Zengi
Zengi
Zengi
Marcel Devic (1832-1888), professore incaricato presso la Facolt di Lettere di Montpellier, si fece conoscere come orientalista per il suo dizionario etimologico dei termini francesi d'origine orientale, pubblicato in una prima versione nel supplemento del dizionario di Littr e poi ristampato in forma autonoma (1876), per la sua traduzione della prima parte del Romanzo d'Antar, apparsa a puntate nel Journal Asiatique, e per uno studio su una inedita traduzione latina del Corano, redatta dal frate Dominique Germain de Silsie, trovata presso la biblioteca della Facolt di medicina di Montpellier (1883). Pubblic altri studi orientalisti nei Mmoires de la Socit de linguistique, su parole francesi d'origine orientale (1882); nella Revue des langues rornanes (1882); nel Bulletin de la Socit languedocienne de gographie (1882-1883). La sua opera intitolata Le pays des Zendjs ou la cte orientale d'Afrique au moyen ge d'aprs les crivains arabes, che qui si presenta per la prima volta in traduzione italiana, fu pubblicata nel 1883 a Parigi dalla Librairie Hachette. Si tratta di un testo fondamentale per la storia dei popoli della costa orientale dellAfrica, lungo loceano Indiano. Lopera ottenne il patrocinio dellIstituto e fu premiata con una ricompensa dallAcadmie des inscriptions. Il libro stato ristampato anastaticamente in una tiratura di 80 copie nel 1993, dallInstitute for the History of Arabic-Islamic Science at the Johann Wolfgang Goethe University, di Francoforte sul Meno..
Lautore
L. MARCEL DEVIC
MIMESIS - liutprand
L. Marcel Devic (Facolt di Lettere di Montpellier) Il Paese degli Zengi o la Costa orientale dellAfrica nel Medioevo (geografia, costumi, prodotti, animali leggendari) secondo gli scrittori arabi trad. e cura di Alberto Arecchi
Titolo originale: Le pays des Zendjs, ou La cte orientale dAfrique au moyen-ge (gographie, moeurs, productions, animaux lgendaires) daprs les crivains arabes. Opera patrocinata dallIstituto e premiata dallAcadmie des inscriptions Paris, Librairie Hachette et C., 1883.
Associazione Culturale Liutprand Via Ravenna, 6 - 27100 PAVIA e-mail: [email protected] sito internet: http://www.liutprand.eu, http://www.liutprand.it Per la presente edizione: 2008 - Associazione Culturale Mimesis via Mario Pichi, 3 20143 MILANO CF.: 97078240153; P. IVA: 10738360154. tel. +39.02.89403935 Per urgenze: +39.347.4254976 e-mail: [email protected] Tutti i diritti riservati. Foto di copertina: Moschea sullisola di Lamu (Kenya).
INDICE
IL PAESE DEGLI ZENGI Premessa La costa orientale dellAfrica 1 Geografia del paese degli Zengi I Il nome degli Zengi II Confini del paese degli Zengi III LEtiopia degli antichi IV Valore dei documenti arabi V Le concezioni generali dei geografi arabi VI Il litorale, dal Berbera a Maqdeshu VII Da Merkah a Lamu VIII Da El Bnas (o El Byas) a Kilwa IX Il Sofala X Il paese degli Waq-Waq XI Le isole XII I vulcani africani XIII Altre isole 2 - Costumi degli Zengi I Difficolt di distinguere gli Zengi dagli altri Neri II Diverse caratteristiche nelle descrizioni III I commercianti arabi IV La lingua V Neri famosi 3 - Produzioni del paese degli Zengi I I prodotti desportazione II Avorio, licorni, scaglie di tartaruga III LAmbra grigia IV I profumi e la costa degli Aromi V Le pietre preziose
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4 - Animali straordinari del paese degli Zengi I Incroci danimali II Animali reali o fantastici III I Cetacei IV Uccelli giganteschi V Le Formiche giganti VI Origini della leggenda delle Formiche giganti Conclusione
COSMA INDICOPLEUSTE, Topographia christiana, in Collectio nova Patrum et scriptorum Graecorum, 1706, t. II, p. IX, a cura di D. Bernard de Montfaucon . Ajaib al Hind (Meraviglie dellIndia).
Il Periplo del Mare Eritreo (110 ca. d.C.). SCHOFF W.H. (tr. & ed.), The Periplus of the Erythraean Sea: Travel and Trade in the Indian Ocean by a Merchant of the First Century (London, Bombay & Calcutta, 1912).
(ABDUL HASSAN IBN HUSSEIN IBN ALI) AL MASUDI (Devic scrive regolarmente Maoudi), morto nel 956, intorno al 935 scrisse Moruj ed dhahab u maadin al giawher, Le praterie doro e le miniere di pietre preziose. Il testo arabo e la traduzione in francese furono pubblicati in 9 vol. da C. Barbier de Meynard e Pavet de Courteille col titolo: Masoudi, Prairies dor et mines de pierres prcieuses, 9 vol., Paris, Imp.Impriale et Nationale, 18611877. IBN HAWQAL (morto nel 977). Testo arabo pubblicato da Goege, pp. 910 (Bibliotheca geographica Arabicorum, pars prima, Leyda, 1870, pars secunda). Tr. francese: Configuration de la Terre, a cura di J.H. Kramers e G. Wiet, Paris, Maisonneuve et Larose, 1965, 2 vol.
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IBN KHORDADBEH, che fu gestore delle poste sotto il califfo Mutamid (870892 della nostra era), pur essendo di origine persiana, scrisse in lingua araba la sua raccolta ditinerari, intitolata: Il libro delle strade e delle province.
(ABU ABDALLAH MOHAMMED BEN MOHAMMED) AL IDRISI (Devic scrive regolarmente Edrici), Kitaab Nuhat al mushtakf iktiraq al afaq (Libro delluomo avido di conoscere gli orizzonti, noto anche come Il libro di Re Ruggero, scritto nel 1154 per Ruggero II, re normanno di Sicilia). Ed. critica: AL IDRISI, Opus Geographicum , a cura di A. Bombacci, V. Rizzitano, R. Rubinacci e L.V. Vaglieri, Napoli e Roma, 1970. OBEID ALLAH YAQT fu autore del prezioso dizionario geografico Mojem al Buldn (Dizionario dei Paesi), verso il 1210. Il Taquim al Buldn fu invece scritto dal principe di Hamat, verso il 1300.
ABUOBEID AL BAKRI (EL BEKRI), sec. XI. Description de lAfrique, tr. Mc G.de Slane, nelle ed. Lib. dAmrique et dOrient, 1965.
MARCO POLO (Venezia, 12541325), Il Milione. Per questa traduzione, tutte le citazioni sono state desunte dalledizione in lingua italiana (a cura di Antonio Lanza), Roma, Editori Riuniti, 1980. IBN AL WARDI fu quasi contemporaneo dAbul Fida. Una parte della suaopera (Al durrah al ajaib, La Perla delle meraviglie) fu pubblicata nel 1823 da Hylander. I richiami dellAutore si riferiscono a tale edizione. IBN BATTUTA (Tangeri, 13041377), Rihla (Itinerario, scritto verso il 1330); tr. it.: I viaggi di Ibn Battuta, a cura di Francesco Gabrieli, Firenze, Sansoni, 1961. IBN KHALDUN (morto nel 1406), Histoire des Berbres, tr. fr. Mc G. de Slane, Casanova, Geuthner, Paris, 4 tomi, 19251956. Al Muqaddima (Discorso sulla storia universale). Coll. UNESCO, oeuvres reprsentatives, 3 vol., Beyrouth, 19671968. ABUL FIDA (morto nel 1331). Gographie, tr. fr. M. Reinaud (t. 1, 1848), G. Guiard (t. 2, 1883), Y. Kamal (t. 4, 1937), Mc G. de Slane.
KAZUINI (morto nel 1283). Ledizione intitolata: Kosmographie, ed. Wstenfeld (Gttingen, 18481849), contiene due sue opere: Athr al bild (Monumenti dei paesi) e Ajaib al Makhluqt (Meraviglie della creazione).
LEONE LAFRICANO (Granada, 1489 Tunisi, 1554 ca.), Descrizione dellAfrica, scritta nel 1550, tr. fr. dalloriginale italiano di A. Epaulard, Paris, Adrien Maisonneuve, 1956.
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GUILLAIN M., Voyage la Cte orientale dAfrique (Documents sur lhistoire, la gographie et le commerce de lAfri que orientale), 3 vol., A.Bertrand, Paris, 1856.
Hassan ibn Mohammed, moro mussulmano nato a Granada nel 1489, allet di cinque anni dovette partire esule, con la propria famiglia, dalla citt conquistata dalle forze cristiane. Viaggi a lungo, visit luoghi al di l del Sahara: Timbukt, Gao, il regno del Bornu (nel nordest dellattuale Nigeria). Catturato a Djerba da pirati siciliani, divenne un servo del papa Leone X, il quale lo convert e lo battezz col proprio nome: Giovanni Leone de Medici, detto Leone lAfricano. Divenuto cristiano, egli fu un inviato segreto del papa, assist alla battaglia di Pavia e al sacco di Roma. Ritornato in Tunisia, si rifece musulmano, e fu conosciuto col nuovo nome di Hassan Rumi (il romano).
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Premessa
LAfrica bagnata dallOceano Indiano si sviluppa tra il 12 grado di latitudine Nord ed il 26 di latitudine Sud, dal Mar Rosso e dal golfo di Aden sino alla baia Delagoa, con un immenso litorale, quasi ovunque selvaggio, aspro o paludoso, bruciato dal sole equatoriale, terribile per gli Europei a causa del calore e dei miasmi, appena intravisto dagli antichi e sconosciuto poi, per secoli, ai popoli delle sponde del Mediterraneo. Quella lunga sponda generalmente nota col nome di costa orientale dAfrica. Alla fine del sec. XV, i Portoghesi doppiarono il capo di Buona Speranza. Avidi di scoperte, ispezionarono frettolosamente questa costa e penetrarono anche per una certa profondit nel continente, attribuendosene per intero il possesso, dai confini dellAbissinia sino al paese degli Ottentotti. In pochi anni disseminarono da Sud a Nord fortezze e stabilimenti commerciali. Si raccontavano meraviglie delle localit principali: Sofala, Mozambico, Quiloa (Kilwa), Mombasa, Melindi, Brava, Magadoxo (Mogadiscio). Sinviavano ambasciate ai negus abissini, in cui sincarnava il misterioso Prete Gianni, ma la presa di possesso fu di breve durata. Le conquiste in America, la scoperta del Brasile, inflissero un colpo funesto allo sviluppo delle colonie africane, pi povere e difficili da raggiungere. Ben presto le quattrocento leghe della costa dello Zanghebar riguadagnavano lindipendenza. Solo il Mozambico, tra il capo Delgado e la baia Delagoa, rimase sotto la sovranit (pi nominale che effettiva) dei re portoghesi. Quelleffimera dominazione da parte duna nazione europea, daltronde attenta solo ad interessi commerciali immediati, contribu ben poco a dissipare le tenebre che coprivano la storia locale. Da quando Zanzibar divenuta il centro dun movimento commerciale, attivato dalle moderne scoperte dei grandi laghi e dellalto corso del Nilo, si cominciano a conoscere meglio le coste vicine ed i popoli che vi sincontrano. Ma della loro vita precedente, delle migrazioni di razze, dei loro antichi rapporti con le coste asiatiche, che cosa si sarebbe potuto apprendere, presso popoli interamente sprovvisti
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di monumenti scritti e persino di continuit di tradizioni? Qui si trova unenorme lacuna nella storia delle razze umane, che sar sempre difficile da colmare. Non pretendo di riempire di colpo quel vuoto, il che potrebbe essere fatto solo qualora limmaginazione del romanziere supplisse al silenzio della storia, ma mi parso interessante raccogliere e coordinare i pochi fatti e notizie che gli scrittori arabi hanno tramandato su quelle regioni lontane e sui popoli che vi hanno incontrato. Nel medioevo gli Arabi frequentarono intensamente la costa orientale dAfrica, paese delloro, dellavorio, dei profumi e degli schiavi. Tuttavia sono rari i documenti precisi; si potrebbe dire che essi manchino quasi completamente. Non ci si pu sorprendere di ci, se si pensi alle scarse nozioni veramente certe che noi stessi abbiamo acquisito da quando quella parte del vecchio mondo visitata senza cessa dai naviganti europei. Ai nostri giorni, il pi modesto capitano di naviglio commerciale quasi sempre abbastanza istruito per raccogliere e riferire, se lo vuole, utili nozioni sulle regioni in cui sbarca, sugli abitanti e i costumi, su una parte della fauna e della flora. vero, come gi affermava al Congresso geografico di Montpellier il presidente della Socit de Gographie di Marsiglia (1879), vero che non sempre i commercianti si affrettano a portare a conoscenza del pubblico le scoperte e le osservazioni dei loro dipendenti, soprattutto quando suppongono che tale conoscenza possa portare profitto al commercio dei concorrenti.1 Un tempo si univa, a questa semplice ragione, unaltra ancor pi seria: lignoranza dei capi spedizione. Le acquisizioni geografiche relative a terre poco esplorate si ottenevano dai rapporti pi o meno veritieri di marinai ignoranti, creduloni, superstiziosi, disposti sia a credere ogni cosa, sia a negare tutto. Se i capi erano naturalmente portati ad esagerare i pericoli del viaggio in una certa regione fruttuosa, al fine di allontanarne i rivali e riservarsi i profitti, daltra parte i marinai, al ritorno da spedizioni lontane, non si facevano scrupoli di raccontarne le meraviglie pi straordinarie, davanti ad uditori sempre avidi di quel genere di narrazioni. Non esistevano allora quelle spedizioni di sapienti che tutte le nazioni moderne si gloriano dorganizzare, per il progresso della scienza nautica, della storia naturale e della fisica del globo. Anche se lantichit ci presenta Nechao dEgitto che allestisce navi per compiere la prodigiosa circumnavigazione dellAfrica; pur se i Fenici, grandi navigatori del Mediterraneo, affidarono ad alcuni loro capitani la missione di studiare rotte marine sicure e di raccogliere dati utili al loro commercio su uomini e cose di paesi lontani, occorre ammettere che tutte quelle spedizioni servivano poco a sviluppare
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Dobbiamo tuttavia a semplici agenti di uno stabilimento commerciale la recente scoperta delle sorgenti del Niger.
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le conoscenze geografiche, sia che esse fossero troppo rare o mal condotte, sia, come si pu credere, che i promotori di quei viaggi ne riservassero solo per s i risultati acquisiti. In ogni modo lantichit ci ha lasciati in unignoranza quasi assoluta, per la regione di cui ci stiamo occupando: soltanto il nome di Azania, per la costa che piega a sudovest oltre il capo degli Aromi (capo Guardafui), ed alcuni nomi di citt sul litorale del golfo di Aden e sulla lunga riva che scende a sud dellequatore. Occorre superare i primi otto secoli della nostra era, arrivare ai geografi arabi, per trovare qualche dettaglio sullo Zanghebar e le regioni pi meridionali, sino alla parte centrale del canale di Mozambico. Sin dai primi tempi dellislamismo, per non risalire pi indietro, 2 gli Arabi inviarono da Oman e dagli altri loro porti numerose navi, che attraversavano loceano Indiano, abili a profittare dei monsoni, e approdavano a tutti i punti abbordabili del litorale bagnato da quel vasto mare. Anche da Bassora, da Siraf, partivano navi che frequentavano quei paraggi, ove i mercanti realizzavano enormi guadagni. La costa dello Zanghebar era visitata non solo da Arabi, ma anche da Persiani e Ind. Lo stesso nome di Zanghebar non arabo. formato alla maniera persiana, dal termine br, parola dellIndia dice il viaggiatore Soleiman che designa al tempo stesso un regno ed una costa e dal nome proprio Zang o Zendj (Zenj, Zengi, plur. Zunj); Zanghebar significa paese o costa degli Zengi, cos come Hindubar significa costa o paese degli Ind.
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Lautore del Periplo del mare Eritreo, che senza dubbio doveva a informazioni orali di mercanti arabi le sue informazioni sullAzania, dice che gli scali di quella costa, sino a Rhapta, erano gi in mano a capi che dipendevano dai sovrani dellArabia. Ci farebbe risalire gli inizi della colonizzazione araba almeno ai primi anni della nostra era. Cfr. Voyageurs anciens et modernes, ed. Charton, t. II, p. 105. Nella prefazione della sua edizione della Topographia christiana di COSMA INDICOPLEUSTE (Collectio nova Patrum et scriptorum Graecorum, 1706, t. II, p. IX), D. Bernard de Montfaucon si esprime come segue, a proposito delletimologia della parola Zanghebar: Quod autem adjecimus, Zanguebar idem esse atque mare Zangui, non perinde probantur viro quodam doctissimo et amicissimo, qui, ex optimis rerum Africanorum monumentis et ex Geographo Nubiensi, nomen Zanguebar non ex Zangi et bahar, mare Zangui, sed et Zangi et bar, continens Zangi factum putat: nam Geographus Nubiensis illam continentem el bar absolute nonnunquam appellat. Ejus nos sententiae libenter assentimur. Non alla parola araba bahar, ma al termine straniero br che occorre attribuire letimologia. Quanto al fatto che il geografo nubiano (ossia Al Idrisi) chiami talvolta el barr la terra africana, non si potrebbe invocare qui tale ragione, perch tutti gli scrittori arabi fanno costantemente uso di tale termine per distinguere la terraferma dalle isole.
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Gli Arabi dicevano Bild ez Zenj (Bild al Zanj).3Chi erano gli Zengi? Dove cominciava e dove finiva il paese che portava il loro nome? Che cosa si pu sapere dellorigine, del carattere, degli usi e dei costumi di quel popolo, del quale lantichit classica ignorava persino lesistenza, o che essa confondeva nella massa dei Neri, sotto il termine generico di volti bruciati, Etiopi? Dallesame dei resoconti dei viaggiatori arabi del medioevo, come Soleiman e Masudi, e delle compilazioni dei grandi cosmografi, come Al Idrisi, Kazuini, Abul Fida, si pu sperare di riuscire a farsi unidea approssimativa di ci che il mondo musulmano comprendeva sotto questo appellativo mal definito di Zengi e di paese degli Zengi. Nessuno ha ancora intrapreso tale fatica, che tuttavia non priva dinteresse. Non esiste, a mia conoscenza, nessunopera dinsieme sugli Zengi. Il sapiente tienne Quatremre ha pubblicato, vero, una Mmoire sur les Zindjes;4 ma tale pretesa memoria, di sole setteotto pagine, si limita alla traduzione di alcune pagine di Masudi. Ci che ha potuto distogliere gli orientalisti da unimpresa di questo genere senza dubbio la rarit dei documenti che possibile prendere in considerazione. Gli esperti edificatori di sistemi, gli ingegneri costruttori dipotesi, non si lasciano fermare da tali considerazioni. Forse anche lassenza di fatti certi ha per loro unattrattiva particolare, perch permette di costruire sino in fondo, senza timore di vedersi accusati dinesattezza nel piano, di disordine nellimpiego dei materiali. Ma vi sono architetti che per costruire necessitano dun terreno, di pietre e di malta; vi sono ricercatori che vogliono trovare e non inventare, spiriti semplici che non hanno immaginazione che supplisca alla conoscenza. Nonostante la penuria di materiali per accingersi ad una monografia sul popolo Zengi, ho voluto cimentarmi con questo lavoro, al quale mi ero sentito spinto dalla traduzione di Ajaib al Hind (Le Meraviglie dellIndia). Spero si riconosca che questo campo di studi non era cos poco fertile, come si sarebbe potuto credere ad un esame superficiale. Ecco, in poche parole, lordine seguito nelle mie ricerche. Dopo aver definito bene o male lestensione delle contrade cui si pu applicare il nome di Bild ez Zenj, percorreremo la costa in tutta la sua lunghezza, nominando nel loro ordine le localit citata dagli Arabi, con tutti i dettagli che stato possibile raccogliere. Dopo questo colpo docchio geografico, raccoglieremo in un capitolo ci che gli scrittori riferiscono del popolo Zengi e dei suoi costumi, senza dimenticare le rare parole della loro lingua che sono state conservate. Ricorderemo il ruolo accidentale ma terribile giocato dagli Zengi nella storia del Califfato. Passeremo in rivista i prodotti commerciali
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Nelle sue Mmoires historiques et gographiques sur lEgypte, t. II, pp. 181-189.
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della regione, gli animali pi strani, reali o leggendari; mi si perdoner qui daver seguito, uscendo un poco dal mio soggetto, la traccia di qualcuna di quelle leggende, sia nellantichit classica, sia nei Bestiari medievali. Mi parso necessario indicare costantemente le mie fonti. Riconosco che la profusione di note e di richiami un fastidio per il lettore, ma a chi vuol leggere con spirito critico offre la possibilit dun agevole controllo, che non troverebbe in indicazioni generiche, e che gli permetter di rilevare pi agevolmente gli eventuali errori commessi. Non milludo daver esaurito largomento. Spero tuttavia di non aver trascurato alcun documento importante, tra quelli che sono pervenuti alla conoscenza degli europei. Faccio appello al benevolo concorso dei lettori che volessero prendersi la pena di segnalare le mie inesattezze o dimenticanze. Una monografia di questo genere pu diventare unopera abbastanza completa solo grazie alla collaborazione di tutti coloro che hanno rivolto la loro attenzione al soggetto trattato.
Al principio di questo studio sugli Zengi e sul loro paese, naturale chiederci il senso e lorigine del loro nome. Il nome non arabo, bench gli Arabi labbiano trattato come una parola della loro lingua. La struttura di tre lettere z, n, g (dj, j) ne rendeva facile lassimilazione.5 Si tratta dun termine collettivo col valore dun plurale, ma dal quale possono formare un plurale sotto la forma zunugi, cos come da hind, singolare collettivo che indica gli Ind, formano il plurale Hunugi. Zangi, Zengi o Zingi, come vorremo scriverlo gi che la vocale discutibile 6 non ha riferimenti in arabo; evidentemente una parola straniera. La lingua etiopica, sorella dellarabo, ha un verbo zenega, che significa chiacchierare, barbugliare, barbarizzare, con il sostantiva Zengua, discorso confuso, assurdo.7 Parole che hanno verisimilmente un rapporto etimologico col nome del popolo Zengi; si pu presumere che questultimo abbia generato il verbo ed il sostantivo etiopici, cos come la trib dei predoni Berberi (di Berbera), vicini e parenti prossimi degli Zengi, ha prodotto il sostantivo berbero, sinonimo di ladro. Lantichit delle relazioni dellIndia con la costa orientale dAfrica pu condurre a cercare nelle vecchie tradizioni del paese dei Brahmini qualche menzione del paese Zengi. In effetti i poemi noti col nome di Puranas, e specialmente il Bhagavata (la cui redazione, daltra parte, non sembra risalire ad epoca molto antica), parlano dun paese di nome ankha (Sankha), che il capitano Wilford, allinizio del nostro secolo XIX, non esitava ad as5 6
La maggior parte delle radici arabe sono triletterali. La vocale discutibile: Freytag d Zangi e Zingi, Kazimirski solo Zangi. Sylvestre de Sacy e Quatremre scrivono Zinges, il Vocabulista arabico del sec. XII o XIII, pubblicato da Schiaparelli, d anchesso la vocale i. In Tolomeo un h, in Cosma una i. La cosa pi sicura dunque quella di scrivere Zengi con la e, vocale intermedia che, in un gran numero di casi, trascrive ugualmente bene la a e la i arabe. Cfr. LUDOLF, Dictionarium Ethiopicum, p. 478, 2. ed.
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similare allo Zanghebar.8 Quello scrittore riproduce una specie di carta, in cui si vede una rappresentazione simbolica della terra, secondo le idee degli Ind. Si tratta dun fiore di loto con tre serie di petali aperti, che galleggia sulloceano ed circondato dalla terra doro o dalle montagne sacre che trattengono le acque e impediscono che esse cadano nel vuoto. Al centro si trova il monte Meru, centro della terra; quattro grandi petali, che raffigurano senza dubbio le quattro parti pi importanti del mondo, sono accompagnate da altri otto petali pi piccoli, uno dei quali porta liscrizione ankha (Sankha). vero che il ankhaduipa dei Purana tocca larcipelago malese, ma anche i geografi arabi, come vedremo, erano convinti che il paese degli Zengi si avvicinasse molto a quelle grandi isole, tramite il Sofala e lo WaqWaq. Daltra parte, anche il trattato dastronomia sanscrito detto VaraSanhita cita tra le contrade del Sud le isole ankha (Sankha), o isole delle Conchiglie, dalle quali si estraggono i cauri.9 Ma sembra che questa regione, vicina alle Laccadive, corrisponda meglio alle Maldive che non alla costa degli Zengi.10 Inoltre, le leggende relative a ankha, alla sua grande capitale Crishnangana, al suo sovrano che possedeva uno straordinario elefante, al serpente ankhanaga, il cui soffio uccide a distanze enormi gli animali e i vegetali,11 non sembra convenire alla terra dei Neri africani. Ma un punto che lasceremo ad altri la cura di chiarire. Noi diremo comunque che, a nostro avviso, ankha potrebbe essere piuttosto lo Zanegi degli Arabi che lo Zengi. I Greci ed i Romani, sino ai primi anni della nostra era, non testimoniano che il nome di Zengi sia giunto sino a loro. Il commercio egiziano, molto attivo in certe epoche con le coste dellIndia, temeva di oltrepassare quel famoso capo degli Aromi, al di l del quale non si trovava, su una distanza di diverse centinaia di leghe, altro che un litorale inospitale, poco propizio agli scambi.
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Cfr. la sua memoria intitolata: An essay on the sacred isles in the West, in Asiatic Researches, t. VIII, pp. 245-375. WILFORD, Op. cit., p. 345. Nel parlare delle Maldive, MASUDI (Praterie doro, cap. XVI, ed. Barbier de Meynard - Pavet de Courteille, t. I, p. 338) riferisce che quelle isole forniscono allesportazione una gran quantit di Zangi, ossia di Cocchi, come aggiunge lautore stesso. Suppongo qui un errore del viaggiatore, una distrazione dei copisti o una glossa inesatta, indebitamente introdotta nel testo arabo. Crederei volentieri che Zangi corrisponda al sanscrito ankha, e designi i cauri, che in effetti quelle isole forniscono in grande abbondanza. La confusione, se confusione vi , potrebbe provenire dal fatto che la pesca dei cauri si fa con rami e tronchi di palme da cocco che si gettano in mare, perch le conchiglie vi si attacchino (cfr. AL IDRISI, 1. clim., 8. sez.). Al Idrisi chiama quei molluschi Kangi. Lo stesso nome stato letto come Kabiagi da Renaud, nella sua edizione dei viaggi di Suleiman. Ibidem, p. 306.
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Nella preziosa opera che riassume per noi tutte le conoscenze geografiche dellantichit, nel libro di Claudio Tolomeo, scritto nella prima met del sec. II della nostra era, troviamo per la prima volta la menzione sicura del nome di cui ci stiamo occupando. Nel cap. VIII del quarto libro, in un elenco dei luoghi sulla costa, scendendo dallEtiopia verso sud, il geografo alessandrino cita un punto che chiama Zengisa akra, a qualche distanza oltre il capo degli Aromi (Armata akron), ma al di qua dellequatore. Non vi accordo sulla posizione di questo Zengis (o Zingis, secondo la trascrizione latina). DAnville lo colloca piuttosto a nord lungo la costa dAjan, altri lo fanno scendere sino a Zanzibar. Non importa: il nome del promontorio, qualunque sia la sua vera posizione, sicuramente lo Zengi degli Arabi. Quattrocento anni dopo Tolomeo, uno scrittore del suo stesso paese, il monaco Cosma che aveva a lungo trafficato sui mari dOriente prima di consacrarsi alla vita religiosa, tanto che i viaggi verso lIndia gli erano valsi il soprannome di Indicopleuste conosce perfettamente il nome citato dal grande geografo. I golfi Arabico e Persico egli dice partono dal paese chiamato Zingion,12 verso Mezzogiorno e Oriente. Ebbene, lo Zingion situato, come sanno tutti coloro che hanno navigato sul mare Indiano, al di l della terra dellincenso, che noi conosciamo come Barbaria, intorno alla quale scorre lOceano che si estende ai due golfi. E pi oltre: Un giorno navigavamo verso lIndia interna e arrivammo sino alla Barbaria, al di l dello Zingion: cos si chiama lentrata dellOceano. Ritorneremo su questi brani. Accontentiamoci qui di notare che Cosma non vide personalmente Zingion e che locolloca, come Tolomeo, a distanza incerta, oltre il paese dellincenso ed il capo degli Aromi. Sin dal giorno in cui gli Arabi hanno una letteratura scientifica, il nome di Zengi appare in tutti quelli dei loro scritti in cui ci si possa attendere di vederlo figurare. Nessuno dei loro geografi dimentica di menzionare, almeno di sfuggita, una regione equatoriale che si chiama generalmente Bild ez Zenj, paese degli Zengi. Quando, al principio dei tempi moderni, i Portoghesi, provenienti dal Sud, risalgono la costa, alla conquista della via delle Indie, trovano una lunga striscia di quel litorale sottomessa a capi musulmani; i trafficanti lo chiamano Zanghebar. Cos, il nome di Zengi accompagna le prime notizie sicure della costa orientale dAfrica, e quel nome rimasto sino ai nostri giorni. Non pu sorprenderci il atto che non sia pervenuto durante il medioevo sino alle nostre contrade occidentali, che Solino, Isidoro di Siviglia, Vincent de Beauvais ed i cosmografi europei di tutto quel lungo periodo labbiano ignorato o non ne abbiano saputo nulla di pi della secca indicazione di Tolomeo. Dove avrebbero potuto attingere informazioni su un paese, la cui stessa esi12
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stenza era appena supposta? Nel cuore del medioevo, le conoscenze degli Arabi penetrarono in parte presso gli Occidentali, sia per bocca dei Franchi che i casi della sorte o gli ardori religiosi avevano portato in Egitto, in Siria, verso i Luoghi Santi, sia per la traduzione di qualche libro orientale. Ma lEuropa cristiana, che traduceva volentieri in latino le opere di medicina e dalchimia scritte dagli Arabi, non si preoccupava della loro geografia n della loro storia, non pi che della loro letteratura propriamente detta. Nulla prova che gli Zengi, cos chiamati dagli Arabi, si siano mai attribuiti da s stessi un tal nome. Gli attuali indigeni dello Zanghebar non lo conoscono. Il nome stesso di Zanghebar, usato per unampia regione mal definita, tende a scomparire dalle carte moderne; vi rimane solamente sotto la forma alterata di Zanzibar, che si applica solo ad una piccola isola del litorale. Notiamo per che su quella costa esiste un fiume chiamato Zanghe dai nativi, notevole affluente dello Zambesi, scoperto pochi anni fa dallillustre Livingstone. Lo Zanghe scorre diverse centinaia di leghe a sud della stazione commerciale di Zanzibar. Occorre credere che un popolo che portava il nome di quel fiume abbia attraversato lo Zambesi e invaso le regioni settentrionali, respinto forse dagli antenati di quei Cafri e Ottentotti che ai giorni nostri occupano tutta la punta dellAfrica al di sotto del tropico, e sono cos poco disposti ad accettare la dominazione dei Boeri e degli Inglesi? O piuttosto supporremo che gli Zengi, feticisti della costa orientale, respinti da popolazioni convertite allIslam, si siano spinti sino alle sponde della Zanghe e le abbiano dato il loro nome? Le tradizioni arabe che riguardano le migrazioni delle razze nere, come vedremo, si accorderebbero meglio con questultima ipotesi.
Proviamo a delimitare le regioni che gli Arabi confondevano sotto la denominazione troppo elastica di paese degli Zengi. Il simbolico fior di loto sopra descritto non ci dice nulla, se non che ankha, nellidea del disegnatore, una vasta contrada ad ovest dellIndia, a sud duna regione estesa quanto la stessa India, il cui nome difficile da tradurre in lingue europee, dallind Setumala. In una tale fantasia pittorica non potremo cercare la soluzione dun enigma geografico. In Tolomeo, Zengis designa, come abbiamo visto, solo un promontorio, o forse diversi, se akra un plurale, come si pu supporre dal confronto tra le due espressioni, quasi consecutive: Aromata akron Zengisa akra. Il geografo greco non indica neppure se presso questi capi esista una localit abitata o un porto di sbarco, perch il nome non seguito dalla solita indicazione emporion o kome. Per Cosma, lo Zingion gi una regione di una qualche estensione, che d il nome alloceano dal quale bagnata. Comincia a nord, allentrata dellOceano, entrata che occorre considerare non allo sbocco del golfo Arabico, nella parte che si allarga tra la costa africana, lo Yemen e lo Hadramaut, ma solo dopo il capo Guardafui, dopo il paese dellincenso o Barbaria. La Barbaria compresa tra lEtiopia e la punta pi orientale dellAfrica, lungo tutta quella costa che segue quasi la direzione dun parallelo. Tuttavia la geografia antica della regione cos confusa, che il nome di Barbaria abbraccia talvolta tutta la costa dAjan; e il mare Barbarico di Tolomeo, to Barbarikon Pelagos, si estende sino allestrema citt della sua Africa meridionale, la misteriosa Rhapta, metropolis tes Barbarias, che qualche geografo moderno vuole identificare con Kilwa.13 Abbiamo citato un passo di Cosma in cui si dice che, navigando verso lIndia interiore, si raggiunge la Barbaria, oltre Zingion. Per non essere tentati di accusare lautore di contraddirsi, non occorre dimenticare che alla sua epoca, sin da diversi secoli prima, il nome India si applicava da una parte allHindustan, chiamato India esteriore, e daltra parte allEtiopia (India interiore). Se Cosma fissa con una certa precisione il punto settentrionale della costa ove comincia lo Zingion, tace sul proseguimento di quella costa, gi nota sin da allora col nome dAzania, e a maggior ragione sulla parte transequatoriale. Per ottenere altre informazioni, occorre scendere bruscamente sino al sec. X, e rivolgersi ai geografi arabi. Inoltre, la maggior parte di loro non forniscono altro che citazioni insignificanti.
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Ibn Khordadbeh, che fu gestore delle poste sotto il califfo Mutamid (870892 della nostra era), pur essendo di origine persiana, scrisse tuttavia in lingua araba la sua raccolta ditinerari, intitolata: Il libro delle strade e delle province. Ibn Khordadbeh non parla del paese degli Zengi, se non quando cita il detto:14 Chiunque vada al paese degli Zengi si prende senza scampo la rogna. Man dakhal bild ez Zenj, fel bud an yajrab. Del resto, in questa frase, come in altre dello stesso autore, la parola Zenj potrebbe anche essere letta come Zanej o Zabej, parola che designa una contrada ben diversa, ossia larcipelago malese.15 Per Istakhri, la cui opera, scritta in pieno sec. X, porta pure il titolo Libro delle strade , il paese degli Zengi tocca a nord lAbissinia (Habasha),16 limitato ad est dal pare di Fars, a partire dalla costa di fronte a Aden.17 Sembra che agli occhi di questo geografo il territorio degli Zengi comprenda almeno in parte il litorale che Cosma chiamava Barbaria. Il paese degli Zengi pi lungo della terra dei Neri (Sudan) e non ha contatto con alcuna altra provincia oltre allHabasha. Fronteggia lo Yemen, il Fars, il Kerman e infine lIndia.18 Questultima frase sembra piuttosto singolare. Si potrebbe credere che lo scrittore intenda come paesi fronteggianti delle regioni poste pi o meno sullo stesso parallelo. La parte estrema dellIndia, per, ancora molto a nord dellequatore, e la frase delimiterebbe con forte inesattezza la parte meridionale dello Zengi, poich tutto lo Zanghebar si trova a sud della linea equinoziale. Dobbiamo ricorrere ad una spiegazione diversa, di cui parleremo in seguito. Un quarto di secolo dopo Istakhri, Ibn Hawqal si accontenta di ripetere letteralmente, senza cambiare una jota, le pallide indicazioni che abbiamo appena letto nel primo, e forse entramlbi hanno riprodotto i termini dun libro pi vecchio che non ci pervenuto. Daltra parte non si preoccupano di dilungarsi su quanto riguarda i neri del Maghreb o del Sudan, non pi che sugli Zengi, perch tutte quelle genti, rifiuto dei popoli, non sono musulmane e non conoscono n la giustizia n le buone maniere.19 un modo elegante di nascondere
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P. 123 del testo, pubblicato da Barbier de Meynard, Journal Asiatique, 6. serie, t. V (1865). AL IDRISI (2. clim., 2. sez., p. 111) dice che i neri di Zaghawa sono fortemente soggetti alla rogna, tanto che in tutto il Sudan si riconosce uno Zagawiano da questo segno; se non mangiare serpenti, ne sarebbero totalmente immuni. Questo brano indica che quella malattia parassitaria non era diffusa n comune tra i Neri. Testo arabo pubblicato da Goege, p. 11 (Bibliotheca geographica Arabicorum, pars prima, Leyda, 1870). Ibidem, p. 36. ISTAKHRI, op. cit., p. 11. Testo arabo pubblicato da Goege, pp. 9-10 (Bibliotheca geographica Arabicorum, pars prima, Leyda, 1870, pars secunda).
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la propria ignoranza. Ibn Hawqal mostra bene la propria, ripetendo lantica tradizione greca, che voleva che tra il paese dei Neri e lOceano si stendesse una terra deserta, in cui leccesso di calore distruggeva ogni esistenza, come tra lOceano del Nord ed il paese di Yagiugi e Magiugi (Gog e Magog) i rigori del freddo distruggono ogni germe di vita.20 Anteriore di qualche anno a Istakhri e a Ibn Hawqal, Masudi meglio informato di loro. Non trascura i documenti forniti dai predecessori e dobbiamo a lui la conservazione di numerosi passi di libri perduti per noi e si preoccupa di aggiungere i numerosi frutti delle sue informazioni personali. Masudi il pi grande viaggiatore del suo secolo. Nessuno prima di lui si vanta di avere percorso di persona per intero il terribile mare degli Zengi, ricco di generi commerciali, ma propizio per i naufragi. Masudi andato almeno due volte sino allisola di Qanbalu, in cui Reinaud ha voluto vedere il Madagascar. Nella sua grande opera, Le praterie doro e le miniere di pietre preziose,21 si possono cercare i dettagli pi sicuri sui costumi del popolo Zengi, ma la parte geografica trattata superficialmente. Il paese degli Zengi egli dice si sviluppa su unestensione di circa settecento parasanghe di lunghezza e altrettante di larghezza.22 Comincia alla terra di Berbera, abitata da un miscuglio di Zengi e di Abissini, e che occorre non confondere col paese dei Berberi posto ad occidente dell Ifriqiya , il quale ha in comune con esso soltanto il nome. 23 Nellinterno, tocca il Sudan24 e scende a sud sino al Sofala ed al paese degli WaqWaq.25 Dallisola Qanbalu al porto di Oman, sulla costa orientale dellArabia, i marinai contano settecento parasanghe, secondo una congettura approssimativa e non un calcolo rigoroso.26 Il territorio di Sofala il limite estremo del paese degli Zengi. Se si assimila la parasanga di Masudi alla lega da 1/25 di grado,27 si riconoscer che la lunghezza di settecento parasanghe, stimata dallautore delle Praterie doro per la lunghezza di questa regione, non si allontana
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IBN HAWQAL, op. cit., p. 12. Moruj ed dhahab u maadin al giawher, Le praterie doro e le miniere di pietre preziose. Il testo arabo e la traduzione sono stati pubblicati in 9 vol. da Barbier de Meynard e Pavet de Courteille (1861-1877). T.III, p. 7 (cap. XXIII). T. I, p. 231 (cap. X). T. I, p. 205 (cap. IX). T. III, p. 6 (cap. XXXIII). T. I, p. 205 (cap. IX). La parasanga era una misura di origine persiana, equivalente a 30 stadi, ossia 3 miglia romane, e quindi corrispondente alla lega in uso nella misurazione europea (circa 4,5 km). Pertanto 700 parasanghe equivalgono a circa 3.150 km (una distanza assimilabile a quella che intercorre tra Mogadiscio e Sofala - foce dello Zambesi). N.d.T.
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molto dal vero.28 Ritorneremo sul libro di Masudi per trovarvi informazioni sullo stesso popolo degli Zengi. In questo momento, pensiamo solo a identificare le frontiere del paese. Nato un quarto di secolo dopo Masudi, lautore della Conoscenza dei climi, Moqaddasi, non sa e non vuole sapere nulla degli Zengi. Avverte il lettore che limiter le proprie descrizioni alle contrade musulmane, senza preoccuparsi dei paesi degli infedeli, perch non vi ha mai messo piede e giudica superfluo parlarne.29 A Aden, ove lo spirito davventura laveva condotto, si lascia sedurre un istante, come tanti altri, dallidea degli straordinari vantaggi che si possono trarre da un viaggio di commercio presso gli Zengi, perch non ignora il proverbio arabo: La rogna (del cammello) si guarisce col catrame, la miseria del povero nel paese dei Neri.30 La morte dun suo compagno lo raffredd molto e gli ricord lincontestabile verit che alla fine della vita bisogna ahim! rinunciare a tutti i propri beni.31 Il fastidioso incidente e la malinconica riflessione ci hanno privati del capitolo che il viaggiatore non avrebbe mancato di dedicare agli Zengi, se avesse visitato il loro paese. Passiamo al secolo successivo. Uno scrittore del sec. XII ci mostrer quali progressi ha fatto in duecento anni la conoscenza della costa orientale dellAfrica. Dal promontorio degli Aromi a Sofala, Masudi, verso il 950, non conosce o almeno non cita nessun nome di citt. Al Idrisi, che compone il suo notevole Trattato di geografia verso il 1150, offre una specie ditinerario lungo tutta la regione marittima che si stende dalla costa di Ajan sino in prossimit dellinsenatura in cui sbocca in mare il Limpopo di Livingstone.32 Probabilmente Al Idrisi non ha mai fatto un viaggio verso quelle lontane regioni. Ma la passione del suo sovrano Ruggero, re di Sicilia, per le scienze geografiche, ha permesso al sapiente musulmano di raccogliere nelle opere anteriori e dalla stessa bocca dun gran numero di commercianti, di piloti, di viaggiatori, informazioni abbastanza numerose sulla costa africana,
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In un altro passo (t. IV, pp. 39, 40, cap. LXII), Masudi d, secondo El Fezari, lassurda valutazione di settemilaseicento parasanghe per cinquecento. Si tratta senza dubbio di un errore di lettura: la parola alaf mille devessere stata confusa con aw (oppure): sette o seicento, come si usa dire tra gli Arabi. Testo arabo pubblicato da de Goeje (Bibliotheca geographica Arabica, pars tertia), p. 9. Cfr. DAUMAS, Le Grand Dsert, 1856, p. 5. Testo arabo, p. 91. Lopera dAL IDRISI, intitolata Libro delluomo avido di conoscere gli orizzonti, fu terminata, a detta dello stesso autore, nel mese di Shewal del 548, ossia gennaio 1154. Non ho avuto a mia disposizione, come testo arabo di questo libro, altro che quello pubblicato a Roma nel 1592, sotto il titolo De Geographia universali Hortulus cultissimus, la cui traduzione latina fatta dai Maroniti Sionita e Hesronita fu stampata a Parigi nel 1619.
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gi molto frequentata dai suoi correligionari. Cos egli nomina una quindicina di citt o borghi, anche se sullesattezza dei loro nomi non si pu contare per la solita negligenza dei copisti; ma il solo fatto di elencarli, con le distanze che li separano, sia per mare, sia per via di terra, mostra a sufficienza che, al tempo del geografo siciliano, pur senza possedere nozioni estremamente precise, non ci si limitava pi soltanto alle vaghe denominazioni di paese degli Zengi o terra di Sofala. Si pu supporre che gli armatori e i commercianti avessero sulle contrade meridionali nozioni pi estese e pi precise di quanto non si possa giudicare dalle opere di geografia ad essi contemporanee. I capitani di navi che scoprivano una stazione vantaggiosa per il commercio si guardavano dal rivelare il segreto ai concorrenti. Lo attesta un aneddoto dellAjaib al Hind,33 ove si vede un capitano che il caso ha spinto su una costa propizia agli scambi passare la notte a studiare le stelle, a riconoscere il posto delle costellazioni, ad orientarsi per fissarsi nella memoria il cammino di andata e ritorno. Perch desidera ritornare, ma solo, senza altri mercanti. da uomini di tale sorta, chiamati alla corte del re di Sicilia e convenientemente retribuiti, che lo sharif Al Idrisi pot raccogliere molte delle informazioni che annota, su paesi sconosciuti ai geografi. Le nozioni acquisite da Al Idrisi sul paese degli Zengi (che pi tardi vedremo messe a profitto) non si accrescono nei secoli successivi. Verso il 1210 Yaqt, autore del prezioso dizionario geografico Mojem al Buldn, accontenta di dire che il paese degli Zengi parte dal mare dello stesso nome e va verso Sud, sotto Canopo. In ogni caso situato al di l dellequatore, perch i suoi abitanti vedono il polo Sud quasi in mezzo al cielo, ma non vedono n il polo Nord, n la Capra, n lOrsa Maggiore.34 Nei suoi Monumenti dei paesi, della seconda met del sec. XIII, Kazuini (morto nel 1283) ripete tutto ci che stato detto dai suoi predecessori e, quando aggiunge nuove indicazioni, si tratta di favole dorigine greca, nelle quali la storia della geografia africana non centra nulla. Per lui il paese degli Zengi, lungo due mesi di viaggio, compreso tra lo Yemen al Nord, il Feyafi (o Feyani ) al Sud, il Nuba (Nubia) ad Oriente e lHabasha a
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Aneddoto XVI, p. 27 della mia traduzione. Ed. Wstenfeld, t. I, pp. 502-503. Traduco al gedi con la Capra, perch si pu trattare soltanto del Capricorno, una costellazione australe. Yaqt aggiunge che gli Zengi vedono nel cielo qualcosa grande come la luna, che sembra una finestra rotonda (taqa) nel cielo, o una nuvoletta bianca che non si cancella mai e non scompare. Ho interrogato su ci molte persone, egli dice, e tutti mi hanno risposto la stessa cosa. Gli Zengi le danno un nome che non mi ricordo pi e non sanno che cosa sia. Si tratta evidentemente duna nebulosa, una di quelle che si chiamano Nubi di Magellano.
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ponente;35 strano orientamento, che spiazza in modo singolare le nostre idee sulla cartografia di questa regione africana. Cinquantanni pi tardi, il grande compilatore di trattati geografici Abul Fida (morto nel 1331) non ne sa pi dAl Idrisi sul Bild ez Zenj. Come Ibn Said, del quale ama citare gli estratti, il principe geografo enumera Berbera tra le citt degli Zengi,36 ai quali sembra attribuire il possesso dellintera costa sino a Sofala. Il suo contemporaneo Dimashqi (12561327) non offre nuove informazioni. Sul paese degli Zengi non dice nulla o quasi nulla che gi non si legga in Al Idrisi.37 I geografi posteriori ad Abul Fida si limitano a copiare i loro predecessori. Per quanto riguarda la costa orientale dAfrica, anzich chiarire i punti rimasti oscuri, sembrano piuttosto contribuire ad accrescere la confusione che regna negli scritti anteriori. Ibn al Wardi dAleppo,38 quasi contemporaneo dAbul Fida, non si attarda a descrivere il paese degli Zengi. Dice solo che la terra degli Zengi, vicina a Berbera, sta di fronte al Sind, dal quale separata dalla larghezza del mare di Fars,39 e che termina a sud al Sofala, il quale a sua volta finisce alla terra dei WaqWaq.40 Il grande storico dei Berberi, Ibn Khaldun, alla fine del sec. XV, conosce dellAfrica orientale solo ci che ha appreso dagli antichi geografi, tra i quali cita Tolomeo e lautore del libro di Ruggero, ossia Al Idrisi. Il paese degli Zengi, per lui, non altro che lo Zengisa del geografo Alessandrino. Loceano Indiano egli dice bagna lHabasha ed il paese degli Zengi. Sulle sue coste meridionali si trovano le contrade degli Zengi e dei Berbera; poi questo mare passa successivamente presso la citt di Maqdeshu, il paese di Sofala, la contrada dei WaqWaq ed altri popoli, al di l dei quali non esistono altro che deserti e solitudini.41 Cos, per questo scrittore, il Bild ez Zenj non raggiungerebbe lequatore e si limiterebbe alla costa dAjan. Non si pu avere alcun dubbio a tal proposito, perch poco
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Testo arabo, ed. Wstenfeld, p. 14. La Kosmographie di KAZUINI, pubblicata da Wstenfeld (Gttingen, 1848-1849), contiene due opere: Athr al Bild (Monumenti dei paesi) e Ajaib al Makhluqt (Meraviglie della creazione). Testo arabo, ed. Reinaud e de Siane, p. 25. Il testo arabo di Dimashqi stato pubblicato nel 1866 nelle Memorie dellAccademia di San Pietroburgo sa Mehren, che pi tardi, nel 1874, ne ha fornito anche una traduzione francese, sotto il titolo di Manuel de la Cosmographie du moyen-ge. Una parte dellopera dIbn al Wardi (La Perla delle meraviglie) stata pubblicata nel 1823 da Hylander. I nostri richiami si riferiscono a tale edizione. P. 170. P. 174. Prolegomeni dellHistoire des Berbres, p. 95. Testo e traduzione di de Slane, in Notices et Extraits des manuscrits, t. XIX.
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oltre lautore ripete le sue indicazioni, quando descrive le contrade comprese nel primo clima, e mette, alluscita di Bab el Mandeb: i Beja, Zeila, i villaggi di Berbera, il paese degli Zengi, poi Maqdeshu, Sofala e lo WaqWaq.42 Citiamo infine, per memoria, un geografo del sec. XV, Bakui, che del resto si accontentato di copiare qualche passo di Kazuini, dicendo che il paese degli Zengi misura due mesi di viaggio in estensione e termina a Sud con una contrada detta Alfiani, dove la stella Soheil (Canopo) brilla ogni notte.43 Sembrer forse sorprendente non veder figurare il nome dIbn Battuta tra quelli degli scrittori arabi cui chiediamo informazioni sul paese degli Zengi. Il celebre viaggiatore, in effetti, ha percorso durante il sec. XIV alcune parti della regione cos chiamata e dovremo citarlo, nel seguito di questopera; ma il suo libro non offre alcun aiuto per chiarire il punto al quale ci eravamo momentaneamente soffermati, la delimitazione del Bild ez Zenj. Per riassumere limpressione che risulta dalla lettura degli scrittori arabi che hanno parlato degli Zengi, appare che il nome sia stato applicato agli abitanti o ai padroni di tutta la costa orientale dellAfrica, dal golfo di Aden sino al tropico del Capricorno. Qualcuno ne distingue Berbera a Nord, Sofala a Sud; altri, come Ibn Khaldun, sembrerebbero non includervi neppure la minima parte dello Zanghebar. Per altri infine, che non si piccano di precisione etnologica, il nome di Zengi quasi sinonimo di Nero. Questa straordinaria diffusione dun nome, che rimane ignoto al resto del mondo civile, si potrebbe spiegare con la supposizione che un gruppo di Zengi, dallo spirito conquistatore, si sia realmente diffuso a poco a poco su tutto quellimmenso litorale, imponendo, come Roma, il proprio nome alle nazioni conquistate. Ma piuttosto naturale credere che gli Arabi labbiano attribuito a torto a tutti i rivieraschi delloceano Indiano, senza altra ragione che una certa rassomiglianza di carnagione e dabitudini tra quelle diverse nazioni. Cos pure il nome di Saraceno, limitato dapprima a qualche gruppo bellicoso dellAsia, era diventato in Occidente sinonimo dArabo, o piuttosto di Musulmano e persino di semplice contadino.44 Cos pure abbiamo visto il nome degli abitanti dellIndia esteso per cos dire dufficio a tutti gli indigeni delle due Americhe. Per non tralasciare alcune delle regioni cui questa vaga denominazione di Paese degli Zengi stata applicata nella
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Ibidem, pp. 119-120. Cfr. lanalisi svolta da DE GUIGNES, nelle Notices et Extraits, t. II, p. 395. I primi storici cristiani delle crociate distinguevano almeno nominalmente i Saraceni dei loro correligionari arabi e turchi, come testimonia, tra molti altri, questo passo: Raccolse innumerevoli pagani, ossia Turchi, Arabi, Saraceni, Pubblicani, Azimiti, Curti, Persiani, Agulani e molte altre genti in numero smisurato. Gesta Dei per Francos, Hanoviae, 1611, p. 15 (Resoconto compreso tra il 1095 ed il 1099).
