Troppi Paradisi (Siti)

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allegoria55

Walter Siti,
Troppi paradisi
Daniela Brogi
Raffaele Donnarumma
Daniele Giglioli
Gabriele Pedull

Daniela Brogi

Terzo romanzo, dopo Scuola di nudo (1994) e Un dolore normale (1999),


Troppi paradisi (2006) dichiara subito, nellAvvertenza premessa al testo,
il quesito che regge la trilogia: se lautobiografia sia ancora possibile, al tempo della fine dellesperienza e dellindividualit come spot.
Non ci voleva certo Walter Siti per nominare il fenomeno di progressiva
confusione tra realt e fiction gi fissato da Debord e poi ridiscusso da
Baudrillard; e tuttavia un fatto che praticamente nessun romanzo italiano contemporaneo ancora aveva cercato di mettere al centro del racconto questa cultura del desiderio in cui la rappresentazione ha sostituito le cose, riducendo la vita a simulacro, precisamente come quel casolare di San Galgano usato per la pubblicit del Mulino Bianco e restaurato soltanto nel corpo di edificio inquadrato dalla telecamera.
Se la realt diventa unoperazione di mercato, il realismo, in quanto modello di narrazione, pu recuperare una sua attendibilit solo se
usato in modo paradossale, ovvero come artificio, come forma di letterariet estremizzata per far esplodere la parola giusta sarebbe sputtanare le finzioni della cattiva coscienza. Sul piano dellespressione,
questa strategia di esasperazione, fino al collasso, dellillusione di realt si attua riversando nel testo la massima variet dei registri della comunicazione sincera: dal discorso diretto, ai dialoghi, al diario, alla
pagina di giornale, al ricordo familiare, allaneddoto della moglie del
tassista, alla parola lirica, al gossip, allespressivismo dei borgatari romani (reso con una capacit mimetica di cui Siti maestro assoluto).
Ma il medesimo procedimento di contraffazione vale anche sul piano
delle strutture narrative: lautore di Troppi paradisi, con la precisione
di un falsario, aggredisce la realt imitandola nelle sue forme di vita
Walter Siti, Troppi paradisi, Einaudi, Torino 2006

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Il libro in questione

Daniela Brogi

apparentemente pi credibili perch apparentemente meno mediate.


Si va dalluso dellio come pretesa condizione privilegiata di conoscenza e di racconto (la prima persona, in tal senso, il correlativo letterario della soggettiva televisiva); fino alla riproduzione dei modelli di
anima bella pi feticizzati in questi nostri tempi di imperialismo estetico: luomo di studi, luomo del popolo e, soprattutto, lomosessuale.
Icone privilegiate di libert e di coming out dalla cultura egemonica,
lintellettuale, il borgataro e il gay rischiano piuttosto di scadere a denominazioni di origine controllata delle logiche simboliche del potere. Di conseguenza, diventano gli animali da laboratorio privilegiati
dellesperimento di iperrealt compiuto da Troppi paradisi, perch sono capaci di parlarci, con la loro radicale rivendicazione di differenza, di questa nostra cultura dellomologazione che ha e avr tanto pi
bisogno di unideologia dellindividualismo quanto pi ci espropria di
unidentit distinta, per ridurci a tanti replicanti di un noi inteso come soggettivit indifferenziata: noi che non conosciamo pi mediazioni, noi che abbiamo troppa fretta di essere felici, noi che ci stiamo
disabituando alla cultura raffinata e siamo tornati verso un analfabetismo emozionale, noi che riduciamo il desiderio ad immagine e confondiamo la felicit col possedere, noi che ci curiamo la depressione
con lo shopping, noi che siamo ossessionati dal sesso come da una delle poche residue vie forti di comunicazione, eccetera (Walter Siti su
Alias, 16 settembre 2006).
Troppi paradisi, come gi i due libri precedenti, unautobiografia
sui generis: un fac-simile di vita che parodizza, a partire dalle sue strutture formali, e in primo luogo attraverso la scelta di un protagonista
che si chiama come lautore ma che da considerarsi un personaggio
fittizio, la retorica dominante dellexpress yourself. Cos, lAvvertenza elimina da subito le forme tradizionali di identificazione empatica e proiettiva costruite dalla scrittura di s: il narciso romanziere pretende di
essere riconosciuto e creduto non in quanto visceralmente sincero ma
in quanto esibitamente e esibizionisticamente capace di ricettare e
falsificare la realt, producendo il medesimo effetto di reality provocato
dalla cultura televisiva. Ma, per non cadere nellequivoco di chi, recensendo il libro, si preoccupato di prendere le distanze dallidentikit intellettuale del protagonista, vale la pena di notare che di identikit appunto si tratta, ovvero dellidentit fittizia di un personaggio di carta
uscito dalla penna di un bugiardo patentato: oltre che dalla licenza di
scrittore, dalle dichiarazioni in limine. Troppi paradisi, insomma, unopera scritta dal romanziere Walter Siti, ovvero un romanzo finto-autobiografico; stando almeno alla logica del testo, non Walter Siti che impersona un romanzo scrivendo la sua autobiografia: questa seconda situazione piuttosto una strategia narrativa attraverso la quale la scrit212

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tura, spingendo al massimo il pedale dellambiguit, prova a costruire


un antiveleno alla mistica dominante della vita in diretta, prendendo
alla lettera, e estremizzandole, le sue metafore pi ricorrenti. Dopo la
fine dellesperienza, e nellera in cui il luogo pi consacrato della rivelazione riservata diventato il confessionale del Grande fratello
perch la vita interiore, per esistere, ha bisogno di esibirsi lunica autobiografia possibile la messa in scena di una biografia non vissuta.
E meglio ancora scimmiottata secondo moduli seriali: mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrit. Le mie reazioni sono standard, la mia diversit di massa recita lattacco del libro (p. 3), avvisandoci poco pi avanti (p. 6) di aver cominciato con un aperto plagio.
Non ci dice la fonte (lautobiografia di Erik Satie); e non ci dice quello che in ogni caso lecito sospettare, ovvero che nella scelta del modello abbia giocato una certa importanza la quasi rima Satie-Siti: che
altro non , fonicamente parlando, che un fac-simile.
Proprio le righe finali dellAvvertenza offrono per, accanto al riferimento allautobiografia come al problema epistemologico e stilistico
centrale dellopera, unaltra indicazione importante per discutere di
Troppi paradisi. Lautore infatti si riferisce al libro come allultimo atto
di una trilogia romanzesca, e in questo modo ci autorizza a pensare
che la vera tensione narrativa che sorregge il suo ultimo romanzo non
sia interna ad esso, ma rimandi piuttosto al progetto complessivo che
stringe in un unico intero Scuola di nudo, Un dolore normale e Troppi paradisi. A tal riguardo, ancora una volta le soglie del testo possono esserci daiuto: il titolo Troppi paradisi allude infatti scopertamente alla
mistica del consumismo come logica culturale dominante della contemporaneit. Eppure, il titolo del romanzo non pu non farci ricordare
anche il modello letterario immediatamente evocato dallespressione,
ovvero la Commedia dantesca. La trilogia di Siti sembra duplicare, in tal
senso, la sequenza Inferno (: Scuola di nudo); Purgatorio (: Un dolore normale); Paradiso (: Troppi paradisi). Attraverso i tre libri il protagonista ripercorre un percorso di discesa/espiazione/risalita che da un lato rovescia, parodizzandola, la parabola dantesca; dallaltro lato invece ne
riprende i significati.
Nel primo senso la struttura della Commedia si riattiva traslando la ricerca del sacro dai regni del Verbo a quelli della Carne che si fatta Verbo. Dio infatti ha cambiato indirizzo, perch dalloltretomba si trasferito nel mondo della magnifica merce, dove trionfa una dottrina imitativa e consumistica del desiderio che sempre di pi focalizza sulleros
e sul corpo per buona gioia del capitale unansia di vita e di identit
che opera come una vera e propria metafisica.
Nel secondo senso invece la trilogia di Siti sembrerebbe recuperare
le forme espressive e i contenuti simbolici fondamentali della narrazio213

