BIOCHIMICA
BIOCHIMICA
BIOCHIMICA
• Il meccanismo attraverso cui le molecole biologiche sono prodotte e degradate per scopi
energetici.
• L’unitarietà genetica e biochimica di base condivisa dagli organismi moderni indica la loro
comune discendenza da un unico progenitore ancestrale
CONCETTI CHIAVE:
• I differenti tipi di biomolecole sono caratterizzati dalla presenza di specifici gruppi funzionali e
legami chimici.
• Le molecole più complesse e i polimeri si sono formati, durante l’evoluzione chimica, dalla
Da inanimato ad … animato
• Le prime testimonianze fossili della vita risalgono a circa 3,5 miliardi di anni fa, mentre l’era prebiotica precedente, che ebbe
inizio con la formazione del nostro pianeta approssimativamente 4,6 miliardi di anni or sono, non ha lasciato tracce dirette.
Indipendentemente dall’effettiva origine, le prime molecole organiche divennero i precursori di una straordinaria varietà di
molecole biologiche, classificabili in base alla loro composizione e reattività chimica.
funzionali si uniscono) che, in ultima analisi, determinano l’attività biologica di tali molecole.
Nell’ambiente prebiotico è possibile che minerali quali le argille potessero catalizzare reazioni di polimerizzazione e rimuovere i
prodotti della reazione dall’acqua.
Le dimensioni e la composizione delle macromolecole prebiotiche sarebbero state così limitate dalla disponibilità dei materiali
molecolari di partenza, dall’efficienza con cui questi si sarebbero potuti unire e dalla loro resistenza alla degradazione.
La combinazione di monomeri differenti e dei loro diversi gruppi funzionali in una singola molecola di grandi dimensioni
determina un aumento della versatilità chimica di tale molecola, consentendole di portare a termine, sotto il profilo chimico,
funzioni superiori rispetto a quanto non siano in grado di fare molecole più semplici.
✓ Alla fine, i continui miglioramenti metabolici consentirono agli esseri viventi di impiegare l’O 2 in un nuovo metabolismo, una
forma di metabolismo energetico più efficiente rispetto a quello anaerobico.
✓ un sistema chiuso è in grado di mantenere concentrazioni locali elevate di componenti che altrimenti diffonderebbero
all’esterno;
✓ sostanze più concentrate possono reagire in maniera più rapida, aumentando l’efficienza della polimerizzazione e di altri tipi di
reazioni chimiche.
• Conservare
I procarioti, di cui fanno parte vari tipi di batteri, hanno strutture relativamente semplici e sono quasi esclusivamente unicellulari. il
loro metabolismo è altamente adattabile a una straordinaria gamma di habitat. Le loro dimensioni variano da 1 a 10 μm, mentre le
loro forme sono di tre tipi sferoidale (cocchi), a bastoncello (bacilli) ed elicoidale (spirilli). A eccezione della membrana cellulare
esterna che, nella gran parte dei casi, è circondata da una parete cellulare con funzione protettiva, quasi tutti i procarioti sono privi
di membrane interne.
Le cellule eucariotiche hanno un diametro generalmente compreso tra 10 e 100 μm. Volume tra 1000 e 1000000 di volte > rispetto
a quello dei procarioti.
- reticolo endoplasmatico: sede della sintesi di numerose componenti cellulari, alcune delle quali sono successivamente modificate
nell’apparato di Golgi;
la maggior parte delle reazioni del metabolismo aerobico avviene nei mitocondri, mentre le cellule fotosintetiche contengono i
cloroplasti che convertono l’energia dei raggi solari in energia chimica.
- I vacuoli sono ampiamente presenti nelle cellule vegetali e fungono solitamente da depositi.
- Il citosol, che equivale al citoplasma privato dei suoi organelli circondati da membrana, organizzato per mezzo del citoscheletro,
conferisce forma tipica e capacità di movimento.
I pro di ciascuna:
I PROCARIOTI: evidenziano per molti aspetti un’efficienza superiore. Hanno sfruttato i vantaggi dovuti alla semplicità e alle
dimensioni molto contenute, e l’elevata velocità di crescita permette loro di occupare nicchie ecologiche in cui possono avvenire
anche drastiche fluttuazioni dei nutrienti a disposizione
GLI EUCARIOTI: hanno dimensioni maggiori e una crescita più lenta rispetto ai procarioti, ma col vantaggio competitivo in
ambienti stabili con risorse limitate.
Entrambi i tipi di organismi si sono adattati in maniera soddisfacente ai loro rispettivi stili di vita.
EVOLUZIONE CONTINUA DEGLI ORGANISMI
Le relazioni filogenetiche si deducono in modo migliore confrontando le molecole polimeriche, l’RNA, il DNA o le proteine, di
organismi differenti.
✓ L’analisi dell’RNA portò Carl Woese a riunire tutti gli organismi in tre domini.
✓ Lo schema a tre domini mostra che animali, piante e funghi sono una piccola parte di tutte le forme di vita. È probabile che gli
eucarioti si siano evoluti dall’associazione di cellule di archeobatteri e di eubatteri. i mitocondri e i cloroplasti delle cellule
eucariotiche attuali ricordano i batteri sia nelle loro dimensioni sia nella loro forma. I due tipi di organelli contengono un proprio
materiale genetico e sono anche dotati di un meccanismo completo di sintesi proteica.
Lynn Margulis: i mitocondri e i cloroplasti si sono evoluti a partire da batteri aerobici allo stato libero che avevano instaurato
relazioni simbiontiche con le cellule eucariotiche primordiali. Determinati eucarioti privi di mitocondri o di cloroplasti contengono
in via permanente batteri simbiontici.
b) Le variazioni tra gli individui consentono agli organismi di adattarsi ad alterazioni inaspettate. Ciò rappresenta uno dei motivi
per cui le popolazioni geneticamente omogenee sono molto suscettibili a un singolo stimolo.
c) Il passato determina il futuro. Nuove strutture e funzioni metaboliche si generano da elementi preesistenti.
d) L’evoluzione è un processo in corso, sebbene non proceda esclusivamente verso una maggiore complessità.
TERMODINAMICA
In termodinamica un sistema è definito come la porzione di universo di interesse, come per esempio la provetta in cui avviene una
reazione, oppure un organismo; la parte rimanente dell’universo è definita come ambiente circostante. Il sistema possiede una
certa quantità di energia (U).
La prima legge della termodinamica l’energia è conservata e non può essere creata o distrutta.
La seconda legge della termodinamica i processi spontanei sono contraddistinti dalla conversione dell’ordine in disordine; il
disordine è definito come il numero di modi, W, energeticamente equivalenti di disporre i componenti di un sistema.
Dato che W è un numero molto grande e poco pratico da usare, il livello di casualità di un sistema è indicato dalla sua entropia
(simbolo S):
S = kB ln W costante di Boltzmann
Nei sistemi chimici e biologici non si riesce a determinare l’entropia di un sistema contando tutte le disposizioni equivalenti dei
suoi componenti (W). C’è un’espressione che si applica alle trasformazioni a temperatura costante tipiche dei sistemi biologici:
In un processo biologico la variazione di entropia può essere determinata per via sperimentale partendo dalle misurazioni del
calore e temperatura. I biochimici definiscono come condizioni standard quelle di un sistema a 25 °C, a una pressione di 1 atm e a
un pH di 7,0.
Gli organismi viventi mantengono il loro ordine interno determinando un disordine (demolizione) delle sostanze nutrienti che
consumano. Il contenuto entropico del cibo è importante quanto il suo contenuto energetico. Gli esseri viventi assumono sostanze
nutritive dall’ambiente e rilasciano prodotti di scarto, generando lavoro e calore; essi sono quindi sistemi aperti e non possono mai
essere in equilibrio. L’energia libera rilasciata nel corso di questo processo alimenta le attività cellulari che producono l’elevato
grado di organizzazione caratteristico delle forme di vita. Se tale processo viene interrotto, il sistema alla fine raggiunge
l’equilibrio e questo, nel caso degli organismi viventi, significa la morte. attraverso la fotosintesi, le piante convertono l’energia
radiante proveniente dal Sole, ossia la fonte energetica primaria per la vita sul nostro pianeta, nell’energia chimica dei carboidrati e
di altre sostanze organiche. Le piante, o gli animali che se ne cibano, in seguito metabolizzano questi composti al fine di ricavare
l’energia per funzioni quali la sintesi di biomolecole, il mantenimento delle concentrazioni ioniche intracellulari e i movimenti
cellulari.
Quasi tutte le componenti molecolari di un organismo sono potenzialmente in grado di reagire l’una con l’altra e molte di tali
reazioni sono favorite sotto il profilo termodinamico (ossia avvengono spontaneamente). La velocità di una reazione è subordinata
non alla differenza di energia libera tra gli stati iniziale e finale, ma all’effettivo percorso attraverso il quale i reagenti sono
trasformati in prodotti. Gli organismi viventi sfruttano i catalizzatori, sostanze che incrementano la velocità a cui la reazione si
avvicina all’equilibrio.
I catalizzatori biologici sono denominati enzimi, la maggior parte dei quali è di natura proteica. Gli enzimi accelerano le reazioni
biochimiche interagendo fisicamente con i reagenti e i prodotti per fornire una via più favorevole alla trasformazione degli uni
negli altri. Essi determinano un aumento della velocità delle reazioni incrementando la probabilità di interazione fattiva dei
reagenti. In ogni cellula il flusso di energia è mediato da vari enzimi. L’energia libera è prelevata, immagazzinata o impiegata per
favorire le funzioni cellulari, ma può essere trasferita ad altre molecole. L’energia può essere immagazzinata nei legami chimici,
può essere trasformata in calore, in lavoro elettrico o meccanico, dipende dall’organismo e dall’apparato biochimico di cui esso è
dotato nel corso dell’evoluzione.
L’ACQUA
✓ Una molecola di acqua è costituita da due atomi di idrogeno uniti da un atomo di ossigeno
✓ la distanza del legame O−H è pari a 0,958 Å (1 Å = 10−10 m), mentre l’angolo formato dai tre atomi è di 104,5°
✓ Gli atomi di idrogeno non sono disposti lungo una linea retta, poiché i quattro orbitali ibridi sp3 dell’atomo di ossigeno si
estendono approssimativamente verso i vertici di un tetraedro
✓ gli atomi di idrogeno occupano due vertici del tetraedro e le coppie elettroniche dell’ossigeno non utilizzate per legami sono
situate in corrispondenza degli altri due
✓ la deviazione dell’angolo di legame dell’acqua dall’angolo esatto di un tetraedro è dovuta alla maggior repulsione esistente tra le
coppie di elettroni nei due orbitali isolati rispetto a quella tra le coppie di elettroni meno ravvicinate che formano i legami C−H.
L’acqua è una molecola polare: l’atomo di ossigeno con i suoi elettroni non condivisi ha una parziale carica negativa (δ−) pari a
−0,66e, mentre a ciascuno degli atomi di idrogeno è associata una parziale carica positiva (δ+) pari a +0,33e, dove e è la carica
dell’elettrone. Le attrazioni elettrostatiche tra i dipoli di molecole di acqua sono fondamentali per le proprietà dell’acqua stessa e
per il suo ruolo di solvente biochimico. Le molecole di acqua adiacenti tendono a orientarsi in modo che il legame O−H di una
molecola di acqua (l’estremità positiva) punti verso una delle coppie elettroni che dell’altra molecola (l’estremità negativa). La
risultante associazione bidirezionale intermolecolare è nota come legame idrogeno Una molecola di acqua ha due atomi di H che
possono essere “donati” e due coppie di elettroni non condivisi che agiscono da “accettori”. Ogni molecola è in grado di
partecipare a un massimo di 4 legami idrogeno con altre molecole di acqua. L’alto numero di legami idrogeno presenti è alla base
delle sue importanti proprietà.
Nel ghiaccio le molecole di acqua sono disposte in una struttura inusitatamente aperta. Ogni molecola di acqua nel ghiaccio è
circondata da quattro molecole circostanti disposte a tetraedro e unite mediante legami idrogeno. In conseguenza della sua
conformazione aperta, l’acqua è una delle pochissime sostanze che si espandono durante il congelamento (a 0 °C la densità
dell’acqua allo stato liquido è di 1,00 g ∙ mL−1, mentre la densità del ghiaccio è pari a 0,92 g ∙ mL−1). Allo stato liquido mostra un
contenuto in legami idrogeno solo di circa il 15% inferiore rispetto al ghiaccio. Inoltre, il punto di ebollizione dell’acqua (100 C°)
è 264 °C più alto rispetto a quello del metano (−164 C°), con massa molecolare molto simile a quella dell’acqua ma che non in
grado di formare legami idrogeno.
Questo e altri fenomeni, dimostrano la coesione interna dell’acqua allo stato liquido, che deriva dai suoi legami idrogeno
intermolecolari.
Nell’acqua allo stato liquido, ciascuna molecola è unita mediante legami idrogeno alle quattro adiacenti più vicine, come accade
nel ghiaccio; tuttavia questi legami idrogeno sono distorti e i reticoli di molecole interconnesse sono irregolari e di forme diverse. I
reticoli si decompongono e si riformano ogni 2 . 10−11 secondi circa; l’acqua allo stato liquido consiste di un reticolo
tridimensionale (cluster), in rapida fluttuazione, di molecole unite da legami idrogeno.
La solubilità dipende dalla capacità di un solvente di interagire con un soluto più fortemente di quanto non facciano tra loro le
particelle di quest’ultimo. L’acqua viene detta anche “solvente universale”. L’acqua ha la capacità di far sciogliere più tipi di
sostanze e in quantità superiori rispetto a qualsiasi altro solvente. In particolare, il carattere polare dell’acqua la rende un solvente
eccellente per i materiali polari e ionici, che per questo motivo sono definiti idrofilici. Le sostanze non polari sono praticamente
insolubili in acqua e sono definite idrofobiche (dal greco phobos, “paura”). “il simile scioglie il suo simile” Le sostanze non polari,
tuttavia, sono solubili nei solventi non polari, per esempio CCl4 ed esano. Per quale motivo i sali quali NaCl si sciolgono in acqua?
I solventi polari come l’acqua indeboliscono le forze di attrazione esistenti tra ioni con cariche opposte (per esempio, Na+ e Cl−) e
possono quindi tenerli separati.
Uno ione immerso in un solvente polare come l’acqua attrae le estremità dei dipoli del solvente dotate di cariche opposte alla sua e
così lo ione viene circondato da uno o più strati concentrici di molecole di solvente orientate, che essenzialmente disperdono la
carica ionica su un volume molto più grande. Tali ioni sono detti solvatati oppure idratati. Le molecole di acqua negli strati di
idratazione che circondano uno ione si muovono più lentamente rispetto a quelle non coinvolte nella solvatazione dello ione. I
dipoli presenti nei legami di molecole polari non cariche le rendono solubili in acqua per gli stessi motivi indicati per le sostanze
ioniche. Le biomolecole solubili in acqua, come proteine, acidi nucleici e carboidrati, sono ricche di gruppi polari. Le sostanze non
polari, come il metano o altri idrocarburi, sono prive di gruppi donatori e accettori di legami idrogeno.
I composti anfifilici: micelle e doppi strati Quasi tutte le molecole biologiche presentano segmenti polari (o carichi) e non polari,
e sono quindi contemporaneamente idrofiliche e idrofobiche. Le molecole come gli ioni degli acidi grassi (i saponi), sono dette
anfifiliche o anfipatiche. L’acqua tende a idratare la porzione idrofilica di un composto anfipatico, ma tende anche a escludere la
regione idrofobica, le sostanze anfifiliche si aggregano in strutture sostanzialmente ordinate. Le micelle possono arrivare a
contenere numerose migliaia di molecole anfifiliche disposte in modo che i gruppi idrofilici siano sulla superficie del globulo e
possano interagire con il solvente acquoso; i gruppi idrofobici sono invece ammassati al centro, lontano dal solvente.
Le molecole anfipatiche tendono a raggrupparsi in un modo più disorganizzato, che porta ugualmente a nascondere quasi tutti i
gruppi idrofobici, lasciando esposti quelli polari. Le molecole anfifiliche possono formare foglietti o vescicole a doppio strato
(bilayer) dove i gruppi polari sono in contatto con la fase acquosa. Le conseguenze dell’effetto idrofobico sono denominate forze o
“legami” idrofobici.
Le concentrazioni di sostanze disciolte nel fluido in cui sono immerse le cellule e quello dentro ogni cellula influiscono sulle
proprietà colligative dell’acqua, cioè su quelle proprietà fisiche che dipendono dalla concentrazione delle sostanze disciolte
piuttosto che dalle loro peculiarità chimiche. I soluti provocano una diminuzione del punto di congelamento dell’acqua e un
innalzamento del suo punto di ebollizione, rendendo più difficile la cristallizzazione dell’acqua sotto forma di ghiaccio o il loro
trasferimento alla fase gassosa. La pressione osmotica è una proprietà colligativa. Quando una soluzione è separata dall’acqua pura
per mezzo di una membrana semipermeabile che consente il passaggio delle molecole di solvente, ma non di quelle dei soluti,
l’acqua tende a passare nella soluzione per uniformare la propria concentrazione su entrambi i lati della membrana.
L’osmosi è il movimento del solvente da una regione ad alta concentrazione (in questo caso, l’acqua pura) a una a concentrazione
relativamente più bassa (acqua contenente soluto disciolto). La pressione osmotica di una soluzione è la pressione che si deve
applicare alla soluzione per bilanciare il flusso di acqua attraverso la membrana in entrambe le direzioni (la pressione applicata
spinge più acqua a passare dalla soluzione attraverso la membrana); essa è proporzionale alla concentrazione del soluto. Al fine di
ridurre al minimo l’ingresso di acqua per osmosi, molte cellule animali sono normalmente immerse in una soluzione a pressione
osmotica uguale a quella della soluzione interna alla cellula (così il flusso netto di acqua è pari a zero).
Quando una soluzione acquosa è separata dall’acqua pura da una membrana permeabile all’acqua e ai soluti, questi ultimi possono
passare dalla soluzione all’acqua e contemporaneamente l’acqua può entrare nella soluzione. Le molecole si spostano, o
diffondono, in modo casuale sino a quando la concentrazione di soluto è uguale su entrambi i lati della membrana; a questo punto
si stabilisce l’equilibrio e non si osserva alcun ulteriore flusso netto di acqua o di soluto (per esempio, le molecole continuano a
spostarsi da una parte all’altra della membrana). La diffusione dei soluti è alla base della tecnica di laboratorio della dialisi,
processo nel quale i soluti di dimensioni inferiori a quelle dei pori della membrana di dialisi passano liberamente tra il campione in
dialisi e la soluzione sino al raggiungimento dell’equilibrio. Le sostanze più grandi non possono attraversare la membrana e
rimangono nel compartimento di origine. La dialisi separa molecole di grosse dimensioni, proteine o acidi nucleici, da altre di
grandezza inferiore. Le piccole particelle solubili si spostano liberamente tra il campione e il mezzo circostante, la dialisi può
essere ripetuta per sostituire il mezzo in cui è immerso il campione con un’altra soluzione.
E’ una molecola neutra che ha una tendenza molto bassa alla ionizzazione.
• H+ non esiste in soluzione ed è associato a una molecola di acqua, in forma di ione idronio, H3O+.
• Il protone di uno ione idronio può saltare rapidamente da una molecola di acqua a un’altra. I salti protonici spiegano perché le
reazioni acido-base sono le reazioni più veloci tra quelle che avvengono in soluzione acquosa.
✓ K: costante di dissociazione
Il prodotto di [H+] e [OH–] è una costante, [H+] e [OH–] sono in relazione reciproca.
pK = −log K
Il pH di una soluzione è determinato dalle concentrazioni relative di acidi e basi. Una soluzione, nota come soluzione tampone
acido-base, si oppone alle variazioni di pH, poiché le piccole quantità di H + o di OH− aggiunte reagiscono, rispettivamente, con A−
o con HA, senza alterare di molto il valore di log([A−]/[HA]).
✓ Nei fluidi intracellulari o extracellulari, il pH è fortemente tamponato; il pH del sangue è mantenuto a un valore pari a 7,4 ±
0,05.
✓ Gli ioni fosfato e bicarbonato, presenti in quasi tutti i fluidi biologici, sono importanti agenti tamponanti, in quanto i valori dei
loro pK sono in questo intervallo.
✓ Molte molecole biologiche (proteine e alcuni lipidi) contengono molteplici gruppi acido-base che possono funzionare da
tamponi al pH fisiologico.
Anche i reni svolgono una funzione nell’equilibrio acido-base, perché operano l’escrezione di HCO3− e NH4 +)
• l’acidosi è comunemente trattata somministrando per via endovenosa NaHCO3 (bicarbonato di sodio)
• l’alcalosi è più difficile : la sua forma metabolica risponde talvolta a KCl o a NaCl (il Cl − aggiuntivo aiuta a rendere minima la
secrezione di H+ da parte dei reni), mentre quella respiratoria può essere lenita inalando un’atmosfera ricca di CO2 .
Le malattie polmonari ostruttive, l’iperventilazione, l’eccessiva produzione di acidi organici a partire da precursori della dieta o
dovuta a repentine impennate nei livelli dell’acido lattico durante l’attività fisica, o al diabete.
L’acidificazione degli oceani
Il crescente aumento nell’atmosfera della concentrazione del biossido di carbonio prodotto dagli esseri umani, che sembra
contribuire notevolmente ai cambiamenti climatici sotto forma di riscaldamento globale del pianeta. La CO 2 atmosferica si scioglie
in acqua e la reazione tra queste due componenti produce acido carbonico, che si dissocia immediatamente formando protoni e
bicarbonato
La dissociazione di ioni idrogeno dall’acido carbonico originato dalla CO 2 porta a un abbassamento del valore del pH. Ora gli
oceani terrestri sono leggermente basici e hanno un pH di circa 8,0. Nei prossimi 100 anni il pH dell’oceano potrebbe scendere
fino a valori di circa 7,8.
Gli oceani si comportano da “scarico” del CO2 aiutando a compensare l’aumento del CO2 atmosferico. L’aumento dell’acidità
dell’ambiente marino rappresenta un enorme problema per gli organismi in esso presenti, infatti molti organismi utilizzano gli ioni
carbonato per costruire le loro conchiglie protettive costituite da carbonato di calcio (CaCO3 ).
Però gli ioni carbonato si possono combinare anche con gli H+ formando bicarbonato:
L’innalzamento dell’acidità dell’oceano potrebbe far diminuire la disponibilità di ioni carbonato e quindi diminuire la velocità di
crescita degli organismi che si costruiscono le conchiglie di carbonato di calcio.
