Politiche Economiche Modulo 1 Parte 3
Politiche Economiche Modulo 1 Parte 3
Politiche Economiche Modulo 1 Parte 3
All’inizio degli anni ’70 con l’abbandono del regime di Bretton Woods il processo di globalizzazione finanziaria si è
palesato in Europa.
Quegli anni hanno segnato una rottura dal trentennio di crescita sostenuta che ha avuto luogo dopo la seconda guerra
mondale, le discontinuità fondamentali sono state 3:
1. Interruzione del meccanismo di sviluppo economico basato sull’interazione tra investimenti e esportazioni.
2. Innalzarsi del settore finanziario a chiave per l’accumulazione dei profitti.
3. Transazione da un approccio di policy basato sulla discrezionalità a uno basato sull’automatismo delle regole.
La crisi degli anni ’70 è stata cruciale per la definizione della modalità di competizione internazionale, con
l’affermarsi della differenziazione dei prodotti basata su qualità e innovazione in risposta alla saturazione della
domanda per bani di consumo e il relativo abbandono di un regime basato sui prezzi.
Alcuni paesi, in particolare Italia, Spagna, Grecia e Portogallo (PIGS) non hanno retto il passo arrestando il processo
di rafforzamento della struttura industriale.
Altri paesi, tra cui la Germania, invece hanno intrapreso un percorso di riqualificazione e riorganizzazione della
struttura produttiva.
In tale contesto l’abbattimento delle barriere volte alla limitazione dei flussi di merci e capitali tra i paesi che stavano
aderendo al mercato unico, ha coinciso con l’imposizione di regole eguali tra entità profondamente diverse.
L’EZ si configura come costruzione istituzionale con problemi di radicamento
Lo scoppio della crisi del 2008 e i suoi effetti differenziati tra i paesi dell’EZ sono il risultato dell’inadeguatezza delle
istituzioni europee davanti a un break strutturale, e non di un problema di bilancia dei pagamenti.
Cruciali sono quindi le differenze nella struttura e nelle traiettorie evolutive delle diverse economie.
La Germania
Nel decennio successivo alla nascita dell’euro ha dato inizio a un processo di riorganizzazione con:
- Piano Hartz → riforme del mercato del lavoro.
- Politiche di moderazione salariale.
- Delocalizzazione della produzione verso paesi dell’Est Europa.
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Nel cambiamento della rete di relazioni commerciali della Germania dall’ingresso nell’EZ (1999) allo scoppio della
crisi (2008) colpiscono:
- la crescita esponenziale del surplus commerciale soprattutto verso i paesi del Sud Europa
- La crescita del valore delle esportazioni dei paesi dell’Est Europa verso la Germania che arriva a superare
quello delle esportazioni del Sud Europa.
La proiezione verso l’Est ha spiazzato i precedenti legami produttivi con i paesi dell’Europa meridionale.
La rete delle relazioni commerciali della Germania offre una prospettiva diversa sulle cause della crisi dell’EZ, che in
genere sono identificate su una spiegazione monodirezionale che identifica la moderazione salariale come fattore
esplicativo.
Le cause della crisi sono legate più appropriatamente all’approccio multidimensionale di diversi fattori esplicativi:
- I legami della Germania con i mercati dei paesi emergenti che potevano garantire importanti flussi di
domanda per i beni tedeschi.
- La delocalizzazione verso l’Est Europa ha garantito alla Germania l’afflusso di beni intermedi a un prezzo
relativamente basso.
- Le riforme del mercato del lavoro, favorendo la moderazione salariale, hanno influenzato il settore dei servizi
La quota crescente dei lavoratori a basso salario ha contribuiti a tenere basso il costo dei servizi sostenendo
indirettamente la competitività dell’industria.
- La crescita dell’occupazione a basso salario ha portato un calo del potere di acquisto e determinato un declino
della qualità dei beni importati che oltre a far crescere il surplus tedesco, ha esercitato effetti significativi sulla
composizione geografica delle importazioni.
Questi fattori, oltre ad incidere sul surplus tedesco, hanno determinato l’evoluzione divergente di due periferie:
- Sud Europa (PIGS)
Con l’introduzione dell’euro hanno vissuto un indebolimento della loro base industriale e una crescente
dipendenza da flussi finanziari provenienti dell’estero.
- Est Europa (Polonia, Rep. Ceca, Ungheria)
Diventando parte integrante della piattaforma manifatturiera gestita dalla Germania hanno allargato e
rafforzato la loro base industriale.
Gli effetti della crisi scoppiata nel 2008 hanno messo in luce come la combinazione di asimmetrie strutturali e regole
basate su un automatismo depoliticizzato minino la sostenibilità del progetto europeo per come era stato concepito agli
inizi.
In assenza di meccanismi capaci di proteggere e supportare le aree e gli agenti economici più deboli la convergenza è
incompatibile con l’abbattimento delle barriere.