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mente degli Arabi, occorre risolversi ad inglobarvi tutta la parte orientale dellAfrica, compresa tra i limiti sopra detti, ossia allincirca il 12 parallelo Nord ed il 26 Sud. Questimmenso territorio si sviluppa su una lunghezza di un migliaio di leghe,45 ma per converso, nel senso della larghezza, solo unesigua fascia di litorale, uno stretto nastro, al di l del quale, a poche leghe dal mare, comincia lignoto. I navigatori moderni hanno rilevato i contorni di queste coste, generalmente inospitali: lAdel, lAjan, il Swahel, il Mozambico, il Sofala; se ne conoscono pressappoco i golfi, le foci dei fiumi, le citt ed i borghi costieri, le isolette. Ma linterno delle terre conserva ancora una gran parte di segreti, e siamo lontani dalla giustificazione di quei versi ingenui, scritti oltre trecento anni fa dal gradevole traduttore di Leone lAfricano, Jean Temporal, abbagliato dalla rapida successione delle scoperte portoghesi: Perch pochi sono andati in Libia/Oltre i porti e le prime sponde,/Fosse per terrore delle grandi belve,/Fosse per paura dei serpenti velenosi,/O dei deserti brucianti e sabbiosi, /Privi dacqua e di frutti commestibili./Dunque la si riteneva inabitabile./Ma ora, per terra e mare aperto,/LAfrica ampiamente scoperta.46 I commercianti arabi percorrevano gi da tempo queste regioni, ma i loro scrittori, come abbiamo visto, ne sapevano poco, e alle loro nozioni, nonostante gli incerti riferimenti di latitudini e longitudini, mancava quella precisione geografica che si potuta acquisire molto pi tardi, grazie alle osservazioni di astronomi e di sapienti ufficiali di marina. Diremo tra poco la strana idea che avevano i geografi arabi sulla direzione delle coste africane. Prima di loro, si sa che i Romani ed i Greci alessandrini avevano intravisto, se non la totalit, almeno una parte notevole di quelle coste. Non parliamo di viaggio di circumnavigazione compiuto come si dice intorno a tutta lAfrica, dal mar Rosso allo stretto di Gades;47 tali spedizioni, vere o false,48
III LEtiopia degli antichi
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Circa 4.500 km. Sommaire commandation de lhistoire Africaine, unita alla Description de lAfrique di LEONE LAFRICANO, ed. del 1830, p. XVIII (da quella del 1556). Cadice, ossia lo stretto di Gibilterra. Gli argomenti che Gosselin, Vincent ed alcuni altri hanno invocato per negare ogni circumnavigazione dellAfrica nellantichit sono generalmente ben poco probanti. Qualcuno di quegli argomenti potrebbe anzi essere usato per sostenere lipotesi contraria. Cos Gosselin pretende daccusare di falsit il periplo fenicio sotto Necho (ERODOTO, l. IV, cap. XLII), facendo osservare che i viaggiatori non potevano, come dicono, seminare in autunno, visto che questo autunno, nella regione in cui si
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non hanno tramandato alcuna nozione sulla costa orientale. Quanto allinterno del continente, gli scrittori dei primi secoli della nostra era non aggiungono nulla alle vaghe concezioni degli antichi Greci sulla regione indefinita detta Etiopia, che abbraccia lintero paese dei Neri. LEtiopia di Erodoto non scende oltre le coste del mar Rosso.49 Due secoli e mezzo prima della nostra era, Eratostene, e dopo di lui Artemidoro, guardano il capo degli Aromi come il limite del mondo australe.50 Polibio pensa che nessuno saprebbe dire se lEtiopia sia circondata dal mare o se forma un continente che si estende verso Sud.51 Sa che la terra non inabitabile presso lequatore, come altri avevano insegnato e continuarono ad insegnare dopo di lui. Le relazioni di coloro che hanno visto quei luoghi gli hanno fatto sapere che il clima allequatore pi temperato che alle estremit della zona torrida, a causa dellaltitudine del suolo e delle piogge che lo bagnano.52 Strabone tra coloro che considerano quella zona come assolutamente inadatta alla vita.53 Plinio si ferma agli stessi limiti di Eratostene, al capo degli Aromi. Ma il Periplo del mare Eritreo, prezioso documento della navigazione antica nelloceano Indiano, conduce attraverso una serie di stazioni sino al famoso emporio di Rhapta, e Tolomeo segnala ancora pi lontano (secondo Marino di Tiro) il promontorio di Prasum. vero che i moderni sapienti che hanno studiato quei documenti non concordano sulla collocazione delle diverse localit menzionate. Gosselin, alla fine del sec. XVIII, sosteneva che Rhapta e Prasum dovessero trovarsi a nord dellequatore.54 Invece DAnville ed i geografi del nostro secolo non hanno difficolt a ricollocare quei luoghi a circa 8 di latitudine Sud, nei dintorni di Kilwa, opinione infinitamente pi sicura, secondo il rilievo delle coste. Tolomeo nomina, a sud dellEtiopia, una regione Agisymba, Ap d mesembrias te ents Aithiopia, en e Agisymba Chora.55 C qualche rapporto tra questa Agisymba ed il paese degli Zengi? poco verisimile, ma le informazioni di tale natura, nel loro isolamento, sono tali che ciascuno le
trovavano, corrisponderebbe alla primavera, stagione poco conveniente. Proprio il comandante Guillain (Documents sur lAfrique orientale, t. I, pp. 48-49) riferisce che la semina dei cereali, sulla costa orientale, si fa precisamente in novembre e dicembre, ossia alla fine di quello che per i Fenici era lautunno. 49 Cfr. TALBOYS WHEELER, The geography of Herodotus, Lonfon, 1854, p. 528. 50 Cfr. VIVIEN DE SAINT-MARTIN, Histoire de la Gographie, p. 31. 51 Hist., l. III, cap. XXXVIII. 52 VIVIEN DE SAINT-MARTIN, op. cit., pp. 148-149. 53 Ibidem, p. 169. 54 Gosselin colloca Rhapta a Bandel-Velho e Prasum a Brava (Recherches sur la gographie des anciens, t. I, pp. 189, 191). 55 Geographia, l. IV, cap. VI.
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La parte centro-meridionale della costa degli Zengi, da Ras Jumbo a Cabo Delgado (scala 1:8.000.000).
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pu usare per sostenere la tesi che pi gli conviene. La cosa migliore annotarle senza trarne conclusioni.56 Non si sono forse visti dei geografi che cercavano di scoprire nelle regioni equatoriali una pretesa contrada detta Champesia, che altro non era se non la stessa Abissinia, il cui nome, dalla trascrizione fattane da un Greco, giungeva a subire senza difficolt una tale sorprendente alterazione? A questo proposito, e prima di presentare la raccolta dei magri particolari forniti dagli Arabi sullimmenso litorale che ci occupa, non inutile accennare alle difficolt che fa nascere, per la lettura dei nomi propri, il sistema grafico degli Arabi. Come in ogni altro alfabeto, in arabo c un certo numero di lettere la cui forma pu facilmente indurre confusione, in una scrittura corrente mal curata: R, D (ed anche W isolata) da una parte, K e L dallaltra. Ma inoltre e si tratta della principale causa di errori di lettura molti caratteri differiscono tra di loro soltanto per lassenza o laggiunta duno o diversi punti, detti diacritici, messi sopra o sotto. cos, nel corpo delle parole, per le lettere b, t, th, n, i, per r e z, d e dh, per h, gi e kh, per f e q, ecc. Si aggiunga lassenza di segni per le vocali brevi,57 e non si far fatica a comprendere linestricabile confusione in cui possono gettare i diversi manoscritti, per la decifrazione dei nomi di citt e paesi. Per citare un esempio tra mille, il nome del grande arcipelago malese non forse stato letto: Rdih, Rnah, Znej, Zbej, ecc.? Queste brevi note erano necessarie per spiegare la diversit dei nomi che dovremo segnalare per talune localit. Esse mostrano anche con quali ostacoli ci si pu scontrare, quando si cerca lassimilazione dun antico nome raccolto presso un autore arabo con una denominazione moderna. Queste, daltra parte, sono fornite con maggiore o minore esattezza, perch ciascun viaggiatore ha cercato di riprodurre il nome locale che ascoltava, secondo il valore delle lettere del suo alfabeto, il che talvolta conduce a discordanze sorprendenti. Cos, come dicevamo, un Greco, nel trascrivere il nome dAbissinia, ha trasformato Habasha in Champesia, perch Ch (X) era per lui lequivalente di una H fortemente aspirata, mp equivale alla b nelluso del greco moderno, e si rappresenta il suono sh. 58 Chi, senza preavviso, saprebbe riconoscere lHabasha sotto il suo travestimento, peraltro naturale, di Champesia?
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Walckenser pensa che questa Agisymba fosse lattuale oasi di Asben, che ha per capitale Agadez. (Recherches gographiques sur lintrieur de lAfrique septentrionale, 1821, p. 391). 57 Talvolta lautore, per fissare bene la lettura duna parola, ha cura di specificarla lettera per lettera, con punti diacritici e vocali. per unutile indicazione che spesso manca. 58 Cfr. SILV. DE SACY, Abdallatif, p. 354, nota 28.
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Senza ritornare sullo studio degli antichi documenti cui abbiamo fatto allusione, abbordiamo quelli forniti dagli scrittori arabi. Tra le opere in questa lingua che abbiamo potuto consultare, quella di Al Idrisi la pi completa, per quanto riguarda la costa dellAfrica orientale. In mancanza duna guida migliore seguiremo questa e viaggeremo col suo autore dai confini dellHabasha sino al paese degli WaqWaq, completando le sue spiegazioni con quelle che ci troveremo a desumere da altri scrittori arabi, come gli autori della Relazione dei due Musulmani, quello dellAjib al Hind , Masudi, Istakhri, Ibn Hawqal, Moqaddasi, Al Biruni, Kazuini, Yaqt, Abul Fida, Bakui, Ibn al Wardi, Ibn Battuta, Ibn Khaldun, ecc. Non ci si lasci abbagliare da questa brillante enumerazione di viaggiatori, geografi, storici, enciclopedisti. Pochi tra loro sono scrittori originali, la maggior parte si limitano al ruolo di compilatori, spesso imprecisi o maldestri. Luno copia letteralmente il suo predecessore senza neppure curarsi davvisare, laltro cuce insieme frammenti disparati, che urlano al vedersi accoppiati. Un dettaglio che sincontra in tre o quattro autori diversi non offre spesso pi certezza che se si trovasse in uno solo; ugualmente, un fatto citato da Plinio non risulta per nulla confermato dal fatto di leggerlo anche in Solino, Isidoro di Siviglia, Vincent de Beauvais, Brunetto Latini. A proposito dellAfrica orientale, la maggior parte degli scrittori arabi erano costretti a copiare o a tacere. Salvo Masudi e Ibn Battuta, nessuno di loro aveva attraversato il mare degli Zengi. Era una navigazione lunga e penosa, della quale i racconti dei marinai esageravano ancor pi le difficolt. Mostri marini, scogli, correnti, tempeste, popoli antropofagi, minacciavano il viaggiatore di mille morti dopo che aveva oltrepassato quel temibile capo che a levante forma la punta estrema dellAfrica, il cui nome moderno, secondo Bruce,59 significa promontorio dei funerali. Certo neppure Al Idrisi aveva conoscenza diretta delle regioni in cui lo seguiremo. Ma sembra che abbia fatto degli sforzi per mettere a profitto tutte le nozioni acquisite alla sua epoca. Cita una dozzina di opere da cui ha attinto, tra cui quelle di Tolomeo e Masudi. Nella sua Introduzione, sembra ispirato da quelle idee che in questi ultimi tempi hanno condotto a modificare in modo cos profondo lantico programma degli studi geografici. Vuole descrivere mari, fiumi, montagne, pianure e vallate, le citt e i loro territori, la natura delle coltivazioni, cereali, frutti, piante dogni paese, arti e mestieri di ogni popolo, commerci di esportazione, curiosit e cose notevoli, stato
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politico e sociale, caratteri fisici delle razze, usi e costumi, religione, vestiti, idiomi.60 Lautore fa del proprio meglio per coprire il suo eccellente programma. Ma, ahim! quante inevitabili lacune per quanto riguarda il paese degli Zengi! Abul Fida, ben posteriore al geografo siciliano, deplora questignoranza degli Arabi a proposito di molti paesi, e specialmente per quella terra dei Neri del Sud, che contiene diverse e numerose razze. Ci sono pervenute soltanto dice informazioni molto rare; ma sempre meglio sapere qualcosa che non ignorare del tutto.61 Per avrebbe potuto aggiungere con Ruggero Bacone, del quale fu quasi contemporaneo come ci si pu stupire che oltre met del quarto abitabile (del globo), in cui ci troviamo, ci sia ignota, se gi presso di noi tante citt rimangono sconosciute ai sapienti?62 Prima dintraprendere il nostro itinerario lungo la sponda africana, non inutile riassumere in poche parole certe concezioni generali dei geografi arabi, che in questo, del resto, si allontanano molto poco dalle dottrine dei geografi alessandrini. La terra con le sue acque dice Al Idrisi63 immersa nello spazio, come il tuorlo nelluovo; laria la circonda dogni parte, e attira a s tutto ci che leggero, mentre la terra attira a s tutto ci che pesante, come la calamita attira il ferro. Il globo terrestre diviso in due parti uguali dalla linea equinoziale, il maggior cerchio parallelo sulla superficie terrestre. Questo cerchio si divide in 360 gradi, ciascuno di 25 parasanghe. La parasanga di 12.000 cubiti, il cubito comprende 24 dita; il dito corrisponde a sei grani dorzo allineati.64 I meridiani, dallequatore al polo, si dividono in 90 gradi; le terre abitabili, a Nord, finiscono al 64; il resto deserto, a causa del freddo e delle nevi. A sud dellequatore, non vi sono esseri viventi, a causa del calore, che asciuga le acque.65
Introduzione, p. XXI. Geografia, testo arabo, p. 2. 62 Opus Magnum, in VIV. DE SAINT-MARTIN, Histoire de la Gographie, p. 289. 63 Pp. 1 e sgg. 64 Il manoscritto n. 578, antico fondo della Bibliothque nationale, che contiene il testo della Geografia dAbul Fida, porta in intestazione cinque versi che Reinaud e de Slane riproducono nella loro edizione del testo arabo, a p. 540, e che traducono cos (t. II, p. 18): La posta si compone di quattro parasanghe, e la parasanga di tre miglia. Il miglio si compone di mille braccia, e il braccio di quattro cubiti. Il cubito di ventiquattro dita, e il dito si compone Di sette grani accostati luno allaltro. Il grano equivale a sette peli di mulo. E tutto ci con ammette contraddizioni. 65 Questa credenza, presa dalle teorie dei Greci, non impedisce ai geografi arabi di cita60 61
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re popoli e citt posti a sud di quella linea: La regione a sud dellequatore dice Ibn Khaldun (Prolegomenos, p. 108) non contiene altre popolazioni oltre a quelle citate da Tolomeo. Al di l sono deserti e sabbie, che si prolungano sino al cerchio dacqua detto il Mare Circostante. Pi in l, egli stesso aggiunge: A meridione dellequatore, la regione deserta molto pi estesa che a nord. 66 Si sa che gli antichi geografi davano il nome di climi a zone parallele comprese tra lequatore e il polo, distinte tra loro per la lunghezza del giorno nel solstizio destate. Gli Arabi hanno adottato la parola senza mantenerne lesatto significato. Vediamo che cosa dice a proposito YAQT nei Prolegomeni del suo Dizionario geografico. Ecco la traduzione sommaria duna parte di questo brano, in cui si trover un esempio della scienza etimologica degli Arabi: Tra lequatore e il polo Nord, la terra si divide in sette climi. Non c accordo sul valore di questa parola. Alcuni dicono che i sette climi si stendono al Nord e al Mezzogiorno; altri, soltanto al Nord. Hermes pretende che il Mezzogiorno contenga anchesso sette climi, come il Nord, il che non sembra dimostrato. La maggior parte credono che i sette climi si applichino solamente al Nord, che molto abitato, mentre il Mezzogiorno lo molto poco. Si dice che la parola sia araba e derivi dal verbo qalam, tosare, il cui significato primitivo era tagliare, e il qalam o canna per scrivere si chiama cos perch ogni tanto occorre tagliarla, ecc. (testo arabo di Wstenfeld, t. I, pp. 25-26). 67 Cfr. la carta dinsieme dAl Idrisi, riprodotta in REINAUD, Introduction la Gographie dAboul-Fda, p. CXX.
Met del globo coperta dalloceano, che lo circonda senza interruzione. La terra abitabile comprende sette climi66 separati da linee, segnate da Occidente ad Oriente, immaginate dagli astronomi. Ogni clima diviso in lunghezza in dieci sezioni. I climi corrispondono quindi a divisioni secondo i paralleli e le sezioni ai meridiani. Il primo clima comprende le contrade subito a nord dellequatore; alla 5. sezione, andando da Ovest verso Est, comincia lAbissinia; l8. termina dove il mar delle Indie prende il nome di mar della Cina. Quanto alle parti transequatoriali, supposte di piccola estensione in ampiezza, esse vengono collegate alle diverse sezioni del primo clima. Per comprendere il raggruppamento delle successive parti dellAfrica a sud dellEquatore nelle sezioni del primo clima, occorre non dimenticare che, secondo le concezioni geografiche dAl Idrisi, la costa africana aveva una forma molto diversa da quella che noi conosciamo e piegava verso Oriente, come se la direzione che si osserva tra lo stretto di Bab el Mandeb e il capo Guardafui venisse appena modificata, s da fronteggiare successivamente lArabia, lIndia, le isole Malesi e la Cina. Dovremo cercare sino alla 9. sezione le parti pi lontane del continente africano, e lestremit dello WaqWaq, che prosegue la costa del Sofala, si trova riportata sotto il mar cinese.67 Il presunto orientamento della costa modifica necessariamente la posizione delle localit. Essa ci fa apparentemente avanzare da ovest verso est, mentre il viaggio reale da nord a sud e a sudovest. Tuttavia occorre non dimenticare, nel leggere i testi, che la posizione duna citt talvolta indica-
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ta nella sua vera collocazione, a mezzogiorno della precedente, mentre la presunta direzione della costa esigerebbe che essa si trovasse ad est. Ci deriva senza dubbio dal fatto che la posizione relativa delle due citt era fornita in modo corretto dai viaggiatori, il che obbligava il geografo a superare la propria ipotesi sullorientamento generale del litorale. una contraddizione di cui lo scrittore sembra non accorgersi neppure. Nonostante il prolungamento del continente africano sino alle acque cinesi, il mare non cessa di avvolgerlo per congiungersi con lAtlantico. Il mare circostante, materia ( madda ) di tutti i mari, dice Kazuini, 68 lUqins (Okeans) dei Greci, dalle rive ignote, fa lintero giro della terra. LOceano forma a Oriente il mar della Cina, poi il mar delle Indie, da cui escono due immensi bracci, il mare di Fars (golfo Persico) e il mare di Qolzum (golfo Arabico); poi il mare tocca il paese dei Berberi, e si stende da Aden a Sofala degli Zengi; questo un mare evitato dalle navi, a casua dei gravi danni che vi si corrono. LOceano raggiunge le montagne di Qomr (o di Qamar, la Luna), ove il Nilo dEgitto ha le sorgenti, verso la terra dei Neri occidentali, e raggiunge le coste dellAndalus (Spagna). Stendendosi verso Nord, lOceano costeggia le regioni iperboree e raggiunge il mare Orientale.69 Verso Sud, lacqua del Mare Circostante spessa, perch il sole, dardeggiando con i suoi raggi direttamente e da pi vicino, fa evaporare le parti sottili dellacqua, il che la rende pi spessa e molto salata, molto calda e del tutto non navigabile.70 La denominazione dei mari varia a seconda dei geografi. A partire da Aden, loceano Indiano che costeggia lAfrica prende spesso il nome di mare degli Zengi. Supponendo che la costa si diriga verso Oriente, Istakhri
Ajib al Makhluqt, ed. Wstenfeld, pp. 104-105. Abul Fida (p. 12 del testo arabo) cita un passo del Qann dAl Biruni, cos concepito: Il mare del Mezzogiorno comincia dalla Cina e si dirige lungo lIndia, verso il paese degli Zengi... Lestrema parte che visitano le persone che navigano sul grande mare, verso occidente, Sofala degli Zengi. I navigatori non oltrepassano questo limite. La causa che il mare, dal lato Nord-Est, savanza verso la terra; essa vi penetra in diversi luoghi e le isole sono numerose. Invece dal lato Sud-Ovest, comle compensazione, il continente savanza nel mare. Quel luogo occupato dai neri dOccidente; si stende al di l dellequatore sino alle montagne di Qomr, ove nasce il Nilo. A partire da quel luogo, il mare savanza tra montegne e valli che salgono e scendono: lacqua vi si muove continuamente per il flusso ed il riflusso del mare. Ecco perch l non si naviga. Ci non impedisce al mare del Mezzogiorno di comunicare con loceano (Atlantico) attraverso quegli stretti passaggi e nello spazio che si trova al di dietro delle montagne del Sud. Vi sono prove sicure di tale comunicazione, bench nessuno se ne sia potuto assicurare con i propri occhi. (Ci siamo basati sulla traduzione di Reinaud, II, p. 15). 70 Ibidem, p. 21 del testo arabo; p. 34 della traduzione Reinaud.
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e Ibn Hawqal dicono che questo mare degli Zengi si allarga al punto che la traversata sino al paese degli Zengi di settecento parasanghe. 71 Per Kazuini, il mare degli Zengi bagna il paese dei Berberi e la sua estremit pi lontana si perde nel Mare Circostante.72 un mare terribile per le ondate gigantesche, i mostri marini e gli scogli, tale infine che Avieno ispirandosi, si dice, a qualche testo cartaginese dipingeva lOceano: Oceanus iste... orbis effusi procul circumlatrator,73 e quel mare delle Indie, in cui si trova limmensa Taprobane: Hac immensa patet, vastique extenditur oris/Undique per pelagus: latus autem protinus olli/Agmina cetosi pecoris, vaga monstra profundi,/Adiudunt: fervent Erythraei marmora ponti/Tota feris: haec, ut rigidi juga maxima montis,/Nubibus adtollunt latus omne, et terga tumescunt:/Instar in his rupis spinae tenor arduus adstat,/Molibus in celsis scrupus quoque creber inhorret./Ah! ne quis rapidi subvectus gurgitis unda/Haec in terga sali lembum contorqueat unquam:/Ah! ne monstrigenis, hostem licet, inferat aestus/Fluctibus: immodici late patet oris hiatus/Quippe feris, antro panduntur guttura vasto;/Protinus hac ipsas absorbent fauce carinas,/Involvuntque simul mox monstra voracia nautas.74 Nelle loro decrizioni atterrite, i cosmografi arabi sembrano talvolta essersi ispirati a questi versi del poeta latino. Dai loro quadri degli innumerevoli pericoli che rendono quei mari quasi inabbordabili, si dovrebbe supporre che mai nave di commerciante vi si avventuri volontariamente. I rubban, in effetti, ed i nakhoda, cio gli armatori di navi arabi e persiani, non si allontanano dalle coste. Sanno scegliere la stagione: non ignorano che loceano Indiano, tenebroso e violentemente agitato dallequinozio di primavera allequinozio dautunno, e soprattutto nel momento in cui il sole tocca il segno dei Gemelli, si rischiara e si calma quando lastro arriva al segno del Sagittario.75 Daltra parte hanno solo unidea molto confusa della configurazione di quella vasta distesa liquida. Qualcuno dice Moqaddasi lo compara a un tailessan, specie di velo portato dai Mollah, che, fissato al copricapo, scende sulla schiena. Qualcun altro vi vede la forma dun uccello il cui becco sarebbe a Qolzum (golfo di Suez), il collo nellIraq e la coda tra lHabasha e la Cina. Lo stesso scrittore aggiunge di averla vista raffigurata su un foglio, nel tesoro dun emiro del Khorassan, e su una fine stoffa di cotone presso un personaggio di Nisabur, e altrove. Il tracciato non era mai lo stesso.
ISTAKHRI, p. 28-29; IBN-HAWQAL, p. 37. 700 parasanghe = 3150 km. Ajaib al Makhluqt, p. 120. 73 Ora maritima, ed. Lemaire, vv. 390-391. 74 Descriptio orbis terrae, ed. Lemaire, versi 779-794. 75 Cfr. KAZUINI, Ajaib, p. 111.
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Un giorno ero con Abu Ali Ibn Hazim sulla riva di Aden, gli occhi fissi al mare. A che pensi? mi disse lui. Che Dio risposi protegga lo Sheikh. Sono preoccupato dei tracciati tanto diversi che si disegnano di questo mare. Voi, che siete limam dei mercanti, lo conoscete meglio di chiunque. Se vi piacesse descrivermelo, mi appoggerei sulle vostre parole e risolverei le mie incertezze. Ti sei imbattuto proprio egli disse in un uomo ben informato su questo argomento. Spian la sabbia col palmo della mano e vi tracci i contorni del mare. Il suo disegno non somigliava n a un tailessan n ad un uccello.76 Aggiungeremo per che, per quanto si possa giudicare dal vantaggio che ne trasse Moqaddasi, quel nuovo tracciato non avrebbe soddisfatto un geografo moderno pi delle bizzarre concezioni criticate dallo scrittore arabo. Lasciamo queste generalit sul mare delle Indie e veniamo alla descrizione del litorale africano che esso bagna. Il Bild ez Zenj abbiamo detto comincia alle frontiere dellHabasha, cio al territorio di Berbera. Per i geografi arabi, il Berbera abbraccia una considerevole estensione del continente, compresa tra il mare e una vaga linea ad Ovest del meridiano della stessa citt di Berbera. Si tratta della Barbaria dei geografi greci, e il mare che la bagna per Tolomeo il Barbarikos koltos, che, come si gi detto, mantiene quel nome sin oltre lequatore. Masudi ci informa che il popolo chiamato Berbera una trib degli Zengi;77 ma la popolazione fortemente mescolata con Abissini e lo scrittore arabo, nel parlare del Khalij o braccio del mare Barbarico che bagna il paese di Berbera, descrive il territorio come parte del paese degli Zengi e degli Habasha.78 Yaqt dice che i Berberi sono neri come gli Zengi e costituiscono una razza intermedia tra gli Zengi e gli Abissini.79 Abul Fida classifica ancora Berbera come paese degli Zengi,80 ma la regione dipende dai sovrani dellHabasha,81 che vi mantengono i loro porti commerciali. Sin dal sec. XIII della nostra era, la citt di Berbera era quasi interamente convertita allIslam; perci, dice Ibn Said, quel paese non forniEd. de Goeje, pp. 10-11. MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. 78 Ibidem, cap. X, t. I, p. 231. 79 Ed. Wstenfeld, t. IV, p. 602. 80 Geografia, testo arabo, p. 25. 81 AL IDRISI, 1. clim. 5. sez., p. 42.
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sce schiavi alle contrade musulmane,82 fatto certamente deprecabile, perch quegli schiavi erano molto belli; il geografo persiano Abd al Moal fornisce un dettaglio a tale proposito, che ha una certa importanza dal punto di vista etnografico: Erano preferiti dice a quelli della Nubia, dellEtiopia, o del Senega (?), perch tendono di pi al rosso, mentre gli altri tendono al giallo.83 Invece Yaqt dice che gli abitanti del Berbera sono estremamente neri, e che parlano una lingua che essi soli comprendono.84 Vivono di caccia. Nel loro paese si trovano animali straordinari, giraffe, rinoceronti, ecc. I cavalli di Berbera godono pure, sin da tempi antichi, duna grande reputazione presso gli Arabi. Il pi illustre tra gli autori delle Moallaqt, Imrul Qais, si descrive mentre immagina di cavalcare, al ritorno dal paese di Cesare (Giustiniano), su un nobile corsiero di Berbera, dalla coda tagliata, rotto alle corse notturne, magro, rapido, che morde il freno.85 Berbera oggi, come un tempo, un porto molto frequentato, in cui si recano i mercanti di Masqat, di Bahrein, di Bassora, di Bagdad e delle Indie;86 il mercato pi importante di tutta la costa dei Somali, al Nord.87 Vi si trovano tutti gli oggetti di commercio ordinario in Africa orientale: gomma arabica, mirra, incenso, oro, avorio, burro fuso, schiavi, cammelli, cavalli, asini e muli.88 Berbera lantica Malao, del Periplo del mare Eritreo.89 Lorigine del nome proprio Berbera, come quella di tanti altri popoli, del tutto ignota. Bruce pretende che Berber in origine significhi pastore;90 ma, poich attribuisce lo stesso significato ad una quantit daltri nomi di popoli africani e dimentica di riferire le sue fonti, si pu nutrire qualche dubbio sulla sua spiegazione. Leone lAfricano, altro etimologista dal valore molto contestabile, vede in Berber il raddoppio del termine bar, che significa egli dice deserto.91 Il dizionario etiopico di Ludolf non d
In ABUL FIDA, testo arabo, p. 159. DHERBELOT, Bibliothque orientale, alla parola Berbera, p. 102. Moqaddasi dice daltra parte (p. 242) che la peggiore razza di eunuchi quella dei Berberi che sono portati a Aden. Questo autore descrive con dettagli le operazioni subite dagli eunuchi. 84 Lexicon geographicum, testo arabo, ed. Juynboll, Leyda, 1859. 85 Divan dAmrolkais, ed. Slaue, p. 27 del testo arabo. 86 Cfr. GUILLAIN, Afrique orientale, t. II, p. 484. 87 Ibidem, p. 486. 88 BALBI, Gogr., p. 1239. 89 Cfr. le note che accompagnano ledizione pubblicata da Ch. MULLER, in Geographi Graeci minores, t. I, p. 264. 90 Voyage en Nubie, t. I, p. 440. 91 Altri sono dellopinione che Barbar sia un nome raddoppiato, perch bar in lingua araba significa deserto, e dicono che, al tempo in cui il re Ifrico fu sconfitto dagli Assiri o dagli Etiopi, e fugg verso lEgitto, mentre i suoi nemici continuavano ad
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altro senso al verbo barbara di quello di saccheggiare, rubare, e il sostantivo barbar tradotto con praedo, latro. Ci prova semplicemente che i Berbera erano sufficientemente celebri come ladri, perch il loro nome diventasse sinonimo di brigante e ladrone. Non bisogna pensare di determinare con una certa esattezza i limiti del territorio di Berbera. Politicamente, essi dovettero variare da un secolo allaltro. A met sec. XIV, secondo Ibn Battuta, la capitale, o almeno una delle sue citt principali, era Zeila,92 citt che Masudi, verso il 950, attribuiva per intero agli Abissini,93 e che Istakhri nota come loro unico porto di transito verso lo Higgiaz e lo Yemen.94 Ibn Said e Abul Fida la danno essi pure come un porto dellHabasha,95 ma possedeva una sorta dindipendenza ed era governata da un consiglio di sheikh, che senza dubbio pagavano tributo al Negus. Gi allora era un luogo di soggiorno estremamente sgradevole: crima bruciante, senza acque correnti, ma solo cisterne; niente giardini, verdure n frutti. Le navi di Qolzum vi importavano mercanzie destinate al commercio abissino e ne esportavano schiavi, argento, pochissimo oro. La religione islamica vi aveva fatto proseliti di buonora: la citt era musulmana sin dal tempo dAbul Fida. Quando la vide Ibn Battuta, il commercio era attivo e prospero, ma il celebre viaggiatore la descrive in modo molto negativo, come la citt pi sporca del mondo, la pi triste, la pi impestata, a causa delle quantit di pesce che vi si portano e del sangue dei cammelli che vengono sgozzati in mezzo alla via. Il territorio circostante era, egli dice, un deserto, esteso per due mesi di cammino. Gli indigeni, come in generale i musulmani della costa, professano il rito shafeita. Zeila lantico emporio di Avalites del Periplo. il punto pi settentrionale del nostro itinerario, da cui avremmo dovuto cominciare. Tra Zeila e il territorio di Berbera, Al Idrisi nomina qualche villaggio privo dimportanza: Manqbah, Aqant, piccolo porto in rovina ove approdano solo barche con poco carico e di tonnellaggio ridotto; Nqati, minuscola borgata costruita su una collina di sabbia, alla distanza di un tiro di freccia dal mare, poco freinseguirlo con vigore e poich non sapeva come resistere loro, pregava con fervore la gente di volergli offrire un consiglio in s imminente pericolo, sul partito che gli convenisse prendere, per trovare salvezza per s e per loro. Ma poich non potevano dargli risposta, essendo come sperduti, con voce confusa e sommessa esclamavano: El barbar! El barbar!, ossia: al deserto! al deserto!, volendo con ci dire che per la loro salvezza non cera altro possibile rifugio, che attraversare il Nilo e rifugiarsi nel deserto africano. (LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. I, p. 13). 92 IBN BATTUTA, t. II, p. 180. 93 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III; e cap. XLIII, t. III. 94 Ed. de Goeje, p. 36. Il passo riportato letteramlmente in IBN HAWQAL, p. 41. 95 Testo arabo, p. 161.
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quentata da stranieri, viste le sue scarse risorse, con nessunaltra industria oltre quella dellallevamento di cammelli; infine, otto giornate pi in l, Batta, il cui territorio confina con quello di Berbera.96 Il Berbera comprende molte citt o borgate; la prima Giuah, di cui il nostro geografo si limita a citare il nome. Da Giuah si raggiunge, in due giornate di navigazione, Qarfna, ove si eleva unalta montagna, allungata verso Sud.97 Qarfna costruita proprio in riva al mare, in una baia, dice Ibn Said; la prima citt del Berbera sulla costa delloceano Indiano.98 In Qarfna non si pu esitare a riconoscere lattuale Yerdefun, roccia che si eleva a settecento metri sul livello del mare e che ha dato il nome alla punta pi orientale del continente, un po meno elevata, posta tre o quattro leghe pi a Nord. A questultima, in effetti, i Portoghesi hanno dato il nome di capo Guardafui,99 mentre gli Arabi la chiamano Ras al Asir, capo dello Schiavo. Qui tutti i geografi concordano a collocare il capo degli Aromi, Aromata akrov kai emporion, di Tolomeo e del Periplo del mare Eritreo. Da Qarfna, andando verso Est (secondo la direzione attribuita alla costa, ma in realt verso Sud), tre giorni di navigazione conducono a Termah,100 che Abul Fida chiama Bermah.101 L si erge unalta montagna, notevole per le sue sette punte, la cui base si allunga nel mare a grande distanza. Il traduttore dAl Idrisi, Jaubert, che generalmente ha la mano maldestra per scegliere tra i diversi manoscritti usati la peggiore variante dei nomi propri, chiama quella montagna Khakui; ledizione di Roma e la versione dei Maroniti danno Khaquni, e la vera lezione, che si legge nel manoscritto dIbn Said, porta Gebel Hafuni, montagna di Hafun. Tale almeno il nome che ancora oggi gli Arabi danno alla penisola dalle sette punte, che sincontra dopo capo Guardafui, un po a nord del 10 parallelo. Essa ben nota ai viaggiatori, dice Abul Fida, che cita le sue sette teste e le attribuisce una sporgenza nel mare di 140 miglia,102 che, secondo Al Idrisi, si riduce pi esattamente a quarantaquattro. Molto tempo prima di Abul Fida e di Al Idrisi, Masudi conosceva quel nome di Hafun o Hafuni, che gli editori delle Praterie doro scrivono con
AL IDRISI, 1. clim., 5. sez., pp. 40-41 (JAUBERT scrive: Zalegh) e p. 180. AL IDRISI , 1. clim., 6. sez., p. 44. 98 ABUL FIDA, testo arabo, p. 151. 99 BRUCE vuole che si dica Gardefan. ANDREA CORDAL, nella sua seconda lettera, scritta nel 1517 a Lorenzo de Medici, scrive Guardafuni (LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. IV, p. 333). 100 AL IDRISI, 1. clim., 6. sez., p. 44. 101 Testo arabo, pp. 151 e 163. 102 ABUL FIDA, p. 156. Si tratta verosimilmente dun errore del copista.
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dj, g e pronunciano Giafuna.103 Il grande viaggiatore non fa alcuna allusione alla montagna a sette teste, ma parla delle terribile ondate contro cui i navigatori devono lottare in quei paraggi. I marinai dicono che le onde di Barbera e di Giafuna somigliano ad alte montagne; si chiamano onde cieche, intendendo con ci che dopo essersi gonfiate come montagne si affondano come valli, non si spezzano, non si coprono di schiuma come le onde degli altri mari. Essi le chiamano anche onde pazze, e quando sono al largo di questo mare, gli Arabi di Oman e di Azd, nel salire e scendere al ritmo di quelle ondate, cantano durante il loro lavoro: Berbera, Giafuna, quanto sono pazze le vostre ondate! Giafuna, Berbera, ecco le loro ondate! 104 Presso Ras Hafun, nella baia che lo segue, dobbiamo collocare lemporio di Opone, che il Periplo del mare Eritreo pone a 400 stadi dal promontorio, costeggiando la penisola. Non occorre sottolineare lanalogia di questi due nomi, Opone e Hafun. Presso le sette punte del monte Hafuni si trovano dei villaggi, detti El Hawiya.105 Questo nome designa ancor oggi unimportante trib di Somali, ma quella trib, in unepoca che non sapremmo fissare, si diffuse molto verso il Sud, poich a met del sec. XIII Ibn Said le d per capitale Merka, citt situata duecento leghe pi a Sud.106 Da Hafun a Merka, Al Idrisi conta tre giornate di viaggio per mare e sette per terra, valutazioni troppo ridotte che ci farebbero perdere nella ricerca della collocazione di tale citt, se essa non avesse conservato il suo nome sino ai nostri giorni e non figurasse sulle nostre carte, a 2 circa dallequatore. Tra Ras Hafun e Merka, Al Idrisi lascia un vuoto assoluto, che le carte pi recenti non colmano, almeno sino a Magadoxo, della quale stiamo per parlare. Tale assenza di nomi su un immenso territorio, comparabile per estensione al litorale atlantico della Francia, si spiega con lassenza di porti e di baie, capaci di accogliere una nave, e con lesistenza soltanto di un piccolo numero di cattivi ancoraggi, nei quali i marinai possono godere di una certa sicurezza solo durante certi periodi dei monsoni; 107 si tratta dellAzania dei Greci, della costa dAjan dei nostri cartografi, che la lasciaMASUDI, t. I. Questo brano, salvo la canzone dei marinai arabi, riprodotto quasi esattamente in Kazuini (Ajaib al Makhluqt, p. 120). Cfr. anche ABUL FIDA, pp. 25-26. 105 Jaubert legge Hajiya; i Maroniti scrivono Hawiya id est precipitium. La parola in effetti significa abisso, profonda cavit. Lattuale territorio degli Hawiya (Revoil scrive Hawea) comincia al capo detto Ras al Khil (cfr. Bull. de la Soc. Languedocienne de Gographie, 1879, t. III, p. 5). 106 ABUL FIDA, p. 163. 107 Cfr. GUILLAIN, t. II, cap. XI.
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no nuda come gli antichi; cos poco visitata daltronde dai navigatori moderni come dai commercianti arabi del medioevo. Questo nome dAzania, se vogliamo attribuirgli unorigine greca, come allAzania del Peloponneso,108 spiegherebbe la scarsa propensione dei marinai a frequentare una regione arida, infertile, inospitale. La prima stazione marittima, scendendo verso il Sud, Maqdeshu (Mogadiscio), che le carte portoghesi hanno usato chiamare Mogadoxo.109 Al Idrisi ignora persino lesistenza del nome, mentre Abul Fida fornisce su questa citt alcune informazioni, prese da Ibn Said. Essa sta sulla sponda del mar delle Indie; i suoi abitanti sono musulmani. Possiede un gran fiume che, per le sue piene estive, somiglia al Nilo dEgitto. Quel fiume esce dal lago di Kura, possa ad oriente presso Maqdeshu e va a gettarsi nel mar delle Indie. Secondo Ibn Said, esso costituisce il limite che separa il paese di Berbera dal paese degli Zengi. Ibn al Madj, di Mossul, cita Maqdeshu come una grande citt dello Zengi e dellHabasha.110 Il corso del Nilo di Maqdeshu, come talvolta lo chiamano i geografi arabi, descritto con molti errori da quegli scrittori, che si facevano unidea fortemente imprecisa della direzione delle coste. Gli attribuiscono una lunghezza di 2000 miglia, molto superiore al vero. Oggi quel fiume, conosciuto col nome di Webi Denoq, non arriva sino al mare, ma si perde nelle sabbie, ad una quarantina di leghe da Merka.111 singolare che Al Idrisi, che cita tante citt sulla costa africana, ben oltre il punto cui siamo pervenuti, non abbia fatto alcuna menzione di Maqdeshu. Non esisteva forse ancora al tempo in cui scriveva il geografo siciliano?
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Azania, locus in Peloponneso, ou panu poluudros, ideoque sic nominatus ab azo scilicet azaino, significante kheraino. Azania topos esti tes Arkadias leptogeos skleros kai akarpos peri on ponountes georgoi oudev komizontai . ( Thesauron , dHENRI ESTIENNE). La parte di costa compresa tra Ras Hafun e Ras al Khil detta dagli Arabi Berr al Khazain, terra delle cisterne, e da l GUILLAIN (t. I, p. 191) vuole trarre il nome di Azan o Ajan. Daltra parte, BRUCE (t. I, p. 249) dice che nella lingua degli Arabi pastori, Ajam significa: acqua di pioggia, e la costa sarebbe cos chiamata perch senza dubbio, priva di sorgenti, si conserva lacqua di pioggia in cisterne. Infine, SILV. DE SACY (Chrest. Ar., t. I, p. 455) spiega Ajan con larabo al Ajam, nome che si applica ai nomi stranieri alla razza araba. Berr al Ajam corrisponderebbe cos al significato del greco Barbaria. Ci che sembra verisimile, che lantico nome inteso dai Greci, quale che esso fosse, avesse una qualche somiglianza con Azania, il che spinse i navigatori a darle quel nome, che sembrava essere molto appropriato per la regione. 109 La pronuncia Maqdeshu segnata in Abul Fida (p. 160) come la indichiamo qui. In Ibn Battuta (t. II, p. 180), la vocale dopo la d fatha (a, ) anzich kesra (i, ) e, secondo gli editori, occorrerebbe pronunciare Maqdashau; YAQT (ed. Wstenfeld) scrive Maqdashu. 110 Cfr. ABUL FIDA, p. 161. 111 Cfr. GUILLAIN, t. I, p. 243.
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Mezzo secolo pi tardi Obeid Allah Yaqt, autore del Mojem al Buldn, il primo grande dizionario di geografia universale che sia mai stato scritto in alcuna lingua, non lha ignorata. Egli dice che una citt della frontiera del paese degli Zengi, sul territorio dei Berberi, al bordo del mare. I suoi abitanti sono Arabi purosangue, non Neri. Non hanno un re, ma dei preposti (muteqaddamn) che amministrano i loro affari. I mercanti vi vengono a comprare sandalo, ebano, ambra ed avorio, che sono i principali articoli di commercio locale, ma vi portano molti altri generi da vendere.112 In un altro punto, Yaqt dice ancora che Maqdeshu la citt pi celebre del paese degli Zengi, ma che gli abitanti sono Arabi che si sono stabiliti in quel paese (istautan tilk al bild). Essi formano diverse trib, ciascuna governata da uno sheikh.113 Pi dun secolo dopo lepoca di redazione del Mojem al Buldn, Ibn Battuta, nel 1330 o nel 1331, approd a Maqdeshu, provenendo da Zeila, dopo una traversata durata quindici giorni.114 Daremo estratti della sua relazione, quando parleremo dei costumi degli Zengi. Dal punto di vista puramente geografico, essa non aggiunge nulla a ci che precede. La citt allora sottoposta ad uno sheikh di sangue berbero, che intende e parla la lingua araba e fa professione dessere un buon musulmano. La citt immensa e contiene molte moschee. Per riassumere le informazioni fornite dagli scrittori arabi sulla storia di Maqdeshu, constatiamo che Al Idrisi, che scriveva verso la met del sec. XII, non ne fa alcuna menzione; Yaqt, nei primi anni del XIII, la nomina come una stazione commerciale fondata da Arabi musulmani; un po pi tardi, Ibn al Maj, di Mossul, le attribuisce lepiteto di grande, kebira, e Ibn Battuta, meno di centanni dopo, aggiunge il superlativo: mutenahiyat al kebir, la pi grande possibile. Aggiungiamo infine che Ibn Khaldun, negli ultimi anni del sec. XIV, dice che essa rigurgita di abitanti e che il suo stato di civilt quello della vita nomade, e vi si vedono molti mercanti.115 Tali fatti concordano abbastanza bene con ci che i Portoghesi poterono apprendere della storia di Maqdeshu da una cronaca araba trovata si dice a Quiloa (Kilwa), allepoca in cui questultima citt fu conquistata da dom Francisco dAlmeyda. Il testo di quella cronaca verosimilmente perduto per sempre, ma uno scrittore portoghese, Joo de Barros, contemporaneo della conquista, ne ha conservato la traduzione nella sua Storia dei Portoghesi nelle Indie, in quattro decadi. La fondazione della citt da parte
Ed. Wstenfeld, t. IV, p. 632. La parola adj, avorio, indica anche la scaglia di tartaruga. Ibidem, t. I, p. 102. 114 IBN BATTUTA, t. II, p. 180. 115 Prolegomena, p. 119.
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di Arabi emigrati dallAsia risalirebbe a unepoca di poco anteriore a Yaqt, forsanche a Al Idrisi; ma senza dubbio la nuova colonia non avrebbe assunto un serio sviluppo prima del sec. XIII e gli informatori del geografo siciliano potevano non saperne nulla. Una sola data, daltronde, ben sicura: quella della fondazione di una moschea che serve ancora al culto musulmano. Questa data segnata in uniscrizione sempre leggibile sul minareto e indica che la sua costruzione stata cominciata nel moharram del 636, ossia nel 1238 della nostra era. Si troveranno nel capitolo seguente alcuni dettagli sullindustria e il commercio di Maqdeshu nel medioevo. Nel 1500 Pedro lvares, che daltra parte non ha visto la citt, la considera una citt molto bella e ricca.116 Ai nostri giorni, essa non ha pi nulla del suo antico splendore e non conta pi di quattrocinquemila abitanti.117 Proseguiamo il nostro percorso lungo il litorale. Da Hafun, Al Idrisi ci ha condotti a Merka o Merkah. A due giorni da questa citt, nel deserto, dice che scorre un fiume soggetto a piene come il Nilo, lungo le cui rive si semina la dura.118 Quel fiume non altro che lo Webi Denoq o Nilo di Maqdeshu e non come crede Jaubert il Juba, che scorre circa cinquanta leghe pi a Sud e si getta in mare, mentre lo Webi Denoq, come si visto, si perde nelle sabbie.119 La distanza dalla citt al fiume deve essere ridotta a quattro o cinque ore di cammino.120
Navigations du capitaine Pierre Alvares; LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. IV, p. 395 sgg. 117 V. GUILLAIN, Op. cit. Qualche letterato indigeno ha immaginato per il nome della sua patria unetimologia che Guillain riporta in questi termini: Poco dopo larrivo dei musulmani nel paese, uno dei loro sheikh tra i pi venerati... che passava per essere ispirato da Dio, ebbe una visione: gli apparve una pecora colpita da una luce soprannaturale. Il luogo del miracolo fu da allora ritenuto santo, alla morte dello sheikh vi si pose la sua tomba, che divenne una meta di pellegrinaggi. Pi tardi vi si costru una moschea, il cui nome Megaad el shata (si legga Mesged esh-shat) ricordava la meravigliosa apparizione per la quale quel luogo era stato consacrato, e in seguito fu per estensione applicato allintera citt (t. II, p. 519). 118 1. clima, 6., p. 44-45. 119 Il Juba o Giuba chiamato Giub dagli Arabi e dagli indigeni Vumbo. verosimile che, nei loro passaggi relativi al Nilo di Maqdeshu, i geografi arabi abbiano confuso i corsi dei due fiumi. Cfr? GUILLAIN, t. I, p. 243. 120 GUILLAIN, I, 195.
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La testimonianza di Al Idrisi sembrata preziosa al comandante Guillain per dimostrare lesistenza di Merka allinizio del sec. XII. Ma una testimonianza pi antica fornita dalle Praterie doro, la cui redazione risale allanno 943 della nostra era. Masudi, infatti, quando parla delle regioni africane popolate dai discendenti di Kush, figlio di Kanaan, dice che un grandissimo numero di loro marciarono in direzione di Zagawah, di Kanem, di Merka e daltre regioni del paese dei Neri.121 Dunque Merka esisteva dal principio del sec. X e lautore arabo sembra indicare che il nome, se non la citt, risalga a unepoca ben anteriore. Si visto che Ibn Said nomina Merka come capitale degli Hawiya; ecco il brano, come lo riporta Abul Fida: Ad oriente di Khafuni (Hafun), in riva al mare, la citt di Merka. Gli abitanti sono musulmani. la capitale (qaida) di Hawiya, che possiede pi di cinquanta borgate. Si trova sulle rive dun fiume che deriva dal Nilo di Maqdeshu e si versa a due tratti di cammino ad oriente della citt; un braccio del fiume forma un gomito in direzione di Merka. Ad est di Merka si trova la citt dellislam, famosa nel circondario, di cui i viaggiatori hanno sempre il nome sulla bocca: intendo dire Maqdeshu.122 Dopo Merka, Al Idrisi nomina Nedja (Negia), alla distanza duna giornata e mezza per mare e quattro per via di terra; otto giornate la separano da Qarfuna o Qarnua. Abul Fida inserisce la stessa localit, col nome di Bedja, tra Qarfuna e Merka,123 ed aggiunge come unica altra notizia che Bedja nel paese di Berber e non bisogna confonderla col paese di Bedja (in Nubia), ove si trovano le miniere doro dEl Alaqi. Nedja dice Al Idrisi una cittadina in riva al mare ed lultima dipendenza del Berbera. Yaqt la chiama Nodjah e indica solo la sua posizione sulla costa, oltre Merka.124 A sei giornate di cammino da Qarfuna o Qarnua, sincontra un grande borgo molto popolato, Bezunah o Beduna, i cui abitanti si nutrono di rane, serpenti ed altre bestie ripugnanti. Sono Kafir, ossia non musulmani, come quelli di Qarnua. Il territorio di Beduna confina con quello degli Zengi, lungo la costa.125 Seguendo la direzione presunta della costa, Al Idrisi presenta tutta questa regione come se fronteggiasse lo Yemen del Nord, dal quale separata da un braccio di mare di seicento miglia, pi o meno, a seconda della profondit verso linterno delle terre dei vari golfi o della sporgenza dei capi verso il mare.
Cap. XXXIII, t. III, p. 2. vero che questo passaggio sembra accordarsi poco con la collocazione della nostra Merka, a oriente (del continente africano). 122 ABUL FIDA, p. 163. 123 Ibidem. 124 Ibidem, t. IV, p. 762. 125 AL IDRISI, p. 45.
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Ritornando a Beduna nella sezione seguente,126 il nostro geografo aggiunge alcuni dettagli. La citt (qui chiamata Meduna, Neduba, ecc., a seconda dei manoscritti)127 in rovina, quasi deserta, sporca e sgradevole. Gli abitanti mangiano, come si detto, rane, serpenti ed anche lucertole e ratti. Le conchiglie ed i pesci sono unaltra delle loro risorse. Hanno un modo singolare di pescare in mare. Muniti di piccole reti che sanno tessere con le erbe, e che si legano ai piedi, avanzano nellacqua e, quando sentono qualche pesce nella rete, ne chiudono limboccatura con nodi scorsoi e cordicelle che tengono in mano. Sono bravissimi in questo tipo di pesca e vi applicano unastuzia acquisita in lunga esperienza. Bench vivano in uno stato di bisogno e di profonda miseria, tuttaia quei popoli Dio ama coloro che risiedono nei propri focolari domestici sono soddisfatti della loro sorte e si accontentano di quanto hanno.128 Beduna sottoposta al governo degli Zengi. Partendo da quella citt e seguendo la costa, in un viaggio di tre giorni e tre notti si raggiunge la citt di Malenda, che appartiene agli Zengi. Prima di parlare di questa citt, che i Portoghesi hanno reso celebre sotto il nome di Melindi Malindi, occorre ritornare sui nostri passi per dire una parola duna localit ben nota, che Al Idrisi nomina appena e della quale non sembra conoscere la collocazione: Barawa, la Brava delle carte portoghesi. Tutto litinerario dal capo Guardafui a Malindi per il geografo siciliano estremamente confuso. Sembra impossibile determinare sul litorale la collocazione, anche approssimativa, delle citt che egli menziona e i cui nomi, sfigurati dai copisti, come provato dalle molte varianti, sfidano ogni riconoscimento. Limpiego abusivo del pronome della terza persona, cos fastidioso in lingua araba per la chiarezza dei testi, qui fa s che talvolta non si sappia a quale delle citt gi nominate occorra attribuire i dettagli che seguono. Forse nella descrizione che abbiamo fatto occorrerebbe fare di Meduna una localit diversa da Beduna, perch lautore sembra collocare Barawa tra le due. Il problema appare insolubile e non possiamo fermarci per questo. Barawa sulla riva del mare, allestremit del paese dei Kafir, popoli infedeli, che non adorano altro che pietre unte con olio di pesce. I Berberi e gli Abissini si dividono la sovranit sul paese.129 Abul Fida non parla di Barawa, non pi di nessun altro geografo arabo, a nostra conoscenza.130 Tuttavia Yaqt nomina, senza altra indicazione,
7., p. 55. Si pu dubitare che sia la stessa. 128 Tr. Joubert, p. 55-56. 129 AL IDRISI, p. 55. 130 NellAjib al Hind (p. 108) si indicano tre isole col nome Barawa, i cui abitanti sono antropofagi. Non sembra che nessun accostamento debba essere fatto tra quelle isole e la citt africana.
