Segatto Di Masi Surian L'Ingiusta Distanza 2018

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L’INGIUSTA
La qualità delle strutture e dei percorsi di accoglienza, la scelta dei tutori,
l’accesso alle procedure di asilo, gli ostacoli frapposti alla riunificazione familia-
re: sono queste le quattro aree di attenzione segnalate dall’Agenzia Europea
dei Diritti Fondamentali quando si tratta di agire nel miglior interesse dei minori.

B. Segatto, D. Di Masi, A. Surian (a cura di) L’INGIUSTA DISTANZA


DISTANZA
Questultimo è il principio che dovrebbe guidare tutti gli interventi che li riguar-
dano, comprese le procedure che regolano le migrazioni e le richieste di asilo,
come prevede la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e come
sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia.
Come accoglie l’Italia i minori stranieri “non accompagnati”?
Il volume intende innanzitutto fare il punto sulle pratiche di accoglienza in
Italia dei minori stranieri “non accompagnati” attraverso i contributi di esperti
da vari settori disciplinari e con analisi che mettono a confronto realtà locali
I percorsi dei minori stranieri
con l’intero territorio italiano e con le pratiche di un Paese vicino, la Spagna.
Inoltre, attraverso un’indagine esplorativa di tipo qualitativo svolta grazie ad un
non accompagnati dall’accoglienza
finanziamento dell’Università di Padova con il coinvolgimento degli studenti alla cittadinanza
universitari, vuole comprendere le problematicità legate all’ospitalità dei minori
soli. L’analisi narrativa delle interviste semi-strutturate realizzate a Padova con
rappresentanti istituzionali, operatori, famiglie e ex minori ora maggiorenni ha
permesso di mettere a confronto le priorità dei diversi attori coinvolti nel siste-
ma di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, descritti come sog-
getti vulnerabili ma anche resilienti e altamente motivati. a cura di
Barbara Segatto è professore associato e membro del Centro Interdipartimentale di Ricer- Barbara Segatto,
Diego Di Masi,
ca sulla Famiglia (CIRF) dell’Università di Padova dove insegna Sociologia della Famiglia e
dell’Infanzia ed è Presidente del Corso di Laurea in Servizio Sociale.

Diego Di Masi è docente di Pedagogia dell’Inclusione presso il Corso di Laurea in Servizio


Sociale dell’Università di Padova dove collabora con il Laboratorio di Ricerca e Intervento in
Alessio Surian
Educazione Familiare (LabRIEF).

Alessio Surian è professore associato e membro del Centro Interdipartimentale di Studi e


Ricerche Interculturali e Migrazioni (CIRSIM) dell’Università di Padova dove insegna Dina-
miche comunicative (Laurea Magistrale in Scienze del Servizio Sociale) e Teorie e Pratiche
dell’Intercultura (Master in Studi Interculturali).

FrancoAngeli ISBN 978-88-917-3474-7 Politiche


La passione per le conoscenze
e servizi
sociali
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L’INGIUSTA
DISTANZA
I percorsi dei minori stranieri
non accompagnati dall’accoglienza
alla cittadinanza

a cura di
Barbara Segatto,
Diego Di Masi,
Alessio Surian

Politiche
e servizi
sociali Copyright © 2018 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788891772992

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ottenuto con D.R. Rep. N. 1686/2016 del 29/06/2016 per i Progetti Innovativi degli Studenti,
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Indice

Introduzione, di Barbara Segatto, Diego Di Masi pag. 11


e Alessio Surian

I. Dati, pratiche e sfide

Le politiche di accoglienza e integrazione dei minori » 17


stranieri non accompagnati in Italia, di Monia Gio-
vannetti e Marco Accorinti
1. Il fenomeno dell’accoglienza dei minori stranieri » 17
non accompagnati
2. La presenza dei minori stranieri non accompa- » 19
gnati, l’impatto sul sistema di accoglienza e il ruolo
degli Enti locali
3. La protezione e tutela dei minori stranieri non ac- » 22
compagnati: dalla governance condivisa alla confi-
gurazione di un sistema di accoglienza e integrazio-
ne a livello nazionale
4. Le politiche sociali per i MSNA: le decisioni go- » 25
vernative e gli effetti sui sistemi locali di assistenza
Bibliografia di riferimento » 29

La migrazione dei minori non accompagnati tra co- » 33


raggio e riti di passaggio da un lato e fragilità della
protezione dall’altro, di Violeta Quiroga, Eveline
Chagas e Càndid Palacín
1. Introduzione » 33
2. Concetto di Minore Migrante Non Accompagnato » 34
3. La migrazione di minori non accompagnati » 36
4. La migrazione come rito di passaggio » 39

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5. Dalla spinta migratoria alla fragilità della prote- pag. 41
zione
6. Aspetti femminili del fenomeno » 45
7. Conclusioni » 48
Bibliografia di riferimento » 49
Riferimenti Normativi » 52

Le (in)certezze nell’accoglienza dei minori stranieri » 55


non accompagnati, di Rita Bertozzi
1. Introduzione » 55
2. I nuovi volti del fenomeno » 56
3. Le certezze e incertezze delle politiche » 60
4. Conclusioni » 68
Bibliografia di riferimento » 70

Pratiche innovative di accoglienza e integrazione dei » 73


minori stranieri non accompagnati in Italia, di Nico-
letta Pavesi
1. Introduzione » 73
2. In comunità, ma non solo… » 77
3. Nuovi contesti di apprendimento della lingua ita- » 78
liana
4. Lo scambio fra le generazioni » 80
5. L’espressione di sé e la peer education » 81
6. La transizione all’età adulta » 82
7. L’affido familiare, al plurale » 82
8. Le esperienze di tutori volontari prima della » 86
l. 47/2017
9. Per concludere » 87
Bibliografia di riferimento » 88
Sitografia » 89

Forme di erranza indipendenti: giovani adulti alla ri- » 91


cerca di sé stessi, di Rita Finco e Marion Jacoub
1. Iniziazione all’approccio etnoclinico » 91
2. Minore straniero non accompagnato » 95
3. Una natura di tulkou, il giovane tibetano » 97
Bibliografia di riferimento » 101

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II. Le prospettive degli attori
del territorio padovano

“La regola è l’eccezione”: l’accoglienza dei Minori » 105


Stranieri Non Accompagnati dal punto di vista degli
operatori, Diego Di Masi e Elisa Defrancisci
1. Introduzione » 105
2. L’accoglienza in comunità dei MSNA a Padova » 106
3. Una lettura ecologica al sistema di accoglienza » 108
nel territorio padovano
4. Conclusioni » 112
Bibliografia di riferimento » 113

Prospettive dell’affido familiare dei minori stranieri » 115


non accompagnati, dall’omo all’etero culturale, di
Barbara Segatto, Irene Bonotto e Alice Tria
1. Accogliere e Accompagnare » 115
2. L’affido familiare di minori stranieri non accom- » 116
pagnati
3. L’esperienza padovana » 120
4. Conclusioni » 123
Bibliografia di riferimento » 124

Diciotto anni: e dopo?, di Alessio Surian, Lucrezia Co- » 127


mini, Alessio Menini e Antonio Pietropolli
1. Identità doppiamente sospese » 127
2. Dall’origine del percorso migratorio alle multiple » 130
transizioni verso l’autonomia
3. Verso l’autonomia? » 133
4. Conclusioni » 135
Bibliografia di riferimento » 136

Notizie sugli autori » 137

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Introduzione
di Barbara Segatto, Diego Di Masi e Alessio Surian

Imparare a vivere in un nuovo contesto, in un Paese straniero, rappresenta


per minori soli un percorso contrassegnato da una serie di difficoltà. Alcune
riguardano il periodo precedente: il senso di perdita e di vulnerabilità rispetto
ai legami sociali significativi segnati oggi dalla distanza fisica. Altre sono di-
pendenti dal senso di incertezza generato dal fare i conti con le molteplici
pratiche amministrative che definiscono il periodo di transizione verso l’età
adulta. Nel quotidiano, vi sono nuove relazioni sociali e istituzionali da stabi-
lire, mentre si fanno i conti con una lingua da imparare e un nuovo contesto
formativo e di orientamento al lavoro cui prendere le misure.
Su questi temi e sull’entità del fenomeno dei Minori Stranieri Non Ac-
compagnati (MSNA)1 si moltiplicano monitoraggi e rapporti con elementi
di discrepanza nel modo in cui misurano e descrivono i dati raccolti. A que-
sto panorama già complesso, l’attenzione esagerata dei media nei confronti
degli “sbarchi” produce a sua volta ulteriori distorsioni nell’inquadramento
dei periodi e dell’entità degli arrivi in Italia da Paesi terzi.
A partire da queste considerazioni vengono qui raccolti alcuni contributi
di ricercatori universitari accanto ai primi risultati di un’indagine esplorati-
va che ha permesso di incontrare, nel territorio padovano, i diversi attori del
sistema di accoglienza per comprenderne il funzionamento e le problemati-
cità ed un profilo dei MSNA sia in quanto soggetti vulnerabili, sia come
soggetti resilienti. Fra i concetti chiave presenti nei testi qui raccolti, ve ne
sono alcuni che ricorrono e che offrono rimandi alle dimensioni della so-
spensione e della liminarità. Narrano di una condizione in cui gli aspetti le-
gati alla transizione acquisiscono un ruolo importante che segna la vita di
1 Si intende per minore straniero non accompagnato «[...] il minorenne non avente citta-

dinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello
Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza o di rappre-
sentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leg-
gi vigenti nell’ordinamento italiano» ex legge n. 47/2017, art. 2.

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questi adolescenti in assenza di un rapporto quotidiano con i rispettivi geni-
tori.

Il lavoro di ricerca è stato realizzato grazie ad un finanziamento


dell’Università di Padova, denominato “Progetti Innovativi per gli Studen-
ti”2, che da alcuni anni sostiene economicamente diverse attività pensate e
realizzate dagli studenti dei diversi corsi di laurea dell’Ateneo con la super-
visione dei docenti universitari. In particolare questo progetto nasce
dall’iniziativa di un gruppo eterogeneo di studenti3 monitorati da un team di
professori afferenti al corso di laurea Triennale in Servizio Sociale del Di-
partimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali
dell’Università di Padova, nel periodo compreso tra dicembre 2016 e feb-
braio 2018. L’indagine, condotta tramite l’utilizzo di interviste narrative di
tipo semi-strutturato, si è sviluppata in due fasi:

− La prima, da dicembre 2016 a marzo 2017, finalizzata


all’inquadramento del fenomeno attraverso incontri formali e infor-
mali4 con alcuni esperti del settore e alla familiarizzazione degli stu-
denti verso il contesto della ricerca e di alcuni suoi strumenti.
− La seconda, da febbraio 2017 a febbraio 2018, di realizzazione e ana-
lisi delle interviste fino alla stesura dei contributi qui presentati.

Infine, seppur tutte le interviste siano state audio-registrate ed il conte-


nuto trascritto in maniera letterale dando rilevanza unicamente alle pause
del discorso; la natura preliminare dell’indagine e l’inesperienza dei ricer-
catori nonché la volontà di tutelare la privacy degli intervistati e di non in-
quinare lo scopo della ricerca (che non vuole essere fonte di critiche, ma
mero spunto di riflessione), si è scelto di non presentare nel presente volu-

2 L’Università di Padova finanzia annualmente i Progetti innovativi degli studenti. Si in-


tende valorizzare esperienze e progettualità che portino all’elaborazione di un prodotto fina-
le di didattica innovativa nell’ambito di una particolare area disciplinare di cui un docente
referente si fa garante. Viene inoltre valutata la congruità tra il piano finanziario prospettato
ed i risultati attesi oltre che il grado di coinvolgimento degli studenti. I progetti non possono
promuovere iniziative di carattere politico o attività istituzionali già previste dall’Ateneo.
3 Il gruppo era composto da Irene Bonotto, Sara Carucci, Lucrezia Comini, Elisa De-

francisci, Alessandro Fabri, Alessio Menini; Antonio Pietropolli, Mariasole Pepa, Anna
Scapocchin, Alice Tria, Serena Varetto dei corsi di Laurea in Culture, Formazione e Società
globale e Mediazione Linguistica e Cultural e Local Development.
4 Si ringrazia l’associazione YaBasta di Padova ed in particolare Vilma Mazza per

l’attenzione dimostrata verso il progetto e la disponibilità offerta al gruppo di ricerca garan-


tendo la possibilità di utilizzare gli spazi dell’associazione per i diversi incontri formali ed
informali.

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me gli stralci delle interviste ma più semplicemente una riformulazione del
contenuto espresso dagli intervistati. Va inoltre precisato che nonostante la
ristrettezza del campionamento esso risulta rappresentativo delle principali
realtà presenti sul territorio.

Il volume è articolato in due parti. La prima denominata Dati, pratiche e


sfide contiene i contributi di alcuni colleghi che in questi anni si sono occu-
pati del fenomeno MSNA da diversi punti di vista.
In particolare Giovannetti e Accorinti presentano una descrizione
dell’accoglienza e il cambiamento che ha avuto a seguito dell’incremento
numerico del fenomeno e della sua trasformazione in termini di paesi di
provenienza e finalità dei progetti migratori. A partire da una analisi delle
criticità del sistema, gli autori avanzano alcune proposte per rispondere in
modo efficace ai diversi bisogni espressi dai MSNA.
Quiroga, Chagas e Palacin permettono di confrontare il contesto italiano
con quello spagnolo, mettono in luce la mancanza di dati sulla componente
femminile e rilevano come, per molti minori, il progetto migratorio stia co-
stituendosi come rito di passaggio verso l’età adulta, avendo come modello
i migranti già adulti. Al loro arrivo, in Europa, in Spagna, li accolgono
condizioni di precarietà e incertezza, di assenza di protezione. Per le autrici
è urgente dare nuovo impulso al dibattito sull’accoglienza e
sull’integrazione avendo presente la necessità di mantenere l’equilibrio, a
sua volta precario, tra protezione e controllo dei flussi migratori, segnato
dalle crescenti difficoltà delle amministrazioni nel far fronte a questo fe-
nomeno. Ciò significa ridefinire il circuito della protezione, sia in chiave di
accoglienza, sia in relazione al sostegno a chi intraprende un progetto mi-
gratorio che migliori le condizioni di vita personali e delle proprie famiglie.
Il saggio di Bertozzi parte dal presupposto che alcune conoscenze utili
per la gestione delle pratiche di accoglienza dei MSNA siano state già ac-
quisite nel corso degli anni, mentre altre necessitano un potenziamento o
ripensamento, anche alla luce dei cambiamenti avvenuti. Il tema riguarda
dunque non solo la strutturazione del sistema, ma le competenze degli ope-
ratori che vi lavorano e la disponibilità di risorse e strumenti per rafforzare i
percorsi di inserimento e attuare nuove modalità di intervento. Gli spunti di
riflessione si riferiscono soprattutto alle misure per l’integrazione di questi
minori, quali i mediatori interculturali, i percorsi scolastici e lavorativi, le
reti relazionali, ambiti spesso poco considerati poiché successivi
all’immediata e pronta accoglienza, e generalmente ricondotti alle risorse e
alle offerte territoriali disponibili.

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Pavesi analizza una serie di servizi, progetti e iniziative messi in atto sul
territorio italiano in affiancamento o in sostituzione alla seconda accoglien-
za presso comunità alloggio di MSNA. Tali progetti sono stati selezionati a
partire dalla Banca Dati dell’Osservatorio Permanente sull’Accoglienza
della Fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità, Milano) sulla
base di alcuni criteri che consentono di qualificarli come pratiche innovati-
ve: l’utilizzo della logica di rete e dunque del coinvolgimento di diversi at-
tori pubblici e di privato sociale che mettono in comune risorse, competen-
ze, conoscenze per affrontare in maniera integrata la complessità dei biso-
gni dei MSNA in una prospettiva di welfare community; l’empowerment
degli utenti e delle comunità; la valorizzazione delle risorse dei singoli e
dei gruppi; la flessibilità degli interventi legata all’eterogeneità dell’utenza
e dunque alla necessità della personalizzazione dei progetti. In particolare,
vengono presentate alcune modalità di accoglienza “leggera”, come i grup-
pi-appartamento in semi autonomia come alternativa all’ospitalità in comu-
nità; l’affido familiare sia omoculturale che eteroculturale; iniziative inno-
vative di affiancamento all’accoglienza in comunità riguardanti
l’apprendimento della lingua italiana, il tempo libero, l’espressione di sé, la
rielaborazione dei vissuti, lo scambio intergenerazionale; le esperienze dei
tutori volontari che hanno anticipato la Legge Zampa; le iniziative di ac-
compagnamento all’autonomia in vista del raggiungimento della maggiore
età. Le pratiche presentate testimoniano la vivacità delle organizzazioni
pubbliche e di privato sociale nel trovare risposte innovative e sempre più
attente tanto ai destinatari quanto alle dimensioni di contesto.
Infine Finco e Jacoub cercano di presentare un profilo dei MSNA par-
tendo dall’esperienza etnoclinica maturata in Francia e in Italia lavorando
con loro, in particolare nel Centro Etnoclinico Fo.R.Me (Formazione, Ri-
cerca e Mediazione) della Cooperativa Impresa Sociale Ruah di Bergamo.
Da tempo l’equipe del Centro FO.R.Me accompagna persone migranti o
venute da lontano, richiedenti asilo e/o protezione internazionale, tra cui
sempre più spesso troviamo anche questi ragazzi minorenni.
La seconda parte denominata Prospettive degli attori nel territorio Pa-
dovana presenta i risultati della ricerca realizzata.
Di Masi e Defrancisci ci delineano il punto di vista delle Comunità di
Accoglienza fornendo una riflessione sulla interdipendenza tra i diversi li-
velli del sistema di accoglienza e sulla ambivalenza di alcune pratiche edu-
cative. In particolare, analizzando le pratiche nel microsistema, emergono
da una parte processi che cercano di promuovere percorsi di emancipazione
e dall’altra processi che, invece, rischiano di riprodurre meccanismi di in-
fantilizzazione del minore straniero.

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Segatto, Bonotto e Tria presentano l’esperienza di affido familiare, omo
ed etero culturale, di MSNA realizzato nel territorio padovano e, attraverso
la voce degli operatori e delle famiglie accoglienti, cercano di delineare gli
aspetti virtuosi e di criticità della applicazione di questo strumento di tutela
in un territorio ricco di risorse relazionali e di capacità innovativa.
Surian, Comini, Menini e Pietropolli, in merito agli aspetti di transizione
verso l’età adulta, rilevano gli scarti fra le priorità dei diversi attori e met-
tono in evidenza le multiple transizioni cui sono soggetti i minori. Risulta
evidente che, nella transizione verso l’autonomia maggiore attenzione an-
drebbe prestata alla dimensione socio-culturale ed, in particolare, al capitale
sociale dei MSNA nonché al modo in cui gli enti locali dovrebbero consi-
derare i minori in quanto soggetti con caratteristiche e problematiche pro-
prie.

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I. Dati, pratiche e sfide

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Le politiche di accoglienza e integrazione dei mino-
ri stranieri non accompagnati in Italia
di Monia Giovannetti e Marco Accorinti∗

1. Il fenomeno dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati

Negli ultimi dieci anni, la presenza dei minori soli negli spostamenti
umani, è divenuto un fattore comune delle migrazioni a livello mondiale. Il
loro numero è drammaticamente aumentato e costituiscono in molti paesi di
destinazione, un segmento importante della popolazione alla ricerca di pro-
tezione e asilo1.
I minori e i giovani “in movimento” sono diventati, nel panorama inter-
nazionale, i nuovi protagonisti dei processi legati agli spostamenti umani e
costituiscono, a partire da questo secolo, un vero e proprio soggetto migra-
torio (Jiménez e Vacchiano, 2011).
La migrazione di giovani, non ancora maggiorenni, che intraprendono il
viaggio da soli, si è manifestata nel panorama italiano durante gli anni No-
vanta, contestualmente all’intensificarsi dei movimenti migratori globali. Il
profilo tracciato dall’analisi delle storie di vita di minori stranieri non ac-
compagnati (di seguito anche MSNA) raccolte nell’ambito di alcune ricer-
che qualitative2 volte a esplorare e analizzare le spinte motivazionali, il


Il presente articolo curato da Monia Giovannetti, secondo la consolidata prassi edito-
riale, può essere così attribuito: Monia Giovannetti ha redatto i paragrafi 2 e 3, Marco Acco-
rinti il paragrafo 4, mentre il paragrafo 1 è frutto di un lavoro congiunto degli Autori.
1 L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima che circa la metà delle

persone rifugiate al mondo sono minorenni e in particolare i minori soli rappresentano da un


minimo del 4% a un massimo del 15% della popolazione richiedente asilo nei paesi di desti-
nazione. In particolare nel 2015 le domande di protezione internazionale presentate in 78
Paesi sono state 98.400 (in particolare da minorenni afghani, eritrei, siriani e somali) mentre
risultavano 34.300 nel 2014 e 25.300 nel 2013. Si veda: UNHCR (2002, 2012, 2014, 2015,
2016); Mougne (2010); Troeller (2010); Boland (2010).
2 Si permetta di rinviare alle ricerche qualitative condotte da Giovannetti (2000, 2002,

2007); Campani, Lapov e Carchedi (2002); Campani e Salimbeni (2006); Candia, Carchedi,
Giannotta e Tarzia (2009); Bosisio (2011); Vacchiano (2012). Per uno sguardo più letterario

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percorso e l’evoluzione migratoria dei minori, ritrae adolescenti e giovanis-
simi perlopiù di sesso maschile provenienti specialmente dall’Albania, Ma-
rocco, Afghanistan, Bangladesh, Egitto, Tunisia, Eritrea, Gambia, che
giungono nel nostro Paese, da soli, spinti dalla speranza di trovare un lavo-
ro e un futuro migliore.
Le motivazioni sono frammentate e rappresentano, in un quadro corale,
un riassunto delle più antiche e delle più moderne aspirazioni migratorie
(Melossi e Giovannetti, 2002): dalla fuga dalla guerra, alla ricerca di nuove
opportunità lavorative, fino all’inquietudine generazionale che spinge verso
la sperimentazione di nuovi modelli di vita. Senza trascurare, infine, il ruo-
lo dei comportamenti e l’importanza della filiera migratoria, ovvero per se-
guire l’esempio di amici o parenti che prima di loro avevano abbandonato il
paese. A queste motivazioni, si connette la “costruzione sociale” dell’Italia
nell’immaginario dei minori in base a diverse fonti di conoscenza spesso
combinate tra loro: da quelle più ricorrenti di natura parentale o amicale a
quelle “mediatiche o esemplari”3.
Nel presente testo, non si riprende il quadro descrittivo analitico, ma si
affronta un tema specifico, strettamente collegato però con l’incremento
demografico del fenomeno: si tratta del sistema di accoglienza e soprattutto
del cambiamento che ha avuto a seguito proprio dell’incremento numerico
del fenomeno e della sua trasformazione in termini di paesi di provenienza
e finalità dei progetti migratori.
Per anticipare alcune conclusioni, il “sistema” di accoglienza si caratte-
rizza per una serie di elementi. Anzitutto per una mancata realizzazione
della “filiera dell’accoglienza” definita dal d.lgs. 142/2015 non essendo sta-
ti ancora attivati i centri governativi di prima ospitalità. Secondo aspetto,
l’assenza di percorsi omogenei e chiari a livello nazionale, di fatto, riprodu-
ce una governance non condivisa del fenomeno a livello territoriale. Stret-
tamente collegato a questo punto, la forte eterogeneità territoriale dei mo-
delli di accoglienza rivolti ai MSNA vede da una parte un collaudato iter
d’intervento comune con l’accoglienza alloggiativa come principale misura
di tutela e protezione del minore, dall’altra parte però non segue conte-
stualmente l’attivazione di misure volte a favorire l’integrazione, in partico-
lare attraverso la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro. Infine,

ma altrettanto significativo per comprendere la situazione dei minori stranieri in movimento:


Shiri e Abbate (2007); Affinati (2008); Geda (2010); Mismetti Capua (2011).
3 In quest’ultimo caso si intendono gli immigrati che fungono da testimonial, ovvero che

attraverso i loro comportamenti in occasione dei rientri nei Pesi di origine, costituiscono
l’immagine dell’immigrato che in Italia ha saputo sfruttare le opportunità offerte e agire fa-
vorevolmente per un innalzamento della propria qualità della vita.

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un aspetto della situazione attuale dell’accoglienza dei MSNA è rappresen-
tato dalla diffusa “cultura dell’emergenza” (o della “straordinarietà”) che si
continua a mostrare come modo unico per affrontare una condizione strut-
turale delle migrazioni nel Paese.
Nei paragrafi seguenti si argomenterà come la mancata realizzazione del
percorso di accoglienza abbia creato nel Paese frammentazione e confusio-
ne nella gestione del fenomeno dei MSNA e rischia di avere un impatto non
positivo sui sistemi e sulle logiche del welfare a livello locale.

2. La presenza dei minori stranieri non accompagnati, l’impatto sul si-


stema di accoglienza e il ruolo degli Enti locali

I flussi migratori contemporanei si caratterizzano come processi com-


plessi e in continua evoluzione, sui quali incidono i grandi fenomeni strut-
turali (dai fattori espulsivi presenti nei paesi di origine, povertà, guerra,
persecuzione politica, sovrappopolamento, ecc., a quelli attrattivi presenti
nei paesi di arrivo: presenza di comunità di connazionali, domanda di ma-
nodopera ecc.), così come le scelte individuali intrecciate a quelle familiari
e amicali (Ambrosini, 2006). Questa complessità rende estremamente diffi-
cili i tentativi di governo e di gestione del fenomeno da parte delle istitu-
zioni dei paesi di arrivo e rende sempre più rilevante il ruolo dei governi
locali, chiamati non più solo a gestire problemi di accoglienza sul territorio
(Caponio, 2004), ma a intervenire direttamente sui fenomeni e sulle conse-
guenze dei “flussi non programmati”, ovvero la presenza non programmata
né prevedibile di migranti, non rientranti nelle quote di ingresso annuali,
ma che dovrebbero avere accesso secondo il diritto a una condizione di
soggiorno regolare4.
In Italia, la centralità del governo locale nell’ambito delle politiche mi-
gratorie e in particolare nella gestione dell’accoglienza e dell’integrazione
sociale sul territorio di segmenti particolarmente vulnerabili (profughi, mi-

4 Sono flussi migratori particolari che si situano in una zona d’ombra dei dispositivi le-
gislativi, a metà strada tra l’ingresso illegale e il soggiorno legale “successivo”, in virtù di
condizioni di protezione assicurate dal diritto internazionale e nazionale. Nello specifico si
tratta “di flussi che presentano tre caratteristiche particolari, e cioè: a) sono composti da
soggetti entrati illegalmente ma non espellibili, in quanto rientrano in una serie di categorie
tutelate dal diritto nazionale e internazionale, come i richiedenti asilo, i minori e le vittime
della tratta; b) non hanno uno sbocco immediato sul mercato del lavoro e quindi sono flussi
non immediatamente produttivi sul piano economico; c) infine, sono flussi migratori che
presentano un costo particolarmente elevato per il sistema di welfare locale, il quale è chia-
mato a farsi carico dell’assistenza di soggetti particolarmente vulnerabili” (Caponio, 2004).

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nori non accompagnati e vittime di tratta), è andata aumentando di pari pas-
so con i processi di decentramento, ovvero con le riforme istituzionali e
amministrative che, nel corso degli anni Novanta, hanno assegnato ai Co-
muni un’autonomia sempre maggiore anche nell’ambito delle politiche dei
servizi5. Un impegno e un lavoro che necessariamente si confronta quoti-
dianamente con fenomeni sociali articolati e densi di problematicità legate,
da un lato, ai progetti migratori quasi sempre fragili e precari, dall’altro lato
alle dinamiche e alle effettive opportunità di inserimento nel contesto locale
(Chiodini e Milano, 2010).
Per i Comuni, in qualità di soggetti deputati all’accoglienza del minore e
all’attivazione della rete dei servizi sociali, il tema dei giovani stranieri non
accompagnati è divenuto centrale. La questione dell’accoglienza e della
protezione dei minori stranieri soli si è imposta per il forte impatto sul si-
stema del welfare locale, condizionandone gli aspetti organizzativi e pro-
fessionali e segnando di fatto la storia stessa dei servizi socio-educativi ri-
volti ai minori. La legge 328 del 2000 stabilisce, infatti, che siano gli Enti
locali a fornire piena assistenza a tutti i minori, e quindi anche ai minori
stranieri non accompagnati, ai quali si applicano, per analogia, le norme
generalmente destinate alla protezione dei minori in difficoltà (in stato di
abbandono, allontanati dalle famiglie, vittime di abuso)6. I Comuni si sono
ritrovati, in questi ultimi 15 anni, a gestire una realtà complessa e dirom-
pente, che ha richiesto grossi investimenti in termini di risorse (dal punto di
vista economiche, sociali e operative) e li ha costretti a ripensare il proprio
sistema di welfare in maniera da rispondere al bisogno dei minori soli
(Giovannetti, 2008b; Belotti, 2010; Commissione di indagine

5 Si vedano in particolare la legge n. 142/1990 e la legge n. 59/1997. “Nel settore speci-


fico delle politiche sociali, questo processo ha trovato compimento nella legge n. 328/2000,
“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
L’obiettivo di creare un sistema di servizi “a rete”, si concretizza di fatto nell’affermazione
di principi di sussidiarietà verticale – attraverso l’assegnazione ai Comuni di funzioni di
programmazione e realizzazione dei servizi sul territorio in accordo con le altre istituzioni
interessate (ASL, Regioni ecc.) – ma anche orizzontale, attraverso il riconoscimento delle
funzioni svolte dalle associazioni del terzo settore e la loro integrazione in un sistema il più
possibile coerente e coordinato sul territorio” (Caponio, 2004, p.13). Seppure nelle difficoltà
applicative e nelle difformità regionali, la normativa sui servizi sociali locali delinea un mo-
dello di governance che riconosce ai livelli di governo sub-nazionali, più vicini ai problemi
sul territorio, un ruolo centrale nell’ambito delle politiche di welfare e di accesso ai diritti
sociali determinando una redistribuzione dei compiti normativi e attuativi tra i vari livelli
istituzionali (Gargiulo, 2008).
6 Legge 8 novembre 2000, n. 328, “Legge quadro per la realizzazione del sistema inte-

grato di interventi e servizi sociali” è la legge per l’assistenza, finalizzata a promuovere in-
terventi sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscano un aiuto concreto alle persone e
alle famiglie in difficoltà.

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sull’esclusione sociale, 2011; Accorinti, 2013, 2014; Giovannetti e Pacini,
2014).
Da una parte, la complessità della condizione dei minori stranieri non
accompagnati è determinata dal loro status, che li situa all’incrocio di ap-
partenenze giuridiche multiple: il loro essere minori, stranieri, richiedenti
asilo, vittime di tratta, rende articolato e problematico il rapporto e la rela-
zione fra i diversi rami del diritto. Ne sono esempio pratico le difficoltà che
si incontrano per un’efficace protezione e presa in carico che richiede
l’intervento coordinato e la collaborazione tra i molteplici attori (in campo
giuridico, amministrativo e sociale) che partecipano al percorso
d’integrazione del minore (Giovannetti, 2008a). Dall’altra, un quadro nor-
mativo ove, nonostante la presenza di misure altamente tutelanti per i mino-
ri (sia italiani sia stranieri), la coesistenza di molteplici disposizioni, disor-
ganiche e in parte contrastanti tra loro, ha reso particolarmente difficoltosa
l’operatività dato il contesto di riferimento così complicato e ambiguo7.
A tutto questo, si aggiungono le difficoltà legate alla non prevedibilità
dei flussi e conseguentemente dell’onere economico destinato ai percorsi di
accoglienza dei minori: una spesa evidentemente non pianificabile, poiché
legata alle dimensioni e alle dinamiche del flusso migratorio dei minori
stranieri medesimi, alle modalità di ingresso in Italia e ai loro successivi
movimenti all’interno del nostro Paese. In particolare, maggiormente inve-
stite dalla presenza dei minori stranieri risultano essere le aree di ingresso
situate ai confini terrestri e marittimi così come le medie e grandi città, che
spesso costituiscono la tappa immediatamente successiva del percorso dei
minori dopo il loro arrivo in Italia. In ciascuna di queste zone il fenomeno
assume caratteristiche specifiche in relazione ai Paesi d’origine e alle mo-
dalità di ingresso dei giovani, oltre a essere naturalmente soggetto alla con-
tinua evoluzione dei contesti di partenza, di transito e di arrivo in cui si de-
terminano i flussi migratori in generale.
I Comuni italiani, in particolare sino a qualche anno fa, sono stati co-
stretti ad affrontare da soli le problematiche relative alla gestione e presa in
carico dei minori stranieri non accompagnati. In particolare si sono fatti ca-
rico dell’assenza di procedure standardizzate a livello nazionale, della
mancanza di un adeguato raccordo interistituzionale, dell’assenza di qual-

7 Per una disamina delle controversie questioni normative e giurisprudenziali che hanno
determinato una “condizione giuridica a geometria variabile” dei minori stranieri non ac-
compagnati si rimanda a Turri (1999); Miazzi (1999, 2002, 2006, 2008a, 2008b, 2009);
Moyersoen e Tarzia (2002); Tarzia (2008); Perin (2008); Miazzi e Perin (2009); Consoli,
Giovannetti e Zorzella (2010 e 2011); Biondi Dal Monte (2013); Anzaldi e Guarnieri
(2014); Matarese (2014); Biondi Dal Monte (2014).

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siasi sostegno dal Governo centrale all’elaborazione e implementazione
delle politiche, e della mancanza di strumenti e risorse sufficienti, per po-
ter seguire adeguatamente la gestione dei singoli casi (dal primo contatto
fino alla decisione in merito al rimpatrio assistito o all’integrazione). Ogni
realtà territoriale ha sviluppato prassi diversificate nella gestione diretta dei
minori stranieri non accompagnati e sofferto per la difficoltà nei rapporti,
in termini di rapidità, efficienza e concertazione, con i vari soggetti coin-
volti nel percorso di protezione e tutela del minore (Comitato minori stra-
nieri, questure, prefetture, tribunali per i minori, giudici tutelari ecc.).

3. La protezione e tutela dei minori stranieri non accompagnati: dalla


governance condivisa alla configurazione di un sistema di accoglienza e
integrazione a livello nazionale

In Italia il 2014 si è caratterizzato non solo per l’arrivo di oltre 170.000


migranti via mare, ma anche per una serie di interventi a carattere istituzio-
nale volti a ridefinire il sistema di accoglienza che ha riguardato anche i
minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale. Con
il Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini ex-
tracomunitari adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati appro-
vato in Conferenza Unificata il 10 luglio 2014 si è inaugurato un nuovo ap-
proccio per l’accoglienza dei MSNA, attribuendo al Ministero dell’Interno
la responsabilità dell’organizzazione della loro accoglienza, superando il
precedente regime che distingueva i minori non accompagnati richiedenti
asilo dai non richiedenti asilo. In particolare, con l’Intesa sancita in Confe-
renza Unificata, si è ribadita la necessità di ricondurre a una governance di
sistema la presa in carico dei MSNA, impegnando il Ministero dell’Interno
ad aumentare la capienza dei posti nel Sistema di protezione per richiedenti
asilo e rifugiati (SPRAR)8, per garantire l’accoglienza di tutti i minori, ri-
chiedenti asilo e non9 e a predisporre procedure finalizzate all’immediata
accoglienza degli stessi.

8 Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è stato istituito dalla

legge n. 189/2002 ed è costituito dalla rete degli Enti locali che – per la realizzazione di pro-
getti di accoglienza di migranti forzati – accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al
Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, gestito dal Ministero dell’Interno e
previsto nella manovra di finanza pubblica dello Stato.
9 Con la Circolare del 25 luglio 2014, avente in oggetto i “Minori Stranieri Non Accom-

pagnati”, si sono definiti i costi e le procedure finalizzate all’immediata accoglienza degli


stessi. La circolare ha previsto che “il Ministero dell’Interno coordini la costituzione di strut-
ture temporanee per l’accoglienza, individuate e autorizzate dalle Regioni, di concerto con le

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Il Piano nazionale prevedeva l’accoglienza dei MSNA in due fasi:

1. Primissima accoglienza - attivazione di strutture governative ad alta


specializzazione con funzioni di identificazione, di eventuale accer-
tamento dell’età e dello status, anche al fine di accelerare l’eventuale
ricongiungimento con parenti presenti anche in altri Paesi dell’UE,
individuate e autorizzate dalle Regioni con il coordinamento del Mi-
nistero dell’Interno;
2. Secondo livello di accoglienza di tutti i MSNA nell’ambito dello
SPRAR, adeguatamente potenziato e finanziato.

In sostanza questo sistema, successivamente confermato dal d.lgs.


142/201510 e più recentemente dalla legge specifica sui minori stranieri so-
li, n. 47/2017, attribuisce e rafforza il ruolo del Ministero dell’Interno nella
governance dei MSNA. Così come articola e specifica il nuovo assetto
dell’accoglienza destinato ai minori soli prevedendo l’attivazione di struttu-
re governative dislocate sul territorio e deputate all’accoglienza di brevis-
sima durata per la fase di primo rintraccio (con funzioni di identificazione,
eventuale accertamento dell’età e dello status), e attraverso la pianificazio-
ne dell’accoglienza successiva con un adeguato potenziamento dei posti
della rete SPRAR, nell’ambito degli specifici progetti territoriali. Pertanto,
dopo il periodo di primissima accoglienza trascorso nelle strutture governa-
tive appositamente predisposte, in applicazione di quanto sancito dall’art.
183 della legge 190/2014, lo SPRAR si configura progressivamente come il
sistema nazionale di accoglienza per tutti i MSNA, coerentemente con
l’approccio e la qualità dei servizi che lo SPRAR è in grado di poter garan-
tire in maniera uniforme e omogenea a livello nazionale11.