Le politiche industriali dell’UE, rilanciate con il piano Juncker, non sembrano ammettere un ruolo dello stato diverso
da quello di regolatore e garante della concorrenza.
Questo rischia di produrre nuove forme di dumping sociale (pratica di alcune imprese (soprattutto multinazionali) di
localizzare la propria attività in aree in cui possono beneficiare di disposizioni meno restrittive in materia di lavoro o
in cui il costo del lavoro è inferiore. In questo modo i minori costi per l’impresa possono essere trasferiti sul prezzo
finale del bene che risulta più concorrenziale) rischiando di ridurre ancora di più la capacità produttiva nelle economie
periferiche.
Nonostante la crescente instabilità strutturale e politica chieda un cambio di strategia, l’attuale assetto delle politiche
economiche dell’UE continua a fondarsi sull’ostinato rispetto di rettitudine fiscale e automatismo delle regole (Sen).
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COVID E EUROZONA
Link articolo: https://sbilanciamoci.info/il-coronavirus-in-uneuropa-divisa-e-diseguale/
Se già con la crisi del 2008 era stata evidenziata la disfunzionalità di un modello di integrazione europea centrato su
una divisione strutturale tra i paesi del centro e della periferia, con la pandemia la situazione si è aggravata.
Se l’UE vuole sopravvivere è necessaria una radicale riforma politico-economica.
Nel contesto istituzionale dell’EZ la crisi finanziaria del 2008 si è trasformata in una crisi dei debiti sovrani che ha
trascinato con sé il settore bancario.
La soluzione è stata l’imposizione di misure di austerità che non si sono dimostrate espansive e hanno portato a tagli
in investimenti pubblici e spese sociali.
Con il crollo della domanda proveniente dalla PM la Germania ha dovuto riorientare i propri flussi commerciali.
UK, USA e Cina sono diventate le destinazioni privilegiate per le esportazioni tedesche, avendo l’austerità depresso
importazioni e crescita nella PM.
Queste condizioni vengono meno nel 2016 per una serie di eventi, tra cui i principali sono:
- Elezione di Trump
- Vittoria del rendimento sulla Brexit
- Inversione della politica economica cinese
Il modello di crescita fondato sulle esportazioni che ha garantito la leadership alla Germania inizia a scricchiolare.
A partire dal II semestre del 2017 il tasso di crescita del PIL tedesco inizia a contrarsi trascinandosi dietro l’UEM.
Cina e USA al contrario stabilizzano la propria dinamica di crescita.
Il rallentamento delle esportazioni tedesche si ripercuote sulla produzione industriale e il risultato è visibile
nell’allargamento della forbice tra dinamica del PIL di Cina e USA da un lato e di Germania e UEM dall’altro.
La Germania inizia a pagare il ripiegamento del commercio mondiale e in particolare le misure protezionistiche
statunitensi.
Nell’ultimo trimestre del 2019 la Germania ha registrato crescita 0 e con l’incepparsi del motore delle esportazioni la
fragilità del modello europeo si palesa anche nel centro.
Mentre diventa evidente l’importanza fondamentale della sanità pubblica, emergono gli effetti dell’austerità e dei tagli
che dal 2010 in poi hanno interessato anche la sanità.
Le differenti capacità di rispondere alla crisi si evincono in particolare dal confronto della Germania, dove la spesa
sanitaria non è stata ostacolata da vincoli fiscali.
Si manifestano le ripercussioni del processo di indebolimento della capacità produttiva nella periferia meridionale e di
un decentramento della produzione che ha reso vulnerabile la produzione basata su lunghe catene globali.
Dispositivi di protezione individuale, medicinali, respiratori evidenziano il significato di perdere la capacità produttiva
in termini quantitativi e qualitativi.
Oltre a mietere vittime il Coronavirus comporta nell’immediato un crollo della produzione e dei redditi, e una enorme
pressione sulle finanze pubbliche di tutti gli Stati.
La risposta dei singoli stati alla crisi potrebbe mettere in crisi il modello di organizzazione globale della produzione e
minacciare la sopravvivenza stessa del modello europeo. → si comporterà una ricomposizione dei rapporti di forza
delle diverse economie.
L’enfasi posta sui settori tradable e la minore importanza attribuita ai settori non-tradable hanno favorito un contesto
in cui il divario tra paesi del centro e periferie si è allargato → le dinamiche di polarizzazione e impoverimento
all’interno dei paesi stessi si sono radicalizzate.
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La crisi determinata dall’emergenza Coronavirus pone i paesi europei davanti a scelte ancora più radicali, persino la
piattaforma produttiva tedesca si è scoperta vulnerabile davanti a uno shock che rende fragili le catene globali del
valore. I produttori di automobili europei sono stati messi in difficoltà dalla sospensione dell’attività della MTA, un
azienda italiana specializzata in piccola componentistica elettronica.
