Affermazioni Che Devo Conoscere e Sapere Dimostrare

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AFFERMAZIONI CHE DEVO CONOSCERE E SAPERE

DIMOSTRARE

-Uno spazio vettoriale è composto dall’insieme di vettori nel campo K, con K: gruppo abeliano (commutativa
associativa, elemento neutro, invertibile). I vettori possono essere traslati, sommati e moltiplicati tra di loro. Posso
combinare vettori e scalari

-In uno spazio vettoriale v*k=0 v=0 o k=0

-Un sottospazio vettoriale W è un sottoinsieme dello spazio vettoriale V, tale che esso mantenga comunque le
proprietà dello spazio vettoriale. Le operazioni all’interno di un sottospazio devono essere chiuse, ovvero se presi in
input due vettori w1 e w2 o un vettore ed uno scalare essi devono restituirmi sempre un elemento di W. Quindi:
w1+w2 € W || w1*k €W || 0€W

-Si dice combinazione lineare tra v1 e v2 e k1 e k2 l’operazione: v1k1+v2k2. Se questa operazione viene effettuata su
un sottospazio, allora w1k1+w2k2 € W in quanto il sottospazio è chiuso.

-Si parla di copertura lineare (o span di A), l’insieme di tutte le combinazioni lineari di A. Se ad esempio
A=(a1,a2,a3) ; spanA= x1a1+x2a2+x3a3 con x che varia in K e a vettori di A. E’ possibile definirla anche con:
spanA= (a1,a2,a3)(x1,x2,x3)

-spanA è il più piccolo sottospazio di V contenente A. Infatti qualunque sottospazio W di V con A € W, allora spanA €
W.

-Una sequenza A è libera se l’unica combinazione lineare che mi restituisce 0 è quella con x1,x2,x3…=0.
Dunque se prendo il sistema lineare AX=0, essa è libera se e solo se x,y,z = 0 e dunque non ammette autosoluzioni. Il
rango di A dunque deve essere = n con n numero di colonne ( e dunque di elementi di A).

-Una sequenza A si dice legata se esiste una combinazione lineare che mi restituisce 0 che non sia x1,x2,x3=0. In un
sistema lineare AX=0 dunque se A è legato allora x,y,z!=0 e duqnue il sistema ammette autosoluzioni. Il rA deve
essere < n, e quindi il detA = 0. Dato che una matrice presenta rango=0 se uno delle sue colonne è multipla di
un’altra, è chiaro che se una sequenza presenta un elemento che può essere scritto come combinazione lineare di un
altro, allora la sequenza è legata.

-Data una sequenza S, questa sequenza prende il nome di generatrice di V se tutti i vettori di v possono essere scritti
come combinazione lineare degli elementi di S.
Dunque V = spanS  S = generatrice di V.

-Se una sequenza B è sequenza libera, e generatrice di uno spazio V, essa prende il nome di Base di V.

-La dimensione di uno spazio vettoriale coincide con la cardinalità della base:
dimV = |B| La dimensione per il lemma di steinitz è una e una sola

-È sempre possibile partendo da una sequenza legata di generatori ricavare una base. Basta infatti rimuovere dalla
sequenza gli elementi legati tra di loro, fino a quando non si ottiene una sequenza libera e dunque una base.

-Naturalmente un vettore v1 si può scrivere come combinazione lineare di B, ma i coefficienti sono univoci. Se
infatti fosse possibile scrivere un vettore v1 in più modi, ad esempio usando gli elementi b1 di una base, oppure solo
b2, allora b1 e b2 sarebbero legati e dunque B non sarebbe una base in quanto legata.

-Lemma di steinitz: Prendiamo E sequenza libera di V ed R sistema di generatori di V. |R|>=|E|.


Supponiamo per assurdo che non sia vero e dunque E=( e1,e2,e3,e4) e R=(r1,r2,r3). Immaginiamo ora di riscrivere e1
= r1x1+r2x2+r3x3 ma con SOLO r1!=0. Ottengo che e1=r1x1. Facciamo la stessa cosa con e2, che dunque vale
e2=x2r2 ed anche con e3=x3r3. Ma a questo punto e4 non può rimpiazzare un ipotetico r4, in quanto r4 non esiste.
Ed inoltre questo implicherebbe che e4 si possa scrivere come combinazione lineare dei rimanenti. Impossibile in
quanto E è una sequenza libera. E quindi ho la contraddizione: r4 DEVE esistere, e dunque |R|>=|E|.

-Conseguenza: essendo che una sequenza libera E non può essere più grande di un generatore R, Per forza di cose se
R fosse più grande di E, la sequenza sarebbe legata. Ma quindi una volta trovata la cardinalità massima di E, quella di
R deve essere uguale. E quindi:
|E|=|R|=|B|= dimV

-Dato ad esempio un vettore v=(a,b,c) con a,b,c scalari, Io poso capire se data base B=(b1,b2,b3), il vettore
appartenga allo spazio generato da quella base. Infatti se io riscrivo la base come:
(b1,b2,b3)(x,y,z)= v e risolvendo il sistema trovo dei risultati, allora mi basta individuare i valori di x,y e z tali per cui v
€ spanB. Tali valori sono detti componenti di v in B

-È possibile data una sequenza libera di (n-x) elementi aggiungere x elementi alla sequenza così da renderla una base,
a patto che essi siano tutti indipendenti.

-Applicazione lineare: una funzione che, preso in input un vettore v€V me ne restituisce uno w€W. Se ad esempio ho
x e y vettori di V la funzione si comporta così:
f(x)=a e f(Y)=b con a,b vettori di W

-Definisco Kerf il nucleo di una fuznione, ovvero l’insieme di quei vettori tali per cui f(v)=0. Ad esempio in un sistema
lineare omogeneo AX=0, il kerA = X, ovvero a quei valori per cui si annulla la matrice originale. Chiaro è che in una
sequenza libera S kerS=0 in quanto unico valore che la nullifica.

-Possiamo ad esempio definire una funzione che prende in input un vettore ed una base, e mi restituisce le
componenti di quello stesso vettore.

-Definiamo matrici M delle tabelle di n colonne ed m righe. Queste matrici presentano varie proprietà molto utili per
rappresentare le operazioni tra vettori e sequenze come Il rango, il determinante, i minori, il prodotto cartesiano
ecc…

-Una matrice si dice Invertibile se il suo determinante !=0. Dunque tutti i suoi vettori devono essere liberi.

