, avvalorando Tempo sul Tempo, è stato
Carlo Ludovico Ragghianti nelle Arti della visione, in prima stesura Cinema arte figurativa( Torino
1952 ), quindi con il più largo profilo di I.Cinema; II.Spettacolo; III. Il linguaggio artistico( Torino
1975, 1976 e 1979 ): dove si dedica fine e costante attenzione ai momenti “centrali ed esponenziali”
dei film di Dreyer, Chaplin, Pabst, come al carattere “temporale”, dentro la “dialettica delle
passioni”, dell'opera d'arte, vista come un “processo, un farsi, un convergere e appuntarsi, e così
accendersi ed animarsi, verso un momento o una scansione culminante ed esponenziale” ( Giuseppe
Brescia,“Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce, Galatina 1978, cit. pp. 212-216 ).
Allora, quando scrive Tempo sul Tempo, vertice teoretico del terzo volume delle Arti, dedicandolo
“A Eugenio Montale per i suoi 70 anni”, l'amico e maestro Ragghianti ( Lucca 1910-Firenze 1987 ),
non esita a ricordare: “Malgrado la distanza e la superfetazione di tanti altri eventi, m'è rimasto il
ricordo vivo di alcune illuminazioni. Qualche volta lampi folgoranti o accecanti, come quando con
semplicità mi mise nelle mani il fascicolo di 'Commerce' contenente la prima traduzione francese
dell'ultima parte dell' Ulyxes di Joyce: in cui sprofondai,e non ne sarei riemerso, forse, senza un suo
commento che m'orientò a capire il fondo di un'esperienza che non aveva solo una motivazione
letteraria od esotericamente sperimentale, ma stringeva, con una paratassi nastriforme sostituita al 31
periodare sintattico, il ritmo spontaneo di un erramento immaginativo, sensitivo, meditativo,
memorativo tutto intrinsecamente frammentario e tutto legato, ivi compresi gesti, atti, volizioni,
estensioni nell'esterno e proiezioni nel pratico incorporate, assorbite nel sismico flusso interiore
cosciente e semicosciente” ( mie le sottolineature nel testo, dedicato al Montale, da valere per la
storia critica della fortuna di Joyce in Italia e Europa, dettato dal critico d'arte e metodologo delle
arti della visione e del linguaggio in generale: v. Carlo Ludovico Ragghianti, L'arte e la critica.
Tempo sul Tempo, Laterza, Bari 1995, pp. 122-125 in: 116-152; ma l'originale ragghiantiano risale
al 1969 ). Ma Joyce entra appieno in tante altre vie, sia con il “romanzo di competenza” che fu detto
Ulysses da Bartholomew Gill sia con la teoria dei colori, la parodia di Wolfgang Goethe, il “grigio”
del funerale di Patrick Diggam. “-And we have, have we not, those piceless pages of Wilhelm
Meister ?” - Cioè: “E abbiamo nevvero, quelle impagabili pagine di Wilhelm Meister ?Un grande
poeta che parla di un poeta fratello?” ( il bibliotecario: Ulysses, Penguin, 1992, page 235 e Ulisse,
ed. it., 'Medusa', Milano 1960, p. 250). Sino alla vertiginosa ascesa, o discesa, comunque citazione
parodica, dell'universo del “regno delle madri”, di faustiana e classica memoria: “Era ciò quanto più
concepiva la brigata raccolta attorno alla mensa nel maniero delle madri” ( Ulisse, cit., p. 536 ). E
comunque spingendosi a teorizzare a proposito dei rapporti tra i colori, il grigio, il valore 'simbolico'
o 'allegorico' dei colori stessi, alludendo al 'punto culminante' della dottrina estetica. I colori. “I
raggi rossi sono i più lunghi. Vance ci aveva insegnato ragvaiv: rosso, arancione, giallo, verde,
azzurro, indaco e violetto”: “Red rays are longest. Roygbig Vance taught us: red, orange, yellow,
green, blue, indigo, violet” ( op. cit., p. 508: in originale, pp. 490 e 477 ). Ma Kandinskj nello
Spirituale nell'arte, per parte sua, aveva sentenziato: “il grigio è l'immobilità, che è inconsolabile.
Quanto più il grigio si fa scuro, tanto più si accentuano l'inconsolabilità e l'oppressione soffocante.