Walter Siti,
Troppi paradisi

Il libro in questione

Daniela Brogi

ne dantesca, ovvero la capacit di assicurare tensione al racconto grazie al rimando a una vicenda personale, raccontata come un itinerario
progressivo di conoscenza scandito dallincontro con personaggi e forme di vita che portano agli estremi lesperienza. La trilogia, in tal senso, mette in scena le vicissitudini di un io pseudoautobiografico che assume il proprio corpo, e in particolare le proprie ossessioni sessuali, come significanti di un tentativo lentamente ricostruito di una redenzione di s. Scuola di nudo (1994), in cui il racconto comincia subito con
una simmetria dantesca, ovvero il 27 maggio 1985, al compimento del
trentacinquesimo anno (p. 4; naturalmente una pseudoverit, poich lautore nato nel 1947), mette in scena unesperienza di apprendistato suggerita dalla stessa presenza della parola scuola nel titolo.
Lambientazione universitaria del primo romanzo, infatti, mette il protagonista a confronto con linadeguatezza del mondo delle astrazioni
intellettualistiche rispetto al bisogno e alla ricerca umana di felicit.
Dentro questo inferno, abitato da personaggi che sono anzitutto ossessioni proiettive del soggetto narrante (il Padre, il Cane-fratello, la figura sacrificale dellamica-madre), non si d riscatto, ma soltanto una possibilit di sfida coatta allautorit (p. 131) destinata a replicarsi allinfinito, secondo una sorta di pena per contrappasso che si cristallizza nel
passaggio dal mondo della cultura al mondo dei culturisti: cos monumentali, ma cos composti interamente di odio e di paura. Io non desidero i nudi maschili per ci che sono in se stessi ma per ci da cui distraggono: cio la mia sconfitta nella gara con un altro uomo per la conquista di una donna (p. 101).
Anche Un dolore normale (1999) ci parla di un soggetto condannato a
vivere lerotismo soltanto come negazione, e anche questo secondo volume della trilogia recupera una simbologia dantesca: doppiamente attuata, stavolta, perch, per ammissione stessa dellautore, il libro, in
quanto diario romanzato di una storia damore, una parodia della Vita nova (a cui rimanda anche luso del prosimetro). La vicenda del protagonista, malato di una letteratura che uccide il suo rapporto con lessere amato perch lo condanna continuamente al tormento di chi guarda da fuori la vita senza riuscire a viverla, una vicenda di perdita. E tuttavia fissa, attraverso un dolore normale, umano come la frustrazione,
una possibilit di comprensione, di rielaborazione, ovvero un campo
dazione intermedio tra la discesa negli inferi delle proprie catene e la
risalita verso la conquista di unindividualit.
Dodici anni dopo luscita del primo volume, Troppi paradisi sembra
sigillare il suo statuto di romanzo conclusivo di una vicenda di attraversamento riproponendo, nella pagina finale (p. 425) una frase gi citata allinizio della trilogia (Scuola di nudo, p. 6): quella in cui Beckett dice che il suo pi grande terrore sempre stato quello di morire pri214

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ma di essere nato. Allio narrante ossessionato dagli altri (Scuola di


nudo), oppure ossessionato dalla propria retorica luciferina (Un dolore
normale) subentra infatti un io meno patologicamente verboso che, scontrandosi con le proprie menzogne, assumendo la propria imperfezione come circostanza della vita, capace di imparare a toccare finalmente la realt, ovvero capace di rinascere. Al centro di questo percorso
di illuminazione, una provocazione estrema, ovvero lamore tra due
corpi artificiali: non solo quello di Marcello, il trucido borgataro culturista strafatto di anabolizzanti e cocaina di cui si innamora Walter, ma
anche il corpo del protagonista, che si fa impiantare una protesi per
guarire limpotenza. Due organismi geneticamente modificati, dunque,
come tramiti verso una possibile salvezza dellio; ma anche come figure paradossali di un rapporto tra opera letteraria e vita meno intossicato dalle ossessioni perch finalmente capace di accettarle: ora che Dio
mi ama, non ho pi bisogno di esibirmi [] se avr qualcosa da raccontare, non sar su di me (p. 425). La scrittura, per mettersi veramente dal punto di vista della vita, ha scelto di attraversare le sue menzogne, ritrovando lunica forma praticabile di beatitudine nellamore
mercenario con un prostituto angelico. Cos, per quanto centrale nella vicenda di risalita del soggetto, lesperienza damore del protagonista non il contenuto pi importante di questo romanzo, allo stesso
modo per cui non leggiamo la Commedia come opera che ci parla anzitutto dellamore di Dante per Beatrice. Le verit pi interessanti del libro consistono nella sua capacit di raccontarci la nuova rivoluzione
antropologica della contemporaneit nei territori del simbolico, del desiderio consacrato a merce. Questa, essenzialmente, la ragione per
cui Troppi paradisi uno dei romanzi italiani pi belli degli ultimi anni,
oltre che il migliore della trilogia scritta da Walter Siti.