-Il determinante (vale per mat quadrate) = somma di tutti i termini delle righe/colonne con il loro segno

-Il det di una matrice vale 0 se le sue righe/colonne sono legate. Lo dimostro in quanto se io scrivessi una colonna
come combinazione delle altre (ad esempio matrice c 1,c2,c3 con c3=c1+c2) avrei una matrice con delle colonne uguali, e
dunque il determinante è 0.

-Immaginiamo un sistema lineare di n equazioni ed m incognite, ad esempio 3 equazioni che mi danno x,y,z. Se
riscriviamo questo sistema come matrici abbiamo: AX=B con A insieme dei coefficienti, X insieme delle incognite e B
insieme dei risultati. Questo sistema è comunque una funzione lineare che presi in input degli scalari ed un vettore
mi restituisce altri vettori.

-Teorema Rouchè-capelli: un sistema è compatibile e dunque ammette soluzione se e solo se rg(A|B) = rg(A).
Questo perché per forza di cose B€spanA. Ma perché ciò avvenga essendo rgA= numero di colonne libere, ho bisogno
che se vi aggiungo una colonna, il numero di colonne libere non aumenti, e ciò implicherebbe che B è legato. E
quindi: n colonne libere A =rgA= rgAB= n colonne libere AB.

-Definiamo AX=B un sistema di cramer se detA!=0. Questo sistema ammette una sola soluzione, in quanto se
AS=B=AS’, è chiaro come moltiplicando tutto per l’inversa di A ottengo che S=A^ B=S’ e dunque S=S’

-In un sistema AX=B, X è sottospazio solo se B=0, perché se no X!=0 e dunque non ammette vettore nullo.

-Un sistema AX=B si può scrivere anche con X=X0+Z, con Z soluzione di AX=0 e X0 una soluzione particolare. Infatti se
scrivessi A(X0+Z)=B AZ=0 +AX0=B e quindi AX0=B

-Un sistema AX=B ammette inf^n-rA soluzioni. Se rA=n allora ammette 1 soluzione. Se n-rA=2 allora vi sono infinite
soluzioni espresse con 2 incognite.
-chiamo null(A), la dimensione del KerA. Ergo in AX=0, nullA= |X|.
nullA= n-rA. Lo dimostro ponendo che rA= n colonne libere di A e nullA=numero colonne legate.
E’ chiaro dunque che n = numero colonne legate+ numero colonne libere. E dunque :
n= nullA+rA

-Ovvio che X= X0+kerA.

-Teorema del rango di kronecker: Il rango di una matrice indica il numero di colonne libere. Ergo se rA=n, la matrice è
libera. Questo accade in quanto, se pongo dim(colonne) = n, n è anche il numero di colonne libere, essendo che se le
colonne fossero n+1, allora quell’unica colonna rimasta si potrebbe comunque scrivere come combinazione lineare
delle rimanenti. Ma ricordo che se una matrice ha n+1 colonne, il suo determinante sarà 0. E dunque il rango sarà n.
rA=n

-Teorema degli orlati: data una matrice di rango p, deve esistere un minore m di ordine p tale che tutti i minori p+1
che lo contengano abbiano determinante=0. Lo dimostro in quanto se ponessimo che il rango non è p ma p+1, allora
deve esistere per definizione un minore di ordine p+1 contenente anche M, il quale presenta det!=0. Ma questo non
è possibile per ipotesi. Analogamente io dovrei poter aggiungere a M una colonna tale che le colonne siano ancora
libere, ma ciò è impossibile per il teorema di kronecker.

-Definisco Autovalori e li chiamo con Y i valori ottenuti dall’equazione: |A-YI|=0 ovvero nella matrice A sottraggo Y a
tutti gli elementi della diagolnale principale, e pongo il determinante = 0.

-Definisco Autovettori i vettori di A rispetto a Y i vettori v tali che: Av=Yv. Questa equazione ammette soluzioni
diverse da v=0 se e solo se r(A-Yi)!=0 ovviamente

-Definisco Autospazi gli spazi delle soluzioni del sistema omogeneo (A-IY)v=0, ovvero generato da v

-Definisco specA l’insieme degli autovalori Y di A

-Definisco molteplicità algebrica ma il numero di volte che un tale autovettore Y è risultato dell’equazione
caratteristica det(A-IY)=0. Essa varia tra 1 e n con n= numero di colonne:
1<=ma<=n

-Definisco invece molteplicità geometrica mg la dimensione dell’autospazio dato da Y ovvero la cardinalità delle
soluzioni di (A-YI)X=0 . Esso si calcola dunque come mg = n-r(A-YI). Essa varia tra 1 e ma:
1<=mg<=ma.

-prese 2 matrici A e B, esse sono simili se esiste una matrice P tale che:
AP=PB, con P invertibile. 2 matrici simili presentano gli stessi autovalori e lo stesso determinante

-Definisco A una matrice diagonalizzabile se presenta una matrice simile D, la quale presenta valori solo sulla
diagonale principale. In particolare, presa una matrice A, una matrice che presenta i suoi autovalori sulla diagonale è
la matrice D, con P= matrice con gli autovettori per colonne. Una matrice è diagonalizzabile se i suoi autovalori sono
regolari , con ma=mg e se la somma degli ma=n

-Presi 2 autospazi di A R e S, essi sono sempre in somma diretta, ovvero la loro intersezione è vuota. Infatti:
Av=Y1v=Y2v ->(Y1-Y2)v=0 con v€R int S essendo Y1!=Y2

-Formula di grassmann:
dim(U+W)=dimU + dimW - dim(U int W)

-Somma diretta: Dati U e W sottospazi di V, essi si dicono in somma diretta (+) se la loro intersezione è vuota, ovvero
ogni vettore x€ U+W si scrive in maniera univoca come somma di u+w.