Prefetture e gli Enti Locali, e al contempo si impegni ad aumentare in maniera congrua la


capienza di posti nella rete SPRAR specificamente dedicati all’accoglienza di tutti i minori
stranieri non accompagnati (non solo richiedenti asilo), sulla base di procedure accelerate, in
attesa di emanazione di specifico bando”; e inoltre che “nel rispetto della normativa vigente
in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture di accoglienza per minori, le
Regioni e le Province Autonome nella propria autonomia potranno adottare misure finaliz-
zate ad aumentare fino al 25% le potenzialità di accoglienza delle strutture autorizzate o ac-
creditate nel territorio di competenza, come avvenuto durante l’emergenza Nord Africa”.
10 Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei ri-

chiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE e procedure comuni


ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
11 A livello territoriale, gli Enti locali in collaborazione con le realtà del Terzo settore,

garantiscono interventi di “accoglienza integrata” che oltre al vitto e alloggio, prevedendo in


modo complementare anche misure di orientamento e accompagnamento legale e sociale,
nonché la costruzione di percorsi individuali di inclusione e di inserimento socioeconomico.
Obiettivo principale dello SPRAR è la presa in carico della singola persona accolta, in fun-

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Attualmente, seppure il sistema di accoglienza sia oramai stato delineato
(sia nell’Intesa del 2014 sia nel d.lgs. 142 del 2015), il percorso di acco-
glienza risulta ancora non strutturato e definito. Il sistema dispone di circa
1.000 posti di prima accoglienza (che sono afferenti ai centri finanziati con
risorse FAMI) e poco più di 2.000 posti in seconda accoglienza nell’ambito
della rete SPRAR12. Numeri che, con ogni evidenza, non permettono di af-
frontare il fenomeno nel quadro strategico che il Paese si è dato, costrin-
gendo al contrario tutti gli attori coinvolti ad attivare soluzioni emergenziali
non tutelanti e disomogenee, oltre che inefficienti dal punto di vista eco-
nomico.
Tale situazione che si sta prolungando da tempo, non solo non permette
di affrontare in maniera strategica il fenomeno, ma fa sì che si sovrappon-
gano situazioni di tipo emergenziale che producono un impatto sul sistema
così come si era andato configurando fino al 2014. In particolare, infatti, si
deve considerare che la maggior parte dei minori, secondo i dati ANCI13, è
ancora oggi accolta nelle strutture convenzionate con gli Enti locali anziché
nelle strutture governative e/o nei Centri SPRAR, e che tali variegati tipi di
accoglienza fanno sì che la presa in carico dei minori non accompagnati in
Italia si caratterizza per la forte eterogeneità delle politiche sociali e socio-
educative, per l’assenza di un unico modello sociale di riferimento e per la
ricaduta differenziata a livello locale del fenomeno stesso. A livello locale,
dal punto di vista delle politiche sociali si confermano modelli d’intervento
eterogenei, anche se appare più uniforme l’iter d’intervento, che vede
nell’immediato “ricovero” e nella richiesta di nomina del tutore i principali
strumenti di protezione e tutela, cui fanno seguito le segnalazioni alle auto-
rità competenti, la richiesta del permesso di soggiorno, l’accertamento
dell’età e l’attivazione di un contatto con la famiglia di origine. La difficol-
tà a individuare un modello unico d’intervento sta nella forte dinamicità e
nell’evoluzione continua del fenomeno, così come nelle modalità differen-
ziate di presa in carico strutturatasi a livello locale, viepiù condizionate dal

zione dell’attivazione di un percorso individualizzato di (ri)conquista della propria autono-


mia, per un’effettiva partecipazione al territorio italiano, in termini di integrazione lavorati-
va e abitativa, di accesso ai servizi del territorio, di socializzazione, di inserimento scolastico
dei minori.
12 A seguito dell’adozione del recente decreto (del 10/08/2016 pubblicato in GU il

27/08/2016) relativo alle nuove modalità di accesso da parte degli Enti locali alla rete dei
progetti per i servizi di accoglienza dello SPRAR con il quale è stato introdotto un sistema
d’accesso permanente, il sistema di seconda accoglienza dedicato ai MSNA risulta necessa-
riamente in continua evoluzione, dal momento in cui anche i progetti e conseguentemente i
posti destinati ai minori soli sono destinati a incrementare e a ridefinirsi nel corso del tempo.
13 Tra gli altri si può vedere Giovannetti, 2014 e Giovannetti, 2016.

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rapporto e dall’interazione dei soggetti coinvolti nella presa in carico del
minore, piuttosto che determinate da protocolli e indirizzi condivisi.

4. Le politiche sociali per i MSNA: le decisioni governative e gli effetti


sui sistemi locali di assistenza

Come è stato già detto negli ultimi tempi, non solo in Italia, il tema dei
“minori soli” è stato posto al centro dell’agenda politica e anche dell’azione
pubblica: sicuramente la dimensione quantitativa del fenomeno ha portato a
decisioni “straordinarie” e a una riflessione sulle cause ma soprattutto sulle
politiche e sulle pratiche di inclusione messe in campo. Tuttavia sembra
che si possa dire che molto poco sia stato analizzato relativamente
all’impatto che tali scelte hanno avuto (e stanno avendo) sul sistema del
welfare a livello locale né sembra che si siano considerati gli effetti che le
decisioni governative pongano in termini di correttivi alle misure intraprese.
Nei paragrafi precedenti già si è detto che dalla mancata attuazione della
“filiera accoglienza” si stanno originando criticità nelle politiche sociali de-
dicate ai minori soprattutto dal punto di vista dell’intervento sociale. In
questa parte si vuole esplicitare non tanto l’impatto che la sostanziale “ride-
finizione” del sistema di accoglienza abbia sulle modalità di tutela, assi-
stenza e presa in carico previste dal nostro ordinamento per i MSNA, piut-
tosto si cercherà di evidenziare alcuni elementi collegati all’approccio di
governance e all’organizzazione dell’assistenza ai MSNA conseguenti alle
decisioni prese e non ancora implementate.
Anzitutto con il superamento del precedente regime che distingueva i
minori non accompagnati richiedenti asilo dai non richiedenti asilo e la pre-
figurazione di un sistema per fasi di accoglienza, recepito e puntualmente
delineato nel Decreto Legislativo 18 agosto 2015, n. 142, allo stato attuale
non sembra che sia implementato il percorso specifico (di prima e seconda
accoglienza) con il risultato che si considerano in stesse progettualità, biso-
gni e condizioni sociali peculiari (legati a percorsi migratori, progetti, viag-
gi, aspettative, legami, vissuti).
La non realizzazione di quanto previsto dal succitato Decreto del 2015 e
l’assenza del “sistema nazionale di accoglienza”, porta a risposte non ade-
guate e confusive. La parcellizzazione degli interventi ha avuto, inoltre,
come conseguenza una moltiplicazione e polverizzazione degli attori istitu-
zionali (e non) deputati alla presa in carico dei MSNA, non assicurando pe-
rò, contestualmente, un coordinamento tra gli stessi.

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Le strutture organizzative ministeriali si sono modificate ma soprattutto
i vari Governi hanno cercato di affrontare il fenomeno dapprima assimilan-
dolo a quello dei minori non accompagnati richiedenti asilo e poi creando
una specifica Struttura di missione presso il Ministero dell’Interno (che ha
attivato una ventina di Centri governativi finanziati con fondi europei), fa-
cendo “transitare” alcune competenze proprie delle politiche sociali dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al Viminale. Attualmente pe-
rò il quadro si è ulteriormente complicato con l’inserimento delle Prefettu-
re, le quali sono state chiamate ad aprire strutture specifiche di carattere
“straordinario” (i cosiddetti “CAS minori”, peraltro anch’essi dipendenti
dal Ministero dell’Interno).
Se da una parte rimane chiaro l’impegno dello Stato sia a non espellere
MSNA sia anche a imporre ai pubblici ufficiali, agli incaricati di pubblico
servizio e agli enti che prevalentemente svolgono attività sanitarie o di assi-
stenza, che vengono a conoscenza dell’ingresso o della presenza sul territo-
rio di un MSNA, di attivarsi per l’immediata presa in carico dei servizi e in
particolare dell’accoglienza specifica per i MSNA, dall’altra parte il quadro
normativo recente, le scelte che hanno portato a politiche settorializzate (tra
cui la promulgazione di una specifica legge sui MSNA) e la logica sempre
più legata alla cultura dell’emergenza (che “impone” alle Prefetture
l’apertura di CAS minori), sembrano rispondere a una visione della dimen-
sione organizzativa che considera “lo straniero” piuttosto che “il minore”.
Si tratta di un passaggio importante dal punto di vista della cultura di inter-
vento sociale, sul quale si possono sicuramente avere posizioni differenti,
ma che sembra dimenticare il percorso che ha caratterizzato molte battaglie
del Servizio sociale attraverso le quali ci si è allontanati dalle strutture di
grandi dimensioni e istituzionalizzanti e da progetti di assistenza opachi e
generalisti per una presa in carico individualizzata e completa.
Far assumere il ruolo di supplenti della prima accoglienza a Centri pen-
sati come “straordinari” e quindi strutturalmente temporanei, fa sì che si
improvvisano progettualità e servizi, a scapito dell’accompagnamento nel
personale iter procedurale di tutela e di inserimento.
Considerando, infatti, i tre principali tipi di Centri (quelli governativi di
prima accoglienza, i CAS minori e le strutture SPRAR gestite insieme ai
Comuni), ognuno ha requisiti strutturali differenti e offre servizi solo in
parte analoghi a ragazzi con caratteristiche e bisogni simili. Inoltre tutta la
rete dei Centri di accoglienza che gli Enti locali hanno gestito da tempo, se-
condo regole e sistemi di accreditamento a carattere regionale/territoriale, si
sta sempre più caratterizzando per un continuo processo di trasformazione
che risponde a disposizioni “straordinarie” (basate su modelli di rendicon-

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tazione di dati fisici ed economico-finanziari) piuttosto che al locale ap-
proccio socio-educativo costruito sull’esperienza pedagogico-didattica e
codificato nel tempo dagli operatori del settore. Così come le differenziate
forme di invio/collocamento in comunità dei MSNA sono un altro indicato-
re dell’assenza di una gestione concordata e condivisa: da una parte infatti
la Struttura di missione (istituita presso il Ministero dell’Interno che si oc-
cupa del Centri FAMI), da altra parte le Prefetture (che si occupano dei
CAS minori e rispondono al Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione
del Ministero dell’Interno) e da altra parte ancora i collocamenti nei territo-
ri prevalentemente interessati dagli sbarchi. Tali differenti sistemi (non solo
procedurali) hanno determinato sul territorio nazionale situazioni estrema-
mente variegate e talvolta per nulla coordinate.
La disponibilità complessiva di posti sia nella primissima accoglienza
sia nello SPRAR sembra essere non commisurata all’entità degli arrivi, che
si sommano ai MSNA già presenti sul territorio. Risulta purtroppo ancora
frequente il collocamento immediato da parte delle Prefetture o dei Comuni
dei luoghi di sbarco, al di fuori dei circuiti istituzionali. A tal proposito è
necessario segnalare che negli ultimi mesi molti MSNA giunti via mare so-
no stati trattenuti per molto tempo nei Centri di primo soccorso e acco-
glienza di Lampedusa, Pozzallo e Taranto (oggi trasformati in Hotspot), in
attesa di essere trasferiti in strutture per loro dedicate. Così come, molto
spesso, viene segnalata la presenza di MSNA all’interno dei CAS per adul-
ti, con il rischio di ritardare gli interventi di tutela e protezione, soprattutto
quando tali strutture sono collocate nel territorio di piccoli Comuni, le cui
capacità di intervento non sono commisurate alla complessità delle situa-
zioni su cui sono chiamati a intervenire (in particolare quando si tratta di un
numero elevato di minori inseriti in strutture inadatte, senza il coinvolgi-
mento del Sindaco sul quale ricade ex lege tutta la responsabilità della tute-
la e protezione dei minori soli).
Inoltre, circa i servizi erogati dai cosiddetti CAS minori, nella loro
“straordinarietà”, seppure debbano corrispondere a quanto previsto dal De-
creto del settembre 2016, tuttavia alla data di chiusura del presente lavoro
risulta essere ancora in via di definizione un primo modello di capitolato da
indicare alle Prefetture e quindi l’assenza di uno standard minino di presta-
zioni garantite. Peraltro, anche considerando la similitudine con i Centri
FAMI, essi hanno servizi per strutture di 30 posti e non di 50 come sono
quelle dei CAS minori. I Centri FAMI inoltre sono stati pensati per la per-
manenza del minore per un tempo definito, che invece, sovente, viene supe-
rato. Situazione analoga per i CAS minori, i quali molto spesso si caratte-
rizzano per essere sia “prima” sia “seconda” accoglienza, senza soluzione

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di continuità, fino al raggiungimento dell’età adulta del MSNA. Ciò accade
anche perché le strutture SPRAR non riescono ad assorbire la richiesta (in
quanto, molto spesso, debbono supplire alla mancanza di posti destinati alla
prima accoglienza) soprattutto nei contesti locali là dove il minore risulta
già inserito.
Inoltre, dalle ricerche di campo, emerge che i tipi di accoglienza propo-
sti non garantiscono la rispondenza ai bisogni dei ragazzi ed essi stessi lo
mostrano allontanandosi dalle strutture nelle quali vengono accompagnati. I
minorenni definiti “irreperibili” sono coloro che sfuggono di propria inizia-
tiva alla presa in carico da parte dello Stato e per i quali si perde
l’opportunità di procedere nel percorso di integrazione e di regolarizzazio-
ne, una volta giunti alla maggiore età.
Per molti aspetti quindi la definizione di un percorso individuale di ac-
coglienza alloggiativa in una struttura, l’accompagnamento nel “gruppo di
pari”, il sostegno dei Servizi sociali e della rete locale, diventano una vera
forma di “riduzione del danno” e di orientamento pedagogico-educativo per
il MSNA.
Tutte le situazioni e le esperienze che succedono una volta arrivati in
Italia, modellano l’immediato benessere del MSNA così come il suo vissu-
to permanente, che solo un attento e continuativo intervento socio-
educativo è in grado di sostenere. La mancata creazione di risposte diffe-
renziate ai bisogni dei MSNA, alternative all’unica risposta programmata
che è quella dell’inserimento in una struttura, fanno togliere l’attenzione
anche degli Enti più esperti a soluzioni di carattere innovativo e sperimen-
tale e/o alla ricerca di percorsi di vita differenti.
Il confronto europeo sta recentemente stimolando anche la ricerca di
pratiche di intervento che valorizzino ad esempio forme di “affidamento
omoculturale” (ovvero alla rete di connazionali presenti in Italia), o misure
di prevenzione della fuga dalle strutture di accoglienza, la mediazione cul-
turale, la peer education, il rimpatrio assistito, ma anche la formazione del-
le Forze dell’Ordine alle frontiere soprattutto in relazione alla identificazio-
ne delle vittime di traffiking. Si tratta certamente di soluzioni che, seppur
praticate in alcuni contesti, hanno già presentato difficoltà e potenzialità, e
potrebbero cambiare la rotta dell’omogenizzazione imposta che sta comun-
que esprimendo problemi nel coordinamento sia dei differenti tipi di strut-
ture, sia nell’offerta dei servizi erogati, sia nella garanzia dei tempi di pri-
missima accoglienza e di accertamento dell’età.
Sarebbe necessario avviare una riflessione che coinvolga il sistema delle
Regioni, degli Enti locali e del Terzo settore, finalizzato da un lato a man-
tenere con fermezza la presa in carico dei MSNA nell’alveo dei servizi uni-

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versalistici di welfare locale e, dall’altro, a individuare l’opportunità e i
vincoli riferiti all’attivazione di modalità di accoglienza idonee ai bisogni
di cui è portatrice questa specifica fascia di utenza, attraverso anche la valo-
rizzazione di interventi personalizzati che sappiano tenere conto anche delle
vulnerabilità ulteriori (ad esempio il disagio psichico, lo sfruttamento e la
tratta).
Avvalendosi delle opportunità offerte dall’applicazione di quanto dispo-
sto dall’articolo 9 della legge 47 del 2017 si deve sottolineare la necessità
di disporre di un sistema informativo che, a partire dall’identificazione ef-
fettuata durante il periodo di prima accoglienza, renda il minore univoca-
mente riconoscibile e tracciabile e, a sua tutela, ne segua gli spostamenti
fornendo al Comune che lo prende in carico, informazioni esaustive, anche
riferite ai percorsi di accoglienza di cui lo stesso abbia usufruito. Ciò anche
allo scopo di dare continuità agli interventi messi in atto a suo favore e per
rafforzare le attività connesse alle prerogative dei Servizi sociali dei Comu-
ni nella definizione dei progetti individualizzati finalizzati all’inclusione di
ogni singolo minore.
Così come, infine, si ritiene di fondamentale importanza garantire la
tempestiva nomina del tutore per ogni minore privo di rappresentanza lega-
le presente sul territorio e armonizzare a livello nazionale le modalità di in-
tervento dei Giudici Tutelari. La presenza effettiva di un tutore, oltre a es-
sere indispensabile per l’avvio delle procedure utili a inserire il minore nel
percorso amministrativo più idoneo, rappresenta anche una garanzia, posto
il suo ruolo di vigilanza in riferimento all’efficacia delle azioni che gli ope-
ratori della struttura in cui il minore è inserito sono chiamati a svolgere14.

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14
Purtroppo l’immediata apertura della tutela e la conseguente tempestiva nomina del
tutore non avviene sui territori in modo uniforme e rimane ancora una criticità sulla quale
intervenire. Dall’ultima rilevazione Anci, risulta infatti che i minori accolti in seconda acco-
glienza per i quali vi è stata l’apertura della tutela costituiscono circa l’84% dell’universo
degli accolti e nella maggioranza dei casi è stato nominato quale tutore definitivo del minore
un soggetto istituzionale, rappresentante un ente di assistenza.

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La migrazione dei minori non accompagnati tra co-
raggio e riti di passaggio da un lato e fragilità del-
la protezione dall’altro∗
di Violeta Quiroga, Eveline Chagas e Càndid Palacín

1. Introduzione

La migrazione di giovani minorenni, soli e privi di referenti familiari,


non è un evento limitato allo Stato spagnolo ma è omologo a quanto avvie-
ne in altri luoghi geografici e in altri paesi europei (Francia, Italia o Inghil-
terra), oppure negli Stati Uniti o in Argentina, dove la presenza di una fron-
tiera mette in tensione la separazione tra paesi poveri e paesi ricchi (Quiro-
ga, 2003; Alonso e Armengol, 2005; Bastia, 2005; Senovilla, 2007; Institu-
te of Justice, 2008).
La migrazione dei minori non accompagnati (MNA) si inserisce nel pa-
norama delle migrazioni internazionali, in un contesto politico, economico
e sociale caratterizzato, dalla fine degli anni Ottanta, da una crescente presa
di coscienza della protezione dei diritti dell’infanzia da parte della comuni-
tà internazionale1, da una profonda trasformazione dei movimenti migrato-
ri2 come conseguenza della globalizzazione e, infine, da una maggiore flui-


La ricerca sui minori stranieri non accompagnati, condotta dagli autori che firmano
questo capitolo, è stata svolta nell’ambito del progetto europeo ProspecTsaso - Réseau
Transfrontalier de Prospective et d’Innovation en Intervention Sociale et SocioSanitaire,
coordinato dall’Università di Parpinyà Via Domitia (UPVD), con il sostegno dell’Unione
Europea attraverso il Fondo europeo di sviluppo economico regionale (FEDER) e in cui
l’Università di Barcellona partecipa come partner. Inoltre, uno degli autori è un ricercatore
post-dottorato in formazione nell’insegnamento e nella ricerca presso la Scuola di Servizio
Sociale nell’ambito di un programma promosso dall’Università di Barcellona grazie al sup-
porto della Obra Social della Fundación Bancaria La Caixa.
1 Esempio superlativo di questa tendenza è la Convenzione sui diritti dell’infanzia del

1989 approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNICEF, 1989), che
all’articolo 1 definisce come fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto
anni.
2 Aumento del volume dei migranti, estensione delle reti migratorie e diversificazione

dei tipi di migrazione.

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dità e rapidità delle vie di comunicazione terrestri, marittime ed aeree che
facilitano gli spostamenti umani (Quiroga, 2003).
Alla fine degli anni Novanta la nostra società ha preso coscienza
dell’esistenza, nelle strade di Barcellona e di Madrid, di minori immigrati,
principalmente di origine marocchina, arrivati nel nostro paese privi di do-
cumenti e senza l’accompagnamento di alcun adulto o referente familiare.
Si trattava di un nuovo fenomeno: ragazzi che, seguendo i passi dei loro
compatrioti adulti, rischiavano la propria vita per attraversare lo Stretto di
Gibilterra ed emigrare sull’altra sponda del Mediterraneo, passando princi-
palmente attraverso la Comunità autonoma dell’Andalusia verso altre Co-
munità autonome.
L’obiettivo di questo lavoro è presentare e contestualizzare il fenomeno
dei Minori Non Accompagnati in Europa e principalmente in Spagna, met-
tendo in evidenza alcune variabili influenti, come l’età, i modelli migratori
e il genere.

2. Concetto di Minore Migrante Non Accompagnato

A partire dal 1989, anno in cui si ratifica la Convenzione dei Diritti


dell’Infanzia, si sviluppa la costruzione sociale dell’“infanzia” e se ne uni-
versalizzano i diritti. L’assunzione di questa nuova categoria di infanzia
implica una modifica teorica e rende effettiva una prospettiva protezionista,
conferendo a tutti i minori di età la necessità di essere protetti e posti sotto
la tutela di quelle istituzioni preposte alla protezione dei minorenni.
Nel 1997, con l’arrivo nel continente europeo di un gran numero di mi-
nori senza referenti adulti, il Consiglio dell’Unione europea designa questi
minorenni stranieri come “Minori Non Accompagnati” (MNA). Quello
stesso anno, l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i Rifugiati
(UNHCR) e Save the Children prospettano la necessità di ridefinire il con-
cetto e, per ampliarne la portata semantica, viene introdotta la formula di
“Minore Separato”3. Ma in Europa la terminologia utilizzata più frequen-
temente continua ad essere quella di “Minori Non Accompagnati” (MNA),
designazione utilizzata, con pari consonanza, anche negli Stati Uniti4.
Le connotazioni legali e sociali del termine possono differire di paese in
paese (con variazioni d’accento in merito alla mancanza di accompagna-

3 Questa terminologia è utilizzata in Inghilterra, in Irlanda e in alcuni paesi scandinavi.


4 “Unaccompanied children”, anche se è in uso la formula “Unaccompanied immigrant
children” e “Unaccompanied children asylum seekers”.

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mento), tutte però coincidono nel segnalare il fatto che si tratta di minori di
origine straniera con meno di diciotto anni.
A metà del primo decennio del 2000 il Progetto europeo CON RED
identifica le terminologie utilizzate in diversi paesi europei (Quiroga, Alon-
so e Armengol, 2005). In Francia si usa l’espressione “Minore non accom-
pagnato” e anche l’espressione “Mineur issolé”. La Danimarca usa
l’espressione “Minore Rifugiato Non Accompagnato”, così come “Minore
Separato” (che è in uso anche in Portogallo e in Inghilterra). In Italia si di-
stingue tra “Minore Straniero Non Accompagnato” e/o minore “in stato di
abbandono”.
Horca (2015) mette in rilievo che il concetto di minore non accompa-
gnato è una costruzione sociale e giuridica che ha uniformato un insieme
composito di persone e ci impedisce di coglierne l’individualità. Questi mi-
nori, a causa della loro doppia condizione (di minori che devono essere pro-
tetti e di migranti che devono essere controllati) interrogano la politica della
protezione dell’infanzia e la politica europea sull’immigrazione.
In Spagna uno dei concetti più comuni per riferirsi a quest’insieme di
persone è quello di “Menor Extranjero No Acompañado” (MENA, Minore
Straniero Non Accompagnato). A Madrid, a Valencia e nei Paesi Baschi è
apparsa anche l’espressione “Menores de Vida independiente” (MIVI, Mi-
nori dalla Vita indipendente). In Catalogna la Direzione Generale di Tutela
dell’Infanzia della Generalitat aggiunge il termine “indocumentado” (privo
di documenti): “Menor Extranjero Indocumentado No Acompañado”
(MEINA, “Minore Straniero Privo di Documenti Non Accompagnato”. A
Ceuta e Melilla si usano anche le forme “Minori transfrontalieri” o “Bam-
bini clandestini”. Dall’origine fino all’attualità del fenomeno sono compar-
se nei mezzi di comunicazione altre denominazioni allarmiste, come “Ra-
gazzi di strada” (Muñoz, 1999) o “Ragazzi della colla” (Sánchez e Castan,
2016). Queste denominazioni hanno a che fare con la vulnerabilità sociale
patita da una parte minoritaria di questo gruppo di persone.
Quiroga, Alonso e Armengol (2005), a partire dalla definizione proposta
da UNHCR e Save the Children, propongono il concetto di Minore Migran-
te Non Accompagnato (MMNA). Ricerche successive mettono in guardia
sul fatto che è fondamentale ampliare gli orizzonti, incorporando nuove si-
tuazioni che attribuiscono un significato più esteso al concetto di “non ac-
compagnato”, come ad esempio un accompagnamento inadeguato da parte
degli adulti (Quiroga, Alonso, Sòria, 2009). In Spagna, come in altri paesi
europei, le situazioni di non-accompagnamento si riferiscono a:

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1. Minori stranieri residenti con un familiare di primo grado (fratello
maggiore o sorella maggiore) o di secondo grado (zio, zia, cugino,
cugina), a cui non viene prestata l’attenzione e la cura adeguata, a
volte in situazioni di irregolarità amministrativa e/o di marginalità
sociale.
2. Minori stranieri residenti con adulti con una parentela che genera
dubbi e che si dedicano ad attività illegali.
3. Minori stranieri che risiedono con fidanzati, compagni o intermediari
di organizzazioni migratorie a carattere criminale.

Questi profili, nell’attualità, continuano a generare interrogativi e confu-


sione. In molti casi il confine tra minori “non accompagnati” e minori “ac-
compagnati in modo inadeguato” è impreciso e può condurre a interpreta-
zioni erronee. Bisogna evidenziare che, da parte di alcuni servizi di prote-
zione, questi minori sono considerati appartenenti al gruppo di “minori ac-
compagnati”, dato che risiedono con un referente identificato come un pre-
sunto familiare. Ma la realtà mostra che, in molti casi, questo tipo di ac-
compagnamento (sia o meno familiare) non può identificarsi con una cura o
un’attenzione adeguata, poiché si producono uno o più fattori di rischio so-
ciale che conducono, di fatto, a una situazione di abbandono5.
Infine bisogna sottolineare che ci sono Stati membri dell’Unione Euro-
pea che includono tra i cittadini comunitari i minori stranieri non accompa-
gnati (come quelli dell’Europa dell’est), mentre altri Stati non li includono
(Red Europea de Migraciones 2010; Fuentes, 2014).

3. La migrazione di minori non accompagnati

3.1 Precedenti migratori: la migrazione degli adulti

In tempi recenti i movimenti migratori si sono trasformati. In particolare


lo Stato spagnolo ha sperimentato un cambiamento, trasformandosi da pae-
se di emigranti in paese ricettore di emigrazione, avvicinandosi nel corso
del tempo a parametri europei e configurandosi come obiettivo migratorio
dei soggetti in arrivo dai paesi extracomunitari.

5 L’articolo 172 del Codice civile spagnolo considera una situazione di abbandono quel-

la che si produce, di fatto, a causa di un inadempimento, o di un impossibile o inadeguato


esercizio, dei doveri di protezione stabiliti dalle leggi per la custodia dei minorenni, qualora
questi rimangano privi della necessaria assistenza morale o materiale. In tale situazione sono
inclusi l’abbandono e il non accompagnamento.

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Questa trasformazione ha avuto un carattere graduale. Per alcuni anni la
situazione alle frontiere, rispetto ad altri paesi europei, ha permesso
l’entrata di persone extracomunitarie. Questa politica comincia a modificar-
si nel 1985, quando si pubblica la Legge sui Diritti e Doveri degli Stranieri
in Spagna6. Il profilo del migrante di questo periodo è fondamentalmente
quello di un maschio nordafricano. La meta desiderata delle persone in
transito è ancora oltrepassare la frontiera verso altri paesi europei: la Spa-
gna diventa una stazione di passaggio.
Tra il 1986 e il 1991 si introducono in Europa politiche restrittive in ma-
teria migratoria, in linea con la firma della Convenzione di Schengen. No-
nostante le difficoltà ad entrare nel territorio spagnolo, la frontiera è ancora
porosa e poco marcata: da ciò deriva un elevato numero di ingressi7. Seb-
bene il profilo dei migranti sia ancora quello di giovani uomini che da soli
realizzano il progetto migratorio, compaiono anche donne la cui presenza,
nel tempo, acquista un’importanza crescente (Quiroga, Alonso e Sòria,
2009).
L’immigrazione in Spagna conosce un punto di svolta nell’anno 2000
quando la popolazione straniera con residenza legale passa da 99.122 per-
sone a 330.881. Quella marocchina è la prima nazionalità rilevante dal pun-
to di vista statistico, con un incremento significativo di persone provenienti
dai paesi dell’America del Sud, in particolare Ecuador, Colombia e Bolivia
che, per un certo periodo, hanno avuto facilità di ingresso non avendo biso-
gno di un visto di soggiorno esplicito nel passaporto (Quiroga, Alonso e
Sòria, 2009). Secondo López García (2004), gli anni 1991 e 2003 sono ca-
ratterizzati da restrizioni negli ingressi legate al visto, ma anche da una ri-
levante crescita della popolazione immigrata dal Marocco.

6 Legge 7/1985 conosciuta popolarmente come “Ley de extranjería” (“Legge


sull’immigrazione”).
7 Nell’anno 1991 la presenza di immigrati nel territorio spagnolo è considerevole, e la

Legge sull’immigrazione (7/1985) non prevede dei meccanismi legislativi per risolvere la
loro situazione amministrativa. Si stabilisce allora un meccanismo denominato processo di
regolarizzazione (Risoluzione del 7 giugno 1991) la cui struttura accoglie due componenti: il
riconoscimento di un’insufficienza legislativa nella risoluzione della questione amministra-
tiva e un sistema “ad hoc” per compensare tale vuoto legislativo (Risoluzione del 15 feb-
braio 1994; Decreto reale 155/1996; Legge 4/2000 e Regio decreto 2393/2004 – Disposizio-
ne addizionale terza).

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3.2 La migrazione di minori non accompagnati

Allo stesso tempo in Spagna – alla fine degli anni Novanta e poi soprat-
tutto a partire dal 2002 – si realizza l’arrivo di Minori Non Accompagnati
provenienti dal Marocco e (in parte minore) dall’Africa subsahariana, dan-
do luogo a un nuovo profilo migratorio composto da maschi minori di età.
In percentuale inferiore compaiono anche delle giovani donne (Quiroga,
2003; Jiménez, 2004; Quiroga, Alonso e Sòria, 2009).
Da una prospettiva storica, il fenomeno del minore migrante non rappre-
senta una novità, nonostante acquisisca dei tratti distintivi, dato che si in-
quadra in un contesto di carattere sociale, economico e politico che oltre-
passa le frontiere nazionali. La presenza dei minori implica una percezione
sociale e politica particolare, differente dal fenomeno migratorio globale, e
comporta la protezione di diritti che devono essere preservati in forma spe-
ciale (UNICEF, 1989).
Tuttavia la percezione sociale offre, in certe occasioni, delle zone
d’ombra. Come indica Horcas (2016), spesso la percezione della condizio-
ne di immigrato predomina su quella del minore, da cui deriva
l’atteggiamento arbitrario dell’amministrazione, il cui obiettivo è il rimpa-
trio (2016). Al contrario, secondo Bravo e Santos-González (2017), il mo-
dello sviluppato dallo Stato spagnolo ha privilegiato lo status di minore sul-
la condizione di immigrato8.
I poteri pubblici, pertanto, di fronte alla problematizzazione della que-
stione, si vedono nella necessità e nell’obbligo di fissare dei dispositivi e
dei mezzi di protezione volti a fornire un’assistenza adeguata ai minori non
accompagnati. Non si può tuttavia fare a meno di citare le indagini radiolo-
giche sull’età ossea (Prada et al., 2013), volte a collocare i ragazzi sotto o
sopra la soglia dei diciotto anni. Sopra perderanno la protezione destinata ai
minori, rimanendo in una situazione di vulnerabilità o, secondo la defini-
zione di Quiroga e Soria (2010), invisibili.
In un parere della Commissione di Accoglienza alla Diversità del Colle-
gio del Lavoro Sociale della Catalogna (COTS, 2012) si suggeriva che, nel
caso in cui le prove radiologiche dimostrino la maggiore età,
l’Amministrazione non ha l’obbligo di esercitare la tutela neanche se il mi-
grante risulta dal passaporto minorenne. Così i ragazzi vengono espulsi dai
centri di accoglienza, in una confusa situazione legale. Questa è una prima

8 I risultati di uno studio condotto nei Paesi baschi fotografano, tra altre questioni,
l’opinione maggioritaria della società basca a favore del rimpatrio dei minori, assieme a una
prospettiva in cui l’aspetto di “immigrato” viene anteposto a quello di “minore” (Moreno,
2012).

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dimostrazione di quello che potremmo chiamare processo o strategia di in-
visibilizzazione (Torrado, 2015). Una seconda dimostrazione è rappresenta-
ta dai rimpatri che, trasferendo i soggetti fuori dalle frontiere, riducono i
diritti umani e l’impegno degli Stati nella loro applicazione (Barbulescu e
Grugel, 2017).
Questa strategia non sembra essere esclusiva dell’Europa: in un altro
contesto, alla frontiera tra il Sud degli Stati Uniti e il Nord del Messico, la
situazione è descritta come catastrofica (Suarez-Orozco, 2015) o come uno
scenario caratterizzato da rischio, vulnerabilità e violazione dei diritti (Mo-
reno e Avedaño, 2015). La migrazione dei minori non accompagnati non è
riconosciuta né dal Messico né dagli Stati Uniti, dato che questo riconosci-
mento, come quello dell’emergenza umanitaria, implicherebbe la necessità
di una protezione riconosciuta negli accordi internazionali (Prado, 2017).

4. La migrazione come rito di passaggio

La migrazione di minori stranieri soli si costituisce come un “nuovo at-


tore” migratorio. Può configurarsi come una categoria analitica di per sé,
presentando motivazioni e obiettivi propri e inserendosi in spazi migratori
più ampi e diversificati. Si può definire per la creazione di reti di solidarietà
transnazionale basate su gruppi di età, come un modo specifico di inseri-
mento lavorativo e un’autorappresentazione mediata da segni identitari
(Suárez, 2006).
Il problema è collegato al fatto che per la definizione di queste particola-
rità si sono presi a riferimento solo i lavori etnografici sui minori maroc-
chini in Spagna e su quelli messicani negli Stati Uniti (Quiroga, Alonso e
Sòria, 2009) e questi non rappresentano tutto il gruppo sociale dei migranti
(e tanto meno le ragazze emigranti).
Per quanto riguarda lo Stato spagnolo, Jiménez (2005) ritiene che negli
anni Novanta si stesse assistendo a una quarta tappa migratoria9 di cui sono
protagonisti, nella migrazione marocchina in Spagna, i minori di età. Que-
sta nuova e diversificata tappa è caratterizzata dall’idea che uno dei fattori
chiave sia l’appartenenza ad un gruppo di età (situato nell’adolescenza e/o
nella giovinezza).
Molti studi indicano che la (pre) adolescenza e la giovinezza sono una
costruzione sociale e culturale: ogni società organizza la transizione

9 Le tappe anteriori sono le seguenti: la prima tappa caratterizzata dall’arrivo di uomini

soli; una seconda tappa con mogli e figli assieme; una terza tappa di cui sono protagoniste le
donne sole, provenienti principalmente dall’America Latina.

