Troppi Paradisi (Siti)
Troppi Paradisi (Siti)
Troppi Paradisi (Siti)
Walter Siti,
Troppi paradisi
Daniela Brogi
Raffaele Donnarumma
Daniele Giglioli
Gabriele Pedull
Daniela Brogi
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Il libro in questione
Daniela Brogi
allegoria55
Walter Siti,
Troppi paradisi
Il libro in questione
Daniela Brogi
ne dantesca, ovvero la capacit di assicurare tensione al racconto grazie al rimando a una vicenda personale, raccontata come un itinerario
progressivo di conoscenza scandito dallincontro con personaggi e forme di vita che portano agli estremi lesperienza. La trilogia, in tal senso, mette in scena le vicissitudini di un io pseudoautobiografico che assume il proprio corpo, e in particolare le proprie ossessioni sessuali, come significanti di un tentativo lentamente ricostruito di una redenzione di s. Scuola di nudo (1994), in cui il racconto comincia subito con
una simmetria dantesca, ovvero il 27 maggio 1985, al compimento del
trentacinquesimo anno (p. 4; naturalmente una pseudoverit, poich lautore nato nel 1947), mette in scena unesperienza di apprendistato suggerita dalla stessa presenza della parola scuola nel titolo.
Lambientazione universitaria del primo romanzo, infatti, mette il protagonista a confronto con linadeguatezza del mondo delle astrazioni
intellettualistiche rispetto al bisogno e alla ricerca umana di felicit.
Dentro questo inferno, abitato da personaggi che sono anzitutto ossessioni proiettive del soggetto narrante (il Padre, il Cane-fratello, la figura sacrificale dellamica-madre), non si d riscatto, ma soltanto una possibilit di sfida coatta allautorit (p. 131) destinata a replicarsi allinfinito, secondo una sorta di pena per contrappasso che si cristallizza nel
passaggio dal mondo della cultura al mondo dei culturisti: cos monumentali, ma cos composti interamente di odio e di paura. Io non desidero i nudi maschili per ci che sono in se stessi ma per ci da cui distraggono: cio la mia sconfitta nella gara con un altro uomo per la conquista di una donna (p. 101).
Anche Un dolore normale (1999) ci parla di un soggetto condannato a
vivere lerotismo soltanto come negazione, e anche questo secondo volume della trilogia recupera una simbologia dantesca: doppiamente attuata, stavolta, perch, per ammissione stessa dellautore, il libro, in
quanto diario romanzato di una storia damore, una parodia della Vita nova (a cui rimanda anche luso del prosimetro). La vicenda del protagonista, malato di una letteratura che uccide il suo rapporto con lessere amato perch lo condanna continuamente al tormento di chi guarda da fuori la vita senza riuscire a viverla, una vicenda di perdita. E tuttavia fissa, attraverso un dolore normale, umano come la frustrazione,
una possibilit di comprensione, di rielaborazione, ovvero un campo
dazione intermedio tra la discesa negli inferi delle proprie catene e la
risalita verso la conquista di unindividualit.
Dodici anni dopo luscita del primo volume, Troppi paradisi sembra
sigillare il suo statuto di romanzo conclusivo di una vicenda di attraversamento riproponendo, nella pagina finale (p. 425) una frase gi citata allinizio della trilogia (Scuola di nudo, p. 6): quella in cui Beckett dice che il suo pi grande terrore sempre stato quello di morire pri214
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Raffaele Donnarumma
C chi ne dubita, ma io credo che Siti sia uno dei maggiori romanzieri
contemporanei. Gli si imputano eccesso di intellettualismo, egocentrismo, qualche incertezza nella costruzione narrativa; e si dimentica che il
romanzo di impostazione saggistica oggi una delle forme pi necessarie, che lidolatria di s, giocata come la gioca Siti, una figura della contemporaneit, che narrare al tempo della fine dellesperienza significa
obbligatoriamente barare. Siti, si dice, sarebbe danneggiato dalla sua intelligenza e dal suo essere professore. E invece, lasciato da parte il mito
del narratore spontaneo, che produce racconti come respira, Siti spende il proprio ruolo intellettuale senza veli ipocriti (al contrario di molti
suoi colleghi che si improvvisano romanzieri, e riescono tanto pi professorali quanto pi cercano di nascondere il loro peccato di origine);
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Walter Siti,
Troppi paradisi
Il libro in questione
Raffaele
Donnarumma
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Walter Siti,
Troppi paradisi
Il libro in questione
Raffaele
Donnarumma
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ro il legame fra particolare e universale? A diritto il protagonista si chiama Walter Siti, come tutti? La sua mediocrit effettiva?