Teorema: 2 sottospazi di V sono in somma diretta se e solo se la loro intersezione è vuota: U int W = 0 .
Lo dimostro così: preso un elemento v=u+w= u’+w’ ho che per definizione u-u’€U e w-w’€W.
Ma quindi u-u’ = w-w’ € W int U che abbiamo detto essere vuota. Se invece non fosse vuota allora v!=v’ e w!= w’. In
contraddizione con la definizione.
-Definisco 2 sottospazi U e W in somma diretta uno il complemento diretto dell’altro se U(+)W = V

-Teorema di Binet:
det(A*B) =detA*detB

-E’ possibile che A non sia una matrice diagonalizzabile, ad esempio se essa non ammette Y in R.
In questi casi introduciamo il concetto di campo complesso. Il campo complesso C è algebricamente chiuso, ovvero
qualsiasi polinomio eguagliato a 0 presenta almeno una radice.

-Una matrice A diagonalizzabile viene detta ortogonalmente diagonalizzabile se Pt=P^ con P^ inversa di P. Ovvero è
necessario che P sia ortogonale.

-Teorema della base spettrale implica che: una matrice è ortogonalmente diag se e solo se essa è simmetrica.

-Data una base B ed una B’, definisco A la matrice del cambiamento di base da B a B’ quella matrice tale che:
AB = B’

-Definisco applicazione bilineare una funzione che prende in input 2 vettori e mi restituisce uno scalare: Un esempio
è una funzione che presi 2 vettori, li unisce in una matrice e mi restituisce il suo rango.

-È possibile costruire delle matrici che mi rappresentano le forme bilineari relative ad una data base B. in questo
modo:
v*w = XAY. Con * una funzione bilineare, ve w dei vettori, X e Y componenti di v e w rispetto a B e A matrice della
forma bilineare.

-Definisco prodotto scalare una funzione bilineare commutativa, indicata con *, con una matrice M=Mt, ovvero
rappresentato da una matrice simmetrica.

-Un prodotto scalare si definisce definito positivo se il suo output è maggiore di 0, e uguale a 0 se e solo se uno dei
2 vettori è uguale a 0:
v*w>0 , v*w=0 => v o w=0.
Esso tornerà utile in geometria, dove ad esempio non esistono lunghezze negative.

-2 vettori v e w si dicono ortogonali se v*w=0 (ovviamente non secondo il prodotto scalare definito positivo). In
questo caso si dice che w = vt.
Per ogni vettore w, esisterà sempre un vettore v il quale potrà dividersi in vt e v\\. in particolar modo:
v=vt+v\\ vt*w=0 v\\=aw con a un valore di R.

-Una base B=(e1,e2,e3) viene detta ortonormale se:


e1*e2,3 = 0 mentre e1*e1 = 1.
E’ chiaro che un prodotto scalare rispetto ad una base B ortonormale è rappresentato dalla matrice identica, ovvero
dove solo e1*e1 , e2*e2 , e3*e3 =1. Questo prodotto scalare viene detto prodotto scalare standard o euclideo

-Data una base B, è possibile ottenere una base ortonormale, infatti mediante il processo di Gram-Schmidt è
possibile ricavare una base ortogonale in cui e1*e2=0. A questo punto è possibile rendere una base ortonormale
dividendo tutti i suoi vettori per la rispettiva norma. Definisco norma di e1 :
||e1|| = sqrt(e1*e1). Ricordo che e1 è un vettore, non uno scalare.

-Data una sequenza di vettori S, definisco St, l’insieme di tutti i vettori ortogonali agli elementi di S.
Questo implica che S*St = 0. Ma quindi per calcolare la dimensione di St, io posso vederlo come un sistema lineare
AX=0, in cui dimSt = n – rS. Se il detS !=0, allora è chiaro che rS=dimS.

-Un vettore w in somma diretta con wt mi da lo spazio di partenza. Definisco M la matrice del prodotto scalare
definito positivo. Per definizione detM!=0 e quindi rM=n. Ricordando dunque che:
dimWt=n-dimW se rB=n allora io so che i 2 vettori sono in somma diretta
-In una base ortonormale, è possibile calcolare le componenti di un vettore rispetto a quella base, semplicemente
facendo il prodotto scalare del vettore e delle componenti:
v*e1=x1 , v*e2=x2…

-Date 2 basi ortonormali, la loro matrice A del cambiamento di base è una matrice ortogonale, ovvero
Atrasposta=Ainversa. Il determinante di una matrice ortonormale è +-1

GEOMETRIA
-È possibile descrivere la geometria classica in maniera analitica, ovvero senza la necessità di assiomi fondamentali e
ci permette di rappresentare al meglio le soluzioni di sistemi lineari non omogenei

-Definisco spazio affine An(k) un insieme di punti A, (da uno spazio Vett di dim n, su campo K) ed un insieme infinito
di vettori di dimensione n. I punti dell’insieme A vengono traslati lungo tutti i vettori dello spazio affine, così da
ricoprire ad esempio in A2(k) un intero piano.

-In pratica se prendo un punto P, se esso viene traslato lungo il vettore PQ, ottengo il punto Q:
P+PQ=Q. È chiaro che se P=Q allora PQ=0. Viceversa il vettore QP trasla Q fino a P

-I vettori si possono anche sommare tra di loro:


PQ+QR = PR

-Definisco sottospazio affine di An(K) un sottoinsieme S di A, ed un insieme infinito di vettori di dimensioni n, a patto
che siano rispettate le proprietà dello spazio affine (ovvero se presi 2 punti esiste un vettore che li congiunge)

-Definisco sottospazio lineare, di origine P, l’insieme [P,W], ovvero l’insieme di tutti i punti ottenuti come
traslazione di P lungo i vettori di W. In base alla dimensione di W (e dunque al numero di vettori lungo cui viene
traslato un punto) abbiamo diversi sottospazi:
0->punto 1->retta 2->piano 3->solido ecc…

-È naturale che in un sottospazio lineare qualsiasi punto io prenda come origine ricaverò comunque tutti gli altri

-Un sottospazio affine è sempre un sottospazio lineare e viceversa. Questo perché se io traslo ad esempio 100 punti
lungo infiniti vettori, ottengo infiniti punti, esattamente come se traslassi un solo punto infinite volte. Ad esempio se
PQ€W e sia P che Q € S con S insieme dei punti dello spazio affine, allora non è sbagliato dire che S è sottoinsieme
oppure equivalente all’insieme di punti [P,W]

-In geometria i sottospazi corrispondono all’insieme di soluzioni di un sistema lineare compatibile. Infatti se ad
esempio ho a sistema x+y=0 e x=3, essi possono essere visti come l’intersezione di 2 rette in un punto. Quel punto ha
coordinate x,y, che sono la soluzione del sistema.