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dall’infanzia alla vita adulta in maniera specifica e questo processo ha ori-
gine nelle trasformazioni fisiologiche che hanno luogo. Oltre il dibattito
sull’universalità della giovinezza – sviluppatosi dalle opere di Mead (1986)
– Feixa (1998) propone, per determinare l’esistenza della giovinezza, di
differenziare questa tappa a partire da una serie di condizioni sociali e di
immagini culturali. Le condizioni sociali sono le norme, i comportamenti e
le istituzioni che distinguono i giovani da altri gruppi di età e le immagini
culturali sono i valori, gli attributi e i rituali associati in maniera specifica ai
giovani.
Quella dell’adolescenza e della giovinezza è tipicamente una tappa di
transizione. È un punto di svolta in cui si apprende ad adattarsi ad una nuo-
va posizione, ad un nuovo status di persona adulta, in cui i diritti e i doveri
si alterano e si reggono su schemi differenti da quelli finora in vigore. Di
conseguenza, in quanto tappa di transizione, è caratterizzata da una certa
vaghezza, si trova in una situazione di “margine” (Van Gennep, 1986) o di
“liminarità” (Levi e Schmitt in Van Gennep, 1986), che è tipica delle tappe
di passaggio. Questa liminarità sociale offre altresì un maggior “diritto di
manovra” e permette di compiere più errori perché si tratta di un periodo di
prova, un vero e proprio apprendistato alla vita da persone adulte.
Questa tappa della giovinezza può essere contrassegnata da distinti riti
di passaggio che indicano l’uscita e l’entrata in una nuova condizione. Così
la migrazione diventa anche un rito a partire dal quale si materializza il
processo di trasformazione verso l’età adulta. Il viaggio simbolico si tra-
sforma allo stesso tempo in un viaggio fisico, palpabile, geografico (Quiro-
ga, 2003; Quiroga, Alonso e Sòria, 2009). Alla frontiera tra Messico e Stati
Uniti questo passaggio migratorio internazionale conferisce anche ai minori
un riconoscimento di attributi e valori per chi partecipa al transito “non au-
torizzato” (García, 2008). Tanto nell’area di frontiera appena citata, quanto
in quella tra Marocco e Spagna, la migrazione fa parte di un immaginario
sociale condiviso, alimentato da reti sociali (Giménez e Suárez 2001; Sua-
rez, 2006), che permette – se si riesce a passare – di aumentare il proprio
status sociale. In questi anni di ricerca abbiamo potuto documentare la co-
struzione sociale dei paesi cosiddetti sviluppati e dell’immaginario dei
MMNA: costruito dai mezzi di comunicazione e dalle tecnologie
dell’informazione, dagli stranieri che vivono nel proprio paese (residenti e
turisti), dagli “altri” turisti (emigranti in vacanza nei paesi di origine) e an-
che dal gruppo dei pari, attraverso notizie di “successo” dei minori migranti
(Quiroga, 2003; Quiroga, Alonso e Soria, 2009; Quiroga e Sòria, 2010).
Realizzando questo viaggio i minori che emigrano (verso l’Europa, gli
Stati Uniti o qualsiasi sia il paese ricco di destinazione) cercano di fuggire

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da circostanze di origine avverse. In primo luogo, c’è la volontà di rompere
con una situazione di stagnazione più strutturale e oggettiva, come il conte-
sto di origine marcato da povertà, guerra o conflitti familiari. Ma allo stesso
tempo, ci sono anche minori che cercano di fuggire da una stagnazione più
soggettiva, che cercano di sottrarsi a costrizioni culturali e sociali con lo
spirito d’avventura tipico dell’adolescenza (Quiroga, Alonso e Sòria, 2009).
Mezzadra (2005 in Monteros 2007) per questa dimensione più soggetti-
va delle migrazioni usa l’espressione “diritto di fuga”, indicando la capacità
individuale e singolare di ognuno dei protagonisti di queste migrazioni di
fuggire dalle costrizioni economiche, culturali e di genere del luogo di ori-
gine. Ed è proprio questa presunta “liminarità” della giovinezza a collocare
l’adolescente in una posizione privilegiata, favorevole per intraprendere il
viaggio verso l’Europa: una finestra attraverso cui respirare e convertirsi
così in giovani innovatori sociali.
La migrazione sta diventando sempre più spesso il rito di passaggio ver-
so l’età adulta, sull’esempio dei migranti più grandi. Da un lato i giovani
ottengono una liberazione dalla famiglia nel corso di una tappa adolescen-
ziale, con un guadagno di autonomia personale ed economica; dall’altro,
una volta in Europa, in Spagna, si ritrovano immersi in condizioni di mas-
sima precarietà e privi di protezione, in situazione di incertezza, dove le ga-
ranzie di successo sono relative e la pressione esercitata su di loro è molto
forte (Torrado, 2015).

5. Dalla spinta migratoria alla fragilità della protezione

5.1 Cause e modelli

Secondo l’Unicef i movimenti migratori dei MMNA si realizzano verso


Europa, America del Nord e, in generale, verso i paesi più ricchi. Alcuni
fattori chiave possono facilitare la comprensione del fenomeno (Quiroga,
Alonso e Sòria, 2009):

• Un’importante crescita demografica nei paesi di origine. Una popo-


lazione giovane che contrasta l’invecchiamento della popolazione
europea.
• La crescita urbana generalizzata degli ultimi anni, con una notevole
accelerazione in Africa rispetto ad altre zone.

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• Indice di sviluppo umano (ISU)10. La differenza tra la zona di parten-
za e quella di arrivo permette di comprendere la dislocazione tra spa-
zi geografici e l’immaginario collettivo che si costruisce (García e
Verdú, 2008; Palacín, 2015).
• I conflitti armati. Hanno un effetto complessivamente devastante,
con maggiore incidenza nei settori più vulnerabili, come l’infanzia11.
• La povertà strutturale di molti paesi, indissociabile dal già menzio-
nato Indice di sviluppo umano.

Per quanto concerne la scelta del paese di destinazione, risulta interes-


sante l’inversione, proposta da Konrad e Santoja (2003), in relazione ai mi-
nori di nazionalità marocchina. Emigrare implica la scelta di un paese di
arrivo, tuttavia per molti minori c’è un’inversione dell’equazione: emigrare
non significa scegliere una meta, bensì cercare le condizioni per poter sce-
gliere in seguito una meta. Ecco alcuni elementi esplicativi che determina-
no o indirizzano la scelta (Quiroga, 2003):

• prossimità del paese di accoglienza;


• possibilità di uno spostamento fisico;
• legami storici, economici e linguistici tra paese di partenza e paese di
arrivo;
• precedenti migratori della stessa origine sul luogo di arrivo;
• legislazioni e politiche di accoglienza nel paese di arrivo.

Seguendo quanto detto finora, le cause dello spostamento dei MMNA


sono molteplici. Si sovrappongono nell’atto o nella decisione migratoria
questioni economiche legate a eventuali difficoltà della famiglia nel paese
di origine; l’immaginario sviluppato in origine, che configura le aspettative
del viaggio; aspetti culturali e ricerca di opportunità legate a una vita che si
concepisce altrove migliore; questioni, come abbiamo detto, che si riferi-
scono a conflitti, a volte politici, a volte armati; la fuga dei minori da scena-
ri familiari conflittuali (aspetto forse più presente nelle ragazze che nei ra-
gazzi); inoltre il desiderio di avventura, la trasgressione di una cornice di
10 Si tratta di una misura comparativa costruita sulla base di differenti indicatori (speran-

za di vita, alfabetizzazione e istruzione) utilizzata per approssimarsi al grado di benessere,


sviluppo e impatto delle politiche economiche di un determinato paese.
11 Non si può non ricordare che il richiamo dell’Unicef (2006) volto a privilegiare prima

di tutto i bambini è stato accolto in maniera diversa in distinti paesi. Da qui derivano prati-
che diseguali, legate al difficile equilibrio tra protezione e controllo dei flussi. Per Bravo e
Santos-González (2017) la situazione siriana rende esplicita la tensione tra questi due con-
cetti.

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crescita autoritaria, per diventare eroi che decidono di spingersi oltre la
propria immaginazione (Santoja e Konrad, 2002).
Tutto questo riflette l’eterogeneità della questione e sebbene gli aspetti
economici, come abbiamo visto, risultino rilevanti, neanche si può fare a
meno di considerare la diversità di elementi nella gestazione del progetto: si
va da un’idea o una speranza rischiosa meditata a lungo, fino
all’improvvisazione dovuta a questioni circostanziali. D’altra parte la deci-
sione del viaggio può essere individuale oppure rappresentare il frutto di un
compromesso con la famiglia o di un vero e proprio accordo familiare, an-
che se di solito prevale la decisione individuale.
Cercando di inquadrare quanto detto in precedenza, possiamo fissare di-
versi modelli di spostamento o transito migratorio (Quiroga, Alonso e Sò-
ria, 2009):

1. Coloro che effettuano il viaggio per mare, specialmente da paesi del


Maghreb o dall’Africa subsahariana e entrano in Europa, in alcuni
casi, per la vicinanza col proprio paese di origine. Generalmente il
paese di origine è immerso in una crisi e/o nell’instabilità economica
e politica. L’ingresso nel territorio europeo è clandestino, su barconi
o sotto camion e pullman. In questo modello la migrazione può rea-
lizzarsi sia individualmente che con un gruppo dei pari o con qualche
adulto che fa da accompagnatore.
2. Coloro che realizzano il transito migratorio in aereo, fondamental-
mente da paesi subsahariani. In questo caso la meta è rappresentata
dalle principali città dei paesi di arrivo. Nelle zone di origine ci sono
spesso conflitti armati o situazioni di alta conflittualità sociale legate
a problemi di ordine pubblico. La meta è rappresentata da quei paesi
con cui esistono relazioni e vincoli storici. I migranti sono soliti
viaggiare con una persona adulta come accompagnatore, che si tratti
di un familiare, di un conoscente, di un amico di famiglia o
dell’intermediario di un’organizzazione migratoria.
3. Coloro che viaggiano nelle differenti modalità del trasporto terrestre.
In genere provengono dai paesi dell’Europa dell’est, come la Roma-
nia, la Slovacchia, la Bulgaria. In questo modello possono essere in-
cluse anche persone provenienti da altre zone, come l’Africa o
l’Asia, anche se le vie terrestri sono usate sostanzialmente negli spo-
stamenti all’interno dell’Europa. L’ingresso nel territorio di arrivo è
realizzato di solito al fianco di adulti, come nel modello precedente,
regolare dal punto di vista amministrativo, anche se vi sono casi in
cui i documenti sono stati falsificati.

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5.2 Circuito di protezione

Il primo minore di origine marocchina accolto in Spagna, secondo le


fonti officiali12, è stato registrato nel 1993 nella Comunità Autonoma di
Estremadura, sicuramente di passaggio verso Madrid o Barcellona13. A par-
tire dal 1994 c’è un aumento del numero di MMNA (con età tra i 16 e i 17
anni), che raggiungono la cifra di 1006 nel 1997 e di 6303 nel 2003. In
questi primi anni il circuito di protezione dei minori risulta totalmente col-
lassato a causa del numero degli arrivi: non ci sono posti nei centri di resi-
denza; il processo di riconoscimento legale può dilatarsi fino a più di due
anni; è difficile ottenere corsi di formazione e i minori cominciano a muo-
versi da una Comunità Autonoma all’altra in cerca di altre opportunità.
A partire dal 2002 il circuito di protezione comincia ad adattarsi al nuo-
vo fenomeno e a snellire i processi di accoglienza e integrazione. Conti-
nuano ad arrivare minori dal nord del Marocco sotto camion o autobus (e
sono minori più giovani) ma arrivano anche minorenni dal sud del Marocco
e dell’Africa subsahariana, principalmente con barconi. In questi anni di
aumento dell’afflusso di minori migranti si creano nuovi spazi di acco-
glienza, i ragazzi cominciano a rimanere nelle strutture formative, ottengo-
no i documenti e iniziano ad entrare sul mercato del lavoro. In alcune Co-
munità Autonome, come i Paesi Baschi o la Catalogna, si comincia a creare
un circuito parallelo per i minori che raggiungono la maggiore età.
A partire dal 2006 prendono piede gli arrivi di minori migranti
dall’Europa dell’est e si fa visibile l’arrivo di ragazze di origine rumena,
marocchina e subsahariana. Fino ad allora la presenza di ragazze minorenni
era completamente invisibile nei dati ufficiali, e comparivano in circuiti pa-
ralleli di sfruttamento (mendicità, sfruttamento sessuale, sfruttamento lavo-
rativo e altro). In questo periodo si realizza anche un incremento significa-
tivo di arrivi, con un picco nel 2008, arrivando a 8080 minorenni registrati.
Questa porosità, d’altra parte, non si limita all’entrata. Una volta nel territo-
rio di arrivo l’originario progetto migratorio deve coniugarsi con un proget-
to di accoglienza che prevede il rimpatrio o il ritorno ai paesi di partenza
(Torrado, 2015).
L’irruzione della crisi economica influisce significativamente sui flussi
migratori e i minorenni cominciano a trasmettere al gruppo dei pari la noti-
zia di evitare il viaggio in Spagna. Il processo di ottenimento dei documenti

12 Ministeri, Comunità autonome, Procure, Polizia e enti del terzo settore, come
l’UNICEF.
13 Sono le principali Comunità autonome di arrivo dei primi minori non accompagnati in

Spagna.

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si fa più accessibile e rapido ma i corsi di formazione sono diventati eterni,
in assenza di occasioni di impiego professionale. Nel 2009 diminuisce il
numero di arrivi di minori migranti14 e nel 2012 e 2013 si osserva una cadu-
ta vertiginosa del loro numero15.
Non abbiamo dati ufficiale del Ministero degli Interni sugli anni succes-
sivi, nondimeno i dati della Comunità Autonoma della Catalogna mostrano
che, a partire dal 2015, riprendono gli arrivi di minori migranti non accom-
pagnati, principalmente di origine marocchina. Alla data del 7 novembre
2017 era stato registrato a Barcellona l’arrivo di 1059 minori, 357 in più
rispetto all’anno precedente. Queste cifre sono simili a quelle registrate dal
fenomeno quando raggiunse il suo apice in Spagna nel 2008.
In questa situazione la Direzione Generale di Tutela dell’Infanzia della
Catalogna e la Procura del Tribunale per i Minorenni evidenziano la grande
difficoltà ad accogliere i minori nei centri di residenza. In pochi mesi
l’amministrazione della Catalogna ha dovuto aprire nuove residenze e dor-
mitori per accogliere queste persone, senza poter offrire una copertura ade-
guata. Secondo il quotidiano La Vanguardia, «l’arrivo in Catalogna di un
ingente numero di giovani immigrati sta saturando l’Amministrazione. La
situazione è arrivata al punto che molti adolescenti devono aspettare svaria-
ti giorni senza poter uscire dalla Ciutat de la Justícia in attesa di essere tra-
sferiti ai servizi sociali. In molti casi devono passare la notte su materassi
gettati a terra o in qualche cella, nonostante non abbiano commesso alcun
crimine» (Muñoz, 2017).

6. Aspetti femminili del fenomeno

Analizzando il fenomeno dei MMNA, oltre all’età, bisogna considerare


il genere, la provenienza, la classe sociale e l’irregolarità amministrativa,
fattori che possono costituire elementi di oppressione, incrementando il li-
vello di vulnerabilità (Torrado e González, 2009). Ciononostante, il genere
viene scarsamente analizzato, forse perché la migrazione di ragazze minori
di 18 anni è meno frequente, ma non per questo meno complessa. Di solito
è più strettamente connessa ad un’esclusione sociale estrema, la servitù, la
tratta con fini di sfruttamento sessuale e con altri tipi di violenza. Il livello

14 La fonte dal 1993 al 2009 è Quiroga e Sòria (2010), con elaborazioni a partire da dif-

ferenti fonti officiali (Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali e diverse Comunità auto-
nome). Il numero di minori accolti nel 2009 è stato di 7339.
15 Secondo la Procura Generale dello Stato (2013) il numero di minori accolti è stato di

3261 (nel 2012) e 2632 (nel 2013).

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di vulnerabilità delle ragazze è maggiore rispetto a quello dei ragazzi (Tor-
rado, 2012).
Della popolazione femminile di minori migranti non accompagnati sap-
piamo quasi nulla. Di fatto in Spagna le ragazze non appaiono, non esistono
neanche nelle statistiche officiali. Sono inesistenti (salvo rare eccezioni)
anche nelle ricerche e negli studi relativi al fenomeno delle migrazioni di
minori senza referenti adulti. Come detto in precedenza, la ragione princi-
pale che potrebbe giustificare questa invisibilità potrebbe essere collegata al
peso quantitativo delle MMNA di sesso femminile in relazione alla totalità
del gruppo sociale16.
Malgrado ciò, se si prendono come riferimento le migrazioni femminili
adulte, la percentuale di donne immigrate in Europa nel 2015 è pari al
52,4% (ONU, 2015). Nondimeno, lo sguardo sulle migrazioni che vedono
protagoniste le donne presenta molteplici limiti. Gli studi rivelano che le
migrazioni femminili sono state “dimenticate” e rese invisibili. Quando
vengono analizzate, si utilizza una posizione di dipendenza (la donna come
sposa, figlia o sorella), adottando prospettive vittimiste, enfatizzando situa-
zioni di sfruttamento o riferendo le gravi conseguenze dell’uscita delle
donne dal paese di origine (Juliano, 2002; Boyd, 2003; Ribas, 2005).
Moore (1996) ha descritto le motivazioni femminili alla migrazione a
partire dai lavori etnografici di altre autrici, arrivando alla conclusione che
quando le donne emigravano lo facevano per la perdita dei mezzi di produ-
zione o per fuggire da qualche piaga sociale o conflitto familiare.
Quest’ultima ipotesi coincide in pieno col concetto di “rifugiate di genere”
coniato da Juliano (2004), attraverso il quale si spiega un “tipo di sposta-
mento residenziale femminile” che è conseguenza della situazione di donne
deprivate di valore nella società di origine o con aspettative incompatibili
con norme e tradizioni locali.
La migrazione delle MMNA di sesso femminile presenta molti paralleli-
smi con questa migrazione femminile adulta e “autonoma”, non vincolata
ad alcun referente maschile. L’irruzione delle “ragazze” nelle migrazioni di
minorenni privi di referenti adulti obbliga a riformulare i quadri analitici
finora utilizzati, così come il protagonismo femminile nelle migrazioni ha
contribuito a una maggiore apertura concettuale in questo ambito di ricerca.
Includere la prospettiva di genere nell’indagine contribuirà, senza alcun
dubbio, a spiegare e rendere visibili le migrazioni delle ragazze.

16 Ci riferiamo, in primo luogo, all’articolo che Morante e Trujillo hanno pubblicato nel
2007 sui MSNA di genere femminile; in secondo luogo ai lavori pubblicati dal Gruppo
IFAM, radicati in Catalogna, sulle “Ragazze invisibili” e al lavoro monografico di Alonso
(2009) sulle MSNA provenienti dall’Europa dell’est e impiegate come lavoratrici del sesso.

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Quando le ragazze emigrano da sole, lo fanno perché le circostanze sono
estreme – molto più estreme di quelle dei ragazzi – e i meccanismi abituali
propri della società di origine per la risoluzione dei conflitti non sono suffi-
cientemente validi in questi casi. Queste situazioni sono di frequente colle-
gate ai valori e ai ruoli di genere nel paese di provenienza, che non facilita-
no la transizione di quelle ragazze verso la tappa dell’età adulta.
Come suggerisce Feixa «la transizione giovanile è essenzialmente un
processo di identificazione di genere», anche se abitualmente si confonde
con un processo di emancipazione familiare, economica e ideologica (1998,
p.19). In alcuni paesi la transizione delle ragazze verso l’età adulta si tradu-
ce in violenti confronti con la cultura parentale o in una rottura con i valori
tradizionali, come la proibizione a continuare gli studi o il lavoro, i matri-
moni forzati, le limitazioni sulla mobilità spaziale o sulle relazioni sociali.
Confronti e rotture che derivano dall’alto livello di adesione all’osservanza
della condizione sociale e culturale delle donne in questi paesi17.
Sebbene sul tema ci siano poche ricerche, le prime approssimazioni sul-
le MMNA di sesso femminile (Ramírez 2000; Kempadoo e Doezema,
2001; Juliano, 2004) indicano che sono di diverse nazionalità, principal-
mente rumene, marocchine, nigeriane e bulgare. Hanno un’età compresa tra
i 14 e i 17 anni mentre i contesti di origine e le situazioni che le spingono a
emigrare sono abbastanza diversi da quelle dei ragazzi. Per queste mino-
renni, la migrazione rappresenta una strategia valida per risolvere una si-
tuazione estrema di conflitto o un meccanismo per sbloccare una condizio-
ne stagnante, con una certa smania di avventura “adolescenziale”. Le ra-
gazze nigeriane, rumene o di altri paesi dell’Europa dell’est migrano per
lavorare nell’industria del sesso (di propria volontà o per lo sfruttamento da
parte di un’organizzazione migratoria a carattere criminale). Le ragazze
marocchine solo solite migrare per sfuggire a gravi conflitti familiari, per-
ché ripudiate in seguito a una gravidanza o perché madri adolescenti. Esi-
stono anche casi di rifugiate politiche, anche se per il momento sembrano
minoritari.
Lo status di donna è uno dei fattori che spiegano l’uscita di queste mino-
renni dal loro paese di origine ed è al tempo stesso un fattore che spiega
l’inserimento nel paese di arrivo. Un inserimento che di solito si realizza in
ambiti esclusivamente riservati al lavoro femminile (e negli stessi settori in
cui trovano lavoro le donne adulte), come il lavoro domestico o il lavoro
sessuale (Ministero della salute, 2015). Proprio perché accedono a un ambi-
17 Sicuramente nelle società in cui si producono funzioni altamente differenziate e dise-

guali tra uomini e donne, come quella del Marocco, assistiamo a una supervisione molto più
stretta e rigida delle norme relative alle adolescenti, in confronto ai loro compagni maschi.

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to lavorativo deregolarizzato e clandestino, queste ragazze risultano invisi-
bili ai servizi di protezione dei minori. Una parte consistente di questo
gruppo non accede mai ai circuiti di protezione e coloro che riescono ad ac-
cedere, molto spesso lo fanno quando rimangono loro pochi mesi per di-
ventare maggiorenni.
Alla luce dei fatti, i processi migratori delle MMNA, al pari di quanto
succede con le donne adulte, non possono essere interpretati a partire da lo-
giche maschili. Più che trovare similitudini con casi omologhi maschili, per
analizzare il fenomeno delle MMNA sarebbe interessante scoprire analogie
con le migrazioni delle donne adulte. Sarebbe anche opportuno chiarire in
che misura e in che modo i servizi di welfare e i sistemi di protezione
dell’infanzia e dell’adolescenza debbano assistere e rendere visibili queste
adolescenti a rischio sociale.

7. Conclusioni

Nel corso degli ultimi trent’anni il fenomeno migratorio ha seguito una


progressione ascendente in relazione all’entrata nel territorio spagnolo di
persone extracomunitarie provenienti da diversi paesi. In questo aumento di
popolazione extracomunitaria compaiono, sempre più spesso, i cosiddetti
minori migranti non accompagnati. La denominazione è usata nella mag-
gior parte dei paesi europei, anche se può risultare equivoca. Si tratta di un
costrutto sociale che rende chiara l’età delle persone a cui si riferisce, ma
che a sua volta lascia importanti zone di ambiguità in cui il ruolo dei refe-
renti adulti può oscillare tra l’assenza e la disattenzione. L’espressione in-
dica un gruppo sociale che necessita protezione, ma occulta al tempo stesso
le caratteristiche proprie di ogni caso.
La questione dei minorenni porta in evidenza un nuovo attore sociale e,
per questo, serve una valutazione socio-politica differente rispetto a quella
del fenomeno migratorio generale, dato che implica una serie di diritti che
richiedono il contributo dei poteri pubblici per la protezione e la difesa dei
minori. Tuttavia l’azione delle amministrazioni pubbliche spesso cerca di
eludere gli obblighi imposti da questa problematica attraverso strategie di
invisibilizzazione, come i rimpatri o i dubbi sulla minore età.
Uno degli aspetti cruciali del nuovo modello migratorio è la sua ubica-
zione nel periodo adolescenziale. L’adolescenza implica un’idea di transi-
zione o di confine, la cui definizione differisce in funzione della cultura di
appartenenza, stabilendo schemi culturali e rituali di passaggio, tra cui an-
che l’emigrazione può a sua volta configurarsi come un rito. Ci troverem-

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mo di fronte a una doppia migrazione: quella del ciclo vitale verso l’età
adulta e quella dello spostamento geografico in direzione dell’Europa.
Gli spostamenti geografici dei minori, come modello generale, vanno
dai paesi poveri verso quelli ricchi e sono determinati da differenti fattori, il
cui vettore comune passerebbe dalle differenze fra la diversa conflittualità
del paese di origine e la configurazione dell’immaginario del paese di arri-
vo. Le rotte di passaggio verso il paese di arrivo – per mare, in aereo o via
terra – permettono di elaborare modelli d’ingresso orientativi, per quanto
non assoluti.
Un elemento rilevante è quello della mancanza di attenzione verso
l’aspetto femminile del fenomeno – sia nel caso della migrazione in genera-
le, che nel caso specifico delle ragazze minorenni –, aspetto che può inten-
dersi come un gradiente maggiore di invisibilizzazione del problema. Si po-
trebbe pensare di trovarsi di fronte un elemento differenziale, dovuto alla
matrice culturale del paese di origine che sottostima le donne e determina
una situazione di maggiore vulnerabilità in relazione al modello migratorio
maschile. Tenendo in conto l’invisibilità a cui si accennava in precedenza,
la vulnerabilità sembra mantenersi anche una volta che le minorenni hanno
fatto il loro ingresso nel paese di arrivo. È importante, per rompere questo
schema, che da una parte i sistemi di protezione e dall’altra i modelli di
analisi tengano in considerazione il genere come elemento differenziale.
Il vertiginoso aumento di arrivi di MMNA nel 2017 riapre il dibattito
sull’accoglienza e l’integrazione con garanzie di questo gruppo di persone.
Il fragile equilibrio tra protezione e controllo dei flussi migratori evidenzia
le grandi difficoltà delle amministrazioni nel far fronte a questo fenomeno.
Per questo è urgente ripensare il circuito della protezione, non solo per ac-
cogliere e assistere il flusso degli arrivi, ma anche per integrare giovani co-
raggiosi, resilienti e intraprendenti, che hanno deciso di iniziare un progetto
migratorio per migliorare la propria vita e quella delle proprie famiglie. È
necessario riflettere in modo creativo e pianificare assieme a tutti gli attori
coinvolti (professionisti, enti, amministrazioni, cittadini e gli stessi giovani
migranti) degli itinerari di accoglienza a lungo termine, dove l’integrazione
nella società sia una realtà e non solo una buona intenzione.

Bibliografia di riferimento

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human rights at the EU’s southern border: The role and limits of civil society
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http://migration.oxfordjournals.org (22/12/2017).

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Le (in)certezze nell’accoglienza dei minori stranieri
non accompagnati
di Rita Bertozzi

1. Introduzione

Anche se la storia delle migrazioni ci restituisce ripetutamente le biogra-


fie di minori in viaggio da soli, il fenomeno ha coinvolto l’Italia come meta
di destinazione (a volte intermedia) a partire dagli anni Novanta. Già in
questa fase la visibilità sociale di questi minori si è intrecciata con la loro
invisibilità, in quanto migranti irregolari, e ha posto fin da subito numerosi
interrogativi ai sistemi di welfare, già in preda a forti criticità e trasforma-
zioni.
La capacità delle politiche di affrontare queste situazioni ambivalenti e
continuamente mutanti non sempre si è mostrata all’altezza della sfida. Gli
studi rivelano piuttosto la forte eterogeneità delle politiche locali e la diffi-
coltà nel garantire i diritti, anche se non sono mancati tentativi di coordi-
namento e di condivisione dei saperi (Bertozzi, 2005; Giovannetti, 2008;
2012; Accorinti, 2014). Negli ultimi anni però, in particolare dal 2014, è
stato dato un nuovo impulso alle politiche nazionali ed è stato inaugurato
un approccio unitario all’accoglienza dei minori stranieri non accompagna-
ti, anche se risulta non di facile attuazione e questo induce gli attori coin-
volti a ripiegare su soluzioni emergenziali (si rimanda al saggio di Giovan-
netti e Accorinti in questo volume).
Di pari passo con questi mutamenti, si può notare come sia cambiato il
fenomeno, in termini quantitativi e qualitativi, ma anche rispetto alla presa
in carico, tanto da assumere i connotati di emergenza (Moyersoen, 2017).
In realtà l’arrivo di minori soli e la loro accoglienza sono sempre stati in-
scritti nei capitoli della straordinarietà, trattandosi di ingressi imprevisti di
minori privi di adulti legalmente responsabili per loro. Il frame
dell’emergenza ha acquisito però ulteriore rilevanza in tempi recenti, anche
sulla scia della crisi migratoria in Europa e del crescente numero di rifugiati

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e richiedenti asilo. L’incremento consistente delle persone da accogliere e
l’urgenza delle situazioni da affrontare, legate spesso a percorsi di sradica-
mento e sofferenza traumatica, ha richiesto il coinvolgimento di diversi at-
tori territoriali e ha implicato una maggior diffusione nazionale delle pro-
blematiche conseguenti (SPRAR, Cittalia, 2017). Il sistema di accoglienza
è stato dunque modificato, introducendo una governance unitaria di presa
in carico dei MSNA, richiedenti asilo e non. Il dato che comunque ha im-
pattato maggiormente sui servizi e sull’attenzione pubblica è stato il forte
incremento negli ultimi tre anni del numero complessivo di minori non ac-
compagnati. Il fenomeno ha visto anche una crescente copertura mediatica,
che ha contribuito ad accendere i riflettori su questi minori e a porre in luce
la drammaticità delle storie ma anche le aspirazioni dei soggetti.
Non essendo un fenomeno nuovo, le conoscenze sui percorsi e sulle mo-
tivazioni che spingono questi giovani a migrare sono perlopiù note, così
come i limiti di una categorizzazione giuridica che non coglie la forte ete-
rogeneità dei vissuti.
Tuttavia, come ogni processo migratorio, anche queste migrazioni de-
vono essere lette in modo dinamico, contestualizzandole e cogliendone le
specificità individuali ma anche dei processi che le generano. In questo
senso l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenta delle
novità e delle peculiarità in tempi recenti, che devono essere colte per poter
adattare gli interventi e le competenze di chi è preposto alla presa in carico.
Analizzare dunque questa tematica in una prospettiva temporale aiuta ad
individuare cosa già si conosce del fenomeno e quindi cosa si dovrebbe sa-
pere/fare nell’accoglienza di questi minori e invece cosa c’è di nuovo e
quali sfide si aprono nei contesti attualmente coinvolti.
Pur essendo interrogativi che vanno oltre le possibilità di risposta offerte
da questo contributo, nelle parti successive si cercherà di evidenziare le co-
noscenze acquisite nel corso degli anni e gli ambiti in cui prevalgono inve-
ce ancora le incertezze e le discrezionalità, e di ragionare su alcune que-
stioni attuali poste dai minori stranieri non accompagnati e rispetto agli in-
terventi attivati.

2. I nuovi volti del fenomeno

I minori stranieri non accompagnati rappresentano un segmento anoma-


lo dei processi migratori, poiché giungono senza adulti legalmente respon-
sabili per loro ma con progetti migratori simili a quelli degli adulti di prima
generazione, e perché il loro ingresso nel paese di arrivo avviene

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nell’irregolarità. Tuttavia, gli sviluppi degli arrivi dimostrano quanto non si
tratti di un fenomeno temporaneo quanto piuttosto di una modalità migrato-
ria a lungo termine.
Varie ricerche e il lavoro dei servizi negli anni hanno contribuito a sve-
lare l’esistenza di storie singolari (Giovannetti, 2007; Bastianoni et al.
2011; Di Nuzzo, 2014; Rigon e Mengoli, 2014; Zamarchi, 2014; Baldoni,
Giovannetti, 2017) ma spesso accomunate da tratti condivisi. Le motiva-
zioni che spingono i minori a migrare sono diverse e interrelate, anche se
spesso i minori si ritrovano con vissuti simili una volta giunti a destinazio-
ne. Ripercorrendole nel tempo, è possibile individuare i principali fattori
che hanno spinto i minori ad arrivare in Italia.
Molti minori sono arrivati per cercare lavoro e migliori opportunità edu-
cative e per fuggire dalla povertà, investiti di un progetto migratorio fami-
liare che li ha designati ad affrontare i rischi e le fatiche della migrazione
per poter aiutare i parenti rimasti nel paese di origine oppure spinti dai ge-
nitori stessi a partire per costruirsi un futuro migliore. Invertendo i modelli
di cura basati sulla vicinanza fisica, queste forme di transnazionalismo sof-
ferto e forzato (Ambrosini, 2009) hanno mostrato come spesso «l’aiuto
all’emigrazione è l’unica risposta che la famiglia è in grado di offrire per
garantire ai propri membri l’accesso a quei beni di consumo (status simbo-
lo) ormai visibilmente presenti sul territorio in virtù della massiccia emi-
grazione» (Orlandi et al., 2011, p. 25).
Oltre a queste situazioni, vi sono minori giunti in Italia per ricongiun-
gersi ai propri genitori irregolari o senza i requisiti per avviare un ricon-
giungimento regolare, minori erranti già nei paesi di origine o minori sfrut-
tati da organizzazioni criminali e inseriti in circuiti illegali di prostituzione
o spaccio di sostanze stupefacenti (Giovanetti, 2000; Valeri, 2000; Campa-
ni e Lapov, 2002; Silva e Campani 2004; Bichi, 2008; Bracalenti e Saglietti
2011).
Nel tempo è poi cresciuto il numero di minori in fuga per problemi poli-
tici, persecuzioni e conflitti armati nei paesi di origine, carestie e catastrofi
naturali. In questo contesto, gli eventi internazionali legati alle guerre in
Afganistan, Iraq, Siria o l’instabilità politica conseguente alla Primavera
Araba, così come i regimi dittatoriali hanno influito indubbiamente.
L’analisi dei dati italiani sui minori stranieri non accompagnati rivela il pe-
so di queste diverse cause della migrazione e il cambiamento avvenuto negli
ultimi anni, anche attraverso il modificarsi delle nazionalità prevalenti1.

1 Si vedano i report statistici di monitoraggio mensile pubblicati dal Ministero del Lavo-
ro e delle Politiche Sociali.

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L’elemento più dirompente rispetto al passato riguarda l’incidenza di
minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale o
provenienti da paesi africani (come Gambia, Somalia, Eritrea) o dal Medio
Oriente con situazioni politiche instabili. Questo cambiamento è uno dei
fattori che introduce maggiori novità nel lavoro con questi soggetti, poiché
spesso si tratta di minori con vissuti traumatici e di sradicamento, e quindi
con molte fragilità già all’arrivo. Se la separazione dai genitori e la rielabo-
razione del progetto migratorio sono compiti impegnativi che riguardano
tutti i minori non accompagnati (da sempre), gli eventi drammatici che al-
cuni minori vivono nei paesi di origine e nei viaggi ne aggravano la vulne-
rabilità. In tali situazioni, diventa ancora più necessario un sostegno psico-
logico che accompagni i minori a riorganizzare i propri vissuti, la propria
storia, rivisitando le esperienze traumatiche che possono essere avvenute
sia nei paesi di origine e di transito, ma anche nell’accoglienza ricevuta in
Italia (Oxfam, 2016; Segneri e Gatta, 2017). Le ricerche rilevano infatti una
crescente diffusione di psicopatologie specifiche tra i minori non accompa-
gnati, stati depressivi e disturbi emotivi che portano a sfiducia verso gli al-
tri, ostentata autonomia, distanza protettiva e insofferenza alle regole, diffi-
coltà di proiezione nel futuro, timore di non essere riconosciuti, difficoltà di
adattamento e frammentazione dell’identità (Bastianoni e Taurino, 2012).
Insieme a questi aspetti, alcuni cambiamenti del fenomeno si registrano
anche rispetto al ruolo dei network di connazionali. Fin dagli anni Novanta
è emerso il ruolo ricoperto dalle catene migratorie nel facilitare l’arrivo e
l’inserimento in Italia, pur non garantendo le risorse necessarie per i per-
corsi di crescita e maturazione personale (Sbraccia e Scivoletto, 2004; De
Stefani e Butticci, 2005; Silva e Moyersoen, 2006; Bichi, 2008; Zamarchi,
2014). È il caso di molti minori che sono giunti in Italia con precisi riferi-
menti parentali (zii, cugini, fratelli, amici) in grado di orientarli nelle prime
fasi di inserimento, anche se spesso verso le strutture preposte
all’accoglienza piuttosto che nei termini di una presa in carico personale,
mantenendo nascosti questi legami e non assumendosi responsabilità for-
mali. In altri casi, si è trattato di quei minori immigrati all’interno di catene
migratorie familiari, che si sono sostituiti o affiancati in modo informale al
membro della famiglia già radicato in Italia, utilizzando così la migrazione
del minore come risorsa familiare strategica. In tali casi, l’esistenza di un
network sul territorio italiano o europeo, anche se spesso invisibile o tenuto
nascosto, è stata ipotizzata come una delle motivazioni delle fughe dalle
strutture di accoglienza, per potersi ricongiungere o unire ai connazionali.
La maggior diversificazione delle provenienze a cui si assiste ora, dovu-
ta sia al cambiamento dei paesi di origine, sia ai meccanismi di redistribu-

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zione sul territorio nazionale, fa sì che il ruolo giocato dalle comunità di
connazionali sul territorio sia potenzialmente diverso. Se in passato i mino-
ri provenivano soprattutto dal Marocco e dall’Albania e nei luoghi di desti-
nazione le comunità di connazionali erano spesso ben presenti, ora le na-
zionalità di provenienza non hanno sempre una storia migratoria in Italia e
comunque la distribuzione dei minori da parte del Servizio centrale in parte
disancora questi percorsi dalle catene migratorie locali. In altre situazioni,
pur provenendo dagli stessi paesi, cambiano le città d’origine e quindi le
stesse catene migratorie funzionano meno. In alcune situazioni, sono so-
prattutto le reti amicali ad influenzare le decisioni di partire, come ad
esempio in alcuni contesti locali dove si registra l’arrivo di minori tunisini,
già espulsi dalle famiglie, consumatori di sostanze, che raggiungono l’Italia
poiché contattati dagli amici attraverso i social network, ma privi di legami
parentali.
Certamente, la migrazione di minori “soli” rappresenta una questione
molto delicata, poiché se da un lato questi minori hanno diritto alla prote-
zione così come di costruirsi un futuro migliore, dall’altro può insidiarsi il
rischio di utilizzo del minore a fini strategici da parte delle famiglie, per
avviare un progetto migratorio familiare superando i vincoli normativi2. In
tal senso, l’esistenza di accordi tra famiglie nell’invio dei minori, oppure la
scelta genitoriale imposta ai figli, così come la decisione familiare di far
partire i minori in età precoce per ridurre i costi del viaggio ed avere mag-
giori garanzie di accoglienza, sono strategie che rischiano di ledere i diritti
dei minori. Queste situazioni richiedono un’accurata analisi dei percorsi
migratori, ma impattano anche sulle politiche di accoglienza, laddove
emerge un’ambivalenza tra apertura all’accoglienza e sospetto di logiche
perverse, arrivando ad incidere sulle decisioni degli attori coinvolti. Ad
esempio, negli ultimi anni, l’aumento consistente del numero di MSNA ha
indotto anche i territori storicamente più ricettivi e aperti all’accoglienza ad
approfondire le cause sottostanti agli arrivi e a definire delle priorità
d’accoglienza (si veda ad esempio il caso scoppiato in Emilia Romagna nel
2016 sull’accoglienza dei minori albanesi, ritenuti “non abbandonati o per-
seguitati”, ma intenzionalmente inviati a studiare in Italia, e quindi poten-
zialmente concorrenti nell’utilizzo di risorse destinate ai minori più biso-
gnosi, con conseguenti rimpatri e individuazione di misure per arginare gli
arrivi) (Commissione d’inchiesta parlamentare, 2017).