Se invece dà nel chiaro, una specie d'aria, di possibilità di respiro, penetra nel colore stesso, che
contiene in sé un certo elemento di celata speranza” ( traduzione italiana per la De Donato, Bari
1972, p. 69 ). Dando, così, la traccia al “grigio” del momento del funerale, a quella parte cioè di
Ulysses che l'odiosamato Carl Gustav Jung definisce per la “poetica vermicolare” di Joyce ( v.
Giuseppe Brescia, Il circolo cromatico di Goethe e altre note di estetica, cit., Bari 2005, pp. 56-59 e
Tra Vico e Joyce. Quaternità e fiume del tempo, cit., Bari 2006, Parte prima ).
12. Il momento culminante in arte: il caso sintomatico del Caravaggio
Ma la “celata speranza”, il rapporto con il “padre”, si adempie nel vero “momento culminante” del
dilazionato “addio” di Dublino, ove vanno a combaciare – ancora – tante altre cose: la sospensione
del tempo; la simultaneità-attimo; il senso del celeste; la memoria del “canto di Euriclea” ( XIX°
della Odissea ) con l'anticipazione dell'abbraccio tra il padre nel letto bianco e l'io narrante di
Giorgio nel Giardino ( Ossimori e prospettiva nel romanzo rivelativo di Bassani, in Giuseppe
Brescia, Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva, II. Vol., Bari 1999-2000). Joyce
ferma la rappresentazione e la registra su tanti binari plurimi e paralleli che s'intersecano all'infinito,
un poco nelle guise della scena finale di Interstellar, il film di Christopher Nolan, in cui l'astronauta
precipitato alle spalle della biblioteca da altra dimensione dello spazio-tempo disperatamente cerca
di contattare la figlia. Ora, i meccanismi del “ritardato addio” sul cancelletto di casa Bloom sono
formati da circa trecento interrogazioni e svariatissimi fotogrammi, intesi a definire esattamente le
relazioni del saluto tra Leopold e Stephen in ambito letterario, religioso, filosofico, linguistico,
spaziale e temporale, cosmico-galattico, astronomico e quindi familiare, affettivo, geografico o
storico ( Tra Vico e Joyce, cit., pp. 52-60 ). Tutto ciò accade al “penultimo atto del dramma”, non
già all' ultimo, pluriosannato e recitato, che è il “monologo” di Molly; rendendo ragione della nostra
ascrizione “classica”, “catartica” e “tragica” della scelta del Joyce. Al contrario, l'erede “spirituale”
Bassani attesta un momento altrettanto “culminante” ma “raccolto, intimo, trepidante, come
intensivo” nella citata penultima scena del Giardino dei Finzi Contini ( e sempre con le sapienti 32
ascendenze classiche, teatrali, raciniane, storicistiche e francesistiche, che è piaciuto non pur una
volta ri-visitare: Bassani e Joyce, in “Il caro, il dolce, il 'pio' passato”. Bassani e la memoria,
Laterza, Bari 2010, pp. 11-13 ). Sul “punto culminante” nella estetica di Caravaggio, e sulle sue
derivazioni in tante poetiche della modernità, come accade per La zattera della Medusa (1818-
1819 ) di Théodor Gèricault ( 1791-1824 ) ed il londinese Studio n.1 del ritratto di Innocenzo X di
Velasquez(1961) di Francis Bacon, getta fasci di luce lo stesso Bassani ( nella Italia da salvare,
Einaudi, Torino 2005, pp. 184-186 ). Inviato della Rai a Messina, Bassani esalta nella Resurrezione
di Lazzaro del 1609 l'antitesi di vita e morte, luce e ombra,cogliendone la drammatica acclamazione
nella convergenza prospettica verso il “centro esatto del quadro. Che cosa dice la mano di Lazzaro
alzata verso il Cristo portatore di luce ? Dice due cose insieme : perché appunto è divisa tra l'ombra
e la luce. Dice: Chiamami sì, vengo, vengo verso la luce, verso la vita ! Ma, al tempo stesso, dice