Alcuni esperimenti dimostrano che in condizioni acide la calcificazione è notevolmente ridotta in alcuni organismi marini quali i
ricci di mare e i coralli. È inoltre possibile che l’acidificazione dell’oceano dissolva le barriere coralline attualmente esistenti
costituite principalmente da carbonato, che rappresentano degli ecosistemi molto ricchi di specie marine e un anello fondamentale
della catena alimentare marina.
Non tutti gli organismi che si costruiscono da soli le conchiglie rispondono allo stesso modo ai livelli elevati di CO 2. Esprimenti
condotti sui coccolitoforidi (o coccolitofori, organismi eucariotici costituiti da una singola cellula racchiusi in piastre di carbonato
di calcio) dimostrano che almeno in alcune condizioni l’aumentato CO2 porta all’incremento del bicarbonato, che contribuisce
effettivamente all’aumento della calcificazione:
I risultati indicano che l’impatto sugli organismi marini dell’aumentato CO2 può non essere una semplice questione di decremento
del pH, ma può essere invece una funzione più complessa dei quantitativi relativi di tutte le specie carboniche disciolte presenti.
2. NUCLEOTIDI, ACIDI NUCLEICI E INFORMAZIONE GENETICA
I nucleotidi sono:
✓ partecipano alle reazioni di ossidoriduzione, al trasferimento di energia, alle vie di segnalazione intracellulare,
I loro polimeri, gli acidi nucleici DNA e RNA, sono direttamente coinvolti nei processi di:
✓ immagazzinamento
I nucleotidi e gli acidi nucleici svolgono funzioni strutturali e catalitiche. La vita come la conosciamo dipende dalla chimica dei
nucleotidi e degli acidi nucleici. Le regioni sovrapposte rappresentano famiglie di geni condivise da cinque differenti specie di
grano. Identificando i geni presenti in un campione di DNA, si individuano caratteristiche genetiche che forniscono funzioni
specifiche a un organismo o con funzioni in comune.
✓ Le basi dei nucleotidi sono molecole planari, aromatiche, eterocicliche e sono derivati strutturali della purina o della pirimidina.
✓ Nei deossiribonucleotidi (o solamente deossinucleotidi) lo zucchero è il 2′- deossiribosio (il C in posizione 2′ è privo del gruppo
ossidrilico)
In un ribonucleotide o in un deossiribonucleotide, uno o più gruppi fosforici sono uniti all’atomo C3′ oppure all’atomo C5′ del
pentosio generando rispettivamente un 3′-nucleotide o un 5′-nucleotide. Quando il gruppo fosforico è assente, il composto è detto
nucleoside; di conseguenza, un 5′-nucleotide può essere pure chiamato nucleoside-5′-fosfato. I nucleotidi più comuni contengono
da uno a tre gruppi fosforici in posizione C5′ e sono definiti nucleosidi monofosfato, difosfato e trifosfato.
ATP: ribosio + gruppo trifosforico La fotosintesi o la scissione di carboidrati e gli acidi grassi, conduce alla formazione di ATP a
partire da adenosina difosfato (ADP) diffonde in tutta la cellula per dare l’energia necessaria per lavoro e movimento cellulare,
trasporto ioni, reazioni di biosintesi. L’energia chimica potenziale è resa disponibile quando trasferisce 1 (o 2) dei suoi 3 gruppi
fosforici a un’altra molecola
I derivati dei nucleotidi prendono parte a un’ampia serie di processi metabolici; nelle piante la sintesi di amido procede grazie ad
aggiunte successive di unità di glucosio donate dall’ADP-glucosio.
Altri derivati dei nucleotidi contengono gruppi che partecipano a reazioni di ossidoriduzione; il gruppo sostituente può essere una
piccola molecola (es. il glucosio o anche un altro nucleotide unito al primo nucleotide attraverso un ponte mono- o difosforico).
✓ Gli acidi nucleici sono catene di nucleotidi in cui i gruppi fosforici uniscono le posizioni 3′ e 5′ di unità di ribosio adiacenti.
✓ I gruppi fosforici sono acidi, gli acidi nucleici a pH fisiologico sono quindi polianioni. Il legame tra i singoli nucleotidi è detto
legame fosfodiesterico
✓ Il residuo terminale il cui C5′ non è unito a un altro nucleotide è estremità 5′, idem per l’estremità 3′.
✓ La sequenza di residui nucleotidici in un acido nucleico per convenzione è scritta, da sinistra verso destra, partendo
dall’estremità 5′ verso quella 3′. Un polimero costituito da residui non identici presenta una peculiarità che i monomeri separati
non possiedono: la sequenza dei residui del polimero è un modo per conservare informazioni.
Negli anni ’40 Erwin Chargaff ideò i primi metodi quantitativi affidabili per analizzare la composizione del DNA. Il DNA
presenta un uguale numero di residui di: adenina e di timina (A = T) guanina e di citosina (G = C) La composizione in basi del
DNA varia da un essere vivente all’altro, passando da circa il 25 al 75% in moli di G + C in specie batteriche differenti. Tuttavia
essa è più o meno costante nelle specie correlate. Nei mammiferi il contenuto in G + C è compreso tra il 39 e il 46%. È noto che la
loro base strutturale dipende dalla natura a doppio filamento del DNA.
-1953: determinazione della struttura del DNA da parte di James Watson e Francis Crick = nascita della moderna biologia
molecolare.
La struttura di Watson e Crick dell’acido deossiribonucleico indicò
Le conclusioni a cui giunsero i due scienziati, reputate una delle conquiste intellettuali più importanti della scienza, si basavano in
parte su due evidenze sperimentali, oltre che sulle regole di Chargaff:
Indagini ai raggi X effettuate mediante risonanza magnetica nucleare (NMR) e spettroscopia consentirono di stabilire che le basi
degli acidi nucleici si trovano in misura preponderante nelle forme tautomeriche chetoniche. Le forme tautomeriche dominanti
delle basi furono fornite da Jerry Donohue, un collega di Watson e Crick che condivideva con loro l’ufficio, esperto di strutture ai
raggi X delle piccole molecole organiche.
Il DNA in 3D:
- due catene polinucleotidiche si avvolgono intorno a un asse comune per dar luogo a una doppia elica;
- le basi occupano la parte centrale dell’elica, mentre le catene zucchero-fosfato si snodano nella parte periferica, rendendo in tal
modo minime le repulsioni tra i gruppi fosforici carichi negativamente;
- la superficie della doppia elica contiene due scanalature di differente ampiezza: la scanalatura maggiore e la scanalatura minore;
- ogni base forma legami idrogeno con un’altra del filamento opposto, dando luogo a una coppia di basi planare.
✓ Nel 1952, Rosalind Franklin ha caratterizzato la struttura molecolare del DNA utilizzando l’imaging a raggi X
✓ Watson e Crick propongono che la struttura può avere esclusivamente due tipi di coppie di basi: ciascun residuo di adenina deve
appaiarsi con uno di timina e viceversa, mentre ogni residuo di guanina deve unirsi a uno di citosina e viceversa .
✓ Può accogliere qualsiasi sequenza di basi su un filamento polinucleotidico se quello opposto presenta una sequenza di basi
complementari (valide le regole di Chargaff).
L’adenina di un filamento si appaia con la timina presente sull’altro filamento, formando specifici legami idrogeno (linee
tratteggiate). La guanina si appaia con la citosina allo stesso modo. Due catene polinucleotidiche si associano mediante
appaiamento delle basi per dare origine a una molecola di DNA a doppio filamento.
✓ Ogni filamento di DNA può fungere da stampo per la sintesi di quello complementare
✓ Le informazioni ereditarie sono codificate nella sequenza di basi presenti sull’uno o sull’altro filamento
✓ Molti organismi sono diploidi. Es uomo organismo diploide, 46 cromosomi in ogni cellula, quindi il numero aploide è 23
✓ Le molecole di DNA sono descritte in termini di numero di coppie di basi (bp) o di migliaia di coppie di basi (kilobasi, o kb).
✓ Le molecole di DNA presenti in natura hanno lunghezze variabili da circa 5 kb nei piccoli virus contenenti acido
deossiribonucleico fino a oltre 250 000 kb nei cromosomi umani di maggiori dimensioni
✓ A seconda della sequenza dei nucleotidi, il DNA può anche adottare conformazioni elicoidali leggermente differenti. Le
molecole di DNA possono ripiegarsi in modo netto oppure i due filamenti possono svolgersi parzialmente in presenza di alcuni
elementi
L’RNA è quasi sempre sotto forma di filamenti singoli, che producono di solito strutture compatte piuttosto che lunghe catene
libere (l’RNA a doppio filamento costituisce il materiale ereditario di alcuni agenti virali). Un filamento di RNA, identico a uno di
DNA eccetto che per la presenza dei gruppi 2′-OH e dell’uracile che sostituisce la timina, si può appaiare a un filamento
complementare di RNA o di DNA. In questa struttura A si appaia a U (oppure a T nel DNA), mentre G si unisce a C.
Frequentemente l’appaiamento delle basi avviene all’interno di una stessa molecola, dando origine a strutture a stelo e ansa.
L’RNA: il single degli acidi nucleici l’RNA può svolgere altre funzioni oltre a quella di immagazzinamento e trasmissione delle
informazioni genetiche. Determinate molecole di RNA sono in grado di unirsi in modo specifico a piccole molecole organiche,
catalizzando reazioni in cui sono coinvolte le molecole legate.
Concetti chiave
• Le basi azotate dei nucleotidi comprendono due tipi di purine e tre tipi di pirimidine.
• Un nucleotide è costituito da una base azotata, da uno zucchero ribosio o deossiribosio e da uno o più gruppi fosforici.
• Il DNA contiene i deossiribonucleotidi adenina, guanina, citosina e timina, mentre l’RNA contiene i ribonucleotidi adenina,
guanina, citosina e uracile.
Furono gli sforzi compiuti da Oswald Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCarty a dimostrare che nel DNA sono conservate le
informazioni genetiche. I loro esperimenti, completati nel 1944, provarono che l’acido deossiribonucleico, e non le proteine,
estratto da un ceppo virulento (patogeno) del batterio Diplococcus pneumoniae, era la sostanza che trasformava (cioè alterava in
via permanente) un ceppo non patogeno di questo organismo in uno virulento. All’inizio la scoperta di Avery fu accolta con
scetticismo, ma influenzò Erwin Chargaff.
✓ La natura a doppio filamento del DNA agevola la sua replicazione; quando una cellula si divide, ogni filamento di DNA funge
da stampo per la produzione di un filamento complementare.
✓ Ogni molecola di DNA è costituita da un filamento parentale e da uno appena prodotto (figlio).
✓ Tali nuovi filamenti sono sintetizzati mediante la polimerizzazione graduale di nucleotidi che si appaiano in maniera specifica
con le basi dei filamenti parentali.
✓ L’informazione viene trasferita attraverso la replicazione per produrre nuove molecole di DNA, quando il DNA viene trascritto
in RNA e quando l’RNA viene tradotto in una proteina.
✓ I filamenti di RNA sono prodotti da ribonucleosidi trifosfato che si appaiano con le basi complementari del filamento di DNA di
un gene.
✓ L’RNA che corrisponde a un gene che codifica proteine (denominato RNA messaggero, o mRNA) si associa a un ribosoma, un
organello composto in gran parte da RNA (RNA ribosomiale, o rRNA).
✓ Sul ribosoma, ogni tripletta di nucleotidi dell’mRNA si appaia a una sequenza di tre nucleotidi complementari in una piccola
molecola di RNA chiamata RNA di trasporto, o RNA transfer, o tRNA.
✓ Il ribosoma catalizza il legame tra gli amminoacidi, che costituiscono le unità monomeriche delle proteine. Il dogma della
biologia molecolare
✓ Sul ribosoma, ogni tripletta di nucleotidi dell’mRNA si appaia a una sequenza di tre nucleotidi complementari in una piccola
molecola di RNA chiamata RNA di trasporto, o RNA transfer, o tRNA. ✓ Gli amminoacidi sono aggiunti alla catena proteica in
fase di allungamento secondo l’ordine con cui le molecole di tRNA si associano temporaneamente all’mRNA.
- Trascrizione e traduzione
✓ Un filamento di DNA dirige la sintesi dell’RNA messaggero (mRNA) la sequenza di basi dell’RNA trascritto è complementare
a quella del filamento di DNA.
✓ Il messaggio viene tradotto quando molecole di RNA di trasporto (tRNA) si uniscono all’mRNA mediante appaiamento di basi
complementari tra sequenze di tre nucleotidi note come codoni.
✓ Ogni tRNA trasporta uno specifico amminoacido, e gli amminoacidi sono uniti covalentemente per formare una proteina.
Le molecole di tRNA caricate con gli amminoacidi si legano a sequenze complementari composte da tre nucleotidi (i codoni)
presenti sull’mRNA. Il ribosoma agevola l’allineamento del tRNA e dell’mRNA, catalizzando l’unione degli amminoacidi per
produrre una catena proteica. Quando viene aggiunto un nuovo amminoacido, il tRNA precedente è espulso e il ribosoma procede
lungo l’mRNA.
Concetti chiave
• In base al dogma centrale della biologia molecolare, un filamento del DNA di un gene è trascritto in mRNA. L’RNA è poi
tradotto in proteine per mezzo dell’aggiunta ordinata di amminoacidi legati a molecole di tRNA che accoppiano le proprie basi con
l’mRNA a livello del ribosoma.
• I nucleotidi sono costituiti da una base purinica o da una pirimidinica unita a un ribosio al quale è legato almeno un gruppo
fosforico. L’RNA è formato da ribonucleotidi, mentre il DNA da deossinucleotidi (che contengono 2′-deossiribosio).
• Nel DNA, due catene antiparallele di nucleotidi uniti da legami fosfodiesterici si avvolgono l’una sull’altra formando una doppia
elica; le basi appartenenti a filamenti opposti si appaiano nel modo seguente: A con T e G con C. • Gli acidi nucleici a singolo
filamento, come per esempio l’RNA, possono adottare strutture a stelo e ansa.
• Il DNA contiene le informazioni genetiche nella propria sequenza di nucleotidi; quando viene replicato da una DNA polimerasi,
ogni filamento funge da stampo per la sintesi di un filamento complementare
• In base al dogma centrale della biologia molecolare, un filamento del DNA di un gene è trascritto in mRNA. L’RNA è poi
tradotto in proteine per mezzo dell’aggiunta ordinata di amminoacidi legati a molecole di tRNA che accoppiano le proprie basi con
l’mRNA a livello del ribosoma.
- La molecola del DNA ha la forma di una doppia elica
L’appaiamento complementare delle basi azotate suggerisce che il DNA è una molecola a doppio filamento, simile a una scala a
pioli in cui i montanti sono costituiti dallo scheletro zucchero fosfato, e i pioli dalle basi accoppiate unite da legami idrogeno.
La duplicazione del DNA (o replicazione) è semi conservativa, dato che ogni filamento funge da stampo per la formazione del
filamento complementare, cosicché ogni nuova molecola di DNA ha un filamento «conservato» dall’originale e uno neoformato.
I geni sono espressi nelle proteine. L’ipotesi «un gene, un enzima» è basata sull’osservazione che un gene difettoso dà origine a un
enzima esso stesso difettoso.
1. Durante la trascrizione il DNA viene usato come stampo per la formazione dell’RNA messaggero (mRNA).
2. Durante la traduzione, un RNA trascritto dirige la sequenza degli amminoacidi di un polipeptide che deve essere costruito.
Nella trascrizione ogni gene trasferisce l’informazione all’RNA messaggero (mRNA). Un segmento di doppia elica di DNA si
srotola e si apre al centro, cosicché i nucleotidi di RNA si possano appaiare, man mano che il filamento di DNA viene trascritto. I
nucleotidi si uniscono uno alla volta grazie al lavoro dell’RNA polimerasi.
Prima di lasciare il nucleo l’mRNA viene elaborato. I geni degli eucarioti sono costituiti da sequenze nucleotidiche codificanti
chiamate esoni, intercalate a regioni non codificanti dette introni. Sia gli esoni sia gli introni vengono trascritti, e l’RNA
messaggero che si forma viene detto trascritto primario.
Nella traduzione, ogni RNA di trasporto (tRNA) veicola un amminoacido. I tRNA trasferiscono gli amminoacidi che si trovano nel
citoplasma ai ribosomi, dove l’mRNA viene trasformato nella sequenza di amminoacidi che corrisponde a una proteina. Gli
anticodoni del tRNA si accoppiano con i codoni complementari dell’mRNA.
Una mutazione genica è un cambiamento permanente nella sequenza di basi del DNA. Le mutazioni possono alterare l’espressione
genica. Le mutazioni germinali avvengono nelle cellule sessuali e possono essere trasmesse alla generazione successiva attraverso
la riproduzione. Le mutazioni somatiche avvengono nelle cellule del corpo e non vengono trasmesse alla progenie.
Le mutazioni puntiformi implicano un cambiamento in un singolo nucleotide di DNA e, di conseguenza, un cambiamento in uno
specifico codone.
Le mutazioni di sfasamento avvengono soprattutto per inserzione o delezione di uno o più nucleotidi nel DNA.
- Polimorfismi
Il gene è un frammento di DNA. Ogni specie possiede lo stesso numero di geni, che codificano per le caratteristiche fisiche
dell’individuo. I cromosomi portano i geni. Ogni specie ha un numero ben preciso di cromosomi e il gatto ne possiede 38. Sono
organizzati in coppie e, di conseguenza, il gatto ha 19 paia di cromosomi. I cromosomi della stessa coppia contengono i medesimi
geni, ma non necessariamente i medesimi alleli. I cromosomi sessuali sono un’eccezione: le femmine sono caratterizzate da una
coppia di cromosomi X, mentre i maschi possiedono un cromosoma sessuale X e uno Y (a quest’ultimo manca un tratto del
cromosoma X, quindi una parte dei geni.
Un polimorfismo è una variazione della sequenza del DNA che in una popolazione è presente a una frequenza allelica dell’ 1% o
maggiore. Alla variabilità del fenotipo umano sono stati associati due tipi principali di variazione di sequenza: i polimorfismi a
singolo nucleotide (SNP) e le inserzioni/delezioni (indel). Nel genoma le indel sono molto meno frequenti delle sostituzioni di
singole coppie di basi e hanno una frequenza particolarmente bassa nelle regioni codificanti dei geni. Sostituzioni di singole
coppie di basi che in una popolazione si presentano con frequenze dell’1% o maggiori sono denominate polimorfismi e singolo
nucleotide e sono presenti nel genoma umano a una frequenza di circa 1 SNP ogni poche centinaia o migliaia di paia di basi, a
seconda della regione genica.
- Polimorfismi genetici nei geni codificanti per i bersagli terapeutici primari dell'azione dei farmaci
La presenza di polimorfismi nei geni codificanti per i bersagli molecolari dell’azione dei farmaci, come recettori, canali ionici,
enzimi, ha un enorme impatto sulla risposta individuale al trattamento farmacologico. Se i polimorfismi a carico dei geni
codificanti per gli enzimi del metabolismo dei farmaci sembrano essere principalmente responsabili della comparsa di eventi
avversi (ma non sempre, si pensi ai casi descritti dei pro-farmaci 0 dell’omeprazolo), quelli nei geni codificanti per i target
terapeutici sembrano influenzare principalmente, ma non esclusivamente, l’efficacia del trattamento.. Esistono attualmente
numerosi casi ben caratterizzati di polimorfismi nei bersagli molecolari dei farmaci.
Egli sospettò che la sostanza estratta si trovasse nel nucleo cellulare. I microscopisti sapevano infatti che il nucleo era di natura
acida, perché al microscopio ottico lo si metteva in evidenza con coloranti basici. Isolò i nuclei dalle cellule, distruggendole con i
succhi gastrici dello stomaco di maiale (HCl + pepsina). Al microscopio si vedevano nuclei puliti. Anche da questi nuclei ricavò la
sostanza acida. Essa non assomigliava a nessuna delle sostanze conosciute dai chimici di allora e aveva bisogno di un nuovo
nome: la chiamo perciò nucleìna.
3. I GLUCIDI
I glucidi (dal greco glukùs = dolce) conosciuti anche col nome di zuccheri o saccaridi, carboidrati che deriva dal rapporto (2:1) tra
gli atomi di idrogeno e ossigeno, uguale a quello presente nella molecola dell’acqua (C (H O) ). Dal punto di vista chimico sono
composti da C, H e O, contenenti funzioni alcoliche (-OH) e carboniliche (C=O): poliidrossialdeidi e poliidrossichetoni.
- Funzione energetica. Sono la fonte più rilevante di energia prontamente disponibile (1 g di glucidi fornisce 4 kcal). L’energia
“pronto consumo” deriva dai glucidi semplici (glucosio, fruttosio ecc.), molecole di piccole dimensioni adatte a diffondersi
velocemente in tutto l’organismo. Le molecole più complesse, come l’amido e il glicogeno, hanno funzione di riserva energetica. I
glucidi sono l’unica fonte di energia utilizzabile dagli eritrociti e dalle cellule del sistema nervoso. La quantità di glucosio
giornaliera necessaria per cervello ed eritrociti è 180 g.
- Funzioni e classificazione
I glucidi dovrebbero coprire almeno il 45-60% delle calorie quotidiane di un adulto e il 15% da zuccheri semplici (saccarosio,
fruttosio, maltosio, lattosio ecc.) e privilegiare il consumo di carboidrati complessi (amido). In una dieta: la richiesta glucidica
deve corrispondere a circa 5-6 g/kg di peso corporeo
I glucidi sono classificati in base al numero di molecole che li costituiscono in: monosaccaridi (una), oligosaccaridi (poche),
polisaccaridi (molte)
- Funzione strutturale. Svolgono numerose funzioni plastiche, sono i costituenti di DNA e RNA (desossiribosio e ribosio) e dei
lipidi cerebrali (galattosio) e forniscono sostegno alle cellule (cellulosa e chitina). Funzione di identificazione cellulare. Sulla
superficie esterna della membrana delle cellule animali e vegetali sono attive molte molecole di glucidi complessi (solitamente
glicoproteine), che svolgono un’importantissima funzione di identificazione chimica nella cellula. Sono usate per riconoscere le
cellule affini adatte a costruire un tessuto omogeneo, oppure nella difesa contro i microrganismi. Funzione metabolica. Influiscono
sulla digestione, sull’assorbimento e sul metabolismo degli altri nutrienti organici e inorganici. Infatti, sono i costituenti di molti
coenzimi e dell’ATP.