2 Milanese (2005) richiama il ruolo fuorviante che possono ricoprire i passeurs che, ben
conoscendo la legislazione internazionale che impedisce il respingimento, si presentano alle
famiglie con le credenziali di chi sa condurre a buon fine i viaggi migratori, contribuendo
così ad alimentare pratiche di elusione delle norme sugli ingressi regolari.

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Infine, la crescente incidenza di minori in fuga da guerre, violenze e
persecuzioni richiama, a fianco del diritto alla protezione, l’importante ruo-
lo delle politiche socio-educative e di sostegno psicologico, per accompa-
gnare i soggetti a ri-elaborare i vissuti precedenti e costruire una prospettiva
futura.
In generale, rimane attuale la necessità di comprendere le condizioni di
partenza, le catene migratorie che si generano, il ruolo giocato dai social-
network nella socializzazione anticipatoria di questi minori, così come il
ruolo che potenzialmente possono giocare le comunità di connazionali nei
contesti di arrivo.

3. Le certezze e incertezze delle politiche

A fianco dei cambiamenti qualitativi, l’arrivo costante di flussi non pro-


grammati di minori non accompagnati ha evidenziato la necessità di orga-
nizzare dei servizi adeguati alle esigenze e problematiche poste da questa
“nuova” utenza. Storicamente, le politiche italiane di accoglienza di questi
minori sono state molto frammentate e gli oneri relativi all’accoglienza so-
no ricaduti principalmente sui sistemi di welfare locale. Nonostante si sia
arrivati a delineare un iter d’intervento comune alle diverse prassi territoria-
li, le singole realtà hanno sempre espresso anche una forte eterogeneità di
attori coinvolti, standard qualitativi e modelli di gestione, con evidenti im-
plicazioni sia sui livelli di garanzia dei diritti dei minori sia sulle risorse uti-
lizzate. Spesso questa disomogeneità ha reso difficile la valutazione dei
servizi e ha accentuato le incertezze e gli squilibri tra i territori.
L’esperienza pluriennale degli attori coinvolti ha comunque permesso di
apprendere come il lavoro con i minori stranieri non accompagnati implichi
il sapersi muovere tra diverse antinomie. Individualità vs categorizzazione,
ossia riconoscere le aspettative e le risorse di ogni soggetto, aiutandolo a
tenere insieme le identità e i percorsi personali con i vincoli imposti dal
contesto e dalle normative. Protezione vs autonomia, in quanto i minori
hanno diritto e bisogno di essere protetti ma allo stesso tempo devono esse-
re accompagnati verso il futuro, con un approccio che responsabilizzi e
guidi all’autonomia, affinché siano in grado di affrontare la vita adulta da
neo-maggiorenni (Zamarchi, 2014). Aspettative personali vs reali possibili-
tà, perché spesso i minori idealizzano la meta di migrazione, hanno alte
aspettative derivate da informazioni distorte e hanno un approccio strumen-
tale al sistema di accoglienza, e questo deve in qualche modo essere ri-
orientato in virtù delle reali possibilità offerte dal sistema e dai contesti ri-

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cettivi. Formazione vs lavoro, in quanto i minori spesso hanno il desiderio e
bisogno di inserirsi rapidamente nel mercato del lavoro, ma quello che pos-
sono più realisticamente ottenere è l’inserimento in percorsi formativi, an-
che in vista del lavoro, e quindi è necessaria una riformulazione delle aspet-
tative e dei progetti d’integrazione. Come dimostrano molte esperienze lo-
cali, la triangolazione di servizi, minore e comunità, spesso coinvolgendo
anche il tutore, è una relazione funzionale e necessaria alla condivisione del
progetto educativo, anche se non sempre consolidata. Dalle relazioni e dalla
forza dei network attivati possono dipendere anche interessanti sperimenta-
zioni e risposte alternative rispetto ad affidi familiari, progetti formativi e
lavorativi, accompagnamenti alla maggiore età (Zamarchi, 2014; Regione
Emilia Romagna, 2008; Bertozzi, 2005).
Nonostante l’esperienza appresa, i nodi problematici posti dalle condi-
zioni dei minori non accompagnati richiedono alle politiche un costante ri-
pensamento e soluzioni non solo estemporanee e legate alle diverse sensibi-
lità politiche e alle risorse disponibili. In questo scenario, una delle recenti
novità a livello nazionale è rappresentata dalla L.47/2017 Disposizioni in
materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati,
poiché ha accorpato tutte le norme relative alla protezione di questi minori
sparse in vari atti normativi di primo e secondo grado, risolvendo questioni
controverse e fornendo chiare indicazioni per la strutturazione di un sistema
di accoglienza e integrazione diffuso su tutto il territorio nazionale (Moyer-
son, 2017). Anche se l’attuazione di tale riforma, come di altre recenti, non
è ancora pienamente avvenuta e permane una governance confusa3, tale
legge può essere considerata interessante poiché offre indicazioni unitarie
sulla strutturazione del sistema di accoglienza e dunque potrebbe avere un
impatto positivo negli anni a venire. Tra le novità principali vi è il ricono-
scimento del Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori
stranieri non accompagnati come prioritario modello per la seconda acco-
glienza dei minori4. Sempre in tema di accoglienza, vengono ridotti i tempi
di permanenza in strutture di prima assistenza e accoglienza da 60 a 30
giorni. Altri elementi di chiarezza (più che di certezza) forniti dalla nuova
legge riguardano le procedure per l’identificazione e l’accertamento
dell’età del minore (art. 5) e la semplificazione della materia dei permessi
di soggiorno (art. 10), entrambi oggetto di numerose incomprensioni in

3 Si rimanda al saggio di Giovannetti e Accorinti


4 Il modello Sprar presenta come punti di forza il coinvolgimento dei territori, il modello
di accoglienza integrata, l’integrazione linguistica, la tutela sanitaria, psicologica e legale, la
mediazione specializzata, la presenza di professionalità appositamente formate e il contratto
di accoglienza tra istituzioni e beneficiari (Ministero dell’Interno, 2015)

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passato. Tra le questioni che vengono rafforzate vi è anche il riconoscimen-
to della figura del tutore volontario (art. 11), già sperimentato in alcuni ter-
ritori ma ora iscritto nelle misure nazionali, e la promozione dell’affido fa-
miliare come misura prioritaria rispetto al collocamento in strutture di ac-
coglienza (art. 7). Non ultimo, nella legge viene riconosciuta l’importanza di
apposite misure finalizzate a sostenere in modo organico l’integrazione sociale,
scolastica e lavorativa dei minori non accompagnati (art. 14), così come il pos-
sibile prosieguo amministrativo al 18esimo anno, ovvero l’affidamento ai ser-
vizi sociali fino al ventunesimo anno.
Se questa legge è stata accolta con una generale soddisfazione, essendo
attesa da tempo, le prime evidenze empiriche segnalano già le difficoltà di
attuazione, dovute ad esempio all’individuazione di nuove strutture in pos-
sesso dei requisiti richiesti per l’accoglienza dei minori, e quindi alla possi-
bilità di rendere effettiva la diffusione del modello Sprar5, così come le dif-
ficoltà di rispettare la riduzione dei termini di permanenza nella prima ac-
coglienza (Moyerson, 2017). L’indisponibilità di strutture Sprar permette
altri tipi di sistemazioni disposte dai Comuni o dalle Prefetture6, e di fatto
la maggior parte dei minori non accompagnati è accolta in strutture con-
venzionate con gli Enti locali. In questi casi, riaffiora la problematica della
disomogeneità degli standard delle politiche e, in alcuni contesti, l’esigenza
di aumentare il numero di posti ha legittimato l’affiorare di strutture e cen-
tri di accoglienza per minori non sempre adeguatamente preparati né rego-
lamentati (Commissione d’inchiesta Parlamentare, 2017; Bertozzi, Consoli,
2017). Vi è poi un tema di risorse effettivamente disponibili per
l’implementazione delle nuove misure previste.
Se dunque la legge recente offre maggiori certezze rispetto al passato,
rimane da valutare l’implementazione di questi orientamenti e come saran-
no superate le criticità che già stanno affiorando, insieme alla permanenza
della forte eterogeneità delle modalità locali di presa in carico, poiché indi-
cative dell’assenza di un reale sistema d’accoglienza unitario.
Strettamente connesso al ripensamento del sistema d’accoglienza, e al
mutamento dei bisogni, è il tema delle competenze degli operatori che lavo-
rano con i minori non accompagnati. Negli anni infatti il sistema
d’accoglienza si è progressivamente adeguato alle esigenze impreviste, spe-
rimentando nuovi interventi, e questo ha permesso ai servizi socio-
educativi già in essere di acquisire una conoscenza del fenomeno e delle

5 In parte il problema è collegato anche alla limitata disponibilità degli enti locali di ade-
rire alla rete Sprar.
6 Linee di indirizzo per l’accoglienza nei Servizi residenziali per minorenni - v.3.2 del

2/12/2016. Art. 19 L.47/17 (comma 3 bis).

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competenze in materia. D’altro canto, la riorganizzazione del sistema
d’accoglienza e i diversi bisogni dei minori, fanno emergere il problema di
come e se adeguare le competenze degli operatori, sfidando la capacità del
sistema (e delle figure coinvolte) di adattarsi ai cambiamenti.
Gli assunti che stanno alla base del lavoro educativo con questi minori si
fondano sulla rielaborazione del progetto migratorio, poiché spesso i minori
arrivano spaesati, hanno aspettative elevate presto deluse e quindi possono
vivere con frustrazione l’intera esperienza migratoria; in tal senso gli edu-
catori devono essere in grado di ascoltare, dialogare, dare fiducia, per poter
accompagnare una ridefinizione dei progetti e lasciare l’autonomia necessa-
ria per strutturare il loro percorso in vista della transizione alla maggiore
età. Altre ambiti importanti sono la cura, l’accompagnamento alla regola-
rizzazione e l’orientamento rispetto alle offerte formative e ricreative del
territorio. Un ruolo sicuramente centrale è rivestito dalla capacità di dare
informazioni corrette, poiché spesso i minori non sono informati o hanno
informazioni errate, e possedere le informazioni è un tassello importante
per iniziare a progettare il proprio futuro: in recenti indagini emerge come i
minori in alcune realtà siano proprio all’oscuro dei loro diritti, della possi-
bilità di chiedere protezione internazionale o di avere un tutore legale
(Oxfam, 2016). I recenti volti del fenomeno portano alla luce anche la ne-
cessità di rafforzare altre competenze, quali ad esempio quelle di supporto
psicologico ed etnopsichiatrico, prima utilizzate in modo più circoscritto e
specialistico, ora maggiormente richieste per rispondere ai bisogni diffusi
di rielaborazione di traumi, lutti, perdite. La stessa L.47/17 stabilisce che il
primo colloquio conoscitivo con il minore debba essere svolto da personale
qualificato della struttura di prima accoglienza e in presenza di un mediato-
re culturale, non più facoltativo ma obbligatorio. I mediatori interculturali
vengono previsti anche durante tutta la procedura di identificazione e accer-
tamento dell’età, nonché come supporto nei progetti formativi e lavorativi.
Nella sistematizzazione del sistema d’accoglienza vengono dunque intro-
dotti importanti requisiti, ma allo stesso tempo sorge l’interrogativo di co-
me potranno essere rispettati su tutto il territorio nazionale (Moyerson,
2017). La figura dei mediatori è abbastanza emblematica. È noto infatti
come si tratti di una figura professionale debole, diversamente riconosciuta
a livello regionale e con una diffusa carenza di formazione (Luatti, 2006;
Luatti e Torre, 2012). Le ricerche sui mediatori a livello europeo, ma anche
all’interno dello SPRAR, richiamano alcuni nodi problematici insiti nel ri-
conoscimento fino ad ora ottenuto da questa professione (Casadei e France-
schetti, 2009; SPRAR, Cies, 2010). Non esistendo una qualifica riconosciu-
ta a livello nazionale, spesso i mediatori vengono attivati in virtù della loro

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origine straniera e comunanza linguistica con gli utenti dei servizi (media-
tori naturali), senza particolari requisiti formativi, vengono utilizzati come
“sportellisti” o per azioni di pronto intervento e raramente sono inseriti in
modo strutturato nelle equipe professionali (Luatti e Torre, 2012). Il ruolo
di mediatore può dunque assumere connotazioni diverse, anche se non
sempre consapevoli e adeguate ai vari contesti, e rivelare diversi presuppo-
sti culturali che orientano le scelte traduttive. Questo dispositivo richiama
poi l’importanza di identificare e rielaborare stereotipi e pregiudizi nella
relazione interpersonale, di riconoscere una concezione dinamica della cul-
tura e di negoziare significati ed azioni, considerando le peculiarità della
comunicazione interculturale e il conflitto interetnico (Esposito e Vezzadi-
ni, 2011). Anche prima della L.47 il dispositivo di mediazione era utilizzato
con i minori stranieri non accompagnati, soprattutto nelle fasi di prima ac-
coglienza e nelle procedure per l’identificazione e l’accertamento dell’età.
Si tratta di momenti particolarmente delicati, nei quali non è in gioco sola-
mente una comprensione linguistica, ma anche la costruzione di una rela-
zione di fiducia, decisiva per impostare tutto il percorso d’integrazione del
minore. La legge recente individua in queste figure uno degli elementi ne-
cessari. Ecco allora che diventa importante riflettere sulle competenze dei
mediatori, sull’impatto che può avere la gestione di vissuti emotivamente
pesanti, sulle rappresentazioni che i mediatori stessi hanno di questi minori,
sulle modalità di reclutamento e sull’aggiornamento professionale in virtù
dei nuovi bisogni. In questa direzione, seppur con un focus specifico sui
mediatori che lavorano con i rifugiati e richiedenti asilo, si muove il proget-
to Erasmus + ReCULM Upskilling Cultural Mediators7 nell’intento di pre-
disporre dei materiali didattici per percorsi di apprendimento flessibile per
mediatori che lavorano con migranti forzati e di un riconoscimento del pro-
filo professionale del mediatore interculturale a livello europeo (Bertozzi e
Saruis, 2018). Dai primi esiti del progetto emergono chiaramente le compe-
tenze richieste al mediatore che lavora in questi contesti, peraltro in parte
richiamate anche da Esposito e Vezzadini (2011) come abilità necessarie al
mediatore per facilitare la comunicazione, la comprensione e la relazione
tra persone e gruppi diversi per lingua e cultura: conoscenze linguistiche,
conoscenze culturali, informazioni sugli avvenimenti internazionali, cono-
scenza del sistema di accoglienza e delle normative, capacità comunicative
(verbali e non), di facilitazione e di attivazione, strumenti per comprendere
chi ha vissuto esperienze particolarmente traumatiche, capacità di gestire le

7 Il progetto vede impegnati 4 Paesi Europei - Italia, Grecia, Spagna e Regno Unito – nel
periodo 2016-2018. Per approfondimenti si veda: http://www.reculm.eu/.

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emozioni e di tenere la giusta distanza, capacità di adattarsi a contesti in ra-
pido mutamento e conflittuali, di destrutturare gli stereotipi e favorire
l’incontro. Molto probabilmente alcune di queste competenze sono necessa-
rie anche per altre professionalità che lavorano con i minori stranieri non
accompagnati, richiedenti asilo e non, e quindi se ne possono trarre indica-
zioni rispetto ad aree da potenziare per chi lavora (o inizia a lavorare) con
questi minori.
Avere degli strumenti adeguati per leggere i vissuti e i bisogni dei mino-
ri può anche facilitarne l’aggancio e favorire il contatto con i minori più
“invisibili”. Il tema delle fughe dei minori ospitati nelle strutture
d’accoglienza è infatti un dato che costantemente si ripropone e che negli
ultimi anni ha raggiunto numeri sempre più rilevanti (Ismu, 2017). Le mo-
tivazioni possono essere molto diverse: in molti casi i minori fuggono dalle
strutture perché i percorsi che vengono offerti non rispondono alle loro
aspettative ed esigenze (come ad esempio di trovare rapidamente un lavoro
o di avere somme di denaro a disposizione o di avere una chiara proposta
progettuale), non li coinvolgono nella fase decisionale o perché le strutture
impongono regole troppo rigide (Bosisio, 2011), quindi i minori cercano
altrove delle soluzioni, esponendosi al rischio di attività illegali; in altri ca-
si, come dimostrano alcuni reportage (Oxfam, 2016; Save the Children Ita-
lia, 2017), scappano perché non si sentono sufficientemente tutelati dalle
strutture ospitanti8. Vi sono poi minori che fuggono per proseguire il viag-
gio in altri Paesi del Nord Europa, dove hanno contatti con parenti, conna-
zionali o dove si immaginano di poter avere migliori opportunità di inseri-
mento, come ad esempio, molti minori eritrei, somali, afghani: nonostante i
rischi e la durezza dei viaggi già affrontati, questi minori non si fermano e,
a volte spronati dai genitori, proseguono l’avventura rendendosi irreperibili.
Negli anni, le testimonianze degli operatori hanno anche rivelato che
l’irreperibilità può anche essere dovuta al fatto che i minori mantengono dei
contatti nascosti con persone sul territorio che possono agire da richiamo o
essere motivo di subordinazione nei casi di sfruttatori e reti criminali, con
l’esito di attirarli fuori dai circuiti dell’accoglienza istituzionale. Gli stru-
menti di contrasto devono dunque considerare queste diverse cause. Negli
anni è stato difficile trovare risposte efficaci, anche se alcune esperienze
sono riuscite ad attivare strategie di aggancio che hanno portato qualche ri-
sultato: ad esempio grazie all’educativa di strada è stato possibile far emer-
gere dall’invisibilità molti minori; la presenza di mediatori interculturali in
8 Nell’analisi della situazione in Sicilia, gli operatori di Oxfam riportano delle testimo-

nianze di minori incontrati per strada, tra i 12 e 17 anni, che affermano di essere fuggiti per
la scarsa sorveglianza degli operatori sugli episodi di prevaricazione e violenza nei centri.

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centri a bassa soglia ha offerto spazi di ascolto e di orientamento che hanno
favorito l’accesso o il reinserimento nei percorsi di accoglienza; anche le
esperienze di avvocati di strada hanno favorito un approccio di prossimità
utile nel contrastare la disinformazione ed illustrare le opzioni offerte dalla
normativa italiana ed europea (Bertozzi, 2006). Il tema però rimane comples-
so e raramente è stato inserito tra le priorità politiche, con risorse specifiche.
Un altro contenuto importante che emerge e si inserisce sempre di più
nelle politiche locali è il ruolo giocato dalla società civile. Se l’accoglienza
dei minori non accompagnati è demandata prioritariamente agli attori pub-
blici e del terzo settore, nel tempo sono nate diverse sperimentazioni dal
basso che hanno coinvolto la cittadinanza, e che la nuova legge rilancia a
livello nazionale. Si pensi ad esempio alle reti di famiglie affidatarie, italia-
ne o straniere, che in alcune città hanno permesso di offrire risposte di inse-
rimento in nuclei familiari ai minori non accompagnati durante la minore o
maggiore età (Regione Emilia Romagna, 2008; Zamarchi, 2014), ma anche
a progetti più recenti, come ad esempio il progetto WelcHome a Modena9 o
il progetto “Mai più soli”10. Oppure ai cittadini che hanno dato la propria
disponibilità come tutori volontari in diverse regioni, offrendo la possibilità
di instaurare relazioni significative e personalizzate tra il minore e il tutore,
e che ora sono auspicate in tutto il territorio nazionale. Se la società civile
ha assunto negli anni funzioni complementari, sostitutive o conflittuali ri-
spetto agli attori pubblici nei diversi contesti, a seconda degli orientamenti
e delle sensibilità locali, ora che il fenomeno ha assunto una portata mag-
giore e si intreccia con altre “emergenze”, oltre che con crescenti resistenze
politiche, bisogna vedere quali risposte saranno attivate.
Un ultimo riferimento può essere fatto alle politiche di integrazione so-
ciale per questi minori. Da sempre l’accoglienza dei MSNA ha richiesto
l’attivazione di percorsi di inserimento scolastico-formativo che, soprattutto
in passato, hanno trovato risposte nei percorsi di formazione professionale
e/o nei corsi di lingua italiana e per l’ottenimento della licenza media, con
differenze a seconda delle offerte territoriali. Il diritto all’istruzione è stato

9 Il progetto “WelcHome, accoglienza in famiglia” ha avuto inizio nell’ottobre 2015,


promosso dal Comune di Modena, insieme al Terzo Settore e alle Associazioni di volonta-
riato e ha l’obiettivo di sperimentare forme innovative di accoglienza di richiedenti asilo,
rifugiati e minori stranieri non accompagnati, in famiglie italiane o straniere, integrando un
sistema basato quasi esclusivamente sull’inserimento in comunità, gruppi appartamento e
strutture per l’autonomia.
10 Il progetto è promosso da Refugees Welcome Italia e Cidis Onlus, assieme ad Asgi,

Cooperativa Nuovo Villaggio, Comune di Corigliano Calabro e Comune di Mugnanosi e si


occupa dei neo-maggiorenni sperimentando la loro accoglienza in famiglia al raggiungimen-
to della maggiore età.

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garantito a tutti i minori, cercando di coniugarlo con il desiderio di un rapi-
do inserimento lavorativo, anche se quest’ultimo versante ha sempre incon-
trato numerose difficoltà. Dal 2015 però si è registrato un aumento
d’interesse per il tema e la tematica è arrivata in modo più diretto
all’interno delle scuole, grazie a risorse mirate: con il bando n.830/2015,
reiterato poi gli anni successivi, il Ministero dell’istruzione ha messo a di-
sposizione di scuole o reti di scuole delle risorse per il finanziamento di
progetti di accoglienza e integrazione di minori stranieri non accompagnati,
mettendo a tema anche queste presenze (Biagioli et al., 2015). Pur essendo
prevalentemente iscritti nei CPIA (Centri per l’istruzione adulti), grazie a
questi fondi, le scuole hanno potuto pensare a progetti rivolti a questi mino-
ri e attivare delle risorse specifiche (Biagioli et al., 2015; USR Regione
Emilia Romagna, 2016). Le esperienze documentate permettono di avanza-
re prime riflessioni che meriterebbero un approfondimento specifico: gli
interventi attivati dalle scuole rispondono a bisogni linguistici attraverso
l’insegnamento dell’italiano come L2 (Amoruso et al., 2015), promuovono
i linguaggi non verbali, le azioni peer to peer per facilitare i percorsi di in-
serimento, cercano di farsi carico del supporto psicologico di questi minori
e di puntare sulle competenze di resilienza di questi minori. Da questo bre-
ve elenco, si può notare come alcune tipologie di interventi e di bisogni ac-
comunano i minori non accompagnati ai minori neo-ricongiunti e, anche se
oggetto di finanziamenti specifici, la scuola può recuperare l’esperienza
pluriennale in questi campi, anche ottimizzando risorse e pratiche esistenti
e già consolidate, non necessariamente riportandole alla categoria
dell’emergenza (perché in tali ambiti le scuole dovrebbero ormai aver ac-
cumulato delle conoscenze consolidate, nonostante il cronico problema del-
la carenza di fondi). In altri ambiti invece è evidente la necessità di aggior-
namento e formazione specifica degli insegnanti, per avere la sensibilità e
gli strumenti necessari per accompagnare questi minori considerando la
particolarità dei percorsi e dei bisogni dei minori non accompagnati (di so-
stegno emotivo, di orientamento, di socializzazione tra pari, di traduzione
operativa del percorso formativo) e delle condizioni nelle quali vivono in
Italia (USR Emilia Romagna, 2016). Nei progetti finanziati è evidente co-
me necessariamente la scuola deve mettersi in rete con altri attori, propo-
nendo esperienze di apprendimento, rielaborazione dei vissuti, orientamen-
to e costruzione di nuovi legami. I minori non accompagnati sono infatti
portatori di «un insieme di bisogni che possono entrare anche in contrasto
tra loro (assistenza, tutela, accrescimento delle conoscenze e delle compe-
tenze, autonomia, realizzazione del proprio progetto di vita) e che richiedo-

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no, logicamente, un intervento articolato che chiama in causa più soggetti»
(Triani, 2016, p. 4).
Anche l’integrazione lavorativa dei minori è sempre stato un nodo cru-
ciale dei percorsi di inserimento che ha incontrato molteplici difficoltà, a
volte normative, a volte legate alle reali possibilità di inserimento nel mer-
cato del lavoro, altre volte dovute ai limiti degli strumenti di politica del la-
voro. Certamente, questo obiettivo è ricaduto sugli attori locali, scontando
la diversità delle offerte occupazionali dei territori oltre che formative, sen-
za chiari sostegni a livello nazionale: le borse lavoro, i tirocini,
l’apprendistato sono stati attivati in misura diversa, coprendo parzialmente
le aspettative dei minori stessi. Anche in questo caso, la legge 47/2017 ri-
badisce l’importante diritto all’istruzione e formazione, introducendo la
possibilità di predisporre dei progetti specifici supportati, ove possibile, da
mediatori culturali, nonché convenzioni volte a promuovere specifici pro-
grammi di apprendistato. Anche in questo caso, nonostante l’importante
orientamento, non vi sono però risorse a sostegno degli interventi. Nono-
stante questo, tra le nuove misure adottate a livello nazionale, nel 2016 e
nel 2017, si può menzionare l’attivazione da parte del Ministero del Lavoro
e delle Politiche sociali di un avviso di finanziamento denominato Percorsi
per la formazione, il lavoro e l’integrazione dei giovani migranti. Attraver-
so lo strumento della “dote individuale”11, sono stati promossi rispettiva-
mente 960 e 850 percorsi di integrazione socio-lavorativa per minori non
accompagnati, volti a strutturare dei piani di intervento personalizzati per lo
sviluppo delle competenze, la formazione on the job, i tirocini. Anche in
questo caso, più che di novità di approccio, si tratta di un tentativo di soste-
nere con risorse dedicate l’attivazione di risposte note ma non sempre fa-
cilmente praticabili, che invece sarebbero da supportare e incentivare.

4. Conclusioni

Nel corso degli anni, le migrazioni di minori non accompagnati hanno


assunto un’importanza crescente e questo ha contribuito a far emergere sto-
rie spesso ignorate, confinate in un sistema di accoglienza che le isola e
che, per questo, “protegge” gli autoctoni dal porsi interrogativi profondi
sulle cause del fenomeno.

11 La “dote individuale” ha consentito l’erogazione di interventi di politica attiva perso-

nalizzati e una dotazione monetaria di 500 € per la partecipazione al tirocinio per minori non
accompagnati prossimi alla maggiore età o giovani neo-maggiorenni.

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Le politiche di accoglienza nel tempo hanno subito dei cambiamenti,
anche se l’auspicata unitarietà di sistema auspicata è lontana dall’essere
raggiunta.
Alla luce di queste evoluzioni, il saggio ha posto in evidenza alcune
continuità e discontinuità presenti nel contesto attuale che aprono vari inter-
rogativi. Il tema non riguarda solo la strutturazione del sistema, ma anche le
competenze degli operatori che vi lavorano e la disponibilità di risorse e
strumenti per rafforzare i processi di emersione e i percorsi di inserimento.
Partendo dagli spunti offerti dalla L.47/17, si è fatto esplicito riferimento ai
mediatori interculturali, ai percorsi scolastici e lavorativi, alle risorse della
società civile, come ambiti spesso poco considerati poiché generalmente
ricondotti alle risorse e alle offerte territoriali.
Sicuramente, se lo sguardo si rivolge alle politiche socio-educative, è
possibile individuare degli obiettivi pedagogici costanti e trasversali: la co-
noscenza di sé e della propria situazione e la capacità di progettare il pro-
prio futuro sono esigenze dei minori e strumenti necessari per potersi ripen-
sare. La rielaborazione del viaggio, della separazione dai genitori, del man-
dato familiare, dei traumi, dei progetti migratori sono aree di intervento ti-
picamente affrontate nella relazione educativa, anche se di recente la porta-
ta dei vissuti di sofferenza, persecuzione, violenza è maggiore. In questo
senso, i bisogni attuali dei minori richiedono forse un supporto e un raffor-
zamento delle competenze degli operatori nel confrontarsi con tali vissuti e
con una vulnerabilità maggiore dei minori, senza disconoscere però la loro
capacità di resilienza (Di Nuzzo, 2013).
Il crescente interesse italiano per i minori non accompagnati richiedenti
asilo da un lato permette di trattare con maggior responsabilità e competen-
za i traumi e le condizioni di vulnerabilità che accomunano molti minori
stranieri non accompagnati; dall’altro però le logiche emergenziali modifi-
cano il sistema d’accoglienza, senza dedicare risorse aggiuntive ai percorsi
di integrazione. La stessa L.47/17 definisce degli orientamenti politici ma
non stanzia risorse specifiche. E nell’emergenza, i percorsi di integrazione
sociale rischiano di cadere sempre in secondo piano.
Nel ripensamento generale dell’accoglienza di questi minori è perciò
necessario rafforzare gli strumenti di accompagnamento di tali processi,
anche sostenendo quelle pratiche che i territori hanno già avviato e potreb-
bero potenziare, individuando ottimizzazioni e innovazioni. L’importanza
di queste tematiche è evidente, poiché i minori vivono una delicata fase di
crescita, coincidente con la costruzione e rafforzamento dell’identità, e
spesso le dimensioni spazio-temporali sono esperite come attesa, presente
continuo, sospensione del futuro, che non aiutano a proiettarsi nel futuro,

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per transitare con serenità verso la maggiore età, altra tappa decisiva e pro-
blematica. Vari studi dimostrano quanto la precarietà della sistemazione o
la dipendenza da coloro che offrono assistenza, possano influire sulla salute
mentale dei migranti e sul loro disempowerment (Harrell-Bond, 2005).
Invece il lavoro educativo deve accompagnare l’integrazione, partendo
dai bisogni specifici dei minori, quali i bisogni linguistici, ma anche rela-
zionali, sociali, di orientamento al lavoro e di accompagnamento nella pro-
gettualità della vita, ma valorizzando anche le loro risorse, per aiutarli ad
interagire con compagni, docenti, altri adulti di riferimento, esprimendo i
propri bisogni e riuscendo a soddisfare le esigenze quotidiane sempre più
autonomamente (URS Emilia Romagna, 2016). In tal senso, le risorse de-
stinate ai minori non accompagnati possono essere utilizzate con un ap-
proccio non categorizzante che, pur non dimenticando le specificità di cui
sono portatori, promuova terreni di incontro e risposte trasversali a bisogni
simili.

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Pratiche innovative di accoglienza e integrazione
dei minori stranieri non accompagnati in Italia
di Nicoletta Pavesi

1. Introduzione

La maggior parte dei MSNA giunti in Italia ha trovato fino ad oggi una
collocazione prioritaria in seconda accoglienza presso comunità, dunque
strutture che hanno lo scopo di garantirne una presa in carico professionale,
grazie alla presenza di personale qualificato. I dati del Ministero del Lavoro
(agosto 2017) indicano che a metà del 2017 i MSNA accolti in strutture di
seconda accoglienza erano 11.144 e rappresentavano il 60% dei minori non
accompagnati presenti sul territorio italiano. Il 33% di essi risultava invece
accolto in strutture di prima accoglienza, mentre il 3% era collocato presso
privati. Del restante 4%, dalle segnalazioni pervenute alla Direzione Gene-
rale non risultava enucleabile la tipologia di collocamento. Nella seconda
accoglienza rientrano sia le strutture afferenti alla rete SPRAR che quelle
finanziate su fondi FAMI che, infine, tutte le strutture di secondo livello
accreditate/autorizzate a livello regionale o comunale.
Le strutture di accoglienza censite nella Banca Dati della Direzione Ge-
nerale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione che ospitano
MSNA sono in tutto 2.039. Le Regioni italiane che hanno un maggior nu-
mero di strutture di accoglienza sono: la Sicilia che copre il 24,9%, la
Lombardia il 10,1%, la Campania il 9,2%, la Calabria il 7,1%, la Puglia il
6,9%, l’Emilia Romagna il 6,8%, il Lazio il 6,2% e il Piemonte il 5,8%
(Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, agosto 2017).
L’accordo sui requisiti minimi per la seconda accoglienza dei MSNA
nel percorso verso l’autonomia siglato il 5 maggio 2016 dalla Conferenza
delle Regioni e delle Province a statuto autonomo prevedeva che
all’ingresso del minore in comunità venisse stilato un PEI (piano educativo
individualizzato), in grado di garantire:

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• il recupero e/o il potenziamento delle risorse individuali del minore
allo scopo di favorire il processo di crescita;
• l’orientamento e la tutela legale, e dunque il supporto
nell’espletamento delle procedure di identificazione e del rilascio del
permesso di soggiorno;
• la verifica della presenza di parenti e collaborazione per l’eventuale
avvio delle procedure di ricongiungimento familiare;
• l’assistenza psicologica e sanitaria;
• la verifica di eventuali condizioni di vulnerabilità o di necessità par-
ticolari (disagio psicologico, vittime di tratta, torture, violenza);
• l’assolvimento dell’obbligo scolastico;
• l’insegnamento della lingua italiana anche in raccordo con i piani re-
gionali per la formazione civico-linguistica;
• la formazione secondaria e/o professionale;
• il collocamento in attività lavorative in apprendistato e/o in tirocini;
• l’inserimento in contesti e attività socializzanti e per il tempo libero.

Per consentire il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti, si sono


sviluppati in tutto il Paese numerosi progetti che hanno visto partnership
fra enti pubblici e di privato sociale, e che 1. hanno favorito l’integrazione
dei MSNA nelle comunità territoriali in cui si trovavano grazie ad una serie
di misure, prime fra tutte l’apprendimento della lingua italiana; 2. hanno
consentito loro di acquisire competenze professionali spendibili nel merca-
to del lavoro; 3. hanno promosso l’empowerment1 delle capacità, degli inte-
ressi e delle abilità dei minori stessi attraverso attività di tempo libero fina-
lizzate; 4. hanno favorito la rielaborazione dei traumi che hanno accompa-
gnato il percorso migratorio; 5. hanno posto le basi per una adeguata transi-
zione all’autonomia al raggiungimento della maggiore età.
La Fondazione Ismu, nell’ambito della Linea Strategica dedicata appun-
to ai MSNA, ha attivato la raccolta di pratiche di accoglienza e integrazione
attraverso la realizzazione di una banca dati che, al termine del 2017, ha
consentito di raccogliere circa 120 esperienze che coprono tutto il territorio
nazionale2.