Raffaele Donnarumma

C chi ne dubita, ma io credo che Siti sia uno dei maggiori romanzieri
contemporanei. Gli si imputano eccesso di intellettualismo, egocentrismo, qualche incertezza nella costruzione narrativa; e si dimentica che il
romanzo di impostazione saggistica oggi una delle forme pi necessarie, che lidolatria di s, giocata come la gioca Siti, una figura della contemporaneit, che narrare al tempo della fine dellesperienza significa
obbligatoriamente barare. Siti, si dice, sarebbe danneggiato dalla sua intelligenza e dal suo essere professore. E invece, lasciato da parte il mito
del narratore spontaneo, che produce racconti come respira, Siti spende il proprio ruolo intellettuale senza veli ipocriti (al contrario di molti
suoi colleghi che si improvvisano romanzieri, e riescono tanto pi professorali quanto pi cercano di nascondere il loro peccato di origine);
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Walter Siti,
Troppi paradisi

Il libro in questione

Raffaele
Donnarumma

anzi, rincarando la dose. Da un lato, Siti esibisce la scissione fra la sua


cultura (la scuola) e le sue pulsioni (il nudo); dallaltro, ogni sua passione appare sin da subito mentale. Non esiste un rapporto pacifico fra lintelligenza e le cose: in qualche modo, le cose sono sempre meno di quello che lintelligenza vorrebbe, rimangono sempre indietro. Di qui una
distanza mai pienamente colmabile tra i fatti raccontati e la loro interpretazione, tra la parabola e la morale da trarne: insomma, quellinsufficienza della vita che scontava per prima Emma Bovary prototipo a
suo modo del personaggio intellettuale. E di qui, il tentativo di riallineare i fatti con il senso che si vorrebbe prestare loro: o riconducendoli forzosamente a quel senso, e istituendo un legame allegorico necessariamente sbilanciato; o riscattandoli dalla loro banalit, prestando loro una
curvatura romanzesca palesemente improbabile. Se il realismo una convenzione trasparente, che ci fa prendere per buono tutto quello che ci
viene raccontato, i romanzi di Siti a partire dal primo e pi grande, Scuola di nudo, del realismo hanno solo lapparenza: non solo perch la loro
sincerit sospetta (e tanto pi, quanto pi moltiplica i segni della resa
fotografica del reale); ma perch, in profondo, non credono ai fatti in
s, non hanno piet del contingente (e sempre meno, passando per Un
dolore normale sino a Troppi paradisi), non hanno, infine, alcuna religione
delle cose. Certo, il romanziere Siti al fondo un nichilista: ma a che serve rimproverarglielo moralisticamente? Non questa la sua forza di rivelazione? Non il nichilismo la lente migliore per guardare una troppo
larga parte degli ultimi decenni, e la loro critica pi spietata?
Svevo raccomandava a Montale di leggere Zeno con lavvertenza:
pensi che unautobiografia e non la mia. Allo stesso modo, Siti avvisa che Troppi paradisi (e, in genere, la trilogia inaugurata da Scuola
di nudo) unautobiografia di fatti non accaduti. Perci, pu valere
per lui la diagnosi del dottor S.: i suoi romanzi sono una congerie di
verit e menzogne intrecciate cos strettamente, che alla fine la realt
ha la faccia della bugia, e viceversa. Sebbene, infatti, sconti la povert
dellesperienza (e anzi, proprio per questo), Siti appare spesso maniacalmente, ossessivamente attaccato alla letteralit della sua esperienza
privata di vita. Onest narratologica indurrebbe a distinguere il Siti
reale dal personaggio Walter Siti (chiamiamolo semplicemente Walter), da considerarsi un personaggio fittizio. Ma questa prudenza e
questo buon senso rischiano di ingannare. Il libro funziona e si legge
come se Siti e Walter fossero la stessa persona. Una parte non piccola
del suo pathos sta nel chiedersi: dice la verit, qui? se l inventata, questa? Questo effetto, o questa simulazione di verit (che tanti altri romanzi in prima persona non conseguono affatto), il proprium della
falsa autobiografia, un genere la cui sostanza mi pare sfuggita alle ca216

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tegorizzazioni di Lejeune. Non intendo affatto invitare a uningenua


e positivistica verifica della finzione sulla realt della cronaca privata.
Sto dicendo che Troppi paradisi, con i suoi due antecedenti, sembra
davvero la relazione di cose accadute e vissute in prima persona (e negli ultimi capitoli, registrate quasi in presa diretta): sembra, cio, un
libro in cui le cose sono narrate anzitutto perch sono semplicemente accadute e che lio narrante cerca di riscattare dalla loro contingenza, banalit o particolarit a forza di saggismo e allegorie. Di pi: il
libro di uno che non sa narrare nullaltro se non quello che cade nel
circolo chiuso ed esiguo della sua soggettivit. In questo senso, Troppi
paradisi un libro della crisi dellimmaginario romanzesco; un libro
della difficolt a pensare laltro e laltrove, e della condanna a ricadere dentro noi stessi. Detto di questo romanzo, realismo significa schiavit al qui e ora, prigionia di s; egoismo non come limite individuale, ma condizione storica. E in effetti, in Troppi paradisi laltro tende a
essere espunto e cancellato. Il primo compagno di Walter, Sergio, ha
tratti troppo individuati per poter sopravvivere: perci verr soppiantato da Marcello, il culturista-prostituto in cui viene riconosciuto il fantasma primigenio. Quanto pi accanitamente si affanna a guardarlo e
descriverlo, tanto meno Walter (Siti) lo afferra, ne rende lindividualit, lo rivela pari ai sogni che genera, o da cui prodotto: al contrario, lo derealizza. Le sue battute, i suoi gesti possono al primo sguardo sembrare inattesi e portare il sigillo della sua persona irripetibile;
a ripensarci, sono la replica del copione gi scritto e atteso dal narratore-personaggio. Marcello recita sempre la parte delloggetto del desiderio (e lespressione vale alla lettera): egli non neppure, come
lAlbertine della Ricerca, linafferrabile; piuttosto il gi da sempre sognato e conosciuto. Anche se il possesso fisico diventa uno dei crucci
di Walter, in realt Walter lo possiede gi: Marcello non ottempererebbe al suo dovere se non sfuggisse, non mentisse, non ponesse una distanza. In ogni suo gesto, egli conferma il fantasma: e per questo, alla
fine, la vicenda scivola in un lieto fine desolante. Lamore, in questa
caricatura paradossale, unesperienza regressiva. Come ladolescente ossessionato dalla fidanzatina o dalla star preferita, Walter (Siti) accumula decine di pagine in cui stordisce il lettore con la perlustrazione minuta della propria ossessione. Lesercizio ermeneutico della gelosia e dellidoleggiamento non affatto unindagine sullaltro: il segno pi irrevocabile della clausura nel carcere del s.
Ma un cos pervicace egotismo cerca riscatti e giustificazioni. Un primo riscatto limprobabile, deliberatamente spacciato per realistico. Quando Siti ci racconta che Walter si sottopone a unoperazione al pene per
garantirsi prestazioni erotiche soddisfacenti con Marcello (allo stesso mo217