No. Credo si tocchino qui il centro dellimmaginazione romanzesca di Siti e il carattere paradossale della sua poetica. Il problema non
, ancora una volta, la sgradevolezza che alcuni lettori hanno denunciato: al contrario, storie sgradevoli non ne abbiamo abbastanza, cullati come siamo dalla media, insipida gradevolezza di tanti racconti,
letterari o filmici. Neppure lamoralismo esibito visto che, faccia o non
faccia il gioco dellimmoralit ordinaria, almeno contrasta (al modo
di Roth, o Coetzee, o Rushdie, o Houellebecq) un moralismo sempre
pi diffuso e rivoltante. Forse si vede pi nel giusto quando si riflette
sul rapporto che il narratore vuole intrattenere con il suo pubblico.
Insieme alla sospensione dellincredulit, al lettore di romanzi classici si chiede anche sempre, bene o male, lidentificazione con leroe (e
persino con lanti-eroe). Il de te fabula narratur di Siti, invece, si fonda
su un protagonista che, per quanto rivendichi la sua esemplarit epocale, resta troppo legato alla sua pura individualit. La distanza fra lettera e allegoria non si colma. Non per insufficienza di ideazione o incertezza: ma perch Siti racconta proprio di un mondo in cui ogni storia, ogni destino sono s equivalenti a ogni altro nella loro irrilevanza,
ma anche intransitivi. Le monadi sono tutte eguali; ma tutte monadi.
In questo senso, il romanzo di Siti non pu funzionare, perch sta al
di l delle poetiche romanzesche che ci sono familiari. Troppi paradisi, una volta di pi, va letto come (falsa) autobiografia: come storia di
uno che racconta lunica cosa che conosca, se stesso, e che, pur cercandoci un senso buono per gli altri, addirittura per tutti gli altri, non
ha alcuna garanzia che il suo tentativo riesca. un fallimento estetico, questo? In una certa misura, s, e gli scontentati da Siti vedono bene. Resta il fatto che certi fallimenti ci aprono gli occhi molto pi di
certe riuscite.
Sullomosessualit, Siti concentra lambiguit della propria poetica
romanzesca: essa insieme la figura compiuta dellOccidente narcisista, sterile, feticista della magnifica merce, insieme immaturo e senile
per sovrassaturazione di cultura, schiavo delle immagini e idolatra del
desiderio; e il punto di resistenza allomologazione definitiva, la disperata, parodistica rivendicazione per lio della propria eccezionalit (dunque lesatto opposto della mediocrit che Walter dovrebbe rappresentare). Siti per primo sa che esistono molti tipi diversi di omosessualit;
Walter ammette francamente che la sua minoritaria ed eccezionale. In
fondo, proprio questa omosessualit che impedisce al lettore di identificarsi nel protagonista: e al lettore eterosessuale non pi che a quello
gay non altrettanto fanatico di culturisti.
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Il libro in questione
Raffaele
Donnarumma
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e sulla vita che viviamo. La sua predilezione per un mondo in cui hanno perso giurisdizione il senso comune del pudore e della morale ,
forse, il debito che paga al suo peccato dorigine professorale: Siti cerca di riscattarsi con un eccesso di realt degradata dal sospetto di separatezza che grava su ogni intellettuale italiano. Leccezionalit del
suo protagonista (uneccezionalit che non ha riscontro in personaggi analoghi di Roth o Coetzee, tanto pi medi anche se loro pure professori) leccezionalit effettiva di molti nostri accademici. Ma pi in
profondo, Walter davvero il Vecchio Occidente, cos sedotto dalle
forme del nuovo, da non sapersene pi difendere e da annegare in esse. Se i suoi vecchi genitori si limitano a guardare la televisione, ipnotizzati e passivi, lui la televisione la fa. Troppi paradisi suona come il romanzo feroce su una generazione che, saziata di privilegi, incapace di
responsabilit, esaltata prima dallebrezza di aver fatto o visto gli ultimi lampi di storia (il Sessantotto, il terrorismo), divenuta poi cos indifferente al futuro da elaborare il mito consolatorio della fine dei tempi, ha prodotto lo sfascio, e si accomodata ad abitarlo.