1 L’empowerment fa riferimento a uno specifico processo dell’azione sociale attraverso


il quale le persone, le organizzazioni, i gruppi e le comunità acquisiscono competenza sulle
proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità
e la qualità di vita (Wallerstein, 2006).
2 Le pratiche sono reperibili sul sito Ismu: www.ismu.org. Un’analisi delle pratiche più

innovative è stata pubblicata in: Valtolina G.G. e Pavesi N. (2017), “I minori stranieri non
accompagnati”, in Fondazione Ismu, Ventitreesimo Rapporto sulle migrazioni 2017, Fran-
coAngeli, Milano, 2017

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Tra le pratiche censite ve ne sono diverse che si caratterizzano per la lo-
ro innovatività, definite tali sulla base dei seguenti criteri: il networking,
ossia la reticolarità degli interventi; l’empowerment degli utenti e delle co-
munità; la valorizzazione delle risorse dei singoli e dei gruppi; la flessibilità
degli interventi legata all’eterogeneità dell’utenza e dunque alla necessità
della personalizzazione dei progetti.
Vediamo con più precisione questi criteri.
Si ritiene anzitutto che i progetti più innovativi siano quelli che si collo-
cano nella prospettiva della welfare community, alla base della quale c’è
l’idea che la possibilità di raggiungere una condizione di benessere non di-
penda solo dall’individuo, ma sia necessario che le persone con lui in rela-
zione si comportino in modo facilitante; tutti devono collaborare a un be-
nessere delle relazioni in cui sono implicati, accettando l’apparente para-
dosso che il benessere personale non può derivare da una logica individua-
lista, bensì da una strategia cooperativa (Carrà e Pavesi, 2015). Emerge qui
chiaramente il riferimento ai “beni comuni” (Donati e Solci, 2011), ossia
quei beni che possono essere prodotti e utilizzati soltanto attraverso rela-
zioni sociali piene. I beni comuni, chiarisce Rodotà (2013), sono stretta-
mente correlati alla soggettività delle persone, non però in termini egoistici,
cioè appropriativi-esclusivi, ma in termini di promozione della persona,
nella sua concretezza e nella sua completezza, nel suo essere situata in un
certo contesto di vita. È questo il motivo principale per cui nella progetta-
zione dei servizi e degli interventi sociali occorre abbandonare un’ottica in-
dividualista e settoriale, che considera la persona isolata, un individuo
astratto, per assumere come punto di vista quello delle relazioni. Avere
quest’attenzione significa intendere i problemi e le relative soluzioni come
riguardanti una rete di relazioni, che va costruita laddove non esiste, o raf-
forzata e supportata perché possa diventare una fonte di sostegno per le per-
sone che ne fanno parte. In questo modo si genera un benessere relazionale.
In particolare, tra i progetti censiti sono stati selezionati come pratiche
innovative e meritevoli di essere diffuse quei servizi/interventi/progetti che
si basano sulla care by the community, che consiste nel promuovere, soste-
nere, accompagnare relazionalmente le reti informali, amicali, di vicinato, i
gruppi di mutuo aiuto, i gruppi spontanei di cittadini, le organizzazioni di
volontariato, le associazioni di Terzo Settore nelle loro attività prossimali di
produzione di ben-essere.
La prospettiva della care by the community trasforma in maniera signifi-
cativa la vecchia concezione della comunità locale: non più bacino di uten-
za, contenitore di bisogni da soddisfare, ma soggetto collettivo e plurale,
capace di azione, in cui sono presenti intelligenze e capacità, dunque risorsa

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essenziale per accompagnare lo sviluppo delle competenze per una vita
“buona” delle persone che la abitano. Ecco allora uno degli obiettivi del la-
voro di comunità inteso come sviluppo di comunità: costruire occasioni per
coinvolgere tutti gli attori sociali, individuali e collettivi, formali e informa-
li, di un territorio per anzitutto leggere e comprendere la propria realtà di
vita; favorire la partecipazione di tutti i cittadini – in un’ottica inclusiva – in
quanto portatori di desideri, bisogni, capacità e risorse; favorire la genera-
zione di nuovi legami e reti sociali e prendersi cura di quelli esistenti; inter-
loquire con le istituzioni per creare spazi di co-progettazione e co-gestione;
ridurre in questo modo la percezione di distanza fra i cittadini e le istituzio-
ni; creare uno “spazio sociale di prossimità” (Cesareo, 2017), ossia quello
spazio in cui gli attori sociali agiscono intenzionalmente in relazione gli uni
con gli altri per fare fronte comune ai problemi di un dato territorio.
Si tratta allora di muoversi verso un modello d’intervento basato sulla
condivisione della responsabilità (Cesareo, 2017) e sulla valorizzazione
delle risorse di tutti, anche di chi in un certo momento sta attraversando un
periodo faticoso, vive una particolare difficoltà o è in condizioni di partico-
lare fragilità, come è il caso dei MSNA.
È ovviamente strategico il ruolo sociale dei professionisti, operatori so-
ciali, capaci di stimolare e fornire una guida intenzionale dell’agency co-
munitaria, a sua volta capace di costruire “più comunità”, di ricreare o raf-
forzare legami sociali deboli, stimolare cittadinanza attiva e senso di solida-
rietà. Se gli operatori sociali «sono gli esperti del benessere, devono final-
mente concepirlo non come una delega alla loro superiorità, bensì in termi-
ni ecologici, come funzione della qualità dell’ambiente umano e istituzio-
nale ordinario, non di qualche loro alchimia o di protesi artificiali» (Folghe-
raiter, 2000, p. 63).
Lo sviluppo di comunità allora va ben al di là del lavoro di rete inteso
come scambio tra servizi e professionisti (cosa indubbiamente necessaria,
ma non sufficiente per attivare il benessere nelle comunità); esso è invece
un lavoro in cui i professionisti riconoscono, generano, sostengono, valo-
rizzano le reti sociali locali: in una parola, favoriscono la costruzioni di re-
lazioni solidaristiche, fiduciarie, reciproche.
Appare allora necessario attivare processi di empowerment che hanno
come scopo quello di sviluppare competenza, partecipazione e senso di re-
sponsabilità nelle persone e nelle comunità insomma in una parola di au-
mentare il loro potere. Parlare di potere può apparire strano, se pensiamo a
questo concetto nella sua accezione negativa, come strumento di difesa o di
aggressione, come controllo sulle vite degli altri. Ma esiste anche un potere
positivo, incondizionale (Sabbadini, 1991), inteso come la capaci-

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tà/possibilità appunto dei cittadini di impegnarsi per trasformare il loro am-
biente di vita, il loro luogo di convivenza: insomma, come capacitazione
alla cura della polis, come abilitazione delle comunità a prendersi cura di se
stesse, prima di tutto costituendosi come comunità (Pavesi, 2009). E
l’operatore è chiamato a essere una guida relazionale in questi processi.
I progetti che saranno presentati nelle prossime pagine si collocano – in
misura maggiore o minore – nella prospettiva sopra indicata: essi non sono
i “migliori” in assoluto, ma sono testimonianza paradigmatica di una crea-
tività del mondo dei servizi pubblici e di privato sociale che cercano di tro-
vare modalità nuove e più efficaci di accoglienza e integrazione dei MSNA
nei diversi territori, a partire dalla capacitazione delle risorse dei soggetti –
individuali e collettivi – che in essi vivono.

2. In comunità, ma non solo…

I dati anagrafici sui MSNA presenti in Italia ci dicono che si tratta per
più del 90% di giovani maschi ultra quattordicenni, sovente molto vicini al
compimento della maggiore età. Per questo motivo le comunità educative
come tradizionalmente pensate e strutturate, per un’utenza tendenzialmente
infantile e comunque con problematiche generalmente differenti da quelle
dei MSNA, appaiono poco adeguate oltre che eccessivamente dispendiose.
Per questo motivo in alcuni territori sono state sperimentate forme più leg-
gere di accoglienza che hanno il vantaggio di essere più consone alle con-
dizioni attuali dei ragazzi accolti, ma anche di offrire maggiori strumenti di
accompagnamento verso forme autonome di vita.
È questo il caso della Regione Veneto che, d’intesa con i Comuni capo-
luogo e con il Garante dei diritti alla persona, ha sperimentato nel 2016, e
rinnovata nel 2017, la possibilità – accanto alle tradizionali forme della
comunità-alloggio – di attivare dei gruppi-appartamento in semi-
autogestione. Il progetto prevede una prima accoglienza in comunità allog-
gio dove una équipe multidisciplinare ha il compito di operare un primo as-
sessment, ossia una valutazione in merito alla storia personale, alle caratte-
ristiche sociodemografiche, ai problemi e alle risorse del minore, garanten-
do in questo modo una precisa attenzione alle single caratteristiche del mi-
nore, tanto in termini di problemi/bisogni, quanto di risorse che questo può
mettere in campo. Dopo tale periodo, i ragazzi che sono ritenuti in grado di
avere una buona autonomia gestionale vengono accolti in appartamenti che
possono ospitare ad un massimo di 6 minori. In essi è prevista la presenza
di educatori e mediatori culturali per due ore giornaliere e la costante pre-

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senza notturna di un operatore. Per i minori ospitati in semi-autogestione
viene redatto un piano individualizzato che prevede l’impegno in attività di
istruzione, di formazione e lavoro presso strutture e centri specializzati in-
seriti nella rete del progetto. La presenza, infatti, nel progetto di attori di
varia natura (gli enti gestori dei servizi sociali, quelli di formazione e istru-
zione, soggetti che possono attivare forme speciali di inserimento lavorati-
vo, realtà che possono sostenere i minori nel tempo libero, eccetera) è re-
quisito indispensabile per un inserimento efficace nel contesto territoriale,
anche in vista del passaggio alla maggiore età e dunque alla necessità di ac-
quisire le autonomie necessarie per una vita indipendente.
Esperienze simili sono presenti anche in altre Regioni, ma sovente non
rappresentano un’alternativa alla comunità, quanto piuttosto uno step suc-
cessivo ad essa, in cui i MSNA vicini alla maggiore età vengono accompa-
gnati in un percorso di progressiva autonomizzazione. Come ha spiegato
l’assessore alle Politiche Sociali della Regione Veneto, questa è una strate-
gia per rispondere alla «necessità di fronteggiare una realtà in continuo di-
venire, legata ai nuovi flussi migratori, e di rispettare e tutelare le diverse
esigenze dei minori stranieri: sono adolescenti tra i 16 e i 17 anni, dotati di
uno spiccato senso dell’autonomia, spesso più maturi della loro età, con un
vissuto personale e familiare del tutto diverso da quello dei minori italiani
accolti in comunità»3.
Si tratta dunque da una parte di lavorare sulla comprensione e valorizza-
zione delle capacità di gestione autonoma dei minori (logica di empower-
ment) e dall’altra di attivare i soggetti presenti nella comunità territoriale per
creare opportunità di apprendimento e di crescita personale per i minori.

3. Nuovi contesti di apprendimento della lingua italiana

È evidente che una skill indispensabile per avere un’integrazione effica-


ce è la conoscenza della lingua italiana: sono diverse le esperienze in que-
sto settore, spesso però non hanno caratteristiche particolarmente innovati-
ve rispetto ai criteri sopra esplicitati.
Emblematica è invece l’esperienza denominata “Dai barconi
all’Università”, realizzata nell’ambito della Summer School presso la Scuo-
la della Lingua Italiana per Stranieri dell’Università di Palermo. Si tratta di
un’esperienza molto peculiare d’incontro fra mondi apparentemente molto

3https://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-
comunicati?_spp_detailId=2970403

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lontani: in particolare, il progetto ha inserito nei percorsi di lingua e cultura
italiana destinati a giovani ad alta scolarizzazione provenienti da tutto il
mondo sia adulti migranti con un grande desiderio di migliorare la propria
condizione, sia giovani MSNA, spesso privi di scolarizzazione o con scola-
rizzazione molto bassa. Il tutto all’interno di un percorso accompagnato an-
che da giovani studenti universitari italiani nelle vesti di tutor. L’idea del
progetto è nata dalla constatazione che uno dei grandi problemi che viveva-
no i MSNA accolti a Palermo erano le scarse possibilità di avere dei mo-
menti di immersione profonda, di scambio significativo con la realtà di ar-
rivo (Amoruso, D’Agostino e Jaralla, 2015). Da qui è nata «la necessità di
fuoriuscire dal modello di corso di lingua con uno spazio-tempo assai limi-
tato e definito in partenza e la spinta a creare momenti di incontro plurimi
dentro e fuori le classi con altri giovani italiani e stranieri» (Amoruso,
D’Agostino e Jaralla, 2015a). Intorno ai MSNA coinvolti nel progetto si è
così creata una rete formata dagli studenti universitari tutor, docenti, altri
giovani docenti in formazione che stavano seguendo un Master di didattica
dell’italiano, altri studenti stranieri che seguivano presso l’Ateneo corsi di
lingua italiana. In questa rete hanno giocato un ruolo importante anche i
servizi istituzionali: gli assistenti sociali dell’Ufficio Nomadi e Immigrati
del Comune e gli educatori e le educatrici delle comunità di accoglienza dei
MSNA, che hanno saputo con intelligenza valorizzare le risorse della co-
munità.
Una grande scommessa, quella di far incontrare mondi così distanti, una
scommessa che però si è dimostrata vincente: «tra i banchi dell’università,
giovani migranti senza genitori, in fuga spesso da drammi collettivi o indi-
viduali, da quotidianità posticce e subalterne, conflittuali, poco appaganti e
miseramente progettabili, e però ricche di futuri desiderati e di coraggiose
esperienze di vita vera, incontrano universi istruiti, ricchi di libri, di studi,
di viaggi in cerca di nuovi stimoli da spendere altrove. […] Tale incontro è
certamente servito ai minori per conoscere nuove culture da vicino, entrare
in contatto con modelli altri di abitare e di vivere, estranei alle proprie ori-
gini. D’altra parte, l’incontro con i MSNA è stato importante per tutti gli
altri studenti, che hanno fatto esperienza di realtà»4. È evidente che non si è
semplicemente trattato di inserire nuovi soggetti “diversi” nelle classi, ma
di ripensare il percorso alla luce dei nuovi utenti, dei loro bisogni e delle
risorse, mantenendo le finalità della Summer School. Si è trattato di “inve-
stire” sulla capacitazione delle risorse tanto dei MSNA quanto dei giovani
universitari tutor, quanto di tutti i partecipanti ciascuno per la propria parte:

4 https://minorinonaccompagnatialluniversita.wordpress.com/info/.

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i diversi soggetti hanno infatti rappresentato gli uni per gli altri uno stimolo
all’apprendimento di skills diverse (cognitive, emozionali, relazionali).

4. Lo scambio fra le generazioni

Un altro interessante progetto è stato realizzato a Napoli dalla Coopera-


tiva Dedalus, in collaborazione con Associazione Auser Volontariato Napo-
li Centro e il sostegno economico dei fondi otto per mille della Chiesa Val-
dese (Unione delle chiese metodiste e valdesi). “Mio nonno è straniero” ha
lo scopo di creare relazioni di mutuo aiuto tra anziani soli e MSNA capo-
volgendo le tradizionali modalità di aiuto tra adulti e minori: in questo ca-
so, infatti, è il minore straniero ad occuparsi di una persona anziana italia-
na. L’idea del progetto si basa sul desiderio di far incontrare due mondi
lontani e diversi, con lo scopo di avvicinare soggetti troppo spesso invisibi-
li: gli anziani, socialmente espulsi in quanto non più produttivi, e i MSNA,
che a fatica cercano uno spazio nella comunità territoriale in cui sono col-
locati. In questo modo, il minore ha la possibilità di relazionarsi con una
persona adulta, che può rappresentare un punto di riferimento, ma non di
controllo come invece sono molti degli adulti che ruotano intorno a lui; gli
anziani, grazie alla presenza dei ragazzi stranieri, trovano una risorsa per
far fronte alla solitudine quotidiana. Per entrambi si ha lo sviluppo delle ca-
pacità comunicative e relazionali, del senso di appartenenza alla comunità e
la garanzia di un’autonomia sociale e personale in riferimento al territorio.
Nello specifico, il progetto prevede:

− un percorso intensivo di apprendimento e rafforzamento della lingua


italiana rivolto ai MSNA;
− dei laboratori interculturali rivolti agli anziani, finalizzati alla cono-
scenza dei fenomeni migratori e della cultura di appartenenza dei ra-
gazzi;
− un percorso di informazione, rivolto ai ragazzi, sui più comuni biso-
gni degli anziani, sulle problematiche di vita quotidiana oltre che sui
servizi, gli uffici e le istituzioni di loro utilità;
− l’organizzazione di incontri tra giovani e anziani, per facilitare scam-
bi di reciproco aiuto e momenti di socializzazione, svago e appren-
dimento.
Questo progetto ha richiesto la costituzione di una rete tra ente pubblico
e molte realtà del terzo settore; si è favorito sia lo scambio interculturale,
sia lo scambio intergenerazionale; si è lavorato sullo sviluppo delle poten-

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zialità di tutti gli attori coinvolti (anziani e MSNA) fornendo loro anche
conoscenze e competenze altrimenti – probabilmente – inaccessibili.

5. L’espressione di sé e la peer education

Alcune esperienze di progetti hanno lo scopo di sostenere i ragazzi a rie-


laborare l’esperienza migratoria con tutto il suo carico di fatiche e talvolta
di traumi. Si tratta di laboratori espressivi in cui vengono utilizzati la narra-
zione o il teatro, in particolar modo il teatro sociale (Bernardi, 2004) In
queste attività a volte si fa riscorso ai principi dell’etnopsichiatria (come
quelli utilizzati nelle attività svolte a Torino dall’Associazione Frantz Fa-
non), talvolta si ricorre invece alle tecniche legate al Teatro degli oppressi
(come nel caso delle attività guidate da Laboratorio 53 di Roma), o – se-
condo le indicazioni del teatro sociale – si sfruttano l’espressività verbale e
corporea del teatro come strumento di espressione libera di sé, della propria
storia, delle proprie fatiche e dei propri sogni. Ciò che è importante nel tea-
tro sociale non è il prodotto, ma il percorso che porta alla produzione della
performance finale: è durante tale percorso che le persone fragili hanno la
possibilità di trovare spazi di espressione e condivisione, in grado di aiutar-
le a riacquisire una condizione di benessere.
Un altro settore in cui si stanno sempre più diffondendo progetti innova-
tivi è quello legato alle pratiche di peer education, quali strategie, ad esem-
pio, per l’apprendimento della lingua italiana: è il caso dell’iniziativa “Pa-
role alla pari”, progetto sperimentale di volontariato nato da un accordo di
rete tra l’assessorato alla coesione sociale, sanità, welfare, integrazione e
cittadinanza del Comune di Modena, la Fondazione San Filippo Neri e
l’azienda regionale per il diritto agli studi superiori Ergo, che si è impegna-
ta a promuovere l’attività di volontariato presso gli studenti borsisti, in par-
ticolare quelli residenti a Modena e iscritti ai corsi di laurea in Scienze
dell’Educazione e Antropologia. L’impegno dei giovani studenti universita-
ri consiste nell’affiancare per 8 mesi alcuni MSNA o richiedenti asilo, fa-
vorendo l’apprendimento della lingua italiana e la conoscenza della città e
dei suoi servizi, attraverso la costruzione di relazioni interpersonali. Il pro-
getto prevede che l’Azienda per il Diritto agli Studi si occupi della selezio-
ne degli studenti che ricevono una formazione ad hoc dalla Fondazione San
Filippo Neri, mentre i Servizi Sociali del Comune si occupano della proget-
tazione, della presa in carico individuale, del monitoraggio e
dell’individuazione dei MSNA da inserire nel progetto.

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6. La transizione all’età adulta

Uno dei temi chiave dell’accoglienza dei MSNA è la necessità di fornire


strumenti idonei ad accompagnare i ragazzi a un’autonomia di vita al com-
pimento del diciottesimo anno di età. Si tratta ovviamente di un obiettivo
complicato da raggiungere per motivi soggettivi (ad esempio, lo scarso
tempo a disposizione dei minori per apprendere in maniera adeguata la lin-
gua, per ottenere un titolo di studio, per formarsi professionalmente, per
comprendere le regole del mercato del lavoro, per integrarsi sul territorio,
eccetera) e oggettivi (uno su tutti: la crisi economica perdurante che rende
il mercato del lavoro poco in grado di assorbire nuovi lavoratori). Tuttavia,
sono presenti nel nostro Paese alcune esperienze che hanno lo scopo speci-
fico di affiancare e favorire in maniera puntuale questa transizione. È il ca-
so del Progetto Harraga, realizzato a Palermo dal Centro Italiano Aiuti
all’Infanzia (Ciai) – all’interno del bando Never Alone5 – in partnership con
diverse realtà pubbliche e private del territorio. Il progetto prevede la rea-
lizzazione di un’esperienza innovativa e sostenibile di housing sociale tem-
poraneo per giovani. Nel concreto, attraverso la ristrutturazione di un edifi-
cio del centro di Palermo (Mercato di Ballarò - Quartiere Albergheria) in
concessione demaniale alla Comunità Salesiana e originariamente utilizzata
come convento ma poi lasciato in disuso, viene realizzata una residen-
za/ostello per MSNA, giovani e turisti. Alcuni ambienti vengono dedicati
all’accoglienza di mercato, che genera così un profitto da reinvestire per
destinare altri ambienti all’accoglienza di 8 MSNA che hanno raggiunto la
maggiore età e dunque sono usciti dal circuito di tutela. Alcuni di loro, op-
portunamente formati, saranno inseriti a svolgere attività professionale nel-
la gestione dell’ostello stesso.

7. L’affido familiare, al plurale

Fra le novità introdotte dalla legge 7 aprile 2017 n. 47, che ha introdotto
una serie di modifiche alla normativa vigente in materia di accoglienza e
presa in carico dei MSNA, vi è l’assegnazione agli enti locali del compito

5 Never Alone è un bando che rientra nel quadro dell’iniziativa europea Epim (European
Programme for Integration and Migration) e che ha lo scopo di favorire progetti innovativi
di integrazione ai MSNA. È promosso da Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo,
Fondazione con il Sud, Enel Cuore, Fondazione CRT, Fondazione Cassa di Risparmio di
Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Monte dei Paschi
di Siena.

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di sensibilizzare e formare affidatari in grado di accogliere questi minori, e
di favorire e promuovere progetti che prevedano l’affidamento familiare in
luogo del collocamento in una comunità (Valtolina e Pavesi, 2017).
Per questo motivo appare utile analizzare le molte pratiche innovative,
seppure quantitativamente ancora limitate per numero di MSNA coinvolti,
che sono state già realizzate nel settore dell’affido familiare, sia omocultu-
rale che eteroculturale.
Il Comune di Macerata, ad esempio, in collaborazione con Acli e
l’Associazione Piombini Sensini ha realizzato il progetto “Famiglie a colo-
ri”, in cui vengono realizzati percorsi di accoglienza in famiglia attraverso
l’affido eteroculturale o omoculturale. Una delle peculiarità del progetto è
che le famiglie d’origine sono in contatto con le famiglie affidatarie e han-
no così l’opportunità di seguire la vita dei loro figli in Italia. Inoltre, i figli
delle stesse famiglie ospitanti sono considerati una risorsa preziosa
nell’integrazione dei MSNA ospitati e coinvolti a pieno titolo nel progetto.
A Modena il Comune ha attivato un progetto molto articolato che pre-
vede attività di integrazione dei minori e la sperimentazione di nuove forme
di affido in base alle esigenze dei singoli ragazzi. La rete del progetto è
molto ricca: sono coinvolte, infatti, una quindicina di attori fra associazioni
di volontariato, di cittadini stranieri, organizzazioni confessionali, tavoli di
coordinamento. Il progetto si è articolato nei seguenti step: incontri infor-
mativi con gruppi di cittadini sensibili a questi temi per reperire le famiglie
potenzialmente interessate all’esperienza di affido di MSNA; formazione e
accompagnamento delle famiglie, anche unipersonali, disponibili
all’accoglienza; individuazione di criteri condivisi da utilizzare per gli ab-
binamenti (distinguendo, quindi, ad esempio, fra i ragazzi alla soglia della
maggiore età che devono concludere i percorsi scolastici e formativi, e i ra-
gazzi più piccoli che ancora esprimono bisogni affettivi molto intensi); ste-
sura di un progetto di supporto ai singoli percorsi; implementazione di pro-
getti sperimentali. Tra questi, ad esempio, vi è stata l’attivazione nel mese
di ottobre 2016 di una forma mista di accoglienza in cui un giovane, ancora
minore, è stato accolto da un adulto single, continuando il progetto diurno
di formazione al lavoro attivo nella struttura di accoglienza, che quindi con-
tinua a supportare il progetto WelcHome.
Le famiglie, oltre che dai Servizi Sociali del Comune, sono affiancate
dalla rete di associazioni che, attraverso momenti di incontro con le fami-
glie e i MSNA loro ospiti, conoscono e valutano le loro esigenze e quelle
dei ragazzi, diverse da caso a caso, e costruiscono insieme risposte persona-
lizzate, a partire dalle risorse presenti sul territorio.

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L’esperienza di Cremona prende le mosse dall’attività svolta dalla Coo-
perativa Nazareth6, che in origine gestiva un centro di accoglienza per
MSNA attraverso una comunità alloggio. Dal 2008 la cooperativa ha attiva-
to forme sperimentali di affidamento definito “potenziato” perché prevede
un sostegno alle famiglie affidatarie anzitutto attraverso una struttura della
Cooperativa, il Centro Diurno Giona, dove i minori sono accompagnati du-
rante la giornata con corsi di alfabetizzazione. Sempre presso il Centro
diurno sono previste attività di laboratori, di manutenzione e pulizia. Altre
attività di tempo libero importanti per l’integrazione nel contesto sociale
sono svolte in collaborazione con le parrocchie, che coinvolgono i MSNA
in attività di doposcuola, sportive, nelle attività estive del grest e in quelle
socializzative della quotidianità. Questo modello di affido, che vede ov-
viamente in partnership anche il comune, prevede il coinvolgimento di di-
verse realtà di volontariato: tra queste vi è l’associazione il Girasole, una
associazione di famiglie affidatarie che nel tempo ha sperimentato forme
innovative di affido familiare ed un know how sui processi di sensibilizza-
zione e di formazione delle famiglie affidatarie. I singoli e le famiglie affi-
datarie sono spesso a loro volta immigrati, ben integrati nel contesto comu-
nitario: possono quindi condividere con i MSNA l’esperienza della migra-
zione e affiancarli nel percorso di integrazione che loro stessi hanno speri-
mentato. L’individuazione, la conoscenza, la valutazione, l’abbinamento e
l’accompagnamento delle famiglie affidatarie è realizzata dalla cooperativa
Nazareth insieme al Comune.
Il progetto prevede anche la possibilità per ex MSNA ormai maggioren-
ni, che hanno concluso positivamente il loro percorso, di diventare a loro
volta adulti affidatari di MSNA. Questa opportunità consente anzitutto di
valorizzare le potenzialità dell’ex MSNA che vengono offerte per il benes-
sere della comunità (capacitazione delle risorse) e dunque riconosce la sua
piena integrazione nel tessuto sociale della realtà territoriale in cui vive.
Inoltre essa rappresenta una risorsa importante per i MSNA in carico, per-
ché si possono confrontare con persone che condividono il loro stesso per-
corso migratorio, talvolta anche la stessa provenienza, lingua, cultura e re-
ligione, che rappresentano per loro un esempio di successo e insieme una
guida autorevole – ma vicina anche per età – proprio perché ce l’hanno fatta.
L’esperienza dell’affido potenziato, quindi, oltre ad essere una risorsa
efficace ed efficiente per i MSNA, è anche uno strumento che aiuta la co-
munità stessa, nelle sue diverse componenti, a crescere attraverso la valo-
rizzazione dei diversi attori (individuali e collettivi, pubblici e di privato

6 http://www.coopnazareth.net/attivita/area-migranti/minori-stranieri-non-accompagnati/

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sociale) presenti sul territorio, grazie alla creazione di una rete sempre più
fiduciaria tra i soggetti che si occupano di accoglienza (l’ente locale, le co-
munità educative, i diversi enti gestori dei servizi di accoglienza, le orga-
nizzazioni di volontariato, le parrocchie, le associazioni familiari, eccetera)
per condividere uno stile educativo volto a garantire la reale tutela e pro-
mozione dei MSNA.
Tra le molte esperienze di affido omoculturale, il caso di Verona appare
peculiare in quanto promosso dalla locale associazione dei mediatori lin-
guistico-culturali. Grazie ai finanziamenti del Fondo Europeo per
l’Integrazione è stato attivato e reso stabile un percorso di approfondimento
sulla cura, protezione e tutela dei minori nelle varie culture, realizzando un
laboratorio permanente di lavoro che coinvolge operatori sociali del Comu-
ne, mediatori culturali e numerose realtà comunitarie straniere. La finalità
iniziale del progetto era quella di giungere all’individuazione di famiglie
straniere disposte a diventare affidatarie, e che entrassero così a far parte
del circuito delle risorse familiari a disposizione dei Servizi per
l’accoglienza dei MSNA. Il percorso ha coinvolto, nella sua prima fase,
circa 200 cittadini stranieri, tra cui diversi “leader di comunità” (dieci pa-
stori delle chiese della Nigeria e del Ghana, un sacerdote ortodosso, due sa-
cerdoti stranieri cattolici, tre monaci del Centro Culturale Buddista e il
Centro Islamico di Verona), che hanno fatto da ponte e favorito il processo
di sensibilizzazione dei propri gruppi di riferimento. Sono stati realizzati 7
gruppi di lavoro attraverso i quali sono state formate 30 famiglie straniere,
ritenute idonee e resesi disponibili all’accoglienza. I punti di forza di questa
iniziativa sono, tra gli altri, l’attenzione alla dimensione culturale non sol-
tanto del minore, ma anche della famiglia affidataria, che viene accompa-
gnata a comprendere il significato peculiare del “prendersi cura” al di fuori
di una relazione di sangue con il ragazzo; l’importanza data ai leader delle
comunità, che rappresentano dei mediatori importanti per raggiungere le
comunità stesse e che quindi andrebbero identificati, conosciuti e coinvolti
con maggiore sistematicità; l’empowerment delle famiglie straniere presenti
sul territorio: il progetto ne ha fatto emergere le potenzialità e ha ribaltato
così la prospettiva ricorrente per cui le persone straniere rappresentano un
problema e un costo per la società, rendendole invece risorsa della rete ter-
ritoriale dei servizi.

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8. Le esperienze di tutori volontari prima della l. 47/2017

Alcune Regioni avevano istituito degli albi per tutori volontari già prima
della legge 47/2017, attivando sperimentazioni interessanti che meritano di
essere valorizzate: si tratta di Basilicata, Puglia, Sicilia, Emilia Romagna,
Veneto.
Proprio le esperienze che hanno preceduto (e in parte stimolato)
l’introduzione di questa misura su tutto il territorio nazionale hanno mostra-
to come essa possa essere ricca di sostanza, quando non rappresenta esclu-
sivamente un adempimento meramente burocratico. L’idea che ha guidato
le diverse sperimentazioni è ben chiarita nel caso di Reggio Emilia, laddove
si esplicita che «il tutore non è soltanto una figura di rappresentanza o un
burocratico amministratore, ma colui che primariamente svolge una funzio-
ne di cura tanto che questa deve caratterizzare la qualità della relazione con
il bambino o il ragazzo di cui deve occuparsi»7. Per questo motivo i proget-
ti analizzati hanno previsto non soltanto un percorso di formazione per gli
aspiranti tutori, ma l’ente pubblico si è assunto l’onere di accompagnare e
monitorare l’attività dei tutori volontari. In alcuni casi nei processi sono
state coinvolte anche organizzazioni del privato sociale, come
nell’esperienza di Bologna e Ferrara che, oltre ai Comuni e al Garante re-
gionale per l’infanzia e l’adolescenza, ha visto la collaborazione della coo-
perativa sociale Camelot. In questo caso il percorso di formazione per gli
aspiranti tutori volontari si è centrato sulla conoscenza dei servizi territoria-
li, sull’apprendimento di competenze per l’ascolto dei minori, per
l’accoglienza e la gestione dei traumi che questi ragazzi hanno vissuto. Già
durante il percorso di formazione alcuni aspiranti tutori hanno avuto modo
di entrare in contatto con MSNA ospiti delle comunità educative, in modo
tale da iniziare a instaurare un primo contatto. L’esperienza di Bologna e
Ferrara ha anche messo in luce l’importanza di costruire degli abbinamenti
accurati tra tutori e MSNA: in particolare, proprio per garantire il diritto del
minore ad avere voce ed essere ascoltato nelle sue esigenze, ogni abbina-
mento è stato reso esecutivo soltanto dopo avere avuto la certezza della to-
tale accettazione dei tutori da parte dei minori. A differenza delle esperien-
ze in cui il tutore risultava essere il Sindaco o l’Assessore ai Servizi sociali,
che dunque non aveva alcun rapporto reale e incisivo con il minore, nel
nuovo modello i tutori rivestono un ruolo fondamentale nel percorso dei
MSNA verso una piena autonomia: occorre perciò che si crei un rapporto di
fiducia all’interno del quale possano davvero essere assunte in modo con-

7 http://www.asp.re.it/Struttura.jsp?id=34

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diviso tutte le decisioni necessarie nel supremo interesse del minore.
Dall’esperienza del Veneto, attiva dal 2000, è possibile trarre spunto in me-
rito alla necessità di costruire e mantenere uno stretto legame fra il livello
regionale e le realtà locali. Tale legame è stato garantito dai “referenti terri-
toriali”, identificati tra i professionisti dei servizi sociali e sociosanitari,
che, dopo essersi formati attraverso corsi presso l’Ufficio del Pubblico tuto-
re dei minori del Veneto, si sono occupati sui singoli territori della sensibi-
lizzazione della comunità locale sul tema della tutela legale dei minori, del
reperimento dei volontari aspiranti tutori, dell’organizzazione dei percorsi
di formazione, dell’affiancamento e del monitoraggio dei tutori nelle loro
attività. Questa prospettiva “tagliata” sul locale appare molto interessante in
quanto da una parte promuove l’empowerment delle comunità, che si rico-
noscono come competenti e portatrici di risorse, dall’altra consente al tutore
di confrontarsi con un sistema di servizi che già conosce, o che comunque
gli è facile raggiungere. Ancora, permette al tutore di svolgere la sua attivi-
tà in un contesto di cui ha presenti anche le risorse di terzo settore e di vo-
lontariato con le quali può più agevolmente interagire (Drigo e Santamaria,
2009).

9. Per concludere

Le pratiche descritte dimostrano la capacità delle diverse organizzazioni


presenti sul territorio di promuovere anzitutto la cooperazione fra diversi
soggetti: le istituzioni pubbliche, le organizzazioni di volontariato, le coo-
perative sociali, gli enti di formazione e di avviamento al lavoro, le orga-
nizzazioni professionali, le fondazioni, eccetera. L’approccio attivato, in
un’ottica promozionale delle risorse professionali, e non, del territorio, si
configura come lavoro con e per la rete, e presenta il vantaggio (sul me-
dio/lungo periodo) di implementare le relazioni comunitarie a tutti i livelli
(non solo fra gli operatori dei servizi), aumentando così il senso di coesione
e di fiducia, il capitale sociale della comunità, che dunque viene a essere
co-responsabile in modo diffuso della protezione dei più vulnerabili e della
costruzione del benessere. In questo modo si riesce a incrementare il senso
di responsabilità degli individui e dei gruppi (associazioni e istituzioni), la
cittadinanza attiva, il senso di appartenenza, la promozione della partecipa-
zione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla nazionalità, creando una
comunità empowered capace a sua volta di produrre ulteriore empowerment
nei suoi cittadini attraverso l’attivazione di un circolo virtuoso. Questo mo-
dello di intervento con e per la rete consente anche la valorizzazione

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dell’incontro fra saperi professionali e saperi esperienziali tra i quali va
alimentato un dialogo costruttivo, creato attraverso un confronto aperto e
«un atteggiamento di ‘apprendimento’ reciproco e definizione consensuale
degli obiettivi di fondo, nella prospettiva del perseguimento dell’interesse
generale o del bene comune» (Colozzi, 1997, p. 31). Questo richiede a chi
progetta interventi sociali ed educativi di maturare la consapevolezza che la
costruzione di un dato ‘intervento’ si deve basare su una logica del primato
della ‘domanda’, della specificità dei minori da prendere in carico, delle lo-
ro storie, del loro capitale umano, delle loro fragilità. In questo senso gli
interventi socioeducativi sono parte di un processo dinamico e riflessivo in
itinere (Folgheraiter, 2000).
È evidente che operare in questo modo richiede una revisione del siste-
ma di governance del sistema di offerta dei servizi educativi, sociali e so-
cioeducativi: diventa anzitutto necessario passare sempre più da logiche
specialistiche e settoriali a logiche multidisciplinari tra loro collegate, capa-
ci di porre al centro il MSNA. Questa integrazione spinge verso la costru-
zione di una nuova sfera pubblica che non sia solo la coesistenza (il sempli-
ce affiancamento) di interventi che convivono pur restando separati, ma che
si configuri anche come spazio coabitato, condiviso, sede di esperienze
comuni, co-progettate e co-gestite.
La riflessività responsabile può costituire il sottofondo valoriale ma an-
che la strategia operativa di questa funzione di integrazione: essa infatti
rappresenta l’anima del sistema di governance delle risposta ai bisogni dei
minori vulnerabili (ma non solo dei minori, ovviamente) eticamente orien-
tato al valore della persona in sé e che rende conto delle azioni svolte anche
attraverso la valutazione dei risultati ottenuti e della ricaduta di impatto.

Bibliografia di riferimento

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all’Università. Percorsi di inclusione linguistica per minori stranieri non ac-
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Forme di erranza indipendenti: giovani adulti alla
ricerca di sé stessi
di Rita Finco e Marion Jacoub∗

I minori stranieri non accompagnati sono un’urgenza sociale molto


complessa che richiede una conoscenza del contesto politico di partenza e
di quello d’arrivo, del quadro culturale del migrante e del professionista,
dei dispositivi di cura presenti nel Paese d’origine e in quello
d’accoglienza. Partendo dall’esperienza etnoclinica maturata in Francia e in
Italia, in particolare nel Centro Etnoclinico Fo.R.Me1 (Formazione, Ricerca
e Mediazione) della Cooperativa Impresa Sociale Ruah di Bergamo cerche-
remo di presentare attraverso alcuni esempi la pratica dell’etnoclinica nel
contesto specifico dei minori stranieri non accompagnati.

1. Iniziazione all’approccio etnoclinico

Questo fenomeno di erranza indipendente ha visto la sua intensificazio-


ne in questi ultimi anni, provocando nei differenti Stati europei una situa-
zione caotica, in quanto le realtà istituzionali incaricate di occuparsi di que-
sta popolazione non dispongono di strumenti sufficienti né di politiche na-
zionali coerenti. Le contraddizioni sono tali che i professionisti dei servizi
minorili e di salute mentale sono in una posizione di smarrimento continuo
che impedisce loro di pensarsi protagonisti nell’accoglienza,
nell’accompagnamento e nella cura.