Davanti alla diffusione del virus le reazioni protezionistiche e improntante a politiche del tipo beggar thy neighbours
(politica con cui un paese tenta di migliorare i propri problemi economici con mezzi che tendono a peggiorare quelli di
altri paesi - esempi: divieto di esportare materiale sanitario/ continuazione della produzione in alcuni settori per
sottrarre quote di mercato ai paesi che hanno deciso di interrompere l’attività in tali settori) sono sintomatiche delle
difficoltà di intraprendere un’azione comune per contrastare i limiti della frammentazioni produttiva.
Davanti a un tale shock ci si sarebbe aspettati un maggior coordinamento tra i paesi dell’UE.
La richiesta di emissione di Eurobond da parte della PM per finanziare misure straordinarie di sostegno a famiglie e
imprese si è scontrata con il rifiuto posto dai paesi del nord Europa (Austria, Germania, Olanda, Finlandia) che
ancora una volta ha confermato l’impossibilità della mutualizzazione dei debiti e dei rischi all’interno di un’UM
difettosa in cui sovranità monetaria e poteri fiscali sono separati.
Come sottolineano Tooze e Shularick l’attuale crisi richiederebbe un intervento di politica fiscale coordinato e di
enormi proporzioni, esattamente il contrario di ciò che va profilandosi in Europa.
L’assenza di una capacità fiscale centralizzata e l’indisponibilità di paesi del centro a finanziare un piano fiscale con
l’emissione di Eurobond sembrano lasciare ogni paese al proprio destino.
Tale destino è differenziato e porterà probabilmente a un ulteriore allargamento del modello export-led.
Si noti che se in Italia sono stati resi disponibili 28mld per contrastare la pandemia, in Germania sono stati 750mld.
Nonostante il passaggio da una piattaforma industriale incentrata sull’esportazione a una per il mercato interno sia una
sfida incredibile, questa trasformazione sarebbe conveniente anche per la Germania stessa.
Forse è un’utopia, ma sarebbe interessante riscoprire e sperimentare quella globalizzazione guidata dallo Stato in cui
vengono valorizzare le complementarità produttive tra paesi senza danneggiare le conquiste dello stato sociale.
Nel caso del Coronavirus un approccio del genere risolverebbe il trade-off salute umana e quote di mercato.
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La presenza di paesi avanzati e di economie emergenti ha permesso che la discussione incontrasse sensibilità e
interessi contrastanti, permettendo di affrontare anche:
- Rischi della digitalizzazione
- Divario nelle opportunità di accesso al digitale
- Frammentazione tra Paesi e settori
- Costo delle condizioni di competitività alterate
- Rischi di cybersecurity, privacy e protezione del consumatore
In mercati multi-sided o a più parti (come le piattaforme digitali), dove sono forti gli effetti di rete e alte le economie
di scala, si sviluppano facilmente spinte verso un’alta concentrazione e sono diffusi i rischi di abuso di posizione
dominante.
I divari di produttività sono crescenti e determinati soprattutto dalla diffusione disomogenea delle tecnologie digitali.
È innegabile che la digitalizzazione possa avere effetti positivi sulla produttività e sulla crescita di lungo periodo, ma
gli effetti sulla ripresa nel breve/medio termine dipendono anche da altre politiche quali quelle macroeconomiche di
sostegno alla domanda.
Secondo la legge Kaldor-Verdoom maggiore è il tasso di crescita della domanda aggregata, maggiore sarà la crescita
della produttività media.
Per avere effetti positivi su ripresa e crescita della produttività, la transizione al digitale deve essere accompagnata da
politiche che promuovano investimenti pubblici e stimolino quelli privati riducendo così l’incertezza e sostenendo
redditi e occupazione.
In questo modo le imprese tenderanno a compensare il potenziale effetto negativo nel breve termine della
digitalizzazione dovuto ai costi di riallocazione. → sostenere la domanda aggregata garantisce la crescita della
produttività in mercati competitivi.
Il meccanismo di causazione circolare cumulativa alla base di tale legge può però agire anche in direzione opposta.
L’insufficienza della domanda aggregata tenderà a deprimere gli investimenti per cui politiche per l’integrazione del
digitale, se non supportate da politiche di sostegno della domanda aggregata, possono rivelarsi inefficaci o depressivi.
Il peggioramento delle condizioni di disuguaglianza dei redditi osservato può minacciare l’efficacia stessa degli
interventi diretti a migliorare il trend della produttività e a rilanciare la crescita globale.
Più disuguaglianza porta la composizione dei consumi a vantaggio dei beni a più basso valore aggiunto trascinando
l’economia in un loop di stagnazione.
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I potenziali benefici della trasformazione digitale dovrebbero essere valutati sulla base degli effetti che questa ha su
consumi e investimenti.