esattamente il contrario: Non svegliarmi, non tirarmi fuori, lasciami dormire per sempre” . Senza
dedurre l' “attimo” del platonico Sofista, la “simultaneità” della Analitica trascendentale kantiana, la
“dialettica delle passioni” calata in “prospettiva” dell'estetica postcrociana ( Parente, Franchini,
Assunto, Ragghianti, o Zevi per l'architettura ); senza tornare sul concetto di “genio” ( “genio è chi
lavora nel tempo, col tempo, e sul tempo”, aveva scritto il giovane filosofo del diritto e conterraneo
ferrarese Max Ascoli ); il Bassani ferma la inerenza del “momento culminante” non solo nell'opera
caravaggesca, ma altresì nella Zattera di Gèricault, per la “sensibilità romantica e decadente”,
volendo dire del “contrasto tra luce e ombra” e del “groviglio di corpi”, “in linea ideale eterna”
come “inviscerato nel vortice delle figure e nella livida orchestrazione scenica dell'azione”; e nello
Studio per il ritratto di Innocenzo X di Velasquez, in cui il Bacon dà prova di impietoso e lacerato
“realismo”, che il cantore di Ferrara chiama “bruciato e amaro”. Continuo, così, Bassani, alla
ricerca della teoria del 'punto culminante' in altri capolavori caravaggeschi, facendo entrare i suoi
pensieri nei miei: e vedo distintamente, nel Martirio di San Matteo ( 1600-1601, in San Luigi dei
Francesi a Roma ), una “freccia verso l'alto, nel blocco della mano destra del Santo che cerca di
impedire le sferzate laddove l'aguzzino gliela tiene bel ferma, in opposizione”; e nella Conversione
di San Paolo a Santa Maria del Popolo, degli stessi anni, la “capacità di accogliere tutta la dynamis
dell'azione”, “dalle braccia allargate del Santo a terra, incombendo su lui lo zoccolo del cavallo”; o
nella Crocifissione di San Pietro ( ivi serbata ), la linea ideale “formata dall'asse della croce in
discesa verso l'angolo basso destro e le funi tese in senso contrario da manigoldi”; e – ancora – nel
San Matteo e l'angelo, di San Luigi dei Francesi, il 'momento' in cui “l'indice sinistro e l'indice e il
polso destro dell'angelo in alto costituiscono un 'ubi consistam' didascalico, dottrinale, teologico, a
beneficio dell'ermeneutica dell'Evangelista”; come nella vaticana Deposizione (1602-1604 ), il
“punto dialetticamente centrale è strutturato sulle diagonali coscia destra/busto e busto/braccio
destro del Cristo deposto. Nella Madonna dei palafrenieri ( della romana Galleria Borghese, 1605-
1606 ), evidente è l'aspetto esponenziale, “là dove i piedi congiunti, e 'simultaneamente', della
Vergine e del bambino schiacciano con decisione la testa del serpente, al centro e in basso”; quando
nella Madonna del Rosario ( 1607, al Museum di Vienna ) “si forma un vortice nelle mani dei
lazzari napoletani, rivolti verso i Santi, mentre l'appiombo ben illuminato del bambino grassotello
detta l'asse centrale del dipinto”; e la mano sinistra dell' Angelo reca il cartiglio 'Gloria in Excelsis
Deo', esattamente al centro del quadro, per esaltare la Natività con i Santi Francesco e Lorenzo,
nella palermitana Chiesa di San Lorenzo (1609); ma soprattutto, a Napoli ( Pio Monte di
Misericordia, 1607/1609), “si ammira la mano precipite del'angelo incombente al centro che
sembra voler a un tempo proteggere e fermare le sei opere di misericordia citate dal Vangelo di
San Matteo, con in più la sepoltura dei morti istoriata in basso, culto di devozione e scena popolare
( guarire gli ossessi; guarire i lebbrosi; dare da mangiare e bere; guarire i ciechi; guarire i
muti )”.