Rita Finco è autrice del paragrafo 1 e 2. Il paragrafo 3 è frutto dell’elaborazione con-
giunta delle due autrici.
1
L’equipe clinica multiprofessionale e pluriprofessionale è composta: Dr. Rita Finco,
pedagogista e antropologa, responsabile Centro FO.R.Me, Prof. Pietro Barbetta, psicologo e
psicoterapeuta, direttore del Centro di Terapia della famiglia di Milano, Dr. Fulgenzio Rossi,
psichiatra e psicoterapeuta, già direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda
Ospedaliera di Treviglio.

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È interessante constatare che l’origine, la specificità di questi minori e la
diversità dei loro profili hanno un’incidenza sui discorsi e sul loro tratta-
mento, sia da parte degli attori mediatici e politici, sia da parte dei profes-
sionisti del mondo sociale e giuridico, a livello nazionale e internazionale.
La classificazione di Clémence Helfter (2010), che si basa su quella di
Angélina Etiemble, permette di affrontare il fenomeno dei MSNA in una
dimensione d’insieme fondamentale per comprendere i motivi nascosti di
questa tipologia di migrazione. Essa distingue principalmente sei gruppi di
MSNA:

1. i rifugiati sono minori in uno stato di pericolo nel loro Paese


d’origine a causa di guerre, persecuzioni o attività politiche svolte da
parenti o combattenti amici;
2. gli affidati sono portati in Europa da un adulto, designato per
differenti ragioni come responsabile, ma che non è in grado di
assumersene il carico;
3. i ricongiunti sono quei giovani che, in autonomia, decidono di
raggiungere i propri genitori, padre o madre, al di fuori delle
procedure legali, senza conoscere il luogo esatto in cui si trovano;
4. gli sfruttati sono i bambini utilizzati come piccola manodopera o
forza lavoro non retribuita;
5. i prescelti sono normalmente ragazzi, primogeniti, che i genitori
spingono a migrare per sfuggire alla miseria:
6. i conquistatori sono dei ragazzi o delle ragazze che hanno scelto da
soli la loro migrazione.

Dietro questa classificazione possiamo vedere i traumi a cui sono stati


esposti questi giovani nel loro paese d’origine, durante il viaggio migrato-
rio e quelli a cui saranno sottoposti nel paese d’accoglienza se non verranno
accompagnati tenendo conto dei dati anamnestici e culturali di cui sono
portatori.
Tale fenomeno migratorio necessita dunque di essere valutato dalla sua
origine, poiché può essere il frutto sia di un sogno migratorio individuale e
familiare, che cerca l’affermazione sociale ed economica, sia la conseguen-
za di una colonizzazione europea irrispettosa dell’alterità dell’altro, come
quella, ad esempio, che ha distrutto l’equilibrio cosmologico delle popola-
zioni africane, sottomettendole agli Dei capitalisti. Questi giovani/e ci ob-
bligano ad adattare i nostri sistemi d’accoglienza, d’assistenza e di sostegno
legislativo e di pensare dispositivi di accompagnamento che tengano conto
del contesto politico di partenza e di quello d’arrivo, del quadro culturale

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del migrante e del professionista, dei dispositivi di cura presenti nel Paese
d’origine e di quello d’accoglienza, in un’ottica epistemologica di comples-
sificazione (Bateson, 1976) e di complementarità (Deveurex, 1980), che tu-
telino il nostro agire e il nostro pensare dal paradigma comparativo, tanto
caro all’antropologia.
Questa prospettiva è alla base del lavoro etnoclinico del Centro
FO.R.Me. Un luogo di cura in cui pensare la migrazione e il nomadismo
nella sua complessità, promuovendo pratiche difficilmente riconducibili
all’organizzazione dei servizi istituzionali, pubblici e privati, pensati e or-
ganizzati per dare risposta a bisogni di salute e coesione sociale relativa-
mente omogenei per tradizione, cultura, mentalità e religione. Uno spazio
clinico che non fa riferimento prioritariamente alla diagnostica psichiatrica
né alla pratica psicoanalitica e quindi non prefigura il disturbo/disagio co-
me un portato psicopatologico, ma piuttosto come modalità di espressione
di un essere nel mondo costitutivamente sociale. Un dispositivo importante
per raggiungere la persona là dove si trova, poiché ogni dinamica di incon-
tro non può prescindere dalla piena adesione dei presenti al processo. Una
modalità di agire e pensare che prevede da parte dei curanti di avere
un’idea del mondo della persona, che trova interessante la discussione tra
lui e questo mondo di stranieri e che la stessa non lo riponga in una situa-
zione di fragilità quale quella esperita alla partenza, nel corso del viaggio e
all’arrivo nel “nuovo mondo” (Finco, 2017).
Avendo ben presente il mandato istituzionale basato sulla politica socia-
le di integrazione e soccorso delle persone vulnerabili, dobbiamo pensare
nello stesso tempo all’individuo, al gruppo familiare originario, ai gruppi
sociali e relazionali, all’inserimento in mondi nuovi, all’impatto che hanno
avuto i percorsi migratori tanto sull’individuo che li ha subiti che sulle so-
cietà di accoglienza. Siamo orientati a un lavoro trasformativo in profondità
attraverso il confronto con l’Altro radicale, attraverso la rivisitazione del
suo/nostro mondo e delle sue/nostre certezze di gruppo. Inoltre, stante la
complessità del lavoro, occorre aggiungere che questo Altro è anche in noi,
come Altro intimo che dobbiamo riconoscere, incarnato da questo straniero
che deve inserirsi in una nuova realtà sociale. Nel dualismo Noi/Loro siamo
costretti ad abitare il confine dell’alterità e a riscoprire il senso del nomadi-
smo. In questo mettersi a contatto con l’alterità dobbiamo porci all’ascolto
non solo di questo Altro individuale, ma anche del mondo che porta in/con
sé e che rischia di metterci in pericolo, situazione che mobilita in modo im-
plicito, e spesso inconsapevole, dei meccanismi di difesa concatenati.
L’approccio etnoclinico permette di interrogare le nostre azioni, di ope-
rare un decentramento che mostra il nostro quadro di riferimento (Camilleri

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e Cohen-Emerique, 1989), di restare in una posizione d’etnocentrismo ec-
centrico (Cima, 2014). Un concetto quest’ultimo che potrebbe sembrare un
gioco di parole, ma mette in evidenza un’attitudine personale
dell’etnocentrismo “naturale” (dal greco ék, che significa fuori di, e kén-
tron, centro) che, essendo alla base di ogni società, ne delimita le frontiere
e gli assicura la coesione. Quando queste frontiere sono percepite come co-
struite dall’immaginario collettivo e personale, distinguono un interiore da
un esteriore, e paradossalmente rendono percepibile la possibile distanza
della nostra posizione culturale. L’etnocentrismo è un’attitudine spontanea
e di conseguenza universale. Lévi-Strauss la esprime in questi termini:

L’attitude la plus ancienne, et qui repose sans doute sur des fondements
psychologiques solides, puisqu’elle tend à réapparaître chez chacun de nous
quand nous sommes placés dans une situation inattendue, consiste à répu-
dier purement et simplement les formes culturelles: morales, religieuses, so-
ciales, esthétiques, qui sont les plus éloignées de celles auxquelles nous
nous identifions (1952, p. 19).

Entrare in un processo di riflessione sulla propria fabbricazione (Nathan,


1991), prendere delle distanze dalle proprie certezze, decostruire alcune ca-
tegorie significa spostarsi. Uno spostamento che richiede una grande capa-
cità immaginativa e creatrice (Finco, 2017), che usa tutti i cinque sensi, con
cui normalmente siamo abituati a leggere il mondo (Cima e Finco, 2017),
ma che va anche al di là di essi.
Il Centro FO.R.Me propone l’etnoclinica non solo come metodologia di
intervento ma anche di ricerca. Questo approccio è stato pensato per mette-
re in movimento gli attori e per far incrociare i diversi saperi affinché ci si
liberi dalle maglie polarizzanti che le singole discipline impongono. In una
prospettiva che possa aiutare a interrogare il controtransfer culturale, di cui
ciascun professionista è portatore.
L’etnoclinica è una ricerca azione che coinvolge l’oggetto stesso della
ricerca, ma è allo stesso tempo un modo intrinseco, un cammino interiore
che attraversa le frontiere istituite dai campi scientifici. Permette di migrare
da un punto di vista all’altro senza avere paura di tradire gli antenati intel-
lettuali, aiuta a gestire le paure primordiali che emergono nell’incontro con
l’altro (Finco, 2017). Un approccio che domanda un rigore nella nostra po-
stura di ricercatore e di essere umano, senza la quale rischieremmo di per-
derci facilmente nelle alterità del mondo. O come dice Favret-Saada, che
occupandosi di stregoneria sottolinea il pericolo di essere coinvolti nel pro-
cesso di ricerca medesimo: «Accepter d’être affecté suppose toutefois

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qu’on prenne le risque de voir s’évanouir son projet de connaissance»
(1990, p. 7).
L’etnoclinica chiede di avere una grande passione per il lavoro, lo studio
e la ricerca, perché questo approccio crea delle interrelazioni che ci legano
alle persone e ci uniscono in una maglia di affetti. Le attività scientifiche
non si basano sui buoni sentimenti, ma sulla passione, insiste Bourdieu
(2000). La passione è indispensabile nel nostro approccio metodologico,
poiché cerchiamo, imparando, di scoprire queste logiche invisibili che rego-
lano l’ordine dei mondi e mantengono insieme gli esseri umani. Queste lo-
giche ci offrono una lettura, tra quelle possibili, del modo di costruire delle
relazioni con gli altri che non siano inamicali, ma diano la possibilità, se le
capiamo bene, di aprire il nostro sguardo.

2. Minore straniero non accompagnato

La definizione di “minori stranieri non accompagnati” è una formula


giuridica con cui gli educatori, gli psicologi e i medici, che non lavorano in
équipe istituzionali d’accompagnamento sociale, sempre più spesso si tro-
vano a interagire. È un’appellazione che richiede da un punto di vista clini-
co di essere scorporata ed analizzata nelle sue singole parole se non vo-
gliamo confliggere con i saperi di appartenenza.
L’accompagnamento psicologico e/o psicoterapeutico dei minori è lega-
to alla costruzione psichica del bambino e alle rappresentazioni che il clini-
co possiede sul soggetto relativa sia allo sviluppo psicomotorio sia allo svi-
luppo psichico, ovviamente ancora molto legate simbioticamente al conte-
sto famigliare. La prospettiva clinica implica, pertanto, l’iscrizione di que-
sta dimensione del divenire in un gruppo, in primo luogo quello della fami-
glia, anche nei casi in cui la relazione di accompagnamento non la preveda.
Una famiglia che comprende genitori, fratelli, nonni, generazioni preceden-
ti e antenati, elementi attraverso i quali il lavoro clinico costruisce la sua
trama e propone un percorso coerente che permette la costruzione del dive-
nire del bambino. Per questo motivo la presenza e la collaborazione della
famiglia, funzionale o disfunzionale, sono pensati in un modo o in un altro
dal clinico.
Il bambino è, quindi, un essere in piena costruzione e dipendente. Vi è o
vi sono responsabili che influiscono sulla sua evoluzione e definiscono la
sua appartenenza, e noi dobbiamo essere capaci, in quanto accompagnatori,
di entrare in questi attaccamenti multipli e a lunga distanza (Nathan, 2005)
che ci sono estranei.

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I nostri lavori ci vedono per la maggior parte del tempo ad occuparci
della popolazione autoctona, la cui anamnesi è facilmente reperibile perché
le differenti rappresentazioni culturali non sono così lontane dalle nostre,
ma soprattutto perché ci appoggiamo coscientemente o incoscientemente su
uno strumento essenziale di raccolta delle informazioni, la lingua. La nostra
pratica, basata principalmente sulla lingua, presuppone che le parole utiliz-
zate abbiano una rappresentazione della realtà comune, siano condivisibili e
discutibili, in una certa misura, e strutturanti per la persona e la relazione.
I minori che normalmente affianchiamo parlano la nostra lingua, pur
usando codici linguistici particolari come giochi, disegni, forme che neces-
sitano comunque di un processo di decodifica e di comprensione particola-
re. Nel caso dello “straniero” questa difficoltà si raddoppia perché non vi è
nemmeno un idioma comune. Non parliamo la stessa lingua, al di là di una
possibile traduzione, non abbiamo gli stessi impliciti e lo stesso non-
verbale, non abbiamo il contesto di riferimento. Il primo ostacolo da toglie-
re, o meglio sul quale lavorare, è la questione degli impliciti della lingua
del minore.
Questo minore straniero non arriva dal nulla, ma da un mondo di cui
non abbiamo le chiavi, perché è legato a degli universi psichici, culturali e
sensibili radicalmente differenti dai nostri. Questi giovani non sono pagine
bianche da riempire, ognuno di loro porta in sé le tracce di un’iscrizione
simbolica. La loro estraneità ci porta a doverli pensare clinicamente, perché
è il lavoro clinico e non solo quello sociale che ci permette di non vedere
questi minori stranieri come non accompagnati.
Carle e Bonnet (2009) hanno svolto uno studio molto interessante sulle
rappresentazioni differenti che vi sono dietro il concetto di abbandono. Se-
condo le autrici il tema dei bambini abbandonati subito dopo la nascita è
stato un tema già approfondito nelle diverse ricerche, in quanto all’inizio
del XVIII secolo ha conosciuto in Europa un vero fenomeno massivo, so-
prattutto nelle zone rurali, a causa delle guerre e delle epidemie. I bambini
che si volevano abbandonare venivano messi in ceste e portati in città. La-
sciati in non-luoghi urbani, come mercati o monasteri, esattamente come
accade anche oggi, spazi senza origine apparente. In Burkina Faso, invece, i
nascituri da abbandonare vengono lasciati sopra un cumulo di immondizia,
nelle pattumiere, sopra un albero, in un luogo di passaggio, alla polizia o ai
piedi di una cattedrale. La scelta di dove lasciare il bambino, a differenza
delle modalità occidentali, rivela un’intenzione che si lega alle rappresenta-
zioni antiche di “bambino esposto” (Moro, 1989). In effetti alcuni bambini
appena nascono presentano una singolarità (Bonnet, 1988) che li porta, nel-
le zone rurali, ad essere considerati degli esseri soprannaturali, che nor-

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malmente non vivono con le persone, ma in non-luoghi come tronchi di al-
bero, discariche, termitai (Finco, 2017). I bambini che non si “trasformano”
(muoiono) vengono recuperati da persone anonime che le affidano ai servi-
zi sociali per essere inserite in orfanotrofi.
La storia ci porta degli elementi importanti sul modo in cui interpretia-
mo il mondo, anche senza saperlo. Pertanto è necessario fare molta atten-
zione quando accettiamo di entrare in alcune categorie, perché
l’appellazione definisce con il tempo le storie degli individui.

3. Una natura di tulkou, il giovane tibetano

Anche se nell’incontro con il MSNA si pensa immediatamente


all’immigrazione, è tuttavia necessario prendere in considerazione un altro
volto del fenomeno: l’emigrazione o meglio il luogo da cui provengono
questi ragazzi2 (Sayad, 1999). Per capire meglio la ricaduta che tale catego-
ria legale può avere sul territorio dell’emigrazione, analizzeremo la storia di
un giovane tibetano, che mostra nelle sue sfaccettature l’approccio etnocli-
nico. Questa analisi fornirà gli elementi non solo per affrontare le proble-
matiche che ci portano questi ragazzi, ma anche per costruire linee guida
per interventi sociali, educativi e clinici alternativi.
Un giovane MSNA arriva al nostro servizio etnoclinico. L’équipe di
operatori dello SPRAR ci chiede una consulenza perché il giovane in que-
stione non ha nessun interesse a costruire un proprio progetto professionale.
Per l’équipe, il ragazzo non ha ambizioni, non si proietta nel futuro, si ri-
piega su stesso e non entra in contatto con nessuno. Ci raccontano che il
giovane è restato orfano di padre quando era in tenera età e la madre, non
potendo tenerlo con sé, l’ha affidato a dei monaci.
L’idea che l’educatore si costruisce di questo ragazzo è piuttosto classi-
ca: perdita del padre, traumatismo, eventuale abbandono della madre, inca-
pacità di vivere in gruppo. La coordinatrice aggiunge:

Ha delle crisi terribili di rabbia durante le quali rompe tutto ciò che gli è at-
torno, critica tutte le persone che cercano di stargli accanto. Fortunatamente
non sfoga la sua collera picchiandoli.

2 Per approfondire il doppio concetto immigrazione/emigrazione si veda A. Sayad, La

Double Absence. Des illusions de l’émigré aux souffrances de l’immigré, Paris, Le Seuil,
1999.

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Durante questa prima fase della consultazione la mediatrice, una donna
di una certa età, domanda al ragazzo, in tibetano, come trascorreva le gior-
nate nel monastero.

Ho imparato a dipingere e dipingere è il mio mestiere. Ero talmente bravo


che i monaci mi hanno fatto decorare l’intero monastero ed in cambio del
mio lavoro ospitavano me e la mia famiglia, quando però ho finito ci hanno
cacciato. Poi sono stato minacciato dalla polizia indiana e sono dovuto fug-
gire.

Nonostante una prima fase di diffidenza il ragazzo spiega animatamente


alla mediatrice, che in questo caso svolge una funzione materna, la sua lun-
ga storia, che a sua volta la traduce per noi:

È un ragazzo tibetano, nato in India. Appena nato ha avuto un incidente, il


suo respiro si è fermato, ma grazie ad una tempestiva rianimazione ha ripre-
so il suo soffio. Nel nostro mondo è considerato qualcuno con uno status
particolare. Prima della sua nascita, come accade a tutti i bambini tibetani, il
Dalai Lama gli ha assegnato due nomi, normalmente corrispondenti a delle
qualità, poiché i tibetani non hanno patronimico, tranne se si appartiene ad
una famiglia nobile. Ma quando è stato rianimato i suoi nomi sono stati
cambiati con altri in “cuore puro”. Un nome attraverso il quale gli è stata ri-
conosciuta questa sua grande potenza, proveniente dalle vite anteriori, di
saper passare dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. Un dono che non
poteva restare solo in lui, ma doveva essere messo a disposizione dell’intera
comunità, per cui la famiglia lo ha affidato ai monaci che lo hanno educato
a condividere questa sua capacità nel monastero. È per questo che gli hanno
insegnato a dipingere affreschi religiosi, per canalizzare questa sua grande
potenza.

La mediatrice continua:

Questi bambini vengono chiamati tulkou, sono emanazioni di maestri scom-


parsi. Questo ragazzo non è una rincarnazione di un maestro, ma è attraver-
sato da una forza d’emanazione che deve realizzarsi nel mondo attraverso
un’incarnazione. Gli si riconosce una grande lucidità, recettività, purezza,
innocenza e contemporaneamente indipendenza e difficoltà nel rispettare le
regole sociali. Normalmente vengono cresciuti per diventare dei maestri,
per questo è stato allontanato dalla famiglia. Ma lui ha rifiutato di diventare
monaco, i maltrattamenti subiti e visti nel monastero lo hanno allontanato
da quel percorso. Cuore puro si è rivoltato, ha lasciato i monaci, ha rifiutato
il buddismo, è scappato ed è arrivato in Europa.

Questi passaggi chiave raccontati durante la consultazione mostrano


come per questo giovane sia difficile dissociare le istituzioni dalla sua pra-

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tica personale. Nella sua società il concetto di individuo che può vivere in
modo autonomo dagli obblighi della società e del gruppo non esiste.
L’esistenza di una persona è legata al gruppo e i suoi comportamenti sono
in funzione della perpetuazione del gruppo. Nella società d’accoglienza
questo ragazzo resta nel entre-deux: non è accolto e riconosciuto nella sua
autonomia, non ha documenti e nessuno statuto giuridico e non si trova più
nel gruppo che costruisce il suo involucro. Nell’impossibilità di elaborare
ciò che accade intorno e dentro di sé, esprime il suo malessere attraverso
crisi violente che indirizza verso sé stesso o verso oggetti, ma mai contro
altre persone. Per il coordinatore dell’equipe il ragazzo a volte non sembra
nemmeno lui:

Anche la sua voce e le sue espressioni cambiano, diventa un’altra persona.

Nel mondo tibetano questa trasformazione è un sintomo di cattivo im-


piego della propria forza e di allontanamento dalla funzione per cui si è na-
ti. Le crisi si scatenano, in particolare, quando il ragazzo, a prescindere da
ciò che gli altri manifestano, percepisce che gli altri non sono in accordo
profondo con lui. «Non mi occuperò più del loro las (karma)», ci dice
quando gli ricordiamo la sua ultima crisi in struttura.
Poi aggiunge:

Entrare in crisi per me è il mio modo per aiutare le persone a cambiare e a


metterle di fronte alle proprie dissonanze, per combattere le ingiustizie e i
sentimenti poco armoniosi che mi attraversano, per seguire il mio karma.

Ma che cosa è il karma? Per Chogyam Trungpa (2014), il karma è una


sorta di energia che si crea quando si compie o si omette qualcosa.
Un’energia trasparente in continua circolazione che coinvolge tutti gli esse-
ri viventi, sia che vivano o non vivano una situazione coerente alle leggi
dell’universo, l’energia non smette d’essere in movimento. Ogni elemento,
positivo o negativo che sia, la impregna.
La vita di questo tibetano è impregnata da questo flusso, che costituisce
il suo essere. Se questo giovane fosse restato in India o andato in Tibet, se
fosse stato veramente riconosciuto come tulkou dal mondo religioso,
avrebbe ricevuto l’educazione completa che gli avrebbe permesso di cana-
lizzare e di dare senso a questa forza che lo attraversa, a beneficio della sua
comunità. Riconoscerlo tulkou significa dargli uno status e un posto nel suo
gruppo, definisce il suo essere emanazione di un maestro e non lo pone in
un quadro diagnostico. Il considerarlo e il trattarlo come tulkou ci permette

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di vedere il suo essere “speciale” come espressione del motivo per cui è ve-
nuto al mondo.
Al contrario, se invece pensassimo questo giovane uomo all’interno del-
la sua cultura, è probabile che risulterebbe come qualcuno che non ha ter-
minato la sua iniziazione. Possiamo immaginare che a causa del funziona-
mento delle strutture sociali tibetane, il ragazzo, appartenendo ad una classe
sociale molto povera, non poteva in ogni modo accedere al suo status nella
società, perché quando si raggiunge questa posizione gli effetti economici e
politici hanno una ricaduta talmente importante su chi la detiene che avreb-
be potuto mettere in discussione le gerarchie. I tulkou sono per la maggior
parte delle volte discendenti di “buone famiglie”. L’unica soluzione restava
quindi quella di bloccare la sua ascesa di guida. Possiamo considerare in
parte che la collera del ragazzo provenga da questa contraddizione tra la fi-
losofia buddista, nella quale è immerso profondamente, e la sua realizza-
zione sociale e religiosa tibetana.
Questi elementi, che durante la consultazione hanno trovato la voce,
hanno fatto sentire il ragazzo compreso nella sua differenza, le emozioni di
rabbia si sono placate come del resto i suoi comportamenti, e hanno ac-
compagnato l’équipe nel cambiare lo sguardo con cui vedevano il giovane.
L’intervento etnoclinico ha permesso di capire che l’assenza di ambizione e
di motivazione mostrata dal ragazzo era coerente con l’attitudine buddista
che gli era stata insegnata dai monaci e con la sua natura di tulkou. Grazie a
questa lettura, gli operatori sono riusciti a fargli accettare un progetto pro-
fessionale, iscrivendolo ad un corso di pittura e di decoro, una sorta di tra-
duzione e di completamento del lavoro imparato in India, completando così
la sua formazione. Riconoscere il mondo da dove viene ha permesso a que-
sto ragazzo di attraversare il ponte tra là e qua, di fermarsi e di prendere
delle decisioni per il suo futuro.
Il lavoro etnoclinico si basa sul capire e valorizzare il mondo lasciato
dietro di noi, costruendo una riaffiliazione a dei gruppi, in cui ciò che siamo
e vorremmo essere trova una sinfonia di incontro tra i differenti universi di
appartenenza (Finco, 2015). È un metodo che ci permette di svelare i sin-
tomi del malessere delle persone (Finco e Jacoub, 2017) e di andare al di là
delle categorie normale e anormale (Foucault, 1999).
Accompagnare e comprendere questo ragazzo ha richiesto processi di
traduzione multipli non solo linguistici ma anche rispetto alle differenti teo-
rie, senza i quali non avremmo trovato quella passerella che permette di
mantenere il legame con il paese di origine e negoziare con il paese
d’accoglienza. In etnoclinica è necessario presentificare il mondo di qui e
dell’altrove, cercando le rappresentazioni che i gruppi hanno sulle persone,

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nel nostro caso sui bambini, oppure trovando dei substrati culturali che li
raccontino, come i referenti linguistici (Finco, 2017). Per il nostro giovane
tulkou ciò è avvenuto grazie alla pittura.
L’etnoclinica è quindi uno strumento in continua evoluzione che per-
mette di raggiungere la persona esattamente dove si trova, perché non esiste
dinamica d’incontro, che sia sociale o terapeutica, senza un’adesione da
parte degli attori coinvolti. Un’adesione raggiungibile solo se gli operatori
della cura hanno un’idea del mondo della persona e se quest’ultima trova
“interessante” la discussione tra le rispettive estraneità.

Bibliografia di riferimento

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Bourdieu P. (2000), A contre-pente, «Vacarme», 14, testo disponibile al sito:
http://www.vacarme.org/article224.html (15/11/2017).
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Devereux G. (1980), De l’angoisse à la méthode dans les sciences du comporte-
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realtà complessa e contradditoria in una prospettiva etnoclinica, «Educazione
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II. Le prospettive degli attori
del territorio padovano

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“La regola è l’eccezione”: l’accoglienza dei Mino-
ri Stranieri Non Accompagnati dal punto di vista
degli operatori
di Diego Di Masi e Elisa Defrancisci

1. Introduzione

I dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ci restituiscono


un incremento esponenziale di ingressi di minori stranieri non accompa-
gnanti (MSNA): da 5.821, presenti nelle strutture di accoglienza nel 2012,
si è arrivati a 18.491 nel 20171. La crescente presenza di MSNA sta facen-
do emergere la fragilità delle politiche e delle pratiche relative al sistema di
accoglienza del nostro paese.
La mancata realizzazione della “filiera dell’accoglienza” e l’assenza di
indicazioni a livello nazionale (Giovannetti e Accorinti nel presente volu-
me) hanno lasciato agli enti locali, ai quali la legge 328/2000 attribuisce la
competenza della presa in carico dei MSNA, la responsabilità di far fronte
alla richiesta di accoglienza.
La cultura dell’emergenza, che continua a rappresentare il fenomeno
migratorio come contingente e straordinario, e la frammentazione delle po-
litiche di accoglienza hanno contribuito a determinare pratiche centrate sul-
la protezione del minore, lasciando sullo sfondo gli interventi di promozio-
ne propri del lavoro educativo.
Inoltre, la fragilità degli assetti organizzativi e di governance ha riper-
cussioni sul modello di accoglienza che mostra le sue debolezze anche nelle
pratiche socio-educative realizzate nei territori dal terzo settore. Assumen-
do la prospettiva ecologica (Bronfenbrenner, 2002) possiamo immaginare
una lettura sistemica dei processi in atto in modo tale da far risaltare le dif-
ficoltà che si incontrano nel governare le nuove sfide all’inclusione sociale
poste dai processi migratori, una prospettiva che ci permette di leggere il
contesto nel quale i MSNA sono inseriti.

1
www.ismu.org

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Quando Bronfenbrenner descrive l’ambiente lo presenta articolato in
quattro sistemi: il micro, il meso, l’eso e il macrosistema. Per micro sistema
si intende lo spazio caratterizzato da interazioni dirette con gli altri signifi-
cativi che svolgono una funzione centrale nei processi di socializzazione:
genitori, parenti, insegnanti, amici. Il mesosistema è definito dalle intera-
zioni tra i diversi micro sistemi abitati dalla persona, mentre l’esosistema si
caratterizza per la sua influenza indiretta sulla persona. La persona, infatti,
pur essendo influenzata dai cambiamenti prodotti a livello eso, non è diret-
tamente coinvolta nei processi che la caratterizzano. Infine il macrosistema,
ovvero l’ambiente culturale nel quale viene costruito lo spazio sociale e po-
litico che determina gli altri sistemi.
Questo capitolo descrive i punti di forza e di debolezza delle pratiche di
accoglienza dei MSNA a partire dall’analisi di interviste condotte a respon-
sabili ed educatori che operano nel territorio padovano2. In particolare si
intende offrire una lettura della situazione attuale utilizzando le categorie
interpretative proposte dal modello ecologico di Bronfenbrenner per mette-
re in risalto come i sistemi stanno determinando le pratiche di inclusione
sociale dei MSNA.
Nell’indagine condotta l’intervista è diventata uno strumento per appro-
fondire l’esperienza dell’accoglienza dal punto di vista dell’operatore al fi-
ne di mappare le pratiche educative e le questioni che emergono nel lavoro
quotidiano con i MSNA. Il racconto degli operatori ha permesso, inoltre, di
individuare alcuni elementi del contesto in cui si articola il sistema
dell’accoglienza e leggerli attraverso la lente del modello ecologico.

2. L’accoglienza in comunità dei MSNA a Padova

Le recenti disposizioni in materia di misure di protezione dei MSNA3


individuano l’affido familiare come pratica da applicare in via prioritaria
ogni qualvolta sussistano i requisiti; tale modalità di accoglienza, in man-
canza di un numero sufficiente di famiglie affidatarie, risulta ancora resi-

2 I dati si riferiscono ad un’indagine esplorativa di tipo qualitativo realizzata a Padova

tra il febbraio 2017 e il febbraio 2018 che ha coinvolto i diversi protagonisti del sistema di
accoglienza allo scopo di comprendere il funzionamento e le problematicità legate
all’ospitalità dei MSNA. Attraverso un’analisi narrativa (Daiute, 2013) delle interviste semi-
strutturate a rappresentanti istituzionali, operatori, famiglie e minori si è inteso mettere a
confronto le priorità dei diversi attori coinvolti nel sistema di accoglienza e delinearne gli
aspetti di rischio, di risorsa e di innovatività.
3 Introdotte dalla legge n.47/2017. Nello specifico si fa qui riferimento all’art.7

sull’affidamento familiare.

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duale. La maggior parte dei MSNA continua, infatti, ad essere ospitata in
comunità familiari4 o in altre tipologie di strutture che soddisfino i livelli
essenziali delle prestazioni stabiliti dallo Stato5 e i requisiti previsti dalle
rispettive normative regionali. Relativamente al caso di Padova, dei 124
minori presi in carico dal Comune6, 104 sono stati accolti in comunità edu-
cative e solamente 20 in nuclei familiari.
Negli ultimi anni la letteratura internazionale si è ampiamente occupata
della questione dell’inserimento del MSNA nelle strutture di accoglienza
descrivendo le comunità familiari o di piccole dimensioni come uno dei
contesti più adatti al sereno sviluppo e all’integrazione del minore (Den-
luyn e Broekaert, 2007; Kalverboer et al., 2017; Horgan e Raghallaigh,
2017).
A fronte della crescita del numero di MSNA registrata negli ultimi due
anni nel comune di Padova, le comunità d’accoglienza sono state protago-
niste di un cambio nel mandato sociale che le ha portate a confrontarsi con
un’utenza diversa da quella abituale, caratterizzata da nuovi bisogni e da
nuove richieste (Saglietti e Zucchermaglio, 2010).
Da comunità residenziali che ospitavano prevalentemente minori allon-
tanati dalle proprie famiglie a MSNA. Gli operatori che hanno lavorato in
entrambi i contesti sono consapevoli delle diverse esigenze dei ragazzi ac-
colti, differenza che rintracciano anche nel diverso rapporto che i minori
intrattengono con il dispositivo dell’accoglienza. Se i minori italiani collo-
cati in comunità manifestano prevalentemente la volontà di uscire per tor-
nare alla loro vita, non sono rari i MSNA che vedono la comunità come
un’opportunità da cogliere per rilanciare il proprio progetto di vita. Questa
diversa disposizione produce, secondo gli operatori intervistati, una prima
trasformazione del loro lavoro.
Sebbene importante, il rapporto minori-comunità non è il solo aspetto
che sta modificando il dispositivo delle comunità residenziali
nell’accoglienza dei MSNA. La dimensione interculturale, la lontananza
delle figure genitoriali, sono certamente altri fattori di cambiamento, tutta-
via gli elementi che appaiono come significativi stanno interessando il li-
vello macro, meso ed eso dell’articolato sistema dell’accoglienza.

4 Cfr. Circolare del Ministero dell’Interno del 9 aprile 2001


5 Principio sancito dall’art. 117, co.2, lett. m), Cost.
6 Al 30 novembre 2017 i MSNA presi in carico dal Comune di Padova risultavano esse-

re 124, di cui il 44,3% provenienti dall’Albania, il 22,6% dal Kosovo, il 24,2% richiedenti
asilo, originari, in buona parte, di paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea e il restante
9% appartenente ad altri gruppi etnici. Si tratta principalmente di adolescenti maschi di
un’età compresa tra i 15 e i 17 anni (Dati resi pubblici dal Comune di Padova tramite comu-
nicato stampa in data 18/01/18, consultabile online dal sito istituzionale padovanet.it).

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3. Una lettura ecologica al sistema di accoglienza nel territorio pado-
vano

3.1 La formazione e il turn over degli operatori: l’esosistema dell’accoglienza

L’esosistema si caratterizza per due principali fattori di rischio: la gran-


de instabilità lavorativa nelle strutture di accoglienza e la mancanza di for-
mazione specifica degli operatori (CONNECT, 2014). Il frequente ricambio
di personale sembra essere una criticità anche nel contesto padovano, dove
gli operatori intervistati lamentano la mancanza di professionalità e la diffi-
coltà a trovare persone competenti. Questi primi due elementi
dell’esosistema producono i loro effetti negativi nel lavoro con i MSNA: il
turn over degli operatori rende più difficile la costruzione di un setting edu-
cativo e relazionale in cui ridefinire il progetto di vita (Simoneschi, 2017) e
ostacola la creazione di legami di fiducia stabili così come il consolidarsi di
buone prassi. Le ricerche condotte dimostrano, infatti, che la riuscita del
percorso di integrazione passa attraverso la possibilità di costruire un clima
di cooperazione e condivisione in grado di fornire una solida rete di appog-
gio per il MSNA.
L’assenza di figure stabili all’interno delle comunità si accompagna,
inoltre, all’assenza di una formazione specifica che, come si vedrà in segui-
to, ha ripercussioni dirette sulle pratiche di accoglienza in comunità.
L’assenza di percorsi formativi dedicati all’accoglienza è avvertita come
problematica dagli stessi operatori i quali si trovano a dover gestire la com-
plessità del loro lavoro senza le necessarie competenze e tuttavia consape-
voli che l’esito dell’intervento rimane fortemente vincolato alle abilità so-
ciali e professionali dei singoli operatori oltre che alle dinamiche organiz-
zative della comunità (Saglietti, 2011; Wade, 2011; Sirriyeh, 2013; Gio-
vannetti, 2016).