- Monosaccaridi
Glucosio
È il monosaccaride più diffuso e importante e si trova allo stato libero nel succo di molti frutti (uva, ciliegie, susine ecc.) e, in
piccole quantità, nel sangue e nell’urina. Da esso deriva la maggior parte dell’energia necessaria alla vita cellulare.
Se il gruppo carbonilico è aldeidico, lo zucchero viene detto aldosio, se invece il gruppo carbonilico è chetonico, lo zucchero viene
detto chetosio. L’aldoesosio d-glucosio ha la formula (C ∙ H2O)6
Tutti i 6 atomi di C , ad eccezione di C1 e di C6, sono centri chiralici il d-glucosio è uno dei possibili 24 = 16 stereoisomeri
✓ in corrispondenza del centro chiralico (asimmetrico) più lontano dal gruppo carbonilico, gli zuccheri d presentano la medesima
configurazione assoluta della d-gliceraldeide
✓ In biologia gli stereoisomeri L sono molto meno rilevanti (il prefisso D viene spesso omesso)
✓ EPIMERI: zuccheri che si differenziano esclusivamente per la configurazione intorno a un atomo di C ✓ Il d-glucosio e il d-
mannosio sono epimeri rispetto a C2.
✓ Gli aldosi più comuni includono gli zuccheri a sei atomi di C glucosio, mannosio e galattosio
Fruttosio
Monosaccaride molto diffuso in natura, abbondante allo stato libero nella frutta (da cui il nome) e nel miele. Cristallizza
difficilmente ed è molto solubile in acqua. Ha un elevato potere edulcorante (1,50), ben superiore a quello del glucosio (0,74) e del
saccarosio (1,00) e presenta un indice glicemico tra i più bassi. Il fruttosio viene convertito in glucosio sia nel fegato sia
nell’intestino per via enzimatica. Industrialmente si ricava per idrolisi dell’inulina (polimero del fruttosio presente in alcuni
vegetali) e viene impiegato nell’industria conserviera e dolciaria.
Galattosio
Non si trova solitamente allo stato libero, ma nelle piante è presente soprattutto come componente di polisaccaridi e negli animali
come costituente del lattosio insieme al glucosio. Il galattosio è utilizzato nella costituzione dei glicolipidi, abbondanti nel tessuto
nervoso. Viene metabolizzato in glucosio da un enzima, la cui mancanza determina una grave malattia genetica, la galattosemia (il
galattosio si accumula nel sangue provocando gravi danni al sistema nervoso, agli occhi, al fegato e ai reni).
Il potere edulcorante: è il rapporto tra la concentrazione di una soluzione di saccarosio e quella del dolcificante in esame, che
presenta la stessa intensità di sapore.
Indice glicemico: è l’incremento di glucosio nel sangue nelle 2 ore che seguono l’assunzione dell’alimento in oggetto, confrontato
con quello dell’alimento preso come riferimento (glucosio o pane bianco), che contiene la stessa quantità di glucidi.
Gli alcoli reagiscono con i gruppi carbonilici delle aldeidi e dei chetoni formando:
❑ Emiacetali
❑ Emichetali
Le configurazioni dei sostituenti di ogni atomo di carbonio appartenente a questi anelli saccaridici sono rappresentate mediante le
proiezioni di Haworth, in cui i legami più spessi dell’anello si proiettano fuori del piano del foglio, verso di noi , mentre quelli più
sottili sono diretti dietro il piano.
Uno zucchero con un anello a sei atomi è detto piranosio, in analogia con il pirano il composto più semplice contenente questo tipo
di anello. Gli zuccheri con anelli a cinque atomi sono definiti furanosi, per le analogie con il furano. Le forme cicliche del glucosio
e del fruttosio con anelli a 6 e a 5 membri sono note come glucopiranosio ✓ fruttofuranosio
Il gruppo carbonilico si trasforma in un centro chirale, chiamato carbonio anomerico, con due possibili configurazioni
anomero 𝛂 OH del C anomerico giace dal lato opposto dell’anello dello zucchero rispetto al gruppo CH2OH situato in
corrispondenza del centro chirale che indica le configurazioni D e L
anomero 𝛃 MUTOROTAZIONE: Gli anomeri si interconvertono liberamente in soluzione acquosa
✓ Un monosaccaride può variare la propria conformazione dal momento che, durante tale processo, non viene rotto alcun legame.
✓ Il cambio di configurazione tra forme anomeriche α e β o tra quelle piranosiche e furanosiche, che richiede la rottura e la
riformazione di legami, si verifica lentamente in soluzione acquosa.
✓ Altri cambiamenti di configurazione, come per esempio l’epimerizzazione, non avvengono in condizioni fisiologiche senza
l’intervento di un opportuno enzima
PIRANO E FURANO
Le forme cicliche e lineari degli aldosi e dei chetosi possono andare incontro a processi di interconversione con reazioni delle
aldeidi e dei chetoni. Converte il gruppo aldeidico in un gruppo carbossilico, con la risultante di un acido aldonico.
Modificazioni degli zuccheri: ossidazione del gruppo alcolico primario conduce agli acidi uronici
Lo xilitolo è un dolcificante utilizzato nelle gomme da masticare e nelle caramelle “senza zucchero”
DEOSSIZUCCHERI:
✓ Il più importante è sotto il profilo biologico il 𝛃-d-deossiribosio, che fa parte dello scheletro zucchero-fosfato del DNA.
✓ L’L-fucosio è uno dei pochi componenti saccaridici in conformazione L presente nei polisaccaridi.
AMMINOZUCCHERI: Uno o più gruppi OH sono sostituiti da un gruppo amminico. Gli amminozuccheri più comuni sono la d-
glucosammina e la d-galattosammina
L’acido N-acetilneuramminico, derivato dalla N-acetilmannosammina e dall’acido piruvico, ed è un importante costituente delle
glicoproteine e dei glicolipidi (le proteine e i lipidi che presentano dei carboidrati uniti covalentemente). L’acido N-
acetilneuramminico e i suoi derivati sono spesso chiamati acidi sialici.
Legami glicosidici
Il gruppo anomerico di uno zucchero può condensarsi con un alcol per formare 𝛂- e 𝛃-glicosidi. Il legame che unisce il carbonio
anomerico all’ossigeno dell’alcol è detto legame glicosidico
La conversione catalizzata da acido dell’α-d-glucosio con metanolo dà luogo a una coppia anomerica di metil-d-glucosidi.
Legami glicosidici
➢ i legami glicosidici subiscono idrolisi in modo estremamente lento ➢ un C coinvolto in un legame glicosidico non si converte
liberamente nelle forme anomeriche α e β
➢ I legami N-glicosidici che si instaurano tra il C anomerico e un’ammina sono quelli che uniscono il d-ribosio alle purine e alle
pirimidine degli acidi nucleici
➢ I saccaridi con atomi di carbonio anomerici che non hanno dato origine a glicosidi sono definiti zuccheri riducenti
• I derivati dei monosaccaridi comprendono gli acidi aldonici, gli acidi uronici, gli alditoli, i deossizuccheri e gli amminozuccheri
• I monosaccaridi possono essere legati l’uno all’altro o ad altre molecole non saccaridiche con legami glicosidici
- Polisaccaridi
✓ Molti sono formati solo da un piccolo numero di tipi di monosaccaridi che si alternano in sequenze ripetitive.
✓ I polisaccaridi formano polimeri sia ramificati, sia lineari. Ciò si deve al fatto che i legami glicosidici si possono instaurare con
tutti i gruppi ossidrilici di un monosaccaride.
✓ La maggior parte dei polisaccaridi è lineare e le ramificazioni si originano in pochi modi ben definiti.
Lattosio
Questo disaccaride è formato dall’unione di una molecola di E-galattosio e una di D o E-glucosio. È presente nel latte dei
mammiferi (5% p/v nel latte vaccino) e commercialmente si ottiene per concentrazione del siero di latte. È il substrato di numerose
fermentazioni, tra cui quella lattica svolta dai batteri omonimi. Si presenta come un solido bianco, cristallino, poco dolce, solubile
in acqua. Il lattosio non viene assorbito direttamente nel flusso ematico ma deve essere scisso in galattosio e glucosio dalla lattasi,
enzima intestinale presente nei mammiferi in giovane età. La carenza di tale enzima, frequente nella popolazione adulta degli
orientali, provoca fenomeni di intolleranza agli alimenti che lo contengono, in particolare il latte e i suoi derivati freschi.
Saccarosio
Il più importante dei disaccaridi e costituisce il comune zucchero da tavola. In natura si riscontra in molte piante, soprattutto nella
canna da zucchero e nella barbabietola da zucchero. Si presenta come una polvere bianca, cristallina, solubile in acqua e di sapore
dolce. Riscaldato oltre 180 °C perde acqua e origina una sostanza vischiosa chiamata caramello. Per idrolisi in ambiente acido o ad
opera dell’enzima invertasi (prodotto per esempio dalle api e dai lieviti), il saccarosio diventa una miscela equimolecolare di
glucosio e fruttosio, chiamata zucchero invertito.
I dolcificanti artificiali
In alcuni alimenti e bevande sono presenti molecole dolcificanti di origine non saccaridica con un sapore simile al saccarosio
✓ L’aspartame fu scoperto nel 1965 da un chimico che si occupava di sintesi al quale, senza che se ne accorgesse, finì sulle dita
una piccola quantità di questo composto; poi accadde che egli si portò le dita alla bocca rilevandone la presenza.
Il sucralosio scoperto nel 1975 e la sua scoperta si deve a uno studente al quale fu chiesto di analizzare una sostanza che egli, per
un equivoco, assaggiò.
L’aspartame, il principio attivo di NutraSweet® e di Equal®, fu approvato nel 1981 ed è attualmente il prodotto di punta sul
mercato:
L’aspartame è scisso nelle sue componenti: l’aspartato, la fenilalanina e il metanolo. L’Asp e la Phe, come tutti gli amminoacidi,
entrano nel metabolismo, circostanza che rende l’aspartame non privo di calorie. Nelle bevande analcoliche l’aspartame va
incontro a idrolisi nell’arco di alcuni mesi, perdendo così il proprio sapore.
Cellulosa
Costituente dei tessuti vegetali, parte fibrosa della parete cellulare. Allo stato puro è incolore, inodore e insapore. Dal punto di
vista chimico la cellulosa è formata da unità di cellobiosio, a sua volta formato da unità elementari di D-glucosio, unite da legami
E 1 o 4. Queste, assemblate in modo ordinato, formano strutture compatte stabilizzate da ulteriori legami a idrogeno. Per la
particolare disposizione delle fibrille e per l’unione con altri polisaccaridi con funzione cementante (emicellulose, pectine,
glicoproteine), la struttura della cellulosa conferisce rigidità e resistenza alle pareti cellulari degli organismi vegetali. L’apparato
digerente umano non riesce a sintetizzare l’enzima capace di scindere il legame glicosidico, dunque non è un nostro nutrimento. Al
contrario i ruminanti e le termiti sono in grado di utilizzare la cellulosa come fonte energetica per l’azione di enzimi cellulolitici,
prodotti dai batteri ospitati nel loro tratto digerente. liberano unità di glucosio, fermentate da microrganismi ad acidi grassi per
produrre energia.
La fibra comprende tutti composti di tipo glucidico provenienti dal mondo vegetale; più precisamente la cellulosa, la emicellulosa,
la lignina, le pectine, le gomme e le mucillagini. La fibra vegetale si trova soprattutto nei cereali non raffinati (farine, pane, pasta
integrali) e nelle parti esterne di molti frutti (bucce, scorze).
• previene l’accumulo di materiale tossico e rallenta il riassorbimento dei sali biliari e del colesterolo presenti nella bile; • modifica
favorevolmente il tipo di flora batterica intestinale;
- Oligosaccaridi
Cellobiosio
E’ l’unità elementare della cellulosa. È composto da due molecole di -glucosio e si differenzia dal maltosio grazie al diverso
legame tra i due glucosi ( anziché ). Per poter rompere il legame glucosidico ( 1-4), sono necessari particolari enzimi batterici
presenti solamente nell’apparato gastrico degli erbivori.
Chitina
La chitina è la principale componente strutturale dell’esoscheletro degli invertebrati, come i crostacei, gli insetti e i ragni, ed è
presente anche nelle pareti cellulari di quasi tutti i funghi e di numerose alghe; la sua abbondanza è perciò quasi equivalente a
quella della cellulosa. La chitina è un omopolimero di residui di N-acetil-dglucosammina uniti da legami β
Maltosio
Si presenta come una sostanza bianca, cristallina, solubile in acqua, con sapore poco dolce. Si ottiene per parziale idrolisi acida
dell’amido oppure per azione di un enzima, la diastasi, che è presente, per esempio, nell’orzo germinato. Si ottiene dalle sostanze
amidacee anche durante la digestione, per opera della ptialina, un enzima contenuto nella saliva, e dell’amilasi presente nel succo
pancreatico.
Amido
È costituito da molecole di D-D glucosio. È presente con funzione di riserva energetica in quasi tutti i vegetali (particolarmente nei
semi, nei tuberi, nei legumi). Per l’uomo rappresenta la più importante fonte glucidica essendo il costituente fondamentale di molti
alimenti di largo consumo quali il pane, la pasta, il riso, le patate etc. Al microscopio ottico, l’amido si presenta sotto forma di
granuli dalla forma arrotondata con diametro compreso tra 2 e 100 μm, le cui caratteristiche strutturali e di digeribilità sono tipiche
di ogni specie vegetale
I granuli sono costituiti da due diverse forme di amido, l’amilosio e l’amilopectina. L’amilosio è formato da lunghe catene prive di
ramificazioni in cui le unità di glucosio sono unite da legami glicosidici D 1 o 4. Le catene del polisaccaride assumono una
conformazione a spirale stabilizzata da legami a idrogeno tra i gruppi ossidrili delle unità glucosidiche. Il numero di unità di
glucosio che lo costituiscono varia da 50 a 300. L’amilopectina è costituita da catene polisaccaridiche ramificate; oltre ai legami D
1 o 4, tra le unità di glucosio si instaurano, ogni 20-25 monomeri, legami glicosidici D 1 o 6 che conferiscono alla molecola una
struttura a grappolo. Le unità di glucosio che lo costituiscono sono superiori a quelle dell’amilosio e possono andare da 300 a
5000.
Gli amidi naturali sono costituiti da circa il 20% di amilosio e l’80% di amilopectina a seconda della loro origine. Eccezioni
Piselli: l’amilosio raggiunge percentuali maggiori, presente al 60% Mais ceroso: completamente assente. Digestione assimilazione
l’D-amilasi, presente nella saliva e nel succo pancreatico, idrolizza i legami D 1 o 4 intracatena, formando una miscela di glucosio
e destrine. queste sono catene di glucosio di lunghezza intermedia in cui prevalgono i legami D 1 o 6, che l’enzima amilasi è
incapace di idrolizzare. Le destrine vengono idrolizzate dall’enzima D-destrinasi, agendo sui legami D 1 o 6, consentendo alle
amilasi di trasformarle in glucosio.
Proprietà funzionali L’amido è un polisaccaride complesso immagazzinato dagli organismi vegetali sotto forma di granuli
cristallini sostanzialmente insolubili in acqua. L’amido per essere digeribile deve passare dalla struttura ordinata a una struttura
disordinata di gel. La gelatinizzazione avviene mediante riscaldamento in ambiente acquoso. I granuli d’amido disciolti in acqua
calda tendono a gonfiarsi, fino a rompersi disperdendo l’amilosio e l’amilopectina. Questo rigonfiamento iniziale determina
l’aumento della viscosità della sospensione amidacea (chiamata “sol”). La sospensione riscaldata a circa 90 °C, tende lentamente a
ritornare più liquida, per la rottura dei granuli di amido e per la dispersione delle molecole di amilosio e di amilopectina.
Abbassando la temperatura (circa 40 °C) le molecole dell’amido disciolto incominciano a formare dei ponti idrogeno tra loro, tali
da rendere sempre più denso il miscuglio, fino a farlo solidificare in un “gel”.
L’acqua viene immobilizzata dalle particelle solide dell’amido. Esempio: Le salse da cucina: fondamentale il passaggio da sol a
gel per la loro realizzazione.
La granulosità del gel: si verifica solo quando la sospensione si è solidificata. Intervengono anche le pectine (gelatine di frutta) e il
collagene (gelatina di carne), sostanze che aumentano la capacità emulsionante dei miscugli.
Gelatinizzazione: disorganizzazione dei granuli di amido in ambiente acquoso, tra 50 e 70 °C a seconda dell’origine vegetale
dell’amido. Si tratta di un processo fisico con una concentrazione del 30% di acqua. (più acqua sarà presente più si formerà la
gelatinizzazione.
Glicogeno
È il polisaccaride di riserva degli organismi animali, che lo immagazzinano nel fegato, dove serve a mantenere costante il livello
glicemico, e nei muscoli in cui svolge funzione energetica. Ha struttura e proprietà simili all’amilopectina e per questo è detto
“amido animale”, ma si discosta da questa per il maggior peso molecolare e il maggior numero di ramificazioni (ogni 8-10 unità di
glucosio). Glicogeno È degradato per l’utilizzo metabolico dalla glicogeno fosforilasi, che scinde i legami α(1 4). La struttura
altamente ramificata del glicogeno consente di liberare in modo rapido il glucosio nei momenti di necessità metabolica.
Gel e glicosamminoglicani
✓ Gli spazi extracellulari, in particolare quelli dei tessuti connettivi, (cartilagine, i tendini, la pelle e le pareti dei vasi sanguigni)
contengono collageno e altre proteine incluse in una matrice gelatinosa composta in larga misura di glicosamminoglicani.
✓ Sono polisaccaridi non ramificati formati da residui di acido uronico e di esosammina che si alternano; le loro soluzioni
presentano una consistenza viscida e mucillaginosa, dovuta alla elevata viscosità ed elasticità.
Eparina L’eparina non fa parte del tessuto connettivo in quanto è presente quasi esclusivamente nei granuli intracellulari dei
mastociti delle pareti delle arterie. Essa inibisce la coagulazione del sangue, e il suo rilascio, in seguito a lesione, si ritiene
prevenga la formazione di coaguli in circolo, motivo per cui trova ampio utilizzo clinico, per esempio nell’inibizione della
coagulazione del sangue nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico.
Concetti chiave – polisaccaridi
• La cellulosa e la chitina sono polimeri di residui di glucosio legati da legami β(1n4). • I disaccaridi come il lattosio e il saccarosio
sono formati da due zuccheri legati da specifici legami glicosidici. • Nell’amido e nel glicogeno i residui di glucosio sono legati tra
loro principalmente da legami α(1n4). • I glicosamminoglicani e altri grandi eteropolisaccaridi sono caratterizzati da una struttura
tipo gel.
- Glicoproteine
Le glicoproteine si riscontrano in tutte le forme di vita e svolgono funzioni che coprono l’intero spettro di attività delle proteine,
comprese le funzioni di catalisi, di trasporto, di recettori, di ormoni e di proteine strutturali. Le catene polipeptidiche delle
glicoproteine, come in tutte le proteine, sono sintetizzate sotto controllo genetico.
Proteoglicani: gruppo di macromolecole dove le proteine e i glicosamminoglicani della matrice extracellulare si aggregano in
maniera covalente e non covalente Le setole sono costituite da un nucleo proteico a cui sono uniti covalentemente i
glicosamminoglicani, nei casi più frequenti cheratan solfato e condroitin solfato. L’interazione tra il nucleo proteico e lo ialuronato
è stabilizzata da una proteina di connessione.
La struttura estesa, simile a una spazzola, dei proteoglicani, unitamente al carattere polianionico dei loro costituenti di cheratan
solfato e condroitin solfato, determina un elevato grado di idratazione di questi complessi. La cartilagine, che consiste di un
reticolo di fibrille di collageno riempito di proteoglicani, è contraddistinta da un’alta elasticità. Alla cartilagine presente a livello
delle articolazioni, che è priva di vasi sanguigni, i nutrimenti pervengono attraverso questo flusso di liquido causato dai movimenti
del corpo; ciò spiega perché lunghi periodi di inattività causano assottigliamento e fragilità delle strutture cartilaginee.
I batteri gram-positivi presentano una parete cellulare spessa (∼250 Å) che circonda la loro membrana plasmatica, mentre i gram-
negativi hanno una parete sottile (∼30 Å), rivestita da una complessa membrana esterna. Questa membrana esterna svolge, in
parte, la funzione di escludere le sostanze tossiche per il batterio, inclusa la colorazione di Gram, fenomeno che spiega anche
perché i gram-negativi sono più resistenti agli antibiotici rispetto ai gram-positivi.
Le pareti cellulari dei batteri sono formate da catene polisaccaridiche e polipeptidiche legate covalentemente, catene che formano
una macromolecola a forma di sacchetto che racchiude completamente la cellula. Tale disposizione, la cui struttura fu chiarita in
larga misura da Jack Strominger, è nota come peptidoglicani
• Le pareti delle cellule batteriche sono costituite da catene di glicani unite da peptidi mediante legami trasversali
• Le catene oligosaccaridiche legate covalentemente alle glicoproteine eucariotiche possono avere dei ruoli nella struttura e nel
riconoscimento della proteina
I carboidrati disposti sulla superficie delle cellule sono alcuni tra i marcatori immunochimici meglio conosciuti. Gli antigeni dei
gruppi sanguigni ABO sono componenti oligosaccaridiche delle glicoproteine e dei glicolipidi superficiali delle cellule di un
individuo (non solo dei globuli rossi).
✓ le persone con cellule di tipo A presentano antigeni A sulla superficie delle loro cellule e portano anticorpi anti-B nel sangue;
✓ I soggetti con cellule di tipo B, che portano antigeni corrispondenti, contengono anticorpi anti-A;
✓ Le persone con cellule AB, contraddistinte dalla presenza di entrambi gli antigeni A e B, sono privi di anticorpi sia anti-A sia
anti-B;
✓ Gli individui di tipo O, le cellule dei quali non possiedono antigeni, portano anticorpi sia anti-A sia anti-B. La trasfusione di
sangue A in una persona B conduce a una reazione tra anticorpo anti-A e antigene A con agglutinazione (ossia l’aggregazione)
degli eritrociti trasfusi, con esito fatale del blocco dei vasi sanguigni.