33
Pure: “Che cosa, ancora, mi sfuggiva nella lettura della mano dell'Angelo ? Mi sfuggiva l'accorato
messaggio 'Che fate? Attenti ! Non è previsto !' ( il seppellimento dei cadaveri, aggiunto alle opere
di Matteo ). E, insieme, la mano dell'Angelo dice tutta la meraviglia protettiva: 'Guardate, così la
pietà è ancora più grande di quelle raccomandate nelle Scritture ! Cerchiamo di tutelarla, in forme
nuove'. Infatti, sul lato destro della scena, il portantino trasporta la lettiga con il cadavere, mentre gli
altri già procedono dal centro verso sinistra. In questo modo, la pietà storica risulta superiore al
cospetto della scritturistica o teologale: e 'storica' e 'reale', non solamente plebea o popolare, dal
momento che della devozione sono parte umili e potenti, portantini e benestanti, qual il dignitario in
basso a sinistra, forse il committente dell'opera”. Dallo studio del 'momento culminante', costituito
dalla “mano” dell'Angelo, si dipana dunque una nuova lettura dell'opera, sulle guise dell'altra
coniata da Bassani a proposito della Resurrezione di Lazzaro( Bassani continuato, in Giuseppe
Brescia, “Il caro, il dolce, il 'pio' passato”. Bassani e la memoria, cit., pp. 21-33 con riproduzioni
di opere didascaliche 'Sulla teoria del momento culminante in Caravaggio'). In ultimo, ma non
ultimo: nel Seppellimento di Santa Lucia, olio su tela del 1608 ( a Siracusa, Chiesa di Santa Lucia ),
opera dipinta dopo la fuga da Malta ed ambientata sotto le alte campate delle Latomìe, Caravaggio
sceneggiava l'antica tradizione cristiana di Santa Lucia ( venerata il 13 dicembre ), la giovane e
benestante fanciulla siracusana del III sec. d. Cr., che, per onorare il proprio voto di castità, aveva
respinto la proposta di nozze e fu, per questo, denunciata dal promesso o aspirante suo sposo, come
'cristiana', quindi catturata e torturata e messa a morte all'epoca delle persecuzioni dell'imperatore
Diocleziano ( 304 d. Cr. ). Qui, sotto gli occhi sgomenti e come rassegnati del Vescovo benedicente
e del prelato con il messale tra la folla degli astanti, il corpo giovane in terra disteso della donna è
messo in contrasto con le robuste masse dei due seppellitori, intenti a scavarne la fossa. Il 'momento
culminante', còlto ancor qui nella intensa drammaticità della 'storia', di realistica impronta ( ma
sempre dentro l'imprescindibile aspetto temporale-trascendentale della narrazione ), è costituito
dall' attimo della sospensione nello scavo dell'uomo con la pala a sinistra, e che si rivolge al proprio
enorme dirimpettaio curvo, con sguardo interrogante: “Va bene così, in questo punto ?”Il Merisi fa
sempre parlare, nel dramma dell'azione, i personaggi, presi dal mondo reale e pure immessi in una
trama ideal-eterna. Infine, nella “Natività”, meglio Adorazione dei pastori di Messina ( 1609,
Chiesa di Santa Maria della Concezione ), l'immagine è “sconcertante” per la rappresentazione
insieme “umile e alta” della sacra vicenda. Questa si svolge entro una capanna le cui pareti son fatte
di assi sconnesse; quando Maria per terra e nel fango tiene in braccio il bambinello infreddolito con
il viso e il braccio destro tesi a cercar l'affetto materno. E dinanzi si porgono la mangiatoia di legno
piena di paglia con gli arnesi da lavoro di Giuseppe e del pane in una povera cesta; di lato, tre
pastori “protesi” verso l'evento e padre Giuseppe, assorto, in contemplazione. Tutti guardano tra la
meraviglia, la curiosità e meditazione, indicando come “punto culminante” - qui – proprio
l'abbraccio del Bambino con la Madre. Così, il “punto culminante” della kinesis, figurativo ed
estetico coincide assolutamente col “momento culminante” della storia sacra, evangelico e cristiano.
Esempio unico e testimoniale dell'estremo e tragico percorso caravaggesco, a due passi dalla fine.
Volevamo vedere le stelle e forse influire sulle stelle, da un punto basso e tranquillo, senza nulla
sapere delle 'Città invisibili' di Calvino... nè della 'Azione a distanza' ; ma appena perché – recita il
fr. 531 dei 'Pensieri' di Pascal - “Il minimo movimento interessa tutta la natura: il mare intero
cambia per una pietra.. Dunque, tutto è importante” ( Pascal e l'ermeneutica, Fasano 1989, IV/5,
pp. 63-74 ).
