1123 Natura e Biodiversita
1123 Natura e Biodiversita
1123 Natura e Biodiversita
I Quaderni della
Formazione Ambientale
Natura e Biodiversità
APAT - Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici
Via Vitaliano Brancati, 48 - 00144 Roma
www.apat.it
ISBN: 88-448-0198-1
A cura di
Dott.ssa Marica Federici
Coordinamento
Ing. Gaetano Battistella
Impaginazione e stampa
I.G.E.R. srl - Viale C.T. Odescalchi, 67/A - 00147 Roma
pag.
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
2. I tre livelli di biodiversità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
2.1. Biodiversità ecosistemica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2.2. Biodiversità di specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.3. Biodiversità genetica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
3. Biodiversità : risorsa fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
4. Il processo di perdita della biodiversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
5. Le minacce alla biodiversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
6. Il sistema delle aree protette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
6.1. La starna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
6.2. La foca monaca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
6.3. L’Orso bruno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
6.4. Il Lupo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
6.5. L’Aquila reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
7. La Rete Natura 2000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Questionario di autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Riferimenti Normativi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Dati tecnico scientifici di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Bibliografia e siti web. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
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PREMESSA
Il presente booklet fa parte della raccolta intitolata “Quaderni della Formazione Ambientale”, com-
posta da 8 documenti tematici sugli elementi tecnico scientifici di base per la formazione e l’edu-
cazione ambientale.
I Quaderni sono divisi in 2 gruppi, relativi a:
• le matrici ambientali, e cioè Acqua, Aria, Natura e Biodiversità, Suolo;
• i fenomeni di antropizzazione, e cioè Cultura Ambientale e Sviluppo Sostenibile, Demografia ed
Economia, Energia e Radiazioni, Rifiuti.
L’opera, che si ricollega alle precedenti “Schede Tematiche di Educazione Ambientale” e ne appro-
fondisce i contenuti, si propone come uno strumento di agevole consultazione sia da parte del do-
cente / educatore che dell’allievo, per un supporto alla divulgazione sul tema della protezione del-
l’ambiente.
I testi riportati negli 8 Quaderni sono accompagnati da grafici, tabelle ed esempi esplicativi, per age-
volare la trattazione, la lettura e lo studio e per cercare di presentare in forma agevole una serie di
conoscenze tecnico scientifiche anche complesse e di non facile sintesi.
D’altronde, la protezione dell’ambiente è innanzitutto un problema tecnico scientifico, e progettare
strumenti per la divulgazione ambientale di supporto ad iniziative di educazione e formazione am-
bientale non può prescindere da una impostazione il più possibile pianificata, schematica e rigorosa.
Questo spiega perché la struttura dei Quaderni stessi è organizzata in maniera analoga, con una par-
te espositiva, una parte di riferimenti alla normativa e ai dati tecnico scientifici, e una parte di auto-
valutazione.
La sistematizzazione di una parte delle attuali conoscenze di base su diverse tematiche ambientali
permette così di avviare iniziative di educazione e/o di formazione, basate su una corretta compren-
sione dei fenomeni ambientali, e di favorire una migliore partecipazione degli individui alla soluzio-
ne dei piccoli e grandi problemi quotidiani che riguardano l’ambiente, e quindi anche noi stessi.
Non può essere tralasciata anche una breve considerazione sulla utilità possibile di una simile rac-
colta, che può supportare – tale ne è perlomeno l’intendimento – una maggiore diffusione delle co-
noscenze a tutti i livelli di età (bambini, giovani, adulti, anziani) e in diversi ambiti di apprendimento
(scuole, laboratori, associazioni, ecc.) per dare un riferimento omogeneo e scientificamente fonda-
to alle future azioni di educazione e formazione ambientale, perlomeno a livello di conoscenze di
base.
E’ noto, infatti, dalle statistiche disponibili, che una delle priorità dell’educazione per lo sviluppo
sostenibile è quella di migliorare, attraverso la formazione, la preparazione di milioni di docenti ed
educatori nel mondo, e d’altro canto la formazione è una leva fondamentale per l’avvio nel mondo
del lavoro di esperti nelle nuove professioni legate alla protezione dell’ambiente.
Si auspica che in questo documento dell’APAT possano quindi trovare uno strumento valido di la-
voro quanti vogliono dotarsi di un supporto tecnico scientifico e di riferimento istituzionale alle pro-
prie attività di formazione e di educazione ambientale.
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1. INTRODUZIONE
L’esistenza di ambienti naturali, come le foreste, le praterie, le lagune, i sistemi fluviali e i litorali,
in uno stato di conservazione tale per cui non ne sia stata pregiudicata la funzionalità, sono essen-
ziali per la vita di questo pianeta e quindi per la salute e il benessere dell’umanità. Infatti le dina-
miche della natura influenzano le attività umane e da queste ultime sono a loro volta influenzate;
inoltre le componenti ambientali biotiche (piante, animali, funghi, batteri ecc) e abiotiche (elemen-
ti geologici, fisici, chimici ecc) costituiscono una fonte insostituibile di risorse per l’uomo e sono
parte essenziale del nostro patrimonio culturale e della nostra identità.
La conservazione della natura è pertanto un obiettivo prioritario, sostenuto a livello comunitario, per
cercare di frenare i fenomeni di degrado e di distruzione, che hanno accompagnato lo sviluppo eco-
nomico degli ultimi decenni e che stanno portando ad una continua e consistente perdita di biodi-
versità.
La biodiversità è sinonimo di varietà delle forme di vita: l’insieme degli esseri viventi e le loro di-
verse forme di aggregazione che popolano il pianeta. Il termine viene anche usato per indicare la va-
rietà genetica all’interno di una specie. La varietà è anche un sistema di emergenza, che assicura la
sopravvivenza degli organismi viventi rispetto ai cambiamenti (ad es. climatici) locali e globali. La
perdita e l’impoverimento della biodiversità possono alterare gli equilibri degli ecosistemi e dei pae-
saggi e, qualora venissero intaccati elementi funzionali fondamentali, si potrebbe innescare un pro-
cesso di degrado tale da coinvolgere l’intero sistema Terra.
La salvaguardia della biodiversità è quindi un obiettivo primario di tutti i Paesi civilizzati; a tale sco-
po XX Paesi nel mondo, tra cui l’Italia, hanno aderito alla Convenzione di Rio de Janeiro, impe-
gnandosi a frenare e infine bloccare la perdita di biodiversità entro il 2010.
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2. I TRE LIVELLI DELLA BIODIVERSITÀ
Per diversità biologica o biodiversità s’intende, come già detto, la varietà attraverso cui si manife-
sta la parte vivente di un determinato luogo o territorio. Nell’uso comune il termine biodiversità è
applicato a diversi livelli di organizzazione biologica:
All’interno di una data specie gli individui sono, in generale, tutti diversi perché esistono delle dif-
ferenze a livello genetico, a livello del DNA contenuto nel nucleo delle cellule che costituiscono gli
individui. E’ possibile, con tecniche genetiche, quantificare la diversità a questo livello e quindi par-
lare di
a) Biodiversità o diversità genetica.
Più facilmente è possibile distinguere le diverse specie che popolano un dato ambiente. Lo studio
della diversità tra specie è lo studio della
b) Biodiversità, o diversità specifica.