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Bawari e Mulenda, due citt vicine degli Zengi, che devono essere Brava e Malindi.131 La moderna Brava un cattivo porto, o meglio una semplice rada, la cui popolazione, mescolata di Somali e di meticci arabi, non supera i 5.000. Essa ha un tempo avuto i suoi giorni dattivit commerciale. Gli indigeni legano il suo nome a quello dun santo musulmano, Ali Brawa, che senza dubbio fu un apostolo dellIslam in queste contrade. Alktri, giocando sui nomi delle due citt vicine, Merka e Brava, dicono che Merka unalterazione dallarabo makar ingannare, agire da furbo, mentre Brava viene da barr essere pio e buono. Nasce il dubbio che gli abitanti di Merka accettino tali spiegazioni etimologiche.132 La cronaca di Quiloa, di cui abbiamo gi parlato, dice che Brava fu fondata da Arabi dei dintorni di Bahrein, sbarcati sotto la guida di sette fratelli. Allarrivo dei Portoghesi, la citt era ancora governata dai discendenti dei sette fratelli, e gli indigeni sono ancora oggi divisi in sette trib.133 Tra Brava o Beduna e Melenda, i geografi arabi non segnalano alcun punto dattracco, a meno che non si voglia riconoscere la Juba delle carte moderne (allo sbocco dun fiume importante, di cui abbiamo gi parlato) nella Jubb di Yaqt, citt vicina al paese degli Zengi, sulla terra di Berbera, dalla quale si esportano pelli di giraffe che servono in Persia a fabbricare scarpe.134 Queste poche parole dellautore del Mojem al Buldn non possono evidentemente servire di base a nessuna seria congettura. Passiamo dunque a Melenda. Al tempo dAl Idrisi, essa era gi una citt importante degli Zengi, posta in riva al mare, alla foce dun fiume. Gli abitanti si dedicano egli dice alla caccia e alla pesca. A terra cacciano il leopardo ed altri animali selvatici; dal mare traggono diversi tipi di pesce, che salano e dei quali fanno commercio. Possiedono e sfruttano miniere di ferro, che commerciano ed per loro la principale fonte di benessere.135 Ecco poi che cosa riferisce Abul Fida:136 Melenda una citt degli Zengi; a ponente di essa c una grande baia ove si getta un fiume uscito dallo Gebel al Qomr (dai Monti della Luna). Sui bordi del golfo, gli Zengi hanno numerose abitazioni.137 A Sud stanno quelle di Qomr. Ad oriente delOp. cit., t. I, p. 485. Cfr. GUILLAIN, t. III, p. 168. 133 GUILLAIN, t. I, p. 175, 176. 134 Ed. Wstenfeld, t. II, p. 17. Giubb aggiunge lautore al plurale Gebb, indica un pozzo solamente scavato, privo di sostegno in muratura al proprio interno. 135 Tr. Jaubert, p. 56. Mi permetto qualche modifica. Per esempio, traduco nemr con leopardo anzich tigre: in Africa non ci sono tigri. 136 Testo arabo, p. 152. 137 Anzich kebirat (grandi), come riporta il testo arabo di Reinaud, io leggo kethirat (numerose).
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la citt si eleva il Kharani, montagna ben conosciuta dai viaggiatori, che sporge per circa cento miglia nel mare, in direzione di nordest, e si stende sul continente in linea retta verso Sud, sino a circa cinquanta miglia. singolare il fatto che la parte sul continente di quella montagna comprenda una miniera di ferro e la parte che sta sul mare contenga la pietra di calamita (magnetite), che attira il ferro. Malindi era ancora florida quando i Portoghesi vi approdarono alla fine del sec. XV, al comando di Vasco da Gama. Il capitano Pedro lvares, inviato dal re del Portogallo Dom Emmanuel, che percorse tutta questa costa dal capo di Buona Speranza, fu ricevuto meravigliosamente bene e con feste a Malindi dal re moro nel 1500.138 Oggi la citt in rovina. Parleremo in seguito dei Moqnef o incantatori di Malindi. Dopo Melenda viene Mombasa, altra citt celebre nella storia della conquista portoghese. Al Idrisi valuta la distanza tra le due citt a due giornate di viaggio; sono giornate ben corte, perch la distanza reale non supera le sessanta miglia marine. Ma le valutazioni dEdriisi sono quasi sempre molto inesatte, ora fortemente ridotte ed ora stranamente esagerate; occorre attribuirvi, in generale, unimportanza minima. Mombasa appartiene agli Zengi.139 Bench piccola, essa serve da residenza al re degli Zengi. Quel principe ha una guardia composta solo di uomini appiedati, perch i cavalli non possono vivere in quel paese. Gli abitanti, come quelli di Melenda, si occupano della caccia ai leopardi (o pantere) e dello sfruttamento delle miniere di ferro. Hanno dei cani di colore rosso, capaci di lottare vittoriosamente contro ogni sorta di belve feroci, persino contro i leoni. La citt presso il mare, sui bordi duna grande insenatura che permette alle navi di risalire verso linterno delle terre per un percorso di due giornate.140 Le rive di quellinsenatura sono deserte. Gli indigeni temono di stabilirsi col a causa della moltitudine di animali carnivori che errano nelle foreste vicine; ma vi si recano per cacciarli e trarre profitto dalle loro spoglie.141 Vedremo infatti che le pelli di leopardo sono uno dei principali generi di commercio di questa regione. Abul Fida stima un po pi esattamente lintervallo che separa Melenda da Mombasa; lo valuta a un grado (di venticinque parasanghe).142 A ponente
LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. IV, pp. 395 sgg. YAQT la chiama Menbassa e ne dice una sola frase: grande citt del territorio degli Zengi, in cui approdano le navi. (Op. cit., t. IV, p. 656). 140 Si tratta del Pemba Channel, che separa la terraferma dalla catena di isole coralline, comprendenti Pemba e Zamzibar (N.d.T.). 141 AL IDRISI, p. 56-57. 142 Ricordiamo che una parasanga = 4,5 km circa, e dunqeue 25 parasanghe = 130 km circa (N.d.T.).
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di Mombasa si trova un gran golfo di cui parla Al Idrisi; le navi vi penetrano sino a trecento miglia dallimboccatura. Poi comincia il Mefaza, posto tra lo Zengi e Sofala.143 Mefaza significa propriamente luogo pericoloso e si rischia di perdervi la vita, per estensione un deserto privo dacqua. Una tale interpretazione sarebbe qui molto fuori luogo, ma si pu anche interpretare la parola adottata da Abul Fida come lespressione sommaria del passo dAl Idrisi relativo alle bestie feroci che rendono inabitabili le sponde del golfo. Ibn Battuta, venendo da Maqdeshu, visit Mombasa, sulla quale fornisce i seguenti dettagli. Mombasa una grande isola, a due giornate di navigazione dalla costa dei Swahil. Non possiede alcuna dipendenza sul continente. I suoi alberi da frutta sono il banano, il limone verde, il limone. Vi si trova anche un frutto detto Giammn (djambou, giamb), simile alloliva, con un nocciolo simile, ma dal sapore molto dolce. L non si semina; le granaglie sono portate dai Swahil. Il nutrimento principale costituito da banana e pesce. Gli abitanti sono sciafeiti, pii, casti e virtuosi. Le loro moschee sono solidamente costruite in legno. Alla porta di ciascuna di esse si vedono uno o due serbatoi, profondi uno o due cubiti, da cui si estrae lacqua (per le abluzioni) con una coppa di legno, munita dun manico lungo un cubito. La terra intorno al pozzo della moschea livellata con cura. Tutti coloro che desiderano entrare si lavano prima i piedi; sulla porta c un pezzo di stuoia grossolana, per asciugarsi. Per fare le abluzioni, si tiene la coppa tra le cosce e ci si versa lacqua sulle mani. Vanno tutti scalzi.144 Melenda e Mombasa sono, secondo Al Idrisi, i punti della costa in cui gli Zengi comprano e vendono. Vi portano tutte le derrate a dorso duomo o sulla testa, perch mancano completamente di animali da soma.145 Un navigatore del nostro secolo assicura che il doppio porto di Mombasa il pi bello dellAfrica orientale; tuttavia la citt moderna poco fiorente. Non vi si contano pi di 3.000 abitanti, Swahili o Arabi pi o meno mescolati con sangue indigeno.146 Certe tradizioni fanno risalire larrivo della religione musulmana a coloni originari di Shiraz.147 Qui devessere situata la citt di Lamu, sconosciuta ai geografi precedentemente citati, ma menzionata accidentalmente dallo storico Abul Mahasin, che scriveva nella seconda met del sec. XV. Lamu egli dice una citt del paese degli Zengi, sulla sponda del mare di Berbera, circa venti giornate di marcia ad ovest di Maqdeshu. Ora essa quasi completamente sepolta
ABUL FIDA, p. 152. IBN BATTUTA, t. II, pp. 191-192. 145 1. clim., 7. sez., p. 58. 146 GUILLAIN, t. III, pp. 230-237. 147 Ibidem, t. I, p. 239.
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nelle sabbie, che si accumulano a diverse bracia daltezza.148 Il mare vi getta spesso pezzi dambra grigia che il re fa raccogliere; vi si trov un giorno un pezzo che pesava milleduecento libbre. Questo cantone procude banani di diverse specie; se ne distingue soprattutto uno il cui frutto lungo un cubito. Gli abitanti fanno candire la banana e ne traggono un liquore che si conserva per pi dun anno.149 Lamu, ai giorni nostri, ha conservato il proprio nome. unisola presso la costa, a 58 leghe a nord di Pemba, a 80 da Zanzibar; si voluto identificarvi una delle isole Pyralaon del Periplo del mare Eritreo.150 Il suo porto accoglie sempre un certo numero di navi straniere. Superando un tratto che valuta per mare a una giornata e mezza (centocinquanta miglia, nella traduzione Jaubert) e a sei giornate per via di terra, Al Idrisi ci conduce ad una grande e popolosa citt di nome El Bnas o El Byas.151 Gli abitanti hanno un idolo singolare: un tamburo detto er rahim o er ragim, grande come una botte,152 coperto di pelle su un solo lato, al quale appesa una corda con cui si suona il tamburo stesso. Ne risulta un terribile rumore, che si pu ascoltare a circa tre miglia di distanza. L terminano i possedimenti degli Zengi, e poi comincia il Sofala. El Byas la citt citata da DHerbelot sotto il nome di Bais, una delle pi popolate e delle pi ricche di commercio di questa costa, come egli dice, seguendo il Messahat al Ard.153 Da questa citt si raggiunge Tuhna con un percorso in mare dun giorno e mezzo; ma per via di terra il viaggio di otto giorni, a causa dun gran golfo che separa le due localit, sincunea a Mezzogiorno e impedisce di arrivare direttamente. Tra le due citt si eleva nel mare unalta e ampia montagna detta adjrad, i cui fianchi su tutti i lati sono erosi dai flutti, che vi battono contro in un tumulto terrificante. Quella montagna attira i viaggiatori
Certe parti di Maqdeshu sono nelle stesse condizioni (Ibidem, t. I, p. 299). Cfr. QUATREMRE, Mmoire historique et gographique sur lEgypte, t. II, pp. 188-189. 150 GUILLAIN, t. I, p. 104. 151 1. clim., 7. sez., p. 57. 152 Jaubert non ha saputo leggere n interpretare il termine al buttiya, botte, che manca dei dizionari e che stato spiegato da Dozy nellintroduzione al frammento dAl Idrisi sul nord Africa e la Spagna, pubblicato in collaborazione con de Goege (Leyda, 1864, p. XI). 153 Bibl. orient., p. 179.
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che si avvicinano, e perci i naviganti hanno cura di tenersene lontani.154 Abul Fida non dice nulla di Byas o Bnas; passa da Mombasa alle citt di Sofala, e la prima di queste chiamata, secondo i manoscritti citati dalleditore del testo arabo, Betina o Benina.155 Ingannato dallapparente analogia dei nomi, Guillain si sforza di stabilire lidentit di questa Benina con la Bnas dAl Idrisi (Bans nella traduzione Jaubert). Diverse circostanze lo disturbano e specialmente quella che Bans data da Al Idrisi come una citt degli Zengi, mentre la Benina dAbul Fida una citt del Sofala.156 Il saggio e coscienzioso scrittore avrebbe evitato tale dissertazione se, conoscendo la scrittura araba, avesse potuto notare lestrema differenza grafica che esiste tra i due nomi. Non si sarebbe invece potuto non accorgere che la differenza tra tuhna (Tohnet nella trascrizione di Jaubert, Tahana in quella di DHerbelot)157 e Betina o Benina si simita a qualche spostamento di punti con una leggera modifica nella lunghezza delle gambe dei caratteri. Inoltre, in unespressione come tusamma bi Tuhna (si chiama Tuhna), il prefisso bi si potuto facilmente scambiare per una parte integrante del nome della citt, cos trasformato in Betuhna, Betina. Lassimilazione delle due localit tanto pi naturale per il completo accordo nei dettagli. Betina, citt del Sofala dice il Principe dei geografi allestremit dun grande golfo che affonda nelle terre. Ad occidente di Betina, rivolta verso nordest, si trova Ajrad, una montagna che si allunga per cento miglia nel mare, e contro la quale le onde provocano un gran tumulto. Cos come Byas lultima citt dello Zengi propriamente detto ai confini con Sofala, cos Tuhna o Betina confina con lo Zengi e d inizio al Sofala. Sarebbe stato dunque il grande golfo posto tra le due citt, a quellepoca, a formare la linea di frontiera tra i due paesi. Qual questo golfo e a quale stazione moderna della costa siamo giunti? ci che prenderemo in considerazione tra poco. Ma innanzitutto che ne , in questo elenco, della citt di Zanzibar, lunico punto della costa africana che abbia conservato sino ai nostri giorni il ricordo del nome degli Zengi? Quel punto viene sicuramente oltrepassato quando si va da Mombasa a Tuhna. N Al Idrisi n Abul Fida segnalano sul litorale alcun porto che si
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Il nome di quella montagna Agid secondo Jaubert, Agiurd secondo DHerbelot. Noi preferiamo Adjrad o meglio Agiarrad che in arabo significa stridulo, rumoroso, come allusione al tumulto dei flutti che battono i suoi fianchi. Hartmann (Edrisii Africa, p. 101) suppone che la montagna, nel pensiero dello scrittore arabo, attiri le navi perch racchiude un giacimento di magnetite. Il testo non esclude n conferma in alcun modo tale ipotesi. 155 ABUL FIDA, p. 152. 156 GUILLAIN, pp. 248, 252 e sgg. 157 Bibl. orient., p. 69.
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possa assimilare alla capitale dello Zanghebar, oggi il centro politico e commerciale pi importante dellAfrica orientale. vero che Zanzibar unisola, separata dalla terraferma da un canale della larghezza media di ventun miglia,158 e che il nostro itinerario sino a qui ha seguito il litorale del continente. Tra le diverse isole del vicino oceano, confusamente descritte dal geografo siciliano, nessuna potrebbe essere presa per lisola di Zanzibar. Si pu dire lo stesso delle isole elencate da Abul Fida. Bakui e Yaqt ne nominano una che converrebbe meglio, tanto per il nome che per i brevi dettagli che accompagnano la menzione. Leikhna, Bangiya o Lengiya (tutti nomi graficamente molto vicini, nella scrittura araba) una grande isola del paese degli Zengi, in cui risiede il loro re. Vi approdano navi di tutti i paesi. Vi si vedono vigne che portano frutti tre volte lanno.159 Ebbene, lisola di Zanzibar, nella lingua degli indigeni Swahili, si chiama Anguya.160 Daltra parte, Yaqt aggiunge che gli abitanti sono stati portati in questisola da unaltra di nome Tambat, i cui abitanti sono musulmani, e Guillain, molto a proposito, segnala a nordovest di Zanzibar unisola pi piccola che si chiama proprio Tombat, sulla quale gli Arabi hanno avuto a lungo un forte.161 Mi sembra che vi siano abbastanza coincidenze per permettere lipotesi di unidentificazione di Lengiya con Zanzibar. Sappiamo dalle relazioni nautiche che talvolta difficile lapprodo a Zanzibar per le navi a vela, se il vento non favorevole, a causa duna forte corrente del sud che domina lungo la costa.162 Perci forse, o per ragioni politiche che ci sfuggono, questo porto, nei sec. XII e XIII, era poco frequentato, per cui n Al Idrisi n Abul Fida danno alcuna informazione su di esso. Tuttavia vi giungevano navi provenienti dallEgitto sin dal principio della nostra era, se, come vogliono i nostri moderni sapienti, Zanzibar non altro che lisola Menuthias del Periplo. Nei primi anni del sec. XIV, Marco Polo parla de lisola di Zanchibar in cui si fa molte mercatanzie e molti mercanti vi recano e portan. Ma si tratta qui veramente dellisola di Zanzibar, o dellintera costa degli Zengi? Questultima ipotesi sembra la sola accettabile se si pensa che il viaggiatore veneziano qualifica Zanchibar come unisola grande e bella che gira bene duemila miglia.163
GUILLAIN, t. II, p. 59. BAKUI, in DE GUIGNES, Notices et extraits, t. II; YAQT, ed. Wstenfeld, t. IV, p. 366. 160 Anguya o Angguja, in lingua swahili, significa attendi. Il nome indigeno di Zanzibar sarebbe dunque sinonimo di stazione. 161 GUILLAIN, t. I, p. 277. 162 Ibidem, t. II, p. 2. 163 MARCO POLO, Il Milione, cap. 187.
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Allepoca in cui fu visitata da Vasco da Gama, al suo ritorno dalle Indie (1499), Zanzibar era popolata di Cafri e Mauri, ossia Znegi ed Arabi. Vi si faceva gran commercio di scaglia di tartaruga, dambra, davorio, di cera, di miele e di riso. Vi si fabbricavano anche buone stoffe di seta e di cotone e corde in fibre di cocco.164 Superata Zanzibar, ritorniamo a Tuhna. Le valutazioni di distanze fornite da Al Idrisi sono cos poco sicure che non se ne pu trarre alcun partito per fissare la posizione delle citt che egli nomina. La ricerca di Byas e di Tuhna sulla costa, nonostante le speciali circostanzedun grande golfo e duna montagna battuta da onde rumorose, rimasta un problema insolubile. Si tenta invano di risolverlo; di tutti i tentativi non rimane che lincertezza assoluta.165 Quel golfo la foce dellUfigi (Rufigi) o del Rovuma, non lontano da capo Delgado? Le carte indicano una localit col nome di Tunghe (Tungue), un poco a sud di quel capo; ma quale fondamento si potrebbe cercare per un accostamento in tale vaga somiglianza di appellativo? Siamo a nord o a sud di Quiloa? Sfortunatamente, questultima citt di Quiloa, certamente gi importante sin dal sec. XII, non figura nella descrizione del geografo siciliano, n in quella di Abul Fida. La si trova tuttavia citata al suo posto, in ordine alfabetico, nel Mojem al Buldn, anteriore di quasi un secolo al Taquim del principe di Hamat, ma con questa semplice indicazione: Kilwa, localit del paese degli Zengi.166 Lasciamlo dunque Byas e Tuhna e proseguiamo il viaggio verso Sud. Se i geografi sopra citati non ci dicono nulla di Quiloa, Ibn Battuta, senza essere molto esplicito, fornisce almeno qualche dettaglio sulla citt, nella quale soggiorn, al termine del suo viaggio verso Mezzogiorno, nel mare degli Zengi. Kulwa, come egli la chiama, una grande citt sul litorale, i cui abitanti sono per la maggior parte Zengi, dalla pelle estremamente nera. Citt delle pi belle e meglio costruite, ha le case tutte di legno con tetti coperte da una specie di giunco, chiamato Dis. Vi cadono abbondanti piogge. Vi si professa lislamismo, secondo il rito shafeita. Non lontano di l abitano Zengi indipendenti e idolatri, contro i quali il sultano di Kulwa compie frequenti incursioni; ma da buon musulmano non dimentica di prelevare la quinta parte del bottino proveniente dalle razzie, per dedicarlo alle spese prescritte dal Libro Divino.167 Ritorneremo sui fatti e le gesta di quel principe, quando parleremo dei costumi degli Zengi.
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Koprah, N.d.T. Si possono vedere a tal proposito le dissertazioni di GUILLAIN, t. I, p. 212, 252 e sgg. Ignoro se si sia cercato un accostamento tra Tuhna e lemporio Tonice, che Tolomeo colloca non lontano da Rhapta. 166 Ed. Wstenfeld, IV, p. 302. 167 IBN BATTUTA, t. II, pp. 192 sgg.
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Eccoci giunti al territorio di Sofala, che gli uni separano nettamente dal Bild ez Zenj, mentre altri ne fanno un semplice annesso. Dopo Tuhna, Al Idrisi nomina Hantama (secondo il testo di Roma) o Gentama (secondo Jaubert) e Dendema, due borgate separate da un intervallo di due giornate per mare o sette per via di terra. In questintervallo si trovano villaggi e accampamenti simili a quelli dei Beduini. Poveri e miserabili, gli abitanti non hanno altre risorse che lo sfruttamento delle miniere di ferro delle loro montagne. Navi delle isole del Zbej o Znej vengono a caricare questo ferro, per portarlo in India, ove la vendita molto vantaggiosa. Dendema comunque una delle principali citt del Sofala.168 I Dendema o Demdem (al plurale Demadim) sono un popolo noto ai geografi arabi. Masudi li nomina con gli Zengi tra le razze nere,169 non senza stabilire una distinzione netta tra i due popoli.170 Anche Ibn al Wardi colloca la terra dei Demadim presso lo Zengi. Presso di loro dice il Nilo si divide in due rami, uno dei quali va verso lEgitto e laltro verso il paese degli Zengi. Vi abbondano le giraffe.171 Dendema figura nel quadro delle citt delle quali Abul Fida fornisce le coordinate geografiche. Ibn Said chiama i Demdem i Tatari dei neri,172 probabilmente a causa del loro umore conquistatore e devastatore. Nessun altro autore, oltre ad Al Idrisi, presenta Dendema come una citt in riva al mare, e si potrebbe credere che questo geografo abbia voluto indicare non lOceano, ma un fiume grande come il Nilo, se non avesse aggiunto al termine bahr (mare o anche grande fiume) laggettivo malih (salato), che non pu lasciare alcun dubbio. Yaqt cita un verso in cui si parla delle pianure deserte di Demdem (Sahri Demdem) e aggiunge semplicemente che Demdem una localit.173
1. clim., 8. sez., pp. 45-46. MASUDI, Praterie doro, cap. VII, t. I. 170 MASUDI, Praterie doro, t. III. 171 Ed. Hylander, p. 174. Qui il traduttore ha commesso una svista singolare: confondendo Zurafa (giraffa) con Zarafa (tubo), egli traduce: Ductibus aquarum haec regio est frequens. 172 ABUL FIDA, p. 163. 173 Mojem al Buldn, vol. II, p. 587. 174 Cfr. in GUILLAIN, I, p. 232-233, una nota di Loarer sulle alluvioni dello Zambesi. Anche Hartmann assimila Seyna a Sena. 175 Jaubert ha letto Gentama, ma il testo arabo di Roma porta a ragione Gesta.
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IX Il Sofala
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Altre tre citt, secondo Al Idrisi, appartengono alla terra di Sofala, ossia: Seyuna, Bukha e Gesta. Seyuna a tre giornate per mare da Dendema, a venti giorni via terra, a causa dun ghobb o estuario molto considerevole che si stende verso Sud e impedisce di compiere il percorso in linea retta. Bench abbia una mediocre estensione, Seyuna un centro di commercio piuttosto importante, poich la sua popolazione comprende non solo Zengi ed altri popoli africani, ma anche degli Ind. Le navi vengono ad approdarvi, risalendo la baia sulla cui sponda la citt costruita. Il sovrano del paese vi soggiorna con un esercito di fanti, senza cavalieri, perch non vi sono cavalli. Seyna potrebbe essere la moderna Sena, situata su un ramo dello Zambesi, a circa trenta leghe dal mare. In generale, la situazione delle antiche localit di questa costa, intorno alla foce dello Zambesi, tanto pi difficile da riconoscere, poich il litorale ha subito profonde modificazioni, come tanti altri delta, a causa degli apporti alluvionali di quel grande fiume, durante un periodo di seisette secoli.174 La collocazione di Seyna sullo Zambesi non sarebbe in disaccordo col resoconto di Abul Fida: Essa si trova egli dice su un grande golfo (khr) ove sbocca il fiume che scende dallo Gebel al Qomr. Da Seyna a Bkha, Al Idrisi conta tre giornate. Bkha sulla sponda; una giornata per mare la separa da Gesta;175 per via di terra, il viaggio di quattro giorni. Abul Fida tace a proposito di queste due citt. Al Idrisi non dice niente di pi su Bkha di quanto abbiamo appena letto. Quanto a Gesta, una citt di scarsa importanza, su una grande baia in cui le navi possono entrare. Gli abitanti hanno un poco di dura, mangiano tartarughe di mare e molluschi. La loro principale risorsa e loro unica industria consiste nello sfruttamento delloro, che vi si trova in abbondanza. Sprovvisti di navi e di animali da soma, sono obbligati a portare essi stessi iloro carichi, prestandosi mutuo soccorso. Le genti di Qomr e i mercanti del paese di Mahrage vengono a trafficare presso di loro e vi sono ben accolti.176 Queste genti di Qomr, di cui parla Al Idrisi, a mio avviso sono Ind (del capo Comorino), e quelli di Mahrage sono abitanti dellarcipelago malese. Infine, come ultima citt di Sofala, il geografo siciliano nomina Daghta, anchessa situata su un grande golfo, a tre giorni e tre notti per mare da Gesta. Gli indigeni sono nudi: gli uomini si coprono con le mani allavvicinarsi dei mercanti stranieri; quanto alle donne, la loro nudit impedisce loro di mostrarsi. Loro, sul territorio di Daghta, pi abbondante che in ogni altro luogo di Sofala.177
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Secondo lautore del Taquim al Buldn, Daghta non solo lultima citt del Sofala, ma anche lultimo luogo abitato del continente cui appartiene.178 Al Biruni, che egli cita altrove, si accontentava di dire che i navigatori non si spingono pi lontano, a causa della direzione della costa.179 Ibn Said colloca Daghta al piede del Gebel en Nedama (Montagna del Pentimento), che rimane a Nord. A Nord della citt c un golfo, in cui si getta un fiume che scende dalle montagne di Qomr, e che si dice abbia la stessa origine di quello di Seyna.180 Anche Dimashqi parla, in termini piuttosto confusi, dun paese e dun mare di Daghta.181 Negli estratti che precedono, si potuto notare che nulla si riferisce ad una citt che rechi il nome proprio di Sofala. N Al Idrisi, n Ibn Said, n il loro compilatore Abul Fida, citano una citt di tal nome. Yaqt pi preciso su questo punto: Sofala egli dice la citt (medina) pi lontana del paese degli Zengi.182 Molto pi tardi, Ibn Battuta ne dice anche una parola di sfuggita. Durante il suo soggiorno a Kulwa, un mercante gli disse che la citt (medina) di Sofala era situata a mezzo mese di viaggio da Kulwa e a un mese di viaggio da unaltra citt chiamata Yfi (Nfi o Tfi), nel paese dei Limiyin, da dove si porta il tibr o polvere doro a Sofala.183 Forse quei Limiyin avevano una qualche parentela razziale con i neri di Kulwa, poich il viaggiatore marocchino dice che questi, per lo pi Zengi, come egli aveva constatato, portavano sul viso incisioni o tatuaggi (sheratt) simili a quelle dei Limiyin di Genada (Genara o Genawa).184 Sofala solitamente indicata dagli scrittori arabi come Sofala degli Zengi o Sofala delloro (Sofalat ed dhahab o Sofalat et tibr). Questo attributo serve a distinguere la citt africana da una omonima posta in India, detta pi esattamente Sufara o Subara.185 Il nome di Sofala sembra arabo. Ogni volta che una montagna si stende lontana sotto le acque, dice
Testo arabo, p. 152. Ibidem, p. 12. 180 Manoscritto n. 1095 del supplemento arabo della Bibliothque Nationale, folio 7 (cit. in GUILLAIN, I, 251). 181 Testo arabo di Mehren, pp. 148-149. 182 Mojem al Buldn, III, p. 96. 183 T. II, pp. 192-193. 184 Lo stesso scrittore dice pi oltre (t. IV, pp. 395-396) che Yfi o Nfi uno dei paesi pi considerevoli del Sudan sulle rive del Nilo (dei Neri: il Niger), ove non andato, perch i bianchi non possono penetrarvi: sarebbero uccisi prima di arrivarvi. Nel paese di Nfi perse la vita lesploratore Hornemann, al principio del nostro secolo (cfr. WALCKENAER, Recherches gographiques sur lintrieur de lAfrique, p. 504). 185 Cfr. Ajaib al Hind, nota 81, p. 189.
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Masudi,186 nel Mediterraneo le si d il nome di Sofala. Tale la Sofala che, dal luogo noto col nome di costa di Seleucia, nel paese di Rum, si stende sotto il mare in direzione dellisola di Cipro, e sulla quale tante navi greche sono naufragate e si sono perdute. Dunque Sofala indica propriamente un basso fondale.187 Al tempo della conquista portoghese, Sofala era vassalla di Quiloa. Era stata visitata alla fine del sec. XV, qualche anno prima della scoperta del capo di Buona Speranza, da P. de Covilham, che vi sbarc andando dallIndia a Aden, ove era incaricato duna missione per conto del re del Portogallo presso il sovrano dAbissinia. Su quanto si sapeva al principio del sec. XVI, si possono vedere le Decades di Joo de Barros.188 I geografi moderni dicono che Sofala era soltanto un gruppo di capanne difese da un piccolo forte,189 forse lo stesso che era stato costruito nel 1506 da Pedro de Nhaya.190 Noi riteniamo, con DAnville,191 Bruce,192 Robertson,193 Quatremre,194 Guillain,195 ecc., che lanfica Ophir, da dove le navi inviate da Salomone riportavano ogni tre anni oro, argento, avorio, scimmie e tukiim,196 deve essere fissata sulla costa di Sofala. Alla fine del suo cenno sulla costa di Sofala, Al Idrisi aggiunge che quella contrada tocca il paese degli WaqWaq, del quale nomina tre localit: Deru e Nebhena, citt povere e mal popolate, a causa della rarit dei generi di sussistenza e della scarsit di risorse in generale, e Daghdagha, grande borgata, poco lontana dalla precedente. I locali sono neri, di orribile figura e corporatura deforme; la loro lingua una specie di fischio. Vanno del tutto nudi e sono poco visitati (dagli stranieri). Vivono di pesce, molluschi e tarMASUDI, Praterie doro, cap. XVI, t. I. In Arabia c una citt che Niebuhr chiama Dulsofal, nel dipartimento di Taaz (Description de lArabie, t. II, p. 78). Silv. de Sacy la chiama Dhul-Sofala, seguendo uno storico arabo del sec. XVI (Notices et extraits, t. IV, p. 525). 188 Cfr. GUILLAIN, t. I, pp. 337 sgg., nota. 189 BALBI, Gographie, p. 1138. 190 Cfr. DAVEZAC, Afrique, p. 36. 191 Mmoires sur Ophir, nella collezione dellAcadmie Royale, t. XXX, pp. 83-93. 192 Voyage en Nubie, t. I, cap. IV. 193 Recherches historiques sur lInde, 1792, t. I, p. 13. 194 Mmoires sur Ophir, 1845. 195 T. I, pp. 10 e sgg. 196 Rois, III, cap. X, pp. 11-22.
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tarughe.197 La lettura di tutti questi nomi molto incerta. Per il primo, Jaubert cita le lezioni Dadu e Dadua. Io leggerei volentieri, quasi senza alterare la forma dei caratteri, Dhaura o Zaura, per assimilare il nome a quello del fiume Zavora, che si getta in mare a distanza quasi uguale dal capo Corrientes e dal Limpopo. Si potrebbe altres essere tentati di accostare Nebhena (o Inebhena) alla moderna Inhambane, sulla linea del tropico del Capricorno, bench tale localit si trovi a nord della precedente; ma Al Idrisi non dice nulla che segni il loro rispettivo orientamento e sembra pochissimo informato al loro riguardo. Il geografo siciliano daltra parte il solo, se non cinganniamo, che abbia nominato citt appartenenti allo WaqWaq. Ma molti altri scrittori arabi hanno parlato di quel popolo e del suo territorio. Masudi non lo distingue da Sofala: I limiti del mare degli Zengi sono egli dice al paese di Sofala e dello WaqWaq, paese che produce in abbondanza oro ed altre meraviglie. E qualche riga sotto: Il paese abitato dagli Zengi si prolunga sino a quello di Saofala e degli WaqWaq.198 Nel passo sopra menzionato, Al Idrisi presenta il Sofala e lo WaqWaq come se essi formino due regioni limitrofe. Altrove, mostre questultimo ben lontano dalla posizione che sappiamo occupata da Sofala. Questo WaqWaq, che nel pensiero dellautore ben identico al primo, si trova nei mari della Cina. Infatti, nel descrivere lOceano che bagna la Cina, le Indie, il Sind e lo Yemen sino a Bab el Mandeb, egli dice: La sua estensione tale e, secondo il rapporto dei viaggiatori degni di fede, dei navigatori che vi si sono azzardati e delle persone che hanno veleggiato da un paese allaltro, dal mare di Qolzum sino allo WaqWaq, la lunghezza di quattromilacinquecento parasanghe (ossia la semicirconferenza terrestre).199 La frase evidenziata segna evidentemente i due punti estremi della navigazione, la costa africana e la Cina. Pi oltre, tra le isole del mar della Cina, il nostro geografo descrive quelle degli WaqWaq, al di l delle quali singora che cosa esista, ove i Cinesi sbarcano talvolta, ma raramente.200 Anche Ibn Khordadbeh collocava nelle regioni della Cina il paese degli WaqWaq, cos ricco di miniere doro che gli abitanti fabbricano con quel metallo le catene dei loro cani ed i collari delle loro scimmie; essi mettono in commercio tuniche ricamate doro.201 Istakhri, che non dice parola del Sofala, non ignora lesistenza dello WaqWaq; egli fa cominciare alle fron1. clim., 9. sez. p. 79. MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. Questultima frase riprodotta in IBN AL WARDI (Notices et extraits, t. II, p. 40). 199 Proleg., p. 4. 4500 parasanghe corrispondono a circa 20.250 km (N.d.T.). 200 1. clim., 10. sez., p. 92. 201 Il Libro delle Strade, p. 67 del testo arabo.
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tiere della Cina e dello WaqWaq il mare di Fars, che poi bagna lIndia, il Sind, il Kerman e la Persia.202 Le Mille e una Notte, nel primo viaggio di Sindbad, danno, come Al Idrisi, quattromilacinquecento parasanghe di lunghezza al mar della Cina, qui detto mare Orientale, e gli attribuiscono ugualmente per limiti Qolzum e lo WaqWaq.203 Lo WaqWaq menzionato diverse volte negli aneddoti dellAjaib al Hind. In quel paese si vedono scorpioni volanti dalla puntura mortale;204 vi si trova un grande albero dalle foglie tonde, carico dun frutto analogo alla zucca, ma pi grande, gonfio daria e simile ad una testa umana; agitato dal vento, produce un suono.205 Ci sono anche un uccello bianco, blu e verde, detto Semendel, che pu entrare nel fuoco senza bruciare,206 e un quadrupede simile alla lepre, che cambia sesso a volont.207 Il frutto sopra citato certamente lo stesso di cui parla Kazuini: quel frutto produce un suono come se qualcuno pronunciasse la parola WaqWaq, e di l, secondo lautore dellAjaib al Hind,208 deriverebbe il nome delle isole, mentre Al Biruni, pi di due secoli prima, sera pronunciato contro tale opinione.209 Kazuini, cui piacciono i racconti straordinari, riferisce alle isole degli WaqWaq, vicine alle isole dello Zanegi (o Zabegi), un racconto che si pu leggere anche nel Messalik al Memalik:210 Un certo viaggiatore originario di Siraf, di nome Mussa Ibn Mobarek, assicura che quelle isole sono governate da una donna; stato ammesso alludienza di quella regina, che ha trovata seduta su un trono, con una corona doro in testa, circondata da quattromila vergini, tutte poco vestite, cos come la loro sovrana.211 sempre lantica leggenda delle Amazzoni e dellIsola delle Donne. Se gli antichi re del Dahomey avevano, un tempo come oggi, un esercito di giovani guerriere, si potrebbe credere che lesistenza di questo costume singolare sia potuta giungere a conoscenza degli Arabi tramite nei giunti dalla Guinea alla costa orientale.
Messalik alMemalik, p. 122. Il passo riprodotto da Ibn Hauki, pp. 192-193. Testo di Langls (Grammaire di SAVARY), p. 474. 204 XXX, p. 43. 205 XXXVII, p. 57. 206 CXV, p. 146. 207 Ibidem, pp. 146-147. 208 Ed. Wstenfeld, p. 108. 209 Si veda questo passo dAl Biruni in REINAUD, Fragments relatifs lInde. Lo Waq dice Dimashqi (p. 149 del testo arabo) un albero cinese che somiglia al noce e porta frutti come una testa umana. Ogni volta che uno di quei frutti si stacca, si sente il suono Waq-Waq ripetuto diverse volte. Gli indigeni ne traggono dei presagi. 210 ISTAKHRI, p. 13. 211 Ajaib al Makhluqt, p. 108.
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Le isole dello WaqWaq sono numerose, dice ancora lAjaib al Hind, le loro citt considerevoli, non per lestensione, ma per il numero dabitanti, i quali hanno qualcosa dei tratti dei Turchi, daltronde sono artigiani dei pi abili, ma traditori, furbi, mentitori, i pi vili e i pi malvagi degli uomini. Ibn Lakis dice che quelle isole sono di fronte alla Cina.212 Infine, Yaqt crede appena allesistenza dello WaqWaq. egli dice un paese sopra la Cina (fauq es Sin), di cui si parla nei racconti.213 Da tutti gli estratti che abbiamo appena esposto agli occhi del lettore, risulta che lo WaqWaq non pu in alcun modo appartenere al paese degli Zengi. Risulta tuttavia da alcuni passi di Masudi e dAl Idrisi che si attribuiva quel nome ad una regione limitrofa al Bild ez Zenj, a brevissima distanza da Sofala. stata persino espressa lopinione che lo WaqWaq possa essere situato tra Zanzibar e Sofala.214 Perci gli dovevamo dedicare qualche riga. Non saremmo distanti dal credere che possa essere stato attribuito questo nome di WaqWaq ad una parte della costa dei Swahili. Nella lingua dei popoli che abitano da quelle parti, il plurale dei nomi si forma regolarmente tramite un prefisso che, quindi, di frequente impiego nel discorso. 215 Potrebbe forse essere la ripetizione di questo termine nella bocca degli indigeni che li avrebbe fatti chiamare WaqWaq dagli Arabi? Guillain segnala, inoltre, una popolazione numerosa ancora chiamata WaKwa.216 Non dunque impossibile che una nazione di tal nome fosse nota agli Arabi, non lontano dalla costa di Sofala. Occorre dunque supporre che due diverse contrade, separate da un immenso intervallo di mare, portassero lo stesso nome, luna nellAfrica sudorientale, laltra verso le isole della Malesia? Forse s, nella realt, ma non nello spirito dei geografi arabi, i quali, noi pensiamo, dovettero credere ad una perfetta identit tra lo WaqWaq vicino a Sofala e lo WaqWaq posto di fronte alla Cina. Per comprendere la possibilit duna tale assimilazione, non bisogna dimenticare le idee che si facevano gli Arabi della forma e della direzione delle coste africane. Le abbiamo gi esposte. Si tratta sempre della credenza di Tolomeo il quale, come Ipparco e Marino di Tiro, univa la costa orientale dellAfrica al famoso Chersoneso aureo, al di l della penisola indiana, e faCXVIII, p. 148. Mojem al Buldn, p. IV, p. 946. 214 Animi sententiam declarabo et errorem meum, si qui est, lectoribus corrigendum tradam, regionem Wakwak nimirum parvam esse nec magni momenti habendam mihi apparere, ac sitam Sofalam inter et Zengitanam terram, ab ambabus autem distinctam. HARTMANN, Edrisii Africa, p. 106. 215 Cfr. Essai de Grammaire Souahli, in GUILLAIN, t. III, p. 480. 216 Ibidem, t. I, p. 230, nota.
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ceva cos del mare Eritreo un altro Mediterraneo.217 Altri pensavano almeno che la costa africana si avvicinasse molto alla Cina. Al Idrisi e gli altri scrittori arabi non sono meglio informati e questo straordinario errore causa duna deplorevole confusione nelle loro descrizioni degli arcipelaghi delloceano Indiano, ove unisola sembra toccare al tempo stesso le sponde dellAfrica e le coste pi lontane dellAsia orientale. Non vi luogo qui per dilungarci su questo soggetto, che esce dal nostro argomento. Eccoci giunti al punto estremo, non dir della navigazione degli Arabi, nonostante la frase dAl Biruni, ripetuta dallautore del Taquim al Buldn, ma piuttosto delle conoscenze geografiche dei loro autori. I commercianti poterono estendere pi in l il campo dei loro viaggi; accidentalmente, una nave battuta dalla tempesta o trascinata dalle correnti pot forse toccare le sponde pi meridionali, al di l del Limpopo e della baia Delagoa; ma nulla, negli scritti che conosciamo, sembra autorizzare lasserzione di Reinaud, che i geografi arabi abbiano descritto la costa orientale dellAfrica sino al capo di Buona Speranza. Come Guillain, che ha studiato la questione con le doppie conoscenze di erudito coscienzioso e di distinto marinaio,218 credo che le loro informazioni pi lontane si fermino al capo Corrientes o piuttosto a qualche lega pi in l, se si ammette che il fiume di Zavora, secondo la mia congettura, faccia parte integrante dello WaqWaq dAl Idrisi. Dobbiamo ora ritornare sui nostri passi e ripercorrere il nostro viaggio ad una certa distanza dalla costa, per riconoscere, come dicono i navigatori, le isole che in alcuni punti si collegano al paese degli Zengi. Se abbiamo incontrato difficolt insormontabili a stabilire la reale situazione delle localit elencate sul litorale, ove almeno trovavamo alcuni punti di riferimento ben certi, Berbera, Malindi, Mombasa, Sofala, ecc., che cosa sar per le isole le cui relative posizioni possono appena essere congetturate, e tra le quali soltanto una o due sono riconoscibili nel loro nome moderno? La prima alla quale ci fermeremo si trova in questultimo caso. Soqotra o Socotora (Socotra), celebre per il suo aloe chiamato socotrino (nome che abbiamo cos singolarmente alterato per farne chicotin). Prima di questisola, Al Idrisi ne cita altre due che chiama Khartn e Martn, ma esse sono abitate da popoli di razza araba che parlano lantica lingua di Ad e dipendono dal paese di Shihr, ove cresce lincenso; in nessun
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XI Le isole
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modo possiamo collegarle al paese degli Zengi.219 I geografi greci e latini conoscevano Socotra sotto il nome di Dioscoride,220 Dioscurias, nella prima parte del quale si riconosce il termine diu o div (in sanscrito dvipa), che significa isola, che si ritrova in un numero abbastanza grande daltri nomi geografici delle terre bagnate dalloceano Indiano (Maldive, Laccadive, Serendip, Dibagiat). Socotra, secondo Al Idrisi, a due giornate di navigazione dal continente, con vento favorevole.221 Lautore parla qui del contintente africano o della penisola arabica? La seconda ipotesi sembra indicata dal contesto, ma un punto sul quale sarebbe superfluo soffermarsi. Essa guarda verso Nord e Ovest lo Yemen, dal quale dipende. Dal lato opposto, essa di fronte a Melenda e Mombasa, del paese degli Zengi. Sottolineiamo questo dettaglio, che mostra la scarsa fede che occorre avere nelle indicazioni topografiche del nostro geografo. unisola grande, bella, rinomata, coperta di alberi. Nessun altro paese produce un aloe altrettanto buono.222 Abul Fida le attribuisce una lunghezza di ottanta parasanghe.223 Abu Zeid, dal punto di vista geografico, dice semplicemente che Socotra vicina al paese degli Zengi ed a quello degli Arabi.224 Moqaddasi nomina lisola di Usqutra, che come una cittadella nel mare con la sua linea di fortificazioni. I navigatori la temono e non cessano di tremare sino a che non se la siano lasciata dietro.225 Questa comparazione dellisola a un forte molto appropriata oer i navigatori preovenienti dallIndia, verso il suo litorale arido e nudo, che si eleva su unampiezza considerevole ad unaltitudine uniforme di 500 metri sul livello del mare, senza alcun declivio, battuto in certi periodi dal montone, con ondate furiose.226 Yaqt dedica un articolo piuttosto lungo a Socotra, grande isola che contiene numerose citt e villaggi, presso la quale si passa per andare al paese degli Zengi. Se ne estrae laloe ed il sangue di drago, che la gomma dun albero e non si trova in nessun altro luogo... Il navigatore che va da Aden al paese degli Zengi mantiene la rotta come se dovesse andare a Oman, con Socotra sulla destra, sino a che non ha superato lisola; allora vira dalla parte del mare degli Zengi e costeggia lisola su una distanza di ottanta parasanghe.227
1. clim., 6. sez., pp. 48-49. Cfr. PLINIO, l. VI, cap. XXXII: Nec minus altera clara in Azanio mari Dioscoridu. Cfr. anche TOLOMEO, Geogr., l. VI, cap. 7. 221 Ibidem, p. 45. 222 Ibidem, p. 47. 223 Testo arabo, p. 370. 80 parasanghe = 360 km ca. (N.d.T.). 224 Les deux Mahomtans, p. 149. 225 Ed. de Goeje, p. 14. 226 Cfr. GUILLAIN, II, p. 344. 227 Ed. Wstenfeld, t. III, pp. 101-102.
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Nel medioevon, Socotra presenta la singolarit di avere una popolazione cristiana, cos isolata da ogni altro popolo della stessa fede, circondata sui due continenti da musulmani e feticisti. Gli abitanti sono cristiani, battezzati, ed hanno un arcivescovo, dice Marco Polo. Quellarcivescovo, aggiunge il viaggiatore veneziano, non ha rapporti col vescovo di Roma, ma sottoposto ad un arcivescovo che dimora a Baudac (Bagdad), il quale lo manda in questisola cos come ne manda altri in diverse contrade, alla maniera del papa. Tutto quel clero e quei prelati non obbediscono alla Chiesa di Roma, ma considerano il grande prelato di Baudac come il loro papa. Molto prima dellepoca di Marco Polo, il monaco Cosma, che era sbarcato a Socotra, vi si era intrattenuto con alcuni abitanti che parlavano greco, molti dei quali erano cristiani.228 Gli Arabi non ignorano tale particolarit e Masudi la esprime nel modo seguente: Non lontano da Aden si trova lisola di Socotra, che ha dato il suo nome allaloe Soqotri, perch solo di l proviene e si esporta tale sostanza. Aristotele, figlio di Nicomaco, scrisse ad Alessandro, figlio di Filippo, al momento della sua partenza per lIndia, e gli diede informazioni su Socotra, impegnandolo a stabilire una colonia per lo sfruttamento dellaloe, che si usa negli Yaregit229 ed altri (medicamenti). Alessandro, in effetti, invi in quella terra un certo numero di Greci, per la maggior parte originari della patria di Aristotele, figlio di Nicomaco, ossia Istgher (Stagira). Una flotta trasport quei coloni e le loro famiglie nel mare di Qolzum. Essi sottomisero gli Ind stabiliti nellisola e simpadronirono del paese. Gli Ind vi tenevano un grande idolo che egli fece togliere... Dopo la morte dAlessandro,230 allarrivo del Messia, gli abitanti dellisola si fecero cristiani e lo sono tuttora... L approdano le barche degli Indiani che danno la caccia ai musulmani che vanno verso la Cina, lIndia ed altre regioni.231 Lo stesso resoconto si legge, in termini poco diversi, in Abu Zeid,232 Al Idrisi233 e Yaqt, che inoltre riferisce una diversa tradizione, ripresa da Hassan Hamadani. Questi racconta che i cristiani vi furono portati da Roma
Topogr. Christ., l. III, p. 179. Yaregit il plurale arabo di Yaregi, preso dal persiano Yarh, che equivale al greco Iera (posis), pozione purgativa. 230 Masudi troppo istruito per fare di Alessandro un cristiano, come accaduto al suo quasi contemporaneo Firdusi, in un passo dello Shah-Namh. Cfr. il Livre dee Rois, tr. di J. Mohl, pref., p. LVI. 231 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. YAQT, ripetendo questultima frase di Masudi, aggiunge: Non pi cos. Op. cit., III, p. 102. 232 Ibidem, III, pp. 149-150. 233 Ecco il racconto dAl Idrisi: La maggior parte degli abitanti di Socotra sono cristiani, e la causa che Alessandro, dopo avere vinto il re di Persia e le sue flotte, ed aver conquistato le isole dellIndia, e ucciso personalmente Fur (Porus), re
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da Kesra (Cosroe) e che costituiscono una popolazione di diecimila combattenti, mescolati a trib di Mahra, in parte cristianizzati. La gente di Aden, aggiunge il medesimo scrittore, dice che nessuno mai venuto da Rumi nellisola, salvo dei monaci.234 Qualunque cosa si possa pensare di queste tradizioni, certo che la popolazione indigena non si era mescolata. Il resto di quei Greci si mantenuto sino ai nostri giorni dice Abu Zeid nel sec. X ma si sono conservati anche uomini di unaltra razza.235 Cinquecento anni pi tardi, Andr Corsal, in una lettera a Lorenzo de Medici che abbiamo gi citato, non parla pi di razza bianca, ma afferma che gli abitanti di Socotra sono naturalmente etiopi, come i cristiani del re David (dAbissinia), ma hanno i capelli pi lunghi, neri e arricciati.236 Questo indica una razza meticcia in cui il sangue nero indigeno si un po mescolato di sangue bianco. Le tradizioni cristiane non erano ancora dimenticate a Socotra quando lisola fu scoperta dal capitano Diego Fernandes Pereira. Dopo le tre isole di Khartn, Martn e Socotra, Al Idrisi ne nomina una quarta che chiama Qabela o Qanbela, a due giornate di mare dalla montagna dEl Mandeb, di fronte alla fortezza yemenita Mikhlaf Hakem (roccaforte di Hakem). Essa boscosa ma disabitata, con montagne alte e ripide, infestata danimali feroci e daltre bestie selvatiche. Una sorgente che versa le sue acque al mare vi attira talvolta le navi dello Yemen, dellHabasha, di Qolzum, che vengono per lacqua.237 Anche Abul Fida pone in questa regione mal definita unisola detta Qanbela, un tempo abitata, oggi deserta, che sarebbe stata anche un luogo di soggiorno dei re degli Zengi.238 Nessun particolare della sua citazione
dellIndia, volle soddisfare il desiderio del suo maestro Aristotele che gli aveva raccomandato di cercare lisola dellaloe. Terminata la conquista delle isole dellIndia, sottomessi i loro re, mentre ritornava per il mare indiano lungo la costa delle Yemen, dopo avere sottomesso anche queste isole, giunse a quella di Socotra. Meravigliato dalleccellenza della terra e dalla dolcezza del clima, scrisse al suo maestro. Aristotele rispose al suo messaggio consigliandogli di deportare gli indigeni e di sostituirli con dei Greci; questi avrebbero avuto lordine di conservare lalbero dellaloe e di averne cura, per le sue eccellenti qualit e perch laloe necessario alla perfezione degli Yaregit.. Alessandro obbed, mand via tutti gli abitanti e trasport allisola dei Greci cui affid il compito di custodire lalbero dellaloe, piantarlo e coltivarlo, il che essi fecero. Vissero in pace e accumularono grandi ricchezze sino al giorno in cui apparve la religione del Messia, che i Greci abbracciarono. Quelli di Socotra divennero anchessi cristiani e i loro figli sono rimasti tali, cos come gli altri abitanti dellisola (pp. 47-48). 234 Ed. Wstenfeld, t. III, p. 102. 235 Ibidem, p. 150. 236 LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. IV, p. 333. 237 P. 46. 238 Testo arabo, p. 371.