-2 sottospazi lineari [P,W] e [Q,U] sono paralleli se W sottoinsieme di U o viceversa.


Se W=U i sottospazi coincidono

-Se infatti abbiamo 2 piani che si incontrano, è chiaro che l’ipotetica retta che si forma, è composta da un qualsiasi
punto Z comune ai 2 sottospazi, traslato lungo i vettori di W int U:
[P,W] int [Q,U] = [Z,W int U]. Immaginiamo di prendere 3 vettori:
ZP , ZQ , ZX, con Z e X punti comuni. E’ chiaro come ZP€[P,W] e ZQ€[Q,U]. Ma il vettore ZX, appartiene ad entrambi
per definizione, quindi ZX € [P,W] int [Q,U]

-Dalla definizione di parallelismo risulta chiaro che se 2 rette ad esempio sono parallele, o non si incontrano mai,
oppure sono coincidenti. In un sottospazio affine, per 2 punti distinti passa una sola retta. E’ anche possibile
dimostrarlo, in quanto se r=[P,spanPQ] è la retta che congiunge P e Q, ovvero il punto P traslato infinite volte verso
Q, allora una ipotetica retta s=[P,V] contiene Q se e solo se V=spanPQ, poiché se no il punto P verrebbe traslato lungo
un’altra direzione , ovvero verso un punto !=Q. Dunque se V=spanPQ allora r=s.
-Definisco riferimento affine la coppia formata da un punto O ed una base.

-Definiamo coordinate di P rispetto ad un determinato riferimento affine [O,B] le componenti del vettore PO
rispetto alla base B.

-FONDAMENTALE: Nello spazio affine, la dim(An(K))=n , con n che si riferisce al numero di componenti del vettore
(ad esempio in A2(K) una retta presenta le coordinate x e y, in A3(K) la retta presenta (x,y,z)

-In un riferimento affine la funzione che associa ad un punto le sue coordinate è invertibile. Ovvero posso ottenere
un punto sapendo le sue coordinate. Ergo ora posso rappresentare i punti semplicemente con le sue coordinate

-Dati 2 punti P=(x,y) e Q=(z,t) le componenti del vettore PQ sono:


PQ=(x-z , y-t). Questo perché se presa O come origine, PQ= PO+OQ , ovvero PQ=OQ-PO , quindi mi basta sottrarre le
coordinate tra loro.

-Dato un sottospazio lineare [P,W] immaginiamo di costruire un sistema lineare del tipo WX=Q con Q€[P,W]. e la
matrice W, con sulle colonne gli elementi della base, ed con Q le componenti di Q, ovvero (q1-p1 ; q2-p2). E’ chiaro
che rW=rWQ che chiamo k. k=dim(W) se e solo se il determinante della matrice WQ vale 0, altrimenti rWQ= rW+1.

-Sapere questa cosa mi permette di ricavarmi le equazioni dei vari sottospazi. Definiamo una retta come :
r=[P,W] con W= span ((l,m)) in A2(k). Prendiamo ora tutti i punti di questa retta, ovvero (x-xp ; y-yp). Se mettiamo in
una matrice nella prima colonna le coordinate, nella seconda l,m, otteniamo una matrice quadrata detta M. Come
detto prima, poiché dimW=1, anche dimM=1. quindi detM=0.
Sapendo ciò abbiamo la formula:
m (x-xp) = l (y-yp)

-Questa cosa si può ripetere anche in A3(K) con W=span((l,m,n)) e (x-xp ; y-yp ; z-zp). Qui però essendo la matrice
una 2x3 avremo 3 minori da porre = 0:
m (x-xp) =l ( y-yp) = n (z-zp). Da notare che questo è un sistema a 2 equazioni

-Possiamo fare la stessa cosa anche con i piani. Piano pi=[P,W] con W=span((a1,a2,a3)(b1,b2,b3)).
Mettiamo in una matrice sempre (x-xp ; y-yp ; z-zp) e gli elementi di W.
Essendo una 3x3, ma sapendo che dimW=2, poniamo il determinante =0 ed otteniamo ( file 15 slide 12).

-Se invece mettessimo in una matrice le coordinate generiche (x-xp ; y-yp) e le coordinate di un generico vettore
PQ=( xq-xp ; yq-yp), otterremmo:
(x-xp) (xq-xp)=(y-yp) (yq-yp)
Risulta evidente che l=(xq-xp) e m=(yq-yp)

-Definisco in una retta parametri direttori (l,m,n) come le componenti di un vettore parallelo alla retta.
Oppure posso dire gli elementi del generatore B tali che W=spanB. Non serve che B sia libera.

-Se un sistema lineare AX=B le soluzioni si possono scrivere come X=X0+Z, allora possiamo impostare un sottospazio
lineare [X0,Z]. Quindi viceversa io posso impostare un sistema lineare AX=B che mi rappresenti un sottospazio
S=[P,W] e le soluzioni di quel sistema sono proprio le coordinate dei punti di S.

-Ricordando che kerA = Z = soluzioni di AX=0, vediamo dunque S=[P,W] con W=kerA. Dunque risolvendo AX=0 trovo
lo spazio di traslazione W del sottospazio S.

-2 rette s e r se non si intersecano in nessun punto allora sono parallele. Questo si può ora dimostrare
algebricamente semplicemente mettendo a sistema le 2 rette e ricavando dunque un sistema AX=B. Essendo questo
sistema incompatibile per ipotesi (le rette non si intersecano) deduciamo che esse sono equazioni proporzionali, in
quanto il detA=0. Ricordo che se una matrice ha determinante = 0 allora le righe/colonne sono proporzionali.