La biodiversità viene anche definita come misura della complessità di un ecosistema e delle rela-
zioni esistenti tra le sue componenti. Se infatti si considera il sistema ambientale secondo l’ottica
ecosistemica, cioè come livello di organizzazione che esprime le relazioni che uniscono i suoi di-
versi comparti, possiamo notare in esso alcune caratteristiche fondamentali: è un sistema aperto cioè
riceve dall’esterno e cede all’esterno materia ed energia; è un sistema complesso, poiché la sua de-
scrizione richiede parecchie variabili di stato; è un sistema ordinato poiché risulta non omogeneo
nelle sue parti ed è, inoltre un sistema dinamico, perché in continua evoluzione verso uno stadio na-
turale di maturità.
I vari organismi di un dato ambiente sono sempre in stretta dipendenza reciproca e costituiscono nel
loro insieme una comunità biologica o biocenosi. Ogni biocenosi occupa una certa area che è detta
biotopo, termine ecologico che sta ad indicare l’ unità di ambiente fisico in cui si svolge la vita di
una popolazione animale o vegetale. L’ estensione del biotopo varia in relazione della ampiezza dei
rapporti che una popolazione è in grado di stabilire con l’ ambiente. I fattori fisici e chimici come
temperatura, radiazioni, umidità, gas atmosferici e sali inorganici di un ecosistema condizionano la
possibilità di vita dell’ecosistema stesso.
L’analisi della diversa disponibilità di ecosistemi in un dato luogo o area geografica è l’analisi della
c) Biodiversità o diversità ecosistemica.
Generalmente quando si parla di Biodiversità ci si riferisce ad uno di questi tre possibili livelli. Si
tratta ovviamente di una schematizzazione didattica che lascia intravedere ulteriori possibili livelli:
gli ecosistemi tendono ad aggregarsi secondo schemi (o mosaici) ripetitivi che rispondono ad esi-
genze funzionali di sistemi più ampi, creando un ulteriore livello biologico che è quello del paesag-
gio (inteso non dal punto di vista visivo ma come sistema ecologico).
In una data area geografica è quindi possibile studiare la varietà di paesaggi e analizzare un ulterio-
re livello di Biodiversità.
Sono possibili concettualmente livelli di biodiversità ancora superiori e, uscendo da questo schema,
interpretazioni alternative del quel che è la biodiversità, ugualmente valide riconducibili al dibatti-
to internazionale sul tema. Attualmente non è stata prodotta una definizione univoca del concetto di
Biodiversità e, conseguentemente, un sistema di misura della Biodiversità. E’ comprensibilmente
difficile trovare una definizione di qualcosa, la vita, che è appunto varia e complessa. I sistemi am-
bientali, come sistemi complessi, sono studiabili e descrivibili sotto molteplici punti di vista ognu-
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no dei quali sortirebbe una definizione di Biodiversità condivisibile; ma una definizione, per quan-
to generale, sarebbe comunque riduttiva a tal punto da non essere rappresentativa della stessa di-
versità.
Nel linguaggio comune quando si parla della Biodiversità, si intende semplicemente il numero del-
le specie presenti nel luogo a cui ci si riferisce, tale numero rappresenta quindi la misura della stes-
sa biodiversità nello stesso luogo.
L’importanza della tutela degli ecosistemi nella conservazione della Natura e per la tutela delle spe-
cie, a livello Comunitario, è stata riconosciuta con la Direttiva Habitat (92/43/CEE). Ecosistemi par-
ticolarmente a rischio, la cui protezione deve essere un obiettivo prioritario per i Paesi comunitari,
sono ad esempio le praterie di posidonie, le lagune costiere, le torbiere, alcune tipologie di boschi e
foreste, i ghiaioni, i palmeti. Una Direttiva precedente aveva già posto sotto tutela le zone umide
forse perché da sempre considerate luoghi nocivi e poco salutari e sottoposte a bonifica con relati-
va scomparsa di specie altamente specializzate e in pericolo di estinzione.
Così come accade per le specie, ogni Paese individua i propri habitat e la propria biodiversità eco-
sistemica. La valutazione della diversità ecosistemica trova nella definizione dei limiti dell’ecosi-
stema, nella dinamica dei processi evolutivi e nella presenza antropica. i suoi punti critici.
La classificazione dell’immensa varietà di ecosistemi presenti sulla Terra in un sistema gestibile, re-
sta un grosso obbiettivo scientifico, ed è importante per la gestione e conservazione della biosfera.
A livello globale, la maggior parte dei sistemi di classificazione hanno tentato di trovare un com-
promesso fra le complessità dell’ecologia delle comunità ed i parametri troppo semplificati di una
classificazione generale degli habitat. Questi sistemi usano generalmente combinare un tipo di ha-
bitat con un attributo climatico, per esempio, foresta umida tropicale, o pascolo temperato.
Alcuni sistemi inoltre comprendono la biogeografia globale per analizzare le differenze fra regioni
del mondo che presentano caratteristiche climatiche e fisiche molto simili.
Tentativi europei simili hanno portato al completamento di alcuni progetti come il CORINE Bioto-
pes, e la classificazione EUNIS.
La stima della diversità ecosistemica è ancora agli esordi; a livello nazionale anche APAT in colla-
borazione con le Università sta compilando la lista degli habitat presenti sul territorio nazionale.
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2.2. Biodiversità di specie
La diversità a livello di specie si riferisce alla varietà delle specie in un determinato ambiente . Gli
aspetti di questa diversità possono essere valutati in vari modi, la maggior parte dei quali rientra nei
tre seguenti tipi di misurazione:
- ricchezza di specie;
- abbondanza di specie;
- diversità tassonomica o filogenetica
Il numero delle specie viene definito con l’espressione “ricchezza di specie” e costituisce una delle
possibili misure della biodiversità di un luogo; esso può essere anche utilizzato come termine di
paragone con altre zone. La ricchezza di specie viene considerata come la misura generale della bio-
diversità più semplice e facile da valutare anche se non può che rappresentare una stima approssi-
mativa e incompleta della variabilità presente tra i viventi.
La stima della ricchezza di specie considera il numero di specie presenti in una data area. La ric-
chezza varia geograficamente: nei climi caldi generalmente vivono un maggior numero di specie ri-
spetto a quelli freddi così come nelle zone più umide vi è un maggior numero di specie rispetto al-
le zone secche. Nelle foreste tropicali in cui crescono le foreste pluviali costituite generalmente da
più strati di vegetazione e dove a livello di suolo c’è la presenza di molte varietà di piante,risulta es-
serci uno dei più alti indici di biodiversità. Si calcola che in queste foreste che coprono il 7% del no-
stro pianeta si trovi almeno il 50% delle specie viventi.
Ogni zona contribuisce alla biodiversità totale sia come numero totale delle specie presenti nella bio-
sfera, ossia parte del pianeta terra in cui sono presenti organismi viventi, sia con la porzione di spe-
cie che si trovano esclusivamente in quella zona. Tali specie sono definite endemiche ( il termine
endemico deriva dalla scienza medica e generalmente viene utilizzato per indicare una malattia li-
mitata a una zona isolata) ovvero presenti esclusivamente nella zona di riferimento
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Famiglia:Ranunculaceae
Nome scientifico:Aquilegia magellensis Iden-
tificazione:Pianta perenne con fiore viola pal-
lido
Interesse:Si tratta di una specie affine all’A-
quilegia ottonis della penisola balcanica. È una
specie endemica della Majella, rara in base al-
la Lista Rossa delle Piante d’Italia, protetta
dalla L.R. n. 45/79 della Regione Abruzzo.
La stima dell’abbondanza di specie considera l’abbondanza delle singole specie all’interno della co-
munità. Un “campionamento tipo” può contenere: parecchie specie molto comuni, alcune specie me-
no comuni e numerose specie rare. Attualmente sono ampiamente in uso stime della diversità spe-
cifica che riportano, in un indice unico, le informazioni sulla ricchezza di specie e l’abbondanza re-
lativa.