Il fattore Rh
Il gruppo o fattore Rh prende il nome dal fatto che è stato isolato per la prima volta dalla scimmia Macacus rhesus. Questo gruppo
comprende più di una dozzina di antigeni anche se alcuni sono rari I più comuni sono denominati C, D, E Circa l’85% della
popolazione possiede uno di questi antigeni e si definisce Rh+
Quando una donna Rh- partorisce un bambino Rh+ il passaggio del sangue del bambino nel circolo materno induce la formazione
di anticorpi anti Rh. Al parto successivo la mamma può formare anticorpi anti Rh che potrebbero attaccare gli eritrociti fetali e
causare una eritroblastosi fetale che conduce alla morte del neonato Il trattamento preventivo della madre con agglutinine anti Rh
risolve il problema poiché riduce drasticamente gli eventuali anticorpi anti Rh.
L’intolleranza al lattosio
Nei neonati il lattosio (noto anche come zucchero del latte) è idrolizzato dall’enzima intestinale β-d-galattosidasi (o lattasi) nelle
sue componenti monosaccaridiche, che sono assorbite nel flusso sanguigno. Il galattosio è convertito per via enzimatica
(epimerizzato) in glucosio, che rappresenta il carburante metabolico primario per numerosi tessuti. La maggioranza degli adulti ha
bassi livelli di βgalattosidasi dal momento che è poco probabile che i mammiferi entrino in contatto con il lattosio dopo il termine
dello svezzamento.
Gran parte del lattosio che essi potrebbero digerire si muove attraverso il tratto digestivo sino al colon, dove la fermentazione
batterica genera grandi quantità di gas e ac. organici irritanti. Tale forma di intolleranza è in realtà la norma nell’essere umano
adulto, in particolare nei soggetti di etnia africana e asiatica. Con l’età, i livelli di β-galattosidasi diminuiscono solo in maniera
blanda nei discendenti delle popolazioni che, per consuetudine, si nutrono per tutta la vita di prodotti derivati dal latte.
• I derivati monosaccaridici includono gli acidi aldonici, gli acidi uronici, gli alditoli, i deossizuccheri, gli amminozuccheri e gli α-
e β-glicosidi.
• Le forme emiacetaliche ed emichetaliche cicliche dei monosaccaridi sono in configurazione α o β a livello del loro carbonio
anomerico, ma presentano variabilità dal punto di vista conformazionale.
• I derivati monosaccaridici includono gli acidi aldonici, gli acidi uronici, gli alditoli, i deossizuccheri, gli amminozuccheri e gli α-
e β-glicosidi.
• La cellulosa e la chitina sono polisaccaridi i cui legami β(1n4) fanno sì che tali composti adottino strutture rigide ed estese. •
sono costituiti da monosaccaridi uniti da legami glicosidici.
• I polisaccaridi di riserva amido e glicogeno sono formati da residui di glucosio uniti mediante legami α-glicosidici.
• I glicosamminoglicani sono polisaccaridi non ramificati contenenti acido uronico e amminozuccheri che sovente sono solforilati.
Concetti chiave - glicoproteine
• Le pareti delle cellule batteriche sono formate da peptidoglicano, un reticolo di catene polisaccaridiche e polipeptidiche.
• I proteoglicani sono molecole enormi costituite da acido ialuronico legato a nuclei proteici che portano numerosi
glicosamminoglicani e oligosaccaridi.
• Le proteine glicosilate possono contenere oligosaccaridi uniti con legami Nglicosidici (attaccati ad Asn) oppure oligosaccaridi
uniti con legami O-glicosidici (attaccati a Ser o a Thr) oppure entrambi. Molecole differenti di una glicoproteina possono
contenere sequenze e localizzazioni diverse di oligosaccaridi.
• Gli oligosaccaridi svolgono importanti funzioni nella modificazione delle proteine e nei fenomeni di riconoscimento a livello
della superficie cellulare.
4. Amminoacidi… un po’ di storia
❑ Inizio del XIX secolo, gli scienziati scoprirono che i prodotti naturali contenenti azoto erano essenziali per la sopravvivenza
degli animali.
❑ Nel 1839 il chimico svedese Jacob Berzelius coniò il termine proteina (dal greco proteios) .
❑ Le sostanze di origine vegetale, comprese le molecole proteiche, si pensava fossero incorporate tutte intere nei tessuti animali.
❑ Fu dimostrato che le proteine ingerite sono frammentate in composti di dimensioni più piccole contenenti amminoacidi e gli
scienziati si concentrarono sulle qualità nutrizionali di tali sostanze.
✓ Gli amminoacidi comuni sono noti come 𝛂- amminoacidi, poiché possiedono un gruppo amminico primario (−NH2 ) in qualità
di sostituente dell’atomo di carbonio α, cioè l’atomo di carbonio adiacente al gruppo carbossilico (−COOH).
I 20 amminoacidi convenzionali differiscono per quanto concerne la struttura della catena laterale (gruppo R)
Gli amminoacidi: sia acidi che basi I gruppi amminici e carbossilici degli amminoacidi possono andare incontro a ionizzazione
✓ Gli amminoacidi, che portano gruppi carichi con polarità opposta, sono ioni dipolari o zwitterioni.
✓ ✓ Gli amminoacidi, come gli altri composti ionici, mostrano una solubilità maggiore nei solventi polari rispetto a quelli non
polari.
✓ Le proprietà ioniche delle catene laterali influenzano le caratteristiche chimiche e fisiche degli amminoacidi liberi e di quelli
contenuti nelle proteine.
Il legame CO−NH, un legame amidico, è il legame peptidico. Gli amminoacidi possono polimerizzare = catene lineari mediante
reazioni di condensazione (la formazione di un legame con l’eliminazione di una molecola di acqua)
✓ Le variazioni nella lunghezza e nella sequenza amminoacidica dei polipeptidi contribuiscono alla diversità di forma e di
funzione biologica delle molecole proteiche. Polimeri con 2, 3 o + aa:
✓ Dipeptidi
✓ Tripeptidi
✓ Oligopeptidi
Ogni residuo amminoacidico partecipa a due legami peptidici ed è unito ai residui a esso adiacenti secondo un orientamento testa-
coda.
Gli amminoacidi: le catene laterali – polari o non polari Ci sono tre tipi principali di amminoacidi: 1) con gruppi R non polari (9):
Alanina, valina, glicina, leucina, isoleucina, triptofano, metionina, prolina, fenilalanina 2) amminoacidi con gruppi R polari non
carichi, 3) quelli con gruppi R polari carichi.
L’alanina, la valina, la leucina e l’isoleucina presentano catene laterali composte da più gruppi
La glicina è l’amminoacido con la catena laterale più piccola, in quanto è costituita da un solo atomo di H
Gli amminoacidi: le catene laterali – polari o non polari
1) quelli con gruppi R non polari (9), Alanina, valina, glicina, leucina, isoleucina, triptofano, metionina, prolina, fenilalanina
2) gli amminoacidi con gruppi R polari non carichi (6): Serina, treonina, asparagina, glutammina, tirosina, cisteina
La serina e la treonina hanno catene laterali di grandezza differente con un gruppo ossidrilico
3) quelli con gruppi R polari carichi + o – (5): Lisina, arginina, istidina, acido aspartico, acido glutammico
Gli amminoacidi sono rappresentati in forma di modelli a sfere e bastoncini inclusi in strutture spaziali trasparenti. C = verde H =
bianco, N = blue O = rosso.
è l’unico tra i 20 aa a possedere un gruppo tiolico in grado di formare un legame disolfuro con un’altra cisteina attraverso
ossidazione dei due gruppi tiolici
✓ La struttura della maggior parte dei polipeptidi dipende da una tendenza delle catene laterali polari e ioniche all’idratazione e di
quelle non polari ad associarsi l’una all’altra piuttosto che all’acqua.
✓ Le proprietà chimiche e fisiche delle catene laterali degli amminoacidi determinano anche la reattività chimica del polipeptide.
Gli amminoacidi: abbreviazioni La maggior parte di esse deriva dalle prime 3 lettere del nome dell’amminoacido corrispondente
e si pronuncia così come è scritta.
I vari atomi delle catene amminoacidiche laterali sono spesso indicati in sequenza impiegando lettere dell’alfabeto greco, a partire
dall’atomo di carbonio adiacente al gruppo carbonilico del peptide.
– Concetti chiave
• All’interno di una catena polipeptidica, i legami tra gli amminoacidi sono costituiti dai legami peptidici.
• Alcune catene laterali degli amminoacidi contengono gruppi ionizzabili i cui valori di pK possono variare.
• I 20 amminoacidi standard condividono una struttura comune ma differiscono a livello della loro catena laterale.
I 20 amminoacidi standard subiscono molte altre trasformazioni chimiche che possono modificarli in altri amminoacidi o composti
correlati
I derivati la GFP
Con l’ingegneria genetica si può unire un gene che codifica una proteina a un “gene reporter”, per esempio il gene di un enzima
che genera un prodotto di reazione colorato. L’intensità del composto colorato può essere usata per stimare il livello di espressione
del gene ingegnerizzato. Uno dei geni reporter di maggior utilizzo è quello che codifica la proteina con fluorescenza verde o GFP
(GFP, green fluorescent protein), che si ottiene dalla medusa bioluminescente Aequorea victoria e che emette fluorescenza con un
picco e una lunghezza d’onda pari a 508 nm (luce verde) in seguito a irraggiamento con luce ultravioletta o blu (in modo ottimale
a 400 nm).
Questa proteina non è tossica ed è intrinsecamente fluorescente. Essa non richiede un substrato o una piccola molecola che funga
da cofattore per emettere la sua fluorescenza, come accade per altre proteine fluorescenti. Quando il suo gene è unito a un altro, il
livello di espressione dei due geni fusi può essere misurato per via non invasiva tramite microscopia a fluorescenza. La proteina
GFP è costituita da una catena di 238 residui amminoacidici e il gruppo che emette luce è un derivato di tre amminoacidi
consecutivi: Ser, Tyr e Gly.
Dopo la sintesi della proteina i tre amminoacidi vanno incontro a ciclizzazione e ossidazione spontanee; l’atomo di C carbonilico
della Ser forma un legame covalente con l’atomo di N amidico fornito dalla Gly, cui segue l’eliminazione di acqua e l’ossidazione
del legame Cα−Cβ della Tyr che dà origine a un doppio legame. La struttura risultante contiene un sistema di doppi legami
coniugati che conferisce alla proteina le sue proprietà fluorescenti.
✓ Gli amminoacidi possono poi essere ossidati come sostanze nutrienti per fornire energia
✓ Gli amminoacidi e i loro derivati fungono spesso da messaggeri chimici per la comunicazione tra le cellule . La glicina, l’acido
𝛄-amminobutirrico (GABA, un prodotto della decarbossilazione della glutammina) e la dopamina (un derivato della tirosina) sono
neurotrasmettitori, sostanze rilasciate dalle cellule nervose per influenzare il comportamento di altre poste nelle loro vicinanze.
L’istamina (il prodotto della decarbossilazione dell’istidina) è un potente mediatore locale delle reazioni allergiche, la tiroxina (un
derivato della tirosina) è un ormone tiroideo contenente iodio che stimola in genere il metabolismo dei vertebrati.
Amminoacidi derivati – Concetti chiave
• Le catene laterali dei residui amminoacidici nelle proteine possono essere modificate covalentemente.
5. LE PROTEINE
✓ Le informazioni attinenti alla sequenza degli amminoacidi offrono la possibilità di studiare più approfonditamente le proprietà
chimiche e fisiche delle proteine, le relazioni con altre molecole proteiche, i meccanismi d’azione negli esseri viventi.
La struttura primaria di una proteina è la sequenza degli amminoacidi della sua catena polipeptidica, o delle sue catene se la
molecola proteica è costituita da più di un polipeptide.
Le combinazioni
Per una data proteina composta di n residui le possibili sequenze sono 20n.
Con 20 differenti scelte a disposizione per ciascun residuo amminoacidico di una catena polipeptidica si può ottenere un numero
elevatissimo di molecole proteiche differenti.
• I polipeptidi con dimensioni inferiori sono detti peptidi. • La più lunga catena polipeptidica è quella della titina.
• Questa varietà potenzialmente enorme viene limitata nelle cellule dall’efficienza della sintesi proteica e dalla capacità del
polipeptide di ripiegarsi per dare origine a una struttura funzionante.
- Lavorare con le proteine
- La prima tappa:
• Isolare una molecola proteica o un’altra di natura biologica consiste nell’estrarla dalla cellula e porla in una soluzione.
• Molte cellule richiedono un certo tipo di frammentazione meccanica al fine di rilasciare il loro contenuto.
• Tutte le procedure atte a lisare le cellule sfruttano varianti della frantumazione o della macinazione
- La seconda tappa:
• Se la proteina bersaglio è strettamente associata alle membrane lipidiche, si impiega un detergente o un solvente organico per
solubilizzare i lipidi e recuperarla in forma solubile.
Dopo aver rimosso una proteina dal suo ambiente naturale, questa rimane esposta a molti agenti che possono danneggiarla in
maniera irreversibile.
- Il pH: i materiali biologici sono disciolti in soluzioni tampone efficaci nell’intervallo di pH in cui le sostanze di interesse sono
stabili. Non tamponare correttamente il pH può portare alla loro denaturazione (alterazioni strutturali) e alla degradazione chimica.
- La temperatura: la stabilità termica delle proteine è variabile. Alcune di esse si denaturano alle basse temperature, la gran parte
è stabile fino a temperature relativamente elevate. La purificazione delle proteine è condotta normalmente a temperature prossime
a 0 °C.
- La presenza di enzimi digestivi: quando i tessuti sono disgregati per liberare la molecola di interesse, vengono rilasciati anche
enzimi digestivi, come le proteasi e le nucleasi. Gli enzimi possono essere bloccati regolando il pH o la temperatura a valori tali da
limitare al massimo la loro attività o mediante l’aggiunta di composti che ne bloccano l’azione in modo specifico.
Dopo aver rimosso una proteina dal suo ambiente naturale, questa rimane esposta a molti agenti che possono danneggiarla in
maniera irreversibile.
- L’assorbimento su superfici: numerose proteine si denaturano all’interfaccia aria-acqua o in contatto con superfici di vetro o di
plastica. Le soluzioni proteiche sono manipolate in modo da rendere minima la formazione di schiuma e sono mantenute
relativamente concentrate.
- La conservazione per tempi prolungati: attenzione a ossidazione e alla contaminazione microbica. Le soluzioni contenenti
proteine sono conservate in presenza di gas inerti come l’azoto o l’argon e/o congelate a –80 °C oppure a –196 °C (T dell’azoto
liquido).
Per purificare una sostanza bisogna disporre anche di un sistema che ne rilevi la quantità. Necessario un dosaggio specifico per la
proteina bersaglio, altamente sensibile e di comodo impiego. I dosaggi proteici più semplici sono quelli delle molecole
enzimatiche che catalizzano reazioni che danno origine a prodotti facilmente rilevabili, poiché la velocità di formazione del
prodotto è proporzionale alla quantità di enzima presente. A questo scopo sono stati sviluppati composti che, in seguito a
modificazioni enzimatiche, liberano prodotti colorati o fluorescenti.
- Reazione enzimatica accoppiata Se non è disponibile alcuna specifica sostanza per dosare l’enzima, il prodotto naturale della
reazione enzimatica può essere convertito, attraverso l’azione di un altro enzima, in una sostanza facilmente quantificabile. Le
proteine non enzimatiche possono essere rilevate grazie alla loro capacità di legarsi in modo specifico a certe sostanze o di
produrre effetti biologici osservabili.
- Dosaggio immunochimico: dosaggi immunologici, dosaggio radioimmunologico (RIA), dosaggio con immunoassorbenti legati
a enzimi (ELISA, Enzyme-Linked Immunosorbent Assay)
- I dosaggi immunologici fanno uso di anticorpi, proteine prodotte dal sistema immunitario degli animali in risposta
all’introduzione di una sostanza estranea (un antigene). Gli anticorpi recuperati dal siero di un animale immunizzato o da colture di
cellule immortalizzate che producono anticorpi legano specificamente l’antigene proteico originale. È possibile rilevare una
proteina in una miscela complessa mediante il legame ai suoi corrispondenti anticorpi.
- dosaggio radioimmunologico (RIA): la proteina è quantificata per via indiretta mediante la determinazione della sua
competizione con uno standard marcato per il legame all’anticorpo.
La concentrazione di una sostanza in soluzione può essere misurata mediante spettroscopia di assorbimento. L’assorbimento della
luce da parte di una soluzione contenente un soluto è governato dalla legge di Lambert-Beer
I polipeptidi assorbono la luce nella regione ultravioletta (UV) dello spettro (λ = da 200 a 400 nm), perché hanno catene laterali
aromatiche (Phe, Trp e Tyr).
I polipeptidi non assorbono luce visibile (λ = da 400 a 800 nm), in quanto sono incolori.
- I dosaggi proteici Le molecole enzimatiche catalizzano reazioni che danno origine a prodotti facilmente rilevabili. La velocità di
formazione del prodotto è proporzionale alla quantità di enzima presente. Esistono composti che, in seguito a modificazioni
enzimatiche, liberano prodotti colorati o fluorescenti.
- Reazione enzimatica accoppiata Se non è disponibile alcuna specifica sostanza per dosare l’enzima, il prodotto naturale della
reazione enzimatica può essere convertito, attraverso l’azione di un altro enzima, in una sostanza facilmente quantificabile.
Su un solido inerte, come per esempio il polistirene, viene immobilizzato un anticorpo contro la proteina di interesse. Sulla
superficie rivestita di anticorpo è applicata la soluzione da dosare.
L’ anticorpo lega la proteina di interesse, mentre le altre molecole proteiche sono rimosse.
Il complesso proteina-anticorpo viene fatto reagire con un secondo anticorpo proteina-specifico a cui è unito un enzima.
Il legame del secondo complesso anticorpo-enzima è misurato mediante il dosaggio dell’attività dell’enzima. La quantità di
substrato convertito in prodotto indica la quantità di proteina presente.
Le proteine sono purificate per mezzo di procedure di frazionamento. E’mecessaria l’eliminazione selettiva delle altre componenti
della miscela, in modo da avere alla fine solo la sostanza richiesta
Una proteina ha numerosi gruppi carichi, la solubilità dipende dalle concentrazioni dei sali disciolti, dalla polarità del solvente, dal
pH, e dalla temperatura.
Salting in
• Gli ioni aggiunti schermano le cariche ioniche multiple della proteina, indebolendo in tal modo le forze attrattive tra le singole
molecole proteiche.
Salting out
• Con l’aggiunta di una quantità maggiore di sale, in particolare i solfati, la solubilità della proteina diminuisce.
• Si verifica una competizione per le molecole del solvente tra gli ioni del sale aggiunto e gli altri soluti disciolti.
Esempio: Il sale scelto per il trattamento, di solito solfato di ammonio, è aggiunto a una soluzione di macromolecole a una
concentrazione appena inferiore al punto di precipitazione della proteina di interesse. Centrifugo e le proteine indesiderate
precipitate (rosse) sono eliminate e al surnatante è aggiunto altro sale sino a una concentrazione sufficiente a far precipitare la
proteina in questione (verdi). Dopo la seconda centrifugazione, la proteina viene recuperata in forma di precipitato e il surnatante è
eliminato.
Il pH può essere regolato in modo da avvicinarsi al punto isoelettrico (pI) della proteina di interesse Ps: una molecola proteica è
meno solubile quando la sua carica netta è vicina a zero. Lavorare con le proteine: salting out L'IEP o punto isoelettrico, di una
proteina è il pH al quale la proteina non ha carica netta, o meglio le cariche positive sono della stessa entità di quelle negative.
Quando il pH < IEP: catene laterali più basiche di aminoacidi si protonano per dare alla proteina una carica netta positiva.
La CHIMICA ANALITICA è la branca della chimica rivolta all'identificazione, caratterizzazione chimico-fisica e determinazione
quali- e quanti- tativa dei componenti di un determinato campione. CHIMICA ANALITICA «CLASSICA» SAGGI CON
REAGENTI CHIMICI SAGGI ALLA FIAMMA TITOLAZIONE METODI GRAVIMETRICI
- Botanico russo Mikhail Semenovich Tswett: egli intendeva separare i pigmenti presenti nella clorofilla; fece un estratto di foglie
verdi in etere di petrolio (l’eluente), lo depositò in testa ad una colonna di vetro impaccata con carbonato di calcio (che ha il ruolo
di adsorbente) ed eluì, (cioè versò in continuo). i vari pigmenti si separarono in bande colorate, in particolare clorofilla A e B,
carotene e xantofilla.
Tswett chiamò questa tecnica cromatografia dal greco : chrômatos, colore + graphía, scrivere, letteralmente scrittura del colore
FASE mobile LIQUIDA (che si muove sopra o attraverso la fase stazionaria) GASSOSA
FASE stazionaria LIQUIDA SOLIDA LIQUIDA/SOLIDA ( un liquido, un gas)
Se una fase viene immobilizzata (fase stazionaria) e l’altra viene fatta scorrere attraverso essa (fase mobile, o 'ELUENTE'), è
possibile condurre un’estrazione in modo continuo.
Una specie chimica immessa nella fase mobile (ELUENTE) che fluisce in una fase stazionaria si distribuirà infatti dinamicamente
tra le due fasi in misura proporzionale alla diversa affinità che possiede per esse.
Consideriamo un sistema formato da due fasi in cui viene introdotta una sostanza: la sostanza si distribuirà fra le due fasi a
seconda delle sue particolari proprietà chimico-fisiche.
Indicando con Cm e Cs le sue concentrazioni nella fase mobile e nella fase stazionaria rispettivamente e supponendo che le
condizioni sperimentali siano tali da conseguire il raggiungimento di equilibri successivi del tipo:
Cm ⇄ Cs
possiamo rappresentare con K la corrispondente costante di equilibrio, scrivendo la formulazione della costante di equilibrio per
questa reazione come:
K = Cs / Cm
Questa particolare forma di Keq prende il nome di coefficiente di distribuzione/ripartizione ed è definito dalla legge di Nernst che
stabilisce che il rapporto tra le concentrazioni del soluto nelle due fasi a contatto fra loro.
È dal valore di K che dipende
il tempo di ritenzione, ossia il tempo necessario affinché un analita percorra l’intera fase stazionaria. Infatti, un’elevata
concentrazione nella fase stazionaria, rispetto a quella nella fase mobile, indica una maggiore affinità per la prima. Il altre parole,
l’eluente incontrerà una certa difficoltà nel trascinare con se alcune sostanze, mentre altre più affini ad esso e meno verso la fase
stazionaria, verranno dislocate dalle posizioni che occupano e trasportate verso la coda della colonna. In questo modo le sostanze
meno affini per la fase stazionaria saranno separate da quelle maggiormente trattenute.