3.2 Il lavoro di rete: il mesosistema dell’accoglienza

Per quanto riguarda il mesosistema lo scenario descritto appare caratte-


rizzato da relazioni poco strutturate. La scarsa collaborazione tra gli attori
istituzionali coinvolti penalizza la costruzione di reti virtuose che ottimizze-
rebbero il lavoro con i MSNA (Giovannetti, 2008; 2016). Dalle interviste
condotte emerge, in primis, la difficoltà nel lavoro di rete. L’assenza di col-
laborazione tra i diversi soggetti che compongono la rete secondaria forma-
le (Comuni, Servizi Sociali, Questura, Aziende Sanitarie Locali e Terzo

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Settore), non solo ostacola la realizzazione delle progettualità individuali
per i MSNA, ma, essendo uno strumento del lavoro sociale per leggere e
rappresentare le relazioni della persona nel suo contesto di vita, rischia di
trascurare la fase di analisi e valutazione iniziale a scapito del benessere
delle persone che intende sostenere. Il principio di collaborazione, il lavoro
in equipe, il coordinamento delle azioni, richiedono da una parte organizza-
zioni capaci di ripensarsi a partire dalle necessità delle persone, dall’altra la
presenza di professionisti competenti nella comunicazione, nella gestione
dei processi decisionali, nella costruzione di spazio collaborativi che invece
sembrano mancare per le ragioni presentate nella descrizione
dell’esosistema.
La mancata collaborazione tra gli enti e l’assenza di pratiche condivise
costringono gli operatori a “sostituirsi” al sevizio pubblico costruendo rela-
zioni più o meno formali con gli altri attori istituzionali. Inoltre, l’assenza
di protocolli e linee guida, oltre a lasciare agli operatori un ampio margine
di discrezionalità nel proprio agire, rischia di promuovere dinamiche che
favoriscono la diffusione di stereotipi e pregiudizi professionali (Di Masi,
2017).
La fragilità del lavoro di rete emerge anche dalle narrazioni degli opera-
tori quando descrivono la costruzione del Progetto Educativo Individualiz-
zato (PEI) che rappresenta il principale strumento utilizzato dalle comunità
nella costruzione del percorso di integrazione del MSNA e che deve essere
condiviso dalla comunità di accoglienza, dall’assistente sociale, dal tutore e
dal minore stesso.
Prima di approfondire il lavoro di progettazione è necessario soffermarsi
su un dato di contesto che indirizza fortemente il lavoro educativo. È sem-
pre più frequente l’arrivo di minori prossimi al raggiungimento della mag-
giore età (il 60,6 % ha 17 anni; 23,4 ha 16 anni7), per cui gli obiettivi del
PEI sono tendenzialmente indirizzati a coprire, nel minor tempo possibile, i
requisiti necessari alla conversione del permesso di soggiorno al compi-
mento del diciottesimo anno d’età8.
In questo scenario si rende dunque necessaria una ridefinizione delle prio-
rità. In linea con quanto avviene nella maggior parte dei comuni italiani
(Giovannetti, 2016), anche nelle comunità intervistate l’alfabetizzazione ri-
sulta essere il primo passo compiuto nel percorso di accoglienza del minore.
Gli operatori intervistati riportano che la maggior parte dei ragazzi fre-
quenta corsi di italiano all’interno dei Centri Provinciali per l’Istruzione

7 Dati MLPS, Report di Monitoraggio del 30 aprile 2017 su MSNA in Italia.


8 Per i requisiti vedasi Dlgs 86/98, art.32, co. 1-ter

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degli Adulti (CPIA) oppure percorsi attivati dalle stesse comunità di acco-
glienza e gestiti dagli operatori.
Tuttavia l’inserimento dei MSNA nei soli corsi di alfabetizzazione ri-
schia di non garantire il successo dei percorsi di accoglienza. La letteratura
internazionale ha sottolineato l’importanza della scuola come luogo di ag-
gregazione e di integrazione per i MSNA, considerandola un terreno fertile
e di confronto, capace di generare occasioni di dialogo in un contesto inter-
culturale (Pastoor, 2013).
Sebbene stia crescendo il numero di MSNA iscritti a scuola (prevalen-
temente in istituti professionali e qualche rarissima eccezione al liceo) il
lavoro di rete con la scuola è attraversato da almeno due criticità. La prima
dipende dalla normativa vigente in materia di obbligo di istruzione: come
gestire le situazioni a cavallo tra obbligo di istruzione e obbligo formativo?
La seconda riguarda, invece, le aspettative dei ragazzi i quali, spesso, intra-
prendono il loro progetto migratorio prevalentemente per ragioni economi-
che. Gli operatori padovani intervistati lavorano con ragazzi che chiedono,
come prima cosa “Quand’è che vado a lavorare?”.
Alle difficoltà incontrate nel definire un progetto educativo centrato sul
percorso formativo, se ne aggiungono altre che si riscontrano quando la
traiettoria di vita si apre al mondo del lavoro. Se prima gli operatori pado-
vani potevano contare sul sostegno della Provincia, che finanziava i tirocini
per i ragazzi minorenni che si trovano nell’anno dell’obbligo formativo e
che avevano abbandonato la scuola, oggi raccontano una condizione di soli-
tudine anche nella ricerca di aziende dove attivare stage e tirocini.
In questo scenario l’operatore, oltre ad accompagnare il MSNA nella
costruzione del proprio curriculum, lo sostiene attivando la rete sociale a
disposizione della cooperativa che gestisce l’accoglienza per la ricerca di
un impiego.
Le testimonianze degli operatori ci restituiscono dunque un “lavoro di
rete” centrato prevalentemente sulle risorse relazionali che mette a disposi-
zione il terzo settore, il quale, quando possibile, riesce a dialogare con gli
altri soggetti del territorio senza che questo confronto si trasformi in un la-
voro multiprofessionale.
Non sono, inoltre, presentati né strumenti per la costruzione condivisa
del PEI né pratiche collaborative che siano in grado di definire percorsi in
cui il MSNA sia davvero al centro del progetto. Il coinvolgimento dei
MSNA nella definizione del PEI rimane dunque nelle intenzioni degli ope-
ratori i quali dichiarano che, nella pratica, non riescono a costruire percorsi
differenziati “dal momento che gli obiettivi dei MSNA sono più o meno gli

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stessi: imparare la lingua, cercare lavoro, eventualmente concludere il ciclo
di scuola; il PEI è più o meno standard”.

3.3 La relazione educativa in comunità: il microsistema dell’accoglienza

Per indagare il microsistema è stato chiesto a tutti gli intervistati di de-


scrivere una giornata tipo. Attraverso il racconto delle attività quotidiane è
stato possibile individuare quattro macro aree di intervento: 1) istruzione
attraverso l’attivazione di percorsi formativi, prevalentemente di carattere
professionale, e corsi di Italiano; 2) inserimento lavorativo; 3) accompa-
gnamento per le pratiche relative ai documenti; 4) gestione della casa.
Trattandosi di cooperative che lavorano nello stesso territorio, l’assenza
di una formazione specifica e il turn over degli operatori, (criticità emerse
nell’analisi dell’esosistema), unita alla difficoltà nel costruire un contesto
favorevole alla collaborazione inter-professionale (come emerso
nell’analisi del mesosistema), hanno delle conseguenze dirette nel lavoro
con i MSNA.
La fragilità dell’eso e del mesosistema influisce, in modo più o meno di-
retto, su tutte le realtà intervistate, che sembrano però rispondere in modo
diverso, attivando risorse che permettono una diversa risposta a seconda dei
contesti organizzativi e professionali degli operatori intervistati.
Sebbene l’organizzazione sia simile in tutte le comunità, la lettura delle
interviste ci restituisce una pluralità di modelli educativi veicolati anche
implicitamente attraverso il rapporto con il cibo, i soldi, le regole, il tempo,
i conflitti.
Da una parte, la voce degli intervistati evidenzia che la principale preoc-
cupazione degli operatori riguarda il rispetto delle regole e il comportamen-
to. Il primo principio regolatore avviene nella strutturazione del tempo. Le
giornate sono scandite in modo molto chiaro ed è richiesto il rispetto degli
orari. Attraverso l’organizzazione del tempo sembra passare un modello
educativo: un’immagine del mondo che attende i MSNA fuori dalla comu-
nità e una rappresentazione della vita in comunità. L’organizzazione del
tempo prevede la partecipazione ad attività condivise spesso legate alla ge-
stione della casa: turni delle pulizie e per la preparazione dei pasti.
In alcune interviste questo approccio regolativo sembra nascondere
un’idea tradizionale del lavoro educativo: i minori non hanno regole e spet-
ta all’educatore formare la loro personalità in funzione di quello che si cre-
de giusto e appropriato. La comunità diventa dunque il luogo in cui appren-
dere i comportamenti da adottare perché ritenuti adeguati.

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Oltre al tempo anche la gestione dei soldi può diventare un dispositivo
di controllo. Le cooperative contattate sembrano però avere un diverso ap-
proccio che si esprime anche attraverso il linguaggio: soldi, paghetta, pre-
mi. In alcune cooperative si decide insieme ai ragazzi come gestire i soldi e
si promuove la responsabilizzazione e l’autonomia, in altre i soldi vengono
distribuiti a seconda di criteri quali l’età e il comportamento. In questo se-
condo contesto la consegna dei soldi viene sospesa o posticipata quando il
MSNA non rispetta i compiti assegnati o non si assume le proprie respon-
sabilità. I soldi assumono il significato simbolico del premio e vengono
usati per incoraggiare o sanzionare i comportamenti dei MSNA.
Oltre al tempo e ai soldi anche il rapporto con il cibo diventa occasione
per lavorare sulle autonomie degli ospiti. Le interviste con gli operatori
permettono di delineare due scenari prevalenti. Nel primo il cibo diventa
occasione per accrescere il senso di appartenenza e di accoglienza
all’interno della comunità (Kauko, 2013; Sirriyeh, 2013) attraverso il coin-
volgimento dei minori nella preparazione dei pasti o nel fare spesa. In quel-
le comunità in cui il cibo viene interpretato come strumento educativo, le
occasioni di reperimento e trasformazione del cibo diventano opportunità
per dialogare sui propri gusti e avvicinarsi ai ragazzi e alla loro storia lavo-
rando contestualmente sulla loro capacità di prepararsi un pasto o gestire la
spesa in vista dell’uscita dalla comunità.
Nel secondo scenario, invece, il cibo diventa un ulteriore marcatore del-
la differenza sia culturale sia di maturità. Se non si condividono i gusti, se
non piace il cibo preparato allora è necessario ampliare il loro punto di vista
per includere i gusti locali e dimostrare così che si è cresciuti. La non con-
divisione viene letta come ulteriore conferma della necessità di crescere per
farli uscire dalla loro condizione di immaturità e di essere istruiti alla realtà
del paese che li ospita.

4. Conclusioni

Il confronto con gli operatori attraverso lo strumento dell’intervista ha


permesso di individuare alcuni scenari di intervento. Lungi dal restituire
una descrizione della complessa realtà indagata, questo lavoro ha consenti-
to di proporre una prima riflessione sulla interdipendenza tra i diversi livelli
del sistema di accoglienza e sulla ambivalenza di alcune pratiche educative.
In particolare, analizzando le pratiche nel microsistema, emergono da una
parte processi che cercano di promuovere percorsi di emancipazione e
dall’altra processi che, invece, rischiano di riprodurre meccanismi di infan-

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tilizzazione del minore straniero. Nelle parole degli operatori è possibile
leggere una critica al modello di accoglienza in cui si continua a trascurare
gli effetti dell’eso e mesosistema sul lavoro quotidiano con i minori stranie-
ri che si articola nel microsistema dell’accoglienza. Questa fragilità produ-
ce letture semplificate in cui «il loro essere stranieri, giustifica, pratiche
ambigue da parte degli operatori, i quali combinano atteggiamenti assisten-
ziali con quelli di contenimento e controllo sino a condurre il superiore in-
teresse del minore, sul confine dell’interesse della società (comunità locale,
dei servizi) a difendersi dal minore […] Nella coppia che definisce questa
categoria di persone, minori stranieri, l’aggettivo straniero si amplifica tra-
volgendo quella di minore» (Giovannetti, 2008, p.116).
L’incontro con gli operatori descrive un conteso in cui “la regola è
l’eccezione” dove è il singolo Comune, la singola cooperativa, il singolo
operatore che deve trovare le sue strategie per far fronte alle sfide di un fe-
nomeno complesso. Un approccio che rischia di relegare la questione dei
diritti e dell’equità nella sfera della aleatorietà.
Questo lavoro ci interroga dunque sulla specificità dell’intervento edu-
cativo con minori stranieri e ci impone di continuare a riflettere anche sul
senso del lavoro educativo in contesti di marginalità ed esclusione sociale.

Bibliografia di riferimento

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Prospettive dell’affido familiare dei minori stranie-
ri non accompagnati, dall’omo all’etero culturale
di Barbara Segatto, Irene Bonotto e Alice Tria

1. Accogliere e Accompagnare

L’affido familiare è un intervento temporaneo di aiuto e sostegno ad un


bambino o ragazzo che proviene da una famiglia provvisoriamente in diffi-
coltà nello svolgimento delle sue funzioni di cura e di educazione. È un isti-
tuto che prevede che una famiglia, diversa da quella naturale, si prenda cura
del minore per un periodo di tempo determinato, garantendogli il sostegno
educativo necessario al suo benessere e al suo sviluppo psicofisico.
La principale norma in materia di affido familiare in Italia è rappresen-
tata dalla Legge n. 184, del 4.05.1983, Disciplina dell’adozione e
dell’affidamento dei minori. La legge, all’articolo 2, sancisce che:

il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo


può essere affidato ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad
una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicu-
rargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione.

Due sono le caratteristiche che spiccano all’interno della norma:


a. la temporaneità dell’allontanamento del minore dalla famiglia
d’origine con sua accoglienza presso altro nucleo familiare;
b. il fatto che l’affido sia preferito giuridicamente rispetto al colloca-
mento in istituto.
L’affido ha dunque come obiettivo principale quello di permettere al
nucleo d’origine di superare le proprie difficoltà (familiari e/o personali)
acquisendo nuove competenze, in linea con i bisogni specifici e di crescita
del bambino. Privilegiando questo tipo di intervento si voleva ridurre il col-
locamento in istituti di assistenza pubblici o privati, i quali, diventano
l’opzione secondaria essendo considerati come una soluzione non piena-

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mente adeguata a rispondere ai bisogni dei bambini e dei ragazzi privi di
un contesto familiare idoneo.
Ulteriore fonte giuridica importante nella storia dell’affido in Italia, è la
Legge n. 149, del 28.03.2001, Modifica della Legge n.184/1983 in cui il le-
gislatore ha dato con maggior vigore priorità all’affido, stabilendo il ricorso
all’inserimento in comunità solo in relazione all’impossibilità di reperire
famiglie affidatarie. Tale legge esplicita poi in maniera più precisa i diritti
ed i doveri degli affidatari, cui viene riconosciuto il potere di mantenere i
rapporti ordinari con le istituzioni scolastiche e sanitarie, prescrivendone
inoltre l’audizione in tutti i procedimenti che coinvolgono il minore affida-
to. Sempre agli affidatari viene attribuito il diritto al sostegno economico ed
il riconoscimento delle funzioni familiari e dei compiti che possono svolge-
re. La L.149/2001 inoltre rafforza la concezione di temporaneità dell’affido
familiare fissandone in modo esplicito la durata massima a 24 mesi, pur pre-
vedendo una proroga qualora la sua interruzione fosse di danno al minore.
Infine, fondamentale in Veneto è stata l’approvazione, nel 2008, delle
Linee Guida per i servizi sociali e sociosanitari. L’affido familiare in Vene-
to. Queste ultime, nate dal confronto approfondito e dinamico tra attori-
operatori provenienti da diversi ambiti (comunale, regionale, sanitario, del
Tribunale per i Minorenni, universitario, dell’associazionismo), hanno il
merito di superare la dimensione teorica dando ampio spazio alla pratica e
alla riflessività sulla pratica. In questo modo si è cercato di armonizzare le
pratiche, le culture ed i metodi di intervento, salvaguardando contempora-
neamente le specificità territoriali. Inoltre, si sono voluti stabilire dei capi-
saldi nell’affido familiare in grado di aiutare gli operatori nella gestione
della complessità che tali progetti d’aiuto comportano, nonché di dare un
nuovo impulso all’affido familiare nei diversi territori affinché le famiglie e
gli operatori potessero ricorrerne sempre più spesso ed in modo consapevole.

2. L’affido familiare di minori stranieri non accompagnati

La legge 47/2017 Disposizioni in materia di misure di protezione dei


minori stranieri non accompagnati ha sottolineato, in continuità con la leg-
ge 149/01, come, nel rispetto del migliore interesse dei minori, anche per i
MSNA sia preferibile un collocamento familiare rispetto al collocamento
comunitario, ed ha assegnato agli enti locali il compito di sensibilizzare e
formare affidatari in grado di accogliere questi minori (Valtolina e Pavesi,
2017). Si tratta sostanzialmente di promuovere progetti di accoglienza ri-
volti a minori immigrati, privi di riferimenti familiari in Italia, da parte di

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una famiglia o di singola persona, italiana o straniera. È una tipologia di af-
fido particolare che presenta elementi specifici e caratterizzanti, sia per quel
che riguarda il minore, il nucleo affidatario e gli operatori e richiede quindi
percorsi di formazione ad hoc (si veda anche il capitolo di Pavesi in questo
volume).
Tale intervento, che emerge come innovativo nel sistema di accoglienza
dei MSNA, e che tuttora continua ad essere residuale, sia a Padova (si veda
per i numeri del territorio padovano il capitolo di Di Masi e Defrancisci in
questo volume) che nel resto del territorio italiano, vanta però alcune im-
portanti sperimentazioni (si veda per una panoramica generale il capitolo di
Pavesi in questo volume) cui appare fondamentale attingere per meglio
comprendere le specificità di questa tipologia di affido.
Già nel 2006, il Tavolo Nazionale per l’Affido aveva specificato alcune
delle caratteristiche proprie dell’affido di MSNA rispetto all’affido tradi-
zionale. Un primo aspetto riguarda gli obiettivi, che sono sostanzialmente
differenti: appare evidente, infatti, che quando ci riferiamo alla norma che
regola l’affidamento familiare, l’accento è sempre posto sulla recuperabilità
della famiglia di origine del minore, condizione fondamentale sulla quale
potersi muovere per attivare un affidamento familiare anziché un’adozione,
mentre nell’affido di MSNA non è la disfunzionalità dei genitori, o
dell’intero nucleo familiare, l’origine del progetto di affido ma la loro lon-
tananza. Si tratta, infatti, molto spesso di famiglie con le quali i ragazzi
mantengono, regolarmente o sporadicamente, rapporti almeno telefonici
influenzandone le decisioni (Arnosti, 2006). In sostanza, il progetto è cen-
trato sul minore ed ha come finalità «l’offerta di un contesto relazionale
caldo, affettivamente ricco, finalizzato al sostegno di un progetto futuro di
autonomia che, in taluni casi, si prolunga anche oltre il compimento del di-
ciottesimo anno di età» (Tavolo nazionale affido, 2016, pag. 2). Un altro
aspetto peculiare riguarda l’età del minore affidato: si tratta nella quasi tota-
lità di adolescenti, molto vicini alla maggiore età. Questo richiede che ven-
gano pensati percorsi specifici di affido in cui lo scopo fondamentale sia
l’accompagnamento all’autonomia intesa come emancipazione affettiva,
personale ed economica ed integrazione nella società. È fondamentale ri-
cordare che, nonostante questi minori vengano spesso considerati, per le
esperienze traumatiche che hanno vissuto nel viaggio o per il mandato fa-
miliare, dei soggetti maturi e adulti, la loro adultizzazione risulta essere più
formale che reale necessitano quindi di avvalersi dell’appoggio a figure di
riferimento adulte e stabili perché diventati reale (Arnosti, 2008).
La Regione Veneto nelle Linee Guida sull’affidamento familiare (2008),
ha dedicato una specifica sezione proprio all’affidamento di MSNA in cui

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viene esplicitato come tali affidi non possano essere una risposta di pronta
accoglienza e come la modalità di scelta della famiglia accogliente non
debba differire dalla modalità utilizzata per la selezione delle famiglie che
accolgono i minori presenti nel nostro territorio ad altro titolo. Dunque, le
famiglie devono essere selezionate, formate, accompagnate e monitorate. In
particolare, per le famiglie italiane è importante fornire una preparazione
sugli elementi generali di tipo culturale e antropologico relativi al paese di
origine del minore e, qualora l’affido sia rivolto a ragazzi e ragazze adole-
scenti (la grande maggioranza di MSNA lo sono), è buona prassi inserire
all’interno del progetto educativo personalizzato un educatore con il compi-
to di affiancarsi alla famiglia affidataria nell’accompagnare il minore nei
percorsi di autonomia. Inoltre, nel parlare di affidi omoculturali, il docu-
mento specifica «la necessità di evitare un approccio “ideologico” all’affido
omoculturale». Infatti, nell’affidamento omoculturale la famiglia affidata-
ria, che ha la stessa provenienza e la stessa cultura del minore, oppure sem-
plicemente ha partecipato ad una esperienza migratoria conclusasi positi-
vamente nel suo passato recente, può rivelarsi certamente un contenitore
educativo e culturale adeguato e può quindi limitare lo sradicamento e le
difficoltà di adattamento aiutandolo a conservare le proprie origini anche
nella società accogliente. D’altra parte però non va dimenticato che «non
tutti i MSNA possono essere inseriti in una famiglia della stessa nazionalità
soprattutto quando è iniziato, per qualche ragione, un rifiuto della propria
cultura d’origine» e che per le famiglie straniere può essere complesso
comprendere il concetto di accoglienza su cui poggia l’affido (a tratti anco-
ra difficile da comprendere anche per le famiglie italiane) (Long e Ricucci,
2016).
Oltre alle raccomandazioni relative all’affido omoculturale, in generale
è importante sottolineare come l’affido non sia una soluzione adatta a tutti i
MSNA. È indispensabile che il minore venga informato e accolga l’idea di
inserirsi in un nuovo contesto familiare: tale comunicazione deve avvenire
nell’ambito di un percorso di ricostruzione consapevole della sua storia,
nell’evidenziazione degli obiettivi, dei tempi, delle azioni che verranno
messe in atto, perché egli possa essere parte attiva e responsabile al cam-
biamento. Inoltre, è opportuno che il ragazzo abbia conosciuto e sviluppato
delle “buone relazioni affettive” con le proprie figure affettive di riferimen-
to e che non presenti disturbi psichici o comportamentali, aspetti che la fa-
miglia potrebbe non essere in grado di risolvere da un punto di vista tera-
peutico (Arnosti, 2006). È infine importante che il minore riconosca
l’autorità delle figure adulte ed instauri con queste un rapporto rispettoso
dei ruoli reciproci.

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Quello che sembra il filo conduttore delle indicazioni fornite sia dalle
linee guida nazionali, sia regionali, nonché dalle diverse esperienze realiz-
zate a livello territoriale sperimentale, è in primis la necessità di una pro-
gettualità «specifica che tenga ben presente il contesto, gli attori e il proget-
to migratorio del ragazzo» (Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
2011).
Lavorando nell’emergenza, come spesso capita con i MSNA, può essere
facile perdere questa dimensione, dovendo fornire in maniera pronta un col-
locamento sicuro al minore presente nel territorio. Questa perdita è certa-
mente dannosa per tutte le parti: prima di tutto per il minore, a cui viene da-
to solo un luogo fisico in cui sostare in attesa della maggiore età, ma non
uno spazio per crescere e migliorare, uno spazio co-costruito, scelto per le
sue necessità, in cui imparare a diventare autonomo. Per la famiglia affida-
taria che, se non adeguatamente seguita, incorre nel rischio di non trovare
sintonia con il ragazzo, di non essere capace di dare le giuste risposte e di
sentirsi inadeguata al ruolo. Per i servizi, che non riusciranno a dare una ri-
sposta né alle famiglie, né al minore e perderanno delle risorse fondamenta-
li per il loro lavoro.
Le esperienze sperimentali realizzate nei diversi contesti1 ci riportano
alcune specifiche e ulteriori attenzioni. Innanzitutto ci invitano a considera-
re che la comunicazione può rappresentare un elemento di criticità impor-
tante: la tendenza a dare per scontata la comprensione e la chiarezza della
comunicazione in presenza di immigrati che hanno una buona padronanza
della lingua italiana non appare infatti realistica; molti messaggi non sem-
pre vengono compresi nel significato, sia da parte delle persone immigrate,
sia da parte degli operatori italiani, soprattutto quando viene utilizzato un
linguaggio tecnico oppure quando si vogliono esprimere concetti molto di-
stanti dall’esperienza e dai riferimenti culturali di chi ascolta. Questa consi-
derazione porta con sé la necessità, ben evidenziata dalla nuova normativa,
dell’utilizzo dei mediatori culturali che possono: informare sugli aspetti
culturali e sui percorsi effettuati dai minori nei paesi d’origine; tradurre, fa-
cilitando la comprensione reciproca; aiutare la persona immigrata a rico-
struire la rete facilitando il contatto con le associazioni di connazionali. In
ultimo, appare particolarmente necessario modificare l’approccio alla valu-
tazione delle famiglie immigrate che si rendono disponibili all’accoglienza,
spostandosi da un focus centrato sugli elementi di rischio e di protezione
dei modelli di vita e delle pratiche educative, alla valorizzazione degli ele-

1 Ci riferiamo in particolare alle esperienze realizzate nei Comuni di Parma (Buccoliero,


2012; Fornari e Scivoletto, 2007; Fornari, 2008) e Milano (CNCA, 2010).

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menti di processo. È fondamentale investire sulla relazione che si sviluppa
nel colloquio, sulla disponibilità a costruire nuovi legami, mantenendo vivi
gli affetti originari, e sulla capacità di gestire più appartenenze attraverso
l’analisi dei comportamenti concretamente agiti nei diversi ambiti di vita
(familiare, lavorativa, sociale).

3. L’esperienza padovana

Le interviste realizzate con gli operatori dei Servizi Sociali del Comune
di Padova e con alcune famiglie accoglienti, sia italiane che straniere, ci
hanno permesso di delineare la storia degli affidi dei MSNA a Padova e le
rappresentazioni degli attori coinvolti2.
Il Comune ha iniziato a realizzare affidi di MSNA già nel 2007 ed ha
quindi maturato un’esperienza decennale sul tema, dalla quale è possibile
oggi attingere riflessioni utili per le progettazioni future. L’esigenza di uti-
lizzare il canale dell’accoglienza familiare muoveva da un doppio bisogno:
da un lato la necessità del Comune di trovare una soluzione al carico eco-
nomico rappresentato dall’accoglienza dei MSNA e, dall’altro, dal bisogno
dei minori di poter usufruire di un contesto di vita favorevole allo sviluppo
della loro autonomia e integrazione sociale.
In principio gli affidi di MSNA si sono orientati verso la popolazione
migrante stabilmente inserita nel territorio. Attraverso l’attività dei media-
tori culturali operanti per il Comune, è stato possibile sensibilizzare al tema
dell’accoglienza le diverse comunità etniche di appartenenza dei MSNA già
presenti nel padovano realizzando così una prima rete di famiglie. Negli
anni successivi, la crescente varietà delle provenienze dei MSNA ha reso
però sempre più complesso operare in questa direzione, sia per la mancanza
di riferimenti nel territorio delle specifiche comunità di provenienza dei ra-
gazzi, sia per l’assenza di una cultura dell’accoglienza in alcune realtà. I
referenti dei Servizi per l’Immigrazione del Comune si sono quindi orienta-
ti verso un’ottica di welfare generativo.

2 I dati si riferiscono ad un’indagine esplorativa di tipo qualitativo realizzata a Padova

tra il febbraio 2017 e il febbraio 2018 che ha coinvolto i diversi protagonisti del sistema di
accoglienza allo scopo di comprendere il funzionamento e le problematicità legate
all’ospitalità dei MSNA. Attraverso un’analisi narrativa (Daiute, 2013) delle interviste semi-
strutturate a rappresentanti istituzionali, operatori, famiglie e minori si è inteso mettere a
confronto le priorità dei diversi attori coinvolti nel sistema di accoglienza e delinearne gli
aspetti di rischio, di risorsa e di innovatività.

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L’approccio generativo, può semplicisticamente essere presentato come
l’atto di chiedere qualcosa in cambio quando si viene aiutati dalla società, o
dai servizi più in specifico. Il suo significato più profondo implica però la
generazione, la creazione o la trasformazione di risorse, che a loro volta
possono contribuire a essere oggetto d’aiuto per qualcun’altro, quindi si su-
pera l’ottica assistenzialistica e ci si focalizza sulla generazione di risorse.
Welfare generativo significa che, «dopo aver raccolto le risorse e mentre le
redistribuisce, diventa anche capace di rigenerarle e farle rendere, grazie a
una sistematica responsabilizzazione sugli esiti, resa possibile da un diverso
incontro tra diritti e doveri» (Vecchiato, 2012).
In questo specifico contesto, si chiede alle famiglie immigrate che ne-
cessitano di aiuti economici di vario tipo di convertire la loro richiesta di
aiuto in disponibilità all’accoglienza. Se in principio gli affidi realizzati
erano prevalentemente di tipo omoculturale e vedevano quindi accogliere
bambini e ragazzi da famiglie, provenienti dal loro medesimo contesto cul-
turale e territoriale di origine, che avevano realizzato a Padova un virtuoso
percorso di integrazione, da alcuni anni il servizio sociale ha allargato la
proposta alle famiglie migranti in carico ai servizi sociali territoriali, anche
quando non provenienti dal medesimo Paese, che mostrano, pur in un con-
testo di difficoltà economica, un buon percorso di integrazione oltre ad un
contesto favorevole all’accoglienza dal punto di vista abitativo, relazionale,
lavorativo e familiare.
Un’altra direttrice di cambiamento dell’approccio all’affido dei MSNA
avvenuta nel territorio padovano è iniziata circa due anni quando, alla luce
dell’arrivo di MSNA di età sempre inferiori, con crescenti bisogni di cura e
nella previsione di accoglienze più lunghe, si è ritenuto utile attivare una
collaborazione con il Centro per l’Affido e la Solidarietà Familiare (CASF),
allo scopo di attingere al loro patrimonio di famiglie italiane disponibili
all’affido, quali possibili famiglie accoglienti anche per i MSNA. Il Comu-
ne di Padova si è quindi orientato al superamento della dimensione
dell’omoculturalità, che per molto tempo ha caratterizzato l’accoglienza
familiare dei MSNA, direzionandosi ad una accoglienza eteroculturale rea-
lizzata sia da persone, coppie o famiglie immigrate che italiane.
La regola a cui oggi il Comune si riferisce fa capo all’età presunta dei
minori, muovendosi prevalentemente in direzione di un accoglienza presso
famiglie immigrate, anche non provenienti dai medesimi paesi di prove-
nienza, per i MSNA che abbiano almeno 16 anni di età e verso un affido
presso famiglie italiane per i ragazzi sotto i 16 anni. Ovviamente questa re-
gola generale viene poi declinata in un progetto personalizzato che vede gli

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operatori impegnati nella lettura degli specifici bisogni e risorse di ogni
singolo MSNA.
Grazie alla collaborazione dimostrata dal Comune di Padova nei con-
fronti della ricerca, si è potuto entrare in contatto con alcune famiglie affi-
datarie e realizzare 6 interviste, di cui 3 a famiglie straniere e 3 a famiglie
italiane. All’interno del gruppo di ricerca, alla luce degli approfondimenti
fin qui realizzati, si è ritenuto importante analizzare alcuni temi specifici
quali: le motivazioni, la formazione, l’esperienza e gli esiti.
Le motivazioni delle famiglie affidatarie appaiono differenti tra nuclei
di origine italiana e straniera. Le ragioni che spingono le famiglie italiane a
scegliere per un affido di questo tipo appaiono sostanzialmente solidaristi-
che ed evidenziano, in alcuni casi, una specifica sensibilità non solo verso
l’accoglienza in generale, ma proprio verso la realtà dei ragazzi provenienti
da cultura differenti, come nel caso dei MSNA.
Tuttavia, non va sottovalutata la volontà di alcune famiglie di potersi
muovere in un contesto in cui il loro impegno è rivolto solo al minore e non
alla sua famiglia di origine, come avviene invece negli affidi di minori di
italiani.
Riguardo invece ai nuclei stranieri, la scelta di coinvolgimento nel pro-
getto dell’affido, sottende la ricerca di affermazione della propria esperien-
za migratoria.
Tutti i nuclei italiani hanno frequentato un corso di formazione
all’affido, seppur pensato e progettato sulla base dei bisogni dei minori
prevalentemente italiani o immigrati di seconda generazione, con pochi e
nulli riferimenti ai contesti internazionali e migratori o al tema delle appar-
tenenze culturali. Dopo questa prima fase informativo-formativa, i singoli,
le coppie o le famiglie che intendono rendersi disponibili all’affido vengo-
no incontrate dai referenti del CASF al fine di approfondire la conoscenza
reciproca e comprendere le loro capacità di cura e aspettative. Inoltre il ser-
vizio garantisce un supporto ed accompagnamento, non obbligatorio ma
consigliato, sia individuale che di gruppo. Non emergono invece esperienze
formative al tema dell’affido per i nuclei composti da stranieri per i quali
sembra essere valutata come sufficiente la propria positiva esperienza mi-
gratoria e di integrazione, nonché il fatto di svolgere entro la propria fami-
glia la funzione genitoriale.
Inoltre i nuclei italiani intervistati provenivano tutti da esperienze pre-
gresse di affido conclusesi positivamente (con il ritorno in famiglia di ori-
gine, adozione o un percorso di autonomia dei ragazzo) mentre per alcuni
nuclei stranieri si trattava della prima esperienza di accoglienza.

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In generale, sia i nuclei stranieri che quelli italiani, sono apparsi caratte-
rizzati da una buona disponibilità di tempo, flessibilità di orari e apertura
alla diversità.
In relazione agli esiti dell’esperienza, la totalità dei nuclei italiani ha de-
scritto esiti sostanzialmente positivi delle accoglienze realizzate sia con
bambini italiani che stranieri che con MSNA, mentre nei racconti dei nuclei
stranieri si è evidenziato un numero maggiore di situazioni che, a causa
spesso della grave complessità di cui il ragazzo era portatore (p.e. compor-
tamenti devianti o estremamente oppositivi), hanno reso necessario inter-
rompere anticipatamente l’accoglienza.
Tutti i nuclei intervistati si sono detti disponibili a nuove accoglienze
seppur, in particolare dalle famiglie straniere che accolgono i ragazzi più
grandi, venga sottolineata a gran voce la necessità di una chiara definizione
dell’età anagrafica del MSNA alla luce di alcune esperienze in cui i ragazzi
avrebbero dichiarato una età fasulla, inferiore a quella effettiva, rendendo
così di fatto fallimentare l’esperienza.

4. Conclusioni

L’esperienza padovana di affido familiare di MSNA mostra di aver pre-


so avvio entro i medesimi modelli riscontrabili nelle sperimentazioni rea-
lizzate in altri territori italiani. L’affido dei MSNA è infatti nato all’interno
delle reti delle famiglie migranti in un’ottica di continuità culturale nel pae-
se di accoglienza, mostrando però, nel tempo, una perdita di rilevanza della
dimensione della continuità culturale ed un crescita della dimensione
dell’accoglienza. Un’accoglienza che continua a coinvolgere i nuclei fami-
liari migranti ai quali si sono aggiunti quelli autoctoni.
Diviene di conseguenza sempre più significativa la necessità di proget-
tare e realizzare percorsi di formazione e preparazione specifici per l’affido
di MSNA; questa tipologia di affido, pur rientrando nell’ampia area della
accoglienza familiare, presenta infatti specificità connesse alla differenza
culturale, alle esperienze di vita e migratorie e all’età adolescenziale. Anco-
ra, appare importante predisporre servizi che siano capaci di supportare i
bisogni specifici di queste famiglie accoglienti, attraverso mediatori cultu-
rali ed educatori, disponibili a supportare i minori sul piano comunicativo,
soprattutto nelle fasi iniziali di inserimento nel nuovo contesto familiare, e
gli adulti sul piano educativo e relazionale.
Operatori e famiglie intervistate ci restituiscono una valutazione positiva
dell’intervento di affido familiare dei MSNA: le famiglie coinvolte descri-

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vono l’esperienza come arricchente a prescindere dal “successo” in termini
di tenuta dell’innesto e di raggiuta integrazione e autonomia del minore.
Per le famiglie immigrate emerge forte il tema della propria crescita in ter-
mini di empowerment mentre per le famiglie italiane il tema appare essere
quello della crescita personale.
Dalle parole delle famiglie nasce la richiesta, connessa al desiderio di
evitare rischio di fallimento dell’esperienza, di una maggiore attenzione
nella valutazione dell’età anagrafica dei minori: nella fase adolescenziale,
infatti, la differenza di pochi anni rappresenta lo scarto tra la possibilità,
ancora presente di creare legami di dipendenza con un adulto di riferimento
e la sua impossibilità.
L’affido dei MSNA si prefigura quindi sia come un’efficace risposta di
protezione per i minori sia come un intervento di attivazione di cambiamen-
ti culturali nella società (Scivoletto, Orlandini, 2011). Appare interessante e
utile promuovere l’affido di MSNA tra la popolazione di un territorio, indi-
pendentemente dalla diretta esperienza migratoria o conoscenza personale
del contesto culturale di provenienza dei ragazzi, allo scopo di accrescere il
numero di famiglie e di singoli disponibili all’accoglienza e di promuovere
processi di inclusione. La formazione e l’accompagnamento personalizzato
appaiono come gli strumenti capaci di rendere possibile la necessaria com-
prensione da parte delle famiglie accoglienti dei modi e dei bisogni dei
MSNA e della necessità di lasciare loro uno spazio per le appartenenze
multiple. Inoltre, per quanto riguarda le famiglie migranti, il modello di
welfare generativo proposto nel territorio padovano si mostra come una ri-
sorsa con elementi di innovatività interessanti, che necessitano di essere ge-
stiti con estrema cura per non incorrere nel rischio di promuovere lo sfrut-
tamento dell’affidamento a fini di guadagno economico, mettendo a rischio
il benessere dei bambini e dei ragazzi coinvolti visto il ruolo importantis-
simo rivestito da queste famiglie nell’accompagnamento al loro sviluppo
mentale e fisico (Scivoletto, 2008; Long e Ricucci, 2016).

