Fonagy e La Mentalizzazione
Fonagy e La Mentalizzazione
Fonagy e La Mentalizzazione
piccoli comprendono gli stati psicologici e dunque le menti degli altri e alla fine le loro stesse menti.
La parola “Stato” è utilizzata in generale, in riferimento agli affetti, all’elaborazione psichica simbolica, al livello
di attivazione fisiologica. Il processo che permette di interpretare il comportamento proprio e altrui in termini di
stati mentali è definito “Mentalizzazione”: essa consiste nel concepire se stessi e gli altri come dotati di una
mente, cioè come persone che agiscono in base a sentimenti, credenze, desideri e intenzioni, nonché di elaborare
o interpretare l’informazione relativa agli stati mentali, essenziale per funzionare in un mondo sociale pieno di
tensioni; è il processo attraverso cui noi apprendiamo che la nostra esperienza del mondo è mediata dal fatto che
possediamo una mente. La mentalizzazione è una capacità di ordine cognitivo, che tuttavia è profondamente
influenzata da esperienze di natura affettiva, e specificamente dalla precocissima relazione affettiva e regolativa
fra il bambino e la figura di attaccamento. La “funzione riflessiva”, di rispecchiamento, rappresenta la traduzione
in termini operativi del concetto di mentalizzazione. La componente autoriflessiva, in combinazione ad una
interpersonale forniscono al bambino la capacità di distinguere la realtà interna da quella esterna, i processi
mentali intrapersonali ed emozionali dalle comunicazioni interpersonali. L’esperienza che il bambino ha di se
stesso come organismo dotato di una mente o di un sé psicologico non è un dato genetico, biologicamente
determinata ma è una struttura che si sviluppa dalla prima infanzia in poi, e il suo sviluppo dipende in modo
critico dall’interazioni con menti più mature, la cui qualità benigna e riflessiva è determinante. La funzione
evoluzionistica delle relazioni oggettuali precoci è quella di fornire al bambino piccolo un ambiente, all’interno
del quale la comprensione degli stati mentali negli altri e in se stesso possa avere pieno sviluppo. La
mentalizzazione comincia con la ‘scoperta’ delle emozioni all’interno delle relazioni con l’oggetto primario.
Centrale, rispetto a questo, è la “regolazione affettiva” cioè la capacità di modulare gli stati affettivi, da cui si
evolve la capacità di “affettività mentalizzata” cioè una capacità matura e adulta di regolazione affettiva, in cui si
ha consapevolezza dei propri affetti mentre li si sperimenta e si è in grado di connettere i significati ai propri stati
affettivi.
Il caregiver, attraverso la sua immagine rispecchia e organizza l’esperienza emozionale del bambino. Questa
capacità di rispecchiamento affettivo esercitata dal caregiver si esplica nelle interazioni sintonizzate, ovvero
quegli stati prototipici in cui il genitore fa uso dell’ espressione facciale e vocale per rappresentare al bambino i
sentimenti che il genitore stesso gli attribuisce, in modo da rassicurarlo e calmarlo, piuttosto che intensificare le
sue emozioni. Il modo in cui l’espressione automatica e le conseguenti espressioni facciali e vocali di
rispecchiamento affettivo del caregiver vengono connesse tra di loro nella mente del bambino produce due effetti
importanti:
• i bambini cominciano ad associare il controllo che essi hanno sulle espressioni di rispecchiamento dei loro
genitori con il miglioramento del loro stato emotivo, pervenendo infine a un’esperienza di sé come agenti
regolatori;
• lo stabilirsi di una rappresentazione di secondo ordine degli stati affettivi, getta le basi per la regolazione
affettiva e il controllo degli impulsi.
Se invece le espressioni affettive del genitore non sono contingenti con l’emozione del bambino, essi verranno
sperimentati in un modo non simbolizzato e di difficile regolazione, rimanendo fonte di confusione. Affinché il
rispecchiamento affettivo serva come base di una cornice rappresentazionale, il caregiver deve in qualche modo
indicare che la sua espressione non è reale cioè non è un’indicazione di come il genitore si sente: questa
caratteristica del comportamento di rispecchiamento del genitore è definita “marcatura”.