Il postmoderno finito: sono ormai sempre pi numerosi i segni di
un mutamento nellordine dei problemi culturali e della rappresentazione narrativa. Sta tornando il realismo: sia in forme pi grezze e documentarie, diciamo naturalistiche, sia in forme pi consapevoli, mediate da
ascendenze moderniste. In questo senso, Troppi paradisi, seguito di un
progetto nato pi di dieci anni fa, testimonia di una fase precedente; ma
e non conta niente il ritardo lesempio pi intelligente e pi pieno
del postmoderno italiano. Se la condizione postmoderna il nostro passato, allora la trilogia che approda a Troppi paradisi ne il romanzo storico. Letto accanto agli esempi ormai canonici di quel periodo (da Calvino a Eco, da Tabucchi a Baricco), esso mostra non solo quanto scoloriti
essi fossero, e quanto timidi rispetto ai corrispettivi americani; ma anche
quello di cui la cultura postmoderna, nelle sue contraddizioni, era capace, e quali erano i suoi veri centri dinteresse: la labilit del confine fra
realt e finzione o verit e menzogna, la demistificazione di ogni pretesa di autenticit, il primato dellimmaginario, il narcisismo come radice
di una vita ridotta a sbalzi maniacodepressivi, lalterit come sogno, incubo o fantasma, la ricerca paradossale di una felicit tra i feticci, lanestetizzazione o listerizzazione del dolore, la mitologia del desiderio, il
consumo compulsivo come modo di appropriarsi di un mondo che sfugge, il senso della fine dellesperienza e della storia. Quello che si imputa
a Siti , spesso, quello che andrebbe imputato al mondo di cui egli , in
Italia, il miglior narratore. Sar davvero troppo corrivo con quella claustrofobia, troppo invischiato con le sue aporie? Ma che importa se, come
nessun altro, ce le fa capire?
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Troppi paradisi
Il libro in questione
Daniele Giglioli
Daniele Giglioli
Con Troppi paradisi Walter Siti ha finalmente ottenuto quel consenso quasi universale della critica che meritava fin dai tempi di Scuola di nudo. La
sua opera desordio aveva certo potuto contare sullammirazione appassionata di una cerchia ristretta ma che sarebbe sbagliato definire dlite:
le lites contano, e impongono il loro giudizio, mentre Scuola di nudo era
passato come una meteora nel cielo di una narrativa italiana degli anni
Novanta con cui aveva assai poco a che spartire. I nomi che venivano in
mente, a chi voleva cercargli degli equivalenti, erano piuttosto la Morante di Aracoeli e il Pasolini di Petrolio. Un corpo estraneo per dimensioni,
ambizioni, appartenenza delezione a quella che una volta si sarebbe chiamata una civilt letteraria di tuttaltra natura, obbediente ad altri cerimoniali e ad altre modalit desistenza rispetto a quelle che si erano venute imponendo in Italia dalla fine degli anni Settanta in poi. Apprezzare non distrattamente Scuola di nudo comportava una presa di posizione
e di distanza rispetto allattualit; magari col senso di colpa di preferire il buon vecchio al cattivo nuovo, ma questo un altro discorso. Non
perch non si comprendessero le buone ragioni, i nessi di interdipendenza tra forma e Storia che portavano altri, praticamente tutti gli altri,
a fare scelte diverse, tanto pi in unepoca in cui era definitivamente caduta, come ha scritto Berardinelli qualche anno fa, la convinzione tipicamente moderna che lassetto presente del mondo permette di scrivere solo in un dato modo. Di modi ce nerano molti; non per equivalenti. La critica ha tutti i diritti, diceva Debenedetti, tranne quello di essere
salomonica, e la lettura di sicuro non lo . O Siti o Tondelli, dunque, o
Lodoli, o il secondo Celati e i suoi imitatori, o i Cannibali, o gli autori di
noir, e cos via. Gli altri per convivevano meglio, respiravano una stessa
aria di famiglia. Solo Scuola di nudo sembrava imporre una scelta cos radicale. Il silenzio, Siti se lera cercato.