-Definisco sghembe 2 rette se non esiste un piano che le contiene entrambe. Al contrario, se esiste si dicono
complanari. Esse sono presenti solo se n>=3. 2 rette incidenti sono per forza complanari, poiché date 2 rette
s=[P,span v1] e r=[Q,span v2] serve che r u s = [span v1 v2]. Ma questo è un piano. Idem nel caso delle rette parallele.
-In A2 una retta è descritta dall’equazione ax+by+c=0
in A3 una retta è descritta da un sistema (intersecando) di equazioni ax+by+cz+d’=0 e a’x+b’x+c’z+d’=0

-Algebricamente studiando le matrici ottenute mettendo a sistema 2 rette in n=3 abbiamo:


rAB = 4 e rA=3 -> sghembe ( essendo che detAB!=0 le equazioni non sono proporzionali)
rAB = 3 e rA=2 -> parallele
rAB = 3 e rA=3 -> incidenti
rAB=2 e rA=2 -> coincidenti

-Similmente se studiamo la matrice ottenuta mettendo a sistema 2 rette in n=2 abbiamo:


rAB=2 rA=2 ->incidenti
rAB=2 rA=1 -> parallele
rAB=1 rA=1-> coincidenti

-Ricordo sempre che il numero di punti in comune R è dato da n-rA se il sistema è compatibile

-In A3 un piano è rappresentato da una equazione singola ax+by+cz+d=0

-Mettendo in matrice il sistema ottenuto intersecando 2 piani in n=3 ho:


rAB=2 rA=2 ->incidenti in una retta
rAB=2 rA=1 -> parallele
rAB=1 rA=1-> coincidenti

-Mettendo in matrice l’intersezione di un piano con una retta in n=3 abbiamo:


rAB = 3 e rA=3 -> incidenti in un punto
rAB = 3 e rA=2 -> paralleli
rAB=2 e rA=2 -> la retta appartiene al piano

-Qualsiasi retta se si moltiplicano tutti i suoi coefficienti per uno scalare t, l’equazione descriverà la medesima retta
Es: ax+by+c = 0 = k(ax+by+c)

-Definisco fascio proprio tutte le rette in n=2 passanti per un punto fissato detto centro.
Equazione del fascio proprio: a(x-x0) + b(y-y0) con x0 e y0 coordinate del centro.

-Definisco fascio improprio l’insieme di rette parallele ad una retta data (come vedremo più avanti hanno in comune
solo il loro punto improprio).
Quello improprio ha una generica equazione ax+by+c=0 con ax+by=quelli della retta assegnata

-Definisco fascio proprio di piani l’insieme di tutti i piani contenenti una retta data detta asse.
Equazione: ax+by+cz+d’+K(a’x+b’x+c’z+d’)=0

-Definisco fascio improprio dei fasci tutti paralleli ad un fascio dato (dunque hanno in comune solo la retta
impropria).

-Definisco stella propria tutte le rette passanti per un punto in n=3.

-Definisco stella propria di piani tutti i piani passanti per un punto.

Analogamente come per le singole rette e piani posso mettere a sistema 3 piani e stabilirne la natura in n=3 (appunti
ercoli)

-dati 3 punti P,Q R, essi sono allineati se esiste una retta che li contiene. Mettendo in una matrice 2x2 le coordinate
dei punti Q e R rispetto a P e ponendo sempre il suo det=0, otteniamo l’equazione della retta:
(xq-xp)/(xq-xr)=(yq-yp)/(yq-yr). Questo perché PQ= multiplo di PR se i punti sono allineati

-In tutti gli esempi fatti i riferimenti affini erano sostanzialmente (O,B) con O=0, 0 e B base canonica.
Ma se anche cambiassimo la base B, otterremmo sempre le stesse coordinate, a patto di mantenere le proporzioni
corrette.
-Definiamo dei punti geometricamente indipendenti rispetto ad una retta, o a un piano, se essi non possono sempre
essere contenuti all’interno di una retta o un piano (ad esempio 3 punti non allineati non possono essere contenuti in
una retta. Idem con 4 punti non complanari rispetto ad un piano).

-Se aggiungiamo il concetto di prodotto scalare definito positivo, e quindi di distanza nello spazio affine otteniamo
lo spazio euclideo En(R).

-Definisco distanza euclidea fra P e Q la norma di quel vettore:


d(P,Q) = ||PQ||

-In En(R) 2 sottospazi si dicono ortogonali fra di loro se :


s=[P,W] e r=[Q,U], allora W sottoinsieme di Ut con Ut, insieme dei vett ortogonali a U oppure U sottoinsieme di Wt.

-Dato un punto P ed un sottospazio S=[Q,W] si dice proiezione ortogonale di P su S il punto di intersezione H tra il
piano e la retta ortogonale ad esso passante per P.

-Con la formula di Grassman posso dimostrare che se non sono coincidenti o compresi:
retta int retta = punto
retta int piano= punto
Piano int piano = punto o retta

-Dato un punto P, la sua proiezione H ed un altro punto Q del piano S, allora dpQ>=dPH: Questo perché
semplicemente PQ=PH+HQ. La distanza PH è anche la distanza tra il piano S e P

-definisco iperpiano assiale tra A e B l’insieme dei punti X tali che dAX=dXB. Definisco M punto medio tra A e B se
B=M+AM, ovvero se traslando M lungo AM trovo B. Se lo traslo verso MA trovo A.

-L’iperpiano assiale ha la forma [M,ABt] ovvero il suo spazio di traslazione è ortogonale ad AB, questo perché se fosse
inclinato un qualsiasi punto sarebbe più vicino ad A oppure a B.

-Definisco riferimento euclideo un riferimento affine con B base ortonormale. Dunque il prodotto scalare assume la
forma standard (x1,x2,x3)*(y1,y2,y3)=x1y1+x2y2+x3y3.

-È possibile calcolare la distanza tra un punto ed un iperpiano con la formula ottenuta mettendo al numeratore la
retta ortogonale al piano, ed al denominatore radice quadrata di a^2+b^2. Oppure calcolando la retta ortogonale al
piano passante per x, dunque intersecarla col piano per trovare il punto H, e calcolare la distanza PH.

-Chiaramente 2 sottospazi devono essere disgiunti per calcolarne la distanza.

-Date 2 rette sghembe è possibile calcolare la distanza tra i 2 piani calcolando semplicemente la distanza tra un
punto di un piano e la sua distanza dall’altro piano. Così abbiamo la distanza anche tra le 2 rette.

Date 2 rette sghembe r e s definisco retta di minima distanza una retta t, ortogonale alle 2, che le incide entrambe

-In A2(K) definisco curva algebrica di ordine m l’insieme dei punti le cui coordinate soddisfano un’equazione del tipo
f(x,y)=0. La curva viene detta reale se il polinomio è a coefficienti reali.