Allo stesso modo un’espressione congruente con lo stato del bambino, ma che manca di questa “marcatura”, può
sommergere il bambino poiché esperita come ciò che il genitore realmente sente, facendogli sperimentare il
proprio stato come contagioso o universale, e quindi ancora più minaccioso. La percezione da parte del bambino
di un’emozione corrispondente ma realistica, probabilmente intensificherà, piuttosto che regolare, il suo stato,
portando al trauma piuttosto che al contenimento. Questo avviene perché prima di raggiungere una piena capacità
di mentalizzazione, la vita mentale del bambino è caratterizzata dall’equazione tra interno ed esterno (equivalenza
psichica). L’esperienza ripetuta della regolazione affettiva attraverso il rispecchiamento marcato e dunque
contingente ed esagerato, aiuta il bambino ad apprendere che il proprio stato mentale è sdoppiato dalla realtà
fisica. Al contrario le espressioni dei genitori realistiche e prive di marcatura, disturbano lo sviluppo della
regolazione affettiva facendo si che il rispecchiamento affettivo intraprenda dei percorsi patologici. Questo
indebolisce non solo la capacità del bambino di crearsi una rappresentazione secondaria, ma anche il senso di un
confine tra il sé e l’altro e l'equivalenza psichica normale delle prime fasi di vita diventa contagio psichico ed
emotivo. Un’esperienza continuativa di questo tipo può avere un ruolo importante nell’instaurarsi
dell’identificazione proiettiva, come forma dominante dell’esperienza emotiva, nello sviluppo della personalità
borderline” (come forma di organizzazione patologica probabile in tutti i disturbi gravi di personalità).
Un secondo tipo di struttura di rispecchiamento deviante è tale da predisporre al disturbo narcisistico di
personalità. Quando il rispecchiamento affettivo è adeguatamente marcato, ma non contingente, nel senso che
l’emozione del bambino è mal percepita dal caregiver, la rappresentazione secondaria del suo stato affettivo
primario risulterà distorta: il bambino etichetterà in modo errato il proprio stato emotivo, il sé si sentirà svuotato.
Quando l’accudimento genitoriale è particolarmente ed estremamente insensibile e non sintonico, il bambino non
riuscendo a trovare se stesso nella mente della madre, trova invece la madre e quindi è forzato a interiorizzare la
rappresentazione dello stato mentale dell’oggetto come parte nucleare del sé, ma in questi casi l’altro
interiorizzato rimane alieno e sconnesso dalle strutture costitutive del sé. • Questa lacuna nel sé psicologico verrà
colmata solo quando una psicoterapia sarà in grado di generare la “mentalizzazione affettiva” e cioè la capacità di
comprendere i significati soggettivi dei propri stati affettivi, aiutando questi pazienti a costruire questa capacità
d’interpretazione interpersonale. L’attenzione focale sull’emozione assicura che le strutture di rappresentazione
secondaria usate per pensare o riflettere sull’affetto primario siano corrette e connesse tra di loro.
Le emozioni primarie del bambino sono automatismi comportamentali dinamici predeterminati di cui
inizialmente egli non ha controllo. La regolazione affettiva viene realizzata principalmente dal caregiver che,
leggendo le espressioni automatiche delle emozioni del bambino, reagisce con appropriate interazioni di
modulazione affettiva. L’autocontrollo emotivo sarà possibile con lo stabilirsi di strutture di controllo secondario
che controllano, individuano e valutano i cambiamenti dinamici di primo livello negli stati affettivi
dell’organismo e contemporaneamente inibiscono o modificano la reazione emozionale, se la risposta affettiva
automatica mette a rischio i piani cognitivi di ordine superiore. • Una precondizione per il controllo volontario e
per l’autoregolazione degli stati affettivi primari è ricevere informazioni sui cambiamenti continui negli stati
disposizionali dell’organismo che hanno luogo a livello dei processi automatici. A questo punto il contenuto
disposizionale delle emozioni diviene cognitivamente accessibile e può servire come base per la previsione
dell’azione quando lo stato emotivo viene attribuito al sé o all’altro. Il rispecchiamento gioca un importante ruolo
causale nell’instaurarsi delle rappresentazioni secondarie delle emozioni alla fine del primo anno di vita. • La
presentazione ripetuta del rispecchiamento esterno delle manifestazioni dell’espressione affettiva del bambino
costituisce un “insegnamento” vitale che ha come risultato la graduale sensibilizzazione agli indizi sugli stati
interni rilevanti e la corretta identificazione dell’insieme di stimoli interni corrispondenti all’emozione categoriale
in cui si trova il bambino.