L’economia digitale potrebbe avere ricadute negative sulla dinamica di entrambi, potrebbe infatti rafforzare la
concentrazione dei capitali e dei profitti , contribuendo a ridurre gli investimenti.
Dal lato dei consumi la trasformazione digitale potrebbe accentuare la riduzione della quota salari promuovendo un
ulteriore aumento delle disuguaglianze con l’effetto di una riduzione complessiva di domanda aggregata e consumi.
La trasformazione digitale dovrebbe essere inquadrata in un articolato disegno di politica monetaria in cui l’intervento
pubblico non è limitato alle necessarie, ma si esplica anche con efficaci politiche industriali e dei redditi.
Nell’anno della peggiore crisi economica dopo la Grande Depressione la presidenza italiana del G20 da un lato si è
mostrata consapevole delle sfide globali emergenti, ma dall’altro ha mancato di proporre un approccio in grado di
integrare la prospettiva di lungo periodo su produttività e digitalizzazione con le politiche macroeconomiche
necessarie per la ripresa post-crisi.
Questo ci porta a proporre l’abbandono delle regole fiscali in favore di standard fiscali, il focus sarebbero delle
valutazioni specifiche per paese utilizzando l’analisi stocastica della sostenibilità del debito guidata dalla
Commissione europea o da consigli nazionali di bilancio indipendenti.
Ci sono due dimensioni, collegate ma strettamente dipendenti, del quadro di politica di bilancio dell’UE:
- Relativa allo sviluppo di un’unione di bilancio/fiscale, attraverso condivisione dei rischi, emissione di titoli
comuni e un budget europeo.
- Relativo alla progettazione e applicazione di norme fiscali comunitarie alle politiche nazionali di bilancio.
La crisi da Coronavirus ha segnato dei passi avanti verso la prima dimensione con la creazione ed emissione di
recovery fund e ha portato a una sospensione delle politiche di bilancio.
La sfida è chiara, le regole sono state progettate per raggiungere bassi livelli di indebitamento in un contesto di tassi di
interesse positivi, ma la realtà del post-Covid19 è una realtà con alti livelli di debito.
Un approccio potrebbe essere una riforma incrementale, magati con un aggiustamento del livello target del debito o
almeno della velocità con cui dovrebbe essere raggiunto, accompagnata da una semplificazione del quadro normativo.
Probabilmente una riforma incrementale è insufficiente, nessuna regola quantitativa può sperare di avvicinarsi alle
diverse situazioni che si possono manifestare nei diversi paesi, ma anche una regola più complessa è inadeguata a
catturare le contingenze rilevanti.
Questo porta a proporre un framework diverso incentrato sull’applicazione di standard di bilancio piuttosto che su
regole quantitative.
Con standard di bilancio ci si riferisce a una dichiarazione di obiettivi generali abbinata a un processo di valutazione
atto a verificare che le politiche dei paesi membri soddisfino questi standard.
Anche l’attuale quadro di riferimento della politica di bilancio inizia con uno standard: “Gli Stati membri devono
evitare disavanzi pubblici eccessivi” (art.126 TFUE), ma per attuarlo ricorre a un sistema di regole fiscali quantitative
L’'analisi stocastica della sostenibilità del debito intrapresa a livello comunitario, è il principale e giusto strumento per
definire il concetto di “eccessivo disavanzo pubblico”
Storicamente, la necessità di norme fiscali a livello dell'UE oltre alle norme nazionali era giustificato dalle esternalità
del debito tra paesi.
Vi era chiaramente il sospetto che alcuni governi potessero, in una visione di breve termine, accollarsi un rischio di
indebitamento maggiore di quanto giustificato.
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Nel periodo di transizione dell’euro, regole semplici e trasparenti (60% debito/pil oppure 3% deficit di bilancio)
sembrarono sufficientemente credibili.
Queste sono state violate ripetutamente perché troppo stringenti in alcuni dettagli (i.e. obbligando un paese a
consolidare il debito nel pieno di una recessione) e troppo permissive in altri (i.e non hanno contenuto
sufficientemente gli aumenti di spesa durante il boom economico dei primi anni 2000).
Per questo sono state rese più stringenti, ma anche in questo caso hanno avuto effetti dubbi limitando gli investimenti
pubblici e il sostegno fiscale durante la ripresa dalla crisi finanziaria globale del 2008.
Anche prima del Covid-19 era diffusa l’opinione che le norme andassero riprogettate, il covid-19 ha solo reso più
ovvio ed evidente questa necessità.
Alti deficit di bilancio hanno portato a livelli del rapporto debito/PIL ancora più alti e molto distanti dal 60% richiesto
dalle attuali politiche di bilancio.
Ci si aspetta che i tassi di interesse restino bassi, in particolare inferiori alla crescita del PIL.