Un altro approccio è quello di valutare la diversità tassonomica o filogenetica, che prende in consi-
derazione le relazioni genetiche tra gruppi diversi di specie. Queste stime sono basate su analisi che
portano ad una classificazione gerarchica rappresentata solitamente “da un albero” (dendrogramma)
le cui diramazioni si pensa rappresentino al meglio l’evoluzione filogenetica dei taxa esaminati.
Misurazioni a livello di specie sono di solito considerate le più appropriate ad analizzare la diversi-
tà tra organismi, questo perché le specie sono l’obbiettivo primario del meccanismo evolutivo e per-
ciò sono relativamente ben definite.
Su larga scala la diversità di specie non è distribuita in modo omogeneo.
La diversità genetica si riferisce alla presenza di forme alternative di geni nel patrimonio genetico
di una singola specie. In quasi tutti gli organismi pluricellulari, il patrimonio ereditario di un indi-
viduo non è identico a quello di altri individui; ognuno, in generale, rappresenta una combinazione
unica di geni all’interno della specie. Tale unicità è una conseguenza in parte della riproduzione ses-
suata e della ricombinazione genica per cui si assiste ad un rimescolano del patrimonio genico nel
passaggio dai genitori ai figli, e in parte dei cambiamenti spontanei e indotti nella struttura dei geni
(mutazioni). I fattori ambientali, in senso lato, agiscono sugli individui determinandone la morte o
la sopravvivenza e quindi avviene una selezione delle combinazioni di geni. Può accadere che due
popolazioni isolate della stessa specie subiscano una selezione differente da parte dei fattori am-
bientali; a lungo andare le due popolazioni potrebbero portare un patrimonio genetico, pool genico,
differente. Questo può accadere anche in spazi relativamente ristretti, per esempio le piante di una
specie sul versante settentrionale di una valle possono appartenere ad un altro “ecotipo” rispetto al-
le piante della stessa specie sul versante meridionale.
La diversità genetica è importante per la capacità di adattamento della specie nel corso dell’evolu-
zione e può essere misurata usando vari metodi basati sul DNA ed altre tecniche (World Conserva-
tion Monitoring Centre, 1992). Una popolazione o una specie che per qualche motivo perda una par-
te del suo pool genico, corre maggiori rischi di estinguersi, venendo meno parte della sua potenzia-
le adattabilità a nuove condizioni ambientali. Inoltre la perdita di forme geniche potrebbe, per que-
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stioni casuali, far aumentare la frequenza di geni letali, subletali o semplicemente sfavorevoli alla
specie con un conseguente aumento del rischio di estinzione.
Si stima che ci siano 10 miliardi di geni diversi distribuiti nella totalità degli esseri viventi a livello
mondiale, tuttavia, essi non contribuiscono tutti allo stesso modo alla diversità genetica globale
(WCMC, 1992b). In particolare, i geni che controllano processi biochimici fondamentali si conser-
vano immutati nell’ambito dei diversi gruppi di specie (taxa), e generalmente presentano variazio-
ni minime. Altri geni, maggiormente specializzati, presentano una gamma di variazioni più ampia.
Negli ultimi decenni sono nate iniziative per la conservazione della diversità genetica in riferimen-
to a specie in pericolo di estinzione (animali e vegetali), legate alle tradizioni storiche (razze animali
di allevamento, varietà di piante legate alla cucina tradizionale) e economiche. In questa ottica de-
vono essere valutate le adesioni ai programmi di conservazione (ex situ) del germoplasma, a cui par-
tecipano molti giardini botanici, e gli scambi di individui nonché i programmi di inseminazione ar-
tificiale a cui aderiscono molti giardini zoologici del mondo.
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3. BIODIVERSITÀ: RISORSA FONDAMENTALE
Nel corso della sua storia l’uomo si è progressivamente creato una nicchia che, soprattutto nelle cit-
tà, lo ha privato del contatto diretto con l’ambiente naturale. Le nuove tecnologie per lo sfruttamento
industriale delle risorse, contemporaneamente, hanno reso l’umanità capace di modificare anche
profondamente l’aspetto e gli equilibri naturali, contribuendo a diffondere l’illusione di essere al di
sopra degli equilibri naturali e non all’interno di essi; di poter controllare gli eventi e non di esser-
ne una parte.
La biodiversità è fondamentale per l’uomo;da essa ricava il nutrimento, l’ossigeno per la respira-
zione, i medicinali, le fibre naturali per tessuti (cotone, lana, ecc.), le materie prime per la produ-
zione di energia (legno e minerali fossili) e persino i processi di depurazione e riciclaggio dei pro-
dotti di rifiuto; inoltre essa influenza la nostra vita quotidiana in molti altri modi, anche meno evi-
denti. La vegetazione, ad esempio, riduce l’erosione del suolo, impedisce smottamenti trattenendo
il terreno con le radici e contribuisce a regolare il ciclo dell’acqua agendo da tampone nei confron-
ti di eventi come le inondazioni. Di conseguenza, la perdita e l’impoverimento della biodiversità al-
tera non solo le funzioni degli ecosistemi indispensabili per la vita, ma ha anche negativi impatti
economici riducendo le risorse alimentari, energetiche, medicinali e genetiche, anche quelle che an-
cora devono essere scoperte.
Il miglior modo di conservarla è quello di conoscerla, valutarla nelle sue componenti e imparare a
conoscere i processi che la influenzano e cercare di prevedere le conseguenze di un eventuale ridu-
zione.
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4. IL PROCESSO DI PERDITA DI BIODIVERSITÀ
Sebbene lo studio di molteplici forme di vita sulla terra abbia radici molto lontane oggi viene ad ac-
quisire un’importanza fondamentale dovendo affrontare con urgenza il problema della perdita del-
la biodiversità.
La biodiversità è seriamente minacciata a causa della forte riduzione a pochissimi esemplari di ani-
mali e piante.
L’estinzione è un processo naturale che però ultimamente viene rafforzato e accentuato dalle attivi-
tà umane con una velocità che risulta molto difficile stimare.
Generalmente quando si parla di specie estinte o a rischio di estinzione il pensiero va a specie eso-
tiche tuttavia anche nel nostro territorio nazionale molte sono le specie attualmente minacciate.
Per quanto concerne le specie vegetali possiamo affermare che rappresentano una delle più impor-
tanti risorse dell’umanità. Nel mondo sono state individuate più di 275 mila specie vegetali, di cui
ritroviamo la maggiore concentrazione nelle zone tropicali e sub tropicali.
Da uno studio effettuato dalla Word Conservation Union si evince un livello molto alto del feno-
meno di perdita della biodiversità, la stima effettuata presenta dati quali: 8 specie di piante nel mon-
do è potenzialmente a rischio di estinzione, dato relativamente ininfluente rispetto al numero di spe-
cie individuate ma molto significativo dal punto di vista endemico ovvero il 90% di queste specie
in via di estinzione appartiene ad un solo paese e si possono trovare solo e in quel paese e in nessun
altro luogo nel mondo.
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5. LE MINACCE ALLA BIODIVERSITÀ
Sotto la pressione delle attività umane la diversità biologica si impoverisce ad un ritmo senza pre-
cedenti: gli ambienti naturali sono distrutti o degradati, le risorse viventi ridotte e numerose specie
decimate. Inoltre i cambiamenti climatici consecutivi all’effetto serra possono modificare profon-
damente i limiti attuali di distribuzione geografica della specie.
specie vegetali ed animali non sono distribuite uniformemente sulla Terra.
Ciascuna ha delle esigenze ecologiche particolari e vive nell’ambiente naturale con caratteristiche
che spesso sono fortemente differenti.