Con Troppi paradisi lasciando qui da parte le opere intermedie, Un
dolore normale e i racconti de La magnifica merce, meno ambiziose e pur
con molte parti felici meno riuscite quel silenzio si rotto. Non perch
Siti abbia mostrato nel frattempo alcuna forma di condiscendenza alle
retoriche dominanti, n per la sciocca equazione per cui se unopera piace al pubblico allora di sicuro vale meno. Certo, il nuovo romanzo parla della televisione mentre il primo era ambientato alla Normale di Pisa, ma non qui lessenziale. La sua riconciliazione con lo Spirito del
tempo, qualunque cosa esso sia, passata attraverso altre vie, che non
hanno comportato per nulla un abbassamento sul piano della qualit.
Eppure la sensazione, non facile da definire, che rispetto a Scuola di
nudo sia andato perduto qualcosa.
A un primo sguardo, i due romanzi sembrerebbero basarsi su una batteria di opzioni analoghe. Vediamone alcune:
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il genere dellautofinzione, dellautobiografia di fatti non accaduti, con le sue vertiginose dinamiche parergonali e la sua perversa e indecidibile mescolanza di realt e invenzione, rafforzata da un esibizionismo
ricattatorio usato come dispositivo testuale di intimazione di realt: come potrebbe essere menzognero un testo in cui lautore rivela, tramite
il suo personaggio che si chiama col suo stesso nome, cose cos imbarazzanti di s? Confusione di piste, avvelenamento di pozzi, cortocircuito tra
i piani ontologici che si trova alla radice stessa del romanzo moderno, da
Cervantes in poi, nel suo pretendersi una finzione contro le finzioni,
uninvenzione che rivendica per s uno statuto completamente altro da
quello della semplice menzogna;
lampiezza di unarcata temporale in cui la relazione tra il tempo
che passa e la durata psicologica non solo oggetto ma sostanza stessa
della rappresentazione;
la scelta di mettere insieme una grande variet di universi sociali e
linguistici molto diversi tra loro, dal demi-monde RAI alle borgate romane, trattati con una soluzione stilistica che esclude sia la stilizzazione parodica sia la tranche de vie naturalista;
la sussunzione degli eventi e dei dialoghi in un flusso narrativo esplicitamente scritto, di registro alto, a forte tenore figurale, con cursus, cadenze e incisi fortemente marcati, anche se disposto secondo un andamento non retrospettivo e seguendo sostanzialmente lordine cronologico attraverso una narrazione al presente; con maggiore autoriflessivit
in Scuola di nudo, dove il narratore introduce direttamente nella storia il
fatto di stare scrivendo quel romanzo; in misura pi episodica ma tuttavia sempre avvertibile in Troppi paradisi;
infine, la continua mescolanza di narrazione e riflessione, con ampi stralci apertamente saggistici, sia nel discorso del narratore che nelle
parole dei personaggi, i quali spesso analizzano, teorizzano e generalizzano in proprio.
Dove invece i due romanzi divergono radicalmente nel rapporto che
istituiscono tra il soggetto e il mondo. Scuola di nudo era la descrizione di
una battaglia, in cui le ossessioni sessuali del protagonista, i nudi maschili con la loro perfezione antinaturale, si facevano emblema di una profonda dissonanza tra il desiderio del soggetto e quello degli altri. Dissonanza ambigua, consapevolmente mantenuta nel registro narcisistico dellimmaginario nello sforzo di negare il proprio assenso allordine simbolico che presiede allorganizzazione della realt, con i suoi doveri, i suoi
poteri e le sue gerarchie. Infamia contro infamia, degradazione contro
degradazione, con in pi la malafede di chi sa che sta disprezzando quello che comunque non potrebbe ottenere, e proprio perci segretamente desidera. Non un chiamarsi fuori, dunque, ma la rappresentazione di
un tentativo di farlo, da parte di un protagonista che tanto pi si autode223
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nunciava come mostro, anomalia, pietra scartata, tanto pi si lagnava della sua esclusione e affettava di rifiutare come indegna una normalit sessuale e politica che la nevrastenia sembrava precludergli, quanto pi scopriva di essere la testata dangolo di un ordine malato che per riprodursi non ha pi bisogno del consenso ma dellaccettazione del disprezzo di
s e degli altri come unica moneta corrente nei rapporti sociali. Questo
dava allautore unampia facolt di manovra, insieme assiologica e narrativa, nellistituire nessi tra le idiosincrasie di un malato di nervi e un intero decennio di storia della societ italiana, dallimputridimento della
generazione sessantottina alla prima guerra del golfo, con le sue paure,
le sue invidie, ossessioni, frustrazioni: di quellItalia che proprio nellanno di uscita del romanzo avrebbe offerto la gola a Berlusconi con la rassegnazione che si deve allinevitabile.