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Troppi paradisi

Il libro in questione

Raffaele
Donnarumma

do in cui, alla fine di Un dolore normale, ci narrava il suicidio di Mimmo),


un po ci prende in giro; un po, cerca di portare qualche brivido di romanzesco in una vita altrimenti crocifissa alla propria irrilevanza. Il romanzesco improbabile il segno della difficolt di narrare una vita in cui
non succede niente, se non la ripetizione delle ossessioni dellio, e un
mondo in cui sembra non accada pi nulla, ovvero: in cui nulla pi ci cambi. Lorizzonte degli eventi pubblici scolora (vi si sostituisce, semmai, una
sociologia del presente che isola i fenomeni sotto una luce cos violenta
da deformarli); gli eventi privati sono solo conferme del gi noto. Se vogliono pretendere a una qualche originalit e bucare in qualche modo il
niente, i fatti devono allora presentarsi come parodie. La giustificazione
del narcisismo, invece, lallegoria. Il passo giustamente stralciato in quarta di copertina, Siti sembra averlo scritto per unantologia:
Io sono lOccidente: sia perch appartengo a quel tipo di omosessuali che
hanno fornito il modello dellImmagine come obiettivo del desiderio, sia
perch come individuo singolare e irripetibile tendo a difendermi da ci
che mi ferisce mediante una sua trasposizione in immagine. Se mio padre
muore, subito divento spettatore di una morte del padre. LEuropa si
sta trasformando in un continente di spettatori?
Pi che lOccidente, forse sono il Vecchio Occidente, quello che non ha
potere. Ma basta che mi trasferisca in Tunisia, e di potere ne ho tanto
sono il turista che colleziona emozioni, pagandole. Forse anche quando
non sono in Tunisia, sono lOccidente perch come lOccidente ho imparato a essere il turista di me stesso. Se qualcuno mi minaccia, alzo una
barriera e non lo lascio arrivare sino a me. Prevengo i conflitti apparendo generoso e tollerante, dimostrando al rivale che conviene a lui diventare come sono io.
Sono lOccidente perch odio le emergenze e ho fatto della comodit il
mio dio; perch tendo a riconoscere Dio in ogni cosa tranne che nella religione. Perch mi piace che se premo un bottone gli eventi accadano come per miracolo, ma non ammetterei mai di dover rendere omaggio a
unentit superiore; sono laico e devoto alla mia ragione. Sono lOccidente perch detesto i bambini e il futuro non mi interessa.
Sono lOccidente perch godo di un tale benessere che posso occuparmi
di sciocchezze, e posso chiamare sciocchezze le forze oscure che non controllo. Sono lOccidente perch il Terrore sono gli altri. (p. 186)

Lasciamo da parte il fatto che questa anche, appunto, una poetica


del romanzo impossibile: senza peripezie (emergenze), senza slancio
proiettivo (il futuro), senza pathos (le sciocchezze), senza emozioni
se non comprate, senza personaggi diversi dallio (il Terrore sono gli altri), senza conflitti, senza partecipazione ed esperienza (la vita da turista, anche di s). , in primo luogo, il sovrasenso svelato del libro, la giustificazione di un cos ostinato attaccamento a se stessi. Ma regge davve218

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ro il legame fra particolare e universale? A diritto il protagonista si chiama Walter Siti, come tutti? La sua mediocrit effettiva?
No. Credo si tocchino qui il centro dellimmaginazione romanzesca di Siti e il carattere paradossale della sua poetica. Il problema non
, ancora una volta, la sgradevolezza che alcuni lettori hanno denunciato: al contrario, storie sgradevoli non ne abbiamo abbastanza, cullati come siamo dalla media, insipida gradevolezza di tanti racconti,
letterari o filmici. Neppure lamoralismo esibito visto che, faccia o non
faccia il gioco dellimmoralit ordinaria, almeno contrasta (al modo
di Roth, o Coetzee, o Rushdie, o Houellebecq) un moralismo sempre
pi diffuso e rivoltante. Forse si vede pi nel giusto quando si riflette
sul rapporto che il narratore vuole intrattenere con il suo pubblico.
Insieme alla sospensione dellincredulit, al lettore di romanzi classici si chiede anche sempre, bene o male, lidentificazione con leroe (e
persino con lanti-eroe). Il de te fabula narratur di Siti, invece, si fonda
su un protagonista che, per quanto rivendichi la sua esemplarit epocale, resta troppo legato alla sua pura individualit. La distanza fra lettera e allegoria non si colma. Non per insufficienza di ideazione o incertezza: ma perch Siti racconta proprio di un mondo in cui ogni storia, ogni destino sono s equivalenti a ogni altro nella loro irrilevanza,
ma anche intransitivi. Le monadi sono tutte eguali; ma tutte monadi.
In questo senso, il romanzo di Siti non pu funzionare, perch sta al
di l delle poetiche romanzesche che ci sono familiari. Troppi paradisi, una volta di pi, va letto come (falsa) autobiografia: come storia di
uno che racconta lunica cosa che conosca, se stesso, e che, pur cercandoci un senso buono per gli altri, addirittura per tutti gli altri, non
ha alcuna garanzia che il suo tentativo riesca. un fallimento estetico, questo? In una certa misura, s, e gli scontentati da Siti vedono bene. Resta il fatto che certi fallimenti ci aprono gli occhi molto pi di
certe riuscite.
Sullomosessualit, Siti concentra lambiguit della propria poetica
romanzesca: essa insieme la figura compiuta dellOccidente narcisista, sterile, feticista della magnifica merce, insieme immaturo e senile
per sovrassaturazione di cultura, schiavo delle immagini e idolatra del
desiderio; e il punto di resistenza allomologazione definitiva, la disperata, parodistica rivendicazione per lio della propria eccezionalit (dunque lesatto opposto della mediocrit che Walter dovrebbe rappresentare). Siti per primo sa che esistono molti tipi diversi di omosessualit;
Walter ammette francamente che la sua minoritaria ed eccezionale. In
fondo, proprio questa omosessualit che impedisce al lettore di identificarsi nel protagonista: e al lettore eterosessuale non pi che a quello
gay non altrettanto fanatico di culturisti.
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Walter Siti,
Troppi paradisi