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permette didentificarla con certezza con la Qabela dAl Idrisi. C poi una Qabila, capitale degli Zengi, in un brano che Maqrizi cita da uno storico nubiano, Abd Allah ben Ahmed, di Assuan.Questo Nubiano, per arrivare dagli Zengi, traccia lo strano itinerario che segue: Dei viaggiatori che hanno percorso il paese degli Zengi mi hanno fornito lindicazione della strada che seguono per arrivare. Navigano sul mar della Cina, aiutati dal vento del nord, costeggiando la riva continentale della penisola dEgitto sino a raggiungere il luogo chiamato ras Giafari (si legga Giafuni, Hafuni), che considerano come lestremit della penisola dEgitto. Di l, fissando gli occhi su una stella che li guida nel loro viaggio, avanzano verso occidente, poi girano dritti verso il nord e seguono costantemente questa direzione sino ad arrivare a Qabila, citt capitale degli Zengi.239 davvero molto difficile cercare una qualche relazione tra questa metropoli di neri e le isole che abbiamo appena nominato. Se proseguiamo il viaggio verso lOriente, nel sistema dAl Idrisi, ossia verso il Sud, o piuttosto nelluno e nellaltro senso poich non si sa pi dove veramente il geografo ci conduce dopo Qabela giungiamo, senza incontrare nessuna isola, a quelle dello Zanej o Zabej, di fronte alle sponde degli Zengi.240 Queste isole, il cui nome stato letto in molti modi, sono sempre state la disperazione dei geografi moderni, che tentavano di fissarne la posizione sulla carta. Uneterna confusione tra le parole Zanegi e Zengi impedisce di distinguere con precisione quanto appartiene al mare vicino allAfrica e quanto deve essere riportato allaltra estremit delloceano Indiano, verso larcipelago Malese. Gli scrittori arabi hanno certo unintenzione ben marcata di distinguere i due gruppi di isole: Quelle della parte del mare indiano rivolta verso oriente, che si avvicina alla Cina, sono le isole dello Zabegi, dice Al Biruni; le isole poste dal lato doccidente sono le isole degli Zengi.241 Kazuini la pensa in maniera simile: mette le isole dello Zanegi alla fine.242 Ma in questo caso occorre proprio ricordare il detto che gli estremi si toccano. Yaqt dice che nel mare di Berber, ad oriente, si trovano le isole dello Zanegi (Wstenfeld scrive Ranegi), poi le Dibagit, quindi Qomair, e infine le isole degli Zengi.243 Tra le isole nominate da Al Idrisi, lasceremo da parte quelle che non possono in alcun modo appartenere alla regione degli Zengi, qualunque sia la grandezza che si voglia attribuirle. Questo riduce di molto il numero di quelle di cui dovramo parlare.
Cfr. QUATREMRE, Mmoire historique et gographique sur lEgypte, t. II, p. 22. 1. clim. 7. sez., p. 59. 241 Cfr. REINAUD, Introduction la Gographie dAboulfda, p. 408. 242 Ajaib al Makhluqt, p. 105. 243 Mojem al Buldn, I, p. 21.
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Ecco per prima El Anjebah, a una giornata di viaggio da Bayas, sulla costa degli Zengi. Ha quattrocento miglia di perimetro. La citt principale, in lingua zengi, si chiama El Anfujah. Gli abitanti, bench misti, sono per la maggior parte musulmani. Il loro cibo principale sono le banane. Vi si vede un gran numero di villaggi, del riso, molto bestiame. Il commercio molto attivo. Una grande montagna di nome Webrah lattraversa, e serve da rifugio ai vagabondi, che vi costituiscono una popolazione di fastidiosi banditi.244 Non lontano da questa grande isola se ne trova unaltra poco considerevole, dominata da unalta montagna inaccessibile, che brucia tutto ci che le si avvicina; durante il giorno ne esce un denso fumo, che durante la notte si muta in fuoco ardente. Dalla sua base scendono acque sorgive, le une fredde e dolci, le altre calde e salate.245 Al Idrisi non dice il nome di questisola vulcanica. Occorre forse confrontarla con quella che Kazuini chiama Ed Duda, nel mare degli Zengi? In questultima si vede una montagna che getta un gran fuoco di notte, e da cui escono rumore e borbottii che, secondo gli indigeni, annunciano la morte duno dei loro re. I marinai vi scendono talvolta per approvvigionarsi dacqua; ed unacqua, a loro dire, dolce, eccellente, dal profumo di canfora.246 Quale lisola che Al Idrisi ha visto sotto il nome del Anjebah? La posizione che ne d, lestensione, la montagna che lattraversa, fanno naturalmente pensare al Madagascar. impossibile che quella vasta terra sia sfuggita alle investigazioni dei marinai arabi, durante i loro continui viaggi alle stazioni del continente di fronte ad esso. Che ne abbiano mal apprezzato le dimensioni, che ne abbiano fatto diverse isole, che dei geografi abbiano persino potuto confonderne certe parti con lontane regioni degli arcipelaghi indiani, questo possibile, probabile, quasi sicuro. In assenza di coordinate geografiche cui fare riferimento, a difetto di descrizioni topografiche abbastanza precise, non possiamo pensare di stabilire un ordine accettabile in questa confusione di nomi gettati per cos dire alla rinfusa. Ora la stessa terra designata con nomi diversi, ora uno stesso nome si applica ad isole diverse. I rari dettagli che si possono raccogliere sulluna o laltra delle localit citate da un geografo sono cos vaghi o di natura cos banale, che si adattano ugualmente ad uninfinit di isole o di coste, anche molto lontane le une dalle altre; non se ne pu allora ricavare alcun profitto per riconoscere la situazione del luogo. I fatti caratteristici sono rari. Qui, per Anjebah, ne abbiamo uno: la presenza nelle sue acque di unisoletta con un vulcano in attivit. Diciamo isoletta, seguendo lautore; ma le
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indicazioni del nostro geografo non sono di solito abbastanza rigorose perch qui non si possa supporre che la presunta isoletta faccia parte della grande terra. Se zuesta altro non che il Madagascar, si potrebbe cercare il vulcano in una delle isolette di formazione eruttiva che gli stanno vicine, allentrata del canale di Mozambico. Ma una cosa colpisce, ed che il nome della capitale in lingua zengi, che abbiamo letto come Anfuja, si potrebbe anche leggere, quasi senza modifiche nella scrittura araba, Anghazija. Ora, Anghazija il nome portato ancora oggi dallisola principale dellarcipelago delle Comore, e le coste di questisola sono ancora oggi incisi dai fuochi sotterranei dun vulcano, le cui ultime eruzioni non datano ad unepoca molto antica. vero che El Anjebah dAl Idrisi ha quattrocento miglia di perimetro e che la Gran Comora non ne ha pi di centoquaranta. Ma il passaggio da uno a tre, nelle valutazioni del geografo siciliano, non un fatto sorprendente. Sarebbe ben pi considerevole lerrore inverso, se Anjebah dovesse essere il Madagascar, il cui perimetro di circa 4.000 km. Questultima opinione si accorderebbe meglio con certi punti del testo di Dimashqi, che descrive lisola dAnfuja di forma allungata, con 2.000 miglia di perimetro. Essa contiene, secondo il geografo, terre incolte e deserti. Gli abitanti occupano la parte settentrionale, su alture dalle quali si scorge il mare a destra e a sinistra.247 A proposito dei vulcani africani, ci si permetta una breve digressione, che tuttavia non ci allontana dal paese degli Zengi. LAfrica continentale sembra sprovvista di vulcani in attivit, bench il P. Kircher ne conti sette nella regione compresa dallantico nome di Etiopia.248 Plinio, nellelenco dei vulcani del mondo intero,249 nomina in Etiopia il famoso Carro degli Dei, Theon Ochema, montagna alta sul mare, che brucia di fuoco eterno, alcuni grandi tumuli come dice Brunetto Latini,250 traducendo Solino251 che gettano grande quantit di fuoco ardente sempre, senza mai stancarsi.
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Testo arabo, p. 149. Abbiamo visto che Al Idrisi chiama Wabrah la montagna che attraversa lisola. Nellipotesi da noi esposta, si potrebbe assimilare Webrah con Vigagora, nome che i primi visitatori europei del Madagascar danno alla catena di montagne che domina la parte settentrionale della grande isola (Cfr. Dictionnaire de Morri, art. Madagascar). 248 Si citano comunque il Mongo-na-Lobah in Guinea e il Dofass nello Shoa. Inoltre, grandi vulcani con attivit in corso si trovano nella regione del Camerun (N.d.T.). 249 L. II, cap. CX; pi oltre, l. VI, cap. XXXV. 250 L. I, parte IV, cap. CXXV; p. 171. 251 Polyhistoria, cap. XXXIII.
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In un articolo su Zanzibar, inserito nel Bulletin de la Socit de Gographie de Marseille,252 Rabaud riferisce che nel paese dei Masai, presso la costa orientale, gli indigeni conoscono una montagna molto alta, chiamata la montagna di Dio, che sillumina ogni sera duna magica luce e d emette rumori di tuono.253 Se questo fatto esatto e denota lesistenza dun vulcano, si pu essere sorpresi che sino ad ora sia sfuggito alla conoscenza dei viaggiatori europei. In un aneddoto dellAjaib al Hind, un capitano di nave assicura di avere visto nel paese degli Zengi due grandi montagne, tra le quali c un vallone con tracce di fuoco, costellato di ossa calcinate e di pelli bruciate. Riferisce che gli hanno detto che in certe epoche il fuoco attraversava quel vallone e talvolta sorprendeva le greggi e i pastori, che vi perdevano la vita. Quel fuoco in certi giorni arrivava scorrendo, come un torrente.254 Qui il fenomeno sembra dun altro tipo. Non si tratta dun vulcano, non una colata di lava che passa in quel vallone; il fatto si spiega naturalmente con un atto volontario degli uomini. Bruce, infatti, ci spiega che presso gli Shangalla, dopo la stagione delle piogge, la terra ritorna secca in pochi giorni, lerba ingiallisce sotto i raggi del sole cocente e si secca del tutto. Allora gli indigeni la incendiano e quel fuoco percorre con incredibile violenza tutta la larghezza dellAfrica, passando sotto gli alberi con tale velocit che brucia lerba secca e fa cadere le foglie, senza che gli alberi muoiano.255 Diverse relazioni che trattano del paese del Prete Gianni parlano di questi incendi volontari e pretendono che gli abitanti li accendano per distruggere la moltitudine dei serpenti che infestano le foreste: Vengono tutti dalle regioni vicini portando rami e tronchi di legna molto secca, con cui circondano il bosco da ogni parte; e quando il vento soffia con violenza, danno fuoco dentro e fuori il bosco, s che nessun serpente possa uscirne, e cos tutti i serpenti muoiono nel fuoco che arde forte, eccetto quelli che si rifugiano nelle loro cavit.256 Si conosce il passo del Periplo di Annone in cui si dice che i navigatori scorsero sulla costa africana dei torrenti di fuoco, che scorrevano dallalto delle montagne e si precipitavano in mare. Bruce spiega facilmente questo fenomeno che diversi autori moderni hanno tacciato di favole. I burroni egli dice in cui si mantenuta lumidit hanno anche piante pi tardive. Quando le si brucia, sembra che lantico torrente si tramuti in un mare di
Giugno-luglio 1879. Si tratta del Kilimanjaro (N.d.T.). 254 Ajaib al Hind, XCIII, p. 128. 255 Voyage en Nubie, t. II, p. 599. 256 F. ZARNCKE, Der Preiter Johannes, Leipzig, 1879. Si tratta di una pretesa lettera del Prete Gianni allimperatore Emanuele, p. 912.
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fuoco. Sono stato spesso testimone di questo spettacolo ed ho anche rischiato di esserne vittima.257 Queste spiegazioni non hanno nulla dincredibile e rendono conto perfettamente dellaneddoto dellAjaib al Hind, che Bruce non poteva conoscere. Tuttavia Gosselin, col suo partito preso di negare o di ridurre al livello pi basso le grandi spedizioni marittime degli antichi sul litorale dellAfrica, non ammette questinterpretazione del racconto di Annone e preferisce respingere il fatto riferito dal navigatore cartaginese al rango delle favole che i Greci, secondo Plinio, avevano aggiunto al racconto.258 un modo molto semplice di risolvere le difficolt, che non esige un grande sforzo dimmaginazione. Ritorniamo alle isole del mare degli Zengi. Dimentichiamo completamente quelle che non possono appartenere alle acque africane. Tra le isole grandi e piccole, che certamente occorre collegare agli arcipelaghi dellIndia o dellOceania, ce n una detta Jals (Gials), i cui abitanti tuttavia Al Idrisi dice che sono Zengi; qui per la parola non vuole indicare la nazionalit e devessere presa come sinonimo di nero; verosimilmente si tratta di Papua, Andamani o di qualche altra variet di quella popolazione nera, che sembra un tempo essere stata molto pi diffusa che non ai giorni nostri, al di l della penisola indiana e nelle isole della Sonda. Ecco comunque un riassunto delle parole dAl Idrisi: Gli abitanti dellisola Gials sono Zengi, dai capelli crespi, dal collo lungo, magri e brutti daspetto. Vanno interamente nudi. Quando cade loro tra le mani uno straniero, lo appendono per i piedi, lo squartano a pezzi e lo mangiano. Vivono nel profondo dei boschi e in luoghi paludosi. Si trova dalle loro parti una montagna, la cui terra, passata al fuoco, si scioglie in argento.259 Non mi soffermer sulla Mohtaraqa (la Bruciata), cosiddetta perch ogni tre anni viene bruciata da una certa stessa che passa allo zenith;260 allisola di Seksar, abitata da antropofagi dalla testa canina (cinocefali); allisola dei Pigmei, che combattono contro le gru. Kazuini, Ibn al Wardi, Bakui, ripetono o amplificano le leggende greche.261
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Ibidem, p. 602. Recherches sur la gographie des anciens, t. I, pp. 96-97. 259 1. clim. 8. sez., p. 77 e 9. sez., p. 79. 260 Ogni trentanni, una stella con la coda (cometa) appare sul suo orizzonte e, salendo sino allo zenith per sei mesi, lascia cadere del fuoco che brucia tutto ci che si trova sullisola. Gli abitanti fuggono e poi ritornano. DIMASHQI, testo arabo, p. 163. 261 KAZUINI, Ajaib al Makhluqt, pp. 120-122; Athr al Bild, pp. 16, 148, 149; IBN AL WARDI, Notices et extraits, t. II, pp. 40-59; BAKUI, Ibidem, pp. 397-398.
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Citeremo lisola delle Scimmie, a due sole giornate dal continente che comprende lHabasha? grandissima, molto boscosa e piena di precipizi dal difficile accesso. Vi si trova ogni sorta di frutti. La scimmie vi si sono moltiplicate al punto da diventarne le padrone. Si pretende addirittura che abbiano un capo, al quale obbediscano, che lo portino il braccio e che egli le regga in modo tale, da impedire che esse si nuocciano tra di loro. Sono scimmie con la coda, dal colore rossastro, intelligenti e sagaci. Quando una nave sinfrange su quellisola e un naufrago vi cerca rifugio, lo mordono crudelmente, lo torturano e infine luccidono. Gli insolari di Khartn e di Mrtan le catturano per portarle nello Yemen, ove le vendono a buon prezzo, perch l i mercanti le usano come schiavi per custodire i beni nelle botteghe. Lisola delle Scimmie a due giornate di navigazione da Socotra.262 Ci si perde tra queste isole, sparse nella vasta distesa delloceano Indiano. Gli stessi nomi, per le incertezze di lettura in cui lascia la scrittura araba, come abbiamo sopra esposto, non offrono nessuna certezza. Tuttavia ce ne sono due cui dobbiamo accordare un istante dattenzione, perch hanno impegnato in modo particolare i geografi moderni: sono quelli di Qomr e di Qanbalu, che sono stati entrambi attribuiti al Madagascar. Il nome di Qomr, che lassenza di vocali brevi nel sistema grafico degli Arabi ha permesso di leggere Qamar, ossia Luna, si applica a diverse localit.263 La pi celebre la montagna da cui si pensa che nascano il Nilo e gli altri fiumi dellAfrica orientale, montagna nota a tutti gli antichi geografi col nome di Monti della Luna. 264 C poi una contrada ( beled) dEgitto, bianca come il gesso, da cui lo storico Hajaji Ibn Soleiman trae il soprannome dIbn Qomri;265 poi unisola Qomr o Qomor, che per la sua vicinanza alle Dibajat (Maldive)266 assimilata al capo Comorino, punta meri1. clim. 7. sez., p. 61. Manca laccordo sulla grafia dei monti di Qomr. Alcuni scrivono al Qamar e traducono montagna della Luna (come Tolomeo, ore selenia); ma ho visto questo nome scritto al Qomr nel Moshtarek. YAQT, autore di tale opera, pronuncia cos il nome dellisola del paese degli Zengi che si trova nelle estreme regioni del Mezzogiorno. (ABUL FIDA, p. 64; tr. Reinaud, p. 81). Nasireddin et-Thusi, secondo la testimonianza di persone che hanno osservato da lontano la montagna, dice che essa biancastra e che ci dipende dalle nevi che ne coprono la cima. Abul Fida combatte tale opinione, che definisce inammissibile, perch a 11 di latitudine nord, che la latitudine di Aden, non si mai sentito dire che sia caduta della neve; e lo stesso devessere a 11 di latitudine sud. (Ibidem, p. 65). 264 Il colonnello TRUMELET ha pubblicato nel Bulletin de la Socit Languedocienne de Gographie (maggio 1880) la traduzione dun itinerario arabo da Touggourt a Gebel al Qamar. 265 ABUL FIDA, p. 368. 266 AL IDRISI, 1. clim., 8. sez., p. 67.
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dionale dellIndostan;267 ma crediamo che sia meglio in questo caso leggere Qomr, come Masudi268 e Abul Fida269, e come lo stesso Al Idrisi, qualche pagina dopo;270 sotto questo nome dobbiamo intendere unimmensa costa, molto mal definita, poich la prolunga sino alle acque della Cina.271 Ibn Battuta pone nella grande isola malese di Giava la citt di Qomra, celebre per il suo aloe.272 Al Bakri, nel suo Dizionario geografico, pronuncia Qimr;273 Yaqt Qimr o Qamr.274 Infine, El Qomr unisola spesso confusa con Qomr, ma che se ne distingue per la sua localizzazione nel mare, in mezzo al paese degli Zengi, e in quel mare non ve n di pi grande.275 Lisola di Qomr ha molte citt e re che non vanno daccordo tra di loro; se ne esporta cera, e si raccoglie lambra sulle sue rive.276 Al Idrisi pone lisola di Qomr ad una giornata di navigazione dalla citt di Gesta, sulla costa di Sofala. Si pu ragionevolmente presumere che si tratti duna delle Comore, ma il lettore che percorra tutti i documenti relativi allisola di Qomr o di Qomr si convincer che i geografi arabi hanno confuso non solo le Comore col Madagascar, ma anche questultima isola con le grandi isole dellarcipelago Malese. Si pu leggere a questo proposito una dissertazione sommaria di Guillain, che sembra avere esaminato seriamente la questione.277 Aggiungiamo solo che Ibn Said attribuisce allisola di Qomr (o Mali) una lunghezza di quattro mesi di cammino per una larghezza massima di venti giornate. Cominciando ad oriente di Seyna, essa forma col continente un canale che termina al Gebel al Nedama e presenta in quel punto una larghezza di duecento miglia. Si dice che l vi siano dei gorghi che inghiottono le navi.278
Si sa che la parola araba gezira indica non solo unisola vera e propria, ma anche una penisola. 268 MASUDI, Praterie doro, t. I. 269 Geogr., p. 369. 270 1. clim., 9. sez., p. 79. 271 Ibidem, p. 83; ABUL FIDA, p. 369. 272 T. IV, p. 240. 273 Ed. litografica di Wstenfeld, p. 744. 274 Ed. Wstenfeld, t. IV, p. 173. 275 ABUL FIDA, testo arabo, p. 368. Qui lautore ha cura di segnare lettera per lettera le parole Qomr e Zengi, per evitare ogni confusione ortografica. 276 YAQT, t. IV, p. 174. Questo scrittore considera la parola Qomr come plurale dellaggettivo Aqmar, bianchissimo. 277 T. I, pp. 260 e 267. 278 Cfr. REINAUD, Introduction la Gographie de lAntiquit, pp. CCCXVII sgg. Lisola di Qomr o di Mali, dice anche Dimashqi, lunga quattro mesi di marcia e larga un mese, posta di fronte al sud di Serendib, molto ricca di foreste con alberi giganteschi, soggiorno delluccello Rokh, ecc. (testo arabo, p. 161). Tutto ci non
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Questi dettagli, ed altri citati da Reinaud, sembrano indicare il Madagascar piuttosto che le Comore, che tuttavia possono ben trovarvisi incluse. Passiamo allisola di Qanbal, nella quale pure si voluto vedere il Madagascar, opinione poco certa, come si converr dopo avere preso conoscenza di tutti i documenti in cui lisola menzionata. I nostri geografi partono dallidea molto naturale che la vasta terra malgascia, cos poco distante dal continente, non sia potuta sfuggire alla conoscenza dei marinai arabi, che per secoli hanno percorso nei due sensi il canale di Mozambico; una tempesta, un incidente, in mancanza daltre cause, dovevano presto o tardi condurli su qualche punto dellimmensa costa. Come dubitare che lisola di Madagascar non figuri tra quelle che i geografi arabi hanno nominato nel mare degli Zengi? Se Qomr non il Madagascar, devessere Qanbal. Masudi forse il solo autore che parli di Qanbal con qualche particolare. Abul Fida non ne dice parola. Dopo avere parlato delle terribili ondate del mare di Berbera, aggiunge: Vi si naviga per andare allisola di Qanbal, nel mare degli Zengi, isola in cui si trovano dei musulmani.279 Dimashqi nota semplicemente che Qanbal unisola degli Zengi, ben popolata, e che vi si trovano ebano, spezie ed oro.280 Quanto ai passi dellautore delle Praterie doro, eccone la traduzione: Ho visto nella Geografia (di Tolomeo?) il Nilo raffigurato come se nascesse ai piedi dei monti di Qomr; le sue acque, che sgorgano da dodici sorgenti, si versano in due laghi simili agli stagni (di Bassora), poi si uniscono e attraversano regioni sabbiose e montagne. Poi attraversa la parte della terra dei Neri (Sudan) vicina al paese degli Zengi, e forma un braccio che si getta nel mare degli Zengi, ossia nel mare dellisola di Qanbal. Quellisola ben coltivata; vi si trovano musulmani che, vero, parlano la lingua zengi. Sono divenuti padroni di quellisola ed hanno ridotto in cattivit gli Zengi che vi si trovavano, cos come altri musulmani si sono impadroniti dellisola di Creta nel mare di Rum. Di l a Oman si contano, per mare, circa cinquecento parasanghe,281 a dire dei marinai, secondo una semplice congettura e non una stima rigorosa. Diversi nakhoda o armatori di Siraf e di Oman, che frequentano quei paraggi, dicono di avervi osservato, allepoca delle piene del Nilo o un poco prima, una corrente dacqua difficile da traversare, a causa della sua estrema rapidit; esce dalle montagne dello Zengi, larga un miglio, con unacqua dolce e limpida che sintorbida al momento della
chiarisce nulla. Notiamo che questo autore, in un altro passo relativo a Qomar la Grande, dice che la parte meridionale dellisola disabitata, circostanza gi notata per lisola di Anfuja, della quale abbiamo trattato. 279 Testo arabo, p. 26. 280 DIMASHQI, testo arabo, p. 162. 281 2250 km.
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piena del Nilo in Egitto.282 Pi in l, nel parlare del braccio di mare che bagna il Berbera, lungo cinquecento miglia e largo cento: I piloti dellOman egli dice attraversano quel mare per raggiungere lisola di Qanbal, nel mare degli Zengi, citt (medina) in cui si trovano musulmani tra gli Zengi infedeli.283 Il termine del loro viaggio sul mare degli Zengi quellisola di Qanbal e il paese di Sofala e del WaqWaq, sui confini della terra degli Zengi, in fondo a quel braccio di mare.284 Infine, a proposito delle isole degli Zengi che forniscono noci di cocco, dice ancora: Una di queste isole, posta a una o due giornate dalla costa degli Zengi, ospita una popolazione musulmana, in seno alla quale si trasmette il potere regale: lisola di Qanbal.285 Masudi visit pi volte di persona lisola di Qanbal; la sua ultima traversata da Qanbal a Oman ebbe luogo nellanno 304 della Hegira, in compagnia di due armatori del Siraf che in seguito morirono e persero ogni bene in quel mare pericoloso.286 Questo, se non minganno, tutto ci che lautore arabo ha trasmesso, relativamente allisola di cui ci stiamo occupando. Non abbastanza per giustificarne lassimilazione col Madagascar. Se egli avesse pensato a quella vasta terra, non si comprenderebbe perch non abbia fatto alcuna allusione alla sua immensa estensione. Allipotesi di Reinaud (e a quella di Guillain, che vedrebbe volentieri in Qanbal la Gran Comora),287 non cerchiamo di sostituire nuove congetture. Si pu rimpiangere di non potere essere pi affermativi in tutte queste questioni geografiche. Il lettore ama vedere delle conclusioni e gli dispiace essere obbligato a formarsi unopinione da solo. Preferisce trovarla interamente costruita, sia che laccetti senza difficolt, sia che abbia qualche propensione a combatterla. Le incertezze, i forse, i chiss, non gli piacciono. Lo sappiamo, ma che possiamo farci? A noi risulta, dallesame dei documenti e delle dissertazioni cui si sono dedicati i moderni sapienti, che nessun geografo sia giunto a certezze o a probabilit soddisfacenti oltre quelle che abbiamo visto qui riferite. Qualcuno ha potuto fare assimilazioni ingegnose e seducenti; tal altro, dopo di lui, capovolge il convincente edificio e gli sostituisce costruzioni non meno eleganti e non meno fragili. Per la verit, si pu dire che pi facile astenersi che non pronunciarsi. Ma talvolta non forse anche pi saggio? Alla Qanbal di Masudi ed alla Qabela dAl Idrisi, sopra citate, si pu
MASUDI, Praterie doro, cap. IX, t. I. MASUDI, Praterie doro, cap. X. 284 MASUDI, Praterie doro, cap. X. 285 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. 286 MASUDI, Praterie doro, cap. X. 287 T. I, p. 170.
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avvicinare per la consonanza unisola detta Febol, che Aristotele pone delloceano Indiano. Purtroppo lo scrittore greco dun laconismo talmente eccessivo che la sua menzione pu autorizzare tutte le assimilazioni, senza aiutare a confermarne alcuna. Dopo avere nominato le grandi isole di Albione e Ierna che sono nellOceano, egli aggiunge che se ne conoscevano altre pi piccole, Taprobane verso le Indie, Febol verso il golfo Arabico, kai e Febol kaloumene kata ton Arabikon kolpon.288 Lassenza dogni altra indicazione lascia libero il campo a tutte le congetture. Concludiamo qui la parte puramente geografica di questo lavoro. Per riassumere, gli Arabi del medioevo conoscevano in modo passabile la costa orientale dellAfrica; i piloti e i capitani delle navi non avevano serie difficolt nautiche a raggiungere le localit commerciali sino allestremit del Sofala. Ma i geografi erano male informati. Pur avendoci trasmesso nomi in un ordine abbastanza esatto, le loro indicazioni relative alle distanze spesso sono solo grossolane stime, o addirittura del tutto non veritiere; hanno come unica base la durata delle traversate, senza dubbio trasmessa a memoria dagli autori dai mercanti, pi occupati di prevedere i propri guadagni che di contare miglia e parasanghe: si sa che per lArabo il tempo privo di valore. Gli scrittori che, come Masudi e Ibn Battuta, hanno percorso in persona il mare degli Zengi e toccato in qualche punto le sue sponde, nominano solo un piccolissimo numero di citt. Masudi, pi saggio, pi ponderato degli altri, non pensa minimamente di stabilire itinerari; daltra parte gli manca completamente il senso dellordine nella sistemazione dei materiali. Ibn Battuta un fantasista e si compiace solo degli aneddoti. In fondo, nonostante le imperfezioni, le omisioni le enormi inesattezze, certo accresciute sino a noi dalla negligenza dei copisti, Al Idrisi ancora il migliore da consultare per chi voglia apprezzare lo stato delle conoscenze geografiche degli Arabi nella parte del mondo che stiamo esaminando. Per un certo numero di citt degli Zengi, Abul Fida fornisce le coordinate geografiche; raro che quelle latitudini si accostino alla verit. chiaro che esse non sono state calcolate con osservazioni dirette, ma solo valutate su carte, tracciate secondo le concezioni degli uomini dufficio, o sulla base dei rapporti di viaggiatori sprovvisti di conoscenze atronomiche. Tale ignoranza della topografia di paesi cos lontani non pu sorprendere, se si pensa che in Francia, verso lepoca dAl Idrisi, un abate di Cluny temeva di perdersi nel partire per andare a fondare unabbazia a SaintMaurlesFosss, presso Parigi, e che i monaci di SaintMartin di Tournay erravano per mesi interi alla ricerca dellabbazia di Ferrires.289
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Peri Kosmos, cap. III, ed. Didot, t. III, p. 630. Cfr. PAUL GAFFAREL, tudes sur les rapports de lAmrique et de lancien continent avant Christophe Colomb, p. 163.
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Ibn Said parla addirittura degli Zengi dAbissinia, che vanno nudi e vivono allo stato selvaggio sulle sponde del lago Al Hawars. Cfr. Gographie dAboulfda, tr. Reinaud, t. II, p. 226. 291 Ecco il breve passo dIstakhri, letteralmente riprodotto da Ibn Hawqal: Si dice che in certe parti del paese degli Zengi si trovi una regione fredda, abitata da Zengi bianchi. ISTAKHRI, testo arabo, p. 36; IBN HAWQAL, p. 41. 292 Odissea, I, versi 23-24. Cfr. il commento dEustato nei Geographi minores, t. II, p. 248.
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Il nome di Zengi, come abbiamo visto da tutte le citazioni che accompagnano la parte geografica, non si limita ad indicare gli abitanti di quello che noi conosciamo come Zanghebar, ma si estende ad un gran numero di popolazioni, dai confini dellAbissinia290 sino alle estreme regioni dellAfrica orientale conosciute dagli Arabi. In tali condizioni, appare difficile attribuire agli Zengi specifiche caratteriche etnografiche. Dallesame gli scritti degli autori arabi, cos poco concordanti, si ricava unimpressione confusa e non sembra possibile stabilire una linea di demarcazione precisa tra gli Zengi e le altre famiglie di Neri. Il solo carattere razziale che appare costante la pelle nera. Istakhri e Ibn Hawqal parlano per anche duna trib di Zengi bianchi.291 vero che non si pu attribuire grande importanza a questa citazione isolata di due geografi, che dichiarano di non avere nessuna preoccupazione di conoscere le nazioni barbare estranee alla civilt musulmana. Si pu credere che alludano a quegli albini dalla carnagione pallida, con gli occhi rossi e i capelli biancastri, che accidentalmente sincontrano tra tutte le famiglie di neri, ma che non si possono considerare come una razza persistente. Gli antichi confondevano tutte le razze nere sotto la denominazione di Etiopi e li dividevano in due gruppi, dOccidente e dOriente. Quei popoli dice Omero abitano le estremit della terra, gli uni sulle rive ove il sole termina la sua corsa, gli altri su quelle ove egli la comincia.292 La distinzio-
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ne sembra puramente geografica, non solo allepoca dOmero, ma ancora molti secoli dopo, al tempo dIsidoro di Siviglia, che non sa a questo proposito nulla di pi dellautore dellOdissea.293 Etiope dunque sinonimo di nero. Si giunge ad affermare che laggi sia nero tutto, le persone, gli animali, i vegetali. Ci si stupisce del candore dei loro denti e delle loro ossa. Aristotele rimprovera a Erodoto unesagerazione speciale in questi caratteri di nerezza.294
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ISIDORO DI SIVIGLIA, l. XIV, cap. V (De Lybia). Cfr. De gener. anim., l. II, cap. II.
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Inoltre, gli Etiopi hanno i capelli crespi (ouloi), ed un difetto collegato con un altro: quello di avere le gambe storte (blaisoi).295 Queste due caratteristiche, pelle nera e capelli crespi, hanno fatto esercitare la sagacia dei filosofi che volevano scoprirne la causa. Tra gli altri, Onesicrito, a dire di Strabone, aveva esercitato il proprio raziocinio alla ricerca delle cause di questo doppio fenomeno. Gli Arabi, imitatori dei Greci, non hanno trascurato un tale oggetto dinteresse. Masudi assicura di averne dato la spiegazione nei suoi Annali storici (Akbar ez zemn);296 ma si tratta di unopera che non ci pervenuta. Si possono nutrire dubbi sul fatto che i suoi argomenti fossero pi scientifici di quelli del poeta delle Metamorfosi, quando descrive gli effetti disastrosi della corsa di Fetonte col carro del Sole: Sanguine tum credunt in corpoda summa vocato,/Aethiopum populos nigrum traxisse colorem (Credono che allora il sangue, richiamato in alto nei corpi, abbia reso nero il colore dei popoli degli Etiopi);297 o di quelli di Manilio, che invece considera gli Eiopi come una razza che rimase a lungo immersa nelle tenebre e che ne ha conservato il segno: Aethiopes maculant orbem tenebrisque figurant/Perfusas hominum gentes.298 Tra i teorici arabi, certi suppongono che un primo padre della razza abbia trasmesso il proprio colore a tutta la sua discendenza; questo padre dei neri Ham (Cam), figlio di no, nato bianco come tutti gli altri uomini, ma divenuto nero a causa della maledizione paterna.299 Altri, senza ricorrere alla leggenda, vogliono credere solo allinfluenza del clima.300 Per la distribuzione dei popoli neri e bianchi alla superficie del globo, Ibn Hawqal ha una teoria duna ammirevole semplicit. Immaginate una linea che parta dai mari della Cina, tagli lIndia, attraversi limpero musulmano, si stenda sullEgitto e raggiunga il Maghreb verso Tangeri. A nord di questa linea fittizia gli uomini sono bianchi e la loro bianchezza aumenta a misura che si vada verso Nord; a Sud, invece, sono neri e tanto pi neri quanto pi si scenda verso il Mezzogiorno,301 dino sl limite degli esseri viventi; perch, al di l duna certa latitudine, leccesso di calore inibisce ogni esistenza.302 Abbiamo visto Cosma applicare allEtiopia il nome di India interiore, e tale appellativo era comune prima e dopo lautore della Topographia christiana. Cos stato possibile confondere gli Etiopi con gli Indiani, nel linARISTOTELE, Problem., sez. XIV, 4. MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. 297 OVIDIO, Metamorfosi, l. II, versi 236-237. 298 Astronom., l. IV, versi 721-722. 299 Cfr. KAZUINI, Athr al Bild, p. 11. 300 Cfr. IBN KHALDUN, Proleg., p. 171. Lautore invoca lautorit dAvicenna. 301 IBN HAWQAL, p. 10. 302 Ibidem, p. 12.
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guaggio corrente. La confusione era costante al principio dei tempi moderni. Tutti quelli che provenivano dalla zona torrida erano chiamati Indiani dice Ludolf.303 Gli Arabi per non commettevano tale confusione. Gli Indiani, per la loro intelligenza... dice Masudi e per la purezza del loro colore differiscono da tutte le razze nere: Zengi, Demdema e altre.304 Si stabilisce persino una certa distinzione, pur senza caratteri definiti, tra i Neri del Sudan e gli Zengi pi meridionali: stato dato il nome dAbissini, di Zengi e di Sudan ai popoli meridionali che abitano il primo ed il secondo clima, e tali denominazioni sono state usate indifferentemente per designare ogni popolo la cui tinta sia alterata da una mescolanza col nero. certo tuttavia che il nome dAbissino debba specialmente applicarsi al popolo che vive nella terra di fronte alla Mecca ed allo Yemen, e che quello di Zengi proprio soltanto a quelli che abitano sulla costa del mare Indiano.305 Sono tutti, daltra parte, discendenti di Kush, secondo la tradizione biblica.306 Quando la discendenza di No si disperse sulla terra, i figli di Kush, figlio di Kanaan, andarono verso occidente ad attraversarono il Nilo dEgitto. Poi si separarono: una parte and a destra (del fiume), tra loriente e loccidente, e diede origine ai Nuba, ai Beja ed agli Zengi; gli altri andarono a occidente, in gruppi numerosi, in direzione di Zaghawa, di Kanem, di Ghana e daltre parti del Sudan e dei Demdema. I primi, che erano andati a destra, tra oriente e occidente, si divisero ulteriormente in molte trib, i Mekir, i Meshkir, i Berbera ed altre suddivisioni degli Zengi.307 A questo schema delle migrazioni dei Neri delineato da Masudi occorre aggiungere, per quanto riguarda gli Zengi, le seguenti righe dello stesso autore: Diffusi sulla riva destra del Nilo, gli Zengi ed altri Abissini si avanzano sino alle rive del mare di Habasha. Solo gli Zengi attraversano il braccio che si stacca dallalto Nilo e si getta nel mare che porta il nome stesso del loro popolo,308 si insediano sulle spiagge e spargono le loro case sino a Sofala, che il limite del loro paese.309
Grammatica Aethiopica, Pref., 2. ed., p. 2. MASUDI, Praterie doro, cap. VII, t. I. 305 IBN KHALDUN, p. 171. 306 Kushita sinonimo di Nero, come in questo passo di Geremia (XIII, 23): Se il Kushita pu cambiare la sua pelle e il leopardo le sue macchie, anche voi potrete praticare il bene dopo avere appreso il male. 307 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. 308 Forse a questo preteso ramo del Nilo, oppure al Niger, che Eschilo allude in questo verso del Prometeo? Giungerai ad una terra lontana, presso un popolo nero che abita vicino alle sorgenti del sole, ove si trova il fiume Ethiops. Cammina lungo le sue rive sino a raggiungere il pendio ove, scaturendo dai monti Byblin, il venerabile Nilo fa sgorgare le sue acque deliziose (versi 808 sgg.). 309 MASUDI, Praterie doro.
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Cfr. MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. Il re degli Zengi, dice Al Idrisi, prende sempre il nome del suo predecessore e lo trasmette ai propri successori. Cos il sovrano dellIndia sempre chiamato Bathra, quello dei Turchi Khakhan, quello dei Rum Qaisar (Cesare), ecc. (cfr. 2. clim., 7. sez., p. 173-174). 311 Athr al Bild, p. 14. 312 Il testo di Wstenfeld riporta tesheffuq, che occorrerebbe almeno mettere alla 2. forma, teshfiq, e che significherebbe rimpicciolimento. Gli editori di Masudi hanno letto teshqiq, nel senso di lunghezza. Dubito che la parola araba possa avere questo significato. Penso che occorra leggere tesheqquq, parola che si dice dun animale magra e gracile (Cfr. il Dictionnaire arabe di LANE). Il testo arabo di Dimashqi, pubblicato da Mahren, in cui si ritrova unanaloga enumerazione dei caratteri del nero secondo Galieno, d pure tesheqquq, che Mehren traduce con mani e piedi divisi, tagliati (!). 313 Athr al Bild, p. 14. 314 Devo dire che mi stato impossibile scoprire nelle opere di Galieno alcun passo da cui possa essere considerato tratto ci che i nostri autori arabi gli attribuiscono. Il
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Su questa terra, ricca doro e di straordinari prodotti, gli Zengi stabilirono la sede del loro governo. Si diedero un re chiamato Waqlimi, appellativo che rimasto ai loro sovrani? Il Waqlimi il loro capo supremo, sovrano di tutti gli Zengi, alla testa di trecentomila cavalieri.310 Lo scrittore dal quale citiamo questi dettagli il solo che si sia un poco dilungato sui costumi del popolo Zengi. Gli altri autori arabi si limitano molto spesso a riprodurre luna o laltra parte dei suoi scritti, senza aggiungere nessuna nuova informazione. Galieno, dice Kazuini,311 attribuisce agli Zengi dieci caratteri speciali: colore nero, capelli crespi, naso schiacciato, labbra spesse, gracilit312 delle mani e dei piedi, odore fetido, intelligenza limitata, estrema petulanza, costumi antropofaghi. La cosmografia araba spiega la qualit che noi traduciamo come petulanza e aggiunge che non si vede mai uno Zengi preoccupato; incapaci di mantenere una durevole sensazione di tristezza, si abbandonano ad ogni occasione di risa. I medici dicono che sia a causa dellequilibrio del sangue nel cuore o, secondo altri, perch la stessa Soheil (Canopo) si leva ogni notte al di sopra delle loro teste, e si tratta dun astro che provoca la giocondit. Quattro qualit sono sconosciute dice un proverbio arabo citato da Dimashqi presso quattro popoli: la liberalit presso i Greci, la buona fede presso i Turchi, il coraggio presso i Copti e la tristezza presso gli Zengi. Un altro proverbio dice che la gaiezza sulla terra si divide in dieci parti, delle quali nove sono toccate ai neri e la decima al resto del genere umano. Quanto allantropofagia, sulla quale ritorneremo, essa consiste nel fatto che nelle loro guerre ciascuno mangia la carne del nemico che ha ucciso.313 Masudi, due secoli prima di Kazuini, riferisce ugualmente i dieci caratteri specifici dei Neri, secondo Galieno.314 La sua lista differisce in qualche
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punto da quella appena letta. Eccola, col raggruppamento dei caratteri dello stesso ordine, per permettere di riconoscere immediatamente la differenza tra le due enumerazioni: tinta nera, capelli crespi, naso schiacciato, labbra spesse, mani e piedi gracili, puzza della pelle, eccessiva petulanza, sopracciglia rade, grande sviluppo degli organi sessuali.315 Infine, secondo lanalisi di De Guignes, Bakui, che nel resto della sua descrizione del Bild ez Zenj si limita al ruolo di copista di Kazuini, indica invece i dieci caratteri dei Neri in questi termini: Differiscono dagli altri uomini per il colore nero, il naso schiacciato, la grossezza delle labbra, lo spessore della mano, per il tallone, la puzza, la prontezza alla collera, la scarsezza di spirito, labitudine di mangiarsi gli uni con gli altri, e quella di mangiare i loro nemici.316 Secondo lautore delle Praterie doro, Galieno spiega la petulanza del Nero, cos idonea a colpire la normale gravit dellArabo, con lincompleta organizzazione del suo cervello e la conseguente scarsa intelligenza. Tra le razze nere, lo Zengi pi particolarmente soggetto a questa petulanza, sino allestremo di tendere alla giocondit.317 Volete conoscere la spiegazione duno dei principi della filosofia araba su queste particolarit relative ai neri? Al Kendi, senza dubbio ispirato da qualche Greco, si esprime cos: Dio ha stabilito una concatenazione di cause in ogni parte della sua creazione; la causa esercita sulla creatura che la subisce un influsso, che la rende causa a sua volta; ma quella creatura puramente soggettiva non pu reagire sulla sua causa o sul suo agente. Ora, essendo lanima causa e non effetto della sfera, la sfera non pu reagire sullanima. Ma proprio della natura dellanima seguire il temperamento del corpo, sinch non incontri ostacoli, ed ci che accade presso gli Zengi. Essendo il loro paese molto caldo, i corpi celesti vi esercitano la propria influenza e attirano gli umori verso la parte superiore del corpo. Da ci derivano gli occhi sporgenti dalla testa di quei popoli, le loro labbra pendule, il naso appiattito e grosso, e lo sviluppo della testa, a seguito del movimento ascensionale degli umori. Il cervello perde il proprio equilibrio e lanima non pu pi esercitare completamente su di lui la propria azione; ne conseguono percezioni vaghe e lassenza dintelligenza dalle azioni.318
medico greco caratterizza piuttosto gli Etiopi con gli epiteti di magri e secchi (ischnous nai zerous, ed. di Bonn, t. XI, p. 514). 315 MASUDI, Praterie doro, cap. VII, t. I. 316 Notices et extraits des manuscrits, t. II, p. 395. Non avendo a mia disposizione il testo arabo di Bakui, non posso controllare lesattezza molto problematica di questa traduzione. 317 MASUDI, Praterie doro, cap. VII, t. I. 318 MASUDI, Praterie doro, tr. BARBIER DE MEYNARD - PAVET DE COURTEILLE.
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Tale argomentazione non riesce a soddisfare il grave Ibn Khaldun, troppo lontano dai tempi della grande filosofia araba. Ecco come lautore della Storia dei Berberi valuta il passaggio appena citato: Masudi aveva cominciato la ricerca della causa che produce la leggerezza di spirito nei neri, la disattenzione che spinge sino alla giocondit; ma, per tutta soluzione, riporta una sola parola di Galieno e dAl Kendi, secondo cui quel carattere dipende da una debolezza del cervello, da cui deriverebbe una debolezza dintelligenza. Tale spiegazione priva di valore e non prova nulla.319 Unaltra qualit specifica degli Zengi e degli Habasha, secondo Avicenna, di perdere molto tardi i loro capelli. La pelle del loro cranio dura e difficilmente lascia spazio ai capelli, che sono radi, ma li trattiene anche con energia, ed perci che la calvizie tarda, presso gli Zengi e gli Abissini.320 Se gli antichi ed i moderni, come assicura Masudi, hanno ricercato e discusso le cause delle particolarit del tipo nero, era anche di grande importanza sapere quale dei pianeti presiede ai loro atti ed esercita un influsso preponderante sulla loro nascita e sul loro sviluppo fisico. Masudi si scusa di non esporre tutto ci che stato detto su tale interessante argomento, perch la sua opera non consacrata a questo genere di studi; aveva trattato in dettaglio la materia nei suoi Annali storici, non trascurando nulla delle teorie e degli argomenti proposti dagli astrologi dogni tempo. Sfortunatamente, come abbiamo detto, quel libro non pervenuto sino a noi. Il pianeta che regge i destini dei neri non certamente il Sole, ma Saturno; su ci gli astrologi sono daccordo. Ce lo dice un poeta, che anche astrologo molto istruito delle cose della Sfera: Lo Sheikh dei pianeti Saturno, il sublime, Sheikh maestoso, re potente. Il suo carattere il nero e il freddo, nero come lanima in preda alla disperazione.321 Il suo influsso si esercita sugli Zengi e sugli schiavi, e daltra parte sul piombo e sul ferro.322
Prolegom., p. 176-177. AVICENNA, Qanun, l. IV, sez. VII, 1. disc., cap. II. Testo arabo di Roma, 2. parte, p. 150. Galieno aveva detto degli Etiopi: Kefalai smikras men kai anauzeis echousi tas trichas upo zerotetos tou dermatos, allou falakrountai radios. Ed. di Bonn, t. III, p. 910 (Delle parti del corpo, l. XI, cap. 14). 321 La pazienza fredda e la tristezza caratterizzano Saturno. Cfr. BOUCH-LECLERQ, La divination atique, t. I, p. 227. 322 MASUDI, Praterie doro.
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La diversit dei popoli compresi sotto il nome di Zengi causa di descrizioni molto differenti. I sapienti dice Kazuini assicurano che essi sono i pi cattivi fra gli uomini, il che ha loro valso il soprannome di leoni della specie umana (sabd al ins).323 Come dice Leone lAfricano, essi superano le bestie brute per malvagit e natura perversa324 Abbiamo visto due cosmografi porre lantropofagia nel numero dei loro caratteri distintivi. Non sembra in dubbio, in effetti, che certe trib degli Zengi abbiano avuto e mantenuto a lungo il costume di mangiare la carne umana, se non come alimento ordinario, almeno in determinate circostanze. Ci sono tra loro dice Masudi trib di uomini dai denti dacciaio (mohaddadat al esnm), che si mangiano gli uni con gli altri.325 LAjaib al Hind riferisce che spesso le navi partite per Sofala degli Zengi, trascinate dai venti e dalle correnti, approdano su rive abitate da Neri mangiatori duomini.326 Kazuini, Ibn al Wardi ed altri numerosi scrittori arabi raccontano aneddoti sui neri antropofagi.327 Si tratta quasi sempre di imitazioni dellavvenutra di Ulisse con Polifemo.328 Allinterno del continente, presso numerosi popoli, il cannibalismo era altrettanto comune che presso i Neozelandesi allarrivo degli Europei. Ibn Battuta riferisce che un re nero, presso il quale egli soggiorn, aveva esiliato uno dei suoi giudici, di razza bianca, presso dei neri kafir, ossia non musulmani, presso i quali egli rimase quattro anni. Essi erano antropofagi e se non mangiarono lo straniero fu a causa del suo colore, perch dicono che la carne dei Bianchi nociva, perch non matura (ndeg); mentre quella dei Neri matura,329 e se ne cibano volentieri nelle feste. Un gruppo di quei Neri era venuto a rendere visita al sultano nero Mansa Soleiman, ospite del nostro viaggiatore, e quel principe li accolse onorevolmente e fece loro dono duno schiavo. Essi lo sgozzarono e lo mangiarono; poi, dopo essersi sporcati volto e mani col sangue della vittima, vennero a ringraziare il sultano. questo il loro comportamento usuale in questa visita di cerimonia.330
Athr al Bild, p. 14. T. I, p. 11. 325 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. 326 Ajaib al Hind, CIX, p. 150. 327 Cfr. LANE, Thousand and one Nights, t. III, pp. 100 e 104. 328 Sulla questione di sapare se gli Arabi abbiano conosciuto le opere dOmero, cfr. LANE, Ibidem, III, p. 744. 329 IBN BATTUTA, t. IV, pp. 427-428. 330 IBN BATTUTA, t. IV, p. 429.
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Pi vicino alla regione di cui ci stiamo occupando, i neri del paese di Qomr, cos come la maggior parte degli altri popoli di quelle contrade dice bn Said si nutrono di carne umana.331 Lantropofagia, quasi ovunque eliminata ove la religione musulmana apporti la propria morale e la propria relativa civilt, si ritroverebbe ancora in molte parti dellAfrica. Altrove ho raccontato332 la storia dun Nero del Senegal, allora sergente nelle truppe indigene francesi, che aiut a mangiare un prigioniero affidato alla sua custodia. Ci avveniva non pi di trentanni fa. Giudicato da un consiglio di guerra, il Nero fu assolto, e persino nominato, pi tardi, commissario di polizia a Podor. Un manoscritto italiano della Biblioteca della Facolt di Medicina di Montpellier, scritto allinizio del sec. XVIII, e contenente dettagli sulle missioni cattoliche,, riferisce che gli indigeni dAngola accoglievano bene i missionari e chiedevano il battesimo, per essere protetti contro gli Zengi antropofagi, a fine di liberarsi dalle scorrerie deglaltri popoli di Zinga e Kungo, natione crudele e che si ciba di carne umana.333 Allaltra estremit della costa abbracciata dal Bild ez Zenj, ossia verso i confini dellAbissinia, il P. Lobo, gesuita portoghese, pretende che gli abitanti di Pat siano antropofagi. Ma Bruce, che cita il fatto,si rifiuta di credere a questa antropofagia.334 Bruce del resto non ama per nulla i gesuiti ed ben lieto di coglierli in fallo. Marco Polo non accusa gli Zengi davere gusto per la carne umana; e daltronde, come dice Kazuini, il costume degli uni non il costume degli altri;335 ma ne traccia un ritratto fisico dei meno invitanti: La gente (dello Zanghebar) grande e grossa, ma dovrebbero essere pi lunghi, a la grossezza che elli nno, ch sono s grossi e s vembruti (membruti) che paiono gioganti, e sono s forti che porta luno carico per 4 uomini; e questo non maraviglia, ch mangia luno bene per 5 uomni. E sono tutti neri e vanno ignudi, se no che si ricuoprono loro natura; e sono li capelli tutti ricciuti. Elli nno grande bocca el naso rabuffato in suso, e le labra e li anare (le nari) grosse ch maraviglia, che chi li vedessi in altri paesi parebbero diavoli... Qui si le pi sozze femine del mondo, chelle nno la bocca grande el naso grosso e (corto), le mani (mammelle, nel testo francese) grosse 4 cotante che laltre.336
ABUL FIDA, testo arabo, p. 151. Bulletin de la Socit Languedocienne de Gographie, mars 1879, t. I, p. 369. 333 Memorie appartenenti alle Missioni dellAfrica, fol. 40 recto, verso. Quando (il re di Mombasa) conduce la sua gente al combattimento... si vedono gli ufficiali portare il fuoco... per indicare che i vinti devono aspettarsi dessere arrostiti e mangiati, il che si verifica dopo la vittoria. Dictionnaire de Morri, art. Monbase. 334 Voyage en Nubie, t. III, p. 152. 335 Athr al Bild, p. 15. 336 MARCO POLO, Il Milione, ed. italiana, cap. 187.