13. Il momento culminante nel cinema, “arte figurativa”
'Volevamo, volevamo, volevamo...' Ma anche noi volevamo i dolci della fiera locale; “portami in
braccio, babbo, come facevi alla fiera per i doni”. Quando ripenso alla lontana infanzia, spontaneo il
desiderio ri-sorge: 'Portami ancora, nonna Fanny, con papà – Guido - , a vedere Luci della ribalta di 34
Charlie Chaplin, nel cinema all' aperto, l'arena Cuomo di Andria'. ' Chaplin dev'essere un grande
artista ! Ha fatto tutto lui, il regista, l'interprete, la scenografia, le musiche !' Tutto ciò superava la
stroncatura, dettata da rampogna ideologica, di Carlo Muscetta in Letteratura militante( Parenti,
Firenze 1957). Anche codesti ricordi si posizionavano in archetipali confini, segnati dalla Signora
Fanny come da Nonna Lucia, cantata dal Poeta. “La signora Lucia, dalla cui bocca, / tra l'ondeggiar
de i candidi capelli, / la favella toscana, ch'è sì sciocca / nel manzonismo degli stenterelli, / canora
discendea, co 'l mesto accento della Versilia che nel cor mi sta, / come da un sirventese del
Trecento, / pieno di forza e di soavità. / O nonna, o nonna !Deh com'era bella / quand'ero bimbo !
Ditemela ancor, / ditela a quest'uom savio la novella, / di lei che cerca il suo perduto amor”. E io
aspettavo con preoccupazione il destino della ballerina Terry, che Calvero salva, non ancora però
consapevole del proprio destino ( come non lo è il protagonista dell' Edipo re ). E dicevo: 'Fa ridere
la macchietta del gioco delle pulci'; mentre aspettavo di vedere il comico-tragico finale, quando
Chaplin finisce nella grancassa uscendo di scena, sotto lo sguardo impassibile di Buster Keaton, e il
pubblico invece non capiva, non sapeva, non vedeva la 'realtà' dietro la 'maschera'; e mio padre
sussurrava: 'Ecco, è morto Chaplin; ma gli spettatori non se ne rendono conto ancora, affascinati dal
gioco delle corde e degli strumenti che si rompono'. E io aspettavo il 'momento culminante', fin da
allora; desideroso di ridere alle pantomime, ma in preda alla commozione per il grido “Calvero,
Calvero !” della ragazza.
Ecco dove vanno a cacciarsi, di bel nuovo, Bassani e Joyce, la filosofia del tempo e la dottrina della
dialettica: nei finali catartici dei grandi film, e nel “Cinema arte figurativa”, esiti poetici dei quali
porgo una rassegna essenziale. Piace, in proposito, ricordare: il carosello finale musicato da Nino
Rota nel 'joyciano' Otto e mezzo di Federico Fellini, e al cui penultimo 'atto' Claudia Cardinale ha
detto: 'Perché non sa voler bene!'; l'intercalare “Scusate, scusate !”, ne La doppia vita di Veronica di
Kryzstof Kieslowskj, detto dalla cameriera all'ingresso nella Gare Saint Lazare di Parigi, il
messaggio che permette di ritrovare Veronica al burrattinaio-mago italiano Alexander Fabbri; o il
sinfonico compendio della Epistola 13, 1-13 di Paolo ai Corinzi alla fine di Film Blu dello stesso
regista polacco; “Orrore, Orrore!”, ripetuto quattro volte dal colonnello Kurz (Marlon Brando) in
Apocalypse Now, libera reinvenzione di Francis Ford Coppola dal Cuore di tenebra di Joseph
Conrad; e la frase densa di pathos ( 'pietà e timore' ), “Che effetto fa un figlio skizzato ?”, in Donnie
Darko ( Jake Gyllenhaal ) - Mamma: “E' bellissimo!”, nel film omonimo di Richard Kelly con Jean
Malone e Drew Barrimore del 2001; “Inter arma silent leges”, duro mònito del procuratore generale
Reverdy Johnson ( Tom Wilkinson ) al giovane avvocato Aiken, nel film The Conspirator di Robert
Redford, dedicato alla storia della condanna a morte di Mary Surratt, la madre di John implicato
nell'assassinio del Presidente Lincoln; o ancora “Scusi, come si chiama Lei ? - Davids” ( Henry
Fonda ) - “Io mi chiamo Mc Carty” ( come attore, Joseph Sweeney ) - “Bene, arrivederci”: giusta la
scena che chiude l'intenso film sulla giustizia giusta, La parola ai giurati, con Edward J. Cobb e
Martin Balsam; ovvero, il “Non si abbandona la battaglia!”, come insegna il comandante della
difficile spedizione in Afganistan, rappresentata in un libro di Luttrell e poi nel film di Peter Berg,
Lone Survivor, l'unico sopravvissuto interpretato da Mark Walberg nel 2005; ivi comprese le scene