Il libro in questione

Raffaele
Donnarumma

la conferma che in Troppi paradisi tutto predisposto per inibire


il movimento dellidentificazione, quasi fosse una consolazione facile
o un alibi; e quasi che il protagonista-narratore, insofferente ai suoi
stessi tentativi di darsi come figura compiuta dellhomo occidentalis, alla fine si impunti sulla sua individualit irriducibile. In questo modo,
il romanzo sottoposto a un continuo straniamento brechtiano; e il
protagonista acquista la sua esemplarit non dal conguagliare, in eccesso, tutte le miserie del suo tempo, ma proprio perch protesta e
sconta la propria natura di monade che nessun quadro universale di
senso potr riscattare.
E del resto, il rapporto omosessuale per Siti un rapporto sempre dispari: sia che idolatri il corpo perfetto e fantasmatico di Marcello, sia che
bamboleggi per tenerezza davanti al fidanzato Sergio (comunque, ben
pi giovane di lui), Walter mantiene la sua distanza di fronte allincultura delluno e alla sottocultura dellaltro. In un certo senso, il sovrainvestimento simbolico insieme la conferma che Walter sino in fondo un
intellettuale (egli non ama le cose, ma quello che la sua intelligenza ci
appiccica sopra), e il tentativo di superare la solitudine che quella situazione impone (leccesso ermeneutico il tentativo disperato di toccare
laltro, che sfugge). Ben pi della sua sgradevolezza, della sua amoralit
o del suo cinismo questo doppio movimento che sottrae il protagonista-narratore di Troppi paradisi alla legge dellidentificazione romanzesca.
Le pagine che Siti dedica alla televisione sono lesatta trasposizione, sul piano della vita pubblica, di quanto accade a Walter: la macchina che produce finzioni in cui non pi possibile distinguere il vero
dal falso la stessa macchina messa in moto da Troppi paradisi. Ogni
cosa si sottomette alla trasposizione in immagine. Il libro trova in questo una coerenza persino didattica, e unattendibilit da manuale di
sociologia. Ma la vera novit sta in questo: che per la prima volta uno
scrittore italiano ci fa vedere la televisione dal di dentro, senza quello
sdegno apocalittico che avr avuto le sue ragioni negli anni Sessanta
o Settanta, ai tempi di Pasolini e Volponi, ma che, protratto oggi, una
forma di cecit colpevole. Siti sa scampare da un lato allo snobismo,
dallaltro allo sbracamento avantpop; di pi, vanta sulla televisione
unesperienza diretta (come Walter, stato coautore di un programma condotto da Alda DEusanio). Ci sarebbe da stupirsi di aver dovuto attendere cos tanto, per avere un libro che raccontasse quanto in
profondo la televisione abbia modellato il nostro immaginario; ci sarebbe da stupirsi se non conoscessimo le attitudini medie degli intellettuali italiani, divisi fra catonismo a buon mercato e incapacit di capire dove vivono. Siti inaugura da noi un tipo di intellettuale nuovo:
uno che sa rivolgere la stessa intelligenza sulla letteratura che studia,
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e sulla vita che viviamo. La sua predilezione per un mondo in cui hanno perso giurisdizione il senso comune del pudore e della morale ,
forse, il debito che paga al suo peccato dorigine professorale: Siti cerca di riscattarsi con un eccesso di realt degradata dal sospetto di separatezza che grava su ogni intellettuale italiano. Leccezionalit del
suo protagonista (uneccezionalit che non ha riscontro in personaggi analoghi di Roth o Coetzee, tanto pi medi anche se loro pure professori) leccezionalit effettiva di molti nostri accademici. Ma pi in
profondo, Walter davvero il Vecchio Occidente, cos sedotto dalle
forme del nuovo, da non sapersene pi difendere e da annegare in esse. Se i suoi vecchi genitori si limitano a guardare la televisione, ipnotizzati e passivi, lui la televisione la fa. Troppi paradisi suona come il romanzo feroce su una generazione che, saziata di privilegi, incapace di
responsabilit, esaltata prima dallebrezza di aver fatto o visto gli ultimi lampi di storia (il Sessantotto, il terrorismo), divenuta poi cos indifferente al futuro da elaborare il mito consolatorio della fine dei tempi, ha prodotto lo sfascio, e si accomodata ad abitarlo.
Il postmoderno finito: sono ormai sempre pi numerosi i segni di
un mutamento nellordine dei problemi culturali e della rappresentazione narrativa. Sta tornando il realismo: sia in forme pi grezze e documentarie, diciamo naturalistiche, sia in forme pi consapevoli, mediate da
ascendenze moderniste. In questo senso, Troppi paradisi, seguito di un
progetto nato pi di dieci anni fa, testimonia di una fase precedente; ma
e non conta niente il ritardo lesempio pi intelligente e pi pieno
del postmoderno italiano. Se la condizione postmoderna il nostro passato, allora la trilogia che approda a Troppi paradisi ne il romanzo storico. Letto accanto agli esempi ormai canonici di quel periodo (da Calvino a Eco, da Tabucchi a Baricco), esso mostra non solo quanto scoloriti
essi fossero, e quanto timidi rispetto ai corrispettivi americani; ma anche
quello di cui la cultura postmoderna, nelle sue contraddizioni, era capace, e quali erano i suoi veri centri dinteresse: la labilit del confine fra
realt e finzione o verit e menzogna, la demistificazione di ogni pretesa di autenticit, il primato dellimmaginario, il narcisismo come radice
di una vita ridotta a sbalzi maniacodepressivi, lalterit come sogno, incubo o fantasma, la ricerca paradossale di una felicit tra i feticci, lanestetizzazione o listerizzazione del dolore, la mitologia del desiderio, il
consumo compulsivo come modo di appropriarsi di un mondo che sfugge, il senso della fine dellesperienza e della storia. Quello che si imputa
a Siti , spesso, quello che andrebbe imputato al mondo di cui egli , in
Italia, il miglior narratore. Sar davvero troppo corrivo con quella claustrofobia, troppo invischiato con le sue aporie? Ma che importa se, come
nessun altro, ce le fa capire?
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Walter Siti,
Troppi paradisi

Il libro in questione

Daniele Giglioli

Daniele Giglioli

Con Troppi paradisi Walter Siti ha finalmente ottenuto quel consenso quasi universale della critica che meritava fin dai tempi di Scuola di nudo. La
sua opera desordio aveva certo potuto contare sullammirazione appassionata di una cerchia ristretta ma che sarebbe sbagliato definire dlite:
le lites contano, e impongono il loro giudizio, mentre Scuola di nudo era
passato come una meteora nel cielo di una narrativa italiana degli anni
Novanta con cui aveva assai poco a che spartire. I nomi che venivano in
mente, a chi voleva cercargli degli equivalenti, erano piuttosto la Morante di Aracoeli e il Pasolini di Petrolio. Un corpo estraneo per dimensioni,
ambizioni, appartenenza delezione a quella che una volta si sarebbe chiamata una civilt letteraria di tuttaltra natura, obbediente ad altri cerimoniali e ad altre modalit desistenza rispetto a quelle che si erano venute imponendo in Italia dalla fine degli anni Settanta in poi. Apprezzare non distrattamente Scuola di nudo comportava una presa di posizione
e di distanza rispetto allattualit; magari col senso di colpa di preferire il buon vecchio al cattivo nuovo, ma questo un altro discorso. Non
perch non si comprendessero le buone ragioni, i nessi di interdipendenza tra forma e Storia che portavano altri, praticamente tutti gli altri,
a fare scelte diverse, tanto pi in unepoca in cui era definitivamente caduta, come ha scritto Berardinelli qualche anno fa, la convinzione tipicamente moderna che lassetto presente del mondo permette di scrivere solo in un dato modo. Di modi ce nerano molti; non per equivalenti. La critica ha tutti i diritti, diceva Debenedetti, tranne quello di essere
salomonica, e la lettura di sicuro non lo . O Siti o Tondelli, dunque, o
Lodoli, o il secondo Celati e i suoi imitatori, o i Cannibali, o gli autori di
noir, e cos via. Gli altri per convivevano meglio, respiravano una stessa
aria di famiglia. Solo Scuola di nudo sembrava imporre una scelta cos radicale. Il silenzio, Siti se lera cercato.
Con Troppi paradisi lasciando qui da parte le opere intermedie, Un
dolore normale e i racconti de La magnifica merce, meno ambiziose e pur
con molte parti felici meno riuscite quel silenzio si rotto. Non perch
Siti abbia mostrato nel frattempo alcuna forma di condiscendenza alle
retoriche dominanti, n per la sciocca equazione per cui se unopera piace al pubblico allora di sicuro vale meno. Certo, il nuovo romanzo parla della televisione mentre il primo era ambientato alla Normale di Pisa, ma non qui lessenziale. La sua riconciliazione con lo Spirito del
tempo, qualunque cosa esso sia, passata attraverso altre vie, che non
hanno comportato per nulla un abbassamento sul piano della qualit.
Eppure la sensazione, non facile da definire, che rispetto a Scuola di
nudo sia andato perduto qualcosa.
A un primo sguardo, i due romanzi sembrerebbero basarsi su una batteria di opzioni analoghe. Vediamone alcune:
222