N.B. NO LEGAMI COVALENTI Spesso possono essere presenti più tipi di interazione nello stesso processo cromatografico.
In base ai tipi di interazione prima descritti possiamo suddividere i meccanismi di separazione impiegati in cromatografia in:
• adsorbimento
• ripartizione
• Scambio ionico
• esclusione
• affinità
La fase stazionaria interagisce con i componenti da separare in aniera diversa con l’effetto di diversificare la loro velocità e quindi
il tempo di transito attraverso di essa. Velocità=differente tempo di ritenzione
Cromatografia per filtrazione su gel – separazione per dimensione o forma
La fase stazionaria consiste in granuli di gel contenenti pori di dimensioni variabili in un intervallo relativamente ristretto. Le
dimensioni dei pori sono determinate dal n° di legami crociati tra i polimeri del materiale della matrice del gel. Le molecole troppo
grandi per attraversare i pori sono escluse dal volume di solvente interno ai granuli del gel.
Molecole grandi percorrono la colonna più rapidamente di quelle piccole che attraversando i pori entrano nei granuli.
La filtrazione su gel può essere usata per separare una vasta gamma di molecole. Le molecole grandi sono eluite per prime perché
hanno accesso a un numero inferiore di pori, rispetto alle molecole di dimensioni più ridotte, che attraversano una quota maggiore
di pori del gel.
Nella cromatografia per affinità una molecola (ligando) che si lega in modo specifico alla proteina di interesse è attaccata
covalentemente a una matrice inerte. Quando una soluzione costituita da una miscela di proteine è fatta passare attraverso tale
materiale cromatografico, la proteina desiderata si unisce al ligando immobilizzato, mentre altre sostanze attraversano la colonna
unitamente al tampone.
La proteina bersaglio può essere recuperata in forma altamente purificata variando il tampone che attraversa la colonna, in modo
da eluire la proteina dalla matrice.
Il vantaggio della cromatografia per affinità: possibilità di sfruttare le proprietà biochimiche delle proteine
Le proteine possono essere separate e caratterizzate mediante elettroforesi
Un’altra tecnica per la separazione delle proteine si basa sulla migrazione delle proteine cariche in un campo elettrico,
elettroforesi.
Metodo analitico: vantaggiosa quando si vogliono allo stesso tempo separare e visualizzare le proteine per consentire al ricercatore
di stabilire rapidamente il numero di proteine diverse presenti nella miscela o il grado di purezza di una preparazione proteica.
L’elettroforesi viene fatta su gel polimerici con molti legami crociati, es. la poliacrillamide.
Questo gel funge da setaccio molecolare capace di rallentare la migrazione delle proteine proporzionalmente al loro rapporto
carica/massa molecolare.
Come si ottiene: aliquote di campioni differenti vengono depositate nei pozzetti posti in cima al gel di poliacrilammide.
Il gel riduce al minimo le correnti di convezione causate da piccoli gradienti di temperatura e gli spostamenti delle molecole
proteiche diversi da quelli indotti dal campo elettrico.
Alla fine della corsa elettroforetica, le proteine possono essere visualizzate trattando il gel con un colorante come il blu
Coomassie, che si lega alle proteine, ma non al gel.
Ciascuna banda sul gel rappresenta una proteina (o subunità proteica) diversa.
Le proteine più piccole si muovono lungo il gel più rapidamente delle proteine più grandi e quindi si trovano più vicine al fondo
del gel.
Un metodo elettroforetico usato comunemente per valutare la purezza e la massa molecolare delle proteine comprende l’uso del
detergente sodio dodecil solfato (SDS) (dodecil indica una catena formata da 12 atomi di carbonio).
L’SDS legato conferisce una carica netta negativa alla proteina e rende insignificante la sua carica intrinseca. L’elettroforesi in
presenza di SDS separa quindi le proteine principalmente in base alla massa molecolare e i peptidi più piccoli migrano più
velocemente.
Una proteina legherà una quantità di SDS pari a circa 1,4 volte il suo peso molecolare, circa una molecola di SDS per ogni residuo
amminoacidico.
Confrontando la migrazione nel gel di una proteina sconosciuta con quella di proteine a peso molecolare noto, è possibile
determinare il suo peso molecolare approssimativo
La mobilità elettroforetica di una proteina su gel di poliacrilammide in presenza di SDS è correlata al suo peso molecolare. La
relazione tra il logaritmo della M r e la migrazione elettroforetica è lineare e consente di calcolare il valore del peso molecolare di
una proteina sconosciuta.
- Viene creato un gradiente di pH con una miscela di acidi e basi di natura organica a basso p.m. distribuita in un campo elettrico
generato attraverso il gel.
- Ogni proteina presente nella miscela, migra fino a quando raggiunge il pH corrispondente al suo pl.
- Proteine con diverso punto isoelettrico distribuiscono in zone diverse del gel.
L’isoelettrificazione + l’elettroforesi su SDS= elettroforesi bidimensionale : aiuta a separare proteine di identico peso molecolare,
ma con differente pl, o viceversa
- LE PROTEINE GEL 2D
Il gel viene poi posto orizzontalmente su un altro gel fatto polimerizzare a forma di lastra e le proteine vengono separate mediante
elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di SDS.
In questo gel bidimensionale la separazione orizzontale riflette le differenze nel valore del pl, mentre la separazione verticale
riflette le differenze nella massa molecolare.
Ogni macchia nera che si osservaalla fine della separazione corrispondente a una singola proteina può essere ritagliata e rimossa
dal gel per essere identificata.
Le proteine dell’Ultracentrifuga.
Le macromolecole in soluzione non mostrano alcuna desimentazione per effetto del campo gravitazionale terrestre in quanto il
loro movimento termico casuale (browniano) le mantiene distribuite in maniera uniforme in tutta la soluzione.
Solo quando le macromolecole sono sottoposte a enormi accelerazioni iniziano a depositarsi (es. i granelli di sabbia).
- L’ultracentrifuga
1923 dal biochimico svedese Theodore Svedberg, può arrivare a velocità rotazionali vicine a 100 000 giri al minuto
Genera campi centrifughi anche superiori a 1 000 000 g. Dimostrò per primo che le proteine sono macromolecole dotate di
composizione omogenea e che molte di esse contengono subunità.
La velocità con cui una particella sedimenta durante una ultracentrifugazione è in relazione alla sua massa.
Il coefficiente di sedimentazione di una proteina (la velocità di sedimentazione per unità di forza centrifuga) è espresso in unità
Svedberg (S), il cui valore è pari a 10-13 secondi.
La relazione tra massa molecolare e coefficiente di sedimentazione non è lineare, perciò i valori dei coefficienti di sedimentazione
non sono additivi.
I valori di coefficiente de
- quelli delle particelle subcellulari, 8es. i mitocondri) sono dell’ordine delle decine di migliaia di unità S.
Nell’ultracentrifuga preparatoria la sedimentazione è effettuata in una soluzione di un composto inerte in cui la concentrazione,
aumenta progressivamente a partire dal fondo del tubo da centrifuga verso l’alto.
- depositare poi il campione contenente le macromolecole per ultimo, alla sommità del gradiente di saccarosio.
- Durante la centrifugazione ciascuna specie macromolecolare si sposta attraverso il gradiente a una velocità determinata in larga
misura dal suo coefficiente di sedimentazione, muovendosi quindi come una banda che può essere separata dalle altre.
2. Nel corso della centrifugazione ogni particella sedimenta a una velocità che dipende in larga misura dalla sua massa.
3. al termine, il fondo del tubo viene forato e le particelle (bande) separate vengono raccolte. In alcuni casi il tubo da centrifuga è
riempito con una soluzione di campione contenente una sostanza (CsCl), che forma una gradiente di densità man mano che il tubo
è fatto ruotare.
- le condizioni ambientali, come il pH e la temperatura, influenzano la stabilità di una proteina durante le fasi della sua
purificazione.
- Per quantificare la presenza di una proteina durante la sua purificazione si può utilizzare una dosaggio specifico che sfrutta le
proprietà chimiche o di legame di quella determinata proteina
- per isolare una proteina dalla altre molecole, si usano metodi di frazionamentoche sfruttano proprietà specifiche delle proteine
quali la loro struttura e composizione chimica.
- Aumentando la concentrazione salina di una soluzione si provoca la precipitazione selettiva (salting out) di proteine aventi
diversa solubilità.
Il comportamento cromatografico di una proteina è influenzato da alcune sue proprietà quali carica ionica, polarità, dimensione e
capacità di legarsi a un ligando.
L’elettroforesi su gel e le sue varianti separano le proteine secondo la loro carica, la loro dimensione e secondo il loro punto
isoelettrico.
Con l’ultracentrifugazione è possibile stabilire la dimensione complessiva e la forma di macrmolecole e di grandi aggregati
molecolari.
- dal 20 al 30 % delle proteine umane è polimorfico, cioè mostra alcune piccole variazioni all’interno della popolazione umana
- Molte di tali variazioni non hanno alcun effetto sulla funzione della proteina.
- proteine che svolgono funzioni simili in specie anche evolutivamente distanti possono avere dimensioni e sequenze
amminoacidiche molto diverse
La struttura primaria è costituita da una sequenza di amminoacidi uniti da legami peptidici; comprende anche i ponti disolfuro. I
polipeptidi risultanti possono disporsi tridimensionalmente secondo una struttura regolare ricorrente, che viene definita struttura
secondaria, come per esempio l’α elica.
L’α elica è una parte della struttura terziaria del polipeptide avvolto, a sua volta, da una delle subunità che costituiscono la struttura
quaternaria di proteine formate da più unità costitutive ( emoglobina).
- Il sequenziamento Sanger
- Il procedimento utilizzato da Fred Sanger per la determinazione della struttura primaria della proteina insulina.
- Pochissime proteine vengono attualmente sequenziate con questa tecnica, per lo meno nella loro interezza.
- Una proteina di grandi dimensioni dovrebbe essere tagliata per due volte in frammenti più piccoli utilizzando due metodi diversi.
- Le estremità dei frammenti generati nei vari modi dovrebbero essere diverse.
- Al termine dei tagli proteolitici è necessario purificare e sequenziare i diversi gruppi di frammenti ottenuti con i trattamenti.
- Si può determinare l’ordine in cui si trovano i frammenti nella proteina originale esaminando le sovrapposizioni di sequenze
presenti nei due gruppi di frammenti.
-La degradazione di Edman Il sequenziamento chimico è basato su un processo in due tappe messo a punto da Edman
La degradazione di Edman:
- marca
Il peptide viene fatto reagire, in condizioni blandamente alcaline, con il fenilisotiocianato, che converte l’amminoacido
amminoterminale in un addotto feniltiocarbammilico (PTC).
Il legame peptidico più vicino all’addotto PTC viene scisso dall’acido trifluoroacetico, si rimuove l’a.a. amminoterminale.
Il derivato amminoacidico viene estratto con solventi organici, convertito nella forma feniltioidantoinica, più stabile, mediante
trattamento con acidi diluiti, e quindi identificato.
L’uso di reazioni sequenziali, condotte prima in ambiente basico e poi acido, permette di controllare l’intero processo.
Ciascuna reazione che coinvolge l’amminoacido amminoterminale può andare essenzialmente a completamento senza influenzare
nessuno degli altri legami peptidici del peptide.
- Questo processo viene ripetuto, solitamente, per identificare fino a 40 residui amminoacidici in sequenza.
- Per determinare la sequenza di proteine di grandi dimensioni, è stato necessario ideare e mettere a punto metodi che eliminassero
i ponti disolfuro e tagliassero le proteine, come gli enzimi, detti proteasi, che catalizzano l’idrolisi dei legami peptidici.
- Le sequenze proteiche possono darci informazioni sulla storia della vita sulla Terra
Dopo aver sequenziato i singoli frammenti peptidici, è necessario stabilirne l’ordine nel polipeptide originale. Questa tappa si
effettua operando un seconda frammentazione della proteina con un reagente dotato di una specificità diversa da quello usato nella
prima.
Vengono poi confrontate le sequenze amminoacidiche cercando sovrapposizioni di sequenza nei frammenti peptidici. Le sequenze
di DNA vengono ordinate in modo simile.
La fine dell’analisi di una sequenza amminoacidica consiste nel determinare le posizioni dei ponti disolfuro (qualora ve ne siano)
Si divide un campione della proteina, coi -S-S- intatti, per originare coppie di frammenti peptidici uniti da -S-S-, contenente un
singolo residuo di Cys.
Dopo aver isolato il peptide contenente un ponte disolfuro, quest’ultimo è scisso e alchilato e le sequenze dei due peptidi isolati
sono così determinate.
Le varie coppie di tali segmenti polipeptidici sono identificate mediante raffronto delle loro sequenze con quella della proteina,
stabilendo così le posizioni dei ponti disolfuro.
L’analisi di tutte le informazioni disponibili nelle banche dati sulle sequenze geniche e proteiche e sulle strutture molecolari ha
generato un nuovo campo d’indagine: la bioinformatica.
Le sequenze proteiche possono fornire informazioni su come le proteine si sono evolute e quindi su come si è sviluppata la vita sul
nostro pianeta.
I residui amminoacidici essenziali per l’attività di una proteina restano gli stessi durante l’evoluzione.
I residui meno importanti per la funzione possono variare nel tempo, cioè un amminoacido può essere stato sostituito da un altro.
Sono questi residui variabili che possono fornire informazioni sull’evoluzione delle proteine.
Un altro fattore che complica lo studio della storia dell’evoluzione è il trasferimento, anche se raro, di un gene o di un gruppo di
geni da un organismo all’altro, un processo chiamato trasferimento genico orizzontale.
I geni trasferiti possono essere molto simili ai geni dell’organismo originale da cui sono derivati, mentre tutti gli altri geni dei due
organismi possono essere evolutivamente molto distanti.
L’analisi delle famiglie proteiche correlate tra loro risulta molto utile per lo studio dell’evoluzione molecolare.
Quando due proteine oltre alla funzione, hanno anche sequenze in comune, si può dedurre che esse facciano parte di una famiglia
di proteine che hanno un antenato comune.
- Le famiglie di proteine si evolvono per duplicazione e divergenza dei geni che codificano i domini delle proteine.
Per molto tempo si è ritenuto che le proteine fossero colloidi a struttura casuale e che le attività enzimatiche di determinate
molecole proteiche cristallizzate si dovessero a entità sconosciute associate ai trasportatori inerti proteici. Nel 1934 J.D. Bernal e
Dorothy Crowfoot Hodgkin asseriscono che un composto proteico ha una disposizione ordinata dei suoi atomi organizzati in una
molecola ampia e con conformazione mai osservata sino a quel momento. 1958 John Kendrew e collaboratori determinano la
prima struttura ai raggi X di un composto proteico, quella della mioglobina di capodoglio. Dal confronto di circa 110 000 strutture
proteiche si è potuto osservare che le proteine mostrano in realtà un considerevole grado di regolarità strutturale.
La struttura secondaria è la conformazione spaziale assunta a livello locale dagli atomi di uno scheletro polipeptidico senza tenere
in considerazione la disposizione delle sue catene laterali.
La struttura terziaria si riferisce alla distribuzione tridimensionale degli atomi di un intero polipeptide, compresa quella delle sue
catene laterali.
La struttura quaternaria di una proteina indica la disposizione spaziale dell’insieme di due o più catene polipeptidiche chiamate
subunità.
La struttura secondaria delle proteine consiste in un ripiegamento regolare della catena polipeptidica, come per esempio l’elica, il
foglietto e i ripiegamenti (cambi di direzione). È necessario prendere in considerazione le proprietà geometriche dei gruppi
peptidici, alla base di tutte le strutture di ordine superiore.
Il legame peptidico è scritto come legame semplice covalente, ma in realtà è un ibrido di risonanza
che presenta un parziale (40%) carattere di doppio legame tra carbonio ed azoto
Il carattere di doppio legame C-N si spiega con l'esistenza di 2 strutture di risonanza generalmente la configurazione è con l’O e
l’H in trans l’uno rispetto all’altro. ISOMERIA CIS-TRANS
Dunque il legame peptidico risulta rigido e planare. Così la rotazione attorno al legame C-N è impedita, i quattro atomi del legame
peptidico e i 2 C si trovano sullo stesso piano. La planarità di questi elementi ha conseguenze importanti per le tre strutture
tridimensionali delle proteine.
• Si riferisce agli atomi che partecipano ai legami peptidici, trascurando le catene laterali dei residui amminoacidici.
• È possibile schematizzare lo scheletro come una progressione di gruppi peptidici rigidi e planari uniti l’uno all’altro
Angoli di torsione
La conformazione della catena principale può essere descritta in termini di angoli di torsione intorno al legame:
di ciascun residuo.
A questi angoli, 𝛟 e 𝛙, è attribuito un valore di 180° quando la catena polipeptidica è nella propria conformazione completamente
estesa, ed essi aumentano in senso orario, osservandoli dal Cα.
In uno scheletro polipeptidico gli angoli di torsione sono sottoposti a limitazioni steriche La libertà conformazionale è limitata. La
rotazione intorno ai legami Cα con N e Cα con C che dà origine a determinate combinazioni di angoli ϕ e ψ determina una
collisione tra:
• l’idrogeno amidico
• l’ossigeno carbonilico
✓ 1951 La sua scoperta da parte di Linus Pauling attraverso la costruzione di modelli, rappresenta una pietra miliare della
biochimica strutturale
✓ L’α-elica è destrorsa, cioè si avvolge nella direzione del movimento delle dita della mano destra, quando si richiudono a pugno
e il pollice punta nella direzione di allungamento dell’elica.
✓ L’α-elica, che idealmente ha ϕ = −57° e ψ = −47° , ha 3,6 residui per giro e un passo (la distanza di avanzamento dell’elica per
ogni giro) pari a 5,4 Å.
✓ Le α-eliche delle proteine hanno una lunghezza media di circa 12 residui, corrispondente a oltre 3 giri dell’elica, e a circa 18 Å
di lunghezza.
Le proprietà idrofobiche o idrofiliche di una alfa-elica dipendono dalle catene laterali degli aa
L’a-elica è stabilizzata da legami idrogeno intracatena che si formano tra l’ossigeno carbonilico di un legame peptidico e
l’idrogeno ammidico di un legame peptidico situato a 4 residui di distanza sulla catena. La prolina interrompe l’a-elica!!! Gli
amminoacidi con catene laterali (-R ) voluminose o cariche possono interferire con la formazione dell’a-elica.
Ogni idrogeno ammidico è coinvolto in un legame idrogeno con il carbonile di un altro amminoacido
Struttura secondaria: foglietti
• Nel 1951 Pauling e Corey ipotizzano l’esistenza di una struttura polipeptidica secondaria differente, il foglietto β. • Nei foglietti β
i legami idrogeno si instaurano tra catene polipeptidiche vicine e non all’interno di una sola, come nell’α-elica.
Ogni filamento può contenere sino a 15 residui, con un valore medio di 6. Il foglietto β antiparallelo costituito da sette filamenti. I
foglietti β paralleli contenenti meno di cinque filamenti sono rari. Questo tipo di strutture parallele ha legami idrogeno distorti
rispetto a quelli presenti nei foglietti antiparalleli. Le strutture con foglietti parallelo sono meno stabili di quelle antiparallele. Si
trovano con frequenza foglietti β che contengono filamenti sia paralleli sia antiparalleli.
Quando i foglietti β sono osservati nella direzione dei loro filamenti polipeptidici, essi mostrano quasi invariabilmente un
pronunciato avvolgimento destrorso L’avvolgimento distorce e indebolisce i legami idrogeno intercatena dei foglietti β e come
conseguenza la sua geometria diventa un compromesso tra l’ottimizzazione delle energie conformazionali delle sue catene
polipeptidiche e la preservazione dei suoi legami idrogeno.
Il foglietto β a 8 filamenti origina una superficie ricurva a forma di sella con avvitamento destrorso.
I filamenti antiparalleli possono essere collegati per mezzo di una piccola ansa.
I filamenti paralleli richiedono una connessione incrociata più estesa, con andamento elicoidale destrorso che si adatta meglio al
ripiegamento destrorso del foglietto β.
Proteine fibrose e globulari: Questa divisione è valida per definire le proprietà delle proteine fibrose che, negli esseri viventi,
presentano un ruolo: • protettivo • di collegamento • di sostegno la cheratina e il collageno sono molecole altamente allungate, la
cui forma è dominata da un unico tipo di struttura secondaria. Esse costituiscono quindi utili esempi di tali elementi
conformazionali.
FIBROSE sono le conformazioni + semplici: Catene polipeptidiche avvolte o disposte lungo 1 sola dimensione, spesso in fasci
paralleli Hanno ruolo protettivo o strutturale
GLOBULARI Le catene polipeptidiche sono ripiegate in strutture compatte con poco o nessuno spazio interno per molecole di
H2O Le catene laterali sono distribuite nello spazio in base alla polarità:
•I residui polari verso l’esterno
•Le catene non polari verso l’interno, con conformazioni rilassate a bassi livelli energetici senza un gran numero di interazioni
intramolecolari
Proteina resistente dal punto di vista meccanico e non reattiva sotto il profilo chimico presente in tutti i vertebrati. È il componente
principale del loro strato epidermico esterno corneo e delle sue appendici correlate, quali peli, corna, unghie e piume. Le cheratine
sono state classificate in: cheratine α nei mammiferi cheratine β negli uccelli e nei rettili.
Gli esseri umani presentano più di 50 geni per questa molecola, sono espressi in maniera tessuto-specifica.
L’ α-cheratina è una proteina poco reattiva e resistente
• È ricca di residui di cisteina che formano ponti disolfuro fra catene adiacenti: α-cheratine dure (capelli, corna, unghie) α-
cheratine soffici (pelle e callosità) I ponti disolfuro possono essere scissi in modo riduttivo con mercaptani o mediante un
trattamento termico stiramento la molecola assume una conformazione a foglietto raddoppiando anche la sua lunghezza
L’elasticità dei capelli e delle fibre di lana dipende dalla tendenza dell’avvolgimento avvolto a recuperare la sua forma nativa dopo
uno stiramento.
Stiramento: la molecola assume una conformazione a foglietto raddoppiando anche la sua lunghezza L’elasticità dei capelli e delle
fibre di lana dipende dalla tendenza dell’avvolgimento avvolto a recuperare la sua forma nativa dopo uno stiramento.