Per trattare la sostenibilità del debito si inizia con un’analisi semplificata che ignora gli effetti della politica di bilancio
sulla domanda aggregata e conseguentemente sulla produzione. → questa è la pure public finance view
Non è una visione ragionevole, lo sarebbe se le politiche monetarie e l’aggiustamento dei prezzi mantenessero la
produzione al suo livello potenziale prescindendo dalle politiche di bilancio.
Secondo questa visione, per capire quando è necessario preoccuparsi per la sostenibilità del debito o peggio per il
rischio di default è necessario considerare diversi elementi, tra cui: tasso di interesse, tasso di crescita, risposta del
disavanzo primario, nonché incertezza e variazione nel tempo di questi.
Discussione tradizionale
Il punto di partenza è l’equazione della dinamica del debito, che una volta risolta implica che il rapporto di debito
futuro dipende dal rapporto di debito di oggi, dai tassi di crescita (g) e interesse (r) presenti e futuri e dal saldo
primario.
I governi hanno un controllo limitato sul tasso di crescita del PIL e sul tasso di interesse sul debito.
Una definizione di debito sostenibile può essere la seguente:
il debito è sostenibile finché la probabilità di un’esplosione del debito o di default resta molto remota.
La sfida è dunque determinare il massimo livello di debito che può essere considerato sostenibile.
Supponendo che i tassi di crescita e interesse siano costanti e conosciuti con certezza si identificano due possibili
scenari:
1. Il tasso di interesse sul debito è maggiore del tasso di crescita del PIL:
per ogni livello di saldo primario esiste un livello di debito che se superato porta all’insostenibilità.
Allo stesso modo per ogni livello di debito c’è un livello di saldo primario minimo da raggiungere per
garantire la sostenibilità del debito.
Bohn sostiene che finché il saldo primario reagisce adeguatamente al debito, quest’ultimo resta sostenibile.
Sotto quest’ipotesi non vi è un livello critico di debito, bensì una velocità adeguata di aggiustamento del saldo
primario.
Tale conclusione è troppo ottimistica, ci sono infatti limiti economici e politici alla dimensione un surplus può
avere, pertanto se il livello di debito richiede un surplus più alto la condizione di Bohn non è più valida e il
debito esplode.
Un governo potrebbe avere la capacità di accrescere velocemente il saldo primario, mentre un altro potrebbe
richiedere un tempo maggiore. Allo stesso modo un governo potrebbe sostenere sforzi e politiche di austerità
per un lungo periodo e altri no.
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2. Il tasso di interesse sul debito è minore del tasso di crescita del PIL:
anche prima del Covid-19 il tasso di interesse nominale sui titoli di stato erano bassi, a volte persino negativi
per alcuni paesi dell’UE. Con la crisi i tassi nominali si sono abbassati ulteriormente e hanno portato a una
curva dei rendimenti ancora più piatta.
Quando il saldo primario è negativo, la dinamica del debito differisce rispetto al caso contrario e questo si può
esprimere in diversi modi:
o Qualunque sia il saldo primario, il debito non esploderà, ma convergerà a un valore finito.
o Se il paese mantiene un surplus, il debito diminuirà gradualmente fino a poter eventualmente
convergere a un numero negativo.
o Mantenere un rapporto di debito costante non richiede surplus, ma è anche consistente con l’accumulo
di un disavanzo primario.
il fatto che il tasso di interesse sia basso rispetto all’alto livello del debito pubblico non va interpretato come indicatore
del fatto che in debito non ha effetto sul tasso, ma piuttosto che ci sono in gioco altri fattori.
Tralasciando il rischio di default ci sono altri due canali attraverso cui il debito sovrano può influenzare il suo tasso di
interesse:
1. Lo spiazzamento del capitale aumenta il prodotto marginale del capitale e di conseguenza modifica il tasso di
interesse, aumentando o diminuendo il rischio in proporzione.
2. L’aumento dell’offerta di titoli di stato di un paese rispetto all’offerta totale di titoli di stato.
Anche in assenza di rischio di default, i titoli di stato di paesi diversi non sono perfetti sostituti perché la loro
liquidabilità o premio di rischio sono diverse.
Il problema econometrico è che i debiti si muovono lentamente e molti altri fattori influenzano i tassi.
Per un’economia chiusa l’aumento dell’1% della crescita del rapporto debito/PIL porta l’aumento del tasso di
interesse di 2-4 punti base.
L’UE è molto integrata, ma comunque parte del mercato finanziario mondiale e questo suggerisce un coefficiente
minore degli effetti del debito sovrano rispetto alla corrispondente variazione dei tassi di interesse.
Anche se il tasso di interesse è minore del tasso di crescita oggi, un grane aumento del debito potrebbe cambiare
questa situazione e portare all’imposizione di limiti sul debito.