Talvolta alcune specie non si incontrano che in zone ben determinate (in questo caso si parla di spe-
cie eudemiche).
Tra la natura e la diversità dell’ambiente, tra la diversità e la ricchezza delle specie, ci sono strette
relazioni. Le minacce che pesano sugli ambienti naturali sono evidentemente pregiudizievoli alla
biodiversità.
Spesso con la degradazione degli ambienti naturali l’uomo mette in pericolo la biodiversità. Se il
pianeta ha conosciuto dei periodi critici, nel corso della storia, in ciascun momento, grazie alle in-
formazioni paleontologiche disponibili, si può desumere che la scomparsa della biodiversità non sia
stata così rapida come quella che noi osserviamo oggi. Secondo diverse stime, tra il 5 e il 20% del-
le specie attuali sono sparite dalla faccia della Terra all’inizio del XXI secolo.
Da qualche secolo, l’attività umana modifica in maniera sensibile la composizione dell’atmosfera.
Nel corso del XIX secolo, la deforestazione e la modifica delle proporzioni dell’ossigeno e di gas di
carbonio nell’atmosfera risultante delle attività industriali hanno preoccupato vari scienziati che si
sono industriati per attirare l’attenzione del pubblico e dei politici sulle conseguenze possibili del
cambiamento del clima. Effettivamente la quantità di gas carbonico è aumentata del 25% dal 1850,
inizio dell’era industriale, a causa dell’utilizzazione sempre più massiccia di combustibile fossile
(carbone, petrolio).
La quantità usata di metano è più che duplicata durante lo stesso periodo, e l’uomo ha introdotto,
più di recente, l’uso di altri gas quale il clorofluorocarbonio (CFC) utilizzato, per esempio, negli ae-
rosol e nei sistemi di refrigerazione, che erano prima inesistenti nell’ambiente naturale.
L’aumento di questi gas nell’atmosfera ci può preoccupare? L’atmosfera e la Terra hanno si com-
portano come vetro e piante di una serra.
La luce attraversa il vetro, scalda l’interno della serra, ed emette delle radiazioni infrarosse. Queste
ultime non possono attraversare il vetro, per cui il calore resta all’interno e la temperatura aumenta
nella serra.
Per similitudine, il suolo riceve i raggi solari ed emette, di ritorno, delle radiazioni infrarosse di cui
circa il 40% è intercettato dai gas, dando luogo così all’“effetto serra”.
Questi gas, come il gas carbonico, il metano e i CFC, hanno un ruolo essenziale nell’equilibrio del
clima attuale perché essi contribuiscono al riscaldamento della superficie del nostro pianeta, ren-
dendo così la vita possibile.
In loro assenza la temperatura media del globo sarebbe andrebbe dai –18° ai + 15° attuali.
Ma un loro aumento troppo consistente può ugualmente condurre a un effetto inverso.
Così l’aumento dei gas a effetto serra nell’atmosfera sarà responsabile d’un surriscaldamento glo-
bale stimato del 0,5° C dal 1880.
Se l’aumento della concentrazione di gas a effetto serra non si arresta, si avrà un aumento di 4° o
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5°C della temperatura media del globo, e questo si presume nello spazio di un secolo. Queste va-
riazioni climatiche hanno provocato un certo numero di catastrofi e gli scienziati si sono mobilitati
per prevenire quelle che potrebbero essere le conseguenze nel corso dei prossimi decenni.
Ma i risultati dei differenti modelli di simulazione utilizzati non sono sempre concordi a causa del-
le troppe imprecisioni esistenti ancora sui processi in corso. In particolare il sussistere di numerose
incertezze sulla rapidità con la quale questi cambiamenti hanno luogo, sulla loro ampiezza e sotto
quali latitudini saranno più sensibili.
Le conseguenze di questi cambiamenti climatici indotti dall’uomo sulla biodiversità saranno, in una
certa misura, equivalenti a quelli prodotti negli ultimi cicli di glaciazione-riscaldamento, con una
modificazione delle aree dei grandi ecosistemi.
Ma l’enorme differenza risiede nella velocità alla quale gli organismi si dovranno adattare ai cam-
biamenti climatici. Se il fenomeno doveva prodursi in qualche decina d’anni, come certi modelli di
similitudine lasciano intravedere, dei gruppi interi di vegetali, così pure di animali poco mobili, non
avranno il tempo di emigrare e potranno sparire.
Le foreste tropicali umide che ospitano più del 50% delle specie viventi si sono ridotte notevolmente
nel corso del XX Secolo.
Nella Costa D’Avorio e nel Ghana il 75% della superficie forestale è scomparsa in 30 anni: a Ma-
dagascar, coperta da alberi per i 3⁄4, il 70% della superficie forestale è sparito fra il 1970 e il 1990.
Molti animali che si nutrivano di vegetali scomparsi si sono estinti.
L’“Archeolemur” della taglia del babbuino femmina (15/20 Kg.) viveva sul suolo. Le “Magalada-
pis” somiglianti un po’ al koala d’Australia, erano arboricole e potevano pesare 80 Kg. L’”Ar-
choeindris” che pesava 200 Kg ed aveva la taglia del gorilla. La loro scomparsa è imputabile alla
deforesta-zione praticata dai primi colonizzatori della isola, e la caccia di specie più ricercate e me-
no feconde che le “lemuries” viventi.
È in Asia che il fenomeno è più inquietante: poiché la foresta tropicale delle Filippine si estendeva
su 60 milioni di ettari nel 1914, ne sono rimaste 7.000.000 nel 1990.
Le foreste temperate sono ugualmente molto toccate dal problema. Ne restano 10 milioni di ettari
su 170 milioni che occupavano le regioni ad est del fiume Mississipi. Nell’Europa Occidentale le
foreste occupavano più del 30% della superficie totale.
La scomparsa dell’“Aurochs”, antenato presunto dei nostri bovini, di cui gli ultimi individui si estin-
sero alla fine del XVII Secolo, è attribuita in parte al dissodamento e al regresso di foreste, suo am-
biente naturale.
Le ragioni della scomparsa delle foreste sono multiple. C’è ben inteso l’uso di legname come com-
bustibile, per l’esportazione di essenze preziose, ma la deforestazione ha luogo frequentemente per
conquistare nuovi terreni agricoli.
La deforestazione ha inoltre comportato la degradazione del suolo.
Il suolo è costituito da una sottile pellicola che può essere di qualche centimetro fino a qualche me-
tro di spessore, che ricopre una gran parte del continente.
È una fabbrica straordinaria che ospita una fauna molto ricca di microrganismi (bacteri, funghi) e
invertebrati, (vermi di terra, termiti) che frammentano e trasformano la lettiera vegetale in humus,
permettendo la sua incorporazione al suolo minerale. Il suolo produce vita animale e vegetale, e vie-
ne a essere il supporto alla vita delle piante e degli alberi.
Una delle conseguenze principali della deforestazione è la degradazione e l’erosione del suolo.
Un suolo non protetto dalla coltre vegetale è, in effetti, presto eroso dalle piogge e dal vento, con
conseguenze quali la diminuzione di terre coltivabili.
15
Questa erosione è particolarmente drammatica nei paesi a rilievo accidentato (a forti pendenze) co-
me il Nepal, Madagascar o le Philippine.
Certe pratiche agricole possono ugualmente favorire l’erosione. È il caso che si presenta quando si
sopprimono siepi nel suolo in pendenza.
Parimenti una cattiva gestione dei sistemi di irrigazione può avere per conseguenza l’aumento di sa-
linità del suolo dei perimetri irrigui così che non sono più adatti alle colture.