La possibilità dell’induzione dall’esterno di una tale sensibilizzazione agli stati interni è il principio cardine della
teoria del bio-feedback. Specifiche procedure di training dimostrano che rilevando continue e ripetute misurazioni
dei cambiamenti dello stato di alcuni stimoli interni del soggetto, si fornisce a questo un accesso diretto percettivo
ai suoi stati interni, attraverso uno stimolo esterno equivalente, osservabile, che covaria con lo stimolo interno.
L’esposizione ripetuta a una tale rappresentazione esterna dello stato interno, ha come esito finale la
sensibilizzazione e, in alcuni casi, il controllo sullo stato interno. Il tipo di regolazione che osserviamo nel bio-
feedback a livello corporeo, si manifesta attraverso gli stessi principi nel bio-feedback sociale, in cui il
rispecchiamento affettivo genitoriale gioca un ruolo cruciale nello sviluppo emozionale. • Il meccanismo di
apprendimento sottostante sia al bio-feedback sociale, sia al rispecchiamento affettivo è rappresentato dalla
detezione e dalla massimizzazione della contingenza. E’ questo il processo di apprendimento che è reso possibile
dal genitore che, attraverso il rispecchiamento empatico delle manifestazioni espressive dello stato emotivo del
bambino, gli fornisce intuitivamente un feedback esterno contingente. • Il genitore, essendo in grado di leggere e
interpretare le espressioni facciali, vocali o posturali, modulerà l’affetto del bambino, rispecchiando ripetutamente
dall’esterno le sue manifestazioni affettive. Nel caso di rispecchiamento di espressioni di stati emotivi negativi, se
il bambino attribuisse erroneamente al genitore, l’affetto negativo espresso nel rispecchiamento, il suo stato
emotivo negativo finirebbe per intensificarsi, invece di essere modulato. Vedere un genitore arrabbiato o
spaventato, infatti, è ovviamente motivo di allarme per un bambino e, se ciò si verificasse sistematicamente
sarebbe all’origine di un trauma. Questo problema di attribuzione è risolto attraverso una caratteristica percettiva
specifica delle manifestazioni di espressione affettiva del genitore: la “marcatura”, ottenute producendo una
versione esagerata dell’espressione realistica dell’emozione. La manifestazione affettiva dotata di marcatore non
viene distorta, ma solo esagerata. Infatti rimane sufficientemente simile all’espressione emotiva normale del
genitore, in modo che il bambino possa riconoscerne il contenuto disposizionale. Questo processo è definito
sdoppiamento referenziale: viene sospesa la connessione referenziale tra l’espressione emotiva e il corrispondente
stato disposizionale dell’agente che la produce. Conseguentemente la marcatura ha bisogno di essere interpretata
come espressione dell’emozione di qualcuno, cioè del bambino e questo avviene attraverso il processo di
ancoraggio referenziale. La funzionalità del rispecchiamento genitoriale sta nel massimizzare il grado di
contingenza tra il rispecchiamento affettivo del genitore e l’espressione emozionale del bambino. Con il passare
del tempo il bambino finirà con lo sperimentare le manifestazioni emotive dell’altro in due differenti forme: nella
loro espressione realistica e in quella marcata. L’espressione realistica e quella marcata sono versioni
qualitativamente diverse, non solo in virtù della marcatura, ma anche per altre due caratteristiche:
•Gli esiti comportamentali. In seguito ad una espressione di rabbia realistica della madre il bambino produrrà un
esito comportamentale di rabbia. Ciò invece non vale nel caso dell’espressione marcata: invece delle conseguenze
negative che nella realtà si accompagnano alla manifestazione di rabbia, quando il bambino si trova di fronte a
una manifestazione marcata della rabbia, probabilmente sperimenterà degli esiti positivi, sotto forma di
un’efficace regolazione affettiva.