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Ibn al Wardi337 dichiara che tutti gli Zengi sono idolatri, malvagi e crudeli. Ne fa i pi neri dei neri, daccordo in tal punto con ci che Ibn Battuta dice degli Zengi di Kilwa.338 Alcuni Arabi hanno testimoniato repugnanza per gli Zengi. Taus al Yemani, luogotenente dAbdallah figlio di Abbas, si rifiutava di mangiare la carne dun animale ucciso da uno Zengi, che definiva schiavo schifoso;339 e il califfo Radi Billah, figlio dEl Moqtadir, condivideva tale profonda avversione, al punto che non avrebbe preso nulla dalla mano dun Nero. Tuttavia, tali sentimenti avevano senza dubbio qualche causa particolare, perch in generlae gli Arabi non provano alcun sentimento di repulsione per il nero. Essi sono sensibili alla bellezza duna donna nera come a quella duna bianca di puro sangue caucasico. Al Idrisi vanta la bellezza e la splendida capigliatura delle Nubiane, che si cercherebbero invano simili presso le altre trib.340 Vi nelle nere dice un poeta, citato dallautore delle Avventure dAntar unespressione tale che, se tu ne penetrassi il senso, i tuoi occhi non guarderebbero pi n le bianche n le rosse. Una scioltezza nelle anche, una civetteria dello sguardo, che potrebbe insegnare la magia allangelomago Hart.341 Masudi racconta che un certo Amr, figlio di Bahr al Jahiz, aveva scritto un libro sulla superiorit dei Neri rispetto ai Bianchi. Quellautore poteva invocare lautorit dOmero che chiamava gli Etiopi impeccabili (amumonas Aithiopeas ) e faceva sedere alla loro tavola Zeus e gli Dei dellOlimpo.342 Certamente non aveva preso per epigrafe del suo pensiero quel proverbio arabo che dice: Affamato, lo Zengi ruba; quando sazio, viola.343 Oltre alla ragione che abbiamo fornito per spiegare la diversit di opinioni riportate sugli Zengi, occorre pensare che tra i popoli indicati con questo nome gli uni avevano subito linflusso civilizzatore dei musulmani stabiliti lungo le loro coste, mentre altri continuavano a vivere allo stato selvaggio,
Testo arabo di Hylander, cap. I, p. 170. IBN BATTUTA, t. II, p. 192. 339 MASUDI, cap. VII, t. I. 340 1. clim., 3. sez., p. 25. 341 P. 4 della mia traduzione. 342 Iliade, I, 423. 343 Cfr. FREYTAG, Proverbes Arabes, cap. XXII, prov. 326: Ez Zenji in jaa saraq, wa in shaba zana. 344 Descriptio orbis terrae, v. 1143-1148. 345 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXII, t. III. Cfr. anche KAZUINI, Athr al Bild, p. 15.
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come quegli Erembi di cui parla Avieno: Barbara montivagos tellus extendit Erembos./Hi vitam duris agitant in cautibus omnem,/Intectique artus erepunt ardua semper/Culmina saxorum: non ollis pabula in usum/Terra parit: glebas abrodunt more ferarum/Jejunas herbae, nec amicas frugibus ullis.344 Il ritratto che Masudi traccia degli Zengi lontano dal somigliare a questo schizzo poetico. Egli ce li mostra governati da un sovrano detto Waqlimi, ossia, nella loro lingua, figlio del Signore supremo, costretto alla pi severa equit. Al primo atto di tirannia, alla minima ingiustizia, essi lo proclamano decaduto, luccidono e dichiarano la sua posterit esclusa dalla successione al trono, perch, con una tale condotta, egli perde la propria qualit di figlio del Signore, re del cielo e della terra.345 Gli Zengi non hanno leggi scritte (e nulla permette di supporre che n allepoca di Masudi, n molto pi tardi, essi avessero la minima conoscenza della scrittura); a difetto dun codice religioso, essi si governano in base al costume e a regole tradizionali. Essi hanno dei khatib o predicatori, che parlano nello loro lingua. Come in altri paesi, ben pi civili, talvolta si vede uno di quegli uomini pii fermarsi in mezzo alla folla e rivolgere un sermone a chi vuole ascoltarlo oppure, ricordando agli ascoltatori lesempio dei loro antenati, egli li invita a seguire la volont di Dio, a rendersi grato al creatore, per evitare i castighi che deriverebbero loro dalla disobbedienza.346 Abu Zeid Hassan, il prosecutore di Soleiman, menziona il medesimo costume in questi termini: Presso gli Zengi, vi sono uomini dediti alla vita devota, che si coprono di pelli di pantere o di pelli di scimmie; essi portano in mano un bastone e camminano verso le abitazioni. Gli abitanti si riuniscono; il devoto rimane talvolta un giorno intero sino a sera in piedi sulle proprie gambe, occupato a predicare loro e a richiamarli al ricordo di Dio. Espone loro la sorte trascorsa da coloro della loro nazione che sono morti.347 Questi oratori parlano con una certa eleganza di linguaggio, qualit che piuttosto comune tra gli Zengi. Ma le loro prediche non impediscono alla massa degli Zengi di conservare il loro feticismo; ciascuno adora ci che gli piace: animale, pianta o pietra.348 Gli abitanti di Berawa adorano pietre spalmate dolio di pesce; quelli di Byas, un gigantesco tamburo. Ho avuto occasione dice lo storico nubiano Abdallah dAsswan, citato da Maqrizi di vedere molti uomini di diversi popoli della regione dellalto Nilo. La maggior parte riconoscono un Dio creatore e chiedono a lui lintercessione della
MASUDI, Praterie doro. Les deux Mahomtans, ed. Charton, p. 148. 348 MASUDI, Praterie doro.
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luna, del sole e delle stelle. Altri non credono affatto a Dio e adorano il sole e il fuoco; altri adorano un albero, un animale, tutto ci che conviene loro.349 Oltre a questi predicatori, gli Zengi di Melenda hanno degli stregoni o incantatori, che chiamano Moqnefa. Queste abili persone pretendono di conoscere larte dincantare i serpenti pi velenosi, al punto di renderli inoffensivi per tutti, eccetto per coloro cui essi augurino il male o contro i quali vogliano vendicarsi. Essi pretendono pure che, grazie ai loro incantesimi, i leopardi e i leoni non possano recar loro danno.350 La professione dincantatore molto onorata su tutte le coste bagnate dalloceano Indiano. Gli isolani di Socotra, per quanto siano ritenuti cristiani, non mancano di personaggi che esercitano tale importante professione. Que sono buoni incantatori ( Marco Polo che parla), ma larcivescovo molto li contrada (ontrasta),ch dice ch peccato, ma costoro dicono che li antichi lnno fatto, e perci lo vogliono eglino anche fare. Dirovvi di loro incantesimi...e s fanno altre cose maravigliose che non buono a ricordare.351 I pescatori di perle erano tutti pi o meno incantatori, a credere alle leggende che accompagnano una certa carta dellAtlante Catalano del 1375: Nel mare Indico... i pescatori, quando vanno in mare, fanno i loro incantesimi, per i quali molti pesci fuggono; e se per avventura i pescarori incontrassero pesci cui non avessero pronunciato i loro incantesimi, i pesci li mangerebbero. E ci una cosa ben provata.352 LAjaib al Hind cita diversi passi pi o meno veritieri, relativi agli incantatori di coccodrilli (o di squali); ma sono fatti relativi allIndia e non al paese degli Zengi. Notiamo tuttavia in questopera che gli Zengi hanno degli indovini notevolissimi per la loro esattezza nel predire lavvenire.353 Il vestito degli Zengi dei p semplici. Per la maggior parte del tempo vanno nudi. Ma non disdegnano di indossare qualche ornamento speciale; poich presso di loro loro estremamente comune, preferiscono perci il ferro che dicono allontana il demonio e d il coraggio a chi lindossa.354 Del resto sono grandi combattenti: senza i deserti di sabbia e il braccio di Nilo che si getta nel loro mare, protezione naturale delle frontiere dellAbissinia, gli Habasha dice Masudi non sarebbero potuti rimanere nel loro paese, a causa delle numerose e turbolente truppe di quei neri.355 Gli Zengi si avviano alla battaglia montati su buoi; quei ruminanti, con
Cfr. QUATREMRE, Mmoires sur lEgypote, t. II, p. 26. AL IDRISI, 1. clim., 7. sez., t. I, p. 56. 351 MARCO POLO, Il Milione, cap. 185 (Dellisola di Scara). 352 Pubblicato in Notices et Extraits, 3. carta. 353 Ajaib al Hind, p. 52. 354 KAZUINI, Athr al Bild, p. 15; BAKUI, p. 395. 355 MASUDI, cap. IX, t. I.
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selle e briglie come i cavalli, svolgono molto bene il loro dovere.356 Abbiamo visto che il Waqlimi, o re degli re degli Zengi, ha sotto i suoi ordini un esercito di trecento cavalieri: quei cavalieri hanno evidentemente per cavalcatura delle bestie cornute, perch il Bild ez Zenj non nutre n cavalli n muli, n cammelli, e tutti quegli animali sono l ignoti.357 Ho visto a Rey dei buoi di tale specie, dice ancora Masudi; si inginocchiavano come cammelli e correvano col loro carico come quellanimale, quando reca un fardello leggero.358 I buoi dello Zengi hanno le pupille rosse, gli altri buoi ne hanno paura e fuggono.359 Lalimentazione degli Zengi ha per base il cereale chiamato dura o dorra,360 nome che sembra comprendere diversi tipi di mais e di miglio. Certe variet del prezioso cereale, che per una parte dellAfrica lequivalente del grano per lEuropeo e del riso per lInd, presentano una pellicola pi o meno nera, il cui colore dovette colpire i viaggiatori, abituati alla sfumatura dorata dei loro cereali; deriv senza dubbio da ci la credenza che i prodotti del paese degli Zengi fossero tutti neri, come la pelle degli indigeni.361 Gli Zengi hanno banane in abbondanza, e di diverse qualit. Mangiano anche, come alimento ordinario, una pianta detta kaldi, che si estrae dalla terra come i tartufi (kemh), parente prossima della colocasia dEgitto e di Siria.362 Anche il miele e la carne figurano nei loro pasti. Le isole abbondano in palme da cocco, il cui frutto molto apprezzato da tutti i popoli zengi.363 Essi ne traggono una specie di vino (nebidh) che inebbria, e che danno da bere a chi vogliono ingannare.364 Alcune trib miserabili, come abbiamo gi visto, vivono di rane, topi, serpenti, lucertole e daltri rettili disgustosi.365 Kazuini cita un popolo di Sofala che mangia le mosche, pretendendo che ci prevenga dalla cispa, e infatti non sono mai stati cisposi.366 Gli abitanti delle rive del mare hanno
Ibidem, cap. XXXIII, t. III; KAZUINI, p. 14. MASUDI, Praterie doro, t. III; BAKUI, p. 395. 358 MASUDI, Praterie doro. 359 Ibidem. 360 Ibidem; Les deux Mahomtans, p. 148. 361 ABU ZEID, p. 95; AL IDRISI, 1. clim., 7. sez., p. 59: Tutti i frutti che si coltivano: la dorra, la canna da zucchero, la confora, sono neri. 362 MASUDI, Praterie doro. Gli editori hanno letto kalri, ma il nome corretto kaldi, dal quale i nostri botanici hanno derivato Caladion. Si tratta duna specie di tuberosa simile alla colocasia, di cui si mangiano foglie e radici. 363 MASUDI, Praterie doro. 364 KAZUINI, p. 15. 365 AL IDRISI, 1. clim., 7. sez., t. I, p. 55. 366 P. 29. Suppongo che il copista, ingannato dallanalogia del suono, abbia potuto confondere dhoubab (mosche) con debab (lucertole).
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nella pesca una grande risorsa; ve ne sono anche che salano il pesce per venderlo agli stranieri. La caccia alle bestie selvatiche, per procacciarsi pelli, corna o zanne, fornisce carne agli abitanti del Berbera, anche quando gli animali vengono uccisi con frecce avvelentae. Ho saputo da diverse persone che hanno viaggiato nel loro paese dice Yaqt che hanno una specie di pianta, del genere della malva, che fanno cuocere per spremerne il succo. Questo poi ridotto al fuoco sino alla consistenza di resina. Per provarne il potere tossico, un uomo si procura una ferita ad una gamba; quando il sangue cola, vi avvicina un po del veleno, con la punta del coltello: se la cottura a punto, il sangue rifluisce verso la ferita e luomo si affretta a fermarlo, perch, se arrivasse alla ferita, il ferito morirebbe. Se il sangue non ritorna verso la ferita, si riprende la cottura. Il veleno preparato viene chiuso in una scatoletta che si appende alla cintura. Il cacciatore ne mette un po sulla punta della sua freccia. Ogni animale colpito muore...; si mangia la sua carne, che non fa alcun male.367 La pratica del tatuaggio, che si ritrova nelle cinque parti del mondo, era in uso presso gli Zengi, almeno tra quelli che abitavano il territorio di Kilwa nel sec. XIV, quando Ibn Battuta visit il paese.368 Ma un costume pi singolare, il cui equivalente non esistette probabilmente mai presso nessun altro popolo, quello riferito da Abu Zeid di Siraf: Gli Zengi dice questo contemporaneo di Masudi obbediscono a diversi re, in guerra gli uni contro gli altri. Questi re hanno al proprio servizio degli uomini detti Mokhazzamn (al singolare mokhazzam), perch hanno il naso forato. Nella loro narice stato passato un anello, cui sono attaccate delle catene. In tempo di guerra, quegli uomini vanno alla testa dei combattenti; per ciascuno di loro c qualcuno che prende lestremit della catena e la tira, per impedire alluomo di andare avanti. Tra le due parti sinterpongono dei negoziatori: se si accordano per un arrangiamento, ci si ritira; altrimenti la catena viene avvolta intorno al corpo del guerriero e il guerriero lasciato a s stesso; nessuno abbandona il campo, ma si fanno uccidere tutti al loro posto di combattimento.369 Pu sembrare singolare che gli Zengi abbiano preso in prestito, per designare questi strani combattenti, una parola della lingua araba, che essi conoscevano poco o nulla.370 Non meno sorprendente il fatto che i Swahili di
Ed. Wstenfeld, alla parola Berbera. IBN BATTUTA, t. II, p. 192. 369 Les deux Mahomtans, p. 148. 370 Beidhawi, nel parlare dei monogrammi o lettere isolate che sono allinizio di alcune sure del Corano, dice che quando siano incomprensibili lenunciarle rivolgendo la parola agli uomini sarebbe come se si pronunciassero parole prive di senso, o
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Znzibar abbiano mantenuto sino ai giorni nostri quel nome, sotto la forma di Mukhadem, a indicare una classe dindividui di carnagione ancor pi nera dei Swahili in generale, s che questi ultimi sembrano il risultato di frequenti incroci con uomini di razza bianca. Il comandante Guillain, che parla dei Mukhadem senza pensare ad accostarli ai Mokhazzamun dAbu Zeid, dice che la parola sembra formata dallarabo Khadam servire preceduto da mu, prefisso plurale in Swahili; il nome Mukhadem (schiavi) sarebbe stato dato a quei Neri a seguito della conquista di Zanzibar dagli Arabi dOman, che il sultano di Zanzibar aveva chiamati in suo aiuto contro i Portoghesi.371 Il racconto dAbu Zeid mostra che il nome risale a molti secoli prima dellapparizione delle flotte portoghesi su questa costa. Ci non prova n la veracit del fatto che riferito solo dal continuatore di Soleiman, n la vera etimologia della parola. Forse costui, supposto indigeno, si avvicinava al suono del termine arabo; e da tale rassomiglianza fortuita sarebbe nata la leggenda destinata a spiegare il senso, cos come capitato in diversi casi analoghi.372 Questi Mukhadem o neri di Zanzibar sembrano aver goduto, nei tempi moderni, duna reputazione migliore dei loro vicini: Glabitatori sono neri e meno feroci et rozzi di Cafri dice un manoscritto italiano gi citato.373 Del resto, i Neri del Mozambico, nel sec. XVI, non erano n feroci n pericolosi, se si vuol credere al ritratto delineato dal bolognese Ludovico de Varthema: Persone povere, mal provviste di viveri, tutti neri e tutti nudi, coi capelli corti e crespi, le labbra grosse come due dita, il volto grande, i denti grandi e bianchi come neve: per il resto, di natura molto timida, principalmente quando vedono uomini con armi con bastoni, o con begli archibugi.374 Gli autori orientali dicono che gli Zengi hanno una straordinaria venerazione per gli Arabi. Quando vedono un Arabo, sia egli viaggiatore o mercante, si prosternano davanti a lui, esaltano la sua dignit e gli dicono nella loro lingua: Siate il benvenuto, o figlio dello Yemen!.375 Abu Zeid spiega questa profonda venerazione col fatto che gli Arabi portino datteri agli Zengi e che gli Zengi abbiano per quel frutto una viva passione. Il nero che si prosterna davanti allArabo esclama: Ecco un uomo del paese che produce i datteri!376
come se si parlasse arabo a uno Zengi. (commento alla seconda sura, testo arabo, ed. Flgel, p. 12). 371 Voyage du Ducoudic, t. II, p. 76. 372 Cfr. per esempio le bizzarre leggende relative alle citt di Rey e di Siraf, nel Mojem al Buldn di YAQT (BARBIER DE MEYNARD, Dictionnaire de la Perse, pp. 273 e 331). 373 Memorie appartenenti..., fol. 34 verso. 374 LAfrique, t. IV, pp. 250-251. 375 AL IDRISI, 1. clim., 7. sez. t. I, p. 58. 376 Les deux Mahomtans, p. 148.
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Gli Arabi, poco scrupolosi, rispondono a queste testimonianze di rispetto con ogni sorta dinganni e di truffe commerciali. Uno dei loro peccatucci consiste nellattirare da parte i ragazzi e con lofferta di datteri dimpadronirsi di loro, portarli via e venderli come schiavi.377 Il sovrano dellisola di Keish, nel mar dOman, non si fa tanti scrupoli: organizza una spedizione navale di guerra, sbarca presso gli Zengi, opera una razzia e porta via una folla di prigionieri.378 In riferimento alla scarsa buonafede degli Arabi nei loro rapporti con gli Zengi, si pu leggere un aneddoto piuttosto lungo dellAjaib al Hind,379 in cui si vede un re degli Zengi accogliere graziosamente una nave dOman spinta sulle sue coste da venti contrari, nellanno 310 della Hegira. Dopo aver fatto uno scambio stranamente vantaggioso delle loro mercanzie, senza che il sovrano abbia preteso nessun diritto, i musulmani si rimbarcano. Il principe, per far loro onore e sottolineare la sua amicizia, li segue a bordo della nave con alcuni compagni. Quando li vidi l dice il capitano, che racconta in prima persona lavventura mi dissi: Questo giovane re, sul mercato dOman, varrebbe bene allasta trenta dinari e i suoi compagni centosessanta dinari. I loro abiti hanno un valore non inferiore a venti dinari. Tutto sommato, sarebbe per noi un guadagno di almeno tremila dirham, senza nessuna fatica. Sulla base di tali oneste riflessioni, leva lancora e si allontana, portando via come schiavi il re e il suo seguito. Diciamo, di sfuggita, che gli schiavi Zengi erano molto apprezzati in paese musulmano. La loro estrema facilit a dimenticare la tristezza e a gioire per ogni minima cosa, come dei bambini, li rendeva molto idonei a subire la schiavit; sopportavano facilmente lespatrio: Se gli Zengi vengono da noi e il paese li accoglie bene dice Kazuini conservano buona salute e stanno bene.380 Gli Arabi hanno sono sempre stati abili commercianti. Cosa singolare scriveva Plinio, cinque o sei secoli prima della predicazione di Maometto una met di quei popoli vive di commercio, laltra di brigantaggio.381 Gli Arabi egli aggiunge vendono i prodotti dei loro mari e delle loro foreste e non comprano niente. Plinio ha torto nellultima affermazione; gli Arabi compravano, compravano molto, anche se a buon mercato, e molto spesso in modo da rendere sensibilmente sinonime le due espressioni di commerIII I commercianti arabi
AL IDRISI, p. 58. Ibidem p. 59. 379 Ajaib al Hind, XXXI, pp. 43-52. 380 Athr al Bild, p. 14. 381 Historia naturalis, l. VI, cap. XXXII.
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cio e brigantaggio. Le navi dOman, di Aden, di Jedda, coi loro equipaggi provenienti da tutte le nazioni della costa bagnata dal mar delle Indie, non correvano, per esempio, le coste orientali dAfrica col solo fine di portarvi mercanzie, ma anche e piuttosto per raccogliervi i preziosi prodotti di quelle regioni. Allinizio della nostra era, era la citt degli Aduliti che serviva da magazzino per quelle mercanzie esclusivamente africane: avorio, corni di rinoceronte, cuoio dippopotamo, scaglie di tartaruga, profumi e resine della costa dAjan.382 Molto tempo dopo, Cosma dice anche che gli abitanti della Barbaria (abbiamo visto in senso di questo nome) portano a Adule lincenso, la cannella, il papiro e molte altre cose.383 Nel sec. IX, Aden era il punto di appuntamento per le navi che arrivavano dal Sind, dallIndia, dalla Cina, dallo Zengi, dallHabasha, da Bassora, da Jedda, da Qolzum.384 Poco tempo dopo, Moqaddasi offre unenumerazione dei principali prodotti che provenivano da quella citt.385 LIndia e la Cina fornivano la maggior parte dei generi, come perle, rubini, legni preziosi, canfora, stoffe di seta, zucchero candito, ecc. Ma il paese degli Zengi forniva metalli, ambra, avorio, schiavi, pelli di leopardo, legname da costruzione.386 Se ne ricavano enormi guadagni. Un tale partito con mille dirham e ritorna con mille dinari.387 normale quintuplicare il proprio avere. Un altro porta un carico dincenso e riporta un peso uguale di canfora.388 Per capire quale potesse essere, molti secoli prima dellepoca della quale stiamo trattando la massa degli apporti forniti allEgitto dallEtiopia e dal paese degli Zengi, occorre leggere in Ateneo389 la descrizione della grande festa data ad Alessandria da Tolomeo Filadelfo. Quale profusione di profumi, doro lavorato in pagliuzze (fgmata chrysion), danimali selvaggi, di schiavi portati su carri sotto tende barbariche! Nel prossimo capitolo daremo qualche dettaglio su certe produzioni e su diversi animali reali o fantastici del paese degli Zengi, citati dagli autori arabi. Prima degli insediamenti arabi, gli Zengi della costa non possedevano imbarcazioni.390 Erano visitati dalle navi dOman e anche dai mercanti inPLINIO, l. VI, cap. XXXIV. Topographie chrtienne, p. 14. 384 IBN KHORDADBEH, Le livre des Routes, p. 282. 385 Testo arabo di Goeje, p. 96. 386 ISTAKHRI (p. 127), nel descrivere la citt di Siraf, dice che gli edifici sono csotruiti di sj (platano) e altri legni che sono importati dal paese degli Zengi. 387 Se ci si riferisce al conto fatto prima dal capitano che aveva rapito gli Zengi, si pu ricostruire che il dinaro equivalesse pressappoco a quindici dirham. 388 MOQADDASI, p. 96. 389 Ed. Schweighoeuser, l. V, XXV, pp. 256-277. 390 AL IDRISI, 1. clim., 7. sez., p. 5; cfr. anche IBN AL WARDI.
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diani. Al tempo dIbn Battuta, alcune citt della costa avevano acquisito una certa importanza commerciale. Il sottofondo della popolazione era sempre africano, ma gli Arabi, i Baniani dellIndia, senza dubbio anche dei musulmani di sangue malese, avevano in mano la direzione degli affari. Gli incroci multipli degli Arabi con donne indigene avevano per cos dire creato una nuova razza, il cui il tipo caucasico attenuava pi o meno i caratteri fisici del nero purosangue. Maqdeshu era allora una citt molto ampia, con abitanti ricchi e industriosi. Vi erano molti montoni e cammelli, vi si sgozzavano diverse centinaia di questi ultimi per il consumo giornaliero. Sinora avevamo visto riconoscere agli Zengi solo le industrie della pesca, la caccia, la concia delle pelli di animali feroci, lo sfruttamento delle miniere doro e di ferro. Qui, grazie alla popolazione di origine araba, troviamo una fabbricazione attiva di belle stoffe che traggono nome da quello della citt e non hanno di simili.391 Stoffe che si esportano in Egitto e in altri paesi. Quando una nave straniera attracca a Maqdeshu, ecco come vengono accolti i commercianti, secondo il racconto dIbn Battuta, testimone oculare. Una moltitudine di piccole imbarcazioni, della specie detta sonbuq, si staccano dalla riva e si dirigono verso la nave; esse portano dei giovani, tutti provvisti dun piatto coperto che contiene cibo. Ciascuno di quei giovani presenta il proprio piatto ai nuovi venuti, dicendo: Questo mio ospite. I mercanti li seguono e alloggiano presso coloro che li hanno scelti. Solo coloro che sono venuti diverse volte e conoscono bene la citt possono sottrarsi a questa ospitalit e alloggiare ove preferiscono. Lospite incaricato dellacquisto e della vendita di tutto ci che riguarda lo straniero che ha accolto in casa propria. Se si comprasse da questo mercante qualche oggetto per un prezzo inferiore al suo valore, o gli si vendesse qualsiasi cosa senza lintermediario del suo ospite, un tale mercato sarebbe colpito dalla riprovazione generale. Gli abitanti aggiunge il viaggiatore maghrebino trovano il proprio vantggio in questo modo dagire. Non difficile a credersi: il vero modo di comprare e vendere al prezzo che si vuole.392 Lo Sheikh o principale amministratore di Maqdeshu, del quale abbiamo gi detto che era di sangue berbero e comprendeva la lingua araba, offr unaccoglienza eccellente al viaggiatore, musulmano come lui e insignito del rispettabile titolo di faqih o giureconsulto. Nella sua qualit di maomettano, questo Sheikh o Sultano, come tiene a chiamarlo Ibn Battuta, porta un
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IBN BATTUTA, t. II, p. 191. Questo patronato forzato, daltronde ben anteriore al sec. XIV, perch vi allude gi lautore del Mojem al Buldn (ed. Wstenfeld, t. IV, p. 602), ancora vivo a Mogadiscio. Cfr. GUILLAIN, t. I, pp. 181-182.
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nome arabo dei pi illustri negli annali dellislamismo, quello dAbu Bekr. Il suo cadi (qadi = giudice) di origine egiziana. Questi lospite del narratore e laccompagna nella sua prima visita presso lo Sheikh. Quando fui arrivato al palazzo... un eunuco ne usc e salut il giudice, che gli disse: Consegna il deposito che ti stato affidato e di al nostro padrone, lo Sheikh, che questuomo arriva dallo Heggiaz. Leunuco sincaric del messaggio e ritorn, portando un piatto che conteneva foglie di betel e noci darek. Mi offr dieci noci di betel e qualche noce darek, ne diede la stessa quantit al cadi e divise il resto tra i nostri compagni. Poi port un flacone (qumqum) dacqua di rose di Damasco, e ne vers su di me e sul giudice, dicendo: Il nostro signore ordina che lo straniero sia alloggiato nella casa dei Thaliban... Il cadi mi prese per mano e mi condusse in quella casa, presso il palazzo, ornata di tappeti e provvista di tutti gli oggetti necessari. Pi tardi, lo stesso eunuco port delle provviste dalla casa dello Sheikh. Uno dei visir laccompagnava, incaricato della cura degli ospiti: Il nostro signore disse questi vi saluta e vi fa dire che siete i benvenuti. Dopo di che, serv il pasto e mangiammo.393 Il cibo qui non ha pi quel carattere di semplicit tipico della cucina dei selvaggi. Consiste di riso cotto col burro, servito in un gran piatto di legno, accompagnato da un rag chiamato kushn, che si compone di carni, pesce e verdure. Al tempo stesso si servono banane raccolte prima della maturazione e cotte nel latte fresco. Come condimento eccitante, dopo ogni boccone si mangiano limoni, peperoncino lungo conservato nellaceto e nella salamoia, zenzero verde e manghi. Il nostro maghrebino, abituato allestrema sobriet dei suoi compatrioti, ammira lappetito dei Mogadisciani, che si cibano tre volte al giorno di unenorme quantit di viveri e sono perci ben grassi e grossi.394 Non insisteremo ulteriormente su ci che riguarda una citt gi allora interamente islamizzata e che non conservava quasi pi nulla dei costumi primitivi degli Zengi. Ma la relazione dIbn Battuta merita dessere letta per intero. Alla stessa epoca, gli Zengi di Kilwa sono ugualmente convertiti alla religione di Muhammad. Da pii musulmani, si dedicano al jihad o guerra santa contro i Kafir, loro vicini, come stato detto prima. Abbiamo detto che saremmo ritornati sulla condotta del loro monarca, esempio tipico di Zengi, sincero adoratore di Allah. Si chiamava Abul Mozhaffer Hassan. Era un principe di estrema generosit; i faqir (mendicanti) lo chiamavano Abul Mewahib, il padre dei doni. Sul prodotto delle razzie, egli prelevava una parte destinata alle persone della discendenza del Profeta, la depositava in una cassa speciale e ne faceva dopo agli Sherif che gli facevano visita; ne
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venivano dallIraq, dallo Heggiaz e da altri paesi. Ibn Battuta cita i nomi di alcuni di questi nobili questuanti che trov alla corte del generoso sultano.395 Abul Mozhaffer si mostrava di unumilt esagerata, sedendosi a tavola con i faqir, persone che dappertutto sono di dubbia pulizia. Era con loro non solo cortese, ma pieno di deferenza, e talvolta spingeva allestremo la sua condiscendenza ai loro desideri. Ecco uno dei suoi tratti, di cui il nostro viaggiatore fu testimone durante il proprio soggiorno a Kilwa. Un venerd ( la domenica dei musulmani), al momento in cui il principe esce dalla moschea, dopo la preghiera, per ritornare a casa, un faqir gli va incontro dicendo: O Padre dei Doni! Eccomi! risponde il sultano Che vuoi? Dammi i vestiti che indossi. Li avrai. Subito. Sia! allistante. E, ritornato alla moschea, il sultano entra dal khatib, si leva gli abiti e ne indossa altri, poi ritorna dal faqir: Va gli dice e prendili con te. Il faqir entra, prende gli abiti del re, li lega in un panno, si mette il pacco sulla testa e se ne va tranquillamente. I presenti non mancano di celebrare lalta generosit del principe. Suo figlio, testimone di quanto si svolto, corre dal faqir, gli chiede gli abiti paterni e gli d in cambio sei schiavi. Nuova esplosione di lodi. Ma il sultano non pu essere in debito di generosit col figlio: manda al faqir altri dieci schiavi e vi aggiunge due carichi davorio.396 Un califfo, in un caso simile, avrebbe fatto dare al mendicante qualche migliaio di dinari. Ma a Kilwa lavorio che serve per i doni e raramente si d oro.397 Quando quel Padre dei Doni mor, suo fratello, che fu suo successore, si mostr di tuttaltro carattere. Rispondeva ai questuanti: Chi donava morto e non ha lasciato niente da donare.398 I faqir, ben avvisati, andarono a mendicare altrove. Nel raggruppare in questo capitolo le poche informazioni fornite dagli Arabi sugli abitanti del Bild ez Zenj, avremmo voluto aggiungere qualche parola sulla loro lingua. Sfortunatamente gli Arabi, come i Greci e i Romani, si preoccupano poco dinformarci sulle lingue dei popoli stranieri. vero che Al Idrisi, nella sua Prefazione,399 annuncia che gli idiomi fanno parte del soggetto che vuole trattare, ma le informazioni che egli fornisce sono di fatto nulle, almeno per la regione orientale dellAfrica. Tutto ci IV La lingua
T. II, p. 194. T. II, pp. 194-195. 397 Ibidem. 398 Ibidem. 399 I, p. XXI.
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che abbiamo potuto fare stata la racolta nel suo libro e in alcuni altri dei quattro o cinque termini, specificamente attribuiti agli Zengi. Allor come oggi, pi doggi senza dubbio, una grande diversit regnava nel linguaggio dei popoli costieri. Una delle parole che rileviamo sidentifica con facilit in un termine dellidioma swahili, usato lungo questimmensa costa che gli Arabi hanno chiamato Le Sponde (Swahil) e che, partendo a sud di Mombasa, si stente sino al capo Delgado. il termine che i manoscritti dAl Idrisi scrivono Moqnaf, usato per indicare gli incantatori di Melenda.400 Anzich Moqnaf io leggerei Meqanq, cambiamento che non presenta nessuna difficolt nella scrittura araba, perch si ottiene ponendo due punti anzich uno sulla penultima lettera. Meqanq non differisce in nulla dalla parola swahili megangga che significa stregone.401 Per le seguenti parole, non tenter nessuna assimilazione. Waqlimi, secondo Masudi, il re degli re degli Zengi. La parola significa figlio del Signore supremo (ibn ar Rabb al Kebir). La lettura ben incerta; gli editori delle Praterie doro citano le lezioni Waqlimi,402 Felimi,403 Waflimu;404 Wstenfeld ha letto in Kazuini Awqlim405 o Uqlim; de Guigns, in Bakui, ha letto Aqlim;406 mentre Quatremre ha letto Aqliman;407 Mehren, in Dimashqi, Tuqlim.408 Maklangialu il nome di Dio; Masudi linterpreta il maestro supremo (ar Rabb al Kebir).409 Er rahim, gigantesco tamburo adorato a El Bayas.410 meglio leggere ar Rajim, secondo la maggioranza dei manoscritti.411 Hawdi, uccesso di Sofala, che ripete gradevolmente i suoni che intende e parla ancor meglio del Babbagha o pappagallo.412 In swahili, Hua significa piccione.
Vedi sopra. Cfr. il piccolo Vocabulaire Souahli, alla fine del t. III dellAfrique orientale di GUILLAIN, p. 517. 402 MASUDI, Praterie doro, t. III. 403 T. I, p. 371. 404 T. III, p. 445, nota. 405 Athr al Bild, p. 14. 406 Notices et extraits des Manuscrits, t. II, p. 395. 407 Mmoires sur lEgypte, t. II, pp. 185, 187. 408 Testo arabo, p. 129. 409 MASUDI, Praterie doro, t. III. 410 AL IDRISI, 1. clim., 7. sez., p. 57. V. sopra. 411 DOZY-DE GOEJE, Description de lAfrique et de lEspagne, Prefazione, p. Xxi, nota. 412 KAZUINI, p. 29; BAKUI.
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Giammn (Jammm), frutto che si mangia a Mombasa.413 Dalla descrizione che ne d Ibn Battuta (v. sopra), si capisce che il giammn una variet del giamb dellIndia e della Malesia, ben noto ai naturalisti col nome di Jambose.414 Dunque la parola non di origine africana. Kalri o piuttosto Kaldi, come abbiamo detto sopra, pianta orticola. Anche questo nome straniero alla costa africana e originario dellIndia. Kushn, rag di carni e verdure a Maqdeshu.415 Suppongo che non sia altro che la parola persiana Kushb brodo, salsa di carne. Qabliya, nome attribuito a una parte degli Zengi, secondo Dimashqi significherebbe formiche.416 Zengiuya, altro nome degli Zengi, significherebbe cani.417 La storia politica particolare dei popoli Zengi, anteriormente ai tempi moderni, del tutto sconosciuta, il loro ruolo nella storia completamente nullo. Tuttavia, le trib vicine allAbissinia, quelle del Berbera e della costa dAjan, costantemente in lotta con gli Abissini, figurano spesso negli annali guerrieri di questi ultimi, come noi li conosciamo tramite Ludolf e Bruce.418 Diversi neri hanno acquisito una consistente notoriet presso gli Arabi. Basti ricordare i nomi del poeta beduino Shanfara, luomo dalle labbra grosse, autore duna ammirevole Qasida o poema monorima; dAntar, altro poeta, grande guerriero dei tempi preislamici, la cui principale opera nel numero delle Moallaqat; di Loqman il Saggio,419 sotto il cui nome stata pubblicata una raccolta di favole esopiche. Ma se quegli uomini e qualche altro meno illustre erano di sangue nero, nulla permette di collegarli alla famiglia degli Zengi. Altrettanto diremo di quel Khasib, che il califfo Harun ar Rashid aveva nominato governatore dEgitto, volendo si dice con ttale scelta manifestare il proprio disprezzo per il regno dei Faraoni.420 Come prova della stuV Neri famosi
IBN BATTUTA, t. II, p. 191. Cfr. il mio Dict. tym. des mots dorigine orientale. 415 IBN BATTUTA, t. II, p. 185. 416 Testo arabo, p. 129. Occorre per piuttosto tener conto di una possibile alterazione nella vocalizzazione, che abbia modificato il termine arabo Qabilah (trib), ancora oggi in uso per designare le fazioni somale di matrice clanica (N.d.T.). 417 Ibidem. 418 LUDOLF, Historia Aethiopicarum; Ad Hist. Aethiop. Commentarium ; BRUCE, Voyage en Nubie et en Abyssinie. 419 Cfr. MARACCI, Alcorani Refut., a riguardo del versetto 12 della Sura XXXI. 420 IBN BATTUTA, t. I, p. 97.
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pidit di quel nero, lautore del Gulistan racconta che un anno, in cui gli abitanti erano venuti a lamentarsi che il cattivo tempo avesse distrutto il loro raccolto di cotone, Khasib rispose loro: Perch non seminate della lana?421 Ma scrittori seri come Ibn Battuta affermano che Khasib fu un abile amministratore, intelligente e talmente generoso, che i poeti celebrarono a lungo le lodi delle sue benemerenze. Gli Zengi fornivano molti schiavi ai musulmani. Durante il periodo del califfato, essi erano moltiplicati nellIraq, al punto che rischiarono di diventarvi gli strumenti duna rivoluzione, sotto gli ordini dun certo Ali ben Mohammed El Basri che la storia ricorda come Sahib ez Zenj, Signore degli Zengi. La rivolta dur quattordici anni. Era il sec. IX. Limpero dei califfi aveva raggiunto il suo apogeo di gloria e di potenza, sotto i regni di Harun ar Rashid e di suo figlio Al Mamun, protettori delle lettere e delle arti. I loro successori Motasim e Wathek videro formarsi gli elementi duna prossima dissoluzione. Gli Alidi spossessati non avevano cessato di cospirare apertamente o in segreto contro i loro vincitori Abbassidi. Fermenti di rivolta si manifestavano in tutte le province, e persino a Bagdad, centro dellimpero. Mostansir sgozzava suo padre e moriva di rimorsi (861); il suo successore Mostayn veniva rovesciato da una fazione che proclamava Motaz (866) e questi, a sua volta deposto, lasciava il posto a Mohtadi, figlio di Wathek (869). Mohtadi fu massacrato lanno dopo. In tali circostanze scoppi la rivolta dAli ben Mohammed.422 Egli si diceva legittimo erede degli Alidi, discendenti dal genero di Muhammad; ma il suo miglior argomento era una formidabile truppa di Zengi. Quegli schiavi neri, molto diffusi lungo le rive del Tigri e dellEufrate, formavano un elemento considerevole dellesercito. Soldati robusti, intrepidi, feroci, erano usati dai sovrani per le occorrenze pi sporche. Cos, pi dun secolo prima, quando il primo degli Abbassidi, Abul Abbas il Sanguinario, dovette reprimere una rivolta degli abitanti di Mossul (132 Hegira, 749750), suo fratello Yahya, incaricato del castigo, abbandon la popolazione alla ferocia dun corpo di quattromila Zengi che aveva nel proprio esercito. Quei neri si abbandonarono in citt a unorgia cruenta in cui si dice che morissero dodicimila persone, uomini, donne, vecchi e bambini. Lesercito di Ali ben Mohammed era ben pi numeroso. Egli aveva raccolto i principali elementi tra gli Zengi dellIraqArabi, e specialmente a Sibkh,423 non lontano da Bassora. Nativo dun villaggio della provincia di
SAADI, Gulistan, l. I, storia 39. Essa cominci nel mese di shewal 255, detto Nowairi (Manuscripts de la Bibl. Nationale, Ancien fonds arabe, n. 647, fol. 25). 423 ABUL FIDA, Annal. Moslemicae, t. II, p. 228.
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Rey, il Signore degli Zengi era musulmano, dice Masudi, ma eretico.424 Le sue truppe nere saccheggiarono il paese, simpadronirono di diverse citt e commisero i pi orribili eccessi. Ramla, Wasit, la stessa Bassora caddero in loro potere.425 I rivoltosi occuparono lIraq e una parte dellAhwaz (Susiana) e del Khuzistan. Gli eserciti del califfo furono battuti in diversi scontri. La guerra dur cos a lungo dice lo storico Fakhr ed Din426 che ciascuno dei due partiti fond delle citt sul teatro della lotta, citt in seguito distrutte, ma di cui rimanevano le tracce. A Mohtadi era succeduto Mutamid. Il fratello di questo califfo ebbe la gloria di liberare limpero dal suo temibile nemico. Dopo pi di quattordici anni di lotta, in cui le vittorie si alternavano alle sconfitte, il Sahib degli Zengi fu infine schiacciato e messo a morte nell882 (sabato 2 di safar 270, dice Masudi).427 A lungo fu conservato il ricordo di quella formidabile insurrezione e dei massacri che ne furono la conseguenza, perch in ogni occasione il capo degli Zengi massacrava senza piet ogni creatura vivente e non risparmiava n let n il sesso, lasciando ovunque rovine fumanti e cadaveri. In un solo scontro, presso Bassora, si dice che facesse morire trecentomila persone. Si faceva solo grazia della vita alle donne dalto lignaggio, per venderle allasta tra i soldati. In tal caso, il venditore non trascurava la loro nobilt e aveva cura di sciorinare i titoli genealogici: una tal giovinetta nobile fu cos venduta al prezzo di due o tre dirham (meno di tre franchi). Ogni Zengi ne aveva dieci, venti, trenta, che nel suo mnage occupavano tuttee le funzioni pi basse.428 Era una gioia per quegli schiavi in rivolta ridurre a tali condizioni avvilenti le discendenti di Hassan, di Husseyn dAbbas, e delle pi illustri famiglie arabe.
MASUDI, Praterie doro, cap. CXXI, t. VIII. Tra le vittime degli Zengi a Bassora, Ibn Khalliqan cita il saggio grammatico e professore Ar-Riashi. Gli Zengi egli dice entrarono in citt al momento della preghiera del venerd, il 16 shewal 257 (sett. 871). Quella notte e il sabato seguente saccheggiarono Bassora a ferro e fuoco. La domenica, dopo aver posto in fuga la guarnigione, proclamarono unamnistia generale; ma quando la popolazione si mostr, venne massacrata. Pochi abitanti si salvarono. La grande moschea e tutti coloro che vi si erano rifugiati furono dati in preda alle fiamme. In uno di quei tre giorni mor Ar-Riashi. (Ed. di SLANE, 348). Un altro personaggio che godette duna certa celebrit, il poeta Ibn Doreid, fu pi fortunato e riusc a scappare da Bassora prima dellentrata degli Zengi (Ibidem). 426 SILV. DE SACY, Chrest. Arabica, t. I, p. 83. Occorrz qui citare il Bulletin dHistoire et de Littrature, che a p. 393 commenta lopera di Devic con le seguenti parole: In questa interessante memoria... segnaliamo un piccolo errore... riconosciuto da tempo che lautore del Fakhri si chiama Ibn Tiqtaqa e non Fakhr ed-Din (N.d.T.). 427 MASUDI, Praterie doro, cap. CXXII, t. VIII. 428 Ibidem, p. 60.
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La sconfitta degli Zengi fu seguita in Bassora da scene spaventose. Ecco, secondo lautore delle Praterie doro, un angolo di quellorribile quadro: Poich quelli di quel partito che erano a Bassora parteggiavano ancora fermamente per le opinioni di Mohallebi (uno dei principali ufficiali del Sahib) e continuavano a riunirsi in certi venerd, furono posti fuori legge. Gli uni riuscirono a fuggire, gli altri furono massacrati o annegati. Un gran numero di loro si nascosero nelle case e nei pozzi; si mostravano solo di notte e davano la caccia a cani, topi e gatti, per ucciderli e nutrirsene. Ma ben presto tale risorsa si esaur e non trovarono pi nulla da mangiare. Allora mangiarono i cadaveri di coloro tra i loro compagni che morivano: si spiavano e attendevano la morte luno dellaltro; i pi forti uccidevano i compagni e li divoravano. A questi mali si aggiunse la privazione dacqua dolce. Si racconta che una donna si trovasse presso una delle sue compagne in agonia; la sorella della morente era l; tutte quelle donne, sedute in tondo, aspettavano la sua morte per nutrirsi della sua carne. Ecco il racconto dun testimone: Non aveva ancora reso lultimo respiro che ci gettammo su di lei, la tagliammo a pezzi e la divorammo. Sua sorella era con noi; mentre eravamo allincrocio detto di Yssa ben Abi Harb, essa corse verso il fiume e, con la testa della sorella in mano, si mise a piangere. Interrogata sul motivo del suo dolore, rispose: Quelle donne si sono riunite intorno a mia sorella e senza lasciarla morire di morte naturale lhanno fatta a pezzi. Quanto a me, mi hanno derubata e del corpo di mia sorella mhanno lasciato solo la testa. E continu a lamentarsi cos del dolo che le era stato fatto nella divisione del cadavere. Vi furono molte scene di tal genere, e ancora pi atroci di quella che abbiamo appena raccontato.429 Fakhr ed Din pretende che la rivolta degli Zengi costasse la vita a due milioni e mezzo di persone.430 Masudi riporta una valutazione molto pi ragionevole. Il numero di coloro che perirono durante quegli anni di guerra offre egli dice materia alla contestazione: gli uni lo valutano molto alto, gli altri con pi moderazione. Secondo i primi, la cifra delle perdite sfugge a ogni calcolo: solo Dio nella sua scienza infinita pu sapere quanto siano costate le conquiste delle citt, dei cantoni e delle borgate e i massacri che ne conseguirono. I pi moderati stimano il totale delle perdite a cinquecentomila anime; ma entrambe le opinioni riposano solo su dati vani e congetturali, ed ogni calcolo rigoroso impossibile.431
Trad. di BARBIER DE MEYNARD, pp. 58-60. In SILV. DE SACY, Chrest. Arabica , t. I, p. 90. Fakhr ed-Din scriveva alla fine del sec. XIII e al principio del SIV. 431 Ibidem, p. 61. La redazione delle Praterie doro successiva di soli 60-70 anni alla morte del Sahib ez-Zenj.
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La cifra di cinquecentomila vittime non sembrer esagerata, se consideriamo la durata della guerra ed il carattere feroce dei belligeranti. Masudi, in giovent, aveva potuto conoscere dei testimoni oculari di quelle atrocit. Bench questi fatti siano conosciuti nella storia musulmana cotto il titolo di rivolta degli Zengi, si creder senza pena che gli Zengi propriamente detti non formassero che una parte dellesercito insorto. Oltre ai Bianchi che vi simmischiarono, si contavano molti neri che certamente non erano originari della costa orientale dAfrica. Come stato gi detto, il nome di Zengi stato abusivamente applicato ai Neri dogni provenienza. Oltre al sollevamento dAli ben Mohammed, non conosciamo alcun avvenimento storico notevole in cui figuri il nome degli Zengi.
Dopo avere raccolto nelle pagine precedenti ci che gli Arabi hanno trasmesso relativamente al paese degli Zengi e ai costumi degli abitanti, ci proponiamo di raggruppare in questo capitolo le informazioni che riguardano i principali oggetti di commercio forniti dalla costa. Occorreva lesca dun guadagno ben sicuro per attirare i commercianti asiatici verso quelle regioni cos scomode per le navi e per i navigatori; ma un proverbio arabo sopra citato non propone forse un viaggio al paese degli Zengi come rimedio alla povert? I prodotti che vi si cercavano erano di natura assai diversa; ne abbiamo visto alcuni elenchi. Erano innanzitutto gli schiavi, che si trovavano dappertutto e si compravano sia in cambio di stoffe, di utensili metallici, di vetrerie, sia tramite mezzi pi economici come linganno, il ratto, la violenza; poi i metalli preziosi, gli aromi, lambra grigia; infine le spoglie danimali, le pelli di belve, lavorio, la scaglia di tartaruga, ed anche i cauri che essi estraggono dalle loro vicinanze.432 Di tutte queste produzioni, loro era naturalmente la pi richiesta. Poco ingombrante, difeso dalle proprie qualit naturali contro le alterazioni cui sono esposte, sotto il bruciante sole dei tropici, le materie dorigine vegetale o animale, il prezioso metallo offriva inoltre il vantaggio duna vendita sicuro e immediato al ritorno, con un guadagno conosciuto in anticipo e quasi privo di alea. Cos, la prima domanda del navigatore che sbarca : Avete oro? Sotto la spinta della domanda, esso affluiva su tutti i mercati dello Zengi e del Sofala. Talvolta arrivava da molto lontano. Diverse trib nere
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I I prodotti desportazione
IBN AL WARDI (in Notices et extraits, t. II, p. 40). De Guignes, nellanalizzare questo passo del geografo arabo senza conoscere il senso del vocabolo Wada, ha mantenuto il termine senza spiegarlo. Hartmann propone lipotesi: Wada pu significare: acque profumate (Edrisii Africa, p. 101). Non si pu mantenere alcun dubbio sul significato della parola araba, che designa la piccolo conchiglia usata in Africa e in India come moneta corrente e ben nota col nome di cauri.
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dellinterno si dedicavano con ardore al lavaggio delle sabbie, allo sfruttamento delle miniere. Sin dai tempi antichi e durante tutto il periodo del medioevo, lAfrica dovette fornirne quantit enormi, che in seguito si sparsero in tutte le contrade del mondo, e soprattutto in India. LIndia ne ha fatto in ogni tempo un consumo impressionante. Loro entrava in India e non ne usciva pi, dice uno scrittore arabo del sec. XIV.433 Lo stesso autore riporta una serie di elementi che dimostrano a che punto il prezioso metallo fosse ricercato e apprezzato dagli Ind. Il loro sogno di ammassarne enormi quantit, senza mai intaccarle; lo si accumula di padre in figlio in caverne, pozzi, murati in modo da lasciare solo lapertura necessaria per introdurre nuovi lingotti o piuttosto oro in monete, che preferiscono per paura di frodi. Un conquistatore dellIndia riporta dalle sue spedizioni il carico in oro di trentamila buoi, raccolto presso i vinti. Sette principi dice un Raja mi hanno preceduto sul trono: ciascuno di loro ha riempito doro settanta babin o grandissime cisterne, ove si scende dai quattro lati tramite una scala. Si conoscono storie di laghi, presso un tempio, ove ciascun pellegrino reca la propria offerta. Uno di quei laghi, disseccato, devolve abbastanza ricchezze da caricare duecento elefanti e diverse migliaia di buoi.434 I MahaRaja dello Zabegi (o Zanegi) racconta Abu Zeid avevano il costume di gettare ogni giorno in un serbatoio dacqua vicino al loro palazzo un mattone doro pesante diversi manna, o chilogrammi. Qualunque fosse la durata del regno, questusanza si osservava senza interruzione. Se il sovrano manteneva la corona solamente per un quarto di secolo, si pu valutare lenorme peso doro che si trovava cos sottratto alla circolazione, per non ritornarvi che alla morte del principe.435 Veri o falsi, tali fatti, nonostante levidente esagerazione, testimoniano della prodigiosa quantit doro che lIndia riceveva dalle miniere di tutti i paesi. Ne erano state necessarie grandi quantit per la costruzione della leggendaria citt dIrem, che lempio Sheddad, figlio dAd, fece costruire nei deserti di Aden per rivaleggiare con le ricchezze del Paradiso. I palazzi di quella vasta citt erano doro e dargento, con colonne di smeraldi e di rubini. Il lavoro dur trecento anni e Sheddad non ne profitt, perch nel momento in cui stava per prendere possesso della sua splendida capitale Dio
Messalik al Absr, in Notices et extraits, t. XIII, p. 218 (Mm. di Quatremre). Ho calcolato dice un difensore dellalchimia che da tremila anni lIndia non ha mai esportato oro nelle altre contrade, e che quello che vi entrato non ne uscito. 434 Ibidem, pp. 219-221. 435 Les deux Mahomtans, p. 131. Kazuini, che riferisce il medesimo fatto, dice che ogni giorno il Maharaja riceve duecento manna doro (Ajaib al Makhluqt, p. 197).