finali del bambino della comunità Pasthun che salva Mark, porgendogli il coltello, fino all'addio e
all'abbraccio con il padre, emblema di “dolcezza nella lotta”; oppure il “Non ci siamo arresi!”, grido
finale del giovane protetto dall'ultimo e coraggioso Templare Thomas Marshall, interpretato da
James Purefoy nel film del 2011 Ironclad di Jonathan English, a quasi settecento anni dalla fine di
Jacques de Moulay, storia della “Magna Charta Libertatum”, strappata con sacrifici il 1215 da
baroni e duchi d'Aquitania ai re; e quando Philip Seymour Hoffman, con supremo autocontrollo,
confida di aver respinto le tentazioni di tradimento sin da giovane, di fronte alla congiura ordita
dall'altro e astuto consigliere Ryan Gosling, nel film Idi di Marzo, di e con George Clooney; o
l'improvvisa: “Questa casa è tua ?- Questa casa è tua?”, richiesta dei giovani al risveglio del 35
vecchio scienziato, che in vita sua non ha saputo veramente amare, lungo il viaggio che porta al
Nobel in Svezia, del grande Posto delle fragole di Ingmar Bergman; e poi, quando nel Cacciatore di
Michael Cimino un lunghissimo 'preludio' termina con il Notturno di Chopin eseguito al piano nella
notte brava da un commilitone in partenza per il Vietnam, e tutti tacciono compresi ed assorti nel
loro imminente destino, squarciato dal fragore degli elicotteri in volo e dal crepitare delle bombe al
napalm, fino alla tragedia della roulette russa gestita da Robert De Niro e subìta da Christopher
Walken; o il Blade Runner di Ridley Scott, ricavato il 1982 da un racconto di Philip K. Dick, dove
la 'permanenza' risiede nella 'insistenza' della pioggia fine, grigia, tutto avvolgente e l' 'istante' è
dato dalla pietà, onde il cacciatore Deckard ( Harrison Ford ) si innamora di Rachael, replicante
sopravvissuta, e Roy Batty ( Rutger Hauer ) salva Deckard che è saltato sui tetti di Los Angeles del
2019, “desiderio dell'umano”, raccolto nel monologo: “Ho visto cose che voi umani non potete
immaginare: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione”; e la musica
indimenticabile on the road, con luci e ombre sotto i ponti dell' autostrada, per Dustin Hoffmann e
Tom Cruise, i due fratelli di Rain Man ( 'L'uomo della pioggia' ), di cui il primo -svantaggiato- si
scopre in fine aver sofferto per aver salvato il piccolo in un incidente domestico; o il verso:
“Capitano, mio capitano !”, recitato dagli studenti in coro al momento dell'abbandono dell'Istituto
da parte di Robin Williams, nella Società dei poeti estinti, in italiano nota per L'attimo fuggente, di
Peter Weir; e il crescendo di Nostalghia di Andrej Tarkowskj, dedicato al viaggio in Italia del poeta
russo Gortchiakov, sulle tracce della Madonna del Parto di Piero della Francesca, fino agli archetipi
dell'acqua e dell' incompiuta Chiesa dei Templari, a Lacerenza; la “Sonata per gli uomini buoni”,
scritta a conclusione de Le vite degli altri (di F. H. von Donnersmarck: 2006), opera del
commediografo Georg Dryman, salvato con la compagna dal burocrate pentito Ulrich Muhe, che ha
coperto le tracce della attività intellettuale dei due giovani, di fronte alla spietatezza della polizia
segreta Stasi; con il già citato finale – emblematico nel rapporto padre/figlia, recuperato attraverso
le cinque dimensioni dello spazio-tempo – del capolavoro di Christopher Nolan Interstellar; sino
alla grande scena dell'albero della vita sotto un cielo trapunto di stelle, ove a grandi passi conduce la
bambina Sophie, al fine di salvarla, il Grande Gigante Gentile, che Steven Spielberg ha voluto
trarre dall'omonimo racconto del britannico Roald Dahl. Così, tutto riporta nell'età di Bergson ( che
Joyce chiama 'Bitchson' ) e Einstein ( storpiato dallo stesso in 'Wainstein' ), dove il macchinismo e
il positivismo evolvono in 'metafisica del tempo', nel pregevole anche se un po' diseguale Hugo
Cabret di Martin Scorsese (2011), storia di un ragazzo dodicenne affascinato dall'orologiaio nella
stazione parigina di Montparnasse, che si scopre tra i fondatori dell'arte cinematografica d'inizio
secolo, il Georges Méliès, 'Dalla terra alla luna' ( Ben Kingsley).