allegoria55

il genere dellautofinzione, dellautobiografia di fatti non accaduti, con le sue vertiginose dinamiche parergonali e la sua perversa e indecidibile mescolanza di realt e invenzione, rafforzata da un esibizionismo
ricattatorio usato come dispositivo testuale di intimazione di realt: come potrebbe essere menzognero un testo in cui lautore rivela, tramite
il suo personaggio che si chiama col suo stesso nome, cose cos imbarazzanti di s? Confusione di piste, avvelenamento di pozzi, cortocircuito tra
i piani ontologici che si trova alla radice stessa del romanzo moderno, da
Cervantes in poi, nel suo pretendersi una finzione contro le finzioni,
uninvenzione che rivendica per s uno statuto completamente altro da
quello della semplice menzogna;
lampiezza di unarcata temporale in cui la relazione tra il tempo
che passa e la durata psicologica non solo oggetto ma sostanza stessa
della rappresentazione;
la scelta di mettere insieme una grande variet di universi sociali e
linguistici molto diversi tra loro, dal demi-monde RAI alle borgate romane, trattati con una soluzione stilistica che esclude sia la stilizzazione parodica sia la tranche de vie naturalista;
la sussunzione degli eventi e dei dialoghi in un flusso narrativo esplicitamente scritto, di registro alto, a forte tenore figurale, con cursus, cadenze e incisi fortemente marcati, anche se disposto secondo un andamento non retrospettivo e seguendo sostanzialmente lordine cronologico attraverso una narrazione al presente; con maggiore autoriflessivit
in Scuola di nudo, dove il narratore introduce direttamente nella storia il
fatto di stare scrivendo quel romanzo; in misura pi episodica ma tuttavia sempre avvertibile in Troppi paradisi;
infine, la continua mescolanza di narrazione e riflessione, con ampi stralci apertamente saggistici, sia nel discorso del narratore che nelle
parole dei personaggi, i quali spesso analizzano, teorizzano e generalizzano in proprio.
Dove invece i due romanzi divergono radicalmente nel rapporto che
istituiscono tra il soggetto e il mondo. Scuola di nudo era la descrizione di
una battaglia, in cui le ossessioni sessuali del protagonista, i nudi maschili con la loro perfezione antinaturale, si facevano emblema di una profonda dissonanza tra il desiderio del soggetto e quello degli altri. Dissonanza ambigua, consapevolmente mantenuta nel registro narcisistico dellimmaginario nello sforzo di negare il proprio assenso allordine simbolico che presiede allorganizzazione della realt, con i suoi doveri, i suoi
poteri e le sue gerarchie. Infamia contro infamia, degradazione contro
degradazione, con in pi la malafede di chi sa che sta disprezzando quello che comunque non potrebbe ottenere, e proprio perci segretamente desidera. Non un chiamarsi fuori, dunque, ma la rappresentazione di
un tentativo di farlo, da parte di un protagonista che tanto pi si autode223

Walter Siti,
Troppi paradisi

Il libro in questione

Daniele Giglioli

nunciava come mostro, anomalia, pietra scartata, tanto pi si lagnava della sua esclusione e affettava di rifiutare come indegna una normalit sessuale e politica che la nevrastenia sembrava precludergli, quanto pi scopriva di essere la testata dangolo di un ordine malato che per riprodursi non ha pi bisogno del consenso ma dellaccettazione del disprezzo di
s e degli altri come unica moneta corrente nei rapporti sociali. Questo
dava allautore unampia facolt di manovra, insieme assiologica e narrativa, nellistituire nessi tra le idiosincrasie di un malato di nervi e un intero decennio di storia della societ italiana, dallimputridimento della
generazione sessantottina alla prima guerra del golfo, con le sue paure,
le sue invidie, ossessioni, frustrazioni: di quellItalia che proprio nellanno di uscita del romanzo avrebbe offerto la gola a Berlusconi con la rassegnazione che si deve allinevitabile.
Troppi paradisi al contrario la storia di unintegrazione. Il protagonista non si chiama pi Walter Siti, ma Walter Siti, come tutti, e non
una correzione di poco conto. Si ritiene un perfetto rappresentante della mediocrit dellOccidente, e ha smesso di considerare i desideri degli
altri come qualcosa di diverso, censurabile, ripugnante. Il disprezzo ha
lasciato il posto alla fraternit. Al dualismo gnostico tra lantiphysis dei
corpi gloriosi e il mondo abbandonato dagli di dellesistenza quotidiana, si sostituito un universo in cui il verbo si fatto carne attraverso la
societ dei consumi e dello spettacolo. Il mondo uno, il desiderio uno.
Oggetto damore ci che si pu comprare, la sua caratteristica non
pi la fuga ma la reperibilit: non a caso Siti trover il vero amore mantenendo una marchetta.
Auspice di questa riconciliazione tra realt e coscienza la televisione,
soprattutto quella dei reality e dei format, cui Siti dedica pagine di grande
acume saggistico. La televisione non irrealt ma realt impoverita, contingentata, ritoccata e riadattata secondo i tempi e le esigenze della produzione e degli sponsor; resa fruibile, consumabile, imitabile, e proprio
perci capace di generare per contagio una realt extratelevisiva gi pronta per essere ripresa e riformattata dalle telecamere. Non prevede e non
permette alcun altrove, come invece larte, realt intensificata, conflittuale, antagonistica, in perenne tensione tra limmagine e la cosa, che nella
societ dello spettacolo collidono fino a diventare una sola sostanza: se
non si pu rappresentare tutta la vita, allora la vita non altro che ci che si
rappresenta. Rinunciando allarte per dedicarsi alla scrittura di programmi televisivi con cui si guadagna il denaro necessario a comprarsi il paradiso, il protagonista si fa modificare lapparato genitale per poter penetrare il suo oggetto damore: Mi pare giusto, entrare in un corpo ritoccato con un cazzo ritoccato; ai problemi della post-realt immaginaria si
risponde con la tecnologia []: lautenticit mi impossibile, al culmine
delle mie ambizioni sta un atto artificiale. Inutile sfidare il mondo con
224