-In A3(k) definisco superficie algebrica di ordine m l’isieme dei punti le cui coordinate soddisfano un’equazione del
tipo f(x,y,z)=0. La superficie viene detta reale se il polinomio è a coefficienti reali.

-Definisco punti impropri le direzioni delle rette e degli spazi. Ovvero data una retta r=[P,W] da adesso i punti non
saranno solo quelli dell’insieme P, ma anche Il cosiddetto punto all’infinito W.

-Da ora lavoro nel piano ampliato o proiettivo, ovvero considerando anche i punti impropri

-Questo implica per prima cosa che se per definizione 2 rette parallele hanno in comune solo lo spazio di traslazione,
da adesso si può dire che 2 rette si incontrano in un punto improprio. Questo implica che nel piano proiettivo 2 rette
anche se parallele si intersecano sempre in almeno un punto

-In A2(k) definisco retta impropria r8 l’insieme di tutti i punti impropri


-E’ importante precisare che nel piano proiettivo, tutti i sottospazi lineari aumentano di una dimensione. Ovvero i
punti hanno dimensione 1, le rette dimensione 2, i piani 3 e così via…

-Per aiutarci a rappresentare i punti impropri si utilizzano le coordinate omogenee, ovvero si aggiunge una terza o
quarta coordinata, e quando questa vale 0, il punto è improprio, altrimenti vale 1.
Dato un punto in coordinate omogenee (x1,x2,x3) per passare alle coordinate cartesiane calcolo x=x1/x3 e y=x2/x3.
Ovvio che se x3=0 non ottengo un punto proprio rappresentabile in coordinate standard.

-Sapendo che ora la dimensione della retta vale 2 esiste un ulteriore modo per descrivere la retta passante per 2
punti: inserire sulle colonne di una matrice nella prima delle generiche coordinate (x,y,1), nella seconda le coordinate
di P (xp,yp,1) nella terza le coordinate di Q (xq,yq,1) ponendo questo determinante = 0 otteniamo sempre
l’equazione della retta.

-Cambia la definizione di punti indipendenti: X punti sono indipendenti se non è sempre possibile contenerli in un
sottospazio di dimensione x-1 (3 punti e la retta).

-la cosiddetta retta impropria dunque la si può rappresentare come la retta x3=0

-Da notare che ad esempio mettendo a sistema 2 piani paralleli, essi sono paralleli se mi danno lo stesso risultato
intersecandoli con la retta impropria x4=0. E dunque il rA=1 ma rAB=2

-Per convertire facilmente le coordinate di una curva in coordinate omogenee:

X2 -> X12 x -> X1*x3 xy -> x3*x2


Y2 -> X22 y -> X2*x3 num -> x32

-In questo caso la curva avrà equazione: F(x1,x2,x3)=0


Ovvero F(x1,x2,x3)= x3^grado(f) * f(x1/x3 , x2/x3)

-L’ordine m della curva però ha un significato geometrico:


Teorema dell’ordine: una curva algebrica di grado m, una generica retta r del piano ampliato interseca la curva C in
esattamente m punti, contati con le rispettive molteplicità. Se ciò non avviene allora la retta appartiene alla curva

-Definisco complessificazione di uno spazio A2(R) il passaggio dal campo reale a quello complesso: A2(C)

-Nel campo dei complessi un numero viene detto reale se e solo se coincide con il suo coniugato, ovvero la sua parte
immaginaria è nulla. Analogamente in geometria definisco un punto reale se e solo se le sue coordinate
corrispondono a quelle coniugate.

-Avendo ora a disposizione il campo complesso, ogni curva F(x1,x2,x3)=0 avrà di fatto dei punti, cosa che in
precedenza non accadeva.

-Una retta r ha sempre un punto reale. Se ne ha più di uno allora è reale. Infatti Se r\\ r_ la retta è immaginaria,
poiché i suoi coniugati non coincidono, ma si incontrano all’infinito. Se si incontrano in più punti, allora r è
coincidente con r_ e la retta è dunque reale.

-Cosa simile accade per i piani

-Una retta immaginaria viene detta 1 specie se è complanare alla coniugata (e dunque parallela)
Una retta viene detta di 2 specie se è sghemba rispetto alla sua coniugata (0 punti reali in comune)

-Una retta viene definita isotropa se ortogonale a se stessa, ovvero se r=[P,W] e W=Wt. Oppure che
(x1,x2,x3)*(x1,x2,x3)=0. Risolvendo trovo che a^2+b^2=0. Questo mi porta a concludere che le rette isotrope
presentano la i nell’equazione (quasi sempre come coefficiente angolare).

-Definisco punti ciclici come i punti impropri, immaginari per cui passano tutte le circonferenze del piano (son quindi
le intersezioni non reali di ogni circonferenza con la retta impropria del piano) sono 2 e sono (1,i,0) e (1,-i,0).
Una retta isotropa passa per i punti ciclici.

-Da notare che se io ad esempio ho una equazione y-x=0, posso trasformarla in una equazione di 2 grado
moltiplicando a dx e sx per x ovvero avendo x*(y-x)=0 . Ma questa rimane comunque la retta precedente, a patto che
x!=0

-In virtù di questa proprietà, definisco una curva algebrica riducibile, se essa si può riscrivere come unione
(moltiplicazione) di 2 rette (più in generale polinomi)
Es: y^2-x^2=0 -> (y-x)(y+x)=0.
L’intersezione fra le 2 rette viene detto punto doppio

-In particolar modo definisco punto doppio P un punto della curva in cui qualsiasi retta r passante per P interseca la
curva in P con molteplicità 2, ed il numero di rette che interseca la curva in P 3 volte è pari a 2. Ovvero le rette
generatrici di una curva si incontrano in P (e dunque intersecano la curva 3 volte per il teorema dell’ordine)

-È chiaro per il teorema dell’ordine che nessuna retta può intersecare una curva di ordine 2, 3 volte, a meno che essa
non appartenga alla curva stessa. Infatti una curva di ordine 2 presenta un punto al massimo doppio, poiché le rette
che la intersecano 3 volte sono quelle in cui si divide se riducibile. E comunque ogni retta passante per P dovrebbe
appartenere alla curva (assurdo)

-Definisco Conica una curva algebrica del secondo ordine piana e reale.
Ha equazione: x^2+xy+x+y^2+y+c=0

-Definisco una conica:


Generale: non ha punti doppi ed è quindi irriducibile
Semplicemente degenere: 1 punto doppio
Doppiamente degenere: 2 o più punti doppi

- Se io ho un punto doppio allora è unione di 2 rette, la cui unica intersezione è il punto doppio

- Al contrario se ho 2 o più punti doppi la conica si divide in una retta contata 2 volte. Questo perché Con 2 punti
doppi avrei ben 3 rette in grado di intersecare la conica in 3 punti, ma ciò è impossibile, A meno che esse non siano
coincidenti.