Si stima, globalmente, che sul pianeta lo 0,7% del capitale del suolo è perduto ogni anno.
Un’ulteriore causa di perdita della biodiversità sul nostro pianeta è rappresentata dall’introduzione,
in un dato territorio, di un organismo geneticamente modificato (OGM).
Gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), secondo la Direttiva 2001/18/CE, sono “organi-
smi il cui patrimonio genetico è stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura me-
diante incrocio o ricombinazione genetica naturale”.
In pratica la modificazione del patrimonio genetico di un organismo (animale, vegetale o microrga-
nismo) avviene grazie all’utilizzo delle tecniche biotecnologiche che comprendono tecniche della
biologia molecolare e dell’ingegneria genetica.
Ogni organismo possiede un proprio corredo genetico, organizzato in unità funzionali chiamati ge-
ni e costituito, tranne in alcuni virus, dal DNA (acido deossiribonucleico). Il DNA contiene codifi-
cate tutte le informazioni necessarie all'organismo per la produzione delle proteine, le quali, a loro
volta, assolvono tutte le principali funzioni necessarie alla vita dell’organismo stesso. E’ importan-
te richiamare l’attenzione sulla universalità del codice genetico, per la rilevanza che ha per la bio-
tecnologia in generale. Il codice è universale in quanto una sequenza di DNA è interpretata allo stes-
so modo da tutti gli esseri viventi, dai batteri all’uomo. L’universalità del codice genetico e il fatto
che, in generale, i processi che regolano la sintesi delle proteine sono comuni a tutti gli esseri vi-
venti, ha reso possibile, ad esempio, inserire e far funzionare un gene batterico all’interno di una
pianta.
Le biotecnologie trovano comunque applicazione in diversi campi: in medicina, per la produzione
di farmaci e vaccini; nell’industria alimentare, per la produzione di enzimi utilizzati per i processi
di trasformazione e conservazione degli alimenti; nel campo ambientale, per risolvere alcune tra le
più urgenti problematiche ambientali quali lo smaltimento dei rifiuti, in agricoltura; in agricoltura,
molte specie vegetali sono state modificate per ottenere piante capaci di resistere più efficacemen-
te a stress ambientali, a patogeni, parassiti e ad alcuni erbicidi. Inoltre si è intervenuti per realiz-
zare piante con modificate caratteristiche nutrizionali.
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6. IL SISTEMA DELLE AREE PROTETTE
La gestione del patrimonio naturale trova nella istituzione di zone di rispetto, le aree protette, una
prima ed efficace forma di salvaguardia delle specie selvatiche e della biodiversità in generale. Nel-
la maggior parte delle aree protette, infatti, è proibita la caccia e sono regolamentate tutte le altre at-
tività che hanno un impatto sugli ecosistemi e sulle specie quali la raccolta, la presenza dei visita-
tori, le attività economiche e ricreative. Le aree protette sono i centri di eccellenza per la conserva-
zione in situ di specie e habitat.
In Italia sono presenti 772 aree protette ufficiali (www.minambiente.it), coerenti con le finalità del-
la legge quadro sulle aree protette (L.394/91), per un totale di 2.991.851,85 ha di superficie; alcune
di esse di interesse locale, altre regionale e altre ancora nazionale. Le aree protette sono istituite con
l’obiettivo di tutelare il patrimonio naturale, ma in relazione alla tipologia dell’area protetta tale
obiettivo può essere esclusivo o integrato secondo le esigenze più generali del territorio.
La legge quadro 394/91, prevede diverse tipologie di aree protette che si relazionano in modo dif-
ferente verso la protezione delle specie selvatiche.
La categoria più complessa di area protetta è quella dei Parchi, distinti a seconda del rilievo in re-
gionali, interregionali e nazionali. L’area all’interno dei Parchi ha diverse destinazioni e oltre alla
tutela della biodiversità si persegue l’obiettivo di conciliare uno sviluppo sostenibile.
Le riserve naturali, anch’esse distinte in base alla rilevanza in statali e regionali, in Italia sono
481(146 statali e 335 regionali) per un totale di 336.974,11 ha di superficie (sono escluse dal con-
teggio le superfici a mare delle stesse riserve). In generale le riserve si diversificano dai Parchi per
le dimensioni più ridotte e per il fatto che ad esse viene riconosciuto un valore più spiccatamente
naturalistico. Le riserve naturali sono infatti aree “che contengono una o più specie naturalistica-
mente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le
diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche.” (L..394/91).
Tra le aree protette vanno ancora menzionate le “altre aree protette”; in questo variegato gruppo rien-
trano una serie di aree (giardini botanici, “oasi”, zoo, biotopi, parchi sommersi, suburbani e urbani,
monumenti naturali, ecc), la cui gestione è coerente con la succitata legge quadro L.394/91, ma non
possono rientrare, per vari motivi, nelle categorie sopra elencate.
Il ruolo di tali aree è importante sia per una forma di tutela delle specie a livello locale, per l’avvia-
mento di un processo di formazione ed educazione ambientale, per la partecipazione ai progetti na-
zionali e internazionali di conservazione in situ ed ex situ delle specie selvatiche, per la sperimen-
tazione di tecniche gestionali, per la ricerca, come luoghi di sosta e acclimatazione per le specie in
espansione e migrazione.
Vanno infine menzionate quelle istituite in ottemperanza da parte dell’Italia delle Direttive Comu-
nitarie. Tra queste la Direttiva 79/409/Cee denominata “Uccelli” prevede delle azioni al fine di tu-
telare numerose specie selvatiche di uccelli e l’individuazione da parte degli Stati membri di aree,
Zone di Protezione Speciale (ZPS), dedicate alla conservazione delle specie ornitiche. Analoga-
mente la Direttiva denominata “Habitat”, recepita dall’Italia nel 1997, assegnava ad ogni Stato mem-
bro, il compito di identificare dei siti, Siti di Importanza Comunitari (SIC) occupati da habitat o da
specie selvatiche considerati a livello comunitario meritevoli di tutela e indicati in appositi Allega-
ti alla Direttiva.
Nel 1976 col DPR n.448 l’Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione sulle zone umide di
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importanza internazionale, tenutasi a Ramsar, in Iran, nel 1971. Nel territorio nazionale sono state
identificate 50 zone umide di importanza internazionale (zone Ramsar). La scelta delle zone Ram-
sar è fortemente legata alla presenza del contingente numerico delle specie ornitiche. Nonostante ciò
è l’habitat e in definitiva tutte le specie in esso presenti, a godere della istituzione di un’area protet-
ta nella zona umida. Nelle zone Ramsar sono consentite tutte le attività economiche ecocompatibi-
li.
Organismi internazionali quali l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN)
e l’UNESCO, hanno proposto un sistema di classificazione delle aree protette diverso da quello
adottato a livello nazionale (www.iucn.org; www.unesco.org).