Incertezza
Finora abbiamo ipotizzato che tasso di crescita, di interesse e il saldo primario siano noti con certezza, ma questo non
è vero e ha diverse implicazioni, in particolare l’incertezza offre un secondo motivo per essere prudenti rispetto a un
livello di debito elevato e crescente anche qualora il tasso di crescita fosse maggiore del tasso di interesse.
Per un dato livello di saldo primario, il limite cui può arrivare il debito dipende dalla differenza r – g.
Nel contesto ipotizzato ora, ove è presente incertezza, la questione principale riguarda il passaggio da un regime in
cui la differenza r – g è negativa a una in cui è positiva e magari anche elevata.
In passato infatti periodi in cui il tasso di interesse era inferiore a quello di crescita del PIL si sono alternati con
periodi in cui questa differenza diveniva positiva.
Si può avere un’idea di ciò che credono gli investitori nel mercato guardando la probabilità implicita nei prezzi delle
obbligazioni di diversa scadenza.
L’incertezza riguardo il tasso di interesse sul debito incide sull’evoluzione di questo in relazione anche alla maturity
del debito pubblico.
Più distante è la scadenza e più uno stato può proteggere l’evoluzione del debito da movimenti nei tassi di interesse a
breve termine.
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Nel caso dell’UE molti paesi hanno aumentato la scadenza del proprio debito nel tempo.
La scadenza media in Francia e Germania è di 8 anni, in Italia è passsata da 2.5 anni negli anni ’90 agli attuali 7.3
anni.
Il rischio di tasso di interesse è lontano da essere l’unico, come mostrato dal Covid-19 shock negativi possono portare
a deficit ampi e ad aumenti del debito.
Nessun rapporto debito/PIL è completamente sicuro, la probabilità di default incide sulla stabilità del debito e anche
una piccola probabilità di default può portare a un veloce peggioramento del rapporto di indebitamento.
- La necessità di gestire i deficit di bilancio senza che questo minacci la sostenibilità del debito.
Una politica di bilancio aggressiva implica grande variazioni del saldo primario e di conseguenza, a parità di
condizioni, la maggior necessità di un livello di indebitamento minore in periodi normali per avere uno spazio
di manovra nella gestione del deficit che non porti un aumento sostanziale del rischio di indebitamento in caso
di shock.
Ampi shock negativi possono creare conflitti tra la funzione macroeconomica di stabilizzazione della politica di
bilancio e l’obiettivo di mantenere un livello di indebitamento sostenibile.
Con la crisi Covid-19 è diventato chiaro che il rischio di un eventuale default del debito è aumentato. per proteggere
famiglie e imprese e per rilanciare la domanda i governi sono disposti ad accettare larghi aumenti del debito.
Un’implicazione aggiuntiva della functional finance view riguarda specificamente i paesi appartenenti a un’UM ed è la
pertinenza di un secondo tipo di esternalità internazionale collegata alla politica di bilancio: l’esternalità della
domanda.
Per ogni coppia di paesi economicamente integrati, un’espansione o una contrazione fiscale/(di bilancio) può incidere
non solo sulla produttività interna, ma anche su quella dell’altro paese.
Se i paesi fossero indipendenti potrebbero usare la politica monetaria per fronteggiare la situazione, ma per i paesi
membri dell’UEM questa non è un’opzione.
Quando la politica monetaria può essere usata, un insufficiente risposta della politica fiscale dell’UE può essere
compensata da una politica monetaria più espansiva che mantenga la produttività dell’area euro al suo potenziale.
Questo diventa difficile quando la BCE e le BCN operano sul limite inferiore del tasso di interesse, in tal caso in caso
di uno shock simmetrico negativo una politica di bilancio ottimale per l’UE è per ogni paese faccia più di quanto
vorrebbe fare da solo o che accetti di produrre il necessario stimolo fiscale con un’espansione del bilancio comune
centralizzato.
Questa seconda opzione sembra più realizzabile e in un certo senso la creazione dei recovery fund rappresentano un
primo passo in tale direzione.
Ci sono cinque conclusioni riguardo la valutazione e il rafforzamento della sostenibilità del debito nel contesto
dell’Unione Europea:
1. Si tratta di una questione complessa e non esiste un unico numero, che non cambia , e che definisce il livello
di debito o di deficit che rendono la situazione sostenibile.
2. La sostenibilità del debito è essenzialmente una dichiarazione probabilistica.
3. Per guardare alla sostenibilità non bisogna focalizzarsi solo sul debito, ma anche su saldo primario.
Un alto livello di indebitamento non è un problema in presenza di un saldo primario in grado di sostenerlo.
4. Per un dato livello di debito, il livello che il saldo primario deve raggiungere dipende dalla differenza r – g.
5. Il saldo primario che un paese può raggiungere dipende da diversi fattori
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Le regole, tuttavia, sono ancora ancorate a questi due valori numerici, che per essere raggiunti richiedono agli stati di
affrontare due serie di vincoli:
- Sull’equilibrio strutturale
- Sulla crescita della spesa.