Né si possono dimenticare la scena del bambino sotto l'acqua che invoca l'aiuto del medium in
Hereafter di Clint Eastwood; o il potente A beautiful Mind, con Russell Crowe nelle parti del
matematico John Nash, tra dolcezza fragile e profonda genialità; e Rush ( del 2014 ), diretti
entrambi – questi ultimi due film – da Ron Howard, e incentrato l'ultimo esemplare sulla rivalità tra
i piloti James Hunt e Niki Lauda, quando, dopo il drammatico incidente a Nurburing del 1° agosto
1976 e il periodo di degenza in ospedale, il campione austriaco torna sì in campo ma, all'ultima gara
dalla pioggia intensa del circuito giapponese, responsabilmente, decide di ritirarsi, mediando la
temerarietà con l'amore e la passione sportiva nel rispetto della vita, percepiti attraverso le
epifaniche e trepidanti immagini della moglie intravista nel furore della tempesta.
14. Conclusione.Tempo e senso del celeste in Baudelaire e Joyce. Mappe
In sintesi, Joyce – al momento 'culminante', se non 'conclusivo', di Ulysses –, adottando l'antica e
sempre nuova tecnica del 'rallentare', ferma la scena dell' 'addio'; e, così facendo, incrocia il 'senso
del celeste'. Qui, il 'senso del celeste' è galattico, interstellare, spaziale, dentro la necessaria 36
'Zeitigung', o temporalizzazione, dell'attimo-simultaneità, nel senso chiarito che esso riempie di
quasi tutte le possibili coordinate cosmiche il momento del frenato addio. Allora, la descrittiva, che
si dipana attraverso le circa trecento interrogazioni, risulta come 'spettrale'. Ma la sua 'glacialità' è
schermo di protezione paterna; funzione della figura 'paterna' ( Leopold verso Telemaco ).
Pure, Joyce – nomade e residente parigino per eccellenza – conosce la “Revue des deux mondes”,
Skakespeare and Company, il 'crocevia' della poetica moderna e contemporanea, Les Fleurs du mal
e la critica d'arte di Charles Baudelaire: 'Il Balcone'; 'Paesaggio'; le 'Donne Dannate'; i canti della
sera e il ritrarsi dell'anima; quel 'trascolorare del cielo' che fa grande la dipintura dell'anima tra il
'sublime' e l' 'orrendo' di Albatros, lumeggiato sapientemente dall' Auerbach. Forse e senza forse,
quel che Joyce non ha visto del tutto rotondamente, è che il 'senso del celeste' in Baudelaire è attinto
attraverso una forma di 'cosmogramma estetico' ( come era stato per il calligramma degli umanisti,
prima; e lo sarà per l'anguilla o le serpentine dei quattro fiumi nel Montale e negli 'ermetici', poi ).
E, al cuore del problema, se il Joyce s'appella instancabilmente alla figura 'paterna'; Baudelaire –
mercé le rispondenze strutturali dei canti che scopriamo sopravvivere nelle riprese di filastrocche e
ricami metrici – si tende invece a richiamare la figura 'materna', rimpianta sempre dentro le forme
della nutrice Mariette, o di Madame Sabatier, o di Agata. Il 'simbolo' celestiale è così proposto, non
nascosto, nell'analisi strutturale dei canti. Il Canto 36, 'Il Balcone' ( per Mariette ) vede il primo
verso di ogni strofa ripetuto nell'ultimo ( es.: Mère des souvenirs, maitresse des maitresses,e così
via seguitando ). Il Canto 44, 'Reversibilità' ( per Madame Sabatier ) ripete la stessa 'filastrocca'. Il
Canto 47 ( ancora a Madame Sabatier ) gode di un insistente refrain, onde il v. 4 è ripetuto al 7, il v.