6.1. La starna
In particolare la starna ha subito negli ultimi sessant’anni un forte declino. I fattori che hanno por-
tato a questa contrazione della specie sono da ricercarsi nell’alterazione dell’ habitat e nel prelievo
venatorio. Sulla base dei parametri noti relativi alla dinamica delle popolazioni studiate la consi-
stenza totale della specie prima degli anni 50 è stata stimata indicativamente in 110 milioni di capi,
mentre attualmente la consistenza si è ridotta di oltre l’80%. La specie era legata ad un ambiente
collinare e di pianura e alle aree coltivate a cereali. I cambiamenti più dannosi per la specie sono ri-
sultati la trasformazione delle colture cerealicole, la meccanizzazione dell’agricoltura, il massiccio
uso di pesticidi e insetticidi. L’ effetto dei pesticidi sulla fauna selvatica può essere di tipo diretto,
cioè causare mortalità per avvelenamento acuto da indigestione o contatto oppure può generare un
avvelenamento cronico che pur non causando la morte determina uno stato di minore fitness gene-
rale con conseguente aumento del rischio di mortalità do-
vuta a malattie e minore fertilità. L’effetto più importante
dei pesticidi è legato all’impatto che essi hanno sull’equi-
librio ecologico dell’ambiente. Questo provoca una forte
diminuzione dell’etnomofauna infatti l’azione combinata
di pesticidi e erbicidi determina con i primi una riduzione
diretta degli insetti e con i secondi indirettamente la di-
struzione delle specie vegetali che costituiscono l’alimen-
to per molti insetti. L’impoverimento dell’etnomofauna
determina soprattutto una sottrazione della più importante
fonte alimentare per i pulcini con conseguente drastico au-
mento della loro mortalità.
Tra le possibili cause del declino della starna è ritenuta la più importante e rilevante proprio quella
dell’elevato livello di mortalità dei pulcini seguita dalle cause portate dalle pratiche di sfalcio effet-
tuate con rotofalciatrici che causano la distruzione dei nidi.
A queste alterazioni dell’ habitat si è aggiunta una notevole pressione venatoria a cui la specie è ri-
sultata particolarmente sensibile e che ne ha decretato una notevole contrazione.
Nel tentativo di arginare il declino della specie si è ricorsi in Italia come nei paesi europei a mas-
sicci interventi di ripopolamento utilizzando spesso esemplari appartenenti a sottospecie diverse da
quelle locali e in seguito soggetti allevati in stretta cattività. Le prime immissioni hanno avuto scar-
si risultati positivi a livello di ripopolamento mentre hanno causato l’alterazione dei caratteri propri
delle forme autoctone tanto che la sottospecie Perdix Perdix Italica può essere considerata ormai
estinta come entità definita.
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6.2. La foca monaca
Un’altra specie a fortissimo rischio è la foca monaca, un mammifero costiero qualche esemplare del
quale vive ancora lungo le coste sarde e rarissimi avvistamenti sono avvenuti nelle isole toscane,
nelle Egadi, nel Salento e a Pantelleria. Popolazioni più consistenti sopravvivono invece in alcune
isole della Grecia e in pochissime altre località del Mediterraneo. Il declino della specie è stato de-
terminato, innanzitutto, dall’intensa caccia effettuata sia per motivazioni culturali che per limitare i
danni causati dalla specie agli attrezzi da pesca. Altri im-
portanti fattori di minaccia sono legati al sovrasfruttamen-
to delle risorse ittiche, alla forte presenza antropica vicino
ai siti di riproduzione e di sosta, e, possibilmente, all’ac-
cumulo di inquinanti. risulta in pericolo in modo critico
ma, purtroppo, la scarsa conoscenza biologica di questa
specie ostacola ancora una corretta gestione della specie e
qualsiasi piano di recupero.
È l’unico Pinnipede presente nel Mediterraneo. Ha il cor-
po massiccio lungo circa 240 280 cm nel maschio adulto
(la femmina è leggermente più piccola); il peso varia dai
350 ai 400 kg. I piccoli nascono lunghi circa un metro e
pesano poco più di 20 kg. Il capo è arrotondato, ornato da lunghe vibrisse (i “baffi”); lunghe so-
pracciglia ornano gli occhi. Le pinne pettorali sono allargate e ogni falange porta un unghia alla sua
estremità. Le pinne posteriori, dalla forma molto caratteristica, hanno il primo e il quinto dito più
lungo e le dita intermedie più corte. La coda è piccola e poco visibile. Il pelo è corto. La specie fu
descritta per la prima volta nel 1779, con il nome di Phoca monacus. Successivamente John Flem-
ming creò il genere Monachus del quale vennero a fare parte tre specie simili: 1) Monachus mona-
chus, foca monaca del Mediterraneo; 2) Monachus tropicalis, foca monaca dei Caraibi (oggi estin-
ta); 3) Monachus schauinslandi, foca monaca delle Hawaii (oggi la specie raggiunge il numero di
circa 1000 esemplari, grazie ad uno straordinario progetto di conservazione).
È probabile che il suo nome derivi dal colore del mantello, simile al colore del saio dei monaci.
La foca monaca è una straordinaria nuotatrice. Per nuotare utilizza gli arti posteriori, che muove la-
teralmente, e gli anteriori per manovrare. Agile ed aggraziata in acqua, ha una pessima mobilità a
terra al contrario delle otarie che utilizzano le pinne anteriore come propulsore in acqua e una vol-
ta a terra si sollevano sui quattro arti, diventando più agili della monaca che invece utilizza solo il
ventre.
È un animale stanziale e costiero, che partorisce all’età di cinque sei anni. Ogni due anni, dopo una
gestazione di 11 mesi un unico piccolo, all’asciutto in una grotta. Il piccolo viene allattato circa 16
settimane e solo dopo lo svezzamento entra per la prima volta in acqua.
Una specie in passato diffusa nelle aree densamente boscate della penisola e che oggi è molto rara
è l’orso bruno un animale fisicamente poderoso e di forza erculea, i suoi movimenti sono principal-
mente lenti a causa della sua imponente massa fisica, ma in taluni casi tipo la caccia, dimostra gran-
de agilità. Infatti si arrampica sugli alberi ed è un abile nuotatore. E’ un animale straordinariamen-
te pulito, ha un debole per i dolci. Durante il periodo estivo si accoppia, fa rifornimento di cibo e si
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prepara la tana in cui trascorrerà l’inverno immerso in un lungo sonno. L’orso bruno è uno degli ani-
mali più perseguitati dai cacciatori.
Il suo peso può essere di circa kg 500 per un altezza che va da 1,60 a 2,5 m e la sua vita è di circa
30 anni.
L’Orso bruno è essenzialmente onnivoro, soprattutto vegetariano, anche se non disdegna le carogne.
L’alimentazione dell’orso ha un andamento stagiona-
le e varia sia in relazione alle condizioni climatiche
sia in relazione allo stato fisiologico dell’animale.
L’orso bruno conduce una vita solitaria e gli unici le-
gami sono quelli che si instaurano fra la madre ed il
piccolo e fra adulti di sesso opposto, durante il perio-
do degli accoppiamenti.
L’accoppiamento avviene all’inizio dell’estate e do-
po una gestazione di circa 8 mesi nascono general-
mente uno o due cuccioli che la femmina partorisce
in gennaio, durante il letargo. Alla nascita il piccolo
pesa appena 500 grammi ed è del tutto inetto ma il suo sviluppo è veloce e presto è in grado di se-
guire la madre e resta con lei per circa due anni, il periodo necessario per divenire autosufficiente.
L’habitat ideale per questa specie è la foresta , il bosco misto e le praterie di alta quota.
Le Principali minacce ,che non avvengono però a livello di specie ma bensì a livello di sottospecie,
sono la frammentazione dell’ habitat, il conflitto con l’uomo e l’agricoltura e il bracconaggio.
In Italia, ad esempio, sono presenti l’Orso bruno alpino (minacciato criticamente) e l’Orso bruno
marsicano (in pericolo).
La progressiva scomparsa dell’orso bruno è avvenuta in concomitanza con la crescita della popola-
zione umana. Progressive opere di deforestazione e di trasformazione agricola del territorio hanno,
infatti, causato la riduzione e la frammentazione dell’habitat. Tuttavia, è la persecuzione diretta del-
la specie, operata anche illegalmente e con ogni mezzo, che ha accelerato il processo di contrazio-
ne dell’areale e ne ha decretato l’estinzione su gran parte del territorio nazionale. Tuttavia, la rico-
lonizzazione spontanea delle Alpi orientali e i ripopolamenti pianificati nel massiccio dell’Adamel-
lo accompagnati da una razionale politica di tutela, lasciano sperare una possibilità di ripresa della
specie.