Nel 2019 ben 12 paesi europei, tra cui Francia e Germania, hanno avuto un MTO per il periodo 2020-22 dell’ 1%,
mentre altri hanno avuto un limite più stringente, ad esempio per Spagna e Belgio è stato dello 0%.
L’uso di un secondo set di regole è giustificato dalle preoccupazioni sulla misura del gap di produttività nel computo
dell’equilibrio strutturale.
La regola di spesa non richiede una misura del gap produttivo, bensì del potenziale tasso di crescita di questo.
Se i paesi non soddisfano questi limiti possono essere sottoposti a una procedura di deviazione che può concludersi
con l’applicazione di sanzioni da parte del Consiglio europeo.
Processo correttivo
Se i paesi violano uno dei due valori di riferimento (60% o 3%) possono essere soggetti, su decisione del Consiglio, di
una procedura correttiva piuttosto che all’Excessive Deficit Procedure (EDP).
I paesi devono correggere l’eccessivo deficit/indebitamento in maniera tempestiva:
- Se il deficit supera il 3% questo deve essere corretto nell’arco di 1-2 anni.
- Se il rapporto debito/PIL supera il 60% l’arco temporale concesso per correggere il tiro può essere maggiore.
Se l’aggiustamento risulta insufficiente il consiglio può sanzionare il paese fino ad un massimo dello 0.2% del PIL per
ciascun anno.
Clausole di flessibilità
Le riforme hanno introdotto diverse clausole di flessibilità in virtù delle quali il MTO può essere ridotto o persino
sospeso in caso di pessime condizioni economiche dovute a circostanze eccezionali.
Tali clausole sono state applicate da marzo 2020 e sicuramente avranno applicazione fino alla fine del 2021.
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Regole di valutazione
Le regole dell’UE si basano ancora su un livello di debito target invariabile, con alcuni accenni di flessibilità nel
processo di aggiustamento.
Le estensioni aggiunte con varie riforme sembrano in realtà essere una serie di riparazioni piuttosto che un coerente
insieme di regole.
Il sistema di regole europeo era già basato su un livello di indebitamento target del 60%, ma vista l’evoluzione del
debito durante la crisi Covid-19 e il fatto che molti paesi stanno raggiungendo rapporti di debito persino superiori al
100%, mantenere tale livello obiettivo è imbarazzante.
Le regole permettono agli stabilizzatori automatici di funzionare, ma anche alla velocità di aggiustamento
dell’equilibrio strutturale al MTO è permesso di variare in base al gap produttivo.
La maggior parte delle regole permette una sospensione dell’aggiustamento richiesto se il gap è particolarmente largo
e negativo oppure se il tasso di crescita è negativo.
Si mantiene il rapporto di indebitamento del 60% come ancoraggio del debito a lungo termine per paesi con alti debito
e come linea di demarcazione tra regole fiscali da applicare ai paesi che hanno un indebitamento superiore o inferiore.
Le proposte di modifica al tempo stesso sostengono la sostituzione delle norme esistenti e delle procedure con
un’unica regola operativa: una regola di spesa che implica un trend decrescente del debito che permette fluttuazioni
nei deficit guidate dai cambiamenti ciclici dei redditi.
Regole di questo tipo potrebbero comunque portare a cari errori, in primis potrebbero essere troppo rigorose: mentre
permettono agli stabilizzatori fiscali (di bilancio) di aver effetto, potrebbero non consentire uno stimolo discrezionale
superiore al tasso massimo di crescita della spesa.
Una semplice contingenza potrebbe essere una clausola di salvaguardia come quella esistente nella regolamentazione
attuale che è stata invocata per il COVID-19.
La maggior parte delle proposte manterrebbe tale clausola di salvaguardia, tuttavia, potrebbe essere applicata solo nel
caso di grandi shock aggregati che colpiscono l'intera Unione Europea, e qualora fosse invocata si limiterebbe a
sospendere temporaneamente le regole, senza lasciare nulla al loro posto.
Avvicinare le regole al compromesso ottimale tra consentire la stabilizzazione
politica e limitare il rischio di indebitamento insostenibile per ciascun membro dell'UE richiede un insieme di
contingenze molto più complesso.
L’argomentazione più importante contro le norme di bilancio attuali è che gli economisti sarebbero incapaci di
definire una qualsiasi regola che ottiene i corretti trade-off ex ante.
Molte contingenze rilevanti, le probabilità a queste connesse e il giusto modo di mapparle in una norma è impossibile
da identificare ex-ante.
Una regola che cerca di mappare variabili economiche osservabili in un livello di debito "sicuro" massimo dovrebbe
adottare un approccio estremamente conservativo, il che implica che nella maggior parte dei paesi una tale regola
sarebbe eccessivamente
Restrittiva nel vincolare la politica fiscale nella sua funzione di stabilizzazione.