allegoria55

la propria diversit. Lautenticit isolamento, solitudine, ossessione, reclusione. Meglio unesperienza mediata da una protesi che la condanna
perpetua a non poter mai toccare la realt degli altri, col dubbio di non
essere mai nati: Ora sono nato: da circa sette mesi sono nato. Se in pi
di mille pagine ho prodotto un sosia, era perch io non cero, non ci volevo essere: adesso ci sono. [] Ora che Dio mi ama, non ho pi bisogno
di esibirmi. Sto meglio man mano che il mondo peggiora, pazienza. Le
mie idiosincrasie si scontreranno con quelle degli altri in campo aperto;
se avr qualcosa da raccontare, non sar su di me.
Con queste ultime righe in cui, proustianamente, personaggio e autore si ricongiungono per poi subito separarsi di nuovo il protagonista a godere della visione beatifica del suo dio, lo scrittore a correggere
le bozze del suo romanzo , Troppi paradisi sembra chiudersi nella certezza di una realt riconquistata. Poich non ha temuto di perdere la
propria vita, Siti (personaggio e autore) lha finalmente trovata. Cercate prima il regno dei cieli, e il resto vi sar dato come di pi: un povero
regno dei cieli per un povero cristo, ma o non il romanzo il genere
realistico per eccellenza? Tanto pi che, come si legge nellavvertenza
introduttiva, la realt un progetto e il realismo una tecnica di potere. La letteratura non compete mai con la vita, scriveva gi Stevenson
in polemica con James, riproduce il discorso, non la realt. Se poi la realt stessa, nella sua continua manipolazione da parte dei media, non
altro che unincessante fuga di codici, una stratificazione infinita di discorsi, compito della letteratura non potr essere altro che quello di prolungarne il gioco illusorio sapendo che non esiste da nessuna parte un
ancoraggio, un punto dinizio o di fine, o anche solo una minima fenditura attraverso cui metterla radicalmente in questione. Se Scuola di
Nudo era la ricerca di questa fenditura, Troppi paradisi si costruisce a partire dalla sua rinuncia.
Guardiamoci dal darne un giudizio moralistico. Ci piaccia o meno, pu
darsi benissimo che le cose stiano cos: non a caso lo dicono tutti, e chi lo
nega lo fa con argomenti di principio non voglio, non accetto, devesserci una via duscita, ecc. Quello che ci interessa qui se il romanzo possa sopravvivere a questa constatazione. Sul piano fattuale sembrerebbe di
s, gli interdetti degli anni Sessanta e Settanta sono ormai superati, romanzi se ne scrivono ovunque e anche di ottimi, e il nominalismo romanzo ci che si chiama romanzo ha sempre le sue buone ragioni da far valere. Ma non senza una profonda mutazione di quello che sempre stato il suo stesso principio costruttivo, tutto incentrato sulla tensione, e non
sul collasso, tra realt e discorso: cooperazione, scontro, dialettica, negazione, al limite, ma pur sempre tra due istanze separate. Attraverso la figura incerta, instabile, sempre diversa e sempre in trasformazione che vi
si disegnava, si avventuravano i suoi personaggi e le sue trame.
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Walter Siti,
Troppi paradisi

Il libro in questione

Daniele Giglioli

Si pu dire lo stesso di Troppi paradisi? No. Se la realt il discorso


sulla realt, Troppi paradisi fatto esattamente come la realt; la tensione figurale venuta meno, e non a caso la straordinaria felicit di invenzione metaforica che era il tratto stilistico pi evidente di Scuola di nudo stata ampiamente ridimensionata: la metafora un raddoppiamento del reale, vive della divaricazione tra l e il non della sua predicazione, non dice come il mondo ma lo disfa e lo ricompone secondo una logica altra. Considerato da questo punto di vista, Troppi paradisi un unico ininterrotto enunciato referenziale. Andamento dellintreccio, introduzione dei motivi, ruolo dei personaggi e soluzione dei
nodi narrativi obbediscono a un a priori sociologico, non verificano unipotesi ma dimostrano una tesi. Come gi Scuola di nudo, Troppi paradisi si
basa sulla rielaborazione di un forte nucleo autobiografico. Ma unautobiografia che si trasforma automaticamente in sociologia Walter Siti come tutti, appunto. La dominante del libro non pi metaforica,
saggistica, di un saggismo che sconfina spesso nella forma del trattato
scientifico: le cose stanno cos e cos. Non a caso, nella maggior parte
delle recensioni che ne sono state fatte, i critici non ne analizzavano la
forma: ne discutevano le idee.
stato probabilmente questo a proiettare Siti al centro del mainstream.
Se Scuola di nudo era un astro senza atmosfera, Troppi paradisi un oggetto perfettamente complanare al suo tempo. Troppo semplice cavarsela
dicendo che piaciuto ai lettori perch ci trovano il gossip sui personaggi della televisione: non ce n molto e quel poco non dice granch. Siti venuto incontro a un bisogno profondo, che sarebbe sbagliato sottovalutare. Buona parte della (migliore) letteratura che si va facendo oggi
costruita sulla base della sceneggiatura di alcuni assunti sociologici. Se
ne trovano tracce ovunque, in certi romanzi di DeLillo, di David Foster
Wallace, di Jonathan Franzen, di Bret Easton Ellis; in Martin Amis, in James Ballard; in Houellebecq (dove non c quasi altro); ma anche molti dei pi intelligenti, consapevoli e dotati scrittori italiani delle nuove
generazioni, come Tiziano Scarpa, Aldo Nove, Tommaso Pincio, Antonio Scurati, potrebbero dare dei punti ai sociologi, dai quali vengono sistematicamente ripresi. Perfino i romanzi cosiddetti di genere (noir,
fantascienza) sembrano rispondere in primo luogo a una domanda di
orientamento cognitivo: lo straniamento appena unesca per il palato,
il suspense niente pi che un lubrificante.
Lo scrittore richiesto come esperto, come portatore di un sapere, di
una mathesis pi che di una mimesis: spiegaci come stanno le cose, e anzi
quali sono le cose che esistono; il come, il modo, lo stile non inteso in senso tecnico ma come diversit di visione, come fessurazione del reale, come introduzione della negativit nellessere per contribuire a farlo divenire altrimenti non hanno pi grande importanza. Visto in questa pro226

allegoria55

spettiva, anche il tanto vantato ritorno del narrativo, come principio


artistico e come paradigma cognitivo, assume una luce diversa. Le storie
assomigliano sempre di pi a studi di caso; non generano autorit da se
stesse, ma rispondono a unautorit esterna, proprio come in televisione. Finita lepoca delle grandi narrazioni, cominciata quella delle grandi descrizioni; non dei mille e mille racconti della singolarit qualunque,
come auspicavano molti. Mappe cognitive, spazializzazione del tempo,
cartografie dellimmaginario, ecc.: conosciamo le formule. Stalin diceva
che gli scrittori sono gli ingegneri delle anime, e allepoca veniva giustamente deriso (da chi poteva permetterselo). Sarebbe il caso di ripensare la sua battuta alla luce di quanto sta accadendo.
Walter Siti,
Troppi paradisi