A seconda del contenuto dei ponti disolfuro distinguiamo: cheratine dure e soffici
I capelli così trattati possono essere ripiegati in “onde permanentate “ applicando un agente ossidante che porti alla formazione di
nuovi ponti disolfuro nella nuova posizione ripiegata. I capelli ricci vengono resi lisci con un trattamento a caldo
L’ α-cheratina è una proteina poco reattiva e resistente messa in piega: i legami idrogeno e salini si rompono con acqua e si
ricombinano durante l'asciugatura, nella permanente si rompono e si ricombinano i legami disolfurici.
IERI: prima del 1941 la rottura di questi legami si otteneva con acqua ed alta temperatura, utilizzando ferri caldi o bigodini
elettrici scaldati oltre i 100 °C, oppure con soluzioni di sali alcalini caldi, come borace, solfiti o bisolfiti (generalmente di sodio) e i
ponti disolfuro si riformavano durante il raffreddamento.
OGGI: si ottiene chimicamente per scissione riduttiva dei ponti disolfuro e la loro successiva ricostruzione ossidativa. I capelli
sono in posa con i bigodini, viene loro applicato un prodotto alcalino contenente generalmente tioglicolato di ammonio, oppure
acido contenente monoesteri glicolici o glicerina e acido tioglicolico che scioglie i legami disolfurici. In seguito si applica una
lozione ossidante, detta comunemente "neutralizzante", contenente bromati alcalini o perossidi (di solito acqua ossigenata), che
ricompone i legami disolfurici dei capelli, stabilizzando la nuova forma del capello.
Il collageno è la proteina + abbondante nei vertebrati componente dei tessuti connettivi: Ossa, denti, Cartilagine, tendini Matrice
fibrosa della pelle e dei vasi sanguigni
È una tripla elica Fibre resistenti agli stress meccanici e Insolubili 1 molecola di collageno ha 3 catene polipeptidiche
Il collageno e lo scorbuto
L’idrossiprolina è un a.a. non essenziale che viene sintetizzato a partire dalla prolina mediante un’idrossilasi e in presenza di
vitamina C (ac. Ascorbico)
✓ Lo scorbuto è dovuto alla carenza di acido ascorbico (30 mg/die) e provoca una
sintesi alterata delle fibre di collageno che non si dispongono correttamente.
✓ Lo scorbuto comporta lesioni della pelle, fragilità dei vasi sanguigni, scarsa capacità
di cicatrizzazione delle ferite e alla fine morte. Lo scorbuto era una malattia comune fra
i marinai che durante le lunghe rotte non consumavano cibi freschi. Nei tessuti il
contenuto di legami trasversali covalenti aumenta con l’età per questo la carne degli
animali vecchi è + dura.
• Non è estensibile rottura dei legami covalenti della molecola che ha una conformazione quasi completamente estesa
• È però flessibile perché i foglietti β vicini sono uniti da forze di van der Waals
E’ un esempio di proteina a foglietto costituisce le fibre filate dei bozzoli dei bachi da seta e della tela dei ragni. E’ formata da
lunghe sequenze a foglietto antiparallelo che decorrono parallele all’asse della fibra. La metà degli amminoacidi è costituita
dall’amminoacido glicina che si intercala con la serina o con l’alanina. Questa particolare sequenza rende la fibra compatta e forte,
inestensibile e allo stesso tempo flessibile.
✓ Le variazioni nella sequenza amminoacidica, come pure nella struttura complessiva di una proteina ripiegata, possono distorcere
le conformazioni regolari degli elementi strutturali secondari. Peter Chou e Gerald Fasman Analizzano strutture proteiche note,
calcolano la propensione (P) di un residuo a trovarsi in un’α-elica o in un foglietto β. Alcuni residui non solamente presentano
un’elevata propensione per una particolare struttura secondaria, ma tendono a disgregarne o a romperne altre. Tali dati si mostrano
utili al fine di predire le strutture secondarie di proteine con sequenze amminoacidiche conosciute.
• Il carattere planare di un gruppo peptidico limita la flessibilità conformazionale della catena polipeptidica.
• L’α-elica e il foglietto β permettono alla catena polipeptidica di assumere angoli di torsione ϕ e ψ favorevoli e di formare legami
idrogeno.
• Non tutti i segmenti polipeptidici formano strutture secondarie regolari come le α-eliche e i foglietti β
- Le proteine: struttura terziaria
Le caratteristiche comuni delle strutture terziarie rivelano molto circa le funzioni biologiche dei composti proteici e sulle loro
origini evolutive.
Descrive il ripiegamento dei suoi elementi strutturali secondari e specifica la posizione nello spazio di ogni atomo della molecola
proteica, inclusi quelli delle sue catene laterali. Info presenti nelle banche dati on line analizzare e paragonare le strutture terziarie
di una vasta gamma di proteine.
La cristallografia ai raggi X è una tecnica che permette di ottenere direttamente immagini delle molecole. Non esistono microscopi
ai raggi X, poiché non vi sono lenti per questi raggi. Un cristallo della molecola può essere esposto a un fascio collimato di raggi X
e lo schema di diffrazione dei raggi X, risultante dalle posizioni degli atomi che si ripetono in modo regolare nel cristallo, è
registrato per mezzo di un contatore di radiazioni oppure, ora molto meno frequentemente, mediante una pellicola fotografica
I raggi X utilizzati negli studi strutturali sono prodotti da generatori di raggi X per laboratorio o, sempre più spesso, grazie a un
sincrotrone* . Le intensità dei massimi di diffrazione (l’intensità delle macchie scure su una pellicola) sono quindi impiegate per
costruire, attraverso funzioni matematiche, un’immagine tridimensionale della struttura del cristallo utilizzando metodi che non
sono trattati nel presente testo. I raggi X interagiscono quasi esclusivamente con gli elettroni, non con i nuclei. Una struttura ai
raggi X rappresenta un’immagine della densità elettronica dell’oggetto in studio
*un tipo di acceleratore di particelle che genera raggi X di intensità di gran lunga maggiore.
(sono colorati perché le proteine contengono gruppi chimici che assorbono la luce; le proteine sono incolori in assenza di tali
gruppi)
Le proteine: , , I principali elementi strutturali secondari nelle proteine globulari compaiono in proporzioni e combinazioni
variabili.
Le proteine: struttura terziaria – Concetti chiave
• La struttura di una proteina si è maggiormente conservata nel corso dell’evoluzione rispetto alla sua sequenza.
• La cristallografia ai raggi X e la spettroscopia NMR vengono utilizzate per stabilire la posizione degli atomi nelle proteine.
• La struttura terziaria di una proteina è costituita da elementi della struttura secondaria che si combinano formando motivi e
domini.
• Le banche dati bioinformatiche immagazzinano le coordinate delle strutture macromolecolari. I programmi informatici rendono
possibile la visualizzazione delle proteine e la comparazione delle loro caratteristiche strutturali.
Maggiori vantaggi nell’avere + subunità indipendenti, rispetto a un’unica catena polipeptidica: i “ difetti” possono essere riparati
sostituendo solo la subunità danneggiata=’informazione genetica necessaria è solo per la sintesi di 1 unità , in grado poi di
autoorganizzarsi
Nel caso di Enzimi: Ogni subunità possiede un sito attivo= Migliore regolazione delle loro attività biologiche
Le interazioni elettrostatiche influiscono sulla stabilità delle proteine i legami idrogeno, che costituiscono una peculiarità
fondamentale della struttura delle proteine, contribuiscano in misura minore alla stabilità di una proteina. I legami idrogeno sono
determinanti importanti della struttura delle proteine native. Infatti, se una proteina si ripiegasse in un modo da impedire la
formazione di un legame idrogeno, l’energia di stabilizzazione del legame andrebbe perduta. La formazione dei legami idrogeno
regola finemente la struttura terziaria “selezionando” la struttura nativa unica di una proteina a partire da un numero relativamente
circoscritto di conformazioni stabilizzate per via idrofobica.
Nelle proteine che legano gli acidi nucleici sono stati descritti almeno dieci motivi, noti complessivamente come zinc finger (dita a
zinco); queste strutture contengono da 25 a 60 residui disposti intorno a uno o due ioni Zn2+ coordinati secondo una
configurazione tetraedrica da catene laterali di Cys, His e talvolta Asp o Glu
1. Il calore determina un’improvvisa modificazione delle proprietà di una proteina che dipendono dalla conformazione, come per
esempio la rotazione ottica la viscosità e l’assorbimento UV, in un ambito ristretto di temperature. Molte delle molecole proteiche
hanno temperature di fusione ben al di sotto di 100 °C; le eccezioni sono le proteine dei batteri termofili
I batteri ipertermofili crescono a temperature vicino a 100 °C. Vivono in ambienti come le sorgenti calde e le fonti idrotermali dei
fondali marini il più estremo, Pyrolobus fumarii, è capace di sopravvivere a temperature che arrivano a 113 °C. Questi organismi
possiedono molte delle stesse vie metaboliche dei mesofili (organismi che vivono a temperature “normali”), eppure la maggior
parte delle proteine mesofile si denatura a temperature alle quali gli ipertermofili prosperano
La chiave di tale apparente paradosso risiede nel fatto che i ponti salini contenuti nelle proteine termostabili formano dei reticoli, il
guadagno in energia libera tra cariche, quando si associa a una coppia ionica un terzo gruppo carico, è equiparabile a quello di
formazione di una coppia ionica, mentre la perdita di energia libera durante la desolvatazione e immobilizzazione della terza
catena laterale è pari solo a circa la metà della perdita di energia necessaria per unire insieme le prime due catene laterali. Lo
stesso, ovviamente, vale per l’aggiunta di una quarta, una quinta, ecc., catena laterale a un reticolo di ponti salini. in condizioni
fisiologiche, la stabilità marginale di quasi tutti i composti proteici costituisce una proprietà essenziale originatasi nel corso
dell’evoluzione.
2. Le variazioni di pH determinano cambiamenti negli stati di ionizzazione delle catene laterali degli amminoacidi, modificando
in tal modo le distribuzioni di carica delle proteine e le proprietà dei gruppi formatori di legami idrogeno.
4. Gli agenti cautropici a
concentrazioni comprese tra 5 e 10 M, sono comunemente usati per denaturare le proteine. Sono ioni o piccole molecole organiche
che aumentano la solubilità delle sostanze non polari in acqua La loro efficacia come denaturanti trae origine dalla capacità di
disgregare le interazioni idrofobiche il loro meccanismo d’azione non è ancora ben definito.
non ripiegate
Le proteine: percorsi di ripiegamento il ripiegamento avviene attraverso vie dirette, piuttosto che attraverso la scelta casuale
della struttura. Man mano che una proteina si ripiega, la sua stabilità conformazionale aumenta in maniera netta (la sua energia
libera diminuisce drasticamente); in questo modo il ripiegamento diventa un processo unidirezionale. Sembra che le proteine si
ripieghino seguendo un andamento gerarchico, con la formazione di piccoli elementi locali di struttura che in seguito si riuniscono
in elementi più grandi e si raggruppano con altri di tali elementi per generare strutture di maggiori dimensioni e così via. È una via
lineare per il ripiegamento di una proteina composta di due domini
Il ripiegamento, analogamente alla denaturazione, è un processo cooperativo, in cui piccoli elementi di struttura accelerano il
raggiungimento delle altre conformazioni successive. Una proteina che si ripiega deve procedere da uno stato ad alta energia e alta
entropia a uno stato caratterizzato da bassi valori di energia ed entropia La comprensione del processo di ripiegamento delle
proteine, così come delle forze che stabilizzano quelle ripiegate, è essenziale per delucidare le regole che governano la relazione
tra la sequenza amminoacidica di una proteina e la sua struttura tridimensionale
È una via lineare per il ripiegamento di una proteina composta di due domini
Le proteine: morbo di Alzheimer e proteine β amiloide
Il morbo di Alzheimer è una condizione neurodegenerativa che colpisce prevalentemente l’anziano causando un devastante
deterioramento a livello mentale e, come ultimo, il decesso. La patologia è contraddistinta da un tessuto cerebrale contenente
abbondanti placche (depositi) amiloidi, circondate da neuroni morti o prossimi a esserlo
Le placche amiloidi sono costituite da fibrille di una proteina formata da 40-42 residui e denominata proteina 𝛃-amiloide (A𝛃).
Quest’ultima è un frammento di una molecola proteica di membrana lunga 770 residui e definita precursore della proteina A𝛃
(APP), la cui normale funzione è ignota. Aβ viene liberata da APP nel corso di un processo a più tappe catalizzato da due enzimi
proteolitici chiamati 𝛃- e 𝛄- secretasi. L’effetto neurotossico di Aβ comincia anche prima che compaiano depositi amiloidi
significativi
Le proteine: encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE) non sono causate da virus o microrganismi. Le ricerche non sono
riuscite a evidenziare un’associazione della patologia con un acido nucleico. Stanley Pruisner ha dimostrato che l’agente infettivo
nel caso della scrapie, è una proteina definita prione (una particella infettiva di natura proteica senza acido nucleico), motivo per
cui le TSE sono denominate anche malattie prioniche Il prione della scrapie, definito PrP (Prion Protein, “proteina prionica”), è
costituito da 208 residui in gran parte idrofobici; tale idrofobicità determina l’unione di PrP parzialmente degradate per proteolisi
in aggregati o particelle a forma di bastoncino osservabili al microscopio elettronico nel tessuto cerebrale infettato da prioni che
ricordano da vicino le fibrille amiloidi.
Le TSE possono essere trasmesse alimentandosi col tessuto nervoso di individui infetti, come dimostrato dall’incidenza della BSE.
nel 1993, in Gran Bretagna raggiunse proporzioni epidemiche tra i bovini. L’epidemia di BSE si sviluppò perché questi ruminanti
venivano alimentati con un mangime addizionato di carne e ossa provenienti da altri animali, un sistema di produzione che era
cominciato nel corso degli anni ’70 e che non inattivava completamente i prioni. L’epidemia di BSE si ridusse in maniera drastica
dopo il 1993 per il divieto di alimentare i ruminanti con mangimi contenenti derivati animali, ad eccezione del latte, unitamente
alla macellazione di un gran numero di bovini a rischio di aver contratto la BSE.
L’encefalopatia spongiforme bovina è stata trasmessa agli esseri umani che si sono cibati della carne proveniente da esemplari
infettati da questa malattia. Sino a oggi sono stati riportati circa 200 casi della cosiddetta nuova variante di CJD (nvCJD), quasi
tutti in Gran Bretagna, molti dei quali si sono presentati tra gli adolescenti e i giovani adulti. Stanno aumentando i dati a sostegno
del fatto che molte malattie neurodegenerative siano causate da prioni.
Le proteine: le fibrille sono foglietti β
L’ aspetto delle loro forme fibrillari è sorprendentemente simile. L’analisi spettroscopica delle fibrille amiloidi indica che queste
sono ricche di strutture β, con le singole catene β orientate in direzione perpendicolare rispetto all’asse della fibra la capacità di
dare origine a una sostanza amiloide può essere una proprietà intrinseca di tutte le catene polipeptidiche.
a) Il modello, determinato da misurazioni di diffrazione dei raggi X della fibra, è osservato in posizione normale rispetto all’asse
della fibrilla (parte superiore) e lungo quest’ultimo; le frecce indicano l’andamento ma non necessariamente la direzione dei
filamenti β.
b) Foglietto β isolato, che è mostrato per ragioni di chiarezza; sono ignote tutte le strutture delle regioni ad ansa che connettono
• Una proteina che si ripiega passa da uno stato di elevata energia ed entropia a uno stato di bassa energia ed entropia. La disolfuro
isomerasi catalizza la formazione dei ponti disolfuro. Le malattie amiloidi derivano da un ripiegamento delle proteine non corretto.
Sono molecole dinamiche Le interazioni sono influenzate da variazioni conformazionali, che possono essere molto limitate, ma
anche ampie tanto da influenzare le loro funzioni fisiologiche.
Le interazioni possono
✓ Modificare la configurazione e/o la della composizione chimica della molecola che interagisce, e la proteina agisce come un
catalizzatore, o enzima.
✓ Non modificare la configurazione o la composizione chimica delle molecole.
Le funzioni di molte proteine richiedono il legame reversibile di altre molecole. Una molecola unita reversibilmente a una proteina
viene detta ligando, che può essere qualsiasi tipo di molecola, anche una proteina. Il ligando si lega a un sito sulla proteina detto
sito di legame, complementare al ligando stesso per dimensione, forma, carica e carattere idrofobico o idrofilico. L’interazione è
specifica: la proteina può discriminare tra migliaia di molecole diverse presenti intorno a sé e legarne solo una o poche.
Una data proteina può avere siti di legame strutturalmente diversi per ligandi altrettanto diversi. Le proteine sono flessibili. Le
modificazioni conformazionali possono essere impercettibili e sono un riflesso delle vibrazioni molecolari e dei piccoli movimenti
dei residui amminoacidici nella proteina. Specifiche modificazioni conformazionali sono molto spesso essenziali per la funzione
della proteina. Il legame tra una proteina e un ligando è spesso accoppiato a una modificazione conformazionale (adattamento
indotto) della proteina che rende il sito di legame più complementare al ligando.
In un sistema multi-subunità, una modificazione conformazionale che avviene in una subunità può influenzare la conformazione
delle altre subunità. Le interazioni tra proteine e ligandi possono essere regolate, di solito mediante il legame di uno o più ligandi
specifici. Gli enzimi rappresentano un caso speciale di funzione proteica. Essi legano e trasformano chimicamente altre molecole,
cioè catalizzano una reazione. Le molecole su cui agiscono gli enzimi sono dette substrati e il sito che lega il ligando viene detto in
questo caso sito catalitico o sito attivo.
Legame reversibile di una proteina con un ligando: le proteine che legano l’ossigeno
• L’evoluzione degli animali pluricellulari di grandi dimensioni è legata a quella delle proteine che trasportano e conservano
l’ossigeno.
• Gli a.a. non legano reversibilmente l’ossigeno • Tale compito è svolto da alcuni metalli di transizione, tra cui il ferro e il rame.
• Il ferro allo stato libero provoca la formazione di specie dell’ossigeno altamente reattive come i radicali ossidrilici, che possono
danneggiare il DNA e altre macromolecole.
• Il ferro usato nelle cellule è invece sequestrato in forme che lo rendono meno reattivo.
• Il ferro negli organismi pluricellulari è spesso incorporato nel gruppo prostetico eme
L’eme è costituito da: PROTOPORFIRINA: una struttura organica complessa ad anello, a cui è legato un singolo atomo di ferro
nello stato di ossidazione ferroso (Fe2+) L’atomo di ferro ha sei legami di coordinazione: quattro dei quali sono impegnati con i
quattro atomi di azoto che fanno parte dell’anello porfirinico; gli altri due sono invece perpendicolari al piano della porfirina.
Il ferro nello stato Fe2+ lega reversibilmente l’ossigeno. Nello stato Fe3+ non è invece in grado di legare l’ossigeno. L’eme è
presente in alcune proteine che trasportano ossigeno e anche nei citocromi, che partecipano a reazioni di ossidoriduzione. Le
molecole di eme libere in soluzione legano una molecola di O2 che porta alla conversione irreversibile del Fe2+ a Fe3+
Quando l’eme è inserito in una proteina questa reazione non avviene. Nelle globine, uno di questi due legami di coordinazione è
occupato da un atomo di azoto della catena laterale di un residuo di His altamente conservato, chiamato His prossimale. L’altro
legame è il sito a cui si lega la molecola di ossigeno (O2 ) Quando si lega l’ossigeno, le proprietà elettroniche del ferro si
modificano. Ciò spiega il diverso colore che ha il sangue venoso povero di ossigeno (rosso scuro) rispetto al sangue arterioso ricco
di ossigeno (rosso brillante)
Osservando lateralmente un gruppo eme, sono visibili i due legami di coordinazione del Fe2+ perpendicolari al piano dell’anello
porfirinico. Uno di questi legami è impegnato con un residuo di His, chiamato His prossimale Invece l’altro è il sito di legame
dell’ossigeno. Gli altri quattro legami di coordinazione giacciono nel piano della porfirina, impegnati con i quattro atomi di azoto
dell’anello
• Le globine sono una vasta famiglia di proteine, i cui membri hanno strutture primarie e terziarie simili.
• Le globine sono comunemente presenti in tutte le classi di eucarioti ma anche in alcuni tipi di batteri. • La maggior parte di
queste proteine svolge la funzione di trasporto o di immagazzinamento di ossigeno. Negli esseri umani e in altri mammiferi
esistono almeno quattro tipi diversi di globine.
La mioglobina: una globina monomerica, favorisce la diffusione dell’ossigeno nel tessuto muscolare. Abbonda nel tessuto
muscolare dei mammiferi.
L’emoglobina: una proteina tetramerica, responsabile del trasporto dell’ossigeno nel torrente circolatorio.
La neuroglobina: monomerica, è espressa nei neuroni e aiuta a proteggere il cervello dall’ipossia (bassa ossigenazione) e/o
dall’ischemia (scarsa irrorazione san- guigna).
La citoglobina: globina di tipo monomerico, si trova in elevate concentrazioni sulle pareti dei vasi sanguigni, dove ha la funzione
di regolare i livelli di ossido di azoto.
La mioglobina ha un solo sito di legame per l’ossigeno, è un singolo polipeptide di 153 residui amminoacidici, che contiene una
molecola di eme. La catena polipeptidica della mioglobina è costituita da otto segmenti ad elica, uniti da ripiegamenti. Il 78%
dei residui amminoacidici si trova nel segmenti dell’ elica. I segmenti ad elica vengono indicati con le lettere da A a H. I
ripiegamenti che uniscono le a eliche vengono indicati con AB, CD, EF, FG etc, cioè con le lettere delle eliche che i ripiegamenti
stessi interconnettono. I singoli residui amminoacidici vengono identificati dalla loro posizione nella sequenza amminoacidica.