Al contrario, una regola calibrata per lasciare uno spazio adeguato alla politica di stabilizzazione consentirebbe ai
paesi così tanta libertà di creare debito che potrebbero facilmente finire in cattivo equilibrio.
L'unico modo per sfuggire a questo dilemma è allontanarsi dalle regole fiscali adottando un approccio alternativo che
permetta all'UE di vincolare le politiche di bilancio dei suoi Stati membri quando necessario.
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Standard vs Regole
Standard e regole sono modi alternativi di esprimere norme legali che regolano i comportamenti.
La differenza sta nel fatto che il contenuto legale è definito ex posto oppure ex ante.
Gli standard possono elencare una serie di criteri considerati dai giudici nel momento in cui decidono se lo standard è
stato rispettato, rendendoli così più simili a regole.
Le regole possono includere eccezioni o contingenze statali, come nel caso delle odierne regole di bilancio dell'UE,
avvicinandole agli standard.
Entrambi sono all’ordine del giorno nel diritto nazionale e dell’Ue.
Ampie aree del diritto dell'UE, come la disciplina della concorrenza si basano su standard.
Al contrario, il framework che mira a vincolare la politica fiscale tende ad essere basato su regole, ma con eccezioni.
In base alle circostanze le regole possono essere preferite agli standard e viceversa.
Le regole hanno il vantaggio di fornire più chiarezza ex-ante, tuttavia un approccio caso-per-caso guidato da standard
potrebbe essere preferito laddove le autorità non potessero imporre regole generali.
Lo strumento primario per valutare se lo standard fiscale è soddisfatto è un'analisi stocastica della sostenibilità del
debito.
La probabilità che il saldo primario che stabilizza il debito superi l'effettivo saldo primario indicherebbe un rischio per
la sostenibilità del debito.
Se tale probabilità fosse bassa allora lo standard fiscale primario sarebbe soddisfatto, al contrario se fosse più alta il
paese dovrebbe adottare politiche di aggiustamento.
Una violazione dello standard fiscale generalmente non implicherebbe che debito è insostenibile, ma solo che un
adeguamento fiscale è necessario per mantenere (o
ritornare) la sostenibilità del debito con alta probabilità.
L’unica eccezione sarebbe il raro caso in cui il verificarsi di uno shock economico è così grande che l’aggiustamento
necessario per prevenire un percorso esplosivo del debito diviene economicamente o politicamente irrealizzabile
Una questione importante è se gli standard fiscali dovrebbero prescrivere il comportamento da tenere nei casi in cui la
sostenibilità del debito non è a rischio.
Le crisi del debito non sono l'unica esternalità potenzialmente causata dalla politica fiscale, infatti quando i tassi di
interesse della BCE sono al limite inferiore effettivo, potrebbe esserci un’esternalità della domanda che implica che la
politica di bilancio negli Stati membri è troppo restrittiva
La capacità della BCE di adottare una politica fiscale restrittiva compensativa dovrebbe essere presa in considerazione
quando si decide la velocità con cui i paesi dovrebbero essere tenuti a ridurre il loro deficit.
Uno strumento per far fronte all'esternalità da domanda è la politica fiscale, ma non a livello di singoli membri, bensì
a livello di unione (i.e. da prestiti comuni).
In pratica, però è molto improbabile che la disciplina di mercato sia sufficiente, la storia dell’euro infatti suggerisce
che i mercati finanziari tendono a sottovalutare per poi avere reazioni eccessive.
Alcune delle riforme possono essere un compito arduo e ad oggi la volontà politica di intraprendere tali politiche
sembra non essere sufficiente, conseguentemente anche se si condivide l'idea che i mercati potrebbero essere la più
importante di disciplina di bilancio nell'area dell'euro, questi non possono essere l’unica.
L'applicazione della disciplina fiscale continuerà a richiedere una procedura formale.
conclusioni:
Le regole fiscali europee sono state concepite all'inizio degli anni '90 come un modo per affrontare le esternalità del
debito che si verificano tra i membri dell'area dell'euro. Tali esternalità nascono sia perché l'accumulo di debito
esercita pressioni sulla BCE sia a causa di ricadute negative in caso di crisi del debito.
Quasi 30 anni dopo, c'è un ampio consenso tra gli economisti e i politici nell'UE che le regole fiscali non siano state
un successo e che richiedano una riforma.
Se il debito rischia di diventare insostenibile non dipende solo dai livelli di indebitamento e deficit, ma da una serie di
incertezze dovute a fattori economici e politici.
Sommario
COVID E EUROZONA.................................................................................................................................................... 3
Il centro e le due periferie: ............................................................................................................................................ 3
Segnali di recessione all’alba della pandemia ............................................................................................................... 3
Arrivo del Coronavirus ................................................................................................................................................. 4