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Diciotto anni: e dopo?
di Alessio Surian, Lucrezia Comini, Alessio Menini e Antonio Pietro-
polli

1. Identità doppiamente sospese

Agire nel miglior interesse dei minori dovrebbe guidare tutti gli inter-
venti che li riguardano, comprese le procedure che regolano le migrazioni e
le richieste di asilo, come richiede l’Articolo 24 (2) della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea e come sancito nella Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. È questo il messaggio ribadito a feb-
braio 2018 nel rapporto Migration to the EU: five persistent challenges
dall’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali (FRA). L’Agenzia evidenzia
come il tema dei MSNA sia una delle cinque sfide chiave che l’Unione Eu-
ropea è chiamata ad affrontare in tema di migrazioni. Il rapporto sottolinea
che, nonostante il numero di questi minori nell’UE sia complessivamente
diminuito dal 2016, il grado di protezione stenti a migliorare ed individua
quattro aree chiave di lavoro: la qualità delle strutture e dei percorsi di ac-
coglienza, la scelta dei tutori, l’accesso alle procedure di asilo, gli ostacoli
frapposti alla riunificazione familiare. Il rapporto mette, anche, in evidenza
come in quattro Paesi, Francia, Grecia, Spagna e Italia, in controtendenza
rispetto al resto dell’Unione Europea, il numero dei MSNA sia rimasto par-
ticolarmente alto a fronte di condizioni di accoglienza giudicate insufficien-
ti. Dal 2011, il numero dei MSNA che annualmente arrivano in Italia si è
moltiplicato per sei, comprendendo anche un incremento dei minori di
quindici anni e di bambine.
Fra i risultati di questo scenario si segnala anche la recente legge italiana
47/2017. La legge definisce il MSNA come «il minorenne non avente citta-
dinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel
territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana
privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti

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per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento
italiano». Si tratta soprattutto di maschi, di età superiore a 16 anni.
Secondo Save the Children, nel 2016 ne sono arrivati in Italia 25.846
(più del doppio rispetto al 2015). A fronte di un incremento di arrivi di mi-
nori non accompagnati, aumentati del 100%, la capacità di accoglienza, pur
passando dai 18.056 minori accolti del 2015 ai 23.934 al 31 dicembre 2016,
non è stata all’altezza delle esigenze.
Questo capitolo presenta una sintesi dei risultati dell’indagine realizzata
a Padova nel 20171 con particolare attenzione per le dinamiche dei processi
di transizione dai contesti di accoglienza alla vita adulta, con riferimento
agli studi europei recenti che descrivono i MSNA sia come soggetti vulne-
rabili, sia come soggetti resilienti e altamente motivati (Pastoor, 2015; Wat-
ters, 2008).
In che modo i contesti in cui sono inseriti i MSNA contribuiscono a svi-
luppare la dimensione della motivazione rispetto a quella della vulnerabili-
tà? Quando comincia la nostra ricerca, a inizio 2017, sono 62.672 i minori
non accompagnati giunti in Italia nei precedenti 6 anni: 304 di loro, l’1,7%,
sono censiti in Veneto.
Parlare di questi minori significa anche affrontare programmi di vita se-
gnati da progetti migratori non sempre compiuti e spesso “sospesi” fra le
aspettative della famiglia, l’interazione con l’inedito contesto di accoglien-
za e le sue molte facce, la difficoltà nel mettere a fuoco desideri e priorità e
nel fare i conti con le limitazioni e gli ostacoli amministrativi e giuridici
che riguardano anche la continuazione dell’eventuale percorso migratorio.
L’ISTAT evidenzia che i minori stranieri che giungono in Italia sono il
13% del totale dei migranti e che molto difficilmente hanno acceso a pro-
cedure di ricollocamento europeo. Di loro, solo 399 hanno avuto accesso
formale alla procedura di ricollocamento europeo prima del 26 settembre
2017, data in cui è stato sospeso il sistema straordinario di ricollocamento.
Nel 2017, sono stati ricollocati in altri paesi europei solo 56 minori soli
presenti sul territorio italiano. La mancanza di un sistema di ridistribuzione
condiviso tra i paesi europei ha determinato negli ultimi anni gravissimi ri-
schi e conseguenze per la maggioranza dei minori soli che hanno come me-

1 I dati si riferiscono a un’indagine esplorativa di tipo qualitativo realizzata a Padova tra

il febbraio 2017 e il febbraio 2018 che ha coinvolto i diversi protagonisti del sistema di ac-
coglienza allo scopo di comprendere il funzionamento e le problematicità legate
all’ospitalità dei MSNA. Attraverso un’analisi narrativa (Daiute, 2013) delle interviste semi-
strutturate a rappresentanti istituzionali, operatori, famiglie e minori si è inteso mettere a
confronto le priorità dei diversi attori coinvolti nel sistema di accoglienza e delinearne gli
aspetti di rischio, di risorsa e di innovatività.

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ta altri paesi europei, dove già vivono familiari o connazionali con cui sono
in contatto. Nella maggioranza dei casi, si sono resi irreperibili al sistema di
accoglienza formale riaffidandosi nelle mani di trafficanti e sfruttatori per
cercare di attraversare il confine nord del nostro Paese. Secondo i riscontri
sul campo, la quasi totalità dei 22.586 minori soli di origine eritrea
(11.251), somala (5.618), siriana (2.927) e afghana (2.790) arrivati via mare
in Italia tra il 2011 e il 2016 si sono esposti a questi rischi. La situazione si
è ulteriormente aggravata dal 2016 a seguito della maggiore chiusura
all’accesso da parte dei Paesi confinanti alla frontiera nord, come confer-
mano i 5.000 minori soli “riammessi” in Italia dalla Svizzera solo tra mag-
gio e novembre 2016.
È sempre l’Istat (2016) a definire come questi minori stranieri non ac-
compagnati si inseriscano in un contesto italiano incapace di affrontare il
tema dell’identità giuridica di chi nasce e/o cresce in Italia avendo genitori
stranieri. Per l’Istat, l’Italia affronta un “degiovanimento” legato al calo
delle nascite, a fronte di un aumento della percentuale di minori figli di ge-
nitori immigrati la cui identità resta “sospesa” dato che la legge italiana sul-
la cittadinanza li considera, di fatto, stranieri. I dati Istat censiscono quasi
971 mila bambini “stranieri” nati in Italia fra il 1993 e il 2014. Accanto a
loro, vi sono, inoltre, minori con un percorso migratorio, giunti in Italia con
i genitori o attraverso ricongiungimenti familiari. Sono oltre un milione di
minori. I nati in Italia sono il 72,7 per cento dei ragazzi “stranieri” con me-
no di 18 anni (9 su 10 nella fascia d’età età 0-5, 1 su 4 fra i 14-17 anni). Le
diverse “comunità straniere” presentano percentuali diverse: i nati in Italia
sono 9 su 10 tra i figli di cinesi, 6 su 10 tra i figli di romeni e ucraini. Au-
menta il numero dei minori che acquisiscono la cittadinanza per trasmissio-
ne dai genitori e di chi nato in Italia, al compimento del diciottesimo anno,
sceglie e ottiene la cittadinanza italiana: erano circa 11 mila nel 2011, sono
stati oltre 50 mila nel 2014, anno in cui quasi la metà di queste richieste di
cittadinanza interessavano persone sotto i 30 anni. La canzone Cara Italia
(2018) di Ghali riassume i sentimenti di chi cresce in Italia e non può dare
per scontata questa cittadinanza: «Mi dicon ‘Vai a casa’. Rispondo ‘Sono
già qua’». L’indagine condotta per l’Istat nelle scuole medie e superiori
sull’ “integrazione” di questi minori, segnala che quasi il 38 per cento dei
ragazzi “stranieri” si sentono italiani a fronte di un numero quasi pari (33
per cento) che si sente straniero, mentre poco più del 29 per cento dichiara
di non essere in grado di rispondere alla domanda. L’Istat identifica, quindi,
una “sospensione dell’identità” che interessa una quota rilevante di ragazzi
che vivono in Italia, ma legati a un percorso migratorio della propria fami-
glia. L’età di ingresso in Italia sembra influire sul grado di appartenenza:

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fra chi è nato in Italia, la percentuale di chi si sente straniero si riduce al
23,7 per cento, mentre sono il 47,5 per cento coloro che si considerano ita-
liani. Mostrano percentuali simili anche i minori nati all’estero, ma arrivati
in Italia prima dei 6 anni. Viceversa, fra chi arriva dopo i 10 anni, si sente
straniero il 53 per cento, mentre solo il 17 per cento si sente italiano. È que-
sta la condizione della maggior parte dei minori stranieri non accompagnati
protagonisti della ricerca presentata in queste pagine.

2. Dall’origine del percorso migratorio alle multiple transizioni verso


l’autonomia

La letteratura europea mette in rilievo come il passaggio all’età adulta


sia segnato per i minori, ma in modo ancora più marcato per i minori affi-
dati a strutture di accoglienza, dall’interazione fra multiple transizioni che
riguardano le dimensioni dell’educazione, della formazione e dello svilup-
po di competenze, del lavoro, dello sviluppo di relazioni sociali (Burnett e
Peel, 2001; Roberts et al., 2017). A queste, nel caso dei MSNA, si aggiun-
gono come prioritarie anche le dimensioni della casa e della salute (Pavesi
e Caneppele, 2011). In che modo e in che misura le misure di accoglienza
rivolte a i minori stranieri sono in grado di sostenerli nel cercare risposte a
queste multiple transizioni e nella ricerca di una propria autonomia?
I paragrafi seguenti affrontano le molteplici transizioni verso la vita
adulta dei MSNA raccogliendo, in particolare, alcuni aspetti salienti dalle
testimonianze di adolescenti neomaggiorenni arrivati in Italia come MSNA
e attualmente residenti in Veneto.
Gli afgani sono la principale nazionalità tra i minori non accompagnati
che arrivano in Europa (nel 2015 erano 45.300, il 51 per cento). Germania,
Svezia, Norvegia e Regno Unito, i paesi che eseguono più rimpatri verso
l’Afghanistan. Tra il 2011 e il 2014 l’Unione Europea ha finanziato un pro-
getto pilota chiamato ERPUM (European return platform for unaccompa-
nied minors) nel tentativo di mettere a punto un sistema efficace di rimpa-
trio dei minori non accompagnati. Nonostante il progetto ERPUM sia falli-
to, l’idea è stata ripresentata tale e quale nel nuovo progetto Joint way for-
ward. Nel 2010, ne Nel mare ci sono i coccodrilli, Fabio Geda narra il
viaggio di Enaiatollah Akbari dall’Afghanistan a Torino, passando per Pa-
kistan, Iran, Turchia, Grecia. «I fatti sono importanti. La storia è importan-
te. Quello che ti cambia la vita è cosa ti capita, non dove o con chi» raccon-
ta Enaiatollah Akbari e il suo percorso echeggia quello di altri giovani at-
tualmente residenti in Veneto: nati in Afghanistan in contesto di montagna,

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rurali, in un paese in guerra. Un contesto particolarmente pericoloso quan-
do la propria famiglia è (o è percepita) come critica dai talebani ed è per
questo costretta a spostarsi per motivi politico-sociali che vengono ad in-
trecciarsi a motivi economici. L’Iran è il frequente approdo, il Paese dove
appare possibile, anche se in condizioni disagiate, trovare “lavoretti”. Chi,
arrivando dall’Afghanistan, si trova contemporaneamente a studiare e lavo-
rare deve affrontare anche condizioni di discriminazione, denunciando di
venir trattati, se afgani, anche se bilingue, come “animali”, “spazzatura”.
All’interno dell’Iran, l’obiettivo è spesso arrivare a Teheran dove si ritiene
che vi siano maggiori opportunità e che le persone siano più scolarizzate e
quindi la situazione generale sia migliore. Dove è possibile trovare lavoro?
Come panettieri, pasticceri, muratori, falegnami meccanici, aiutanti e scari-
catori al mercato. Gli adulti lavorano anche 16 ore al giorno. I bambini af-
gani lavorano già mentre frequentano il primo ciclo dell’istruzione e deci-
dono o sono spinti a spostarsi in Europa presto, già all’età di 14 anni. Si
tratta di poter contare sul sostegno anche economico della famiglia o co-
munque di saper mettere da parte denaro, di avere contatti con amici che
hanno già fatto questa esperienza e con i trafficanti in grado di preparare i
documenti necessari. La precarietà del percorso migratorio fa sì che da una
stessa famiglia i fratelli si trovino ad approdare a Paesi europei diversi, non
solo l’Italia, ma anche la Grecia, la Germania, l’Inghilterra.
In alcuni casi, i minori afgani che arrivano in Italia sono nati e cresciuti
in Iran, magari in città come Teheran, pur avendo una famiglia che provie-
ne da un contesto rurale. Sono, quindi, minori che hanno vissuto un’acuta
condizione di straniero fin dalla nascita. L’Iran non riconosce in questi casi
il diritto a diventare iraniano e pone questi cittadini di origine afgana nella
minacciosa condizione di essere “rimandati indietro”: di fronte a questa
eventualità, non stupisce che siano numerosi coloro che decidono di spo-
starsi in Europa. Affrontano un viaggio che rimette al centro la loro origine,
l’Afghanistan, nonostante di quel Paese sappiano davvero poco. I riferi-
menti sono soprattutto i coetanei, in particolare i ragazzi già hanno preso la
decisione di partire e che raccontano la propria esperienza agli amici sugge-
rendo come far fronte ad un viaggio così costoso e pericoloso. In questo
percorso migratorio emerge anche la differenza con quello dei genitori e si
rivelano due diversi atteggiamenti familiari: quello della famiglia che ma-
gari conta già su parenti o figli all’estero e incoraggia, anche economica-
mente, il minore a compiere il passo verso l’Europa e quello, invece, di chi
è ancora legato all’idea di poter restare vicino e magari rientrare in Afgha-
nistan, e vede i problemi legati al nuovo percorso migratorio ed in partico-
lare quanto sia rischioso il viaggio e preferirebbero che i figli non andasse-

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ro via, sottolineando l’importanza del restare tutti insieme per andare avan-
ti. Magari, in questi casi si aspetta l’ultimo giorno per rivelare al padre la
decisione di partire, perché dirglielo prima avrebbe comportato una pesante
litigata. In questo secondo caso è di fondamentale importanza, una volta in
Europa, essere in grado di guadagnare e aiutare la famiglia.
Anche chi viene dall’Albania racconta esperienze diverse rispetto al
contesto familiare e sociale di origine. C’è chi ha vissuto male la propria
infanzia, non si è sentito a casa con la propria famiglia. E chi considera di
aver avuto un’infanzia bella, ma che col crescere dell’età ha fatto propria
un’insoddisfazione collettiva e verso i quattordici anni ha considerato che
l’Albania offrisse poche scelte ed a quindici anni, avendo terminato il pri-
mo ciclo scolastico (di nove anni) ha sposato l’idea che la scelta giusta fos-
se cambiare Paese. I minori in Kosovo e in Albania hanno la consapevolez-
za che in Italia ci siano delle comunità di connazionali e sono in contatto
con amici che già vivono in Italia. La famiglia incoraggia o comunque ten-
de ad accettare questa scelta, considerando il nuovo contesto culturale e la-
vorativo come un’opportunità che vale la pena esplorare.
Dal continente africano le narrazioni dei minori sono diversificate per
Paese e per contesti. C’è chi dal Corno d’Africa fugge dal servizio militare
e chi, in Nigeria, si trovava a vivere in un contesto tranquillo, di buoni rap-
porti con la famiglia. In particolare il contesto urbano della capitale, Lagos,
può essere un primo approdo migratorio interno legato al percorso di studi
e alle opportunità di lavoro. E può accadere che in questo contesto si sia
presi di mira da cosiddetti “procuratori” calcistici, uomini d’affari che con-
vincono la famiglia che il ragazzo possa avere in Europa buona possibilità
come giocatore. La proposta alla famiglia è quella di contribuire economi-
camente al viaggio e all’organizzazione di provini con società calcistiche.
Questo miraggio solletica il desiderio “di uscire, di andare all’estero” di
percorrere la strada che ha portato in serie A calcistica calciatori come Oba
Oba Martins, che ha giocato nell’Inter e nel Milan. La percentuale di chi
riesce in questo percorso di selezione è irrisoria, ma intanto il miraggio fa
apparire la proposta come “quella giusta”, e in vista dei costi del biglietto e
delle spese per arrivare ai provini la famiglia prova la strada del prestito da
parte dei parenti, o della vendita di terre o dei beni a disposizione, in base al
ragionamento che questo investimento porti ,dopo qualche anno, il giovane
a tornare avendo moltiplicato per cento quel che la famiglia ha speso.
Siamo, dunque, di fronte a due atteggiamenti diversi rispetto al percorso
migratorio. Un primo gruppo di minorenni ha lasciato la famiglia (e in al-
cuni casi conta su familiari sparsi nel mondo) con un progetto che mira ad
un buon lavoro e alla possibilità di guadagnare per poter migliorare la pro-

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pria condizione economica ed aiutare la famiglia. Si tratta spesso di un pro-
getto migratorio che conta su una motivazione di base e costruito nel tem-
po, un progetto individuale che tende a sviluppare abilità sociali e capacità
di osservazione ed ascolto per le opportunità che si presentano in chiave
formativa e lavorativa nel Paese di accoglienza. Come abbiamo visto da
esempi che, in queste pagine, riguardano Paesi come Albania e Nigeria, un
secondo gruppo di minorenni non aveva maturato un proprio progetto mi-
gratorio: l’arrivo in Europa è legato a un contesto culturale giovanile che
vede l’esperienza della migrazione come un rito di passaggio vantaggioso
per chi sa cogliere questa opportunità spesso legata all’appartenenza ad un
“gruppo” amicale. Si tratta di un passaggio più estemporaneo e che conta in
linea di massima su di una minor grado di motivazione e di autonomia in-
dividuale.

3. Verso l’autonomia?

La legge 47/2017 (all’art. 13, comma 2) afferma che

Quando un minore straniero non accompagnato, al compimento della mag-


giore età, pur avendo intrapreso un percorso di inserimento sociale, necessi-
ta di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso finalizzato
all’autonomia, il Tribunale per i Minorenni può disporre, anche su richiesta
dei servizi sociali, con decreto motivato, l’affidamento ai servizi sociali,
comunque non oltre il compimento del ventunesimo anno di età.

Prendendo atto dei limiti degli attuali percorsi di accoglienza ed accom-


pagnamento, si prospetta, quindi, la possibilità di concertare un ulteriore
periodo, fino a tre anni, che coinvolga servizi territoriali nel sostenere que-
sti giovani nel percorso verso l’autonomia. Quali luoghi e servizi vanno
presi in considerazione in merito a tale percorso? Se l’“approdo” cui sia i
minori, sia gli operatori sembrano guardare in modo prioritario è il lavoro,
il modo stereotipato e le difficoltà che accompagnano la ricerca di
un’occupazione salariata evidenziano l’importanza di una riflessione a 360°
sulla dimensione educativa, formativa e abitativa.
Tale riflessione può prendere le mosse da una storia poco frequente, ma
esemplare. Consapevoli che una minorenne non sarebbe stata “pronta” ad
una vita autonoma dopo i 18 anni, la cooperativa che gestiva la comunità
che l’ospitava ha creato le condizioni perché potesse essere presa in affido
da parte di una famiglia italiana. Questa nuova condizione familiare le ha
permesso di seguire e terminare le scuole superiori. A sua volta, questa
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condizione le ha permesso di iscriversi all’università. Non si tratta solo di
un passaggio formativo. Sul piano giuridico, in merito al permesso di sog-
giorno, questo percorso permette di richiedere un permesso per studio e non
per ricerca lavoro. È un percorso che indica quanto sia importante una con-
sapevolezza (da parte di minori e operatori) per quanto possibile approfon-
dita dei modi in cui interagiscono le quattro dimensioni della casa, del lavo-
ro, della formazione e dello status legale. Spesso, tale maggiore consapevo-
lezza sembra limitata ai mesi immediatamente precedenti il compimento
del diciottesimo anno di età.
È, in particolare, negli “ultimi dieci mesi” prima dei diciotto anni che
l’attenzione degli operatori si concentra su due aspetti legati al mondo del
lavoro. Da un lato, viene impostato l’avviamento al tirocinio, percorso che
dura, in genere, dai quattro ai sei mesi. Sono gli operatori a cercare attiva-
mente le opportunità di tirocinio in qualità di operatori. Dall’altro, il minore
viene affiancato da un volontario o da un operatore nella redazione del pro-
prio curriculum e per la ricerca di un lavoro futuro. La responsabilità di
questa ricerca è affidata al minore e viene monitorata dagli operatori, per
esempio utilizzando schede in cui annotare i luoghi di lavoro contattati e le
risposte che vengono date.
In linea di principio si incoraggia, quindi, il minore a cercare autono-
mamente un impiego visitando i potenziali datori di lavoro, sostenuto solo
inizialmente dall’affiancamento di un operatore. Non sorprende che faccia-
no fatica a trovare lavoro da soli, così come in seguito sarà molto difficile
fare i conti con le difficoltà del trovare un’abitazione, anche a fronte di un
pervasivo razzismo nei confronti di chi cerca casa. Gioca, quindi, un ruolo
chiave l’iniziativa degli operatori e la loro abilità nel capire chi e come con-
tattare per indirizzare il minore verso un lavoro possibile. Questi passaggi,
e il percorso formativo che li dovrebbe sostenere, dovrebbero essere rispec-
chiati nel PEI, il programma educativo individualizzato, sorta di “contratto”
formativo fra il minore e la cooperativa che lo ospita. Per la maggior parte,
i PEI non fanno i conti con il generale scarso livello di scolarizzazione di
partenza. O meglio, tale scarsa scolarizzazione diviene il motivo per con-
centrare gli sforzi sulla ricerca di un lavoro compatibile con la scarsa scola-
rizzazione.
Strumento principe per la transizione verso la maggiore età diviene allo-
ra il tirocinio formativo retribuito tramite fondi straordinari di solidarietà,
con borse lavoro in coordinamento con il Centro per l’impiego. Si tratta di
somme fra i 2000 e i 2800 euro per 500 ore lavorative. Di fatto, se gestito
in chiave di risparmio, questo denaro permette di avere un piccola riserva
per affrontare la vita una volta usciti dalla comunità. Dal punto di vista del

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permesso di soggiorno, fino al compimento del diciottesimo compleanno i
minori hanno un permesso per integrazione minorile; in caso contrario non
sarebbe loro permesso iscriversi ai centri per l’impiego e lavorare, in quan-
to minorenni, cioè con un permesso per minore età. Appare evidente come
l’accumulo di sfide in merito al permesso di soggiorno, al lavoro e
all’abitazione renda difficoltoso il passaggio all’autonomia. Si apre quindi
una fase “grigia” che vede esiti diversi secondo i profili e le abilità profes-
sionali e sociali di chi è appena diventato maggiorenne. In alcuni casi è
possibile appoggiarsi alla rete familiare, se presente in Italia. In casi ottima-
li, la borsa lavoro ha permesso di identificare un datore di lavoro che si è
anche fatto carico della dimensione abitativa. Ma in molti casi, l’idea che la
sera prima del diciottesimo compleanno il minore debba avere la valigia
pronta ed il giorno dopo riceverà la “dimissione” si scontra con la mancan-
za di opportunità lavorative e abitative e suggerisce, quando possibile, alla
comunità di accoglienza di prolungare (spesso in modo informale)
l’accoglienza o di provare a stabilire un nuovo rapporto “lavorativo” col
minore che diviene maggiorenne, per esempio dandogli il compito di “tour
operator” nella comunità stessa prendendosi cura dei ragazzi appena arriva-
ti, stabilendo un rapporto, accompagnandoli, facendo da mediatore quando
gli operatori portano i nuovi arrivati in strutture pubbliche, per esempio alle
visite mediche. Sono funzioni che non impegnano tutta la giornata, e per-
mettono di continuare a formarsi in vista di una migliore sistemazione.

4. Conclusioni

Complessivamente, l’indagine condotta a Padova rileva gli scarti fra le


priorità dei diversi attori (Wernesjo, 2012), le specificità rispetto ai contesti
dell’istruzione (Attanasio, 2016), del lavoro e delle politiche sociali (Mini-
stero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2017) e mette in evidenza le mul-
tiple transizioni (Roberts et al., 2017) cui sono soggetti i minori. Specifica
attenzione andrebbe prestata, nella transizione verso la maggiore età (Wade
et al., 2012) al capitale sociale dei MSNA (Sime e Fox, 2015) e al modo in
cui gli enti locali dovrebbero considerare i minori in quanto soggetto migra-
torio con caratteristiche e problematiche proprie (Giovanetti, 2016; Pavesi e
Caneppele, 2011). Un possibile passo avanti è rappresentato da un progetto
in corso di avviamento da parte di una delle cooperative padovane per dar
vita ad un appartamento di “sgancio”, gestito da una coppia residente dove
possano “passare” i neo-maggiorenni sperimentandosi nella transizione

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verso l’autonomia sostenuti da un referente con funzioni educative e da un
referente per l’area Comunità Familiari.

Bibliografia di riferimento

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in Italia, i numeri, le storie, Albeggi, Roma.
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Giovannetti M. (a cura di) (2016), I comuni e le politiche di accoglienza dei minori
stranieri non accompagnati. Un’analisi longitudinale a guida dei percorsi futu-
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dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione (2017), I minori stranieri
non accompagnati (MSNA) in Italia. Report di monitoraggio, 31 Agosto 2017,
testo disponibile al sito: http://www.lavoro.gov.it/temi-e-
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content/uploads/2013/11/Infosicurezza_9-Cosa_far%C3%B2_da_grande1.pdf
(23/12/2017).
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Note sugli autori

Marco Accorinti, ricercatore CNR presso l’Istituto di ricerche sulla popolazione


e le politiche sociali. Valutatore e formatore, è docente di Produzione e applicazio-
ne critica della conoscenza agli interventi sociali presso la Libera Università di
Bolzano. Si occupa di tematiche connesse alla comunicazione sociale, progettazio-
ne e valutazione dei servizi e delle politiche sociali, Terzo settore e politiche mi-
gratorie.

Rita Bertozzi è ricercatrice confermata di Sociologia dei Processi Culturali e


Comunicativi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia dove insegna Socio-
logia delle Politiche Educative. I suoi interessi di ricerca riguardano i minori stra-
nieri non accompagnati, i percorsi scolastici dei figli di immigrati, i bisogni educa-
tivi delle famiglie immigrate, i giovani collaborando con diverse istituzioni locali.

Irene Bonotto, laureata triennale in Conservazione e gestione dei Beni Culturali


presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è iscritta al corso di Laurea Magistrale
in Pedagogia presso l’Università di Padova.

Eveline Chagas, ricercatrice post-doc presso il Dipartimento di Lavoro Sociale


e Servizi Sociali dell’Università di Barcellona e membro del Gruppo di ricerca e
innovazione sul lavoro sociale (GRITS). I suoi interessi di ricerca sono orientati al
lavoro sociale con le famiglie anche nei contesti multiculturali.

Lucrezia Comini, laureata triennale in Sociologia e Ricerca Sociale


all’Università di Milano Bicocca, è iscritta al corso di Laurea Magistrale in Peda-
gogia dell’Università di Padova.

Elisa De Francisci, laureata triennale in Mediazione Linguistica e Culturale


presso l’Università di Padova, è impegnata in un progetto di educativa di strada
con bambini e adolescenti presso l’associazione Mládež Ulice di Bratislava.

Diego Di Masi, ricercatore post-doc presso il Dipartimento di Filosofia, Socio-


logia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università di Padova, insegna Peda-
gogia dell’Inclusione presso il corso di Laurea in Servizio Sociale. I suoi interessi
di ricerca riguardano l’inclusione e le metodologie collaborative nella progettazio-
ne, realizzazione e valutazione di interventi socio-educativi.

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Rita Finco, dottore di ricerca in Psicologia Clinica all’Università Paris XIII e in
Antropologia Culturale e Sociale all’Università Milano-Bicocca, è responsabile del
Centro Etnoclinico FO.R.ME. I suoi interessi di ricerca riguardano l’etnoclinica,
l’etnopsichiatria, la psicologia geopolitica e la psicologia del sacro.

Monia Giovannetti, responsabile del Dipartimento Studi e Ricerche di Cittalia,


è stata componente dell’Observatory on Child Migration in Europe (Poitiers, Fran-
ce) e dal 2000 è coordinatrice scientifica del Rapporto ANCI sui minori stranieri
non accompagnati in Italia. È inoltre curatrice del Rapporto annuale sulla protezio-
ne internazionale in Italia e dell’Atlante annuale del Sistema di protezione per ri-
chiedenti asilo e rifugiati. I suoi studi riguardano i fenomeni migratori, politiche di
accoglienza e integrazione e politiche di welfare locale.

Marion Jacoub, antropologa clinica, collabora con il CREFI (Centro di Ricerca


e Formazione Interculturale, Parigi) ed è ricercatrice associata al Centro Etnoclini-
co FO.R.ME.

Alessio Menini, laureato triennale in Scienze Sociologiche presso l’Università


di Padova, è iscritto al corso di Laurea magistrale in Culture, Formazione e Società
Globale con indirizzo sociologico della stessa Università.

Càndid Palacín, professore titolare presso il Dipartimento di Lavoro Sociale e


Servizi Sociali dell’Università di Barcellona, e membro del Gruppo di ricerca e in-
novazione sul lavoro sociale (GRITS). I suoi interessi di ricerca sono orientati al
lavoro sociale nei contesti di fragilità sociale, principalmente nei contesti migratori

Nicoletta Pavesi, ricercatrice confermata di Sociologia dei Processi Culturali e


Comunicativi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna Sociolo-
gia della Famiglia e Sociologia della Devianza alla Facoltà di Scienze Politiche e
Sociali. I suoi interessi di ricerca riguardano le politiche e servizi sociali, le buone
pratiche di accoglienza e integrazione dei minori stranieri non accompagnati, le
famiglie migranti, gli anziani fragili, la presa in carico delle persone immigrate con
disabilità, la progettazione e valutazione partecipate.

Antonio Pietropoli, laureato triennale in Studi internazionali presso l’Università


di Padova, è iscritto al corso di Laurea Magistrale in Local Development presso la
stessa Università.

Violeta Quiroga, professoressa titolare presso il Dipartimento di Lavoro Socia-


le e Servizi Sociali dell’Università di Barcellona, dove insegna Metodologia e Tec-
niche della Ricerca Sociale, è direttora della UFR scuola di Servizio Sociale e
membro del Gruppo di ricerca e innovazione sul lavoro sociale (GRITS). I suoi in-
teressi di ricerca riguardano l’infanzia e l’adolescenza a rischio sociale, principal-
mente nei contesti migratori.

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Barbara Segatto, professoressa associata e membro del Centro Interdipartimen-
tale di Ricerca sulla Famiglia (CIRF) dell’Università di Padova dove insegna So-
ciologia della Famiglia e dell’Infanzia, è presidente del Corso di Laurea in Servizio
Sociale. I suoi interessi di ricerca riguardano le trasformazioni della famiglia con
una particolare attenzione alla genitorialità biologica e sociale e le pratiche di lavo-
ro sociale per la promozione del benessere delle famiglie e dei minori.

Alessio Surian, professore associato e membro del Centro Interdipartimentale


di Studi e Ricerche Interculturali e Migrazioni (CIRSIM) dell’Università di Padova
dove insegna Dinamiche comunicative (Laurea Magistrale in Scienze del Servizio
Sociale) e Teorie e Pratiche dell’Intercultura (Master in Studi Interculturali). I suoi
interessi di ricerca riguardano le interazioni sociali in contesti educativi e di rela-
zione d'aiuto e la comunicazione in ambiti di diversità culturale

Alice Tria, laureata triennale in Servizio Sociale presso l’Università di Padova,


è iscritta al corso di Laurea magistrale in Culture, Formazione e Società Globale
con indirizzo sociologico della stessa Università.

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Politiche e servizi sociali

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nuove forme di impegno sociale (disponibile anche in e-book).
ENRICO MANCINI, Facciamo i... conti!. La narrazione come modello per trasformare il
sociale (disponibile anche in e-book).
MASSIMO DEL FORNO (a cura di), Nel complesso mondo del welfare. Idee, metodi e
pratiche.
MASSIMO BALDUCCI, LUCETTA TRE RE (a cura di), L'organizzazione dei servizi sociali.
MARA TOGNETTI BORDOGNA (a cura di), Voglio fare l’assistente sociale. Formazione e
occupazione dei laureati in Servizio sociale in tempi di crisi e discontinuità (disponibile
anche in e-book).
CLAUDIA TURRISI, Hiv/Aids 2.0. Profezia di un'evoluzione possibile.

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IVANA CARUSO, MARIA CINZIA MANTEGNA, Oikos legami familiari. Nuove prospettive
d’intervento nei casi di genitorialità fragile (disponibile anche in e-book).
VINCENZA PELLEGRINO, CHIARA SCIVOLETTO (a cura di), Il lavoro sociale che cambia. Per
una innovazione della formazione universitaria.
ANTONIO DE CHIARA, ANTONIO TIBERIO, I servizi sociali. Guida per psicologi e operatori
sociali.
MARA TOGNETTI BORDOGNA (a cura di), Il tirocinio come pratica situata. Le esperienze
dei Corsi di Laurea in Servizio Sociale (disponibile anche in e-book).
MANUELA COLOMBERO, MICHELE GRISONI (a cura di), Linee guida e buone prassi per il
Corso di base per mediatore interculturale (disponibile anche in e-book).
LUCA FAZZI, Servizio sociale riflessivo. Metodi e tecniche per gli assistenti sociali.
ANTONIO DE CHIARA, ANTONIO TIBERIO, Principi, valori e fondamenti del servizio sociale.
VALERIA LUPIDI, VINCENZO LUSA, GIANANDREA SERAFIN (a cura di), Gioventù fragile. I
nuovi contorni della devianza e della criminalità minorile (disponibile anche in e-book).
ERSILIA MENESINI, FEDELE RUGGERI (a cura di), Quartiere, famiglia e scuola insieme. Un
approccio multidimensionale al disagio abitativo e sociale (disponibile anche in e-book).
LUISA BRUNORI, ENRICO GIOVANNETTI, GIOVANNA GUERZONI (a cura di),
Faremicrocredito.it. Lo sviluppo del potenziale del microcredito attraverso il social
business in Italia (disponibile anche in e-book).
FIO.PSD, A CURA DI MIRIAM CASTALDO, ANNA FILONI, IGNAZIO PUNZI, Safya. Un approccio
transdisciplinare alla salute degli homeless in Europa (disponibile anche in e-book).
MARGHERITA DI VIRGILIO, IRVEN MUSSI (a cura di), Manuale per Oss e Asa (Operatori
Socio-Sanitari e Ausiliari Socio-Assistenziali). Formazione in campo assistenziale, sociale e
sanitario.
VINCENZO CASTELLI (a cura di), Ragionare con i piedi. Saperi e pratiche del lavoro di
strada.
MARCO CHISTOLINI (a cura di), Scuola e adozione. Linee guida e strumenti per operatori,
insegnanti, genitori.
BIANCA BARBERO AVANZINI, Devianza e controllo sociale.
FABIO VEGLIA (a cura di), Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza. Dal
riconoscimento di un diritto al primo centro comunale di ascolto e consulenza.
ROSELLA RETTAROLI, PAOLO ZURLA (a cura di), Sviluppo sociale e benessere in Emilia-
Romagna. Trasformazioni, sfide e opportunità (disponibile anche in e-book).
SILVANA POLONI (a cura di), Generazione stupefacente. Gioventù protagonista nella
società (E-book).
ALESSANDRA FERRI, La tutela del minore nell'attività del Servizio sociale locale
(disponibile anche in e-book).
VINCENZO GIAMMELLO, ALESSANDRA MERCURIO, GAETANO QUATTROCCHI (a cura di), Il
lavoro nel carcere che cambia (disponibile anche in e-book).
FRANCESCA MAZZUCCHELLI (a cura di), La preadolescenza. Passaggio evolutivo da
scoprire e da proteggere (disponibile anche in e-book).
GIUSEPPE CASTELLI, PAOLO CEREDA, MARIA ENRICA CROTTI, ALBERTO VILLA (a cura di),
Educare alla sessualità. Percorsi di educazione alla vita affettiva e sessuale per persone con
disabilità intellettiva (disponibile anche in e-book).

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11130.1
L’INGIUSTA
La qualità delle strutture e dei percorsi di accoglienza, la scelta dei tutori,
l’accesso alle procedure di asilo, gli ostacoli frapposti alla riunificazione familia-
re: sono queste le quattro aree di attenzione segnalate dall’Agenzia Europea
dei Diritti Fondamentali quando si tratta di agire nel miglior interesse dei minori.

B. Segatto, D. Di Masi, A. Surian (a cura di) L’INGIUSTA DISTANZA


DISTANZA
Questultimo è il principio che dovrebbe guidare tutti gli interventi che li riguar-
dano, comprese le procedure che regolano le migrazioni e le richieste di asilo,
come prevede la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e come
sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia.
Come accoglie l’Italia i minori stranieri “non accompagnati”?
Il volume intende innanzitutto fare il punto sulle pratiche di accoglienza in
Italia dei minori stranieri “non accompagnati” attraverso i contributi di esperti
da vari settori disciplinari e con analisi che mettono a confronto realtà locali
I percorsi dei minori stranieri
con l’intero territorio italiano e con le pratiche di un Paese vicino, la Spagna.
Inoltre, attraverso un’indagine esplorativa di tipo qualitativo svolta grazie ad un
non accompagnati dall’accoglienza
finanziamento dell’Università di Padova con il coinvolgimento degli studenti alla cittadinanza
universitari, vuole comprendere le problematicità legate all’ospitalità dei minori
soli. L’analisi narrativa delle interviste semi-strutturate realizzate a Padova con
rappresentanti istituzionali, operatori, famiglie e ex minori ora maggiorenni ha
permesso di mettere a confronto le priorità dei diversi attori coinvolti nel siste-
ma di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, descritti come sog-
getti vulnerabili ma anche resilienti e altamente motivati. a cura di
Barbara Segatto è professore associato e membro del Centro Interdipartimentale di Ricer- Barbara Segatto,
Diego Di Masi,
ca sulla Famiglia (CIRF) dell’Università di Padova dove insegna Sociologia della Famiglia e
dell’Infanzia ed è Presidente del Corso di Laurea in Servizio Sociale.

Diego Di Masi è docente di Pedagogia dell’Inclusione presso il Corso di Laurea in Servizio


Sociale dell’Università di Padova dove collabora con il Laboratorio di Ricerca e Intervento in
Alessio Surian
Educazione Familiare (LabRIEF).

Alessio Surian è professore associato e membro del Centro Interdipartimentale di Studi e


Ricerche Interculturali e Migrazioni (CIRSIM) dell’Università di Padova dove insegna Dina-
miche comunicative (Laurea Magistrale in Scienze del Servizio Sociale) e Teorie e Pratiche
dell’Intercultura (Master in Studi Interculturali).

FrancoAngeli ISBN 978-88-917-3474-7 Politiche


La passione per le conoscenze
e servizi
sociali
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