8 all' 11 e il v. 12 al 15; mentre il v. 2 si ripropone al v. 5, il v. 6 al 9 e infine il 10 al 13. Ho, per ciò,
potuto plausibilmente parlare di 'sapiente ricamo', come una sorta di tombolo all'abruzzese o in ogni
modo all'antica, praticato dalle nonne. Al Canto 62 (Moesta et errabunda, per 'Agata' ), il 1° verso è
ripetuto al 5° d'ogni strofa ( Dis-moi, ton coeur parfois s'envole-t-il Agathe ? ), riproponendo lo
schema della calda 'filastrocca' infantile. - Ma la lettura non può arrestarsi qui. Il complemento -
compimento strutturale (e qui 'struttura' è 'poesia', senza bisogno di reinvestigare, sul punto, la
querelle del rapporto poesia - struttura, o tra allegoria e poesia, di 'scuola' idealistica ) va ritrovato al
termine della prima raccolta dei 'Fiori del male' (1857-1858), termine cui Baudelaire molto teneva,
e cioè al Canto 100, La servante au grand coeur, dedicato di nuovo a Mariette, per “beneficium” di
ringraziamento e affettuoso ricordo. Ecco, quindi, estollersi un probabile “Cosmogramma estetico”,
tra Canto 36 (afelio), Canto 44 (eclittica), Canto 47 (asse terrestre ), Canto 62 (perielio) ed il Canto
idealmente conclusivo dell'orbita ( 100 ).
Ci soccorrono, in sede ermeneutica, Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, Libro 3°: “Come
potemmo bere il mare ? Chi ci diede la spugna per cancellar via la linea dell'orizzonte ? Che cosa
mai facemmo sciogliendo la Terra dal suo Sole ?” ( OpereV/2, ed. Masini-Montinari, Adelphi,
Milano 1969, frammenti ); e Il Mulino di Amleto. Saggio sul mito e la struttura del tempo di
Giorgio Santillana ed Herta von Dechend ( ed. it., Adelphi, Milano 1986: poi, Giuseppe Brescia,
“Wegdenken”.Ricomposizioni su Nietzsche e Heidegger, Adda, Bari 1988; L'azione a distanza,
Schena, Fasano 1990; Il vivente originario, Libertates, milano 2013, pp. 135-143; 'Notre Infini', ne I
conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male, Laterza, Bari 2015, pp. 379-397 ).
“Come dal mare, giovani e stillanti, al confine / celeste i soli tornano dopo una lunga eclissi ?”,
reclama infatti Baudelaire nel Balcon ( vv. 25-30 ). “Io voglio come gli astrologhi dormir vicino al
cielo”, aspirando ai “cieli alti che insegnano l'eterno e l'infinito” ( Paysage, vv. 1-8 ). E per
Delphine et Hyppolite: “Volgimi il viso e gli occhi, colmi d'astri celesti” ( Femmes damnés: trad. di
Gesualdo Bufalino, Milano 1983, alle pp. 69, 152, 255 e 277 ). 'Sapienza astrologica' in Baudelaire;
vertigine 'cosmologica' in James Joyce: 'calore' e 'luce' in entrambi i casi, ma in una relazione
modulare diversamente sfaccettata, che riferisce lo sforzo coniativo poetico – secondo me – al 37
rimpianto 'materno' per il primo ( 'maestro') , come al bisogno 'paterno' nel secondo ( 'l'erede' ).
Mappe esemplari. Struttura dei 'Fiori del male' – Le 'perle' e l' 'arena' in Joyce
Lungi dall'esser il 'simbolo' nascosto nell'opera d'arte ( es.: l'esoterismo de Il Flauto magico di
Mozart; o l'allegorismo implicito nel pensiero estetico medioevale ); si prospetta l'alternativa,
formulata nell'estetica della modernità o della temporalità-processualità intrinseca al fare artistico,
del 'simbolo' come proposto, 'aggettantesi' ( direbbe il Ragghianti ) verso di noi.
Dobbiamo l'incremento di metodologia critica e di estetica alla investigazione di 'sommi' coniatori e
inventori ( 'poietai' ), oggetto di indagine sistematica e intenso Fortleben ermeneutico: Baudelaire e
Joyce. Donde si deduce la formalizzazione in mappe concettuali, che giova per la chiarificazione
sintetica e complessiva dei rispettivi 'percorsi' ( e non: 'discorsi' ), sempre attenendoci alla lezione
ragghiantiana. E sono: “Struttura dei Fiori del male del Baudelaire” ( con individuazione del
“Cosmogramma estetico” ); “ 'Le perle e l'arena' in James Joyce” ( Finnegans Wake – Ulysses ).