Interazioni proteina/ligando: descrizione quantitativa
La funzione della mioglobina dipende dalla capacità delle proteine non solo di legare l’ossigeno, ma anche di rilasciarlo quando è
necessario. La funzione di una proteina dipende spesso da questo tipo di interazioni reversibili proteina-ligando. Il legame
reversibile di un ligando (L) a una proteina (P) può essere descritto dalla reazione all’equilibrio:
Y= [L]/ [L]+ 1/Ka
L’ equazione X=y / (y+z) descrive un’iperbole, e quindi Y è una funzione iperbolica di [L]. La frazione di siti di legame per il
ligando occupata tende ad arrivare asintoticamente a saturazione quando [L] aumenta. Il valore di [L] al quale metà dei siti di
legame è occupata dal ligando (Y= 0,5) corrisponde a 1/ K a
Curva di legame della mioglobina all’ O2 IL legame dell’O2 alla mioglobina ha lo stesso andamento Ricorda: l’ossigeno è un gas
e dobbiamo sostituire a [L] la concentrazione di ossigeno disciolto: Y= [O2 ]/ [O2 ]+ Kd
Y= [O2 ]/ [O2 ]+ Kd
Quando si usa O2 come ligando, viene variata la pressione parziale, pO2 . È molto più facile misurare la pressione che non la
concentrazione del gas disciolto nella soluzione. La concentrazione di una sostanza volatile in soluzione è sempre proporzionale
alla pressione parziale locale del gas. La [O2 ] dipende dalla pressione parziale di ossigeno, pO2 . Se K viene sostituito con pO 2
che determina il 50% di saturazione (P50 ): Y= pO2 / pO2+ P50
La struttura delle proteine determina il meccanismo di legame dei ligandi Quando l’eme è legato alla mioglobina, la sua affinità
per l’O2 è incrementata selettivamente dalla presenza della 64 His distale (His , o His E7 nella mioglobina). Il complesso Fe-O2 è
molto polare; una carica negativa parziale si distribuisce sugli atomi di ossigeno dell’O2 legato, con una parziale ossidazione
dell’atomo di ferro con cui interagisce. Questo complesso polare è stabilizzato elettrostaticamente da un legame a idrogeno tra la
catena laterale imidazolica dell’His E7 e l’O2 legato.
L’affinità della mioglobina per l’O 2 quindi è incrementata selettivamente di 500 volte. Se la proteina fosse rigida, l’O2 non
potrebbe entrare oppure uscire dalla tasca dell’eme in quantità apprezzabili. I movimenti molecolari molto rapidi delle catene
laterali degli amminoacidi producono cavità transitorie nella struttura della proteina e l’ossigeno evidentemente sfrutta questi spazi
per entrare o uscire dalla proteina.
L’emoglobina trasporta O2 nel sangue Gli eritrociti normali umani sono cellule con diametro di 6-9 mm, a forma di disco
biconcavo, che originano da precursori cellulari staminali detti emocitoblasti. Durante il processo di maturazione le cellule
staminali producono molte cellule figlie, che formano grandi quantità di emoglobina e perdono tutti gli organelli citoplasmatici:
nucleo, mitocondri e reticolo endoplasmatico. Gli eritrociti sono incapaci di replicarsi e destinati a sopravvivere, almeno
nell’organismo umano, per 120 giorni. Nel sangue arterioso che dai polmoni arriva al cuore attraverso i tessuti periferici,
l’emoglobina è saturata per circa il 96% di ossigeno. Nel sangue venoso che ritorna al cuore e poi ai polmoni l’emoglobina è
invece saturata dall’ossigeno per circa il 64%. La mioglobina funziona bene come serbatoio di immagazzinamento dell’ossigeno.
L’ emoglobina, con le sue quattro subunità e i suoi gruppi eme, funziona come trasportatore di ossigeno.
La struttura quaternaria dell’emoglobina è caratterizzata da interazioni molto forti tra le quattro subunità. L’interfaccia 11
(come la sua controparte 22) comprende circa 30 residui ed è sufficientemente forte da resistere a blandi trattamenti denaturanti.
Le interfacce 11 e 22 comprendono 19 residui e l’effetto idrofobico svolge il ruolo principale nella stabilizzazione di queste
regioni.
R= rilassato. OSSIEMOGLOBINA
T = teso. DEOSSIEMOGLOBINA
L’ossigeno si lega a entrambi gli stati dell’emoglobina, ma ha un’affinità maggiore per lo stato R. Il legame dell’ossigeno
stabilizza lo stato R. In assenza di ossigeno, lo stato T è più stabile ed è quindi la conformazione prevalente della
deossiemoglobina.
Deoxyhemoglobin Structure - T Il legame dell’O2 a una delle subunità nello stato T dell’emoglobina innesca una variazione
conformazionale, che converte la subunità nello stato R. La transizione non modifica sostanzialmente le strutture delle singole
subunità, ma i due protomeri ruotano l’uno rispetto all’altro, restringendo così la tasca tra le subunità . Durante questo
processo alcuni legami ionici che stabilizzano lo stato T si spezzano e se ne formano altri.
Oxyhemoglobin Structure - R Nello stato T la porfirina ha una forma a cupola e il ferro all’interno dell’eme tende a protrudere
dal lato dell’istidina prossimale (His F8). Il legame dell’ossigeno costringe l’eme ad assumere una conformazione più planare,
modificando la posizione dell’His prossimale e dell’elica F a essa legata. Queste modificazioni conducono a un riposizionamento
delle coppie ioniche all’interfaccia1 .
L’emoglobina deve legare in modo efficace l’ossigeno nei polmoni, dove la pO2 del gas è di circa 13,3 kPa, e rilasciare ossigeno
nei tessuti, dove la pO2 è di circa 4 kPa. La mioglobina, o una proteina che leghi l’ossigeno con un andamento iperbolico, non
sarebbe altrettanto adatta a questo ruolo. Una proteina che lega l’ossigeno con un’elevata affinità si saturerà facilmente nei
polmoni, ma non libererà molto ossigeno nei tessuti.
Come l’emoglobina si lega all’ossigeno Se invece la proteina ha una bassa affinità per l’ossigeno potrà rilasciarlo nei tessuti, ma
non sarà in grado di saturarsi nei polmoni.
L’emoglobina risolve questi problemi con la sua transizione da uno stato a bassa affinità (lo stato T) a uno ad alta affinità (lo stato
R) quando lega l’ossigeno. Si otterrà una curva a forma di S.
Il legame dell’ossigeno una delle subunità dell’emoglobina può modificare l’affinità per l’O2 delle subunità adiacenti. La prima
molecola di O2 che interagisce con la deossiemoglobina si lega debolmente a una subunità nello stato T. Questo legame porta a
una modificazione conformazionale comunicata alle subunità adiacenti = + facile interazione con altro O2. Il quarto O2 si lega a
un gruppo eme di una subunità che è ormai nello stato R e quindi presenta la massima affinità per il suo ligando.
L’emoglobina trasporta H + e CO2 l’emoglobina trasporta anche due prodotti finali della respirazione cellulare, H+ e CO2 , dai
tessuti ai polmoni e ai reni, dove sono escreti. La CO 2 , prodotta nei mitocondri dall’ossidazione delle sostanze organiche nutrienti,
viene idratata in forma di bicarbonato:
Reazione catalizzata dall’anidrasi carbonica (enzima presente negli eritrociti). La CO2 non è molto solubile in acqua, pertanto nei
tessuti e nel sangue si potrebbero formare bollicine se non venisse rapidamente convertito in bicarbonato. L’idratazione della CO2
determina un aumento della concentrazione di ioni H+ (una diminuzione del pH) nei tessuti. Il legame dell’O2 all’emoglobina è
profondamente influenzato dal pH e dalla concentrazione di CO2 . La conversione in bicarbonato diventa un processo importante
per la regolazione del legame dell’ossigeno e del rilascio nel sangue.
L’emoglobina trasporta H + e CO2 e l’effetto Bohr L’emoglobina trasporta ai polmoni e ai reni circa il 40% degli ioni H totali e
il 15-20% della CO2 formata dai tessuti . Il legame di H e di CO2 all’emoglobina è inversamente proporzionale al legame dell’O2.
Nelle condizioni di pH relativamente basso e di elevata concentrazione di CO2 presenti nei tessuti periferici, l’affinità
dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce man mano che H+ e CO2 si legano e viene rilasciato ossigeno nei tessuti. Nei capillari
dei polmoni la CO2 viene eliminata e si ha un incremento del pH del sangue, l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno aumenta e
la proteina può legare più ossigeno da trasportare ai tessuti periferici. Questo effetto del pH e della concentrazione di CO2 sul
legame e sul rilascio dell’ossigeno dall’emoglobina è detto effetto Bohr.
L’equilibrio della reazione dell’emoglobina con l’O2:
Hb+O2 + HbO2
L’effetto della concentrazione degli H+ sull’equilibrio della reazione: HHb+ + O2 + HbO2 + H+ L’ossigeno si lega agli ioni
ferrosi dei gruppi eme, mentre lo ione H+ può legarsi alle catene laterali di diversi residui amminoacidici della proteina.
L’emoglobina lega anche la CO2 in maniera inversamente proporzionale al legame dell’ossigeno. L’anidride carbonica si lega
sotto forma di carbammato al gruppo amminico dell’estremità ammino terminale di ciascuna catena globinica; si genera in questo
modo carbamminoemoglobina: questa reazione produce ioni H e contribuisce a determinare l’effetto Bohr. Quando la
concentrazione di CO2 è alta, come nei tessuti periferici, alcune molecole si legano all’Hb, diminuendone l’affinità per l’ossigeno
e determinando il suo rilascio.
Effects of BPG & CO2 on Hb’s O2 Dissociation Curve Il BPG si lega in un sito distante da quello dell’ossigeno e regola
l’affinità del legame dell’O2 all’emoglobina in relazione alla pO2 nei polmoni. Il BPG svolge una funzione importante
nell’adattamento fisiologico alla bassa pO2 che si riscontra per esempio a quote elevate. A livello del mare, circa il 40% dell’O2
nel sangue è trasferito ai tessuti.
High-Altitude Adaptation Se una persona viene portata rapidamente su una montagna a 4500 m di altezza, dove la pressione
parziale di O è molto più bassa, il trasferimento di ossigeno ai tessuti si riduce. Alcune ore più tardi la concentrazione di BPG nel
sangue della persona in questione comincia ad aumentare, generando una diminuzione dell’affinità dell’Hb per l’ O2. La
variazione dei livelli di BPG provoca solo un piccolo effetto sul legame dell’ossigeno a livello dei polmoni, ma ha un effetto molto
evidente sul rilascio dell’O2 a livello dei tessuti periferici. Si mantiene un trasferimento di ossigeno ai tessuti costante. La
concentrazione di BPG negli eritrociti aumenta anche nei soggetti che soffrono di ipossia.
BPG Binds to Deoxyhemoglobin Il BPG si lega all’emoglobina nella cavità tra le subunità b nello stato T. Questa cavità è
rivestita da amminoacidi carichi positivamente che interagiscono con i gruppi carichi negativamente del BPG. Una molecola di
BPG si lega a ogni tetramero di emoglobina. Il BPG stabilizza lo stato T e abbassa l’affinità dell’Hb per l’ossigeno nello stato R la
tasca in cui si va a legare il BPG è ristretta, impedendo qualsiasi interazione. Nei feti, anziché subunità b sono prodotte subunità g,
e si forma emoglobina con una composizione in subunità 22. L’ emoglobina fetale (HbF), ha un’affinità molto bassa per il BPG
e un’alta affinità per l’ossigeno In assenza di BPG l’Hb viene convertita facilmente nello stato R.
Other Oxygen-Transport Proteins Hemocyanin Gli organismi di piccole dimensioni si affidano alla diffusione per soddisfare le
proprie esigenze di ossigeno per la respirazione. La velocità a cui una sostanza diffonde varia in maniera inversamente
proporzionale al quadrato della distanza che questa deve percorrere, gli esseri viventi di spessore superiore a 1 mm aggirano i
vincoli imposti dalla diffusione grazie a sistemi circolatori e incrementano la limitata solubilità dell’O2 nell’acqua per mezzo di
specifiche proteine deputate al suo trasporto. Molti invertebrati, e persino alcune piante e batteri, contengono proteine di legame
dell’ossigeno molecolare che si basano sull’eme. Emoglobine a singola subunità e multimeriche si riscontrano sia in forma di
proteine intracellulari sia come componenti extracellulari del sangue e di altri fluidi corporei.
Nei batteri queste molecole proteiche possono svolgere la funzione di sensori delle condizioni ambientali, come per esempio della
concentrazione locale di O2. Le clorocruorine, che si osservano in alcuni anellidi (i lombrichi), contengono una porfirina
derivatizzata in maniera differente rispetto a quella presente nell’emoglobina, responsabile del colore verde L’emeritrina, presente
solo in alcune specie di invertebrati marini, quando è ossigenata, è rosa-violetto, è incolore in condizioni di deossigenazione. In
alcune piante di leguminose le cosiddette leghemoglobine legano l’ossigeno molecolare che altrimenti interferirebbe con la
fissazione dell’azoto attuata dai batteri che colonizzano i noduli delle radici delle piante
Le emocianine dei molluschi e degli artropodi sono grandi proteine multimeriche che si differenziano le une dalle altre nelle loro
strutture, dalla primaria fino alla quaternaria. Il complesso incolore diventa blu dopo aver legato l’O2. Devono essere presenti ad
alte concentrazioni. L’emolinfa dei polpi contiene circa 100 mg/mL di emocianina. Le emocianine sono le proteine più
rappresentate al di fuori delle cellule e possono quindi avere compiti aggiuntivi come la difesa contro le variazioni di pH o le
fluttuazioni osmotiche. In alcune specie di invertebrati le emocianine hanno la funzione di riserva nutritiva durante la metamorfosi
o la muta.
Mutations Alter Hb’s Structure & Function Non tutte le varianti dell’Hb producono sintomi clinici. Le mutazioni che
destabilizzano la struttura terziaria o quaternaria della molecola alterano la sua affinità di legame per l’ossigeno (p50), riducendo
contemporaneamente la cooperatività del legame. Le Hb instabili vanno incontro a modificazione da parte degli eritrociti e i
prodotti di queste reazioni provocano sovente la lisi. Mutazioni che portano a un aumento dell’affinità dell’Hb per l’ossigeno sono
accompagnate da un incremento del numero di eritrociti per compensare l’inferiore quantità di O2 liberato nei tessuti. Gli individui
colpiti da tale condizione (policitemia) color rubizzo.
• il 10% degli afro-americani e fino al 25% dei neri d’Africa ha una singola copia (cioè è eterozigote) del gene dell’emoglobina
falciforme (emoglobina S).
• Gli individui portatori di due copie (cioè omozigoti) del gene dell’emoglobina S sono affetti da anemia falciforme, nella quale la
deossiemoglobina S dà origine a filamenti insolubili che deformano gli eritrociti
• Le cellule, che diventano rigide e assumono una forma a falce, non riescono a passare agevolmente attraverso i capillari. In una
“crisi”, il flusso di sangue verso determinati tessuti può essere del tutto bloccato, portando a morte cellulare. La fragilità meccanica
di queste cellule falciformi genera un’anemia emolitica.
• Gli eterozigoti, conducono generalmente una vita normale, sebbene i loro eritrociti abbiano una vita media inferiore alla norma.
• 1945 Linus Pauling ipotizza che l’anemia falciforme fosse il risultato di un’emoglobina mutante
• 1949 l’emoglobina mutante aveva carica ionica negativa inferiore rispetto a quella dell’emoglobina normale dell’adulto. Una
malattia poteva provenire da un’alterazione della struttura molecolare di una proteina. L’anemia falciforme è di natura ereditaria
• 1956 fu identificato il gene difettoso. Vernon Ingram dimostrò che l’emoglobina S contiene Val al posto di Glu, in
corrispondenza della sesta posizione di ciascuna catena β. La prima volta che si evidenzia che un’affezione ereditaria insorge da
una specifica variazione amminoacidica in una proteina.
Deoxyhemoglobin S Fibers La struttura ai raggi X della deossiemoglobina S ha rivelato che una catena laterale di Val mutante in
ogni tetramero di emoglobina S va a inserirsi in una tasca idrofobica situata sulla superficie di una subunità β in un altro tetramero
di emoglobina. Questo contatto intermolecolare consente ai tetrameri di emoglobina S di formare polimeri lineari né l’emoglobina
normale né l’ossiemoglobina S possono andare incontro a polimerizzazione. Le fibre di emoglobina S si dissolvono quasi
istantaneamente in seguito a ossigenazione; esse non sono presenti nel sangue arterioso.
Structure of Deoxyhemoglobin S Fiber Il pericolo di conversione in cellule a forma di falce è massimo quando gli eritrociti
passano attraverso i capillari, dove avviene la deossigenazione; la polimerizzazione delle molecole di emoglobina S è in funzione
sia del tempo sia della concentrazione, il che spiega perché si osserva solo di rado un blocco del flusso sanguigno.
Hydroxyurea Treatment for Sickle-Cell Anemia Molti soggetti eterozigoti per l’emoglobina S sono colpiti solo da una forma
blanda di anemia per il fatto che esprimono livelli relativamente elevati di emoglobina fetale, che contiene catene γ al posto di
quelle β difettose. L’emoglobina fetale “diluisce” le molecole di HbS, rendendo più difficoltosa l’aggregazione di quest’ultima
nell’arco dei 10-20 secondi che un globulo rosso impiega per spostarsi dai tessuti ai polmoni per la riossigenazione.
La somministrazione di idrossiurea primo e unico trattamento che allevia i sintomi di una anemia falciforme.
Malaria & Hemoglobin S I plasmodi aumentano di circa 0,4 unità di pH l’acidità degli eritrociti che hanno infettato; il pH più
basso favorisce la formazione di deossiemoglobina mediante l’effetto Bohr, incrementando così la probabilità di formare degli
aggregati nei globuli rossi che contengono l’emoglobina S. Gli eritrociti danneggiati sono distrutti nella milza. L’agente della
malaria è il protozoo Plasmodium falciparum, si insedia negli eritrociti nel corso del suo ciclo vitale di 48 ore. Gli eritrociti
infettati aderiscono alle pareti dei capillari, provocando la morte quando le cellule impediscono al sangue di fluire verso un organo
vitale. Le regioni dell’Africa equatoriale in cui la malaria costituisce una delle cause principali di morte coincidono con quelle
zone dove prevale il gene dell’anemia falciforme indicando che esso conferisce resistenza alla malaria. Gli eterozigoti di Hb S
hanno un vantaggio adattativo, rispetto ai soggetti omozigoti per l’emoglobina normale.
• La mioglobina, con il suo singolo gruppo prostetico eme, ha una curva di legame per l’O2 con andamento iperbolico.
• L’emoglobina può assumere la conformazione deossi (T) o quella ossi (R), che differiscono per affinità di legame per l’O2.
• Il legame dell’ossigeno induce cambiamenti conformazionali nell’emoglobina in modo tale da consentire all’ossigeno di legarsi
cooperativamente, generando un andamento sigmoidale della curva di legame.
• Le mutazioni possono cambiare le proprietà di legame dell’O2 dell’emoglobina e portare allo sviluppo di patologie.
L’immunità innata L’immunità innata si attiva quando un agente patogeno supera le barriere fisico-chimiche e penetra
nell’organismo. Neutrofili, macrofagi e cellule dendritiche sono fagociti che inglobano e uccidono i patogeni. Macrofagi e cellule
dendritiche fanno da ponte con l’immunità adattativa, partecipando alla presentazione dell’antigene. Le cellule natural killer
uccidono le cellule cancerose o infettate.
Le tre fasi dell’immunità innata Quando un patogeno penetra nell’organismo e produce un’infezione, si attiva l’immunità innata
che produce una risposta molto rapida e articolata in tre fasi. 1. I globuli bianchi indentificano i patogeni in base agli antigeni non-
self.
3. I globuli bianchi distruggono i patogeni per fagocitosi oppure grazie alle proteine del complemento.
. L’infiammazione
Nella maggior parte dei casi l’immunità innata funziona in modo così efficace da passare inosservata. Talvolta, però, i patogeni
invadono i tessuti, scatenando la risposta infiammatoria, che ha due funzioni: • distruggere i patogeni presenti; • avviare la
rigenerazione dei tessuti danneggiati. La risposta infiammatoria è sempre accompagnata da quattro sintomi: 1. arrossamento; 2.
dolore localizzato; 3. sensazione di calore; 4. gonfiore dell’area infiammata.
L’immunità specifica
Se le strategie dell’immunità innata non riescono a fermare i patogeni, interviene l’immunità adattativa o specifica, che ha tre
caratteristiche rispetto all’immunità innata: 1. Il riconoscimento dell’antigene è più specifico e le cellule e le molecole che
intervengono sono più efficaci. 2. I tempi sono più lunghi. 3. Si sviluppa la memoria immunologica grazie alla quale, in caso di
una nuova infezione da parte dello stesso patogeno, la risposta immunitaria è più rapida.
Primary & Secondary Immune Response
Gli anticorpi contro l’antigene A compaiono nel sangue il giorno 0 (immunizzazione primaria) e il giorno 28 (immunizzazione
secondaria). L’antigene B è stato aggiunto contemporaneamente all’immunizzazione secondaria per dimostrare la specificità della
memoria immunologica per l’antigene A. La risposta secondaria all’antigene A è molto più rapida e intensa rispetto alla risposta
primaria.
Antibody Structure
Le immunoglobuline costituiscono un gruppo di proteine correlate ma estremamente diverse tra loro. Tutte le immunoglobuline
contengono almeno quattro subunità: due catene leggere (L) identiche, di ∼23 kD, due catene pesanti (H) identiche, di peso
molecolare compreso tra 53 e 75 kD. Queste subunità si associano tramite ponti disolfuro e interazioni non covalenti, costruendo
una molecola simmetrica di forma più o meno simile a una Y, la cui composizione è (LH)2.
Gli anticorpi sono proteine formate da 4 catene polipeptidiche legate tra loro in modo da formare una struttura con regioni costanti
e regioni variabili.
Gli anticorpi possono essere rilasciati dai linfociti B e muoversi liberamente nei liquidi corporei, oppure possono trovarsi sulla
membrana del linfocita B.
La regione costale è la stessa per tutti gli anticorpi della stessa classe; la forma della ragione variabile rende ogni anticorpo unico e
capace di riconoscere uno specifico antigene.
Le IgA sono presenti sotto forma di monomeri, dimeri, trimeri e tetrameri. Sono presenti soprattutto nel tratto intestinale: il loro
compito è la difesa contro i patogeni tramite l’adesione ai loro siti antigenici, in modo da bloccarne l’aggancio alle superfici
epiteliali esterne.
IgM sono costituite da cinque molecole a forma di Y disposte intorno a una subunità J centrale. Sono particolarmente efficaci
contro i microrganismi e sono le prime immunoglobuline secrete in risposta a un antigene.
Human Immunoglobulin
Le IgM Le IgG, le immunoglobuline più comuni, sono equamente distribuite tra il sangue e il fluido extravascolare. Le IgE,
normalmente presenti nel sangue in piccole quantità, proteggono contro i parassiti e sono coinvolte nelle reazioni allergiche. Le
funzioni delle IgD, anch’esse presenti in piccole quantità, non sono state ancora completamente chiarite.