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lanci un terribile grido, che annient allistante il monarca senza fede e limmenso esercito che laccompagnava.436 Per spiegare la profusione del prezioso metallo, limmaginazione popolare aveva creato regioni in cui il suolo era doro puro e dargento. Tali erano le famose isole di Chryso e Argyra, isole delloceano Indico ancor oggi ricche di gran quantit di metalli, s che si tramandato che abbiano la maggior parte della loro superficie doro e dargento.437 LAfrica non possiede una simile ricchezza, ma le sue miniere sono comunque abbondanti. Al Idrisi fornisce qualche dettaglio su quelle dello Wadi dEl Allki, celebri sotto il nome di miniere nubiane, sulle frontiere tra la Nubia e lAbissinia, in una pianura di sabbie mobili non circondata da montagne. Durante le prime e le ultime notti del mese arabo (ossia intorno alla luna nuova), i cercatori doro si mettono in campagna nelloscurit. Guardano la terra, ciascuno nel luogo che si prescelto; e ove scorgono scintillii, prodotti dalla polvere doro, segnano il luogo per poterlo riconoscere lindomani.438 Vi passano la notte e, alla nascita del giorno, ciascuno si pone allopera nella porzione di sabbia che ha segnato, prende quella sabbia e la trasporta sul proprio cammello sino in prossimit dei pozzi che l si trovano. Si procede al lavaggio su banchi di legno, da cui si ritira il metallo; poi lo si mescola con mercurio e lo si fa fondere. Dopo tale operazione, essi vendono e comprano lun laltro ci che hanno potuto raccogliere, e i mercanti trasportano loro nelle contrade straniere. loccupazione abituale di quei popoli. Non cessano di dedicarvisi e ne traggono di che sussistere e star bene.439 LAjaib al Hind parla di miniere doro estremamente abbondanti, site nelle regioni alte del paese degli Zengi.440 Cosma vanta quelle di Sasu terra prossima al paese dellincenso. I mercanti nubiani vi vanno in gruppi numerosi, muniti per lo scambio di buoi, sale, ferro. Giunti ai luoghi opportuni, formano una cinta di spine ammucchiate e vi si insediano. Uccidono dei buoi e ne espongono i pezzi sulle spine, cos come il sale e il ferro. I nativi
Si pu trovare la seria contestazione di questa leggenda nei Prolegomeni di IBN KHALDUN (Notices et extraits, t. XIX, 1. parte, p. 23). 437 ISIDORO DI SVIGLIA, l. XIV, cap. VI, De insulis. Sono quasi le stesse parole di Solino (Polyhist., cap. LV, p. 353). Brunetto Latini o i suoi editori sfigurano il nome delle isole in Erila e Argita: Fuori dellIndia vi sono due isole, Erila e Argita, ove vi s gran copia di metallo, che i pi stimano che tutta la terra sia oro e argento. (Trsor, l. I, p. IV, cap. CXXIII). 438 Nella Descrizione dellEtiopia di FRANCISCO .ALVARES, pubblicata da Ramusio, si legge, a proposito dei giacimenti doro di Damut: Vanno a cercarlo il pi spesso di notte, al chiarore della luna, perch lo vedono luccicare. LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. III, p. 547. 439 AL IDRISI, 1. clim., 5. sez., pp. 41-42. 440 Ajaib al Hind, XXXVI, p. 56.
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arrivano, con lingotti doro che chiamano tanchara; ciascuno ne pone uno o pi sugli oggetti esposti dai mercanti. Se questi trovano lofferta soddisfacente, prendono loro e i nativi portano via carne, ferro e sale, altrimenti lasciano loro. Allora i nativi aggiungono nuovi lingotti o riprendono quelli che avevano posto. Sono costretti a questo modo di commerciare, perch non si comprendono con il linguaggio. Le miniere di Sasu aggiunge Cosma sono nella contrada in cui il Nilo ha le sorgenti: Parlo di quanto ho visto o appreso dalla stessa bocca dei mercanti.441 Il commercio delloro era particolaremnte considerevole a Sofala, che molti autori arabi designano volentieri col nome di Sofalat edh dhahab (Sofala delloro). Loro sofali ben noto ai mercanti dello Zengi, dice Kazuini.442 In tutto il paese di Sofala scrive Al Idrisi abbonda loro di eccellente qualit, bench per i loro ornamenti gli abitanti preferiscano il rame.443 Quelloro supera in qualit e in quantit e in grossezza quello degli altri paesi, poich si trovano pezzi duno o due mitqal e talvolta persino dun rotl.444 Ibn al Wardi dice anche che a Sofala si raccoglie una gran quantit del prezioso metallo, allo stato di pepite purissime; ed ogni pepita (tibra) pu pesare duetre mitqal.445 Quelloro viene trasformato in lingotti, fondendo i frammenti in un fuoco alimentato di sterco di vacca, senza ricorrere al mercurio, come si fa invece in Africa occidentale. Infatti gli abitanti di questultimo paese raccolgono i pezzi doro, li mescolano con mercurio, mettono lamalgama in fusione nel fuoco di carbone, s che il mercurio si volatilizzi e non rimanga che il corpo
Ed. Charton, pp. 14-15. KAZUINI (Ajaib al Makhluqt, p. 111) riferisce che il commercio del garofano si svolge allo stesso modo nellisola di Bertabil, e Al Biruni dice altrettanto degli indigeni dellisola Lanka (cfr. REYNAUD, Intr. la Gogr. dAboulfda, p. CCXVII). Erodoto riferisce che i Cartaginesi usavano lo stesso modo per commerciara con un popolo di Libici al di l delle colonne dErcole. Quel commercio si faceva onestamente e senza frode. 442 Athr al Bild, p. 29. 443 Lautore dellAjaib al Hind (p. 108), nel parlare degli indigeni dellisola Neyan, diche che comprano lingotti di rame giallo a un prezzo molto elevato, perch quel metallo nel loro paese si conserva e dura come loro presso di noi, mentre loro presso di loro non dura pi che il rame da noi. Benedetto sia Dio, il migliore dei creatori! aggiunge lo scrittore; il che significa: Non sono ben sicuro della verit di ci che riferisco. Pomponio Mella fa grande onore agli Etiopi per il loro disprezzo delloro: Poco venerano le ricchezze, come alunni di ottime virt... Presso di loro c pi oro che rame: perci stimano pi prezioso ci che meno abbondante. Si ornano con rame e con loro fabbricano i ceppi dei colpevoli (L. III, cap. IX). lantico assunto di Erodoto che presso gli Etiopi il rame il pi raro e prezioso di tutti i metalli. 444 AL IDRISI, 1. clim., 8. sez., p. 66. 445 IBN AL WARDI, p. 174. Il mitqal vale 4,77 g.
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delloro, fuso e puro. Loro di Sofala non esige luso di questo procedimento, ma lo si fonde senza alcun artificio che lo alteri.446 I Portoghesi vantano ancora la ricchezza delle miniere di Sofala allinizio del sec. XVI. I mercanti mori dice Tom Lopes, che vi approd nel 1502 ci dicevano che negli scorsi anni le navi della Mecca, di Ziden (Jedda) e di diverse altre contrade del Levante avevano portato alla loro isola (Mozambico) pi di due milioni di mitqal doro, ciascuno dei quali vale un ducato e mezzo, poich hanno una miniera ricchissima che produce tesori innumerevoli, la quale, come essi trovano sui loro libri, quella da cui il re Salomone mandava a trarre ogni tre anni uninfinita quantit doro. Quanto alla miniera di Sofala, dicono che in tempo di pace se ne potessero trarre circa due milioni di mitqal, ciascuno dei quali valeva un ducato e un terzo doro.447 In una lettera indirizzata nel 1515 a Giuliano de Medici, Andrea Corsale assicura che si porta a Sofala, per la vendita, una gran quantit doro raccolta su tutta la costa africana, dal Capo Verde sino al mar Rosso. Sofala era allora sottoposta al re del Portogallo.448 LAtlante di Sebastiano Munster segna, con poca esattezza di collocazione, la citt di Zafala che vi si lava loro.449 Quando il monaco domenicano Joo dos Santos approd a Sofala, nel 1586, vi trov, come dice Bruce,450 miniere doro e dargento pi abbondanti di ogni altra miniera conosciuta. Le miniere doro si trovavano nella montagna di Afura, a duecento leghe circa nellinterno. Molto pi lontano si trovavano le miniere dargento di Shicua. Non nel Sofala e neppure nel Bild ez Zenj, come labbiamo approssimativamente delineato, ma in una regione pi settentrionale e pi profondamente allinterno delle terre, che si trovano i giacimenti doro pi notevoli. Bisogna cercarle nello Wangara, nella regione bagnata dal Nilo (Niger), che, quando rientra nel suo letto dopo le inondazioni annuali, lascia sulle rive pagliuzze doro. I neri le raccolgono; ciascuno raccoglie la quantit grande o piccola che Dio gli ha accordata, senza che nessuno rimanga completamente privo del frutto delle sue fatiche.451 Loro cos raccolto passa per il commercio tra le mani degli abitanti del Maghreb. Al Idrisi parla dun re nero che al suo tempo possedeva una pepita naturale del peso di trenta rotl o libbre (!), n fusa n lavorata da mano umana, salvo che vi avevano scavato un foro per incastonare un anello che lattaccava al trono del re.452
AL IDRISI, p. 67. LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. IV, pp. 453-454. 448 LEONE LAFRICANO, Description de lAfrique, t. IV, p. 311. 449 Cosmografia universale, Basilea, 1558. 450 Voyage en Nubie, t. I, p. 498. 451 AL IDRISI, 1. clim., 2. sez., p. 18. 452 AL IDRISI, t. I, p. 16.
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Il paese delloro (Bild et tibr) di Kazuini si trova presso i neri (Sudn) a sud del Maghreb. Quella regione esposta a un violento calore; durante il giorno gli abitanti si rifugiano in ricoveri sotterranei. Loro vi cresce tra la sabbia, come da noi le radici.453 Al declino del sole, gli indigeni escono dai loro rifugi e raccolgono loro. Vivono di dura e di fagioli. I loro abiti sono di pelli di bestie e soprattutto di pantere, animali che abbondano laggi. Tre mesi di cammino separano Sigilmassa da quel paese.454 I mercanti di Sigilmassa fanno il viaggio con unestrema fatica, portando con s, come oggetti di scambio, sale, legno resinoso, grani di vetro, braccialetti e ornamenti della stessa materia, anelli di rame. Devono attraversare i deserti, ove non si trova altro da bere che un liquido sporco, in qualche buca. Il simn secca lacqua negli otri, s che non la si pu conservare per pi di pochi giorni. Perci prendono la precauzione di portare con s dei cammelli privi di carico, cui lasciano soffrire la sete, sino a che arrivano a quelle pozze. L li fanno bere due volte (secondo il costume, una volta allarrivo ed una seconda volta dopo il riposo), in modo che si riempiano lo stomaco. Poi legano loro la bocca per impedire che ruminino e lumidit rimane nello stomaco. Quando il contenuto degli otri si evaporato e si ha bisogno dacqua, si sgozzano quei cammelli, luno dopo laltro, e ci si disseta con lacqua che rimane nel loro stomaco, non senza affrettarsi nella marcia per raggiungere una nuova pozza dacqua, in modo da poter riempire di nuovo gli altri. Cos essi viaggiano con estrema fatica sino ai luoghi in cui incontrano i neri delloro. L battono i tamburi per avvertire gli indigeni dellarrivo della carovana. Gli scambi si svolgono in modo analogo a quello che abbiamo appena riferito, senza che i mercanti vedano gli indigeni.455 Conclusi gli affari, si batte il tamburo e i mercanti se ne vanno.456 Con questo metodo del tutto primitivo, i mercanti comprano loro anche dai neri dei dintorni di Sofala.457 Nonostante il rapporto cos poco vantaggioso tra peso e valore, il ferro pure uno dei prodotti che il commercio dellOriente andava a cercare sino in quelle lontane regioni. Abbiamo visto sopra che gli abitanti di Gentama e di Demdema non hanno altra risorsa per vivere che lo sfruttamento delle loro miniere di ferro. Gli isolani dello Zanegi e delle altre isole circostanti vengono a comprare i loro prodotti, per portarli in India e nelle isole indiane. un oggetto di gran commercio di gran consumo in quei paesi. Le regioni
Cfr. nellAjaib al Hind la storia della scimmia che insegna a strappare dal suolo radici doro intrecciate come le maglie duna rete, p. 63. 454 I mercanti doro partivano anche da Ghana (ZAZUINI, p. 37). 455 Ibn Battuta racconta che lacquisto di pellicce presso gli Slavi del Nord si fa anche senza che i venditori e i compratori sincontrino. I commercianti non sanno se hanno a che fare con uomini o genietti (t. II, p. 401). 456 Athr al Bild, pp. 11-12.
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dellIndia, a dire il vero, non sono del tutto sprovviste di miniere di ferro, ma i giacimenti di Sofala forniscono un metallo pi malleabile, di qualit superiore.458 Gli Ind lo trasformano in eccellente acciaio e ne fanno quelle armi celebri tra gli Arabi col nome di Muhenned (indianizzate).459 Cerano miniere di ferro sfruttate in diversi punti della costa degli Zengi, specialmente a Mombasa. Al Idrisi assicura anzi che il ferro e le pelli di leopardo sono le produzioni pi importanti di tutto quel paese.460 Per quanto riguarda le pelli di leopardo, esse godevano di grande reputazione, sotto il nome di pelli Zengiane; il pelo era fulvo, con macchiette bianche; esse avevano rare dimensioni per lunghezza e larghezza.461 Al Idrisi vanta anche la loro morbidezza. La pantera fulva degli Zengi, dice Masudi,462 fornisce le pelli pi grandi e pi belle per la selleria. Si visto che quei pericolosi animali infestavano le foreste dei dintorni di Melenda e Mombasa, ove gli indigeni le cacciavano con laiuto di cani rossi duna forza straordinaria. Non diciamo indifferentemente leopardo o pantera. La parola araba nemr, usata dagli autori Masudi, Abu Zeid, Kazuini, Al Idrisi, ecc., indica solo un felino maculato, di grande taglia, e potrebbe designare anche la tigre, se questa non fosse del tutto sconosciuta sulla costa africana. Tra i prodotti dorigine animale, abbiamo citato lavorio. Nel medioevo, lavorio dello Zengi era molto ricercato.463 Dallo Zengi provenivano zanne dal peso pari o superiore a centocinquanta e talvolta a trecento menn.464 Navi arabe le portavano al paese dOman, sulla costa orientale dArabia; di l i commercianti le caricavano per lIndia e la Cina. Tale la rotta che seguono dice Masudi con tono dispiaciuto e se non avessero tale destinazione, lavorio sarebbe molto abbondante in paese musulmano.465
Ibidem, p. 29. AL IDRISI, 1. clim., 8. sez., p. 65. Cfr. anche IBN AL WARDI, p. 174. 459 Si sa che lacciaio nel medioevo portava proprio il nome dellIndia, al Hind, assunto dagli Spagnoli sotto la forma alinde, alfinde, applicata agli specchi metallici. Alla stessa espressione ho pensato di dovere riferire anche il termine olinde, che designa un tipo di sciabola (cfr. DOZY, Glossaire, e il mio Dictionnaire tymologique). 460 AL IDRISI, 1. clim., 7. sez., pp. 57, 58. 461 ABU ZEID, Les deux Mahomtans, p. 148. 462 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. 463 Qui nasce pi leofanti che in parte del mondo; e per tutto laltro mondo non si vende n compera tanti denti di leofanti quanto in questa isola (Madegascar) ed in quella di Zaghibar (MARCO POLO, cap. 186). 464 MASUDI, t. III; KAZUINI, p. 15. 465 T. III, p. 8.
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La Cina tiene in grande considerazione le zanne diritte e poco incurvate. Esse servono alla fabbricazione di palanchini per i personaggi dalto rango; nessun funzionario importante oserebbe presentarsi al palazzo del re portato su un seggio daltro materiale che lavorio. In India se ne fanno manici per pugnali chiamati harri e manici di sciabole a lama corta, dette qartil. Luso pi ordinario per la confezione di giochi di scacchi (shatrengi) e di nerd (una specie di trictrac). Diversi pezzi degli scacchi rappresentano figure duomini o danimali, le cui dimensioni superano talvolta un empan (2225 cm), s che i giocatori hanno, durante la partita, un servitore incaricato di portare i pezzi da una casella allaltra.466 Gli Zengi non fanno alcun uso per s stessi dellavorio.467 Ma con le pelli delefante fabbricano scudi, che non hanno comunque la solidit di quelli fatti in Cina, in Tibet o presso i Beja (Nubia). Il loro cuoio di qualit inferiore a quello macerato nel latte. Gli Zengi assicurano che nel loro paese lelefante pu vivere quattrocento anni: le zanne di quei venerabili patriarchi della foresta superano in lunghezza tutto ci che lIndia pu fornire.468 Le dimensioni degli ossi dello scheletro permettono di usarli per una gran quantit di usi e vengono anche esportati.469 Gli Zengi non sono mai stati capaci di ridurre lelefante alla vita domestica, come gli Ind. Presso di loro, esso vive solo allo stato selvaggio. Gli danno la caccia per la sua carne e le sue spoglie, ma non sanno custodirlo vivo. Per riuscire ad ammazzarlo, hanno bisogno di ricorrere allastuzia, perch le loro armi non permetterebbero di trionfare direttamente sul possente animale. Osservano le pozze dacqua a cui gli elefanti vanno ad abbeverarsi, gettano in quellacqua la corteccia e i rami dun albero del luogo che possiede propriet inebrianti, e si pongono allimboscata poco distanti. Gli elefanti vengono a bere lacqua avvelenata, ne subiscono presto gli effetti, ed essa li brucia e li stordisce; cadono e non sono pi capaci di rialzarsi. I cacciatori si slanciano fuori dal luogo dellimboscata e li trafiggono con le loro lance, che sono estremamente lunghe.470 Non qui il luogo di riportare tutto ci che gli Orientali raccontano dellelefante, della sua intelligenza, della sua memoria, dei suoi affetti, delle sue collere, delle sue vendette premeditate. La maggior parte di tali caratteristiche propria dellelefante domestico, che gli Africani non conoscevano.471 Gli vengono attribuiti una acutezza e dei sentimenti che lavvicinano
MASUDI, t. III. MASUDI, t. III. 468 MASUDI, t. III. 469 KAZUINI, p. 15. 470 MASUDI, cap. XXXIII, t. III. 471 Nel 1879, gli Inglesi sbarcarono sulla costa africana, non lontano da Zanzibar, i primi elefanti domestici che si siano visti in quel paese; animali che venivano
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alla specie umana. Ha anche idee di stupefacente moralit e sentimenti di pudore molto marcati. Lelefante dice Al Idrisi non porta mai lo sguardo sulle parti naturali delluomo.472 Se la sua lingua non fosse ben altrimenti conformata di quella delluomo, dicono gli Indiani che parlerebbe. Lavorio speciale tratto dal corno del kerkedan (rinoceronte) non meno ricercato di quello dellelefante. Tra altri oggetti preziosi, se ne fanno per i re dellIndia manici di coltelli da tavole, che si coprono dumidit quando si porti di fronte al re qualche cibo in cui vi sia del veleno, cos che si riconosce subito se lalimento avvelenato. Diviso nel senso della lunghezza dice ancora il geografo siciliano il corno del rinoceronte offre allocchio notevoli disegni; vi si vedono figure duomini, duccelli e altre, perfettamente traciate, che si stendono da unestremit allaltra. Allora se ne fanno dei cinturoni, molto cari. 473 Masudi entra in particolari pi precisi: il corno egli dice bianco, con una figura nera in mezzo, che rappresenta limmagine dun uomo, o dun pavone con la coda, o dun pesce, o dello stesso rinoceronte, o dun altro animale di quelle regioni. Con laiuto di cinghie, se le fanno delle cinture, in cui il corno sostituisce gli ornamenti doro o dargento, o si lega coi metalli stessi. I re e i notabili della Cina stimano questornamento sopra ogni altro, al punto che lo pagano anche due e persino quattromila dinari. Le graffe sono doro, e il tutto duna bellezza e duna solidit straordinaria; talvolta vi si uniscono diverse pietre preziose, fissate con lunghi chiodi doro. Le immagini di cui abbiamo parlato sono di solito tracciate in nero sul bianco del corno, ma talvolta esse si distinguono invece in bianco sul fondo nero. Del resto, il corno di rinoceronte non presenta sempre quei disegni dappertutto.474 El Giahiz, sutore dun libro sugli animali che non ci pervenuto, ma di cui gli scrittori arabi hanno conservato dei frammenti, racconta che la femmina del rinoceronte rimane incinta per sette anni; il piccolo, durante quel tempo, fa uscire la testa dal ventre della madre per pascolare, e subito dopo la fa rientrare. Quando il corno cresciuto e d fastidio alluscita della testa, perfora il ventre ed esce, e la madre muore.475 N Masudi n Al Idrisi credono a questa storia. Questi obietta che, se la madre morisse alla nascita del figlio, la specie sarebbe ben presto scomparsa. Quegli si informato presso i mercanti di Siraf e dOman, che si sono mostrati tutti molto sorpresi della questione e gli hanno assicurato che il rinoceronte porta e partorisce esattamente come la vacca e il bufalo.
dallIndia (cfr. RABAUD, Utilisation des lphants en Afrique, in Bulletin de la Soc. de Gogr. de Marseille, mai-juin 1879, pp. 139 e sgg.). 472 2. clim., 9. sez., p. 187. 473 AL IDRISI, 1. clim., 8. sez., pp. 74-75. 474 MASUDI, Praterie doro, cap. XVI, t. I. 475 AL IDRISI, 1. clim., 8. sez., p. 75.
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Bisogna presumere che El Giahiz mescolasse alla storia del rinoceronte alcune circostanze relative alla gestazione dei grandi marsupiali, come il canguro; e il fatto meriterebbe dessere considerato come una possibile prova del fatto che alla sua epoca si conoscesse in qualche modo il grande continente australiano, poich quella la sola regione, oltre allAmerica, in cui si sia trovato questordine singolare di mammiferi. I pretesi corni di licorni, che sino al sec. XVII godevano in Occidente duna straordinaria reputazione, erano senza dubbio corni di rinoceronte, bench gli scrittori del tempo pretendessero di fare la distinzione: Dei quali Licorni si dice che, come i porcelli, usino voltolarsi nel fango e nella sporcizia... affilando i loro corni contro le pietre, come il Rinoceronte. Al tempo di Luigi XIII, si conservava a SaintDenis un corno di Licorno bello e lungo, color avorio.476 Si sa che gli Onagri dEtiopia, secondo antiche tradizioni, hanno anchessi un unico corno sulla fronte, lungo un cubito e mezzo, di cui gli Indiani fanno delle tasse riservate ai re.477 LIndia dice Eliano nutre cavalli e asini monoceros, il cui corno serve a fare coppe tali che il veleno mortale, in esse versato, non possa nuocere a chi ne beve.478 Limmaginazione degli pseudozoologi, degli autori di Bestiari, s data libero sfogo a proposito dei Licorni o Lioncorni, come vuole chiamarli Andrea Bacci, il sapiente medico di Sisto quinto.479 Il loro corno un antidoto dei pi potenti durante la stessa vita dellanimale. Dette Licorne spinte dalla sete, specialmente nei pi grandi calori dellanno, accorrono verso le fonti, che in quelle regioni (Etiopia) sono rare: l esse trovano molti animali dogni sorta, che, soffrendo duna sete molto fastidiosa, si fermano sino a che la Licorna non venga a bere per prima, riconoscendo per istinto della loro natura che quelle acque sono infestate da draghi e serpenti che l si trovano in grandissimo numero, ed aspettando le dette bestie che attendo476 477
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LAURENS CATELAN (maestro apotecario di Montpellier), Histoire de la nature, proprit et usage de la Lycorne, Montpellier, 1624, pp. 11 e 54. Ibidem, p. 7: Quelle bestie hanno labitudine, quando si vedono inseguite, di lanciare i loro escrementi contro il muso dei cani che le inseguono, e sono dun odore s soave che i cani godono dal piacere, e cos questa bestia con lastuzia riesce a guadagnare tempo e a sfuggire di carriera, con una corsa meravigliosa a vedersi. ELIANO, Degli Animali, l. III, cap. 41. Tavernier, che era a corte del re di Persia Shah Abbas II verso il 1645, assicura che si port a quel principe un asino selvatico di pelo rosso, quasi scarlatto, e che aveva in mezzo alla fronte un corno lungo circa un piede, come presente del governatore di Shiraz (Voyage de Perse, l. IV, cap. I). Il celebre viaggiatore non pretende di aver visto n lanimale, e neppure il corno. Etimologicamente, licorno unalterazione del latino unicornis (cfr. LITTR, Dictionnaire de la langue franaise).
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no prima di bere che la sola Licorna tra tutti gli animali del mondo potr disinfettare lacqua e lasciarne loro dopo luso salutare, il che avviene senza fallo: perch la Licorna, scendendo in certi giorni e certe ore dallalto delle rocce, fendendo coraggiosamente la fretta di quella truppa di bestie, si fa lasciare il posto per avvicinarsi arditamente alla fontana infetta, nella quale intingendo il suo corno, a testa bassa, e rimescolando con esso lacqua, di colpo essa ne beve il sudiciume, cos come asini ed asine, in punta di labbra, come se essa non volesse raccoglierne che la superficie. Poi, tutto dun colpo, girando il dorso a quella multitudine di bestie che avevano pazientemente atteso la sua venuta, duna incredibile velocit fugge e si ritira nel suo rifugio abituale, ove nessuno savvicina e dal quale essa esce solo molto raramente, se non per ritornare a bere.480 Queste bizzarre leggende, di cui i mitografi sanno ritrovare le lontane origini, hanno attraversato tutte le vecchie letterature. Greci, Latini, Arabi, Europei del medioevo, tutti hanno preso piacere ad ascoltarle. I commercianti della costa orientale dAfrica non mancavano dincoraggiare credenze cos favorevoli alla diffusione delle loro mercanzie. Un altro prodotto del paese degli Zengi che non privo di analogia con lavorio delefante e di rinoceronte, ma che sembra aver generato storie meravigliose dello stesso genere, la scaglia (dhabl), che si ricava dal carapace di certe tartarughe. La scaglia dice Masudi serve a fare pettini, come il corno, e braccialetti e diversi oggetti ornamentali.481 Il porto di Zeila, in fondo al golfo di Aden, era uno degli scali di questa materia, fornita dal mare e dal territorio vicini.482 La scaglia, secondo quanto dice Al Idrisi, era
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LAURENS CATELAN, pp. 14-15. La caccia ai licorni si fa in un modo abbastanza singolare perch io ne dia qui il racconto, dallo stesso scrittore, la cui opera piuttosto rara: Isidoro e Tzetzes dicono che si prendono e catturano i licorni con laiuto e lopera duna giovinetta che si pone a sedere al piede delle montagne ove si pensa che quelle bestie si rirtirino. La storia dice che la licorna annusi da lontano lodore della ragazza e si metta a correre, apparentemente furibonda, verso la vergine, ma quando le si avvicina, anzich farle male, attaccarla e ferirla crudelmente secondo la sua rabbia naturale, al contrario, la detta ragazza con le braccia tese deve riceverla amorevolmente e accarezzarla, e la povera bestia inclina dolcemente la testa, si corica a terra e posa il capo in grembo alla ragazza e prende un singolare piacere, mentre lei le strofina dolcemente la criniera e la testa con oli, unguenti e acque profumate, come in un trasporto amoroso. Al che la miserevole bestia si addormenta e si trova colta da un sonno cos profondo che i cacciatoriche l presso sono in agguato, richiamati da un segnale della ragazza, hanno facilit davvicinarsi con corde e legami per prenderla e catturarla. (Ibidem, pp. 16-17). La stessa storia si legge nellImago Mundi (cfr. LE ROUX DE LINCY, Le Livre des Lgendes , Introd., p. 212). 481 MASUDI, cap. XXXIII, t. III. 482 Cfr. la relazione dAbu Zeid, p. 150.
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la principale produzione di certe isole non lontane dallisola El Qomr. Essa si pu dividere in sette pezzi, dei quali i pi grossi pesano la met dun mann. spessa, trasparente e ben variegata nei colori. 483 Kazuini racocnta che il pesce che fornisce la preziosa materia ha venti aune484 di lunghezza e porta in ventre mille uova.485 Le relazioni moderne dicono che la tartaruga da scaglia abbonda sempre nelle acque che bagnano la costa e gli isolotti intorno alla foce dellUfiji.486 Tra le sostanze di valore specialmente fornite dal Bild ez Zenj, non dobbiamo dimenticare lambra, anbar. Si tratta dellambra grigia e non dellambra gialla o succino, che non ha mai ricevuto dagli Arabi il nome dambra. Gli antichi non sembrano avere conosciuto lambra grigia. Sono stati gli Arabi a portarla in Asia e in Europa. Il suo profumo penetrante, che richiama quello del muschio e che, come si detto, ravviva in qualche modo gli altri aromi, le sue qualit toniche ed eccitanti, le fecero ben presto godere di unalta stima presso gli Orientali, molto appassionati, come si sa, per ogni sorta daromi. Lambra si trova in quasi tutti i paraggi delloceano Indiano; ma la migliore dice lautore delle Praterie doro 487 proviene dalle isole e dal paese degli Zengi. L si presenta sotto la forma di masse arrotondate, dun azzurro pallido, talvolta della grossezza dun uovo di struzzo. Lambra di prima qualit dice anche Abu Zeid quella che le onde rigettano sulle coste di Berbera e del paese degli Zengi, sotto forma di un uovo rotondo e azzurrastro. Gli indigeni vanno di notte in riva al mare, al chiarore lunare, montati su cammelli che conoscono lambra e sono addestrati a cercarla. Quando il cammello scorge un pezzo dambra, si accoscia; il cavaliere mette piede a terra e lo raccoglie.488 Quei cammelli sono della famosa razza dei corridori mahari ; vengono usati per lo stesso lavoro sul litorale dello Hadramaut.489 notevole che tale uso persista ancora presso i Somali.490
1. clim., 8. sez., p. 68. Auna, alna o alla: anrica misura lineare di corrispondenza varia: in Gran Bretagna essa valeva due braccia, ossia circa m 1,16. 485 Ajaib al Makhluqt, p. 120. 486 GUILLAIN, Afrique Orientale, t. I, p. 116. 487 MASUDI, cap. XVI, t. I. 488 Les deux Mahomtans, p. 150. 489 MASUDI, Praterie doro. 490 GUILLAIN, t. II, p. 411.
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Lambra dice Moqaddasi spinta sulla costa arabica, tra Aden e Mokha, ed anche verso lopposta regione di Zeila. Arriva sulla sponda solo nelle ore in cui soffia la brezza di mare (rih al yib). Chi ne trova tenuto a portarla al Sahib o governatore, che d una ricompensa.491 Con lodevole buona fede, Moqaddasi ammette dignorare lorigine dellambra. Su tale origine, in ogni tempo molto controversa, Kazuini riferisce lopinione dei suoi contemporanei. Non c accordo: dice gli uni pretendono che lambra abbia unorigine sottomarina, come il bitume; altri che sia una rugiada, che cade sulle rocce nel mare, e trasuda dalle fessure e si coagula; e questo evento si produce in certi luoghi ad epoche determinate, cos come la manna trengibin (terengiubin) una rugiada che cade su una specie di vegetale spinoso nel Khorassan in certe epoche. Vi anche chi dice che lambra sia lescremento dun animale. Ci ch certo che nasce nel mare, che la rigetta sulle rive.492 Al tempo di Masudi, i navigatori e i commercianti di Siraf e dOman adottavano la prima opinione, ossia che lambra provenisse dal fondo del mare, ove si formerebbe come il bitume bianco o nero.493 Al Idrisi non pensava altrimenti. Lambra egli dice una sostanza che sgorga da sorgenti nelle profondit dei mari, come la nafta che esce dalle sorgenti di Hit (nellIraqArabi), e la forza del vento la spinge verso riva.494 Lopinione che attribuisce allambra unorigine animale posteriore a quella che ne fa un prodotto minerale; ma essa fin per prevalere. Il poeta persiano Saadi vi allude in questo verso del Gulistan: Se luomo senza merito vuole schiacciare il sapiente con la sua ricchezza, prendilo per una groppa dasino (kun i khar), pur se fosse la vacca dellambra (gaw i anbar).495 Marco Polo vede chiaramente lambra come il prodotto dun cetaceo, tanto che scrive, parlando delle produzioni dello Zanghebar: Qui si ambra assai, perci che in quello mare e assai balene e capodoglie; e perch pigliano assai di queste balene e di queste capodoglie si anno ambre assai.496 Del resto, Masudi ed i suoi contemporanei non ignoravano che negli intestini di certi pesci spesso contenuta ambra, e talvolta in quantit enorme. Il fatto si spiegava facilmente: si diceva che quei pesci, come pure gli uccelli marini, fossero avidi dambra e ingoiassero tale sostanza ovunque ne trovassero.
Ed. Wstenfeld, pp. 101-102. Ajaib al Makhluqt, p. 245. 493 MASUDI, Praterie doro, cap. XVI, t. I. 494 1. clim., 7. sez., p. 64. 495 SAADI, Gulistan, l. VII. 496 MARCO POLO, Il Milione, cap. 186.
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Nel paese degli Zengi dice Abu Zeid si trovano alla superficie del mare pezzi dambra di peso considerevole. Quando il pesce detto Tl scorge lambra, lingoia; ma essa, una volta arrivata nel suo stomaco, luccide, e lanimale galleggia sullacqua. Vi sono persone che sanno in che epoca arrivano i pesci che ingoiano lambra; si tengono pronti nella loro barca e, quando scorgono un pesce che nuota in superficie, lo tirano a terra con ganci di ferro affondati nel dorso dellanimale e legati con forti corde; aprono il ventre dellanimale e ne ritirano lambra.497 Kazuini riferisce lo stesso fatto con gli stessi particolari. Lambra egli dice che nel ventre dellanimale puzza; ci ben risaputo dai mercanti e dai droghieri dellIraq, del Fars e dellIndia; ma quella che si trova nel dorso di qualit eccellente.498 Quel pesce, che abbiamo appena visto chiamare Tl, detto anche, secondo i diversi autori o piuttosto i diversi manoscritti arabi, ora Fl, ora Bl, ora Udl o Awdl; Serapione, secondo Bochart,499 lo chiama Azel, forma che si spiega supponendo che si sia presa la lettera u per una z, errore facile nella scrittura araba poco curata. Ritorneremo su questo nome nel parlare della balena. Si visto che le masse dambra possono raggiungere la grossezza dun uovo di struzzo. Ma questa materia si presenta talvolta in blocchi pi voluminosi. Kazuini attribuisce loro come dimensioni ordinarie quelle dun cranio umano, e il peso pu raggiungere i mille mitqal;500 Al Idrisi parla di pezzi che pesano un quintale e pi, 501 e Masudi assicura che nel mare di Herkend (sulle coste dellIndia) le onde ne rigettano pezzi del volume delle rocce pi grosse.502 Queste affermazioni non hanno nulla di sorprendente, perch i documenti moderni menzionano blocchi dambra non meno considerevoli. Nel sec. XVIII, la Compagnia Olandese delle Indie orientali compr, al prezzo di 11000 scudi, un pezzo dambra che pesava 182 libbre. Nel 1755, la Compagnia Francese pag 52000 franchi un altro pezzo del peso di 225 libbre. Il capitano William Keching parl addirittura di masse pesanti sino a venti quintali, nelle quali si sarebbero potute alloggiare diverse persone; masse raccolte nei pressi di Mombasa, Brava e Mogadiscio, ossia sul litorale del paese Zengi.503 Ci permette daccettare la dichiarazione di
Les deux Mahomtans, p. 151. Lautore del Mostatref attribuisce la morte dellanimale a unaltra causa: attaccato da un pesciolino che si fissa ai suoi fianchi, senza chesso possa sbarazzarsene, il mostro marino scende in fondo al mare e vi batte la testa sinch non muore (Mostatref, ed. di Boulaq, 1292, t. II, p. 123). 498 Ajaib al Makhluqt, p. 123. 499 Hierozoicon, t. II, col. 866. 500 P. 245. 501 Cap. XVI, t. I, p. 335. 502 MASUDI, Praterie doro, cap. XVI, t. I. 503 DETERVILLE, Dictionnaire dHistoire naturelle, t. I, pp. 412-413.
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Kazuini che, sulla riva del mare degli Zengi, lambra incagliata a riva abbia talvolta laspetto dun monticello (tell).504 Non dobbiamo qui esaurire la questione scientifica dellorigine dellambra. Scaligero vi vedeva una specie di pianta marina, della natura dei funghi, che, giunta a maturit o strappata dal moto ondoso, si stacca dal fondo del mare e viene a galleggiare in superficie, come le alghe e i fucus;505 un botanico dellultimo secolo ne fa il succo ispessito dun albero della Guyana; un altro, le deiezioni duccelli marini, come il guano delle isole Chinchas. Buffon e Sonnini seguono le opinioni degli scrittori arabi e vedono lambra come una sorta di bitume proveniente da strati sottomarini. Infine, nel nostro secolo, un commentatore del Viaggio di Soleiman e della Relazione dAbu Zeid, il Dr. Roulin, riassume la teoria attuale in questi termini: vero che si trovano nei mari tropicali masse dambra galleggianti alla superficie dellacqua, e che queste masse sono talvolta spinte a riva dalle onde. vero anche che talvolta se ne trovino nelle viscere dei Capodogli, e che in tal caso gli individui sono malati o morti. Ma ci che non esatto dire che essi avessero ingoiato questa sostanza o che essa sia la causa della loro malattia. certo che lambra si formi nei loro intestini ed probabile che si formi con la sostanza dei Calamari, di cui i Capodogli si nutrono, in seguito a reazioni analoghe a quelle che trasformano la carne dei cadaveri in terra, e, sotto linfluenza di condizioni ancora mal determinate, in adipocera. Sembra che qualche affezione del tubo digerente impedisca da una parte la digestione degli alimenti ingeriti, e dallaltra si opponga alla loro evacuazione, di modo che laccumulo divenga talvolta enorme.506 Abbiamo fatto allusione alla passione dei popoli orientali per i profumi. Oltre alla soddisfazione dellodorato, essi chiedono a queste materie eccitazioni fisiche e intellettuali, pi necessarie nei loro climi brucianti che nelle nostre regioni temperate. Le razze civilizzate dellAsia importano aromi da ogni parte del mondo. Nei tempi antichi esse ne facevano un consumo straordinario. cos che Antioco Epifanio, celebrando dei Giochi di trenta giorni, volle, secondo quanto riferisce Ateneo,507 che tutti coloro che si presentavano IV I profumi e la costa degli Aromi
Ajaib al Makhluqt, p. 120 e p. 245. Potrebbe fornire un appoggio a questa credenza il fatto che spesso sincontrino, sulla stessa costa dei Somali, pezzi molto grossi dambra ramiformi, come i coralli. Cfr. GUILLAIN, t. II, p. 410. 506 Les deux Mahomtans, p. 99. 507 Deipnosoph., l. V, XXIV, t. II, pp. 223-224 delled. Schweighoeuser, 1802.
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per le lotte del ginnasio fossero unti di profumi che cambiavano ogni cinque giorni: fu dapprima essenza di Zafferano, poi di Cinnamomo, poi ancora Nardo, Tenila, Amaracina, e olio dIris. Tra le derrate esotiche che figuravano allo splendido corteo della festa per linsediamento di Tolomeo Filadelfo, si trovavano trecento libbre dincenso, trecento libbre di mirra, duecento di zafferano, di cassia, di cinnamomo, diris e daltri profumi.508 La maggior parte di tali aromi erano prodotti naturali della costa orientale dAfrica. Se ne raccoglievano sino al punto pi lontano della riva degli Zengi. Al principio dei tempi moderni, la relazione portoghese di Tom Lopes (1502) informa che la mirra abbondava allora a Mozambico. I Mori osavano assicurare allammiraglio di potergliene procurare ogni anno pi di duecento quintali.509 Ma la vera patria delle gomme, delle resine, delle diverse variet dincenso, era ed ancora quella parte della costa vicina alla punta estrema, cos giustamente denominata dagli antichi Capo degli Aromi. Gli alberi dincenso vi crescono spontaneamente sui fianchi delle montagne dice Guillain e sin nelle parti pi rocciose e pi prive di terra vegetale.510 Non vi cresce un filo derba aggiunge Rvoil che non abbia un qualche profumo.511 ...Tellus hic semper fragrat odore/Cespite: prorumpit lacrymoso stipite myrrha,/Myrrha furor quondam Cinyreius; hic ladani vini/Vellera desudant, calami coma pullulat almi,/Gignit humus casiam, concrescunt tura per agros,/Longaque fecundis pinguescit odoribus ora.512 Non termineremo questo capitolo senza un cenno alle pietre preziose. Per i nostri antenati, limmensa regione sconosciuta, generalmente detta Etiopia, era unabbondante miniera di pietre dogni sorta: Aethiopes nobis transmittunt hanc quoque gemmam dice Marbodio nel parlare di Giacinto Cum multis aliis vitae communis in usum.513 Ma generalmente quelle perle, quei diamanti, quei rubini, quei topazi, quegli zirconi, ecc., in ogni tempo cos ricercati dagli Orientali e dagli Occidentali, non provenivano dal Bild ez Zenj. 514 Molti venivano da V Le pietre preziose
ATENEO, Ibidem, l. V, XXV, p. 274. Description de lAfrique, t. IV, p. 453. 510 Afrique Orientale, t. II, p. 445. 511 Bull. de la Socit Languedocienne de Gographie, t. III (1880), p. 8. 512 AVIENUS, Descriptio orbis terrae, v. 1112-1117. 513 De gemmis, nella collezione MIGNE, t. CLXXI, col. 1749. 514 MASUDI (cap. XXXIII, t. III) riferisce che i re degli Zengi, come quelli dellIndia e
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Serendib o Ceylon, la leggendaria patria delle pietre preziose, che le erano addirittura valse lappellativo di Isola dei rubini; Tota margaritis repleta et gemmis , dice Isidoro di Siviglia.515 La cornalina ( aqia ) si trova a Sanaa516 e nelle isole del mare di Fars;517 lo smeraldo a Qibt, nel Said superiore;518 il carbonchio (granato nero) in India e in Etiopia; il corindone (yaqt) proviene dalla miniera di Sahirn, in unisola al di l di Serendib,519 o dalla stessa Serendib;520 il berillio (zeberged) dal monte Zabara, sulla costa arabica del mar Rosso;521 il rubino balese (balakhsh) da Badakhshan;522 il turchese (firuzh) da Nishapur;523 lonice dallAbissinia;524 il cristallo di rocca (billr) dal Maghreb e dallArmenia; il diaspro (yasb) dalle valli di Khatan, nella Transoxiana;525 la malachite dallAbissinia e dalla Persia; lo smeriglio (sunbdej) dalla Nubia, dal Sudan, dai dintorni di Dongola;526 lametista dallo Hijjaz;527 il lapislazuli dalla Tartaria; il granato dal Khorassan; infine il diamante (almas) da certe valli misteriose dellIndia.528
della Cina, cercano molto quelle gemme per ornare i loro diademi, le loro corone, i loro anelli e bracciali. Ma occorre qui certamente leggere Zanej o Zabej, anzich Zenj. Il maharaja dello Zanej poteva permettersi un tal lusso, ma allepoca di Masudi i re degli Zengi non avevano certamente n diademi n corone ornate di pietre preziose. 515 ISIDORO DI SIVIGLIA, l. XIV, cap. VI: De Insulis. 516 Chi desidera cornaline compri un pezzo di terra presso Sanaa; scavi, e trover un bel blocco, oppure meno, e talvolta niente. (MOQADDASI, testo arabo, p. 101). 517 KAZUINI, p. 115. 518 MASUDI, cap. XXXIII, t. III. Lo smeraldo dicono gli scrittori orientali gode di straordinarie propriet. Cos i re si disputano tali gemme, sia quelli di Rum e dOccidente, re franchi, longobardi, spagnoli, gallici, guasconi, slavi e russi, sia quelli dOriente, dellIndia e della Cina. Chi ignora che se una vipera, un drago, un qualunque serpente guarda uno smeraldo -puro, i suoi occhi si infrangono allistante? Luomo morso da uno di quei rettili velenosi sicuro di sfuggire alleffetto del veleno, se ingoia qualche pezzetto della pietra preziosa. (Ibidem, pp. 45-46). La sola difficolt quella di trovare uno smeraldo puro. 519 TEIFASHI (nel saggio Minralogie arabe, di CLMENT MULLET, p. 40). 520 AL IDRISI, 1. clim. 2. sez., p. 102. 521 CLMENT MULLET, p. 74. 522 AL IDRISI, 3. clim. 8. sez., t. I, p. 478. 523 CLMENT MULLET, p. 126. 524 CLMENT MULLET, p. 135. 525 CLMENT MULLET, p. 198. 526 Per trovare lo smeriglio dice Maqrizi ci si tuffa nelle acque del Nilo e lo si distingue dalle altre pietre, perch pi freddo da toccare. Se per non si sicuri che si tratti di questo minerale, basta soffiarvi sopra, perch allora si vede lo smeriglio coprirsi di goccioline dacqua. (Cfr. QUATREMRE, Mmoire sur lEgypte, t. II, p. 11). 527 CLMENT MULLET, p. 185. 528 Si conosce il metodo straordinario che usavano i mercanti di diamanti per trarre quelle pietre preziose dalle valli irraggiungibili ove la natura le aveva poste. Il rac-
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Non sapremmo quale regione fornisse quella strana calamita, sconosciuta ai mineralogisti moderni, che invece di attirare il ferro lo respingeva vivamente; come tante altre meraviglie, Isidoro di Siviglia lattribuisce naturalmente allEtiopia: Est quippe et alius in Aethiopia magnes, qui ferrum non ambit sed respuit.529 Quanto alla calamita comune, si sa la storia di quella montagna che attira a s le ferraglie dei vascelli e causa cos tanti naufragi. Al Idrisi attribuisce tale fastidiosa propriet alla montagna di Muruqain, allentrata del golfo Arabico: Nessuna nave passa vicino a quel monte, se provvista di chiodi di ferro, senza venire attirata, trattenuta e impossibilitata ad andarsene.530 Perci le navi che circolano in quei paraggi sono cucite e non inchiodate. In navi di questo genere arrivavano il pepe dalle isole indiane,531 lo zenzero dal paese degli Zengi, che pi forte e pi piccante di quello dello Yemen,532 e la maggior parte degli oggetti commerciali raccolti sulle coste delloceano Indiano. Gli etimologisti, come si sa, pretendono che la citt di Rhapta e il fiume Rhaptos, limite dei viaggi per mare degli antichi sulla riva orientale dAfrica, traggano il loro nome da queste navi cucite (raptoi) che vi navigavano da tempo immemorabile. Alcuni scrittori orientali nominano la canfora tra le sostanze odorose del paese degli Zengi, e dicono che si esportasse dal porto di Sofala.533 un evidente errore. La confora non mai stata un prodotto africano. Allora come oggi, non poteva provenire che dal Giappone e dalle isole dellarcipelago Indiano. La confusione proviene dal fatto che si confusa Sofala dellIndia (sopra citata) con la Sofala degli Zengi. La prima di queste citt riceveva tutti i prodotti dellestremo Oriente tramite navi indiane o cinesi; ma la seconda non mai servita n da scalo n porto di transito, perch lontana da tutte le rotte, allestremit del mondo frequentato dai naviganti.
conto, riportato nelle Mille e una notte, dallautore dellAjaib al Hind (p. 109-110), da Marco Polo, si trova anche nel Trattato mineralogico di Teifashi (cfr. REINAUD, Cabinet du duc de Blacas, t. I, p. 18). 529 ISIDORO DI SIVIGLIA, l. XVI, cap. IV, De lapidibus insignioribus, p. 1211. 530 1. clim., 6. sez. Cfr. anche KAZUINI, p. 20. Ajaib al Hind parla anche di diverse colline magnetiche che esistono lungo le rive dun gran fiume cinese. Non vi si pu navigare con navi che contengano ferro; i cavalieri che percorrono quelle montagne non ferrano le loro cavalcature; gli sproni e i morsi sono di legno (p. 79). 531 Monoxylis lintribus piper convehunt (SOLINO, Polyhist., cap. LVII). 532 S; DE SACY, Abdallatif, p. 25. 533 SERAPIONE, IBN REITHAR. Cfr. un articolo di DULAURIER, in Journal Asiatique, 3. serie, t. VIII, p. 218.
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LAfrica, e soprattutto lAfrica equatoriale, inesplorata, chiusa ai viaggiatori dalla sua cintura di deserti, fu in ogni tempo la patria dei mostri, prodotti dallincrocio disordinato di tutte le creature. Gli Arabi, come gli antichi, cui devono quasi tutta la loro scienza, credevano volentieri ad unioni feconde tra animali di differenti specie, e persino tra luomo e diversi animali. LAgiab al Hind riporta diversi aneddoti sulle relazioni tra uomini e scimmie. La stessa scimmia e il nesns, ci cui parleremo, proverrebbero da unantica unione tra luomo e la pantera o la iena. I pescatori che partono lontano, i disgraziati che corrono a cercare fortuna in regioni inesplorate, su rive deserte, tra isole e monti ove non incontrano mai anima vivente, si accoppiano con le femmine di certi pesci e ne nascono esseri dallapparenza umana, capaci di vivere nellaria e nellacqua.534 A met del sec. XVI, il grande medico Leonardo Fioravanti non raccontava forse seriamente che la nobile famiglia dei Marini discendesse da un mostro marino, che aveva violentato una ragazza?535 E Rondelet non diceva forse che i mostri marini col volto umano trovati in Norvegia erano stati generati dal seme degli uomini annegati in mare, quando le navi naufragano, e che quegli uomini sono ingoiati ancora caldi da cetacei femmine?536 Nelle tradizioni greche, le variet di mostri legati alla specie umana erano innumerevoli; ci si perdeva nellenumerazione di esseri bizzarri;537 limmaginazione si era data libero corso a crearli. Ma tutto il medioevo vi credette fermamente.538
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I Incroci danimali
Agiab al Hind, XXI, p.34. Cfr. CATELAN, La Lycorne, p. 38. Ci ricorda lavventura di Haria, figlia di Sybaris, la quale, entrando in un bosco consacrato a Diana, in Frigia, dovette subire gli approcci dun mostruoso draco e divenne madre degli Ofiogeni (cfr. ELIANO, Peri zoon, l. XII, cap. XXXIX). 536 Ibidem, p. 50. 537 Cfr. BERGER DE XIVREY, Traditions tratologiques, Introd., p. XXX. 538 Nello studio delle scienze, dimentichiamo troppo spesso che una quantit dasserzioni, che per il nostro secolo illuminato non sono altro che rivoltanti assurdit, passava-
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Nelle pi lontane estremit dellEtiopia, ossia verso le regioni del Bild ez Zenj, quelle creature straordinarie Astomi, Arrini, Tetrapodi, Monocli, Opistodattili, Sciapodi, Emicini, ecc. ecc. portavano a spasso le loro prodigiose deformit per profonde foreste e vallate deserte. Non da stupirsi scrive Plinio539 che forme mostruose duomini e danimali si producano verso lestremit dellEtiopia, poich il fuoco, elemento mobile, lartefice della configurazione dei corpi e della cesellatura delle forme. Gli Arabi, che cominciano ad avere nozioni pi precise sullAfrica equatoriale, respingono generalmente tutti quegli esseri a figura pi o meno umana nelle isole pi meridionali del mar delle Indie. Ve n una specie, quella degli Imantopodi, di cui Kazuini gratifica unisola del mare degli Zengi. Sono esseri con la faccia umana, la pi bella che si possa vedere; ma le loro gambe non hanno ossa, le cosce sembrano di cuoio. Avanzano strisciando. Se incontrano un passante, lo supplicano di sedersi accanto a loro e, dopo che si seduto, uno di quei mostri si lancia sulle sue spalle, gli avvolge le gambe intorno al corpo e lo colpisce al viso per costringerlo a camminare, come una cavalcatura.540 un passaggio dei viaggi di Sindbad. I Satiri e gli Egipani hanno la loro dimora su colline di mediocre altezza, gradevolmente ombreggiate, che si suppongono poste nei paraggi degli Etiopi del Sud.541 In questo gruppo dobbiamo porre i Nesns o Nisnis degli Arabi.542 Al Idrisi nomina i Nesns tra gli animali del primo clima che non si trovano negli altri sei;543 ma non ne indica alcun tratto distintivo e rinvia alle pagine precedenti, in cui si parla solo di scimmie. Si pu credere che in effetti questo scrittore classifichi i Nesns tra le scimmie o non li distingua da loro. Di loro, per, racconta fatti molto straordinari; non trascura di menzionare, come si visto, la famosa isola delle Scimmie, di cui gli abitanti delle regioni vicine vanno a caccia per prenderle vive e farne dei servitori.544
no nel medioevo, e persino durante il Rinascimento, per incontestabili verit. Gli Onocentauri, i Dragontopodi, i Satiri, i Tritoni e le Sirene erano raffigurati nelle opere di Adrovandi, degli Scott, dei Kirker, degli Scaligeri, dei Par, dei Liceto, come altrettanti esseri di cui non era permesso sospettare la realt; e li raffigurano con una tale ricchezza di dettagli, che sembra che lartista li abbia egli stesso sorpresi in mezzo alle loro solitudini (POUCHET, Sciences naturelles au moyen ge, pp. 76-77). 539 L. VI, cap. XXXV. 540 Ajaib al Makhluqt, p. 449. Con le gambe piegate possono solo strisciare, pi che camminare, e avanzano pi cadendo che non camminando (SOLINO, Polyhistoria, cap. XXXIV, p. 269). 541 PLINIO, l. VI, cap. XXXV. 542 Nesns singolare, Nisnis plurale. 543 1. clim., X sez. 544 Lautore dellAjaib al Hind ne cita una che, presso la casa del mercante suo padrone, scopava la casa, apriva la porta ai visitatori, accendeva il fuoco sotto la marmitta, vi soffiava per attizzarlo, vi metteva la legna, e inoltre scacciava le mosche dalla
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Non si tratta per di veri e propri Nesns, neppure per Al Idrisi, che li distingue dalle scimmie con la coda, bench, come queste, i Nesns vivano sugli alberi, ove non si possono raggiungere.545 Le tradizioni arabe non sono uniformi a tale proposito. Kazuini, sempre incline al meraviglioso, dice decisamente che i Nesns somigliano a un uomo diviso in due: hanno mezza testa, un solo braccio, una sola gamba, sulla quale saltano con incredibile agilit.546 Sono i Monoskeloi dei Greci. Sembra che sia stata presa alla lettera e sviluppata lespressione di mezzo uomo, naturalmente applicata a scimmie antropomorfe. Certi scrittori ne fanno dei veri uomini, della nazione di Yagiugi e Magiugi (Gog e Magog), o del lignaggio di Aram, figlio di Sem; altri invece vi vedono solo animali selvatici, una selvaggina che si pu mangiare senza scrupolo.547 Masudi dubita fortemente della loro esistenza. Non abbiamo trattato egli dice di una classe di esseri la cui esistenza non ci rivelata n da testimonianze sensibili n da autorit incontestabili, tali che allontanino il dubbio e distruggano ogni incertezza; vogliamo alludere ai racconti popolari sui Nesns, sul loro aspetto, simile a mezza figura umana, e i loro denti simili a zanne, con cui si divorano lun laltro... Tuttavia un gran numero di persone sono convinte che i Nesns siano stati visti e che sicuramente esistano da qualche parte, per esempio in Cina, o in regioni lontane, alle estremit del mondo. Gli uni li collocano nelle contrade dOriente, gli altri in Occidente, ed da notare che i popoli dOriente li relegano in Occidente, mentre gli abitanti dellOccidente danno loro come patria lOriente.548 Un gran numero di tradizioni accordano ai Nesns non solo la figura umana, ma anche il linguaggio degli uomini, con una buona dose di ragione e persino un vero talento poetico. Un uomo della trib dei Beni Temim riferisce che si trovava a Shihr, nello Hadramaut, presso il governatore, quando la conversazione cadde sui Nesns. Il Temimita fu pregato dandare a caccia e di riportarne qualcuno. Partii racconta con diversi dei suoi soldati ed incontrai ben presto un Nesns, che mi disse: Pongo la mia fiducia in Dio e in te. Ordinai ai miei compagni di lasciarlo andare, e lo liberarono. Lindomani, il governatore volle prendere parte egli stesso alla caccia. Non si tard a incontrare un Nesns, dalla faccia umana, barba al mento, mammelle sul petto, due gambe duomo: non si trattava pi di un Monoscelo. Due cani si gettarono su di lui, ed egli rivolse loro sei versi aratavola, e sventolava il padrone col ventaglio. Unaltra, presso un fabbro di Thafa, azionava il mantice per tutto il giorno (pp. 67-68). 545 1. clim., X sez, p. 102. 546 Ajaib al Makhluqt, p. 149. 547 Cfr. BOCHART, Hierozoicon, l. VI, cap. XIII, col. 844-845. 548 MASUDI, Praterie doro, cap. LXII, t. IV.
