Relatività Ristretta Parte 1
Relatività Ristretta Parte 1
Relatività Ristretta Parte 1
Albert Einstein, autore della teoria della relatività ristretta (foto del 1921)
Storia[modifica | modifica wikitesto]
La meccanica classica e lo spazio e il tempo assoluti[modifica | modifica
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La fisica classica, ovvero la fisica newtoniana, postula l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti, che
hanno cioè proprietà determinate indipendentemente dal sistema di riferimento utilizzato e in cui la
misurazione di distanze spaziali e intervalli temporali fornisce gli stessi risultati in qualunque sistema di
riferimento. Allo stesso modo, in meccanica classica, due eventi simultanei in un sistema di riferimento,
cioè con la stessa coordinata temporale, lo sono in ogni sistema di riferimento inerziale. In particolare, il
principio della relatività galileiana presuppone l'esistenza di sistemi di riferimento inerziali rispetto ai
quali sono validi i tre principi della dinamica di Newton, legati fra loro attraverso le trasformazioni di
Galileo. In base al primo principio, l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti in cui si muovono i
corpi nell'universo non implica però l'esistenza di uno stato di moto o di un sistema di riferimento
assoluti: non esiste alcun punto di osservazione privilegiato nell'universo rispetto al quale sia possibile
misurare in termini assoluti le distanze o le velocità, dato che in ogni sistema di riferimento inerziale,
indipendentemente dalla sua velocità relativa, valgono sempre le stesse leggi della fisica. Il concetto di
stato di quiete è allo stesso modo solo relativo ad un osservatore, non esiste alcun esperimento in
grado di verificare se un osservatore è fermo in senso assoluto. Come scrisse Galileo Galilei:
«Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi
fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti;
sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso
di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli
animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza. [..] Osservate che avrete
diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia mentre il vascello sta fermo non debbano
succedere così: fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur di moto uniforme e non
fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; né da alcuno di
quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma.»
(Salviati, Giornata seconda.[1])
L'esistenza dell'etere implicava di fatto un sistema di riferimento privilegiato, quello in quiete rispetto
all'etere, rispetto al quale le equazioni di Maxwell sono valide nella loro forma. In altri termini, due
osservatori inerziali avrebbero dovuto usare equazioni diverse per descrivere gli stessi fenomeni
elettromagnetici.[7] Una misura della velocità della luce avrebbe potuto determinare lo stato di moto
dell'osservatore rispetto all'etere. Prendendo come esempio le onde sonore, queste si propagano
nell'atmosfera alla velocità di circa 330 metri al secondo; un ipotetico viaggiatore che sia in grado di
superare questa velocità, non sarebbe mai raggiunto dalle onde emesse dietro di lui rispetto alla
direzione del moto, come effettivamente succede per gli aerei supersonici che si lasciano alle spalle
il boom sonico. Secondo il principio di relatività galileiana, la velocità misurata da un osservatore in
moto deve rispettare la legge di trasformazione delle velocità di Galileo, per cui la velocità di
propagazione di un'onda effettivamente misurata dipende dallo stato di moto dell'osservatore rispetto al
mezzo in cui si propaga.
L'Interferometro di Michelson. L'esperimento originale utilizzò più specchi di quelli mostrati, la luce veniva riflessa
avanti e indietro diverse volte prima di ricombinarsi.
Dal punto di vista storico, il più famoso esperimento che mise in crisi il concetto di etere fu condotto
da Albert Abraham Michelson e Edward Morley nel 1887.[10] L'esperimento di Michelson-Morley non
mostrò alcuna significativa differenza della velocità della luce nella direzione parallela e perpendicolare
alla velocità terrestre, in violazione della legge di composizione delle velocità classiche. Secondo la
fisica classica infatti, la velocità della luce avrebbe dovuto sommarsi a quella della Terra nel percorrere
un tragitto nella direzione del moto di rivoluzione e di rotazione terrestre. Anche quando l'esperimento
fu ripetuto sei mesi dopo, con la Terra in moto in direzione opposta rispetto a un sistema solidale col
Sole, si ottenne lo stesso risultato: la velocità della luce era sempre la stessa entro i limiti degli errori
sperimentali:
(EN) (IT)
«It appears, from all that precedes, reasonably «Sembra ragionevolmente certo, da tutto quello che
certain that if there be any relative motion between precede, che se c'è un moto relativo fra la Terra e
the earth and the luminiferous ether, it must be small l'etere luminifero, deve essere piccolo [...]»
[...]»
(Michelson e Morley[10])