Gabriele Pedull

Leggere con ritardo / Lolita e Il gattopardo, o anche pi modestamente Troppi paradisi, produce nellultimo arrivato una curiosa deformazione percettiva: la messe di articoli e la divaricazione dei giudizi critici hanno trasformato il romanzo di Siti nel simbolo-sintomo di qualcosa di pi
ampio, sino a rendere quasi impossibile un discorso che non tenga conto della straordinaria accoglienza riservatagli. Alla verifica del testo, il tono acceso dei consensi e delle ripulse finisce per per non stupire, dal
momento che Troppi paradisi si presenta come un libro che si prende enormemente sul serio (e che pertanto vuole essere preso sul serio), appositamente concepito affinch anche i lettori pi disattenti si convincano
subito che, riuscita o non riuscita, quella che hanno dinnanzi agli occhi
unopera con la quale occorrer comunque fare i conti. In questa prospettiva non manca davvero nulla: linsistenza sul termine Occidente e
derivati, a certificare la scala globale della riflessione di Siti e delle implicazioni del suo racconto (se il minimalismo ha ucciso la letteratura italiana degli anni Ottanta, gi si pu cominciare a prevedere per il decennio attuale il naufragio allinsegna di un massimalismo tutto volontaristico e di progetto); la denuncia delle proprie piccole infamie e mediocri
volutt, con contemporanea chiamata in correo del lettore, secondo il
modello (qui autoassolutorio, secondo lantico adagio tutti colpevoli,
nessun colpevole) del hypocrite lecteur che semblable e frre
(sin dallesordio la Satie: Mi chiamo Walter Siti, come tutti); la difesa del pedofilo buono, del tutto gratuita ai fini del romanzo, se non per
provocare scandalo nei pi suscettibili; la centralit accordata alluniverso televisivo e al pittoresco sottobosco che lo anima, nel momento il cui
il binomio letteratura e televisione sembra avviarsi a replicare i fasti del
non rimpianto letteratura e industria come tema obbligato per gli intellettuali che si vogliono sentire up to date (ma poi si visto come andata a finire); la scelta, modaiola quantaltre mai, dellautofiction a scan227

Il libro in questione

Gabriele
Pedull

so di equivoci qui chiarita ai meno aggiornati in unimbarazzante nota


di lettura dove ci vien detto, oib, che in questo romanzo, il personaggio di Walter Siti da considerarsi un personaggio fittizio: la sua unautobiografia di fatti non accaduti, un facsimile di vita.
Naturalmente, prese assieme o una per una, nessuna di queste caratteristiche sarebbe di per s pregiudizievole: i difetti di esplicitezza e la
tentazione del ricatto sensazionalistico di cui pecca Troppi paradisi sono
gli stessi di alcuni importanti narratori contemporanei come Houellebecq, non a caso invocato da Siti nellesergo. Se Troppi paradisi non convince (e di conseguenza non convince il giudizio di quanti hanno scorto in esso addirittura un romanzo epocale, di rottura) invece fondamentalmente per la sua convenzionalit mascherata da anticonformismo.
Si esce insomma dalle quattrocento e passa pagine del romanzo con la
sensazione che la vicenda di Walter e di Marcello non sia dopo tutto che
una banalissima storia di amore maledetto, paradisiaca saison en enfer di
un novello professor Unrat che rinuncia alla propria rispettabilit per inseguire un Angelo Azzurro ovviamente mercenario e dai pettorali scolpiti in palestra. Perch lamore vero, si sa, tutto nella perdita di s e nellannullamento, e non c estasi senza dannazione: ecc. ecc. Solo che qui,
diversamente da Mann, la punizione alla fine non arriva, dal momento
che scomparso chi possa sanzionare i coiti e i gusti di chicchessia (fosse anche lautore); se ne occuper il dio Tempo, quando sar ora: come
per tutti. A parte questo, nulla di nuovo: a riprova che oggi, come gi successe a Tondelli, il grande rischio della letteratura omosessuale (termine con il quale, a scanso di equivoci, mi riferisco ovviamente alla letteratura che mette in scena personaggi omosessuali e non alle eventuali inclinazioni degli autori) lillusione che riproporre in salsa gay formule
usurate e stereotipi dantan basti di per s a rilegittimare anche il melodramma pi scadente.
Solo il mix di Occidente-pedofilia-televisione-autofiction-sesso estremo
spiega come Troppi paradisi abbia potuto sollevare passioni cos accese. Per
un libro del genere laggettivo che verrebbe pi spontaneo adoperare
invece quello con cui a pi riprese il protagonista del romanzo descrive
se stesso: medio. Medio il personaggio e media, molto media, lopera di
Siti. Alla fine la storia damore tradizionale tradizionale tra il Mostro (Walter) e il bel culturista (Marcello, con il suo imperdonabile romanesco da
caricatura) paga soprattutto la fedelt di Siti a uno dei pi radicali miti
modernisti: il sogno di costruire un intero libro servendosi soltanto di materiali narrativamente inconsistenti. La scelta, in questa prospettiva, non
avrebbe potuto essere pi riuscita, almeno tenuto conto della difficolt di
trovare qualcosa di pi mortalmente noioso delle minuziose descrizioni
di rapporti sessuali, degli intrighi accademici, delle variazioni degli organigrammi Rai o dei pettegolezzi su questo o su quel personaggio dello
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allegoria55

spettacolo di cui, per la stragrande maggioranza, Troppi paradisi composto (con in soprannumero tanto per gradire e in spregio alle sensate raccomandazioni di monsignor Della Casa il racconto di qualche sogno del
protagonista). Mentre allora dovrebbe intervenire lo stile a riscattare materie cos intrinsecamente refrattarie al trattamento narrativo, la prosa di
Siti si apprezza soprattutto per la sua scorrevolezza e sembra concepita
soltanto per farci scivolare pi velocemente possibile di sopore in sopore.
Una prosa liscia e inclinata, insomma, in discesa, persino piacevole, che
evidentemente nei progetti dellautore dovrebbe restituire langoscia di
superficie dei suoi personaggi e che al massimo invece agevola la lettura
anche di fronte agli inciampi pi macroscopici della non-storia. Ma la noia rimane, e a partire da un certo momento regna incontrastata, soprattutto quando il romanziere vorrebbe al contrario innalzare la temperatura emotiva del racconto rendendoci partecipi dei turbamenti del vecchio
Walter. Troppo tardi. Ed proprio nel suo tentativo di passare dal tran
tran quotidiano al neomlo al sublime dellautocombustione amorosa che
Siti fallisce una volta per tutte.

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Walter Siti,
Troppi paradisi

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