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bi molto eleganti... (Masudi riporta fedelmente la sestina pronunciata in tale occasione); ma i cani, insensibili allincanto della poesia, fecero a pezzi la sventurata creatura. La caccia continu, nei boschi. Un cacciatore incontr un Nesns e lo sgozz. Si sent allora uno dei compagni della vittima mormorare: Dio sia lodato! come rosso il suo sangue! La sua imprudenza lo fece scoprire e fu ucciso. Un terzo Nesns nascosto tra le foglie dun albero esclam: Mangiava una bacca di sommacco. Se fosse rimasto zitto, non lavremmo stanato, dissero i cacciatori, catturando il maldestro chiacchierone. Io non parler, disse un altro dallalto del suo albero. Appena fu preso anche questi, un altro esclam: Eh! lingua mia! sta attenta!; anche la sua sorte fu simile a quella dei suoi compagni. Questo raccontino dellautore delle Praterie doro549 non raffigura forse una vera e propria caccia alla scimmia, fatta eccezione per le parole attribuite alle vittime, se solo le sostituiamo con versi, gridi o azioni intempestive? Masudi aggiunge che gli abitanti di Marah passano per essere mangiatori di Nesns. Diverso tempo dopo, il naturalista Demiri (morto nel 1405) racconta che ad un uomo di Sanaa, in una citt dello Hadramaut, fu servito nel piatto un pezzo di carne che gli sembr carne umana. Poich mostrava repulsione per un cibo simile, gli fu detto che non era la mano dun uomo, ma duna bestia chiamata Nesns, che pure si esprime in lingua araba e talvolta recita versi. Bochart, che ricorda questo passo di Demiri, aggiunge che Maimonide, su tale argomento, mantiene qualche riserva sul linguaggio dei Nesns e si limita a dire che pronunciano parole comprensibili, non senza qualche analogia con la parola umana.550 Masudi riferisce anche una tradizione secondo la quale il califfo Matawakkil, al principio del suo regno, aveva chiesto a Honein, figlio dIshaq, di fare in modo di mandargli qualche Nesns. Honein ne pot fare giungere a Serramenra soltanto due.551 gi molto sostenere che rispondessero al primo ritratto che abbiamo tracciato di quei semiuomini. Lautore delle Praterie doro aveva scritto il racconto di quella spedizione, per quanto assicura,552 nel suo Kitb al Akhbr, la cui perdita per noi causa di forte rimpianto. Insomma, Masudi non crede ai Nesns. Ho notato egli dice che la gente di Shihr, del Marah (paese che la voce popolare designa di solito come dimora di quegli esseri), molto sorpresa delle domande che si rivolgono loro sui Nesns e del ritratto che se ne fa. La loro opinione che occorra
MASUDI, Praterie doro, cap. LXII, t. IV. Hierozoic., l. VI, cap. XIII, col. 845. 551 MASUDI, Praterie doro, cap. XVII, t. II. 552 MASUDI, Praterie doro, cap. LXII, t. IV.
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cercarli in regioni lontane. E tutti gli altri popoli dicono lo stesso. Ci prova che i Nesns non esistono sulla terra e che sono stati partoriti dallimmaginazione ignorante del popolo.553 Dunque, anche agli occhi dun Arabo del sec. X, occorre relegare i Nesms nel paese delle Chimere, con tanti altri mostri della stessa origine: lo Shiqq, che si avvicina ai viaggiatori isolati, entra in conversazione con loro e li uccide;554 I Silah, abitanti delle montagne; gli Iblis, che amano le acque; i Ghl, dai piedi dasino,555 che infestano le rovine e i deserti; i Qotrob, che prendono forma di gatto; gli Wahawi, che hanno forma di serpenti alati che vanno per laria, ecc. Ma tutti quegli esseri, generalmente malefici, sono estranei alla natura umana; sono geni, discendenti di quel Gin che Dio cre col fuoco da Semum, la cui sposa fece trentun uova, dalle quali uscirono le trentuno specie di demoni.556 Invece i Nesns sono creature dello stesso ordine delluomo e degli animali. Fresnel, in una lettera a Caussin de Perceval,557 dice che in Arabia Nesns attualmente significa scimmia femmina, ed un nome usato in altri tempi per diversi popoli reputati barbari, come per esempio per alcuni soldati romani, fatti prigionieri da Dhul Adar in una delle sue lontane campagne militari. La stessa forma della parola nesns, comparabile al termine ns che designa la specie umana, sembra indicare una sorta di peggiorativo di questultimo. Gli uomini se ne sono andati; dice un poeta sono scomparsi e noi siamo rimasti soltanto dei germogli degli ignobili Nesns.558
MASUDI, Praterie doro, cap. LXII, t. IV. MASUDI, Praterie doro, cap. L, t. III. Shiqq, in arabo, significa met; come i Nesns di Kazuini, lo Shiqq passava per avere la met dun corpo di forma umana. 555 I Ghl possono cambiare forma, ma i piedi dasino sono uno dei loro caratteri essenziali. Per evitare questo mostro, quando si ha la sventura dincontrarne uno nelle profonde solitudini, lArabo gli indirizza questo verso: O Piedi dAsino, raglia quanto vuoi! Noi non lasceremo n la pianura n la strada che stiamo seguendo (MASUDI, cap. XLIX, t. III)? notevole che il Drac, uno degli esseri soprannaturali che infestano limmaginazione popolare in certe regioni meridionali della Francia, sia pur esso un mostro mutante, che riproduce forme asimine. Si presenta con modi di fare amichevoli e dolci ai bambini, che gli salgono sul dorso uno dopo laltro. Lanimale allunga la propria groppa sino a che abbia un carico sufficiente. Allora si direge verso il fiume e scompare sotto le onde coi suoi giovani e imprudenti cavalieri (il cui numero si eleva generalmente a ventiquattro), a meno che questi non abbiano in tempo la felice idea di farsi il segno della croce, il che basta sempre per mettere il mostro in fuga. LEmpuso dei Greci era un altro mostro mutante, con una gamba dasino (cfr. ARISTOFANE, Le Rane). 556 MASUDI, Praterie doro, cap. XLIX, t. III. 557 Journal Asiatique, oct. 1850, 5. serie, t. XVI, p. 270. 558 MASUDI, Praterie doro, cap. LXII, t. IV.
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In occasione delle conquiste del re Abraha, nel sec. VI, gli storici arabi citano tre razze africane: i Neri (Sudn), i Berberi e i Nesns.559 Sembra probabile che quei Nesns fossero in effetti un qualche popolo nero o abbronzato della costa orientale dAfrica, ove si mescolano tanti tipi, forsanche uno di quelli compresi sotto il nome di Zengi. Quanto alle singolarit della loro conformazione, esse non sono universalmente ammesse; e daltra parte sappiamo con quanta facilit si costruissero leggende, grazie allinterpretazione meravigliosa dei particolari pi semplici. Ai nostri giorni, non si forse creduto a un certo momento di avere scoperto uomini con la coda nelle regioni etiopiche? Pi da vicino, si poi riconosciuto che la pretesa coda era solo un ornamento, unappendice di cuoio, parte integrante del costume molto elementare di quel popolo. Cos nel sec. XVI gli abitanti di Mindanao, nelle Filippine, al vedere gli Spagnoli che rompevano il loro biscotto secco muniti duna lunga spada, per mangiarlo, e fumavano le loro pipe, videro in loro dei mostri spaventosi, usciti dal seno dei mari, con una lunga coda, che mangiavano pietre e vomitavano fumo.560 Quante credenze umane, in ogni tempo, non hanno avuto altra origine che una falsa interpretazione di fatti male osservati! Le popolazioni della costa dello Zanghebar non hanno perso nulla delle loro credenze nei buoni e cattivi geni, i ginn rahmni ed i ginn sheitni dei loro signori musulmani. Questi ginn abitano nelle boscaglie, nel mare, nelle rovine e in generale nei luoghi isolati, e in quelli in cui si producono effetti che sembrano meravigliosi.561 Allepoca dei calori, quando il sole ardente ha esaurito le sorgenti e seccato i fiumi, un gran numero di bestie feroci e danimali selvatici dice El Giahiz562 si radunano al bordo dei vasti stagni dacqua posti alle estremit
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Lettera di Fresnel, cit. AMEILHO, Histoire du commerce et de la navigation des Egyptiens sous le rgne de Ptolme, 1766, p. 62 (citato da BERGER DE XIVREY, Traditions tratol., p. XVIII). 561 GUILLAIN, t. II, p. 97. 562 In MASUDI, cap. XXXIII, t. III. Si potrebbe credere che il naturalista arabo si sia ispirato a questo passo di Plinio: LAfrica il principale teatro di questi furori (amorosi), quando la penuria dellacqua raduna gli animali ai bordi dun piccolo numero di fiumi. Cos si vedono produrre diverse forme danimali, perch le femmine si accoppiano di loro volont o per forza con i maschi dogni specie; ne viene quel modo di dire proverbiale in Grecia: LAfrica produce sempre qualcosa di nuovo. (L. VIII, cap. XVII).
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dellHabasha. Alcuni dei loro accoppiamenti sono sterili, ma altri generano prodotti molto diversi, per forma e natura. La iena, tra altri, gioca un ruolo importante in queste strane procreazioni. Cos la giraffa deriva da una cammella dEtiopia, da una vacca selvatica e da una iena maschio;563 perch la iena con la cammella generano un piccolo che somiglia a entrambi e se questultimo un maschio e si accoppia a sua volta con la vacca selvatica, dal secondo accoppiamento nasce la giraffa.564 Secondo altri, essa deriva pi semplicemente dal cammello e dalla pantera,565 o dal cammello e dalla vacca, come pensano i Persiani, che la chiamano Ushturgaw (cammellovacca), oppure Ushturgawpeleng (cammellovaccapantera). Per queste bizzarre ipotesi dincroci impossibili, non occorre cercare altra causa che la conformazione fisica della giraffa e le macchie del suo mantello. Lanimale era ben conosciuto da gran tempo. Plinio e Solino ricordano che apparve per la prima volta ai giochi del circo al tempo di Cesare.566 Cosma ne offre una descrizione abbastanza esatta e dice di averne viste addomesticate. Da noi, nel medioevo, la giraffa fu vista per la prima volta nella seconda met del sec. XIII, in una collezione danimali rari che limperatore Federico II aveva fatto venire dallAfrica.567 uno degli animali che Al Idrisi attribuisce solamente al primo clima. Essa allora abbondava in Nubia. Marco Polo assicura che gli abitanti dello Zanghebar E s nno giraffe molto belle.568 Incrociata col lupo (o piuttosto con lo sciacallo), la iena femmina produce lIsbar o Usbar;569 la iena maschio e la lupa invece generano il Sim. Sempre la iena, incrociata con la leonessa dEtiopia, produce la Crocota o Crocuta,570 celebre nei Bestiari per il suo talento a imitare la voce delluomo.571
KAZUINI, Ajaib al Makhluqt, p. 373 ed anche Athr al Bild, pp. 12-13. In SACY, Chroniques Arabes, III, 409. 565 MASUDI, Praterie doro. Questo scrittore emette anche unaltra opinione pi saggia, ossia che la giraffa formi una specie particolare e distinta, come il cavallo, lasino e il bue, e non il prodotto dun incrocio. 566 PLINIO, l. VIII, cap. XXVII; SOLINO, cap. XXXIII, p. 251. 567 POUCHET, Histoire des Sciences naturelles au moyen ge, p. 67. Secondo un aneddoto ben noto, Averro dice daver visto una giraffa presso il re Al Mansur, sovrano musulmano di Spagna, nella seconda met del sec. XII, e i termini di tale menzione furono si dice la causa della disgrazia del vecchio filosofo (cfr. E. RENAN, Averros, p. 17). 568 MARCO POLO, Il Milione, cap. 187. 569 Cfr. Chrest. Ar., t. III, p. 492. La seconda forma quella indicata nel testo di KAZUINI, ed. Wstenfeld, p. 450. 570 PLINIO, l. VIII, cap. XLV. 571 E sappiate che in Etiopia si giace questa bestia (la iena) con la femmina del leone, e genera una bestia che ha nome Crocota, che capace dimitare la voce delluomo. (BRUNETTO LATINI, Trsor, l. I, p. V, cap. CXCI, p. 246).
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Una delle generazioni pi strane quella di cui parla Leone lAfricano. Diversi storici dellAfrica dicono che laquila maschio talvolta copra la lupa; e dopo, quand incinta, essa si gonfia s forte che crepa e ne esce un drago, col becco e le ali duccello, le zampe di lupo e la coda di serpente, con la pelle maculata e colorata a diversi colori; non potendo muovere le palpebre degli occhi, si rifugia in caverne. Ma non voglio assicurarvi n che io, n che alcun altro labbia mai vista; tuttavia, si mormora per tutta lAfrica che in altri tempi tale mostro sia stato visto.572 Quanti altri animali straordinari errano in quelle regioni favolose dellEtiopia meridionale! Il Serais, al quale Demiri attribuisce un naso con dodici fori, da cui soffia, imitando un flauto, il che attira le bestie, che poi lui divora;573 lo ShdHzaj, musicista ancora pi perfetto, perch secondo Kazuini574 possiede un corno diviso in 72 rami vuoti, da cui escono, quando respira, suoni armoniosi che fanno accorre gli altri animali; i re comprano questi corni, li espongono al soffio del vento, e ne escono suoni gradevoli che incantano gli ascoltatori. Non dimentichiamo la strana Taranda, che Plinio relega al Nord, presso gli Sciti, ma che Solino e i nostri scrittori medievali attribuiscono allAfrica equatoriale.575 Questo quadrupede, peloso come un orso, cambia a volont il
LAfrique, t. II, pp. 313-314. Cfr. BOCHART, Hierozoicon, l. VI, cap. XIII, col. 847. 574 Ibidem. 575 Citiamo volentieri Solino, perch il suo Polyhistor, durante tutto il nostro medioevo, godeva duna relativa popolarit, che non poteva avere lopera troppo complessa e difficile di Plinio, abbordabile solo da parte di un ristretto numero di letterati. Quando lautore del Dittamondo, Fazio degli Uberti, vuole descrivere poeticamente la terra, a imitazione di Dante che descrive lInferno, prende per guida Solino, come Dante aveva preso Virgilio. Pi dun secolo prima, il Polyhistor era stato tradotto dal latino in volgare da Simon de Boulogne, per essere offerto a Baldovino II, conte di Guines (1169-1205) (cfr. Histoire littraire de la France, t. XV, p. 501). Nel sec. XIII, Geraldo il Cambriano, letterato molto colto per il suo tempo, che citava spesso i classici, Virgilio, Orazio, Ovidio, Giovenale, ecc., invoca volentieri lautorit dIsidoro di Siviglia (Hysidorus) e di Solino (cfr. Giraldi Cambrensis opera, ed. by JAMES F. DIMOCK, 1867, t. V, pp. 24 e passim). Il Polyhistor era cos diffuso, che se ne contavano sino a quattro esemplari nella Biblioteca di Carlo V (cfr. A. JOLY, Le Roman de Troie, t. II, p. 223). Fu uno dei primi libri che ebbero gli onori della stampa; la Biblioteca della Facolt di Medicina di Montpellier ne possiede due edizioni, senza luogo n data, molto scorrette daltronde, ma certamente molto antiche. La Chronica ab initio Mundi, di HARTMAN SCHEDEL, stampata nel 1493, cita costantemente Solino e ne copia interi brani. Infine, sino al sec. XVII, Solino continua a godere presso medici, geografi e naturalisti di unautorit che non merita. soprattutto tramite suoi che si diffusa in Occidente la mole delle nozioni vere o false compilate da Plinio.
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colore dle proprio pelo: allo stato naturale ha il pelame dun asino, ma quando ha paura e si nasconde riproduce, come il camaleonte, il colore degli alberi, degli arbusti, dei fiori, del terreno in cui si trova.576 Solino cambia Taranda in Parandra e sostituisce la Scizia con lEtiopia.577 Parleremo del Minshr, mostro marino che percorre le acque tempestose del mare degli Zengi, sventrando le navi con la lunga fila di denti a forma di sega che armano la sua spina dorsale, dalla testa alla coda? Quesi denti sono dosso nero come lebano dice Kazuini lunghi ciascuno, a occhio, due aune.578 In testa porta due ossi lunghi dieci aune con cui batte le acque del mare, a destra e a sinistra, con un rumore spaventoso; lacqua schizza dal suo naso e dalla sua bocca, si eleva in aria e ricade a pioggia a distanza considerevoli. Spezza le navi battendole da sopra o da sotto.579 Kazuini combina qui due bestie ben diverse, il Pescesega e la Balena. Il primo la terribile Serra degli autori della bassa latinit. Isidoro di Siviglia gli attribuisce una cresta a forma di sega, crista serrata, e tale cresta senza dubbio una delle cause che nei Bestiari contribuiscono a trasformare il pesce in un temibile uccello, terrore dei naviganti.580 Allora si confonde in parecchi punti col Rokh, di cui parleremo tra poco. Limmaginazione popolare si compiace a mescolare tutte queste nozioni di mostri acquatici o aerei. La Ghaida dei mari della Cina una di queste bestie gigantesche, ugualmente terribili nei due elementi. Al Idrisi la dipinge con due ali che le permettono, nonostante il suo peso, di alzarsi sui flutti e al di sopra delle navi. lunga circa cento cubiti. Quando i marinai la scorgono, fanno rumore battendo pezzi di legno gli uni contro gli altri: lanimale si ritira e lascia loro via libera. Daltra parte, grazie a Dio, la sorte di questo grande
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PLINIO, l. VIII, cap. LII. Polyhistor, cap. XXXIII, p. 263. Paranda dice Brunetto Latini (Trsor, l. I, p. V, cap. CXVII) una bestia in Etiopia, grande come un bue, con capo e corna di cervo e colore dorso; ma gli Etiopi dicono che Paranda cambia il suo vero colore per paura, secondo la tinta della cosa che le pi vicina. Le Vaillant, nel suo primo viaggio in Africa sulle frontiere della Cafraria, parla di unantilope, lo Springbock, gazzella saltatrice, o gazzella pavana, che fa apparire a volont il suo treno posteriore interamente bianco o interamente rosso, fenomeno che il viaggiatore spiega facilmente. Forse da ci derivano le favole che riguardano la Taranda. 578 Auna, alna o alla: anrica misura lineare di corrispondenza varia: in Gran Bretagna essa valeva due braccia, ossia circa m 1,16. 579 Ajaib al Makhluqt, p. 122. 580 Cfr. p. es. il Bestiario di Gervaso (Romania, 1872, I, p. 440). Nel Bestiario Divino (sec. XIII) la Serra un mostro marino duramente corpulento che si accontenta di volare davanti alle navi, in gara di velocit, poi si stanca e finisce per ricadere nelle onde. (Pubblicazione di HIPPEAU JANS, in Mm. de la Socit des Antiquaires de Normandie, t. XIX, p. 428). Il nome arabo minshr lequivqlente del latino serra, sega.
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pesce collegata a quella dun altro, piccolissimo, detto Mabida: quando il mostro la scorge, si allontana e simmerge negli abissi sino ad una tale profondit che lo ponga al riparo dallinseguimento di quel pesce.581 La tradizione del pesce volante gigantesco ben anteriore a Al Idrisi e risale ad una lontana antichit. La si trova gi presso il filosofo cinese Ciuangts, che scriveva nel sec. IV a.C.: C un cetaceo dice questo scrittore grande non si sa quante migliaia di li (un li ezuivale a 600 m); esso cambia forma e diventa uccello e allora si chiama Feng.582 Il mare degli Zengi racchiude ancora ben altre bestie, delle forme pi svariate e pi straordinarie. Se non fosse tendenza dello spirito umano quella di negare ci che ignora, rigettare ci che esce dal cerchio delle sue conoscenze, potremmo parlare dice Masudi dun gran numero di meraviglie offerte da quel mare, serpenti ed altri animali che esso nutre.583 I serpenti e i rettili dogni sorta sono una delle piaghe, se non del mare e delle rive, almeno delle profondit sabbiose e bruciate del continente. Gli Arabi rifanno a modo loro il quadro tracciato da Luciano della Libia meridionale: Una sabbia profonda, una terra bruciata, quasi completamente deserta e sterile, unimmensa pianura in cui non si trova n erba, n prato, n albero, n acqua, se non casualmente qualche resto di pioggia raccolto nel cavo delle rocce; e quellacqua cos fangosa e infetta che luomo pi assetato non saprebbe berne. Ecco perch quella regione disabitata... Rettili dogni specie, enormi, innumerevoli, mostruosi, che inoculano un veleno mortale, sono diffusi in quella contrada. Gli uni stanno in tane che si sono scavati nella sabbia, altri strisciano in superficie: sono rospi, aspidi, vipere, cerasti, bupresti, aconzie, amfisbeni, draghi, scorpioni... e il pi terribile di tutti, il Dipsado!584
AL IDRISI, 1. clim., X sez., p. 97. I Maroniti, anzich ghaida, leggono ghonda. PAUTHIER, Marco Polo, p. 681, nota. 583 MASUDI, Praterie doro, cap. X, t. I. Tra i pesci che frequentano in modo particolare la costa degli Zengi, Kazuini cita il Berestuggi, che emigra due volte allanno da quella costa sino al Tigri, risale il fiume e va a nuotare nelle acque di Bassora, come se gustasse di vivere nellacqua dolce dopo il soggiorno nelle acque salate dellOceano. Quelli che sfuggono ai pescatori ritornano al paese degli Zengi, e i marinai assicurano che non si vede mai il Berestuggi contemporaneamente, nel mare degli Zengi e nel Tigri (Ajaib al Makhluqt, p. 117). Un altro pesce che Kazuini trascura di citare e che risale il mare di Qolzum presenta questa particolarit straordinaria: che dopo la sua morte, disseccandosi, diventa simile a cotone bianco, e se ne traggono fili con cui si tessono stoffe preziose, dette Semekin (da semek, pesce). (Ibidem, p. 120). 584 Dei Dipsadi.
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Si pu vedere in Solino585 la descrizione leggendaria di questi mostri, molto idonei ad annullare ogni volont di viaggio in quelle disgraziate contrade. Soprattutto il serpente ispira orrore e paura; e tutta quella regione, allora inesplorata, dellEtiopia meridionale, passava per esserne prodigiosamente infestata. Non lontano dal Gebel al Qomr, o Montagna della Lune, si trova una regione detta la terra dei Serpenti. Vi si vedono rettili tali che uccidono con il loro solo aspetto;586 alcuni sono di taglia tale che sono stati confusi per tronchi dalbero, adatti a farne alberi di nave.587 Quelli non solo attaccano luomo, il bufalo, il coccodrillo, ma persino lelefante, che soffocano e divorano.588 Apollo Pizio avrebbe trovato in quelle regioni unoccupazione lunga e senza pari. Il grande Iskander dalle due corna, che la leggenda araba fa viaggiare dallestremo Oriente allestremo Occidente, non sembra essere passato per il paese degli Zengi. Ma sulle coste bagnate dal mare Tenebroso (loceano Atlantico) ha incontrato un mostro, discendente certamente dallantico Pitone. Quel drago gigantesco occupava da sovrano una contrada che Al Idrisi chiama lIsola dei Supplicanti (Al Moshtakin).589 Divorava animali e persone. Gli abitanti, per difendersene, non avevano altra risorsa che il sacrificio quotidiano di due tori, che venivano condotti davanti alla sua ta585
Cap. XXXI: il vero valore di unopera quello di non omettere nulla che possa aiutare ad osservare la natura. 586 AL IDRISI, Description de lAfrique, ed. Dozy e de Goeje, p. 19. Si trovavano serpenti della stessa natura a Marekin: Se uno di quei rettili si dice nellAjaib al Hind scorge un uomo prima che questi lo scopra, il serpente muore; se luomo vede il serpente per primo, luomo a morire; e se si scorgono simultaneamente muoionoentrambi. il peggiore di tutti i serpenti. (Ajaib al Hind, XXIX, p. 43). Ecco, secondo BRUCE (Voyage en Nubie, t. III, p. 155), un passo del veridico P. Lobo (cap. XII del suo libro sullAbissinia): Attraversando il deserto per due giornate di marcia, corsi il rischio di perdere la via; perch, mentre stavo seduto a terra, sentii improvvisamente un dolore che mi obblig ad alzarmi e scorsi, a circa quaranta passi da me, uno di quei serpenti che lanciano il veleno a distanza. Bench mi fossi alzato prima che avesse avuto il tempo di avvicinarmisi, sentii gli effetti del suo alito velenoso, e se fossi rimasto ancora un po seduto sarei certamente morto. Feci ricorso al bezoar, antidoto supremo, che portavo sempre con me. Quesi serpenti non sono molto grandi. Hanno un corpo grosso e corto, e il ventre a macchie brune, nere e gialle. Hanno la bocca molto grande, e laprono per aspirare una gran quantit daria che poi conservano per qualche tempo e che poi rigettano con una forza tale da dare la morte a quaranta passi di distanza. Mi salvai perch ebbi la fortuna dessere un po pi lontano. Queste storie moderne sono interessanti da leggere per poter comprendere la credulit dei tempi pi antichi. 587 Ajaib al Hind, p. 37. 588 Ajaib al Hind, p. 147. 589 Ajaib al Hind, p. 41-42.
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na. Esso usciva per divorarli, simile a una nera nube, gli occhi scintillanti come lampi, le fauci che vomitavano fiamme, e poi scompariva sino allindomani. Alessandro acconsent a sbarazzare il paese da quel flagello. Non a colpi di frecce, come un eroe primitivo. Larte di dare la caccia ai mostri si complicata col progresso dei tempi. Si riempirono due pelli di toro duna mistura di resina, zolfo, calce e arsenico, il tutto impastato con ganci di ferro. Perch il drago assorbisse pi rapidamente quel pasto poco gustoso, Alessandro ebbe cura di affamarlo, servendogli la vigilia soltanto due vitellini, invece dei due tori, che era abituato a mangiare. Infatti lanimale si gett avidamente sullesca e lingoi tutta in due bocconi. Poi volle sbarazzarsene; appena apr le fauci, approfittarono di quel momento per lanciargli in gola blocchi di ferro al calor rosso. La mistura sinfiamm sino in fondo alle sue viscere e il drago mor.590 La ricetta antica era pi semplice. Luomo o il dio trionfava per la propria forza e per valore personale. Qui luomo vince per i progressi della scienza. Non parleremo del Drago volante, che gli scrittori arabi non citato come appartenente al paese degli Zengi, bench i nostri autori del medioevo ne gratifichino volentieri lEtiopia: Il Dragone il serpente pi grande di tutti dice Brunetto Latini ed una delle bestie pi grandi del mondo, ed abita in India e in Etiopia, ove sempre stato grande. E quando esce dalla sua spelonca, corre per laria s rapoidamente e con un s grande portamento che laria brilla intorno a lui, s come fuoco ardente. 591 Ma vi sono diverse specie di rettili che dobbiamo citare. Innanzitutto, in pieno Bild ez Zenj, un animale della taglia della lucertola, e pressappoco dello stesso colore e della stessa forma, notevole per una rara qualit: il maschio, cos come la femmina, hanno organi sessuali doppi, ma non sono ermafroditi. Sono bestie pericolose, dal morso inguaribile; la piaga che rpovocano rimane sempre aperta e non si cicatrizza pi. Questo rettile frequenta soprattutto le piantagioni di canne da zucchero e di dura.592 Ecco poi un ofide, forse malfattore in vita, ma molto utile almeno dopo la sua morte. un serpente che si mostra una volta sola allanno in unisola vulcanica del mare degli Zengi. I re lo prendono con linganno, lo fanno cuocere e ne raccolgono il grasso. Chi se ne unge vede aumentare il proprio
La stessa storia, quasi negli stessi termini, raccontata da Kazuini, che indica come teatro dellavventura unisola del mar delle Indieche chiama isola del Tannn o del Drago (Ajaib al Makhluqt, p. 118). 591 Trsor, l. I, parte V, cap. CXLII, p. 193. Cfr. anche il Bstiario divino di GUILLAUME DE NORMANDIE, p. 451. Si possono vedere a tal proposito un passo dellAjaib al Hind, p. 35, e i frammenti di Masudi citati nelle note della mia traduzione, a p. 179. 592 Ajaib al Hind, p. 147.
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vigore, la propria dignit, la propria gioia. Con la pelle si fanno eccellenti tappeti, per farvi coricare le persone con malattie al petto. Talvolta si trovano queste pelli in India, ove si vendono a prezzi da favola per andare a finire nei tesori dei re.593 Infine citiamo ancora, tra le bestie che strisciano, una specie ricercata dagli arditi cacciatori, che sperano di trovare pietre preziose nel suo cranio. La gemma il dragonzio, draconzia o dracontite degli antichi. Non un affare da poco impadronirsene, perch non basta uccidere a distanza il serpente che la porta nel suo cervello ed estrarla dopo la morte dellanimale; la pietra cos ottenuta non avrebbe pi nulla delle caratteristiche duna gemma. Bisogna che essa sia strappata dalla testa del mostro ancora vivo: La Dracontite si strappa dal cervello del Dragone dice Isidoro di Siviglia e se non viene strappata quando esso vivo, non diventa gemma.594 Si taglia il cervello dei Draghi aggiunge Solino ma non vi la pietra, se non si estrae quando sono ancora vivi; infatti, se il serpente muore prima, lindurimento si scioglie e svanisce insieme allanima.595 Ecco perch persone di estrema arditezza cercano le tane dei draghi e vi spargono erbe preparate, dotate di qualit soporifiche; i draghi si addormentano e durante il loro sonno si apre loro la testa per estrarne la preziosa gemma.
LAZUINI, Ajaib al Makhluqt, p. 121; Dimashqi d allisola il nome di Gian (testo arabo, p. 163). 594 L. XVI, cap. XIII, De cristallinis. 595 Polyhist., cap. XXXIII, p. 260.
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Si visto che, a dire di alcuni scrittori arabi, lambra spesso ingoiata da un pesce. Questo pesce, secondo la descrizione che ne fa Masudi, un soffiatore, Balena o Capodoglio; lo stesso nome, scritto differentemente: Wl, Bl, Fl, offre una notevole analogia col latino balaena e col greco falaina.596 Questo mostro marino, abbondante nel mare degli Zengi, figura frequentemente nelle relazioni di viaggi degli Arabi. Soleima, nel sec. IX, racconta che i naviganti temono molto la sua vicinanza; e quando attraversano le acque in cui si pu temere il suo incontro, fanno grandi rumori sulla nave con campane simili a quelle dei cristiani per tenere il cetaceo lontano.597 Lo Wl dice anche lAjaib al Hind, si diverte a rompere le navi. I navigatori cercano di spaventarlo con grida, col rumore dei tamburi e di pezzi di legno battuti gli uni contro gli altri.598 La relazione di viaggio di Nearco fatta da Arriano599 riporta gi un fatto analogo, e quel racconto non era probabilmente ignoto agli Arabi. I pescatori arabi sapevano da gran tempo dei profitti che si possono ricavare dal corpo dello Wl. Se non osavano inseguirlo e arpionarlo in pieno mare, almeno quando uno di quei mostri veniva a morte e si arenava sulle coste, si evitava di perdere lenorme quantit dolio ammassata nei suoi fianchi. I pescatori dice Abu Zeid quando prendono uno di questi pesci, lespongono al sole e lo tagliano a pezzi; a lato vi una fossa in cui si raccoglie il grasso. Quando il calore del sole ha fatto fondere il grasso, lo si raccoglie dalla fossa per metterlo in vasi, e si vende ai capitani delle navi. Mescolato ad altre sostanze, si usa per ungere le navi, coprire le suture e chiudere i buchi. Si vende a un buon prezzo.600 LAjaib al Hind riferisce due fatti di questo genere, accaduti a dieci anni dintervallo (300 e 310 Hegira); uno dei cetacei forn pi di cinquecento giare dolio.601
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III I Cetacei
Wal il nome della Balena anche nel nord Europa, e si sa che nel medioevo i pescatori di balene vi formavano una confraternita, detta Societas walmannorum. nota la particolare etimologia fornita da Isidoro di Siviglia: Le Balene sono bestie di grandezza immensa, chiamate cos dallemettere e lanciare le acque; infatti lanciano onde alle altre bestie dellalto mare. Ballein infatti in greco significa emettere. LIVIO, XII, cap. VI, De piscibus. 597 P. 97. 598 Ajaib al Hind, IX, p. 12. 599 Indic., XXX. 600 Les deux Mahomtans, p. 153. 601 Ajaib al Hind, X, p. 13.
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I pescatori non attaccavano animali vivi, capaci di riempire col loro grasso un tal numero di recipienti. Lincontro dun cetaceo lungo cento cubiti e largo ventiquattro anzich rallegrarli, causava loro un terrore mortale; fuggivano davanti a lui o si sforzavano di farlo deviare dalla loro rotta. Ma quando lanimale era di piccola taglia luccidevano a colpi di frecce, per farlo a pezzi, farlo cuocere in calderoni ove la carne si trasforma in grasso liquefatto, molto apprezzato nello Yemen, a Aden, nellOman, nel Fars, nel mare delle Indie e della Cina, per il calafataggio delle navi.602 Questo sfruttamento dellolio di balena da parte degli Arabi risale daltronde a epoche ben anteriori allislamismo, come testimonia questo brano di Plinio: Juba, nei libri sullArabia che ha indirizzato a Caio Cesare, figlio dAugusto, dice... che un cetaceo lungo seicento piedi e largo trecentosessanta entr in un fiume dArabia, e che si fece commercio del grasso di quella specie danimale...603 Le dimensioni qui attribuite al gigantesco pesce sono fatte per sorprendere i nostri pescatori contemporanei. Ma da molto tempo si osservato che lardente inseguimento dei balenieri non permette pi a tali animali di invecchiare e raggiungere tutta la loro taglia. Lautore dellAjaib, sopra citato, crede sufficiente per stupire i suoi lettori il fatto di attribuire a uno di quei mostri marini duecento aune di lunghezza e cinquanta daltezza, e aggiungere che un cavaliere poteva entrare a cavallo dalla mascella e uscire dal lato opposto. Ibn Battuta vide a Hormuz, presso la porta della grande moschea, una testa di pesce alta come una collina, i cui occhi erano grandi come porte; uomini antravano da uno degli occhi e uscivano dallaltro.604 Kazuini porta la lunghezza del Bl del mare degli Zengi sino a quattrocinquecento aune.605 Tutto ci ben poco, in confronto ai mostri marini di cui parlano i Talmudisti, perch, a dire di Bochart: Gli Ebrei, sempre bugiardi, in tale argomento mentono spesso a volont. Attribuiscono ai pi piccoli dei Cetacei una lunghezza di cinquecento stadi, ossia pi di sessanta miglia.606 La prodigiosa taglia della balena, ancor pi accresciuta nella bocca dei cronisti, ha fatto nascere una storia che forse risale a unepoca molto remota, ma che tutto il medioevo si compiaciuto a raccontare. la storia dun equipaggio che scambia per unisola un pesce gigantesco, addormentato a fior dacqua. Una delle pi antiche versioni arabe di questo bizzarro racconto sembra risalire al nostro sec. X. Una nave partita dallIndia si trova in avaria.
AL IDRISI, 1. clim., X sez., p. 96. L. XXXII, cap. IV. 604 T. II, p. 232. 605 Ajaib al Makhluqt, p. 123. 606 Hierozoic, l. I, cap. III, col. 50.
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Incontra un isolotto completamente privo dacqua e di legna. La necessit lo costringe a fermarsi. Viene sbarcato il carico della nave e si ripara lavaria. Poi il carico viene riportato a bordo. Ma poich correva per caso lepoca della festa del Newruz (equinozio di primavera), che conveniva celebrare con un fuoco di gioia, portano sullisolotto tutto il combustibile disponibile, legna minuta, stracci, foglie di palma. Si accende. Allimprovviso lisolotto si agita e trema sotto i piedi degli imprudenti. Spaventati si gettano in acqua, si precipitano verso le imbarcazioni e a gran fatica sfuggono allannegamento tra i gorghi prodotti dallisolotto che affonda nelle onde. Orbene, quellisolotto era una gigantesca tartaruga, addormentata alla superficie dellacqua, che il fuoco aveva ridestato dal suo torpore.607 Le Mille e una Notte riprendono il racconto e labbelliscono di dettagli, in cui si percepisce un narratore che non crede al proprio racconto. Lisolotto senzacqua diventa unisola incantevole il cui terreno sembrava coperto da uno spesso tappeto verde e profumato. Vi si scende per piacere, si passeggia nella gradevole prateria; si beve, si mangia, ci si riposa. Lautore accumula con abilit i dettagli che renderanno ancor pi sorprendente la catastrofe finale. Kazuini, che non perde occasione di mescolare storie stravaganti alle pi serie nozioni scientifiche, non manca, nel parlare delle tartarughe, di riferire un fatto del tutto simile. Il passare del tempo ha accumulato sul dorso duno di quei chelonidi abbastanza polvere da farne un terreno fertile, ove nasce una vegetazione vigorosa.608 I nostri scrittori del medioevo conoscono tutti questa storia. Ma per loro non pi un fatto isolato, un incidente di viaggio capitato una volta, per caso. una di quelle avventure cui sono esposti i marinai, come le tempeste e i naufragi; e nei Bestiari la Balena non ha per cos dire altra funzione che quella di provocare incidenti simili a quello dei compagni di Sindbad. Leggiamo il Physiologus di Ildeberto, che si suppone scritto al principio del sec. XII. Il marinaio scorge un cetaceo: Prospiciens illum montem putat esse marinum,/Aut quod in Oceanum insula sit medium.../Si sit tempestas, cum vadit vel venit aestas,/Et pelagus fundum turbidat ille suum,/Continuo summas se tollit cetus ad undas./Est promontorium cernere non modicum./Hinc religare citam pro tempestate carinam/Nautae festinant, utque foris saliant./Accendunt vigilem quem navis portitat ignem,/Ut se calefaciant aut comedenda coquant./Ille focum sentit, tunc se fugiendo remergit/Unde prius venit, sicque carina perit.609
XIX, pp. 31-32. Ajaib al Makhluqt, p. 137. 609 HILDEBERT, Patrologie, t. CLXXI, col. 1219.
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PHILIPPE DE THAUN, Bestiaire, p. 108. Trsor, l. I, parte V, cap. CXXXIII, p. 186. 612 Le Bestiaire damour, pubbl. da M. HIPPEAU, 1859, p. 47. Cfr. anche Le Bestiaire Divin, cit., p. 452.
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(Allo sguardo sembra che si tratti di un monte nel mare, o di unisola in mezzo allOceano... Se c una tempesta, quando lestate va e viene, e il mare intorbida il suo fondo, il cetaceo continua a sollevarsi sulle onde pi alte. Ha laspetto allo sguardo di un promontorio di dimensioni non piccole. Qui a causa duna tempesta i marinai si affrettano a legare la nave, per poterne scendere. Accendono un fuoco di vedetta, portato sulla nave, per riscaldarsi e cuocere il cibo. Quello sente il fuoco, e fuggendo si riimmerge l donde era venuto, e cos la nave affonda). Un po pi tardi, si sente il bisogno daggiungere qualche verosimiglianza al racconto dei marinai, supponendo che le onde abbiano portato della sabbia sul dorso del mostro. Gli altri dettagli non cambiano. Cetus una bestia molto grande, tutta immersa nel mare;/Prende la sabbia del mare e la stende sul dorso,/Si erge sul mare, come se fosse un paese./I marinai la vedono e pensano che sia unisola,/Vi sbarcano e vi preparano il bivacco./La balena sente il fuoco e la nave e la gente;/Allora simmerge, se pu, ed essi annegano.610 Brunetto Latini fa ancora meglio. Come lautore del racconto arabo sopra citato, trasforma il dorso della balena in una vera e propria prateria, e pensa addirittura, per abbellire il paesaggio, di piantarvi qualche arbusto: Quel pesce erge il suo dorso in alto mare, e tanto dimora in un luogo che il vento porta sabbia e la deposita su di lui, e nascono erbe e alberelli, per cui i marinai molte volte singannano; credono che sia unisola e scendono e piantano pali e accendono fuoco; ma quando il pesce sente il calore, non pu soffrirlo e fugge dentro il mare, e fa affondare tutto ci che gli sta di sopra.611 Scrittori pi riflessivi giudicano poco credibile questa presenza duna densa vegetazione o anche di sabbia sul dorso duna balena in pieno mare e modificano la circostanza, suggerendo che la pelle del cetaceo abbia semplicemente laspetto ed il colore della sabbia. Cos come avviene scrive Richard de Fournival a met sec. XIII duna specie di Balena che cos grande che quando tiene il suo dorso sopra lacqua i marinai, che la vedono, credono che sia unisola, perch essa ha il cuoio di tanto in tanto in maniera tale che sembra sabbia di mare. E quando i marinai arrivano su di essa come se fosse unisola, e vi si alloggiano e dimorano otto giorni o quindici e cuociono le loro vivande sul dorso della balena. Ma quando essa sente il fuoco, simmerge e li affonda nel mare.612 Un bestiario provenzale, pubblicato da Bartsch sulla base dun manoscritto del sec. XIV, sembra fornire la traduzione (o il prototipo) del brano di Fournival:
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Della Balena si staglia sul mare solo la schiena; e vengono i marinai e pensano che sia unisola, e vi scendono dalla barca e vi fanno sopra il fuoco per cuocere la loro vivanda; perch sono convinti che sia unisola, visto che ha il colore della sabbia; e quando fanno il fuoco, ella simmerge e li manda tutti in fondo al mare.613 Il celebre monaco irlandese san Brendano o Brandano, le cui meravigliose avventure sono state comparate a quelle di Sindbad, probabilmente il pi antico personaggio dellOccidente che sia stato esposto a un incidente di questo genere. Si possiedono manoscritti del sec. XI in cui si trova la relazione del suo viaggio straordinario alla ricerca della Terra repromissionis sanctorum: lavventura della Balena vi figura per esteso. Riproduciamo qui il testo latino, nella sua ingenuit, con lortografia derivata dalledizione di Jubinal:614 Cum autem appropinquassent ad illam insulam, stetit navis antequam portum illius potuisset obtinere. Sanctus autem Vir precepit fratribus in mare descendere et tenere navem ex utraque parte cum funibus, donec ad portum veniret; erat enim illa insula sine herba. Silva rara erat ibi, et in litore illius nichil arene residebat. Porro fratribus in oracionibus deforis pernoctantibus, Vir Sanctus solus remanserat intus; sciebat enim qualis erat insula, sed noluit indicare fratribus ne terreri potius potuissent. Mane autem facto, precepit sacerdotibus ut singuli missas celebrarent, et ita fecerunt. Cumque Beatus Brendanus et ipse cantasset in navi, exportaverunt carnes crudas fratres de navi ut comederent illas sale, et pisces quos secum tulerant de alia insula, posueruntque cacabum super ignem. Cum autem ministrassent ligna igni, et fervere cepisset cacabus, cepit illa insula se movere sicut unda. Fratres vero cucurrerunt ad navem, implorantes patrocinium Patris sui. Pater autem singulos illos per manus intus in navem traxit, relictisque omnibus delatis in insula illa, navim solverunt ut abirent. Porro eadem insula mersit se in Oceanum; Jamque potuerant ignem ardentem ultra duo videre miliaria: et Sanctus Brendanus ita fratribus cepit exponere quid hoc esset: Fratres, miramini quid hec fecit insula? Aiunt: Admiramur, Pater, valde, et ingens pavor penetravit nos. Qui dixit ad illos: Filioli, nolite expavescere; Deus enim revelavit michi hac nocte sacramentum hujus rei. Insula non est ubi fuimus, sed piscis omnium prior natancium in Oceano, et querit semper ut suam caudam jungat capiti suo; sed non potest pre longitudine. Hic habet nomen Jasconius.615 Pi tardi, san Brandano e i suoi compagni sono ancora in pericolo di morire e dessere divorati da un mostro marino che insegue la nave gettando
BARTSCH, Provenzalisches Lesebuch, p. 166. ACHILLE JUBINAL (a cura di), La lgende latine de saint Brandaines, 1836. 615 Pp. 14-15.
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schiuma dal naso. Questa bestia, uccisa da unaltra ingens bellus, fornisce loro, invece, provviste di cibo per tre mesi: Ecce que devorare voluit nos dice il Santo ipsam devorate, et de ejus carnibus saturabimini.616 Queste leggende godevano nel medioevo dun gran credito. Tuttavia qualcuno conservava dubbi su avvenimenti di tal tipo. Cos Geraldo il Cambriano, nel ricordare sommariamente le avventure di san Brandano, aggiunge, non senza una punta di malizia: Incredibilia nimirum videri possent, nisi quoniam credenti omnia sunt possibilia... semperque mundi extremitates novis quibusdam prodigiis pollent, tanquam in publico dignitatem observans, licentius natura ludat in privato.617 Diversi scrittori arabi, nel parlare del Wl, fanno un doppio paragone che ha sorpreso un traduttore di Soleiman e gli ha suggerito di fare una correzione nel testo (a mio avviso inutile). Un pesce dice Soleiman (sul dorso del quale si elevava qualcosa) simile a una vela di nave... Quando emetteva acqua dalla bocca, era come se si vedesse innalzarsi un gran minareto.618 Cos Reinaud traduce questo brano. Accetta minareto come immagine del getto dacqua che scaturisce dalle viscere della balena, ma la vela non gli piace, neppure con la spiegazione che aggiunge tra parentesi. Si suppone egli dice che le parole vela di nave possano essere state sostituite da un copista a una parola araba che significava roccia. Ci si chiede perch il saggio orientalista sia stato colpito dal confronto. Esso non sembra avere nulla dirragionevole, applicato alla natatoria caudale dun cetaceo, che emerge dai flutti quando lanimale galleggia a fior dacqua. Se si ammettesse la correzione, occorrerebbe introdurla anche in molti altri passi di scrittori arabi che hanno adottato la stessa espressione. La doppia comparazione si ritrova nellAjaib al Hind, e lautore di questopera insiste addirittura sulla rassomiglianza con le vele: Ogni volta che il pesce soffia lacqua, si vede elevarsi come un menr (ossia la colonna dun faro), e da lontano si direbbe di scorgere le vele duna nave. Quando gioca con la coda e le natatorie, si crederebbe ancora di vedere la velatura duna grande imbarcazione.619 Anche Kazuini dice: Quando alza le sue natatorie, si direbbe una vela nel mare. E pi altre: Quando il Bl, nel mare degli Zengi, eleva sui flutti lestremit delle pinne natatorie, fa leffetto di grandi vele; e quando mostra la testa e soffia gettando acqua, lacqua si innalza pi in alto del lancio duna freccia.620
P. 31. Giraldi Cambrensis Opera, t. V, pp. 127-128. 618 Ed. Charton, p. 97. 619 Ajaib al Hind, IX, p. 12. 620 Ajaib al Makhluqt, pp. 109, 123
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notevole che i due elementi di confronto, la colonna (o minareto) e le vele, si ritrovino presso gli antichi naturalisti. Plinio dice: Nelloceano Gallico il Physeter, ergendosi a modo di una gran colonna, e che erutta di tanto in tanto un diluvio pi in alto delle vele duna nave.621 Solino usa espressioni analoghe: Enormi, pi grandi di grandissime colonne, sinnalzano al di sopra degli alberi delle navi.622 Si noti questultima espressione: sinnalzano al di sopra degli alberi delle navi. Presa alla lettera dai nostri scrittori medievali, per i quali Solino era il pi saggio e il pi infallibile degli autori, essa ha potuto fare la sua parte nello sviluppo della leggenda della Serra volante. Abbiamo visto che anche Al Idrisi attribuisce alla sua Ghaida due ali, che le permettono dinnalzare la propria pesante massa al di sopra delle navi. Pi duna favola cos nata da una metafora o da unimmagine. La Serra, Ghaida o Minshr, segna la transizione dal mostro marino al mostro dellaria. Una costante tradizione sostiene lesistenza, nelle parti pi meridionali del paese degli Zengi, dun gigantesco uccello, capace di sollevare con le sue grinfie possenti rinoceronti ed elefanti. Le Mille e una Notte lo chiamano Rokh. Ho raccolto altrove623 qualche passo dun manoscritto arabo redatto nel sec. X, relativo a quellenorme rapace. Non sar inutile riprenderli qui e completarli. Pi dun padrone di nave dice lautore dellAjaib al Hind, mha raccontato di avere udito dire che a Sofala degli Zengi vi sono uccelli che prendono una bestia col becco e le grinfie, la portano in aria, la lasciano cadere a terra per ammazzarla e farla a pezzi, poi le si abbattono sopra e la divorano. In quello stesso paese degli Zengi, ve n uno che si getta sulle pi grosse tartarughe, le afferra, le solleva e le getta su qualche roccia, sulla quale esse si spezzano. Allora ridiscende e le mangia. E si assicura che ne mangi sino a cinque o sei in un giorno, se le trova.624 Lautore non dice quale sia la dimensione di queste tartarughe, ma si pu valutare da un aneddoto dAl Bakri, distinto geografo del sec. XI: Non lontano da Tirqi, presso i Neri del Niger, si trovano tartarughe giganti, che scavano sotto terra gallerie, in cui un uomo potrebbe circolare
Historia naturalis, l. IX, cap. III. Polyhistor., cap. LIV. 623 Comptes rendus des sances de lAcadmie des Sciences, 23.12.1872. 624 Notices er Extraits des Manuscrits, t. XII, p. 651.