È possibile rappresentare la conica in una matrice A. Essa è molto utile per studiare la conica

-Il sistema lineare AX=0 mi consente di individuare le coordinate dei punti doppi di una conica. Essendo che se il rA=n
avrei tutte colonne libere, deduco che per essere riducibile la conica debba presentare detA=0.

-Preso un punto P, definisco polare con polo P la retta di equazione:


PAX=0. con P= coordinate del polo.

- http://www2.unipr.it/~basgio93/2004/VIII/

-Se P€C allora la polare con polo P è anche la retta tangente in P alla conica.

- 2 punti P e Q si dicono coniugati se appartengono uno alla polare dell’altro. (principio di reciprocità) È chiaro che
la polare di polo P è ad esempio l’insieme di tutti i coniugati di P

- Per il principio di reciprocità quindi P è il coniugato di tutti i punti della sua polare.

- Qualsiasi punto immaginario Q prendiamo esisterà sempre una retta che lo contiene. Infatti Se r è reale deve
contenere sia i punti immaginari che i suoi coniugati. Ergo la retta QQ_ contiene il punto immaginario Q.

-Dato dunque che i punti doppi sono le soluzioni di AX=0, studiando il rango di A in A2 ho che:
rA=2 -> 1 soluzione: 1 punto doppio (si divide in 2 rette che si intersecano nel punto doppio)
rA=1 -> infinite soluzioni: infiniti punti doppi (retta contata 2 volte)

- Intersecare una conica con la retta impropria r8 mi serve per stabilire la natura delle coniche (altro metodo è
studiare il detA*):
-2 punti immaginari: ellisse (se i 2 punti sono quelli ciclici è circonferenza)
-2 punti reali: iperbole
-1 punto reale: parabola.

-Studiando invece il detA* posso ugualmente studiare le coniche generali. Ricordo che detA*=-delta:
detA*>0 : ellisse (2 soluzioni immaginarie)
detA*=0 parabola (una sola soluzione reale)
detA*<0 : iperbole (2 soluzioni reali)

-in una conica generale definisco Centro il polo della retta impropria. Ellissi ed iperboli presentano centri propri, la
parabola impropri. Ricordo che per trovare il centro devo fare dunque:
Xp A Xgenerica = retta impropria. Con Xgenerica (x,y,0)

-Definisco diametro di una conica ogni polare di un punto improprio (ovvero tutte le rette che passano per il
centro). Essendo il centro della parabola un punto improprio i suoi diametri sono tutti paralleli

-Definisco asintoto ogni retta tangente propria alla conica in un punto improprio (analiticamente significa che la
conica e la retta si incontrano all’infinito).
L’ellisse ha 2 asintoti immaginari, l’iperbole 2 reali

-Definisco fuochi l’intersezione tra le rette tangenti delle coniche passanti per i punti ciclici. L’iperbole e l’ellisse
presentano 4 fuochi 2 reali e 2 immaginari

-Definisco direttrice la polare di un fuoco

-Definisco asse un diametro ortogonale al proprio polo. Ovvero se chiamo Xp le coordinate del polo e X le
coordinate di un punto generico della polare: XpX=0.
La parabola presenta un solo asse, l’ellisse e l’iperbole presentano 2 assi, la circonferenza ogni diametro è un’asse

-L’intersezione tra l’asse e la conica è il vertice

-È possibile partendo dalle varie proprietà delle coniche distinguere delle equazioni canoniche:
Circonferenza: a x 2 +b y 2+ ax +by +c=0
x2 y 2
Ellisse: + =1
a2 b 2
x2 y 2
Iperbole: 2 − 2 =1
a b
Parabola: a x 2 +bx+ c=0
È utile ragionare sulle equazioni canoniche per verificare alcune proprietà delle coniche

-In E3(R) definisco Quadriche delle superfici algebriche reali di equazione:


a1,1x 2 + a2,2y 2 + a3,3 z2 + 2a1,2xy + 2a1,3xz+ + 2a2,3yz + 2a1,4x + 2a2,4y + 2a3,4z + a4,4 = 0

-Teorema dell’ordine: Una quadrica viene intersecata da un piano in una conica, se no appartiene alla quadrica. Ed
ogni retta che interseca una quadrica lo fa in esattamente 2 punti. Se sono di più, allora appartiene alla quadrica

-Se una retta interseca una quadrica 2 volte nello stesso punto P, allora P viene detto punto doppio (un esempio è il
vertice del cono e del cilindro).

-Le polari nelle quadriche sono dei piani tangenti alla quadrica nel loro polo

-In base al numero di punti doppi le quadriche si dicono:


Generali: prive di punti doppi (iperboloidi, paraboloidi, ellissoidi)
Singolari: un solo punto doppio (cono e cilindro)
-Riducibili: almeno 2 punti doppi.
-Definisco un piano tangente ad una quadrica in P, se il piano taglia la quadrica in una conica riducibile in 2 rette con
P punto doppio

-Per essere riducibile una quadrica deve possedere almeno 2 punti doppi.
Chiamiamo R e S i punti doppi della Quadrica Q, e T un punto semplice. Per essere riducibile in piani la quadrica deve
venire intersecata da questi piani e formare una curva del 3 ordine (teorema dell’ordine). La retta che passa per R e T
e quella che passa per S e T interseca Q in 3 punti (definizione di punto doppio) ma quindi il piano formato da TRS
interseca la quadrica in una curva del 3 ordine. Dunque il piano appartiene alla Quadrica, e quindi Q è riducibile. Se
prendiamo 3 punti doppi i piani diventano 2 e così via.