6.4. Il lupo
Il lupo presenta alcune somiglianze con il cane dei pastori. Il pelo del lupo ha un colore che varia
molto a seconda della razza e a seconda delle stagioni da un bruno giallastro a grigio, fulvo, nero e
a volte anche bianco.
In estate il pelo è poco sviluppato, mentre in inverno la pelliccia è molto spessa esso ha delle forme
slanciate e muso allungato che termina con un callo nasale, frequenta una grande varietà di habitat
avendo molta capacità di adattamento e sopportando facilmente variazioni di clima. In Italia si tro-
va sugli Appennini e sulle montagne della Sicilia.
È un animale socievole che vive in branchi numerosi che si spostano con frequenza e stazionano in
un posto al momento in cui nascono i piccoli, la lupa partorisce dopo sessanta giorni di gestazione
da quattro a sei cuccioli.
Il lupo è un carnivoro e si nutre di una grande varietà di animali da cavallette a topi, lucertole, cri-
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ceti e uccelli e solo di fronte ad una preda più grande è tutto
il branco che partecipa alla caccia.
Le principali cause di estinzione del lupo sono:
- la caccia condotta con ogni mezzo: fucili, bocconi avvele-
nati, tagliole e lacci.
- diminuzione dell’ambiente adatto e scomparsa dei grandi
erbivori selvatici dei quali il predatore si nutre preferibil-
mente.
- competizione per il cibo con cani selvatici e volpi
- invasione umana degli ambienti una volta più inaccessibili.
L’aquila reale è la più grossa e la più forte delle aquile: la protagonista delle più antiche leggende,
il simbolo della forza e della potenza invincibile. E’ lunga circa 95 centimetri, ha un’apertura alare
di 2 metri, e pesa da 3 ai 6 chilogrammi. Il suo piumaggio è di colore bruno più o meno rossiccio.
La sua area di diffusione ricopre l’Europa e gran parte dell’Asia e dell’America settentrionale. Es-
sa si trattiene soprattutto in montagna, sulle pareti rocciose inaccessibili dove costruisce general-
mente il nido su un letto di sterpi grossolanamente intrecciati. Il diametro dei nidi può raggiungere
i 2 metri e può ospitare due uova. Le uova dell’aquila rea-
le sono piccole, rugose, e di colore biancastro, punteggia-
te di grigio e bruno.. La femmina cova per 6 settimane. Si
può dire che l’aquila reale non ha nemico eccetto l’uomo.
Si nutre di mammiferi (lepri, scoiattoli, donnole, ma anche
volpi o piccoli di camoscio e capriolo) e, in misura mino-
re, uccelli (galliformi, corvidi e altri rapaci). In inverno si
ciba comunemente di carogne. In un anno per alimentarsi
può uccidere: 6 esemplari tra volpi, agnelli o capretti, 10
lepri, 20 uccelli, 20 mustelidi, 30 marmotte e 300 roditori,
in tutto circa 400 animali per un peso di due quintali.
L’aquila reale è il più grande dei rapaci diurni e resta fe-
dele al proprio partner per molti anni. A volte i due colla-
borano nella caccia. Mentre uno vola basso per spaven-
tare la preda, l’altro rimane più in alto pronto alla cattura.
È uno dei rapaci più maestosi, volteggia nel cielo fino ad altezze vertiginose, sfruttando le correnti
ascensionali e scrutando il suolo con la sua potentissima vista. Come tutti gli altri rapaci, infatti, pos-
siede occhi che le consentono un’acutezza visiva almeno otto volte superiore a quella dell’uomo.
Caccia su un territorio vastissimo, tra i 100 ed i 300 chilometri quadrati, con decise picchiate sulle
prede.
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7. LA RETE NATURA 2000
Per l’approvazione dei pSIC la lista viene trasmessa formalmente alla Commissione Europea, Di-
rezione Generale (DG) Ambiente, unitamente, per ogni sito individuato, ad una scheda standard in-
formativa completa di cartografia.
Spetta poi successivamente al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, designare, con
decreto adottato d’intesa con ciascuna regione interessata, i SIC elencati nella lista ufficiale come
“Zone speciali di conservazione” (ZSC)
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QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE AREA TEMATICA:
“NATURA E BIODIVERSITÀ”
1) “Biodiversità” è sinonimo di varietà delle forme di vita: l’insieme degli esseri viventi e le loro
diverse forme di aggregazione che popolano il pianeta.
a. Vero
b. Falso
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b. Il lupo, il cane e la foca monaca.
c. La foca monaca, l’aquila reale e il canarino.
10) Le principali cause dell’estinzione del lupo sono: la caccia, la scomparsa dei grandi erbivori
selvatici dei quali il predatore si nutre preferibilmente e la competizione per il cibo con cani sel-
vatici e volpi.
a. Vero
b. Falso
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RIFERIMENTI NORMATIVI
NATURA E BIODIVERSITÀ
AREE PROTETTE
Normativa Europea
Rete Natura 2000: è il nome che il consiglio dei ministri dell’Unione Europea ha assegnato ad un
insieme di aree destinate alla conservazione della diversità biologica del territorio dell’Unione ed in
particolare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali. Di seguito la legislazione di
riferimento:
- Direttiva n. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 (Direttiva Uccelli) concernente la con-
servazione degli uccelli selvatici.
- Direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 (Direttiva Habitat) relativa alla con-
servazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. In Italia è
stato recepito con il Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.
- Direttiva della Commissione del 6 marzo 1991 che modifica la direttiva 79/409/CEE del Con-
siglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici (91/244/CEE).
Normativa Nazionale
- Legge n. 394/91 del 6 dicembre 1991: Principi fondamentali per l’istituzione delle aree natura-
li protette.
- Legge n. 344 dell’8 ottobre 1997: Disposizioni per lo sviluppo e la qualificazione degli inter-
venti e dell’occupazione in campo ambientale.
- Legge n. 157 dell’11 febbraio 1992 di recepimento della Direttiva 79/409/CEE (Direttiva Uc-
celli). Contiene norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo vena-
torio.
- Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 di recepimento della direttiva
92/43/CEE (Direttiva Habitat) relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali,
nonché della flora e della fauna selvatiche.
OGM
Normativa Europea
- Direttiva 90/220/C.E.E., recepita dal Decreto Legislativo n. 92 del 3 Marzo 1993 (Supplemen-
to ordinario alla G.U. n. 78 del 3 Aprile 1993), relativa all’emissione deliberata nell’ambiente
degli Organismi Geneticamente Modificati (O.G.M.),
- Direttiva 90/219/C.E.E. recepita dal Decreto Legislativo n. 91 del 3 Marzo 1993 (Supplemento
ordinario alla G.U. n. 78 del 3 Aprile 1993) relativa all’impiego confinato di microrganismi ge-
neticamente modificati,
- Regolamento C.E. n. 258/97 (G.U.C.E. n. L.433 del 14 Febbraio 1997) relativo ai novel food
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per la commercializzazione di nuovi alimenti ed in particolare quelli derivanti da biotecnologie,
- Regolamenti C.E.E. relativi all’etichettatura: Regolamento n. 1139/98 (G.U.C.E. n. L.73 del 26
Maggio 1998),
- Regolamento n. 49/2000 (G.U.C.E. n. L.13 del 10 Gennaio 2000) e Regolamento n. 50/2000
(G.U.C.E. n. L.15 del 10 Gennaio 2000). Il Regolamento C.E. n. 1139/98 stabilisce l’obbligo
dell’etichettatura sui prodotti agroalimentari fabbricati utilizzando il mais e la soia genetica-
mente modificati, il Regolamento C.E. n. 49/2000 stabilisce la soglia dell’1% per l’etichettatu-
ra dei prodotti contenenti mais e soia geneticamente modificati, il Regolamento C.E. n. 50/2000
stabilisce l’obbligo dell’etichettatura dei prodotti agroalimentari fabbricati utilizzando aromi
provenienti da Organismi Geneticamente Modificati.