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IV Uccelli giganteschi
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senza pena. Una sera, alla fine della giornata, un viaggiatore, che voleva porre i propri bagagli al riparo delle termiti che infestano la regione, depose due carichi di cammello su un blocco di roccia. Al mattino, tutto era scomparso, carico e roccia. Come? Dei ladri avrebbero portato via il bagaglio, ma non la roccia. Si esamina, si cerca, e a qualche miglio di l si scopre la pretesa roccia, che non era altro che una tartaruga; ed essa aveva ancora sulla schiena i due carichi di cammello che il viaggiatore vi aveva deposto il giorno prima.625 Si trattava duna tartaruga terrestre. Daltra parte, Kazuini parla di tartarughe che vivono nel mare, non lontano dalle isole del WaqWaq, ove esse raggiungono sino a venti aune di circonferenza, ossia circa cinque metri di diametro.626 Il gigantesco uccello di Sofala cattura come preda non solo tartarughe, ma anche dei giganti delle foreste africane, e lo stesso elefante. Ibn Lakis mha raccontato che, quando si trovava presso un re degli Zengi, giunse un uomo che disse al re: Un uccello (ho dimenticato il nome che gli diede) s abbattuto nella foresta, ha preso e fatto a pezzi un elefante. Labbiamo catturato. Andammo sui luoghi. Al nostro arrivo, luccello si dibatteva al suolo e lelefante, del quale aveva mangiato un quarto, giaceva a terra. Il re ordin di prendere le penne delle ali; ve nerano dodici grandi, sei per ciascuna ala; una di quelle penne poteva contenere due otri dacqua. La gente diceva che quelluccello aveva preso lelefante nelle sue grinfie; poi, gettandolo a terra, si era lanciato su di lui. Lo avevano ucciso grazie a frecce avvelenate.627 Poich sappiamo che lotre una pelle di bue che contiene almeno venti litri, ci si pu fare unidea di quelle piume che ne contenevano due. Ma non ancora abbastanza per la feconda immaginazione araba. Ho visto in India dice un nakhoda, o capitano di nave un tubo fatto con una penna, che serviva da serbatoio in casa dun ricco mercante. Vi si versava lacqua come in un gran vaso. Ed io dice un altro ho saputo da un marinaio che ha
ABU-OBEID AL BAKRI (EL BEKRI), in Notes et Extraits des Manuscrits, t. XII, pp. 651-652. Il medesimo fatto riferito da Leone lAfricano, che pretende di copiarlo da Al Bakri, ma la sua versione assume un tono pi fantastico. Ecco il brano: Bekri racconta, nel Libro sulle regioni e i cammini dellAfrica, come ritrovandosi in quel deserto un buon uomo stanco del lungo cammino scorse la sera presso di s una grossa e alta pietra, sulla quale decise di dormire, per paura che qualche animale gli arrecasse del male, e fece cos come si era proposto. Ma il mattino si trov sorpreso di grande meraviglia, quando si vide allontanato di tre miglia dal luogo in cui si era coricato, e riconobbe che quella che aveva creduto essere una pietra era in realt una tartaruga, la quale ha per costume di non spostarsi di giorno dal suo luogo, e la notte se ne va a pascere; ma cammina s lentamente che si pu quasi non accorgersene (Description de lAfrique, l. IX, t. II, pp. 300-301). 626 Ajaib al Makhluqt, p. 109. 627 Ajaib al Hind, CXX, pp. 150-151.
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viaggiato al paese degli Zengi che presso il re di Sir (Seyuna?) si vede una penna capace di contenere venticinque otri di liquido.628 Citiamo ancora il racconto dun marinaio di Sirf che, avendo fatto naufragio in una regione sconosciuta delloceano Indiano, arriva su un territorio ben coltivato, piantato a riso, dura ed altri vegetali utili. Scorgendo una capanna, vi entra e vede una specie di serbatoio. In quel momento arriva un uomo che conduce due tori carichi con dodici otri dacqua, e li vuota nel serbatoio. Il marinaio si avvicina per dissetarsi. Esamin il serbatoio e lo trov lucido come la lama duna spada; non era n di terracotta n di vetro. Domand alluomo dei tori, che gli disse: un tubo fatto di penna duccello. Non vi credeva; ma luomo and al serbatoio, lo strofin fuori e dentro, e il viaggiatore vide che era trasparente e che recava su entrambi i lati le tracce delle piume. Quelluomo aggiunse che esistevano uccelli le cui penne arano ancora molto pi grandi.629 Secondo Dimashqi, le penne del Rokh si raccolgono nellisola di Qomor o Malai e sulla parte orientale di quella grande terra, e sono larghe pi dun palmo e mezzo e lunghe un qma (circa due metri); vengono esportate a Aden, ove i mercanti ne fanno commercio sotto il nome di penne di Rokh.630 I viaggi di Sindbad tracciano un ritratto terrificante del Rokh. Lanimale detto Kerkedan (rinoceronte) porta sul suo corno il pi grosso degli elefanti, e intanto pascola senza preoccuparsi. Lelefante muore sul corno e il suo grasso, fondendo allardore del sole, cola sulla testa del Kerkehan, gli penetra negli occhi e lacceca, e allora il Kerkedan si sdraia a terra sulla riva. Allora sopraggiunge luccello Rokh che lo porta via nelle sue grinfie insieme allelefante, e li porta entrambi ai suoi piccoli come pasto.631 Si conosce la terribile vendetta che il mostro piumato trae contro compagni di Sindbad, che si erano permessi di rompere il suo uovo simile a unalta cupola e di mangiare il piccolo Rokh che stava dentro. La stessa avventura riportata da Ibn al Wardi, sullautorit dun certo Abd er Rahman del Maghreb. Questo Abd er Rahman vogava verso la Cina, quando il vento lo gett su una grande isola, ove sbarcarono per cercare legna e acqua. I marinai avevano con s asce, corde e otri. Ed ecco che scorgono sullisola unimmensa cupola bianca e brillante, alta pi di cento cubiti. Si avvicinano: era un uovo di Rokh. A colpi dascia, di pietra e di bastone,
Ibidem, p. 54. Ajaib al Hind, L, pp. 84-85. 630 DIMASHQI, testo arabo, p. 161. 631 545.esima notte nel testo arabo di BOULAQ, t. III, pp. 16-17 delled. in 4 vol. Nelled. in 2 vol. (t. II, p. 12) si legge Kezkezan anzich Kerkedan.
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lattaccano e lo rompono, e mettono allo scoperto il piccolo Rokh, simile a una montagna. Lafferrano per le penne delle ali: le penne si strappano, perch erano ancora imperfettamente formate. Uccidono luccello e portano via pezzi della sua carne, che fanno cuocere e mangiano. Tra loro vi erano dei vecchi dalla barba bianca; lindomani, o meraviglia! la loro barba si trovava ad essere dun bel nero, e non divenne mai pi grigia.632 Dicevano anche che il bastone con cui era stata rimescolata la carne del Rokh nella pentola proveniva dallalbero della giovinezza.633 Ma solo Dio conosce la verit. Al levar del sole, tutti si erano imbarcati e la nave era partita, quando appare il vecchio Rokh, come unimmensa nube, che teneva tra le grinfie un frammento di roccia grande come un vasto edificio, pi grosso della nave. Giunto al di sopra del vascello, lascia cadere la roccia. Per fortuna, la nave correva a gran velocit e la roccia cadde nelle onde, ove produsse uno spaventoso sommovimento. Dio dice il narratore ci accord la salvezza e ci salv dalla distruzione.634 Le leggende occidentali non ignorano questa storia. Il vascello che portava san Brandano, del quale abbiamo gi ricordato lavventura col mostro marino Jasconio, fa anche lo spiacevole incontro con luccello Grifa, che talvolta sembra compiacersi di sollevare le navi tra le sue grinfie e di lasciarle ricadere sulle rocce, ove singrangono. Ma grazie alla misericordia divina quel grifa viene accecato da un uccello pi temibile, e la nave pu proseguire il suo viaggio avventuroso.635 A met sec. XIV, allepoca in cui Ibn Battuta attraversava il mare della Cina, i marinai credevano fermamente a tale tradizione dun mostro alato, che minacciava le navi di completa distruzione. Il celebre viaggiatore, sulla rotta per ritornare alle Indie, fu assalito da un colpo di vento che gett la sua giunca in un mare sconosciuto. Errarono per loceano durante quarantadue giorni. Quando venne il quarantatreesimo egli dice al levar dellaurora, ci apparve una montagna a circa venti miglia nel mare, e il vento ci portava verso di essa. I marinai stupiti dicevano: Siamo lontani da ogni terra, non si conoscono montagne in questo mare. Se il vento ci trascina, sono fatti nostri... Si misero tutti a pregare, invocando Dio e il Profeta. I mercanti fecero voto di donare abbondanti elemosine, di cui il narratore scrisse di propria
LAjaib al Hind racconta un fatto simile accaduto a dei naufraghi che hanno mangiato un uccello grosso come un toro. La nave naufragata andava anchessa in Cina, e forse la storia dIbn al Wardi solo una variante amplificata di quellaltra. 633 Il garofano fresco, secondo Kazuini, gode pure della propriet di conservare ai capelli il loro colore e dimpedire linvecchiamento (Ajaib al Makhluqt, p. 111). 634 Citato da LANE, The Thousand and one Nights, t. II, p. 103. Cfr. anche BOCHART, Hierozoic., t. II, col. 854. 635 Cfr. JUBINAL, op. cit., p. 90.
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mano limporto su un registro. Poi il vento si calm e riconobbero che il presunto monte navigava in qualche modo per aria: si vedeva il cielo tra la sua massa e la superficie del mare. Ci li sorprese e non li rassicur. I marinai ripresero le loro lamentazioni e si diedero raciprocamente gli addii. Ahim! mormoravano, quella che prendevamo per una montagna luccello Rokh. Se ci scorge, ci uccider.Il mostro si trovava allora a meno di dieci miglia dalla giunca. Ma, per effetto della grazia divina, cominci a soffiare un vento favorevole, che allontan la nave dalla direzione del Rokh, e non vedemmo dice lo scrittore n riconoscemmo la sua forma esatta.636 Due mesi dopo, arrivavano a Sumatra. Sempre nel mar della Cina Ibn al Wardi fissa la dimora consueta del Rokh. Egli dice che l si trova unisola detta isola del Rokh, dal nome dellenorme uccello, straordinario e dallaspetto spaventoso, del quale si dice che le ali siano lunghe ciascuna circa diecimila braccia!637 Molti autori arabi, e specialmente i pi antichi, sembrano ignorare il nome di Rokh; per loro il gigantesco rapace si chiamaAnqa. Masudi, Kazuini, non conoscono altro nome. Masudi ne parla appena, non lo descrive e si limita a esprimere qualche dubbio sulla sua esistenza: Si parla spesso dellAnqa rapitore dice e si trova la sua immagine dipinta sui muri dei bagni e daltri edifici. Tuttavia non ho incontrato nessuno che potesse vantarsi daverlo visto. Ignoro lorigine dei racconti che si fanno a tal proposito; forse semplicemente il nome dun essere immaginario.638 Queste sagge parole non impediscono al naturalista Demiri di ripetere, quattro secoli e mezzo pi tardi, che lAnqa depone uova grosse come montagne. Questo nome dAnqa, il nostro arabo lo spiega con una specie di collare di penne bianche che circonda il collo (anq) delluccello. Egli pretende che Aristotele abbia descritto lanimale e aggiunge che gli si d la caccia, e che con le sue unghie si fabbricano grandi recipienti per bere. Il celebre commentatore del Corano, Zamakshari, dice che Dio cre lAnqa al tempo di Mos, gli diede la figura umana e quattro paia dali. Quelluccello viveva allora sul territorio ove doveva pi tardi essere elevato il tempio dIsraele; poi fu relegato in Arabia e infine, in seguito alle maledizioni di Khaled, figlio di Senan, del quale aveva divorato i figli, fu del tutto
IBN BATTUTA, t. IV, pp. 365-366. Cfr. LANE, op. cit., t. III, p. 90. In questo punto il libro di Lane presenta una curiosa incisione, presa da un bellissimo dipinto orientale. una specie di gigantesco gallo che porta un elefante nel becco e un altro con ciscuna zampa, con la legenda: Il Simurgh o Rokh delle Notti Arabe. 638 MASUDI, Praterie doro, cap. XXXIII, t. III. Cfr. anche cap. LXII, t. IV, p. 10.
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espulso e la sua razza scomparve.639 Kazuini spiega pressappoco allo stesso modo lestinzione dellAnqa: questuccello, che afferra un elefante come un gatto afferra un topo, volle prendersela con la specie umana: rap un giovane appena sposato. Allora, alla preghiera del profeta Hamzalla, Dio lo releg in unisola dellOceano, ben al di l dellequatore, a una distanza ove gli uomini non arrivano mai.640 Questo piccolo fatto, sotto il colore leggendario che gli d Kazuini, corrisponde insomma a una vera realt. Non forse nelle grandi isole dellemisfero australe, Madagascar, Nuova Zelanda, che si sono trovati le uova e gli scheletri di quegli Epiornidi, Dinornidi, Harpagornidi, la cui razza sembra essersi estinta solo in unepoca relativamente recente? Le tradizioni neozelandesi conservano il ricordo dei tempi non lontani in cui i giganteschi moa erravano su quelle rive e cadevano sotto i colpi degli indigeni, avidi della loro carne. Gli Arabi hanno frequentato poco il Madagascar; non si potrebbe affermare che i loro geografi abbiano formalmente indicato quella grande isola, e quindi nemmeno che vi abbiano posto il domicilio del Rokh o dellAnqa. Ma Marco Polo, che aveva ricevuto tutte le sue nozioni dalla bocca di navigatori e commercianti asiatici, fa del Madagascar la vera patria del gigantesco uccello: Diconmi certi mercatanti che vi sono iti, che v uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa parte dellanno, ma non sono cos fatti come si dice di qua, cio mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi comio vi dir. Egli pigliano lalifante e prtallo su in aire, e poscia il lasciano cadere, e quelli si disfa tutto; poscia si pasce sopra lui. Ancora dicono quelli che lnno veduti, che lalie sue sono s grandi che cuoprono 20 passi, e le penne sono lunghe 12 passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Quello chio n veduto di questi uccelli, io il vi dir in altro luogo. Lo Grande Kane vi mand messaggi per sapere di quelle cose di quellisola, e preserne uno, sicch vi rimand ancora messaggi per fare lasciare quello... Quelli di quella isola s chiamano quello uccello ruc, ma per la grandezza sua noi crediamo che sia grifone.641
Cfr. BOCHART, Hierozoic., t. II, col. 852-853. Ajaib al Makhluqt, pp. 419-420. Kazuini aggiunge altri dettagli, in cui si riconosce qualcosa della leggenda greca della Fenice. LAnq, egli dice, vive millesettecento anni, si sposa a 500 anni, depone un uovo da cui esce o un maschio o una femmina. Se una femmina, quando essa diventa grande, la madre Anq raduna un gran rogo; il maschio batte col becco sul becco della femmina sinch ne scaturisca il fuoco e accende il rogo. Essa entra nel fuoco e vi si consuma, e la giovane femmina diventa la sposa del maschio. Se il neonato maschio, il padre che si brucia e gli lascia il posto (Ibidem, p. 420). 641 MARCO POLO, Il Milione, cap. 186.
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Ritorneremlo tra poco su questa parola grifone, che abbiamo gi incontrato nella leggenda di san Brandano sotto la forma grifa. Un ruolo che la leggenda si compiace ad attribuire al gigante degli uccelli quello di contribuire alla salvezza dei naufraghi, trasportandoli da un luogo a un altro. Cos Sindbad, abbandonato su unisola durante il suo secondo viaggio, si attacca ad una zampa dun Rokh, simile a un enorme arpione di ferro. Luccello sinnalza nellaria ad altezze tali che il viaggiatore pensa di andare a inchiodarsi nel cielo, poi ridiscende in una valle profonda, in cui Sindbad si rimette in piedi la famosa valle dei diamanti). LAjaib al Makhluqt di Kazuini riferisce un fatto del tutto simile.642 NellAjaib al Hind non pi uno, ma ben sette naufraghi che sfuggono alla morte con un simile artificio: un uccello di grande taglia li porta via tutti, luno dopo laltro, dallisola ove perirebbero e li trasporta sul continente indiano.643 Beniamino de Tudela arriva a fare di questo strano sistema di locomozione il mezzo ordinario per andarsene da un certo mare di Nikfa, ove violente tempeste gettano talvolta le navi che vanno dallIndia alla Cina. Quel mare tale che non se ne pu uscire (senza dubbio per mancanza di vento), e i viaggiatori vi muoiono di fame dopo avere esaurito le loro provviste. Tuttavia gli uomini hanno appreso larte di salvarsi da quel luogo infame. Si prendono con s diverse pelli di bue. Se dunque il vento spinge la nave nel mar Glaciale o di Nikfa, chi vuole sfuggire si mette in una di quelle pelli, cuce la pelle di dentro per paura che lacqua vi penetri, poi di getta in mezzo al mare; allora qualcuna di quelle grandi aquile chiamate grifoni, vedendolo e scambiandolo per una bestia, scende, lo prende e lo porta a terra, su qualche montagna o vallata, per divorare la sua preda. Allora luomo nascosto uccide prontamente laquila col proprio coltello e poi, uscito dalla pelle, cammina sino a trovare qualche luogo abitato. Diverse persone aggiunge il bravo narratore si sono salvate in questo modo.644 Quel grifone che si fa uccidere cos facilmente da un uomo non ha evidentemente che lontani rapporti col terribile Rokh o Anq; per dimensioni, tanto pi piccolo quanto lo stesso Rokh pi piccolo del Gallo di Dio. Questultimo di gran lunga il pi straordinario dei bipedi. Secondo una tradizione che si riferisce allo stesso Maometto, il Gallo di Dio dice Bochart ha due ali ornate di smeraldi, di carbonchi e di perle; una di queste ali si stende verso Oriente, laltra verso Occidente. La testa sotto il trono di gloria, i piedi scendono agli Inferi. Ogni mattina, al levar del giorno, annuncia lora della preghiera, e la sua voce intesa da tutti gli abitanti delEd. Wstenfeld, pp. 117-118. Ajaib al Hind, VIII, pp. 10-11. 644 Trad. BARATIER, Voyages anciens et modernes, t. II, p. 208.
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la trerra e dei cieli, salvo i criminali. E tutti i galli della terra gli rispondono.645 Le leggende persiane hanno anchesse il loro pennuto gigante: il Simurgh, ben noto per la meravigliosa avventura di Zal, figlio di Sam, uno degli episodi meglio raccontati delLibro dei Re (ShahNamh) di Firdusi. Sam ha avuto un figlio di bellezza meravigliosa; il viso rosso, ma i capelli sono bianchi come la neve.646 Questa capigliatura da vecchio eccita lorrore di Sam. Egli fa portare il bambino sul monte Alborz che si trova presso il sole, lontano dalla folla degli uomini. L il Simurgh ha fatto il suo nido. Il bambino abbandonato, privo di latte, grida e si succhia il dito; nudo; intorno a lui, il suolo bruciato; al di sopra, il sole ardente. Fosse stato il figlio duna tigre, sua madre lavrebbe allattato. I piccoli del Simurgh erano affamati. Il Simurgh lo prende nelle sue grinfie e lo porta al nido. Ed ecco che il Simurgh e i suoi piccoli sono presi da piet per la graziosa creatura che vagisce. Lo avvolgono di meravigliosa tenerezza . Scelgono per lui la cacciagione pi tenera perch ne succhi il sangue. E tra loro cresce colui che sarebbe divenuto leroe della propria nazione. Il poeta non descrive luccello, ma il suo nido su una roccia che sinnalza sino alle Pleiadi e sembra volere strappare le stelle. immenso, formato di tronchi debano e di sandalo, e di rami intrecciati daloe. Il Simurgh dello ShahNamh ese daltra parte dal mondo reale per un punto: parla; ha unintelligenza sovrumana; quasi della razza dei Geni. Viene evocato bruciando una delle sue penne. LOccidente non ha avuto particolari tradizioni relative a uccelli giganteschi. Quei mostri non frequentavano o non frequentavano pi le regioni bagnate dal Mediterraneo. Il Grifone dei Greci, guardiano di tesori, era pi notevole per la propria conformazione ibrida che per la propria grande taglia. Eliano ne fa un uccello a quattro piedi, della grandezza dun lupo, con zampe e artigli da leone, piume rosse sul petto e nere sul resto del corpo.647 Anche Marco Polo, nel brano sopra citato, dice che il grifone del Madagascar non ha laspetto del grifone classico. Ma i nostri scrittori del medioevo, pur mantenendo la parola, hanno preferito la descrizione degli Orientali, cos idonea a soddisfare le immaginazioni, che incantano soprattutto le meraviglie pi estranee al mondo reale.
Hierozoic., t. II, col. 855. Gli antichi segnalavano lesistenza in India duna razza dalbini, i Gymneti, che hanno i capelli bianchi in giovent e neri in vecchiaia (PLINIO, l. II, cap. II, SOLINO, cap. IV, p 356). Vi sono certe altre persone scrive Brunetto Latini che quando nascono hanno il capello canuto e bianco, e in vecchiaia anneriscono. (Trsor). 647 Peri zoon idiotetos, l. IV, cap. XXVII.
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C un uccello dice un Bestiario molto antico chiamato gripone. I fisiologi dicono che abita in una parte dei deserti dellIndia... Quegli uccelli sono di natura cos forti che possono prendere un bue vivo, tutto intero, e volare via, per portarlo ai loro pulcini.648 Unopera posteriore di diversi secoli conserva al grifone la qualit di quadrupede, pur lasciandogli quelle dun enorme rapace. Il grifone una bestia a quattro piedi che ha le grinfie cos grandi e ampie che pu afferrare il corpo dun uomo interamente armato, cos come uno sparviero fa con un uccelletto. Similmente, porta via un cavallo, un bue o unaltra bestia volando per laria, quando pu mettergli le grinfie addosso. Il grifone ha le ali cos forti che col solo vento, che le sue ali producono in volo, abbatte un uomo. Queste ali sono cos grandi ed estese quando vola che, se volasse per una via, toccherebbe con le ali le case laterali. Se ha le grinfie grandi e grosse non meraviglia, visto che ha le unghie grandi come le corna dun bue. Lesperienza ne appare alla Sainte Chapelle di Parigi, ove la grinfia dun piccolo grifone pende al centro della Sainte Chapelle, appesa a una catena, che fu tagliata da un uomo darmi a un piccolo grifone, dopo che dei grandi grifoni lavevano presentato ai loro piccoli per divorarlo, nel deserto in cui lavevano portato. Ma egli trov modo di scappare, dopo avere combattuto duramente coi piccoli.649 Insomma, tutto lOriente ha conservato a lungo la tradizione dun uccello prodigioso, immenso, chiamato Feng in Cina, Simurgh in Iran, Rokh o Anq dai popoli di lingua araba. Primitivamente diffuso su tutto il continente asiatico, quel mostruoso bipede s visto relegare a poco a poco dal continente verso le isole dei mari meridionali, e soprattutto in quelle del mare degli Zengi. Le uova depiornidi e i grandi giacimenti fossili scoperti da mezzo secolo nel Madagascar, nella Nuova Zelanda e in diverse isole dellemisfero australe, possono sino a un certo punto spiegare la nascita della leggenda. Una volta ammessa lesistenza delluccello gigantesco, facile comprendere che limmaginazione dei marinai, turbata dalle violenze duna tempesta o dai terrori dun oceano senza limiti, abbia creduto di discernere le forme del mostro nei capricciosi contorni duna nube lontana. Credere ai fantasmi il modo sicuro per scorgerli. Del resto, ci che prova che gli Arabi non avevano una fede molto viva nellesistenza delluccello il loro proverbio:
Bestiaire attribuito a PIERRE LE PICARD, pubbl. da Ch. CAHIER, in Mlangesdarchologie, dhistoire et de littrature, p. 226. 649 Proprite des Bestes qui ont magnitude, force et pouvoir en leur brutalitez, manoscritto anonimo pubblicato da BERGER DE XIVREY in Traditions tratologiques, pp. 484-485. La grinfia conservata alla Sainte Chapelle rimase in quel monumento sino al sec. XVII e scomparve in seguito a un incendio.
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Amico fedele, ghl, anq, sono i nomi di tre cose che non si trovano e non esistono in alcun luogo.650 Abbiamo detto che il termine Rokh non sembra antico nella lingua araba. Non sarei lontano dallattribuirgli unorigine malese. Ruq, in malese, designa un grande trampoliere e si dice anche dun avvoltoio. I Malesi, sin da tempi antichi, furono arditi navigatori; frequentavano le coste africane; conquistarono il Madagascar in unepoca sconosciuta; e proprio in quelle regioni gli Arabi del sec. XIII collocano la dimora del Rokh. Quanto ad Anq, si pu spiegare come il femminile dun aggettivo che indica un animale dal lungo collo, bench lao lunghezza del collo non sia mai stata data come uno dei caratteri distintivi del Rokh. Si pu anche, nellordine didee che abbiamo appena espresso, avvicinarlo al malese angkas o ongkas, che significa uccello. Infine Simurgh in persiano significa letteralmente trenta uccelli; ma potrebbe darsi che la sillaba iniziale si fosse solo, allorigine, una particella dimostrativa, e la parola Simurgh significasse luccello per eccellenza. Il Grifone dei Greci ricevette un attrtibuto particolare, che gli Orientali non hanno mai dato al Rokh o allAnqa: posto come custode di tesori. Il Grifone guardiano di tesori non ha altri rapporti col gigante dellaria dellincerta similitudine tra i nomi dei due mostri.651
Hierozoic., t. II, col. 852. KAZIMIRSKI, Dictionnaire Arabe, alla parola Anq. Si diceva anche che lAnqa fosse Malum al ism, majhul al jisin, ossia conosciuto di nome e sconosciuto di corpo (RICHARDSON, Dictionnaire persan). I naturalisti occidentali della fine del sec. XVI non respingono formalmente lesistenza del Ruc etiopico. Aldrovandi (De avibus, t. I, p. 610) fornisce anche una figura delluccello, avis Ruc imago, senza per accettarne lautenticit. Ludolf e Thevenoi, nel secolo seguente, riportano il racconto dun certo Bolivar che parla di rapaci giganteschi visti dai Portoghesi nella loro spedizione contro Sofala; egli stesso non ha visto luccello coi propri occhi, ma gli hanno mostrato le sue penne il cui solo tubo, grosso come un braccio, era lungo ben cinque palmi. Per quanto riguarda la storia e lesistenza reale dei giganteschi uccelli, si possono vedere diverse memorie di Giuseppe Bianconi, pubblicate nella Raccolta dellAccademia delle Scienze di Bologna, dal 1862 al 1872. 651 I traduttori della Bibbia in arabo (ed. di Londra, 1844) hanno adottato il termine Anq come equivalente dellebreo Pheres, che i Settanta tradussero con Gryf, e la Volgata con Gryphen (Deuteronomio, XIV, 12; Levitico, XI, 13). Il Pheres uno dei due uccelli che la legge mosaica proibisce di mangiare.
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V Le Formiche giganti
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La tradizione di animali che vegliano alla difesa di tesori risale alla pi remota antichit. Eschilo li chiama Grifi dal becco appuntito, muti cani di Zeus.652 Nata senza dubbio in India e in Persia, essa si diffusa in Asia Minore e in Grecia tramite le tappezzerie babilonesi, in cui il grifone mostrava il suo becco daquila e gli artigli da leone. Nessuno sosteneva di aver visto lanimale. Gli uni lo collocano a Nord, verso gli Sciti settentrionali, presso gli Arimaspi, che hanno un occhio solo; gli altri preferiscono farne dono allEtiopia meridionale. I grifoni dice Plinio estraggono loro dalle cavit sotterranee e lo difendono con altrettanto ardore con quanto gli Arimaspi tentano di rubarlo. Almeno ci che raccontano molti autori e, tra i pi illustri, Erodoto e Aristeo di Proconneso.653 E pi oltre afferma: Ritengo favolosi i Pegasi, uccelli a testa di cavallo, e i Grifoni dal becco adunco, dalle lunghe orecchie, attribuiti gli uni alla Scizia e gli altri allEtiopia.654 Quegli uccelli con la testa di cavallo traducono forse limpressione dei primi viaggiatori, persi nelle foreste dEtiopia, che scorgevano tra le fronde la testa della Giraffa, a cos grande distanza dal suolo, e non potevano credere che quella testa fosse sostenuta dal corpo dun quadrupede terrestre. Al principio del sec. XIV File, nei suoi versi giambici Sulle propriet degli animali, rivolti a Michele Paleologo, dipinge il Grifone come un gran quadrupede alato, dagli artigli dacciaio, il collo nero, il corpo bianco, la groppa purpurea, che getta fuoco dagli occhi, con la testa simile a quella dellaquila; abita in deserti spaventosi, verso le miniere doro, col quale metallo fa il proprio nido.655 difficile distinguere questo Grifone, guardiano di tesori, dalla famosa Formica Indiana, ugualmente insediata sui giacimenti del prezioso metallo. La confusione che il medioevo fece tra questi due animali, in apparenza cos diversi, apparir da ci che segue. Se ci occupiamo qui della Formica Indiana, perch la troviamo menzionata dagli Arabi come una delle bestie straordinarie del paese degli Zengi. La pi antica menzione del mostruoso insetto si legge in Erodoto; poich da quella sono partite tutte le tradizioni conseguenti, non sar inutile riportare lintero brano per i nostri lettori: Ci sono altri Indiani che abitano a Nord, e sono i pi coraggiosi di tutti gli Indiani, e sono loro che vengono mandati a cercare loro. Nei dintorni del loro paese ci sono luoghi resi inabitabili dalla sabbia. In quei deserti e tra quelle sabbie si trovano formiche, pi piccole dun cane, ma pi grandi
Prometeo, versi 802-803. L. VII, cap. II. 654 L. X, cap. LXX. 655 Peri Grypos, versi 85-111.
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duna volpe. Si pu giudicare da quelle che si vedono presso il re di Persia, provenienti dal quel paese, dove sono state prese a caccia. Quelle formiche hanno la stessa forma di quelle che si vedono in Grecia e si scavano la tana sotto terra. Per farlo, respingono verso lalto la terra, allo stesso modo delle nostre formiche comuni, e la sabbia che sollevano piena doro. Si mandano gli Indiani a raccogliere quella sabbia nei deserti. Ciascuno di loro carica tre cammelli; mettono un maschio da ogni lato e una femmina al centro, sulla quale montano. Ma hanno cura di servirsi solo di quelle che allattano, e che strappano ai loro piccoli, ancora alla mammella... Gli Indiani, dopo avere caricato i cammelli in questo modo, regolano la loro marcia verso i luoghi ove si trova loro in modo da arrivare a prenderlo solo durante il grande calore del giorno, quando leccessivo ardore del sole obbliga le formiche a nascondersi sotto terra... Gli indiani arrivano sui luoghi ove si trova loro e riempiono subito di sabbia i sacchi di cuoio che hanno portato e ritornano diligentemente. Perch, secondo quanto raccontano i Persiani, le formiche, avvisate dallodorato, li inseguono immediatamente. Dicono che non esista animale cos rapido a correre e, se gli Indiani non si affrettassero mentre esse si radunano, non se ne salverebbe uno solo. Ecco perch i cammelli maschi, che non corrono cos forte come le femmine, rimarrebbero indietro se non fossero tirati insieme, ai loro fianchi. Quanto alle femmine, il ricordo dei loro piccoli d loro la forza. Cos, dicono i Persiani, quegli Indiani raccolgono la maggior parte del loro oro; quello che estraggono dalle loro miniere inferiore in quantit.656 In questo racconto, proviamo a sopprimere il nome dellanimale chiamato formica per sostituirvi quello di un qualche quadrupede scavatore, dalle zampe artigliate; certamente la storia non sarebbe per n ulla inverosimile. Vediamo tuttavia che cosa essa diventata passando sotto la penna di successivi narratori. Nearco, luogotenente dAlessandro, non vide mai le Formiche Indiane come sono descritte, ma ne vide diverse pelli, portate al campo macedone, afferma Arriano.657 Non si capisce perch si portassero in gran numero pelli di formiche al campo dei Greci... altro sarebbe se fossero pelli di volpi, o daltri animali da pelliccia. Megastene dice ancora Arriano assicura la veridicit di quanto riferisce sulle formiche, ossia che esse estraggono loro dal suolo, non tanto per loro stesso, ma per scavarsi la tana sotto terra, proprio come le nostre piccole formiche estraggono un po di terra; e quelle, essendo pi grosse di
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volpi, scavano la terra in proporzione alle loro misure. Quella terra aurifera e di l proviene loro agli Ind. Ma Megastene riferisce cose che ha sentito dire ed io, non avendo da scrivere nulla di pi sicuro, lascio volentieri questo soggetto delle formiche. Nei secoli vicini alla nostra era, prima o dopo, la storia delle Formiche indiane diffusa ovunque. Gli scrittori greci e latini vi alludono. Teocrito le chiama formiche opulente;658 Properzio parla delloro che esse estraggono dalle miniere: Inda cavis aurum mittit Formica metallis.659 Che delle formiche dice Luciano, formulando voti contro i ricchi che trattano male i loro invitati come fanno quelle dellIndia, dissotterrino i loro tesori di notte e li distribuiscono al popolo!660 E nel Somnium, quando il Gallo ricorda le sue vite precedenti, e Micillo gli risponde: Ed io, chi ero prima? Tu dice il Gallo tu eri una formica indiana, di quelle che dissotterrano loro. Eliodoro, nelle sue Etiopiche , mostra unambasciata in cui i Trogloditi recano loro delle Formiche.661 Plinio riproduce il racconto di Erodoto, con alcune varianti: Le corna662 duna Formica Indiana, appese nel tempio di Eracle a Erythres, hanno suscitato meraviglia. Quella formica estrae loro da caverne, nel paese degli Indiani settentrionali chiamati Dardi. Ha il colore dun gatto, la taglia del lupo dEgitto. Quelloro, che essa estrae dinverno, preso dagli Indiani durante i calori estivi, il cui ardore fa nascondere le formiche nelle tane. Tuttavia, eccitate dallodore, esse accorrono spesso a dilaniare i ladri, anche se essi fuggono su cammelli rapidissimi, tanto sono grandi la loro agilit e la loro ferocia, unite alla passione per loro!663 Ecco che le nostre formiche amano loro, come semplici mortali. Presso i Greci che abbiamo citato, fatta astrazione per il nome dellanimale, la storia non ha nulla di straordinario; qui comincia invere ad assumere una sfumatura di meraviglioso. Labbreviatore di Plinio, Solino, non manca daccentuare ancora questo aspetto del racconto. Con lui usciamo dal campo della realt. Non solo le dimensioni della Formica si accrescono a dismisura: era pi piccola dun cane per Erodoto, grossa come uno sciacallo per Plinio, e qui diventa come un cane enorme, ad formam canis maximi;664 inoltre, i piedi con cui scava le sabbie aurifere diventano grinfie leonine: arenas aureas pedibus eruunt, quos leoninos habent; infine, esse vegliano con cura sulloro, che certamente molto prezioso per loro.
Idyll., XVII, verso 106. Elegiae, l. III, elegia XIII, v. 5. 660 Saturnalia, LXX, 24. 661 L. X, XXVI. 662 Un critico ha proposto di leggere coria, le pelli, anzich ccornua. Vedremo che il termine cornua ben accettabile. 663 L. XI, cap. XXXVI. 664 Polyhistor., cap. XXXIII, p. 262.
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Isidoro di Siviglia copia esattamente i termini di Solino, ma ne addolcisce il rarattere meraviglioso: il cane che serve da paragone perde lepiteto di maximus; le grinfie ridiventano semplici zampe.665 Sino a qui, il numero delle zampe non rilevante. La famosa lettera dAlessandro ad Aristotele, almeno nellesemplare che Alberto Magno ebbe sotto gli occhi, glie ne attribuisce solo quattro.666 Ma un anonimo trattato De monstris et Belluis, pubblicato da Berger de Xivrey, ne attribuisce loro sei: Sex pedes... depromunt cum quibus incredibilem auri abundantiam.667 La versione latina del falso Callistemo, nota col titolo di Alexander de praeliis, accorda loro generosamente unaltra zampa in pi: Ex alia parte subito exierunt de extra formicae ad catulorum magnitudinem, habentes pedes septem et cristam quasi locustae magnae, cum dentibus majoribus ut canes, colore nigrae.668 Lautore dellAjaib al Hind colloca le formiche giganti nelle alte regioni del paese degli Zengi. Vi sono l miniere doro estremamente ricche. Gli uomini scavano il suolo per cercare loro, e talvolta il loro lavoro li conduce a un terreno scavato come formicaio. Subito ne esce una nube di formiche grosse come gatti, che li divorano e li fanno a pezzi. Nellanno 307 (Hegira) dice lo stesso autore lemiro dOman, Ahmed ibn Helal, tra gli oggetti che portava in dono al califfo Moqtadir, aveva una formica nera grossa come un gatto, chiusa in una gabbia di ferro, legata con una catena. Essa mor per la strada nei paraggi di Dhu Jabala. Fu imbalsamata e giunse a Bagdad in buono stato, e il califfo e gli abitanti poterono vederla. Quelli che lavevano portata dicevano che le si davano ogni giorno da mangiare, mattina e sera, due manna (circa due kg) di carne tagliata a pezzi.669 Anche Al Idrisi parla di grosse formiche che si trovano nel paese dei Neri, presso il Monte Ghargha, non lontano da una citt in rovina invasa dalle sabbie; ma esse sono grosse soltanto come passeri e servono da nutrimento a grossi serpenti.670
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Origin., l. XII, cap. III, col. 121 (nella collezione Auctores linguae latinae, 1595). Quatuor crura habentes et ungues aduncos, dice Alberto Magno (De animalibus, l. XXVI), citato da BERGER DE XIVREY, Teratol., p. 261. 667 Ibidem, p. 259. Le sei zampe sono sottolineate anche nella presunta lettera del Prete Gianni allimperatore Costantino Emanuele: In quibusdam aliis provinciis nostris oriuntur formicae magnitudine catulorum, habentes VI pedes et alas quasi locustae marinae, et habent dentes extra os majores quam silvestres apri, quibus perimunt tam homines quam cetera animalia... Per dare colore locale al suo racconto, lautore fa portare loro a dorso delefante, dippopotamo, di cammello e di struzzo, e daltre bestie enormi e vigorose che trasportano il prezioso metallo al tesoro del re. Cfr. FRIEDRICH ZARUCKE, Der Priester Johannes, Leipzig, 1879, p. 911. 668 Terat., p. 260. 669 Ajaib al Hind, l. XXXVI, p. 56. 670 2. clim., 2. sez., p. 112. Non avendo il testo arabo sotto gli occhi, ignoro quale sia il termine che Jaubert ha tradotto con passeri.
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Si visto nella narrazione dErodoto come si arrangino gli Indiani per raccogliere loro senza rimanere vittime delle formiche. I nostri Bestiari medievali abbelliscono la storia di nuovi dettagli. Ecco il testo latino, piuttosto breve, di Ugo di San Vittore (morto nel 1140), che sembra essere servito da prototipo a diversi altri in lingua volgare, in prosa o in versi: Dicuntur et in Aethiopia esse formicae ad magnitudinem canis, quae arenas aureas pedibus eruunt, quas custodiunt ne quis auferat, auferentesque ad necem persequuntur. Sed ei qui colunt ab eis aurum eripere, accipiunt equas cum pullis suis et fame affligunt eas tribus diebus; deinde religant pullos earum ad littus aquae quae currit inter eos et formicas,671 et equas agunt trans aquam illam, impositis clitellis super dorsum illarum, quae ubi vident trans flumen herbas virentes, pascuntur per campos ultra flumen. Formicae autem videntes scrinia et clitellas super dorsum earum, comportant aureas arenas in eas, volentes eas ibi recondere. Vesperascente autem die, postquam satiatae sunt equae et auro onustae, audiunt pullos suos hinnientes propter famem, et ita regrediuntur ad eos cum auro multo.672 Questa singolare idea di fare riempire i cofani d3oro dalle stesse formiche sul dorso delle bestie da soma piacque agli scrittori successivi. I Bestiari riproducono a volont questa versione.673 Citeremo solo le seguenti righe di Brunetto Latini, che si possono prendere per una traduzione del brano di Ugo di San Vittore: E gli Etiopi dicono che vi sono formiche su unisola, grandi come cani, che traggono oro dalla sabbia ai loro piedi e la custodiscono s fieramente che nessuno pu averne senza morire; ma i paesani mandano in quellisola a pascere giumente con puledri, caricate di buoni cofani; e quando le formiche scorgono i cofani, esse mettono tutto loro di dentro, perch credono che ci possa aiutarle a conservarlo. E quando viene la sera, e la giumenta ben pasciuta e ben caricata, e i suoi padroni portano suo figlio dallaltra parte della riva, e questo nitrisce e grida, e la giumenta ora si lancia nellacqua e se ne viene correndo dallaltra parte, con tutto loro che nei cofani.674 La pi recente menzione della Formica Indiana si legge in una delle quattro lettere, cos istruttive e duna s bella dizione, come dice il conte di
Si tratta del fiume Kampylino, di cui parla Eliano: Le Formiche Indiane che custodiscono loro non attraversano mai il fiume detto Kampylino (L. III, cap. IV). 672 Hugonis de S. Victore opera omnia, Rouen, 1648. De bestiis et aliis rebus, cap. XXIX, T. II, P. 429. 673 Cfr. p. es. il Bestiaire de Philippe de Thaun , pubbl. da THOMAS WRIGHT (Popular treatises on science, edited from the original manuscrits), pp. 92-93, ed il Bestiaire di Guillaume-le-Normand (?), pubbl. da Ch. CAHIER (Mlanges dArchologie, t. II), pp. 194-195. 674 Trsor, l. I, p. V, cap. CXC, p. 245.
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SaintPriest,675 scritte in latino da Augier Ghislen de Busbecq, sulla sua ambasciata in Turchia. Busbecq, nato a Comines, tredici anni dopo la morte del celebre storico di Luigi XI, era stato inviato in Oriente come ambasciatore dellimperatore Ferdinando, figlio di Carlo Quinto. Si trovava a Costantinopoli nel 1559, quando il sultano Solimano ricevette dallo shah di Persia Thamasp unambasciata con ricchi doni; Busbecq ne fornisce il dettaglio: tinture e tappeti di Persia e di Siria, un magnifico esemplare del Corano, diversi animali rari, tra i quali si parla di una Fromica Indiana, della taglia dun cane comune, bestia cattiva e sempre pronta a mordere.676 Sfortunatamente lambasciatore, la cui veridicit non sospetta, non fu ammesso a vedere quei doni regali, e quanto dice della Formica Indiana solo la relazione di quanto ha inteso dire.
Mmoires de lAmbassade de France en Turquie, pubbl. da Ch. SCHEFFER, 1877, p. 52. 676 Qualem memini dictum fuisse allatam formicam indicam, mediocris canis magnitudine, mordacem admodum et saevam (cfr. BERGER DE XIVREY, Teratol., pp. 263-264).
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Limpressione che risulta da tutti i documenti europei che abbiamo citato, fatta astrazione dai Bestiari, in cui domina il colore leggendario, la realt del fatto principale riportato da Erodoto, ossia che i cercatori doro erano esposti agli attacchi dun animale che si scava la tana nelle sabbie. Una bestia malefica che morde e lacera, della taglia duna volpe, confronto naturale per un animale che vive sotto terra. Ma perch in questa storia, cos semplice che nessuno penserebbe senza dubbio a contestarla, perch questa idea bizzarra di assegnare al feroce animale il nome di formica? Quel nome, dato da Erodoto, stato religiosamente riprodotto da tutti gli scrittori successivi, ma non sono loro i responsabili dellerrore. La naturale spiegazione di tale singolarit consiste nel supporre che il nome dellanimale scavatore avesse qualche rapporto con quello della Formica. Come accade in casi simili, qualche tratto di similitudine segnalato tra i costumi dei due animali pu essere bastato a confermare lassimilazione dei nomi. La questione di storia naturale si sdoppia in una questione linguistica. Questultima tanto pi difficile da risolvere con una qualche certezza, poich non possiamo sapere in che lingua lanimale fosse chiamato. La regione in cui la scena si svolge secondo Erodoto a nord dellIndia, ma non dimentichiamo che tutto ci che lo storico greco racconta gli arriva dalla bocca dei Persiani. Ora, la descrzione si accorda cos bene con quelle presentate dagli Arabi, quindici secoli dopo, della regione aurifera dellAfrica interna, al nord di quellEtiopia che di buonora port il nome dIndia, e ove si trovano le sabbie, il sole ardente, le formiche, tutto insomma perch si possa, senza mostrarsi troppo avventurosi, vedere nel resoconto dei narratori persiani unallusione ai deserti africani. Il nome delle presunte formiche pu dunque provenire da contrade molto diverse, dalle lingue sconosciute, e quindi la questione, presa da questo punto di vista, diventerebbe insolubile. Se per il nome che noi supponiamo assimilato a quello della formica fosse di origine persiana, qualche ipotesi esplicativa diventerebbe possibile. Mi affretto a precisare che al di fuori del persiano medievale e attuale non so nulla di lingue iraniche; potr dunque fare ricorso solamente alla lingua moderna. Due ordini di fatti possono aiutare a comprendere la leggenda della Formica Indiana. Da una parte, nessuno ignora che lAsia e lAfrica nutrono un insetto ben noto col nome di Termite Bellicosa o formica bianca. I viaggiatori hanno descritto centinaia di volte i loro prodigiosi formicai, in fondo ai quali giace ununica femmina, enorme, che pu raggiungere la lunghezza di 15 cm. pericolosissimo cercare di demolire uno di quegli strani edifici:
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le bestiole, supplendo col numero alla debolezza della loro taglia, fanno fare una brutta fine allanimale che si azzardi nel loro dominio; poche ore bastano loro per fare a pezzi sino agli ossi una gazzella o uno gnu ferito. Queste termiti (in arabo arada) sono numerose presso i Neri del Sudan, nella regione stessa dei giacimenti auriferi. Vi sono talmente numerose e distruttrici dice Kazuini che gli indigeni sono costretti ad abitare sulla cima di grandi alberi.677 Daltra parte, oggi si conoscono, tra gli animali terricoli dellAsia e dellAfrica, diverse specie di RattiTalpe, abili a scavare la terra, molto cattivi e capaci di mordere vigorosamente al minimo fastidio. Tra le altre ve n una che lunga 32 cm e misura 25 cm di circonferenza.678 La specie asiatica, detta crisoclora, sembra, per le sfumature del suo mantello, predestinata a figurare tra gli animali guardiani delle miniere doro. Inoltre, uno delle tre dita del piede anteriore interamente avvolto da ununghia scavatrice di mostruosa grossezza.679 Ora, in persiano, msh significa ratto e la talpa si chiama kurmsh ratto cieco, che si pronuncia anche kermsh. Quali potevano essere il suono e la forma duna tale parola ai tempi di Erodoto? Come noi la conosciamo, sembra abbastanza prossima al nome greco della formica, Myrmes, perch un Ellenico potesse fare confusione. Ecco dunque un animale le cui abitudini sotterranee presentano una qualche analogia con quelle della formica, il cui nome, per un orecchio straniero, non manca di affinit con qullo dellinsetto. Sarebbe poi cos sorprendente che lautore del racconto originario abbia inteso e trascritto Myrmes? Non insistiamo su una congettura dalle basi cos fragili. Notiamo solo che con questipotesi, che fa del Myrmex di Erodoto un RattoTalpa di grande taglia, tutto si spiega: i pericoli corsi dai cercatori doro, le quattro zampe dellanimale, le pelli viste da Nearco nel campo macedone, sino ai corni del tempio dEracle, che potrebbero essere quelle unghie scavatrici mostruose che racchiudono come un astuccio il dito del crisocoro. Pare che un tedesco, il conte Valhein, abbia scritto una dissertazione sulle Formiche Indiane, che non ho letto, ma che vedo citata da MalteBrun e da Berger de Xivrey;680 quel sapiente assimila la Formica di Erodoto al Canis Corsak o volpe siberiana. Tale spiegazione non inverosimile: la taglia, la pelliccia, le abitudini notturne dellanimale, il costume di scavare tane, di vivere in grandi branchi nei deserti della Tartaria, dal Volga sino alle Indie; tutte
Athr al Bild, p. 15. Dizionario di DETERVILLE, t. III, p. 323. 679 Ibidem, t. VII, p. 73. 680 Teratol., p. 264.
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tali circostanze concordano ammirevolmente con tutte le nozioni serie relative alla Formica Indiana. Rimarrebbe inspiegata solo la questione del nome. Citer per memoria due interpretazioni, luna di de Gubernatis, laltra di dEkstein, che offrono il gran vantaggio di potersi applicare indifferentemente a tutte le difficolt dello stesso generel. DEkstein, scoprendo un passo dEliano in cui si dice che le Formiche nutrivano il re Mida addormentato, introducendogli in bocca grani di cereali, ne conclude senza sforzo che le Formiche sono il doppio: 1. dun popolo agricoltore che raccoglie grano; 2. dun popolo mercante che raccoglie loro.681 La spiegazione di de Gubernatis non meno facile: i formicai rappresentano il cielo del mattino e della sera; loro il grano; le formiche separano il grano durante la notte, lo portano da Ovest ad Est e ne tolgono tutte le sporcizie; in altri termini, esse puliscono il cielo sbarazzandolo dalle ombre della notte.682 Se si adotta questo sistema interpretativo, del tutto inutile preoccuparsi delle dimensioni delle formiche e sapere che cosa fossero le loro pelli o le loro corna. Citiamo infine ancora il felice parere di Boettiger, che pensa che le Formiche Indiane (cos come i Grifoni) non siano che la descrizione dei ricami di certe tappezzerie indiane viste da Ctesia alla corte del re di Persia Artaserse.683 Ecco un altro sistema che semplifica notevolmente le ricerche del sapiente e dello storico. Concludiamo qui il nostro lavoro. Le materie che sono oggetto dellultimo capitolo ci permettono di chiuderlo come uno di quei Bestiari del medioevo cui abbiamo fatto molti riferimenti, e di dire con Gervaso: Qui finisce il Bestiario. Non cera altro nel campionario, E mentire sarebbe follia. Chi ne sa di pi lo dica!684
Sur les Lgendes Brahmaniques, in Journal Asiatique, dicembre 1855. Mythologie zoologique, ed. francese, t. II, p. 48. 683 Cit. da MALTE-BRUN, Nouvelles annales des Voyages, t. II, p. 379. 684 Le Bestiaire de Gervaise (sec. XII-XIII), in Romania, 1872, p. 442.
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Che impressione pu nascere dalla lettura di queste pagine? Ce n una che lautore avrebbe ben voluto trasmettere: quella dellutilit offerta dallo studio degli scrittori arabi per conoscere certi aspetti del nostro medioevo. Lo spirito arabo non penetrato presso di noi; nei loro scritti si possono vedere solo degli intermediari. Ma in quellenorme lacuna, che separa il mondo antico grecoromano dal nostro moderno Rinascimento, la letteratura scientifica araba, qualunque possa esserne il valore reale, occupa un posto, gioca un ruolo di cui lassenza di concorrenti accresce singolarmente limportanza. Dal punto di vsta geografico, il soggetto qui trattato era poco idoneo, vista lestrema penuria dei documenti, a fare emergere limportanza di cui parliamo. Ma daltra parte la mancanza assoluta di ogni altro materiale oltre quelli di origine araba fornisce un argomento di cui non si pu contestare il valore. Insomma, durante lunghi secoli quasi tutta la nostra scienza viene dagli Arabi. E forse, andando pi lontano, si tenter un giorno di dimostrare quanto la poesia e la letteratura propriamente detta delle nostre vecchie lingue doui e doc debbano, come fondo e soprattutto come forma, al romanzo ed alla poesia arabi. FINE
Conclusione
Mogadiscio La torre della Moschea Jaama, risalente al nostro sec. XIII. 159