-I punti doppi sono sempre le soluzioni di AX=0, quindi posso studiare il rango di A per calcolare che tipo di quadrica
sia:
rA = 4: 0 punti doppi: generale
rA = 3: 1 punto doppio: singolare
rA= 2 o 1: infiniti punti doppi: riducibile

-Definisco Cono o cilindro di vertice V e direttrice C il luogo dei punti composti dalle rette condotte da C verso V. Il
punto V è il vertice ed è l’unico punto doppio. So che è l’unico in quanto se prendiamo un qualsiasi altro punto W
della conica, la retta WV interseca la quadrica esattamente 3 volte (e per il teorema dell’ordine la retta appartiene
alla quadrica)

-Il vertice del cono è composto da un punto proprio, in quanto tutte le rette sono incidenti in V. Quello del cilindro
invece è un punto improprio, essendo le rette tutte parallele.

-Il cono può essere a falda reale oppure a falda immaginaria. Per capirlo intersechiamo il cono con un piano, e
verifichiamo se la conica risultante presenta o meno punti reali.

-Il cilindro in base alla conica che forma se intersecato con un piano si distingue in (studio dunque il determinante A*
della conica ottenuta intersecando Q con il piano improprio):
detA22 >0: iperbole dunque cilindro iperbolico
detA22 < 0: ellisse dunque cilindro ellittico
detA22 = 0 parabola dunque cilindro parabolico

-Una quadrica generale non presenta punti doppi e per classificarle studiamo l’intersezione tra il piano improprio e
la quadrica, per ottenere la conica impropria C8 (che poi sarebbe A*):
Iperboloide: C8 è a punti reali
Ellissoide: C8 è a punti immaginari
Paraboloide: C8 è riducibile (dunque detA* = 0 ovvero esistono punti doppi)

-Per distinguere ellissoidi e iperboloidi è necessario verificare se essi siano a punti reali oppure immaginari. Ovvero se
la loro equazione ha risultati reali oppure solo immaginari.

-I punti semplici si dicono:


Iperbolici: i punti di un iperboloide iperbolico, di un paraboloide iperbolico
Ellittici: i punti di un ellissoide, di un paraboloide iperbolico, di un iperboloide ellittico
Parabolici: i punti di un cono o un cilindro

-Definizione formale: Sia C la conica ottenuta intersecando una quadrica Q ed un piano tangente in P (ovvero che
tagliano la quadrica in una conica riducibile), il punto P viene detto:
-Iperbolico: C si riduce in 2 rette reali
-Ellittico: C si riduce in rette immaginarie
-Parabolico: C si riduce in una retta contata 2 volte

-Teorema: tutte le quadriche presentano la stessa tipologia di punti. Questo perché se il piano pi tange la Q in P, e P è
ellittico, allora se un altro punto R non fosse ellittico avremmo una contraddizione, ovvero che esiste almeno una
retta reale come intersezione del piano con la quadrica Q. Ma a questo punto se noi intersecassimo la retta reale con
il piano pi otterremmo un punto S che DEVE essere diverso da P in quanto P punto ellittico che dunque non presenta
rette reali. Ma al contrario S DEVE essere uguale a P, se no viene meno la definizione di tangenza in P. Ergo sia P che
R devono essere ellittici.

-Teorema: Coni e cilindri (quadriche irriducibili) presentano punti parabolici. Infatti se un piano pi passante per P
taglia Q in 2 retta contata 2 volte detta r, immaginiamo che un piano passi per la retta r detto ro e tagli la quadrica in
una conica sempre riducibile, ma non riducibile nella sola r, essendo quella la definizione del punto P. Quindi
intersecare ro con Q mi porta ad avere una conica che si riduce in 2 rette distinte, che si intersecano in un punto che
NON può essere parabolico, essendo le 2 rette distinte. Ergo il punto DEVE essere doppio.

-Teorema: l’ellissoide presenta solo punti ellittici. Infatti l’ellissoide non può contenere rette reali essendo la sua C8
a punti immaginari

Teo ordine (quadriche): una Quadrica:


-Viene intersecata da un piano in una conica; se no €Q
-Viene intersecata da una retta in esattamente 2 punti; se di più €Q
Una Q è riducibile se ha almeno 2 pt doppi

c8 = conica all'infinito, è intersezione tra quadrica e piano improprio x4=0


 
Particolari quadriche generale
 Ellissoide = Se c8 è impropria e non ha pt reali
 Iperboloide = Se c8 è irriducibile e ha pt reali
 Paraboloide = Se c8 è riducibile (quadrica tangente al piano improprio)
Oppure si dice
 Iperbolica se è a punti iperbolici
 Parabolica se è a punti parabolici
 Ellittica se è a punti ellittici
 
Se Q, quadrica irriducibile e la seziono con un piano tangente in un suo pt semplice P
Si dice punto:
 Iperbolico se si riduce in 2 rette reali e distinte
 Parabolico se si riduce in 2 rette reali e coincidenti (solo cono o cilindro)
 Ellittico se si riduce in 2 rette immaginarie e coniugate

Quadriche semplicemente degeneri


Cilindro può essere
 Iperbolico se si riduce in 2 rette reali e distinte
 Parabolico se si riduce in 2 rette reali e coincidenti
 Ellittico se si riduce in 2 rette immaginarie e coniugate
 
 Cono/Cilindro DEF
Si dice cono (cilindro) quadrico li luogo delle rette, dette generatrici, che proiettano da un punto proprio (improprio),
detto vertice, i punti di una conica generale, detta generatrice, appartenente a un piano non contenente al vertice

Quadrica con rango 3 


 -Il cono può essere a falda reale oppure a falda immaginaria. Per capirlo intersechiamo il cono con un piano, e
verifichiamo se la conica risultante presenta o meno punti reali.

 
Siano C conica generale, r8 = retta impropria, P e Q sono i pt di intersezione
 Iperbole --> se pt sono reali e distinti
 Parabola --> se pt sono reali e coincidenti
 Ellisse --> se pt sono coniugati ed immaginari
 
conica a centro -> polo -> retta impropria
Conica a centro = centro pt proprio
Centro = polo della retta impropria

LEMMA STEINITZ
COROLLARIO

MG<=MA
NULLITA’ PIU’ RANGO
KRONECKER

ORLATI

SOMMA DIRETTA
GRAM-SCHMIDT
TEOREMA SPETTRALE
IPERPIANO ASSIALE
DISTANZA PUNTO RETTA
TEOREMA DELL’ORDINE
POLARE RETTA TANGENTE

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