Troppi paradisi al contrario la storia di unintegrazione. Il protagonista non si chiama pi Walter Siti, ma Walter Siti, come tutti, e non
una correzione di poco conto. Si ritiene un perfetto rappresentante della mediocrit dellOccidente, e ha smesso di considerare i desideri degli
altri come qualcosa di diverso, censurabile, ripugnante. Il disprezzo ha
lasciato il posto alla fraternit. Al dualismo gnostico tra lantiphysis dei
corpi gloriosi e il mondo abbandonato dagli di dellesistenza quotidiana, si sostituito un universo in cui il verbo si fatto carne attraverso la
societ dei consumi e dello spettacolo. Il mondo uno, il desiderio uno.
Oggetto damore ci che si pu comprare, la sua caratteristica non
pi la fuga ma la reperibilit: non a caso Siti trover il vero amore mantenendo una marchetta.
Auspice di questa riconciliazione tra realt e coscienza la televisione,
soprattutto quella dei reality e dei format, cui Siti dedica pagine di grande
acume saggistico. La televisione non irrealt ma realt impoverita, contingentata, ritoccata e riadattata secondo i tempi e le esigenze della produzione e degli sponsor; resa fruibile, consumabile, imitabile, e proprio
perci capace di generare per contagio una realt extratelevisiva gi pronta per essere ripresa e riformattata dalle telecamere. Non prevede e non
permette alcun altrove, come invece larte, realt intensificata, conflittuale, antagonistica, in perenne tensione tra limmagine e la cosa, che nella
societ dello spettacolo collidono fino a diventare una sola sostanza: se
non si pu rappresentare tutta la vita, allora la vita non altro che ci che si
rappresenta. Rinunciando allarte per dedicarsi alla scrittura di programmi televisivi con cui si guadagna il denaro necessario a comprarsi il paradiso, il protagonista si fa modificare lapparato genitale per poter penetrare il suo oggetto damore: Mi pare giusto, entrare in un corpo ritoccato con un cazzo ritoccato; ai problemi della post-realt immaginaria si
risponde con la tecnologia []: lautenticit mi impossibile, al culmine
delle mie ambizioni sta un atto artificiale. Inutile sfidare il mondo con
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la propria diversit. Lautenticit isolamento, solitudine, ossessione, reclusione. Meglio unesperienza mediata da una protesi che la condanna
perpetua a non poter mai toccare la realt degli altri, col dubbio di non
essere mai nati: Ora sono nato: da circa sette mesi sono nato. Se in pi
di mille pagine ho prodotto un sosia, era perch io non cero, non ci volevo essere: adesso ci sono. [] Ora che Dio mi ama, non ho pi bisogno
di esibirmi. Sto meglio man mano che il mondo peggiora, pazienza. Le
mie idiosincrasie si scontreranno con quelle degli altri in campo aperto;
se avr qualcosa da raccontare, non sar su di me.
Con queste ultime righe in cui, proustianamente, personaggio e autore si ricongiungono per poi subito separarsi di nuovo il protagonista a godere della visione beatifica del suo dio, lo scrittore a correggere
le bozze del suo romanzo , Troppi paradisi sembra chiudersi nella certezza di una realt riconquistata. Poich non ha temuto di perdere la
propria vita, Siti (personaggio e autore) lha finalmente trovata. Cercate prima il regno dei cieli, e il resto vi sar dato come di pi: un povero
regno dei cieli per un povero cristo, ma o non il romanzo il genere
realistico per eccellenza? Tanto pi che, come si legge nellavvertenza
introduttiva, la realt un progetto e il realismo una tecnica di potere. La letteratura non compete mai con la vita, scriveva gi Stevenson
in polemica con James, riproduce il discorso, non la realt. Se poi la realt stessa, nella sua continua manipolazione da parte dei media, non
altro che unincessante fuga di codici, una stratificazione infinita di discorsi, compito della letteratura non potr essere altro che quello di prolungarne il gioco illusorio sapendo che non esiste da nessuna parte un
ancoraggio, un punto dinizio o di fine, o anche solo una minima fenditura attraverso cui metterla radicalmente in questione. Se Scuola di
Nudo era la ricerca di questa fenditura, Troppi paradisi si costruisce a partire dalla sua rinuncia.