Normativa Nazionale
La legislazione italiana di riferimento (Decreti Legislativi n. 91/93 e n. 92/93) individuano nel Mi-
nistero della Sanità l’autorità competente in materia di Organismi geneticamente Modificati. Pres-
so il Ministero della Sanità medesimo sono state nominate rispettivamente:
a) La Commissione Interministeriale di Coordinamento per quanto riguarda l’impiego confinato di
microrganismi geneticamente modificati ai sensi di quanto disposto dal Decreto Legislativo n.
91/93;
b) La Commissione Interministeriale per le Biotecnologie per quanto riguarda l’emissione delibe-
rata degli O.G.M. nell’ambiente. A scopo di ricerca. Il decreto Legislativo n. 92/93 regolamen-
ta anche l’immissione sul mercato di prodotti contenenti O.G.M.
Va posto rilievo sulla cosiddetta clausola di salvaguardia, prevista dall’art. 16 del Decreto Le-
gislativo 92/93, la quale stabilisce che il Ministro della Sanità o il Ministro dell’Ambiente pos-
sono disporre di limitare o impedire provvisoriamente l’uso e/o la vendita di prodotti che siano
ritenuti pericolosi per la salute umana o per l’ambiente.
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DATI TECNICO-SCIENTIFICI DI RIFERIMENTO
Per l’approfondimento tecnico – scientifico dei temi trattati, si rimanda all’Annuario APAT dei da-
ti ambientali (Sezione D – Condizioni ambientali) disponibile sul sito web dell’APAT all’URL:
http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Annuario_dei_Dati_Ambientali/
Sono riportati i dati relativi alla Biodiversità, alle zone protette, alle zone umide, alle foreste e al
paesaggio.
La biodiversità (schema 1), intesa in senso stretto, è la risultante del complesso dei viventi che par-
tecipano all’ecosistema di una data unità geografica (sito, regione o zona).
L’obiettivo conoscitivo generale del tema è valutare lo stato e le tendenze evolutive della biodiver-
sità sul territorio nazionale, mentre oggetto dell’analisi sono le specie e gli habitat.
Gli indicatori sono stati selezionati basandosi sulla capacità di risposta alle seguenti domande co-
noscitive: quali sono le principali cause di perdita di biodiversità? qual è lo stato e il trend degli ha-
bitat individuati a livello nazionale? quali sono le principali pressioni sui gruppi di animali di inte-
resse venatorio? le misure di conservazione della biodiversità sono integrate in altri settori di attivi-
tà? Le azioni intraprese sono efficaci per raggiungere gli obiettivi di conservazione?
Il tema zone protette (schema 2) riguarda la tutela, derivante dalla normativa, dei beni e delle risor-
se naturali che sono destinati a costituire il serbatoio di biodiversità del Paese. L’obiettivo conosci-
tivo generale del tema è valutare se il sistema di tutela dell’ambiente, attivato con l’istituzione del-
le aree protette, riesce effettivamente a salvaguardare il patrimonio nazionale di biodiversità, intesa
in termini di specie, habitat e paesaggio.
Il tema zone umide costituisce un approfondimento di quello delle zone protette. Come per le zone
protette, l’obiettivo conoscitivo generale del tema è valutare l’adeguatezza delle politiche di con-
servazione e pertanto verificare se il sistema di tutela riesce effettivamente a salvaguardare il patri-
monio di biodiversità rappresentato da questi particolari ambienti.
Le foreste sono una risorsa naturale di fondamentale importanza per il territorio e per l’uomo che lo
abita e che, con le sue attività, ne determina la trasformazione. L’obiettivo conoscitivo generale del
tema è quindi quello di valutare lo stato e le tendenze evolutive delle foreste italiane in quanto in-
dicatori primari di stabilità/instabilità ecologica del territorio.
Il paesaggio è stato qui inteso come manifestazione delle organizzazioni spaziali e strutturali del ter-
ritorio così come viene percepito dall’uomo; tale manifestazione è l’espressione sensibile e olistica
di segni, strutture geomorfologiche e ecosistemi. L’obiettivo conoscitivo generale del tema consiste
principalmente nel valutare l’adeguatezza dei sistemi gestionali e delle politiche di conservazione
per la tutela dei paesaggi di maggior interesse identitario.
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Schema 1 - Biodiversità: tendenze e cambiamenti
Principali tipi di habitat presenti nei Siti Valutare la distribuzione delle diverse tipologie di habitat (Allegato I
d’Importanza Comunitaria proposti della Direttiva Habitat) presenti all’interno dei “Siti di Importanza
(SIC/pSIC) Comunitaria” proposti nazionali
Valutare il grado di conservazione degli habitat naturali e seminatu-
Stato di conservazione dei SIC/pSIC
rali Direttiva Habitat) esistenti all’interno dei pSIC italiani
Presenza di Cetacei nel Santuario per i Effettuare una stima della consistenza e del trend delle comunità di
Mammiferi marini Cetacei presenti nel Santuario per i Mammiferi marini
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Schema 2 - Zone protette
Siti d’Importanza Comunitaria approvati Valutare la percentuale di territorio nazionale e regionale coperto da
e proposti (SIC/pSIC) Siti d’Importanza Comunitaria proposti (pSIC)
Valutare l’entità dello sviluppo della rete principale di comunicazio-
Pressione da infrastrutture di comunica-
ne presente all’interno delle aree protette, quale indicatore di pressio-
zione in aree protette
ne antropica nelle aree protette
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Schema 4 - Foreste
Carichi critici di acidità totale e relative Valutare l’impatto della deposizione atmosferica acidificante sugli
eccedenze ecosistemi vegetali presenti sul territorio nazionale
Carichi critici di azoto nutriente e relati- Valutare l’impatto della deposizione atmosferica eutrofizzante sugli
ve eccedenze ecosistemi vegetali presenti sul territorio nazionale
Carichi critici di cadmio e piombo e rela- Valutare l’impatto della deposizione atmosferica di cadmio e di piom-
tive eccedenze bo sugli ecosistemi vegetali presenti sul territorio nazionale
Schema 5 - Paesaggio
Il modello DPSIR
L’annuario dei dati ambientali APAT si basa sul modello DPSIR che mette in evidenza l’interazione tra le attività
umane e le conseguenze sull’ambiente. Gli argomenti sono classificati in:
- DETERMINANTI (D): si riferiscono prevalentemente ai settori produttivi (trasporti, industria, turismo, ecc.) che
a seconda delle strategie adottate determinano influssi positivi o negativi sull’ambiente;
- PRESSIONI, STATI e IMPATTI (P-S-I): sono elementi del modello fortemente connessi tra loro. I primi due in-
dicano rispettivamente le pressioni generate dagli interventi realizzati e lo stato dell’ambiente che ne deriva. Gli
impatti definiscono la scala delle priorità di risposta della società;
- RISPOSTE (R): misurano l’efficacia degli interventi correttivi adottati rispetto alle pressioni esercitate, per mi-
gliorare lo stato dell’ambiente.
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