Human Immunoglobulin G (IgG) Biochimica - Corso di studio in Scienze Naturali. a.a. 2022/2023 Docente: Dott.ssa Maria Grazia
Farbo le IgG possono essere tagliate in tre frammenti di ∼50 kD: due frammenti Fab identici tra loro e un frammento Fc. I
frammenti Fab rappresentano i “bracci” della molecola a forma di Y dell’anticorpo, e contengono un’intera catena L e la metà N-
terminale di una catena H. Questi frammenti contengono i siti di legame per l’antigene della IgG (la sigla “ab” del frammento Fab
è l’acronimo di “antigen binding”). La parte Fc (detta “c” perché cristallizza facilmente) deriva dallo “stelo” dell’anticorpo ed è
costituita dalle metà C-terminali delle due catene H. I bracci della Y sono collegati allo stelo da una regione “cerniera”, flessibile.
Gli anticorpi riconoscono una vasta gamma di antigeni Le unità di omologia delle immunoglobuline hanno tutte lo stesso
caratteristico ripiegamento delle immunoglobuline: un “sandwich” composto da tre o quattro foglietti β antiparalleli, collegati tra
loro da ponti disolfuro. La capacità di riconoscere gli antigeni risiede in tre anse del dominio variabile. La maggior parte delle
variazioni delle sequenze amminoacidiche degli anticorpi è concentrata in questi tre brevi segmenti, detti sequenze ipervariabili.
Quasi tutte le immunoglobuline sono molecole bivalenti, cioè possono legare contemporaneamente due antigeni identici (le IgM e
le IgA sono invece plurivalenti). Un organismo o una sostanza estranea ha di solito regioni antigeniche multiple: una risposta
immunitaria tipica produce una miscela di anticorpi con diversa specificità. Il legame bivalente permette agli anticorpi di legare gli
antigeni con ponti trasversali, formando un reticolato esteso: il reticolato accelera l’eliminazione dell’antigene e induce la
proliferazione delle cellule B.
Vaccinazione e sieropatia
• virus o batteri attenuati, cioè manipolati in modo da essere ancora in grado di moltiplicarsi nel corpo umano ma non di dare la
malattia;
• componenti purificate da preparazioni di virus o batteri. Oggi, grazie alle biotecnologie, sono disponibili anche i vaccini
ricombinanti, cioè costituiti da proteine virali prodotte a partire da geni clonati in cellule di lievito.
L’immunità di gregge si basa sul fatto che più persone sono vaccinate all’interno di una popolazione, meno probabilità ha un
patogeno di diffondersi. L’immunità attiva è generata dalle infezioni naturali o dalle vaccinazioni; l’immunità passiva invece si
ottiene grazie al trasferimento di anticorpi da un individuo immune e uno non immune.
In pratica:
- Alcuni individui sono vaccinati. Il patogeno si diffonde nella popolazione attraverso gli individui non vaccinati.
Malattie autoimmuni
Le malattie autoimmuni si verificano quando il sistema immunitario funziona in modo errato e scambia le strutture self delle
proprie cellule per non-self, danneggiando organi e tessuti. Il diabete di tipo I è una malattia autoimmune.
I recettori dei linfociti T scambiano le cellule pancreatiche sane per antigeni, avviando contro di esse una risposta immunitaria
mediata da cellule.
Monoclonal Antibodies
Alla fine degli anni ’70, tuttavia, César Milstein e Georges Köhler svilupparono una tecnica per rendere immortali queste cellule,
in modo da farle crescere continuamente e indurle a secernere quantità praticamente illimitate di uno specifico anticorpo.
i linfociti di un topo immunizzato contro un particolare antigene sono raccolti e fusi con cellule di mieloma di topo (un tipo di
cancro del sistema circolatorio), che possono dividersi all’infinito. Le cellule sono quindi incubate in un mezzo selettivo che
inibisce la sintesi delle purine, che sono essenziali per la crescita del mieloma I cloni derivanti da singole cellule fuse insieme sono
quindi controllati per verificare la presenza di anticorpi nei confronti dell’antigene originario. Le cellule che producono gli
anticorpi possono essere fatte crescere in grandi quantità in colture di tessuti o sotto forma di tumori semisolidi in topi ospiti.
Gli anticorpi monoclonali sono usati per purificare macromolecole per identificare malattie infettive e per valutare la presenza di
farmaci o altre sostanze nei tessuti del corpo. A causa della loro purezza e specificità e, entro certi limiti, della loro compatibilità
biologica, gli anticorpi monoclonali risultano molto promettenti come agenti terapeutici contro il cancro e altre malattie. Anticorpi
coniugati a farmaci, in cui un anticorpo antitumorale è associato a un agente citotossico tramite un ponte che può essere scisso,
stanno ottenendo alcuni successi come agenti antitumorali specifici. Per trattare la sintomatologia di alcune malattie quali l’artrite
reumatoide ci sono altri anticorpi monoclonali in grado di legarsi e interferire con i componenti della risposta infiammatoria.
Il riarrangiamento del gene dell’anticorpo e l’ipermutazione contribuiscono alla diversità degli anticorpi.
• La risposta immunitaria umorale è mediata dagli anticorpi, che includono domini costanti così come domini variabili che
riconoscono antigeni specifici
10 - Fibre Muscolari
Il tessuto muscolare è uno dei 4 tipi principali di tessuti presenti nell’organismo umano nel quale svolge svariate funzioni quali: il
produrre movimenti del corpo, mantenere la postura, produrre calore, movimentare liquidi e sostanze all’interno del corpo,
regolare il volume degli organi
I tre tipi di tessuto muscolare: tessuto muscolare liscio, tessuto muscolare cardiaco e tessuto muscolare scheletrico.
- Nei muscoli pellicciai è connesso con la cute, formando sottili lamine situate nello spessore del tessuto sottocutaneo
I muscoli pellicciai del capo sono detti muscoli mimici in quanto responsabili dell’espressione del viso
Originedel tessutomuscolarestriato
Il tessuto muscolare striato scheletricoderiva dal mesenchima, le cui cellule, differenziandosi, originano i mioblastimononucleati.
Dalla fusione di più mioblasti, si formano dei sincizi detti miotubi, i quali, a loro volta, in gruppi, diventeranno delle fibre
muscolari, i componenti di ogni muscolo scheletrico.
Alcuni mioblasti permangono nell’adulto come cellule staminali unipotentidette cellule satelliti che, in seguito a traumi, si
attivano e proliferano per la riparazione di eventuali danni.
Innervazionee vascolarizzazionedellamuscolaturascheletrica
rifornire le fibre di nutrienti e ossigeno e per asportare i prodotti del suo metabolismo.
In più, risulta fondamentale una innervazione che consenta di condurre l’impulso contrattile.
Imuscolischeletricisono provvisti, pertanto, dinervie vasisanguignie ogninervo che penetra in un muscolo scheletrico
èaccompagnato da un’arteria e da una o due vene.
All’interno dell’endomisio, poi, ogni fibra muscolare è a contatto conuno o più capillari e con la porzione terminale di un
neurone.
Fibremuscolarischeletriche
Si presentano quali grossi elementi cilindrici, con un diametro di 50 -100 micrometri plurinucleati in quanto derivati dalla fusione
dei Mioblasti(1 µm = 1 ×10−6 m)
I nuclei sono periferici, a ridosso del sarcolemma, la membrana cellulare, da cui si originano i tubuli trasversi (tubuli T) che
penetrano all’interno della fibra.
Il citoplasma, detto sarcoplasma, contiene un esteso reticolo sarcoplasmatico, simile al R.E.L., che immagazzina gli ioni Ca 2+
fondamentali per la contrazione muscolare, molti mitocondri che producono ATP , numerose molecole di mioglobina.
La mioglobina è una piccola proteina globulare formata da una singola catena polipeptidica ripiegata intorno al gruppo eme.
Ha la funzione di immagazzinare ossigeno, come riserva,per la produzione di ATP nei mitocondri. Ad essa si deve il colore rosso
delle f. muscolari.
Le lunghezze della banda I e della zona H diminuiscono durante la contrazione,
Myosin Structure
MyosinPDBid 2MYS
I filamenti spessi dei vertebrati sono composti quasi interamente da un solo tipo di proteina, la miosina, che è costituita da sei
catene polipeptidiche: due catene pesanti da 220 kDe due coppie diverse di catene leggere, dette rispettivamente catene
leggere essenziali e regolatorie (ELC e RLC)
La catena pesante è mostrata come un nastro immerso nella sua superficie molecolare semitrasparente in cui le diverse
porzioni sono colorate in verde, in blu e in rosso.
Le catene leggere essenziali e regolatorie, ELC e RLC rispettivamente, sono disegnate in forma di vermicello. Ognuna di esse è
colorata secondo l’ordine dei colori nell’arcobaleno dal loro N-terminale (in blu) al loro C-terminale (in rosso).
La molecola contiene due catene pesanti identiche (in verde e arancione), ciascuna delle quali ha una testa globulare in
corrispondenza dell’estremità N-terminale e una coda ad α-elica. Tra la testa e la coda vi è un’α-elica, il braccio della leva, che si
associa a due tipi di catene leggere (in porpora e in giallo).
Le code si attorcigliano l’una intorno all’altra, formando un avvolgimento avvolto parallelo lungo 1600 Å.
In condizioni fisiologiche, alcune centinaia di molecole di miosina si aggregano formando un filamento spesso. Le code a forma di
bastoncino si aggregano “coda-coda”, in una disposizione regolare e alternata, lasciando che le teste globulari sporgano sui lati a
entrambe le estremità
G-Actin Structure
G-actinPDBid3HBT
I filamenti sottili sono costituiti principalmente da polimeri di actina, la proteina citosolicaespressa più abbondantemente dagli
eucarioti. Nella sua forma monomerica, questa proteina contenente ∼375 residui è detta actina G (con G per “globulare”)
Quando è in forma polimerizzata è chiamata actina F (con F per “fibrosa”).
Ogni subunità di actina ha siti di legame per l’ATP e per uno ione Ca2+ o Mg2+ posizionati in una profonda tasca
ActinPDBid 3MFP
il polimero di actina è un’elica a doppio filamento nella quale ciascuna subunità prende contatti con altre quattro.
L’estremità verso la quale si aprono i siti di legame dei nucleotidi è detta estremità (−); l’estremità opposta è detta estremità (+).
L’estremità (+) dei filamenti sottili si lega al disco Z.
Tropomiosinae troponina
TroponinPDBid 1YTZ
La tropomiosinaè un omodimeroin cui le due subunità ad α-elica, costituite da 284 residui, si attorcigliano l’una sull’altra
formando un avvolgimento avvolto parallelo che si estende per quasi tutta la lunghezza della molecola
Latroponinaècostituitadatresubunità:TnC,unaproteinachelegailCa2+,TnI,chelegal’actinaeTnT,unamolecolaallungatachesil
egaallatropomiosinaalivellodellesuegiunzionitesta-coda.
Il complesso tropomiosina-troponina regola la contrazione muscolare controllando l’accesso delle teste della miosina ai loro
siti di legame sull’actina.
L’ATP si lega a una testa della miosina in modo da causare l’apertura del sito di legame dell’actina sulla miosina e il rilascio
dell’actina legata.
La miosina è una proteina motoria che converte l’energia chimica proveniente dall’idrolisi dell’ATP in energia meccanica di
movimento.
Il sito attivo della miosina (diverso dal suo sito di legame dell’actina) si richiude intorno all’ATP.
La risultante idrolisi dell’ATP ad ADP + Pi “piega all’indietro” la testa della miosina, ponendola nella sua conformazione “ad alta
energia” in posizione quasi perpendicolare al filamento spesso.
La testa della miosina si lega debolmente a un monomero di actina più vicino al disco Z rispetto a quello a cui era
precedentemente legata.
La miosina rilascia Piportando così a completamento il suo legame all’actina, aumentando l’affinità della miosina per l’actina.
Il risultante stato transitorio è seguito immediatamente dal “colpo di forza” dovuto a una modificazione conformazionale che
“trascina” l’estremità C-terminale della testa della miosina di ∼100 Å in direzione del disco Z, rispetto al sito di legame dell’actina
sulla sua testa, trasportando quindi della stessa distanza, il filamento sottile attaccato in direzione del disco M.
Le teste della miosina quindi “camminano” o “remano” sui filamenti sottili adiacenti in direzione del disco Z, determinando una
contrazione simultanea del muscolo. Anche se la miosina è dimerica, le sue teste funzionano in modo indipendente l’una dall’altra.
Ca2+induce la contrazionemuscolare
Biochimica -Corso di studio in Scienze Naturali. a.a. 2022/2023 Docente: Dott.ssa Maria GraziaFarbo
La concentrazione più elevata di calcio induce una modificazione conformazionale nel complesso troponina-
tropomiosinache lascia ora esposto il sito dell’actina a cui si lega la testa della miosina,aumentandoin questo modo l’affinità
della miosina per l’actina di circa 10 000 volte.
Quando la concentrazione di Ca2+ nella miofibrilla è bassa il complesso troponina-tropomiosinaassume la sua conformazione a
riposo, impedendo il legame della miosina all’actina e inducendo il rilassamento muscolare.
• Il modello a scorrimento dei filamenti della contrazione muscolare descrive il movimento dei filamenti spessi rispetto ai filamenti
sottili.
Laproteinaglobulareactinaèingradodiformaredellestrutturecomeimicrofilamentieifilamentisottilidelmuscolo.
11 - I LIPIDI
Sidefinisconolipidibiomolecoledallastrutturachimicaeterogeneamacaratterizzatedall’esseresolubiliinsolventiorganiciapolari,comel’
acetone,ilcloroformioel’etere.
Leloromolecoleinfattisonocaratterizzatedallapreminenzadiunaparteidrocarburica,cheèapolare
Sono lipidi: i grassi, gli oli, le cere, le vitamine liposolubili, gli ormoni steroidei, alcuni costituenti delle membrane cellulari
I grassi animali e gli oli vegetali sono i lipidi più diffusi in natura.
A temperatura ambiente, i grassi sono solidi, mentre gli oli sono liquidi.
ClassificazioneFunzione
Possonoaverefunzionedi:
•riservaenergetica:itrigliceridi,inparticolare,forniscono9kcal/gdienergiacalorica(circaildoppiodiglucidieproteine);
•strutturale:fosfolipidi,glicolipidiecolesterolosonoicostituentiprincipalidellemembranecellulari;
•regolazione:levitamineliposolubili(A,D,E,K)regolanoalcuniimportantiprocessibiologici,mentregliormoni(sessualiecorticoidi)hann
oilruolodicomunicazioneintercellulare.
Rientranoanche:
•iterpeni,costituentiprincipalideglioliessenziali;
•isalibiliari,che,perlaloroazioneemulsionante,favorisconol’assimilazioneintestinaledeigrassi;
•alcunipigmenti,peresempioquelliconfunzionedicaptazionedelleradiazioniluminose.
Possonoavereanchefunzionedirivestimentoprotettivoditipo:
•termicoemeccanicosvoltadaitessutiadiposidirivestimentosottocutaneo;
•elettrico,attuatadalleguainemielinichecheavvolgonolefibrenervose,dicuiilipidinesonoicomponenti.
Gli acidi grassi sono acidi carbossilici dotati di gruppi laterali idrocarburici a catena lunga
Nelle piante e negli animali superiori i residui predominanti di acido grasso sono quelli delle specie C16 e C18: acidi palmitico,
oleico, linoleico e stearico.
Gli acidi grassi con meno di 14 o con più di 20 atomi di carbonio sono poco frequenti; la maggior
parte degli acidi grassi possiede un numero pari di atomi di carbonio in quanto queste molecole
sono prodotte dall’unione di unità a due atomi di carbonio (C2)
Struttura chimica
In base alla struttura chimica dei lipidi, la classificazione più utilizzata è quella che li divide in:
Ciò che li distingue è il diverso comportamento dopo trattamento a caldo con soluzione alcalina
180
Lipidisa ponificabili
Si differenziano a seconda degli alcoli e degli acidi grassi che li costituiscono, oltre alla presenza di
componenti diverse, come amminoalcoli, zuccheri o molecole di acido fosforico.
•essere formati da una catena idrocarburica apolare lineare (coda) e da una funzione carbossilica
polare (testa), per questo rientrano tra le sostanze anfipatiche
•avereatomidicarbonioquasisemprepari(quelliconnumerodisparisirinvengononelgrassodeipesci),ilcui
numeropuòoscillareda4a30,maprevalgonoquelliconC≥12
•esseresaturi(legamisemplici),monoinsaturi(undoppiolegame)opolinsaturi(dueopiùdoppilegami)
•avere,inpresenzadilegamimultipli,laconfigurazionecis(laconfigurazionetransèrarainnatura)
Gli acidi grassi saturi abbondano nei lipidi di origine animale, sono solidi a temperatura ambiente
(fanno eccezione gli acidi a catena corta) e il loro punto di fusione aumenta con il numero di atomi
di carbonio
181
Acidi grassi insaturi
Essi sono essenziali nella dieta umana, perché permettono la sintesi delle prostaglandine
Gli acidi grassi insaturi sono presenti soprattutto negli organismi vegetali e negli animali che vivono
a basse temperature (per esempio il merluzzo il cui fegato ne è ricco)
Gli acidi grassi trans, che non presentano un ripiegamento della catena carboniosa, hanno punti di
fusione più alti rispetto agli isomeri cis e simili ai saturi con pari atomi di carbonio
L’organismo umano li metabolizza con difficoltà in natura sono prodotti secondari negli oli che
hanno subito trattamenti di rettifica o nelle margarine come conseguenza del processo di
idrogenazione
Acido linoleico e linolenico non possono essere sintetizzati dall’organismo umano e sono detti
essenziali o AGE oppure EFA da Essential Fatty Acid)
•una loro carenza nell’alimentazione può causare problemi dermatologici ( dermatiti ecc)
Da
questi due acidi si ricavano per allungamento della catena carboniosa altre molecole
La
sintesi mediante le desaturasi ( una delle quali tende a diminuire dopo il 35 anno di età
AGE sono in grado di abbassare la concentrazione del colesterolo ematico trasportato dalle LDL
(low density lipoproteins
182
Quando la concentrazione di questo “colesterolo cattivo” supera il valore critico, che si attesta
intorno a 200 mg/dl, il rischio che si formino placche ( e che si occludano i vasi (aumenta
esponenzialmente
Alcuni microrganismi sintetizzano acidi grassi con caratteristiche diverse da quelli prodotti dagli
organismi più complessi ne sono un esempio quelli presenti nel grasso del latte, che hanno origine
dall’attività microbica del rumine
In particolare sono presenti acidi grassi coniugati dell’ acido linoleico ( conjugated linoleic acids
miscela di isomeri geometrici e di posizione dell’acido linoleico con due doppi legami coniugati),
tra cui il principale rappresentante è l’acido rumenico
Gliceridi
Formati
da glicerina (glicerolo o 1 2 3
esterificazione
monogliceridi
Digliceridi
trigliceridi
Biochimica
Corso di studio in Scienze Naturali. a.a. 2022/2023 Docente: Dott.ssa Maria Grazia Farbo
183
soggetti a processi di degradazione, non sempre negativi,
I grassi e gli oli presenti nelle piante e negli animali sono costituiti da miscele di triacilgliceroli
(o trigliceridi).
Sono: non polari, insolubili in acqua, triesteridel glicerolo con acidi grassi
I triacilgliceroli sono riserve di energia negli animali e costituiscono la classe di lipidi più
abbondante e non fanno parte delle membrane cellulari.
I triacilglicerolisi differenziano in base all’identità e alla posizione dei loro tre residui di acido
grasso.
Trigliceridi nomenclatura
La maggior parte dei triacilglicerolicontiene due o tre tipi diversi di residui di acidi grassi ed è
denominata in base alla loro posizione sulla porzione del glicerolo,
1-palmitoleil-2-linoleil-3-stearil-glicerolo
I triacilgliceroli
Sono meno ossidati rispetto ai carboidrati o alle proteine e generano una quantità di energia per
unità di massa e superiore in seguito a ossidazione completa.
Non sono polari e vengono conservati in forma anidra, (il glicogeno in condizioni fisiologiche lega
una quantità di acqua doppia rispetto al suo peso).
I grassi apportano sei volte l’energia metabolica di un peso equivalente di glicogeno idratato.
Trigliceridi e adipociti
184
Negli animali gli adipociti si sono specializzati nella sintesi e immagazzinamento dei
triacilgliceroli.
Mentre altri tipi di cellule possiedono solo poche goccioline di grasso disperse nel citosol
Il tessuto adiposo è più abbondante nello strato sottocutaneo e nella cavità addominale; il contenuto
in grassi di un essere umano normale (il 21% per gli uomini e il 26% per le donne) gli consente di
sopravvivere al digiuno per 2-3 mesi.
Lo strato di grasso sottocutaneo costituisce un isolante termico ( vedi animali a sangue caldo
acquatici, le balene, le foche, le oche e i pinguini, di norma sono esposti alle basse temperature)
I gliceridi
Idrogenazione
Processo
doppi legami presenti negli acidi grassi insaturi dei trigliceridi con
grasso animale
La prima margarina, il cui termine, dal greco, significa “simile alla perla”, fu prodotta nel 1869 dal
chimico Miège Mouriès partendo da una miscela di grasso di latte e sego
Il
Saponificazione
Idrolisi del legame estere tra glicerina e acidi grassi ad opera di una base forte NaOH KOH), che li
trasforma in sali sodici ( o potassici ( detti più comunemente saponi
Nell’organismo umano la scissione del legame estereo avviene per idrolisi acida in presenza
dell’enzima lipasi, prodotto a livello pancreatico
Questa è la prima fase del processo catabolico di un trigliceride, che avviene nel duodeno
Il sapone si ottiene trattando un grasso (trigliceride) con soda caustica NaOH o potassa caustica
KOH, secondo la reazione di saponificazione.
Una molecola di sapone contiene una lunga catena idrocarburica idrofoba (solubile nei solventi
apolari) e un’estremità ionica, idrofila (solubile in solventi polari).
Per tale struttura il sapone non può sciogliersi completamente in acqua, ma resta sospeso nell’acqua
in forma di micelle, cioè di aggregati (più o meno sferici) di 50 200 molecole, aventi l’estremità
ionica verso l’acqua e le catene idrocarburiche rivolte verso l’interno a costituire il cosiddetto
“cuore micellare”.
I gliceridi Il sapone
Il pregio di un sapone sta nella sua capacità di emulsionare lo sporco “ in quanto questo si scioglie
nella parte idrocarburica delle molecole di sapone, mentre le sue teste ioniche restano legate
all’acqua
186
187