Guardiamoci dal darne un giudizio moralistico. Ci piaccia o meno, pu
darsi benissimo che le cose stiano cos: non a caso lo dicono tutti, e chi lo
nega lo fa con argomenti di principio non voglio, non accetto, devesserci una via duscita, ecc. Quello che ci interessa qui se il romanzo possa sopravvivere a questa constatazione. Sul piano fattuale sembrerebbe di
s, gli interdetti degli anni Sessanta e Settanta sono ormai superati, romanzi se ne scrivono ovunque e anche di ottimi, e il nominalismo romanzo ci che si chiama romanzo ha sempre le sue buone ragioni da far valere. Ma non senza una profonda mutazione di quello che sempre stato il suo stesso principio costruttivo, tutto incentrato sulla tensione, e non
sul collasso, tra realt e discorso: cooperazione, scontro, dialettica, negazione, al limite, ma pur sempre tra due istanze separate. Attraverso la figura incerta, instabile, sempre diversa e sempre in trasformazione che vi
si disegnava, si avventuravano i suoi personaggi e le sue trame.
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Gabriele Pedull
Leggere con ritardo / Lolita e Il gattopardo, o anche pi modestamente Troppi paradisi, produce nellultimo arrivato una curiosa deformazione percettiva: la messe di articoli e la divaricazione dei giudizi critici hanno trasformato il romanzo di Siti nel simbolo-sintomo di qualcosa di pi
ampio, sino a rendere quasi impossibile un discorso che non tenga conto della straordinaria accoglienza riservatagli. Alla verifica del testo, il tono acceso dei consensi e delle ripulse finisce per per non stupire, dal
momento che Troppi paradisi si presenta come un libro che si prende enormemente sul serio (e che pertanto vuole essere preso sul serio), appositamente concepito affinch anche i lettori pi disattenti si convincano
subito che, riuscita o non riuscita, quella che hanno dinnanzi agli occhi
unopera con la quale occorrer comunque fare i conti. In questa prospettiva non manca davvero nulla: linsistenza sul termine Occidente e
derivati, a certificare la scala globale della riflessione di Siti e delle implicazioni del suo racconto (se il minimalismo ha ucciso la letteratura italiana degli anni Ottanta, gi si pu cominciare a prevedere per il decennio attuale il naufragio allinsegna di un massimalismo tutto volontaristico e di progetto); la denuncia delle proprie piccole infamie e mediocri
volutt, con contemporanea chiamata in correo del lettore, secondo il
modello (qui autoassolutorio, secondo lantico adagio tutti colpevoli,
nessun colpevole) del hypocrite lecteur che semblable e frre
(sin dallesordio la Satie: Mi chiamo Walter Siti, come tutti); la difesa del pedofilo buono, del tutto gratuita ai fini del romanzo, se non per
provocare scandalo nei pi suscettibili; la centralit accordata alluniverso televisivo e al pittoresco sottobosco che lo anima, nel momento il cui
il binomio letteratura e televisione sembra avviarsi a replicare i fasti del
non rimpianto letteratura e industria come tema obbligato per gli intellettuali che si vogliono sentire up to date (ma poi si visto come andata a finire); la scelta, modaiola quantaltre mai, dellautofiction a scan227
Il libro in questione
Gabriele
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spettacolo di cui, per la stragrande maggioranza, Troppi paradisi composto (con in soprannumero tanto per gradire e in spregio alle sensate raccomandazioni di monsignor Della Casa il racconto di qualche sogno del
protagonista). Mentre allora dovrebbe intervenire lo stile a riscattare materie cos intrinsecamente refrattarie al trattamento narrativo, la prosa di
Siti si apprezza soprattutto per la sua scorrevolezza e sembra concepita
soltanto per farci scivolare pi velocemente possibile di sopore in sopore.
Una prosa liscia e inclinata, insomma, in discesa, persino piacevole, che
evidentemente nei progetti dellautore dovrebbe restituire langoscia di
superficie dei suoi personaggi e che al massimo invece agevola la lettura
anche di fronte agli inciampi pi macroscopici della non-storia. Ma la noia rimane, e a partire da un certo momento regna incontrastata, soprattutto quando il romanziere vorrebbe al contrario innalzare la temperatura emotiva del racconto rendendoci partecipi dei turbamenti del vecchio
Walter. Troppo tardi. Ed proprio nel suo tentativo di passare dal tran
tran quotidiano al neomlo al sublime dellautocombustione amorosa che
Siti fallisce una volta per tutte.
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Walter Siti,
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