•Diversa relazione di contingenza: il bambino eserciterà un controllo contingente decisamente inferiore nel caso
dell’emozione emotiva realistica. • Per es. un’espressione realistica di paura sul volto della madre ha maggiore
probabilità di essere contingente a qualche evento esterno o di essere indotta da uno stimolo intrapsichico nella
madre, piuttosto che essere sotto il controllo di un qualche comportamento del bambino. • Un’espressione
marcata, invece è sotto il controllo comportamentale del bambino, perché viene prodotta come risposta
all’espressione emotiva corrispondente durante le interazioni di rispecchiamento nella regolazione affettiva •
Nello sviluppo normale, le trasformazioni comportamentali, che distinguono le manifestazioni marcate da quelle
realistiche, si stabilizzeranno come codice comunicativo generalizzato, caratterizzato: dallo sdoppiamento
referenziale del contenuto espresso dall’agente che produce la manifestazione; dall’ancoraggio referenziale del
contenuto espressivo all’agente altro da quello che sta esprimendo l’emozione; dalla sospensione delle
conseguenze della versione realistica del contenuto espresso.
• La marcatura sortirà probabilmente anche un altro effetto: il bambino costruirà per essa una rappresentazione
separata che gli permetterà di attribuire a se stesso lo stato emotivo disposizionale. L’inclinazione istintiva dei
genitori a presentare ai loro bambini manifestazioni marcate di rispecchiamento, ha tre significative conseguenze
evolutive: a) identificare e raggruppare gli insiemi di indizi che sono indicativi delle diverse categorie degli stati
emotivi; b) stabilire rappresentazioni secondarie associate con gli stati affettivi di primo livello, acquisendo in
questo modo il mezzo cognitivo che consente di accedere agli stati emotivi e di attribuirli al sé; a) acquisire un
codice comunicativo generalizzato di espressioni “marcate” caratterizzate da sdoppiamento referenziale,
ancoraggio e sospensione delle conseguenze a livello di realtà.
CONCLUSIONI
Attraverso il rispecchiamento “marcato”, il caregiver fornisce un tipo naturale di bio-feedback, i cui effetti sono
mediati dalla sofisticata abilità del bambino di identificare e analizzare le relazioni di contingenza con l’evento-
risposta. Sono identificate quattro funzioni evolutive del rispecchiamento genitoriale degli affetti:
• la funzione di sensibilizzazione: come risultato dell’apprendimento di bio-feedback, il bambino sarà in grado di
identificare e raggruppare l’insieme di indizi indicativi delle diverse categorie dei propri stati disposizionali
emozionali.
• la funzione di costruzione della rappresentazione: il bambino stabilirà delle rappresentazioni secondarie che
verranno associate con gli stati affettivi primari procedurali inconsci. Rappresenta il mezzo cognitivo per
accedere a e attribuire gli stati emotivi al sé, formando la base per l’emergente abilità del bambino di controllare e
ragionare sui propri stati disposizionali emozionali.
• La funzione di regolazione delle emozioni: il dispositivo di detenzione della contingenza registrerà l’elevato
grado di controllo della contingenza che le espressioni delle emozioni negative hanno sulle manifestazioni di
rispecchiamento del caregiver. Questo produrrà un senso di efficacia causale e di attivazione positiva che porterà
a un decremento dello stato affettivo negativo del bambino.
• La funzione comunicativa e di mentalizzazione: il bambino acquisirà il codice comunicativo generalizzato delle
espressioni “marcate”, caratterizzato da sdoppiamento referenziale, ancoraggio referenziale e sospensione delle
conseguenze realistiche. Questo creerà una nuova modalità di mentalizzazione e di comunicazione degli stati
affettivi: la modalità, del “far finta” che fornirà al bambino dei potenti mezzi di rappresentazione, di
autoregolazione e di espressione emozionale.